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DONNE E CONCILIO / Il convegno (4-6 ottobre) CTi CTi CTi Marinella Perroni CTi Da auditrici a protagoniste Cinquant’anni dal Concilio. Lo scorso ottobre su questo tema si è tenuto il convegno Teologhe rileggono il Vaticano II. Assumere una storia, preparare il futuro. Già a partire dal discorso di apertura, la presidente del Coordinamento teologhe italiane (organizzatore dell’evento) ha messo in evidenza il cammino segnato dalla presenza delle ventitré donne al Concilio Vaticano II, un cammino che presenta ancora molte sfide aperte ELISA KIDANé ELISA KIDANé 14 12/2012 di MARINELLA PERRONI * Il convegno in occasione dei cinquant’anni dall’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II vuole essere innanzitutto un rendimento di grazie, un’eucaristia, per tutto quello che il Concilio è stato e ha rappresentato. In modo particolare per le donne. Per la Chiesa cattolica l’ingresso di quelle 23 uditrici nell’aula conciliare ha segnato un passaggio epocale. Più di quanto si pensi o si sia disposti ad ammettere. Nella storia grandi trasformazioni hanno come fattore originante il con- * Presidente del Coordinamento teologhe italiane (nella foto in alto)
ELISA KIDANé corso di tanti piccoli fatti che arrivano a svelare appieno la loro portata storica solo sulla lunga distanza. Come ogni simbolo, come ogni icona, quel piccolo gruppo di donne ha detto qualcosa di chiaro a chi, guardando, è stato in grado di vedere e, udendo, ha saputo ascoltare. Non era una presenza che veniva dal nulla. Arrivava dalle Chiese, da una pluralità di ambiti ecclesiali dove alcune di quelle sorores – per dirla con il termine con cui si rivolgevano loro in aula i vescovi più disponibili a lasciarsi alle spalle una secolare misoginia ecclesiastica –, religiose e laiche, esercitavano ruoli importanti e altre erano riconosciute come figure rappresentative di situazioni sociali di cui l’azione pastorale della Chiesa non poteva più ormai non farsi carico. La storia successiva ha cancellato molti tratti di quella Chiesa convinta di essere e, soprattutto, di dover apparire sempre uguale a sé stessa e ha invece confermato, giorno dopo giorno, che la partecipazione delle donne al Vaticano II non poteva essere ridotta a folclore conciliare né valutata come un superficiale ammodernamento dei costumi ecclesiali. Essa aveva una virtualità ecclesiologica, oltre che ecclesiale, forte. Come la partecipazione ai lavori conciliari di quattrocento teologi, che vescovi illuminati avevano chiamato come consulenti, attestava che doveva considerarsi chiusa la cupa e dolente stagione del modernismo, con la sua ossessiva opposizione a ogni forma di ricerca teologica, anche la presenza di un drappello di laici testimoniava l’irruzione nell’aula conciliare delle Chiese locali, con le loro specificità e i loro dinamismi. Ancor di più, attestava che cominciava a farsi strada una nuova consapevolezza della rappresentanza ecclesiale. Essa dava visibilità a uno dei tratti a partire dai quali, come mostrerà l’insieme dei documenti conciliari, si andava chiarendo il volto con cui la Chiesa voleva presentarsi al mondo all’inizio del terzo millennio. Oltre il malcelato sessismo D’altra parte, l’intervento dell’arcivescovo di Bruxelles che, durante la congregazione generale LIII, segnò un terminus a quo per il superamento di un’ecclesiologia di genere discriminante, non ha rappresentato soltanto un momento forte dell’episodica conciliare. Con il suo votum di invitare al Concilio, oltre a uditori maschi, anche l’altra parte dell’umanità, il cardinale Leo-Joseph Suenens concludeva un rapido ma incisivo discorso teologico con cui chiedeva che si intervenisse sul capitolo sul popolo di Dio per migliorarlo, affiancando alla struttura ministeriale della Chiesa il riferimento a una sua “struttura” carismatica, e che i pastori considerassero in modo più positivo e costruttivo i carismi di cui lo Spirito fa dono ai fedeli. Si tratta di un intervento teologicamente impegnativo, che riprende una delle linee forza dell’ecclesiologia di Lumen gentium e colloca la partecipazione dei laici al Concilio nella lunga tradizione biblica che, da Mosè a Paolo, da Gioele a Pietro, insiste sulla qualità profetica di tutto il popolo di Dio. Emerge così la trama di una teologia conciliare di specie e di genere che, lentamente, abbandonava le discriminazioni tra clero e laici e tra uomini e donne, per aprirsi all’inclusività. D’altra parte, lunga è ancora la strada per lasciarsi dietro le spalle un malcelato sessismo. Basti pensare che nella teologia di questi ultimi decenni abbiamo registrato tentativi, spesso maldestri, di declinare la duplice struttura ecclesiale, quella gerarchica e quella carismatica, in termini di complementarità o di reciprocità tra maschile e femminile che, sotto mentite spoglie, continuano a riprodurre inesorabilmente modelli del passato. Al Concilio, invece, una Chiesa troppo spesso estranea alle donne, quando non addirittura ostile, ha cercato di ascoltare quello che lo Spirito andava dicendo alle Chiese in un tempo di grandi mutazioni e veloci cambiamenti, in cui il protagonismo femminile si annunciava come uno degli elementi di novità che attraversava le culture e le religioni non meno degli assetti politici ed economici. Sia pure timidamente, il Concilio ha capito che senza laici e senza donne nessuna ecumene, nessuna katolikè era possibile. Le donne ci sono sempre state, lo sappiamo bene, nella storia del mondo come in quella delle Chiese. Ci sono state e l’hanno costruita con la loro intelligenza e tenacia, con le loro parole e silenzi. Il Concilio non ha “inventato” la storia delle donne, neppure la storia delle donne credenti. Ha cercato soltanto di cominciare a riconoscerla e, soprattutto, a integrar- <strong>dossier</strong> CTi
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