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Revista Insula núm 1. Juny 2007

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INSULA<br />

Quaderno di cultura sarda<br />

Num. 1, giugno <strong>2007</strong><br />

3


A d T<br />

Arxiu de Tradicions<br />

INSULA<br />

Quaderno di cultura sarda<br />

Num. 1, giugno <strong>2007</strong><br />

5


6<br />

INSULA, Quaderno di cultura sarda. Num. 1, giugno <strong>2007</strong><br />

<strong>Insula</strong>@cat è un Centro di Ricerca afferente all’Arxiu de Tradicions de l’Alguer<br />

Direttore: Joan Armangué i Herrero<br />

Comitato redazionale: Antonello Greco, Simona Pau, Luca Scala<br />

Traduzioni dal catalano in italiano a cura di Valentina Grieco e Simona Pau<br />

Hanno collaborato a questo numero: Gabriel Andrés, Joan Armangué e Maria Lepori,<br />

della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Cagliari;<br />

Esther Martí, dell’Università di Lleida (Catalogna); e Walter Tomasi, dell’Arxiu de Tradicions.<br />

Con il contributo del Dipartimento di Linguistica e Stilistica<br />

dell’Università degli Studi di Cagliari.<br />

In copertina<br />

scultura di Gigi Porceddu<br />

foto di Mauro Porceddu<br />

Prima edizione: Cagliari, giugno <strong>2007</strong><br />

© Arxiu de Tradicions<br />

Reg. impresa: 22<strong>1.</strong>861<br />

Via Carbonazzi, 17 (I-09123-Cagliari)<br />

Tel. 0039 070 6848000<br />

adtalguer@yahoo.it<br />

© Grafica del Parteolla<br />

ISBN: 978-88-89978-34-4<br />

Impaginazione e stampa<br />

Grafica del Parteolla<br />

Via dei Pisani, 5 (I-09041-Dolianova)<br />

Tel. 0039 070 741234<br />

grafpart@tiscali.it


PRESENTAZIONE<br />

Gli studi di tematica locale, molto spesso abbandonati dalle istituzioni accademiche<br />

nelle mani di centri di ricerca e associazioni di volontariato culturale,<br />

possono essere intrapresi non soltanto con il massimo rigore metodologico, ma<br />

anche con la consapevolezza di percorrere una strada che conduce dall’interno<br />

verso l’esterno, dal particolare verso il generale, da sé verso l’altro. La validità<br />

di questa affermazione è già stata confermata, da un punto di vista strettamente<br />

scientifico, da prestigiose opere che hanno contribuito a riqualificare una disciplina<br />

in altri tempi ritenuta marginale, alla portata di irrequieti intellettuali non<br />

universitari, spesso dallo spirito amatoriale. I tempi sono cambiati – sono maturati–elostudioso<br />

di tematiche locali riesce a descrivere il riflesso dei grandi<br />

movimenti della storia e della cultura nella comunità per la quale lavora; e<br />

contestualmente il contributo di questa stessa comunità nella configurazione<br />

degli eventi di portata sopraregionale.<br />

Gli studi locali, così, acquisiscono un alto valore accademico, e ormai trovano<br />

spontaneamente un proprio spazio in riviste erudite o di alta divulgazione.<br />

Contemporaneamente, però, la diffusione di questi stessi studi in ambito locale<br />

assume anche un valore di profondo interesse educativo, in quanto partecipa di<br />

quei programmi di pedagogia sociale ormai noti come pedagogia non formale o<br />

educazione non scolastica che riescono a coinvolgere ampi settori della società,<br />

fornendo una nuova e più profonda coesione ai suoi legami interni. Ma bisogna<br />

tener presente che per raggiungere questo scopo, l’attività di volontariato culturale<br />

che scaturisce dall’incontro fra divulgatore e auditorio non può essere guidata,<br />

come altre realtà sociali, dall’evanescente pedagogia dei progetti né dall’effimera<br />

pedagogia delle azioni, ma dalla solidità e perdurabilità della pedagogia<br />

dei risultati.<br />

È interesse dell’équipe responsabile dell’allestimento del presente quaderno<br />

che <strong>Insula</strong> partecipi dello spirito descritto nel precedente quadro e possa<br />

rappresentare il primo passo di un lungo cammino da percorrere insieme.<br />

7<br />

<strong>Insula</strong> - Arxiu de Tradicions


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

<strong>1.</strong> Il ‘Liber maiorichinus’ (XII sec.) *<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Università di Cagliari<br />

Il Liber maiorichinus de gestis pisanorum illustribus 1 – poema latino di oltre<br />

3.500 esametri, attribuito sia a Enrico, plebano della cattedrale di Pisa, sia a uno<br />

sconosciuto Lorenzo Veronese 2 – è uno dei testi fondamentali della storiografia<br />

del Mediterraneo occidentale. 3 Oltre al valore strettamente letterario, 4 esso costituisce<br />

anche una straordinaria fonte di informazioni sulla spedizione catalanopisana<br />

contro i saraceni delle isole Baleari. 5 Il testo in questione ha pertanto<br />

destato l’attenzione dei principali specialisti del tema, che ad esso hanno dedicato<br />

una lunga serie di studi monografici, tesi dottorali e, persino, un Colloquio<br />

internazionale, celebrato a Tossa de Mar e a Barcellona nel 199<strong>1.</strong> 6 Il Liber<br />

* La prima versione di questo capitolo è apparsa in L. SCALA (a cura di), La rotta delle isole / La<br />

ruta de les illes, Dolianova 2004, pp. 25-31; esiste una versione catalana di questo articolo: El<br />

‘Liber maiorichinus de gestis pisanorum illustribus’, «Randa», 58 (<strong>2007</strong>), pp. 5-12.<br />

1 Adottiamo la forma «maiorichinus» per «maiolichinus», nel rispetto della proposta avanzata da<br />

G. SCALIA, Oliverius e Rolandus nel Liber Maiorichinus, «Studi Mediolatini e Volgari», IV,<br />

Istituto di Filologia Romanza dell’Università di Pisa, Bologna 1957, p. 285.<br />

2 L’antica attribuzione a Lorenzo Veronese, messa da parte alla fine del XIX secolo, è stata recentemente<br />

ripresa in Catalogna da Jaume Juan, il quale ha seguito per l’edizione del suo testo un<br />

manoscritto che riporta un titolo leggermente diverso dal solito: LAURENTII VERONENSIS, De Bello<br />

Maioricano libri octo, Barcelona 1996, con un’interessante Introduzione a cura di J. JUAN CA-<br />

STELLO, pp. 15-44.<br />

3 Liber Maiorichinus, a cura di Carlo CALISSE, Roma 1904 (edizione facsímile: Roma 1966).<br />

4 I principali studi che esaminano il testo da questo punto di vista sono la Prefazione di Carlo<br />

Calisse alla citata edizione del 1904, e G. VOLPE, Il ‘Liber maiolichinus de gestis Pisanorum<br />

illustribus’, «Archivio Storico Italiano», XXXIV, 1906.<br />

5 Per gli eventi strettamente storici, cfr. G. BENVENUTI, Introduzione a Il libro di Maiorca (Liber<br />

Maiolichinus), tradotto da P. LOI, Pisa 1964; G. ROSSELLÓ BORDOY, L’Islam a les illes Balears,<br />

Palma de Mallorca 1968, pp. 57-64; J.R. JULIÀ VIÑAMATA, La situazione politica nel Mediterraneo<br />

occidentale all’epoca di Raimondo Berengario III: la spedizione a Maiorca del 1113-1115,<br />

«Medioevo. Saggi e Rassegne», 16 (1992), pp. 41-84. Esiste una buona sintesi a partire da<br />

queste fonti e dai principali studi di storia medievale italiana: V. GRIECO, I Pisani e l’impresa<br />

delle Baleari (1113-1115), inL.SCALA, La rotta delle isole cit., pp. 19-23; si veda, in questo<br />

stesso volume, J. BARRAL, Un ataque en Cuaresma según el ‘Liber Maiorichinus’ (Formentera<br />

1114 – Primavera), pp. 33-5<strong>1.</strong><br />

6 El Liber Maiorichinus y la sociedad mediterránea del siglo XII, Colloquio Internazionale organizzato<br />

a Tossa-Barcellona tra il 30 settembre e il 2 ottobre del 1991 per la «Sezione di Studi<br />

Storici Alberto Boscolo dell’Istituto Italiano di Cultura».<br />

9<br />

INSULA, num. 1 (giugno <strong>2007</strong>) 9-55


10<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

maiorichinus, ben conosciuto in Catalogna, 7 è stato argomento della tesi di dottorato<br />

di Jaume Vidal Alcover (Barcelona 1976), che del suo studio pubblicò<br />

soltanto un estratto. 8 La prima traduzione completa in catalano è datata 1991 ed<br />

è stata curata da Mireia Mulet i Mas; quest’ultima è apparsa in coincidenza con<br />

il già citato Colloquio internazionale. 9<br />

Il poema, oltre che per i suoi indiscussi meriti, è stato reso popolare in<br />

Catalogna – sempre, però, in contesti eruditi – anche grazie ad alcuni riferimenti<br />

del tutto marginali. In primo luogo, il Liber maiorichinus ha costituito, per<br />

lungo tempo, il primo documento conosciuto in cui compariva il nome della<br />

Catalogna, «Catalania», con i suoi derivati «catalaunicus», «catalanicus» e<br />

«catalanensis», riferiti al conte Raimondo Berengario III di Barcellona. 10 Naturalmente,<br />

questa particolarità era destinata a una vita del tutto effimera e, infatti,<br />

nuove scoperte archivistiche hanno segnalato documenti precedenti che confermano<br />

quei gentilizi e privano il Liber maiorichinus del suo prestigioso primato<br />

(diffuso soprattutto grazie ai corsi, aperti a tutti, di Història de Catalunya, impartiti<br />

da Miquel Coll i Alentorn durante gli ultimi anni del franchismo). 11 Questo<br />

particolare, nonostante il suo carattere obsoleto, continua a colpire l’immaginario<br />

collettivo, a tal punto che non ci si può riferire al Liber maiorichinus<br />

senza ricordare – come stiamo facendo ora – i già menzionati gentilizi e il curioso<br />

riferimento a «Catalania».<br />

Gli studi locali, inoltre, hanno trovato anche un motivo di legittimo interesse<br />

in un famoso riferimento alla località di Blanes, contenuto in uno dei passaggi di<br />

7 Secondo J.R. Julià Viñamata, la prima edizione spagnola parziale del Liber maiorichinus fu curata<br />

da Pau Piferrer, il quale ne incluse un estratto nel volume della serie Recuerdos y bellezas de<br />

España, dedicata all’isola di Maiorca (Palma 1842); questo adattamento seguiva un’edizione<br />

italiana del Liber maiorichinus (1725), curata da Muratori e raccolta nella monumentale opera<br />

Rerum Italicarum Scriptores (cfr. J.R. JULIÀ, La situazione politica nel Mediterraneo cit, p. 62, n.<br />

36). Jaume Juan, invece, ci ricorda la precedente traduzione di J.M. Bover, sempre dall’edizione<br />

del Muratori e inclusa nel libro di J. DAMETO-V. MUT-G. ALEMANY, Historia general del Reino de<br />

Mallorca, II, Palma 1841, 2a ed., a cura di M. MORAGUES e J.M. BOVER, pp. 1140-1306 (cfr. J.<br />

JUAN, Introducción aLAURENTII VERONENSIS, De Bello Maioricano cit., pp. 31-32, n. 3).<br />

8 J. VIDAL I ALCOVER, El Llibre de Mallorca (Liber Maiolichinus o Maiorichinus). Introducció a<br />

l’edició del poema llatí i la seva traducció catalana, Barcelona 1979.<br />

9 Palma de Mallorca 199<strong>1.</strong> La traduzione catalana è stata presentata a Palma de Mallorca il 16<br />

ottobre 1991, durante un incontro organizzato dalla Facultat de Lletres de les Illes Balears,<br />

pochi giorni dopo il Colloquio internazionale.<br />

10 Riguardo all’origine del nome «Catalunya», cfr. X. CARIDAD ARIAS, Els noms de Catalunya.<br />

Cultes i divinitats de la Catalunya pre-romana, Vilassar de Mar 1997, pp. 11-74, con un riferimento<br />

al Liber maiorichinus alla p. 26.<br />

11 Secondo S. Sobrequés, nel documento 832 del Liber Feudorum, precedente agli anni 1107-<br />

1112, compaiono i cognomi «Catalan» e «Cataluign»; cfr. Els grans comtes de Barcelona,<br />

«Biografies Catalanes», 2, Barcelona 1980, 3a ed., pp. 144-145.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

maggior tono epico del Liber, di cui parleremo oltre. Ora vorremmo soltanto segnalare<br />

che la rivista «Blanda», di recente, si è interessata a tale argomento in un<br />

articolo che, malgrado il suo carattere eminentemente divulgativo, è stato per noi<br />

di stimolo e di esempio. 12 In un passo del citato scritto, l’autore sottolinea le parole<br />

che il conte Raimondo Berengario III, riferendosi alla costa di Blanes, avrebbe<br />

rivolto al console pisano: «Ells [els sarraïns] retenen els servents de Jesucrist amb<br />

molts de suplicis i fan que la meva costa estigui buida d’habitants. Perquè els<br />

murs que veig emplaçats a la costa de Blanes eren temples sumptuosos gràcies als<br />

seus admirables ornaments. [Ara] els seus teulats els cobreixen heures, els oculten<br />

una frondosa vinya o una figuera o els tapa qualsevol arbre. [Els sarraïns] mataren<br />

monjos i sacerdots a molts temples, embrutant els altars amb la sang». 13<br />

L’ultimo dei meriti circostanziali a cui facciamo riferimento è dato dal fatto<br />

che il Liber maiorichinus rappresenta il primo documento testimoniante le antiche<br />

relazioni politiche tra catalani e sardi. Anche noi, in altra occasione, 14 abbiamo<br />

fatto riferimento a tali rapporti, e ora, del tutto consapevoli che anche<br />

questa coincidenza possa essere destinata a una vita effimera, cercheremo di<br />

approfondire la questione.<br />

Nel corso dei secoli successivi alla frammentazione linguistica della Romània, è<br />

probabile l’esistenza di rapporti non solo commerciali, ma anche politici, tra la<br />

Sardegna e la Penisola Iberica, anche se sono ben pochi i dati concreti che documentano<br />

contatti precedenti al 1113. Bisogna considerare, però, che nel corso dell’VIII<br />

secolo circolava a Cagliari l’Orazionale visigotico, codice LXXXIX della Biblioteca<br />

Capitolare di Verona, scritto tra il 711 e il 732 in uno scriptorium di Tarragona. 15<br />

12 C. POLLS I PLANELLS, El ‘Liber maiolichinus de gestis Pisanorum illustribus’ i Blanes, «Blanda»,<br />

III (2000), pp. 51-55.<br />

13 Ibid., p.53.P.LOI, Il libro di Maiorca cit., pp. 30-31: «I Moreschi disperdono i Cristiani / con<br />

le molte torture e le mie terre / fan vuote di cultori. Quelle mura / che dianzi a voi vedete sulla<br />

spiaggia / elevate di Blanda, eran raggianti / di mirifiche statue; ora le ammanta / l’edera fino ai<br />

tetti o la frondosa / vite o il fico le asconde o d’ogni specie / arbusti le ricoprono. Nei templi /<br />

caddero per lor mano sacerdoti, / monaci, che, forati nelle gole, / macchiarono gli altari».<br />

14 J. ARMANGUÉ, Els primers contactes culturals entre Països Catalans i Sardenya (1113-1323),inEstudis<br />

sobre la cultura catalana a Sardenya, «Biblioteca Filològica», XLIII, Barcelona 2001, pp. 15-28.<br />

15 Cfr. G. MELE, Tradizioni codicologiche e cultura tra Sardegna e Catalogna nel Medioevo.<br />

Note per un primo bilancio, inLa Sardegna e la presenza catalana nel Mediterraneo, Atti del<br />

VI Congresso dell’Associazione Italiana di Studi Catalani (Cagliari, 11-15 ottobre 1995), a cura<br />

di P. MANINCHEDDA, Cagliari 1998, I, pp. 237-260 (l’articolo si trova alle pp. 236-315); e ID.,<br />

Alcune osservazioni storiche su canti e lingua in Sardegna tra scrittura e oralità (il caso del<br />

Medioevo), inLe lingue del popolo. Contatto linguistico nella letteratura popolare del Mediterraneo<br />

occidentale, a cura di J. ARMANGUÉ, Dolianova 2003, pp. 105-126.<br />

11


12<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Oltre a questa testimonianza, è possibile segnalare soltanto l’esistenza di un certo<br />

parallelismo formale tra il diritto sardo bassomedievale e il diritto visigotico. In effetti,<br />

Francesco Brandileone, studiando il Condaghe di San Pietro di Silki, ha individuato<br />

negli atti processuali una serie di analogie con il processo ispano-franco. 16<br />

La prima data certa delle relazioni tra catalani e sardi coincide, dunque, con<br />

l’impresa catalano-pisana contro i saraceni di Maiorca (1113-1115), il che rende<br />

necessario riassumere i precedenti politici di questa campagna.<br />

Inizieremo col dire che l’audacia dei musulmani delle Baleari e il pericolo<br />

che essi rappresentavano avevano indotto papa Pasquale II a chiedere ai pisani,<br />

tramite il loro arcivescovo, di organizzare una spedizione contro i nemici della<br />

cristianità. In tal modo, Pisa venne investita di una funzione unificatrice e coordinatrice<br />

di popoli molto diversi. Grazie all’appoggio del papa, quindi, i pisani<br />

avevano organizzato la spedizione con l’alleanza militare o commerciale delle<br />

potenze che in quel momento condividevano con loro la doppia esigenza, morale<br />

ed economica, di combattere gli ‘infedeli’ e liberare il mare dalla presenza<br />

musulmana. Oltre ad altri signori di Catalogna e di Provenza, alla spedizione si<br />

unì il conte di Barcellona, Raimondo Berengario III, al quale venne affidato il<br />

comando della flotta. Negli accordi di Sant Feliu, stipulati il 9 settembre del<br />

1113 tra i consoli pisani e lo stesso conte di Barcellona, erano alleate di Pisa le<br />

truppe provenienti da Roma, Lucca, Firenze, Siena, Volterra, Pistoia, e inoltre<br />

dalla Lombardia, dalla Corsica e dalla Sardegna. 17<br />

Nell’agosto del 1113, appena iniziata la spedizione, i pisani fecero scalo nel<br />

porto di Santa Reparata, in prossimità dell’attuale Santa Teresa di Gallura, nella<br />

Sardegna settentrionale. 18 Da Santa Reparata, dove il giudice di Gallura, Orzocco<br />

o Ithocorre de Gunale, offrì assistenza alla flotta alleata, 19 i pisani superarono il<br />

golfo di Torres e poi quello di Capalbo (l’attuale Capo Caccia, vicino adAlghero).<br />

16 F. BRANDILEONE, Note sull’origine di alcune istituzioni giuridiche in Sardegna durante il Medio<br />

Evo, «Archivio Storico Italiano», XXX (1902), pp. 275-325. Cfr. anche D. SCANO, Storia<br />

dell’arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, Cagliari 1907, p. 43, in cui l’autore si dichiara convinto<br />

dell’esistenza di stretti contatti ibero-sardi durante il Basso Medioevo, senza poterne,<br />

però, apportare prove documentarie.<br />

17 In questo paragrafo riprendiamo un passaggio dell’articolo di V. GRIECO, I Pisani e l’impresa<br />

delle Baleari cit., p. 2<strong>1.</strong><br />

18 Per quanto concerne la partecipazione sarda alla spedizione, è utile la comunicazione di F.C.<br />

CASULA, Partecipazione del regno sardo di Torres all’impresa pisana delle Baleari nel 1113-<br />

1115, letta durante il Colloquio internazionale su El Liber Maiorichinus y la sociedad<br />

mediterránea del siglo XII, Tossa-Barcelona, 30 settembre-2 ottobre 199<strong>1.</strong><br />

19 G. MELONI, La Sardegna nel quadro della politica mediterranea di Pisa, Genova, Aragona, in<br />

AA.VV., Storia dei sardi e della Sardegna, a cura di Massimo GUIDETTI, II: Il Medioevo dai<br />

giudicati agli aragonesi, Milano 1988, p. 67 (l’articolo si trova alle pp. 49-96).


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

Qui si unì loro un contingente di soldati sardi – non è possibile determinare il<br />

loro numero – guidati da Saltaro, figlio di Costantino de Lacon-Gunale, e da<br />

Torbeno, un tempo giudice di Calari. Di seguito riportiamo il frammento del<br />

Liber maiorichinus in cui si narrano questi fatti.<br />

Dumque favent venti, Tauro post terga relicta,<br />

Adveniunt Longona rates, linquntque lebetes,<br />

Et retinent portum dictum de nomine sancte<br />

Quam Reparata vocant. muros templumque vetustum<br />

Erecti lapides scopulosaque litora monstrant.<br />

Hosque sinus exireparant, pariterque resumunt<br />

Turrenses aditus, ubi Constantinus habebat<br />

Sedes, rex clarus, multum celebratus ab omni<br />

Sardorum populo. bis sex geminisque diebus,<br />

Operiendo suos, ibi gens Pisana moratur,<br />

inde sinum repetunt, quem vulgo ferunt Caput Album,<br />

Scilicet ob mullum trepidantia litora ventum.<br />

Istic Durbinius Pisanis associatur,<br />

Qui quondarn regnum censebat Calaritanum,<br />

Et Constantino Saltarus iudice natus;<br />

Prevalet hic iaculo, preclaris sensibus ille. (vv. 190-205)<br />

Dalla Sardegna la flotta alleata giunse in Catalogna, e precisamente a Blanes:<br />

Ac crescente die ceperunt cernere terras<br />

Hispanas, sed eas Baleares esse putabant,<br />

Blandensi donec comittitur anchora ripe.<br />

Has postquam retinent Latio de litore vecti,<br />

Astis suspendunt pugnam minitantia signa,<br />

Atque tegunt fortes clippeis radiantibus artus,<br />

Et stringunt rigidos totis conatibus enses.<br />

Litora tota sonant ex rauca voce tubarum.<br />

Indigenas, quoscumque vident, capiuntque fugantque,<br />

Atque sequuntur, eos Baleares esse putantes.<br />

Hii se Christicolas Catalanensesque fatentur. (vv. 239-249)<br />

Una volta a Barcellona, la flotta alleata si unì alle truppe di Raimondo<br />

Berengario III. Sono di notevole interesse i versi che l’autore del Liber utilizza<br />

per descrivere l’atmosfera serena che regnava quando sardi e catalani, insieme<br />

ad altri popoli, si incontrarono nelle spiagge tra Montjuïc e il Llobregat, per<br />

celebrare la festa di San Matteo:<br />

Solis ab occasu modicum porrectus ad equor,<br />

Defessas solito qui frangit et accipit undas,<br />

Mons Iudeus, ibi plana divisus ab urbe,<br />

Non euris puppues calidisve tuetur ab austris;<br />

Cuius ab Hispana facie ratis appulit omnis.<br />

13


14<br />

Ut terras subeunt Latie riliqueque carine,<br />

Lìtus ad usque tuas agmen navale tenebat.<br />

Lubricaris, aquas, ripe cecidisse feruntur,<br />

Tanta premebat eas magne violentia classis.<br />

Hic, ubi mutavit lites concordia pace,<br />

Adveniunt sancti celeberrima festa Mathei.<br />

Tota nocte sonant tunc tintinabula cuncta,<br />

Vota vovent omnes, precibus votisque Tonantem<br />

Sollicitant, cuiusque colunt sollempnia sanctum. (vv. 543-556)<br />

Nella restante parte del poema è descritta la conquista di Maiorca, che si<br />

concluse, dopo venti mesi di combattimenti, con la vittoria dell’esercito cristiano<br />

sui saraceni. Per quanto concerne la partecipazione sarda alla spedizione, 20 il<br />

Liber maiorichinus contiene solamente un altro riferimento, quello dei versi in<br />

cui viene ricordata la vittoria di Saltaro sul principe saraceno Abrotano:<br />

Dum cadit Abrotani ruit inter lora fugacis<br />

Cuius Saltarus transiecerat ilia virga. (vv. 1938-1939)<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Com’era prevedibile, i riferimenti a Blanes contenuti nel Liber maiorichinus<br />

sono del tutto marginali. Per la moderna sensibilità, costituiscono addirittura<br />

un’amenità irrilevante, se si esclude un dato che merita un’attenta lettura. Rivediamo<br />

i fatti: «[I cristiani alleati] le terre ispane / incominciano a scorgere; ma<br />

credono / che sian le Baleari; infine l’ancora / presso il lido di Blanda vien<br />

calata. […] all’aste i segni / sospendon minacciosi di battaglia, […] Prendono o<br />

in fuga pongono i nativi, / tutti quelli che vedono, e li inseguono, / credendoli<br />

Moreschi; ma costoro / si dichiaran Cristiani e Catalani»; 21 cioè, con le parole<br />

del poeta: «Christicolas Catalanensesque».<br />

Possiamo dunque affermare che il riferimento a Blanes assume una funzione<br />

importante nel contesto del poema e, soprattutto, nelle intenzioni critiche<br />

o encomiastiche dell’autore. In primo luogo, che la flotta alleata si<br />

divida appena lasciata la Sardegna è sintomo inequivocabile di una grave<br />

mancanza d’unità politica e, soprattutto, di un atteggiamento di disobbedienza<br />

che l’autore sembra attribuire a patti poco chiari. 22 Inoltre, la tempesta che<br />

immediatamente si scatena e che dirotta verso Blanes parte della flotta altro<br />

20 Oltre a questo, è necessario tener presente che il libro terzo del Liber maiorichinus ricorda le<br />

campagne sarde (1015-1016) di Mugiâhid al-Amiri, signore di Dènia e di Maiorca, durante le<br />

quali i saraceni dovettero lottare contro i pisani e i genovesi.<br />

21 P. LOI, Il libro di Maiorca cit., pp. 28-29.<br />

22 Cfr. in particolare J. JUAN, Introducción aLAURENTII VERONENSIS, De Bello Maioricano cit., p.<br />

17, dove l’autore si sforza di evidenziare la tendenza critica del poeta.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

non fa che portare alle estreme conseguenze il malinteso già sorto presso le<br />

coste sarde: di fronte al caos, i poveri blanensi, christicolas e catalanenses,<br />

vengono scambiati per saraceni.<br />

Ciò non significa che l’accenno alla tempesta debba essere necessariamente<br />

falso, soprattutto se si considera, come ricorda Josep Ramon Julià, che alla fine di<br />

agosto, in questa parte della costa di Girona, le burrasche sono frequenti – si tratta<br />

delle famose llargades. «In questo caso si spiegherebbe come la flotta, momentaneamente<br />

incapace di arrivare a Barcellona – che manca di porto e la cui spiaggia<br />

ha uno scarso fondale –, si rifugiasse sulla Costa Brava dove i rappresentanti della<br />

squadra navale dovevano incontrarsi con il conte», cioè con Raimondo Berengario<br />

III, al fine di stabilire gli accordi relativi alla campagna. 23<br />

È però importante evidenziare che la flotta pisano-sarda non arrivò casualmente<br />

nella costa catalana, ma, com’è naturale, gli accordi internazionali erano<br />

stati presi già prima dell’inizio della spedizione e, pertanto, la Catalogna costituiva<br />

uno scalo obbligato, un punto d’incontro per le navi che arrivavano dai<br />

diversi stati alleati in quell’impresa. Al fine di sminuire il protagonismo del<br />

conte di Barcellona ampliando i meriti dei pisani, protagonisti sia dell’impresa<br />

che del poema, l’autore del Liber maiorichinus, dunque, ricorre al leggendario<br />

riferimento a Blanes. Sarebbe interessante, in tal senso, comparare i passi blanensi<br />

del Liber maiorichinus con riadattamenti posteriori dovuti ad alcuni storiografi<br />

che, in assenza di altra documentazione, 24 avrebbero ripreso, senza originalità,<br />

le notizie che il Liber riporta. 25<br />

Malgrado la volontà dell’autore del Liber maiorichinus di minimizzare il suo<br />

ruolo, Raimondo Berengario III fu il comandante della spedizione organizzata da<br />

Pisa. Il suo matrimonio con Dolce di Provenza (1112) lo aveva reso, con tutta<br />

probabilità, il signore più importante tra gli alleati, e l’impresa di Maiorca aveva<br />

aumentato ancor più il suo prestigio. Bisogna tener presente, inoltre, che con questa<br />

spedizione, essenzialmente punitiva, gli alleati cristiani non avevano voluto<br />

23 J.R. JULIÀ, La situazione politica nel Mediterraneo cit., p. 64. Ricordiamo che l’articolo era in<br />

origine in lingua castigliana e che per la sua pubblicazione in «Medioevo. Saggi e Rassegne» G.<br />

Fois l’ha tradotto in italiano.<br />

24 Bisogna però tenere presente l’esistenza di numerose fonti arabe, ancora oggi poco studiate; cfr.<br />

M. AMARI, Notizie della impresa de’ pisani su le Baleari secondo le sorgenti arabiche, inC.<br />

CALISSE, Liber Maiolichinus cit., pp. XLIX-LV.<br />

25 Cfr. Bellum Balearicum integrum, cronaca in prosa degli avvenimenti a partire dal Liber<br />

maiorichinus, scritta da Benedetto Mastiani tra il 1519 e il 1535; e alcuni passaggi inclusi da<br />

Raffaello Roncioni (s. XVI) nelle sue Istorie Pisane (Firenze 1844). Per queste cronache, cfr. G.<br />

SCALIA, Intorno ai codici del ‘Liber Maiorichinus’, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per<br />

il Medio Evo e Archivio Muratoriano», n. 69 (1957), pp. 244-273.<br />

15


16<br />

conquistare Maiorca né stabilirvi un dominio politico diretto, ma, più semplicemente,<br />

porre un limite all’arroganza saracena e punire i continui atti di pirateria. 26<br />

Dunque, interpretando così gli avvenimenti, possiamo dire d’esser di fronte<br />

a un reale risultato militare, e non ci deve disorientare il fatto di trovare, pochi<br />

mesi dopo, i saraceni ancora pacificamente insediati nell’isola. La conquista<br />

sarà un’altra cosa. Il precedente degli anni 1113-1115 servì, fondamentalmente,<br />

a legittimare le mire espansionistiche catalane e, in definitiva, a preparare il<br />

riconoscimento internazionale dei diritti del conte di Barcellona sulle isole.<br />

Per quanto riguarda i sardi, la scarsa documentazione sulla Sardegna del XII<br />

secolo non ci consente di stabilire se, durante la campagna di Maiorca, dalla<br />

convivenza catalano-sarda scaturirono relazioni di tipo diplomatico tra il contado<br />

catalano e i diversi giudicati. Fra gli anni 1157 e 1162, il ricordo dell’efficienza<br />

della flotta pisana e della collaborazione del popolo sardo nell’impresa poté<br />

suggerire al conte Ramon Berenguer IV di stabilire nuovi legami politici con il<br />

Comune di Pisa e il Giudicato d’Arborea. 27<br />

2. Catalani nei castelli sardi alla fine del XII secolo *<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Nel 1157 Barisone I de Lacon-Serra, giudice d’Arborea, sposò Agalbursa de Bas,<br />

nipote di Raimondo Berengario IV, perseguendo così una politica di alleanze,<br />

forse nata dall’iniziativa di alcuni membri della potente famiglia catalana dei<br />

Cervera, alla quale apparteneva Agalbursa, e dai massimi responsabili del Comune<br />

di Genova. 28 Barisone I, oltre ad assicurarsi un modesto ruolo nelle rotte del<br />

Mediterraneo occidentale, si procurava, in tal modo, un forte alleato sul quale<br />

contare per l’unificazione, sotto la sua corona, dei quattro giudicati sardi.<br />

È in conseguenza di questo matrimonio che i catalani riusciranno a penetrare<br />

nel Giudicato d’Arborea, raggiungendo un potere che, a partire da questo<br />

26 Riguardo a questi aspetti, cfr. J.R. JULIÀ, La situazione politica nel Mediterraneo cit., pp. 67-<br />

68. Santiago Sobrequés, invece (Els grans comtes de Barcelona cit., p. 154 ss.) attribuisce<br />

l’impossibilità della conquista più alla mancanza di forze da parte del conte catalano che a una<br />

strategia premeditata.<br />

27 D. SCANO, Il giudice Barisone d’Arborea intermediario fra il conte di Barcellona e il Comune<br />

Pisano per una spedizione contro Maiorca, «Archivio Storico Sardo», XXII (1941), pp. 247-<br />

256; G.B. DOXEY, Genovesos i Pisans a les illes Balears (1146-1229),inAtti del XIV Congresso<br />

di Storia della Corona d’Aragona (Sassari-Alghero, 19-24 maggio 1990), Sassari 1993-2000,<br />

vol. III, pp. 367-38<strong>1.</strong><br />

* La prima versione di questo capitolo è apparsa in Valentina GRIECO (a cura di), I catalani e il<br />

castelliere sardo, Oristano 2004, pp. 11-15.<br />

28 F. ARTIZZU, Pisani e catalani nella Sardegna medioevale, Padova 1973, p. 12.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

momento, avrebbe conferito loro un ruolo fondamentale nella politica sarda.<br />

Nella prima fase di questa penetrazione, la nobiltà catalana ebbe in concessione<br />

le corti di Bidoní, San Teodoro e Oiratili, 29 amministrate dai fratelli di Agalbursa<br />

e da altri membri delle più prestigiose famiglie catalane trasferitesi nel Giudicato,<br />

dove, tra l’altro, furono affidati loro alti incarichi amministrativi.<br />

La mancanza di discendenti faceva presagire ad Agalbursa un futuro incerto<br />

dopo la morte di Barisone, perciò era necessario garantire il potere catalano<br />

nell’Arborea con un altro matrimonio: Ugo-Poncio, visconte de Bas (1153/1155-<br />

1185), fratello diAgalbursa, sposò, in data anteriore al 1178, Sinispella de Lacon-<br />

Serra, figlia di Barisone I e della sua prima moglie, Pellegrina de Lacon. Da questo<br />

matrimonio nacque Ugo-Poncio o Poncetto de Bas-Serra, che con il nome di<br />

Ugone I fu giudice d’Arborea (1192) fino alla morte, avvenuta nel 1211 circa.<br />

Inizialmente, la terza fase della penetrazione catalana nell’Arborea coincise<br />

con gli sforzi di Agalbursa di recuperare il Giudicato, in seguito alla scomparsa<br />

di Barisone I, avvenuta nel 1185. A questi era provvisoriamente succeduto Pietro<br />

I, figlio del giudice e di Pellegrina de Lacon. Forte di un’alleanza con il<br />

Comune di Genova, con i catalani residenti nell’Arborea e con Alfonso I il<br />

Casto (il quale poteva contare anche sul supporto strategico di Barisone II, giudice<br />

di Torres), una spedizione catalana, capitanata da Roger Bernat de Foix,<br />

conquistò nel 1187 il castello di Serla (o Sella) a Norbello, stabilendovisi fino al<br />

1192. Per quanto riguarda il castello, Antonio Pinna scrive:<br />

Il castello di Sella. È questo il castello del Giudicato d’Arborea posto più a nord,<br />

presso il confine col Giudicato di Torres. Situato nel territorio del comune di Norbello,<br />

si trova sul bordo destro di una vallata solcata dal rio Siddo, sopra l’attuale abitato di<br />

Domusnovas Canales. Di grande interesse appare il dato sorto dal nostro studio sulla<br />

viabilità circa la presenza di un tracciato che collegava, probabilmente, il castello<br />

con la strada a Karalibus Turrem. Ipotizziamo che dovette avere una gran rilevanza<br />

intorno al XII-XIII secolo, durante le guerre fra il Giudicato d’Arborea e quello di<br />

Torres, mentre la sua perdita d’importanza e decadenza può essere collocata in seguito<br />

all’allargamento verso nord dei confini del Giudicato.<br />

Di questa costruzione la storia ci lascia due documenti che vennero pubblicati da<br />

Pasquale Tola nel suo Codex Diplomaticus Sardiniae. Nel 1188, il presidio difensivo<br />

appare conteso fra catalani (venuti in Sardegna in seguito alla politica matrimoniale<br />

voluta da Barisone), che difendevano gli interessi di Ugo di Bas – il quale voleva<br />

aver diritto ad una parte del Giudicato –, e genovesi. All’interno di questa disputa<br />

interviene il Papa Clemente III con una lettera, affinché il castello di Sella, ingiusta-<br />

29 Si veda l’atto di donazione pubblicato in P. TOLA, Codex diplomaticus Sardiniae (in seguito<br />

CDS), Torino 1861, I, sec. XII, doc. 64, pp. 220-22<strong>1.</strong> Ai fratelli di Agalbursa, Ponç e Berenguer,<br />

furono concesse due delle curatorie più ricche del Giudicato; cfr. E. BESTA, La Sardegna medioevale,<br />

I, Palermo 1908, p. 12<strong>1.</strong><br />

17


18<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

mente tenuto da uno dei suoi giudici [di Arborea], fosse restituito ai genovesi. Del<br />

1192 è un altro documento, dove i catalani finalmente decidono di consegnare il<br />

detto castello ai genovesi. 30<br />

In virtù del Compromesso di Oristano, stipulato il 20 febbraio 1192 tra il<br />

Comune di Genova, Pietro I d’Arborea e Ramon de Torroja – rappresentante di<br />

suo nipote, Ugo-Poncio o Poncetto, visconte de Bas –, si garantiva il predominio<br />

del visconte catalano sulla metà del Giudicato, la cui amministrazione egli<br />

doveva spartire con lo zio Pietro I. Uscito di scena quest’ultimo, Ugone I venne<br />

riconosciuto unico giudice d’Arborea in base all’accordo seguito al suo matrimonio<br />

con Preziosa de Massa, figlia di Guglielmo, giudice di Calari.<br />

Da questo momento i giudici d’Arborea si fregiarono anche del titolo di<br />

visconti de Bas. A questo punto è interessante sottolineare il fatto che, in quanto<br />

risiedenti stabilmente in Sardegna, i visconti incaricarono dell’amministrazione<br />

del viscontado alcuni loro parenti residenti in Catalogna. Questa dualità diede<br />

origine a un’intensa relazione tra i giudici d’Arborea e i reggenti catalani. Sappiamo,<br />

infatti, che nel 1195, a causa di una grave discordia con il cugino Pietro<br />

de Cervera, Ugone I d’Arborea si dovette trasferire in Catalogna, facendo ritorno<br />

nell’isola soltanto dopo aver garantito la reggenza del viscontado al cugino<br />

Hug de Torroja. 31<br />

Alcuni documenti provano che, contemporaneamente a questi avvenimenti,<br />

Alfonso I il Casto aveva avviato anche contatti diplomatici con i giudici di Torres,<br />

i quali ebbero un ruolo ben definito come alleati durante la campagna contro il<br />

castello di Serla. Barisone II di Torres, infatti, si era impegnato il 24 novembre<br />

1186 a fornire vettovaglie e cavalli «catalanis qui pro regina uxore quondam<br />

Arborensis iudicis ascenderunt, vel ascenderint pro negocio Arboree». 32<br />

Questa nuova relazione diplomatica culminò con una politica matrimoniale<br />

di carattere filocatalano, che vide protagonista il figlio di Barisone II di Torres,<br />

Costantino II.<br />

Lo studio delle relazioni dei giudici turritani con alcune famiglie catalane<br />

si è basato su una sola fonte: il Libellus (o Liber) judicum Turritanorum. Si<br />

tratta dell’unica cronaca medievale sarda – redatta nella variante logudorese<br />

alla fine del XIII secolo, e conosciuta grazie a una copia che non può essere<br />

anteriore al XVIII secolo –, dovuta a un anonimo religioso «intenzionato – scri-<br />

30 Cfr. CDS, I, sec. XII, pp. 262-263 e 277. Cfr. A. PINNA, Il castelliere arborense nel confine<br />

settentrionale, inCastelli in Sardegna, a cura di S. CHIRRA, Oristano 2002, pp. 19-2<strong>1.</strong><br />

31 S. SOBREQUÉS, Els barons de Catalunya, Barcelona 1957, pp. 34-35.<br />

32 CDS, I, sec. XII, doc. 119, p. 258.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

ve Graziano Milia 33 – a dimostrare i presunti diritti della Chiesa sul Giudicato<br />

di Torres alla morte dell’ultima giudicessa Adelasia de Lacon-Gunale». Nonostante<br />

l’aridità di alcuni passaggi, la fantasia dell’autore e un caratteristico<br />

stile nato dalla lettura delle cronache medievali italiane conferiscono al Libellus<br />

un certo valore letterario.<br />

Dell’opera a noi interessa sottolineare solamente un passaggio: Costantino<br />

II, giudice di Torres (1191-1198), proseguendo la politica filocatalana intrapresa<br />

da suo padre Barisone II, chiese la mano di Druda, un’importante dama<br />

catalana. Druda morì durante il viaggio verso la Sardegna, di conseguenza il<br />

giudice chiese la mano di un’altra dama catalana, Prunisinda, divenuta poi sua<br />

moglie. In seguito alla discordia con Guglielmo di Massa, giudice di Calari, il<br />

giudice turritano dovette rifugiarsi, nel 1192, nel castello di Goceano, dove il<br />

sovrano calaritano catturò Prunisinda (1194), la quale non poté dare alcun erede<br />

a suo marito. Questo il testo del Libellus:<br />

Partidu su dictu Juigue Barisone, si congregaint totu sos Perlados et Lieros de<br />

Logudoro et elegisin, per sonsigiu, a domicellu Guantine, primogenitu de su dictu<br />

Juigue Barisone; et essende elegidu et fattu Juigue, si querfisit coiuare: mandait<br />

a Cadalongia pro una grande femina, clamada Donna Drudda, et gasi la apisit; in<br />

benner a Sardinnia morisit. Torrait a mandare a Cadalongia per una atera femina<br />

clamada donna Prunisinda et batisila a Sardinnia, a sa terra de Gosiano. Et innie<br />

venisit su Marquesi de Calaris cun grande asercitu et leait su Casteddu de Gosiano;<br />

et leadu qui lu apisit, sinde leait sa donna de Juigue Guantine su quale morisit<br />

quene herede perunu. 34<br />

Nel 1157 il matrimonio di Barisone I con Agalbursa de Bas permise l’introduzione<br />

nell’Arborea di una serie di forme giuridiche prima sconosciute, da<br />

mettere in relazione con la cultura catalana. 35 Molto interessante si rivela il ruolo<br />

assunto da Agalbursa dal punto di vista giuridico, prima come moglie del<br />

giudice, poi come sua vedova e reggente. Questo differenzia la sovrana catalana<br />

dalle altre regine-consorti dei quattro giudicati, in quanto rappresenta un caso<br />

particolare, che, nonostante tutto, non modificò i fondamenti giuridici delle terre<br />

sarde. Il parallelismo giuridico tra alcuni interventi di Agalbursa e, a metà del<br />

XIV secolo, certi altri di Timbora de Rocabertí, moglie di Mariano IV d’Arborea,<br />

33 G. MILIA, La civiltà giudicale, in AA.VV., Storia dei sardi e della Sardegna cit., II, pp. 21-44.<br />

34 A. BOSCOLO-A. SANNA (a cura di), Libellus Judicum Turritanorum, Cagliari 1957, pp. 50-5<strong>1.</strong> Si<br />

veda un’altra edizione del testo in Enrico BESTA (a cura di), Liber Judicum Turritanorum, Palermo<br />

1906.<br />

35 S. PETRUCCI, Storia politica e istituzionale della Sardegna medioevale, inStoria dei sardi e<br />

della Sardegna cit., II, pp. 102-103.<br />

19


20<br />

anch’essa catalana, confermerebbero che gli insoliti diritti che le spettarono le<br />

furono concessi in forza della sua origine. 36<br />

Facendo un salto nel tempo, ricordiamo che a partire dalla metà del XIV<br />

secolo la presenza catalana nei castelli sardi non sarà più un fatto occasionale,<br />

capace solo di lasciare una leggera traccia nel leggendario locale, 37 ma una lotta<br />

serrata per il dominio di un complesso scacchiere in cui i giocatori si basavano<br />

sulla strategia di ciascun fortilizio. Avremo occasione di constatare ciò nelle<br />

pagine che seguono.<br />

3. I primi rapporti culturali fra la Sardegna e i Paesi Catalani *<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

La presenza di famiglie nobili in Sardegna fece sì che il commercio fra l’isola e<br />

la Catalogna venisse a intensificarsi. Fu fondamentale, a tal proposito, l’aumento<br />

dei poteri genovese e pisano in tutti i giudicati sardi. Il porto di Oristano –<br />

quello più aperto verso la Catalogna e le Baleari – fungeva da base alle navi<br />

genovesi e pisane interessate al commercio nelle rotte più occidentali del Mediterraneo.<br />

È probabile che Pisa e Genova facessero da ponte all’introduzione, in<br />

Sardegna, di certe forme proprie della cultura catalana. Niente, infatti, testimonia<br />

che i commercianti sardi avessero stabilito contatti diretti con la Catalogna.<br />

Ciò nonostante, anche i catalani avevano interesse a mantenere rapporti commerciali<br />

con la Sardegna: il porto di Cagliari rappresentava una tappa fondamentale<br />

nelle rotte dirette in Sicilia, nel Magreb e nell’Impero Bizantino. L’interesse verso i<br />

porti sardi, tuttavia, non era di natura unicamente strategica; infatti, sappiamo che i<br />

commercianti catalani si recavano nell’isola anche per acquistare prodotti. 38<br />

A metà del XIII secolo, i mercanti catalani si stabilirono in modo permanente<br />

in tre dei quattro giudicati sardi. L’intensità delle relazioni economiche diede<br />

origine, a Cagliari, alla creazione del Consolato catalano d’oltremare, di cui si<br />

hanno notizie a partire dal 130<strong>1.</strong> 39<br />

36 A. OLIVA, La successione dinastica femminile nei troni giudicali sardi, in AA.VV., Miscellanea<br />

di studi medioevali sardo-catalani, Cagliari 1981, pp. 27-28.<br />

37 G. FARRIS, Nel castello di Medusa le impronte di una triste leggenda medioevale, «Quaderni<br />

Oristanesi», 17/18 (1988), pp. 3-17.<br />

* Abbiamo trattato questo argomento nel nostro articolo dedicato ai Primers contactes culturals<br />

entre els Països Catalans i Sardenya (1113-1323), «<strong>Revista</strong> de l’Alguer», IV, 4 (1993), pp. 35-<br />

53. Il presente capitolo ne è un riassunto.<br />

38 C. BATLLE, L’expansió baixmedieval (segles XIII-XV), inHistòria de Catalunya, III, a cura di<br />

Pierre VILAR, Barcelona 1988, p. 135.<br />

39 L. D’ARIENZO, Una nota sui consolati catalani in Sardegna nel secolo XIV, «Annali della Facoltà<br />

di Scienze Politiche», III (1977-78).


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

L’interesse verso i porti sardi, la pressione da parte dei commercianti catalani<br />

e, infine, la politica d’espansione nel Mediterraneo furono il motivo della richiesta<br />

circa l’infeudazione del Regno di Sardegna e Corsica, fatta nel 1267 da<br />

Giacomo I a papa Clemente IV.<br />

Tralasciando per il momento l’aspetto giuridico e considerando quello artistico,<br />

rileviamo la presenza, nell’Arborea, di forti famiglie catalane che accompagnavano<br />

la giudicessa. Ciò contribuì alla penetrazione in Sardegna di forme<br />

architettoniche provenienti dai territori di lingua catalana. Secondo JoaquínArce,<br />

attraverso il Giudicato d’Arborea s’introdusse nell’isola una corrente mudéjar<br />

che, dividendosi in due fronti, arrivò fino a Cagliari e Sassari. Infatti, quattro<br />

anni dopo la riconquista di Valenza, a Santa Maria di Bonarcado troviamo maestri<br />

di formazione araba, «que dejan su sello peculiar en las finas pilastras<br />

prominentes, los arcos polilobulados y los adornos de mayólica, típicos de la<br />

región valenciana». 40<br />

A questo proposito, e al fine di dimostrare l’intenso rapporto sussistente tra<br />

le famiglie catalane e Santa Maria di Bonarcado, è importante ricordare che nel<br />

1157-1158 Agalbursa di Bas aveva elargito a questo monastero una generosa<br />

donazione, preceduta da altre, in suffragio dell’anima del catalano Berenguer di<br />

Sol. 41 Inoltre, nel condaghe di Bonarcado sono state individuate soluzioni grafiche<br />

proprie delle culture iberiche, che secondo P. Merci devono essere attribuite<br />

«a interferenze possibili anche per un copista sardo che [...] frequentasse i<br />

catalani presenti in Arborea». 42<br />

Ciò nonostante, lo studio dell’influenza catalana nell’architettura sarda appare<br />

poco proficuo. Oltre agli inevitabili problemi di datazione legati allo studio<br />

dell’architettura romanica, bisogna tener conto che una coincidenza di tipo<br />

architettonico non dimostra necessariamente un contatto culturale diretto.<br />

Il primo dato concreto, materiale, dell’influenza catalana sulla cultura sarda<br />

ci viene fornito dalla sfragistica: l’8 ottobre del 1186 Ugone II Ponzio di Bas,<br />

nipote di Agalbursa, utilizzò per la prima volta un sigillo diverso da quello di<br />

Pietro I, allora giudice. F.C. Casula suppone che il sigillo in questione prenda<br />

come modello quello di Alfonso I, cugino di Agalbursa. Ricordando la continuità<br />

del lignaggio dei Bas a capo del Giudicato di Arborea, F.C. Casula deduce<br />

che i discendenti di Ugone I Ponzio dovettero mantenere questo tipo di sigillo<br />

40 J. ARCE, España en Cerdeña. Aportación cultural y testimonios de su influjo, Madrid 1960, pp.<br />

33 e 87.<br />

41 F. ARTIZZU, Pisani e catalani nella Sardegna medioevale cit., pp. 15-16.<br />

42 P. MERCI, Le origini della scrittura volgare, in AA.VV., Materiali per lo studio della storia<br />

letteraria in Sardegna, Cagliari 1984-85, p. 10.<br />

21


22<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

nella loro cancelleria. 43 La catalanità dei Bas, a partire dall’anno 1192, è dimostrata<br />

anche dall’uso dei pali catalani, posteriormente rappresentati a fianco<br />

dell’albero sradicato, proprio dello scudo di Arborea.<br />

Vale la pena sottolineare che il matrimonio diAgalbursa di Bas con Barisone<br />

I di Arborea coincise con quella che è stata chiamata l’epoca alfonsina della<br />

lirica provenzale: la corte di Alfonso I, cugino di Agalbursa, fu frequentata dai<br />

più importanti trovatori provenzali, proprio quando, seguendo l’esempio del<br />

monarca, nascevano i primi trovatori catalani. Conseguentemente, tanto la lingua<br />

quanto i concetti propri della letteratura provenzale risultavano familiari ai<br />

ceti nobili catalani stabilitisi nell’Arborea.<br />

Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che a partire dal 1166, dopo la morte del<br />

cugino Ramon Berenguer II, Alfonso I venne nominato marchese di Provenza,<br />

iniziando così una politica basata su patti stipulati con i nobili provenzali. Il re<br />

trovatore fino alla sua morte – avvenuta nel 1196 – fu anche sovrano di un seguito<br />

di trovatori provenzali con i quali si incontrò spesso a Marsiglia. È interessante<br />

aggiungere che Ponç Hug IV, conte di Empúries – fratello del visconte di Bas, e<br />

pertanto discendente dei procuratori in Catalogna dei giudici diArborea –, scrisse<br />

due strofe in provenzale indirizzate a Federico III di Sicilia. 44<br />

Prima della conquista catalana, i giudicati sardi potrebbero essere entrati in<br />

contatto con la cultura trovadorica anche attraverso i rapporti culturali con la<br />

Provenza. In primo luogo non è da trascurare un eventuale contatto di tipo commerciale<br />

tra la Provenza e l’isola. Durante l’ultimo terzo del secolo XI, questo<br />

rapporto sarebbe culminato con la concessione ai benedettini di San Vittore di<br />

Marsiglia di diverse chiese nel Giudicato di Calari. Sebbene la presenza dei<br />

vittorini – di formazione fondamentalmente latina – non sia necessariamente<br />

indicativa della penetrazione di forme letterarie d’origine provenzale in Sardegna,<br />

si deve però tener conto che tutte le concessioni di cui si beneficiò nei<br />

Giudicati di Calari, di Torres e di Gallura non si potrebbero spiegare senza valutare<br />

il fatto che queste costituivano una conseguenza – come scrive D. Scano – «di<br />

larghe influenze antecedenti fra la Sardegna ed i paesi costieri della Francia<br />

Meridionale». «I centri monastici e la loro influenza nel medio evo – continua<br />

Scano – sono stati sempre preceduti da un largo movimento di scambi». 45<br />

43 F.C. CASULA, Influenze catalane nella cancelleria giudicale arborense del sec. XII: i sigilli, in<br />

Studi di paleografia e diplomatica, Padova 1974, p. 113.<br />

44 S. SOBREQUES, Els barons de Catalunya cit., pp. 90-91; e M. DE RIQUER, Història de la literatura<br />

catalana, I, Barcelona 1964, p. 184.<br />

45 D. SCANO, Storia dell’arte in Sardegna dal XI al XIV secolo cit., 42-43.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

Un altro aspetto che non si può trascurare è l’esistenza in Sardegna di circoli pisani<br />

e genovesi legati alla letteratura provenzale, soprattutto presso le famiglie dei Doria e<br />

dei Malaspina. 46 Tra i pisani ricordiamo, in particolar modo, Terramagnino di Pisa,<br />

autore del trattato Doctrina d’Acort (1280 circa), basato sulle Razos di trobar del<br />

catalano Raimon Vidal di Besalú. 47 Studiando il poeta toscano, J.H. Marshall ha affermato<br />

che si doveva trattare di un pisano residente in Sardegna, luogo in cui probabilmente<br />

egli compose la sua Doctrina. 48 Prima di ciò, Manuel de Montoliu aveva già<br />

scritto che il soggiorno di Terramagnino in Sardegna «explicaria la seva coneixença<br />

de Catalunya e dels sues poetes, puix en el temps en què es fixà a l’illa [intorno al<br />

1250] els catalans, igual que els pisans, influïen en aquella terra». 49<br />

4. La Sardegna nelle quattro grandi cronache catalane *<br />

Ferran Soldevila inizia il suo articolo dedicato alla Sardenya en les cròniques<br />

de Bernat Desclot i Ramon Muntaner 50 con un’affermazione lapidaria: «La<br />

[crònica] de Jaume I no conté ni una sola menció de l’illa»; e inoltre: «és digne<br />

46 È ben noto il trovatore Percivalle Doria, podestà di Avignone (1237) e di Parma (1245), del quale<br />

ci è giunto un sirventese provenzale in onore di ManfrediI;cfr.A.FERRETO, Documenti intorno ai<br />

trovatori Percivalle e Simone Doria, «Studi Medievali», I (1904), pp. 126-15<strong>1.</strong> Per quanto riguarda<br />

i trovatori pisani e genovesi e le loro possibili relazioni con i circoli sardi si veda in particolare<br />

V. DE BARTHOLOMAEIS, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, Roma 1931, 2 voll.<br />

47 Per quanto riguarda questo tema e quello della possibile presenza della cultura trovadorica in<br />

Sardegna si veda P. MANINCHEDDA, La storia in forma di favola e il Trobar Perdut, inSocietà e<br />

cultura nel Giudicato di Arborea e nella Carta de Logu, Atti del Convegno internazionale di<br />

studi, a cura di G. MELE, Nuoro 1995, pp. 155-170; e ID., Sui rapporti tra la poesia popolare<br />

sarda e la tradizione lirica provenzale e catalana, inLa Sardegna e la presenza catalana nel<br />

Mediterraneo cit., I, pp. 214-235.<br />

48 J.H. MARSHALL, The ‘Razos de trobar’of Raimon Vidal and associated texts, London 1972, pp. 27-53.<br />

49 M. DE MONTOLIU, Un escorç en la poesia i la novel·listica dels segles XIV i XV, Barcelona 1961, pp. 12-13.<br />

* Esiste una versione catalana di questo capitolo: Formes de literatura catalana a Sardenya durant<br />

el segle XIV, «Llengua & Literatura», 14 (2003), pp. 7-44.<br />

50 Tra il 1957 e il 1962 – vale a dire mentre preparava l’edizione de Les quatre grans cròniques<br />

catalanes, Barcelona 1971 –, Ferran Soldevila dedicò due lavori, come di consueto incisivi,<br />

al ruolo che occupa in queste cronache l’isola di Sardegna: ci riferiamo agli articoli intitolati<br />

Sardegna nella Cronaca di Pietro il Cerimonioso, «Atti del VI Congresso internazionale di<br />

Studi Sardi», I, Cagliari 1957, pp. 167-178; e Sardenya en les cròniques de Bernat Desclot i<br />

Ramon Muntaner, «Archivio Storico Sardo», XXVIII (1961) [= Studi storici in onore di Ernesto<br />

Martínez Ferrando, Padova 1962], pp. 207-221; quest’ultimo articolo può essere consultato<br />

anche in F. SOLDEVILA, Cronistes, joglars i poetes, a cura di J. MOLAS eJ.MASSOT I MUNTANER,<br />

Barcelona 1996, pp. 107-12<strong>1.</strong> Si tratta di due lavori senza dubbio marginali all’interno dell’estesa<br />

produzione storiografica di Soldevila, ma, malgrado ciò, troppo poco citati dagli<br />

specialisti. Per la redazione di questo capitolo ci siamo basati sull’opera sparsa di Soldevila<br />

di tematica sardo-catalana, piuttosto che sulle note e sui commenti alle quattro cronache, note<br />

alle quali lui stesso rimandava per maggiori approfondimenti.<br />

23


24<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

d’ésser assenyalat el fet que, en tot l’Itinerari de Jaume I de Joaquim Miret i<br />

Sans, 51 no apareix ni una sola vegada el nom de Sardenya». 52 Ciò non significa,<br />

però, che la Corona non vi fosse già entrata in contatto, prevedendo gli scali che<br />

dovevano portare, seguendo la famosa rotta delle isole, fino alla Sicilia, alla<br />

Grecia e, quindi, verso il confine orientale dell’aspirazione espansionistica<br />

catalana. Inoltre, nel 1262 il sultano di Babilonia aveva concesso ai mercanti<br />

catalani un fondaco ad Alessandria. La Sardegna diveniva, così, una piazza di<br />

primaria importanza per il buon esito della futura espansione. 53<br />

È tuttavia necessario tener presente – anche se ciò non viene riportato nella<br />

Cronaca – che Giacomo il Conquistatore era imparentato con i giudici d’Arborea,<br />

ai quali Joaquim Miret i Sans attribuiva un certo sentimento di catalanità. 54 Nel<br />

1267 tutto questo indusse il Conquistatore a sollecitare l’infeudazione dell’isola,<br />

55 alla quale aspiravano anche l’infante Enrico, fratello di Alfonso X di Castiglia,<br />

e Carlo d’Angiò. 56 Papa Clemente IV rispose seccamente: «Nec tibi illud<br />

concedere possemus, nec ad presens id dabimus alterutri…». 57<br />

Quest’insuccesso doveva però essere dissimulato – e, in effetti, si procedette<br />

con tanta accortezza che di ciò non vi sono tracce nella cancelleria. L’atteggiamento<br />

prudente del re non sorprende Soldevila, il quale ricorda che «el Llibre<br />

dels Feyts del rey Jacme o Crònica de Jaume I acostuma a callar els<br />

esdeveniments poc favorables al monarca». 58 Inoltre, in un altro passo dell’opera<br />

il nostro storico faceva di questo silenzio una delle prove fondamentali del-<br />

51 «Barcelona, Institut d’Estudis catalans, 1918» (nota di Ferran Soldevila).<br />

52 Le citazioni sono sempre tratte dalla versione dell’articolo raccolta in Cronistes, joglars i poetes<br />

cit. (in questo caso la citazione corrisponde alle pp. 107-108).<br />

53 Cfr. J. CABESTANY I FORT, Els mercaders catalans i Sardenya,inEls catalans a Sardenya, a cura<br />

di J. CARBONELL eF.MANCONI, Barcelona 1984 [trad. it.: I catalani in Sardegna, Cinisello<br />

Balsamo 1984], p. 25 (l’articolo si trova alle pp. 25-34).<br />

54 Nel 1293 Giacomo il Giusto fece sapere a Mariano II d’Arborea che lo considerava «per parent<br />

et per bon amich». Cfr. J. MIRET I SANS, Notes historiques de Sardenya anteriors á la dominació<br />

catalana, «Archivio Storico Sardo», V (1909), p. 5 (l’articolo si trova alle pp. 3-19); si veda<br />

anche J. MIRET I SANS, Los vescomtes de Bas en la illa de Sardenya, Barcelona 190<strong>1.</strong><br />

55 Probabilmente per un errore tipografico troviamo ‘1276’ nell’articolo di F. SOLDEVILA, Sardenya<br />

en les cròniques cit., p. 207; errore che, com’è naturale, passò anche nella versione raccolta in<br />

Cronistes, joglars i poetes cit., p. 107. Il 1276, invece, corrisponde all’anno di morte del monarca.<br />

56 Un valido studio sulle fonti relative a tale infeudazione è quello di F. GIUNTA-A. BOSCOLO,<br />

Geronimo Zurita eiproblemi mediterranei della Corona d’Aragona, in Atti del VII Congreso<br />

de Historia de la Corona de Aragón, II, Barcelona 1962.<br />

57 La citazione è tratta dalla trascrizione riportata da Soldevila, che rimanda a «MARTÉNE, Thesaurus<br />

novum anecdotorum, II, c. 509».<br />

58 F. SOLDEVILA, Cronistes, joglars i poetes cit., p. 108.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

l’intervento diretto del re nella redazione della Cronaca. 59 Rifiutando del tutto<br />

le argomentazioni dell’erudito valenzano Josep de Villarroya – che nella sua<br />

Colección de cartas histórico-críticas en que se convence el rey D. Jayme de<br />

Aragón no es el verdadero autor de la Crónica, del 1800, aveva criticato l’assoluto<br />

silenzio della Cronaca su fatti di fondamentale importanza –, Soldevila<br />

giustificò la condotta del re, soprattutto nel momento di consegnare gli eventi<br />

«concernents al desplegament de la política occitana del rei Jaume, amb fets<br />

capitals com el tractat de Corbell; […] saldada negativament – riassume Soldevila –,<br />

l’autor no degué jutjar interessant de perpetuar-ne el record»; oppure il tentativo<br />

di intronizzare l’infante Pietro nel Regno di Navarra, che indusse Soldevila<br />

ad abbracciare con lungimiranza una conclusione riferibile anche all’episodio<br />

inerente la fallita investitura della Sardegna: «Fracassada també, res no<br />

aconsellava al reial cronista de donar-li cabuda en la seva autobiografia». 60<br />

Precisiamo che neanche la cronaca di Bernat Desclot contiene riferimenti di<br />

rilievo riguardanti la Sardegna. 61 Questo fatto, per il nostro storico, «és una<br />

nova manifestació de com Sardenya pesava encara poc en les vicissituds<br />

històriques de Catalunya». 62 Vale a dire che «durante i regni di GiacomoIedi<br />

Pietro il Grande, la Sardegna non ha risonanza nella storia della Catalogna». 63<br />

La lontana relazione di parentela tra il casato d’Aragona e i giudici d’Arborea,<br />

visconti di Bas in terra catalana, non arrivò a giustificare, durante il regno di<br />

Pietro il Grande, un’attività diplomatica così rilevante da suscitare l’attento interesse<br />

dell’informatissimo Bernat Desclot. 64 In realtà, i rapporti tra i giudici<br />

d’Arborea e il viscontato di Bas erano stati meno intensi in passato che non alla<br />

fine del XIII secolo. Quando i visconti si stabilirono in modo permanente in<br />

59 Anche Martí de Riquer ebbe a esprimersi in tal senso: «L’estudi intern de la Crònica, per altra<br />

banda, confirma l’autoria reial, car en tot el libre hi ha una evident intenció justificativa dels<br />

actes de Jaume Iinos’hi parla de determinats fets que podrien minvar la seva gloria o la seva<br />

habilitat diplomàtica»; cfr. M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., p. 402.<br />

60 F. SOLDEVILA, Josep de Villarroya i la Crònica de Jaume I,inCronistes, joglars i poetes cit., p. 85<br />

(l’articolo, tratto da Les quatre grans cròniques, si trova alle pp. 75-89).<br />

61 Soldevila aveva iniziato a lavorarci a partire dal 1916, quando aveva ventidue anni. Si veda el<br />

«Prefaci» al primo volume di F. SOLDEVILA, Pere el Gran, Barcelona 1950, p. IX, successivamente<br />

inserito nei volumi XLVIII/1 e XLVIII/2 della stessa raccolta, pubblicati a Barcellona nel 1995, da<br />

M.T. FERRER, che ha curato l’edizione facsimile dell’opera.<br />

62 F. SOLDEVILA, Sardenya en les cròniques cit., p. 108.<br />

63 F. SOLDEVILA, Sardegna nella Cronaca di Pietro il Cerimonioso cit., p. 167.<br />

64 Per quanto riguarda questa attività diplomatica sardo-catalana, Ferran Soldevila si limita a ricordare<br />

due documenti, d’importanza marginale, pubblicati da V. SALAVERT Y ROCA, Cerdeña y<br />

la expansión mediterránea de la Corona de Aragón, Madrid 1956, III, docc. 5e6.<br />

25


26<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Sardegna, l’amministrazione del loro feudo passò, con lo stesso titolo, ai loro<br />

parenti residenti in Catalogna. Questa dualità diede inizio a un’intensa relazione<br />

tra i giudici d’Arborea e i loro procuratori catalani, ma ciò soltanto fino agli<br />

anni 1239-1241, quando Pietro d’Arborea vendette il feudo al suo procuratore<br />

Simó de Palau.<br />

Possiamo inoltre affermare che Poncio Ugo IV, conte d’Empúries, figlio di<br />

Sibilla di Bas e discendente dei procuratori del giudice d’Arborea in Catalogna,<br />

fu convocato il 22 luglio 1277 dal re Pietro, perché procedesse all’assedio di<br />

Montesa. 65<br />

Pietro il Grande, principale argomento della cronaca di Desclot, era imparentato<br />

anche con Enzo di Hohenstaufen, giudice di Torres, che all’epoca deteneva<br />

il titolo imperiale, esclusivamente nominale, di re di Sardegna. Il sovrano,<br />

infatti, legatosi in matrimonio a Costanza di Sicilia (1262), figlia di Manfredi I,<br />

era diventato nipote di Enzo, a sua volta figlio legittimo dell’imperatore Federico<br />

II. 66 L’ultima giudicessa di Torres,Adelasia di Lacon-Gunale-Massa, era morta<br />

nel 1259, 67 mentre lo sventurato Enzo viveva prigioniero dal 1247 a Bologna,<br />

dove sarebbe morto venticinque anni dopo. Non ci fu dunque occasione di alcun<br />

contatto diplomatico tra Pietro, ancora bambino, e il giudice-re Enzo, motivo<br />

per cui Desclot non vi fa cenno.<br />

Soldevila, con un mal celato orgoglio di erudito, non rinuncia a cogliere<br />

l’occasione per ricordare che «en la nostra extensa obra sobre el gran rei, hem<br />

donat a conèixer i posat de relleu una notícia – única – sobre un cavaller de ‘Rey<br />

Ense’ al qual l’infant Pere féu lliurar la quantitat de cent sous». 68 Egli rimanda,<br />

quindi, al suo studio su Pere el Gran, dove riassume in poche parole il contenuto<br />

di un’unica nota, apparentemente insignificante, relativa al cavaler de Reyense:<br />

«Nota preciosa, la sola dada, fins ara apareguda, de relació de Pere el Gran amb<br />

gents d’aquell príncep dissortat, la qual ens fa veure com també els seus súbdits<br />

65 F. SOLDEVILA, Pere el Gran cit., II, pp. 41-42. Troviamo suo nipote Ramon d’Empúries, figlio<br />

illegittimo di Ugone, visconte di Bas, presente in Sardegna tra il 1323 e il 1338, luogotenente<br />

del governatore nel 1362, e morto, probabilmente, nel mese di marzo 1365; cfr. M.M. COSTA,<br />

Oficials de la Corona d’Aragó a Sardenya (segle XIV). Notes biogràfiques, «Archivio Storico<br />

Sardo», XXIX, 1964, pp. 323-377 (i riferimenti a Ramon d’Empúries sono alle pp. 373-377).<br />

66 Su questo principe Alberto Boscolo aveva pubblicato – poco prima dell’uscita del primo volume<br />

di Pere el Gran di Ferran Soldevila –, La figura di re Enzo, Sassari 1950.<br />

67 Per lo studio di questa affascinante giudicessa sarda, con la morte della quale finisce di fatto il<br />

Giudicato di Torres – che di diritto terminerà soltanto nel 1272, con la morte di Enzo –, cfr. D.<br />

VACCA, Adelasia de Lacon-Gunale-Massa. Le alterne vicende di una tra le più importanti figure<br />

femminili della storia di Sardegna,inDonne e potere nella Sardegna medioevale, a cura di M.A.<br />

BRANDAS eS.CHIRRA, Cagliari 2002.<br />

68 F. SOLDEVILA, Sardenya en les cròniques cit., p. 109.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

acudien a la cort de l’infant i hi trobaven la protecció que cercaven». 69 Poiché<br />

Ramon Muntaner nella sua cronaca fa un rapido riferimento a «rei Eus», Soldevila<br />

approfondisce l’evoluzione fonetica e paleografica che trasformò il nome del<br />

principe Heinrich, attraverso Heinz e Enzo, nel catalanizzato Ense o Ens, erroneamente<br />

interpretato, nelle diverse versioni della cronaca di Muntaner pubblicate<br />

fino ad allora, come «Eus». 70<br />

L’unico riferimento di Desclot all’isola di Sardegna è rintracciabile nel capitolo<br />

CIV della cronaca, ove viene raccontato lo sbarco di re Pietro a Capoterra («Cabo<br />

Terra»), avvenuto nel mese di maggio 1283, durante la traversata dalla Sicilia a<br />

Bordeaux, fatta in occasione del famoso incontro con Carlo d’Angiò, fissato per il<br />

primo giugno. Soldevila, come egli stesso spiega nel «Prefaci» del voluminoso<br />

studio da lui dedicato a Pere el Gran, aveva iniziato il suo progetto di ricerca<br />

sistematica sulla biografia del monarca con particolare riguardo a quest’argomento:<br />

«Pere II el Gran: el desafiamet amb Carles d’Anjou», articolo ripetutamente<br />

ristampato. 71 Nonostante la scarsa rilevanza storica dell’episodio, tale notizia (percorrendo<br />

la solita rotta delle isole e a causa di un improvviso mutamento del<br />

vento, il re ritenne opportuno fare sosta, per rinfrescarsi, in una terra intermedia)<br />

meriterebbe un maggiore rilievo. È un episodio poco citato, anche se offre alcuni<br />

spunti di notevole interesse, il primo dei quali già sottolineato da Ferran Soldevila:<br />

gli avvertimenti che Bernat Desclot mette in bocca al capitano Ramon Marquet, il<br />

quale afferma che «tota la Sardenya és plena de llenys armats de males gents»,<br />

«ens ajuden a conèixer – scrive Soldevila – un aspecte de la vida sarda en aquests<br />

temps anteriors a la conquesta de Jaume II: el de la pirateria practicada pels naturals<br />

i pels forasters»; 72 anche se noi aggiungiamo che nel 1283, e al sud dell’isola, per<br />

«naturals» dobbiamo intendere i pisani che avevano occupato l’antico Giudicato<br />

di Calari, diviso in sei parti tra il Comune di Pisa e i diversi rami della famiglia dei<br />

conti di Donoratico. È importante ricordare che a uno di questi apparteneva il<br />

famoso Ugolino della Gherardesca. 73<br />

69 F. SOLDEVILA, Pere el Gran cit., I, p. 232.<br />

70 F. SOLDEVILA, Sardenya en les cròniques cit., p. 109; F. SOLDEVILA, Pere el Gran cit., I, p. 232.<br />

71 La prima edizione fu pubblicata in «Estudis Universitaris Catalans», VI, 1915-1916 (1919).<br />

Nelle edizioni successive dell’opera, l’autore modificò leggermente il titolo: El desafiament de<br />

Pere el Gran amb Carles d’Anjou, perché il nome della collana (Pere II el Gran) doveva dare il<br />

titolo a una lunga serie di articoli che con gli anni diedero luogo a diversi capitoli della biografia<br />

del re (cfr. F. SOLDEVILA, «Prefaci» a Pere el Gran cit., p. IX).<br />

72 F. SOLDEVILA, Sardenya en les cròniques cit., p. 110.<br />

73 Per gli aspetti di carattere storico, si veda F.C. CASULA, La Sardegna aragonese, Sassari<br />

1990, con un validissimo apparato di note e un’ottima bibliografia; per quanto riguarda la<br />

presenza pisana nella Sardegna meridionale si veda il vol. I, cap. II.4, pp. 77-88.<br />

27


28<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

L’erudita identificazione di re Enzo nella cronaca di Desclot induce Ferran<br />

Soldevila ad approfondire il ruolo che il «rei de Sardenya» occupa anche in quella di<br />

Muntaner, 74 per cui riprende un paragrafo tratto da Pere el Gran, ora opportunamente<br />

riassunto. 75 Si tratta, però, di riferimenti marginali all’isola sarda, i quali fungono<br />

più che altro da collegamento tra gli studi di una cronaca e quelli dell’altra.<br />

A differenza di Desclot, morto probabilmente nel 1289, Ramon Muntaner<br />

visse tutto il processo d’infeudazione del Regno a favore di Giacomo il Giusto<br />

(processo culminato nel 1297) e volle documentarne alcuni dettagli nel suo libro.<br />

Per l’approfondimento di tali aspetti, Soldevila rimanda alla bibliografia<br />

disponibile a quel tempo – senza dubbio ridotta, ma valida ancora oggi 76 –e,<br />

senza soffermarvisi, passa a metterne in evidenza altri punti focali. In effetti,<br />

nelle sue opere degli anni 1957-1962, di fronte a un pubblico sardo Soldevila<br />

non cerca il dato storico, poco o molto evidente nelle cronache medievali. Non<br />

gli interessa neanche la conferma delle notizie che gli storici del periodo conoscevano<br />

già grazie alla documentazione d’archivio, abbastanza rilevante per gli<br />

anni della conquista. Allo studioso interessa, invece, la spinta psicologica e letteraria<br />

che si trova alla base dell’opera storiografica di Muntaner, del vecchio<br />

militare che «en la seva seixanta-dosena anyada, retirat de la vida guerriera ja<br />

feia anys, jurat de la ciutat de València, degué considerar que el temps havia<br />

passat per a ell de participar en una expedició com aquella» 77 e decise di collaborarvi<br />

da lontano, di viverla letterariamente. «No ha estat remarcat, que<br />

sapiguem – aggiunge lucidamente Soldevila –, que Ramon Muntaner va començar<br />

a escriure la seva crònica arran de la conquesta de Sardenya, l’any 1325 […],<br />

quan feia pocs mesos de la tornada de l’infant Alfons i altres expedicionaris,<br />

quan el país devia anar ple de les gestes de l’expedició». 78<br />

Muntaner, però, aveva iniziato l’opera nel 1322, l’anno prima dell’inizio<br />

della conquista, quando compose il famoso Sermó, poema di dodici strofe<br />

incluse nel capitolo CCLXXII della Cronaca. Con esso intendeva dare consi-<br />

74 Capp. XXXII, XXXV e XXXVII.<br />

75 F. SOLDEVILA, Pere el Gran cit., I, p. 232.<br />

76<br />

«ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña [por Jaime II de Aragón], Madrid (sic, per<br />

«Barcelona»], 1952, cap. II; V. SALAVERT, Cerdeña y la expansión mediterránea de la Corona<br />

de Aragón, Madrid, 1956, cap. II-III» (nota dell’autore).<br />

77 F. SOLDEVILA, Sardenya en les cròniques cit., p. 116.<br />

78 Ibid.<br />

79 Per lo studio del Sermó di Ramon Muntaner è ancora fondamentale M. MILA Y FONTANALS, Lo<br />

sermó d’En Muntaner, inObras completas, III, Barcelona 1890, pp. 243-275. Inoltre, prima di<br />

Soldevila aveva già trattato il tema L. NICOLAU D’OLWER, L’esperit català de la crònica d’en<br />

Ramon Muntaner, Barcelona 1938. Più recentemente ha ripreso lo studio di questo poema


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

gli al re Giacomo il Giusto sulla futura campagna in Sardegna. 79 Il Sermó di<br />

Ramon Muntaner è, dunque, il primo testo conosciuto che mette in rapporto la<br />

Sardegna con la letteratura della Catalogna. E lo fa in un catalano ricco di<br />

provenzalismi che segue la melodia con la quale si cantava la canzone di gesta<br />

francese di Gui Nanteuil.<br />

Ma – si chiede Soldevila – «Ramon Muntaner havia estat a l’illa de<br />

Sardenya?». E risponde subito: «Cal creure que sí». 80 Infatti, nel suo poema,<br />

Muntaner dimostra di conoscere, oltre al corallo, anche il metallo sardo, il clima<br />

caldo dell’isola, la struttura della sua capitale, i suoi quartieri. «Nova prova<br />

que Muntaner coneixia la disposició del país i de la ciutat de Càller». 81 Egli, in<br />

sintonia con il suo carattere militare e il suo spirito di comandante, crede di<br />

capire la strategia da adottare per conquistare l’isola in modo efficace, cosicché<br />

decide di consigliarla personalmente al re: una volta sbarcato, l’esercito sarebbe<br />

dovuto avanzare direttamente verso Cagliari.<br />

Martí de Riquer, due anni dopo la pubblicazione dell’articolo di Ferran<br />

Soldevila, scriveva: «Fóra possibile, i força interessant, d’aplegar els consells<br />

que Ramon Muntanyer adreça als reis d’Aragó, amb la qual cosa es podria<br />

formar un bell florilegi de preceptes polítics i de normes per al regiment de<br />

prínceps i comunitats». 82 Non ci sorprende l’intento moralizzante di Muntaner.<br />

Ma ora, con il Sermó, non si tratta di divulgare norme di condotta rivolte a<br />

uomini del futuro – l’eventuale auditorio della cronaca –, ma di indicare, di<br />

dire, a Giacomo il Giusto quale tattica gli convenga adottare per la sua impresa<br />

bellica. L’impertinenza è sublime. Secondo Soldevila, Muntaner anticipa questa<br />

critica affermando, nella cronaca, che un vassallo deve «consellar son senyor<br />

en tot ço que pusca de bé, així lo gran com lo mijà, com lo menor» (cap. CCLXXI).<br />

Ma non ci sembra che quest’intima convinzione possa risultare efficace contro<br />

il gruppo di lausengiers che circondano il re. L’anziano militare deve sforzarsi<br />

di trovare uno stratagemma che legittimi la sua audacia, uno stratagemma letterario<br />

tratto dalla tradizione trovadorica; e lo troverà nel verso provenzale che<br />

accomuna i trovatori e permette loro di parlare da pari a pari. «Així com la<br />

cavalleria – ci ricorda Martí de Riquer – era una istitució que feia germans<br />

M. PERUGI, Il Sermó di Ramon Muntaner, Firenze 1975; e, soprattutto, V. ORAZI, Il Sermó nella<br />

Crònica di Ramon Muntaner: la confluenza della voce dell’individuo nell’espressione corale<br />

di un popolo, inLa Sardegna e la presenza catalana nel Mediterraneo cit., I, pp. 406-418.<br />

Quest’ultimo è un lavoro prettamente letterario, di studio delle componenti testuali, che tralascia<br />

il contesto storico.<br />

80 F. SOLDEVILA, Sardenya en les cròniques cit., p. 117.<br />

81 Ivi, p. 119.<br />

82 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., I, p. 478.<br />

29


30<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

d’armes tots els qui la professaven, la poesia provençal establí una certa<br />

germandat entre els trobadors, qualsevulla que fos la classe o l’estament a què<br />

pertanyien». 83 Allo stesso modo in cui Giraut de Bornelh discuteva con Alfonso<br />

il Casto, e Peironet dialogava con Pietro il Grande, ora Ramon Muntaner trova<br />

il mezzo adeguato per far arrivare a Giacomo il Giusto l’opinione di un devoto<br />

militare che vive ritirato a Horta di València. 84<br />

Nel 1957 Ferran Soldevila, riferendosi alla cronaca di Pietro il Cerimonioso<br />

davanti al suo pubblico sardo, non aveva dimostrato molto interesse né verso l’uomo<br />

né verso il cronista, nonostante Pietro il Cerimonioso, come Muntaner, avesse<br />

lasciato tracce della sua affezione al verso trovadorico e la sua cronaca presenti,<br />

come le Gesta comitum barcinonensium, erudite complessità testuali d’interesse<br />

sardo, legate alle diverse fasi di redazione e revisione del testo. Questo tema aveva<br />

interessato molto Soldevila quando aveva studiato le relazioni tra le versioni latina<br />

e catalana delle Gesta, e tra la cronaca catalana di GiacomoIelatraduzione latina<br />

di Marsili. 85 Il fatto è che, ora, Ferran Soldevila, coerente con il suo interesse del<br />

momento, legato alla predisposizione dell’apparato critico della cronaca per l’edizione<br />

de Les quatre grans cròniques (1971), tentava un approccio materiale – dice<br />

lui – al testo, ai fatti narrati, «usandoli come un filo conduttore per percorrere la<br />

carta geografica della Sardegna». 86 Lo sforzo fu straordinario. Esso consentì d’individuare,<br />

con buona approssimazione, 87 la ricca toponomastica offertaci dai capitoli<br />

della cronaca dedicati alla conquista di Iglesias e Cagliari (giugno 1323 - luglio<br />

83 Ivi, p. 23.<br />

84 Concludendo questo capitolo bisogna dire che Soldevila, in coincidenza con la pubblicazione<br />

dell’opera già citata di N. D’OLWER, L’esperit català de la crònica d’en Ramon Muntaner<br />

(1938), aveva fatto riferimento, di sfuggita, ai due versi del Sermó che ricordano «l’aut enfant<br />

n’Anfós que es guanfanó/Edetota Espanya creximent e crezó». Questo uso del termine Espanya,<br />

afferma Soldevila, «no lliga amb un concepte exclusivament territorial, material de la Península»,<br />

ma piuttosto «enclou una significació espiritual». «Aquesta i altres citacions», conclude, «són<br />

indicis que, àdhuc en períodes de vida independent, àdhuc en esperits tan profundament catalans<br />

i patriotes com el de Muntaner, ha existit a Catalunya un sentiment, més o menys precís, més o<br />

menys puixant, de connexió espiritual hispànica». Cfr. F. SOLDEVILA, El concepte d’Espanya en<br />

la crònica de Ramon Muntaner, «<strong>Revista</strong> de Catalunya», febbraio 1938, pp. 171-180; ora in<br />

Cronistes, joglars i poetes cit., pp. 123-131 (le citazioni si trovano alle pp. 127 e 131).<br />

85 Si veda in particolare El primer volum de les cròniques catalanes (Gesta comitum<br />

barcinonensium), «<strong>Revista</strong> de Catalunya», IV (1926), pp. 379-389; e La Crònica de Marsili<br />

¿ha influït en la darrera redacció de la Crónica de Jaume I?, «Estudis Romànics», X (1962),<br />

pp. 137-146, ora in Cronistes, joglars i poetes cit., rispettivamente alle pp. 37-52 e 61-73.<br />

86 F. SOLDEVILA, Sardegna nella Cronaca di Pietro il Cerimonioso cit., p. 167.<br />

87 In qualche occasione sembra che Soldevila confonda Palma di Sulcis con un’altra località chiamata<br />

ugualmente Palma, nell’attuale comune di Selargius, molto vicina a Cagliari e, quindi,


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

1324) e alla campagna del 1354-1355 contro la ribellione del giudice d’Arborea.<br />

Tra tutti i toponimi, quello di Lutocisterna ha suscitato maggior interesse tra gli<br />

storici: teatro della vittoria delle truppe catalano-aragonesi contro i pisani, l’infante<br />

Alfonso vi aveva fatto erigere una cappella dedicata a San Giorgio. Da quel momento<br />

il luogo fu conosciuto come «el camp de la batalla». 88<br />

Lavorando alla trascrizione della cronaca di Pietro il Cerimonioso, Ferran<br />

Soldevila segue, come egli stesso afferma, il cammino apertogli da Ramon<br />

d’Alòs-Moner, il quale per i suoi studi aveva consultato ampiamente l’algherese<br />

Antonio Era, docente di Storia del diritto italiano presso l’Università di Sassari<br />

dal 1935. 89 Egli, per localizzare Lutocisterna, si era rivolto al visconte Asquer.<br />

Così, nel 1957, Soldevila inizia il suo articolo riconoscendo, più per modestia<br />

che a ragione, che: «devo scusarmi con voi di parlarvi di cose che conoscete<br />

meglio di me». 90 In Sardegna stava nascendo una nuova scuola storiografica,<br />

che doveva avvicinarsi con nuovi criteri alle cronache catalane. Erede di questa<br />

linea di ricerca, che in Italia aveva ancora una scarsa tradizione, 91 fu il<br />

professor Alberto Boscolo dell’Università di Cagliari. Capostipite della nuova<br />

scuola, egli collaborò con Ferran Soldevila – così come Antonio Era aveva<br />

fatto con D’Alòs-Moner – nelle identificazioni di carattere toponomastico necessarie<br />

per la trascrizione dei capitoli di tematica sarda della cronaca di Pietro<br />

il Cerimonioso. Egli stesso alcuni anni dopo pubblicò un articolo su I<br />

cronisti catalano-aragonesi e la storia italiana del basso Medioevo. 92 Con<br />

alla nuova città di Bonaria, da dove si dirige verso l’assedio della capitale del Regno. Così,<br />

quando l’infante Alfonso invia cento soldati a cavallo a Palma, Soldevila se ne meraviglia perché<br />

«può sembrare un po’ lontana al teatro delle operazioni» (F. SOLDEVILA, Sardegna nella<br />

Cronaca di Pietro il Cerimonioso cit., p. 174).<br />

88 Si veda in particolare l’articolo di A.M. ARAGÓ CABAÑAS, Un monumento conmemorativo de la<br />

batalla de Lucocisterna, inStudi storici e giuridici in onore di Antonio Era, Padova 1963, pp.<br />

1-16.<br />

89 Per una breve biografia di Antonio Era si veda B. SECHI COPELLO, Conchiglie sotto un ramo di<br />

corallo. Galleria di ritratti algheresi, Alghero 1987, pp. 106-109.<br />

90 F. SOLDEVILA, Sardegna nella Cronaca di Pietro il Cerimonioso cit., p. 167.<br />

91 Tra il 1957 e il 1962 l’Italia poteva contare soltanto sulla traduzione delle cronache di Desclot e di<br />

Muntaner a cura di F. MOISÈ, Cronache catalane del secolo XIII e XIV, Firenze 1844, e di alcuni<br />

passaggi della cronaca di Muntaner relativi a La spedizione dei Catalani in Oriente, trad. di<br />

Cesare Giardini, a partire dall’edizione di L’expedició dels catalans a Orient, a cura di L. NICOLAU<br />

D’OLWER, Barcelona 1926. Non siamo riusciti a individuare studi di rilievo sulle cronache.<br />

92 Apparso in Nuove Questioni di Storia Medioevale, Milano 1969, p. 301 ss. Pochi anni dopo<br />

(1975), Alberto Boscolo pubblicava, di nuovo, il già citato articolo dedicato a Bernardo Dez Coll,<br />

funzionario e cronista del re d’Aragona Pietro il Cerimonioso.G.MELONI, nella «Premessa» con<br />

la quale apre il suo libro L’Italia medioevale nella Cronaca di Pietro IV d’Aragona, Sassari 1980,<br />

pp. 11-13, afferma che con il suo lavoro raccoglie il suggerimento di Boscolo sulla necessità di<br />

31


32<br />

questo contributo scientifico l’impulso giunto in Sardegna a opera di Ferran<br />

Soldevila veniva introdotto nella storiografia italiana. 93<br />

5. I primi anni della presenza catalana in Sardegna *<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Il 12 giugno 1323, con lo sbarco a Palma di Sulcis delle truppe catalanoaragonesi,<br />

capitanate dall’infante Alfonso – il futuro re Alfonso il Benigno –,<br />

per la storia sarda iniziava un nuovo periodo, caratterizzato da un progressivo<br />

protagonismo del potere catalano rispetto alla manifesta opposizione dei possidenti<br />

sardo-genovesi, forti soprattutto nel Logudoro, e da una iniziale politica<br />

di equilibrio con gli arborensi. 94 La cultura catalana – se ne escludiamo gli aspetti<br />

prettamente giuridici – non poté penetrare nella società sarda se non in modo<br />

marginale e dovette rimanere limitata alle poche colonie catalane e, per alcuni<br />

aspetti, alla corte arborense. Non è strano, quindi, che non ci sia pervenuto<br />

alcun documento letterario relativo a quegli anni. Pertanto, lo studio della progressiva<br />

sostituzione linguistica si rivela molto importante per la comprensione<br />

dei successivi periodi della storia letteraria catalana in Sardegna. Infatti, se vogliamo<br />

capire il processo di penetrazione dei catalani nell’isola bisognerà ricordare<br />

alcuni fatti fondamentali, di modo che si possa valutare il modello culturale<br />

che Alfonso il Benigno vi introdusse.<br />

In primo luogo, bisogna tener presente che prima dell’impresa militare il<br />

Regnum Sardiniae et Corsicae 95 veniva già considerato un territorio da dare in<br />

tradurre le spedizioni italiane contenute nella cronaca del re Pietro. Si veda la bibliografia del<br />

prolifico storico sardo a cura di M. GUAL, L’attività storiografica di Alberto Boscolo,inMedioevo<br />

Età moderna, Cagliari 1972, pp. 3-35; e un profilo dell’attività storiografica della sua scuola a<br />

cura di M.T. FERRER I MALLOL, La contribució italiana a la història de la Catalunya medieval i<br />

del Renaixement, «<strong>Revista</strong> de Catalunya», 16 (febbraio 1988), pp. 89-92.<br />

93 Per quanto riguarda i primi soggiorni di Ferran Soldevila in Sardegna può essere utile leggere il<br />

«Prefaci» a Vida d’Antoni Bal·lero de Càndia, Barcelona 1957, pp. 5-9; e il Discurs dels Jocs<br />

Florals de l’Alguer, «Pont Blau», 105 (agosto-settembre 1961), pp. 248-251, ora in Cronistes,<br />

joglars i poetes cit., rispettivamente alle pp. 461-464 e 465-469. Infine, per approfondire le<br />

relazioni sardo-catalane nel contesto accademico durante il periodo oggetto del nostro interesse,<br />

si veda F.C. CASULA, Rassegna dell’Istituto di Storia Medioevale della Facoltà di Lettere<br />

dell’Università di Cagliari, «Medioevo. Saggi e Rassegne», 1 (1975), pp. 61-140.<br />

* Esiste una versione catalana di questo capitolo: Els primers anys de presència catalana a<br />

Sardenya, inEstudis sobre la cultura catalana a Sardenya cit., pp. 29-32.<br />

94 Questo periodo si concluderà nell’ottobre del 1353, con la rivolta di Alghero e la conseguente<br />

guerra tra Mariano IV d’Arborea e Pietro il Cerimonioso.<br />

95 Per una visione d’insieme sui temi relativi alla statualità del Regno di Sardegna si veda F.C.<br />

CASULA, Il ‘Regnum Sardiniae et Corsicae’nell’espansione mediterranea della Corona d’Aragona.<br />

Aspetti politici, inAtti del XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona cit., I, pp. 39-48.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

feudo ai cavalieri che avessero partecipato alla sua conquista, lasciando le principali<br />

città sotto la giurisdizione diretta del re. Tra i primi feudatari, quindi,<br />

troviamo sia i baroni catalani, aragonesi, valenzani e maiorchini, che quelli<br />

arborensi, sassaresi e iglesienti. In tal modo, nell’isola veniva introdotto un nuovo<br />

modello culturale che non avrebbe tardato a rivelarsi incompatibile con la tradizione<br />

politica locale e che sarebbe risultato incapace di risolvere i problemi<br />

economici dell’isola. 96<br />

Erano a conoscenza delle conseguenze negative del nuovo sistema sia l’infante<br />

che i principali protagonisti della vita politica del periodo. Non mancarono<br />

infatti rimostranze ed espressioni di sorpresa da parte dei mercanti delle<br />

principali città nel sud dell’isola né dallo stesso Ugone d’Arborea. È significativa,<br />

in tal senso, la famosa frase, contenuta in una lettera che il giudice arborense<br />

inviò, nel 1325, al cardinale Napoleone Orsini: «Sardi qui unum regem se<br />

habuisse credebant et modo habet tot reges quot sunt ville in Kallaro». 97<br />

Un altro aspetto da tener presente è che il Regno di Sardegna nacque<br />

territorialmente diviso in due parti non contigue: da una parte, il Capo di Cagliari<br />

e Gallura (vale a dire l’antico Giudicato sardo dove, fino a quel momento,<br />

i catalani avevano avuto una presenza più debole) e dall’altra il Comune di<br />

Sassari, circondato da territori sotto il diretto controllo dei Doria e dei Malaspina.<br />

Si comprende, in tal modo, che la reale penetrazione dei catalani in Sardegna in<br />

questo primo periodo fu necessariamente limitata. L’amministrazione feudale<br />

della Gallura e del Cagliaritano era in contraddizione rispetto all’intento di effettuare<br />

una colonizzazione programmata, che, in realtà, non venne mai portata<br />

a termine. Si deve sottolineare, inoltre, un fenomeno che neanche la categoricità<br />

delle disposizioni reali riuscì a evitare: l’alto livello di assenteismo registrato<br />

tra i feudatari. Così, la presenza catalana poteva raggiungere un peso determinante<br />

soltanto nelle principali città del Regno: Cagliari, Sassari e Iglesias.<br />

Il 19 giugno 1324 nacque il Regno di Sardegna e Corsica. Ciò accadde<br />

quando, secondo il Casula, «per accordo internazionale fra il Comune di Pisa e<br />

la Corona d’Aragona, in seguito alle sconfitte belliche subite, le terre sardo-<br />

96 Per lo studio del feudalesimo in Sardegna durante il primo periodo della dominazione catalana si<br />

vedano F. LODDO CANEPA, Ricerche e osservazioni sul feudalesimo sardo dalla dominazione aragonese,<br />

«Archivio Storico Sardo», VI (1910), pp. 49-84; M. TANGHERONI, Il feudalesimo in Sardegna in età<br />

aragonese, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», III, 3 (1973) [= Sardegna mediterranea,<br />

Roma 1983]; e ID., Il ‘Regnum Sardiniae et Corsicae’ nell’espansione mediterranea della<br />

Corona d’Aragona. Aspetti economici,inAtti del XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona<br />

cit., I, pp. 49-88.<br />

97 Le citazioni sono tratte da A. ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña por Jaime II de Aragón,<br />

Barcelona 1952, p. 430.<br />

33


34<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

pisane del Cagliaritano e della Gallura furono cedute al vittorioso re Giacomo II<br />

il Giusto». 98 Fino al 10 giugno 1336 la prima capitale del nuovo Regno fu la<br />

villa fortificata di Bonaria, che l’infante Alfonso aveva fatto costruire durante<br />

l’assedio di Cagliari. 99<br />

Qui, oltre al contingente militare si era stabilita una nutrita colonia di mercanti,<br />

artigiani e avventurieri di ogni sorta, provenienti dai diversi regni della<br />

Corona d’Aragona, da quello di Maiorca e dal Giudicato d’Arborea. 100 La crescita<br />

della città fu vertiginosa, sia dal punto di vista demografico (prima del<br />

1325 contava tra i 6.000 e gli 8.000 abitanti) che da quello economico: fin<br />

dall’inizio Barcellona aveva stabilito i suoi consoli nel porto di Bonaria facendone<br />

un importante centro del commercio marittimo catalano. La città concesse<br />

inoltre vantaggi di tipo commerciale sia ai mercanti dei regni che avevano partecipato<br />

alla conquista che ai catalani di Sicilia. È infatti necessario precisare<br />

che l’isola, come scrive Tangheroni, «non faceva ancora parte della confederazione<br />

politica, ma si stava già progressivamente integrando nel sistema del<br />

commonwealth catalano-aragonese». 101<br />

Il protagonismo politico che la nuova capitale del Regno aveva raggiunto<br />

così rapidamente le permise di beneficiare, grazie a un privilegio concesso dal<br />

re Giacomo il Giusto il primo agosto 1325, dello statuto di municipio autonomo,<br />

con l’estensione delle stesse immunità, privilegi e diritti della città di<br />

Barcellona, 102 validi indistintamente per catalani, aragonesi e sardi, «non senza<br />

un particolare riguardo nei confronti dei conquistatori ai quali fu affidato il<br />

Castello senza, però, che ai Sardi fosse vietata la dimora in esso; solamente in<br />

conseguenza di avvenimenti che si verificarono successivamente fu ripristinato<br />

nei confronti dei Sardi il divieto – già imposto dai pisani – di vivere nella<br />

cittadella». 103 Nell’isola fu introdotto in tal modo il nuovo modello d’amministrazione<br />

municipale, complementare a quello feudale. Esso doveva sostituire il<br />

98 F.C. CASULA, Il ‘Regnum Sardiniae et Corsicae’ cit., p. 4<strong>1.</strong><br />

99 G. SPIGA-F. SEGNI PULVIRENTI, Castell de Bonaire prima capitale del Regnum Sardiniae et Corsicae,<br />

in La Sardegna e la presenza catalana nel Mediterraneo cit., I, pp. 419-425.<br />

100 Boscolo, riferendosi a questo periodo, parlava d’«una collaborazione fra Sardi e Aragonesi e<br />

una fiducia nei primi da parte dei secondi»; cfr. A. BOSCOLO, Sardegna, Pisa e Genova nel<br />

Medioevo, Genova 1978, p. 135.<br />

101 M. TANGHERONI, Il ‘Regnum Sardiniae et Corsicae’ cit., pp. 63-64 e p. 85 nota 113.<br />

102 Per tutti questi aspetti si veda E. PUTZULU, La prima introduzione del municipio di tipo<br />

barcellonese in Sardegna. Lo statuto del Castello di Bonaria, in AA. VV., Studi storici e<br />

giuridici in onore di Antonio Era, Padova 1963, pp. 321-336, con la trascrizione completa del<br />

documento.<br />

103 F. ARTIZZU, Ricerche sulla storia e le istituzioni della Sardegna medievale, Roma 1983, p. 66.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

modello su base pisana o genovese, cosicché le città sarde passassero sotto la<br />

giurisdizione regia.<br />

Nel 1327, due anni dopo la resa definitiva dei pisani, Bernat de Boixadors,<br />

governatore del Regno 104 – carica che lo poneva a capo delle amministrazioni<br />

regia e feudale –, predispose il ripopolamento di Cagliari. Il Coeterum, o «De<br />

gracia concessa populatoribus Castri Callari et delimitacione eciam terminorum<br />

eius», 105 era del 25 agosto dello stesso anno. Il documento rappresentava il nuovo<br />

statuto che, oltre a ordinare il trasferimento di tutti gli abitanti di Bonaria a<br />

Cagliari, confermava per quest’ultima città, ampliandoli, i privilegi di cui aveva<br />

già goduto l’originaria colonia, privilegi confermati in seguito da Alfonso il<br />

Benigno (17 luglio 1331). Nel 1332, cinque anni dopo il trasferimento, il ricambio<br />

demografico della città e dei quartieri periferici (Villanova, Stampace e<br />

Lapola) si era già consolidato: il numero degli abitanti provenienti dai regni<br />

della Corona d’Aragona e da quello di Maiorca ammontava a 10.000. 106 Il considerevole<br />

peso di questa nuova presenza indusse Ilario Principe ad affermare,<br />

con una certa amarezza, che «in questa Sardegna così diversa Cagliari non è più<br />

né sarda, né pisana, e neppure italiana, ma è una città a pieno titolo catalana». 107<br />

Con la suddetta sostituzione della popolazione che seguì la presa di Cagliari,<br />

a partire dal 1325 poterono introdursi nell’isola le prime forme di letteratura<br />

catalana, che, purtroppo, allo stato attuale non conosciamo affatto. Possiamo<br />

però affermare che nei nuovi territori conquistati la canzone di gusto popolare<br />

dovette essere presente fin dai primi tempi: la cronaca di Muntaner ricorda l’abitudine,<br />

diffusa tra i soldati dell’esercito catalano-aragonese, d’intonare «llaus», 108<br />

cioè «cants populars que a partir del segle XVII seran anomenats ‘goigs’, un<br />

gènere literari que tanta extensió i vitalitat ha tingut al nostre país». 109<br />

104 Occupò questa carica tra il 1326 e il 1330 (M.M. COSTA, Oficials de la Corona d’Aragó cit.,<br />

pp. 323-377).<br />

105 CDS, s.XIV, doc. 39, pp. 685-690; cfr. anche R. DI TUCCI, Il libro verde della città di Cagliari,<br />

Cagliari 1925, p. 145 ss.; per l’originale si veda S. LIPPI, L’Archivio Comunale di Cagliari,<br />

Cagliari 1897, p. 127 ss.<br />

106 J. DAY, Uomini e terre nella Sardegna coloniale, XII-XVIII secolo, Torino 1987, p. 193 ss.<br />

107 I. PRINCIPE, Cagliari, Roma-Bari 1981, p. 57. Per l’uso del catalano nell’amministrazione del<br />

Regno si veda J. CARBONELL, La crida en català del virrei de Càller del 1337 i la seva<br />

significació, inA più voci. Omaggi a Dario Puccini, a cura di N. BOTTIGLIERI e G.C. MARRAS,<br />

Milano 1993, pp. 91-95.<br />

108 A. BOVER, Els goigs sards, inEls catalans a Sardenya cit., pp. 105-110 (il riferimento alle<br />

«llaus» si trova alla p. 105).<br />

109 J. CARBONELL, La llengua catalana a Sardenya, lezione inaugurale del corso accademico 1994-<br />

1995, Universitat Autonoma de Barcelona, p. 9.<br />

35


36<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Possiamo tuttavia seguire solo in modo indiretto la penetrazione di alcune<br />

forme alte di cultura catalana. In tal senso, una delle testimonianze più<br />

interessanti tra quelle pubblicate ci ricorda la catalanità della moglie di<br />

Mariano IV d’Arborea (giudice negli anni compresi tra il 1347 e il 1376),<br />

Timbora de Rocabertí, figlia di Dalmau IV, visconte di Rocabertí, e quindi<br />

sorella dell’abate di Vilabertran, Dalmau de Rocabertí, al quale Joan de<br />

Castellnou dedicò il suo Compendi de la coneixença dels vicis del Gai Saber<br />

(composto tra il 1340 e il 1350), sintesi delle tolosane Leys d’amor. Paolo<br />

Manichedda, al quale dobbiamo quest’interessante osservazione, deduce<br />

dalla stretta parentela e dalle intense relazioni tra gli Arborea e i Rocabertí<br />

che «il Giudicato di Arborea, pur essendo l’area sarda non controllata né<br />

militarmente né politicamente dai Catalani, nel Trecento poté continuare ad<br />

essere [..] un tramite della cultura catalana nell’isola, ed in particolare di<br />

quella legata al milieu delle Leys d’amor». 110 Si trattava di un canale d’immissione<br />

in Sardegna della tendenza d’imitazione letteraria della scuola poetica<br />

di Tolosa, di moda a quel tempo in Catalogna. Precisiamo però che<br />

anche Joan de Castellnou cita in un sirventese, composto tra il 1339 e il<br />

1342, i grandi signori di Sardegna. Egli inoltre elogia sentitamente l’autore<br />

di un’insolita Vesió, Bernat de So, il quale doveva partecipare alla campagna<br />

algherese del 1354. 111<br />

Tra i cavalieri che accompagnarono il Cerimonioso durante l’assedio di<br />

Alghero, troviamo anche il valenzano Ramon de Vilanova, uno dei collaboratori<br />

del re nella revisione della Cronaca, 112 e il governatore Raimbau de<br />

Corbera, che morì durante l’assedio. Conseguentemente a ciò, re Pietro dovette<br />

interessarsi personalmente affinché fossero rispettati i diritti del suo giullare,<br />

Jaume de Concabella. 113 Durante l’assedio della città, quindi, non mancarono<br />

individui sensibili allo spirito letterario; tra questi ricordiamo lo stesso<br />

re. Infatti, è risaputo che nel 1355 il Cerimonioso cantò «lo bon ayre e la<br />

110 P. MANINCHEDDA, Sui rapporti tra la poesia popolare sarda e la tradizione lirica provenzale e<br />

catalana cit., p. 223.<br />

111 A. PAGÈS, La Vesió de Bernat de So et le Debat entre Honor e Delit de Jacme March [...] suivis<br />

du Sirventés de Joan de Castelnou, Tolosa-París 1945, pp. 119-139.<br />

112 R. GUBERN I DOMENECH, Notes sobre la redacció de la Crònica de Pere el Cerimoniós, «Estudis<br />

Romànics», II, 1949-50, pp. 135-148, in particolare p. 144 e note 51 e 55). Accompagnava<br />

Pietro il Cerimonioso anche Bernat Descoll – un altro dei probabili redattori della Cronaca –,<br />

feudatario e luogotenente del maestro razionale in Sardegna durante i primi anni della presenza<br />

catalana nell’isola; cfr. A. BOSCOLO, Bernardo Dez Coll, funzionario e cronista del re d’Aragona<br />

Pietro il Cerimonioso, «Studi Sardi», XXIII (1975).<br />

113 M.M. COSTA, Oficials de la Corona d’Aragó cìt., p. 343.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

noblea d’esta isla de Cerdenya», 114 in un sirventese che inviò a suo zio con la<br />

seguente presentazione:<br />

Car avoncle: ffem-vos saber que nós, veén e conoxén lo bon ayre e la noblea<br />

d’esta isla de Cerdenya, per ço avem fet un sirventès qui conté veritat, translat<br />

del qual dins la present vos trametem. E com se diga per alguns lo contrari, ço<br />

és, per aquells qui no hic són estats o no hic han tant estat com nós, car, si ho<br />

havien, mils haurien pogut veer e conèxer, per què arditament lo dit sirventès<br />

mostrets a tots cells qui veer-lo volran, per tal que d’açò mils sàpien veritat.<br />

Dat en Castell de Càller, a VIII dies de juny, en l’any de la nativitat de Nostre<br />

Senyor MCCCL cinch.<br />

Si trattava, in poche parole, di «propaganda política en vers». 115<br />

Concludendo, è doveroso sottolineare che nel 1360 l’arcivescovo di Cagliari,<br />

Joan d’Aragó, partecipò alla cerimonia durante la quale fu armato<br />

cavaliere Jaume March, nonno del grande poeta Ausiàs. Tra i nobili presenti<br />

alla cerimonia, celebrata a Pedralbes, vi era Guillem Galceran de Rocabertí,<br />

marito di Maria de Bas, e quindi cognato del giudice d’Arborea Mariano<br />

IV. 116 Uno dei figli del nuovo cavaliere March, anche lui di nome Jaume –<br />

autore di un poema del quale avremo occasione di parlare più avanti –, ebbe<br />

modo di conoscere, in quanto giudice della festa barcellonese della Gaia<br />

Ciència, Ramon Savall, allora consigliere della città (1395). Quest’ultimo,<br />

poeta occasionale e amico di Bernat Metge, aveva interessi di rilievo in<br />

Sardegna. 117 Troviamo, infatti, un Ramon Savall, forse padre del poeta, nell’elenco<br />

dei nuovi proprietari feudali dell’isola – tenaci assenteisti – e, in<br />

114 Cfr. P.E. GUARNERIO, Un sirventese del re Pietro IV d’Aragona intorno a Cagliari, «Archivio<br />

Storico Sardo», II (1906), p. 424 ss.; A. RUBIÓ I LLUCH, Documents per a la història de la<br />

cultura catalana mig-eval, I, Barcelona 1908, p. 568, e II, Barcelona 1921, p. 105; e J. RUBIÓ<br />

I BALAGUER, Hìstòria de la literatura catalana, I, Barcelona 1984, p. 160. Oltre a questo<br />

«sirventès qui conté veritat», con il quale, scrive J. Rubió, il Cerimonioso volle «donar una<br />

lliçó als nobles que excusaren acompanyar-lo en l’expedició, de por de la insalubritat de l’illa»,<br />

il re, nell’estate di quello stesso anno, «escriví una ‘resposta’ a un ‘dictat’ del cavaller Pere de<br />

Gostemps sobre aquella difícil guerra» (i due testi si sono perduti).<br />

115 J. CARBONELL, La llengua catalana a Sardenya cit., p. 9.<br />

116 Possiamo aggiungere ancora che il visconte Rocabertí, nel 1382, accompagnò Maria de Luna,<br />

erede al trono siciliano, da Licata alla corte catalana di Cagliari, dove la principessa, ripudiata<br />

dall’infante Giovanni, risiedette, in attesa della risoluzione protocollare delle sue nozze, che<br />

alla fine celebrò con il nipote del Cacciatore e futuro re di Sicilia, Martino il Giovane. Cfr. F.<br />

GIUNTA, La presenza catalano-aragonese in Sicilia, inAtti del XIV Congresso di Storia della<br />

Corona d’Aragona cit., I, p. 98 (l’articolo si trova alle pp. 89-111).<br />

117 Si veda una biografia di questo barcellonese, limitata però alla sua attività in Sardegna, in M.<br />

TANGHERONI, La città dell’argento. Iglesias dalle origini alla fine del Medioevo, Napoli 1988,<br />

pp. 298-304.<br />

37


38<br />

momenti di difficoltà economica, finanziatori, insieme a Arnau Ballester, 118<br />

Pere des Bosc, 119 F. de Santcliment, 120 Bernat des Puig e Berenguer Castellar<br />

– tutti consiglieri, tesorieri, scrivani o più semplicemente notai 121 – delle<br />

principali campagne militari sarde. Nel 1366, in un altro elenco di nobili<br />

barcellonesi che reclamavano alcuni benefici spettanti loro da un reddito<br />

regio in Sardegna, figura il nome di un «Ramonet Ça-Vall, figlio ed erede di<br />

un Ramon Ça-Vall». 122 Forse si trattava del nostro poeta, quello che, vedendo<br />

altri proprietari come lui salire alla categoria dei cavalieri – Jaume March,<br />

per esempio –, scrisse, in un catalano privo di provenzalismi:<br />

Los ciutadans fan estament reyal<br />

en lur vestir metén guany e cabal<br />

e·n breu fondran e mudaran penatge. 123<br />

6. Il Canzoniere di Ripoll e la letteratura popolare algherese *<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

A partire dal 1354, dopo l’occupazione della città di Alghero e la sostituzione<br />

della popolazione autoctona con elementi provenienti dai diversi territori della<br />

Corona di Aragona – ma in prevalenza di lingua catalana 124 –, la letteratura<br />

catalana poté penetrare nella nuova città del nord Sardegna senza bisogno di<br />

intermediari. Per quanto riguarda la poesia, l’assenza di una tradizione comune<br />

e di una propria identità nei ceti subalterni della popolazione non poté<br />

118 Se ne veda una breve biografia in M. CUADRADA, El Maresme medieval. Hábitat, economía y<br />

sociedad. Siglos X-XIV, Mataró 1988, pp. 415-417 e 422-423.<br />

119 Cfr.M.CUADRADA, EI Maresme medieval cit., pp. 417-419 e 429-440; e, per quanto riguarda la<br />

sua attività in Sardegna, L. D’ARIENZO, La cancelleria di Pietro IV d’Aragona nell’assedio di<br />

Alghero del 1354, «Archivio Storico Sardo», XXXII (1981), pp. 144-145.<br />

120 M.M. COSTA, Oficials de la Corona d’Aragó cit., pp. 369-373.<br />

121 Questo elenco di acquirenti dei feudi è tratto dall’articolo di M. SÁNCHEZ MARTÍNEZ, Después<br />

de Aidu de Turdu (1347): las repercusiones de los sucesos de Cerdeña en el patrimonio real,<br />

in Atti del XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona cit., II, pp. 789-809 (la lista di<br />

nomi si trova alle pp. 800-801).<br />

122 Cfr. C. MANCA, Notes sobre l’administració de la Sardenya catalana en el segle XIV:<br />

‘L’arrendament de les rendes e drets reyals (1344-1347)’, «Estudis d’història medieval», V<br />

(1972), pp. 71-9<strong>1.</strong><br />

123 Testo in M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., I, p. 588.<br />

* Esiste una versione catalana di questo capitolo: Els Cançoneret de Ripoll i la literatura popular<br />

algueresa, «Llengua & Literatura», 14 (2003), pp. 28-32.<br />

124 Per quanto riguarda il contesto storico-politico dell’intervento armato condotto dal Cerimonioso<br />

in persona, si veda il capitolo dedicato a «Pietro IV d’Aragona in Sardegna», in F.C. CASULA,<br />

La Sardegna aragonese cit., pp. 288-296.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

favorire né il trasferimento né la creazione di un’epica di alto livello. Inoltre,<br />

gli episodi bellici legati all’assedio e alla presa della città, non avendo avuto<br />

come protagonisti i nuovi abitanti di Alghero, non ebbero alcun riscontro nella<br />

letteratura e non diedero luogo a nessun tipo di epopea. Vero è che possiamo<br />

rintracciare il diario della conquista nella Cronaca di Pietro il Cerimonioso.<br />

Esso è stato espresso con la freddezza cancelleresca propria dell’opera<br />

storiografica del re:<br />

Per ço com […] lo dit lloc […] s’era contra nós […] rebel·lat, no […] consentim que<br />

algun dels pobladors antics pus avant hi romangués, ans tots ne fossen foragitats […] e<br />

que el lloc romangués a nós en guisa que fos poblat a volentat […] nostra (cap. V, 38).<br />

Si dovrà tuttavia attendere un evento sensazionale affinché venga resa<br />

possibile l’affermazione di una memoria collettiva. L’occasione non arriverà<br />

se non nel 1412, con la fallita conquista della città da parte delle truppe<br />

franco-sassaresi. 125 Alla fine, Alghero, opponendosi a una comunità esterna<br />

– i «francesos»–eaun’altra interna – i «traïdors dels sassaresos» – troverà<br />

definitivamente l’identità – un’identità locale catalana – che ancora oggi la<br />

caratterizza e che celebrerà con le famose Relació e Cobles de la conquista<br />

dels francesos. 126<br />

La canzone lirica seguì un percorso del tutto differente. Immediatamente<br />

dopo la presa della cittadina, infatti, vennero introdotte le prime forme di poesia<br />

catalana. Oggi, a sei secoli e mezzo di distanza, sembra ancora d’intravedere<br />

alcune tracce di questi avvenimenti in qualche testo tramandatoci oralmente.<br />

Per cercare di stabilire un parallelismo tra la poesia medievale e quella popolare<br />

algherese, però, si può prendere in considerazione il canzoniere di Ripoll, 127<br />

125 Per i fatti storici, letterari e documentali attinenti a questo argomento si veda l’articolo di A.<br />

BOVER, ‘Relació’ i ‘Cobles de la conquista dels francesos’, «Catalan Review», 7 (1993), pp. 9-<br />

36, corredato da una valida bibliografia.<br />

126 Riguardo alle Cobles si veda M.A. ROCA MUSSONS, Il Giudice negato. Analisi di alcuni<br />

aspetti delle ‘Cobles de la conquista dels francesos’, inAlghero, la Catalogna, il Mediterraneo.<br />

Storia di una città e di una minoranza catalana in Italia (XIV-XX secolo), a<br />

cura di. A. MATTONE eP.SANNA, Sassari 1994, pp. 191-215. Per quanto riguarda, invece,<br />

la Relació e la sua funzione epica si veda J. ARMANGUÉ, La ‘Relació de la conquista dels<br />

francesos’ (s. XVII), in AA.VV., Encuentro de civilizaciones (1500-1750): informar, narrar,<br />

celebrar, Actas del Tercer Coloquio Internacional sobre ‘Relaciones de sucesos’,<br />

Cagliari, 5-8 de septiembre de 2001, a cura d’Antonina PABA, Universidad de Alcalá<br />

2003, pp. 329-339.<br />

127 J. RUBIÓ I BALAGUER, Del manuscrit 129 de Ripoll del segle XIV, «<strong>Revista</strong> de Bibliografia<br />

Catalana», VIII (1905), pp. 285-378.<br />

39


40<br />

trascritto intorno al 1346 e coincidente con l’eventuale patrimonio poetico di<br />

alcuni dei primi ripopolatori di Alghero. 128<br />

Una delle ballate presenti nel canzoniere di Ripoll – «la més interessant de totes»,<br />

sentenzia Martí de Riquer 129 – è la canzone anonima della malmonjada, il ritornello<br />

della quale recita: «Lassa, mays m’agra valgut / que fos maridada / o cortès amich<br />

agut / que can suy monjada». Confrontiamola con una canzone, «posada en boca<br />

d’una noya», che Eduard Toda raccolse da fonti orali alla fine del XIX secolo:<br />

Mon pare y mos germans<br />

m’han privat la alegría,<br />

perqué ells sont capellans<br />

volen que monja sía.<br />

Mirau si anirá bé<br />

ferme monja per forsa,<br />

lo convent vaja á l’orsa<br />

que monja no seré. 130<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Joan Amades raccolse nel suo Cançoner una versione molto simile, rimandando<br />

a un episodio storico ambientato a Maó «durant l’ocupació britànica de<br />

Menorca, a la primeria del segle passat». 131 Francesco Manunta, fedele a questa<br />

interpretazione, è giunto alla conclusione che la canzone dovette arrivare ad<br />

Alghero «mitjançant navegants menorquins o algueresos del segle XVIII». 132 Noi,<br />

però, riteniamo che sia errato non solo far risalire la prima redazione di questa<br />

canzone all’episodio minorchino, ma anche considerare – scrive Martí de Riquer –<br />

«la dansa del segle XIV escrita per una monja». «Això – continua lo stesso autore –<br />

no és versemblant; tampoc les ‘malmaridades’ no són escrites per dones<br />

128 Senza volere trarre alcuna conseguenza di rilievo, si deve segnalare che durante l’assedio di<br />

Cagliari morì, come ricorda la Cronaca di Pietro il Cerimonioso (cap. I, 35), il cavaliere Dalmau<br />

de Castellnou (1324), uno dei due possibili autori della danza che inizia «Domna, de mi mercè<br />

us prenya», che troviamo trascritta nel canzoniere di Ripoll (J. RUBIÓ I BALAGUER, Del manuscrit<br />

129 de Ripoll cit., p. 357).<br />

129 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., I, p. 516.<br />

130 E. TODA, Un poble català d’Italia. L’Alguer, Barcelona 1888, p. 34. Per quanto riguarda il<br />

tema della «monja per força» nella letteratura catalana, si può contare su ben pochi esempi; si<br />

veda R. ARAMON I SERRA, Dues cançons populars italianes en un manuscrit català<br />

quatrecentista, «Estudis romànics», I (1946-48), pp. 159-188 (ora in Estudis de llengua i<br />

literatura, Barcelona 1997, pp. 309-344): nello studiare una canzone italiana di una monaca,<br />

Aramon ricorda la composizione medievale e altre versioni raccolte dal folklore catalano (p.<br />

319), non tenendo, però, in considerazione la canzone che ci interessa.<br />

131 J. AMADES, Folklore de Catalunya. Cançoner, Barcelona 1951, n. 2.291, p. 408. Questa versione<br />

inizia con: «Els pares i els meus germans / me n’han quitat l’alegria, / ells no s’han fet<br />

capellans / i volen que monja jo en sia».<br />

132 F. MANUNTA, Cançons i liriques religioses de l’Alguer catalana, I, Alghero 1988, p. 110.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

malcasades»; è quindi più probabile che sia la canzone medievale che quella<br />

popolare algherese del XIX secolo si limitino a perpetuare un’antica tematica già<br />

presente, per esempio, in alcuni testi latini del XII secolo. 133<br />

Ritornando al canzoniere, sottolineiamo che esiste un ulteriore parallelismo<br />

in un’altra poesia, in questo caso scritta da Pere Alamany, «on l’autor dialoga<br />

amb la mateixa dansa, la qual hi intervé com a missatgera d’una dama». 134 Eduard<br />

Toda raccolse anche «una altra cansó dialogada» algherese:<br />

«Ay lo meu cor,<br />

del babu [pare] y de la mama jo tench pór».<br />

«No tingas pór, coloma,<br />

que só lleuger y porto alas de ploma».<br />

«Vina á hora feriada<br />

que no nos vegi llengua mal parlada».<br />

«A l’hora que vindré<br />

ja trobaré adormit tot lo carré». 135<br />

Non soltanto la «llengua mal parlada» ci ricorda la figura del lausengier<br />

della lirica trovadorica, ma anche i versi 7-8 ci fanno pensare al verso 13 della<br />

ballata d’Alamany: «Que·n veniats una nuyt foscha».<br />

Con ciò non vogliamo dire che debba esserci necessariamente un debito<br />

diretto nei confronti del canzoniere di Ripoll, ma semplicemente che la canzone<br />

popolare algherese presenta momenti d’intenso sapore medievale, cosa che potrebbe<br />

indicare la dissoluzione di certe forme della poesia colta catalana nella<br />

poesia a trasmissione orale di Alghero.<br />

7. Ambasciatori arborensi presso la cancelleria regia *<br />

Durante gli ultimi anni del regno di Pietro il Cerimonioso e durante quello di<br />

Giovanni il Cacciatore (1387-1396) la Sardegna fu caratterizzata dalla<br />

133 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., I, pp. 516-517. Riquer (nota 27) attribuisce<br />

a Jaume Massó l’affermazione che la danza medievale sia stata scritta da una monaca. In<br />

realtà, quello studioso si era riferito soltanto a «la suposada monja», la quale, per riassumere il<br />

contenuto della canzone, «es queixa dels qui l’han tancada en el convent»: cfr. J. MASSÓ I<br />

TORRENTS, Repertori de l’antiga literatura catalana, I.La poesia, Barcelona 1932, p. 300.<br />

Bisogna evidenziare che, secondo Massó, «aquesta graciosa poesia podria intitular-se: ‘La<br />

monja per força’», una fortunata coincidenza con il verso 6 della versione algherese.<br />

134 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., I, p. 517.<br />

135 E. TODA, L’Alguer cit., p. 33.<br />

* Esiste una versione catalana di questo articolo: Missatgers arboresos a la Cancelleria reial,in<br />

Estudis sobre la cultura catalana a Sardenya cit., pp. 43-46.<br />

41


42<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

frammentazione territoriale e amministrativa, dall’instabilità politica, dalla<br />

precarietà delle frontiere e dall’alternanza di brevi periodi di fragile equilibrio e<br />

altri di guerra aperta tra la Corona d’Aragona e il Giudicato d’Arborea, 136 le due<br />

potenze che aspiravano al dominio assoluto dell’isola.<br />

Alla morte del giudice d’Arborea Ugone III, «feta cruelment a VI dies del mes<br />

de març propassats [1383] per los seus sards d’Oristany», 137 sua sorella Eleonora<br />

da Genova si trasferì nella capitale del Giudicato prendendone in mano la direzione<br />

politica in qualità di reggente del figlio Federico, da quel momento divenuto<br />

giudice nominale. Non prevedendo le gravi ripercussioni politiche che questo<br />

gesto avrebbe avuto sul marito – il genovese Brancaleone Doria, che in quel momento<br />

si trovava nel Principato della Catalogna –, il 17 giugno Eleonora indirizzò<br />

a Pietro il Cerimonioso una lettera nella quale esponeva il suo programma per la<br />

pacificazione della Sardegna. Questo prevedeva la divisione dell’isola in due grandi<br />

entità politiche: da una parte Cagliari e Alghero, poste sotto la dominazione<br />

catalano-aragonese, dall’altra il resto della Sardegna, trasformata in stato indipendente.<br />

Affinché venissero trattatate tali questioni, la giudicessa-reggente intendeva<br />

mandare al re quattro ambasciatori arborensi. Di essi non abbiamo alcuna<br />

notizia. 138 Siamo soltanto a conoscenza che Leonardo, vescovo di Santa Giusta, e<br />

Comita Pancia rappresentarono davanti a Pietro il Cerimonioso «Madona Elienor<br />

d’Arborea e los Sards d’Arborea del regne de Sardenya» durante i negoziati di<br />

pace che si svolsero in Catalogna nell’estate del 1386. 139<br />

136 Per l’esposizione dei fatti storici abbiamo seguito R. TASIS I MARCA, Pere el Cerimoniós i els<br />

seus fìlls, Barcelona 1962, in particolare i capitoli 1-4 della seconda parte (si veda anche dello<br />

stesso autore, Joan I, el rei caçador i músic, Barcelona 1959).<br />

137 Lettera di Pietro il Cerimonioso del 7 aprile 1383, riportata in R. TANDA, La tragica morte del<br />

giudice Ugone III d’Arborea alla luce di nuove fonti documentarie,inMiscellanea di studi medioevali<br />

sardo-catalani, Cagliari 198<strong>1.</strong> I fatti storici di cui ci occupiamo ci sono pervenuti attraverso<br />

una serie di documenti, conservati presso l’Archivio della Corona d’Aragona. Essi riportano esclusivamente<br />

il punto di vista delle forze catalano-aragonesi. Andate perdute le fonti indigene durante<br />

l’incendio dell’archivio di Oristano nel 1479, soltanto i documenti giudicali registrati presso la<br />

cancelleria catalana ci tramandano il pensiero politico arborense. È molto significativo il fatto che<br />

alcuni di questi documenti siano stati redatti proprio in catalano, come alcune lettere del 1391 nelle<br />

quali Brancaleone Doria, da poco liberato, si rivolgeva al potere regio: scrive in catalano al governatore<br />

di Cagliari, Joan de Montbui, che «[nós] no son tenguts a rey ne a regina», in una fonte,<br />

secondo F.C. Casula, «preziosissima perché è l’unica che abbiamo riguardante il pensiero politico<br />

di un personaggio giudicale» (F.C. CASULA, La Sardegna aragonese cit., II, p. 452).<br />

138 La lettera di Eleonora d’Arborea è stata tradotta dal latino in italiano da E. PUTZULU, L’assassinio<br />

di Ugone III d’Aragona e la pretesa congiura aragonese, «Anuario de Estudios Medievales»,<br />

II (1965) p. 342.<br />

139 R. TURTAS, Alcuni problemi della chiesa arborense tra la fine del secolo XI agli inizi del XV, in<br />

G. MELE (a cura di), Società e cultura nel Giudicato di Arborea, Atti del Convegno Internazionale<br />

di Studi, Nuoro 1995, p. 186 (l’articolo si trova alle pp. 171-188).


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

Il re Pietro si trovava a Montsó, dove il 12 giugno 1383 erano state convocate<br />

le corti generali, che sarebbero state ripetutamente aggiornate e che, riaperte<br />

nel 1388, non furono mai concluse. Il re, infatti, sollecitato dalle città dei diversi<br />

regni, le aveva convocate senza molta convinzione, e in una lunga lettera a suo<br />

figlio Giovanni, allora duca di Girona, arrivò ad accusarlo di avere indotto i<br />

deputati d’Aragona e di Valenza a chiedere insistentemente la convocazione<br />

delle corti, sebbene la cosa non fosse gradita al re. L’infante si difese affermando<br />

che era intervenuto soprattutto per il «fet de Sardenya, lo qual no vehia lavores<br />

ni veyg de present que pogués ni puxa ésser provehit sens consell, favor e ajuda<br />

de vostres sotsmeses per via de cort general». 140 In effetti, durante le corti fu<br />

discusso il problema sardo e in particolare il destino di Brancaleone Doria, che,<br />

dopo essere stato arrestato, fu condotto a Cagliari e rinchiuso nella torre di San<br />

Pancrazio, dove rimase prigioniero per sei anni.<br />

Non sono chiari i motivi che spinsero Brancaleone a esporsi al rischio di un<br />

viaggio in Catalogna in un momento tanto delicato. Il 3 marzo 1383 lo troviamo<br />

a Barcellona alla ricerca di «diners per provisió mia e de la mia compania e<br />

encara per los missatgers qui no ich han un diner per fer la vida», come egli<br />

stesso scrive o meglio come scrive – afferma Casula – «un suo segretario in<br />

cattivo catalano». 141 Anche se non è stata ancora risolta una contraddizione di<br />

carattere cronologico, è necessario tener presente che, secondo Zurita,<br />

Brancaleone Doria, in occasione delle corti generali, si era recato a Montsó per<br />

presentarsi al re, che il 24 giugno 1383 l’avrebbe armato cavaliere, nominandolo<br />

contemporaneamente conte di Montlleó e barone di Marmilla. 142<br />

Ad ogni modo, ciò che a noi interessa è seguire le vicende di quei sardi<br />

arborensi stabilitisi momentaneamente nei territori peninsulari della Corona<br />

d’Aragona. La lettera di Brancaleone ci dimostra che questi erano tecnicamente<br />

preparati a superare le barriere linguistiche senza dover far ricorso al latino. Ci<br />

140 R. TASIS, Joan I cit., p.159 (la lettera di Giovanni I è datata 15 luglio 1385). Durante le corti<br />

riunite a Sant Mateu nel 1367, Pietro il Cerimonioso aveva letto la famosa dichiarazione nella<br />

quale accusava di «desconeixença» il giudice arborense Mariano d’Arborea e chiedeva aiuto<br />

all’assemblea «com puscam humiliar lo jutge a nós desconeixent e rebel» (R. ALBERT-J. GASSIOT,<br />

Parlaments a les Cortes Catalanes, Barcelona 1928, pp. 33-42; l’originale proviene dall’Archivio<br />

della Corona d’Aragona, reg. 1529, f. 49, e consiste in un quaderno di quattro fogli che<br />

termina con una nota dell’archivista Pere Miquel Carbonell: «Aquest original es tot scrit de ma<br />

del dit Rey en Pere»).<br />

141 F.C. CASULA, La Sardegna aragonese cit., II, p. 71<strong>1.</strong><br />

142 La contraddizione consiste nel fatto che, nella sua lettera del mese di marzo, Brancaleone<br />

firmava già con il titolo di conte. Cfr. G. ZURITA, Los cinco libros postreros de la primera parte<br />

de los anales de la Corona de Aragon, Zaragoza 1610, t. II, vol. IV, lib. X, cap. XXXIV, pp.<br />

685-686.<br />

43


44<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

domandiamo, dunque, quale fosse il nuovo ambiente culturale che li accolse<br />

dopo gli accordi di pace del 1388, redatti in quella Cancelleria frequentata dagli<br />

ambasciatori; in quel «cercle d’intel·lectuals cortesans, compost de secretaris,<br />

escrivans i protonotaris – scrive Tavani –, que contribuí d’una manera determinant<br />

a formar la prosa elegant, expressiva i austera alhora de la Cancelleria reial,<br />

arrel del català literari de l’humanisme i el Renaixement». 143<br />

Pochi anni prima, nel 1367, il protonotaio regio Jaume Conesa aveva iniziato<br />

la traduzione della Historia destructionis Troiae di Guido delle Colonne,<br />

nella quale – scrive Martí de Riquer – «la prosa és ensems clara i precisa, amb<br />

un substrat de sintaxi llatina severament mesurat» che si riscontra anche nella<br />

prosa cavalleresca del traduttore. 144<br />

Nell’ambiente di corte, Conesa incontrò certamente Ferrer Saiol, protonotario<br />

della regina Eleonora di Sicilia, e a partire dal 1371 diretto superiore di un<br />

aiutante del registro d’eccezione, Bernat Metge, figliastro di Ferrer. Ferrer Saiol<br />

tradusse, tra il 1380 e il 1385, il trattato di agricoltura De re rustica di Palladio<br />

Rutilio, a sua volta tradotto in spagnolo partendo dalla sua versione. In questo<br />

lavoro è stata rilevata la «pruïja de fidelitat, que no està en funció de la bellesa<br />

de l’obra traduïda, car aquesta no existeix, sinó en la precisió amb la qual cal<br />

traslladar al català una obra que conté ensenyaments agrícoles». 145<br />

Risalgono infine al 1380 i noti elogi – che si trovano nelle carte reali compilate<br />

dal segretario Bernat Miquel – dell’Acropoli di Atene, «la pus rica joia que<br />

al món sia», e quelli delle imprese degli antichi ateniesi, rese famose perché<br />

celebrate da scrittori di grande talento. L’attestato d’ammirazione nei confronti<br />

dell’antichità e, nel secondo caso, l’interessante citazione del De coniuratione<br />

Catilinae di Sallustio permettono di parlare con sicurezza di una cultura<br />

rinascimentale nella Cancelleria regia, non solo per quanto concerne le idee, ma<br />

anche per quello stile classico individuato soprattutto a partire dal 138<strong>1.</strong> 146<br />

Con ciò non vogliamo però affermare che tali influenze ebbero necessariamente<br />

conseguenze tangibili: di ritorno nelle terre d’Arborea, gli ambasciatori<br />

sardi usarono la lingua catalana solo in pochissime occasioni – soprattutto nelle<br />

traduzioni di documenti ufficiali riguardanti negoziati di pace conclusi nel 1388.<br />

In realtà, queste nuove correnti di pensiero introdotte nella cancelleria<br />

143 G. TAVANI, Per una història de la cultura catalana medieval, Barcelona 1996, p. 15<strong>1.</strong><br />

144 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., II, p. 348; cfr. anche A. RUBIÓ I LLUCH,<br />

Influència de la sintaxi llatina en la Cancelleria catalana del segle XV, inActas y memorias,<br />

Actes del VII Congrés Internacional de Lingüística Romànica, II, Barcelona 1955, p. 358.<br />

145 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., II, p. 350.<br />

146 Cfr. R. GUBERN, Epistolari de Pere III, Barcelona 1955, I, p. 22, n. 45.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

barcellonese poterono arrivare in Sardegna tramite funzionari che si occuparono<br />

di questi stessi accordi di pace. 147 Una pace però mai firmata.<br />

8. Il castello di Gioiosa Guardia e la leggenda arturica *<br />

Quando nel 1391 i sardi arborensi riuscirono a conquistare, togliendolo ai<br />

catalano-aragonesi, il castello di Gioiosa Guardia a Villamassargia, il re Giovanni<br />

I d’Aragona si rammaricò a tal punto che pronunciò una frase che tenteremo<br />

di spiegare in queste pagine. Infatti, secondo Giovanni il Cacciatore, per la<br />

perdita di Gioiosa Guardia «la nació Catalana ne és ensutzada». 148 Ci potrebbe<br />

sembrare eccessivo un tale rincrescimento per un castello in più o in meno durante<br />

un così difficile momento della guerra, quando l’elemento catalano era sul<br />

punto di essere scacciato definitivamente dal territorio sardo. Perduto il castello<br />

di Gioiosa Guardia, nell’isola rimanevano sotto il controllo della Corona<br />

d’Aragona soltanto Cagliari, capitale del Regno, la fedele città di Alghero,<br />

ripopolata dai catalani, Longosardo (l’attuale Santa Teresa di Gallura), eicastelli<br />

di San Michele, d’Acquafredda e di Quirra, nel sud dell’isola. 149 Ci potrebbe<br />

sembrare quindi un rammarico eccessivo se non fosse che in esso vediamo<br />

una cocente delusione per la perdita di un castello con forti valenze simbo-<br />

147 Ci riferiamo, in particolare, a Joan de Montbui, procuratore regio e ambasciatore presso la<br />

corte d’Arborea, nell’aprile del 1385, a Eiximèn Peris d’Arenós, governatore del Capo di<br />

Cagliari a partire dal 1386, e a Joan de Santa Coloma, governatore del Capo di Logudoro<br />

(M.M. COSTA, Oficials de la Corona d’Aragó cit.; e L. D’ARIENZO, La cancelleria di Pietro<br />

IV d’Aragona cit., con numerosa documentazione relativa a questi alti funzionari). Si<br />

veda un anonimo esempio di prosa cancelleresca, non priva di una certa eleganza, dovuto<br />

a uno di questi funzionari (forse Joan de Montbui), nell’appendice dell’articolo di B. FOIS,<br />

Su un trattato di pace mai siglato fra Eleonora d’Arborea e Pietro IV d’Aragona: valutazioni<br />

e consigli di un contemporaneo, inAtti del XIV Congresso di Storia della Corona<br />

d’Aragona cit., I, pp. 445-479 (l’appendice si trova alle pp. 466-471, e vi si nota un’idea<br />

pacifista che ci ricorda la Vesió de Bernat de So: «Com ja és sabut, terra guerrejada ni<br />

tresor qui·s hage per armes com fa mal profit e mal bé, part que no és honor lo dir-ne profit<br />

a la ànima ni pertany a bon príncep que per diners jaquís pau»).<br />

* La prima versione di questo capitolo è apparsa in Anna Paola DEIANA, Il castello di Gioiosa<br />

Guardia, Oristano 2003, pp. 125-134; esiste una versione catalana di questo articolo: Els castell<br />

de Joiosa Guarda i la llegenda artúrica, , «Llengua & Literatura», 14 (2003), pp. 36-44.<br />

148 Cfr.R.TASIS I MARCA, Pere el Cerimoniós i els seus fills cit., 185.<br />

149 In poco meno di un anno, gli arborensi avevano recuperato le posizioni precedenti alla pace del<br />

1388, firmata tra Eleonora d’Arborea e Giovanni d’Aragona, con un’unica differenza: non<br />

poterono conquistare Longosardo. Nonostante ciò si sentirono compensati con il castello di<br />

Gioiosa Guardia. Per quanto concerne il contesto bellico in cui avvenne la presa di Gioiosa<br />

Guardia, rimandiamo il lettore allo studio diA.M. OLIVA-O. SCHENA, La seconda presa arborense<br />

di Villa di Chiesa nel 1391, inStudi su Iglesias Medioevale, Pisa 1985.<br />

45


46<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

liche, strettamente intrecciate al tessuto epico nel quale viveva – e per il quale<br />

combatteva – il sovrano catalano. In effetti, è noto che molto spesso i re della<br />

Corona d’Aragona, come tanti altri sovrani, vollero mantenere nella vita reale<br />

comportamenti cavallereschi. In sostanza con questi imitavano gli eroi delle<br />

chansons de geste francesi e occitane e quelli dei romanzi di tematica bretone.<br />

Ancora prima, avevano trovato nella poesia di matrice provenzale un mezzo<br />

che li equiparava agli altri trovatori, e si sottomettevano alle regole dell’amore<br />

cortese con un’umiltà che, senza dubbio, li faceva risultare simpatici agli occhi<br />

dei loro sudditi. Il re Alfonso il Casto, per esempio, a metà del XII secolo si<br />

presentava già come un vassallo «plevitz e juratz» della sua dama e conversava<br />

amichevolmente con il trovatore di umile lignaggio Giraut de Bornelh. 150 Queste,<br />

però, sono convenzioni strettamente letterarie che i discendenti del reAlfonso<br />

continuarono a coltivare, 151 ma che coincidono soltanto marginalmente con l’oggetto<br />

del nostro interesse. Ora vogliamo sottolineare, attraverso il comportamento<br />

dei sovrani, alcuni esempi di un atteggiamento cavalleresco proiettato<br />

verso la realtà. Parliamo, cioè, di comportamenti appresi nella tradizione letteraria<br />

e applicati però a un contesto reale. È questo il motivo per cui la fonte<br />

documentaria migliore non sarà la lirica dei trovatori, ma l’epica delle quattro<br />

più importanti cronache catalane.<br />

In primo luogo, Giacomo I aveva assimilato profondamente lo spirito e lo<br />

stile delle chansons de geste, ai quali adattò certi atteggiamenti della sua vita e<br />

che quindi si evidenziano nella sua Cronaca. 152 A tal proposito è noto il passaggio<br />

in cui il re, ridendo, si era strappato da solo una freccia che l’aveva ferito al<br />

capo (cap. 266), o l’altro in cui egli aveva fatto giurare i nobili e i vescovi<br />

«sobre los Sancts Evangelis e la crou de Déu, que a l’entrar de Mallorques, quan<br />

s’envairia, negun ric hom, ni cavaller, ni hom de peu, que negú no tornàs atràs<br />

[…] e que no s’aturàs si dons no havia colp mortal» (cap. 81). Al di là delle<br />

comprensibili esagerazioni formali, bisogna considerare che è stata individuata<br />

nel cranio del re la cicatrice della ferita e che il giuramento di non indietreggiare<br />

mai è del tutto verosimile durante la vigilia di un evento di massima tensione<br />

bellica. Nonostante ciò, è stato sottolineato in quale modo, più o meno consapevole,<br />

Giacomo I abbia potuto imitare, con il suo comportamento risoluto, l’eroi-<br />

150 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., I, pp. 23 e 44-46.<br />

151 Pietro il Grande, per esempio, conversava con l’umile giullare Peironet; ed è a partire da questa<br />

eccezionale permissività letteraria che dobbiamo interpretare i suggerimenti che Ramon<br />

Muntaner, anziano militare, si azzardò a dare a Giacomo II in modo da orientarlo verso la<br />

conquista della Sardegna.<br />

152 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., p. 418.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

co Vivian, che nella Chansun de Willalme si strappava da solo una freccia dal<br />

braccio 153 e che in altre chansons de geste francesi, soprattutto nella Chevaleire<br />

Vivien, giurava che non sarebbe mai indietreggiato davanti ai saraceni. 154 A tal<br />

proposito, Miquel Coll i Alentorn ha proposto l’anno 955 come data approssimativa<br />

dell’introduzione in Catalogna di una moda onomastica riconducibile al<br />

ciclo epico di Guillem. All’interno di questo s’inserisce suo nipote Vivian. 155 Un<br />

secolo più tardi anche in Catalogna Guerau de Cabrera ricordava l’eroe Vezian,<br />

nel suo famoso Ensenhamen indirizzato al giullare Cabra. 156 Non è assolutamente<br />

fuori luogo, a questo punto, pensare che Giacomo I in alcuni momenti<br />

della sua vita potesse aver presenti gli atteggiamenti più carichi di tensione<br />

epica caratterizzanti quest’eroe. Quel ricordo poté influire decisamente sul suo<br />

comportamento cavalleresco.<br />

La cronaca di Bernat Desclot dimostra con più vigore l’influenza che le<br />

chansons de geste – qui largamente messe in prosa e quindi responsabili di<br />

buona parte del tono epico della cronaca 157 – esercitavano negli ambienti cortigiani<br />

e gli ideali cavallereschi di tipo arturico. Ora, però, a noi interessa la figura<br />

del re più che quella del cronista. A tal proposito, prezioso è il passaggio della<br />

sfida di Bordeaux, 158 durante il quale, scrive Martí de Riquer, «Pere el Gran<br />

obrà sota la inspiració de la novel·la cavalleresca, que volgué reviure com qui<br />

es llença a una bella aventura»; e inoltre: «En aquestes pàgines no és el cronista<br />

el qui rep la influència de la literatura, sino el seu protagonista que actua<br />

literàriament». 159 È tuttavia necessario aggiungere anche un altro aspetto, direttamente<br />

collegato agli studi locali. Nella cronaca di Desclot troviamo un riferi-<br />

153 M. de MONTOLIU, Sobre els elements èpics, principalment arturians, de la crònica de Jaume I,<br />

Homenaje a Menéndez Pidal, I, Madrid 1924, p. 709.<br />

154 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., pp. 416-418.<br />

155 La introducció de les llegendes èpiques franceses a Catalunya, inColoquios de Roncesvalles,<br />

Agosto 1955, Zaragoza 1956, pp. 133-150, ora in Obres de Miquel Coll i Alentorn. IV.<br />

Llegendari, 1993, pp. 136-151: il riferimento a Vivià si trova alle pp. 140-141; e la tavola<br />

onomastica corrispondente, in cui è documentato a partire dal 927, nell’Appendice IX, p. 149.<br />

156 Si veda l’edizione curata da M. DE RIQUER, Los cantares de gesta franceses, Madrid 1952, p. 359 ss.<br />

157 Si veda in particolare l’articolo di M. COLL I ALENTORN, Notes per a l’estudi de la influència de<br />

le cançons de gesta franceses damunt de la Crònica de Bernat Desclot, in «Estudis Universitaris<br />

Catalans», XII (1927), pp. 46-58, ora in Obres de Miquel Coll i Alentorn cit., pp. 182-192; e,<br />

per quanto concerne le prosificazioni in generale, tutto l’insieme di articoli raccolti nella seconda<br />

parte del libro di F. SOLDEVILA, Cronistes, joglars i poetes, a cura di J. MOLAS eJ.<br />

MASSOT I MUNTANER, Barcelona 1996, pp. 211-368.<br />

158 Lo ha studiato in particolare F. SOLDEVILA, Pere II el Gran: el desafiament amb Carles d’Anjou,<br />

in «Estudis Universitaris Catalans», VI (1915-1916).<br />

159 M. DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., I, p. 435. Per le questioni legate allo<br />

spirito cavalleresco del re, si vedano anche le pp. 415-418 e 434-437.<br />

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48<br />

mento – l’unico – all’isola di Sardegna, di cui abbiamo già parlato: il capitolo<br />

104 narra lo sbarco del re Pietro il Grande a Capoterra durante la traversata del<br />

maggio del 1283, che doveva portarlo dalla Sicilia a Bordeaux per presentarsi il 1<br />

giugno alla sfida con Carlo d’Angiò. Vorremmo sottolineare il coraggio del sovrano,<br />

che aveva esclamato, nel vedersi fermo in mezzo al mare, che «per res que jo<br />

pusca fer romandrà que jo no sia al jorn de la batalla»; cosicché egli abbandonò la<br />

flotta e, praticamente senza scorta sufficiente, andò avanti per affrontare i pericoli<br />

che lo aspettavano vicino alla costa sarda, «plena de llenys armats de males gents».<br />

Come se si fosse già inserito nel contesto cerimoniale del duello, Pietro il Grande<br />

imitò il già ricordato eroe carolingio Vivian, il quale aveva giurato di non indietreggiare<br />

mai, ma non solo, egli ricorda altresì un modello ancora più elevato,<br />

quello di suo padre Giacomo il Conquistatore, colui che aveva pronunciato un<br />

giuramento analogo davanti alle porte di Maiorca. Ora, re Pietro, di fronte al<br />

pericolo dei pirati, preferiva il rischio di un «colp mortal» piuttosto che la vergogna<br />

di vedersi bloccato da un semplice mutamento di vento.<br />

Per quanto concerne quest’argomento, vogliamo ora evitare di proporre altri<br />

esempi e ricordare che le cronache, come è ovvio, costituiscono testi di lettura<br />

obbligata all’interno della famiglia reale. Per limitarci al Libre dels feyts di Giacomo<br />

il Conquistatore, dobbiamo sottolineare che il nipote Giacomo il Giusto commissionò<br />

al domenicano Pere Marsili la redazione di un Liber gestarum (1313),<br />

scritto partendo dalle narrazioni in lingua volgare custodite presso gli archivi regi.<br />

Venti anni dopo Alfonso il Benigno richiese a sua sorella Maria «el libro del<br />

senyor rey don Jayme, nuestro besavuelo», libro che l’infanta avrebbe letto in<br />

catalano e non in latino. 160 Pietro il Cerimonioso, verso la fine del secolo, scriverà<br />

ancora che una domenica notte, «a hora de prim so, nós encara no érem gitats e<br />

legíem lo libre o crònica del senyor rei En Jacme, tresavi nostre». 161<br />

Re Giovanni, particolarmente appassionato delle lettere, si era formato in<br />

un contesto dinastico ben deciso a perpetuare il ricordo della gloria cavalleresca<br />

degli antenati della casata d’Aragona, i quali seguivano modi guerreschi<br />

veicolati dalle chansons de geste francesi e occitane e dai romanzi del ciclo di<br />

re Artù. Infatti, troviamo questo re leggendario con alcuni dei suoi uomini nei<br />

versi dell’Ensenhamen di Guerau de Cabrera, durante il regno di Alfonso il<br />

Casto (1162-1196), «aquel que trobet»; a metà del XIII secolo Cerverí de Girona<br />

citerà «Lansalot e Tristany / Perseval e Juani / Rotlan e Oliver»; all’inizio del<br />

XIV secolo, Ramon Muntaner nella sua cronaca ricorderà sia re Artù che<br />

160 Ivi, p. 398.<br />

161 Cap. III, § 193.<br />

Joan Armangué i Herrero


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

Lancillotto del Lago – oltre ad altri eroi del ciclo bretone. Inoltre, conosciamo<br />

frammenti di traduzioni catalane del Lancelot e del Tristany, e la versione completa<br />

della Queste del Saint Graal, pervenutaci in un manoscritto del 1380.<br />

Poco prima Guillem de Torroella aveva scritto La faula, che localizzava il re<br />

Artù nell’isola di Sicilia.<br />

Non pretendiamo, sia chiaro, di approfondire lo studio della materia di<br />

Bretagna all’interno della letteratura catalana. 162 Ci siamo limitati ad accompagnare<br />

il lettore dai primi riferimenti fatti a Lancillotto del Lago nella nostra<br />

letteratura, a metà del XII secolo, per arrivare fino ad alcune citazioni più prossime<br />

al regno di Giovanni I. Fatto ciò, ora converrà forse ricordare che, secondo<br />

la leggenda arturica, Lancillotto, dopo la conquista del castello di Douloureuse<br />

Garde, cambiò il nome della fortezza in Joyeuse Garde e vi si ritirò a vivere con<br />

l’amata Ginevra.<br />

È chiaro che la coincidenza tra il nome del castello di Villamassargia e quello<br />

di Lancillotto non è casuale. Condizionati dalla moda del periodo, i colonizzatori<br />

pisani del territorio dovettero scegliere un nome carico di connotazioni<br />

letterarie, in una data circoscrivibile tra la fine del Giudicato di Calari, il 1258,<br />

e il 1324, anno della conquista di Villamassargia da parte dei catalani. 163<br />

Pochi mesi prima Gioiosa Guardia era entrato a far parte dell’inventario dei<br />

castelli rintracciabili nella documentazione catalana: in una lettera indirizzata a<br />

Giacomo II, datata 18 giugno 1323, il mal consigliato infante Alfonso informava<br />

il re sull’opportunità di attaccare Villa di Chiesa per far capitolare, contemporaneamente,<br />

gli altri possedimenti pisani nell’isola: Castel di Castro, Terranova<br />

(Olbia), Acquafredda e Gioiosa Guardia. Durante l’assedio di Villa di Chiesa, i<br />

Doria, i Malaspina e gli ambasciatori della città di Sassari si rivolsero al re per<br />

162 Per quanto concerne la stesura dellla parte precedente abbiamo seguito in particolare F. SOLDEVILA,<br />

La llegenda arturiana en la nostra literatura, «<strong>Revista</strong> de Catalunya», V (1926), pp. 593-602,<br />

ora in Cronistes, joglars i poetes cit., pp. 25-36. Con il suo articolo, Soldevila presentava ai<br />

lettori catalani il libro di W.J. ENTWISTLE, The Arturian Legend in the literatures of the Spanish<br />

Peninsula, London-Toronto 1925, che dedicava un intero capitolo, il quinto, allo studio della<br />

tematica arturica in Catalogna. Si veda anche R. ARAMON I SERRA, El ‘Tristany’català d’Andorra,<br />

in Estudis de llengua i literatura, Barcelona 1997, pp. 413-429.<br />

163 Nonostante tutto, non ci sono indicazioni sicure che dimostrino che il castello di Gioiosa Guardia<br />

fu edificato durante il periodo pisano; le sue origini, allora, potrebbero risalire all’epoca giudicale<br />

(prima del 1258), sebbene la sua ubicazione sembra rispondere alla nuova divisione territoriale<br />

tra i diversi membri della famiglia Gherardesca, conti di Donoratico, che, dopo la caduta del<br />

Giudicato di Calari, dovevano difendersi dalle mire espansionistiche del Giudicato d’Arborea.<br />

Per quanto concerne la storia di questo castello e di tutte le fortezze in mano ai pisani al momento<br />

della conquista, si veda R. CARTA RASPI, Castelli medioevali di Sardegna, Cagliari 1933; e F.C.<br />

CASULA, Castelli e fortezze, inAtlante della Sardegna, fasc. II, Roma 1980.<br />

49


50<br />

presentargli l’atto di vassallaggio che egli pretendeva. Nella Cronaca di Pietro<br />

il Cerimonioso questo momento viene narrato con le seguenti parole:<br />

E no fon loch en tota la illa que no·l obeysen, salvant los lochs que·l Comú de Pisa<br />

havia establits, es a saber Castell de Caller, Vila d’Esgleyes, lo castell d’Ayguafrida,<br />

lo castell de Joyosa Guarda, lo castell de Ergulloso, lo castell Ullastre, lo castell de<br />

Quirra, lo castell Patres e Terranova. 164<br />

Le cose, però, risultarono molto più complicate. Ciò nonostante, Ranieri<br />

della Gherardesca, il 13 febbraio del 1324, vedeva sfilare le truppe catalanoaragonesi<br />

ai piedi del castello di Gioiosa Guardia, verso la conquista di Cagliari.<br />

165 Il 6 giugno 1327 l’infante Alfonso donerà il territorio di Villamassargia a<br />

sua moglie Teresa d’Entença, alla cui morte, avvenuta il 28 ottobre 1327, le sue<br />

proprietà torneranno nuovamente a formare parte del patrimonio regio. 166 Il<br />

possesso più o meno pacifico di Gioiosa Guardia entrerà in crisi nel 1391, data<br />

in cui i catalani si videro obbligati a restituire il castello ai sardi d’Arborea.<br />

Nonostante tutto, Gioiosa Guardia era entrato a far parte del patrimonio<br />

letterario catalano. Jaume March, nel 1371, ne cita il nome in un lungo poema<br />

pervenutoci in maniera frammentaria e senza titolo, ma conosciuto precisamente<br />

come La Joyosa Garda per i suoi riferimenti al castello di Lancillotto del<br />

Lago. 167 Il legame di questo poema con la letteratura d’origine oltrepirenaica è<br />

stato più volte sottolineato. Jaume Massó, per esempio, scrive che «de<br />

l’ascendència francesa del poema no cal dubtarne un moment: La Joyosa Garda<br />

no es retroba sinó en obres franceses». Uno dei riferimenti al nostro castello<br />

appare nella datazione di una finta lettera scritta dal re d’Amor:<br />

Als fels e molts amats<br />

Gentil enamorats<br />

E s a dones grasides<br />

De grans bondats complides<br />

E donzelles humils<br />

Que s en l’Orde jentils<br />

D’Amor ésser volran;<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

164 Cap. I, § 18. Citiamo dall’edizione di G. MELONI, L’Italia medioevale nella Cronaca di Pietro<br />

IV d’Aragona cit., p. 42.<br />

165 F.C. CASULA, La Sardegna aragonese cit., I, p. 159.<br />

166 Ivi, I, p. 337.<br />

167 La citazione è tratta dall’edizione parziale curata da J. MASSÓ TORRENTS, Repertori de l’antiga<br />

literatura cit., pp. 528-53<strong>1.</strong> Massó propone il titolo di ‘La ciutat d’Amor’, e critica quello di<br />

‘La Joyosa Garda’, che era stato allora proposto da A. PAGÈS nella sua edizione del poema, in<br />

Poésies provenço-catalanes inédites du Manuscrit Aguiló, «Romania», LIV, 1928, pp. 229-<br />

238.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

Saluts ab honor gran,<br />

De mi lo Rey d’Amor.<br />

[…]<br />

Dada en lo loch gay<br />

De la Joyosa Garda,<br />

Lo jorn qui plus de tarda<br />

D’agost a l’eximén<br />

En l’any del nexemén<br />

Mil e ccc. LXX.<br />

In seguito il protagonista del poema – cioè lo stesso Jaume March – si rivolge<br />

al re d’Amor e ne reclama la presenza nella città che deve fondare:<br />

E donchs, Senyor molt car,<br />

Fassets-me breu resposta,<br />

Car m’arma és disposta<br />

A far vostre voler.<br />

Déus prech que·us lax veser<br />

En breu, que molt me tarda,<br />

Dins la Joyosa-Guarda.<br />

Oltre a questo poema, sappiamo che i testi di tematica bretone erano letture<br />

abituali nella famiglia reale catalana. Restando nell’ambito cronologico analizzato,<br />

citiamo la lettera di Giovanni I a sua moglie, nella quale spiegava che<br />

«ahir, cercants nostres llibres, ne trobam dos entre los altres, escrits abdós en<br />

francès: la un és del rey Meliadux e del bon cavaller sense pahor, e de Gurm lo<br />

cortès, e de Donahi lo ros ab d’altres cavallers molts; l’altre és de Tristany,<br />

historiat». 168 In un’altra occasione, Pietro il Cerimonioso chiese a suo figlio,<br />

l’infante Giovanni, quel Lancelot «escrit en llengua catalana» che leggeva quando<br />

era a Barcellona. Molto più interessante è un’altra lettera scritta nel 1379 dall’infante<br />

Giovanni al visconte di Roda, Ramon de Perellós, per informarlo d’esser<br />

stato nella sua casa di Perpignano, dove aveva trovato un «Lançalot en<br />

francès», e ammirato «per sa bellea havem-lo-us pres e retengut».<br />

Diventato re nel 1387, Giovanni I si volle interessare alla questione sarda e<br />

riprese le corti generali di Montsó, inaugurate il 12 giugno 1383 e ripetutamente<br />

aggiornate. Nel 1388 furono presentate nove lettere nelle quali si preannunciavano<br />

altre rivolte nell’isola. Solo la liberazione di Brancaleone Doria, il primo gennaio<br />

1390, consentì una breve tregua, rotta a partire dal primo aprile 1391 con la<br />

riconquista da parte arborense di tutti i territori ceduti pochi anni prima.<br />

168 Seguiamo la citazione di F. SOLDEVILA, La llegenda arturiana en la nostra literatura cit., p. 34,<br />

in cui l’autore rivede la documentazione raccolta da A. RUBIÓ I LLUCH, Documents per a la<br />

història de la cultura catalana mig-eval cit.<br />

51


52<br />

Giovanni I, allarmato da questi avvenimenti, decise d’intervenire intraprendendo<br />

un’intensa campagna di reclutamento di uomini e denaro per allestire una<br />

flotta che egli stesso s’impegnava a condurre. Per difficoltà economiche, però,<br />

la campagna fu inizialmente rimandata 169 e la flotta deviata in seguito verso la<br />

Sicilia, dove i catalani vivevano una situazione drammatica. 170 Conosciamo i<br />

nomi di molti dei cavalieri che erano stati convocati per la spedizione sarda. 171<br />

Tra questi vogliamo menzionare i poeti Gilabert de Próxita, di lignaggio<br />

leggendariamente eroico, Pere de Queralt, nel cui inventario dei libri risultano<br />

versioni del Lancelot e del Tristany, e il già menzionato Ramon de Perellós, il<br />

vecchio proprietario del «Lançalot en francès» portato via da Giovanni I.<br />

La flotta catalano-aragonese in rotta verso la Sicilia fece scalo a Cagliari durante<br />

l’inverno del 1392. Il castello di Gioiosa Guardia era già caduto in mano al<br />

nemico e quindi la nazione catalana si era macchiata d’infamia – ripetiamo parafrasando<br />

Giovanni I –, in quanto con il castello – un castello che il re conosceva<br />

soltanto di nome 172 – si era perso soprattutto l’orgoglio, l’onore cavalleresco che<br />

Lancillotto aveva lasciato in eredità ai re della dinastia di Barcellona.<br />

9. Ramon Llull nella Biblioteca Universitaria di Cagliari *<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

La Biblioteca Universitaria di Cagliari 173 conserva l’Ars generalis ultima,un<br />

manoscritto di Ramon Llull descritto in questo modo dalla scheda relativa al<br />

microfilm: «Ms. cartaceo sec. XIV, mm. 215 x 145, cc. 245 (bianche le cc. 1, 3-<br />

169 Ha studiato i documenti conservati presso l’Arxiu Municipal de València relativi a questa spedizione<br />

e alla sua mancata attuazione A. DÍAZ BORRÁS, El corso genovés y Valencia en la defensa<br />

catalana de Cerdeña durante el siglo XIV, inAtti del XIV Congresso di Storia della Corona<br />

d’Aragona cit., II, t. I, pp. 402-415; si riferiscono al regno di Giovanni I le pp. 411-413.<br />

170 Secondo C. BATLLE (L’expansió baixmedieval cit., pp. 188-189), quella siciliana «fou una<br />

revolta dominada amb grans dificultats i que va perjudicar Sardenya, on d’antuvi es pensava<br />

dirigir l’estol. […] Entre la seva indecisió [de Joan I] i la manca de diners, o la malversació de<br />

sumes per la camarilla, l’expedició no es realitzà, però les naus ja armades foren les destinades<br />

a ajudar els reis de Sicília».<br />

171 Si veda l’elenco nell’articolo di F. GIUNTA, La presenza catalano-aragonese in Sicilia, inAtti<br />

del XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona, I,p.99.<br />

172 Un nome, però, carico di connotazioni leggendarie, come dimostra il gioco di parole dell’anonimo<br />

scrivano al quale dobbiamo questa frase: «En la curatoria de Sigero ha lo senyor Rey un altre castell,<br />

appellat castell de Joyosa Guàrdia, lo qual és propi del senyor Rey e per aquell se guarda».<br />

* Esiste una versione catalana di questo articolo: Ramon Llull a la Biblioteca Universitària de<br />

Càller, «Frate Francesco», 68, nuova serie (novembre 2002), n. 2, pp. 377-380.<br />

173 Per la descrizione delle edizioni lulliane della Biblioteca Universitaria di Cagliari, rimandiamo<br />

il lettore al Catalogo degli antichi fondi spagnoli della Biblioteca Universitari di Cagliari, I:<br />

M. ROMERO FRÍAS, Gli incunaboli e le stampe cinquecentesche, Pisa 1982; e II: O. GABBRIELLI,<br />

Le stampe secentesche, Pisa 1984.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

5, 239-245)». 174 Come leggiamo nel foglio 6, quest’esemplare appartenne, tra<br />

il 1735 e il 1737, al «Marchese di Rivarolo», viceré della Sardegna piemontese.<br />

Non sappiamo attraverso quale canale questo manoscritto poté entrare a<br />

far parte dell’attuale fondo. Certo è, però, che in concomitanza con la<br />

rifondazione dell’Università di Cagliari, nel 1764, venne ampliata la Biblioteca<br />

Universitaria, che si arricchì, tra l’altro, delle donazioni di libri provenienti<br />

dalla Biblioteca reale. 175<br />

Eduardo Toda incluse quest’opera nella sua Bibliografía española de Cerdeña,<br />

dove leggiamo: «No ofrece este manuscrito diferencia notable alguna con la edición<br />

impresa del libro hecha en Palma de Mallorca por Guasp en 1645». 176 Toda fa<br />

riferimento all’edizione citata con il numero 219 nella Bibliografia de les<br />

impressions lul·lianes di Rogent-Duran: Ars generalis ultima venerabilis magistri,<br />

ac doctoris illuminati Raymundi Lulli maioricensis, con il commento di Francesc<br />

Marçal. Piuttosto che un’impossibile relazione di dipendenza, con quell’espressione<br />

il diplomatico di Reus volle sottolineare lo scarso interesse del manoscritto,<br />

il cui contenuto egli stesso poté comparare con l’edizione maiorchina del 1645<br />

custodita presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari. 177<br />

Quasi quarant’anni più tardi, Eduard Toda, nella sua Bibliografia espanyola<br />

d’Itàlia, citò nuovamente il trattato lulliano per descrivere la prima edizione<br />

dell’Ars generalis ultima – e prima edizione lulliana in assoluto –, pubblicata a<br />

Venezia nel 1480. 178 Facendo riferimento a questo testo, Toda sottolinea che:<br />

«Aquesta Ars generalis ultima fou comensada a Lyó de Fransa l’any 1305 y<br />

acabada al monastir de la Real de Mallorca»; 179 secondo Elies Rogent e Estanislau<br />

174 Biblioteca Universitaria di Cagliari, ms. 131, microfilm positivo 754 e 34. All’interno della<br />

coperta si può leggere una collocazione antica: 5.6.29.<br />

175 S. LIPPI, La libreria di Monserrato Rossellò, giuresconsulto e bibliografo sardo del sec. XVI,<br />

Cagliari 1897, pp. 3-4.<br />

176 E. TODA Y GÜELL, Bibliografía española de Cerdeña, Madrid 1890 [ristampa Milano 1979], n.<br />

726.<br />

177 E. ROGENT-E. DURAN, Bibliografía de les impressions lul·lianes, Barcelona 1927, n. 219, pp.<br />

184-185; Catalogo degli antichi fondi spagnoli, II, n. <strong>1.</strong>067, p. 302; collocazione nella Biblioteca<br />

Universitaria di Cagliari (in seguito BUC), Sal. <strong>1.</strong>714.<br />

178 E. TODA Y GÜELL, Bibliografía espanyola d’Italia, II, Castell de Sant Miquel d’Escornalbou<br />

1928, n. 2.998, pp. 502-503.<br />

179 Nel descrivere l’Art breu (n. 3.000), Toda rimanda alla Bibliografia di E. Rogent e E. Duran,<br />

dimostrando in tal modo di conoscere l’opera, pubblicata appena un anno prima. E, infatti,<br />

commentando l’Ars generalis ultima, scrive che «s’ha comés l’error de pendre la paraula petione<br />

del colofó com cognom del impressor Felip, quan lo text diu clarament que’l llibre fou estampat<br />

per Mestre Felip a petició de Mestre Joan de Córdoba »; in tale errore erano incorsi E. Rogent<br />

e E. Duran, che attribuiscono l’edizione del 1480 a «Felip Petio», trasformando in cognome<br />

l’espressione latina «petione».<br />

53


54<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Duran, invece, «fou començada a Lió l’any 1305, i acabada a Pisa, al monestir<br />

de Sant Donnino, l’any 1308»; 180 però nel colophon del manoscritto della Biblioteca<br />

Universitaria di Cagliari si legge chiaramente che l’Ars fu terminata «in<br />

civitate Pisana in monasterio sancti Dominici». 181 Ci disorienta 182 la lettura di un<br />

«Donnini» in luogo di «Dominici», a opera di Rogent e Estanislau Duran.<br />

Pur rendendoci conto della necessità di condurre uno studio approfondito su<br />

questo manoscritto, crediamo che per il momento potremmo collocarlo nel gruppo<br />

che Francesco Santi definisce con le seguenti parole: «Abbiamo dunque una<br />

prima fase cronologica [del lullismo nel nord della penisola italiana], che va dal<br />

1320 al 1380 circa: è il lullismo dei tempi difficili, dei codici cartacei spesso<br />

senza filigrana; dei codici composti da mani non abituate alla scrittura, dei codici<br />

che non rivelano né l’identità dei copisti né quella dei più antichi possessori». 183<br />

Prima di trovare in Sardegna nuovi riferimenti a Ramon Llull dobbiamo<br />

attendere il XVI secolo. Infatti, presso la già citata Biblioteca Universitaria di<br />

Cagliari è conservato un esemplare della Disputationem quam dicunt Remondi<br />

Christiani et Homerii sarraceni, pubblicato a Venezia nel 1510. 184 Quest’esemplare<br />

appartenne al giureconsulto sardo-catalano Montserrat Rosselló 185 – figlio<br />

di un maiorchino stabilitosi in Sardegna durante la prima metà del XVI secolo,<br />

giudice della Reale Udienza dal 1593 e poco dopo Visitatore Generale dell’isola.<br />

Nel corso della sua vita Montserrat Rosselló giunse a costituire una biblioteca<br />

di circa 5.000 titoli, il cui nucleo principale era costituito da quella di Nicolau<br />

Canyelles, 186 tipografo e vescovo di Bosa, morto a Cagliari nel 1585. Rosselló<br />

180 E. ROGENT-E. DURAN, Bibliografía cit., n. 1, p. <strong>1.</strong><br />

181 F. 238v.<br />

182 E ancora più se consideriamo che due pagine più avanti, nel descrivere l’Art breu (n. 3, p. 3),<br />

leggiamo che «finiuit Raymundus Lull hunc librum Pisis in monasterio santi dominici».<br />

183 F. SANTI, Osservazioni sul manoscritto 1001 della Biblioteca Riccardina di Firenze, per la<br />

storia del lullismo nelle regioni meridionali dell’Impero nel secolo XIV, «Arxiu de Textos Catalans<br />

Antics», 5 (1986), p. 236 (l’articolo si trova alle pp. 231-267).<br />

184 E. ROGENT-E. DURAN, Bibliografía cit., n. 42, pp. 40-42; Catalogo degli antichi fondi spagnoli,<br />

I: «Secolo XVI», 608, p. 201; BUC, R.II.3.<br />

185 Esiste un’ottima descrizione della sua biblioteca, che contiene la trascrizione dell’inventario: E.<br />

CADONI-M.T. LANERI, Umanisti e cultura classica nella Sardegna del ‘500. 3: L’inventario dei<br />

beni e dei libri di Monserrat Rosselló, 2 voll., Sassari 1994. Si veda anche S. LIPPI, La libreria di<br />

Monserrato Rossellò, giuresconsulto e bibliografo sardo del sec. XVI, Cagliari 1897; e L. BALSA-<br />

MO, I primordi dell’arte tipografica a Cagliari, «La Bibliofilia», LXIV (1964), pp. 22-30.<br />

186 Pietro Martini volle considerare Nicolau Canyelles come colui che introdusse la tipografia in Sardegna,<br />

seguendo una tradizione iniziata da Francisco Vico, nel XVII secolo, e confermata nel XIX da<br />

Faustino C. Baille, autore delle Vicende tipografiche di Sardegna (1801), e da Giovanni Spano, al<br />

quale si deve la prima biografia del tipografo, Notizie documentate intorno a Nicolò Canelles della<br />

città di Iglesias, primo introduttore dell’arte tipografica in Sardegna, Cagliari 1866.


FORME DI CULTURA CATALANA NELLA SARDEGNA MEDIOEVALE<br />

venne in possesso di una parte del suo fondo di 3.000 libri. In seguito, grazie<br />

alla sua carica di Visitatore dell’isola, egli continuò a collezionare libri rari.<br />

Dopo la sua morte, avvenuta a Cagliari nel 1613, la sua biblioteca passò al<br />

collegio gesuitico di Santa Croce. Nel 1773, con la soppressione dell’ordine, i<br />

fondi provenienti dal suddetto collegio confluirono nella biblioteca della restaurata<br />

Università di Cagliari, dove entrò, dunque, anche la Disputationem.<br />

Proseguendo il discorso relativo al secolo XVI, è doveroso segnalare che<br />

Rogent e Duran ricordano un altro riferimento alla Sardegna da parte di uno dei<br />

lullisti maiorchini inclusi nella lunga lista stilata da Joaquim Maria Bover nella<br />

Biblioteca de escritores baleares: ci riferiamo a Antoni Pont (1500-1580), arcivescovo<br />

eletto di Oristano, 187 autore dei Fragmenta de artibus et facultatibus<br />

compilata ex Arbore Scientiae B.M. Raymundi Lullii Majoricensis.<br />

Per il XVII secolo, la Biblioteca Universitaria di Cagliari custodisce un<br />

Desconsuelo del admirable doctor y martyr Ramon Lull; 188 un esemplare della<br />

terza delle quattro edizioni della raccolta Opera ea quae ad adinventam ab ipso<br />

artem universalem pertinent, pubblicata a Strasburgo nel 1617. 189 Ancora, troviamo<br />

le edizioni degli anni 1633 e 1652 della Clavis artis lullianae et verae<br />

logices di Johann Heinrich Alsted, la cui prima edizione era stata pubblicata<br />

anche a Strasburgo nel 1609; 190 inoltre, vi è un’edizione maiorchina del 1645<br />

dell’Ars generalis ultima. Di essa abbiamo già parlato.<br />

187 E. ROGENT-E. DURAN, Bibliografía cit., p. 378.<br />

188 E. ROGENT-E. DURAN, Bibliografía cit., n. 158, pp 133-135; Catalogo degli antichi fondi spagnoli<br />

cit., II, n. 1064, p. 302; BUC, Gall. 25.3.103.<br />

189 E. ROGENT-E. DURAN, Bibliografía cit., n. 180, pp. 155-157; Catalogo degli antichi fondi spagnoli<br />

cit., II, n. <strong>1.</strong>066, p. 302; BUC, Gall. 5.6.76 e S.G. <strong>1.</strong>3.11/I (2 esemplari).<br />

190 E. ROGENT-E. DURAN, Bibliografía cit., n. 207, p. 175, e n. 234, pp. 195-196; Catalogo degli<br />

antichi fondi spagnoli cit., II, n. <strong>1.</strong>065, p. 302 (contiene solo l’esemplare della BUC, S.G.<br />

3.4.53-54).<br />

55


LES CIUTATS REIALS EN ELS PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS<br />

CATALANES DURANT EL REGNAT D’ALFONS EL MAGNÀNIM *<br />

Esther Martí Sentañes<br />

Universitat de Lleida<br />

Introducció<br />

Els estudis tant sobre Corts catalanes com Parlaments sards són abundants, i val<br />

a dir que darrerament s’han dedicat a aquest camp diversos projectes i congressos<br />

amb l’objectiu principal d’actualitzar els primitius treballs. 1 No obstant això, ha<br />

estat en els darrers anys que ha sorgit l’interès de relacionar la documentació<br />

generada per aquestes assemblees representatives amb el món urbà, ocupant-hi<br />

un lloc rellevant l’organització i gestió del braç reial, fet que porta a parlar de<br />

les relacions entre Parlaments, ciutats i monarquia.<br />

D’altra banda, resulta de gran interès la idea d’un estudi comparat sobre la<br />

presència de les ciutats a les Corts entre els diferents territoris de la Corona<br />

Aragonesa, amb la finalitat de conèixer millor allò que tenien en comú, així com<br />

les diferències, aprofundint d’aquesta manera el coneixement tant sobre les Corts<br />

i els Parlaments com sobre el govern urbà, així com les relacions d’aquest i dels<br />

tres estaments amb el monarca.<br />

Així, doncs, es planteja com un primer pas en aquest estudi una anàlisi comparativa<br />

entre el regne de Sardenya i el Principat de Catalunya, ja que aquests són, a<br />

priori, els dos territoris que disposen d’un estudi complet de la documentació<br />

generada per les assemblees representatives, 2 i on actualment s’estan desenvolupant<br />

estudis que relacionen les Corts i els Parlaments amb les ciutats reials. 3<br />

* Aquest estudi ha estat realitzat amb el suport del Departament d’Universitats, Recerca i Societat<br />

de la Informació de la Generalitat de Catalunya.<br />

1 Pel que fa a Catalunya cal esmentar les «Actes del Congrés d’Història Institucional», Les Corts<br />

a Catalunya, Generalitat de Catalunya, Barcelona 199<strong>1.</strong> Veg. també J.M. SANS TRAVÉ, Dietaris<br />

de la Generalitat de Catalunya, I, Generalitat de Catalunya, Barcelona 1994; i Actes del 53è<br />

Congrés de la Comissió Internacional per a l’estudi de la Història de les Institucions<br />

Representatives i parlamentàries, Barcelona 2005. Per a Sardenya: A. MARONGIU, I Parlamenti<br />

sardi. Studio storico, istituzionale e comparativo, Milano 1979.<br />

2 Cortes de los antiguos Reinos de Aragón y de Valencia y Principado de Cataluña. Cortes de<br />

Cataluña, Real Academia de la Historia, Madrid 1913-1916, XII-XXIII; A. BOSCOLO, I Parlamenti<br />

di Alfonso il Magnanimo (1421-1452), Milano 1953.<br />

3 A. BOSCOLO, Il Braccio Reale nei Parlamenti sardi del periodo aragonese, «Medioevo<br />

Aragonese», CEDAM, Padova 1958, pàgs. 141-147. Projectes de l’ISEM-CNR: grup de recerca<br />

57<br />

INSULA, num. 1 (giugno <strong>2007</strong>) 57-87


58<br />

Esther Martí Sentañes<br />

D’altra banda l’elecció del regnat d’Alfons el Magnànim no és casual, des del<br />

moment que aquests són anys de grans transformacions dins la Corona, un període<br />

de transició vers un estat modern, tal com s’esdevenia a tota Europa. D’altra part,<br />

després del Compromís de Casp, amb l’arribada d’una nova dinastia d’origen<br />

castellà, els Trastàmara, es produeix en certa manera un punt i a part institucional<br />

a la Corona d’Aragó. La nova família reial ha estat elegida, perdent així bona part<br />

de la seva legitimitat dinàstica, cosa que suposa que haurà de lluitar intensament<br />

amb les oligarquies del país per conservar i intentar imposar les seves pretensions.<br />

Si a tot això s’hi afegeix la tendència, cada cop més evident, d’autoritarisme de les<br />

monarquies europees, es troba preparat un recurrent camp de batalla entre el sobirà<br />

i els tres estaments presents a les Corts per no perdre ni un pam del seu respectiu<br />

poder. I és que per al món urbà aquests seran uns anys vitals per a mantenir i<br />

aconseguir de reafirmar la seva capacitat d’autonomia municipal dins del regne –<br />

amb un ritme divers segons el territori analitzat –, essent les Corts el marc idoni<br />

per il·lustrar, a grans trets, la lluita i aliances entre les ciutats reials, el monarca i la<br />

resta d’estaments, amb la finalitat de defensar els respectius interessos.<br />

Un altre aspecte a tenir en compte són les fonts utilitzades per dur a terme<br />

aquesta recerca. Si històricament s’han prioritzat les actes, constitucions i capítols<br />

de cort, així com documentació relacionada com els privilegis i cartes del monarca,<br />

en aquesta recerca prioritzem – sense oblidar aquestes fonts – sèries documentals<br />

sobretot dels arxius municipals que fan referència a les Corts, així com sèries<br />

epistolars creuades entre monarquia, municipi i els tres estaments presents a les<br />

Corts. En el cas català resulten d’extraordinari interès els llibres de consell del<br />

municipi, així com algunes sèries documentals que fan referència explícita a les<br />

Corts, i que contenen en bona mesura memorials i altres disposicions que la ciutat<br />

proporciona als seus síndics o procuradors. Pel que fa a Sardenya, si bé l’estudi<br />

d’aquest tipus documental resulta difícil per la mancança de documentació, la<br />

interrelació de les sèries documentals present en els diversos arxius municipals<br />

amb la més tradicional de les actes dels Parlaments, comparada amb l’experiència<br />

catalana, aporta una nova orientació i noves aportacions als estudis realitzats fins<br />

al moment. Igualment resulta interessant l’estudi de tipus documentals que fan<br />

referència a les famílies del govern municipal que controlen la representació a<br />

Corts, en molts casos durant segles, i comprovar-ne l’evolució en el temps.<br />

CO.DO.RE.SA, per a l’edició de les fonts documentals del regne de Sardenya; i «La Corona<br />

d’Aragona e il Mediterraneo nel basso Medioevo: migrazioni, commerci, rapporti politico-istituzionali<br />

e culturali (Maghreb, Spagna, Portogallo e Penisola italiana)», en col·laboració amb la<br />

Institució Milà i Fontanals del CSIC de Barcelona.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

El braç reial en els Parlaments sards i en les Corts catalanes<br />

Val a dir que les Corts catalanes i els Parlaments sards d’aquest període es basen<br />

en una mateixa estructura i es desenvolupen seguint pràcticament un mateix<br />

cerimonial. Així, doncs, pel que fa a la presència de les ciutats dins del braç<br />

reial a grans trets es reprodueix a Sardenya el mateix funcionament de les Corts<br />

catalanes, exercint les ciutats el seu dret a ser representades per síndics per elles<br />

escollits a les assemblees representatives, dret que ja havien obtingut Càller i<br />

l’Alguer l’any 140<strong>1.</strong> 4<br />

Un altre punt a comparar és la presència del monarca o dels seus representants<br />

dins del regne. Així, a Catalunya, en absència del monarca, ocupa el seu càrrec<br />

el lloctinent, persona d’extrema confiança del rei, especialment designat per ell<br />

mateix. Durant el regnat del Magnànim normalment ocupà aquest espai la seva<br />

esposa, la reina Maria, fins que la substituirà el germà del rei, el futur Joan II. 5 A<br />

Sardenya, on l’absència reial serà encara més flagrant, s’opta per instaurar un<br />

procurador reial per a substituir el monarca. La idea correspon a la voluntat de<br />

centralització de Ferran I, que continuà després el seu fillAlfons, essent un primer<br />

pas vers la unificació administrativa a l’illa, reeixida completament amb la<br />

instauració del virregnat l’any 1418, tot seguint el model implantat a Sicília el<br />

1415. 6 D’aquesta manera el virrei esdevindrà un autèntic poder a l’illa, on té els<br />

mateixos drets que el monarca, durant la seva absència, en el camp de la justícia,<br />

militar i política, restant sotmesos a ell tots els habitants de l’illa, feudataris i<br />

ciutats reials compresos. 7<br />

Un altre aspecte a tenir en compte és la situació en què es trobava el país a<br />

l’inici del regnat d’Alfons el Magnànim. Així, doncs, a diferència de Catalunya,<br />

quan aquest arribà al poder l’any 1416, Sardenya no havia estat encara del tot<br />

pacificada. Si bé el sud de l’illa restava fidel, i Oristany, centre de l’autèntica<br />

resistència antiaragonesa, havia capitulat des de feia uns anys, 8 restava encara la<br />

zona nord per controlar, capitanejada per Guillem III. Fou gràcies a les<br />

negociacions i acords que signà el Magnànim el 1420 que s’aconseguí pacificar<br />

4 A. MARONGIU, Le istituzioni rappresentative della Sardegna, dins «Acta Curiarum Regni Sardiniae.<br />

Istituzioni rappresentative nella Sardegna Medioevale e Moderna. Atti del Seminario di Studi»,<br />

Consiglio Regionale della Sardegna, Cagliari 1984, pàg. 39.<br />

5 J. VICENS VIVES, Els Trastàmares. El segle XV, Barcelona 1969, pàgs. 104-110.<br />

6 F.C. CASULA, La Sardegna aragonese, II: La nazione sarda, Sassari 1990, pàgs. 580, 626.<br />

7 G. OLLA REPETTTO, L’amministrazione regia, dins J. CARBONELL-F. MANCONI (a cura de), Els<br />

catalans a Sardenya, Cinisello Balsamo 1984, pàg. 49.<br />

8 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo, «Acta Curiarum Regni Sardiniae», Cagliari<br />

1991, pàgs. 3-5.<br />

59


60<br />

Esther Martí Sentañes<br />

finalment aquesta zona. 9 No obstant això, la submissió total no era completa i en<br />

contrades d’influència genovesa la possibilitat de rebel·lió era sempre present. 10<br />

El monarca no volia embarcar-se en noves empreses bèl·liques i jugà totes les<br />

seves cartes en una perspicaç política, a la qual respon la convocatòria del Parlament<br />

de 1421, amb l’esperança d’imposar el seu poder i reorganitzar l’illa després de<br />

les contínues guerres i cicles de pestilència precedents. 11 Evidentment, aquesta<br />

situació geopolítica netament diferenciada ajuda a explicar en bona mesura la<br />

gran disparitat entre el nombre de Corts convocades durant el mateix període al<br />

Principat de Catalunya i a Sardenya. Si entre 1416 i 1458 a Catalunya es convocaren<br />

dos Parlaments i dotze Corts, 12 a Sardenya es convocaren només el Parlament<br />

anteriorment esmentat de 1421 i les reunions del braç militar de 1446 i 1452, fet<br />

que en dificulta en bona mesura una anàlisi comparada.<br />

D’altra banda, els inicis de la història parlamentària sarda són recents i es<br />

remunten a l’anterior Parlament, el de 1355, convocat per Pere el Cerimoniós,<br />

que s’inspirava en el model del sistema parlamentari català. De fet, el Magnànim<br />

voldrà seguir en bona mesura aquest mateix model en el segon Parlament<br />

convocat a l’illa, el primer del seu regnat, reproduint-hi el cerimonial de la<br />

celebració de Corts catalanes. Així, s’estructuraren les sessions parlamentàries<br />

en tres braços o estaments, el militar, l’eclesiàstic i el reial, format aquest darrer<br />

pels representants de les ciutats que pertanyien al rei.<br />

Endinsant-nos en l’estructura del braç reial, es fa notòriament palesa una<br />

diferència entre el Parlament sard i les Corts catalanes: la força o poder de<br />

decisió que pot exercir sobre el monarca, tot fent-se evident en el cas sard una<br />

mancança de tradició parlamentària. Per al mateix període, les Corts convocades<br />

a Barcelona i Tortosa de 1421-1423 esdevenen un fort contratemps per a la<br />

política monàrquica, prenent els tres braços una força considerable en la demanda<br />

de reparació de greuges, en una clara escenificació de la tradició pactista<br />

catalana. 13 No obstant això, val a dir que tot i que el Parlament de 1421 fou<br />

sobretot una demostració de la força que havia obtingut a l’illa l’estament militar,<br />

que en sortí encara majorment consolidat, 14 no s’ha de subestimar la força<br />

9 F.C. CASULA, La storia di Sardegna, Carlo Delfino, Sassari 1998, pàg. 435.<br />

10 P. TOLA, Codice Diplomatico della Sardegna, II, Carlo Delfino, Sassari 1985, pàg. 60; L.<br />

D’ARIENZO, Documenti sui Visconti di Narbona e la Sardegna, Padova 1977, vol. I, pàgs. 124-<br />

125, vol. II, pàgs. 11-28.<br />

11 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàgs. 5-7.<br />

12 A. UDINA, El Braç Reial a les Corts Catalanes durant el regnat del Magnànim, dins XVII<br />

Congrés d’Història de la Corona d’Aragó, Barcelona-Lleida 2000, III, pàgs. 1013-102<strong>1.</strong><br />

13 J. VICENS VIVES, Els Trastàmares cit., pàgs. 113-116.<br />

14 F.C. CASULA, La Sardegna aragonese cit., pàgs. 634-635.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

de les ciutats reials com a un dels factors determinants que indueixen al Magnànim<br />

a convocar-lo. 15<br />

Per un altre costat cal tenir present, en relació amb el punt anterior, que<br />

respecte a aquest període el paper polític i econòmic que juguen les ciutats dins<br />

del territori és en bona mesura divers a Catalunya i Sardenya.Així, cal no oblidar<br />

la voluntat dels monarques aragonesos d’enfortir el paper de les ciutats reials<br />

sardes enfront del paper de la noblesa, com una manera d’intensificar el model<br />

monàrquic, de forma semblant al que havia succeït inicialment a Catalunya. És<br />

en aquesta línia que cal entendre el paper estratègic que jugaren a Sardenya les<br />

ciutats reials, que seran dotades per part de la monarquia d’un important pes<br />

polític en la conquesta i consolidació de l’illa com a regne, en el qual són<br />

fonamentals les repoblacions catalanoaragoneses, algunes de flagrants com la<br />

de l’Alguer o Càller, i altres de més discretes com la de Sàsser i Esglésies. 16<br />

Contrasta, doncs, aquesta realitat amb la dels territoris catalans de la Corona en<br />

aquest mateix període, on les ciutats, sense deixar d’ésser aliades del rei,<br />

esdevingueren molt sovint un fre per a la política reial, essent les Corts un espai<br />

idoni per comprovar-ho. 17 Aquesta seria una diferència, a priori, del Parlament<br />

convocat a Càller el 1421, on les ciutats convocades no creen grans inconvenients<br />

a la Corona, facilitant l’aprovació del donatiu, amb l’acord dels altres braços.<br />

No obstant això, si bé amb un to discretament més calmat que a les Corts<br />

catalanes, les ciutats aprofitaran l’ocasió per intentar fer valer els seus drets i<br />

obtenir concessions del monarca. Així, per exemple la postura dels síndics<br />

d’Esglésies serà determinant per fer valer la força de la ciutat, demanant la<br />

suspensió de l’assemblea fins que no es tingués en compte el privilegi atorgat<br />

per Pere el Cerimoniós que impedia que la vila pogués deixar de ser part del<br />

patrimoni reial, evitant així que el Magnànim la cedís en feu a Arnau Roger de<br />

Pallars a canvi dels serveis que aquest havia prestat a la Corona. Com a<br />

compensació el rei donà al noble el càrrec de virrei de Sicília. El mateix succeí<br />

amb els síndics de Bosa, que també s’oposaren en virtut del mateix privilegi a<br />

que el monarca concedís la ciutat i el seu territori a Guillem Ramon de Montcada.<br />

En compensació, el Magnànim li donà la baronia de Marmil·la i de Monreale. 18<br />

15 Ibid., pàg. 58<strong>1.</strong><br />

16 A.M. OLIVA-O. SCHENA, Autonomie cittadine e potere regio negli atti dei Parlamenti del Regno<br />

di Sardegna nel Quattrocento, «Archivio Sardo», Roma 2001, pàg. 70.<br />

17 C. BATLLE-J. BUSQUETA, Príncipe y ciudades en la Corona de Aragón en el siglo XV, dins «Principi<br />

e città fine del Medioevo», 6, Pacini, San Miniato, pàgs. 333-355.<br />

18 A. BOSCOLO, Parlamento siciliano e Parlamento sardo. Motivi per una ricerca comune, dins<br />

Antonio Marongiu. Melanges, Università di Palermo 1996, pàgs. 52-53.<br />

61


62<br />

Esther Martí Sentañes<br />

De fet, els Parlaments de 1355 i 1421 havien estat convocats per la conjuntura<br />

del moment i estan lligats a la personalitat del monarca, i caldrà arribar al següent<br />

Parlament de 1481-1485, convocat a Oristany i desenvolupat després a Càller<br />

per preparar una possible defensa d’un atac turc, 19 per poder observar realment<br />

un grau de maduresa en la relació basada en el pacte entre el monarca i els seus<br />

súbdits presents al Parlament. 20 En aquest ordre de coses, en referència a les<br />

ciutats reials sardes, a aquesta maduresa de la pràctica parlamentària al llarg de<br />

més d’un segle cal afegir-hi el seu creixement econòmic ialavegada l’ànsia<br />

autoritària del monarca, evident en les paraules del virrei Ximenes Pérez que<br />

intenta frenar les demandes dels estaments tot amenaçant-los de castigar els<br />

abusos comesos pels feudataris, a la vegada que pretén limitar l’autonomia de<br />

les ciutats. Durant la tardor de 1483 les negociacions per trobar un acord entre<br />

els tres braços pel que fa al donatiu a favor del monarca arriben a posar nerviós<br />

el virrei, que veu com l’assemblea s’allarga. La situació esdevé caòtica quan per<br />

decisió d’una petita junta, com a plena demostració de la manca de tradició<br />

parlamentària, apunta Mattone, es decideix d’anar en ambaixada al rei, de manera<br />

que a Córdova i a Sevilla s’hi realitzaran reunions del Parlament sard. 21<br />

Resulta interessant analitzar tota una sèrie d’aspectes relacionats amb la<br />

presència de les ciutats reials a les Corts i als Parlaments. Així, la documentació<br />

que trobem lligada als síndics municipals enviats a Corts aporta valuoses<br />

informacions sobre la convocatòria de les assemblees representatives, sobretot<br />

a partir de les cartes reials que s’envien al consell de la ciutat, invitant a elegir<br />

síndics i enviar-los tot seguit a les esmentades reunions.Aquest acte protocol·lari<br />

que dóna el tret de sortida a tot un procés de llarga durada (convocatòria,<br />

proposició reial, diferents aspectes relacionats amb la legislació del país,<br />

satisfacció dels greuges i donatiu) es considera com un element clau en la<br />

celebració de les Corts, ja que marca l’inici de totes les activitats que s’hi celebren.<br />

També és un dels elements de més fricció entre el monarca i els tres braços,<br />

perquè si bé al Principat només el rei pot convocar Corts, 22 els tres estaments<br />

intentaran limitar el seu marge d’actuació, obligant el sobirà a convocar-les un<br />

19 A. MARONGIU, Le istituzioni rappresentative della Sardegna cit., pàg. 45.<br />

20 B. ANATRA, Contrappunti sui Parlamenti sardi, «Archivio Sardo del Movimento Operaio Contadino<br />

e autonomistico», 47/49 (1996), pàg. 137.<br />

21 A. MATTONE, I Parlamenti, dins J. CARBONELL-F. MANCONI, Els catalans a Sardenya cit., pàg. 85.<br />

22 Excepcionalment (en cas de guerra o, més habitualment, absència del rei al Principat) s’accepta que les<br />

Corts siguin convocades pel lloctinent general. En els casos estudiats per a Catalunya, les Corts solen<br />

ser convocades per la reina Maria, l’esposa d’Alfons el Magnànim, ja que ell es troba absent, immers en<br />

els seus afers italians; veg. Cortes de los antiguos Reinos de Aragón y de Valencia y Principado de<br />

Cataluña cit., XXI, pàgs. 233-34.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

cop l’any, 23 encara que no sempre fou així. 24 Pel que fa al regne de Sardenya, en<br />

absència del monarca, fet constant fora del Parlament de 1421, serà el virrei qui<br />

tindrà el poder de convocatòria de les Corts, actuant com si fos el mateix monarca<br />

en la seva gestió. 25 En tot cas, la convocatòria de Parlaments i assemblees<br />

representatives ha estat sempre un dels fets polítics amb més interès per al sobirà,<br />

car correspon al monarca decidir i variar la composició de les Corts, d’aquí la<br />

importància de precisar en aquestes convocatòries les categories, i en<br />

conseqüència les persones, a les quals s’havia de fer arribar l’avís. A partir de la<br />

convocatòria, doncs, el rei fa palès el dret, i també l’obligació, per als que han<br />

estat convocats per cadascun dels tres braços, d’elegir els seus representants i<br />

enviar-los a les assemblees amb la major urgència possible. 26<br />

En relació amb el punt anterior resulta automàtic preguntar-se quines ciutats<br />

eren convocades per a cada regne objecte d’anàlisi. Així, doncs, el seu nombre<br />

pot sofrir notables variacions d’unes Corts a unes altres, segons si pertanyen o<br />

no a la Corona, des del moment que és força freqüent que el monarca les vengui<br />

per resoldre deutes o passin a mans d’un altre senyor com a conseqüència de<br />

diversos acords. Al mateix temps s’uneixen noves ciutats al patrimoni reial,<br />

sigui perquè el rei les ha conquerides, sigui com a resultat de pactes amb els<br />

seus feudataris, fet que fa oscil·lar notòriament el total de ciutats reials<br />

representades. Pel que fa al Principat de Catalunya, durant el regnat d’Alfons el<br />

Magnànim s’observa la constància de la presència de les que desenvoluparen<br />

un rol més destacat econòmicament i políticament dins del territori. Així, hi<br />

seran sempre presents Barcelona, Girona, Perpinyà, Lleida i Tortosa, podent<br />

ser-hi presents o no altres nuclis més petits. 27 Pel que fa a Sardenya la situació<br />

canvia notòriament. Així, al primer Parlament, el de 1355, convocat per Pere el<br />

Cerimoniós, a més de Càller, Sàsser, l’Alguer i Esglésies, les ciutats principals,<br />

hi intervingueren moltes ciutats i viles que no seran presents al Parlament de<br />

142<strong>1.</strong> 28 Durant el regnat d’Alfons el Magnànim, el nombre de ciutats i viles<br />

23 O. OLEART, Organització i atribucions de la Cort General, dins Les Corts a Catalunya cit.,<br />

pàgs.16-17.<br />

24 M.A. LADERO, El ejercicio del poder real en la Corona de Aragón: Instituciones e instrumentos de<br />

gobierno (s. XIV-XV), «España Medieval», 7, Universidad Complutense, Madrid 1994, pàgs. 80-8<strong>1.</strong><br />

25 A. MATTONE, I Parlamenti cit., pàg. 86.<br />

26 A. MARONGIU, I Parlamenti sardi cit., pàgs. 79-80.<br />

27 E. MARTÍ, Las relaciones entre ciudades, cortes y monarquía en los reinos mediterráneos de la<br />

Corona de Aragón durante el siglo XV, dins Actas del I Congreso Internacional «Europa: historia,<br />

imagen y mito», Universitat Jaume I, Castelló 2006 (en premsa).<br />

28 G. MELONI, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona (1355), «Acta Curiarum Regni Sardiniae»,<br />

Consiglio Regionale della Sardegna, Cagliari 1993, pàgs. 99-106.<br />

63


64<br />

Esther Martí Sentañes<br />

convocades serà, doncs, netament inferior, car hi intervindran només certes ciutats<br />

i no les viles reials que havien assistit al Parlament de Pere el Cerimoniós en<br />

haver estat infeudades i per tant alienades del patrimoni reial. 29<br />

D’una banda, el territori sard encara es troba en un procés de conquesta i<br />

pacificació, i per tant convé no oblidar aquest aspecte a l’hora d’explicar les<br />

noves annexions de ciutats destacades dins del panorama illenc o la seva pèrdua<br />

a causa de pactes o vendes del monarca envers els seus feudataris. De fet, només<br />

Càller i l’Alguer gaudiran sempre de l’estatus de ciutat reial durant el regnat<br />

d’Alfons el Magnànim, essent sempre presents en totes les convocatòries de<br />

Parlaments, des del moment que havien estat completament repoblades amb<br />

ciutadans de la Corona d’Aragó. 30 Bosa havia sofert notables canvis de mans<br />

fins que tornà a ser conquerida pels aragonesos el 1410, esdevenint ciutat reial;<br />

val a dir, però, que la ingerència monàrquica en el control del govern municipal<br />

sempre fou molt present. 31 Bosa deixarà de pertànyer a la Corona l’any 1468,<br />

malgrat les protestes dels seus habitants, en ser venuda com a feu a la família<br />

Vilamarí, fins que el 1499 Ferran el Catòlic li concedirà de nou la condició de<br />

ciutat reial. D’altra banda resulta interessant veure com ciutats de notable<br />

importància com Esglésies i Sàsser no passen a annexionar-se a la Corona fins<br />

al 1410 i el 1420 respectivament, si bé el Magnànim cedirà en feu Esglésies<br />

l’any 1436, necessitat de diners com estava. No tindrà ocasió de poder-la tornar<br />

a comprar fins al 1450. Un altra ciutat que constitueix un referent per al regne<br />

en la lluita contra els Arborea, Oristany, no passarà a ser ciutat reial fins al 1479,<br />

com Castell Aragonès, de propietat dels Dòria fins al 1448. 32<br />

Pel que fa al següent Parlament, el de 1481, el nombre de ciutats no canviarà<br />

excessivament, essent-hi presents entre les que pertanyien a la Corona: Càller,<br />

Sàsser, l’Alguer, Oristany, Esglésies i Castell Aragonès (que de fet no hi envià<br />

cap representant). 33<br />

Resulta igualment molt interessant reflexionar sobre la composició i<br />

funcionament del braç reial.Així, hi trobem reunits els representants de les ciutats<br />

i viles reials que han estat convocades, capitanejats en el cas català pels<br />

representants barcelonins, motiu de constants batusses promogudes per altres<br />

ciutats, que veuen aclaparat el seu paper per la ciutat comtal i volen guanyar<br />

29 A. BOSCOLO, Il Braccio Reale nei Parlamenti sardi cit., pàg. 144.<br />

30 A. MATTONE, I Parlamenti cit., pàg. 83.<br />

31 C. TASCA, Titoli e privilegi dell’antica città di Bosa, La Memoria Storica-Mythos, Cagliari-<br />

Oristano 1999, pàg. 69.<br />

32 G. SORGIA, Le città regie, dins J. CARBONELL-F. MANCONI, Els catalans a Sardenya cit., 51-55.<br />

33 A.M. OLIVA-O. SCHENA, Autonomie cittadine e potere regio cit., pàg. 72.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

més protagonisme. 34 A Sardenya, el paper clau de Càller es fa evident en<br />

nombroses situacions al llarg del Parlament de 142<strong>1.</strong> Així, Càller, a més de ser<br />

la capital del regne, i normalment la seu de la majoria de Parlaments, té el dret<br />

d’enviar més síndics que les altres ciutats, quatre en comptes dels tres de Sàsser,<br />

la segona ciutat en importància. A més, el portaveu del braç reial era sempre un<br />

síndic callerès. Els seus síndics seran també els més nombrosos dins de la<br />

comissió de tractadors, tenint-ne tres en comptes d’un, com les altres ciutats. 35<br />

El paper de les ciutats menors dins dels Parlaments tendeix a disminuir a mesura<br />

que avança el segle, essent força freqüent que aquestes siguin representades per<br />

funcionaris reials o per síndics d’altres ciutats. 36<br />

D’altra banda, cada braç té la natural facultat de regular el seu funcionament<br />

intern, és a dir, la manera de regir les deliberacions d’allò tractat a les Corts, així<br />

com les condicions per donar per vàlides les negociacions i determinar la postura<br />

del braç davant l’assemblea i el monarca. Normalment s’acceptava la fórmula<br />

segons la qual es donava per bo allò decidit per la majoria o la unanimitat del<br />

braç, cosa que era sovint causa de controvèrsia, sigui per la manca d’assistència<br />

dels convocats a les assemblees, 37 cosa que deixava inoperatiu el sector reial,<br />

sigui per falta de cohesió interna al braç, cosa que no permetia de bastir una idea<br />

clara a transmetre a la resta de l’assemblea, paralitzant tot el procés i provocant<br />

el disgust del monarca, enormement necessitat dels diners del donatiu. En el cas<br />

sard, almenys pel que fa al Parlament de 1421, no seran tant les discrepàncies<br />

internes dins del braç reial o amb els altres braços, sinó els retards i absències el<br />

que frenà el funcionament de l’assemblea. Així, durant el Parlament de 1355,<br />

les sessions havien de començar el 15 de febrer, però després de diverses<br />

pròrrogues i retards en l’obertura de les Corts, el 23 de febrer encara no s’havien<br />

pogut iniciar, i de fet hi haurà un degoteig constant dels participants fins al 3 de<br />

març. 38 Aquesta tònica tendirà a repetir-se en els Parlaments successius: així, en<br />

el Parlament de 1497 les sessions s’aturen l’11 de març i no es reprenen fins a<br />

l’1 d’abril. 39 Eren força freqüents també a les Corts catalanes els retards en la<br />

34 L’any 1436 Lleida informa Barcelona que ha presentat un escrivà a Corts, fet que per privilegi<br />

només pot fer la ciutat comtal, i això serà motiu de litigi entre ambdues ciutats; veg.Arxiu Municipal<br />

de Lleida (AML a partir d’ara), reg. 742, fs. 7r, 37v-39v; AML, reg. 412, fs. sense numerar.<br />

35 A.M. OLIVA-O. SCHENA, Autonomie cittadine e potere regio cit., pàgs. 75-76.<br />

36 Ibid., pàg. 76.<br />

37 A. MARONGIU, I Parlamenti sardi cit., pàgs. 130-13<strong>1.</strong><br />

38 G. MELONI, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona cit., pàgs. 123-126.<br />

39 A.M. OLIVA-O. SCHENA, I Parlamenti dei Viceré Giovanni Dusay e Ferdinando Girón de<br />

Rebolledo (1495, 1497, 1500, 1504-1511), «Acta Curiarum Regni Sardiniae», Cagliari 1998,<br />

pàgs. 209-217.<br />

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66<br />

Esther Martí Sentañes<br />

tornada dels síndics durant els diversos viatges que feien a les seves ciutats d’origen.<br />

En el cas de Sardenya s’observa aquesta mateixa tònica sobretot al Parlament de<br />

1481-1485, durant el regnat de Ferran II, perquè els precedents tingueren una<br />

durada molt més curta i al mateix temps no s’hi observava una dinàmica de gran<br />

oposició per part de les ciutats davant la proposta presentada per la monarquia, tal<br />

com s’esdevindrà de manera més oberta en aquell darrer Parlament, per a<br />

l’exasperació del virrei, que veia com es retardava la votació del donatiu. 40<br />

A més, les referències de discrepàncies dins el braç reial són nombroses. De<br />

fet, la documentació municipal d’aquest període en deixa notables exemples, i<br />

en representa un dels casos més emblemàtics, per al cas català, el de les Corts de<br />

1454-1458, en les quals la intervenció de membres de la Busca com a<br />

representants de Barcelona causa una polarització dins del braç reial que acabarà<br />

paralitzant tota l’assemblea. 41 A Sardenya aquest fet es començarà a fer palès<br />

especialment en la primera assemblea convocada després de la mort d’Alfons,<br />

el Parlament de 1481-1485, quan dins del braç reial serà un autèntic conflicte la<br />

representació de la ciutat de Càller, que bloquejarà les deliberacions dins del<br />

braç i de la resta del Parlament. La ciutat revocà dos dels tres síndics perquè<br />

creia incompatible la seva participació, ja que un d’ells, Joan Fortesa, havia<br />

esdevingut síndic del braç eclesiàstic i l’altre procurador havia obtingut un càrrec<br />

dins l’administració reial. Restava únicament Andreu Sunyer dins de la procura,<br />

que continuava bloquejant l’assemblea oposant-se a la voluntat del virrei de fer<br />

participar igualment els altres dos síndics revocats, mentre exigia que es comptés<br />

amb l’opinió del consell de Càller. Els problemes a l’assemblea continuaren<br />

fins que Ferran II es veié forçat a escriure als consellers calleresos demanantlos<br />

que contribuïssin al bon funcionament del Parlament. 42<br />

D’altra banda la resolució de greuges per part del braç reial és, sense cap<br />

mena de dubte, un dels aspectes cabdals, juntament amb el donatiu que cal fer al<br />

rei, en el desenvolupament de les assemblees representatives, ja que esdevenen<br />

un mecanisme coercitiu, o si més no de forta pressió, enfront de la monarquia, si<br />

aquesta vol aconseguir els diners que necessita. 43 Val a dir, però, que la proposta<br />

per part del monarca de resolució de greuges sovint suposava l’aturada de les<br />

Corts, i no sempre tots els greuges presentats a l’assemblea s’aconseguien de<br />

resoldre, sinó que resultava força freqüent, almenys durant aquest període, que<br />

40 A. MARONGIU, Le istituzioni rappresentative della Sardegna cit., pàgs. 47-50.<br />

41 Cortes de los antiguos Reinos de Aragón cit., XXIII, pàgs. 74-75.<br />

42 A. MARONGIU, Le istituzioni rappresentative della Sardegna cit., pàgs. 47-50.<br />

43 J. GASCÓN, Greuges. Importancia y limitaciones de las Cortes como tribunal de Justicia, dins<br />

«Ius Fugit», 10-11, Universidad de Zaragoza 2001-2002, pàg. 257.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

els greuges presentats en una cort s’ajornessin i es tornessin a presentar a la<br />

convocatòria següent, o a les successives, esperant una resolució que deixés<br />

tothom satisfet. 44<br />

Pel que fa als greuges presentats al Parlament sard de 1421, corresponen a<br />

grans trets a la mateixa tipologia dels presentats habitualment per les ciutats<br />

reials catalanes. 45 La major part són queixes contra la mala actuació dels oficials<br />

del rei, normalment contra el procurador reial, el governador, el veguer, el<br />

procurador fiscal, ja sigui per prevaricació o per perllongament indegut d’aquest<br />

càrrec. D’altra banda, també serà constant l’exigència de ratificació d’antics<br />

privilegis o la demanda de nous que beneficiïn obertament la ciutat per sobre de<br />

les altres, normalment gràcies a l’abolició de taxes i altres impostos, i amb una<br />

major jurisdicció. 46<br />

Com s’apuntava anteriorment, una de les causes principals per les quals la<br />

monarquia s’avindrà a convocar Corts, és sens dubte la necessitat monetària,<br />

agreujada per les fortes despeses que la guerra i la seva política general<br />

comportaven, i que el seu patrimoni ja no podia cobrir. És per això que el rei en<br />

el marc dels seus Parlaments a les assemblees representatives demanarà un<br />

donatiu, contribució a fons perdut, tant en forma de subvencions com d’ajuts<br />

que els tres estaments feien al monarca per a finalitats concretes, sovint<br />

bèl·liques, 47 situació que les Corts intentaran aprofitar per aconseguir la satisfacció<br />

de les seves demandes. 48 El donatiu serà igualment la motivació essencial per a<br />

la convocatòria del Parlament de 1421 a Sardenya, des del moment que si bé es<br />

tractava d’una estratègia per estabilitzar políticament i econòmica l’illa, el sobirà<br />

necessitava amb una certa urgència diners per poder abandonar l’illa i dirigir-se<br />

cap a Sicília, on s’havia d’ocupar d’afers de major rellevància.Amés, la necessitat<br />

monetària era flagrant, ja que a les despeses de la precedent expedició de Còrsega<br />

s’hi afegien les de fortificació de Sardenya. Com a les Corts catalanes, els tres<br />

braços oferiren al monarca, a canvi de certes concessions, un donatiu de cinquanta<br />

mil florins d’or d’Aragó, xifra que s’havia de fer efectiva en cinc anys,<br />

44 I. SÁNCHEZ DE MOVELLÁN, El Consell de Cent barceloní i les seves relacions amb la Diputació<br />

del General en el període 1454-1458, «Quaderns d’Història», 5, Barcelona 1997, pàgs. 80-8<strong>1.</strong><br />

45 E. MARTÍ, El Síndic municipal a Corts dins la Corona d’Aragó durant el regnat d’Alfons el<br />

Magnànim: el cas de Lleida, «Anuario de Estudios Medievales», 34/2, CSIC, Barcelona 2004,<br />

pàgs. 848-849.<br />

46 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàgs. 34-44, 103-137.<br />

47 I. SÁNCHEZ DE MOVELLÁN, La Diputació del General de Catalunya (1413-1479), Generalitat de<br />

Catalunya, Barcelona 2004, pàgs. 277-278.<br />

48 J. LALINDE, Presupuestos metodológicos para el estudio institucional de las cortes medievales<br />

aragonesas, «Medievalia», 3, Barcelona 1982, pàgs. 71-73.<br />

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68<br />

Esther Martí Sentañes<br />

amb un pagament anual de deu mil florins. Una quantitat, en definitiva, no gaire<br />

elevada per al rei, però considerable per a Sardenya, tenint en compte la situació<br />

d’esgotament econòmic del regne després de les guerres i cicles d’epidèmies<br />

suportats.<br />

Relacionat amb aquest aspecte, es pot parlar de la durada de les assemblees<br />

representatives. Val a dir que el Parlament de 1421 a Sardenya fou eminentment<br />

curt, del 26 de gener al 6 de febrer. Entre els motius d’aquesta brevetat cal<br />

entreveure-hi la pressa del Magnànim per marxar de l’illa i ocupar-se d’altres<br />

afers, 49 a més de la gran necessitat de diners que patia la monarquia per a afrontar<br />

tota una sèrie de deutes, en bona part contrets gràcies a aquesta política d’expansió<br />

i control del Mediterrani. Això no obstant, i especialment comparant aquest<br />

Parlament amb la durada mitjana de les Corts a Catalunya del mateix període, que<br />

obligaven el monarca, i per extensió al lloctinent, a sessions inacabables–amés<br />

sovint bloquejades per l’absència dels representants dels tres braços o per l’arribada<br />

d’epidèmies a la ciutat de la convocatòria de les Corts, que obligaven a desplaçarles<br />

d’un lloc a l’altre –, es llegeix en aquesta brevetat del Parlament sard un fort<br />

control per part de la monarquia. De fet, el precedent Parlament de 1355 fou<br />

també d’una durada més aviat limitada en el temps, del 15 de febrer al 30 d’abril. 50<br />

En contraposició, la força dels tres braços en les Corts catalanes porta a<br />

condicionar el sobirà, bloquejant el lliurament del donatiu si aquell no accedia<br />

a atorgar certs privilegis o a fer complir la llei als seus oficials. Fins i tot es<br />

discuteix aferrissadament la quantitat del donatiu que es pot oferir. De fet,<br />

resulta de gran utilitat veure des de l’òptica de les ciutats el procés de negociació<br />

del donatiu, en especial a través de les cartes que el consell de la ciutat envia<br />

als seus síndics, indicant-los si han de cedir o no a les demandes del rei o com<br />

han de negociar la quantitat del donatiu amb la resta del membres del braç<br />

reial. 51 En el cas de Sardenya, el funcionament del donatiu a les assemblees<br />

representatives resulta pràcticament igual al del Principat. Fins i tot es deixa<br />

clar que la seva gestió sigui seguida per tres persones, una per braç, tal com<br />

ordenaven els costums i el dret de Catalunya i tal com feia la Diputació del<br />

General. 52 Val a dir, però, que si bé el procés seguit al Parlament era idèntic al<br />

cas català, on el monarca després de fer l’acte d’obertura i d’exposar l’estat<br />

49 Per exemple la convocatòria d’un nou Parlament en terres sicilianes, a Messina, intentant sumar<br />

als diners aconseguits a Sardenya una quantitat prou substanciosa per poder preparar l’expedició<br />

de conquesta del Regne de Nàpols; veg. J. VICENS VIVES, Els Trastàmares cit., pàg. 112.<br />

50 G. MELONI, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona cit., pàgs. 253-255.<br />

51 AML, reg. 409, fs. 35v-35r.<br />

52 A. MATTONE, I Parlamenti cit., pàg. 85.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

del regne demanava el donatiu per a la realització de certs projectes, i on<br />

prèvia concessió seva els tres braços demanaven certs privilegis i la resolució<br />

de greuges, a jutjar per la documentació consultada la gestió d’aquestes<br />

assemblees per part del rei era, com l’obtenció del donatiu, decididament més<br />

fàcil que en el cas català.<br />

D’altra banda, però, els contactes entre la monarquia i les ciutats, i per extensió<br />

la resta dels estaments presents a Corts, no es poden concebre només a través de<br />

la documentació relacionada amb les Corts i els Parlaments. Els contactes de les<br />

ciutats amb el monarca continuen essent sempre intensos, per intentar regular<br />

els problemes o conflictes que sorgeixen en el seu interior i que no poden esperar<br />

fins a la convocatòria de les noves assemblees representatives. En el cas català<br />

en tenim diversos exemples, basats en cartes creuades entre el consell de la<br />

ciutat i el monarca, normalment fent referència a problemes sorgits amb oficials<br />

reials o demanant privilegis al sobirà. 53 A Sardenya se segueix a grans trets la<br />

mateixa tònica, afegint-hi, a més, la necessitat flagrant d’intensificar aquest<br />

tipus de contactes vista l’escassa convocatòria de Parlaments. Així, a tall<br />

d’exemple, l’any 1459 el consell de Sàsser continua els contactes amb Joan II<br />

en relació al pagament dels cent ducats que encara deuen al sobirà, dels setcents<br />

que li havien ofert per una sèrie de privilegis atorgats. 54<br />

Un altre dels aspectes a considerar és la figura del síndic o procurador enviat<br />

a les Corts, així com el seu nombre. Fent referència a aquest darrer aspecte val<br />

a dir que no hi ha una normativa fixa. No obstant això, convé no oblidar que<br />

cada nucli urbà només té dret a un vot, independentment dels representants que<br />

enviï a Corts, essent una qüestió honorífica el fet de poder-se permetre enviar-hi<br />

un nombre elevat de representants. 55 El nombre de síndics que s’envia forma<br />

part, doncs, de l’expressió de notorietat i privilegi d’una ciutat sobre les altres. 56<br />

Així, doncs, el nombre de síndics enviats per les ciutats del Principat oscil·la<br />

entre els quatre Barcelona, tres de Perpinyà (tot i que a algunes Corts només<br />

n’envia dos), dos Lleida, Girona i Tortosa, i un Cervera, com Vilafranca del<br />

Penedès o Berga. 57 Pel que fa a Sardenya, durant el Parlament de 1421 el nombre<br />

53 E. MARTÍ, Lleida a les Corts. Els síndics municipals a l’època d’Alfons el Magnànim, Universitat<br />

de Lleida 2006, pàgs. 48-85.<br />

54 Arxiu de la Corona d’Aragó (ACA a partir d’ara), Cancelleria, Sèrie Sardiniae, reg. 3395, f.<br />

121v.<br />

55 E. MARTÍ, Lleida a les Corts cit., pàgs. 96-97.<br />

56 F. SABATÉ, El territori de la Catalunya medieval. Percepció de l’espai i divisió territorial al<br />

llarg de l’Edat Mitjana, Fundació Salvador Vives i Casajuana, Barcelona 1997, pàg. 143.<br />

57 Cortes de los antiguos Reinos de Aragón cit., 1913, pàgs. 39-40.<br />

69


70<br />

Esther Martí Sentañes<br />

de procuradors oscil·la entre els quatre que presenta Càller, els tres de Sàsser i<br />

Bosa, els dos d’Esglésies i l’Alguer, i l’únic d’Osilo. 58 Més enllà d’aquests<br />

territoris la casuística canvia segons el regne: així, a València en determinades<br />

convocatòries es troben fins a deu síndics, 59 si bé en la resta de regnes de la<br />

Corona, com Aragó, Mallorca, Nàpols i Sicília, malgrat les poques referències<br />

que en tenim, el nombre de síndics tendeix a ser d’un o dos per ciutat.<br />

Un cop els consellers han rebut la convocatòria a Corts, cada ciutat ha d’elegir<br />

els seus síndics per enviar-los-hi al més aviat possible. Malgrat que el fet sembla<br />

que no tingui cap rellevància, en realitat és essencial, perquè s’està decidint<br />

quina persona o persones representaran la ciutat i, per tant, els seus interessos<br />

davant del braç reial, dels altres dos braços i de la monarquia. Dissortadament<br />

es disposa de poca informació sobre aquest tema, d’altra banda cabdal per a<br />

entendre bona part de les lluites entre la mà major i la mà mitjana, en el cas de<br />

les ciutats reial catalanes, i dels enfrontaments entre diverses famílies de<br />

l’oligarquia ciutadana sarda. Turull apunta per als síndics municipals de Cervera<br />

que, tot i que sabem que aquests missatgers eren escollits pel consell de la ciutat,<br />

la documentació no aclareix si hi havia prèviament candidats que optaven a la<br />

sindicatura. 60 Cal suposar que amb anterioritat a l’elecció aquesta tria era<br />

controlada directament per un sector específic del consell municipal, amb els<br />

danys que això ocasionava als altres. Així, per a l’elecció dels síndics que han<br />

d’intervenir a les Corts celebrades a Lleida el 1440, la reina Maria, com a<br />

lloctinent, estableix que el consell de la ciutat els elegeixi de la forma que cregui<br />

més adient, i en aquest cas els representants lleidatans són elegits a caixó,ésa<br />

dir, tot el consell general vota nominalment, i els dos personatges que obtenen<br />

més veus, per tant vots, són els escollits. 61 Pocs dies després un dels dos<br />

representants ha de deixar d’assistir a les Corts per motius de salut, i el consell<br />

general passa a escollir un substitut amb la mateixa fórmula. 62 Aquest cop, però,<br />

després de la votació dos noms tenen el mateix nombre de vots, i s’ha de procedir<br />

a desempatar. Els problemes comencen aquí, perquè si sembla que hi ha absoluta<br />

58 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàgs. 79-144.<br />

59 Excloent la capital, que sempre gaudirà d’un paper més destacat, en la majoria de les ciutats el<br />

nombre de síndics és comprès entre un i tres, predominant les que n’envien dos; veg. R.M.<br />

MUÑOZ-R. PINILLA, Les Municipalités et leur participation dans les Cortès valenciennes de<br />

l’èpoque forale, «Parliaments, Estates and Representation», 13, 1, pàgs. 7-9.<br />

60 M. TURULL, La configuració jurídica del municipi Baix-Medieval. Règim municipal i fiscalitat<br />

a Cervera entre 1182-1430, Fundació Noguera, Barcelona 1990, pàg. 310.<br />

61 AML, reg. 415, fs. 46r-47v.<br />

62 AML, reg. 416, fs. 7v-10r.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

unanimitat sobre com s’ha de fer l’elecció dels síndics, en el cas d’empat la cosa<br />

ja no és tan clara. El consell de la ciutat delibera què cal fer, i decideix per majoria<br />

que s’emprarà el sistema de la galleda plena d’aigua amb dos rodolins a l’interior,<br />

un per a cada elegit, i que un infant n’escollirà una. 63 Malgrat tot, hi ha un sector<br />

del consell que s’oposa a aquest sistema d’elecció implantat per Pere III precisament<br />

per tal d’intentar acabar amb l’antic sistema de cooptació, que afavoria el domini<br />

absolut de la mà major, barrejant atzar i elecció al mateix temps.<br />

Pel que fa a Sardenya, la informació sobre el sistema d’elecció dels síndics<br />

o procuradors és també molt escassa. De les actes del Parlaments es dedueix<br />

que hi ha un notable canvi entre el Parlament de 1355, en què els síndics foren<br />

escollits per part d’una assemblea ciutadana, i el Parlament de 1421, en què<br />

seguint el model català els síndics foren triats pels consellers de cada ciutat. 64<br />

Malauradament no es disposa de cap notícia directa sobre com es feia aquesta<br />

elecció. El Llibre verd de la ciutat de Càller només indica que cap procurador<br />

no pot participar a les Corts si no ha estat aprovat prèviament per la ciutat. Val<br />

a dir, però, que l’elecció es devia fer, com a les ciutats catalanes, seguint el<br />

sistema basat en la cooptació, que servia per elegir el consell de la ciutat i altres<br />

càrrecs del municipi. 65 Així, per exemple, tant a Càller com a Sàsser i l’Alguer<br />

els cinc consellers d’aquell any triaven els cinquanta jurats que, tot seguit, triaven<br />

els dotze prohoms que designaven els nous cinc consellers amb el sistema<br />

d’elecció a més veus. 66<br />

Les coses comencen a canviar amb la imposició de les eleccions amb el<br />

sistema insaculatori implantat per el Magnànim, i desenvolupat sobretot pel seu<br />

nebot Ferran II amb la seva política de redreçament, que pretenia frenar el poder<br />

de les autonomies ciutadanes, colpint especialment certs sectors oligàrquics que<br />

representaven un autèntic maldecap per a la gestió del país.Així, s’intentava a poc<br />

a poc substituir el sistema basat en la cooptació pel de sac i sort, donant pas<br />

teòricament a sectors ciutadans als quals fins aleshores havia estat negat l’accés al<br />

govern ciutadà. 67 Així, progressivament aquest nou sistema es va anar imposant<br />

en les eleccions municipals i, per deducció, en totes les eleccions del govern urbà,<br />

63 AML, reg. 416, fs. 7v.<br />

64 G. MELONI, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona cit., pàgs. 99-110.<br />

65 R. DI TUCCI, Il libro verde della città di Cagliari, Sei, Cagliari 1925, pàgs. 36-46, 110.<br />

66 A. MATTONE, I privilegi e le istituzioni municipali di Alghero (XIV-XVI secolo), dins Alghero, la<br />

Catalogna, il Mediteterraneo. Storia di una città e di una minoranza catalana in Italia (XIV-XX<br />

secolo), Gallizzi, Sassari 1994, pàg. 292.<br />

67 J.M. FONT I RIUS, Orígenes del régimen municipal de Cataluña, Instituto Nacional de Estudios<br />

Jurídicos, Madrid 1946, pàg. 430.<br />

71


72<br />

Esther Martí Sentañes<br />

inclosos els síndics a Corts. A Girona s’imposà l’any 1457, a Barcelona el 1498,<br />

el 1499 a Lleida. 68 ASardenya, Oristany fou la primera ciutat on s’introduí, ja que<br />

quan la ciutat passà a mans del rei Ferran II, el 1479, es dictà una normativa amb<br />

estrictes normes per constituir el consell cívic, del qual podien formar part només<br />

els beneficiats d’un sorteig fet entre persones d’una certa categoria, presents en<br />

una llista aprovada pel virrei. 69 D’altra banda, a Sàsser el sistema insaculatori<br />

sembla que fou implantat el 1482-1483, tot que no s’havia d’aplicar definitivament<br />

fins al 1515; 70 a Càller l’any 1500; 71 a l’Alguer un any més tard, i a Esglésies el<br />

1508, no sense problemes entre els màxims exponents de les oligarquies municipals<br />

i el virrei, 72 fent-se evident molt aviat la pèrdua progressiva de l’autonomia del<br />

consell de la ciutat a favor del poder monàrquic, que donà grans mostres<br />

d’ingerència en els afers municipals. 73<br />

Tot plegat comportà progressivament, des del punt de vista de la presència<br />

municipal als Parlaments, una pèrdua de l’orgull de la ciutat i del seu consell<br />

com a ens autònom i poderós, en ésser a la pràctica escollits per oficials reials<br />

els seus síndics. En conseqüència, els procuradors de la ciutat presents a Corts<br />

deixen de veure aquest càrrec com un objectiu desitjat, honorífic i molt cobejat<br />

– tal com havia estat durant tot el segle XV, lligat als més alts llinatges de la<br />

ciutat, 74 en el qual el sou que es rebia no era el motiu principal per presentar-s’hi –,<br />

per passar a ser gairebé una càrrega que tots preferien evitar. 75<br />

68 J.M. TORRAS I RIBÉ, El intervencionismo monárquico en los municipios de la Corona de Aragón<br />

(1421-1714), dins «Acta Curiarum Regni Sardiniae» cit., pàgs. 288-290.<br />

69 G. SORGIA, Le città regie cit., pàg. 56.<br />

70 A. MATTONE, Gli statuti sassaresi nel periodo aragonese e spagnolo, dins Gli statuti sassaresi:<br />

economia, società, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’Età Moderna. Atti del Convegno<br />

di Studi, Sassari 1986, pàgs. 440, 444.<br />

71 L’any 1525 els cinc consellers presents, amb els deu prohoms del consell de la ciutat, elegeixen<br />

els consellers de Càller «per lo privilegi de la inseculació»; veg. Archivio di Stato di Cagliari<br />

(ASC a partir d’ara), vol. 17, f. 115v. Vegeu també F. MANCONI (a cura de), Libro delle ordinanze<br />

dei consellers della Città di Cagliari (1346-1603). Raccolta di documenti editi e inediti per<br />

la Storia della Sardegna, 5, Fondazione Banco di Sardegna, Sassari 2005, pàgs. 168-169.<br />

72 És significativa l’absència dels síndics de Sàsser al Parlament de 1481-1485, quan Pere de<br />

Marongio i Joan Solinas deixen d’assistir-hi a causa de la revolta al municipi per la imposició<br />

del nou sistema insaculatori, complicada a més pels problemes interns de la família Gambella;<br />

A. MATTONE, Gli statuti sassaresi cit., pàg. 444.<br />

73 G. SORGIA, Le città regie cit., pàg. 5<strong>1.</strong><br />

74 B. PALACIOS, La representación municipal en Cortes. Estudio de la figura del procurador de<br />

Zaragoza a mediados del siglo XV, dins La Ciudad Hispánica durante los siglos XIII al XVI, II,<br />

Universidad Complutense, Madrid 1985, pàgs. 1241-1267.<br />

75 Els síndics catalans rebien una quantitat irrisòria per desenvolupar la seva feina, i fins hi tot<br />

molt sovint el municipi només abonava les despeses de manutenció i transport; E. MARTÍ, Lleida<br />

a les Corts cit., pàgs. 133-136. Els síndics calleresos no eren remunerats; R. DI TUCCI, Il libro<br />

verde della città di Cagliari cit., pàg. 117.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

En un altre ordre de coses, entorn als representants municipals a les Corts existeix<br />

un debat historiogràfic sobre el grau d’actuació i de llibertat que tenen els síndics<br />

respecte al consell general de la ciutat. 76 Aquesta llibertat en la presa de decisions<br />

varia substancialment en funció de l’època i de la ciutat. Pel que fa a Catalunya, els<br />

síndics tenen plena potestas, com en el cas aragonès i valencià, tot i que han de<br />

passar comptes amb el consell de la ciutat d’allò que succeeix a les assemblees de<br />

Corts. 77 Plena potestat tenen també els síndics de les ciutats sardes, com es dedueix<br />

de la carta de convocatòria que reberen de part del virrei per al Parlament de 148<strong>1.</strong> 78<br />

Val a dir, però, que els procuradors a Corts de les ciutats reial catalanes i<br />

sardes al llarg del període que estudiem, tot i que tenen cert poder de decisió i<br />

de maniobra, sembla que estiguin força controlats des del municipi, a través tant<br />

de cartes que contenen allò que han de fer – instruccions pròpiament dites,<br />

també anomenades memorials, que els representants ciutadans s’emporten a les<br />

Corts –, com de la supervisió d’un consell reduït que pot rebre diversos noms.<br />

Malauradament sabem ben poca cosa sobre el sistema d’elecció emprat per<br />

constituir-lo, així com sobre l’origen social dels seus membres. Així, a les Corts<br />

catalanes de 1419 i 1420 s’observa dins del braç reial, almenys per a les ciutats<br />

principals, tant Barcelona i Lleida, com Càller per al Parlament sard, que els<br />

síndics rebien el suport – i per tant eren controlats – de diverses comissions, que<br />

reben el nom de la vint-i-quatrena en el cas de Barcelona, 79 tretzena de cort a<br />

Càller 80 i consell especial a Lleida. 81 A Sàsser duia a terme una funció similar<br />

l’anomenat consell dels ancians, encarregat de controlar i guiar les actuacions<br />

dels ambaixadors del municipi, i per deducció dels síndics a Corts. 82 El nombre<br />

de membres d’aquest consell tendeix a oscil·lar entre la desena i la dotzena.<br />

Per al cas català, més documentat, l’àmplia majoria dels seus integrants<br />

són personatges de l’oligarquia urbana, amb càrrecs importants dins el municipi,<br />

que continuaran essent personatges amb un rol destacat en el futur. 83<br />

76 G. POST, ‘Plena Potestas’and consent in Medieval Assemblies. A study in Romano-canonnical procedure<br />

and the rise in Medieval legal thought, New Jersey 1964, pàgs. 41-62.<br />

77 R.M. MUÑOZ-R. PINILLA, Les Municipalités cit., pàg. 8.<br />

78 A. MARONGIU, Le istituzioni rappresentative della Sardegna cit., pàg. 46.<br />

79 L. GARCÍA DE VALDEAVELLANO, Curso de historia de las instituciones españolas. De los orígenes<br />

al final de la Edad Media, Alianza, Madrid 1982, pàg. 479.<br />

80 A. MARONGIU, Le istituzioni rappresentative della Sardegna cit., pàg. 3<strong>1.</strong> La tretzena de cort<br />

hauria estat definitivament fixada a Sardenya en el Parlament de 1481, seguint a grans trets el<br />

model català, i havia de continuar existint durant els segles XVI i XVII; A.M. OLIVA-O. SCHENA,<br />

Autonomie cittadine e potere regio cit., pàgs. 74-75.<br />

81 E. MARTÍ, Lleida a les Corts cit., pàgs. 67-70.<br />

82 P. TOLA, Codice degli Statuti della Repubblica di Sassari, Cagliari 1850, pàgs. 173, 18<strong>1.</strong><br />

83 E. MARTÍ, Lleida a les Corts cit., pàgs. 67-70.<br />

73


74<br />

Esther Martí Sentañes<br />

Un altre tipus documental que aporta molta informació sobre la presència de<br />

les ciutats a les Corts, si bé ha estat escassament estudiat, són els memorials,<br />

instruccions que el govern municipal preparava per als seus representants a les<br />

assemblees de Corts. 84 Un cop s’han elegit els representants, el govern municipal<br />

elabora el memorial amb les instruccions que els síndics han de tenir presents al<br />

llarg de les reunions entre els tres braços i el monarca. Així, doncs, aquests<br />

documents permeten conèixer de primera mà els temes que el municipi<br />

baixmedieval creu importants debatre i tractar a les Corts, proporcionant<br />

moltíssima informació, no només sobre la feina i comportament dels síndics,<br />

sinó també sobre moltes qüestions plantejades a Corts que afecten d’una manera<br />

o altra molts altres temes. 85 Aquest tipus d’instruccions varia en funció del municipi<br />

que les redacta. Així, existeixen memorials amb pautes molt generals,<br />

que deixen molt marge d’actuació als missatgers, i altres casos on les instruccions<br />

són molt precises i detallades, sense deixar marge a la inventiva o acció personal.<br />

Pel que fa a Catalunya, la ciutat de Lleida en conserva una sèrie força àmplia,<br />

que fixa des del lloc que han d’ocupar els representants municipals 86 (tot seguint<br />

les rígides normes de protocol), passant per la formalitat de la reverència a la<br />

reina Maria abans de presentar-se, fins a un inacabable recull de temes a tractar,<br />

sovint numerats i expressament detallats, que fan referència tant a la gestió<br />

municipal com a temes protocol·laris. 87<br />

Això no obstant, és força habitual, sobretot en casos on els consellers<br />

s’han reunit a corre-cuita, que les instruccions constin bàsicament d’un recull<br />

dels greuges que la ciutat vol presentar davant del rei, que corresponen als<br />

greuges presentats a les Corts, com s’ha apuntat més amunt. En tots els casos<br />

els síndics són cridats obertament a demanar més competències per a la<br />

ciutat, en un enfrontament per la jurisdicció criminal contra el rei, que podem<br />

emmarcar perfectament en la lluita per no perdre competències enfront la<br />

monarquia, cada cop més necessitada de diners, i per tant més entossudida a<br />

controlar les Corts.<br />

84 R.M. MUÑOZ –R.PINILLA, Les Municipalités cit., pàgs. 2-4.<br />

85 J.L. PALOS, Un sector específico de diputados: los síndicos municipales y capitulares, dins Les<br />

Corts a Catalunya cit., pàg. 397.<br />

86 AML, reg. 742, fs.100v: «[...] presentant se als qui seran justats en lo dit braç reial donarà la<br />

letra que se’n porte de Ciutat sient se allí entre ells al costat dels síndichs de Barçalona e allà mà<br />

dreta segons que ells mateix li daran son loch».<br />

87 E. MARTÍ, Els memorials o instruccions per als síndics a Corts de la ciutat de Lleida durant<br />

el regnat d’Alfons el Magnànim, dins Actes del 53è Congrés de la Comissió Internacional<br />

per a l’estudi de la Història de les Institucions Representatives i parlamentàries cit., II,<br />

pàgs. 1633-165<strong>1.</strong>


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

Pel que fa a Sardenya, no es disposa de cap exemple d’aquest tipus<br />

documental. Malgrat tot, la dinàmica d’actuació del consell de la ciutat, paral·lela<br />

a la forma d’actuació de les ciutats catalanes, a més de la idèntica constitució<br />

dels greuges presentats pels síndics a Corts, porten a pensar que aquest tipus<br />

d’instruccions, almenys en el seu mode més breu, s’utilitzava també a l’illa. La<br />

mateixa tònica s’aplicaria a les queixes que les ciutats reials exposaven al monarca<br />

a través d’un ambaixador, vista l’escassa convocatòria de Corts a l’illa en<br />

aquest període. Es produeix, així, una gran quantitat de casos d’aquesta mena,<br />

que ens porten a imaginar-nos a través de les demandes la preparació prèvia<br />

d’un memorial per part de la ciutat, on ocupa un paper rellevant el trencament<br />

de privilegis per part dels oficials reials. 88<br />

Un altre tema de vital importància que trobem apuntat en casos excepcionals<br />

en aquests memorials, i també en la correspondència que s’intercanvien<br />

regularment els síndics i els consellers, ben documentat per al cas català, és el<br />

que fa referència a les queixes presentades per la ciutat dins del braç reial de les<br />

Corts, i en conjunt davant del rei, fent al·lusió a l’incompliment per part dels<br />

oficials reials d’uns privilegis molt especials per a la ciutat: l’elecció dels seus<br />

consellers. Com cal suposar, la problemàtica que es desencadena entorn d’aquest<br />

trencament de privilegis és d’allò més complexa, i genera moltíssima paperassa,<br />

tant en els processos de cort com en els consells municipals, i, en el cas que ens<br />

ocupa, moltíssimes disposicions per part de la ciutat als seus síndics, interessantse<br />

sobre com es condueix el tema a l’assemblea.<br />

A Sardenya, a causa de la manca de documentació conservada i de la menor<br />

durada de les Corts – almenys per als Parlaments de 1355 i 1420 –, factor<br />

relacionat a més amb el nombre menor de Corts convocades respecte a Catalunya,<br />

es fa més difícil poder donar una idea aproximada dels contactes dins del braç<br />

reial i dels síndics amb el consell de la ciutat. Malgrat tot, cal pensar que una<br />

certa relació entre les diverses ciutats del braç reial existia.Així, a tall d’exemple,<br />

al Parlament de 1421 Càller i Esglésies presenten conjuntament les demandes<br />

d’observació de privilegis. 89 A més, com al Principat, existeix també una bona<br />

relació entre les ciutats reials i la monarquia, fins al punt que Càller farà<br />

d’intermediària l’any 1446 entre el rei i el braç militar. 90<br />

D’altra banda, no es trenca mai el lligam institucional amb el Principat. Així,<br />

més enllà de la dinàmica del funcionament de les Corts, que correspon al model<br />

88 E. PUTZULU, Carte reali aragonesi e spagnole dell’Archivio Comunale di Cagliari: 1358-1719,<br />

Cedam, Padova 1959, pàgs. 35-37, 42-43.<br />

89 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàg. 87.<br />

90 A. MARONGIU, Le istituzioni rappresentative della Sardegna cit., pàgs. 42-43.<br />

75


76<br />

Esther Martí Sentañes<br />

català, els contactes amb Catalunya i sobretot Barcelona continuen essent freqüents.<br />

L’any 1446, per exemple, els consellers de Càller escriuen als de Barcelona<br />

demanant-los la seva intervenció perquè se’ls revisi, a ells i als de l’Alguer,<br />

l’excessiva carrega del terç que gravava sobre la pesca del corall a Tunis. 91<br />

De fet, aquests lligams entre els diferents regnes posen en evidència que<br />

més enllà de la convocatòria de Corts i Parlaments, els contactes a través dels<br />

ambaixadors entre les ciutats i el monarca eren sempre presents. En el cas de<br />

Sardenya, aquesta serà l’única manera de continuar gestionant els problemes<br />

sorgits dins la ciutat i el seu territori, a causa de l’incompliment del principi de<br />

la periodicitat de celebració de les assemblees representatives. 92 Així, a tall<br />

d’exemple, la ciutat de Sàsser enviarà diverses ambaixades al monarca, en les<br />

quals els síndics de la ciutat demanaran la confirmació d’antics privilegis i<br />

l’obtenció de noves immunitats, sempre amb la voluntat de preservar els drets<br />

de la ciutat i els interessos de l’oligarquia dirigent. 93<br />

D’altra banda, un des aspectes més rellevants en l’estudi de la representació<br />

municipal a Corts és, sens dubte, l’origen social d’aquests representants, és a dir,<br />

la seva trajectòria i la de les seves famílies. A la Corona d’Aragó, i en particular a<br />

Catalunya, els síndics responen majoritàriament al perfil de ciutadans, normalment<br />

rics oligarques, membres de grans famílies que controlen el consell municipal,<br />

que gràcies a les fortunes fetes en el món dels negocis gaudeixen d’una bona<br />

posició dins del municipi, i que amb el temps els seus fills i néts, o fins i tot ells<br />

mateixos en determinats casos, aconseguiran ser elegits com a síndics a Corts,<br />

augmentant d’aquesta manera el prestigi i el poder familiar. Un alt percentatge<br />

d’aquests procuradors a Corts deuen aquesta situació privilegiada als estudis<br />

universitaris, normalment en dret, que els consenten d’obtenir una posició<br />

privilegiada dins del consell. Normalment la majoria d’ells ja han desenvolupat<br />

càrrecs importants dins del municipi abans de la seva elecció, i continuaran tenint<br />

un paper fonamental després del seu recorregut parlamentari, essent sovint part<br />

integrant dels consells assessors dels nous procuradors a Corts. 94<br />

Pel que fa a Sardenya, els síndics enviats a les assemblees representatives<br />

són membres de l’oligarquia urbana, que com als territoris ibèrics de la Corona<br />

utilitzaran les reunions de Corts com un excel·lent mitjà per protegir i augmentar<br />

91 P. TOLA, Codice Diplomatico cit., pàg. 68.<br />

92 P. SANNA, I Parlamenti del Regnum Sardiniae: problemi storico-istituzionali, dins «Archivio Sardo<br />

del Movimento Operaio Contadino e autonomistico», 47/49 (1996), pàg. 35.<br />

93 A. MATTONE, Gli statuti sassaresi cit., pàg. 438.<br />

94 E. MARTÍ, Lleida a les Corts cit., pàgs. 103-104.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

els seus interessos de grup. 95 Han gaudit anteriorment de tasques de relleu dins<br />

del municipi. Així, els síndic de Bosa al Parlament de 1421, Nicolò de Balbo,<br />

ciutadà, ja havia exercit un càrrec similar entre 1417 i 1418, quan fou<br />

l’ambaixador de la ciutat davant del rei a Barcelona per demanar-li la confirmació<br />

dels privilegis atorgats pel seu pare. 96<br />

Val a dir que resulta interessant comprovar com a Sardenya al llarg del segle<br />

XV es constata que la major part dels síndics enviats a les assemblees<br />

representatives acumulen considerables fortunes fetes en el món dels negocis.<br />

Són, doncs, síndics mercaders, que han obtingut un paper important en<br />

l’administració local, i en molts casos també reial, i que després d’exercir com<br />

a representants del municipi, i potser d’una manera més destacada que a<br />

Catalunya, obtenen feus i distincions del rei, com a reconeixement per la seva<br />

tasca i per tal de confirmar nexes i solidaritats entre la monarquia i les grans<br />

famílies que controlen el govern municipal. 97<br />

De fet, trobem famílies que al llarg del segle han tingut diversos representants<br />

a Corts. Aquest fenomen a Sardenya s’observa especialment en els nuclis més<br />

rellevants, on famílies com els Sunyer, o els Aimerich de Càller, o els Marongiu<br />

– amb presència al Parlaments de 1421 amb Antoni, 1481 amb Pere i 1518 amb<br />

Àngel 98 –, o els Solinas de Sàsser, foren presents en nombroses assemblees. 99<br />

En els territoris catalans s’observa, a tall d’exemple, que a Lleida, famílies com<br />

els Bosch, els Cardona o els Navarra foren presents a diverses Corts. Es tracta<br />

de personatges que d’altra banda, pertanyen a famílies d’oligarques amb una<br />

presència de més de dos segles dins del govern municipal. 100<br />

Aquesta oligarquia municipal tindrà a tota la Corona la tendència a ennoblirse,<br />

adquirint un títol nobiliari de més o menys importància, i en especial disposant<br />

de territoris infeudats, ja sigui per mèrits adquirits davant del monarca per<br />

empreses militars realitzades o altres tipus de favors, tot emparentant-se amb<br />

alguna casa noble a través d’un convenient matrimoni o comprant directament<br />

el títol. Val a dir que aquests darrers casos són més freqüents a Catalunya en<br />

aquest període. D’altra banda, a Sardenya cal considerar la gran importància<br />

dels títols i feus que el Magnànim atorga, fruit d’una política d’expansió i control<br />

95 A.M. OLIVA-O. SCHENA, Autonomie cittadine e potere regio cit., pàg. 73.<br />

96 C. TASCA, Titoli e privilegi dell’antica città di Bosa cit., pàg. 259.<br />

97 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàgs. 24-27.<br />

98 G. SORGIA, La città di Sassari nei Parlamenti, dins Gli statuti sassaresi: economia, società,<br />

istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’Età Moderna cit., pàgs. 375-376.<br />

99 Ibid., pàgs. 76-78.<br />

100 E. MARTÍ, Els memorials o instruccions per als síndics a Corts cit., pàgs. 1017-1023.<br />

77


78<br />

Esther Martí Sentañes<br />

a l’illa molt recent. Aquest fet, concentrant-nos únicament en els síndics a<br />

Corts i les seves famílies, serà un element reiteratiu en gran part dels casos<br />

estudiats, com exposarem més endavant. D’altra banda, per a aquests<br />

oligarques, la major part dels quals són mercaders, disposar d’un títol nobiliari<br />

serà una fantàstica via per afavorir els seus negocis, per damunt d’altres<br />

mercaders no privilegiats i, per tant, condemnats a pagar més taxes; això, si<br />

més no, per als ciutadans nobles sasseresos, perquè a Càller, ciutat amb una<br />

presència més incisiva del dret català, es prohibia que els nobles poguessin<br />

accedir al consell de la ciutat. 101<br />

Un altre aspecte que cal tenir en compte és la gran força que adquireixen,<br />

dins del consell de la ciutat o bé com a síndics, els doctors en dret: dins del<br />

Principat de Catalunya, en ciutats com Lleida i durant el regnat d’Alfons el<br />

Magnànim, representen la meitat dels procuradors escollits, mantenint-se<br />

normalment l’equilibri d’un ciutadà honrat i un jurista. 102 I és que, com apunta<br />

Corrao, el servei a la monarquia a través d’alts càrrecs burocràtics es converteix<br />

en un magnífic canal de promoció social. 103 El mateix procés es reproduirà a<br />

Sardenya, on a finals del segle XV, i de manera molt més evident durant el segle<br />

següent, els juristes adquireixen una posició eminent.<br />

D’altra banda, entre els tractadors de cada braç escollits pel mateix Pere el<br />

Cerimoniós en la sessió del 2 de març del Parlament de 1355, els juristes foren<br />

almenys un per a cada braç. 104 Val a dir que la documentació relativa al Parlament<br />

de 1421 no proporciona gaire informació sobre la presència de juristes entre els<br />

síndics escollits, a banda d’un dels síndics de Càller, Pere Salzet, i del síndic de<br />

l’Alguer Pere Ferreres, que era notari, 105 com Serafí de Montanyana, síndic de<br />

Sàsser. 106 Així i tot, s’observa una presència gairebé constant d’aquests homes<br />

de dret en les ambaixades que la ciutat de Càller enviarà al monarca al llarg del<br />

seu regnat, normalment mantenint-se el mateix equilibri entre un jurista i un<br />

ciutadà honrat. Així, entre els ambaixadors de Càller de l’any 1429 s’observa la<br />

presència d’un doctor en lleis, Antoni Amat, i un ciutadà honrat, Joan Garballer.<br />

101 A. MATTONE, Gli statuti sassaresi cit., pàgs. 435-436.<br />

102 E. MARTÍ, Lleida a les Corts cit., pàgs. 105-106.<br />

103 P. CORRAO, Governare un regno. Potere, società e istituzioni in Sicilia fra Trecento e Quattrocento,<br />

Liguori, Napoli 1991, pàgs. 420-42<strong>1.</strong><br />

104 G. MELONI, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona cit., pàg. 129.<br />

105 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàg. 117.<br />

106 A.M. OLIVA-O. SCHENA, Potere regio ed autonomie cittadine nei Parlamenti sardi del XV secolo,<br />

dins Autonomía Municipal en el mundo mediterráneo. Historia y perspectivas, Fundación<br />

Profesor Manuel Broseta y Corts Valencianes, 2002, pàg. 155.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

Trobem el mateix equilibri entre els procuradors calleresos enviats al monarca<br />

l’any 1432: Pere Ianfridi, conseller, i Pere Salset, doctor en decrets. 107<br />

Com s’ha apuntant anteriorment, la documentació relacionada amb els<br />

Parlaments a Sardenya per a aquest període és realment escassa i sovint incompleta,<br />

fet que dificulta que, com en el cas català, es pugui realitzar un complet<br />

estudi prosopogràfic d’aquests procuradors. 108 Malgrat tot, i com a primera<br />

aportació d’un estudi encara en curs, s’ha pogut reconstruir en part la trajectòria<br />

d’alguns d’aquests personatges i de les famílies relacionades amb el Parlament<br />

de 1421, així com d’altres membres presents al consell de la ciutat, gràcies a la<br />

documentació generada pels Parlaments del període, per exemple els que fan<br />

referència als diputats que gestionen el donatiu.<br />

Així, sabem que Ramon Boter, oïdor de comptes de la Diputació del General<br />

del Regne de Sardenya, fou ciutadà de Càller i ambaixador de la ciutat en moltes<br />

ocasions. 109<br />

Simó Roig, ciutadà de Castell de Càller, fou també diputat del General del<br />

Regne de Sardenya. 110 Es creu que els membres de la família Roig arribaren a<br />

l’illa procedents de València 111 o Catalunya, tot esdevenint mercaders. La primera<br />

notícia sobre la família a Sardenya data del 1350, amb Francesc Roig, conseller<br />

del Castell de Càller 112 i jurisperit, 113 cinc anys després convocat com a síndic de<br />

la ciutat al Parlament de 1355, 114 senyor de Sarroch i altres petits nuclis el 1360. 115<br />

En el braç reial del Parlament de 1355 també hi fou present Ramon Roig, com a<br />

representant del capítol callerès. 116 Es té notícia del pare de Simó, del mateix<br />

nom, que era conseller de Càller el 1418. Del fill se sap que era mercader i<br />

notari. L’any 1421 exercí de lloctinent de Berenguer Carròs, comte de Quirra. 117<br />

Durant els anys 1427 i 1428 fou ambaixador de Càller amb Raimon Boter, enviat<br />

107 E. PUTZULU, Carte reali aragonesi e spagnole cit., pàgs. 56, 59.<br />

108 Resulta de gran valor la primera aproximació a aquest tema feta per A.M. OLIVA-O. SCHENA, Autonomie<br />

cittadine e potere regio cit., pàgs. 76-79, així com EAD., Potere regio cit.<br />

109 ASC, Registro della Deputazione per la esazione di 50.000 fiorini, D1 Busta 10, fs. 11r-15v.<br />

110 Ibid., f.8v.<br />

111 F. LODDO-CANEPA, Origen del cavallerato y de la nobleza del Regno de Cerdeña, dins «Archivio<br />

Storico Sardo», 24, Deputazione per la Storia patria della Sardegna, 1954, pàgs. 353-354.<br />

112 F. FLORIS-S. SERRA, Storia della nobiltà in Sardegna. Genealogia e araldica delle famiglie<br />

nobili sarde, Edizioni della Torre, Cagliari 1986, pàg. 309.<br />

113 G. MELONI, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona cit., pàg. 106.<br />

114 Ibid., pàg. 10<strong>1.</strong><br />

115 Archivio Storico Comunale di Cagliari (ACC a partir d’ara), Llibre Groc, vol. 5, f. 157.<br />

116 G. MELONI, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona cit., pàg. 78.<br />

117<br />

BAUDI DI VESME, Codex Diplomaticus Ecclesiensis. Historiae Patriae Monumenta, s.XV, Torino<br />

1877, doc. 3<strong>1.</strong><br />

79


80<br />

Esther Martí Sentañes<br />

a Alfons el Magnànim. 118 Era considerat un potent feudatari de l’illa ja el 1444,<br />

quan el monarca li demana que participi al donatiu de maridatge al costat dels<br />

grans feudataris sards. 119 A la reunió del braç militar de 1446 representa Jaume<br />

i Nicolau Carròs, Gerard de Doni, Margarida Sant Just, Felip Aragall, Manuel<br />

de Santa Pau i Galceran Torelló. 120 L’any 1459 deixà a Joan II tres-cents ducats. 121<br />

El seu fill, Jaume, era noble. El nom familiar es perdé, però, a finals del segle<br />

XV. 122<br />

Un dels síndics calleresos del Parlament de 1421, Jaume Xarch, hi fou a més<br />

portaveu del braç reial. 123 Pertanyia també a una família de mercaders, documentada<br />

ja al segle XIV. 124 Prèviament havia estat ambaixador de la ciutat de Càller, exposant<br />

al Magnànim el 1417 la posició de la ciutat. 125 L’any 1445 era conseller de Càller,<br />

al costat d’Antoni Vidal, Francesc Oliver i Antoni Mas Ferrer. 126<br />

L’altre síndic de Càller, Pere Salzet, era doctor en decrets. Representà, a<br />

més, Jaume Pardo a la reunió del braç militar de 1446. 127 Fou també ambaixador<br />

de Càller. Un altre membre de la família,Antoni, fou síndic de Càller al Parlament<br />

de 1481, continuant la tradició de mantenir-se una mateixa família en aquest<br />

càrrec, amb el monopoli i l’exhibició de poder que això comporta. 128<br />

Pere dez Banchs, un altre síndic de Càller, és un dels més poc documentats.<br />

És possible, però, una relació familiar amb el jurista Raimon de Banchs, convocat<br />

al Parlament de 1355 com a representant també de Càller. 129 La poca<br />

documentació acompanya també la figura de Joan Bartomeu, l’altre síndic de<br />

Càller, de qui només sabem que fou un dels enviats a Barcelona per comunicar<br />

a Martí el Vell la victòria aragonesa a Sanluri el 1409. 130<br />

Pel que fa als síndics de Sàsser, mereix un punt i a part Serafí de<br />

Montanyana, notari, membre d’una família de mercaders de probable origen<br />

118 E. PUTZULU, Carte reali cit., pàgs. 42-45, 48-56. Raimon Boter fou també oïdor de comptes de<br />

la Diputació del General. ASC, Registro della Deputazione per la esazione di 50000 fiorini,<br />

D1 Busta 10, fs.15v.<br />

119 F.C. CASULA, La Sardegna aragonese cit., pàg. 640.<br />

120 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàg. 52.<br />

121 ACA, Serie Sardiniae, Cancelleria, reg. 3395, fs. 120v-120r.<br />

122 F. FLORIS-S. SERRA, Storia della nobiltà cit., pàg. 309.<br />

123 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàg. 16.<br />

124 A.M. OLIVA-O. SCHENA, Autonomie cittadine e potere regio cit., pàg. 77.<br />

125 ACC, Carte Reali (1417-1455), n. 88; E. PUTZULU, Carte reali cit., pàgs. 34-35.<br />

126 F. MANCONI (a cura di), Libro delle ordinanze cit., pàg. 12<strong>1.</strong><br />

127 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàg. 53.<br />

128 A.M. OLIVA-O. SCHENA, Potere regio cit., pàgs. 154-155.<br />

129 G. MELONI, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona cit., pàg. 106.<br />

130 F.C. CASULA, La Sardegna aragonese cit., pàg. 53<strong>1.</strong>


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

català. Lluità al costat d’Aragó en l’empresa de Còrsega a càrrec del Magnànim,<br />

esdevenint feudatari de Ploaghe i Salvador pels serveis prestats a la Corona.<br />

Vers el 1436 rep en feu una part del lloc de Montlleó, antiga fortalesa dels<br />

Dòria, de qui era un gran opositor. 131 Continuarà exercint un paper notable<br />

dins de la ciutat, esdevenint conseller en cap i capità entre 1448 i 1449, i<br />

esdevindrà un dels feudataris més importants del Logudor. 132 Val a dir que a<br />

més apareix dins del braç militar al Parlament de 1481-1485, car havia<br />

aconseguit la noblesa. 133 El seu germà Guillem rebé en feu la baronia de<br />

Montiferru el 1422. 134<br />

Julià de Jano, l’altre síndic de Sàsser, fou diputat per al control del donatiu<br />

durant el segon any. Sense una certesa que hi hagi una relació familiar entre ells,<br />

es coneix l’existència de Joan Iana o Iano, cambrer de Pere el Cerimoniós, 135<br />

que al Parlament de 1421 apareix dins del braç militar com a procurador de<br />

Guillem de Montanyana, 136 que era a la vegada el sogre de Lleonard Cubello,<br />

marquès d’Oristany. 137<br />

Antoni de Marongiu, també síndic de Sàsser al Parlament de 1421, pertanyia<br />

a una rica família de mercaders logudoresos, amb un fort control sobre la Sàsser<br />

del segle XV. 138 De fet, ja el 1392 Pere Marongio fou podestà de la ciutat, i quan<br />

l’oligarquia sasseresa demanà d’ésser una ciutat reial amb Alfons el Magnànim,<br />

passà a ésser cònsol dels catalans a la ciutat. 139 El mateix Antoni fou també<br />

podestà el 1432 durant tres anys, essent substituït per un altre membre de la<br />

família, Joan. El 1483 ho serà Pere i encara un altre Marongio, Àngel, obtindrà<br />

el mateix càrrec el 1521, amb la clara associació d’un càrrec públic a una mateixa<br />

nissaga. L’ennobliment de la família arribà l’any 1443 quan Tomàs, també ciutadà<br />

de Sàsser i descendent d’una família de majorals del regne de Torres, segons<br />

Tola, 140 fou armat cavaller, juntament amb el germà Àngel, gràcies als serveis<br />

prestats en la guerra de Nàpols al rei Alfons. De fet, a la reunió del braç militar<br />

de 1446, Àngel de Marongio hi participava fent-se representar per Marià de<br />

131 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàgs. 23-24.<br />

132 B. ANATRA, I ceti dirigenti sassaresi cit., pàgs. 369-37<strong>1.</strong><br />

133 A. MATTONE, Gli statuti sassaresi cit., pàg. 444.<br />

134 Ibid., pàg. 434.<br />

135 F.C. CASULA, La Sardegna aragonese cit., pàg. 400.<br />

136 Ibid., pàg. 634.<br />

137 Ibid., pàg. 592.<br />

138 A.M. OLIVA-O. SCHENA, Autonomie cittadine e potere regio cit., pàg. 77.<br />

139 B. ANATRA, I ceti dirigenti sassaresi cit., pàg. 367.<br />

140 P. TOLA, «Marongiu», dins Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, II, Ilisso,<br />

2001, pàgs. 367-368.<br />

81


82<br />

Esther Martí Sentañes<br />

Marongio. 141 El mateix any Àngel fou l’enviat del comú de Sàsser al monarca<br />

per tal de tractar aspectes relacionats amb la conquesta de Castell Aragonès. 142<br />

Esdevingué capità de Sàsser el 1472 i lloctinent del governador. L’any 1474<br />

figurava en el llistat de nobles i cavallers de Sàsser i l’Alguer als quals Joan II<br />

adreçà una carta, al costat de Serafí de Montanyana. 143 Possessor de diversos<br />

alous i feudatari del Costaval, el 1454 comprà Oppia als Saba, amb les seves<br />

senyories. 144 Es casà amb Rosa d’Antoni Gambella, augmentant encara més el<br />

seu ric patrimoni i col·locant-se entre les famílies més influents de Sàsser. 145<br />

Pere Ferreres, síndic de l’Alguer durant el Parlament de 1421, era notari i<br />

d’origen català. Procedent d’una família sense una gran fortuna, aconseguí a<br />

principis del segle XV consolidar-se gràcies als propis mèrits com un dels homes<br />

forts de la ciutat, esdevenint un fidel súbdit del Magnànim i prenent posició<br />

contra els Dòria. De fet, participà activament en l’expugnació del castell de<br />

Montlleó, una de les propietats d’aquesta família, obtenint del monarca una part<br />

d’aquest feu. 146 Rebé també del rei els feus de Pàdria i Mara, esdevenint un<br />

home ric i amb poder. 147 El 1444 participà en el donatiu fet per maridatge imposat<br />

per Alfons el Magnànim al costat dels altres grans feudataris de l’illa. 148<br />

Pisconte Gessa, síndic d’Esglésies en el mateix Parlament, procedia també<br />

del món dels negocis. Fou a principis del segle XV major del port i més endavant<br />

capità de la seva vila. Havia obtingut del rei Martí favorables franquícies per als<br />

seus negocis comercials, 149 i més endavant esdevingué oficial de les viles reials<br />

de Massàrgia, Domusnovas, Gonnesa i Gorbisa. Gran negociant, féu diversos<br />

préstecs a la Corona, obtenint el càrrec d’armentari per tal de saldar un d’aquests<br />

crèdits. Quan va participar al Parlament era una persona rica i amb certa influència<br />

a Esglésies. El 6 de febrer de 1421, a la fi de l’assemblea, el Magnànim li concedí<br />

el títol de Vescomte de Gessa, fent-li donació de diversos feus i atorgant-li un<br />

règim especial de franqueses. 150 El seu nét, Nicolau Gessa, gràcies a una política<br />

d’intercanvis de terres amb els Aragall va ampliar encara més aquests feus. El<br />

141 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàg. 53.<br />

142 F. LODDO-CANEPA, Origen del cavallerato cit., pàg. 33<strong>1.</strong><br />

143 ASC, Pragmatiche istituzioni e carte reali (1324-1773), B1, 1474.<br />

144 F.C. CASULA, «Marongiu», dins Dizionario Storico Sardo, VII, L’Unione Sarda, Cagliari 2006,<br />

pàgs. 2034-2035.<br />

145 A. MATTONE, Gli statuti sassaresi cit., pàgs. 436-437.<br />

146 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàgs. 23-24.<br />

147 P. TOLA, Codice degli Statuti della Repubblica di Sassari cit., pàgs. 153-154.<br />

148 F.C. CASULA, La Sardegna aragonese cit., pàg. 640.<br />

149 BAUDI DI VESME, Codex Diplomaticus Ecclesiensis cit., docc. 5, 8, 1<strong>1.</strong><br />

150 Ibid., doc. 28.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

1510 adquirí dels Alagon una part d’Ippis i el 1513 comprà als Bellit la senyoria<br />

d’Aiguafreda, que els havia de revendre el 1519. 151<br />

També resta vinculat amb el món mercader Antoni de Lollo, l’altre síndic<br />

d’Esglésies, canonge de la diòcesi de Sulcis, 152 que obtingué de Martí el Jove la<br />

immunitat de duanes i d’impostos sobre les mercaderies.<br />

Tot i que Goceano, Monteacuto i Chiaramonte pràcticament només<br />

participaren al donatiu del Parlament i no en les sessions de Corts, tenim diverses<br />

notícies dels seus síndics. Així, Gerard de Serra, un dels síndics de Goceano, i<br />

Joan de Serra, síndic de Chiaramonti, podrien pertànyer a la mateixa família, de<br />

la qual formava part Mateu, bisbe de Terralba, dominic, representant del braç<br />

eclesiàstic al mateix Parlament. 153 D’altra banda la família Serra es troba present<br />

a Catalunya i Nàpols. Val a dir que, a més, alguns jutges d’Arborea també portaren<br />

aquest cognom. 154<br />

D’altra banda, Gantine de Milia, síndic d’Òsilo, podria estar emparentat<br />

amb Domènec o Jordi de Milia, bisbe de la diòcesi d’Ottana (actualment l’Alguer-<br />

Bosa) durant el darrer terç del segle XV. Es tracta d’un exponent més de les<br />

famílies oligarques que, a més de conquerir un títol nobiliari, tenen importants<br />

membres dins del clergat, assegurant així la seva presència als tres braços presents<br />

als Parlaments. 155 Continuant amb aquest mateix tema, Cristòfor Usai, síndic<br />

de Chiaramonte, pertany a una família que obtindrà la noblesa segles més<br />

tard, el 1600, amb Pere Pau. 156 Finalment, Joan Feno, síndic de Monteacuto,<br />

pertany a una família sasseresa ben col·locada dins la ciutat. Així, Pere de<br />

Feno, va ser sempre al servei de la Corona d’Aragó, obtenint el 1412 en feu la<br />

vila de Monti i els salts de Tola. Uns quants anys més tard rebé l’encàrrec de<br />

la ciutat de Sàsser de presentar-se a l’Alguer i actuar d’ambaixador davant el<br />

rei Alfons, tot oferint l’obediència i vassallatge de la ciutat. Seguí el monarca<br />

en l’empresa de Còrsega, obtenint el 1420 els feus de Codrongianus i Bedas,<br />

que el 1430 es convertiren en alous. Fou, a més, parent de Pere Spano,<br />

arquebisbe de Torres. 157<br />

151 F.C. CASULA, «Gessa», dins Dizionario Storico Sardo cit., VI, pàg. 1497.<br />

152 A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo cit., pàg. 19; BAUDI DI VESME, Codex<br />

Diplomaticus Ecclesiensis cit., doc. 2.<br />

153 Ibid., pàg. 19; D. SCANO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna,<br />

II, Arti Grafiche B.C.T., Cagliari 1941, docs. 16, 33, 35.<br />

154 F. LODDO-CANEPA, Origen del cavallerato cit., pàgs. 363-364.<br />

155 F.C. CASULA, «Milia», dins Dizionario Storico Sardo cit., VII, pàg. 2097.<br />

156 F. LODDO-CANEPA, Origen del cavallerato cit., pàg. 370.<br />

157 F.C. CASULA, «Feno», dins Dizionario Storico Sardo cit., V, pàgs. 1326-1327.<br />

83


84<br />

Esther Martí Sentañes<br />

En un altre ordre de coses, que ens allunyen del Parlament de 1421, resulta<br />

molt interessant aprofundir l’estudi de la família d’un dels síndics calleresos del<br />

següent Parlament sard, el de 1481-1485,Andreu Sunyer. Pertanyia a una família<br />

de mercaders originaris de Catalunya, present a Càller des del segle XIV, tot i<br />

que serà al llarg del segle XV que adquirirà un paper de relleu en el pla social,<br />

professional i cultural, amb membres eclesiàstics, membres en l’administració<br />

municipal i posteriorment també en l’estament militar. 158 Ja el 1422 Antoni<br />

Sunyer, mercader alguerès, obté un paper important en la gestió del pagament<br />

que cal fer al monarca per cobrir el deute contret amb Guillem III de Narbona. 159<br />

Des de la segona meitat de segle, però, el personatge més rellevant de la família<br />

fou sens dubteAndreu, que després d’ocupar càrrecs administratius com a cònsol<br />

dels venecians i genovesos i de ser al capdavant de les galeres de l’armada del<br />

rei a l’Atlàntic, serà el síndic de Càller a l’accidentat Parlament de 148<strong>1.</strong> Entre<br />

1486 i 1488 aconseguirà ser veguer de Càller, a més de conseller en cap. Un<br />

altre membre de la família participarà al Parlament de 1497 representant Càller,<br />

Guillem Sunyer, al costat de Joan NicolauAimerich, conseller en cap, i de Miquel<br />

Benaprès. 160 Evidentment la participació en les assemblees representatives<br />

constitueix una valuosa ocasió de promoció personal i familiar, gràcies en part<br />

als contactes amb les oligarquies urbanes per un costat, i amb l’administració<br />

reial per l’altre. De fet, l’estratègia familiar va funcionar, car el seu fill Cristòfor<br />

també va ser síndic al Parlament de 1504.<br />

D’altra banda, Andreu Sunyer serà el representant de l’oligarquia ciutadana<br />

que reivindica la pròpia identitat ètnica i que, malgrat ser fidel al rei, no perd<br />

l’oportunitat de demanar autonomia i de queixar-se contra una administració<br />

reial que considera opressiva. Val a dir, però, que el monarca estarà a favor de<br />

limitar així el poder del virrei, per molt que posar-se al costat de l’oligarquia<br />

urbana pugui representar-li en el futur més d’un maldecap. 161<br />

Resulta interessant comprovar que la família Sunyer ocupà durant el segle<br />

XV una posició de relleu al consell barceloní. 162 També trobem els Sunyer a<br />

158 A.M. OLIVA, ‘Rahó es que la Magestat vostra sapia’. La Memoria del sindicato di Cagliari<br />

Andrea Sunyer al sovrano’, «Bollettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo», 2003,<br />

pàgs. 335-34<strong>1.</strong><br />

159 F.C. CASULA, La Sardegna aragonese cit., pàg. 61<strong>1.</strong><br />

160 A.M. OLIVA-O. SCHENA, I Parlamenti Dusay-Rebolledo nella Sardegna di Ferdinando II,AM&D,<br />

Cagliari 1994, pàg. 219.<br />

161 A.M. OLIVA, Rahó es que la Magestat vostra sapia cit., pàgs. 335-34<strong>1.</strong><br />

162 P. GALINDO, Inventarios y libros (1340-1540). Síntesis bibiográfica, dins Suma de estudios en<br />

homenaje al ilustrisimo doctor A. Canellas López, Zaragoza 1960, pàgs. 459, 464.


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

Girona, on des de la segona meitat del segle XIII duen a terme un important<br />

paper en l’àmbit polític, econòmic i social, que al llarg del segle XV augmenta<br />

pel que fa a la gestió del municipi, de manera que diferents membres de la<br />

nissaga aconsegueixen càrrecs dins l’administració municipal. 163 Així, l’any 1444,<br />

en el mateix document on la reina Maria elegeix els jurats de la ciutat, consta<br />

Pere Guillem Sunyer com a conseller de la mà major. 164 Uns anys després, vers<br />

1484, sota el regnat de Ferran II, Guillem Sunyer, ciutadà, exerceix com a síndic<br />

a les Corts de Tarassona. 165 Ja durant el segle XVI membres de la família ocuparan<br />

en diverses ocasions el càrrec de missatgera a les Corts: així, l’any 1512 Gabriel<br />

Sunyer, ciutadà, fou nomenat síndic a les Corts, mentre que l’any 1528 Guillem,<br />

el seu fill, elevat a la dignitat de ciutadà honrat per un privilegi de Carles I, fou<br />

a més doctor en dret i conseller reial. El seu germà Joan, també ciutadà honrat<br />

en virtut del mateix privilegi i també doctor en dret i conseller reial, fou síndic<br />

de Camprodon durant les Corts de 1528, 1537 i 1542. Sabem també que la seva<br />

filla Isabel es casà amb Joan Sivilla i Torralles, baró de Sant Miquel de Pera. 166<br />

Val a dir també que a Mallorca els Sunyer esdevingueren una important<br />

nissaga de mercaders. 167 Igualment, a la ciutat de Lleida la família Sunyer té el<br />

seu màxim exponent en Simó Sunyer, síndic en nombroses Corts al llarg del<br />

regnat del Magnànim. Aquest representa un dels millors exemples de qui, per<br />

mitjà d’estudis universitaris, arriba ser considerat ciutadà honrat, exercint un<br />

paper important dins del govern municipal. Es llicencià en lleis, 168 i ja l’any<br />

1408 formava part del consell de vuit, com a representant de la mà major. 169 Fou<br />

paer en diverses ocasions, 170 l’any 1435 era legum doctor i dos anys després<br />

exercia com inquisidor jurista. Se’l devia considerar força, dins i fora de Lleida,<br />

ja que a les Corts de 1431 se’l nomenà, amb Vicenç Padriça, síndic de Barcelona,<br />

proveïdor de greuges per al braç reial. 171 El 1460 trobem Francesc i Guillem<br />

163 S. SOBREQUÉS, Régimen municipal gerundense en la baja edad media. La ‘insaculación’, CSIC,<br />

Girona, 1955, pàg. 40.<br />

164 M. J.ARNALL, Lletres reials a la ciutat de Girona (1293-1515), II, Fundació Noguera, Barcelona,<br />

2000, pàg. 773-774.<br />

165 Ibid., pàgs. 915-916.<br />

166 F. J. MORALES, Ciudadanos y burgueses honrados habilitados como síndicos del Brazo Real<br />

en las Cortes del Principado de Cataluña. Dinastías de Trastámara y Austria. Siglos XV y XVI<br />

(1410-1599), Madrid 1995, pàg. 294.<br />

167 J. ESTELRICH, La família Sunyer, una nissaga de mercaders de la Baixa edat mitjana (1375-<br />

1505 ), dins «Bolletí de la Societat Arqueològica Lul·liana», 1995, pàgs. 3-5.<br />

168 AML, reg. 405 bis, fs.11r-13v.<br />

169 AML, reg. 405, fs.1v-2r.<br />

170 AML, reg. 407, fs. 1v-1r; reg. 405 bis, fs. 36r-37v; reg. 412, fs.1v-2v.<br />

171 Cortes de los antiguos Reinos de Aragón cit., XVII, pàg. 83.<br />

85


86<br />

Sunyer, segurament fills de Simó, tots dos com a membres del consell dels vinti-dos<br />

de la ciutat de Lleida, representant la mà major, 172 i un any després, el<br />

1461, Pere Sunyer, germà de Simó, fou elegit paer. 173<br />

Conclusió<br />

A tall de conclusió, hem de dir que els Parlaments sards i les Corts catalanes<br />

d’aquest període es desenvolupen a grans trets seguint la mateixa estructura i<br />

basant-se en el mateix cerimonial. Malgrat aquest punt de partença comú, però,<br />

es detecten moltes diferències. Així, pel que fa a Sardenya s’observa un menor<br />

grau de maduresa institucional en el braç reial, almenys fins al Parlament de<br />

1481-1485, conseqüència en bona mesura de la poca experiència parlamentària<br />

prèvia i d’un univers urbà divers del català. Si a Catalunya les oligarquies urbanes,<br />

avesades a una política de caire pactista, eren en condició d’obstaculitzar les<br />

Corts i condicionar la política reial, les sardes encara no havien arribat a aquest<br />

punt, si més no durant el Parlament de 142<strong>1.</strong> De fet, la curtíssima durada d’aquest<br />

Parlament, la concessió del donatiu que demana el Magnànim sense cap mena<br />

d’oposició i la presència en moments puntuals de síndics que no formen<br />

estrictament part de l’elit ciutadana (per exemple, en el cas d’Esglésies, la<br />

participació d’un canonge; o d’un noble, Raimon Zatrilla, en el cas de Bosa)<br />

evidencien un panorama del tot diferent respecte el cas català. Val a dir però,<br />

que el greuges presentats ens duen a pensar que ben aviat aquesta elit urbana<br />

prendrà el mateix camí de col·laboració amb la monarquia, però fent valer els<br />

seus drets, si bé la política de caire autoritari de Joan II, i sobretot del seu fill<br />

Ferran, com al Principat, seran el contrapès d’aquestes aspiracions ciutadanes.<br />

Pel que fa al perfil dels representants municipals a les Corts, s’observa una<br />

idèntica trajectòria entre els catalans i els sards. Tots pertanyen a l’exclusiu<br />

nucli de ciutadans que controlen el govern de la ciutat, i compten amb una certa<br />

trajectòria institucional prèvia abans d’exercir en les assemblees representatives.<br />

A Sardenya, com a Catalunya, són freqüents els síndics amb estudis en dret,<br />

oferint així una sòlida representació jurídica a la ciutat. Val a dir que a l’illa es<br />

detecta una clara presència de famílies de mercaders en aquest càrrec, de forma<br />

més explícita que en les ciutats reials catalanes. L’adquisició d’un títol nobiliari<br />

formarà part de les estratègies familiars per col·locar-se cada cop millor dins el<br />

172 AML, reg. 419, fs. 1v-2r.<br />

173 AML, reg. 420, fs. 1v-2v.<br />

Esther Martí Sentañes


LES CIUTATS REIALS EN EL PARLAMENTS SARDS I EN LES CORTS CATALANES<br />

govern urbà i dins del regne. A Catalunya, l’ennobliment s’aconsegueix<br />

normalment emparentant per via del matrimoni amb una família de la baixa<br />

noblesa, normalment necessitada d’una injecció monetària, o comprant un títol<br />

directament. Així els ciutadans honrats adquireixen prestigi, a més de la<br />

possibilitat, que cal no subestimar, de participar en el braç militar de les<br />

assemblees, i per tant d’aconseguir un major grau d’influència i de poder per a<br />

la família. Pel que fa a Sardenya, a causa de la política de conquesta i pacificació<br />

de l’illa duta a terme pel Magnànim, és molt freqüent d’obtenir un títol nobiliari<br />

com a recompensa pels serveis prestats a la Corona.<br />

De tot plegat es desprèn la gran importància de comptar amb estudis<br />

prosopogràfics complets de les famílies amb presència als Parlaments iales<br />

Corts, que en definitiva portaran a elaborar estudis de les famílies que governaven,<br />

sense deixar de banda la necessitat de comptar també amb estudis sobre el braç<br />

eclesiàstic, perquè era força freqüent en aquestes famílies tenir diversos membres<br />

distribuïts als tres estaments com a estratègia infal·lible de poder.<br />

Així, si bé tant per al cas català com per a Sardenya es disposa ja de diversos<br />

treballs en aquesta línia, resten encara moltes ciutats per estudiar i diverses<br />

fonts per analitzar. Pel que fa a la documentació, val a dir que els arxius municipals<br />

són una font inesgotable de notícies, poc apreciada fins ara tant per a estudis<br />

prosopogràfics com per a estudis sobre el braç reial. No obstant això, tenint en<br />

compte la documentació estudiada, és en el cas català on aquests tipus<br />

documentals són decididament més fructífers, sobretot gràcies a la gran quantitat<br />

de volums conservats que fan referència a les deliberacions del consell, a més<br />

de nombroses sèries epistolars. Malauradament, la documentació dels arxius<br />

municipals sards és molt més reduïda per a aquest període, però no menys<br />

interessant.<br />

87


TAXACIÓ D’OFICIS DE MAESTRANCES<br />

(Oristano 1597-1621)<br />

Walter Tomasi<br />

Arxiu de Tradicions<br />

Presso l’Archivio Storico del Comune di Oristano, nella Sezione Antica, col<br />

numero di inventario 1342, è custodito un interessante documento del XVII secolo,<br />

contenente le tariffe dei prezzi delle prestazioni d’opera e dei manufatti degli<br />

artigiani e dei lavoratori della città, dei suoi borghi e dei tre Campidani. Il suo<br />

titolo originale è riportato nell’ultima delle otto carte di cui è composto, nella<br />

quale compare la scritta in lingua catalana Taxació de offissis de maestran[ces]<br />

y àls, mentre al di sotto di essa, in uno stile grafico di epoca successiva e in<br />

lingua italiana, è stata aggiunta da mano ignota la dicitura Tariffa degli Artisti.È<br />

la copia autentica, redatta dal notaio Miquel Nonni in data 26 marzo 1621 – su<br />

richiesta dell’allora conseller en cap Pere Lluís Dessí e di Joan Atzenis – dei<br />

capitoli presentati dai consiglieri di Oristano al viceré Alfonso Lasso Sedeño e<br />

da questi approvati, con ratifica finale da parte del reggente la Regia Cancelleria,<br />

Pere Joan Soler, il 14 dicembre 1597 e con pubblicazione di essi il successivo<br />

29 dicembre.<br />

Di questo documento non era stata divulgata notizia né dal Lippi, nel suo<br />

rapido inventario dell’Archivio Comunale di Oristano, né dall’Era, nella sua<br />

nota opera dedicata alla storia istituzionale cittadina. La sua conoscenza è dovuta,<br />

invece, alle preziose attività di restauro operate nel 1991 e, soprattutto, ai<br />

lavori di riordino dell’ingente patrimonio documentario oristanese, promossi<br />

dall’amministrazione cittadina, svoltisi durante gli anni 1995-2001, nel corso<br />

dei quali la Tariffa è stata recuperata e messa a disposizione degli utenti.<br />

Il testo, scritto in una lingua catalana fortemente arricchita da vocaboli provenienti<br />

dalla variante locale del sardo, inizia con la circostanziata spiegazione<br />

delle cause contingenti che resero necessaria la compilazione di un calmiere<br />

così ampio e articolato. Per i consiglieri ed il Consiglio Civico di Oristano urgeva,<br />

innanzi tutto, porre freno al rincaro sconsiderato dei prezzi di tutti i beni di<br />

consumo, a parer loro così eccessivo a causa del regime di monopolio che in<br />

pochi anni era stato creato da merqueders, negossiants, manestrals, masaius,<br />

jornalers, pescadors, i quali tutti – viene detto – con «scarsa coscienza e smisurata<br />

ingordigia», non si accontentavano più di «vivere e rimanere entro i prezzi»<br />

89<br />

INSULA, num. 1 (giugno <strong>2007</strong>) 89-104


90<br />

Walter Tomasi<br />

fino allora stabiliti, ma a loro arbitrio fissavano il valore delle merci e dei prodotti,<br />

impoverendo sia la popolazione di Oristano, città che era stata «per lo<br />

passat la més abundant, fèrtill y barato que fos en les demés ciutats y llochs del<br />

present Reñye», sia gli abitanti di tutti i territori dei tre Campidani.<br />

Con tali tariffari, quindi, gli amministratori cittadini che li compilavano intendevano,<br />

prima di tutto, elencare e descrivere puntigliosamente le peculiari<br />

caratteristiche dei beni e dei servizi offerti da maestri e salariati, precisandone i<br />

prezzi per mantenerli stabili, e poi contribuire alla conservazione di una situazione<br />

d’equilibrio tra le richieste dei consumatori e le esigenze dei produttori,<br />

garantendo la sicurezza economica – e quindi la tutela dell’equilibrio sociale –<br />

dell’intera comunità amministrata. Erano, infatti, compiti fondamentali delle<br />

istituzioni pubbliche – attuati, talvolta, in collaborazione con autorevoli rappresentanti<br />

delle varie categorie artigiane – il controllo permanente delle attività<br />

dei diversi settori economici, la verifica della qualità dei manufatti immessi sul<br />

mercato e l’accertamento della stabilità dei prezzi dei prodotti e delle<br />

corresponsioni salariali, e ancora la vigilanza sulle competenze professionali<br />

dei lavoratori, la tutela delle norme concernenti la distribuzione e l’uso delle<br />

materie prime, l’esame di pesi e misure e l’imposizione di onerose multe a tutti<br />

i contravventori.<br />

Proprio attraverso i tariffari, dunque, i funzionari fissavano regole di carattere<br />

commerciale e produttivo e stabilivano le misure ritenute necessarie per lo<br />

sviluppo e la salvaguardia delle attività locali, provvedendo, poi, periodicamente,<br />

al riesame e all’aggiornamento dei contenuti delle ordinanze in vigore,<br />

con la volontà di sostenere, da una parte, le necessità mutabili della clientela e,<br />

dall’altra, le aspettative economiche e professionali dei lavoratori.<br />

Subito dopo l’infervorata premessa iniziale, nel testo è riportato l’obbligo<br />

categorico, imposto ai mercanti e ai commercianti, di vendere ai calzolai la<br />

quinta parte dei cuoi bovini e delle pelli di vitello, di montone, ecc., in loro<br />

possesso, allo stesso prezzo pagato all’atto dell’acquisto, con la minaccia di<br />

sequestro del quinto delle merci e una multa di venticinque lire in caso di<br />

inosservanza. Obblighi simili sono imposti anche ai balestrieri, ai cacciatori e<br />

a tutte quelle categorie di persone legate all’approvvigionamento e al commercio<br />

delle pelli.<br />

Anche l’importazione e la vendita del ferro sono espressamente<br />

regolamentate, con la specifica prescrizione per mercanti e commercianti di<br />

vendere un quinto della merce ai fabbri locali, allo stesso prezzo dell’acquisto e<br />

con la minaccia di sanzioni, identiche a quelle su accennate per i cuoi e le pelli,<br />

qualora fossero riscontrate situazioni d’inadempienza.


TAXACIÓ D’OFICIS DE MAESTRANCES<br />

Segue, poi, la lunga tabella che, come già riferito, contiene i prezzi dei manufatti<br />

e le tariffe salariali delle prestazioni di lavoro, in relazione ai vari mestieri<br />

esercitati nella città e nel suo distretto. Dalla sua lettura, che rivela nell’evidente<br />

giustapposizione delle sezioni una collazione di testi originariamente<br />

eterogenei, si può tratteggiare un quadro sociale ed economico di Oristano se<br />

non particolarmente prospero, in ogni modo sufficientemente vivace e multiforme.<br />

Inoltre, considerandone la vocazione commerciale e le attività manifatturiere,<br />

agro-pastorali e ittiche diffuse nel suo territorio, la città sembra rivelarsi<br />

sostanzialmente in linea con la situazione generale delle altre principali città del<br />

Regno di Sardegna. Si può, invece, notare che nella Tariffa, a differenza di altri<br />

analoghi documenti all’epoca vigenti in diverse città regie, non vi sono riferimenti<br />

espliciti ad alcuna associazione di mestiere e non è mai riportata la parola<br />

confraria (poi sostituita da gremi), proveniente dal mondo delle istituzioni ecclesiastiche,<br />

che all’epoca designava le corporazioni, mentre compare più volte<br />

il termine laicale di maestrança, che conoscerà maggior diffusione nel linguaggio<br />

industriale moderno. È dunque probabile che, al momento dell’entrata in<br />

vigore del documento, le eventuali organizzazioni corporative esistenti non fossero<br />

state ancora costituite ufficialmente da un atto dell’autorità pubblica e che,<br />

ciò nonostante, avessero stretto fra loro una sorta di lega, di coalizione, per<br />

creare un regime di monopolio («a modo de manipode fet lliga») nei rispettivi<br />

settori economici.<br />

L’elenco ha inizio con l’ofici dei calzolai ed enumera capillarmente i vari<br />

tipi di calzature prodotte. Abbondano gli stivali e i borzacchini, distinti in differenti<br />

modelli, soprattutto a la sardesca, in base alle pelli impiegate (capriolo,<br />

vitello, montone, cordovano), ai tipi di suole, alla fattura e alla destinazione<br />

d’uso. Sono elencate scarpe da uomo, donna e bambino, quest’ultime diversificate<br />

a seconda delle fasce d’età di riferimento; non mancano, per le necessità<br />

della clientela, le pantofole da uomo e da donna.<br />

Seguono, poi, le tariffe relative agli adobadors e agli assaonadors, con interessanti<br />

riferimenti ai tipi di cuoi e pelli lavorati, e alla non estesa gamma dei colori<br />

delle tinte adoperate, comprendente solamente il nero, il bianco, il giallo paglia e il<br />

rosso, quest’ultimo ottenuto dalla lavorazione del brasil («brisil» nel testo).<br />

Assai variegato si presenta il campionario di articoli offerto da sarti e categorie<br />

affini, che ci danno un’idea chiara dei gusti e della moda locale: compaiono,<br />

infatti, prodotti artigianali di diversa confezione, qualità e prezzi, tra i quali<br />

si annoverano capi di vestiario maschile, come cappe, palandrane, tuniche,<br />

giubbe, maniche, mantelli, gonnellini, calzoni, calze; e femminile, quali savoiane,<br />

gonne, abiti, giacchette, gonnelle e calzoni da donna. Gli indumenti elencati, un<br />

91


92<br />

Walter Tomasi<br />

buon numero dei quali realizzati con alcuni fra i tessuti più in voga in quel<br />

tempo, si presentano talora decorati con vari complementi ornamentali, in prevalenza<br />

nastri e fasce, e in alcuni casi sono trapuntati e rivestiti internamente<br />

con fodere assortite.<br />

Conclusa la parte dedicata a cuoi, pelli e abbigliamento, il testo passa a<br />

elencare le tariffe corrispondenti alle prestazioni d’opera dei picapedrers, alle<br />

quali si affiancano le indicazioni su attività e manufatti dei carpentieri, dei<br />

costruttori di carri e dei bottai. Soprattutto l’attività di quest’ultima categoria di<br />

artieri, data la tradizionale diffusione della viticoltura nell’Oristanese, trova ampio<br />

spazio e giusta considerazione. Anche i costruttori di carri hanno una loro estesa<br />

sezione, con una capillare lista relativa ai prezzi imposti da esigere non solo<br />

per la realizzazione delle diverse componenti dei carri a ruote piene, ma anche<br />

per la fabbricazione di cancelli per terreni recintati e di vari elementi meccanici<br />

e strutturali dei mulini.<br />

Notevole è la varietà di manufatti elencati nel settore dei fabbri ferrai, nel<br />

testo nettamente distinti, in base alle loro specializzazioni, in ferrers e manyans<br />

(«magnians» nel testo). I primi, sostanzialmente, producevano svariati attrezzi<br />

da lavoro di differente uso, soprattutto agricolo, con un ampio assortimento che<br />

andava dalle vanghe alle asce, dai picconi ai vomeri; i secondi creavano serrature,<br />

cerniere e cardini per porte, finestre, armadi e casse, con varietà di strutture<br />

e fogge, e con particolare attenzione ai gusti tradizionali locali.<br />

Per i lavoratori giornalieri sono indicati i salari, certo non elevati, relativi<br />

alle attività agricole in cui erano impiegati: zappare, potare, curare le viti e<br />

occuparsi delle vigne, vendemmiare, pigiare l’uva, tagliare e svinare i vini, arare,<br />

mietere, trebbiare, ventilare la pula e immagazzinare i cereali.<br />

La sezione dedicata ai carrettieri distingue puntigliosamente le tariffe da<br />

esigere per il trasporto di legname di varia qualità e pezzatura, e così pure per i<br />

carichi di pietra del Sinis, di laterizi, di botti di vino, di terra, di letame, di<br />

carbone di Pompongias e del Sinis, di arbusti di mirto (da cui si estraeva il<br />

tannino per le conce) e, infine, di calce per la malta da costruzione.<br />

Assai significativa appare l’ampia parte riservata ai prodotti di una delle<br />

categorie artigianali più radicate nella città di Oristano, quella dei ceramisti, i<br />

figoli, dei quali erano riconosciute e assai apprezzate, in tutta l’Isola, l’abilità e<br />

la creatività. Nel calmiere sono elencate copiosamente stoviglie di ogni tipo,<br />

soprattutto di uso domestico – ma anche cadúfols per le norie –, che vanno da<br />

quelle di fattura più semplice e a buon mercato a quelle parzialmente o interamente<br />

estanyadas, vale a dire invetriate o ingobbiate, più funzionali ed esteticamente<br />

gradevoli.


TAXACIÓ D’OFICIS DE MAESTRANCES<br />

L’ultima parte del documento è dedicata ai produttori di laterizi e di calcina.<br />

Dei primi è delineata con precisione la pluralità dei materiali edili messi in commercio,<br />

tra i quali spicca su tutti il ladiri, e poi le mattonelle e le tegole, le cui<br />

matrici e modine – riconosciute dalle autorità – erano, secondo quanto riportato<br />

dal testo, accuratamente custodite nella chiesa di san Pietro a Solarussa, centro<br />

abitato tradizionalmente rinomato per la produzione di ottimi laterizi. Dei calcinai<br />

è semplicemente indicato il prezzo di vendita della calcina allo starello.<br />

Seppur entro lo spazio ristretto di questa breve introduzione, è importante<br />

soffermarsi, con alcune rapide osservazioni, su certuni elementi particolari della<br />

lingua catalana in uso nel testo. Si riscontrano, innanzi tutto, vari fenomeni<br />

linguistici specifici, dovuti agli influssi di sostrato della variante locale del sardo,<br />

come, ad esempio, nel caso della metatesi della /r/, di cui abbiamo testimonianza<br />

nelle parole froniment, brugos, prosells, ecc; o, anche, nella metatesi<br />

della /l/, attestata nella parola calvagar; e, inoltre, nell’alternanza grafica, per il<br />

suono in italiano rappresentato dal gruppo «gn», dei due digrammi ny (o anche<br />

ñy), proprio del catalano, e gn, verosimilmente legato agli usi grafici sardi, come<br />

si osserva nelle coppie Reñye / Regne e llenyam / llegnam. Ancora, si nota che<br />

alcuni termini del sostrato sardo emergono nella lingua catalana in uso nella<br />

città di Oristano: se, infatti, è agevole notare che i vocaboli tecnici adoperati per<br />

indicare i vari mestieri e i loro prodotti sono, nella stragrande maggioranza,<br />

catalani, non sfugge che il lessico del mondo agricolo – più conservativo – è<br />

invece, per una cospicua parte, sardo, come ci suggeriscono le parole orbada /<br />

arbada, cungar, aqutzar, ecc. Infine, si sottolinea che il verbo adjunir, caduto<br />

in disuso altrove, è ancora vivo nell’algherese, mentre la presenza della parola<br />

ladiri in un testo in catalano, più che rimandare ad una derivazione dal castigliano<br />

ladrillo, sembra confermare una sua origine autoctona.<br />

A conclusione di questa breve introduzione, colgo l’occasione per ringraziare<br />

vivamente, per la loro gentile e fattiva collaborazione, la direttrice dell’Archivio<br />

Storico Comunale di Oristano, la dott.sa Antonella Casula e le<br />

archiviste Rossella Tateo e Ilaria Urgu; ringrazio altresì, per il loro costante<br />

supporto, la direttrice della Biblioteca Comunale di Oristano, la dott.sa Enrica<br />

Vidali, le bibliotecarie Chiara Carta, Giovanna Corraine, Elena Masala e Anna<br />

Melis e gli operatori della Mediateca Comunale,Alessandra Solinas e Gianfranco<br />

Tomasi. Esprimo, infine, la mia gratitudine al prof. Joan Armangué i Herrero,<br />

per aver gentilmente seguito con impegno e passione le fasi di preparazione e<br />

realizzazione del presente lavoro, e al dott. Sebastiano Fenu, valente paleografo,<br />

sempre prodigo di preziosi consigli e osservazioni illuminanti.<br />

93


94<br />

TAXACIÓ DE OFFISSIS DE MAESTRAN[CES] Y ÀLS *<br />

Walter Tomasi<br />

[c. 1r] Jesús.<br />

Com sia lo ben hobrar prosehex de Nostre Señor Déu Jesucrist, per hont havent vist<br />

y conegut en esta ciutat de Oristañy, essent com és enmig del present Regne, ja<br />

aquella estada per lo passat la més abundant, fèrtill y barato que fos en les demés<br />

ciutats y llochs del present Reñye axí de bestiars, ço és bous aratoris, cuiros, cuiram<br />

de cada manera, manestrats de totes les arts necaniines, 1 jornalers, masaius, llegna<br />

cremadissa, viajes, pex, anguiles y altres manteniments seus, los quals no·s pot viure<br />

ni estar de ont de pochs añys esta part los merqueders, negossiants, manestrals, masaius,<br />

jornalers, pescadors, no contentant-se’n com al present no·s conténtan viure ni estar<br />

en los preus que respecte cadascú dels predits vivían y estàvan, han de·ssi matexos a<br />

modo de manipode fet lliga, encarestiant y encarint les causes que cascú se emplea<br />

ab molta pocha consiènsia y desmesiada cobdíssia en tanta manera que dita ciutat<br />

no·s pot viure, estar, suportar y substentar los tals execius preus que cascú posa, de<br />

tal manera que si a estos tals ecessos exorbitants y fora de tot bon govern de una<br />

república no·s provehex de oportú remey de redrés y moderassió ab preus condesents<br />

que tots víscan segons Déu y bon govern per la pública [y] privada utilitat d’esta<br />

ciutat, ciutedans y abitadors de aquella y son destrite, donant-se lo con[de]ssent remey,<br />

per lo qual inseguint la deliberació y apuntament pres sobre les causes infrascrite[s]<br />

per los concellers y concell de prohòmens d’esta ciutat per lo que tant convé al servey<br />

de Nostre Señor Déu Jesucrist y de sa magestat bé útill y redrés d’esta ciutat, ciutedans,<br />

abitadors y comorants en aquella y son destrinte, 2 ab voluntat y consentiment y decret<br />

de sa señoria il·lustrísima, emperò y no sens aquell, se són fets los presents e infrascrits<br />

capítols y apuntament, reservant la pena de aquells a sa señoria il·lustrísima per als<br />

contrafaents, aplicadora en tres parts, la una a régia cort y l’altra a l’acusador y l’altra<br />

per als pobres del ospital d’esta ciutat. Los quals capítols són los que seguexen:<br />

<strong>1.</strong> Ítem, per donar horde y redrés a les coses predites, que los merqueders y negossiants<br />

d’esta ciutat sían tinguts y obligats donar y vendre als sabatters que fan lo offissi, lo<br />

quint dels cuiros bovins que tindran y comprat hauran per fer llurs merquederies y<br />

esgrangeos, pagant-li aquells al matex preu que dits merqueders y negossiants los<br />

hauran comprats de pastors y foresters, preseint jurament de dits compradors, entenentse<br />

hara sia en pèl o adobats, sots pena als contrafahents de pedre [sic] lo dit quint de<br />

dits cuiros y de pagar vint-y-sinch lliures, aplicadors lo ters a la régia cort, altre ters<br />

als pobres del ospital de dita ciutat y l’altre ters al acusador.<br />

* Nella trascrizione dei testi, le carte recto e verso sono state singolarmente distinte con le<br />

enumerazioni chiuse tra parentesi quadre; si è seguito l’uso moderno nella punteggiatura e nell’indicazione<br />

delle maiuscole e minuscole; tutti le abbreviazioni sono state sciolte senza l’utilizzo<br />

di segni diacritici d’integrazione; sono stati distinti, secondo il testo, i numeri romani da<br />

quelli arabi; le lettere mancanti, per i guasti del supporto scrittorio o per gli errori o le omissioni<br />

del redattore, sono state integrate entro parentesi quadre [ ]; evidenti gravi errori del redattore<br />

sono sottolineati dal sic posto entro parentesi quadre [sic] oppure indicati in nota; sempre in<br />

nota, sono riportate le eventuali tracce di correzione dello scriba presenti nel testo; il testo è stato<br />

trascritto secondo le norme ortografiche correnti della lingua catalana (Els Nostres Clàssics); le<br />

parole di incerta lettura sono seguite dal punto interrogativo entro parentesi tonde (?); le abbreviazioni<br />

ll. e s. stanno rispettivamente per lliures e per sous.<br />

1 Per «mecaniques».<br />

2 Per «destricte».


TAXACIÓ D’OFICIS DE MAESTRANCES<br />

[c. 1v]<br />

2. Ítem, axí bé que dits merqueders y negosiants àjan de dar y vendre a dits manestralls<br />

sabaters la quinta part de totes les pels [sic] de vedells, cabrons, moltoninas, cabirols,<br />

sérvols que tindran, axí en pèl com adobades, pagant-lis al preu que lis costarà, a effecte<br />

de dar recapte de dit llur offici als 3 ciutedans y habitadors d’esta ciutat, sots pena predita.<br />

3. Ítem, que los balesters, cassadors y altras personas que vendran en pèl pells de<br />

sérvol y cabirols àjan de vendre aquells, ço és les sortides, a rahó de vint-sinch sous,<br />

la terza, a rahó de dotze sous y mitg la quarta, a rahó de vuyt sous, la una.<br />

4. Ítem, que tots los merqueders, negosiants y altras personas que portaran ferro dins<br />

esta ciutat per vendre en gros o en menut, que aquells tals sían tinguts y obligats de<br />

dar y vendre als mestres ferrers d’esta ciutat la quinta part de tot dit ferro, pagant<br />

aquell lo preu lis costarà, no entenent-se del que se fan aportar de ultra marina sinó<br />

del que se comprarà en lo present Regne, jurant dit merqueder o negossiant lo preu lis<br />

costarà, sots pena de pedre lo dit ferro y de pagar vint-sinch lliures de maquissa del<br />

modo sobredit; en lo qual preu se entén també las despessas aurà fet lo merqueder en<br />

conduir dit ferro en la present ciutat, que lo àjan de pagar encontinent de comptants.<br />

5. Ítem, que los manestrals sabaters àjan de fer la fahena de llur offisi del modo y<br />

manera següent, a saber és:<br />

6. Los estivalls de cabirol a la sardesca, si és de una pell de una sola tot del mestre,<br />

dos lliures, 2 ll. – s. 4<br />

7. Ítem, un parell d’estivals a la sardesca de dos pells de cabirol y de una sola tot del<br />

mestre, dos lliures, deu sous, 2 ll. X s.<br />

8. Ítem, un parel d’estivalls de cabirol borseguins de una pell tot del mestre, trenta<br />

sous, I ll. X s.<br />

9. Ítem, lo parell d’estivalls de pèl cordovà a la sardesca de una sola tot del 5 mestre,<br />

trenta sous, I ll. X s.<br />

10. Ítem, lo parell d’estivalls de cordovà si són de dos pells tot del mestre, dos lliures,<br />

setze sous, 2 ll. 16 s.<br />

1<strong>1.</strong> Ítem, un parell d’estivalls de cabirol borzegins de una pell tot del mestre trenta<br />

sous, I ll. X s.<br />

12. Ítem, lo parell d’estivalls de pell cordovà a la sardesca de una sola y de dos pells<br />

tot del mestre quaranta-sinch sous, 2 ll. X s.<br />

13. Ítem, lo parell d’estivalls de cordovà borzegins de dos soles tot del mestre trentasinch<br />

sous, I ll. XV s.<br />

14. Ítem, lo parell d’estivalls de vedell de calvagar [sic] tot del mestre ab lo enforo,<br />

tres lliures, III ll. – s.<br />

15. Ítem, lo parell d’estivalls de pell moltonina de dos pells a una sola tot del mestre,<br />

trenta sous, I ll. X s.<br />

16. Ítem, lo parell d’estivalls de moltonina borzegins de una sola tot del mestre, vinti-quatre<br />

sous, I ll. IIII s.<br />

17. Ítem, lo cosiment de pell cabirol a la sardesca tot del mestre, deu sous, 0 ll. X s.<br />

18. Ítem, lo cosiment de pell cordovà a la sardesca tot del mestre, 0 ll. VIIII s.<br />

[c. 2r]<br />

19. Ítem, lo cosiment de pell moltonina a la sardesca tot del mestre, 0 ll. VII s.<br />

20. Ítem, un ensolament de masaiu, sis sous, 0 ll. VI s.<br />

3 La parola «als» è soprascritta.<br />

4 Le cifre sono riportate nella riga sottostante.<br />

5 «tot del» soprascritto.<br />

95


96<br />

Walter Tomasi<br />

2<strong>1.</strong> Ítem, un ensolament de borzeguins de home, sinch sous, 0 ll. V s.<br />

22. Ítem, un parell de sabates de cordovà de home de dos soles tot del mestre, quinze<br />

sous, 0 ll. XV s.<br />

23. Ítem, un parell de sabates de una sol·la de cordovà, deu sous, 0 ll. X s.<br />

24. Ítem, un parell de sabates de una sola de cabirol de dona a una sola, sinch sous, 0<br />

ll. V s.<br />

25. Ítem, un parell de sabattes de moltó de dona a una sola, 0 ll. IIII s.<br />

26. Ítem, un parell de sabattes de miñyó de sis fins en deu añys de cordovà a una sola,<br />

sinch sous y mig, 0 ll. V s. 6 d.<br />

27. Ítem, lo parell de sabates de xich fins en tres añys, 0 ll. IIII s.<br />

28. Ítem, un cuiro de cabirol o de sérvol de masaiu, tres lliures, III ll. – s.<br />

29. Ítem, un cuiro de cordovà de massaio tot del mestre, sinquanta sous, II ll. X s.<br />

30. Ítem, un cuiro de pel moltonina tot del mestre, I ll. XV s.<br />

3<strong>1.</strong> Ítem, de manifatura de un parell de stivals de masaiu tot del amo de una sola, 0 ll. XII s.<br />

32. Ítem, de manifatura de uns stivals de dos soles tot del amo, 0 ll. XII s.<br />

33. Ítem, per la matexa taxa passen los de cabirol, cordovà, moltó y vedell.<br />

34. Ítem, per fer un cosiment pell y sola del amo de qualsevoll pell, 0 ll. V s.<br />

35. Ítem, de posar unes soles del amo dos sous y mig, 0 ll. II s. 6 d.<br />

36. Ítem, per fer unes sabattes de cordovà tot del amo de dos soles, 0 ll. VI s.<br />

37. Ítem, per fer unes sabattes de cordovà tot del amo de una sola, 0 ll. IIII s.<br />

38. Ítem, per fer unes sabattes de miñyó tot del amo de sis fins en deu añys de<br />

manifetura, 0 ll. II s.<br />

39. Ítem, per unes sabattes de xiquet tot del amo, 0 ll. I s.<br />

40. Ítem, per fer un cuiro de masaiu de mans, dotze sous, 0 ll. XII s.<br />

4<strong>1.</strong> Ítem, per fer un cuiro de sotta saiu tot del amo, qui[n]ze sous, 0 ll. XV s.<br />

42. Ítem, per fer unes plantoffes de home de cordovà tot del mestre, 0 ll. XVI s.<br />

43. Ítem, per manifatura de dites plantoffes tot del amo, 0 ll. VII s.<br />

44. Ítem, per hunes plantoffes de dona de cordovà tot del mestre, 0 ll. XIIII s.<br />

45. Ítem, per hunes plantoffes de dona de cordovà vermellas tot del mestre, 0 ll. XVI s.<br />

[c. 2v]<br />

46. Ítem, per las plantoffas de miñyonas de pell vermella o negra, 0 ll. VIII s.<br />

47. Ítem, per las plantoffas de dona, pell del amo y sola, per manifatura, 0 ll. VII s.<br />

Adobadors<br />

48. Ítem, que los adobadors sucehex cada dia per esperiènsia no púgan pendre de<br />

adobar lo cuiro sortit seze sous, 0 ll. XVI s.<br />

49. Ítem, per adobar un cuiro tres a dos, 0 ll. XV s.<br />

50. Ítem, per adobar un cuiro de vacca, 0 ll. X s.<br />

5<strong>1.</strong> Ítem, per adobar una terza, 0 ll. VII s.<br />

52. Ítem, per adobar un vedell, 0 ll. V s.<br />

53. Ítem, per adobar un cabirol gran, 0 ll. V s.<br />

54. Ítem, per adobar un cabirol migà, 0 ll. IIII s.<br />

55. Ítem, per adobar un cabirolet, 0 ll. III s.<br />

56. Ítem, per adobar un cordovà gran, 0 ll. V s.<br />

57. Ítem, per adobar un cordovà migà, 0 ll. III s.<br />

58. Ítem, per adobar un moltó gran, 0 ll. II s.<br />

59. Ítem, per adobar una pell moltonina, 0 ll. I s.<br />

60. Ítem, per adobar un cuiro de cavall y jumenta, 0 ll. X s.<br />

6<strong>1.</strong> Ítem, per adobar un cuiro de molendo, 0 ll. V s.


TAXACIÓ D’OFICIS DE MAESTRANCES<br />

Los asanadors 6<br />

Ítem, los asaonadors an de pendre de son offici per la mani 7 de las cosas saonadas lo<br />

següent:<br />

Et primo, un cuiro de bou axí lo unisco com tres a dos, 0 ll. X s.<br />

Ítem, lo cuiro de vaca, 0 ll. VII s.<br />

Ítem, lo cuyro de vedell gran a negre, 0 ll. V s.<br />

Ítem, lo cuiro de vedell, 0 ll. III s. 6.<br />

Ítem, lo cuiro de vedell a blanch, 0 ll. III s.<br />

Ítem, lo vedell xich a negre, 0 ll. III s.<br />

Ítem, la pell de cabirol gran blanch o negre, 0 ll. III s. 6.<br />

Ítem, la pell de cabirol xich a blanch o negre, 0 ll. III s.<br />

Ítem, la pell de sérvol y cabirol per fer llorus, 0 ll. V s.<br />

Ítem, la pell de sérvol a negre, 0 ll. V s.<br />

Ítem, la pell de cordovà migià a negre, 0 ll. III s.<br />

[c. 3r]<br />

Ítem, la pell de moltó gran blanch o negre, 0 ll. II s.<br />

Ítem, lo moltó migia negre o blanch, 0 ll. II s.<br />

Ítem, una pell de cordovà feta enserat dins y de fora y a brisil, tot del amo, 0 ll. VI s.<br />

Ítem, lo cordovà o moltonina tinta de brisill, 0 ll. VI s.<br />

Ítem, lo cordovà fet a color de palla, 0 ll. II s. 6.<br />

Ítem, una pell de cordovà enserat tot del amo, 0 ll. IIII s.<br />

La manifatura dels sastres, giponers y calseters, la manifatura de son offisi pendran<br />

lo següent:<br />

E[t] primo per un reuello pla ab sa capilla o de dratp o zamalot, 0 ll. XVIII s.<br />

Ítem, lo reuello forat o passamanat o repuntat, I 8 ll. XII s.<br />

Ítem, lo blendra pla, I 9 ll. XII s.<br />

Ítem, lo balendra ab passamà o vius, II ll. – s.<br />

Ítem, una cappa ab capus a la españyola forrada de armessí o tafetà, II ll. – s.<br />

Ítem, una cappa y sotana de dol, II ll. – s.<br />

Ítem, una ropilla a passamanada o repuntada, I ll. V s.<br />

Ítem, un saiu a passamat o repuntat, I ll. V s.<br />

Ítem, un saiu pla, 0 ll. XV s.<br />

Ítem, una cappa llarga de casa a passamada, II ll. – s.<br />

Ítem, una cappa llarga de casa, plana, I ll. – s.<br />

Ítem, un mantell de buratto o de scot, I ll. – s.<br />

Ítem, una savoyana ab passamà o 10 ab revet, III ll. X s.<br />

Ítem, una gonella plana, 0 ll. XII s.<br />

Ítem, una gonella gornida a la sardesca de revet, I ll. X s.<br />

Ítem, una gonella sardesca gornida de vellut o passamà ab son cos, II ll. – s.<br />

Ítem, un brial ab sas mànigas, I ll. V s.<br />

Ítem, unes faldettas gornidas de vellut ab faxes, revets o repunts, IIII ll. X s.<br />

6 Per «asaonadors».<br />

7 Per «manifatura».<br />

8 Il segno «I» corregge uno «0».<br />

9 Il segno «I» corregge uno «0».<br />

10 La «o» è soprascritta.<br />

97


98<br />

Ítem, unas faldettas gornidas de treps, III ll. X s.<br />

Ítem, unes faldettes planes, 0 ll. XV s.<br />

Ítem, las mànigas de dona, 0 ll. VIII s.<br />

Ítem, las mànigas sardescas, 0 ll. VIII s.<br />

Ítem, una savoiana plana, I ll. X s.<br />

[c. 3v]<br />

Ítem, un gipó encottonat ab panzetta, I ll. X s.<br />

Ítem, un gipó pla, 0 ll. XV s.<br />

Ítem, un gipó picat, I ll. – s.<br />

Ítem, un gipó de dona pla, 0 ll. XV s.<br />

Ítem, un parell de mànigas de gipó picat y repuntat, 0 ll. VII s.<br />

Ítem, un parell de mànigas de gipó planas, 0 ll. V s.<br />

Ítem, los calsons encotonats 11 ab pasamà o repuntats, I ll. V s.<br />

Ítem, uns calsons plans, 0 ll. XV s.<br />

Ítem, los calsons de dona, 0 ll. V s.<br />

Ítem, las migas callsas de dona de tela, 0 ll. III s.<br />

Ítem, 12 lo parell de peünuchs, 0 ll. I s.<br />

Ítem, los calsons de tela, 0 ll. III s.<br />

Picapedrers<br />

Ítem, los jornals de la maestransa de picapedrers an 13 de pendre aquellas lo sigüent:<br />

Primo, lo jornal fent-li lo vitto de aquella jornada lo amo de la faena, 0 ll. VIII s.<br />

Ítem, fent-se la despessa y vitto lo dit mestre per sa jornada, 0 ll. XII s.<br />

Ítem, que quant algun de dits mestres volguessen portar algun son dexeble que no sia<br />

examinat, que dègan pendre la meytat del que pren lo mestre.<br />

Ítem, per lo matex se entenga los jornals de mestre d’àxia, que són fusters y obrers de<br />

aquelles.<br />

Ítem, que dits mestres d’àxia y butters, que faran lo offici de fer bótes y dobar aquellas<br />

en temps de veremas o altrament, dègan pendre per fer huna bótta nova, tot del amo,<br />

vint sous; per ensercolar-la, cada sércol nou, tres dinés; y, per tornar lo vell y lligarllo,<br />

un callarès; per posar una doga, tres sous y sis dinés; per hun fondo nou, sinch<br />

sous y, si és vell, tres sous y tant per traure-lo, composar-lo y, si fos doga de mestre,<br />

sinch sous y sércols nous del mestre, nou callaresos.<br />

Ítem, los cubells que faran de llenyam del amo mijana de manifatura, 0 ll. X s.<br />

[c. 4r]<br />

Ítem, lo cubell xich de manifatura aja de aver lo mestre, 0 ll. VI s.<br />

Ítem, un cubell mijà tot del mestre, I 14 ll. V s.<br />

Ítem, de un cubell xich tot del mestre, 0 ll. X s.<br />

Los mestres de carros<br />

Ítem, per al offici de la maistrança de mestre de carros an de pendre per la fahena de<br />

llur offissi lo segent:<br />

11 La parola «encotonats» è soprascritta.<br />

12 Nel testo, «Ite».<br />

13 Correzione di «picapedres han».<br />

14 Il segno «I» corregge uno «0».<br />

Walter Tomasi


TAXACIÓ D’OFICIS DE MAESTRANCES<br />

E[t] primo, per la faissió de unes rodes noves ferrades, posades en prefectió, lleñyam<br />

del mestre, del punt gran, VII ll. – s.<br />

Ítem, si seran les rodes del punt mijà en lo matex terme àjan de aver, VII ll. – s.<br />

Ítem, si seran les rodes del punt xich, VI ll. – s.<br />

Ítem, per unes rodes sens ferrar tres lliures, III ll. – s.<br />

Ítem, per las pangas he o ajuntar de les rodes, I ll. – s.<br />

Ítem, una àxia e o fussell de·lles rodes, 0 ll. XII s.<br />

Ítem, una escala de carro 15 de la sort major, III ll. X s.<br />

Ítem, una escala de carro de la sort menor, II ll. X s.<br />

Ítem, per los masoles tres sous y per los prosells sinch sous,<br />

Ítem, per adjunir una escala deu sous, 0 ll. X s.<br />

Ítem, pe les barres de les rodes del carro, 0 ll. I s.<br />

Ítem, per estrèñyer les rodes del carro, 0 ll. II s.<br />

Ítem, per una clau de les rodes del carro, 0 ll. I s.<br />

Ítem, per ferrar las rodas de un carro, ferro del amo, I ll. X s.<br />

Ítem, per un arado tot del mestre, I ll. – s.<br />

Ítem, per una dental vuit sous, 0 ll. VIII s.<br />

Ítem, per una ambura sis sous, 0 ll. VII s.<br />

Ítem, per un peu de arado sis sous, 0 ll. VI s.<br />

Ítem, si de dites coses del arado, que és llegniam del amo de la fahena, que prèngan<br />

sinó lo ters de cascuna cosa que faran.<br />

Ítem, un juali carro deu sous, 0 ll. X s.<br />

Ítem, per un juali de remuch, 0 ll. VIII s.<br />

Ítem, per lo juali de llaurar, 0 ll. VI s.<br />

[c. 4v]<br />

Ítem, per las jeccas de viñya de cada meitat de los grans, 0 ll. X s.<br />

Ítem, per la meitat de las jeccas xichas, 0 ll. VI s.<br />

Ítem, dels molins dels orts sis lliures, VI ll. – s.<br />

Ítem, del castellar de molins, IIII ll. – s.<br />

Ítem, de les rodes de molins, I ll. – s.<br />

Ítem, dells fussos, 0 ll. X s.<br />

Ítem, del abre, 0 ll. X s.<br />

Ferrers<br />

Ítem, un froniment de rodes del punt major, VI ll. – s.<br />

Ítem, si serà de claus grans, VII ll. – s.<br />

Ítem, si serà ferro del mestre, a rahó de quatre sous, la lliura.<br />

Ítem, de las aquileddas, claus de barra, claus de cosir anellas y, si és ferro del amo,<br />

pendran lo ters.<br />

Ítem, de las palas de ferro de afossar sinquanta sous, II ll. X s.<br />

Ítem, de la manifatura de ditas pangas e o palas, ferro del amo, vinti sous, I ll. – s.<br />

Ítem, una marra de zappar, ferro del mestre, I ll. II s.<br />

Ítem, si és ferro del amo vuit sous, 0 ll. VIII s.<br />

Ítem, un marro de piccó, si és ferro del mestre, I ll. V s.<br />

Ítem, de manifatura, si és ferro del amo, 0 ll. VIII s.<br />

Ítem, de calzar una panga, ferro del mestre, vint sous, I ll. – s.<br />

15 «de carro» soprascritto.<br />

99


100<br />

Ítem, si és ferro del amo, 0 ll. VIII s.<br />

Ítem, de calzar los marons de zappar y de piccó prèngan, 0 ll. VIII s.<br />

Ítem, dels ferros de olla, ferro del mestre a rahó de 4 sous, [la] lliura.<br />

Ítem, de la manifatura de dites ferros a vuyt callaresos lliures.<br />

Ítem, lo matex prèngan de las giradoras, grellas, cavalls de coure carn, asts de ferro de<br />

traure carn.<br />

Ítem, cada ferro de cavall, ferro del mestre, de quatre claus a rahó de dos sous y mig,<br />

que són la una ferradura, 0 ll. X s.<br />

[c. 5r]<br />

Ítem, si serà ferro del amo sinch sous, la ferradura, 0 ll. V s.<br />

Ítem, de referrar, quatre callaresos per peu.<br />

Ítem, la orbada a rahó de sinch sous, la lluira, ferro del mestre.<br />

Ítem, si serà ferro del amo, a rahó de deu sous, las grans y las xichas set sous, la una.<br />

Ítem, per calsar una arbada, 16 ferro del mestre, 0 ll. XII s.<br />

Ítem, si serà ferro del amo sis sous, 0 ll. VI s.<br />

Ítem, una cavana, ferro del mestre, 0 ll. X s.<br />

Ítem, si serà ferro del amo, 0 ll. V s.<br />

Ítem, una pudadora, ferro del mestre, 0 ll. VII s.<br />

Ítem, una destral, ferro del mestre y asser, I ll. V s.<br />

Ítem, de manifatura deu sous, 0 ll. X s.<br />

Ítem, las segadoras, ferro del mestre, 0 ll. VI s.<br />

Ítem, per asprar las segadoras un sou, 0 ll. I s.<br />

Ítem, los espadinos de punta, I ll. V s.<br />

Ítem, altres espadinos llarchs, I ll. – s.<br />

Ítem, de qualsevol faena de ferro que faran, com són guias de finestra, ventana y<br />

altras que no són espressats en los presents capítols, que sían a quatre sous, la lliura.<br />

Magnians<br />

Ítem, un forrellat de porta clavat del grans a la sardesca ab sa tancadura, I ll. V s.<br />

Ítem, de un forellat si serà mijà ab sa tancadura y clau y anelles, seze sous, 0 ll. XVI s.<br />

Ítem, de una clau y de un forrellat sardesch gran, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, de una clau de forrellat xich, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, un cadenat ab ses anelles de torn ab sa clau y que sia bo, IIII ll. – s.<br />

[c. 5v]<br />

Ítem, de una lloba ab son froniment y clau, si serà gran, II ll. – s.<br />

Ítem, una lloba, si serà mijana, I ll. X s.<br />

Ítem, si serà xicha, vinti sous, I ll. – s.<br />

Ítem, de unes frontisses a rahó de quatre sous, la pessa, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, de frontisses de finestres xiches y armaris de dos pesses a rahó de tres sous, la<br />

pessa, 0 ll. III s.<br />

Ítem, unes correjes de portas sardescas, de portas o finestras, a rahó de quatre sous, la<br />

lliura, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, dels griffons a rahó de fferro del mestre, quatre sous, la lliura y, si serà ferro del<br />

amo, a rahó de dos sous la lliura.<br />

Ítem, de un pañi de tancadura, ferro del mestre, sis sous, 0 ll. VI s.<br />

Ítem, unes frontisses de taula de tesora vint sous, I ll. – s.<br />

16 Parola logudorese corrispondente alla campidanese «orbada».<br />

Walter Tomasi


TAXACIÓ D’OFICIS DE MAESTRANCES<br />

17 La «a» è soprascritta.<br />

18 Per «Pompongias».<br />

Ítem, tots los froniments de una taula bovet sinquanta sous, II ll. X s.<br />

Ítem, si és ferro del amo a rahó de sinch sous, la lliura.<br />

101<br />

Jornalers<br />

Ítem, un jornaler o manobre de fabricar aja cada die, 0 ll. V s.<br />

Ítem, lo jornaler de zappar y lo vi, quatre sous, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, lo jornal de llegar ab dos mesitas de vi, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, lo jornal de pudar ab dos mesitas de vi, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, lo jornal de afossar y pangar y colgar seps ab dos mesitas de vi, 0 ll. V s.<br />

Ítem, lo jornal de segar hordi, nudrit, 0 ll. V s.<br />

Ítem, per lo segar forment sis sous, 0 ll. VI s.<br />

Ítem, per trillar, quatre sous y lo vitto, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, per cungar y ventular y lo vitto, quatre sous, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, per qualsevol servissi de·lles vinyes, ço és escañiar, aqutzar càñia a rahó de<br />

quatre sous y dos mesitas de vi, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, per veremar, los hòmens tres sous y las donas dos sous,<br />

Ítem, per trapitgiar, sinch sous y lo vitto, 0 ll. V s.<br />

Ítem, per resmustar, quatre sous, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, per lo jornal de llaurar ab sos bous, 0 ll. VII s.<br />

Ítem, per lo jornal de llaurar ab bous del amo y nudrit, 0 ll. III s.<br />

[c. 6r]<br />

Los caradors masayus de Oristañy y burgos y Campidanos<br />

Ítem, per un carro de terra als conjolarjos, a un juo, 0 ll. I s. VI<br />

Ítem, a 17 quatre bous dos sous, 0 ll. II s.<br />

Ítem, per un carro de redelli als conjolarjos, 0 ll. VII s.<br />

Ítem, un carro de truca a quatre bous o sis bous, I ll. V s.<br />

Ítem, un carro de llenyam plana, 0 ll. X s.<br />

Ítem, per un carro de pedra de Sinnis, deu sous, 0 ll. X s.<br />

Ítem, lo viaje de portar mill làdiris de la sort major, I ll. X s.<br />

Ítem, per portar una bótta de vi de Solarussa i Simajor, Santo Vero Conjus, Nuraqui,<br />

Cabras, Riora y Zarfaliu, val la bótta vint-i-sinch sous, I ll. Vs.<br />

Ítem, de las viñyas de Oristany, deu sous, 0 ll. X s.<br />

Ítem, un carro de llinyam de Campidano, ço és trunca, a dos bous, dotze sous, 0 ll. XII s.<br />

Ítem, un carro de lleñya plana del Campidano, 0 ll. VIII s.<br />

Ítem, un carro de rebassa de masayus de Oristañy, 0 ll. XV s.<br />

Ítem, un carro de rebassa de Campidano, 0 ll. X s.<br />

Ítem, per llezar una xerda de terra fora de la ciutat gran, cada xerda dos sous, 0 ll. II s.<br />

Ítem, de una xerda de fems, un sou, 0 ll. I s.<br />

Ítem, per una xerda de carbó de Pompangas 18 y de Sinnis, I ll. V s.<br />

Ítem, dit carro de carbó d’estiu, vint sous, I ll. – s.<br />

Ítem, per una una xerda de murta de Tiria, trenta sous, I ll. X s.<br />

Ítem, un carro de pedra de calsina de la marina, 0 ll. X s.<br />

Los conjolarjos del burgo<br />

Ítem, las jarras grans un sou, 0 ll. I s.<br />

Ítem, las mijas jarras, 0 ll. 0 s. VIII


102<br />

Ítem, la jareta he o borticho, 0 ll. 0 s. IIII d.<br />

Ítem, las llibrellas grans, staniadas de dins, de pastar, 0 ll. IIII s.<br />

[c. 6v]<br />

Ítem, las mijas llibrellas staniadas, 0 ll. I s. VI.<br />

Ítem, las llibrellas de veremar, 0 ll. I s.<br />

Ítem, las todoneras, 0 ll. 0 s. VI.<br />

Ítem, los plats de sércol, 0 ll. 0 s. IIII.<br />

Ítem, los plats llissos, 0 ll. 0 s. VI.<br />

Ítem, las escudellas de peu, 0 ll. 0 s. IIII.<br />

Ítem, escudelles comunes, 0 ll. 0 s. I.<br />

Ítem, las escudellas de tall de Barzelona, 0 ll. 0 s. IIII.<br />

Ítem, las hollas de cuinar sens stañyar, de la sort gran, 0 ll. I s.<br />

Ítem, de la sort mijana, 0 ll. 0 s. VI.<br />

Ítem, de la sort xicha, 0 ll. 0 s. II.<br />

Ítem, las hollas staniadas de cuinar, 0 ll. I s.<br />

Major de quatre anses<br />

Ítem, las olla staniadas de beure aigua de quatre anses, 0 ll. 0 s. VIII.<br />

Ítem, las bassinas grans staniadas de dins y de fora, 0 ll. IIII s.<br />

Ítem, las bassinas parteras staniadas de dins, 0 ll. III s.<br />

Ítem, las bassinas comunas staniadas de dins, 0 ll. II s.<br />

Ítem, las mijanas un sou y sis, 0 ll. I s. VI.<br />

Ítem, los flascos grans de messar, 0 ll. I s. VI.<br />

Ítem, los flascos mijans, 0 ll. I s.<br />

Ítem, los xichs, 0 ll. 0 s. VI.<br />

Ítem, los flascos de tall de castañya de la sort major o menor, 0 ll. I s.<br />

Ítem, los setrills de possar holli, 0 ll. 0 s. VI.<br />

Ítem, las cassolas de la sort major staniadas, 0 ll. I s. VI.<br />

Ítem, la mijana, 0 ll. 0 s. VI.<br />

Ítem, de la sort xicha, 0 ll. 0 s. III d.<br />

Ítem, lo pixer de beure aigua, 0 ll. 0 s. VI.<br />

Ítem, los cadaffos de la sort major de quatre mesitas, en amunt stanyadas, 0 ll. I s.<br />

[c. 7r]<br />

Ítem, los mijans, 0 ll. 0 s. VIII.<br />

Ítem, los de sort xicha, 0 ll. 0 s. IIII.<br />

Ítem, los cadúfols de molí, 0 ll. 0 s. IIII.<br />

Ítem, flascos de peu, 0 ll. I s.<br />

Ítem, flascos de 19 grans, 0 ll. I s.<br />

Ítem, los xichs, 0 ll. 0 s. VI.<br />

Los ladirarjos<br />

Ítem, lo millar del làdiri de la sort major tres lliures, III ll. – s.<br />

Ítem, per lo millar del làdiri de la sort mijana, II ll. – s.<br />

Ítem, per lo millar del làdiri xich per a mijans, I ll. X s.<br />

Ítem, per lo sentenar de las teulas de la sort gran, que és posat lo mollo en la iglésia de<br />

Sent Pere de Solarusa, 0 ll. VIII s.<br />

19 Tra le parole «de» e «grans» vi è un ampio spazio con tre punti.<br />

Walter Tomasi


TAXACIÓ D’OFICIS DE MAESTRANCES<br />

103<br />

Ítem, per lo viaje per portar tre-sentas teulas a Oristañy, 0 ll. X s.<br />

Ítem, per lo millar de la rejola per fabricar, del mollo gran de la iglésia de Sent Pere de<br />

Solarusa, V ll. – s.<br />

Ítem, per la rejola del mollo mijano de fabricar, III ll. – s.<br />

Ítem, la rejola de rejolar gran, se pagarà a rahó de V dinés la una pasada 20 en la<br />

present ciutat, 0 ll. 0 s. V.<br />

Ítem, a rejola mijana a rahó de tres dinés la una, 0 ll. 0 s. III.<br />

Ítem, de mill rejolas d’esquena de pex de la sort mijana, III ll. – s.<br />

Ítem, de mill rejollas quadras de la sort mijana per rejolar sostres, II ll. X s.<br />

Ítem, rejolas quadras xichas per ensostrar, II ll. – s.<br />

Ítem, per un viaje de rejolas o teula de Solarussa a Oristañy de qualsevol sort de<br />

rejola, 0 ll. X s.<br />

Los que fan la calsina a vendre<br />

Ítem, cada starell de calsina a la mesura antiga, si seran en lo forn, a rahó de tres sous,<br />

lo starell, 0 ll. III s.<br />

Ítem, si la pòrtan ab sos bous y carro a rahó de quatre sous, lo starell, 0 ll. IIII s.<br />

[c. 7v]<br />

Lo il·lustríssimo y reverendíssimo señor don Alfonso Lasso Sedeño, Archebisbe de<br />

Càller, President y Capità General per la sacra e reial magestat del Rey nostre señor<br />

en lo present Regne de Sardeña, vistes les presentes ordinacions fetes y ordenades<br />

per los consellers y consell de la present ciutat de Oristañy, moderant les coses en<br />

aquelles contengudes, les quals afretive [?] ja ven de la meta y tassa en elles expresada,<br />

y en persona de sa señoria il·lustríssima y reverendíssima lo magnífich doctor Pere<br />

Joan Soler, del Consell de sa magestat y Regent la Real Cancelleria en lo present<br />

Regne, y son comissari Real, com a cosa utilosa consernent la utilitat pública per a<br />

mentres que altrament per sa señoria il·lustríssima hi sia provehit, posa en aquelles sa<br />

auctoritat lo pus ver, real y decret, en la ciutat de Oristañy a catorze del mes de<br />

dezemb[re del any] de la Nativitate de Nostre Señor, de MD noranta set.<br />

Soler regent.<br />

Ferdinandus Sabater notarius et secretarius locumtenente 21 generalis por herede Serra.<br />

A XXVIIII del mes de desembre añy de MDLXXXXVII 22 Oristañy.<br />

Francesco Rueddo Magnyas, corredor, reffir aver publicada les presents ordenassions<br />

per tota la present ciutat, brugos, per tots los lochs acostumats y tarefficats. 23<br />

Serra notarius scriba por Sanna<br />

Copia huiusmodi alieno calamo scripta, sumpta fuit prout iacet a suo proprio originali<br />

recondito in archivio domus consilii huius civitatis Oristany et cum eodem bene<br />

et fideliter cumprobata per me Michaelem Nonni, apostolica ubique, regia vero<br />

20 Per «posada».<br />

21 Per «locumtenentis».<br />

22 Dovrebbe esserci un’unità in più, secondo il computo basato sullo stile della Natività.<br />

23 Per «trafficats».


104<br />

auctoritatibus per omne presens Sardiniae Regnum publicum notarium, civem Oristany<br />

et secretarium huius civitatis et ut dictae copiae veluti suo prefato originali ab omnibus<br />

fides adhibeatur plenaria in iuditio et extra. Ego idem notarius et secretarius prefatus<br />

hic me subscribo in fidem die XXVI martii, anno a nativitate Domini MDCXXI,<br />

demandato magníficorum consiliariorum Oristany Petri Ludovici Dessì et Joannis 24<br />

Atzenis cum tunc correctis sequentibus: provehex, altra, l’altra, als, cabirol bolseguins,<br />

enforro, cordovà cabirol, negra, gran, cuyro, gran, encotonats, han, del, lo cubell xich<br />

de manifatura, de carro, art, xichs, setrills, oli, hi sia, e o, catorze, concernent, -<br />

[c. 8v] Taxació de offissis de maestran[ces] y àls.<br />

Tariffa degli Artisti.<br />

24 Parola abbreviata di non facile lettura.<br />

Walter Tomasi


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

Maria Lepori<br />

Università di Cagliari<br />

105<br />

Nel 1767 don Damiano Nurra, il noto appaltatore di peschiere e di tributi regi,<br />

divenne marchese d’Arcais, signore di terre e di vassalli. Nonostante un antico<br />

privilegio che doveva garantirne l’unione perpetua alla Corona, 1 dopo quasi tre<br />

secoli il marchesato d’Oristano venne smembrato dal patrimonio regio, cambiò<br />

nome e l’enorme complesso di 28 villaggi e 20.000 abitanti fu costituito in<br />

marchesato d’Arcais. Da allora i vassalli rurali non avrebbero dovuto confrontarsi<br />

con i tradizionali amministratori regi e, fin dal primo momento, fu chiaro<br />

che i rapporti con il neofeudatario non sarebbero stati pacifici.<br />

In quegli anni Sessanta, don Damiano non fu il solo a godere d’una repentina<br />

promozione sociale che lo collocò tra la più prestigiosa nobiltà del Regnum<br />

Sardiniae: una serie d’infeudazioni esaurì quasi completamente il patrimonio<br />

regio e anche Salvatore Lostia, Antonio Todde e Franceso Fulcheri divennero<br />

signori, conti e marchesi. 2<br />

La scelta del ministro Bogino di dar fondo ai possedimenti della Corona potrebbe<br />

sembrare in contrasto con il suo progetto di forte contenimento dello ‘strapotere’<br />

feudale che, a Cagliari e a Torino, impegnava funzionari sardi e piemontesi. 3 In<br />

verità, tra i propri obiettivi, la politica riformatrice sabauda di quegli anni non con-<br />

1 Sull’incorporazione del marchesato di Oristano tra i beni della Corona, a seguito di un lungo<br />

scontro tra i bandos dei Carroz e degli Alagon negli anni Settanta del Quattrocento, e sull’impegno<br />

sovrano a garantirne per il futuro il diretto dominio regio, cfr. B. ANATRA, Dall’unificazione<br />

aragonese ai Savoia, inJ.DAY, B.ANATRA, L.SCARAFFIA, La Sardegna medioevale e moderna,<br />

in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, UTET, Torino 1984, vol. X, pp. 371-380.<br />

2 Su questi nuovi casati cfr. F. FLORIS, Feudi e feudatari in Sardegna, Edizioni Della Torre, Cagliari<br />

1996, pp. 457, 465-68 e 667.<br />

3 Sulla politica di riforme del ministro Bogino, il parere degli storici è tutt’altro che concorde. Per<br />

una sua rivalutazione rispetto al quadro che ne offrivano G. SOTGIU (Storia della Sardegna sabauda,<br />

Laterza, Roma-Bari 1984), C. SOLE (La Sardegna sabauda nel Settecento, Chiarella, Sassari<br />

1984) e L. SCARAFFIA (La Sardegna sabauda, inJ.DAY,B.ANATRA, L.SCARAFFIA, La Sardegna<br />

medioevale e moderna cit., pp. 665-829), cfr. G. RICUPERATI, Il riformismo sabaudo settecentesco<br />

e la Sardegna. Appunti per una discussione, in «Studi storici», 27 (1986), pp. 57-92, ora in ID., I<br />

volti della pubblica felicità. Storiografia e politica nel Piemonte settecentesco, Meynier, Torino<br />

1989, pp. 157-202; A. GIRGENTI, La storia politica delle riforme,inM.GUIDETTI (a cura di), Storia<br />

dei Sardi e della Sardegna, vol. IV, L’Età Contemporanea. Dal governo piemontese agli anni<br />

sessanta del nostro secolo, Jaca Book, Milano 1989, pp. 175-213; E. VERZELLA, L’età di Vittorio<br />

Amedeo III in Sardegna: il caso dell’Università di Sassari, in «Annali della Fondazione Luigi<br />

INSULA, num. 1 (giugno <strong>2007</strong>) 105-130


106<br />

Maria Lepori<br />

templava tanto la fine dell’egemonia sociale della nobiltà quanto il suo ridimensionamento.<br />

A inquietare le autorità governative erano gli immensi allodi e feudi<br />

allodiali appartenenti a signori sardi e iberici d’antico lignaggio, tramandati intatti<br />

nei secoli spagnoli e dotati di una giurisdizione talmente ampia da rendervi inconsistenti<br />

le prerogative del sovrano. 4 Per evitare il costituirsi di analoghe zone franche,<br />

invalicabili per i funzionari regi, nel periodo boginiano le concessioni feudali<br />

furono fatte more Italiae e riguardarono esclusivamente i diritti civili: le terre<br />

interessate non avrebbero frapposto ostacoli al libero dispiegarsi della giustizia<br />

regia e sarebbero rientrate tra i beni della Corona in assenza di eredi diretti. 5<br />

Einaudi», XXIV (1990), e L’Università di Sassari nell’età delle riforme (1763-1773), Centro<br />

interdisciplinare per la storia dell’Università di Sassari, Sassari 1992; A. MATTONE, Istituzioni e<br />

riforme nella Sardegna del Settecento, inDal trono all’albero della libertà. Trasformazioni e<br />

continuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna dall’antico regime all’età rivoluzionaria,<br />

Ministero per i beni e le attività culturali, Roma 1991, vol. I, pp. 325-419; I. BIROCCHI, La carta<br />

autonomistica della Sardegna tra antico e moderno. Le ‘leggi fondamentali’ del triennio rivoluzionario<br />

(1793-1796), Giappichelli, Torino 1992; ID., Università e riforme: il modello neoumanista<br />

e le facoltà giuridiche, inP.MERLIN (a cura di), Governare un regno. Viceré, apparati burocratici<br />

e società nella Sardegna del Settecento, Carocci, Roma 2005, pp. 422-441; G.G. ORTU, Villaggio e<br />

poteri signorili in Sardegna, Laterza, Roma-Bari 1996; A. MATTONE, P.SANNA, La ‘rivoluzione<br />

delle idee’: la riforma delle due università sarde e la circolazione della cultura europea (1764-<br />

1790), in «Rivista storica italiana», 3 (1998), pp. 834-942; M. LEPORI, Dalla Spagna ai Savoia.<br />

Ceti e corona nella Sardegna del Settecento, Carocci, Roma 2003. Recentemente, spostando l’attenzione<br />

sull’attività governativa precedente il periodo boginiano e perfino sulla dominazione austriaca,<br />

si è tentato di ridimensionare l’impatto della politica riformatrice del ministro nella realtà<br />

sarda. Cfr. G. MURGIA, La Sardegna durante la dominazione austriaca in una relazione di un<br />

anonimo, precursore del riformismo sabaudo nell’isola, in «Annali della Facoltà di Scienze della<br />

formazione dell’Università di Cagliari», nuova serie, XXVII (2004), Università di Cagliari, Cagliari<br />

2004, pp. 169-236; G. TORE, Viceré, segreterie e governo del territorio: i progetti di sviluppo<br />

agricolo, inP.MERLIN (a cura di), Governare un regno cit., pp. 291-356.<br />

4 Su 365 villaggi sardi esistenti al momento del passaggio del Regno ai Savoia, ben 192 erano<br />

infeudati a signori spagnoli che ne avevano anche la giurisdizione civile e criminale, in primo e<br />

secondo grado, mentre soltanto 38 appartenevano alla Corona (cfr. G. DONEDDU, Ceti privilegiati e<br />

proprietà fondiaria nella Sardegna del secolo XVIII, Giuffré, Milano 1990, p. 227). Nel Settecento,<br />

le preoccupazioni governative per le dimensioni della giurisdizione feudale comparvero esplicitamente,<br />

fin dagli anni Cinquanta, nelle analisi di Ludovico Dani, le cui relazioni sono in Memorie<br />

dell’Avvocato Fiscal Regio in proposito al Marchesato di Valdecalzana, Contado d’Oliva,<br />

Marchesato d’Orani, e delle terre, ville e giurisdizioni che si pretendono in allodio, 1750-57,<br />

Archivio di Stato di Torino (AST), Sardegna, Materie feudali, feudi in genere, m.1,n.20.Trai<br />

vari scritti compresi nel fascicolo, vedi in particolare la Rappresentanza a S.M. dell’Avv. Fisc. R.<br />

nel Supremo Consiglio di Sardegna in proposito delle concessioni fatte dai Re d’Aragona di<br />

terre, ville e giurisdizioni di quel Regno, 21 settembre 1750.<br />

5 Cfr. la prefazione di Bruno Anatra a F. FLORIS, Feudi e feudatari cit., p. 15. Sul diritto feudale<br />

cfr. i saggi di A. Solmi, U. Mondolfo e S. Pola, in A. BOSCOLO (a cura di), Il feudalesimo in<br />

Sardegna. Testi e documenti per la storia della Questione Sarda, Fossataro, Cagliari 1967. Le<br />

infeudazioni del periodo boginiano salvaguardarono immancabilmente il dominium eminens:<br />

all’estinzione della linea diretta si sarebbe avuta la devoluzione alla Corona, e al momento della<br />

vendita la riscossione dello jus relievi.


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

107<br />

Ostile a quell’allegra distribuzione di semplici titoli d’anoblissement che<br />

aveva fatto proliferare una nobiltà rurale povera, selvaggia e sovvertitrice, 6 il<br />

ministro Bogino non esitò a rivestire di dignità marchionale o comitale floride<br />

fortune mercantili e ad attingervi per rinvigorire le esangui casse regie. Invece,<br />

a Settecento avanzato come all’inizio del secolo, furono i vassalli rurali a<br />

protestare ogni qualvolta si prospettò loro il passaggio sotto il dominio di un<br />

signore. Nel 1737, allorché ebbero sentore di una possibile infeudazione al<br />

conte di Castiglio, i villaggi di Parte Ocier Real si erano affrettati ad inviare a<br />

Cagliari un procuratore generale. Paventando di venir «angustiati con abusive<br />

e rigorose esazioni […] e con servizi personali, come si pratica[va] dalla maggior<br />

parte degli altri Baroni», chiesero di essere «mantenuti liberi della soggezione<br />

di un feudatario» e lasciarono intendere che avrebbero fatto di tutto<br />

«per redimersi da una tale schiavitù» .7 L’anno successivo insorse l’intero distretto<br />

del Mandrolisai: pur di «dipendere immediatamente da S.M.», le comunità<br />

rurali erano disposte a versare all’erario regio mille scudi in più di<br />

quanto era stato offerto dal conte di San Martino, don Giovanni Valentino, per<br />

succedere al padre. 8 Le ostilità incontrate dai neotitolati degli anni Sessanta<br />

sono ancor più note. Fece clamore la vicenda di don Antonio Todde: i contrasti<br />

con la città di Bosa lo costrinsero a rinunciare all’infeudazione di Montresta<br />

e ad accontentarsi del marchesato di Santa Vittoria. 9<br />

6 Sul generico anoblissement come fonte di un’intollerabile pletora nobiliare, sulle dimensioni del<br />

cavalierato rurale e sulla sua propensione a sostenere «ladri e facinorosi», nonché sui progetti di<br />

drastica riduzione elaborati durante il ministero di Bogino cfr. Memoria di Progetto per frenare<br />

i disordini che si commettono dai nobili di Sardegna, in AST, Sardegna, Giuridico, m.3,n.1;<br />

Riflessi critici sopra lo scritto concernente i Cavalieri ricettatori e fautori di malviventi, e i<br />

mezzi da adoperarsi per loro contegno (ivi, n. 2).<br />

7 Lettera viceregia del 4 ottobre 1737, in Archivio di Stato di Cagliari (ASC), Segreteria di Stato,<br />

s. I, v. 281; altra dell’8 ottobre 1737 in AST, Sardegna, Viceré, Corrispondenza proveniente<br />

dall’isola, m.7.<br />

8 Succedendo al padre, don Giovanni Valentino intendeva perfezionare l’infeudazione fatta al<br />

padre. Cfr. lettera viceregia del 31 maggio 1738 (ivi) e F. FLORIS cit., p. 677.<br />

9 Marchese di San Cristoforo dal 1763, dopo anni Don Antonio Todde non era in grado di far<br />

valere i privilegi d’investitura. Il possesso dei salti nelle vicinanze di Bosa, confermatogli dalla<br />

Reale Udienza nel 1769, gli veniva contestato violentemente dai consiglieri della città, tempestivi<br />

nella cattura e nella macellazione del bestiame appartenente al signore. La situazione si era<br />

complicata tanto che il ministro Bogino sospettò due alti funzionari sardi di complicità con il<br />

consiglio civico. Si trattava di Pietro Sanna Lecca e di Gavino Cocco, che avrebbero ostacolato<br />

l’insediamento del nuovo feudatario, mentre in qualità di avvocati patrimoniali avrebbero dovuto<br />

facilitarlo (cfr. la lettera di Bogino al conte di Robbione del 2 febbraio 1772, in ASC, Segreteria<br />

di Stato, s. I, v. 39). Per un caso analogo nella Barbagia di Belvì, infeudata a Salvatore<br />

Lostia, cfr. F. LODDO CANEPA, La Sardegna dal 1478 al 1793, vol. II, a cura di G. Olla Repetto,<br />

Gallizzi, Sassari 1975, pp. 202-203.


108<br />

Maria Lepori<br />

Inequivocabile e tempestiva, l’avversione dei vassalli non mancò l’appuntamento<br />

con don Damiano Nurra, in quei Campidani d’Oristano contrariati per il modo rapido<br />

e non altrettanto limpido con cui il marchese aveva accumulato prodigiose fortune.<br />

Nato a Cabras nel 1704, negli anni Trenta il giovane Damiano Nurra non aveva<br />

affiancato gli Enna, i Fadda, i Flores e gli Espano nell’accesso ai privilegi militari.<br />

Benché potesse esibire un’agiatezza da ‘principale’ di villaggio, non era ancora in<br />

grado di gareggiare con i vertici del patriziato oristanese, né ovviamente con quel<br />

don Luigi Deroma che allora cominciava a fregiarsi del titolo di marchese di Santa<br />

Maria. 10 Tuttavia gli equilibri cittadini sarebbero mutati nel giro di pochi lustri,<br />

assieme alla fragile gerarchia creata dai nuovi titoli nobiliari. I sogni di preminenza<br />

di don Luigi Deroma si infransero ben presto contro le ristrettezze familiari e agli<br />

eredi del suo blasone, i Malliano di Sant’Alban, non furono sufficienti le ostinate<br />

malversazioni nell’amministrazione cittadina per estinguere i debiti accumulati. 11<br />

Aggiudicatosi l’appalto delle rendite di Oristano a condizioni più che vantaggiose,<br />

in pochi anni don Giovanni Malliano aveva sottratto alle casse civiche perfino la<br />

liquidità necessaria per il donativo regio. Rescisso il contratto che gli aveva consentito<br />

facili abusi, il marchese non fu in grado di rispettare le scadenze con il fisco<br />

regio e perdette l’arrendamento dei diritti del Campidano. Nel 1736 il viceré Rivarolo<br />

ne denunciava a corte uno stile di vita inadeguato al suo rango, un’avvilente attività<br />

commerciale «tout a fait mecanique», nonché la contiguità con banditi e malfamati,<br />

con «coquins e malfateurs». 12<br />

Se il prestigio dei marchesi di Santa Maria s’incrinava precocemente, con<br />

stupefacente velocità crescevano le disponibilità pecuniarie di Damiano Nurra.<br />

Nel 1746, le 50.000 lire impegnate in appalti e commerci ne facevano uno dei<br />

più ricchi cittadini di Oristano. Le sue fortune plebee mettevano in ombra l’agiatezza<br />

di facoltosi avvocati come Pietro Marras e Giovanni Salis, e suonavano<br />

finanche impudenti davanti alla povertà e all’indebitamento della nobiltà locale,<br />

degli Atzori, i Paderi, i Diana, i Deroma e i Flores. 13<br />

10 Cfr. F. FLORIS, S.SERRA, Storia della nobiltà in Sardegna, Edizioni Della Torre, Cagliari 1987,<br />

alle voci «Enna», «Fadda», «Flores», «Espano» e «De Roma».<br />

11 I Malliano, d’origine piemontese, si erano trasferiti a Sassari nella prima metà del Seicento e<br />

fecero parte dello stamento militare fin dal 1643. Avendo sposato l’unica figlia di don Luigi<br />

Deroma, nel 1735 Giovanni Malliano ereditò il titolo di marchese di Santa Maria (cfr. ivi, p.<br />

260). Sulle malversazioni amministrative cfr. la lettera viceregia a Ormea del 9 giugno 1736, in<br />

ASC, Segreteria di Stato, s. I, v. 28<strong>1.</strong><br />

12 Ibid.<br />

13 Cfr. la Rélation historique, et géographique du Roiaume de Sardaigne et des principales ìles<br />

adyacentes, faite à la fin de l’année mille-sept-cent-quarante-six, dell’intendente generale conte<br />

di Viry, pubblicata da P. BENVEDUTI, Una relazione storico-geografica sulla Sardegna del 1746,


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

109<br />

Pertanto, tra il 1747 e il 1748, ottenne la tappa d’insinuazione d’Oristano<br />

e i diplomi di cavalierato e nobiltà. Entrambi i titoli furono acquisiti formalmente<br />

dal padre, «come se fosse ancor vivo»: un noto escamotage per risparmiare<br />

nei diritti di sigillo e rendere presentabile un albero genealogico altrimenti<br />

miserevole. 14 La recente nobilitazione non accresceva il prestigio della<br />

sorella Menencia, sposata dal 1736 con don Francesco Flores, ma per l’abile<br />

Damiano costituì l’inizio di una scalata ai vertici dell’élite urbana. Vedovo e<br />

non ancora cinquantenne, poteva azzardare ambiziosi progetti matrimoniali,<br />

e nel 1752 portò all’altare donna Margherita Deroma: 15 lo stemma gentilizio<br />

della sposa e le sue disponibilità economiche sembravano costituire le basi di<br />

un promettente casato. 16<br />

Peraltro, lo status nobiliare e le importanti alleanze matrimoniali non fecero<br />

dimenticare a don Damiano l’antica appartenenza al mondo degli affari,<br />

né spensero la sua originaria vocazione al prestito usuraio, alle transazioni<br />

commerciali e all’appalto di peschiere pubbliche e private. Intelligenza finanziaria<br />

e spregiudicatezza imprenditoriale avrebbero dato i migliori frutti in<br />

quegli anni. Assieme al notaio Michele Vidili e al dottor Agostino Meloni,<br />

ottenne l’appalto delle rendite civili dei tre Campidani. L’investimento fu gravoso<br />

ma i profitti prosperarono, anche grazie alla tacita connivenza di don<br />

Giovanni Angelo Enna, il suddelegato patrimoniale che non si preoccupava di<br />

mascherare i propri abusi. Da chi occupava la più alta carica governativa<br />

dell’Oristanese le comunità rurali attendevano tutela contro le prepotenze degli<br />

appaltatori, ma inutilmente ricorsero a lui e ne reclamarono imparzialità di<br />

giudizio: la sua propensione a favorire «ad ogni possa gli interessi degli<br />

in «Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo», nn. 13-24 (1957-1958) (cfr. in particolare n. 17, p.<br />

5). Nella gerarchia delle ricchezze oristanesi, quelle mercantili occupavano il primo posto. A<br />

fianco di Damiano Nurra non stavano dei nobili ma altri due mercanti cittadini, Pietro Ibba con<br />

50.000 lire di beni e Michele Vidili con 40.000.<br />

14 Cfr. la concessione dei diplomi di cavalierato e nobiltà avveniva dietro versamento della cifra di<br />

6.000 lire di Piemonte (diritto di mezz’annata e di sigillo), suscettibile di un aumento proporzionale<br />

al numero dei destinatari. Cfr. F. LODDO CANEPA, Cavalierato e nobiltà (Note storicogiuridiche),<br />

Forni Editore, Bologna 1969 (ristampa anastatica dell’edizione di Cagliari 1931),<br />

pp. 6-7. Per Damiano Nurra cfr. E. FLORES D’ARCAIS, I Flores d’Arcais. Momenti di storia<br />

sarda, vol. I, Agorà Edizioni, La Spezia 1998- 2001, p. 12.<br />

15 Don Damiano aveva sposato in prime nozze Anna Porcella, da cui aveva avuto due figli, morti<br />

in giovanissima età (ivi, pp. 11-12).<br />

16 In un testamento del 1774, don Damiano parla di un suo intervento per evitare la perdita definitiva<br />

dell’argenteria dei marchesi di Santa Maria: impegnata precocemente da don Luigi de<br />

Roma presso il notaio Giovanni Battista Salis, egli l’aveva riscattata a favore della moglie,<br />

donna Margherita (ASC, Archivio notarile, Tappa di Oristano, vol. 1486, pp. 592-595).


110<br />

Maria Lepori<br />

arrendatori reali» rivelò ben presto un’illecita e «secreta associazione» in affari,<br />

di cui i villaggi non si dolevano a torto. 17<br />

In meno di vent’anni le disponibilità di don Damiano Nurra si quadruplicarono<br />

e gli prospettarono opportunità di affermazione sociale ignote a qualunque<br />

suo concittadino. A instillargli il desiderio di convertirsi in signore di terre e di<br />

vassalli fu il governo, che per le proprie urgenze finanziarie avrebbe attinto<br />

volentieri alle fortune emergenti di imprenditori e mercanti. Nel 1762 gli offrì<br />

l’infeudazione di uno dei Campidani d’Oristano e della penisola del Sinis: avrebbe<br />

dovuto impiantarvi cinquanta famiglie di corallatori e introdurvi moderni<br />

sistemi di coltura e di allevamento. Mentre ricorreva alle solide finanze di un<br />

appaltatore per dare sollievo all’erario dello Stato, il ministro Bogino avrebbe<br />

voluto innestare elementi di modernizzazione in una mentalità aristocratica ancora<br />

imprigionata nella logica della semplice rendita feudale e di arcaiche pratiche<br />

agricole. Pertanto, al nuovo signore si chiedeva l’impegno a coltivar le<br />

terre con il «sistema d’Italia» e ad impiantarvi aziende dotate di «prati per cogliere<br />

il fieno» e di «stalle per il ricovero proporzionato di bestiami». 18<br />

Un sicuro fiuto negli affari avvertì immediatamente don Damiano dei rischi<br />

insiti in quel piano. Forse conosceva le vicende dell’insediamento di Carloforte<br />

17 Le malversazioni di quegli anni vengono denunciate da Juan Antonio Frau, procuratore generale<br />

delle ville del Campidano Maggiore nella lite con Damiano Nurra, il 16 agosto 1769 (ASC,<br />

Regio Demanio, Feudi, v. 63, n. 43, fascicolo non titolato) e confermate dalle numerose prove<br />

testimoniali raccolte, su ordine dell’Intendenza Generale, tra maggio e giugno 1773. Chiamato<br />

a deporre, il notaio Gian Francesco Licheri di settantasei anni, che a lungo è stato scrivano e<br />

ufficiale di giustizia nei tre Campidani, sostiene che «rispetto al marchese d’Arcais, al fu notaio<br />

Michele Vidili, e al fu don Giovanni Angelo Enna, il quale ha esercito per molti anni, che non<br />

saranno meno de dieci o dodici, fino al tempo del suo decesso, l’impiego di Suddelegato<br />

Patrimoniale della Suddelegazione di Oristano, mi consta, e so benissimo, che essi tre, non<br />

solamente erano molto amici, sempre uniti ed interessati insieme in vari negozi, essendo anche<br />

don Giovanni Angelo Enna zio di don Damiano Nurra, ora marchese d’Arcais, ma ancora<br />

nell’arrendamento reale delle rendite civili dei Campidani d’Oristano, che per molti anni ebbero<br />

don Damiano ed il notaio Vidili, con altri soci de’ quali non ricordo, vi era secretamente<br />

associato don Giovanni Angelo Enna, allora Suddelegato Patrimoniale e durò in tale società<br />

fino al tempo della morte. Ciò mi consta perché io abitava allora frequentemente in casa di don<br />

Giovanni Angelo Enna, come mio cognato, per essere ammogliato con una mia cugina, e tanto<br />

da questa, come da lui sentiva i maneggi e i secreti di casa». Gli abusi sfrontati non restarono a<br />

lungo nascosti, «una tale associazione [divenne] cosa pubblica fino nei Campidani e sapendola,<br />

la gente se ne lamentava molto, perché veniva oppressa dal Suddelegato, il quale cercava a tutta<br />

possa di vantaggiare gli interessi degli arrendatori reali, e io stesso più volte l’ho fatto intendere<br />

in confidenza al detto don Giovanni Angelo» (cfr. ivi, v. 64, n. 68, fascicolo non titolato).<br />

18 Lettera e memoria riguardante il progettato acquisto da farsi da D. Damiano Nurra d’uno de’<br />

tre Campidani d’Oristano e dell’infeudazione da farsi della punta di S. Gio. di Sinis per uno<br />

stabilimento di cinquanta famiglie di corallatori, 1762 (ivi, v. 63, n. 4).


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

111<br />

costato ai Genovés più del triplo di quanto preventivato, in ogni caso si rivelò più<br />

abile dei Lostia e dei Todde nello schivare esperienze fallimentari di<br />

ripopolamento. 19 Si concesse tempo, quindi rilanciò la sua offerta: i redditi civili<br />

dei tre Campidani d’Oristano, le peschiere d’Arcais e il titolo di marchese contro<br />

216.000 lire di Piemonte. 20 Si trattava di una cifra enorme, al cui confronto impallidivano<br />

le rendite attribuite nel 1746 dall’intendente Viry alla migliore aristocrazia<br />

residente a Cagliari.Anzi, era equiparabile solo alla montagna di debiti che gli<br />

Aymerich, marchesi di Laconi e prima voce dello stamento militare, andavano<br />

accumulando con assoluta nonchalance da mezzo secolo. 21<br />

Indebitata ma sprezzante, l’aristocrazia feudale d’antichi blasoni e vetusti patrimoni<br />

feudali non avrebbe gradito essere confusa con il mondo di don Damiano<br />

Nurra, un semplice anobli, signore dal titolo ridondante che sapeva ancora di<br />

negozio. Con un lignaggio senza storia, il marchese d’Arcais era certo di non<br />

subire umilianti confronti soltanto ad Oristano, singolare città regia, sguarnita<br />

perfino di quella numerosa, inquieta e fiera nobiltà minore che dava un’impronta<br />

baldanzosa e aggressiva a Sassari e Tempio, a Mammoiada e Ozieri, e a numerosi<br />

altri villaggi rurali. 22<br />

Perfezionato il contratto d’acquisto del marchesato, nel 1768 l’intendente<br />

generale Vacha inviò ad Oristano il notaio Francisco Serra: doveva raccogliere<br />

dettagliate informazioni sulle rendite civili dei Campidani concesse fino allora<br />

in appalto, sul cui esatto ammontare si sarebbero calcolati i diritti feudali. 23 Per<br />

19 Per i costi di Carloforte cfr. F. LODDO CANEPA, La Sardegna dal 1478 al 1793 cit., vol. II, pp.<br />

213-219. Dell’insediamento di Montresta si è detto sopra e per Santa Sofia cfr. M. LOSTIA, Un<br />

esperimento di colonizzazione in Sardegna nel secolo XVIII, in «Ichnusa», IV (1956).<br />

20 Del costo complessivo dell’infeudazione, don Damiano versò 176.000 lire di Piemonte il 23<br />

agosto 1767 mentre si impegnò a pagare le restanti 40.000 nel corso dei due anni successivi<br />

(Atti seguiti nanti il tribunale del R.° Patrimonio ad istanza del procuratore di don Damiano<br />

Nurra, in ASC, Regio Demanio, Feudi, v. 63, n. 5; cfr. anche Progetto presentato all’Intendente<br />

Generale don Felice Cassiano Vacha riguardante l’infeudazione dei redditi civili del<br />

marchesato d’Oristano, 4 gennaio 1767, in AST, Sardegna, Politico feudale, Marchesato di<br />

Oristano, m. 17, n. 29).<br />

21 Sull’indebitamento aristocratico in Sardegna cfr. P. BENVEDUTI, Una relazione storico-geografica<br />

cit., passim; per le vicende degli Aymerich, M. LEPORI, Dalla Spagna ai Savoia cit., pp. 36-<br />

46 e 183-184.<br />

22 Un’annotazione precisa delle famiglie nobili per città e villaggio, per il 1746, in P. BENVEDUTI,<br />

Una relazione storico-geografica cit., passim, che aiuta a rilevare la scarsa consistenza numerica<br />

della nobiltà oristanese.<br />

23 Cfr. Atti seguiti nanti il tribunale del R.° Patrimonio ad istanza del procuratore di don Damiano<br />

Nurra cit. Fin dal 21 aprile 1767, don Damiano presenta uno Stato del reddito del Marchesato<br />

di Oristano principiando dall’anno 1757 a tutto il 1766. La rendita del decennio viene calcolata<br />

in lire 39.709, mentre per lo stesso periodo le peschiere di Arcais e di Cerfaliu hanno


112<br />

Maria Lepori<br />

garantire gli interessi delle singole comunità rurali si sarebbero consultati i loro<br />

sindaci e i collegi di probi uomini, i maggiori di giustizia in carica e quelli del<br />

precedente triennio. 24 Dalle loro testimonianze sarebbe emersa la descrizione<br />

dei tipi di tributo e di prestazione cui erano soggetti i vassalli, della distribuzione<br />

delle quote e dei modi di imposizione, delle esenzioni e dei motivi che le<br />

giustificavano. Una preliminare e rigorosa definizione dei diritti baronali avrebbe<br />

stroncato sul nascere ogni contestazione ed evitato dispendiose e inconcludenti<br />

liti tra signore e comunità.<br />

Le ottimistiche previsioni furono presto smentite dai fatti. Appena osò affittare<br />

i vacui del salto del Sinis, don Damiano si scontrò con il notaio Pedro<br />

Gavino Poddighe Pes, l’ufficiale di giustizia del Campidano Maggiore che, scortato<br />

da una compagnia armata, fece strage di diciannove montoni ed espulse dai<br />

campi tutto il bestiame introdottovi con licenza del marchese. Resa più preoccupante<br />

dall’incarcerazione dei pastori, dopo pochi giorni la scena si ripeté nei<br />

territori di Riola, alla presenza di un sindaco compiaciuto e, con l’arrivo dell’estate<br />

e la disponibilità delle stoppie, il conflitto sui pascoli divenne incandescente.<br />

Inutili furono i provvedimenti che il marchese ottenne dall’intendente<br />

generale per imporre un nihil innovetur: Poddighe non se ne preoccupò e ad<br />

agosto proseguì imperterrito le sue ronde con un drappello di «veinte y cuatro<br />

hombres armados y a cavallo», arrogandosi «preheminencias de Señor, […]<br />

expulsando, tenturando, acorralando, executando y carcerando, […] perjudicando<br />

al marques en los acordios y solitos derechos». 25<br />

Esasperato dalla spavalda e temeraria condotta dell’ufficiale di giustizia,<br />

don Damiano capì che contro le sue pretese non si ergeva un aggressore dei<br />

fruttato rispettivamente 3.496 e 736 lire (Progetto per l’infeudazione delle rendite civili dei tre<br />

Campidani del Marchesato d’Oristano e Peschiere d’Arcais e Cerfaliu, in AST, Sardegna,<br />

Politico Feudale, Marchesato di Oristano, m. 17, n. 30). Attenta a tutelare le comunità, l’intendenza<br />

generale non può accontentarsi dei calcoli sommari del futuro marchese. Pertanto, nel<br />

diploma d’infeudazione del 23 agosto 1767 viene previsto «che i redditi stessi siano riferiti e<br />

descritti specificamente e singolarmente riguardo alla loro qualità. Che in tal modo in ogni<br />

tempo si capisca quali diritti siano stati trasferiti a lui, a quali prestazioni fossero finora tenuti i<br />

vassalli e gli abitanti dei predetti distretti nei confronti del nostro Regio Patrimonio, quali loro<br />

spetti invece pagare e rispondere per la stessa ragione al suddetto Don Damiano Nurra e ai suoi<br />

successori» (Diploma d’approvazione del contratto con cui si infeudano i redditi civili dei<br />

Campidani, peschiere d’Oristano col titolo marchionale di Arcais e l’ampliamento della natura<br />

del feudo della Tappa d’insinuazione già accordata nel 1749, inE.FLORES D’ARCAIS, I<br />

Flores d’Arcais cit., vol. II, pp. 81-85).<br />

24 Relazione storico-economica sul Marchesato d’Arcais e la Signoria utile sui tre Campidani di<br />

Oristano, 14 aprile 1832, in ASC, Regio Demanio, Feudi, v. 73.<br />

25 Ivi, v. 63, n. 43.


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

113<br />

diritti signorili dissennato e solitario, come avrebbe voluto far credere alle autorità<br />

cagliaritane. Alle spalle di Pedro Gavino Poddighe Pes stavano tutti i villaggi<br />

del Campidano Maggiore. Dopo riunioni di prohombres e assemblee di<br />

capifamiglia, all’inizio di novembre i sindaci di Riola, Zeddiani, Massama,<br />

Donigalla, Solanas, Zerfaliu, Sorradili, Nurachi, Sia Mayor, Baratili, Solarussa<br />

e Cabras all’unanimità lo avevano nominato procuratore generale, perché li difendesse<br />

da qualunque sopruso. 26<br />

Inutili furono i tentativi di don Damiano di neutralizzarne l’influenza e di<br />

contrapporgli localmente un proprio rappresentante. Nell’estate del 1768,<br />

paventando manovre congiunte dell’ufficiale e di astuti contadini per ampliare<br />

le vidazzoni e includervi ampi vacui per il pascolo, il marchese aveva reiterato<br />

una richiesta fatta al governo l’anno precedente: la nomina di un delegato<br />

baronale, con il compito di «attendere alle differenze e dispute che [avrebbero<br />

potuto] eccitarsi, da lui e dai suoi di discendenti contro i vassalli» e di procedere,<br />

«in caso di bisogno, a costruzione di atti». 27 Il parere del Supremo Consiglio<br />

di Torino non lasciò dubbi: la «cognizione di tali cause naturalmente» spettava<br />

«ai giusdicenti di Sua Maestà», 28 ed ogni cedimento avrebbe contrastato con la<br />

politica del ministro Bogino che nelle recenti concessioni feudali aveva contemplato<br />

soltanto la ‘signoria utile’, escludendone l’amministrazione della giustizia.<br />

È pressoché superfluo rilevare che, fornito di patente governativa ma proposto e<br />

stipendiato dal signore d’Arcais, il delegato avrebbe risolto a suo esclusivo vantaggio<br />

eventuali controversie con i villici. Dopo ripetute insistenze, l’intendenza<br />

generale cedette alla nomina del dottor Vincenzo Tocco, i cui limitati poteri non<br />

riuscirono, tuttavia, a scongiurare «frequentes lites y considerables perjuicios»: 29<br />

nessun rappresentante baronale era in grado di allentare la resistenza rurale.<br />

26 Lo strumento venne formalizzato il 10 novembre 1768 (ibid.).<br />

27 Progetto per l’infeudazione delle rendite civili dei tre Campidani cit.<br />

28 Cfr. Parere dei ministri del Supremo Consiglio sul progetto di Don Damiano Nurra (il 2 giugno<br />

1767), in AST, Sardegna, Politico Feudale, Marchesato di Oristano, m. 17, n. 3<strong>1.</strong><br />

29 Per legittimare la sua richiesta, don Damiano si richiama ad un analogo provvedimento emanato<br />

a favore del conte di San Martino, di cui ci sono noti i difficili rapporti con i vassalli del<br />

Mandrolisai. Il marchese d’Arcais spera che «con dicho delegado» si possa «poner del todo fin,<br />

y sin dispendio de tiempo, y gastos, a las differencias, i controversias que se pueden suscitar sin<br />

veherse obligado, nì redusido a intentar, o suscitarle pleito alguno». È persuaso che «differentemente<br />

[…] non llegarà jamas a percebir por entero las rentas que le vendrian enfeudadas»<br />

(Memoriale inviato all’intendente generale per ottenere la nomina di un delegato per la riscossione<br />

dei redditi provenienti dai feudi del marchesato d’Oristano, 11 luglio 1767, ivi, n.<br />

32). La nomina cadde su Tocco, ma il marchese non ne fu mai pienamente soddisfatto. Dopo un<br />

paio d’anni avrebbe voluto sostituirlo con un altro delegato «de mas brio y no de tanta bontad<br />

como lo es dicho doctor» (cfr. il codicillo al testamento, dell’8 ottobre 1774, in ASC, Archivio<br />

notarile, Tappa d’Oristano, vol. 1486).


114<br />

Maria Lepori<br />

Ignorandoli ostentatamente, per un intero anno Pedro Gavino Poddighe non<br />

replicò ai diversi provvedimenti dell’intendente generale. Soltanto all’inizio del<br />

1769, forte della solidarietà collettiva e della consulenza di abili avvocati, ne<br />

chiese la revoca: adottati a Cagliari «inaudita parte» e carpiti da don Damiano<br />

Nurra «obretissia o subretissiamente», essi intaccavano le prerogative del suo ufficio<br />

e i diritti d’intere comunità rurali.<br />

Insoddisfatto dei tradizionali diritti esatti dagli arrendatori, il marchese<br />

d’Arcais aveva preteso d’introdurre sconcertanti arbitri, tanto gravi da invalidare<br />

lo stesso diploma d’investitura. Si era permesso di stravolgere le liste feudali su<br />

cui si basava la riscossione del laor de corte, di dilatare oltre misura le fasce dei<br />

contribuenti e d’ignorare il parere vincolante dei prohombres, ai suoi occhi responsabili<br />

di uno spropositato e ingiustificato numero di esenti. Per «quieta,<br />

pacifica y immemorial possesion» suffragata dai ‘capitoli di corte’, le comunità<br />

rurali rivendicavano il diritto di disporre liberamente dei vacui, di affittare a<br />

forestieri il pascolo eccedente e di utilizzarne i proventi per il donativo regio e<br />

altre spese collettive. Anche nell’accesso al paberile e alle stoppie i vassalli del<br />

barone pretendevano la precedenza: soltanto cinque probi uomini «imparciales<br />

y ajuramentados» potevano decidere sulle esigenze comunitarie e su un eventuale<br />

affitto ad esterni, mentre la supervisione di tutte le operazioni era affidata<br />

all’ufficiale di giustizia che riscuoteva i proventi dovutogli per i suoi servigi. 30<br />

Al pari di altri mercanti neotitolati poco adusi a bilanci fallimentari, il marchese<br />

d’Arcais non si era fatto scrupolo di adottare uno stile predatorio nello sfruttamento<br />

delle risorse locali, anche a costo di un aspro scontro con le comunità.<br />

Avrebbe dovuto sapere che nelle terre di recente infeudazione, abituate da sempre<br />

al confronto con gli uffici regi, i ricorsi alle autorità centrali e le polemiche<br />

antisignorili fiorivano più facilmente che negli antichi feudi. Invece, incurante dei<br />

vincoli e dei diritti collettivi, aveva scavalcato le autorità locali e sottratto ai vassalli<br />

spazi di terra sempre più ampi, per destinarli ad un lucroso affitto. 31<br />

A contrastargli il passo non incontrò un uomo qualunque. Patrimonio agricolo-zootecnico<br />

e prestigio urbano collocavano Pedro Gavino Poddighe Pes<br />

in quella schiera di maggiorenti locali che, nella seconda metà del Settecento,<br />

30 Allorché Pedro Gavino Poddighe ruppe ogni indugio, Juan Antonio Frau fu incaricato di citare<br />

in giudizio il marchese davanti alla Reale Udienza e di difendere le comunità nel tribunale del<br />

Regio Patrimonio. Un’analisi dettagliata delle prerogative comunitarie e dei compensi dovuti<br />

all’ufficiale di giustizia per le sue mansioni è negli esposti presentati da Juan Antonio Frau il 7<br />

gennaio e il 16 febbraio 1769 (ASC, Regio Demanio, Feudi, v. 63, n. 43).<br />

31 Sul contenzioso relativo all’uso della terra nella Sardegna del Settecento, cfr. G.G. ORTU, Villaggio<br />

e poteri signorili in Sardegna cit., pp. 178-203.


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

115<br />

si rivelarono tanto interessati alla propria emancipazione dalla tutela dei<br />

feudatari, quanto dinamici e autorevoli nel coinvolgere intere collettività in<br />

una strategia di contenimento del potere signorile. 32 Immense ricchezze e altisonante<br />

titolo nobiliare non gli incutevano alcun timore reverenziale. Impavida<br />

e puntuale, la sua risposta armata ai soprusi baronali lo candidò a leader del<br />

fronte rurale, anche in villaggi sparuti come Donigalla, Massama, Nurachi,<br />

Solanas e Zerfaliu, costituzionalmente deboli di fronte alle soperchierie signorili.<br />

33 Togliendo dall’isolamento le singole comunità e compattandole, l’ufficiale<br />

di giustizia seppe moltiplicarne le energie e avviare una lite giudiziaria<br />

collettiva che avrebbe reso tollerabile il carico di spese, altrimenti insostenibile<br />

anche per le ville maggiori.<br />

Alto titolo del Regno, il marchese d’Arcais riteneva improponibile un confronto<br />

paritetico con i propri vassalli: l’intendenza generale avrebbe dovuto<br />

imporre alle comunità il semplice rispetto del contratto stipulato da un anno,<br />

siglato da mano regia ed esplicito sui diritti conferitigli. Ancor meno l’accorto<br />

uomo di negozi poteva tollerare che le sue rendite venissero decurtate dalle<br />

controversie giudiziarie: da quel vastissimo feudo appena acquisito, si aspettava<br />

un pronto risarcimento dell’enorme somma di danaro versata al fisco. 34<br />

Proteste baronali e comunitarie giunsero sul tavolo dell’avvocato patrimoniale<br />

Gavino Cocco, acuto intenditore delle tensioni che animavano le campagne sar-<br />

32 Don Damiano Nurra guardò sempre più irritato la solida e crescente reputazione dell’ufficiale di<br />

giustizia, che negli anni successivi avrebbe ricoperto altri incarichi pubblici. Il marchese se ne lamentò<br />

in una protesta inviata dal suo procuratore all’intendente Giaime, il 22 aprile 177<strong>1.</strong> «Detto<br />

Poddighe si prevale per simili insolenze dell’autorità de’ suoi incompatibili posti che occupa ad un<br />

tempo di scrivano della Curia del Campidano Maggiore, di capitano de’ barracelli, di subarrendatore<br />

di vari salti di pascolare e di procuratore generale di quelle comunità nella lunga odiosa lite da lui<br />

come insuflatore suscitata contro il S.r Marchese» (ASC, Regio Demanio, Feudi, v. 64, n. 68 cit.).<br />

33 Si tratta di villaggi di scarsa consistenza demografica. Nel 1751 Donigala aveva appena 214<br />

anime, Massama 232, Nurachi 385, Solanas 116 e Zerfaliu 220. Cfr. F. CORRIDORE, Storia documentata<br />

della popolazione di Sardegna (1479-1901), Clausen, Torino 1902, pp. 112-118.<br />

34 In una lettera del 26 febbraio 1770 al viceré, l’intendente generale sottolinea le forti resistenze<br />

dei villaggi «alla contribuzione, e pagamento di vari dritti», e non nasconde la preoccupazione<br />

per le moltiplicate «controversie, e per conseguenza le spese, che […] verranno ad essere assai<br />

maggiori e più gravi, non solo in pregiudizio del Marchese, per il quale resta interessato il fisco<br />

nel doverle sostenere con buona fede ciò che gli ha venduto, ma altresì in danno di quelle<br />

Comunità, che non debbono essere faticate con liti, né quei abitatori distratti da loro travagli, ed<br />

occupazioni con simili disturbi, massime che ambe le parti possono e debbono avere intiera<br />

giustizia senza tante spese, e strepiti». Tuttavia l’intendente non è disponibile ad una soluzione<br />

unilaterale e autoritaria. Se è opportuno «mantenere allo stesso Marchese tutto ciò, che vi era<br />

infeudato, senza dar luogo ad ulteriori litigi», è anche necessario procedere ad un’attenta verifica<br />

dei fatti. Soltanto dopo aver ascoltate «le parti in contradditorio, e sommariamente», si potrà<br />

procedere a una soluzione amichevole (ASC, Segreteria di Stato, s. II, v. 1638, n.1).


116<br />

Maria Lepori<br />

de e impegnato nelle riforme boginiane che dovevano cambiare il volto del<br />

Regnum Sardiniae. 35 In quegli ultimi anni Sessanta, ai vertici dell’ufficialità<br />

cagliaritana s’investigava sulle vessazioni dei baroni, sull’ignoranza e il malgoverno<br />

dei loro reggitori. Nella ristretta cerchia di collaboratori del viceré Des<br />

Hayes si incominciò a indicare nel ‘dispotismo’ feudale la fonte del degrado che<br />

affliggeva il mondo rurale sia nella gestione degli interessi collettivi, sia nell’amministrazione<br />

della giustizia. Un improrogabile rafforzamento dell’autonomia<br />

delle comunità sembrava l’unica arma atta a contrastarlo. Lo stesso avvocato<br />

patrimoniale elaborò un originale progetto per l’istituzione, in ogni villaggio,<br />

di un consiglio comunitativo svincolato dalla tutela feudale, efficiente<br />

nell’amministrazione e autorevole nella protezione della collettività. 36<br />

Pertanto, benché tenuto per ufficio a difendere il contratto stipulato con il<br />

marchese d’Arcais, Gavino Cocco non restò sordo alle richieste d’aiuto provenienti<br />

dalle ville campidanesi. I conclamati possessi «immemoriali» delle comunità<br />

rurali, più che diritti, erano spesso abusi prosperati tra la rilassatezza del<br />

governo centrale; tuttavia era intollerabile che la nuova signoria dissestasse le<br />

deboli finanze delle comunità rurali, ne distruggesse gli assetti economici e ne<br />

scardinasse i fragili uffici locali. Con un’abile risposta interlocutoria, l’avvocato<br />

patrimoniale aprì la strada alla raccolta di nuove testimonianze probatorie:<br />

allontanando il verdetto finale, precluse anche ogni iniziativa al marchese. 37<br />

35 La figura di Gavino Cocco (1724-1803), l’ozierese che era stato assessore nel tribunale della<br />

Governazione di Sassari e sarebbe giunto ben presto alla carica di giudice civile della Reale<br />

Udienza, per concludere nel 1794 con quella di reggente la Reale Cancelleria del Regno, meriterebbe<br />

maggiore attenzione. Di recente A. Mattone e P. Sanna hanno sottolineato la ricchezza<br />

della sua biblioteca, specchio della «sensibilità dell’uomo di governo per le grandi questioni<br />

economiche e giuridiche dibattute nel secondo Settecento». Tra i circa ottocento titoli, l’inventario<br />

della biblioteca comprendeva opere di Muratori, Genovesi, Montesquieu, Helvetius, Galiani,<br />

Filangeri, Palmieri, Galanti, Denina; cfr. A. MATTONE, P.SANNA, La ‘rivoluzione delle idee’: la<br />

riforma delle due università sarde e la circolazione della cultura europea (1764-1790), in<br />

«Rivista storica italiana», CX, (1998), p. 940. Dalle prime indagini, risulta tutt’altro che marginale<br />

il ruolo svolto da Gavino Cocco all’interno della politica di riforme del governo boginiano.<br />

Per alcune considerazioni sulle sue interessanti proposte circa la riforma amministrativa delle<br />

comunità rurali, cfr. M. LEPORI, Dalla Spagna ai Savoia cit., pp. 96-100.<br />

36 Stato presente delle comunità del Regno e Progetto di nuovo stabilimento e Regolamento per le<br />

medesime (Cagliari, 5 febbraio 1771), sottoscritti dal reggente Della Valle e da Gavino Cocco, ma,<br />

a detta del viceré, opera soprattutto di quest’ultimo (AST, Sardegna, Politico, cat. 9, m. 1, n. 12).<br />

37 La risposta di Cocco è del 27 aprile 1769, in ASC, Regio Demanio, Feudi, v. 63, n. 43 cit.<br />

L’anno successivo, d’intesa con l’intendente generale, avrebbe confermato la necessità di<br />

nuove prove per tentare poi una transazione amichevole. Tutto ciò benché non si ignorassero<br />

le manovre dilatorie delle comunità per immobilizzare il marchese. «Il mandato che hanno<br />

conferito al notaio Gavino Poddighe Pes di Oristano – sottolineava Gavino Cocco – è stato,<br />

non senza malizia, ristretto in modo che lasciano aperta una gran porta da proseguirsi la lite,


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

117<br />

Nel tentativo di spostare il processo in una sede meno ostile e di abbreviarne<br />

i tempi, don Damiano ricorse al Supremo Consiglio di Torino. 38 Le comunità<br />

risposero dichiarando «nullas, invalidas y ultroneas» le notizie su cui si basava il<br />

contratto d’infeudazione. 39 Inviato nel 1768 ad Oristano per raccogliere le opportune<br />

informazioni sulle rendite infeudate, il notaio Francisco Serra era stato arbitro<br />

tutt’altro che neutrale e disinteressato. Giunto da Cagliari, aveva preso dimora<br />

presso VittoAntonio Sotto, parente e socio in affari del marchese nonché occasionale<br />

curatore delle sue rendite, e nella sua casa aveva convocato e ascoltato sindaci<br />

e probi uomini dei villaggi. Se la deferenza verso l’ospite era sufficiente a<br />

incrinare l’imparzialità del giudice, a rendere intimidatorio il clima contribuirono<br />

don Damiano Nurra e il suo procuratore. La sola presenza del marchese incuteva<br />

soggezione agli interrogati, al resto provvidero le ripetute insolenze di Paolo Antonio<br />

Pirella, ossessive, frastornanti e mai bloccate dal notaio Serra. 40 Molti testi-<br />

e la transazione fatta con simile procura non sarebbe di alcuna sussistenza, come può osservarsi<br />

dalla copia del qui unito mandato, segnatamente da quella clausola che principia «sin que por<br />

este adjuste se innove cosa alguna en contradictorio de esta Comunidad» (Lettera dell’Avvocato<br />

Fiscale Cocco al Viceré di Sardegna perché si addivenga ad una transazione sulla lite sorta<br />

con i comuni dei tre Campidani, 4 settembre 1770, in ASC, Segreteria di Stato, s. II, v. 1638).<br />

38 Il memoriale del marchese fu presentato dal causidico collegiato del Senato di Piemonte<br />

Sigismondo Cappa. Il problema fu analizzato da Francesco Pes, allora consigliere del Supremo<br />

Consiglio; la lettera causa videndi et cognoscendi, del 30 maggio 1769, non escluse che una<br />

prima istruzione degli atti avvenisse a Cagliari (ASC, Regio Demanio, Feudi, v. 63, n. 43 cit.).<br />

39 Relazione del procuratore Juan Antonio Frau, del 16 agosto 1769 (ibid.). L’invalidazione delle<br />

testimonianze raccolte da Francisco Serra fu l’obiettivo strategico delle comunità. Si dovette<br />

attendere il 1773 per l’audizione di nuovi testimoni che mise a nudo l’inattendibilità delle<br />

prime informazioni. Per una lineare esposizione delle prove raccolte si fa riferimento al memoriale<br />

del 19 agosto 1780, presentato da Francesco Frau Calvo, negli anni Ottanta curatore delle<br />

liti delle comunità del Campidano Maggiore (ASC, Regio Demanio, Feudi, v. 64, n. 68 cit.).<br />

40 A ricostruire il clima di quegli interrogatori è, ancora una volta, Francesco Frau Calvo: «Potea ben<br />

sapere il delegato Serra che a tali esami non doveva assistervi né l’uno, né l’altro, mentre in tal<br />

guisa non poté essere stata libera la deposizione dei testimoni, i quali oppressi dalla paura che loro<br />

infondeva la presenza del Marchese, o del suo procuratore e fattore, potranno aver taciuto la<br />

verità, forse per non rimanere in disgrazia del più volte nominato Signor Marchese, poiché sono<br />

ben pochi gli individui dei Campidani d’Oristano i quali non abbiano da esso una totale dipendenza,<br />

o forse perché quando i testimoni dicevano qualche cosa che non piacesse al Pirella, venivano<br />

da questi fortemente ripresi, e messi in paura, la quale cresceva a tal segno, che erano costretti a<br />

cedere, e a deporre quanto veniva loro suggerito, fosse o non fosse vero, senza che il Serra lo<br />

impedisse. È degno di riflessione ciò che depone il notaio Salvatore Angiolo Loddi, […] comparso<br />

col sindaco e probi uomini della villa di Riola nella casa di don Vitto Antonio Sotto […]. Paolo<br />

Antonio Pirella appena li lasciava dire quattro parole, che voleva opporsi in tutto e per tutto a<br />

quanto dicevano, dando ad intendere al prefato Serra essere false le loro asserzioni; sostenevano<br />

essi ciò che dicevano per esser conforme al vero, ma il Pirella tornava ad opporsi schiamazzando,<br />

di modo che quella non era una denuncia, bensì una confusione […]. Il delegato Serra non solamente<br />

non conteneva nei dovuti termini l’insolenza di Pirella, ma l’ascoltava dolcemente, e preferiva<br />

sempre le sue ragioni ed i suoi detti a [quelli] degli altri» (ibid.).


118<br />

Maria Lepori<br />

moni uscirono dall’abitazione di Vitto Antonio Sotto con «il forte sospetto che<br />

non rimanesse negli atti la stessa denuncia che avevano fatto, ma che la medesima<br />

si potesse cambiare e alterare». 41 La nullità delle informazioni raccolte era<br />

evidente, né giovava al marchese che un’improvvida intendenza vi avesse fondato<br />

l’investitura dei Campidani.Afavore dei vassalli militava la clausola «juribus<br />

Regi Fisci et alienibus semper salvis quibus nullum intendimus inferre<br />

prejudicium». 42<br />

A periodi alterni don Damiano era stato arrendatore dei Campidani e lo era<br />

anche al momento dell’investitura, pertanto non gli si poteva imputare ignoranza<br />

ma piuttosto malafede. Per suffragare le sue pretese di signore si era richiamato<br />

ai lontani anni Quaranta e Cinquanta, a quel periodo noto per gli abusi<br />

tollerati da don Giovanni Angelo Enna, il suddelegato patrimoniale la cui<br />

cointeressenza sotterranea e illegale negli appalti era risaputa.<br />

Soltanto allorché a questi succedette don Giuseppe Angioy, l’ufficio parve<br />

offrire maggiore garanzia di equanimità e di tutela a cittadini e vassalli. 43 Sempre<br />

attento a frenare le esuberanti iniziative feudali in materia di tributi e ad<br />

assicurare il tradizionale accesso dei singoli e delle comunità all’uso della terra,<br />

il nuovo suddelegato divenne un personaggio scomodo per il marchese, che<br />

provvide a ricusarlo come giudice «enemigo o por lo menos sospechoso». 44 Era<br />

troppo tardi, contro il primeggiare di don Damiano era montata l’ostilità di ampi<br />

settori cittadini: ricchi possidenti, nobili e cavalieri, avvocati e notai, cui<br />

l’infeudazione del contado e l’ingombrante presenza del marchese avevano sottratto<br />

le tradizionali vie di arricchimento e di ascesa sociale. Le ‘rendite civili’<br />

41 Ibid.<br />

42 Ibid.<br />

43 Allorché il marchese tentò d’incrementare i suoi introiti generalizzando tributi d’ogni sorta,<br />

don Giuseppe Angioy si schierò a difesa degli esenti, si trattasse di capitani di cavalleria o di<br />

cittadini oristanesi. Altrettanto prodigo di sostegno fu verso comunità o notabili rurali, ogni<br />

qualvolta chiesero di ampliare colture e pascoli. L’intendente generale lo consultò regolarmente<br />

prima di soddisfare o respingere tali richieste. Cfr. Autos construidos de instancia del Ill. Marques<br />

de Arcais contra Ant. Angel Cadello y Joseph Ant. Piras, capitanos de cavalleria, 1769 (ASC,<br />

Demanio Regio, Feudi, v. 63 n. 14); Autos construidos de instancia del Ill. Marques de Arcais<br />

contra varios particulares de Riola y Nuraqui, 1769 (ivi, n. 12); El marques de Arcais contra<br />

don Domingo Paderi por hacer serrado un territorio nel salto di Pauli Pietrinu, 1768 (ivi, n.<br />

8); Causa civil movida por el Señor Marques de Arcais contra Angel Manca de Nuraqui sobre<br />

el derecho dominical territorial, 1770 (ivi, n. 2); il Signor Marchese d’Arcais contro il Sig.r<br />

don Francesco Spano sopra un pezzo di terreno che questi intende di chiudere, 1770 (ASC,<br />

Demanio Regio, Feudi, v. 64, n. 1).<br />

44 Lettera dell’avvocato patrimoniale Gavino Cocco dell’8 agosto 1771, in Autos construidos de<br />

instancia del Pro.or del Ill. Marques de Arcais, contra el noble don Pedro Marras, y al D.r en<br />

derecho Joseph Ant. Floris de la ciudad de Oristano, sobre el der.o de la pastura, o sean


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

119<br />

dei Campidani assieme alle peschiere non erano più disponibili per proficui<br />

investimenti, mentre il bisogno di pascoli per gli accresciuti armenti e l’urgenza<br />

di terre per vigne in prodigiosa espansione incontravano la frustrante arroganza<br />

del marchese, ostinato nel privatizzare il demanio feudale e nel difenderlo da<br />

interferenze estranee. Contro il signore d’Arcais troviamo personaggi di rilievo<br />

nel quadro cittadino, da don Juan Baptista Serralutzu e dottor Giuseppe Carta a<br />

don Juan Baptista Enna, dottor Joseph Antonio Floris, don Domingo Paderi,<br />

don Pietro Marras e don Domenico Deroma. 45 A turno occupavano le cariche di<br />

giurato capo e di veghiere e avrebbero riversato l’asprezza del risentimento<br />

personale nelle frequenti contese giurisdizionali con il marchese. 46<br />

Sconosciuto durante l’amministrazione regia, il rigoroso controllo signorile<br />

sulle risorse dei Campidani provocava ostilità sia in città, sia in campagna e<br />

pertanto, pur senza saldarsi in un fronte unico con il mondo rurale, il patriziato<br />

urbano ne incoraggiò e rafforzò la resistenza ad ogni sopraffazione. A rivelare<br />

forme di sintonia erano gli episodi più disparati. Nel 1770, don Damiano aveva<br />

incluso nella lista dei contribuenti Miguel Manca che, benché abitante di norma<br />

a Nurachi, reclamava l’esenzione come cittadino oristanese. Contro il maggiore<br />

di giustizia della villa, che aveva osato sequestrargli «una prenda» equivalente a<br />

«dos reales por el derecho dominical», intervenne il giurato capo d’Oristano,<br />

ingiungendogli di restituire il gioiello e carcerandolo al rifiuto di eseguire l’ordine.<br />

47 All’inizio dell’anno successivo, si tenne un’affollata e concitata riunione<br />

del consiglio civico: vi parteciparono anche il sindaco e gli eletti dei borghi,<br />

deguinos de los cochinos introducidos en las montañas segun dentro, 1771 (ivi, n. 6). L’intendente<br />

Giaime aveva intimato ad attori e convenuti di presentarsi davanti al suddelegato<br />

patrimoniale per dirimere la questione. Don Damiano ricusò don Giovanni Angioy sostenendo<br />

di essere in lite con lui «por la concession de serrar terrenos hizo a particulares de Riola y<br />

Nuraqui sin sabida ni licencia» del tribunale del Patrimonio, ma soprattutto accusandolo di non<br />

aver eseguito l’ordine ingiuntogli da Cagliari di «hazer reponer los acordios de los vacuos de las<br />

vidazonis que hizieron los officiales de los Campidanos de Oristan […] en grave perjuhicio del<br />

Marques» (ibid.).<br />

45 Di don Pietro Marras e del dottor Giuseppe Antonio Floris si è già detto, per gli altri cfr. lettera<br />

di Gavino Cocco del 14 marzo 1771, in Causa civile tra l’Ill. Marchese d’Arcais Don Damiano<br />

Nurra e l’Ill.ma città di Oristano, Don Domenico Deroma, l’avvocato Giuseppe Carta, e Gavino<br />

Poddighe sopra il salto di Baradus, 1771 (ASC, Regio Demanio, Feudi, v. 64, n. 4).<br />

46 Nel 1771, il dottor Giuseppe Carta era appaltatore delle rendite della città e Juan Baptista<br />

Serralutzu aveva l’incarico di veghiere. Fungeva da giurato in capo di Oristano don Domingo<br />

Paderi, in lite col marchese dal 1768 (ibid.). L’aveva preceduto don Juan Baptista Enna, che nel<br />

1770 aveva incarcerato il maggiore del marchese (Causa civil movida por el Señor Marques de<br />

Arcais contra Miguel Manca de Nuraqui sobre el derecho dominical territorial, I77O, in ASC,<br />

Regio Demanio, Feudi, v. 64, n. 2).<br />

47 Ibid.


120<br />

Maria Lepori<br />

alcuni cavalieri e l’arrendatore delle terre della città, dottor Carta. Il marchese<br />

aveva occupato il salto di Baradus e i consiglieri ne stigmatizzarono<br />

l’usurpazione, ne rivendicarono il possesso e sollecitarono dal veghiere don<br />

Juan Baptista Serralutzu l’ordine di sequestro del bestiame. Il compito ricadde<br />

sul notaio Pedro Gavino Poddighe Pes, l’ufficiale di giustizia diventato nel frattempo<br />

capitano dei barracelli, e si può immaginare con quale scrupolo abbia<br />

eseguito gli ordini. 48<br />

Tutto ciò accadeva nei primi mesi del 1771, mentre tra Cagliari e Torino si<br />

faceva serrata la discussione sulla fisionomia dei nuovi consigli comunitativi,<br />

che s’intendeva istituire in ogni villa del Regno. Se in terraferma vigeva la regola<br />

prudente di rinnovare per controllare, di saggiare per gradi i cambiamenti e di<br />

valutarne le reazioni sociali per poterle gestir meglio, il viceré e i suoi più stretti<br />

collaboratori premevano invece per un progetto di radicale innovazione, per<br />

degli organismi di autogoverno del tutto liberi dalla giurisdizione feudale, ricchi<br />

di prerogative e determinati nel contrastare i soprusi signorili. 49<br />

Nel 1770 il viceré Des Hayes aveva auspicato e favorito una transazione amichevole<br />

tra don Damiano Nurra e le comunità del campidano, 50 l’anno successivo<br />

non ebbe dubbi nel richiamare perentoriamente il delegato baronale: egli non<br />

poteva «arrogarsi giurisdizione» che non gli competeva e, per contestare agli abitanti<br />

dei Campidani chiusure di terreni e «prati non necessari in pregiudizio del<br />

paberile», il marchese avrebbe dovuto «fare le sue parti avanti codesto Suddelegato<br />

48 La cattura del suo bestiame e l’occupazione del salto ad opera dei cittadini, indusse il marchese ad<br />

una vibrata protesta presso il tribunale del Patrimonio. Gavino Cocco incaricò don Giovanni<br />

Angioy della questione e diversi oristanesi si rassegnarono alla ritirata. Convinto di stare dal lato<br />

della legge, fece eccezione Pedro Gavino Poddighe che, secondo le parole del procuratore del<br />

marchese, «sfacciatamente contravvenendo agli ordini del tribunale e alla penale impostagli, ebbe<br />

l’ardire di bel nuovo introdurre in detto salto cento e più buoi di negozio per ingrassarli» (lettera di<br />

Ambrogio Sciacca, procuratore del marchese d’Arcais, del 22 aprile 1771, in Causa civile tra<br />

l’Ill. Marchese d’Arcais Don Damiano Nurra e l’Ill.ma città di Oristano cit.).<br />

49 Stato presente delle comunità del Regno e Progetto di nuovo stabilimento cit. Il viceré avrebbe<br />

sostenuto fino alla conclusione del suo mandato il progetto cagliaritano. Cfr. le numerose lettere<br />

sull’argomento inviate dal viceré a Bogino, in ASC, Segreteria di Stato,s.I,v.297,eilRisultato<br />

di Giunta e riflessi sul Progetto mandato con dispaccio di corte de’ 26 giugno 1771, intorno<br />

al Piano di un Consiglio per le Comunità del Regno de’ 5 febbraio precedente, in AST, Sardegna,<br />

Miscellanea, m. 1 da inventariare.<br />

50 In una lettera del 27 febbraio 1770 il viceré ordina all’ufficiale del Campidano Maggiore di<br />

convocare le assemblee di comunità «per far loro noto, che non debbono proseguirsi liti tanto<br />

dispendiose e pregiudiziali, bensì che dovrà farsi giusta transazione, in cui si procederà con<br />

giustizia ed equità, a qual fine dovranno munire […] il predetto procuratore […] del conveniente,<br />

ampio, ed opportuno mandato per poter comporre tutte le sovra espresse differenze» (ASC,<br />

Segreteria di Stato, s. II, v. 1638).


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

121<br />

o la Reale Udienza». 51 Il messaggio inviato a don Damiano non fu più indulgente<br />

né meno chiaro. L’investitura non gli apriva la via ad alcun arbitrio e per le rendite<br />

controverse avrebbe dovuto «avanzare giudizialmente le sue istanze, in<br />

contradditorio cogli interessati». Ascoltate le «doglianze delle comunità», il Regio<br />

Fisco avrebbe deciso chi era «destituito di ragione». 52<br />

Tra la fine dell’estate e l’autunno, l’imminente istituzione dei consigli rese più<br />

ardita la ribellione al marchese. La villa di Sili ricorse alla segreteria vicereale<br />

contro il delegato feudale, ne denunciò le prepotenze e ottenne il permesso di<br />

sospendere ogni tributo. 53 Senza convenevoli, i vassalli di Solanas si rifiutarono<br />

di versar il laor de corte, e al procuratore del marchese fecero sapere che, «si no<br />

se apartava, le hacian los maiores agravios, y aun la vida le quitarian», mentre il<br />

sindaco Joseph Coco gli ingiunse di uscire dal villaggio se voleva risparmiarsi il<br />

carcere. 54 Quell’ostinata resistenza contagiò Tramaza, coinvolse altri villaggi, e<br />

ben mille vassalli del Campidano Maggiore non versarono il tributo dominicale. 55<br />

Dall’ufficio del Patrimonio, chiamato in causa quale garante dei diritti<br />

infeudati al marchese, Gavino Cocco rispose con la consueta e abile diplomazia.<br />

Rimandando ad un procedimento giudiziario e dando voce a istituti comunitari<br />

spesso mortificati dalla prepotenza feudale, lasciò la strada aperta a molteplici<br />

soluzioni: «Se i supplicanti sono stati dichiarati esenti dai probiuomini<br />

per la loro povertà, il Barone non può molestarli, ma può proporre le sue ragioni<br />

contro le comunità o i particolari. Viceversa, se inclusi nelle liste, i vassalli<br />

devono pagare, salvo poi far valere le loro ragioni contro il marchese». 56<br />

All’inizio del 1772, l’elezione nei villaggi dei consigli comunitativi deputati<br />

alla tutela dei diritti collettivi infiammò ovunque la protesta antifeudale. 57 Il<br />

51 Lettera del viceré dell’11 gennaio 1771, in ASC, Segreteria di Stato, s. I, v. 965.<br />

52 Lettera del viceré del 16 gennaio 1771 (ibid.).<br />

53 ASC, Segreteria di Stato, s. II, v. 372.<br />

54 Atti civili tra il Sig. Marchese d’Arcais ed il Pro.or Fisc.l Patrimonial sopra il diritto volgarmente<br />

detto llaor de corte, 1771, in ASC, Regio Demanio, Feudi, v. 64, n. 5.<br />

55 Ibid.<br />

56 Ibid.<br />

57 Per l’istituzione dei consigli comunitativi cfr. Editto di S.M. de’24 settembre 1771 pel nuovo assetto<br />

dei consigli di città e per lo stabilimento di quelli delle comunità,inP.SANNA LECCA, Editti, pregoni<br />

ed altri provvedimenti emanati pel Regno di Sardegna, nella Reale Stamperia di Cagliari, Cagliari<br />

1775, vol. II, p. 64 ss. Sulle reazioni che tale editto scatenò nel Regno e sull’inasprirsi dei rapporti tra<br />

vassalli e signori cfr. I. BIROCCHI, M.CAPRA, L’istituzione dei consigli comunitativi in Sardegna, in<br />

«Quaderni sardi di storia», 4 (luglio 1983-giugno 1984), pp. 139-158; M. LEPORI, Feudalità e consigli<br />

comunitativi nella Sardegna del Settecento, in «Etudes Corses», n. 30-31, 1988, pp. 171-182;<br />

EAD., Dalla Spagna ai Savoia cit., pp. 92-178; A. MATTONE, Istituzioni e riforme nella Sardegna del<br />

Settecento cit., pp. 405-411; ID., La cessione del Regno di Sardegna dal trattato di Utrecht alla<br />

presa di possesso sabauda (1713-1720), in «Rivista storica italiana», CIV (1992), n. I, pp. 5-89; G.G.<br />

ORTU, Villaggio e poteri signorili cit., pp. 208-212.


122<br />

Maria Lepori<br />

Campidano d’Oristano non fece eccezione, e non sempre i sindaci si rassegnarono<br />

ad attendere i tempi delle rimostranze scritte e delle sentenze giudiziarie.<br />

Talvolta passarono a vie di fatto, non solo insistendo nel rifiuto di versare, oltre<br />

il laor de corte, numerosi altri tributi e tagliando drasticamente le rendite baronali,<br />

ma anche ridefinendo l’uso delle terre e recuperando alla collettività quelle necessarie<br />

alla sua sussistenza: da Sili e Siamanna a Nurachi e Donigala si procedette<br />

sbrigativamente alla delimitazione di nuovi pascoli e alla recinzione di<br />

ulteriori spazi per le vigne. 58<br />

Inutilmente don Damiano sollecitò l’intervento di commissari speciali e di<br />

reparti di truppe, per far valere nei villaggi la propria autorità. 59 Succeduto a Des<br />

Hayes, il viceré Robbione non permise l’invio di guarnigione alcuna. Se non mostrò<br />

indulgenza verso le iniziative più avventate e tumultuose delle comunità, lasciò<br />

sempre intendere ai loro consigli che sarebbero stati «volentieri sentiti e considerati<br />

dal Governo». 60 Una fitta corrispondenza con i villaggi e un controllo incrociato<br />

di sindaci, censori e ministri di giustizia gli consentivano di verificare velocemente<br />

situazioni difficili e d’intervenire in modo appropriato anche nei villaggi<br />

più sperduti. Allorché il marchese accusò d’inefficienza i collettori delle sue rendite,<br />

un’indagine viceregia rivelò che i maggiori di giustizia, restii a estorcere<br />

«insolite» tasse, erano costretti a prolungare l’ingrato incarico oltre i termini previsti<br />

e non erano ammessi al rendiconto finale prima della riscossione degli illeciti<br />

tributi. 61 L’episodio del 1773 lasciò traccia negli uffici governativi e ogni protesta<br />

di correttezza da parte del marchese divenne poco credibile.<br />

58 Autos construidos de instancia del Ill. Marques de Arcais contra el sindico de la comunidad y<br />

vassallos de Sili por haver pedido varios terrenos serrar a viña, 1772 (ASC, Regio Demanio,<br />

Feudi, v. 64, n. 7); Causa civile vertente in questo tribunale del Regio Patrimonio fra il proc.<br />

dell’Ill. Sig. Marchese d’Arcais, e vari particolari della villa di Nuraqui, 1772 (ivi, n. 8); Atti<br />

civili fra il Procuratore del Sig. Marchese d’Arcais ed il Pro.re della comunità di Nuraqui, di<br />

quelle che compongono il Campidano d’Oristano, sulla pretensione di questi ultimi di formare<br />

un nuovo Prato nel Paberile di detta villa, 1772 (ivi, n. 10); Atti civili tra l’Ill. Signor Marchese<br />

d’Arcais, ed il sindaco e Consiglio ordinario del comune della villa di Siamanna, pretendendo<br />

questi chiudere i terreni addomandati per piantamento di vigne, alla quale domanda si<br />

è opposto il Sig. Marchese predetto, 1772 (ivi, n. 28); Civile tra il P.r del Marchese d’Arcais e<br />

il comune di Donigalla che pretendeva di poter chiudere un pezzo di terreno per vigne, 1773<br />

(ivi, n. 12). Talvolta lo scontro interessava singoli notabili rurali che, per il pascolo e la coltura,<br />

da tempo si erano ritagliati degli spazi su cui il marchese voleva far valere i suoi diritti: El Sig.<br />

Don Agostino Spanu di Milis contro il Sig. Marchese d’Arcais sopra il diritto del deguino di<br />

porci, 1773 (ivi, n. 13); El S.r Marques don Damiano Nurra contra el D.r Vicente Mochi vice<br />

suddelegado patrimonial por algunas concessiones de tierras, 1773 (ivi, n. 14).<br />

59 Lettere viceregie del 28 febbraio, del 30 giugno e del I° settembre 1772 (ASC, Segreteria di<br />

Stato, s. I, v. 965 bis).<br />

60 Lettera del 21 febbraio 1772 (ivi, v. 297).


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

123<br />

Nel febbraio di quell’anno morì Carlo Emanuele e salì al trono VittorioAmedeo.<br />

All’incoronazione del principe fecero seguito il clamoroso licenziamento di Bogino<br />

e la caduta in disgrazia dei suoi più stretti collaboratori. 62 I nuovi equilibri creatisi ai<br />

vertici torinesi non potevano lasciare indifferente la nobiltà feudale sarda: con il<br />

riemergere dell’antica aristocrazia piemontese a fianco di Vittorio Amedeo, anche<br />

le prerogative signorili in Sardegna sarebbero state messe al riparo da nuovi attacchi<br />

governativi.Alungo contenuta dentro i confini isolani dal ministro Bogino, l’ostilità<br />

nobiliare ai consigli poté infine varcare il mare. In occasione dell’omaggio al nuovo<br />

sovrano, il deputato del Regno don Ignazio Aymerich presentò a corte un fiume di<br />

rimostranze raccolte tra i tre stamenti del Regno: al centro stava la contestazione<br />

aristocratica dei nuovi istituti comunitari. 63<br />

Benché conclusasi drasticamente, la stagione delle riforme non trascorse<br />

invano e lasciò il segno nei lustri successivi. Se nel 1775 privilegi e prerogative<br />

dei consiglieri comunitativi furono ridotti, il nuovo istituto nel suo complesso<br />

resistette all’attacco signorile. 64 Peraltro, in contrasto con i mutamenti che sconvolsero<br />

il quadro politico torinese, l’apparato pubblico isolano non subì alcun<br />

rivolgimento e tutti i protagonisti della trascorsa stagione boginiana restarono<br />

nelle loro cariche. La compagine burocratica non s’indebolì nei restanti anni Set-<br />

61 Lettera del 21 aprile 1773 (ivi, v. 966).<br />

62 Sul nuovo clima creatosi a Torino al momento della successione al trono, cfr. G. RICUPERATI, Il<br />

Settecento cit., p. 571 ss.; sull’aristocrazia militare cfr. V. FERRONE, Tecnocrati militari e scienziati<br />

nel Piemonte dell’Antico Regime: alle origini della Reale Accademia delle Scienze di<br />

Torino, in «Rivista storica italiana», I (1984), ora in ID., La nuova Atlantide e i lumi. Scienza e<br />

politica nel Piemonte di Vittorio Amedeo III, Meyner, Torino 1988.<br />

63 Obiettivo principale della contestazione feudale era l’editto sui consigli comunitativi, e a tal fine fu<br />

presentata a corte la Rappresentanza del Deputato del Regno Marchese di Laconi riguardante gli<br />

abusi sull’osservanza dell’editto concernente i consigli di comunità (AST, Sardegna, Politico, cat.<br />

9, m. 1, n. 25). Per toglierle ogni eccezionalità, la protesta fu accompagnata da numerose altre<br />

suppliche inviate dalle città, dal clero e dalla stessa feudalità. Per lo stamento ecclesiastico cfr. il<br />

Memoriale presentato a S.M. per parte degli Arcivescovo e Capitolo di Cagliari (ASC, Segreteria<br />

di Stato, s. II, v. 54). Se le lamentele di Cagliari e dei suoi sobborghi, di Oristano, di Alghero, di<br />

Castelsardo e di Bosa non preoccuparono eccessivamente le autorità governative (ASC, Segreteria<br />

di Stato, s. I, v. 45; ivi, s. II v. 54 e AST, Sardegna, Pareri del Supremo Consiglio, registri III-V), più<br />

veemente parve la protesta di Sassari contro il governatore Maccarani (AST, Sardegna, Politico, cat.<br />

4, m. 3, n. 60). Tra i numerosi reclami dell’aristocrazia feudale, finalizzati a rilanciare il suo ruolo di<br />

tutore delle comunità, basti citare Dei pregiudizi che soffrono le povere comunità per l’annuale<br />

cavamento del sale (ASC, Segreteria di Stato, s. I, v. 44), Rappresentanza sul contributo paglia e<br />

vitelle presentata dal Marchese di Laconi come Deputato del Regno (ivi, v. 45) e Rappresentanza<br />

riguardante le angherie nella piazza de’ grani, e pregiudizi che ne risentono i villici nella vendita<br />

de’ medesimi (AST, Sardegna, Pareri del Supremo Consiglio, reg. IV).<br />

64 Cfr. l’Editto di S.M. riguardante li consigli d comunità relativo al precedente de’ 24 settembre<br />

1771, in data de’ 27 aprile 1775 (ASC, Atti governativi, v. 6, n. 341).


124<br />

Maria Lepori<br />

tanta: a Robbione subentrarono Ferrero della Marmora e Lascaris di Castellar,<br />

viceré di alto profilo politico e noti rappresentanti del partito perdente a corte. 65<br />

Negli uffici isolani trovarono uno stile di lavoro che era loro affine e, anche senza<br />

il sostegno dei vertici torinesi, si preoccuparono di dare attuazione e solidità ai<br />

provvedimenti del quindicennio precedente. 66<br />

Dotati di una solida personalità giuridica nonostante il ridimensionamento<br />

subito, i consigli comunitativi divennero una realtà ineludibile nel Regno, e<br />

nelle ville rurali niente sarebbe stato come prima del ministero boginiano. Mentre<br />

don Damiano Nurra non nascondeva l’insofferenza alla sfida lanciatagli dai<br />

vassalli davanti ai magistrati, nel percorso giudiziario le comunità del Campidano<br />

rinvigorivano la propria combattività. Nel 1773, richieste dal tribunale della<br />

Reale Udienza, furono raccolte nuove informazioni sui diritti feudali che, in<br />

netto contrasto con quelle raccolte dal notaio Francisco Serra nel 1768, insidiarono<br />

definitivamente le pretese del marchese e rilanciarono l’offensiva dei villaggi,<br />

consapevoli della propria forza e risoluti a un’ostinata difesa. 67<br />

Peraltro, in loro favore intervenne la città di Oristano. Con una rimostranza<br />

consegnata al marchese di Laconi, inviato a corte come deputato del Regno nel<br />

1774, il consiglio civico pose a Vittorio Amedeo III il problema di una maggior<br />

tutela delle comunità campidanesi, rimarcò l’urgenza di risolvere le infinite controversie<br />

tributarie e giurisdizionali sorte con il signore d’Arcais e contemplò la<br />

possibilità che i vassalli facessero ricorso al veghiere cittadino. Il sostegno offerto<br />

dal notabilato urbano di Oristano era singolare e tutt’altro che disinteressato: quale<br />

contropartita alla propria protezione, sperava di ottenere maggiore influenza<br />

nel contado, le cui risorse erano diventate sempre meno accessibili negli ultimi<br />

tempi. La recente infeudazione sottraeva all’iniziativa mercantile quel lucroso<br />

settore d’appalti in cui aveva prosperato la fortuna dello stesso don Damiano,<br />

ostacolava gli investimenti nella terra e metteva a rischio perfino il prestigio delle<br />

cariche cittadine: le pretese giurisdizionali del marchese tendevano a svilire auto-<br />

65 Sui Ferrero della Marmora e i loro legami con Bogino, sul conte Lascaris di Castellar quale<br />

segretario degli Esteri negli ultimi tempi del potente ministro di Carlo Emanuele e sul suo<br />

licenziamento cfr. G. RICUPERATI, Il Settecento cit., pp. 593 e 614; E. STUMPO, «Castellar, Giuseppe<br />

Vincenzo Francesco Maria conte di», in Dizionario biografico degli italiani, Istituto<br />

della Enciclopedia Italiana, Roma 1990, XXX, pp. 251-53.<br />

66 Sull’operato dei conti Ferrero della Marmora e Lascaris di Castellar in Sardegna, cfr. G.<br />

MANNO, Storia di Sardegna, Appendice per gli anni dal 1773 al 1799, Capolago 1847, vol.<br />

III, pp. 16-33.<br />

67 Cfr. lite tra don Damiano Nurra e le comunità del Campidano Maggiore, in ASC, Regio Demanio,<br />

Feudi, v. 64, n. 68 cit.


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

125<br />

revolezza e proventi del suddelegato patrimoniale, del veghiere e degli ufficiali di<br />

giustizia dei Campidani. 68<br />

Tuttavia, sotto la duplice pressione rurale e urbana, gli spazi di manovra del<br />

signore d’Arcais divennero più angusti. Nel Regno non c’era aristocratico che<br />

potesse rivaleggiare con lui per il numero di liti giudiziarie, 69 e negli uffici centrali<br />

68 Le richieste di Oristano vanno collocate nel quadro delle rimostranze presentate a corte da don<br />

Ignazio Aymerich in occasione della salita al trono di Vittorio Amedeo II. Nello stamento reale,<br />

quella di Oristano fu l’unica voce urbana levatasi a difesa della campagna (cfr. AST, Sardegna,<br />

Pareri del Supremo Consiglio, registro IV, 27 aprile 1775). Degli scontri con il suddelegato<br />

patrimoniale, con il veghiere e il consiglio civico si è già detto sopra; né vanno sottovalutati<br />

quelli con gli ufficiali di giustizia dei tre Campidani, sempre ricoperti da membri del consiglio<br />

civico di Oristano. In proposito cfr. A. ARGIOLAS, Il rapporto tra la città di Oristano eitre<br />

Campidani (secoli XVI e XVII), relazione al convegno «Oristano e il suo territorio dalle origini alla<br />

IV provincia» (Oristano 20-24 ottobre 2004).<br />

69 Alle liti in corso, se ne erano aggiunte numerose altre che coinvolgevano singoli individui,<br />

gruppi o comunità. I temi del contendere erano pressoché i soliti, dall’uso e dalla chiusura delle<br />

terre al rifiuto di pagare tributi feudali, in particolare il ‘laor de corte’ che il marchese voleva<br />

riscuotere sulla base di liste di contribuenti compilate senza rispettare le tradizionali fasce di<br />

esenti. Cfr. Causa civil entre el Señor Marques de Arcais Don Damiano Nurra e varios<br />

particolares de las villas che componen el Campidano de Oristan sobre el llaor de corte, 1774<br />

(ASC, Regio Demanio, Feudi, v. 64, n. 18); El Marques de Arcais don Damiano Nurra contra<br />

Don Joseph Escarpa y Don Francisco Virdis domandados en las villas di Narbolia e Santo<br />

Vero Milis sobre el derecho territorial, 1774 (ivi, n. 17); Causa civile tra Salvatore Vacca ed<br />

altri della villa di Nuraqui con il Sig. Marchese d’Arcais della città di Oristano ed il Procuratore<br />

Fiscale Patrimoniale per chiudimento di territori senza permesso, 1775 (ivi, n.19); El<br />

Marques de Arcais contra don Pedro Vacca di Milis por el derecho de esbarbajo de cochinos<br />

introduzidos en la montaña de Arcais, 1775 (ivi, n. 21); Atti civili costrutti d’istanza del Pro.or<br />

del Sig. Marchese d’Arcais con Damiano Nurra ed il Procuratore Fisc. Patrim. contro i fratelli<br />

Pietro Gavino, Gio. Agostino Poddighe domiciliati nella città di Oristano, sopra l’introduzione<br />

dei porci nel salto demaniale, detto volgarmente Ungroni, 1775 (ivi, n. 20); Supplica dei<br />

particolari di Solarussa in vista della quale furono esonerati i nubili dal pagamento del llaor<br />

de corte e contribuzioni del sale per non essere compresi in lista secondo costume 1777 (ivi, n.<br />

23); Rivista praticata d’istanza del Sig. Marchese d’Arcais d’una tanca che Salvatore Crobu<br />

di Solarussa ha chiuso nel luogo denominato Uraza, 1778 (ivi, n. 26).<br />

Una controversia relativamente nuova fu quella relativa alla pesca nei fiumi. I corsi d’acqua, nei<br />

periodi di piena invernale, erano tradizionalmente utilizzati per il trasporto dei fasci di canne, e<br />

fin dal 1769 il marchese volle proibirne l’accesso ai villici per evitare danni alla pesca delle<br />

sabogas. Non fu difficile appurare che le due operazioni avvenivano in tempi successivi senza<br />

intralcio veruno e che l’obiettivo del marchese era quello di privatizzarne al massimo l’uso (ivi,<br />

n. 43). A partire dal 1773, i vassalli cominciarono a rivendicare anche il diritto di pesca, a<br />

costruire a tal fine nasseros che sbarrassero i fiumi e a distruggere quelli eretti da don Damiano<br />

(cfr. Il Procuratore del Marchese d’Arcais contro il R.re prete Cadeddu per l’erezione di un<br />

nassero, 1773, ivi, n. 15; Autos construidos de instancia del Señor Marques de Arcais contra el<br />

notaio Effis Sanna de Solarussa y otros particolares, 1775, ivi, n. 22). Nell’Ottocento «interminabili<br />

[…] differenze fra le Comunità e il Marchese, e litigi accaniti» non accennarono a<br />

diminuire. «Nei soli archivi Patrimoniali [esistevano] oltre trenta due cause fra i Comuni, particolari<br />

ed il Marchese» (Relazione storico-economica sul Marchesato d’Arcaise la Signoria<br />

utile sui tre Campidani d’Oristano, 14 aprile 1832 cit.).


126<br />

Maria Lepori<br />

di Cagliari nessuno era disposto a ritenerle semplici «insolencias» inflittegli «por<br />

mero consejo, y instigacion […] de los ciudadanos de Oristan y officiales de los<br />

Campidanos». 70 Agli occhi di don Damiano la stessa intendenza generale aveva<br />

favorito «ricos y poderosos, con tancas y serrados infinitos», mentre avrebbe dovuto<br />

«moderar y reprimir» l’ambizione di quanti dissennatamente volevano chiudere<br />

terre. 71 Il viceré Lascaris di Castellar non si lasciò impressionare dai reclami<br />

del barone e, prima di inviargli un delegato speciale per un contraddittorio con i<br />

vassalli, non gli usò neppure la cortesia di avvertirlo personalmente. Conferì a un<br />

semplice avvocato, il dottor Pietro Vacca, l’incarico di fargli esibire i documenti<br />

su cui basava le proprie richieste e quattro mesi dopo gli impose l’immediato<br />

risarcimento dei danni provocati dal suo bestiame, incustodito nei vacui delle<br />

vidazzoni. 72<br />

Gli anni Ottanta furono meno generosi con il Regnum Sardiniae. Al rigore e<br />

alla sensibilità politica di quelli boginiani, subentrò l’indifferenza e l’incuria di<br />

viceré filonobiliari: i loro gesti autoritari e talora sprezzanti consentirono ai signori<br />

di rilanciare la propria iniziativa in villaggi rurali abbandonati al proprio destino.<br />

73 Nel 1784 il marchese d’Arcais reclamò un acquartieramento di truppa per il<br />

prelievo del laor de corte e, senza alcuna verifica precauzionale, il viceré Solaro<br />

di Moretta dispose l’invio di un commissario con la scorta. Don Damiano Nurra<br />

non avrebbe azzardato tale richiesta con il conte Lascaris che, conoscendone<br />

l’esosità e gli abusi, lo aveva tenuto sempre sotto controllo. Peraltro, anche la<br />

decisione viceregia mutò, e furono esperti magistrati a far valere una puntigliosa<br />

analisi del recente diploma d’infeudazione: 74 la concessione dell’alloggio militare,<br />

«un privilegio peculiare del Regio Fisco contro dei debitori fiscali, non<br />

comunicabile ai […] feudatari», appariva inopportuna, poteva innescare un feno-<br />

70 Lite tra don Damiano Nurra e le comunità del Campidano Maggiore, in ASC, Regio Demanio,<br />

Feudi, v. 64, n. 68 cit.<br />

71 Negli atti d’infeudazione era previsto che l’intendenza generale valutasse se la chiusura di terre<br />

ad opera di privati danneggiava o meno le comunità. D’altra parte, la rivendicazione di don<br />

Damiano era tutt’altro che infondata: il compito di giudicare la fattibilità di chiusure, in genere<br />

trasferito dall’intendente al suddelegato patrimoniale, non doveva essere confuso con la prerogativa<br />

di decidere, spettante esclusivamente al marchese (cfr. Parere sul capitolo dell’istrumento<br />

d’infeudazione dei redditi dei tre Campidani, in ASC, Segreteria di Stato, s. II, v. 1638).<br />

72 Lettere del viceré del 25 novembre 1779 (ASC, Segreteria di Stato, s. I, v. 971) e del 31 marzo<br />

1780 (ivi, v. 972).<br />

73 Mentre negli anni Ottanta a Torino si assisteva al recupero di uomini legati al ministro Bogino<br />

e all’ascesa del ministro Perrone (cfr. G. RICUPERATI, Il Settecento cit., pp. 618-40), nel palazzo<br />

viceregio di Cagliari prese a spirare un vento filonobiliare (cfr. M. LEPORI, Dalla Spagna ai<br />

Savoia cit., pp. 178-189).<br />

74 Lettere del viceré del 16 gennaio e del 20 febbraio 1784, in ASC, Segreteria di Stato,s.I,v.977.


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

127<br />

meno imitativo tra i baroni e incoraggiare le loro «indebite esazioni». 75 Assieme<br />

all’obbligo di formare le liste feudali con «il giudizio dei probi uomini» e di mantenere<br />

inalterati i modi di riscossione dei tributi, al marchese fu intimato l’assoluto<br />

divieto di coercizioni e violenze sulle persone: per qualunque controversia sarebbe<br />

stato disponibile il tribunale del Regio Patrimonio. 76<br />

In quell’inizio del 1784, l’intervento della Reale Udienza a favore delle comunità<br />

fu talmente pesante da rivelare, tra il rappresentante diretto del sovrano<br />

e la magistratura del Regno, una disarmonia mai verificatesi negli anni Settanta.<br />

Il marchese d’Arcais avvertì quei segnali d’isolamento dei funzionari boginiani<br />

e nel 1789 reiterò la richiesta al conte Thaon di Sant’Andrea, ottenendo un<br />

drappello di soldati contro i villici di Solanas. Non aveva fatto i conti con vent’anni<br />

di vita di consigli amministrativi legittimati a contestare i soprusi feudali,<br />

abili nell’individuare abusi antichi e recenti e ostinati nella contestazione<br />

giudiziaria e nella resistenza di fatto. Forte della solidarietà del vicino villaggio<br />

di Donigala, Solanas respinse il distaccamento armato e soltanto la dura repressione<br />

viceregia ne stroncò la sommossa. 77<br />

L’episodio non è comprensibile fuori del clima di ‘restaurazione’ nobiliare<br />

creatasi a Cagliari. Del conte Thaon di Sant’Andrea, altero gentiluomo<br />

nizzardo e viceré d’azione giunto nel Regno nel 1787, gli estimatori hanno<br />

evidenziato l’interesse alla sperimentazione agronomica e all’innovazione<br />

colturale, ma con lui si dispiegò nel Regno anche l’orientamento aristocraticamente<br />

autoritario implicito nell’indolente governo di Valperga di Masino<br />

e di Solaro di Moretta. Assieme alla sensibilità scientifica che in quegli anni<br />

a Torino accomunava alta nobiltà e tecnocrati, egli aveva portato nel Regno<br />

di Sardegna l’avversione del mondo militare piemontese per lo Stato amministrativo<br />

e togato di stampo boginiano. La sua insofferenza alle lungaggini<br />

giudiziarie e la smania di risolvere ogni controversia con straordinari e di-<br />

75 Il parere della Sala Civile della Reale Udienza venne comunicato al viceré l’8 febbraio 1784 (cfr.<br />

ASC, Segreteria di Stato, s. II, v. 1638). Vi si stigmatizzavano i limiti della giurisdizione baronale,<br />

l’impossibilità «di procedere in qualsivoglia caso contro le persone» e l’impegno a intervenire<br />

soltanto «contro i beni dei debitori di dritti e redditi». Sui tributi non si sarebbero tollerate innovazioni:<br />

«Dovranno pagar il ‘laor de corte’ soltanto quei particolari che sono compresi e saranno per<br />

l’avvenire compresi nelle liste di compusione, di tempo in tempo formate in debita forma, coll’intervento<br />

e giudizio di cinque probi uomini, con giuramento, nella maniera che soleasi praticare<br />

nanti della fattagli infeudazione a seconda delle leggi del Regno, salva sempre a lui la ragione,<br />

come a qualunque particolare che si credesse gravato dal giudizio di detti probi uomini di esperire<br />

in detto caso delle rispettive ragioni nanti chi convenga».<br />

76 Ibid.<br />

77 G.G. ORTU, Villaggi e poteri signorili in Sardegna cit., p. 222.


128<br />

Maria Lepori<br />

spotici interventi creò tali dissidi con gli alti magistrati cagliaritani, dal reggente<br />

la Cancelleria e i giudici della Reale Udienza ai responsabili del Fisco<br />

e del Patrimonio, da richiamare l’attenzione preoccupata della corte. 78<br />

Non vanno neppure sottovalutate le ripetute provocazioni e sfide che, dal<br />

1788, le comunità campidanesi lanciavano contro il signore d’Arcais. Tra il<br />

16 giugno e il 10 luglio, si era proceduto alla verifica della lista feudale dei<br />

contribuenti di ogni villaggio. Convocati dal delegato governativo Meloni,<br />

sindaci e probi uomini avrebbero dovuto «denunciar fielmente todos los<br />

vassallos» e indicare in elenchi distinti quanti ritenevano «habiles, y capaces<br />

de pagar el feudo, o llor de Corte», e quanti erano «escluidos de tal<br />

contribuzion» per «justa causa». 79<br />

Consapevoli che le loro deposizioni potevano essere contestate soltanto in<br />

sede giudiziaria, i rappresentanti delle comunità dilatarono oltre misura la categoria<br />

degli indigenti. Se a Seneghe furono annoverati 101 contribuenti contro<br />

84 esenti, il rapporto si capovolgeva a Simaxis e Villaurbana (22 contro 40 e 38<br />

contro 57). 80 Altrove la forbice tra le due liste si faceva perfino più ampia: meno<br />

della metà dei vassalli di Massama venne assoggettata al tributo (14 contro 34),<br />

un quarto circa a Donigala Fenugheddu e a Solanas (9 contro 41e7econtro 33)<br />

e quasi un ottavo a Sili (9 e 69), ma il caso più sorprendente era costituito da<br />

San Vero Congius, il villaggio di 26 fuegos in cui si ritenne tassabile soltanto il<br />

dottore in diritto Francesco Massidda. 81 Il procuratore del marchese, il notaio<br />

Pasqual Sannia Ibba assistette impotente al drastico taglio delle rendite signorili.<br />

Con singolare disinvoltura, tra i disagiati della comunità di Nurachi fu incluso<br />

Siriaco Laisiu che, privo di beni propri, disponeva tuttavia di diverse case e<br />

della «viña de quatro mil sepas» della moglie. Gli tenevano buona compagnia<br />

78 Sulla sperimentazione agronomica che riguardò gelsi, cotone, riscolo, indaco e robbia, cfr. G.<br />

MANNO, Storia di Sardegna, cit, vol. IV, p. 36. Oltre l’intendente Botton di Castellamonte e il<br />

segretario Borghese, con il viceré collaborarono Giuseppe Cossu e Giò Maria Angioy, che introdusse<br />

anche dispendiose macchine per la filatura (cfr. C. SOLE, G.M. Angioy e i primi esperimenti<br />

sul cotone in Sardegna durante il riformismo sabaudo, inStudi storici e giuridici in<br />

onore di A. Era, CEDAM, Padova 1963, p. 373 ss.; ID., Economisti e riformatori sardi nel<br />

‘rifiorimento’ settecentesco dell’isola, inSardegna e Mediterraneo, Editrice Sarda Fossataro,<br />

Cagliari 1970, cap. 8). Sulla complessa personalità di Thaon di Sant’Andrea cfr. M. LEPORI,<br />

Dalla Spagna ai Savoia cit., pp. 181-183; G. RICUPERATI, Il Settecento cit., pp. 722 e 815, e G.<br />

MANNO, Storia di Sardegna cit., vol. IV, p. 17.<br />

79 Atti di compulsione per il presente triennio, che comincia del 1788, di tutti i vassalli che<br />

devono corrispondere il Dritto Feudale del Llor de Corte all’Ill.re Sig.r Marchese d’Arcais<br />

d’Oristano, in E. FLORES D’ARCAIS cit., vol. III.<br />

80 Ivi, pp. 19 e 24.<br />

81 Ivi, pp. 7, 39, 122, 126 e 136.


IL MARCHESE D’ARCAIS, UN SIGNORE SGRADITO<br />

129<br />

Josef Loqui, Salvador Carru, Josef Pinna, Antoni Pili e Sisinnio Solinas, proprietari<br />

di estesi vigneti, di carro con giogo, di cavalli e di colture cerealicole. 82<br />

Il loro esonero era sconcertante quanto quello di Josef Zoncu e Pedro Ponti di<br />

Riola, diAntioco Marras, FrancescoAntioco Medda, GiovanniAntioco Camedda<br />

di Sili e di altri ancora. 83 L’aggiornamento degli elenchi dei contribuenti prospettava<br />

un futuro disastroso per le rendite del marchese. Nel sottoscrivere ogni<br />

lista, il suo procuratore non si limitò a esprimere il suo dissenso ma anticipò<br />

l’intenzione di «impugnar todas aquellas exclusiones […] illegitimamente hechas<br />

por dichos prohombres».<br />

Ostinata resistenza rurale e autoritarismo viceregio fanno da sfondo all’episodio<br />

di Solanas. La repressione, alla vigilia dei ‘moti rivoluzionari’ degli anni<br />

Novanta, ferì le comunità rurali ma non ne estinse la sotterranea combattività. Il<br />

marchese morì nel 1790 e al momento della successione il pronipote Francesco<br />

Flores aveva appena tredici anni. Sospettando in lui quell’insipienza<br />

scialacquatrice del padre Alessandro che era stata occasione di insanabili dissidi<br />

familiari, 84 don Damiano aveva disposto un cordone di tutori a salvaguardia<br />

82 L’esenzione veniva giustificata con l’attribuzione della proprietà dei beni alle mogli dei<br />

capifamiglia e con la dichiarazione di gravosi censi su di essi (ivi, pp. 130-136).<br />

83 Se talvolta le indicazioni sui beni degli esenti sono generiche, talaltra la descrizione è tanto<br />

particolareggiata da non lasciare dubbi sul loro status di principales e benestanti. Nel verbale<br />

del notaio Tolu, di Josef Zoncu si dice che «no tiene mas que la casa que habita, y una junta con<br />

la que ha labrado trigo del monte, no saben quanto en tierras proprias, y arquiladas, tiene porcion<br />

de viña que puede haver quatro mil sepas, y tiene aquilla», mentre a Pedro Ponti viene attribuita<br />

una vigna di ben 6.000 ceppi (ivi, pp. 81-2). Forse a Sili era nota a tutti l’agiatezza di Antioco<br />

Marras, il primo della lista «por ser pobre, pues no le conosen mas que la propria, quatro bueyes<br />

una junta domada y otra rude, carro, ha labrado ocho, o dies estareles de trigo, de los quales dos<br />

estareles del monte, sevada dos estareles, linassa tres quartus, avas tres quartus, lo ha labrado a<br />

solis en tierras arquiladas». Pertanto, sollecitato dal delegato governativo, il sindaco ritorna<br />

sullo stesso personaggio «añadiendo que el sobredicho Antiogo Marras, que està encabessado<br />

en esta cattegoria de los inabiles, a mas de los bienes que le conoscen, y se han descrito, tambien<br />

le conosen una viña en saltos de Nuraxinieddu, dos narbonis, la porcion de la postura que le ha<br />

cabido en la division comunal se ha echo en dicha villa, y dos narbonis uno de tres quarras, y<br />

otro de sinco estareles». Inspiegabile è anche l’inclusione tra gli indigenti di Francesco Antioco<br />

Medda, proprietaro di case, di terre e di gioghi, che aveva coltivato dieci starelli di grano, venti<br />

di linosa, sei di orzo e una quantità imprecisata di fave (ivi, pp. 12-19).<br />

84 I rapporti tra don Damiano e don Alessandro Flores, figlio di Menencia Nurra, sono stati sempre<br />

difficili, ma il momento di maggior tensione si colloca nel 1782, allorché don Damiano presenta<br />

al viceré una rimostranza per ottenere la tutela dei suoi nipotini. Nell’ordinare un’indagine a<br />

Oristano, il conte Valperga di Masino illustra al suddelegato le accuse del marchese. «Ci è stato<br />

rappresentato che don Alessandro Floris, di lui nipote e chiamato alla successione de’ cospicui<br />

effetti, che esso lui acquistò dal Regio Patrimonio, ben lungi di avere la dovuta cura de’ suoi<br />

figlioli, e di dare a medesimi quella educazione, che si conviene, li lascia andare pezzenti e<br />

malconci negli abiti, e mancare de’ necessari alimenti, non da a’ medesimi, né per sé né per


130<br />

Maria Lepori<br />

dell’immenso patrimonio. 85 In verità, né i curatori testamentari riuscirono a contenere<br />

l’asprezza dei contrasti con le ville del Campidano, né essi diminuirono<br />

quando Francesco, raggiunti i venticinque anni, entrò definitivamente in possesso<br />

del marchesato. 86 Appena la Regia Delegazione ne determinò il valore, il<br />

signore d’Arcais fu il primo feudatario isolano a cedere i propri diritti e a contrattarne<br />

il riscatto.<br />

mezzo d’altri quella cultura, direzione e istruzione, che sono proprie dello loro stato, sesso ed<br />

età, ed eziandio per la somma sua trascuratezza nel regolamento de’ suoi domestici interessi, e<br />

per la poco di lui regolata condotta viene comunemente riputato per incapace di ben educarli:<br />

pe’ quali motivi l’anzidetto marchese d’Arcais ha fatto istanza, affinché venisse detto don Alessandro<br />

Flores costretto a consegnargli i di lui figli sì maschi che femmine, offerendosi di farli a<br />

proprie spese allevare, ed educare secondo il loro grado, e condizione» (Lettera del 20 giugno<br />

1782, in ASC, Reale Udienza, Cause civili, v. 1797). In verità, la preoccupazione di don Damiano<br />

riguarda l’integrità di un patrimonio che si configura come monumento al suo fondatore. Se nel<br />

1774, per arginare i danni che il nipote potrebbe provocare, il marchese prende quelle misure<br />

testamentarie che fanno del presunto erede men che un usufruttuario, cui non si concede neppure<br />

l’uso dell’argenteria di famiglia (ASC, Archivio Notarile, Tappa d’Oristano, vol. 1486), nel<br />

1787 don Alessandro viene escluso da ogni beneficio, a favore dei figli. Don Damiano decide<br />

che non possa «tener parte alguna en dichos bienes y administracion de ellos directamente, ni<br />

indirectamente», neppure quale genitore, giacché è notoriamente «inabil a governar genero<br />

alguno de bienes, prodigo al excesso, haviendo enteramente destruido aun aquellos, que heredò<br />

de sus padres» (ivi, vol. 1486). Alessandro Flores muore prima dello zio nel 1789, e non conoscerà<br />

queste sue disposizioni.<br />

85 Per la clausola cfr. il testamento del 28 aprile 1790, in ASC, Atti notarili sciolti, Tappa di<br />

Oristano, v. 442, ff. 15-28. Fino alla maggiore età, ai curatori ed esecutori testamentari fu<br />

conferita «aquella authoridad, y facultad de que pueden necessitar sin la menor reserva, o<br />

limitacion». Non potendo impedire che il marchesato finisse nelle mani del pronipote, don<br />

Damiano dispose che, nell’accedere all’eredità, Francesco Flores rinunciasse al proprio per il<br />

cognome Nurra e non avesse opportunità alcuna di dissipare il ricco patrimonio. Contro ogni<br />

progetto, l’abolizione dei feudi avrebbe fatto di Francesco Flores l’ultimo marchese d’Arcais.<br />

86 Sui tentativi di mediazione degli anni Novanta e sull’inasprirsi delle tensioni nell’Ottocento cfr.<br />

la ricca documentazione raccolta in E. FLORES D’ARCAIS cit., v. IV.


GRAZIA DELEDDA SOTTO CENSURA NELLA SPAGNA FRANCHISTA<br />

Gabriel Andrés<br />

Università di Cagliari<br />

131<br />

La morte di Grazia Deledda coincise, a poche settimane di distanza, con uno dei<br />

fatti storici e politici rimasti impressi a lungo nell’immaginario collettivo di diverse<br />

generazioni: la Guerra Civil spagnola. Settanta anni dopo, questo duplice avvenimento<br />

si è rinnovato nelle rispettive commemorazioni. Per la verità, più in<br />

sordina nel caso della Deledda, mentre il conflitto spagnolo ha avuto una risonanza<br />

maggiore rispetto a quanto ci si potesse aspettare – merito degli aspri dibattiti<br />

legati all’attualità politica interna. Acontinuazione delineo lungo questa direttiva<br />

un ponte tra i due fatti citati, analizzando la diffusione delle opere della scrittrice<br />

in Spagna, in particolare attraverso la loro ricezione e censura durante il franchismo.<br />

Il fondo con gli incartamenti (expedientes) della censura presso l’Archivo<br />

General de la Administración (Alcalá de Henares, Madrid) conserva le istanze<br />

presentate dagli editori per la concessione del permesso di traduzione, importazione<br />

o stampa di libri. Queste sono accompagnate quasi sempre da una scheda<br />

analitica compilata dai funzionari della censura con i pareri favorevoli o contrari<br />

ai testi presentati dagli editori. Inoltre, qui viene specificato il valor (letterario,<br />

documentario, scientifico…), il matiz (‘ripercussione’) político degli scritti,<br />

eventuali tachaduras (‘cancellazioni’) da realizzare e, infine, le observaciones<br />

riassuntive sull’opera con il giudizio conclusivo del lettore (non sempre coincidente<br />

con quello definitivo stabilito dal capo sezione). Come previsto dalla legislazione,<br />

non di rado i carteggi includono allegata una copia dattiloscritta, le<br />

bozze o l’edizione originale (nel caso delle traduzioni) dell’opera che l’editore<br />

intendeva stampare. In tale caso, osservando le annotazioni in rosso e le<br />

cancellazioni suggerite dai lettori-censori, è possibile ricostruire l’intera vicenda<br />

percorsa dall’opera tra i meandri dell’amministrazione censoria.<br />

Nel caso della Deledda, due sono gli expedientes che censurano le sue opere;<br />

il primo del 1943 (exped. 4010-43) per l’istanza di pubblicazione della prima<br />

edizione di Cosima da parte dell’editrice Espasa-Calpe, contenente il parere<br />

dell’anonimo lettore numero 9:<br />

valor literario o artístico: «bueno».– valor documental: «Mucho en costumbres de<br />

Córcega (sic)». – tachaduras: «Con rigurosidad, hay estos pasajes de crisis de pubertad,<br />

escabrosos, pero de realidad: pag. 115-117».– observaciones: «El alma de Deledda<br />

INSULA, num. 1 (giugno <strong>2007</strong>) 131-140


132<br />

aparece en su transformación desde su adustez y primitivez. Su posición es, a lo ruso<br />

(1), de escepticismo y de complacencia en las pasiones campestres de rudeza<br />

bellamente descrita, sin ocultar sus crisis de pubertad. Para público no vulgar, un<br />

estudio valioso». Nota 1: «Vid. referencia pág. 137, la única».<br />

Osservando le pagine incriminate ci viene difficile pensare a serie motivazioni<br />

per una eventuale condanna, in quanto i passi contengono in realtà scarne allusioni<br />

fatte dalla madre della protagonista alle maldicenze suscitate tra i compaesani<br />

dal comportamento della figlia o dalla vita dissoluta del fratello. Non s’intravede<br />

un’intenzionalità particolarmente escabrosa neppure nei dubbi religiosi appena<br />

accennati dal servo Elia. 1<br />

[pp. 114-117] La puerta hallábase abierta y<br />

no se dieron cuenta de la presencia de Cósima<br />

que, parada fuera, escuchaba. Por lo demás,<br />

el discurso era sencillo; pero su tono amistoso,<br />

la voz de los dos, un poco lastimera la del<br />

ama, confortadora la del criado, sorprendió a<br />

la muchacha. La madre jamás le había<br />

hablado de aquel modo, y por otro lado, era<br />

muy propio de ella el quejarse. Decía:<br />

–Esta tarde se retrasa Andrea; espero que no<br />

le haya ocurrido nada por allá; siempre tengo<br />

miedo. También de aquella atolondrada<br />

que se va a dar vueltas como una cabra.<br />

–No tema –respondía el hombre, con una voz<br />

ronca y suave, pero también canora, que la<br />

amita no conocía–; allí está Hipólito, que ha<br />

ido a recoger retallos secos para la lumbre, y<br />

la vigila. Además, no se ha vuelto a oír nada<br />

por estos lugares. ¿Qué quiere que vea la<br />

señorita? Y luego, es tan lista... No hay peligro<br />

de que haya dado cita a su enamorado.<br />

–Nunca se sabe nada –insistía la madre. Y<br />

Cósima pensó, allá en su conciencia, que realmente,<br />

sobre este punto, se podían tener<br />

algunas dudas–. Las muchachas son todas<br />

aturdidas; aquélla tiene además en su cabeza<br />

una idea fija: todos esos escritos, esos libros,<br />

las cartas que recibe. ¿Y no ha venido también<br />

a buscarla un hombre gordo, rojo como la<br />

zorra? ¿No ha venido desde lejos y luego ha<br />

escrito sobre ella en los periódicos? La gente<br />

murmura. Cósima no encontrará jamás con<br />

Gabriel Andrés<br />

[pp.120-122] La porta era aperta, ed essi non<br />

si accorsero della presenza di Cosima, che,<br />

fermatasi fuori, ascoltava. Del resto il discorso<br />

era semplice; ma il suo tono amichevole,<br />

nella voce di quei due, un po’ lamentoso in<br />

quella della padrona, confortante in quella del<br />

servo, sorprese la fanciulla. La madre non le<br />

aveva mai parlato in quel modo: e d’altronde<br />

era proprio di lei che si lagnava. Diceva:<br />

–Andrea tarda, stasera: speriamo non sia accaduto<br />

nulla, laggiù: ho sempre paura. E anche<br />

quella stordita che se ne va in giro come<br />

una capra.<br />

–Non abbia timore, –rispose l’uomo, con una<br />

voce fra roca e dolce, ma anche quasi canora,<br />

che la padroncina non gli conosceva; –<br />

c’è Ippollito che è andato a raccogliere sterpi<br />

per il fuoco, e la sorveglia. Poi non si è mai<br />

sentito niente, in questi posti. Chi vuole che<br />

veda la signorina? E poi è tanto savia, quella:<br />

non c’è pericolo che abbia dato appuntamento<br />

all’innamorato.<br />

–Non si sa mai, –insisteva la madre; e Cosima<br />

pensò in sua coscienza che realmente, su questo<br />

punto, si potevano elevare dei dubbi. –Le<br />

ragazze sono tutte stordite: quella, poi, ha<br />

certe idee in testa. Tutte quelle scritture, quei<br />

cattivi libri, quelle lettere che riceve. E non è<br />

venuto anche, a trovarla, un omaccione rosso<br />

come la volpe; e da lontano, è venuto, e<br />

poi ha scritto di lei sui giornali? La gente<br />

mormora. Cosima non troverà mai da mari-<br />

1 Per la versione spagnola cito dalla prima edizione: Cósima, trad. spagn. Santiago Magariños,<br />

Espasa-Calpe, Madrid 1946; per la versione originale dall’edizione a cura di Giovanna Cerina,<br />

Ilisso, Nuoro 2005.


GRAZIA DELEDDA SOTTO CENSURA NELLA SPAGNA FRANCHISTA<br />

quien casarse cristianamente; y también las<br />

hermanas se resentirán de ello, porque en las<br />

familias todo está en casar bien a la<br />

primogénita. Verdad es que –añadió con voz<br />

aun más lamentosa– ahí están también los<br />

hermanos, que no ayudan demasiado. ¡Oh,<br />

bien lo sabes tú, Elías!<br />

Él lo sabía, y sin embargo, tenía una fe ciega,<br />

un cariño apasionado por el señorito Andrea;<br />

y también su voz tembló casi de llanto cuando<br />

habló de esto.<br />

–No, ama, no se queje demasiado del señorito<br />

Andrea. Es bueno, y me atrevo a decir que<br />

casi tanto como lo era el señor Antonio; solamente<br />

que es demasiado generoso y<br />

demasiado amigo de los malos amigos. Pero,<br />

por lo demás, tiene cuidado de los asuntos y<br />

ama a sus hermanas de un modo particular.<br />

–¿Que cuida los negocios? Sí; pero para<br />

quedarse casi con toda la renta; y juega y va<br />

con las mujeres malas. ¿A esto lo llamas<br />

bondad? ¿Lo llamas amor a la familia?<br />

Apenas si deja aquí Andrea lo preciso para<br />

pagar a los criados y los impuestos. No<br />

duermo; un día u otro vendrá el recaudador a<br />

casa para embargar; lo veo en sueños, y le<br />

tengo miedo como al demonio. ¡Oh, no,<br />

Elías!... Y todo esto porque mis hijitos han<br />

abandonado los caminos del Señor.<br />

–Exagera usted, mi ama; hay hijos peores;<br />

todas las familias tienen su cruz. El señorito<br />

Andrea, después de todo, se cuida de las cosas<br />

y les saca fruto. Es, si se puede decir, como<br />

un administrador que se llevara la mayor parte;<br />

pero luego ya tendrá juicio.<br />

–No, Elías, no lo creo.Además, ¿qué se puede<br />

hacer? Somos pobres mujeres solas, con ese<br />

terrible castigo de Santus, y es menester<br />

apoyarse en Andrea. A veces pienso en<br />

repartir el patrimonio; a cada hijo lo suyo,<br />

pero sería peor, porque el desgraciado Santus<br />

caería en pocos meses en la miseria, y<br />

también tu señorito Andrea se jugaría su parte.<br />

No hay salida: es menester sufrir. Y yo<br />

quiero bien a mis hijos; demasiado bien los<br />

quiero. Cuanto más desgraciados son, más<br />

los amo y los compadezco. ¡Pero esa Cósima!<br />

Es la que da más que pensar...<br />

–Por el contrario, será la que más consuelo<br />

habrá de darle; ya lo verá.<br />

133<br />

tarsi cristianamente: e anche le sorelle ne risentiranno,<br />

perché in una famiglia tutto sta a<br />

sposar bene la primogenita. È vero che… –<br />

aggiunse con voce ancora più lamentosa–, ci<br />

sono anche i fratelli, che non ci fanno troppo<br />

da sostegno: oh, tu lo sai bene, Elia.<br />

Egli lo sapeva: eppure aveva una fede cieca,<br />

un attaccamento appassionato per il signorino<br />

Andrea: ed anche la sua voce tremolò quasi<br />

di pianto quando ne parlò.<br />

–No, padrona, non si lamenti troppo del<br />

signorino Andrea. È buono, posso dire, quasi<br />

quanto lo era il signor Antonio: solo, è<br />

troppo amico di cattivi amici. Ma del resto<br />

bada alla roba, e ama le sorelle in modo<br />

particolare.<br />

–Bada alla roba? Sì, ma per pigliarsi lui quasi<br />

tutta la rendita: e gioca, e va con le male<br />

donne. Questa la chiami bontà? La chiami<br />

amore per la famiglia? Andrea ci lascia appena<br />

il tanto per pagare i servi e le tasse. E<br />

sono tante le tasse; sono sempre più gravi, e<br />

ci rodono come un cancro inguaribile. Io non<br />

dormo, pensando alle tasse; un giorno o l’altro<br />

l’esattore verrà in casa a sequestrare: lo<br />

vedo in sogno, ne ho paura come del demonio.<br />

Oh, oh; Elia; e tutto questo perché i miei<br />

figliuoli hanno abbandonato le vie del Signore.<br />

Oh, oh…<br />

–Lei esagera, padrona: ci sono figli peggiori:<br />

tutte le famiglie hanno la loro croce. Il<br />

signorino Andrea, dopo tutto, bada alla roba<br />

e la fa fruttare; è, dirò così, come un fattore,<br />

che si piglia la porzione maggiore. Ma poi<br />

metterà giudizio.<br />

–No, Elia, non lo spero. D’altronde, che si<br />

fa? Siamo povere donne sole, con quel castigo<br />

terribile di Santus: e bisogna pure appoggiarsi<br />

ad Andrea. Tante volte penso di dividere<br />

il patrimonio: a ciascuno figlio il suo:<br />

ma sarebbe peggio, poiché il disgraziato<br />

Santus in pochi mesi cadrebbe nella miseria,<br />

e anche il tuo signorino Andrea si giocherebbe<br />

la sua parte. Non c’è via di uscita; bisogna<br />

soffrire. E poi io voglio bene ai miei figli:<br />

troppo bene ci voglio; più sono disgraziati<br />

più li amo e li compatisco. Ma quella<br />

Cosima! È quella che più mi dà pensiero.<br />

–E invece sarà quella che più le darà consolazione:<br />

vedrà.


134<br />

La madre, mientras revolvía en la sartén las<br />

patatas que lentamente se freían y lanzaban<br />

buen olor, continuaba suspirando:<br />

–No es eso, Elías; yo no tengo necesidad de<br />

consuelo; mi camino está acabado y nada<br />

existe para mí más que el bien de mis hijos.<br />

Pero ellos no siguen el camino justo, el que<br />

hemos recorrido su padre, que bendito sea, y<br />

yo. La culpa será mía; soy una mujer sin<br />

fuerza y sin voluntad, y ellos debieran comprenderlo.<br />

Y si hablo así contigo esta tarde,<br />

Elías, es porque sé que tú solo puedes<br />

compadecerme.<br />

–¡Oh, mi ama! –exclamó él, y una conmoción<br />

sincera, llena de sorpresa y de gratitud le<br />

vibraba en la voz; probablemente hacía<br />

mucho tiempo que nadie le había hablado así.<br />

Y comprendió, quizá, aquello que el ama<br />

quería decirle, porque también él había<br />

pecado y sufrido, pero había vuelto a entrar<br />

en el buen camino, pues añadió:<br />

–Los caminos del Señor son muchos, y Él<br />

ayuda siempre a los buenos cristianos.<br />

–¿Tú crees, pues, en Dios? Yo, mira, a veces<br />

no creo mucho.<br />

–No sé; también yo no voy a misa hace veinte<br />

años. No sé, no sé, pero sé que siendo buenos<br />

y pacientes se gana siempre. Por tanto, valor,<br />

mi ama [...].<br />

Gabriel Andrés<br />

Ma la madre, mentre rimuginava nella padella<br />

le patate che lentamente si arrossavano<br />

e spandevano un buon odore, continuava a<br />

sospirare.<br />

–Non è questo, Elia, io non ho bisogno di<br />

consolazione: la mia strada è finita, e nulla<br />

esiste più per me tranne il bene dei miei figli.<br />

Ma essi non seguono la via giusta, quella<br />

che abbiamo percorso io e il padre loro, benedetto<br />

sia. Sarà mia la colpa: sono una donna<br />

senza forza e senza volontà; ma loro dovrebbero<br />

capirlo. E se parlo così con te, questa<br />

sera, Elia, è perché so che tu solo puoi<br />

compatirmi.<br />

–Oh, padrona! –egli esclamò e una commozione<br />

sincera, piena di sorpresa e di gratitudine,<br />

gli vibrava nella voce: probabilmente nessuno,<br />

da molto tempo, gli aveva parlato così.<br />

E intese forse quello che la padrona voleva<br />

dirgli, che anche lui aveva peccato e sofferto<br />

ma era rientrato nella giusta via, perché disse:<br />

–Le strade del Signore sono tante, padrona,<br />

ed Egli aiuta sempre i buoni cristiani.<br />

–Tu, dunque, credi in Dio? Io, vedi, a volte,<br />

non ci credo più.<br />

–Non so: anche io non vado a messa da venti<br />

anni. Non so; non so; ma so che ad essere<br />

buoni e pazienti ci si guadagna sempre. E,<br />

dunque, padrona, coraggio.<br />

Come si vede, la traduzione finalmente autorizzata e pubblicata non contiene<br />

nessuna modifica o cancellazione significativa rispetto all’originale, per cui<br />

lo scrupolo nel segnalare brani ‘scabrosi’ potrebbe sembrare più che altro un<br />

esercizio di puntigliosità professionale da parte del censore numero 9. Conviene<br />

ricordare in proposito che nei primi anni del dopoguerra spagnolo non erano<br />

ancora salde le posizioni dei censori, e che assieme a una schiera di giovani<br />

intellettuali falangisti di sicura preparazione (e brillante futuro nel rarefatto<br />

entourage culturale del primo franchismo:Antonio Tovar, Laín Entralgo, Rosales,<br />

Vivanco, Leopoldo M. Panero, Torrente Ballester, García Viñolas…), l’apparato<br />

repressivo della censura contava con altri meno illustri camisas viejas e nuevas<br />

(iscritti al partito fascista unificato FET-JONS prima o dopo, rispettivamente,<br />

dell’inizio della guerra), che alcuni mesi prima, a febbraio del 1942, avevano<br />

vissuto delle destituzioni importanti all’interno dell’apparato censorio. Ora, a<br />

metà dell’anno 1943, quando l’anonimo lettore numero 9 si arrampicava sul<br />

morigerato testo della Deledda per scoprirvi presunte increspature e scabrosità,


GRAZIA DELEDDA SOTTO CENSURA NELLA SPAGNA FRANCHISTA<br />

135<br />

doveva arrivare forte sui banchi dei censori il respiro ideologico della Falange,<br />

proprio allora all’acme del suo sforzo di fascistizzazione del regime. E nonostante<br />

ciò, risultava poco probabile che la censura vietasse l’operato del traduttore<br />

spagnolo della versione di Cosima edita da Espasa-Calpe, Santiago<br />

Magariños, uno degli intellettuali che aveva condiviso il carcere di Ventas (Madrid)<br />

con Ramiro de Maeztu e altre personalità perseguitate dalla Repubblica<br />

nel luglio del 1936 – alcuni poi fucilati; collaboratore nella rivista fascista italospagnola<br />

Legiones y Falanges. <strong>Revista</strong> mensual de Italia y España 2 e, infine,<br />

caposezione della censura e difensore di prima linea di tale istituzione: 3<br />

[...] podrá hoy decirse que la censura se emplea por la necesidad de la intervención<br />

celosa y constante del Estado en orden a la educación política y moral de los españoles<br />

(Orden de 15 de julio de 1939). Ello es así porque como todo Estado se basa en el<br />

grupo de hombres fundidos en la comunidad de una substancia política, hay que<br />

hacer que ésta tome cuerpo en los individuos que la componen para llegar a la<br />

realización de un mismo quehacer para todos y de una misma empresa que emprender. 4<br />

Ad ogni modo, potevano esserci altri motivi non meno importanti, oltre alle<br />

vicissitudini del momento, affinché la solerzia censoria si destasse nei confronti<br />

di alcune opere della Deledda: quell’anima ‘adusta’ e ‘primitiva’ che la scrittrice<br />

(donna, inoltre) lasciava intravedere nella scrittura, lo ‘scetticismo’ ed il compiacimento<br />

a lo ruso che il censore segnalava a pagina 137: 5<br />

[pp. 136-7] Pero Cósima no tenía amigos, y<br />

se aterraba ante el pensamiento de tener uno<br />

solo. Los admiradores no los quería; le<br />

parecía, por larga experiencia, que estaba ya<br />

escarmentada de ellos. De repente oyó llamar<br />

a la puerta de entrada, y sin pensarlo abrió.<br />

Era el mozo de un florista que traía un enorme<br />

ramo de rosas rojas, envueltas en papel<br />

de seda. ¿Para ella? Justamente para ella; pero<br />

no sabía de parte de quién. Quedósele mirando<br />

casi con la misma sorpresa temerosa<br />

[p. 140] Ma Cosima non aveva amici, e si<br />

atterriva al solo pensiero di averne uno solo.<br />

Di ammiratori, poi, non ne voleva: le pareva<br />

di esser già, per lunga esperienza, scottata da<br />

loro. Eppure d’un tratto sentì suonare alla<br />

porta dell’ingresso, e senza pensarci su tanto<br />

aprì. Era il garzone di un fioraio, che portava<br />

un grande mazzo di rose rosse, avvolte nella<br />

carta velina. Per lei? Proprio per lei: ma non<br />

si sapeva da parte di chi. Ella stette a guardarle<br />

quasi con la sorpresa paurosa con cui<br />

2 Dal novembre 1940 appariva in doppia versione, spagnola e italiana (Legioni e Falangi. Rivista<br />

d’Italia e di Spagna), riunendo un numero scelto di giovani autori, intellettuali e personalità<br />

(Agustín de Foxá, Azorín, Camilo J. Cela, Concha Espina, Joaquín de Entrambasaguas, A.<br />

Cunqueiro…).<br />

3 La sua firma figura nell’exped. Y-855-41, che vieta la traduzione spagnola di un autore di gialli<br />

come Enzo Gemignani (El albergue del ahorcado, 1941).<br />

4 Santiago MAGARIÑOS nel «Prólogo» allo studio di A. RUMEU DE ARMAS, Historia de la censura<br />

literaria gubernativa en España: Historia, legislación, procedimientos. Tesis doctoral, Aguilar,<br />

Madrid 1940, p. 8.<br />

5 Cósima, trad. spagn. cit., 1946; Cosima, ed. cit., a c. di G. Cerina, 2005.


136<br />

con que había mirado en la mano de Elías las<br />

monedas de oro; y el perfume violento de las<br />

rosas y su color le parecían vivo, ardiente,<br />

sangriento. Mucho más que el coro de las<br />

mozas y con el zumbido de la música callejera,<br />

sintió que la vida le llegaba con aquel hálito<br />

casi carnal; pero cuando se decidió a coger el<br />

ramo de manos del muchacho, que la miraba<br />

con ojos maliciosos, sintióse pinchada por una<br />

afilada espina, y pensó que también la vida,<br />

bajo la ilusión de las cosas más bellas y ricas,<br />

esconde las inexorables uñas.<br />

Gabriel Andrés<br />

aveva guardato nel pugno Elia le monete<br />

d’oro: e il profumo quasi violento delle rose,<br />

e il loro colore, le parvero vivi, caldi, sanguinanti,<br />

più che dal coro delle fanciulle e dal<br />

ronzio delle musiche della strada, sentì da<br />

quell’alito quasi carnale, venirle incontro la<br />

vita; ma quando si decise a prendere il mazzo<br />

dalle mani del garzone che la guardava<br />

con occhi maliziosi, si sentì pungere da una<br />

spina acuminata: e pensò che la vita anche<br />

sotto l’illusione delle cose più belle e ricche,<br />

nasconde le unghie inesorabili.<br />

Compiacimento ‘ardente’, ‘violento’, ‘carnale’… nei confronti sia delle ‘rudi<br />

passioni contadine bellamente descritte’, sia delle passioni proprie delle ‘crisi<br />

di pubertà’ e di coscienza individuali… pero de realidad, come concludeva la<br />

sua relazione il lettore 9. Un riconoscimento di ‘realtà’ con il quale sembrava<br />

che egli assolvesse il testo, ma che, a dir la verità, per gli occhi dei settori più<br />

intransigenti del regime segnava un’ombra torbida, legata alla cosiddetta cultura<br />

‘liberale’. Molta letteratura realista e naturalista del tardo Ottocento e dei<br />

primi del Novecento era, infatti, stata complice di un tradimento ‘antinazionale’,<br />

e «todos los escritores naturalizantes, laicizantes y europeizantes, que tanto vale<br />

como decir antiespañoles», 6 ossia Blasco Ibáñez, Galdós o Valle-Inclán, ma<br />

anche Baudelaire, Dumas, Stendhal, Balzac e perfino Jules Verne o Salgari si<br />

sentivano lontani dallo spirito dei nuovi tempi.<br />

Di fatto, c’è una Deledda all’apparenza meno ‘realista’, recepita senza nessun<br />

tipo di sospetto nelle traduzioni spagnole dello stesso anno di Cosima, è l’autrice<br />

di Il dono di Natale (exped.508-43), «Cuento infantil, escrito en italiano», secondo<br />

il censore Enrique Conde Gargollo, in risposta alla domanda della casa editrice<br />

Olimpo di Barcellona: «La obra reúne diversos relatos de carácter infantil; su<br />

lectura es amena y los temas están indicados para cuentos de niños». Ma anche la<br />

riedizione di Cosima del 1946 per Espasa-Calpe, varcato lo scoglio della censura<br />

nella prima edizione, viene autorizzata senza problemi (exped. 4452-46). Non<br />

succede altrettanto, invece, tre anni dopo con El camino del mal (exped. 4910-<br />

46), per il quale un anonimo censore numero 14 nelle observaciones indicava:<br />

El personaje principal, de condición social muy inferior a la de la mujer, de la<br />

cual se enamora, por conseguir su propósito, que al fin realiza, no vacila en<br />

cometer toda clase de delitos. Se trata de un verdadero carácter poseido de una<br />

6 Apud E. RUIZ BAUTISTA, Los señores del libro: propagandistas, censores y bibliotecarios en el<br />

primer franquismo, Ediciones Trea, Gijón 2005, pp. 252-253.


GRAZIA DELEDDA SOTTO CENSURA NELLA SPAGNA FRANCHISTA<br />

137<br />

gran pasión y obsesionado por ésta. Son excesivamente realistas las págs. 60,<br />

146, 175, 312 y 351 [cancellate].<br />

L’editore Mateu di Barcellona inoltrava richiesta di pubblicazione e presentava,<br />

assieme alla domanda, traduzione dattiloscritta senza indicazione del nome del traduttore,<br />

anche se è da escludere che si tratti di uno dei traduttori delle edizioni<br />

precedenti o posteriori dell’opera in questione. Ecco i brani incriminati di questa: 7<br />

[p.60] Pietro la acarició con la mirada de pies a<br />

cabeza, pero volvió a avergonzarse de su deseo<br />

y de sus pensamientos. ¡Ah, no! Una inmensa<br />

distancia le separaba de ella: él era un mendigo,<br />

un inmundo criado, un hombre que por la noche<br />

se arrastraba rozando las paredes para concurrir<br />

a la cita con la impura mujer de un tabernero;<br />

María era bella y pura, debía ser incluso buena;<br />

era el exquisito fruto reservado para la boca de<br />

un hombre rico y distinguido [...].<br />

[p. 146] Usted que es un hombre del mundo,<br />

patrón, usted que ha pecado esta misma noche,<br />

excuse y perdóneme si he besado a su hija...<br />

«Besado. ¡La he besado!» pensó reanimándose.<br />

Y un escalofrío de voluptuosidad, que no<br />

había experimentado en en [sic] acto del beso,<br />

serpenteó en toda su persona. Entonces, a<br />

despecho de todos sus temores y de sus<br />

incertidumbres, inclinó el rostro entre las<br />

manos y se hundió en un sueño de amor; tenía<br />

algo que recordar, y entre el recuerdo y el<br />

deseo, ambos desesperados, su pasión se<br />

volvía más fuerte y más feroz que nunca.<br />

[p. 175] [...] y vió sin ser vista, que detrás del<br />

muro de la cabaña, Pietro y María se besaban<br />

perdidamente, con el más imprudente<br />

descuido. Parecían haberse refugiado allí solo<br />

para estar en la sombra.<br />

Y solos, en el círculo llameante del paisaje,<br />

recogían los besos, de los labios uno de otro,<br />

a la vista del cielo y de la tierra, como los<br />

segadores recogían las maduras espigas.<br />

[p. 38] Pietro l’accarezzò tutta con lo sguardo,<br />

ma si vergognò ancora del suo desiderio<br />

e dei suoi pensieri. Ah no; una distanza immensa<br />

lo separava da lei; egli era un pezzente,<br />

un immondo servo, uno che la notte strisciava<br />

lungo i muri per arrivare al convegno<br />

con la moglie impura di un bettoliere; Maria<br />

era bella e pura, doveva essere anche buona,<br />

era il frutto squisito serbato per la bocca d’un<br />

uomo ricco e distinto.<br />

[p. 96] Voi che siete uomo di mondo, padrone<br />

mio, voi che stassera stessa avete peccato,<br />

scusatemi e perdonatemi se ho baciato vostra<br />

figlia… Baciata! L’ho baciata! –pensò<br />

rianimandosi.<br />

E un brivido di voluttà, come non l’aveva sentito<br />

nell’atto del bacio, gli serpeggiò per tutta<br />

la persona. Allora, nonostante tutti i suoi timori<br />

e le sue incertezze, chinò il viso fra le<br />

mani e si sprofondò in un sogno di amore:<br />

aveva qualche cosa da ricordare, e fra il ricordo<br />

e il desiderio, entrambi disperati, la sua passione<br />

diventava più che mai forte e feroce.<br />

[p. 116] […] e vide, non vista, che Pietro e<br />

Maria, dietro il muro della capanna, si baciavano<br />

perdutamente, obliosi d’ogni prudenza.<br />

Pareva che si fossero rifugiati là solo per<br />

l’ombra.<br />

E soli, nel cerchio del paesaggio fiammeggiante,<br />

essi coglievano i baci, l’uno sulle labbra<br />

dell’altra, al cospetto del cielo e della terra<br />

come i mietitori coglievano le spighe mature.<br />

7 El camino del mal, copia dattiloscritta (AGA, exped. 4910-46): le cancellazioni a pp. 312 e 315,<br />

poi annullate, sono le seguenti: «[p. 312] María Franzisca le esperó largo rato; y cuando llegó y<br />

tuvo que acogerle borracho entre sus brazos, notó que gemía y se lamentaba como un enfermo»;<br />

«[p. 351] Francesco Rosana estaba allí, tendido sobre la hierba pisoteada, con el rostro casi<br />

totalmente ocultado por una mata de asfódelo. Bajo sus orejas, se vislumbraban la nuca, los<br />

cabellos recios, una mejilla blanquísima. Anchas manchas de sangre negruzca se veían sobre sus<br />

prendas, las piedras, la hierba; su mano derecha, con la palma vuelta hacia arriba, estaba tambien<br />

cubierta de sangre». Per la versione originale cito dall’edizione Fratelli Treves, Milano 1920.


138<br />

Gabriel Andrés<br />

La via del male, già dal titolo, poneva in allarme la censura per gli argomenti<br />

esposti, questa volta nel più puro solco del realismo ‘naturalizzante’,<br />

‘laicizzante’, ‘carnale’…; con tutte le provocazioni tipiche di quel genere di<br />

romanzo che faceva della scrittura un bisturi con cui dissezionare aberrazioni<br />

sociali o individuali poco gradite allo spirito della Nuova Europa in cui si collocava<br />

la Spagna franchista. Soprattutto se tale genere finiva nelle mani del lettore<br />

vulgar, vale a dire popolare, e per tanto suscettibile di cadere vittima di una<br />

sorta di bovarismo letterario, d’avere un rapporto vorace e straniante col testo,<br />

istigando in lui l’allentamento – attraverso i mondi fantastici della finzione –<br />

dei vincoli con la realtà, che il fascismo-falangismo pretendeva di tenere ben<br />

saldi e stretti al servizio di una missione salvifica di portata storica.<br />

Con la crudeza y realismo que le son característicos, Grazia Deledda, la Premio Nóbel,<br />

teje la simple y complicada trama de su novela; la novela de Pedro Benu, el criado, y de<br />

Maria Noaina, la hija de sus amos; la novela de un amor que comenzó en idilio y terminó<br />

en tragedia. La tragedia de una mujer que se casó con otro de su misma condición social<br />

y desoyó los dictados de su corazón, inclinado hacia el criado; y que acabó casándose, en<br />

segundas nupcias con él, despues que Pedro robara y matara a su marido, sin que ella lo<br />

supiera. Cuando lo supo, ya era tarde. La tragedia era inevitable y ella y el asesino hubieron<br />

de vivir atormentados y recelosos aunque nada se dijeran. Puede autorizarse.<br />

Tale è il parere del censore «F», che autorizza la traduzione diAlejandro Liaño<br />

per lo stesso editore Mateu nel 1958 e nel 1962 (exped. 3556-58); qui non risultano<br />

cancellati i brani indicati nella copia dattiloscritta dell’expediente del 1946.<br />

E così, se da parte della censura potevano ritenersi «para público no vulgar,<br />

un estudio valioso» alcune opere dell’autrice sarda, quali Cosima, non sempre<br />

la vicinanza con i temi e con i motivi tipici del romanzo popolare ne beneficiava<br />

altre, come La via del male. Il pericolo di una lettura ‘straniante’ da parte di un<br />

lettore ‘volgare’ incombeva su parte della produzione deleddiana, così come il<br />

sospetto che gli ideologi del regime avevano nei confronti delle traduzioni in sé,<br />

un fattore economico importante per l’editoria spagnola del primo dopoguerra,<br />

ma, allo stesso tempo, anche fattore d’incongruenza e d’insuccesso per una cultura<br />

che si voleva autoreferente e nazionale, pur senza dimostrarlo nei fatti. 8<br />

8 Basti ricordare che delle 1242 pubblicazioni letterarie del 1942, quasi la metà (527) erano<br />

traduzioni d’autori stranieri e, quindi, inutile era lo sfogo di chi vedeva un pericolo in questi<br />

processi culturali, come ricorda Martí MARTÍN (Història del franquisme a Catalunya, Pagès<br />

Editors-Eumo, Lleida 2006, pp. 203-204) a proposito della relazione contenuta in un numero<br />

della rivista «Bibliografía Hispánica»: «El caso más alarmante es el de la Literatura ¡527 libros<br />

traducidos! Las novelas, las biografías novelescas, los cuentos infantiles, lo que seduce, lo que<br />

subyuga la voluntad, lo que excita los sentimientos y los inclina, como el aire a la llama, de este<br />

lado o del otro, todo eso se traduce a caño abierto del extranjero, sin que exista medio humano<br />

de evitar que nos importen un concepto del mundo y de la vida totalmente contrario a la concepción<br />

que llamamos nuestra, que nos vanagloriamos de llamar española».


GRAZIA DELEDDA SOTTO CENSURA NELLA SPAGNA FRANCHISTA<br />

APPENDICE<br />

Altre opere di Grazia Deledda che riescono a passare il varco della censura<br />

senza speciali problemi:<br />

139<br />

-1947: Mariana Sirca (exped. 2139) per la rivista letteraria settimanale «Novelas y<br />

cuentos» dell’edittore madrileno Dedalo, autorizzata da un anonimo censore: «Novelita<br />

de ambiente rural italiano con los amores de una muchacha y un bandido. Puede<br />

autorizarse».<br />

-1950: El huésped (exped. 3056-50 e 5903-50) per la collana «La novela selecta»<br />

dell’edittore Guilmain, autorizzata da anonimo censore: «Novela corta en que se<br />

discuten los principios de un enamoramiento. Nada censurable».<br />

-1954: Obras escogidas (exped. 4955-54) in tre vollumi per l’edittore Aguilar [e<br />

posteriori riedizioni nel ‘56, ‘57 e ‘63], il quale precisava nella domanda: «No es<br />

propósito de esta Editorial publicar las Obras Completas de la autora a que se refiere<br />

esta instancia, sino una selección de nueve títulos de las mismas de las que sean<br />

aprobada por ese Departamento».<br />

Diversi censori esprimono i propri pareri; il censore num. 3 indica: «Las obras leídas<br />

por este lector, que comprenden los tomos I, II y III de la colección «Omnibus» de<br />

Mondadori, y además la novela titulada «L’Edera», de la Biblioteca Moderna del<br />

mismo editor, no contienen, a juicio del lector, nada que impida su publicación. Hay<br />

alguna de argumento extraordinariamente fuerte y atrevido, como la que se titula «La<br />

Madre» (t. I, págs. 875-979), en que se describen los amores y la vida de pecado de<br />

un sacerdote; pero en este caso y en todos los demás, los asuntos se tratan con gran<br />

discreción y sobre una base profundamente cristiana y moralizadora, que quita lo<br />

que de otro modo pudiera ser nocivo. La publicación será totalmente inocua en una<br />

serie de obras completas; pero no debiera extenderse a cada una de las novelas por<br />

separado».<br />

Per il censore «F»: «La gran escritora italiana. Premio Nobel 1926, dentro del paisaje<br />

vivo de su tierra natal, pinta y anima, a veces con relismo [sic] incontenido, con<br />

dramática palpitación, apasionadas auscultaciones del corazón humano, con sus<br />

conflictos, sus misterios, sus incertidumbres e inseguridades. Lo que la lleva, con<br />

manifiesta frecuencia, al planteamiento de la lucha entre las dos dimensiones en que<br />

el hombre se debate: entre la que nos ata y fija a la tierra, a la incitante mundanidad,<br />

y la que pugna por alzarse del suelo miserable, en busca y hallazgo de nuestro destino<br />

supremo. Todo, naturalmente, entre pinceladas de costumbres populares, entre rasgos<br />

de sencilla o complicada psicologia, como si en ellos quedaran prendidas algunas de<br />

las particularidades del alma sarda, que, en definitiva, es el alma de la novelista de<br />

Nuoro. Puede autorizarse».<br />

-1956: Elías Portolu (exped. 5076-56), editore José Janés, a giudizio del censore A.<br />

Sobejano: «Elias Portolu regresa a su pueblo en Cerdeña – despues de cumplir una<br />

condena de tres años – pocos días antes de la boda de su hermano Pietro quedandose<br />

prendado de la novia y siendo correspondido por ella. Las luchas de su conciencia<br />

antes de traicionar a su hermano, después de consumada la traición y hasta después<br />

de muerto el traicionado, son el tema principal de todo el libro resolviendolas el autor<br />

con la profesión de sacerdote del culpable. PUEDE PUBLICARSE».


140<br />

Gabriel Andrés<br />

-1960: Elias Partalu (exped. 2902-60) editore Germán Plaza, senza relazione del<br />

censore.<br />

-1965: El regalo de Navidad (exped. 1627-65) editore Cervantes, senza relazione del<br />

censore.<br />

-1971: Deledda (expd. 1736-71) per la collana «Cuentos y Leyendas num. 3»<br />

dell’edittrice Labor [El regalo de Navidad, La casa de la luna, El cesto de uvas,<br />

Empieza a nevar, Historia de la checca, Los ladrones, Mirella, Mi padrino, Niña de<br />

Ottana, El pastorcillo, El viejo Moisés, El voto, El anillo de plata, El pan, Una<br />

aventura que termina mal], con il parere del censore num. 22: «Los textos de esta<br />

obra coinciden, al parecer, con los anteriormente presentados por editorial Cervantes<br />

(Expte. 1627-65). Sobre los mismos se informó en los siguientes términos:<br />

Varios cuentos procedentes de Cerdeña, cuyos temas van de lo fantástico a lo religioso,<br />

dentro de una linea costumbrista.<br />

En pág. 51 empieza un cuento titulado “El cesto de uvas” de fondo desmoralizador...<br />

En págs. 108-109: expresión poco feliz respecto a la falta de hijos de un matrimonio.<br />

En págs. 121-181: se repite por otros conceptos la expresión anterior.<br />

Pese a que sería oportuno enmendar las partes indicadas, procede, para coincidir con<br />

el dictamen anterior, autorizar su edición. (Infantil-Juvenil)».


NORME PER LA PRESENTAZIONE DI ORIGINALI<br />

La collaborazione a «<strong>Insula</strong>. Quaderno di cultura sarda» avviene su invito della redazione.<br />

141<br />

<strong>1.</strong> Titoli e criteri generali<br />

Il titolo dell’articolo deve essere centrato e scritto in maiuscoletto; il nome e il cognome<br />

dell’autore dell’articolo devono essere centrati e scritti in tondo.<br />

Se il testo dell’articolo è diviso in capitoli, i relativi titoli devono essere scritti in corsivo.<br />

Negli incisi si usa il trattino lungo [–].<br />

Nel corpo del testo le citazioni tratte da fonti archivistiche e bibliografiche devono<br />

essere scritte in tondo tra virgolette caporali [« »].<br />

Nel corpo del testo la denominazione della fonte archivistica o bibliografica deve<br />

essere scritta in corsivo.<br />

Nel corpo del testo le parole straniere, quelle utilizzate con significato particolare o<br />

diverso da quello abituale e i titoli di opere d’architettura, di musica, di pittura, di<br />

scultura, etc., devono essere scritte in corsivo.<br />

Quando si vuole evidenziare una parola o un’espressione devono essere usate le virgolette<br />

semplici [‘ ’].<br />

Per indicare la traduzione letterale di una parola o di un’espressione da un’altra lingua<br />

devono essere usate le virgolette semplici [‘ ’].<br />

I nomi delle istituzioni devono essere scritti in maiuscolo.<br />

I nomi delle cariche istituzionali devono essere scritti in minuscolo.<br />

I secoli devono essere scritti in maiuscoletto.<br />

2. Note a piè di pagina: riferimenti bibliografici<br />

2.a. Autori e curatori<br />

Quando si cita un testo:<br />

L’iniziale puntata del nome dell’autore deve essere seguita dal cognome scritto in<br />

maiuscoletto seguito da virgola;<br />

il titolo dell’opera deve essere scritto in corsivo seguito da virgola;<br />

il luogo e la data di edizione devono essere scritti in tondo seguiti da virgola;<br />

l’indicazione della pagina o delle pagine deve essere abbreviata con «p.» o «pp.». I<br />

numeri delle pagine devono essere scritti per esteso: quelli contigui separati da un<br />

trattino piccolo [125-130], quelli non contigui da una virgola [125,130].<br />

Es: A. BOSCOLO, Medioevo aragonese, Padova 1958, pp. 50-52.<br />

Quando si cita un testo già citato:<br />

Il titolo del testo già citato deve essere abbreviato e seguito dalla dicitura «cit.» scritta<br />

in tondo, da una virgola e dall’indicazione della pagina o delle pagine.<br />

Es: A. BOSCOLO, Medioevo aragonese cit., p. 55.<br />

Quando il titolo in corsivo presenta una parola che nel testo dovrebbe essere scritta in<br />

corsivo:<br />

La parola deve essere indicata tra virgolette semplici [‘ ’].<br />

Quando gli autori sono due o più di due:<br />

I nomi degli autori devono essere separati con un trattino breve senza lasciare spazi.<br />

Es.: G. ANGIONI-M.G. DA RE, Pratiche e saperi: saggi di antropologia…


142<br />

Quando l’autore ha due nomi:<br />

Le iniziali puntate dei nomi devono essere scritte senza lasciare spazi.<br />

Es: M.G. DA RE, La casa e i campi: divisione sessuale del lavoro nella Sardegna<br />

tradizionale...<br />

Quando l’opera ha un curatore:<br />

L’iniziale puntata del nome del curatore deve essere seguita dal cognome scritto in<br />

maiuscoletto e dalla dicitura «a cura di» scritta in tondo tra parentesi tonde.<br />

Es: L.M. PLAISANT (a cura di), Joyce Lussu: una donna nella storia…<br />

2.b. Opere<br />

Quando viene citata la stessa opera in più note consecutive:<br />

Nelle note successive alla prima, quando si cita la stessa pagina deve essere usata la<br />

dicitura «Ibid.» in corsivo; quando si citano pagine diverse da quelle della nota precedente<br />

si utilizza la dicitura «Ivi» in tondo seguita da una virgola e dall’indicazione<br />

della pagina o delle pagine.<br />

Es: Nota 1: A. BOSCOLO, Medioevo aragonese, Padova 1958, pp. 50-52.<br />

Nota 2: Ibid.<br />

Nota 3: Ivi, p. 55.<br />

Quando si citano più opere di diversi autori nella stessa nota:<br />

Le opere devono essere separate da un punto e virgola.<br />

Es: A. BOSCOLO, Medioevo aragonese, Padova 1958, p. 50; G.G. ORTU, I Giudicati:<br />

Storia, governo e società…<br />

Quando si citano più opere di uno stesso autore nella stessa nota:<br />

Al posto del nome e del cognome dell’autore deve essere usata la dicitura «ID.» o<br />

«EAD.» in maiuscoletto, a seconda che si tratti di autore di sesso maschile o di sesso<br />

femminile.<br />

Es: A. BOSCOLO, Medioevo aragonese, Padova 1958, p. 50; ID., I conti di Capraia,<br />

Pisa e la Sardegna…<br />

E. DELITALA, Fiabe e leggende nelle tradizioni popolari della Sardegna...; EAD.,<br />

Materiali per lo studio degli esseri fantastici del mondo tradizionale sardo…<br />

Quando si cita da una ristampa o da una ristampa anastatica:<br />

Devono essere usate rispettivamente le diciture «rist.» o «rist. an.» scritte in tondo.<br />

La dicitura deve essere seguita dall’indicazione del luogo e della data di riedizione, e<br />

dall’indicazione del luogo e della data della prima edizione tra parentesi tonde.<br />

Es: P. TOLA (a cura di), Codex Diplomaticus Sardiniae, rist. Sassari 1985 (Torino 1861).<br />

Quando un testo è stato pubblicato in un volume miscellaneo:<br />

L’iniziale puntata del nome dell’autore deve essere seguita dal cognome scritto in<br />

maiuscoletto seguito da una virgola; il titolo del testo deve essere scritto in corsivo,<br />

seguito da una virgola e dalla dicitura «in» scritta in tondo, dall’iniziale puntata del<br />

nome del curatore e dal cognome scritto in maiuscoletto, seguito dalla dicitura «a<br />

cura di» scritta in tondo tra parentesi tonde e dal titolo del volume miscellaneo indicato<br />

in corsivo, seguito dall’indicazione del luogo e della data di edizione.<br />

Es: V. MURA, Per una ricerca sull’autonomia della classe politica sarda, inG.G.<br />

ORTU (a cura di), Élite politiche nella Sardegna contemporanea, Milano 1987.


143<br />

Quando si cita da una tesi di laurea o di dottorato:<br />

L’iniziale puntata del nome dell’autore della tesi deve essere seguita dal cognome<br />

scritto in maiuscoletto e da una virgola; il titolo della tesi deve essere scritto in corsivo,<br />

seguito in ordine: da una virgola, dalla dicitura «tesi di laurea» indicata in tondo,<br />

dal nome della Facoltà, da una virgola, dalla dicitura «a.a.» in tondo, seguita dall’indicazione<br />

dell’anno accademico, da una virgola, dalla dicitura «relatore», dall’iniziale<br />

puntata del nome del relatore e dal suo cognome scritto in tondo.<br />

A. CUCCU, Angelo Corsi: un socialista riformista tra Italia liberale e fascismo,<br />

tesi di laurea Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2003-2004, relatore C. Natoli.<br />

2.c. Atti, riviste, enciclopedie, dizionari<br />

Quando un testo è stato pubblicato negli atti di un convegno, congresso, seminario,<br />

incontro di studi, etc.:<br />

L’iniziale puntata del nome dell’autore deve essere seguita dal cognome scritto<br />

in maiuscoletto seguito da una virgola; il titolo del testo deve essere scritto in<br />

corsivo, seguito in ordine: da una virgola, dalla dicitura «in» indicata in tondo,<br />

dal titolo in corsivo del convegno, congresso, seminario, incontro di studi, etc.,<br />

seguito da una virgola e dalla dicitura «Atti del convegno, congresso, seminario,<br />

incontro di studi» scritta in tondo, dall’indicazione del luogo e della data di svolgimento<br />

del convegno, congresso, seminario, incontro di studi, etc., indicata tra<br />

parentesi tonde seguite da una virgola e dall’indicazione del curatore, del luogo e<br />

della data di edizione.<br />

Es.: G. MELE, Tradizioni codicologiche e cultura tra Sardegna e Catalogna nel Medioevo,<br />

inLa Sardegna e la presenza catalana nel Mediterraneo, Atti del VI Congresso<br />

dell’Associazione Italiana di Studi Catalani (Cagliari, 11-15 ottobre 1995), a<br />

cura di P. MANINCHEDDA, Cagliari 1998, I, pp. 237-260.<br />

Quando un testo è stato pubblicato in una rivista o collana:<br />

L’iniziale puntata del nome dell’autore deve essere seguita dal cognome scritto in<br />

maiuscoletto seguito da una virgola; il titolo del testo deve essere scritto in corsivo<br />

seguito da una virgola e dal titolo della rivista o della collana scritta in tondo tra<br />

virgolette caporali [« »]. In ordine devono seguire: il numero del volume o dell’annata,<br />

l’indicazione della data di edizione tra parentesi tonde, una virgola e il numero<br />

delle pagine di riferimento.<br />

Es: L. Usai, Materiali prenuragici da alcune grotte del territorio di Alghero (Sassari),<br />

«Sardinia, Corsica et Baleares Antiquate. International Journal of Archeology», IV<br />

(2006).<br />

Quando si cita la voce di un’enciclopedia o di un dizionario:<br />

L’eventuale autore della voce deve essere indicato con l’iniziale puntata del nome e<br />

col cognome scritto in maiuscoletto cui deve seguire una virgola. La voce consultata<br />

deve essere indicata in tondo tra virgolette caporali [« »] e seguita da una virgola,<br />

dalla dicitura «in» indicata in tondo, dall’iniziale puntata del nome del curatore dell’enciclopedia<br />

o del dizionario e dal suo cognome scritto in maiuscoletto, seguito<br />

dalla dicitura «a cura di» in tondo tra parentesi tonde e dal titolo in corsivo dell’enciclopedia<br />

o del dizionario.<br />

Es: V. ANGIUS, «Gallura», in G. CASALIS (a cura di), Dizionario geografico storico<br />

statistico commerciale degli stati di sua maestà il re di Sardegna, VII, Torino 1851-<br />

1856, p. 69.


144<br />

3. Archivi e biblioteche<br />

Quando si cita un archivio o una biblioteca:<br />

Nella prima citazione il nome dell’archivio o della biblioteca devono essere scritti<br />

per esteso; fra parentesi tonde deve essere indicata la dicitura «in seguito citato come»<br />

e la sigla di riferimento dell’archivio o della biblioteca; per le citazioni successive si<br />

usa solo l’abbreviazione in tondo.<br />

Es: Archivio di Stato di Cagliari (in seguito citato come ASC); Biblioteca Universitaria<br />

di Cagliari (in seguito citata come BUC).<br />

Quando si cita un documento d’archivio o di biblioteca inedito:<br />

Dopo l’indicazione del nome o della sigla dell’archivio o della biblioteca, il nome del<br />

fondo deve essere scritto in corsivo e seguito da una virgola, dal nome della serie o<br />

della sezione scritto in corsivo, da quello del registro o del documento indicato in<br />

tondo, dall’indicazione del numero dei fogli in tondo, dal recto e dal verso in tondo.<br />

Es: Archivio di Stato di Cagliari (in seguito citato come ASC), Antico Archivio Regio,<br />

Arrendamenti, infeudazioni e stabilimenti, reg. BD1, doc. 3, ff. 1r-3v.<br />

ABBREVIAZIONI DI USO COMUNE IN ITALIANO<br />

c., cc. = carta, carte<br />

cfr. = confronta<br />

cit. = citato<br />

col., = collana<br />

doc., docc. = documento, documenti<br />

ed. = edizione<br />

f., ff., f. e ss. = foglio, fogli, foglio e seguenti<br />

fasc., fascc. = fascicolo, fascicoli<br />

l., ll. = libro, libri<br />

n., nn. = numero, numeri<br />

nota, note = nota, note<br />

p., pp., p. ss. = pagina, pagine, pagina e seguenti<br />

r., rr. = riga, righe<br />

reg., regg. = registro, registri<br />

r = recto<br />

s., ss. = seguente, seguenti<br />

t., tt. = tomo, tomi<br />

v = verso<br />

vol., voll. = volume, volumi


COEDIZIONI<br />

ATTI<br />

Pubblicazioni dell’Arxiu de Tradicions<br />

145<br />

<strong>1.</strong> La Setmana Santa a l’Alguer. I Simposi d’Etnopoètica de l’Arxiu de Tradicions de<br />

l’Alguer. Publicacions de l’Abadia de Montserrat, Barcelona 1999.<br />

2. Tesori in Sardegna. II Simposio di Etnopoetica dell’AdT. Grafica del Parteolla,<br />

Dolianova 200<strong>1.</strong><br />

3. Arxiu de Tradicions de l’Alguer. Publicacions de l’Abadia de Montserrat, Barcelona 200<strong>1.</strong><br />

4. L’acqua nella tradizione popolare sarda. III Simposio di Etnopoetica dell’Arxiu de<br />

Tradicions. Grafica del Parteolla, Dolianova 2002.<br />

5. Le lingue del popolo. Contatto linguistico nella letteratura popolare del Mediterraneo<br />

occidentale. Grafica del Parteolla, Dolianova 2003.<br />

6. Oralità e memoria. Identità e immaginario collettivo nel mediterraneo occidentale.<br />

Grafica del Parteolla, Dolianova 2005.<br />

7. La biografia popular. De l’hagiografia al gossip. VI Simposi d’Etnopoètica de l’Arxiu<br />

de Tradicions de l’Alguer. Grafica del Parteolla, Dolianova 2006.<br />

ROCCAS<br />

<strong>1.</strong> Castelli in Sardegna, ed. Sara Chirra. S’Alvure, Oristano 2002.<br />

2. Aspetti del sistema di fortificazione in Sardegna, ed. Sara Chirra. S’Alvure, Oristano 2003.<br />

3. Anna Paola DEIANA, Il castello di Gioiosa Guardia, attraverso i documenti e la lettura<br />

archeologica, ed. Valentina Grieco. S’Alvure, Oristano 2003.<br />

4. I catalani e il castelliere sardo, ed. Valentina Grieco. S’Alvure, Oristano 2004.<br />

STUDI STORICI<br />

<strong>1.</strong> Storia dell’ulivo in Sardegna, dalle origini al riformismo settecentesco. II Giornata<br />

di Studi Oleari dell’Aula Verde dell’Arxiu de Tradicions. Grafica del Parteolla,<br />

Dolianova 200<strong>1.</strong><br />

2. Aragonensia. Quaderno di studi sardo-catalani, ed. JoanArmangué i Herrero. Grafica<br />

del Parteolla, Dolianova 2003.<br />

3. La rotta delle isole / La ruta de les illes,ed.LucaScala.GraficadelParteolla,Dolianova2004.<br />

4. Norbello e Domusnovas. Appunti di vita comunitaria, ed. Joan Armangué i Herrero.<br />

Grafica del Parteolla, Dolianova 2005.<br />

ARCHIVIO ORISTANESE<br />

<strong>1.</strong> Archivio oristanese, ed. Maria Grazia Farris. PTM Editrice, Mogoro 2003.<br />

2. Dei, uomini e regni, da Tharros a Oristano, ed. J.Armangué. PTM Editrice, Mogoro 2004.<br />

3. La cultura catalana del Trecento, fra la Catalogna e Arborea. PTM Editrice, Mogoro 2005.<br />

4. Mestieri e devozione nella Oristano moderna e contemporanea. PTM Editrice, Mogoro<br />

2006 («Miscellanea Sarda», 1).<br />

5. Uomini e guerre nella Sardegna medioevale. PTM Editrice, Mogoro 2006<br />

(«Miscellanea Sarda», 2).


146<br />

EDIZIONI AdT<br />

SERIE «FASCICULARIA»<br />

<strong>1.</strong> Estudis catalans a Sardenya, ed. Joan Armangué (novembre 1999).<br />

2. Memòria de les activitats, 1997-2000 (marzo 2000).<br />

3. Forme dell’acqua nella cultura popolare, ed. Veniero Pinna e A. Murgia (agosto<br />

2000).<br />

4. La ruta de les illes: de Sardenya a Malta, ed. Joan Armangué (novembre 2000).<br />

5. Emanuela SARTI, La Guerra Civile in Catalogna (1936-1939) (giugno 2001).<br />

7. La ruta de les illes: de Mallorca a Sardenya, ed. Joan Armangué (novembre 2001).<br />

8. Memòria de les activitats, 1997-2002 / Memoria delle attività, 1997-2002 (maggio 2002).<br />

9. Pirri: la storia e le chiese, ed. Alessandro Sogos (luglio 2002).<br />

10. Laudes immortales. Gosos e devozione mariana in Sardegna, ed. Sara Chirra e<br />

Maria Grazia Farris (agosto 2002).<br />

1<strong>1.</strong> Lo Càntic dels Càntics / Su Cantu de is Cantus, ed. Arxiu de Tradicions (agosto 2002).<br />

13. Francesc PASQUAL I ARMENGOL, Apel·les Mestres a Cervelló (settembre 2003).<br />

14. Memòria de les activitats, 2003 / Memoria delle attività, 2003 (gennaio 2004).<br />

15. El Seminari de formació del voluntari. Units – 2004 (novembre 2004).<br />

16. Francesca CAU, L’arciconfraternita della Madonna d’Itria in Cagliari (gennaio 2005).<br />

18. Daniela DI GIOVANNI, I luoghi dei giovani nella Cagliari notturna (giugno 2005).<br />

19. Federica PAU, Soggettività e totalità nella forma del romanzo moderno (dicembre 2006).<br />

20. Walter TOMASI, Alcuni documenti inediti sulle manifestazioni equestri nella Oristano<br />

dei secoli XVI-XVII (dicembre 2006).<br />

SERIE «OPUS MINOR»<br />

<strong>1.</strong> Cristiana PILI, El Llegendari Popular Català (1924-1930) (luglio 2001).<br />

2. Ramon VIOLANT I SIMORRA, Paral·lelismes culturals entre Sardenya, Catalunya i<br />

Balears, ed. Arxiu de Tradicions de l’Alguer (settembre 2003).<br />

3. Apel·les MESTRES, Sant Pere en la llegenda popular, ed.Anna Garcia (gennaio <strong>2007</strong>).<br />

SERIE «LINGUA»<br />

<strong>1.</strong> Enrico CHESSA, La llengua interrompuda. Transmissió intergeneracional i futur del<br />

català a l’Alguer (ottobre 2003).<br />

2. Marina CASTAGNETO, Chiacchierare, bisbigliare, litigare… in turco. Il complesso<br />

intreccio tra attività linguistiche, iconismo, reduplicazione (settembre 2004).<br />

3. Joan ARMANGUÉ, Represa i exercici de la consciència lingüística a l’Alguer (ss. XVIII-<br />

XX) (giugno 2006).<br />

ANTOLOGIA<br />

<strong>1.</strong> Poesia algueresa de Quaresma i de Passió, ed. Joan Armangué (aprile 2000).<br />

2. Gaví BALLERO, Lo sidadu, ed. Luca Scala (febbraio 2002).<br />

3. Carles DUARTE, Il silenzio (settembre 2004).<br />

4. August BOVER, Vicino al mare (ottobre 2006).<br />

5. Mariagrazia DESSÌ, A perda furriada (novembre 2006).


INDICE<br />

Presentazione 7<br />

Forme di cultura catalana nella Sardegna medioevale<br />

Joan ARMANGUÉ 9<br />

147<br />

Les ciutats reials en els Parlaments sards i en les Corts catalanes<br />

durant el Regnat d’Alfons el Magnànim<br />

Esther MARTÍ 57<br />

Taxació d’oficis de maestrances (Oristano 1597-1621)<br />

Walter TOMASI 89<br />

Il marchese d’Arcais, un signore sgradito<br />

Maria LEPORI 105<br />

Grazia Deledda sotto censura nella Spagna franchista<br />

Gabriel ANDRÉS 131<br />

Norme per la presentazione di originali 141<br />

Pubblicazioni dell’Arxiu de Tradicions 145


148


149


150<br />

Finito di stampare<br />

nel mese di giugno <strong>2007</strong><br />

nella tipografia<br />

Grafica del Parteolla<br />

Dolianova (CA)


151


152

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