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2. Il danno ingiusto. Il superamento del concetto di danno ingiusto ...

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<strong>2.</strong> <strong>Il</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong>.<br />

<strong>Il</strong> <strong>superamento</strong> <strong>del</strong> <strong>concetto</strong> <strong>di</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong><br />

come lesione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto soggettivo assoluto:<br />

la lesione <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to ad opera <strong>di</strong> terzi<br />

L’art. 2043 c.c. <strong>di</strong>spone che il soggetto responsabile è colui che cagiona<br />

ad altri un <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong>. <strong>Il</strong> <strong>concetto</strong> <strong>di</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong>, ove l’ingiustizia<br />

deve essere riferita al <strong>danno</strong> e non al fatto, assume un ruolo nodale nella<br />

qualificazione <strong>del</strong> fatto illecito e rappresenta il presupposto per la risarcibilità<br />

<strong>di</strong> ogni tipo <strong>di</strong> <strong>danno</strong>, sia patrimoniale che non patrimoniale.<br />

La condotta deve essere tale da cagionare un <strong>danno</strong> che si concretizza in<br />

una lesione <strong>di</strong> interessi, anche non necessariamente patrimoniali, meritevoli<br />

<strong>di</strong> tutela secondo l’or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co. Così, ad esempio, nel caso<br />

in cui un soggetto <strong>di</strong>strattamente macchi l’abito bianco <strong>del</strong>la sposa, la lesione<br />

si concreta tanto nel <strong>danno</strong> materiale all’abito, quanto nel <strong>danno</strong> all’evento<br />

matrimonio generalmente inteso.<br />

Si è soliti affermare che il nostro sistema <strong>del</strong>la responsabilità civile si regge<br />

sul principio <strong>del</strong>l’atipicità <strong>del</strong>l’illecito poiché i fatti illeciti si concretizzano<br />

attraverso la clausola generale <strong>del</strong>l’ingiustizia <strong>del</strong> <strong>danno</strong>.<br />

<strong>Il</strong> nostro sistema trova fonte <strong>di</strong>retta in quello previsto dal code civil nel<br />

quale l’art. 1382 <strong>di</strong>spone che “Tout fait quelconque de l’homme, qui cause à<br />

autrui un dommage, oblige celui par la faute duquel il est arrivé à le réparer”,<br />

con una formula molto simile a quella fatta propria dal nostro art. 2043 c.c.<br />

Diversamente, l’or<strong>di</strong>namento tedesco si fonda sul principio <strong>del</strong>la tipicità <strong>del</strong>l’illecito:<br />

il § 823 <strong>del</strong> BGB, infatti, <strong>di</strong>spone che “Wer vorsätzlich oder fahrlässig<br />

das Leben, den Körper, <strong>di</strong>e Gesundheit, <strong>di</strong>e Freiheit, das Eigentum oder<br />

ein sonstiges Recht eines anderen widerrechtlich verletzt, ist dem anderen zum<br />

Ersatz des daraus entstehenden Schadens verpflichtet”, e cioè che chiunque illegittimamente,<br />

con dolo o con colpa, lede la vita, l’integrità personale, la salute,<br />

la libertà la proprietà od un altro <strong>di</strong>ritto assimilabile, è obbligato al risarcimento<br />

<strong>del</strong> <strong>danno</strong>. L’elencazione tassativa dei <strong>di</strong>ritti la cui lesione comporta<br />

responsabilità civile, secondo la maggioranza degli Autori, conduce a


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B. Inzitari-V. Piccinini<br />

qualificare il sistema tedesco come sistema improntato dal principio <strong>del</strong>la<br />

tipicità dei fatti illeciti.<br />

V’è tuttavia da osservare che, nonostante la puntuale in<strong>di</strong>cazione effettuata<br />

dal BGB dei beni la cui lesione comporta il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> responsabilità<br />

extracontrattuale, i risultati raggiunti nel concreto dalla giurisprudenza con<br />

riferimento ai beni tutelati, anche grazie al rinvio che la norma fa ai “sonstiges<br />

Recht” e cioè ai <strong>di</strong>ritti assimilabili, è <strong>del</strong> tutto simile a quelli che raggiunge<br />

l’art. 2043 contenuto nel nostro co<strong>di</strong>ce civile.<br />

Tuttavia, non ogni <strong>danno</strong> è <strong>ingiusto</strong>. <strong>Il</strong> vero punto <strong>di</strong> passaggio, dunque,<br />

consiste nell’identificare che cosa si deve intendere per ingiustizia <strong>del</strong> <strong>danno</strong>.<br />

La responsabilità extracontrattuale è, infatti, responsabilità da <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong><br />

ed è quin<strong>di</strong> risarcibile solamente il <strong>danno</strong> che presenta le caratteristiche<br />

<strong>del</strong>l’ingiustizia.<br />

Allo stato attuale <strong>del</strong>l’evoluzione sistematica e giurisprudenziale, che comunque<br />

si mantiene sempre attenta e vivace, è possibile affermare che la responsabilità<br />

extracontrattuale sorge per l’avvenuta lesione <strong>di</strong> un interesse<br />

giuri<strong>di</strong>co tutelato dall’or<strong>di</strong>namento, che spetta al giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> volta in volta<br />

selezionare ed in<strong>di</strong>viduare.<br />

<strong>Il</strong> <strong>concetto</strong> <strong>di</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong> ha tuttavia subito nel tempo una lunga e<br />

laboriosa evoluzione.<br />

Secondo l’impostazione più tra<strong>di</strong>zionale, l’art. 2043 c.c. costituiva norma<br />

<strong>di</strong> carattere secondario che sanzionava il comportamento illecito lesivo <strong>di</strong><br />

una situazione giuri<strong>di</strong>ca soggettiva tutelata da una norma <strong>di</strong> carattere primario.<br />

Sino agli inizi degli anni Settanta, la giurisprudenza affermava che <strong>danno</strong><br />

<strong>ingiusto</strong> era solo quello che corrispondeva alla violazione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto<br />

soggettivo assoluto, negando in tal modo tutela alla lesione <strong>di</strong> interessi che<br />

non costituivano <strong>di</strong>ritti soggettivi assoluti. In particolar modo, il <strong>danno</strong> era<br />

<strong>ingiusto</strong> solo quando la condotta era lesiva dei <strong>di</strong>ritti <strong>del</strong>la personalità (vita,<br />

integrità fisica, salute, onore), dei <strong>di</strong>ritti reali (proprietà, servitù) e <strong>di</strong> alcuni<br />

<strong>di</strong>ritti inerenti ai rapporti <strong>di</strong> famiglia (in particolare, il <strong>di</strong>ritto al mantenimento<br />

dei familiari <strong>di</strong> un soggetto che viene ucciso).<br />

Con il tempo, la stessa giurisprudenza ha allargato le maglie <strong>del</strong> <strong>concetto</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong> – ampliando così l’area <strong>del</strong>la risarcibilità – ritenendo risarcibili,<br />

in un primo momento, non più solo i <strong>di</strong>ritti assoluti, bensì anche<br />

quelli relativi, come i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to.<br />

Da ultimo, dopo anni <strong>di</strong> obiezioni e <strong>di</strong> chiusure, la giurisprudenza ha riconosciuto<br />

il carattere <strong>di</strong> norma primaria all’art. 2043 c.c. e quin<strong>di</strong> anche la


<strong>Il</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong><br />

risarcibilità <strong>di</strong> situazioni soggettive che nemmeno possono essere ascritte nell’alveo<br />

dei <strong>di</strong>ritti soggettivi, gli interessi legittimi, ovverosia quelle situazioni<br />

giuri<strong>di</strong>che che i privati vantano nei confronti <strong>del</strong>la pubblica amministrazione.<br />

La prima fase <strong>di</strong> ampliamento <strong>del</strong>la nozione <strong>di</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong> (anche se i<br />

realtà già la giurisprudenza ammetteva la tutela aquiliana <strong>del</strong>le situazioni possessorie)<br />

si apre con la sent. 26 gennaio 1971, n. 174 (successivamente riba<strong>di</strong>ta<br />

da Cass. n. 2105/1980; Cass. n. 555/1984; Cass. n. 5699/1986; Cass. n.<br />

9407/1987) che ha affermato la riconoscibilità <strong>del</strong> risarcimento <strong>del</strong> <strong>danno</strong> anche<br />

per la lesione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti soggettivi relativi, ed in particolar modo dei <strong>di</strong>ritti<br />

<strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, superando così la tra<strong>di</strong>zionale opinione negativa sostenuta dalla<br />

dottrina e dalla giurisprudenza fin dagli anni Cinquanta.<br />

<strong>Il</strong> caso oggetto <strong>di</strong> questa importante pronuncia <strong>del</strong>le Sezioni Unite è noto<br />

agli stu<strong>di</strong>osi come il caso Meroni. <strong>Il</strong> calciatore <strong>del</strong> Torino, Luigi Meroni,<br />

viene travolto da un auto e rimane ucciso. La società <strong>di</strong> calcio cita in giu<strong>di</strong>zio<br />

il conducente per ottenere il risarcimento <strong>del</strong> <strong>danno</strong> derivante dal fatto<br />

<strong>di</strong> avere reso definitivamente impossibile l’esecuzione <strong>del</strong>la prestazione da<br />

parte <strong>del</strong> proprio giocatore costituita dalle prestazioni calcistiche. A <strong>di</strong>fferenza<br />

<strong>di</strong> quanto accadde nel triste noto caso <strong>del</strong>la caduta <strong>del</strong>l’aereo <strong>del</strong>la squadra<br />

<strong>del</strong> Torino sulla collina <strong>di</strong> Superga, quando nessuna forma <strong>di</strong> risarcimento<br />

venne riconosciuta alla società sportiva sulla scorta <strong>del</strong> fatto che il <strong>di</strong>ritto<br />

leso <strong>del</strong>la società sportiva era un <strong>di</strong>ritto relativo e non un <strong>di</strong>ritto assoluto<br />

(Cass., Sez. III, 4 luglio 1953, n. 2085), questa volta la Corte <strong>di</strong> cassazione,<br />

con un revirement che ha fatto storia, riconosce al Torino il risarcimento<br />

<strong>del</strong> <strong>danno</strong>.<br />

La sent. n. 174/1971 esprime per la prima volta il principio <strong>di</strong> carattere<br />

generale che ammette il risarcimento <strong>del</strong> <strong>danno</strong> per la lesione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto<br />

soggettivo relativo affermando che l’ingiustizia <strong>del</strong> <strong>danno</strong> deve essere intesa<br />

nella duplice accezione <strong>di</strong> <strong>danno</strong> prodotto non iure e contra ius. Quest’ultimo<br />

aspetto deve essere inteso nel senso che il fatto che cagiona il <strong>danno</strong> deve<br />

ledere una situazione soggettiva riconosciuta e garantita dall’or<strong>di</strong>namento<br />

giuri<strong>di</strong>co nella forma <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto soggettivo (anche quest’affermazione, come<br />

vedremo, verrà poi superata) il quale può assumere la forma sia <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto<br />

soggettivo assoluto che <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto soggettivo relativo.<br />

Secondo il superato orientamento contrario al riconoscimento <strong>del</strong> risarcimento<br />

<strong>del</strong> <strong>danno</strong> per lesione dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, l’ammettere, sulla base<br />

<strong>del</strong>l’art. 2043 c.c., una protezione imme<strong>di</strong>ata e <strong>di</strong>retta <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> fronte<br />

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B. Inzitari-V. Piccinini<br />

ai terzi che pregiu<strong>di</strong>chino il suo <strong>di</strong>ritto avrebbe postulato il riconoscimento,<br />

a carico dei terzi, <strong>di</strong> un generico dovere <strong>di</strong> astensione in relazione ai rapporti<br />

<strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, implicando la negazione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>la relatività degli effetti<br />

contrattuali <strong>di</strong> cui all’art. 1372, comma 2, c.c.<br />

Per i giu<strong>di</strong>ci <strong>del</strong>la Suprema Corte riunita a Sezioni Unite, il problema<br />

sottoposto al loro esame andava impostato e risolto muovendo dal presupposto<br />

che il rapporto che legava la vittima alla società era da inquadrarsi nello<br />

schema dei rapporti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to e da configurare, precisamente, come un<br />

rapporto <strong>di</strong> lavoro subor<strong>di</strong>nato, fonte soltanto <strong>di</strong> obbligazione e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong><br />

cre<strong>di</strong>to, giacché le prestazioni dei giocatori professionisti (almeno allora), oltre<br />

a rivestire i caratteri <strong>del</strong>la continuità e <strong>del</strong>la professionalità, erano altresì<br />

caratterizzate dalla collaborazione, nel quadro <strong>di</strong> una complessa organizzazione<br />

economica, tecnica e <strong>di</strong> lavoro, e dalla subor<strong>di</strong>nazione al potere <strong>di</strong>rettivo<br />

e gerarchico <strong>del</strong>l’ente da cui <strong>di</strong>pendevano.<br />

Ciò premesso, i giu<strong>di</strong>ci evidenziano che il problema centrale <strong>del</strong>la causa si<br />

risolve, dunque, nel quesito se un siffatto rapporto sia tutelabile, a favore <strong>del</strong><br />

cre<strong>di</strong>tore, <strong>di</strong> fronte al fatto illecito <strong>del</strong> terzo che abbia inciso sulla persona <strong>del</strong><br />

debitore, sopprimendola, e, ancor prima, nell’altro quesito, <strong>di</strong> portata più generale,<br />

se sia ammissibile la tutela aquiliana, <strong>di</strong> cui all’art. 2043 c.c., in caso <strong>di</strong><br />

lesione <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to da parte <strong>di</strong> soggetto estraneo al rapporto obbligatorio.<br />

Nel giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> merito i giu<strong>di</strong>ci si professarono rigorosamente fe<strong>del</strong>i al principio<br />

<strong>del</strong>la non risarcibilità <strong>del</strong> <strong>danno</strong> cagionato dal terzo al cre<strong>di</strong>tore per la lesione<br />

<strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to. Escluse che il cre<strong>di</strong>tore potesse godere <strong>di</strong> una protezione<br />

imme<strong>di</strong>ata e <strong>di</strong>retta, traendo argomento dall’inesistenza <strong>di</strong> un generico<br />

dovere <strong>di</strong> astensione dei terzi in relazione ai rapporti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, dalla tra<strong>di</strong>zionale<br />

<strong>di</strong>stinzione fra <strong>di</strong>ritti assoluti e <strong>di</strong>ritti relativi e dal principio, espresso dall’art.<br />

1372, comma 2, c.c., <strong>del</strong>la relatività degli effetti <strong>del</strong> contratto.<br />

In realtà, spiegano i giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> legittimità in motivazione, tale ultima<br />

norma, statuendo che, salvi i casi previsti dalla legge, il contratto non produce<br />

effetto rispetto ai terzi, significa soltanto che, in ossequio al principio<br />

<strong>di</strong> autonomia contrattuale, il contratto non può produrre gli effetti, che esso<br />

è destinato a creare ed in vista dei quali è stato stipulato, a vantaggio o a<br />

<strong>danno</strong> <strong>di</strong> altri soggetti che non abbiano partecipato alla sua formazione: quel<br />

che la norma esclude è soltanto la indebita proiezione degli effetti propri <strong>del</strong><br />

contratto nella sfera giuri<strong>di</strong>ca dei terzi. È <strong>del</strong> tutto arbitrario, invece, capovolgere<br />

il principio che è alla base <strong>di</strong> quella norma, per trarne che i terzi possano,<br />

senza subire conseguenze, interferire, col loro comportamento illecito,


<strong>Il</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong><br />

nelle situazioni giuri<strong>di</strong>che costituitesi, in capo ai contraenti, per effetto <strong>del</strong><br />

contratto.<br />

Le Sezioni Unite ritengono non fondata anche l’argomentazione secondo<br />

la quale la presenza <strong>di</strong> norme (in particolare, gli artt. 1259; 1585, comma 2;<br />

2864, comma 1; 2901, c.c.), che prevedono, in casi ben precisi e <strong>del</strong>imitati,<br />

dei rime<strong>di</strong> a favore <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>tore che veda pregiu<strong>di</strong>cato il proprio <strong>di</strong>ritto dal<br />

fatto <strong>del</strong> terzo, <strong>di</strong>mostra che è estranea al vigente or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co una<br />

tutela generalizzata dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to contro le aggressioni dei terzi estranei<br />

al rapporto obbligatorio.<br />

Inoltre, i giu<strong>di</strong>ci censurano il richiamo effettuato dalla Corte torinese alla<br />

tra<strong>di</strong>zionale concezione, secondo la quale, <strong>di</strong> fronte ai rapporti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, la<br />

cui lesione non può provenire che dal soggetto obbligato, non può ammettersi<br />

l’esistenza, a carico <strong>del</strong>la comunità dei consociati, <strong>di</strong> un generale dovere<br />

<strong>di</strong> astensione e dalla quale trasse la conclusione che l’art. 2043 c.c. non assicura<br />

al cre<strong>di</strong>tore alcuna imme<strong>di</strong>ata e <strong>di</strong>retta protezione verso i terzi, i quali<br />

pregiu<strong>di</strong>cano il suo <strong>di</strong>ritto.<br />

In verità, sostengono le Sezioni Unite, il principio che la risarcibilità <strong>del</strong><br />

<strong>danno</strong> ex art. 2043 c.c. debba ammettersi solo con riguardo alla lesione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti<br />

assoluti o primari, quali i <strong>di</strong>ritti alla vita, all’integrità personale, alla proprietà,<br />

all’onore, e non possa invece invocarsi da parte <strong>di</strong> chi deduca la lesione<br />

<strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto relativo e, in particolare, <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, è tutt’altro che<br />

estraneo alla stessa giurisprudenza <strong>di</strong> legittimità: al contrario, precisano, esso è<br />

stato più volte enunciato e riaffermato in casi e sotto profili <strong>di</strong>versi, come nel<br />

caso <strong>di</strong> <strong>danno</strong> cagionato dal terzo al debitore con un fatto che abbia aggravato<br />

la esposizione debitoria <strong>di</strong> quest’ultimo (Sez. III, 7 luglio 1962, n. 1760), nel<br />

caso <strong>di</strong> concorso <strong>di</strong> una duplice responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale,<br />

in conseguenza <strong>di</strong> un unico comportamento <strong>del</strong> soggetto contrattualmente<br />

obbligato (Sez. I, 7 agosto 1962, n. 2441; Sez. III, 30 luglio 1966, n. 2139),<br />

così, ancora, nel caso <strong>di</strong> <strong>danno</strong> cagionato dal fatto <strong>del</strong> terzo, alla cosa <strong>di</strong> cui si<br />

abbia il go<strong>di</strong>mento in virtù <strong>di</strong> un rapporto personale <strong>di</strong> obbligazione, quale<br />

quello <strong>di</strong> comodato (Sez. III, 6 <strong>di</strong>cembre 1968, n. 3904).<br />

Per altro, se <strong>di</strong> quel principio si dovesse riaffermare l’intransigente vali<strong>di</strong>tà,<br />

sì imporrebbe la ricerca <strong>di</strong> una <strong>di</strong>versa giustificazione quanto al risarcimento,<br />

costantemente e largamente riconosciuto dalla giurisprudenza, a favore<br />

dei congiunti <strong>di</strong> persona deceduta per fatto illecito <strong>del</strong> terzo, che fossero<br />

cre<strong>di</strong>tori, nei confronti <strong>del</strong> defunto, <strong>di</strong> prestazioni alimentari.<br />

Sulla base <strong>del</strong>le suddette argomentazioni, la Corte giunge a statuire che<br />

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B. Inzitari-V. Piccinini<br />

quel principio <strong>di</strong> rigida separazione e contrapposizione fra <strong>di</strong>ritti assoluti e<br />

<strong>di</strong>ritti relativi, meritava <strong>di</strong> essere riconsiderato. Sorvolando sulle <strong>di</strong>verse ricostruzioni<br />

proposte dalla dottrina, si sostiene che un’attenta considerazione<br />

<strong>del</strong>la realtà normativa, porta a concludere che la norma non consente <strong>di</strong> assumere<br />

come un dato certo e decisivo la rigida contrapposizione dei <strong>di</strong>ritti<br />

assoluti ai <strong>di</strong>ritti relativi, al fine <strong>di</strong> limitare ai primi la tutela aquiliana, negandola<br />

ai secon<strong>di</strong>. In realtà, la “ingiustizia”, che l’art. 2043 assume quale<br />

componente essenziale <strong>del</strong>la fattispecie <strong>di</strong> responsabilità civile, va intesa nella<br />

duplice accezione <strong>di</strong> <strong>danno</strong> prodotto non iure e contra ius: non iure, nel senso<br />

che il fatto produttivo <strong>del</strong> <strong>danno</strong> non debba essere altrimenti giustificato dall’or<strong>di</strong>namento<br />

(per es., artt. 2044, 2045 c.c.); contra ius, nel senso che il fatto debba<br />

ledere una situazione soggettiva riconosciuta e garantita dall’or<strong>di</strong>namento<br />

giuri<strong>di</strong>co nella forma <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto soggettivo. La quale interpretazione, mentre lascia<br />

fuori dalla sfera <strong>di</strong> protezione <strong>del</strong>l’art. 2043 quegli interessi che non siano<br />

assunti al rango <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti soggettivi pone in luce, d’altra parte, l’arbitrarietà <strong>di</strong><br />

ogni <strong>di</strong>scriminazione fra una categoria e l’altra dei <strong>di</strong>ritti soggettivi, al fine <strong>di</strong><br />

riconoscere o escludere la tutela aquiliana.<br />

L’accettazione <strong>di</strong> questi principi si riscontra, pur se implicita, in alcuni<br />

orientamenti giurisprudenziali <strong>del</strong>la stessa Corte <strong>di</strong> legittimità: a parte il tema<br />

<strong>del</strong>la lesione <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to alimentare, si possono ricordare, invero, le decisioni<br />

che hanno inquadrato nello schema <strong>del</strong>la responsabilità extracontrattuale<br />

ex art. 2043 c.c. la condotta <strong>del</strong> terzo estraneo al rapporto contrattuale<br />

che partecipa alla violazione <strong>di</strong> obblighi da parte <strong>del</strong> contraente (Cass., Sez.<br />

I, 16 luglio 1956, n. 2720; 6 novembre 1957, n. 4257), oltre ad una pronuncia<br />

<strong>del</strong>le stesse Sezioni Unite (3 marzo 1964, n. 476) che avevano statuito<br />

la responsabilità extracontrattuale, a norma <strong>del</strong>l’art. 2043 c.c., <strong>di</strong> una<br />

pubblica amministrazione, estranea al rapporto <strong>di</strong> obbligazione, che aveva<br />

colposamente posto in essere atti <strong>di</strong> <strong>di</strong>sposizione <strong>del</strong>l’altrui cre<strong>di</strong>to, cagionando<br />

<strong>danno</strong> al titolare <strong>di</strong> questo.<br />

Ricostruito in questi termini lo stato <strong>del</strong>la giurisprudenza, la Corte conclude<br />

che riba<strong>di</strong>re la rigorosa esclusione <strong>del</strong>la tutela aquiliana per i <strong>di</strong>ritti<br />

non assoluti, rappresenterebbe un arretramento rispetto a posizioni che possono<br />

considerarsi ormai acquisite e che appaiono, oltre tutto, più aderenti<br />

all’attuale realtà economico-sociale, sempre più largamente svincolata da una<br />

rigida gerarchia <strong>di</strong> valori economici e giuri<strong>di</strong>ci.<br />

Risolto così, in senso positivo, il problema <strong>del</strong>l’astratta risarcibilità <strong>del</strong>la<br />

lesione <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to da parte <strong>del</strong> terzo, i giu<strong>di</strong>ci si pongono l’altret-


<strong>Il</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong><br />

tanto rilevante problema <strong>del</strong>la causalità che fu risolto negativamente nella<br />

sent. n. 2085/1953, sulla base degli artt. 1223 e 2056 c.c., essendosi allora<br />

considerato che il <strong>danno</strong> subito <strong>del</strong>l’associazione calcistica per la morte dei<br />

giocatori <strong>del</strong>la sua squadra non fosse conseguenza imme<strong>di</strong>ata e <strong>di</strong>retta <strong>del</strong>l’unico<br />

fatto lesivo che <strong>di</strong>rettamente ed imme<strong>di</strong>atamente aveva inciso soltanto<br />

sul preminente <strong>di</strong>ritto <strong>del</strong>le vittime alla vita ed all’integrità personale.<br />

In tema <strong>di</strong> responsabilità civile, il problema <strong>del</strong>la causalità si presenta sotto<br />

un duplice aspetto: il primo, che attiene al nesso causale fra la condotta<br />

<strong>del</strong> soggetto agente, a lui imputabile a titolo <strong>di</strong> dolo o <strong>di</strong> colpa, e l’evento e<br />

che va considerato e risolto alla stregua degli artt. 40 e 41 c.p., pacificamente<br />

applicabili anche in materia civile; il secondo che, presupponendo integro in<br />

tutti i suoi elementi lo schema appena <strong>del</strong>ineato (condotta – nesso causale –<br />

evento), attiene alla derivazione causale <strong>del</strong> <strong>danno</strong>, <strong>di</strong> cui si pretende il risarcimento,<br />

dall’evento e che è considerato e <strong>di</strong>sciplinato dall’art. 1223 c.c. Ciò<br />

premesso, le Sezioni Unite precisano, a quali con<strong>di</strong>zioni ed entro quali limiti<br />

il <strong>danno</strong> risentito dal cre<strong>di</strong>tore (nella specie, la società Torino calcio) per la<br />

morte <strong>del</strong> suo debitore (nella specie il giocatore Meroni) sia configurabile<br />

come “ conseguenza imme<strong>di</strong>ata e <strong>di</strong>retta “ <strong>di</strong> quell’evento letale. In particolare,<br />

esse affermano che occorre, in primo luogo, che la morte <strong>del</strong> debitore<br />

determini, <strong>di</strong> per sé, l’estinzione <strong>del</strong>la obbligazione e, correlativamente, <strong>del</strong><br />

<strong>di</strong>ritto <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>tore, senza possibilità <strong>di</strong> trasmissione <strong>del</strong> debito agli ere<strong>di</strong><br />

<strong>del</strong>l’obbligato (effetto, questo, che si verifica tipicamente per le obbligazioni<br />

alimentari, <strong>del</strong>le quali è la legge – art. 488 c.c. – stessa che stabilisce la cessazione<br />

per morte <strong>del</strong>l’obbligato), rimanendo in tal modo fuori tutte le altre<br />

obbligazioni <strong>di</strong> dare, rispetto alle quali l’attività personale <strong>del</strong> debitore ha<br />

funzione meramente secondaria e strumentale. In secondo luogo occorre che<br />

la per<strong>di</strong>ta che il cre<strong>di</strong>tore viene a subire, per la morte <strong>del</strong> proprio debitore,<br />

sia definitiva ed irreparabile, nel senso che il cre<strong>di</strong>tore non possa, con eguale<br />

vantaggio economico, procurarsi da altri quelle prestazioni che gli sono venute<br />

a mancare (ad esempio, non è definitiva né irreparabile la per<strong>di</strong>ta per il<br />

cre<strong>di</strong>tore quando si tratti <strong>di</strong> obblighi <strong>di</strong> fare suscettibili <strong>di</strong> esecuzione forzata<br />

e rispetto ai quali non vi è apprezzabile interesse <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>tore a che la prestazione<br />

sia eseguita dal debitore o dal terzo). Più <strong>del</strong>icato è il <strong>di</strong>scorso, precisano<br />

i giu<strong>di</strong>ci, quanto a quelle obbligazioni <strong>di</strong> fare, <strong>di</strong> carattere strettamente<br />

personale, che siano state pattuite intuitu personae e nelle quali il vincolo<br />

obbligatorio riposa su un rapporto <strong>di</strong> personale fiducia o sulla considerazione<br />

<strong>di</strong> peculiari qualità <strong>del</strong> debitore (capacità professionale, abilità tecnica,<br />

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B. Inzitari-V. Piccinini<br />

reputazione o fama da lui acquisite e così via). Qui, è evidente, non può parlarsi<br />

<strong>di</strong> un interesse in<strong>di</strong>fferenziato <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>tore a ricevere la prestazione dal<br />

debitore ovvero da altro soggetto, ma neppure può <strong>di</strong>rsi che la morte <strong>di</strong> un<br />

siffatto debitore debba in ogni caso rappresentare per il cre<strong>di</strong>tore una per<strong>di</strong>ta<br />

definitiva ed irreparabile.<br />

<strong>Il</strong> criterio <strong>del</strong>l’insostituibilità <strong>del</strong> debitore deve essere dunque inteso in<br />

senso essenzialmente relativo in relazione alle particolarità <strong>di</strong> ciascun singolo<br />

caso.<br />

La Corte, da ultimo, giunge quin<strong>di</strong> ad affermare per la prima volta il<br />

principio, che non sarà più rimesso in <strong>di</strong>scussione, secondo il quale “Chi con<br />

il suo fatto doloso o colposo cagiona la morte <strong>del</strong> debitore altrui è obbligato a<br />

risarcire il <strong>danno</strong> subito dal cre<strong>di</strong>tore, qualora quella morte abbia determinato<br />

l’estinzione <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to ed una per<strong>di</strong>ta definitiva ed irreparabile per il<br />

cre<strong>di</strong>tore medesimo. È definitiva ed irreparabile la per<strong>di</strong>ta quando si tratti<br />

<strong>di</strong> obbligazioni <strong>di</strong> dare a titolo <strong>di</strong> mantenimento o <strong>di</strong> alimenti, sempre che<br />

non esistano obbligati in grado eguale o posteriore, che possano sopportare il<br />

relativo onere, ovvero <strong>di</strong> obbligazioni <strong>di</strong> fare rispetto alle quali vi è insostituibilità<br />

<strong>del</strong> debitore, nel senso che non sia possibile al cre<strong>di</strong>tore procurarsi,<br />

se non a con<strong>di</strong>zioni più onerose, prestazioni eguali o equipollenti”.<br />

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 gennaio 1971, n. 174<br />

Chi con il suo fatto doloso o colposo cagiona la morte <strong>del</strong> debitore altrui è obbligato<br />

a risarcire il <strong>danno</strong> subito dal cre<strong>di</strong>tore, qualora quella morte abbia determinato<br />

l’estinzione <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to ed una per<strong>di</strong>ta definitiva ed irreparabile per il cre<strong>di</strong>tore<br />

medesimo. È definitiva ed irreparabile la per<strong>di</strong>ta quando si tratti <strong>di</strong> obbligazioni <strong>di</strong><br />

dare a titolo <strong>di</strong> mantenimento o <strong>di</strong> alimenti, sempre che non esistano obbligati in<br />

grado eguale o posteriore, che possano sopportare il relativo onere, ovvero <strong>di</strong> obbligazioni<br />

<strong>di</strong> fare rispetto alle quali vi è insostituibilità <strong>del</strong> debitore, nel senso che non<br />

sia possibile al cre<strong>di</strong>tore procurarsi, se non a con<strong>di</strong>zioni più onerose, prestazioni<br />

eguali o equipollenti.<br />

Svolgimento <strong>del</strong> processo<br />

Con atto <strong>di</strong> citazione notificato il 3 gennaio 1968, la s.p.a. Torino calcio, premesso<br />

che il 15 ottobre 1967, in Torino, il calciatore Luigi Meroni, tesserato per la società i-


<strong>Il</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong><br />

stante, aveva perduto la vita in un incidente stradale, a seguito <strong>del</strong> quale era stato iniziato<br />

proce<strong>di</strong>mento penale per omici<strong>di</strong>o colposo a carico <strong>del</strong> minore Attilio Romero, e che,<br />

essendo ancora in corso tale proce<strong>di</strong>mento, essa aveva interesse a far accertare giu<strong>di</strong>zialmente<br />

la propria legittimazione a chiedere il risarcimento dei danni che le erano derivati<br />

dalla morte <strong>del</strong> Meroni, convenne in giu<strong>di</strong>zio, davanti al Tribunale <strong>di</strong> Torino, il<br />

professore Andrea Romero, quale padre e legale rappresentante <strong>del</strong> minore, chiedendo<br />

<strong>di</strong>chiararsi che, ove quest’ultimo fosse in tutto o in parte responsabile <strong>del</strong>la morte <strong>del</strong><br />

Meroni, la società Torino calcio era legittimata a chiedergli il risarcimento dei danni. <strong>Il</strong><br />

convenuto resistette alla domanda e ne chiese il rigetto in merito, rilevando che essa<br />

poneva una questione <strong>di</strong> titolarità <strong>del</strong> rapporto sostanziale, piuttosto che <strong>di</strong> legittimazione:<br />

interpretazione, questa, che la società istante, nelle successive precisazioni <strong>del</strong>la sua<br />

pretesa, <strong>di</strong>chiarava <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre.<br />

<strong>Il</strong> Tribunale <strong>di</strong> Torino, con sentenza <strong>del</strong> 22 maggio 1968, rilevato che la pronunzia<br />

che veniva chiesta non era inquadrabile nello schema <strong>del</strong> sillogismo giu<strong>di</strong>ziale perché<br />

riferita ad un fatto ipotetico (la responsabilità <strong>del</strong> Romero), il cui futuro accertamento<br />

rimaneva estraneo alla pronunzia stessa, <strong>di</strong>chiarò d’ufficio la inammissibilità <strong>del</strong>la domanda<br />

e compensò le spese. Tale sentenza fu appellata in via principale dal Romero ed<br />

in via incidentale dalla società Torino calcio; entrambe le parti chiesero la riforma <strong>del</strong>la<br />

sentenza impugnata e conclusero, rispettivamente, per il rigetto e per l’accoglimento, in<br />

merito, <strong>del</strong>la domanda. La Corte d’appello <strong>di</strong> Torino, con la sentenza ora impugnata in<br />

questa sede, riformò la decisione <strong>del</strong> tribunale, <strong>di</strong>chiarando inammissibile la domanda<br />

<strong>del</strong>la società Torino calcio, intesa come destinata a sfociare, non già in una pronunzia <strong>di</strong><br />

mero accertamento, positivo o negativo, ma, alternativamente, in una sentenza <strong>di</strong> condanna<br />

generica, con<strong>di</strong>zionata dal futuro accertamento <strong>del</strong>la responsabilità penale <strong>del</strong><br />

Romero, ovvero in una sentenza <strong>di</strong> definitiva assoluzione <strong>del</strong> convenuto. La Corte, peraltro,<br />

rigettò nel merito la domanda <strong>del</strong>la società Torino calcio e la condannò alle spese<br />

dei due gra<strong>di</strong> <strong>del</strong> giu<strong>di</strong>zio. Confutò, dapprima, la tesi <strong>del</strong>la risarcibilità <strong>del</strong> <strong>danno</strong> per la<br />

lesione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto assoluto, quale doveva ritenersi, secondo la società, quello che il<br />

“Torino“, società per azioni titolare <strong>di</strong> un’azienda <strong>di</strong> spettacoli sportivi, aveva sull’avviamento<br />

sociale, <strong>di</strong> cui il cosiddetto “patrimonio giuocatori“ era elemento preminente. Al<br />

riguardo la Corte, pur riconoscendo che il rapporto fra la società calcistica ed il calciatore<br />

è un elemento <strong>del</strong>l’avviamento <strong>del</strong>l’azienda sportiva, osservò che l’avviamento non va<br />

considerato come un bene autonomo, avulso dall’azienda, ma come una qualità <strong>di</strong> questa,<br />

e che, <strong>di</strong> fronte ai fatti lesivi che incidono sull’avviamento, i singoli elementi che lo<br />

compongono restano soggetti alla <strong>di</strong>sciplina giuri<strong>di</strong>ca che è propria <strong>di</strong> ciascuno, secondo<br />

la sua natura. E poiché, aggiunse la Corte, il rapporto fra la società ed il giuocatore tesserato,<br />

pur essendo caratterizzato dai poteri che alla prima derivano dall’or<strong>di</strong>namento<br />

sportivo e dalla correlativa soggezione <strong>del</strong> secondo, è pur sempre da ricondurre nell’ambito<br />

dei rapporti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, l’indagine circa la risarcibilità <strong>del</strong> <strong>danno</strong> patrimoniale subito<br />

dalla società si risolveva nel problema <strong>del</strong>la risarcibilità <strong>del</strong>la lesione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to<br />

ad opera <strong>di</strong> un terzo. Prendendo, quin<strong>di</strong>, in esame questo secondo aspetto <strong>del</strong>la<br />

controversia, osservò la Corte che l’ammettere, sulla base <strong>del</strong>l’art. 2043 cod. civ., una<br />

protezione imme<strong>di</strong>ata e <strong>di</strong>retta <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> fronte ai terzi che pregiu<strong>di</strong>chino il suo<br />

<strong>di</strong>ritto postulerebbe il riconoscimento, a carico dei terzi, <strong>di</strong> un generico dovere <strong>di</strong> astensione<br />

in relazione ai rapporti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, in<strong>di</strong>pendentemente dall’esistenza <strong>di</strong> specifiche<br />

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12<br />

B. Inzitari-V. Piccinini<br />

norme che tale dovere impongano: il qual riconoscimento, a giu<strong>di</strong>zio <strong>del</strong>la Corte, avrebbe<br />

trovato la linea <strong>di</strong> demarcazione fra <strong>di</strong>ritti assoluti e <strong>di</strong>ritti relativi ed avrebbe implicato,<br />

altresì, il ripu<strong>di</strong>o <strong>del</strong> principio <strong>di</strong> cui all’art. 1372, 2° comma, cod. civ., circa la<br />

relatività degli effetti contrattuali. Era anche da concludere, secondo la Corte, che potesse<br />

riconoscersi al <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, leso da un estraneo al rapporto obbligatorio, una protezione<br />

me<strong>di</strong>ata e in<strong>di</strong>retta, quale riflesso <strong>del</strong>la protezione accordata al bene <strong>del</strong> debitore<br />

primariamente aggre<strong>di</strong>to, in quanto, richiedendo la legge che fra l’illecito e il <strong>danno</strong><br />

esista, ai fini <strong>del</strong>la risarcibilità, un nesso imme<strong>di</strong>ato e <strong>di</strong>retto (art 1223 e 2056 cod. civ.),<br />

a maggior ragione tale rapporto <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>atezza deve sussistere fra l’interesse leso e la<br />

norma invocata a sua protezione, laddove siffatto rapporto manca quando il portatore<br />

<strong>del</strong>l’interesse sia soggetto <strong>di</strong>verso dal titolare <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong>rettamente o primariamente<br />

protetto. Osservò, infine, la Corte che la soluzione negativa così accolta non era inconciliabile<br />

col <strong>di</strong>ritto, costantemente riconosciuto al cre<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> alimenti, al risarcimento per<br />

la uccisione <strong>del</strong>l’obbligato: e ciò sia per la natura particolare <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to alimentare, i cui<br />

riflessi pubblicistici lo pongono in posizione <strong>di</strong> supremazia rispetto agli altri <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to,<br />

sia per la inscin<strong>di</strong>bile connessione, che rispetto ad esso si determina, fra la lesione<br />

<strong>del</strong> bene <strong>di</strong>rettamente protetto (vita <strong>del</strong> debitore) e la <strong>di</strong>struzione <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>tore.<br />

Avverso la sentenza <strong>del</strong>la corte <strong>di</strong> Torino la società Torino calcio ha proposto ricorso<br />

per cassazione, sulla base <strong>di</strong> due motivi <strong>di</strong> annullamento, seguito da due memorie <strong>di</strong>fensive.<br />

Resiste, con controricorso e con tre memorie, il prof. Andrea Romero, nella suin<strong>di</strong>cata<br />

qualità. <strong>Il</strong> ricorso, già assegnato alla Sezione III civile, è stato poi rimesso alla decisione<br />

<strong>di</strong> queste Sezioni unite, ai sensi <strong>del</strong>l’art. 374, 2° comma, cod. proc. civile.<br />

Motivi <strong>del</strong>la decisione<br />

La corte <strong>di</strong> merito, nell’interpretare la domanda su cui era chiamata a pronunziarsi, attribuì<br />

alla società istante la volontà <strong>di</strong> ottenere l’emanazione <strong>di</strong> una sentenza <strong>di</strong> condanna<br />

generica <strong>del</strong> convenuto al risarcimento <strong>del</strong> <strong>danno</strong>, sottoposta, peraltro, alla con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>del</strong>l’accertamento <strong>del</strong>la responsabilità penale <strong>del</strong> Romero, e, nell’intento <strong>di</strong> chiarire ulteriormente<br />

il proprio pensiero, volle prospettarsi le due possibili soluzioni <strong>del</strong> caso, precisando<br />

che l’accoglimento <strong>del</strong>la domanda, se seguito dal riconoscimento <strong>del</strong>la responsabilità<br />

penale <strong>del</strong> Romero, nessun altro compito avrebbe lasciato al giu<strong>di</strong>ce civile se non<br />

quello <strong>di</strong> procedere alla liquidazione <strong>del</strong> <strong>danno</strong>, intesa come accertamento <strong>del</strong>l’esistenza<br />

in concreto <strong>di</strong> esso e come determinazione <strong>del</strong> quantum <strong>del</strong> risarcimento, laddove il rigetto<br />

<strong>del</strong>la pretesa attrice avrebbe definitivamente impe<strong>di</strong>to alla società istante <strong>di</strong> valutare<br />

<strong>di</strong>ritti al risarcimento, anche nel caso <strong>di</strong> accertata responsabilità penale <strong>del</strong> Romero. Non<br />

può sfuggire all’attenzione <strong>di</strong> questa corte, ed è stata esattamente rilevata, nel corso <strong>del</strong>la<br />

<strong>di</strong>scussione, dal pubblico ministero, la singolarità <strong>del</strong> caso, che vede relegato al rango <strong>di</strong><br />

evento con<strong>di</strong>zionante <strong>di</strong> una condanna generica in futuro l’accertamento <strong>del</strong>la responsabilità<br />

<strong>del</strong> presunto obbligato, l’accertamento, cioè, da farsi necessariamente dal giu<strong>di</strong>ce<br />

penale, <strong>di</strong> uno degli elementi costitutivi <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto fatto valere in giu<strong>di</strong>zio. Tale anomala<br />

situazione, peraltro, trae origine dalla interpretazione <strong>del</strong>la domanda, cui la corte <strong>di</strong> merito<br />

ha incensurabilmente proceduto e che è stata dalle parti pienamente accettata,<br />

nell’esercizio dei loro poteri <strong>di</strong>spositivi: il che non lascia margine ad alcuna iniziativa <strong>di</strong>


<strong>Il</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong><br />

questa Corte e le impone <strong>di</strong> passare all’esame dei motivi <strong>del</strong> ricorso. Col primo motivo,<br />

enunciato soltanto nel ricorso e non sviluppato nelle successive memorie <strong>di</strong>fensive, la<br />

sentenza <strong>del</strong>la Corte torinese viene censurata ai sensi <strong>del</strong>l’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc.<br />

civ., per violazione e falsa applicazione degli art. 2043 e 1223 cod. civ., in relazione alla<br />

<strong>di</strong>sciplina <strong>del</strong>l’avviamento aziendale (art. 2598 segg. e 2427 cod. civ., legge 27 gennaio<br />

1963 n. 19, art. 31 r. decreto 30 <strong>di</strong>cembre 1923 n. 3269), nonché per vizio logico <strong>del</strong>la<br />

motivazione. In particolare, la società ricorrente, prendendo le mosse dal principio, affermato<br />

dalla Corte <strong>di</strong> merito, <strong>del</strong> riconoscimento <strong>del</strong>la tutela aquiliana soltanto in caso <strong>di</strong><br />

lesione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto assoluto, sostiene che, quand’anche tale principio venisse accettato, il<br />

<strong>di</strong>ritto <strong>del</strong>la società a quella tutela non dovrebbe essere negato, trattandosi, appunto, <strong>del</strong>la<br />

lesione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto assoluto: precisamente <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>del</strong>l’impren<strong>di</strong>tore, la società Torino<br />

calcio, sull’avviamento <strong>del</strong>la propria azienda <strong>di</strong> spettacoli sportivi, <strong>di</strong> cui il rapporto<br />

col Meroni, giuocatore professionista tesserato per la società e, quin<strong>di</strong>, vincolato a questa<br />

a tempo indeterminato, era un elemento. La censura non merita accoglimento. Per meglio<br />

intenderne il contenuto ed il significato, non è superfluo rilevare che la tesi <strong>del</strong> <strong>di</strong>ritto<br />

assoluto non viene più prospettata, nel caso in esame, come affermazione <strong>del</strong>la esistenza,<br />

a favore <strong>del</strong>la società calcistica, <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto sul singolo giuocatore, atteggiatesi quasi come<br />

un <strong>di</strong>ritto reale e tutelabile erga omnes, per effetto <strong>del</strong>la sua assolutezza: prospettazione,<br />

questa, che ebbe, invece, larga parte nella nota vicenda giu<strong>di</strong>ziaria, per molti aspetti<br />

simile alla presente, cui dette origine la sciagura aerea <strong>di</strong> Superga <strong>del</strong> 4 maggio<br />

1949, e che fu giu<strong>di</strong>cata insostenibile da questa corte (Sez. III 4 luglio 1953, n. 2085). In<br />

quella occasione fu anche <strong>di</strong>battuto il problema se l’associazione calcistica potesse qualificarsi<br />

impren<strong>di</strong>tore e se, in quanto tale, potesse riguardarsi come titolare <strong>di</strong> un’azienda.<br />

In senso tecnico-giuri<strong>di</strong>co, e questa corte, con la decisione ora ricordata, si mostrò allora<br />

propensa ad aderire alla soluzione affermativa <strong>di</strong> quel problema, pur non ritenendo necessaria,<br />

ai fini <strong>del</strong> decidere, un’approfon<strong>di</strong>ta <strong>di</strong>samina <strong>di</strong> esso. L’or<strong>di</strong>namento attuale <strong>del</strong><br />

settore calcistico <strong>del</strong>lo sport consente, peraltro, <strong>di</strong> dare ora, con maggiore sicurezza, risposta<br />

positiva al duplice quesito. È noto, infatti, che in attuazione <strong>del</strong> programma <strong>di</strong> rior<strong>di</strong>namento<br />

finanziario <strong>del</strong> settore calcistico <strong>di</strong> lega nazionale, pre<strong>di</strong>sposto dalla Federazione<br />

italiana giuoco calcio fin dal 1965, si procedette alla liquidazione <strong>del</strong>le preesistenti<br />

associazioni professionistiche affiliate e alla loro costituzione in società per azioni (cfr.<br />

Cass., Sez. un., 19 giugno 1968, n. 2028). Ed una volta che tale forma fu assunta dalia<br />

società calcistica, nella specie, dalla s.p.a. Torino calcio, non è dubitabile che essa sia da<br />

annoverare fra le imprese soggette a registrazione (art. 2195 e 2200 cod. civ., in relazione<br />

all’art. 2082), e che sia da qualificare come impren<strong>di</strong>toriale l’attività economica organizzata<br />

che essa istituzionalmente esercita col promuovere ed organizzare manifestazioni<br />

agonistiche che si traducono, nei confronti <strong>del</strong> pubblico cui sono destinate, nell’allestimento,<br />

nella produzione e nell’offerta <strong>di</strong> spettacoli sportivi. Se così è, non può mancare,<br />

in siffatta impresa, l’azienda, che <strong>del</strong>l’impresa è l’aspetto strumentale (art. 2555 cod. civ.),<br />

consistendo essa nel complesso dei beni (cose corporali, beni immateriali, rapporti giuri<strong>di</strong>ci<br />

attivi e passivi, rapporti <strong>di</strong> lavoro col personale <strong>di</strong>pendente, ecc.) organizzati dall’impren<strong>di</strong>tore<br />

e da lui unitariamente destinati alla realizzazione <strong>del</strong>la finalità produttiva<br />

che egli si ripromette. E nulla impe<strong>di</strong>sce che anche all’azienda <strong>del</strong>l’impresa sportiva possa<br />

riferirsi il <strong>concetto</strong> <strong>del</strong>l’avviamento. Ma l’avviamento non è un bene, sia pure immateriale,<br />

che abbia esistenza giuri<strong>di</strong>ca autonoma, rispetto all’azienda cui inerisce, e che si ag-<br />

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14<br />

B. Inzitari-V. Piccinini<br />

giunga agli altri beni aziendali, né può essere concepito al <strong>di</strong> fuori <strong>del</strong>l’azienda stessa. Esso<br />

è, piuttosto, una qualità, non essenziale né immancabile, o un modo <strong>di</strong> essere <strong>del</strong>l’azienda:<br />

è, precisamente, l’attitu<strong>di</strong>ne, che l’azienda, considerata nel suo <strong>di</strong>namismo, ha o acquista,<br />

a produrre, a beneficio <strong>del</strong>l’impren<strong>di</strong>tore, utilità economiche maggiori <strong>di</strong> quelle<br />

che, in<strong>di</strong>pendentemente dall’organizzazione aziendale, potrebbero ricavarsi dai singoli<br />

beni che la compongono (cfr. Cass., Sez. un., 21 luglio 1967, n. 1889, Sez. III 3 ottobre<br />

1968, n. 3083). L’avviamento è, così, la risultante <strong>di</strong> molteplici e concorrenti elementi:<br />

<strong>del</strong>l’abilità e <strong>del</strong>la capacità organizzativa <strong>del</strong>l’impren<strong>di</strong>tore, <strong>del</strong>la qualità degli impianti,<br />

<strong>del</strong>la tra<strong>di</strong>zione che essa abbia acquisito, <strong>del</strong>la qualità dei collaboratori <strong>del</strong>l’impren<strong>di</strong>tore,<br />

<strong>del</strong>la ubicazione <strong>del</strong>l’azienda, <strong>del</strong> sistema produttivo adottato e via <strong>di</strong>cendo. Ma, come<br />

l’effetto non può confondersi con la causa, così l’avviamento non va confuso con quei<br />

beni e rapporti giuri<strong>di</strong>ci che concorrono a produrlo e che più esattamente potrebbero<br />

designarsi come “fattori” <strong>del</strong>l’avviamento. Fattore <strong>del</strong>l’avviamento, piuttosto che elemento<br />

costitutivo <strong>di</strong> esso, è dunque, in particolare, quel rapporto giuri<strong>di</strong>co, generalmente <strong>di</strong><br />

prestazione d’opera, grazie al quale l’impren<strong>di</strong>tore si sia assicurati, per i fini <strong>del</strong>l’attività<br />

produttiva che egli esercita, i servizi professionali e le energie <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> un collaboratore<br />

particolarmente qualificato. Dal che consegue che il fatto illecito <strong>del</strong> terzo, che privi<br />

l’impren<strong>di</strong>tore <strong>del</strong>le prestazioni <strong>di</strong> quel collaboratore, incide sul rapporto giuri<strong>di</strong>co in virtù<br />

<strong>del</strong> quale l’impren<strong>di</strong>tore aveva <strong>di</strong>ritto a quelle prestazioni e, soltanto <strong>di</strong> riflesso ed eventualmente,<br />

sull’avviamento acquisito o sperato dall’impren<strong>di</strong>tore per effetto <strong>del</strong>le prestazioni<br />

stesse, e ne consegue, altresì, che la tutela giuri<strong>di</strong>ca, che all’impren<strong>di</strong>tore può, in<br />

ipotesi, riconoscersi <strong>di</strong> fronte a quel fatto lesivo <strong>del</strong> terzo, va riferita, non già all’avviamento<br />

in sé, ma al rapporto giuri<strong>di</strong>co leso, secondo la sua natura e secondo la <strong>di</strong>sciplina<br />

che ad esso è propria.<br />

Alla stregua <strong>del</strong>le considerazioni fin qui esposte, appare inutile stabilire se l’impren<strong>di</strong>tore<br />

abbia un <strong>di</strong>ritto soggettivo sull’avviamento aziendale e <strong>di</strong> qual misura sia, in ipotesi,<br />

tale <strong>di</strong>ritto; così come non pertinente è il riferimento, contenuto nel ricorso, alle norme<br />

repressive degli atti <strong>di</strong> concorrenza sleale (art. 2598 segg. cod. civ.), quale che possa<br />

considerarsi il bene da esse tutelato (la personalità <strong>del</strong>l’impren<strong>di</strong>tore ovvero l’azienda<br />

considerata nel suo avviamento). Lo stesso <strong>di</strong>casi quanto alle norme, pure invocate dalla<br />

ricorrente, <strong>del</strong>la legge <strong>di</strong> registro (art. 31 r. decreto 30 <strong>di</strong>cembre 1923 n. 3269) e <strong>del</strong>la<br />

<strong>di</strong>sciplina <strong>del</strong>le società per azioni (art. 2427 cod. civ.), le quali prevedono, rispettivamente,<br />

la valutazione <strong>del</strong>l’avviamento ai fini <strong>del</strong>la tassazione dei trasferimenti <strong>di</strong> azienda<br />

e la iscrizione in bilancio <strong>del</strong> valore <strong>di</strong> avviamento: norme che, dettate dalla considerazione<br />

che l’avviamento, ancorché non separabile dall’azienda, rappresenta pur sempre<br />

un valore economicamente apprezzabile, non hanno alcuna attinenza col problema, che<br />

qui interessa, <strong>del</strong>la tutela giuri<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> un singolo fattore <strong>del</strong>l’avviamento. Né giova, infine,<br />

alla tesi sostenuta dalla ricorrente la cosiddetta tutela giuri<strong>di</strong>ca <strong>del</strong>l’avviamento<br />

commerciale, <strong>di</strong> cui alla legge 27 gennaio 1963 n. 19, la quale non è che la proiezione<br />

<strong>del</strong> rapporto <strong>di</strong> locazione, al cessare <strong>di</strong> questo, e va ricondotta al principio <strong>del</strong>l’arricchimento,<br />

sulla base <strong>del</strong>la per<strong>di</strong>ta <strong>del</strong>l’avviamento, che l’impren<strong>di</strong>tore uscente subisca per<br />

effetto <strong>del</strong>la <strong>di</strong>slocazione <strong>del</strong>l’azienda, e <strong>del</strong>la correlativa utilità <strong>di</strong> cui possa avvantaggiarsi<br />

il locatore. Trattasi, dunque, <strong>di</strong> norme e <strong>di</strong> istituti giuri<strong>di</strong>ci che non sono in alcun<br />

modo utilizzabili nel caso in esame, una volta chiarito che esso non può essere risolto<br />

facendo capo alla tutela <strong>del</strong>l’avviamento, in sé considerato.


<strong>Il</strong> <strong>danno</strong> <strong>ingiusto</strong><br />

<strong>Il</strong> problema da risolvere resta, pertanto, quello <strong>di</strong> stabilire quale tutela possa invocare<br />

la società ricorrente <strong>di</strong> fronte al fatto illecito <strong>del</strong> terzo che la privò <strong>del</strong>le prestazioni atletiche<br />

<strong>del</strong> giuocatore Meroni: problema che va impostato e risolto previa definizione <strong>del</strong>la<br />

natura giuri<strong>di</strong>ca <strong>del</strong> rapporto che legava la vittima alla società.<br />

Ora, che il rapporto intercorrente fra il giuocatore professionista e la società calcistica<br />

che lo abbia ingaggiato sia da inquadrare nello schema dei rapporti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to e sia da<br />

configurare, precisamente, come un rapporto <strong>di</strong> lavoro subor<strong>di</strong>nato, non è dubitabile ed<br />

è stato più volte affermato da questa Corte. Trattasi, infatti, <strong>di</strong> proposizioni che furono<br />

già enunciate nella già ricordata decisione <strong>del</strong> 1953 (Sez. III n. 2085) e che furono poi<br />

riba<strong>di</strong>te da altra più recente decisione (Sez. II 21 ottobre 1961, n. 2324), la quale pose<br />

in luce come le prestazioni dei giuocatori professionisti, oltre a rivestire i caratteri <strong>del</strong>la<br />

continuità e <strong>del</strong>la professionalità, sono altresì caratterizzate dalla collaborazione, nel<br />

quadro <strong>di</strong> una complessa organizzazione economica, tecnica e <strong>di</strong> lavoro, e dalla subor<strong>di</strong>nazione<br />

al potere <strong>di</strong>rettivo e gerarchico <strong>del</strong>l’ente da cui <strong>di</strong>pendono. Né vi è, nella presente<br />

causa, sostanziale <strong>di</strong>ssenso su tal punto. La società ricorrente si è limitata, infatti, a<br />

sostenere che il <strong>di</strong>ritto alle prestazioni <strong>del</strong> giuocatore “tesserato“, più che un puro e<br />

semplice <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, sia un <strong>di</strong>ritto sui generis, peraltro non precisato nei suoi lineamenti<br />

giuri<strong>di</strong>ci; ed ha insistito, in particolare, sul <strong>di</strong>ritto, spettante alla società, alla esclusività<br />

<strong>del</strong>le prestazioni <strong>del</strong> giuocatore fino a quando non sia intervenuto, nei casi e<br />

nei mo<strong>di</strong> previsti dai regolamenti federali, lo scioglimento <strong>del</strong> giuocatore dal vincolo.<br />

Trattasi, comunque, <strong>di</strong> caratteristiche particolari <strong>del</strong> rapporto che, come fu esattamente<br />

osservato nella sentenza n. 2085 <strong>del</strong> 1953, non bastano a snaturarne l’essenza giuri<strong>di</strong>ca,<br />

che, nelle sue linee fondamentali e nel suo sostanziale contenuto, resta quella <strong>di</strong> un contratto<br />

<strong>di</strong> lavoro subor<strong>di</strong>nato, fonte soltanto <strong>di</strong> obbligazione e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to; senza<br />

<strong>di</strong>re che quelle peculiarità <strong>del</strong> rapporto ripetono pur sempre la loro origine da un atto <strong>di</strong><br />

autonomia negoziale, consistente nella volontaria sottoposizione <strong>di</strong> tutti i soggetti inquadrati<br />

nella F.i.g.c. – società, persone fisiche e, in particolare, giocatori tesserati – all’osservanza<br />

dei regolamenti federali. <strong>Il</strong> problema centrale <strong>del</strong>la causa si risolve, dunque, nel<br />

quesito se un siffatto rapporto sia tutelabile, a favore <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>tore, <strong>di</strong> fronte al fatto illecito<br />

<strong>del</strong> terzo che abbia inciso sulla persona <strong>del</strong> debitore, sopprimendola, e, ancor prima,<br />

nell’altro quesito, <strong>di</strong> portata più generate, se sia ammissibile la tutela aquiliana, <strong>di</strong><br />

cui all’art. 2043 cod. civ., in caso <strong>di</strong> lesione <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to da parte <strong>di</strong> soggetto estraneo al<br />

rapporto obbligatorio: il che forma oggetto <strong>del</strong> secondo motivo <strong>di</strong> ricorso, col quale la<br />

sentenza <strong>del</strong>la corte <strong>di</strong> merito viene censurata, appunto, per violazione e falsa applicazione<br />

degli art. 2043, 1372 e 1223 cod. civile. Questo secondo motivo investe, così,<br />

quella parte <strong>del</strong>la decisione impugnata in cui la Corte torinese, dopo avere esattamente<br />

inquadrato nello schema dei rapporti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to il rapporto intercorrente fra la società<br />

Torino calcio ed il defunto giuocatore Meroni, negò che la situazione giuri<strong>di</strong>ca soggettiva<br />

<strong>di</strong> cui la prima era titolare potesse beneficiare <strong>del</strong>la tutela aquiliana <strong>di</strong> fronte al fatto illecito<br />

<strong>di</strong> cui il secondo sarebbe stato vittima ad opera <strong>del</strong> Romero. In tal modo la Corte <strong>di</strong><br />

merito si professò rigorosamente fe<strong>del</strong>e al principio <strong>del</strong>la non risarcibilità <strong>del</strong> <strong>danno</strong> cagionato<br />

dal terzo al cre<strong>di</strong>tore con la lesione <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to <strong>di</strong> lui. Escluse che il cre<strong>di</strong>tore potesse<br />

godere <strong>di</strong> una protezione imme<strong>di</strong>ata e <strong>di</strong>retta, traendo argomento dalla inesistenza<br />

<strong>di</strong> un generico dovere <strong>di</strong> astensione dei terzi in relazione ai rapporti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, dalla tra-<br />

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B. Inzitari-V. Piccinini<br />

<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong>stinzione fra <strong>di</strong>ritti assoluti e <strong>di</strong>ritti relativi e dal principio, espresso dall’art.<br />

1372, 2° comma, cod. civ., <strong>del</strong>la relatività degli effetti dei contratti; ed escluse, altresì, la<br />

risarcibilità <strong>del</strong> <strong>danno</strong> riflesso, cagionato al cre<strong>di</strong>to dalla lesione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto primario <strong>del</strong><br />

debitore, giu<strong>di</strong>cando che a tale più estesa tutela ostasse il combinato <strong>di</strong>sposto degli art.<br />

1223 e 2056 cod. civile. Così il principio enunciato dalla Corte <strong>di</strong> merito come le ragioni<br />

che essa addusse a sorreggerlo sono censurati, dalla società ricorrente, sotto vari aspetti.<br />

Si censura, in primo luogo, l’applicazione fatta dalla Corte <strong>di</strong> merito, ai fine <strong>di</strong> escludere<br />

la risarcibilità <strong>del</strong>la lesione <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>to da parte <strong>del</strong> terzo, <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>la relatività degli<br />

effetti <strong>del</strong> contratto e <strong>del</strong>la norma, che quel principio, esprime, <strong>del</strong>l’art. 1372, 2°<br />

comma, cod. civile. E la censura è fondata. A prescindere dalla considerazione che quella<br />

regola non potrebbe essere riferita che ai rapporti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to aventi fonte convenzionale,<br />

sembra a questa Corte che alla norma <strong>del</strong>l’art. 1372 siano stati attribuiti, nella specie,<br />

un significato ed una portata che essa certamente non ha. Essa, invero, statuendo che,<br />

salvi i casi previsti dalla legge (per es., art. 1239, 1300, 1301, 1411 cod. civ.), il contratto<br />

non produce effetto rispetto ai terzi, significa soltanto che, in ossequio al principio <strong>di</strong> autonomia<br />

contrattuale, il contratto non può produrre gli effetti, che esso è destinato a<br />

creare ed in vista dei quali è stato stipulato, a vantaggio o a <strong>danno</strong> <strong>di</strong> altri soggetti che<br />

non abbiano partecipato alla sua formazione: quel che la norma esclude è, dunque, soltanto<br />

la indebita proiezione degli effetti propri <strong>del</strong> contratto nella sfera giuri<strong>di</strong>ca dei terzi.<br />

Ma è <strong>del</strong> tutto arbitrario capovolgere il principio che è alla base <strong>di</strong> quella norma, per<br />

trarne che i terzi possano, senza subire conseguenze, interferire, col loro comportamento<br />

illecito, nelle situazioni giuri<strong>di</strong>che costituitesi, in testa ai contraenti, per effetto <strong>del</strong><br />

contratto. Gli è che la norma <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>scute, nulla ha a che vedere con gli effetti riflessi<br />

che il contratto, per il solo fatto <strong>del</strong>la sua esistenza, può produrre anche fuori <strong>del</strong>la sfera<br />

giuri<strong>di</strong>ca dei contraenti: e come il contratto che, pur non essendo <strong>di</strong>retto a tale scopo,<br />

cagioni <strong>ingiusto</strong> <strong>danno</strong> ad un terzo, ledendone un <strong>di</strong>ritto soggettivo, può dare origine a<br />

responsabilità extracontrattuale dei contraenti nei confronti <strong>di</strong> lui, così non è dato scorgere<br />

perché la norma <strong>del</strong>l’art. 1372 dovrebbe, <strong>di</strong> per sé, escludere la risarcibilità <strong>del</strong><br />

<strong>danno</strong> che il terzo, col suo illecito, cagioni alla ragione cre<strong>di</strong>toria <strong>di</strong> uno dei contraenti.<br />

Oltre che l’art. 1372, la corte <strong>di</strong> merito richiamò anche altre norme <strong>del</strong> co<strong>di</strong>ce civile (art.<br />

1259, 2864, 1° comma, 2901), per trarne ulteriore argomento a favore <strong>del</strong>la non risarcibilità,<br />

sul piano generale, <strong>del</strong>la lesione dei <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to da parte dei terzi. Disse, in<br />

sostanza, la Corte che, se quelle norme prevedono, in casi ben precisi e <strong>del</strong>imitati, dei<br />

rime<strong>di</strong> a favore <strong>del</strong> cre<strong>di</strong>tore che veda pregiu<strong>di</strong>cato il proprio <strong>di</strong>ritto dal fatto <strong>del</strong> terzo,<br />

segno è che è estranea al vigente or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co una tutela generalizzata dei <strong>di</strong>ritti<br />

<strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to contro le aggressioni dei terzi estranei al rapporto obbligatorio. Ma il richiamo<br />

<strong>di</strong> quelle norme in parte non è pertinente al tema in <strong>di</strong>scussione e in parte non<br />

giova alla tesi accolta dalla corte <strong>di</strong> merito. Fuor <strong>di</strong> proposito fu, innanzi tutto, ricordato<br />

l’art. 2864, 1° comma, cod. civ., che assicura al cre<strong>di</strong>tore ipotecario il risarcimento dei<br />

danni cagionati, con colpa grave, all’immobile ipotecato dal terzo acquirente <strong>del</strong>l’immobile<br />

stesso. Quel che la norma protegge in via repressiva, parallelamente alla tutela preventiva<br />

pre<strong>di</strong>sposta dall’art. 2813, è, infatti, non il cre<strong>di</strong>to garantito dall’ipoteca, ma<br />

l’autonomo <strong>di</strong>ritto ipotecario e, precisamente, il <strong>di</strong>ritto alla conservazione <strong>del</strong>l’integrità<br />

<strong>del</strong> bene ipotecato: <strong>di</strong>ritto che è, per sua natura, assoluto e che, come tale, è sicuramen-

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