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gustolocale rivista gennaio 2008

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La magia del Cioccolato<br />

Concorso di idee<br />

pag. 16<br />

La cincionela con la rava<br />

pag. 24<br />

Prima del Torcolato<br />

pag. 32<br />

Que Viva Mexico!<br />

pag. 34<br />

Sommario <strong>gennaio</strong> <strong>2008</strong><br />

Cioccolato: “il bitume prezioso”<br />

Tutte le tentazioni del cioccolato<br />

Mille varietà, tre grandi famiglie<br />

Cioccolato e vino. Storia di una lite risolta<br />

Maîtres Chocolatiers<br />

I Bassinati<br />

I sapori di Villa Bassi<br />

Villa Bassi: una Fondazione, un Ristorante<br />

La “Torre” di Vittorio Mincato<br />

Mille bollicine per un Vespaiolo<br />

Il Re dell’inverno<br />

Il lesso di Galileo Galilei<br />

La cincionela con la rava<br />

Né carne né pesce<br />

Cruda, lessa o alla brace?<br />

ABConsiderazioni di Amedeo Sandri<br />

Ristoranti che Passione<br />

Prima del Torcolato, Breganze farà “tredici”!<br />

Que Viva Mexico!<br />

In forma e informati. Grazie a Luigi Colbacchini<br />

Lo sai che la noce moscata…<br />

Cena sotto le stelle. Per far tornare a brillare la stella di Recoaro<br />

L’opinione di Terenzio Panozzo<br />

Chiusura col botto per i Ristoratori della Valle del Chiampo<br />

Il ristorante incontra la cantina<br />

C’è cantina e cantina. C’è botte e botte<br />

Berici e Lessini si sono incontrati<br />

Il Cocktail del mese<br />

La maresina d’oro premia la tradizione<br />

Il Mandorlato trasforma Cologna Veneta nel paese dei balocchi<br />

Annunci - Appuntamenti del mese<br />

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2<br />

Cioccolato: il “bitume prezioso”<br />

Arriva dal Nuovo Mondo questa sublime gioia<br />

della gola. Noi italiani ne siamo maestri<br />

Il letterato toscano Lorenzo Magalotti, diplomatico del Granduca di Toscana,<br />

verso la fine del ‘600 scrisse una poesia che iniziava così: “Nell’appressarti<br />

ai labbri la mistica ricchissima bevanda Oh che fragranza, Nise” e terminava<br />

scrivendo di “una beata eternità potabile”.<br />

Questa beata eternità che entusiasmava il Conte era il dolce cacao che “questo<br />

benedetto Nuovo Mondo” aveva donato alla vecchia Europa, abituata da<br />

secoli a guardare all’Oriente per quanto riguardava droghe e spezie. Ora, per<br />

la prima volta dopo la scoperta dell’America e la colonizzazione del Centro<br />

e del Sud anche da là venivano - da questa cornucopia inesauribile - polveri<br />

paradisiache, giulebbe sognanti, delizie tropicali. Da là veniva la vaniglia, la<br />

quinquina (la china aromatica) e veniva questo “bitume prezioso” onde “il<br />

palato/State e verno è beato”.<br />

Insieme al caffè e alla diffusione dello zucchero stanno nascendo i cosiddetti<br />

generi “coloniali” ed il mondo, non avendo più nulla da scoprire incominciava<br />

a diffondere questi beni che si erano trovati in quantità infinite: il che fece<br />

calare il prezzo, indebolire la potenza di Venezia, accrescendo però le possibilità<br />

per tutti di godere di questi beni una volta legati alla ricchezza. Resta<br />

assodato un fatto: i semi del cacao furono visti per la prima volta il 30 luglio<br />

1502 da Cristoforo Colombo che, sbarcando nell’isola di Guajana, al largo<br />

dell’Honduras, si vide regalare dagli indigeni un grosso sacco di semi con i<br />

quali fecero una cioccolata che il navigatore trovò molto piccante ed ama-<br />

ra. Risultato: non mostrò alcun<br />

interesse per questi semi (e non<br />

lo aveva mostrato neppure per<br />

il mais!). Quale errore. Lo hanno<br />

dimostrato i secoli a venire. Ancor<br />

oggi siamo totalmente beati,<br />

appagati da questo stupendo<br />

rito segreto, da questo abbandono<br />

che si ha quando si scarta un<br />

cioccolatino o si rompe con un<br />

rumore secco una tavoletta: quasi<br />

sempre chiudendo gli occhi, s’inonda la bocca di un sapore coinvolgente<br />

come pochi. Non è stato facile portare il cioccolato fra le cose buone per<br />

tutti. La Chiesa pose, ancora nel ‘600 un grave problema: il cioccolato interrompe<br />

o no il digiuno? Cioè si può bere un cioccolato prima di andare a Messa<br />

e fare la Comunione? Una volta, dopo la mezzanotte si poteva solo bere<br />

acqua: allora il cioccolato era bevanda da nobili e questo tendeva a dividere<br />

gli Stati fra favorevoli e contrari. Si ebbe la risposta nel 1693 e fu decisiva per<br />

lo sviluppo del cioccolato nel mondo cattolico: non frangit jeunum. Nacquero<br />

ben presto le botteghe dove, accanto al caffè, si prendeva il cioccolato e Venezia<br />

fu fra le prime. Goldoni nelle sue commedie decanta la diffusione di tale


delizia e Giacomo Casanova era un gran sostenitore della bevanda, legandola<br />

alle sue qualità afrodisiache.<br />

E se da un lato Goethe impazziva per la cioccolata e mandava fiori e cioccolatini<br />

per conquistare i favori (così si chiamavano un tempo…) dell’amata, Mozart<br />

ne loda la bontà in “Così fan tutte”.<br />

Agli inizi dell’800 la Svizzera diventa “Cioccolandia” per merito di quei grandi<br />

pionieri dai nomi ancora mitici : Suchard, Cailler, Tobler, Nestlè, Lindt. Il primo a<br />

modificare definitivamente il cioccolato fu Cailler che, dopo un tirocinio di quattro<br />

anni presso Caffarel a Torino mescolò, alla produzione, il cacao alla cannella<br />

ed alla vaniglia. Suo genero, poco dopo, intuì i vantaggi di mescolare il latte al<br />

cacao. Fu Lindt che, nel 1879 ebbe l’idea di aggiungere burro al cacao per renderlo<br />

meno “aspro” e così si ottenne il cioccolato fondente.<br />

E noi italiani? Abbiamo grandi nomi, fra gli artigiani del cioccolato: senza dimenticare<br />

i grandi come Caffarel, la Venchi-Unica, Ferrero, è fra i pasticceri di casa<br />

nostra che si trovano veri maestri del cioccolato. Provate i cioccolatini di Bolzani<br />

di Vicenza e mi saprete dire! L’Italia ha registrato da qualche anno a questa<br />

parte un vero e proprio boom in termine di produzione-consumi-esportazione.<br />

Siamo ad oltre 320.000 tonnellate di prodotti a base di cacao e l’esportazione<br />

sta raggiungendo le 100.000 tonnellate. È la qualità che sta subendo un grosso<br />

colpo: l’Unione Europea, per<br />

soli tre voti, nel 2000 ha spalancato<br />

le porte alle materie grasse<br />

di sostituzione al posto del burro<br />

di cacao, sia pure con un limite<br />

massimo del 5%. È un altro pezzo<br />

del “buon mangiare” che se ne va,<br />

nel mentre ci troviamo immersi in<br />

surrogati e grassi vegetali per un<br />

prodotto che può ancora essere<br />

chiamato “cioccolato”, anche se<br />

non c’è solo burro di cacao.<br />

Bisogna, insomma, stare anche<br />

qui attenti a non trovarsi in bocca<br />

prodotti trash, secondo un’abitudine<br />

dilagante in ogni settore alimentare.<br />

Che differenza da quello<br />

stupendo, sublime prodotto che<br />

resta “due minuti in bocca, due<br />

ore nello stomaco e tutta la vita sui<br />

fianchi”!<br />

Alfredo Pelle<br />

3


4<br />

Tutte le tentazioni del cioccolato<br />

Reduci dalle feste natalizie e di fine anno, nelle scorpacciate di dolci non è certamente<br />

mancato il cioccolato. Ma come nasce e viene prodotta questa leccornia?<br />

Le piantagioni di cacao sono situate intorno<br />

all’Equatore, in una fascia compresa<br />

tra 22 gradi Nord e 21 gradi Sud,<br />

tra le isole di Cuba e Réunion. L’altezza<br />

ideale per le coltivazioni si aggira<br />

sui 400 metri, dove la temperatura è<br />

tra 20° e 30° e non scende mai sotto ai<br />

16° Centigradi. L’habitat è quello della<br />

foresta pluviale ed i numerosi moscerini<br />

che la popolano sono gli unici artefici<br />

dell’impollinazione. Le piante di cacao,<br />

coltivate all’ombra di alte piante<br />

a chioma folta (soprattutto banani) per<br />

non venire bruciate dal sole, iniziano<br />

a produrre dopo 4 o 5 anni, non più di<br />

due chili di semi all’anno. La fioritura è<br />

spettacolare con piccoli rosei fiori senza<br />

odore, ma soltanto una percentuale<br />

minima (tra 1 e il 5%) va a frutto.<br />

La cabosse cresce direttamente sul tronco o sui rami più grossi, è lunga<br />

circa una spanna (da 15 a 25 centimetri) e ricorda, nella forma, un pallone<br />

da rugby. Da verdi, i frutti possono diventare gialli, rosso porpora o viola. Ma<br />

ogni coltivatore sa che l’unico modo per valutarne la maturazione è il rumore<br />

sordo che producono quando li si batte con le dita. Ogni baccello contiene<br />

in media quaranta semi, all’interno dei quali sta la mandorla da cui si ricava<br />

il cacao. Nei paesi a pioggia abbondante le cabosse vengono raccolte nel<br />

corso dell’anno, ma se a stagioni secche si alternano periodi piovosi, allora<br />

i raccolti salgono a due.<br />

La loro raccolta è estremamente delicata, una sorta di rituale che richiede<br />

mani esperte: bisogna sezionare il peduncolo di ogni cabosse badando a<br />

non danneggiare i fiori e i germogli vicini, poiché qualsiasi alterazione del<br />

fusto può mettere a rischio la successiva fioritura. Poi, con un deciso colpo<br />

di machete il frutto viene aperto in modo da liberare i semi della polpa bian-<br />

castra e gelatinosa ricca di zuccheri tanto amata dai bambini.<br />

Solitamente le cabosse vengono spaccate con dei bastoni dì legno ancora<br />

sul luogo del raccolto: è il modo migliore per non intaccare l’involucro<br />

dei semi e non comprometterne la fermentazione. I semi vengono estratti<br />

manualmente e messi a fermentare. Questa è una fase importante, le fave<br />

devono essere mosse ogni giorno per far sì che i batteri e i lieviti, attraverso<br />

delle reazioni chimiche, eliminino in parte l’amaro presente nei semi e sviluppino<br />

gli oltre 500 aromi, presenti nel cacao. La durata della fermentazione<br />

può variare da tre giorni fino a una settimana, a secondo dei casi.<br />

Quanto più è lunga la fermentazione, tanto più intenso sarà l’aroma di cacao,<br />

dunque essa deve essere calibrata anche in ragione del gusto prevalente nei<br />

paesi di destinazione. I semi vengono poi fatti seccare per abbattere (dall’80<br />

al 6-7 per cento) l’umidità ancora presente, interrompendo la fermentazione<br />

e scongiurando lo sviluppo delle muffe.<br />

In genere l’essiccazione avviene in modo naturale, con l’esposizione al sole,<br />

oppure facendo passare i semi attraverso flussi di aria calda. Durante questo<br />

processo le fave perdono metà del loro peso.<br />

Dopo aver ottenuto quello<br />

che viene chiamato il “cacao<br />

verde”, esso viene inviato ai<br />

compratori. Lo stoccaggio<br />

delle fave avviene in condizioni<br />

rigide e controllate<br />

per evitare che il cacao, che<br />

assorbe gli odori come una<br />

spugna, venga a contatto con<br />

delle sostanze sgradevoli.<br />

Qui le fave vengono pulite da<br />

eventuali impurità, miscelate<br />

(ad esclusione dei pregiati<br />

Cru monorigine) e tostate. È<br />

in questa fase, infatti, che il<br />

cacao sviluppa appieno il suo


aroma. Gli operatori hanno un compito<br />

molto delicato, perché occorre tener<br />

conto di diversi fattori quali le diverse<br />

caratteristiche delle varietà di cacao, il<br />

contenuto di tannini, il grado di umidità<br />

e il tipo di prodotto che si vuole ottenere,<br />

dato che un’eccessiva tostatura rende il<br />

cacao amaro, mentre una insufficiente<br />

acido e astringente. Successivamente il<br />

cacao viene raffreddato, sgusciato, frantumato,<br />

pulito ed infine macinato, ottenendo<br />

così la pasta di cacao.<br />

La massa di base, lo zucchero ed il burro<br />

di cacao (il latte in polvere per il cioccolato<br />

al latte) vengono miscelati e ridotti in<br />

una massa plastica ed omogenea pronta<br />

per il passaggio alla raffinatrice. Prima della fase di concaggio viene aggiunta<br />

la lecitina, ingrediente fondamentale nella produzione del cioccolato, che<br />

ne abbassa la viscosità permettendo un concaggio a temperature inferiori,<br />

migliorando lo sviluppo dell’aroma del cioccolato e riducendo l’affioramento<br />

del burro di cacao. Qui gli ingredienti vengono amalgamati perfettamente,<br />

eliminando le ultime tracce di acidità e di umidità, esaltando gli aromi. Si<br />

tratta di un procedimento importante, dal quale dipendono la pastosità, la<br />

rotondità ed il gusto vellutato, ma anche la durezza e la brillantezza esterna<br />

del cioccolato. Ancora caldo il cioccolato subisce il temperaggio, un processo<br />

che grazie ad uno choc termico garantisce al prodotto una maggiore<br />

lucentezza, conservabilità e consistenza.<br />

Paolo Gasparin<br />

Attenzione alla bilancia!<br />

Il cioccolato è un alimento ipercalorico con un indice di sazietà bassissimo.<br />

La sua grande appetibilità e la densità calorica elevata (più di<br />

500 kcal per 100 g) lo rendono un alimento il cui consumo deve essere<br />

quantificato accuratamente. Un pezzetto da 20 g, infatti, ha ben 100<br />

kcal, una quantità che, se assunta indiscriminatamente tutti i giorni, è<br />

in grado di mandare a rotoli una dieta ipocalorica. Le presunte qualità<br />

terapeutiche del cioccolato legate alla presenza di teobromina, una<br />

sostanza simile alla caffeina in grado di prevenire i disturbi cardiovascolari,<br />

vanno confrontate con il potere del cioccolato di farci diventare<br />

persone in sovrappeso. Dal punto di vista della protezione cardiovascolare,<br />

infatti, è molto meglio essere magri piuttosto che assumere<br />

grandi quantità di teobromina!<br />

5


6<br />

Mille varietà, tre grandi famiglie<br />

Sono moltissime le varietà della pianta di cacao,<br />

ma per semplificare le possiamo ordinare in tre<br />

gruppi fondamentali: Criollo, Forassero e Trinitario.<br />

Criollo<br />

Da creole (straniero) come lo battezzarono gli Spagnoli, è la varietà più antica<br />

di cacao, l’unica coltivata nel XVII secolo. Questo tipo di cacao originario<br />

del Messico è difficile da coltivare perché molto sensibile alle malattie, tanto<br />

da costituire oggi solo l’1% della produzione mondiale. È indiscutibilmente<br />

la varietà più pregiata, ricco di burro di cacao, si distingue per essere molto<br />

aromatico, per niente amaro e dal sapore delicato. Coltivato per lo più in<br />

Venezuela e Madagascar è utilizzato raramente in purezza, più spesso miscelato<br />

con altre qualità.<br />

Teobroma cacao: il cibo degli dei<br />

Secondo un’antica leggenda azteca la culla del cacao era Tallon, la capitale<br />

dei Toltechi, un “felice” popolo vissuto nella mitica età dell’oro.<br />

Nella terra dei Tolteci (l’attuale Messico) tutto era straordinario: il cotone<br />

nasceva spontaneo nei colori desiderati, gli uccelli cantavano<br />

melodiosamente e gli uomini raccoglievano i frutti felici del cacao.<br />

Molto probabilmente, però, furono i Maya a dare vita alla prima piantagione<br />

condotta con metodi razionali intorno al 600 a.C.<br />

Forastero<br />

Originario dell’Amazzonia, fu introdotto dai Portoghesi nell’isola di Sao<br />

Tome. È il più diffuso soprattutto in Africa e, naturalmente, in Brasile. Arriva<br />

a costituire quasi l’85% della produzione mondiale proprio in virtù della sua<br />

facile adattabilità ai vari territori. Viene considerato un cacao non di gran<br />

pregio, dal sapore marcato, molto persistente e tendente all’acido.<br />

Trinitario<br />

È il frutto dell’incrocio delle varietà Criollo e Forastero. Le prime piantagioni<br />

si sono sviluppate nelle isole Trinidad, da cui il nome di questa specie di<br />

qualità. Sin da subito si dimostrò una pianta molto resistente ed il suo frutto<br />

presenta le caratteristiche di ambedue le varietà da cui deriva. Per quanto<br />

riguarda la resa e la resistenza alle infestazioni è molto simile al Forastero,<br />

mentre la qualità è nettamente superiore con un buon contenuto di burro di<br />

cacao e un aroma raffinato, motivo per cui viene utilizzato nella produzione<br />

di cioccolato fine. Coltivato in Africa e nel Centro America rappresenta il 10-<br />

15% della produzione mondiale.<br />

P. G.


Cioccolato e vino.<br />

Storia di una lite risolta<br />

L’abbinamento che mette in crisi i sommelier ha<br />

buone possibilità di riuscita. Ecco quali<br />

Diciamoci la verità: cioccolato e vino non sono mai andati troppo d’accordo. Personalità troppo forti, con una storia<br />

troppo importante alle spalle per poter condividere la stessa scena.<br />

Mentre il vino in molti casi diventa accondiscendente e cede in qualche modo il passo, il cioccolato per sua natura<br />

non potrà mai esserlo. La sua struttura, la persistenza e l’insieme degli elementi che lo compongono ne fanno l’elemento<br />

catalizzatore dell’assaggio. Si dibatte molto su questa possibile unione, con soluzioni più o meno condivisibili<br />

tra provocazioni, strumentalizzazioni commerciali e idee tutt’altro che da scartare. Personalmente rimango ancorato<br />

all’idea che il cioccolato vada degustato da solo per riuscire a penetrare veramente la sua anima nera e passionale.<br />

Al di là delle opinioni personali, l’idea che vi possa essere una soluzione pacifica a questa lite mi stimola alla ricerca<br />

di un possibile risoluzione del contrasto. Il cioccolato si compone di elementi grassi dalla natura molto adesiva, che<br />

compromettono il palato in modo invadente; a questo si accompagna una persistente sensazione amara molto<br />

decisa ed una componente acida limitata, oltre che una delicata nota dolce ed un insieme di componenti aromatiche.<br />

Una tale complessità limita notevolmente il campo di ricerca: i passiti del vicentino non avrebbero vita facile in<br />

questo contesto. Un Recioto della Valpolicella, con un tenore alcolico elevato, potrebbe essere capace di affrontare<br />

tutti gli elementi con più facilità. Per far fronte a tali sensazioni è necessario chiedere aiuto a vini speciali come il<br />

Barolo chinato, l’Ala amarascato, o il Banyuls. Vini con una componente alcolica importante, tale da riuscire ad<br />

avere un’azione “detergente” nei confronti delle sostanze grasse del cioccolato e contemporaneamente di lasciare<br />

al palato tutti i preziosissimi aromi sprigionati; pugno di ferro e guanto di velluto quindi. I vini fortificati come il Porto<br />

o uno Sherry Pedro Ximenes Liquoroso risultano sicuramente i più adatti. In Trentino si trova un interessante vino, Il<br />

Merlino, di Pojer & Sandri, ottenuto da uva Lagrein raccolta molto matura a cui è stato aggiunto un brandy di oltre<br />

dieci anni, che potrebbe fare una bella figura.<br />

Le possibili alternative, sicuramente molto affascinanti, rimangono sempre il Rhum o un Bas Armagnac, oppure è<br />

necessario affidarsi ai suggerimenti del nostro territorio, provando con una grappa di riserva.<br />

Nella storia degli abbinamenti quella del cioccolato e del vino sembrava una partita chiusa. Catalogato come abbinamento<br />

impossibile ora sembra aver trovato una propria strada, una sorta di rappacificamento e di comprensione<br />

reciproca. La lite sembra risolta; anche il mondo ne avrebbe bisogno…<br />

Gianpaolo Giacobbo


8<br />

Maîtres Chocolatiers<br />

Il cioccolato è gioia. Regala un sorriso, felicità, emozione<br />

È partita da lontano la passione per il cioccolato di Walter Marcon, affermato<br />

Maestro Cioccolatiere di Nove.<br />

Era un ragazzino con le braghe alla zuava quando entrò come apprendista<br />

nel laboratorio di Alfredo Fabris, maestro pasticcere di Bassano. Forse in<br />

quel momento fu spinto più dalla golosità che da una vera e propria passione.<br />

In quella bottega, dove tutto era qualità, ricerca della perfezione e della<br />

bontà suprema, il giovane Walter sotto l’austera guida del maestro capì ben<br />

presto che per essere un bravo pasticcere si doveva lavorare con assoluta<br />

professionalità. Quel mondo così dolce lo coinvolse immediatamente, tutto<br />

era nuovo per lui, ma presto e con estrema facilità arricchì il suo bagaglio<br />

d’esperienza. Dopo alcuni anni di tirocinio, raggiunta la dovuta capacità,<br />

decise di mettersi in proprio aprendo la sua pasticceria di Nove, affermando<br />

così la squisita arte pasticcera e specializzandosi sempre più nel cioccolato.<br />

Sempre assetato di nuove esperienze in questi anni ha girovagato alla continua<br />

ricerca di nuove materie prime, di tecniche di lavorazione, forme, abbinamenti<br />

e confezioni. Carpendo i segreti dei più famosi cioccolatieri d’Europa,<br />

oggi ha raggiunto lo standard qualitativo a cui solo un Maestro artigiano<br />

può ambire.<br />

Incontriamo Walter Marcon nel suo nuovo laboratorio per il cioccolato, dove<br />

tra le attrezzature all’avanguardia aleggia il profumo dolce, speziato, floreale<br />

ed aromatico del cioccolato che fila nelle temperatrici, pronto per essere<br />

usato in mille specialità. Il lavoro del cioccolatiere si svolge con gesti precisi.<br />

Con mano esperta e tecnica affinata il cioccolato caldo, liscio ed omogeneo,<br />

scivola negli stampi plasmando barrette, praline, bon bon…<br />

Signor Marcon, come mai ha voluto il Cioccolaboratorio staccato dalla<br />

pasticceria?<br />

“Il cioccolato ha esigenze, caratteristiche e tempi diversi dalla pasticceria,<br />

poi c’è mio figlio Luca, che, con la collaborazione di alcuni bravi professionisti<br />

si sta esprimendo con tanta passione, ed è con orgoglio che lo guardo<br />

alla guida della pasticceria, i miei segreti li conosce tutti e forse l’allievo ha<br />

superato il Maestro”.<br />

Produce tavolette e praline solo per la sua pasticceria?<br />

“Questo laboratorio è nato per soddisfare i clienti che frequentano la pasticceria,<br />

ma non solo, qui, con l’aiuto di mio nipote Nicolas produciamo un<br />

infinità di prodotti personalizzati, neutri o confezionati, sotto indicazione del<br />

cliente stesso, sia questo una caffetteria o un ristorante, ma anche per tanti<br />

altri colleghi pasticceri che non hanno il tempo o l’attrezzatura per produrre<br />

da sé la pralineria”.<br />

Quali sono i cioccolati preferiti dai suoi clienti?<br />

“I clienti tipo del cioccolato sono in prevalenza i bambini e gli anziani. Questi<br />

prediligono il cioccolato al latte, anche nelle coperture per panettoni colombe,<br />

meglio ancora se nocciolate. Poi c’è il cliente più ricercato che ama il<br />

fondente, lavorato con varietà di cacao dolci e profumati, oppure speziati ed<br />

aromatici, ma il preferito in assoluto è il cioccolato fondente al 50%”.<br />

Ci racconta un segreto del suo cioccolato?<br />

“Il segreto del cioccolato - spiega con un ammiccante sorriso - sta nelle<br />

cose semplici; basta saper selezionare materie prime d’assoluta qualità,<br />

lavorarle con attenzione, con attrezzature moderne, amore e pazienza.<br />

Ci vuole tempo, tanto tempo, fantasia, creatività ed esperienza, perché nel<br />

cioccolato non si ha mai finito d’imparare”.<br />

Quanto importante è la confezione?<br />

“Impensabile produrre un cioccolato di qualità senza poi confezionarlo in<br />

modo intelligente, a questo ci pensano mia moglie Lorena, mia figlia Jessica,<br />

ed alcune brave e valide collaboratrici, che, con estro, fantasia e buon<br />

gusto elaborano le più svariate realizzazioni di packaging, a volte eleganti e<br />

delicate, altre moderne ed estrose, sempre in modo originale, per valorizza-


e ogni prodotto soddisfando l’occhio e il palato”.<br />

Quale futuro vede per il cioccolato?<br />

“Il Cioccolato è un mondo senza fine. Noi artigiani produciamo una qualità<br />

inimitabile per l’industria, ci possiamo permettere di acquistare dei Cru<br />

particolari, distinguendoci così per l’alta qualità e l’originalità delle nostre<br />

proposte. Vista la continua attenzione verso le novità, questo sarà un motivo<br />

di sicuro successo in futuro”.<br />

Qui vedo una macchina particolare che cos’è? E a cosa serve?<br />

“Questo è il mio ultimo acquisto, una “Bassina”. Una macchina ad altissima<br />

tecnologia, una novità che mi permette di produrre una nuova linea di prodotti:<br />

“I Bassinati”, dove il cioccolato avvolge la semplicità degli aromi con<br />

le coperture più raffinate”.<br />

La Bassina<br />

Non è di certo uno strumento del terzo millennio. Avete presente quelle macchine<br />

che si vedono alle sagre che producono frutta secca caramellata? Ecco,<br />

proprio quella, una macchina che ha più di cento anni di storia, un’invenzione<br />

Franco-Piemontese tanto amata a Corte, da sempre utilizzata per produrre<br />

confetti e coperture a base di zucchero.<br />

Paolo Selmi, riconosciuto produttore di macchine per la lavorazione del cioccolato<br />

artigianale, l’ha voluta recuperare con tutta la sua storia, mantenendo<br />

integro il concetto originale ed adottando la tecnologia più avanzata. Studiata<br />

in ogni minimo particolare, con la collaborazione dei più grandi maestri cioccolatieri<br />

del mondo ha messo a punto una Bassina specifica per il cioccolato.<br />

Utilizzando un recipiente d’acciaio in sostituzione del rame, aria calda e/o<br />

fredda, umida e/o deumidificata, velocità di rotazione, tempi di lavorazione,<br />

soffiatori e spruzzatori particolari, uniti all’immancabile ed indispensabile maestria<br />

dell’artigiano cioccolatiere, ha rivoluzionato il concetto Bassina-cioccolato.<br />

Una macchina straordinaria che permette lavorazioni assolutamente<br />

naturali finora impensabili, senza aggiunte di addensanti o sintetici, ottenendo<br />

anche lucidature del prodotto senza l’utilizzo di gomma arabica.<br />

Una macchina che fa le pernacchie alle lavorazioni industriali, garantendo uno<br />

straordinario prodotto d’altissima qualità, raffinato ed elegante, che, a differenza<br />

delle più blasonate praline si conserva in modo naturale per lungo.<br />

La Bassina permette di produrre dei dragée assolutamente interessanti che<br />

vanno al di là della solita tavoletta di cioccolato. I Bassinati non hanno l’ambizione<br />

di sostituire la pralina, ma di posizionarsi in una fase intermedia di<br />

sicuro successo.<br />

Roberto Gasparin<br />

9


10<br />

I Bassinati<br />

Andando a scoprire alcune preparazioni possibili tra le infinite varianti di Bassinati, ci renderemo conto della<br />

squisitezza di questi draghe, deliziosi bon bon per placare le crisi d’astinenza, piacevolissimi in pausa caffé,<br />

ideali per un petit cadeau, accattivanti e coinvolgenti a fine pasto, compagni ideali con un buon distillato.<br />

Vista la minor percentuale di cioccolato utilizzato rispetto ad altre specialità a base di cacao, i Bassinati si<br />

sposano perfettamente anche con un buon vino passito, Torcolato o Recioto che sia. Ottimi per ogni momento<br />

dolce, da soli o in buona compagnia. Non hanno limiti, anzi... sono come le ciliegie: una tira l’altra. Frutta<br />

secca o disidratata, spezie, te, caffé, mandorlati, ganasce, croccanti, ma anche idee salate...<br />

Quindi, libero arbitrio al maestro cioccolatiere per soddisfare ogni nostra fantasia!<br />

Nocciole Piemonte, avvolte<br />

nel cioccolato al latte e ricoperte<br />

di cacao<br />

Mandorla Barese, ricoperta<br />

di cacao, cioccolato bianco<br />

e avvolta nel cioccolato<br />

fondente<br />

Banana disidratata avvolta<br />

nel cacao, ricoperta di<br />

cioccolato bianco<br />

Gherigli di noce, ricoperti<br />

di cioccolato fondente e<br />

rifiniti con zucchero a velo<br />

aromatizzato alla vaniglia<br />

Bourbon<br />

Mandorlato ricoperto di<br />

cioccolato fondente e tartufato<br />

al cacao<br />

Pera disidratata, ricoperta<br />

di cacao, cioccolato fondente<br />

ed avvolta nel cioccolato<br />

bianco Biologico<br />

Arancio Candito, ricoperto<br />

di cioccolato fondente e<br />

rifinito con zucchero a velo<br />

aromatizzato alla vaniglia<br />

Bourbon<br />

Speziati al rosmarino, cremino<br />

di caramello e rosmarino<br />

ricoperto di cacao e<br />

cioccolato fondente<br />

Walter Marcon R. G.


Sformato di panettone al cioccolato bianco e arancia<br />

Ingredienti: 6/8 persone:<br />

120 gr. panettone senza canditi<br />

4 cucchiai di succo d’arancia<br />

la scorza di 1 arancia<br />

2 cucchiai di Grand Marnier<br />

3 cucchiai di sciroppo di zucchero<br />

200 ml latte<br />

2 tuorli<br />

45 gr. burro<br />

2 albumi<br />

45 gr. zucchero<br />

200 gr. cioccolato bianco<br />

300 gr. panna montata<br />

4 fogli di gelatina<br />

I sapori di Villa Bassi<br />

Preparazione:<br />

Scaldare il latte con il burro, sbattere i tuorli con lo zucchero unirli<br />

al latte caldo e cucinare per 1 minuto a fuoco basso, incorporare<br />

il cioccolato bianco, e lavorare con una spatola per ottenere una<br />

crema omogenea, (metà tenerla da parte per il servizio).<br />

Riunire in una piccola casseruola il succo e le scorze d’arancia,<br />

il Grand Marnier, lo sciroppo di zucchero, bollire e ridurre della<br />

metà, incorporare la metà della crema al cioccolato bianco e<br />

la gelatina ammorbidita nell’acqua fredda e lasciar raffreddare,<br />

quindi unire gli albumi montati a neve e la panna. Aggiungere il<br />

panettone tagliato a dadini, versare il composto negli appositi<br />

stampini e lasciar rassodare in frigo per 6/8 ore.<br />

Togliere dagli stampini gli sformati e disporne uno al centro di<br />

ogni piatto spolverare di zucchero a velo e servire con crema al<br />

cioccolato e qualche filetto di buccia d’arancia.<br />

Ristorante<br />

di Agnese e Francesco<br />

Via Chiesa Pedemonte<br />

Zugliano (Vi) - Tel. 0424.407372<br />

Ricetta dello Chef Francesco Dal Santo


12<br />

Villa Bassi: una Fondazione, un Ristorante<br />

Agnese e Francesco Dal Santo hanno inaugurato il Ristorante<br />

Villa Bassi a Grumolo Pedemonte. Portano tutta l’esperienza<br />

della Valle Dei Mulini<br />

Antonio Bassi nacque a Grumolo Pedemonte<br />

il 26 <strong>gennaio</strong> 1824. Uomo facoltoso<br />

e grosso possidente, rimasto<br />

vedovo e senza figli, morì a Verona il 6<br />

maggio 1896, non prima di avere fatto<br />

testamento beneficiando i suoi compaesani.<br />

Con due testamenti, rispettivamente<br />

del 1872 e del 1895, Antonio<br />

Bassi lasciò un patrimonio di 60 campi<br />

e tre fabbricati, fra i quali Villa Bassi,<br />

perché con la loro rendita fossero sussidiati<br />

annualmente gli studenti di Grumolo<br />

che intendevano avviarsi agli studi superiori.<br />

Da oltre un secolo la Fondazione Bassi si adopera per amministrare al meglio<br />

il volere di Antonio Bassi e con questo intento il Consiglio di Amministrazione<br />

della Fondazione ha deciso di affidare la gestione del Ristorante Villa Bassi<br />

a ristoratori validi e competenti. La miglior scelta non poteva che cadere su<br />

Agnese Girardi e Francesco Dal Santo, affermati ristoratori che da oltre 15 anni<br />

si propongono alla clientela con una cucina ed un servizio di qualità.<br />

Agnese e Francesco, uniti nel lavoro e nella vita,<br />

hanno deciso di scendere da quel di Valle dei Mulini…<br />

il loro piccolo Ristorante dove in questi anni<br />

hanno ben saputo proporsi. Stimati per la correttezza<br />

e la qualità, si sono distinti per il servizio professionale,<br />

attento e discreto, raccogliendo tante<br />

soddisfazioni e gratificazioni.<br />

Una scelta importante ci spiega Francesco: “decidere<br />

di lasciare il nostro Valle dei Mulini non è<br />

stato facile, là rimarrà una parte importante della<br />

nostra storia, ci ha permesso di farci le ossa, come<br />

Foto a sinistra: Francesco ed<br />

Agnese Dal Santo con i figli<br />

Elena e Matteo<br />

A fianco, da sinistra: Silvia Brunello,<br />

Bari, Mauro Canaglia,<br />

Francesco Dal Santo, Christian<br />

Zana,Renato Rizzardi,Vittoria e<br />

Carlo<br />

Da sinistra: Daniele Mazzola, Girardi Agnese, Francesco<br />

Dal Santo, Vittoria Faccin e Carlo Magnabosco<br />

si dice. Sicuramente lassù eravamo un po’ fuori mano e qualche volta risultava<br />

difficile raggiungerci. La maggiore comodità è stata una motivazione importante,<br />

ma questa scelta è stata pensata per tanti aspetti, per la nostra famiglia<br />

ed i nostri figli innanzitutto. Poi le dimensioni di questo ristorante, la location<br />

e lo splendore della villa, che ci permetteranno di avvicinarci ancor di più alla<br />

nostra clientela, mantenendo lo stile della cucina e del servizio e anche i prezzi<br />

rimarranno in linea con la nostra filosofia. Qui avremmo la possibilità di offrire<br />

una serie di proposte in più, come feste, ricevimenti e banchetti”.<br />

Agnese ha una luce nuova nei suoi occhi… non serve porle domande, è sufficiente<br />

guardare il suo sorriso e l’abbraccio con la dolcissima Elena ed il piccolo<br />

Matteo, ci fanno comprendere quanto entusiasmo e quanta felicità è riposta<br />

in Villa Bassi.<br />

Nella suggestiva location di Villa Bassi, con la collaborazione<br />

del team dei Quattro Cuochi, la vernice è<br />

avvenuta in gran stile, affiancando arte e cultura ad<br />

enogastronomia di qualità, per la gioia dei numerosi<br />

clienti, amici e simpatizzanti, accorsi a festeggiare.<br />

Un evento importante per l’enogastronomia vicentina,<br />

per dare lustro e continuità alla fondazione<br />

voluta da Antonio Bassi.<br />

Roberto Gasparin


Pagina a cura della Cantina Colli Vicentini<br />

La Cantina COLLI VICENTINI di Montecchio Maggiore, situata nel cuore dei COLLI BERICI, venne fondata nel 1955.<br />

Attualmente, conta 1500 soci che coltivano 2000 ettari di vigneto specializzato situati nelle D.O.C.<br />

Colli Berici, Vicenza, Gambellara e Lessini Durello.<br />

Potrà sembra strano, ma quell’uva dai forti connotati vicentin-berici che si chiama Durella dà origine, nella<br />

versione spumantizzata, ad un vino estremamente versatile nell’ambito gastronomico. Abbiamo più volte detto:<br />

strepitoso aperitivo, bollicina da tutto pasto, di carattere con antipasti, primi e secondi. Eccovi alcuni esempi di<br />

come l’uva Durella può divenire una protagonista della vostra tavola. Buon Appetito!<br />

L’Antica Hostaria a Le Bele propone una cucina tradizionale che vede in prima linea i tanti prodotti della<br />

terra vicentina, amorevolmente preparati dallo chef Vittorio Pianegonda. L’ambiente rispetta fedelmente<br />

l’atmosfera di un tempo, ove Paolo Beraldo, con simpatia e professionalità, riceve e consiglia gli ospiti alle<br />

squisite preparazioni ed al giusto abbinamento con la fornitissima e qualificata cantina.<br />

Ricetta dello chef<br />

Vittorio Pianegonda<br />

Hostaria a Le Bele<br />

Via Maso, 11<br />

Loc. Maso - Valdagno (VI)<br />

Tel. 0445.970270<br />

Terrina al Broccolo Fiolaro<br />

con Code di Gambero di Fiume<br />

Dosi per 6 persone<br />

Per la Terrina:<br />

250g di panna fresca; 3 uova intere;<br />

300g broccolo fiolaro mondato e lavato;<br />

½ cipollotto (scalogno); ½ spicchio<br />

d’aglio; sale e pepe q.b.<br />

Procedimento:<br />

Mettere in un recipiente concavo la panna,<br />

le uova il sale ed il pepe, sbattere il<br />

tutto con una frusta, lasciare riposare<br />

qualche minuto quindi versare il composto<br />

in stampini da forno per terrine<br />

(antiaderenti) dove nel frattempo avremo<br />

già messo il broccolo fiolaro leggermente<br />

sbollentato in acqua salata, quindi<br />

spadellato con il cipollotto soffritto e<br />

l’aglio. Mettere le nostra terrine in forno<br />

a 170° per circa 10 minuti.<br />

Per le code in pastella:<br />

18 code di Gambero di Fiume sgusciate;<br />

3 cucchiai da tavola di farina bianca;<br />

poca acqua ghiacchiata; un rosso<br />

d’uovo; secondo disponibilità: pasta<br />

filo per guarnizione; olio Extravergine<br />

per friggere<br />

Procedimento:<br />

Tagliare leggermente nel dorso le code<br />

e pulire dallo scarto, preparare la pastella<br />

con l’acqua ghiacciata, la farina<br />

e il rosso d’uovo. Immergere le code<br />

dopo averle ben asciugate nella pastella<br />

e friggetele nell’olio bollente per circa<br />

due minuti quindi scolare e salare leggermente.<br />

Soffriggere a piacere dei fili<br />

di pasta filo e qualche foglia di prezzemolo<br />

pastellata.<br />

Composizione del piatto:<br />

Disporre la terrina sul piatto, adagiare soprale<br />

code di Gambero e decorare con la<br />

pasta filo e le foglie di prezzemolo.<br />

Servire caldo.<br />

13


14<br />

La “Torre” di Vittorio Mincato<br />

Il presidente di Poste Italiane racconta la sua Torrebelvicino nel libro<br />

“Coriandoli”. Sequenza di storie del paese, tra ironia e nostalgia<br />

Vive da trent’anni a Roma, ma appena può scappa<br />

nella sua Torrebelvicino, tra la sua gente, per<br />

parlare un po’ di quel dialetto che tanti viaggi in<br />

tutto il mondo non gli hanno certo fatto dimenticare.<br />

“Torno ormai una volta al mese – confessa<br />

– ora che non ho più ruoli gestionali, ma solo<br />

qualche incarico di garanzia”. Li chiama così,<br />

con tutta semplicità, quella manciata tra seggi<br />

in consigli di amministrazione e presidenze che<br />

ricopre, tra cui le Poste Italiane (vedi riquadro a<br />

fianco).<br />

Tanto “inoccupato” da essersi concesso il lusso<br />

di riprendere in mano una serie di racconti scritti<br />

qualche anno fa, per revisionarli e ripubblicarli in<br />

un volume definitivo con la postfazione di Antonio<br />

Cassuti, già Preside al Liceo Tron di Schio.<br />

“Si intitola Coriandoli – spiega – perché la prima<br />

edizione del 1983 raccoglieva una serie di racconti<br />

pubblicati con copertine di tanti colori diversi. Ora ho aggiunto gli ultimi<br />

capitoli, scritti qualche anno dopo, e rivisto il linguaggio, ripulendolo da alcune<br />

leziosità di cui avevo peccato nella precedente edizione”.<br />

Il libro racconta gli anni Quaranta e Cinquanta a Torre, gli anni della sua<br />

adolescenza. Ma non è un libro autobiografico, anzi raramente traspare l’autore<br />

che si ritaglia un ruolo di osservatore attento e narratore discreto di<br />

un microcosmo fatto di personaggi genuini. Visti con l’ironia e lo sguardo<br />

nostalgico da un Mincato che in quegli anni si era appena trasferito a Roma<br />

e che sentiva allontanarsi inesorabilmente non solo un paese, ma un’intera<br />

società fatta di cose semplici e genuine. “È un libro dedicato ai miei compaesani,<br />

per fissare nella memoria volti e storie. Non lo ho scritto per gli altri,<br />

mi interessa che lo leggano loro”.<br />

Antonio Cassuti e Vittorio Mincato<br />

Ci sono i personaggi del paese, i vari Don Arcesio,<br />

Giovanni Postin, El Menga, Pierin: tutti<br />

personaggi realmente vissuti, mai nominati direttamente,<br />

ma solo con il loro affettuoso soprannome.<br />

E ci sono i luoghi di una comunità:<br />

l’asilo delle suore, la chiesa, la scuola, i bar della<br />

piazza, le contrade sui monti.<br />

Dottor Mincato, cosa ha cercato di salvare di<br />

quei tempi nel suo libro?<br />

“Un’educazione alla semplicità. La capacità di<br />

ascoltare, prima di parlare. Sono i principi della<br />

mia terra che io ho cercato di portare sempre<br />

con me nella vita”.<br />

Come la vede la Torrebelvicino di oggi?<br />

“Uguale al resto del mondo. Un tempo essere di<br />

Torre oppure di Schio voleva dire appartenere a<br />

due mondi completamente diversi. A pochi chilometri<br />

di distanza cambiavano abitudini e mentalità.<br />

Oggi i giovani di qui sono uguali ai loro coetanei in tutto il mondo”.<br />

Di gastronomico nel suo libro c’è solo la minestrina dell’asilo e la sbobba<br />

della colonia della scuola. Non ha un gran ricordo di quella cucina, no?<br />

“C’è molta nostalgia in queste pagine, di luoghi, di persone, ma non ne faccio<br />

un elogio al passato. Se prendiamo la cucina dobbiamo ammettere che oggi<br />

si mangia molto meglio di allora. Chi sostiene il contrario dice una falsità, il<br />

progresso ci fa vivere meglio, è innegabile. E anche le nostre abitudini alimentari<br />

sono migliorate”.<br />

Non a caso, ha iniziato a scrivere quando si è trasferito a Roma. Ha detto<br />

che le mancava molto la sua terra, e i sapori veneti?<br />

“Fortunatamente no, ho continuato a mangiare alla Veneta: mia moglie è di<br />

Torre, pensi che ci siamo conosciuti all’Asilo, e ha continuato a cucinare alla


vicentina. Sono sempre stato legato alle mie origini e lo testimonia anche il soprannome che mi dettero i miei<br />

colleghi appena arrivato a Roma: Vittorio Veneto. Era per i miei modi un po’ bruschi, molto diversi dai ritmi romani.<br />

Mi è piaciuto e così l’ho voluto utilizzare come pseudonimo per il libro. Qualcuno mi ha avvertito che sarebbe<br />

stato svantaggioso, ma in fondo nessuno conosce Carlo Lorenzini, ma tutti Collodi, no?”<br />

Cosa preferisce a tavola?<br />

“I sapori semplici. Amo i primi piatti, le pastasciutte”.<br />

E i vini?<br />

“Rossi, corposi. Toscani e piemontesi”.<br />

Con la pubblicazione di questo libro ha istituito anche una borsa di studio per il miglior studente di matematica<br />

di Torrebelvicino, perché?<br />

“Perché credo che anche a Torrebelvicino possa esserci qualche buon cervello da aiutare nella crescita. Sarà<br />

data allo studente di terza media con i migliori voti in matematica che si iscriverà al Liceo Scientifico Tron. Io<br />

sono convinto che il ritardo economico che l’Italia sta accusando nei confronti di altri paesi emergenti sia tutto<br />

dovuto allo scarso studio delle materie scientifiche: la matematica è alla base della scienza, studiarla costa fatica<br />

ma apre le porte a qualsiasi studio tecnico. È grazie alla matematica che c’è il progresso tecnologico, invece<br />

gli studenti italiani preferiscono le materie umanistiche…”<br />

Forse è nelle nostre corde, infatti anche Lei è un buon narratore…<br />

“Per puro diletto. Mi passi questa immagine: so far di conto, ma quando mi metto a scrivere sono come il suonatore<br />

di grancassa con l’archetto del violino in mano”.<br />

Vittorio Veneto<br />

Coriandoli, Luoghi, figure<br />

e fatti di Torrebelvicino nel<br />

Novecento<br />

Edizioni Menin, Schio<br />

€ 15,00<br />

Matteo Baldini<br />

Vittorio Mincato è nato a Torrebelvicino nel 1936. Entrato nel 1957 come tirocinante<br />

alla Lanerossi, vi rimane fino al 1977, quando assume l’incarico di<br />

direttore amministrativo dell’Eni. Ricopre vari incarichi nell’azienda petrolifera<br />

fino diventare, nel 1998, amministratore delegato del Gruppo Eni. Durante la<br />

sua gestione ottiene lusinghieri risultati e l’Eni conquista importanti quote di<br />

mercato. Nel maggio 2005 viene nominato presidente di Poste Italiane. Nel<br />

2005 entra, come indipendente, nel Consiglio di Amministrazione della Fiat,<br />

nel giugno 2007 assume l’incarico di presidente della Fondazione CUOA di<br />

Altavilla Vicentina.<br />

Tra le sue passioni, probabilmente la più grande è la musica. Già membro del<br />

Consiglio di Amministrazione del Teatro alla Scala di Milano, è oggi consigliere<br />

dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma e dell’Accademia Olimpica<br />

di Vicenza.<br />

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16<br />

MILLE BOLLICINE<br />

PER UN VESPAIOLO<br />

Un concorso promosso da Gustolocale e Cantina Beato<br />

Bartolomeo invita baristi e ristoratori a degustare il Vespaiolo<br />

spumante extra dry e suggerire nuovi abbinamenti gastronomici.<br />

Alla migliore proposta andrà un Frigo-Vetrina in omaggio<br />

Il Vespaiolo spumante è frutto di una felice intuizione della Cantina Beato Bartolomeo. Già trent’anni fa i suoi<br />

enologi avevano scommesso che questa uva che tanto attrae api e vespe (da cui il nome) era l’ideale per la<br />

spumantizzazione. La spiccata acidità, una buona struttura e la gradevole aromaticità ne fanno uno spumante<br />

delizioso: così fresco e fragrante da far dimenticare a chi lo assaggia il più blasonato Prosecco. Anzi, spesso<br />

lo spumante trevigiano non regge il confronto.<br />

Ma il paragone è riduttivo. Alla Beato Bartolomeo di essere una “alternativa” al Prosecco non ne vogliono più<br />

sentir parlare: “il Vespaiolo è un grande spumante vicentino – spiega Piergiorgio Laverda, presidente della<br />

Cantina di Breganze – ha un proprio carattere, strettamente legato al territorio da cui nasce”. L’uva vespaiola<br />

è infatti coltivata unicamente nel breganzese, specie nelle porzioni collinari, che presentano terreni di origine<br />

vulcanica e un microclima dovuto alla presenza di una corona di montagne a nord che consentono buone<br />

escursioni termiche e ventilazione”. Caratteristiche che si riflettono sul Vespaiolo e lo denotano in modo unico.<br />

“Per raccontare questa unicità – prosegue Laverda – potevamo affidarci a qualche guru della comunicazione<br />

del vino che, dietro lauti compensi, avrebbe decantato le doti del nostro prodotto e indicato i piatti a cui accostarlo.<br />

Ma non è nel nostro stile. Noi preferiamo che a descrivere il nostro Vespaiolo sia chi il vino vicentino lo<br />

conosce per davvero: baristi, chef, maitre, gestori di enoteche. Chi meglio di loro può descriverlo e indicarne<br />

gli abbinamenti più felici? Per questo abbiamo lanciato il concorso “Mille Bollicine per un Vespaiolo”, con cui<br />

daremo in omaggio un Frigo-Vetrina a chi scriverà la migliore scheda di presentazione”.


IN PALIO UN<br />

FRIGO-VETRINA<br />

Il concorso “Mille bollicine per un Vespaiolo” è stato promosso<br />

dalla Cantina Beato Bartolomeo in collaborazione con la nostra<br />

<strong>rivista</strong>. La partecipazione è gratuita e aperta a tutti titolari di ristoranti,<br />

bar ed enoteche della provincia di Vicenza.<br />

Per aderire si deve scaricare dal sito www.studiocru.it/concorso<br />

oppure su www.<strong>gustolocale</strong>.it il modulo di partecipazione (lo<br />

stesso è disponibile anche nella sede dell’azienda a Breganze).<br />

Due gli aspetti su cui saranno valutati i partecipanti al concorso:<br />

1- una breve descrizione gustativa del vino, realizzata con linguaggio<br />

semplice ed efficace, pensata per chi non ha mai assaggiato<br />

il Vespaiolo spumante; l’indicazione di un abbinamento<br />

gastronomico che esalti le caratteristiche del vino. Non si dovrà<br />

scrivere l’intera ricetta, ma sarà sufficiente una descrizione sommaria<br />

del piatto con gli ingredienti principali. Potrà trattarsi sia<br />

di un portata (antipasto, primo o secondo) che di un finger food,<br />

come stuzzichini, spunciotti e quant’altro.<br />

2 - Le schede dovranno essere inviate entro il prossimo 28 febbraio<br />

al numero di fax 0445-850010. Tra tutte le adesioni pervenute,<br />

una giuria composta dalla redazione di Gustolocale ne<br />

sceglierà 12 che saranno pubblicate nei prossimi 4 mesi (3 per<br />

ogni numero delle <strong>rivista</strong>). Insieme alla recensione del vino e alla<br />

descrizione del piatto in abbinamento verrà pubblicata una foto<br />

del gestore e una breve presentazione del locale.<br />

La giuria sceglierà quindi tre delle proposte pubblicate, a cui verrà<br />

chiesto di preparare il piatto per la verifica dell’abbinamento:<br />

dal verdetto finale della giuria uscirà così il nome del vincitore che<br />

si aggiudicherà un Frigo-Vetrina Enofrigo. Al secondo e al terzo<br />

classificato andrà una fornitura di prodotti Beato Bartolomeo.<br />

Il frigo California Slim Silent della Enofrigo che andrà in omaggio a chi realizzerà il migliore abbinamento gastronomico per il Vespaiolo Beato<br />

Bartolomeo. Struttura con pannelli isolanti, laminato colore noce scuro all’esterno. Porta con cornice in legno massiccio e vetrocamera.<br />

Raffreddamento statico con controllo termostatico, n° 4 livelli di appoggio a temperature differenziate. Illuminazione e serratura alla porta.<br />

Per informazioni :<br />

Studio Cru<br />

Tel e fax: 0445-850010<br />

E-mail: info@studiocru.it<br />

Numero fax a cui inviare<br />

le schede:<br />

0445-850010<br />

Scadenza del concorso:<br />

28 febbraio <strong>2008</strong><br />

17


18<br />

Che cos’è la FRITTURA?<br />

Pagina a cura di Gianni Lievore<br />

Viene chiamata frittura la cottura per convezione di un<br />

alimento in un grasso portato a temperatura elevata<br />

+160/+ 190°C. Si ottengono prodotti morbidi all’intero<br />

ricoperti da una crosta croccante e dorata. Nel<br />

caso della cottura dI sostanze grasse, l’innalzamento<br />

della temperatura e la presenza di ossigeno, producono<br />

profonde modifiche nella struttura molecolare del<br />

grasso, in relazione al tempo di esposizione al calore,<br />

alla temperatura raggiunta ed alla natura del grasso.<br />

Ogni grasso possiede un proprio specifico livello di<br />

tolleranza alle alte temperature, definito punto di fumo.<br />

La produzione di sostanze tossiche nei grassi soggetti<br />

a calore dipende dal tempo di riscaldamento.<br />

Raccomandazioni per una corretta frittura:<br />

1 • Utilizzare gli oli ed i grassi alimentari più resistenti al calore.<br />

2 • Curare la preparazione degli alimenti da friggere, evitando se possibile<br />

l’aggiunta di spezie o acqua, che accelerano il processo di alterazione di oli e<br />

grassi. Sarebbe bene aggiungere sale e spezie solo dopo la frittura.<br />

3 • Evitare tassativamente che la temperatura di frittura superi i 180º C, in<br />

quanto temperature superiori accelerano il processo di alterazione.<br />

4 • Dopo la frittura, eliminare mediante scolatura l’eccesso di olio assorbito<br />

dall’alimento.<br />

5 • Sostituire frequentemente gli oli; un olio molto usato si riconosce dall’imbrunimento,<br />

dalla viscosità e dalla tendenza a produrre fumo durante la frittura.<br />

6 • Se si decide di continuare ad utilizzare l’olio già usato, filtrarlo e pulire a<br />

fondo la vasca dell’olio; le croste carbonizzate, i residui viscosi ed i resti di un<br />

olio vecchio accelerano il processo di alterazione.<br />

7 • Evitare assolutamente l’aggiunta di olio fresco all’olio usato, perché quello<br />

fresco si altera a contatto con l’usato.<br />

8 • Proteggere oli e grassi dalla luce.<br />

Una valida friggitrice deve avere in dotazione un controllore elettronico di uso<br />

molto semplice che garantisce elevate precisioni nel controllo della temperatura<br />

in vasca ed un riscaldamento iniziale intermittente per fare in modo che i<br />

grassi solidi e l’olio si sciolgano gradualmente, senza subire dannosi surriscaldamenti<br />

localizzati che ne provocherebbero un rapido degrado.<br />

Gentilissima Clientela<br />

A nome di tutto lo staff di<br />

auguriamo un <strong>2008</strong><br />

pieno di successi<br />

e serenità.<br />

Quest’anno, per ringraziarVi<br />

della preferenza che ci avete<br />

accordato, abbiamo pensato di<br />

rendere il Vs. acquisto una<br />

scelta concreta di solidarietà<br />

ed impegno sociale,<br />

offrendo a Voi come Clienti un<br />

ulteriore sconto del 5%<br />

su tutta la merce proposta, e noi<br />

come Azienda ci impegneremo, a<br />

nostra volta, a versare un<br />

ulteriore 5% del valore da Voi<br />

acquistato a favore dell’<br />

Associazione Malattie Rare<br />

Mauro Baschirotto<br />

di Costozza-Vicenza<br />

dando così un prezioso aiuto e<br />

supporto a quanti lottano contro<br />

forme gravi ed invalidanti.<br />

In ogni caso, la nostra azienda<br />

devolverà un ulteriore 1% dei Vs.<br />

acquisti, indipendentemente<br />

dalla Vs. scelta, all’ associazione.<br />

Certi che sarete lieti di condividere<br />

questa iniziativa e nell’augurio<br />

di continuare la nostra<br />

proficua collaborazione nel <strong>2008</strong>,<br />

porgiamo i ns. più cordiali saluti.<br />

Extra Cooking Systems


Fiore d’inverno della terra vicentina:<br />

il Radicchio Rosso di Asigliano Veneto<br />

Specificità locale del territorio di produzione; legame storico del prodotto con<br />

la terra vicentina; rispetto di precisi disciplinari di produzione; rintracciabilità<br />

alimentare e possibilità di ricostruzione dell’intero percorso di coltivazione:<br />

anche il Radicchio Rosso di Asigliano Veneto entra a pieno titolo nel ricco paniere<br />

di prodotti agroalimentari certificati dal Consorzio “Sapori del Palladio”.<br />

Del resto, la vocazione orticola dei campi di Asigliano, della vicina Pojana<br />

Maggiore, di Noventa, di Sossano ed Orgiano ha raggiunto negli ultimi decenni<br />

la sua massima espressione proprio nella coltivazione di questo “fiore<br />

d’inverno” e nel sapiente lavoro di valorizzazione messo in atto dai produttori<br />

di quest’area, ora reso riconoscibile dal marchio collettivo del Consorzio.<br />

La produzione interessa diverse tipologie di radicchio: dalla precoce alla medio-precoce,<br />

fino alla tardiva. E il periodo di raccolta si assesta normalmente<br />

nel periodo compreso tra i mesi di ottobre e febbraio. Dopo la semina estiva,<br />

bisogna infatti attendere il freddo perché la parte centrale dell’ortaggio si racchiuda<br />

in un germoglio di foglie di colore scarlatto, che ricorda un bocciolo di<br />

rosa, e si dia avvio ai processi di “forzatura” e imbianchimento che donano<br />

al Radicchio Rosso di Asigliano quella sua colorazione tipica. Segue la raccolta<br />

dei primi cespi, che vengono poi ammassati in cumulo nei campi, dove<br />

le condizioni di temperatura e umidità favoriscono dopo alcune settimane la<br />

maturazione del radicchio. Solo i cespi migliori e perfettamente sani vengono<br />

quindi ripuliti e subiscono la raschiatura della radice - rigorosamente a mano -<br />

consentendo l’immissione sul mercato di un prodotto di grande qualità.<br />

Dal punto di vista organolettico, il Radicchio Rosso di Asigliano Veneto è<br />

croccante, gradevolmente amarotico, delicato e gustoso. Svariati sono gli<br />

usi in cucina: dalle migliori insalate ai risotti, dai sughi sapidi per paste ai<br />

contorni per le carni rosse. E se l’origine del prodotto è certificata dal Consorzio<br />

“Sapori del Palladio”, la sua storia centenaria è stata recentemente<br />

riportata alla luce dall’ultimo volume pubblicato da Vicenza Qualità all’interno<br />

della collana “Le gustosità vicentine” e intitolato appunto Il Radicchio<br />

Rosso di Asigliano Veneto.<br />

Un’ulteriore testimonianza del valore e della ricchezza del patrimonio agroalimentare<br />

della terra vicentina, di cui il Consorzio “Sapori del Palladio” vuole<br />

farsi custode e interprete privilegiato per tutti i produttori e per i consumatori<br />

di oggi e di domani.<br />

Per maggiori informazioni contattare la Segreteria del Consorzio al numero<br />

0444/189613 oppure consultare il sito www.saporidelpalladio.com<br />

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20<br />

Il Re dell’inverno<br />

Successo per la 18° Festa del Radicchio<br />

Rosso di Agliano Veneto e 5° Rassegna<br />

Provinciale dlle Verdure d’inverno<br />

Un piccolo comune vicentino, Asigliano Veneto, ai confini<br />

con le province di Padova e Verona, vanta un prodotto agricolo<br />

di qualità che si sta affermando nel territorio circostante.<br />

È il Radicchio Rosso, certificato dal Consorzio “Sapori<br />

del Palladio”, che si identifica per quelle caratteristiche previste<br />

dal disciplinare “IGP” del radicchio di Verona. Forma<br />

leggermente allungata, foglie ben serrate all’apice di colore<br />

rosso vivo, nervatura centrale bianca e venature laterali sottili<br />

e ben aperte. Ma le proprietà uniche del terreno unite alla<br />

maestria degli asiglianesi ne hanno fatto un prodotto dalle<br />

caratteristiche e dal sapore inconfondibili. Una coltura d’eccellenza,<br />

quella di Asigliano Veneto, che – con i suoi quaranta<br />

coltivatori per un totale di 100<br />

ettari di radicchio e 10 mila quintali<br />

di prodotto annui – ha festeggiato<br />

la 18° Festa del Radicchio Rosso<br />

e la 5° Rassegna Provinciale delle<br />

Verdure d’Inverno. La manifestazione<br />

ha animato il paese dal 7 al 9<br />

dicembre scorso con degustazioni<br />

di piatti a base di radicchio, mostra<br />

mercato, momenti culturali e musicali,<br />

nonché sportivi con la 17°<br />

Marcia non competitiva attraverso<br />

le coltivazioni di radicchio rosso.<br />

IL RADICCHIO DI ASIGLIANO, UN PRODOTTO DI QUALITA’<br />

Ad aprire la festa, un convegno dal titolo “L’evoluzione del seme del Radicchio<br />

Rosso nel tempo”, a cui sono intervenuti rappresentanti delle istituzioni vicentine<br />

ed esperti del settore con riflessioni sulla coltivazione e sulla valorizzazione<br />

del patrimonio ortofrutticolo locale. “Gli agricoltori di Asigliano – dichiara l’assessore<br />

provinciale all’Agricoltura Luigino Vascon – hanno dimostrato in questi<br />

anni un’incredibile vivacità, si sono rivelati dei veri e propri imprenditori, capaci<br />

di sfruttare le qualità del terreno per dare vita ad un prodotto innovativo, ma allo<br />

stesso tempo hanno avuto l’umiltà e la lungimiranza di affidarsi ai tecnici della<br />

Provincia. Quello che è stato fatto in questa cittadina del Basso Vicentino deve<br />

servire da esempio a tutte le realtà che non hanno ancora capito l’importanza<br />

di specializzarsi, perché non esiste più il prodotto<br />

di nicchia, bensì di qualità, che nel caso specifico del<br />

nostro radicchio viene garantita dalla certificazione del<br />

Consorzio Sapori del Palladio”.<br />

“Uno dei più importanti obiettivi è stato raggiunto –<br />

afferma il presidente della Banca di Credito Cooperativo<br />

Vicentino Giancarlo Bersan – e mi riferisco al fatto<br />

di essere riusciti ad elevare il radicchio asiglianese<br />

da semplice coltura ad una tipicità da esibire. Ora,<br />

però, bisogna insistere sull’aspetto della commercializzazione,<br />

che risulta ancora poco valorizzato, e sulla<br />

messa a punto di progetti “ad hoc”, solo così si potrà<br />

dare il giusto merito allo sforzo fatto con le braccia.


Oltre a questo, è importante individuare una struttura che permetta di riunire<br />

tutti i produttori e di fare forza assieme: l’idea potrebbe essere quella di dar<br />

vita ad una cooperativa”. Due esperti dell’E.N.S.E. di Verona hanno illustrato,<br />

poi, le tecniche di coltivazione del radicchio con particolare attenzione alla<br />

procedura di selezione del seme, da anni praticata dai produttori asiglianesi.<br />

È intervenuta, infine, anche Germaine Barreto, direttore di Vicenza Qualità<br />

che ha presentato l’opuscolo sul radicchio rosso di Asigliano realizzato dalla<br />

Camera di Commercio in collaborazione con il Comune, la Coldiretti di zona,<br />

l’istituto Strampelli di Lonigo. “Questo materiale che contiene ricette e curiosità<br />

sul radicchio – sottolinea la Barreto – viene presentato a tutte le fiere del<br />

settore nel mondo. È sicuramente uno strumento informativo importante che<br />

in quanto tale permette di promuovere e far crescere il prodotto”.<br />

GLI ALTRI MOMENTI DELLA MANIFESTAZIONE<br />

Al termine del convegno, sono stati premiati i primi sei finalisti della mostra-concorso<br />

per il miglior radicchio, che ha visto classificati, a partire dal primo posto,<br />

Lucio Pravato di Asigliano, Eugenio Magaraggia di Asigliano, Valentina Ruzza<br />

di Orgiano, Giuseppe Baraldo di Poiana Maggiore, Gabriele Lovato di Poiana<br />

Maggiore e Carletto Scaggion, sempre di Poiana Maggiore. Inoltre, sono state<br />

proposte degustazioni di piatti a base di radicchio da parte degli agriturismi<br />

della zona. Nelle giornate di sabato 8 e domenica 9 dicembre si è svolta la mostra-mercato<br />

dei prodotti tipici e certificati dal Consorzio “Sapori del Palladio”,<br />

ancora stand gastronomici e laboratori didattici per conoscere i segreti della produzione<br />

del formaggio e del pane e una mostra di animali da fattoria. Da citare<br />

anche l’appuntamento di domenica mattina con la tradizionale marcia podistica<br />

che ha accompagnato i presenti<br />

alla scoperta delle coltivazioni<br />

del territorio circostante. Infine,<br />

novità di quest’anno: la mostra<br />

sulla civiltà contadina dal titolo<br />

“Asigliano e la sua storia rurale”<br />

e l’esposizione di quadri di<br />

natura morta a cura dell’artista<br />

Luigi Rossetto. In concomitanza<br />

con la manifestazione,<br />

Vicenza Qualità ha promosso<br />

anche quest’anno una rassegna<br />

gastronomica in collaborazione con i ristoranti e gli agriturismi del territorio<br />

che, da dicembre 2007 e febbraio <strong>2008</strong>, proporranno ogni giorno nei loro menù<br />

almeno un piatto a base di radicchio rosso e altre verdure d’inverno.<br />

L’ESPERIENZA DEI PRODUTTORI DI ASIGLIANO VENETO<br />

“Noi coltivatori – spiega Eugenio Magaraggia di Asigliano Veneto che da 32 anni<br />

gestisce con passione la sua azienda agricola – abbiamo sempre cercato di produrre<br />

un radicchio di qualità. Un lavoro accurato è stato fatto nella selezione del<br />

seme, in modo da ottenere ogni anno un risultato migliore. Dalla prima edizione<br />

della manifestazione, che è nata da una mia idea ben 18 anni fa quando ero<br />

presidente dei Coldiretti di zona, ne abbiamo fatta di strada: si è creato un gruppo<br />

coeso di produttori che, grazie al costante supporto dei tecnici specializzati<br />

della Provincia, hanno acquisito una loro professionalità ed esperienza. C’è ancora,<br />

però, un aspetto importante su cui bisogna lavorare: riuscire a far arrivare<br />

il radicchio là dove viene consumato. La maggior parte degli asiglianesi, invece,<br />

si limita a portare il prodotto all’asta, dove, purtroppo, finisce per perdere tutta<br />

la sua identità. Per questo ho iniziato, assieme ad un altro produttore del paese,<br />

un’intensa attività di promozione del nostro radicchio, andando personalmente<br />

nei ristoranti ed agriturismi del territorio per presentare e spiegare il prodotto”. Il<br />

signor Gianfranco Rossi dell’omonima azienda, che produce circa 300 quintali<br />

di radicchio all’anno, ha spiegato invece come si esegue la selezione del seme:<br />

una procedura che ha inizio sul campo con la raccolta delle piante più belle, a<br />

cui viene tagliata la radice; questa, poi, viene messa a dimora in un vaso fino al<br />

momento del trapianto effettuato ai primi di marzo. Ne esce una pianta alta anche<br />

un metro e larga 50 cm che fa dei bei fiori celesti, da cui si ottiene il prezioso<br />

germe: dei chicchi a grana fine, che verranno seminati ai primi di luglio.<br />

Alice Franceschi<br />

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22<br />

Il lesso di Galileo Galilei<br />

Le origini del Gran Bollito di Padova sono strettamente<br />

legate alle vicende universitarie.<br />

Memorabili i banchetti del Maestro pisano per i<br />

suoi discepoli<br />

Una raccolta di ricette originarie di una località ben precisa rappresenta<br />

un’impresa non sempre facile ed agevole. Ciò nonostante esistono alcuni<br />

piatti che rappresentano le città che li hanno tenuti a battesimo e da cui<br />

sono partiti per diffondersi nel mondo. È il caso del Gran Bollito per Padova,<br />

la cui tradizione si collega alla storia della celebre Università.<br />

Quando, nel 1493, i docenti di giurisprudenza cercarono una nuova sede<br />

per soddisfare le esigenze di un numero di iscritti sempre più vasto, la trovarono<br />

in un edificio già occupato dal grande e ricco albergo noto sotto<br />

l’insegna del bue “Hospitium bovis”, dal quale sarebbe poi rimasto il nome<br />

popolare di “Bo”. La “patavinitas” in cucina è attraversata da un filo rosso<br />

che collega i più importanti eventi culturali all’arte della tavola.<br />

Esiste un curioso documento, riferito a Galileo Galilei, professore di matematica<br />

all’Università di Padova. È una nota delle spese di carne da lui fatte<br />

presso un macellaio di Abano. Sono quantitativi enormi, consumati fra il<br />

primo dicembre 1604 ed il 29 <strong>gennaio</strong> 1605, che non bastano a spiegare<br />

come un quarantenne, notoriamente di buon appetito e di gusti raffinati sia<br />

in cucina che per la compagnia femminile, consumasse tanto ben di Dio. In<br />

realtà sappiamo che il grande scienziato ospitava nella sua casa padovana,<br />

secondo un’usanza dei professori del tempo, alcuni degli studenti che frequentavano<br />

le sue lezioni e ne era ricompensato con una retta mensile che<br />

integrava il pur lauto stipendio offertogli dalla Repubblica Veneta.


Da quella dimora, in Contrà dei Vignali, dove c’erano anche un grande orto e vigne curate personalmente,<br />

Galileo scoperse i quattro satelliti di Giove, ma soprattutto dispensò la sua amicizia e la sua<br />

generosità di autentico maestro.<br />

Tra i suoi discepoli vi erano scolari d’alto rango, come Gonzaga, Morosini, Duodo, e molti stranieri, Polacchi,<br />

Tedeschi, Inglesi e Francesi, che frequentavano la pensione Galilei attratti dalla qualità delle vivande<br />

e dei vini. Esiste infatti anche un conto per forniture di vino rosso e bianco, ritrovato dallo storico Favaro.<br />

Uno dei piatti preferiti per la stagione invernale doveva essere “carne di bue lessa della coscia”, quelle 260<br />

libbre di carne di manzo, unito a “galline lesse”, “testa di vitello” e “lingua salata” ovvero salmistrata.<br />

Il repertorio gastronomico coevo all’età galileiana è quello di Mattia Giegher, Bavaro di Morburgo,Trinciante<br />

dell’Illustrissima Natione Alemanna in Padova, la popolosa comunità tedesca presente in città.<br />

Ne “Li tre Trattati” si testimonia la tradizione dei “bolliti” padovani che tanto mancarono a Galileo una<br />

volta ritornato nella sua Toscana dove egli rimpianse “quella libertà e monarchia di se stesso” goduta<br />

con i piaceri della tavola in quella Padova che lo ospitò per “li diciotto migliori anni di tutta la vita”.<br />

Varianti locali del lesso<br />

Sicuramente anche nelle nobili province di Vicenza, Treviso e Verona questo piatto venne riproposto<br />

con salse varie che cambiavano di zona in zona. Così se la salsa verde accomuna tutti, la spolverata di<br />

sale grosso è tipica vicentina ed il cren è Padovano e Trevigiano. Verona presenta la sua pearà e Treviso<br />

accosta all’oca lessa anche il sedano crudo. Spetta quindi un plauso ai Ristoratori Padovani, ma anche<br />

di molti altri Veneti per aver riproposto il Gran Bollito con tutti gli ingredienti: la gallina, il manzo, la lingua<br />

salmistrata, la testina, il musetto, ai quali si aggiungono quelli stagionali dell’anatra o dell’oca o della<br />

faraona, che deliziarono e ancora deliziano i palati più raffinati.<br />

Romolo Cacciatori Galileo Galilei<br />

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24<br />

La cincionela con la rava<br />

Prodotto tipico della Valle del Chiampo, si prepara amalgamando carne di maiale<br />

e rape bollite. Piatto dimenticato, ma non da tutti<br />

La caratteristica della cucina italiana è la sua enorme varietà. Ogni regione o paese, e spesso anche singole<br />

vallate e contrade, hanno una loro tradizione gastronomica. Così, la Valle del Chiampo, può vantare la sua<br />

cincionèla con la ràva.<br />

Trattasi di una salsiccia, nelle quale all’impasto del macinato di carne di maiale viene amalgamato dal 30 al<br />

50% di rape bollite, passate anch’esse al tritacarne finché sono ancora calde, quindi spolverate di sale. I<br />

componenti di carne e verdura vanno amalgamati freddi, con cura ma abbastanza velocemente.<br />

Visto l’esito organolettico a dir poco interessante di questo insaccato suino, reso più leggero e fresco<br />

dall’immissione vegetale, non può che definirsi una geniale invenzione culinaria.<br />

Nasce in realtà in un contesto di profonda povertà rurale e trova il suo senso nell’economia domestica dei<br />

lunghi e monotoni mesi degli inverni di un tempo. Tant’è che la cincionèla con la ràva deve essere vista come<br />

un prodotto della cultura contadina dell’Agno-Chiampo, di cui nulla è riportato in ricettari o trattati, ma la<br />

cui tradizione è tramandata oralmente. Si può ben dire che siamo in presenza del frutto di un sapere e di un<br />

saper fare di pochissimi, che viene tramandato con passione.<br />

Queste salsicce, preparate nell’arco dei mesi che vanno da ottobre ad aprile, devono asciugarsi dopo la<br />

spongiatura per 4-5 giorni in ambiente fresco ma non freddo, fra i 12° e i 15°centigradi.<br />

Oggi noi le possiamo conservare in frigorifero per un massimo di 10 giorni (l’aspetto delle salsicce rimane<br />

per tale periodo gradevole e turgido); per tempi oltre il mese, in freezer o sotto vuoto, appena asciugate. Un<br />

tempo, era solo la cantina (se non la stanza da letto), e le salsicce andavano consumate quanto prima.<br />

Raro che le si mettessero sotto lardo sciolto in pignatto (pentola); servizio che si riservava di solito ai più<br />

grossi saladi storti, che riemergevano così freschissimi dall’ònto (unto) nei mesi estivi.<br />

Quale rapa?<br />

Ma “quale” rapa? Perchè tante ce sono. Si tratta del cavolo Navone (Brassica napus L. var. napobrassica<br />

L. Reichenb.) la cosiddetta Rutabaga, a pasta gialla e colletto rosso o verde, i naòni, che venivano di solito<br />

impiegati per l’alimentazione animale (ve n’è anche a pasta bianca e colletto verde, ma sono più amaro-


tiche): una crocifera molto nutriente la cui radice può ingrossarsi fino ai 3-4 kg,<br />

con forma dal cono alla trottola. Questi ràpani venivano anche consumati crudi,<br />

tagliati a fettine molto sottili con la piòna (pialla) o grattugiati con la grattacasòla<br />

(grattugia); dopo di che si spremevano con le mani per eliminare l’acqua e,<br />

almeno un’ora prima di essere consumati, si condivano con olio, aceto, sale e<br />

pepe. Si consigliavano anche ai malati di reni e ai bambini con la tosse o l’asma,<br />

ma in grado di sostenere il loro sapore forte e di digerirle. Altra cosa erano poi i<br />

cavoli rapa, i cosiddetti parsùti (Brassica oleracea L. var. Gongylodes L.), immediatamente<br />

riconoscibile per la disposizione delle foglie lungo una spirale nella<br />

parte superiore del bulbo sferico: si facevano ròsti in tècia (arrostiti in tegame),<br />

tagliati a fettine molto sottili, con lardo battuto e cipolla, sale e pepe; oppure<br />

lessati, e conditi con olio, aceto, sale e pepe dopo averli tagliati a fette.<br />

Nulla a che vedere con le piccole e delicate rape da orto (Brassica rapa L. var.<br />

rapa Hart.), ad esempio quelle bianche allungate (rape di Nantes) o quelle bianche<br />

dal colletto rosso, di forma schiacciata (rapa Milano). I cui spicchi lessi spadellati<br />

con il cuore del ciuffo fogliare intenerito dal freddo (ravisse) costituiscono<br />

un’altra prelibatezza della VaI del Chiampo.<br />

Le rape bianche Milano venivano anche affettate ed essiccate, e dopo averle<br />

messe in acqua per una nottata venivano insaporite in un soffritto e ricoperti di<br />

latte a pipàre (bollire) per 4-5 ore: sono le culàte del Valdagnese. Le barbabietole<br />

rosse, erberàve rosse (Beta vulgaris L var. esculenta L.), poi, solo in apparenza<br />

sono parenti delle rape (appartengono alla famiglia delle Chenopodiacee).<br />

Luciano Rizzi<br />

Chi ha l’orto<br />

ha mezzo porco<br />

L’inserimento di ingredienti vegetali nei prodotti del màs-cio (maiale) oggi è misconosciuto,<br />

ma un tempo diffuso più di quanto si possa immaginare. Si trattava di insaccati<br />

molto rustici, a base di càrne de tèsta; sanguinolenta, e di sangue puro, che<br />

le dòne de casa (donne di casa) raccoglievano prontamente con la ramina (vaso di<br />

rame), rompendolo perché non formasse grumi, e poi cuocevano senza farlo bollire<br />

per non farlo diventare spugnoso: ecco perciò, nelle zone di tradizione viticola di<br />

passitura, le sanguinacce con l’ùa passa, i filonèi, versione dolce delle morète, che<br />

si consumavano la mattina seguente l’uccisione del màs-cio per colazione; oppure i<br />

baldòni, dove si insaccavano il sangue cotto, la zucca, fagioli, patate ed anche riso.<br />

Insaccati che - unici - non andavano bucati per non andare a male e che venivano<br />

consumati assolutamente per primi fra i prodotti della stanga.<br />

L’unione tra maiale e prodotti vegetali è sancita anche dal famoso proverbio “chi gà<br />

l’òrto gà mèzo pòrco” (chi ha l’orto ha mezzo porco); maiale ed orto garantivano il<br />

companatico per tutto l’anno, specie quando per cenare bastavano un zeolòto crùo<br />

(cipollotto crudo) accompagnato da una terrina di salàta (insalata) o un capòn co na<br />

gamba sòla (una verza).<br />

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26<br />

Né carne né pesce<br />

Una nuova tecnica permette di arricchire la carne di vitello di omega-3. Il palato e la salute ringraziano<br />

Da sinistra: Giuseppe Merlo responsabile commerciale<br />

Santo Stefano, lo Chef Morgan Pasqual e<br />

Bortolo Bertuzzo di Santo Stefano<br />

In questi ultimi anni i consumatori<br />

hanno iniziato a comprendere<br />

la relazione molto<br />

stretta che c’è tra qualità<br />

della dieta e salute. Questa<br />

presa di coscienza sembra<br />

avere un ruolo importante<br />

nell’indirizzare i consumi alimentari<br />

verso prodotti che<br />

possano giocare un ruolo<br />

importante nel mantenimento della salute e nella prevenzione<br />

delle malattie. Il nuovo atteggiamento del consumatore ha stimolato<br />

l’avvio di numerose ricerche atte ad individuare i sistemi<br />

per migliorare in modo naturale la qualità dei prodotti. Tra<br />

queste ritroviamo lo studio di tecniche per arricchire, in modo<br />

naturale, i prodotti di origine animale in omega-3; si tratta per lo<br />

più di cibi “funzionali”, prodotti che si posizionano al confine tra<br />

l’alimento e il farmaco, ma non è sempre così.<br />

Al ristorante 5 Sensi di Malo l’Azienda Rigon Angelo ed il salumificio<br />

Santo Stefano di Sandrigo hanno presentato una carne<br />

di vitello che contiene una quantità di omega-3 di 3-4 volte superiore<br />

alla norma. A tali risultati si giunge integrando la dieta dell’animale con<br />

l’inserimento di farine a base di semi di lino nella razione alimentare. I semi di<br />

lino hanno un tenore in olio compreso tra il 30 e il 40% e sono la principale<br />

fonte vegetale di acidi grassi polinsaturi, con un contenuto in omega-3 simile<br />

a quello che ritroviamo nell’olio di pesce.<br />

Dopo anni di studi, sulla scia di esperienze d’oltralpe e in collaborazione con<br />

la multinazionale francese di alimenti per l’allattamento di animali Sofivo, si<br />

è giunti ad un prodotto qualitativamente superiore. Gli omega-3, infatti, non<br />

giovano solamente alla salute del consumatore, ma anche a quella dell’animale<br />

stesso, che presenterà una carne più morbida, tenera e gustosa, di<br />

colore rosa pallido, con il grasso ben segnato, sodo e bianco.<br />

La cena<br />

Questo quanto è emerso durante gli atti messi in scena da Morgan Pasqual<br />

e dalla sua brigata. Durante il primo atto, “nudo e crudo”, è stato possibile<br />

assaporare il prodotto “al naturale”: si sono susseguiti la fesa fine ed i lombelli<br />

battuti a coltello, la costata appena scottata, le cervella dorate nella farina di<br />

mais ed il fegato. Nel secondo atto il petto si è “fatto in tre”,<br />

ed uno dopo l’altro sono comparsi il tasto bollito ed il broccolo<br />

fiolaro, cotto lentamente per 11 ore in sottovuoto con le<br />

sue patate, “il ragù in polenta”, per concludere con il saporito<br />

ganascino cotto nel brodo delle ossa del petto, con radici e<br />

fasoi di Malo. Il “verdetto” è giunto con la composizione di una<br />

crema gelata alla cannella, nidi d’angelo alla pera e ristretto al<br />

vino rosso e spezie, che ha concluso con dolcezza un’interessante<br />

e salutare tavola rotonda.<br />

Cosa sono gli omega-3?<br />

Tecnicamente gli omega-3 sono acidi grassi polinsaturi, grassi essenziali indispensabili<br />

che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare. Gli omega-3<br />

si trovano in abbondanti quantità nei pesci, nel lino, nelle noci e nei legumi.<br />

Fondamentale è seguire un’alimentazione contraddistinta da un appropriato<br />

equilibrio tra omega-3 e omega-6 (un altro acido grasso essenziale), in quanto<br />

queste due famiglie di molecole cooperano insieme nel promuovere la salute,<br />

svolgendo un ruolo cruciale per la funzionalità cerebrale e riducendo i rischi<br />

cardiovascolari e l’artrite.<br />

Paolo Gasparin


Cruda,<br />

lessa o alla brace?<br />

L’importante è che la carne sia di qualità.<br />

Val Leogra<br />

Lo ha dimostrato un interessante confronto organizzato da Slow Food Val Leogra<br />

“I piaceri della carne”: questo il titolo della serata di degustazione che Roberto<br />

Agosti, fiduciario della condotta Slow Food Val Leogra, ha organizzato presso il<br />

ristorante “da Beppino” a Schio, lo scorso primo dicembre.<br />

L’incontro non solo si è dimostrato un interessante confronto di alcuni tagli di<br />

carne bovina, cruda, lessa e cotta alla brace, ma si è rivelata una straordinaria<br />

cena. La degustazione delle portate, sapientemente preparate dal bravo Claudio<br />

Ballardin, ha introdotto tutti i commensali in un interessante confronto e<br />

conoscenza di tre diverse razze bovine: una sorana di razza Valdostana (italiana)<br />

allevata e macellata in<br />

Italia, una Charolaise allevata<br />

in Francia e macellata in<br />

Italia e una razza allevata e<br />

macellata in Germania.<br />

La cena è iniziata con l’assaggio<br />

della carne cruda: un<br />

carpaccio di roastbeef che<br />

ci ha permesso di valutare<br />

le varie differenze di consistenza,<br />

di grana della carne,<br />

di colore e la percentuale di<br />

grasso e la sua diffusione.<br />

Il Risotto con le Secole,<br />

portata servita come primo<br />

piatto, ha incuriosito i pre-<br />

Roberto Agosti Fiduciario Slow Food Val Leogra<br />

e lo Chef Claudio Ballardin<br />

senti. Graziano Cardin di Arquà Petrarca, allevatore di bovini di qualità ed in<br />

particolare della Valdostana, ha così spiegato: “Si tratta di un termine in dialetto<br />

veneziano, usato per indicare quei pezzettini di carne che rimangono attaccati<br />

all’osso quando si taglia un animale. Essendo carne che non fa movimento è<br />

più grassa e si scioglie in bocca”.<br />

La carne lessata, sempre col costante confronto delle tre razze bovine, ha consentito<br />

un altro piacevole momento di degustazione. Durante la serata, il signor<br />

Cardin ci ha illustrato i suoi prodotti e il suo lavoro. “Innanzitutto anticipo che<br />

l’animale allevato con un’alimentazione sbagliata non può sicuramente essere<br />

di qualità. L’alimentazione deve essere vegetale e non forzata con alimenti super<br />

energetici; l’animale non deve essere stressato in ambienti ristretti e deve<br />

vivere una vita normale, in spazi areati o all’aperto. La carne da taglio più buona<br />

è quella delle femmine. Ricordate poi - ha continuato - che, quando si va dal<br />

macellaio, è giusto acquistare non solo i tagli più conosciuti ed è necessario<br />

farsi spiegare anche la preparazione e la cottura”.<br />

Con la successiva tagliata cotta sulle braci, Claudio Ballardin, da grande conoscitore<br />

della carne, ha voluto presentare le portate, confermando quando detto<br />

da Cardin, e cioè che la carne da pascolo è più tenera. “La scelta della carne<br />

è importante se si vuole mangiare bene - ha esordito Ballardin - bisognerebbe<br />

osservare le venature di grasso, che non devono essere troppo marcate. Se la<br />

grana della carne poi non è grossa, significa che è tenera. In cottura, va salata<br />

immediatamente prima di metterla sul fuoco, mentre la frollatura va fatta a bassa<br />

temperatura con un po’ di ventilazione”.<br />

Elena Rancan<br />

27


28<br />

abconsiderazioni<br />

di Amedeo Sandri<br />

Anno nuovo, vita vecchia<br />

Comincia un nuovo anno, anche per i ristoratori.<br />

Tra soddisfazioni e (tante) difficoltà<br />

Tutti a festeggiare il nuovo anno. <strong>2008</strong>, anno pari, pieno di speranze e di buone intenzioni, con il<br />

“grande padre” della repubblica (casa pubblica) che parla da seduto al suo “gregge” cercando di non<br />

offendere nessuno.<br />

I ragazzi, e non solo, si sono divertiti fino all’alba, e il primo giorno dell’anno nuovo lo trascorrono per<br />

buona parte sotto le coperte, altri, meno propensi al divertimento, vanno a Messa e fanno il giro dei<br />

parenti augurando loro: “buon principio”. E i ristoranti? Tutti, o quasi, aperti l’ultimo dell’anno, quasi<br />

tutti chiusi il primo dell’anno, almeno a mezzogiorno.<br />

E le persone, perlopiù anziane, che l’ultimo dell’anno vanno a letto alla solita ora, dove possono andare<br />

a mangiare a mezzogiorno del primo? Bella domanda! Per la verità ci sono ristoranti sensibili aperti il<br />

primo <strong>gennaio</strong>, ma sono pochi: solo quelli più attenti al sociale, che usano la testa e il cuore. Minestra<br />

di riso, tagliatelle e fegatini in brodo e poi bollito col cren, verdura cotta e purè di patate, quindi, uno<br />

strappo alla regola: una fettina di pinza dolce, magari calda, cosparsa con una “nevicata” di zucchero a<br />

velo. Niente a che fare con le linguine all’astice, i medaglioni di filetto alla Rossini e le crêpes flambées<br />

all’Armagnac di qualche ora prima.<br />

C’è anche chi è abituato diversamente, chi vuole mangiare cose buone e tradizionali, senza interpretazioni<br />

ed elaborazioni, chi non si può permettere di spendere più di tanto, ma che però, per augurarsi<br />

“buon principio”, amerebbe consumare un pasto al ristorante almeno il primo giorno dell’anno. Niente<br />

a che fare con la solidarietà, con il “buonismo” delle feste, semplicemente una forma di “buon senso”.<br />

Parole d’altri tempi, così come “economia domestica”, “rispetto per gli anziani” e così via. Quando si<br />

toccano questi argomenti si rischia di essere derisi e comunque classificati come “persone di un’altra<br />

epoca” e quindi da non considerare.


L’educazione e le buone maniere sono in via di estinzione, la voglia<br />

di lavorare anche e così pure l’assunzione di responsabilità.<br />

È risaputo che ci si sposa sempre più tardi, che si comincia a<br />

parlare di figli e famiglia dopo i trent’anni e che le coppie tendono<br />

a sciogliersi come neve al sole alla prima difficoltà. Ma va tutto<br />

bene: facciamo festa, divertiamoci e soprattutto, non facciamoci<br />

delle domande per non correre il rischio di non saperci dare<br />

delle risposte. Il lavoro del cuoco, del cameriere, del lavapiatti<br />

è un’occupazione troppo invadente, troppe ore, troppo poco<br />

tempo libero, troppi giorni di festa occupati, troppe occasioni di<br />

divertimento perdute. Lasciamolo fare agli extracomunitari che<br />

hanno bisogno e non si lamentano anche se prendono poco e<br />

pazienza se praticano altre religioni, perché tanto con un pezzo di pane e formaggio, una zuppa e un’insalata si<br />

possono combinare.<br />

Tutti i giorni o quasi mi chiamano gestori e proprietari di locali pubblici chiedendomi nominativi di cuochi e camerieri<br />

con un po’ di esperienza da inserire nell’attività e quasi sempre non so trovare una soluzione al loro problema.<br />

Poi ci sono i “solisti”, coloro che creano i piatti e la “linea” di cucina a loro immagine e somiglianza, magari lamentandosi<br />

periodicamente perché la clientela è poca e il locale non decolla. Tutto deve essere fatto dalle loro mani<br />

perché un qualsivoglia intervento altrui risulterebbe “inquinante”. D’altro avviso sono coloro che in un ristante non<br />

ci sono mai o quasi mai, presi come sono dai viaggi, dalle manifestazioni, dalle amicizie mondane, dal marketing<br />

e così via. Infine ecco quelli che invece ci sono sempre, che lavorano in famiglia, che hanno la moglie in sala o<br />

in cucina, la suocera che prepara torte e pasta fatta in casa, il suocero che fa le commissioni e va al mercato, il<br />

fratello o la sorella che, finite le otto ore in fabbrica, il sabato e la domenica danno una mano dove serve senza<br />

mai guardare l’orologio e fare domande.<br />

Un grande mondo dentro la medesima attività, situazioni del tutto diverse che “confluiscono” nel piatto del commensale<br />

per cercare di dargli felicità. Ognuna di queste persone agisce con la convinzione di essere nel giusto,<br />

salvo andare letteralmente “in panico” quando alle 11 e 30, con il personale seduto a mangiare, arrivano la finanza,<br />

i NAS, l’ispettorato del lavoro, l’ufficio igiene, la polizia provinciale e quella forestale che controlla lo spiedo. Questo<br />

è il nostro lavoro, un’autentica passione, che può finire da un momento all’altro per la più banale delle cause.<br />

Desidero augurare a tutti quelli che fanno questo mestiere meraviglioso e dannato di trovare un po’ di tranquillità,<br />

un po’ di tempo da dedicare a loro stessi e alle loro persone care. E se questo dovesse significare un piccolo<br />

spicchio di guadagno mancato, ben venga: la salute e la serenità non hanno prezzo!<br />

BUON ANNO A TUTTI<br />

Anno nuovo, vita vecchia<br />

Amedeo Sandri<br />

29


30<br />

FINALMENTE ANCHE IN ITALIA UNA GUIDA CHE PORTA VANTAGGI DIRETTI A TUTTI I SUOI SOCI<br />

Una guida affidabile, condotta da comuni appassionati di gastronomia e basata<br />

sulle prove di centinaia di lettori. Un network innovativo che permette ai<br />

suoi membri di provare una selezione tra i migliori ristornati della provincia<br />

di Vicenza lasciando i propri commenti sul sito www.chepassione.eu. Tutto<br />

questo è “Ristoranti che passione”. Ma non solo, andando con un amico o in<br />

coppia, si potranno ricevere eccezionali promozioni sui piatti gustati nei giorni<br />

indicati da ogni locale.<br />

Ogni gestore ha scelto una delle due formule possibili per offrire ai lettori della<br />

guida - nei giorni della settimana selezionati - una eccezionale promozione tra<br />

tutti i piatti del menù, nessuno escluso. È possibile visionare una descrizione<br />

LE DUE PROMOZIONI DI RISTORANTI CHE PASSIONE<br />

PROMOZIONE 50% su di un conto di due persone. Tu ed il tuo ospite avrete il 50% di sconto sul totale, senza<br />

considerare il servizio e la bevande, che saranno tutte a prezzo pieno (acqua, vino, caffè, liquori, bibite, birra,<br />

sorbetti, eccetera).<br />

PORTATE 2 X 1 su di un conto di due persone. Avrai stornato dal conto un “primo” piatto e un “secondo”<br />

piatto se avrete ordinato almeno due piatti di simile entità. Ovvero ordinando due “primi piatti” quello più<br />

economico vi verrà tolto. Ordinando due secondi piatti, un altro piatto sarà gratuito. Verrà stornato sempre<br />

il piatto più economico della stessa portata. Tutti i piatti extra quali antipasti, bis, contorni e dolci, saranno a<br />

prezzo pieno nel conto. Il servizio e la bevande saranno tutte a prezzo pieno (acqua, vino, caffè, liquori, bibite,<br />

birra, sorbetti, eccetera).<br />

RISTORANTI CHE PASSIONE: il network che premia la passione e ti permette di tagliare il conto.<br />

dettagliata di ogni ristorante nella pagina dedicata sulla guida o nel sito www.<br />

chepassione.eu. La varietà della proposta permette di trovare il locale giusto<br />

per ogni serata ed ogni esigenza scegliendo tra le sessanta proposte della prima<br />

edizione <strong>2008</strong>. Acquistando la guida infatti - fino al 14 febbraio <strong>2008</strong> venduta<br />

a prezzo promozionale - si riceverà direttamente a casa una Membership<br />

Card nominale, personalizzata, della validità dodici mesi, che dovrà essere<br />

esibita al ristoratore ad ogni visita.<br />

La promozione consentirà ai titolari della Card di provare nuovi ristoranti che,<br />

se ritenuti soddisfacenti, potranno essere consigliare agli amici, instaurando<br />

così un “passaparola”, autentico volano dell’economia.


Breganze<br />

bevi<br />

pagina curata da:<br />

Breganze D.O.C. Torcolato<br />

È la gemma, il fiore all’occhiello della tradizione vitivinicola breganzese.<br />

Celebrato fin dal seicento da letterati, storici ed appassionati di enogastronomia, è un vino che è sintesi<br />

di modernità e tradizione, che ha saputo conquistare un’importante nicchia di mercato nazionale ed internazionale,<br />

donando lustro e prestigio alla Denominazione d’Origine Controllata “Breganze”.<br />

Nasce dalla torchiatura di grappoli scelti di uva Vespaiola, la varietà autoctona coltivata solo nel breganzese:<br />

per quattro mesi, in inverno, i grappoli più sani e spargoli vengono lasciati appassire attorcigliati<br />

(“torcolati”, nel dialetto locale) ad una corda, appesi a travi di legno nelle soffitte ben aerate delle case<br />

coloniche. Durante questo periodo gli acini perdono gran parte dell’acqua contenuta, favorendo un elevata<br />

concentrazione degli zuccheri. Dopo un lenta fermentazione il vino soggiorna in piccole botticelle<br />

anche per più due anni e, comunque, non può essere immesso al consumo prima del 31 dicembre<br />

dell’anno successivo alla vendemmia.<br />

Il Torcolato si presenta con un tipico colore giallo oro, brillante e cristallino, ricco di profumi che ricordano<br />

miele, fiori, vaniglia ed uva passa. Presenta un sapore “dolce-non dolce”, pieno, ricco e complesso, lungo<br />

alla persistenza ed ottimo alla stoffa. È un vino da meditazione, ottimo anche da solo, ma eccellente<br />

a fine pasto con dolci secchi; dà il massimo sui formaggi erborinati e piatti a base di fegato d’oca.<br />

Dal 1996 viene celebrata la “Prima” pigiatura pubblica delle uve “comunitarie”, conferite dagli undici<br />

soci produttori del Torcolato.<br />

L’appuntamento per quest’anno è fissato per domenica 20 <strong>gennaio</strong>, con un ricco programma di iniziative<br />

legate alla tradizione enogastronomica locale.<br />

Vi attendiamo numerosi…<br />

Cantine produttrici<br />

di Torcolato<br />

• Maculan S. S.<br />

(Breganze)<br />

• Cantina Beato Bartolomeo<br />

(Breganze)<br />

• Az. Agr. Miotti<br />

(Breganze)<br />

• Az. Agr. Cà Biasi<br />

(Breganze)<br />

• Gastaldìa Srl Soc. Agr.<br />

(Sarcedo)<br />

• Az. Agr. Bastia<br />

(Montecchio Precalcino)<br />

• Az. Agr. Bonollo<br />

(Fara Vicentino)<br />

• Az. Agr. Villa Magna<br />

(Sandrigo)<br />

• Az. Agr. Vitacchio<br />

(Breganze)<br />

• Vignaioli Contrà Soarda<br />

(Bassano del Grappa)<br />

• Soc. Agr. Vit. Col Dovigo<br />

(Breganze)<br />

31


32<br />

Prima del Torcolato,<br />

Breganze farà “tredici”!<br />

Torna l’appuntamento con la spremitura in piazza: domenica<br />

20 <strong>gennaio</strong> i primi grappoli passiti di uva vespaiola della<br />

stagione verranno torchiati con una cerimonia pubblica<br />

La “Prima del Torcolato” che si svolge a Breganze la terza domenica di <strong>gennaio</strong><br />

vanta la “primogenitura” tra le feste vinarie italiane di popolo e di piazza. In<br />

questo paese della Pedemontana vicentina e nelle zone circostanti, il terreno<br />

alluvionale ed il particolare microclima hanno favorito da sempre la coltivazione<br />

della vite. Il festeggiato è il vino dolce della zona, il Torcolato, in occasione<br />

dell’inizio dell’estrazione del mosto dall’uva appassita: grappoli scelti della vendemmia<br />

2007, rimasti per quattro mesi ad asciugare nei fruttai, sotto i solai delle<br />

cantine e nelle case, a fine <strong>gennaio</strong> iniziano ad essere spremuti con il torchio. Il<br />

certosino ciclo lavorativo del Torcolato richiederà quindi altri diciotto mesi, dopo<br />

la spremitura soffice cui sono sottoposte le uve quasi completamente disidratate,<br />

prima di dare un vino che possa essere degustato con l’appellativo di “Torcolato”.<br />

Dall’anno dell’iscrizione del Torcolato tra le specialità a Denominazione<br />

di Origine Controllata di Breganze, la “Prima”, datata 1995, è divenuta una<br />

festa pubblica in suo onore. Quest’anno l’appuntamento si rinnova domenica<br />

20 <strong>gennaio</strong>, sempre nel centro di Breganze, in piazza Mazzini. Durante questa<br />

festa, tutti i produttori portano le proprie uve e le uniscono nello stesso torchio<br />

per spremere il mosto del “Torcolato di Prima”, che sarà pertanto un vino assolutamente<br />

unico. Se ne produce talmente poco, soprattutto dopo l’assaggio<br />

del mosto cavato che ogni anno si consuma in piazza a sazietà del pubblico<br />

presente, che delle poche bottiglie, viene fatto dono dopo due anni alle autorità<br />

presenti alla festa. Quest’anno, oltre al tradizionale mercatino dei prodotti tipici<br />

della Pedemontana, si terrà anche un’asta pubblica di beneficenza di alcune<br />

bottiglie del “Torcolato di Prima” Vendemmia 2005.<br />

Il torchio utilizzato per la “Prima” è un pezzo d’epoca, a leve. Costruito negli<br />

anni Trenta ed utilizzato da una parrocchia di Breganze fino agli anni Cinquanta,<br />

venne acquistato ad un’asta di beneficenza ed utilizzato per qualche anno dal<br />

nonno di un socio della Strada del Torcolato. Caduto in disuso, dopo di allora è<br />

sempre rimasto in casa, tra le cose vecchie perfettamente efficienti di cui, nelle<br />

campagne, non ci si disfa mai tanto facilmente. È dotato di un riduttore, che<br />

permette alla forza delle braccia<br />

di due uomini, necessaria per<br />

azionarlo, di spremerne il contenuto<br />

a due velocità, a seconda<br />

della lavorazione richiesta. Caratteristica<br />

inconfondibile è il suo<br />

tintinnio, un tempo familiare in tutte le contrade di questa zona, prodotto dai<br />

cunei metallici che trasmettono il movimento alla vite centrale, quando azionati<br />

in un verso, mentre girando nell’altro si muovono liberi, scivolando sopra una<br />

ruota dentata, meccanismo assai simile agli scappamenti d’orologeria.<br />

Completamente ripristinato ed adeguato alle norme sanitarie nelle parti che<br />

raccolgono il liquido, che sono state rivestite di resina idonea al contatto con gli<br />

alimenti, il torchio della “Prima” reca ancora quasi tutte le assi originali.<br />

Non un semplice “passito”<br />

Al Torcolato, l’aggettivo “passito” va forse un po’ stretto. Sicuramente gli può<br />

essere rivolto con una puntualizzazione: la maderizzazione, caratteristica preponderante<br />

di molti grandi vini passiti, italiani e non solo, nella produzione di<br />

questo vino è mantenuta sotto strettissimo controllo. Ciò che i produttori di Torcolato<br />

ottengono in questo modo, è un vino che in degustazione risulta memorabile<br />

non per il sapore di vecchio, che, come detto, è trascurabile o assente,<br />

ma per il suo colore giallo dorato, il suo profumo intenso di miele di acacia e fiori<br />

bianchi, il sentore in bocca di frutta, di fichi e di albicocche secchi, di datteri e<br />

nocciole, con leggere note di agrumi, come di scorze di mandarino.<br />

Un accenno speziato può essergli impartito dall’affinamento in legni nobili, a<br />

discrezione del produttore. Ciò che si ottiene è quindi un vino che chi lo produce<br />

ama descrivere come “dolce-non-dolce”, in cui la straordinaria dolcezza è<br />

contemperata da una buona acidità, che gli deriva dall’uva Vespaiola, da cui ha


origine. A questo capolavoro della tradizione vitivinicola del Vicentino, il perfezionamento<br />

donatogli dalla moderna enologia e la Denominazione di Origine<br />

Controllata, hanno conferito quel quid stilistico e sensoriale che oggi ne<br />

fa un vino molto ricercato ed apprezzato nel mondo, dalle Americhe all’Asia<br />

all’Australia, oltre naturalmente che in tutta l’Europa. Per tutte queste ragioni,<br />

e per molte altre ancora, che qui sarebbe impossibile descrivere con compiutezza,<br />

il Torcolato è pietra angolare della sempre più ampia area circoscritta<br />

dai migliori vini da meditazione e non è certamente assimilabile ad alcun altro<br />

“passito”.<br />

Lino Dainese Ambasciatore del Torcolato nel mondo<br />

La Fraglia del Torcolato premia Lino Dainese.<br />

Dopo lunghe consultazioni la Magnifica<br />

Fraglia del Torcolato ha decretato il<br />

suo volere: è il vicentino Lino Dainese,<br />

presidente e fondatore della Dainese<br />

Spa, indiscusso leader mondiale delle<br />

protezioni sportive, il nuovo Ambasciatore<br />

del Torcolato nel mondo.<br />

Da sempre attento al design come<br />

sviluppo dell’arte, questo poliedrico<br />

vicentino è in contatto con il Breganzese<br />

fin dalle origini della sua attività: “I frutti di questo territorio li conosco<br />

bene, ci sono cresciuto in mezzo e sono felice di poterli rappresentare. In quel<br />

di Molvena avevo scovato degli artigiani abilissimi nelle cuciture delle pelli, impegno<br />

e passione che contraddistinguono tutte le genti di questa terra. Negli<br />

anni ho visto sagomarsi le colline del breganzese di nuovi vigneti, traslando<br />

dalla quantità alla quantità”. Ma il vero punto di forza è il brand “la qualità<br />

del prodotto è importante ma non basta - sottolinea Dainese - qualunque sia<br />

il prodotto, nell’abbigliamento sportivo così come nel vino, bisogna riuscire<br />

a differenziarsi divenendo riconoscibili, basti vedere come il mio diavoletto<br />

stilizzato rappresenti nel mondo un prodotto d’eccellenza”. Così, dopo l’investitura,<br />

al manager che ha inventato l’airbag per i motociclistisi è stata donata<br />

una cassetta contenente una bottiglia per ogni produttore di Torcolato, che,<br />

come ha sottolineato Fausto Maculan, presidente della Strada del Torcolato e<br />

dei vini di Breganze, lo accompagnerà nella sua nuova funzione diplomatica.<br />

Oscar Santo Nastaso<br />

Fausto Maculan e Lino Dainese.


34<br />

Que viva Mexico!<br />

Viaggio enogastonomico fra il Messico e Vicenza.<br />

Con punti in comune inaspettati<br />

Esiste un denominatore comune fra la gastronomia messicana e quella italiana? O meglio: quanto la<br />

cucina italiana e, più in particolare, quella vicentina deve alla cucina messicana? Quanti e quali ingredienti<br />

della cucina messicana sono entrati nella gastronomia di casa nostra?<br />

La cucina messicana è famosa per i suoi gusti intensi e vari, per le variopinte presentazioni dei piatti,<br />

favorite dalla disponibilità di materie prime dai colori (e sapori) molto decisi, e per la grande varietà di<br />

spezie. La gastronomia messicana, se si guarda ai sapori e agli ingredienti, è una delle più ricche e<br />

varie del mondo, non solo in termini di biodiversità degli ingredienti utilizzati, ma anche in contenuto<br />

di proteine, vitamine e minerali.<br />

La cucina vicentina, viceversa è connotata principalmente dalla sua povertà, sia degli ingredienti<br />

che delle preparazioni. La cucina vicentina è composta da piatti semplici, di tradizione contadina, che<br />

seguono l’andamento delle stagioni e dei relativi prodotti che si raccoglievano nei prati e nei boschi<br />

o si coltivavano nei campi. Ogni piatto è legato ad una parte del territorio e le preparazioni si basano<br />

ancora oggi sui prodotti tipici.<br />

Anche la cucina messicana varia da regione a regione a causa delle differenze climatiche, geografiche,<br />

etniche e, non ultimo, della maggiore o minore influenza ispanica. La zona settentrionale del<br />

Messico è nota per la produzione di manzo e di conseguenza si distingue per le pietanze basate su<br />

queste carni. La zona meridionale è conosciuta per i piatti con verdure piccanti e pollo. I prodotti del<br />

mare vengono preparati in un modo chiamato “stile Veracruz”. Potremmo continuare per pagine e<br />

pagine, evidenziando come le caratteristiche climatiche e del territorio abbiano influenzato, ancora<br />

una volta, la biodiversità agricola ed alimentare del Messico.<br />

Mais e polenta<br />

Dal lungo elenco di prodotti originari del Messico (se parlaste con un messicano vi direbbe che ben<br />

pochi prodotti alimentari non hanno avuto origine dal Messico!) ne spiccano alcuni che la gastronomia<br />

vicentina e, più in generale, quella veneta hanno fatto propri: mais, fagioli, zucca, pomodoro,<br />

patate dolci. Gli scambi commerciali hanno favorito l’introduzione di culture, soprattutto quella del<br />

mais, che sono diventate talmente tipiche del nostro paesaggio da trasformarle quasi in un prodotto<br />

autoctono (veneto polenton!). Ma anche i fagioli ed il pomodoro hanno trovato ampio spazio nella<br />

nostra produzione agricola e nella nostra alimentazione.


Gli ingredienti base<br />

Quello che non è riuscito ad essere coltivato da noi, per cultura e per impossibilità<br />

di ottenere gli stessi risultati, è il chile: il famoso o, meglio, i famosi<br />

peperoncini messicani. Decine di varietà per ogni esigenza: dai più dolci (si fa<br />

per dire) al micidiale habanero, fino a pochi anni fa riconosciuto come il peperoncino<br />

più piccante al mondo. Il chile entra pressoché in tutte le preparazioni<br />

gastronomiche messicane e dà quel tocco di “giusto” piccante a tutti i piatti.<br />

Ovviamente il “giusto” è riferito ai gusti messicani.<br />

Se passiamo dai prodotti agricoli alle loro trasformazioni, ben poco di messicano<br />

è “emigrato” fino alle nostre latitudini: alcune preparazioni a base di<br />

fagioli sono simili, l’uso di verdure lesse o stufate e poco altro. Lo stesso mais,<br />

denominatore comune della gastronomia messicana e di quella vicentina, in<br />

realtà entra in preparazioni completamente diverse: la polenta, base e, a volte,<br />

unica pietanza della tradizione gastronomica popolare veneta, trova il suo<br />

corrispondente nella tortilla, una sorta di piadina di farina di mais che assume<br />

colorazioni diverse a seconda del granturco utilizzato: bianca, avorio, rossa o<br />

nera. Come da noi a volte la polenta è accompagnata da carne o formaggio,<br />

ecco che in Messico troviamo il burrito, una tortilla ripiena di carne di manzo,<br />

pollo o maiale e la quesadilla, tortilla ripiena di formaggio morbido.<br />

Elemento che non trova riscontro nella cucina vicentina è l’abbondante uso di<br />

mole in tutta la cucina messicana. Si tratta di una salsa fatta con svariati ingredienti<br />

e che risale all’epoca precolombiana. La tradizione più recente vuole<br />

che sia stato inventato, nella sua variante più nota e ricca, il mole poblano,<br />

da Andrea da la Asunçion, suora domenicana del convento di Santa Rosa<br />

in Puebla, in occasione della visita del Viceré spagnolo. La ricetta originale<br />

prevedeva più di cento ingredienti, oggi assai ridotti, senza tuttavia perdere<br />

la connotazione di piatto che la tradizione vuole particolarmente afrodisiaco,<br />

vista la presenza dei peperoni e del cioccolato, e per questo presente nei<br />

banchetti matrimoniali. Tra gli ingredienti del mole poblano troviamo: peperoni<br />

rossi e verdi, pomodori, cipolla, aglio, mandorle, arachidi, cannella, vaniglia,<br />

uva passa e cacao. Il risultato è una salsa scura che viene usata in abbondanza<br />

per coprire la carne di tacchino: piazzo delizioso e da provare!<br />

I distillati<br />

Infine, ultimo ma non meno importante nella tradizione messicana, il mezcal<br />

e la sua versione più conosciuta e raffinata: la tequila. In ambedue i casi si<br />

tratta di un distillato di alcune specie di agave molto diffusi e bevuti in ogni<br />

occasione: come aperitivo, pasteggiando e come digestivo. È impossibile non<br />

fare un parallelo con la grappa che, pur avendo origine completamente diversa,<br />

ha segnato in modo simile lo scorrere della vita dei vicentini e che è entrata<br />

nella tradizione e nella cultura vicentina, così come il mezcal è nella tradizione<br />

e nella cultura messicana. Una piccola curiosità: il verme che viene inserito<br />

in alcune bottiglie di mezcal è solo una operazione di marketing attuata dalle<br />

compagnie statunitensi che hanno rilevato le aziende messicane. Nessun potere<br />

afrodisiaco quindi: solo suggestione.<br />

Mauro Pasquali<br />

Cottura<br />

Freddo<br />

Lavaggio<br />

Pizzeria<br />

Preparazione<br />

Aspirazione<br />

Bar<br />

Lavanderia<br />

Accessori


36<br />

In forma e informati.<br />

Grazie a Luigi Colbacchini<br />

Vuoi raggiungere la tua forma migliore?<br />

“Magari si potesse!” risponderebbero in molti.<br />

Niente paura, con un po’ di volontà e i consigli di<br />

un esperto, qualche buon risultato lo si può ottenere<br />

Luigi Colbacchini, in arte Colbax, Consulente Fitness presso una nota palestra<br />

di Vicenza, ha voluto contribuire a dare una risposta a molti quesiti sulla<br />

forma fisica, portando anche un po’ di ottimismo a tutte quelle persone che si<br />

addentrano nel mondo delle diete.<br />

Il nostro interlocutore ha da poco ottenuto il primo premio della sua categoria,<br />

giungendo 2° assoluto, alla 15° Edizione Interfederale del Trofeo Due Torri.<br />

Stiamo parlando con un Campione Italiano Body Evolution, un uomo che da<br />

oltre 20 anni è al servizio di chi desidera migliorare il proprio fisico e la propria<br />

salute.<br />

“Cerco di dare un servizio di prima qualità - ci dice - e grazie alla mia esperienza<br />

sportiva pluridecennale, cerco di far raggiungere un risultato duraturo<br />

sia dal punto di vista estetico che salutistico. E mi trovo ad affrontare una<br />

situazione nella quale la società impone un tipo di fisico snello.”<br />

Ed allora ecco che entrano in campo le diete.<br />

“Io non credo alla diete - confida - perchè anche se funzionano, è assodato al<br />

100% che una persona non può stare a dieta per tutta la vita. La sua stessa<br />

esistenza diventerebbe un inferno! È piuttosto l’educazione alimentare che<br />

funziona, cioè la consapevolezza di ciò che ci serve e ci fa bene. Le regole,<br />

poi, dipendono dalla persona stessa.”<br />

Il cibo è uno dei piaceri della vita, ma apprezzare il cibo non significa diventarne<br />

schiavo. “ Si può assaggiare qualsiasi cosa, senza esagerare, Basta<br />

pensare ai sommelier: non si devono certo ubriacare! Le giuste scelte alimentari<br />

diventano però difficili quando si decide di mangiare fuori casa dove, per<br />

Luigi Colbacchini<br />

diversi motivi, si è indotti a modificare il corretto modo di alimentarsi. Se ne<br />

vale la pena, uno strappo alla regola si può fare senza particolari danni, purché<br />

sia una tantum!”<br />

Sappiamo tutti che l’essere umano è onnivoro e non è vero che il vegetariano<br />

stia meglio o peggio. Ma il corpo umano deve nutrirsi con un po’ di tutto. Ad<br />

oggi la scienza della nutrizione ci insegna che bisogna avere un’idea ben precisa<br />

di quante calorie introdurre in un giorno: la maggior parte deve arrivare<br />

dai carboidrati, i due terzi dalle proteine e dai grassi.<br />

“A chi si rivolge a me, inizialmente propongo delle linee guida e un consiglio<br />

alimentare: due o tre alternative ad ogni pasto, spiegando anche come e<br />

perchè mangiare in una determinata maniera. L’importante è far quadrare<br />

le calorie; a parità di calorie non devo eccedere in un unico alimento. Tutti<br />

miei consigli li ho verificati personalmente, perché non mi piace fermarmi alla<br />

teoria. La cosa intelligente - continua Colbax - sarebbe quella di istituire una<br />

materia scolastica sull’argomento Educazione Alimentare. Un giovane crescerebbe<br />

così con una giusta cognizione di causa! Nei ragazzi, infatti, vedo<br />

tanta disinformazione: sono convinto che fra dieci anni si avrà una società<br />

di obesi, vista la vita sedentaria dei giorni nostri. La palestra, praticata con<br />

costanza e coscienza, fa parte di un sano stile di vita.”<br />

In conclusione, chi volesse approfondire l’argomento o la conoscenza di Colbax<br />

stesso, può visitare il suo sito: www.luigicolbax.com.<br />

Elena Rancan


Lo sai che…<br />

La piccola noce<br />

moscata fece nascere<br />

la Grande Mela?<br />

Proprio così: esiste un rapporto fra la noce moscata e New York.<br />

Andiamo con ordine, e consideriamo quanto questa piccola pallina<br />

scura, dall’odore intenso e dall’aspetto anonimo, ha cambiato il volto<br />

della storia dell’Occidente. La noce moscata, sembra impossibile,<br />

è stata al centro di conflitti e di aspre contese, ha creato immense<br />

fortune e grandi fallimenti ed ha provocato migliaia di morti. Eppure<br />

in Europa è stata preziosa quanto l’oro ed è stata considerata un<br />

bene di lusso straordinario. Le si attribuivano proprietà incredibili,<br />

perché la si considerava miracolosa contro diversi disturbi: contro il<br />

raffreddore, contro la dissenteria, si riteneva aumentasse la potenza<br />

sessuale e, soprattutto, si diceva combattesse la peste bubbonica.<br />

Ma la storia non l’ha mai fatta la politica, l’ha fatta la cupidigia degli<br />

uomini; la storia l’hanno fatta i mercanti.<br />

L’isola di Run nelle Molucche, detta l’Isola della noce moscata per la<br />

quantità enorme di questo seme, fu conquistata nel 1616 dagli olandesi<br />

di Coen, che la sottrassero con la forza e numerosi morti agli<br />

inglesi del gentiluomo Courthope. Le popolazioni locali furono deportate<br />

in massa e fu attuato perfino un processo di pulizia etnica.<br />

La vendetta degli inglesi non tardò a venire e si perpetrò con l’aggressione<br />

e la conquista di un’isola della Nuova Olanda, ovvero la<br />

grande isola di Manhattan. Conquistato Fort Amsterdam, dove Peter<br />

Stuyvesant, era rimasto senza uomini e mezzi, si giunse ad una pace<br />

definitiva; l’isola di Manhattan restò agli inglesi e gli olandesi ebbero<br />

l’isola di Run. Insomma per un poco di noce moscata la storia cambiò<br />

il suo corso, nacque New York e dalla piccola noce si ebbe la<br />

Grande Mela!<br />

Alfredo Pelle


Da sinistra: Sonia Castagna dell’Ascom di Recoaro<br />

Enrico Sopranaed il sindaco Franco Viero<br />

38<br />

Cena sotto le stelle.<br />

Per far tornare a brillare la stella di Recoaro<br />

Secondo appuntamento organizzato dall’Ascom di Valdagno alle Fonti Centrali<br />

La cittadina di Recoaro è rinomata<br />

da secoli per la pratica<br />

delle cure idroterapiche, grazie<br />

alle proprietà curative delle<br />

sue fonti. Proprio nel salone<br />

delle fonti centrali di Recoaro,<br />

pietra miliare dell’economia<br />

locale e orgoglio degli abitanti<br />

locali, si è svolta la seconda<br />

ed ultima “Cena sotto le Stelle”<br />

in programma quest’anno.<br />

Da qui, dal luogo che ha contraddistinto<br />

per secoli la perla<br />

della Conca di Smeraldo, si vuole dare un nuovo stimolo al turismo della vallata.<br />

Numerosi sono gli interventi previsti per migliorare le strutture ricettive e<br />

per dare nuovo lustro alla stazione termale. Ed è con questo spirito che Enrico<br />

Soprana, presidente della delegazione Ascom di Valdagno, ha abilmente diretto<br />

la serata, tra piatti interessanti e servizio impeccabile. In sala e dietro le<br />

quinte un affiatato gruppo di volontari, formato dai giovani alunni della scuola<br />

alberghiera di Recoaro e da ristoratori locali, ha accolto gli ospiti nel migliore<br />

dei modi. Il menù era incentrato sul territorio, dall’antipasto al dolce, così<br />

come i vini, selezionati dal Presidente degli albergatori AntonioTomasi.<br />

I ragazzi dell’Istituto alberghiero di recoaro<br />

I ristoratori che hanno contribuito alla realizzazione della serata<br />

Si è iniziato con una Polentina morbida di mais Marano con Bacalà alla Vicentina<br />

a piacevole entrée, seguita da Sopressa di Recoaro su quadrotto di<br />

polenta di mais Marano, da un saporito cestino di Asiago stravecchio con<br />

finferli trifolati e crema di broccolo fiolaro e dal piacevole uovo di quaglia<br />

con tartufo del Civillina. L’ottima zuppa di orzo, porcini e castagne, e gli immancabili<br />

gnochi con la fioreta hanno preannunciato il cappone disossato,<br />

farcito di verza e salsiccia con patate al forno e verze sofegà, piatto povero<br />

che porta a tempi lontani. Per finire, una dolce<br />

sorpresa: per l’occasione i pasticceri locali<br />

hanno ideato e realizzato i tortini della Regina<br />

Margherita, in onore alla Regina d’Italia Margherita<br />

di Savoia che prediligeva soggiornare<br />

su queste montagne. Ed è con uno sguardo al<br />

fausto passato che Enrico Soprana ha passato<br />

la parola a Sonia Castagna dell’Ascom di<br />

Recoaro e al sindaco Franco Viero, che hanno<br />

sottolineato lo sforzo comune in atto per riportare<br />

in auge questo meraviglioso territorio,<br />

dalle cure termali alle innumerevoli opportunità<br />

che offre questa perla delle Piccole Dolomiti.<br />

Paolo Gasparin<br />

Presidente degli albergatori<br />

AntonioTomasi


L’opinione<br />

di Terenzio Panozzo<br />

A… Botti Ferme<br />

Un paio di mesi fa, sull’onda di previsioni, ora fosche ora euforiche, avevamo<br />

parlato della vendemmia 2007, allora peraltro non ancora conclusa. Ora a “botti<br />

ferme”, siamo in grado di tracciare un bilancio pressoché definitivo avendo a<br />

disposizione i dati di Assoenologi Italiani, quindi quanto di più documentato ed<br />

attendibile.<br />

Il dato che si evidenzia subito è il generale calo di produzione dell’uva da<br />

vino. Si parla infatti della peggiore annata da alcuni decenni a questa parte,<br />

ma solo per quanto attiene alla produzione. Calo che raggiunge punte<br />

quasi drammatiche nel Sud Italia, Sicilia in particolare con punte di 55% in<br />

meno. Ma se la Sicilia piange, non ride certo la Puglia con un 30% in meno.<br />

Il Centro Italia conferma in genere la tendenza negativa, come anche il Nord<br />

Ovest, con Piemonte e Lombardia con cali meno importanti. Isole felici il<br />

Veneto, il Friuli, il Trentino Alto Adige, con addirittura un leggero aumento<br />

di produzione. Per contro si riscontra ovunque una generale crescita del<br />

livello qualitativo delle uve, soprattutto le rosse, tale da far presagire una<br />

potenziale annata di grandi soddisfazioni, con punte di eccellenza su Neb-<br />

bioli (Barolo e Barbaresco) Sagrantino di<br />

Montefalco (Umbria) e i vari Sangiovese<br />

Toscani (Chianti, Nobile di Montepulciano,<br />

Brunello di Montalcino e Supertuscans in<br />

genere). Ottimi i vini bianchi del Triveneto<br />

che hanno favorevolmente risentito delle<br />

escursioni termiche giorno/notte di settembre,<br />

con notevoli cariche aromatiche e<br />

acide delle uve.<br />

In definitiva, calo quantitativo ma miglioramento<br />

qualitativo. Vini rossi da prenotare<br />

o da seguire con attenzione durante il loro<br />

processo evolutivo nelle varie aziende di<br />

produzione. Nel bene e nel male, a seconda<br />

dei punti di vita, un’annata da ricordare,<br />

come o forse meglio del 2003.


40<br />

Chiusura Col Botto<br />

Conclusa con successo la Rassegna Annuale dei Ristoratori della Valle del Chiampo<br />

Alcuni dei Ristoratori della rassegna con<br />

l’enogastronomo Romolo Cacciatori Renato Pellizzari e la moglie Caterina<br />

Numerosi sono stati gli appuntamenti<br />

che hanno contraddistinto<br />

anche quest’anno<br />

la rassegna dei Ristoratori<br />

della Valle del Chiampo, ma<br />

purtroppo, come tutte le belle<br />

cose, anche questa pregevole<br />

iniziativa è giunta al termine.<br />

É stata senza dubbio<br />

un’esperienza importante,<br />

su cui i ristoratori investono<br />

da tempo, e che di anno<br />

in anno, sperimentando e<br />

collaborando, ha permesso<br />

loro di crescere e di creare così un affiatato gruppo che vuole promuovere il<br />

territorio e le sue tradizioni, dimostrando ai clienti le proprie potenzialità. Le<br />

stesse che si andranno a ritrovare ogni qualvolta si andrà a riassaporare la<br />

loro cucina. Gli interventi alle loro serate ci hanno così<br />

permesso di scoprire le bellezze di questa valle ricca di<br />

fascino, da Altissimo ad Arzignano. La serata conclusiva<br />

della rassegna ha visto come protagonista il ristorante<br />

“dal Francese” di Chiampo, dove Renato e la moglie<br />

Caterina hanno accolto gli ospiti con professionalità e<br />

gentilezza.<br />

Ad accogliere i convenuti quelli che oggi si chiamano<br />

Finger food: crostini di fegatini, Tartellette con salsa tonnata,<br />

Crema di zucca con ciccioli di anitra in bicchierino,<br />

accompagnati dal Garganega Extra brut I Due Castelli<br />

di Vicenza. Notevole tra i primi la Crema di canellini<br />

con rana pescatrice, un interessante connubio fra terra<br />

Ernesto Boschiero, vicedirettore Provinciale<br />

Confcommercio e Stefano Bruttomesso,<br />

Presidente Mandamento Ascom di Arzignano<br />

e mare valorizzato dal fresco<br />

e profumato Sisara 2006 di<br />

Le Pignole. I maccheroncini<br />

al ragù di cortile, fatto in<br />

casa con animali di penna e<br />

un poco di coniglio, e radicchio<br />

di Treviso, hanno trovato<br />

il giusto accompagnamento<br />

con i sentori di marasca e<br />

confettura del Cabernet La<br />

Giareta 2005 di Marcato. Con<br />

i secondi è arrivato, come di<br />

consueto, il piatto importante:<br />

la Faraona alla mele renetta<br />

e pancetta affumicata, con broccolo gratinato e funghi chiodini. È un piatto<br />

stagionale di provenienza nordica, in cui il dolce della pancetta affumicata e<br />

l’aspro della mela renetta donano alla faraona un sapore genuino e particolare.<br />

Per un piatto complesso ci vuole un vino complesso:<br />

Scaisso Valpolicella Ripasso 2000 Ca’ Del Monte, un valpolicella<br />

ripassato sulle bucce dell’amarone, importante<br />

ma nello stesso tempo gentile e non prepotente. Per il<br />

dolce la scelta è caduta su un classico del ristorante, una<br />

Creme Brulè su letto di cioccolato e frutti di bosco, accompagnata<br />

dal profumo dei frutti di bosco del Recioto<br />

Classico della Valpolicella 2003 Cà Del Monte, che con<br />

i suoi grandi profumi di mirtilli e lamponi ha concluso al<br />

meglio un’altra positiva annata per la crescita della ristorazione<br />

in quel della Valle del Chiampo.<br />

Menù curato ed illustrato dall’enogastronomo<br />

Romolo Cacciatori.


Sopra: la sala degustazione della<br />

Cantina Dal Maso<br />

A fianco: un momento<br />

dell’evento<br />

La famiglia Dal Maso, già alla fine dell’ottocento con il bisnonno Serafino,<br />

era impegnata nell’attività vitivinicola. Sul finire degli anni 60, con l’arrivo<br />

in azienda di Luigino, si ha una prima svolta decisiva in campo vitivinicolo<br />

e commerciale. La grande evoluzione la si ha però nei primi anni Novanta<br />

quando il Figlio Nicola, enotecnico, assume la responsabilità della produzione<br />

dell’azienda e con la collaborazione della sorella Anna e … darà nuovo<br />

slancio all’attività famigliare.<br />

1 a EDIZIONE de<br />

“Il ristorante incontra la cantina”<br />

Con l’idea “il Vino ed il servizio del vino in sala”, è stato organizzato un interessante<br />

incontro con i professionisti del settore.<br />

La prima edizione de “ Il Ristorante incontra la cantina” è stato un momento<br />

di incontro in cui il produttore, Nicola Dal Maso, ha illustrato ai tanti<br />

ristoratori e responsabili di sala intervenuti, la sua Cantina, esempio unico<br />

di architettura moderna che ha saputo ben fondersi con il territorio e che<br />

rappresenta l’armonia delle colline utilizzando il tutto tondo. In questa bella<br />

location l’incontro è continuato con la presentazione della gamma di vini<br />

prodotti, per poi passare alla degustazione sotto la direzione di Danilo De<br />

Zotti dell’Enoteca Berealto. Un momento coinvolgente ed apprezzato che,<br />

oltre all’assaggio, ha toccato il tema del servizio del vino in sala.<br />

Un aspetto molto importante che troppe volte è svolto in modo approssimativo<br />

e superficiale, un aspetto che incide moltissimo sulla qualità del prodotto<br />

servito, ecco che questo incontro è stato portavoce di piccoli grandi<br />

insegnamenti per un futuro migliore del vino. Sicuramente si riproporranno<br />

altri incontri con approfondimenti e temi diversi, ma sempre nell’ottica di<br />

migliorare i tanti aspetti del buon bere.<br />

Una filosofia bella ed anche nuova, questa della Cantina Dal Maso, non<br />

considera il vino non solo come prodotto a se stante, ma prende in considerazione<br />

anche tutti gli altri aspetti per valorizzare il mondo del Vino.


42<br />

C’é cantina e cantina.<br />

C’é botte e botte<br />

Viaggio nel silenzio magico e misterioso della<br />

cantina di Villa Widmann Borletti a Bagnoli<br />

Il Veneto non sarebbe quello che è senza le sue splendide ville e tutte le volte<br />

che si pensa ad una di queste signorili dimore di campagna, nella nostra mente<br />

appare l’immagine di una vasta tenuta, culminante con un parco, dominato<br />

da un residenza a uno o due piani con portici e colonne sovrapposti e annesse<br />

foresterie, barchesse, granai, broli e cantine.<br />

Nel nostro immaginario le cantine sono da sempre ambienti brulicanti di vita e<br />

movimento, dall’aria carica di sensazioni olfattive create dal profumo dei mosti<br />

e dei vini, unito agli odori delle muffe e del legno di botte. Ma sappiamo pure<br />

che le cantine sono spesso avvolte dal silenzio, un silenzio magico e misterioso,<br />

espressione di un mondo, quello del vino, che è in continuo divenire e<br />

trasformarsi, per maturare, come fanno tutti i prodotti della natura e della terra<br />

in un silenzio arcaico e sublime.<br />

La cantina è anche l’ambiente delle forme, delle sagome del vetro e del legno<br />

per la presenza di damigiane e bottiglie di diversa forma, colore e capacità,<br />

ma, soprattutto di tante magnifiche botti, allineate le une alle altre, addossate<br />

a muri antichi ed immerse in una gradevole e quasi densa penombra. Questa<br />

specie di sogno ad occhi aperti può trasformarsi in realtà per chi si spinge<br />

fino a Bagnoli di Sopra (PD) e prende il nome, ora denominata Dominio di<br />

Bagnoli.<br />

Al visitatore non può che riservare sorprese da subito questa rimarchevole<br />

residenza-azienda, che fa quasi da schermo alla piazza del piccolo paese e<br />

che era in origine un convento di benedettini. Spettacolari sono infatti i giardini<br />

contornati da impressionanti piante di limoni e rari alberi giunti dall’Oriente,<br />

piacevoli le coppie di statue definite “parlanti” ed ispiratrici per l’originalità<br />

delle pose del grande Carlo Goldoni, qui ospite degli ex proprietari austriaci.<br />

Tuttavia la zona più interessante risulta essere l’antica cantina storica. ”A Bagnoli,<br />

a Bagnoli v’aspetto, da sta fiama che infiama ogni petto” Cosi recita l’in-


vito posto sul suo portone<br />

d’entrata e accoglie chi si<br />

appresta a compiere una<br />

“passeggiata” all’interno<br />

di in una specie di ”villaggio”<br />

del vino e del bere”,<br />

composto da un numero<br />

consistente di barrique di<br />

recente concezione, ma,<br />

soprattutto, di decine di<br />

botti di svariate dimensioni,<br />

legni, età, contenenti<br />

un vino autoctono, il Friularo,<br />

assieme al Rosso del Dominio, Cabernet Sauvignon e Franc, Merlot, Broletto,<br />

Novello di Bagnoli, spumanti, passiti, grappa e brandy.<br />

Aperta al pubblico durante tutto l’anno, la cantina ha straordinariamente spalancato<br />

le sue porte a curiosi e gruppi organizzati in occasione delle giornate del<br />

FAI consegnandosi al visitatore come un... “villaggio”. Ogni botte è dotata infatti<br />

di una sua identità ed ha la sua precisa collocazione-ubicazione. Esattamente<br />

come avviene nei centri storici, dove dominano le tracce del passato, non<br />

può sfuggire che in questa cantina la fanno da padrone in tutto il loro fascino<br />

e antico splendore le botti più vecchie che sono poi anche le più importanti e<br />

maestose. In passato venivano usate per contenere la bellezza di 8300 litri di<br />

vino ciascuna e devono essere state l’orgoglio di bottai e cantinieri, che al tempo<br />

probabilmente non erano a conoscenza della mole della germanica Grosses<br />

Fass, la settecentesca botte di Heidelberg, la più grande botte del mondo<br />

(222mila litri circa di capacità) ”visitabile“ addirittura con l’ausilio di una scala,<br />

con tanto di location. Per noi questo resta un mistero, ma ci basta ammirare la<br />

loro ciclopica bellezza e vederle troneggiare nella cantina mentre continuano a<br />

godere del più assoluto rispetto e della massima considerazione. Come i più<br />

informati sapranno, tutte le botti, come del resto i vini, vantano una storia, un<br />

“carattere” e una ben precisa identità.<br />

La vita di una cantina è altamente regolamentata, la disposizione dei suoi vasi<br />

vinari è rigorosamente registrata e come accade per le botti destinate solitamente<br />

agli alcolici, delle monumentali botti del Dominio non sfugge nulla. L’UTIF<br />

infatti ha a disposizione una pianta, una specie di mappa catastale riguardante<br />

status e ruolo individuale. Nel caso si rendessero necessari uno spostamento,<br />

una sostituzione o, peggio ancora l’eliminazione, bisognerebbe informare<br />

le autorità competenti, proprio come succede nella nostra realtà di cittadini in<br />

caso di cambio di domicilio, di stato civile o di morte. Proseguendo la visita ci<br />

si allontana via via dal cuore vero e proprio della cantina per essere accolti da<br />

una struttura vinicola diversa,<br />

dove al posto di botti solenni,<br />

si incontrano cisterne in acciaio<br />

e, oltre alle “vecchie care<br />

bottiglie” si vendono anche<br />

le “bag in box” per il vino di<br />

pronta beva. Riflettendo sulla<br />

realtà di questo micro-mondo<br />

legato al conservare, fare<br />

vendere vino, non possiamo<br />

non trovare delle somiglianze<br />

con il macro-mondo, quello<br />

c’è fuori, con la realtà urbana<br />

e sociale dei nostri giorni e dei<br />

nostri centri abitati, dove necessariamente il tessuto urbano periferico mostra<br />

i segni del “suo tempo” o meglio dei nostri tempi, configurandosi architettonicamente<br />

con edifici freddi e anonimi che di storico non hanno nulla, ma che<br />

devono rispondere a necessità e bisogni di tipo sociale ed economico.<br />

Come in qualsiasi cantina di moderna concezione che conserva il rispetto della<br />

storia e delle tradizioni, il cuore antico del Dominio è rimasto immutato, ma riesce<br />

e deve convivere con quello spazio e quelle scelte che per esigenze di mercato<br />

ed immagine sono improntate sull’innovazione, la fantasia e la creatività.<br />

Sarina Vaccarella<br />

43


44<br />

Berici e Lessini si sono incontrati<br />

L’Azienda Agricola Le Pignole ha ospitato i ristoratori della Val<br />

Chiampo per una serata all’insegna della tradizione.<br />

E ha annunciato un’iniziativa a favore di Città della Speranza<br />

Capitano cose meravigliose a tavola: può succedere anche che i colli Berici e i monti Lessini si incontrino.<br />

I primi con la loro straordinaria storia enologica, i secondi con un patrimonio gastronomico fatto<br />

di sapori semplici, frutto di una tradizione rurale. Teatro del connubio la Cantina Le Pignole, che grazie<br />

agli spazi offerti dalla sua moderna struttura rappresenta ormai punto di riferimento per questi incontri a<br />

cavallo tra tradizione e innovazione.<br />

Protagonisti della serata sono stati i ristoratori della Valle del Chiampo: Dal Francese, Al Campanile,<br />

Da Gabri e Giorgio, Al Torcio, coordinati e presentati da Romolo Cacciatori. Di fronte ad una platea<br />

selezionata, hanno predisposto un menu che ben esaltava le doti dei vini Le Pignole.<br />

L’aperitivo di benvenuto è stato a base di Quiche di bacalà, Crostini con fegatini, Strudel di Ricotta<br />

& chiodini, Salumi vari e Pane biscotto nel forno a legna, accompagnati dalla Garganega Sisàra, vino<br />

dai delicati profumi floreali. Il Solarente, un più importante Pinot Grigio intenso e vellutato, ha accompagnato<br />

un delizioso pasticcio di verdure, mentre con una rustica Pasta e Fagioli è stato accostato il<br />

morbido e vinoso Roàn, Cabernet-Malbec.<br />

Un Brasato al Vino Rosso è stato gustato con il<br />

Soàstene, intenso Cabernet franc-Carmenere. Piatto<br />

forte della serata è stato un Umido di gallina “in<br />

Tocio” con polentina Maranella, accompagnato con<br />

il Tocai Rosso Torengo, vanto della produzione de<br />

Le Pignole, vino dall’intrigante complessità gustooflattiva.<br />

Quindi il formaggio imbriago è andato con<br />

il taglio bordolese Rosso del Buièlo e infine un dolce<br />

al cucchiaio servito nel bicchierino ha permesso di<br />

scoprire l’ultimo nato in casa Le Pignole, un passito<br />

di Garganega dalle piacevoli note fruttate, intitolato<br />

a Santa Bertilla.<br />

Matteo Baldini<br />

Davide Xodo, Domenico Frigo, Gianna Padrin<br />

e l’enogastronomo Romolo Cacciatori<br />

Stappiamo<br />

un sorriso<br />

La serata con i ristoratori della Val Chiampo<br />

ha permesso di scoprire un’altra pregevole<br />

iniziativa de Le Pignole. Si intitola “Stappiamo<br />

un sorriso” ed è una raccolta fondi a favore<br />

della Fondazione Città della Speranza.<br />

È in corso dal 15 dicembre al 2 <strong>gennaio</strong>, periodo<br />

in cui per ogni bottiglia stappata in 25<br />

ristoranti della provincia di Vicenza vengono<br />

devoluti 50 centesimi di Euro per la ricerca<br />

sulle neoplasie infantili.<br />

La conta delle bottiglie stappate di Soàstene,<br />

Solarente, Rosso del Buièlo e Torèngo avverrà<br />

attraverso i tappi di sughero che saranno<br />

raccolti e portati ad una grande Festa della<br />

Stria, in programma per il pomeriggio di domenica<br />

6 <strong>gennaio</strong> sul piazzale della Cantina<br />

Le Pignole. Lì, tra caramelle e stracaganasse<br />

per i più piccoli, sopressa e vin bon per i più<br />

grandi, i tappi verranno contati e trasformati<br />

nella donazione.


Luisa<br />

1° Classificato al 4° Circuito Triveneto<br />

del cocktail, Premio Ceado di Caorle<br />

COMPOSTO DA:<br />

6 cl di Bacardi Superiore<br />

3 cl di Miele<br />

6 cl di Anguria<br />

PREPARAZIONE:<br />

Blender Ceado<br />

Servire in Coppa Sombrero<br />

Decorare con Cuoricini di Anguria<br />

Il Cocktail del mese<br />

Associazione Italiana Barman e Sostenitori Sez. di Ve.<br />

Originario di Castellamare di Stabia, Luigi De Gaetano, diplomatosi presso<br />

la scuola professionale alberghiera di Pievepela (MO) ha svolto la propria<br />

attività professionale presso i migliori alberghi d’Italia e d’Europa,<br />

annotando nel suo palmares anche il ruolo di Capo Barman nel mitico<br />

Orient Express. Iscritto all’AIBES da 19 anni in qualità di Capo Barman,<br />

attualmente gestisce il ristorante “La Cambusa” sito nel centro storico di<br />

Padova, frequentato da noti professionisti ed autorità della città.<br />

A cura di: Luigi De Gaetano - Ristorante “La Cambusa” - Padova<br />

AMARO di SCHIO<br />

Come l’acqua cristallina che<br />

scende giù dai monti -<br />

refrigerio dell’assetato<br />

alpinista - la valle del<br />

PASUBIO offre al raffinato<br />

intenditore un prodotto<br />

genuino delle erbe<br />

aromatiche d’alta montagna<br />

nel finissimo liquore<br />

“ELISIR Scledum”<br />

In occasione di regali, nei ritovi<br />

di famiglia, di società, nei<br />

caffè il liquore “ELISIR<br />

Scledum” è l’omaggio più<br />

gradito per l’ospite e per il<br />

festeggiato o il segno di<br />

distinzione per l’offerente<br />

de GIACOMI snc<br />

di Tullio & Gabriele<br />

Via Mentana, 1 - SCHIO (VI)<br />

Tel. 0445.672560<br />

e-mail: info@degiacomi.net 45


46<br />

La maresina d’oro premia<br />

la tradizione<br />

Seconda edizione d’oro del concorso ideato da<br />

Gabriella Polita e Amedeo Sandri<br />

Matricole, parteniio, amareggiala, amarella,<br />

camomilla bastarda, camomillona, chrysanthemum<br />

parthemium, pyrethrum parthenium,<br />

tanacetum parthenium, matricaria esimia, maresina.<br />

Tanti nomi per definire una stessa pianta<br />

che si trova soprattutto nelle alte zone collinari,<br />

specialmente quelle ombrose, tipica nelle vallate<br />

del Chiampo e dell’Agno.<br />

A tal proposito potremmo aggiungere che nel<br />

passato la sua coltivazione è avvenuta soprattutto<br />

per scopo medicinale; poiché era efficace<br />

nel combattere febbri, mal di testa e varie infermità<br />

femminili, soprattutto quelle connesse al<br />

parto. Il suo nome corretto sarebbe “partenio”, ma più comunemente nelle<br />

Valli dell’Agno e del Chiampo viene chiamata “Maresina”.<br />

La “Maresina” è una pianta spontanea che nasce sui muri (o meglio sulle masiere)<br />

di terrazzamenti collinari e montani, dove si diffonde rapidamente. Ha un<br />

sapore amarognolo e un odore similare alla camomilla. In ambito culinario viene<br />

utilizzata in modo parsimonioso, in particolare per preparare frittelle dolci e<br />

salate, utilizzata come aroma nei primi e nei<br />

secondi piatti.<br />

Oltre alle sue proprietà organolettiche, ha un<br />

importante valore simbolico per la signora<br />

Gabriella Polita e per lo chef Amedeo Sandri,<br />

i quali hanno ritenuto di battezzare un concorso<br />

di arte culinaria in suo onore, chiamandolo<br />

“La Maresina D’Oro”.“Prima di prendere<br />

Da sinistra: Gianluigi Visonà, Gabriella Polita, Vittorio Visonà<br />

La maresina<br />

Tel cantonsin de un orto,<br />

na matina,<br />

passando debonora per la strada<br />

go visto un ciufetin de maresina<br />

ancora inarzentà de la rozada.<br />

E alor ricordo ancor le fritole<br />

Che un di lontan fasea me pora non<br />

Tritando ne l’impasto le fojete<br />

De sta piantina verde, tanto bona.<br />

Danilo Tonini<br />

il nome di Maresina d’Oro – spiega Gabriella Polita<br />

con la consueta cortesia - si chiamava Maresìna<br />

d’Argento. Nasce da un’idea del 1991, quando<br />

con il caro amico Amedeo Sandri abbiamo iniziato<br />

a riscoprire le ricette locali e i piatti semplici.<br />

Inizialmente l’approccio era la valorizzazione della<br />

ricerca gastronomica strettamente locale, ma ora<br />

la nostra ottica si è spostata su un territorio più allargato,<br />

quello della Regione Veneto, ecco perché<br />

il nome è cambiato”.<br />

Quest’anno si è tenuta la seconda edizione del<br />

concorso culinario “Maresina D’Oro” presso il<br />

ristorante “Alpestre “ di Castelvecchio di Valdagno.<br />

Il concorso è stato riservato alle persone premiate nelle varie edizioni<br />

della “Maresina d’Argento” e ciascun partecipante ha inviato un menù composto<br />

da antipasto, primo e secondo piatto. Per formare il menù della serata,<br />

una competente giuria ha scelto ricette e abbinamenti tra tutti i piatti inviati.<br />

Una manifestazione unica nel suo genere, perché i piatti in gara vengono valutati<br />

contemporaneamente dalla giuria di esperti e da tutti i conviviali in sala<br />

che quest’anno erano 160. Vincitore del concorso è stato lo chef Gianluigi<br />

Visonà di Cornedo Vicentino, con il piatto “Farfalla di petto d’anatra in crosta<br />

di erbette con porcini e medaglioni croccanti di patate alla Maresìna” al quale<br />

è andata l’ambita targa raffigurante un ramoscello d’oro di erba Maresina.<br />

“Desidero ringraziare - conclude Gabriella Polita - tutti coloro che hanno<br />

collaborato alla realizzazione della serata e rimando l’appuntamento al prossimo<br />

anno”<br />

Vanessa Lovato


Il Mandorlato trasforma<br />

Cologna Veneta<br />

nel paese dei balocchi<br />

Al Palazzo del Capitaniato si è svolto il Gran Galà del Mandorlato. La tradizionale festa dedicata alle<br />

specialità che fanno grande questo comune della bassa veronese, cioè i mandorlati, ha preso per la<br />

gola le migliaia di visitatori accalcati tra gli sfiziosi stand allestiti nel centro di Cologna Veneta.<br />

La kermesse si è aperta con “Il mandorlato incontra il rhum”, per proseguire poi con i piatti a base<br />

di mandorlato presentati dai migliori Chef di Verona e Vicenza. Sabato ha aperto la rassegna il dolce<br />

al mandorlato presentato dal ristorante “La Torre” di Cologna Veneta e la Creazione al Mandorlato di<br />

Roberto Merzari del ristorante “Villa de Winckels” di Tregnago. Domenica invece, ha visto ospite il<br />

Ristorante “La Peca” di Lonigo che ha presentato una “Fantasia al Mandorlato”, mentre le “Raffinatezze<br />

al Mandorlato” sono state a cura del Ristorante All’Isola di Cogollo del Cengio ed in conclusione<br />

Giovanni Pozzan delle “Due Spade” di Sandrigo con “La putana al Mandorlato”. Tanti modi di presentare<br />

il mandorlato, ognuno con la propria identità, fondendo arte e fantasia alla tradizione di Cologna<br />

Veneta. Molti gli appuntamenti cha hanno fatto bella cornice durante la manifestazione, con poesia e<br />

musiche tradizionali natalizie, arte e degustazioni proposte dalla Strada del Durello e dalla Strada del<br />

Vino Arcole DOC. Un evento di classe, quello svoltosi nel fantastico salone delle feste del Palazzo del<br />

Capitanato, che ha soddisfatto i molteplici gourmet che cercano nel mandorlato quel qualcosa in più.<br />

Francesca Filippi<br />

Christian Zana<br />

Palazzo del Capitaniato<br />

Luigi Pozzan<br />

47


Da una idea di Roberto Gasparin:<br />

Il mensile<br />

www.<strong>gustolocale</strong>.it di Vicenza<br />

n° 17 – Gennaio - <strong>2008</strong><br />

Ai soli fini fiscali € 0,10 a copia<br />

Abbonamento Italia € 20,00<br />

Abbonamento Estero € 40,00<br />

Editore:<br />

Paolo Gasparin<br />

Redazione – amministrazione<br />

pubblicità:<br />

Pierregi di Paolo Gasparin<br />

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36015 – Schio (vi)<br />

tel.e fax 0445 500 201<br />

www.<strong>gustolocale</strong>.it<br />

info@<strong>gustolocale</strong>.it<br />

Direttore responsabile:<br />

Paolo Terragin - paolo@<strong>gustolocale</strong>.it<br />

Reg. Tribunale di Vicenza:<br />

n° 1130 del 24/03/06<br />

Spedizione:<br />

Poste Italiane s.p.a. spedizione in<br />

Abbonamento Postale D.L.<br />

353/2003 (Convertito in legge<br />

27/02/2004 n°46) art.1, com.1, Dr VI<br />

Stampa: Industrie Grafiche Vicentine<br />

Srl - Bolzano Vic. (VI)<br />

Hanno collaborato:<br />

Roberto Gasparin<br />

Paolo Gasparin<br />

Alfredo Pelle<br />

Alice Franceschi<br />

Amedeo Sandri<br />

Angelica Ruaro<br />

Elena Rancan<br />

Francesca Filippi<br />

Francesco Dal Santo<br />

Gianni Lievore<br />

Gianpaolo Giacobbo<br />

Luciano Rizzi<br />

Luigi De Gaetano<br />

Matteo Baldini<br />

Mauro Pasquali<br />

Michele Bertuzzo<br />

Oscar Santo Nastaso<br />

Paolo Terragin<br />

Riccardo Penzo<br />

Romolo Cacciatori<br />

Sarina Vaccarella<br />

Stefano Beber<br />

Terenzio Panozzo<br />

Vanessa Lovato<br />

Tutte le immagini, articoli, contenuti di questo<br />

giornale sono ad uso esclusivo di Pierregi di<br />

Paolo Gasparin - Schio (Vi). Eventuali utilizzi impropri<br />

senza previa autorizzazione scritta da parte<br />

nostra saranno perseguiti a norma di legge.<br />

Le Collaborazioni in testi o foto sono gratuite.<br />

L’editore garantisce la massima riservatezza dei<br />

dati e la possibilità di richiedere gratuitamente<br />

la retifica o cancellazione scrivendo a: Pierregi<br />

Via Veneto 2b - 36015 Schio (Vi).<br />

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dell’Epifania” Vicenza Piazze del<br />

centro storico - organizzazione<br />

Assessorato allo Sviluppo Economico<br />

- info: 0444.221978<br />

- 05 e 06 <strong>gennaio</strong>: “Festa medioevale<br />

con Mercatino” Vicenza<br />

Piazza delle Erbe organizzazione<br />

“Comitato di valorizzazione di<br />

Piazza delle Erbe” in collaborazione<br />

con Assessorato allo Sviluppo<br />

Economico - info: 0444.221971<br />

- 17 <strong>gennaio</strong>: A Tavola conMerlin<br />

Cocai “ Pulierin Cucina Cantina” -<br />

Bassano d. G. - Tel 0424.566785<br />

Chiuso la domenica<br />

- 17 <strong>gennaio</strong>: Festa del Mas-cio<br />

Agriturismo Dai Sandri - Pianezze<br />

- Tel. 0424.77967<br />

- dal’11 al 20 Gennaio: 9° SA-<br />

GRA del BROCCOLO FIOLARO<br />

di CREAZZO. Comune di Creazzo<br />

Infoline: 0444.338242 - e-mail:<br />

proloco@tuttocreazzo.it<br />

- 20 <strong>gennaio</strong>: “PRIMA DEL TOR-<br />

COLATO” a BREGANZE. Il vino<br />

più buono del mondo fatto sotto<br />

gli occhi di tutti: in piazza la prima<br />

spremitura dei grappoli vendemmiati<br />

nel 2007. stradadeltorcolat<br />

o@libero.it - Tel. 0445.300595<br />

- 31 <strong>gennaio</strong>: Tagliata di manzo<br />

Agriturismo la Meridiana - Marano<br />

Vic. - Tel. 0445.621398<br />

ERRATA CORRIGE<br />

Sul numero di Novembre nell’articolo<br />

di pag. 43 “Nuova Anima,<br />

Tradizione Antica” l’architetto di<br />

riferimento non è Massimo Balasso<br />

ma Massimo Stefani.<br />

Ci scusiamo per l’errore.

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