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Fonti, temi e produzioni vitivinicole dal Medioevo al ... - UBI Banca

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LA CIVILTÀ DEL VINO<br />

<strong>Fonti</strong>, <strong>temi</strong> e <strong>produzioni</strong> <strong>vitivinicole</strong> <strong>d<strong>al</strong></strong> <strong>Medioevo</strong> <strong>al</strong> Novecento<br />

I


In ricordo di un maestro e di un caro amico:<br />

Antonio Ivan Pini<br />

III


IV<br />

© CENTRO CULTURALE ARTISTICO<br />

DI FRANCIACORTA E DEL SEBINO<br />

Via Tito Speri, 6<br />

I - 25040 Bornato di Cazzago S. Martino (Brescia)<br />

tel. e fax 030 7751308 - E-mail: giovanni.castellini1@tin.it<br />

Brescia, luglio 2003


Atti delle Bienn<strong>al</strong>i di Franciacorta, 7<br />

La civiltà del vino<br />

<strong>Fonti</strong>, <strong>temi</strong> e <strong>produzioni</strong> <strong>vitivinicole</strong> <strong>d<strong>al</strong></strong> <strong>Medioevo</strong> <strong>al</strong> Novecento<br />

Atti del convegno<br />

(Monticelli Brusati - Antica Fratta, 5-6 ottobre 2001)<br />

A cura di<br />

Gabriele Archetti<br />

con la collaborazione di<br />

Angelo Baronio, Roberto Bellini e Pierluigi Villa<br />

Centro Cultur<strong>al</strong>e Artistico di Franciacorta e del Sebino<br />

Brescia 2003


VI<br />

ENTI PROMOTORI:<br />

Centro cultur<strong>al</strong>e artistico di Franciacorta e del Sebino<br />

Assessorato <strong>al</strong>l’Agricoltura della Provincia di Brescia<br />

Guido Berlucchi & C.<br />

<strong>Banca</strong> Lombarda<br />

Assessorato <strong>al</strong>la Qu<strong>al</strong>ità dell’Ambiente della Regione Lombardia<br />

ENTI COLLABORATORI:<br />

Università Cattolica del S. Cuore, sede di Brescia<br />

<strong>Banca</strong> di V<strong>al</strong>le Camonica<br />

Fondazione <strong>Banca</strong> San Paolo di Brescia<br />

Banco di Brescia<br />

<strong>Banca</strong> Region<strong>al</strong>e Europea<br />

Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Brescia<br />

Fondazione Civiltà Bresciana<br />

Ente vini bresciani<br />

Centro per la storia dell’agricoltura e dell’ambiente San Martini<br />

Centro vitivinicolo provinci<strong>al</strong>e<br />

Associazione archeologica Uspaaa<br />

Associazione Amici dell’abbazia di Rodengo<br />

Le illustrazioni sono fornite, oltre che dai singoli autori,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la Biblioteca Queriniana di Brescia, <strong>d<strong>al</strong></strong>la Guido Berlucchi e C., da Andrea Breda,<br />

Basilio Rodella, Mario Bonotto e Fotostudio Rapuzzi


Presentazione<br />

GIAMPAOLO MANTELLI<br />

Assessore <strong>al</strong>l’Agricoltura della Provincia di Brescia<br />

È motivo di grande soddisfazione per la Provincia di Brescia s<strong>al</strong>utare la pubblicazione<br />

di questo volume importante e rilevante; ciò per una serie di motivi<br />

strettamente connessi, anche se diversi.<br />

Innanzitutto perché una coltivazione antichissima come quella viticola ottiene<br />

qui un riconoscimento internazion<strong>al</strong>e, non solo per la capacità imprenditori<strong>al</strong>e<br />

di produrre e innovare in campo agricolo di operatori loc<strong>al</strong>i, ma anche per<br />

la loro capacità di trasferire risorse ed energie in ambito cultur<strong>al</strong>e. Ciò è particolarmente<br />

significativo in quanto è il frutto di un abile e lungimirante interscambio<br />

tra istituzioni pubbliche e aziende private, tra associazioni cultur<strong>al</strong>i e ricerca<br />

universitaria che insieme hanno creduto <strong>al</strong> progetto del “Centro cultur<strong>al</strong>e artistico<br />

di Franciacorta e del Sebino” su La civiltà del vino, promosso di concerto con<br />

l’Assessorato <strong>al</strong>l’Agricoltura della Provincia di Brescia.<br />

L’iniziativa ha trovato la sua re<strong>al</strong>izzazione nelle giornate di studio del 5 e 6<br />

ottobre 2001 in Franciacorta, presso l’Antica Fratta di Monticelli Brusati, v<strong>al</strong>e a<br />

dire in un territorio da sempre ‘vocato’ <strong>al</strong>la viticoltura di qu<strong>al</strong>ità – che negli ultimi<br />

anni ha conosciuto uno straordinario sviluppo grazie <strong>al</strong> pregio delle bollicine,<br />

ora denominate semplicemente Franciacorta – e divenuto un esempio produttivo<br />

studiato dagli economisti. Ma nella medesima area collinare, adagiata lungo le<br />

sponde del lago d’Iseo e <strong>d<strong>al</strong></strong> clima ventilato <strong>d<strong>al</strong></strong>le brezze <strong>al</strong>pine, le monache di<br />

Santa Giulia possedevano già prima del Mille <strong>al</strong>cune delle loro vigne migliori e,<br />

tra XII e XIII secolo, ebbe luogo un poderoso dissodamento per l’impianto di<br />

nuovi vigneti e l’introduzione di vitigni pregiati, mentre <strong>d<strong>al</strong></strong> XV secolo vennero<br />

re<strong>al</strong>izzati quei terrazzamenti, in parte ancora esistenti, attestati <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti d’archivio<br />

e archeologiche.<br />

VII


VIII<br />

Il percorso scientifico che il volume consente <strong>al</strong> lettore appare esemplare.<br />

L’attività vitivinicola, qu<strong>al</strong>e espressione della civiltà mediterranea ed europea, è<br />

indagata nei suoi aspetti coltur<strong>al</strong>i, produttivi, variet<strong>al</strong>i e commerci<strong>al</strong>i; l’interesse<br />

si sposta poi <strong>al</strong>le implicazioni soci<strong>al</strong>i, religiose, cultur<strong>al</strong>i, legislative e medico-dietetiche,<br />

che l’uso del vino ha avuto fin <strong>d<strong>al</strong></strong>la tarda romanità e nel corso del<br />

medioevo, per giungere <strong>al</strong>la coltivazione della vite in ambito bresciano prima e<br />

dopo il grande rinnovamento avvenuto tra Otto e Novecento, senza dimenticare<br />

l’apporto dato negli ultimi decenni <strong>d<strong>al</strong></strong>la cosiddetta ‘eno-tecnologia’.<br />

Si tratta dunque di un lavoro nuovo, sia per le tematiche esaminate che per<br />

lo sforzo interdisciplinare di affrontarle, messo in atto da studiosi di molte università<br />

it<strong>al</strong>iane e straniere; un contributo tra i più significativi per la storia della<br />

vite e del vino – intesa come ‘storia della civiltà’ – pubblicati negli ultimi decenni<br />

a livello internazion<strong>al</strong>e e un esempio ben riuscito di come gli studi storici consentono<br />

a culture diverse di di<strong>al</strong>ogare e crescere insieme.<br />

Un motivo di orgoglio in più, quest’ultimo, per una provincia crocevia natur<strong>al</strong>e<br />

tra il Mediterraneo e l’Europa; ciò grazie anche <strong>al</strong>la vite e <strong>al</strong>le strade del vino.<br />

CRISTINA ZILIANI<br />

Guido Berlucchi e C.<br />

Quando mi è stata proposta l’idea di contribuire <strong>al</strong>la re<strong>al</strong>izzazione del convegno<br />

“La civiltà del vino” e <strong>al</strong>la stampa di quest’opera, ho subito ricordato i tanti racconti<br />

di mio padre, le mille difficoltà che incontrò 50 anni fa quando iniziò,<br />

insieme a Guido Berlucchi e Giorgio Lanciani, la sua avventura in Franciacorta.<br />

Allora la tecnica b<strong>al</strong>bettava e l’empirismo dava vini che oggi sarebbero considerati<br />

imbevibili. A parte pochi grandi esempi.<br />

L’esperienza del passato non deve però rimanere nel solo ricordo di pochi<br />

eletti. La lettura del presente volume risulta in questo senso particolarmente<br />

affascinante ed illuminante: vi si scoprono le radici del nostro agire, si possono<br />

apprezzare le intuizioni, le capacità, le lotte, i sacrifici, le passioni che hanno animato<br />

le molte generazioni di vignaioli che ci hanno preceduto. Ciò è ancor più<br />

significativo perché non rimane circoscritto nell’ambito ristretto di una piccola<br />

re<strong>al</strong>tà territori<strong>al</strong>e o region<strong>al</strong>e, ma prende in esame l’intera area mediterranea ed<br />

europea, con un interesse peculiare verso lo sviluppo della civiltà.


Oggi tutto è cambiato: la zonazione, la selezione clon<strong>al</strong>e, i vigneti policlon<strong>al</strong>i,<br />

l’<strong>al</strong>ta densità d’impianto, la bassa resa per ceppo, le presse a membrana, l’acciaio<br />

inossidabile e l’importanza del freddo hanno fatto fare <strong>al</strong>l’enologia passi da<br />

gigante, soprattutto in questi ultimi 20 anni. Alcune intuizioni tuttavia non sono<br />

nostre, ma fanno parte di una tradizione coltur<strong>al</strong>e millenaria; senza di esse la<br />

moderna scienza enologica non sarebbe la stessa e, di sicuro, sarebbe meno ricca<br />

e aperta <strong>al</strong>l’innovazione.<br />

Credo sia importante la conoscenza delle origini, l’apprezzamento delle difficoltà<br />

che il progresso comporta, la diffusione della ‘cultura viti-vinicola’ tra tutti<br />

coloro che vivono, scrivono, consumano e apprezzano la qu<strong>al</strong>ità dei vini.<br />

FRANCO NICOLI CRISTIANI<br />

Assessore <strong>al</strong>la Qu<strong>al</strong>ità dell’Ambiente della Regione Lombardia<br />

La pubblicazione di un volume è sempre un momento che arricchisce e contribuisce<br />

<strong>al</strong>la crescita soci<strong>al</strong>e e civile. Questo avviene soprattutto nel caso di un libro<br />

di storia, che attraverso la conoscenza del passato <strong>al</strong>imenta il senso di appartenenza<br />

e di identità di una comunità. Da questo punto di vista, l’ecologia della memoria<br />

non è meno importante della tutela del territorio, perché la natura senza qu<strong>al</strong>cuno<br />

che ne apprezza la bellezza è come un quadro in una stanza senza luce.<br />

Gli atti della VII Bienn<strong>al</strong>e di Franciacorta, curati da Gabriele Archetti e intitolati<br />

La civiltà del vino. <strong>Fonti</strong> <strong>temi</strong> e <strong>produzioni</strong> <strong>vitivinicole</strong> <strong>d<strong>al</strong></strong> <strong>Medioevo</strong> <strong>al</strong> Novecento,<br />

danno un grande apporto <strong>al</strong>la conoscenza del passato dei popoli mediterranei ed<br />

europei, <strong>d<strong>al</strong></strong> momento che la ‘cultura’ del vino ha caratterizzare la loro storia più<br />

che millenaria.<br />

Questo lavoro – poderoso non solo e non tanto per il numero delle pagine,<br />

ma soprattutto per la mole di dati, attestati dai preziosissimi indici, e per la capacità<br />

di mobilitare studiosi di tante università it<strong>al</strong>iane e europee – è un contributo<br />

fondament<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la storia della vite e del vino nel panorama scientifico internazion<strong>al</strong>e.<br />

Inoltre, per la prima volta, mette a disposizione del lettore it<strong>al</strong>iano un<br />

quadro aggiornato degli studi sull’argomento, tenendo conto di un’area geografica<br />

che spazia <strong>d<strong>al</strong></strong> Mediterraneo <strong>al</strong> B<strong>al</strong>tico, <strong>d<strong>al</strong></strong>le isole Britanniche ai territori<br />

bizantini, senza tr<strong>al</strong>asciare la cultura coranica. Ma agli aspetti per così dire più<br />

tradizion<strong>al</strong>i, qu<strong>al</strong>i la coltivazione, il commercio, la legislazione o i consumi, nel<br />

IX


X<br />

volume sono messi a fuoco i <strong>temi</strong> profondi che legano il vino <strong>al</strong>l’esperienza religiosa,<br />

<strong>al</strong>la liturgia, <strong>al</strong>la letteratura, <strong>al</strong>la filosofia e <strong>al</strong>la medicina, con saggi di <strong>al</strong>tissimo<br />

livello molti dei qu<strong>al</strong>i aprono prospettive assolutamente inedite.<br />

In questo orizzonte gener<strong>al</strong>e, però, si innesta sapientemente lo studio dell’ambito<br />

territori<strong>al</strong>e più ristretto della Lombardia orient<strong>al</strong>e e con esso di una piccola<br />

zona assurta a modello di sviluppo, come quella della Franciacorta. È doveroso<br />

quindi il sentimento di gratitudine verso il “Centro cultur<strong>al</strong>e artistico di<br />

Franciacorta e del Sebino”, che ha promosso la ricerca su “la civiltà del vino”<br />

dilatando così il suo impegno oltre i confini strettamente loc<strong>al</strong>i.<br />

Al lettore resta il piacere di una lettura diversa e stimolante, ricca di novità e<br />

lontana dai luoghi comuni sul vino e sui vari abbinamenti gastronomici... Ma<br />

anche la consapevolezza di avere tra le mani un libro di studio importante, che<br />

tra cinquant’anni sarà ancora citato, e che grazie anche <strong>al</strong> sostegno della Regione<br />

Lombardia diventa patrimonio di tutti, nel segno di una comune vicenda storica<br />

che si è sviluppata nel corso del tempo intorno <strong>al</strong> vino.


GABRIELE ARCHETTI<br />

La civiltà del vino: una doverosa premessa<br />

Tra gli studi di storia agraria, quelli relativi <strong>al</strong>la vite e <strong>al</strong> vino hanno conosciuto nell’ultimo<br />

quindicennio una feconda stagione di interessi da parte della medievistica<br />

it<strong>al</strong>iana. Ciò appare tanto più significativo perché in controtendenza rispetto ad una<br />

certa ‘assuefazione’ della storiografia – attratta verso <strong>temi</strong> considerati più ‘tradizion<strong>al</strong>i’<br />

– per le tematiche legate <strong>al</strong> mondo rur<strong>al</strong>e, che negli anni Settanta e Ottanta del<br />

Novecento ne aveva invece fatto uno degli ambiti di ricerca più avanzati e dinamici 1 .<br />

Non è una situazione che riguarda solo il nostro Paese, ma in diversa maniera buona<br />

parte dei centri di ricerca e delle ‘scuole’ europee 2 .<br />

Le ragioni della predilezione per la storia della vitivinicoltura sono numerose e,<br />

non ultima, il fascino dell’argomento, giacché il consumo del vino accompagna le<br />

vicende dell’uomo fin <strong>d<strong>al</strong></strong>la più remota antichità, con la sua forza simbolica, aggregante<br />

e festosa, la sacr<strong>al</strong>ità millenaria che lo rende un dono, anzi il più prezioso, fra i<br />

doni ‘divini’, il potere del farmaco che lenisce gli affanni e concede l’oblio temporaneo,<br />

la ritu<strong>al</strong>ità religiosa che ne accompagna l’assunzione, consentendo di giungere<br />

<strong>al</strong>l’estasi dell’unione mistica, ma anche di distruggere coloro che non sono in grado di<br />

controllarne gli effetti inebrianti. Il punto di snodo fondament<strong>al</strong>e è stato senza dubbio<br />

il convegno di Greve in Chianti del 1987, che ha posto le premesse necessarie per<br />

gli approfondimenti su base region<strong>al</strong>e e, in una terra ‘vocata’ come la penisola it<strong>al</strong>ica,<br />

1 Si vedano in proposito le considerazioni introduttive di A. CORTONESI <strong>al</strong> volume Uomini e campagne nell’It<strong>al</strong>ia<br />

mediev<strong>al</strong>e, a cura dello stesso autore, ma redatto insieme a G. Pasqu<strong>al</strong>i e G. Piccinni, Roma-Bari 2002,<br />

pp. V-XV, mentre per la vitivinicoltura un quadro di sintesi è <strong>al</strong>le pp. 217-240.<br />

2 Una prima risposta a questa situazione di ‘stanchezza’ storiografica è venuta <strong>d<strong>al</strong></strong>la costituzione, tra il 1996<br />

e il 1997, del “Centro di studi per la storia delle campagne e del lavoro contadino” di Mont<strong>al</strong>cino – che <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

1998 organizza anche dei “Laboratori di storia agraria” –, a cui si deve già una prima sistematica riflessione<br />

sui problemi degli studi di storia rur<strong>al</strong>e, apparsa nel volume Medievistica it<strong>al</strong>iana e storia agraria. Risultati e prospettive<br />

di una stagione storiografica, (Atti del convegno di Mont<strong>al</strong>cino, 12-14 dicembre 1997), a cura di A. Cortonesi e<br />

M. Montanari, Bologna 2001 (Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e, 18), in particolare le pagine introduttive<br />

di M. Montanari (ivi, pp. 7-10). Nella medesima direzione, benché con un interesse scientifico territori<strong>al</strong>mente<br />

più ristretto, si pone pure il “Centro studi per la storia dell’agricoltura e dell’ambiente San Martino”<br />

avviato nel 2003 presso la Fondazione civiltà bresciana con il sostegno della Provincia di Brescia, che ha promosso<br />

la ristampa anastatica delle Venti giornate della vera agricoltura di Agostino G<strong>al</strong>lo (Brescia 2003).<br />

XI


XII<br />

di metterne a fuoco le specificità variet<strong>al</strong>i, tecniche e produttive loc<strong>al</strong>i. Già l’anno successivo<br />

<strong>al</strong>la pubblicazione di quegli atti tuttavia, qu<strong>al</strong>i primo “Quaderno” della «Rivista<br />

di storia dell’agricoltura», compariva nel 1989 il volume Vite e vino nel <strong>Medioevo</strong> di<br />

Antonio Ivan Pini per i tipi della collana “Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e”, diretta<br />

da Bruno Andreolli, Vito Fumag<strong>al</strong>li e Massimo Montanari, mentre il compianto<br />

studioso bolognese veniva invitato a tenere una lezione sulla ‘vitivinicoltura <strong>al</strong>to<br />

mediev<strong>al</strong>e’ e ‘negli studi mediev<strong>al</strong>i it<strong>al</strong>iani’ <strong>al</strong>la 37 a settimana di studio spoletina e<br />

<strong>al</strong>l’11° congresso internazion<strong>al</strong>e svoltosi presso l’abbazia francese di Flaran (1989).<br />

La vivacità sorprendente quanto caotica dei contributi successivi è stata ben<br />

sintetizzata da Alfio Cortonesi nelle pagine introduttive del presente volume e rende<br />

p<strong>al</strong>ese l’attenzione diffusa per i processi produttivi vitivinicoli; <strong>al</strong>cuni momenti,<br />

però – a cominciare <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esemplare percorso di ricerca sviluppato nella ‘quadrilogia’<br />

dei convegni di Alba (1990-1992 e 1994), diretti magistr<strong>al</strong>mente da Rin<strong>al</strong>do Comba<br />

e dedicati <strong>al</strong>l’area piemontese –, sono diventati ormai un riferimento portante. È il<br />

caso del congresso di San Martino di Bentivoglio nel 1991, di quelli di Trento nel<br />

1993, di Erbusco in Franciacorta nel 1995, di Reims nel 1997, di Alghero e di Conegliano<br />

Veneto nel 1998 – che si tennero in concomitanza con la stampa del nostro<br />

‘Tempus vindemie’. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e –, fino <strong>al</strong> simposio<br />

di Roma su Vino, mistero divino del 2000, dedicato <strong>al</strong>le virtù mistiche del frutto<br />

della vite, e <strong>al</strong>le giornate di studio di Monticelli Brusati del 2001 su La civiltà del vino.<br />

In questo approfondimento delle indagini sulla storia della vite e del vino dunque<br />

– che nel frattempo ha dato occasione a numerosissime iniziative, conferenze e<br />

appuntamenti, spesso assai rilevanti, anche se di carattere prev<strong>al</strong>entemente loc<strong>al</strong>e –, si<br />

inserisce a pieno titolo l’impegno del “Centro cultur<strong>al</strong>e artistico di Franciacorta e del<br />

Sebino” che, con l’edizione degli atti della IV Bienn<strong>al</strong>e di Franciacorta (1996), <strong>d<strong>al</strong></strong> titolo:<br />

‘Vites plantare et bene colere’. Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Franciacorta nel <strong>Medioevo</strong>,<br />

poneva la sua attenzione sullo sviluppo agrario di una piccola regione lombarda, compresa<br />

tra il Mella e l’Oglio, posta in provincia di Brescia 3 . Si evidenziava così la speci<strong>al</strong>e<br />

attitudine vinicola di un’area collinare, dove il “vino con le bollicine” è divenuto<br />

esso stesso sinonimo del territorio, il franciacorta appunto, proprio come nel nord della<br />

Francia lo champagne ha fatto con la regione omonima. Non paiono quindi fuori luogo<br />

le parole celebrative che a metà dell’Ottocento scriveva lo storico Gabriele Rosa 4 :<br />

3 In questa direzione, nella quarta sezione del volume, si muovono soprattutto i lavori di B. Scaglia, P.<br />

Tedeschi e B. Bettoni, mentre per la trattatistica agronomica interviene E. Ferraglio; più in gener<strong>al</strong>e sugli<br />

aspetti coltur<strong>al</strong>i, invece, tratta M. Fregoni, su cui torna anche G. Andenna.<br />

4 Cfr. G. ROSA, La Francia Corta, Bergamo 1852 (rist. anast., Brescia 1974), ripreso <strong>al</strong>la lettera in IDEM, Guida<br />

<strong>al</strong> Lago d’Iseo ed <strong>al</strong>le V<strong>al</strong>li Camonica e di Sc<strong>al</strong>ve, Brescia 1886 (rist. anast., Milano 1979), pp. 1-2; per il recupero<br />

storico-loc<strong>al</strong>e della tradizione di produrre vini ‘frizzanti’, invece, si veda G. ARCHETTI, Intorno <strong>al</strong> vino<br />

mordace o «spumante», in Libellus de vino mordaci, ovvero le bollicine del terzo millennio, a cura di G. Archetti,


«Nessun visitatore delle plaghe più belle e felici dell’<strong>al</strong>ta It<strong>al</strong>ia, nessuno de’ buoni<br />

gustai dei vini di questa parte del bel paese, ignora il nome e il sito della Franciacorta»,<br />

dove da sempre «la migliore entrata, per lo più, è quella dei vini che si fanno eccellentissimi<br />

e neri, e bianchi e garbi che noi chiamiamo racenti e dolci».<br />

Era pertanto un percorso quasi obbligato quello del Centro cultur<strong>al</strong>e artistico,<br />

animato fin <strong>d<strong>al</strong></strong>la sua fondazione da Giovanni Castellini 5 , di tornare ad occuparsi del<br />

vino, non già nella prospettiva della semplice v<strong>al</strong>orizzazione storico-territori<strong>al</strong>e,<br />

per<strong>al</strong>tro già perseguito, ma dell’inserimento della stessa in un quadro più gener<strong>al</strong>e<br />

affinché <strong>d<strong>al</strong></strong>la veduta d’insieme spiccassero meglio le peculiarità di quella più ristretta.<br />

Di conseguenza, le giornate di studio della VII Bienn<strong>al</strong>e di Franciacorta, svoltesi<br />

presso l’Antica Fratta di Monticelli Brusati il 5 e 6 ottobre 2001, si sono poste<br />

come obiettivo non solo i problemi legati <strong>al</strong>la coltivazione, <strong>al</strong>la produzione, <strong>al</strong> commercio,<br />

ai consumi o <strong>al</strong>la trasformazione del paesaggio, ma anche le relazioni, le<br />

connessioni e le differenti implicazioni che l’uso del vino ha avuto a livello soci<strong>al</strong>e,<br />

religioso e cultur<strong>al</strong>e per i popoli europei e del Mediterraneo durante il medioevo,<br />

quando cioè – secondo la felice espressione del Pini 6 – si svilupparono intorno <strong>al</strong><br />

vino gli elementi comuni di una nuova civiltà, differente da quella antica.<br />

La stampa di questo volume, che di quelle giornate franciacortine raccoglie gli<br />

atti, va <strong>al</strong> centro di questi problemi e, per quanto in ritardo sui tempi di edizione programmati,<br />

sembra aver beneficiato proficuamente <strong>d<strong>al</strong></strong>la prolungata sedimentazione,<br />

migliorando in qu<strong>al</strong>ità e contenuti, proprio come l’invecchiamento in pregiate botti<br />

di rovere fa bene ai rossi o ai bianchi più strutturati. Intendiamo dire che <strong>al</strong>la perdita<br />

di qu<strong>al</strong>che elemento, inevitabile in un convegno così articolato – spiace in particolare<br />

l’assenza del testo degli interventi di Andrea Breda (su I luoghi della conservazione del<br />

vino), di Fiorella Frisoni (riguardante Il vino nell’arte lombarda) e di Pierluigi Villa (su Le<br />

varietà viticole pre-fillosseriche), che toccavano <strong>temi</strong> rimasti purtroppo scoperti <strong>al</strong>l’interno<br />

del testo –, ha in un certo senso fatto da contrappeso lo sviluppo di <strong>al</strong>tri aspetti pregnanti,<br />

qu<strong>al</strong>i l’apertura internazion<strong>al</strong>e verso Oriente come a Occidente, solo adom-<br />

Brescia 2001, pp. 7-40, che fa da introduzione <strong>al</strong>l’edizione del trattatello sul vino ‘mordace’ del medico<br />

bresciano Girolamo Conforti (Brescia 1570).<br />

5 Sull’attività trentenn<strong>al</strong>e del Centro si veda il recente lavoro: Cultura in Franciacorta e sul Sebino. Trent’anni del<br />

Centro cultur<strong>al</strong>e artistico, a cura di F. Marchesani Tonoli e G. Rolfi, Brescia 2003 (Quaderni della biblioteca<br />

comun<strong>al</strong>e “don Lorenzo Milani” [di Cazzago San Martino], 9).<br />

6 Nel suo saggio ‘pionieristico’ del 1974 Pini poneva il vino tra «gli elementi caratterizzanti la civiltà mediev<strong>al</strong>e»<br />

[A.I. PINI, La viticoltura it<strong>al</strong>iana nel Medio Evo. Coltura della vite e consumo del vino a Bologna tra X e XV secolo,<br />

«Studi mediev<strong>al</strong>i», s. III, 15 (1974), p. 795, riedito in IDEM, Vite e vino, p. 53], quando la coltivazione della<br />

vite raggiunse la sua massima espansione, toccando latitudini oggi impensabili e non fermandosi neppure<br />

di fronte ai divieti coranici; lo storico bolognese, inoltre, si era fatto carico della relazione introduttiva<br />

<strong>al</strong> convegno di Greve in Chianti, significativamente intitolata Il vino nella civiltà it<strong>al</strong>iana (ora anche in ID.,<br />

Vite e vino, pp. 17-28).<br />

XIII


XIV<br />

brati durante i lavori <strong>al</strong>la Fratta. L’architettura complessiva del volume appare quindi<br />

delineata <strong>d<strong>al</strong></strong> sottotitolo: <strong>Fonti</strong>, <strong>temi</strong> e <strong>produzioni</strong> <strong>vitivinicole</strong> <strong>d<strong>al</strong></strong> <strong>Medioevo</strong> <strong>al</strong> Novecento; essa<br />

si muove dapprima intorno agli aspetti coltur<strong>al</strong>i e produttivi per soffermarsi poi su<br />

quelli più squisitamente “cultur<strong>al</strong>i” e chiudersi nello studio del ‘modello campione’<br />

offerto in età moderna <strong>d<strong>al</strong></strong> territorio bresciano e della Franciacorta.<br />

La storia della vite e del vino appare così come un punto di osservazione privilegiato<br />

per guardare <strong>al</strong>la molteplicità di interazioni soci<strong>al</strong>i, di credenze religiose, di pratiche<br />

coltu<strong>al</strong>i, di tradizioni cultur<strong>al</strong>i, di relazioni commerci<strong>al</strong>i e politiche, di trasformazioni<br />

ambient<strong>al</strong>i e tecnologiche che hanno forgiato l’Europa mediev<strong>al</strong>e. D’<strong>al</strong>tra parte,<br />

è proprio nel millennio seguito <strong>al</strong>la dominazione romana che affondano le radici della<br />

viticoltura moderna, che avvenne l’introduzione di nuovi vitigni accanto <strong>al</strong>le varietà<br />

autoctone, che si registrò la più ampia dilatazione degli spazi vitati, la ripresa e la sperimentazione<br />

di tecniche di coltivazione dimenticate, mentre il vino tornò ad essere una<br />

bevanda comune a tutti gli strati soci<strong>al</strong>i e gradu<strong>al</strong>mente anche la più diffusa. La decadenza<br />

tardo-antica e le invasioni barbariche avevano certo segnato una regressione delle<br />

coltivazioni agrarie e favorito il ritorno di più vaste foreste, degli acquitrini e dell’incolto;<br />

bisogna però fare attenzione a gener<strong>al</strong>izzare il quadro catastrofico di t<strong>al</strong>e situazione,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> momento che profonde differenze sussistevano tra Oriente e Occidente,<br />

come pure nell’ambito più ristretto dell’Europa continent<strong>al</strong>e e mediterranea.<br />

In ogni caso, le attestazioni della presenza della vite prima del Mille sono numerose<br />

e riflettono le varietà geografiche e le mutevoli situazioni storico-soci<strong>al</strong>i che si verificarono<br />

loc<strong>al</strong>mente. Le notizie più frequenti provengono, com’è noto, <strong>d<strong>al</strong></strong>le opere degli<br />

scrittori ecclesiastici, dagli archivi monastici e dagli inventari dei beni di chiese e canoniche.<br />

Un dato quantitativo questo che, già di per se stesso, dà conto del nesso profondo<br />

esistente tra religione cristiana e diffusione viticola, non solo per le implicazioni teologico-simboliche<br />

del vino, ma anche perché la Chiesa – come ha rilevato il Dion – ha «servito<br />

la viticoltura tanto conservando e trasmettendo i metodi di coltivazione ereditati<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità romana, quanto aumentandone il prestigio» 7 . In occasione della fondazione<br />

di un cenobio infatti, della costruzione di una nuova chiesa o di una cappella rur<strong>al</strong>e,<br />

nella scelta del sito si teneva conto anche della possibilità di avere nelle vicinanze un terreno<br />

adatto per piantare una vigna o, in caso contrario, che vi fossero <strong>al</strong>meno i mezzi<br />

economici necessari per il reperimento del vino. Vescovi e abati, spinti <strong>d<strong>al</strong></strong>la necessità del<br />

fermentato d’uva per gli usi liturgico-caritativi, piantarono la vite in collina e in pianura<br />

ritenendolo un motivo di prestigio soci<strong>al</strong>e, ma si spinsero presto anche in zone di montagna<br />

o nelle terre basse e p<strong>al</strong>udose, dove le condizioni erano meno favorevoli.<br />

7 R. DION, Histoire de la vigne et du vin en France des origines au XIX e siècle, Paris 1959 (rist. anast., Paris 1977),<br />

p. 188. Sugli aspetti liturgici dell’uso del vino, sia in Occidente che in Oriente, si occupano di seguito nel<br />

volume F. Dell’Oro, S. Parenti e P.-M. Gy.


Ciò fu possibile grazie <strong>al</strong>la versatilità della vite, una pianta ‘infestante’ con la<br />

capacità di attecchire quasi dappertutto, e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abilità umana di selezionare le varietà<br />

più produttive e resistenti <strong>al</strong>le diverse situazioni climatiche e pedologiche. Per quanto<br />

tuttavia la vite crescesse un po’ ovunque, sia in promiscuità che in coltura speci<strong>al</strong>izzata,<br />

ciò non significa che rese e qu<strong>al</strong>ità fossero identiche: <strong>al</strong>lora come ora i<br />

contadini conoscevano bene i luoghi più adatti per fare buoni vini; e, <strong>al</strong> riguardo, il<br />

confronto tra gli studi di ‘zonazione’ e la mappa della viticoltura mediev<strong>al</strong>e mostra<br />

una sorprendente convergenza di dati. Va inoltre rilevato che la grande espansione<br />

delle vigne tra pieno e tardo medioevo fu innanzitutto una risposta <strong>al</strong>la crescita<br />

demografica ed urbana; il fatto poi che si piantassero vigneti nei dintorni delle città,<br />

dei villaggi e dei maggiori centri abitati, indipendentemente <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che t<strong>al</strong>i zone<br />

fossero adatte o meno <strong>al</strong>la coltura viticola, conferma il carattere ‘antropico’ di t<strong>al</strong>e<br />

diffusione e di come a guidarla fossero soprattutto le esigenze quantitative, non<br />

quelle qu<strong>al</strong>itative. Le necessità liturgiche e per l’ospit<strong>al</strong>ità fraterna di chiese e monasteri<br />

avevano ormai lasciato il posto <strong>al</strong> consumo di massa e, da prodotto di lusso, il<br />

vino era diventato un <strong>al</strong>imento presente nella dieta di tutti gli strati soci<strong>al</strong>i.<br />

Seguendo l’articolazione del volume, questi problemi complessivi trovano spazio<br />

soprattutto nella prima parte, dedicata – per quanto sembri riduttiva la concettu<strong>al</strong>izzazione<br />

– agli aspetti della coltivazione della vite <strong>d<strong>al</strong></strong> Mediterraneo <strong>al</strong>l’Europa<br />

centr<strong>al</strong>e e <strong>d<strong>al</strong></strong>la penisola Iberica <strong>al</strong> mondo bizantino, senza tr<strong>al</strong>asciare la g<strong>al</strong>assia islamica,<br />

offrendo così <strong>al</strong> lettore it<strong>al</strong>iano una panoramica assolutamente nuova e di prima<br />

mano per il periodo mediev<strong>al</strong>e 8 . Ciò ha permesso di avere una prospettiva più<br />

ampia rispetto <strong>al</strong>la geografia della respublica christiana e di tener conto di quelle re<strong>al</strong>tà<br />

dove il rigido monoteismo aveva escluso qu<strong>al</strong>unque impiego sacrific<strong>al</strong>e del vino, condannandone<br />

l’uso perché di origine diabolica (sura 5, 90-91). In t<strong>al</strong>uni casi però, proprio<br />

l’interdizione di bere il vino materi<strong>al</strong>e – più precettistica che effettiva –, ha favorito<br />

la v<strong>al</strong>orizzazione simbolica del vino mistico, come canta Rumi, il grande poeta<br />

sufi, <strong>al</strong>ludendo <strong>al</strong>la preesistenza delle anime: «prima che in questo mondo vi fosse un<br />

giardino, una vigna, un grappolo, la nostra anima si inebriava del vino immort<strong>al</strong>e».<br />

Anche nell’ambito ecclesiastico – nonostante i molti sospetti e la condanna di<br />

ogni eccesso nel bere, come mostra la seconda parte del testo dedicata <strong>al</strong>la “civiltà del<br />

vino” – non si giunse mai a biasimare il consumo di vino in se stesso; l’esempio di<br />

Gesù che mangiava e beveva in pubblico (Lc 7, 34), il consiglio di Paolo di bere un<br />

po’ di vino contro la s<strong>al</strong>ute cagionevole (1 Tm 5, 23) e soprattutto il suo impiego<br />

8 In questa direzione e secondo una precisa articolazione geografica si susseguono i contributi di A. Cortonesi<br />

per l’area it<strong>al</strong>iana, P. Racine per quella francese, M. Vaquero Piñeiro per quella iberica, M. Matheus<br />

per le regioni trans<strong>al</strong>pine dell’impero, I. Lumperdean per la Moldavia e la Romania, E. Kislinger per il<br />

complesso dei domini bizantini e P. Branca per i territori legati <strong>al</strong>la predicazione di Maometto che, nel loro<br />

insieme, costituiscono quasi una ‘storia’ della vite e del vino nel medioevo.<br />

XV


XVI<br />

durante la messa, erano sotto gli occhi di tutti. Nella fonti agiografiche la riproposizione<br />

del miracolo della trasformazione dell’acqua in vino è un topos <strong>d<strong>al</strong></strong>la chiara<br />

matrice ‘Cristo-mimetica’ fra i più frequenti, mentre la parola chiave capace di mettere<br />

d’accordo il rigorismo ascetico con l’equilibrio della norma quotidiana, secondo<br />

la regola benedettina, risulta essere la ‘moderazione’. Quando però si verificavano gli<br />

eccessi che portavano <strong>al</strong>l’ubriachezza, «causa di ogni m<strong>al</strong>e» (Ef 5, 18), ci si preoccupò<br />

soprattutto di non dare scan<strong>d<strong>al</strong></strong>o e di non essere di turbamento per i fedeli più<br />

sensibili; <strong>al</strong> contrario, il piacere e la dimensione ludica del vino, le sue proprietà inebrianti<br />

e afrodisiache attirarono l’interesse degli umanisti, per quanto in ogni tempo<br />

siano stati un tema privilegiato per massicce incursioni poetico-letterarie 9 .<br />

Produzione, commercio e consumo di vino d’<strong>al</strong>tra parte, sia pure in maniera<br />

diversa, preoccuparono sempre le autorità pubbliche, che ne disciplinarono e favorirono<br />

lo sviluppo ricevendone un adeguato ritorno fisc<strong>al</strong>e. T<strong>al</strong>e interesse, soprattutto<br />

a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà del XIII secolo, era pienamente giustificato dai larghi consumi<br />

soci<strong>al</strong>i e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esigenza di far fronte <strong>al</strong>le crescenti richieste. Il vino era il corredo<br />

abitu<strong>al</strong>e di ogni età e, in occasione di una festa, non poteva mancare sulla tavola;<br />

consigliato ai vecchi, era dato anche ai fanciulli in dosi <strong>al</strong>quanto annacquate, mentre<br />

i medici prescrivevano il rosso come ricostituente <strong>al</strong>le donne dopo il parto; per i<br />

m<strong>al</strong>ati poi si confezionavano prodotti e medicamenti che traevano la loro base <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

fermentazione <strong>al</strong>colica degli zuccheri contenuti nel succo d’uva e, per le sue proprietà<br />

antisettiche, l’aceto era il disinfettante più comune. Natur<strong>al</strong>mente il luogo del<br />

consumo per eccellenza era la taverna, ma sul potere di guarire i m<strong>al</strong>i dell’esistenza<br />

e su quello dei fermentati propinati dagli osti la Chiesa ebbe sempre un occhio di<br />

attenzione 10 , non tanto o soltanto per punire – <strong>al</strong> contrario colpisce la grande tolleranza<br />

delle disposizioni canoniche in materia di ebbrezza – ma per suggerire un uso<br />

accorto dei beni e dei prodotti della natura.<br />

Una lezione che, a ben vedere, continua ad essere attu<strong>al</strong>e.<br />

9 La lettura delle fonti ecclesiastiche e poetiche viene proposta dai contributi di G. Motta sul vino nei Padri<br />

della Chiesa, di G. Archetti e N. D’Acunto sul vino in ambito monastico e riformistico, di P. Tomea nei<br />

racconti agiografici e di R. Bellini nelle disposizioni canoniche, mentre S. Gavinelli e P. Gibellini ripercorrono<br />

la ricchezza dei testi letterari.<br />

10 Questi <strong>temi</strong> sono oggetto di indagine nella terza sezione del volume, dove C. Cogrossi, C. Azzara e A.<br />

Baronio esaminano soprattutto l’ambito legislativo, <strong>d<strong>al</strong></strong>la tradizione romano-barbarica a quella comun<strong>al</strong>e,<br />

mentre A.I. Pini e G.M. Varanini sviluppano in maniera complementare gli aspetti legati <strong>al</strong> commercio e<br />

<strong>al</strong>la circolazione dei vini; M. Tagliabue, invece, mette a fuoco i problemi connessi con il consumo nelle<br />

taverne; da ultimo, A. Ghis<strong>al</strong>berti e A. Albuzzi conducono un’indagine sulle fonti medico-dietetiche, con<br />

riferimento ad Arn<strong>al</strong>do da Villanova e <strong>al</strong>l’impiego del vino nella profilassi e nella pratica medica.


PARTE PRIMA<br />

La coltura della vite<br />

nel <strong>Medioevo</strong><br />

1


ALFIO CORTONESI*<br />

La coltivazione della vite nel <strong>Medioevo</strong><br />

Discorso introduttivo<br />

Com’è noto ai cultori della materia, il ventennio compreso fra la metà degli anni<br />

’60 e la metà degli anni ’80 del Novecento ha segnato per la storia agraria it<strong>al</strong>iana<br />

(e particolarmente per quella di riferimento mediev<strong>al</strong>e, della qu<strong>al</strong>e qui ci occupiamo)<br />

un periodo di notevole fioritura degli studi. Rapporti di lavoro, <strong>produzioni</strong> e<br />

tecniche, ordinamenti coltur<strong>al</strong>i e paesaggi hanno rappresentato <strong>al</strong>lora un settore<br />

di ricerca fra i più frequentati nell’ambito della storia economica e soci<strong>al</strong>e. T<strong>al</strong>e<br />

fervida stagione di studi ha avuto il merito di richiamare con vigore l’attenzione<br />

su quella ‘dimensione rur<strong>al</strong>e’ della storia it<strong>al</strong>iana troppo a lungo occultata <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

tendenza nettamente urbanocentrica della storiografia otto-novecentesca. Le<br />

ricerche di Emilio Sereni, Giorgio Giorgetti, Elio Conti, poco dopo quelle di Vito<br />

Fumag<strong>al</strong>li e Giovanni Cherubini, aprirono strade sulle qu<strong>al</strong>i una folta schiera di<br />

storici si è poi avviata, dando un contributo di primo piano <strong>al</strong> rinnovamento delle<br />

tematiche e dei metodi. Esteso lo sguardo a quanto si dispiegava oltre le mura<br />

urbiche, ricercatori delle più varie provenienze territori<strong>al</strong>i e accademiche hanno<br />

saputo ben evidenziare il peso che il lavoro contadino, il complesso ordito soci<strong>al</strong>e<br />

e insediativo delle campagne, le peculiari dinamiche politiche di t<strong>al</strong>i ambiti,<br />

ebbero a esercitare sulla vicenda complessiva, in quel costante intreccio con la<br />

re<strong>al</strong>tà urbana che rappresenta uno degli aspetti caratteristici della storia d’It<strong>al</strong>ia.<br />

Sullo scorcio del secolo le indagini sono poi proseguite con passo meno risoluto<br />

e con qu<strong>al</strong>che segno di stanchezza, in un clima storiografico ormai mutato e<br />

caratterizzato da una certa ripresa di <strong>temi</strong> più tradizion<strong>al</strong>i: la storia politico-diplomatica,<br />

istituzion<strong>al</strong>e, religiosa, eccetera 1 . Proprio per fare il punto della situazione<br />

1 Su questa vicenda storiografica può ora leggersi la mia introduzione <strong>al</strong> volume: A. CORTONESI, G.<br />

PASQUALI,G.PICCINNI, Uomini e campagne nell’It<strong>al</strong>ia mediev<strong>al</strong>e, a cura di A. Cortonesi, Roma-Bari 2002,<br />

pp. V-XV.<br />

* Università degli Studi della Tuscia, Viterbo.<br />

3


4<br />

e rinnovare lo slancio perduto, nel dicembre 1997 si registrava, tuttavia, la costituzione<br />

in Mont<strong>al</strong>cino di un Centro di studi per la storia delle campagne e del lavoro contadino<br />

che, intendendo proporsi come luogo di raccordo e coordinamento per<br />

quanti indirizzano la loro attenzione <strong>al</strong>le problematiche indicate, ritaglia per sé –<br />

com’è stato scritto – «un’identità scientifica forte... in sostanza riconducibile <strong>al</strong>l’idea<br />

del ‘lavoro contadino’, inteso come ambito specifico della storia agraria» 2 .<br />

D<strong>al</strong>la storia agraria <strong>al</strong>la storia del vino e degli <strong>al</strong>tri prodotti riconducibili <strong>al</strong>la<br />

coltivazione della terra il passo è, in tutta evidenza, assai breve, vuoi per la contiguità<br />

tematica, vuoi per un percorso storiografico che ha visto, in tempi recenti,<br />

la storia dell’<strong>al</strong>imentazione (e più gener<strong>al</strong>mente quella della cultura materi<strong>al</strong>e)<br />

e la storia dell’agricoltura tessere comuni percorsi in una funzione di reciproco<br />

stimolo. Del resto – lo ha opportunamente osservato Massimo Montanari –<br />

«parlare di vino non si può senza parlare di molte <strong>al</strong>tre cose, che rimandano <strong>al</strong>l’economia<br />

e <strong>al</strong>le forme produttive, ai rapporti di proprietà, <strong>al</strong>l’organizzazione<br />

soci<strong>al</strong>e, <strong>al</strong> diritto come nucleo di ordinamento e di interpretazione della re<strong>al</strong>tà» 3 .<br />

Definitivamente riscattata <strong>d<strong>al</strong></strong>la lunga appartenenza <strong>al</strong> dominio dell’antiquaria<br />

e dell’aneddotica, la storia del vino ha dunque potuto pienamente sviluppare<br />

negli ultimi decenni le sue molteplici v<strong>al</strong>enze attivando itinerari di riflessione e<br />

d’indagine che hanno reso necessario il contributo di discipline diverse. Aspetti<br />

economici, politici, soci<strong>al</strong>i, materi<strong>al</strong>i e ment<strong>al</strong>i di t<strong>al</strong>e storia sono stati approfonditi<br />

con risultati di grande interesse che segnano una pagina importante del rinnovamento<br />

storiografico dei nostri tempi.<br />

Passare in rassegna anche soltanto i più significativi fra i contributi scientifici<br />

che si sono susseguiti in anni a noi vicini sulla vitivinicoltura mediev<strong>al</strong>e non mi<br />

sembra possa essere fra i compiti di questa introduzione; per le ricerche svolte<br />

anteriormente <strong>al</strong> 1990 esiste per<strong>al</strong>tro la puntu<strong>al</strong>e e argomentata rassegna di<br />

Antonio Ivan Pini, Il <strong>Medioevo</strong> nel bicchiere 4 , la qu<strong>al</strong>e rende ozioso tornare sull’argomento<br />

con intenti di informazione bibliografica o di esegesi storiografica,<br />

mentre per l’ultimo decennio una buona integrazione si può avere con il volume<br />

2 M. MONTANARI, D<strong>al</strong>la parte dei ‘laboratores’,in Medievistica it<strong>al</strong>iana e storia agraria. Risultati e prospettive di<br />

una stagione storiografica, Atti del Convegno (Mont<strong>al</strong>cino, 12-14 dicembre 1997), Bologna 2001, pp. 7-<br />

10, <strong>al</strong>le pp. 9-10.<br />

3 M. MONTANARI, Aperitivo, in La vite e il vino. Storia e diritto (secoli XI-XIX), 2 voll., a cura di M. Da<br />

Passano, A. Mattone, F. Mele, P.F. Simbula, Roma 2000, pp. XIII-XIX, a p. XIII.<br />

4 Il <strong>Medioevo</strong> nel bicchiere. La vite e il vino nella medievistica it<strong>al</strong>iana degli ultimi decenni, «Quaderni mediev<strong>al</strong>i»,<br />

29 (1990), pp. 6-38.


Tempus vindemie di Gabriele Archetti 5 , che propone anche un’utile comparazione<br />

con gli studi fioriti di recente in <strong>al</strong>tri ambiti nazion<strong>al</strong>i. Ci limiteremo, dunque, a<br />

ricordare come, accanto ad una miriade di v<strong>al</strong>idi contributi di riferimento microterritori<strong>al</strong>e,<br />

sub-region<strong>al</strong>e e region<strong>al</strong>e, si siano avute nel tempo pubblicazioni<br />

che, per un approccio più gener<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la materia e lo sforzo di costruire, a più<br />

voci, un quadro di sintesi, hanno finito col costituire <strong>al</strong>trettanti momenti cardine<br />

della riflessione intorno <strong>al</strong>la storia vitivinicola: intendo riferirmi essenzi<strong>al</strong>mente<br />

<strong>al</strong> volume Il vino nell’economia e nella società it<strong>al</strong>iana medioev<strong>al</strong>e e moderna, contenente<br />

gli atti del convegno svoltosi a Greve in Chianti nel 1987 6 ; <strong>al</strong>la raccolta<br />

di saggi del già ricordato Pini, Vite e vino nel medioevo, del 1989 7 (nella qu<strong>al</strong>e viene<br />

riproposto, fra gli <strong>al</strong>tri, l’articolo su La viticoltura it<strong>al</strong>iana nel Medio Evo. Coltura della<br />

vite e consumo del vino a Bologna <strong>d<strong>al</strong></strong> X <strong>al</strong> XV secolo 8 , che molto ha significato per<br />

lo sviluppo degli studi nell’ambito che qui interessa); <strong>al</strong> volume curato da Jean-<br />

Louis Gaulin e Allen J. Grieco, D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino. <strong>Fonti</strong> e problemi della vitivinicoltura<br />

it<strong>al</strong>iana mediev<strong>al</strong>e 9 ; infine agli atti, apparsi nel 2000, del convegno internazion<strong>al</strong>e su<br />

La vite e il vino. Storia e diritto (secoli XI-XIX), tenutosi ad Alghero nel 1998 10 .<br />

È un fatto che l’insieme delle ricerche di cui oggi si è arrivati a disporre rappresenta<br />

una base ben solida <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e partire tanto per gli approfondimenti<br />

che si rendono necessari quanto per la sperimentazione di nuovi itinerari tematici.<br />

Per quanto mi riguarda, proporrò in questa sede qu<strong>al</strong>che breve nota sull’affermazione<br />

della viticoltura nei secoli centr<strong>al</strong>i e tardi del medioevo, per poi passare<br />

ad occuparmi, in maniera meno fuggevole, del fondament<strong>al</strong>e segmento della<br />

vicenda vinicola che si snoda fra la vendemmia e il consumo, ciò con riferimento<br />

<strong>al</strong> mosaico, come sappiamo assai variegato, delle diverse It<strong>al</strong>ie.<br />

La ripresa delle attività mercantili e artigian<strong>al</strong>i e il connesso incremento<br />

delle popolazioni urbane diedero luogo nell’It<strong>al</strong>ia dei secoli dopo il Mille ad un<br />

forte sviluppo della pratica viticola. Benché non venisse meno il contributo<br />

5 Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di<br />

storia bresciana. Fondamenta, 4).<br />

6 Firenze 1988.<br />

7 Bologna 1989.<br />

8 Il contributo (pp. 53-145) era già stato pubblicato sulla rivista «Studi mediev<strong>al</strong>i», s. III, 15 (1974),<br />

pp. 795-884.<br />

9 Bologna 1994.<br />

10 Cit. <strong>al</strong>la n. 3.<br />

5


6<br />

degli enti ecclesiastici e della componente aristocratica (che tanta parte avevano<br />

avuto nella ripresa produttiva dei secoli VIII-X), protagonisti della nuova<br />

espansione furono i ceti cittadini di formazione più recente, provvisti più degli<br />

<strong>al</strong>tri di capit<strong>al</strong>i da investire nella terra e ben decisi nel perseguire la più ampia<br />

disponibilità di vino come «uno dei segni più tangibili della propria ascesa<br />

soci<strong>al</strong>e» 11 . Fu soprattutto per la loro iniziativa che gran parte delle campagne<br />

suburbane d’It<strong>al</strong>ia (da Mantova a Bologna, da Cremona ad Arezzo, a Viterbo)<br />

furono trasformate in terroirs viticoli più o meno compatti, dotati sovente – è il<br />

caso di Roma – di corpose appendici <strong>al</strong>l’interno della cerchia muraria.<br />

Se le difficoltà che incontrava il commercio vinicolo incentivavano non poco,<br />

in una prospettiva micro-autarchica, la capillare diffusione della vigna, ad assicurare<br />

le fortune del prodotto era in molti contesti soprattutto l’elevata domanda<br />

dei mercati urbani. Quest’ultima era determinata tanto dagli <strong>al</strong>ti livelli del popolamento<br />

che <strong>d<strong>al</strong></strong>la notevole entità dei consumi. Se per Firenze i dati trasmessi da<br />

Giovanni Villani e confermati da <strong>al</strong>tre fonti hanno consentito di avanzare, per la<br />

prima metà del Trecento, l’ipotesi di un consumo annuo per abitante di circa 260-<br />

270 litri, per Siena, Bologna, l’area veneta e lombarda si è potuto motivatamente<br />

proporre, con riferimento <strong>al</strong> medioevo tardo, un consumo medio pro capite superiore<br />

ad un litro <strong>al</strong> giorno. A comprendere le ragioni del fenomeno gioverà aver<br />

presente che il vino – gener<strong>al</strong>mente di bassa gradazione <strong>al</strong>colica – era la sola<br />

bevanda corroborante di cui <strong>al</strong>l’epoca si disponesse e a cui potesse farsi ricorso<br />

nei momenti della soci<strong>al</strong>izzazione e dell’aggregazione ludica.<br />

Ma la vigna non si limitò di certo a colonizzare le campagne di più stretta<br />

gravitazione urbana. La sua presenza si addensò, difatti, anche in prossimità<br />

degli insediamenti castellani e di villaggio, come pure venne a caratterizzare l’assetto<br />

produttivo di appezzamenti periferici, distanti da ogni abitato. Nuovi paesaggi<br />

in t<strong>al</strong> modo si disegnarono. Mentre le vigne a sostegno morto e interfilare<br />

stretto continuarono a dominare le campagne suburbane, con l’affermazione<br />

della mezzadria poder<strong>al</strong>e venne introdotto in buona parte del territorio centroit<strong>al</strong>iano<br />

quel sistema della coltivazione promiscua che negli ampi spazi tra un<br />

filare e l’<strong>al</strong>tro consentiva la semina di cere<strong>al</strong>i e leguminose ed affidava, perlopiù,<br />

ad <strong>al</strong>beri la funzione di supporto delle viti. In <strong>al</strong>cuni settori dell’area padana (ad<br />

esempio le campagne emiliane) an<strong>al</strong>oghi processi di accorpamento fondiario,<br />

accompagnati anche qui <strong>d<strong>al</strong></strong>la penetrazione dei patti mezzadrili, diedero forma,<br />

11 PINI, Vite e vino,p.24.


soprattutto a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la seconda metà del XIV secolo, a quel paesaggio della<br />

‘piantata’ che sempre più largamente venne re<strong>al</strong>izzando l’integrazione di seminativi,<br />

filari, <strong>al</strong>beri e prati e la sostituzione, per essa, delle superfici a monocoltura<br />

cere<strong>al</strong>icola o viticola, in precedenza nettamente prev<strong>al</strong>enti.<br />

Una presenza non meno ampia e capillare la vigna segnò nelle regioni del<br />

Mezzogiorno, dove – sia pure con l’importante eccezione della Campania, già in<br />

antico caratterizzata <strong>d<strong>al</strong></strong> frequente ricorso <strong>al</strong> sostegno vivo – diffusamente<br />

conobbe la sistemazione ad <strong>al</strong>berello, che non prevedeva <strong>al</strong>cun supporto, godendo<br />

l’uva in ogni caso, per le favorevoli condizioni climatiche, di un’adeguata<br />

insolazione. È <strong>al</strong>meno <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età normanna che i documenti testimoniano qui una<br />

significativa espansione della viticoltura, suggerendo per essa una geografia che<br />

tende nella sostanza a ripetere quella degli insediamenti umani. Per quanto, in<br />

particolare, concerne la Sicilia, non sembra che la lunga dominazione araba<br />

abbia determinato l’annientamento della pratica viticola; i divieti posti <strong>d<strong>al</strong></strong> Corano<br />

<strong>al</strong> consumo del vino ne limitarono certo la diffusione, ma il gradimento che<br />

incontrava sia l’uva fresca che quella passa dovette in qu<strong>al</strong>che misura garantire<br />

<strong>al</strong>la vite una continuità di presenza. Sotto i normanni e nel corso del XIII secolo<br />

l’avanzamento delle colture significò di frequente l’impianto di nuovi vigneti.<br />

Intorno a P<strong>al</strong>ermo come a Messina e in area etnèa i filari conquistarono gran<br />

parte della superficie agricola sotto la spinta di una domanda molto sostenuta.<br />

Su un piano gener<strong>al</strong>e, andrà pure ricordato come, a seguito del forte c<strong>al</strong>o<br />

della popolazione, la seconda metà del Trecento abbia fatto registrare in buona<br />

parte delle campagne it<strong>al</strong>iane un arretramento della pratica viticola, bisognosa<br />

di così assiduo e robusto apporto di manodopera. Ma se l’incremento<br />

dei s<strong>al</strong>ari legato <strong>al</strong>la minore disponibilità di braccia dovette creare per i produttori<br />

non poche difficoltà, sortì pure l’effetto di ampliare la schiera dei consumatori<br />

e, comunque, di accrescere la domanda di vino. Agli abbandoni delle<br />

vigne che i documenti diffusamente segn<strong>al</strong>ano dopo gli anni cruci<strong>al</strong>i di metà<br />

Trecento, ben presto fece seguito pertanto la riconquista delle superfici perdute<br />

e l’avvio di nuovi dissodamenti. Non mancarono, in ogni caso, territori entro<br />

i qu<strong>al</strong>i la lentezza della ripresa demica indusse esiti di ristagno produttivo a<br />

livelli ben inferiori rispetto a quelli toccati fra Due e Trecento.<br />

Non tutta la produzione della vigna era destinata <strong>al</strong>la vinificazione; sia pure<br />

in quantità modesta, l’uva era consumata anche fresca o passa; una piccola parte<br />

era poi raccolta ai fini della confezione dell’agresto: un condimento che si otteneva<br />

aggiungendo s<strong>al</strong>e <strong>al</strong> succo dell’uva acerba (meglio ove si disponesse di uva<br />

7


8<br />

pergolese). A fronte dell’impiego nella vinificazione tutto ciò risultava, comunque,<br />

di ben scarso significato. La vendemmia richiedeva, come noto, lavori preparatori<br />

che riguardavano essenzi<strong>al</strong>mente la manutenzione dei vasi vinari: si bagnavano,<br />

ripulivano e riparavano i tini da pigiatura (tinae) e gli <strong>al</strong>tri recipienti utilizzati per la<br />

fermentazione del mosto e la conservazione dei vini (vegetes, butes, carrata, dolia,<br />

eccetera), si procedeva a sostituire doghe vecchie e cerchi che non assicuravano<br />

una perfetta tenuta, si eliminavano eventu<strong>al</strong>i muffe disinfettando con acqua s<strong>al</strong>ata,<br />

gesso e <strong>al</strong>tri materi<strong>al</strong>i, si rinforzavano infine i cav<strong>al</strong>letti (c<strong>al</strong>astri nelle fonti lombarde)<br />

sui qu<strong>al</strong>i poggiavano le botti ad evitare il contatto con il suolo umido.<br />

Per la fabbricazione dei recipienti si impiegava legname ben stagionato e<br />

della miglior qu<strong>al</strong>ità, perlopiù di castagno e di rovere, t<strong>al</strong>ora anche di abete e di<br />

noce. Compatto, leggero ed elastico, il legno di rovere e di castagno era particolarmente<br />

indicato per le botti di maggiore capacità; <strong>al</strong>l’abete, <strong>al</strong> larice e <strong>al</strong><br />

noce, più pesante, si ricorreva soprattutto per i recipienti più piccoli, spesso<br />

utilizzati per la conservazione dei vini forti e di maggior pregio. I cerchi (circuli)<br />

erano ricavati da virgulti di castagno e di s<strong>al</strong>ice debitamente tenuti in ammollo;<br />

si poteva ricorrere, comunque, anche <strong>al</strong> legno di betulla, nocciolo, noce e<br />

abete; in qu<strong>al</strong>che contesto (ad esempio a Vicenza) la fabbricazione era affidata<br />

ad artigiani speci<strong>al</strong>izzati, i cerquarii. La legatura dei cerchi si effettuava perlopiù<br />

con i vimini. Trova riscontro anche l’uso di cerchi di ferro (più sicuri, ma più<br />

costosi) che, ad esempio, risultano impiegati nella fabbricazione dei quaranta<br />

barili che il comune di Viterbo, <strong>al</strong>la metà del Duecento, mette a disposizione<br />

dei cittadini per le operazioni di compravendita del vino. Ad evitare perdite e<br />

infiltrazioni, sostanze e materi<strong>al</strong>i diversi erano applicati nei punti di connessione<br />

fra le tavole: <strong>d<strong>al</strong></strong>la colla di farina di grano, di cui fanno menzione gli statuti<br />

dei bottai di Messina, <strong>al</strong>la pece, <strong>al</strong> sego, a «un particolare tipo di giunco che assicurava<br />

la perfetta tenuta degli incastri» 12 . I fondi di tini e botti potevano essere<br />

rinforzati da un asse disposto trasvers<strong>al</strong>mente; nella parte centr<strong>al</strong>e dei recipienti<br />

un’apertura circolare (cocchiume), incorniciata t<strong>al</strong>ora da un portello di forma<br />

quadrata, consentiva l’immissione del vino. La fabbricazione e la riparazione<br />

dei recipienti erano affidate a manodopera speci<strong>al</strong>izzata (i ‘maestri bottai’),<br />

t<strong>al</strong>ora anche a carpentieri; la loro responsabilità si p<strong>al</strong>esava nel marchio che<br />

veniva apposto; nei casi di più elementare manutenzione poteva, tuttavia,<br />

12 C.M. RUGOLO, Maestri bottai in Sicilia nel secolo XV, «Nuova rivista storica», 69 (1985), pp. 195-216,<br />

a p. 210.


intervenire la mano stessa del viticoltore. Diffusamente attestato è anche il<br />

nolo di botti e <strong>al</strong>tri recipienti, ciò che sottolinea come la loro costruzione comportasse<br />

un impegno economico non trascurabile.<br />

Data l’importanza che la pratica viticola spesso assumeva, le operazioni della<br />

vendemmia finivano col coinvolgere, sia in ambito cittadino che rur<strong>al</strong>e, larga parte<br />

delle popolazioni; per rendere possibile l’utilizzo di tutta la manodopera ed evitare<br />

ogni intr<strong>al</strong>cio <strong>al</strong>lo svolgimento dei lavori veniva sospesa, nella circostanza, l’attività<br />

ordinaria del tribun<strong>al</strong>e civile; gli statuti di Modena esoneravano, di più, i lavoratori<br />

da ogni prestazione dovuta <strong>al</strong> comune nel periodo compreso fra il 15 settembre e il<br />

15 ottobre. La raccolta dell’uva poteva avviarsi gener<strong>al</strong>mente solo dopo la data fissata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>lo statuto della comunità o, comunque, dopo il bando emesso <strong>d<strong>al</strong></strong>le autorità<br />

loc<strong>al</strong>i: ciò garantiva un più agevole controllo pubblico sulle operazioni e, dunque,<br />

un più regolare andamento delle stesse, scoraggiava i furti, impediva raccolte intempestive<br />

(che potevano essere determinate <strong>d<strong>al</strong></strong>la mancanza di vino come <strong>d<strong>al</strong></strong>la paura<br />

della grandine o di <strong>al</strong>tri danneggiamenti) e disciplinava il mercato dell’atteso vino<br />

novello. Laddove la data della vendemmia fosse individuata <strong>d<strong>al</strong></strong>la normativa statutaria,<br />

si aveva di frequente riferimento <strong>al</strong>la festa di S. Maria di settembre (l’8 del<br />

mese), ricorrendo tuttavia anche <strong>al</strong>tre indicazioni, secondo le necessità derivanti <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

clima e dell’<strong>al</strong>titudine. Deroghe <strong>al</strong>la normativa vigente potevano verificarsi in presenza<br />

di condizioni atmosferiche particolari o per l’incombere di eventi bellici;<br />

anche la peculiare posizione di una contrada viticola o l’utilizzo in t<strong>al</strong>une parcelle di<br />

vitigni di maggior pregio potevano costituire, quanto <strong>al</strong>la data d’avvio delle vendemmie,<br />

motivo per <strong>al</strong>trettante eccezioni. Nel caso di vigne condotte in locazione<br />

il coltivatore era tenuto a preavvisare il proprietario dell’avvio delle operazioni sì che<br />

lo stesso, person<strong>al</strong>mente o avv<strong>al</strong>endosi di un incaricato (nuntius), potesse verificare<br />

l’entità della produzione e il buon andamento dei lavori.<br />

La raccolta poteva essere effettuata a mano o con il ricorso a piccole roncole,<br />

coltelli e forbici; depositata in ceste o canestri di vimini, t<strong>al</strong>ora in gerle o<br />

mastelli di legno (ciberi nella documentazione piemontese), l’uva era successivamente<br />

riversata nei tini o nelle vasche utilizzate per la pigiatura. L’impiego di<br />

vasche (vascae, p<strong>al</strong>menta, eccetera) era largamente diffuso; in area lazi<strong>al</strong>e t<strong>al</strong>i contenitori<br />

– scavati nella pietra o in muratura e sovente denominati torcularia – erano<br />

in genere disposti a coppia, su livelli diversi. Da un foro praticato nel fondo<br />

della vasca superiore il mosto defluiva in quella inferiore (il romano vasc<strong>al</strong>e), di<br />

dimensione ridotta rispetto <strong>al</strong>la prima; un’<strong>al</strong>tra apertura doveva consentire di<br />

raccoglierlo <strong>al</strong>l’esterno e di travasarlo entro i tini per la fermentazione. Vasca,<br />

9


10<br />

vasc<strong>al</strong>e e tino costituivano per le vigne romane un obbligatorio corredo. Al fine e<br />

di ridurre le spese necessarie a dotarsi delle vasche e di sottrarre il minor spazio<br />

possibile <strong>al</strong>le viti, ci si risolveva non di rado a dividere fra vicini o eredi l’uso degli<br />

impianti di vinificazione; poteva così accadere che compravendite e locazioni di<br />

vigne avessero per oggetto una quota, t<strong>al</strong>ora anche molto ridotta, delle vasche;<br />

nel tardo Quattrocento si rendeva necessario a Ferentino disciplinare statutariamente<br />

l’uso delle stesse da parte degli aventi diritto. Un «minimo di pratica soci<strong>al</strong>e<br />

collettiva» si perpetuava per questa via in un settore della produzione fortemente<br />

connotato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’«individu<strong>al</strong>ismo agrario mediterraneo» 13 .<br />

Le pratiche della pigiatura e della vinificazione richiedevano la presenza tra<br />

i filari di fabbricati rur<strong>al</strong>i appositamente costruiti (è il caso dei chiabotti delle<br />

castellanie sabaude) o, più semplicemente, di rudiment<strong>al</strong>i strutture che comunque<br />

garantissero un adeguato riparo. ‘P<strong>al</strong>menti’ a cielo aperto sono, tuttavia,<br />

testimoniati per la Sicilia ed erano probabilmente diffusi in tutto il Mezzogiorno.<br />

La scelta di procedere o meno <strong>al</strong>la vinificazione entro la vigna doveva<br />

dipendere essenzi<strong>al</strong>mente <strong>d<strong>al</strong></strong>la distanza della stessa <strong>d<strong>al</strong></strong>la dimora padron<strong>al</strong>e e<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la disponibilità presso quest’ultima di loc<strong>al</strong>i sufficientemente ampi; in presenza<br />

di proprietà articolate poteva, <strong>al</strong>tresì, prev<strong>al</strong>ere l’esigenza di concentrare<br />

le operazioni in un unico luogo.<br />

Quando la pigiatura non avvenisse nell’ambito della vigna, ci si avv<strong>al</strong>eva per<br />

il trasporto dell’uva di carri (plaustra) sui qu<strong>al</strong>i trovavano posto recipienti di vario<br />

tipo (tina, carraria, eccetera) o di asini che venivano caricati con ‘bigonce da<br />

soma’. Nelle campagne emiliane oltre il Panaro il trasporto era effettuato «con le<br />

‘navacce’ (recipiente aperto con due testate più <strong>al</strong>te in modo da costituire quasi<br />

un barcone a fondo piatto)» 14 . Non di rado si dava pure il caso che l’ammostatura<br />

avesse luogo in campagna e che nelle cantine urbane e castellane si svolgessero<br />

le fasi conclusive del processo di vinificazione; occorrendo t<strong>al</strong>e circostanza, il<br />

trasporto del mosto (operazione assai delicata che poteva, se m<strong>al</strong> condotta, compromettere<br />

il risultato della vendemmia) avveniva entro appositi recipienti che<br />

nel Bolognese, in Romagna e in <strong>al</strong>tre zone dell’It<strong>al</strong>ia padana prendevano il nome<br />

di castellate (botti <strong>al</strong>lungate di varia dimensione). L’enorme tinaia dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e<br />

pratese della Misericordia riceveva, nel Quattrocento, uve già ammostate che si<br />

13 e P. TOUBERT, Paysages ruraux et techniques de production en It<strong>al</strong>ie méridion<strong>al</strong>e dans la seconde moitié du XII siècle,<br />

in Potere, società e popolo nell’età dei due Guglielmi, Atti delle IV Giornate normanno-sveve (Bari-Gioia<br />

del Colle, 8-10 ottobre 1979), Bari 1981, pp. 201-229, a p. 222.<br />

14<br />

PINI, Vite e vino, p. 106.


procedeva a depositare in 18 ‘can<strong>al</strong>i’ e 10 tini destinati <strong>al</strong>la fermentazione del<br />

prodotto; la capienza di <strong>al</strong>cuni ‘can<strong>al</strong>i’ superava i 5.000 litri.<br />

Le uve erano pigiate sia con i piedi che con ammostatoi: bastoni che si<br />

<strong>al</strong>largavano in fondo a forma di clava o terminavano a forcella ed erano utilizzati<br />

speci<strong>al</strong>mente per la pigiatura in recipienti piccoli; in presenza di tini di particolare<br />

<strong>al</strong>tezza, ci si introduceva negli stessi ricorrendo a sc<strong>al</strong>e o imp<strong>al</strong>cature.<br />

Nel Bolognese del Due-Trecento la pigiatura avveniva con il ricorso <strong>al</strong>la ‘graticula’<br />

o ‘pistarola’: «una tinozza quadra (...) che lasciava passare nel tino sottostante<br />

un mosto puro, con una modesta quantità di bucce e vinaccioli», consentendo<br />

con ciò di migliorare la qu<strong>al</strong>ità del vino 15 . La fermentazione poteva<br />

interessare tanto il mosto «separato <strong>d<strong>al</strong></strong>la vinaccia e dai graspi» mediante lo<br />

«sgrondo dell’uva ammostata» 16 – si aveva in questo caso la fermentazione ‘in<br />

bianco’, di tradizione classica – che il mosto con le vinacce (fermentazione ‘in<br />

rosso’); nel primo caso si otteneva un vino puro, chiaro, di sapore gradevole,<br />

nel secondo, per solito, un vino più sapido ed aspro, che – come testimonia<br />

Piero de’ Crescenzi – assumeva, secondo le uve impiegate, un colore nigrum,<br />

rubeum o aureum. Il processo di fermentazione poteva avvenire «con chiusura<br />

ermetica del vaso» – così nelle già ricordate cantine pratesi dove si ricorreva<br />

«<strong>al</strong>la muratura del coperchio» 17 –, come pure a tino aperto, in questo caso con<br />

assidua rimescolatura del mosto e delle vinacce sì da evitare che quest’ultime<br />

restassero troppo a lungo in emersione e il vino ne fosse rovinato.<br />

Alla pigiatura poteva far seguito la torchiatura: pratica che sembra essere,<br />

tuttavia, di diffusione non gener<strong>al</strong>e (piccoli e medi proprietari di rado possedevano<br />

un torchio) e <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e si ricavava un vino di seconda (ma anche terza o<br />

quarta) spremitura decisamente meno gradito del primo vino. Le torchiature<br />

successive <strong>al</strong>la prima dovevano essere precedute <strong>d<strong>al</strong></strong> taglio e <strong>d<strong>al</strong></strong>la sgretolatura<br />

delle vinacce, fin<strong>al</strong>izzati a «liberare il tannino contenuto nei raspi e nelle bucce»<br />

ed a rendere più chiaro il prodotto 18 ; in assenza di torchi, le vinacce potevano<br />

15 G. PASQUALI, Il mosto, la vinaccia, il torchio, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>to <strong>al</strong> basso medioevo: ricerca della qu<strong>al</strong>ità o del massimo rendimento?,<br />

in D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino. <strong>Fonti</strong> e problemi della vitivinicoltura it<strong>al</strong>iana mediev<strong>al</strong>e, a cura di J.-L. Gaulin, A.J.<br />

Grieco, Bologna 1994 (Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e, 9), pp. 39-58, <strong>al</strong>le pp. 46-47.<br />

16 Ivi, p. 46.<br />

17 G. PAMPALONI, Vendemmie e produzione di vino nelle proprietà dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e della Misericordia di Prato nel<br />

Quattrocento, in Studi in memoria di Federigo Melis, III, Napoli 1978, pp. 349-379, a p. 368.<br />

18 A.I. PINI, Vite e olivo nell’<strong>al</strong>to medioevo, in L’ambiente veget<strong>al</strong>e nell’<strong>al</strong>to medioevo, Atti della XXXVII Settimana<br />

di studio del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to medioevo, Spoleto 1990, pp. 329-380, a p. 359.<br />

11


12<br />

essere pressate attraverso l’imposizione di pesi adeguati. I torchi (torcitoria, stringitoria,<br />

eccetera), di varia grandezza, avevano t<strong>al</strong>ora dimensioni ragguardevoli e<br />

potevano dunque richiedere per la costruzione decine di giornate di lavoro,<br />

ingenti quantitativi di legname, ferramenta di vario tipo, grasso per la lubrificazione;<br />

quelli presenti, <strong>al</strong>la metà del Quattrocento, nelle cassine della Certosa di<br />

Pavia erano costruiti «in legno di rovere o di noce, con rinforzi in ferro» ed<br />

esercitavano la pressione mediante una grossa pietra «governata da un <strong>al</strong>bor,<br />

<strong>al</strong>bero a vite, e da una scogha, scoggia» 19 .<br />

Lasciato a fermentare nei tini per periodi di durata variabile – attesta il de’<br />

Crescenzi che la fermentazione ‘in rosso’ durava nelle cantine bolognesi 15 giorni<br />

– il prodotto era successivamente travasato nelle botti per mezzo di secchi,<br />

mastelli e grandi imbuti. Accadeva in qu<strong>al</strong>che caso che, prima o dopo l’imbottamento,<br />

s’intervenisse sul vino con speci<strong>al</strong>i trattamenti: a Rivoli, «il vino proveniente<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le decime e dai redditi veniva estratto dai tini o <strong>d<strong>al</strong></strong>le botti per essere versato<br />

sul genus del nebbiolo signorile», dunque subendo «un secondo periodo di<br />

stazionamento nei tini prima di essere definitivamente imbottato» 20 ; nelle campagne<br />

pratesi si governava diffusamente il mosto (o il vino) aggiungendo un’uva<br />

particolare, denominata ‘raverusco’, che conferiva un colore più intenso ed accresceva<br />

la gradazione <strong>al</strong>colica. Più gener<strong>al</strong>mente, il ricorso a vini ‘da colore’, qu<strong>al</strong>i<br />

l’‘<strong>al</strong>batico’ – per il bianco – e il ‘raverusco’ o ‘abrostino’ (vocaboli riconducibili<br />

entrambi <strong>al</strong> latino labrusca o lambrusca: uva selvatica) appare diffuso nella pratica<br />

vinificatoria toscana del Quattrocento. Da aggiungere che, facendo riposare le<br />

vinacce (solitamente non torchiate) nell’acqua si otteneva l’acquerello (acquatum,<br />

acquarellum, pusca, eccetera): un vinello leggero (o, più propriamente, un ‘mezzo<br />

vino’) destinato <strong>al</strong> consumo dei meno abbienti ma che, servito fresco, poteva trovare<br />

in estate un più gener<strong>al</strong>e gradimento; le vinacce potevano essere più volte<br />

utilizzate <strong>al</strong>lo scopo, ottenendosi via via un prodotto a gradazione <strong>al</strong>colica decrescente.<br />

Pratica piuttosto usu<strong>al</strong>e era pure quella di versare sui resti della svinatura<br />

il vino scadente o non ben conservato che una rifermentazione poteva rendere<br />

nuovamente bevibile; da t<strong>al</strong>e procedimento si ricavava quello che le fonti tardomediev<strong>al</strong>i<br />

indicano come vino ‘acconciato’. Vini più robusti e durevoli era, infine,<br />

possibile ottenere con la cottura in apposite c<strong>al</strong>daie del vino (o del mosto), ope-<br />

19 L. CHIAPPA MAURI, Paesaggi rur<strong>al</strong>i di Lombardia, Roma-Bari 1990, p. 183.<br />

20 A. DAL VERME, Vendemmia e vinificazione in Piemonte negli ultimi secoli del <strong>Medioevo</strong>,in Vigne e vini nel Piemonte<br />

mediev<strong>al</strong>e, a cura di R. Comba, Cuneo 1990, pp. 51-67, a p. 58.


azione che comportava la riduzione del prodotto nella misura di circa un quarto;<br />

proseguendo la cottura fino <strong>al</strong>la riduzione di circa tre quarti, si otteneva la sapa,<br />

di sapore dolcissimo, usata in cucina come condimento.<br />

Le numerose varietà dei vitigni coltivati garantivano una gamma di <strong>produzioni</strong><br />

assai ampia. Per l’area padana il de’ Crescenzi ricorda una quarantina di<br />

uve, distinguendo fra le bianche e le nere, insistendo sul rapporto qu<strong>al</strong>ità/quantità<br />

e indicando qu<strong>al</strong>i fossero le più apprezzate, nonché quelle da usare per la<br />

vinificazione e quelle adatte per la tavola. La Sclava, la Garganica, la M<strong>al</strong>ixia o Sarcula<br />

sono fra le bianche coltivate nel Bolognese, che annovera fra le rosse la Grilla,<br />

la Gramesta,ilMaiolo; tanto bianca quanto nera è la Lambrusca, già ricordata per<br />

i vini ‘da colore’. A Forlì si coltivava la migliore Albana, la Nebiola era caratteristica<br />

di Asti, la Duracla di Ferrara; la Garganica si ritrovava anche nelle campagne<br />

padovane, la Sclava a Brescia e a Mantova. In re<strong>al</strong>tà ben poche delle uve note ai<br />

trattatisti trovano riscontro nella documentazione disponibile. Pochi, a fronte<br />

delle nutrite enumerazioni del Tanaglia, i vitigni di cui si ha menzione nelle carte<br />

toscane del Quattrocento: lo Zeppolino è fra quelli che danno vino rosso, il<br />

Trebbiano, la Vernaccia fra quelli che producono bianco. Particolarmente apprezzate<br />

erano le varietà di uva da cui poteva ricavarsi vino dolce; secondo la trattatistica<br />

agronomica tardomediev<strong>al</strong>e (ma il dato trova sostanzi<strong>al</strong>e conferma anche<br />

nei testi cinque-seicenteschi) erano, infatti, i vini giovani e di sapore dolce ad<br />

essere particolarmente ambiti. L’invecchiamento, anche se limitato a un anno,<br />

metteva a repentaglio le caratteristiche di vini che faticavano sovente ad arrivare<br />

integri fino <strong>al</strong>l’estate; non è un caso che molti trattatisti si misurassero con il problema<br />

di ringiovanire il prodotto e che il vino vecchio fosse per solito venduto a<br />

prezzi inferiori rispetto <strong>al</strong> nuovo.<br />

Quanto <strong>al</strong> sapore dolce, lo si ricercava, oltre che con la scelta dei vitigni, affidandosi<br />

ad elaborate ricette o particolari accorgimenti nella vinificazione; un consiglio<br />

dispensato a più riprese (lo si ritrova anche in de’ Crescenzi) è quello di<br />

ammucchiare per terra l’uva raccolta tenendovela per <strong>al</strong>cuni giorni prima di passare<br />

<strong>al</strong>la pigiatura. I moscatelli come pure le vernacce e i trebbiani riscuotevano<br />

nell’It<strong>al</strong>ia tardomediev<strong>al</strong>e i più unanimi consensi; la loro produzione, largamente<br />

diffusa, investiva ambiti territori<strong>al</strong>i diversi, con esiti certo non omogenei sul piano<br />

qu<strong>al</strong>itativo; se fra i moscati godeva della miglior fama quello ligure di Taggia,<br />

fra le vernacce si distingueva quella prodotta a Corniglia e nelle Cinque Terre; <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

V<strong>al</strong>darno superiore e <strong>d<strong>al</strong></strong>le Marche venivano i trebbiani più graditi; gener<strong>al</strong>e era<br />

anche l’apprezzamento per le ribolle istriane. A dividere con questi prodotti le<br />

13


14<br />

posizioni di vertice nella gerarchia del gradimento erano i vini ‘greci’ del Mezzogiorno,<br />

esportati in notevole quantità verso le regioni centro-settentrion<strong>al</strong>i della<br />

penisola; una robusta gradazione <strong>al</strong>colica, la conseguente maggiore durevolezza,<br />

la dolcezza, costituivano <strong>al</strong>trettante caratteristiche che i vini ‘greci’ nostrani avevano<br />

in comune con la m<strong>al</strong>vasia, esportata verso l’It<strong>al</strong>ia da Creta, <strong>d<strong>al</strong></strong>le isole dell’Egeo,<br />

da <strong>al</strong>tre contrade del Mediterraneo orient<strong>al</strong>e. Alla metà del Quattrocento,<br />

vino ‘greco’ di provenienza napoletana, m<strong>al</strong>vasia e vernaccia ligure (guarnaccia de<br />

riparia Ianue) costituivano i soli vini di cui era concessa l’importazione in Viterbo;<br />

si trattava, in re<strong>al</strong>tà, di un fenomeno di gener<strong>al</strong>e riscontro: per la qu<strong>al</strong>ità del prodotto<br />

e i costi elevati i cosiddetti vina navigata (trasportati via mare) davano luogo,<br />

infatti, a commerci che, non interferendo con la vendita e il consumo dei vini<br />

loc<strong>al</strong>i, non contraddicevano la scelta microautarchica solitamente operata dai<br />

governanti a protezione della viticoltura loc<strong>al</strong>e.<br />

Resta comunque da osservare che dovrà attendersi quasi ovunque il XV<br />

secolo perché, sulla base del vitigno e del luogo di coltivazione (o magari di uno<br />

solo di questi elementi), i prodotti delle vigne it<strong>al</strong>iane marchino una propria<br />

identità e, forti di essa, si dispongano a far fronte <strong>al</strong>la domanda di consumatori<br />

sempre più esigenti e propensi <strong>al</strong> consumo di vini forti. Di fatto, fino a tutto il<br />

Trecento le fonti propongono ben di rado una distinzione che vada oltre la constatazione<br />

del colore o la qu<strong>al</strong>ifica di vino ‘di pianura’ o ‘di collina’. Il vino bianco<br />

era considerato gener<strong>al</strong>mente un prodotto di maggiore raffinatezza e tanto<br />

più lo si apprezzava quanto più era chiaro; <strong>al</strong> rosso si richiedeva un colore deciso.<br />

Tendenzi<strong>al</strong>mente più robusto e in prev<strong>al</strong>enza bianco, il vino di collina era preferito<br />

a quello di pianura, che era spesso un vino di modesta gradazione <strong>al</strong>colica.<br />

Non è senza significato che nel 1372 il cronista vicentino Conforto da Costozza<br />

contrapponga «i debiliores vini di pianura ai groppelli et <strong>al</strong>ii meliores <strong>al</strong>bi de monte» 21 e che<br />

il catasto fiorentino del 1427 fissi le tariffe più elevate per i vini bianchi derivanti<br />

da vitigni rinomati (trebbiano) coltivati in aree collinari.<br />

Sono certo che sui <strong>temi</strong> sopra accennati e su molti <strong>al</strong>tri ancora un contributo<br />

origin<strong>al</strong>e verrà <strong>d<strong>al</strong></strong>le relazioni che seguiranno, nell’ambito di un Convegno che si<br />

annuncia come una tappa importante nell’indagine della storia vitivinicola del<br />

nostro paese.<br />

21 G.M. VARANINI, Aspetti della produzione e del commercio del vino nel Veneto <strong>al</strong>la fine del medioevo,in Il vino nell’economia<br />

e nella società it<strong>al</strong>iana medioev<strong>al</strong>e e moderna, Convegno di studi (Greve in Chianti, 21-24 maggio<br />

1987), Firenze 1988 (Quaderni della Rivista di storia dell’agricoltura, 1), pp. 61-89, a p. 65.


Gli studi sulla storia della vite e del vino nella Francia mediev<strong>al</strong>e si sono moltiplicati<br />

dopo la pubblicazione, nel 1959 da parte di Roger Dion, della storia delle<br />

vigne e del vino in Francia 1 . In <strong>al</strong>cune regioni, piuttosto che in <strong>al</strong>tre, si è<br />

approfondito in modo particolare questo argomento. In gener<strong>al</strong>e si tratta di<br />

quelle regioni che sono diventate dominio di produzione di vini di qu<strong>al</strong>ità e che<br />

hanno attratto l’attenzione dei ricercatori e degli autori, i qu<strong>al</strong>i hanno tentato in<br />

particolar modo di ris<strong>al</strong>ire <strong>al</strong>le origini dei grandi vigneti della Borgogna, della<br />

Champagne e del Bordolese 2 . Tuttavia non sarebbe sufficiente basarsi su queste<br />

grandi regioni viticole contemporanee per dare un’idea della produzione, del<br />

traffico e del consumo di vino nel medioevo e delle grandi trasformazioni avvenute<br />

tra il periodo mediev<strong>al</strong>e e quello contemporaneo 3 .<br />

1 e R. DION, Histoire de la vigne et du vin en France des origines au XIX siècle, Paris 1959 (rist. anast. Paris<br />

1997); si v. anche il sintetico quadro storiografico presente in G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la<br />

storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta,<br />

4), pp. 47-60.<br />

2 Cfr. a questo proposito la bibliografia di M. LACHIVER, Vins, vignes e vignerons. Histoire du vignoble<br />

français, Paris 1997, pp. 631-691; v. anche Géographie historique des vignobles, Actes du colloque (Bordeaux,<br />

27-29 octobre 1977), 2 voll., Parigi 1978, dove nelle 33 relazioni vengono illustrati i più grandi vigneti<br />

francesi nella loro storia. Per quanto riguarda la Borgogna, segn<strong>al</strong>iamo, oltre a quanto figura nell’opera<br />

precedente, gli studi di J. RICHARD, Burgunds Weine in Mittel<strong>al</strong>ter,inWeinwirtschaft in Mittel<strong>al</strong>ter. Zur<br />

Verbreitung, Region<strong>al</strong>isierung und wirtschaftlichen Nuntzung einer Sonderkultur aus der Römerzeit, Vorträge des<br />

gleichnamingen Symposium von 21. bis 24. März 1996 in Heilbronn, herausgegeben von C. Schrenk,<br />

H. Weckbach, Heilbronn 1997 (Quellen und Forschungen zur Geschichte der Stadt Heilbronn, 9), pp.<br />

205-229, e ID., Les vignobles et les vins de Bourgogne au Moyen Age,in Vins, Vignes et vignerons en Bourgogne du<br />

Moyen Age à l’époque contemporaine, «Ann<strong>al</strong>es de Bourgogne», 73 (2001), pp. 9-17.<br />

3 Cfr. a questo proposito le opere di Dion e Lachiver sopra citate.<br />

* Università March Bloch, Strasburgo.<br />

PIERRE RACINE*<br />

Vigne e vini nella Francia mediev<strong>al</strong>e<br />

15


16<br />

Centri e vini più rinomati <strong>al</strong> tempo di Filippo Augusto.


D’<strong>al</strong>tra parte, chi osserva la distribuzione dei vigneti, anche contemporanei,<br />

non può che rimanere sorpreso nel vedere fiorire vigne in regioni come la<br />

Champagne, la Borgogna o l’Alsazia, dove le condizioni climatiche, come temperature,<br />

gelate e precipitazioni, non sono affatto favorevoli <strong>al</strong>la loro espansione.<br />

Si possono addurre sicuramente dei motivi di ordine storico e cultur<strong>al</strong>e a<br />

questo proposito, ma sono stati prima di tutto gli uomini gli artefici di questa<br />

storia della vigna, non dimenticando che delle regioni dove i vigneti trovavano<br />

delle condizioni favorevoli per il loro sviluppo nel periodo mediev<strong>al</strong>e, oggi sono<br />

del tutto inadatte, come l’Île de France vicino Parigi, mentre <strong>al</strong>tre regioni, pur<br />

non godendo di condizioni favorevoli, hanno visto la fioritura di grandi vigneti,<br />

come la Montagne de Reims. Dunque tutto dipende <strong>d<strong>al</strong></strong>la volontà dell’uomo, che<br />

sa o non sa approfittare delle circostanze e delle congiunture economiche e politiche<br />

e che è in grado di far adattare dei vitigni sensibili a condizioni t<strong>al</strong>volta sfavorevoli<br />

<strong>al</strong>la vigna stessa.<br />

Un testo emblematico: la guerra dei vini<br />

Un poema di 204 versi, scritto da un dignitario della cattedr<strong>al</strong>e di Rouen, Henri<br />

d’Andeli, nato in Andelys <strong>al</strong>la fine del XII secolo, ci permette di collocare la ripartizione<br />

dei vigneti francesi <strong>al</strong>l’inizio del XIII secolo 4 . Per lungo tempo il poema è<br />

stato datato a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> 1240, ma in esso viene segn<strong>al</strong>ato il porto de La Rochelle<br />

come fornitore di vino per l’Inghilterra, mentre la città fu presa <strong>d<strong>al</strong></strong> re di Francia il<br />

3 agosto 1224. Quindi bisognerebbe situare l’azione del poema verso il 1223-1224,<br />

indubbiamente <strong>al</strong>la vigilia della morte del re Filippo Augusto. Nel poema, il re di<br />

Francia, che ama soprattutto il vino bianco, intende fare una degustazione comparativa<br />

dei vini prodotti sia <strong>al</strong>l’interno che <strong>al</strong> di fuori del regno e t<strong>al</strong>e comparazione<br />

4 Il poema di Henri d’Andeli è stato pubblicato in Œuvres d’Henri d’Andeli, trouvère normand du XIII e siècle,<br />

a cura di A. Heron, Rouen 1881, pp. 87-129. Il poema è stato riedito, in una migliore versione, da<br />

F. AUGUSTIN, Sprachliche Untersuchung über die Werke Henri d’Andeli nebst einem Anhang enth<strong>al</strong>tend: La<br />

bataille des vins, «Ausgabe und Handlungen aus dem Gebiete der romanischen Philologie», 44 (1886)<br />

52 pp. Cfr. anche G. GALTIER, La bataille des vins d’Henri d’Andeli et le commerce des vins de la France médiév<strong>al</strong>e,<br />

«Bulletin de la Société languedocienne de gèographie», s. III, 2/3 ( 1968 ), pp. 5-41; CH.M.<br />

HIGOUNET, Une carte des vins du XIII e siècle, «Actes de l’Académie Nation<strong>al</strong>e des sciences et des belles<br />

lettres, arts de Bordeaux», s. V, 5 (1980), pp. 29-39, ripreso in ID., Villes, sociétés et économies médiév<strong>al</strong>es,<br />

Bordeaux 1992, pp. 363-369.<br />

17


18<br />

deve avvenire nel suo p<strong>al</strong>azzo. Viene assistito da un <strong>al</strong>tro degustatore che non è un<br />

vignaiolo, né un negoziante, ma un prete inglese, con indosso la sua stola così da<br />

poter scomunicare i vini cattivi. La scelta di un prete inglese, che giura su san Tommaso<br />

Becket martire, assassinato nel 1170 e canonizzato poco tempo dopo, si può<br />

spiegare con il ricordo della visita del re d’Inghilterra Giovanni senza Terra nel<br />

1201, descritta <strong>d<strong>al</strong></strong> cronista Rigord. Tuttavia bisogna tener conto del fatto che gli<br />

inglesi sono già dei buoni clienti dei vini francesi e la scelta di un uomo di chiesa si<br />

giustifica perfettamente se si pensa <strong>al</strong>l’importanza del vino nella vita liturgica.<br />

Mettendo quindi a confronto successivamente i diversi grandi vigneti di <strong>al</strong>lora,<br />

il paragone può essere fatto anche con i vigneti dell’estero. In testa, ma questa<br />

non dovrebbe essere una sorpresa, troviamo il vino di Cipro:<br />

D’abord manda le vin de Chypre<br />

Ce n’étais pas cervoise d’Ypres<br />

Poi vengono quelli considerati di qu<strong>al</strong>ità: Alsazia, Mosella, Aunis, Spagna, Provenza,<br />

Angiò, Gâtinais; quelli prodotti in zone vicine <strong>al</strong>le città e chiamati col nome<br />

stesso della città: La Rochelle, Béziers, Narbonne, Carcassonne, Orléans, Menton,<br />

Hautvillers. Epernay, Saint Pourçain, Chablis, Beaune; quelli detti «francesi», stimati<br />

a Parigi e <strong>al</strong>l’estero. Accanto a questi vini apprezzati <strong>d<strong>al</strong></strong> prete inglese ci sono<br />

quelli scomunicati, soprattutto per la loro acidità: vini di Beauvais, d’Etampes, di<br />

Ch<strong>al</strong>ons; quelli dell’occidente: Rennes, Le Mans, Tours, ma anche vini provenienti<br />

dai vigneti dell’Île de France (disprezzato soprattutto quello di Argenteuil). Il<br />

vino d’Alsazia è qu<strong>al</strong>ificato come «vinello che conviene <strong>al</strong> re», esportato per <strong>al</strong>tro<br />

verso le città del Reno inferiore. Il vino di La Rochelle ha diritto ad un posto particolare<br />

perché viene bevuto dagli inglesi, ma anche dai bretoni, dai normanni e dai<br />

fiamminghi, g<strong>al</strong>lesi, scozzesi, irlandesi, norvegesi e danesi.<br />

Dopo avere messo a confronto tutti questi vini, la discussione si apre tra i due<br />

perché vantino loro stessi i propri meriti. I vini «francesi» sottolineano la loro leggerezza,<br />

rimproverando a quelli della bassa Borgogna di far star m<strong>al</strong>e i loro bevitori.<br />

Interviene <strong>al</strong>lora il re per giudicare e gustare tutti i vini. Egli scomunica la cervogia,<br />

tipica dei paesi <strong>al</strong> di là dell’Oise, della Fiandra e dell’Inghilterra e durante tre giorni e<br />

tre notti sonnecchia senza svegliarsi dopo aver steso una specie di elenco dei premiati,<br />

in cui incorona i vini buoni e dove il vino di Cipro è considerato l’esponente<br />

più importante. Il poema dice anche che egli nominò tre re e tre conti così come 12<br />

pari di Francia, ma senza fare il loro nome. Un t<strong>al</strong>e poema del qu<strong>al</strong>e non esistono<br />

esempi an<strong>al</strong>oghi per la fine del medioevo, dimostra che i vini che godono di una


posizione eccellente a Parigi e <strong>al</strong>la corte re<strong>al</strong>e sono quelli prodotti nella parte settentrion<strong>al</strong>e<br />

del regno, senza, comunque, che vengano ignorati i vini provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

sud-ovest o <strong>d<strong>al</strong></strong> Mezzogiorno. I vini stranieri provenienti da Cipro o <strong>d<strong>al</strong></strong>la Spagna<br />

sono conosciuti ed apprezzati, come nel caso di Filippo Augusto, che manifestò il<br />

suo apprezzamento per il vino di Cipro durante la terza crociata. I vini dell’Alsazia<br />

e della Mosella sono considerati vini di qu<strong>al</strong>ità e i vini della Linguadoca, citati nelle<br />

città vicine, devono sicuramente la loro fama <strong>al</strong>la crociata degli Albigesi. I vini che<br />

ricevono <strong>d<strong>al</strong></strong> re i loro titoli sono princip<strong>al</strong>mente dei vini bianchi. A t<strong>al</strong> proposito può<br />

sorprendere, ad esempio, il vino di Beaune, considerato ai nostri giorni per essere<br />

prima di tutto un vino rosso, come quello di Chablis. Oggi bisogna andare a sud di<br />

Beaune, a Meursault oppure a Puligny, per trovare i grandi vini bianchi della Borgogna.<br />

In un’epoca in cui gli uomini non sanno ancora produrre dei vini da conservare<br />

non è sorprendente il fatto che i consumatori preferiscano dei vini bianchi.<br />

Il poema ci descrive, dunque, un quadro re<strong>al</strong>e dei vigneti francesi <strong>d<strong>al</strong></strong>l’inizio del XIII<br />

secolo, ma di questo non possiamo tenere conto che come testimone di un certo<br />

periodo, senza poterlo proiettare su tutto il periodo mediev<strong>al</strong>e.<br />

I fattori che hanno favorito l’espansione dei vigneti francesi<br />

Il poema, per quanto se ne sappia, ci introduce in maniera espressiva <strong>al</strong>la conoscenza<br />

della situazione viticola francese verso il 1220. I fattori che hanno contribuito<br />

a questa distribuzione geografica sono di due ordini, fisici da una parte e<br />

storici ed umani <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra. Sul piano fisico è chiaro che le vigne hanno occupato<br />

delle zone dove ai nostri giorni non sono più introducibili. Un tempo i vigneti<br />

venivano coltivati nella Francia occident<strong>al</strong>e fino in Bretagna e Normandia e fino<br />

a nord della Senna, nella Piccardia e addirittura nelle Fiandre. Quindi non bisogna<br />

far <strong>al</strong>tro che dare uno sguardo <strong>al</strong>la carte attu<strong>al</strong>i sulle precipitazioni, le temperature<br />

ed il numero di giorni di gelo, per constatare come la vite, pianta che<br />

teme il freddo e l’umidità, non saprebbe trovarsi a proprio agio in queste zone.<br />

Certo la nostra conoscenza del clima mediev<strong>al</strong>e rimane mediocre m<strong>al</strong>grado le<br />

ricerche effettuate in questo campo, basate sia sulle cronache che su elementi<br />

archeologici o dendrologici 5 . Comunque sia, è doveroso considerare delle<br />

5 Si v. in proposito E. LEROY LADURIE, Histoire du climat depuis l’an Mil, Parigi 1967, opera assai contenuta<br />

riguardo <strong>al</strong> periodo mediev<strong>al</strong>e; W. DANSGAARD, North Atlantic climatic oscillations reve<strong>al</strong>ed by deep<br />

19


20<br />

costanti per quanto riguarda la materia delle precipitazioni e delle temperature<br />

nelle regioni ad ovest della Francia. È interessante osservare che già nel medioevo<br />

gli uomini avevano capito che i vigneti dovevano essere coltivati lungo le pendici<br />

e le collinette perché ciò permetteva di evitare il fondo della v<strong>al</strong>late p<strong>al</strong>udose<br />

o umide, dove d’inverno era presente costantemente la nebbia, mentre le colline<br />

esposte <strong>al</strong> sole che sorge erano sicuramente un luogo privilegiato. Un esempio<br />

eclatante è il vigneto del Clos Vougeot, creato dai monaci di Cîteaux.<br />

Per quanto riguarda il terreno, si sa bene che la vigna non è molto esigente 6 .<br />

Sicuramente il terreno preferito dovrebbe essere ben drenato, preferibilmente di<br />

natura c<strong>al</strong>carea e le colline della Borgogna, lungo la Saône, o quelle dell’Île de<br />

France, o della Champagne hanno queste caratteristiche. Evidentemente i terreni<br />

argillosi sono i più problematici, perché mantengono le radici della vigna nell’acqua.<br />

Nel complesso, comunque, i terreni favorevoli <strong>al</strong>l’impianto del vigneto<br />

non mancavano nel territorio francese. E se t<strong>al</strong>volta la vigna è stata piantata su<br />

un terreno poco favorevole, è indispensabile considerare la necessità di <strong>al</strong>cuni<br />

fattori umani, soprattutto di ordine religioso, in quanto la chiesa doveva disporre<br />

del vino per i suoi uffici. Le popolazioni che volevano bere il proprio vino,<br />

anche se mediocre, facevano rientrare la vigna tra le coltivazioni scelte, in un’epoca<br />

in cui la commerci<strong>al</strong>izzazione del vino era contrastata da seri problemi di<br />

trasporto. Per <strong>al</strong>tro non bisogna dimenticare che per la celebrazione dell’ufficio<br />

divino era indispensabile usufruire di questa bevanda perché potesse verificarsi<br />

la trasformazione del vino nel sangue del Signore <strong>al</strong> momento della consacrazione.<br />

Dunque la coltivazione dei vigneti raggiungeva anche quelle regioni dove<br />

c’erano condizioni difficili per il proprio sviluppo, ma le regioni più idonee, quelle<br />

con terreni ben drenati e ben esposti, erano destinate soprattutto <strong>al</strong>la produzione<br />

di vini di qu<strong>al</strong>ità.<br />

Greenland in cores, in Climate processes and climate sensinity, a cura T. e J.E. Hansen Takahashi, Washinghton<br />

1984, pp. 288-298; P. ALEXANDRE, Le climat en Europe au Moyen Age. Contribution à l’histoire des variations<br />

climatiques de 1000 à 1425 d’après les sources narratives de l’Europe occident<strong>al</strong>e, Paris 1987; R. DELORT,<br />

F. WALTER, Histoire de l’environnement européen, Paris 2001, pp. 135-141.<br />

6 Sono più i fattori climatici di quelli pedologici a influenzare la piantagione dei vigneti, come ha evidenziato<br />

E. JUILLARD, La vie rur<strong>al</strong>e en basse Alsace. Essai de géographie soci<strong>al</strong>e, Paris 1953, e prima ancora<br />

A. LUCIUS, Le vignoble d’Alsace, «Ann<strong>al</strong>es de géographie», 31 (1922), pp. 205-214 che scrive a p. 205:<br />

«La culture de la vigne a, comme dans tout l’est de la France, quelque chose d’artificiel (…), elle ne<br />

peut y exister que grâce à la presence de conditions naturelles particulièrement favorables». Riguardo,<br />

infine, <strong>al</strong>la Borgogna, cfr. R. GADILLE, Le vignoble de la Côte bourguignonne. Fondements physiques et<br />

humains d’une viticulture de qu<strong>al</strong>ité, Paris 1967.


Le zone dove venivano prodotti vini di qu<strong>al</strong>ità erano non soltanto quelle caratterizzate<br />

da terreni c<strong>al</strong>carei, ma anche zone legate <strong>al</strong>le v<strong>al</strong>li. Fin <strong>d<strong>al</strong></strong> medioevo, la<br />

vite offriva a coloro che la lavorano e la possedevano delle possibilità di arricchimento<br />

grazie <strong>al</strong>la commerci<strong>al</strong>izzazione del vino. Viste le condizioni in cui versava<br />

la rete stra<strong>d<strong>al</strong></strong>e mediev<strong>al</strong>e 7 ed il costo elevato del trasporto su strada, causato da<br />

numerosi pedaggi e telonei, era difficile pensare <strong>al</strong> trasporto del vino via terra se<br />

non su percorsi brevi, tanto più che il trasporto terrestre rischiava di deteriorare la<br />

qu<strong>al</strong>ità del vino durante il viaggio. Pertanto il trasporto via mare era preferibile e<br />

gran parte delle loc<strong>al</strong>ità da cui provengono i vini citati nel poema riguarda delle<br />

regioni dove i fiumi o i corsi d’acqua navigabili ne permettono un trasporto facile.<br />

I vigneti borgognoni della v<strong>al</strong>le dell’Yonne o quelli vicini <strong>al</strong>la Saône ne sono dei<br />

bellissimi esempi 8 . I vigneti della Lorena o dell’Alsazia hanno goduto di grossi vantaggi<br />

grazie <strong>al</strong>le v<strong>al</strong>li della Mosella o del Reno, riguardo <strong>al</strong> trasporto dei loro prodotti<br />

verso le regioni del basso corso del Reno 9 . D’<strong>al</strong>tra parte i porti di La Rochelle<br />

e di Bordeaux consentivano una esportazione facile dei vini provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

retroterra via acqua verso i paesi settentrion<strong>al</strong>i, le Fiandre, l’Inghilterra e persino i<br />

paesi scandinavi e delle rive del B<strong>al</strong>tico 10 . Favoriti <strong>d<strong>al</strong></strong>le loro condizioni, questi<br />

vigneti di v<strong>al</strong>le si sono rapidamente rivelati destinati a fornire un prodotto di lusso<br />

e per questo i vignaioli sono stati sollecitati a prendersi cura del loro prodotto.<br />

Certamente fattori fisici ed umani hanno avuto un peso particolare nello sviluppo<br />

delle vigne sul territorio francese mediev<strong>al</strong>e. Bisogna comunque precisare<br />

che la vigna non rappresentava un prodotto tipico, nonostante in G<strong>al</strong>lia fosse esistito<br />

un vigneto selvaggio prima dell’arrivo dei romani, che sicuramente non<br />

poteva dare frutti <strong>al</strong> punto da considerarlo una base per la vendemmia. Ne è pro-<br />

7 J. HUBERT, Les routes du Moyen Age, in Les routes de France depuis les origines jusq’à nos jours, Paris 1959,<br />

pp. 25-56; M. ROUCHE, L’héritage de la voierie antique dans la Gaule du haut Moyen Age (V e -XI e siècle), in<br />

L’homme et la route en Europe occident<strong>al</strong>e au Moyen Age et aux temps modernes, Auch 1980, pp. 13-32.<br />

8 M. DELAFOSSE, Le commerce du vin à Auxerre (XIV e -XV e siècles), «Ann<strong>al</strong>es de Bourgogne», 13 (1941),<br />

pp. 208-230; ID., Note d’histoire soci<strong>al</strong>e. Les vignerons d’Auxerre (XIV e -XVI e siècles), «Ann<strong>al</strong>es de Bourgogne»,<br />

20 (1948), pp. 7-41. Il cronista Guglielmo Anglico celebra la vinifera Beaune <strong>al</strong> tempo di Filippo<br />

Augusto: Œuvres de Rigord et Guillaume le Breton, Paris 1882, vv. 580-583.<br />

9 La vigne et le vin en Lorraine. L’exemple de la Lorraine médiane à la fin du Moyen Age, Nancy 1982; inoltre<br />

O. KAMMERER, Le vin d’Alsace, fruit d’un écosystème médiév<strong>al</strong>,in Vins, vignobles et terroirs de l’Antiquité à nos<br />

jours, Nancy 1999, pp. 119-135.<br />

10 e e R. DION, Les origines de La Rochelle et l’essor du commerce atlantique aux XII et XIII siècles, «Norois», 9<br />

(1956), pp. 35-50; Y. RENOUARD, Histoire de Bordeaux, Bordeaux 1965, pp. 233-266.<br />

21


22<br />

va il fatto che Cesare non abbia fatto <strong>al</strong>cun accenno a qu<strong>al</strong>siasi forma di coltivazione<br />

della vigna nel suo resoconto della guerra in G<strong>al</strong>lia. Le più antiche testimonianze<br />

sull’introduzione della vigna nel territorio g<strong>al</strong>lico riguardano le prime province<br />

sottomesse dai romani, come la regione narbonese e la Provenza, prima che<br />

la vigna si espandesse lentamente nelle regioni mediterranee e soprattutto lungo<br />

i fiumi Rodano, Saona e Garonna e i loro affluenti verso il nord 11 . Il successo della<br />

vigna nella regione g<strong>al</strong>lica avrebbe per<strong>al</strong>tro provocato l’abbassamento del prezzo<br />

del vino in It<strong>al</strong>ia, secondo Plutarco e Marzi<strong>al</strong>e, e Columella aggiunge: «L’uva<br />

raccolta per il nostro vino viene <strong>d<strong>al</strong></strong>le Cicladi, <strong>d<strong>al</strong></strong>la Baetica e <strong>d<strong>al</strong></strong>la G<strong>al</strong>lia» 12 . Anche<br />

l’imperatore Domiziano aveva promulgato un editto, forse nel 92, per limitare l’espansione<br />

della vigna fuori dell’It<strong>al</strong>ia, «convinto – secondo Svetonio – che la<br />

sovrabbondanza di vino e la penuria di grano derivassero da una infatuazione<br />

eccessiva per la vigna, <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e aveva origine l’abbandono dell’aratura». Per<br />

questo motivo ordinò di sradicare nella metà delle province <strong>al</strong>meno la metà dei<br />

vigneti 13 . Senza dubbio si trattò di un editto teso a proteggere i vigneti migliori<br />

piuttosto che della distruzione di gran parte di essi. L’editto, comunque, non ostacolò<br />

l’espansione della viticoltura in G<strong>al</strong>lia e ciò, senza dubbio, durante i due<br />

secoli successivi. Laddove si trovava la vigna non ci furono sradicamenti, ma nelle<br />

regioni dove la vigna non esisteva, non furono introdotte nuove piantagioni.<br />

Il fatto che la vigna abbia potuto espandersi in G<strong>al</strong>lia presuppone che i vitigni<br />

utilizzati potessero adattarsi a delle condizioni climatiche più dure rispetto <strong>al</strong>le<br />

regioni mediterranee. Plinio il Vecchio nella sua Storia Natur<strong>al</strong>e definisce <strong>al</strong>lobrogicum<br />

il vitigno nero che resiste <strong>al</strong>le gelate e che ha raggiunto le v<strong>al</strong>li <strong>al</strong>pine. Gli storici<br />

R. Dion e L. Levadoux non sono riusciti a dare una spiegazione logica sull’adattamento<br />

del vitigno che M. Lachiver dice assomigliare <strong>al</strong> moderno syrah dei<br />

vigneti attu<strong>al</strong>i che si trova sulla «Côte rôtie e l’Hermitage» 14 . Probabilmente biso-<br />

11 L. LEVADOUX, De l’origine de la vigne dans les Gaules, «Le progrès agricole et viticole», 20-21 (1953),<br />

pp. 295-301; DION, Histoire de la vigne, soprattutto i capp. III e IV.<br />

12<br />

DION, Histoire de la vigne, p. 120, cita il passo di Plutarco, Symp., 3, 1, 10, per mostrare quanto il picatum,<br />

o vino con la pece della città di Vienne in G<strong>al</strong>lia, fosse apprezzato a Roma, e l’epigramma di<br />

Marzi<strong>al</strong>e, che promette ad uno dei suoi commens<strong>al</strong>i di servirgli del vino impeciato di Vienne. Per<br />

quanto riguarda Columella, cfr. De agricoltura 1, Praef. 20, ed. H.B. Ash, I, London-Cambridge Mass.<br />

(The Loeb Classic<strong>al</strong> Library), p. 16.<br />

13 C. SVETONIO TRANQUILLO, Vitae Caesarum. Domitianus, 7, ed. H. Ailloud, III, Paris 1957 (Collections<br />

des Universités de France [CUF]), pp. 84-85.<br />

14<br />

PLINIO IL VECCHIO, Natur<strong>al</strong>is historia, 14, 4(2), 26-27, ed. J. André, XIV, Paris 1958 (CUF), p. 32:<br />

«Allobrogica frigidis (locis) gelu maturescens et colore nigra».


gna pensare ad un incrocio tra una varietà selvatica ed una varietà coltivata ma,<br />

tuttavia, l’<strong>al</strong>lobrogicum era destinato ad un grande successo in quanto apriva la strada<br />

<strong>al</strong>l’espansione delle vigna verso regioni caratterizzate da un clima più rigido.<br />

Insieme <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>lobrogicum, Plinio il Vecchio cita anche la vite biturica, <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e dà un<br />

posto <strong>al</strong>trettanto importante. Senza dubbio si tratta di un vitigno, il cui nome proviene<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> porto di Burdig<strong>al</strong>a (Bordeaux), <strong>al</strong>la foce della Garonna, uno dei centri<br />

princip<strong>al</strong>i. Sembra che la biturica, importata a differenza dell’<strong>al</strong>lobrogicum, fosse<br />

l’antenato del gruppo dei carmenets, di cui fanno parte il cabernet, il cabernet sauvignon,<br />

il merlot, il petit verdot, la carmenère e il sauvignon. Il cabernet verrà<br />

chiamato per lungo tempo verdure in francese antico e in guascone bit-durs, cioè<br />

vite dura, per le difficoltà che presentava durante la potatura 15 .<br />

I vigneti francesi mediev<strong>al</strong>i: l’eredità romana<br />

È un testo del 312, il panegirico di Costantino, che dà una prima idea sull’espansione<br />

della vite borgognona e permette di an<strong>al</strong>izzare effettivamente una situazione<br />

che ris<strong>al</strong>e <strong>al</strong>meno ad un secolo prima. Nello stesso anno Costantino si recò in<br />

visita ad Autun, capit<strong>al</strong>e del paese degli Edui, dove ascoltò un discorso di ringraziamento,<br />

composto da un discepolo del retore Eumenio, su richiesta dei cittadini.<br />

L’imperatore aveva appena accordato loro uno sgravio d’imposta ed ascoltava<br />

le lamentele degli abitanti riguardo <strong>al</strong>la loro condizione di povertà. Autun si trovava,<br />

dunque, in un territorio fertile. Sicuramente non c’erano vigneti intorno <strong>al</strong>la<br />

città, ma <strong>al</strong> pagus Arebrignus erano collegate le regioni di Beaune e di Nuits Saint<br />

Georges. Le parole utilizzate <strong>d<strong>al</strong></strong> retore sono particolarmente significative: «Ed<br />

anche questo famoso pagus Arebrignus è lontano <strong>d<strong>al</strong></strong> meritare la stima che gli si<br />

concede. Addossato, da un lato, a delle rocce e a delle foreste impraticabili, dove<br />

gli anim<strong>al</strong>i selvatici trovano dei rifugi sicuri, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro domina una bassa pianura<br />

che si estende fino <strong>al</strong>la Saona. Certo, si dice che questa pianura un tempo fosse<br />

prospera, un tempo in cui la coltura veniva curata costantemente ed ognuno, sulla<br />

propria terra, manteneva liberi dagli ostacoli i fossati, assicurando lo scolo delle<br />

acque. Ma oggi, per effetto delle devastazioni, le condotte si sono ostruite e<br />

15 Ibidem, 14, 4(2), 27, p. 32. Su questi vitigni cfr. DION, Histoire de la vigne, pp. 118-126, e LACHIVER,<br />

Vins, Vignes, p. 37; sulla concorrenza tra i vini d’It<strong>al</strong>ia e i vini della G<strong>al</strong>lia, cfr. A. TCHERNIA, Le vin de<br />

l’It<strong>al</strong>ie romaine. Essai d’histoire économique d’après les amphores, Rome 1986 (Collection de l’École française<br />

de Rome, 261).<br />

23


24<br />

queste terre basse, che <strong>al</strong>trimenti erano considerate essere le più feconde per la<br />

loro posizione, ritornano <strong>al</strong>lo stato di pantani e di p<strong>al</strong>udi. I vigneti, infine, questi<br />

vigneti ammirati solamente da coloro che ignorano il loro stato re<strong>al</strong>e, sono t<strong>al</strong>mente<br />

sfibrati <strong>d<strong>al</strong></strong>la vecchiaia che sentono appena le cure che noi diamo loro. Le<br />

loro radici, delle qu<strong>al</strong>i non conosciamo più l’età, hanno formato, intrecciandosi,<br />

una massa che impedisce di scavare dei fossati <strong>al</strong>la profondità necessaria per cui,<br />

a causa di una copertura insufficiente, le propaggini delle viti sono esposte <strong>al</strong>le<br />

noie della pioggia ed ai raggi del sole che le bruciano. E noi non abbiamo qui il<br />

vantaggio, come in Aquitania ed in <strong>al</strong>tre province, di poter trovare <strong>al</strong>tro spazio<br />

necessario <strong>al</strong>la creazione di nuovi vigneti, rinchiusi come siamo tra le pietraie<br />

ininterrotte delle montagne e la pianura dove si teme il gelo» 16 .<br />

Di questo testo, ben conosciuto, conviene sicuramente considerare la parte<br />

legata <strong>al</strong>le circostanze e non prendere <strong>al</strong>la lettera le lamentele presentate <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

retore. Sicuramente porta moltissime informazioni su ciò che era la viticoltura<br />

in Borgogna nel periodo del basso impero. I vigneti sono situati proprio sulle<br />

pendici delle colline davanti <strong>al</strong> sole che sorge, tra le <strong>al</strong>ture rocciose e la pianura<br />

invasa <strong>d<strong>al</strong></strong>la nebbia in autunno e in primavera, sottomesse <strong>al</strong> gelo durante l’inverno:<br />

il retore descrive delle viti «sfibrate <strong>d<strong>al</strong></strong>la vecchiaia, le cui radici non hanno<br />

più età». Queste due frasi evocano evidentemente la propagginazione. Il<br />

vignaiolo piantava la sua vigna e, dopo qu<strong>al</strong>che anno, scavava una fossa e<br />

nascondeva nella terra un ceppo lasciando che nascessero due o tre tr<strong>al</strong>ci: la<br />

vigna dunque non veniva ripiantata in quanto non veniva quasi mai più estirpata.<br />

Continuava così ad occupare lo stesso posto, pur riproducendosi per propagginazione<br />

per 20 o 30 anni. Le radici dei tr<strong>al</strong>ci nascosti nella terra formavano<br />

il groviglio descritto nel testo del retore e siccome i piedi erano aggrovigliati<br />

ed il lavoro non veniva fatto che con la zappa, non c’era il rischio che un aratro<br />

potesse dipanarlo. Ora gli abitanti di Autun dichiaravano che non era loro<br />

possibile fare dei fossati <strong>al</strong>la profondità desiderata, per cui i legni vecchi coperti<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la terra marcivano poco a poco e ad un certo punto il groviglio inestricabile<br />

di radici non era più in grado di moltiplicarsi. I m<strong>al</strong>i di cui si lamentano gli<br />

abitanti di Autun derivano più che <strong>al</strong>tro <strong>d<strong>al</strong></strong>la mancanza di manutenzione, non<br />

avendo fatto le propaggini della vite nel tempo debito. Fin <strong>d<strong>al</strong></strong> III secolo la città<br />

16 Panegirico di Costantino, V, 6, 4-7, cit. <strong>d<strong>al</strong></strong>la traduzione di Dion: v. il testo latino origin<strong>al</strong>e nell’edizione<br />

di R.A.B. MYNORS, XII panegyrici latini, Oxonii 1964 (Scriptorum classicorum Bibliotheca Oxoniensis),<br />

p. 179.


di Autun aveva dovuto affrontare diversi problemi, nel 269 la città era stata saccheggiata<br />

ed i vigneti borgognoni avevano sofferto, in questo modo, dei m<strong>al</strong>i i<br />

cui risultati si sarebbero resi p<strong>al</strong>esi con la crisi del III secolo: c<strong>al</strong>o demografico,<br />

terreni incolti, piantagioni trascurate, a t<strong>al</strong> punto che i vigneti borgognoni che<br />

si trovavano lungo l’asse Mosella - Saona - Rodano erano una facile via di penetrazione<br />

da parte degli invasori germanici.<br />

Leggendo il testo del retore ci si chiede qu<strong>al</strong>e sia stato il periodo di introduzione<br />

del vigneto borgognone. L’editto di Domiziano sembra essere rimasto in<br />

vigore durante la maggior parte del II secolo. Se gli abitanti della civitas di Autun<br />

hanno ottenuto da Roma l’autorizzazione a piantare le loro vigne, bisogna senza<br />

dubbio pensare che essa sia stata loro accordata non prima della fine del II secolo<br />

o <strong>al</strong>l’inizio del III secolo, in quanto gli Antonini, che avevano offerto i loro<br />

favori <strong>al</strong>la città di Lione, non avevano sicuramente voluto ottemperarvi. I vigneti<br />

borgognoni si sono, dunque, sicuramente sviluppati nel corso del III secolo,<br />

durante un’epoca difficile, e gli abitanti di Autun avevano interesse ad insistere<br />

sul loro degrado per meritare la pietà imperi<strong>al</strong>e. Nello stesso periodo, nel 291, gli<br />

abitanti di Treviri ringraziano l’imperatore Massimino per il diritto che ha loro<br />

concesso di piantare delle vigne che diano loro dei raccolti abbondanti 17 .<br />

I vigneti di Treviri sembrano essersi sviluppati contemporaneamente a quelli<br />

borgognoni, anche se il periodo di piantagione sembra essere leggermente<br />

posteriore, a metà del III secolo. Questi due tipi di vigneti, pertanto, pongono il<br />

problema del tipo di vitigno utilizzato per resistere <strong>al</strong> freddo. Senza dubbio si<br />

trattava di vitigni nati <strong>d<strong>al</strong></strong> vigneto degli <strong>al</strong>lobrogi, con l’<strong>al</strong>lobrogicum, a partire <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

qu<strong>al</strong>e sono state selezionate le piante idonee <strong>al</strong>l’adattamento nelle regioni settentrion<strong>al</strong>i.<br />

L’editto di Domiziano doveva essere abrogato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’imperatore Probo,<br />

che concesse a tutte le città dell’impero il diritto di piantare vigneti 18 . In questo<br />

modo egli pensava <strong>al</strong>la riconoscenza degli abitanti, che avevano la possibilità<br />

di accedere ad una coltura remunerativa. Da <strong>al</strong>lora la vigna poté guadagnare tutte<br />

le regioni ad ovest dell’asse Mosella, Reno, Saona, Rodano, così come quelle a<br />

nord di Bordeaux. I vigneti si estesero rapidamente e le testimonianze sulla loro<br />

presenza <strong>al</strong>le porte di Parigi <strong>al</strong>l’epoca dell’imperatore Giuliano o nella v<strong>al</strong>le della<br />

Senna non mancano 19 . Di fronte <strong>al</strong>la cupidigia dei barbari, gli imperatori tenta-<br />

17 Panegirico di Massimiano, X, 6: «metendo et vendemiando deficimus» (cito <strong>d<strong>al</strong></strong>l’edizione inglese).<br />

18 Historia Augusta. Probus, 18, 8, ed. F. Paschoud, V/2, Paris 2001 (CUF), p. 36.<br />

19 LACHIVER, Vins, Vignes, pp. 42-43.<br />

25


26<br />

rono di impedire, <strong>al</strong>la fine del IV secolo, l’esportazione del vino a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

G<strong>al</strong>lia e destinato <strong>al</strong> mondo germanico.<br />

L’espansione del vigneto ha sofferto, senza <strong>al</strong>cun dubbio, delle invasioni<br />

‘barbariche’, senza però che gli invasori abbiano contribuito <strong>al</strong>la sua distruzione.<br />

L’eredità romana è stata molto importante per la diffusione della vigna in G<strong>al</strong>lia,<br />

anche se nelle regioni settentrion<strong>al</strong>i è stato necessario aspettare la fine della<br />

dominazione romana perché potesse raggiungere regioni come il cuore del Massiccio<br />

Centr<strong>al</strong>e, tanto che ne è testimonianza una lettera di Sidonio Apollinare <strong>al</strong><br />

suo amico Aper: le montagne le fanno una cintura di pascoli <strong>al</strong>la loro sommità,<br />

<strong>al</strong>cuni vigneti si nascondono sulle collinette, delle cascine nei luoghi coltivati, dei<br />

castelli si ergono su delle rocce, scriveva l’aristocratico g<strong>al</strong>lo-romano. Roger<br />

Dion ha formulato l’ipotesi che il vigneto descritto da Sidonio Apollinare dovesse<br />

trovarsi nella regione di Saint Pourçain e fu verosimilmente <strong>al</strong>l’origine di un<br />

vigneto destinato a perpetuarsi fino ai nostri giorni ed a godere di una grande<br />

fama nel medioevo 20 .<br />

I vigneti che si sono sviluppati durante l’epoca romana si sono mantenuti nell’<strong>al</strong>to<br />

medioevo. Creazioni di <strong>al</strong>tri vigneti si sono avute a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> VI secolo, per<br />

esempio nella v<strong>al</strong>le della Loira. Il poeta Venanzio Fortunato ricorda le viti che il<br />

vescovo di Nantes pianta nell’Angiò 21 e Gregorio di Tours ricorda le vigne della<br />

basilica di San Martino, che, secondo la leggenda, si presume abbiano dato origine<br />

<strong>al</strong>la piantagione del vigneto attorno a Tours. Egli racconta come un capo bretone,<br />

nel 587, dopo aver fatto la vendemmia trasportò il vino nella regione di<br />

Vannes 22 . Essendo crollata la dominazione romana, sono i signori ecclesiastici<br />

(vescovi ed abati) e laici a prendere in mano la viticoltura in seno ai regni merovingi.<br />

I vescovi, come anche gli abati, avevano bisogno del vino per la celebrazione<br />

della eucaristia e, in questo ambito, la religione cristiana contribuì largamente<br />

a conferire <strong>al</strong> vino il suo v<strong>al</strong>ore. Non ci sono vescovi o abati che non abbiano<br />

20 SIDONIO APOLLINARE, Epistulae 4, 21, ed. A. Loyen, II, Paris 1970 (CUF), pp. 157-159.<br />

21<br />

VENANZIO FORTUNATO, Carmina, ed. F. Leo, MGH, Auctores antiquissimorum, IV/1, Berolini 1881,<br />

p. 118.<br />

22<br />

GREGORIO DI TOURS, Historia francorum, 9, 18 (ed. B. Krusch, W. Levison, MGH, Scriptores rerum<br />

merovingicarum, I/1,2, Hannoverae 1951, pp. 431-432): il capo bretone Waroch fa rimanere i suoi<br />

uomini nel territorio di Nantes per il periodo della vendemmia per poi rientrare a Vannes. Altri colpi<br />

di mano effettuati da capi bretoni nelle stesse condizioni vengono segn<strong>al</strong>ati <strong>d<strong>al</strong></strong> medesimo autore:<br />

5, 31(I/1,1, pp. 236-237); 9, 24 (pp. 443-444).


ivolto la propria attenzione <strong>al</strong> vino, tanto più che sia in città che nei monasteri il<br />

p<strong>al</strong>azzo vescovile, come la residenza abbazi<strong>al</strong>e, diventano luoghi di ospit<strong>al</strong>ità. Il<br />

vescovo riceve i grandi che sono di passaggio e il monastero offre ospit<strong>al</strong>ità ai<br />

poveri e ai viandanti. Il polittico di Saint Germain des Prés non manca di rilevare<br />

i vigneti di sua proprietà e Argenteuil, <strong>al</strong>le porte di Parigi, diventa il centro di<br />

una grande tenuta viticola, proprietà dell’abate di Saint Denis 23 .<br />

«Che i nostri amministratori si occupino delle nostre vigne, sollevandole <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

loro ministero e le facciano rendere bene, che mettano il vino in contenitori di<br />

buona qu<strong>al</strong>ità e che prendano tutte le precauzioni perché non si guasti in <strong>al</strong>cun<br />

modo. Se bisogna comprare <strong>al</strong>tro vino, che lo facciano comprare in un posto<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> qu<strong>al</strong>e possano portarlo nelle nostre proprietà. E se il vino così comprato è<br />

in eccedenza, che ce lo sottopongano affinché noi prendiamo una decisione.<br />

Che riservino per il nostro uso il prodotto delle nostre viti. Che mettano nelle<br />

nostre dispense i redditi delle nostre proprietà che devono consegnare del<br />

vino» 24 . Questi estratti <strong>d<strong>al</strong></strong> capitolare De villis di Carlo Magno sono significativi<br />

per quanto riguarda l’attenzione che sia l’imperatore che i grandi signori laici<br />

prestavano <strong>al</strong>la cura del vigneto, <strong>al</strong>la vendemmia ed <strong>al</strong> vino. Gli imperatori carolingi<br />

sono chiamati a spostarsi di p<strong>al</strong>azzo in p<strong>al</strong>azzo e vogliono disporre del<br />

vino nel luogo in cui soggiornano. I vigneti vengono piantati intorno ai p<strong>al</strong>azzi<br />

imperi<strong>al</strong>i o principeschi e ben presto il signore laico, che vede nel vino l’occasione<br />

per avere dei guadagni apprezzabili <strong>d<strong>al</strong></strong>la sua commerci<strong>al</strong>izzazione, è portato<br />

ad introdurre il diritto di banvin, che gli dà il privilegio di poter smerciare<br />

prima di tutto il vino nuovo. I signori ecclesiastici non rimangono fermi riguardo<br />

<strong>al</strong> modo di smerciare il loro raccolto in eccesso. Spesso regna la speculazione<br />

nei periodo di penuria, tanto che Carlo Magno, col capitolare di Nimègue<br />

dell’806, condanna coloro che traggono profitto dai m<strong>al</strong>esseri del tempo: «Tutti<br />

coloro che durante il periodo della mietitura e della vendemmia acquistano<br />

grano o vino senza necessità, ma con atteggiamento di cupidigia, commettono<br />

quello che noi consideriamo un profitto disonesto» 25 . Passate le invasioni normanne,<br />

senza che del resto ne abbia sofferto il vigneto, lo slancio monastico è<br />

legato in modo particolare a Cluny nei secoli X e XI ed <strong>al</strong>le creazioni dell’XI e<br />

23 Polyptyque de l’abbeye de Saint Germain des Prés, a cura di A. Longnon, 2 voll., Paris 1886, passim.<br />

24 Capitulare de villis, cap. 8, ed. A. Boretius, MGH, Leges, Capitularia regum francorum, I, Hannoverae<br />

1881, p. 83.<br />

25 Capitulare missorum Niumagae datum, cap. 17, ed. Boretius, p. 132.<br />

27


28<br />

XII secolo, di cui segnatamente Cîteaux non poteva che contribuire <strong>al</strong>l’espansione<br />

dei propri vigneti, in un’epoca in cui la crescita demografica offriva mano<br />

d’opera utile <strong>al</strong>l’impianto di nuovi vigneti.<br />

Lo slancio del vigneto nel XII e XIII secolo<br />

La situazione descritta <strong>d<strong>al</strong></strong>la guerra dei vini di Henri d’Andeli corrisponde, per<br />

quanto riguarda l’estensione dei vigneti francesi nel medioevo, <strong>al</strong>l’eredità venuta<br />

sia <strong>d<strong>al</strong></strong>l’epoca romana che da quella dell’<strong>al</strong>to medioevo. Si mantiene sicuramente<br />

per tutto il XIII secolo, addirittura fino <strong>al</strong>la crisi del XIV secolo, caratterizzata in<br />

modo particolare <strong>d<strong>al</strong></strong>la peste nera. Di questi vigneti è possibile portare <strong>al</strong>la luce i<br />

tratti fondament<strong>al</strong>i. I proprietari che hanno incoraggiato e favorito lo slancio<br />

della viticoltura sono stati, per la maggior parte, sul versante laico i sovrani ed i<br />

principi, sul versante ecclesiastico i vescovi, gli abati e le comunità di canonici 26 .<br />

Del resto, gran parte degli storici ammettono che il XII secolo è stato decisivo<br />

per lo slancio della viticoltura, ma ancora bisogna precisare che questa impressione<br />

si fonda soprattutto sul fatto che i cartulari monastici, segnatamente per le<br />

abbazie cistercensi, rivelano chiaramente le creazioni dei vigneti. Il caso di<br />

Cîteaux in Borgogna è ben conosciuto, grazie a delle ricerche basate su una<br />

documentazione molto ricca presso gli archivi del dipartimento della Côte<br />

d’Or 27 . La pubblicazione del cartulario di Puligny ha rivelato come l’abbazia si sia<br />

interessata a sviluppare i propri domini viticoli di Saint Bris e di Chablis 28 .Ciò<br />

che gli abati cistercensi si impegnavano a creare era già stato re<strong>al</strong>izzato da <strong>al</strong>tri<br />

signori ecclesiastici, come per esempio il vescovo di Autun 29 . Ma i signori laici<br />

non la cedevano affatto a quelli ecclesiastici. Il duca di Borgogna possedeva dei<br />

vigneti a Pommard e sui vigneti che erano di sua proprietà <strong>al</strong>l’inizio del XIV<br />

26 R. DION, Viticulture ecclésiastique et viticulture princière au Moyen Age, «Revue historique», 212 (1954),<br />

pp. 1-22, ristampato in ID., Le paysage et la vigne. Essais de géographie historique, Paris 1990, pp. 245-270.<br />

27 J. MARILLIER, Le vin de Cîteaux au XII e siècle, «Mémoires de l’Académie des sciences, arts et belles lettres<br />

de Dijon», s.n. (1943-1946), pp. 267-272; B. BORELY, Les vignes et le vin de l’abbaye de Cîteaux, 1098-<br />

1780, Dijon 1997; A. LACANDRE, Les vignerons de Cîteaux dans la Côte de Beaune au Moyen Age, in Vins,<br />

vignes et vignerons en Bourgogne, pp. 95-102.<br />

28 Le premier cartulaire de l’abbaye de Pontigny, a cura di M. Garrigues, Paris 1981.<br />

29 J. MADIGNIER, L’influence des institutions ecclésiastiques dans la constitution du vignoble bourguignon: l’exemple<br />

du chapitre d’Autun (XIe-XIVe siècle), in Vins, vignes et vignerons en Bourgogne, pp. 83-93.


secolo, cinque ris<strong>al</strong>ivano <strong>al</strong> XII secolo 30 . Per quanto riguarda il duca bisogna<br />

aggiungere le tenute vinicole di Corton, Chenôve e Darny 31 . I vigneti in Borgogna<br />

subirono un incremento sicuramente intorno <strong>al</strong> XIII secolo, che, in <strong>al</strong>cuni<br />

casi, portò <strong>al</strong>la piantagione della vite su dei terreni meno favorevoli, come per<br />

esempio con i canonici di Saint Etienne di Dijon che lottizzarono 67 giornate di<br />

terra a Saint Apollinaire, <strong>al</strong>le porte di Digione, per piantarvi dei vigneti nel 1250 32 .<br />

I vigneti raggiungono anche dei terreni pianeggianti nella regione di Pommard,<br />

destinati ad essere abbandonati successivamente. Comunque, S<strong>al</strong>imbene, da parte<br />

sua, di passaggio in Borgogna nel 1248, non nasconde la sua meraviglia davanti<br />

<strong>al</strong>la distesa di vigneti intorno ad Auxerre e Beaune 33 .<br />

Anche se i proprietari sono soprattutto dei grandi signori laici ed ecclesiastici,<br />

non sono sempre i soli a possedere delle vigne. Certamente le informazioni a questo<br />

riguardo sono meno abbondanti che per i grandi signori. Nella regione lionese,<br />

accanto ai grandi proprietari ecclesiastici e laici sta venendo a g<strong>al</strong>la una proprietà<br />

borghese, ad esempio nel caso degli abitanti di Belleville che possiedono dei vigneti<br />

a Brouilly 34 . Ciò che colpisce particolarmente riguardo a questa proprietà borghese,<br />

chiamata a riprendersi nei secoli successivi, è la parte che spetta <strong>al</strong>la vigna per<br />

consolidare la loro ricchezza mobile ed immobile. Un vigneto come quello di Laon<br />

ha largamente contribuito <strong>al</strong>la prosperità della città, a t<strong>al</strong> punto che fin <strong>d<strong>al</strong></strong> periodo<br />

carolingio la città era già considerata come una piattaforma girevole del commercio<br />

del vino 35 . Questa situazione era destinata a definirsi nel corso del XII secolo e la<br />

30 e e J. RICHARD, Les ducs de Bourgogne et la formation du duché du XI au milieu du XIV siècle, Paris 1954 (rist.<br />

anast. Genève 1986), pp. 331-332.<br />

31<br />

RICHARD, Le vignoble et les vins en Bourgogne, p. 10, dove l’autore precisa, <strong>al</strong>la n. 8, che i torchi del<br />

vigneto di Chenôve, così come si presentano <strong>al</strong>lo stato attu<strong>al</strong>e, ris<strong>al</strong>gono <strong>al</strong> secolo XV.<br />

32 Chartes de l’abbaye Saint Etienne de Dijon de 1250 à 1260, a cura di G. Bloc, Dijon-Paris 1910, numeri<br />

7 e 36.<br />

33<br />

SALIMBENE DE ADAM, Cronica, ed. O. Holder-Egger, MGH, Scriptores, 32, Hannoverae 1905-1913,<br />

p. 288: «et montes et v<strong>al</strong>les vineis pleni sunt».<br />

34 e e M.T. LORCIN, Le vignoble et les vignerons du Lyonnais aux XIV et XV siècles,in Le vin au Moyen Age: production<br />

et producteurs, Paris-Grenoble 1978, pp. 15-37; v. anche dello stesso autore Les campagnes de la<br />

région lyonnaise aux XIVe e XVe siècles, Lyon 1974, dove si citano numerosi esempi di borghesi lionesi<br />

proprietari di vigneti.<br />

35 e R. DOEHAERD, Laon, capit<strong>al</strong>e du vin au XII siècle, «Ann<strong>al</strong>es E.S.C.» 5 (1950), pp. 145-165; ID., Sur la<br />

vigne. Au temps de Charlemagne et des Normands. Ce qu’on vendait et comment on le vendait dans le Bassin Parisien,<br />

«Ann<strong>al</strong>es E.S.C.» 29 (1974), pp. 266-280; A. SAINT DENIS, Apogée d’une cité. Laon et les Laonnois aux<br />

XIIe et XIIIe siècles, Nancy 1994.<br />

29


30 La coltura viticola in Guascogna nel medioevo.


I vigneti bordolesi nel XIII secolo.<br />

31


32<br />

carta comun<strong>al</strong>e del 1128 dice che il possedimento dei vigneti è uno dei fattori che<br />

permettono ai borghesi della città di partecipare <strong>al</strong> governo comun<strong>al</strong>e.<br />

Ciò che la Borgogna presenta come esempio di sviluppo della vigna, il Bordolese<br />

ce lo offre per il XIII secolo. I vini del Bordolese non avevano ancora che<br />

un posto secondario nel poema di Henri d’Andeli. Il commercio con l’Inghilterra<br />

non ha inizio che con la presa di La Rochelle da parte del re di Francia nel<br />

1224. Lo spoglio dei cartolari di La Sauve Majeure, di Saint Seurin, di Sainte<br />

Croix e del capitolo di S. Andrea di Bordeaux aveva rivelato, fin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’XI secolo,<br />

l’esistenza di un vigneto urbano e suburbano sulle graves della sponda sinistra<br />

della Garonna, un vigneto collinare in Blayais e in Bourgés sulla sponda destra<br />

della Garonna, che si estende progressivamente nel corso del secolo nell’Entre<br />

Deux Mers 36 . Il vigneto suburbano, particolarmente quello dell’Hôpit<strong>al</strong> Saint<br />

Jean di Bordeaux, è andato sviluppandosi nella periferia occident<strong>al</strong>e della città.<br />

Allo stesso modo, nel Médoc, fin <strong>d<strong>al</strong></strong> XII secolo si possono già trovare degli<br />

appezzamenti di vigneto e nel corso del XIII e XIV secolo si dà ris<strong>al</strong>to <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità<br />

dei vini del terreno appartenente oggi <strong>al</strong>lo Château Latour 37 . Ai vigneti di<br />

Bordeaux, dove si fa sentire l’azione dei principi, degli istituti ecclesiastici e dei<br />

borghesi, bisogna aggiungere i vini guasconi, la cui esportazione dipende sia <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

porto di Bayonne che da quello di Bordeaux 38 , e gli abitanti di Tolosa, in un raggio<br />

relativamente corto, hanno favorito lo slancio dei vigneti suburbani, particolarmente<br />

lungo le vie che portano a Montauban o a Carcassonne, più spesso sulla<br />

sponda destra della Garonne 39 . Per quanto riguarda i vigneti di Bergerac, lungo<br />

la Dordogna, conosciuti tramite il cartulario di Notre Dame de Saintes grazie<br />

a delle donazioni fatte <strong>al</strong> priorato di Saint Sylvain de la Monzie, nella regione di<br />

Saussignac, si può dire che essi ris<strong>al</strong>gono <strong>al</strong>meno <strong>al</strong>l’XI secolo. Intorno a Bergerac,<br />

signori laici ed ecclesiastici hanno contribuito a v<strong>al</strong>orizzare un vigneto la cui<br />

v<strong>al</strong>le del fiume ha costituito l’asse fondament<strong>al</strong>e per la circolazione 40 .<br />

36 CH.M. HIGOUNET, Pour une géographie du vignoble aquitain médiév<strong>al</strong>,in Le vin au Moyen Age, pp. 130-124,<br />

ristampato in ID., Villes, sociétés, pp. 371-384.<br />

37 J.P. GARDERE, Le Médoc, sa vie, son œuvre, Bordeaux 1971; Ch. M. HIGOUNET, La seigneurie et le vignoble<br />

de Château Latour du XIV e au XX e siècle, Bordeaux 1974.<br />

38 LACHIVER, Vins, vignes, p. 97. Esiste una strada dei Bayonnais a Bruges nel XIII secolo.<br />

39 G. CASTER, Le vignoble suburbain de Toulouse au XIII e siècle, in Hommage à Yves Renouard, «Ann<strong>al</strong>es du<br />

Midi», 78 (1966), pp. 201-217; M. MOUSNIER, La Gascogne toulousaine aux XII e et XIII e siècles: une dynamique<br />

spati<strong>al</strong>e et soci<strong>al</strong>e, Toulouse 1997.<br />

40 J. BEAUROY, Vin et société à Bergerac du Moyen Age aux temps modernes, Saratoga 1976.


Che si tratti della Borgogna, del Bordelais o del sud-est, vengono a delinearsi<br />

tre grandi categorie di proprietari: i signori laici, i signori ecclesiastici – vescovi,<br />

abati e comunità di canonici – ed i borghesi abitanti delle città. L’azione dei borghesi<br />

si fa sentire soprattutto nelle periferie delle città, mentre quella dei signori<br />

laici ed ecclesiastici si riscontra soprattutto nelle campagne. Si vede bene come<br />

tutti hanno spinto verso lo sviluppo della viticoltura soprattutto nel XII e XIII<br />

secolo, periodo di grandi dissodamenti e della conquista di nuove terre. Una delle<br />

caratteristiche dominanti è che la vigna non è mai oggetto di grandi proprietà<br />

di un solo possidente riguardo <strong>al</strong> suo sfruttamento diretto. La v<strong>al</strong>orizzazione<br />

avviene attraverso degli appezzamenti spesso dispersi, oggetto di uno sfruttamento<br />

indiretto da parte dei proprietari, che stipulano dei contratti con dei conduttori.<br />

Anche i terreni dei duchi di Borgogna della regione di Pommard vengono<br />

concessi a dei piccoli conduttori sotto il controllo degli amministratori. Il tipo<br />

di contratto più in uso è detto di piantagione, contratto di associazione tra proprietario<br />

e affittuario. Lo ritroviamo nella Francia occident<strong>al</strong>e, in Borgogna, nel<br />

Bordelais, nel Delfinato e in Provenza 41 .<br />

Il contratto prevede che il proprietario cede la terra ad un acquirente incaricato<br />

di lavorarla, o più precisamente di piantarla con <strong>al</strong>beri da frutto, olivi, noci e<br />

sicuramente viti. È il vigneto che ha dato il profitto più grande. L’acquirente ha il<br />

compito di dissodarlo, lavorarlo, concimarlo, piantarlo con vitigni e <strong>al</strong>beri. Tutto<br />

ciò che l’acquirente raccoglie nell’arco di cinque anni è suo. Se è vero che durante<br />

i primi tre anni non può sperare di ottenere un raccolto proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>la vigna,<br />

<strong>al</strong>meno ha il profitto di una o due vendemmie, se il tempo è stato clemente. E<br />

d’<strong>al</strong>tra parte è sempre possibile inserire delle colture interc<strong>al</strong>ari tra i filari della<br />

vigna, ancora interamente a suo vantaggio. È <strong>al</strong>la fine dei cinque anni che si presenta<br />

il problema della spartizione del raccolto, sia in parti ugu<strong>al</strong>i – la metà della<br />

piantagione spettante <strong>al</strong>l’acquirente a vita per sé e i suoi discendenti – sia per una<br />

durata vit<strong>al</strong>izia – l’<strong>al</strong>tra metà spettante <strong>al</strong> locatore. Succede che quest’ultimo si<br />

riserva il diritto di prelazione se l’acquirente lascia la sua parte. In funzione della<br />

pressione esercitata <strong>d<strong>al</strong></strong> locatore o <strong>d<strong>al</strong></strong>l’acquirente, t<strong>al</strong>volta il locatario lascia <strong>al</strong>l’acquirente<br />

l’usofrutto della tot<strong>al</strong>ità del bene dietro il versamento di una parte del<br />

raccolto, in gener<strong>al</strong>e un quinto; <strong>al</strong>tre volte l’acquirente ottiene solamente una parte<br />

esigua del raccolto. L’affitto è in principio perpetuo, infatti ha fine se la vigna<br />

deperisce o se l’acquirente la sottrae: la tot<strong>al</strong>ità della terra torna <strong>al</strong>lora <strong>al</strong> locatario.<br />

41 R. GRAND, Le contrat de complant, Paris 1917.<br />

33


34<br />

Delimitazione<br />

del territorio<br />

comun<strong>al</strong>e<br />

Curve di livello<br />

equidistanti<br />

20 m.<br />

Vini<br />

a denominazione<br />

del luogo<br />

di produzione<br />

La diffusione della vite nei pressi di Clos de Vougeot.<br />

Vini<br />

denominati<br />

“Bourgogne”


Il caso della perpetuità ha dovuto presentarsi spesso, poiché la vigna si rigenerava<br />

perpetuamente per propagginazione e quindi lo stesso terreno poteva continuare<br />

a farla crescere.<br />

Nei periodi di crescita demografica era facile trovare la mano d’opera necessaria<br />

<strong>al</strong>l’estensione dei vigneti, tanto più che il consumo di vino era maggiore<br />

soprattutto nelle città del nord. Certamente è necessario essere cauti sulle cifre<br />

affermate, in quanto sono c<strong>al</strong>colate a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>le tasse di consumo sul vino e i<br />

dati demografici sono lontani <strong>d<strong>al</strong></strong>l’essere facilmente gestibili. Basti pensare <strong>al</strong>le<br />

cifre riguardanti la popolazione di Parigi, 80.000 o 200.000 abitanti secondo gli<br />

storici 42 . Sembra che i francesi abbiano bevuto molto vino nel medioevo. I grandi<br />

signori, a cominciare <strong>d<strong>al</strong></strong> re, amavano il vino e se i borghesi, quelli di Laon o<br />

di Tolosa, hanno rivolto la loro attenzione a vigneti suburbani, era in gran parte<br />

per il loro consumo person<strong>al</strong>e. Anche le regioni rur<strong>al</strong>i, prive di sbocchi esterni,<br />

sono interessate <strong>al</strong>la viticoltura, base di una policoltura destinata ancora a durare<br />

nei secoli. Il vigneto della regione di Chartres ne è senza dubbio un buon<br />

esempio 43 . Per quanto ne sappiamo sull’<strong>al</strong>imentazione umana del XIII secolo,<br />

carne e vino dovevano avere un ruolo più importante che ai nostri giorni, tanto<br />

più che il vino è stato per lungo tempo considerato come un <strong>al</strong>imento più che<br />

come una bevanda 44 . La Regola di san Benedetto aveva già lasciato spazio <strong>al</strong> vino<br />

e i pasti dei monaci erano caratterizzati <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza del vino in quantità sorprendenti.<br />

I monasteri e gli ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i che accoglievano viandanti e pellegrini non<br />

mancavano di offrirne ai loro ospiti durante il loro soggiorno.<br />

Se il vino veniva consumato abbondantemente (a Bruges 100 litri a persona!),<br />

bisogna, comunque, dire che si trattava di un prodotto a ridotto contenuto<br />

42 Gli storici hanno discusso a lungo, per esempio, sul numero degli abitanti di Parigi <strong>al</strong>la fine del XIII<br />

secolo, a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> famoso documento Etat des feux del 1328 e del Libres de tailles: v. a questo proposito<br />

i saggi di PH.DOLLINGER, Le chiffre de Paris au XIIIe siècle: 200.000 ou 80.000 habitants?, «Revue<br />

historique», 216 (1956), pp. 35-44, ripreso in ID., Pages d’histoire (France et Allemagne médiév<strong>al</strong>es, Alsace),<br />

Strasbourg 1978, pp. 63-72, che conclude col far ammontare la popolazione a 80.000 abitanti; in<br />

opposizione a Dollinger, R. CAZELLES, La population de Paris avant la Peste Noire, «Comptes rendus de<br />

l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres», s.n. (1966), pp. 539-550, ipotizza il numero di 200.000<br />

abitanti come un dato verosimile. Per i problemi di metodologia v. J. HEERS, Les limites des méthodes statistiques<br />

pour les recherches de démographie médiév<strong>al</strong>e, «Ann<strong>al</strong>es de démographie historique, 5 (1968), pp. 43-<br />

72, e R. FOSSIER, La démographie médiév<strong>al</strong>e: problèmes de méthode (Xe-XIIIe siècle), «Ann<strong>al</strong>es de démographie<br />

historique», 12 (1975), pp. 143-165.<br />

43 e e A. CHEDEVILLE, Chartres et ses campagnes (XI -XIII siècle), Paris 1973.<br />

44 J.L. FLANDRIN,M.MONTANARI, Cuisines médiév<strong>al</strong>es, Paris 1996.<br />

35


36<br />

di <strong>al</strong>cool, senza dubbio da 7 a 8 gradi. Lo zuccheraggio, che avrebbe permesso<br />

di aumentare il grado <strong>al</strong>colico aggiungendo dello zucchero <strong>al</strong> mosto, era <strong>al</strong>lora<br />

sconosciuto. Eccitante conosciuto, con un prezzo accessibile, poteva essere<br />

bevuto a piene caraffe. Il vino prodotto si conservava m<strong>al</strong>e e finiva per deteriorarsi<br />

velocemente quando non era fatto a regola d’arte. La fermentazione dei<br />

mosti era controllata m<strong>al</strong>e, i fusti non erano lavati con cura, le botti m<strong>al</strong> riempite.<br />

Dunque il vino si ossidava, m<strong>al</strong> protetto contro il c<strong>al</strong>ore, in botti che non erano<br />

chiuse ermeticamente. Nel medioevo non esistevano vini invecchiati o vini<br />

da conservare. Il vino invecchiava velocemente, inacidiva e prendeva il gusto dell’aceto.<br />

Per questo un vino stagionato non aveva v<strong>al</strong>ore, soprattutto se aveva già<br />

due anni, s<strong>al</strong>vo eccezioni. Al massimo i vini migliori, come quello di Chablis in<br />

Borgogna, si conservavano da cinque a sei anni 45 . Dunque bisognava eliminare il<br />

vino vecchio, soprattutto prima del nuovo raccolto. Vendere del vino vecchio<br />

spacciandolo per quello nuovo era addirittura considerato una frode passibile di<br />

sanzioni. Gener<strong>al</strong>mente il vino vecchio era destinato ai domestici, ai mietitori o<br />

addirittura ai vendemmiatori. Venduto a basso prezzo, <strong>al</strong>lungato una volta con<br />

l’acqua e ripassato sulla vinaccia, poteva essere consumato, anche se doveva avere<br />

un pizzicore più o meno gradevole.<br />

Questo vino, destinato così <strong>al</strong> consumo, proveniva da vitigni diversi. I nomi<br />

citati nei documenti ci portano, infatti, a dei vitigni ben conosciuti a giorni<br />

nostri. La consuetudine di Beauvaisis, redatta da Filippo de Beaumanoir nel<br />

1283, indica il v<strong>al</strong>ore relativo dei vini forniti dai diversi vitigni della regione 46 .Il<br />

fromenteau dava un vino bianco: si trattava infatti del pinot grigio, con gli acini di<br />

un grigio rosato, che poteva essere vinificato in grigio o in bianco. In Borgogna<br />

viene denominato beurot e nelle Côtes de Toul auxerrois gris, senza dubbio per la<br />

sua provenienza <strong>d<strong>al</strong></strong>la regione di Auxerre. È un vitigno che per tutto il medioevo<br />

ha goduto di una grande fama. Dopo il fromenteau, Beaumanoir cita il vin<br />

moreillons, vino derivato da un vitigno nero che non è <strong>al</strong>tro che un pinot. Il termine<br />

morillons gli è stato dato nell’Île de France. Anche nei vigneti di Orlèans troviamo<br />

questo tipo di vitigno, qui chiamato auvergnat forse perché originario dei<br />

45 M. BECET, Le vignoble de Chablis au Moyen Age, «Bulletin de la société des sciences historiques et naturelles<br />

de l’Yonne», 103 (1971), pp. 45-50. Il poeta Eustache Deschamps, citato da LACHIVER, Vin,<br />

vignes, p. 57, scriveva del vino di Chablis: «Avec des huîtres / Que le chablis est excellent / Je donnerai<br />

fortune et titres / Pour m’enivrer de ce vin blanc / Avec des Huîtres».<br />

46 PH. DE BEAUMANOIR, Coutumes de Clermont en Beauvaisis, cap. 790, ed. A. S<strong>al</strong>mon, I, Paris 1900, p.<br />

404.


vigneti di Saint Pourçain, prima di essere importato nella regione orleanese. Successivamente<br />

Beaumanoir cita anche il vino gros noir ou de goet, che stima v<strong>al</strong>ere la<br />

metà del vino derivato <strong>d<strong>al</strong></strong> fromenteau. Il gouais era un vitigno nero, ma ne esisteva<br />

anche uno bianco, di grande rendimento, resistente <strong>al</strong>le gelate primaverili. Dava<br />

un vino senza <strong>al</strong>cuna qu<strong>al</strong>ità e si trovava soprattutto nella regione parigina. È<br />

dunque norm<strong>al</strong>e che siano sopravvissuti i primi due vitigni, praticamente fino ai<br />

nostri giorni. Nella descrizione di Beaumanoir sono assenti i vitigni delle regioni<br />

del sud ovest, soprattutto il cabernet e quello della regione lionese, il gamay.<br />

Oltre <strong>al</strong> fromenteau, la Borgogna conosceva anche lo chardonnay, che dava un vino<br />

bianco di grande qu<strong>al</strong>ità, arrivato fino ai giorni nostri. È tuttavia certo che fin<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la fine del XIII secolo e nel XIV secolo, i vitigni di media qu<strong>al</strong>ità come il gamay<br />

in Borgogna e il gouais di Metz, sono preferiti dai vignaioli <strong>al</strong>la ricerca della quantità<br />

e non della qu<strong>al</strong>ità.<br />

Piantare un nuovo vigneto esigeva una preparazione accurata del terreno. La<br />

prima operazione consisteva spesso nel disboscarlo o renderlo coltivabile, poi<br />

bisognava procedere ad un’aratura in profondità prima di lavorare il terreno con<br />

la zappa e il bidente, t<strong>al</strong>volta tre o quattro volte <strong>al</strong>l’anno, non dimenticando, tra<br />

l’<strong>al</strong>tro, di sarchiare. Il lavoro era faticoso se si pensa che il terreno scelto era in<br />

una zona collinare, con un’esposizione preferibilmente ad est o a sud-est. Senza<br />

dubbio, se si crede a Michel Lachiver, era già conosciuta, senza saperlo, la legge<br />

di Lambert, secondo la qu<strong>al</strong>e la quantità di c<strong>al</strong>ore ricevuta da una superficie cambia<br />

non seguendo il v<strong>al</strong>ore dell’angolo, ma seguendo il v<strong>al</strong>ore del seno dell’angolo<br />

47 . Di fatto, <strong>al</strong> levar del sole, i raggi che arrivano orizzont<strong>al</strong>mente non danno<br />

c<strong>al</strong>ore, ma con una pendenza di 20 o 30 gradi il c<strong>al</strong>ore ricevuto è equiv<strong>al</strong>ente <strong>al</strong>la<br />

metà del c<strong>al</strong>ore massimo ricevuto da quel versante nel momento in cui i raggi<br />

arrivano perpendicolarmente (seno 30° = 1 /2; seno 90° = 1). Dunque il v<strong>al</strong>ore<br />

del seno dell’angolo aumenta più velocemente del v<strong>al</strong>ore dell’angolo, di qui il<br />

vantaggio di piantare un vigneto su un terreno in pendenza, in una zona collinare.<br />

La Borgogna, la Champagne, l’Alsazia nella zona collinare <strong>al</strong> di sotto dei<br />

Vosgi, le colline dell’Île de France o lungo il Rodano offrono le immagini più<br />

significative, ma mostrano anche il grande impegno degli uomini per piantare<br />

dei grandi vigneti. Inoltre, la scelta di una t<strong>al</strong>e zona permette uno scolo facile<br />

delle acque. La costruzione di muretti era indispensabile per trattenere la terra.<br />

Ai bordi degli appezzamenti, addirittura dei numerosi terreni delle grandi pro-<br />

47 LACHIVER, Vins, vignes,p.47.<br />

37


38<br />

prietà, vengono eretti <strong>al</strong>tri muretti. La preparazione di un vigneto implicava,<br />

così, un grosso spreco di energia e costringeva ad investire dei capit<strong>al</strong>i il cui<br />

ammortizzamento non era assicurato che a medio termine.<br />

Quando il terreno era pronto, si poteva piantare il vigneto: veniva disposto in<br />

modo lineare, i filari erano spesso separati da circa mezzo metro, divisi l’uno <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro<br />

da buche nelle qu<strong>al</strong>i era nascosto il materi<strong>al</strong>e organico destinato a dissodare<br />

ed arricchire il terreno. Venivano piantate delle semplici t<strong>al</strong>ee senza radici, formate<br />

dai tr<strong>al</strong>ci dell’anno precedente o portate. Non tutte le propaggini di vite riuscivano<br />

a prendere, così l’anno successivo era necessario sostituire quelle che non si erano<br />

radicate. La piantagione veniva effettuata in autunno o in primavera. La terra veniva<br />

riportata sui piedi in autunno per evitare il rigore dell’inverno e in primavera per<br />

proteggerli <strong>d<strong>al</strong></strong>la grande c<strong>al</strong>ura estiva, che poteva farli seccare. Le giovani piante<br />

venivano fissate con dei legni a dei p<strong>al</strong>etti o a dei puntelli verdi o secchi.<br />

La vigna esigeva dei lavori continui per tutto l’anno, come la vangatura, operazione<br />

ripetuta in maggio e agosto: il passaggio di un aratro tirato dai buoi nelle<br />

zone in pendenza era molto difficoltoso e <strong>al</strong>eatorio. In gennaio o febbraio,<br />

quando il tempo lo permetteva, si procedeva <strong>al</strong> taglio della vigna. I rami meno<br />

forti venivano eliminati e le piante invecchiate venivano rinnovate per propagginazione,<br />

i puntelli deteriorati venivano sostituiti e il terreno arricchito per lo più<br />

con concime organico. Dopo la potatura, in primavera, venivano sollevati i ceppi<br />

per assicurare un appoggio ai tr<strong>al</strong>ci, portatori di frutti. Aprile - maggio era il<br />

periodo della spollonatura, mediante l’eliminazione di rami senza frutto e in agosto<br />

c’era la sfogliatura, cioè la rimozione dei rami e delle foglie superflue, per<br />

consentire agli acini una buona esposizione per la maturazione e la circolazione<br />

di aria per combattere gli attacchi di butritis. Questi lavori tipici della vigna andavano<br />

ad aggiungersi a quelli legati <strong>al</strong>le <strong>al</strong>tre coltivazioni interc<strong>al</strong>ari o tipiche di<br />

<strong>al</strong>tre colture di sfruttamento promiscuo. Un t<strong>al</strong>e c<strong>al</strong>endario poteva variare leggermente<br />

da un vigneto <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro, ma i lavori erano sempre gli stessi.<br />

Il tempo della vendemmia, fine settembre-inizio ottobre, un po’ più precoce<br />

nelle regioni mediterranee, era un momento di forte attività umana. Veniva a<br />

coronare il lavoro del vignaiolo che vi trovava la propria ricompensa, visto che il<br />

vigneto era stato lavorato con cura e non aveva sofferto per i capricci del tempo.<br />

Il proprietario doveva esserne informato, in quanto doveva percepire una parte<br />

del raccolto, così da potersi spostare person<strong>al</strong>mente o delegare un suo rappre-<br />

48 I contratti che legano proprietari e conduttori lo prevedono espressamente nella maggior parte delle<br />

regioni.


sentante per poter controllare il raccolto 48 . Inoltre, bisognava aver preparato i<br />

recipienti, eventu<strong>al</strong>mente averne acquistati di nuovi, bisognava lavare i tini,<br />

sistemare il loc<strong>al</strong>e dove doveva aver luogo la fermentazione. La vinificazione e la<br />

conservazione del vino si effettuavano in botti di doghe di legno legate con dei<br />

cerchi. Non è sorprendente che gli scavi archeologici sia in Borgogna che in <strong>al</strong>tre<br />

regioni francesi non ci abbiano fornito resti, in quanto il legno si conserva molto<br />

m<strong>al</strong>e nel tempo. Tutt’<strong>al</strong> più conviene far riferimento <strong>al</strong>le fonti iconografiche<br />

per avere un esempio degli strumenti legati <strong>al</strong>la vinificazione e in uso nel<br />

medioevo 49 . La raccolta dell’uva veniva fatta con l’aiuto di cestini e di canestri. I<br />

grappoli erano poi trasportati verso i tini e nel torchio. Qui venivano prima<br />

schiacciati nei tini con i piedi (il grappolo veniva ‘pigiato’), operazione destinata<br />

a prolungarsi in Borgogna fino <strong>al</strong>l’inizio del XX secolo, poi venivano spremuti<br />

prima di finire nelle botti e di essere depositati nelle dispense signorili.<br />

Il capitolo di Autun, che possedeva un insieme di vigneti in Borgogna, ad<br />

Aloxe (una trentina di ettari), a Sampigny (una dozzina di ettari), a Chenôve (9,5<br />

ettari), a Meloisey (cinque ettari), oltre a delle proprietà di minore importanza, a<br />

Pernand, Echevronne, Baubigny, faceva effettuare la pressatura, la vinificazione<br />

e la conservazione dei vini in <strong>al</strong>cuni edifici di proprietà del capitolo su ogni terreno<br />

vinicolo. Qui erano depositati torchi, tini, piccoli vasi e botti. Ad Aloxe,<br />

dove si trovavano tre edifici, una casa e due fienili con due torchi, vi erano una<br />

dispensa ed una cantina in grado di contenere cinque grandi tini da 100 moggi,<br />

sei piccoli tini da 72 moggi e numerose botti. All’inizio del XIII secolo la spremitura<br />

e la vinificazione venivano effettuate su tutte le proprietà vinicole, ma <strong>al</strong>la<br />

fine del secolo i canonici dovettero ricorrere ad una mano d’opera pagata e le<br />

vigne erano ormai in regime di sfruttamento indiretto, con delle rendite fisse<br />

pari ad un terzo o <strong>al</strong>la metà del prodotto a Chenôve e addirittura ad un quarto<br />

del prodotto a Baubigny. I vini erano conservati nelle dispense, nelle cantine o<br />

nei granai di ogni proprietà loc<strong>al</strong>e, prima di essere portati nei luoghi di raccolta:<br />

i vini di Meursault a Sampigny, quelli di Echevronne ad Aloxe per uno stoccaggio<br />

provvisorio, prima di raggiungere Autun grazie a delle corvee di carreggio,<br />

<strong>al</strong>le qu<strong>al</strong>i erano assoggettati i fittavoli di Sampigny, di Perreuil e di Auxy. I vini<br />

venivano quindi depositati ad Autun nelle dispense e nelle cantine vicino agli<br />

edifici del capitolo. La dispensa misurava 22 m di lunghezza per 10 di larghezza,<br />

49 Sarebbe indispensabile compilare un inventario delle fonti iconografiche riguardante la viticoltura<br />

sul territorio francese.<br />

39


40<br />

Le tenute viticole del capitolo<br />

di Autun nel XIII secolo.<br />

Possedimenti maggiori<br />

organizzati intorno<br />

a delle chiusure.<br />

Possedimenti secondari<br />

costituiti di vigne sparse.


coperta da due volte ogiv<strong>al</strong>i affiancate che si appoggiavano su due pesanti pilastri<br />

circolari. Sul chiostro si apriva una grande porta per permettere il passaggio<br />

delle botti 50 . Del resto, nei conti del capitolo si fa riferimento <strong>al</strong> person<strong>al</strong>e preposto<br />

<strong>al</strong>la dispensa: manovratori per le operazioni di scarico delle botti, magazzinieri<br />

addetti <strong>al</strong>la misurazione. L’organizzazione del capitolo di Autun poteva<br />

ripetersi per molti <strong>al</strong>tri possedimenti ecclesiastici o laici, qu<strong>al</strong>i Cîteaux o il duca<br />

di Borgogna 51 , come anche nel Bordelais 52 .<br />

Il commercio del vino tra XII e XIII secolo<br />

Il vino del capitolo di Autun era in gran parte destinato <strong>al</strong> consumo quotidiano<br />

del capitolo stesso e del person<strong>al</strong>e dipendente. Ma il vino non era sempre consumato<br />

sul posto ed era oggetto di commercio a lunga distanza. Data la fragilità<br />

del prodotto, il trasporto via terra non poteva essere preso in considerazione che<br />

per brevi distanze. Veniva quindi privilegiato il trasporto via acqua, come è ben<br />

dimostrato <strong>d<strong>al</strong></strong>la dislocazione dei terreni che abbiamo descritto. Gli affluenti della<br />

Senna, Marne e Yonne, l’asse Mosella, Reno, Saona e Rodano sono i fiumi<br />

attraverso i qu<strong>al</strong>i vengono effettuati i trasporti più importanti di vino. È necessario<br />

stupirsi del fatto che gli spostamenti siano avvenuti <strong>d<strong>al</strong></strong> sud verso il nord?<br />

Basti pensare che i paesi nordici, come la bassa v<strong>al</strong>le del Reno, la Germania settentrion<strong>al</strong>e<br />

o i Paesi Bassi, non potevano permettersi una produzione vinicola di<br />

qu<strong>al</strong>ità. Dunque i principi, gli abati e i borghesi preferivano rivolgersi <strong>al</strong>le zone<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le qu<strong>al</strong>i potevano far pervenire un prodotto di lusso, poiché i ceti più umili di<br />

queste regioni si rivolgevano verso la cervogia. Le tariffe di teloneo lungo il Reno,<br />

a Coblenza, a Colonia, fanno riferimento <strong>al</strong> vino proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>la Lorena o <strong>d<strong>al</strong></strong>-<br />

50 Cfr. il saggio citato sopra, <strong>al</strong>la n. 29, pp. 86 e 89.<br />

51 Per Cîteaux cfr. sopra, la n. 27, e per i duchi di Borgogna la n. 31.<br />

52 Higounet aveva avviato un progetto per i vigneti dell’Aquitania: gli studi hanno chiarito soprattutto<br />

la loc<strong>al</strong>izzazione dei princip<strong>al</strong>i vigneti e la commerci<strong>al</strong>izzazione dei vini aquitani. Resta ancora da<br />

approfondire, come nel caso della Borgogna, l’organizzazione dei grandi terreni viticoli laici ed<br />

ecclesiastici.<br />

53 Higounet conta 19 pedaggi sul Reno nel tratto da Bingen a Coblenza, dove erano riscossi dei diritti<br />

sul traffico del vino proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>la Lorena e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Alsazia: Cologne et Bordeaux, marchés du vin au<br />

Moyen Age, «Revue historique de Bordeaux et du département de la Gironde», s.n. (1968), pp. 65-79,<br />

rist. in ID., Vins, sociétés, pp. 395-406.<br />

41


42<br />

l’Alsazia attraverso la Mosella e il Reno 53 . La direzione del traffico del vino, dai<br />

vigneti della Francia settentrion<strong>al</strong>e, può sicuramente sembrare curiosa, ma non<br />

bisogna dimenticare che i paesi mediterranei, come l’It<strong>al</strong>ia e la Spagna, hanno<br />

una produzione vinicola loc<strong>al</strong>e e i vini della Linguadoca o della Provenza<br />

dispongono di una zona di diffusione piuttosto limitata per via della concorrenza<br />

e della difficoltà di consegna sui grandi mercati di consumo, anche a partire<br />

dai porti di Montpellier e di Marsiglia 54 . La ris<strong>al</strong>ita del Rodano è molto difficoltosa<br />

a causa della pendenza del fiume, che provoca una corrente difficile da<br />

affrontare da parte delle navi.<br />

Il trasporto del vino attraverso diversi fiumi, Mosella e Reno, la Senna e i<br />

suoi affluenti, addirittura la Loira o la Garonna, si raddoppia grazie <strong>al</strong> trasporto<br />

marittimo, per il qu<strong>al</strong>e il porto di La Rochelle gioca un ruolo fondament<strong>al</strong>e nel<br />

corso del XIII secolo, anche se nel 1224 entra in gioco la concorrenza da parte<br />

di Bordeaux. Intorno <strong>al</strong> porto si sviluppano i vigneti di Aunis 55 . D<strong>al</strong>l’Inghilterra<br />

e <strong>d<strong>al</strong></strong>le Fiandre proveniva una grossa domanda, soprattutto di vini bianchi. È<br />

risaputo che delle navi inglesi e fiamminghe, addirittura provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>la Germania<br />

settentrion<strong>al</strong>e, frequentavano le coste tra la Loira e la Gironda <strong>al</strong>la ricerca<br />

di s<strong>al</strong>e, <strong>d<strong>al</strong></strong>la Baia di Bourgneuf <strong>al</strong>l’Île d’Aix. Oléron offriva a queste navi un porto<br />

sicuro. Fino <strong>al</strong> XII secolo, inglesi e fiamminghi si erano accontentati di vini<br />

acidi che venivano loro forniti <strong>d<strong>al</strong></strong>le regioni settentrion<strong>al</strong>i francesi, dopo il bacino<br />

parigino e la Piccardia. Tuttavia il raccolto era irregolare e i prezzi subivano<br />

delle variazioni più o meno impreviste. Inglesi e fiamminghi, <strong>al</strong>la ricerca di una<br />

nuova fonte di approvvigionamento, hanno saputo cogliere i vantaggi che poteva<br />

dare <strong>al</strong>la viticoltura la regione dell’Aunis. Quindi, nel XIII secolo, fecero il<br />

loro ingresso delle navi più grandi di quelle utilizzate nell’<strong>al</strong>to medioevo, navi e<br />

kogges, con un equipaggio di una trentina di uomini ed un timone assi<strong>al</strong>e. Ciò<br />

nonostante, essi non potevano ris<strong>al</strong>ire il fiume in quanto il loro pescaggio era<br />

54 Le quantità di vino provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>la Linguadoca e <strong>d<strong>al</strong></strong>la Provenza attraverso i due porti di Montpellier<br />

e di Marsiglia, come sui porti mediterranei secondari, erano caratterizzate da una modesta<br />

commerci<strong>al</strong>izzazione.<br />

55 P. BOISSONNADE, La Renaissance et l’essor de la vie et du commerce maritimes en Poitou, Aunis et Saintonge du<br />

Xe au XVe siècle, Poitiers-Paris 1924; DION, Les origines de La Rochelle, pp. 29-50; H. PIRENNE, Un grand<br />

commerce d’exportation au Moyen Age: les vins de France, «Ann<strong>al</strong>es d’histoire économique et soci<strong>al</strong>e», 5<br />

(1933), pp. 225-243; J. CRAEYBEKX, Un grand marché d’importation: les vins de France aux anciens Pays Bas<br />

(XIIIe-XVIe siècle), Paris 1958. Questi ultimi due autori danno grande rilievo <strong>al</strong> commercio di vino tra<br />

i due porti dell’Aunis e della Saintonge verso i Paesi Bassi; Pirenne sottolinea il ruolo delle navi che<br />

trasportavano il vino grazie ai Rôles d’Oléron.


troppo importante. Essi necessitavano di apparecchiature marittime accessibili,<br />

con delle banchine per l’attracco. Già i fiamminghi avevano provveduto ad equipaggiare<br />

l’avamporto di Bruges, Damme, nel 1180. Sulle coste francesi nessun<br />

porto era in grado di accogliere queste nuove navi, s<strong>al</strong>vo quello di Chatelaillon,<br />

a sud di La Rochelle. Il signore di La Rochelle si era impadronito dell’Île d’Aix,<br />

ma era vass<strong>al</strong>lo del conte di Poitiers, che conquistò la città e il porto nel 1130.<br />

Ordunque Guglielmo X, conte di Poitiers, voleva disporre del suo porto per il<br />

mercato del Poitou, così ha avuto inizio la sistemazione di un porto a La Rochelle.<br />

Nel 1190 la preparazione del porto fu terminata e le grosse navi del nord<br />

poterono attraccare. La Rochelle, trovandosi sul mare, era situata meglio di Bordeaux,<br />

in fondo ad un estuario pericoloso per la navigazione. Quella regione era<br />

già conosciuta dai marinai fiamminghi e inglesi che venivano a cercare il s<strong>al</strong>e. La<br />

guerra dei vini di Henri d’Andeli riserva un posto di qu<strong>al</strong>ità ai vini dell’Aunis e<br />

del Poitou, apprezzati addirittura in Inghilterra. Sarebbero stati necessari due<br />

vitigni per assicurare la reputazione di questi vini, la blanche chenière, senza dubbio<br />

simile <strong>al</strong>lo chenin angioino che dava del vino bianco, e lo chauche, varietà di pinot<br />

nero per la produzione di vini rossi, quest’ultimo vitigno ci ricorda il fromenteau e<br />

il morillon delle regioni francesi a nord della Loira.<br />

Il successo dei vigneti legati <strong>al</strong> porto di La Rochelle dovette essere veloce e<br />

le navi inglesi e fiamminghe, presto anseatiche, lo avrebbero fatto conoscere<br />

anche a Bruges e a Londra. La fama dei vini esportati da La Rochelle durerà per<br />

tutto il XIII secolo, anche dopo aver subito la concorrenza di Bordeaux nel<br />

1224. I mercanti bordolesi seppero far v<strong>al</strong>ere i loro interessi presso il re d’Inghilterra:<br />

«Per quel che ci riguarda, noi siamo decisi a resistere ai nemici del re<br />

d’Inghilterra ed a conservare per lui la nostra fedeltà. Noi fortificheremo Bordeaux<br />

con tutti i nostri mezzi. (...) Tutte queste necessità, tutti questi problemi,<br />

noi li subiamo con l’atteggiamento che esige il bene pubblico. Si tratta di difendere<br />

Bordeaux, la città del nostro signore, il re d’Inghilterra, che noi serviremo<br />

sempre fedelmente per tutta la nostra vita» 56 . I mercanti bordolesi avevano saputo<br />

cogliere l’occasione e fin <strong>d<strong>al</strong></strong> 1224 <strong>d<strong>al</strong></strong>la Guascogna i vini si dirigevano verso<br />

l’Inghilterra, che si era chiusa <strong>al</strong>le navi provenienti da La Rochelle. I vini bordolesi<br />

e guasconi conquistarono la terra inglese. Tra La Rochelle e Bordeaux si era<br />

in qu<strong>al</strong>che modo creata una linea di separazione. Le navi fiamminghe e anseatiche<br />

venivano a La Rochelle per cercare il vino del Poitou e dell’Aunis per distri-<br />

56 Cit. da LACHIVER, Vins, vignes,p.95.<br />

43


44 Le vigne d’Aunis.


uirlo a Bruges e addirittura fino a Lubecca, e gli inglesi attraccavano a Bordeaux<br />

per prendervi i vini bordolesi e guasconi. I vignaioli guasconi e bordolesi seppero<br />

adattarsi <strong>al</strong> gusto inglese e produssero dei vini bianchi che, secondo S<strong>al</strong>imbene,<br />

venivano bevuti puri, mentre nel medioevo vi era l’usanza di berli mescolati<br />

<strong>al</strong>l’acqua 57 . A Cîteaux, il vino che veniva distribuito sulla tavola dei monaci, vino<br />

di grande qu<strong>al</strong>ità, conteneva in proporzione il 20% di acqua 58 . Comunque sia il<br />

Bordolese, regione del sud ovest francese, v<strong>al</strong>le della Garonna e dei suoi affluenti,<br />

trovò uno sbocco importante con il mercato inglese.<br />

Il XIII secolo ha segnato, in Francia, un’epoca di esplosione urbana. Nei<br />

centri cittadini si consumava molto vino, in particolar modo a Parigi, capit<strong>al</strong>e<br />

amministrativa del regno con Filippo Augusto, con un’attività artigian<strong>al</strong>e brulicante<br />

e, si potrebbe dire, capit<strong>al</strong>e intellettu<strong>al</strong>e della cristianità con la sua famosa<br />

università. Grazie <strong>al</strong>la Senna ed ai suoi affluenti, Parigi dispone di un retroterra<br />

vinicolo di prim’ordine, sia che si tratti di vini consumati nelle taverne o di vini<br />

ricercati <strong>d<strong>al</strong></strong>la corte re<strong>al</strong>e o dai borghesi. La Lega dei Mercanti d’Acqua (Hanse des<br />

Marchands de l’Eau) che controlla il traffico fluvi<strong>al</strong>e è composta prima di tutto dai<br />

negozianti che lavorano nel mercato del vino, che riguarda il transito del vino sia<br />

in direzione della Normandia, di Rouen e dell’Inghilterra, che verso le regioni<br />

del nord attraverso l’Oise 59 . Certamente attorno <strong>al</strong>la capit<strong>al</strong>e ci sono anche i<br />

vigneti dell’abbazia di Saint Germain des Prés a sud, quelli dell’abbazia di Saint<br />

Denis sulle colline di Montmartre , Belleville, Charonne, Montmorency, Cormeilles<br />

en Parisis. Ad ovest, lungo la Senna, <strong>d<strong>al</strong></strong> Pecq a Mantes, le rive del fiume<br />

sono bordate da vigneti, dove vengono a far rifornimento le abbazie della Normandia<br />

(Jumièges, Saint Wandrille, Fécamp, Le Bec-H<strong>al</strong>louin). Le vigne hanno<br />

invaso le pendici della montagna di Sainte Geneviève ed i villaggi suburbani,<br />

57 SALIMBENE, Cronica, p. 220.<br />

58 RICHARD, Le vignoble,p.17.<br />

59 La capit<strong>al</strong>e era rifornita direttamente dai vigneti che si trovavano intorno ad essa stessa, cfr. G.<br />

FOURQUIN, Les campagnes de la région parisienne à la fin du Moyen Age (du début XIII e au début XVI e siècle),<br />

Paris 1964, e l’opera La vigne et le vin en Ile de France, Paris 1984. Sulla Hanse e il traffico di vino sulla<br />

Senna, si v. A. PICARDA, Les marchands de l’eau. Hanse et compagnie française, Paris 1901, e A. SADOURNY,<br />

Les transports sur la Seine et aux XIII e et XIV e siècles,in Les transports au Moyen Age, «Ann<strong>al</strong>es de Bretagne<br />

et des pays de l’Ouest», 85 (1978), pp. 231-244, e segnatamente per il vino le pp. 239-241. Nel porto<br />

di Parigi transitavano dei vini che prendevano la direzione di Rouen attraverso l’estuario della Senna,<br />

i Paesi Bassi e la Germania settentrion<strong>al</strong>e: e M. MOLLAT, Le commerce maritime normand à la fin du Moyen<br />

Age, Paris 1952, e R. SPRANDEL, Die wirtschaftlichen Beziehungen zwischen Paris und den Sprachraum im Mittel<strong>al</strong>ter,<br />

«Vierteljahrschrift für sozi<strong>al</strong>- und Wirtschaftsgeschichte», 49 (1962), pp. 289-369.<br />

45


46<br />

come Ivry, Vaugirard, Meudon o Vanves, hanno i loro propri vigneti. T<strong>al</strong>i vigneti,<br />

comunque, non sono sufficienti a soddisfare le esigenze di una popolazione<br />

che non ha smesso di crescere per tutto il secolo, <strong>al</strong> punto di fare di Parigi la città<br />

più importante del mondo cristiano occident<strong>al</strong>e. Sono dunque i vini dei vigneti<br />

di Beauvais, Laon, Soissons, che raggiungono la capit<strong>al</strong>e attraverso la v<strong>al</strong>le dell’Oise.<br />

Ma i vigneti che riforniscono in modo particolare il mercato parigino passano<br />

per la v<strong>al</strong>le della Marna e dei fiumi della Champagne e, soprattutto, per la<br />

v<strong>al</strong>le dell’Yonne e la Senna <strong>d<strong>al</strong></strong>la Borgogna, Auxerre e Chablis 60 . Certamente<br />

ancora non si tratta dei vini detti della Champagne per quelli che provengono<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la regione di Reims o Epernay, questi sono ancora compresi tra i ‘vini francesi’,<br />

i vini dell’Île de France; essi arrivavano, ad esempio, a Londra con questo<br />

nome e transitavano per il porto di Rouen. Nelle v<strong>al</strong>li dell’Yonne e dei suoi<br />

affluenti, il Serein e l’Armançon, si concentra la produzione dei vini ‘borgognoni’,<br />

che vengono importati nel porto di Parigi. Da Cravant a Auxerre, senza parlare<br />

di una re<strong>al</strong>e monocoltura, si estendono le vigne che hanno suscitato l’ammirazione<br />

di S<strong>al</strong>imbene, che amava il vino bianco prodotto in questa regione,<br />

«un vino bianco, a volte dorato, che ha aroma e corpo, un sapore raffinato e<br />

generoso e che riempie il cuore di una gioiosa certezza» 61 . È lungo il Serein che<br />

matura l’uva che dà origine <strong>al</strong> vino di Chablis, su un terreno marnoso, che si presta<br />

bene <strong>al</strong>la viticoltura e che ha permesso la produzione di un vino bianco di<br />

<strong>al</strong>tissima qu<strong>al</strong>ità fino ai giorni nostri 62 . Quest’ultimo vino aveva il vantaggio di<br />

potersi conservare per molto tempo. Non è senza ragione che Henri d’Andeli<br />

può vantare come vini borgognoni quelli di Auxerre, Chablis e Tonnerre, mentre<br />

il vino di Beaune non merita ancora la qu<strong>al</strong>ificazione di vino di Borgogna,<br />

definito nel poema come ‘vino di Beaune’. Nel XIII secolo il vino di Beaune raggiunge<br />

i mercati settentrion<strong>al</strong>i, passando per il porto di Parigi o per la v<strong>al</strong>le della<br />

Saona, in direzione della Mosa per poi raggiungere i Paesi Bassi 63 . Così ha inizio<br />

un commercio del vino sia in direzione di Parigi che dei mercati settentrion<strong>al</strong>i,<br />

grazie ai vigneti destinati a diffondersi largamente nei secoli successivi.<br />

60 Cfr. sopra, la n. 8.<br />

61<br />

SALIMBENE, Cronica, p. 218: «Nota similiter quod vina Altisiodori sunt <strong>al</strong>ba et <strong>al</strong>iquando aurea et<br />

odorifera et confortativa et magis et boni saporis et omnem bibentem in securitatem et iocunditatem<br />

inducunt atque convertunt».<br />

62 Cfr. sopra, la n. 45.<br />

63 H. DUBOIS, Les foires de Ch<strong>al</strong>on et le commerce dans la v<strong>al</strong>lée de la Saône à la fin du Moyen Age (vers 1280 -<br />

vers 1430), Paris 1975, dà delle indicazioni importanti sull’esportazione del vino di Beaune.


Destino dei vigneti francesi nel basso medioevo<br />

La produzione ed il commercio del vino sono rimasti in piena attività fino <strong>al</strong>la<br />

crisi della fine del medioevo. Prima di tutto, la peste sorprende gli uomini, che<br />

non erano più abituati a vivere a suo contatto. Essa dimezza la popolazione in<br />

proporzioni considerevoli. Gli storici continuano a discutere per conoscere il<br />

tasso re<strong>al</strong>e di mort<strong>al</strong>ità dovuto a questa epidemia. Il dramma è dovuto soprattutto<br />

<strong>al</strong> ripetersi delle epidemie, impedendo così la ricostituzione della popolazione.<br />

Il dinamismo demografico è spezzato. Non ci sono più braccia per lavorare<br />

le vigne, che in molte regioni deperiscono proprio per la mancanza di attenzioni.<br />

Il vino non è un prodotto che continua ad essere apprezzato dagli uomini.<br />

Addirittura, la guerra che distrugge una parte del territorio francese è spesso<br />

sfociata nella distruzione dei vigneti, scoraggiando la loro ricostruzione: Robert<br />

Boutruche ha tracciato un quadro di questa situazione facendo riferimento <strong>al</strong>le<br />

regioni a sud-ovest del regno 64 e Guy Bois ha insistito particolarmente sul disastro<br />

demografico verificatosi in Normandia, parlando addirittura di un effetto<br />

Hiroshima, per quanto riguarda il c<strong>al</strong>o demografico 65 . È vero che questo autore<br />

ha preso in esame soprattutto le campagne, mentre dei lavori recenti hanno<br />

dimostrato che Rouen, ad esempio, aveva saputo concentrare in seno <strong>al</strong>la città<br />

una certa attività commerci<strong>al</strong>e ed artigian<strong>al</strong>e 66 . ‘L’autunno del medioevo’ non è<br />

stato certo favorevole <strong>al</strong>lo sviluppo della viticoltura, s<strong>al</strong>vo che in <strong>al</strong>cune regioni<br />

privilegiate sul piano commerci<strong>al</strong>e.<br />

L’autore più recente della storia della viticoltura francese ha creduto di poter<br />

dire che il basso medioevo è stato l’epoca dello slancio dei vigneti situati nelle<br />

zone atlantiche, mentre il periodo che va <strong>d<strong>al</strong></strong> XII <strong>al</strong> XIII secolo era stato contrassegnato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>lo sviluppo dei vigneti situati nelle regioni settentrion<strong>al</strong>i 67 . Senza<br />

dubbio è opportuno sfumare questa visione. Sicuramente un tempo i vigneti<br />

bordolesi hanno conosciuto una grande prosperità nella prima metà del XIV<br />

64 R. BOUTRUCHE, La crise d’une société. Seigneurs et paysans du Bordelais pendant la guerre des Cent Ans, Paris<br />

1947.<br />

65 G. BOIS, Crise du féo<strong>d<strong>al</strong></strong>isme, Paris 1976.<br />

66 PH.LARDIN, Les chantiers du bâtiment en Normandie orient<strong>al</strong>e (XIV e -XVI e siècles). Les matériaux et les hommes,<br />

2 voll., Lille 1995, corregge il quadro pessimista e catastrofico di Bois per la città di Rouen.<br />

67<br />

LACHIVER, Vins, vignes, pp. 111-178, che include il XVI secolo in questo capitolo e ciò da una visione<br />

gener<strong>al</strong>e errata per la fine del medioevo.<br />

47


48<br />

secolo. Un testo trecentesco, contemporaneo <strong>al</strong>la presenza del papato ad Avignone,<br />

la Disputa del vino e dell’acqua, che può essere paragonato a quello di Henri<br />

d’Andeli, dimostra che nel XIV secolo l’immagine dei vigneti francesi si è in<br />

qu<strong>al</strong>che modo stabilizzata e non è affatto diversa da quella del XIII secolo 68 .È<br />

significativo il fatto che laddove Henri d’Andeli metteva in primo piano dei vini<br />

come quelli di Aunis e di Saintonge, ciò è confermato nel XIV secolo, anche se<br />

il primo posto viene loro conteso dai vini di Borgogna, di Auxerre e di Beaune,<br />

ma, riconosce l’autore della Disputa, il vino di Auxerre invecchia m<strong>al</strong>e.<br />

Le tendenze che si erano accumulate nel XIII secolo non sono state re<strong>al</strong>mente<br />

stravolte e le grandi linee del traffico commerci<strong>al</strong>e non hanno fatto che<br />

confermare la superiorità di <strong>al</strong>cuni grandi vigneti a scapito di quelli di qu<strong>al</strong>ità<br />

inferiore, <strong>al</strong>cuni destinati addirittura a scomparire laddove le condizioni fisiche<br />

ed economiche erano sfavorevoli e cioè a nord della Senna e ad ovest del regno.<br />

Due grandi vigneti si sono sottratti <strong>al</strong>l’avvento della peste nera, quanto <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità<br />

dei loro prodotti ed <strong>al</strong> loro dinamismo per l’esportazione dei propri vini: la<br />

Borgogna e il Bordolese. Tuttavia è innegabile che la Borgogna abbia subito gli<br />

effetti della peste nera, come è dimostrato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’aumento dei s<strong>al</strong>ari legato ad una<br />

certa penuria di mano d’opera, sia nelle regioni di Beaune, Corton, Volnay che in<br />

quella di Chablis, ma bisogna anche osservare che le ordinanze re<strong>al</strong>i sono arrivate<br />

a soffocare questo aumento dei s<strong>al</strong>ari dopo il 1350. Ma il problema della<br />

carenza di mano d’opera aveva cominciato a farsi sentire già <strong>al</strong>la vigilia della<br />

grande epidemia del 1348. Gli effetti dell’epidemia si fecero sentire più profondamente<br />

con il suo ritorno, nel 1361, piuttosto che nello stesso 1348. La regione<br />

borgognona, nel periodo in cui aveva legami commerci<strong>al</strong>i con il mercato parigino,<br />

ha beneficiato, in questo periodo di fine medioevo, di due atouts fondament<strong>al</strong>i:<br />

da una parte l’ascesa di una dinastia duc<strong>al</strong>e a capo di un principato che<br />

univa i Paesi Bassi del nord con il ducato primitivo, grazie <strong>al</strong> matrimonio del<br />

duca Filippo l’Ardito con l’ereditiera della contea delle Fiandre, Margherita,<br />

dominazione estesa <strong>d<strong>al</strong></strong>le Fiandre <strong>al</strong>la Zelanda, Olanda, Brabante, Gueldre e<br />

Lussemburgo, da una parte; d’<strong>al</strong>tra parte, gli stretti legami che il papato inst<strong>al</strong>lato<br />

ad Avignone poté intrattenere con i vigneti borgognoni attraverso l’asse Saona-Rodano,<br />

<strong>al</strong>meno fino <strong>al</strong> periodo del grande scisma.<br />

68 Il testo della Desputaison du vin et de l’ieaue è stato pubblicato da A. Jubin<strong>al</strong>, Nouveau recueil de chansons,<br />

I, Paris 1839, pp. 293-311.


Sviluppo della Borgogna sotto il granducato<br />

Il duca di Borgogna era già proprietario di un vasto dominio viticolo fin <strong>d<strong>al</strong></strong> XIII<br />

secolo, consolidato ed affermato nei secoli XIV e XV. La sua corte, stabilita a<br />

Bruges <strong>al</strong>l’epoca del duca Filippo il Buono, era una grande consumatrice di vini<br />

originari sia della Borgogna che della regione di La Rochelle, poiché Bruges era<br />

rimasta un grande porto dove continuava ad affluire il vino del Poitou e di Saintonge.<br />

La proprietà viticola del duca comprendeva circa 180 ettari, di cui un centinaio<br />

sulle colline della Saona a Pontailler, i paesi settentrion<strong>al</strong>i dell’Auxois<br />

(Av<strong>al</strong>lon, Montbard, Montré<strong>al</strong>, Semur), La Montagne (Aisey le Duc, Selmaise,<br />

Villaines en Duesmois, Villiers le Duc) e il Dijonnais (Saulx le Duc). Il resto delle<br />

proprietà si concentrava in vasti campi a T<strong>al</strong>ant e Chenôve, <strong>al</strong>le porte di Digione,<br />

Beaune, Pommard e Volnay. Filippo l’Ardito aveva rivolto il proprio interesse<br />

soprattutto a queste grandi proprietà, accontentandosi di far sfruttare in terre<br />

affittate a canoni 2/3 dei vigneti delle terre <strong>al</strong>te 69 . Nel 1380 acquistò la proprietà<br />

di Germolles (400 ouvrées su 17 ettari), trasformando la casa che dominava il<br />

vigneto in una sontuosa residenza per Margherita delle Fiandre 70 . Dai conti<br />

duc<strong>al</strong>i si evince come i duchi avevano cura degli edifici legati a questi terreni e,<br />

del resto, i responsabili delle opere murarie, delle dispense, del corpo dei coppieri,<br />

erano incaricati di vigilare sulla loro amministrazione gener<strong>al</strong>e, facendo<br />

rispettare i loro ordini ai «responsabili dei vigneti e dei torchi». Da queste terre<br />

nascevano dei vini di qu<strong>al</strong>ità, con un rendimento che variava da 7 a 15 ettolitri<br />

per ettaro: vini verdelz (ottenuti da vendemmie precoci), vini paglierini e vini<br />

g<strong>al</strong>anz (vini cotti), ma spesso si facevano anche delle misture. Se i vini ‘piccoli e<br />

deboli’, addirittura aciduli, non mancavano, i migliori erano riservati <strong>al</strong> duca e<br />

<strong>al</strong>la sua corte. Una parte di questi arrivava fino a Parigi, Arras o Douai, senza<br />

dimenticare di farne consegnare ai membri della famiglia duc<strong>al</strong>e, <strong>al</strong> re di Francia<br />

o <strong>al</strong> duca di Berry. Gli ospiti importanti del duca non ne sono che onorati.<br />

Altra grande destinazione del vino di Borgogna, sia quello dei vigneti duc<strong>al</strong>i<br />

che quello del monastero di Cîteaux, fu la Corte pontificia di Avignone 71 . Se un<br />

69 P. BECK, Les clos du prince. Recherches sur les établissements viti-vinicoles ducaux, in Vignes, vins et vignerons,<br />

pp. 103-116.<br />

70 Ibidem, p. 106.<br />

71 Y. RENOUARD, La consommation des grands vins du Bordonnais et de Bourgogne à la cour pontific<strong>al</strong>e d’Avignon,<br />

«Ann<strong>al</strong>es de Bourgogne», 24 (1952), pp. 221-244.<br />

49


50<br />

tempo, <strong>al</strong>l’inizio del loro soggiorno ad Avignone, i papi e i cardin<strong>al</strong>i hanno<br />

apprezzato il vino di Saint Pourçain, così come dice anche la Disputaison:<br />

Alla corte del papa e di Francia<br />

Tra tutti i vini, io ho importanza,<br />

il suo successo fu, in seguito, eclissato dai vini di Beaune, presenti <strong>al</strong>la corte pontificia<br />

fino <strong>al</strong> 1403. La ragione per cui i papi hanno preferito il vino di Beaune sta<br />

nel fatto che il vino di Saint Pourçain arrivava ad Avignone ad un prezzo triplicato<br />

rispetto <strong>al</strong>la produzione, mentre il vino di Beaune, a parità di prezzo <strong>al</strong>la<br />

partenza, non faceva che raddoppiare il suo costo <strong>al</strong>l’arrivo ad Avignone. In<br />

effetti il vino di Saint Pourçain doveva essere trasportato tramite carreggio fino<br />

a Ch<strong>al</strong>on sur Saône per 175 Km, passando per Digoin e La Fresne. Ogni carro<br />

trasportava un fusto di vino di 400 litri circa, ma bisognava attraversare l’Allier,<br />

la Loira e la Bourbince su dei traghetti, per cui era necessario rafforzare i cerchi<br />

delle botti e colmarle. Quindi bisognava organizzare dei convogli di 10 o 20 carri<br />

circondati da carrettieri, da servi e da un bottaio per la sorveglianza e le riparazioni<br />

urgenti <strong>al</strong>le botti. Il prezzo d’acquisto si era già raddoppiato quando il<br />

vino arrivava a Ch<strong>al</strong>on sur Saône. Il vino di Beaune, che raggiungeva anch’esso<br />

il fiume, non vedeva che aumentare del 10 o 15% il suo prezzo. Era ovvio che il<br />

vino di Saint Pourçain non potesse sopportare la concorrenza del vino di Beaune<br />

per rifornire le cantine pontificie avignonesi. Il trasporto via acqua si rivelava<br />

più economico e favoriva i vigneti prossimi <strong>al</strong> grande asse fluvi<strong>al</strong>e Saona-Rodano,<br />

anche se i pedaggi non erano trascurabili quanto <strong>al</strong> prezzo di costo della merce<br />

trasportata.<br />

Questo vino (di Beaune) il papa ha tanto amato<br />

Che la benedizione gli ha dato<br />

E il suo affetto gli ha accordato.<br />

Questi versi possono far pensare che il vino di Beaune, «che non è troppo rosso,<br />

né troppo p<strong>al</strong>lido», diceva Henri d’Andeli, è stato preferito da papi e cardin<strong>al</strong>i, ma<br />

in re<strong>al</strong>tà, era il meno caro fra tutti i vini di qu<strong>al</strong>ità presenti sul mercato. Forse per<br />

vanità o forse perché vi erano rimasti affezionati <strong>al</strong> punto che Petrarca poteva<br />

scrivere: «Li ho sentiti dire, a volte, che non c’era vino di Beaune in It<strong>al</strong>ia» 72 .Questa<br />

m<strong>al</strong>dicenza del grande poeta it<strong>al</strong>iano era dovuta <strong>al</strong> suo dispiacere per la ‘catti-<br />

72 Petrarca non aveva una grande opinione della corte pontificia di Avignone e considerava la città<br />

come la Babilonia moderna, come dimostra la sua corrispondenza ai familiari: v. in particolare le let-


vità’ del papato ad Avignone ed auspicava il suo ritorno a Roma. È <strong>al</strong>trettanto<br />

vero che il duca di Borgogna si era premurato di far consegnare <strong>al</strong>la corte del Santo<br />

Padre nel 1370, <strong>al</strong>l’epoca del ritorno di Gregorio XI ad Avignone, dopo il mancato<br />

ritorno del papato a Roma, circa 170 ettolitri di vino delle sue proprietà, «per<br />

donarle e presentarle <strong>al</strong> nostro Santo Padre il papa» 73 .<br />

Che i vini borgognoni siano stati favoriti <strong>d<strong>al</strong></strong>le vie d’acqua per la loro esportazione<br />

lo rivelano i favori re<strong>al</strong>i di cui hanno beneficiato sul mercato parigino e<br />

particolarmente <strong>al</strong>la tavola re<strong>al</strong>e. Del resto il vino faceva parte delle usanze diplomatiche<br />

dei grandi duchi d’occidente <strong>al</strong> tempo del loro splendore. Quando nel<br />

1375 il duca Filippo l’Ardito si preparava ad incontrare a Bourges i rappresentanti<br />

del re d’Inghilterra e del papa per cercare di ristabilire la pace in Occidente, non<br />

esitò ad inviare loro 25 ettolitri di vino di pinot rosso 74 . D<strong>al</strong> canto loro gli scabini<br />

di Auxerre gli offrirono nel 1377 un vino di pinot in occasione della sua visita 75 .<br />

Nel momento in cui si impone il termine di pinot per definire il vitigno e il vino,<br />

diventa norm<strong>al</strong>e farlo entrare nel quadro della diplomazia e della propaganda. Lo<br />

stesso Filippo l’Ardito, che aveva sposato Margherita delle Fiandre, non mancò di<br />

far bere a suo suocero il vino di Borgogna e ciò a discapito del vino di La Rochelle,<br />

facendone mandare 800 ettolitri a Parigi in occasione del suo soggiorno nel<br />

1385 76 . L’azione intrapresa da Filippo l’Ardito per la promozione dei vini di Borgogna<br />

venne proseguita da suo nipote Filippo il Buono, il cui cancelliere Nicolas<br />

Rolin è il fondatore degli Hospices de Beaune. Del resto, non esitò a farsi chiamare<br />

«il noto signore dei migliori vini della cristianità» 77 . Una volta perso il mercato<br />

della corte pontificia avignonese, è il mercato delle Fiandre e dei paesi del<br />

nord che diventa fondament<strong>al</strong>e per i duchi di Borgogna, facendone pagare le<br />

conseguenze <strong>al</strong> vino di La Rochelle. Il vino prodotto in Borgogna arrivava nelle<br />

Fiandre sia attraverso gli affluenti della Senna e poi dell’Oise, con un’interruzio-<br />

tere dei vol. II e III pubblicate da V. ROSSI, Le Familiari, Firenze 1934. Per quanto riguarda l’opinione<br />

di Petrarca riguardo ai papi che rifiutano di lasciare Avignone, perché troppo attaccati <strong>al</strong> vino di<br />

Borgogna, vedi le F. PETRARCA, Opera, I, Basilea, 1581, pp. 845-846, 849 e 857; II, pp. 1064 e 1073-<br />

1074. A Petrarca ha risposto Jean de Hesdin: B. HAUREAU, Jean de Hesdin, le G<strong>al</strong>lus c<strong>al</strong>umniator de Pétrarque,<br />

«Romania», 22 (1893), pp. 276-281.<br />

73 Citato da LACHIVER, Vins, vignes, p. 142.<br />

74 Ibidem, p. 142.<br />

75 Ibidem, p. 143.<br />

76 Ibidem, pp. 143-144.<br />

77 Ibidem, p. 144.<br />

51


52<br />

ne del traffico fluvi<strong>al</strong>e a Compiègne, sia attraverso la Senna, fino a Parigi, poi a<br />

Rouen, la via marittima e Bruges. Del resto non sono soltanto i vini del ducato,<br />

soprattutto quello della Côte d’Or, del qu<strong>al</strong>e i duchi si impegnarono a far propaganda,<br />

ma anche quelli della loro Contea, i vini dello Jura, Arbois, Poligny, Doublans<br />

78 . Filippo l’Ardito ne fece consegnare a Cambrai per il matrimonio del suo<br />

figlio primogenito nel 1385 ed il vino che non fu consumato durante il pranzo di<br />

nozze venne mandato <strong>al</strong> suo p<strong>al</strong>azzo ad Arras 79 . Filippo il Buono si piegò <strong>al</strong>le<br />

richieste dei vignaioli di Arbois, che nel 1463 gli chiesero l’abolizione delle tasse<br />

sul vino che veniva spedito verso le <strong>al</strong>tre città della Franca Contea 80 . Ordunque il<br />

vino di Arbois era certamente di grande qu<strong>al</strong>ità, tanto da far scegliere a Rabelais<br />

delle viti di Arbois per il suo vigneto della Dive Bouteille, ma Panurge es<strong>al</strong>ta il vino<br />

di Beaune: «Mio Dio, questo vino di Beaune è il migliore che abbia mai bevuto» 81 .<br />

I mercanti venivano a prendere i vini di Borgogna, destinati <strong>al</strong>l’esportazione,<br />

direttamente <strong>al</strong>la produzione. La contabilità dei papi di Avignone è, da questo<br />

punto di vista, molto esplicita. I fornitori della camera apostolica si recavano a<br />

Beaune, Ch<strong>al</strong>on, Givry per controllare i loro mercati e far inoltrare le consegne ai<br />

porti che si trovano lungo la Saona 82 . Se una parte dei vini duc<strong>al</strong>i era destinata <strong>al</strong><br />

duca ed <strong>al</strong>la sua corte, un’<strong>al</strong>tra parte veniva commerci<strong>al</strong>izzata, grazie a dei mercanti<br />

parigini che venivano a comprarlo sul posto. I mercanti facevano «gustare i<br />

vini di Borgogna», concludevano le trattative e stipulavano il contratto con i vettur<strong>al</strong>i.<br />

Il vino spedito a Parigi era venduto <strong>al</strong>le H<strong>al</strong>les o consegnato ai p<strong>al</strong>azzi<br />

signorili. Una parte della merce sostava provvisoriamente a Parigi, poiché era<br />

destinata <strong>al</strong>l’uso dei consumatori nordici, per esempio lo Hainaut 83 . Di questi vini<br />

borgognoni bisogna sottolineare che quelli che possono beneficiare del trasporto<br />

via acqua, i vini dell’Auxerrois, di Tonnerre e di Av<strong>al</strong>lon, sono i più favoriti per<br />

essere consegnati sul mercato parigino, che m<strong>al</strong>grado il c<strong>al</strong>o demografico della<br />

capit<strong>al</strong>e rimaneva grande consumatore di vino. I vini di Beaune dovevano viag-<br />

78 R. DION, Le vin d’Arbois au Moyen Age, «Ann<strong>al</strong>es de géographie», 343 (1955), pp. 162-169.<br />

79 LACHIVER, Vins, vignes, pp. 146-147.<br />

80 Ibidem, p. 147.<br />

81 RABELAIS, Le Cinquiesme Livre, Paris 1960, p. 794.<br />

82 Renouard ne dà <strong>al</strong>cuni esempi nell’articolo cit. sopra, <strong>al</strong>la n. 71, e nelle sue opere Les relations des<br />

papes d’Avignon et les compagnies commerci<strong>al</strong>es et bancaires de 1316 à 1378, Paris 1942, e Recherches sur les compagnies<br />

commerci<strong>al</strong>es et bancaires utilisées par les papes d’Avignon avant le Grand Schisme, Paris 1942.<br />

83 G. SIVERY, Les comtes de Hainaut et le commerce du vin au XIV e et au début du XV e siècle, Lille 1969.


giare tramite carreggio per raggiungere la v<strong>al</strong>le dell’Yonne, Cravant e Vermenton,<br />

dove venivano caricati su dei battelli per i qu<strong>al</strong>i i naufragi non erano rari.<br />

Dai conti di Cîteaux si vede come i mercanti di Parigi, di Rouen o di Méziéres<br />

si incaricavano di commerci<strong>al</strong>izzare il vino di Borgogna 84 , ma non mancavano<br />

neanche i borghesi di Digione, che facevano partire dei convogli di carri per<br />

rifornire non soltanto il mercato digionese, ma anche quello di Parigi o di Compiègne<br />

85 . Il commercio dei vini borgognoni non era dunque interamente nelle<br />

mani dei mercanti estranei <strong>al</strong>la provincia, <strong>al</strong>meno per i vini di Beaune, mentre ad<br />

Auxerre dominavano i mercanti parigini 86 . Tra i vini di Borgogna si stabilì una<br />

gerarchia di prezzo, che si può dedurre <strong>d<strong>al</strong></strong>le ordinanze re<strong>al</strong>i. I vini di Beaune,<br />

Givry, Saint Gengoux, riv<strong>al</strong>i di quelli di Saint Jean d’Angély, erano quelli che raggiungevano<br />

i prezzi più elevati; <strong>al</strong> contrario, quelli del bacino dell’Yonne, detti<br />

precisamente vini di Borgogna, erano molto meno costosi. Tuttavia i vini d’Irancy<br />

e di Chablis, originari anch’essi del bacino dell’Yonne e denominati vini di<br />

pinot, appartenevano <strong>al</strong>la categoria dei vini rinomati 87 . La preoccupazione dei<br />

duchi di garantire e mantenere la qu<strong>al</strong>ità dei vini di Beaune si espresse in particolar<br />

modo attraverso l’ordinanza del 1395, che impedì la piantagione di gameti<br />

e l’uso di letame anim<strong>al</strong>e 88 . Era conveniente non produrre dei ‘vinelli’ su dei terreni<br />

di minore qu<strong>al</strong>ità da vitigni che davano grosse quantità, ma producevano<br />

vini mediocri. Allo stesso modo doveva essere utilizzata come fertilizzante la genne,<br />

cioè il residuo della spremitura, in modo t<strong>al</strong>e da non <strong>al</strong>terare l’aroma del vino.<br />

Non sorprende il fatto che una parte della produzione sia stata riservata <strong>al</strong><br />

consumo loc<strong>al</strong>e. Le amministrazioni comun<strong>al</strong>i, Digione in particolare, si preoccuparono<br />

di procurare agli abitanti un prodotto che occupava un posto importante<br />

nella loro <strong>al</strong>imentazione 89 . Era dunque competenza degli amministratori<br />

84 Presentazione dei conti da parte di RICHARD, Le vignoble, pp. 15-16.<br />

85 e P. GEOFFROY, Commerce et marchands à Dijon au XV siècle, «Ann<strong>al</strong>es de Bourgogne», 25 (1953), pp.<br />

168-175, ha dimostrato che i mercanti di vino digionesi erano anche dei mercanti di tessuti. Cfr. a<br />

questo proposito anche T. DUTOUR, Une société de l’honneur. Les notables et leur monde à Dijon, Paris 1998<br />

(Études d’histoire médiév<strong>al</strong>e, 2).<br />

86 Cfr. l’articolo di Delafosse cit. sopra, <strong>al</strong>la n. 8.<br />

87 RICHARD, Le vignoble,p.16.<br />

88 Testo dell’ordinanza in J. LAVALLE, Histoire diplomatique de la vigne et des grands vins de la Côte d’Or,<br />

Dijon 1855, pp. 37-39.<br />

89 C. TOURNIER, Le vin à Dijon de 1430 à 1560: production et commerce, «Ann<strong>al</strong>es de Bourgogne», 22<br />

(1950), pp. 7-32.<br />

53


54<br />

comun<strong>al</strong>i far arrivare sulla tavola dei loro concittadini un <strong>al</strong>imento che faceva<br />

parte delle loro abitudini e <strong>al</strong> gusto del qu<strong>al</strong>e erano ormai abituati. Il modo più<br />

semplice per evitare un costo troppo elevato era di favorire la vendita, da parte<br />

dei produttori loc<strong>al</strong>i, dei vini di loro proprietà. I privati avevano così una bottega<br />

per smerciare il vino spillato <strong>d<strong>al</strong></strong>le botti, consumato a ‘bocc<strong>al</strong>e rovesciato’.<br />

Alla ‘vendita a tappa’, che si svolgeva in rue Saint-Jean a Digione, ne venivano<br />

messe in vendita grandi quantità. L’ammontare dell’imposta ci permette di<br />

conoscere l’importanza di <strong>al</strong>cuni luoghi per la commerci<strong>al</strong>izzazione del vino:<br />

1600 franchi a Beaune nel 1378, 1379, 900 franchi a Digione nel 1380, 265 franchi<br />

a Nuits Saint Georges nel 1378 90 .<br />

Declino del Bordelais<br />

Fattori storici, congiuntur<strong>al</strong>i e geografici evocano il successo dei vini borgognoni<br />

<strong>al</strong>la fine del medioevo. Lo splendore dei duchi di Borgogna ha influito su questo<br />

prodotto, che rappresentava forse uno dei motivi più efficaci per la loro propaganda<br />

come per la loro fama. Per quanto riguarda il Bordelais, i fattori geografici<br />

hanno avuto sicuramente la loro importanza grazie <strong>al</strong>la presenza dei fiumi<br />

per il trasporto dei vini <strong>d<strong>al</strong></strong>l’entroterra verso il porto di Bordeaux, con sbocco<br />

verso l’Inghilterra, <strong>al</strong> tempo in cui il ducato di Aquitania dipendeva <strong>d<strong>al</strong></strong> re<br />

d’Inghilterra e questo fino <strong>al</strong> 1453, quando il ducato e la città di Bordeaux tornarono<br />

sotto il regno di Francia 91 . Dell’esportazione dei vini di Aquitania verso<br />

il porto di Bordeaux e di <strong>al</strong>tri porti del sud-ovest parlano i registri della Grande<br />

Coutume conservati nel Public Record Office 92 . Sfortunatamente essi sono incompleti<br />

e non permettono di stabilire il movimento glob<strong>al</strong>e di uscita dei vini aqui-<br />

90 RICHARD, Le vignoble,p.14.<br />

91 Le osservazioni di Higounet (cfr. sopra la n. 35) restano v<strong>al</strong>ide per la fine del medioevo.<br />

92 La Grande Coutume des vins era una tassa che veniva percepita sui vini di qu<strong>al</strong>siasi origine che transitavano<br />

per il porto; veniva riscosso anche l’ issac che riguardava i vini che entravano in città per essere<br />

venduti. La Petite Coutume, detta di Royan, veniva s<strong>al</strong>data <strong>al</strong>l’uscita <strong>d<strong>al</strong></strong>l’estuario della Gironde ed era<br />

costituita da una tariffa fissa di due denari e un soldo a botte, mentre la Grande Coutume veniva fissata<br />

ogni anno <strong>d<strong>al</strong></strong> conestabile di Bordeaux prima della vendemmia. I diritti di dogana percepiti a Bordeaux<br />

sui vini, e sulle mercanzie, sono stati oggetto di studio da parte di J.P. TRABUT CUSSAC, Les<br />

droits de douane perçus à Bordeaux sur les vins et les marchandises par l’administration anglaise de 1252 à 1307,<br />

«Ann<strong>al</strong>es du Midi», 62 (1950), pp. 135-150.


tani verso i porti inglesi. I c<strong>al</strong>coli stabiliti per circa una trentina d’anni nel corso<br />

della prima metà del XIV secolo, <strong>d<strong>al</strong></strong> 1305 <strong>al</strong> 1336, cioè nel periodo che segue la<br />

pace tra il regno di Francia e quello di Inghilterra fino <strong>al</strong>l’inizio della guerra dei<br />

Cento Anni, mostrano che nel porto di Bordeaux transitava un traffico medio<br />

annu<strong>al</strong>e di 70.000 botti (da 800 a 900 litri) 93 . E gli abitanti del Bordolese, borghesi,<br />

nobili ed ecclesiastici, contribuivano ad aumentare il numero di botti da<br />

10.000 a 12.000 per quanto riguarda la parte derivante <strong>d<strong>al</strong></strong>le loro proprietà. Tutto<br />

il resto proveniva <strong>d<strong>al</strong></strong>la parte bassa del paese, da 30.000 a 40.000 botti, e <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

parte settentrion<strong>al</strong>e. Un documento del 1306-1307, anno in cui si conoscono<br />

bene le diverse provenienze, permette di delineare cinque grandi assi di produzione:<br />

l’asse della Garonna, con 18 punti di imbarco per 13.500 botti; la v<strong>al</strong>le del<br />

Tarn, con il vino di Gaillac e di Moissac (quest’ultimo già elogiato da Henri<br />

d’Andeli); la v<strong>al</strong>le del Lot, con Cahors, e la Dordogne, con il vino di Bergerac. In<br />

questo caso manca il vigneto tolosano, del qu<strong>al</strong>e si sa soltanto che per l’anno<br />

successivo avrebbe inviato 1087 botti verso Bordeaux. I vini arrivavano a Bordeaux<br />

e nei porti secondari a bordo di piccole navi, per le qu<strong>al</strong>i i carichi disparati<br />

si ingrandivano man mano che passavano a filo dell’acqua. Come in Borgogna,<br />

la via d’acqua aveva contribuito largamente <strong>al</strong> successo dei vigneti aquitani.<br />

Al loro arrivo a Bordeaux i vini venivano depositati sulle banchine prima di<br />

essere imbarcati per l’Inghilterra su delle navi più grandi. Tra il 1306-1307, 603<br />

navi presero la via del mare dopo aver ris<strong>al</strong>ito l’estuario della Gironde. Nel 1308-<br />

1309 le navi diventeranno 750 94 . In ottobre-novembre una flotta autunn<strong>al</strong>e<br />

lasciava così il porto per consegnare il vino nuovo e il padrone marittimo doveva<br />

colmare le botti durante il viaggio affinché il vino non inacidisse. Le navi<br />

93 A partire <strong>d<strong>al</strong></strong>lo studio di M.K. JAMES, The fluctuations of the anglosaxon wine during the fourteenth century,<br />

«The economic review», s.n. (1951), pp. 170-169, Y. RENOUARD, Histoire de Bordeaux sous les rois d’Angleterre,<br />

Bordeaux 1965, p. 255, ha potuto stilare la seguente tabella sulle esportazioni di vino <strong>d<strong>al</strong></strong> porto<br />

di Bordeaux. 1305-1306: 97.848 botti, di cui 13.958 per i borghesi e i nobili della città; 1306-1307:<br />

93.452 botti, di cui 13.866 per i borghesi e i nobili della città; 1308-1309: 102.724 botti, di cui 12.260<br />

per i nobili e i borghesi della città; 1310-1311: 51.351 botti; 1328-1329: 69.175 botti; 1329-1330:<br />

93.556 botti; 1335-1336: 74.053 botti. Sul commercio dei vini guasconi cfr. Y. RENOUARD, Le grand<br />

commerce des vins de Gascogne, «Revue historique», 221 (1959), pp. 261-304; sulla capienza invece della<br />

botte bordolese Y. RENOUARD, La capacité du tonneau bordelais, «Ann<strong>al</strong>es du Midi», 65 (1953), pp. 395-<br />

403, e ID., Recherches complémentaires sur le tonneau bordelais, «Ann<strong>al</strong>es du Midi», 68 (1956), pp. 195-207.<br />

94 Sulle navi che trasportavano il vino verso il nord <strong>d<strong>al</strong></strong> porto di Bordeaux cfr. J. BERNARD, Navires et<br />

gens de mer à Bordeaux (vers 1400 - vers 1550), Paris 1968; si v. dello stesso autore, nel III volume dell’Histoire<br />

de Bordeaux curato da Y. Renouard, il capitolo Le fleuve, le port, la navigation, pp. 267-292.<br />

55


56<br />

Il commercio dei vini guasconi<br />

nel XIV secolo.<br />

Princip<strong>al</strong>i porti inglesi di importazione.<br />

Altri porti collegati con Bordeaux.


potevano così sperare di raggiungere i porti inglesi prima delle grandi tempeste<br />

invern<strong>al</strong>i e il vino poteva essere venduto prima di nat<strong>al</strong>e. Al loro ritorno, in primavera,<br />

essi effettuavano un secondo carico, con i vini delle zone settentrion<strong>al</strong>i,<br />

avendo già consegnato quelli delle aree meridion<strong>al</strong>i. Questi vini, detti di pasqua,<br />

già travasati, a causa della mobilità della festa di pasqua non venivano trasportati<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le navi che in maggio o addirittura giugno, per cui il vino delle regioni settentrion<strong>al</strong>i<br />

era già inacidito <strong>al</strong> momento dello sbarco in Inghilterra. M<strong>al</strong>grado il<br />

numero relativamente esiguo dei suoi abitanti, un po’ più di tre milioni – e<br />

aggiungendo il resto delle isole britanniche circa cinque milioni – l’Inghilterra è<br />

una grande importatrice di vini aquitani, <strong>al</strong>meno fino <strong>al</strong>la peste del 1348. Bristol,<br />

Exeter, Southampton, Sandwich, Londra, Hull, Newcastle erano i grandi centri<br />

di destinazione dei vini provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong> sud-ovest della Francia. Sicuramente le<br />

isole britanniche non erano in grado di assorbire i 700.000 ettolitri esportati in<br />

media ogni anno da Bordeaux, ma le navi che trasportavano questi vini ne lasciavano<br />

una parte in Normandia e in Bretagna, scontrandosi verso la Normandia<br />

con la concorrenza dei vini che transitavano per i porti di Rouen e della Senna.<br />

Tuttavia, verso il nord, i vini aquitani si incrociavano nei Paesi bassi con quelli<br />

provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong> porto di La Rochelle, come con i vini della Mosella e del Reno<br />

nella Germania settentrion<strong>al</strong>e<br />

Se l’inizio del XIV secolo, prima dell’avvento della guerra dei 100 anni, è stato<br />

un periodo di grande prosperità per il porto di Bordeaux, non si può dire lo<br />

stesso per la regione aquitana, che subì gli effetti della peste e le devastazioni della<br />

guerra, in quanto il ducato di Aquitania è stato importante oggetto di contesa tra<br />

la corona inglese e quella francese. I registri della Grande Coutume ne parlano a partire<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> 1337 e fino <strong>al</strong> 1440 95 . In Inghilterra non vennero inviate che 11.000 botti in<br />

media ogni anno tra il 1400 e il 1440. È anche vero che i bordolesi si riservavano<br />

il diritto di poter spedire il loro raccolto a scapito di quello nordico. Appena un<br />

centinaio di navi, contro le sei o settecento degli anni tra il 1306 e il 1337, in gran<br />

parte inglesi, ma anche baionesi e normanne, vennero a prendere in consegna il<br />

vino aquitano nella prima metà del XV secolo. Quando il ducato di Aquitania passò<br />

nelle mani del re di Francia, nel 1453, la situazione era particolarmente drammatica:<br />

terreni incolti, abitanti morti o in fuga, censi insoluti, canoni persi 96 .Era<br />

indispensabile procedere ad una ricostruzione delle vigne, «cadute in grande rovi-<br />

95 LACHIVER, Vins, vignes, pp. 119-120.<br />

57


58<br />

na», ed incoraggiare i contadini a lavorarle di nuovo. La ripresa non si farà sentire<br />

che nel 1475, ma sarà <strong>al</strong>lora necessario ricostruire i mercati e trovarne di nuovi. Gli<br />

inglesi rivolsero quindi la loro attenzione verso i paesi Iberici, la Spagna e il Portog<strong>al</strong>lo,<br />

non lasciandovi entrare che 3.000 botti di vini aquitani nel 1460. Verso i Paesi<br />

Bassi c’era una forte concorrenza, tanto più che il conflitto tra il re di Francia<br />

Luigi XI e il duca di Borgogna Carlo il Temerario, non facilitava l’ingresso dei vini<br />

aquitani sul territorio fiammingo. Anche se la situazione andò lentamente migliorando<br />

sul versante inglese fino <strong>al</strong>la fine del secolo, Bordeaux non esportò ancora<br />

che una media annu<strong>al</strong>e di 10.000 botti verso i porti inglesi. Del resto i mercanti<br />

inglesi si mostrarono esigenti quanto <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità del vino che importavano: oltre ai<br />

vini bianchi, chiaretti e rossi a bassa gradazione <strong>al</strong>colica e difficili da conservare,<br />

essi rivolsero la loro attenzione verso dei vini con un’origine precisa, nel Médoc<br />

(nucleo del Taillan) o nelle Graves (T<strong>al</strong>ence e Haute Brion), prodotti sulle proprietà<br />

di grandi famiglie nobili 97 . Questa è senza dubbio l’origine di una gerarchia<br />

di vini bordolesi destinata a meglio delinearsi nei secoli successivi.<br />

Ristagno degli <strong>al</strong>tri vigneti<br />

La rinascita del vigneto aquitano <strong>al</strong>la fine del XV secolo fu dunque molto lenta<br />

e non ritroverà mai più la stessa prosperità che <strong>al</strong>l’inizio del XIV secolo prima<br />

del periodo contemporaneo, quanto <strong>al</strong>l’esportazione dei suoi prodotti. La presenza<br />

della corte di Francia nella V<strong>al</strong> de Loire ha potuto contribuire, un tempo,<br />

<strong>al</strong>la fama di <strong>al</strong>cuni vini della regione. Il vino prodotto nella regione di Orléans<br />

godeva, <strong>al</strong>la fine del <strong>Medioevo</strong>, di una fama equiv<strong>al</strong>ente a quella dei vini di<br />

Beaune. Un resoconto del 1377-1378 per il castello di Gaillon segn<strong>al</strong>a la sua<br />

presenza sulla tavola dell’arcivescovo di Rouen. Il re Carlo VII, assicuratosi<br />

definitivamente della corona di Francia in seguito <strong>al</strong>la sua incoronazione a<br />

Reims nel 1429, grazie a Giovanna d’Arco, vantava i meriti del vino di Orléans,<br />

che per «la sua bontà e la sua fama» era ricercato in Normandia, nelle Fiandre e<br />

in Bretagna 98 . Rabelais fece venire dei vitigni <strong>d<strong>al</strong></strong>la regione di Orléans per il suo<br />

vigneto della Dive Bouteille a fianco di quelli di Beaune 99 . I vitigni <strong>al</strong>verniati, nel-<br />

96 Cfr. l’opera di Boutruche cit. sopra, <strong>al</strong>la n. 63.<br />

97 LACHIVER, Vins, vignes, pp. 122-123.


le varietà viticole dette orleanesi, si estendevano fino ai dintorni di Tours, ma a<br />

partire da Bourgueil e Chinon si scontrarono con il cabernet. Touraine e Angiò<br />

erano i terreni di un vino che Rabelais chiama vino bretone e Luigi XI era un<br />

grande amante del vino di Bourgueil 100 . Se in <strong>al</strong>cuni anni vennero importati dei<br />

vini rossi in Angiò, fu tramite il fiume, la Loira, che furono esportati i vini della<br />

v<strong>al</strong>le: essi discendevano il fiume, per prendere poi, a Nantes, la via per l’Inghilterra<br />

e per Rouen. Le navi che trasportavano il s<strong>al</strong>e <strong>d<strong>al</strong></strong>la baia di Bourgneuf<br />

e di Guérande venivano a prendere il vino dell’asse ligeriano. La quantità di<br />

vino esportata era, ciononostante, molto esigua, poiché i mercati inglesi, bretoni<br />

o normanni non potevano assorbire che una parte limitata di questi vini,<br />

destinati soprattutto <strong>al</strong> consumo loc<strong>al</strong>e. La concorrenza degli <strong>al</strong>tri vini provenienti<br />

da La Rochelle e Bordeaux era troppo dura 101 . Per<strong>al</strong>tro l’Angiò, come<br />

Bordeaux e la sua regione, era stato colpito <strong>d<strong>al</strong></strong> cattivo tempo, <strong>d<strong>al</strong></strong>la peste e <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

guerra 102 . Quindi non sorprende il fatto che il commercio si sia fermato tra il<br />

1365 e il 1377 e che siano diminuite le aree destinate <strong>al</strong>la vigna. M<strong>al</strong>grado una<br />

certa ripresa tra il 1390 e il 1420, la crisi tornò e si protrasse fino <strong>al</strong> 1445. Allora<br />

si videro passare attraverso Angers dei vini della Borgogna, di Orléans e di<br />

Saint Pourçain, destinati a Mont Saint Michel. Vi furono delle perdite importanti,<br />

con lo sradicamento di vigneti a favore di terreni seminati a grano.<br />

I vigneti si concentrarono <strong>al</strong>lora lungo il fiume tra Saumur e Angers, dove<br />

dei proprietari nobili stipularono degli affitti vit<strong>al</strong>izi con dei contadini, che<br />

accettarono di reimpiantare i vigneti. Ma il vino di Angiò non si ritrova in quantità<br />

relativamente importanti nel porto di Nantes che <strong>al</strong>la fine del XV secolo e<br />

<strong>al</strong>l’inizio del XVI. Anche se la storia ha giocato a favore del vino di Orléans,<br />

non si è saputo ben approfittare della presenza della Corte francese, che aveva<br />

stabilito la sua dimora sui bordi della Loira, e i vigneti del V<strong>al</strong> si sono poco sviluppati.<br />

È significativo come a Tours, addirittura nei conti municip<strong>al</strong>i, non com-<br />

98 Ibidem, pp. 128-129.<br />

99 Rabelais definisce bretoni i vini di Bourgueil e di Chinon, ma il vitigno a base di questi vini è senza<br />

dubbio originario dell’Aquitania: si tratta senz’<strong>al</strong>tro di un cabernet.<br />

100<br />

LACHIVER, Vins, vignes, p. 131.<br />

101 M. LE MENE, Le vignoble angevin à la fin du Moyen Age, étude de rentabilité, in Le vin au Moyen Age, pp.<br />

81-101.<br />

102 M. LE MENE, Les campagnes angevines à la fin du Moyen Age, étude économique (vers 1350 - vers 1580),Nantes<br />

1982, pp. 360-398.<br />

59


60<br />

paiono, per la ricezione degli ospiti di passaggio, che dei vini di Anjou, dei vini<br />

del Bourbonnais (Saint Pourçain) e dei vini di Orléans 103 . Bisogna quindi aspettare<br />

gli anni ottanta del XV secolo perché sia presente nel porto di Nantes il<br />

vino di Touraine, del resto sconosciuto sul mercato parigino.<br />

La prosperità dei vigneti <strong>al</strong>saziani<br />

Se la v<strong>al</strong>le della Loira non ha contribuito molto <strong>al</strong>l’esportazione dei suoi vini nella<br />

zona atlantica, <strong>al</strong> contrario i vini d’Alsazia, più che quelli lorenesi, hanno tratto<br />

vantaggio <strong>d<strong>al</strong></strong>la fortuna di Colonia 104 . Nei pressi di Metz venne impiantato un<br />

grande vigneto, lungo la Mosella, grazie <strong>al</strong>l’iniziativa dei borghesi della città 105 . Nel<br />

XIV secolo i vigneti della Mosella si ritrovarono a soffrire di due m<strong>al</strong>i, che ostacolarono<br />

decisamente l’esportazione dei loro prodotti. I vignaioli utilizzavano il<br />

gouais, un tipo di vitigno che aveva una resa molto <strong>al</strong>ta a discapito della qu<strong>al</strong>ità, e<br />

le ordinanze di sradicamento delle piante m<strong>al</strong>ate non furono affatto applicate,<br />

come è dimostrato <strong>d<strong>al</strong></strong>la loro ripetizione. È per questo motivo che i mercanti di<br />

Colonia si rivolsero ad <strong>al</strong>tre fonti di rifornimento in Alsazia. Per<strong>al</strong>tro i conflitti tra<br />

il duca di Lorena e il conte di Bar coinvolsero la v<strong>al</strong>le di Metz. La diminuzione<br />

dell’attività del vigneto è sorprendente e si protrae fino <strong>al</strong> XV secolo. Sulle tavole<br />

signorili non si trovavano più i vini della regione della Mosella, se non in assenza<br />

dei vini di Borgogna e d’Alsazia. Un vigneto che produce vini bianchi crebbe nei<br />

pressi di Toul, lungo le colline, dove nel 1486 furono introdotte delle piante borgognone<br />

per la produzione di vini rossi. Era appena sufficiente per il consumo<br />

loc<strong>al</strong>e e non partecipò affatto <strong>al</strong> traffico per l’esportazione 106 .<br />

Approfittando del declino dei vigneti lorenesi, quelli <strong>al</strong>saziani hanno avuto<br />

dei buoni raccolti <strong>al</strong>la fine del medioevo, tanto che i loro vini hanno potuto rag-<br />

103 B. CHEVALIER, Tours, ville roy<strong>al</strong>e (1356-1520), Paris 1975; ID., Alimentation et niveau de vie à Tours à la<br />

fin du XV e siècle, «Bulletin philologique et historique», 1 (1971), pp. 143-157.<br />

104 F.J. HIMLY, L’exportation du vin <strong>al</strong>sacien en Europe au Moyen Age , «Revue d’Alsace», 89 (1949), pp. 25-<br />

36; F. IRSIGLER, Kölner Wirtschaft im Spätmittel<strong>al</strong>ter (zwei Jahrtausend Kölner Wirtschaft), Köln 1975;<br />

HIGOUNET, Cologne et Bordeaux, pp. 404-406.<br />

105 J. SCHNEIDER, La ville de Metz aux XIII e et XIV e siècles, Nancy 1950.<br />

106 e e M. MAGUIN, Economie, politique et viticulture en Lorraine médiane aux XIV et XV siècles, «Ann<strong>al</strong>es de<br />

l’Est», 35 (1985), pp. 193-207.


giungere i mercati del nord. Sicuramente bisogna tener conto dei rischi meteorologici,<br />

come estati umide, inverni rigidi, gelo dei fiumi, che ostacolavano la circolazione<br />

dei vini, e gli anni di carestia: 1337, 1339, 1364, 1485, segno forse di<br />

un certo raffreddamento del clima, che ha cominciato a manifestarsi nella seconda<br />

metà del XIII secolo 107 .<br />

I vigneti si trovavano ormai su un’area di un centinaio di chilometri, da nord<br />

a sud, lungo le colline <strong>al</strong> di sotto dei Vosgi, per una larghezza di tre o quattro chilometri<br />

108 . Proprietarie di queste aree erano le istituzioni ecclesiastiche (monasteri,<br />

capitoli, vescovi), i signori ed i borghesi che vivevano nelle città ai piedi dei<br />

Vosgi. È interessante notare che furono le autorità municip<strong>al</strong>i a regolare il lavoro<br />

dei s<strong>al</strong>ariati (Regolamento di Colmar, del 1438) 109 : i borghesi controllavano il<br />

commercio del vino. Nel XVI secolo furono le autorità comun<strong>al</strong>i a decidere qu<strong>al</strong>i<br />

vitigni nobili piantare, come il moscato a Wolxheim nel 1523 110 . Alla fine del<br />

medioevo questo tipo di vigneto ha rappresentato un fattore importante per il<br />

commercio internazion<strong>al</strong>e della v<strong>al</strong>le renana. Nel 1548, S. Münster scriveva nella<br />

sua Cosmografia: «Il buon vino d’Alsazia viene trasportato per mezzo di una<br />

serie di carri e t<strong>al</strong>volta via acqua in Svizzera, Svevia, Baviera, Lorena e Germania<br />

meridion<strong>al</strong>e e t<strong>al</strong>volta in Inghilterra» 111 . Nel 1327 il cronista Froissart osservava<br />

che i vini d’Aussy (Alsazia) erano oggetto di commercio sui mercati delle città<br />

della regione 112 . Colmar era senza dubbio il più importante tra questi mercati,<br />

con una vendita annu<strong>al</strong>e che oscillava tra 30.000 e 100.000 ettolitri. Il vino d’Alsazia<br />

veniva esportato a sud verso la Svizzera (Basilea, Lucerna, Friburgo), <strong>al</strong><br />

nord verso Francoforte, Colonia e i Paesi Bassi 113 . I negozianti di Colmar non<br />

sono i soli a partecipare a questo traffico commerci<strong>al</strong>e: l’abbazia di Andlau vendeva<br />

il proprio vino a dei clienti residenti a Saverne e Strasburgo. All’inizio del<br />

107 LACHIVER, Vins, vignes, p. 150.<br />

108 L. SITTLER, L’agriculture et la viticulture en Alsace, Colmar-Ingersheim 1974; Vignes, vignerons et vins<br />

d’Alsace, Colmar 1975; G. BISCHOFF,J.M.BOEHLER,J.V.DIETRICH,G.DOPFF,J.DREYER,R.DUMAY,<br />

P. GOFFARD,P.HUGLIN,F.RAPP,L.SITTLER, Le vin d’Alsace, Paris 1978.<br />

109 L. SITTLER, La viticulture et le vin de Colmar à travers les siècles, Colmar 1956.<br />

110 LACHIVER, Vins, vignes, p. 151.<br />

111 Cit. da LACHIVER, Vins, vignes, p. 151.<br />

112 C. OBERREINER, Les vins d’Aussay bus en Angleterre étaient-ils des vins d’Alsace?, «Revue d’Alsace», 71<br />

(1924), pp. 289-303.<br />

113 L. SITTLER, Le commerce du vin de Colmar jusqu’en 1789, «Revue d’Alsace», 89 (1949), pp. 37-56.<br />

61


62<br />

XVI secolo, ogni anno, metteva in vendita una media di mille ettolitri, soprattutto<br />

di vino bianco, ma anche di vini rossi 114 .<br />

Il ritardo dei vigneti meridion<strong>al</strong>i<br />

È nei pressi di Lione e a sud della città che si svilupparono lungo il Rodano, fino<br />

<strong>al</strong>la regione della Linguadoca e fino in Provenza, dei vigneti il cui mercato si<br />

svolgeva soprattutto a livello loc<strong>al</strong>e. I vini del Beaujolais e del Lionese raggiungevano<br />

t<strong>al</strong>volta anche il mercato parigino. È tuttavia nei porti mediterranei che<br />

nacque, anche se con difficoltà, l’esportazione dei vini del Rodano, della Linguadoca<br />

e della Provenza, il qu<strong>al</strong>e incontrò comunque una severa concorrenza da<br />

parte dei vini cretesi e ciprioti, it<strong>al</strong>iani e spagnoli 115 . Ciononostante appaiono dei<br />

vitigni legati <strong>al</strong> traffico mediterraneo, attraverso i porti di Montpellier, Marsiglia<br />

e Aigues Mortes. Il moscato, originario del Mediterraneo orient<strong>al</strong>e, che produceva<br />

vini liquorosi, è menzionato nei conti del vescovado di Avignone nel 1364<br />

e Benedetto XIII, ultimo papa di Avignone, lo fa portare nel Rossiglione 116 . Nella<br />

seconda metà del XIV secolo ha così inizio la cultura del moscato, vino che<br />

avrà un grande avvenire nelle regioni mediterranee fino ai giorni nostri, La fama<br />

dei vini della Linguadoca e della Provenza non fu t<strong>al</strong>e da indurre i re di Francia<br />

ad averne nelle loro dispense. Del resto, il periodo della guerra dei Cento Anni è<br />

stato particolarmente drammatico per la Linguadoca, dove i vigneti e i terreni<br />

tornano ad essere incolti 117 . È soltanto <strong>al</strong>la fine del XV secolo che riprese il traffico<br />

del vino e quindi l’attività nei porti del litor<strong>al</strong>e della Linguadoca, Frontignan,<br />

Aigues Mortes, Sérignan.<br />

La presenza della corte pontificia ad Avignone ha incoraggiato la piantagione<br />

di vigneti di qu<strong>al</strong>ità, non foss’<strong>al</strong>tro che per le dispense dei papi a Châteauneuf,<br />

e nei dintorni di Tarascon, Avignone ed Arles una produzione ecces-<br />

114 C. HEITZ, Consommation et vente du vin de l’abbaye d’Andlau, «Société d’histoire et d’archéologie de<br />

Dambach-le Ville», 18 (1984), pp. 139-154.<br />

115 La situazione si è poco evoluta nel XIV e XV secolo, tanto che il traffico dei porti mediterranei è<br />

fermo, addirittura regredisce.<br />

116 J. CALMETTE, Benoît XIII et le muscat de Clara, «Revue d’histoire et d’archéologie du Roussillon»,4<br />

(1903), pp. 229-230.<br />

117 E. LEROY LADURIE, Les paysans du Languedoc, Paris 1966, ne offre un quadro nei primi capitoli.


siva ha dato l’opportunità di rifornire abbondantemente le taverne urbane 118 .Il<br />

vino del Comtat Venaissin conquistò così le città della v<strong>al</strong>le della Durance,<br />

Briançon, Digne, Sisteron, senza contare Embrun, Barcelonette e le Alpi meridion<strong>al</strong>i.<br />

Nel catasto di Arles del 1425 si scoprono 725 proprietari di vigneti su<br />

1123 persone iscritte 119 . Si tratta sicuramente di vigneti spezzettati, dove si ritrovano<br />

persone di città ed ecclesiastici. Una città come Carpentras, che contava<br />

una popolazione di 3000-3500 abitanti <strong>al</strong>l’inizio del XV secolo, tra cui un’importante<br />

comunità ebraica, fornisce delle informazioni significative sull’importanza<br />

del vino, sia nell’economia urbana, che in quella esterna. D<strong>al</strong>l’80% <strong>al</strong> 90%<br />

degli abitanti possiedono vino nell’ordine di molti ettolitri, proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong> raccolti<br />

degli appezzamenti individu<strong>al</strong>i o acquistato da <strong>al</strong>tre persone. Certamente i<br />

poveri non ne possedevano, ma è ovvio che gli abitanti di Carpentras disponevano<br />

di apprezzabili quantità di vino. Ordunque in questa città vi è una comunità<br />

ebraica, <strong>al</strong>cuni membri della qu<strong>al</strong>e possedevano dei vigneti e potevano<br />

comprare vino solo da <strong>al</strong>tri ebrei e non da cristiani. Al contrario, era possibile<br />

comprare dell’uva da un cristiano, a condizione che non fosse stata raccolta<br />

durante una festa ebraica 120 . Il vino del Comtat Venaissin era poco commerci<strong>al</strong>izzato,<br />

soltanto nelle zone periferiche, per esempio nel Delfinato. Bisogna dire<br />

che si trattava di vini colorati, chiaretti, a t<strong>al</strong> punto che i ricchi, come l’arcivescovo<br />

di Arles erano portati a procurarsi vini bianchi e vini liquorosi (moscato<br />

o vino greco) per i loro ricevimenti 121 .<br />

La fine del medioevo è dunque caratterizzata, sia riguardo <strong>al</strong>la produzione,<br />

sia riguardo <strong>al</strong>la commerci<strong>al</strong>izzazione, <strong>d<strong>al</strong></strong> successo dei vini di Borgogna, la cui<br />

fama raggiunse ben <strong>al</strong>tri paesi che la Corte pontificia di Avignone. Ciononostante<br />

è stupefacente notare quanto la peste e la guerra abbiano avuto conseguenze<br />

importanti su vigneti come quelli di Aquitania, della v<strong>al</strong>le della Loira o<br />

della Linguadoca e addirittura della Champagne 122 . Il traffico, che prima della<br />

118 e Ciò è vero per la città di Arles, cfr. L. STOUFF, Ravitaillement et <strong>al</strong>imentation en Provence aux XIV et<br />

XVe siècles, Paris 1970.<br />

119 L. STOUFF, Arles à la fin du Moyen Age, 2 voll., Aix en Provence 1986.<br />

120 e L. STOUFF, Ravitaillement et consommation <strong>al</strong>imentaire à Carpentras au XV siècle, «Etudes vauclusiennes»,<br />

6 (1971), pp. 1-6; 7 (1972), pp. 5-18.<br />

121 Cfr. sopra, la n. 119.<br />

122 e e<br />

M. BELOTTE, La région de Bar sur Seine à la fin du Moyen Age, du début du XIII siècle au milieu du XVI<br />

siècle: étude économique et soci<strong>al</strong>e, Lille 1973, dove si segn<strong>al</strong>a il regresso della coltura viticola nel XIV secolo<br />

e la sua ripresa nella seconda metà del XV secolo.<br />

63


64<br />

peste si orientava da sud verso nord, non si era modificato. L’apertura dei mercati<br />

atlantici non si è ancora affermata <strong>al</strong>la fine del medioevo. Certamente nel<br />

1500 Bruges non era più il porto attivo che aveva dimostrato di essere <strong>al</strong>l’epoca<br />

del grande mercato dei vini di La Rochelle o di Rouen, a seguito dell’insabbiamento<br />

dell’estuario. Ma si faceva già strada il porto di Anversa e nel retroterra i<br />

mercanti di Colonia prendevano lezione <strong>d<strong>al</strong></strong> declino della città di Bruges per<br />

rivolgersi verso i vini venuti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Alsazia, di cui una gran parte transitava per le<br />

fiere di Francoforte prima di prendere la direzione del nord 123 . La situazione originatasi<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la guerra dei vini di Henri d’Andeli ancora non si era veramente<br />

modificata.<br />

Considerazioni conclusive<br />

Il vino ha occupato un posto di primaria importanza nella vita degli uomini del<br />

medioevo. Oltre <strong>al</strong>la sua importanza nella liturgia, ha avuto un ruolo fondament<strong>al</strong>e<br />

nell’<strong>al</strong>imentazione degli uomini. Sicuramente le sue qu<strong>al</strong>ità erano diverse<br />

da quello di oggi: del resto, a seconda del consumatore, di ceto agiato o umile,<br />

vi era un tipo di vino diverso sulla tavola. Inoltre fu un prodotto di primo<br />

piano nell’economia francese mediev<strong>al</strong>e. La nostra conoscenza del vino nel<br />

medioevo è relativamente esigua fino <strong>al</strong>l’anno 1000, ma cresce considerevolmente<br />

a partire dagli anni 1000-1200. La Guerra dei vini di Henri d’Andeli ne è<br />

l’esempio più importante.<br />

Il consumatore contemporaneo resterebbe sicuramente colpito riguardo <strong>al</strong>la<br />

qu<strong>al</strong>ità del prodotto ed <strong>al</strong>la provenienza dei vini commerci<strong>al</strong>izzati e consumati in<br />

questo periodo. Sono i vini bianchi a dominare, addirittura i chiaretti, provenienti<br />

da regioni dove il vigneto è oggi quasi completamente scomparso 124 .D<strong>al</strong>la<br />

fine del XIII secolo, in Normandia e Bretagna non si produce praticamente<br />

123 Cfr. sopra, la n. 113.<br />

124 È il caso della regione parigina, per la qu<strong>al</strong>e FOURQUIN, Les campagnes, pp. 81-88, 357-358, 367-383,<br />

400-405, 445-450, 490-492 , ha descritto i vigneti intorno a Parigi; quanto <strong>al</strong>l’estensione delle aree<br />

vitate a nord di Parigi, si segn<strong>al</strong>ano diversi studi, tra cui L. DUVAL ARNOULD, Le vignoble de l’abbaye<br />

cistercienne de Longpont, «Le Moyen Age», 62 (1968), pp. 207-336; A. MOREAU-NERET, Aperçu historique<br />

sur les vignobles de la région de Senlis et de V<strong>al</strong>ois, «Société d’histoire et d’archéologie de Senlis», s.n.,<br />

années 1967-1968, pp.35-54; M. MULLON, Les vignobles de l’abbaye de Preuilly, «Bulletin de la Société<br />

historique et archéologique de Provins», 126 (1972), pp. 80-89.


più vino, se non in piccole quantità a livello loc<strong>al</strong>e. Il sidro non ha ancora preso<br />

del tutto il suo posto, ma le correnti commerci<strong>al</strong>i, per fiume o per mare, permettevano<br />

di fornire <strong>al</strong>le popolazioni normanne e bretoni il vino proveniente da<br />

<strong>al</strong>tre regioni. È la scomparsa di queste correnti commerci<strong>al</strong>i o del loro r<strong>al</strong>lentamento<br />

durante la guerra dei Cento Anni che farà il successo del sidro. Se Parigi,<br />

grande centro di popolazione e di consumo, vide arrivare dei vini <strong>d<strong>al</strong></strong> retroterra<br />

borgognone, tutt’intorno <strong>al</strong>la capit<strong>al</strong>e si era imposto un vigneto difficile da<br />

immaginare ai nostri giorni. La suddivisione dei vigneti che si effettuerà sul territorio<br />

francese era lontana <strong>d<strong>al</strong></strong>l’essere re<strong>al</strong>izzata, anche se la fama di <strong>al</strong>cuni grandi<br />

vigneti cominciava ad affermarsi in Borgogna, nel Bordolese e in Alsazia.<br />

Prodotto di lusso e di grande consumo, il vino, introdotto in G<strong>al</strong>lia dai<br />

Romani, si è imposto sulla tavola dei grandi come delle persone più umili. I vitigni,<br />

destinati ad un grande avvenire sul territorio francese, si spandono poco a<br />

poco: il fromenteau o pinot grigio, gli <strong>al</strong>verniati o morillons, antenati del pinot, la cui<br />

ortografia si delineerà soltanto nel XIX secolo, dopo che era stato scritto pineau<br />

o pinneau, chenin lungo la v<strong>al</strong>le della Loira, cabernet, proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong> moscato <strong>al</strong>la<br />

metà del XIV secolo. Questi vitigni davano, prima di tutto, dei vini bianchi, chiaretti<br />

o vermigli, produttori della bevanda per eccellenza ad un prezzo relativamente<br />

accessibile a tutti. I raccolti potevano variare in quantità e in qu<strong>al</strong>ità, ma<br />

era il rischio di tutti i vignaioli, anche ai giorni nostri, e i vini prodotti erano destinati<br />

ad essere bevuti rapidamente.<br />

La suddivisione dei vigneti dipese soprattutto dai consumatori e dagli acquirenti<br />

potenzi<strong>al</strong>i. Il trasporto via acqua si rivelò essere il più economico. Per il trasporto<br />

del vino si dovevano evitare i carri via terra, che facevano deteriorare le<br />

botti, inacidire il vino ed aumentare il costo del pedaggio in modo vertiginoso.<br />

Era sicuramente più conveniente produrre vino per il consumo urbano vicino, e<br />

Digione e Parigi ne sono un ottimo esempio, ma anche per <strong>al</strong>imentare i mercati<br />

più lontani. I vigneti erano piantati anche nelle v<strong>al</strong>li della Saona e Yonne in Borgogna,<br />

della Garonna e dei suoi affluenti in Aquitania, Marna e Senna intorno a<br />

Parigi e in Champagne, Charente per l’Aunis e il Poitou, la Mosella e il Reno in<br />

Lorena e in Alsazia, e i porti fluvi<strong>al</strong>i e marittimi ne assicuravano la migliore<br />

commerci<strong>al</strong>izzazione possibile. Lungo questi fiumi, gli appezzamenti in pendenza,<br />

assicuravano una buona esposizione <strong>al</strong> sole ad oriente o a sud-est.<br />

Principi della Chiesa, sovrani e signori laici hanno largamente contribuito <strong>al</strong><br />

successo della viticoltura. È vero che si trattava di consumatori importanti, come<br />

il re di Francia o il duca di Borgogna, e tanti <strong>al</strong>tri signori di minore importanza.<br />

65


66<br />

Durante le feste di nat<strong>al</strong>e l’arcivescovo di Arles beveva il ‘nettare’, ippocrasso, vino<br />

mescolato a miele e a diverse spezie. Nei monasteri e negli ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i gestiti <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

chiesa, il vino era offerto ai poveri come complemento <strong>al</strong> pane. Del resto, non<br />

senza ragione i prigionieri erano privati del vino e tenuti a pane secco e acqua.<br />

È impossibile re<strong>al</strong>izzare uno studio statistico tanto della produzione, quanto<br />

del commercio del vino in epoca mediev<strong>al</strong>e. Le informazioni che si possono<br />

carpire qua e là sono troppo frammentarie perché possa essere stabilito con precisione<br />

il ruolo del vino nell’economia mediev<strong>al</strong>e. Nonostante ciò, è certo che<br />

abbia avuto un ruolo non trascurabile per quanto riguarda i trasporti fluvi<strong>al</strong>i e<br />

marittimi e la sua importanza fu t<strong>al</strong>e che, <strong>al</strong>l’indomani dei drammi dell’autunno<br />

del medioevo, i grandi laici ed ecclesiastici non hanno risparmiato i loro sforzi,<br />

m<strong>al</strong>grado una certa penuria di mano d’opera, mentre si affermava di nuovo la<br />

domanda, per ricostituire le piantagioni dei vigneti. Il periodo moderno avrebbe<br />

proseguito questi lavori, contribuendo lentamente ad una selezione sempre più<br />

rigorosa della qu<strong>al</strong>ità dei vitigni e del prodotto presente sul mercato.


Fecit ecclesias et plantavit vineas<br />

(diploma carolingio, IX sec.)<br />

Pan e vino sono los frutos de la tierra de que los omes mas se aprobechan<br />

(Las Siete Partidas di Alfonso X)<br />

L’agricoltura nelle regioni dell’Europa mediterranea subì una trasformazione<br />

radic<strong>al</strong>e a causa della conquista islamica. Mi limito a ricordare <strong>al</strong>cuni aspetti<br />

s<strong>al</strong>ienti di una vicenda per <strong>al</strong>tro verso ampiamente nota: a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> secolo VIII<br />

nelle zone sotto dominazione musulmana si verificò la diffusione di nuove colture,<br />

i sis<strong>temi</strong> di irrigazione di tradizione romana furono portati a perfezionamento<br />

con l’introduzione anche di nuove tecniche, e in gener<strong>al</strong>e, la proliferazione<br />

di trattati e opere di agronomia 1 sui più svariati argomenti pose l’agricoltura<br />

<strong>al</strong> centro di un intenso dibattito scientifico. L’impiego di concimi, il modo di<br />

effettuare la semina, la rotazione dei campi, lo studio dei suoli, le condizioni climatiche,<br />

gli impianti di irrigazione, i giardini e gli orti, le piante medicin<strong>al</strong>i sono<br />

tra gli argomenti trattati da un’abbondante letteratura la qu<strong>al</strong>e, opportunamente<br />

tradotta, avrà poi grande influenza in tutta l’Europa.<br />

In considerazione dell’intensità dei cambiamenti, <strong>al</strong>cuni autori si spingono a<br />

parlare apertamente di una vera e propria «Arab Agricultur<strong>al</strong> Revolution» 2 o<br />

1 L. BOLENS, Les méthodes cultur<strong>al</strong>es au Moyen-Age d’après des traités d’agronomie an<strong>d<strong>al</strong></strong>ouse: traditions et techniques,<br />

Gèneve 1974; EAD., Agronomes an<strong>d<strong>al</strong></strong>ous du Moyen Age, Gèneve 1981; J. VALLVÉ, La agricultura en<br />

Al-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us, «Al-Qantara», III/1-2 (1982), pp. 261-293.<br />

2 A.W. WATSON, The Arab Agricultur<strong>al</strong> Revolution and its diffusion, 700-1100, «The Journ<strong>al</strong> of Economic<br />

History», XXXIV/1 (1974), pp. 8-35.<br />

* Università La Sapienza, Roma.<br />

MANUEL VAQUERO PIÑEIRO*<br />

Vigne e vino nella penisola Iberica<br />

67


68<br />

«Arab Green Revolution» 3 ; in questo senso si ricorda come l’introduzione nell’Occidente<br />

di piante qu<strong>al</strong>e il gelso, il riso, il cotone, la canna da zucchero, gli<br />

agrumi, andò a modificare in maniera sostanzi<strong>al</strong>e il paesaggio agrario di ampie<br />

zone della penisola Iberica 4 e della Sicilia ma <strong>al</strong>lo stesso tempo appare evidente<br />

l’importanza di una popolazione non più dipendente unicamente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’andamento<br />

del raccolto del grano, senza dimenticare con ciò l’incidenza che nel corso dei<br />

secoli mediev<strong>al</strong>i <strong>al</strong>cune di queste specie veget<strong>al</strong>i ebbero nel settore della produzione<br />

tessile o dei traffici commerci<strong>al</strong>i 5 .<br />

Il quadro appena delineato nei suoi tratti più sommari consente di dire che<br />

se da un verso gli arabi portarono un patrimonio di conoscenze e di pratiche<br />

agricole, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro con l’occupazione della penisola Iberica si trovarono pure<br />

loro a confrontarsi con una struttura agricola consolidata – quella del regno visigoto<br />

– <strong>al</strong>l’interno della qu<strong>al</strong>e il vigneto aveva un ruolo centr<strong>al</strong>e. Il contatto di<br />

società così distanti nel modo di concepire il vino e il suo consumo, portano a<br />

ritenere il vigneto come parte di uno spazio soci<strong>al</strong>e – quello della penisola Iberica<br />

– in movimento, condizionato da pressanti esigenze militari e da una società<br />

organizzata in funzione della guerra. Una storia agraria e soci<strong>al</strong>e <strong>al</strong>lo stesso tempo<br />

che nel lungo periodo e a seconda l’area cultur<strong>al</strong>e di riferimento (musulmani<br />

- cristiani) assume dunque differenti significati e testimonia rapporti economici<br />

e assetti produttivi di varia natura.<br />

Lasciando in secondo piano gli aspetti attinenti le pratiche cultur<strong>al</strong>i e la<br />

vinificazione, a grandi linee la storia del vigneto nella penisola Iberica durante<br />

il <strong>Medioevo</strong> può essere divisa in quattro grandi periodi: 1) l’epoca del regno<br />

visigoto; 2) i secoli VIII-X con una netta distinzione tra i regni cristiani del nord<br />

e la parte meridion<strong>al</strong>e (<strong>al</strong>-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us) sotto la dominazione dell’Islam; 3) i secoli<br />

3 T.I. GLICK, Islamic and Christian Spain in the Early Middle Ages. Comparative Perspectives on Soci<strong>al</strong> and Cultur<strong>al</strong><br />

Formation, Princeton 1979, p. 76.<br />

4 T.I. GLICK, Irrigation and Society in Mediev<strong>al</strong> V<strong>al</strong>encia, Massachussetts 1970; A.W. WATSON, Innovaciones<br />

en la agricultura en los primeros tiempos del mundo islámico, Granada 1998; A. RIERA I MELIS, Las plantas que<br />

llegaron de Levante. Acerca del legado <strong>al</strong>imentario islámico en la Cat<strong>al</strong>uña mediev<strong>al</strong>, «Anuario de Estudios<br />

Mediev<strong>al</strong>es», 31/2 (2001), pp. 787-841.<br />

5 In questo settore la storia della canna da zucchero e la sua importanza nei processi di colonizzazione<br />

delle isole dell’oceano Atlantico risulta molto evidente, T.I. GLICK, Regadío y técnicas hidráulicas<br />

en <strong>al</strong>-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us, in I seminario internacion<strong>al</strong> sobre la caña de azúcar. La caña de azúcar en los tiempos de los grandes<br />

descubrimientos (1450-1550), Granada 1990, pp. 83-98; A. FÁBREGAS GARCÍA, Producción y comercio de<br />

azúcar en el Mediterráneo mediev<strong>al</strong>: el ejemplo del Reino de Granada, Granada 2000.


XI-XIII di avanzata del processo di riconquista e repoblación, e di crescita dei<br />

traffici commerci<strong>al</strong>i intorno <strong>al</strong>le città del cammino di Santiago; 4) i secoli XIV-<br />

XV con la conquista dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia e l’inserimento della penisola Iberica nell’ambito<br />

degli scambi commerci<strong>al</strong>i tra il Mediterraneo e l’Atlantico.<br />

Il vigneto nel regno visigoto<br />

V<strong>al</strong>icati i Pirenei, i visigoti arrivarono nella penisola Iberica nel V secolo e dopo la<br />

caduta dell’impero romano d’Occidente conservarono in<strong>al</strong>terato il sistema economico<br />

preesistente incentrato sul lavoro servile e la produzione agricola delle grandi<br />

ville patrizie. In un gener<strong>al</strong>izzato processo di rur<strong>al</strong>izzazione acuito <strong>d<strong>al</strong></strong>la scarsa<br />

vit<strong>al</strong>ità dimostrata da un ridotto numero di centri urbani 6 , le leggi e le disposizioni<br />

conciliari della chiesa visigota evidenziano l’importanza che conservò la coltivazione<br />

della vite 7 . Oltre ad Isidoro di Siviglia che nei suoi scritti ne parla, sono<br />

numerose le testimonianze di carattere legislativo attinenti la protezione delle aree<br />

riservate a vigneto e <strong>al</strong> disciplinamento del ciclo dell’uva. Nella Lex Visigothorum<br />

promulgata nel 654 sono, infatti, frequenti i richiami <strong>al</strong>le vineae, <strong>al</strong> fructus vineae e <strong>al</strong>la<br />

vendemmia a dimostrazione di come il consumo di vino fosse largamente diffuso<br />

e come il vigneto fosse una delle coltivazioni dominanti, soprattutto <strong>al</strong>l’interno<br />

della struttura patrimoni<strong>al</strong>e delle grandi unità fondiarie. Anche nei concili della<br />

chiesa di Toledo sono ricorrenti gli interventi su <strong>temi</strong> riguardanti la difesa dei<br />

vigneti, in particolare si insiste sulla necessità di provvedere <strong>al</strong> risarcimento dei<br />

danni causati <strong>d<strong>al</strong></strong> bestiame, così come sull’adempimento di obblighi fisc<strong>al</strong>i e sul rinvio<br />

di cause e procedimenti giudiziari durante il periodo della raccolta dell’uva che<br />

per legge doveva svolgersi tra il 15 di settembre e il 15 di ottobre 8 .<br />

Insomma un insieme di notizie e misure che, sebbene non consentano di far<br />

emergere in concreto i differenti tipi d’uva esistente, le pratiche agricole impiegate,<br />

le tecniche di trasformazione, in gener<strong>al</strong>e consentono però di cogliere la<br />

rilevanza che aveva il vigneto nel paesaggio agrario della penisola Iberica duran-<br />

6 J.A. GARCÍA DE CORTÁZAR, La época mediev<strong>al</strong>, Madrid 1981, pp.16-17.<br />

7 G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998<br />

(Fondamenta, 4), p. 37.<br />

8 H. HALLEGO FRANCO, La cultura del vino en la España visigoda: un análisis de las fuentes jurídicas, in Actas<br />

del I encuentro de historiadores de la viticoltura española, El Puerto de Santa María 2000, pp. 193-205.<br />

69


70<br />

te il VII secolo 9 e la produzione di vino che, soprattutto per esigenze di carattere<br />

liturgico, condizionava in larga parte il ritmo annu<strong>al</strong>e dei lavori nei campi.<br />

Questa situazione subisce una modifica radic<strong>al</strong>e a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> 711 quando gli<br />

arabi, senza trovare <strong>al</strong>cuna resistenza militare, liquidarono il regno visigoto<br />

annettendosi quasi per intero il territorio peninsulare 10 . Da questo momento in<br />

poi per la storia del vino nella penisola Iberica si possono distinguere due<br />

società, due culture che si evolvono in par<strong>al</strong>lelo: da una parte, a Nord, tra i<br />

monti Cantabrici e il mare, ove le popolazioni cristiane che non avevano voluto<br />

rimanere a vivere sotto la dominazione musulmana, trovarono rifugio; e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra<br />

– a Sud – dove il vigneto, pur in presenza dei rigidi precetti coranici che<br />

vietavano il consumo di vino, rimase e la produzione d’uva si evolse verso un’agricoltura<br />

molto speci<strong>al</strong>izzata.<br />

Secoli IX-X: i regni cristiani del Nord e <strong>al</strong>-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us<br />

Protette da <strong>al</strong>te montagne e con un clima poco adatto <strong>al</strong>l’agricoltura di tipo<br />

mediterraneo, le tribù che abitavano la parte nord della Spagna, rimasero sostanzi<strong>al</strong>mente<br />

<strong>al</strong> margine dell’organizzazione economico-amministrativo imposta<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’impero romano, il qu<strong>al</strong>e, mediante uno stanziamento permanente di contingenti<br />

armati, cercava anzitutto di garantire un controllo militare senza, per contro,<br />

incentivare un effettivo processo di assimilazione 11 . Per questo motivo la<br />

romanizzazione della fascia nord della penisola Iberica fu molto superfici<strong>al</strong>e,<br />

pronta a sgretolarsi <strong>al</strong> minimo segn<strong>al</strong>e di debolezza o crisi del potere centr<strong>al</strong>e.<br />

Neppure durante il regno dei visigoti, i “popoli del nord” (asturi, cantabri e<br />

anche i baschi) furono sottomessi, limitandosi la corte di Toledo, una volta constatato<br />

l’insuccesso delle ripetute spedizioni militari 12 , a predisporre una linea di<br />

9 Sul vigneto e il vino nell’Europa <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e, v. I. IMBERCIADORI, Vite e vigna nell’<strong>al</strong>to <strong>Medioevo</strong>, in<br />

Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Occidente nell’<strong>al</strong>to medioevo, Spoleto 1966 (Settimane di studi del Centro it<strong>al</strong>iano<br />

di studi sull’<strong>al</strong>to medioevo, 13), pp. 307-342; A.I. PINI, Vite e olivo nell’Alto <strong>Medioevo</strong>, in L’ambiente<br />

veget<strong>al</strong>e nell’Alto <strong>Medioevo</strong>, Spoleto 1990 (Settimane di studi del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to<br />

medioevo, 37), pp. 329-370.<br />

10 F. GABRIELI, La spinta araba nel Mediterraneo nell’VIII secolo, in I problemi dell’Occidente nel secolo VIII,<br />

Spoleto 1973 (Settimane di studi del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to medioevo, 20), pp. 413-431.<br />

11 A. BARBERO,M.VIGIL, Sobre los orígenes soci<strong>al</strong>es de la Reconquista, Madrid 1979.<br />

12 BARBERO,VIGIL, Sobre los orígenes, pp. 52-67.


fortezze e presidi militari <strong>al</strong> fine di respingere le periodiche razzie che questi<br />

popoli – descritti da tutte le fonti come dei “banditi”, “barbari” e “feroci” –<br />

compivano nelle fertili pianure della Castiglia 13 .<br />

Si può quindi comprendere l’effetto dirompente del contatto, avvenuto nel<br />

corso del secolo VIII, di due modelli soci<strong>al</strong>i contrapposti: i cristiani che fuggendo<br />

dagli arabi portavano con sé un’economia di tipo mediterranea, una chiesa<br />

strutturata, e una gerarchia soci<strong>al</strong>e e di potere monarchico di carattere pre-feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e<br />

14 , e ad accoglierli un eterogeneo insieme di tribù e clan sorretti da strutture<br />

gentilizie, un’economia silvo-pastor<strong>al</strong>e e un mondo religioso fatto di divinità e<br />

credenze ancora preromane. A giudicare dai punti di partenza così lontani e dissimili,<br />

lo scontro socio-cultur<strong>al</strong>e dovette essere violento e ne uscì vincitore il<br />

modello più forte, quello imposto dai visigoti in fuga. Perciò durante l’VIII e<br />

con più intensità nel IX secolo cominciò un rapido processo di acculturazione<br />

dei “popoli del Nord” che, di fatto, determinò la nascita della società dei regni<br />

cristiani della penisola Iberica 15 .<br />

Con l’arrivo della grande proprietà ecclesiastica e feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e si consolidarono i<br />

vincoli di dipendenza servile, si avviò la cristianizzazione della popolazione indigena,<br />

e il paesaggio agrario, lì dove da sempre dominava il bosco, cambiò pelle<br />

con i dissodamenti e la diffusione di campi coltivati a grano e a vigneto 16 . Nel<br />

fondov<strong>al</strong>le e sui pendii soleggiati il manto boschivo fu sostituito da seminati e<br />

filari, e in certe zone, particolarmente favorite <strong>d<strong>al</strong></strong> clima, la coltura viticola<br />

conobbe un discreto successo. Una di queste aree, geograficamente molto circoscritta,<br />

adatte <strong>al</strong>la coltura della vite è la v<strong>al</strong>le di Liébana, tra le Austurie e la<br />

Cantabria, dove il monastero di Santo Toribio nel corso dei secoli IX e X venne<br />

in possesso di un gran numero di aree vitate 17 . Per un <strong>al</strong>tro dominio monastico<br />

13 BARBERO,VIGIL, Sobre los orígenes, pp. 67-73.<br />

14 A. BARBERO,M.VIGIL, La formación del feu<strong>d<strong>al</strong></strong>ismo en la Península Ibérica, Barcelona 1979.<br />

15 J.A. GARCÍA DE CORTÁZAR, Del Cantábrico <strong>al</strong> Duero, in Organización soci<strong>al</strong> del espacio en la España mediev<strong>al</strong>.<br />

La Corona de Castilla en los siglo VIII a XV, Barcelona 1985, pp. 43-83; ID., La sociedad rur<strong>al</strong> en la<br />

España Mediev<strong>al</strong>, Madrid 1988, pp. 17-27.<br />

16 J. GARCÍA FERNÁNDEZ, Organización del espacio y economía rur<strong>al</strong> en la España atlántica, Madrid 1975, pp.<br />

284-328.<br />

17 J.A. GARCÍA DE CORTÁZAR, C.DÍEZ HERRERA, La formación de la sociedad hispano-cristiana del Cantábrico<br />

<strong>al</strong> Ebro en los siglos VIII a XI. Planteamiento de una hipótesis y análisis del caso de Liébana, Asturias de<br />

Santillana y Trasmiera, Santander 1982, pp. 173-176.<br />

71


72<br />

nel nord della Spagna, San Juan Bautista de Corias, sulla v<strong>al</strong>le del fiume Narcea,<br />

le prime testimonianze della presenza di vigneti ris<strong>al</strong>gono <strong>al</strong>la fine del IX secolo<br />

18 . Da questi due primi esempi si evince un tratto che, come si vedrà in seguito,<br />

sembra contraddistinguere l’intera storia della vitivinicoltura nella Spagna cristiana,<br />

v<strong>al</strong>e a dire il ruolo fondament<strong>al</strong>e giocato dagli enti ecclesiastici.<br />

Al di fuori di ridotte zone avvantaggiate dagli effetti benefici di un clima<br />

mite e con una struttura fondiaria dominata dai complessi patrimoni<strong>al</strong>i dei<br />

monasteri, nel nord della penisola le rigide condizioni climatiche e l’<strong>al</strong>ta umidità<br />

del suolo rendevano estremamente problematica la maturazione dell’uva; <strong>al</strong> massimo,<br />

utilizzando pergolati e filari ri<strong>al</strong>zati, le famiglie contadine solo con grande<br />

fatica riuscivano ad ottenere un raccolto sufficiente per rispondere <strong>al</strong> fabbisogno<br />

domestico con dei vini a bassa gradazione e di scarsa qu<strong>al</strong>ità. Quindi niente di<br />

simile a quelle «due It<strong>al</strong>ie, quella padana e quella peninsulare» prospettate da<br />

Antonio Ivan Pini «unificate in età romana e in parte anche preromana <strong>d<strong>al</strong></strong>la coltura<br />

della vite e dell’olivo e <strong>d<strong>al</strong></strong>la cultura del vino e dell’olio» 19 .<br />

Verso est (tav. 1), da Alava fino <strong>al</strong>le propaggini meridion<strong>al</strong>i dei monti Pirenei,<br />

zone della Marca Hispanica contraddistinte da un maggior tasso di romanizzazione<br />

e dove si faceva sentire più direttamente l’influsso del regno carolingio, una<br />

consolidata presenza del vigneto è attestata già <strong>d<strong>al</strong></strong> IX secolo 20 . Nella contea della<br />

Cat<strong>al</strong>ogna si hanno delle testimonianze sulla piantagione di viti nuove (majuelos)<br />

tra il IX e il X secolo 21 , un precocce sviluppo della viticoltura da mettere in<br />

relazione <strong>al</strong>la presenza in quest’area di un certo numero di centri urbani (Barcellona,<br />

Girona, Vic, Manresa...) capaci di <strong>al</strong>imentare degli interscambi commerci<strong>al</strong>i<br />

e un’agricoltura in chiara fase di trasformazione. Per l’anno 957 ci sono delle<br />

indicazioni sull’esistenza di magazzini (cellarios), torchi per la spremitura (torculari)<br />

e botti per conservare il vino (cupas), ma il contenuto delle clausole testamen-<br />

18 a M E. GARCÍA GARCÍA, San Juan Bautista de Corias. Historia de un señorío monástico asturiano (siglos X-<br />

XV), Oviedo 1980, p. 236.<br />

19 PINI, Vite e olivo, pp. 334-335.<br />

20 S. RUÍZ DE LOIZAGA, La viña en el Occidente de Alava en la Alta Edad Media (850-1150). Cuenca Omecilla-<br />

Ebro, Burgos 1988, pp. 26-41; M.C. ESTELLA ALVAREZ, El viñedo en Aragón, Zaragoza 1981, pp. 14-15.<br />

21 A. RIERA I MELIS, “Os doy una parcela de tierra para que plantéis una viña de buenas vides y la cultivéis”. El<br />

vino en Cat<strong>al</strong>uña, siglos IX-XIII, in Vino y viñedo en la Europa Mediev<strong>al</strong>, a cura di F. Miranda García, Pamplona<br />

1996, pp. 13-38, a p. 15; P. BONNASSIE, Le vignoble cat<strong>al</strong>an aux <strong>al</strong>entours de l’An Mil, in Le vin au<br />

Moyen Âge: production et producteurs, Grenoble 1971, pp. 53-79.


tarie e degli atti di donazioni fanno ritenere che la produzione di vino fosse molto<br />

diffusa in tutti i gruppi e ceti soci<strong>al</strong>i 22 .<br />

Mentre prima del Mille nel nord della penisola il vigneto si espandeva tra molte<br />

difficoltà e ostacoli, nel sud sotto la dominazione arabo-musulmana la situazione<br />

era ben diversa. Come già accennato in precedenza, il Corano vieta il consumo<br />

di <strong>al</strong>col 23 ma non quello dell’uva, inoltre i nuovi dominatori si trovarono di fronte<br />

ad una re<strong>al</strong>tà agricola funzionante e a dover convivere con delle comunità loc<strong>al</strong>i<br />

che erano abituate a bere vino. In questo senso la presenza di consistenti comunità<br />

di mozárabi e di ebrei nelle città meridion<strong>al</strong>i favorì tanto la continuazione delle<br />

vigne quanto la commerci<strong>al</strong>izzazione e il consumo di mosti e bevande fermentate<br />

24 . Neppure nei momenti di maggiore ortodossia religiosa sotto gli Almoràvidi<br />

(1061-1147) e gli Almohadi (1146-1212) si riuscì a debellare una pratica molto<br />

radicata negli usi e costumi della popolazione musulmana della penisola Iberica 25 .<br />

Le reiterate disposizioni ricordando l’obbligo di astenersi <strong>d<strong>al</strong></strong> consumo di vino<br />

testimoniano infatti lo sforzo – in verità con scarso successo – condotto <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

autorità islamiche per adeguare le abitudini delle persone <strong>al</strong>le normative di carattere<br />

religioso. Nell’882, prima di morire, l’emiro <strong>al</strong>-Hakam I ordinò la distruzione dei<br />

magazzini di vino di Cordova, mentre il suo successore, <strong>al</strong>-Hakam II fu consigliato<br />

a non desistere <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ordinare lo sradicamento di tutte le vigne di <strong>al</strong>-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us. Allo<br />

stesso modo il visir di Granata ‘Abd Allah cercò di vietare il consumo di vino, ma<br />

i giovani della città continuarono a riunirsi per bere e divertirsi 26 . Altri c<strong>al</strong>iffi ed<br />

emiri praticarono invece una politica molto più tollerante e le cronache del tempo<br />

raccontano come gli stessi ‘Abd <strong>al</strong>-Rahman III e suo figlio ‘Abd <strong>al</strong>-M<strong>al</strong>ik <strong>al</strong>-Muzaffar<br />

non rifiutavano mai una coppa di buon vino 27 .<br />

22 RIERA I MELIS, Os doy una parcela, pp. 19-20.<br />

23 Sul vino nella cultura arabo-musulmana, cfr. P. Branca in questo stesso volume. Anche, T. DE<br />

CASTRO MARTÍNEZ, La <strong>al</strong>imentación en la cronística <strong>al</strong>mohadi y nazarí: acerca del consumo del vino, in La Mediterrània.<br />

Area de convergncia de sitemes <strong>al</strong>imentaris (segles V-XVIII), P<strong>al</strong>ma de M<strong>al</strong>lorca 1996, pp. 591-614.<br />

24 Per la Sicilia si vedano le considerazioni di PINI, Vite e olivo, pp. 342 e 347.<br />

25<br />

ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 37-39. Per le abitudini <strong>al</strong>imentari della popolazione araba della penisola<br />

Iberica, M. ESPADAS BURGOS, Aspectos sociorreligiosos de la <strong>al</strong>imentación española, «Hispania», 131<br />

(1975), pp. 537-565; T. DE CASTRO MARTÍNEZ, La <strong>al</strong>imentación castellana e hispanomusulmana bajomediev<strong>al</strong>.<br />

Apuntes para la definición de dos códigos, in Alimentazione e nutrizione secc. XIII-XVIII, Firenze 1997<br />

(Settimana di studi Istituto internazion<strong>al</strong>e di storia economica “F. Datini”, 28), pp. 797-806.<br />

26 A. HUETZ DE LEMPS, Vignobles et vins d’Espagne, Bordeaux 1993, pp. 30-32.<br />

27 VALLVÉ, La agricultura, p. 290.<br />

73


74<br />

Grazie ai numerosi trattati arabi di agricoltura 28 conosciamo abbastanza<br />

bene la varietà di uva esistenti e gli accorgimenti tecnici impiegati durante il lungo<br />

ciclo produttivo del vino. Molta dell’uva prodotta in <strong>al</strong>-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us veniva destinata<br />

<strong>al</strong> consumo di frutta fresca, godendo di speci<strong>al</strong>e fama l’uva acebibe per la carnosità<br />

dei suoi chicchi; risultavano anche molto richieste le varietà provenienti<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le zone di Málaga, Marbella, Almuñécar, Jerez, Ibiza ed Elche; nel Levante<br />

erano famosi i vigneti della zona di V<strong>al</strong>encia, di Lorca, i cui grappoli arrivavano<br />

a raggiungere le cinquanta libbre di peso, o di Saragozza che si potevano conservare<br />

perfettamente per sei anni. Del vicino Portog<strong>al</strong>lo va ricordata l’uva di<br />

Coimbra, Faro e Idanha 29 . A dimostrazione dell’estrema ricchezza agricola nelle<br />

fonti si trova menzionata l’uva della zona di Granada, il moscatello, l’<strong>al</strong>arije, ossia<br />

l’uva coltivata nei pergolati. Un mercante della città di Ceuta arriva addirittura a<br />

quantificare in sessantacinque le classi o varietà d’uva che si potevano trovare<br />

nelle città arabe della Spagna. Oltre <strong>al</strong>la produzione di vino e <strong>al</strong> suo consumo<br />

come frutta fresca, molta dell’uva raccolta veniva lasciata seccare per ottenere<br />

l’uva passa. In gener<strong>al</strong>e, si trattava d’uva molto dolce e i vini o liquori ottenuti<br />

avevano un elevato contenuto di zuccheri e «ciò spiega senza dubbio la predilezione<br />

per le bevande dolci a base di mosto, per gli sciroppi o il vino cotto» 30 .<br />

Per quanto riguarda i sis<strong>temi</strong> di coltivazione, l’agronomo Ibn Bass<strong>al</strong> individua<br />

quattro procedimenti prestando particolare attenzione ad un tipo di vigneto la cui<br />

coltivazione inizia nel mese di novembre in suoli sabbiosi e leggeri per consentire<br />

di avere verso il mese di ottobre un raccolto di eccezion<strong>al</strong>e qu<strong>al</strong>ità 31 . I consigli<br />

contenuti nelle opere di agricoltura si riferiscono, per citare soltanto <strong>al</strong>cuni dei<br />

punti sviluppati con dovizia di particolari, <strong>al</strong> modo di effettuare gli innesti, <strong>al</strong><br />

periodo idoneo per l’introduzione di piante di <strong>al</strong>tre regioni, <strong>al</strong>la potatura delle<br />

piante e <strong>al</strong> trattamento della vite come <strong>al</strong>beri da giardino 32 . Tuttavia gli autori arabi<br />

si soffermano anche sul modo di condurre la vendemmia che doveva comin-<br />

28 Cfr. sopra la nota 1. Per la coltivazione dell’uva nei trattati di area europea, J.-L. GAULIN, Tipologia<br />

e qu<strong>al</strong>ità dei vini in <strong>al</strong>cuni trattati di agronomia it<strong>al</strong>iana (sec. XIV-XVII), in D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino. <strong>Fonti</strong> e problemi<br />

della vitivinicoltura it<strong>al</strong>iana mediev<strong>al</strong>e, Bologna 1994, pp. 59-84.<br />

29 VALLVÉ, La agricultura, p. 289.<br />

30 ARCHETTI, Tempus vindemie,p.39.<br />

31 VALLVÉ, La agricultura, p. 288.<br />

32 E. GARCÍA SÁNCHEZ, Cultivos y espacios agrícolas irrigados en Al-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us, in Agricultura y regadío en Al-<br />

An<strong>d<strong>al</strong></strong>us, II Coloquio de Historia y Medio físico, Almería 1996, pp. 17-37.


ciare verso la fine del mese di settembre. Con il mosto ricavato <strong>d<strong>al</strong></strong>la torchiatura<br />

degli acini si ottenevano degli sciroppi particolarmente densi, essendo più diffuso<br />

quello re<strong>al</strong>izzato con l’aggiunta d’acqua, ma non mancavano <strong>al</strong>tre bevande<br />

molto raffinate a base di succo di melocotogno zuccherato, miele e una grande<br />

varietà di aromi e spezie. In questo universo gastronomico fatto di un’infinità di<br />

odori e aromi, il vino più famoso, anche fuori da <strong>al</strong>-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us, divenne quello prodotto<br />

nella zona di M<strong>al</strong>aga. Insieme a vini più o meno fermentati e sciroppi, l’uva<br />

veniva destinata anche <strong>al</strong>la produzione di aceto, da consumare, così risulta stabilito,<br />

come condimento in cucina ma anche nella lavorazione del cuoio 33 .<br />

Appare chiaro da quanto detto fin qui come, agli occhi di qu<strong>al</strong>siasi viaggiatore<br />

che intorno <strong>al</strong> Mille avesse attraversato la penisola Iberica da nord a sud,<br />

apparisse stridente il confronto tra due civiltà agrarie così profondamente differenti<br />

34 . Alle v<strong>al</strong>late cristiane della cordigliera Cantabrica o dei Pirenei – in cui la<br />

popolazione si concentrava in villaggi di poche case qu<strong>al</strong>i punti foc<strong>al</strong>i di un reticolo<br />

parcellare dominato da campi aperti seminati a grano, vigneti e dagli orti<br />

strappati a fatica <strong>al</strong> bosco, con delle rese condizionate dai rigori climatici e da un<br />

basso apporto di tecnologia –, facevano da contrappunto le fertili e urbanizzate<br />

pianure dell’Ebro e del Gua<strong>d<strong>al</strong></strong>quivir, dove come in un giardino cresceva un’infinità<br />

di piante, le ruote idrauliche consentivano l’irrigazione dei campi, i raccolti<br />

erano abbondanti e i frutti dolci e carnosi. Due mondi che, anche <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di<br />

vista delle rispettive agricolture, apparivano distanti e diversi, ma i cui destini li<br />

avrebbero portati a contrastarsi per più di quattro secoli, senza perdere mai la<br />

capacità di <strong>al</strong>imentare un intenso flusso di scambi e di prestiti cultur<strong>al</strong>i, economici<br />

e soci<strong>al</strong>i che superavano facilmente i limiti di una frontiera a maglie larghe.<br />

La crescita dei secoli XI-XIII: la riconquista e il cammino di Santiago<br />

Con la scomparsa nel 1035 del c<strong>al</strong>iffato degli Omayyadi di Córdoba la geografia<br />

politica dell’<strong>al</strong>-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us si frantumava in un pulviscolo di stati e ridotte unità politiche<br />

(i regni di taifas) minati <strong>al</strong> loro interno da cruente faide familiari e in permanente<br />

stato di belligeranza. Approfittando del profondo stato di debolezza del<br />

33 J.L. MARTÍN GALINDO, Almería. Paisajes agrarios. Espacio y sociedad. De la agricultura morisca a los enarenados<br />

e invernaderos actu<strong>al</strong>es, V<strong>al</strong>ladolid 1988, pp. 132-133.<br />

34 GLICK, Islamic and Christian, pp. 51-109.<br />

75


76<br />

fronte islamico, i monarchi dei differenti regni cristiani che nel frattempo si erano<br />

consolidati a nord (León, Castiglia, Navarra, Aragona e Cat<strong>al</strong>ogna) si trovavano<br />

nelle condizioni di intraprendere un’energica azione di espansione territori<strong>al</strong>e rendendo<br />

ormai sicura la conquista di intere zone che ancora per tutto il X secolo<br />

erano state scenario di razzie e distruttive campagne militari 35 . La frontiera ispanomusulmana<br />

si spostava verso sud e nella retroguardia dell’avanzata cristiana la coltivazione<br />

della vite dilagava. Il considerevole aumento delle testimonianze scritte a<br />

partire dai primi decenni dell’XI secolo sulla piantagione di nuove vigne e la proliferazione<br />

di contratti riguardanti le terre vitate, rappresentavano un chiaro segn<strong>al</strong>e<br />

di famiglie e comunità contadine s<strong>al</strong>damente stabilizzate sul territorio.<br />

Lungo una linea senza interruzioni che procede da ovest a est, la vite in quanto<br />

coltivazione che fissa gli uomini e le strutture soci<strong>al</strong>i, svolge un ruolo molto<br />

importante nel processo di repoblación 36 attuato a partire dai primi decenni dell’XI<br />

secolo. In questo periodo si consolida la grande proprietà ecclesiastica, anzitutto<br />

quella appartenente agli enti monastici 37 . Nella Rioja il monastero di San Millán de<br />

la Cogolla è un evidente esempio dello stretto rapporto tra sviluppo della viticoltura<br />

nella Spagna cristiana e il monachesimo benedettino 38 . Nella v<strong>al</strong>le del Duero<br />

troviamo lo stesso legame nel caso dei monasteri di Sahagún 39 , di San Pedro de<br />

Cardeña 40 , di Santa María de V<strong>al</strong>buena 41 e di Santa María de Moreruela 42 , la cui<br />

produzione vitivinicola serviva tanto per coprire le proprie necessità liturgiche e<br />

di <strong>al</strong>imentazione quanto per rifornire i vicini mercati di V<strong>al</strong>ladolid, Burgos, León,<br />

Zamora e <strong>al</strong>tri piccoli centri urbani della Castiglia settentrion<strong>al</strong>e.<br />

35 GARCÍA DE CORTÁZAR, Del cantábrico <strong>al</strong> Duero, pp. 48-58.<br />

36 Sul processo di ‘ripopolamento’ si veda il sintetico inquadramento di S. DE MOXÓ, Repoblación y<br />

sociedad en la España cristiana mediev<strong>al</strong>, Madrid 1979.<br />

37 A. MARTÍNEZ TOMÉ, El monasterio cisterciense en el origen de los vinos españoles, Madrid 1991.<br />

38 J.A. GARCÍA DE CORTÁZAR, El dominio del monasterio de San Millán de la Cogolla (siglos X <strong>al</strong> XIII). Introducción<br />

a la historia rur<strong>al</strong> de Castilla <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>, S<strong>al</strong>amanca 1969, pp. 289-292.<br />

39 J.M. MÍNGUEZ FERNÁNDEZ, El dominio del monasterio de Sahagún en el siglo X. Paisajes agrarios, producción<br />

y expansión económica, S<strong>al</strong>amanca 1980, pp. 161-170; E. MARTÍNEZ LIÉBANA, El dominio señori<strong>al</strong> del<br />

monasterio de San Benito de Sahagún en la Baja Edad Media (siglos XIII-XV), Madrid 1990.<br />

40 S. MORETA VELAJOS, El monasterio de San Pedro de Cardeña. Historia de un dominio monástico castellano<br />

(902-1338), S<strong>al</strong>amanca 1971.<br />

41 MARTÍNEZ TOMÉ, El monasterio, pp. 61-66.<br />

42 MARTÍNEZ TOMÉ, El monasterio, pp. 67-74.


Nella crescita del vigneto e della produzione di vino nei regni di Navarra,<br />

Castiglia e León, oltre a motivi riconducibili a condizionamenti di carattere<br />

cultur<strong>al</strong>e-religioso, fu determinante la nascita del cammino di Santiago (tav. 2)<br />

e il viavai di pellegrini che, <strong>d<strong>al</strong></strong>la seconda metà del X secolo, si mettevano in<br />

viaggio da tutte le parti dell’Europa per recarsi a pregare dinanzi la tomba dell’apostolo<br />

Giacomo 43 . Con loro nella penisola Iberica riprese la circolazione<br />

delle merci mentre la crescita demografica e commerci<strong>al</strong>e dei centri urbani<br />

dislocati lungo la rotta del pellegrinaggio 44 sollecitava la progressiva speci<strong>al</strong>izzazione<br />

agricola che nell’arco di pochi decenni si tradusse in un paesaggio<br />

rur<strong>al</strong>e organizzato in funzione delle esigenze dei mercati cittadini. Nel contesto<br />

europeo di gener<strong>al</strong>e accelerazione degli interscambi e della circolazione di<br />

beni e persone, a trarre vantaggio furono le signorie monastiche soprattutto<br />

quando a ridosso del cammino sancti Iacobi nascevano dei centri abitati di una<br />

certa rilevanza. È il caso molto eloquente della città di Estella, fondata nel<br />

1090 <strong>d<strong>al</strong></strong> re navarro Sancho Ramírez a pochi chilometri <strong>d<strong>al</strong></strong> monastero cluniacense<br />

di Santa María de Irache 45 .<br />

Ai nuovi abitanti di Estella, tra i qu<strong>al</strong>i artigiani e maestri provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra<br />

parte dei Pirenei, venivano concessi ampi privilegi giuridici ed economici, e la<br />

città, situata nella parte meridion<strong>al</strong>e del regno della Navarra, si trasformò nel<br />

corso del XII secolo in un nucleo commerci<strong>al</strong>e animato da un mercato agricolo.<br />

Un crocevia dunque di grande v<strong>al</strong>ore economico che modificò in profondità la<br />

configurazione del paesaggio agrario circostante. Allo stesso tempo che la popolazione<br />

cresceva e il tessuto edilizio si espandeva con la formazione di nuovi<br />

quartieri e parrocchie, la produzione agricola si evolse con la creazione di<br />

un’ampia fascia viticola intorno <strong>al</strong>la città 46 . Partecipando ad un fenomeno di<br />

43 Sul pellegrinaggio a Compostella e sulle implicazioni del cammino di Santiago a livello spagnolo e<br />

europeo, L. VÁZQUEZ DE PARGA, J.M.LACARRA, J.URÍA, Las peregrinaciones a Santiago de Compostela,<br />

Madrid 1948-49; El camino de Santiago y la articulación del espacio hispánico, XX Semana de Estudios<br />

Mediev<strong>al</strong>es, Pamplona 1994; G. CHER<strong>UBI</strong>NI, Santiago di Compostella. Il pellegrinaggio mediev<strong>al</strong>e, Siena 1998.<br />

44 J. GAUTIER DALCHÉ, Historia urbana de León y Castilla en la Edad Media (siglos IX-XIII), Madrid 1979, pp.<br />

67-80; J. PASSINI, El espacio urbano a lo largo del Camino de Santiago,in El Camino de Santiago, pp. 247-269.<br />

45 E. GARCÍA FERNÁNDEZ, Santa María de Irache. Expansión y crisis de un señorío monástico navarro en la<br />

Edad Media (958-1537), Bilbao 1989.<br />

46 M. VAQUERO PIÑEIRO, El paisaje agrario del señorío monástico de Santa María de Irache (958-1222). Contribución<br />

<strong>al</strong> estudio del campo navarro de la Alta Edad Media, in Primer congreso gener<strong>al</strong> de historia de Navarra.<br />

3. Edad Media, Pamplona 1988, pp. 217-223.<br />

77


78<br />

v<strong>al</strong>enza europea 47 , il numero di vigneti proprietà del monastero di Santa María de<br />

Irache si duplicò tra i secoli XI e XII e, ciò che ancora risulta più significativo, fu<br />

portata a termine una marcata concentrazione spazi<strong>al</strong>e attorno Estella o nelle<br />

prossimità di <strong>al</strong>tri villaggi distribuiti lungo il percorso del cammino di Santiago 48 .<br />

Ugu<strong>al</strong>mente nella documentazione del monastero cresce il numero di riferimenti<br />

a nuovi vigneti, <strong>al</strong>la concessione di appezzamenti <strong>al</strong>lo scopo di provvedere<br />

<strong>al</strong>l’introduzione della vite, e <strong>al</strong>l’uso sistematico dei contratti ad complantatio o ad<br />

laborandum nel caso di messa a coltura di terreni abbandonati. Ma le sollecitazioni<br />

provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong> mercato urbano si fanno sentire anche per <strong>al</strong>tre importanti<br />

novità. La vite non era più coltivata in piccoli appezzamenti isolati ma i vitigni<br />

venivano accorpati in ampie estensioni delimitate da cammini e vie, che consentivano<br />

un facile accesso e un <strong>al</strong>trettanto comodo trasporto dell’uva nel periodo<br />

della vendemmia. Molti degli affittuari dei vigneti del monastero di Irache, dislocati<br />

nell’area suburbana di Estella, erano artigiani del settore del cuoio, ciò aiuta<br />

a comprendere la frequenza con cui la vite viene associata <strong>al</strong>la coltivazione dello<br />

zumaque o scotano 49 , un arbusto della famiglia delle anacardiacee adatto per siepi,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> qu<strong>al</strong>e si ottenevano delle sostanze impiegate tanto per colorare i tessuti<br />

quanto per la concia delle pelli e del cuoio.<br />

Ancora nell’ambito del regno di Navarra oltre la grande proprietà monastica<br />

anche la corona vantava un considerevole numero di vigneti. In tot<strong>al</strong>e appartenevano<br />

<strong>al</strong> demanio 598 appezzamenti distribuiti tra 57 loc<strong>al</strong>ità per una superficie<br />

complessiva di 208 ettari ma in questo caso la dimensione media di ogni singola<br />

unità viticola era di appena 0,3 ettari 50 . D<strong>al</strong>la distribuzione geografica dei<br />

vigneti di proprietà della corona (Pamplona, Olite, Tudela) la produzione di<br />

vino, oltre ad essere una fonte di reddito sicura, era diretta ad assicurare anzitutto<br />

l’approvvigionamento della casa re<strong>al</strong>e nei suoi frequenti spostamenti.<br />

L’evoluzione del paesaggio agrario riscontrato intorno a Estella serve da<br />

modello per la disamina dello sviluppo dei vigneti intorno <strong>al</strong>la città di Nájera,<br />

nella Rioja, fino <strong>al</strong> 1076 capit<strong>al</strong>e di un regno cristiano indipendente 51 . Nel corso<br />

47 G. DUBY, Guerreros y campesinos. Desarrollo inici<strong>al</strong> de la economía europea (500-1200), Barcelona 1980, p. 301.<br />

48 F. MIRANDA GARCÍA, Producción y comercio del vino en la Navarra mediev<strong>al</strong>, in Vino y viñedo, pp. 55-74.<br />

49 VAQUERO PIÑEIRO, El paisaje agrario, p. 220.<br />

50 MIRANDA GARCÍA, Producción y comercio,p.66.<br />

51 Mª. C. FERNÁNDEZ DE LA PRADILLA MAYORAL, El reino de Nájera (1035-1076). Población, economía,<br />

sociedad, poder, Logroño 1991.


dell’XI secolo si fanno più frequenti le <strong>al</strong>lusioni a cantine, a torchi e sembra si<br />

riesca a coprire una domanda in crescita grazie <strong>al</strong>la dislocazione degli appezzamenti<br />

in zone dedite esclusivamente <strong>al</strong>la coltivazione delle vigne. Anche in questa<br />

circostanza dietro le novità introdotte si individua la decisa volontà dei centri<br />

monastici – San Millán de la Cogolla – di consolidare il loro dominio sulla<br />

regione mediante una sistematica politica di <strong>al</strong>largamento delle aree <strong>vitivinicole</strong> 52 .<br />

Senza abbandonare la rotta del cammino di Santiago, nell’area del Duero 53 lo sviluppo<br />

delle vigne nei secoli XI e XIII si inquadra <strong>al</strong>l’interno delle dinamiche<br />

patrimoni<strong>al</strong>i dei princip<strong>al</strong>i enti monastici della regione e tra le zone produttrici di<br />

vino di qu<strong>al</strong>ità cominciano a emergere Medina del Campo e Toro.<br />

Se rivolgiamo invece l’attenzione <strong>al</strong> regno di Aragona 54 , notiamo che l’orientamento<br />

est-ovest predominante nelle regioni della Castiglia e della Navarra, sviluppatosi<br />

a seguito l’articolazione socio-economica imposta <strong>d<strong>al</strong></strong> cammino di<br />

Santiago, viene sostituito da un asse vertic<strong>al</strong>e nord-sud. Per l’XI secolo le testimonianze<br />

della presenza di vigneti si riferiscono a loc<strong>al</strong>ità (Jaca) e monasteri (San<br />

Juan de la Peña) situati nella parte pirenaica della provincia di Huesca. Dopo<br />

questa fase inizi<strong>al</strong>e, negli ultimi anni del secolo la linea del vigneto aragonese si<br />

sposta fino <strong>al</strong>le porte della città di Huesca ma il grande s<strong>al</strong>to in avanti si compie<br />

a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> 1118 in seguito <strong>al</strong>la conquista di Saragozza e la conseguente l’annessione<br />

della fertile pianura dell’Ebro (tav. 3). Per la prima volta i cristiani entrano<br />

in contatto diretto con le tecniche e i sis<strong>temi</strong> agricoli praticati dai musulmani,<br />

a cominciare <strong>d<strong>al</strong></strong>l’irrigazione dei vigneti. Nel corso del XII secolo la viticoltura<br />

raggiunge i sobborghi di C<strong>al</strong>atayud, Daroca e Albarracín per arrivare <strong>al</strong>l’inizio<br />

del XIII secolo a occupare le terre intorno <strong>al</strong>la città di Teruel, nell’estremo lembo<br />

meridion<strong>al</strong>e del regno.<br />

Nel confinante contado della Cat<strong>al</strong>ogna si verifica un andamento cronologico<br />

similare a quello riscontrato per gli <strong>al</strong>tri regni cristiani iberici. Prima della fine<br />

dell’XI secolo la vite domina il paesaggio agrario della ‘Cat<strong>al</strong>ogna vecchia’<br />

addensandosi in modo particolare presso le città di Barcellona, Gerona, Vic o<br />

Manresa; con il XII secolo sono i distretti cittadini di Lerida e Tortosa, nel basso<br />

Ebro, ad essere coinvolti in questo progressivo avanzamento del vigneto. È<br />

stato c<strong>al</strong>colato che i vigneti venduti, in relazione <strong>al</strong>l’insieme di proprietà fondia-<br />

52 FERNÁNDEZ DE LA PRADILLA MAYORAL, El reino de Nájera, pp. 182-186.<br />

53 P. MARTÍNEZ SOPENA, El viñedo en el v<strong>al</strong>le del Duero durante la Edad Media, in Vino y viñedo, pp. 85-108.<br />

54 ESTELLA ALVAREZ, El viñedo, pp. 14-44.<br />

79


80<br />

rie motivo di transazione, passarono <strong>d<strong>al</strong></strong> 15% nel 950 <strong>al</strong> 40% nel 1030 55 .Anche<br />

in queste zone i cristiani si trovarono con una struttura produttiva pienamente<br />

funzionante che, fra l’<strong>al</strong>tro, garantiva rendimenti più <strong>al</strong>ti.<br />

D<strong>al</strong>l’insieme dei dati raccolti fin qui, riferiti a tutti i regni cristiani della penisola<br />

Iberica, è possibile tentare un minimo di an<strong>al</strong>isi comparativa capace di evidenziare,<br />

pur tra tante situazioni particolari e strutture region<strong>al</strong>i molto specifiche, una serie<br />

di tratti comuni che consentano di arrivare ad una visione complessiva del vigneto<br />

nella Spagna durante i secoli centr<strong>al</strong>i del medioevo. D<strong>al</strong>la Cat<strong>al</strong>ogna <strong>al</strong>la Castiglia<br />

passando per l’Aragona e la Navarra risulta p<strong>al</strong>ese lo stretto legame che intercorre<br />

tra sviluppo del vigneto, consolidamento dei patrimoni monastici e crescita demografica<br />

delle città. Anzi si potrebbe quasi aggiungere che ad ogni zona produttrice<br />

di vino corrisponde un ente ecclesiastico e un nucleo abitato di una certa consistenza.<br />

Il risultato, come ben rispecchia la distribuzione geografica elaborata da<br />

Huetz de Lemps (tav. 4) 56 , è una mappa a macchia di leopardo limitata nella parte<br />

settentrion<strong>al</strong>e della penisola. A dominare sono dunque gli imperativi legati <strong>al</strong> rifornimento<br />

dei mercati loc<strong>al</strong>i, nei casi – non sempre – che una volta soddisfatto l’autoconsumo,<br />

ci fossero ancora eccedenze da vendere 57 . Come si vedrà più avanti,<br />

bisogna attendere il XV secolo per riscontrare l’inserimento del vino dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia<br />

nel commercio internazion<strong>al</strong>e, nel frattempo, per i secoli XII-XIII e nell’ambito<br />

dell’area nord della penisola Iberica, soltanto in <strong>al</strong>cune zone molto circoscritte il<br />

commercio del vino raggiunge una discreta dimensione region<strong>al</strong>e 58 . D<strong>al</strong>la Rioja arrivava<br />

il vino ai Paesi Baschi mentre l’area di Toro riforniva le Asturie 59 ; da Tudela e<br />

Olite, nella bassa Navarra, il vino raggiungeva i mercati della Rioja e dell’Aragona 60<br />

utilizzando, è da supporre, il trasporto fluvi<strong>al</strong>e sull’Ebro. In questo senso la mancanza<br />

di fiumi in grado di consentire un agevole e conveniente trasporto delle mer-<br />

55 P.J. GALÁN SÁNCHEZ, Paisajes, hombres y <strong>al</strong>imentación en la Europa Bajomediev<strong>al</strong> Mediterránea, in Dieta<br />

mediterránea. Comidas y hábitos <strong>al</strong>imenticios en las culturas mediterráneas, Madrid 2000, p. 200.<br />

56 HUETZ DE LEMPS, Les vins d’Espagne, p. 35.<br />

57 S. MORETA VELAYOS, Rentas monásticas en Castilla: problema de método, S<strong>al</strong>amanca 1974, p. 127.<br />

58<br />

HUETZ DE LEMPS, Les vins d’Espagne, pp. 41-44. Da quanto risulta dai registri dogan<strong>al</strong>i, nei secoli<br />

XIV e XV il commercio di vino tra la Castiglia e l’Aragona era molto basso, v. M. DIAGO HERNAN-<br />

DO, El comercio de productos <strong>al</strong>imentarios entre las Coronas de Castilla y Aragón en los siglos XIV y XV,«Anuario<br />

de Estudios Mediev<strong>al</strong>es», 31/2 (2001), pp. 643-646.<br />

59<br />

MARTÍNEZ SOPENA, El viñedo, pp. 102-103.<br />

60 MIRANDA GARCÍA, Producción y comercio, pp. 71-74.


ci, insieme ad una rigida politica protezionistica, condizionò molto negativamente<br />

l’inserimento delle regioni del centro della Spagna nei circuiti commerci<strong>al</strong>i a largo<br />

raggio; indicativo <strong>al</strong> riguardo il fatto che <strong>al</strong>le città della costa del Nord risultava più<br />

conveniente e facile rifornirsi di vino proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>la Francia o <strong>d<strong>al</strong></strong> Portog<strong>al</strong>lo, fatto<br />

arrivare via mare, che non dipendere di un approvvigionamento <strong>d<strong>al</strong></strong>l’interno,<br />

costoso per le numerose gabelle da pagare e insicuro, dovendo fare affidamento su<br />

una rete di strade impraticabili durante i mesi invern<strong>al</strong>i e comunque insufficiente a<br />

consentire il passaggio dei pesanti carri carichi di botti di vino.<br />

Si delinea nel complesso una situazione geograficamente molto frammentata<br />

in tante zone produttive, indipendenti l’una <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra e fortemente vincolate da una<br />

serie di condizionamenti geografici ma anche di carattere socio-istituzion<strong>al</strong>e.<br />

Abbiamo già accennato ai freni imposti <strong>d<strong>al</strong></strong>la politica protezionistica praticata senza<br />

distinzione <strong>d<strong>al</strong></strong>le autorità municip<strong>al</strong>i, facendo leva sui privilegi concessi dai<br />

monarchi 61 . A questo modo di agire, che di fatto ostacolò la formazione di un mercato<br />

di grandi dimensioni sovra-region<strong>al</strong>i e conseguentemente la nascita di operatori<br />

economici dediti <strong>al</strong>la produzione e vendita di vino su larga sc<strong>al</strong>a, si deve<br />

aggiungere la subordinazione della produzione agli interessi della rendita fondiaria.<br />

In re<strong>al</strong>tà, né ai monasteri né ai signori feu<strong>d<strong>al</strong></strong>i interessava la costruzione di grandi<br />

aziende agricole gestite da loro direttamente e orientate <strong>al</strong>la produzione di eccedenze<br />

da destinare <strong>al</strong> mercato cittadino. Per loro, invece, l’obiettivo princip<strong>al</strong>e era<br />

quello di suddividere la proprietà in tanti piccoli appezzamenti da poter poi cedere<br />

in locazione. Secondo questa logica tendente <strong>al</strong>la moltiplicazione dei produttori<br />

di rendita, la ridotta dimensione dei vigneti e la gener<strong>al</strong>izzazione dei contratti di<br />

complantatio risultavano pienamente funzion<strong>al</strong>i <strong>al</strong>la riproduzione del sistema.<br />

È vero che la documentazione spagnola di questo periodo rende molto difficile<br />

lo studio della piccola proprietà agricola <strong>al</strong>lodi<strong>al</strong>e, tuttavia l’impressione è<br />

che predomini una diffusa presenza di affittuari che cominciavano a pagare <strong>al</strong><br />

proprietario un canone in denaro o in natura (da un quarto <strong>al</strong>la metà della vendemmia)<br />

soltanto dopo i primi cinque o sei anni <strong>d<strong>al</strong></strong>la stipula del contratto,<br />

periodo durante il qu<strong>al</strong>e le terre risultavano esenti da qu<strong>al</strong>siasi gravame signorile,<br />

a fronte dell’impegno di metterle a frutto piantandovi delle vigne 62 . L’inizi<strong>al</strong>e<br />

61 MIRANDA GARCÍA, Producción y comercio, pp. 105-107<br />

62 RIERA I MELIS, El vino en Cat<strong>al</strong>uña, pp. 23-24. Il contratto ad complantatio diffuso in Spagna durante<br />

i secoli XI-XII risulta simile <strong>al</strong>la cessione ad pastinandum praticato nelle regioni it<strong>al</strong>iane: A. CORTO-<br />

NESI, Terre e signori nel Lazio medioev<strong>al</strong>e. Un’economia rur<strong>al</strong>e nei secoli XIII-XIV, Napoli 1988, pp. 84-89;<br />

PINI, Vite e olivo, pp. 352-353; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 43, 263-286.<br />

81


82<br />

conduzione di complantatio, tipica delle epoche di dissodamento e colonizzazione,<br />

si volge dunque verso forme di cessione vit<strong>al</strong>izia o enfiteutica. Il risultato è la<br />

formazione di un ampio gruppo soci<strong>al</strong>e di censuari, molti di loro artigiani dei<br />

centri urbani che sfruttavano il dominio utile delle vigne suburbane nell’ottica di<br />

soddisfare il fabbisogno <strong>al</strong>imentare familiare 63 . Del resto, soltanto gli enti ecclesiastici<br />

di maggiore consistenza patrimoni<strong>al</strong>e si trovavano nelle condizioni di<br />

accumulare sufficienti eccedenze da mettere poi sul mercato loc<strong>al</strong>e, ma anche<br />

per un monastero o per un nobile la priorità princip<strong>al</strong>e era quella di provvedere<br />

<strong>al</strong> consumo domestico, molto abbondante visto gli impegni soci<strong>al</strong>i oltre che religiosi<br />

a cui far fronte 64 .<br />

Ma se la mappa elaborata da Huetz de Lemps porta ad interrogarsi sulle<br />

ragioni che stanno <strong>al</strong>la base di una certa debolezza della viticoltura <strong>al</strong> nord del<br />

Duero, lo stesso materi<strong>al</strong>e grafico mette in evidenza un’<strong>al</strong>tra singolarità nella<br />

distribuzione geografica delle terre viticole nella penisola Iberica: la tot<strong>al</strong>e assenza<br />

di vigneti nell’area centr<strong>al</strong>e. Tra la conca del Duero e l’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia non vengono<br />

riportate ‘macchie’ o aree di particolare rilevanza per quanto riguarda la produzione<br />

di vino, un’assenza di riferimenti che, ad esempio nel caso della regione<br />

Castiglia-La Mancha, colpisce in maniera molto evidente. Le ragioni che aiutano<br />

a spiegare t<strong>al</strong>e vuoto sono senza dubbio di carattere climatico, ma a incidere<br />

sono soprattutto gli effetti della guerra contro l’islam 65 . Per quasi due secoli le<br />

terre comprese fra le città della Castiglia del nord (Segovia, Avila, S<strong>al</strong>amanca) e<br />

quelle della Castiglia del sud (Toledo, Cuenca) furono una frontiera militare, una<br />

linea di combattimento e razzie che condotte da una e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra parte mettevano<br />

a rischio qu<strong>al</strong>siasi raccolto o produzione, molto di più nel caso del vino che<br />

richiedeva tempi lunghi. Risulta evidente come in quest’ampia zona la viticoltura<br />

fosse incompatibile con la princip<strong>al</strong>e attività economica praticata: la guerra,<br />

63 Sui comportamenti <strong>al</strong>imentari nella penisola Iberica durante l’epoca mediev<strong>al</strong>e, M.C. CARLÉ, Notas<br />

para el estudio de la <strong>al</strong>imentación y el abastecimiento en la Baja Edad Media, «Cuadernos de Historia de<br />

España», LXI-LXII, (1977), pp. 256-258; GALÁN SÁNCHEZ, Paisajes, hombres, pp. 183-226; a livello<br />

europeo ma contenenti numerosi contributi sulla penisola Iberica, cfr. Manger et boire au Moyen Age, II<br />

Colloque Internation<strong>al</strong> du Centre d’Etudes Médiév<strong>al</strong>es de Nice, a cura di D. Menjot, Paris 1984. Per<br />

uno stato della questione, M.A. LADERO QUESADA, La <strong>al</strong>imentación en la España Mediev<strong>al</strong>. Estado de las<br />

investigaciones, «Hispania», 159 (1985), pp. 211-220.<br />

64 L’abate di Santo Domingo de Silos comperava ogni anno 2.070 cantaras di vino prodotto <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso<br />

monastero, v. MORETA VELAYOS, Rentas monásticas, p. 127.<br />

65 E. PORTELA, Del Duero <strong>al</strong> Tajo, in Organización soci<strong>al</strong>, pp. 85-122.


mezzo molto più efficace per un più facile arricchimento e promozione soci<strong>al</strong>e 66 .<br />

Nei decenni centr<strong>al</strong>i del XIII secolo, mentre la guerra era <strong>al</strong>l’ordine del giorno<br />

nei territori della Castiglia, unicamente nella zona costiera di V<strong>al</strong>encia la coltivazione<br />

dei vigneti riesce a progredire. Sulla base dell’agricoltura irrigua di tradizione<br />

araba, vengono introdotte le uve m<strong>al</strong>vasia per la produzione del vino “greco”<br />

molto dolce, con un <strong>al</strong>to grado <strong>al</strong>colico e quindi maggiore durevolezza<br />

rispetto i vini “latini” 67 ; le fonti parlano anche di <strong>al</strong>tri tipi d’uva come ad esempio<br />

l’uva bob<strong>al</strong>, rustica ma molto resistente ai rigori climatici, con la qu<strong>al</strong>e si producevano<br />

dei vini rosati e rossi abbastanza corposi; un’<strong>al</strong>tra varietà d’uva menzionata<br />

è la monastrell, impiegata per ottenere dei rossi di maggiore colore e gradazione.<br />

Tuttavia la novità maggiore è l’inizio della produzione di acquavite. Sembra<br />

che sia stato il medico v<strong>al</strong>enciano Arn<strong>al</strong>do de Vilanova il primo che, per<br />

motivi farmaceutici, cominciò la distillazione di liquori mediante il fuoco e l’impiego<br />

dell’<strong>al</strong>ambicco 68 .<br />

Secoli XIV-XV: il vino dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia e il commercio internazion<strong>al</strong>e<br />

Tra il 1236 e il 1248 gli eserciti cristiani, dopo aver vinto le truppe <strong>al</strong>mohadi nella<br />

decisiva battaglia di Las Navas de Tolosa (1212), espugnano le città di Jaén, Córdoba<br />

e Siviglia, e con esse prendono possesso della fertile pianura del Gua<strong>d<strong>al</strong></strong>quivir<br />

dove i vigneti, così raccontano le testimonianze scritte, apparivano abbondanti<br />

e rigogliosi. Si trattava, contrariamente a quanto era accaduto in precedenza, di un<br />

territorio densamente abitato, con un <strong>al</strong>to tasso di urbanizzazione, un’agricoltura<br />

di tipo mediterranea e da molto tempo inserita nei circuiti commerci<strong>al</strong>i internazion<strong>al</strong>i<br />

69 . Dunque un insieme di fattori che determinarono anzitutto la nascita di<br />

una viticoltura destinata <strong>al</strong> rifornimento dei grandi mercati urbani della regione,<br />

66 F. GARCÍA FITZ, Castilla y León frente <strong>al</strong> Islam. Estrategias de expansión y tácticas militares (siglos XI-XIII),<br />

Sevilla 1998, pp. 78-89; J.F. POWERS, A Society Organized for War. The Iberian Municip<strong>al</strong> Militias in the Centr<strong>al</strong><br />

Middle Ages, 1000-1284, Berkely-Los Angeles-London, 1988.<br />

67 H. ZUG TUCCI, Un aspetto trascurato del commercio mediev<strong>al</strong>e del vino, in Studi in onore di Federigo Melis, III,<br />

Napoli 1978, pp. 311-348, p. 315.<br />

68 J. PIQUERAS HABA, La vid y el vino en V<strong>al</strong>encia. Una síntesis histórica, in Actas del I encuentro, pp. 285-300;<br />

su questo tema v. anche le considerazioni di A. Ghis<strong>al</strong>berti di seguito volume.<br />

69 M. GONZÁLEZ JIMÉNEZ, An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía Bética, in Organización soci<strong>al</strong>, pp. 163-194, pp. 165-166.<br />

83


84<br />

ma anche la penetrazione dei mercanti it<strong>al</strong>iani per i qu<strong>al</strong>i la lunga linea costiera dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia,<br />

tra il Mediterraneo e l’Atlantico, giocava un ruolo di straordinaria<br />

importanza nell’articolazione dei rapporti commerci<strong>al</strong>i con il nord d’Europa.<br />

In una prima fase le terre furono divise tra i conquistatori (repartimientos), ai<br />

qu<strong>al</strong>i, in funzione della condizione soci<strong>al</strong>e e dell’apporto militare fornito, venne<br />

corrisposta una determinata quantità di terreni e di beni 70 . Le grandi aziende arabe<br />

(<strong>al</strong>querías) furono divise in piccole proprietà e le <strong>produzioni</strong> che richiedevano<br />

un maggior apporto di tecniche e di conoscenze (riso, cotone, canna da zucchero)<br />

furono abbandonate e sostituite da cere<strong>al</strong>i e terre di uso collettivo da destinare<br />

a pascolo 71 . Nell’arco di pochi decenni l’agricoltura dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia compì un<br />

s<strong>al</strong>to in dietro di quasi sette secoli, facendo tavola rasa di un immenso patrimonio<br />

di conoscenze teoriche e pratiche.<br />

Per quanto riguarda l’evoluzione dell’area viticola, passati i primi momenti<br />

dominati dai campi da grano e dagli oliveti 72 nel corso del XIV e XV secolo la<br />

produzione di vino, sollecitata da una crescente domanda interna e internazion<strong>al</strong>e,<br />

si avviò a conoscere una forte ripresa 73 . Giovanni di Avignone <strong>al</strong>la fine del<br />

XIV secolo parla di ben undici tipi di vini consumati a Siviglia, tra i qu<strong>al</strong>i il b<strong>al</strong>adí<br />

e il torrontés, un vino bianco, chiaro, leggero e odoroso 74 . Si documenta l’aumento<br />

della superficie degli appezzamenti e nei grandi complessi patrimoni<strong>al</strong>i delle<br />

sedi vescovili e degli ordini militari compaiono edifici e impianti di trasformazione<br />

che denotano la progressiva speci<strong>al</strong>izzazione agricola delle singole aree 75 .I<br />

contratti parziari di complantatio, come si è già detto, furono lo strumento giuridico<br />

largamente utilizzato per rendere più stabile l’insediamento della popolazione<br />

e consentire un rapido ripristino della produzione di terre abbandonate o sotto<br />

utilizzate. A contrassegnare la struttura della proprietà sono i piccoli appezzamenti<br />

capillarmente distribuiti tra tutti i settori soci<strong>al</strong>i. A Carmona, una comu-<br />

70 Sei aranzadas (quasi tre ettari) di vigneto per ogni nobile a cav<strong>al</strong>lo e da due a tre aranzadas nel caso<br />

dei militari di fanteria, M. BORRERO FERNÁNDEZ, La viña en An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía durante la Baja Edad Media, in<br />

Historia y cultura del vino en An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía, Sevilla 1995, pp. 33-61, p. 35.<br />

71 GONZÁLEZ JIMÉNEZ, An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía Bética, pp. 176-183.<br />

72 BORRERO FERNÁNDEZ, La viña en An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía, pp. 35-36.<br />

73 BORRERO FERNÁNDEZ, La viña en An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía, pp. 37-39.<br />

74 M. BORRERO FERNÁNDEZ, El mundo rur<strong>al</strong> sevillano en el siglo XV: Aljarafe y Ribera, Sevilla 1983, p. 84.<br />

75 I. MONTES ROMERO-CAMACHO, Propiedad y explotación de la tierra en la Sevilla de la Baja Edad Media. El<br />

patrimonio del Cabildo-Catedr<strong>al</strong>, Sevilla 1988, pp. 107-110.


nità rur<strong>al</strong>e di circa 1600 fuochi, quasi il 70% dei suoi abitanti possedeva un<br />

vigneto di un ettaro di superficie e percentu<strong>al</strong>i simili si riscontrano in molte <strong>al</strong>tre<br />

loc<strong>al</strong>ità a dimostrazione di come la diffusione della piccola proprietà contadina<br />

risultasse pienamente compatibile con una struttura fondiaria che vedeva nell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia<br />

del XV secolo il predominio assoluto dei grandi latifondi signorili<br />

orientati <strong>al</strong>la produzione di grano e olio 76 .<br />

Come in molte <strong>al</strong>tre città spagnole anche nell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia si riscontrano provvedimenti<br />

e misure di carattere protezionistico a difesa dei produttori loc<strong>al</strong>i 77 .<br />

Nel 1310, ad esempio, a Siviglia e nei suoi dintorni viene vietata la vendita di<br />

vino del Portog<strong>al</strong>lo e le stesse autorità cittadine, <strong>al</strong> fine di rendere la misura ancora<br />

più restrittiva, stabiliscono che soltanto il vino prodotto dagli abitanti della<br />

città poteva entrare senza dover pagare gabella o imposizione <strong>al</strong>cuna 78 . Nella v<strong>al</strong>le<br />

del Gua<strong>d<strong>al</strong></strong>quivir – sebbene i guadagni provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong> vino fossero minori<br />

rispetto quelli del grano e dell’olio 79 – si crearono le condizioni necessarie a favorire<br />

lo sviluppo di una produzione viticola destinata <strong>al</strong> mercato internazion<strong>al</strong>e 80 .<br />

T<strong>al</strong>e fenomeno in particolare si verifica nelle zone di Niebla, Jeréz, Sanlúcar de<br />

Barramela, e il Puerto de Santa María 81 . Anche in queste zone i grandi proprietari<br />

preferirono le cessioni enfiteutiche in modo da evitare l’elevato costo della<br />

mano d’opera in cambio di una rendita in met<strong>al</strong>lico o in natura. D’<strong>al</strong>tra parte, le<br />

famiglie contadine e i piccoli artigiani cittadini prendevano in affitto più di un<br />

appezzamento 82 nella certezza che le eccedenze sarebbero state acquistate da<br />

mercanti, nazion<strong>al</strong>i o stranieri 83 . Tra i mercanti attivi <strong>al</strong>la fine del XV - primi anni<br />

76 BORRERO FERNÁNDEZ, La viña en An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía, pp. 44-47.<br />

77 HUETZ DE LEMPS, Vignobles et vins, p. 37.<br />

78 BORRERO FERNÁNDEZ, La viña en An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía,p.57.<br />

79 BORRERO FERNÁNDEZ, La viña en An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía,p.54.<br />

80 Ci sono numerosse testimonianze sull’esportazione di vini dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia via mare, «en el dichjo<br />

lugar se cogian muchos vinos, los qu<strong>al</strong>es se solian cargar por mar para Frandes e para Ynglaterra e<br />

para otras partes, e diz que los suelen comprar e cargar mercaderes yngleses e de otras naçiones<br />

estante en la dicha villa de Sanlucar e <strong>al</strong>gunos vezinos de ella», M.A. LADERO QUESADA, Dos cosechas<br />

de viñedo sevillano, 1491-1494, «Archivo Hisp<strong>al</strong>ense», 193-194 (1980), pp. 41-57. Anche cfr. W.R.<br />

CHILDS, Anglo-Castilian Trade in the Later Middle Ages, Manchester 1978, pp. 127-128.<br />

81 BORRERO FERNÁNDEZ, La viña en An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía, pp. 58-59.<br />

82 BORRERO FERNÁNDEZ, El mundo rur<strong>al</strong>, p. 222.<br />

83 Sul commercio internazion<strong>al</strong>e di vino nel Tardo <strong>Medioevo</strong>, ZUG TUCCI, Un aspetto trascurato, passim;<br />

F. MELIS, I vini it<strong>al</strong>iani nel <strong>Medioevo</strong>, Firenze 1984; Y. RENOUARD, Etudes d’histoire médiév<strong>al</strong>e, I, Paris 1968,<br />

85


86<br />

del XVI secolo nel commercio di vino dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia, infatti, troviamo i genovesi<br />

Bernardo Grim<strong>al</strong>di, Benedetto Doria, Antonio Pinelli, Alessandro Cattaneo<br />

e il fiorentino Pietro Rondinelli 84 . Il vino veniva acquistato prima della vendemmia<br />

e secondo lo schema delle transazioni commerci<strong>al</strong>i tra l’Atlantico e il Mediterraneo,<br />

caricato nei porti spagnoli consentiva di riempire le stive delle navi di<br />

ritorno <strong>d<strong>al</strong></strong> nord d’Europa in modo da fungere da zavorra per i bastimenti e <strong>al</strong><br />

contempo avere una merce la cui vendita in It<strong>al</strong>ia era proficua 85 . Nella direzione<br />

opposta, verso il nord d’Europa, era piuttosto il vino bianco e dolce di Lepe ad<br />

essere molto apprezzato nell’Inghilterra e nelle Fiandre 86 .<br />

Vini scaricati nel porto di Bristol (botti)<br />

Anni An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia Spagna Portog<strong>al</strong>lo Guascogna<br />

1477-78 172 12 179 499<br />

1479-80 160 36 195 829<br />

1485-86 228 24 209 645<br />

1486-87 673 24 273 400<br />

1492-93 679 63 468 1119<br />

(Fonte: HUETZ LE LEMPS, Vignobles et vins,p.46)<br />

Se quindi come abbiamo visto la struttura agraria della parte occident<strong>al</strong>e dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia<br />

nel Tardo <strong>Medioevo</strong> risulta piegata agli interessi del capit<strong>al</strong>ismo mercantile<br />

internazion<strong>al</strong>e, nel resto della corona di Castiglia la viticoltura appare<br />

negativamente condizionata <strong>d<strong>al</strong></strong>la pastorizia transumante e in molte zone <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

bassa qu<strong>al</strong>ità dei vitigni ottenuti. La pratica dell’<strong>al</strong>levamento transumante, in un<br />

movimento annu<strong>al</strong>e di miglia e miglia di pecore, era di fatto incompatibile con<br />

un tipo di agricoltura, come quella richiesta <strong>d<strong>al</strong></strong>le viti, adatta piuttosto ai tempi<br />

lunghi e ad una cura continuata propria del giardinaggio; perciò durante i secoli<br />

pp. 225-359; M.K. JAMES, Studies in the Mediev<strong>al</strong> Wine Trade, Oxford 1971; A.I. PINI, Il commercio internazion<strong>al</strong>e<br />

del vino nel medioevo (a proposito degli studi di M.K. James), in Vite e vino nel <strong>Medioevo</strong>, Bologna 1989,<br />

pp. 187-204; anche i contributi di A.I. Pini e di G. Varanini in questo volume.<br />

84 E. OTTE, Sevilla y sus mercaderes a fines de la Edad Media, Sevilla 1996, p. 43; la colonia genovese insediata<br />

a Siviglia godeva di ampi privilegi <strong>d<strong>al</strong></strong> 1280, R. CARANDE, Sevilla, fort<strong>al</strong>eza y mercato. Las tierras, las<br />

gentes y la administración de la ciudad en el siglo XIV, Sevilla 1982, pp. 68-81. Nel medioevo i mercanti<br />

genovesi erano tra i più attivi nel commercio vinicolo, ZUG TUCCI, Un aspetto, p. 318.<br />

85 ZUG TUCCI, Un aspetto trascurato, p. 321.<br />

86 HUETZ DE LEMPS, Vignobles et vins, pp. 45-46.


tardo mediev<strong>al</strong>i nelle princip<strong>al</strong>i città del centro della Spagna (Soria, Segovia, Avila,<br />

S<strong>al</strong>amanca) furono molto frequenti le dispute tra <strong>al</strong>levatori e agricoltori,<br />

uscendo i primi sempre vincitori forti <strong>d<strong>al</strong></strong>la protezione re<strong>al</strong>e di cui godevano 87 .Il<br />

secondo fattore pen<strong>al</strong>izzante si verifica soprattutto nelle città del cammino di<br />

Santiago, intorno <strong>al</strong>le qu<strong>al</strong>i, come è stato detto prima, tra i secoli XI e XIII si<br />

formò un ampio anello viticolo. Alla fine del XV secolo questo tipo di economia<br />

si dimostra in via di superamento, progressivamente abbandonata per l’impossibilità<br />

di ottenere bevande di una discreta qu<strong>al</strong>ità.<br />

Così accade a Burgos dove in maniera molto emblematica il vigneto suburbano,<br />

in netta regressione <strong>al</strong>lo scadere del ’400, consentiva di ottenere appena<br />

dei mosti molto economici e di infima qu<strong>al</strong>ità destinati a soddisfare le necessità<br />

c<strong>al</strong>oriche degli strati soci<strong>al</strong>i più popolari mentre i settori più agiati preferivano<br />

spendere per acquistare i buoni vini rossi e bianchi della Rioja, della Ribera del<br />

Duero, di Tierra de Campos e di Toro 88 . Anche nel caso delle città del regno d’Aragona<br />

(Huesca, Saragozza e Teruel) si fa largo questa netta distinzione tra il<br />

vino loc<strong>al</strong>e di scarso v<strong>al</strong>ore e i vini importati da zone produttive confinanti<br />

(V<strong>al</strong>enzia e Navarra) destinati a soddisfare una domanda più esigente 89 . Si ha in<br />

questo modo una progressiva disgiunzione tra la viticoltura loc<strong>al</strong>e ormai in fase<br />

stagnante e le zone capaci di articolare uno spazio economico di ambito region<strong>al</strong>e<br />

anche se, diversamente da quanto accadeva con i vini dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia, non in<br />

grado di offrire prodotti concorrenzi<strong>al</strong>i in ambito internazion<strong>al</strong>e.<br />

87 M. DIAGO HERNANDO, Soria en la Baja Edad Media. Espacio rur<strong>al</strong> y economía agraria, Madrid 1993.<br />

88 Negli ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i di Burgos ai poveri e i ricoverati venivano forniti ¾ di litro di vino <strong>al</strong> giorno, H.<br />

CASADO ALONSO, Señores, mercaderes y campesinos. La comarca de Burgos a fines de la Edad Media, V<strong>al</strong>ladolid<br />

1987, pp. 127-138. Per i vini della Rioja, F. ANDRÉS BARRIOS, Algunas noticias, contenidas en la documentación<br />

mediev<strong>al</strong> riojana publicada hasta la fecha sobre los tipos de vinos y sus métodos y técnicas de elaboración en<br />

la Rioja en la Edad Media,in Actas del I encuentro, pp. 83-94.<br />

89 ESTELLA ALVAREZ, El viñedo en Aragón, pp. 43-44.<br />

87


88<br />

Tav. 1 - La penisola Iberica nel 1450.<br />

Tav. 2 - Il cammino di Santiago.


Tav. 3 - La riconquista spagnola.<br />

Tav. 4 - Vigne e vino nella Spagna mediev<strong>al</strong>e.<br />

89


La cerchiatura delle botti (xilografia del XVI secolo).<br />

90 La vendemmia in una xilografia del XVI secolo.


MICHAEL MATHEUS*<br />

La viticoltura mediev<strong>al</strong>e nelle regioni<br />

trans<strong>al</strong>pine dell’Impero<br />

È stata avanzata più volte l’ipotesi di un’origine romana della viticoltura in quei<br />

territori trans<strong>al</strong>pini dell’Impero germanico che un tempo furono sotto il dominio<br />

di Roma; per molto tempo, però, non si era in possesso di prove sicure. Fu<br />

solo con il rinvenimento di impianti chiaramente identificabili come torchi per la<br />

spremitura delle uve lungo il corso della Mosella e nel P<strong>al</strong>atinato che si poté fornire<br />

la prova archeologica inconfutabile dell’esistenza di una viticoltura intensiva<br />

in epoca romana. Vennero <strong>al</strong>lora <strong>al</strong>la luce sia impianti di grandi dimensioni a<br />

conduzione pubblica, che impianti di proprietà privata 1 . A partire da queste scoperte,<br />

che ris<strong>al</strong>gono agli ultimi trent’anni, la nostre informazioni relative <strong>al</strong>la viticoltura<br />

nelle province romane a ovest del Reno si sono notevolmente arricchite<br />

assumendo contorni decisamente più netti.<br />

Nonostante le distruzioni causate <strong>d<strong>al</strong></strong>le guerre del III e IV secolo i romani<br />

continuarono a coltivare la vite e a produrre vino. Numerose testimonianze indicano<br />

che in epoca romana il trasporto del vino sulla terra ferma e sull’acqua<br />

svolgeva un ruolo fondament<strong>al</strong>e. Mentre ancora pochi anni fa si pensava che le<br />

botti della cosiddetta nave di Neumagen contenessero soltanto vini di importazione<br />

provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong> sud, oggi si può essere certi che sulle acque della Mosella e<br />

del Reno venissero trasportati anche prodotti originari di quelle regioni. Se si<br />

considera che i vini loc<strong>al</strong>i erano stivati a bordo in botti di legno, molto probabil-<br />

1 Ringrazio Barbara Brandt per la traduzione. Per la zona vinicola della Mosella si veda K.-J. GILLES,<br />

Neuere Forschungen zum römischen Weinbau an Mosel und Rhein, Wiesbaden 1995 (Schriften zur Weingeschichte,<br />

115), pp. 15 sg.; ID., Der moselländische Weinbau zur Römerzeit unter besonderer Berücksichtigung der<br />

Weinkeltern, in Weinbau zwischen Maas und Rhein in der Antike und im Mittel<strong>al</strong>ter, a cura di Michael<br />

Matheus, Mainz 1997 (Trierer Historische Forschung, 23), pp. 7-51, qui p. 15; ID., Bacchus und Sucellus.<br />

2000 Jahre römische Weinkultur an Mosel und Rhein, Briedel 1999, pp. 93 sgg.<br />

* Università Johannes Gutenberg, Mainz (Germania), Istituto Storico Germanico di Roma.<br />

91


92<br />

mente una parte delle numerose anfore di terracotta recuperate a Bonn, Magonza,<br />

Strasburgo e <strong>al</strong>tre loc<strong>al</strong>ità conteneva vini provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>la G<strong>al</strong>lia meridion<strong>al</strong>e<br />

e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’area mediterranea, destinati ad una clientela residente in città, ad accampamenti<br />

e fortificazioni lungo il corso del Reno.<br />

Il crollo dell’Impero romano e la conseguente perdita dei costumi e della<br />

cultura romana rappresentò senza dubbio un momento di crisi anche per la produzione<br />

vinicola 2 , crisi che però è da intendersi più quantitativa che qu<strong>al</strong>itativa.<br />

La viticoltura, infatti, sopravvisse in diverse loc<strong>al</strong>ità e regioni a ovest del Reno,<br />

come confermano, non da ultimi, i risultati di recenti ricerche filologiche 3 . Dopo<br />

lunghi studi, i linguisti hanno potuto documentare l’esistenza di un’enclave g<strong>al</strong>lo-romanza<br />

nell’area della Mosella tra le città di Merzig, Konz e Coblenza. In<br />

quel tratto della v<strong>al</strong>le del fiume fortemente caratterizzato da elementi romanzi i<br />

conquistatori franchi assimilarono gran parte del linguaggio dei viticoltori.<br />

Sviluppo della coltura viticola e commercio vinicolo<br />

La terminologia della viticoltura comprende numerose parole che ancora oggi tradiscono<br />

la loro origine g<strong>al</strong>lo-romanza. Tra gli innumerevoli esempi forniti <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

linguistica riportiamo solo un esempio significativo: la coltivazione a tendone<br />

avveniva nell’antichità nella cosiddetta vinea camarata. Il termine Kammertbau, che<br />

deriva <strong>d<strong>al</strong></strong> latino sia sotto l’aspetto linguistico che sotto l’aspetto pratico, si è mantenuto<br />

a lungo speci<strong>al</strong>mente nel P<strong>al</strong>atinato 4 . Nonostante la continuità della viticoltura<br />

per la regione dell’Alto Adige fin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità debba essere considerata come<br />

2 M. MATHEUS, Der Weinbau zwischen Maas und Rhein: Grundlagen, Konstanten und Wandlungen,in Weinbau<br />

zwischen Maas und Rhein, pp. 503-532, in partic. pp. 504 sgg.<br />

3 Wortatlas der kontinent<strong>al</strong>germanischen Winzerterminologie (WKW), a cura di W. Kleiber, Tübingen 1990<br />

(Akademie der Wissenschaften und der Literatur Mainz. Geistes- und sozi<strong>al</strong>wissenschaftliche Klasse.<br />

Kommission für Deutsche Philologie), Introduzione; Carte topografiche e commento, fascicoli<br />

1-6, Tübingen 1990-1996. Una delle pubblicazione più recenti con indicazioni bibliografiche è quella<br />

di W. KLEIBER, Sprache und Geschichte am Beispiel des europäischen Winzerwortatlasses (WKW), in Weinproduktion<br />

und Weinkonsum im Mittel<strong>al</strong>ter, a cura di M. Matheus, Stuttgart 2003 (Geschichtliche Landeskunde,<br />

51), in corso di stampa.<br />

4 M. SCHARF, Kammertbau. Zur Geschichte einer Reberziehung unter besonderer Berücksichtigung der Pf<strong>al</strong>z, in<br />

Weinproduktion und Weinkonsum im Mittel<strong>al</strong>ter (come nota 3).


un dato di fatto 5 , mancano ancora oggi prove inequivocabili sia per quella che in<br />

epoca mediev<strong>al</strong>e era la regione della Baviera (cioè l’area compresa tra il limite settentrion<strong>al</strong>e<br />

delle Alpi e il corso del Danubio tra i suoi affluenti Inn e Lech) così<br />

come per l’area danubiana austriaca 6 . Ad ovest del Reno la viticoltura venne praticata<br />

ancora sotto il dominio dei franchi da una popolazione di lingua g<strong>al</strong>loromanza<br />

che a sua volta insegnò l’arte di produrre il vino anche ai popoli che in<br />

tempi successivi migrarono e si insediarono in quella regione. Anche l’antica rete<br />

dei trasporti resistette <strong>al</strong> gener<strong>al</strong>e declino e non andò completamente in rovina 7 .<br />

Pur non essendovi testimonianze di commercio vinicolo durante quel periodo di<br />

transizione, non vi è dubbio che il Reno ed i suoi affluenti continuarono ad essere<br />

utilizzati per il trasporto di persone e merci. Ad illuminare questo aspetto interviene,<br />

<strong>al</strong> tramonto del VI secolo, il poeta Venanzio Fortunato, originario dell’It<strong>al</strong>ia<br />

settentrion<strong>al</strong>e. Seguendo l’esempio di Ausonio egli racconta con versi molto<br />

vivaci un viaggio che lo portò, discendendo il corso della Mosella e proseguendo<br />

sul Reno, da Coblenza ad Andernach. Il poeta descrive la viticoltura lungo questi<br />

corsi d’acqua e menziona esplicitamente sia le vigne nei dintorni di Metz e di Treviri<br />

che quelle nelle vicinanze di Andernach 8 . Circa mezzo secolo dopo il viaggio<br />

di Venanzio, nell’anno 634, il testamento di A<strong>d<strong>al</strong></strong>giso Grimo – il documento più<br />

antico redatto nella regione renana 9 – contiene, se pur casu<strong>al</strong>mente, notizie relative<br />

<strong>al</strong>la presenza di possedimenti vinicoli in una v<strong>al</strong>le later<strong>al</strong>e della Mosella 10 .<br />

5 J. NÖSSING, Die Bedeutung der Tiroler Weine im Mittel<strong>al</strong>ter,in Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter. Zur Verbreitung,<br />

Region<strong>al</strong>isierung und wirtschaftlichen Nutzung einer Sonderkultur aus der Römerzeit, a cura di C. Schrenk e H.<br />

Weckbach, Heilbronn 1997 (Quellen und Forschungen zur Geschichte der Stadt Heilbronn, 9), pp.<br />

193-203, in partic. 193 sg.<br />

6 A.O. WEBER, Studien zum Weinbau der <strong>al</strong>tbayerischen Klöster im Mittel<strong>al</strong>ter. Altbayern - Österreichischer<br />

Donauraum - Südtirol, Stuttgart 1999 (Vierteljahrschrift für Sozi<strong>al</strong>- und Wirtschaftsgeschichte. Beiheft,<br />

141), pp. 26 sgg., 351 sg.<br />

7 F. STAAB, Untersuchungen zur Gesellschaft am Mittelrhein in der Karolingerzeit, Wiesbaden 1975 (Geschichtliche<br />

Landeskunde, 11), pp. 32 sgg., 46 sgg., 106 sgg. Si vedano anche i contributi nel volume a cura di<br />

F. Burgard e A. Haverkamp, Auf den Römerstraßen ins Mittel<strong>al</strong>ter. Beiträge zur Verkehrsgeschichte zwischen Maas<br />

und Rhein von der Spätantike bis ins 19. Jahrhundert, Mainz 1997 (Trierer Historische Forschungen, 30).<br />

8 MATHEUS, Der Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 506 sg.<br />

9 F. IRSIGLER, Gesellschaft, Wirtschaft und religiöses Leben im Obermosel-Saar-Raum zur Zeit des Diakons A<strong>d<strong>al</strong></strong>giso<br />

Grimo, «Hochwälder Geschichtsblätter», 1 (1989), pp. 5-16; ID, Vie soci<strong>al</strong>e, économique et religieuse dans le<br />

pays de la Moselle et de la Sarre au temps du diacre A<strong>d<strong>al</strong></strong>gisel - Grimo, «Ann<strong>al</strong>es de l’Est», 43 (1991), pp. 3-28.<br />

10 K. PETRY, Die Geschichte des Weinbaus in einer kurtrierischen Landstadt: Das Beispiel Wittlich, in Weinbau<br />

zwischen Maas und Rhein, pp. 251-269.<br />

93


94<br />

Già le testimonianze linguistiche lasciano supporre che nelle zone vinicole<br />

di impronta romana fosse stata tramandata l’antica tecnica della torchiatura. I<br />

reperti archeologici rinvenuti negli ultimi anni nell’area della Mosella documentano<br />

che nell’antichità il procedimento di lavorazione dell’uva comprendeva due<br />

fasi. Dapprima l’uva veniva lavorata semplicemente pigiandola o c<strong>al</strong>pestandola<br />

con i piedi nelle vasche o nelle botti di ammostatura, ottenendo quindi il cosiddetto<br />

primo mosto, di qu<strong>al</strong>ità superiore. La vinaccia che risultava da questa prima<br />

fase di lavorazione veniva poi introdotta nel torchio, per ricavarne il succo<br />

rimanente. Pubblicazioni anche recenti sostengono l’opinione che in epoca<br />

carolingia, per lo meno nelle tenute reg<strong>al</strong>i, la prassi di pigiare le uve con i piedi<br />

fosse vietata. Alcuni autori definiscono questo divieto addirittura «una legge<br />

veramente rivoluzionaria» di Carlo Magno 11 , interpretando un passo del ben<br />

noto Capitulare de villis. Tuttavia è necessario chiedersi se con questo decreto non<br />

si intendesse vietare la pigiatura delle uve con i piedi solo nel caso in cui le condizioni<br />

igeniche non corrispondessero <strong>al</strong>le norme stabilite in questa materia («et<br />

hoc praevideant iudices, ut vindemia nostra nullus pedibus premere praesumat,<br />

sed omnia nitida et honesta sint») 12 . E se <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista filologico t<strong>al</strong>e interpretazione<br />

desta ancora qu<strong>al</strong>che dubbio, <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista pratico si può asserire<br />

che nel medioevo oltre <strong>al</strong>la torchiatura sicuramente si utilizzava ancora il<br />

metodo tradizion<strong>al</strong>e di pigiatura con i piedi. Entrambi i procedimenti sono<br />

documentati per esempio in fonti della regione della Mosella nei secoli XIII e<br />

XIV 13 . Anche i due tipi di torchio conosciuti nell’antichità – il torchio ad <strong>al</strong>bero<br />

11 Cfr. ad esempio H. JOHNSON, Wein im Mittel<strong>al</strong>ter, in Dam<strong>al</strong>s 26. Oktober 1994, pp. 18-24, qui p. 18.<br />

Articolo Charlemagne, in The Oxford Companion to Wine, a cura di J. Robinson, Oxford 19992 , p. 158:<br />

«Wine Presses should be clean, and grapes should not be trodden with the feet».<br />

12 Per questa proposta di interpretazione, pubblicata con il mio collaboratore nel 1996, cfr. L. CLE-<br />

MENS,M.MATHEUS, Zur Keltertechnik in karolingischer Zeit,in Liber amicorum necnon et amicarum für Alfred<br />

Heit. Beiträge zur mittel<strong>al</strong>terlichen Geschichte und geschichtlichen Landeskunde, a cura di F. Burgard, C. Cluse,<br />

A. Haverkamp, Trier 1996 (Trierer Historische Forschungen, 28), pp. 255-265, in partic. 252-254; L.<br />

CLEMENS,M.MATHEUS, Weinkeltern im Mittel<strong>al</strong>ter,in Europäische Technik im Mittel<strong>al</strong>ter 800-1200. Tradition<br />

und Innovation, a cura di U. Lindgren, Berlin 1996, pp. 133-136; è stata poi ripresa da G. ARCHET-<br />

TI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (Fondamenta,<br />

4), pp. 182-184, mentre recentemente è tornato sull’argomento L. CLEMENS, Zur Kontinuität von Kelter-<br />

und Mühlentechnik in Antike und Mittel<strong>al</strong>ter unter besonderer Berücksichtigung der Moselregion, in Weinproduktion<br />

und Weinkonsum (come nota 3).<br />

13 Si consulti la tesi di dottorato del mio collaboratore nel progetto di ricerca del Sonderforschungsbereich<br />

235 della Deutsche Forschungsgemeinschaft presso l’Università di Treviri (“Sonderkulturen an


e quello a vite – sopravvissero con ogni probabilità <strong>al</strong> declino dell’Impero romano.<br />

Con l’unica differenza che invece degli antichi impianti in muratura ora venivano<br />

utilizzati torchi in legno. Sia impianti appartenenti a un determinato podere,<br />

sia torchi a cui faceva riferimento un intero distretto o torchi a esercizio<br />

comune hanno lasciato le loro tracce sul territorio.<br />

Già prima dell’anno mille il vino non veniva prodotto solo per il fabbisogno<br />

di centri economici autarchici, ma anche per essere immesso sul mercato e<br />

commerci<strong>al</strong>izzato in paesi lontani. Obblighi relativi <strong>al</strong> trasporto e <strong>al</strong>le imposte<br />

mettono in luce un commercio, anche su lunghe distanze, di grandi quantità di<br />

vino provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>le zone di produzione predilette dagli acquirenti. Nelle aree<br />

in cui la viticoltura era maggiormente favorita <strong>d<strong>al</strong></strong> clima, i vigneti appartenevano<br />

per la maggior parte a proprietari laici oppure ecclesiastici che risiedevano in<br />

luoghi anche molto distanti nei qu<strong>al</strong>i la viticoltura era, se non scarsa, completamente<br />

assente. Questi possedimenti a distanza rappresentano un particolare<br />

importante di molte aree vinicole dell’Europa continent<strong>al</strong>e, influenzando precocemente<br />

e in modo duraturo le vie seguite <strong>d<strong>al</strong></strong> commercio del vino 14 . Le regioni<br />

con una grande concentrazione di possedimenti a distanza erano in parte anche<br />

zone vinicole nelle qu<strong>al</strong>i i vini venivano prodotti in misura crescente come<br />

oggetto di scambio commerci<strong>al</strong>e. Questi vini si trasportavano anche a lunga<br />

distanza per essere scambiati con <strong>al</strong>tri beni di consumo di massa.<br />

Al più tardi a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’inizio del VIII secolo furono soprattutto i frisoni<br />

ad utilizzare il Reno come una delle loro princip<strong>al</strong>i vie di commercio 15 . Nei seco-<br />

der Mosel und ihren Nebenflüssen vom 13. bis 16. Jahrhundert”): L. CLEMENS, Trier. Eine Weinstadt<br />

im Mittel<strong>al</strong>ter, Trier 1993 (Trierer Historische Forschungen, 22), p. 309; ID., Weinwirtschaft im hohen und<br />

späten Mittel<strong>al</strong>ter: Das Beispiel Trier,in Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 85-106.<br />

14 Relativamente <strong>al</strong> fenomeno dei possedimenti a distanza dei monasteri bavaresi in zone vinicole<br />

<strong>al</strong>toatesine e austriache si veda A.O. WEBER, Nah- und Fernbesitz von Weinbergen <strong>al</strong>tbayerischer Klöster im<br />

Mittel<strong>al</strong>ter, in Weinproduktion und Weinkonsum im Mittel<strong>al</strong>ter (come nota 3). Sui possedimenti a distanza<br />

situati in Alto Adige cfr. NÖSSING, Die Bedeutung der Tiroler Weine, pp. 195 sgg. Esempi di possedimenti<br />

a distanza si trovano anche in G. BÖNNEN, Der mittel<strong>al</strong>terliche Weinbau in der Bischofsstadt Toul und ihrem<br />

Umland,in Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 139-170, in partic. 145 sg.; H. VAN WERVEKE, Comment<br />

les établissements religieux belges se procuraient-ils du vin au haut âge?, «Revue Belge de philologie et d’histoire»,<br />

2 (1923), pp. 643-662; M. VAN REY, Der deutsche Fernbesitz der Klöster und Stifte der <strong>al</strong>ten Diözese Lüttich<br />

vornehmlich an Rhein, Mosel, Ahr und Rheinhessen, «Ann<strong>al</strong>en des Historischen Vereins am Niederrhein»,<br />

186 (1984), pp. 30-90; e, di seguito, anche il contributo di G.M. VARANINI, Le strade del vino.<br />

15 S. LEBECQ, Marchands et navigateurs frisons du haut Moyen Age, 2 voll., Lille 1983; A. VERHULST, Der<br />

frühmittel<strong>al</strong>terliche Handel der Niederlande und der Friesen, in Untersuchungen zu Handel und Verkehr der vor-<br />

95


96<br />

li VIII e IX essi furono i maggiori protagonisti del commercio a largo raggio, ed<br />

il Reno rappresentava la rotta commerci<strong>al</strong>e più utilizzata, sulla qu<strong>al</strong>e si compiva<br />

lo scambio di merci tra il regno franco da una parte e l’Inghilterra e la Scandinavia<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra. Sorsero <strong>al</strong>lora piazze commerci<strong>al</strong>i come Dorestadt, dove questi<br />

mercanti risiedevano abitu<strong>al</strong>mente. Sulla base di scavi archeologici effettuati<br />

negli ultimi decenni si delinea un’immagine di questi “empori” commerci<strong>al</strong>i, così<br />

come gli studiosi li definiscono prendendo in prestito la terminologia delle fonti:<br />

essi si presentano come degli insediamenti preurbani, come agglomerati in un<br />

certo senso già somiglianti a una città vera e propria. I frisoni si insediarono<br />

anche lungo il corso del Reno e <strong>al</strong> più tardi nel IX secolo essi disponevano di<br />

vere e proprie colonie nelle più importanti piazze commerci<strong>al</strong>i come potevano<br />

essere Duisburg, Colonia, Magonza e Worms. D<strong>al</strong> nord essi importavano tra l’<strong>al</strong>tro<br />

stoffe pregiate: i p<strong>al</strong>lia fresonica, il cui luogo di provenienza è ancora oggi indefinito,<br />

non potendo stabilire con assoluta certezza se furono effettivamente prodotte<br />

in Frisia o solo commerciate dai mercanti frisoni. Discendendo il corso del<br />

Reno la merce di scambio più importante era rappresentata <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, che i mercanti<br />

del nord acquistavano in Alsazia, a Worms oppure a Magonza, trasportandolo<br />

poi con le loro navi verso l’Inghilterra e la Scandinavia. T<strong>al</strong>i scambi sono<br />

documentati, oltre che in sporadiche fonti scritte, anche grazie a reperti archeologici,<br />

come per esempio i cocci delle caraffe di ceramica utilizzate dai mercanti,<br />

ritrovati in grandi quantità in città inglesi nonché in piazze commerci<strong>al</strong>i come<br />

Dorestadt, Haithabu e Birka 16 .<br />

Le fonti scritte che riportano direttamente o indirettamente informazioni<br />

sul commercio vinicolo lungo il Reno nell’VIII e IX secolo non sono state ancora<br />

esaminate ed interpretate sistematicamente, ciò rimane quindi un obiettivo<br />

auspicabile per la storia del commercio e del vino. Si tratta soprattutto di appunti<br />

e notizie contenute in cronache o fonti letterarie ed agiografiche. Il loro v<strong>al</strong>ore<br />

come testimonianze è certamente sempre da v<strong>al</strong>utare sullo sfondo specifico<br />

ed in base <strong>al</strong>la loro tipologia, ma nell’insieme, come tasselli di un mosaico, esse<br />

und frühgeschichtlichen Zeit in Mittel- und Nordeuropa, a cura di K. Düwell et <strong>al</strong>., Göttingen 1985 (Abhandlungen<br />

der Akademie der Wissenschaften in Göttingen, Philologisch-Historische Klasse, 3), pp. 381-<br />

391; S. LEBECQ, L’emporium proto-médiév<strong>al</strong> de W<strong>al</strong>cheren-Domburg. Une mise en perspective, in Peasants and<br />

townsmen in mediev<strong>al</strong> Europe. Studia in honorem Adriaan Verhulst, a cura di J.-M. Duvosquel et <strong>al</strong>., Gent<br />

1995, pp. 73-90.<br />

16 F. STAAB, Weinwirtschaft im früheren Mittel<strong>al</strong>ter, insbesondere im Frankenreich und unter den Ottonen, in<br />

Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 29-76, in partic. pp. 58 sgg.


sono giunte fino a noi in quantità notevole, e sarebbe quindi ragionevole studiarle<br />

nel loro complesso. Sia citato qui un solo esempio: Ermoldo Nigello, originario<br />

dell’Aquitania, era stato temporaneamente esiliato <strong>d<strong>al</strong></strong> re Ludovico il Pio<br />

a Strasburgo, dove rimase per diversi anni sotto la sorveglianza del vescovo loc<strong>al</strong>e.<br />

Egli descrive il suo esilio in un epopea composta tra l’826 e l’828, tentando<br />

così di riconquistare la benevolenza dell’imperatore e della consorte Giuditta:<br />

Terra antiqua, potens, Franco possessa colono, / (...) / Bacchus habet colles, pubescunt<br />

montibus uvae, / (...) / Arva fuerunt Cererem, colles dant copia vini, / (...) / Si non,<br />

Rhene, fores, mansissent laeta F<strong>al</strong>erna, / Bacchus et exhilarans gaudia larga daret, / Per<br />

te vecta quidem pretioque redempta marino; / Vinetis recubans vinitor ipse sitit. / (...)<br />

/ Utile consilium Frisonibus atque marinis / Vendere vina fuit, et meliora vehi17 .<br />

Colline <strong>d<strong>al</strong></strong>le qu<strong>al</strong>i cola il vino, viticoltori assetati, cantine vuote, si tratta certamente<br />

di immagini poetiche, che esagerano sulle condizioni re<strong>al</strong>i ricollegandosi<br />

a modelli letterari. Ma anche questo linguaggio lirico caratterizzato da molti luoghi<br />

comuni mette in luce chiaramente la funzione di merce di scambio assunta<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vino del Reno nel commercio con i paesi nordici. Nell’epopea sono menzionati<br />

esplicitamente i frisoni ed <strong>al</strong>tri mercanti del nord che commerciavano<br />

soprattutto in vino importando in contropartita merci pregiate.<br />

In quell’epoca sulle acque del Reno non navigavano unicamente le navi dei<br />

mercanti frisoni cariche di vini ma vi si trasportavano anche i vini prodotti nelle<br />

tenute appartenenti <strong>al</strong>la corona, <strong>al</strong>la nobiltà e <strong>al</strong>le istituzioni ecclesiastiche. Sono<br />

proprio queste ultime a fornire ampia testimonianza, potendo garantire, in un<br />

periodo povero di fonti scritte, le migliori condizioni di conservazione delle fonti<br />

stesse. Così dai documenti ris<strong>al</strong>enti <strong>al</strong> IX secolo dei monasteri di Prüm,<br />

Weißenburg e Lorsch apprendiamo che determinati gruppi di persone erano<br />

incaricati ad effettuare i trasporti sul fiume. Si trattava di veri e propri equipaggi<br />

speci<strong>al</strong>izzati, a servizio dei grandi proprietari fondiari e che, ad esempio nella<br />

zona del medio Reno, sono da considerare gli eredi della navigazione fluvi<strong>al</strong>e<br />

romana 18 . Sul Reno e sugli <strong>al</strong>tri fiumi venivano inoltre trasportati i prodotti di<br />

17<br />

ERMOLDO NIGELLO, Carmina. Carmen Nigelli Ermoldi exulis in laudem gloriosissimi Pippini Regis, ed. E.<br />

Dümmler, in Monumenta Germaniae historica [= MGH], Antiquitates. Poetae Latini aevi Carolini II, Liptiae<br />

1884 (rist. 1999), pp. 82 sg.<br />

18<br />

STAAB, Untersuchungen zur Gesellschaft am Mittelrhein, pp. 32 sgg., 46 sgg.; Strukturen der Grundherrschaft<br />

im frühen Mittel<strong>al</strong>ter, a cura di W. Rösener, Göttingen 19932 (Veröffentlichungen des Max-Planck-<br />

Instituts für Geschichte, 92).<br />

97


98<br />

quelle vigne di cui molti monasteri erano proprietari a distanza 19 . Anche gli ebrei<br />

assunsero ben presto un ruolo di rilievo nel commercio del vino 20 .<br />

Con la fondazione di monasteri e la conseguente nascita di insediamenti in<br />

zone fino ad <strong>al</strong>lora scarsamente popolate, così come con l’aumento delle aree<br />

destinate <strong>al</strong>l’utilizzo agrario, è possibile documentare ad ovest del Reno già nell’<strong>al</strong>to<br />

medioevo una fitta rete di vigneti 21 . Nel IX secolo invece, <strong>d<strong>al</strong></strong> lato opposto<br />

dello stesso fiume, la viticoltura era ancora così poco diffusa che nella spartizione<br />

dell’Impero carolingio avvenuta nell’anno 842 tra i figli di Ludovico il Pio,<br />

<strong>al</strong>l’erede <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e spettò la Franconia orient<strong>al</strong>e vennero dati in più, propter vini<br />

copiam, anche <strong>al</strong>cuni territori sulla riva sinistra del fiume 22 . Bisogna tuttavia ricordare<br />

che la viticoltura ad est del Reno non vide i suoi <strong>al</strong>bori con la cristianizzazione<br />

di quei territori, ma che essa era presente anche prima <strong>al</strong> di là del limes –<br />

l’antico confine dell’Impero romano – in una misura che purtroppo non è possibile<br />

determinare esattamente 23 .<br />

L’espansione dei secoli centr<strong>al</strong>i del medioevo<br />

Durante i secoli centr<strong>al</strong>i del medioevo la trasformazione iniziata già prima dell’anno<br />

mille si rafforzò in tutta l’Europa 24 . La vite fu portata ben oltre le zone già<br />

sfruttate per la viticoltura; infatti, la sua espansione fu favorita da vescovi e<br />

19 ID., Weinwirtschaft im früheren Mittel<strong>al</strong>ter, in partic. pp. 54 sgg.<br />

20 M. TOCH, Die Juden im mittel<strong>al</strong>terlichen Reich, München 1998 (Enzyklopädie deutscher Geschichte,<br />

44), pp. 7 e 98; STAAB, Weinwirtschaft im früheren Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 66 sg., 71 sg.<br />

21 F. IRSIGLER, Mehring. Ein Prümer Winzerdorf um 900, in Peasants and townsmen in mediev<strong>al</strong> Europe, pp.<br />

297-324.<br />

22<br />

REGINONE DI PRÜM, Chronicon cum continuatione Treverensi, ed. F. Kurze, MGH, Scriptores rerum Germanicarum,<br />

L, Hannoverae 1890 (rist. 1999), p. 75; STAAB, Weinwirtschaft im früheren Mittel<strong>al</strong>ter,p.61;M.<br />

BARTH, Der Rebbau des Elsaß und die Absatzgebiete seiner Weine. Ein geschichtlicher Durchblick, 1, Strasbourg/Paris<br />

1958, p. 95 sg.<br />

23 U. BRAASCH-SCHWERSMANN, Rebgewächs und Hopfenbau: Wein und Bier in der spätmittel<strong>al</strong>terlichen Agrargeschichte<br />

der Deutschordensb<strong>al</strong>lai Hessen, in Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 305-363, in partic. pp.<br />

306 sg.<br />

24 M. MATHEUS, s.v.,Weinbau, -handel. Allgemein; Mittel- und Westeuropa, in Lexikon des Mittel<strong>al</strong>ters, 8,<br />

München/Zürich 1997, coll. 2116-2123; R. SCHÖNE, Bibliographie zur Geschichte des Weines, 2a ed. corredata<br />

da supplementi e attu<strong>al</strong>izzata, München et <strong>al</strong>. 1988.


monasteri, da signori laici ed infine anche dai cittadini dei nuovi centri urbani in<br />

espansione. La vite come elemento di civilizzazione di impronta mediterranea e<br />

latina si affermò in misura limitata nel nordovest, nel nord e nell’est dell’Europa,<br />

raggiunse la Scandinavia meridion<strong>al</strong>e, la Slovacchia e la Stiria 25 , oltre che la<br />

Boemia, la Moravia, la Polonia, la Georgia e l’Ucraina dove <strong>al</strong>cune zone circoscritte<br />

erano fittamente coltivate a vigneti 26 . In Inghilterra invece la viticoltura<br />

mediev<strong>al</strong>e rimase concentrata nel sud-est 27 .<br />

In concomitanza con l’incremento demografico e lo sviluppo delle campagne,<br />

l’urbanizzazione e l’addensamento delle zone abitate, vennero rese accessibili<br />

<strong>al</strong>lo sfruttamento nuove aree vinicole. In sostanza ora la vite era coltivata<br />

ovunque le condizioni topografiche e climatiche lo consentissero. Essa era destinata<br />

in primo luogo a ricoprire il fabbisogno loc<strong>al</strong>e, non da ultimo quello liturgico,<br />

contribuendo così a risparmiare il trasporto di costosi prodotti di importazione.<br />

L’impianto di vigneti nelle zone immediatamente limitrofe a residenze<br />

signorili e a città fu anche favorito <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che il loro possesso poteva diventare<br />

simbolo di ricchezza, ospit<strong>al</strong>ità e prestigio. Inoltre, sviluppi climatici relativamente<br />

favorevoli contribuirono dopo il Mille ad un’espansione sorprendente<br />

della vite che in quel periodo era coltivata anche in zone in cui <strong>al</strong> giorno d’oggi<br />

la viticoltura è tornata ad essere sconosciuta, come ad esempio nella Bassa Renania<br />

a nord di Bonn, lungo il corso della Ruhr e in Vestf<strong>al</strong>ia, sugli argini dei fiumi<br />

Neiße e Oder, nel Meclenburgo, in Pommerania e in Prussia, nel Brandeburgo<br />

ed in Slesia 28 . Alcune delle zone vinicole impiantate nei territori orient<strong>al</strong>i dopo il<br />

25 J. BADURÍK, Westslowakische Städte und der Weinbau im 13.-15. Jahrhundert (mit besonderer Beachtung von<br />

Bratislava/Pressburg und weiteren kleinkarpatischen Weinstädten), in Stadt und Wein, a cura di F. Opll,<br />

Linz/Donau 1996 (Beiträge zur Geschichte der Städte Mitteleuropas, 14), pp. 85-98; H. VALENTI-<br />

NITSCH, Die Bedeutung des Weins für die steirischen Städte im Mittel<strong>al</strong>ter und in der frühen Neuzeit,in Stadt und<br />

Wein, pp. 109-125.<br />

26 C. HIGOUNET, Esquisse d`une géographie des vignobles européens à la fin du moyen âge, in F. MELIS, I vini it<strong>al</strong>iani<br />

nel medioevo, a cura di A. Affortunati Parrini, Firenze 1984 (Istituto internazion<strong>al</strong>e di storia economica<br />

“F. Datini”, 7), pp. VII-XX; W.WEBER, Die Entwicklung der nördlichen Weinbaugrenze in Europa.<br />

Eine historisch-geographische Untersuchung, Trier 1980 (Forschungen zur deutschen Landeskunde, 216).<br />

27 K.-U. JÄSCHKE, Englands Weinwirtschaft in Antike und Mittel<strong>al</strong>ter, in Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter, pp.<br />

256-388.<br />

28 Per la Germania del nord cfr. O. PELC, Der Weinbau in Norddeutschland, in Lübecker Weinhandel. Kultur-<br />

und wirtschaftsgeschichtliche Studien, a cura di E. Spies-Hankammer, Lübeck 1985 (Veröffentlichungen<br />

des Senats der Hansestadt Lübeck, Amt für Kultur, Reihe B, 6), pp. 9-28; F. PAPE, Der Weinbau im<br />

ehem<strong>al</strong>igen Fürstentum Lüneburg. Eine landeskundliche und kulturgeschichtliche Studie, Celle 1989 (Schriften-<br />

99


100<br />

Mille si sono mantenute fino ad oggi in Sassonia e Turingia, ad esempio lungo il<br />

fiume Elba intorno a Dresda e Meißen 29 , come anche lungo i fiumi Sa<strong>al</strong>e e<br />

Unstrut. Esse non rappresentano però che scarse vestigia di quelli che furono i<br />

livelli raggiunti sia <strong>d<strong>al</strong></strong>la produzione che <strong>d<strong>al</strong></strong> commercio del vino nelle città della<br />

Turingia durante il medioevo 30 .<br />

Nel contesto dell’incremento demografico avvenuto nel XII e XIII secolo,<br />

in numerose aree vinicole la superficie destinata <strong>al</strong>la viticoltura venne sempre più<br />

sfruttata ed estesa. Nelle princip<strong>al</strong>i zone vinicole, come lungo il Reno e la Mosella,<br />

il Neckar ed il Meno 31 , sui fiumi Ahr 32 e Lahn 33 , come anche sul lago di<br />

Costanza 34 e sul Danubio (in particolare nelle vicinanze di Ratisbona 35 e nella<br />

Wachau 36 ), non si produceva solo per il fabbisogno loc<strong>al</strong>e e region<strong>al</strong>e, ma anche<br />

reihe des Stadtarchivs Celle und des Bomann-Museums. Celler Beiträge zur Landes- und Kulturgeschichte,<br />

17); ID., Der Weinbau im ehem<strong>al</strong>igen Land Braunschweig. Ein Beitrag zur Heimatgeschichte, Wolfenbüttel<br />

1995. Sulla viticoltura in Prussia si veda anche U. ARNOLD, Weinbau und Weinhandel des Deutschen<br />

Ordens im Mittel<strong>al</strong>ter, in ID., Zur Wirtschaftsentwicklung des Deutschen Ordens im Mittel<strong>al</strong>ter, Marburg<br />

1989, pp. 71-102, in partic. pp. 96 sg.<br />

29 J. BERNUTH, Der Weinbau an der Elbe, Wiesbaden 1984 (Schriften zur Weingeschichte, 72).<br />

30 J. BERNUTH, Der Thüringer Weinbau, Wiesbaden 1983 (Schriften zur Weingeschichte, 65); ID., Der<br />

Jenaer Weinbau, Wiesbaden 1988 (Schriften zur Weingeschichte, 85); W. HELD, Der Weinbau in und um<br />

Jena/Thüringen im Spätmittel<strong>al</strong>ter und in der Frühneuzeit. Seine Wirkungen auf die Stadt und ihre Bewohner,in<br />

Stadt und Wein, pp. 127-146.<br />

31 W. LUTZ, Die Geschichte des Weinbaues in Würzburg im Mittel<strong>al</strong>ter und in der Neuzeit bis 1800, Würzburg<br />

1965 (Mainfränkische Hefte, 43); W. STÖRMER, A.O. WEBER, Weinbau und Weinhandel in Städten und<br />

Märkten des Mainvierecks,in Die Stadt <strong>al</strong>s Kommunikationsraum. Beiträge zur Stadtgeschichte vom Mittel<strong>al</strong>ter bis<br />

ins 20. Jahrhundert. Festschrift für Karl Czok zum 75. Geburtstag, a cura di H. Bräuer, E. Schlenkrich, Leipzig<br />

2001, pp. 737-762.<br />

32 J. RAUSCH, Die Geschichte des Weinbaus an der Ahr, Wiesbaden 1963 (Schriften zur Weingeschichte,<br />

10); K.-P. BÖLL, Die Entwicklung der Ahr zum Rotweinanbaugebiet, Wiesbaden 1983 (Schriften zur Weingeschichte,<br />

63). Di prossima pubblicazione nella collana “Schriften zur Weingeschichte”: W. HER-<br />

BORN, Das Werden einer Weinlandschaft. Der Weinbau an der Ahr im frühen und hohen Mittel<strong>al</strong>ter.<br />

33 R. SCHÖNE, G.PAHL, Bibliographie zum Weinbau an der Lahn (ultimo aggiornamento: 28 ottobre<br />

2002). Oppure il sito htpp://www.rhein-lahn-info.de/geschichte/rhein-lahn/lahnwein.htm.<br />

34 G. SPAHR, Geschichte des Weinbaus im Bodenseeraum, «Schriften des Vereins für Geschichte des Bodensees<br />

und seiner Umgebung», 99/100 (1981/1982), pp. 189-230.<br />

35<br />

WEBER, Studien zum Weinbau, in partic. pp. 198 sgg.; T. HÄUßLER, Der Baierwein. Weinbau und Weinkultur<br />

in Altbaiern, Amberg 2001.<br />

36 H. PLÖCKINGER, Die Wachau und ihr Wein, Krems 1949; WEBER, Studien zum Weinbau (come nota 6).


per il commercio interregion<strong>al</strong>e. La v<strong>al</strong>le della Mosella presso Treviri, ad esempio,<br />

in seguito a bonifiche e a nuovi impianti della vite, era ricoperta da vigneti<br />

molto più densamente di quanto non lo sia ai giorni nostri 37 . Questo sviluppo<br />

ebbe inizio nella seconda metà del XII secolo e quindi dopo i duri anni di crisi<br />

precedenti <strong>al</strong>la metà del secolo, che avevano costretto <strong>al</strong>l’emigrazione i viticoltori<br />

della Mosella e del Reno. Che siano stati proprio quei viticoltori a trovare una<br />

nuova patria nei Carpazi è <strong>al</strong>tamente probabile soprattutto sulla base di testimonianze<br />

linguistiche mosello-romanze rintracciate ancora verso il 1980 in loc<strong>al</strong>ità<br />

viticole transilvane. Determinati termini del linguaggio dei viticoltori si ritrovano<br />

infatti solo in quella particolare zona dei Carpazi e nell’enclave moselloromanza.<br />

Nella parte centr<strong>al</strong>e di quest’ultima ancora oggi i viticoltori più anziani<br />

chiamano il germoglio della vite Gimme, si tratta chiaramente di una trasposizione<br />

del termine latino gemma.<br />

Termini simili a questo utilizzati nella zona mosello-romanza si ritrovano<br />

anche in numerose loc<strong>al</strong>ità del nord e del sud della Transilvania, ed esclusivamente<br />

lì. Si può quindi asserire che furono proprio questi viticoltori immigrati a<br />

introdurre l’uso di quel termine nella loro nuova patria nei Carpazi 38 . Molte aree<br />

selvatiche vennero disboscate durante questa fase di estensivo sviluppo della coltivazione<br />

della vite, e questo a discapito degli <strong>al</strong>tri utilizzi agrari. La viticoltura<br />

divenne quindi, in misura ancora maggiore di prima, la coltura princip<strong>al</strong>e, e in<br />

parte persino la monocoltura per eccellenza. Di conseguenza si crearono rapporti<br />

di dipendenza struttur<strong>al</strong>e da <strong>al</strong>tri settori, in particolare <strong>d<strong>al</strong></strong>l’agricoltura, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>levamento<br />

del bestiame e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’economia forest<strong>al</strong>e. In <strong>al</strong>cune zone vinicole questo<br />

sviluppo favorì anche la coltivazione a terrazzo, che a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> XII secolo incrementò<br />

sotto l’aspetto sia qu<strong>al</strong>itativo che quantitativo i ricavi del raccolto 39 .<br />

In numerose zone vinicole i signori ecclesiastici – non da ultimi gli ordini<br />

monastici di recente fondazione, come per esempio i cistercensi – svolsero un<br />

ruolo decisivo per lo sviluppo della viticoltura, e si può supporre che essi siano<br />

37 CLEMENS, Trier. Eine Weinstadt im Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 25 sgg.<br />

38 Wortatlas der kontinent<strong>al</strong>germanischen Winzerterminologie, fascicoli 1, 7 e 8.<br />

39 O. VOLK, Die Erschließung des mittleren Rheint<strong>al</strong>s für den Weinbau im Hoch- und Spätmittel<strong>al</strong>ter, «Berichte zur<br />

deutschen Landeskunde» 71, Hefte, 1 (1997), pp. 107-128; ID., Wirtschaft und Gesellschaft am Mittelrhein<br />

vom 12. bis zum 16. Jahrhundert, Wiesbaden 1998 (Veröffentlichungen der Historischen Kommission für<br />

Nassau, 53), pp. 44 sgg. Per la Mosella si veda anche MATHEUS, Der Weinbau zwischen Maas und Rhein,pp.<br />

507 sg.; F. IRSIGLER, Weinstädte an der Mosel im Mittel<strong>al</strong>ter,in Stadt und Wein, pp. 165-179, in partic. p. 170.<br />

101


102<br />

stati anche tra i maggiori responsabili delle innovazioni introdotte nel settore<br />

vinicolo. Dobbiamo tuttavia tenere presente che le probabilità di avere informazioni<br />

relative agli <strong>al</strong>tri protagonisti della viticoltura sono molto basse rispetto <strong>al</strong>le<br />

fonti conservate negli archivi delle comunità ecclesiastiche. All’intensificarsi della<br />

viticoltura contribuirono senz’<strong>al</strong>tro in modo decisivo non solo le condizioni<br />

sia climatiche che dei terreni ma anche l’influsso esercitato dai grandi insediamenti<br />

e dai centri urbani, nonché quello proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’attività commerci<strong>al</strong>e.<br />

La vicinanza di importanti vie di comunicazione, ed in particolar modo dei grandi<br />

fiumi, ebbe un effetto stimolante sulla viticoltura che non mirava solo a coprire<br />

il fabbisogno loc<strong>al</strong>e. Nel complesso quindi la coltivazione della vite nelle<br />

regioni a nord delle Alpi e dei Pirenei raggiunse durante il medioevo la sua massima<br />

espansione.<br />

Trasformazioni struttur<strong>al</strong>i nel tardo medioevo<br />

Secondo le opinioni più diffuse, nelle zone vinicole delle regioni di lingua tedesca<br />

la viticoltura fu per lo più risparmiata <strong>d<strong>al</strong></strong>la tanto discussa crisi agraria che<br />

ebbe inizio nel XIV secolo. Già Friedrich Bassermann-Jordan sosteneva che i<br />

secoli XV e XVI rappresentarono «l’epoca princip<strong>al</strong>e in cui il popolo tedesco<br />

beveva a dismisura» 40 . Di fatto, <strong>al</strong>la fase di espansione e di intensificazione della<br />

viticoltura durante i secoli centr<strong>al</strong>i del medioevo seguì – loc<strong>al</strong>mente già agli inizi<br />

del XIII secolo, in misura maggiore poi nel corso dei secoli XIV e XV – uno sviluppo<br />

divergente, con caratteri diversi da regione a regione e che fino ad oggi<br />

non è ancora stato <strong>al</strong> centro di studi esaustivi. In molte zone vinicole, in particolare<br />

in quelle a est del Reno, come in Turingia, nel Baden, lungo il Neckar e in<br />

Austria, si registra un’espansione delle aree coltivate a vite che durò fino <strong>al</strong> XVI<br />

secolo inoltrato 41 . Nella piccola regione vinicola lungo il fiume Lahn, solo per<br />

40 2 F. VON BASSERMANN-JORDAN, Geschichte des Weinbaus, 2 voll., Frankfurt a. M. 1923 (rist. Frankfurt<br />

a. M. 1975), p. 1174.<br />

41 O. VOLK, Weinbau und Weinabsatz im späten Mittel<strong>al</strong>ter. Forschungsstand und Forschungsprobleme,in Weinbau,<br />

Weinhandel und Weinkultur, Sechstes Alzeyer Kolloquium, a cura di A. Gerlich, Stuttgart 1993 (Geschichtliche<br />

Landeskunde, 40), pp. 49-163, qui pp. 64 sgg. Per la regione del Baden cfr. K. MÜLLER, Geschichte<br />

des badischen Weinbaus. Mit einer badischen Weinchronik und einer Darstellung der Klimaschwankungen im<br />

letzten Jahrtausend, Lahr 19532 ,p.22;R.WINKELMANN, Die Entwicklung des oberrheinischen Weinbaus,<br />

Marburg 1960 (Marburger geographische Schriften, 16), p. 31.


citare un esempio, la viticoltura raggiunse il suo massimo sviluppo non prima del<br />

XVI e agli inizi del XVII secolo per poi assistere ad un rapido declino dovuto<br />

<strong>al</strong>la guerra dei trent’anni 42 .<br />

Nelle zone vinicole a ovest del Reno i fattori ritardanti si manifestano invece<br />

già in un’epoca di gran lunga precedente. Per molte zone vinicole francesi si<br />

possono osservare trasformazioni foriere di crisi <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà del XIV secolo in<br />

poi 43 . All’inizio dello stesso secolo anche in paesaggi vinicoli lungo il corso della<br />

Mosella e del Reno si moltiplicano gli indizi di un abbandono dei vigneti 44 .La<br />

riduzione delle aree coltivate toccò in modo particolarmente grave quegli appezzamenti<br />

che davano uva di scarsa qu<strong>al</strong>ità e che spesso registravano la perdita<br />

tot<strong>al</strong>e del raccolto. Tuttavia non vi sono ancora precisi studi relativi <strong>al</strong>l’influsso<br />

esercitato <strong>d<strong>al</strong></strong>la riforma sulla viticoltura praticata <strong>d<strong>al</strong></strong>le istituzioni ecclesiastiche<br />

nelle regioni orient<strong>al</strong>i e settentrion<strong>al</strong>i di lingua tedesca 45 . Sta di fatto che <strong>d<strong>al</strong></strong> XVI<br />

secolo in poi, non da ultimo a causa di un peggioramento del clima a nord delle<br />

Alpi, si creò una distinzione molto più netta di quanto non lo fosse stata nei<br />

secoli precedenti tra le regioni in cui si preferiva il vino e quelle in cui si beveva<br />

invece soprattutto la birra.<br />

Gli sviluppi appena accennati non hanno un’unica spiegazione, ma furono<br />

certamente il risultato dell’interazione di tutto un complesso di fattori, <strong>al</strong>cuni dei<br />

qu<strong>al</strong>i di carattere specificatamente region<strong>al</strong>e. Accanto a fattori <strong>d<strong>al</strong></strong>le ripercussioni<br />

immediate, come guerre, epidemie e ripetute annate di scarso raccolto, svolgono<br />

un ruolo determinante le variazioni demografiche, climatiche e congiuntur<strong>al</strong>i<br />

di lunga durata con le loro conseguenze sui prezzi ed i s<strong>al</strong>ari, come anche le<br />

trasformazioni nei contratti agrari, nei rapporti di proprietà e nelle strutture del<br />

commercio. Anche i mutamenti delle abitudini di consumo non rimasero privi di<br />

conseguenze. È così che nel tardo medioevo la birra di luppolo si affermò in<br />

molti luoghi a discapito della birra di gruit, prodotta sulla base di una mistura di<br />

spezie, ma più facilmente deteriorabile rispetto a quella di luppolo. La recessione<br />

nel corso del XV secolo del commercio vinicolo e la flessione in negativo del-<br />

42 SCHÖNE,PAHL, Bibliographie zum Weinbau an der Lahn (come nota 33).<br />

43 M. LE MENÉ, Le vignoble français a la fin du moyen âge, in Le vigneron, la viticulture et la vinification en Europe<br />

occident<strong>al</strong>e au Moyen Age et à l’époque moderne, Auch 1991 (Flaran 11), pp.189-205.<br />

44 MATHEUS, Der Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 518 sgg.<br />

45 Sull’influsso della riforma cfr. VOLK, Weinbau und Weinabsatz, p. 162. Si veda anche HELD, Der Weinbau<br />

in und um Jena, pp. 145 sg.<br />

103


104<br />

la curva di consumo di vino a Colonia si può spiegare con il forte incremento del<br />

consumo di birra 46 . Anche a Norimberga così come nella Franconia centro-settentrion<strong>al</strong>e<br />

durante il XV secolo si può osservare un mutamento delle abitudini<br />

di consumo a favore della birra a poco prezzo. In Baviera un’ordinanza del<br />

1493/1516 consentiva infine esclusivamente l’utilizzo del luppolo come additivo<br />

per la birra. In molti luoghi essa incontrò tuttavia la resistenza di chi deteneva<br />

i diritti per la produzione del gruit 47 . In <strong>al</strong>tre zone tradizion<strong>al</strong>mente vinicole la<br />

birra si affermò nelle mescite solo in annate in cui la vendemmia non era sufficiente<br />

a coprire il fabbisogno della popolazione 48 . In tempi in cui le riserve di<br />

grano erano scarse, di contro, la produzione della birra rappresentava di per sé<br />

un fattore in grado di aggravare la situazione 49 . Inoltre si deve tenere conto di<br />

fattori psicologici: basti pensare agli effetti benefici attribuiti <strong>al</strong> vino per capire<br />

come molti appassionati consumatori di vino non vi avrebbero mai rinunciato 50 .<br />

Diverse città la cui economia dipendeva <strong>d<strong>al</strong></strong>la produzione vinicola, ma anche<br />

signori territori<strong>al</strong>i, si adoperavano per proteggere la viticoltura nei confronti del-<br />

46 F. IRSIGLER, Die wirtschaftliche Stellung der Stadt Köln im 14. und 15. Jahrhundert. Strukturan<strong>al</strong>yse einer spätmittel<strong>al</strong>terlichen<br />

Exportgewerbe- und Fernhandelsstadt, Wiesbaden 1979 (Vierteljahrsschrift für Sozi<strong>al</strong>- und<br />

Wirtschaftsgeschichte. Beiheft, 65), pp. 241sgg. Così anche R. VAN UYTVEN, Die Bedeutung des Kölner<br />

Weinmarktes im 15. Jahrhundert. Ein Beitrag zu dem Problem der Erzeugung und des Konsums von Rhein- und<br />

Moselwein in Norddeutschland, «Rheinische Vierteljahrsblätter», 30 (1965), pp. 234-252. Anche a Colmar<br />

il consumo di vino nel XV secolo assistette ad un drastico c<strong>al</strong>o, cfr. la recente pubblicazione di R.<br />

SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia bis Kötzschenbroda. Die Weinsorten auf den spätmittel<strong>al</strong>terlichen Märkten Deutschlands,<br />

Stuttgart 1998 (Vierteljahrsschrift für Sozi<strong>al</strong>- und Wirtschaftsgeschichte. Beiheft, 149), pp. 108<br />

sgg. con ulteriori esempi.<br />

47 F. IRSIGLER, “Ind machden <strong>al</strong>le lant beirs voll”. Zur Diffusion des Hopfenbierkonsums im westlichen Hanseraum,<br />

in Nahrung und Tischkultur im Hanseraum, a cura di G. Wiegelmann, R.-E. Mohrmann, Münster, New<br />

York 1996 (Beiträge zur Volkskultur in Nordwestdeutschland, 91), pp. 377-397; W. HERBORN, Römerbier<br />

- Grutbier - Hopfenbier, in Bierkultur an Rhein und Maas, a cura di F. Langensiepen, Bonn 1998, pp.<br />

195-218; G. FOUQUET, Aspekte des privaten Bierkonsums im Süden und Westen Deutschlands während des<br />

ausgehenden Mittel<strong>al</strong>ters und der beginnenden Neuzeit, in “Proeve ‘t <strong>al</strong>, ‘t is prysselyck”. Verbruik in Europese steden<br />

(13de-18de eeuw). Consumption in European Towns (13th-18th Century). Liber amicorum Raymond van Uytven,<br />

Antwerpen 1998 (Bijdragen tot de geschiedenis, 81, 1998), pp. 171-190; ID., Nahrungskonsum und<br />

Öffentlichkeit im Späten Mittel<strong>al</strong>ter: Beobachtungen zum Bierverbrauch der Lübecker Oberschicht, «Zeitschrift<br />

der Gesellschaft für Schleswig-Holsteinische Geschichte», 124 (1999), pp. 31-49.<br />

48<br />

MATHEUS, Der Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 528 sgg.<br />

49 D. KERBER, Der Weinbau im mittel<strong>al</strong>terlichen Koblenz,in Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 271-292,<br />

in partic. pp. 281 sg.<br />

50<br />

MATHEUS, Der Weinbau zwischen Maas und Rhein, p. 529.


la concorrenza di <strong>al</strong>tre bevande <strong>al</strong>coliche per mezzo di particolari agevolazioni o<br />

misure protettive 51 . Vi sono poi zone in cui termini come stagnazione, recessione<br />

o depressione non sono adatti a descrivere la situazione particolare. È possibile<br />

invece individuare una serie di elementi che rappresentano un indizio di una<br />

notevole capacità di adattamento a condizioni in continuo mutamento. Par<strong>al</strong>lelamente<br />

<strong>al</strong> fenomeno della perdita di aree coltivate a vite si registra, anche se solo<br />

a livello loc<strong>al</strong>e, un intensificarsi della viticoltura in zone particolarmente adatte 52 .<br />

In particolare le aziende vinicole di grandi produttori laici ed ecclesiastici si<br />

distinguono per gli sforzi da essi compiuti per migliorare qu<strong>al</strong>itativamente sia la<br />

coltivazione della vite (ad esempio attraverso una concimazione regolare) che la<br />

vinificazione. Non di rado le aree in cui la viticoltura era stata abbandonata furono<br />

utilizzate – in parte o del tutto – per colture <strong>al</strong>ternative come per esempio<br />

noceti e frutteti, i cui prodotti erano destinati <strong>al</strong>la produzione di olio o mosto di<br />

frutta. Questa tendenza, e cioè la trasformazione dei vigneti in giardini o in <strong>al</strong>tri<br />

impianti coltur<strong>al</strong>i, si può osservare anche nelle v<strong>al</strong>li della Mosella e del fiume<br />

Mosa, ma soprattutto nei dintorni di Liegi, dove i vigneti, numerosi fino <strong>al</strong> XVI<br />

secolo, cedettero il passo ad <strong>al</strong>tre colture, tra cui in particolare il melo 53 .<br />

Già nel XIII secolo furono avviate <strong>al</strong>meno in parte misure per migliorare la<br />

qu<strong>al</strong>ità delle uve, che poi, come si può osservare, si intensificarono nei due secoli<br />

seguenti. Durante la prima metà del XIV secolo i produttori della Lotaringia,<br />

vedendosi minacciati <strong>d<strong>al</strong></strong>la sovrapproduzione dei propri vigneti e <strong>d<strong>al</strong></strong>la concorrenza<br />

di vini pregiati di importazione, reagirono incentivando la coltura di vitigni<br />

di qu<strong>al</strong>ità superiore 54 . Durante il XV secolo lungo il corso del Reno e della<br />

Mosella si iniziò a piantare particolari uve da vino rosso <strong>d<strong>al</strong></strong>la maturazione precoce<br />

55 . La classificazione ampelografica dei vini, menzionati sempre più spesso a<br />

partire <strong>d<strong>al</strong></strong> XV secolo nelle fonti scritte, è assai difficile, anche perché essi assunsero<br />

nomi differenti da zona a zona. È possibile però interpretare l’impianto di<br />

51 S. SCHMITT, Mittel<strong>al</strong>terlicher Weinbau am Neckar, in Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 93-121, in partic.<br />

pp. 115 sgg; SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia, pp. 112 sgg.<br />

52 MATHEUS, Der Weinbau zwischen Maas und Rhein, p. 520; M. MAGUIN, Structures viticoles en Lorraine<br />

médiane: XIV e -XV e siècles,in Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 171-183, in partic. pp. 182 sg.<br />

53 M.-C. CHAINEUX, Culture de la vigne et commerce du vin dans la région de Liège au moyen âge, Liège 1981<br />

(Centre Belge d’Histoire Rur<strong>al</strong>e, 65).<br />

54<br />

MATHEUS, Der Weinbau zwischen Maas und Rhein, p. 523; BÖNNEN, Der mittel<strong>al</strong>terliche Weinbau, in partic.<br />

pp. 162 sgg.<br />

55<br />

CLEMENS, Trier. Eine Weinstadt im Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 397 sgg.<br />

105


106<br />

diverse varietà di “Spätburgunder” nella zona del Rheingau 56 , di “Riesling” sul<br />

Reno e sulla Mosella 57 nonché di <strong>al</strong>tri vitigni – di cui in quel periodo si fa menzione<br />

per la prima volta – come un tentativo di reagire a trasformazioni di tipo<br />

struttur<strong>al</strong>e e di contrastare la tendenza <strong>al</strong>la sovrapproduzione concentrandosi su<br />

vitigni di qu<strong>al</strong>ità superiore 58 .<br />

Viticoltori e rapporti fondiari<br />

La produzione di vino richiede numerose fasi di lavorazione specifiche e conoscenze<br />

particolari sia sulla cura della vite che sulla vinificazione 59 . Ed è proprio per<br />

questo che i viticoltori poterono usufruire quasi immediatamente, nell’ambito di<br />

forme di conduzione legate <strong>al</strong>la signoria fondiaria, di condizioni relativamente<br />

favorevoli liberandosi gradu<strong>al</strong>mente dai tradizion<strong>al</strong>i vincoli 60 . T<strong>al</strong>e processo di<br />

emancipazione da rapporti di dipendenza person<strong>al</strong>e fu accelerato nel momento in<br />

cui la signoria fondiaria, dopo l’anno mille, iniziò a subire profonde trasformazioni.<br />

La necessità urgente di regolare le diverse fasi della lavorazione (riscontrabile<br />

nei banni che disciplinavano la data d’inizio della vendemmia oppure la torchiatura)<br />

favorì inoltre lo sviluppo di prime forme comunitarie e consorzi<strong>al</strong>i 61 .<br />

56 J. STAAB, 500 Jahre Rheingauer Klebrot = Spätburgunder, Wiesbaden 1971 (Schriften zur Weingeschichte,<br />

24); F. SCHUMANN, Rebsorten und Weinarten im mittel<strong>al</strong>terlichen Deutschland, in Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter,<br />

pp. 221-254, in partic. pp. 232 sgg.<br />

57 M. MATHEUS, Die Mosel - ältestes Rieslinganbaugebiet Deutschlands?, «Landeskundliche Vierteljahrsblätter»,<br />

26 (1980), pp. 161-173; ID., Vom “edelsten <strong>al</strong>ler Traubengeschlechter”. Anmerkungen zur Geschichte des<br />

Rieslings, in Festschrift anläßlich des 10-jährigen Jubiläums des “Riesling- Freundeskreises Trier”, Trier 1989, pp.<br />

15-23; J. STAAB, Der Riesling. Geschichte einer Rebsorte, Wiesbaden 1991 (Schriften zur Weingeschichte,<br />

99); VOLK, Weinbau und Weinabsatz, pp. 106 sgg.<br />

58 SCHUMANN, Rebsorten und Weinarten, pp. 232 sgg.<br />

59 F. STAAB, Agrarwissenschaft und Grundherrschaft. Zum Weinbau im Frühmittel<strong>al</strong>ter,in Weinbau, Weinhandel<br />

und Weinkultur, pp. 1-47, qui pp. 19 sgg.; CLEMENS, Trier. Eine Weinstadt, pp. 258 sgg.<br />

60 Cfr. già E. ENNEN, Die Grundherrschaft St. Maximin und die Bauern zu Wasserbillig, in Historische Forschungen<br />

für W<strong>al</strong>ter Schlesinger, a cura di H. Beumann, I, Köln, Wien 1974, pp. 162-170 (ora rist. in EAD.,<br />

Gesammelte Abhandlungen zum europäischen Städtewesen und zur rheinischen Geschichte, Bonn 1987, pp. 472-<br />

477). Si veda anche in gener<strong>al</strong>e: Die Grundherrschaft im späten Mittel<strong>al</strong>ter, a cura di H. Patze, Sigmaringen<br />

1982 (Vorträge und Forschungen, 27); Grundherrschaft und bäuerliche Gesellschaft im Hochmittel<strong>al</strong>ter, a cura<br />

di W. Rösener, Göttingen 1995 (Veröffentlichungen des Max-Planck-Instituts für Geschichte, 115).<br />

61<br />

SCHMITT, Mittel<strong>al</strong>terlicher Weinbau am Neckar, pp. 104 sgg.


Tra le varie forme di contratto di locazione incontriamo sia quelle a tempo<br />

determinato oppure a vita, che l’enfiteusi, non limitata nel tempo, che meglio si<br />

adattava <strong>al</strong>le esigenze dell’economia vinicola. Nelle regioni austriache si diffusero<br />

speci<strong>al</strong>i forme di locazione: il Bergrecht (nelle zone vinicole di campagna<br />

come anche nella Wachau) e il Burgrecht (in ambito urbano e in particolare nella<br />

v<strong>al</strong>le di Krems). È <strong>al</strong>quanto possibile che la nascita di t<strong>al</strong>i contratti dipenda <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

ripresa della viticoltura avvenuta in quelle zone nell’XI secolo. Il fatto s<strong>al</strong>iente<br />

è che queste forme di contratto implicavano canoni vantaggiosi e trasferibili<br />

agli eredi consentendo inoltre la vendita degli stessi vigneti. Evidentemente si<br />

intendeva attirare i coloni offrendo loro contratti di locazione vantaggiosi per<br />

incentivare l’impianto di nuovi vigneti 62 . In molte aree vinicole lungo i fiumi<br />

Reno, Mosella ed Ahr, ma anche in Franconia ed in Turingia, un ruolo particolare<br />

è da attribuire in questo campo ai contratti di mezzadria dipendenti <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

rendita del vigneto, consoni ai bisogni dell’economia vinicola caratterizzata da<br />

oscillazioni anche notevoli degli utili 63 .<br />

Anche in quelle regioni si tendeva ad incoraggiare i viticoltori a coltivare<br />

nuove aree a vigneto tramite incentivi finanziari 64 . Il peggioramento delle condizioni<br />

gener<strong>al</strong>i a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> XIV secolo condusse in molte aree vinicole ad una<br />

riduzione dei tributi pagati dai locatari. Nelle zone finora studiate ad ovest del<br />

Reno e anche nella stessa v<strong>al</strong>le di questo fiume la mezzadria, che fino ad <strong>al</strong>lora<br />

era stata la forma di contratto più applicata, fu quasi completamente abbandonata<br />

e sostituita da forme di locazione più vantaggiose, come la terzeria. È<br />

comunque impossibile formulare un giudizio conclusivo su t<strong>al</strong>i trasformazioni,<br />

già per il semplice fatto che il panorama delle fonti è t<strong>al</strong>e da riflettere un’immagine<br />

distorta della situazione 65 . Risulta in ogni caso evidente che molti locatori si<br />

trovarono costretti a concedere condizioni più favorevoli <strong>al</strong> loro locatari. Le fonti<br />

permettono solo occasion<strong>al</strong>mente di individuare le <strong>al</strong>iquote di rendita spettan-<br />

62 WEBER, Nah- und Fernbesitz (come nota 14).<br />

63<br />

VOLK, Weinbau und Weinabsatz, pp. 92 sgg; HELD, Der Weinbau um Jena, pp. 134 sgg.; MATHEUS, Der<br />

Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 520 sgg.; SCHMITT, Mittel<strong>al</strong>terlicher Weinbau am Neckar, pp. 100<br />

sgg., con rimandi ad <strong>al</strong>tri studi importanti, ad esempio quelli di Karl-Heinz Spiess.<br />

64<br />

BADURÍK, Westslowakische Städte und der Weinbau,p.88.<br />

65<br />

MATHEUS, Der Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 520 sgg.; VOLK, Wirtschaft und Gesellschaft, pp.<br />

156 sgg. Cfr. prossimamente anche la tesi di dottorato di ricerca della mia <strong>al</strong>lieva Meike HENSEL, Das<br />

St. Nikolaus-Hospit<strong>al</strong> in Bernkastel-Kues. Studien zur Stiftung des Cusanus und seiner Familie (15.-17. Jahrhundert),<br />

con un capitolo dedicato <strong>al</strong>l’economia vinicola dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e.<br />

107


108<br />

ti <strong>al</strong> proprietario fondiario, ai viticoltori oppure ai conduttori di una determinata<br />

vigna 66 . Molti proprietari non rinunciarono a mantenere una certa superficie a<br />

conduzione propria 67 , <strong>al</strong>tri aumentare persino la loro produzione grazie ad un<br />

incremento delle possibilità di vendita del proprio vino.<br />

Spesso la viticoltura si concentrava nei dintorni di paesi o città con i loro mercati,<br />

essendo questi gli unici luoghi dove la produzione, la conservazione e la<br />

commerci<strong>al</strong>izzazione del vino erano possibili su ampia sc<strong>al</strong>a. Troviamo così torchi<br />

e cantine soprattutto in insediamenti di una certa dimensione e nelle città, dove tra<br />

l’<strong>al</strong>tro risiedevano bottai e carrettieri, mestieri molto importanti per l’economia<br />

vinicola 68 . Il fabbisogno di manodopera, che nell’economia vinicola era maggiore<br />

rispetto <strong>al</strong> lavoro dei campi, contribuì in maniera determinante ad un aumento<br />

notevole della popolazione e a una maggiore concentrazione di centri urbani nelle<br />

più importanti zone vinicole. I villaggi vinicoli, densamente popolati, erano<br />

spesso di dimensioni relativamente grandi e nel loro aspetto assomigliavano più a<br />

piccole città 69 . Ben presto la posizione economica e soci<strong>al</strong>e dei gruppi di persone<br />

impegnati nella viticoltura e residenti nelle città di <strong>al</strong>cune zone vinicole portò <strong>al</strong>la<br />

nascita di particolari corporazioni di mestiere (vignaioli, zappatori, orticoltori).<br />

Inoltre, la manodopera s<strong>al</strong>ariata maschile e femminile non tardò ad assumere un<br />

ruolo di rilievo nelle zone vinicole, in modo che in molti luoghi i viticoltori assunti<br />

a s<strong>al</strong>ario, i braccianti assoldati per lunghi periodi e i lavoratori stagion<strong>al</strong>i costituivano<br />

una parte notevole della popolazione 70 . Tipico per molte zone vinicole era<br />

anche il vigneto coltivato come attività secondaria. L’aumento della popolazione<br />

fece sì che in molti casi i terreni subissero una forte parcellizzazione.<br />

L’economia vinicola, fortemente influenzata <strong>d<strong>al</strong></strong>le oscillazioni delle rendite,<br />

era estremamente soggetta a crisi nei periodi in cui le cattive annate si susseguivano.<br />

Accadeva sempre più spesso che i viticoltori, per poter far fronte <strong>al</strong>le spe-<br />

66 VOLK, Weinbau und Weinabsatz, in partic. pp. 77 sgg.<br />

67 W. RÖSENER, Grundherrschaft im Wandel. Untersuchungen zur Entwicklung geistlicher Grundherrschaften im<br />

südwestdeutschen Raum vom 9. bis 14. Jahrhundert, Göttingen 1991 (Veröffentlichungen des Max-Planck-<br />

Instituts für Geschichte, 102), in partic. pp. 47 sgg., 361 sgg., 414 sgg., 456 sgg., 557 sgg.<br />

68 K. WESOLY, Handwerke in Weinbaugebieten während des Mittel<strong>al</strong>ters - unter besonderer Berücksichtigung des<br />

schwäbischen Unterlandes, in Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 123-137; VOLK, Wirtschaft und Gesellschaft,<br />

pp. 235 sgg.; CLEMENS, Trier. Eine Weinstadt im Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 309 sgg.<br />

69 IRSIGLER, Weinstädte an der Mosel im Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 165-179.<br />

70 K. SCHULZ, Handwerksgesellen und Lohnarbeiter. Untersuchungen zur oberrheinischen und oberdeutschen Stadtgeschichte<br />

des 14. bis 17. Jahrhunderts, Sigmaringen 1985, pp. 343 sgg.; VOLK, Weinbau und Weinabsatz, pp. 86 sgg.


se, contraevano debiti presso i mercanti di vino e gli ebrei, che fino <strong>al</strong>le persecuzioni<br />

e <strong>al</strong>la loro espulsione nel tardo medioevo si erano insediati in molte delle<br />

tradizion<strong>al</strong>i zone vinicole dell’Occidente 71 . I mercanti di Colonia, ad esempio,<br />

acquistavano i vini richiesti direttamente dai viticoltori soprattutto dell’area del<br />

medio Reno e in Alsazia, occasion<strong>al</strong>mente anche della bassa Mosella e delle<br />

Fiandre, utilizzando spesso anche degli intermediari. Non era raro che cittadini<br />

benestanti possedessero vigneti anche in zone distanti <strong>d<strong>al</strong></strong> loro luogo di residenza<br />

72 . Poteva addirittura accadere che i mercanti di vino acquistassero in anticipo<br />

la vendemmia degli anni a venire, evitando in t<strong>al</strong> modo le imposte dei mercati<br />

loc<strong>al</strong>i 73 . I vini della Franconia venivano acquistati non solo dai mercanti di Colonia,<br />

ma anche da quelli di Norimberga, dagli olandesi e dai boemi 74 . In t<strong>al</strong> modo<br />

aumentò la dipendenza economica dei produttori di vino nei confronti dei mercanti,<br />

la tensione soci<strong>al</strong>e cresceva, sfociando non di rado in episodi di rivolta. Il<br />

peggioramento delle condizioni gener<strong>al</strong>i nelle zone vinicole della Germania<br />

meridion<strong>al</strong>e e occident<strong>al</strong>e a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la fine del XV secolo fu senz’<strong>al</strong>tro uno dei<br />

motivi per cui la popolazione di quelle regioni partecipò in misura notevole <strong>al</strong>la<br />

rivolta dei contadini del 1525 75 .<br />

71 G. MENTGEN, Studien zur Geschichte der Juden im mittel<strong>al</strong>terlichen Elsass, Hannover 1995 (Forschungen<br />

zur Geschichte der Juden, A/2), pp. 557 sgg.; F.J. ZIWES, Studien zur Geschichte der Juden im mittleren<br />

Rheingebiet während des hohen und späten Mittel<strong>al</strong>ters, Hannover 1995 (Forschungen zur Geschichte der<br />

Juden, A/1), pp. 40 sgg., 233 sgg.; TOCH, Die Juden im mittel<strong>al</strong>terlichen Reich,p.98.<br />

72 G. FOUQUET, Weinkonsum in gehobenen städtischen Privathaush<strong>al</strong>ten des Spätmittel<strong>al</strong>ters, in Weinproduktion<br />

und Weinkonsum im Mittel<strong>al</strong>ter (come nota 3), qui nota 127. Per la regione della Bassa Stiria, cfr. VALEN-<br />

TINITSCH, Die Bedeutung des Weins für die steirischen Städte, pp. 112 sgg.<br />

73 K. MILITZER, Wirtschaftsleben am Niederrhein im Spätmittel<strong>al</strong>ter, «Rheinische Vierteljahrsblätter», 49<br />

(1985), pp. 85 sgg.<br />

74<br />

SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia,p.76.<br />

75 VOLK, Weinbau und Weinabsatz, pp. 159 sgg. Similmente per l’Alsazia: F. RAPP, Rentabilität des Rebbaus<br />

am Beispiel elsässischer Klöster,in Weinproduktion und Weinkonsum (come nota 3); a confronto HELD, Der<br />

Weinbau in und um Jena, pp. 145 sgg.; si veda anche F. IRSIGLER, Zu den wirtschaftlichen Ursachen des<br />

Bauernkriegs von 1525/26,in Martin Luther und die Reformation in Deutschland, H<strong>al</strong>le 1988 (Schriften des<br />

Vereins für Reformationsgeschichte, 194), pp. 95-120; inoltre, anche Martin Luther und die Reformation<br />

in Deutschland. Vorträge zur Ausstellung im Germanischen Nation<strong>al</strong>museum Nürnberg 1983, a cura di K.<br />

Löcher, Nürnberg 1988, pp. 51-60; F. IRSIGLER, Der Junker und die Bauern. Zur Krise adeliger Herrschaft<br />

und bäuerlicher Wirtschaft um 1500 am Beispiel des Kraichgaudorfes Menzingen, in Region und Reich. Zur Einbeziehung<br />

des Neckar-Raumes in das Karolinger-Reich und zu ihren Par<strong>al</strong>lelen und Folgen, Stadtarchiv Heilbronn<br />

1992 (Quellen und Forschungen zur Geschichte der Stadt Heilbronn, 1), pp. 255-270.<br />

109


110<br />

Tecniche di vinificazione<br />

Complessivamente non vanno sopravv<strong>al</strong>utati i progressi compiuti nella coltura<br />

della vite e nella vinificazione. Oltretutto è difficile determinare in che misura le<br />

opere fondament<strong>al</strong>i (Pier de’ Crescenzi, erbari e trattati sull’arte dell’innesto) fossero<br />

recepite a livello pratico 76 . La richiesta da parte dei mercanti e la concorrenza<br />

esercitata dai vini provenienti da <strong>al</strong>tre zone spronarono comunque i produttori a<br />

migliorare la qu<strong>al</strong>ità. Le innovazioni relative ai vitigni di cui troviamo traccia nelle<br />

fonti non oltrepassarono probabilmente i confini delle vigne dei grandi produttori.<br />

Obblighi contenuti nei contratti di locazione ed anche ordinamenti cittadini e<br />

signorili relativi <strong>al</strong>la viticoltura rivelano gli sforzi compiuti per migliorare qu<strong>al</strong>itativamente<br />

la cura della vite. Non si può stabilire con sicurezza se in gener<strong>al</strong>e vi fu<br />

un aumento delle fasi di produzione per quanto riguarda la coltivazione della vite.<br />

Tanto più visibili sono le trasformazioni delle tecniche di vinificazione. In numerose<br />

zone vinicole, a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> XIV secolo, furono prodotti vini <strong>d<strong>al</strong></strong> sapore relativamente<br />

amabile (come i cosiddetti vini infuocati) grazie a procedimenti specifici 77 .<br />

Lo zolfo necessario per la conservazione del vino fu impiegato in misura<br />

maggiore nelle cantine <strong>al</strong> più tardi <strong>d<strong>al</strong></strong> XV secolo in poi; il suo impiego fu controverso<br />

e regolamentato con diverse ordinanze. Si conoscevano numerosi procedimenti<br />

nella produzione vinicola – <strong>al</strong>cuni consentiti, <strong>al</strong>tri vietati –, tra essi<br />

anche quelli che permettevano di correggere qu<strong>al</strong>che spiacevole variazione del<br />

gusto e del colore 78 . L’aggiunta di miele e spezie era particolarmente apprezzata,<br />

76<br />

STAAB, Agrarwissenschaft und Grundherrschaft, pp. 8 sgg.; S. KIEWISCH, Weinbehandlung in mittel<strong>al</strong>terlichen<br />

Fachprosatexten, in Weinproduktion und Weinkonsum (come nota 3); R. WUNDERER, Weinbau und Weinbereitung<br />

im Mittel<strong>al</strong>ter. Unter besonderer Berücksichtigung der mittelhochdeutschen Pelz- und Weinbücher, Bern et<br />

<strong>al</strong>. 2001 (Wiener Arbeiten zur Germanischen Altertumskunde und Philologie, 37).<br />

77 M. MATHEUS, Gefeuerter Wein. Zur “Weinverbesserung” in <strong>al</strong>ter Zeit, «Jahrbuch des Kreises Bernkastel-<br />

Wittlich» (1985) pp. 361-373; ID., P. MAJERUS, Wie man in Kellern den Wein feuret, ibid., pp. 374-376; ID.,<br />

“Gefeuerter Wein”: Un procédé de vinification très particulier au Moyen Age,in Le vigneron, la viticulture et la vinification,<br />

pp. 259-266; H.R. ESCHNAUER, Feuerwein am Rhein, Wiesbaden 1995 (Schriften zur Weingeschichte,<br />

112).<br />

78 B. PFERSCHY-MALECZEK, Weinfälschung im Mittel<strong>al</strong>ter,in Fälschungen im Mittel<strong>al</strong>ter. Internation<strong>al</strong>er Kongreß<br />

der Monumenta Germaniae Historica München, 16.-19. September 1986, Hannover 1988 (MGH Schriften<br />

33,V), pp. 669-702; EAD., Weinfälschung und Weinbehandlung in Franken und Schwaben im Mittel<strong>al</strong>ter, in<br />

Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 139-178; B. FUGE, Weinbehandlung und Weinverfälschung in Mittel<strong>al</strong>ter und<br />

früher Neuzeit: Technik, Verbreitung und region<strong>al</strong>e Rechtspraxis,in Landesgeschichte <strong>al</strong>s multidisziplinäre Wissenschaft.<br />

Festgabe für Franz Irsigler zum 60. Geburtstag, a cura di D. Ebeling et <strong>al</strong>., Trier 2001, pp. 479-522.


mentre quella di pepe e miele ed un successivo risc<strong>al</strong>damento della bevanda così<br />

ottenuta doveva probabilmente assomigliare molto a quello che oggi si definisce<br />

vin brulé. Nonostante ciò l’usanza di bere vini puri e assolutamente in<strong>al</strong>terati non<br />

era affatto sconosciuta, <strong>al</strong> contrario, nelle fonti viene menzionata esplicitamente<br />

varie volte 79 . Nella seconda metà del XV secolo, sullo sfondo di diversi scan<strong>d<strong>al</strong></strong>i<br />

relativi <strong>al</strong>la sofisticazione del vino, non solo le città ma anche signori e confederazioni<br />

region<strong>al</strong>i si impegnarono a vietare t<strong>al</strong>i pratiche dannose per la vinificazione<br />

e per il commercio vinicolo, mettendo a freno soprattutto quelle pratiche<br />

da cui conseguivano danni economici o che mettevano persino a repentaglio la<br />

s<strong>al</strong>ute o la vita delle persone. Si intendeva quindi proteggere sia il commercio dei<br />

vini di qu<strong>al</strong>ità ineccepibile e gli introiti che ne derivavano, che garantire la tutela<br />

dei consumatori. Nella dieta di Friburgo del 1498, infine, furono emanate delle<br />

norme gener<strong>al</strong>i contro la sofisticazione del vino che, <strong>al</strong>meno per quel periodo,<br />

furono definitive in materia 80 .<br />

Commercio e tipologia del vino<br />

Con l’incremento demografico iniziato in parte già prima del Mille, anche il<br />

commercio del vino subì una notevole crescita. D<strong>al</strong> XII e XIII secolo in poi,<br />

lungo il Reno ed i suoi affluenti, i cistercensi e le comunità dell’ordine teutonico<br />

produssero vino in misura notevole creando particolari reti commerci<strong>al</strong>i per la<br />

commerci<strong>al</strong>izzazione dei propri prodotti. Così ad esempio la commenda di<br />

Coblenza dell’ordine teutonico si era speci<strong>al</strong>izzata nel commercio vinicolo. Grazie<br />

a questo esempio si è potuto mostrare in maniera efficace come e in che<br />

misura le navi dell’Ordine riuscissero a vendere con buoni profitti il vino prodotto<br />

in eccedenza <strong>al</strong> proprio fabbisogno sui mercati in cui la richiesta era più<br />

forte, come a Colonia o nelle città delle Fiandre e del Brabante. Privilegi dogan<strong>al</strong>i<br />

giunti fino a noi permettono di seguire le tracce di t<strong>al</strong>e commercio discendendo<br />

il Reno fino <strong>al</strong>la foce per ris<strong>al</strong>ire poi il fiume Schelda fino ad Anversa ed<br />

79 L. CLEMENS,M.MATHEUS, Weinfälschung im Mittel<strong>al</strong>ter und zu Beginn der Frühen Neuzeit,in Unrecht und<br />

Recht. Krimin<strong>al</strong>ität und Gesellschaft im Wandel von 1500-2000, Koblenz 2002 (Veröffentlichungen der<br />

Landesarchivverw<strong>al</strong>tung Rheinland-Pf<strong>al</strong>z, 98), pp. 570-581.<br />

80 D. SCHELER, Die fränkische Vorgeschichte des ersten Reichsgesetzes gegen Weinfälschung, «Bericht des Historischen<br />

Vereins Bamberg», 120 (1984), pp. 489-504.<br />

111


112<br />

oltre fino a Mechelen 81 . Nel XIV secolo questo commercio approfittò del fatto<br />

che, con la diffusione dell’argano a ruota che permetteva di sollevare pesi maggiori,<br />

le dimensioni delle botti cominciarono ad orientarsi su quei trait d’union che<br />

caratterizzavano il trasporto su terra e quello su acqua. Ciò portò ad una certa<br />

unificazione nelle dimensioni dei barili che, a sua volta, permise una razion<strong>al</strong>izzazione<br />

nell’ambito dei trasporti 82 . Le navi dei cistercensi 83 e dell’ordine teutonico<br />

profittavano inoltre del fatto di essere <strong>al</strong>meno in parte esenti da quell’insieme<br />

di imposte e di dazi che invece gravavano sempre più pesantemente sui mercanti<br />

e sui consumatori di vino. Per gli insediamenti più grandi situati nelle zone<br />

vinicole queste tasse rappresentavano di norma una delle entrate di maggiore<br />

entità per il bilancio cittadino e in origine furono impiegate soprattutto per<br />

finanziare la costruzione della cerchia delle mura. Perfino in città situate ad una<br />

certa distanza <strong>d<strong>al</strong></strong>le zone vinicole le entrate provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>le tasse di consumo<br />

sul vino potevano ammontare nel XIV e XV secolo anche <strong>al</strong> 30% e fino <strong>al</strong> 60%<br />

del tot<strong>al</strong>e delle proprie entrate 84 .<br />

Colonia, la “casa del vino della lega Anseatica”, per quanto riguarda il commercio<br />

del vino superava tutti gli <strong>al</strong>tri centri di esportazione e di commerci<strong>al</strong>izzazione<br />

lungo il corso del Reno 85 . La città aveva acquisito il suo ruolo predominante<br />

81 ARNOLD, Weinbau und Weinhandel (come nota 28); K. VAN EICKELS, Die Deutschordensb<strong>al</strong>lei Koblenz und<br />

ihre wirtschaftliche Entwicklung im Spämittel<strong>al</strong>ter, Marburg 1995 (Quellen und Studien zur Geschichte des<br />

Deutschen Ordens, 52), in partic. pp. 127 sgg.; ID., Weinbau und Weinhandel der Deutschordensb<strong>al</strong>lei<br />

Koblenz im Spätmittel<strong>al</strong>ter,in Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 293-304.<br />

82 M. MATHEUS, Hafenkrane. Zur Geschichte einer mittel<strong>al</strong>terlichen Maschine am Rhein und seinen Nebenflüssen<br />

von Straßburg bis Düsseldorf, Trier 1985 (Trierer Historische Forschungen, 9); ID., Hafenkrane,in Europäische<br />

Technik im Mittel<strong>al</strong>ter 800-1200. Tradition-Innovation, a cura di U. Lindgren, Berlin 1996, pp. 345-348.<br />

83 Sui monasteri cistercensi e la presenza dei loro vini sul mercato vinicolo di Colonia, cfr. K. MILIT-<br />

ZER, Handel und Vertrieb rheinischer und elsässischer Weine über Köln im Spätmittel<strong>al</strong>ter, in Weinbau, Weinhandel<br />

und Weinkultur, pp. 165-185, in partic. pp. 176 sg.; J. STAAB, Die Zisterzienser und der Wein, Wiesbaden<br />

1987 (Schriften zur Weingeschichte, 81).<br />

84 M. PAULY, Luxemburg im späten Mittel<strong>al</strong>ter, II. Weinhandel und Weinkonsum, Luxemburg 1994 (Publications<br />

de la Section historique de l`Institut grand-duc<strong>al</strong>, 109), pp. 38 sgg.<br />

85<br />

VAN UYTVEN, Die Bedeutung des Kölner Weinmarktes, pp. 234-252; IRSIGLER, Die wirtschaftliche Stellung<br />

der Stadt Köln (come nota 46); W. HERBORN,K.MILITZER, Der Kölner Weinhandel. Seine sozi<strong>al</strong>en und politischen<br />

Auswirkungen im ausgehenden 14. Jahrhundert, Sigmaringen 1980 (Vorträge und Forschungen Sonderband,<br />

25); MILITZER, Handel und Vertrieb (come nota 83); G. HIRSCHFELDER, Die Kölner Handelsbeziehungen<br />

im Spätmittel<strong>al</strong>ter, Köln 1994 (Veröffentlichungen des Kölnischen Stadtmuseums, 10), in<br />

partic. pp. 175 sgg., 267 sgg., 395 sgg.; K. OSSENDORF, “Sancta Colonia” <strong>al</strong>s Weinhaus der Hanse, 2 voll.,<br />

Wiesbaden 1996 (Schriften zur Weingeschichte, 116/118).


nel commercio del vino non da ultimo grazie <strong>al</strong> diritto di scarico, trasbordo e sc<strong>al</strong>o<br />

di cui profittava anche il commercio vinicolo di <strong>al</strong>tri centri come Lubecca,<br />

Amburgo, Brema e Vienna. Da Colonia partivano i prodotti di molte aree vinicole<br />

situate lungo quel fondament<strong>al</strong>e asse fluvi<strong>al</strong>e ed i suoi affluenti, tutti sotto la<br />

denominazione comune di vini del Reno e diretti verso l’area anseatica, l’Inghilterra<br />

e la Scandinavia, oppure verso le zone urbanizzate dell’Europa nord-occident<strong>al</strong>e.<br />

Nella regione anseatica, dove il vino era una bevanda di lusso già per il semplice<br />

fatto che i costi di trasporto facevano s<strong>al</strong>ire di molto i prezzi 86 , le cantine municip<strong>al</strong>i,<br />

controllate <strong>d<strong>al</strong></strong> governo cittadino, svolgevano un ruolo importante per il<br />

commercio ed il consumo di vino. Il vino che vi era conservato era destinato a servire<br />

non soltanto come genere voluttuario, ma anche come bevanda d’onore per<br />

occasioni di rappresentanza e in particolare per la cura dei rapporti diplomatici 87 .<br />

I princip<strong>al</strong>i mercati per la commerci<strong>al</strong>izzazione del vino prodotto a Colonia<br />

furono i Paesi Bassi e le regioni b<strong>al</strong>tiche, così come la Vestf<strong>al</strong>ia e la Germania<br />

settentrion<strong>al</strong>e. Mentre nei secoli centr<strong>al</strong>i del medioevo il vino rappresentava il<br />

prodotto più importante tra quelli commerciati dai mercanti di Colonia in<br />

Inghilterra, la sua importanza andò diminuendo a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> XIV secolo. Pur<br />

essendovi sulla piazza di Colonia anche un commercio di vino <strong>al</strong>saziano, le cui<br />

dimensioni però non si possono determinare con esattezza sulla base delle fonti,<br />

non vi è motivo di mettere in dubbio la dominanza dei vini del Reno. Più a v<strong>al</strong>le<br />

poi, nelle regioni del basso Reno come anche nell’area economica urbanizzata<br />

delle Fiandre e del Brabante, la differenza tra il vino del Reno ed il vino <strong>al</strong>saziano<br />

diveniva pressoché irrilevante, essendo entrambe le tipologie riunite sotto<br />

la denominazione di “vini del Reno”. A Colonia, come in <strong>al</strong>tre importanti città<br />

commerci<strong>al</strong>i, il commercio del vino, sottoposto a controlli minuziosi 88 , era per la<br />

86 H. AMMANN, Konrad von Weinsbergs Geschäft mit Elsässer Wein nach Lübeck im Jahr 1426. Untersuchungen<br />

zur Wirtschaftsgeschichte des Oberrheins, «Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins», 108 (1960), pp.<br />

466-498.<br />

87 E. SPIES-HANKAMMER, Der Lübecker Ratsweinkeller und seine Aufgaben im innerstädtischen Weinhandel von den<br />

Anfängen bis ins 17. Jahrhundert mit einer Edition der Ratsweinkellerordnung von “1504”,in Lübecker Weinhandel.<br />

Kultur- und wirtschaftsgeschichtliche Studien, a cura di E. Spies-Hankammer, Lübeck 1985 (Veröffentlichungen<br />

des Senats der Hansestadt Lübeck, Amt für Kultur, Serie B, 6), pp. 111-148; R. POSTEL, Das “Heiligtum”<br />

im Ratskeller. Die Hansestädte und der Wein, in Stadt und Wein, pp. 147-163; A. SANDER, Städtische<br />

Weinkeller in Norddeutschland im Spätmittel<strong>al</strong>ter,in Weinproduktion und Weinkonsum (come nota 3).<br />

88 E. PITZ, Schrift- und Aktenwesen der städtischen Verw<strong>al</strong>tung im Spätmittel<strong>al</strong>ter. Köln, Nürnberg, Lübeck,<br />

Köln 1959 (Mitteilungen aus dem Stadtarchiv Köln, 45), pp. 102 sgg.<br />

113


114<br />

maggior parte nelle mani di grandi proprietari fondiari e commercianti che<br />

disponevano di ingenti capit<strong>al</strong>i, i qu<strong>al</strong>i <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà del XIV secolo in poi spesso si<br />

unirono in società commerci<strong>al</strong>i.<br />

Anche le diverse tipologie di vino prodotte in Alsazia erano riunite sotto<br />

un’unica denominazione per il commercio a grande distanza. Questi vini bianchi<br />

venivano trasportati in grandi quantità sul fiume Jll fino a Strasburgo 89 e da lì sul<br />

Reno verso nord. Per la commerci<strong>al</strong>izzazione dei vini <strong>al</strong>saziani nell’Europa<br />

nord-orient<strong>al</strong>e 90 le fiere di Francoforte con la loro funzione di centri di scambio<br />

giocarono un ruolo importante 91 . Anche a Colmar – nel XV secolo la città più<br />

importante dell’<strong>al</strong>ta Alsazia – si trattavano rispettabili quantità di vino. Da lì il<br />

vino <strong>al</strong>saziano veniva esportato tra l’<strong>al</strong>tro anche verso le regioni di lingua tedesca<br />

della Svizzera 92 .<br />

Nella Germania meridion<strong>al</strong>e i vini più importanti da esportazione erano riuniti<br />

sotto la denominazione di vini della Franconia, vini del Neckar ed il cosiddetto<br />

Osterwein 93 . Il maggiore acquirente dei vini della Franconia, commerciati<br />

fino <strong>al</strong>la metà del XIV secolo sotto il nome di vino di Würzburg, era la città di<br />

Norimberga. Da lì il vino veniva distribuito in <strong>al</strong>tre regioni, per esempio a Lipsia,<br />

ad Augusta passando per Nördlingen e nella bassa Baviera passando per Eichstätt<br />

e Ratisbona. Esso era però anche presente nelle fiere di Francoforte e nella<br />

Germania settentrion<strong>al</strong>e a ovest dell’Oder. I vini del Neckar erano commerci<strong>al</strong>izzati<br />

soprattutto nell’<strong>al</strong>ta Baviera e detenevano un ruolo importante sui mercati<br />

di Augusta, Nördlingen, e Ulm. Come Osterwein erano classificati soprattutto<br />

i vini dei dintorni di Vienna 94 , della Wachau e della v<strong>al</strong>le di Krems, situata ai<br />

89 E. BENDER, Weinhandel und Wirtsgewerbe im mittel<strong>al</strong>terlichen Straßburg, «Beiträge zur Landes- und Volkskunde<br />

von Elsaß-Lothringen und den angrenzenden Gebieten», 48 (1914); BARTH, Der Rebbau des<br />

Elsaß und die Absatzgebiete seiner Weine, pp. 336 sgg.<br />

90 H. AMMANN, Von der Wirtschaftsgeltung des Elsaß im Mittel<strong>al</strong>ter, Lahr 1955 (anche in: Alemannisches<br />

Jahrbuch 1955, pp. 1-112).<br />

91 M. ROTHMANN, Die Frankfurter Messen im Mittel<strong>al</strong>ter, Stuttgart 1998 (Frankfurter Historische<br />

Abhandlungen, 40), in partic. pp. 128 sgg., 167 sgg.; ID., Die Frankfurter Messe <strong>al</strong>s Weinhandelsplatz im<br />

Mittel<strong>al</strong>ter, in Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 365-419.<br />

92 L. SITTLER, Le commerce du vin de Colmar jusqu’en 1789, «Revue d’Alsace», 89 (1949), pp. 37-62; ID.,<br />

La viticulture et le vin de Colmar à travers les siècles, Colmar 1956.<br />

93 Su quanto segue si veda in particolare SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia (come nota 46).<br />

94 R. PERGER, Weinbau und Weinhandel in Wien im Mittel<strong>al</strong>ter und in der frühen Neuzeit, in Stadt und Wein,<br />

pp. 207-219.


confini della Wachau. Essi venivano trasportati in grandi quantità sul Danubio<br />

verso Ratisbona e da lì proseguivano per Norimberga 95 .L’Osterwein veniva venduto<br />

anche nella Germania orient<strong>al</strong>e e settentrion<strong>al</strong>e.<br />

Accanto a queste varietà destinate <strong>al</strong>l’esportazione a largo raggio, incontriamo<br />

nel tardo medioevo anche vini di Esslingen e Heilbronn, Pfeddersheim e<br />

Spira, Überlingen e Würzburg, per citare solo pochi esempi 96 . Queste denominazioni<br />

permettono di identificare le città corrispondenti come centri di produzione<br />

e di commercio vinicolo. T<strong>al</strong>i centri di norma corrispondono – e questo<br />

finora non è stato oggetto di attenzione e tanto meno di studi sistematici – a quei<br />

criteri che secondo gli studiosi fanno di una città un centro vinicolo 97 . Caratteristiche<br />

sono la loro funzione di capoluogo di una zona vinicola, la partecipazione<br />

di ampi strati della popolazione nella produzione vinicola, di gruppi profession<strong>al</strong>i<br />

differenziati <strong>al</strong>l’interno di forme di organizzazione consorzi<strong>al</strong>e, la concentrazione<br />

di luoghi di produzione (spesso costosi) come ad esempio gli<br />

impianti di torchiatura, ed infine un mercato vinicolo significativo dotato della<br />

necessaria capacità di stoccaggio e di buoni collegamenti. Il grado di diffusione<br />

e di popolarità di t<strong>al</strong>i vini era assai differente e subiva inoltre frequenti oscillazioni.<br />

Le denominazioni dei vini forniscono in ogni caso indicazioni preziose sul<br />

raggio d’azione e sui rapporti commerci<strong>al</strong>i delle città produttrici e, di conseguenza,<br />

anche sugli orizzonti di comunicazione. Si può asserire comunque che<br />

più un vino veniva venduto lontano, le probabilità che diverse tipologie venissero<br />

commerci<strong>al</strong>izzate sotto un’unica denominazione erano maggiori.<br />

Oltre ai vini menzionati finora, un ruolo importante spettava anche ai vini di<br />

importazione, in particolare a quelli provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Europa sud-occident<strong>al</strong>e.<br />

Attraverso le maggiori rotte commerci<strong>al</strong>i di terra e di acqua si importavano i vini<br />

ad <strong>al</strong>ta gradazione <strong>al</strong>colica prodotti nel bacino mediterraneo, che troviamo, riuniti<br />

sotto le denominazioni M<strong>al</strong>vasia, Romania, Moscato e Bastert in tutte le città<br />

95 H. DACHS, Zur Geschichte des Weinhandels auf der Donau von Ulm bis Regensburg, «Verhandlungen des<br />

Historischen Vereins von Oberpf<strong>al</strong>z und Regensburg», 83 (1933), pp. 36-96; A. HOFFMANN, Die<br />

Weinfuhren auf der österreichischen Donau in den Jahren 1480-1487,in Aus Verfassungs- und Landesgeschichte,<br />

Festschrift Theodor Mayer, 2, Konstanz 1955, pp. 329-345.<br />

96 Cfr. SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia, consultando l’indice. Si veda ad esempio per il vino di Preßburg<br />

BADURÍK, Westslowakische Städte und der Weinbau,p.90.<br />

97 Per le caratteristiche di un centro vinicolo, cfr. CLEMENS, Trier. Eine Weinstadt, pp. 413 sg.; si veda<br />

anche IRSIGLER, Weinstädte, pp. 165 sgg., che annovera tra questi criteri anche il possesso di beni<br />

distanti (che secondo me non rappresenta tuttavia una conditio sine qua non).<br />

115


116<br />

situate lungo le vie commerci<strong>al</strong>i 98 . Si trattava di vini costosi, venduti in piccole<br />

quantità. I vini francesi furono trasportati insieme <strong>al</strong> s<strong>al</strong>e di Bayen in misura crescente<br />

a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la seconda metà del XIV secolo da navi della Lega Anseatica<br />

verso le regioni b<strong>al</strong>tiche 99 . Vini delle regioni dell’It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e erano trasportati<br />

<strong>al</strong> di là delle Alpi <strong>al</strong> più tardi nel XIII secolo.<br />

Nel sud della Germania erano molto diffusi i vini dell’Alto Adige. In questa<br />

regione numerosi signori laici e istituzioni ecclesiastiche possedevano sia i vigneti<br />

che i mezzi di trasporto per esportare il proprio vino 100 . A Bolzano, la piazza<br />

commerci<strong>al</strong>e dell’Alto Adige, i mercanti di Monaco, Augusta, Ratisbona, Praga e<br />

Lindau acquistavano intere forniture di vino. 101 I mercanti di Ratisbona e Monaco<br />

attraversarono in gruppi le Alpi per rifornirsi in modo particolare sia di vini<br />

prodotti nella zona di lingua tedesca della v<strong>al</strong>le dell’Adige, che di quelli della<br />

zona di lingua it<strong>al</strong>iana, che essi chiamavano Welsch 102 . Il Rainf<strong>al</strong>, una qu<strong>al</strong>ità di<br />

vino nominata spesso nelle fonti trans<strong>al</strong>pine, probabilmente proveniva <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Istria<br />

ma anche da <strong>al</strong>tre zone vinicole it<strong>al</strong>iane 103 . A Monaco già nella prima metà del<br />

XIV secolo si distingueva tra le qu<strong>al</strong>ità Rainf<strong>al</strong>, Bassano e Welsch. In fonti del<br />

XV secolo il Rainf<strong>al</strong> ed i vini di Bassano vengono spesso menzionati a parte,<br />

così come, più raramente, anche i vini friulani e del trevigiano 104 . Manca però<br />

fino ad oggi un’an<strong>al</strong>isi sistematica dei vini originari dell’It<strong>al</strong>ia commerciati nelle<br />

regioni trans<strong>al</strong>pine.<br />

98 SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia, in partic. pp. 51 sgg., 61 sgg., 95 sgg.<br />

99 Ultimamente F. IRSIGLER, Wirtschaft, Wirtschaftsräume, Kontaktzonen, in Deutschland und der Westen<br />

Europas im Mittel<strong>al</strong>ter, a cura di J. Ehlers, Stuttgart 2002 (Vorträge und Forschungen, 56), pp. 379-405,<br />

in partic. pp. 380 e 390 sg.<br />

100 G. SCHREIBER, Deutsche Weingeschichte. Der Wein in Volksleben, Kult und Wirtschaft, Köln 1980, p. 111;<br />

WEBER, Nah- und Fernbesitz (come nota 14).<br />

101 NÖSSING, Die Bedeutung der Tiroler Weine im Mittel<strong>al</strong>ter, in partic. pp. 199 sgg.; ID., Bozens Weinhandel<br />

im Mittel<strong>al</strong>ter und in der Neuzeit, in Stadt und Wein, pp. 181-192.<br />

102 Cfr. SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia, in partic. pp. 27 sg., con il suggerimento di distinguere, <strong>al</strong>l’interno<br />

della denominazione “Welsch”, un significato più ristretto e uno più largo.<br />

103 Ibid.,p.27.<br />

104 Ibid., pp. 56 sg.; e le indicazioni offerte da G.M. Varanini in questo volume.


Consumo e sapore del vino<br />

Nella regione che è oggetto di questo studio (<strong>al</strong>l’interno delle zone vinicole densamente<br />

coltivate e previa una sufficiente quantità di scorte) il vino, pur rappresentando<br />

un genere <strong>al</strong>imentare di prima necessità, <strong>al</strong> di fuori di t<strong>al</strong>i territori era<br />

invece un prodotto riservato <strong>al</strong>la tavola degli strati soci<strong>al</strong>i più elevati. Anche nelle<br />

stesse aree vinicole molti consumatori dovevano spesso accontentarsi di vini di<br />

qu<strong>al</strong>ità inferiore: vini di seconda o terza spremitura oppure ottenuti spremendo la<br />

feccia dell’uva. Se i vini, nonostante i prezzi vantaggiosi per i consumatori ottenuti<br />

grazie <strong>al</strong>la regolamentazione imposta <strong>d<strong>al</strong></strong>le autorità, divenivano troppo cari,<br />

si ripiegava di frequente su bevande <strong>al</strong>ternative di poco prezzo. Nelle famiglie dell’<strong>al</strong>ta<br />

borghesia residenti nelle grandi città della Germania settentrion<strong>al</strong>e nel tardo<br />

medioevo si è c<strong>al</strong>colato un consumo giorn<strong>al</strong>iero pro capite di 1,3 litri di vino 105 .<br />

Queste stime non vanno però applicate <strong>al</strong>l’intera popolazione. Si deve inoltre<br />

tenere conto del fatto che si trattava di vini con una modesta gradazione <strong>al</strong>colica.<br />

Le pretese relative a qu<strong>al</strong>ità e quantità erano, confrontandole con quelle attu<strong>al</strong>i,<br />

piuttosto ridotte; tuttavia, i consumatori più esperti sapevano distinguere i vini<br />

buoni da quelli cattivi. Essendo le capacità di stoccaggio piuttosto ridotte, i vini<br />

delle zone vinicole trans<strong>al</strong>pine giungevano sul mercato di regola poco dopo la<br />

vendemmia, e si bevevano per lo più giovani. In molti casi il mosto appena spremuto<br />

veniva portato <strong>d<strong>al</strong></strong>le zone di produzione <strong>al</strong>le cantine dei proprietari e dei<br />

mercanti. È tuttora impossibile dire se <strong>al</strong>l’epoca si distinguesse tra il vino frensch<br />

(probabilmente di qu<strong>al</strong>ità superiore) ed il vino chiamato heunisch 106 .<br />

Sui mercati in cui la richiesta era maggiore, ad esempio quelli del Brabante e<br />

dei Paesi Bassi, troviamo nel tardo medioevo quattro tipi di vino che si distinguevano<br />

nettamente anche nel prezzo: in cima <strong>al</strong>la graduatoria si trovavano i vini<br />

meridion<strong>al</strong>i ad <strong>al</strong>ta gradazione <strong>al</strong>colica e più facilmente conservabili e trasportabili.<br />

Essi raggiungevano i territori settentrion<strong>al</strong>i in quantità crescente dopo che si<br />

erano intensificati i rapporti commerci<strong>al</strong>i con l’area mediterranea, dove le zone di<br />

produzione si erano espanse in conseguenza <strong>al</strong>la maggiore richiesta. Essi erano<br />

105 Cfr. FOUQUET, Weinkonsum in gehobenen städtischen Privathaush<strong>al</strong>ten des Spätmittel<strong>al</strong>ters (come nota 72),<br />

con numerosi rimandi; M. PAULY, Luxemburg <strong>al</strong>s Zentrum für Weinhandel und Weinkonsum in der zweiten<br />

Hälfte des 15. Jahrhunderts,in Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 199-224, in partic. pp. 213 sgg.<br />

106 Di recente SCHUMANN, Rebsorten und Weinarten im mittel<strong>al</strong>terlichen Deutschland, pp. 222 sgg.; SPRAN-<br />

DEL, Von M<strong>al</strong>vasia, pp. 38 sg.<br />

117


118<br />

annoverati, accanto a determinate qu<strong>al</strong>ità di vini speziati (ad esempio il Claret ed<br />

il Lautertranck detto anche Luttertranck 107 ), tra quei prodotti fuori <strong>d<strong>al</strong></strong> comune che<br />

i consumatori facoltosi – che in questo modo ribadivano anche la loro elevata<br />

posizione soci<strong>al</strong>e – servivano ai propri ospiti di riguardo in occasioni particolari.<br />

Al secondo posto troviamo i vini del Reno e del Beaune, come venivano gener<strong>al</strong>mente<br />

chiamati i vini delle zone di produzione distribuite lungo il corso del<br />

Reno e in Borgogna 108 . Gli <strong>al</strong>tri vini francesi di cui si serba il ricordo erano in particolare<br />

vini provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>la costa sud-occident<strong>al</strong>e della Francia. I vini più a<br />

buon mercato erano quelli loc<strong>al</strong>i provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>le zone di produzione brabantine<br />

109 . Pur apprezzando anche i buoni vini rossi della regione del Beaune, nel tardo<br />

medioevo i consumatori preferivano i vini bianchi 110 . Per spiegare le notevoli<br />

differenze di prezzo non basta nominare i relativi costi di trasporto, devono<br />

essere considerati infatti anche i diversi criteri di qu<strong>al</strong>ità. E se nel medioevo il<br />

vino non veniva distinto in base <strong>al</strong>le annate, si può tuttavia constatare tra i conoscitori<br />

di vino del tardo medioevo una distinzione significativa a seconda della<br />

categoria di qu<strong>al</strong>ità e della tipologia 111 . Così ad esempio il libro dei conti di Anton<br />

Tucher, un patrizio di Norimberga vissuto agli inizi del XVI secolo, contiene una<br />

lista di venti vini diversi 112 . D<strong>al</strong> XV secolo in poi l’interesse per le diverse qu<strong>al</strong>ità<br />

di vino sembra aumentare, e con esso la necessità di utilizzare denominazioni<br />

più particolareggiate di quelle molto gener<strong>al</strong>i usate fino ad <strong>al</strong>lora come appunto<br />

quella di vino del Reno 113 .<br />

107 H. KREISKOTT, Mittel<strong>al</strong>terliche Kräuter- und Arzneiweine und ihre Wirkungen,in Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter,<br />

pp. 179-191; SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia, p. 20; anche G. Archetti, in questo volume per gli usi<br />

monastici attestati nelle consuetudini.<br />

108 R. VAN UYTVEN, Der Geschmack am Wein im Mittel<strong>al</strong>ter,in Weinproduktion und Weinkonsum im Mittel<strong>al</strong>ter<br />

(come nota 3); J. RICHARD, Burgunds Weine im Mittel<strong>al</strong>ter,in Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 205-219.<br />

Sulla concorrenza delle diverse tipologie di vino su <strong>al</strong>tri mercati, cfr. SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia, in partic.<br />

pp. 87 sgg.<br />

109 Cfr. SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia, seguendo l’indice. Qui si trovano anche numerosi esempi relativi ad<br />

<strong>al</strong>tre regioni.<br />

110<br />

FOUQUET, Weinkonsum in gehobenen städtischen Privathaush<strong>al</strong>ten des Spätmittel<strong>al</strong>ters, nota 168 sgg.<br />

111 SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia, in partic. pp. 87 sgg.; VAN UYTVEN, Der Geschmack am Wein (come nota 108).<br />

112<br />

SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia, p.21;FOUQUET, Weinkonsum in gehobenen städtischen Privathaush<strong>al</strong>ten des<br />

Spätmittel<strong>al</strong>ters (come nota 72).<br />

113 SPRANDEL, Von M<strong>al</strong>vasia, pp. 29 sgg.


Per quanto riguarda invece l’invecchiamento del vino, Friedrich von Bassermann-Jordan<br />

era ancora del parere che nel medioevo il vino vecchio fosse gener<strong>al</strong>mente<br />

tenuto in maggiore considerazione del vino giovane, mentre oggi questa<br />

opinione non viene più sostenuta seriamente 114 . «Dopo il crollo dell’impero<br />

romano la predilezione per il vino invecchiato scomparve per un millennio. I vini<br />

acquosi e a bassa gradazione <strong>al</strong>colica dell’Europa settentrion<strong>al</strong>e si mantenevano<br />

solo per <strong>al</strong>cuni mesi, diventando poi aspri e imbevibili. Gli unici a poter essere<br />

consumati a distanza di tempo erano i vini dolci e ad <strong>al</strong>ta gradazione <strong>al</strong>colica provenienti<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’area mediterranea» 115 . Nel frattempo si è invece affermata l’opinione<br />

«che nel medioevo si bevesse solo vino giovane e che il ‘vino vecchio’ menzionato<br />

occasion<strong>al</strong>mente <strong>al</strong>tro non fosse che il vino della penultima annata» 116 . Tuttavia,<br />

nei testi di <strong>al</strong>cuni autori mediev<strong>al</strong>i troviamo riferimenti relativi <strong>al</strong>l’apprezzamento<br />

di cui godevano i vini invecchiati. Così il Segré des Segrez (“Segreto dei<br />

segreti”), un’opera redatta intorno <strong>al</strong> 1300 basata su un testo latino e di chiara<br />

impostazione classica, distingue tra vini giovani (di un anno) e vini medi e vecchi<br />

(questi ultimi dai quattro ai sette anni). Pier de’ Crescenzi, autore di una significativa<br />

opera di agronomia mediev<strong>al</strong>e, l’Opus rur<strong>al</strong>ium commodorum, molto diffusa e<br />

tradotta in diverse lingue europee, nomina espressamente vini invecchiati dai<br />

quattro ai sette anni. Si potrebbero riportare ancora molti <strong>al</strong>tri esempi 117 . Non è<br />

certo tuttavia se queste affermazioni si riferiscono a vini delle regioni trans<strong>al</strong>pine<br />

o in particolare a vini bianchi, giacché molti testi fanno riferimento a modelli antichi.<br />

Inoltre t<strong>al</strong>i affermazioni probabilmente si riferiscono più che <strong>al</strong>tro a vini ad<br />

<strong>al</strong>ta gradazione <strong>al</strong>colica provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>le zone vinicole mediterranee 118 .<br />

Purtroppo anche <strong>al</strong>tre fonti mediev<strong>al</strong>i significative come per esempio inventari<br />

di cantine, fatture, tariffe o bollette dei dazi, non danno che esigue informazioni<br />

sull’età dei vini. Pur trovandosi non di rado la distinzione tra vino nuovo e<br />

114<br />

VON BASSERMANN-JORDAN, Geschichte des Weinbaus, 1, pp. 471 sg.: «Anche nel medioevo si restò<br />

fedeli in gener<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la predilezione per il vino rosso».<br />

115 J. ROBINSON, Das Oxford Weinlexikon, Bern und Stuttgart 1995, pp. 38 sg.<br />

116 VAN UYTVEN, Der Geschmack am Wein (come nota 108). Cfr. anche Y. RENOUARD, Le vin vieux au<br />

Moyen-Age, «Ann<strong>al</strong>es du Midi», 76 (1964), pp. 447- 455 (rist. in ID., Etudes d`histoire médiév<strong>al</strong>es, 1, Paris<br />

1968, pp. 249-256); discute la questione, invece, ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 438-447.<br />

117 Cfr. VAN UYTVEN, Der Geschmack am Wein (come nota 108).<br />

118 Per prove relativi <strong>al</strong>la conservabilità dei vini meridion<strong>al</strong>i, cfr. PAULY, Luxemburg im späten Mittel<strong>al</strong>ter<br />

II, in Weinhandel und Weinkonsum, pp. 45 sgg., 96 sg.<br />

119


120<br />

firner Wein (un termine che indica quasi sempre un vino invecchiato), le indicazioni<br />

delle fonti non permettono quasi mai di giungere a conclusioni sicure sull’età<br />

precisa del prodotto. Occasion<strong>al</strong>mente si può supporre che per ‘vino vecchio’<br />

si intendesse il vino dell’annata precedente 119 . Nella regione della Mosella<br />

già nel XIV secolo il vino considerato vecchio poteva essere ben più caro del<br />

vino dell’ultima annata 120 .<br />

«Tutto sembra indicare che la richiesta di vino invecchiato sia aumentata<br />

notevolmente <strong>d<strong>al</strong></strong> XVI secolo in poi» 121 . Le prestigiose botti giganti, che <strong>al</strong> più<br />

tardi intorno <strong>al</strong> 1500 furono di moda nell’area di lingua tedesca, fornivano vino<br />

di qu<strong>al</strong>ità più che rispettabile. «Questi vini dovevano la loro scarsa <strong>al</strong>terabilità <strong>al</strong><br />

concorrere dei fattori contenuto di zuccheri, acidità e bassa temperatura delle<br />

cantine, nonché <strong>al</strong>l’impegno dei maestri cantinieri di impedire l’ossidazione<br />

riempiendo di continuo le botti» 122 . Vi sono numerosi indizi che la richiesta di<br />

vino vecchio ed il suo apprezzamento aumentarono a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la fine del XV<br />

secolo. Nel 1487 un’ordinanza imperi<strong>al</strong>e sul vino consentiva per la prima volta la<br />

solfitazione dei vini in misura controllata ed evidentemente entro limiti non considerati<br />

nocivi per la s<strong>al</strong>ute. Con essa si sanciva un’importante innovazione nel<br />

campo della tecnica cantiniera che permise l’applicazione di nuovi metodi di<br />

conservazione dei vini bianchi delle zone vinicole tedesche. L’emanazione dell’ordinanza<br />

era stata preceduta da una lunga fase di sperimentazione in molte<br />

cantine, nel corso della qu<strong>al</strong>e erano stati fatti esperimenti anche con quantità di<br />

zolfo e procedimenti di solfitazione <strong>al</strong>larmanti. Nel XVII e XVIII secolo furono<br />

soprattutto i ricchi produttori del Rheingau a conservare i vini nelle loro cantine<br />

e a sottoporli a un plurienn<strong>al</strong>e affinamento <strong>al</strong>lo scopo di incrementarne il<br />

pregio e di stabilizzare i ricavi in annate scarse. È documentato come si siano<br />

119 F. WAGNER, Der Weinhaush<strong>al</strong>t der Landsburg, Wiesbaden 2000 (Schriften zur Weingeschichte, 135),<br />

p. 66.<br />

120<br />

MATHEUS, Die Mosel - ältestes Rieslinganbaugebiet Deutschlands?, p. 163. Sulla differenza tra vino giovane<br />

e firner Wein per Treviri ultimamente CLEMENS, Trier. Eine Weinstadt im Mittel<strong>al</strong>ter, p. 362: «Si nota<br />

che il firner Wein, cioè quello dell’annata precedente, viene gener<strong>al</strong>mente v<strong>al</strong>utato meglio di quello<br />

della nuova annata». Cfr. invece VOLK, Weinbau und Weinabsatz, p. 149: «Il firner Wein, che proveniva<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la penultima annata o anche da una ad essa precedente, era gener<strong>al</strong>mente v<strong>al</strong>utato peggio».<br />

121 Cfr. VAN UYTVEN, Der Geschmack am Wein (come nota 108).<br />

122<br />

ROBINSON, Das Oxford Weinlexikon, p. 39. Sulla botte del monastero di Eberbach, costruita intorno<br />

<strong>al</strong> 1500, cfr. J. STAAB, Beiträge zur Geschichte des Rheingauer Weinbaus, Wiesbaden 1970 (Schriften zur<br />

Weingeschichte, 22), p. 11. Dello stesso autore di recente anche Die Zisterzienser und der Wein,p.1.


ottenuti guadagni notevoli con annate d’eccezione, provenienti proprio da quei<br />

vini che furono immessi sul mercato solo dopo diversi anni di affinamento in<br />

cantina. Per concludere possiamo affermare che il particolare apprezzamento<br />

dei vini vecchi del Reno corrispondeva <strong>al</strong>le abitudini di consumo e di rappresentanza<br />

della cerchia di corte e della nobiltà come anche della borghesia facoltosa<br />

di quell’epoca 123 .<br />

123 Cfr. M. e R. MATHEUS, “Je älter der Rheinwein wird, je mehr Firne bekömmt er, welches dem Kenner am meisten<br />

gefällt!”, Beobachtungen zum Geschmackswandel im Mittel<strong>al</strong>ter und in der frühen Neuzeit, «Mainzer Zeitschrift»,<br />

96/97 (2001/2002) (Festschrift F. Schütz), pp. 73-85.<br />

121


122


IOAN LUMPERDEAN*<br />

Il vino in Romania e Moldavia nel <strong>Medioevo</strong><br />

La coltivazione della vigna, l’impiego dell’uva nell’<strong>al</strong>imentazione, la produzione<br />

ed il consumo del vino sono state tra le più antiche attività del popolo rumeno.<br />

Le fonti archeologiche e le testimonianze di <strong>al</strong>cuni autori classici (Senofonte,<br />

Platone, Strabone, Ovidio) attestano che, sin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità, grazie <strong>al</strong>le condizioni<br />

pedo-climatiche favorevoli, la vigna è stata coltivata su larghi spazi in questa<br />

parte dell’Europa 1 . Nell’epoca dacica, durante il regno del famoso daco Burebi-<br />

1 Per la storia della vigna e del vino nel territorio rumeno ho consultato i seguenti testi: V. BUTURĂ,<br />

Etnografia poporului român, Cluj-Napoca 1978, pp. 165-201; C.C. GIURESCU, Istoria podgoriei Odobeștilor<br />

din cele mai vechi timpuri până în 1918, București 1969; C. CIHODARU, Podgoriile de la Cotnari și Hârlău în<br />

economia Moldovei din secolele XV-XVIII, «An<strong>al</strong>ele Știinţifice <strong>al</strong>e Universităţii Al. I. Cuza, secţ. Istorie»,<br />

10 (1964), pp. 2-17; N. AL.MIRONESCU, Cu privire la istoricul și răspândirea tipurilor de călcători și teascuri pe<br />

teritoriul României, «Terra nostra», 1 (1969), pp. 91-101; N.AL. MIRONESCU, Cu privire la istoricul viticulturii<br />

tradiţion<strong>al</strong>e românești. «Ţara Vinului» sau «Podgoria Alba Iulia», «Apulum», 7 (1969), pp. 489-514;<br />

N.AL. MIRONESCU, P.PETRESCU, Cu privire la instrumentarul viticol tradiţion<strong>al</strong>, «Cibinium», s.n., Sibiu<br />

1966, pp. 62-66; P. PETRESCU, N.AL. MIRONESCU, Construcţiile viticole din Gorj, «Cibinium», s.n., Sibiu<br />

1967-1968, pp. 281-325; I.C. TEODORESCU, Activités viticoles sur le territoire dace, București 1968; GH.<br />

UNGUREANU, GH. ANGHEL, C.BOTEZ, Cronica Cotnarilor, București 1971; L. BOTEZAN, Contribuţii la<br />

istoricul cultivării viţei de vie pe pământurile nobiliare și iobăgeșt din comitatele Transilvaniei în perioada 1790-1820,<br />

«Terra nostra», 2 (1971), pp. 135-162; T. MATEESCU, Cultura viţei de vie în Dobrogea în timpul stăpânirii<br />

otomane, «Terra nostra», 3 (1973), pp. 263-282; A. BULENCEA, Viile și vinurile Transilvaniei, București<br />

1975; C. ȘERBAN, Aspecte privind viticultura în judeţul Mehedinţi în secolul <strong>al</strong> XVIII-lea, «Studii și comunicări<br />

de istorie și etnografie», 2 (1978), pp. 183-187; L. ȘTEFĂNESCU, O interesantă reglementare la începutul<br />

scolului <strong>al</strong> XVIII-lea privind viticultura în judeţele Argeș și Vâlcea, «Studii și comunicări de istorie și etnografie»,<br />

2 (1978), pp. 275-279; I. ȘUTA, Preocupări privind cultivarea viţei de vie în Bihor în a doua jumătate a<br />

secolului <strong>al</strong> XVIII-lea, «Lucrări Știinţifice Oradea, Istorie», s.n., 1975-1976, pp. 29-32; S. TUDOR, Viticultura<br />

în zona Muscel - podgoria în secolele XIV-XVII reflectată în documente, «Studii și comunicări de istorie<br />

și etnografie», 2 (1978), pp. 299-308; G. DAVID, Podgorii feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e românești, «Magazin istoric», 12<br />

(1981), pp. 49-52; V. BĂICAN, Răspândirea viţei de vie pe teritoriul Moldovei în secolul <strong>al</strong> XVIII-lea, «Cercetări<br />

agronomice în Moldova», 26/1-2 (1993), pp. 191-196; Istoria românilor, IV, București 2001, pp. 65-67;<br />

C. ŢÂRDEA, L.DEJEU, Viticultura, București 1995, pp. 32-33; Ș. OPREA, Viticultura, Cluj-Napoca<br />

2001, pp. 19-26; I. PRAOVEANU, Etnografia poporului român, București 2001, pp. 114-116.<br />

* Università Babeș-Bolyai, Cluj-Napoca (Romania).<br />

123


124<br />

sta (82-44 a.C.), su consiglio del gran sacerdote Deceneus, i daci tagliarono la<br />

vigna ed accettarono di vivere senza vino 2 . Bisogna tuttavia accogliere l’informazione<br />

con molta cautela perché, senz’<strong>al</strong>tro, le vigne non furono distrutte interamente,<br />

ma soltanto in una loro parte. Proprio per questo si sono mantenuti e<br />

trasmessi, fino <strong>al</strong> presente, una serie di termini d’origine daco-getica: strugure,<br />

butuc, curpen, cosor (uva, ceppo di vite, viticcio, roncola). Anzi, a partire da questo<br />

periodo, è cominciato il processo di sacr<strong>al</strong>izzazione del vino e la sua utilizzazione<br />

in numerosi riti magico-religiosi molto diffusi 3 .<br />

Nei secoli seguenti, e speci<strong>al</strong>mente in epoca romana, la viticoltura ha registrato<br />

rilevanti progressi. Una prova, in questo senso, è offerta <strong>d<strong>al</strong></strong>le numerose<br />

scoperte archeologiche, <strong>d<strong>al</strong></strong>le iscrizioni e dai monumenti scolpiti, i qu<strong>al</strong>i rappresentano<br />

tr<strong>al</strong>ci di vite, grappoli d’uva, come pure attrezzi da lavoro e vasi necessari<br />

per la produzione e la conservazione del vino, ma anche <strong>d<strong>al</strong></strong>le rappresentazioni<br />

di <strong>al</strong>cune divinità, come Bacchus, Liber e Libera, protettori della vigna e del vino. I<br />

romani hanno introdotto ed utilizzato in Dacia attrezzi e metodi più avanzati;<br />

hanno inoltre introdotto nuovi tipi di vitigni, caratteristici del mondo mediterraneo.<br />

Dopo la ritirata aureliana (271 d.C.), la coltivazione della vigna e l’uso del<br />

vino sono continuati. Lo dimostrano i ritrovamenti archeologici, ma soprattutto<br />

la terminologia viticola di origine latina: viţă (vitis), vie (vinea), lăuruscă (labrusca),<br />

coardă (chorda), par (p<strong>al</strong>us), must (mustum), vin (vinum), vinaţ (vinaceus), e così via 4 .<br />

L’epoca delle migrazioni e gli inizi del medioevo rumeno si caratterizzano,<br />

come per <strong>al</strong>tri popoli, per l’influenza del cristianesimo. L’etno-genesi rumena<br />

s’intrecciò con la gradu<strong>al</strong>e penetrazione cristiana a cominciare <strong>d<strong>al</strong></strong> III-IV secolo<br />

d.C., e con la sua gradu<strong>al</strong>e diffusione nei secoli seguenti; a differenza di <strong>al</strong>tri<br />

popoli dell’area centr<strong>al</strong>e del sud-est europeo (bulgari, serbi, croati, ungheresi,<br />

ucraini, cechi, slovacchi, polacchi, ecc.), però, i rumeni non conservano nella<br />

loro memoria collettiva il ricordo di una conversione di massa e in una data precisa<br />

<strong>al</strong>la nuova fede. In ogni caso, tra VII e VIII secolo, <strong>al</strong>la fine dell’etno-genesi<br />

rumena, gli abitanti del territorio carpatico-danubiano-pontico erano cristiani<br />

5 . L’espansione e l’adozione del cristianesimo quindi, anche nei territori rume-<br />

2 Izvoare privind Istoria României, I, București 1964, pp. 237-239.<br />

3 GIURESCU, Istoria podgoriei Odobeștilor,p.14;R. VULCĂNESCU, Mitologie română, București 1987, p. 559.<br />

4 GIURESCU, Istoria podgoriei Odobeștilor, pp. 15-16.<br />

5 N. BOCȘAN, I.LUMPERDEAN, I.-A. POP, Ethnie et confession en Transylvanie (du XIII e au XIX e siècles),<br />

Cluj-Napoca 1996, p. 8.


ni, hanno favorito la coltivazione della vigna e lo sviluppo della viticoltura. I testi<br />

religiosi offrirono infatti numerosi consigli riguardanti i metodi di coltivazione<br />

della vigna, la conservazione ed il consumo moderato del vino. Il terreno agricolo,<br />

sul qu<strong>al</strong>e era coltivata la vigna, fu man mano considerato «il regno di Dio»<br />

ed il vino, bevanda ritu<strong>al</strong>e con v<strong>al</strong>ore eucaristico, venne chiamato «il sangue del<br />

Redentore» 6 . In simili condizioni, anche in questa parte dell’Europa «la civiltà<br />

cristiana, grazie <strong>al</strong>l’eucaristia, si identificava ormai con la civiltà del vino» 7 .<br />

Appunto per questo, nell’iconografia cristiana rumena del medioevo la vigna ed<br />

il vino appaiono sacr<strong>al</strong>izzati e san Basilio cominciò ad essere considerato dai<br />

rumeni il patrono delle attività viticole 8 .<br />

Durante il lungo medioevo rumeno 9 la vigna si diffuse in tutti i territori da<br />

essi abitati e la viticoltura divenne un tratto fondament<strong>al</strong>e dell’economia agraria.<br />

L’impianto e l’espansione delle colture viticole furono dovute, come per <strong>al</strong>tri territori<br />

europei 10 , ai molti vantaggi che offrivano <strong>al</strong>la gente nei settori della produzione,<br />

della divisione e dell’organizzazione del lavoro, ma anche nell’ambito delle<br />

attività <strong>al</strong>imentari, commerci<strong>al</strong>i, soci<strong>al</strong>i e religiose. La viticoltura si diffuse in<br />

tutti i territori rumeni, superando le difficoltà legate <strong>al</strong> clima e ai terreni. Le attività<br />

lavorative relative <strong>al</strong> mantenimento delle colture viticole, <strong>al</strong>la fabbricazione<br />

ed <strong>al</strong>la commerci<strong>al</strong>izzazione del vino furono organizzate durante tutto l’anno<br />

agricolo, seguendo le varie stagioni. T<strong>al</strong>i opere, molto complesse, includevano la<br />

zappatura, la pulitura, la sarchiatura e la concimazione del suolo, la legatura ed il<br />

diradamento dei tr<strong>al</strong>ci, la vendemmia, la pigiatura dell’uva, la preparazione dei<br />

barili, il trasporto e la vendita del vino, attività nelle qu<strong>al</strong>i erano coinvolti speci<strong>al</strong>mente<br />

gli uomini, ma anche le donne ed i bambini, per i compiti più facili. I<br />

6<br />

VULCĂNESCU, Mitologie română, p. 561; D. COMBES, Epopeea vinului, în românește de V.D. Zăiceanu,<br />

Iași 1996, p. 105.<br />

7 J.-F. GAUTIER, Civilizaţia vinului, traducere din limba franceză de C. Călușer, Cluj-Napoca 2001, p. 48.<br />

8 VULCĂNESCU, Mitologie română, p. 563.<br />

9 Il famoso sintagma di Jacques Le Goff ‘per un lungo medioevo’ è v<strong>al</strong>ido anche per i territori<br />

rumeni, speci<strong>al</strong>mente riguardo <strong>al</strong>le strutture socio-economiche. Si v. J. LE GOFF, Imaginarul mediev<strong>al</strong>,<br />

traducere și note de M. Rădulescu, București 1991, pp. 34-43. Per questi motivi la nostra an<strong>al</strong>isi<br />

riguardante la storia della vigna e del vino comprende anche il periodo dei secoli XVII-XVIII, perfino<br />

l’inizio del secolo XIX, quando nell’area rumena avviene il passaggio <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età mediev<strong>al</strong>e a quella<br />

moderna.<br />

10 G. CHER<strong>UBI</strong>NI, Ţăranul și muncile câmpului, in Omul mediev<strong>al</strong>, coordonator J. Le Goff, traducere de I.<br />

Ilinca și D. Cojocaru, Iași 2000, pp. 113-114.<br />

125


126<br />

lavori si svolgevano di solito in comune, favorendo così il consolidamento della<br />

solidarietà soci<strong>al</strong>e, ma anche una giusta organizzazione e divisione del lavoro.<br />

Durante il loro svolgimento erano previsti e celebrati numerosi ritu<strong>al</strong>i laici e religiosi,<br />

soprattutto in occasione della vendemmia. L’uva, sia fresca che passa, ed il<br />

vino erano inoltre elementi fondament<strong>al</strong>i nell’<strong>al</strong>imentazione della gente, perché<br />

soddisfacevano le diverse esigenze e necessità quotidiane, laiche e religiose, ma<br />

soprattutto festive, della vita individu<strong>al</strong>e, familiare e soci<strong>al</strong>e. Il consumo quotidiano<br />

del vino assicurava <strong>al</strong>le categorie soci<strong>al</strong>i superiori notorietà e prestigio nell’ambito<br />

delle comunità urbane e rur<strong>al</strong>i. Infine, i vini rumeni sono stati, durante<br />

tutto il medioevo, prodotti ricercati ed apprezzati sui mercati interni ed europei.<br />

I documenti del tempo ci offrono una ricca e variegata gamma d’informazioni<br />

concernenti la coltivazione della vite nelle regioni rumene del medioevo. Essi evidenziano<br />

soprattutto l’importanza della viticoltura nella vita e nell’attività della gente,<br />

ma anche nell’economia agraria rumena. Essendo <strong>al</strong>lo stesso tempo un’attività<br />

che implica la presenza costante dell’uomo, la viticoltura rispecchia le fasi delle attività<br />

agricole del popolo rumeno ed il suo carattere sedentario. La coltivazione della<br />

vite, a differenza di <strong>al</strong>tre iniziative agricole, richiedeva il più delle volte ampi e<br />

minuziosi lavori manu<strong>al</strong>i, la cui re<strong>al</strong>izzazione richiedeva discernimento, tempestività<br />

e sovente la collaborazione di più persone. Dopo la scelta del terreno, di solito in<br />

zone collinari caratterizzate da declivi dolci e facilmente accessibili, si zappavano le<br />

fosse; quindi venivano selezionate le propaggini, che si piantavano in autunno,<br />

oppure a fine primavera. Seguivano poi, nel corso dell’anno, i lavori per il mantenimento<br />

della vigna, la vendemmia e la lavorazione dell’uva. I primi raccolti avvenivano<br />

dopo tre o quattro anni: seguiva quindi l’aumento della produzione.<br />

Nei paesi rumeni la vigna era sfruttata per circa 30-40 anni, poi veniva<br />

abbandonata, essendo stati nel frattempo introdotti <strong>al</strong>tri terreni nel circuito viticolo.<br />

Gli attrezzi usati per la coltura viticola erano la marra, la zappa piccola, la<br />

roncola, la tinozza, il torchio, cui si aggiungevano i contenitori per il trasporto<br />

dell’uva, del mosto e del vino. I documenti attestano anche l’esistenza, sui terreni<br />

a vigna o in loro vicinanza, di specifiche costruzioni. Queste erano di due tipi:<br />

costruzioni di protezione e costruzioni fin<strong>al</strong>izzate tanto <strong>al</strong>la custodia degli<br />

attrezzi e dei vasi, quanto <strong>al</strong>la conservazione dei prodotti raccolti e del vino. Della<br />

prima categoria facevano parte le strutture terranee oppure le casupole, che in<br />

genere erano costruite con materi<strong>al</strong>i leggeri (legno, canne, paglia, tr<strong>al</strong>ci, frasche),<br />

avevano tre lati, erano site su un piano inclinato e sistemate in modo da difendere<br />

il custode <strong>d<strong>al</strong></strong>le intemperie, ma anche per assicurare una permanente sorve-


glianza delle coltivazioni. Oltre a queste, esistevano anche dei punti di osservazione<br />

collocati sugli <strong>al</strong>beri o su pilastri, appositamente costruiti. Tramite queste<br />

strutture si assicurava la permanente protezione delle vigne dagli anim<strong>al</strong>i domestici<br />

e selvatici, dagli uccelli, da m<strong>al</strong>intenzionati o da eventu<strong>al</strong>i ladri.<br />

Della seconda categoria facevano parte le cantine di pietra, i p<strong>al</strong>menti, le<br />

rimesse. Esse erano usate come depositi per l’attrezzatura, per la pigiatura dell’uva,<br />

per la fermentazione del mosto e, soprattutto, per la conservazione del<br />

vino. Per questi motivi, la maggior parte delle costruzioni era molto fresca,<br />

essendo <strong>al</strong>locate sotto il livello del suolo, distribuita in due o tre stanze e con<br />

misure di circa 7-8 metri di lunghezza e 2-2,5 metri di <strong>al</strong>tezza 11 . In queste stanze<br />

erano collocati i barili e le botti di legno di quercia, che nei secoli XIV-XVII avevano<br />

una capacità di circa 12,88 hl 12 . C’erano anche casi speci<strong>al</strong>i, quando la<br />

capienza di un barile equiv<strong>al</strong>eva a 3000 vedre (secchi, tine) di vino, ogni secchio<br />

essendo pari a 12 oc<strong>al</strong>e (un’antica unità di misura, tra 1288 e 1520 millilitri) 13 .<br />

Dai documenti sappiamo che il princip<strong>al</strong>e produttore e consumatore di vino<br />

era rappresentato <strong>d<strong>al</strong></strong>la corte signorile, da quella principesca o del voivoda. Il<br />

signore 14 in Ţara Românească (ossia nel Paese Rumeno) ed in Moldova (Moldavia),<br />

il voivoda e il principe 15 in Transilvania, possedevano ampie superfici di terreni<br />

vitati. Numerosi documenti menzionano le proprietà signorili, principesche o<br />

del voivoda, ma anche il rilevante consumo quotidiano di vino della corte, dei sol-<br />

11 BUTURĂ, Etnografia poporului român, pp. 198-201.<br />

12 Documenta Romaniae Historica.B:Ţara Românească, I, București 1966, p. 436. Vadra (la tina, il secchio)<br />

era nel medioevo l’unità di misura, pari a circa 12,88 litri nel Paese Rumeno, 15,2 litri in Moldavia e<br />

10 litri in Transilvania.<br />

13 Călători străini despre Ţările Române, VI, București 1976, p. 199.<br />

14 Il signore feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e aveva attribuzioni monarchiche ed era considerato nel Paese Rumeno ed in Moldavia,<br />

in virtù del diritto di dominium emines, il supremo capo del paese e dei contadini asserviti. In<br />

virtù di questo diritto, poteva offrire in dono parcelle di terra e confermare o infirmare il diritto di<br />

proprietà. Egli era anche gran voivoda, cioè capo dell’esercito, sia in pace, sia in guerra. Si v. Instituţii feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e<br />

din Ţările Române. Dicţionar, coordonatori O. Sachelarie, N. Stoicescu, București 1988, pp. 167-172.<br />

15 Il voivoda divenne vass<strong>al</strong>lo del re d’Ungheria dopo la conquista della Transilvania da parte degli<br />

ungheresi. Pur avendo soprattutto funzioni amministrative, giudiziarie e militari, egli esercitava, in<br />

<strong>al</strong>cune situazioni, anche prerogative signorili sul territorio e sugli abitanti a lui sottomessi. Dopo il<br />

1541, quando la Transilvania cominciò a cadere sotto l’autorità ottomana, il voivodato venne sostituito<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> principato; il principe era scelto <strong>d<strong>al</strong></strong>la dieta (assemblea nobiliare) e confermato <strong>d<strong>al</strong></strong> sultano<br />

e mantenne una larga autorità, anche per quanto riguardava i rapporti di proprietà e di lavoro: cfr.<br />

Instituţii feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e, pp. 381-383.<br />

127


128<br />

dati della guardia regia e per i servi. Nel medioevo, inoltre, numerosi atti di donazione<br />

rilasciati <strong>d<strong>al</strong></strong>l’autorità centr<strong>al</strong>e ai monasteri, <strong>al</strong>le chiese oppure ai feudatari<br />

e ai nobili si riferiscono a terreni vitati e a forniture di vino.<br />

Per la Transilvania, un documento del 1201-1203, rilasciato <strong>d<strong>al</strong></strong> re Emeric di<br />

Ungheria (1196-1204) 16 , riconosceva il diritto di proprietà della chiesa di Arad<br />

sulle vigne dei villaggi di G<strong>al</strong>şa e di Pâncota; in seguito, nel 1206, il re Andrea II<br />

(1205-1235) consolidò il diritto di proprietà dei coloni secui nella zona delle Târnave,<br />

sulle vigne dell’Alba-Iulia, di Cricău e di Ighiu 17 . In Ţara Românească, Mircea<br />

cel Bătrân (Mircea il Vecchio, 1386-1418) donò nel 1388 <strong>al</strong> monastero di<br />

Cozia vaste superfici coltivate a vigna nella zona di Argeș e di Lotru, nei villaggi<br />

di Călinești e di Râmnicu-Vâlcea 18 , e l’anno dopo esentò i contadini, abitanti sulle<br />

terre dello stesso monastero, <strong>d<strong>al</strong></strong> canone in vino in cambio dell’obbligo di<br />

estendere le superfici vitate 19 . Questi atti di donazione furono confermati ed<br />

estesi dai successori di Mircea cel Bătrân, più precisamente da Radu II, nel 1402,<br />

e da Vlad Dracul, nel 1440 20 . Grazie <strong>al</strong> documento rilasciato da quest’ultimo,<br />

scopriamo che le vigne della zona di Râmnicu-Vâlcea erano apprezzate per la<br />

qu<strong>al</strong>ità dell’uva e del vino, ma soprattutto per la produzione di oltre 3100 vedre<br />

l’anno 21 . Probabilmente per questi motivi il signore concesse agli abitanti il diritto<br />

di edificare un monastero presso il villaggio di Râmnic 22 .<br />

In Moldavia, la tradizione viticola e la preoccupazione della signoria per questa<br />

attività sono confermate da documenti dei secoli XIII-XIV. Così, in un<br />

accordo concluso il 7 gennaio 1407 tra Alexandru cel Bun (Alessandro il Buono,<br />

1399-1431) ed il metropolita Iosif <strong>al</strong> Moldovei (Giuseppe di Moldavia) sono<br />

menzionate, tra i beni del monastero Neamţ, anche due vigne, una reg<strong>al</strong>ata da<br />

Petru Mușat (1375-1391) e l’<strong>al</strong>tra comprata <strong>d<strong>al</strong></strong> metropolita 23 . Altri documenti e<br />

16 Nella Transilvania il diritto di offrire in dono i propri averi era esercitato anche <strong>d<strong>al</strong></strong> re di Ungheria.<br />

Si v. Documente privind istoria României [DIR]. C: Transilvania, I, București 1951, pp. 23-26.<br />

17 DIR. C, pp. 31-32.<br />

18 DIR. B: Ţara Românească. Veac XIII, XIV, XV: (1245-1500), București, 1953, pp. 25-28.<br />

19 DIR. B, pp. 28-30.<br />

20 DIR. B, pp. 76-77 e 107-108.<br />

21 DIR. B, p. 108.<br />

22 DIR. B, p. 108.<br />

23 DIR. A: Moldova. Veacul XIV-XV, I, București 1954, p. 15.


Carta delle zone viticole rumene nel medioevo.<br />

129


130<br />

registrazioni di <strong>al</strong>cuni cronisti ci trasmettono informazioni sulle famose vigne<br />

signorili di Cotnari, Odobești, Huși 24 .<br />

I sovrani, i voivodi ed i principi sorvegliavano attentamente le attività viticole, ma<br />

soprattutto garantivano la cura permanente delle vigne e lo svolgimento, in tempo<br />

utile, dei lavori necessari. Quando, a causa della mancanza d’interesse da parte dei<br />

coltivatori o dei proprietari, le vigne cadevano in stato d’abbandono, o venivano<br />

proprio abbandonate, il sovrano agiva con molta decisione, per trasferire la proprietà<br />

ad <strong>al</strong>tri conduttori. Nello stesso tempo, la signoria incoraggiava le attività di<br />

disboscamento, di dissodamento e di bonifica di <strong>al</strong>tri terreni e la loro introduzione<br />

nel circuito viticolo. Molto eloquenti sono, in questo senso, le azioni intraprese da<br />

Irimia Movilă e Radu Mihnea <strong>al</strong>la fine del XVI e <strong>al</strong>l’inizio del XVII secolo 25 .<br />

L’aristocrazia nel Paese Rumeno ed in Moldavia, la nobiltà in Transilvania, la<br />

Chiesa ed i monasteri figurano tra i grandi proprietari di vigna e produttori di<br />

vino. I territori feu<strong>d<strong>al</strong></strong>i disponevano di estese superfici coltivate. Per le attività<br />

viticole nel Paese Rumeno ed in Moldavia si utilizzava soprattutto il lavoro dei<br />

contadini liberi o asserviti; in Transilvania, oltre tutto questo, si impiegava anche<br />

il lavoro s<strong>al</strong>ariato. In questo modo, sul terreno di Hunedoara, <strong>al</strong>la metà del secolo<br />

XVI, per lo svolgimento dei diversi lavori stagion<strong>al</strong>i erano assunte oltre 700<br />

persone, pagate con 5-7 dinari <strong>al</strong> giorno 26 . Sempre qui s’incontrano forme di<br />

management viticolo, rispecchiate dagli investimenti annui per il mantenimento<br />

della vigna, per la selezione e la moltiplicazione delle propaggini, per la preparazione<br />

dei terreni, per la lotta contro gli insetti, per la vendemmia, per la preparazione,<br />

il consumo e la commerci<strong>al</strong>izzazione del vino.<br />

La vigna si coltivava su vasta sc<strong>al</strong>a anche sulle proprietà dei contadini, dove<br />

si producevano considerabili quantità di vino. Certo, abbiamo a che fare, soprattutto,<br />

con un vino a buon mercato, comune o di bassa qu<strong>al</strong>ità, così come esisteva<br />

nel medioevo in <strong>al</strong>tre parti dell’Europa 27 , ma necessario e quasi sempre presente<br />

nel consumo quotidiano. I contadini dipendenti ricevevano spesse volte,<br />

da parte dei proprietari di terra, speci<strong>al</strong>i terreni sui qu<strong>al</strong>i coltivavano la vite, ver-<br />

24 BUTURĂ, Etnografia poporului român, p. 187.<br />

25 DAVID, Podgorii feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e românești,p.50.<br />

26 I. PATAKI, Domeniul Hunedoara la începutul secolului <strong>al</strong> XVI-lea. Studii și documente, București 1973, p.<br />

LXXIX.<br />

27 F. BRAUDEL, Structurile cotidianului: posibilul și imposibilul, traducere și postfaţă de A. Riza, I, București<br />

1984, p. 275.


sando un canone in vino. Gli appezzamenti vitati posseduti dai contadini liberi e<br />

dipendenti erano sottoposti ad un regime giuridico speci<strong>al</strong>e, potendo essere <strong>al</strong>ienati<br />

più agevolmente tramite compravendita, oppure per trasmissione ereditaria.<br />

Tra i proprietari di vigne e produttori di vino nella Transilvania bisogna<br />

menzionare anche i secui. Originari delle Fiandre, del Lussemburgo e dei territori<br />

dell’ovest del Reno, furono introdotti come coloni <strong>d<strong>al</strong></strong>la monarchia ungherese,<br />

durante i secoli XII e XIII, in Transilvania, nelle province di Sibiu, di Târnave,<br />

di Brașov, di Orăștie e di Bistriţa 28 . I secui, speci<strong>al</strong>mente quelli delle zone di<br />

Târnave, di Orăștie, e di Bistriţa, si inserirono e contribuirono <strong>al</strong> miglioramento<br />

della coltivazione della vigna ed <strong>al</strong>lo sviluppo della viticoltura, godendo dell’appoggio<br />

delle autorità centr<strong>al</strong>i, che ogni tanto li esentò dai versamenti «per le<br />

vigne che loro avrebbero piantato» 29 . Provenendo da una zona europea con antiche<br />

tradizioni viticole 30 , i secui praticavano una viticoltura più avanzata e razion<strong>al</strong>e,<br />

utilizzando attrezzi più perfezionati e tecniche viticole <strong>al</strong>l’avanguardia. Essi<br />

portarono dai territori tedeschi, acclimatarono e piantarono vari tipi di vitigni<br />

più produttivi, resistenti <strong>al</strong> freddo, <strong>al</strong>la siccità ed ai terreni aridi.<br />

Tutti i coltivatori ed i produttori di vino, ma soprattutto i contadini, avevano<br />

l’obbligo di pagare numerosi canoni relativi <strong>al</strong>la viticoltura, <strong>al</strong>la produzione e <strong>al</strong><br />

consumo di vino. Tra questi, il più diffuso era la ‘donazione di vino’, o imposta<br />

sul vino (‘vignaiolo’) nel Paese Rumeno ed in Moldavia, la ‘donazione dopo i torchi’<br />

in Transilvania. Rappresentando una delle più importanti componenti della<br />

rendita feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e nei Paesi Rumeni, questa imposta si pagava in origine soprattutto<br />

in natura o in prodotti e rappresentava, come nel caso di <strong>al</strong>tri censi, la decima parte<br />

della quantità prodotta, o «una delle dieci tine» 31 . Più tardi, questa tassa venne<br />

convertita in denaro e comportava, <strong>al</strong>l’inizio del XVIII secolo, un reddito medio<br />

annuo di 50000 lei per signoria nel Paese Rumeno e di 10000 lei in Moldavia 32 .La<br />

‘donazione di vino’ era percepita tanto dai feudatari e dai nobili, quanto <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

28 Ș. PASCU, Voievodaul Transilvaniei, I, Cluj-Napoca 1972, pp. 115-129.<br />

29 DIR. C, pp. 31-32.<br />

30 G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998<br />

(<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta, 4), pp. 63-77.<br />

31 Instituţii feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e, p. 501.<br />

32 Instituţii feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e, p. 501. Il leul era una moneta d’origine olandese, che circolava anche nei Paesi<br />

Rumeni tra i secoli XVI-XVIII. Dopo la metà del secolo XVIII, il leul venne tolto <strong>d<strong>al</strong></strong>la circolazione,<br />

non essendo più emesso <strong>d<strong>al</strong></strong> paese d’origine. È rimasto pure come una moneta ‘fittizia’ di c<strong>al</strong>colo,<br />

131


132<br />

Chiesa e dai monasteri. La sua quantità variava da una proprietà feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tra,<br />

da una regione <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tra, da un periodo storico <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro. In Transilvania, nel XVI<br />

secolo, la ‘donazione di vino’ era tanto diffusa e stabile da diventare la princip<strong>al</strong>e<br />

risorsa di reddito per il potere centr<strong>al</strong>e e demani<strong>al</strong>e 33 . Nella prima metà del XVII<br />

secolo le grandi quantità di vino del dominio di Făgăraș provenivano, per la loro<br />

maggior parte, <strong>d<strong>al</strong></strong>le decime del villaggio, più che <strong>d<strong>al</strong></strong>la produzione propria 34 .Verso<br />

la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, quando nei Paesi Rumeni assistiamo<br />

<strong>al</strong> passaggio <strong>d<strong>al</strong></strong> medioevo <strong>al</strong>l’epoca moderna, le vigne contadine vengono<br />

ridotte come superficie ed importanza a causa dell’eccessivo peso fisc<strong>al</strong>e 35 .<br />

Le fonti storiche c’informano anche sulla fama di <strong>al</strong>cune vigne, relativamente<br />

<strong>al</strong>la diversa qu<strong>al</strong>ità dei vini rumeni e anche <strong>al</strong>la quantità di vino prodotta. Nel<br />

Paese Rumeno le più famose e apprezzate aziende erano quelle di Baia de<br />

Aramă, B<strong>al</strong>ș, Buzău, București, Carac<strong>al</strong>, Craiova, Curtea de Argeș, Drăgășani,<br />

Pitești, Ploiești, Râmnicul Sărat, Târgoviște, Târgu-Jiu, Târgu-Cărbunești, V<strong>al</strong>ea<br />

Călugărească; in Moldavia quelle di Cotnari, Grecești, Iași, Huși, Hârlău, Nicorești,<br />

Odobești, Putna, Roman, Tecuci; in Dobrogea quelle di Babadag, Cernavodă,<br />

Măcin, Medgidia e Murfatlar; ed in Transilvania quelle di Alba-Iulia, Aiud,<br />

Blaj, Bistriţa, Caransebeș, Hunedoara, Dumitra, Jidvei, Lechinţa, Lugoj, Mediaș,<br />

Oraviţa, Șimleul Silvaniei, Teaca, eccetera 36<br />

Numerosi autori rumeni e stranieri ci offrono importanti informazioni sui vini<br />

prodotti in queste proprietà. Per esempio, il medico Matei de Muriano, invitato nel<br />

1503 a sorvegliare la s<strong>al</strong>ute di Ştefan cel Mare 37 , affermò che in Moldova si ottengono<br />

vini «simili a quelli del Friuli» 38 , ed il famoso umanista tedesco Sebastian Münster,<br />

precursore della geografia scientifica moderna, nel suo lavoro Cosmographia<br />

Univers<strong>al</strong>is, stampata a Basilea nel 1544, oltre ad <strong>al</strong>tre preziose informazioni sui territori<br />

rumeni scrive che «accanto <strong>al</strong> mercato di Mediaş si produce vino in grande<br />

usata nell’espressione dei doni, dei prezzi e del corso di numerose monete estere che circolavano nei<br />

Paesi Rumeni. Più tardi, nel 1867, il leul è diventata la moneta nazion<strong>al</strong>e della Romania. Si veda: C.C.<br />

KIRIŢESCU, Sistemul bănesc <strong>al</strong> leului și precursorii lui, I, București 1997, pp. 93-111 e 163-176.<br />

33 D. PRODAN, Iobăgia în Transilvania în secolul <strong>al</strong> XVI-lea, I, București 1967, p. 351.<br />

34 Urbariile Ţării Făgărașului 1601-1650, I, editate de acad. D. Prodan și L. Ursuţiu, București 1970, p. 93.<br />

35 Istoria României, III, București 1964, p. 45.<br />

36 BUTURĂ, Etnografia poporului român, pp. 188-189.<br />

37 N. GRIGORAș, Moldova lui Ștefan cel Mare, Iași 1982, p. 274.<br />

38 Călători străini despre Ţările Române, ed. M. Holban, I, București 1968, p. 149.


quantità e perciò la pianura [quella delle Târnave] viene soprannominata Ţara Vinului»<br />

(il ‘paese del vino’) 39 . Le sue informazioni sono completate da un <strong>al</strong>tro erudito<br />

umanista, il prelato ungherese d’origine croata Anton Verancsics, che dichiarò essere<br />

la Transilvania «tanto ricca in grano e vini (…) che i vini, sia che tu li preferisca<br />

forti o deboli, aspri o dolci, bianchi o rossi (…) sono così buoni <strong>al</strong> gusto e di una<br />

speci<strong>al</strong>e sorta, che non desideri più i vini di F<strong>al</strong>erno della Campania e, pur comprandoli,<br />

ti piacciono più di questi ultimi» 40 . Simili interessanti opinioni sulla viticoltura<br />

e sui vini rumeni incontriamo anche nelle opere dell’umanista it<strong>al</strong>iano Franco<br />

Sivori, segretario person<strong>al</strong>e del signore del Paese Rumeno, Petru Cercel (1583-<br />

1585): «Le molte colline sono piene di vigne, che producono in abbondanza vini<br />

bianchi e rossi, molto preziosi, che i rumeni non sanno conservare, sicché si trasformano<br />

in aceto; l’abbondanza dei vini è così grande che un barile di quattro tine<br />

si compra a tre o <strong>al</strong> più a quattro scudi» 41 . A sua volta, Petru Bogdan Baksič attestava:<br />

«Ho visitato la città di Cotnari, situata in una v<strong>al</strong>le le tra colline (...). Qui ci sono<br />

tante vigne, perché questa terra dà i migliori vini di tutto il paese. E tutte queste<br />

vigne appartengono <strong>al</strong> principe ed ai feudatari. Durante la vendemmia quasi tutta la<br />

gente del paese si raduna, sia per la vendemmia, sia per comprare il vino» 42 .<br />

Alla metà del XVII secolo, il cronista rumeno Grigore Ureche sottolineò<br />

anche lui che si coltivava la vite sull’intero territorio della Moldavia e che «il vino<br />

non manca a nessuno, da nessuna parte» 43 , mentre <strong>al</strong>l’inizio del XVIII secolo il<br />

principe-erudito Dimitrie Can<strong>temi</strong>r, nel suo lavoro Descriptio Moldaviae 44 , attestò:<br />

«Tutte le <strong>al</strong>tre ricchezze della terra sono superate <strong>d<strong>al</strong></strong>le vigne speci<strong>al</strong>i, collocate in<br />

una lunga fila tra Cotnari e Dunăre [il Danubio]; sono così fertili, che un solo<br />

pezzo di terra 45 , che ha la superficie di 24 stânjeni 46 , dà spesso da 4 fino a 500<br />

39 Călători străini, I, p. 505.<br />

40 Călători străini, I, p. 408.<br />

41 Ș. PASCU, Petru Cercel și Ţara Românească la sfârșitul sec. XVI, Cluj 1944, p. 113.<br />

42 Călători străini, I, p. 237.<br />

43 G. URECHE, Letopiseţul Ţării Moldovei, ed. P.P. Panaitescu, București 1958, p. 134.<br />

44 Dimitrie Can<strong>temi</strong>r (membro dell’Accademia di Berlino) ha scritto, nel 1716, la Descriptio Moldaviae,<br />

con lo scopo di far conoscere la Moldavia agli ambienti cultur<strong>al</strong>i occident<strong>al</strong>i. A questo fine, l’autore<br />

ha re<strong>al</strong>izzato ampie incursioni nella storia, nella geografia e nell’economia della Moldavia. Si v. P.P.<br />

PANAITESCU, Dimitrie Can<strong>temi</strong>r. Viaţa și opera, București 1958, pp. 149-168.<br />

45 Il pogonul era un’unità di misura della superficie ed era equiv<strong>al</strong>ente a ½ ettaro, oppure a 5.012m².<br />

46 Lo stânjenul era una delle più antiche unità di misura, pari a circa 2 m.<br />

133


134<br />

misure di vino, ognuna delle qu<strong>al</strong>i equiv<strong>al</strong>e a 40 litri. Il miglior vino è quello di<br />

Cotnari (…). Oso sostenere che sia migliore di quello di Tokay. Quando si ripone<br />

in cantine profonde e con soffitto a volta, come è abitudine da noi, ed è conservato<br />

per tre anni, nel quarto anno acquista una t<strong>al</strong>e forza nel sapore che arde<br />

come il vino bollente. Il più forte ubriacone appena riesce a berne tre bicchieri<br />

senza inebriarsi; eppure, <strong>al</strong>la fine non ha m<strong>al</strong> di testa. Il vino di Cotnari ha uno<br />

speci<strong>al</strong>e colore che non trovi in <strong>al</strong>tri vini ed è un po’ verdastro, e col tempo<br />

acquista il colore verde (…). Subito dopo, il vino di Huși, nella regione di Fălciu,<br />

viene considerato il migliore; il terzo posto è occupato <strong>d<strong>al</strong></strong> vino di Odobeşti, della<br />

regione di Putna, sulla riva del fiume Milcov; Nicoreşti, originario di Tecuci,<br />

sulla riva del Siret, occupa il quarto posto; il quinto vino è quello di Greceşti, della<br />

regione di Tutova, sulla riva di Berheci; il sesto è considerato quello proveniente<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le vigne di Costeşti, nella stessa regione» 47 .<br />

Allo stadio attu<strong>al</strong>e delle ricerche è abbastanza difficile stabilire la quantità di<br />

vino prodotto nei Paesi Rumeni, in un periodo o in un <strong>al</strong>tro. Sappiamo però che,<br />

<strong>al</strong>la fine del XVI secolo, la signoria accordava ad 11 monasteri (cinque del Paese<br />

Rumeno e sei di Moldavia) una quantità di vino equiv<strong>al</strong>ente a 1000 hl. Se consideriamo<br />

che questa cifra rappresentava soltanto la decima parte della raccolta,<br />

<strong>al</strong>lora possiamo stimare la quantità tot<strong>al</strong>e in oltre 10000 hl 48 . Si sa, <strong>al</strong>lo stesso<br />

tempo, che in Transilvania, nell’anno 1517 sul territorio di Hunedoara, la produzione<br />

era stata di 5480 litri di vino 49 .<br />

A cominciare <strong>d<strong>al</strong></strong>la seconda metà del XVI secolo si registra l’aumento della<br />

pressione dei turchi sui Paesi Rumeni, tramite l’instaurazione del monopolio turco<br />

sull’economia loc<strong>al</strong>e 50 . È molto significativo il fatto che, pure in queste condizioni,<br />

le superfici coltivate a vigna e le <strong>produzioni</strong> vinicole siano aumentate.<br />

Questa situazione è dovuta <strong>al</strong>l’esclusione del vino dagli obblighi fisc<strong>al</strong>i in natura<br />

dei Paesi Rumeni, nei confronti dell’impero Ottomano, a causa dell’interdizione<br />

islamica del consumo della bevanda. In questo contesto, il prezzo dei terreni viti-<br />

47<br />

DIMITRIE CANTEMIR, Descrierea Moldovei, postfaţă și bibliografie M. Popescu, București 1973, pp.<br />

52-53.<br />

48 Istoria românilor,p.66.<br />

49 PATAKI, Domeniul Hunedoarei,p.LXXIX.<br />

50 Il monopolio turco sull’economia rumena significò l’aumento delle prestazioni fisc<strong>al</strong>i in denaro ed<br />

in lavoro dei Paesi Rumeni verso l’impero Ottomano, mentre il commercio rumeno ebbe un orientamento<br />

prev<strong>al</strong>ente verso le piazze turche.


coli aumentò considerevolmente. Nel sesto decennio del secolo XVI, in Moldavia,<br />

una fălcia (il pezzo di terra per la vigna) si vendeva a 90 zecchini, e tre decenni<br />

più tardi a 400. Quasi nello stesso periodo, nel Paese Rumeno, il prezzo di<br />

mezzo ettaro di terreno da vigna aumentò da 200 a 880 aspri (un’antica moneta<br />

turca) 51 . Anche in Dobrogea, controllata tot<strong>al</strong>mente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’impero Ottomano sin<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> 1417, l’attività e la produzione vinicola non è diminuita. Dai documenti<br />

dogan<strong>al</strong>i delle città e dei porti di Dobrogea, sappiamo che nel XVI secolo la<br />

vigna si coltivava su estese superfici nella zona di Babadag, di Mang<strong>al</strong>ia e di Sinistra<br />

per produrre uva, uva passa, mosto e vino 52 . Nella seconda metà del XVI, il<br />

viaggiatore Maciej Stryjkowski era rifocillato dai contadini di Dobrogea con<br />

«uva con cui si faceva il vino» 53 , e l’it<strong>al</strong>iano Giulio Mancinelli trattò, tra gli anni<br />

1582-1586, delle grandi quantità di vino prodotte a Mang<strong>al</strong>ia 54 . Il viaggiatore turco<br />

Evilia Celebi scriveva, nel XVII secolo, che a Babadag, «tra i più significativi<br />

prodotti <strong>al</strong>imentari, ci sono l’uva di otto varietà, il pane bianco e lo yogurt. Tra<br />

le bevande, il mosto d’uva» 55 . Qui abbiamo a che fare con la produzione di frutta<br />

e dobbiamo fare una netta distinzione tra questa e la viticoltura 56 . Possiamo<br />

affermare, <strong>al</strong>lo stesso tempo, che, a differenza di <strong>al</strong>tri territori europei caduti sotto<br />

il controllo dell’impero Ottomano, nei qu<strong>al</strong>i «la vigna incontra l’ostinato ostacolo<br />

dell’Islam» 57 , nei Paesi Rumeni la viticoltura ha conosciuto un rilevante slancio,<br />

appunto grazie <strong>al</strong>l’interferenza economica e politica con il mondo turco.<br />

Nella maggior parte dei casi, la produzione vinicola era destinata <strong>al</strong> consumo<br />

interno. Le fonti dei tempi ci mostrano il consumo del vino diffuso in tutte<br />

le categorie soci<strong>al</strong>i: feudatari, nobili, artigiani, commercianti, contadini, ecc. La<br />

quotidiana presenza del vino nell’<strong>al</strong>imentazione dei rumeni non portava però ad<br />

eccessi da parte dei consumatori. Il viaggiatore it<strong>al</strong>iano Fernante Capaci attestava,<br />

per la seconda metà del XVI secolo: «Non ho mai sentito parlare, in questi<br />

paesi [Moldavia e Paese Rumeno], di omicidi e scannamenti, nonostante vi si<br />

51 Istoria românilor,p.67.<br />

52 MATEESCU, Cultura viţei de vie în Dobrogea, p. 265.<br />

53 Călători străini, I, p. 451.<br />

54 Călători străini, I, pp. 523-524.<br />

55 Călători străini, I, p. 393.<br />

56 M. LACHIVER, Vins, vignes et vignerons. Histoire du vignobel français, Paris 1988, p. 22.<br />

57 BRAUDEL, Structurile cotidianului, p. 270.<br />

135


136<br />

trovi vino in abbondanza» 58 . D<strong>al</strong>la testimonianza di un <strong>al</strong>tro viaggiatore straniero,<br />

il francese Pierre Lesc<strong>al</strong>opier, conosciamo la maniera in cui si consumava il<br />

vino, in occasione di <strong>al</strong>cune nozze o feste: «Il primo bicchiere si beve <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute<br />

di Dio, il secondo <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute del voivoda, il terzo <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute del sultano, il quarto<br />

<strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute di tutti i cristiani (…), il quinto si beve per la pace ed il sesto <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute<br />

dei presenti, con grandi cerimonie e auguri di redenzione, s<strong>al</strong>ute, buon viaggio<br />

e buon ritorno, di re<strong>al</strong>izzazione dei desideri, eccetera. Facendo un simile<br />

brindisi, loro bevono in piedi e ti apprezzano molto se fai lo stesso» 59 . In Transilvania,<br />

sul territorio di Făgăraș, la corte principesca ha consumato, tra 2 febbraio<br />

e 27 aprile 1679, circa 6250 tine di vino 60 .<br />

La produzione di uva e di vino era destinata pure <strong>al</strong> commercio interno ed<br />

estero. Certo, la quantità maggiore era assorbita <strong>d<strong>al</strong></strong> mercato interno. Un intenso<br />

commercio di prodotti si svolgeva anche tra i tre paesi rumeni. D<strong>al</strong> contenuto<br />

dei registri dogan<strong>al</strong>i risulta che, nel 1543, il vino del Paese Rumeno e della Moldavia<br />

inviato sul mercato di Braşov, città della Transilvania, raggiunse il v<strong>al</strong>ore di<br />

24500 aspri 61 . C’era anche una complementarità tra i territori rumeni quando le<br />

condizioni sfavorevoli del clima, da un anno <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro, comportavano una diminuzione<br />

del prodotto. Il cronista secuo Georg Kraus afferma che, nel 1653, «se<br />

il Paese Rumeno non avesse provveduto tutta la Transilvania di vino, questi<br />

sarebbero stati ancora più costosi» 62 .<br />

Lo sviluppo della viticoltura rumena nel medioevo ha creato importanti<br />

disponibilità per l’esportazione. I vini rumeni sono stati i primi prodotti commerci<strong>al</strong>izzati<br />

sui mercati esteri. Nel 1173, quando il doge di Venezia Sebastiano Ziani<br />

introdusse la tariffa dei prezzi massimi relativi agli <strong>al</strong>imenti ed <strong>al</strong>le bevande, riscuotendo<br />

tasse di consumazione in rapporto <strong>al</strong> v<strong>al</strong>ore della merce, i vini dei territori<br />

danubiani vennero esclusi da questa misura grazie <strong>al</strong>la loro speci<strong>al</strong>e qu<strong>al</strong>ità 63 . I vini<br />

rumeni continuavano ad essere noti e ricercati man mano che i mercanti ed i viaggiatori<br />

occident<strong>al</strong>i scoprivano i territori rumeni, ed i percorsi commerci<strong>al</strong>i europei<br />

58 DAVID, Podgorii feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e românești,p.51.<br />

59 DAVID, Podgorii feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e românești,p.51.<br />

60 Urbariile Ţării Făgărașului 1601-1650, II, editate de acad. D. Prodan, București 1976, p. 73.<br />

61 R. MANOLESCU, Comerţul Ţarii Românești și Moldovei cu Brașovul. Secolele XIV-XVI, București 1965, p. 129.<br />

62 A. ARMBRUSTER, Dacoromano-saxonica. Cronicari români despre sași. Românii în cronica săsească, București<br />

1980, p. 282.<br />

63 I.C. TEODORESCU,s.v.,Viticultura, in Enciclopedia României, București 1939, p. 401.


attraversavano i Paesi Rumeni, includendoli così nel vasto sistema di scambi economici<br />

tra l’Europa centro-occident<strong>al</strong>e ed il mondo orient<strong>al</strong>e 64 . Quasi tutti i percorsi<br />

commerci<strong>al</strong>i europei non evitavano, anzi, attraversavano le più note zone<br />

viticole rumene, come quelle di Cotnari, Odobeşti, Huşi, Drăgășani, eccetera.<br />

Lo stanziamento dei genovesi <strong>al</strong>la foce del Danubio e la fondazione, tra i<br />

secoli XIII-XIV, sulle coste del mar Nero, di numerose colonie, hanno contribuito<br />

<strong>al</strong>l’attivazione dei rapporti commerci<strong>al</strong>i tra i Paesi Rumeni, i territori bizantini<br />

e quelli it<strong>al</strong>iani. Il commercio si svolgeva per il mezzo dei porti di Vicina,<br />

Chilia, Licostomo e Cetatea Albă, porti che, per la loro posizione geografica,<br />

permettevano l’entrata e l’ancoraggio delle navi e, per la loro navigazione sui fiumi<br />

interni, consentivano un rapido collegamento con le zone agricole rumene 65 .<br />

Con l’avvio e lo sviluppo dei rapporti commerci<strong>al</strong>i rumeno-genovesi, assistiamo<br />

<strong>al</strong> coinvolgimento della viticoltura mediev<strong>al</strong>e rumena nei circuiti economici<br />

europei. Dai territori danubiani-pontici, i mercanti it<strong>al</strong>iani importavano grandi<br />

quantità di prodotti agro-<strong>al</strong>imentari, incluso il vino e l’uva, ma portavano anche<br />

nuovi tipi di vite e una ricca varietà di vini mediterranei. I contratti notarili firmati<br />

a Chilia e Licostomo, tra gli anni 1360-1361, attestano grandi quantità di<br />

vini venduti e comprati, ma anche la tassa stabilita (comergium) <strong>d<strong>al</strong></strong>le autorità dei<br />

porti per la circolazione e la vendita dei prodotti 66 .<br />

Il più attivo commercio rumeno di prodotti viticoli era, però, orientato verso<br />

la Polonia, l’Ucraina, la Russia e l’Ungheria. Il cronista polacco Matei de Miechow<br />

attesta che in Polonia ed in Ucraina erano importate grandi quantità di vino da<br />

«l’Ungheria, la Moldavia ed il Paese Rumeno» 67 , mentre l’it<strong>al</strong>iano Giovanni Botero,<br />

dopo la visita fatta a cav<strong>al</strong>lo dei secoli XVI-XVII nei Paesi Rumeni, osservava: «Il<br />

negozio consiste in cere<strong>al</strong>i e vini, che vengono esportati in Russia e in Polonia» 68 .<br />

T<strong>al</strong>e situazione è rilevabile anche <strong>al</strong>l’inizio del XVIII secolo, secondo la testimonianza<br />

di Dimitrie Can<strong>temi</strong>r: «Queste vigne [<strong>d<strong>al</strong></strong>la Moldavia] non sono utili soltan-<br />

64 P.P. PANAITESCU, Interpretări românești. Studii de istorie economică și soci<strong>al</strong>ă, postfaţă, note și comentarii<br />

de Ș.S. Gorovei și M.M. Székely, București 1994, pp. 83-98; Ș. PAPACOSTEA, Geneza statului în evul mediu<br />

românesc, Cluj-Napoca 1988, pp. 151-204.<br />

65 G. ASTUTI, Le colonie genovesi del Mar Nero e i loro ordinamenti giuridici,in Genovezi la Marea Neagră în secolele<br />

XIII-XIV. I Genovesi nel Mar Nero durante i secoli XIII e XIV, București 1977, pp. 87-129.<br />

66 R. MANOLESCU, Comerţul și transportul produselor economiei agrare la Dunărea de Jos și pe Marea Neagră în<br />

secolele XIII-XV, «Revista istorică», 6 (1990), p. 554.<br />

67 Istoria românilor,p.66.<br />

68 DAVID, Podgorii feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e românești,p.52.<br />

137


138<br />

to agli abitanti del paese, per i loro bisogni, perché il prezzo basso del vino attrae<br />

qui mercanti russi, polacchi, cosacchi, abitanti della Transilvania e pure ungheresi<br />

che, ogni anno, importano nel loro paese molto vino» 69 . I mercanti cosacchi del<br />

Don si stabilivano già in estate nei villaggi vicini <strong>al</strong>la famosa area vinicola di Odobeşti<br />

ed in autunno compravano rilevanti quantità di vino, che poi vendevano sui<br />

mercati di Odessa, Harkov, Kiev e della Crimea 70 . Alcuni nobili polacchi acquistarono<br />

dei terreni da vigna in questa regione, per assicurarsi permanentemente i vini<br />

prodotti nei territori rumeni 71 .<br />

Durante i secoli XVIII-XIX, in seguito <strong>al</strong> coinvolgimento dell’economia<br />

rumena nei circuiti commerci<strong>al</strong>i europei ed <strong>al</strong>le iniziative per il suo ammodernamento<br />

72 , la viticoltura si trasformò e migliorò. Furono stampati libri e dispense in<br />

rumeno su tematiche agro-viticole 73 , si diffusero attrezzi e tecniche più produttive,<br />

vennero introdotti nei circuiti viticoli nuove superfici di terreno, si gener<strong>al</strong>izzò<br />

il lavoro s<strong>al</strong>ariato nelle regioni coltivate a vigna, furono creati vivai e migliorate<br />

notevolmente le varietà già esistenti, o ne vennero introdotte di nuove. Si effettuarono<br />

lavori di miglioramento su vasta sc<strong>al</strong>a, nonché la fertilizzazione e l’irrigazione<br />

delle superfici. Si pose poi una grande cura <strong>al</strong>la preparazione, <strong>al</strong>la conservazione,<br />

<strong>al</strong> trasporto ed <strong>al</strong>la commerci<strong>al</strong>izzazione dell’uva e del vino 74 . In particolare,<br />

si imposero e diventarono rappresentativi, tanto sul mercato interno, quanto<br />

su quello europeo, soprattutto i vini di Cotnari, Odobești, Murfatlar,<br />

Drăgășani, Târnave, Alba-Iulia, Orăștie, Miniș, Teaca, Dumitra, Lechinţa. Lo spumante,<br />

introdotto nei territori rumeni <strong>al</strong>l’inizio del XVIII secolo, cominciò ad<br />

essere consumato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>ta società rumena durante i pranzi festivi e le cene sontuose.<br />

All’inizio lo spumante s’importava, poi, fin<strong>al</strong>mente, si iniziò a produrre<br />

anche nello spazio rumeno a cominciare <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà del secolo XIX. D<strong>al</strong> punto di<br />

vista cronologico, la Romania è il quarto paese del mondo, dopo la Francia, la<br />

Russia e la Germania, nel qu<strong>al</strong>e si è prodotta questa bevanda <strong>al</strong>colica 75 .<br />

69 CANTEMIR, Descrierea Moldovei, pp. 54-55.<br />

70 TEODORESCU,s.v.,Viticultura, p. 402.<br />

71 TEODORESCU,s.v.,Viticultura, p. 402.<br />

72 A. OŢETEA, Pătrunderea comerţului românesc în circuitul internaţion<strong>al</strong>, București 1977.<br />

73 I. LUMPERDEAN, Literatura economică românească din Transilvania la începutul epocii moderne, București<br />

1999, pp. 130-131.<br />

74 TEODORESCU,s.v.,Viticultura, pp. 402-403; ŢÂRDEA,DEJEU, Viticultura, pp. 32-34.<br />

75 I. M. PUȘCĂ, Băuturi spumante în gospodărie, București 1988, p. 29.


«Hai guardato di nuovo il fondo della bottiglia e di nuovo l’ebbrezza il senno ti<br />

piglia» (p<strong>al</strong>in eis ton kaukon epies, p<strong>al</strong>in ton noun apolesas). Questi versi irridenti 1 venivano<br />

recitati <strong>al</strong>l’indirizzo dell’imperatore Foca (602-610), cui veniva rinfacciato<br />

in questo modo l’eccessivo consumo di <strong>al</strong>coolici, v<strong>al</strong>e a dire di vino. L’opinione<br />

pubblica dei primi secoli e del periodo mediano del millennio bizantino si è<br />

espressa ripetute volte in modo molto critico nei riguardi di un t<strong>al</strong>e abuso. An<strong>al</strong>ogo,<br />

ad esempio, è il biasimo sperimentato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’imperatore Alessandro agli inizi<br />

del X secolo. Egli si è sempre dedicato ad occupazioni esterne <strong>al</strong> p<strong>al</strong>azzo, non ha<br />

re<strong>al</strong>izzato nessun’opera degna di un imperatore, ma ha sempre vissuto nel lusso<br />

e nella crapula 2 .<br />

Il bilancio politico passivo dei due sovrani giustifica simili m<strong>al</strong>dicenze. L’imperatore<br />

Foca dopo otto anni di regno ha lasciato <strong>al</strong> suo successore un impero<br />

in rovina: orde di avari e slavi si erano insediati nei B<strong>al</strong>cani, i sassanidi erano<br />

penetrati in profondità nell’Asia Minore e l’It<strong>al</strong>ia andava progressivamente<br />

cadendo in mano ai longobardi 3 . Alessandro, a sua volta, ‘riuscì’ addirittura, in<br />

un unico anno di regno, a coinvolgere Bisanzio, che si trovava in condizioni di<br />

inferiorità militare, in una guerra rovinosa con i bulgari, che per poco non portò<br />

1 TEOFANE, Chronographia, ed. C. De Boor, I, Lipsiae 1883, p. 296, rr. 26-27.<br />

2<br />

LEONE GRAMMATICO, Chronographia, ed. I. Bekker, Bonnae 1842 (Corpus scriptorum historiae<br />

bizantinae [CSHB], 26), p. 286, rr. 8-11. P. KARLIN-HAYTER, The Emperor Alexander’s Bad Name, «Speculum»,<br />

44 (1969), pp. 586-595.<br />

3 3 G. OSTROGORSKY, Geschichte des byzantinischen Staates, München 1967 (Handbuch der Altertumswissenschaft<br />

12, 1/2), pp. 70-72; P. DELOGU, Il regno longobardo, in Storia d’It<strong>al</strong>ia. I:Longobardi e Bizantini,<br />

diretta da G. G<strong>al</strong>asso, Torino 1980, pp. 1-28, 36-39.<br />

* Università di Vienna, Austria.<br />

EWALD KISLINGER*<br />

D<strong>al</strong>l’ubriacone <strong>al</strong> krasopateras<br />

Il consumo del vino a Bisanzio<br />

139


140<br />

lo zar Simeone sul trono imperi<strong>al</strong>e 4 . Constateremo con interesse che persino a<br />

un sovrano di chiara fama qu<strong>al</strong>e Giovanni Tzimisce (969-975), che sottomise la<br />

Bulgaria e condusse le sue truppe vittoriose fino <strong>al</strong>la P<strong>al</strong>estina 5 , non furono<br />

risparmiate critiche a causa della notoria inclinazione <strong>al</strong> vino 6 , un tratto di carattere<br />

questo che evidentemente era considerato particolarmente negativo 7 . Nel<br />

caso di Michele III (842-867) l’abuso d’<strong>al</strong>cool diviene addirittura leit-motif emblematico<br />

di una campagna denigratoria di ampia portata: «Egli si circondava di<br />

un’infame banda di uomini empi e scostumati con i qu<strong>al</strong>i il buono a nulla trascorreva<br />

le giornate, senza darsi pensiero della dignità della maestà imperi<strong>al</strong>e,<br />

dandosi ad orgie dissolute. Si accompagnava a vili fantini dedicandosi a corse di<br />

cav<strong>al</strong>li, cortei schiamazzanti e bevute a causa della sua passione m<strong>al</strong>ata per il vino<br />

e della sua limitatezza ment<strong>al</strong>e (...). Reso sfrenato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ebbrezza, si lasciò andare<br />

ad ogni empietà e abbandonò il cammino della legge e del diritto. Quando era<br />

ubriaco di vino non mescolato ad acqua e non più padrone dei suoi sensi, non<br />

rifuggiva nemmeno da delitti ed insensate punizioni di innocenti. (...) Quando<br />

poi i fumi del vino si dileguavano, non ricordava più nulla e spesso chiedeva di<br />

persone che nell’ubriachezza aveva condannato a morte. Ma quando si faceva di<br />

nuovo sera e l’orgia, accompagnata da parole empie e sconsiderate, si protraeva<br />

fino a notte tarda, egli tornava a comportarsi <strong>al</strong>lo stesso modo» 8 .<br />

La provvida veglia (agrypnia) a vantaggio dei sudditi degenera qui in una farsa,<br />

il comportamento di Michele manca di giustizia (dikaiosyne), utilità (opheleia) e<br />

aiuto (boetheia) vengono concesse solo ai compagni di orge, l’imitazione di Dio<br />

(mimesis theou) non è per lui, il suo fine infatti è l’estasi dionisiaca 9 . Ogni elemento<br />

costitutivo dell’ideologia imperi<strong>al</strong>e appena elencato 10 è ignorato da Michele, <strong>al</strong><br />

qu<strong>al</strong>e si addice l’attributo di ‘ubriacone’ (methystes) 11 .<br />

4 S. RUNCIMAN, A History of the First Bulgarian Empire, London 1930, pp. 155-164; OSTROGORSKY,<br />

Geschichte, pp. 216-221.<br />

5 OSTROGORSKY, Geschichte, pp. 243-247.<br />

6 LEONE DIACONO, Historia, 6, 3, ed. C.B. Hase, Bonnae 1928 (CSHB, 11), pp. 97-98.<br />

7 E. JEANSELME, L´<strong>al</strong>coolisme a Byzance, «Bulletin de la société française de la médecine», 18 (1924), pp.<br />

289-295.<br />

8<br />

TEOFANE, Continuatus 5, 20 e 26, ed. I. Bekker, Bonnae 1838 (CSHB, 21), pp. 243 e 251-252.<br />

9 TEOFANE, Continuatus 5, 26, p. 251, rr. 10-11.<br />

10 Cfr. H. HUNGER, Prooimion. Elemente der byzantinischen Kaiseridee in den Arengen der Urkunden, Wien<br />

1964 (Wiener Byzantinistische Studien, 1).<br />

11<br />

MICHELE GLICA, Ann<strong>al</strong>es 4, ed. I. Bekker, Bonnae 1836 (CSHB, 16), p. 541.


Ma il s<strong>al</strong>vatore (soter) sta già dietro la porta. La fonte princip<strong>al</strong>e per questo<br />

periodo della storia bizantina, il libro V della cronaca del cosiddetto Teofane continuato,<br />

è gener<strong>al</strong>mente nota sotto il titolo di Vita Basilii, una denominazione adatta<br />

<strong>al</strong> carattere vagamente agiografico dell’opera 12 . Il luminoso eroe è qui appunto il<br />

nuovo imperatore Basilio I (867-886). Le zone d’ombra della sua carriera vengono<br />

ignorate, ad esempio il fatto che la sua ascesa soci<strong>al</strong>e è iniziata e si è compiuta<br />

<strong>al</strong>l’interno della ‘banda infame’ che circondava Michele III 13 e che, dopo aver gozzovigliato<br />

con l’imperatore la sera, levò contro di lui la notte stessa la mano assassina<br />

14 . La dinastia detta macedone ha manipolato abilmente la memoria storica per<br />

lavare da ogni colpa il proprio fondatore, ma non ha risparmiato nemmeno ai suoi<br />

stessi membri i predicozzi mor<strong>al</strong>eggianti a proposito del vino.<br />

Leone VI, il figlio di Basilio, denominato il saggio, fece un giorno una visita a<br />

sorpresa nel monastero di Eutichio a Psamathia 15 . L’imperatore vi fu ricevuto con<br />

tutti gli onori e gli fu dato il posto a capotavola; davanti a lui troneggiava un grande<br />

bocc<strong>al</strong>e per il vino che però, con suo grande stupore e delusione, non venne<br />

riempito per intero. «La stessa quantità per tutti», gli si comunica. «Il vino da voi si<br />

beve freddo?», s’informa il sovrano. «No di certo, il thermodotes (cioè colui che porge<br />

l’acqua c<strong>al</strong>da) è già qui». Leone pensa di approfittare della situazione per ottenere<br />

una maggiore quantità di vino. Si fa prima versare abbondantemente acqua,<br />

assaggia e constata che la miscela è troppo c<strong>al</strong>da. «Non sarebbe possibile avere un<br />

poco di vino fresco per ottenere la temperatura giusta?», propone. Me genoito, liberamente<br />

tradotto, «Manco a parlarne», è la brusca risposta. «Aggiungere vino è<br />

contrario <strong>al</strong>la regola. Ognuno si versi più o meno acqua c<strong>al</strong>da a suo piacimento».<br />

L’imperatore avrà comunque l’ultima parola: donando <strong>al</strong> monastero <strong>al</strong>tri vigneti,<br />

egli farà sì che ogni monaco ed ogni ospite in futuro abbia un bicchiere colmo per<br />

pasto e lo beva <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute dell’imperatore. Leone VI con questo operato dà prova<br />

12 P.J. ALEXANDER, Secular biography at Byzantium, «Speculum», 15 (1940), pp. 200-202; H. HUNGER, Die<br />

hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, München 1978 (Handbuch der Altertumswissenschaft,<br />

12, 5/1-2), pp. 339-343.<br />

13 E. KISLINGER, Der junge Basileios I. und die Bulgaren, «Jahrbuch der österreichischen Byzantinistik»,<br />

30 (1981), pp. 137-150.<br />

14<br />

LEONE GRAMMATICO, Chronographia, pp. 250, r. 11-251, r. 21; GIORGIO MONACO, Continuatus (A),<br />

ed. I. Bekker, Bonnae 1838 (CSHB, s.n.), pp. 836, r.12-837, r. 22; PSEUDO-SIMEONE LOGOTETA, Chronographia,<br />

ed. I. Bekker, Bonnae 1838 (CSHB, s.n.), pp. 684, r. 9-685, r. 11.<br />

15 Il seguente episodio è narrato nella Vita Euthymii Patriarchae Costantinopolitanae, ed. P. Karlin-Hayter,<br />

Bruxelles 1970 (Bibliothèque de Byzantion, 3), pp. 51-55 (cap. IX).<br />

141


142<br />

di un’<strong>al</strong>tra fondament<strong>al</strong>e virtù imperi<strong>al</strong>e, l’euergesia. L’impegno a favore dei sudditi<br />

compensa il fatto che i monaci avevano dovuto ricordargli di osservarne un’<strong>al</strong>tra,<br />

v<strong>al</strong>e a dire la giusta e conveniente misura (prepon, metron).<br />

La pratica già propria del simposio antico, di diluire il vino con l’acqua (a quei<br />

tempi però <strong>al</strong> fine di berne quantità maggiori), viene perpetuata nel mondo monastico<br />

e non soltanto lì 16 . Il libro dell’eparca, una sorta di regolamento dei mestieri<br />

redatto agli inizi del X secolo su incarico appunto di Leone VI, tratta anche dei<br />

kapeleia, le taverne 17 . La sera va spento il fuoco sotto il paiolo. Questo provvedimento<br />

non mira a proibire la preparazione di cibi c<strong>al</strong>di, ma a limitare il consumo<br />

del vino: senza il fuoco, infatti, non è possibile risc<strong>al</strong>dare l’acqua per diluirlo e si<br />

impedisce così che gli avventori rimangano l’intera notte e, ubriachi fradici, si<br />

abbandonino a risse e violenze. Si noterà che non è affatto necessario prevedere la<br />

possibilità che, in mancanza d’acqua, si continui a trincare con vino puro: un t<strong>al</strong>e<br />

comportamente era degno soltanto di un ubriacone. La mescita dell’acqua c<strong>al</strong>da<br />

era un’occupazione che dava addirittura di che vivere: una trattoria di Emesa, in età<br />

protobizantina, aveva impiegato a questo scopo il santo Simeone S<strong>al</strong>os (folle) 18 .<br />

Un santo nella taverna? Come conciliare ciò con l’ide<strong>al</strong>e ascetico e l’influsso<br />

che esso esercitava sulla società bizantina? Simeone, è bene ricordarlo, aveva già <strong>al</strong>le<br />

sp<strong>al</strong>le un decennio di vita eremitica nel deserto, durante il qu<strong>al</strong>e aveva raggiunto l’apatheia,<br />

la libertà da tutte le passioni terrene, ed era poi tornato in città, il teatro di<br />

queste stesse passioni. Nel recitare per il pubblico urbano, in questa seconda fase, il<br />

ruolo dell’antitipo di un santo, egli, ritenuto folle (s<strong>al</strong>os), si attira il disprezzo di tutti<br />

e lo sopporta con umiltà 19 . M<strong>al</strong>grado l’<strong>al</strong>terità comportament<strong>al</strong>e dell’eroe, la narrazione<br />

rimane sostanzi<strong>al</strong>mente ancorata agli standards agiografici. Simeone divora,<br />

ad esempio, coram publico intere scodelle di fagioli, ma poi, aggiunge immediatamente<br />

la Vita, si premura di digiunare per parecchi giorni senza che nessuno lo noti 20 .<br />

16 E. KISLINGER, Thermodotes - ein Beruf?, «Klio», 68 (1986), pp. 123-127.<br />

17 Das Eparchenbuch Leons des Weisen, introduzione, testo critico, trad. tedesca e indici di J. Koder, Wien<br />

1991(Corpus <strong>Fonti</strong>um Historiae Byzantinae [CFHB], 33), pp. 130-133 (cap. 19).<br />

18 Das Leben des Heiligen Narren Symeon von Leontios von Neapolis, ed. L. Rydèn, Stockholm-Göteborg-<br />

Upps<strong>al</strong>a (Acta Universitatis Ups<strong>al</strong>iensis. Studia Graeca Ups<strong>al</strong>ensia, 4), p. 147, rr. 8-21.<br />

19 P. HAUPTMANN, Die «Narren um Christi Willen» in der Ostkirche, «Kirche im Osten», 2 (1959), pp. 27-<br />

49; V. DÉROCHE, Études sur Léontios de Néapolis, Upps<strong>al</strong>a 1995 (Acta Universitatis Ups<strong>al</strong>iensis. Studia<br />

Byzantina Ups<strong>al</strong>iensia, 3); D. KRUEGER, Symeon the Holy Fool. Leontius’s Life and the late antique city,<br />

Berkeley-Los Angeles-London 1996.<br />

20 Das Leben des Heiligen Narren Symeon, p. 146, rr. 7-10; cfr. anche pp. 156, r. 23-157, r. 4.


Per quanto riguarda il vino, l’indice di tolleranza della santa follia è notevolmente<br />

inferiore. La professione di thermodotes per un santo è ancora compatibile con gli<br />

intenti didattici del genere agiografico, ma s’intende che a Simeone stesso non è<br />

lecito assaggiare neanche una goccia di vino. Anch’egli incarna l’ide<strong>al</strong>e dell’astinenza<br />

(o tutt’<strong>al</strong> più del consumo moderato) che santi e imperatori, entrambi guide e<br />

modelli della società bizantina, sono tenuti a propagare.<br />

La re<strong>al</strong>tà che la mensa imbandita di Isacco II Angelo (1185-1195) ci presenta<br />

era lontana mille miglia da questo ide<strong>al</strong>e. Montagne di cacciagione, un fiume<br />

brulicante di pesci, un mare di vino, è il quadro che si offre agli occhi dello spettatore.<br />

Questo però, come osserva lo storico Niceta Coniata 21 aggrottando, per<br />

cosi dire, la fronte, non è che un vizio fra molti <strong>al</strong>tri (avarizia o irascibilità) 22 ;<br />

accanto a questi vi è anche parecchio da lodare (ad esempio le numerose opere di<br />

carità) 23 . È possibile attribuire questa relativa moderazione esclusivamente <strong>al</strong>la<br />

costante ricerca di obiettività da parte dello storico? Era l’indulgenza di Niceta nei<br />

confronti del mediocre, ma tutto sommato ‘norm<strong>al</strong>e’, Isacco una consapevole<br />

reazione <strong>al</strong> regime di terrore di un Andronico Comneno (1182-1185)?<br />

Può darsi. A mio avviso però è lecito leggere qui, fra le righe, l’emergere di<br />

un nuovo atteggiamento, di una diversa v<strong>al</strong>utazione soci<strong>al</strong>e del consumo del<br />

vino. Non intendo con ciò affermare che l’<strong>al</strong>coolismo stava per trasformarsi in<br />

una virtù imperi<strong>al</strong>e e per ciò stesso esemplare. Tuttavia, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’XI secolo in poi<br />

incontriamo indizi sempre più numerosi di un atteggiamento ment<strong>al</strong>e più favorevole<br />

nei confronti del bere. I toni bruschi e severi con i qu<strong>al</strong>i veniva stigmatizzato<br />

nel passato l’abuso del vino diventano più rari. Vorrei innanzitutto presentare<br />

<strong>al</strong>cuni testimoni che parlano a favore di questa interpretazione, prima di<br />

affrontare il problema dei possibili motivi di un t<strong>al</strong>e mutamento.<br />

Voci a favore del vino: Psello, Mesarita e <strong>al</strong>tri<br />

Michele Psello (vissuto <strong>d<strong>al</strong></strong> 1018 <strong>al</strong> 1081 ca.), uno dei bizantini di più ampia e<br />

univers<strong>al</strong>e cultura, esibisce una bibliografia che abbraccia i più disparati generi<br />

21<br />

NICETA CONIATA, Chronike diegesis, ed. I.A. Van Dieten, Berolini-Novi Eboraci 1975 (CFHB, 11/1),<br />

p. 441, rr. 10-12.<br />

22<br />

NICETA, Chronike diegesis, p. 424, rr. 52-55.<br />

23 NICETA, Chronike diegesis, p. 445, rr. 19-35.<br />

143


144<br />

letterari 24 , fra cui si annovera anche un opuscolo specifico sul vino 25 . La natura,<br />

o meglio Dio, che ne è il creatore, ha dato <strong>al</strong>l’uomo un <strong>al</strong>imento particolare e ci<br />

si può chiedere se, dopo il pane, ci sia qu<strong>al</strong>cosa di più meraviglioso del vino (109,<br />

rr. 14-23). Entrambi infatti vengono adoperati nella consacrazione per la loro<br />

eccellenza (114, rr. 105-110). Non si deve insultare il vino per il suo effetto inebriante,<br />

anche chi si avvicina troppo <strong>al</strong> fuoco subisce danno, eppure il fuoco è<br />

senza dubbio il più importante degli elementi (113, rr. 77-80). Questa es<strong>al</strong>tazione<br />

non ha grande rilevanza, ci troviamo infatti nel regno della retorica, nel qu<strong>al</strong>e<br />

è permesso trattare gli argomenti più assurdi, come fece anche Psello nei suoi<br />

elogi del pidocchio o della cimice 26 , dai qu<strong>al</strong>i certamente non si può dedurre nessuna<br />

particolare simpatia per questi anim<strong>al</strong>i, tutt’<strong>al</strong> più il superamento di problemi<br />

quotidiani grazie <strong>al</strong>l’ottimismo. La descrizione della visita di un conoscente<br />

colto ed esperto di vini, il qu<strong>al</strong>e elogia in toni lirici la marca servitagli da Psello 27 ,<br />

acquista credibilità soltanto quando lo scrittore in <strong>al</strong>tro contesto ci rivela, per<br />

cosi dire en passant, qu<strong>al</strong>e sia la sua re<strong>al</strong>e opinione sul vino.<br />

L’orazione Eis tina kapelon genomenon nomikon si beffa del figlio di un oste che,<br />

per ottenere una promozione soci<strong>al</strong>e, aveva studiato giurisprudenza 28 . Adesso il<br />

giovane dottore è disoccupato e ha tutto il tempo di riflettere m<strong>al</strong>inconicamente se<br />

era davvero cosi umiliante e faticoso rivoltare sulla brace gli spiedini di agnello o di<br />

mai<strong>al</strong>e (52, rr. 13-14; 54, rr. 94-96). Ancor più interessante di questa informazione<br />

sull’esistenza, già in epoca bizantina, dei suvlakia sono le frequenti notizie relative<br />

24 E. KRIARAS,s.v.,Michael Psellos, in Paulys Re<strong>al</strong>encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, XI, Stuttgart<br />

1968, coll. 1124-1182.<br />

25 Enkomion eis ton oinon, ed. A. Littlewood, Michaelis Pselli oratoria minora, Leipzig 1985, pp. 110-116 (or.<br />

30). E.V. MALTESE, Per una storia del vino nella cultura bizantina: appunti della letteratura profana,in Storie del<br />

vino, a cura di P. Scarpi, Milano 1991 (Homo edens, 2), pp. 193-205 (ristampa in E.V. MALTESE,<br />

Dimensioni bizantine. Donne, angeli e demoni nel medioevo greco, Torino 1995, pp. 93-110), qui pp. 199-201:<br />

«Psello indica contemporaneamente il culmine e il limite della riv<strong>al</strong>utazione del vino nella cultura<br />

uffici<strong>al</strong>e bizantina: il massimo elogio della bevanda non può non coincidere con la codificazione del<br />

suo consumo moderato».<br />

26 Oratoria minora, pp. 97-101 (or. 27), pp. 107-110 (or. 29). An<strong>al</strong>isi in R. VOLK, Der medizinische Inh<strong>al</strong>t<br />

der Schriften des Michael Psellos, München 1990 (Miscellanea Byzantina Monacensia, 32), pp. 245-251 e<br />

257-261. Si ricorderà inoltre che in <strong>al</strong>tra circostanza Psello, <strong>al</strong> contrario, ha stigmatizzato, sempre<br />

retoricamente, l’<strong>al</strong>coolismo di un monaco che si faceva beffe di lui, cfr. K.N. SATHAS, Mesaionike<br />

bibliotheke, V, Paris 1876, pp. 177-181.<br />

27 Enkomion eis ton oinon, pp. 115-116.<br />

28 Oratoria minora, pp. 51-57 (or. 14).


<strong>al</strong>la mescita del vino (52, r. 11; 53, rr. 42-43; 54, rr. 79-81; 55, rr. 120-125). Nonostante<br />

l’uso di svariate citazioni classiche, l’autore rivela a quanto pare una buona<br />

conoscenza dell’ambiente delle taverne. Dico di proposito ‘a quanto pare’, perché<br />

l’arrivato cortigiano che era Psello procede in modo molto raffinato, attribuendo<br />

ad <strong>al</strong>tri t<strong>al</strong>i conoscenze; in un’<strong>al</strong>tra orazione, la numero 16 (59-62 Littlewood), egli<br />

li biasima addirittura per t<strong>al</strong>e frequentazione: «Ora si gode l’aroma del vino non<br />

diluito, ora lo diluisce, ma soltanto con poca acqua tiepida per non diminuirne, a<br />

quanto dice, la corposità (...) Spesso afferra la brocca con entrambe le mani e la<br />

porta <strong>al</strong>la bocca. Le osterie della città le conosce tutte a menadito. (...) Sa perfettamente<br />

dove si beve il rosso più scuro e che il migliore in ogni caso è quello di Chio.<br />

Questo è il più forte, egli dice, il migliore di tutti, tiene insieme anima e corpo e chi<br />

lo ha non ha bisogno di nessun <strong>al</strong>tro» (60, 43 - 61, 55). Chi è il soggetto di questo<br />

ritratto ironico e critico a un tempo? Si tratta del confessore di Psello: i suoi titoli<br />

di grammatikos e notarios (59, rr. 10-11) 29 ci assicurano che egli non era di certo il parroco<br />

m<strong>al</strong>andato, qu<strong>al</strong>e ci appare nella caricatura che ne fa il nostro retore.<br />

Le re<strong>al</strong>i impressioni riportate dopo una visita in una taverna sono oggetto di<br />

descrizione, circa 150 anni dopo Psello, ad opera di un <strong>al</strong>tro chierico, questa volta<br />

indiscutibilmente di <strong>al</strong>to rango. Nicola Mesarita, metropolita di Efeso, abbandonò<br />

nel 1208 Costantinopoli ormai latina e s’imbarcò dapprima su una nave in<br />

rotta verso Pylai. Qui giunto, si aggregò ad un gruppo di mercanti che si dirigevano,<br />

come lui, con i loro muli e i loro carri verso Nicea, sede del governo bizantino<br />

in esilio dei Lascaridi 30 . La prima tappa del viaggio condusse la comitiva fino<br />

<strong>al</strong>la cittadina «tou Kyr Georgiou», dove essa prese <strong>al</strong>loggio in una casa non<br />

meglio specificata. Essa metteva a disposizione dei viaggiatori non soltanto un<br />

letto, ma anche una cena a base di pane, vino, carne e pesce s<strong>al</strong>ato (40, rr. 15-19);<br />

tutto ciò ci fa supporre che la casa in questione fosse una locanda del tipo noto<br />

29 A. KAZHDAN, s.v.,Grammatikos, inOxford Dictionary of Byzantium, 3 voll., New York-Oxford 1991,<br />

p. 866: «In addition to its ancient meaning of scholar or teacher (...) came to signify scribe or secretary»;<br />

ID., A. CUTLER,s.v.,Notary,in Oxford Dictionary, p. 1495: «notarioi (...) served in various government<br />

departments (...) as scribes and secretaries».<br />

30 A. HEISENBERG, Neue Quellen zur Geschichte des lateinischen Kaisertums und der Kirchenunion. II: Die<br />

Unionsverhandlungen vom 30. August 1206. Patriarchenwahl und Kaiserkrönung in Nikaia 1208, in Sitzungsberichte<br />

der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, philosophisch-philologische und historische Klasse. Jahrgang<br />

1922/5, München 1925, pp. 3-56 (ristampa in A. HEISENBERG, Quellen und Studien zur spätbyzantinischen<br />

Geschichte, London 1973, nr. II/2). Sul percorso cfr. J. LEFORT, Les communications entre Constantinople<br />

et la Bithynie, in Constantinople and its Hinterland, a cura di C. Mango, G. Dagron, Aldershot 1995<br />

(Society for the Promotion of Byzantine Studies. Publications, 3), pp. 207-218.<br />

145


146<br />

come pandocheion 31 . Gli ambienti sono pieni di fumo e soffocanti (40, rr. 19-24),<br />

il compagno di camera in preda ai fumi dell’<strong>al</strong>cool dorme un sonno inquieto e<br />

mormora parole volgari o prive di senso (40, rr. 34-36). Il garzone del carrettiere,<br />

in cambio, è in piedi già <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>ba: ben presto si ricomincerà a bere vino non<br />

diluito accompagnato da carne bollita, che viene tagliata a grossi pezzi con un<br />

coltello e divorata avidamente (41, rr. 6-15).<br />

Mesarita descrive, con rude re<strong>al</strong>ismo, la vita quotidiana in un loc<strong>al</strong>e che oggi<br />

classificheremmo come un ritrovo di camionisti, dove gli avventori, prima di iniziare<br />

la dura giornata di lavoro, bevono e consumano pasti semplici ad <strong>al</strong>to contenuto<br />

c<strong>al</strong>orico, ben <strong>al</strong> disotto del livello gastronomico cui era abituato il prelato.<br />

Nicola è indignato, ma in primo luogo perché è costretto a condividere letto<br />

e tavola con il popolino; l’abitudine di bere vino fin di prima mattina non provoca<br />

però nessuna critica di principio. Adesso si beve esclusivamente vino non<br />

diluito: questo trend, registrato, come si è visto, già da Psello («Ora si gode l’aroma<br />

del vino non diluito, ora invece lo diluisce, ma con poca acqua tiepida»), si è<br />

completamente imposto, <strong>al</strong>meno nelle taverne, Simeone S<strong>al</strong>os sarebbe ora stato<br />

costretto a cercarsi un <strong>al</strong>tro lavoro!<br />

Nel 1214 Nicola Mesarita ritornò in missione diplomatica a Costantinopoli<br />

32 . In suo onore fu offerto un ricevimento nel Tomaita, un edificio che era anticamente<br />

sede del patriarcato ed era connesso architettonicamente <strong>al</strong> complesso<br />

di Santa Sofia. Il buffet non mancava di nulla (21, rr. 8-18). He de posis hoia? Questa<br />

la domanda retorica, dopo le pietanze, sulle bevande offerte. La relazione di<br />

Mesarita elenca a questo proposito il vino di Chio, quello di Lesbo, più dolce del<br />

miele, ed uno aromatico proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Eubea (21, rr. 18-20) 33 . A conclusione<br />

31 Sui diversi tipi di locande v. per l´antichità T. KLEBERG, Hotels, restaurants et cabarets dans l’antiquité<br />

romaine, Upps<strong>al</strong>a 1957 (Bibliotheca Ecmaniana, 61); in particolare per l’età bizantina E. KISLINGER,<br />

Kaiser Julian und die (christlichen) Xenodocheia, in Byzantios. Festschrift für H. Hunger, Wien 1984, pp. 171-<br />

184, e ID., Taverne, <strong>al</strong>berghi e filantropia ecclesiastica a Bisanzio, «Atti della Accademia delle Scienze di<br />

Torino. Classe di scienze mor<strong>al</strong>i, storiche e filologiche», 120 (1986), pp. 83-96.<br />

32 A. HEISENBERG, Neue Quellen zur Geschichte des lateinischen Kaisertums und der Kirchenunion. III: Der Bericht<br />

des Nikolaos Mesarites über die politischen und kirchlichen Ereignisse des Jahres 1214, in Sitzungsberichte der<br />

Bayerischen Akademie der Wissenschaften, philosophisch-philologische und historische Klasse. Jahrgang 1923, München<br />

1923, pp. 3-96 (ristampa in HEISENBERG, Quellen und Studien, nr. II/3).<br />

33 Le zone coltivabili a vite dell’Egeo orient<strong>al</strong>e (fra cui anche Samo, Rodi e Cos) sono noti e apprezzati<br />

fin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità. In particolare su Chio v. già sopra p. 145 e sotto, n. 40; su Lesbo v. ATENEO,<br />

Deipnosophiston 1, 28 e-f, edd. A.M. Desrousseaux, C. Astruc, Paris 1956 (Collection des Universités<br />

de Françe [CUF]), pp. 67-68; Q. ORAZIO FLACCO, Carmina 1, 17, 21-22, in Le opere, a cura di F. della


della serata viene infine portato in tavola il principe dei vini, quello di Monembasia<br />

(21, r. 21). Lo studioso incontra questo prodotto per la prima volta. Mesarita<br />

in ogni caso lo conosce e lo apprezza da tempo e non mostra di avere <strong>al</strong>cun<br />

rimorso di coscienza per essersi dato <strong>al</strong> consumo di quattro vini tanto forti. Qui<br />

si trova fra ugu<strong>al</strong>i, ad un ambiente fine e raffinato si addicono vini scelti. Quanto<br />

diverse le reazioni di Giovanni Eleemon (il misericordioso), patriarca di Alessandria<br />

agli inizi del VII secolo, quando il suo cantiniere gli offrì un bicchiere di<br />

vino p<strong>al</strong>estinese: questo è un lusso eccessivo, in futuro sarà sufficiente anche il<br />

vinello loc<strong>al</strong>e della p<strong>al</strong>ude mareotica 34 (il qu<strong>al</strong>e, sia detto in parentesi, nell’antichità<br />

godeva di ottima fama) 35 .<br />

Chi vuole tuttavia giustificare Nicola Mesarita può sempre rifarsi ad un <strong>al</strong>tro<br />

ecclesiastico, suo collega in duplice senso, intendo Liutprando di Cremona,<br />

anch’egli vescovo e diplomatico <strong>al</strong> servizio dell’imperatore tedesco Ottone I. Egli<br />

infatti osservava con disprezzo che i chierici constantinopolitani non bevevano<br />

vino, ma sorseggiavano acqua da bagno – con il che <strong>al</strong>ludeva probabilmente <strong>al</strong>l’aggiunta<br />

di acqua c<strong>al</strong>da – in minuscoli bicchierini 36 . Un t<strong>al</strong>e paragone comporta, è<br />

vero, un passo <strong>al</strong>l’indietro <strong>al</strong>la metà del X secolo, Nicola Mesarita invece è molto<br />

più vicino, sia cronologicamente che ideologicamente, <strong>al</strong> mondo di un Giovanni<br />

Apocauco (metropolita di Naupatto, 1200-1232) e agli abati della quarta poesia<br />

ptocoprodromica. Il primo biasima il vescovo di Chimara per avergli servito, in<br />

occasione di una recente visita, soltanto pane, ma non vino 37 . Gli ultimi, a loro vol-<br />

Corte, P. Venini L. Can<strong>al</strong>i, I/1, Roma 1991 (Antiquitas Perennis), p. 143; e TEODORETO DI CIRO, Epistula<br />

13, ed. Y. Azéma, Correspondance, II, Paris 1964 (Sources chrétiennes, 98), p. 44. Sull´Eubea cfr.<br />

sotto, n. 43.<br />

34 H. DELEHAYE, Une vie inédite de Saint Jean l’Aumonier, «An<strong>al</strong>ecta Bollandiana», 45 (1927), p. 24 (cap. 10).<br />

35<br />

PLINIO IL VECCHIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 4 (3), 39, ed. J. André, XIV, Paris 1958 (CUF), p. 36; P. VIR-<br />

GILIO MARONE, Georgiche 2, 91-92, ed. H. Goelzer, II, Paris 1935 (CUF), p. 71: «Sunt Thasiae vites, sunt<br />

et Mareotides <strong>al</strong>bae, pinguibus hae terris habiles, levioribus illae»; M.A. LUCANO, De bello civile 10, 162-<br />

163, edd. A. Bourgery, M. Ponchont, II, Paris 1929 (CUF), p. 189. J.-Y. EMPEREUR, La production viticole<br />

dans l´Egypte Ptolémaique et Romain,in La production du vin et de l´huile en Mediterranée, a cura di M.-C. Amouretti,<br />

J.P. Brun, Paris 1993 (Bulletin de Correspondance Hellénique. Supplément, 26), pp. 39-47.<br />

36<br />

LIUTPRANDO DI CREMONA, Legatio c. 63, ed. J. Becker, MGH, Scriptores rerum germanicarum in usum<br />

scholarium, 41, Hannoverae-Lipsiae 1915, p. 211. Traduzione it<strong>al</strong>iana e commento in Liutprando di Cremona.<br />

It<strong>al</strong>ia e Oriente <strong>al</strong>le soglie dell’anno Mille, a cura di M. Oldoni, P. Ariatta, Novara 1987.<br />

37 S. PÉTRIDÈS, Jean Apokaukos. Lettres et autres documents inédits, «Izvestija russkago archeologiceskago<br />

instituta v Konstantinopole», 14 (1909), pp. 73-74 (nr. IV); K. LAMPROPOULOS, Ioannes<br />

Apokaukos. Symbole sten ereuna tou biou kai tou syngraphikou ergou tou, Athena 1988 (Historikes monographies,<br />

6).<br />

147


148<br />

ta, nel monastero di Filotheou osservano mercoledì e venerdì digiuno strettissimo:<br />

di pesce nemmeno a parlarne, soltanto qu<strong>al</strong>che bocconcino di carne di aragosta,<br />

gamberetti, cuore di cavolo in purée di lenticchie con ostriche, mele e datteri e «fra<br />

i vini quelli di Tracia, Creta e Samo la cui dolcezza stimola gli umori corporei» 38 .<br />

Si potrebbe giustamente obiettare a quanto detto finora che è lecito mettere<br />

in relazione soltanto ciò che è paragonabile, mentre io ho qui posto sullo stesso<br />

piano il rapporto obiettivo di un Mesarita, da un lato, ed una satira squisitamente<br />

letteraria, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro. La satira, è noto, deforma di fatto la re<strong>al</strong>tà conformemente<br />

<strong>al</strong>le leggi del genere e ottiene l’effetto desiderato proprio con l’esagerare la<br />

portata dei dati e degli abusi effettivi. La ricerca scientifica afferma oggi unanimemente<br />

che i testi letterari in volgare non sono frutto della musa popolare, ma<br />

che i loro produttori e ricettori primari sono da cercare anch’essi nei circoli intellettu<strong>al</strong>i<br />

della capit<strong>al</strong>e. Questi avrebbero adoperato la lingua volgare in conformità<br />

ad un diffuso Zeitgeist come un gioco letterario, onde conferire vivacità e<br />

autenticità ai personaggi del mondo proletario messi in scena. Il monachello<br />

(«dei semplici il più semplice, monastico, mediocre e schietto») 39 cui l’autore<br />

pone sulle labbra la protesta contro quelli che stanno in <strong>al</strong>to, non si augura affatto<br />

un ritorno <strong>al</strong>l’ascetismo estremo dei padri del deserto dei primi secoli di<br />

Bisanzio. Quel che lo disturba è la discriminazione subita, il suo essere escluso<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le gozzoviglie dei superiori: «Potessi anch’io ricrearmi con il vino di Chio,<br />

diciamo quattro bocc<strong>al</strong>i, potessi anch’io ruttare a piacimento e poi mettermi a<br />

dormire. (...) Mai, ahimè, mi è riuscito di aver questo piacere» 40 . Anche a lui tocca<br />

del vino, ma è quello acidulo di Varna e anche di questo ce n’è poco e, purtroppo,<br />

diluito con acqua 41 .<br />

In questo caso è la gerarchia soci<strong>al</strong>e che si oppone <strong>al</strong> sogno di avere più e<br />

miglior vino, in <strong>al</strong>tri invece si tratta di ostacoli re<strong>al</strong>i. Niceforo Basilace, durante il<br />

suo esilio a Filippopoli (oggi Plovdiv, in Bulgaria) nel 1160, aveva un bel lamen-<br />

38 Ptochoprodromos. Einführung, kritische Ausgabe, deutsche Übersetzung, Glossar, ed. H. Eideneier, Köln<br />

1991 (Neograeca Medii Aevi, 5), pp. 156-157 vv. 317-333. Sul vino di Gano in Tracia cfr. N. GÜN-<br />

SENIN, Le vin de Ganos: les amphores et la mer,in Eupsychia. Mélanges offerts à Hélène Ahrweiler, I, Paris 1998<br />

(Byzantina Sorbonensia, 16), pp. 281-287; su Creta A. CHANIOTIS, Vinum Creticum Excellens: Zum<br />

Weinhandel Kretas, «Münsterische Beiträge zur antiken Handelsgeschichte», 7 (1988), pp. 62-89; e A.<br />

MARANGOU-LERAT, Le vin et les amphores de Crète, Paris 1995 (Études crétoises, 30).<br />

39 Ptochoprodromos, IV 26, 28, p. 140.<br />

40 Ptochoprodromos, IV 181-182, 228, pp. 148 e 150.<br />

41 Ptochoprodromos, IV 137, 253, 299, 349, 396, pp. 146, 153, 155, 158 e 160.


tarsi del vino loc<strong>al</strong>e, che spumeggiava addirittura a causa della resina che vi veniva<br />

mescolata, m<strong>al</strong>auguratamente era l’unico vino disponibile in zona 42 . In quell’oscura<br />

provincia mancava una richiesta di marche più costose, ad esempio<br />

quelle delle isole dell’Egeo orient<strong>al</strong>e, paragonabile a quella della capit<strong>al</strong>e, che fosse<br />

in grado di compensare le fatiche e i costi del trasporto. Vino di Chio e di<br />

Rodi mancava anche ad Atene: Michele Coniata, metropolita della città nel 1182-<br />

1204, doveva addirittura fare a meno di quello della vicina Eubea 43 . Anche per lui<br />

i vini di qu<strong>al</strong>ità, quando erano disponibili, rappresentavano un elemento positivo,<br />

un auspicabile status symbol.<br />

Col vino resinato, la retsina, non si poteva fare bella figura, e non soltanto a<br />

Plovdiv 44 . Esso rimase sempre, fino <strong>al</strong> passato più recente, un semplice vino<br />

loc<strong>al</strong>e, soltanto il turismo di massa degli ultimi decenni lo ha promosso a principe<br />

dei vini greci. Se un odierno autore di successo qu<strong>al</strong>e Umberto Eco, nell’ambientare<br />

la cornice narrativa del suo ultimo romanzo a Costantinopoli, fa comparire<br />

sulla tavola dello storico Niceta Coniata proprio la retsina, con la qu<strong>al</strong>e<br />

egli spegne la sete del suo illustre ospite Baudolino 45 , ciò riflette e proietta nel<br />

passato un orizzonte d’attesa tipicamente moderno: le re<strong>al</strong>i preferenze dei<br />

Bizantini non vengono prese in considerazione.<br />

Questa piccola digressione ci riporta a Costantinopoli, dove, come si è visto,<br />

il consumo del vino era ampiamente diffuso ed i conoscitori erano numerosi. Il<br />

breve intermezzo dell’impero latino (1204-1261) non pregiudicò questo stato di<br />

cose (vedi Mesarita). In una lettera, a mio avviso databile fra il 1324 e il 1330,<br />

Giovanni Cumno descrive una sorta di carnev<strong>al</strong>e bizantino 46 . D<strong>al</strong>la mattina fino<br />

a tarda notte si faceva onore a Dioniso, si brindava con grandi bicchieri colmi di<br />

vino di Monembasia e Trigleia e ci si sentiva forti come tori, benché ci si potes-<br />

42 A. GARZYA, Quattro epistole di Niceforo Basilace, «Byzantinische Zeitschrift», 56 (1963), p. 233 [ep. 4]<br />

(= ID., Nicephori Basilace orationes et epistulae, Lipsia 1984, pp. 114-115).<br />

43 MICHELE CONIATA, Epistula 50, ed. F. Kolovou, Berolini-Novi Eboraci 2001 (CFHB, 41), p. 69<br />

(rispett. ed. S.P. Lampros, Michaelis Acominati opera, II, Athena 1880 [rist. Groningen 1968], p. 83).<br />

44 TH. WEBER, Essen und Trinken im Konstantinopel des 10. Jahrhunderts, nach den Berichten Liutprands von<br />

Cremona, in J.KODER, TH. WEBER, Liutprand von Cremona in Konstantinopel. Untersuchungen zum griechischen<br />

Wortschatz und zu re<strong>al</strong>ienkundlichen Aussagen in seinen Werken, Wien 1980 (Byzantina Vindobonensia,<br />

13), pp. 71-99, qui pp. 77-78; E. KISLINGER, Retsina e b<strong>al</strong>nea: consumo e commercio del vino a Bisanzio,<br />

in Storie del vino, pp. 77-84, qui p. 81.<br />

45 U. ECO, Baudolino, Milano 2000, p. 275.<br />

46 Cfr. J.FR.BOISSONADE, Anecdota nova, Paris 1844, p. 216 (epist.6).<br />

149


150<br />

se a m<strong>al</strong>apena tenere dritti. Il vino di Monembasia, così la nostra fonte, ha perso<br />

la sua esclusività. Ora è apprezzato da molti per la sua corposità insieme ad<br />

un nuovo tipo, il vino di Trigleia (oggi Zeytinbagi). Questa loc<strong>al</strong>ità è situata sulla<br />

costa meridion<strong>al</strong>e del Mar di Marmara, 30 km a nord-ovest di Prusa/Bursa. È<br />

da notare, in gener<strong>al</strong>e, che tutti i vini di circolazione sovraregion<strong>al</strong>e provenivano<br />

da isole, o erano prodotti in zone costiere (ad esempio Creta, Lesbo, Chio, Taso,<br />

Cilicia e – in epoca protobizantina – le città di P<strong>al</strong>estina, come Gaza, Tiro, Sarepta)<br />

47 . I centri princip<strong>al</strong>i di consumo possedevano anch’essi porti di rilievo, ad<br />

esempio Costantinopoli o anche S<strong>al</strong>onicco.<br />

Nella capit<strong>al</strong>e si dibattè tenacemente, fino <strong>al</strong>la conquista ottomana (1453), se<br />

le taverne veneziane dovessero avere licenza di vendere il loro vino – che le esenzioni<br />

fisc<strong>al</strong>i rendevano più economico – ai sudditi bizantini, anche <strong>al</strong> dettaglio o<br />

semplicemente in botti, un dibattito che, tra l’<strong>al</strong>tro, la dice lunga sull’entusiasmo<br />

della clientela bizantina per il vino 48 . La predica ammonitrice del metropolita di<br />

S<strong>al</strong>onicco Gabriele, sullo scorcio del XV secolo, ci rivela una situazione an<strong>al</strong>oga<br />

anche in questa città 49 . Non è tollerabile che i fedeli <strong>al</strong>la festa del patrono, san<br />

Demetrio, vadano <strong>al</strong>l’officio notturno, ma subito dopo, sulla via di casa, si rechino<br />

<strong>al</strong>la taverna (170, rr. 40-42, 55-57). Il vino è natur<strong>al</strong>mente un dono di Dio, ma<br />

la ametria (smoderatezza) è un’invenzione del M<strong>al</strong>igno (170, rr. 49-50). Chi<br />

accanto <strong>al</strong>la venerazione del santo intende cercare l’ubriachezza <strong>al</strong>l’osteria fa<br />

meglio a restarsene a casa (170, rr. 50-53; 171, rr. 70-75). Gabriele è un pastore<br />

molto accorto perché aggiunge subito: «vi dico questo per via delle taverne, non<br />

vi autorizzo certo ad ubriacarvi appena arrivati a casa» (170, rr. 53-54).<br />

L’autorità ecclesiastica non si limitava ad ammonire, ma prendeva provvedimenti<br />

contro le pecore nere nelle proprie fila, non a caso contro i chierici di ran-<br />

47 E. KISLINGER, Dulcia Bacchi munera, quae Gaza crearat, quae fertilis Africa mittit. Commercio del vino in epoca<br />

protobizantina (s. IV-VI), in L´avventura del vino nel bacino del mediterraneo. Itinerari storici ed archeologici<br />

prima e dopo Roma. Simposio internazion<strong>al</strong>e, Conegliano 1998, a cura di D. Tomasi, Ch. Cremonesi, Treviso<br />

2000, pp. 197-209.<br />

48 J. CHRYSOSTOMIDES, Venetian commerci<strong>al</strong> privileges under the P<strong>al</strong>aeologi, «Studi veneziani», 12 (1970), pp.<br />

267-356, qui pp. 298-311.<br />

49 B. LAOURDAS, Gabriel Thess<strong>al</strong>onikes. Omiliai, «Athena», 57 (1953), pp. 141-178, qui om. VII, pp. 170-171.<br />

Sull’ubriachezza durante le feste pasqu<strong>al</strong>i v. già GIOVANNI CRISOSTOMO, Kata methyonton kai eis ten anastasin,<br />

PG 50, coll. 434-436; e PSEUDO-GIOVANNI CRISOSTOMO, Eis ten anastasin tou kyriou hemon Iesou<br />

Christou I, 2, ed. M. Aubineau, Homélies pasc<strong>al</strong>es, Paris 1972 (Sources chrétiennes, 187), pp. 320 e 333.


go inferiore 50 . Il registro del patriarcato costantinopolitano, che registra gli atti di<br />

circa 700 processi discussi di fronte <strong>al</strong> tribun<strong>al</strong>e sino<strong>d<strong>al</strong></strong>e fra il 1315 e il 1402 51 ,<br />

riporta spesso le promesse di pentiti colti sul fatto, che s’impegnano in futuro ad<br />

astenersi <strong>d<strong>al</strong></strong> vino 52 . Tanto l’omelia di Gabriele di S<strong>al</strong>onicco quanto le sanzioni<br />

comminate <strong>d<strong>al</strong></strong> tribun<strong>al</strong>e ecclesiastico ci permettono di inferire che la società tardo-bizantina<br />

conosceva il problema dell’<strong>al</strong>coolismo. Non tutti però vedevano le<br />

cose in modo cosi negativo. Il Krasopateras 53 ci presenta l’<strong>al</strong>tro lato della medaglia:<br />

questi infatti aveva, <strong>al</strong> contrario, il problema della mancanza di <strong>al</strong>cool.<br />

Il nomignolo Krasopateras (letter<strong>al</strong>mente ‘padre del vino’) non sta a indicare il<br />

viticoltore (krasi è il termine greco mediev<strong>al</strong>e e moderno per vino) 54 , ma l’<strong>al</strong>locuzione<br />

rispettosa del monaco in quanto padre spiritu<strong>al</strong>e (pater o più tardi pateras). I<br />

tre manoscritti più antichi che tramandano il testo sono databili tutti <strong>al</strong> XVI secolo.<br />

Mentre l’ultimo editore data l’origin<strong>al</strong>e – piuttosto apoditticamente - «non<br />

oltre la metà del secolo precedente» 55 , H.-G. Beck nel suo manu<strong>al</strong>e preferisce più<br />

prudentemente fissare la cronologia approssimativa ai secoli fra il XII e il XIV 56 .<br />

La poesiola, che conta poco più di 100 versi, non ha una trama coerente, ma si<br />

limita a schizzare una cornice entro la qu<strong>al</strong>e il Krasopateras si abbandona, in libera<br />

associazione di pensieri, ad una serie di riflessioni sul tema del vino 57 .<br />

Quando si sveglia <strong>al</strong> mattino il sole sta <strong>al</strong>to sull’orizzonte. Il suo disco ricorda<br />

<strong>al</strong> mugnaio la macina, <strong>al</strong> musicante il tamburo, per il Krasopateras esso è invece<br />

50 C. CUPANE, Una ‘classe soci<strong>al</strong>e’ dimenticata: il basso clero metropolitano,in Studien zum Patriarchatsregister von<br />

Konstantinopel, I, Wien 1981, pp. 61-83.<br />

51 H. HUNGER, Das Patriarchatsregister von Konstantinopel <strong>al</strong>s Spiegel byzantinischer Verhältnisse im 14.<br />

Jahrhundert, «Anzeiger der phil.-hist. Klasse der österreichischen Akademie der Wissenschaften, Jahrgang»,<br />

115 (1978), pp. 117-136.<br />

52 Acta Patriarchatus Constantinopolitani MCCCXV-MCCCCII e codicibus manuscriptis bibliothecae p<strong>al</strong>atinae<br />

Vindobonensis, ed. Fr. Miklosich, J. Müller, 2 voll., Wien 1860-1862: I, p. 590 n. 327, II, p. 134 n.<br />

408/II, p. 141 n. 416/II, p. 158 n. 428. Cfr. CUPANE, Una ‘classe soci<strong>al</strong>e’, pp. 72-73.<br />

53 Krasopateras. Kritische Ausgabe der Versionen des 16.-18. Jahrhunderts, ed. H. Eideneier, Köln 1988 (Neograeca<br />

Medii Aevi, 3).<br />

54 H. EIDENEIER, Sogenannte christliche Tabuwörter im Griechischen, München 1966 (Miscellanea Byzantina<br />

Monacensia, 5), pp. 55-84.<br />

55 Krasopateras,p.17.<br />

56 H.-G. BECK, Geschichte der byzantinischen Volksliteratur, München 1971 (Handbuch der Altertumwissenschaft,<br />

12, II/3), pp. 194-195.<br />

57 Le citazioni che seguono si riferiscono <strong>al</strong>la versione più antica AO, cfr. Krasopateras, pp. 28-33.<br />

151


152<br />

simile ad una botte di vino cretese (9-17). Magari un miracolo potesse veramente<br />

trasformarlo in una botte piena di vino non diluito (20-23). Il cielo potrebbe essere<br />

una nave e la botte il suo carico (24). Se viene una tempesta tanto meglio, sp<strong>al</strong>ancherà<br />

i boccaporti e farà s<strong>al</strong>tare il tappo in modo che il vino piova direttamente<br />

nella bocca del Krasopateras: così la morte non gli farà più paura (27-33). Ciò che<br />

a prima vista suscita associazioni con certe canzoni da Heuriger viennesi («Es wird<br />

ein Wein sein, und wir werden nimmer sein»), <strong>al</strong>lude in re<strong>al</strong>tà <strong>al</strong> sonno di pietra<br />

dell’ubriaco e ai suoi pensieri sconnessi nel dormiveglia. Già l’augurio inizi<strong>al</strong>e, che<br />

il sole possa diventare una botte, richiama il miracolo delle nozze di Caana: nel<br />

sonno la sapienza biblica dell’ebbro inventa associazioni più audaci. Sconsiderati<br />

furono gli ebrei, per i qu<strong>al</strong>i Mosè fece sgorgare acqua <strong>d<strong>al</strong></strong>la roccia: vino avrebbe<br />

dovuto venir fuori di là (34-40). I quattro fiumi dell’Eden dovrebbero essere pieni<br />

di vino, <strong>al</strong>trimenti non varrebbe la pena di andare in paradiso (64-69).<br />

Il tabù antico del vino non diluito sussiste, m<strong>al</strong>grado tutto, anche qui, ovviamente<br />

buttato in ridicolo: il Krasopateras si rifiuta infatti di vuotare in un sorso il<br />

cielo intero ricolmo di akraton (v<strong>al</strong>e a dire vino puro) per timore di ubriacarsi (91-<br />

95). La mancanza però è molto più pericolosa dell’eccesso. I medici Sorseggiatore<br />

e Bevitore guarirono una volta un m<strong>al</strong>ato per la sete somministrandogli un’infusione<br />

di vino per via or<strong>al</strong>e (96-99). Le coppie dei santi medici Cosma e Damiano,<br />

o Ciro e Giovanni, che nell’agiografia polemica dei primi secoli di Bisanzio<br />

avevano combattutto con successo la medicina classica di stampo pagano 58 ,<br />

festeggiano in questo modo un assurdo comeback nel mondo sempre più pregno<br />

di vino del Krasopateras. In sogno egli si vede vestito con un tubo per travasare il<br />

vino, <strong>al</strong> posto di stiv<strong>al</strong>i c<strong>al</strong>za borracce di pelle, una fiaschetta gli penzola sul petto<br />

<strong>al</strong> posto della croce e il torchio gli fa da letto (101-106): a questo punto il nostro<br />

eroe si sveglia e la sua giornata può cominciare da capo (113-114).<br />

Senza dubbio il Krasopateras è un ubriacone (il primo verso della poesia dice<br />

espressamente: ho methystes exypnesen), come lo era a suo tempo Michele III. La<br />

sequenza degli appellativi nel titolo di questo contributo non vuole dunque<br />

esprimere una polarizzazione assoluta. Certamente però il vizio comune <strong>al</strong>le<br />

58 K. HEINEMANN, Die Ärzteheiligen Kosmas und Damian. Ihre Wunderheilungen im Lichte <strong>al</strong>ter und neuer<br />

Medizin, «Medizinhistorisches Journ<strong>al</strong>», 9 (1974), pp. 255-317; Los thaumata de Sofronio. Contribucion <strong>al</strong><br />

estudio de la incubatio christiana, ed. N.F. Marcos, Madrid 1975; C. COZZOLINO, Origine del culto ai santi<br />

martiri Ciro e Giovanni in Oriente e Occidente, Gerus<strong>al</strong>emme 1976; H.J. MAGOULIAS, The lives of the saints<br />

as sources of data for the history of Byzantine medicine in the sixth and seventh centuries, «Byzantinische Zeitschrift»,<br />

57 (1984), pp. 127-150.


due figure è presentato in una luce molto diversa, <strong>d<strong>al</strong></strong> reciso rifiuto del primo<br />

<strong>al</strong>l’indulgente ironia del secondo. È pertanto necessario chiedersi cosa abbia<br />

provocato, o piuttosto influenzato, questo gradu<strong>al</strong>e mutamento nel consumo<br />

del vino e nella considerazione soci<strong>al</strong>e di esso nel corso del millennio bizantino.<br />

Non uno, ma svariati fattori hanno contribuito, a mio avviso, a provocare una<br />

modifica della ment<strong>al</strong>ità.<br />

Il consumo di vino a Bisanzio<br />

Il vino a Bisanzio non deve essere considerato come un fenomeno isolato, bensì<br />

va visto nel quadro gener<strong>al</strong>e delle abitudini e delle tradizioni <strong>al</strong>imentari della<br />

società bizantina 59 , le qu<strong>al</strong>i a loro volta non sono che un aspetto particolare della<br />

più gener<strong>al</strong>e tematica della vita quotidiana e della cultura materi<strong>al</strong>e dell’impero.<br />

In questo ampio campo di fenomeni socio-cultur<strong>al</strong>i possiamo constatare un<br />

incremento di qu<strong>al</strong>ità e di consumo intorno <strong>al</strong>l’XI e XII secolo 60 . Odo di Deuil,<br />

il cronista della seconda crociata, è profondamente colpito <strong>d<strong>al</strong></strong>le ricche vesti di<br />

seta dei bizantini 61 , mentre il conservatore Niceta Coniata critica la moda contemporanea,<br />

che prescrive vesti aderenti <strong>al</strong> corpo 62 ; i capelli sono lunghi fino <strong>al</strong>le<br />

sp<strong>al</strong>le e oltre e quelli cui la natura non ha concesso una folta chioma si aiutano<br />

con parrucche 63 . Il crescente benessere fece dimenticare le perplessità mor<strong>al</strong>i nei<br />

confronti della tryphe, la mollezza, e della gastrimargia (la gola), che aprivano<br />

entrambe la porta <strong>al</strong> m<strong>al</strong>igno e facevano precipitare nella p<strong>al</strong>ude della gozzoviglia<br />

quanti si arrampicavano a fatica sulla sc<strong>al</strong>a paradisi.<br />

59 In gener<strong>al</strong>e sull’argomento PH. KUKULES, Ai trophai kai ta pota, in Byzantinon bios kai Politismos, V,<br />

Athenai 1952, pp. 9-205; A. DALBY, Siren feasts. A history of food and gastronomy in Greece, London-New<br />

York 1996, pp. 187-211; E. KISLINGER, Cristiani d’Oriente: regole e re<strong>al</strong>tà <strong>al</strong>imentari nel mondo bizantino,in<br />

Storia dell’<strong>al</strong>imentazione, a cura di J.-L. Flandrin, M. Montanari, Roma-Bari 1997, pp. 250-265.<br />

60 A.P. KAZHDAN, A.WHARTON EPSTEIN, Change in Byzantine Culture in the Eleventh and Twelfth Centuries,<br />

Berkeley-Los Angeles-London 1985, pp. 74-83.<br />

61<br />

ODO DI DEUIL, De profectione Ludovici VII in Orientem, ed. V. Gingerick Berry, New York 1948<br />

(Records of civilisation, sources and studies, 42), p. 26.<br />

62<br />

NICETA, Chronike diegesis, p. 298, rr. 28-32.<br />

63 GIOVANNI ZONARA, Commentaria in canonem XCVI synodi in Trullo, PG 137, col. 848 B-C.<br />

64 T.L.F. TAFEL, Eustathii metropolitae Thess<strong>al</strong>onicensis opuscula, Frankfurt/M. 1832 (ristampa Amsterdam<br />

1964), pp. 328-332.<br />

153


154<br />

Il metropolita di Mokessos, Neofito, non volle rinunciare <strong>al</strong>la quotidiana<br />

visita ai bagni pubblici nemmeno <strong>al</strong>la morte del patriarca e divenne vittima di<br />

uno scherzo birbone di <strong>al</strong>cuni fratelli in Cristo, che nel frattempo si impadronirono<br />

dei suoi abiti e li distribuirono ai poveri 64 . La <strong>al</strong>ousia, che Gregorio di<br />

Nazianzo annoverava fra le virtù più celebri di quel modello di ascesi che era<br />

Basilio il Grande 65 , è un ide<strong>al</strong>e del passato, il monastero della Kosmosoteira ad<br />

Aino in Tracia e il convento metropolitano di San Mama gestiscono bagni non<br />

soltanto per i monaci, ma anche per una clientela laica e pagante 66 . Il monastero,<br />

che agli inizi dell’impero cristiano era la sede deputata per la fuga <strong>d<strong>al</strong></strong> mondo nel<br />

o ai limiti del deserto 67 , è diventato un importante fattore economico 68 .<br />

La possibilità di ritirarsi <strong>d<strong>al</strong></strong> mondo nella solitudine di un monastero continua<br />

ovviamente a sussistere, centri come l’Athos e l’Olimpo in Bitinia, dove lo<br />

stesso Psello soggiornò brevemente nel 1055 69 , fioriscono, ma un cristianesimo<br />

che controlla ormai s<strong>al</strong>damente lo stato non ha più bisogno di quel rigorismo<br />

sfrenato, che era stato necessario per imporre i suoi ide<strong>al</strong>i ad una società ancora<br />

semipagana. Molto di ciò che era stato ridotto <strong>al</strong> minimo indispensabile, ad<br />

esempio il lusso materi<strong>al</strong>e limitato esclusivamente <strong>al</strong>la sfera rappresentativa del<br />

65<br />

GREGORIO DI NAZIANZO, Oratio 43, PG 36, col. 576B. In gener<strong>al</strong>e H. HUNGER, Zum Badewesen in<br />

byzantinischen Klöstern, in Klösterliche Sachkultur des Spätmittel<strong>al</strong>ters, Wien 1980 (Österreichische Akademie<br />

der Wissenschaften, phil.-hist. Kl., Sitzungsberichte, 367), pp. 353-364. Non stupirà che Basilio,<br />

coerentemente con la sua concezione dell’ide<strong>al</strong>e cristiano, abbia composto anche una Homelia in ebriosos<br />

(PG 31, coll. 444-464), che costituisce una trattazione fondament<strong>al</strong>e per la chiesa ortodossa contro<br />

l’eccesso nel bere.<br />

66 L. PETIT, Typikon du monastère de la Kosmosotira près d’Aenos (1152), «Izvestija russkago archeologiceskago<br />

instituta v Konstantinopole», 13 (1908), pp. 17-75, qui p. 66, 17-24; S. EUSTRATIADES, Typikon<br />

tes en Konstantinoupolei mones tou hagiou meg<strong>al</strong>omartyros Mamantos, «Hellenika», 1 (1928), pp. 256-314, qui<br />

p. 309, 39-40; R. VOLK, Gesundheitswesen und Wohltätigkeit im Spiegel der byzantinischen Klostertypika,München<br />

1983 (Miscellanea Byzantina Monacensia, 28), pp. 200-221; Byzantine monastic foundation documents.<br />

A complete translation of the surviving founders’ typika and testaments, ed. J. Thomas, A. Constantinides<br />

Hero, II-III, Washington D.C. 2000, rispettivamente pp. 782-858 e 973-1041.<br />

67 Y. HIRSCHFELD, The Judean Desert Monasteries in the Byzantine Period, New Haven-London 1992; J.<br />

KODER, Mönchtum und Kloster <strong>al</strong>s Faktoren der byzantinischen Siedlungsgeographie, «Acta Byzantina Fennica»,<br />

7 (1995), pp. 7-44.<br />

68 P. CHARANIS, The monastic properties and the State in the Byzantine Empire, «Dumbarton Oaks Papers»,<br />

4 (1948), pp. 51-118; J. KODER, Der Lebensraum der Byzantiner, Wien 2001 (Byzantinische Geschichtsschreiber.<br />

Ergänzungsband, 1), pp. 128-131 e 203-204.<br />

69<br />

VOLK, Der medizinische Inh<strong>al</strong>t, pp. 3 n. 3, 30-31, 200-201 e 436-438.


potere imperi<strong>al</strong>e 70 , o appunto il consumo del vino, ristretto per secoli ai campi<br />

del simbolismo liturgico 71 e dell’applicazione medica 72 , cominciano lentamente a<br />

riaffermare la propria ‘leg<strong>al</strong>ità’ in tutte le sfere del quotidiano.<br />

Natur<strong>al</strong>mente la prostituzione era sempre esistita a Bisanzio 73 e natur<strong>al</strong>mente<br />

si continua a stigmatizzarla come un peccato, ma adesso, nell’XI secolo un<br />

eremita miete applausi entusiastici quando, lista <strong>al</strong>la mano, disquisisce su «qu<strong>al</strong>e<br />

ostessa in città dirige anche un bordello e se una prostituta è anche una ruffiana<br />

e una ruffiana è anche una prostituta» 74 . Il canone 9 del concilio Trullano (a. 692)<br />

proibiva ai chierici di possedere una locanda (kapelikon ergasterion echein) 75 , ma nel<br />

XII secolo il canonista Teodoro B<strong>al</strong>samone ne dava un’interpretazione meno<br />

restrittiva: non la proprietà e il diritto di affitto, ma soltanto la gestione person<strong>al</strong>e<br />

era da considerarsi vietata 76 . La preghiera rivolta per lettera ad amici e conoscenti<br />

di mandare in dono vini pregiati continua ad essere giustificata con il pretesto<br />

della terapia medica 77 , ma l’assicurazione che lo si consumerà diluito con<br />

70 O. TREITINGER, Die oströmische Kaiser- und Reichsidee nach ihrer Gest<strong>al</strong>tung im höfischen Zerimoniell, Jena 1938;<br />

M. MCCORMICK, L’imperatore, in L’uomo bizantino, a cura di G. Cav<strong>al</strong>lo, Roma-Bari 1992, pp. 339-379.<br />

71 Il simbolismo cristiano si sovrappone <strong>al</strong>la connessione antica del vino con il culto di Dioniso, le<br />

cui ultime tracce sono rintracciabili fino <strong>al</strong> XII secolo (MALTESE, Per una storia, p. 193).<br />

72 Ed es. cfr. ALESSANDRO DI TRALLE, Therapeutica 8, 1 e 9, 2, ed. T. Puschmann, II, Amsterdam 1963,<br />

pp. 327 e 407. A. GARZYA, Le vin dans la litterature médic<strong>al</strong>e de l’antiquité tardive et byzantine, «Filologia<br />

antica e moderna», 9/17 (1999), pp. 13-25. Leone il Filosofo si lamenta però nel IX secolo che il suo<br />

medico curante, m<strong>al</strong>grado l’età avanzata ed i rigori dell’inverno, non gli abbia prescritto il vino che,<br />

secondo i principi della patologia umor<strong>al</strong>e (contraria contrariis) gli avrebbe dato c<strong>al</strong>ore (Epigrammatum<br />

Anthologia P<strong>al</strong>atina III cap. 4, 77, ed. E. Cougny, Parisiis 1890, pp. 412-413): v. in proposito I. ANA-<br />

GNOSTAKES, Oinos ho byzantinos. He ampelos kai ho oinos ste byzantine poiese kai hymnographia, I, Athena<br />

1995, pp. 98-102.<br />

73 PH. KUKULES, Ai pandemoi gynaikes, in Byzantinon bios kai politismos, II/2, Athenai s.d., pp. 117-162;<br />

ST. LEONTSINI, Die Prostitution im frühen Byzanz, Wien 1989; H. HERTER, s.v.,Dirne, in Re<strong>al</strong>lexikon für<br />

Antike und Christentum, III, Stuttgart 1957, coll. 1154-1213; J. HERRIN, s.v.,Prostitution, in The Oxford<br />

Dictionary, pp. 1741-1742.<br />

74<br />

MICHELE PSELLO, Epistula 97, edd. E. Kurtz, F. Drexl, Michaelis Pselli scripta minora, II, Milano 1941,<br />

pp. 125-126.<br />

75 e e Ed. P.-P. Ioannu, Discipline génér<strong>al</strong>e antique (II -IX s.). I/1: Les canons des conciles oecuméniques, Grottaferrata<br />

1962 (Codificazione canonica orient<strong>al</strong>e. <strong>Fonti</strong>, 9), pp. 136-137.<br />

76<br />

TEODORO BALSAMONE, Commentaria in canonem IX synodi in Trullo, PG 137, col. 549A-B.<br />

77 Così MICHELE GABRA, Epistula 101, ed. G. Fatouros, Die Briefe des Michael Gabras (ca. 1290-1350), II,<br />

Wien 1973 (Wiener Byzantinistische Studien, 10), p. 163. Gabra stesso si attira, a sua volta, i rimproveri<br />

di Manuele Gab<strong>al</strong>a (= Matteo di Efeso) per avergli inviato in dono un vino inacidito anziché uno<br />

155


156<br />

acqua e in quantità moderata ricorre troppo insistentemente per non destare<br />

sospetti 78 . Il ritratto negativo del sovrano beone non è scomparso, ma viene<br />

proiettato sul mondo dell’<strong>al</strong>tro. L’imperatore Manuele II P<strong>al</strong>eologo (1391-1425)<br />

si lamenta in una lettera di dovere affrontare un invito <strong>al</strong>la corte del Sultano,<br />

dove non avrebbe potuto fare a meno (essendo un vass<strong>al</strong>lo) di bere svariati vini.<br />

Nella sua risposta il destinatario, Demetrio Cidone, fa del suo meglio per minimizzare<br />

le preoccupazioni dell’illustre mittente: certamente le coppe dorate e le<br />

chiacchiere dei convitati non lo danneggeranno, <strong>al</strong> contrario, essendo egli un<br />

sapiente, gli forniranno addirittura ispirazione. M<strong>al</strong>grado il tono conciliante,<br />

queste parole rivelano chiaramente la scarsa comprensione del dotto Cidone per<br />

il problema del suo imperi<strong>al</strong>e corrispondente 79 . Manuele File, un poeta del XIV<br />

secolo, rinuncia addirittura a qu<strong>al</strong>sivoglia discrezione e sollecita senza perifrasi il<br />

suo protettore (un membro della famiglia imperi<strong>al</strong>e) affinché gli faccia avere<br />

vino, puro e in sufficiente quantità, nonché un cav<strong>al</strong>lo da sella 80 . Tutti questi<br />

sono sintomi di una nuova ment<strong>al</strong>ità e un più progredito stile di vita della società<br />

bizantina. Sarebbe possibile elencarne molti <strong>al</strong>tri; poiché una trattazione esauriente<br />

di tutti i disparati aspetti di questa complessa problematica oltrepasserebbe<br />

di gran lunga i limiti imposti <strong>al</strong>la presente ricerca, mi limiterò qui ad evidenziare<br />

un ultimo dettaglio, non tanto lontano <strong>d<strong>al</strong></strong> vino.<br />

Nel clima liber<strong>al</strong>e e tollerante dell’età dei Comneni risorge il genere letterario<br />

del romanzo d’amore 81 , che era scomparso <strong>d<strong>al</strong></strong>la scena letteraria fin <strong>d<strong>al</strong></strong> perio-<br />

dolce e fresco (epist. 21, in D. REINSCH, Die Briefe des Matthaios von Ephesos im Codex Vindoboniensis Theol.<br />

Gr. 174, Berlin 1974, p. 117). Ulteriori esempi in MALTESE, Per una storia, pp. 197-198 con n. 27.<br />

78 MASSIMO MONACO DI PLANUDE, Epistula 22, ed. M. Treu, Breslau 1890 (ristampa Amsterdam<br />

1960), pp. 39-40; cfr. MALTESE, Per una storia, p. 198. Nel XIV secolo Giovanni Cumno, nel prescrivere<br />

una dieta contro la gotta, non ritiene fuori luogo specificare che il vino che è permesso bere non<br />

solo non deve essere puro, ma la miscela deve contenere una maggiore quantità di acqua che di vino<br />

(ed. BOISSONADE, Anecdota nova, p. 221 [epist. 8]).<br />

79 The letters of Manuel II P<strong>al</strong>aeologus, text, translation and notes by G. T. Dennis, Washington 1977 (CFHB,<br />

8), p. 48 (nr. 16); DEMETRIO CIDONE, Correspondance, ed. R.-J. Loenertz, II, Città del Vaticano 1960 (Studi<br />

e testi, 208), p. 389 (nr. 432). A dispetto della reazione di Cidone non si dubita qui che Manuele II person<strong>al</strong>mente<br />

non apprezzasse molto il vino, cfr. in proposito la sua Melete pros methyson (ed. J.Fr. Boissonade,<br />

Anecdota graeca e codicibus regiis, II, Paris 1830 [ristampa Hildesheim 1962], pp. 274-307).<br />

80<br />

MANUELE FILE, Carmina ex codicibus Escuri<strong>al</strong>ensibus, Florentinis, Parisinis et Vaticanis, ed. E. Miller, I, Paris<br />

1855-1857 (ristampa Amsterdam 1967), p. 41 (nr. 91); ANAGNOSTAKES, Oinos, II, pp. 127 e 227.<br />

81 Il romanzo bizantino del XII secolo. Teodoro Prodromo, Niceta Eugeniano, Eustazio Macrembolita, Costantino<br />

Manasse, introduzione, testi, traduzione it<strong>al</strong>iana, commento a cura di F. Conca, Torino 1994; Der Roman


do tardo antico (cosi come, <strong>d<strong>al</strong></strong> VI secolo, anche l’epigramma convivi<strong>al</strong>e) 82 , probabilmente<br />

soppiantato <strong>d<strong>al</strong></strong> racconto agiografico. Questo nuovo romanzo è una<br />

pianticella tenera e modesta, che segue da presso il modello classico. I due protagonisti<br />

s’incontrano, s’innamorano subitaneamente l’uno dell’<strong>al</strong>tra e vengono<br />

separati da una sorte crudele. Dopo molte avventure in terre lontane e infinite<br />

peripezie, schiavitù, naufragi e riv<strong>al</strong>i che minacciano il legame della coppia 83 ,– la<br />

qu<strong>al</strong>e riesce però sempre a mantenersi casta e fedele fino <strong>al</strong>la fine in ogni circostanza<br />

– la conclusione stereotipa celebra la riunione e il matrimonio degli innamorati<br />

84 . Il desiderio sessu<strong>al</strong>e è ovviamente presente e viene manifestato, a volte<br />

con notevole intensità, speci<strong>al</strong>mente da parte del protagonista maschile 85 , soltanto<br />

nel romanzo di Eustazio Macrembolita tuttavia, Ismine e Isminia, questo<br />

motivo viene sviluppato con tutti i particolari d’obbligo, ma <strong>al</strong> tempo stesso relegato<br />

nel mondo della fantasia: in sogno il secolare tabù della castità viene infranto<br />

e l’amore romanzesco re<strong>al</strong>izzato 86 . La seconda ondata di romanzi, quella dell’età<br />

p<strong>al</strong>eologa 87 , non risparmia agli innamorati traversie di ogni tipo, ma li ricompensa<br />

in cambio col sesso prematrimoni<strong>al</strong>e. C<strong>al</strong>limaco libera Crisorroe <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

im Byzanz der Komnenenzeit, Referate des internation<strong>al</strong>en Symposiums (Berlin, 1998), a cura di P.A. Agapitos,<br />

D.R. Reinsch, Frankfurt/M. 2000 (Meletemata, 8); in gener<strong>al</strong>e sulle sorti di questo genere letterario<br />

a Bisanzio v. R. BEATON, Il romanzo greco mediev<strong>al</strong>e, a cura di F. Rizzo Nervo, Soveria Mannelli 1997.<br />

82 ANAGNOSTAKES, Oinos, I, pp. 56-74; MALTESE, Per una storia, pp. 195-196.<br />

83<br />

HUNGER, Die hochsprachliche profane Literatur, II, pp. 121-142. ID., Antiker und byzantinischer Roman,<br />

Heidelberg 1980 (Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Klasse,<br />

Jahrgang 1980. Abhandlung 3).<br />

84 H.-G. BECK, Byzantinisches Erotikon, München 1986, pp. 148 e 153. Si sconsiglia di consultare la traduzione<br />

it<strong>al</strong>iana di questa monografia (L’eros a Bisanzio, Roma 1994) a causa dei numerosi e a volte<br />

gravi errori di interpretazione.<br />

85 L. GARLAND, «Be amorous, but be chaste ...». Sexu<strong>al</strong> mor<strong>al</strong>ity in byzantine learned and vernacular romance,<br />

«Byzantine and modern greek studies», 14 (1990), pp. 62-120.<br />

86 L’eroe Isminia ha una serie di sogni ‘sessu<strong>al</strong>i’ che soddisferebbero le esigenze di qu<strong>al</strong>unque consumatore<br />

di letteratura erotica: Isminia e Ismine 3, 7, 1-6; 5, 1, 1-4 e 3, 1-2, ed. Il romanzo bizantino, pp. 536<br />

e 562-564. Cfr. BECK, Byzantinisches Erotikon, pp. 147-148; S. MACALISTER, Dreams and suicides. The<br />

greek novel from antiquity to the byzantine empire, London-New York 1996, pp. 137-139 e 160.<br />

87 Romanzi cav<strong>al</strong>lereschi bizantini. C<strong>al</strong>limaco e Crisorroe, Beltandro e Crisanza, Storia di Achille, Florio e Plaziaflore,<br />

Storia di Apollonio di Tiro, Favola consolatoria sulla Cattiva e Buona Sorte, introduzione, testi, traduzione<br />

it<strong>al</strong>iana, commento a cura di C. Cupane, Torino 1995. Cfr. BECK, Geschichte der byzantinischen,pp.<br />

115-153; P.A. AGAPITOS, Narrative structure in the byzantine vernacular romances. A textu<strong>al</strong> and literary study<br />

of K<strong>al</strong>limachos, Belthandros and Libistros, München 1991 (Miscellanea Byzantina Monacensia, 34).<br />

157


158<br />

grinfie di un drago nella prima parte del romanzo, seguono voluttuosi preliminari<br />

amorosi nel bagno, poi l’amore reciproco viene consumato senza complessi<br />

o remore mor<strong>al</strong>i sul bordo della vasca 88 . Beltandro non rifugge nemmeno da<br />

un matrimonio apparente con l’ancella della sua adorata Crisanza pur di potere<br />

stringere fra le braccia indisturbato la bella principessa 89 .<br />

Ci si chiederà che rapporto ha tutto questo con il vino. Oltre <strong>al</strong>l’accostamento<br />

proverbi<strong>al</strong>e (Bacco.... e Venere, vino = ‘il latte di Afrodite’) 90 , la comunanza fra<br />

le sfere del vino e della sessu<strong>al</strong>ità è data più concretamente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’an<strong>al</strong>ogo progressivo<br />

mutamento di status soci<strong>al</strong>e che esse sperimentano nel corso dei secoli. Nell’XI-XII<br />

secolo, in corrispondenza dell’interesse di Psello per il vino e le taverne,<br />

evidente ma mascherato in terza persona, assistiamo ad una prima, ancora esitante<br />

elaborazione letteraria di motivi erotici sotto la protezione garantita <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

dimensione onirica. Negli ultimi due secoli di Bisanzio, la frequentazione delle<br />

bettole praticata dagli abitanti di S<strong>al</strong>onicco, da un lato, e le citate scene romanzesche<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro, ci dimostrano che i freni inibitori in entrambi i campi si erano di<br />

molto <strong>al</strong>lentati. Alla stessa epoca la Boule / Gkiostra ton politikon, nella qu<strong>al</strong>e prostitute<br />

greche nella Creta veneziana discutono seriamente sull’opportunità di<br />

creare un sindacato delle puttane innaffiando generosamente con il vino le relative<br />

consultazioni, conferma nell’esagerazione parodica questa tendenza 91 .<br />

Le ragioni del mutamento di costume<br />

Possiamo adesso ritornare <strong>al</strong> vino e affrontare il problema del perché il mutamento<br />

che abbiamo riscontrato abbia preso il suo avvio proprio nell’XI secolo.<br />

Il cristianesimo si era imposto ormai da secoli, una maggiore tolleranza nei confronti<br />

dei godimenti della carne sarebbe quindi stata teoricamente praticabile<br />

88 C<strong>al</strong>limaco e Crisorroe, pp.92-94 vv. 565-584, pp. 104-108 vv. 768-804.<br />

89 Beltandro e Crisanza, pp. 278-288 vv. 880-1059.<br />

90 Der Roman des Konstantinos Manasses. Überlieferung, Rekonstruktion, Textausgabe der Fragmente, ed. O.<br />

Maz<strong>al</strong>, Wien 1967 (Wiener Byzantinistische Studien, 4), p. 169 fr. 24. Cfr. Isminia e Ismine 1, 8-9, pp.<br />

506-508, in cui le avances della ragazza si fanno sempre più audaci, proporzion<strong>al</strong>mente <strong>al</strong> consumo<br />

di vino del partner maschile.<br />

91 Ed. G. Wagner, Carmina graeca medii aevi, Leipzig 1874, pp. 79-105. N. PANAGIOTAKES, Sachlikisstudien,<br />

in Neograeca Medii Aevi: Text und Ausgabe, Köln 1987, pp. 219-277.


anche prima. La situazione geopolitica e i suoi riflessi sulla compagine economica<br />

stat<strong>al</strong>e ebbero però un effetto ritardante sul formarsi di una ment<strong>al</strong>ità consumistica<br />

interessata ad un offerta molteplice e varia. La renovatio imperii avviata da<br />

Giustiniano I (imperatore <strong>d<strong>al</strong></strong> 527) è paragonabile ad un colosso dai piedi di<br />

argilla. Il carme di Corippo in onore del successore di Giustiniano, Giustino II<br />

(565), nel qu<strong>al</strong>e viene stilato un intero cat<strong>al</strong>ogo dei vini serviti in occasione delle<br />

feste per l’incoronazione del nuovo sovrano, è in un certo senso un involontario<br />

canto di addio 92 . La molteplicità delle marche elencatevi (libro III, vv. 87-<br />

93, 96-102) aveva il compito di illustrare il topos letterario, secondo il qu<strong>al</strong>e i prodotti<br />

di tutte le province dell’impero confluivano nella capit<strong>al</strong>e a testimonianza<br />

del potere dello stato.<br />

Già sotto Giustino II i longobardi invasero l’It<strong>al</strong>ia 93 , avari e slavi saccheggiarono,<br />

nei decenni successivi, la penisola b<strong>al</strong>canica sempre più frequentemente 94 ,la<br />

guerra con i sassanidi riprese ad imperversare estenuando le forze di entrambi i<br />

contendenti 95 a favore della nuova potenza militare dell’epoca, gli arabi 96 .L’oikumene,<br />

che fino ad <strong>al</strong>lora era sembrata solida e immutabile, verso la metà del VII secolo<br />

è in rovina, le sue diverse parti conducono adesso un’esistenza insulare, in cui le<br />

comunicazioni, effettuate prev<strong>al</strong>entemente per la via marittima, sono limitate e difficili.<br />

Le grosse flotte onerarie che trasportavano il grano due o tre volte <strong>al</strong>l’anno da<br />

Alessandria a Costantinopoli erano divenute superflue già prima della perdita definitiva<br />

dell’Egitto 97 , la popolazione, ulteriormente decimata da ripetute epidemie di<br />

92 F.C. CORIPPO, In laudem Justini augusti minoris, ed. A. Cameron, London 1976 (oppure ed. S. Antès,<br />

Paris 1981); an<strong>al</strong>isi in KISLINGER, Dulcia Bacchi munera, pp. 197-205.<br />

93<br />

PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum 2, 7, ed. G. Waitz, MGH, Script. rerum germ. in usum schol.,<br />

48, Hannoverae 1878 (rist. Hannover 1978), p. 89 (trad. it. a cura di A. Zanella, Milano 1991, p. 240).<br />

Cfr.O.BERTOLINI, La data dell’ingresso dei Longobardi in It<strong>al</strong>ia, ora in Scritti scelti di storia mediev<strong>al</strong>e, I,<br />

Livorno 1968, pp. 18-61.<br />

94 W. POHL, Die Awaren. Ein Steppenvolk in Mitteleuropa, München 1988, pp. 567-822.<br />

95 M. WHITBY, The emperor Maurice and his historian: Theophylact Simocatta on persian and b<strong>al</strong>kan warfare,<br />

Oxford 1988, pp. 193-308; The roman eastern frontier and the persian wars. Part II: A.D. 363-630. A narrative<br />

sourcebook, edited and compiled by G. Greatrex, S.N.C. Lieu, London-New York 2002.<br />

96 A.N. STRATOS, Byzantium in the Seventh century, I-III, Amsterdam 1968-1975: I, pp. 602-634; II, pp.<br />

634-641; III, pp. 642-668.<br />

97 J. DURLIAT, De la ville antique à la ville byzantine. Le probleme des subsistances, Rome 1990 (Collection de<br />

l’École française de Rome, 136), pp. 185-278; E. KISLINGER, Pane e demografia: l’approvvigionamento di<br />

Costantinopoli,in Nel nome del pane, Trento-Bolzano/Bozen 1995 (Homo edens, 4), pp. 279-293.<br />

159


160<br />

peste 98 poteva essere rifornita col prodotto dei rispettivi territori 99 ; con la fine del V<br />

secolo non sentiamo più parlare neanche dei commercianti di vino di Cilicia a<br />

Costantinopoli 100 . L’avanzata autarchia di <strong>al</strong>cune regioni comporta una riduzione<br />

effettiva dell’offerta commerci<strong>al</strong>e ai prodotti loc<strong>al</strong>i (vedi sopra il caso di Filippopoli/Plovdiv).<br />

Sul piano pratico ciò veniva incontro <strong>al</strong>l’esortazione della Chiesa – che<br />

in periodi di crisi otteneva maggiore ascolto – di placare cioè la collera divina con<br />

uno stile di vita virtuoso, v<strong>al</strong>e a dire anche modesto e frug<strong>al</strong>e. La concorrenza araba<br />

sul mare, la pirateria e la perdita di ulteriori zone costiere facevano inoltre della<br />

navigazione un’impresa, oltre che poco proficua, anche rischiosa. Il commercio<br />

sovraregion<strong>al</strong>e era quindi ridotto a quei prodotti che promettevano grossi guadagni<br />

anche per un volume limitato di merci, per esempio preziose stoffe di seta 101 : i beni<br />

di consumo, fra questi natur<strong>al</strong>mente anche il vino, non compensavano che raramente<br />

i rischi del trasporto.<br />

Un mutamento del clima politico comincia a delinearsi a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> X secolo<br />

quando, con la riconquista di Creta, l’Egeo tornò ad essere un mare interno,<br />

intorno <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e si estendevano i territori-chiave dell’impero 102 . Intorno <strong>al</strong> 1000,<br />

sotto Basilio II, l’intera penisola b<strong>al</strong>canica meridion<strong>al</strong>e è di nuovo s<strong>al</strong>damente<br />

controllata da Bisanzio, la cristianizzazione dell’Ungheria e il consolidamento della<br />

posizione dell’impero in It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e aprono nuove vie di comunicazione,<br />

che erano state per secoli troppo rischiose o addirittura bloccate <strong>al</strong> traffico.<br />

Non sono però i commercianti e proprietari di navi bizantini ad approfittare<br />

delle nuove possibilità. Il commercio greco si ostina a rinchiudersi nella<br />

98 J.-N. BIRABEN,J.LE GOFF, La peste dans le haut moyen-âge, «Ann<strong>al</strong>es E.S.C.», 24 (1969), pp. 1484-1510;<br />

P. ALLEN, The ‘justinianic’ plague, «Byzantion», 49 (1979), pp. 5-20; K.-H. LEVEN, Die ‘justinianische’ Pest,<br />

«Jahrbuch des Instituts für Geschichte der Medizin der Robert Bosch Stiftung», 6 (1987), pp. 137-<br />

161; D. STATHAKOPOULOS, Famine and Pestilence in the Late Roman and Early Byzantine Empire. A Systematic<br />

Survey of Subsistence Crises and Epidemics, Aldershot 2003 (in corso di stampa).<br />

99 J.L. TEALL, The grain supply of the byzantine empire, 330-1025, «Dumbarton Oaks Papers», 13 (1959),<br />

pp. 87-139; J. KODER, Gemüse in Byzanz. Die Versorgung Konstantinopels mit Frischgemüse im Lichte der Geoponika,<br />

Wien 1993 (Byzantinische Geschichtsschreiber. Ergänzungsband 3), pp. 99-108.<br />

100 J. DURLIAT, A.GUILLOU, Le tarif d’Abydos (vers. 492), «Bulletin de Correspondance Hellénique»,<br />

108/1 (1984), pp. 581-598, qui p. 584. KISLINGER, Retsina,p.78.<br />

101 A. MUTHESIUS, Silken diplomacy, in Byzantine diplomacy, Aldershot 1992 (Society for the promotion<br />

of byzantine studies. Publications, 1), pp. 237-248; ID., Byzantine silk weaving A.D. 400 to A.D. 1200,<br />

Vienna 1997.<br />

102<br />

OSTROGORSKY, Geschichte, pp. 236-276; KODER, Der Lebensraum, pp. 13-19.


confortevole sicurezza dei metata (fondaci), par<strong>al</strong>izzato <strong>d<strong>al</strong></strong> protezionismo stat<strong>al</strong>e<br />

103 ; sono invece le repubbliche marinare it<strong>al</strong>iane, dapprima Am<strong>al</strong>fi, poi in modo<br />

massiccio Venezia (e più tardi anche Genova) 104 , a sfruttare le opportunità offerte<br />

da un mercato che produceva in eccedenza, speci<strong>al</strong>mente in campo agricolo 105 .<br />

Il trattato del 1082 assicurava a Venezia libero commercio esente da tasse dogan<strong>al</strong>i<br />

in species universas 106 in 37 loc<strong>al</strong>ità, tutte tranne due situate in zone costiere. La<br />

scelta di Durazzo ad occidente fino a Laodicea nella Siria del nord non fu fatta a<br />

caso, ma era piuttosto il risultato di esperienze commerci<strong>al</strong>i precedenti, che avevano<br />

insegnato dove gli affari erano particolarmente convenienti. Fra i prodotti<br />

commerciati è da annoverare anche il vino. La vicinanza <strong>al</strong>la costa delle zone di<br />

produzione più rinomate – che lo divennero anche per questo motivo – era molto<br />

favorevole <strong>al</strong> trasporto e <strong>al</strong>la diffusione per via marittima 107 .<br />

103 Si vedano ad es. le disposizioni del libro dell’eparca (come sopra, n. 17) sulle singole corporazioni,<br />

le cui attività vengono regolate esattamente con un margine di guadagno garantito <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stato.<br />

104 F. THIRIET, La Romanie vénitienne au moyen âge. Le développement et l´exploitation du domaine coloni<strong>al</strong> vénetien<br />

(XIIe-XVe siècles), Paris 1959 (Bibliothèque des écoles francaises d´Athènes et de Rome, 193); S.<br />

BORSARI, Il commercio veneziano nell’impero bizantino nel XII secolo, «Rivista storica it<strong>al</strong>iana», 76 (1964), pp.<br />

982-1011; M. BALARD, Am<strong>al</strong>fi et Byzance (Xe-XIIe siècles), «Travaux et mémoires», 6 (1976), pp. 85-95;<br />

A. PERTUSI, Venezia e Bisanzio: 1000-1204, «Dumbarton Oaks Papers», 33 (1979), pp. 1-22; P. SCH-<br />

REINER, Untersuchungen zu den Niederlassungen westlicher Kaufleute im Byzantinischen Reich des 11. und 12.<br />

Jahrhunderts, «Byzantinische Forschungen», 7 (1979), pp. 175-191; R.-J. LILIE, Handel und Politik zwischen<br />

dem byzantinischen Reich und den it<strong>al</strong>ienischen Kommunen Venedig, Pisa und Genua in der Epoche der Komnenen<br />

und der Angeloi (1081-1204), Amsterdam 1984; Les it<strong>al</strong>iens à Byzance, ed. M. B<strong>al</strong>ard, A.E. Laiou,<br />

C. Otten-Froux, Paris 1987; E. MALAMUT, Les îles de l’empire byzantin, II, Paris 1988 (Byzantina Sorbonensia,<br />

8), pp. 438-446; D. JACOBY, Byzantine Crete in the navigation and trade networks of Venice and<br />

Genoa, in Oriente e Occidente tra medioevo ed età moderna. Studi in onore di Geo Pistarino, a cura di L. B<strong>al</strong>letto,<br />

I, Genova 1997, pp. 517-540; Am<strong>al</strong>fi, Genova, Pisa e Venezia. Il commercio con Costantinopoli e il vicino<br />

Oriente nel secolo XII, Atti della giornata di studio (Pisa 1995), a cura di O. Banti, Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>etto 1998<br />

(Società Storica Pisana. Collana storica, 46).<br />

105<br />

LILIE, Handel und Politik, pp. 272-282 e 315-320; A. HARVEY, Economic expansion in the byzantine empire,<br />

900-1200, Cambridge 1989.<br />

106 M. POZZA,G.RAVEGNANI, I trattati con Bisanzio, 992-1198, Venezia 1993 (Pacta veneta, 4), pp. 36-<br />

45, speci<strong>al</strong>mente p. 40.<br />

107<br />

FRANCESCO BALDUCCI PEGOLOTTI, La pratica della mercatura, ed. A. Evans, Cambridge/Mass. 1936;<br />

THIRIET, La Romanie vénitienne, pp. 415-416 e 425-426; CHRYSOSTOMIDES, Venetian commerci<strong>al</strong> privileges<br />

(cit. sopra, n. 48); M. BALARD, La Romanie genoise (XIIe-début du XVe siècle), II, Rome 1978 (Bibliothèque<br />

des écoles francaises d´Athènes et de Rome, 253), pp. 842-846; LILIE, Handel und Politik, pp. 271,<br />

274 e 276; MALAMUT, Les îles, pp. 536-561.<br />

161


162<br />

Una novità tecnica contribuì poi ad abbassare i costi. A nord delle Alpi si<br />

usava per il trasporto, già in epoca romana, la botte di legno, nell’It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e<br />

la si incontra <strong>d<strong>al</strong></strong> XII secolo 108 ed <strong>al</strong> più tardi nell’età dei P<strong>al</strong>eologi (1261-<br />

1453) essa sostituisce definitivamente l’anfora, fino ad <strong>al</strong>lora dominante 109 , anche<br />

in ambito greco, come testimoniano soprattutto i libri di conto 110 . In questo<br />

modo fu possibile ridurre drasticamente l’impedimento costituito <strong>d<strong>al</strong></strong>l’imb<strong>al</strong>laggio<br />

pesante, che aumentava i costi, incrementando cosi il volume dei trasporti:<br />

più vino raggiunge adesso il consumatore. Le fonti a disposizione non permettono<br />

purtroppo di determinare se esso fosse anche più economico. È possibile<br />

soltanto arguire, per il XIV secolo, un prezzo medio di un terzo di nomisma per<br />

un metron th<strong>al</strong>assion (= 10 litri) 111 e l’imposizione temporanea di una tassa straordinaria<br />

per metron 112 sembrerebbe documentare un prezzo base moderato, conveniente<br />

per gli acquirenti: mancano però sia dati sufficienti per quanto riguarda<br />

i s<strong>al</strong>ari dei consumatori, sia prezzi paragonabili per l’età medio-bizantina.<br />

Nel commercio sovraregion<strong>al</strong>e i bizantini fungevano esclusivamente da<br />

junior-partners o da fornitori 113 . Ciò risulta in modo particolarmente chiaro nel<br />

108 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 27(21), 132, pp. 66-67. 2000 Jahre Weinkultur an Mosel-Saar-Ruwer, Trier<br />

1987, pp. 114-116 (cat<strong>al</strong>ogo della mostra); G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del<br />

vino nell’ Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta, 4), pp. 397-410.<br />

109 Le circa 900 anfore ritrovate nel celebre relitto rinvenuto a Yassi-Ada, di fronte <strong>al</strong>la costa dell’Asia<br />

Minore, servivano <strong>al</strong>meno in parte <strong>al</strong> trasporto del vino (G.F. BASS,F.H.VAN DOORNINCK, Yassi-<br />

Ada I. A Seventh century byzantine shipwreck, Texas University Press 1982, pp. 155-161, 165 e 327-331);<br />

anche i ritrovamenti di Gano (v. sopra, n. 38) e di Serce Limani A (A.J. PARKER, Ancient shiwprecks of<br />

the Mediterranean and the roman provinces, Oxford 1992 [BAR Int. Series, 580], pp. 398-399, nr. 1070), in<br />

entrambi i casi databili <strong>al</strong>l’XI secolo, sono indizio dell’ulteriore uso di anfore. Cfr. CH. MPAKIRTZES,<br />

Byzantina tsouk<strong>al</strong>olagena. Symbole ste melete onomasion, schematon kai chreseon pyrimachon mageirikon skeuon,<br />

metaphorikon kai apothekeutikon docheion, Athena 1989.<br />

110 Il libro dei conti di Giacomo Badoer, a cura di U. Dorini, T. Bertelè, Roma 1956; P. SCHREINER, Texte zur<br />

spätbyzantinischen Finanz- und Wirtschaftsgeschichte in Handschriften der Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano<br />

1991 (Studi e testi, 344), pp. 154-156, 206, 302-303, 347 e 366. Cfr. E. SCHILBACH, Byzantinische Metrologie,<br />

München 1970 (Handbuch der Altertumswissenschaft, 12, 4), pp. 120-122.<br />

111 SCHREINER, Texte, pp. 99 e 375.<br />

112 CHRYSOSTOMIDES, Venetian commerci<strong>al</strong> privileges, pp. 301 e 308-309.<br />

113 V. in gener<strong>al</strong>e. N. OIKONOMIDÈS, Hommes d’affaires grecs et latins a Constantinople (XIII e -XV e siècles),<br />

Montre<strong>al</strong>-Paris 1979; A.E. LAIOU, The byzantine economy in the Mediterranean trade system, Thirteenth-Fifteenth<br />

centuries, «Dumbarton Oaks Papers», 34/35 (1980/81), pp. 177-222; E. KISLINGER, Gewerbe im<br />

späten Byzanz,in Handwerk und Sachkultur im Spätmittel<strong>al</strong>ter, Wien 1988 (Österreichische Akademie der<br />

Wissenschaften, phil.-hist. Kl., Sitzungsberichte, 513), pp. 103-126, speci<strong>al</strong>mente pp. 119-124.


caso della situazione commerci<strong>al</strong>e della città di Monembasia, <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e nel XIV<br />

secolo s<strong>al</strong>pavano ogni anno, in direzione di Creta, le navi delle princip<strong>al</strong>i famiglie<br />

loc<strong>al</strong>i con a bordo il loro carico di vino 114 . La commerci<strong>al</strong>izzazione a livello internazion<strong>al</strong>e<br />

era poi effettuata da Venezia, che cominciò ben presto a vendere<br />

anche i propri prodotti insulari con l’etichetta di M<strong>al</strong>vasia 115 . A rigor di termine<br />

questo è un caso lampante di f<strong>al</strong>sificazione di etichetta. Cerchiamo però di<br />

vederne gli aspetti positivi. Secoli dopo il giudizio inappellabile di Liutprando di<br />

Cremona sul «graecorum vinum, ob picis, taedae, gypsi commixtionem nobis<br />

impotabile» 116 , il vino greco, oltre <strong>al</strong>la nuova image positiva formatasi a Bisanzio<br />

stessa negli ultimi secoli della sua esistenza, ha ottenuto per lungo tempo una<br />

vasta ed entusiastica clientela anche nell’Europa occident<strong>al</strong>e.<br />

114 H. NOIRET, Documents inédits pour servir l´histoire de la domination vénitienne en Crète de 1380 a 1485, Paris<br />

1892, p. 354 (26 avril); F. THIRIET, Délibérations des assemblées vénitiennes concernant la Romanie, I, Paris<br />

1966, p. 189 nr. 455; CH. GASPARES, He nautiliake kinese apo ten Krete pros ten Peloponneso kata ton 14o<br />

aiona, «Ta Historika», 9 (1988), pp. 278-318.<br />

115 NOIRET, Documents, pp. 52, 287, 386 e 525; THIRIET, La Romanie vénitienne, pp. 320, 415-416 e 437;<br />

ID., Délibérations, p. 198 nr. 488; M. CORTELAZZO, L’influsso linguistico greco a Venezia, Bologna 1970, pp.<br />

128-129. B. IMHAUS, Enchères des fiefs et vignobles de la république vénitienne en Crète au XIV siècle, «Epeteris<br />

Hetaireias Byzantinon Spoudon», 41 (1974), pp. 195-208; D. A. ZAKYTHINOS, Le Despotat grec de Morée.<br />

II: Vie et institutions, London 2 1975, pp. 249-250; P. TOPPING, Viticulture in venetian Crète (XIIIth C.), in<br />

Pepragmena tou D’ (= quarto) kretologikou Synedriou (Irakleion 1976), I, Athena 1981, pp. 509-520.<br />

116 LIUTPRANDO, Legatio cap. 1, p. 176. WEBER, Essen und Trinken, pp. 78-81.<br />

163


164


La civiltà araba è sorta in ambiente nomade e la trasmissione della cultura vi è<br />

a lungo avvenuta princip<strong>al</strong>mente per via or<strong>al</strong>e. Di qui il suo carattere tipicamente<br />

‘logocentrico’ e l’enorme v<strong>al</strong>ore attribuito <strong>al</strong>la poesia che vi permane tuttora,<br />

essendo rimasto intatto il prestigio della tradizione letteraria più antica a<br />

dispetto del suo radicamento nell’epoca della cosiddetta Jâhiliyya, ossia dell’‘ignoranza’<br />

che ha preceduto l’avvento dell’Islam. Quest’ultimo, poi, incentrandosi<br />

sul ‘Verbo’ coranico e scoraggiando per vari motivi le arti figurative, ha<br />

perfino rafforzato l’attaccamento degli arabofoni <strong>al</strong>la loro lingua e <strong>al</strong> patrimonio<br />

poetico in essa espresso. In t<strong>al</strong> modo non solo i metri, ma persino i <strong>temi</strong><br />

degli antichi poeti si sono perpetuati, nonostante <strong>al</strong>cuni di questi fossero in netto<br />

contrasto con determinati aspetti della legge religiosa affermatasi con l’avvento<br />

dell’Islam. Il caso più tipico è appunto quello del vino, abbondantemente<br />

presente nei versi degli autori pagani.<br />

L’eredità preislamica<br />

PAOLO BRANCA*<br />

Il vino nella cultura arabo-musulmana<br />

Un genere letterario... e qu<strong>al</strong>cosa di più<br />

‘Amr ibn Kulthûm, poeta del VI secolo d.C., pur componendo una tipica ode<br />

celebrativa dei vanti della propria tribù, non rinuncia a inneggiare <strong>al</strong> gusto e agli<br />

effetti del vino nel prologo di questa:<br />

Orsù, ragazza, <strong>al</strong>zati con la tua coppa e versaci la bevanda mattutina: non risparmiare<br />

il vino di <strong>al</strong>-Andarîn / mescolato con acqua; quando l’acqua c<strong>al</strong>da vi si mescola sembra<br />

che in esso sia zafferano. / Quando il bramoso gusta il vino, è distolto <strong>d<strong>al</strong></strong>la sua passione<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.<br />

165


166<br />

amorosa, sì che diventa docile di carattere. / Quando il vino vien fatto circolare in un convito,<br />

tu vedi il gretto avaro disprezzare, nel berlo, le sue ricchezze 1 .<br />

Ancor più esplicite e significative in t<strong>al</strong> senso sono <strong>al</strong>cune affermazioni di un<br />

<strong>al</strong>tro poeta di quei tempi, Labîd ibn Rabî‘a, che secondo la tradizione sarebbe<br />

morto vecchissimo ed è noto anche per versi gravi e meditabondi, i qu<strong>al</strong>i però si<br />

affiancano a ricordi di ben <strong>al</strong>tro tenore, dove il vino è protagonista:<br />

Tu non sai quante tiepide e dolci notti, bevendo e giocando in <strong>al</strong>legra compagnia / io<br />

abbia trascorso in piacevoli conversazioni! Quante volte mi sono fermato <strong>al</strong>l’insegna del<br />

vinaio quando più forte e più caro era il suo vino. / A caro prezzo acquistai i vecchi<br />

otri nerastri e anfore annerite <strong>d<strong>al</strong></strong> tempo, <strong>d<strong>al</strong></strong>le qu<strong>al</strong>i si mesce dopo aver rotto il sigillo!<br />

/ Quante volte bevvi già <strong>al</strong> mattino vino schietto, mentre un’abile suonatrice toccava col<br />

pollice le corde del suo strumento, / o già prima dell’<strong>al</strong>ba mi levai <strong>al</strong> primo canto del<br />

g<strong>al</strong>lo a berne una seconda volta2 .<br />

Quando il cantore è anche poeta di corte, le immagini si fanno più complesse,<br />

pur riproponendo schemi consueti, come nel caso di <strong>al</strong>-A‘shâ:<br />

Un vino, ove, quando viene filtrato, l’occhio crede veder rosseggiare il purpureo fiore del<br />

‘dhubah’. / D<strong>al</strong> profumo acuto come l’odore penetrante del muschio; lo mescé il coppiere,<br />

quando fu detto: “Affrettati!”, / dagli otri dei mercanti, da una nera anfora ricolma<br />

e capace, profonda, che non si cura, per tutto il giorno, del bricco e della coppa che<br />

attingono <strong>al</strong> suo seno. / Quando vi spumeggia il vino mescolato con l’acqua, si dissolve<br />

nella sua massa e scompare la spuma. / Quando il nappo immerso ne urta i fianchi,<br />

torna a sguazzare e nuotare entro il suo liquido. / Si versa il vino con una lavorata<br />

coppa, e chi ne attinge ripete più volte l’estrazione. / Ridotto che fu <strong>al</strong> fondo, noi sollevammo<br />

l’otre, e il liquido fluì, sciolte le anse. / L’otre appoggiato <strong>al</strong> suolo sembra un<br />

abissino dormente, disteso faccia a terra, / e un cantore, cui quando si dice “Fa sentire<br />

il tuo canto ai bevitori”, ei leva <strong>al</strong>ta la voce nel canto, / e ripiega la mano sui legni di<br />

un liuto, unendo <strong>al</strong>la voce il roco tinnir d’una corda, / tra giovanotti come lampade della<br />

tenebra, in cui appare manifesta delizia e gioia3 .<br />

1 P. MINGANTI,G.VASSALLO VENTRONE, Storia della letteratura araba, I, Milano 1969, pp. 22-23.<br />

2 Ibidem,p.36.<br />

3 F. GABRIELI,V.VACCA, Antologia della letteratura araba, Milano 1976, pp. 32-33.


Interessante è notare come il commercio o la presenza del vino siano spesso collegati<br />

a persone appartenenti ad <strong>al</strong>tre religioni, come nel caso dei versi di ‘Adi ibn<br />

Zayd (lui stesso cristiano e influenzato <strong>d<strong>al</strong></strong>la cultura iranica) che, dopo aver<br />

accennato ad un vinaio ebreo, indica chiaramente dei monaci qu<strong>al</strong>i detentori del<br />

nettare inebriante:<br />

Nel Convento ho trincato con i figli di ‘Almaqah un vino che diresti sangue di drago.<br />

Il profumo del muschio sembra emanar <strong>d<strong>al</strong></strong>la sua coppa, quando lo mescolano <strong>al</strong>l’acqua del cielo.<br />

Chi si <strong>al</strong>lieta della vita e delle sue gioie, faccia del vino la sc<strong>al</strong>a che ad esse conduce4 .<br />

L’accostamento tra il vino e la presenza di questi ‘stranieri’ corrisponde in parte <strong>al</strong>la<br />

sua stessa provenienza esterna, <strong>d<strong>al</strong></strong>la Siria e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Iraq soprattutto, benché non mancassero<br />

coltivazioni loc<strong>al</strong>i, tra le qu<strong>al</strong>i le più note erano quelle della città <strong>al</strong>pestre di<br />

Tâ’if e dello Yemen, accanto a una varietà di Medina, ma meno pregiata. Ad ogni<br />

modo gli arabi non erano certo noti nell’antichità qu<strong>al</strong>i grandi consumatori di vino:<br />

«Nel 194 d.C. i soldati romani di Gaio Pescennio Nigro, governatore della Siria e<br />

antagonista di Settimio Severo, vengono sconfitti dagli Arabi. Rimproverati <strong>d<strong>al</strong></strong> loro<br />

condottiero, essi si giustificarono dicendo che in Arabia non avevano avuto la loro<br />

solita razione di vino, <strong>al</strong> che Pescennio Nigro rispose: “Vergogna! Quelli che vi hanno<br />

sconfitto bevono soltanto acqua!”. La notizia ora riferita ci viene da Elio Sparziano,<br />

ma anche lo scrittore Ammiano Marcellino racconta in un passo della sua<br />

opera come gli Arabi da lui visti fossero per la maggior parte vini penitus ignorantes,<br />

non conoscessero cioè il vino» 5 . Da <strong>al</strong>tre fonti classiche riceviamo notizie simili,<br />

<strong>al</strong>meno relativamente a certi specifici gruppi: «Secondo Diodoro Siculo, una legge<br />

in vigore tra i Nabatei condannava a morte chiunque “bevesse vino, fabbricasse<br />

case, coltivasse vigneti o seguisse attività agricole; essi dovevano vivere sotto le tende<br />

e nutrirsi di carne, latte, miele e <strong>al</strong>tri prodotti del bestiame”. Ancora interessante,<br />

a proposito dei Nabatei, è una iscrizione p<strong>al</strong>mirena pubblicata <strong>d<strong>al</strong></strong> Littmann e<br />

tradotta poi da Dussaud, nella qu<strong>al</strong>e si parla di un <strong>al</strong>tare dedicato a un dio, definito<br />

il “dio buono e rimuneratore che non beve vino”. Pare che questa divinità, Shay‘ <strong>al</strong>qawm,<br />

fosse venerata da un gruppo arabo-nabateno che non ammetteva libagioni<br />

di vino nel culto, contrapponendosi in t<strong>al</strong> modo <strong>al</strong> culto di Dusares (Dhu’sh-sharâ<br />

o Dhû Sharâ) vivo a Petra, <strong>d<strong>al</strong></strong>le caratteristiche bacchiche molto accentuate» 6 .<br />

4 MINGANTI,VASSALLO VENTRONE, Storia della letteratura,p.50.<br />

5 A. BORRUSO, Vino e fermenti nella cultura arabo-islamica, «Islam, storia e civiltà», 42 (1993), p. 5.<br />

6 Ibidem,p.11.<br />

167


168<br />

Come abbiamo visto, tuttavia, t<strong>al</strong>e ignoranza era più presunta che re<strong>al</strong>e, benché<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista letterario non si potesse parlare ancora di un vero e proprio<br />

genere bacchico indipendente. È tuttavia innegabile che esso sussistesse<br />

accanto agli <strong>al</strong>tri <strong>temi</strong> tipici degli antichi carmi, come il vanto e l’encomio, l’elegia<br />

e l’invettiva, la descrizione natur<strong>al</strong>istica e il rimpianto amoroso...<br />

Il consumo di vino non era comunque molto comune ed era riservato a speci<strong>al</strong>i<br />

occasioni, tra le qu<strong>al</strong>i non mancavano quelle a sfondo religioso, già «nel<br />

periodo del paganesimo arabo era in uso durante il rito antichissimo del pellegrinaggio<br />

(...), islamizzato in seguito (...), bere particolari fermenti: queste bevande<br />

ritu<strong>al</strong>i, usate dai pellegrini in pia visita <strong>al</strong> santuario della Ka‘ba (o ad <strong>al</strong>tri<br />

minori santuari della Penisola), sono anzi distinte da <strong>al</strong>cune fonti in sharâb, nabîdh<br />

e sawîq. Si dava il nome di sharâb <strong>al</strong> liquido ottenuto <strong>d<strong>al</strong></strong>la spremitura dell’uva fresca,<br />

mentre con il termine di nabîdh si indicava il fermento derivato <strong>d<strong>al</strong></strong>la macerazione<br />

dell’uva secca nell’acqua: in una prima fase dolce e sciropposo, esso raggiungeva<br />

poi la fermentazione e diventava inebriante, quindi s’inaspriva e perdeva<br />

di gradazione <strong>al</strong>colica. L’evoluzione poteva essere molto rapida, andando da<br />

poche ore ad una sola giornata, dato il clima molto c<strong>al</strong>do, <strong>al</strong>meno durante il giorno.<br />

Il termine nabîdh comunque assunse in seguito sempre più il significato di<br />

vino di datteri, distinto dunque <strong>d<strong>al</strong></strong> khamr vero e proprio, termine aramaico che<br />

fu usato in arabo per indicare in sostanza il vino d’uva. Quanto <strong>al</strong> sawîq, la terza<br />

bevanda ritu<strong>al</strong>e citata, esso era un fermento fatto d’orzo e miele che per molto<br />

tempo restò in uso presso gli abitanti della Mecca e di Medina. Sarebbe comunque<br />

molto difficile tracciare una storia delle bevande fermentate presso gli Arabi<br />

antichi, a motivo del fatto che con gli stessi termini spesso le fonti indicano<br />

bevande fatte di cose diverse, o addirittura non più bevande ma cibi solidi. Qui<br />

ci limitiamo a ricordare che era in uso il vino di p<strong>al</strong>ma (tratto <strong>d<strong>al</strong></strong> midollo di p<strong>al</strong>ma,<br />

o <strong>al</strong>trimenti <strong>d<strong>al</strong></strong>la polpa del tronco di p<strong>al</strong>ma e rinforzato con miele di datteri),<br />

l’idromele vero e proprio, e il cosiddetto sawîq muqannad, cioè il vino di canna<br />

da zucchero; e, come prima si diceva, il vino di datteri gener<strong>al</strong>mente chiamato<br />

nabîdh, ma che aveva nomi diversi a seconda della specie di datteri adoperati e<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> loro grado di maturazione» 7 .<br />

7 Ibidem,p.6.


Il vino nel Corano e nella Sunna<br />

Contrariamente a quel che si potrebbe pensare il testo sacro dell’Islam, il Corano,<br />

non giudica sempre il vino negativamente, ma t<strong>al</strong>volta lo elenca tra le cose<br />

buone di cui Dio ha fatto dono <strong>al</strong>l’uomo:<br />

E Dio fa scender acqua <strong>d<strong>al</strong></strong> cielo e ne fa viva la terra che prima era morta, e certo un segno<br />

è ben questo, per gente capace d’udire. / E voi avete ancora nei greggi un esempio: Noi vi<br />

diam da bere di quel che è nei loro ventri, di fra le feci e ‘l sangue, latte puro squisito a chi<br />

beve. / E dei frutti delle p<strong>al</strong>me e delle viti vi fate bevanda inebriante e buon <strong>al</strong>imento; e<br />

certo è ben questo un Segno per gente che sa ragionare (16, 65-67).<br />

Gradu<strong>al</strong>mente però t<strong>al</strong>e v<strong>al</strong>utazione si è modificata, dapprima con riserve:<br />

Ti domanderanno ancora del vino e del maysir. Rispondi: “C’è peccato grave e ci sono vantaggi<br />

per gli uomini in ambe le cose: ma il peccato è più grande del vantaggio” (2, 219),<br />

infine con una condanna tot<strong>al</strong>e a motivo degli effetti nefasti che ne deriverebbero:<br />

O voi che credete! In verità il vino, il maysir, le pietre idolatriche, le frecce divinatorie sono<br />

sozzure, opere di Satana; evitatele, a che per avventura possiate prosperare. / Perché<br />

Satana vuole, col vino e col maysir, gettare inimicizia e odio fra di voi, e stornarvi <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

menzione del Santo Nome di Dio (5, 90-91).<br />

La tradizione riporta infatti che uno zio del Profeta, ubriaco, avrebbe mutilato i<br />

cammelli di ‘Alî, così come si accenna <strong>al</strong> comportamento riprovevole di <strong>al</strong>cuni<br />

fedeli che, trovandosi in stato di ebbrezza, avrebbero commesso errori nel ritu<strong>al</strong>e<br />

della preghiera:<br />

O voi che credete, non accingetevi <strong>al</strong>la preghiera in stato di ebbrezza, ma attendete di poter<br />

sapere quello che dite (4, 43).<br />

Non manca tuttavia neppure nel Corano l’utilizzo della metafora del vino come<br />

bevanda paradisiaca che ritroveremo speci<strong>al</strong>mente nei versi dei mistici musulmani:<br />

La descrizione del Giardino che è stato promesso ai timorati di Dio è così: vi saranno fiumi<br />

d’ acqua incorruttibile, e fiumi di latte <strong>d<strong>al</strong></strong> gusto immutabile, e fiumi di vino delizioso<br />

a chi beve, e fiumi di miele purissimo (47, 15).<br />

Ma si tratterà di un vino del tutto particolare, privo di quegli effetti che lo rendono<br />

sconsigliabile ai mort<strong>al</strong>i:<br />

169


170<br />

E forniremo loro frutta e carne, quella che desidereranno. / E si passeranno a vicenda dei<br />

c<strong>al</strong>ici d’un vino che non farà nascer discorsi sciocchi, o eccitazioni di peccato (52, 22-23).<br />

addirittura simbolo di un’estasi desiderabile:<br />

In verità i Pii vivranno fra le delizie, / stesi su <strong>al</strong>ti giacigli si guarderanno placidi attorno,<br />

/ e si scorgerà luminoso sui loro volti il fiorir della gioia; / saranno abbeverati di vino<br />

squisito suggellato / suggellato di suggello di muschio (oh, possan bramarlo gli uomini<br />

quel vino, di brama grande!) (83, 22-26).<br />

Com’è noto, il Corano contiene soltanto disposizioni di carattere gener<strong>al</strong>e, mentre<br />

maggiori dettagli sono reperibili nei detti del Profeta, raccolti nella Sunna o ‘tradizione’,<br />

che precisa le disposizioni da seguire nelle più varie circostanze e, con la sua<br />

forma aneddotica, fornisce inoltre parecchie informazioni di contorno t<strong>al</strong>volta<br />

molto interessanti. Da essa apprendiamo, per esempio, che il vino che si consumava<br />

in Arabia era prev<strong>al</strong>entemente di datteri freschi o secchi e che il Profeta predisse<br />

che l’aumento del consumo di vino sarebbe stato uno dei segni della depravazione<br />

gener<strong>al</strong>e che precederà la fine del mondo. Dai detti del Profeta apprendiamo<br />

però che c’era anche del vino ottenuto <strong>d<strong>al</strong></strong> grano, <strong>d<strong>al</strong></strong> miele, <strong>d<strong>al</strong></strong> miglio o <strong>d<strong>al</strong></strong>l’orzo,<br />

tutti egu<strong>al</strong>mente proibiti, con l’avvertenza di non cercare di render lecito<br />

quanto non lo era soltanto cambiandogli nome... Questa raccomandazione riflette<br />

probabilmente l’incertezza che si era prodotta riguardo t<strong>al</strong>e proibizione: dato<br />

che i sis<strong>temi</strong> con cui si ottenevano e si conservavano varii tipi di bevande erano<br />

diversi, non era facile stabilire esattamente qu<strong>al</strong>i di esse fossero interdette e soprattutto<br />

da quando lo diventassero a motivo dei processi fermentativi.<br />

Il liquido ottenuto <strong>d<strong>al</strong></strong>la spremitura di datteri, bevuto nel giro di ventiquattr’ore,<br />

è gener<strong>al</strong>mente ammesso, ma per troncare ogni discussione si giunse a<br />

stabilire che era vietata ogni bevanda che turbava la ragione: «Probabilmente la<br />

regola nacque per disciplinare anche gli <strong>al</strong>tri tipi di fermenti – non ancora usati<br />

però <strong>al</strong> tempo del Profeta – ottenuti da fichi, <strong>al</strong>bicocche, ciliege, more o <strong>al</strong>trimenti<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la saggina e <strong>d<strong>al</strong></strong> latte, specie il latte di giumenta (che darà una bevanda<br />

<strong>al</strong>colica chiamata kûmis, introdotta intorno <strong>al</strong> Mille dai Turchi e divenuta poi la<br />

bevanda preferita dai Mamelucchi)» 8 . Non mancava chi cercava di ‘s<strong>al</strong>vare’ <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

condanna e quindi <strong>d<strong>al</strong></strong>la distruzione il vino che possedeva prospettandone un<br />

uso benefico: si parla di un uomo che aveva ereditato del vino ed era intenzio-<br />

8 Ibidem,p.12.


nato a venderlo devolvendo il ricavato a favore di <strong>al</strong>cuni orfani, ma Maometto gli<br />

ordinò comunque di gettarlo via e di distruggere i contenitori in cui era conservato.<br />

In effetti sono condannati tutti coloro che vi hanno a che fare: chi lo pigia,<br />

chi lo trasporta, chi lo vende o lo compra, chi lo serve e chiunque ne tragga profitto,<br />

oltre natur<strong>al</strong>mente a chi lo beve. Sulla punizione vi sono pareri discordanti:<br />

le frustate vano da 40 a 80 a seconda dei casi e il Profeta avrebbe ordinato di<br />

uccidere chi fosse sorpreso a bere una quarta volta, benché in t<strong>al</strong>e fattispecie egli<br />

abbia evitato di infliggere la pena capit<strong>al</strong>e. Altre sanzioni potevano comprendere<br />

la rasatura completa o l’esilio. L’uso di simili bevande non è consentito <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

maggior parte delle scuole giuridiche neppure come medicamento.<br />

L’epoca omayyade<br />

Il divieto del vino fu percepito presto come dato tipico della fede islamica, tanto<br />

che il poeta cristiano <strong>al</strong>-Akht<strong>al</strong> († 710) manifesta vivacemente la sua intenzione<br />

di non rispettarlo a conclusione di una serie di rifiuti opposti ad <strong>al</strong>tri e più<br />

fondament<strong>al</strong>i precetti del culto musulmano:<br />

No! Mai osserverò il digiuno del ramadan, né mangerò la carne degli olocausti.<br />

Mai spingerò verso la v<strong>al</strong>le della Mecca <strong>al</strong> tempo del pellegrinaggio una giovane e robusta<br />

cammella.<br />

Mai griderò come un asino: “Orsù! <strong>al</strong>la preghiera!”<br />

Ma continuerò a bere il benefico liquore e mi prosternerò <strong>al</strong> levar dell’<strong>al</strong>ba9 .<br />

Non si deve però credere che i poeti musulmani disdegnassero il vino per motivi<br />

religiosi, né che esso fosse dunque scomparso dai loro versi. Lo stesso Hassan<br />

ibn Thâbit, contemporaneo di Maometto e fratello del segretario di quest’ultimo<br />

che fu incaricato di mettere per iscritto il Corano dopo la morte del Profeta, va<br />

annoverato tra i poeti bacchici del Hijâz presenti fin <strong>d<strong>al</strong></strong> primo secolo dell’Islam,<br />

person<strong>al</strong>ità irriverenti se non ribelli, dediti anche <strong>al</strong>la musica e ai corteggiamenti,<br />

che ebbero i loro corrispondenti nelle terre di recente conquista, come il celebre<br />

<strong>al</strong>-Uqayshir di <strong>al</strong>-Kûfa, in Iraq.<br />

Il tema bacchico dunque non solo permase, ma addirittura si sviluppò, e<br />

non certo come mera convenzione: non furono pochi infatti coloro che conti-<br />

9 MINGANTI,VASSALLO VENTRONE, Storia della letteratura,p.90.<br />

171


172<br />

nuarono a cantarlo avendone diretta e dilettevole esperienza. Tra di essi un vero<br />

‘campione’ fu in particolare il c<strong>al</strong>iffo omayyade gaudente <strong>al</strong>-W<strong>al</strong>îd ibn Yazîd (†<br />

740) 10 , non privo di un gusto dissacratore a ben più largo spettro, di cui i seguenti<br />

versi son chiara testimonianza:<br />

Oh che notte ho passato a Dayr Bawannâ / quando ci era mesciuto il vino, e ci veniva cantato!<br />

/ Come girava la coppa, così giravamo (in danza) / e gli sciocchi credevano fossimo<br />

impazziti. / Passammo presso profumate donne / e canto, e vino, e ci fermammo. / E<br />

facemmo del C<strong>al</strong>iffo di Dio Pietro, / per riso, e del consigliere, Giovanni. / E prendemmo<br />

la loro comunione, e fummo fatti / infedeli, per le croci del loro convento, e t<strong>al</strong>i fummo. / E<br />

ci siamo diffamati presso la gente, quando chiacchiereranno / venendo a conoscere quanto<br />

abbiam fatto11 .<br />

Non stupirà dunque scoprire, in questo secondo secolo dell’Islam, un’intera<br />

generazione di poeti ‘libertini’ i qu<strong>al</strong>i, cantando i piaceri della vita incuranti delle<br />

proibizioni religiose, esprimevano un atteggiamento di più gener<strong>al</strong>e insofferenza<br />

e ribellione. In questo quadro il tema bacchico fu trattato da <strong>al</strong>cuni di loro<br />

come un genere a parte e in ciò si distinse per primo Abû l-Hindî, indicato come<br />

uno degli ispiratori di colui che diverrà, in epoca abbaside, il massimo cantore<br />

del vino: il celeberrimo Abû Nuwâs.<br />

Il vino nell’epoca abbaside<br />

Con Abû Nuwâs († 815) «nel carme bacchico vivono come una seconda vita, e<br />

spesso in forma più agile e schietta, quasi tutti gli <strong>al</strong>tri generi poetici: l’amoroso<br />

soprattutto, ma anche l’encomiastico, il satirico, persino il venatorio. D<strong>al</strong><br />

momento, dunque, che il vino è per il poeta una sorta di compendio dei piaceri<br />

terreni, acquista una particolare rilevanza il sistema di metafore che intorno ad<br />

esso si crea. Il più singolare, per noi, è quello che si forma attorno <strong>al</strong> genere<br />

grammatic<strong>al</strong>e, femminile, che in arabo hanno tutti i termini usati a designare i<br />

vari tipi di vino. Questo diventa, quindi, la fanciulla che si chiede in isposa, la<br />

schiava che si vuol riscattare <strong>d<strong>al</strong></strong> padrone, la vergine rimasta per anni chiusa e<br />

10 Su di lui si veda F. GABRIELI, Al-W<strong>al</strong>îd ibn Yazîd. Il c<strong>al</strong>iffo e il poeta, «Rivista degli studi orient<strong>al</strong>i»,<br />

XV/1, (1934), pp. 1-64.<br />

11 Ibidem,p.27.


protetta nei suoi penetr<strong>al</strong>i (i recipienti di conservazione) che improvvisamente<br />

b<strong>al</strong>za fuori con impeto conquistando e soggiogando i suoi ammiratori» 12 . Tra i<br />

suoi versi ci pare opportuno citarne <strong>al</strong>cuni nei qu<strong>al</strong>i, sorprendentemente, proprio<br />

agli arabi si ritiene che più che ad <strong>al</strong>tri si convenga offrire da bere:<br />

Non far però che mi beva il chiassone inopportuno, / né il pidocchioso che <strong>al</strong> solo fiutarmi<br />

s’aggronda; / neppure il Mazdeo, perché il fuoco egli ha per signore, / non il Giudeo,<br />

e nemmeno chi adora la Croce; / non il plebeo che neppure innaffiato d’ingiurie / si scuote<br />

giammai, né chi cortesia non conosce, / né a tutti gli <strong>al</strong>tri villani babbei che apprezzarmi<br />

/ non sanno: agli Arabi sol devi darmi da bere13 .<br />

L’autore è ben consapevole di violare un divieto, ma ai rimproveri ribatte rincarando<br />

la dose:<br />

F<strong>al</strong>la finita col biasimo: il biasimo m’eccita (p. 4)<br />

Ma più mi ci fanno rampogne più io mi ci ostino (p. 7)<br />

e anzi affermando di trovar gusto nel dare scan<strong>d<strong>al</strong></strong>o:<br />

Su, dammi del vino da bere, e dimmelo: ‘È vino!’<br />

Non farmelo ber di soppiatto, se in piazza è possibile. (...)<br />

Gri<strong>d<strong>al</strong></strong>o, il nome di chi ti sta a cuore, e basta<br />

pseudonimi: gusto non c’è nei piaceri velati (p. 6)<br />

deciso ad insistere fin oltre la morte:<br />

Il giorno ch’io muoia, sotterrami presso una vite,<br />

che con le sue vene m’innaffi l’esanimi ossa (p. 7)<br />

e insinuando il sospetto contro chi lo disapprova:<br />

Se tu criticassi le<strong>al</strong>mente, buon viso farei:<br />

ma sai perché critichi me? Perché sei invidioso! (p. 9).<br />

Ma, accanto a questi <strong>temi</strong> tipici, non mancano dettagli interessanti anche sulla<br />

tipologia delle bevande, come l’idromele che:<br />

non trae il suo lignaggio <strong>d<strong>al</strong></strong> pampino, né <strong>d<strong>al</strong></strong>la p<strong>al</strong>ma,<br />

ma vien <strong>d<strong>al</strong></strong> purissimo miele con acqua mischiato (p. 12)<br />

12 ABÛ NUWÂS, La vergine nella coppa, a cura di M. V<strong>al</strong>laro, Roma 1992, p. XXIII.<br />

13 Ibidem,p.23.<br />

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e che brilla di strane iridescenze:<br />

e quel che con l’acqua lo mesce diresti l’adorni<br />

di pelle strappata <strong>al</strong>la vipera o ad <strong>al</strong>tro serpente (p. 13).<br />

Il vino è descritto come “fruttato e robusto” (p. 31), gener<strong>al</strong>mente <strong>al</strong>lungato con<br />

acqua, come afferma questa quartina:<br />

L’offre un coppiere<br />

e lo puoi bere<br />

a tuo piacere<br />

d’acqua mischiato (p. 25)<br />

anche se t<strong>al</strong>e connubio è t<strong>al</strong>volta disapprovato e si interpreta l’effervescenza che<br />

ne viene prodotta come una reazione di collera da parte del vino <strong>al</strong> contatto con<br />

l’acqua:<br />

La linfa del pampino ha in odio l’umor della nube:<br />

se questi la tocca, quella di collera esplode (p. 14),<br />

né mancano cenni <strong>al</strong>l’invecchiamento, o a chi lo produce e lo vende:<br />

Il vino? No, non mescolarlo affatto, / e dammene di quel che d’anni è carico,<br />

quel che ha invecchiato, fra verzieri e monti, / il Curdo in un ameno suo ricovero (p. 21).<br />

Amico mio, che gran piacer per me / bere d’un vinattier sotto la pergola!<br />

Specie presso un’Ebrea dagli occhi neri, / bella qu<strong>al</strong>e nel ciel luna nottivaga (p. 21).<br />

Spesso esso è abbinato <strong>al</strong>la musica e ad ancor meno lecite passioni:<br />

Venne poi una di dolce voce, che i commens<strong>al</strong>i<br />

svagò, assommando piacer novelli che ognun trascinano (p. 20)<br />

C’era un coppier tutto vezzi amm<strong>al</strong>ianti, <strong>d<strong>al</strong></strong> languido<br />

sguardo, pupillo di re, cui Cosroe è padre (p. 8).<br />

Una varietà sorprendente di variazioni sul medesimo tema, caratterizzate anche<br />

da una grande ricchezza lessic<strong>al</strong>e: «I nomi dati <strong>al</strong> vino dagli Arabi preislamici, e<br />

rimasti poi nell’Islam, erano numerosi. Nella maggior parte dei casi, si trattava di<br />

aggettivi che indicavano qu<strong>al</strong>ità specifiche, gradazione di forza, di colore o di<br />

aroma: essi acquistavano spesso v<strong>al</strong>ore di sostantivi veri e propri, per cui abbiamo<br />

il ‘limpido’, il ‘chiaretto’, il ‘rinforzato’, ovvero il ‘portato da lungi’, il ‘ben


maturato’, e ancora il ‘bianchino’, la dolce ‘acqua di zibibbo’ che si ricavava <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uva<br />

passa, e via dicendo. Il colore preferito è comunque il rosso, chiamato nell’antica<br />

poesia ‘sangue dell’otre’, oppure il rosato, paragonato <strong>al</strong>lo zafferano o <strong>al</strong><br />

sangue di gazzella. Si beveva in genere miscelato con acqua fresca o con miele<br />

d’api, sia per motivi economici (si pensi che un otre di vino veniva cambiato con<br />

un cammello di tre anni), sia per evitare emicranie; a volte si profumava artifici<strong>al</strong>mente,<br />

per esempio col muschio» 14 .<br />

Il livello che il genere bacchico raggiunse con Abû Nuwâs, definito l’Anacreonte<br />

arabo, contribuì da un lato a consacrarlo, ma <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro ne stemperò anche<br />

la carica trasgressiva, cosicché nel terzo secolo dell’era islamica lo troviamo ‘praticato’<br />

da tutti, forse però con toni meno spontanei, come in Ibn <strong>al</strong>-Mu‘tazz, e<br />

comunque più faticosi, come in Ibn <strong>al</strong>-Rûmî. Lo stesso si può dire anche per i<br />

grandi del secolo successivo, qu<strong>al</strong>i <strong>al</strong>-Mutanabbî e Abû Firâs, nei qu<strong>al</strong>i il tema permane<br />

soprattutto come una convenzione letteraria, form<strong>al</strong>mente perfetta ma<br />

ormai lontana <strong>d<strong>al</strong></strong>la vivacità del suo primo ‘spumeggiante’ affermarsi.<br />

Un fluire di versi ‘divini’<br />

Successivamente le cose non mutarono, ma – paradoss<strong>al</strong>mente – nuova linfa<br />

fecondò il genere da parte di una categoria di poeti che teoricamente si potrebbero<br />

considerare i meno adatti ai <strong>temi</strong> licenziosi: i cosiddetti sufi o mistici musulmani.<br />

Versi d’amore o la celebrazione del vino si prestavano infatti molto bene<br />

ad essere interpretati come simboli e metafore del rapporto tra fedele e Signore,<br />

fatto di desiderio e di attesa, come appunto un innamoramento, o di diletto e di<br />

estasi, come una gustosa libagione. Pur obbedendo <strong>al</strong> lessico e ai canoni classici<br />

del genere, i sufi seppero <strong>al</strong>imentarlo di ulteriori significati e di nuove immagini<br />

e in ciò si distinse speci<strong>al</strong>mente Ibn <strong>al</strong>-Fârid († 1235):<br />

Alla memoria del Beneamato abbiamo bevuto un vino / che ci ha inebriati prima della<br />

creazione della vigna. (...) / Quante stelle risplendono, quando è mescolato! / Senza il<br />

suo profumo, non avrei trovato la via delle sue taverne. / Senza il suo splendore, l’immaginazione<br />

non potrebbe concepirlo. (...) / Se nella tribù ne è citato il nome, quella gente<br />

diviene ebbra / senza disonore e senza peccato. / A poco a poco è s<strong>al</strong>ito <strong>d<strong>al</strong></strong> fondo dei<br />

vasi: e in verità solo il nome ne resta. / Ma se <strong>al</strong>lo spirito d’un uomo un giorno viene, /<br />

14 BORRUSO, Vino e fermenti, pp. 6-7.<br />

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176<br />

la gioia <strong>al</strong>lora si impadronisce di lui, e la tristezza se ne parte. / La sola vista del suggello<br />

posto sui vasi basta a far cadere nell’ebbrezza i convitati. / Se con un vino t<strong>al</strong>e innaffiassero<br />

la terra di un sepolcro, / il morto ritroverebbe la propria anima e il suo corpo<br />

sarebbe resuscitato. / Steso <strong>al</strong>l’ombra del muro della sua vigna, / subito il m<strong>al</strong>ato già in<br />

agonia ritroverebbe la forza. / Presso le sue taverne il par<strong>al</strong>itico cammina, / e <strong>al</strong> ricordo<br />

del suo sapore i muti si mettono a parlare. / Se gli <strong>al</strong>iti del suo profumo si es<strong>al</strong>ano in<br />

Oriente, / <strong>al</strong>l’Occidente un uomo senza odorato diviene capace di sentirli. / Chi ne regge<br />

la coppa, la p<strong>al</strong>ma piena di questo vino, / non si perderà nella notte: reca un astro nella<br />

mano. / Il nato cieco che nel cuore lo ricevesse, / ritroverebbe subito la vista. / Fa udire<br />

i sordi, il gorgogliare del suo filtro. / In una schiera di cav<strong>al</strong>ieri che spronano verso la terra<br />

natia, se qu<strong>al</strong>cuno fosse morso / da una bestia velenosa, il veleno non gli potrebbe arrecare<br />

<strong>al</strong>cun m<strong>al</strong>e. / Se l’incantatore traccia le lettere del suo nome sulla fronte di un ossesso,<br />

/ quei caratteri lo guariranno. / Ricamato sullo stendardo dell’armata, / il suo nome<br />

inebria tutti quelli che marciano sotto quel vessillo. / Affina il carattere dei commens<strong>al</strong>i,<br />

e suo tramite si riconducono / <strong>al</strong>la via della ragione quelli che la ragione hanno smarrita.<br />

/ Generoso diviene colui la cui mano non ha mai conosciuto la larghezza, / e chi non possedeva<br />

grandezza d’animo impara a moderarsi, perfino nella collera. / Se il più stupido<br />

fra gli uomini potesse baciare il coperchio della sua brocca, / arriverebbe a comprendere il<br />

senso delle sue perfezioni. / Mi dissero: “Descrivilo, tu che delle sue qu<strong>al</strong>ità sei così bene<br />

informato!” / Sì, in verità io so come descriverlo. / È limpidezza, ma non è acqua; è fluidità,<br />

ma non è aria; / è una luce senza fuoco e uno spirito senza corpo. / Il suo verbo è<br />

preesistito eternamente a ogni esistenza, / quando non erano né forme né immagini. / Per<br />

sua virtù qui sussistono tutte le cose, / ma con saggezza esse lo velano a chi non comprende.<br />

/ In lui s’è smarrito il mio spirito, in t<strong>al</strong> maniera che si sono intimamente mescolati<br />

/ entrambi; ma non è un corpo entrato in un corpo. / Vino e non vigna: Adamo ho<br />

per padre; / vigna e non vino: sua madre è mia madre. / In verità la purezza dei vasi<br />

viene <strong>d<strong>al</strong></strong>la purezza delle idee; / e le idee, lui solo e lui proprio le fa crescere. / Hanno fatto<br />

una distinzione. Ma il tutto è uno. / I nostri spiriti sono il vino, e i nostri corpi la<br />

vigna. / Prima di lui non c’è “prima”, e dopo di lui non c’è “dopo”; / il cominciare dei<br />

secoli è stato il sigillo della sua esistenza. / Prima che il tempo fosse, è stato spremuto sotto<br />

il torchio. / Il testamento del padre nostro è venuto soltanto dopo di lui: / e lui è come<br />

un orfano. / T<strong>al</strong>i ne sono le bellezze che a lodarlo ispirano le prose armoniose e i versi<br />

rotondi. (...) / Hanno detto: “Hai peccato, bevendolo”. / No certo! Ho bevuto solo ciò di<br />

cui sarei stato colpevole a privarmi. / Felici le genti del monastero! / Quanto si sono inebriate<br />

di quel vino! / E però non l’hanno bevuto; ma hanno avuto l’intenzione di berlo.<br />

/ Prima della mia pubertà ho conosciuto la sua ebbrezza: / essa sarà ancora in me quan-


do le mie ossa saranno polvere. / Prendilo puro, t<strong>al</strong> vino! / O mescol<strong>al</strong>o soltanto <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>iva<br />

del Beneamato! / Sarebbe colpevole ogni <strong>al</strong>tro miscuglio. / Sta a tua disposizione nelle<br />

taverne; / v<strong>al</strong>lo a prendere in tutto il suo splendore! / Come è buono berlo <strong>al</strong> suono delle<br />

musiche! / Perché mai, in nessun posto, si fa compagno della tristezza: / così come mai<br />

stanno insieme dispiaceri e concerti. / Se di t<strong>al</strong> vino ti inebri, fosse pure per un’ora soltanto,<br />

/ il tempo ti sarà docile schiavo, e avrai la potenza. / Chi è vissuto senza ebbrezza,<br />

non ha vissuto quaggiù; / e ha sprecato il proprio tempo, chi non è morto della sua<br />

ebbrezza. / Pianga se stesso, chi ha perduto la vita senza gustarne la sua parte 15 .<br />

Il grande mistico <strong>al</strong>-Rûmî († 1273) propone addirittura l’immagine di un’ebbrezza<br />

univers<strong>al</strong>e motivata <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza divina che pervade tutto il cosmo:<br />

O cammelliere, guarda ai cammelli! Da un capo <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro della carovana sono ebbri, /<br />

ebbro il padrone, ebbra la guida, ebbri gli estranei, ebbri gli amici! / O giardiniere! Il Tuono<br />

fa da menestrello, la Nube da coppiere, e ormai / è ebbro il giardino, ebbro il prato,<br />

ebbro il bocciolo, ebbra la spina! / Fin quando te ne starai a girare, o cielo? Guarda <strong>al</strong><br />

girare degli elementi: / ebbra l’Acqua, ebbra l’Aria, ebbra la Terra, ebbro il Fuoco! / Cosi<br />

si presentan le forme, quanto <strong>al</strong>l’intimo senso non chieder neppure: / ebbro è lo Spirito,<br />

ebbra la Mente, ebbra la Fantasia, ebbri i Cuori! / E tu, o tiranno, lascia la tua crudele<br />

superbia, fatti terra, e vedrai / la polvere tutta, atomo ad atomo, ebbra di Dio sublime<br />

Tiranno Creatore! / E non dir che d’inverno più non resta ebbrezza <strong>al</strong> giardino: / nascosto<br />

a sguardi furtivi s’è ancora per un tempo inebriato. / Le radici degli <strong>al</strong>beri s’imbevono<br />

di vino segreto: / aspetta qu<strong>al</strong>che giorno, e vedrai gli <strong>al</strong>beri di nuovo svegli e inebriati! / Se<br />

ti arriva un colpo pel disordinato inceder degli ebbri, non t’irritare: / con t<strong>al</strong>e coppiere e t<strong>al</strong><br />

menestrello, come un ebbro camminerebbe diritto? / O coppiere! Distribuisci il vino in<br />

modo uniforme e smetti questi giochi: / ebbri sono gli amici perché lo concedi, ebbri i nemici<br />

pel diniego! / Aumenta ancora il vino, o coppiere, che sciolga ogni nodo; / finché non dà<br />

<strong>al</strong>la testa il vino, come l’ebbro scioglierebbe il turbante? / È per avarizia di coppiere o per<br />

vino cattivo: se questo non è / come potrebbe il viandante incedere in preda <strong>al</strong>l’ebbrezza? /<br />

Guarda i volti sì p<strong>al</strong>lidi e dona vino rosato, / perché i volti degli ebbri e le guance non hanno,<br />

mi pare, quel rosa. / Un vino hai divino, leggero <strong>al</strong> sorso e sottile, / che, se vuole, ne<br />

beve l’ebbro cento kharvâr <strong>al</strong> giorno! / O Sole divino di Tabriz! Nessuno è sobrio, quando<br />

tu sei; / atei e credenti sono ubriachi, asceti e libertini son ebbri! 16<br />

15 Cit. in I mistici dell’Islam, a cura di E. de Vitray-Mayerovitch, Milano 1996, pp. 99-101.<br />

16 RÛMÎ, Poesie mistiche, a cura di A. Bausani, Milano 1980, pp. 80-81.<br />

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178<br />

Se questi versi esprimono una vena mistica schietta, non mancano autori<br />

che si spingono ben oltre, fino <strong>al</strong>l’ambiguità di eccessi che pur appartengono a<br />

quella sorta di mondo <strong>al</strong>la rovescia e di gusto della provocazione t<strong>al</strong>volta presenti<br />

nei ‘giullari’ e ‘pazzi’ di Dio 17 : «il vino in questa tradizione non è quello d’uva<br />

bensì quello mistico e coloro che ne bevono non sono dei corrotti, bensì<br />

metaforicamente i mistici che ricercano la suprema ebbrezza divina. Anche l’amore<br />

omosessu<strong>al</strong>e trova una sua spiegazione in questo ambito tematico. Se<br />

amore mistico è rovesciamento dei v<strong>al</strong>ori umani, se amare Dio significa essere<br />

disprezzati <strong>d<strong>al</strong></strong> mondo, ecco il modello dell’amore omosessu<strong>al</strong>e – strettamente<br />

interdetto nel Corano e nella Tradizione, per quanto ampiamente tollerato nella<br />

società del tempo – diventava un eccellente topos poetico da utilizzarsi nella<br />

descrizione dell’amore mistico, amore difficile, ‘amore proibito’, amore appunto<br />

stigmatizzato o deriso nel mondo dell’illusione. Il libertinaggio (rendi), la<br />

depravazione mor<strong>al</strong>e, diventa dunque inopinatamente cifra poetica della ricerca<br />

di Dio, di una verità superiore. Esso assume il significato essenzi<strong>al</strong>e di una ‘dissimulazione’<br />

del vero scopo, un nascondere ai più l’oggetto del proprio amore,<br />

concezione in fondo non estranea neppure <strong>al</strong>lo Stilnovo (...)» 18 .<br />

I poeti arabi di Sicilia<br />

La Spagna musulmana ha avuto in particolare degli autori che hanno cantato nei<br />

loro versi i piaceri della vita e che sono per noi importanti poiché: «Quei poeti<br />

arabo-an<strong>d<strong>al</strong></strong>usi con il loro repertorio di danzatrici, di coppiere, di ganimedi; quei<br />

poeti che bevono sulle rive del Gua<strong>d<strong>al</strong></strong>quivír attendendo con i c<strong>al</strong>ici in mano<br />

l’aurora, che celebrano nelle composizioni chiamate nawriyyât fiori e giardini, che<br />

si estasiano di fronte <strong>al</strong>la bellezza della natura, che compongono poesie a indovinello<br />

sul giglio, la melanzana, la cicogna, che fabbricano versi di iridata polvere<br />

di diamante, ebbene quei poeti influenzano soprattutto i migliori tra i poeti<br />

arabi di Sicilia» 19 . Tra costoro ricordiamo Ibn Hamdîs, che spesso e con vive<br />

immagini es<strong>al</strong>ta il vino:<br />

17 Cfr. A. BAUSANI, Il ‘pazzo sacro’ nell’Islam, Trento 2000.<br />

18<br />

HÂFEZ, Il libro del coppiere, introduzione, traduzione e note a cura di C. Saccone, Trento 1998, pp.<br />

48-49.<br />

19<br />

IBN HAMDÎS, La polvere di diamante, a cura di A. Borruso, Roma 1994, p. 9.


Vino di colore e odor di rosa, mescolato <strong>al</strong>l’acqua ti mostra stelle fra raggi di sole. / Con<br />

esso cacciai le cure dell’animo, con una bevuta il cui ardore serpeggia sottile, quasi inavvertibile.<br />

/ L’argentea mia mano, stringendo il bicchiere, ne ritrae le cinque dita dorate 20 .<br />

Ancora in lui ritorna il tema del convento:<br />

Che monaca! Aveva chiuso il suo convento, e noi eravamo i suoi notturni visitatori. / Ci<br />

aveva guidati da lei un vino profumato come muschio, che rivelava <strong>al</strong> tuo naso i suoi segreti.<br />

(...) / Presso di lei le ampolline del pregiato muschio eran botti <strong>d<strong>al</strong></strong> fondo impeciato. /<br />

Gettai sulla bilancia il mio soldino, ed essa spillò <strong>d<strong>al</strong></strong>la botte il suo tesoro21 .<br />

Le libagioni scacciano i pensieri e non hanno mai fine:<br />

Quando il giovane è oppresso dagli affanni e tormentato, tu vedi che in lui cerca rifugio, perché<br />

esso ne spegne la sete, ne avvicina i desideri, ne fa sparire la tristezza, e ne ravviva l’<strong>al</strong>legria.<br />

/ Coppa, vino e acqua: è come se tu dicessi materia, spirito e forma. / Caccia da te via<br />

il sonno, e aspetta fino a quando il giorno abbia steso la sua luce sulla notte. (...) / Abbiam<br />

trincato con la luna piena a mezzanotte, ed ora mesciamo con il sole <strong>al</strong>to a mezzogiorno, tra<br />

il profumo dei fiori, laddove l’usignolo va ripetendo su ogni ramo il suo canto22 .<br />

A nulla v<strong>al</strong>gono i rimproveri, e le similitudini si sprecano:<br />

Ti biasimano perché bevi di quello fresco, ma chi ti biasima non ne conosce la virtù segreta.<br />

/ Nascosto nell’orcio, vi risplende con la sua luce, mentre il recipiente, <strong>al</strong>l’esterno, è circondato<br />

da oscura pece. / Molto si è già discusso sulla sua età, ma il tempo non conobbe<br />

chi l’ha spremuto. / Ride sommessa la brocca quando lo si versa, come mormora lo st<strong>al</strong>lone<br />

costretto <strong>al</strong> chiuso. (...) / Sembra contenere tante formiche, da cui ti senti percorrer le<br />

ossa. / Lo mesce intorno una gazzella dai grandi occhi neri, <strong>al</strong>la cui m<strong>al</strong>ia si arrende il<br />

leone; / <strong>d<strong>al</strong></strong>le sue ciglia si levano sguardi che incantano, e quando parla scopre le perle della<br />

sua bocca23 .<br />

20 Ibidem,p.63<br />

21 Ibidem, pp. 64-65.<br />

22 Ibidem, pp. 65-66.<br />

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Coltivazione e produzione<br />

Se, come abbiamo visto, il vino fu spesso messo in relazione con la presenza di<br />

stranieri e di seguaci di <strong>al</strong>tre religioni, anche la produzione loc<strong>al</strong>e – secondo vari<br />

metodi e utilizzando diverse materie prime – è egu<strong>al</strong>mente attestata. L’affermazione<br />

dell’Islam, pur con i suoi divieti, non comportò affatto la scomparsa di t<strong>al</strong>e<br />

produzione, come testimoniano le stesse opere di agronomia <strong>d<strong>al</strong></strong>la Persia <strong>al</strong>l’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia.<br />

Particolarmente in quest’ultima i trattati riservavano grande attenzione ai<br />

diversi sis<strong>temi</strong> di coltivazione, riprendendo e completando quanto in materia era<br />

stato detto da precedenti autori classici, qu<strong>al</strong>i Columella, t<strong>al</strong>volta dichiarando<br />

esplicitamente la loro origine più antica, come nel caso di Ibn Wahshiyya (X secolo)<br />

– che afferma di aver tradotto <strong>d<strong>al</strong></strong> siriaco (benché la cosa abbia sollevato una<br />

lunga e irrisolta diatriba tra gli speci<strong>al</strong>isti) –, il cui trattato di agricoltura (Kitâb <strong>al</strong>filâha)<br />

ha lo stesso titolo di un’opera an<strong>al</strong>oga dell’an<strong>d<strong>al</strong></strong>uso Ibn <strong>al</strong>-‘Awwâm (XII<br />

secolo). Date le interdizioni della legge islamica, però, questi manu<strong>al</strong>i si occupano<br />

della vite limitatamente <strong>al</strong>la produzione di uva da tavola, fornendoci dettagli<br />

circa la sua coltivazione e relativi <strong>al</strong>la potatura.<br />

Benché non teorizzata, è attestata anche la produzione di vino. Si può dire<br />

che, data l’espansione dovuta <strong>al</strong>le conquiste, in epoca islamica gli arabi ebbero<br />

occasione di conoscere varietà maggiori e migliori di vino, il che contribuì non<br />

soltanto a perpetuare il tema bacchico nella loro poesia, ma anche <strong>al</strong>l’accrescimento<br />

e <strong>al</strong>l’affinamento delle tecniche di coltivazione della vite e della produzione<br />

vinicola. Gli stessi manu<strong>al</strong>i di diritto, pur mirando <strong>al</strong>la definizione delle bevande<br />

proibite, ci forniscono indirettamente la conferma della loro esistenza e delle<br />

mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità della loro preparazione e si accostano così <strong>al</strong>le testimonianze letterarie e<br />

ad <strong>al</strong>cune miniature nelle qu<strong>al</strong>i figurano uomini intenti a trasportare grappoli e a<br />

versarli in contenitori dove <strong>al</strong>tri procedevano <strong>al</strong>la pigiatura da cui risultava un<br />

liquido che veniva conservato in anfore.<br />

«Per coloro che conoscono l’atteggiamento uffici<strong>al</strong>e dell’islam nei confronti<br />

del vino, la vit<strong>al</strong>ità della coltivazione della vite nella gran parte dei paesi musulmani<br />

medioev<strong>al</strong>i può apparire paradoss<strong>al</strong>e. Ciò nonostante, questa vit<strong>al</strong>ità è<br />

incontestabile, e può essere spiegata <strong>d<strong>al</strong></strong>la forza della tradizione in <strong>al</strong>cuni paesi<br />

dove la vite è da tempo consolidata, dai diversi usi dell’uva (frutto fresco, uvetta,<br />

aceto, usi farmaceutici, i fondi impiegati come fertilizzante, ecc.), <strong>d<strong>al</strong></strong>la sopravvivenza<br />

di comunità non-islamiche e anche <strong>d<strong>al</strong></strong> lassismo di molti musulmani. (...)<br />

Appare in gener<strong>al</strong>e che le viti coltivate, più numerose rispetto ad oggi e traspor-


tate dagli arabi da una parte delle loro terre di conquista ad un’<strong>al</strong>tra, non rimanevano<br />

stabili e costituivano l’oggetto di esperimenti di selezione e di acclimatazione,<br />

che conosciamo in particolare per quanto riguarda la Spagna (tra la pianura e<br />

le montagne, ad esempio) ma che venivano sperimentate anche ad Oriente, dove<br />

Ibn <strong>al</strong>-Fakih e gli agronomi persiani dell’epoca mongola in particolare ci conservano<br />

i nomi di diversi tipi di vitigni.<br />

Il ciclo vegetativo di ogni vitigno essendo diverso, gli agronomi, applicando il<br />

principio della natura complementare di un difetto e di una qu<strong>al</strong>ità (qu<strong>al</strong>e adattamento<br />

<strong>al</strong>l’aridità o <strong>al</strong>l’umidità) si avv<strong>al</strong>evano princip<strong>al</strong>mente delle diversità climatiche<br />

e dei terreni dell’area mediterranea e del Vicino Oriente. Alcuni sis<strong>temi</strong> di<br />

coltivazione predominano nei trattati an<strong>d<strong>al</strong></strong>usi: (a) la vite bassa, piantata in buche<br />

o fosse (consigliate, ma poco attuate), ad una distanza di circa 1 m e 40 l’una <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra,<br />

con sostegni o a macchie basse, con poco diradamento per proteggere l’uva<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> sole: un metodo di coltivazione riservato ai luoghi c<strong>al</strong>di; (b) la vite rampicante,<br />

classica della regione mediterranea, dove il rampicante veniva utilizzato<br />

come sostegno per gli <strong>al</strong>beri da frutta con radici poco profonde e la cui <strong>al</strong>tezza<br />

doveva essere controllata per non danneggiare il vitigno; <strong>al</strong> contrario degli antichi,<br />

gli an<strong>d<strong>al</strong></strong>usi respingevano la coltivazione interc<strong>al</strong>are che esaurisce il vitigno e<br />

soprattutto la sua associazione col fico. (...) La scelta dei siti si adattava <strong>al</strong>le esigenze<br />

dei vitigni: pendii e colline per i vitigni bassi, v<strong>al</strong>late e pianure per i vitigni<br />

rampicanti, montagne per sperimentare la qu<strong>al</strong>ità di un vitigno; era bandita la coltivazione<br />

nelle p<strong>al</strong>udi, fonte di m<strong>al</strong>attie per la vite. Il lavoro di preparazione consisteva<br />

in un profondo dissodamento con la spada, con fosse più larghe dei solchi<br />

di dissodamento nel terreno di qu<strong>al</strong>ità mediocre e buche per le loc<strong>al</strong>ità buone<br />

con una profondità di <strong>al</strong>meno 2 cubiti (quasi un metro) per protezione contro il<br />

sole. (...) La maggior parte degli autori concordano nel consigliare di piantare a<br />

primavera, benché i vitigni primizie potrebbero essere piantati d’autunno (si<br />

incontrano ancora queste esitazioni); i trattati fisc<strong>al</strong>i egiziani parlano di piantare a<br />

febbraio o marzo. I ceppi, dopo essere stati sperimentati per tre anni in un terreno<br />

molto povero, venivano trapiantati nella vigna prescelta. (...) L’irrigazione<br />

dipendeva <strong>d<strong>al</strong></strong> clima, <strong>d<strong>al</strong></strong> terreno e <strong>d<strong>al</strong></strong> vitigno prescelto; l’annaffiatura manu<strong>al</strong>e era<br />

frequente per meglio proporzionare la quantità di acqua necessaria <strong>al</strong> fine di ottenere<br />

uva veramente “sciropposa” e non troppo piena. (...)<br />

Come oggi, la protezione delle viti <strong>d<strong>al</strong></strong>le m<strong>al</strong>attie e <strong>d<strong>al</strong></strong> tempo inclemente<br />

preoccupava il viticultore, impotente davanti <strong>al</strong>le c<strong>al</strong>amità. Più dei Romani, gli<br />

An<strong>d<strong>al</strong></strong>usi temevano la vicinanza del mare e, con buoni motivi, il piovischio. I sin-<br />

181


182<br />

tomi di m<strong>al</strong>attie, descritti in modo molto preciso da Ibn Wahshiyya, corrispondono<br />

<strong>al</strong>l’antracosi, <strong>al</strong>la ruggine e <strong>al</strong>l’ittero; il rimedio prescritto si ispirava <strong>al</strong>la<br />

panacea curativa, cioè un miscuglio di olio, vino e acqua applicato <strong>al</strong> ceppo del<br />

livello esposto; Ibn Hajjâj aggiungeva la paglia, che offriva inoltre protezione contro<br />

il gelo. Senza poter dare gli stessi dettagli precisi per tutti i paesi musulmani<br />

come per la Spagna e l’Iraq, possiamo affermare, grazie soprattutto <strong>al</strong>le informazioni<br />

dei geografi, la presenza gener<strong>al</strong>izzata della vite, <strong>al</strong>meno fino <strong>al</strong>le invasioni<br />

dei nomadi del tardo medioevo e spesso ancora più in là: in Arabia, Mesopotamia,<br />

Asia Centr<strong>al</strong>e, Siria, Egitto (...)» 24 .<br />

Nella produzione di vino si distinse in particolare l’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia, nella qu<strong>al</strong>e «la<br />

coltivazione della vite era molto estesa. Accanto <strong>al</strong>l’uva secca, impiegata nella preparazione<br />

di numerosi piatti della cucina an<strong>d<strong>al</strong></strong>usa, <strong>al</strong>la fine dell’estate e in autunno<br />

con l’uva si preparava il vino che fu sempre abbondantemente consumato nella<br />

Spagna musulmana. Gli storici arabi non lasciano <strong>al</strong>cun dubbio in proposito. Il<br />

consumo di vino è attestato in tutte le classi, a imitazione di quanto facevano<br />

ebrei e cristiani, e l’ubriachezza non veniva sempre punita come prevederebbe<br />

teoricamente l’ortodossia. (...) È pur vero che numerosi storici riferiscono che il<br />

pio ed erudito sovrano <strong>al</strong>-Hakam II ebbe in animo di eliminare completamente la<br />

coltivazione della vite nella Spagna musulmana, ma si dice che egli rinunciò a t<strong>al</strong>e<br />

progetto quando gli fu fatto notare che un simile provvedimento sarebbe stato<br />

inefficace in quanto, invece del vino d’uva, si sarebbe bevuto vino di fichi. Se il<br />

vino veniva prodotto ovunque, tuttavia non lo si faceva ostentatamente. T<strong>al</strong>e produzione<br />

delle terre an<strong>d<strong>al</strong></strong>use è passata sotto silenzio da parte dei geografi i qu<strong>al</strong>i si<br />

limitano a celebrare l’uva secca prodotta <strong>d<strong>al</strong></strong>le viti della penisola» 25 .<br />

Aspetti tecnici<br />

«Gli attrezzi e le tecniche necessarie per ottenere il mosto erano varie. D<strong>al</strong>le fonti<br />

non ricaviamo come fossero esattamente costruiti i torchi. “La soluzione più<br />

semplice era sistemare un’apertura in un contenitore <strong>al</strong>quanto grande, in cui si<br />

pigiava l’uva; il mosto fuoriusciva <strong>d<strong>al</strong></strong>l’apertura”. La pressione sull’uva stipata<br />

23 Ibidem, pp. 67-69.<br />

24 Voce karm, in The Encyclopaedia of Islam, Leida 1991.<br />

25 E. LÉVI-PROVENÇAL, L’Espagne musulmane au X ème siècle. Institutions et vie soci<strong>al</strong>e, Parigi 1932, pp. 168-169.


nella pigiatrice veniva aumentata per mezzo di pietre. (...) Nella spremitura si<br />

avevano due fasi chiaramente distinte. In un primo tempo veniva raccolto il succo<br />

ricavato per mezzo del solo peso dell’uva ammucchiata senza esercitare <strong>al</strong>cun<br />

<strong>al</strong>tro tipo pressione. Questo “primo fiore” del mosto era particolarmente<br />

apprezzato per la sua purezza ed il vino che se ne ricavava era assai rinomato. (...)<br />

Ma nemmeno nelle ricche regioni vinicole della Siria e della Mesopotamia ci si<br />

poteva accontentare di questo solo modo per ottenere il mosto. Non è possibile<br />

stabilire, in base <strong>al</strong>la sola letteratura, se vi fossero delle presse artifici<strong>al</strong>i, del<br />

tipo di legno a leva. Il fatto che vengano menzionate delle pietre fa tuttavia supporre<br />

che si ottenesse un aumento della pressione per mezzo di procedimenti<br />

meccanici. Soprattutto si aveva cura di schiacciare l’uva con i piedi o con le mani<br />

in modo da spremere per bene il succo dagli acini. (...) La stagione della pigiatura<br />

era ovviamente collegata a quella della vendemmia. In Egitto i mesi di agosto<br />

e settembre. Il lavoro veniva svolto <strong>d<strong>al</strong></strong> pigiatore. Questi non viveva solo di quest’attività,<br />

perché si trattava di una occupazione stagion<strong>al</strong>e. Da lui veniva portata<br />

l’uva raccolta, eventu<strong>al</strong>mente acquistata, e gliela si dava da pigiare, così come<br />

si portava il grano <strong>al</strong>la macinatura. Quantità piuttosto piccole venivano pigiate<br />

anche in casa utilizzando <strong>al</strong>lo scopo dei cesti senza manici. (...)<br />

Come nell’antichità anche nel medioevo arabo era conosciuto, come trattamento<br />

ampiamente utilizzato per la preparazione del vino, l’ispessimento del<br />

mosto, successivo <strong>al</strong>la pigiatura. Il processo tecnico prevedeva che il mosto venisse<br />

sc<strong>al</strong>dato in un contenitore sul fuoco fino a far evaporare, poco <strong>al</strong>la volta, due<br />

terzi del liquido. Da fonti giuridiche viene l’indicazione di un’interruzione della<br />

cottura già <strong>al</strong>la perdita di metà del liquido. (...) Prima della cottura queste uve venivano<br />

lasciate riposare in un orcio coperto o in un sacco esposto <strong>al</strong> sole per tre,<br />

quattro giorni, e poi travasate in una pentola già sc<strong>al</strong>data. La schiuma superfici<strong>al</strong>e<br />

veniva eliminata. In questo modo si formava <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uva, e si noti bene non <strong>d<strong>al</strong></strong> mosto,<br />

uno sciroppo. Ovviamente si poteva procedere anche <strong>al</strong>la concentrazione del<br />

mosto stesso. Lo sciroppo così ottenuto per poter essere consumato doveva essere<br />

diluito mescolandolo con acqua. Questa bevanda godeva di un certo apprezzamento,<br />

perché secondo <strong>al</strong>cuni giuristi non ricadeva, contrariamente <strong>al</strong> vino, prodotto<br />

di fermentazione, sotto il dettame di proibizione coranica. (...)<br />

La tecnica della diraspatura, ovvero della separazione degli acini dai raspi, era<br />

conosciuta anche dai vendemmiatori arabi. Se la tecnica sia stata applicata <strong>al</strong>l’uva<br />

fresca non risulta documentato, comunque separavano gli acini, che venivano fatti<br />

poi appassire, dai peduncoli, dopo che si erano essiccati per qu<strong>al</strong>che tempo <strong>al</strong><br />

183


184<br />

sole. Da questa uva passa veniva prodotto un tipo di vino passito. Le descrizioni<br />

moderne della produzione di questo tipo di vini mostra forti somiglianze con<br />

i metodi del medioevo islamico. L’uva veniva colta matura e deposta in loc<strong>al</strong>i<br />

c<strong>al</strong>di e non aerati su paglia o su canne oppure era appesa ad incastellature di<br />

legno, sinché non si era notevolmente ridotta di volume. Da quest’uva passa<br />

veniva poi spremuto il succo. A causa dell’<strong>al</strong>to contenuto di zucchero la fermentazione<br />

sarà stata molto lenta ed il vino ricavatone avrà avuto un gusto molto<br />

dolce. (...) Come in <strong>al</strong>tre regioni ed <strong>al</strong>tre epoche anche i vinificatori arabi si sono<br />

serviti della fermentazione natur<strong>al</strong>e. Essi avevano attentamente osservato le<br />

varie fasi dei questo processo. Avevano individuato tre fasi, che in an<strong>al</strong>ogia <strong>al</strong><br />

procedimento della cottura con liquidi avevano contrassegnato con i termini di<br />

ebollizione, cottura e formazione della schiuma. I vinificatori sapevano che la<br />

schiuma trabocca facilmente se il contenitore in cui avviene la fermentazione è<br />

stato riempito fino <strong>al</strong>l’orlo. Le fermentazioni si svolgono in caso di temperature<br />

<strong>al</strong>te in modo molto tumultuoso. Le <strong>al</strong>te temperature esterne dei paesi arabi potevano<br />

portare a processi accelerati di questo tipo. (...)<br />

Non si sa se gli arabi eseguissero più operazioni di chiarificazione <strong>d<strong>al</strong></strong> lievito<br />

con travasi del vino giovane. Questo procedimento probabilmente era – così<br />

come era presso i romani – collegato <strong>al</strong> filtraggio ed andava eseguito solo poco<br />

prima del consumo. Per il filtraggio gli arabi utilizzavano degli appositi imbuti<br />

con fessure, attraverso le qu<strong>al</strong>i veniva condotto il vino. È possibile, considerando<br />

la distinzione dei nomi, che ci fossero diverse attrezzature di filtraggio. Per<br />

molte delle denominazioni non sappiamo nemmeno se si trattasse di un dispositivo<br />

di filtrazione o di un mezzo per migliorare la qu<strong>al</strong>ità del vino. I compilatori<br />

di lessico non forniscono delle definizioni completamente affidabili. (...)<br />

Come espressamente dicono le fonti nel medioevo arabo erano considerati particolarmente<br />

buoni quei vini che erano invecchiati a lungo. (...) Con iperboli poetiche<br />

si affermava che il vino ris<strong>al</strong>isse ai tempi dei re persiani o che Adamo stesso<br />

avesse raccolto uva per farne vino. Tutto ciò testimonia la predilezione che si<br />

riservava nel medioevo arabo ai vini invecchiati. Anche se le espressioni di <strong>al</strong>cuni<br />

versi vanno esaminate con prudenza, si può tuttavia giungere <strong>al</strong>la conclusione<br />

che gli arabi nel loro amore per i vini invecchiati siano quasi giunti a pareggiare<br />

greci e romani. (...) La tecnica di conservazione del vino nei paesi arabi fu determinata<br />

nel medioevo <strong>d<strong>al</strong></strong> livello di sviluppo tecnico, che in queste regioni non era<br />

arretrato, <strong>d<strong>al</strong></strong> clima, <strong>d<strong>al</strong></strong> tipo di vino e dai materi<strong>al</strong>i impiegati per la confezione dei<br />

contenitori di stoccaggio.


In base ad un’indicazione tratta <strong>d<strong>al</strong></strong>la raccolta di favole delle Mille e una notte<br />

possiamo considerare che <strong>al</strong>meno un modo di conservazione, particolarmente<br />

antico e primitivo, non fosse ancora caduto in oblio: si conservava il vino in<br />

buche, che erano state ricavate in terreno impermeabile, o in cisterne, similmente<br />

a quanto avveniva per l’acqua. Un <strong>al</strong>tro sistema del tutto usu<strong>al</strong>e nel medioevo<br />

islamico era l’impiego di otri di pelli di anim<strong>al</strong>e. Soprattutto quando il vino si<br />

doveva trasportare risultava ide<strong>al</strong>e, dato che l’otre ha un certo grado di elasticità.<br />

In confronto ad <strong>al</strong>tri materi<strong>al</strong>i, di cui erano fatti i contenitori per vino, l’otre aveva<br />

un peso proprio ridotto. Quanto questo mezzo facilitasse il trasporto risulta<br />

chiaro da un confronto con l’Europa, dove si era costretti a portarlo con navi,<br />

seguendo percorsi <strong>al</strong>lungati. (...) Entrambi questi tipi di conservazione non erano<br />

particolarmente adatti <strong>al</strong> vino. Il dato di fatto del loro utilizzo permette di pensare<br />

che si fosse sperimentato che il vino sopportasse bene un trattamento di questo<br />

tipo. Una condizione necessaria in questo senso era l’<strong>al</strong>to contenuto <strong>al</strong>colico<br />

ed è pertanto lecito tirare la conclusione che <strong>al</strong>meno <strong>al</strong>cuni tipi di vino del<br />

medioevo arabo la soddisfacessero. Nella conservazione di maggior diffusione i<br />

maestri cantinieri utilizzavano degli orci, che erano disponibili in diverse grandezze<br />

e forme. Essendo il materi<strong>al</strong>e di cui erano fatti l’argilla, che è porosa, ogni<br />

vaso doveva essere impermeabilizzato con bitume o pece. (...) La bocca dell’orcio<br />

veniva chiusa a tenuta d’aria. La chiusura era costituita da un tappo di argilla e<br />

pece. (...) Gli orci terminavano nella parte inferiore a punta e pertanto non potevano<br />

stare in piedi da soli. Per questo motivo venivano interrati o appoggiati. (...)<br />

La produttività dei vigneti, e di conseguenza la quantità di vino prodotto a<br />

partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la vendemmia, è ed era condizionata <strong>d<strong>al</strong></strong> clima, <strong>d<strong>al</strong></strong>la posizione, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’annata,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> tipo di vitigno, dagli agenti nocivi e <strong>d<strong>al</strong></strong> tipo di conduzione del podere.<br />

Purtroppo non disponiamo di dati sulle quantità di vino prodotto nel<br />

medioevo arabo e ci dobbiamo accontentare di supposizioni. Date le condizioni<br />

materi<strong>al</strong>i notoriamente favorevoli dei terreni arabi destinati <strong>al</strong>la viticoltura<br />

possiamo considerare che il raccolto non fosse certamente inferiore a quello dell’antichità<br />

classica. Se a ciò aggiungiamo che non venivano prodotti vini di qu<strong>al</strong>ità,<br />

possiamo v<strong>al</strong>utare che venissero prodotte delle quantità di vino tanto grandi<br />

quanto quelle dell’Europa medioev<strong>al</strong>e, dove i raccolti erano diminuiti quantitativamente<br />

in favore di una miglior qu<strong>al</strong>ità.<br />

Volendo fare un confronto con i dati del presente non vanno presi in considerazione<br />

i dati dei paesi nordafricani produttori di vino: Algeria, Tunisia ed<br />

anche Marocco, perché vi viene praticata una viticoltura con l’adozione di crite-<br />

185


186<br />

ri moderni. Tuttavia i paesi poco integrati nel mercato internazion<strong>al</strong>e, come l’Afganistan,<br />

l’Iran, la Siria o la Turchia, possono servire come punti di riferimento<br />

anche con i loro dati moderni di produzione, considerato che la tecnica viticola<br />

non è comunque peggiorata rispetto a come era nel medioevo. I dati attu<strong>al</strong>i della<br />

produzione di paesi orient<strong>al</strong>i assai diversi tra loro mostrano che, in base <strong>al</strong>le<br />

possibilità di coltivazione, era possibile ottenere grandi quantità d’uva, così che<br />

la condizione necessaria per la produzione del vino – la disponibilità di sufficienti<br />

quantità d’uva – sussisteva verosimilmente anche nel medioevo» 26 .<br />

Altre testimonianze<br />

L’arabo non è l’unica lingua del mondo musulmano, e il motivo bacchico non<br />

ricorre meno in persiano e in turco che nell’idioma del Profeta, nonostante il<br />

divieto coranico. Una pur sommaria ricognizione nelle rispettive letterature ci<br />

porterebbe lontano, ma non è possibile evitare di citare <strong>al</strong>meno tra i cantori del<br />

vino in lingua persiana il celeberrimo Omar Khayyâm, del qu<strong>al</strong>e rare sono le<br />

quartine ove il liquido inebriante non sia protagonista.<br />

Per quanto l’intento provocatorio possa averlo indotto ad esagerazioni, nei<br />

suoi versi troviamo conferma di quanto il consumo di vino superasse le rigide<br />

interdizioni della legge religiosa:<br />

Il Corano, che chiamano la somma parola (di Dio),<br />

di quando in quando, non di continuo, lo leggono.<br />

Ma nel fondo della coppa c’è inciso un versetto,<br />

che in ogni luogo, e di continuo, vien letto27 .<br />

Domina in lui il tema del carpe diem:<br />

Bevi il vino, ché questa è la vita eterna,<br />

questo è il tuo frutto, <strong>d<strong>al</strong></strong>la stagione di gioventù.<br />

È il tempo delle rose, del vino, degli amici ebbri...<br />

Sii lieto un istante, ché questa è la vita (p. 36)<br />

26 P. HEINE, Weinstudien, Wiesbaden 1982, pp. 31-43 passim.<br />

27 O. KHAYYAM, Quartine, a cura di F. Gabrieli, Roma 1973, p. 28.


frutto di una visione della vita disincantata:<br />

Il mio bere vino non è per eccitarmi,<br />

non per far b<strong>al</strong>doria, e venir meno <strong>al</strong>la religione e <strong>al</strong> decoro.<br />

Voglio trascorrere un istante fuor di me stesso:<br />

ecco il motivo del mio bere vino e ubriacarmi (p. 40)<br />

senza che ciò significhi tuttavia rinunciare a toni insolenti:<br />

Quando trapasserò, lava<strong>temi</strong> col vino, / e di legno di vite fa<strong>temi</strong> le tavole della bara (p. 48),<br />

e persino dissacratori:<br />

Mi hai fracassato la caraffa del vino, o Signore!<br />

Mi hai chiusa in faccia la porta della vita, o Signore!<br />

Mi hai rovesciato a terra il vino puro:<br />

Possa io morire! Sei un bel tipo d’ubriaco, o Signore!<br />

né va trascurato che tra i primi poeti turchi d’Anatolia Yunus Emre, nonostante<br />

la sua vena mistica, celebrò anche il vino e la musica.<br />

Quanto il tema bacchico sia ancora percepito in epoca moderna come tipico<br />

della letteratura ci viene indirettamente confermato <strong>d<strong>al</strong></strong>le memorie di un dotto<br />

musulmano egiziano che nell’800 trascorse <strong>al</strong>cuni anni in Francia, paese nel qu<strong>al</strong>e<br />

poté constatare che il consumo di vino era piuttosto comune, senza però che questo<br />

portasse a un genere letterario simile a quello presente presso gli autori arabi:<br />

«Il pasto inizia con la zuppa e termina con il dessert e la frutta. Come bevanda si<br />

consuma gener<strong>al</strong>mente vino. Nella maggior parte dei casi non lo si beve fino ad<br />

ubriacarsi, soprattutto da parte delle persone di un certo livello che considerano<br />

t<strong>al</strong>e comportamento riprovevole. Dopo il pasto, possono bere del liquore. Benché<br />

consumino vino, non lo celebrano nelle loro poesie. Né hanno per designarlo tanti<br />

nomi diversi quanti ce ne sono in arabo. Gustano il piacere della cosa in sé, senza<br />

caricarla di significati immaginari, metafore o esagerazioni. Non mancano i libri<br />

che parlano dell’ubriachezza, ma si tratta di facezie che fanno l’elogio del vino le<br />

qu<strong>al</strong>i non hanno nulla a che vedere con la letteratura propriamente detta» 28 .<br />

Da più parti, e t<strong>al</strong>volta con m<strong>al</strong>celata m<strong>al</strong>ignità, si fa notare come l’interdizione<br />

del consumo di <strong>al</strong>colici sia ben lungi <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esser rispettata da molti musulmani. Que-<br />

28 R. AT-TAHTÂWÎ, L’Or de Paris, Parigi 1988, p. 149.<br />

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188<br />

sta sorta di doppia mor<strong>al</strong>e, teoricamente intransigente ma nella pratica molto più<br />

permissiva, trova eco nella narrativa moderna, che in parte ne fornisce anche una<br />

spiegazione: «poi domandò col tono inquisitorio proprio di un giudice: “E del vino,<br />

che mi dici?”. All’improvviso Abd el-Gawwad sembrò perdere sicurezza, il disagio<br />

apparve nei suoi occhi, rimase interdetto per un momento. Lo sheikh presentì nel<br />

suo silenzio un segno di resa e, trionfante, rincarò tuonando: “Non è forse vietata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la legge divina questa tentazione <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e non deve mai cedere chiunque tenga<br />

<strong>al</strong>l’obbedienza ad Allah e <strong>al</strong> Suo amore?”. Abd el-Gawwad si affrettò ad affermare<br />

con il fervore di chi respinge un m<strong>al</strong>e certo: “Sapessi come sto attento ad obbedire<br />

ed amare Allah!”. “In parole o in opere?”. Benché avesse la risposta sulla punta della<br />

lingua, prese tempo per riflettere prima di formularla. Non era sua abitudine<br />

impegnarsi in riflessioni profonde. In questo, era di quelli che non hanno capacità<br />

<strong>al</strong>cuna di introspezione; il suo pensiero funzionava solo in seguito a provocazione<br />

esterna: un uomo, una donna, un motivo qu<strong>al</strong>unque della sua vita pratica. Si era<br />

abbandonato <strong>al</strong>la piena corrente della sua vita, immergendovisi del tutto, senza<br />

poter vedere di se stesso che il proprio riflesso sulla superficie dell’onda.<br />

Anche in seguito il suo slancio vit<strong>al</strong>e, m<strong>al</strong>grado l’avanzare dell’età, non si era<br />

affievolito tanto che egli era giunto a quarantacinque anni pur sempre dotato di<br />

una vit<strong>al</strong>ità straripante e giovanile come quella di un adolescente. Per questo la<br />

sua vita abbracciava un insieme di contraddizioni oscillanti fra la devozione e il<br />

vizio. Contraddizioni che egli accettava tutte in se stesso, m<strong>al</strong>grado la loro<br />

incompatibilità natur<strong>al</strong>e, senza necessità di ricorrere – per mantenerle in piedi –<br />

a una propria filosofia o a quelle ipocrisie inventate <strong>d<strong>al</strong></strong>la gente. Al contrario, egli<br />

agiva sempre secondo natura, con buon cuore, coscienza pulita e le<strong>al</strong>tà in tutto<br />

ciò che faceva. Il suo animo non era stato mai scosso <strong>d<strong>al</strong></strong>le tempeste del dubbio<br />

e pertanto, semplicemente, era un uomo felice. La sua fede era profonda, questo<br />

è certo. Una fede ricevuta in eredità che non richiedeva nessuno sforzo di ricerca.<br />

Inoltre, la mitezza dei sentimenti, la delicatezza delle emozioni, la stessa<br />

spontaneità avevano raffinato ed elevato in lui la sensibilità, <strong>al</strong>lontanandola tanto<br />

da un’accettazione acritica della tradizione, che dai ritu<strong>al</strong>i ispirati solo <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

concupiscenza e <strong>d<strong>al</strong></strong>la paura! Per dirla in breve, il tratto distintivo della sua fede<br />

era la capacità di amore fecondo e puro. Ed è con questa fede feconda e pura che<br />

egli adempiva a tutti i precetti di Allah: preghiera, digiuno e elemosina leg<strong>al</strong>e, con<br />

amore, disinvoltura e gioia; e così pure con coscienza serena, cuore ricco d’amore<br />

per gli <strong>al</strong>tri e anima traboccante di virilità e di ardimento, doti che lo avevano<br />

reso l’amico più caro, la dolce fonte <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e tutti si rivolgevano per dissetarsi.


E con questa vit<strong>al</strong>ità gagliarda e giovanile egli si offriva <strong>al</strong>le gioie e ai piaceri<br />

della vita, attratto da cibi eccellenti, reso gioioso da un vino invecchiato, impazzito<br />

d’amore per un bel volto, abbeverandosi di tutto con <strong>al</strong>legria, felicità ed<br />

entusiasmo, libero nella coscienza da qu<strong>al</strong>siasi sentimento di colpa o ombra di<br />

inquietudine, anzi esercitando un diritto a lui concesso <strong>d<strong>al</strong></strong>la vita. Quasi non ci<br />

fosse incompatibilità <strong>al</strong>cuna fra ciò che il suo cuore doveva <strong>al</strong>la vita e ciò che la<br />

sua coscienza doveva a Dio. Mai nella sua esistenza si era sentito lontano da<br />

Allah o esposto <strong>al</strong>la sua collera, considerando entrambe quelle sue propensioni<br />

passibili di reciproca integrazione. C’erano forse in lui due person<strong>al</strong>ità distinte?<br />

O piuttosto la sua ferma fede nella clemenza divina era t<strong>al</strong>e da non fargli credere<br />

che essa condannasse veramente siffatti piaceri? E anche nel caso in cui li condannasse,<br />

questi potevano tuttavia essere perdonati ai peccatori, <strong>d<strong>al</strong></strong> momento<br />

che non nuocevano a nessuno? Probabilmente, egli divorava la vita con il cuore<br />

e con i sensi, senza lasciar posto <strong>al</strong>la minima riflessione o meditazione. Scopriva<br />

in se stesso istinti potenti, <strong>al</strong>cuni rivolti a Dio, da esercitare con l’adorazione, <strong>al</strong>tri<br />

pronti per i piaceri, da soddisfare con gli svaghi. Questi istinti li confondeva tutti<br />

nel suo animo, sereno e fiducioso, senza darsi pena <strong>al</strong>cuna di porli in armonia.<br />

Non sentiva il bisogno di rifarsi <strong>al</strong>la logica per giustificarli, se non sotto la pressione<br />

di critiche come quelle che gli rivolgeva lo sheikh Metw<strong>al</strong>li Abdes-Samad. In<br />

casi simili si trovava più a disagio per la necessità di riflettere che per l’accusa stessa.<br />

Non che non gli importasse di essere colpevole davanti a Dio, ma non riteneva<br />

assolutamente di essere colpevole o che i suoi passatempi inoffensivi sollevassero<br />

effettivamente la collera divina. Quanto <strong>al</strong>la riflessione vera e propria, da un lato lo<br />

stordiva, e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro essa metteva in luce l’esiguità delle sue conoscenze nel campo<br />

della religione. È per questo che aveva arricciato il naso <strong>al</strong>la domanda di sfida rivoltagli<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>lo sheikh, e cioè: “In parole o in opere?”. Ed è per questo che rispose, chiaramente<br />

infastidito: “In parole e in opere insieme, nella preghiera, nel digiuno, nell’elemosina<br />

leg<strong>al</strong>e, nell’invocare Allah, in piedi e seduto. Cosa possono rimproverarmi<br />

se mi distraggo con svaghi che non facendo m<strong>al</strong>e a nessuno non mi <strong>al</strong>lontanano<br />

dai doveri religiosi? Del resto non viene proibito a ciascuno solo ciò che può<br />

nuocere ma non qu<strong>al</strong>siasi cosa indistintamente?”» 29 .<br />

Non si tratta tuttavia soltanto di un argomento di dibattito per intellettu<strong>al</strong>i o<br />

di un tema ritornante negli scrittori che cercano di ritrarre nelle loro opere anche<br />

gli aspetti più re<strong>al</strong>istici e t<strong>al</strong>volta scabrosi della società in cui vivono. Se il vino vie-<br />

29 N. MAHFUZ, Tra i due p<strong>al</strong>azzi, Napoli 1996, pp. 65-67.<br />

189


190<br />

ne consumato è comunque perché, a dispetto dei divieti tradizion<strong>al</strong>i, viene commerci<strong>al</strong>izzato<br />

e t<strong>al</strong>volta persino prodotto in loco, oltre che importato. L’argomento<br />

è delicato e solo <strong>al</strong>cuni osano affrontarlo, evidenziandone le contraddizioni.<br />

Un caso tipico è quello del Marocco, dove la produzione vinicola è stata<br />

incrementata durante il periodo coloni<strong>al</strong>e, ma non è certo scomparsa dopo l’indipendenza:<br />

«All’indomani dell’indipendenza, il Marocco conservò l’impianto di<br />

questa attività commerci<strong>al</strong>e del periodo coloni<strong>al</strong>e considerandola come uno dei<br />

pilastri fondament<strong>al</strong>i dello sviluppo economico del paese (occupazione, introiti<br />

in v<strong>al</strong>uta pregiata, turismo), mantenendola con tutte le sue contraddizioni. (...) A<br />

livello religioso politico ciò ha portato a confusione, conflitti e lacune gravi. (...)<br />

Così, per quanto attiene ad esempio la commerci<strong>al</strong>izzazione di bevande <strong>al</strong>coliche<br />

da parte di musulmani, la legislazione marocchina è caratterizzata da un mutismo<br />

o da un lassismo t<strong>al</strong>i da far ritenere che t<strong>al</strong>e attività sia praticabile da chiunque.<br />

Il legislatore vieta soltanto timidamente ai gestori di loc<strong>al</strong>i pubblici di vendere<br />

o reg<strong>al</strong>are <strong>al</strong>colici a marocchini musulmani, il che lascia intendere che questi<br />

ultimi possono procurarsene <strong>al</strong>trove. (...) I divieti previsti <strong>d<strong>al</strong></strong>la sharî’a, eccetto<br />

il caso di ubriachezza manifesta e pubblica, non si traducono in sanzioni. (...)<br />

Una patente contraddizione è il fatto che, uscendo da un negozio che vende<br />

<strong>al</strong>colici dopo aver acquistato del vino, un marocchino musulmano può essere<br />

accusato <strong>d<strong>al</strong></strong>la buon costume per la detenzione di un prodotto ‘autorizzato’ per<br />

i soli non musulmani, mentre il negozio stesso, che offre ogni tipo di <strong>al</strong>colici, ha<br />

un gestore musulmano. (...) Ai tempi del protettorato francese ciò era espressamente<br />

vietato... La Francia sarebbe pertanto stata più scrupolosa rispetto <strong>al</strong>l’attu<strong>al</strong>e<br />

stato islamico?» 30 .<br />

Conclusione<br />

Possiamo dunque terminare questa rapida ricognizione a proposito del vino nella<br />

civiltà arabo-islamica constatando quanto questo elemento vi sia presente, in forma<br />

certo problematica ma non per questo meno costante ed evidente. Pur consapevoli<br />

dei divieti che lo riguardano, i musulmani non ne hanno comunque saputo<br />

fare a meno e, anzi, quasi stimolati <strong>d<strong>al</strong></strong>la proibizione ne hanno fatto un simbolo tra<br />

30 F. RHOUMA, Statut de l’<strong>al</strong>cool dans l’imaginaire soci<strong>al</strong> des musulmans, conferenza tenuta a Losanna durante<br />

il convegno “Maghreb et Monde Arabe”, 12-13 maggio 1997 (dattiloscritto).


i più fecondi non soltanto nella letteratura, ma persino nella spiritu<strong>al</strong>ità. Il destino<br />

del frutto della vite, in conclusione, sembra proprio quello di accompagnare l’esistenza<br />

dell’uomo ad ogni latitudine offrendo diletto e consolazione, a dispetto dei<br />

rischi che può comportare il suo consumo smodato. Del resto, è così per ogni<br />

cosa, anche buona, quando si perda il senso della misura tanto caro ai nostri classici,<br />

ma presente in ogni cultura e ribadito <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso Corano che ad esso richiama<br />

i fedeli con esortazioni semplici, ma cariche di un’antica saggezza: «mangiate e<br />

bevete, ma senza eccedere, poiché Iddio non ama gli stravaganti» (7, 31).<br />

191


192


PARTE SECONDA<br />

La civiltà del vino<br />

193


194


GIUSEPPE MOTTA*<br />

Il vino nei Padri: Ambrogio, Gaudenzio e Zeno<br />

Quando, nell’autunno del 384, Agostino giunse a Milano, si recò ben presto ad<br />

ascoltare Ambrogio, incuriosito <strong>d<strong>al</strong></strong>la fama che circondava i discorsi del vescovo.<br />

Ne restò ammirato, non tanto per i contenuti, che ancora disprezzava, ma per il<br />

modo con il qu<strong>al</strong>e – come ricorda nelle Confessioni (5.13.23) – «Egli dispensava<br />

efficacemente <strong>al</strong> tuo popolo il fiore del tuo frumento, la letizia del tuo olio e la<br />

sobria ebbrezza del tuo vino (sobriam vini ebrietatem)». Ma il passo di Agostino<br />

acquista un significato ancor più pregnante, se lo inseriamo nel contesto degli<br />

avvenimenti che egli descrive. Nella di<strong>al</strong>ettica tra verità ed errore, <strong>al</strong>la sobria vini<br />

ebrietas, si contrappongono gli amici manichei vanitatibus ebri, grazie ai qu<strong>al</strong>i Agostino<br />

aveva ottenuto l’insegnamento di retorica in quella città.<br />

Il retore africano, da esteta qu<strong>al</strong> era, era più interessato non a quel che<br />

Ambrogio diceva, ma a come lo diceva. Tuttavia, intuì subito la bellezza e l’efficacia<br />

delle <strong>al</strong>legorie ambrosiane; e mentre apriva il cuore per accogliere l’eloquenza,<br />

vi lasciava entrare, seppur pian piano, anche la verità. Furono quelli i primi<br />

passi sicuri verso la più celebre conversione dell’età patristica. D<strong>al</strong>l’eloquenza<br />

passò ad ammirare l’esegesi di Ambrogio per molti passi della Scrittura, che,<br />

presi <strong>al</strong>la lettera, erano per Agostino esizi<strong>al</strong>i, mentre il vescovo di Milano li interpretava<br />

spiritu<strong>al</strong>iter, ossia in senso spiritu<strong>al</strong>e, <strong>al</strong>la luce della pienezza portata da<br />

Cristo (Confessioni, 5.14.24) 1 .<br />

1 Per i rapporti di Agostino con Ambrogio v. V. GROSSI, Sant’Ambrogio e sant’Agostino. Per una rilettura<br />

dei loro rapporti, in «Nec timeo mori», Atti del Congresso internazion<strong>al</strong>e di studi ambrosiani nel XVI centenario<br />

della morte di sant’Ambrogio (Milano, 4-11 aprile 1997), a cura di L.F. Pizzolato, M. Rizzi,<br />

Milano 1998 (Studia patristica Mediolanensia, 21), pp. 405-462, in particolare pp. 406-417.<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.<br />

195


196<br />

Ambrogio di Milano<br />

In questa breve comunicazione, che vuol essere nulla più di un semplice sondaggio<br />

condotto nel vastissimo campo della letteratura patristica nelle sue varie<br />

espressioni, ma per un’area geografica e cronologica ben definita, tra Milano e<br />

Verona, passando per Brescia, negli ultimi decenni del secolo IV fino <strong>al</strong> 410, anno<br />

della morte del presule bresciano Gaudenzio, mi occuperò speci<strong>al</strong>mente di commenti<br />

ai testi della Scrittura in rapporto <strong>al</strong>la vite e <strong>al</strong> vino, nella consapevolezza di<br />

offrire, per gli esponenti di quest’area, poco più che rapidi cenni, una minuscola<br />

tessera di un imponente mosaico. Basti pensare, ad esempio, che <strong>al</strong>la terminologia<br />

del nostro tema Ambrogio, da solo, offre oltre ottocento occorrenze 2 .<br />

Partiamo con Ambrogio, vescovo di Milano <strong>d<strong>al</strong></strong> 374 fino <strong>al</strong>la morte nel 397,<br />

per soffermarci sull’Exameron, opera che ci riporta la sua predicazione quaresim<strong>al</strong>e<br />

nella prossimità della Pasqua del 387. Vi sono riflesse tutta la sua scienza<br />

e sapienza, la sua vibrante sensibilità per gli spettacoli della natura, da lui contemplata<br />

come epifania del creato, manifestazione, cioè, della volontà del Creatore<br />

e del Redentore 3 .<br />

Ogni volta che Ambrogio esamina un passo biblico, accanto <strong>al</strong>l’attenzione<br />

per il senso letter<strong>al</strong>e, sempre presente, si accompagna l’<strong>al</strong>legoria che si traduce<br />

costantemente in un insegnamento pastor<strong>al</strong>e: stile avvertito e apprezzato, come<br />

si è detto, da sant’Agostino. Nell’ambito dell’opera sui sei giorni della creazione,<br />

le <strong>al</strong>legorie, i simboli sono frequenti, numerosi, avvincenti e suggestivi 4 .<br />

Ricordando piante e fiori – opere del terzo giorno – Ambrogio ci rammenta<br />

che se noi abbiamo in comune con i fiori la caducità, con la vite dobbiamo condividerne<br />

la letizia, perché è <strong>d<strong>al</strong></strong>la vite che deriva «il vino che r<strong>al</strong>legra il cuore degli<br />

uomini» 5 . Da questa espressione, suggeritagli <strong>d<strong>al</strong></strong> s<strong>al</strong>mo 103, 15, Ambrogio si<br />

lascia condurre ad una serie di osservazioni che dimostrano, anche nei minimi<br />

particolari, la sua perfetta conoscenza della crescita e dello sviluppo della vite fino<br />

<strong>al</strong>la maturazione dell’uva: «(...) nulla è più gradito del profumo della vite in fiore,<br />

2 Cfr. Thesaurus sancti Ambrosii, curante CETEDOC, Turnhout 1994 (Corpus Christianorum. Thesaurus<br />

Patrum Latinorum).<br />

3 Per quest’opera disponiamo di una buona versione it<strong>al</strong>iana, <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e faccio riferimento nel presente<br />

saggio: SANT’AMBROGIO, I sei giorni della creazione, a cura di G. Banterle, Milano-Roma 1979<br />

(Opera omnia di sant’Ambrogio, 1).<br />

4 Cfr. nell’Introduzione del Banterle, sopra cit., pp. 17-19.<br />

5 I sei giorni della creazione 3.12.49, pp. 161-165.


se è vero che il succo spremuto <strong>d<strong>al</strong></strong> suo fiore produce una bevanda che nello stesso<br />

tempo riesce gradevole e giova <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute» (un primo riconoscimento degli<br />

effetti positivi che derivano <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uso del vino) 6 . Ma l’attenzione si fa più attenta e<br />

diventa finissima: «Chi non proverebbe meraviglia <strong>al</strong> vedere che <strong>d<strong>al</strong></strong> vinacciolo di<br />

un acino la vite prorompe fino <strong>al</strong>la sommità dell’<strong>al</strong>bero che protegge come con<br />

un amplesso e avvince tra le sue braccia e circonda in una stretta vigorosa, riveste<br />

di pampini e cinge di una corona di grappoli. Essa affonda dapprima la sua radice<br />

viva nel terreno; poi, siccome per sua natura è flessibile e non sta ritta, stringe<br />

tutto ciò che riesce ad afferrare con i suoi viticci, quasi fossero braccia, e, reggendosi<br />

per mezzo di questi, s<strong>al</strong>e in <strong>al</strong>to». E la descrizione è in funzione di una prima<br />

riflessione: «del tutto simile è il popolo fedele che viene piantato, per così dire,<br />

mediante la radice della fede e frenato <strong>d<strong>al</strong></strong>la propaggine dell’umiltà» 7 .<br />

Il discorso insiste ancora sul significato simbolico della vite e parte sempre<br />

da una descrizione oggettiva molto attenta, prima di passare immediatamente ad<br />

esortazioni di carattere mor<strong>al</strong>e. Cito <strong>al</strong>meno un <strong>al</strong>tro passo: «Anche la vite, quando<br />

intorno ne è stato zappato il terreno, viene legata e tenuta dritta, affinché non<br />

si pieghi verso terra. Alcuni tr<strong>al</strong>ci si tagliano, <strong>al</strong>tri si fanno ramificare; si tagliano<br />

quelli che ostentano una inutile esuberanza, si fanno ramificare quelli che l’esperto<br />

agricoltore giudica produttivi» 8 . Ma Ambrogio ha la capacità di contemplare<br />

«l’ordinata disposizione dei p<strong>al</strong>i di sostegno e la bellezza dei pergolati, che<br />

insegnano con verità e chiarezza come nella Chiesa debba essere conservata l’uguaglianza,<br />

sicché nessuno, se ricco, si senta superiore, e nessuno, se povero, si<br />

abbatta e si disperi. Nella Chiesa ci sia per tutti una unica ed ugu<strong>al</strong>e libertà e con<br />

tutti si usi pari giustizia ed identica cortesia» 9 . Sono le stesse espressioni ed<br />

immagini che troviamo nel commento di Ambrogio <strong>al</strong> vangelo di Luca 10 .<br />

Attratto <strong>d<strong>al</strong></strong>la bellezza dei pergolati, Ambrogio trova modo di esprimere tutto<br />

il suo stupore, la sua meraviglia di fronte <strong>al</strong>lo spettacolo dei grappoli maturi<br />

6 Ibidem 3.17.72, p. 187.<br />

7 Ibidem 3.12.50, p. 163; anche le osservazioni di G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne<br />

e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta, 4), pp. 11-<br />

12, 178-179.<br />

8 Ibidem 3.12.51, pp. 163-165.<br />

9 Ibidem.<br />

10 SANT’AMBROGIO, Esposizione del Vangelo secondo Luca, I-II, a cura di G. Coppa, Milano-Roma 1978<br />

(Opera omnia di sant’Ambrogio, 11-12), II, 9.29-32, pp. 385-387.<br />

197


198<br />

pronti per la vendemmia, ed esclama: «Qu<strong>al</strong>e spettacolo è più gradevole, qu<strong>al</strong>e<br />

frutto è più dolce che vedere i festoni pendenti come monili di cui si adorna la<br />

campagna in tutto il suo splendore, cogliere i grappoli rilucenti di un colore dorato<br />

o simili <strong>al</strong>la porpora? Crederesti di vedere scintillare le ametiste e le <strong>al</strong>tre gemme,<br />

b<strong>al</strong>enare le pietre indiane, risplendere l’attraente eleganza delle perle, e non ti<br />

accorgi che tutto ciò ti ammonisce a stare in guardia, perché il giorno supremo<br />

non trovi immaturi i tuoi frutti, in tempo dell’età nella sua pienezza non produca<br />

opere di scarso v<strong>al</strong>ore» 11 . La contemplazione estetica non è fine a se stessa: tutto<br />

è ricondotto da Ambrogio ad una conclusione mirata ed efficace nel contesto della<br />

sua predicazione: «chiaramente – dice – il Signore ha indicato che l’esempio<br />

della vite deve essere richiamato qu<strong>al</strong>e esempio per la nostra vita» 12 .<br />

E se nell’Exameron è prev<strong>al</strong>ente l’attenzione <strong>al</strong>la vite, in <strong>al</strong>tre opere di<br />

Ambrogio è la vigna ad assumere significati diversi e molteplici. Essa è ora l’emblema<br />

del vivere cristiano, ora segno della propria anima, per cui non custodire<br />

la vigna equiv<strong>al</strong>e a non custodire la propria esistenza <strong>d<strong>al</strong></strong>le passioni 13 ; ma ancor<br />

più la vigna diventa il simbolo della fede che va conservata anche a prezzo della<br />

propria vita, come fece Naboth 14 . Ma essa è anche l’immagine re<strong>al</strong>e e concreta<br />

della Chiesa, persino nella sua struttura materi<strong>al</strong>e, che va difesa e s<strong>al</strong>vaguardata<br />

<strong>al</strong> di sopra di ogni <strong>al</strong>tro bene; e, ancora, la vigna è la Chiesa stessa che va tutelata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le eresie e <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e vanno espulsi gli eretici <strong>al</strong>lo stesso modo che vanno<br />

<strong>al</strong>lontanate le volpi che rovinano i vigneti 15 . Non mancano, ovviamente, continui<br />

riferimenti <strong>al</strong> vino anche per gli effetti deleteri che può produrre in chi ne abu-<br />

11 I sei giorni della creazione 3.12.52, pp. 165-167; ma cfr. anche, sempre di sant’Ambrogio, I patriarchi<br />

10.41, a cura di G. Banterle, Milano-Roma 1980 (Opera omnia di sant’Ambrogio, 4), p. 53; ARCHET-<br />

TI, Tempus vindemie, pp. 178-179.<br />

12 I sei giorni della creazione 3.12.52, pp. 165-167.<br />

13 Ad esempio: Esposizione del Vangelo secondo Luca, I, 5.81, p. 423; e, ancor più significative, SANT’AM-<br />

BROGIO, Isacco o l’anima 4.13, a cura di G. Moreschini, Milano-Roma 1982 (Opera omnia di sant’Ambrogio,<br />

3), p. 53.<br />

14<br />

SANT’AMBROGIO, Commento a dodici s<strong>al</strong>mi 36.19, a cura di L.F. Pizzolato, Milano-Roma 1980 (Opera<br />

omnia di sant’Ambrogio, 7), p. 173; v. anche, dello stesso santo, Esortazione <strong>al</strong>la verginità 5.29-30, a<br />

cura di F. Gori, Milano-Roma 1989 (Opera omnia di sant’Ambrogio, 14/2), pp. 221-223, e v. ibid.,<br />

nota 59 per i frequenti riferimenti simbolici <strong>al</strong>la figura di Naboth nell’opera ambrosiana, oltre, evidentemente,<br />

il Naboth, a cura di F. Gori, Milano-Roma 1985 (Opera omnia di sant’Ambrogio, 6), pp.<br />

130-195.<br />

15<br />

SANT’AMBROGIO, Commento <strong>al</strong> s<strong>al</strong>mo 118 11.29, a cura di L.F. Pizzolato, Milano-Roma 1987 (Opera<br />

omnia di sant’Ambrogio, 9), pp. 481-483.


sa; il vino genera discordie, fa dimenticare l’amicizia e le necessità dei fratelli. È<br />

un veleno 16 , è uno strumento di tortura che va rifiutato 17 .<br />

In particolare <strong>al</strong>l’ubriachezza e <strong>al</strong>le sue conseguenze il vescovo di Milano<br />

dedica gran parte del trattato De Helia et ieiunio, che recentemente l’amico Roberto<br />

Bellini ha studiato in un bel saggio apparso nella rivista «Aevum», proprio<br />

<strong>al</strong>l’inizio di quest’anno 18 . Ambrogio condanna l’abuso del vino che degrada l’uomo<br />

– assai efficace e disseminata in molte opere ambrosiane la descrizione dell’ubriaco<br />

– ma ribadisce che il vino, <strong>al</strong> pari di ogni re<strong>al</strong>tà, è stato creato per dare<br />

gioia, procurare esultanza <strong>al</strong>l’anima e <strong>al</strong> cuore. Il saggio di Bellini, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e rinvio,<br />

pone in ris<strong>al</strong>to quanto Ambrogio deve <strong>al</strong>la cultura pagana nella condanna dell’ubriachezza,<br />

ma <strong>al</strong>tresì quanto <strong>d<strong>al</strong></strong>la medesima si <strong>al</strong>lontani nelle motivazioni che<br />

lo inducono a mettere in guardia i suoi fedeli da quel vizio.<br />

Non ci attarderemo, pertanto, su questo specifico tema e sulla sua fenomenologia,<br />

che investe uomini e donne di varie classi soci<strong>al</strong>i, poveri e ricchi, semplici<br />

soldati e grandi potenti 19 ; né qui è il caso di richiamare nelle sue veridiche<br />

espressioni il binomio donne e vino, presente anche in <strong>al</strong>tre opere ambrosiane,<br />

come ad esempio nel De Cain et Abel, speci<strong>al</strong>mente nella efficace rappresentazione<br />

nel banchetto della voluptas in contrapposizione a quello della virtus 20 .L’ubriachezza,<br />

che doveva essere uno dei m<strong>al</strong>i mor<strong>al</strong>i più diffusi nella società del<br />

tempo, è per Ambrogio miserando spettacolo 21 , negazione della dignità della<br />

persona 22 il cui fine è la ricerca della verità, e non quello, passando da una taverna<br />

<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tra 23 , di tracannare coppe di vino senza gustarne il dolce sapore 24 .<br />

16<br />

SANT’AMBROGIO, Elia e il digiuno 14.51-52; 16.59, a cura di F. Gori, Milano-Roma 1985 (Opera<br />

omnia di sant’Ambrogio, 6), pp. 91 e 99.<br />

17 Ibid. 17.63, p. 103 e nota 3.<br />

18 R. BELLINI, Intorno <strong>al</strong>l’ebbrezza: sant’Ambrogio e la cultura pagana, «Aevum. Rassegna di scienze storiche,<br />

linguistiche e filologiche», 75 (2000), pp. 163-177.<br />

19 Elia e il digiuno 12.44-45; 18.66-68, pp. 83-85 e 105-107.<br />

20<br />

SANT’AMBROGIO, Caino e Abele 1.4.14, a cura di P. Sinisc<strong>al</strong>co, Milano-Roma 1984 (Opera omnia di<br />

sant’Ambrogio, 2/1), pp. 197-201 e relative note.<br />

21 Elia e il digiuno 18.66-67, pp. 105-107.<br />

22 Ibid. 16.59, p. 99, ma i riferimenti sono assai numerosi anche in <strong>al</strong>tre opere ambrosiane come, ad<br />

esempio I sei giorni della creazione 3.7.30, p. 141.<br />

23 Elia e il digiuno 15.53, pp. 93-95.<br />

24 Ibid. 9.32, p. 71.<br />

199


200<br />

Ma accanto a questi c<strong>al</strong>ici che danno l’ebbrezza – l’ebbrezza del peccato 25 –<br />

vi sono <strong>al</strong>tre coppe che trasfondono l’ebbrezza dello spirito, che danno la dolcezza<br />

del cuore e fanno aprire gli occhi <strong>al</strong>la contemplazione del vero (e in simile<br />

contesto gli Ariani, che non vogliono accogliere la verità su Cristo, sono paragonati<br />

a dei caupones, ossia agli osti, che <strong>al</strong>terano la purezza del vino 26 ); questa<br />

ebbrezza – l’unica vera – trasporta lo spirito in zone migliori e rasserenanti, e fa<br />

sì che il nostro animo dimentichi le sue preoccupazioni e sia r<strong>al</strong>legrato da quel<br />

vino che dà piacere 27 . E questa intima gioia – ci dice Ambrogio – può essere<br />

offerta soltanto da Cristo, che <strong>al</strong>la croce ha confitto insieme con l’umanità decaduta<br />

anche il vino corrotto divenuto aceto 28 . Per questo, aggiunge Ambrogio nel<br />

commento <strong>al</strong> vangelo di Luca, «(...) travasiamo anche noi nel Cristo i nostri vizi...<br />

affinché a sua volta trasfonda in noi l’intatta schiettezza del vino», un vino che è<br />

fonte di vita, che non fa vacillare il corpo, che lo eleva, che non delude lo spirito<br />

ma lo rende cosa sacra. È la dottrina mistica, per<strong>al</strong>tro molto studiata, della sobria<br />

ebrietas costantemente presente nelle opere di Ambrogio. L’anima che giunge a<br />

bere il Verbo di Dio (Cristo è la vera vite, come si legge in Giovanni 15,5) si inebria<br />

a quel contatto fino a uscirne di sé, a perdere i sensi della contemplazione di<br />

Dio 29 . Certo, Ambrogio, in questa dottrina non è origin<strong>al</strong>e: la deriva <strong>d<strong>al</strong></strong> grande<br />

Origene e <strong>d<strong>al</strong></strong>la scuola <strong>al</strong>essandrina, ma ha il merito d’averla trasmessa <strong>al</strong>la tradizione<br />

spiritu<strong>al</strong>e dell’età patristica e medioev<strong>al</strong>e 30 .<br />

25 Ibid. 15.55; 16.61 e 17.63, pp. 95-97; 101 e 103.<br />

26 Commento <strong>al</strong> s<strong>al</strong>mo 118 11.20, p. 473 e nota 46, che evidenzia anche in <strong>al</strong>tre opere il motivo ambrosiano.<br />

27 Cfr. ad esempio, tra i molti possibili, Caino e Abele 1.5.20, p. 211; Isacco o l’anima 5.49, p. 87; Commento<br />

<strong>al</strong> s<strong>al</strong>mo 118 13.24, p. 81.<br />

28 Esposizione del Vangelo secondo Luca 10.124, II, p. 481.<br />

29<br />

SANT’AMBROGIO, La fede 1.20.134-137, a cura di C. Moreschini, Milano-Roma 1984 (Opera omnia<br />

di sant’Ambrogio, 15), pp. 125-127 e nota 4. Alla bibliografia ivi enunciata sulla sobria ebrietas, si<br />

aggiunga la voce Ivresse spiritelle di H.J. SIEBEN, in Dictionnaire de spiritu<strong>al</strong>ité, VII/2, Paris 1971, coll.<br />

2312-2322.<br />

30 Cfr.G.PENCO, La «sobria ebrietas» in san Bernardo, «Rivista di ascetica e mistica», 38 (1969), pp. 249-<br />

255.


Gaudenzio di Brescia<br />

Il bresciano Gaudenzio, eletto vescovo della sua città <strong>d<strong>al</strong></strong> clero e <strong>d<strong>al</strong></strong> popolo nel 390,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vescovo Ambrogio ricevette l’ordinazione episcop<strong>al</strong>e e con lui mantenne sempre<br />

rapporti di stima e di amicizia. A Milano, <strong>al</strong>la presenza di Ambrogio, Gaudenzio<br />

tenne il discorso sugli apostoli Pietro e Paolo, che è divenuto il trattato XX 31 .Di<br />

Gaudenzio ci sono pervenuti soltanto 21 sermoni, che lui stesso ha preferito chiamare<br />

trattati: un corpus che in nessun modo può essere paragonato a quello ambrosiano,<br />

ma che non è privo di significato per la notevole cultura dell’autore. La sua<br />

esegesi dei brani del Vangelo e del Libro dei Maccabei, passa con uno stile semplice,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> senso storico a quello <strong>al</strong>legorico.<br />

Il tema che a noi qui interessa, tr<strong>al</strong>asciando per ora <strong>al</strong>tri riferimenti che pur<br />

riguardano il vino e la vite, è riscontrabile <strong>al</strong>meno in due casi. Alle nozze di Cana<br />

dedica ben due discorsi, che costituiscono i trattati VIII e IX nella tradizione<br />

degli scritti di Gaudenzio. Furono pronunciati in due giorni successivi, il venerdì<br />

e il sabato dopo la Pasqua: il secondo, ovviamente, è la continuazione del primo.<br />

Parte <strong>d<strong>al</strong></strong>la storia dell’avvenimento, per poi offrire una interpretazione spiritu<strong>al</strong>e,<br />

che prende in attenta considerazione ogni particolare del racconto che l’evangelista<br />

Giovanni introduce con un preciso riferimento tempor<strong>al</strong>e: «E tre giorni<br />

dopo a Cana di G<strong>al</strong>ilea si celebrava uno spos<strong>al</strong>izio (...)» 32 .<br />

Non possiamo, per ovvii motivi, seguire punto per punto la lettura spiritu<strong>al</strong>e<br />

offerta da Gaudenzio. Ma quando la narrazione evangelica giunge <strong>al</strong> punto<br />

no<strong>d<strong>al</strong></strong>e di tutto il racconto «e non avevano vino», il commento si fa preciso:<br />

«Volle indicare evidentemente che i Gentili, ossia i pagani, non avevano il vino<br />

dello spirito santo» 33 . Presentato il simbolo del vino nella sua più <strong>al</strong>ta espressione,<br />

quello che lo fa <strong>al</strong>legoria dello Spirito santo (e in questo non si discosta da<br />

molti passi di Ambrogio), il vescovo conclude il suo discorso esortando i neo-<br />

31 Per i rapporti tra Ambrogio e Gaudenzio e le loro rispettive chiese, v. M. BETTELLI BERGAMASCHI,<br />

Brescia e Milano <strong>al</strong>la fine del IV secolo. Rapporti tra Ambrogio e Gaudenzio, in Ambrosius episcopus, Atti del<br />

Convegno internazion<strong>al</strong>e di studi ambrosiani nel XVI centenario della elevazione di sant’Ambrogio<br />

<strong>al</strong>la cattedra episcop<strong>al</strong>e (Milano, 2-7 dicembre 1974), II, a cura di G. Lazzati, Milano 1976 (Studia<br />

patristica Mediolanensia, 7), pp. 151-167.<br />

32<br />

SAN GAUDENZIO DI BRESCIA, Trattati 8 e 9, a cura di G. Banterle, Milano-Roma 1991 (Scrittori dell’area<br />

santambrosiana. Complementi dell’Opera omnia di sant’Ambrogio, 2), pp. 309-353; ARCHET-<br />

TI, Tempus vindemie, pp. 179-180.<br />

33 Trattati 8.46, pp. 327-329.<br />

201


202<br />

fiti, ossia i neobattezzati, a conservare il vino nuovo in otri nuovi, come si addice<br />

<strong>al</strong>l’uomo nuovo, <strong>al</strong>l’uomo rinato nel battesimo 34 . Nella sua successiva omelia,<br />

corrispondente, come si è detto, <strong>al</strong> trattato IX, Gaudenzio prosegue nella lettura<br />

e nella interpretazione <strong>al</strong>legorica del racconto giovanneo, nel qu<strong>al</strong>e non mancano<br />

momenti di difficile interpretazione (basti pensare <strong>al</strong>la risposta di Gesù<br />

<strong>al</strong>la madre: «E che importa a me e a te, donna? Non è ancora venuta la mia<br />

ora»), ma ogni qu<strong>al</strong> volta ritorna <strong>al</strong>l’oggetto del miracolo, ne ribadisce l’interpretazione<br />

simbolica: «Conserviamo, dunque, la grazia dello Spirito Santo, infusa<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> generoso dono dello sposo celeste, per non ritornare <strong>al</strong>la povertà di un<br />

tempo. A t<strong>al</strong>e povertà, che precedette il battesimo, si riferì in enigma la madre,<br />

quando osservò ‘non hanno più vino’, vinum non habent» 35 . Una parola aggiungo,<br />

infine, sull’ultimo discorso di Gaudenzio, il XXI, in cui traccia i momenti<br />

s<strong>al</strong>ienti della vita del suo predecessore, il beato Filastrio. Per offrire una accattivante<br />

sintesi dello zelo del pastore, Gaudenzio ricorre a quella che potremmo<br />

definire una figura bucolica: «Quel buon agricoltore tagliò subito <strong>d<strong>al</strong></strong>le radici l’ispida<br />

selva di differenti errori (non dimentichiamo che Filastrio è autore di<br />

un’opera sulle varie eresie) e curvo sull’aratro dell’insegnamento, rovesciò la<br />

terra priva di tutte le energie e trasformò lo squ<strong>al</strong>lido terreno in fecondi maggesi<br />

(...)» 36 . Ma l’opera, che sembra dare completezza e giustificazione per il<br />

vescovo-contadino, viene indicata con questa immagine: «Piantò anche una<br />

vigna per r<strong>al</strong>legrarsi del suo prodotto, poiché il vino r<strong>al</strong>legra il cuore dell’uomo»<br />

37 . Ovviamente, in questo caso, la vigna è l’immagine della chiesa, che Gaudenzio<br />

si propone di proteggere come il campo ben coltivato <strong>d<strong>al</strong></strong> padre.<br />

Zeno di Verona<br />

Il nostro terzo ed ultimo interlocutore è Zeno di Verona, morto verso il 380.<br />

Ambrogio, <strong>al</strong>lora, era già vescovo, ma non si conoscono i rapporti che siano<br />

intercorsi tra i due. Del resto, Verona, come chiesa loc<strong>al</strong>e, gravitava piuttosto<br />

34 Ibid. 8.50-51 e 9.3, pp. 329-331.<br />

35 Ibid. 9.3, p. 331.<br />

36 Ibid. 21.8, p. 483; G. ARCHETTI, Chiese battesim<strong>al</strong>i, pievi e parrocchie. Organizzazione ecclesiastica e cura delle<br />

anime nel <strong>Medioevo</strong>, «Brixia Sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia», V/4 (2000), p. 14 e n. 17.<br />

37 Trattati 21.8, p. 483.


verso il patriarcato di Aquileia. Zeno è autore di sermoni o brevi ‘trattati’, che<br />

hanno per oggetto questioni mor<strong>al</strong>i, feste liturgiche (speci<strong>al</strong>mente la Pasqua)<br />

oppure brani della Scrittura 38 . Ma come esegeta il vescovo di Verona non presenta<br />

grande origin<strong>al</strong>ità, mentre risultano più vivaci le sue riflessioni di carattere<br />

mor<strong>al</strong>e. In ogni caso, si avverte una prosa diversa da quella di Ambrogio; la direi<br />

più pacata, meno coinvolgente.<br />

Tr<strong>al</strong>asciando riferimenti più o meno occasion<strong>al</strong>i che si possono leggere nei<br />

testi di Zeno – come quello che si incontra nel discorso sul giorno del Signore,<br />

dove si ricorda, nell’avvicendarsi delle stagioni, l’autunno «ricco di mosti», perché<br />

necessariamente <strong>al</strong>la fragranza del pane (il grano della mietitura estiva) si<br />

aggiungesse anche la giocondità del vino (vini iucunditas) 39 – mi pare che la sua<br />

attenzione verta speci<strong>al</strong>mente sulla vendemmia: ne descrive i momenti successivi<br />

e li applica <strong>al</strong>la vita del cristiano. Avviene in due discorsi: entrambi si riferiscono<br />

<strong>al</strong>le note pagine del profeta Isaia, il qu<strong>al</strong>e paragona il popolo eletto ad una<br />

vigna infruttuosa: «Il mio diletto possedeva una vigna in cima ad un fertile colle.<br />

La zappò, ne tolse le pietre, vi piantò vitigni, fabbricò una torre (...) vi scavò persino<br />

un tino, si aspettava che producesse dell’uva, ma ne fece solo delle lambrusche,<br />

ossia uve acerbe» (Is 5, 1). Una prima occasione gli è offerta da un discorso<br />

tenuto ai neobattezzati ai qu<strong>al</strong>i fa osservare che la vera vigna del Signore è la<br />

Chiesa che li ha accolti. La vigna che ha prodotto lambrusco è invece la Sinagoga,<br />

e prosegue «...oggi avviene che <strong>d<strong>al</strong></strong> vostro numero, viti novelle legate <strong>al</strong> giogo<br />

(il giogo è la traversa di legno che univa i due p<strong>al</strong>i piantati in terra, e quindi è<br />

il simbolo della croce) ribollendo del dolce fiotto del mosto zampillante, hanno<br />

riempito di univers<strong>al</strong>e gioia la cantina del Signore (...)» 40 .<br />

Ritorna <strong>al</strong> medesimo testo di Isaia in un discorso successivo, rivolto sempre<br />

ai neofiti, nel qu<strong>al</strong>e si attarda a descrivere il processo che <strong>d<strong>al</strong></strong> tr<strong>al</strong>cio reciso <strong>al</strong> punto<br />

giusto si giunge <strong>al</strong>la vite perfetta e, attraverso <strong>al</strong>tri passaggi, <strong>al</strong>l’uva matura. E<br />

così descrive la vendemmia: «quando sarà venuto il tempo della vendemmia (...)<br />

l’uva viene senza eccezione staccata e posta nel luogo della torchiatura sotto i<br />

piedi dei pigiatori, viene c<strong>al</strong>pestata, spremuta nel torchio e stretta energicamente<br />

tra due tavole, finché ogni dolcezza sia fatta uscire fin <strong>d<strong>al</strong></strong> midollo e così il pre-<br />

38<br />

SAN ZENONE DI VERONA, I discorsi, a cura di G. Banterle, Milano-Roma 1987 (Scrittori dell’area<br />

santambrosiana. Complementi dell’Opera omnia di sant’Ambrogio, 1).<br />

39 I discorsi 1.33.1-4, pp. 131-133.<br />

40 Ibid. 1.10B.3, p. 91.<br />

203


204<br />

zioso liquido viene bevuto dai pigiatori che l’hanno prodotto e viene portato<br />

nelle cantine del padre di famiglia perché invecchiando migliori» 41 . Ma il processo<br />

della vendemmia viene interpretato in chiave <strong>al</strong>legorica: il tr<strong>al</strong>cio potato è l’aspirante<br />

<strong>al</strong> battesimo. La fossa che circonda la vigna è il sacro fonte; il legno di<br />

appoggio è il segno della croce del Signore. Il tempo vero e proprio della vendemmia<br />

è il giorno della persecuzione; i grappoli strappati sono gli uomini santi<br />

contro i qu<strong>al</strong>i si è levata la mano dei persecutori; il luogo della torchiatura è il<br />

luogo dei supplizi, e così via, fino <strong>al</strong> mosto riposto nella cantina che è il simbolo<br />

del martire introdotto nel segreto della dimora del Signore42 . Mi sembrano i<br />

brani più significativi di Zeno di Verona, ma, ripeto non certo gli unici.<br />

A conclusione di questo rapido e lacunoso sondaggio, che, tuttavia ci ha permesso<br />

di individuare, in sintesi, il pensiero patristico sulla vite e sul vino come<br />

pure sul loro penetrante significato mistico, penso non sia fuori luogo ricordare<br />

qui i bellissimi versi di un celebre inno attribuito ad Ambrogio e che generazioni<br />

di cristiani hanno cantato <strong>al</strong> sorgere di un nuovo giorno:<br />

Christusque nobis sit cibus<br />

potusque noster sit fides:<br />

laeti bibamus sobriam<br />

ebrietatem spiritus.<br />

41 Ibid. 2.11.2.3, p. 281.<br />

e ancora con Ambrogio ci giunge l’augurio:<br />

Laetus dies hic transeat43 .<br />

42 Cfr. Ibid. 2.11.3, 4-7, pp. 281 e 283; anche ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 7, 177, 179, 227-228.<br />

43<br />

SANT’AMBROGIO, Inni, 2, versi 21-25, a cura di G. Biffi, I. Biffi, Milano-Roma 1994 (Opera omnia<br />

di sant’Ambrogio, 22), pp. 36-38.


Nella Vita di Benedetto di Aniane († 821), il grande riformatore franco del<br />

monachesimo, si narra che, prima di entrare in monastero, l’abate Benedetto,<br />

«illuminato <strong>d<strong>al</strong></strong>la grazia divina, incominciò ad ardere per l’amore di Dio, a<br />

desiderare con tutte le forze di abbandonare il mondo e a ricusare gli onori<br />

caduchi (...). Per un triennio, tuttavia, celò tutto questo nel suo cuore e mantenne<br />

il segreto con Dio solo, prendendo parte <strong>al</strong>le imprese terrene col corpo,<br />

non con la mente. Cercava infatti in questo periodo di raggiungere il culmine<br />

della continenza, di ridurre il sonno, di frenare la lingua, di astenersi <strong>d<strong>al</strong></strong> cibo,<br />

di bere vino con maggiore moderazione e, come un atleta esperto, di prepararsi <strong>al</strong><br />

combattimento futuro (...). Divenuto monaco, per due anni e sei mesi afflisse<br />

il suo corpo con un incredibile digiuno. Si accaniva contro la sua carne come<br />

se fosse una bestia feroce, assumendo pochissimo cibo e nutrendosi di pane e<br />

acqua, quanto bastava per <strong>al</strong>lontanare la morte piuttosto che la fame, ed evitava<br />

il vino come fosse un morbo pestifero» 1 .<br />

Il suo modo rigoroso di interpretare la vita monastica gli v<strong>al</strong>se presto importanti<br />

incarichi in seno <strong>al</strong>la comunità che lo aveva accolto, ma anche le critiche<br />

aperte dei meno virtuosi. «Si affidò a lui – scrive infatti il cronista – l’incarico di<br />

cellerario e poiché non offriva loro da bere a volontà, molti non lo guardavano<br />

1 ARDONE SMARAGDO, Vita Benedicti abbatis Anianensis et Indensis, ed. G. Waitz, in Monumenta Germaniae<br />

historica [= MGH], Scriptores, XV/1, Stuttgart 1963, pp. 201-202, capp. 1-2, il corsivo e la traduzione<br />

sono nostri. Il testo della vita del riformatore carolingio si può leggere anche in traduzione it<strong>al</strong>iana<br />

in Benedetto di Aniane. Vita e riforma monastica, a cura di G. Andenna e C. Bonetti, Cinisello B<strong>al</strong>samo<br />

1993 (Storia della Chiesa. <strong>Fonti</strong>, 5); sulla sua figura e l’opera di riforma, invece, R. GRÉGOIRE,<br />

Benedetto di Aniane nella riforma monastica carolingia, «Studi mediev<strong>al</strong>i», 26 (1985), pp. 573-610.<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.<br />

GABRIELE ARCHETTI*<br />

De mensura potus<br />

Il vino dei monaci nel <strong>Medioevo</strong><br />

205


206<br />

benevolmente» 2 . Queste divergenze lo convinsero <strong>al</strong>la fine, benché gli fosse stata<br />

offerta anche la guida dell’abbazia, a lasciare quel luogo e a tornare verso le<br />

terre paterne, dove fondò un piccolo cenobio nei pressi del fiume Aniane. «A<br />

quel tempo – osserva Ardone Smaragdo, riferendosi <strong>al</strong>l’austerità della nuova<br />

esperienza, quei fratelli – non avevano nessuna proprietà, non vigne, né bestiame<br />

o cav<strong>al</strong>li (…). Bevevano vino soltanto la domenica e nelle solennità». La sua<br />

fama di santità però si diffuse rapidamente, richiamando un numero di seguaci<br />

sempre più numeroso, e con essa anche quella delle sue opere miracolose.<br />

Accadde una volta, per esempio, che nugoli di cav<strong>al</strong>lette, tanto «numerose da<br />

nascondere i raggi del sole», giunsero nei pressi delle tenute monastiche, concentrando<br />

«la loro furia devastatrice nella vigna vicina <strong>al</strong> monastero, <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e i<br />

fratelli erano soliti ricavare la maggior parte del vino, <strong>al</strong> punto da minacciare di<br />

distruggerla del tutto». Il venerabile abate si ritirò in chiesa «e con voce flebile,<br />

tra le lacrime, invocò l’aiuto divino e poco dopo le cav<strong>al</strong>lette se ne andarono».<br />

Un’<strong>al</strong>tra volta scoppiò un incendio sulle pendici del monte in cui sorgeva il cenobio<br />

che, dopo aver bruciato le sterpaglie, si avvicinava minacciosamente <strong>al</strong><br />

monastero e <strong>al</strong> vigneto col rischio di incenerirli; «per spegnerlo accorse tutta la<br />

schiera dei monaci e con essi anche il venerabile padre Benedetto: il fuoco <strong>al</strong>lora<br />

abbandonò subito la sua direzione» 3 .<br />

Ma il suo esempio di perfezione ascetica si manifestava anche nella vita quotidiana<br />

e, «mentre gli <strong>al</strong>tri bevevano vino, egli spesso beveva acqua, ad eccezione del<br />

sabato e della domenica». Inoltre, «arava con coloro che aravano, zappava con colo-<br />

2 ARDONE, Vita Benedicti, p. 203, cap. 3. L’episodio ripropone un modello agiografico che ha il suo<br />

archetipo nella ‘vita’ di san Benedetto tratteggiata da GREGORIO MAGNO [cfr. Di<strong>al</strong>oghi (I-IV), Introduzione<br />

di B. C<strong>al</strong>ati, traduzione a cura delle Suore benedettine Isola San Giorgio, note e indici di A.<br />

Stendardi, Roma 2000 (Opere di Gregorio Magno, 4), p. 144, lib. II, cap. 3, 2-4], senza tuttavia assumere<br />

i tratti drammatici del II libro dei Di<strong>al</strong>oghi, dove i monaci giungono persino ad avvelenare l’abate,<br />

«(...) <strong>al</strong>lora i fratelli (...) fremettero di collera, (...) essendo troppo duro per loro praticare una<br />

vita nuova (...) cominciarono a studiare il modo di farlo morire. Presa d’accordo la decisione, gli<br />

misero del veleno nel vino. Venne poi presentata a Benedetto – loro Padre –, seduto a mensa, la tazza<br />

(vas vitreum) contenente la bevanda avvelenata (pestifer potus), perché, secondo la consuetudine del<br />

monastero, desse la benedizione (signum crucis). Benedetto, stese la mano, fece il segno di croce e subito<br />

la caraffa di vetro, pur essendo tenuta a una certa distanza da lui, si ruppe e andò in frantumi come<br />

se egli, anziché fare il segno di croce, avesse lanciato un sasso contro quel vaso che conteneva veleno<br />

di morte. L’uomo di Dio comprese immediatamente che nel recipiente c’era una bevanda mort<strong>al</strong>e,<br />

proprio perché non aveva saputo resistere <strong>al</strong> segno della Vita» (Ibidem, p. 145).<br />

3 ARDONE, Vita Benedicti, pp. 203, 205, capp. 4 e 13-14.


o che zappavano, mieteva con coloro che mietevano; e, sebbene quella regione fosse<br />

arsa per il c<strong>al</strong>ore del sole (…), concedeva a stento un bicchiere d’acqua ai suoi fratelli<br />

prima dell’ora della refezione. Infatti, stanchi per la fatica e bruciati <strong>d<strong>al</strong></strong> sole,<br />

desideravano acqua fresca piuttosto che vino, ma nessuno si permetteva di mormorare<br />

contro di lui, poiché anch’egli sopportava simili disagi». La sua preoccupazione<br />

per i fratelli impegnati nel lavoro dei campi, tuttavia, era sempre attenta e premurosa;<br />

<strong>al</strong> riguardo, in molti ricordavano l’umiltà del conte Guglielmo, che – fattosi<br />

monaco ad imitazione di Benedetto – sulla groppa di un asino portava spesso un<br />

barilotto di vino ai monaci impegnati nella mietitura, su comando del superiore 4 .<br />

Il quadro agiografico del ‘padre’ del monachesimo riformato carolingio non<br />

poteva escludere, natur<strong>al</strong>mente, il più classico degli interventi miracolosi. Si racconta<br />

infatti che un giorno, mentre era diretto verso il monastero di Menat, si<br />

fermò presso una piccola dipendenza del medesimo cenobio, già sede di <strong>al</strong>cuni dei<br />

suoi religiosi, poi trasferitisi in Alvernia per l’angustia del luogo. Quelli che però vi<br />

erano rimasti «per provvedere <strong>al</strong>la cella», quando videro l’abate provarono insieme<br />

grande gioia e profonda tristezza «perché vivevano in grandissima povertà. Tuttavia,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> momento che dove si trova la carità bastano anche poche cose, colui che<br />

era preposto ai confratelli ordinò ad un giovane di portare del vino. Ma questi<br />

subito rispose: “Non c’è nulla nella botticella”. I confratelli, in effetti, andandosene<br />

avevano lasciato per loro solo due modestissimi vaselli, nei qu<strong>al</strong>i c’era poco<br />

vino, con cui avrebbero dovuto celebrare le messe e riceverne nei giorni festivi una<br />

dose ciascuno. Il monaco cantiniere, saputo che non vi era vino nella botticella, se<br />

ne dolse ma aggiunse fiducioso: “Affrettati a portarcelo, perché coloro che accorrono<br />

<strong>al</strong> nostro Padre potranno bere per suo amore, e il vino non mancherà loro”.<br />

Il confratello corse e senza indugio tolse il tappo <strong>d<strong>al</strong></strong>la botticella da dove subito<br />

uscì il vino. In precedenza egli era già andato a prenderlo, ma non avendone trovato,<br />

era tornato indietro. Annunciò quanto era accaduto e coloro che erano presenti<br />

glorificarono Dio e riconobbero che ciò era avvenuto per i meriti di Benedetto.<br />

Bevvero dunque a volontà e portarono il vino con sé per benedizione.<br />

Anche Benedetto, che era presente con i suoi, ricevette quanto gli era necessario e<br />

lo portò in viaggio con sé. Dopo questi fatti la botticella cessò di dare vino» 5 .<br />

Abbiamo indugiato a lungo sulla vita dell’abate di Aniane perché in maniera<br />

paradigmatica illustra i diversi atteggiamenti del mondo monastico nei confron-<br />

4 Ibidem, p. 208, cap. 21.<br />

5 Ibidem, p. 214, cap. 31.<br />

207


208<br />

ti del vino: rifiuto, diffidente tolleranza e consumo moderato, ma anche elemento<br />

convivi<strong>al</strong>e di condivisione e comunione. Prendendo in esame le più importanti<br />

regole e consuetudines monastiche, tanto orient<strong>al</strong>i quanto occident<strong>al</strong>i, t<strong>al</strong>i<br />

aspetti emergono tutti e, sia pure in modo diverso, sotto questo particolare punto<br />

di vista rappresentano una sintesi dell’ascetismo cristiano per l’intero periodo<br />

mediev<strong>al</strong>e e anche oltre.<br />

Ciò significa che per quanto «il vino non sia affatto per i monaci», secondo la<br />

sentenza dell’abate Pastore 6 , non è certo possibile avviare una crociata indiscriminata<br />

contro una bevanda che, per esprimerci con Pier Damiani, essendo una<br />

creatura di Dio è da ritenere senz’<strong>al</strong>tro buona, «ma sappiamo bene che a noi monaci<br />

– scrive nella lettera <strong>al</strong>l’eremita Guglielmo – viene prescritto di porre in seconda<br />

linea vino, carne, matrimonio e molte <strong>al</strong>tre simili cose, così che, astenendoci<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le creature, possiamo maggiormente piacere <strong>al</strong> Creatore» 7 . La rinuncia monastica<br />

cioè – anche quella <strong>al</strong> frutto della vite –, non è mai fine a se stessa, <strong>al</strong> contrario<br />

è l’espressione di una scelta spiritu<strong>al</strong>e che, grazie anche a digiuno e astinenza,<br />

consente un più rapido e intenso avvicinamento a Dio.<br />

Il vino non è fatto per i monaci<br />

La diffidenza nei confronti del vino e delle <strong>al</strong>tre bevande inebrianti, sin dai padri<br />

del monachesimo orient<strong>al</strong>e, si basava innanzitutto sulla sacra scrittura, ma <strong>al</strong>l’esortazione<br />

paolina di evitare ogni eccesso di vino (Ef 5, 18), faceva da contrappeso<br />

l’invito della 1 Lettera a Timoteo (5, 23) di smettere di bere solo acqua e di assumere<br />

un po’ di vino per facilitare la digestione e aiutare la s<strong>al</strong>ute cagionevole 8 . Su questa<br />

linea troviamo l’abate egiziano Pacomio (292-346), ispiratore di numerose comunità<br />

cenobitiche, che vietava ai suoi monaci il vino <strong>al</strong>la stregua dei bagni e della carne,<br />

consentendolo però ai fratelli infermi; metteva quindi in guardia il preposito<br />

6 Vitae Patrum,in Patrologia latina [= PL], 73, col. 868, lib. V,cap.4,31.<br />

7<br />

PIER DAMIANI, Lettere (1-21), a cura di G.I. Gargano, N. D’Acunto, traduzione di A. Dindelli, L.<br />

Saraceno, C. Somigli, Roma 2000 (Opere di Pier Damiani, 1/1), pp. 271-273 lettera 10.<br />

8 Cfr. Ef 5, 18: «Non ubriacatevi di vino, perché ciò vi porta <strong>al</strong>la rovina» (i testi che condannano l’eccesso<br />

di vino, l’ubriachezza e le sue deleterie conseguenze sono numerosi: 1 Tim 3, 3.8; 1 Cor 5, 11; 6,<br />

10; 1 Tess 5, 7; Tt 1, 7, ecc.); inoltre, 1 Tim 5, 23: «Smetti di bere soltanto acqua; prendi un po’ di vino<br />

per favorire la digestione, visto che sei spesso m<strong>al</strong>ato», da cui conseguirebbe la liceità anche per i monaci<br />

di un impiego moderato del fermentato d’uva, sia pure limitato <strong>al</strong>le fin<strong>al</strong>ità medico-dietetiche.


<strong>d<strong>al</strong></strong> cedere <strong>al</strong>l’ebbrezza – proibendogli di «sedere accanto ai contenitori vinari della<br />

cantina» – e ribadiva di non bere vino né liquori quando si andava a visitare un<br />

parente m<strong>al</strong>ato o si era costretti a mangiare fuori <strong>d<strong>al</strong></strong> cenobio 9 .<br />

La condanna dell’ubriachezza, «<strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e vengono molte rovine» e l’accecamento<br />

della ragione, appare dunque netta; da essa derivavano i comportamenti<br />

sconsiderati e le occasioni di scan<strong>d<strong>al</strong></strong>o esemplificati <strong>d<strong>al</strong></strong>la narrazione biblica<br />

di Noè, che si addormentò nudo dopo essersi ubriacato (Gen 9, 21). Il pericolo<br />

del vino natur<strong>al</strong>mente era maggiore per chi aveva la guida di una comunità<br />

di monaci, perché «un ubriaco non può aiutare un <strong>al</strong>tro ubriaco: chi sbaglia,<br />

infatti, come mostrerà la strada a colui che ha perso la via?» 10 . Non mancava,<br />

d’<strong>al</strong>tra parte, l’invito a quanti intraprendevano la vita monastica a evitare di comportarsi<br />

come quando erano nel mondo e di non dare scan<strong>d<strong>al</strong></strong>o con atteggiamenti<br />

inopportuni 11 , sulla scorta dell’esortazione paolina ai cristiani di Corinto 12 ;<br />

da cui conseguirebbe che la scelta cenobitica doveva tradursi in uno stile di vita<br />

che interessava anche l’ambito dell’<strong>al</strong>imentazione quotidiana 13 .<br />

9 Praecepta S. Pachomii,in Pachomiana latina, a cura di A. Boon, L. Th. Lefort, Louvain 1932 (Bibliothèque<br />

de la Revue d’histoire ecclésiatique, 7), pp. 24, 29-31 capp. 45, 54 e 73; Praecepta et instituta S. Pachomii,<br />

in Ibidem, p. 58, cap. 18. Le regole e i precetti del monaco egiziano sono pubblicati in it<strong>al</strong>iano da<br />

G. TURBESSI, Regole monastiche antiche, Roma 1990 3 (Religione e società. Storia della Chiesa e dei movimenti<br />

cattolici, 15), rispettivamente pp. 11, 114, 116, capp. 45, 54, 73; p. 125, cap. 18 dei precetti. Le<br />

disposizioni di Pacomio sono riprese quasi <strong>al</strong>la lettera <strong>d<strong>al</strong></strong>la Regola orient<strong>al</strong>e, capp. 17, 1.5.44; 25, 1.8 [cfr.<br />

Les règles des saints Pères, a cura di A. de Vogüé, Paris 1982 (Sources chrétiennes [= SC], 298), pp. 472,<br />

474, 480, 482]. Inoltre, ORSIESI, Règlements,in Oeuvres de S. Pachôme et de ses disciples, traduites par L. Th.<br />

Lefort, Louvain 1956 (Corpus scriptorum christianorum orient<strong>al</strong>ium [= CSCO], 160. Scriptores Coptici,<br />

24), p. 96, righe 8-21; SCENUTE DI ATRIPE, Vita et opera omnia, a cura di H. Wiesmann, IV, Louvain<br />

1952 (CSCO 108. Scriptores Coptici, 12), p. 32, cap. 56: De vita monachorum, III.<br />

10 Epistula III: «Ad patrem monasterii Cornelium quod vocetur Mochariseos», in Pachomiana latina, pp. 80-<br />

81. In particolare, l’ubriachezza è costantemente inserita in un caratteristico elenco di vizi sul modello<br />

dei testi paolini, che si ritrova di continuo nella letteratura ellenistica cristiana, ma che appartiene anche<br />

<strong>al</strong>la tradizione del mondo giudaico ellenizzato [si veda a titolo esemplificativo, con riferimento specifico<br />

a Clemente di Alessandria, A. JAUBERT, Épître aux Corinthiens, Paris 1971 (SC 167), p. 33 e n. 1].<br />

11 Liber S. Orsiesii,in Pachomiana latina, p. 30, cap. 29.<br />

12 Cfr. 1 Cor 11, 20-21: «Ma quando vi riunite, la vostra cena non è certo la Cena del Signore! Infatti,<br />

quando siete a tavola, ognuno si affretta a mangiare il proprio cibo. E così accade che mentre <strong>al</strong>cuni<br />

hanno ancora fame, <strong>al</strong>tri sono già ubriachi».<br />

13 Praecepta S. Pachomii, cap. 73: «Nessuno osi mangiare le uve o le spighe ancora immature, perché si<br />

osservi la disciplina. E di tutte le cose che sono in campagna o nei frutteti, nessuno mangi separatamente,<br />

prima che siano offerte ugu<strong>al</strong>mente a tutti i fratelli» (TURBESSI, Regole monastiche antiche, p. 116).<br />

209


210<br />

Non dissimile è la posizione del vescovo Basilio (329 ca-379), originario della<br />

Cappadocia e tra i maggiori sostenitori del monachesimo orient<strong>al</strong>e, che, pur<br />

non facendo espressamente riferimento <strong>al</strong> vino, invitava a rifuggire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’appesantire<br />

il corpo con un eccesso di cibi e bevande per non cedere <strong>al</strong>la lussuria; «se<br />

infatti serviamo il piacere – nota nella sua regola per i monaci – non facciamo<br />

<strong>al</strong>tro che rendere dio il nostro ventre» 14 . L’esempio da seguire è invece quello del<br />

Signore, quando trovandosi nel deserto riuscì a sfamare la folla che lo attendeva<br />

soltanto con cinque pani e due pesci. Nell’episodio, rileva il vescovo di Cesarea,<br />

non c’è <strong>al</strong>cun riferimento a bevande: «ciò significa che a tutti potrebbe essere<br />

sufficiente e molto necessario l’uso dell’acqua, a meno che forse qu<strong>al</strong>cuno non<br />

abbia a riportare danno da ciò per un’infermità corpor<strong>al</strong>e; e questo t<strong>al</strong>e certamente,<br />

secondo il consiglio dell’apostolo nella lettera a Timoteo, deve guardarsi<br />

da quanto è nocivo» 15 . In <strong>al</strong>tre parole, l’astensione <strong>d<strong>al</strong></strong> vino si giustificherebbe<br />

sulla base della sua ‘superfluità’ poiché è possibile limitarsi <strong>al</strong>l’assunzione dell’acqua,<br />

«che sgorga natur<strong>al</strong>mente e basta a fronteggiare ogni necessità» 16 ; una<br />

esclusione che – tranne nel caso di infermità fisica – si applicava anche ai fratelli<br />

occupati in lavori materi<strong>al</strong>i, benché il cellerario fosse tenuto a conoscere le<br />

necessità di quanti lavoravano per porvi il giusto rimedio 17 .<br />

Il presule esprimeva così una convinzione largamente diffusa nel mondo<br />

orient<strong>al</strong>e, basti per tutti ricordare il benevolo commento di Clemente Alessandrino<br />

(150-212) 18 <strong>al</strong>le raccomandazioni dell’apostolo: «Per un corpo indebolito o<br />

m<strong>al</strong>aticcio il vino è un ricostituente, ma Paolo consiglia a Timoteo di berne solamente<br />

un poco; egli sa bene che un t<strong>al</strong>e rimedio preso in grande quantità chiamerebbe<br />

subito un <strong>al</strong>tro rimedio. La bevanda più natur<strong>al</strong>e e la più semplice per<br />

placare la sete invece è l’acqua (…). Io ammiro pertanto coloro che, avendo<br />

abbracciato una vita più austera, aspirano <strong>al</strong> rimedio della temperanza: l’acqua, e<br />

coloro che fuggono il più lontano possibile <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, come la minaccia del fuo-<br />

14<br />

BASILIO, Regulae fusius tractatae, in Patrologia graeca [= PG], 31, col. 967, interr. XIX; per la citazione<br />

specifica anche TURBESSI, Regole monastiche antiche, p. 172; inoltre, BASILIO, Regula, a cura di K. Zelzer,<br />

Wien 1986 (Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum [= CSEL], 86), pp. 47-48, cap. 9, 13.<br />

15<br />

BASILIO, Regulae fusius tractatae, interr. XVII, coll. 963-964; anche TURBESSI, Regole monastiche antiche, p. 173.<br />

16 BASILIO, Regulae fusius tractatae, interr. XIX, coll. 966-967.<br />

17 BASILIO, Regulae brevius tractatae, PG, 31, col. 1171, interr. CXXXV.<br />

18 CLEMENTE DI ALESSANDRIA, Le Pédagogue, a cura di C. Mondésert, H.-I. Marrou, II, Paris 1965 (SC<br />

108), p. 47, lib. II, cap. 19, 1-2, anche per la citazione successiva.


co». Si dilunga poi in suggerimenti di carattere pedagogico: «È cosa buona che i<br />

giovani e le giovani si astengano il più possibile da questo intruglio, perché non<br />

conviene versare il più c<strong>al</strong>do dei liquidi, il vino, su un’età già bollente: ciò significherebbe<br />

mettere fuoco sul fuoco». Tuttavia, <strong>al</strong>la moderazione necessaria ai<br />

giovani – secondo le nozioni medico-fisiologiche del tempo –, fa da contrappeso<br />

l’apertura verso un maggiore consumo da parte dei vecchi: «A coloro che<br />

hanno già superato il pieno vigore degli anni, permettiamo più volentieri di<br />

prendere delle bevande: <strong>al</strong> raffreddamento dell’età, che è una sorta di esaurimento<br />

dovuto <strong>al</strong> tempo, esse recano senza danno il fuoco vivente che si trova<br />

nel rimedio prodotto <strong>d<strong>al</strong></strong>la vite (…), purché anche per loro il limite nel bere<br />

rimanga quello di conservare fermo il ragionamento, attiva la memoria e il corpo<br />

<strong>al</strong> riposo <strong>d<strong>al</strong></strong>l’agitazione e dai tremori provocati <strong>d<strong>al</strong></strong> vino».<br />

Il problema dell’uso del vino, per tornare <strong>al</strong>le argomentazioni di Basilio, poteva<br />

semmai presentarsi quando in monastero giungevano dei forestieri che non<br />

conoscevano gli usi conventu<strong>al</strong>i; ma anche simili circostanze non dovevano giustificare<br />

l’introduzione di una dispensa <strong>d<strong>al</strong></strong>la regola. Infatti, se ad essere accolto<br />

era un fratello che conosceva le abitudini <strong>al</strong>imentari dei cenobiti, il problema non<br />

si poneva; <strong>al</strong> contrario se si trattava di un laico, a cui sarebbero potute risultare<br />

difficili t<strong>al</strong>i consuetudini, «gli si doveva mostrare con l’esempio ciò che non avrebbe<br />

capito con le parole» 19 . Anche nella lettera XXII, Basilio, pur non vietando in<br />

modo categorico di bere vino, denuncia il rischio di ogni abuso che conduce <strong>al</strong>l’ubriachezza;<br />

di conseguenza, solo la temperanza permette di bere e mangiare senza<br />

essere sopraffatti <strong>d<strong>al</strong></strong>la voluptas incontrollabile, compiendo ogni cosa per la gloria<br />

di Dio 20 . D’<strong>al</strong>tra parte, <strong>al</strong>imentarsi a sazietà e appesantire il corpo di cibo e di<br />

vino in eccesso, aveva controindicazioni medico-dietetiche molto nette perché<br />

causava quelle fantasie e pulsioni notturne che potevano indurre <strong>al</strong> peccato 21 .<br />

Cedere <strong>al</strong>l’ebbrezza, <strong>al</strong>lora, significava lasciare il posto ai vizi peggiori, qu<strong>al</strong>i fornicazione,<br />

cupidigia, idolatria, m<strong>al</strong>dicenza, rapacità, poiché si codificava come un<br />

cedimento ai desideri corporei, oltre che una disobbedienza <strong>al</strong>la legge divina 22 .Se<br />

19 BASILIO, Regulae fusius tractatae, interr. XX, coll. 970-971.<br />

20 BASILIO, Epistula XXII, PG, 32, coll. 290-294, la lettera, diretta secondo la tradizione ai monaci, in<br />

re<strong>al</strong>tà fu scritta per i suoi fedeli.<br />

21 Ibidem, coll. 290-291 e cap. 3, col. 294.<br />

22 Il riferimento a 1 Cor 5, 9-11 è chiaramente espresso da BASILIO, Regulae brevius tractatae, interr.<br />

CXXIV, coll. 1166-1167, anche interr. CCLXIX, col. 1267 con riferimento a Ef 2, 3 e G<strong>al</strong> 5, 19-21.<br />

211


212<br />

qu<strong>al</strong>cuno tra i fratelli, pertanto, prendeva cibo e beveva in modo smodato, andava<br />

ripreso e punito affinché ciò non diventasse motivo di scan<strong>d<strong>al</strong></strong>o 23 .<br />

Nel deserto della Tebaide, d’<strong>al</strong>tra parte, Antonio (250 ca-356) aveva lasciato<br />

ai suoi seguaci un esempio di vita molto austero, essendosi nutrito solo di pane<br />

e acqua, mentre carne e vino erano assolutamente esclusi 24 ; lo stesso regime <strong>al</strong>imentare<br />

caratterizzava la dieta dei monaci descritti da Giovanni Crisostomo 25<br />

(345 ca-407), il qu<strong>al</strong>e adottò questo comportamento quando era monaco a<br />

Gerus<strong>al</strong>emme e, secondo il suo biografo, continuò a bere solo acqua anche<br />

quando divenne vescovo di Costantinopoli 26 . Non dissimile era il rigore dei<br />

monaci copti, secondo l’abate Scenute, i qu<strong>al</strong>i, persino in caso di m<strong>al</strong>attia, permettevano<br />

solo a fatica – in quanto l’infermo doveva farne esplicita richiesta –<br />

«paululum vini» 27 . Una linea di forte rigorismo ascetico era similmente seguita<br />

dai cenobiti p<strong>al</strong>estinesi: «I monaci non bevano vino per non bestemmiare – prescriveva<br />

il vescovo di Edessa Rabbûlâ († 435/6) – e rifuggano in ogni caso <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

comprarne e <strong>d<strong>al</strong></strong> berne» 28 , mentre per l’abate Isaia l’Anziano il divieto di bere<br />

vino non dipendeva <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che fosse in sé un m<strong>al</strong>e, ma perché poteva far perdere<br />

la «temperanza»; un uso incontrollato poi stimolava le passioni, <strong>al</strong>lontanando<br />

l’anima <strong>d<strong>al</strong></strong> «timore del Signore» 29 .<br />

23 Ibidem, interr. LXXII, col. 1134 con riferimento a 1 Cor 10, 31-32 e 14, 40.<br />

24<br />

ATANASIO DI ALESSANDRIA, Vita Antonii, a cura di G.J.M. Bartelink, Paris 1994 (SC 400), p. 153,<br />

cap. 7, 6-7.<br />

25<br />

GIOVANNI CRISOSTOMO, Commentarius in Matthaeum evangelistam, PG, 58, col. 653, cap. 69, 3; inoltre,<br />

La Règle de saint Benoît.VI:Commentaire historique et critique (Parties VII-IX et Index), a cura di A. de Vogüé,<br />

Paris 1971 (SC 186), pp. 1159-1160.<br />

26<br />

PALLADIO, Di<strong>al</strong>ogus historicus, PG, 47, col. 39, cap. 12.<br />

27<br />

SCENUTE DI ATRIPE, Vita et opera omnia, pp. 32-34, cap. 3: De vita monachorum. L’archimandrita Scenute<br />

fu a capo del monastero Bianco per ben 83 anni, ispirandosi <strong>al</strong>la regola di san Pacomio. Per il<br />

suo cenobio, un monastero doppio, la norma <strong>al</strong>imentare di base era quella di «mangiare poco cibo e<br />

bere un bicchiere d’acqua» (Ibid., p. 32, righe 28-29); il vino era contemplato solo per i fratelli o le<br />

sorelle inferme, i qu<strong>al</strong>i tuttavia per averne dovevano richiederlo esplicitamente: «Visne paulum vini<br />

habere et bibere?»; t<strong>al</strong>e prassi però – nonostante lo stato di p<strong>al</strong>ese debolezza fisica – non era affatto<br />

incoraggiata.<br />

28 Canoni monastici, cap. 3 (cfr. TURBESSI, Regole monastiche antiche, p. 308); inoltre, sulla bevanda degli<br />

anacoreti p<strong>al</strong>estinesi anche La Règle de saint Benoît, p. 1161 e n. 473.<br />

29 Les cinq recensions de l’Ascéticon syriaque d’Abba Isaië, a cura di R. Draguet, 2 voll., Louvain 1968<br />

(CSCO 293-294. Scriptores Syri, 122-123), vol. II, pp. 286 cap. 15, 29; vol. I, p. 233, cap. 13, 19; vol.<br />

II, pp. 315-316, 318, cap. 15, 116a-b.120.


D<strong>al</strong> canto suo Evagrio di Antiochia – amico e sostenitore di Girolamo, a cui<br />

si deve la traduzione latina (374) della Vita di Antonio, scritta da Atanasio – rilevava<br />

che il desiderio di bere vino è una delle tentazioni con cui lo spirito m<strong>al</strong>igno<br />

della gola cerca di spingere il monaco ad attenuare il rigore del digiuno, affermando<br />

che l’acqua è nociva per il buon funzionamento del fegato e della milza 30 .<br />

Nel Monachikos tuttavia, <strong>al</strong> fine di contrastare lo stesso demone, raccomanda di<br />

evitare la sazietà con la fame e l’austerità; invita pertanto a nutrirsi solo di pane<br />

e acqua, giacché l’assunzione di più vivande e persino la sazietà di pane e acqua<br />

favoriscono il manifestarsi del demone, <strong>al</strong> contrario di chi è affamato 31 . Una<br />

posizione in cui è facile riconoscere l’influsso della psicologia platonica delle tre<br />

parti dell’anima e l’azione dei demoni su quella concupiscibile, presente anche<br />

nel testo dello pseudo Basilio 32 ; <strong>al</strong>la fine, però, anche Evagrio fa propria una linea<br />

più equilibrata che, pur stigmatizzando ogni eccesso, riconosce i benefici di un<br />

consumo parsimonioso e con fin<strong>al</strong>ità medic<strong>al</strong>i: «Bevi assai poco vino: quanto<br />

infatti danneggia, tanto corrobora coloro che lo bevono» 33 .<br />

Negli Apotegmata Patrum,i Detti dei Padri del deserto, stabilito che «il vino non<br />

conviene affatto ai monaci» 34 e pertanto non bisogna assumerne, neppure in<br />

caso di m<strong>al</strong>attia – in quanto mangiare e bere smodatamente reca con sé conseguenze<br />

molto pesanti, causa <strong>al</strong>tri m<strong>al</strong>i e quel decadimento mor<strong>al</strong>e che è tanto<br />

deplorevole nei laici quanto inaccettabile nei monaci 35 –, si giunge addirittura a<br />

30 EVAGRIO PONTICO, Traité pratique ou le moine, a cura di A. e C. Guillaumont, II, Paris 1971 (SC 171),<br />

pp. 511, 553; anche W. FRANKENBERG, Evagrius Ponticus, Berlin 1912, p. 476.<br />

31 FRANKENBERG, Evagrius Ponticus, pp. 536-543, capp. 15-17.<br />

32 «Multi per vinum a daemonibus capti sunt. Nec est <strong>al</strong>iquid ebrietas quam manifestissimus daemon»<br />

(PSEUDO - BASILIO, Admonitio ad filium spiritu<strong>al</strong>em, PL, 103, col. 695, cap. 14: «De crapula fugienda»).<br />

33 EVAGRIO, Capita parenetica, PG, 79, col. 1254, cap. 60. Quest’opera, attribuita <strong>d<strong>al</strong></strong>l’editore a san Nilo,<br />

è in re<strong>al</strong>tà di Evagrio Pontico (cfr. J. QUASTEN, Patrologia, II, Torino 1969, p. 507).<br />

34 Les apopthegmas des Pères. Collection systematique (chapitres I-IX), a cura di J.-C. Guy, Paris 1993 (SC 387),<br />

p. 202, cap. 4, 34: «Narraverunt quidam abbati Poemenei de <strong>al</strong>iquo monacho, qui vinum non biberet.<br />

Et dixit: Vinum omnino monachos non pertinet».<br />

35 Come dimostra l’episodio di 2 Re 25, 8 in cui si narra l’arrivo di Nabuzardan, capo cuciniere di<br />

Nabucodonosor, in seguito <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e venne dato inizio <strong>al</strong>la distruzione di Gerus<strong>al</strong>emme; testo rafforzato<br />

da Lc 21, 34, relativo <strong>al</strong> tradimento di Pietro (Les apopthegmas, p. 230, cap. 4, 90). In questa direzione<br />

si pone anche il parere dell’abate Mosè, il qu<strong>al</strong>e disse: «Per has quatuor res pollutionis passio<br />

gignitur: per abundantiam escae et potus, et satietatem somni, per otium et iocum, et ornatis vestibus<br />

incedendo» (Vitae Patrum sive Historiae Eremiticae libri decem, PL, 73, col. 1027, lib. VIII: Verba senio-<br />

213


214<br />

legare il vino con la morte dello spirito. «Celebrandosi una festa, diedero <strong>al</strong> vecchio<br />

saggio del vino in un c<strong>al</strong>ice, ma egli vedendolo esclamò: “Togli da me questa<br />

morte!”. E, di fronte a quella reazione, anche gli <strong>al</strong>tri commens<strong>al</strong>i non osarono<br />

berne» 36 . Il rifiuto perentorio del venerando abate tuttavia, se da una parte<br />

conferma il suo <strong>al</strong>to grado di ascesi, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra indica che il vino era in qu<strong>al</strong>che<br />

modo accettato e usato, sia pure con <strong>al</strong>cune restrizioni particolari. «Dicevano<br />

infatti che l’abate Pietro Pionita in Cellis non bevesse vino. Fattosi vecchio, i suoi<br />

confratelli mischiavano poco vino con acqua pregandolo di berlo. Ed egli commentava:<br />

“Crede<strong>temi</strong> solo preparato così io lo bevo”. E si scherniva di essere<br />

ormai svanito nel vino» 37 .<br />

L’età come la m<strong>al</strong>attia, dunque, non autorizzava a prendere vino – neppure<br />

annacquato per evitare di sentirne il piacere – e ogni cedimento in questa direzione<br />

veniva giudicato con severità. Ciò risulta evidente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’episodio relativo a<br />

quel fratello che, mentre mangiava con <strong>al</strong>tri nella chiesa di Kellía nel giorno di<br />

pasqua, ricevette in dono una coppa di vino; prontamente egli si rifiutò di prenderne,<br />

affermando di avere già ricevuto la medesima offerta l’anno precedente,<br />

di avere bevuto e di averne sofferto per molto tempo 38 . Come a dire che neppure<br />

la solennità liturgica pasqu<strong>al</strong>e giustificava l’assunzione di vino, benché ciò<br />

rum, cap. 2, 6); e ancora quello dell’abate Isidoro, che emetteva spesso le sue sentenze: «Si quis se in<br />

vini potationem dederit, non effugiet insidias cogitationum», dove il termine cogitatio ha una v<strong>al</strong>enza<br />

tecnica precisa nell’indicare il diavolo tentatore, con riferimento biblico a Lot che fu indotto <strong>al</strong>l’incesto<br />

dopo essersi ubriacato (Gen 19, 31-36; cfr. Les apopthegmas, p. 196 cap. 4, 23). Questi brani collocano<br />

il bere non solo tra i m<strong>al</strong>i più gravi, ma anche <strong>al</strong>l’origine di <strong>al</strong>tri peccati, per cui il consiglio<br />

perentorio di «noli pane satiari, nec desiderabis vinum», appare come una conseguenza inevitabile<br />

per i monaci che hanno scelto di rifiutare le «saecularium divitum deliciae» (Les apopthegmas, p. 212,<br />

cap. 4, 51), perché evitando di rimpinzarsi di pane si diminuirà anche il desiderio di assumere vino.<br />

36 Les apopthegmas, p. 216, cap. 4, 63. Altrettanto esplicito anche il testo seguente: un vegliardo sedeva<br />

lontano nel suo eremo, quando giunse a fargli visita un fratello; questi, trovandolo molto debilitato,<br />

gli preparò del cibo. L’anziano eremita di fronte a tanta premura gli disse: «Veramente, fratello, avevo<br />

dimenticato che gli uomini trovano conforto nel cibo». Subito quello gli offrì un c<strong>al</strong>ice di vino,<br />

<strong>al</strong>la cui vista il vecchio asceta replicò tra le lacrime: «Non mi aspettavo di bere vino fino <strong>al</strong>la morte»<br />

(Ibidem, p. 226, cap. 4, 79).<br />

37 Les apopthegmas, pp. 206-208, cap. 4, 43.<br />

38 Les apopthegmas, p. 230, cap. 4, 91. Questo rigorismo ascetico continuerà ad esercitare una grande<br />

influenza sullo sviluppo del monachesimo orient<strong>al</strong>e e slavo (cfr., ad esempio per il territorio russo, G.<br />

PASINI, Il monachesimo nella Rus’ di Kiev fino <strong>al</strong>la c<strong>al</strong>ata dei mongoli in rapporto <strong>al</strong> monachesimo bizantino,<br />

Romae 2001, pp. 71, 85-86).


avvenisse in un contesto in cui bere vino era una cosa consueta. Trova conferma<br />

il fatto però che il rifiuto del vino non è mai fine a se stesso, né l’astinenza un<br />

v<strong>al</strong>ore assoluto, ma uno strumento per uno scopo più <strong>al</strong>to, come risulta chiaramente<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> fatto capitato <strong>al</strong>l’abate Pafnunzio. Egli, che di solito non beveva vino,<br />

una volta incappò in una banda di briganti proprio mentre tracannavano <strong>al</strong>legramente<br />

da una botte appena rubata. Il loro capo, che conosceva le abitudini<br />

ascetiche del santo, presa una coppa di vino, gliela porse gridando: «Bevi, <strong>al</strong>trimenti<br />

ti uccido!». Questi obbedì prontamente, suscitando lo stupore e il subitaneo<br />

rimorso del brigante per aver provocato l’uomo di Dio; poi motivò la sua<br />

decisione di rompere l’astinenza con il desiderio di guadagnare il suo cuore <strong>al</strong>la<br />

causa divina. T<strong>al</strong>e risposta provocò immediatamente la conversione del ladrone<br />

e di tutti i suoi seguaci 39 .<br />

D<strong>al</strong> rifiuto tot<strong>al</strong>e <strong>al</strong> consumo moderato<br />

Da questi ultimi esempi appare chiaro che accanto <strong>al</strong>la rinuncia <strong>al</strong> vino, la sua<br />

gradu<strong>al</strong>e assunzione, sia pure inizi<strong>al</strong>mente con fin<strong>al</strong>ità medico-dietetiche, si<br />

andava imponendo persino negli ambienti di più stretta vita anacoretica. Così<br />

t<strong>al</strong>volta anche gli eremiti prendevano vino, specie in occasione delle loro riunioni<br />

settiman<strong>al</strong>i o delle festività liturgiche 40 , come la pasqua. Bere oltre una certa<br />

misura però era sempre m<strong>al</strong>e; bisognava <strong>al</strong>lora fissare i limiti oltre i qu<strong>al</strong>i il<br />

demonio era in agguato, senza tuttavia giungere mai <strong>al</strong>la sazietà e tantomeno<br />

<strong>al</strong>l’ubriachezza. Nella tradizione dei padri del deserto si racconta che un gruppo<br />

di monaci p<strong>al</strong>estinesi «trovò una giara di vino; uno degli anziani <strong>al</strong>lora, riempitone<br />

un piccolo bicchiere, lo portò <strong>al</strong>l’abate Sisoe, glielo porse e questi ne bevve.<br />

Similmente fece con il secondo bicchiere, ma quando provò a darglielo per la<br />

terza volta egli non lo volle accettare, dicendo: Basta fratello, non sai che è Satana?» 41 .<br />

39 Apophthegma Patrum. De abbate Paphnuntio, PG, 65, coll. 378-379, cap. 2, 20.<br />

40 Vitae Patrum, coll. 868-871, lib. V: Verba seniorum, cap. 4, 26.36.53.54 (dove il vino viene bevuto solo<br />

occasion<strong>al</strong>mente). 37 (è preso il sabato e la domenica); d’<strong>al</strong>tra parte, nella sentenza dell’abate Pastore,<br />

secondo la qu<strong>al</strong>e il vino non conviene ai monaci (Ibidem, col. 868, cap. 4, 31), viene presentato il<br />

caso di un monaco che non beveva vino, senza precisare però se si trattava di una sua abitudine consueta<br />

oppure di un’astinenza tot<strong>al</strong>e, che esercitava anche quando era in compagnia di <strong>al</strong>tri monaci.<br />

41 Les apopthegmas, p. 208, cap. 4, 44; inoltre, La Règle de saint Benoît, p. 1160 n. 470.<br />

215


216<br />

A cui si può senz’<strong>al</strong>tro accostare il lapidario detto di un anziano: «Se un monaco<br />

beve più di tre coppe, che non preghi per me!» 42 . I due testi, confermando la possibilità<br />

di bere vino, ne limitano la quantità fino a tre bicchieri ma non dicono<br />

nulla riguardo <strong>al</strong>la loro frequenza o <strong>al</strong> tempo, su cui invece insiste l’abate Isaia, il<br />

qu<strong>al</strong>e sosteneva la liceità di bere fino ad un massimo di tre coppe, oltre cui non<br />

bisognava assolutamente andare. A suo avviso era preferibile tuttavia che il vino<br />

non fosse preso dai cenobiti, tranne che in presenza di ospiti o di amici 43 .<br />

La maggiore considerazione della vita cenobitica portava così <strong>al</strong>lo sviluppo<br />

degli aspetti legati <strong>al</strong>la convivi<strong>al</strong>ità e <strong>al</strong>l’accoglienza, in cui la distribuzione di vino<br />

spicca qu<strong>al</strong>e elemento tipico della condivisione fraterna. In un’<strong>al</strong>tra occasione, a<br />

conferma che il rigore inizi<strong>al</strong>e veniva via via temperato, un monaco interrogò<br />

ancora l’abate Sisoe, chiedendogli come si dovesse comportare <strong>d<strong>al</strong></strong> momento<br />

che ogni volta che andava in chiesa nei giorni di festa, <strong>al</strong>le norm<strong>al</strong>i funzioni religiose<br />

seguiva anche un banchetto, durante il qu<strong>al</strong>e era offerto del vino senza che<br />

egli potesse sottrarsi <strong>d<strong>al</strong></strong> prenderne. In particolare, il suo cruccio maggiore era<br />

quello di sapere se essendosi recato di sabato o di domenica e avendo bevuto tre<br />

bicchieri, t<strong>al</strong>e quantità non fosse eccessiva. Al che gli rispose semplicemente<br />

l’anziano asceta: «Si non sit Satanas, multum non est!» 44 . Il problema non stava<br />

nel bere, ma nella capacità di autocontrollo e nel desiderio del piacere.<br />

Altrove si racconta invece, riguardo <strong>al</strong>l’abate Macario, che quando c’era del<br />

vino e gliene veniva offerto egli lo beveva, ma «per ogni bicchiere si asteneva <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

bere l’acqua per un giorno». Come a dire che, per quanto tollerata, l’assunzione<br />

di vino restava un comportamento quantomeno inopportuno, i cui effetti andavano<br />

‘espiati’ mediante gesti di rinuncia adeguati; non meno importante, però,<br />

appare anche l’aspetto della carità fraterna, in virtù della qu<strong>al</strong>e Macario beveva<br />

per non contristare i confratelli che gliene davano, i qu<strong>al</strong>i compresolo «non<br />

42 Les apopthegmas, p. 234, cap. 4, 98. Il riferimento <strong>al</strong>le tre coppe ha una precisa matrice letteraria nel<br />

noto frammento 94 del commediografo Ebulo (IV sec. a. C.), ripreso anche da M. MONTANARI, Convivio.<br />

Storia e cultura dei piaceri della tavola <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità <strong>al</strong> medioevo, Roma-Bari 1989, pp. 17-18, che ne<br />

riporta il testo: «Tre coppe di vino, non di più, stabilisco per i bevitori assennati. La prima per la s<strong>al</strong>ute<br />

di chi beve; la seconda risveglia l’amore e il piacere; la terza invita <strong>al</strong> sonno. Bevuta questa chi vuol<br />

essere saggio, se ne torna a casa. (…) Il vino versato troppo spesso in una piccola tazza taglia le gambe<br />

<strong>al</strong> bevitore».<br />

43 Les cinq recensions, I, pp. 17, cap. 5, 4; 146, cap. 10, 66, si ripropone qui il tema della carità e dell’accoglienza<br />

verso poveri, pellegrini o forestieri che la chiedono.<br />

44 Les apopthegmas, p. 208, cap. 4, 45.


amplius ei porrigebant» 45 . Le esemplificazioni a questo punto potrebbero moltiplicarsi<br />

senza modificare l’orizzonte che si è andato delineando.<br />

Presso i cenobiti egiziani, descritti da san Girolamo (347 ca-420), il vino era<br />

riservato ai vecchi e permesso ai m<strong>al</strong>ati 46 ; ma il santo di origini <strong>d<strong>al</strong></strong>mate ritorna più<br />

volte sulla questione mostrando, insieme agli aspetti più squisitamente spiritu<strong>al</strong>i,<br />

anche quelli di carattere dietetico funzion<strong>al</strong>i <strong>al</strong> controllo della sessu<strong>al</strong>ità e basati<br />

sulle nozioni di fisiologia medica del tempo. Le scelte dietetiche infatti erano dettate<br />

da precise convinzioni di carattere medico, nelle qu<strong>al</strong>i erano ben c<strong>al</strong>colati gli<br />

effetti di inibizione indotti <strong>d<strong>al</strong></strong> digiuno e la capacità dei diversi <strong>al</strong>imenti di incidere<br />

sulle pulsioni della carne 47 ; queste conoscenze, unite spesso ad influssi neoplatonici<br />

tipici degli ambienti ellenistici, erano orientative nella determinazione di una dieta<br />

“disseccante” e nel consumo di <strong>al</strong>imenti “freddi” <strong>al</strong> fine di mettere un freno <strong>al</strong>la<br />

sessu<strong>al</strong>ità nelle diverse fasi della vita, che trovava origine e vigore negli umori c<strong>al</strong>di<br />

e umidi. Ciò era di capit<strong>al</strong>e importanza per coloro che avevano deciso, tra le <strong>al</strong>tre<br />

cose, di vivere in castità. Di qui il consiglio gener<strong>al</strong>e di Girolamo: «Mantieni un<br />

regime <strong>al</strong>imentare ridotto, il tuo ventre senta sempre lo stimolo della fame, piuttosto<br />

che digiunare tre giorni di fila: è molto meglio mangiare un po’ ogni giorno, che<br />

mangiare raramente ma a sazietà» 48 . Il vino pertanto andava rifuggito come il veleno,<br />

secondo la raccomandazione <strong>al</strong>la vergine Eustochio, perché risc<strong>al</strong>da i corpi; ciò<br />

45 Les apopthegmas, p. 200, cap. 4, 29.<br />

46<br />

GIROLAMO, Epistulae, a cura di I. Hilberg, I, Vindobonae 1996 (CSEL 54), pp. 198-199, epist. 22,<br />

35; anche lo scrittore latino cristiano Sulpicio Severo ricorda in proposito che a Marmoutier il vino<br />

era consentito solo ai m<strong>al</strong>ati [SULPICIO SEVERO, Vita Martini, a cura di J. Fontaine, Paris 1967 (SC<br />

133), p. 274, cap. 10, 7].<br />

47 A proposito del rapporto tra la rinuncia del cibo e l’ascesi monastica, si vedano le considerazioni<br />

di M. MONTANARI, Alimentazione e cultura nel <strong>Medioevo</strong>, Roma-Bari 1988 (Quadrante, 18), pp. 64-70;<br />

ID., L’<strong>al</strong>imentazione contadina nell’<strong>al</strong>to <strong>Medioevo</strong>, Napoli 1979 (Nuovo medioevo, 11), pp. 266-267, 288,<br />

466-467 con riferimento <strong>al</strong>le regole monastiche; per l’importanza invece dell’<strong>al</strong>imentazione nel controllo<br />

della sessu<strong>al</strong>ità, si veda A. ROUSSELLE, Sesso e società <strong>al</strong>le origini dell’età cristiana, Roma-Bari 1985,<br />

pp. 141-176; mentre per l’esame di una fonte medica, in relazione agli effetti del vino sulla complessa<br />

fisiologia corporea – concetti, come si è visto, diffusamente presenti anche nella tradizione monastica<br />

più antica – descritti da Girolamo Conforti (1570) e sulla sopravvivenza nella prima età moderna<br />

della tradizione antica, si veda G. ARCHETTI, Intorno <strong>al</strong> vino mordace o «spumante», in Libellus de vino<br />

mordaci ovvero le bollicine del terzo millennio, a cura di G. Archetti, Brescia 2001, pp. 9-26, il testo del<br />

Libellus del Conforti è pubblicato <strong>al</strong>le pp. 43-57; più in gener<strong>al</strong>e sulla complessa fisiologia mediev<strong>al</strong>e<br />

e le fonti medico-dietetiche, in relazione <strong>al</strong>l’uso e agli effetti del vino, si rimanda <strong>al</strong> contributo di A.<br />

Albuzzi in questo volume e <strong>al</strong>la bibliografia ivi citata.<br />

48<br />

GIROLAMO, Epistulae, I, p. 200, epist. 22, 35<br />

217


218<br />

è tanto più pericoloso quanto l’età è giovane e ardente a motivo del vigore della<br />

crescita, mentre nella vecchiaia, così come per i m<strong>al</strong>ati, si poteva trarne giovamento<br />

nella misura in cui il c<strong>al</strong>ore del vino rimetteva in movimento i freddi e rinsecchiti<br />

umori corporei 49 . I veri monaci tuttavia, secondo Girolamo 50 , si accontentavano<br />

di semplice acqua fredda, benché colpiti da infermità.<br />

Giovanni Cassiano (360 ca-435), le cui opere sono un ponte tra la tradizione<br />

del monachesimo orient<strong>al</strong>e e quello occident<strong>al</strong>e, metteva in guardia da tutti gli<br />

eccessi <strong>al</strong>imentari e soprattutto nei confronti della carne e del vino – che pure<br />

accetta per i m<strong>al</strong>ati –, muovendo da un ragionamento preciso: se anche il pane,<br />

secondo le scritture (Ez 16, 49), può corrompere l’uomo, quanto più lo potranno<br />

la carne e il vino? 51 Di fronte ai pericoli della gola è difficile fissare un limite<br />

v<strong>al</strong>ido per tutti, ma ciascuno a seconda del tempo, della s<strong>al</strong>ute, dell’età e della<br />

condizione è tenuto a mortificarsi, poiché la perfezione sta nel cibarsi per vivere,<br />

e non per soddisfare il piacere, giacché «chi non ha saputo frenare i desideri<br />

del suo ventre non può neutr<strong>al</strong>izzare il fuoco della sua concupiscenza» 52 .La<br />

temperanza è dunque il criterio di riferimento da seguire, da cui consegue che «è<br />

più ragionevole mangiare ogni giorno cum moderatione che a interv<strong>al</strong>li fatti di lunghi<br />

ed estenuanti digiuni» 53 . La crapula, l’ubriachezza e l’attaccamento <strong>al</strong>le cose<br />

materi<strong>al</strong>i impediscono di elevarsi a Dio; più che il divieto assoluto di bere vino,<br />

<strong>al</strong>lora, va coltivata la sobrietà e la continenza 54 . L’astinenza perpetua <strong>d<strong>al</strong></strong> vino<br />

infatti, pur essendo senza dubbio una cosa buona, può essere temperata senza<br />

danneggiare l’ascesi monastica 55 ; nessuna deroga invece nei confronti dell’ebbrezza,<br />

giacché la gola è la radice di tutti i m<strong>al</strong>i 56 .<br />

49<br />

GIROLAMO, Epistulae, I, pp. 154-157, epist. 22, 8-9; pp. 433-435, epist. 52, 11; pp. 475-477, epist.<br />

54, 9-10; (SC 56/1), p. 148, epist. 127, 4.<br />

50<br />

GIROLAMO, Epistulae, I, p. 153, epist. 22, 7.<br />

51<br />

GIOVANNI CASSIANO, De institutis coenobiorum, a cura di J.-C. Guy, Paris 1965 (SC 109), pp. 198-200,<br />

cap. 6.<br />

52<br />

GIOVANNI CASSIANO, De institutis coenobiorum, pp. 196-198, libro 5, cap. 5, 1-2; 202, cap. 8.<br />

53 Che inevitabilmente spingono a riempirsi di cibo e bevande in modo disordinato (GIOVANNI CAS-<br />

SIANO, De institutis coenobiorum, p. 205, libro 5, cap. 9; 228-230, capp. 22-23).<br />

54 GIOVANNI CASSIANO, Conlationes, a cura di E. Pichery, Paris 1958 (SC 54), pp. 43-45, conl. 9, cap. 5.<br />

55 GIOVANNI CASSIANO, Conlationes, p. 281, conl. 17, cap. 28.<br />

56 GIOVANNI CASSIANO, Conlationes, pp. 194, 212, 216, conl. 5, capp. 6.20.26. Sulla condanna ecclesiastica<br />

dell’ubriachezza, v. il bel saggio di R. Bellini in questo volume; inoltre, ID., Intorno <strong>al</strong>l’ebbrezza:


P<strong>al</strong>ladio (363 ca-430 ca) invece, vescovo di Elenopoli, la cui posizione appare<br />

influenzata da Girolamo, rimprovera quei monaci che si abbandonano «ai dolori<br />

intestin<strong>al</strong>i e <strong>al</strong> vino», preferendo quelli che bevono con coscienza come aveva fatto<br />

il Signore, anche perché nulla sarebbe più funesto di una sorta di orrore manicheo<br />

o gnostico nei confronti di una creatura di Dio, e nella descrizione degli asceti<br />

della montagna della Nitria presenta un contesto soci<strong>al</strong>e dove il vino era presente<br />

e venduto; ciò non toglie, ovviamente, che l’unico motivo per prendere del vino<br />

restava quello della m<strong>al</strong>attia 57 . In questo clima del tutto mutato, non stupisce se<br />

Agostino di Ippona (354-430), a differenza del suo confratello Crisostomo, beveva<br />

vino a tutti i pasti e il suo Ordo monasterii preveda che «<strong>al</strong> sabato e <strong>al</strong>la domenica<br />

chi vuole possa avere del vino» 58 ; inoltre, un passo della Vita di Ilario di Arles lascia<br />

intendere che i monaci chierici di quella città facevano onore senza troppe remore<br />

<strong>al</strong> frutto della vite 59 . T<strong>al</strong>uni agiografi, infine, es<strong>al</strong>tano l’astinenza dei loro eroi –<br />

si pensi a Lupicino o a Fulgenzio –, ma ciò viene fatto in un contesto in cui appare<br />

del tutto norm<strong>al</strong>e che i cenobiti abbiano del vino sulla loro mensa 60 .<br />

Le comunità femminili sono sulla medesima linea: la Regula sanctarum virginum di<br />

Cesario (470 ca-542), vescovo di Arles, consente l’uso del vino <strong>al</strong>le monache del-<br />

sant’Ambrogio e la cultura pagana, «Aevum. Rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche», 75<br />

(2000), pp. 163-177.<br />

57<br />

PALLADIO, La Storia Lausiaca, a cura di C. Mohrmann, G.J.M. Bartelink, M. Barchieri, Milano 1974,<br />

pp. 39-41, cap. 7, 3-4.<br />

58<br />

POSSIDIO, Vita Augustini, PL, 32, coll. 51-52, cap. 22; TURBESSI, Regole monastiche antiche, p. 292; La<br />

régle de saint Augustin, I. Tradition manuscrite, a cura di L. Verheijen, Paris 1967 (Études augustiniennes,<br />

29), p. 150, cap. 7, 28-29; è interessante notare che in un manoscritto di area tedesca del XII secolo (il<br />

Vindobonense B.N. 2207, proveniente forse da Rottenbuch) accanto <strong>al</strong> vino si ha il riferimento <strong>al</strong>la<br />

birra: «Cotidie ut consuetudo est loci illius vinum et cervisiam accipiant» (Ibidem, pp. 134, 150); mentre<br />

la possibilità di bere vino è presente anche in una versione più tarda destinata <strong>al</strong>le monache spagnole:<br />

«VIIII. Sabbatum et Dominicum sicut constitutum est, qui volunt vinum accipiant, et qui nolunt<br />

non sunt reprendende» (Ibidem, p. 141, dove qui sta evidentemente per quae). Rimane tuttavia la limitazione<br />

di evitare di mangiare e bere fuori <strong>d<strong>al</strong></strong> monastero senza permesso (Ibidem, p. 151, cap. 8).<br />

59<br />

ONORATO DI MARSIGLIA, Vita S. Hilarii Arelatensis, a cura di P.-A. Jacob, Paris 1995 (SC 404), p.<br />

114, cap. 11; l’opera resta tuttavia di incerta attribuzione (cfr. Clavis Patrum latinorum, a cura di E.<br />

Dekkers, Ae. Gaar, Steenbrugis 19953 , p. 180 nr. 506).<br />

60 Cfr. La Règle de saint Benoît, p. 1162; per il riferimento ai testi: Vita vel regula sanctorum patrum Romani,<br />

Lupicini et Eugendi monasteriorum Jurensium abbatum, a cura di F. Martine, Paris 1968 (SC 142), p. 312,<br />

cap. 66-67; FERRANDO, Vita Fulgentii, PL, 65, coll. 123, 136, cap. 6, 13; 19, 38. Per l’uso del vino in<br />

ambito agiografico, si rimanda <strong>al</strong> puntu<strong>al</strong>e contributo di P. Tomea in questo volume.<br />

219


220<br />

la sua città, senza rinunciare <strong>al</strong>l’austerità e <strong>al</strong> rigore; «soprattutto vi scongiuro –<br />

scrive il presule – <strong>al</strong> cospetto di Dio e dei suoi angeli che nessuna di voi compri<br />

del vino nascostamente o lo riceva, da qu<strong>al</strong>unque parte venga inviato. Se però<br />

gliene viene mandato, le portinaie lo prendano <strong>al</strong>la presenza della badessa o della<br />

priora e lo consegnino <strong>al</strong>la cantiniera. Questa poi lo dispensi <strong>al</strong>la sorella cui è<br />

stato mandato, nella misura che conviene <strong>al</strong> suo stato di s<strong>al</strong>ute; e poiché capita<br />

ordinariamente che la dispensa del monastero non abbia sempre del vino buono,<br />

spetterà <strong>al</strong>la sollecitudine della superiora provvedere t<strong>al</strong>e vino, affinché ne<br />

possano bere un poco le m<strong>al</strong>ate o quelle che beneficiano di un nutrimento più<br />

delicato». La fatica delle sorelle impegnate in cucina – un monastero sembra con<br />

<strong>al</strong>meno duecento religiose – era ripagata con un bicchiere di vino puro e un trattamento<br />

an<strong>al</strong>ogo, ma il regime <strong>al</strong>imentare norm<strong>al</strong>e prevedeva di solito due o tre<br />

bicchieri di vino (c<strong>al</strong>dellos), <strong>al</strong>lungato con acqua c<strong>al</strong>da, a pranzo e un paio a cena,<br />

mentre per le più giovani la razione era un poco più ridotta 61 .<br />

D<strong>al</strong>l’inizio del VI secolo, comunque, abbondano le testimonianze sul consumo<br />

abitu<strong>al</strong>e, sia pure parsimonioso, del fermentato d’uva nei monasteri e quasi<br />

tutte le regole ne parlano: Aureliano di Arles, Isidoro di Siviglia, Fruttuoso di<br />

Braga, Ferreolo di Uzès danno indicazioni precise circa i bicchieri da bere, di<br />

solito due o tre 62 , e persino il monachesimo celtico non ne è immune 63 , dove il<br />

posto del vino – come nel caso dei monaci di san Colombano – viene preso<br />

semmai <strong>d<strong>al</strong></strong>la cervogia e l’emulazione del miracolo evangelico della folla affamata<br />

lascia il posto <strong>al</strong>la trasformazione dell’acqua in… birra 64 . Dunque, se le prime<br />

61 CESARIO DI ARLES, Regula sanctarum virginum, capp. 14, 1; 30, 48; 32, 4; 71, 4-6 (citiamo <strong>d<strong>al</strong></strong>la traduzione<br />

it<strong>al</strong>iana di TURBESSI, Regole monastiche antiche, pp. 346, 350-351, 364-365).<br />

62<br />

AURELIANO DI ARLES, Regula ad monachos, PL, 68, Paris 1868, coll. 395, 406 (merum et tres c<strong>al</strong>dellos, biberes<br />

binas); ISIDORO DI SIVIGLIA, Regula monachorum, PL, 83, coll. 879-880, cap. 9, 5.9 (vinum, pocula);<br />

FRUTTUOSO DI BRAGA, Regula monachorum, PL, 87, col. 1102, cap. 5 che permette una sola potio per<br />

pasto pari a un quarto di sestario (cioè, a mezza emina), ma il sabato e la domenica viene aggiunta<br />

un’<strong>al</strong>tra potio e una terza è prevista durante feste, giungendo così <strong>al</strong>le tre potiones previste anche da Isidoro.<br />

La conferma dell’uso ormai comune del vino viene anche <strong>d<strong>al</strong></strong>la Regula Pauli et Stephani (ed. J.E.M.<br />

Vilanova, cap. 21, 17) e da quella di FERREOLO DI UZÈS (Regula ad monachos, PL, 66, col. 975, cap. 39,<br />

contro l’ubriachezza), che pure non entrano nei dettagli della distribuzione person<strong>al</strong>e giorn<strong>al</strong>iera.<br />

63 Per questi riferimenti si vedano le sintetiche indicazioni di DE VOGÜÉ in La Règle de saint Benoît, p. 1163.<br />

64<br />

COLOMBANO, Regulae, a cura di G.S.M. W<strong>al</strong>ker, Dublin 1957 (Scriptores latini Hiberniae, 2), pp. 124<br />

e 126, cap. 3 e 5; VALDEBERTO DI LUXEUIL, Regula ad virgines, PL, 88, col. 1062, cap. 10: «sicera liquoris<br />

id est cervisiae»; per il miracolo della moltiplicazione del pane e della cervogia attribuito a Colombano<br />

– «Padre, non abbiamo che due pani e un po’ di cervogia», dopo di che tutti bevvero e man-


generazioni monastiche hanno rifiutato con forza di bere vino, riservandolo solo<br />

ai m<strong>al</strong>ati, in seguito hanno adottato un regime più equilibrato che ha portato il<br />

vino in tutte le comunità cenobitiche. Il cambiamento di rotta sembra avvenire<br />

<strong>al</strong> tempo di Agostino e di P<strong>al</strong>ladio, mentre nel V secolo l’astinenza tot<strong>al</strong>e è ormai<br />

un fatto eccezion<strong>al</strong>e; non è un caso, infatti, se nella regola dei santi padri (Serapione,<br />

Macario e Pafnunzio) non se ne faccia <strong>al</strong>cuna menzione, mentre si condannano<br />

con fermezza i vizi della «gola e dell’ubriachezza» 65 . Soltanto l’austera<br />

Regula cuiusdam Patris persiste nel proibire il vino e tutte le bevande inebrianti, ma<br />

il suo carattere arcaico rende ragione di tanto rigore ascetico 66 . T<strong>al</strong>e evoluzione<br />

può dirsi conclusa nei due secoli successivi, giacché i documenti normativi – si<br />

pensi solo <strong>al</strong> Maestro e a Benedetto da Norcia – sono praticamente tutti concordi<br />

nel ratificare l’uso del vino e delle <strong>al</strong>tre bevande <strong>al</strong>coliche.<br />

La ragione di questa progressiva evoluzione è abbastanza semplice: il punto<br />

di riferimento resta il consiglio di Paolo a Timoteo che in origine è preso, per<br />

così dire, <strong>al</strong>la lettera; il vino perciò è riservato solo ai m<strong>al</strong>ati. Ma il vero problema<br />

si pone nel momento in cui le adesioni monastiche crescono e le comunità<br />

vanno organizzate secondo norme precise, che si sostituiscono <strong>al</strong> fervore inizi<strong>al</strong>e;<br />

ciò porta i monaci a una riflessione più articolata sul senso e le fin<strong>al</strong>ità dello<br />

sviluppo comunitario del monachesimo. Ci si chiede, in particolare, chi siano<br />

veramente i m<strong>al</strong>ati o i più deboli: solamente quelli che lamentano crampi <strong>al</strong>lo<br />

stomaco e frequenti indisposizioni? Ferreolo nota che tutti si rifanno <strong>al</strong> testo<br />

paolino senza che sia possibile opporre nulla di <strong>al</strong>trettanto autorevole 67 , offrendo<br />

così un’interpretazione diversa da quelle più restrittive di Pacomio, Basilio,<br />

giarono senza che i contenitori si svuotassero –, a cui si deve aggiungere quello della conservazione<br />

di una botte di cervogia che il cellerario aveva improvvidamente lasciato aperto, vedi GIONA, Vita<br />

sancti Columbani abbatis et disciplinarum eius, ed. B. Krusch, MGH, Scriptorum rerum merovingicarum, IV,<br />

Hannoverae - Lipsiae 1902, pp. 102, 82, 84, capp. 27, 16 e 17; per questi ultimi riferimenti anche M.<br />

MONTANARI, La fame e l’abbondanza. Storia dell’<strong>al</strong>imentazione in Europa, Roma-Bari 1997, p. 28. La birra<br />

o cervogia, pur essendo una bevanda-<strong>al</strong>imento tipica dell’Europa settentrion<strong>al</strong>e, è attestata anche in<br />

SCENUTE DI ATRIPE, Vita et opera omnia, p. 33: «non parabitur cervisia neque ulla unquam coquetur<br />

res in communitate monacharum», e di essa dà conto anche Isidoro di Siviglia (ISIDORO DI SIVIGLIA,<br />

Etymologiarum libri XX, PL, 82, col. 713).<br />

65 Les règles des saints Pères, p. 538 cap. 9.<br />

66 Regula cuiusdam Patris, PL, 66, col. 990, cap. 11; EVAGRIO, Sententiae, PL, 20, col. 1182); le motivazioni<br />

di questa impostazione restrittiva e il collegamento con le sentenze di Evagrio sono evidenziate<br />

da de Vogüé (La Règle de saint Benoît, p. 1163 e n. 485).<br />

67 FERREOLO, Regula ad monachos, col. 975, cap. 39.<br />

221


222<br />

Girolamo o Ferrando. Da parte sua, san Benedetto attribuisce invece un v<strong>al</strong>ore<br />

molto più largo <strong>al</strong>l’infirmorum imbecillitatem 68 – e sulla sua linea si pongono anche<br />

i commenti <strong>al</strong>la regola successivi –, perché ciascuno ha ricevuto un proprio<br />

dono da Dio e anche la rinuncia <strong>al</strong> vino rientra tra questi. Infatti, «coloro ai qu<strong>al</strong>i<br />

Dio dona la capacità di astenersene, riceveranno una ricompensa particolare»;<br />

il vino sembra lenire così le infermità di un corpo m<strong>al</strong>ato insieme <strong>al</strong>le debolezze<br />

umane dei monaci che non sanno privarsene (RB 40, 4.6).<br />

La misura del vino per il Maestro e secondo Benedetto<br />

Particolarmente interessante appare quindi il confronto tra la Regula Magistri e<br />

quella di Benedetto, su cui ha insistito il benedettino A<strong>d<strong>al</strong></strong>bert de Vogüé 69 ,evidenziandone<br />

le rispettive peculiarità. La misura del bere è trattata <strong>d<strong>al</strong></strong> Maestro <strong>al</strong><br />

cap. 27, testo che fin da principio sembra improntato ad una certa ‘larghezza’ ma<br />

dove nulla viene lasciato <strong>al</strong> caso, forse perché il legislatore avvertiva l’intrinseca<br />

debolezza dell’animo umano. «Non appena i fratelli si sono seduti a tavola – vi si<br />

legge in apertura –, prima di mangiare, ricevano ciascuno un c<strong>al</strong>ice di vino puro<br />

(singulos meros)» (RM 27, 1). Qui, la preoccupazione del Maestro sembra diretta,<br />

più che a prescrivere una severa astinenza – come nelle norme sul cibo (cap. 26)<br />

– ad impedire ogni ingordigia ed eccesso, tanto che neppure l’acqua deve essere<br />

bevuta con avidità (RM 27, 22-26). Contrariamente ad <strong>al</strong>tri legislatori monastici<br />

poi – si pensi a Basilio che non dà indicazioni riguardo <strong>al</strong>la misura del bere o a<br />

68 Per i riferimenti <strong>al</strong>la Regula Benedicti, si rinvia <strong>al</strong>la recente edizione contenuta in SAN BENEDETTO,<br />

La Regola con testo latino a fronte, a cura di G. Picasso, traduzione e note di D. Tuniz, Cinisello B<strong>al</strong>samo<br />

1996 (Storia della Chiesa. <strong>Fonti</strong>, 7 = d’ora in poi semplicemente RB), pp. 133-135, cap. 40, 3.<br />

69 Cfr. La Règle de saint Benoît, pp. 1142-1168: «La ration de vin (RB 40)», anche 1190-1203 per l’esame<br />

comparato delle due regole. Riguardo <strong>al</strong> testo della regola del Maestro, si veda La Règle du Maître, a<br />

cura di A. de Vogüé, I-II, Paris 1964 (SC 105-106 [= RM]); III: Concordance verb<strong>al</strong>e du texte critique conforme<br />

à l’ortographe du manuscrit P<strong>al</strong>. lat. 12205, a cura di J.-M. Clément, J. Neufville, D. Demeslay, Paris 1965<br />

(SC 107); inoltre, rinviamo <strong>al</strong>la recente edizione: Regola del Maestro, I: Introduzione, traduzione e commento<br />

a cura di M. Bozzi; II: Introduzione, testo e note a cura di M. Bozzi e A. Grilli, Brescia 1965<br />

(= BOZZI), dove è puntu<strong>al</strong>e il commento della Bozzi <strong>al</strong>le pp. 300-303 del primo volume; inoltre, per<br />

qu<strong>al</strong>che precisazione rispetto <strong>al</strong>la normativa <strong>al</strong>imentare del Maestro, cfr. anche A.M. NADA PATRONE,<br />

“Monachis nostri ordinis debet provenire victus de labore manuum”. L’ordine cistercense e le regole <strong>al</strong>imentari,in L’abbazia<br />

di Lucedio e l’ordine cistercense nell’It<strong>al</strong>ia occident<strong>al</strong>e nei secoli XII e XIII, Atti del terzo congresso storico<br />

vercellese (Vercelli, S<strong>al</strong>one Dugentesco, 24-26 ottobre 1997), Vercelli 1999, pp. 296-301.


Cassiano le cui Institutiones fissano una differente disciplina person<strong>al</strong>e (mutevole,<br />

cioè, da soggetto a soggetto: sani, m<strong>al</strong>ati, bambini, vecchi) qu<strong>al</strong>e criterio di riferimento<br />

70 – nella Regula Magistri tutto viene prescritto meticolosamente, nella convinzione<br />

che la norma comunitaria può aiutare lo sforzo verso la virtù.<br />

Di qui la complessità della casistica, speci<strong>al</strong>mente di fronte ad una bevanda<strong>al</strong>imento<br />

come il vino considerato da sempre con sospetto in ambito ascetico,<br />

che tiene conto delle variazioni stagion<strong>al</strong>i, del tempo liturgico, dell’impegno<br />

lavorativo dei monaci, delle occasioni di condivisione fraterna e di festa. Per questo,<br />

col c<strong>al</strong>do estivo che genera più sete, dopo il c<strong>al</strong>ice di vino puro inizi<strong>al</strong>e, nel<br />

qu<strong>al</strong>e si poteva intingere non più di tre bocconi del proprio pane (RM 27, 3) 71 ,<br />

seguivano quattro bevute di mixtum, v<strong>al</strong>e a dire vino temperatum con acqua c<strong>al</strong>da,<br />

che d’inverno si riducevano a tre; <strong>al</strong>la sera erano invece considerate sufficienti tre<br />

coppe di vino temperato c<strong>al</strong>do se il pranzo avveniva a mezzogiorno (cioè, a sesta<br />

nel periodo dell’anno a doppia refezione), due se il pasto era consumato a metà<br />

70<br />

TURBESSI, Regole monastiche antiche, p. 172 (= BASILIO, Regula, cap.9);GIOVANNI CASSIANO, De institutis<br />

coenobiorum, p. 230, lib. V,cap.5,23.<br />

71 La ragione era duplice: sia perché ogni monaco ne conservasse per accompagnare le restanti pietanze,<br />

sia per non peccare di voracità e scan<strong>d<strong>al</strong></strong>izzare i fratelli attirando il loro sguardo severo (cfr. anche i<br />

commenti della BOZZI, I, p. 301 e della NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis, p. 298). In particolare,<br />

riguardo <strong>al</strong>la mensura potus si veda il seguente schema distributivo risultante <strong>d<strong>al</strong></strong> cap. 27 della RM:<br />

tutto l’anno <strong>al</strong>l’inizio di ogni pasto un c<strong>al</strong>ice di vino puro (merus) a ciascuno (RM 27, 1.5)<br />

estate pranzo a sesta 4 temperati c<strong>al</strong>di (c<strong>al</strong>dos; RM 27, 5)<br />

dopo nona 1 temperato c<strong>al</strong>do (potiones, mixtus; RM 27, 13-14)<br />

tra nona e decima acqua con moderazione a seconda delle esigenze (RM 27, 21)<br />

a cena 3 temperati c<strong>al</strong>di (potiones; RM 27, 6)<br />

estate pranzo a nona 4 temperati c<strong>al</strong>di (c<strong>al</strong>dos; RM 27, 5)<br />

prima di compieta 2 temperati c<strong>al</strong>di (potiones, mixtus; RM 27, 10)<br />

dopo ogni pasto a richiesta acqua c<strong>al</strong>da temperata con pusca e iotta (RM 28, 9)<br />

inverno pranzo a sesta 3 temperati c<strong>al</strong>di (c<strong>al</strong>dos; RM 27, 27)<br />

a cena 1 temperato c<strong>al</strong>do (c<strong>al</strong>dos; RM 27, 28)<br />

inverno pranzo a nona 3 temperati c<strong>al</strong>di (c<strong>al</strong>dos; RM 27, 27)<br />

<strong>al</strong>la sera 1 temperato c<strong>al</strong>do (c<strong>al</strong>dos; RM 27, 31)<br />

tempo pasqu<strong>al</strong>e pranzo a sesta 3 temperati c<strong>al</strong>di (c<strong>al</strong>dos; RM 27, 33)<br />

a cena 2 temperati c<strong>al</strong>di (c<strong>al</strong>dos; RM 27, 33)<br />

tempo pasqu<strong>al</strong>e pranzo a sesta temperati c<strong>al</strong>di (c<strong>al</strong>dos; RM 27, 37)<br />

(ottava, giovedì<br />

e domenica)<br />

a cena 2 temperati c<strong>al</strong>di (c<strong>al</strong>dos; RM 27, 37)<br />

223


224<br />

pomeriggio (nona). Durante l’estate, per far fronte <strong>al</strong>la c<strong>al</strong>ura e <strong>al</strong>la fatica del lavoro,<br />

si poteva aggiungere un’<strong>al</strong>tra coppa di vino temperato c<strong>al</strong>do dopo l’ora nona,<br />

se il pranzo era consumato a sesta, o dell’acqua a discrezione e a seconda del<br />

bisogno (RM 27, 5-22); nel periodo invern<strong>al</strong>e era pure concessa una bevuta ser<strong>al</strong>e<br />

in sostituzione della cena (RM 27, 28-29). Inoltre, per coloro che soffrivano<br />

maggiormente la sete era permessa l’assunzione di un bocc<strong>al</strong>e capiente, <strong>al</strong>la fine<br />

del pasto princip<strong>al</strong>e, di acqua o di una bevanda più dissetante a base di aceto o<br />

di vino acidulo (pusca), oppure aromatizzata con erbe e decotti vari (RM 27, 9),<br />

che venivano preparati durante la cottura quotidiana delle pietanze (pulmentaria).<br />

La regola <strong>al</strong>imentare del Maestro dunque, nel solco di una sperimentata tradizione<br />

cenobitica e lontana <strong>d<strong>al</strong></strong> rigore di un digiuno assoluto, favoriva un’ascesi<br />

fatta di gradu<strong>al</strong>ità e di sobrietà, dove non contavano tanto gli eccessi del digiuno<br />

o le prodezze individu<strong>al</strong>i, ma l’obbedienza a misure e orari comandati, ugu<strong>al</strong>i per<br />

tutti, che era il primo passo verso il controllo della volontà, in quanto il monaco<br />

non mangiava o beveva come e quando voleva. È questo un punto basilare: provvedendo<br />

con paterna sollecitudine ai bisogni anche materi<strong>al</strong>i dei fratelli (RM 27,<br />

7) si scongiurava l’insorgere di m<strong>al</strong>contenti e abusi, purché natur<strong>al</strong>mente «si<br />

evit[asse] l’ebbrezza del vino, poiché se il corpo non è sobrio, non riesce a star<br />

meglio per l’opera di Dio e l’anima non va esente da pensieri impuri» (RM 27, 46).<br />

Ciò permetteva ai più virtuosi di esercitare nell’umiltà un’ascesi controllata e<br />

costante senza il rischio di mettersi in mostra; infatti, «se a tavola qu<strong>al</strong>cuno dei<br />

discepoli vuol rinunciare a un po’ della razione regolamentare di bevanda o del<br />

pezzo che ancora gli resta del suo pane, mostra che ama lo spirito più della carne<br />

e impone un freno di castità <strong>al</strong>la lussuria» (RM 27, 47-48). Al termine del pasto,<br />

quindi, prima di lasciare il refettorio egli sussurrava <strong>al</strong> cellerario che raccoglieva i<br />

resti delle vivande: «Prendi, e ciò che è stato negato <strong>al</strong>la carne serva a Dio» 72 .<br />

Per sostenere il suo programma penitenzi<strong>al</strong>e, <strong>al</strong> riparo tanto dagli eccessi<br />

della «vinolentiae ebrietatem» quanto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’appagamento della sazietà <strong>al</strong>imentare,<br />

in linea con la tradizione il Maestro non disdegna di ricorrere <strong>al</strong>le nozioni medi-<br />

72 «Subito il cellerario metta a parte in un recipiente questo cibo che felicemente servirà a Dio, e <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

cellerario sia messo in mano a un povero che va mendicando, come un dono aggiunto <strong>al</strong>l’elemosina<br />

del monastero» (RM 27, 49-51). Come a dire che la carità e la penitenza sono un connubio auspicabile,<br />

ma devono avvenire con umiltà e lontano dagli occhi dei fratelli per evitare le loro lodi; <strong>al</strong>l’elemosina<br />

consueta, dunque, fatta in modo ‘istituzion<strong>al</strong>e’ <strong>d<strong>al</strong></strong> cenobio (RM 16, 34-37) si aggiunge quella<br />

‘privata’ dei singoli monaci che sfugge, per il suo riserbo, <strong>al</strong>la codificazione uffici<strong>al</strong>e, ma non per<br />

questo è meno importante, e viene «messa in mano <strong>al</strong> povero come un dono» (RM 27, 51).


che per spiegare l’utilità della moderazione (ne quid nimis, RM 27, 25) laddove, per<br />

esempio, enumera i disturbi che può causare <strong>al</strong>la digestione e <strong>al</strong>la mente anche la<br />

semplice assunzione smodata di acqua 73 . Per lui la sobrietà del nutrimento serve<br />

<strong>al</strong>la custodia della castità e <strong>al</strong> controllo delle fantasie inopportune, come pure è<br />

indispensabile per una preghiera attenta e fervorosa; l’incontinenza nel mangiare<br />

e nel bere, pertanto, diventa oggetto di biasimo e dello sguardo severo dei fratelli<br />

(RM 27, 4). Un regime particolare, inoltre, è indicato per i fanciulli e per il<br />

tempo pasqu<strong>al</strong>e, mentre aggiunte di cibo e di bevanda sono previste la domenica,<br />

nei giorni di festa e in tutte quelle occasioni in cui la comunità può trarre giovamento<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza di un ospite; è <strong>al</strong>tresì facoltà del superiore aggiungere<br />

qu<strong>al</strong>cosa (quidquid) <strong>al</strong>la razione giorn<strong>al</strong>iera di cibo e di vino quando lo ritiene<br />

opportuno: «per la gioiosa carità dei giorni santi o per l’arrivo di amici» (RM 27,<br />

45), come pure nel periodo della pasqua quando può essere consentita in più una<br />

bevanda di qu<strong>al</strong>siasi genere, senza rifiutare però quello che viene donato <strong>al</strong>la<br />

comunità, «giacché se è stato offerto è potuto arrivare solo in quanto l’ha procurato<br />

il Signore» (RM 27, 38.53-54).<br />

La preghiera segnava sempre l’inizio e la fine del pasto, ma anche l’assunzione<br />

di vino era caratterizzata da un’orazione; quando infatti i monaci si sedevano<br />

a mensa, ricevuto il c<strong>al</strong>ice di vino puro (merus), lo presentavano <strong>al</strong>l’abate<br />

che lo benediceva tracciando un segno di croce. La stessa cosa succedeva nel<br />

periodo estivo quando i settimanari presentavano <strong>al</strong> superiore, prima della distribuzione<br />

fraterna, il contenitore con il vino e l’acqua (mixtus), preparato dopo l’ora<br />

nona per far fronte <strong>al</strong> c<strong>al</strong>do, per la benedizione 74 . Tuttavia, se una volta ricevuta<br />

la propria razione consueta di bevanda, qu<strong>al</strong>cuno aveva ancora sete, era<br />

tenuto a manifestarlo dicendo semplicemente <strong>al</strong> cellerario che glielo chiedeva:<br />

Benedic, cioè «Benedici», senza aggiungere <strong>al</strong>tro. Subito si mescolava (temperata) in<br />

un recipiente dell’acqua c<strong>al</strong>da con aceto o vino inacidito (pusca), oppure con un<br />

73 RM 27, 23-26: «Se però un fratello ha sete ancora a questa stessa ora nona, prima che sopraggiunga,<br />

come abbiamo detto, la decima ora, e se vorrà bere dell’acqua, non beva però a squarciagola <strong>d<strong>al</strong></strong>l’orcio,<br />

ma a misura di una coppa o di un bocc<strong>al</strong>e o di una ciotola, perché ciò che non si attiene a misura<br />

è eccessivo e ingiusto e si vedrà che procura soddisfazione di desideri, ma a danno mor<strong>al</strong>e. Infatti<br />

conforme <strong>al</strong>la sentenza che dice: «Niente di troppo», anche l’eccesso di acqua può ubriacare la mente,<br />

suscitando fantasmi di sogni, e invadere il corpo di reazioni moleste, qu<strong>al</strong>i fiotti nelle vene, brividi<br />

nelle ossa, pesantezza <strong>al</strong>le p<strong>al</strong>pebre, giramenti di testa, sonno negli occhi e continuo starnuto <strong>al</strong> naso».<br />

74 Per il riferimento <strong>al</strong>la preghiera prima di bere e <strong>al</strong>la benedizione delle bevande, cfr. RM 27, 2.20.15-<br />

16.19.29.32.<br />

225


226<br />

decotto a base di erbe (cum iotta; RM, 27, 8-9). Qu<strong>al</strong>i fossero <strong>al</strong>lora i limiti della<br />

mensura potus è lo stesso Maestro a indicarlo: «La coppa (c<strong>al</strong>ix) o il bocc<strong>al</strong>e (g<strong>al</strong>leta)<br />

con cui si farà il servizio nei vari turni di distribuzione, sia di t<strong>al</strong>e capacità che<br />

il vino, mescolato in ragione di un terzo, misuri un’emina (qui tertius impleat mixtus<br />

iminam). Ma ugu<strong>al</strong>e restando t<strong>al</strong>e misura, conviene che siano due o tre coppe<br />

o i bocc<strong>al</strong>i a disposizione per il servizio delle mense, in modo che, usando parecchi<br />

bicchieri (pocula), si possa fare la distribuzione più in fretta» (RM 27, 39-40).<br />

Da ciò sembrerebbe di capire che, giunti a tavola, i monaci ricevevano subito<br />

un c<strong>al</strong>ice di vino puro (merus) e successivamente una quantità variabile di una<br />

bevanda fatta <strong>d<strong>al</strong></strong>la miscela di acqua c<strong>al</strong>da e un terzo di vino (c<strong>al</strong>dos), questo <strong>al</strong>meno<br />

pare il senso dell’espressione «tertius mixtus», che in tot<strong>al</strong>e doveva raggiungere<br />

la misura di un’emina 75 , equiv<strong>al</strong>ente a poco più di mezzo litro circa, stabilendo<br />

così un ulteriore punto di contatto con san Benedetto che non ha riscontri<br />

nelle <strong>al</strong>tre regole (RB 40, 3). È stato notato però che, essendo la temperatio di<br />

acqua c<strong>al</strong>da e vino preparata per ogni tavola, dove di solito sedevano dieci monaci<br />

e due prepositi 76 , risulta che ogni bevuta comportava per ciascuno «1/12 di<br />

emina di vino puro ed essendo le bevute <strong>al</strong> massimo, nella c<strong>al</strong>ura estiva, otto <strong>al</strong><br />

giorno, abbiamo un tot<strong>al</strong>e di 8/12, a cui va aggiunto il c<strong>al</strong>ice inizi<strong>al</strong>e di merus. Si<br />

arriverebbe così <strong>al</strong>l’incirca a quell’emina di vino puro <strong>al</strong> giorno a testa che la RB<br />

presenta come una misura già c<strong>al</strong>colata con larghezza e sufficiente per ogni stagione»<br />

77 . Il problema natur<strong>al</strong>mente, <strong>al</strong> di là della suggestione dell’ipotesi, resta la<br />

corrispondenza con le misure attu<strong>al</strong>i e la grande variabilità metrologica che già<br />

in età tardo antica e nel medioevo si registra a livello territori<strong>al</strong>e. Inoltre, ammes-<br />

75 Il passo potrebbe però essere inteso non come «mescolato in ragione di un terzo», ma per «tre volte»<br />

fino a comprendere un’emina, secondo l’interpretazione data da Mabillon e Martène nell’edizione per<br />

la Patrologia latina (cfr. PL, 66, coll. 654, 650; RM 27, 39-40 e commento), che porterebbe a considerare<br />

l’indicazione della quantità riferibile <strong>al</strong> mixtus e non <strong>al</strong> merus. La nostra propensione per la prima ipotesi<br />

è suffragata tuttavia <strong>d<strong>al</strong></strong>le considerazioni di de Vogüé, riprese anche <strong>d<strong>al</strong></strong>la Bozzi (cfr. La Règle de saint<br />

Benoît, pp. 1143-1144; BOZZI, II, p. 292). Quanto <strong>al</strong>l’hemina, si tratta di un’antica misura di capacità per<br />

i liquidi corrispondente a mezzo sestario, mutuata dai romani <strong>d<strong>al</strong></strong>la Magna Grecia, il cui v<strong>al</strong>ore però<br />

poteva variare anche in modo significativo da regione a regione e che, già <strong>al</strong> tempo di san Benedetto e<br />

per il resto del medioevo, oscillava da un quarto a quasi un litro e anche più [in questi termini, sia pure<br />

in maniera più dubitativa si muove anche il commento del p. Lentini: S. BENEDETTO, La Regola, testo,<br />

versione e commento a cura di A. Lentini, Montecassino 19943 (prima ediz. 1947), p. 363].<br />

76 Si vedano <strong>al</strong> riguardo le indicazioni presenti in RM 23, 23-25; 27, 2.9.13.17-18.40; 18, 1.<br />

77 Cfr. BOZZI, II, p. 292.


so pure che la quantità di vino corrispondeva <strong>al</strong>l’hemina, le bevande e il mixtus<br />

messo a disposizione di ogni monaco nell’arco del giorno risultava assai più consistente<br />

e comunque da rapportare <strong>al</strong>le esigenze dei singoli.<br />

Ora, proprio questa impostazione di tipo ‘person<strong>al</strong>istico’ dell’esperienza cenobitica,<br />

risulta centr<strong>al</strong>e nella Regula di Benedetto da Norcia (ca 480-ca 547), per<br />

quanto le indicazioni normative sul consumo di vino, nel corrispondente cap.<br />

40, siano assai scarne rispetto a quelle della Regula Magistri e improntate a linee di<br />

riferimento ide<strong>al</strong>i. Nulla si dice infatti riguardo <strong>al</strong> numero dei bicchieri a persona<br />

e, anche a proposito della determinazione della quantità giorn<strong>al</strong>iera, pari ad<br />

un’emina, non si indica in <strong>al</strong>cun modo le mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di distribuzione concreta. Nel<br />

testo benedettino tuttavia i riferimenti <strong>al</strong> vino sono numerosi: <strong>al</strong> cap. 4, 36 per<br />

scongiurare il monaco a non essere vinolentus; <strong>al</strong> cap. 35, 12 per concedere ai settimanari<br />

un po’ di pane e vino prima del pasto, come corroborante nel loro servizio;<br />

<strong>al</strong> cap. 38, 10 per dare <strong>al</strong> lettore il mixtus quando si accinge a leggere durante<br />

i pasti in refettorio; quindi, <strong>al</strong> cap. 40 relativo <strong>al</strong>la misura della bevanda; <strong>al</strong> cap.<br />

46, 16 per sanzionare la punizione riservata a coloro che giungono in ritardo,<br />

consistente nella privazione della razione giorn<strong>al</strong>iera di vino; infine, <strong>al</strong> cap. 49, 5-<br />

7 per ordinare che l’astinenza quaresim<strong>al</strong>e comprenda, tra le <strong>al</strong>tre cose, anche<br />

l’ulteriore riduzione se non la rinuncia <strong>al</strong> vino.<br />

In relazione a questi passi è utile segn<strong>al</strong>are che la razione supplementare di<br />

pane, accompagnata da una bevanda di acqua e vino (biberes) per coloro che avevano<br />

il compito settiman<strong>al</strong>e dei sevizi di cucina (settimanari), ha una precisa corrispondenza<br />

in RB 38, 10-11 dove si dice che «il fratello lettore di settimana prima<br />

di iniziare a leggere beva del misto (mixtum) [e il testo prosegue: «per rispetto<br />

<strong>al</strong>la santa comunione e perché non sia troppo gravoso sopportare il digiuno,<br />

e pranzi successivamente assieme ai settimanari di cucina e agli inservienti»], <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

momento che in entrambi i casi t<strong>al</strong>e aggiunta <strong>al</strong>imentare ha lo scopo di <strong>al</strong>leviare<br />

il digiuno e rendere più efficiente il loro servizio, mentre gli <strong>al</strong>tri mangiavano.<br />

Nel brano relativo <strong>al</strong> lettore, tuttavia, è presenta la precisazione sacrament<strong>al</strong>e<br />

«per rispetto <strong>al</strong>la comunione» molto interessante, che è la trasposizione in forma<br />

meno schietta del testo della RM 24, 14: «per non vomitare il sacramento» 78 .Ciò<br />

78 Si veda <strong>al</strong> riguardo il classico commento a RB 38, 10 del p. Anselmo Lentini (cfr. S. BENEDETTO,<br />

La Regola, pp. 348-349, citaz. a p. 349), che tra l’<strong>al</strong>tro scrive: «Si noti l’<strong>al</strong>lusione <strong>al</strong>la santa Comunione,<br />

dopo la qu<strong>al</strong>e anche i fedeli solevano prendere un po’ di vino o di acqua per impedire che particelle<br />

di Sacre Specie uscissero di bocca con lo sputo o la s<strong>al</strong>iva».<br />

227


228<br />

si spiega con il fatto che il lettore norm<strong>al</strong>mente compiva il suo servizio in refettorio,<br />

subito dopo essersi comunicato durante la messa, quando era ancora a<br />

digiuno. Ma poteva accadere che durante la lettura gli si impastasse la bocca o,<br />

peggio, eiettasse accident<strong>al</strong>mente qu<strong>al</strong>che residuo del pane consacrato che gli era<br />

rimasta tra i denti. Ebbene, t<strong>al</strong>i inconvenienti potevano essere facilmente evitati<br />

con un buon bicchiere di mixtum e qu<strong>al</strong>che boccone di pane che permettevano<br />

di ripulirsi adeguatamente la bocca e la gola, scongiurando così il rischio di mancanze<br />

sacrament<strong>al</strong>i e rendendo meno pesante il perdurare del digiuno.<br />

Anche sotto il profilo penitenzi<strong>al</strong>e, la privazione del vino aveva una funzione<br />

e una gradazione precise. Per chi arrivava tardi a mensa, infatti, o non era presente<br />

insieme agli <strong>al</strong>tri fratelli per la recita del versetto era previsto il rimprovero,<br />

che dopo la seconda volta, se ciò non bastava, si tramutava in una punizione<br />

pubblica con la sua esclusione <strong>d<strong>al</strong></strong>la mensa comune, l’<strong>al</strong>lontanamento e la privazione<br />

«della sua razione di vino, fino a quando non avrà fatto penitenza e si sarà<br />

corretto» (RB 43, 13-16). La punizione – si badi – era accompagnata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’umiliazione,<br />

peggiore senza dubbio della stessa privazione, della denuncia davanti a<br />

tutti per quanto compiuto. La rinuncia <strong>al</strong> vino, però, non era solo uno degli<br />

«strumenti delle buone opere», in quanto bevendo con moderazione si evitava il<br />

pericolo della vinolentia (RB 4, 36 che riprende Sir 31, 16-17), <strong>al</strong> contrario faceva<br />

parte di quel qu<strong>al</strong>cosa in più di «preghiere e astinenza», rispetto <strong>al</strong>l’impegno consueto,<br />

che ogni monaco poteva compiere in quaresima per piacere <strong>al</strong> Signore. In<br />

questo è interessante notare come Benedetto non stabilisca una penitenza ugu<strong>al</strong>e<br />

per tutti, ma ne indichi le mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità, v<strong>al</strong>e a dire ciascun fratello «privi il suo corpo<br />

di un po’ di cibo, di bevande, di sonno, di loquacità, di discorsi volgari e attenda<br />

la santa pasqua nella gioia e nel desiderio spiritu<strong>al</strong>e» (RB 49, 7). Tra questi,<br />

titolo di merito non secondario, risultava certo la rinuncia <strong>al</strong> fermentato d’uva.<br />

Ma il capitolo di riferimento sull’uso del vino nella regola benedettina è<br />

quello dedicato <strong>al</strong>la misura della bevanda (RB 40: De mensura potus) che, anche<br />

per la sua brevità, merita di essere qui riportato per intero.<br />

«Ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un <strong>al</strong>tro» (1 Cor 7, 7) e perciò<br />

abbiamo qu<strong>al</strong>che scrupolo (cum <strong>al</strong>iqua scrupolositate) a stabilire la quantità del cibo<br />

<strong>al</strong>trui. Tuttavia, tenendo presente le necessità dei più deboli (infirmorum imbecillitatem), riteniamo<br />

che a ciascuno sia sufficiente un’emina di vino (eminam vini) <strong>al</strong> giorno. Ma coloro<br />

ai qu<strong>al</strong>i Dio dona la capacità di astenersene, sappiano che riceveranno una ricompensa<br />

particolare. Se le esigenze loc<strong>al</strong>i, il lavoro o il c<strong>al</strong>do dell’estate ne richiedessero una quantità<br />

maggiore, sia in potere del superiore concederla, badando sempre di evitare a tutti la<br />

nausea o l’ubriachezza. È vero che si legge che «il vino non è affatto per i monaci» (Vitae


patrum, V, 4), ma poiché oggi (nostris temporibus) essi non sanno più convincersene, possiamo<br />

<strong>al</strong>meno (s<strong>al</strong>tem ad hoc) concordare sulla necessità di non bere fino <strong>al</strong>la sazietà, ma di<br />

farne un uso moderato (parcius), giacché «il vino fa traviare anche i saggi» (Sir 19, 2).<br />

Dove le condizioni loc<strong>al</strong>i non consentano di averne neppure nella quantità prescritta,<br />

ma molto meno o addirittura niente, i fratelli di quel luogo benedicano Dio e non mormorino.<br />

Questo soprattutto raccomandiamo: di astenersi di mormorare.<br />

D<strong>al</strong> testo appare chiara fin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’inizio l’importanza delle differenze individu<strong>al</strong>i, a<br />

conferma di una impostazione caratteristica della regola, che si avv<strong>al</strong>e di una<br />

solida «armatura biblica» 79 , qu<strong>al</strong>e premessa dell’intero dispositivo normativo.<br />

Rifacendosi <strong>al</strong>la dottrina paolina dei carismi, infatti, Benedetto afferma di essere<br />

impossibilitato a fornire una norma v<strong>al</strong>ida per tutti perché, esattamente come la<br />

verginità – richiamata nel brano che apre il capitolo –, anche l’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino<br />

è un dono di Dio, la qu<strong>al</strong>e non può essere imposta come un obbligo mor<strong>al</strong>e, ma<br />

soltanto suggerita come rinuncia meritoria. A quanti, però, «Dio dona la capacità<br />

di privarsene» viene promessa una ricompensa (merces) particolare 80 .<br />

La diversità dei doni, dunque, risulta essere il criterio di riferimento che guida<br />

il legislatore; tuttavia, egli supera la scrupolositas inizi<strong>al</strong>e nel determinare la<br />

misura <strong>al</strong>imentare solo quando porta l’attenzione sui fratelli più deboli. Si ripropone<br />

in questo processo il medesimo schema già sperimentato nel capitolo sui<br />

m<strong>al</strong>ati (RB 36), ma l’espressione «infirmorum imbecillitatem» – che si riferisce<br />

certamente <strong>al</strong>la condizione di debolezza fisica dei m<strong>al</strong>ati, così come suggerisce il<br />

consiglio dato a Timoteo – ha una v<strong>al</strong>enza più ampia che coinvolge anche l’ambito<br />

più sfumato della condizione mor<strong>al</strong>e, nella qu<strong>al</strong>e trovano spazio le situazioni<br />

di mediocrità, di mancanza di forte slancio spiritu<strong>al</strong>e o di inappetenza nei confronti<br />

di un’ascesi rigorosa, come del resto sembrerebbero confermare <strong>al</strong>tri passi<br />

della regola in cui ricorrono i termini «imbecillitas» e «infirmitas» 81 . Applicato<br />

<strong>al</strong> vino, ciò significa che il suo uso è destinato a lenire i m<strong>al</strong>anni di un essere debi-<br />

79 La Règle de saint Benoît, p. 1153.<br />

80 RB 40, 4, dove il richiamo immediato è a GIOVANNI CASSIANO, Conlationes, cap. 24, 2, oltre a 1 Cor<br />

7, 7 e 3, 3; <strong>al</strong>trove tuttavia dice che «una ricompensa particolare» è prevista anche per chi assiste i fratelli<br />

m<strong>al</strong>ati e per quanti si adoperano nel servizio agli <strong>al</strong>tri, come nel caso dei lavori di cucina (RB 36,<br />

5; 35, 2).<br />

81 Riferimenti precisi <strong>al</strong>la condizione di infermità fisica sono presenti in RB 35, 3; 36; 37, 2; 48, 24-<br />

25, mentre <strong>al</strong>la situazione di rilassatezza o debolezza mor<strong>al</strong>e sono riferibili RB 34, 2; 64, 19; 72, 5;<br />

inoltre, La Règle de saint Benoît, pp. 1146-1147.<br />

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230<br />

litato, tanto nel corpo quanto nello spirito, mentre l’astinenza tot<strong>al</strong>e si configura<br />

come un dono <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>to.<br />

È evidente <strong>al</strong>lora che, in questa prospettiva, la razione di vino consentita è<br />

indicata solo in rapporto ai «m<strong>al</strong>ati» che ne hanno re<strong>al</strong>mente bisogno, mentre<br />

quanti stanno in buona s<strong>al</strong>ute sono mor<strong>al</strong>mente sollecitati a privarsene perché «il<br />

vino non è affatto per i monaci»; e questo non occasion<strong>al</strong>mente, ma sempre.<br />

Inoltre, mentre per il Maestro l’astinenza era uno strumento per mettere un freno<br />

<strong>al</strong>la lussuria, preferendo lo spirito <strong>al</strong>la carne, in Benedetto trova spazio solo il<br />

riferimento <strong>al</strong>la ricompensa fin<strong>al</strong>e suggerita <strong>d<strong>al</strong></strong> testo biblico: «Ciascuno riceverà<br />

la propriam mercedem secondo il suo lavoro» (1 Cor 3, 8). Il ragionamento che si<br />

sviluppa di seguito è di tipo consequenzi<strong>al</strong>e: se il vino non è per i monaci, a maggior<br />

ragione essi non dovranno berne a sazietà (usque ad satietatem) e ancor meno<br />

esporsi <strong>al</strong>l’ubriachezza (vinolentia) che è vietata a tutti i cristiani; così, <strong>al</strong>la re<strong>al</strong>tà<br />

del presente, costituita dai monaci che non sanno privarsene, sembra contrapporsi<br />

il modello ide<strong>al</strong>e della purezza ascetica del passato. Se i nostri santi padri,<br />

osserva Benedetto, «hanno recitato il s<strong>al</strong>terio in un solo giorno, noi dobbiamo<br />

<strong>al</strong>meno recitarlo in una settimana»; se i padri tracciano il programma di una vita<br />

monastica degna di questo nome, noi dobbiamo <strong>al</strong>meno osservare la piccola<br />

regola per principianti che ci è proposta. Questo «<strong>al</strong>meno», che resta implicito in<br />

RB 18 e 73, qui è detto invece espressamente (s<strong>al</strong>tem vel hoc). Nei tre passaggi –<br />

osserva A<strong>d<strong>al</strong></strong>bert de Vogüé – Benedetto lega la sua norma, presentata come il<br />

minimo indispensabile, a delle sublimità inimitabili degne di ammirazione, giacché<br />

es<strong>al</strong>tare la perfezione degli antichi sulla scorta agostiniana è ispirare «ai contemporanei<br />

una s<strong>al</strong>utare cattiva coscienza, che impedirà loro forse di trasgredire<br />

la regola e di cadere più in basso» 82 .<br />

Lo sguardo attento poi <strong>al</strong>le diverse necessitates, determinate <strong>d<strong>al</strong></strong> luogo, <strong>d<strong>al</strong></strong> c<strong>al</strong>do<br />

dell’estate e <strong>d<strong>al</strong></strong> lavoro – a loro volta dovute anche <strong>al</strong>la povertà che costringeva<br />

i monaci a lavorare per procurarsi il vino <strong>al</strong>trimenti mancante –, portano<br />

l’abate di Montecassino a considerare la possibilità di una deroga <strong>al</strong>la razione<br />

giorn<strong>al</strong>iera di vino 83 . T<strong>al</strong>e facoltà però, concessa a discrezione del superiore,<br />

82 La Règle de saint Benoît, p. 1153.<br />

83 Sono tre i casi di deroga <strong>al</strong>la norma gener<strong>al</strong>e previsti da Benedetto: rispetto <strong>al</strong>la quantità del cibo,<br />

<strong>al</strong>la quantità della bevanda e <strong>al</strong>l’orario dei pasti [cfr. le osservazioni di A. DE VOGÜÉ, Travail et <strong>al</strong>imentation<br />

dans les règles de saint Benoît et du Maître, «Revue bénédictine», 74 (1964), pp. 242-261, riprese<br />

poi in La Règle de saint Benoît, pp. 1191-1203].


appare come una dispensa data a m<strong>al</strong>incuore di fronte a effettivi bisogni della<br />

comunità che viceversa non comprenderebbe una maggiore restrizione, laddove<br />

nella Regula Magistri il supplemento era considerato come un segno di gioia e di<br />

fraterna condivisione nei giorni di festa e in presenza di ospiti. Si comprende<br />

perciò la conclusione del capitolo, ispirata ad un passo preciso della regola agostiniana<br />

84 : se il vino è una delle cose di cui hanno bisogno solo i m<strong>al</strong>ati (infirmi),<br />

dovrà r<strong>al</strong>legrarsi quella comunità che, a causa delle condizioni del luogo in cui<br />

risiede, non ne possiede nella quantità stabilita o addirittura per nulla; la sua<br />

situazione cioè sembra simile a quella del fratello che, pur ricevendo di meno in<br />

quanto ha meno bisogno, non per questo deve rattristarsi né mormorare, ma ringraziare<br />

Dio che prova la sua virtù (RB 34, 3-7; 40, 5).<br />

In <strong>al</strong>tre parole, questo sta a significare che se fa freddo e non c’è vino perché<br />

le contingenze loc<strong>al</strong>i non lo consentono – una situazione concreta adombrata<br />

in RB 35, 4 per i settimanari di cucina e in 55, 2.4 circa gli abiti e le c<strong>al</strong>zature<br />

dei confratelli – bisognerà accontentarsi, né si dovranno contrarre debiti per<br />

comprarne laddove non ce n’è e neppure per la stessa ragione si trarrà motivo<br />

per trasferire il cenobio in una regione dove si possa coltivare la vite, ma i monaci<br />

semplicemente «benediranno Dio» senza mormorare 85 . È <strong>al</strong>tresì interessante<br />

rilevare che qui, per la terza volta proprio a proposito del vino (RB 40, 1.4.8),<br />

viene invocato il nome divino; ma tre sono pure le citazioni bibliche della tradizione<br />

(1.6.7) e con la stessa simbologia numerica – tre volte – ricorre la parola<br />

vinum (3.6.7), mentre nove, cioè il suo multiplo, sono i versetti che compongono<br />

l’intero capitolo; inoltre, <strong>al</strong>meno due volte vengono ripetuti i termini «monaci»,<br />

«mensura», «necessitas loci», «donum», «satietas», «murmuratio», secondo una<br />

struttura letteraria che meriterebbe una lettura più attenta da parte dei linguisti.<br />

Nel richiamo <strong>al</strong> lavoro dei campi, però, Benedetto dà un apporto innovativo<br />

rispetto <strong>al</strong> Maestro (RM 86), che lo riteneva inadatto ai monaci, i qu<strong>al</strong>i, affaticati<br />

sotto il sole nell’impegno rur<strong>al</strong>e, avrebbero potuto perdere l’abitudine <strong>al</strong> digiuno;<br />

egli aveva limitato pertanto le loro occupazioni manu<strong>al</strong>i a opere artigian<strong>al</strong>i e<br />

di giardinaggio. Benedetto, <strong>al</strong> contrario, ritiene che si possa derogare <strong>d<strong>al</strong></strong>l’obbligo<br />

del digiuno e <strong>d<strong>al</strong></strong>la quantità del vino quando i fratelli sono impegnati nei lavo-<br />

84 RB 40, 5; ma anche 39, 6; 41, 2.4; 48, 7.8; per il riferimento ad Agostino, cfr. Regula secunda Augustini,<br />

cap. 9, 65: «Melius est minus indigere quam plus habere» [edita in D. DE BRUYNE, La première<br />

règle de saint Benoît, «Revue bénédictine», 42 (1930), p. 321; inoltre, La Règle de saint Benoît, p. 1158].<br />

85 Il monito ad evitare ogni mormorazione è presente anche in RB 34, 6; 35, 13; 41, 5.<br />

231


232<br />

ri agrari d’estate ed è necessario far fronte <strong>al</strong>la c<strong>al</strong>ura e <strong>al</strong>la fatica 86 ; convinzione<br />

nella qu<strong>al</strong>e, ancora una volta, è facile vedere la preoccupazione del legislatore per<br />

i più deboli (pusillanimes) già emersa <strong>al</strong>l’inizio del capitolo. È evidente, <strong>al</strong>lora, che<br />

il tipo di <strong>al</strong>imentazione pensata <strong>d<strong>al</strong></strong> Maestro per i suoi monaci risultava insufficiente<br />

quando <strong>d<strong>al</strong></strong> brolo del cenobio si passava ai lavori di fienagione o di mietitura<br />

svolti dai monaci agricoltori di Benedetto; non si trattava più, in <strong>al</strong>tre parole,<br />

di celebrare le feste e la venuta degli amici, ma di nutrire una comunità stanca<br />

dopo una giornata trascorsa nelle opere rur<strong>al</strong>i. La ragione tuttavia della diversa<br />

impostazione dell’attività lavorativa non è meno importante, giacché i monaci<br />

erano organizzati in modo t<strong>al</strong>e da vivere «del lavoro delle proprie mani» sull’esempio<br />

apostolico e dei padri (RB 48, 8).<br />

Significativa appare anche la differente v<strong>al</strong>utazione degli effetti dell’ebbrezza,<br />

espressa da Benedetto in termini assai vaghi e ben lontani <strong>d<strong>al</strong></strong>la precisione<br />

del Maestro: ‘sinteticità’ e ‘prolissità’ che contraddistinguono nel loro<br />

complesso le due regole. Da una parte, si condanna semplicemente l’abuso,<br />

sulla scorta del passo biblico in cui si dice che il vino in eccesso fa perdere il<br />

senno (Sir 19, 2), secondo un’impostazione ben collaudata <strong>d<strong>al</strong></strong> legislatore cassinese;<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra, le conseguenze dell’ubriachezza sono poste in relazione <strong>al</strong><br />

controllo della sessu<strong>al</strong>ità, adombrata nell’uso dei termini luxuria e libido. D<strong>al</strong>la<br />

sobrietà conseguono un maggiore fervore ascetico e il desiderio delle cose spiritu<strong>al</strong>i,<br />

mentre bevendo vino in eccesso si scatenano le basse pulsioni corporee<br />

e le fantasie impure. Resta comune, invece, il quadro normativo gener<strong>al</strong>e e il<br />

riferimento <strong>al</strong>la moderazione e <strong>al</strong>la continenza, qu<strong>al</strong>e orizzonte entro cui far<br />

crescere l’esperienza claustr<strong>al</strong>e.<br />

In ogni caso, entrambe le regole si pongono nella tradizione normativa del<br />

monachesimo del VI e VII secolo; con il suo elenco dei bicchieri da bere, infatti, il<br />

Maestro è assai vicino a Cesario, ad Aureliano e Isidoro e con tutta serenità tratta<br />

del vino considerandolo come elemento positivo 87 ; Benedetto invece, per il suo<br />

modo di introdurre l’emina, appare più vicino a Fruttuoso e il cap. 40 sembra ispirato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> dubbio e <strong>d<strong>al</strong></strong>le preoccupazioni di dover concedere quanto sarebbe stato<br />

meglio evitare, pressato <strong>d<strong>al</strong></strong>la contingenza bellica della guerra greco-gotica (535-<br />

86 La Règle de saint Benoît, pp. 1196-1197.<br />

87 Facciamo nostre qui <strong>al</strong>cune osservazioni conclusive di de Vogüé (cfr. La Règle de saint Benoît, pp.<br />

1164-1165).


553) e impossibilitato perciò a fare <strong>al</strong>trimenti 88 . È un aspetto questo molto importante<br />

su cui bisogna porre la dovuta attenzione, in quanto le difficoltà della guerriglia<br />

che <strong>al</strong>lora affliggeva la regione, giustificano le concessioni fatte da Benedetto e<br />

danno conto della ‘storicità’ della regola, concepita per il monastero di Montecassino<br />

in tempi di fame, di conflitti e penuria gener<strong>al</strong>i, dove qu<strong>al</strong>ora ci fosse stato del<br />

vino era giusto concederne un po’ anche ai suoi monaci. D’<strong>al</strong>tra parte, la citazione<br />

paolina inizi<strong>al</strong>e e quella successiva degli apotegmata manifestano la volontà del legislatore<br />

di voler essere come l’apostolo e il bisogno di riferirsi ad un modello di<br />

purezza primitiva, che sono frustrati <strong>d<strong>al</strong></strong>la condizione re<strong>al</strong>e, ma mostrano pure la<br />

sensibilità storica dell’autore. Questo modo di rapportarsi a delle origini ide<strong>al</strong>i, in<br />

effetti, per «misurare dolorosamente il cammino percorso fino “ai nostri tempi”, è<br />

uno degli aspetti più interessanti della fisionomia intellettu<strong>al</strong>e e mor<strong>al</strong>e di Benedetto»<br />

89 , che proprio nel capitolo De mensura potus dimostra una straordinaria origin<strong>al</strong>ità<br />

rispetto <strong>al</strong>le <strong>al</strong>tre regole, unita <strong>al</strong>lo sforzo di adeguamento <strong>al</strong> fluire del tempo.<br />

Così l’austera ristrettezza benedettina sembra ispirarsi <strong>al</strong> mito della perfezione<br />

del passato e <strong>al</strong> rigorismo della tradizione monastica degli antichi padri,<br />

per poi innestarsi nel solco della sacra scrittura, dove il riferimento <strong>al</strong>la prima lettera<br />

ai Corinzi conferisce un rilievo <strong>al</strong> vino che non aveva certamente nel pensiero<br />

dell’apostolo. Il senso della persona, la dottrina dei carismi, il par<strong>al</strong>lelo con<br />

il tema della castità sono concetti centr<strong>al</strong>i nel discorso di Benedetto sull’uso del<br />

vino da parte dei monaci, la cui prospettiva storica – vista proprio in rapporto<br />

<strong>al</strong>la purezza del passato – consente <strong>al</strong> suo discorso di assumere una forte v<strong>al</strong>enza<br />

attu<strong>al</strong>izzante del modello di vita cenobitico. Tanto che un commentatore<br />

moderno, parlando del vino come della tot<strong>al</strong>ità racchiusa in una parte, ha potuto<br />

notare che quel breve capitolo sulla misura del bere e sul vino racchiude in<br />

re<strong>al</strong>tà lo spirito di tutta la regola benedettina 90 .<br />

88 Sulla storicità della regola e la conseguente attenuazione del rigore ascetico dovuto <strong>al</strong>le difficoltà<br />

del momento, ha richiamato per primo e giustamente l’attenzione Giorgio Picasso: «In particolare,<br />

quanto riguarda la mitigazione della disciplina monastica, e la stessa riduzione dell’ufficio divino che<br />

Benedetto introduce rispetto ai corrispondenti testi del Maestro, si può spiegare come un segno della<br />

durezza dei tempi nei qu<strong>al</strong>i il santo è vissuto e che corrispondono agli anni della guerra greco-gotica»<br />

(G. PICASSO, Il monachesimo nell’<strong>al</strong>to medioevo, inD<strong>al</strong>l’eremo <strong>al</strong> cenobio. La civiltà monastica in It<strong>al</strong>ia <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

origini <strong>al</strong>l’età di Dante, Milano 1987, p. 13).<br />

89 La Règle de saint Benoît, p. 1166.<br />

90 Cfr. A. FRACHEBOUD, Saint Benoît et le vin ou le tout dans la partie, «Collectanea cistercensia», 49 (1987),<br />

pp. 327-338; poco utile <strong>al</strong> nostro scopo risulta invece il contributo di V. FATTORINI, L’<strong>al</strong>imentazione<br />

nella Regola di san Benedetto, «Inter fratres», 45/2 (1995), pp. 175-201.<br />

233


234<br />

L’<strong>al</strong>imentazione monastica in età carolingia<br />

Con i capitoli 39, 40 e 41, relativi <strong>al</strong>la quantità del cibo, delle bevande e <strong>al</strong>l’ora dei<br />

pasti, la Regula Benedicti stabilisce l’<strong>al</strong>imentazione dei monaci e ne fissa il regime<br />

quotidiano, senza tr<strong>al</strong>asciare la periodicità dei giorni di digiuno e la cura verso i<br />

m<strong>al</strong>ati. La presenza del vino, intanto, era diventata del tutto norm<strong>al</strong>e sulle mense<br />

cenobitiche; anzi, si andavano moltiplicando le occasioni per aumentarne la<br />

razione giorn<strong>al</strong>iera, ferma restando la misura di riferimento di un’emina per ciascuno.<br />

Alla vigilia della nascita dell’impero carolingio, tuttavia, la regola dell’abate<br />

cassinese – pur diffusa e adottata da numerose comunità, specie dell’It<strong>al</strong>ia<br />

centr<strong>al</strong>e – era ancora molto lontana <strong>d<strong>al</strong></strong>l’essere ‘la regola’ del monachesimo occident<strong>al</strong>e.<br />

L’artefice di questa svolta fu Benedetto di Aniane che, chiamato <strong>al</strong>la corte<br />

franca da Carlo, riuscì nell’intento di riformare i cenobi del regno, quando<br />

pochi anni dopo – grazie <strong>al</strong> sostegno di Ludovico il Pio – «il 23 agosto dell’anno<br />

816 (…), riunitisi gli abati insieme a moltissimi loro amici nella parte del p<strong>al</strong>azzo<br />

di Aquisgrana detta Laterano, si stabilì di comune accordo e <strong>al</strong>l’unanimità» che<br />

la regola benedettina e le disposizioni integrative promulgate in quell’occasione<br />

diventassero vincolanti per tutte le abbazie dell’impero 91 .<br />

Quando l’abate di Aniane riprese il testo della regola, per assicurarne la diffusione<br />

gener<strong>al</strong>e, si rifece <strong>al</strong>le prescrizioni del fondatore anche per l’aspetto<br />

nutrizion<strong>al</strong>e: i monaci avevano diritto a due pietanze cotte <strong>al</strong> giorno durante tutto<br />

l’anno e ad un terzo piatto di legumi o di verdure crude, se ce n’era la disponibilità,<br />

accompagnati da un grosso pane del peso di una libbra 92 e da un’emina<br />

91 Synodi primae Aquisgranensis decreta authentica. (816), ed. J. Semmler, in Initia consuetudinis benedictinae.<br />

Consuetudines saeculi octavi et noni, Siegburg 1963 (Corpus consuetudinum monasticarum [= CCM], 1),<br />

p. 462; inoltre, Benedetto di Aniane, p. 108, in cui le disposizioni del decreto sono tradotte in it<strong>al</strong>iano,<br />

mentre nelle pagine introduttive <strong>al</strong>l’edizione, a cura di G. Andenna e di C. Bonetti, viene tracciato un<br />

quadro del monachesimo carolingio e del contesto in cui maturò la riforma.<br />

92 «Una libbra di pane pesi 30 soldi del peso di 12 denari ciascuno» (Benedetto di Aniane, p. 113 cap. 22),<br />

che <strong>al</strong>l’inizio del IX secolo – secondo i c<strong>al</strong>coli di J.-C. HOCQUET, Le pain, le vin et la juste mesure à la table<br />

des moines carolingiens, «Ann<strong>al</strong>es. Économies, sociétés, civilisations», 40/3 (1985), pp. 668-670, elaborati<br />

per l’abbazia di S. Pietro di Corbie – corrispondeva ormai a poco meno di un Kg di peso (non molto<br />

dissimili sono anche le conclusioni di H. WITTHOFT, Les ordonnances metrologiques carolingiennes: verité<br />

et légende,in Les mesures et l’histoire, Table ronde W. Kula, 2 mai 1984, Paris 1984, p. 29; riprese da NADA<br />

PATRONE, Monachis nostri ordinis, pp. 297-298). La libbra di pane, in verità, è una misura tradizion<strong>al</strong>e<br />

nell’<strong>al</strong>imentazione monastica: secondo Cassiano (Conlationes, 2, 19) agli eremiti e ai cenobiti d’Egitto<br />

era concesso mangiare due paxamatia (focacce d’orzo) <strong>al</strong> giorno del peso complessivo di una libbra


di vino; il mercoledì e il venerdì, indicati di solito come giorni di digiuno, non<br />

veniva servito il terzo piatto. Questo impianto <strong>al</strong>imentare di base non venne<br />

modificato <strong>d<strong>al</strong></strong> sinodo dell’816, né da quello successivo del luglio 817, nel corso<br />

dei qu<strong>al</strong>i ci si preoccupò di ‘attu<strong>al</strong>izzare’ il dispositivo normativo interpretandone<br />

lo spirito in funzione delle mutate esigenze dei tempi e in relazione <strong>al</strong>la diversità<br />

dei luoghi, delle necessità imposte <strong>d<strong>al</strong></strong> lavoro, <strong>d<strong>al</strong></strong>le condizioni climatiche o<br />

dai doveri di ospit<strong>al</strong>ità verso protettori illustri 93 . In particolare, si ritenne opportuno<br />

garantire ai m<strong>al</strong>ati «una ricca dieta con cibi e bevande particolari» che ne<br />

facilitasse il recupero, pur limitando la pratica s<strong>al</strong>utare dei s<strong>al</strong>assi 94 ; si stabilì poi<br />

che quando «la fatica del lavoro lo richiedeva, i monaci potessero bere anche<br />

dopo cena, così come anche in quaresima e quando si celebrava l’ufficio funebre»,<br />

prima della recita della compieta 95 ; inoltre, pur invitando gli abati a rispettare<br />

«la stessa misura fissata per i loro monaci nel cibarsi e nel bere», anche in<br />

presenza di ospiti, si confermava <strong>al</strong> superiore la facoltà di aumentare un poco la<br />

razione quotidiana in base <strong>al</strong>le differenti esigenze, mentre nei giorni in cui era<br />

abolito il vino – v<strong>al</strong>e a dire, il venerdì, venti giorni prima di nat<strong>al</strong>e e la settimana<br />

prima della quaresima – veniva concessa «una doppia emina di buona birra» 96 .<br />

scarsa; la RM (26, 2) prevede una libbra da dividere in tre quadrae, mentre Benedetto precisa che «di<br />

pane basterà una libbra abbondante <strong>al</strong> giorno, sia che si faccia un pasto solo o che vi sia pranzo e cena.<br />

Se vi è anche la cena, il cellerario ne metta da parte un terzo di libbra per il pasto ser<strong>al</strong>e» (RB 39, 4-5).<br />

Quanto <strong>al</strong>le pietanze, invece, l’abate cassinese è preciso sia nell’indicare il numero che nel darne la<br />

spiegazione: «per il pasto quotidiano siano sufficienti cocta duo pulmentaria, per tener conto delle diverse<br />

condizioni di s<strong>al</strong>ute, così che chi non potesse cibarsi dell’una possa nutrirsi dell’<strong>al</strong>tra (…), e qu<strong>al</strong>ora<br />

vi sia la possibilità di avere frutta o verdura fresca, se ne aggiunga pure una terza» (RB 39, 1-3).<br />

93<br />

BENEDETTO DI ANIANE, Concordia regularum, PL, 103, col. 1130, corrispondente a RB 40; Regula<br />

sancti Benedicti abbatis Anianensis sive collectio capitularis, ed. J. Semmler, in Initia consuetudinis benedictinae,p.<br />

534, cap. 74, 77.<br />

94 Synodi primae Aquisgranensis, pp. 459-460, cap. 10; Benedetto di Aniane, pp. 108, 119.<br />

95 Synodi primae Aquisgranensis, p. 460, cap. 11; Benedetto di Aniane, p. 108.<br />

96 Synodi primae Aquisgranensis, pp. 462-464, cap. 23, 20; in particolare, rispetto <strong>al</strong> problema dell’ospit<strong>al</strong>ità,<br />

il cap. 25 così si esprime: «L’abate, o qu<strong>al</strong>che fratello, non sosti con gli ospiti presso la porta del<br />

monastero, ma dia ristoro e mostri loro l’umana accoglienza offrendo da mangiare e da bere nel<br />

refettorio. L’abate, tuttavia, si accontenti della stessa quantità di cibo e di bevanda che assumono gli<br />

<strong>al</strong>tri confratelli. Ma se per la presenza dell’ospite, volesse aggiungere qu<strong>al</strong>che cosa per sé e per i<br />

monaci <strong>al</strong>la solita razione, abbia il potere di farlo»; norma che veniva commentata poco dopo negli<br />

statuti murbacensi nel modo seguente: «Il capitolo prevede che agli ospiti, per i qu<strong>al</strong>i è stato dato il<br />

permesso di entrare nel refettorio, sia fornito un cibo adeguato; l’abate invece si accontenti del cibo<br />

che è servito ai confratelli, disposizione che sarà facile osservare se tanto <strong>al</strong>l’abate quanto agli ospiti<br />

235


236<br />

Prima di giungere a queste decisioni, però, una serie di contatti, di incontri e<br />

di confronti erano stati avviati con la Chiesa romana e soprattutto con Montecassino,<br />

l’abbazia culla del monachesimo benedettino restaurata proprio <strong>al</strong>l’inizio<br />

del secolo VIII. Consapevole della forza di t<strong>al</strong>e illustre tradizione, il suo abate<br />

Teodomaro (778-797) era tutt’<strong>al</strong>tro che disposto ad introdurvi modifiche<br />

volute <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esterno, per questo ben volentieri aveva inviato <strong>al</strong> conte Teodorico,<br />

potente vass<strong>al</strong>lo del re Carlo, una lettera in cui illustrava il c<strong>al</strong>endario del regime<br />

<strong>al</strong>imentare annu<strong>al</strong>e dei suoi monaci 97 . Da questo documento apprendiamo che, a<br />

due secoli e mezzo <strong>d<strong>al</strong></strong>la morte di san Benedetto, non erano intervenuti significativi<br />

cambiamenti nella dieta cassinese e che, in particolare, la misura della<br />

bevanda continuava ad essere la stessa in qu<strong>al</strong>unque stagione. In quaresima la<br />

loro <strong>al</strong>imentazione era fatta di uova, pesce, formaggio, ma non contemplava<br />

vino né pietanze cotte; durante l’unico pasto invern<strong>al</strong>e, invece, ricevevano regolarmente<br />

la loro razione di vino e d’estate, coloro che erano occupati nel lavoro<br />

dei campi, oltre a ottenere un supplemento di vino, avevano diritto a due pasti<br />

anche il mercoledì e il venerdì in cui c’era digiuno, rispettivamente a mezzogiorno<br />

e <strong>al</strong>la sera. In occasione delle feste liturgiche, inoltre, o delle maggiori opere<br />

agricole si aumentava sia il formaggio che la quantità delle pietanze in genere,<br />

mentre durante la canicola estiva i religiosi erano rinfrancati da una coppa di<br />

vino prima del pranzo e un’<strong>al</strong>tra a metà pomeriggio. D<strong>al</strong>la loro mensa restava del<br />

tutto assente la carne, ma quella dei volatili – speci<strong>al</strong>mente dei polli o delle oche<br />

<strong>al</strong>levate nel cortile dell’abbazia – veniva cucinata e servita, insieme <strong>al</strong> vino nuovo<br />

dell’annata, a pasqua e nat<strong>al</strong>e per rendere più festose t<strong>al</strong>i solennità.<br />

Teodomaro si rivolse tuttavia direttamente anche a Carlo Magno con un’<strong>al</strong>tra<br />

lettera, nella qu<strong>al</strong>e presentava <strong>al</strong> sovrano in modo più dettagliato il menu settiman<strong>al</strong>e<br />

completo, con <strong>al</strong>legato un campione del peso di quattro libbre, sul<br />

modello di quello in uso a Montecassino per pesare il pane, e la misura di capacità<br />

per la bevanda esemplata da due c<strong>al</strong>ici, l’uno per il pranzo e l’<strong>al</strong>tro per la<br />

cena, conforme <strong>al</strong>la regola e corrispondente ad un’emina 98 . Nei giorni di magro,<br />

sarà dato un cibo migliore; anche i confratelli gioiscano un po’ per l’arrivo di <strong>al</strong>tri monaci e <strong>al</strong>lentino<br />

il rigore dell’astinenza» (Benedetto di Aniane, pp. 109-110, 121).<br />

97 Theodomari abbatis Casinensis epistula ad Theodoricum gloriosum, ed. D.J. Wynandy, D.K. H<strong>al</strong>linger, in Initia<br />

consuetudinis benedictinae, pp. 128-162.<br />

98 Theodomari abbatis Casinensis epistula ad Karolum regem, ed. D.K. H<strong>al</strong>linger, D.K. Wegener, in Initia consuetudinis<br />

benedictinae, pp. 160-166. In particolare l’abate cassinese scrive <strong>al</strong> sovrano franco: «(…) vi


mercoledì e venerdì, i fratelli si accontentavano di due pietanze cotte, senza bere<br />

vino, insieme <strong>al</strong> pane, ai legumi e <strong>al</strong>le verdure dell’orto; gli <strong>al</strong>tri giorni le pietanze<br />

diventavano tre, mentre la domenica e nei giorni di festa se ne aggiungeva una<br />

quarta, ed era pure permesso nutrirsi di carne di volatili anche in momenti diversi<br />

da pasqua e nat<strong>al</strong>e, senza per questo commettere colpe. Riguardo <strong>al</strong>la bevan-<br />

abbiamo pure mandato una misura della bevanda che deve essere distribuita ai fratelli <strong>al</strong> pasto di<br />

mezzogiorno e un’<strong>al</strong>tra <strong>al</strong> pasto della sera. Queste due misure, secondo il parere dei nostri monaci<br />

più anziani, sono la misura di un’emina. Ma noi stabiliamo anche la misura del c<strong>al</strong>ice che i fratelli<br />

devono ricevere conformemente <strong>al</strong> testo della santa regola» (Ibidem, p. 163). Sulla base di questo<br />

testo, nel qu<strong>al</strong>e Teodomaro dice di aver inviato una coppa conforme <strong>al</strong> c<strong>al</strong>ice-campione conservato<br />

nel suo monastero, in due esemplari, l’uno per il pranzo e l’<strong>al</strong>tro per la cena, pari ad un’emina, Jean-<br />

Claude Hocquet ha provato ad elaborare il sistema di misure volumetriche in uso a Corbie dopo la<br />

riforma di Benedetto di Aniane, schematizzabile nel modo seguente:<br />

moggio 1<br />

secchio (situla) 2 1<br />

sestario 16 8 1<br />

emina 48 24 3 1<br />

c<strong>al</strong>ice 96 48 6 2 1<br />

L’autore poi, attraverso una serie complessa di c<strong>al</strong>coli e dopo aver evidenziato come il sistema sia<br />

fondato su un aritmetica a base 2 (c<strong>al</strong>ice-emina, sestario-secchio, secchio-moggio) o a base 3 (eminasestario),<br />

trasforma t<strong>al</strong>i indicazioni in misure moderne, cioè in litri, proponendo tre ipotesi ragionevoli<br />

e ben argomentate:<br />

I II III<br />

moggio in litri 39,75 46,32 52,93<br />

secchio (situla) 19,875 23,166 26,465<br />

sestario 2,484 2,895 3,308<br />

emina 0,828 0,925 1,102<br />

c<strong>al</strong>ice 0,414 0,482 0,551<br />

Il confronto, infine, con <strong>al</strong>cune misure adottate in Francia ancora in età moderna, lo porta a privilegiare,<br />

riguardo la stima del moggio, la terza ipotesi che lo collocherebbe tra 51 e 53 litri, osservazioni<br />

che – soprattutto in rapporto <strong>al</strong> v<strong>al</strong>ore della situla – trovano un interessante par<strong>al</strong>lelo anche in area<br />

lombarda nel periodo tardo mediev<strong>al</strong>e e moderno [cfr. HOCQUET, Le pain, le vin, pp. 666-667, 673-675;<br />

per un par<strong>al</strong>lelo con l’area padana, G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa<br />

mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta, 4), pp. 198-199].<br />

In re<strong>al</strong>tà, il problema delle misure mediev<strong>al</strong>i è un tema aperto e dibattuto, spesso anche in maniera<br />

molto vivace, sia per la diversità dei sis<strong>temi</strong> adottati su base region<strong>al</strong>e, sia per quella dei contenitori<br />

che solo di rado si sono conservati; quanto <strong>al</strong>l’emina, poi, la variabilità delle indicazioni offerte dagli<br />

studiosi – da ¼ di litro a oltre un litro – trova una parzi<strong>al</strong>e spiegazione se correttamente collocate<br />

nell’ambito spazio-tempor<strong>al</strong>e riferito <strong>d<strong>al</strong></strong>la singola fonte. Nel nostro caso, per esempio, non sembra<br />

accettabile la stima di ¼ di litro proposta dagli editori della lettera di Teodomaro (Theodomari abbatis<br />

Casinensis epistula ad Karolum regem, p. 163 ripresa da I. HERWEGEN, Sinn und Geist der Benediktinerregel,<br />

237


238<br />

da poi, «giacché da noi vi è vino in abbondanza», oltre la razione consueta essi<br />

ricevevano una coppa il sabato, la domenica, il martedì e il giovedì, due coppe<br />

invece durante le feste; in estate si dava loro un frutto e una coppa di vino, ma a<br />

coloro che lavoravano nei campi per la fienagione, si preparava una bevanda più<br />

nutriente a base di vino, acqua e miele. Tuttavia, osservava Teodomaro, nonostante<br />

il rigore della regola sia stato un po’ attenuato nel corso del tempo dagli<br />

abati di Montecassino, «molti nostri fratelli non mangiano volatili né bevono mai<br />

vino, se non <strong>d<strong>al</strong></strong> santo c<strong>al</strong>ice» 99 .<br />

Tenendo conto anche di questa evoluzione, Benedetto di Aniane confermò<br />

le due pietanze giorn<strong>al</strong>iere, il piatto di legumi, la libbra di pane e l’emina di vino.<br />

Riguardo a quest’ultima, però, essa appariva ormai – rovesciando in un certo<br />

senso il ragionamento di san Benedetto – come la misura minima fissata per i<br />

m<strong>al</strong>ati, per i più deboli o per coloro che non facevano lavori pesanti nei campi,<br />

esemplificati <strong>d<strong>al</strong></strong>la fienagione 100 . I testi preparatori del sinodo di Aquisgrana precisano<br />

che «un’emina di vino basta ogni giorno, per quanto possa essere aumentata,<br />

senza tuttavia cadere nell’ubriachezza che è proibita <strong>d<strong>al</strong></strong>la regola» 101 ; come a<br />

dire che il riferimento ide<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la norma era s<strong>al</strong>vo, ma le contingenze legate <strong>al</strong><br />

Einsiedeln-Köln 1944, p. 259), come davvero eccessivamente abbondanti – per quanto indicative di<br />

consumi re<strong>al</strong>mente più elevati rispetto <strong>al</strong> passato – appaiono le stime di M. ROUCHE, La faim à l’époque<br />

carolingienne: essai sur quelques types de rations <strong>al</strong>imentaires, «Revue historique», 250/1 (1973), pp. 301-<br />

317, pesantemente criticate da HOCQUET, Le pain, le vin, pp. 661-686 (e Ibidem, pp. 687-688 per la<br />

risposta di M. Rouche e 689-690 per la replica di J.-C. Hocquet); più equilibrate sono invece le considerazioni<br />

di WITTHOFT, Les ordonnances, p. 28, riprese da NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis,pp.<br />

302-303, e soprattutto quelle di J.-P. DEVROEY, Units of measurement in the early mediev<strong>al</strong> economy: the<br />

example of carolingian food rations, «French History», 1/1 (1987), pp. 68-72, che sostiene l’inaffidabilità<br />

dei tentativi di tradurre in misure di capacità moderne le unità mediev<strong>al</strong>i, concetti su cui è tornato<br />

per qu<strong>al</strong>che precisazione MONTANARI, Alimentazione e cultura, p. 90 e n. 203; ripresa anche da C. URSO,<br />

L’<strong>al</strong>imentazione <strong>al</strong> tempo di Gregorio di Tours. Consuetudines e scelte cultur<strong>al</strong>i, «Quaderni mediev<strong>al</strong>i», 43<br />

(1997), p. 24 e n. 130. Un utile campionatura e confronto tra consuetudini orient<strong>al</strong>i e occident<strong>al</strong>i<br />

invece, sia pure con qu<strong>al</strong>che limite metodologico, è data <strong>d<strong>al</strong></strong> saggio di M. DEMBINSKA, Diet: a comparison<br />

of food consumption between some eastern and western monasteries in the 4th-12th Centuries, «Byzantion»,<br />

55 (1985), pp. 431-462; il tema dei consumi e dell’<strong>al</strong>imentazione, infine, è stato oggetto anche di uno<br />

specifico dossier: Histoire de la consommation, da parte della rivista «Ann<strong>al</strong>es ESC», 30 (1975), pp. 402-<br />

632, ancora meritevole di un’attenta lettura.<br />

99 Theodomari abbatis Casinensis epistula ad Karolum regem, pp. 162-166, citaz. a p. 166.<br />

100 BENEDETTO DI ANIANE, Concordia regularum, col. 1130, cap. 49; HOCQUET, Le pain, le vin, p. 667.<br />

101 Synodi primae Aquisgranensis acta praeliminaria, ed. J. Semmler, in Initia consuetudinis benedictinae, p. 436,<br />

cap. 28.


luogo, <strong>al</strong> tempo e <strong>al</strong>le più diverse situazioni autorizzavano la sua interpretazione<br />

storica e la possibilità di inserire deroghe importanti. Bisognava pertanto evitare<br />

di bere a sazietà, rifuggire l’ebbrezza ed avere come misura consigliata quella dell’emina<br />

benedettina, senza smettere di nutrire un’attenzione speci<strong>al</strong>e per i più<br />

deboli e bisognosi, ma tenendo conto pure delle esigenze di una vita più intensa.<br />

Il criterio di comportamento, cioè, era quello indicato negli statuti murbacensi<br />

a corredo dei decreti sino<strong>d<strong>al</strong></strong>i: «Abbiamo parlato della debolezza del nostro<br />

corpo non per assecondarne le lusinghe della gola, quanto per provvedere <strong>al</strong>le<br />

necessità fisiche», di conseguenza – nota il commentatore –, per la misura del<br />

cibo e della bevanda, si è deciso «in modo t<strong>al</strong>e che ci sostenga per le cose utili e<br />

non ci sia nocivo conducendoci <strong>al</strong> m<strong>al</strong>e» 102 .<br />

Nei cenobi dell’Europa mediterranea il vino era distribuito in virtù della sua<br />

abbondanza e dove mancava, come nei paesi continent<strong>al</strong>i e insulari, il suo posto<br />

era preso <strong>d<strong>al</strong></strong>la birra o da bevande an<strong>al</strong>oghe 103 . La misura consentita era il minimo<br />

che si potesse ricevere, ma laddove t<strong>al</strong>e quantità poteva essere aumentata,<br />

per la presenza di ospiti 104 o perché la situazione del luogo lo permetteva, si<br />

poteva giungere persino ad un massimo di cinque libbre (più di due litri), eventu<strong>al</strong>mente<br />

suddivise tra varie bevande – ad esempio un’emina di vino e il doppio<br />

di birra –, senza tuttavia eccedere t<strong>al</strong>e limite massimo e restando la quantità consigliata<br />

quella di un’emina a testa <strong>al</strong> giorno 105 . Nel caso di S. Pietro di Corbie, le<br />

102 Benedetto di Aniane, p. 117.<br />

103 Si vedano a titolo indicativo: Consuetudines Corbeienses, ed. J. Semmler, in Initia consuetudinis benedictinae,<br />

pp. 373, 418-419; nelle consuetudini dell’abbazia inglese di Eynsham nell’Oxfordshire la cervisia<br />

è di gran lunga più attestata del vino: infatti, ai monaci doveva essere garantita «cervisiam recentem»<br />

a tavola, <strong>al</strong> cantore invece era riservata una misura «de meliori cervisia» e ai poveri, come agli ospiti,<br />

erano dati cotidie pane e cervisia [The Customary of the Benedictine Abbey of Eynsham in Oxfordshire, ed. A.<br />

Gransden, Siegburg 1963 (CCM 2), pp. 186-187]; così pure nel monastero austriaco di Kastler, per<br />

la carità e l’accoglienza, nel tardo medioevo erano riservati «tria vascula cum cervisia» [Consuetudines<br />

Castellenses, ed. P. Maier, Siegburg 1996 (CCM 14/1), p. 277].<br />

104 «Il ventitreesimo capitolo – si legge nei decreti del secondo sinodo di Aquisgrana (817) – prevede<br />

che gli ospiti, per i qu<strong>al</strong>i è stato dato il permesso di entrare nel refettorio, sia fornito un cibo adeguato;<br />

l’abate invece si accontenti del cibo che è servito ai fratelli, disposizione che sarà facile osservare<br />

se tanto <strong>al</strong>l’abate quanto agli ospiti sarà dato un cibo migliore; anche i fratelli gioiscano un po’<br />

per l’arrivo di <strong>al</strong>tri monaci e <strong>al</strong>lentino il rigore dell’astinenza» (Benedetto di Aniane, p. 121).<br />

105 Concilium Aquisgranense. (816), ed. A. Werminghoff, MGH, Concilia aevi Karolini, II/1, Hannoverae et<br />

Lipsiae 1906, pp. 401-403, 447; DEVROEY, Units of measurement, p. 87, commentando la disposizione<br />

conciliare nota che l’ipotetica razione giorn<strong>al</strong>iera di un canonico doveva essere di 4 libbre di pane (cir-<br />

239


240<br />

cui consuetudini mostrano con una certa precisione le razioni distribuite ai<br />

poveri dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e monastico, a cui erano destinate un quinto delle entrate e<br />

parte delle decime, sappiamo che nei giorni di festa ogni fratello poteva aspirare<br />

<strong>al</strong>la consolatio, oltre <strong>al</strong>la consueta razione di vino, cioè ad un supplemento di vino<br />

o birra: tre c<strong>al</strong>ici a nat<strong>al</strong>e, pasqua e pentecoste, due per <strong>al</strong>tre 15 grandi festività<br />

liturgiche, uno per <strong>al</strong>meno <strong>al</strong>tre 36 feste ordinarie, nei giorni di sabato e le domeniche,<br />

per un tot<strong>al</strong>e di quasi 150 giorni <strong>al</strong>l’anno in cui la quantità di bevanda permessa<br />

era accresciuta 106 . Una situazione che, in larga misura, trova conferma<br />

anche nel commentario di Ildemaro di Corbie, compilato pochi decenni dopo in<br />

Lombardia, che per ciò stesso consente di dilatare queste indicazioni sulle<br />

aggiunte di vino anche ai grandi monasteri dell’It<strong>al</strong>ia padana.<br />

Per applicare correttamente le disposizioni di Aquisgrana, gruppi di monaci si<br />

spostarono di abbazia in abbazia <strong>al</strong> fine di facilitare l’introduzione delle norme o di<br />

apprenderle dove già erano entrate in vigore, come pure furono compilati strumenti<br />

interpretativi a compendio dei decreti conciliari e della regola benedettina. È<br />

il caso dell’Expositio dell’abate Smaragdo di Saint-Michel presso Verdun, che permette<br />

di seguire la regola capitolo per capitolo attraverso i testi della sacra scrittura<br />

e dei padri collazionati a commento 107 : uno strumento, cioè, che per la sua particolare<br />

struttura non risulta essere molto rilevante ai nostri fini. Alcune annotazioni<br />

però meritano la nostra attenzione, anche perché <strong>d<strong>al</strong></strong> loro esame sarà poi possibile<br />

passare ad un commentario assai più interessante e origin<strong>al</strong>e come quello di Ilde-<br />

ca 1, 3 kg) e di 1, 3 litri (fino a 1, 6 litri) di vino o birra, mentre le monache ricevevano 3 libbre di pane<br />

(1 kg) e, a seconda della regione, da 1/3 a 1 litro di vino o birra <strong>al</strong> giorno; ID., Vin, vignes et vignerons en<br />

pays rémois au Haut Moyen Âge, in Vins, vignobles et terroirs de l’Antiquité à nos jours, Actes du colloque de<br />

Reims (du 9 au 11 octobre 1997), réunis sous la direction de V. Barrie, Nancy 1999, p. 76.<br />

106 Consuetudines Corbeienses, pp. 368-369, 418-419; HOCQUET, Le pain, le vin, p. 679. Per il riferimento<br />

<strong>al</strong> testo del commentario di Ildemaro di Corbie, si veda più avanti <strong>al</strong>la nota 112; per il supplemento<br />

quasi giorn<strong>al</strong>iero di misto, invece, cfr. Ildemaro, pp. 399-400, 402, 427, 462-463 (v. sotto la nota 123 e<br />

testo corrispondente e successivo); inoltre, per il suo impiego nell’<strong>al</strong>imentazione monastica, con particolare<br />

riferimento <strong>al</strong>le consuetudini di Fruttuaria, si veda MONTANARI, Alimentazione e cultura,p.89,<br />

come pure le osservazioni proposte più avanti.<br />

107<br />

SMARAGDO DI SAINT-MICHEL, Expositio in Regulam s. Benedicti, ed. A. Spannagel, P. Engelbert, Siegburg<br />

1974 (CCM 8). L’esempio concreto, tipico dei commentari mediev<strong>al</strong>i <strong>d<strong>al</strong></strong>la struttura compilativa,<br />

è dato <strong>d<strong>al</strong></strong> commento a RB 4, 35 dove si dice che il monaco non deve essere dedito <strong>al</strong> vino, «non<br />

vinolentum», e la spiegazione precisa semplicemente che si tratta di «colui che beve a sazietà col pericolo<br />

di inebriarsi», corredata da una nutrita serie di testi biblici, di Isidoro e dello pseudo-Basilio sui<br />

pericoli di ogni eccesso nel bere (Ibidem, p. 117).


maro di Corbie. Innanzitutto, riguardo ai settimanari di cucina (RB 35, 12-13), si<br />

precisa meglio la prassi concreta del supplemento <strong>al</strong>imentare, v<strong>al</strong>e a dire che il pane<br />

e il vino concesso per aiutarli a resistere meglio <strong>al</strong> digiuno durante il loro servizio<br />

doveva essere inteso in aggiunta <strong>al</strong>la norm<strong>al</strong>e razione <strong>al</strong>imentare; t<strong>al</strong>e integrazione,<br />

inoltre, andava presa prima che i fratelli si recassero a mensa per la refezione 108 .Più<br />

interessante risulta invece la spiegazione relativa <strong>al</strong> «mixtum» dato <strong>al</strong> lettore (RB 38,<br />

10), ossia «il pane intinto nel vino», per l’esplicito riferimento eucaristico che recava<br />

con sé: «infatti, in molte province il pane appunto e il vino che viene offerto sull’<strong>al</strong>tare,<br />

è chiamato misto»; da cui risulta chiaro anche il significato del passo successivo,<br />

che il lettore prende il misto «per rispetto <strong>al</strong>la santa comunione, affinché nessuna<br />

particella delle sacre specie sputacchiando finisca in quanto espettorato» 109 .<br />

Nel commento <strong>al</strong> capitolo 40, dedicato <strong>al</strong>la misura della bevanda, si precisa<br />

che proprio in virtù della diversità dei doni ricevuti da ciascuno, la linea della temperanza<br />

aiuta sia chi ha ricevuto di più sia chi fa più fatica a rinunciare ad una maggiore<br />

quantità di vino, mentre il riferimento <strong>al</strong>la «debolezza dei m<strong>al</strong>ati» non va inteso<br />

in rapporto <strong>al</strong>l’infermità del corpo, ma a quella dello spirito. Si cita poi un passo<br />

della regola di Ferreolo, non tanto per stigmatizzare i rischi del bere troppo,<br />

«poiché è superfluo ammonire un monaco riguardo <strong>al</strong>l’ubriachezza», quanto per<br />

stabilire una astinenza di <strong>al</strong>meno 30 giorni per il fratello che imprudentemente<br />

dovesse inebriarsi, cioè per il tempo necessario <strong>al</strong>l’anima di liberarsi del tutto dai<br />

fumi della digestione <strong>al</strong>colica.Quanto sia pericoloso, infine, ogni eccesso di vino lo<br />

dimostrano gli esempi biblici dei patriarchi Noè e Lot (Gen 9, 21; 19, 33-35); i<br />

monaci devono pertanto essere contenti di quanto viene loro preparato senza<br />

mormorare, per non finire come quelli che perirono nel deserto per essersi lamentati<br />

(Nm 14, 36; S<strong>al</strong> 106, 25-25) 110 . Circa l’ora dei pasti e il digiuno, infine, si conferma<br />

che durante la quaresima il pasto è uno solo, nel qu<strong>al</strong>e sono esclusi sia il vino<br />

che l’olio, mentre quando si compiono i lavori agricoli estivi e durante la vendemmia,<br />

l’astinenza può essere mitigata e il pranzo deve essere a mezzogiorno 111 .<br />

108 SMARAGDO, Expositio in Regulam, p. 247.<br />

109 SMARAGDO, Expositio in Regulam, p. 254.<br />

110 Ragione per la qu<strong>al</strong>e si comprende la necessità di introdurre, qu<strong>al</strong>e misura di riferimento di consumo<br />

pro capite giorn<strong>al</strong>iero, quella dell’emina corrispondente – secondo Isidoro – «ad una libbra che<br />

raddoppiata forma un sestario» (SMARAGDO, Expositio in Regulam, pp. 258-259; ISIDORO, Etymologiae,<br />

col. 594, lib. XVI, cap. 26, 5; FERREOLO, Regula ad monachos, col. 975).<br />

111 SMARAGDO, Expositio in Regulam, p. 261.<br />

241


242<br />

Il commento di Ildemaro di Corbie<br />

Più dettagliata e per tanti aspetti origin<strong>al</strong>e è l’Expositio o commento <strong>al</strong>la regola<br />

benedettina di Ildemaro 112 , monaco educato <strong>al</strong>la scuola di A<strong>d<strong>al</strong></strong>ardo di Corbie e<br />

poi diffusore per mezza Europa – fino a giungere in It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e, dove si<br />

spense nel monastero di S. Pietro di Civate a metà del IX secolo – del suo peculiare<br />

modo di interpretare la riforma monastica, il cui commentario è stato definito<br />

«il libro di testo del monachesimo carolingio» 113 . L’opera non comprende<br />

ovviamente una trattazione specifica sul vino, ma il contesto e le occasioni in cui<br />

112 R. MITTERMÜLLER, Expositio Regulae ab Hildemaro tradita,in Vita et Regula ss. p. Benedicti una cum expositione<br />

Regulae a Hildemaro tradita, Ratisbonae, Neo-Eboraci et Cincinnati 1880 (= Ildemaro). Sulla tradizione<br />

manoscritta del commentario di Ildemaro, attribuito a Paolo Diacono [tanto che il manoscritto<br />

cassinese è stato pubblicato col suo nome, cfr. PAULI WARNEFRIDI diaconi Casinensis Commentarium<br />

in Regulam Benedicti, Florilegium Casinense, Monte Cassino 1880 (Bibliotheca Casinensis, 4)],<br />

oltre che ad <strong>al</strong>tri autori (con particolare riguardo <strong>al</strong>la cosiddetta Recensio Basilii abbatis, la più antica),<br />

cfr. L. TRAUBE, Textgeschichte der Regula S. Benedicti, München 1910, p. 42; W. HAFNER, Der Basiliuscommentar<br />

zur Regula S. Benedicti. Ein Beitrag zur Autorenfrage karolingischer Regelkommentare, Münster 1959<br />

(Beiträge zur Geschichte des <strong>al</strong>ten Mönchtums und des Benediktinerordens, 23), pp. 60-69; K. ZEL-<br />

ZER, Überlegungen zu einer Gesamtedition des frühnachkarolingischen Kommentars zur Regula S. Benedicti aus der<br />

Tradition des Hildemar von Corbie, «Revue bénédictine», 91 (1981), pp. 373-382; M. DE JONG, Growing up<br />

in a Carolingian monastery: Magister Hildemar and his oblates, «Journ<strong>al</strong> of Mediev<strong>al</strong> History», 9/2 (1983),<br />

p. 124 n. 3; K. ZELZER, Von Benedikt zu Hildemar. Zur Textgest<strong>al</strong>t und Textgeschichte der Regula Benedicti auf<br />

ihrem Weg zum Alleingeltung, «Frümittel<strong>al</strong>terliche Studien», 23 (1989), pp. 112-130; M. DE JONG, In<br />

Samuel’s image. Child oblation in the early mediev<strong>al</strong> West, Leiden - New York - Köln 1996 (Brill’s studies in<br />

intellectu<strong>al</strong> history, 12), p. 70. Sulla vicenda biografica invece di Ildemaro – registrato insieme <strong>al</strong>l’abate<br />

Leodegario nel liber vitae del monastero di San S<strong>al</strong>vatore - Santa Giulia di Brescia [Der Memori<strong>al</strong>und<br />

Liturgiecodex von San S<strong>al</strong>vatore / Santa Giulia in Brescia, ed. D. Geuenich und U. Ludwig, unter<br />

Mitwirkung von A. Angenendt, G. Muschiol, K. Schmid (†) und J. Vezin, Hannover 2000 (MGH,<br />

Libri memori<strong>al</strong>es et necrologia. Nova series, IV), pp. 106, 192], il cui nome con la qu<strong>al</strong>ifica di presbyter è<br />

riportato anche nella lista dei monaci di Civate, presente nel liber confraternitatum di Pfäffers (Libri Confraternitatum<br />

Sancti G<strong>al</strong>li, Augensis, Fabariensis, ed. P. Piper, MGH, Confraternitates Augenses, Berolini<br />

1884, p. 384) – e sulla sua presenza riformatrice in area bresciana e lombarda, cfr. TRAUBE, Textgeschichte<br />

der Regula, pp. 40-44, 107-108; [P. Tomea], s.v., Hildemarus monachus,in Repertorium fontium historiae<br />

medii aevi, V, Romae 1984, pp. 492-494; G. MICHIELS, s.v.,Hildemar, abbé de Civate, in Dictionnaire<br />

d’histoire et de géographie ecclésiastiques, 24, Paris 1993, col. 502; inoltre, qu<strong>al</strong>che precisazione anche in G.<br />

ARCHETTI, Pellegrini e ospit<strong>al</strong>ità nel medioevo. D<strong>al</strong>la storiografia loc<strong>al</strong>e <strong>al</strong>l’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di Santa Giulia di Brescia,<br />

«Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia», VI/3-4 (2001), pp. 85-104; ID., Scuola, lavoro<br />

e impegno pastor<strong>al</strong>e: l’abbazia di Leno nel medioevo (secoli IX-XIV), «Brixia sacra. Memorie storiche della<br />

diocesi di Brescia», VII/1-2 (2002), pp. 98, 109-116.<br />

113<br />

DE JONG, In Samuel’s image,p.70;ARCHETTI, Pellegrini e ospit<strong>al</strong>ità,p.91.


icorre il derivato della vite sono numerosi e t<strong>al</strong>volta offrono <strong>al</strong>l’autore la possibilità<br />

di descrivere aspetti diversi della vita monastica e della sua esperienza person<strong>al</strong>e<br />

nei grandi cenobi trans<strong>al</strong>pini 114 .<br />

Un primo aspetto emerge a proposito del termine miscere (mescolare, versare),<br />

usato per qu<strong>al</strong>ificare l’insegnamento dell’abate che, come un maestro austero<br />

o un padre affettuoso, deve <strong>al</strong>ternare severità e dolcezza a seconda delle circostanze<br />

115 . «Il verbo miscere – spiega Ildemaro – può essere inteso in due modi:<br />

nel senso di ministrare, come quando diciamo: “mesce il vino”, cioè versa il vino,<br />

oppure nel senso di mittere, come quando diciamo: “mescola l’acqua col vino”,<br />

cioè mette insieme acqua e vino». Alla stessa maniera, il superiore dispensa<br />

(miscet) affetto e serietà ai fratelli in relazione <strong>al</strong>le loro necessità; a lui spetta però<br />

anche il dovere di sradicare i vizi ogni qu<strong>al</strong> volta si manifestano, operando con<br />

determinazione. Se, per esempio, vi sono «due o tre monaci che, sopraffatti <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

desiderio della gola, mangiano e bevono in refettorio prima dell’ora del pasto» e<br />

l’abate li rimprovera senza riprendere il cellerario, in questo caso «il suo richiamo<br />

rischia di essere vanificato, poiché – anche se sembra emendare e amputare –<br />

qu<strong>al</strong>ora dovesse risultare che ad essere vizioso è il cellerario, questi non darà più<br />

nulla ai fratelli che sono stati rimproverati, ma ad <strong>al</strong>tri. Pertanto, se si vuole recidere<br />

fino <strong>al</strong>le radici si deve esonerare il cellerario»: solo così potrà essere veramente<br />

sradicato il vizio 116 .<br />

Di norma le colpe però non hanno tutte la stessa gravità e, nel caso in cui un<br />

fratello arrivi tardi a mensa o non sia presente <strong>al</strong> momento della preghiera comune,<br />

è prevista la privazione del vino e il suo isolamento durante il pasto. Tuttavia,<br />

osserva Ildemaro, quando nella regola si dice «separatus solus», non si deve intendere<br />

nel senso che questi mangi da solo dopo gli <strong>al</strong>tri, ma piuttosto che «quando<br />

gli <strong>al</strong>tri mangiano, egli mangi separato e non beva vino. Nel mio monastero in<br />

Francia, infatti, ho visto mangiare quel fratello negligente per conto suo in mezzo<br />

<strong>al</strong> refettorio mentre pranzavano anche gli <strong>al</strong>tri» 117 . Dove <strong>al</strong> castigo dell’astensione<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vino, si aggiunge la vergogna dell’umiliazione pubblica e della pressione<br />

114 Numerosi riferimenti interni <strong>al</strong> commentario fanno direttamente appello a quanto avveniva in t<strong>al</strong>i<br />

abbazie, cfr. <strong>al</strong>meno per i monasteri della Francia, Ildemaro, pp. 302, 417, 460, 462, 519, 572, 582.<br />

115 RB 2, 24: «miscens temporibus tempora, terroribus blandimenta dirum magistri, pium patris<br />

ostendat affectum»; Ildemaro, p. 107, anche per la citazione del testo successivo.<br />

116 Ildemaro, p. 113; RB 2, 26, ma anche 33, 1; 55, 18.<br />

117 Ildemaro, pp. 462 e 497; RB 43, 15; 51, 3.<br />

243


244<br />

psicologica esercitata <strong>d<strong>al</strong></strong>lo sguardo dei confratelli. Per mancanze più lievi, invece,<br />

come fare rumore a tavola, rovesciare un cucchiaio d’olio o un bicchiere di vino,<br />

era necessario chiedere scusa <strong>al</strong> superiore chinando il capo, mentre per le cose più<br />

leggere – per esempio, sciupare tre chicchi di lenticchia – si rimediava con la recita<br />

di due o tre s<strong>al</strong>mi. Alle differenti mancanze, dunque, corrispondevano diversi<br />

obblighi di riparazione: se si danneggiava qu<strong>al</strong>che oggetto di utilità comune bisognava<br />

in qu<strong>al</strong>che modo rimediare; un giudizio severo aveva il non riconoscimento<br />

o l’occultamento delle proprie responsabilità. Il commentario a questo proposito<br />

offre <strong>al</strong>cune importanti precisazioni di carattere concettu<strong>al</strong>e e linguistico:<br />

«deliquerit attiene <strong>al</strong> versare qu<strong>al</strong>cosa, fregerit <strong>al</strong> rompere qu<strong>al</strong>cosa, excesserit si riferisce<br />

<strong>al</strong> far rumore in refettorio con la coppa o il coltello, oppure con il cucchiaio<br />

che cade per terra, o qu<strong>al</strong>che <strong>al</strong>tro rumore fatto sulla tavola» 118 .<br />

Questo argomento, dopo aver considerato i compiti dell’abate, ci porta a<br />

guardare <strong>al</strong>l’economo della comunità, il cellerario, a cui erano affidate la mensa,<br />

la cucina, la cantina e la dispensa. Tra i suoi compiti vi era quello di mantenere<br />

in buono stato beni e attrezzi del cenobio e, tra questi, anche le stoviglie e i recipienti<br />

di cucina (vasa, vascula), rispetto ai qu<strong>al</strong>i doveva provvedere <strong>al</strong>la loro munditiam<br />

(<strong>al</strong>la pulizia), integritatem (che non si rompessero) e numerum (che ci fossero<br />

tutti), stilando un apposito elenco. All’inizio di ogni settimana, pertanto, egli<br />

diceva a colui che prendeva servizio in cucina: «Ecco fratello, tu hai visto che<br />

questi utensili sono sana et munda atque integra, restituiscili così <strong>al</strong>lo scadere del tuo<br />

servizio»; e subito dopo scriveva con precisione sulle tavolette il numero vasculorum<br />

119 . Responsabile di tutto ciò che giungeva sulla tavola dei monaci, il cellerario<br />

doveva pure evitare di essere attorniato di fanciulli che gli chiedevano pane e<br />

vino; per questo era consentito ai più piccoli anticipare l’ora dei pasti e, «quindi,<br />

non è sbagliato che essi mangino prima dell’ora fissata per il pasto», durante il<br />

qu<strong>al</strong>e non veniva data loro una razione di cibo ugu<strong>al</strong>e a quella di tutti i monaci,<br />

non solo e non tanto per una ragione economica in quanto essi consumavano di<br />

118 Ildemaro, pp. 471, 473-474; per l’atteggiamento di umiltà da tenere quando si commette qu<strong>al</strong>cosa,<br />

RB 45, 2, mentre rispetto ai danneggiamenti 46, 1-4: «Se durante qu<strong>al</strong>che lavoro, in cucina, in dispensa,<br />

nel servizio a mensa, <strong>al</strong> forno, nell’orto o mentre è impegnato in <strong>al</strong>tre attività o in qu<strong>al</strong>che <strong>al</strong>tro<br />

posto, qu<strong>al</strong>cuno commette una mancanza, o danneggia o perde qu<strong>al</strong>cosa o si rende comunque colpevole,<br />

e non si presenta subito davanti <strong>al</strong>l’abate e <strong>al</strong>la comunità per fare spontaneamente riparazione<br />

e confessare la propria colpa, ma la sua mancanza si viene a sapere da un <strong>al</strong>tro, sia sottoposto a<br />

un castigo più severo».<br />

119 Ildemaro, pp. 398-399; RB 35, 5.10.11; inoltre 31, 10; 36, 10; 39, 5.


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246


meno, ma perché avendo mangiato prima erano già sazi 120 . In ogni caso, a parte<br />

questa deroga specifica per l’infanzia, di norma a nessuno era permesso «prendere<br />

per conto suo cibo e bevanda prima o dopo l’ora stabilita» (RB 43, 18) e<br />

Ildemaro spiega che laddove si dice «nequidquam potus», si deve intendere tanto<br />

il vino quanto l’acqua, tranne che di fronte a bisogni particolari. Nel caso in<br />

cui però la necessità di bere veniva indotta <strong>d<strong>al</strong></strong> lavoro dei campi, spettava <strong>al</strong> priore<br />

comunicarlo <strong>al</strong>l’abate, il qu<strong>al</strong>e dava seguito a t<strong>al</strong>e richiesta, dicendo: «Poiché il<br />

nostro fratello ha bisogno di bere a motivo del lavoro, che lo abbia» e informava<br />

il decano, il qu<strong>al</strong>e comandava <strong>al</strong> cellerario di dargli da bere. Si precisa poi che<br />

l’uso particolare di offrire <strong>al</strong> lettore o agli <strong>al</strong>tri ministri per il loro servizio, sia<br />

pure con la benedizione del superiore, qu<strong>al</strong>cosa in più di pane, vino o pietanza<br />

non era conforme <strong>al</strong>la regola, ma corrispondeva <strong>al</strong>la consuetudine dei laici, in<br />

quanto san Benedetto aveva permesso loro «di prendere prima del pasto suam<br />

justitiam, cioè il mixtum; s<strong>al</strong>vo che quel qu<strong>al</strong>cosa in più, e questo è giusto, fosse<br />

dato a motivo della loro debolezza o della m<strong>al</strong>attia» 121 .<br />

Il riferimento <strong>al</strong> lettore che prima di iniziare a leggere in refettorio prendeva<br />

il «misto» è assai interessante, in quanto precisa che il mixtus era detto anche «giustizia»,<br />

e consisteva in «singoli bicchieri di acqua e vino (biberes) e del pane»; ciò<br />

spiega pure la consuetudine esistente nell’area franca di usare il termine «mordere<br />

per indicare il misto», mettendolo in relazione diretta con “il pane e il vino” dato<br />

ai fratelli incaricati dei lavori di cucina poco prima del pasto 122 . Si aggiunga, inoltre,<br />

che la precisazione tempor<strong>al</strong>e “poco prima del pasto” ha semplicemente il<br />

v<strong>al</strong>ore di segnare cronologicamente lo svolgersi ordinato delle cose, in modo t<strong>al</strong>e<br />

che nell’orario esista un breve interv<strong>al</strong>lo nel qu<strong>al</strong>e essi possano prendere ciò che<br />

è loro comandato di mangiare prima del servizio. Ciò significa, per esempio, che<br />

quando i fratelli mangiano <strong>al</strong>l’ora nona, dopo aver cantato la messa <strong>al</strong>l’ottava,<br />

finita la celebrazione quelli che dovevano ricevere il mixtum – cioè, gli inservienti<br />

della cucina, il lettore, gli addetti dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e e quelli preposti <strong>al</strong>la cura dei<br />

m<strong>al</strong>ati – andavano in refettorio dove trovavano preparato un quarto di libbra di<br />

pane e un bicchiere di vino. Solo <strong>al</strong>lora il fratello addetto <strong>al</strong> segn<strong>al</strong>e, atteso che il<br />

120 Ildemaro, p. 421; RB 37, 3; inoltre, per il tema dell’educazione dei bambini oblati e la loro <strong>al</strong>imentazione,<br />

si vedano Ildemaro, pp. 333, 419-421, 578 e le osservazioni <strong>al</strong> riguardo di DE JONG, Growing up in<br />

a Carolingian monastery, pp. 103-104 e ARCHETTI, Scuola, lavoro e impegno pastor<strong>al</strong>e, pp. 112-113.<br />

121 Ildemaro, pp. 362-363.<br />

122 Ildemaro, pp. 427, 399; RB 38, 10; 35, 12-13.<br />

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248<br />

sacerdote si fosse tolto i paramenti, suonava il cemb<strong>al</strong>o o la campana perché la<br />

comunità andasse in refettorio 123 .<br />

In quaresima, nell’interv<strong>al</strong>lo tra la messa e il vespro, a cui seguiva l’unico<br />

pasto del giorno, i monaci ricevevano il mixtum, come se fosse uno spuntino o<br />

una merenda 124 , per usare un’immagine attu<strong>al</strong>e; durante l’estate, invece, quando il<br />

pasto era <strong>al</strong>l’ora sesta, dopo aver cantato terza e celebrato la messa, il fratello incaricato<br />

di dare il segn<strong>al</strong>e del pranzo – quando vedeva che si stava avvicinando il<br />

momento, ma mancavano ancora pochi minuti –, suonava due o tre rintocchi in<br />

modo che i fratelli potessero affrettarsi ad andare in refettorio, dove trovavano<br />

preparato solo panem et vinum sui tavoli, in quanto la regola parla di questi due <strong>al</strong>imenti<br />

e non di <strong>al</strong>tri. Quando poi colui che doveva dare il segn<strong>al</strong>e del mezzogiorno<br />

vedeva che tutto ciò era stato consumato, <strong>al</strong>lora suonava la sesta; la comunità<br />

iniziava a recitare il Miserere mei Deus mentre i settimanari, accompagnati <strong>d<strong>al</strong></strong> cellerario,<br />

si recavano in cucina a svolgere il loro compito, mettevano la pietanza c<strong>al</strong>da<br />

nelle scodelle e il cellerario versava il vino. Terminato il pasto e trascorso il<br />

tempo del riposo, giunta l’ora nona ognuno riprendeva le sue mansioni; nel caso<br />

del lettore, tuttavia, va aggiunto che quando si esercitava a leggere o a cantare non<br />

riceveva il misto, «giacché non ho mai visto nessuno a fare ciò», assicura Ildemaro.<br />

Bisogna sapere semmai, prosegue il testo, che quanti ricevevano il mixtum, non<br />

per questo erano tenuti <strong>al</strong>la recita in comune del versetto. Il supplemento di pane<br />

e vino, dunque, era diventato una consuetudine diffusa e comune, che si svolgeva<br />

secondo un ritu<strong>al</strong>e preciso e ad un orario consueto, appositamente segn<strong>al</strong>ato<br />

dai rintocchi ad mixtum, non solo durante i giorni feri<strong>al</strong>i ma anche la domenica,<br />

nelle feste dei santi e quando il pasto era <strong>al</strong>l’ora sesta 125 .<br />

Comprensibilmente ampio appare a questo punto il commento a RB 40, sulla<br />

quantità del vino, fin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esame inizi<strong>al</strong>e della dottrina paolina dei carismi, <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

qu<strong>al</strong>e consegue la scrupolositas del legislatore nel fissare una misura <strong>al</strong>imentare<br />

v<strong>al</strong>ida per tutti 126 . Infatti, scrive il maestro di Civate, «qu<strong>al</strong>cuno riceve il dono di<br />

bere meno della quantità stabilita», qu<strong>al</strong>cun <strong>al</strong>tro quello di averne appena a suf-<br />

123 Ildemaro, p. 399.<br />

124 Il termine ricorre però, «pro merendam panem unum et vinum quantum sit sufficiens», in modo<br />

preciso negli Statuta Casinensia del XIII secolo [ed. T. Leccisotti, F. Avagliano, C.W. Bynum, in Consuetudines<br />

benedictinae variae (Saec. XI - Saec. XIV), Siegburg 1975 (CCM 6), p. 235].<br />

125 Ildemaro, pp. 400, 402; inoltre, per l’assunzione di misto anche pp. 399, 427, 462-463.<br />

126 Ildemaro, pp. 443-448.


ficienza, un <strong>al</strong>tro ancora di «poter vivere senza la necessità di assumere vino e un<br />

quarto, bastandogli meno della misura indicata, accetta t<strong>al</strong>e quantità pur non<br />

potendo astenersi completamente <strong>d<strong>al</strong></strong> vino». Il motivo, tuttavia, per il qu<strong>al</strong>e<br />

Benedetto <strong>al</strong>la fine ha rotto gli indugi stabilendo una quantità standard sufficiente<br />

per ciascuno deriva <strong>d<strong>al</strong></strong>la preoccupazione di provvedere <strong>al</strong>le esigenze dei<br />

più deboli; la «infirmorum (…) imbecillitatem» però, anche per Ildemaro, non<br />

riguarda tanto l’infermità del corpo, ma quella della mente 127 . Si avverte piuttosto<br />

il timore che non vengano superati quei limiti oltre i qu<strong>al</strong>i si cade nel vizio,<br />

«<strong>d<strong>al</strong></strong> momento che il peccato non sta tanto nel cibo, quanto nel desiderio». Per<br />

questo, anche laddove nella regola si ordina che il monaco non deve essere<br />

«vinolentus», si mette in evidenza che il padre Benedetto «non disse di non bere<br />

vino, ma di non essere dedito <strong>al</strong> vino. Vinolentus infatti è colui che viene sopraffatto<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la bramosia del vino; ciò vuol dire che non bisogna bere con avidità» 128 .<br />

Di conseguenza, proprio in virtù della premessa biblica inizi<strong>al</strong>e, qu<strong>al</strong>unque<br />

siano le condizioni e le situazioni particolari, l’assenza o la penuria di vino non<br />

deve mai diventare un motivo di lamentela (RB 40, 8-9). Un passo questo che si<br />

presta a tre diversi livelli di lettura: circa il tipo di misura stabilita, la facoltà di<br />

poter accrescere un poco t<strong>al</strong>e misura e l’obbligo di evitare i rischi dell’ebbrezza;<br />

livelli illustrati <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esempio comportament<strong>al</strong>e dei tre monaci, <strong>al</strong> primo dei qu<strong>al</strong>i<br />

basta la quantità stabilita, <strong>al</strong> secondo cui non gli basta e <strong>al</strong> terzo che addirittura si<br />

ubriaca se la beve. «Colui infatti – si legge di seguito nel commentario – per il<br />

qu<strong>al</strong>e non è né troppa né poca, se vuole, può berla tutta; quello invece che ha<br />

bisogno di una quantità superiore, deve riceverne di più, come pure gli si deve<br />

aumentare la razione di pane e di pietanza, benché anche per lui sussista il limite<br />

di non cadere nell’ingordigia; quello infine che bevendo la quantità stabilita si<br />

ubriaca, v<strong>al</strong>e a dire b<strong>al</strong>betta quando parla e vacilla quando cammina, se lo vuole,<br />

può diminuire spontaneamente t<strong>al</strong>e quantità». Qu<strong>al</strong>ora invece egli dicesse che<br />

non vuole farlo, precisa Ildemaro, «perché quella è la misura che gli ha concesso<br />

san Benedetto, non gliela si deve diminuire per evitare la mormorazione, <strong>al</strong> contrario<br />

va rispettata la norma affinché sia noto a tutti e diventi una convinzione<br />

comune che quella quantità gli fa m<strong>al</strong>e». Fatto questo, se il fratello se ne renderà<br />

conto e vorrà astenersi, bene, «se invece persevererà nella sua ostinazione e non<br />

vorrà limitarsi spontaneamente, <strong>al</strong>lora sia privato da parte del superiore, poiché<br />

127 Ildemaro, pp. 444-445.<br />

128 Ildemaro, rispettivamente pp. 445, 132, 136; RB 40, 6.7; 4, 20.35.<br />

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250<br />

è meno grave che si mormori senza motivo, che prendere decisioni in stato di<br />

ebbrezza». In ogni caso, una volta corretto e guarito <strong>d<strong>al</strong></strong>la sua debolezza, l’umiliazione<br />

subita con quella privazione volontaria veniva lenita e, in un certo senso,<br />

‘compensata’ con qu<strong>al</strong>che piccolo privilegio costituito da un supplemento di<br />

cibo o licenza nel vestire 129 .<br />

La debolezza umana ha indotto il legislatore a permettere di bere vino, ma<br />

quanti possono astenersene – ricorda la regola – riceveranno una ricompensa<br />

particolare (RB 40, 4). Ciò significa che il monaco, il qu<strong>al</strong>e con il consenso dell’abate,<br />

vuole e può rinunciare a qu<strong>al</strong>cosa della bevanda, del cibo o del vestito, fa<br />

bene a farlo, e per questo verrà compensato. Sarà cura del superiore però, «che<br />

permette ad un suo monaco di digiunare, stare attento che questi non voglia farlo<br />

per mettersi in mostra», perché è più apprezzabile quel fratello che «ogni tanto<br />

beve del vino per evitare le lodi umane, rispetto a quello che se ne priva completamente»<br />

per farsi vedere 130 . Si prosegue poi con <strong>al</strong>cune precisazioni di carattere<br />

terminologico; in particolare quando nella regola (40, 5-7) si dice «subrepat»<br />

(eviti l’eccesso di vino), ciò sta ad indicare il pericolo che nascostamente si insinui<br />

la sazietà o entri l’ebbrezza; «parcius», significa in modo più temperante o<br />

con maggiore astinenza; «apostatare», cioè fa deviare <strong>d<strong>al</strong></strong>la strada di Dio o prevaricare;<br />

«propriam mercedem», infine, sottolinea che una ricompensa speci<strong>al</strong>e è<br />

promessa a chi sa rinunciare <strong>al</strong> vino. Ciò è comprensibile perché, come un uomo<br />

che lavora con gli <strong>al</strong>tri per uno scopo collettivo riceve una ricompensa comune,<br />

così avviene anche presso Dio, in quanto se si fa qu<strong>al</strong>cosa di bene insieme agli<br />

<strong>al</strong>tri con loro si sarà premiati, se invece si compie qu<strong>al</strong>cosa più degli <strong>al</strong>tri si avrà<br />

diritto a ricevere qu<strong>al</strong>cosa in più. «Pertanto, se un fratello si astiene <strong>d<strong>al</strong></strong> vino<br />

quanto gli <strong>al</strong>tri, riceverà un premio ugu<strong>al</strong>e a loro, se <strong>al</strong> contrario vi rinuncia di più<br />

o di meno, riceverà una ricompensa maggiore o minore per ciò che avrà fatto» 131 .<br />

La quantità giorn<strong>al</strong>iera di vino sufficiente per ciascuno resta natur<strong>al</strong>mente quella<br />

dell’emina (RB 40, 30), rispetto <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e nel testo di Ildemaro c’è la conferma di<br />

quanto abbiamo già appreso da <strong>al</strong>tre fonti. Si deve sapere, infatti – prosegue l’Expositio<br />

–, che «ogni regno ha le sue misure; e pertanto gli esperti, trattando delle<br />

misure, lo fanno secondo le consuetudini del loro paese, come si legge nel caso di<br />

Rut, che raccolse da sola sei moggi di olio. An<strong>al</strong>ogamente Ezechiele parla in un<br />

129 Ildemaro, pp. 447-448.<br />

130 Ildemaro, p. 446.<br />

131 Ildemaro, p. 447, anche 569.


modo del siclo e l’Eptateuco in un <strong>al</strong>tro: così anche san Benedetto, quando parla di<br />

emina di vino, lo fa secondo le abitudini della sua regione, come pure delle <strong>al</strong>tre<br />

cose. Per cui il re Carlo, per poter conoscere e sapere qu<strong>al</strong>e emina adottare, mandò<br />

un suo messo a Benevento nel monastero di san Benedetto, dove trovò l’antica<br />

misura e vide che la quantità di vino dato ai monaci corrispondeva a quell’emina».<br />

«Similmente a quella – aggiunge Ildemaro – ne abbiamo una anche noi» 132 .<br />

Per dare completezza scientifica <strong>al</strong>l’informazione, si cita subito dopo Isidoro:<br />

«L’emina divide in due parti ugu<strong>al</strong>i il sestario e forma un cotile; essa pesa una libbra<br />

che raddoppiata fa un sestario» 133 ; per poi continuare il discorso sulla derivazione<br />

orient<strong>al</strong>e del nome e sulle osservazioni linguistiche formulate dai grammatici<br />

che stabiliscono la corrispondenza tra mina ed emina: «la mina pesa cento dramme,<br />

due emine fanno un sestario, per cui Prisciano scrive, nel libro dedicato <strong>al</strong>le<br />

misure: l’emina raddoppiata corrisponde a un sestario, che è preso quattro volte,<br />

esso viene <strong>d<strong>al</strong></strong>la parola greca koinix. Emna greca invece corrisponde <strong>al</strong>l’emina latina,<br />

come mnas greca corrisponde a mina latina». Annotazioni che si dilungano poi in<br />

complicate argomentazioni di carattere cultur<strong>al</strong>e e linguistico.<br />

Ildemaro osserva, infine, che quando manca il vino non è sbagliato se i<br />

monaci se lo procurano comprandolo. Tuttavia, questo prodotto per quanto<br />

necessario non deve essere considerato come un bene primario, ma in subordine<br />

ad <strong>al</strong>tri bisogni comunitari più impellenti, come quelli relativi ai vestimenta; si<br />

deve cioè «provvedere prima ai vestiti che <strong>al</strong> vino» 134 . Ciò natur<strong>al</strong>mente non<br />

toglie che la sua presenza sia richiesta e considerata quasi indispensabile, non<br />

solo per le esigenze di natura liturgica, ma appunto perché il vino compare fra i<br />

prodotti autorizzati <strong>d<strong>al</strong></strong>la regola.<br />

Liturgica abbondanza negli usi cluniacensi<br />

Dopo Benedetto, dunque, il rinnovamento carolingio reca con sé la conferma del<br />

vino qu<strong>al</strong>e bevanda comune nelle dieta dei monaci, il cui uso viene via via ampliato.<br />

Il problema non è più quello di bere oppure no il vino, ma di limitarne il con-<br />

132 Ildemaro, p. 445.<br />

133 ISIDORO, Etymologiae, col. 594, lib. XVI, cap. 26, 5; Ildemaro, p. 445, anche per le citazioni seguenti.<br />

134 Ildemaro, p. 448.<br />

251


252<br />

sumo evitando le varietà più pregiate e robuste, in ossequio <strong>al</strong>la scelta di una vita<br />

semplice, sobria e orientata <strong>al</strong>l’ascesi. Per questo nella Vita di Ugo di Semur, il<br />

grande abate di Cluny (1049-1109), sotto la cui guida l’abbazia borgognona raggiunse<br />

la sua massima espansione, la preoccupazione non appare tanto quella di<br />

mostrare l’eroicità di Ugo nel rinunciare <strong>al</strong> vino, quanto di mettere in evidenza la<br />

sua virtù nell’astinenza. Ciò rispondeva evidentemente ad una precisa esigenza<br />

agiografica, qu<strong>al</strong>e esempio per i suoi monaci, ma rappresentava anche una presa<br />

di posizione polemica nei confronti di Pier Damiani che aveva attaccato con<br />

asprezza i cluniacensi per le loro ricchezze e l’abbondanza <strong>al</strong>imentare della loro<br />

mensa, ma poi – dopo essersi trattenuto lui stesso per qu<strong>al</strong>che tempo ospite a<br />

Cluny – si era ricreduto vedendo con «qu<strong>al</strong>e devozione affrontavano le fatiche»<br />

della liturgia quotidiana e «vivevano santamente la regola» quei monaci 135 .<br />

Nei confronti del cibo, pertanto, Ugo viene presentato come un modello di<br />

moderazione: non lo sdegnava ostentatamente, ma neppure indulgeva troppo<br />

<strong>al</strong>le esigenze del corpo, mettendolo <strong>al</strong>la prova speci<strong>al</strong>mente con l’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

bere a tavola, pur avendo il vino di fronte. «Lasciava che il suo corpo – narra l’Anonimo<br />

cronista – soffrisse di una sete più tormentosa di qu<strong>al</strong>siasi digiuno,<br />

costringendosi a prendere il cibo senza <strong>al</strong>cuna bevanda. Qu<strong>al</strong>e Pier Damiani<br />

sarebbe stato capace di imporsi come norma, più dura di ogni tormento, di non<br />

concedersi da bere durante i pasti, ma di inghiottire faticosamente, come pietra<br />

senza c<strong>al</strong>cina, i bocconi di cibo non accompagnandoli ad <strong>al</strong>cuna bevanda, in<br />

modo da eccitare la sete e stimolare in continuazione il desiderio di bere senza<br />

soddisfarlo anche solo con qu<strong>al</strong>che sorso?» 136 .<br />

Avviata <strong>al</strong>l’inizio del X secolo, la riforma cluniacense aveva ormai conquistato<br />

moltissimi cenobi europei, influenzando il rinnovamento o la fondazione<br />

di tanti <strong>al</strong>tri monasteri. Durante l’abbaziato di Ugo, lo stile di vita di Cluny era<br />

stato messo per scritto <strong>d<strong>al</strong></strong> monaco Bernardo, le cui consuetudini furono compilate<br />

prima del 1078 137 , ma già <strong>al</strong> tempo dell’abate Odilone, un monaco di estra-<br />

135 Cfr. Ugo abate di Cluny. Splendore e crisi della cultura monastica, a cura di G. Cantarella, D. Tuniz, Novara<br />

1982, pp. 139-140.<br />

136<br />

ANONIMO II, Alia miraculorum quorundam sancti Hugonis abbatis relatio, in Bibliotheca Cluniacensis…,<br />

Omnia nunc primum ex ms. codd. collegerunt M. Marrier, A. Quercetanus, Lutetiae Parisiorum<br />

1614, col. 462; inoltre, Ugo abate di Cluny, p. 141.<br />

137<br />

BERNARDO DI CLUNY, Consuetudines aevi sancti Hugonis, a cura di M. Herrgott, in Vetus disciplina<br />

monastica, Parisiis 1726, pp. 133-364; D. IOGNA-PRAT,C.SAPIN, Les études clunisiennes dans tous leurs états,<br />

«Revue Mabillon», 5 (1994), p. 244.


zione romu<strong>al</strong>dina di nome Giovanni, ne aveva dato un prezioso resoconto nel<br />

Liber tramitis che trovò applicazione nella grande abbazia di Farfa 138 . Dopo averla<br />

sperimentata person<strong>al</strong>mente, poi, un <strong>al</strong>tro monaco proveniente da Hirsau,<br />

U<strong>d<strong>al</strong></strong>rico di Ratisbona, compilò prima del 1083 le Antiquiores consuetudines dell’abbazia<br />

di Cluny 139 , redazione che insieme a quella di Bernardo influenzò le<br />

costituzioni dell’abate Guglielmo di Hirsau <strong>al</strong>la fine dello stesso secolo, dopo<br />

aver ispirato pure i Decreta di Lanfranco di Canterbury e le Consuetudines dell’abbazia<br />

di Bec, in Normandia 140 . Nel medesimo periodo, inoltre, si collocano cronologicamente<br />

anche gli usi di San Benigno di Fruttuaria, cenobio riformato da<br />

Guglielmo da Volpiano e destinato a dilatare ulteriormente il monachesimo di<br />

derivazione cluniacense, i cui religiosi esercitavano, secondo Rodolfo il Glabro,<br />

«la mortificazione della carne, l’umiliazione del corpo, la rozzezza delle vesti e la<br />

parsimoniosa frug<strong>al</strong>ità del cibo» 141 .<br />

Ora, prendendo in esame questo primo nucleo di usi monastici si ricavano<br />

una serie di dati e tendenze che danno un quadro dei comportamenti monastici<br />

più diffusi nei secoli centr<strong>al</strong>i del pieno e del tardo medioevo. L’ora del pranzo<br />

innanzitutto – v<strong>al</strong>e la pena di ripeterlo –, che era il pasto princip<strong>al</strong>e, variava con la<br />

stagione: nei mesi estivi, a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la pasqua, era consumato <strong>al</strong> termine della<br />

messa solenne subito dopo mezzogiorno, mentre la cena si faceva la sera dopo i<br />

vespri. Nei giorni più brevi dell’inverno, invece, era previsto un solo pasto <strong>al</strong> giorno<br />

nel tardo pomeriggio, benché uno spuntino potesse essere distribuito prima di<br />

compieta 142 . L’assunzione del cibo natur<strong>al</strong>mente, come ogni <strong>al</strong>tra cosa, seguiva un<br />

138 Liber tramitis aevi Odilonis abbatis, ed. P. Dinter, Siegburg 1980 (CCM 10); G. PICASSO, “Usus” e “Consuetudines”<br />

cluniacensi in It<strong>al</strong>ia, in L’It<strong>al</strong>ia nel quadro dell’espansione europea del monachesimo cluniacense, a cura<br />

di C. Violante, A. Spicciani, G. Spinelli, Cesena 1985 (It<strong>al</strong>ia benedettina, 8), pp. 301-302, 309-310.<br />

139<br />

UDALRICO DI RATISBONA, Antiquiores consuetudines Cluniacensis monasterii, PL, 149, col. 635-778;<br />

IOGNA-PRAT,SAPIN, Les études clunisiennes, p. 244.<br />

140<br />

GUGLIELMO DI HIRSAU, Constitutiones Hirsaugienses seu Gengenbacenses, PL, 150, coll. 927-1146; Decreta<br />

Lanfranci monachis Cantuariensibus transmissa, ed. D. Knowles, Siegburg 1967 (CCM 3); Consuetudines<br />

Beccenses, ed. M.P. Dickson, Siegburg 1967 (CCM 4); D. KNOWLES, The Monastic Order in England,Cambridge<br />

1950, pp. 119-124.<br />

141 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, ed. L. Spätling, P. Dinter, Siegburg 1985, 1987 (CCM 12/1-<br />

2); G. PENCO, Le “Consuetudines Fructuarienses”, in Cîteaux e il monachesimo del suo tempo, Milano 1994, pp. 81-<br />

96. Per la citazione <strong>d<strong>al</strong></strong>la Vita di Guglielmo da Volpiano, cfr. RODOLFO IL GLABRO, Storie dell’anno Mille. I<br />

cinque libri delle Storie. Vita dell’abate Guglielmo, a cura di G. Andenna, D. Tuniz, Milano 1981, p. 189.<br />

142 Per un primo sommario inquadramento gener<strong>al</strong>e, v. A. D’AMBROSIO, Per una storia del regime <strong>al</strong>imentare<br />

nella legislazione monastica <strong>d<strong>al</strong></strong>l’XI <strong>al</strong> XVIII secolo, «Benedictina», 33 (1986), pp. 429-449; MON-<br />

253


254<br />

ritu<strong>al</strong>e ben codificato. Dopo essersi lavati le mani, i fratelli entravano nel refettorio<br />

– dove i posti erano assegnati seguendo un ordine rigoroso basato sull’anzianità<br />

di ingresso nel cenobio –, rimanendo in piedi fino <strong>al</strong>l’arrivo dell’abate o del<br />

priore che dava la benedizione. I pasti erano serviti e consumati in rigoroso silenzio,<br />

rotto soltanto <strong>d<strong>al</strong></strong>la voce del lettore sul pulpito e dai rumori delle stoviglie.<br />

Il vino era presente tutto l’anno nella loro <strong>al</strong>imentazione e, se escludiamo i<br />

periodi di digiuno canonico e la quaresima – <strong>d<strong>al</strong></strong> qu<strong>al</strong>e tuttavia erano esentati i<br />

m<strong>al</strong>ati, non erano comprese le domeniche, i giorni di festa e il giovedì santo –<br />

veniva preso durante i pasti e in vari momenti della giornata secondo un rigido<br />

c<strong>al</strong>endario. Tempi e mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità della distribuzione erano fissati <strong>d<strong>al</strong></strong>la regola ed avvenivano<br />

a metà mattina (bibitio post nonam) 143 , nel pomeriggio (post scillam vespertinam)<br />

144 e prima di compieta (post collationem) 145 , mentre era assolutamente proibito<br />

TANARI, Alimentazione e cultura, pp. 64-104; A.M. NADA PATRONE, A mensa con i monaci, in L’<strong>al</strong>imentazione<br />

nei monasteri mediev<strong>al</strong>i, a cura di E. Scapoli, Ferrara 1997, pp. 15-57; A. RIERA-MELIS, Società feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e<br />

e <strong>al</strong>imentazione (secoli XII-XIII), in Storia dell’<strong>al</strong>imentazione, a cura di J.-L. Flandrin, M. Montanari,<br />

Roma-Bari 1997, pp. 315-320; NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis, pp. 277-350.<br />

143 Per lo spuntino fatto dai monaci a metà mattina, cfr. BENEDETTO DI ANIANE, Concordia regularum,<br />

coll. 1133-1134; Redactio Sancti Emmerammi,in Consuetudines saeculi X/XI/XII monumenta non-cluniacensia,<br />

ed. K. H<strong>al</strong>linger, Siegburg 1984 (CCM 7/3), pp. 239-241 (sec. X); per gli usi cluniacensi: Liber tramitis,<br />

pp. 90-91, 219, 229; Redactio Fuldensis-Trevirensis,in Consuetudines saeculi X/XI/XII, pp. 293, 312<br />

(sec. XI); Consuetudines Cluniacensium antiquiores cum redactionibus derivatis, ed. K. H<strong>al</strong>linger, Siegburg<br />

1983 (CCM 7/2), p. 246; Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 56-57, 65-67, 135, 154, 163,<br />

201; 2, pp. 34, 44, 219.<br />

144 Nel monastero tedesco di S. Emmeran l’assunzione vespertina della bevanda era annunciata <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

suono del cemb<strong>al</strong>o (Redactio Sancti Emmerammi, p. 239); inoltre, Liber tramitis, pp. 82, 165, 222, 219;<br />

Consuetudines Cluniacensium antiquiores, p. 297; Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 167-170.<br />

145 Terminata la lettura, spiegano le consuetudini di Fleury della fine del secolo X, il decano suonava<br />

il cemb<strong>al</strong>o «et caritas bibitionis fiat sive bibitio caritatis» [Consuetudines Floriacenses antiquiores, ed.<br />

K. H<strong>al</strong>linger, in Consuetudines saeculi X/XI/XII, pp. 38-39, cap. 26]; t<strong>al</strong>e rito trova una dettagliata<br />

presentazione anche nel Liber tramitis, pp. 52, 83, 92, 116, 130, 222; è ripreso nelle Consuetudines Cluniacensium<br />

antiquiores, pp. 92-93, 265, 351 e in quelle fruttuariensi (Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae,<br />

1, pp. 29-30, 179-180), mentre in quelle sublacensi si precisa che i monaci si recavano in<br />

refettorio <strong>al</strong> segn<strong>al</strong>e della campana, facendo un inchino <strong>al</strong> crocifisso che si trovava nella s<strong>al</strong>a; quando<br />

poi il priore diceva: Benedicite, tutti ripetevano la stessa cosa, per proseguire in tono retto con il<br />

versetto: Potus caritatis benedicat dextera Dei Patris omnipotentis, a cui si rispondeva: Amen. Solo <strong>al</strong>lora<br />

andavano a sedere <strong>al</strong> proprio posto e l’inserviente, che «tenebat cannatam cum vino» con le due<br />

mani, versava loro da bere due volte [Caeremoniae Sublacenses, in Caeremoniae regularis observantiae sanctissimi<br />

patris nostri Benedicti ex ipsius Regula sumptae, secundum quod in Sacris Locis, scilicet Specu et monasterio<br />

Sublacensi practicantur, ed. J.F. Angerer, Siegburg 1985 (CCM 11/1), pp. 92-93]; inoltre, Consuetudines<br />

Castellenses, 1, pp. 279-280, 282.


ere vino di notte 146 . Durante le festività liturgiche e la domenica, in base ad una<br />

prassi che si era andata diffondendo con la riforma carolingia 147 , la misura quotidiana<br />

del vino era accresciuta da un’aggiunta supplementare denominata karitas o<br />

«bibitio caritatis», forse per l’indulgenza verso la debolezza dei monaci o perché<br />

«ciò che avanzava del pane e del vino lo raccoglieva l’elemosynarius» 148 per darlo ai<br />

poveri, ma non tanto secundum regulam quanto ex gratia 149 . La sua distribuzione<br />

avveniva con una certa solennità, poiché – secondo il monaco Bernardo – il «vino<br />

della carità» era preceduto da candele che venivano deposte sul tavolo dell’abate<br />

e su una tavola dei fratelli; a t<strong>al</strong>e scopo, ancora <strong>al</strong>la fine del XIV secolo, a Cluny<br />

erano destinate le uve di una vigna particolare, il cui prodotto era stimato anno<br />

146 Dopo compieta, col permesso del superiore, chi aveva necessità di bere poteva farlo recandosi in<br />

refettorio, dove a sua disposizione trovava acqua o <strong>al</strong>tri infusi, birra compresa, ma non vino, cfr. Consuetudines<br />

Beccenses, p. 173, in refettorio di notte si può bere acqua «vel cervisiam, vinum autem nequaquam»;<br />

precisa appare anche la Redactio Fuldensis-Trevirensis, pp. 312-313: «emina in die vini et in nocte<br />

addito servisie potum tam in estate quam in hyeme singulis porrigetur»; inoltre, Consuetudines Fructuarienses<br />

- Samblasianae,1,p.79.<br />

147 Il monaco Giovanni, autore del Liber tramitis (p. 91), precisa che questa è una prassi molto antica,<br />

attestata già nella Concordia Regulae di Benedetto di Aniane (BENEDETTO DI ANIANE, Concordia regularum,<br />

coll. 1129-1138 per l’intero commento, in part. col. 1133) e nel commentario di Ildemaro di<br />

Corbie (Ildemaro, pp. 443-448), ma questi testi contengono semplicemente il commento del cap. XL<br />

della RB (De mensura potus), dove è documentabile la crescita del consumo di vino nell’<strong>al</strong>imentazione<br />

monastica, mentre non sembrano esserci indicazioni esplicite <strong>al</strong>la trina propinatio qu<strong>al</strong>e abitudine consolidata<br />

che, invece, sembra essere codificata nell’abbazia di Cluny e da qui diffusa, come appare <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

Consuetudines Floriacenses saeculi tertii decimi, ed. A. Davril, Siegburg 1976 (CCM 9), p. 88. Nella redactio<br />

delle consuetudini bavaresi di S. Emmeran (sec. X) infatti, come pure a Fleury, la trina bibitio era<br />

praticata durante la settimana di pasqua, secondo la successione distributiva di pueri, diaconi e presbiteri<br />

(Redactio Sancti Emmerammi, p. 237). La «caritas vini aut potionis» invece, cioè il supplemento di<br />

vino consentito nei giorni festivi e distribuito nel corso della giornata (Consuetudines Fructuarienses -<br />

Samblasianae, 1, p. 57), è esaminata da G. ZIMMERMANN, Ordensleben und Lebensstandard. Die Cura corporis<br />

in den Ordensvorschriften des abendländischen Hochmittel<strong>al</strong>ters, Münster 1973 (Beiträge zur Geschichte<br />

des <strong>al</strong>ten Mönchtums und des Benediktinerordens, 32), pp. 42 sgg., 252; inoltre, viene ricordato<br />

anche da G. DE VALOUS, Le monachisme clunisien des origines au XV e siècle. Vie intérieure des monastères et<br />

organisation de l’Ordre. I:L’abbaye de Cluny, les monastères clunisiens, Paris 1970, pp. 259-261; L. MOULIN,<br />

La vita quotidiana dei monaci nel medioevo, Milano 1988, p. 97.<br />

148 Liber tramitis, pp. 130 e 124, 206; BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, p. 158; Consuetudines<br />

Fructuarienses - Samblasianae, 2, p. 219; non dissimili gli usi del monastero di Fleury tra X e XI, dove il<br />

vino avanzato in refettorio «de singulis cuppis fratrum» era vuotato in situlas e poi dato ai poveri in<br />

vascula vinaria appositi (Consuetudines Floriacenses antiquiores,p.26).<br />

149 Cfr. Consuetudines Castellenses, p. 279.<br />

255


256<br />

per anno e affidato <strong>al</strong> custos caritatis, che aveva il compito di assicurare ben 104<br />

carità ordinarie (due <strong>al</strong>la settimana) e cinque straordinarie nel corso dell’anno 150 .<br />

Il santo abate Odilone di Cluny dispose che a nat<strong>al</strong>e, pasqua e nelle solennità di<br />

pentecoste, dei santi Pietro e Paolo e dell’Assunta i monaci avessero «terna pocula»,<br />

oltre la loro razione quotidiana di vino, mentre in <strong>al</strong>tre quindici feste la loro refezione<br />

fosse arricchita di una sola «propinatio» aggiuntiva 151 . In queste occasioni, il<br />

cellerario, aiutato da un <strong>al</strong>tro monaco, andava di persona a prendere in cantina le<br />

«g<strong>al</strong>etas vini» necessarie, che portava poi in refettorio; qui erano riempite le iusticias<br />

di tutti i fratelli – cioè, le coppe o bocc<strong>al</strong>i contenenti la “misura giusta” di vino stabilita<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la regola per ciascuno ogni giorno –, i qu<strong>al</strong>i ricevevano una o più coppe<br />

supplementari, mentre <strong>al</strong> termine della distribuzione i contenitori vinari erano<br />

riportati in cantina, dove restavano sotto la custodia del «cellerarius de vino» 152 .<br />

T<strong>al</strong>e distribuzione, in particolare, veniva annunciata dai rintocchi della campanella<br />

del refettorio ed aveva una chiara v<strong>al</strong>enza simbolica, espressa anche nell’uso<br />

dei termini; <strong>al</strong> segn<strong>al</strong>e convenuto, infatti, dapprima si <strong>al</strong>zavano i conversi per ricevere<br />

la loro potionem, poi veniva il turno della caritas data ai diaconi e, da ultimo, era<br />

offerto il vinum ai sacerdoti. Nel monastero di Fleury invece, come in quello bavarese<br />

di S. Emmeran, durante la settimana santa l’aggiunta suppletiva era scandita<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la successione di pueri, diaconi e presbiteri 153 . Nel Liber tramitis si chiarisce, però,<br />

che questo supplemento non era servito «per il piacere della gola o per raggiungere<br />

l’ebbrezza, ma per dovere di carità e per amore di Cristo, poiché questa trina propinatio<br />

simboleggia[va] la Trinità, in quanto tutto ciò che facciamo deve avere inizio<br />

e compimento nel nome della santa e individua Trinità» 154 . Comprensione ver-<br />

150 T<strong>al</strong>e distribuzione supplementare nell’abbazia borgognona di Cluny era minuziosamente regolamentata<br />

ancora nel XV secolo (BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, p. 158; DE VALOUS, Le<br />

monachisme clunisien, pp. 259-260).<br />

151 Liber tramitis, pp. 198-199; per i decreti del grande abate Odilone, cfr. BERNARDO, Consuetudines aevi<br />

sancti Hugonis, pp. 242-245; UDALRICO, Antiquiores consuetudines, coll. 654-656.<br />

152 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, pp. 217-218, 239; il termine «g<strong>al</strong>leta» compare già nella<br />

RM 27, 23, in Isidoro di Siviglia (ISIDORO, Etymologiae, col. 706, cap. 5) e in BENEDETTO DI ANIA-<br />

NE, Concordia regularum, col. 1133, dove viene usato come sinonimo di c<strong>al</strong>ice o bicchiere: «sed ad c<strong>al</strong>icis<br />

aut g<strong>al</strong>letae aut caucelli bibat mensuram (...) c<strong>al</strong>ix autem aut g<strong>al</strong>leta, per quel erit in diversis vicibus<br />

ministrandam, t<strong>al</strong>is sit qui tertius impleat mixtam heminam»; ma a Fruttuaria, come in buona<br />

parte dell’It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e, assume il significato di brocca o secchio (situla).<br />

153 Consuetudines Floriacenses saeculi tertii decimi,p.88;Redactio Sancti Emmerammi, p. 237.<br />

154 Liber tramitis, pp. 90-91, in part. p. 91 per la citazione.


so le debolezze individu<strong>al</strong>i, dunque, ma anche simbologia liturgica e giustificazione<br />

teologica.<br />

Nei giorni feri<strong>al</strong>i, di norma, ciascuno andava in refettorio secondo il suo ordine:<br />

i monaci passando attraverso il chiostro vicino <strong>al</strong>la chiesa, i pueri <strong>d<strong>al</strong></strong>la loro<br />

scuola, dove ai più piccoli era pure consentito fare colazione di prima mattina<br />

prendendo pane e vino 155 ; soltanto quando erano giunti tutti l’abate benediceva la<br />

bevanda, il priore dava il segn<strong>al</strong>e (scillam pulset) e ognuno beveva «cum sua iustitia»<br />

156 , v<strong>al</strong>e a dire nella sua coppa. Al termine del pasto – uso quest’ultimo comune<br />

a tutte le consuetudini, ad eccezione della sola voce contraria di Pietro il Venerabile<br />

(† 1156) 157 – il monaco addetto ai poveri raccoglieva ciò che era avanzato<br />

del pane e del vino, mettendo i pezzi di pane in due capienti ceste di legno, poste<br />

in mezzo <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>a, e lasciando ai fanciulli il compito di vuotare il vino lasciato nelle<br />

iustitias dentro un secchio (situla) per darlo <strong>al</strong>l’elemosynarius.<br />

I pueri anzi svolgevano una funzione importante nel servizio delle mensa:<br />

prendevano infatti la bottiglia (fi<strong>al</strong>a) con il vino e lo versavano nei bicchieri<br />

(scyphulos) dei fratelli, quindi – una volta finito di mangiare, sempre sotto la direzione<br />

del loro maestro – lavavano i contenitori vinari. Era importante però che<br />

in refettorio tutti sedessero <strong>al</strong> proprio posto, a cominciare <strong>d<strong>al</strong></strong> superiore che<br />

occupava lo st<strong>al</strong>lo centr<strong>al</strong>e, e non in piedi, sugli sgabelli riservati ai fanciulli (trunci)<br />

o sulle panche poste davanti <strong>al</strong>la predella. Nelle consuetudini fruttuariensi si<br />

precisa anzi che, quando i monaci ricevevano «caritatem vini aut potionis», quelli<br />

più giovani si <strong>al</strong>zavano per prendere le bottiglie pulite, coperte con un panno,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> cesto di vimini (canistrum) posto in un angolo del refettorio; le riempivano<br />

quindi di vino e acqua, aspettando davanti ai contenitori (g<strong>al</strong>etas) il segn<strong>al</strong>e della<br />

distribuzione. Suonata la campanella e recitato il versetto, tutti dicevano Benedicite,<br />

dopo di che aveva inizio la distribuzione del «vinum in fi<strong>al</strong>a» cominciando <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abate,<br />

mentre gli inservienti dovevano fare attenzione a non rovesciare nulla; da<br />

ultimo, veniva dato da bere anche ai pueri e a quanti servivano a mensa, i qu<strong>al</strong>i lo<br />

155 Di prima mattina, nel periodo invern<strong>al</strong>e, «si parvissimus quilibet infans fuerit, panem et vinum licitum<br />

sit ei in scola commedere» (Redactio Wirzeburgensis, in Consuetudines Cluniacensium antiquiores, p.<br />

275, sec. XI; qu<strong>al</strong>che riferimento anche in DE VALOUS, Le monachisme clunisien, pp. 257-258, 260-261).<br />

156 Liber tramitis, pp. 46, 177, 250.<br />

157 A questo proposito l’abate di Cluny riteneva che non fosse decoroso che il fratello addetto <strong>al</strong>la<br />

carità verso i poveri prendesse il vino avanzato <strong>d<strong>al</strong></strong>la mensa monastica per darlo a quanti bussavano<br />

<strong>al</strong>le porte del cenobio, ma doveva essere riunito <strong>d<strong>al</strong></strong> custos vini e servito ai fratelli durante il pasto del<br />

giorno seguente (Statuta Petri Venerabilis,in Consuetudines benedictinae variae,p.67).<br />

257


258<br />

ricevevano «in sciphis» stando seduti <strong>al</strong> loro posto 158 . Il tutto avveniva in silenzio<br />

e chi lo infrangeva era punito con l’«abstinentia vini» 159 ; il suo rispetto però –<br />

specie nei primi tempi – era diventato proverbi<strong>al</strong>e a Cluny, <strong>al</strong> punto che si era<br />

andato sviluppando un apposito linguaggio dei segni, una sorta di <strong>al</strong>fabeto muto,<br />

per consentire ai monaci di chiedere ciò che serviva loro senza parlare.<br />

«Il novizio deve apprendere con diligenza – spiega U<strong>d<strong>al</strong></strong>rico – i segni per<br />

esprimere le proprie necessità, poiché dopo che sarà entrato nella comunità,<br />

molto raramente gli sarà permesso di parlare» 160 . Così, per indicare l’acqua si riunivano<br />

tutte le dita della mano destra facendole ondeggiare; per chiedere il vino<br />

si intingeva un dito portandolo poi <strong>al</strong>le labbra: per il rosso si toccava la guancia<br />

con l’indice, per il bianco si univano due dita rappresentando la forma rotonda<br />

dell’occhio e per lo speziato si chiudeva la mano simulando la farina che cade per<br />

terra, mentre per il vino temperato con miele e assenzio si muovevano a forbice<br />

l’indice e il medio, «poiché l’assenzio è diviso nelle sue foglie» 161 . Per segn<strong>al</strong>are la<br />

coppa (scyphus) invece, contenente «la misura quotidiana del vino», che nelle consuetudini<br />

di Hirsau è assimilata <strong>al</strong>la iustitia, precisa ancora U<strong>d<strong>al</strong></strong>rico: «inclina<br />

indietro la mano e così tienila cava con le dita un poco piegate»; per chiedere la<br />

bottiglia di vetro (phi<strong>al</strong>a vitrea), invece, <strong>al</strong> segno del bicchiere si aggiungeva il<br />

gesto di porre due dita intorno <strong>al</strong>l’occhio, «poiché con lo splendore dell’occhio<br />

si rappresenta la trasparenza del vetro», mentre con <strong>al</strong>tri segni si indicavano vasi<br />

vinari come la coppa di legno, il c<strong>al</strong>ice, la patera e la sua variante chiamata cicothus,<br />

oppure lo zuber, contenitore ligneo con due manici 162 .<br />

158 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 56-57: «De potione propinanda»; 2, p. 219: «De<br />

caritate vini»; inoltre, Liber tramitis, pp. 219, 222, 231.<br />

159 Redactio Fuldensis-Treverensis, p. 278.<br />

160<br />

UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 703, mentre negli Statuta Casinensia, p. 221, si precisa che<br />

nessuno deve chiedere qu<strong>al</strong>cosa in refettorio «nisi cum signo». Cfr. inoltre, E. MARTENE, De antiquis<br />

Ecclesiae ritibus. IV:De monachorum ritibus, Antverpiae 1738 (rist. anast., Hildesheim 1969), col. 918,<br />

cap. 22: De signis habendis, coll. 955 sgg. e riferimenti ad indicem, speci<strong>al</strong>mente con riferimento <strong>al</strong>la<br />

riforma di Grandmont.<br />

161<br />

UDALRICO, Antiquiores consuetudines, coll. 703-704, libro II, cap. 4: «De signo loquendi» (in part., col.<br />

704); che sono riprese e ampliate nelle consuetudini di Hirsau dell’abate Guglielmo (cfr. GUGLIEL-<br />

MO, Constitutiones Hirsaugienses, coll. 945-946, libro I, cap. 14: «De signis diversi liquoris»).<br />

162<br />

UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 704; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, coll. 746-747,<br />

cap. 15: «De signis vasorum».


Si conferma perciò la presenza sulla mensa monastica di un contenitore<br />

equiv<strong>al</strong>ente <strong>al</strong>la misura quotidiana di vino stabilita per ciascuno <strong>d<strong>al</strong></strong>la regola (iustitia<br />

o scyphus), insieme ad una discreta varietà di recipienti per l’assunzione, la<br />

mescita e il trasporto del vino, il cui uso non è immune da una certa ambiguità,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> momento che termini differenti sono spesso impiegati sia come sinonimi, sia<br />

in modo generico con riferimento ai vasi vinari, sia in forma metonimica per<br />

indicare tanto il recipiente quanto la quantità di vino contenuto. L’uso della<br />

parola iustitia, per esempio, che per Ildemaro indicava il mixtum dato <strong>al</strong> lettore e<br />

agli inservienti della cucina, ora corrisponde <strong>al</strong>la razione giorn<strong>al</strong>iera di vino (ma<br />

anche <strong>al</strong>la ‘misura giusta’ di <strong>al</strong>tri <strong>al</strong>imenti dati ai monaci) 163 e ad un recipiente specifico,<br />

che poteva essere detto anche scyphus; il termine però, tra X e XI secolo,<br />

viene gradu<strong>al</strong>mente sostituito da caritas per denominare l’aggiunta di vino e da<br />

scyphus per la coppa con cui bere, senza perdere tuttavia la duplicità semantica<br />

originaria 164 . Lo stesso avviene per caritas che si riferisce sia <strong>al</strong>l’impegno monastico<br />

in favore di «pauperes et infirmi», esemplificato <strong>d<strong>al</strong></strong> servizio svolto <strong>d<strong>al</strong></strong> monaco<br />

elemosiniere, sia il supplemento di vino concesso oltre la razione giorn<strong>al</strong>iera,<br />

come pure il contenitore di vetro che serve a portarlo in tavola e il bicchiere per<br />

berlo 165 ; quanto <strong>al</strong> termine mixtus, viene usato in modo particolare per indicare<br />

ciò che è permesso <strong>al</strong> lettore, ma anche il recipiente con cui viene assunto e la<br />

mescolanza generica di più cose 166 .<br />

163 Il termine viene usato però anche per indicare la misura giusta di <strong>al</strong>tre cose, come per esempio,<br />

«tot iustitias panis et vini», «tot iustitias ovorum», assicurate ai monaci di Montecassino e ai loro operai<br />

impegnati nei cantieri monastici (Statuta Casinensia, pp. 234-235, 243).<br />

164 Consuetudines Floriacenses antiquiores, p. 38: «caritas bibitionis fiat sive bibitio caritatis», «benedictionem<br />

caritatis»; Liber tramitis, pp. 92, 130, 219; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, coll. 946, 994,<br />

1108; Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 56-57, 59, ecc. 164, 167-170; 2, pp. 124, 126,<br />

217, 239, 243, 249.<br />

165 Consuetudines Floriacenses antiquiores, p.26;Liber tramitis, pp. 52, 92 (ogni giorno i monaci «faciant<br />

caritatem»), 116, 130 («karitas propinetur ad omnes»), 219 («pueri qui non v<strong>al</strong>ent portare caritatem,<br />

id est fi<strong>al</strong>as ad mensam»); Redactio V<strong>al</strong>lumbrosana, in Consuetudines Cluniacensium antiquiores cum redactionibus<br />

derivatis, ed. K. H<strong>al</strong>linger, Siegburg 1983 (CCM 7/2), p. 351: «bibant fratres cum caritate»;<br />

GUGLIEMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 1108: «quotiescunque ad charitatem propinatur, ipse et <strong>al</strong>iquis<br />

adiutor eius modiolis infundunt»; anche Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 48, 56,<br />

111, 132, 215, ecc.; 2, p. 124: «caritatem cum vase vitreo bibit».<br />

166 Vedi UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 726: il lettore «ante refectionem gener<strong>al</strong>em de pane<br />

vinoque praelibat», così pure gli addetti <strong>al</strong>la cucina (col. 727); Consuetudines Floriacenses antiquiores, p.<br />

38: «vascula vitrea que mixtoria vocant»; Statuta Petri Venerabilis, p. 50, statuto 11: «vino mixto sive<br />

pigmentato».<br />

259


260<br />

Bicchieri, coppe e bocc<strong>al</strong>i sulle mense monastiche<br />

Se proviamo dunque a tratteggiare un primo elenco dei contenitori presenti sulla<br />

tavola monastica a cav<strong>al</strong>lo del Mille, si deve partire proprio <strong>d<strong>al</strong></strong>la iustitia, corrispondente<br />

a una coppa 167 o vaso potatorio con o senza manici – vasculum vinarium,<br />

la chiama Pietro il Venerabile 168 – più stretto <strong>al</strong>la base che <strong>al</strong>l’imboccatura e quasi<br />

senza stelo, della capacità di poco superiore <strong>al</strong> litro e pari <strong>al</strong>la misura giorn<strong>al</strong>iera<br />

stabilita <strong>d<strong>al</strong></strong>la regola per ogni monaco. La sua forma ripropone in buona sostanza<br />

quella tradizion<strong>al</strong>e dei vasi potori antichi e dei c<strong>al</strong>ici ministeri<strong>al</strong>i liturgici usati<br />

per la comunione dei fedeli (maius scyphus), riconducibili <strong>al</strong>la duplice tipologia del<br />

‘bicchiere’ a coppa <strong>al</strong>ta e stretta e del ‘cantaro’, il cui c<strong>al</strong>ice basso e ampio era<br />

munito di due anse. Un campione contemporaneo di iustitia, fatto di acquamarina<br />

incastonata di gemme preziose e ornato d’oro, della capacità di circa un litro,<br />

è tutt’oggi conservato <strong>al</strong> museo parigino del Louvre e si tratta del vaso donato da<br />

Eleonora d’Aquitania <strong>al</strong> re Luigi VII e da questi reg<strong>al</strong>ato <strong>al</strong>l’abate Sugero di Saint-<br />

Denis, che ne ha lasciato una descrizione nel De administratione 169 .<br />

Ma esempi di grandi coppe vinarie più omeno affusolate e svasate, esemplate<br />

sul modello dei c<strong>al</strong>ici eucaristici, sono ben attestati <strong>d<strong>al</strong></strong>l’iconografia artistica: si<br />

167 Consuetudines Floriacenses antiquiores,p.27;Redactio Sancti Emmerammi, p. 241; GUGLIEMO, Constitutiones<br />

Hirsaugienses, col. 946; Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, p. 48; 2, p. 126.<br />

168 The letters of Peter the Venerable, a cura di G. Constable, I, Cambridge Mass. 1967, p. 39, lett. 20:<br />

«vascula vinaria quae iustitias vocant»; ma accanto a iustitia è molto diffuso anche il termine iusta, in<br />

quanto questa coppa – bocc<strong>al</strong>e o brocca, le fonti sono spesso ambigue e ambiv<strong>al</strong>enti <strong>al</strong> riguardo –<br />

conteneva la giusta quantità giorn<strong>al</strong>iera di vino stabilita per ciascun monaco <strong>d<strong>al</strong></strong>la regola benedettina<br />

(MARTENE, De antiquis Ecclesiae ritibus, col. 962).<br />

169 Parigi, Museo del Louvre, S<strong>al</strong>a Suger 2, vetrina 16, dove è incisa la seguente iscrizione: «+ Hoc vas<br />

sponsa dedit A(lie)nor regi Ludovico Mitadol(us) avo mihi rex s(an)c(tis)q(ue) Suger(ius) [= Questo<br />

vaso, Eleonora sua sposa, lo ha donato <strong>al</strong> re Luigi, Mitadolus <strong>al</strong> suo antenato, il re a me, Sugero, che l’ho offerto ai<br />

santi]»; testo che è presente, insieme <strong>al</strong>la descrizione del vaso, in SUGERO DI SAINT-DENIS, Liber de<br />

rebus in administratione sua gestis, PL, 186, col. 1238, che lo definisce anche «justa», nel senso di “giusta<br />

misura”; a commento l’abate di Saint-Denis osserva poi che i c<strong>al</strong>ici dei cristiani debbono essere più<br />

ricchi delle fi<strong>al</strong>e e delle anfore degli ebrei. Ben noto agli storici dell’arte, questo prezioso vaso di crist<strong>al</strong>lo<br />

«ad libandum divinae mensae», di provenienza orient<strong>al</strong>e (sec. VII), è stato esaminato da E.<br />

PANOFSKY, Abbot Suger on the Abbey Church of St-Denis, Princeton 1946, pp. 78, 204 e tav. 23; inoltre,<br />

G.T. BEECH, The Eleonor of Aquitaine Vase, William of Aquitaine, and Muslim Spain, «Gesta», 32 (1993),<br />

pp. 3-10; sull’opera di Sugero, invece, si veda L’abbé Suger, le manifeste gothique de Saint-Denis et la pensée<br />

victorine, Actes du Colloque organisé à la Fondation Singer-Polignac (Paris) le mardi 21 novembre<br />

2000, a cura di D. Poirel, Paris 2002 (Rencontres médiév<strong>al</strong>es européennes, 1).


pensi <strong>al</strong> grande vaso dell’Ultima cena del “Codex purpureus” di Rossano (sec. VI,<br />

p. 5), ai c<strong>al</strong>ici del mosaico della Comunione degli apostoli nella basilica di S. Marco a<br />

Venezia (sec. XIII), <strong>al</strong>l’ampia coppa di impostazione conventu<strong>al</strong>e dell’Icona della<br />

Trinità di Andrej Rublëv (Mosca, G<strong>al</strong>leria Tretjakov, a. 1411), a quella della Cena<br />

di Emmaus del Pontormo (Firenze, G<strong>al</strong>leria degli Uffizi, a. 1523) o del Romanino<br />

nel dipinto dell’Ultima Cena di Montichiari (chiesa di S. Maria Nuova, a.<br />

1542ca), come pure <strong>al</strong>la rappresentazione delle Nozze di Cana nella navata centr<strong>al</strong>e<br />

della chiesa abbazi<strong>al</strong>e di Pomposa (sec. XIV), dove ai bicchieri di terracotta<br />

dei commens<strong>al</strong>i, <strong>al</strong>le anfore e <strong>al</strong>le gerle si contrappone il grande c<strong>al</strong>ice tenuto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abate<br />

che assiste <strong>al</strong> miracolo. Non meno interessanti sono gli affreschi dell’Ultima<br />

Cena, ma soprattutto del Miracolo di san Guido (sec. XIV) nel refettorio monastico<br />

della medesima abbazia, dove i bicchieri e le brocche di vetro e terracotta<br />

contenenti l’acqua e il vino sono ben distinti <strong>d<strong>al</strong></strong>la coppa di crist<strong>al</strong>lo con il lungo<br />

stelo tenuta <strong>d<strong>al</strong></strong>l’arcivescovo.<br />

Ampiamente documentata nella letteratura monastica in gener<strong>al</strong>e, risulta pure<br />

la corrispondenza tra iustitia e scyphus che trova conferma anche nella rappresentazione<br />

segnica, giacché nel linguaggio muto la ‘giustizia’ veniva indicata con gli stessi<br />

gesti usati per lo scyphus 170 , contenente – come si diceva a Cluny – «mensuram<br />

quotidianam vini» 171 . Nel Liber tramitis e nelle consuetudini ris<strong>al</strong>enti <strong>al</strong>l’abate Ugo,<br />

tuttavia, si comprende che – <strong>al</strong> di là del loro uso linguistico qu<strong>al</strong>i sinonimi – si trattava<br />

di due recipienti distinti e che la «iustitia» era più capiente dello «scyphus» 172 ,<br />

poiché i fratelli – come nel caso di Fruttuaria – dovevano ciascuno «iusticias suas<br />

sciphis cooperire» e nell’armarium del refettorio, accanto ai vasa vitrea, trovavano<br />

170 «Pro signo scyphi, quem iustitiam vocamus» (BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, p. 391);<br />

UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 704; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 946; a Fruttuaria<br />

i due termini sono usati anche come sinonimi: «cum scipho seu iusticia sua» (Consuetudines Fructuarienses<br />

- Samblasianae,1,p.67).<br />

171 BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, p. 170; UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 704:<br />

«Pro signo scyphi qui capit quotidianam vini mensuram, inclina manum deorsum, et ita cava tene,<br />

digitis <strong>al</strong>iquantulum inflexis»; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 946. Il de V<strong>al</strong>ous ritiene<br />

giustamente che a Cluny lo scyphus corrispondesse <strong>al</strong>l’unità di misura quodidiana del vino, sbaglia<br />

però quando sostiene – contrariamente a quanto indicano i testi ricordati – che t<strong>al</strong>e «vaso non era un<br />

bicchiere per bere» (DE VALOUS, Le monachisme clunisien, p. 259).<br />

172 «Iustitie illorum cum suis sciphulis» (Liber tramitis, p. 266); «in iustitiis est potus et cum scyphis<br />

potatur» (BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, pp. 148, 227, 315); «in scyphum iustitiae superpositum<br />

nihil imponat» (GUGLIELMO, Consuetudines Hirsaugienses, col. 994); inoltre, Statuta Petri Venerabilis,<br />

p. 63, statuto 27: «De vasis vinariis», e il commento <strong>al</strong>le pp. 63-64.<br />

261


262<br />

posto anche «iusticiae novae et sciphis» 173 . Negli statuti di Pietro il Venerabile, però,<br />

si ordina di non bere nei vasi vinari chiamati iustitias, come si era soliti fare un tempo<br />

174 , ma che ogni monaco lo faccia usando il proprio cipho; un provvedimento che<br />

appare motivato da ragioni igieniche <strong>al</strong> fine di evitare che nel periodo estivo (muscarum<br />

tempore) non capitasse che mosche e insetti finissero nelle coppe (iustitie) piene<br />

di vino 175 . In esse infatti, fin <strong>d<strong>al</strong></strong> mattino, l’addetto <strong>al</strong> refettorio metteva la razione<br />

giorn<strong>al</strong>iera che poteva essere bevuta direttamente o versata poco per volta in tazze<br />

(sciphos) o bicchieri (pocula, modioli) più piccoli che, per la loro minore capacità,<br />

potevano essere vuotati ogni volta. La stessa preoccupazione igienica viene<br />

espressa anche nelle consuetudini di Fleury, dove si precisa che il vino quotidiano<br />

messo nelle capienti coppe, «quas iustitias vocant», era s<strong>al</strong>vaguardato <strong>d<strong>al</strong></strong>le ciotole<br />

o piatti fondi (pateras) che vi erano poste sopra <strong>al</strong> termine del pasto 176 ; t<strong>al</strong>i termini<br />

173 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, p. 59; 2, p. 221. Anche nelle consuetudini del monastero<br />

di S. Pietro di Kastler si conferma la presenza di «scyphos, iusticias, cantra et <strong>al</strong>ia vascula necessaria<br />

mensae», che si riscontra pure tra gli oggetti dell’infermeria: «iustitias, scyphulos de mensis»,<br />

mentre in refettorio il vino e la cervisia dovevano essere versati «in scyphos in t<strong>al</strong>i quantitate» da non<br />

farne avanzare per non doverli travasare «in iustitias seu cantras» (Consuetudines Castellenses, pp. 128-<br />

129, 135-136); i vari contenitori avevano i propri segni di identificazione, ma i recipienti vinari potevano<br />

essere indicati in modo più generico, come accadeva ad Hirsau: «Pro signo cuppae vinariae,<br />

praemisso ligni signo, manum utramque paululum inflexam ad indicem coniunge, et in quantum<br />

potest, circumvolve, addito demum vini signo» (GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 947).<br />

174 Ogni monaco mangiava e beveva usando le proprie posate e bevendo di norma «cum sua iustitia»<br />

e non in quella di un <strong>al</strong>tro, cfr. Consuetudines Floriacensium antiquiores, p.27;Liber tramitis, pp. 46, 52,<br />

177, 223, 250, 265-266; Consuetudines Cluniacensium antiquiores, pp. 67-68, 246, 265, 401; Consuetudines<br />

Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 48, 59, 66-69, 111, 135, 154, 169, 201, 215, ecc.; tuttavia, a proposito<br />

della pitancia – cioè, del supplemento <strong>al</strong>imentare concesso ai monaci in memoria dei benefattori<br />

defunti o durante le festività liturgiche – U<strong>d<strong>al</strong></strong>rico precisa che veniva servita nella medesima scodella<br />

a due monaci insieme (UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 728).<br />

175 Statuta Petri Venerabilis, p. 63. Secondo il de V<strong>al</strong>ous ciò significa che la iustitia conteneva la razione<br />

di vino per due monaci (DE VALOUS, Le monachisme clunisien, p. 259); in verità, la prescrizione di non<br />

mangiare in due nella stessa scodella, né di bere nello stesso bicchiere, non solo era più antica (Liber<br />

tramitis, pp. 46, 250; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 944), ma venne ripresa anche in<br />

seguito come risulta <strong>d<strong>al</strong></strong>le consuetudini duecentesche dell’abbazia di Afflighem nella diocesi di Cambrai<br />

[Consuetudines Affligenienses (saec. XIII), ed. R.J. Sullivan, in Consuetudines benedictinae variae, p. 149].<br />

176 Consuetudines Floriacenses antiquiores, p. 27, il monaco addetto <strong>al</strong> refettorio (refectorarius): «vinum cuppis<br />

quas iustitias vocant infundit et pateras superponit» e, subito dopo, si fa riferimento <strong>al</strong> fastidio<br />

sopportato dai fratelli in estate a causa delle mosche; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col.<br />

1036: «si quibus de potu quid remanet bibentibus, hoc infundunt iusticiis suis, et pateras superponunt»,<br />

col. 946: «pro signo paterae ex qua bibitur, tres digitos parum inflecte, et sic sursum tene».


icorrono, inoltre, anche in U<strong>d<strong>al</strong></strong>rico e sono ripresi da Guglielmo di Hirsau 177 ,<br />

come pure negli usi di Fruttuaria, dove si parla sia dello scifo «superpositum iustitiae»,<br />

sia della patera da prendere «cum ambabus manibus» quando si beve 178 .<br />

Scifo e patera, termini di origine antica, sono dunque anch’essi sovente usati<br />

come sinonimi, possono essere di vetro come la iustitia e – quando lo scifo non<br />

indica semplicemente la coppa o il bicchiere – hanno la forma di una coppetta o<br />

di una tazza, con o senza manici; essi servono a bere il vino e a coprire la coppa<br />

più grande, ma anche a prendere il mixtum, come si legge nei decreti di Lanfranco:<br />

«il misto, costituito soltanto di pane e bevanda, è messo <strong>d<strong>al</strong></strong> refectorarius negli<br />

scifi che sono posti sopra le iusticias» 179 . Una conferma ulteriore, ma importante<br />

di questi elementi, viene da Stefano di Parigi che, nella seconda metà del XII<br />

secolo, osserva come la iustitia impiegata a Montecassino corrispondeva a «septem<br />

coopercula», cioè <strong>al</strong>la misura di un’emina o quantità giorn<strong>al</strong>iera, suggerendo<br />

così che t<strong>al</strong>e ‘coperchio’ fosse costituito da una tazza o un piattino fondo 180 .<br />

Le fi<strong>al</strong>e – quando non indicano semplicemente dei vasi potori 181 – erano bottiglie<br />

di vetro panciute <strong>d<strong>al</strong></strong> collo stretto e <strong>al</strong>lungato, come si vede bene a Monte<br />

Oliveto Maggiore (Siena), nel chiostro affrescato <strong>d<strong>al</strong></strong> Sodoma nella scena dei<br />

177 «(…) iustitiam suam et pateram lavare» (UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 704); «paterae ex<br />

qua bibitur» (GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, coll. 946, anche 1036).<br />

178 GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 994; nelle consuetudini fruttuariensi si conferma che i<br />

monaci «debent singuli iusticias suas sciphis cooperire», sono tenuti a bere non «cum scipho sed cum<br />

iusticia» – punto questo sul qu<strong>al</strong>e gli statuti di Pietro il Venerabile costituiscono un’evoluzione –,<br />

tenendola «non una sed utraque manu bibendo» (Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1,p.59),<br />

s<strong>al</strong>vo che non si tratti di un fratello flebotomizzato (GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 994).<br />

179 Decreta Lanfranci, p. 29, cap. 31: «De mixto»; inoltre, quando lo scifo sta sulla iustitia deve essere vuoto,<br />

né è consentito intingere il proprio pane nello scifo di un <strong>al</strong>tro (GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses,<br />

col. 994), mentre nelle Consuetudines Floriacenses antiquiores, p. 38, si precisa che si tratta di recipienti<br />

di vetro: «vascula vitrea que mixtoria vocant». In ogni caso, di norma, scifo è un vaso di origine<br />

greca (skýphos) troncoconico provvisto di due anse orizzont<strong>al</strong>i <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tezza dell’orlo; la patera invece è<br />

una ciotola bassa o una tazza priva di manici, usata nel mondo antico per libagioni <strong>al</strong>la divinità.<br />

180 «Iustitia enim Casinensis quae tenet septem coopercula, emina potest dici» (citato in Statuta Petri<br />

Venerabilis, p. 64). Il ‘coperchio’ della iustitia era costituito probabilmente da quella coppetta o piattino<br />

fondo, come si veda nella rappresentazione cinquecentesca dei monaci a tavola del Sodoma a Monte<br />

Oliveto Maggiore (Siena), dove i piattini però sono della misura giusta per coprire i bicchieri di vetro.<br />

181<br />

ISIDORO, Etymologiae, col. 716: «phy<strong>al</strong>ae dictae, quod ex vitro fiant»; GUGLIELMO, Consuetudines Hirsaugienses,<br />

col. 946: «Pro signo phi<strong>al</strong>ae vitreae, praemisso signo paterae hoc adde, ut duos digitos circa<br />

oculum ponas, ut splendor oculi, splendor vitri significetur».<br />

263


264<br />

monaci a tavola, e da numerose rappresentazioni artistiche (si pensi <strong>al</strong>la tipologia<br />

dell’Ultima Cena), impiegate per mescere vino e acqua nelle coppe o bicchieri<br />

posti sulla tavola insieme <strong>al</strong>le iustitias; esse erano riempite con secchi di legno<br />

(situlas, oppure g<strong>al</strong>etas con due manici later<strong>al</strong>i e brocche), con i qu<strong>al</strong>i si prelevavano<br />

acqua e vino direttamente <strong>d<strong>al</strong></strong> pozzo o <strong>d<strong>al</strong></strong>la cantina, ed erano conservate piene<br />

nel refettorio in appositi cesti coperti 182 . Nelle consuetudini di Fruttuaria si<br />

precisa, infatti, che il vino era portato «in fi<strong>al</strong>a» e anche quando si voleva dell’acqua<br />

veniva versata nel «vitreum vas» con la bottiglia (phi<strong>al</strong>a); <strong>al</strong> contrario, se ad<br />

avere sete era uno dei bambini ospitati nel monastero, questi doveva attingerla<br />

direttamente «ad g<strong>al</strong>etam de aqua», cioè <strong>al</strong> secchio o <strong>al</strong>la brocca grande, e berne<br />

a volontà 183 . Dopo l’uso, queste bottiglie trasparenti erano riposte pulite, insieme<br />

agli <strong>al</strong>tri contenitori di vetro e <strong>al</strong>le posate, in una cassapanca oppure nei ripiani<br />

dell’armadio a muro del refettorio; quando vi erano dei fratelli m<strong>al</strong>ati, per portare<br />

loro «caritatem de vino», il monaco infermiere prendeva una parvulam g<strong>al</strong>etam<br />

con la qu<strong>al</strong>e riempiva tante fi<strong>al</strong>e quanti erano i m<strong>al</strong>ati e si recava <strong>al</strong>l’infermeria,<br />

dove di norma si trovavano «g<strong>al</strong>etas de vino et aqua et unum canistrum» per<br />

deporvi le fi<strong>al</strong>e; per la refezione di tutti i giorni invece portava il vino in g<strong>al</strong>etam<br />

se vi erano molti degenti, versandolo a ciascuno nella sua iusticia, mentre se il<br />

loro numero era ridotto glielo portava già pronto «in iusticiis» 184 .<br />

A Montecassino gli ospiti ricevevano due pani e un orcio di vino <strong>al</strong> giorno,<br />

corrispondente <strong>al</strong>la misura monastica quotidiana, e «iustitias panis et vini» erano<br />

assicurate agli operai che lavoravano <strong>al</strong> restauro della chiesa abbazi<strong>al</strong>e; i<br />

monaci invece erano dotati di piccoli bocc<strong>al</strong>i ansati (de ciatis) per attingere il<br />

vino dai vasi di terracotta (de urceis) posti sui tavoli del refettorio, mentre quando<br />

bevevano il vino nuovo (mustum) usavano delle caraffe più capienti (nappos)<br />

185 . Nelle consuetudini di Fulda e di Treviri, tuttavia, si precisa che a tavola il<br />

vino era servito nelle coppe, ma ai più giovani quando si distribuiva la carità non<br />

erano dati dei semplici recipienti, bensì preziosi bicchierini di vetro lavorato,<br />

che essi tenevano in mano per il manico, e con i qu<strong>al</strong>i andavano <strong>al</strong> centro del<br />

refettorio per ricevere la benedizione dell’abate prima di bere; t<strong>al</strong>i contenitori<br />

182 Liber tramitis, pp. 219, 252; UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 704; GUGLIELMO, Constitutiones<br />

Hirsaugienses, col. 946.<br />

183 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, p. 56-57, 65-66, 69, 167-170, 201.<br />

184 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, pp. 165, 217, 220-221, 243, 249, 253.<br />

185 Statuta Casinensia, pp. 233-235.


dovevano essere natur<strong>al</strong>mente ben lavati per non rovinare il vino 186 . Nel monastero<br />

tedesco di S. Pietro di Kastler, accanto a «scyphos, iustitias et <strong>al</strong>ia vascula<br />

necessaria mensae», è attestato l’uso del cantaro (cantrus) come sinonimo della<br />

iustitia, capiente c<strong>al</strong>ice basso e largo che era riempito a pranzo e a cena con una<br />

ampia brocca (sericum maius) – a Treviri, dove ancora <strong>al</strong>la fine del medioevo<br />

sono attestate «amphoras cum vino», era detta classicamente lagena 187 –, corrispondente<br />

<strong>al</strong>la misura permessa <strong>d<strong>al</strong></strong>la regola, mentre nel monastero austriaco di<br />

Melk dotato di buone vigne il vino era servito in un grosso bocc<strong>al</strong>e, chiamato<br />

significativamente peccarius, e lo stesso avveniva nella vicina, ma meno fornita,<br />

abbazia di Bursfeld, dove il vino non veniva versato «in cantro» (cioè, nella tradizion<strong>al</strong>e<br />

coppa grande con il manico di forma più svasata o cantaro), ma due<br />

volte «in peccariis» di dimensioni più ridotte.<br />

Un’ultima precisazione importante sui contenitori monastici viene <strong>d<strong>al</strong></strong> testo<br />

consuetudinario di U<strong>d<strong>al</strong></strong>rico, che menziona scifi e fi<strong>al</strong>e di vetro, patere, iustitie,<br />

g<strong>al</strong>ete (o cavete) e bicchieri (pocula) o tazze (modioli) di varie forme, ma soprattutto<br />

dagli usi del monastero di Hirsau codificati poco dopo <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abate Guglielmo,<br />

dove insieme ai recipienti di vetro non mancavano quelli di legno e di terracotta<br />

188 . Il cicothus, innanzitutto, una sorta di patera circolare, i contenitori per il s<strong>al</strong>e<br />

e le s<strong>al</strong>se, le tazze o scodelle di creta (pocula), il vasello dell’aceto, la cannata di<br />

legno – specie di ampio bocc<strong>al</strong>e da prendere con le due mani – lo zuber, grosso<br />

186 «Perlucidos cyatos vitri <strong>al</strong>iave vascula decora» (Redactio Fuldensis-Trevirensis, p. 290, mentre per le<br />

coppe in tavola, pp. 282, 317, e per la loro pulizia, pp. 291, 317).<br />

187 Consuetudines Castellenses, 1, pp. 135-136, in refettorio «vinum vel cervisiam in scyphos in t<strong>al</strong>i quantitate<br />

fundendum est ne illud superfluum in iustitias seu cantras refundere cogamur»; 2, p. 73: «mensura<br />

autem potus ad prandium similiter ad cenam vel collationem diebus ieiuniorum unum sericum<br />

maius in cantro»; per gli usi dei monasteri di S. Matteo e S. Massimino di Treviri, redatti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abate<br />

Giovanni Rode nel XV secolo, cfr. Consuetudines et observantiae monasteriorum Sancti Mathiae et Santi<br />

Maximini Treverensium ab Iohanne Rode abbate conscriptae, ed. P. Becker, Siegburg 1968 (CCM 5), p. 149:<br />

«lagenam cum vino coram domino abbate in <strong>al</strong>tum elevat ante pectus suum»; la presenza di anfore<br />

vinarie e la prescrizione di tenere puliti t<strong>al</strong>i recipienti, rimanda <strong>al</strong>la circolazione commerci<strong>al</strong>e per via<br />

fluvi<strong>al</strong>e ben documentata lungo il Reno [a questo riguardo, cfr. L. CLEMENS, Trier. Eine Weinstadt im<br />

Mittel<strong>al</strong>ter, Trier 1993 (Trierer Historische Forschungen, 22), pp. 88-118; M. MATHEUS, Weinbau in<br />

Antike und Mittel<strong>al</strong>ter an Rhein und Mosel, in Misterium Wein. Die Götter, der Wein und die Kunst, a cura di<br />

M.M. Grewenig, Speyer 1996, pp. 99-103; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 63-75 e riferimenti bibliografici<br />

riportati].<br />

188<br />

UDALRICO, Antiquiores consuetudines, coll. 704, 763; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, coll. 946-<br />

947, 994, 1036, 1108.<br />

265


266<br />

recipiente ligneo con due manici later<strong>al</strong>i adatti a trasportarlo, il fusto fatto di<br />

doghe, anch’esso di legno e usato per lo stesso scopo, «quo vinum vel <strong>al</strong>iud huiusmodi<br />

portari solet», e le diverse cuppae vinariae 189 . Un corredo che appare fortemente<br />

influenzato <strong>d<strong>al</strong></strong>le tradizioni loc<strong>al</strong>i, ma per la cui più puntu<strong>al</strong>e determinazione<br />

materi<strong>al</strong>e è indispensabile una ricognizione sistematica sulle fonti, senza<br />

tr<strong>al</strong>asciare quelle artistiche ed archeologiche, indagine che supera però i limiti del<br />

nostro breve excursus 190 .<br />

Natur<strong>al</strong>mente non mancavano i preziosi vasi liturgici a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> c<strong>al</strong>ice<br />

aureo e <strong>d<strong>al</strong></strong>le cannucce di met<strong>al</strong>lo («fistulae sive arundines») con le qu<strong>al</strong>i si soleva<br />

«prendere il sangue del Signore» 191 , seguiti <strong>d<strong>al</strong></strong>le ampolline di vetro, dai catini e<br />

bacili solitamente conservati nell’armarium della sacrestia 192 . Spettava <strong>al</strong> monaco<br />

sacrestano procurare il vino e l’acqua necessari per la liturgia: a Fruttuaria 193<br />

prendeva «g<strong>al</strong>etas de vino et aqua», con cui aveva attinto vino e acqua per le mes-<br />

189<br />

GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 946; per le consuetudini sublacensi, Caeremoniae regularis,p.92.<br />

190 Per quanto non incentrato su fonti di ambito monastico, un esempio in questa direzione è offerto<br />

da P. MANE, I recipienti da vino nell’iconografia it<strong>al</strong>iana dei secoli XIV-XV,in D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino. <strong>Fonti</strong> e problemi<br />

della vitivinicoltura it<strong>al</strong>iana mediev<strong>al</strong>e, a cura di J.-L. Gaulin, A.J. Grieco, Bologna 1994 (Biblioteca<br />

di storia agraria, 9), pp. 85-115, a cui si possono utilmente affiancare i contributi di G. ALLIAUD, Cantine<br />

e vasi vinari nel tardo medioevo piemontese, e I.NASO, Il vino in tavola. Bicchieri e vasellame vinario nel Piemonte<br />

dei secoli XV e XVI, in Vigne e vini nel Piemonte rinasciment<strong>al</strong>e, a cura di R. Comba, Cuneo 1991,<br />

rispettivamente pp. 69-90 e 205-234.<br />

191 «Pro signo c<strong>al</strong>icis, cum laeva signum paterae facito, et cum dextra desuper signum crucis exprimito.<br />

(...) Pro signo fistulae, sive arundinis, ex qua sanguinem Domini percipere solemus, praemisso<br />

signo met<strong>al</strong>li summitatem indicis ad os applice, quasi ex ea bibere velis» (GUGLIELMO, Consuetudines<br />

Hirsaugienses, col. 949). Si pensi <strong>al</strong> c<strong>al</strong>ice di sardonica, di probabile origine bizantina, acquistato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abate<br />

Sugero per il monastero di Saint-Denis (Washington, Nation<strong>al</strong> G<strong>al</strong>lery of Art), <strong>al</strong> grande c<strong>al</strong>ice<br />

ansato di Wilten (Vienna, Kunsthistorisches Museum) o ai manufatti di <strong>al</strong>tissima oreficeria conservati<br />

nel tesoro di S. Marco a Venezia, ma basta esaminare i cat<strong>al</strong>oghi dei musei diocesani di arte<br />

sacra per averne una campionatura di straordinario v<strong>al</strong>ore; per la diversa tipologia e funzione dei c<strong>al</strong>ici<br />

litugici: H. LECLERCQ,s.v.,C<strong>al</strong>ice,in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, II, Paris 1910, coll.<br />

1595-1645; J. BAUDOT, s.v.,C<strong>al</strong>ice ministériel, in Ibidem, coll. 1646-1651; E. TABURET-DELAHAYE, s.v.,<br />

C<strong>al</strong>ice, in Enciclopedia dell’arte mediev<strong>al</strong>e, IV, Roma 1993, pp. 71-78; C. BARSANTI, s.v., [C<strong>al</strong>ice]. Area<br />

bizantina, in Ibidem, pp. 80-82.<br />

192 Consuetudines Floriacenses antiquiores, pp. 16, 55; Liber tramitis, pp. 81-82, 227, 270-271; GUGLIELMO,<br />

Constitutiones Hirsaugienses, col. 949; Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 25-26, 44-45, 78, 99;<br />

2, pp. 51, 126, 165-166, 201, 205; Redactio Fuldensis-Trevirensis, pp. 292, 316-317; Decreta Lanfranci, pp.<br />

173-174 sgg.; Consuetudines Affligenienses, pp. 141-143; Consuetudines et observantiae, pp. 168-211 passim.<br />

193 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, pp. 165-166.


se del giorno precedente, e andava in cantina dove come prima cosa versava il<br />

poco vino rimasto nella botticella dell’aceto, poi si recava <strong>al</strong> pozzo per risciacquare<br />

accuratamente i due contenitori riempiendone uno solo e mettendo poca<br />

acqua nell’<strong>al</strong>tro, tornava perciò <strong>al</strong>la cantina e con questa lavava la spina della botte<br />

prima di attingervi il vino per la messa. Riempiti in questo modo i due secchi,<br />

uno di vino e l’<strong>al</strong>tro di acqua, faceva ritorno <strong>al</strong>la sacrestia dove riponeva nell’armarium<br />

il primo e utilizzava il secondo per lavare c<strong>al</strong>ici, patene e corpor<strong>al</strong>i presso<br />

il lavacrum, nel qu<strong>al</strong>e versava pure l’acqua in eccesso.<br />

Rigore e moderazione nella tradizione cistercense<br />

Il robusto consumo di vino attestato nel mondo cluniacense prosegue, sia pure<br />

con accenti di maggiore moderazione, anche nella tradizione cistercense, <strong>al</strong>imentando<br />

anzi il ‘mito’ del vino di qu<strong>al</strong>ità e della speci<strong>al</strong>izzazione coltur<strong>al</strong>e di<br />

molte grange, che ha trovato sostenitori un po’ ovunque, ma spesso senza un<br />

sufficiente inquadramento storico-critico. Scrive in proposito il padre Lekai: «In<br />

Francia Cîteaux divenne e restò fino <strong>al</strong>la Rivoluzione francese la più famosa produttrice<br />

di vini di qu<strong>al</strong>ità. Le vigne situate nei terreni migliori della Borgogna,<br />

arricchirono l’abbazia fin dagli inizi del XII secolo, e tra di esse si conta quella di<br />

Clos-Vougeot, nelle immediate vicinanze di Nuits-Saint-Georges, che ebbe fama<br />

mondi<strong>al</strong>e. Questa distesa di vigneti si era sviluppata da inizi ben modesti fino a<br />

raggiungere cinquanta ettari, tutti circondati da mura, e forniti di torchi e di cantine,<br />

molte delle qu<strong>al</strong>i esistono ancora oggi». Le abbazie poste tra il Reno e la<br />

Mosella, prosegue ancora lo storico americano con toni quasi trionf<strong>al</strong>istici,<br />

divennero tra i centri più importanti per il commercio vinicolo, grazie <strong>al</strong>la facilità<br />

dei trasporti fluvi<strong>al</strong>i, mentre la vendita del vino costituiva per i monaci la<br />

maggiore fonte di reddito disponibile 194 .<br />

194 L.J. LEKAI, I cistercensi. Ide<strong>al</strong>i e re<strong>al</strong>tà, con appendice di G. Viti e L. D<strong>al</strong> Prà, Firenze 1989, p. 381, ma<br />

anche le pp. 374, 380-383, 446, 460-466; anche MOULIN, La vita quotidiana, pp. 103-105. Per la viticoltura<br />

cistercense, con particolare riferimento <strong>al</strong>l’abbazia madre, si veda il saggio di M. LEBEAU,<br />

Essai sur les vignes de Cîteaux, des origines au 1789, Dijon 1986; mentre per un approccio sintetico, C.<br />

HIGOUNET, Essai sur les granges cisterciennes, in L’économie cistercienne. Géographie - mutations du Moyen Âge<br />

aux Temps Modernes, Auch 1983, pp. 174-175; per l’esempio produttivo di un singolo cenobio, invece,<br />

S. LEBECQ, Vignes et vin de Vaucelles: une esquisse, in Ibidem, pp. 197-206; inoltre, ARCHETTI, Tempus vindemie,<br />

soprattutto pp. 58-63 e A.M. RAPETTI, Alcune considerazioni intorno ai monaci bianchi e <strong>al</strong>le campa-<br />

267


268<br />

Il cenobio più celebre fu senz’<strong>al</strong>tro quello renano di Eberbach a poca distanza<br />

da Magonza; nel 1135 furono donati ai suoi monaci circa sei ettari «di quel<br />

famoso terreno di Steimberg, che era una delle più antiche vigne di Germania; la<br />

maggior parte del terreno sui ripidi fianchi della collina non era ancora coltivato.<br />

I fratelli disposero a terrazza quel terreno difficile; verso il 1232, poi, tutto lo<br />

Steimberg era di loro proprietà ed essi avevano coperto quasi sessantatré acri del<br />

prezioso riesling [cioè, quasi 35 ettari]» 195 . In re<strong>al</strong>tà, non si conosce affatto il<br />

nome di questi vini, <strong>d<strong>al</strong></strong> momento che per trovare attestate le prime denominazioni<br />

variet<strong>al</strong>i bisogna aspettare il XV secolo, in quanto il riferimento ai fermentati<br />

d’uva è indicato nelle fonti loc<strong>al</strong>i semplicemente con l’espressione di «vino<br />

del Reno» o di «mustum Mosellanum», cioè in relazione <strong>al</strong> luogo di origine. È<br />

vero invece che, fedeli <strong>al</strong> principio gener<strong>al</strong>e dell’autosufficienza, i cistercensi<br />

avviarono quelle opere di dissodamento e terrazzamento collinari che portarono<br />

ad un innegabile sviluppo della coltura viticola nell’area renana, in Turingia e<br />

in Sassonia 196 . Ciò non toglie natur<strong>al</strong>mente che sulla mensa monastica finissero<br />

prodotti differenti e di varia gradazione, rinforzati con l’aggiunta di miele o aromatizzati<br />

con erbe e spezie costose, la cui presenza viene descritta con amara<br />

ironia da san Bernardo, ma anche fermentati di scarso v<strong>al</strong>ore commerci<strong>al</strong>e come<br />

quelli prodotti ad esempio nel monastero di Kamp nella regione basso-renana:<br />

vinum Campense non facit gaudia mense, a detta di un popolare quanto impietoso proverbio<br />

mediev<strong>al</strong>e del luogo 197 .<br />

gne nell’Europa dei secoli XII-XIII, in Dove va la storiografia monastica in Europa? Temi e metodi di ricerca per<br />

lo studio della vita monastica e regolare in età mediev<strong>al</strong>e <strong>al</strong>le soglie del terzo millennio, Atti del Convegno internazion<strong>al</strong>e,<br />

Brescia-Rodengo, 23-25 marzo 2000, a cura di G. Andenna, Milano 2001, pp. 338-339.<br />

195<br />

LEKAI, I cistercensi, pp. 381-382; anche, W. RÖSENER, L’économie cistercienne de l’Allemagne occident<strong>al</strong>e<br />

(XIIe-XVe siècle), in L’économie cistercienne, p. 147; utili puntu<strong>al</strong>izzazioni anche nel lavoro di P. Racine<br />

nelle pagine precedenti di questo volume.<br />

196<br />

Cfr.G.SCHREIBER, Deutsche Weingeschichte. Der Wein in Volksleben, Kult und Wirtschaf, Köln 1980, pp.<br />

62, 84-88 sgg.; F. IRSIGLER, Viticulture, vinification et commerce du vin en Allemagne occident<strong>al</strong>e des origines au<br />

XVIe siècle, in Le vigneron, la viticulture et la vinification en Europe occident<strong>al</strong>e, au Moyen Age et à l’époque moderne,<br />

Onzièmes journeés internation<strong>al</strong>es du Centre culturel de l’abbaye de Flaran (8-10 september<br />

1989), Auch 1991 (Flaran 11), pp. 57-58; inoltre, per l’area tedesca, anche le osservazioni di M.<br />

Matheus in questo volume.<br />

197 S. BERNARDO, Apologia <strong>al</strong>l’abate Guglielmo, in Opera omnia di san Bernardo. I:Trattati, a cura di F.<br />

Gast<strong>al</strong>delli, Roma-Milano 1984, p. 197; per l’abbondante ma qu<strong>al</strong>itativamente scadente produzione<br />

vinicola dell’abbazia di Kamp, attestata fin <strong>d<strong>al</strong></strong>la fondazione del cenobio (1122), cfr. IRSIGLER, Viticulture,<br />

vinification et commerce,p.58.


Le vigne dell’abbazia di Himmerod, posta non lontano da Trier nella v<strong>al</strong>lata<br />

della Mosella, erano inferiori soltanto a quelle dell’arcivescovo di Treviri 198 ,<br />

mentre il monastero di Otterberg nel P<strong>al</strong>atinato possedeva vigneti a sufficienza<br />

per trarre i vantaggi di un fiorente commercio vinicolo, facilitato <strong>d<strong>al</strong></strong>la navigazione<br />

fluvi<strong>al</strong>e. Anche le abbazie dell’Alsazia – soprattutto quelle di Lützel, Pairis,<br />

Baumgarten e Neubourg – erano note per la loro discreta produzione vinicola,<br />

le cui eccedenze giungevano sui mercati di mezza Germania. Il vino infatti<br />

veniva trasportato facilmente su chiatte <strong>d<strong>al</strong></strong>le vigne fino ai mercati urbani di<br />

Treviri, di Magonza, di Francoforte e <strong>al</strong> grande emporio di Colonia; esso viaggiava<br />

senza pesanti limitazioni dogan<strong>al</strong>i e le esenzioni fisc<strong>al</strong>i concesse ai cistercensi<br />

consentirono loro di farlo giungere lungo il Reno fino ai porti dei Paesi<br />

Bassi. La netta speci<strong>al</strong>izzazione di <strong>al</strong>cune abbazie francesi e soprattutto della<br />

Germania sud-occident<strong>al</strong>e, tuttavia, non deve indurre a pensare che in tutte le<br />

fondazioni cistercensi sia riscontrabile una medesima ‘vocazione’ vitivinicola,<br />

per quanto la diffusione del commercio di vino risulti attestata fin dai primi<br />

decenni di vita dell’ordine, se il capitolo gener<strong>al</strong>e si sentì in dovere di inserire<br />

nello statuto del 1134 una norma che vietava la vendita <strong>al</strong> minuto sia da parte di<br />

monaci e conversi che dei loro dipendenti, confermata indirettamente anche<br />

nel capitolo del 1193 199 .<br />

In re<strong>al</strong>tà, il possesso di vigneti doveva essere funzion<strong>al</strong>e innanzitutto <strong>al</strong>l’autoconsumo<br />

dei singoli cenobi nella misura e secondo il criterio della moderazione<br />

stabilito <strong>d<strong>al</strong></strong>la regola 200 ; questo non esclude che le eccedenze produttive<br />

vinicole potessero entrare nel circuito commerci<strong>al</strong>e, esse non rappresentarono<br />

però – <strong>al</strong>meno per l’It<strong>al</strong>ia centro settentrion<strong>al</strong>e, come mostra la storiografia più<br />

198 CLEMENS, Trier. Eine Weinstadt, pp. 88-118; inoltre, ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 63-77.<br />

199 Statuta capitulorum gener<strong>al</strong>ium ordinis Cisterciensis ab anno 1116 ad annum 1736, a cura di J.M. Canivez,<br />

I, Paris-Louvain 1933, p. 24, cap. 52: De tabernis: «Neque per monachum, neque per conversum,<br />

neque per <strong>al</strong>iquem hominum licet nobis vinum nostrum vendere ad tabernam, sive vulgum dicitur<br />

ad brocam, sive ut lingua teutonica dicitur ad tappam, in nostris seu in domibus <strong>al</strong>ienis, nec <strong>al</strong>icubi<br />

omnino»; nel capitolo del 1193, invece, si stabilì la punizione per un abate che aveva autorizzato la<br />

vendita del vino prodotto in una grangia del suo monastero (Ibidem, p. 163, cap. 33); anche, NADA<br />

PATRONE, Monachis nostri ordinis, p. 291.<br />

200 C. HIGOUNET, Le premier siècle de l’économie rur<strong>al</strong>e cistercienne,in Istituzioni monastiche e istituzioni canonic<strong>al</strong>i<br />

in Occidente (1123-1215), Atti della settima Settimana internazion<strong>al</strong>e di studio, Mendola, 28 agosto<br />

- 3 settembre 1977, Milano 1980 (Pubblicazioni dell’Università Cattolica del S. Cuore. Miscellanea<br />

del Centro di studi medioev<strong>al</strong>i, IX), pp. 358-360.<br />

269


270<br />

recente 201 – un ambito particolare di speci<strong>al</strong>izzazione produttiva. Situazione che<br />

appare ancora diversa nelle regioni meridion<strong>al</strong>i della Penisola, dove la contiguità<br />

tra cistercensi e potere regio, specie con gli angioini, portò quest’ultimo a dotare<br />

di ampie forniture di vino e cere<strong>al</strong>i le fondazioni dell’ordine 202 . Il vino e l’<strong>al</strong>imentazione<br />

monastica, infine, <strong>al</strong>la luce delle disposizioni normative cistercensi<br />

– la charta caritatis e i provvedimenti successivi presi dai capitoli gener<strong>al</strong>i – è stato<br />

oggetto di un recente saggio di Anna Maria Nada Patrone 203 , su cui merita di<br />

insistere brevemente.<br />

Anche se non con l’abbondanza della mensa cluniacense e privo di spezie e<br />

aromi (<strong>al</strong>meno nei primi tempi), il vino rientra a pieno titolo nell’<strong>al</strong>imentazione<br />

e nella dieta dei cistercensi; tuttavia, nelle regioni europee poco adatte <strong>al</strong>la viticoltura,<br />

il suo posto è occupato da <strong>al</strong>tri fermentati, qu<strong>al</strong>i la birra, il sidro o l’idromele.<br />

In Borgogna e nelle v<strong>al</strong>late tra il Reno e la Mosella si sviluppa nel XII<br />

secolo una fiorente coltura viticola, che sta <strong>al</strong>la base anche di un ricco mercato;<br />

in Turingia però sono i frutteti a prev<strong>al</strong>ere, dai qu<strong>al</strong>i si ottiene la materia prima<br />

per il sidro, e sul mercato di Treviri si trova il vino di pere (bierenviez), mentre nell’Europa<br />

centro-settentrion<strong>al</strong>e e nell’Inghilterra meridion<strong>al</strong>e <strong>al</strong>le birre di crauti,<br />

poco resistenti e <strong>d<strong>al</strong></strong> gusto dolciastro, si affiancano <strong>d<strong>al</strong></strong> XIV secolo quelle più<br />

amare e ricche di luppolo, adatte <strong>al</strong> trasporto e <strong>al</strong> commercio perché più resistenti<br />

204 . Il consumo di vino semplice non pigmentatum, in linea con la tradizione<br />

201 «Le abbazie it<strong>al</strong>iane – <strong>al</strong>meno quelle di cui sono note le attività economiche (…) – non sembrano<br />

aver conosciuto vere e proprie forme di speci<strong>al</strong>izzazione nella produzione o nel commercio vinicoli»<br />

[così nota A.M. RAPETTI, La formazione di una comunità cistercense. Istituzioni e strutture organizzative di<br />

Chiarav<strong>al</strong>le della Colomba tra XII e XIII secolo, Roma 1999 (It<strong>al</strong>ia sacra, 62), p. 328, che presenta poi il<br />

caso concreto dell’abbazia piacentina (pp. 329-331); an<strong>al</strong>oghe considerazioni erano già state espresse<br />

da R. COMBA, D<strong>al</strong> Piemonte <strong>al</strong>le Marche: esperienze economiche cistercensi nell’età di Bernardo di Chiarav<strong>al</strong>le,<br />

in San Bernardo e l’It<strong>al</strong>ia, Atti del convegno di studi (Milano, 24-26 maggio 1990), a cura P. Zerbi, Milano<br />

1993, p. 337].<br />

202 R. COMBA, Le scelte economiche dei monaci bianchi nel regno di Sicilia (XII-XIII secolo): un modello cistercense?,<br />

in I cistercensi nel Mezzogiorno meridion<strong>al</strong>e, a cura di H. Houben, B. Vetere, G<strong>al</strong>atina 1994, pp. 142-<br />

143, dove viene c<strong>al</strong>colato anche un elevato consumo pro capite giorn<strong>al</strong>iero, pari a tre litri di vino.<br />

203 NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis, pp. 277-350, in part. pp. 320-323.<br />

204 Per i necessari rimandi bibliografici a questi problemi, si vedano <strong>al</strong>meno M. MATHEUS, Viticoltura<br />

e commercio del vino nella Germania occident<strong>al</strong>e del <strong>Medioevo</strong>, in Vino y viñedo en la Europa mediev<strong>al</strong>, Actas de<br />

las jornadas celebradas en Pamplona los días 25 y 26 de enero de 1996, a cura di F. Miranda García,<br />

Pamplona 1996, pp. 116-119; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 74-76; NADA PATRONE, Monachis nostri<br />

ordinis, pp. 302-304.


ernardina, sembra attestato per buona parte del XII secolo; tradizione che trova<br />

pure conferma nel noto Di<strong>al</strong>ogo dei due monaci di Idungo di Prüfening (1153-<br />

1154), passato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’osservanza cluniacense a quella cistercense. Nell’operetta l’ascetismo<br />

dei monaci bianchi viene es<strong>al</strong>tato anche attraverso il rifiuto delle bevande<br />

preparate «con spezie preziose e profumate» che, <strong>al</strong> contrario, «in refettorio<br />

dilettavano il gusto e l’olfatto» dei monaci dell’abbazia borgognona, i qu<strong>al</strong>i ne<br />

facevano largo impiego, a meno che non fossero destinate ai fratelli m<strong>al</strong>ati dell’infermeria<br />

205 .<br />

La linea di rigore si registra però anche nei confronti dei conversi, ai qu<strong>al</strong>i<br />

era chiesto di rinunciare ad ogni bevanda fermentata per evitare le tentazioni,<br />

benché fossero essi stessi a produrla con il loro lavoro, per quanto un’an<strong>al</strong>oga<br />

restrizione nel 1175 venne estesa pure ai fratelli impegnati nei campi 206 . Di conseguenza,<br />

mentre san Benedetto aveva permesso ai monaci di fronteggiare la<br />

fatica del lavoro rur<strong>al</strong>e con un supplemento di vino, i cistercensi ne limitarono<br />

l’uso nelle loro aziende agrarie, proibendolo ai conversi delle grange, ma consentendolo<br />

nella quiete del chiostro ai religiosi che non sudavano sotto il sole.<br />

Questa re<strong>al</strong>tà innescò presto proteste e ribellioni tese ad eliminare le restrizioni<br />

<strong>al</strong>imentari, che solo gradu<strong>al</strong>mente vennero lasciate cadere dai vertici dell’ordine<br />

207 ; il tutto avvenne però in un clima di progressiva rilassatezza che colpì anche<br />

l’osservanza dei monaci, in quanto già a metà del XII secolo – secondo la denuncia<br />

<strong>al</strong>larmata del vescovo di York – molti di loro faticavano ad abbandonare<br />

completamente i costumi da cui provenivano e si lasciavano tentare <strong>d<strong>al</strong></strong> cibo, <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

ricercatezza delle vesti e soprattutto <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, «dulci et solemni vicissitudine<br />

205 R.B.C. HUYGENS, Le moine Idung et ses deux ouvrages: “Argumentum super quatuor questionibus” et “Di<strong>al</strong>ogus<br />

duorum monachorum”, «Studi mediev<strong>al</strong>i», s. III, 13/1 (1972), p. 447, rr. 327-331: «Eleuctuaria vero<br />

ex preciosis et odoriferis specibus confecta, quibus gustus et olfactus vester oblectatur in refectorio,<br />

noster ordo refutat quia nequaquam monachis conveniunt, nisi forsitan in infirmaria egrotantibus».<br />

Per l’uso delle spezie nel tardo medioevo e il loro impiego medico-farmacologico, v. B. LAURIOUX,<br />

Cucine mediev<strong>al</strong>i (secoli XIV e XV), in Storia dell’<strong>al</strong>imentazione, pp. 360-361; J.-L. FLANDRIN, Condimenti,<br />

cucina e dietetica tra XIV e XVI secolo,in Ibidem, pp. 381-384.<br />

206 Cfr. Regula conversorum ordinis Cistercensis secundum instituta sancti Benedicti, in Codex Regularum monasticarum<br />

canonicorum, a cura di L. Hostenius, II, Augustae Vindelicorum 1759 (rist. anast., Graz 1957), p.<br />

428, cap. 9; Statuta capitulorum gener<strong>al</strong>ium, I, p. 87, cap. 10; anche, NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis,<br />

pp. 305-306.<br />

207 J. LECLERCQ, Comment vivaient les frères converses,in I laici nella «societas christiana» dei secoli XI e XII, Atti<br />

della terza Settimana internazion<strong>al</strong>e di studio (Mendola, 21-27 agosto 1965), Milano 1968, pp. 163-<br />

164; inoltre, NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis, pp. 306-308, 321.<br />

271


272<br />

potionum», tanto che nel 1181 il capitolo gener<strong>al</strong>e si vide costretto a condannare<br />

il comportamento di numerose abbazie indebitatesi pesantemente per comprare<br />

il vino loro necessario 208 .<br />

Riguardo <strong>al</strong>la quantità e <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità delle bevande la charta caritatis non contiene<br />

particolari indicazioni dietetiche, sembra piuttosto avv<strong>al</strong>orare la consuetudine<br />

di bere vini non artefatti, consentendo che ad un primo c<strong>al</strong>ice di vino puro<br />

<strong>al</strong>l’inizio del pasto, seguisse una quantità variabile di aquatum o di <strong>al</strong>tre bevande<br />

c<strong>al</strong>oriche, a discrezione dell’abate, prodotte nelle diverse regioni 209 . Per il resto le<br />

disposizioni normative si modulano sul dettato della regola: nel 1195 si ribadisce<br />

che durante la quaresima e nei giorni di digiuno ogni bevanda fermentata sia<br />

esclusa <strong>d<strong>al</strong></strong> vitto e la quantità non consumata venga distribuita ai poveri; ciò<br />

comprendeva anche la razione degli eventu<strong>al</strong>i ospiti presenti nel monastero, se vi<br />

avessero rinunciato, la qu<strong>al</strong>e non doveva comunque essere data ai vicini di posto<br />

a tavola 210 . Quando poi il pasto era unico nella giornata, ai monaci era permesso<br />

prendere il mixtum a metà mattina, perché il digiuno non fosse troppo gravoso e<br />

debilitante per la loro età; <strong>al</strong>lo stesso modo, ai fratelli che subivano un s<strong>al</strong>asso era<br />

concesso un supplemento di vino fuori pasto e un’<strong>al</strong>imentazione più ricca a<br />

pranzo 211 . Il silenzio a tavola era fondament<strong>al</strong>e e mancare di rispettarlo comportava<br />

la privazione temporanea del vino, quando non addirittura pene più severe<br />

comprensive di battiture e della riduzione <strong>al</strong>imentare a pane e acqua; era pure<br />

vietato bere vino dopo compieta, mentre venivano ammesse acqua, infusi di<br />

erbe e birra; inoltre, era <strong>al</strong>tresì proibito portare vino in viaggio o fermarsi in una<br />

taverna per prendere cibo quando si era lontani <strong>d<strong>al</strong></strong> monastero 212 .<br />

Continuò invece a restare in vigore il divieto di bere vino, sidro o birra per i<br />

conversi, poiché t<strong>al</strong>e consuetudine sembra fosse molto diffusa e difficile da estir-<br />

208 Per l’aperta denuncia fatta <strong>d<strong>al</strong></strong> vescovo di York Turstino nella lettera inviata <strong>al</strong> confratello di Canterbury<br />

Guglielmo, riguardo <strong>al</strong>la rilassatezza dei costumi di <strong>al</strong>cuni monaci cistercensi, cfr. Epistula<br />

CDXC (1146). Turstini archiepiscopi Eboracensis ad Willelmum Cantauriensem pontificem (1147), PL, 182, col.<br />

699]; per i provvedimenti adottati <strong>d<strong>al</strong></strong> capitolo gener<strong>al</strong>e dell’ordine, invece, v. Statuta capitulorum gener<strong>al</strong>ium,I,p.89,cap.7.<br />

209 Statuta capitulorum gener<strong>al</strong>ium, I, p. 163, cap. 33 (a. 1191).<br />

210 Statuta capitulorum gener<strong>al</strong>ium, I, pp. 182-183, capp. 2 e 9; NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis,pp.<br />

320-321.<br />

211 Statuta capitulorum gener<strong>al</strong>ium, I, pp. 24, 57, cap. 50 e 17.<br />

212 Statuta capitulorum gener<strong>al</strong>ium, I, pp. 46, 397, 346, capp. 3, 36 e 3; III, Paris-Louvain 1935, p. 127, cap.<br />

5 (a. 1274); anche, NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis, pp. 340, 343.


273


274


pare. speci<strong>al</strong>mente nelle grange inglesi, in quelle delle Fiandre, della Normandia,<br />

del Maine e della Francia occident<strong>al</strong>e. A poco v<strong>al</strong>sero le misure restrittive se,<br />

soprattutto nelle tenute insulari, i capitoli del 1192 e 1196 mettevano in guardia<br />

gli abati <strong>d<strong>al</strong></strong>lo scegliere senza <strong>al</strong>cun discernimento i conversi dei loro cenobi, in<br />

quanto molti di loro risultavano essere incorregibiles e sfrenati bevitori di birra 213 .<br />

Tre anni dopo, forse a motivo dei risultati del tutto deludenti di t<strong>al</strong>i limitazioni,<br />

si tentò un primo compromesso permettendone l’uso, purché nelle grange in cui<br />

si consumava vino e birra venisse servito un solo pulmentum. Nel 1201 si tornava<br />

ancora a tuonare contro «i conversi che bevevano vino nelle grange» e nel 1208<br />

si vietò a monaci e fratelli laici di portare con sé recipienti pieni di vino durante<br />

i viaggi e di berne se non in presenza del superiore, soprattutto in quelle regioni<br />

dove la restrizione per i conversi era rispettata; fin<strong>al</strong>mente, nel 1238 la consuetudine<br />

di assumere bevande fermentate, consentita in un primo tempo solo ad<br />

<strong>al</strong>cune dipendenze rur<strong>al</strong>i, venne estesa a tutti senza limitazioni geografiche 214 .<br />

Un ultimo aspetto dell’<strong>al</strong>imentazione cenobitica, che riguarda anche i monaci<br />

bianchi, è la presenza sulla loro tavola di pitantie aggiuntive rispetto <strong>al</strong>la refezione<br />

quotidiana, preparate grazie <strong>al</strong>l’elemosina e <strong>al</strong>la generosa benevolenza dei<br />

benefattori del cenobio, ai qu<strong>al</strong>i i fratelli assicuravano il viatico liturgico del ricordo<br />

nella preghiera nel giorno anniversario della loro morte o la commemorazione<br />

durante particolari feste religiose. La registrazione dei loro nomi, insieme<br />

<strong>al</strong>l’entità del dono a cui si collegava la memoria, era fatta in appositi registri o<br />

libri obituari, che da questo punto di vista possono fornire informazioni <strong>al</strong>imentari<br />

importanti, come ha mostrato ancora la Nada Patrone esaminando un<br />

obituario del XIII secolo proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abbazia di Lucedio 215 . Non mancano<br />

213 Statuta capitulorum gener<strong>al</strong>ium, I, pp. 139, 149, capp. 16 e 76; per i riferimenti geografici, invece, Ibidem,<br />

I, p. 97, cap. 115; 149, cap. 16; 193, cap. 76; 273, cap. 76; II, Paris-Louvain 1934, p. 153, cap. 4.<br />

214 Statuta capitulorum gener<strong>al</strong>ium, I, p. 185, cap. 18; 273, cap. 48; 346, cap. 3; II, p. 7, cap. 34; su cui si<br />

sofferma anche NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis, p. 323.<br />

215 NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis, pp. 315-320; il testo del manoscritto è stato pubblicato da<br />

A. CERUTI, Un codice del monastero cistercense di Lucedio, «Archivio storico it<strong>al</strong>iano», VIII/6 (1881), pp.<br />

336-388. Queste registrazioni non sono infrequenti nella documentazione mediev<strong>al</strong>e; un esempio<br />

recente è dato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’obituario della pieve di S. Giovanni di Monza pubblicato da F. DELL’ORO e R.<br />

MAMBRETTI, K<strong>al</strong>endarium-Obituarium Modoetiense, tomus B, Roma 2001 (Bibliotheca «Ephemerides<br />

Liturgicae». Subsidia, 117; Monumenta It<strong>al</strong>iae Liturgica, II), pp. 119-134; sul tipo di fonte, v. in gener<strong>al</strong>e<br />

J.-L. LAMAÎTRE, Les obituaires, témoins d’une mutation, in L’Europa dei secoli XI e XII fra novità e tradizione:<br />

sviluppi di una cultura, Atti della decima Settimana internazion<strong>al</strong>e di studio (Mendola, 25-29 agosto<br />

1986), Milano 1989 (Miscellanea del centro di studi medioev<strong>al</strong>i, 12), pp. 36-56.<br />

275


276<br />

qui evidentemente le registrazioni relative a donativi di «vinum bonum et<br />

sanum», di vino puro o della consegna di «unum bot<strong>al</strong>lum vini sacristae» da<br />

distribuire in refettorio nel giorno memori<strong>al</strong>e del defunto donatore. Queste<br />

pitancie permettevano così «di aumentare la quantità e la qu<strong>al</strong>ità di cibo e di<br />

bevande distribuite usu<strong>al</strong>mente ai monaci, di rompere la monotonia dell’<strong>al</strong>imentazione<br />

monastica, se non addirittura di fornire pasti supplementari, come intermezzo<br />

fra i due pasti regolamentari» 216 . Aggiunte che potevano essere anche<br />

assai numerose e, nelle maggiori abbazie, si è c<strong>al</strong>colato potessero superare persino<br />

i duecento giorni <strong>al</strong>l’anno.<br />

Alimento e bevanda, carità e farmaco di vita eterna<br />

Bevanda e <strong>al</strong>imento, energetico e ricostituente natur<strong>al</strong>e, per le sue elevate virtù<br />

nutrizion<strong>al</strong>i il vino era un elemento costante e particolarmente indicato nelle diete<br />

dei fratelli m<strong>al</strong>ati, ai qu<strong>al</strong>i veniva consentito e consigliato anche quando gli <strong>al</strong>tri<br />

monaci dovevano astenersene. Già Pacomio aveva previsto un’assistenza premurosa<br />

agli infermi, la cui <strong>al</strong>imentazione comprendeva il fermentato d’uva; la<br />

stessa cosa si trova nelle regole della G<strong>al</strong>lia meridion<strong>al</strong>e e nei consigli di Isidoro<br />

di Siviglia, mentre c<strong>al</strong>ici di merus, ossia di vino puro, sono presenti nelle disposizioni<br />

normative del Maestro; in quelle di san Benedetto, invece, la cura degli<br />

amm<strong>al</strong>ati diventa ormai un tratto caratterizzante, che si ritroverà successivamente<br />

in tutte le proposte di rinnovamento monastico 217 . L’uso anzi della prassi terapeutica<br />

della flebotomia permise a quanti subivano un s<strong>al</strong>asso di ricevere «cari-<br />

216<br />

NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis, p. 318 per la citazione; per il supplemento <strong>al</strong>imentare a<br />

tavola assicurato <strong>d<strong>al</strong></strong>le pitancie e il loro elevato consumo ancora <strong>al</strong>la fine del medioevo, cfr. H. WATZL,<br />

Über Pitanzen und reichnisse für den Konvent des Klöster Hailige Kreuz, «An<strong>al</strong>ecta cistercensia», 34 (1978),<br />

pp. 44-46, 55; inoltre, NADA PATRONE, A mensa con i monaci, pp. 32-33.<br />

217 Per un primo inquadramento storiografico, A. BÖCKMANN, “I fratelli m<strong>al</strong>ati” (Regula Benedicti cap.<br />

36), «Benedictina», 47 (2000), pp. 5-19; per il periodo successivo a Benedetto si può vedere l’esempio<br />

della tradizione cluniacense in R. CRISTIANI, “Infirmus sum, et non possum sequi conventum”. L’esperienza<br />

della m<strong>al</strong>attia nelle consuetudini cluniacensi dell’XI secolo, «Studi mediev<strong>al</strong>i», 41/2 (2000), pp. 777-807<br />

e, per i pochi rimandi <strong>al</strong>l’uso del vino, pp. 790, 792-794; inoltre, MONTANARI, L’<strong>al</strong>imentazione nell’<strong>al</strong>to<br />

medioevo, pp. 374-375; ID., Alimentazione e cultura, p. 89; inoltre, M. WEISS ADAMSON, Mediev<strong>al</strong> Dietics.<br />

Food and Drink in Regimen Sanitatis Literature from 800 to 1400, Frankfurt am Main 1995 (German<br />

Studies in Canada, 5), pp. 25-34, per la tradizione dei testi classici di medicina e la loro influenza sulle<br />

diete dei regimina sanitatis (anche in rapporto <strong>al</strong> vino e <strong>al</strong>le sue varietà).


tatem de pane et vino» subito dopo la «minutio sanguinis», accompagnata da<br />

un’<strong>al</strong>imentazione più nutriente a pranzo e da un supplemento di ‘misto’ nei due<br />

o tre giorni seguenti <strong>al</strong>l’intervento 218 . Col passare del tempo però ci si preoccupò<br />

di evitare abitudini secolari, vigilando che anche in infermeria i fratelli rispettassero<br />

il silenzio e non disturbassero i più gravi con chiacchiere inutili, trasformando<br />

quel luogo di cura in un una taberna e lasciandosi andare a «dissolutiones»,<br />

«ebrietates» o canti volgari <strong>al</strong>la maniera dei laici 219 .<br />

Il tentativo tuttavia di determinare, attraverso le regulae e le consuetudines<br />

varietà e prodotti vinicoli riservati in modo specifico ai fratelli più deboli, risulta<br />

poco fruttuoso, benché per la sua componente <strong>al</strong>colica il vino fosse uno dei<br />

costituenti base di sciroppi, pozioni e prodotti medicin<strong>al</strong>i usati per la cura dei<br />

m<strong>al</strong>ati in infermeria, come confermano gli statuti cassinesi e le disposizioni sul<br />

funzionamento della «domus infirmorum», che lo registrano fra gli elementi<br />

conservati nell’armariolum accanto ai principi attivi e ai medicamenti 220 . Ma il suo<br />

impiego risulta abitu<strong>al</strong>e anche nella norm<strong>al</strong>e profilassi medico-dietetica, essendo<br />

indicato come ricostituente primario insieme a miele, erbe medicin<strong>al</strong>i e spezie.<br />

Senza dilungarci su questo aspetto, basterà ricordare che Giovanni Gu<strong>al</strong>berto (†<br />

1073), «vedendo un giorno <strong>al</strong>cuni fratelli piuttosto gracili, ordinò di preparare<br />

una potione con certe erbe medicin<strong>al</strong>i e miele», e la si desse da bere a quelli che tra<br />

di loro apparivano più bisognosi, con esiti riabilitativi facili da immaginare; il<br />

biografo di Gioacchino da Fiore († 1202 ca), invece, narra che trovandosi a Sambucina<br />

gli capitò una volta di cadere gravemente m<strong>al</strong>ato e quasi in fin di vita a<br />

causa di una febbre <strong>al</strong>tissima; trasportato d’urgenza a Fiore, venne visitato <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

santo abate che, veduto il suo stato di grande debolezza e inappetenza, gli pre-<br />

218 Mentre nel sinodo aquisgranense dell’816 ci si limita a prescrivere «una ricca dieta con cibi e con<br />

bevande», a quanti è consentita la flebotomia (Benedetto di Aniane, p. 108, cap. 10), nelle consuetudini<br />

cluniacensi si precisa che il monaco, subito dopo la minutio sanguinis, poteva recarsi in refettorio per<br />

assumere una parte della sua libbra di pane e del suo vino, e poteva farlo anche nei due giorni successivi,<br />

cfr. UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 710, cap. 21: «surgens statim [il monaco che ha terminato<br />

il s<strong>al</strong>asso] venit in refectorium, <strong>al</strong>iquantum de libra sua comesurus et de vino bibiturus; sicut<br />

etiam per dies geminos sequentes»; inoltre, Liber tramitis, p. 178, 249; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses,<br />

col. 990; Consuetudines Cluniacensium antiquiores, pp. 14-15; Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae,<br />

1, pp. 94, 96; 2, pp. 222, 249, 251, 253; anche, Consuetudines Castellenses, 1, pp. 418-419; 2, pp.<br />

26, 56-57, 121.<br />

219 Caeremoniae regularis, p. 112; Consuetudines Castellenses, 1, pp. 56-57, 384.<br />

220 Statuta Casinensia, pp. 237, 241, 245-246; anche, Consuetudines Castellenses, 1, p. 384; mentre per gli<br />

usi cluniacensi: BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, pp. 184-185.<br />

277


278<br />

scrisse di mangiare cavoli (caules) e di bere vino nuovo (mustum), dolce e forte;<br />

pochi giorni dopo l’infermo riacquistò completamente la s<strong>al</strong>ute 221 .<br />

Il monaco addetto <strong>al</strong>l’assistenza degli infermi poteva essere esonerato dai<br />

doveri comunitari e prendere il misto se le necessità del suo impegno lo esigevano,<br />

mentre una disciplina tutta particolare vigeva per i suoi pazienti che, anche<br />

senza il permesso del superiore e la recita di un versetto, potevano assumere il<br />

mixtum quando il loro stato di infermità lo richiedeva 222 . All’uscita <strong>d<strong>al</strong></strong>la chiesa,<br />

dopo l’ora terza, essi ricevevano iustitiam vini e una libbra di pane su un vassoio<br />

con una tovaglietta, avendo la possibilità di nutrirsi se lo volevano «quasi in loco<br />

mixti»; coppe, bicchieri, vasi potori, brocche e bacinelle costituivano inoltre la<br />

norm<strong>al</strong>e dotazione dell’infermeria 223 . Ma se bere vino aiutava il monaco m<strong>al</strong>ato<br />

a ritornare in s<strong>al</strong>ute e il misto simboleggiava il nutrimento eucaristico, molto più<br />

importante era curare la sua anima con il ‘farmaco’ della vita eterna, cioè la<br />

comunione, i cui benefici effetti non avrebbero mancato di ripercuotersi anche<br />

sulla s<strong>al</strong>ute fisica dell’infermo e operare per la sua ‘guarigione’. Infatti, osserva<br />

Innocenzo III nel De sacro <strong>al</strong>taris mysterio, «come il pane più degli <strong>al</strong>tri cibi e<br />

bevande sostiene il cuore dell’uomo e il vino ne r<strong>al</strong>legra l’anima (S<strong>al</strong> 104, 15),<br />

così il corpo e il sangue di Cristo più degli <strong>al</strong>tri cibi e bevande spiritu<strong>al</strong>i rinfrancano<br />

e irrobustiscono l’uomo interiore. (…) Allora io – prosegue il pontefice –<br />

che voglio avere la vita eterna, veramente mi cibo della carne di Cristo e veramente<br />

bevo il suo sangue (…), sicuro dell’autorità con cui si dice: Chi mangia la<br />

mia carne, vive per me (Gv 6, 52)» 224 .<br />

221 Per la Vita di san Giovanni Gu<strong>al</strong>berto, scritta <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Anonimo discepolo, cfr. Alle origini di V<strong>al</strong>lombrosa.<br />

Giovanni Gu<strong>al</strong>berto nella società dell’XI secolo, a cura di G. Spinelli, G. Rossi, Novara 1984, p. 141;<br />

per quella di Gioacchino da Fiore, cfr. H. GRUNDMANN, Zur Biographie Joachims von Fiore und Rainers<br />

von Ponza, «Deutsches Archiv für Erforschung des Mittel<strong>al</strong>ters», 16 (1960), p. 542. Non va dimenticato<br />

che negli xenodochia o hospit<strong>al</strong>ia mediev<strong>al</strong>i – ma ciò v<strong>al</strong>e <strong>al</strong>meno fino <strong>al</strong> pieno Settecento e oltre,<br />

quando si assiste <strong>al</strong>la ‘medic<strong>al</strong>izzazione’ dell’assistenza sanitaria – il princip<strong>al</strong>e rimedio curativo era<br />

costituito <strong>d<strong>al</strong></strong>la sicurezza di un letto riparato, di un pasto c<strong>al</strong>do e della razione giorn<strong>al</strong>iera di vino.<br />

222 Liber tramitis, pp. 222, 249. Simbolo eucaristico, il misto era ‘farmaco’ per il corpo come la comunione<br />

lo era per l’anima.<br />

223 Liber tramitis, pp. 265-266 e 205 per l’infermeria; inoltre, CRISTIANI, Infirmus sum, pp. 790, 797,<br />

mentre per le funzioni e la figura dell’infirmarius nell’ambito cluniacense, pp. 799-800.<br />

224<br />

INNOCENZO III, De sacro <strong>al</strong>taris mysterio libri sex, PL, 217, lib. IV, capp. 3 e 7, coll. 854, 860, anche<br />

cap. 42, coll. 882-883. Nell’elogio della Vergine e di suo Figlio (INNOCENZO III, Hymnus. De Christo<br />

et beatissima virgine Maria dignissima matre eius, PL, 217, coll. 919-920), invece, il pontefice riferendosi a<br />

Cristo scrive: «Questo fiore è divenuto per noi medicina, in lui è cibo e bevanda, da lui viene miele e


In questo modo, il fratello ospitato nell’infermeria di Cluny, benché separato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la comunità, partecipava <strong>al</strong>la liturgia quotidiana non nella chiesa maggiore<br />

ma nell’oratorio di S. Maria, attiguo <strong>al</strong>la domus infirmorum, dove riceveva l’eucaristia<br />

e si purificava la bocca bevendo <strong>d<strong>al</strong></strong> «c<strong>al</strong>ice cum vino puro». Se però era<br />

costretto a letto, il sacerdote andava in chiesa a prendere il corpo del Signore e il<br />

c<strong>al</strong>ice, accompagnato da quattro conversi con i candelabri, il turibolo e l’«ampullam<br />

cum vino»; <strong>al</strong> loro arrivo tutti facevano la genuflessione, compreso il m<strong>al</strong>ato<br />

se poteva <strong>al</strong>zarsi, che, dopo il canto del Miserere mei Deus (s<strong>al</strong>mo 50) e di <strong>al</strong>tre<br />

preghiere, si comunicava intingendo «corpus Domini in vino» 225 .<br />

cera. È medicina nella redenzione, cibo e bevanda nella giustificazione, miele e cera nella glorificazione.<br />

Da questa medicina viene l’eterna s<strong>al</strong>ute dell’incorruttibilità, da questa medicina viene il cibo<br />

ristoratore della sazietà interiore, da questa medicina la bevanda dell’ebbrezza spiritu<strong>al</strong>e, della eterna<br />

fecondità (…)». Date queste premesse, uno dei problemi che si ponevano i mediev<strong>al</strong>i era quello se<br />

Giuda avesse preso o meno l’eucaristia insieme agli apostoli e pur ammettendo di si, «come fa la<br />

maggior parte dei commentatori – nota Innocenzo III –, bisogna chiedersi per qu<strong>al</strong>e motivo il medico<br />

s<strong>al</strong>vifico dava <strong>al</strong> m<strong>al</strong>ato una medicina che sapeva per lui mort<strong>al</strong>e. Sapeva infatti che chi prende<br />

indegnamente l’eucaristia, mangia la propria condanna (Cor 11, 29), ma davvero Gesù porse un boccone<br />

intinto. Perciò la Chiesa ha deciso di non dare l’eucaristia intinta» (INNOCENZO III, De sacro <strong>al</strong>taris,<br />

coll. 865-866, cap. 13).<br />

225 Per il rito della comunione <strong>al</strong> m<strong>al</strong>ato, Liber tramitis, pp. 270-271; per lo spazio dei m<strong>al</strong>ati e l’oratorio<br />

di S. Maria a Cluny, BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, pp. 187-189, 262; l’esclusione <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

comunione, tuttavia, era prevista per quelli che mangiavano carne (Ibidem, p. 188, limitazione ripresa<br />

solo in GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 1123). Il rito della comunione avveniva norm<strong>al</strong>mente<br />

sotto le due specie, a cui seguiva la possibilità di bere un po’ di vino non consacrato per<br />

lavarsi la bocca e la gola, come si dirà meglio anche più avanti <strong>al</strong>le note 286-287 (Consuetudines Floriacenses<br />

antiquiores,p.55;Liber tramitis, pp. 81-82, 271; BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, p. 225;<br />

Consuetudines Cluniacensium antiquiores, pp. 91, 303, 353; Decreta Lanfranci, p. 52); dove non si praticava<br />

invece il rito dell’intinzione, come nella regione magontina, si beveva direttamente <strong>d<strong>al</strong></strong> c<strong>al</strong>ice con una<br />

cannuccia [Redactio Fuldensis-Trevirensis, p. 316; Redactio Wirzeburgensis, p. 282; GUGLIELMO, Constitutiones<br />

Hirsaugienses, coll. 1013-1014; inoltre, Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 44-46; e Consuetudines<br />

et observantiae, p. 211, per un esempio tardo mediev<strong>al</strong>e; più in gener<strong>al</strong>e, invece, MARTENE, De<br />

antiquis Ecclesiae ritibus, col. 182 e le note di K. HALLINGER, Gorze-Kluny. Studien zu den monastischen<br />

Lebensformen und Gegensätzen im Hochmittel<strong>al</strong>ter, II, Roma 1951 (Studia Anselmiana, 23), pp. 975-976;<br />

ID., Progressi e problemi della ricerca sulla riforma pre-gregoriana, in Il monachesimo nell’<strong>al</strong>to medioevo e la formazione<br />

della civiltà occident<strong>al</strong>e, Spoleto 1957 (Settimane di studio del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to<br />

medioevo, 4), pp. 285-286]. Ci si chiedeva tuttavia se l’intinzione dell’ostia nel vino non consacrato<br />

o l’aggiunta di vino a quello consacrato trasformasse il fermentato in sangue di Cristo non in virtù<br />

della consacrazione ma del contatto; il problema viene chiarito senza possibilità di equivoco da Innocenzo<br />

III in una lettera del 30 novembre 1202 diretta a Giovanni di Bellesmes, già arcivescovo di Lione,<br />

fattosi monaco cistercense a Clairvaux: «se dopo la consacrazione del c<strong>al</strong>ice si mette <strong>al</strong>tro vino<br />

279


280<br />

Quando però <strong>al</strong>la m<strong>al</strong>attia stava per succedere la morte, l’infermo veniva<br />

preparato <strong>al</strong> grande transito con l’unzione e la comunione. Il priore avvisava i<br />

monaci e tutti insieme andavano procession<strong>al</strong>mente a fargli visita portando la<br />

croce, l’acqua santa, il turibolo, l’ampolla con l’olio e l’eucaristia; entrati nell’infermeria,<br />

veniva sparso l’incenso e aspersa l’acqua benedetta, poi iniziava il rito<br />

mentre il sacerdote ungeva il moribondo, lo comunicava e gli lavava la bocca con<br />

il vino. Nell’imminenza del trapasso la comunità si raccoglieva attorno a lui per<br />

accompagnarlo nell’ultimo viaggio, il suo corpo era adagiato sulla cenere per terra<br />

e un converso suonava la campanella del chiostro per segn<strong>al</strong>are l’avvenuto<br />

distacco. La s<strong>al</strong>ma veniva subito ricomposta e, come nel caso dell’abate Ugo di<br />

Cluny, il corpo «portato nella s<strong>al</strong>a capitolare, dove <strong>al</strong>cuni fratelli in abiti bianchi<br />

lo lavavano prima con acqua e poi col vino, da ultimo con un po’ di unguento»<br />

sull’esempio evangelico; la sua razione giorn<strong>al</strong>iera di pane e vino era distribuita<br />

ai poveri: a Cluny continuava ad <strong>al</strong>imentare le elemosine per i trenta giorni successivi<br />

<strong>al</strong> decesso, mentre a Montecassino era data <strong>al</strong>l’incaricato della sepoltura<br />

226 . Il dolore della scomparsa, tuttavia, si trasformava presto nella gioia della<br />

memoria liturgica che celebrava il dies nat<strong>al</strong>is del defunto, secondo una ritu<strong>al</strong>ità<br />

nel c<strong>al</strong>ice, esso non diventa sangue né si mescola <strong>al</strong> sangue ma, mescolato agli accidenti del vino precedente,<br />

circonfonde da ogni parte il corpo celato sotto di esso senza bagnare ciò che viene circonfuso»<br />

(INNOCENZO III, Joanni, quondam archiepiscopo Lugdunensi. Declarat omnia quae dicuntur in missa circa<br />

consecrationem et <strong>al</strong>ia, in ID., Regestorum sive epistularum, liber quintus, PL, 214, col. 1118, epist. CXXI).<br />

Concetti che il pontefice aveva già sviluppato nel suo lavoro sull’eucaristia pochi anni prima: «Se poi<br />

dopo la consacrazione del c<strong>al</strong>ice si mette nel c<strong>al</strong>ice stesso <strong>al</strong>tro vino, esso non diventa sangue né si<br />

mescola <strong>al</strong> sangue ma agli accidenti del vino precedente unito <strong>al</strong> corpo che si cela sotto di essi e si<br />

sparge dappertutto senza bagnare ciò che è circonfuso. Gli stessi accidenti, tuttavia, sembrano condizionare<br />

l’unica aggiunta che da esso deriva, perché se fosse stata aggiunta acqua pura prenderebbe<br />

il sapore del vino. Gli accidenti dunque riescono a cambiare il soggetto, come il soggetto riesce a<br />

cambiare gli accidenti. Così la natura si assoggetta <strong>al</strong> miracolo e la potenza opera <strong>al</strong> di là della consuetudine.<br />

Alcuni però hanno voluto sottilizzare che, come l’acqua semplice per contatto con l’acqua<br />

benedetta, così il vino per contatto col sacramento diventa consacrato e si trasforma in sangue,<br />

ma la ragione non sopporta affatto questa teoria» (ID., De sacro <strong>al</strong>taris, col. 877, cap. 31).<br />

226 Per il riferimento <strong>al</strong>la biografia di Ugo, si veda Ugo abate di Cluny, p. 106. Riguardo <strong>al</strong>l’unzione dei<br />

monaci, <strong>al</strong> loro trapasso e <strong>al</strong>la presenza del vino in queste circostanze in ambito cluniacense, cfr.<br />

Liber tramitis, pp. 269-272, sulla composizione della s<strong>al</strong>ma p. 273 e, sulla distribuzione di pane e vino<br />

in elemosina, pp. 276-277; inoltre, UDALRICO, Antiquiores consuetudines Cluniacensis, col. 772; Consuetudines<br />

Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 86-89, 249-254; sulla ritu<strong>al</strong>ità della liturgia dei defunti, invece,<br />

si vedano le considerazioni di G.M. CANTARELLA, I monaci di Cluny, Torino 1993, pp. 156-160; e le<br />

precisazioni di CRISTIANI, Infirmus sum, pp. 806-807; mentre per le usanze cassinesi sulla sepoltura,<br />

Statuta Casinensia, p. 235.


che si era andata arricchendo enormemente nel corso del medioevo e si traduceva,<br />

anche a tavola, nella distribuzione aggiuntiva di vino (potio) e di una terza<br />

pietanza per tutti 227 .<br />

In verità, aggiunte di cibo e bevande accompagnavano quasi quotidianamente<br />

anche la commemorazione di amici e benefattori del monastero, mentre nel<br />

giorno anniversario della morte dell’abate il cellerario forniva <strong>al</strong>l’elemosiniere<br />

pane, vino, carne o legumi per sfamare i poveri che accorrevano <strong>al</strong>la porta del<br />

monastero; il loro numero, secondo le consuetudini di Fruttuaria, superava il<br />

centinaio in quel giorno, mentre a Cluny nella festa di Ognissanti erano nutriti<br />

tutti quelli che giungevano <strong>al</strong>l’abbazia e, dodici di essi, erano invitati a partecipare<br />

<strong>al</strong>la messa e rifocillati come il giovedì santo 228 . Un’attenzione quella caritativa<br />

da sempre tipica della tradizione benedettina (RB 31, 9; 53, 15) 229 che, ancora nel<br />

monastero di S. Benigno, metteva a disposizione del monaco elemosiniere la<br />

decima di tutte le offerte, un’an<strong>al</strong>oga quantità di lardo, formaggi, pesci, agnelli e<br />

mai<strong>al</strong>i macellati, la terza parte delle rendite cere<strong>al</strong>icole e vinicole provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

dipendenze rur<strong>al</strong>i, mentre il cellerario provvedeva a nove iustitie di vino <strong>al</strong> giorno<br />

e tre per il mandato (cioè, la lavanda dei piedi), insieme a quanto avanzava<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la mensa dei monaci che i pueri raccoglievano in due g<strong>al</strong>ete e ponevano sul carro<br />

fuori della cucina 230 . Ciò significa che di solito erano nutriti e vestiti <strong>al</strong>meno<br />

dodici poveri, tre dei qu<strong>al</strong>i però erano trattati con particolare riguardo giacché<br />

227 Si veda per l’ambito cluniacense, Liber tramitis, pp. 281-283.<br />

228 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, pp. 18-19, mentre per l’elemosina ai poveri pp. 128-129;<br />

2, pp. 38, 240-241; per i supplementi di vino a Cluny in occasione della commemorazione di parenti<br />

e benefattori o delle numerose ricorrenze festive, invece, Liber tramitis, pp. 198-199, 281-283, 285,<br />

dove la distribuzione coinvolgeva, oltre ai monaci, anche poveri e ospiti; inoltre, UDALRICO, Antiquiores<br />

consuetudines, col. 689, dove si precisa che a questi poveri erano dati a tutti «pane, vino et carne»,<br />

col. 776 che precisa come nell’anniversario della morte dell’abate dodici ospiti dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e ricevessero<br />

vino e carne, mentre i monaci mangiavano pesce e bevevano vino speziato (pigmentum). Sull’importanza<br />

ritu<strong>al</strong>e dei pasti offerti ai poveri, in occasione di feste e anniversari vari, si vedano MON-<br />

TANARI, Alimentazione e cultura, pp. 29-30, 78; B. ANDREOLLI, Uomini del medioevo, Bologna 1983, pp.<br />

95-110.<br />

229 Il cap. 21 dei decreti sino<strong>d<strong>al</strong></strong>i di Aquisgrana (816) precisa che «in quaresima, come negli <strong>al</strong>tri periodi,<br />

[i fratelli] si lavino i piedi reciprocamente e cantino le antifone che si confanno a questo compito»<br />

(Benedetto di Aniane, p. 109).<br />

230 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, pp. 38, 129, 240-241; anche, Liber tramitis, pp. 53-55,<br />

199; UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 766.<br />

281


282<br />

venivano loro lavati i piedi e le mani sull’esempio del Signore nell’ultima cena. A<br />

Fruttuaria infatti essi erano accolti nel chiostro vicino <strong>al</strong>la chiesa e tre fratelli –<br />

due dei qu<strong>al</strong>i dovevano essere litterati e uno no (v<strong>al</strong>e a dire, un sacerdote, un priore<br />

e un converso) – a turno rinnovavano quel gesto evangelico di umiltà, detto<br />

mandatum, con un catino d’acqua e un asciugamano; poi il presbitero, data la<br />

benedizione, si metteva in ginocchio e porgeva loro la iustitiam con il vino e il<br />

pane, baciando le loro mani in segno di riverenza come durante la liturgia eucaristica<br />

<strong>al</strong> momento dell’offerta delle oblate, per poi tornare verso la chiesa 231 .<br />

Questa usanza quotidiana si arricchiva di maggiore v<strong>al</strong>enza simbolica durante<br />

la settimana santa e precedeva la più solenne lavanda dei piedi comunitaria:<br />

«Nel rito del giovedì santo – stabiliscono i decreti sino<strong>d<strong>al</strong></strong>i dell’816 – l’abate, se<br />

ne è in grado, lavi e baci i piedi dei confratelli, e infine porga loro di sua mano<br />

una bevanda» 232 . Recitata sesta, ma prima del vespro, <strong>al</strong> suono della tabula il<br />

231 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 72-73; a Cluny si precisa che la benedizione riguardava<br />

«cibum et potum», poi il monaco di turno prendeva in mano «iustitiam vini et libram panis» e la<br />

porgeva ai poveri baciando le loro mani (Liber tramitis, pp. 253-255); il cellerario, inoltre, teneva segnato<br />

su «quasdam membranas cum martyrologio» quante «iustitiae vel librarum panes» erano da dare<br />

ogni giorno in elemosina, mentre su una colonna del chiostro teneva affisso l’elenco di chi a turno<br />

aveva il compito del mandatum (Ibidem, p. 53, e p. 55 per la refezione ai poveri in quaresima). Nelle consuetudini<br />

dell’abbazia di Bec, in Normandia, si dice invece che mentre i monaci erano a cena, il cellerario<br />

e l’elemosiniere chiedevano il permesso per uscire, andavano a chiamare i poveri e li facevano<br />

sistemare in un luogo congruo del chiostro; poi uscivano anche gli <strong>al</strong>tri fratelli che passavano davanti<br />

a loro, mentre gli incaricati provvedevano a lavare e asciugare i loro piedi, facevano portare tre monete<br />

e il vino dagli inservienti; <strong>al</strong> suono secco della tavola tutti esclamavano: Benedicite, il sacerdote tracciava<br />

il segno di croce sul vino, che era subito servito ai poveri «osculando eis manus» negli ciphos; <strong>al</strong><br />

termine dell’oblazione seguivano <strong>al</strong>tre preghiere, poi i monaci tornavano verso la chiesa cantando<br />

(Consuetudines Beccenses, pp. 44-45). Nel monastero di Kastler, invece, il sacerdote benediceva il pane e<br />

il vino tenendoli in mano, per porgerli poi ai poveri con il bacio consueto (Consuetudines Castellenses,1,<br />

p. 277; 2, pp. 64, 118-119, 123). Riguardo <strong>al</strong> bacio, gli usi fruttuariensi precisano che anche quando il<br />

sacerdote distribuisce le fave benedette i monaci gli baciano la mano «sicut ad hostias» [Consuetudines<br />

Fructuarienses - Samblasianae, 2, p. 170; 1, p. 41 per il rimando <strong>al</strong>la liturgia eucaristica che, anche <strong>d<strong>al</strong></strong> punto<br />

di vista artistico, trova un bellissimo riscontro nelle due miniature con la ‘distribuzione del pane e<br />

del vino agli apostoli’ del codice purpureo di Rossano C<strong>al</strong>abro (Museo dell’arcivescovado, pp. 6-7, sec.<br />

VI)] e ciò avviene come nella liturgia della messa perché chi porta la patena e il c<strong>al</strong>ice bacia la mano,<br />

avvolta nella casula, del sacerdote che li riceve (Consuetudines Affligenienses, in Consuetudines Benedictinae<br />

variae, pp. 141-142); inoltre, MONTANARI, Alimentazione e cultura, p. 83, che ricorda la benedizione delle<br />

fave; G. ARCHETTI, La vite e il vino a Brescia nel medioevo, «Civiltà bresciana», VI/3 (1997), pp. 17-19,<br />

che riporta l’esempio del ritu<strong>al</strong>e liturgico delle monache di S. Giulia di Brescia.<br />

232 Citiamo <strong>d<strong>al</strong></strong>la traduzione presente in Benedetto di Aniane, p. 109: sinodo di Aquisgrana, cap. 21.


superiore si recava nel luogo dove erano stati riuniti dodici poveri, come gli apostoli<br />

nel Cenacolo – nel chiostro, nel refettorio dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e o <strong>al</strong>trove –, lavava<br />

loro le mani e i piedi, quindi, recitate le parole della benedizione: «Dio padre<br />

onnipotente benedica potum caritatis», offriva vino e cibo, con vestiti, scarpe e<br />

denaro a seconda della disponibilità del cenobio; infine, cantando il Miserere o il<br />

De profundis, faceva ritorno <strong>al</strong>la chiesa 233 . Nella Redactio Virdunensis della fine dell’XI<br />

secolo, invece, il ricordo dell’ultima cena si sostanziava nella distribuzione di<br />

pane azzimo «cum cathino pleno f<strong>al</strong>erno» 234 , anche se il riferimento letterario a<br />

questo robusto vino mediterraneo sta probabilmente a significare l’uso di un<br />

prodotto di ottima qu<strong>al</strong>ità, piuttosto che l’effettiva disponibilità della celebre e<br />

antichissima varietà vinicola.<br />

Ma assai più intenso era il «mandatum fratrum» – attestato con precisione a<br />

Cluny, dove veniva compiuto nella s<strong>al</strong>a capitolare, e così pure nell’abbazia di Bec<br />

–, <strong>al</strong> termine del qu<strong>al</strong>e i fratelli andavano in refettorio, ricevevano caritatem vini<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’abate e gli baciavano la mano; la medesima cosa tra XII e XIII secolo, sempre<br />

nell’ambito di comunità maschili, avveniva anche a Rheinau in Svizzera e a<br />

S. Arnolfo di Metz 235 , mentre l’influsso cluniacense dovette farsi sentire anche<br />

233 Liber tramitis, pp. 75-76; BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, pp. 159, 341, 312 non fa invece<br />

riferimento <strong>al</strong> bacio delle mani, così pure UDALRICO, Antiquiores consuetudines, coll. 659, 730 e le<br />

Consuetudines Cluniacensium antiquiores, p. 82 (è presente però nella Redactio Wirzeburgensis, pp. 300-301,<br />

ma non nella Redactio V<strong>al</strong>lumbrosana, pp. 350-351), dove il giovedì santo si lavano i piedi ai poveri e,<br />

presa una fi<strong>al</strong>am, si dà loro pane e vino «in sciphis», con l’aggiunta di qu<strong>al</strong>che moneta; compare invece<br />

nei Decreta Lanfranci, p. 45; nelle Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1,p.73;Redactio Sancti<br />

Emmerammi, p. 229; Redactio Fuldensis-Trevirensis, p. 296; AELFRIC, Epistula ad monachos Egneshamnenses<br />

directa (post 1004), ed. H. Nocent, K. H<strong>al</strong>linger, C. Elvert, in Consuetudinum saeculi X/XI/XII, 3, p. 170;<br />

Consuetudines Castellenses, 2, pp. 64-65; inoltre, Consuetudines et observantiae, pp. 146-148 del monastero<br />

di Treviri e Th. SCHÄFER, Die Fußwaschung im monastischen Brauchtum und in der lateinischen Liturgie, Beuron<br />

1956 (Texte und Arbeiten 1. Abt. Heft, 47), pp. 45-48, 52, 54, 58, 88 che mostra la derivazione<br />

e l’influsso cluniacense del rito in ambito renano. Sulla lavanda dei piedi ai poveri il giovedì santo, si<br />

può vedere in gener<strong>al</strong>e U. BERLIÈRE, Le mandatum du Jeudi Saint, «Revue liturgique et monastique», 5<br />

(1919), pp. 134-139.<br />

234 Redactio Virdunensis, in Consuetudines saeculi X/XI/XII, p. 399; quanto <strong>al</strong> riferimento <strong>al</strong> fermentato<br />

campano, Isidoro di Siviglia spiega che il f<strong>al</strong>erno è il «vinum vocatum a F<strong>al</strong>erna regione Campaniae,<br />

ubi optima vina nascuntur» (ISIDORO, Etymologiae, col. 712).<br />

235 Liber tramitis, pp. 77-78; UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 661; GUGLIELMO, Constitutiones<br />

Hirsaugienses, coll. 1035-1036; Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 169-170; Decreta Lanfranci,<br />

pp. 46-48; Redactio Sancti Emmerammi, pp. 227-228; Redactio Fuldensis-Trevirensis, pp. 297-298;<br />

Consuetudines et observantiae, pp. 148-149; Der rheinauer Liber Ordinarius (Zürich Rh 80, Anfang 12. Jh.), ed.<br />

A. Hänggi, Freiburg (Schweiz) 1957 (Spicilegium Friburgense, 1), pp. 122-126; Der Liber Ordinarius<br />

283


284<br />

nel grande monastero femminile di S. Giulia di Brescia. Qui il rito si svolgeva<br />

davanti <strong>al</strong>la fontana del chiostro, <strong>al</strong> termine del qu<strong>al</strong>e le religiose si recavano in<br />

refettorio, dove il sacerdote leggeva e commentava il brano del vangelo relativo<br />

<strong>al</strong>la passione del Signore 236 . L’ambiente era preparato sobriamente con tre lunghi<br />

tavoli ricoperti di tovaglie bianche, ricamate in modo raffinato, intorno a cui le<br />

religiose prendevano posto nel modo solito. La badessa <strong>al</strong>lora ordinava di portare<br />

due brocche di vetro contenenti una potione di acqua e miele e del vino puro<br />

color vermiglio come il sangue del Signore; aiutata <strong>d<strong>al</strong></strong>la priora e da un’<strong>al</strong>tra suora<br />

anziana, lei stessa versava poi le due bevande nei bicchieri delle consorelle, le<br />

qu<strong>al</strong>i le baciavano la mano quando mesceva il vino. Solo dopo che tutte le monache<br />

avevano bevuto, la priora ne offriva anche <strong>al</strong>la badessa che ripeteva umilmente<br />

il gesto del bacio della mano; terminata la distribuzione di acqua e vino<br />

<strong>al</strong>le sorelle, si dava da bere ai chierici per poi tornare in silenzio procession<strong>al</strong>mente<br />

verso la chiesa abbazi<strong>al</strong>e di San S<strong>al</strong>vatore.<br />

Anche a Fruttuaria terminata la lavanda dei piedi, i fratelli si recavano in<br />

refettorio dove ascoltavano la lettura del vangelo <strong>d<strong>al</strong></strong>la voce del diacono; quindi<br />

l’abate versava il vino a tutti – dopo aver dato la benedizione con la destra e sollevando<br />

nella sinistra «vas cum vino» davanti <strong>al</strong>la g<strong>al</strong>eta piena, tenuta da due conversi<br />

– cominciando <strong>d<strong>al</strong></strong> priore e via via agli <strong>al</strong>tri, compresi i bambini che gli<br />

baciavano la mano 237 . Nelle consuetudini di Bec, invece, l’abate lavava i piedi ai<br />

conversi del monastero nell’aula capitolare, poi andava in processione verso il<br />

refettorio dove il diacono leggeva la lettura e, <strong>al</strong> segn<strong>al</strong>e convenuto, tre inservienti<br />

prendevano «tres ciphos cum vino» dicendo ad <strong>al</strong>ta voce: Benedicite. Il<br />

sacerdote <strong>al</strong>lora dava la benedizione e il superiore prendeva lo scifo centr<strong>al</strong>e e lo<br />

porgeva <strong>al</strong> subpriore, che subito lo beveva, per poi scambiarsi il bacio delle mani<br />

e sedersi; quindi lo scifo di sinistra era offerto a colui che era <strong>al</strong>l’inizio del tavolo<br />

e la stessa cosa faceva il priore con colui che stava <strong>d<strong>al</strong></strong>la sua parte, mentre nel<br />

rispetto dei gradi si completava la distribuzione a tutti, compresi i tre inservien-<br />

der Abtei St. Arnulf von Metz (Metz, Stadtbibliothek, Ms 132, um 1240), ed. A. Odermatt, Freiburg<br />

(Schweitz) 1987 (Spicilegium Friburgense, 31), pp. 162-165 («De mandato fratrum; De caritate et de<br />

cypho sancti Arnulfi»); e, più in gener<strong>al</strong>e, MARTENE, De antiquis Ecclesiae ritibus, col. 383.<br />

236 Per lo svolgimento di questo rito, si veda G. ARCHETTI, Vigne et vin au Moyen Âge: l’exemple d’une<br />

région lombarde type: Brescia, in Vins, vignobles et terroirs de l’Antiquité à nos jours, pp. 109-111; ripreso in ID.,<br />

Tempus vindemie, pp. 486-488; il ritu<strong>al</strong>e nel cenobio giuliano viene descritto anche da F. Dell’Oro in<br />

questo volume.<br />

237 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 169-170.


ti; in presenza di ospiti, questi sedevano <strong>al</strong>la mensa dell’abate e ricevevano il vino<br />

direttamente da lui baciandogli la mano 238 .<br />

Accanto e collegato a questo aspetto della carità, interna <strong>al</strong> cenobio, vi è<br />

quello dell’ospit<strong>al</strong>ità, a sostegno del qu<strong>al</strong>e era destinata una parte cospicua delle<br />

entrate monastiche, decime incluse, e che, <strong>al</strong>meno <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età carolingia si era andato<br />

speci<strong>al</strong>izzando in strutture di accoglienza adatte ad ospiti di differente provenienza<br />

soci<strong>al</strong>e 239 . Infatti, specie nelle abbazie più importanti, trovavano riparo e<br />

accoglienza non solo poveri e pellegrini, ma anche la corte regia e l’<strong>al</strong>ta aristocrazia<br />

del tempo che, ovviamente, erano <strong>al</strong>loggiati in ambienti separati. Per tutti<br />

però l’offerta di buon vino e di un vitto adeguato era un segno distintivo dell’attenzione<br />

e della predilezione nei loro confronti, ampiamente attestata nella letteratura<br />

monastica e agiografica ispirata a precisi modelli di derivazione biblica<br />

240 . Ciò trova importanti conferme anche in ambito eremitico – in un contesto,<br />

cioè, dove a motivo della rinuncia <strong>al</strong> vino ci si potrebbe aspettare il contrario –,<br />

come si è già detto a proposito delle Vitae Patrum, ma appare evidente anche <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

miracolo compiuto sul monte Pirchiriano <strong>d<strong>al</strong></strong>l’eremita Giovanni, nel luogo cioè<br />

dove sarebbe sorto San Michele della Chiusa 241 . Un giorno giunsero lassù per fargli<br />

visita Ugo d’Alvernia con il suo seguito; essendo molto affaticati e soprattutto<br />

assetati, ma non essendoci acqua nelle vicinanze per placare la loro arsura,<br />

tranne «una sola ampollina con il poco vino sufficiente per dire una messa», il<br />

santo invocò la potenza dell’arcangelo Michele dando loro l’esiguo vino che vi<br />

era contenuto. Immediatamente, come da una fonte d’acqua fresca, cominciò a<br />

sgorgare tanto vino da saziare la loro sete 242 .<br />

238 Decreta Lanfranci, pp. 46-48.<br />

239 Per questi aspetti e per un sommario inquadramento del problema, si vedano J.L. NELSON, Viaggiatori,<br />

pellegrini e vie commerci<strong>al</strong>i, in Il futuro dei Longobardi. L’It<strong>al</strong>ia e la costruzione dell’Europa di Carlo<br />

Magno. Saggi, a cura di C. Bertelli e G.P. Brogiolo, Milano-Brescia 2000, pp. 163-171; ARCHETTI, Pellegrini<br />

e ospit<strong>al</strong>ità, pp. 69-104.<br />

240 A.I. PINI, Vite e vino nel medioevo, Bologna 1989 (Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e, 6), pp. 65-<br />

67; MONTANARI, La fame e l’abbondanza, pp. 26-29; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 58 sgg., 184-207.<br />

241 Chronica monasterii Sancti Michaelis Clusini, ed. G. Schwartz, E. Abegg, MGH, Scriptores, XXX/2,<br />

Leipzig 1929, p. 976; anche, MONTANARI, Alimentazione e cultura, p. 102 n. 193.<br />

242 L’episodio ritorna anche nella Vita sancti Iohannis cumfesoris, pubblicata da G. Sergi [«Bullettino dell’Istituto<br />

storico it<strong>al</strong>iano per il Medio Evo», 81 (1969), p. 168], dove tuttavia <strong>al</strong> posto del conte Ugo<br />

compaiono semplicemente <strong>al</strong>cuni pellegrini; inoltre, l’editore attribuisce una v<strong>al</strong>enza inversa <strong>al</strong> miracolo<br />

della distribuzione del poco vino, in quanto l’ardente desiderio dei sopravvenuti e il paragone<br />

285


286<br />

L’episodio è fortemente simbolico – non tanto per l’ambigua lettura che ha<br />

fatto pensare ad una sorta di miracolo <strong>al</strong> contrario, della trasformazione del vino<br />

in acqua e della sua moltiplicazione per dissetare dei pellegrini – ma perché indica<br />

in modo inequivocabile come l’offerta di vino, in quantità abbondante come<br />

se fosse acqua di sorgente, rappresenti un tratto squisito dell’accoglienza accordata.<br />

Ciò è rafforzato anche <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che non si trattava di vino norm<strong>al</strong>e, ma di<br />

quello usato per la messa e destinato a diventare il sangue del Signore; inoltre, la<br />

carità dell’eremita Giovanni appare tanto più grande perché egli non esita neppure<br />

un istante a ricorrere <strong>al</strong>l’unica cosa, per quanto estremamente modesta ma<br />

indispensabile <strong>al</strong>la liturgia, a sua disposizione per rispondere <strong>al</strong>le necessità dei<br />

suoi ospiti. La fede è subito premiata: <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ampollina sgorga, come da una fonte,<br />

il vino necessario a dissetare Ugo e il suo seguito, rendendo così visibile a tutti la<br />

potenza di san Michele; il significato dell’episodio, però, sembra prendere ancora<br />

più v<strong>al</strong>ore nella seconda versione, dove la presenza di umili pellegrini <strong>al</strong> posto<br />

di un ospite di riguardo, conferisce <strong>al</strong>l’accoglienza un senso caritativo maggiore<br />

perché è rivolto a tutti, potenti e semplici, senza distinzione di classi soci<strong>al</strong>i.<br />

Tuttavia anche nel caso dell’ospit<strong>al</strong>ità, come per la cura degli infermi, non<br />

sono molte le informazioni riguardanti la tipologia dei vini serviti nelle ‘foresterie’<br />

abbazi<strong>al</strong>i. Il vino veniva offerto per le sue proprietà intrinseche, secondo la<br />

disponibilità del cenobio e in una quantità pro capite non dissimile da quella che<br />

i monaci ricevevano ogni giorno; nelle regioni poco fornite e dai climi inadatti<br />

era sostituito o accompagnato <strong>d<strong>al</strong></strong>la cervisia o da <strong>al</strong>tri fermentati, mentre le<br />

aggiunte supplementari per i monaci coinvolgevano anche i loro ospiti che, specie<br />

in occasione delle festività o degli anniversari, ricevevano una razione più ricca,<br />

senza che di norma però se ne indichi la varietà 243 . Nella supplica dei monaci<br />

dell’ampolla con una fonte sotterranea, farebbero pensare piuttosto a una trasformazione del vino<br />

in acqua [G. SERGI, La produzione storiografica di S. Michele della Chiusa, «Bullettino dell’Istituto storico<br />

it<strong>al</strong>iano per il Medio Evo», 88/2 (1970), p. 208, posizione ripresa, sia pure più cautamente, anche da<br />

MONTANARI, Alimentazione e cultura, pp. 89, 102 e n. 193]. In verità, t<strong>al</strong>e interpretazione contrasta con<br />

l’ampia tipologia agiografica presentata da P. Tomea in questo volume, nella qu<strong>al</strong>e il santo riesce ad<br />

accrescere miracolosamente l’insufficiente quantità di vino disponibile per l’accoglienza. Sull’utilità<br />

delle fonti agiografiche, invece, si era già espresso PINI, Vite e vino, p. 61 e n. 26, il qu<strong>al</strong>e è recentemente<br />

tornato sull’argomento e sul tema dell’aumento miracoloso del vino, v. ID., Miracoli del vino e<br />

santi bevitori nell’It<strong>al</strong>ia d’età comun<strong>al</strong>e, in La vite e il vino. Storia e diritto (secoli XI-XIX), a cura di M. Da Passano,<br />

A. Mattone, F. Mele, P.F. Simbula, Introduzione di M. Montanari, I, Roma 2000, pp. 367-382.<br />

243 Liber tramitis, pp. 198-199, 251-253 per l’accoglienza da riservare agli ospiti in ambito cluniacense;<br />

UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 776, dove si ricorda il vino speziato (pigmentum); The Custo-


di Fulda <strong>al</strong>l’imperatore Carlo si raccomanda di non tr<strong>al</strong>asciare «l’ospit<strong>al</strong>ità antica,<br />

ma che a tutti gli ospiti siano tributati il giusto onore e ogni espressione di umanità.<br />

Quando invece giungono contemporaneamente molte persone, come<br />

avviene durante la messa della solennità di san Bonifacio, offerto il conforto<br />

necessario, coloro che provvedono <strong>al</strong>la dispensa diano a tutti la refezione» 244 .<br />

Particolari maggiori di tutto questo vengono taciuti <strong>d<strong>al</strong></strong>le consuetudini, anche se<br />

non è difficile immaginarne lo svolgimento re<strong>al</strong>e.<br />

Al contrario, preziose informazioni possono venire <strong>al</strong>largando lo spettro<br />

documentario <strong>al</strong>lo studio delle fonti economiche e contabili, disponibili soprattutto<br />

per gli ultimi secoli del medioevo, come pure ricorrendo a quelle archeologiche<br />

e iconografiche; non è raro <strong>al</strong>lora incontrare libri di forniture <strong>al</strong>imentari<br />

fatti appositamente per gli ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i e le foresterie monastiche, il cui esame può<br />

dare risultati significativi, come è risultato nel caso di Corbie in età carolingia 245 .<br />

Un <strong>al</strong>tro esempio, cronologicamente posteriore ma non meno interessante, è<br />

costituito <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di S. Giulia di Brescia, la cui rettrice non solo rendeva<br />

conto <strong>al</strong>la badessa dell’amministrazione e del funzionamento dell’ente, ma figurava<br />

anche tra gli invitati <strong>al</strong> banchetto organizzato <strong>d<strong>al</strong></strong>la superiora nel giorno di<br />

santo Stefano con i chierici di San Daniele nel suo p<strong>al</strong>acium, mentre nella festa di<br />

san Remigio dopo la celebrazione dell’ufficio ad hospit<strong>al</strong>em, le monache facevano<br />

un banchetto in cui offrivano a tutti i presenti carne, pane e formaggio abbondantemente<br />

irrorati di buon vino 246 .<br />

Ma le virtù terapeutiche attribuite <strong>al</strong> vino ne giustificavano l’impiego anche laddove<br />

la sua negazione tot<strong>al</strong>e appariva come necessaria conseguenza di un’ascesi<br />

più rigorosa e solitaria di quella cenobitica. Se l’egiziano Antonio, infatti, e gli<br />

eremiti ricordati da Girolamo e Agostino vivevano semplicemente di pane ed<br />

acqua, i padri del deserto sembrano mitigare il loro rigore quando si incontrava-<br />

mary of the Benedictine, p. 187; Caeremoniae Sublacenses, pp. 109-110; Consuetudines Castellenses,1,p.277.<br />

244 Citiamo con qu<strong>al</strong>che ritocco <strong>d<strong>al</strong></strong>la traduzione it<strong>al</strong>iana in Benedetto di Aniane, p. 126.<br />

245 Vedi sopra la nota 106 e il testo corrispondente. Per <strong>al</strong>cune esemplificazioni concrete, invece,<br />

ARCHETTI, Pellegrini e ospit<strong>al</strong>ità, pp. 112-115; E. MAZZETTI, Possedimenti e attività agricole nelle carte dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e<br />

di Santa Giulia, «Civiltà bresciana», XI/1 (2002), pp. 39 sgg., 44-45; G. ARCHETTI, Un antico codice<br />

vescovile: il registro 2 della mensa, «Civiltà bresciana», V/2 (1996), pp. 54-56 (per l’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e extraurbano<br />

di S. Giacomo dei Romei); ID., Scuola, lavoro e impegno pastor<strong>al</strong>e, pp. 121-122.<br />

246 ARCHETTI, Pellegrini e ospit<strong>al</strong>ità, pp. 114-115.<br />

287


288<br />

no per le loro riunioni periodiche, come pure per combattere gli acciacchi dell’età<br />

e rianimare un corpo indebolito <strong>d<strong>al</strong></strong>l’astinenza. È questo, del resto, il percorso<br />

‘riabilitativo’ compiuto da molti riformatori a cominciare da Pier Damiani<br />

che, nella lettera <strong>al</strong>l’eremita Guglielmo 247 , rimprovera il suo giovane interlocutore<br />

per gli indugi con i qu<strong>al</strong>i esitava a ritirarsi a Fonte Avellana, reso titubante <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

divieto di bere vino praticato nell’eremo. T<strong>al</strong>e rigore inizi<strong>al</strong>e, tuttavia, venne ben<br />

presto mitigato, come spiega – non senza una certa ritrosia – lo stesso Damiani:<br />

«D<strong>al</strong> vino poi, come sapete, per un po’ di tempo ci siamo astenuti; cosicché neppure<br />

i laici né gli ospiti venuti da fuori bevevano nient’<strong>al</strong>tro che acqua, anche nella<br />

pasqua del Signore. Il vino non lo si utilizzava, qui, se non per il sacrificio della<br />

messa. Ma poiché anche quelli che qui dimorano cominciavano ad indebolirsi<br />

e ad amm<strong>al</strong>arsi, ed <strong>al</strong>tri che desideravano venire <strong>al</strong>l’eremo sentivano assoluta<br />

ripugnanza verso un’osservanza di t<strong>al</strong>e rigore, noi ci siamo determinati ad indulgere<br />

<strong>al</strong>la debolezza dei fratelli, o, più esattamente, <strong>al</strong>la debolezza di tutti, concedendo<br />

che se ne potesse distribuire, per cui si può bere vino mantenendo<br />

sobrietà e moderazione. Così non potendo eliminarlo del tutto come Giovanni<br />

il Battista, cerchiamo <strong>al</strong>meno, con Timoteo, discepolo di Paolo, di accordarlo<br />

con sobrietà e umiltà <strong>al</strong>lo stomaco debole: non potendo essere astinenti del tutto,<br />

cerchiamo <strong>al</strong>meno di essere sobri» 248 .<br />

Ragioni di carattere nutrizion<strong>al</strong>e e s<strong>al</strong>utistico dunque, <strong>al</strong>imentate da un topos<br />

agiografico di matrice evangelica, si celano dietro le parole dell’Avellanita che –<br />

sia pure con mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità diverse – si ritrovano anche in <strong>al</strong>tri contesti riformistici. È<br />

il caso di Cam<strong>al</strong>doli, dove i seguaci di Romu<strong>al</strong>do, dopo l’austerità delle origini,<br />

accolsero l’uso del vino per i benefici che arrecava <strong>al</strong>la loro s<strong>al</strong>ute. Il testo delle<br />

regole del XII secolo, attribuite <strong>al</strong> priore Martino, appare estremamente indicativo<br />

in proposito, anche per il corredo di norme igieniche che reca con sé: «Sappiamo<br />

che il vino non conviene agli eremiti, ma poiché l’imperfezione e la debolezza<br />

sia del nostro tempo che della disposizione natur<strong>al</strong>e non permette di pri-<br />

247<br />

PIER DAMIANI, Lettere, pp. 271, 273, lett. 10, 2; nella lettera il Damiani si lancia poi in un grande<br />

elogio dell’acqua, non senza chiedersi però dove sia andato a finire il coraggio di Guglielmo, giacché<br />

nel suo animo aveva già deciso di abbracciare la vita eremitica: «Forse fu il gusto del vino a trattenere<br />

entro le pareti domestiche, con la sua femminile blandizia, l’austero soldato, e a non permettere<br />

che uscisse in battaglia chi già s’era munito dell’elmo, già aveva cinto le armi, già aspirava a grandi<br />

imprese?».<br />

248<br />

PIER DAMIANI, Lettere, pp. 329, 331, lett. 18, 5; inoltre, si veda il commento di N. D’Acunto in questo<br />

volume.


varcene del tutto, gli eremiti sono soliti prendere t<strong>al</strong>e bevanda, di rado e con<br />

sobrietà, affinché coloro che non possono rispettare la frug<strong>al</strong>ità da as<strong>temi</strong> con<br />

Giovanni, diano prova di sobria moderazione assieme a Timoteo. E poiché sappiamo<br />

per esperienza che il vino, per quelli che bevono di rado, se non è puro e<br />

integro è nocivo e fa m<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute, fu stabilito fin dai primi tempi ed anche<br />

adesso con maggior fermezza vogliamo ribadire che il vino sia dato agli eremiti<br />

di pura qu<strong>al</strong>ità e schietto. Si curino perciò i ministri, che ne hanno l’incarico, che<br />

nel tempo della vendemmia, il vino sia riposto puro e senza <strong>al</strong>cuna mescolanza<br />

d’acqua in botti a ciò preparate e convenientemente pulite, e così sia distribuito<br />

ai fratelli dell’eremo nei giorni consueti. Giacché come nei giorni di astinenza<br />

devono bere acqua pura, così nei giorni di refezione devono avere vino schietto,<br />

come sembra debba usarsi. Inoltre, se si troverà che il vino è guasto, inacidito o<br />

ha preso la muffa, si potrà servire ad <strong>al</strong>tri, e per gli eremiti se ne procuri dell’<strong>al</strong>tro<br />

conveniente» 249 .<br />

Non meno interessante appare pure il caso dei monaci di Monte Oliveto che<br />

tre secoli dopo, secondo la cronaca attribuita a Alessandro da Sesto, vissero<br />

un’esperienza an<strong>al</strong>oga 250 . Decisi a seguire un modello di vita monastica più austero,<br />

dopo <strong>al</strong>cuni anni nei qu<strong>al</strong>i avevano atteso con crescente fervore <strong>al</strong>l’apprendimento<br />

della sapienza divina, stabilirono di rinunciare tot<strong>al</strong>mente <strong>al</strong> vino ben<br />

consapevoli del consiglio paolino a rifuggirlo come fonte di ogni peccato e della<br />

tradizione del monachesimo antico, che lo sconsigliava ai cenobiti. Tagliate le<br />

vigne che erano piantate sulle pendici del monte, svuotarono le botti e le fecero<br />

rotolare fuori <strong>d<strong>al</strong></strong> monastero per evitare che la disponibilità di vino potesse far<br />

venir meno t<strong>al</strong>e proposito. Essi trascorsero così senza vino <strong>al</strong>cuni anni, ma poiché<br />

bevendo acqua fredda molti si amm<strong>al</strong>avano e lamentavano dolori di stomaco,<br />

compresero <strong>al</strong>la fine il significato dell’invito rivolto a Timoteo di bere un po’<br />

di vino per superare le infermità intestin<strong>al</strong>i. Ripresero quindi a bere poco vino<br />

mescolato con acqua, ritenendolo s<strong>al</strong>utare per il corpo e non dannoso <strong>al</strong>l’anima;<br />

Antonio da Barga, tuttavia, più re<strong>al</strong>isticamente precisa che furono sempre assai<br />

249 Liber eremiticae Regulae, in Le Constitutiones e le Regulae de vita eremitica del B. Rodolfo, a cura di F. Crosara,<br />

Roma 1970, p. 57, cap. XXIII; citato anche da MONTANARI, Convivio, pp. 271-273.<br />

250 Compilato <strong>al</strong>la fine del XV secolo e iniziato verosimilmente da Alessandro da Sesto, cfr. Chronicon<br />

Cancellariae, in Regardez le rocher d’où l’on vous a taillés. Documents primitifs de la Congrégation bénédictine de<br />

Sainte Marie du Mont-Olivet, par les moines de l’abbaye Notre Dame de Maylis, Maylis 1996 (Studia<br />

Olivetana, 6), pp. 380, 382, cap. 28; l’episodio è brevemente menzionato anche da MONTANARI, Alimentazione<br />

e cultura,p.89.<br />

289


290<br />

temperati <strong>al</strong> riguardo e, quando pigiavano l’uva <strong>al</strong> tempo della vendemmia, versavano<br />

dell’acqua sulle vinacce facendo bollire quel mosto poco robusto per<br />

<strong>al</strong>meno tre giorni prima di riempire le loro botti nuove, con il qu<strong>al</strong>e si <strong>al</strong>imentavano<br />

per tutta la durata dell’inverno 251 .<br />

Per Bruno di Colonia invece, che nella seconda metà dell’XI secolo aveva<br />

scelto «di abitare su un monte aspro e terribile» vicino a Grenoble, avviando l’esperienza<br />

certosina, il problema del vino non si pone perché pane, legumi e<br />

acqua erano gli <strong>al</strong>imenti quotidiani della sua comunità. Ad essa egli concedeva<br />

formaggio e pesce soltanto la domenica, quando venivano donati da qu<strong>al</strong>che<br />

benefattore, se capitava t<strong>al</strong>volta però che i suoi religiosi «bevessero vino, era t<strong>al</strong>mente<br />

leggero che non offriva <strong>al</strong>cuna forza a chi lo prendeva, non aveva quasi<br />

<strong>al</strong>cun sapore e a m<strong>al</strong>apena si distingueva <strong>d<strong>al</strong></strong>l’acqua» 252 . La via della perfezione<br />

ascetica, in <strong>al</strong>tre parole, non passava più attraverso la rinuncia assoluta, ma si<br />

poneva nel solco profondo della tradizione benedettina: per diventare buoni<br />

eremiti o monaci virtuosi non era più indispensabile abdicare <strong>al</strong> frutto della vite,<br />

né bere un po’ di vino a tavola appariva contrario <strong>al</strong>la santità, ma sull’esempio<br />

del Signore, che aveva mangiato e bevuto liberamente durante la sua vita, se ne<br />

riv<strong>al</strong>utava anche in campo ascetico l’assunzione di una modica quantità.<br />

Non sorprende quindi che Giovanni Gu<strong>al</strong>berto abbia concesso di bere vino<br />

persino fuori orario ad un monaco molto assetato 253 , né che Gioacchino da Fio-<br />

251 ANTONIO DA BARGA, Chronicon Montis Oliveti (1313-1450), a cura di P. Lugano, Florentiae 1901<br />

(Spicilegium Montolivetense, 1), p. 18, è questa per<strong>al</strong>tro una preziosa quanto rara illustrazione delle<br />

tecniche di vinificazione tardo mediev<strong>al</strong>i (per questa tecnica e il tipo di vino, cfr. ARCHETTI, Tempus<br />

vindemie, pp. 438 sgg.).<br />

252 Sogni e memorie di un abate mediev<strong>al</strong>e. La “Mia vita” di Guiberto di Nogent, a cura di F. Cardini, N. Truci<br />

Cappelletti, Novara 1986, pp. 49-50; utili per un primo inquadramento le note di G. PICASSO, Certosini<br />

e cistercensi: i ritmi della preghiera e del lavoro nella vita quotidiana, in Certosini e cistercensi in It<strong>al</strong>ia (secoli<br />

XII-XV), Atti del convegno: Cuneo, Chiusa Pesio, Rocca de’ B<strong>al</strong>di 23-26 settembre 1999, a cura di<br />

R. Comba, G.G. Merlo, Cuneo 2000, pp. 295-306; mentre per l’evoluzione istituzion<strong>al</strong>e, M.P. ALBER-<br />

ZONI, I certosini fra consuetudines e statuta: gli sviluppi istituzion<strong>al</strong>i fino <strong>al</strong>la metà del XIII secolo, in Certose<br />

di montagna certose di pianura, Convegno internazion<strong>al</strong>e, 13-16 luglio 2000, Villar Focchiardo - Susa -<br />

Avigliana - Collegno 2002, pp. 103-116.<br />

253 Dopo aver affidato un’importante missione fuori <strong>d<strong>al</strong></strong> cenobio ad un confratello, la mattina seguente,<br />

subito dopo l’ufficio notturno, l’abate Giovanni illuminato da Dio venne a sapere che quel monaco<br />

era afflitto da un attacco di sete; «chiamò con un cenno il fratello addetto <strong>al</strong>l’assistenza, gli fece<br />

riempire fino <strong>al</strong>l’orlo un bel bicchiere di vino misto ad acqua, poi lo pregò di mandargli, se c’era, il<br />

fratello che doveva partire. Appena giunto, glielo offrì» (Alle origini di V<strong>al</strong>lombrosa, p. 99 cap. 62).<br />

Obbedienza, carità fraterna, chiaroveggenza si mescolano nell’episodio elevandolo ad esempio,


e – secondo l’arcivescovo Luca di Cosenza, suo biografo – quando si trovava a<br />

Casamari non si preoccupava affatto «de qu<strong>al</strong>itate seu paucitate cibi aut potus».<br />

Successe anzi una volta che, a causa della disattenzione di un inserviente che non<br />

gli avevano messo il vino in vasculo, il monaco c<strong>al</strong>abrese rimanesse senza e fosse<br />

costretto a bere solo acqua, senza che per questo avesse a lamentarsi o contristarsi<br />

minimamente 254 . La rinuncia <strong>al</strong> vino pertanto, più che un obbligo comunitario,<br />

rientrava nel cammino ascetico person<strong>al</strong>e, che era tanto più meritevole in<br />

quanto volontario, ma sempre fin<strong>al</strong>izzato ad un bene più grande dell’ascesi in se<br />

stessa. Questa <strong>al</strong>meno sembra la lezione che viene da san Bononio, abate di<br />

Lucedio († 1026), il qu<strong>al</strong>e si asteneva <strong>d<strong>al</strong></strong> vino anche nei giorni festivi e persino a<br />

pasqua 255 . In una di queste solennità, mentre era a tavola, chiese a un servo di<br />

portargli un bicchiere d’acqua; dopo che lo ebbe, fece il segno della croce e si<br />

mise a bere, ma si accorse che si trattava di vino. Rimandò indietro il bicchiere e<br />

chiese di nuovo dell’acqua, ma fatto il segno di croce si ritrovò a bere ancora<br />

vino. Sgridò <strong>al</strong>lora il servo, ma questi assicurò di avergli portato dell’acqua; solo<br />

<strong>al</strong>lora Bononio capì e ringraziò il Signore per l’amore che gli portava.<br />

Nella Vita di Guido degli Strambiati, il grande abate del periodo d’oro di<br />

Pomposa († 1046), si evidenza invece lo sc<strong>al</strong>pore suscitato <strong>d<strong>al</strong></strong> miracolo della trasformazione<br />

dell’acqua in vino, operato <strong>d<strong>al</strong></strong> santo quando si trovava a mensa in<br />

compagnia di Gebeardo, arcivescovo di Ravenna 256 ; intervento che, pur es<strong>al</strong>tando<br />

l’austerità e la santità dell’abate, conferma quanto il vino fosse abitu<strong>al</strong>e e non costituisse<br />

affatto un problema, neppure per un cenobio fortemente impegnato nella<br />

riforma. Trovandosi un giorno a tavola con l’abate, il presule chiese <strong>al</strong>l’amico Guido<br />

il bocc<strong>al</strong>e (cuppam) col qu<strong>al</strong>e beveva; questi sul principio rifiutò, ma poi dietro<br />

le insistenze dell’arcivescovo, accondiscese. Gebeardo infatti, sapendo che l’abate<br />

era solito bere solo acqua a tavola, cominciò a versare nel proprio bicchiere, sicu-<br />

mentre il bicchiere di vino dato <strong>d<strong>al</strong></strong> padre superiore diventa viatico e benedizione paterna per il<br />

monaco in procinto di partire.<br />

254<br />

GRUNDMANN, Zur Biographie Joachims von Fiore, p. 541, mentre l’abate florense restava rigorosamente<br />

a pane e acqua nei giorni feri<strong>al</strong>i della quaresima (Ibid., pp. 541-542).<br />

255 Vita sancti Bononii abbatis Locediensis, ed. G. Schwartz, A. Hofmeister, MGH, Scriptores, XXX/2,<br />

Hannoverae 1934, pp. 1026-1033; il fatto miracoloso è ricordato anche da PINI, Miracoli del vino, p.<br />

370 n. 11, di cui abbiamo parafrasato il testo.<br />

256 Sulla biografia di questo abate, cfr. D. BALBONI, s.v.,Guido, in Bibliotheca Sanctorum, VII, Roma 1966,<br />

coll. 510-512; con riferimento <strong>al</strong>la Vita e <strong>al</strong> miracolo della trasformazione dell’acqua in vino, v. P. LAGHI,<br />

S. Guido, abbate di Pomposa, «Studi di liturgia, agiografia e riforma mediev<strong>al</strong>i», 3 (1967), pp. 103-104.<br />

291


292<br />

ro di avere acqua; ma grande fu la sua meraviglia quando si accorse che era ottimo<br />

vino e della stessa qu<strong>al</strong>ità che gli era stato servito <strong>al</strong>tre volte durante i pasti. Finita<br />

la cena volle sincerarsi della cosa con l’inserviente, il qu<strong>al</strong>e assicurò di aver versato<br />

acqua come sempre nel bocc<strong>al</strong>e dell’abate, ma le sue preghiere l’avevano mutata in<br />

vinum 257 . Quella non era stata l’unica volta tuttavia in cui Guido aveva fatto un simile<br />

prodigio, poiché in numerose <strong>al</strong>tre occasioni – a detta del biografo e di vari testimoni<br />

– ciò si era ripetuto 258 . Da tutto questo consegue un dato ulteriore.<br />

D<strong>al</strong> momento in cui nel tardo medioevo il vino appare accolto comunemente<br />

in tutto il mondo monastico, nella tradizione cenobitica si registra il venire<br />

meno della preoccupazione di indicare con precisione la misura giorn<strong>al</strong>iera per<br />

ciascuno, fermo restando il limite inv<strong>al</strong>icabile dell’esclusione della crapula e dell’ebbrezza,<br />

come pure di ogni «superfluitatem» del cibo e della bevanda 259 . Nelle<br />

disposizioni normative resta sempre il riferimento ide<strong>al</strong>e <strong>al</strong>l’emina benedettina,<br />

ma la necessità di stabilire una misura ugu<strong>al</strong>e per tutti lascia ormai il posto <strong>al</strong>la<br />

discrezione e <strong>al</strong>le esigenze individu<strong>al</strong>i. Il criterio della sobrietà e del rifiuto di ogni<br />

intemperanza della gola orientano i comportamenti da tenere a tavola e in particolare<br />

il delicato rapporto con il vino: i monaci del Sacro Speco di Subiaco ne<br />

ricevono «quantum sufficit», sempre opportunamente diluito «cum aqua», e sulla<br />

stessa lunghezza d’onda appaiono anche le comunità di Melk o di Kastler, come<br />

pure quelle insulari di Eynsham, di Canterbury, di Hyde, di W<strong>al</strong>tham o di Gloucester<br />

che integravano con la birra la mancanza del fermentato d’uva 260 .<br />

257 Vita S. Guidonis abbatis,in Acta Sanctorum martii, tomus III, Venetiis 1736, p. 914, cap. 2, 12.<br />

258 Trovandosi per esempio, in un’<strong>al</strong>tra occasione, l’abate Guido a Ravenna gli si presentò un cav<strong>al</strong>iere<br />

di Faenza mentre stava pranzando, il qu<strong>al</strong>e avendo sentito parlare della sua austerità prese la sua<br />

coppa e bevve: ma subito uscì vino benché l’inserviente vi avesse messo dell’acqua (Vita S. Guidonis,<br />

p. 914; LAGHI, S. Guido, pp. 103-104).<br />

259 Caeremoniae Mellicenses, in Breviarum caeremoniarum monasterii Mellicensis, ed. J.F. Angerer, Siegburg<br />

1987 (CCM 11/2), p. 69, in ciò si rispettava la tradizione cristiana e il precetto paolino, ma anche<br />

quella monastica ispirata <strong>al</strong>la sobrietà e <strong>al</strong> rifiuto di ogni eccesso <strong>al</strong>imentare, «superfluitatem in cibis<br />

et potibus caveant ut venenum» (Consuetudines Castellenses, 2, p. 419).<br />

260 «De quantitate panis et vini», recitano le consuetudini sublacensi, si deve assicurare a ciascuno<br />

«quantum sufficit et vinum cum aqua iuxta posita» (Caeremoniae Sublacenses, pp. 96-97); «pro potu<br />

vinum mediocre et sanum in competenti quantitate ministretur, crapula semper et ebrietate exclusis»<br />

(Caeremoniae Mellicenses, p. 69); «quicquid in cibo vel potu (…) ministretur per proprios monachos ad<br />

congruentem mensuram» (Consuetudines Castellenses, 1, p. 30; inoltre, Concordiae ac discordiae trium observantium,<br />

in Ibidem, 2, p. 114; Consuetudines Castellenses, 1, p. 135; Consuetudines et observantiae, p. 183; The<br />

Customary of the Benedictine Abbey of Eynsham, pp. 186-187).


Usi liturgici (e non solo) del vino<br />

Va ancora ricordato che il vino, oltre che a tavola – dove semmai i fratelli colpevoli<br />

di qu<strong>al</strong>che mancanza o che avevano recato un danno <strong>al</strong>la comunità ne erano<br />

privati 261 – compariva anche in <strong>al</strong>tri momenti della vita monastica: ricostituente e<br />

farmaco per gli infermi, energetico per quanti erano impegnati nel lavoro dei<br />

campi, <strong>al</strong>imento per la crescita dei pueri oblati affidati <strong>al</strong> cenobio, lenitivo per il lettore<br />

della mensa e per gli inservienti di cucina, esso era presente nella complessa<br />

ritu<strong>al</strong>ità della liturgia annu<strong>al</strong>e. Inoltre, <strong>al</strong>la morte di un monaco la s<strong>al</strong>ma poteva<br />

essere purificata con il vino e durante il mandatum del giovedì santo la distribuzione<br />

del «vinum caritatis» giocava un ruolo non secondario nella celebrazione della<br />

memoria del Signore e nella ripetizione dei suoi gesti, <strong>al</strong> termine dei qu<strong>al</strong>i il sacrestano<br />

preparava l’<strong>al</strong>tare denudandolo e lavandolo prima con acqua e «postmodum<br />

de vino» 262 ; rito quest’ultimo che ricordava quello della consacrazione della<br />

261 Nei monasteri della zona renana, per esempio, chi rompeva il silenzio «vini abstinentia precipitur»<br />

(Redactio Fuldensis-Trevirensis, p. 278); a San Benigno di Fruttuaria se qu<strong>al</strong>cuno sputava o soffiava <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

narici catarro sulle sc<strong>al</strong>e o in qu<strong>al</strong>che <strong>al</strong>tro posto deturpando il decoro e la bellezza del luogo, in<br />

quel giorno «vinum bibere non debe[ba]t», come pure se rompeva «vasa, situla, scutella...» (Consuetudines<br />

Fructuarienses - Samblasianae, 2, p. 237); a Subiaco, a seconda della gravità della colpa, i fratelli<br />

potevano essere costretti a «manducare in terra sine vino seu pane et aqua» (Caeremoniae Sublacenses,<br />

p. 48); inoltre, quando «quis fratrum agit poenitentiam in abstinentia vini, detur servitor mensae<br />

scyphum vini praesidenti presentare signum gratiae» con un inchino del capo (Consuetudines et observantiae,<br />

p. 198). Le esemplificazioni a questo riguardo possono essere numerosissime e rientrano nei<br />

capitoli dedicati <strong>al</strong>le colpe e <strong>al</strong>la loro riparazione (RB 23-30, 43-46), aspetti che esulano <strong>d<strong>al</strong></strong>l’interesse<br />

specifico di questo contributo; aggiungiamo soltanto una nota biografica relativa a Matteo Ronto,<br />

umanista olivetano traduttore latino di Dante, che, mentre era impegnato nei lavori di cucina del suo<br />

monastero di S. Giorgio di Ferrara, gli capitò di rompere un’anfora piena d’acqua, <strong>al</strong>lagando tutto il<br />

loc<strong>al</strong>e. Il priore, per la disattenzione e il danno causato, lo punì severamente privandolo del vino e<br />

redarguendolo in tedesco: «Trinch, imbibe guaczer, absque liquore meri». Al che, per tutta risposta, il<br />

povero fra Matteo riprese mesto il suo servizio in cucina, meditando però in cuor suo l’arguta spiritosa<br />

vendetta: «Me tamen is necuit, cum protulit: Imbibe guaczer, / corque meum timidum cuspide<br />

cudit acus» [M. TAGLIABUE, Contributo <strong>al</strong>la biografia di Matteo Ronto traduttore di Dante, «It<strong>al</strong>ia mediev<strong>al</strong>e<br />

e umanistica», 26 (1983), pp. 178-179].<br />

262 La purificazione dell’<strong>al</strong>tare con acqua e vino è attestata da Isidoro di Siviglia (ISIDORO DI SIVIGLIA,<br />

De ecclesiasticis officiis, PL, 83, col. 764) e ben documentata <strong>d<strong>al</strong></strong>le consuetudini cluniacensi (Liber tramitis,p.82;BERNARDO,<br />

Consuetudines aevi sancti Hugonis, p. 261; Consuetudines Cluniacensium antiquiores,pp.<br />

94, 302; per l’area bavarese e renano-mosellana: Redactio Sancti Emmerammi, p. 227; Redactio Fuldensis-<br />

Trevirensis, p. 297 e Redactio Virdunensis, pp. 396-397; inoltre, HALLINGER, Gorze-Kluny, pp. 934-935,<br />

293


294<br />

chiesa abbazi<strong>al</strong>e, avvenuto proprio con l’aspersione di vino e acqua mescolati a<br />

cenere, più volte ripetuta nelle lustrazioni interna ed esterna delle pareti dell’edificio<br />

sacro e nella purificazione del pavimento, come spiega Bruno di Segni 263 .<br />

Durante le periodiche processioni domenic<strong>al</strong>i, poi, tra le benedizione dei<br />

loc<strong>al</strong>i era compresa anche quella della cantina monastica, le cui porte erano aperte<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> cellerario, mentre nell’intensa cerimonia dell’oblazione era il fanciullo stesso<br />

a portava in dono <strong>al</strong> momento dell’offertorio la patena con l’ostia e l’ampollina<br />

col vino, consegnandoli nelle mani dell’abate che li poneva sull’<strong>al</strong>tare insieme<br />

<strong>al</strong>la petizione dei suoi genitori 264 . D’<strong>al</strong>tra parte, in occasione della solenne<br />

benedizione dell’abate, rito che in origine consisteva nella recita di una semplice<br />

preghiera per invocare i doni di Dio sull’eletto e nella consegna dei simboli della<br />

sua autorità (la regola e il baculum pastor<strong>al</strong>is) 265 , si andarono gradu<strong>al</strong>mente inserendo<br />

<strong>al</strong>cuni gesti tipici della consacrazione episcop<strong>al</strong>e – specie in relazione <strong>al</strong>la<br />

nomina delle abbazie più importanti – con il crescere del prestigio e del potere<br />

964 sgg.), mentre nel monastero bretone di Bec il sacrestano lavava l’<strong>al</strong>tare il venerdì santo con acqua<br />

e poi con vino aromatizzato, issopo e bosso (Decreta Lanfranci, p. 52), così pure a Fleury (Consuetudines<br />

Floriacenses saeculi tertii decimi,p.78).<br />

263<br />

BRUNO DI SEGNI, Tractatus tertius. De sacramentis Ecclesiae, mysteriis atque ecclesiasticis ritibus, PL, 165,<br />

coll. 1091, 1095-1097, dedicate <strong>al</strong> rito della consacrazione di una chiesa, dove si ricorda come il<br />

vescovo asperga la chiesa e l’<strong>al</strong>tare con acqua, vino e cenere: il vino mescolato <strong>al</strong>l’acqua simboleggia<br />

una maggiore intelligenza della legge divina, superiore <strong>al</strong> semplice apprendimento letter<strong>al</strong>e (dato <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

sapore della sola acqua), mentre l’aggiunta della cenere è un segno penitenzi<strong>al</strong>e e di conversione. Per<br />

la tradizione manoscritta di questo testo liturgico, cfr. R. GREGOIRE, Bruno di Segni exégète médiév<strong>al</strong> et<br />

théologien monastique, Spoleto 1964 (Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to medioevo, 3), pp. 104-108; per un<br />

quadro aggiornato, invece, sulla figura e l’opera del grande esegeta, Bruno di Segni († 1123) e la Chiesa<br />

del suo tempo, Giornate di studio. Segni, 4-5 novembre 1999, a cura di F. Cipollini, Venafro 2001 (San<br />

Germano. Collana di storia e cultura religiosa mediev<strong>al</strong>e, 4). Più in gener<strong>al</strong>e sul rito della dedicazione<br />

di una chiesa si vedano le osservazioni di F. Dell’Oro in questo volume.<br />

264 A Fruttuaria le processioni domenic<strong>al</strong>i toccavano il capitolo, il dormitorio, il refettorio, la cucina e<br />

«cellarium de vino» (Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, pp. 40, 185; per l’offerta di bambini<br />

<strong>al</strong> monastero, p. 51; assai significativo anche il commento di Ildemaro, pp. 548-549); per l’ambito cluniacense,<br />

UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 654; inoltre, G. ARCHETTI, Per la storia di S. Giulia<br />

nel medioevo. Note storiche in margine ad <strong>al</strong>cune pubblicazioni recenti, «Brixia sacra. Memorie storiche della<br />

diocesi di Brescia», V/1-2 (2000), p. 31. Per l’oblazione monastica, invece, si veda lo studio di M. DE<br />

JONG, In Samuel’s image. Child oblation in the early mediev<strong>al</strong> West, cit., mentre per qu<strong>al</strong>che osservazione<br />

sull’<strong>al</strong>imentazione e l’uso del vino da parte di questi “piccoli monaci”, v. ARCHETTI, Scuola, lavoro e<br />

impegno pastor<strong>al</strong>e, pp. 112-113.<br />

265 2 M. RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e di storia liturgica, IV, Milano 1959 , p. 482 e le osservazioni di F. Dell’Oro in<br />

questo volume.


delle istituzioni monastiche 266 . Ciò si registra soprattutto <strong>al</strong> momento dell’offertorio<br />

durante la messa, quando il neo-abate portava <strong>al</strong> celebrante due grossi pani<br />

coperti da una tovaglia bianca, baciando la sua mano, due fi<strong>al</strong>as contenenti rispettivamente<br />

del vino bianco e rosso, e due grandi ceri; l’eventu<strong>al</strong>e privilegio a poter<br />

indossare le insegne vescovili (mitra, anello, guanti, san<strong>d<strong>al</strong></strong>i, ecc.) rendeva ancora<br />

più stretta t<strong>al</strong>e somiglianza.<br />

Ripresa invece <strong>d<strong>al</strong></strong> Liber pontific<strong>al</strong>is e dai più antichi sacramentari romani, la<br />

benedizione delle uve viene attestata nelle consuetudini cluniacensi: un rito antichissimo<br />

inserito nel canone della messa che si svolgeva il 6 agosto, giorno della<br />

trasfigurazione del Signore e memoria di san Sisto martire 267 . Tuttavia, a differenza<br />

di <strong>al</strong>tri prodotti, qu<strong>al</strong>i le fave nuove, il vino novello e il pane fresco, che erano<br />

benedetti in refettorio, la benedictio uvae avveniva in chiesa quando dopo il vangelo<br />

il diacono poneva <strong>al</strong>cuni grappoli sull’<strong>al</strong>tare «in cipho argenteo» 268 . Qu<strong>al</strong>ora<br />

però l’uva non fosse stata matura per quella data, si aspettava ancora qu<strong>al</strong>che<br />

giorno e competeva <strong>al</strong> custos ecclesiae verificarne la maturazione, coglierla e poi<br />

portarla in sacrestia, dove era conservata nell’armarius per essere pronta <strong>al</strong><br />

momento del rito (che si celebrava anche di domenica). Una volta benedette, le<br />

uve venivano portate in refettorio e distribuite a tutti «in loco hostiarum», <strong>al</strong>la<br />

maniera del pane benedetto come se fossero delle eulogie 269 . Altra cosa era la<br />

266 Ciò si vede bene ad esempio nel pontific<strong>al</strong>e romano del XII secolo: Le Pontific<strong>al</strong> Romain au Moyen<br />

Âge, ed. M. Andrieu, I: Le Pontific<strong>al</strong> Romain du XIIe siècle, Città del Vaticano 1938 (Studi e testi, 86), pp.<br />

170-174, cap. XV (consegna della regola e del «baculum pastor<strong>al</strong>is officii»), 409-410, cap. XVI (per il<br />

rito offertori<strong>al</strong>e).<br />

267 Liber pontific<strong>al</strong>is, ed. L. Duchesne, I, Paris 1886, p. 159; per la tradizione liturgica di questo rito, la<br />

sua antichità e diffusione, H. LECLERCQ, s.v.,Raisin, in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie,<br />

XIV, Paris 1948, coll. 2055-2059; RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e di storia liturgica, III, pp. 419-425; V. RAFFA,<br />

Liturgia eucaristica. Mistagogia della messa: <strong>d<strong>al</strong></strong>la storia e <strong>d<strong>al</strong></strong>la teologia <strong>al</strong>la pastor<strong>al</strong>e pratica, Roma 1998<br />

(Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae”: Subsidia, 100), pp. 494-595.<br />

268 Per l’uso in ambito cluniacense, si vedano UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 683, cap. 39: De<br />

benedictione uvarum et <strong>al</strong>iorum fructuum; ripreso quasi <strong>al</strong>la lettera da Guglielmo per l’abbazia di Hirsau<br />

(GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 1015), che si ritrova anche nelle Consuetudines Floriacenses<br />

saeculi tertii decimi, pp. 200-201; mentre ZIMMERMANN, Ordensleben, pp. 276, per la benedizione del<br />

mosto e, 281-284, delle fave. L’influenza trans<strong>al</strong>pina è ben presente anche a Fruttuaria, dove a proposito<br />

della benedizione delle uve l’estensore confonde probabilmente i termini quando parla di<br />

«uvis arborum, quas Teutonici vulgariter cherriscibere vocare solent» (Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae,<br />

2, pp. 29, 55, 75-76; citaz. a p. 76), <strong>d<strong>al</strong></strong> momento che non sono noti casi in cui le ciliege sono<br />

dette uvas arborum, né ritu<strong>al</strong>i di benedizione per i frutti del ciliegio (riguardo <strong>al</strong> il termine cherriscibere<br />

cfr. il commento introduttivo di K. H<strong>al</strong>linger, in Ibidem,1,p.LVII e nota 155).<br />

295


296<br />

benedizione del vino novello (mustum) che avveniva fuori <strong>d<strong>al</strong></strong>la chiesa; il sacerdote,<br />

infatti, stando in mezzo <strong>al</strong> refettorio davanti <strong>al</strong>la mensa princip<strong>al</strong>e, dopo il<br />

s<strong>al</strong>uto e la recita di un versetto, pronunciava la formula ritu<strong>al</strong>e pro musto invocando<br />

il nome divino su questo prodotto della natura.<br />

Prima di sedersi a mensa però, di norma, era compito del superiore la benedictio<br />

vini, uso di sicura matrice evangelica e di ascendenza orient<strong>al</strong>e, le cui fin<strong>al</strong>ità<br />

dirette a santificare il cibo e le bevande rinviavano, per simbologia e gestu<strong>al</strong>ità, <strong>al</strong>la<br />

memoria dell’ultima cena e della comunione eucaristica; gesti che a loro volta si<br />

concretizzavano anche nell’assunzione del mixtum e nella distribuzione delle<br />

“eulogie del vino” (Weineulogie) 270 . In particolare, riguardo a quest’ultimo aspetto,<br />

il forte rapporto esistente tra la s<strong>al</strong>ute del corpo e l’assunzione di pane e vino santificati<br />

dai poteri taumaturgici, qu<strong>al</strong>e prefigurazione del cibo eucaristico, risulta<br />

chiaro <strong>d<strong>al</strong></strong>la lettura di <strong>al</strong>cuni testi agiografici di area franca: una donna m<strong>al</strong>ata chiede<br />

<strong>al</strong>l’abate di Lagny, san Furseo (sec. VII), di darle l’eulogia del vino, ma essendo<br />

finito, questi le dà dell’acqua che subito si trasforma in vino e la risana; <strong>al</strong>lo<br />

stesso modo il vino benedetto da san Richerio di Centula († 644), guarisce una<br />

donna par<strong>al</strong>izzata, mentre pane e vino benedetti sulla tomba di san Martino di<br />

Tours hanno il potere di liberare gli indemoniati e di curare <strong>d<strong>al</strong></strong>la febbre <strong>al</strong>ta 271 .<br />

Il vino tuttavia era indispensabile soprattutto per la celebrazione eucaristica<br />

e questa esigenza liturgica imponeva ad ogni chiesa e ad ogni monastero di averne<br />

in quantità sufficiente per la messa. Senza entrare qui in questioni di natura<br />

teologica o sacrament<strong>al</strong>e, va però ricordato che il vino usato per questo scopo<br />

doveva essere puro, «recens et friscum» stabiliscono le consuetudini di Fleury 272 ,<br />

269 Si tratta di una prassi antichissima e tipica del mondo monastico, ricordata anche tra i punti presentati<br />

<strong>al</strong>l’imperatore Carlo dai monaci di Fulda (a. 812) a tutela delle loro consuetudini: «Non si<br />

rifiuti di celebrare l’eulogia, cioè di assumere quotidianamente il pane spezzato prima del cibo e ciò<br />

in base agli esempi dei padri che ci hanno preceduto» (Benedetto di Aniane, p. 124). Sull’uso non liturgico<br />

delle eulogie: P.L. JANSSENS, Les Eulogies, «Revue bénédictine», 7 (1890), pp. 510-520; 8 (1891),<br />

pp. 28-41; H. LECLERCQ, s.v.,Ampoules à eulogies, in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, I/2,<br />

Paris 1907, coll. 1722-1747; inoltre, dedica un apposito capitolo a questa tradizione mostrando le differenze<br />

tra Oriente ed Occidente, A. FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen im Mittel<strong>al</strong>ter, I, Freiburg im<br />

Bresgau 1909 (rist. anast., 1960), pp. 229-263.<br />

270<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, pp. 284, 244-246; ripreso anche da F. Dell’Oro in questo volume<br />

che ne sviluppa il contenuto.<br />

271<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, pp. 284 e n. 3-5.<br />

272 A Montecassino si precisa «de vino puro pro sacrificio fiendo» (Statuta Casinensia, p. 233); per<br />

Fleury, cfr. Consuetudines Floriacenses antiquiores, p. 16, dove il sacrestano era tenuto a provvedere


e Innocenzo III, commentando Gv 6, 55 («la mia carne è veramente cibo e il<br />

mio sangue veramente bevanda»), precisa che «il pane deve essere di grano e il<br />

vino d’uva, perché Cristo ha paragonato se stesso <strong>al</strong> frumento (…) e <strong>al</strong>la vite» 273 .<br />

Nei monasteri di S. Matteo e S. Massimino di Treviri era privilegiato il rosso, in<br />

quello austriaco di Kastler si usava indifferentemente «vinum rubeum vel<br />

<strong>al</strong>bum», purché fatto d’uva e non adulterato, e nella seconda metà del XIII secolo<br />

a Brescia si prediligevano i fermentati <strong>al</strong>bi prodotti con uva schiava, mentre<br />

Teodoro di Studion († 826) attesta che in area bizantina si poteva usare sia l’uno<br />

che l’<strong>al</strong>tro 274 . Ne consegue quindi che il colore del vino non costituiva di per sé<br />

un problema per il v<strong>al</strong>ore sacrament<strong>al</strong>e e, come mostrano le rappresentazioni<br />

artistiche dell’Ultima Cena, poteva essere impiegato tanto il rosso quanto il bianco,<br />

anche se il primo manteneva una maggiore v<strong>al</strong>enza simbolica per il suo colore<br />

in quanto, come nota Innocenzo III, «essendo liquido e rosso è segno di<br />

somiglianza col sangue; <strong>d<strong>al</strong></strong> momento poi che risc<strong>al</strong>da e profuma, rappresenta ed<br />

esprime il carattere della carità. Il vino infatti fa sangue e muove <strong>al</strong>la carità, perché<br />

r<strong>al</strong>legra e apre il cuore di chi beve» 275 .<br />

«vinum sancti libaminis per unumquemque diem recens et friscum», p. 55: «accepto c<strong>al</strong>ice cum vino<br />

puro communione perficiunt»; negli usi di Melk si aggiunge: «vinum purum de vite ac melius quod<br />

haberi potest» (Caeremoniae Mellicenses, p. 116).<br />

273 INNOCENZO III, De sacro <strong>al</strong>taris, col. 854, lib. IV,cap.3.<br />

274 Consuetudines et observantiae, p. 168; Consuetudines Castellenses, 2, p. 260; ARCHETTI, La vite e il vino,pp.<br />

5-6; IDEM, Tempus vindemie, p. 455; per la tradizione bizantina, con particolare riferimento <strong>al</strong> monastero<br />

costantinopolitano di Studion, v. TEODORO STUDITA, Descriptio constitutionis monasterii Studii,PG,<br />

99, col. 1720: «De divina comunione (...) et utrum in <strong>al</strong>bo an rubeo fortasse vino»; in verità, come ha<br />

mostrato PASINI, Il monachesimo nella Rus’, pp. 61-64, queste costituzioni monastiche (o typikon) non<br />

vennero redatte <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abate Teodoro, ma da un <strong>al</strong>tro monaco studita due secoli più tardi, Alessio, divenuto<br />

patriarca di Costantinopoli (1025-1043), che le compilò sulla base degli insegnamenti di Teodoro<br />

per il monastero della Dormizione di Costantinopoli (1034 ca); l’influenza di queste regole<br />

però fu davvero notevole sia in ambito bizantino che in area slava.<br />

275<br />

INNOCENZO III, De sacro <strong>al</strong>taris, col. 879, lib. IV, cap. 36. Per il colore del vino eucaristico nelle rappresentazioni<br />

artistiche, v. D. RIGAUX, À la table du Seigneur. L’Eucharistie chez les Primitifs it<strong>al</strong>iens 1250-<br />

1497, Paris 1989, p. 242 dove l’autrice presenta anche <strong>al</strong>cuni casi in cui compare il vino bianco; EAD.,<br />

La Cène aux écrevisses: une image spécifique des Alpes it<strong>al</strong>iennes, «Civis», 16 (2000), pp. 11-28; inoltre, i contributi<br />

apparsi in Le Pressoir Mystique, Actes du Colloque de Recloses (27 mai 1989), a cura di D.<br />

Alexandre-Bidon, Paris 1990, con particolare riguardo <strong>al</strong> saggio di M. PASTOUREAU, Ceci est mon sang.<br />

Le christianisme médiév<strong>al</strong>e et la couleur rouge, pp. 43-56, speci<strong>al</strong>mente pp. 50 sgg. e di D. RIGAUX, Le sang<br />

du Rédempteur, pp. 57-67; ma anche, ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 181-182 e, in questo volume, il<br />

lavoro di P.M. Gy sul colore del vino per la messa.<br />

297


298<br />

Spettava comunque <strong>al</strong> sacrestano provvedere ogni giorno la quantità necessaria<br />

di vino per la messa, andando a prenderlo direttamente in cantina come<br />

accadeva a Fruttuaria, vigilare che la sua qu<strong>al</strong>ità fosse eccellente e i contenitori<br />

sempre ben puliti 276 ; anzi, nelle consuetudini di S. Pietro di Kastler si elencano<br />

con cura prodotti che, essendo privi delle caratteristiche proprie del vino, non<br />

potevano essere impiegati per la celebrazione eucaristica: ciò v<strong>al</strong>eva per l’agresto,<br />

per il vino annacquato, poco <strong>al</strong>colico, inacidito, feculento o corrotto, oppure per<br />

quello adulterato con spezie, more, melograne e, anche se mescolato con acqua,<br />

doveva conservare il sapore del vino 277 . Bisognava in ogni caso «fare molta attenzione<br />

a trovare dell’ottimo vino per offrire il sacrificio, benché anche un vino<br />

difettoso non <strong>al</strong>terava di per sé la purezza del sacramento. E se anche fosse capitato<br />

di offrire in sacrificio del vino novello, cioè mustum, o del vino inacidito, che<br />

è chiamato acetum, il sacramento veniva compiuto e consacrato divinamente» 278 .<br />

Un vino speci<strong>al</strong>e, inoltre, era impiegato a Cluny durante le messe della notte<br />

di nat<strong>al</strong>e, poiché non era ottenuto da una sola e più pregiata varietà viticola ma<br />

mischiandone un po’ di quello attinto da tutte le botti della cantina monastica 279 .<br />

Con questa disposizione, Pietro il Venerabile stabiliva che esso non fosse costituito<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> fermentato proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong> vigneto abitu<strong>al</strong>mente destinato a questo scopo,<br />

ma <strong>d<strong>al</strong></strong>la miscela dei vini comuni usati per l’<strong>al</strong>imentazione dei fratelli, degli<br />

ospiti e dei poveri dell’abbazia, per essere sicuro che tutti i contenitori vinari fossero<br />

idonei <strong>al</strong>la conservazione e non contenessero prodotti <strong>d<strong>al</strong></strong> sapore «innatur<strong>al</strong>em<br />

et corruptum». Il loro uso liturgico nelle celebrazioni nat<strong>al</strong>izie era perciò una<br />

276 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, pp. 165-166; inoltre, Consuetudines et observantiae, p. 168;<br />

194: «ut vasa vinum recipientia semper sint munda».<br />

277 Consuetudines Castellenses, 1, p. 260, il vino per la messa può essere «rubeum vel <strong>al</strong>bum, dummodo<br />

retineat speciem vini. Cavendum etiam est circa materiam sanguinis Christi, ne sit agresta vel vinum<br />

ita debole, quod nullo modo habeat speciem vini; ne sit aqua rubea expressa de panno intincto in<br />

vino rubeo; ne sit acetosum vel vinum omnino corruptum; ne sit claretum vel vinum de moris aut<br />

m<strong>al</strong>o granatis, quia haec omnia speciem vini non retinent. Cum faecibus etiam vini vel cum vino<br />

nimis faeculento confici non potest. Cavendum etiam est sacerdoti, ne apponatur nisi modicum de<br />

aqua, quia si tantum apponeretur, quod speciem vini tollet, non conficeretur».<br />

278<br />

INNOCENZO III, De sacro <strong>al</strong>taris, col. 876, lib. IV,cap.29.<br />

279 Statuta Petri Venerabilis, p. 103, statuto 73: «De vino ad missas nat<strong>al</strong>is Domini»; di norma il vino da<br />

messa usato nell’abbazia borgognona proveniva da una vigna speci<strong>al</strong>e donata <strong>d<strong>al</strong></strong>la contessa Giuditta<br />

d’Auvergne, su richiesta esplicita dell’abate Ponzio, cfr. É. BALUZE, Histoire géné<strong>al</strong>ogique de la maison<br />

d’Auvergne, 2, Paris 1708, p. 53.


garanzia di buona qu<strong>al</strong>ità e segno della premura riservata anche ai più deboli nella<br />

sc<strong>al</strong>a soci<strong>al</strong>e. Non va però trascurata un’<strong>al</strong>tra ragione, certo meno nobile rispetto<br />

a quelle addotte, ma non per questo meno sentita e importante: v<strong>al</strong>e a dire, la<br />

troppo spesso scadente qu<strong>al</strong>ità dei vini che giungevano sulla mensa monastica,<br />

come ebbe a riconoscere tra il 1147-1148 lo stesso abate di fronte <strong>al</strong>le reiterate<br />

lamentele dei suoi fratelli per il «vinum maxime aquatum, insipidum et vere villum»<br />

(troppo annacquato, acidulo e comune) che veniva loro servito 280 . Problema che<br />

accompagnerà fino <strong>al</strong>la fine del medioevo la potente abbazia borgognona.<br />

Il rispetto sacrament<strong>al</strong>e, d’<strong>al</strong>tra parte, è un <strong>al</strong>tro elemento da tenere ben presente.<br />

Infatti è anche <strong>al</strong>la sua luce che va interpretato il permesso dato <strong>al</strong> lettore settiman<strong>al</strong>e<br />

di prendere il mixtum prima di iniziare a leggere: «per rispetto della santa<br />

comunione», commenta san Benedetto (RB 38, 10), mentre il Maestro senza giri<br />

di parole precisa: «per non vomitare il sacramento» (RM 24, 14). Come si è già<br />

detto, si deve ricordare che il pasto era posto di norma subito dopo la messa e<br />

poteva succedere, a causa del digiuno che si protraeva <strong>d<strong>al</strong></strong>la sera precedente, che<br />

il lettore potesse non essere nelle condizioni fisiche migliori e durante il suo servizio<br />

espellesse accident<strong>al</strong>mente qu<strong>al</strong>che particella di comunione rimasta tra i<br />

denti o, peggio, vomitasse l’ostia. T<strong>al</strong>e inconveniente poteva essere evitato assumendo<br />

appunto il mixtus, cioè bevendo un bicchiere di vino misto ad acqua e<br />

accompagnato da un quarto della sua libbra di pane giorn<strong>al</strong>iera, che liberava il<br />

cavo or<strong>al</strong>e e si sovrapponeva mischiandosi nello stomaco agli accidenti sacrament<strong>al</strong>i<br />

281 . Il pericolo di espettorare in modo involontario le specie eucaristiche o<br />

280 Recueil des chartes de l’Abbaye de Cluny, formé par A. Bernard, completé, revisé et publié par A. Bruel,<br />

V, Paris 1894, nr. 4132. Per ovviare a questi inconvenienti nel 1428 si dispose che il priore claustr<strong>al</strong>e<br />

avesse la responsabilità della distribuzione del vino e vigilasse affinché fosse «di buona qu<strong>al</strong>ità, sano<br />

e solo moderatamente <strong>al</strong>lungato con acqua»; ma nonostante queste raccomandazioni, i monaci neri<br />

dell’abbazia di Cluny nel capitolo gener<strong>al</strong>e del 1436 tornarono a protestare perché <strong>al</strong> posto del vino<br />

promesso veniva data loro dell’acqua rossa «in violazione del regolamento siglato tra l’abate di Saint-<br />

Claude e l’uditore apostolico»; nel 1451 inoltre, di fronte ai continui pianti delle monache di Marcigny,<br />

il loro priore decise di concedere <strong>al</strong>le religiose «un vino conveniente, non torbido né acidulo, né<br />

viziato di qu<strong>al</strong>che <strong>al</strong>tro cattivo sapore e tagliato soltanto con un terzo di acqua se era troppo forte»<br />

(DE VALOUS, Le monachisme clunisien, p. 262).<br />

281 Già nel commento dell’abate Smaragdo il legame tra il mixtum e il rispetto sacrament<strong>al</strong>e era espresso<br />

con chiarezza (SMARAGDO, Expositio in Regulam, pp. 247, 254; v. anche sopra le n. 108-110 e testo<br />

corrispondente); in ogni caso, l’assunzione del ‘misto’ consentiva <strong>al</strong> lettore settiman<strong>al</strong>e e ai fratelli<br />

incaricati dei servizi di cucina di sopportare meglio il digiuno mentre gli <strong>al</strong>tri monaci erano a mensa<br />

299


300<br />

parti di esse, assunte nella comunione, mentre cantavano o pregavano, riguardava<br />

però tutti i monaci: se per esempio un fratello cantando eruttava un frammento<br />

di ostia intrisa di vino, facendola cadere per terra, si doveva provvedere subito<br />

<strong>al</strong> suo recupero e ad una serie di meticolose abluzioni, mentre il m<strong>al</strong>capitato<br />

doveva scusarsi pubblicamente nella riunione del capitolo e fare penitenza per 40<br />

giorni a pane e acqua o come meglio avrebbe deciso l’abate 282 . Pene più severe<br />

natur<strong>al</strong>mente colpivano il m<strong>al</strong>capitato se la causa della sua indisposizione era<br />

imputabile a un cattivo comportamento, come nel caso di un’eccessiva «assunzione<br />

di vino, di bevande aromatizzate o di birra» e addirittura dell’ubriachezza 283 .<br />

Per evitare questi rischi, soprattutto se la comunione non avveniva sotto le<br />

due specie o era fatta per intinzione, venne introdotto l’uso di bere del vino puro<br />

non consacrato subito dopo l’assunzione dell’ostia per purificare e lavare adeguatamente<br />

la bocca e la gola 284 . I c<strong>al</strong>ici contenenti questo vino erano posti sull’<strong>al</strong>tare<br />

(RB 38, 10: «lector ebdomadarius accipiat mixtum priusquam incipiat legere»; 35, 12-13: «septimanarii<br />

autem ante unam horam refectionis accipiant super statutam annonam singulas biberes et<br />

panem, ut hora refectionis sine murmuratione et gravi labore serviant fratribus suis»); queste disposizioni<br />

gener<strong>al</strong>i si riscontrano poi praticamente in tutti gli usi monastici e, per esempio in ambito clunicense,<br />

UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 725: «De lectore ad mensam», 726: «ante refectionem<br />

gener<strong>al</strong>em de pane vinoque praelibat, iuxta prescriptum sancti Benedicti», 727: riguardo ai cuochi<br />

«ad mixtum non accipiunt nisi quod sanctus Benedictus praecipit, quartam partem panis absque<br />

libra sua, et de vino similiter», 762: spetta <strong>al</strong> cellerario provvedere «panem et vinum» necessari per<br />

tutti; il ‘misto’ tuttavia entrava a pieno titolo nel regime <strong>al</strong>imentare dei più deboli e bisognosi, come<br />

nel caso del nutrimento dei fanciulli, col. 669: «post tertiam mistum accipitur a pueris».<br />

282 Consuetudines Beccenses, p. 176; per il riferimento <strong>al</strong> lettore, anche Decreta Lanfranci, pp. 67 sgg.; mentre<br />

per le consuetudini cluniacensi, BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, pp. 161-164.<br />

283 Citiamo <strong>d<strong>al</strong></strong> testo del Decretum di Burcardo (cfr. A pane e acqua. Peccati e penitenza nel <strong>Medioevo</strong>. Il Penitenzi<strong>al</strong>e<br />

di Burcardo di Worms, a cura di G. Picasso, G. Piana, G. Motta, Novara 1986, p. 69); FERREO-<br />

LO, Regula ad monachos, col. 973, stabilisce 30 giorni di penitenza per il monaco che si ubriaca; SMA-<br />

RAGDO, Expositio in Regulam, pp. 117, 258, è sulla stessa linea, così pure FRUTTUOSO, Regula monachorum,<br />

col. 1107; Ildemaro invece sembra tenere conto delle debolezze umane e affronta la questione<br />

cercando di vederne le implicazioni di tipo person<strong>al</strong>e, anche se ritiene – e sulla stessa lunghezza d’onda<br />

si pone Pietro il Venerabile – che non dovrebbe neppure sussistere la preoccupazione che un<br />

monaco possa cedere nell’ebbrezza, essendo l’incontinenza e la gola proibiti a tutti i cristiani (Ildemaro,<br />

pp. 444-445, 447-448; Statuta Petri Venerabilis, p. 51). Inoltre, con particolare riferimento <strong>al</strong>le<br />

disposizioni canoniche, il problema dell’ubriachezza è attentamente esaminato da R. Bellini nelle<br />

pagine seguenti di questo volume, a cui volentieri rimandiamo.<br />

284 Consuetudines Floriacenses antiquiores, p. 55; nella Redactio Fuldensis-Trevirensis, p. 316, si precisa che<br />

«post communionem omnes bibant vinum in c<strong>al</strong>icibus» e a p. 292: «accepta communione sacra prebetur<br />

eis a custode parum [vinum] in c<strong>al</strong>iculis villuli, ut ex eo lavetur eorum bacca [= bucca]»; Consue-


solo <strong>al</strong> Padre nostro, cioè dopo la consacrazione, ed erano ben distinti da quello<br />

usato <strong>d<strong>al</strong></strong> sacerdote per il rito; di solito anche questo vino era bevuto interamente,<br />

ma se ne avanzava il sacrestano provvedeva ad eliminarlo versandolo insieme<br />

<strong>al</strong>l’acqua «in piscina» o, come a San Benigno di Fruttuaria, mettendolo nella botticella<br />

dell’aceto in cantina 285 . In verità va pure ricordato che, mentre le ostie avanzate<br />

<strong>al</strong> termine della comunione venivano riposte nella pisside, i problemi legati<br />

<strong>al</strong>la conservazione del vino – che poteva facilmente inacidirsi – e il pericolo di<br />

profanazioni portarono a limitare quello destinato <strong>al</strong>la consacrazione <strong>al</strong> minimo<br />

indispensabile <strong>al</strong> celebrante. Ciò favorì l’uso della comunione sotto le due specie<br />

con il vino puro non consacrato, che era santificato mediante l’aggiunta di vino<br />

consacrato (immixtio) o attraverso l’intinzione dell’ostia (intinctio) 286 : a Fleury l’aba-<br />

tudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, p. 77; <strong>al</strong> riguardo anche P. BROWE, Mittel<strong>al</strong>terliche Kommunionriten,<br />

«Jahrbuch für Liturgiewissenschaft», 15 (1935), pp. 48-49. Vedi sopra anche le note 224-225 e testo<br />

corrispondente.<br />

285 Consuetudines Affligenienses, p. 142; Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, p. 165.<br />

286 La comunione sotto le due specie, cioè col pane e col vino sull’esempio evangelico, fu una prassi<br />

comune <strong>al</strong>meno fino <strong>al</strong>l’inizio del XIII secolo, anche se perdurò in ambito monastico. In origine, tuttavia,<br />

ciò si faceva mediante l’assunzione di un po’ di vino consacrato direttamente o con una cannuccia<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> c<strong>al</strong>ice del celebrante o da <strong>al</strong>tri c<strong>al</strong>ici più grandi, ugu<strong>al</strong>mente consacrati (c<strong>al</strong>ices ministeri<strong>al</strong>es), ma successivamente<br />

vennero introdotti due nuovi riti: 1) l’immixtio o commixtio (mescolanza), che consisteva nel<br />

versare poche gocce di vino consacrato in <strong>al</strong>tri vasi pieni di vino norm<strong>al</strong>e preparati dagli accoliti e destinati<br />

<strong>al</strong>la comunione dei fedeli. T<strong>al</strong>e ‘miscela’ poteva ancora essere chiamata sanguis dominicus, quantunque<br />

non consacrata, perché quell’unione santificava tutto il liquido. Questo antichissimo ritu<strong>al</strong>e, diffuso in<br />

Oriente, è attestato a Roma già prima del VII secolo nell’ordo romanus I [cfr. Les ‘Ordines Romani’ du haut<br />

Moyen Âge, ed. M. Andrieu, II: Les textes (Ordines I-XIII), Louvain 1948 (Spicilegium Sacrum Lovaniense,<br />

23), pp. 90-104, 106] e poi viene ripreso, in forme più o meno confuse, nell’ordo IV franco-romano del<br />

secolo VIII (ivi, pp. 165-167), nell’ordo V romano-germanico della seconda metà del secolo IX (ivi,pp.<br />

237-238) e nell’ordo VI dello stesso periodo, prodotto in Francia e influenzato <strong>d<strong>al</strong></strong>la posizione del vescovo<br />

Am<strong>al</strong>ario di Metz (ivi, pp. 249-250; per questi aspetti dell’ordo romanus, anche F. Dell’Oro in questo<br />

volume): «Sed ipse pontifex confirmatur ab archidiacono in c<strong>al</strong>ice sancto, de quo parum refundit archidiaconus<br />

in maiorem c<strong>al</strong>icem, sive cyphum, quem tenet acolitus, ut ex eodem sacro vaso confirmetur<br />

populus: quia vinum etiam non consecratum, sed sanguine domini commixtum, sanctificatur per<br />

omnem modum». A partire da Am<strong>al</strong>ario († 853), tuttavia, l’immixtio cominciò a subire un’interpretazione<br />

teologica – si sosteneva, cioè, che l’aggiunta di una piccola quantità di vino quello consacrato o il contatto<br />

col pane trasformasse tutto il vino in sangue di Cristo, santificandolo e consacrandolo –, ma senza<br />

avere mai un’approvazione da parte della Chiesa che, in seguito, la respinse decisamente (v. ad esempio<br />

INNOCENZO III, De sacro <strong>al</strong>taris, col. 877, lib. IV, cap. 31, cit. sopra <strong>al</strong>le note 224-225). Questa pratica aveva<br />

il pregio di evitava <strong>al</strong>cuni inconvenienti connessi con la comunione sotto le due specie, qu<strong>al</strong>i il versamento<br />

del vino consacrato durante la distribuzione ai fedeli, il conseguente rischio di profanazione e l’eventu<strong>al</strong>e<br />

suo inacidirsi, qu<strong>al</strong>ora, dopo la distribuzione <strong>al</strong> popolo, ne fosse rimasta una certa quantità nel<br />

301


302<br />

te si comunicava ponendo la particola nel c<strong>al</strong>ice con il vino puro «non consecrato»,<br />

dopo di che tutti facevano la comunione in silenzio, e la stessa cosa avveniva<br />

a Cluny e a Eynsham secondo l’abate Aelfric, come pure a V<strong>al</strong>lombrosa 287 .<br />

c<strong>al</strong>ice. In seguito quest’uso venne abbandonato, ma rimase l’abitudine di bere del vino ordinario dopo la<br />

comunione in segno di rispetto, <strong>al</strong> fine di evitare che tossendo qu<strong>al</strong>che particella di pane sfuggisse <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

bocca e andasse profanata [sul problema della commixtio eucaristica, cfr. M. ANDRIEUX, Immixtio et consacratio,<br />

Paris 1915; J.P. DE JONG, Le rite de la commixtion dans la messe romaine, «Revue bénédictine», 61 (1951),<br />

pp. 15-37; ripreso in ID., L’arrière plan dogmatique de la commixtion dans la messe romaine, «Archiv für Liturgiewissenchaft»,<br />

3/1 (1953), pp. 78-98; RAFFA, Liturgia eucaristica, pp. 88-92, 470-471]. 2) L’intinctio,invece,<br />

consisteva nell’intingere del pane consacrato nel vino distribuendolo poi ai fedeli. Di quest’uso, ancora<br />

praticato nei riti orient<strong>al</strong>i, nella messa romana non resta che una debole traccia nell’azione del sacerdote<br />

che stacca un pezzetto di ostia e la lascia cadere nel c<strong>al</strong>ice; si trattava di una pratica molto diffusa e<br />

dai forti contenuti simbolici, in quanto prefigurava l’unità nell’eucaristia del corpo e del sangue del<br />

Signore, attestata già nel IV concilio di Braga del 675, dove venne però condannata a motivo della sua<br />

difformità <strong>d<strong>al</strong></strong> racconto evangelico della cena (I.D. MANSI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio,<br />

XI, (rist. anast.) Graz 1960, coll. 155-156, can. 2); il suo uso gener<strong>al</strong>e in età carolingia è attestato da numerosi<br />

testi, a partire da AMALARIO, Liber offici<strong>al</strong>is, ed. I.M. Hanssens, in Am<strong>al</strong>arii episcopi opera liturgica omnia,<br />

II, Città del Vaticano (Studi e testi, 139), p. 107, di cui parlano anche le Lectiones discrepantes longiores del<br />

Liber offici<strong>al</strong>is,cap.3:De praesentatione corporis domini in <strong>al</strong>tari et c<strong>al</strong>icis cum vino non consecrato: «(…) Sanctificatur<br />

enim vinum non consecratum per sanctificatum panem. Postea communicant omnes» (Ibidem, p.<br />

546); ma similmente si esprimono sia il Pontific<strong>al</strong>is Maguntinum: «sanctificat autem vinum non consecratum<br />

per sanctificatum panem» [Le Pontific<strong>al</strong> romano-germanique du dixième siècle. Le texte, ed. C. Vogel, R.<br />

Elze, II, Città del Vaticano 1963 (Studi e testi, 227), p. 93 nr. 335], sia lo PSEUDO ALCUINO, De divinis officiis<br />

liber, PL, 101, coll. 1210-1211, cap. 18, che riprende le stesse parole: «Sanctificatur autem vinum non<br />

consecratum per sanctificatum panem. Tunc communicant omnes cum silentio». Il rito dell’intinctio venne<br />

poi condannato <strong>d<strong>al</strong></strong> concilio di Clermont nel 1096, presieduto significativamente <strong>d<strong>al</strong></strong> cluniacense<br />

Urbano II, con la deroga però che poteva essere praticato laddove fossero state prese le necessarie precauzioni<br />

onde evitare ogni versamento (MANSI, Sacrorum Conciliorum, XX, col. 818, can. 28: «Ne quis<br />

communicet de <strong>al</strong>tari nisi corpus separatim et sanguinem similiter sumat, nisi per necessitatem, et per<br />

cautelam»), mentre nel 1118 Pasqu<strong>al</strong>e II, scrivendo <strong>al</strong>l’abate di Cluny Ponzio, lo limitò solo ai bambini e<br />

agli infermi «qui panem absorbere non possunt» (MANSI, Ibid., col. 1013; ripreso in PASQUALE II, Epistulae<br />

et privilegia, PL, 163, col. 442, epist. 535: Ad Pontium Cluniacensem abbatem. De non porrigenda comunione<br />

intincta). In ogni caso, <strong>d<strong>al</strong></strong>la fine dell’XI secolo la pratica della comunione sotto le due specie andò via via<br />

scemando a favore della comunione sotto la sola specie del pane; questa evoluzione era il risultato dell’acceso<br />

dibattito teologico sull’eucarestia, in corso nei secoli a cav<strong>al</strong>lo del Mille, e della preoccupazione<br />

di evitare i rischi di profanazione o mancanza di rispetto verso il sacramento, ma soprattutto <strong>al</strong> fine di<br />

contrastare più efficacemente l’erronea interpretazione di quanti ritenevano che la presenza di Cristo<br />

non fosse tutta intera sia nel pane che nel vino, ma solo <strong>d<strong>al</strong></strong>la loro unione (v. in proposito INNOCENZO<br />

III, De sacro <strong>al</strong>taris, col. 866); infine, praticata univers<strong>al</strong>mente <strong>d<strong>al</strong></strong>la fine del medioevo, la comunione soltanto<br />

col pane ebbe la sua definitiva sanzione normativa e dottrin<strong>al</strong>e durante la XXI sessione del concilio<br />

tridentino (C. TESTORE,s.v.,Comunione eucaristica, in Enciclopedia cattolica, IV, Roma 1950, coll. 134-142).<br />

287 Per l’uso dell’intinzione da parte dei cluniacensi, v. Liber tramitis, pp. 81-82, 270-271; BERNARDO,<br />

Consuetudines aevi sancti Hugonis, pp. 225-226; inoltre, per gli usi monastici della comunione a Fleury,


Al termine della comunione, le ostie rimaste erano poste nella pisside aurea<br />

mentre nel c<strong>al</strong>ice vuoto il suddiacono versava un po’ di vino per lavarlo, facendo<br />

lo stesso con la patena e dandolo <strong>al</strong> diacono che lo beveva; si versava poi dell’<strong>al</strong>tro<br />

vino nel c<strong>al</strong>ice per un’ulteriore abluzione, che veniva bevuto e quindi il diacono lo<br />

asciugava con il suo pannulum facendolo riporre nell’armarium insieme <strong>al</strong>l’ampollina.<br />

Da ultimo, il suddiacono porgeva un po’ di vino <strong>al</strong> sacerdote per lavarsi le dita<br />

con cui aveva preso l’ostia, che era bevuto subito dopo 288 . Ciò mostra come la<br />

liturgia eucaristica era regolata da una complessa e scrupolosa ritu<strong>al</strong>ità, a conferma<br />

della viva preoccupazione e del rispetto con cui si compiva l’azione sacrament<strong>al</strong>e.<br />

«Occorre soprattutto ricordare – scrive in proposito Rodolfo il Glabro – che il<br />

pane e il vino trasformati per darci la vita nel corpo e nel sangue del Signore Gesù<br />

Cristo non possono mai subire <strong>al</strong>cuna <strong>al</strong>terazione, né essere messi in pericolo da<br />

qu<strong>al</strong>che incidente. Quando capita che l’eucaristia venga trascurata o distrutta per<br />

negligenza di coloro che la maneggiano, per costoro, se non sono pronti a fare<br />

penitenza, è sicuro un giudizio di condanna (…). Al tempo del venerabile abate<br />

Guglielmo da Volpiano – continua il cronista –, nella chiesa adiacente il monastero<br />

di Moutiers-Saint-Jean, il giorno di pasqua capitò che il c<strong>al</strong>ice del sangue vivificante<br />

sfuggisse <strong>d<strong>al</strong></strong>le mani del sacerdote e cadesse a terra. Non appena il nostro<br />

abate, uomo di acuto ingegno, lo seppe, ordinò che tre dei suoi monaci facessero<br />

penitenza per espiare questa colpa: temeva infatti che l’atto commesso <strong>d<strong>al</strong></strong> m<strong>al</strong>destro<br />

prete potesse coinvolgere con lui anche i suoi monaci nel castigo vendicatore,<br />

cosa che certamente si sarebbe verificata senza la saggia accortezza dell’abate,<br />

come l’avvenimento poi confermò» 289 .<br />

Cluny, Eynsham e V<strong>al</strong>lombrosa, cfr. Consuetudines Floriacenses antiquiores, pp. 55: «accepto c<strong>al</strong>ice cum<br />

vino puro communionem perficiunt», 75-76: «c<strong>al</strong>ice cum vino non consecrato ponant super <strong>al</strong>tare<br />

(…), sumat abbas de sancto sacrificio et ponat in c<strong>al</strong>icem nihil dicens et communicent omnes cum<br />

silentio»; Consuetudines Cluniacensium antiquiores, p. 91: «Tunc mittat hostiam in vino non consecrato.<br />

Deinde communicent omnes etiam infantes»; testo ripreso anche nella Redactio Wirzeburgensis, p. 303;<br />

AELFRIC, Epistula ad monachos, p. 172: «c<strong>al</strong>icem cum mixto vino non consecrato»; Redactio V<strong>al</strong>lumbrosana,<br />

p. 353: «subdiaconus deferat c<strong>al</strong>icem cum vino non sacrato (…), corpus domini super <strong>al</strong>tare<br />

ponatur et c<strong>al</strong>ix cum vino (…), sacerdos vero iuxta morem mittat unam particulam in non sacrato<br />

vino et ita communionem sumat»; <strong>al</strong> riguardo anche K. HALLINGER, Neue Fragen der reformgeschichtlichen<br />

Forschung, «Archiv für Mittelrheinische Kirchengeschichte», 9 (1957), pp. 28-29; e per il confronto<br />

con gli usi orient<strong>al</strong>i, ID., Progressi e problemi della ricerca, pp. 285-286.<br />

288 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 44-47, 169; Consuetudines et observantiae,p.80.<br />

289 «Tutto quanto abbiamo sopra riferito – prosegue il cronista – ha lo scopo di esortare a credere fermamente<br />

che se in qu<strong>al</strong>che luogo capitano per negligenza degli incidenti a questo sacro e vivifican-<br />

303


304<br />

Nelle consuetudini dell’abbazia di Bec, dove era stato maestro Lanfranco, trova<br />

infine ampio spazio la casistica relativa <strong>al</strong>le mancanze di rispetto verso il corpo<br />

e il sangue del Signore 290 . In esse, infatti, in maniera abbastanza dettagliata si spiega<br />

come ci si doveva comportare se per negligenza o dimenticanza il sacerdote tr<strong>al</strong>asciava<br />

di mettere l’acqua o il vino nel c<strong>al</strong>ice, stabilendo anche un diverso livello di<br />

gravità del suo comportamento; ma indica <strong>al</strong>tresì il da farsi, per esempio, se una<br />

goccia di vino cadeva accident<strong>al</strong>mente sulla tovaglia, se una mosca o un pidocchio<br />

finiva nel c<strong>al</strong>ice o andava a posarsi sull’ostia, se dopo aver fatto la comunione, a<br />

causa di una indisposizione fisica, capitava di vomitare l’eucarestia, e così di seguito,<br />

oppure se <strong>d<strong>al</strong></strong> pane intinto troppo nel c<strong>al</strong>ice se ne staccava un pezzo che cadeva<br />

sull’<strong>al</strong>tare o per terra, se una briciola andava a finire fuori <strong>d<strong>al</strong></strong>la patena… in tutti<br />

questi casi si fermava ogni funzione, bisognava recuperare ciò che si poteva delle<br />

sacre specie, lavare con vino e acqua per tre volte accuratamente e bere l’intera<br />

lavatura, fino a bruciare la stuoia o il tappeto e conservare le ceneri «in sacrario».<br />

Qu<strong>al</strong>ora poi ad un fratello fosse capitato un ‘infortunio’ sacrament<strong>al</strong>e fuori <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

monastero, <strong>al</strong> suo rientro doveva sottoporsi <strong>al</strong> giudizio del superiore e riparare in<br />

modo conveniente, restando a pane e acqua per un congruo periodo.<br />

Il vino sulla tavola dei monaci<br />

Al termine di questo lungo percorso nella tradizione e nelle consuetudini monastiche,<br />

resta da chiedersi qu<strong>al</strong>e fosse il vino che giungeva sulla mensa dei monaci,<br />

qu<strong>al</strong>e la varietà di tutti i giorni e qu<strong>al</strong>i i fermentati destinati <strong>al</strong>le feste, come<br />

pure qu<strong>al</strong>e apporto abbia dato <strong>al</strong>la coltura viticola il mondo cenobitico. Diciamo<br />

subito che la risposta, per quanto articolata, non può che essere provvisoria,<br />

anche perché il quadro d’insieme che ne risulta riguarda necessariamente la vitivinicoltura<br />

mediev<strong>al</strong>e europea con le sue differenti caratterizzazioni geografiche<br />

– <strong>al</strong>tra è infatti la situazione delle regioni mediterranee da quella dell’Europa<br />

te dono, la vendetta divina non tarda a colpire, ma <strong>al</strong> contrario in tutti i luoghi in cui viene trattato<br />

con cura e la dignità dovute, non mancherà l’abbondanza di ogni bene» (RODOLFO IL GLABRO, Storie<br />

dell’anno Mille, pp. 160-161).<br />

290 Consuetudines Beccenses, pp. 174-177; disposizioni che ricorrono tuttavia anche in <strong>al</strong>tre testi, cfr. Consuetudines<br />

Floriacenses saeculi tertii decimi, pp. 306-307, cap. 20: «De negligentiis que eveniunt ad missam»;<br />

Consuetudines Castellenses, pp. 91-92, 218; Consuetudines et observantiae, pp. 38-39.


centro settentrion<strong>al</strong>e e insulare –, i limiti coltur<strong>al</strong>i, la diversità delle fonti disponibili<br />

e il conseguente approfondimento degli studi 291 .<br />

A tavola i monaci ricevevano in primo luogo vino puro (merus), bianco e rosso<br />

– purum et integrum, precisano le consuetudini di Treviri –, che veniva poi temperato<br />

con acqua e per questo era detto anche linphatum, ma vino annacquato era<br />

pure il misto assicurato <strong>al</strong> lettore, agli inservienti di cucina e quello dato per la<br />

‘colazione’ ai pueri, nel qu<strong>al</strong>e si intingeva del pane 292 . Il Maestro precisa che <strong>al</strong> ter-<br />

291 Per un primo inquadramento della vitivinicoltura mediev<strong>al</strong>e europea, si veda ARCHETTI, Tempus<br />

vindemie, pp. 25-172 e i contributi precedenti di Cortonesi, Matheus, Vaquero Piñeiro, Racine, Kislinger,<br />

Lumperdean e Branca. Non ci è stato possibile prendere visione del lavoro di D. SEWARD, H.<br />

JOHNSON,C.DAAGE, Les moines et le vin. Histoire des vins monastiques, Paris 1982 (trad. <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ediz. inglese,<br />

Monks and wine..., London 1979).<br />

292 Per il vino puro, ISIDORO, Etymologiae, col. 711: «Merus dicimus, cum vinum purum significamus<br />

(...), purum atque sincerum»; BENEDETTO DI ANIANE, Concordia regularum, col. 1132: «Merus, c<strong>al</strong>icem<br />

sive cyathum vini»; per le varietà di «vinum rubeum vel <strong>al</strong>bum», Consuetudines Castellenses, 1, p. 260 e,<br />

in ambito cluniacense, GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 945, descritte attraverso il linguaggio<br />

dei segni: «Pro signo vini rubei indicem in gena trahe; pro signo vini claris, duos digitos oculo<br />

circumpone»; non dissimili sono le norme degli statuti riformati di Grandmont: «Pro vino <strong>al</strong>bo,<br />

pone digitum super supercilium. Pro vino rubro, frica cum uno digito super faciem» [MARTENE, De<br />

antiquis Ecclesiae ritibus, col. 962; per il rinnovamento di Grandmont, v. C. HUTCHISON,K.DOUGLAS,<br />

The Hermit Monks of Grandmont, K<strong>al</strong>amazoo (Michigan) 1989 (Cistercian Studies Series, 118)]; per gli<br />

usi trevirensi tardo mediev<strong>al</strong>i attestati da Giovanni Rode, Consuetudines et observantiae, p. 166; per il<br />

misto di vino e acqua, invece, Monumenta aevi Anianensis, in Initia consuetudinis, p. 276; indicazioni riprese<br />

in ambito cluniacense, Liber tramitis, pp. 113, 179, 220, 224, 231, 249, 250: «si bis commeditur, qui<br />

vult mixtum sumere de sua iustitia atque libra post missam edant absque versu»; UDALRICO, Antiquiores<br />

consuetudines, coll. 669: «post tertiam mistum accipitur a pueris», 726: «ante refectionem gener<strong>al</strong>em<br />

[<strong>al</strong> lettore] de pane vinoque praelibat juxta prescriptum sancti Benedicti», 727: «ad mistum non<br />

accipiunt [gli inservienti di cucina] nisi quod sanctus Benedictus praecipit, quartam partem panis absque<br />

libra sua, et de vino similiter», 762; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 993; Consuetudines<br />

Fructuarienses - Samblasianae, 1, pp. 52: «finita missa vadant ebdomadarii coquinae et lector mensae et<br />

cellararius necnon infantes accipere mixtum (…). Ebdomadarii vero nichil habeant singulatim ad<br />

mixtum nisi quartam partem libre panis et singulos biberes sicut sanctus Benedictus precipit», 53-54,<br />

56: «cellerarius (…) g<strong>al</strong>etam tenens dispenset convenienter et temperate», 94, 136, 206, 208; 2, pp.<br />

169: «mixtum dat eis de pane et vino», 228: «De mixto»; Consuetudines Cluniacensium antiquiores, pp. 14,<br />

282, 275, 300, 350 e nell’ambito bavarese la Redactio Burgundica - Mellicensis - Moriana, p. 256 precisa<br />

che, dopo la messa, tutti vanno in refettorio per il mixtum: «panem qui vocitatur foliatum et fi<strong>al</strong>am<br />

potionis claram vel turbulam unicuique porrigant»; per l’ambito non cluniacense, Consuetudines Floriacenses<br />

antiquiores, p. 55, servitori e infantes ricevono il misto; The Customary of the benedictine Abbey, p.<br />

186: «omni die anni inveniet refectorarius servitoribus et lectori panem unum de pondere ad mixtum<br />

sumendum, cuius quarta pars datur illi qui de lavatorio curam gerit»; Consuetudines Affligenienses, pp.<br />

148, dopo la comunione «accipiunt mixtum iuvenes, sicut semper solent quando bis comeditur»,<br />

167; Statuta Casinensia, p. 221 <strong>al</strong> lettore e agli inservienti «nichil <strong>al</strong>iud ad comedendum et bibendum<br />

305


306<br />

mine del pasto i fratelli che avevano ancora sete dovevano dirlo e subito veniva<br />

preparata per loro pusca con l’aggiunta di acqua c<strong>al</strong>da – c<strong>al</strong>dos o c<strong>al</strong>dellos secondo la<br />

tradizione antica, attestata anche in Cesario di Arles, in Aureliano e nella Concordia<br />

regularum 293 – oppure addizionata cum iotta, cioè con erbe aromatiche, per renderla<br />

più gradevole (RM 28, 9). La pusca, costituiva perciò la base di una bevanda<br />

semplice e comune <strong>d<strong>al</strong></strong> sapore tendenzi<strong>al</strong>mente acidulo, apprezzata per le sue<br />

proprietà rinfrescanti e digestive 294 ; essa, sia pure con varie denominazioni (posca,<br />

marello, picheta, mesgio, aquatum, ecc.), risulta ampiamente documentata nelle fonti<br />

mediev<strong>al</strong>i per indicare tanto i vinelli leggeri, ottenuti <strong>d<strong>al</strong></strong>la seconda torchiatura<br />

delle vinacce rinvigorite con l’aggiunta di acqua – come nel caso delle monache<br />

di Santa Giulia di Brescia che, <strong>al</strong>la fine del Duecento, permettevano ai coltivatori<br />

della loro vigna, posta nel brolo dietro il cenobio, di fare «vinum marellum se lo<br />

volevano» 295 –, quanto una pozione a base di aceto o di vino inacidito. Per la sua<br />

componente <strong>al</strong>colica, tuttavia, poteva essere impiegata anche per il confeziona-<br />

pro misto detur nisi quod regula iubet»; Caeremoniae Sublacenses, pp. 92-93, 96: «et vinum cum aqua<br />

iuxta posita»; Caeremoniae Mellicenses, p. 70: «mixto vero, quod servitor et lector recipiunt, sit panis et<br />

vinum in certa mensura, prout regula docet»; Consuetudines Castellenses, 1, pp. 128, 174: «mensura mixti<br />

sit quarta pars librae panis et biberes vini ad unum moderatum haustum», 274; 2, p. 50: «lector et<br />

ministri accipiant mixtum cum benedictione, scilicet panem et vinum, et non <strong>al</strong>iud comestibile, et<br />

hoc sedendo tempore et loco oportuno»; Ibid., p. 119 cap. 32 delle Concordantiae ac discordantiae trium<br />

observantiarum: «pro mixto vero extra dies ieiuniorum ecclesiae accipiunt quartam partem panis librae<br />

et tertiam partem mensuarae vini»; Consuetudines et observantiae, pp. 183 a tavola «vinum temperet»,<br />

195: «servitor mensae habet aquam ad lymphandum», 196 lettore e inservienti «singulos biberes et<br />

panem in mixto seu <strong>al</strong>iquid pulmenti accipiant (…), tantum panis in vino mixtus».<br />

293 Praecepta S. Pachomii, pp. 24, 30, cap. 45 e 54; AURELIANO, Regula ad monachos, col. 395; BENEDETTO<br />

DI ANIANE, Concordia regularum, col. 1133: «c<strong>al</strong>dellos, pusca c<strong>al</strong>ida».<br />

294<br />

PINI, Vite e vino, p. 108; A.M. NADA PATRONE, Il cibo del ricco ed il cibo del povero. Contributo <strong>al</strong>la storia quantitativa<br />

dell’<strong>al</strong>imentazione. L’area pedemontana negli ultimi secoli del Medio Evo, Torino 1981, pp. 383, 386, 423;<br />

J.-L. GAULIN, Tipologie e qu<strong>al</strong>ità dei vini in <strong>al</strong>cuni trattati di agronomia it<strong>al</strong>iana (sec. XIV-XVII),in D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong><br />

vino, pp. 68-72; su tutti si veda, da ultimo, i rimandi offerti da ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 440-444;<br />

vino inacidito o misto ad aceto era somministrato anche ai soldati romani durante le spedizioni perché<br />

ritenuto più dissetante del vino o dell’acqua semplice (v. il contributo di C. Cogrossi <strong>al</strong>la nota 74 e testo<br />

corrispondente in questo volume); è assai significativo poi quanto, ancora in età moderna, scriveva il<br />

Tanara: «misticasi poco aceto con molta acqua, e fassi bevanda rinfrescativa, usata l’estate, da’ lavoratori<br />

in campagna, per ripararsi da’ rigorosi c<strong>al</strong>di nell’ardente sole, e per risparmio di molto vino, oltre<br />

che estingue assai la sete» (V. TANARA, L’economia del cittadino in villa, in Venetia 1687, p. 59).<br />

295 r Archivio di Stato di Brescia, Archivio storico civico, S. Giulia, busta 7, f. 82 (Brescia, 8 gennaio<br />

1294); qu<strong>al</strong>che cenno anche in G. ARCHETTI, La vite in Lombardia in età mediev<strong>al</strong>e. Note storiografiche sull’ultimo<br />

decennio di studi e ricerche, «Civiltà bresciana», IX/1 (2000), pp. 25-26.


mento di infusi, bevande o sciroppi <strong>d<strong>al</strong></strong>le proprietà medicamentose e ricostituenti;<br />

con sagace ironia ne dà conto san Girolamo quando parla di coloro che, per<br />

aver fama di astinenza, non bevevano acqua e non mangiavano pane, ma poi sorseggiavano<br />

a più riprese «non c<strong>al</strong>ice sed concha» di «sorbitiunculas delicatas» 296 .<br />

A questi prodotti, più o meno <strong>al</strong>colici, si possono aggiungere i fermentati a<br />

base di datteri, attestati nelle regole orient<strong>al</strong>i, e di <strong>al</strong>tri frutti come il moratum o<br />

vino di more, bevuto a Corbie e ancora a S. Pietro di Kastler <strong>al</strong>la fine del medioevo<br />

insieme <strong>al</strong>l’infuso di chicchi di melagrana, ma registrato con cura già nel capitulare<br />

de villis accanto <strong>al</strong> vino nuovo e a quello vecchio, <strong>al</strong>l’aceto, <strong>al</strong> vin cotto, <strong>al</strong>l’idromele<br />

(medum), <strong>al</strong> sidro (sicera) ottenuto <strong>d<strong>al</strong></strong>le mele selvatiche, <strong>al</strong> liquore di pere<br />

e <strong>al</strong>la birra senza luppolo (cervisia) 297 , diffusa non solo nell’area celtica. Una gamma<br />

di prodotti che rispecchia le abitudini coltur<strong>al</strong>i delle regioni continent<strong>al</strong>i,<br />

296 GIROLAMO, Epistulae, I, p. 435, epist. 52, 12, nella qu<strong>al</strong>e si fa esplicito riferimento anche <strong>al</strong> betarum<br />

sucum (Ibid.). Nel commento <strong>al</strong>la RM la Grilli (p. 111) identifica nella iotta un decotto di bietolone rosso<br />

o erba rapa (Atriplex hortensis), <strong>d<strong>al</strong></strong> gusto poco intenso presente anche nelle regioni dell’Europa settentrion<strong>al</strong>e;<br />

la Nada Patrone rileva però che, nelle regioni temperate, a t<strong>al</strong>e varietà doveva essere preferita<br />

l’Atriplex silvestris, un tipo di pianta erbacea <strong>d<strong>al</strong></strong> sapore più agro e dissetante (NADA PATRONE, Monachis<br />

nostri ordinis, pp. 298-299 e nota 63); <strong>al</strong>la fine del medioevo, inoltre, il medico pavese Antonio Guainerio<br />

parla della jotha o rojtha come di una bevanda molto dissetante fatta con mosto di uva nera o vino<br />

rosso molto robusto mescolato con chicchi di melagrana (NADA PATRONE, Il cibo del ricco, p. 381).<br />

297 Il vino di more era ottenuto con il fermentato d’uva o mosto e l’aggiunta di more selvatiche, miele<br />

e spezie, cfr. Consuetudines Corbeienses, pp. 368-369; Consuetudines Castellenses, 1, p. 260; Capitulare de<br />

villis, in Capitularia regum Francorum, ed. A. Boretius, V. Krause, MGH, Leges, I, Hannoverae 1883, pp.<br />

82-91, cap. 34, 45, 62; per il commentato e la traduzione, v. B. FOIS ENNAS, Il Capitulare de villis, Milano<br />

1981, la cui importanza è ricordata anche da PINI, Vite e vino, p. 67 e n. 51. L’idromele, bevanda<br />

<strong>al</strong>colica tratta <strong>d<strong>al</strong></strong> miele, diluito in acqua, e fermentata con lungo e lento c<strong>al</strong>ore, era molto diffusa [ISI-<br />

DORO, Etymologiae, col. 713; Cartulaire de l’abbaye de Redon en Bretagne, ed. A. de Courson, Paris 1863, p.<br />

383 (a. 1062); GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 945; gli usi di Treviri parlano di una «maiore<br />

copa medone» (B. ALBERS, Consuetudines monasticae, 5, Montis Oliveti 1912, p. 42); NADA PATRONE,<br />

Il cibo del ricco, pp. 371, 373; EAD., Monachis nostri ordinis, p. 322] ed è attestata anche nel linguaggio<br />

muto dei segni (GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 945: «Pro signo medonis, praemisso<br />

signo bibendi, manum ori applicabis, lambentemque simulabis, quod et mellis signum est»); quanto<br />

<strong>al</strong> sidro, la sua produzione riguarda soprattutto l’Europa anglosassone, benché il significato del termine<br />

sicera sia piuttosto ampio, come spiega Isidoro di Siviglia, definendola: «omnis potio quae extra<br />

vinum inebriare potest (…) ex succo frumenti vel pomorum conficiatur, aut p<strong>al</strong>marum fructus in<br />

liquore exprimantur», e riguardo <strong>al</strong>la sua preparazione aggiunge: «coctis frugibus aqua pinguior, quasi<br />

succus, colatur et ipsa potio sicera noncupatur» (ISIDORO, Etymologiae, col. 713); questa plur<strong>al</strong>ità si<br />

significati è bene attestata da VALDEBERTO, Regula ad virgines, col. 1062: «sicera liquoris, id est, cervisiae»;<br />

Cartulaire de l’abbaye de Redon, p. 383 (a. 1062) che fa riferimento ad entrate «de selegia»; per l’ambito<br />

cistercense, Statuta capitulorum gener<strong>al</strong>ium, I, pp. 87, 97, 159, 193, 273 e NADA PATRONE, Monachis<br />

nostri ordinis, pp. 322-323; inoltre, INNOCENZO III, De contemptu mundi, col. 724.<br />

307


308<br />

poco adatte <strong>al</strong>lo sviluppo della vite; se ci spostiamo però più a sud il quadro è<br />

ben diverso: a Montecassino il vino abbondava e i suoi monaci, ad esempio d’estate,<br />

ricevevano un frutto e singulas fi<strong>al</strong>as da bere dopo nona, mentre durante la<br />

fienagione chi lavorava sotto il sole beveva a metà mattina vino intriso di miele<br />

(potionem ex melle) e i m<strong>al</strong>ati trovavano cura e sollievo <strong>al</strong>le loro infermità nei preparati<br />

a base di erbe, miele rosato, vino e mosto 298 .<br />

La bevanda tuttavia più usata nell’Europa del nord era la birra, che accompagnava<br />

e t<strong>al</strong>volta persino sostituiva il vino nell’<strong>al</strong>imentazione cenobitica; nei<br />

giorni «in cui viene tolto il vino – si legge nei decreti sino<strong>d<strong>al</strong></strong>i di Aquisgrana (816)<br />

–, sia concessa una doppia emina di buona birra», abitudine che sembra fosse in<br />

uso nelle grandi abbazie di Fulda e Corbie 299 . Nella regione di Oxford i monaci<br />

ricevevano vinum et cervisiam, ai poveri e agli ospiti di Eynsham venivano propinati<br />

panem et cervisiam, <strong>al</strong> cantore dello stesso cenobio era riservata la birra di qu<strong>al</strong>ità<br />

migliore e la sua presenza tra i condimenta necessari doveva essere garantita <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

cellerario <strong>al</strong> monaco refectorarius, il qu<strong>al</strong>e preparava panem et potum per i fratelli,<br />

assicurandosi che la birra servita a pranzo e a cena fosse sempre recente e <strong>al</strong>la<br />

giusta temperatura per essere gustata, cioè non ghiacciata d’inverno né tiepida<br />

d’estate 300 . Nel monastero austriaco di Kastler, inoltre, durante la cena la pietanza<br />

poteva essere seguita da una schenka o due, cioè da una doppia razione di birra<br />

301 , a discrezione del priore; anche dopo compieta era permesso prendere un<br />

po’ di birra, assolutamente proibito invece era bere il vino 302 .<br />

Rispetto <strong>al</strong>l’area mediterranea, la diversità dei vini prodotti e consumati nell’Europa<br />

del nord era dovuta natur<strong>al</strong>mente <strong>al</strong>le differenti condizioni climatiche,<br />

pedologiche e ambient<strong>al</strong>i, come registrano le consuetudini di Fleury: «abbonda<br />

298 Theodomari abbatis Casinensis epistula ad Karolum regem, pp. 164-165; Statuta Casinensia, pp. 241- 245-246.<br />

299 Benedetto di Aniane, p. 109, cap. 20; Consuetudines Corbeienses, pp. 418-419; Collectio capitularis Benedicti<br />

Levitae, in Initia consuetudinis benedictinae, pp. 547-548: «ubi autem vinum non est unde emina detur<br />

duplicem mensuram de cervisia»; Redactio Fuldensis-Trevirensis, pp. 283-284, 293, 312; anche GUGLIEL-<br />

MO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 945 e ISIDORO, Etymologiae, col. 713; inoltre, ZIMMERMANN, Ordensleben,<br />

pp. 56, 278.<br />

300 The Customary of the benedictine Abbey, pp. 186-187.<br />

301 «Si priori visum fuerit propter labores eiusdem diei vel seguentis, poterit fratribus in cena pietantiam<br />

cum una schenka vel duabus, secundum quod est numerus personarum, administrare» (Consuetudines<br />

Castellenses, 1, pp. 283-294; a proposito del termine schenka, cfr. M. LEXER, Mittelhochdeutsches<br />

Handwörter, II, Leipzig 1876, p. 702: «quatuor mensure cerevisie que schenk dicuntur»).<br />

302 Redactio Fuldensis-Trevirensis, p. 312; Consuetudines Beccenses, p. 173.


tanto la birra in Germania quanto il vino in G<strong>al</strong>lia» 303 ; ciò rende ragione pure del<br />

fatto che i fermentati elaborati con l’aggiunta di <strong>al</strong>tre sostanze e il numero delle<br />

sofisticazioni vinicole siano di gran lunga più numerosi nelle regioni settentrion<strong>al</strong>i<br />

che in quelle meridion<strong>al</strong>i 304 . I vini poco robusti ottenuti in zone climaticamente<br />

poco adatte, infatti, erano insaporiti e rinforzati con spezie, miele, frutta,<br />

erbe aromatiche sia per renderli gradevoli <strong>al</strong> p<strong>al</strong>ato e più nutrienti, sia per conferire<br />

loro il colore, la corposità e la robustezza di cui erano privi, ma tipici dei fermentati<br />

delle zone più c<strong>al</strong>de. Nell’abbazia di Fleury, non lontano da Orléans, vi<br />

era una grandissima attenzione <strong>al</strong>la produzione e <strong>al</strong>la cura del vino ricavato dai<br />

vigneti attigui <strong>al</strong> cenobio; questo compito era affidato <strong>al</strong> previsor vinearum, un<br />

monaco <strong>d<strong>al</strong></strong>le qu<strong>al</strong>ità non comuni – chiamato per metonimia: fratello Bacco – perché<br />

doveva essere dotato «di grande ingegno e fervore spiritu<strong>al</strong>e» per sovrintendere<br />

ai lavori viticoli e soprattutto <strong>al</strong>l’imbottamento del vino nuovo <strong>al</strong> tempo<br />

della vendemmia 305 .<br />

Di un monaco responsabile delle vigne abbazi<strong>al</strong>i dà conto <strong>al</strong>l’inizio del IX<br />

secolo anche W<strong>al</strong>a di Bobbio e questa tradizione è ripresa nelle consuetudini di<br />

Cluny redatte da Bernardo <strong>al</strong> tempo dell’abate Ugo 306 ; U<strong>d<strong>al</strong></strong>rico di Ratisbona<br />

invece, e con lui anche Guglielmo di Hirsau, parlano del custos vini come di un<br />

collaboratore del cellerario, il cui compito era quello di «ricevere e custodire il<br />

303 Consuetudines Floriacenses antiquiores,p.26.<br />

304 Si vedano <strong>al</strong> riguardo B. PFERSCHY, Weinfälschung im Mittel<strong>al</strong>ter,in Fälschungen im Mittel<strong>al</strong>ter, Internation<strong>al</strong>er<br />

Kongreß der MGH (München, 16.-19. September 1986), a cura di H. Fuhrmann, V, Hannover<br />

1988 (MGH Schriften, 33/V), pp. 669-702; EAD., Weinfälschug und Weinbehandlung in Franken<br />

und Schwaben im Mittel<strong>al</strong>ter, in Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter. Zur Verbreitung, Region<strong>al</strong>isierung und wirtschaftlichen<br />

Nutzung einer Sonderkultur aus der Römerzeit, Vorträge des gleichnamigen Symposiums vom 21.<br />

bis 24. März 1996 in Heilbronn, a cura di C. Schrenk, H. Wechbach, Heilbronn 1997 (Quellen und<br />

Forschungen zur Geschichte der Stadt Heilbronn, 9), pp. 139-178; utili riferimenti anche in<br />

MATHEUS, Viticoltura e commercio del vino, pp. 112-119; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 66-77, 471-473.<br />

305 Consuetudines Floriacenses antiquiores, p. 32: «Vinearum previsor sive nemorum monasterio adiacentium<br />

ordinatur, vir magni ingenii atque fervoris spiritu<strong>al</strong>is frater, qui subtili custodia et vineas procurat<br />

et quernas arbores ne succidantur curam gerit. Ad illum pertinet cura omnis vinearum et operariorum<br />

merces, quam ipse a camerario exigit et cautus dispensat. Autumn<strong>al</strong>i tempore quando maturante<br />

vini flore uvarum collectio instat, adiuncto fratrum solatio solicitus invigilat quoad tutum vassatur<br />

repaguloque commititur. Vocatur autem metonimice frater Bachus».<br />

306 Breve Memorationis W<strong>al</strong>ae abbatis, appendice <strong>al</strong>le Consuetudines Corbeienses, p. 422 (databile intorno<br />

<strong>al</strong>l’834-836): «Custos vinearum prevideat»; BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, pp. 151-152,<br />

dove però non si parla della custodia del bosco, ma solo di quella delle vigne.<br />

309


310


vino» 307 . Infatti, terminata la vendemmia, il priore gli diceva quanto vino doveva<br />

essere destinato <strong>al</strong>le varie necessità monastiche ed egli provvedeva <strong>al</strong>acremente<br />

<strong>al</strong>lo scopo; quando poi i fratres dovevano avere il pigmentum si procurava le spezie<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> camerario e le metteva nella giusta misura; non riposava nel dormitorio<br />

comune, ma il suo posto era in cantina accanto <strong>al</strong> cellerario e <strong>al</strong>la lucerna accesa.<br />

A San Benigno di Fruttuaria questi compiti erano assolti <strong>d<strong>al</strong></strong> cellerarius de vino, il<br />

qu<strong>al</strong>e operava in stretto raccordo con gli incaricati del refettorio, dell’infermeria,<br />

dell’hospit<strong>al</strong>e e della sacrestia 308 ; a lui competeva, infatti, provvedere il vino destinato<br />

<strong>al</strong>la mensa dei fratelli, <strong>al</strong>la liturgia, agli infermi, ai poveri e agli ospiti ricorrendo<br />

– se necessario – <strong>al</strong>l’aiuto di collaboratori e, se dava del vino a quanti facevano<br />

le pulizie, andavano a prendere l’acqua o confezionavano il vino speziato,<br />

non per questo veniva ripreso; sotto la sua responsabilità ricadevano le forniture<br />

e l’uso del miele, con il qu<strong>al</strong>e si preparava il vinum mixtum o pigmentum, come<br />

pure aprire le porte della cantina per la processione domenic<strong>al</strong>e dei monaci. A<br />

San Matteo di Treviri, infine, il custos vini teneva un libro contabile con le entrate<br />

e le uscite che sottoponeva mensilmente <strong>al</strong>la revisione dell’abate, predisponeva<br />

il vino rubeo per la messa e quello destinato <strong>al</strong>l’accoglienza, provvedeva <strong>al</strong>la pulizia<br />

dei contenitori vinari per evitare l’inacidirsi o il guastarsi dei prodotti 309 .<br />

A San Benedetto di Fleury si beveva con gioia il vino «recens et friscum» che<br />

il monaco addetto <strong>al</strong> refettorio versava a ciascuno nella grandi coppe di vetro<br />

(iustitiae); queste, <strong>al</strong> termine del pasto, erano coperte con le ciotole (paterae) della<br />

pietanza per preservare il vino, s<strong>al</strong>vaguardandolo speci<strong>al</strong>mente d’estate <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

mosche e dagli insetti 310 . Ma accanto <strong>al</strong> vino puro di tutti i giorni, durante le feste<br />

era servito quello pigmentato, detto anche clarum o claretum, herbolatum, hysopatum<br />

307 UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 762, cap. 19: De custode vini; ripreso <strong>al</strong>la lettera in GUGLIEL-<br />

MO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 1104.<br />

308 Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, pp. 40, 185, 239-240.<br />

309 Provvedeva cioè che il vino fosse sempre in buono stato di conservazione, «purum et integrum,<br />

non pendulum aut fortassis vasorum corruptione insipidum» (Consuetudines et observantiae, p. 166,<br />

anche 193-194 sgg.); negli usi di Melk si parla di «vinum mediocre et sano» (Caeremoniae Mellicenses,p.<br />

69) e in quelli di Kastler di vino «debole, acetosum, corruptum, feculento» (Consuetudines Castellenses,<br />

1, p. 260); per il problema della pulizia dei contenitori vinari nel medioevo, cfr. ARCHETTI, Tempus vindemie,<br />

pp. 389-433 passim.<br />

310 Per ripararsi anzi <strong>d<strong>al</strong></strong> tedio fastidioso procurato <strong>d<strong>al</strong></strong>le mosche d’estate, i fratelli si armavano di piccoli<br />

‘scopini’ fatti con fasci di erba legnosa (abig<strong>al</strong>ia) o di piume di volatili (Consuetudines Floriacenses<br />

antiquiores, pp. 26-27), attestati anche in ambito cluniacense (BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis,<br />

p. 159 e GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 946, dove il termine usato è «flabello»).<br />

311


312<br />

e a Hirsau popolarmente liitranch – un fermentato profumato, tendenzi<strong>al</strong>mente<br />

bianco ma anche vermilio, cosparso di spezie rare e diverse, di erbe aromatiche,<br />

anice e issopo –, oppure quello intriso di miele (mellitum), denominato anche uvasledam<br />

forse a motivo del suo sapore dolce e fresco, simile <strong>al</strong> vino novello o <strong>al</strong><br />

mosto 311 . L’uso di vini speziati, in re<strong>al</strong>tà, era antichissimo e già il vangelo di Marco<br />

ricorda che durante la crocifissione di Gesù «vollero dargli un po’ di vino drogato,<br />

ma egli non lo prese» (Mc 15, 23), riferendosi <strong>al</strong>la prassi di dare ai condannati<br />

a morte vino e mirra prima del supplizio per le sue virtù sedative e c<strong>al</strong>manti.<br />

Di essi fanno menzione molti testi, da Gregorio di Tours e Isidoro di Siviglia<br />

ad Alcuino, fino <strong>al</strong>le consuetudines di Cluny 312 , dove il pigmentum è indicato anche<br />

311 Consuetudines Floriacenses antiquiores, p. 28: «vinum purum sive pigmentatum quod clarum dicunt vel<br />

herbolatum vel hysopatum necnon mellitum quod uvasledam vocant»; GUGLIELMO, Constitutiones<br />

Hirsaugienses, col. 945: «potionis pigmentatae, quae claretum, id est liitranch dicitur a pluribus» (per<br />

l’uso di vini speziati in area tedesca «Lautertranck» o «Luttertranck», v. sopra il contributo di Matheus<br />

<strong>al</strong>la nota 107 e testo corrispondente); Redactio Fuldensis-Trevirensis, pp. 283-284, i fratelli ricevevano da<br />

novembre fino <strong>al</strong>la quaresima: «ligumina optime cum vino aut cervisia, que illa regione videbitur<br />

rara, insuper aneto <strong>al</strong>iisve herbis que sunt boni odoris parata infusa sufficienter»; <strong>al</strong> riguardo anche<br />

ZIMMERMANN, Ordensleben, pp. 56, 278.<br />

312<br />

GREGORIO DI TOURS, Historiarum libri X, ed. B. Krusch, W. Levison, MGH, Scriptores rerum merovingicarum,<br />

Hannover 19622 , p. 348, cap. 7, 29: «vino odoramentis (…) immixta», e le osservazioni di<br />

URSO, L’<strong>al</strong>imentazione <strong>al</strong> tempo di Gregorio, p.15;ISIDORO, Etymologiae, coll. 712-713 (conditum); ALCUI-<br />

NO DI YORK, Epistulae, ed. E. Dümmler, MGH, Epistulae karolini aevi, IV/2, Berolini 1895, epist. 8 (a.<br />

790 ex.), p. 34: «de vino optimo et claro»; Carlo il C<strong>al</strong>vo si procurava dai suoi possedimenti i pigmenta<br />

graecorum, mentre i monaci di Tulle in Francia dovevano consegnare a quelli di Aurillac una certa<br />

quantità di pigmenta nel secolo X (C. DU CANGE,s.v.,Pigmentum,in Glossarium mediae et infimae latinitatis,<br />

6, Niort 1886 (rist. anast., Bologna 1982), pp. 316-317); nella Vita di sant’Anscario l’apostolo del<br />

Nord si narra che egli avesse composto <strong>al</strong>cune preghiere capaci di raddolcire l’asprezza dei s<strong>al</strong>mi e<br />

che, per questo, le avesse chiamate i suoi pigmenta (RIMBERTO, Vita sancti Anskarii, ed. C.F. Dahlmann,<br />

MGH, Scriptores, 2, Hannoverae 1829, p. 718: «Quidam tamen nostrum, qui ei familiarissimus erat,<br />

magna vi precum vix ab eo obtinuit, ut ei ipsa pigmenta, sicut ille cantare solitus erat, dictaret»); nell’area<br />

bretone, Cartulaire de l’abbaye de Redon, p. 257: «similiter de medone, de selegia et de pigmento»;<br />

in ambito cluniacense invece, <strong>d<strong>al</strong></strong>la Borgogna a Fruttuaria, gli usi antichi parlano di «mixtum» (Regularis<br />

concordia, ed. Th. Symons, London 1953, p. 40; A. ALBERS, Consuetudines monasticae, 2, Montis<br />

Casini 1905, p. 18); Liber tramitis, p. 144: «pimentatum potum», 229; BERNARDO, Consuetudines aevi<br />

sancti Hugonis, pp. 151-152: «vino pigmentato vel herbolato»; UDALRICO, Antiquiores consuetudines, coll.<br />

704: «potionis pigmentate», 761-763, 766, 776; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 945; nella<br />

versione bavarese della Redactio Bugundica - Mellicensis - Moriana, p. 226: «fi<strong>al</strong>am potionis claram vel<br />

turbulam» viene servita ai fratelli dopo la messa, dove il termine turbula indica la poca trasparenza del<br />

fermentato speziato; Consuetudines Fructuarienses - Samblasianae, 2, p. 240: «ad vinum pigmenta tundunt<br />

(…), pigmenta ad festivitatem facienda ducunt»; gli usi di St. Vanne e di Mettlach nominano in<br />

un’occasione una potio densa di vino aromatizzato (ALBERS, Consuetudines monasticae, 5, p. 124); Con-


nel linguaggio dei segni 313 , rientra nei compiti distributivi del refectorarius e trova<br />

spazio tra i prodotti maneggiati <strong>d<strong>al</strong></strong> monaco infermiere 314 .<br />

Un’indicazione preziosa quest’ultima perché ci informa che tra le spezie in<br />

polvere adottate per il suo approntamento vi erano di sicuro pepe, cumino, zenzero,<br />

issopo e radici 315 , mentre <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti due e trecentesche si sa che il claretus era<br />

fatto con mosto e, come nel caso dell’It<strong>al</strong>ia centr<strong>al</strong>e, anche con vino greco,<br />

mescolati con zucchero o miele e numerose spezie – qu<strong>al</strong>i anice, zenzero, cannella,<br />

chiodi di garofano, cardamomo, grani di paradiso –, in proporzioni t<strong>al</strong>i da essere<br />

ritenuto un vero e proprio liquore più che un vino, destinato perciò <strong>al</strong>le mense<br />

più esclusive 316 . Nella grande abbazia borgognona la distribuzione del vino pigmentato<br />

avveniva nelle prime domeniche di avvento, di quaresima, in quella delle<br />

p<strong>al</strong>me e in <strong>al</strong>tri giorni festivi registrati con cura <strong>d<strong>al</strong></strong> monaco Bernardo <strong>al</strong> tempo<br />

dell’abbaziato di Ugo; egli ci informa, inoltre, che tutti i giovedì e le domeniche di<br />

quaresima – eccetto la prima, quella a metà e delle p<strong>al</strong>me, nelle qu<strong>al</strong>i era servito il<br />

pigmentum – i fratelli ricevevano un’<strong>al</strong>tra bevanda loc<strong>al</strong>e dolce di colore rosso, chia-<br />

suetudines Floriacenses saeculi tertii decimi, p. 76: «vitrea vasa pimento plena»»; e nella regione austriaca,<br />

Caeremoniae Mellicenses, p. 69: «ut pigmentum ei conficitur»; inoltre, per l’ambito cluniacense, HAL-<br />

LINGER, Neue Fragen, pp. 28-30; DE VALOUS, Le monachisme clunisien,p.262;HALLINGER, Progressi e problemi<br />

della ricerca, pp. 287-288, con riferimento <strong>al</strong>l’uso del pigmentum il giovedì santo; e ZIMMERMANN,<br />

Ordensleben, pp. 69 sgg., 312-316; il claretum tuttavia è ricordato anche da INNOCENZO III, De contemptu<br />

mundi sive de miseria conditionis humanae libri tres, PL, 217, col. 724, lib. II, cap. 19: «(…) non sufficit<br />

vinum, non sicera, non cervisia, sed studiose conficitur mulsum, syropos, claretum», testo quest’ultimo<br />

ricordato anche da MONTANARI, La fame e l’abbondanza,p.76.<br />

313 Per la descrizione del pigmentum attraverso il linguaggio dei segni: BERNARDO, Consuetudines aevi sancti<br />

Hugonis, p. 170; UDALRICO, Antiquiores consuetudines, col. 704; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses,<br />

col. 945; più in gener<strong>al</strong>e, MARTENE, De antiquis Ecclesiae ritibus, coll. 918, 962.<br />

314 Era il monaco addetto <strong>al</strong> refettorio che versava il pigmentum, anche se spettava <strong>al</strong> cellerario procurarglielo;<br />

cfr. BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, p. 156; UDALRICO, Antiquiores consuetudines,<br />

col. 763, che scrive: «quotiens pigmentum datur, ipse modiolis infundit, ipse scillam pulsat, quae ad<br />

hoc solum in extremitate refectorii pendet, quae etiamsi pulsatur ad benedictionem pigmenti in qu<strong>al</strong>ibet<br />

festivitate et in quolibet anniversario (…)»; il vino speziato come pure i pigmenta rientravano tra<br />

i preparati e le sostanze presenti in infermeria e, t<strong>al</strong>volta, anche nell’hospit<strong>al</strong>e monastico: BERNARDO,<br />

Consuetudines aevi sancti Hugonis, pp. 184-185; UDALRICO, Antiquiores consuetudines, coll. 763, 766; HUY-<br />

GENS, Le moine Idung, p. 447; inoltre, MONTANARI, La fame e l’abbondanza,p.80.<br />

315 BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, pp. 184-185; Consuetudines Castellenses, 1, p. 384.<br />

316<br />

NADA PATRONE, Il cibo del ricco, pp. 171, 380, 455; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 153-154, 467-468<br />

e i rimandi ivi contenuti.<br />

313


314<br />

mata borgerasae 317 , prodotta nella regione borgognona o nella vicina Turenna. La<br />

prassi di bere vini speziati e robusti, tuttavia, venne duramente criticata da san<br />

Bernardo, preoccupato che siffatte abitudini più che <strong>al</strong> rispetto della tradizione<br />

cenobitica invogliassero a bere di più, con inevitabile detrimento del fervore<br />

liturgico; ciò spiega perché, <strong>al</strong>meno fino <strong>al</strong>la metà del XII secolo, i cistercensi<br />

non ne fecero uso e un’an<strong>al</strong>oga proibizione venne adottata anche <strong>al</strong>la Certosa 318 .<br />

«E che dire – scrive infatti l’abate di Chiarav<strong>al</strong>le nell’Apologia – del bere acqua<br />

prescritto <strong>d<strong>al</strong></strong>la Regola, <strong>d<strong>al</strong></strong> momento che l’acqua non si ammette assolutamente,<br />

nemmeno col vino? Evidentemente da quando siamo monaci, abbiamo tutti lo<br />

stomaco debole, e abbiamo ragione di non trascurare quel consiglio così necessario<br />

dell’apostolo circa il bere vino. Egli tuttavia permette un po’, e questo un po’<br />

non so per qu<strong>al</strong> ragione noi lo omettiamo. E <strong>al</strong>meno fossimo contenti del solo<br />

vino, pur bevendolo puro! Mi vergogno a dirlo, ma (…) in un medesimo pranzo<br />

vedresti riportare tre o quattro volte semipiena la coppa, t<strong>al</strong>mente che dopo avere<br />

piuttosto odorato che bevuto vini di qu<strong>al</strong>ità diversa, e dopo averli piuttosto<br />

lambiti che tracannati, fin<strong>al</strong>mente, con assaggio sagace e rapido riconoscimento,<br />

se ne sceglie uno che sia di molti il più forte. E cos’è quel costume che si dice<br />

osservato in parecchi monasteri, di bere <strong>al</strong> convito, nelle feste grandi, vini intrisi<br />

di miele e cospersi di spezie in polvere? Anche questo diremo che avviene per la<br />

debolezza dello stomaco? Io però vedo che questo serve soltanto a far bere di<br />

più e con maggior piacere» 319 .<br />

All’affondo polemico di Bernardo di Clairvaux, che attaccava i monaci di<br />

Cluny intorno <strong>al</strong>la sobrietà del mangiare e del bere, Pietro il Venerabile rispose<br />

mettendo mano <strong>al</strong>le consuetudini cluniacensi e abrogando l’antico uso di bere<br />

vino con miele e spezie, detto pigmentum, s<strong>al</strong>vo che durante il giovedì della settimana<br />

santa in cui era permessa l’aggiunta di miele 320 . La ragione di questa deci-<br />

317 BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, pp. 151-152: inoltre, sull’uso di vino speziato, anche DE<br />

VALOUS, Le monachisme clunisien, p. 259; HALLINGER, Progressi e problemi della ricerca, pp. 286-288.<br />

318<br />

MARTENE, De antiquis Ecclesiae ritibus, col. 384; M. LAPORTE, Édition critique des Consuetudines Cartusiae,<br />

«La Grande Chartreuse», 4 (1962), p. 70; 5 (1965), p. 71; NADA PATRONE, Monachis nostri ordinis,<br />

p. 322.<br />

319 S. BERNARDO, Apologia dell’abate Guglielmo, p. 197.<br />

320 Statuta Petri Venerabilis, pp. 50-51, statuto 11: De abstinentia a pigmentato: «Statutum est, ut ab omnis<br />

mellis ac speciarum cum vino confectione, quod vulgari nomine pigmentum vocatur, cena Domini<br />

tantum excepta, qua die mel absque speciebus vino misceri antiquitas permisit, omnes cluniacensis<br />

ordinis fratres abstineant».


sione scaturiva <strong>d<strong>al</strong></strong>la necessità di ravvivare <strong>al</strong>meno un poco lo spirito di astinenza<br />

dei suoi monaci, ripristinando l’autentico senso benedettino della “misura del<br />

bere”. Se infatti il vino non era fatto per i monaci ed era stato permesso solo a<br />

causa della loro fragilità, a che titolo – si chiedeva commentando il cap. 40 della<br />

Regola l’abate di Cluny 321 – si cercano con tanta fatica spezie esotiche d’oltremare,<br />

pagandole a caro prezzo, per metterle nel vino destinato ai fratelli? Certo, è<br />

vero che l’apostolo ha consigliato di bere un po’ di vino per rimediare ai dolori<br />

intestin<strong>al</strong>i e <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute cagionevole (1 Tim 5, 23), ma che dire ancora di quei<br />

«monaci che, pur non essendo m<strong>al</strong>ati ma sani, né infermi ma robusti, non bevono<br />

poco vino ma molto, né basta loro in abbondanza ma lo prediligono mellito e,<br />

non accontentandosi di quello con il miele, lo vogliono preparato con spezie<br />

reg<strong>al</strong>i? D<strong>al</strong> momento che già l’apostolo ha ordinato a loro come ai laici: non inebriatevi<br />

di vino, in cui vi è la lussuria (Ef 5, 18), che cosa accadrà ai monaci, i qu<strong>al</strong>i<br />

non solo non evitano l’ubriachezza, ma piuttosto la provocano con ricercati<br />

sapori che irritano la gola?» 322 .<br />

Un elemento costante di questi preparati era dunque il miele che, risc<strong>al</strong>dato<br />

e sciolto nel vino (mulsum), lo rendeva più amabile, nutriente e forte; anche in<br />

questo caso, però, non si trattava di una novità mediev<strong>al</strong>e, ma di una pratica ereditata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la tradizione antica, che trova conferma un po’ in tutta l’Europa monastica:<br />

da Montecassino a San G<strong>al</strong>lo, da Cluny a Santa Giulia di Brescia e da<br />

Fleury <strong>al</strong> mondo bizantino 323 . Negli usi cluniacensi tuttavia, per le sue proprietà<br />

321 Ibidem, pp. 50-51.<br />

322 Ibidem,p.51.<br />

323 ALDELMO, De virginitate, II. Carmen, ed. R. Ehw<strong>al</strong>d, in Aldhelmi Opera, MGH, XV, Auctores antiquissimi,<br />

Berolini 1919, p. 456, v. 2541: «nectaris (…) pocula mulsa»; ISIDORO, Etymologiae, col. 713, mulsum<br />

è il vino «ex melle mistum»; Theodomari abbatis Casinensis epistula ad Karolum regem, p. 165 (potionem<br />

ex melle); tra VIII e IX secolo in G<strong>al</strong>lia, durante il periodo di digiuno, i vescovi proibivano di bere<br />

«vinum (…) melle dulcoratum» (Collectio Sang<strong>al</strong>lensis S<strong>al</strong>omonis III. Tempore conscripta, ed. K. Zeumer,<br />

MGH, Legum sectio, V,Formulae merowingici et karolini aevi, Hannoverae 1886, p. 417 nr. 31) e la stessa<br />

limitazione era imposta da Erchenperto, vescovo di Frisinga, il qu<strong>al</strong>e invitava ad astenersi «a vino et<br />

carne et medo et melscada cervisa, et de lacte et ovo» [Epistolae variorum inde a morte Caroli Magni usque<br />

ad divisionem imperii collectae, ed. E. Dümmler, MGH, Epistolae Karolini aevi, III/5, Berolini 1899, p. 338<br />

nr. 23 (a. 836-838)], come pure è ampiamente attestata nel decreto del vescovo Burcardo di Worms<br />

(sec. XI): «ti asterrai completamente <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, da bevande aromatizzate, <strong>d<strong>al</strong></strong> lardo, <strong>d<strong>al</strong></strong> formaggio e da<br />

ogni tipo di pesce grasso (...), durante tutte queste quaresime ti asterrai <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, <strong>d<strong>al</strong></strong>la bevanda aromatizzata,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la birra, (...) ti asterrai anche <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, da bevande mielate e <strong>d<strong>al</strong></strong>la birra tre giorni <strong>al</strong>la settimana,<br />

ecc.» (A pane e acqua, pp. 68-69, 71); Constitutiones Floriacenses antiquiores, p.28 (mellitum); Liber<br />

315


316<br />

antielmintiche e stimolanti, un posto di rilievo era occupato <strong>d<strong>al</strong></strong> vino temperato<br />

con miele e assenzio 324 , il cui gusto amaro stimolava le funzioni digestive, e per<br />

questo era assunto la sera, benché un uso eccessivo producesse <strong>al</strong>lucinazioni e<br />

fosse dannoso <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute. Era una bevanda distinta <strong>d<strong>al</strong></strong> pigmentum, come si evince<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la differente gestu<strong>al</strong>ità segnica per indicarla, a motivo dell’infusione di<br />

foglie di assenzio 325 , ma, se veniva arricchita di spezie preziose e resine profumate,<br />

poteva diventare una bevanda fortemente simbolica, giacché – nonostante le<br />

restrizioni di Pietro il Venerabile – era assunta il giovedì santo in ricordo dell’ultima<br />

cena e della passione del Signore 326 .<br />

Nelle diverse regioni europee esistevano natur<strong>al</strong>mente molte varietà viticole, <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

qu<strong>al</strong>i si ottenevano fermentati <strong>al</strong>bi e vermigli più o meno pregiati, resi speci<strong>al</strong>i da<br />

microclimi particolari. Le informazioni <strong>al</strong> riguardo però sono piuttosto sporadiche,<br />

insufficienti a tracciare un quadro di sintesi omogeneo e non anteriori <strong>al</strong> XII-<br />

XIII secolo; <strong>al</strong>cune ricerche recenti, inoltre, hanno evidenziato la precocità delle<br />

attestazioni variet<strong>al</strong>i nelle zone mediterranee rispetto <strong>al</strong>l’Europa continent<strong>al</strong>e. Ciò,<br />

per quanto possa apparire scontato <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista pedologico e climatico, è storicamente<br />

assai rilevante per lo sviluppo e il rinnovamento viticolo, in quanto i viti-<br />

tramitis, p. 219; UDALRICO, Antiquiores consuetudines, coll. 677, 704; GUGLIELMO, Constitutiones Hirsaugienses,<br />

col. 945; Consuetudinis Fructuariensis - Samblasianae, 2, p. 240; anche INNOCENZO III, De contemptu<br />

mundi, col. 724 (mulsum); per gli usi orient<strong>al</strong>i, invece, basterà ricordare che negli statuti di Teodoro<br />

di Studion era prevista l’assunzione di eukraton, bevanda a base di vino e spezie, durante la quaresima<br />

(TEODORO DI STUDION, Descriptio consuetudinis, col. 1715, cap. 30: «Tota autem sancta quadragesima<br />

mixtum bibimus, exceptis infirmis aut senibus. Porro mistum constat ex pipere, cumino, et aniso<br />

c<strong>al</strong>ido»); HALLINGER, Progressi e problemi della ricerca, p. 288; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 487, 82-<br />

83 e NADA PATRONE, Il cibo del ricco, pp. 381 (mellitus, mulsus), 371 (mulsus).<br />

324 Liber tramitis, p. 219: «absintium cum melle mixtum»; UDALRICO, Antiquiores consuetudines, coll. 677:<br />

«potio propinatur melle, vino et absynthio confecta», 704: «potionis melle et absynthio temperata»;<br />

GUGLIEMO, Constitutiones Hirsaugienses, col. 945: «potionis quae cum melle et absynthio confecta».<br />

325 Che si tratti di due prodotti distinti appare chiaro <strong>d<strong>al</strong></strong>la diversità dei simboli che servivano ad indicarli<br />

nel linguaggio muto: «Pro signo potionis pigmentatae, conclude manum, et ita simula moletam.<br />

Pro signo quae est melle et absynthio temperata, duos digitos indicem et medium a caeteris disiunge,<br />

et ipsos quoque ab invicem disiunctos ita move, quia absynthium in suis foliis divisum» (UDAL-<br />

RICO, Antiquiores consuetudines, col. 704; anche BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, p. 170).<br />

326 L’uso delle spezie e di vini resinati il giovedì santo è molto antico nella prassi liturgica: MARTENE,<br />

De antiquis Ecclesiae ritibus, col. 384ab; BERNARDO, Consuetudines aevi sancti Hugonis, p. 311; UDALRICO,<br />

Antiquiores consuetudines, col. 659; Statuta Petri Venerabilis, p.50;HALLINGER, Progressi e problemi della<br />

riforma, pp. 286-288.


gni cominciano ad avere una propria denominazione specifica e la loro diversità<br />

non coincide più semplicemente con il luogo di origine. Se nella penisola iberica,<br />

infatti, le fonti arabe non mancano di registrare per il territorio meridion<strong>al</strong>e vini<br />

speziati, aromatizzati e uve da tavola già <strong>d<strong>al</strong></strong> XII secolo, nell’area francese bisogna<br />

aspettare <strong>al</strong>meno il XIV secolo per dare un nome ai bianchi e ai rossi bordolesi,<br />

assistere <strong>al</strong>la concorrenza tra gamay e pinot noir borgognoni e <strong>al</strong>la sostituzione di golz<br />

(o gouais) in favore di varietà più pregiate 327 . L’impegno cluniacense e cistercense<br />

per l’avvio di nuovi vigneti non è seguito da un’an<strong>al</strong>oga informazione documentaria<br />

sulle varietà coltivate e nel Trecento i vini di Beaune sono privilegiati <strong>d<strong>al</strong></strong>la curia<br />

avignonese semplicemente perché più a buon mercato di <strong>al</strong>tri; in genere poi, i rossi<br />

francesi per ragioni pedologiche e ambient<strong>al</strong>i sono meno apprezzati di quelli<br />

bianchi, come si registra nel Duecento nelle campagne intorno ad Auxerre, mentre<br />

quando nella Redactio Virdunensis 328 i monaci usano pane azzimo e vino f<strong>al</strong>erno,<br />

il riferimento variet<strong>al</strong>e ha ormai perso ogni collegamento con l’antico prodotto<br />

campano e sta semplicemente a indicare del ‘buon vino’.<br />

Tra la Mosella e il Reno, come nel resto dell’area germanica, non si conosce<br />

il nome dei vitigni prima del XV secolo, quando sono documentabili le prime<br />

vigne selezionate di riesling, e i vari vini non vengono identificati per le loro caratteristiche<br />

intrinseche ma genericamente <strong>d<strong>al</strong></strong> luogo di provenienza: è il caso dei<br />

vini del Reno, del «mustum mosellanum», del «vinum francium» e del «vinum<br />

hunnicum», mentre i monaci di S. Pietro di Kastler bevevano il vinum Austr<strong>al</strong>e prodotto<br />

in loco 329 . I tentativi di identificazione, tuttavia, di questi fermentati attra-<br />

327 Per queste sommarie indicazioni, come pure per quelle seguenti, si rimanda <strong>al</strong>le note e <strong>al</strong>la bibliografia<br />

presente in ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 36-47 per la penisola iberica, 47-63 per l’area francese,<br />

63-77 per il territorio della Germania romana e 78-85 per l’area bizantina; queste indicazioni<br />

vanno integrate con i saggi presenti in questo volume di A. Cortonesi, M. Matheus, P. Racine, M.<br />

Vaquero Piñeiro, E. Kislinger e I. Lumperdean.<br />

328 Redactio Virdunensis, p. 389; per i vini di Auxerre il giudizio è quello riferito da SALIMBENE DE ADAM,<br />

Cronica, a cura di G. Sc<strong>al</strong>ia, I, Bari 1966, pp. 313-314; inoltre, ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 53-54.<br />

329<br />

IRSIGLER, Viticulture, vinification,p.64;ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 73-76; mentre per il vino della<br />

regione austriaca registrato nelle Consuetudines Castellenses, 1, p. 125: «de potu vini Austr<strong>al</strong>is», si<br />

vedano H. DOPSCH, Von der Slawenmission zur Grundherrschaft. Zur Rolle des Erzbistums S<strong>al</strong>zburg und der<br />

S<strong>al</strong>zburger Klöster in Niederösterreich, in Die bayerischen Hochstifte und Klöster in der Geschichte Niederösterreich,<br />

Wien 1989 (Studien und Forschungen aus dem Niederösterrechischen Institut für Landeskunde,<br />

11), p. 18; H. HUNDSBICHLER, Der Wein <strong>al</strong>s Kulturaufgabe und <strong>al</strong>s Kulturträger im Mittel<strong>al</strong>ter, in Probleme<br />

des niederösterrechischen Weinbaus in Vergangenheit und Gegenwart, Wien 1990 (Studien und Forschungen<br />

aus dem Niederösterrechischen Institut für Landeskunde, 13), p. 61.<br />

317


318<br />

verso le loro caratteristiche organolettiche, collegandoli a varietà di vini moderni,<br />

risultano essere storicamente infondati, né appare possibile dire se il vino francone<br />

(francium) fosse di colore bianco e quello unnico rosso; di sicuro il primo era<br />

più robusto ed <strong>al</strong>colico del secondo se la badessa Ildegarda di Bingen consentiva<br />

<strong>al</strong>le sue monache di bere puro il vino hunnicum e con l’aggiunta di acqua quello<br />

francium 330 . Alla fine del medioevo, inoltre, i vini prodotti intorno a Reichenau e <strong>al</strong><br />

lago di Costanza erano ritenuti inferiori <strong>al</strong> traminer, mentre quelli della Mosella<br />

erano più apprezzati dei fermentati della v<strong>al</strong>le del Reno 331 ; a Treviri infine, secondo<br />

le costituzioni dell’abate Giovanni Rode, le puerpere ricevevano dai monaci di<br />

San Matteo e San Massimino per tutto il periodo del travaglio del parto un pane<br />

bianco e una quarta di vino come offerta <strong>al</strong>la beata vergine Maria 332 .<br />

Assai più ricca e variegata appare la produzione vinicola della penisola it<strong>al</strong>iana,<br />

dove già <strong>d<strong>al</strong></strong>la seconda metà del XII secolo sono documentati vigneti di<br />

schiava sulle colline del Garda e della Franciacorta, a cui si affiancavano i più<br />

comuni e diffusi nostrani loc<strong>al</strong>i 333 . La precocità di queste attestazioni si sostanzia<br />

però solo nel corso del Duecento, quando il panorama ampelografico muta in<br />

modo profondo e duraturo, dando origine <strong>al</strong>la viticoltura moderna e a <strong>produzioni</strong><br />

di qu<strong>al</strong>ità; in questo sviluppo coltur<strong>al</strong>e non restano esclusi i possedimenti<br />

viticoli monastici che, anzi, risultano in t<strong>al</strong>uni casi tra i primi e maggiori artefici<br />

di queste trasformazioni, come mostrano per esempio le carte di Santa Giulia di<br />

Brescia e del priorato cluniacense di San Nicolò di Rodengo 334 . In area padana le<br />

330<br />

ILDEGARDA DI BINGEN, Heilkunde, übersetz und erlaütert von H. Schipperges, S<strong>al</strong>zburg 1957, pp.<br />

193, 210.<br />

331<br />

IRSIGLER, Viticulture, vinification, pp. 64-65.<br />

332 Consuetudines et observantiae, p. 205: «Datur etiam omnibus puerperis singulis diebus puerperii unus<br />

panis <strong>al</strong>bus et quarta vini pro praebenda beatae virginis. Hoc officium habet subcellerarius, si sint<br />

duo cellerarii».<br />

333 Per la produzione region<strong>al</strong>e it<strong>al</strong>iana si vedano le indicazioni di ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 93-<br />

172, da integrare <strong>al</strong>meno con i contributi di A. Cortonesi, A.I. Pini e G.M. Varanini, M. Tagliabue e<br />

E. Ferraglio in questo volume; inoltre, gli atti del convegno di Alghero, La vite e il vino. Storia e diritto<br />

(secoli XI-XIX), cit.; G. ARCHETTI, La viticoltura lombarda nel medioevo, in Le piante coltivate e la loro storia,<br />

a cura di O. Failla, G. Forni, Milano 2001, pp. 228-247; R. PACI, Vigne e vino a Jesi nel Quattrocento, «Studia<br />

picena», 67 (2002), pp. 17-55.<br />

334 La ricca produzione vinicola del cenobio femminile di San S<strong>al</strong>vatore - Santa Giulia di Brescia è<br />

esaminata da ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 165-211, 272 sgg., dove viene studiata anche quella del<br />

priorato franciacortino di Rodengo, pp. 229-230, 242, 262; inoltre, ID., Vigne e vini nel medioevo. Il<br />

modello della Franciacorta (secoli X-XV), in Vites plantare et bene colere. Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Fran-


fonti cenobitiche confermano la prev<strong>al</strong>ente produzione di vini rossi sui bianchi<br />

e, per l’ambito lombardo, registrano accanto <strong>al</strong>la schiava vigneti di groppello, di<br />

luglienga, di pignolo, di bonimperghe, di gragnolate e più tardi anche di vernaccia, di<br />

m<strong>al</strong>vasia, di moscatello. Questo ricco elenco, spostandoci verso la campagna<br />

veneta, si accresce delle varietà garganiga, p<strong>al</strong>estra, marzemino e <strong>d<strong>al</strong></strong> XV secolo<br />

con quelle trentine di gocciadoro e mandruzzo, che vanno ad integrare i vitigni<br />

diffusi nella pianura Padana, mentre pignolo, rafosco, orello e cadic sembrano<br />

caratterizzare la produzione friulana.<br />

Sui grandi empori veneziano e genovese, come pure sui mercati delle più<br />

importanti città comun<strong>al</strong>i, transitavano i maggiori fermentati del Mediterraneo:<br />

la vernaccia ligure, la ribolla istriana, il trebbiano della Marca, il greco di Napoli,<br />

i forti prodotti meridion<strong>al</strong>i, insulari e orient<strong>al</strong>i, come il vino di Tiro, quello di<br />

Rodi, l’athiri e la m<strong>al</strong>vasia di Creta, ecc.; inoltre, se barbisino, grignolino e spanna<br />

rappresentavano con il vino di Vernazza e il moscatello di Taggia le migliori<br />

varietà dell’area piemontese e dell’entroterra ligure, la felice esposizione delle<br />

regioni centr<strong>al</strong>i conferma l’importanza storica della coltura viticola di queste<br />

zone. I trebbiani neri come l’inchiostro giungevano a piena maturazione sulle<br />

colline toscane, i bianchi sulle Crete senesi e la vernaccia rendeva famosa la produzione<br />

viticola di San Gimignano; questi vitigni lasciano il posto in area marchigiana<br />

<strong>al</strong>la celebre ribolla, <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>bana, ai trebbiani fino ai più modesti vizago e<br />

pezuolo. Nella Tuscia invece proliferavano i bianchi del Viterbese, trebbiano, fiano,<br />

vernaccia, greco, moscatello e nel basso Lazio, dove si sentiva maggiormente<br />

l’influenza campana, veniva favorito l’impianto di vitigni greci <strong>al</strong> posto di<br />

quelli latini autoctoni; molto apprezzati erano pure i bianchi dei Castelli e di<br />

Anagni, che trovavano il loro natur<strong>al</strong>e sbocco sul mercato romano, ma non mancavano<br />

anche fermentati più raffinati e uve da tavola come la pizzutella e la pergolese.<br />

A Montecassino il vino puro e forte <strong>al</strong>lietava la tavola dei monaci, i qu<strong>al</strong>i<br />

lo prendevano t<strong>al</strong>volta con il miele e non disdegnavano il novello dopo la vendemmia,<br />

mentre in occasione della festa di san Nicola accompagnavano la distribuzione<br />

del ricercato pane con lo zenzero (zinziberatum) con dell’ottimo vino<br />

rubeo; anche il person<strong>al</strong>e di servizio, i rustici dipendenti e gli artigiani impegnati<br />

ciacorta nel medioevo, a cura di G. Archetti, Brescia 1996 (Atti delle Bienn<strong>al</strong>i di Franciacorta, 4), pp. 67-<br />

146 passim; ID., Ad suas manus laborant. Proprietà, economia e territorio rur<strong>al</strong>e nelle carte di Rodengo (secoli<br />

XI-XV), in San Nicolò di Rodengo. Un monastero di Franciacorta tra Cluny e Monte Oliveto, a cura di G. Spinelli,<br />

P.V. Begni Redona, R. Prestini, Brescia 2002, pp. 82-83.<br />

319


320<br />

nei lavori continui di restauro o di abbellimento dell’abbazia godevano dell’abbondanza<br />

vinicola cassinese 335 .<br />

Il Meridione appare ricco di varietà loc<strong>al</strong>i difficili da identificare con precisione,<br />

per quanto non manchino <strong>produzioni</strong> di vernaccia e di m<strong>al</strong>vasia; infatti,<br />

accanto ai robusti vini campani e dell’area costiera, cominciando <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichissimo<br />

quanto generico f<strong>al</strong>erno – il cui nome derivava <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ager F<strong>al</strong>ernus, cioè <strong>d<strong>al</strong></strong> luogo<br />

di produzione –, si registrano i rossi c<strong>al</strong>abresi e i vini del Cilento, i fermentati<br />

dei territori pugliese e siciliano, ma anche il vino sardescho di colore rosso, ottenuto<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la miscela di uve differenti. L’elenco potrebbe ancora continuare e un<br />

esame sistematico delle fonti è destinato a fornire non poche informazioni preziose;<br />

queste brevi annotazioni tuttavia sono più che sufficienti a mostrare la ricchezza<br />

produttiva che caratterizza la penisola it<strong>al</strong>iana.<br />

Sulla tavola dei monaci greci del XII secolo, benché un’indagine sistematica<br />

sia ancora da compiere 336 , troviamo precisi riferimenti <strong>al</strong> barnioticon, o vino della<br />

Varna, mentre le mense abbazi<strong>al</strong>i prediligevano il chioticon, il più robusto vino di<br />

Chio; comuni erano invece la b<strong>al</strong>nea, vino medicin<strong>al</strong>e arricchito con pece, e<br />

soprattutto la retzina ottenuta mescolando vino e resina di pino. Nelle costituzioni<br />

monastiche di Teodoro di Studion era prescritto un eukraton tutti i giorni<br />

della quaresima, cioè una bevanda fatta di vino c<strong>al</strong>do aromatizzato con pepe,<br />

cumino e anice 337 , che ebbe grande fortuna anche in Occidente fino ad essere<br />

codificato negli usi cluniacensi; sul mercato bizantino abbondavano comunque i<br />

vini dell’area costiera del mar Nero, quelli provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>le isole greche e mediterranee,<br />

oltre a quelli delle regioni p<strong>al</strong>estinesi.<br />

Non mancavano fermentati più esotici, estranei comunque <strong>al</strong>la tradizione<br />

cenobitica, qu<strong>al</strong>i il rodìtes oinos, mosto arricchito di pet<strong>al</strong>i di rosa, il marazìtes oinos,<br />

ottenuto con l’infusione di semi di finocchio, o il selinìtes oinos, prodotto con<br />

mosto e semi di sedano, a cui va aggiunto il consueto vino c<strong>al</strong>do arricchito di pece<br />

e miele ricordato anche da Liutprando da Cremona: «[i bizantini] non bevono ma<br />

sorseggiano in piccolissimi bicchieri una bevanda miscelata di vino e miele» 338 .Più<br />

335 Statuta Casinensia, pp. 234, 236-237.<br />

336 Per queste brevi indicazioni si rimanda ad ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 78-85, 463-464, 471-472<br />

e ai contributi di E. Kislinger e S. Parenti pubblicati in questo volume, con i rimandi ivi contenuti.<br />

337<br />

TEODORO DI STUDION, Descriptio consuetudinis, col. 1715; per il collegamento critico con gli usi cluniacensi,<br />

HALLINGER, Progressi e problemi della ricerca, p. 288.<br />

338<br />

LIUTPRANDO DI CREMONA, It<strong>al</strong>ia e Bisanzio <strong>al</strong>le soglie dell’anno Mille, a cura di M. Oldoni, P. Ariatta,<br />

Novara 1987, p. 250. Ew<strong>al</strong>d Kislinger osserva che «tanto l’aggiunta di resina per garantire la durata


che di vino e miele, in verità, si trattava forse di un vino medicin<strong>al</strong>e arricchito con<br />

pece da sorseggiare in piccole dosi e, appunto per questo, servito in bicchierini in<br />

segno di riguardo verso l’ospite; <strong>al</strong> presule lombardo tuttavia dovette risultare<br />

decisamente sgradito sia per il sapore amaro che per il gusto resinoso e l’elevata<br />

temperatura in cui era servito, ma probabilmente anche a motivo dell’esigua<br />

quantità offerta, <strong>al</strong> punto da notare: «<strong>al</strong>le nostre sventure si aggiunse che il vino<br />

dei greci, mescolato con pece, resina e gesso, era per noi imbevibile» 339 . Dove l’aggiunta<br />

del gesso serviva a mitigare l’asprezza e l’acidità dei vini resinati, ai qu<strong>al</strong>i il<br />

vescovo di Cremona imputava buona parte dei disturbi sopportati durante il suo<br />

soggiorno a Costantinopoli.<br />

Note ‘quasi’ conclusive<br />

Bevanda, simbolo religioso, <strong>al</strong>imento, farmaco sono dunque vari aspetti che<br />

vanno presi in considerazione per capire la storia vinicola mediev<strong>al</strong>e, quando<br />

bere vino mangiando non era una moda ma un’esigenza dietetica re<strong>al</strong>e, dettata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> sistema <strong>al</strong>imentare e solo in seconda istanza anche una necessità gastronomica.<br />

In occasione della fondazione di un monastero o di una chiesa rur<strong>al</strong>e si<br />

teneva conto, nella scelta del sito, della necessità di avere nelle sue vicinanze un<br />

terreno adatto <strong>al</strong>la coltivazione della vite e, in caso contrario, che <strong>al</strong>meno non<br />

mancassero i mezzi economici per il reperimento del vino che serviva ai bisogni<br />

liturgici e <strong>al</strong> consumo interno della comunità. Da questo punto di vista,<br />

infatti, possiamo senz’<strong>al</strong>tro convenire con Rogier Dion laddove scrive che la<br />

Chiesa e il monachesimo hanno «servito la viticoltura tanto conservando e trasmettendo<br />

i metodi di coltivazione ereditati <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità romana, quanto<br />

aumentandone il prestigio» 340 . Affermazione che trova il necessario conforto<br />

nella ricchezza documentaria – polittici, cartulari, registri e atti di varia natura –<br />

ancora a disposizione degli storici.<br />

del vino, quanto la mescolanza di mosto e pet<strong>al</strong>i di rosa, finocchio e sedano, conferivano <strong>al</strong> vino un<br />

sapore inconsueto» (E. KISLINGER, Cristiani d’Oriente: regole e re<strong>al</strong>tà <strong>al</strong>imetari nel mondo bizantino, in Storia<br />

dell’<strong>al</strong>imentazione, p. 256).<br />

339 LIUTPRANDO, It<strong>al</strong>ia e Bisanzio, p. 219.<br />

340 R. DION, Histoire de la vigne et du vin en France des origines au XIX e siècle, Paris 1959, p. 188; anche T.<br />

UNWIN, Storia del vino. Geografie, culture e miti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità ai nostri giorni, Introduzione di F. Portinari,<br />

Roma 1993, pp. 133-134.<br />

321


322<br />

Si può anzi aggiungere che nella tradizione monastica vi è grande attenzione <strong>al</strong><br />

lavoro manu<strong>al</strong>e, sintetizzata nel precetto benedettino dell’«ora et labora», ma già<br />

Cassiodoro raccomandava ai monaci di coltivare il giardino e la vigna, di occuparsi<br />

del lavoro dei campi e gioire nel raccogliere i frutti della terra da essi stessi lavorata;<br />

nel De institutione divinarum litterarum ricordava pertanto ai fratelli l’utilità dei trattati<br />

agronomici antichi, che egli conosceva bene, presentandoli con abilità affinché<br />

anche loro ne facessero un uso sapiente 341 . Resta difficile stabilire però in qu<strong>al</strong>e<br />

misura i monaci mediev<strong>al</strong>i, che conoscevano e si tramandavano le sue opere, abbiano<br />

letto, studiato e applicato in concreto i consigli degli agronomi del passato. Di<br />

sicuro istruivano i loro coloni e sovrintendevano <strong>al</strong>la coltura delle loro vigne, <strong>al</strong>la<br />

vendemmia delle uve, <strong>al</strong> loro trattamento e <strong>al</strong>la preparazione dei vini, lavorando<br />

sovente in prima persona per il successo di t<strong>al</strong>i opere. «Costruì chiese e piantò<br />

vigne» è l’elogio fatto ad un monaco in un diploma carolingio e nell’iscrizione funebre<br />

di un abate milanese del IX secolo si legge che «piantò viti, olivi e <strong>al</strong>beri da frutto»,<br />

mentre san Gerardo di Angers (sec. XI-XII) viene presentato come ‘fratello<br />

dissodatore’ dell’abbazia di Saint-Aubin: «edificò un oratorio in onore di santa<br />

Mad<strong>d<strong>al</strong></strong>ena, coltivò la terra, creò un giardino e vi piantò delle vigne, vivendo come<br />

un eremita del lavoro delle sue mani, aiutato soltanto da pochi coloni» 342 .<br />

L’importanza delle tenute viticole monastiche, tuttavia, si accrebbe anche per<br />

il fatto che t<strong>al</strong>i vigneti restavano tra i possessi del medesimo proprietario per periodi<br />

molto lunghi, consentendo così l’investimento di cospicui capit<strong>al</strong>i per l’avvio di<br />

nuovi impianti, su cui erano garantite la continuità coltur<strong>al</strong>e e la possibilità di sperimentazioni<br />

produttive anche per periodi di tempo medio-lunghi; lavori di miglioramento<br />

e di qu<strong>al</strong>ificazione agraria che erano vissuti dai monaci come un’applicazione<br />

pratica della regola e un modo elettivo per mettere in atto la volontà di Dio.<br />

Nell’abbazia di S. S<strong>al</strong>vatore - S. Giulia di Brescia per fare solo un esempio, sia pure<br />

341<br />

CASSIODORO, De institutione divinarum litterarum, PL, 70, coll. 1142-1143. Sul lavoro dei monaci, invece,<br />

si veda J. DUBOIS, Le travail des moines au Moyen Age,in Le travail au Moyen Age. Une approche interdisciplinaire,<br />

Actes du Colloque internation<strong>al</strong> du Louvain-la-Neuve (21-23 mai 1987), a cura di J. Hamesse,<br />

C. Muraille-Samaran, Louvain-la-Neuve 1990 (Publications de l’Institut d’études médiév<strong>al</strong>es. Textes,<br />

études, congrès, 10), pp. 60-100; anche ARCHETTI, Scuola, lavoro e impegno pastor<strong>al</strong>e, pp. 93-103.<br />

342 Per gli esempi degli abati ‘viticoltori’, si veda PINI, Vite e vino, pp. 23, 65-66; per la Vita di san<br />

Gerardo di Angers che, posto a capo di un locus <strong>d<strong>al</strong></strong> suo abate, «terram excohuit, hortos et vineas<br />

plantavit et quasi eremita illic cum paucissimis agricolis manuum suarum labore vivere coepit», v.<br />

Vita sancti Gerardi confessoris, in Acta Sanctorum novembris, II/1, Bruxellis 1894, p. 495, cap. 6; inoltre,<br />

DUBOIS, Le travail des moines, pp. 81-82; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 480-482.


tra quelli più significativi 343 , sappiamo <strong>d<strong>al</strong></strong> polittico che fin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>to medioevo le<br />

monache avevano distribuito le colture a seconda della collocazione e della natura<br />

dei terreni; in particolare, nel caso della vite avevano concentrato le loro vigne più<br />

redditizie nell’area collinare della Franciacorta e delle Chiusure cittadine, ubicandole<br />

cioè nelle zone che i recenti studi di zonazione hanno dimostrato essere particolarmente<br />

‘vocate’ <strong>al</strong>la viticoltura. In queste stesse aree, tra XI e XIII secolo, si<br />

ebbe un forte ampliamento delle superfici vitate con l’introduzione precoce e la<br />

selezione di nuovi vitigni rispetto a quelli tradizion<strong>al</strong>i; si sviluppava così una produzione<br />

di qu<strong>al</strong>ità che consentiva <strong>al</strong> cenobio cittadino di ottenere uve, mosto e<br />

vino per le sue necessità interne e da destinare <strong>al</strong> mercato.<br />

La vita cenobitica imponeva ai suoi membri scelte di campo nette, che avevano<br />

precisi riflessi sul regime <strong>al</strong>imentare adottato, nel qu<strong>al</strong>e l’elemento forse più<br />

caratterizzante dato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’assenza di carne rossa era compensato da un apporto<br />

nutrizion<strong>al</strong>e prev<strong>al</strong>entemente vegetariano, ricco e bilanciato. L’atteggiamento nei<br />

confronti del vino appare invece fin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’inizio piuttosto controverso e oscillante<br />

tra negazione e tolleranza a motivo delle sue forti implicazioni liturgiche; ma<br />

a partire da san Benedetto il suo uso diventa di fatto comune a tutti i monasteri.<br />

A Montecassino, infatti, i fratelli possono bere in modo moderato e l’abate,<br />

interpretando i bisogni della sua comunità, ha l’autorità per integrare la quantità<br />

di vino giorn<strong>al</strong>iera destinata ai suoi monaci. Non è fuori luogo chiedersi, <strong>al</strong>lora,<br />

se un modello <strong>al</strong>imentare come quello monastico – basato su cere<strong>al</strong>i, legumi,<br />

verdura, frutta opportunamente abbinati a latticini e formaggi, pesce e uova, ma<br />

privo di carne rossa di quadrupedi – richieda l’impiego di vino per giungere a un<br />

giusto equilibrio dietetico e, di conseguenza, se l’<strong>al</strong>imentazione cenobitica abbia<br />

portato ad un incremento della produzione vinicola e della viticoltura. L’ipotesi<br />

non è oziosa e, se suffragata da dati scientifici – senza trascurare natur<strong>al</strong>mente<br />

gli espliciti riferimenti biblici, <strong>al</strong>la tradizione ascetica antica e ai modelli agiografici<br />

– spiegherebbe anche perché ogni qu<strong>al</strong>volta una comunità religiosa ha<br />

abbandonato l’uso del vino è poi incorsa in gravi problemi di s<strong>al</strong>ute, capaci di<br />

minacciarne la sua stessa sopravvivenza.<br />

D<strong>al</strong> punto di vista nutrizion<strong>al</strong>e la risposta è certo positiva, ma non riguarda<br />

in modo esclusivo i monaci. Bere vino nel medioevo era sovente più s<strong>al</strong>utare che<br />

343 Per la coltura viticola sui possedimenti giuliani in rapporto agli studi di zonazione, si veda G.<br />

ARCHETTI, Vite e territorio. Il caso della Franciacorta nel medioevo, in Territorio e vino. La zonazione strumento<br />

di conoscenza per la qu<strong>al</strong>ità, Atti del simposio internazion<strong>al</strong>e (Siena, 19-24 maggio 1998), Siena 1999, pp.<br />

43-54; ID., Tempus vindemie, pp. 223-224.<br />

323


324<br />

bere acqua, la cui potabilità era a rischio a causa dell’assenza di adeguate strutture<br />

igieniche e fognarie, mentre il mosto fermentando si sterilizzava da sé. Detto<br />

questo però va aggiunto che il vino possiede <strong>al</strong>meno due capacità operative: l’una<br />

derivante <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>col etilico, per cui si lega bene con i carboidrati; l’<strong>al</strong>tra, dovuta<br />

ai componenti non <strong>al</strong>colici (polifenoli, tannini e antociani), che si abbinano<br />

perfettamente <strong>al</strong>le proteine. Una delle ipotesi infatti, della minore longevità delle<br />

comunità che hanno abbandonato l’uso quotidiano del vino, come ci conferma<br />

Giorgio C<strong>al</strong>abrese 344 , «è suffragata <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che molti polifenoli modulano in<br />

modo assai equilibrato le membrane cellulari, specie dei neuroni»; di conseguenza<br />

se il vino è presente a stomaco pieno dà s<strong>al</strong>ute e facilita la digestione stimolando<br />

la secrezione di succhi gastrici, se invece è bevuto a digiuno può danneggiare.<br />

Il problema <strong>al</strong>lora non sta nel fatto se una dieta a base di carne richieda un<br />

apporto minore o maggiore di una dieta prev<strong>al</strong>entemente vegetariana come<br />

quella cenobitica, ma se nel corpo vengono introdotte proteine o grassi. Nel<br />

caso di proteine anim<strong>al</strong>i, essendo prive di zuccheri (se non addizionati <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esterno),<br />

esse attirano di più le bevande; il vino, tuttavia, per il suo stesso flavour si<br />

abbina meglio con i carboidrati, i legumi e i formaggi, che costituiscono la base<br />

della dieta monastica, fornendola di un energetico subito disponibile per l’organismo<br />

345 . La presenza, inoltre, di <strong>al</strong>cune sostanze particolari – come i polifenoli,<br />

il resveratrolo, la ciclossigenasi-2, ecc. – esercita una funzione protettiva sul cuore,<br />

sulle arterie e nella prevenzione di m<strong>al</strong>attie tumor<strong>al</strong>i per la benefica azione<br />

che esercitano sulle strutture cellulari ed enzimatiche.<br />

Natur<strong>al</strong>e completamento del pasto, il vino, se assunto con moderazione e<br />

con criterio, era considerato una creatura Dei che consentiva di apprezzare di più<br />

le vivande e di digerirle meglio, bevuto in maniera smodata si trasformava invece<br />

in un opus diaboli, aprendo la strada dell’ebbrezza fonte di tutti i vizi. Questo comportamento,<br />

dettato da equilibrio e buon senso, ha attirato l’attenzione della<br />

moderna scienza medica e dei nutrizionisti, i qu<strong>al</strong>i tendono a trattare il frutto della<br />

vite <strong>al</strong>la stregua di un v<strong>al</strong>ido integratore dei pasti e consigliano di consumarlo<br />

non solo in quantità moderate ma anche in rapporto <strong>al</strong>le necessità di ciascuno,<br />

344 Ringrazio il prof. Giorgio C<strong>al</strong>abrese dell’Università Cattolica di Piacenza, per queste osservazioni,<br />

comunica<strong>temi</strong> per via epistolare nel febbraio 2002.<br />

345 Non è forse superfluo ricordare che il vino in sé non dona un vero e proprio apporto nutritivo, <strong>al</strong><br />

contrario fornisce c<strong>al</strong>orie in abbondanza con conseguente apporto di energie, soprattutto di carattere<br />

nervoso. Un litro di vino di circa 12° gradi <strong>al</strong>colici, infatti, corrisponde a oltre 800 c<strong>al</strong>orie, mentre<br />

un vino liquoroso – si pensi <strong>al</strong> mellitum – può superare anche le 1700-2000 c<strong>al</strong>orie.


variabili cioè a seconda dell’età, del sesso, del tipo di lavoro e di condizioni<br />

ambient<strong>al</strong>i in cui vive. Uno o due bicchieri a pranzo e a cena dunque possono avere<br />

effetti benefici in quanto stimolano l’appetito e favoriscono la digestione; <strong>al</strong><br />

contrario, preso in eccesso, il vino può risultare dannoso nei confronti di diversi<br />

organi e apparati, qu<strong>al</strong>i il fegato, il sistema nervoso e quello cardio-circolatorio,<br />

vanificando così le sue proprietà antiossidanti. Si è inoltre compreso che l’azione<br />

benefica dell’<strong>al</strong>col presente nel vino risulta efficace fino <strong>al</strong>la soglia di un litro circa<br />

<strong>al</strong> giorno per un soggetto adulto in buona s<strong>al</strong>ute (un po’ di meno per le donne);<br />

una quantità che risulta quindi essere perfettamente in linea con l’antica<br />

misura dell’emina stabilita da Benedetto per i suoi monaci. Per t<strong>al</strong>e quantitativo<br />

però la gradazione <strong>al</strong>colica non deve superare i 12 gradi; di conseguenza, tanto<br />

più un fermentato è <strong>al</strong>colico e minore deve essere il consumo, a meno che non si<br />

provveda a temperarlo, come di norma accadeva in ambito cenobitico.<br />

Bere vino, tuttavia, non faceva solo bene <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute dei monaci ma anche <strong>al</strong><br />

loro umore; per questo erano permesse integrazioni e deroghe ai limiti imposti<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la regola quando giungeva un ospite, si celebrava una solennità liturgica o più<br />

semplicemente per rendere viva la comunione fraterna 346 . Il problema non era il<br />

fermentato d’uva – ribadisce il vescovo Burcardo –, per<strong>al</strong>tro utile a lenire le<br />

debolezze dei monaci che non sapevano privarsene, ma il suo desiderio che portava<br />

<strong>al</strong>l’incontinenza 347 .<br />

Nell’ascesi monastica, dunque, non erano tanto le prodezze <strong>al</strong>imentari individu<strong>al</strong>i<br />

a contare, ma l’obbedienza e il rispetto di misure, orari e <strong>al</strong>imenti ugu<strong>al</strong>i<br />

per tutti; la condanna di ogni intemperanza, e quindi dell’ubriachezza, restava<br />

sempre netta, mentre la sobrietà del nutrimento se risultava utile <strong>al</strong>la custodia<br />

346 Ciò v<strong>al</strong>eva anche per le comunità femminili, come precisa VALDEBERTO, Regula ad virgines, col.<br />

1062: «Si voluntas abbatisse fuerit, si labor, vel festus dies, vel hospites adventus pia precatio exagitaverit,<br />

vini potio augenda est». Secondo S<strong>al</strong>imbene de Adam, inoltre – ma siamo ormai in un contesto<br />

diverso da quello monastico –, quando il gener<strong>al</strong>e Giovanni da Parma si trovava a tavola e si<br />

accorgeva che «davanti a sé vi erano qu<strong>al</strong>ità diverse di buon vino, ne faceva mescere a tutti in misura<br />

ugu<strong>al</strong>e o versare nell’orciolo comune, perché tutti ne avessero nello stesso modo. E questa era<br />

considerata cortesia e carità grandissima» (SALIMBENE DE ADAM, Cronica, I, pp. 447 § 1402).<br />

347 Pur non essendo diretto ai monaci, il testo di Burcardo (Decretum, XIX, 32) riflette comunque una<br />

posizione gener<strong>al</strong>e relativa ai penitenti: «Chi per i suoi peccati digiuna una settimana intera, <strong>al</strong> sabato<br />

e <strong>al</strong>la domenica mangi e beva pure quanto gli verrà offerto, ma si astenga <strong>d<strong>al</strong></strong> rimpinzarsi e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ubriacarsi;<br />

è <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ubriachezza, infatti, che nasce ogni tipo di lussuria. Per questo san Paolo la proibì<br />

dicendo: Non inebriatevi con vino nel qu<strong>al</strong>e è ogni sfrenatezza (Ef 5, 18); non nel vino in sé è sfrenatezza<br />

ma nell’ubriacarsi» (A pane e acqua, p. 120).<br />

325


326<br />

della castità, non era meno indispensabile per una preghiera attenta e fervorosa.<br />

Immediato appare quindi il riferimento <strong>al</strong> passo paolino: non ubriacatevi di vino in<br />

cui è la lussuria (Ef 5, 18), ma anche <strong>al</strong>l’amara ironia di Bernardo di Chiarav<strong>al</strong>le<br />

verso i confratelli troppo indulgenti con il vino, ripresa da Pietro il Venerabile<br />

negli statuti cluniacensi da lui revisionati: «quando le vene saranno gonfie di vino<br />

e pulseranno per tutta la testa, che cos’<strong>al</strong>tro mi piacerà di fare, levandomi da<br />

tavola, se non di andare a dormire? Che se poi mi costringerai ad <strong>al</strong>zarmi per il<br />

mattutino, quando non ho ancora digerito il vino, non mi farai cantare ma piuttosto<br />

piangere» 348 .<br />

Faccio mio <strong>al</strong>lora, per concludere, un consiglio degli Apotegmata Patrum attribuito<br />

ad un vegliardo del deserto di Sceta, noto non tanto per aver rinunciato a<br />

bere vino nella sua vita, ma per questo detto: «Se un monaco beve più di tre coppe,<br />

non preghi per me!» 349 .<br />

348 S. BERNARDO, Apologia <strong>al</strong>l’abate Guglielmo, p. 197; Statuta Petri Venerabilis, pp. 50-51, statuto 11.<br />

349 Les apopthegmas, p. 234, cap. 4, 98.


NICOLANGELO D’ACUNTO*<br />

Il vino negato<br />

Riforma religiosa e astinenza nel <strong>Medioevo</strong> regolare<br />

Come ha osservato Massimo Montanari in pagine davvero esemplari, «il messaggio<br />

evangelico in rapporto <strong>al</strong> cibo è molto semplice e chiaro: non esistono <strong>al</strong>imenti<br />

buoni o cattivi, puri o impuri. Il cibo è una re<strong>al</strong>tà neutra e solo l’atteggiamento<br />

di chi mangia può conferire <strong>al</strong> gesto <strong>al</strong>imentare un v<strong>al</strong>ore positivo o negativo».<br />

Il cristianesimo, infatti, ruppe con la tradizione ebraica, fondata sulla distinzione<br />

tra <strong>al</strong>imenti puri e impuri e spostò «il baricentro del problema <strong>d<strong>al</strong></strong>l’oggetto<br />

<strong>al</strong> soggetto, <strong>d<strong>al</strong></strong> cibo consumato a colui che lo consuma». Per il Nuovo Testameno<br />

non v<strong>al</strong>e più «la diversificazione del regime <strong>al</strong>imentare come segno della<br />

distinzione etnica e religiosa», cosicché il cristianesimo invoca – tra le <strong>al</strong>tre cose –<br />

l’abolizione di ogni distinzione e di ogni barriera <strong>al</strong>imentare qu<strong>al</strong>e presupposto<br />

della propria univers<strong>al</strong>ità. Ne consegue che «una volta spostato il centro di gravità<br />

del problema <strong>d<strong>al</strong></strong>l’oggetto <strong>al</strong> soggetto, <strong>d<strong>al</strong></strong> cibo <strong>al</strong>l’uomo, quest’ultimo è davvero<br />

solo con la sua coscienza e con il suo appetito. Drammaticamente solo, perché la<br />

nuova religione lascia interamente a lui la responsabilità della scelta».<br />

Eppure – continua Montanari – la successiva vicenda dell’atteggiamento dei<br />

cristiani verso il cibo è la storia di un tradimento di questo messaggio, poiché<br />

«l’attenzione <strong>al</strong> consumo di carne (ma più in gener<strong>al</strong>e ai problemi del consumo<br />

<strong>al</strong>imentare) nei primi secoli cristiani si ingigantisce: le riflessioni dei Padri della<br />

Chiesa, le pratiche e gli esempi di vita dei primi asceti e dei primi monaci rivelano<br />

un’insistenza quasi ossessiva sui <strong>temi</strong> del cibo e della dietetica» 1 . Tutte queste<br />

1 M. MONTANARI, Il messaggio tradito. Perfezione cristiana e rifiuto della carne,in La sacra mensa. Condotte <strong>al</strong>imentari<br />

e pasti ritu<strong>al</strong>i nella definizione dell’identità religiosa, a cura di R. Alessandrini, M. Borsari, Modena<br />

1999, pp. 99-130 (per le citazioni pp. 99-100), che rinvia a J. SOLER, Sémiotique de la nourriture dans la<br />

Bible, «Ann<strong>al</strong>es E.S.C.», 28 (1973), pp. 943-955; ID., Le ragioni della Bibbia: le norme <strong>al</strong>imentari ebraiche,in<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia.<br />

327


328<br />

considerazioni v<strong>al</strong>gono anche per il consumo di vino, che non è vietato in sé e<br />

per sé ma solo se porta <strong>al</strong>l’ubriachezza, <strong>al</strong>la perdita del controllo di sé e delle proprie<br />

reazioni. Nelle epistole paoline i cristiani sono esortati a evitare la crapula e<br />

l’ebbrezza, tipiche dei pagani, ma il vino in sé non viene condannato; anzi, proprio<br />

l’Apostolo – come vedremo – introduce nella tradizione cristiana il v<strong>al</strong>ore<br />

terapeutico della bevanda, già elaborato <strong>d<strong>al</strong></strong>la cultura classica.<br />

Nel medioevo chi aspirava <strong>al</strong> rinnovamento della vita religiosa continuò a<br />

dibattersi in mezzo a queste aporie, secondo che pesasse la volontà di obbedire<br />

a un certo letter<strong>al</strong>ismo neotestamentario, con la conseguente ‘tolleranza del<br />

vino’, oppure il richiamo <strong>al</strong>la tradizione patristisca con la sua insistenza sulla<br />

inaccettabilità di certi <strong>al</strong>imenti e in particolare proprio della carne e del vino. Va<br />

detto, di passaggio, che se il rifiuto della carne poteva trovare a livello simbolico<br />

un pendant nel travisamento della distinzione paolina tra carne e spirito, per il<br />

vino il discorso si faceva estremamente pericoloso, dato il significato eucaristico<br />

della bevanda, che frenava in qu<strong>al</strong>che modo gli eccessi polemici.<br />

Pur con molte cautele il rifiuto del vino si andò configurando come una sorta<br />

di principio di individuazione di un modello di perfezione cristiana che percorse<br />

tutta la tradizione regolare dell’Occidente, pur affondando le sue radici nel<br />

monachesimo orient<strong>al</strong>e.<br />

Per converso il parzi<strong>al</strong>e superamento di questo paradigma si re<strong>al</strong>izzò nel<br />

basso medioevo in contesti che non a caso rinviavano <strong>al</strong>la grande trasformazione<br />

della spiritu<strong>al</strong>ità cristiana attuata dagli ordini mendicanti. A queste motivazioni<br />

spiritu<strong>al</strong>i si intrecciarono variamente inveterate abitudini <strong>al</strong>imentari e insieme<br />

con esse ragioni riconducibili <strong>al</strong>la ratio stessa di bilanci energetici incompatibili<br />

con la rinuncia <strong>al</strong> vino.<br />

Passare seppur corsivamente in rassegna gli atteggiamenti verso il vino elaborati<br />

dai riformatori della vita religiosa consente dunque di mettere in evidenza<br />

modelli di perfezione tra loro perfettamente <strong>al</strong>ternativi che furono riproposti<br />

con una certa regolarità nella storia, così da divenire ide<strong>al</strong>i verso i qu<strong>al</strong>i protendersi<br />

in vista della reformatio.<br />

Il termine stesso di ri-forma, com’è noto, presupponeva nella ment<strong>al</strong>ità<br />

medioev<strong>al</strong>e non un radic<strong>al</strong>e rinnovamento, ma piuttosto il ritorno a una ‘forma’<br />

anteriore di vita cristiana della qu<strong>al</strong>e si postulava la superiorità rispetto <strong>al</strong>la vera<br />

Storia dell’<strong>al</strong>imentazione, a cura di J.L. Flandrin, M. Montanari, Roma-Bari 1997, pp. 46-55; M. DOU-<br />

GLAS, Purezza e pericolo, Bologna 1993 (orig. Purity and Danger, London 1966).


o presunta corruzione presente. Ecco <strong>al</strong>lora la necessità di tornare a modelli <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

tradizione consolidata o quanto meno a t<strong>al</strong>uni loro moduli espressivi identificati<br />

o identificabili come denotanti.<br />

Per chiarire il senso di un discorso che rischia di cadere nell’astrazione,<br />

abbandono questa premessa ed entro subito in argomento. Le più vive correnti<br />

riformatrici del medioevo occident<strong>al</strong>e miravano prima di tutto a rigenerare le<br />

forme della vita religiosa. In t<strong>al</strong>e contesto – come ha giustamente osservato<br />

Carlo Delcorno in splendide pagine sulla fortuna mediev<strong>al</strong>e delle Vitae dei<br />

Padri del deserto – «la scelta dei cibi e l’<strong>al</strong>ternarsi delle stagioni definivano l’essenzi<strong>al</strong>e<br />

di quella cura corporis, <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e dipendeva gran parte della vita contemplativa»<br />

2 . Cura corporis nell’orizzonte della qu<strong>al</strong>e – aggiungo io – l’astensione<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vino costituì per secoli una sorta di principio di individuazione di un modello<br />

di santità e di vita cristiana fondato sull’ascesi e sulle privazioni, che conobbe<br />

ripetuti e più o meno riusciti tentativi di attu<strong>al</strong>izzazione nel corso del<br />

medioevo <strong>al</strong>l’interno di contesti apertamente riformatori. Proprio di <strong>al</strong>cuni di<br />

questi episodi vorrei occuparmi in queste pagine.<br />

Per descrivere il rifiuto del vino da parte del monachesimo orient<strong>al</strong>e basti<br />

quanto Domenico Cav<strong>al</strong>ca in pieno Trecento traduceva <strong>d<strong>al</strong></strong>la Vita Antonii:<br />

«Beeva un poco d’acqua; di carne, o di vino non è bisogno ch’io ne faccia menzione,<br />

perocché appo i monaci di quella contrada cot<strong>al</strong>i vivande né si usano né<br />

si truovano» 3 . Un modello di astinenza, questo, che conobbe una fortuna diuturna<br />

e diffusa, <strong>al</strong>meno tanto quanto lo furono le resistenze che nello stesso<br />

mondo dei religiosi esso incontrò.<br />

Anche san Benedetto si rassegnava a trovare soluzioni di compromesso:<br />

«Per quanto si legga che il vino non è fatto per i monaci [è chiaro a qu<strong>al</strong>i letture<br />

si riferisse: le già citate Vitae patrum e la regola di Basilio], siccome oggi non è<br />

facile convincerli di questo, mettiamoci d’accordo sulla necessità di non bere<br />

fino <strong>al</strong>la sazietà» (Regula Benedicti, cap. 39). Da una parte l’ide<strong>al</strong>e dell’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

vino, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra l’incapacità dei contemporanei di Benedetto di farne a meno.<br />

Non a caso – e qui cito nuovamente Delcorno – «nasceva, proprio <strong>d<strong>al</strong></strong>la lettura<br />

dei libri che illustravano le più significative e varie esperienze del monache-<br />

2 C. DELCORNO, Introduzione, in DOMENICO CAVALCA, Cinque vite di eremiti <strong>d<strong>al</strong></strong>le «Vite dei santi padri», a<br />

cura di C. Delcorno, Venezia 1992, p. 11.<br />

3 Vita di Antonio, in CAVALCA, Cinque vite di eremiti, p. 101. Cfr. Vita di Ilarione: p 157: «Bevea dell’acqua»;<br />

per il modello di astinenza <strong>al</strong>imentare di Ilarione si v. anche Ibid., p. 159.<br />

329


330<br />

simo orient<strong>al</strong>e, l’idea di una nuova forma di vita religiosa, aggressivamente polemica<br />

nei confronti del vecchio cenobitismo benedettino» 4 .<br />

Tra i molti riferimenti <strong>al</strong>le Vitae patrum che sostanziano e definiscono la cifra<br />

della proposta monastica di Romu<strong>al</strong>do di Ravenna – tutti attentamente censiti<br />

nel bellissimo commento che accompagna l’edizione della damianea Vita<br />

Romu<strong>al</strong>di procurata da Giovanni Tabacco 5 – il tema dell’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino ricorre<br />

con una certa frequenza. Scrivendo l’agiografia del proprio maestro spiritu<strong>al</strong>e<br />

Pier Damiani, nel 1042, ricordava che nell’eremo di Sitria, <strong>al</strong>le pendici del Monte<br />

Catria, divenuto un novello deserto di Nitria, «vinum ibi nemo noverat ne si<br />

etiam gravissimam quis aegritudinem pateretur» 6 . La precisazione conclusiva si<br />

spiega <strong>al</strong>la luce della concezione medicin<strong>al</strong>e del vino che il medioevo aveva ereditato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> mondo antico. Così Isidoro di Siviglia nelle Etymologiae affermava che<br />

«vinum inde dictum quod eius potus venas sanguine cito repleat» 7 . Insomma –<br />

mi sia perdonata l’irruzione della cultura popolare – «il vino fa sangue».<br />

In particolare negli ambienti religiosi ed ecclesiastici si ripeteva il richiamo <strong>al</strong>la<br />

prima lettera a Timoteo, il qu<strong>al</strong>e fu esortato da Paolo a smettere di bere soltanto<br />

acqua e a prendere anche un po’ di vino per favorire la digestione, dato che spesso<br />

era amm<strong>al</strong>ato (1 Tim 5, 23). In Romu<strong>al</strong>do, nella cui Vita è inserito l’implicito rifiuto<br />

di questa concessione paolina, l’ancor giovane Pier Damiani trovava (o ‘voleva’<br />

trovare) il modello più <strong>al</strong>to di vita monastica, di fatto coincidente con l’eremitismo<br />

dei Padri del deserto. Il rinnovamento del monachesimo passava dunque attraverso<br />

il recupero della disciplina del corpo di matrice orient<strong>al</strong>e, fatta di privazioni <strong>al</strong>imentari<br />

e preghiera incessante, arricchita <strong>d<strong>al</strong></strong>la pratica quotidiana della flagellazione.<br />

Divenuto priore dell’eremo di Fonte Avellana, nelle attu<strong>al</strong>i Marche, il<br />

Damiani provò a mettere in pratica integr<strong>al</strong>mente questo modello e l’astinenza<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vino divenne un elemento tipico di quella comunità. Infatti un non meglio<br />

precisato eremita Guglielmo aveva promesso di ritirarsi a Fonte Avellana, ma<br />

non aveva mantenuto l’impegno proprio perché intimorito <strong>d<strong>al</strong></strong>l’assoluto divieto<br />

4 DELCORNO, Introduzione,p.13.<br />

5<br />

PIER DAMIANI, Vita beati Romu<strong>al</strong>di, a cura di G. Tabacco, Roma, 1957 (<strong>Fonti</strong> per la storia d’It<strong>al</strong>ia,<br />

54).<br />

6<br />

PIER DAMIANI, Vita Romu<strong>al</strong>di, cap. 64, p. 105. Altri riferimenti <strong>al</strong>l’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino: cap. 27, p. 57;<br />

cap. 67, p. 110, ove si narra che nell’eremo giunsero del cibo e del vino, necessari quanti inaspettati,<br />

ma entrambi profetizzati da Romu<strong>al</strong>do; Pier Damiani significativamente e con qu<strong>al</strong>che pudore riferisce<br />

che gli eremiti mangiarono le vivande, ma non accenna neppure a qu<strong>al</strong>e fine fece il vino!<br />

7<br />

ISIDORO DI SIVIGLIA, Etymologiae 20, 3, 2, PL 82, Parisiis 1887, col. 711.


di bere vino che colà vigeva. Lo apprendiamo da una splendida lettera giovanile<br />

del Damiani, scritta prima del giugno 10458 , ove Guglielmo è dipinto come il<br />

soldato di Cristo che sta per uscire a compiere grandi imprese, ma è trattenuto<br />

nelle pareti domestiche <strong>d<strong>al</strong></strong>la femminile blandizia del gusto del vino. Gli <strong>al</strong>tri torneranno<br />

onusti di gloria. Egli, invece, si vergognerà e quel goccio di vino gli<br />

costerà a t<strong>al</strong> punto che preferirà aver bevuto veleno! Segue un ricco repertorio di<br />

citazioni bibliche sul vino. Se Proverbi 23, 29-30 promette guai a «quelli che si<br />

perdono dietro <strong>al</strong> vino e si studiano di vuotare più bicchieri», <strong>al</strong>lora «a coloro che<br />

per amore di Dio bevono acqua soltanto è promessa per certo la felicità». Per<br />

non sprecare l’efficacia del passo scrittur<strong>al</strong>e, il Damiani completa la citazione:<br />

«Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nella coppa. Scende giù piano<br />

piano, ma finirà con il morderti come un serpente e spandere veleno come una<br />

vipera (Pr 23, 31-32)».<br />

La tradizione cristiana si dibatte, però, tra la condanna veterotestamentaria del<br />

vino (gener<strong>al</strong>izzata, pur con qu<strong>al</strong>che eccezione), la sua riv<strong>al</strong>utazione operata<br />

dagli evangelisti (superfluo ricordare le nozze di Cana e l’istituzione dell’eucaristia)<br />

e la posizione più sfumata di Paolo, che se da un lato eredita la concezione<br />

medicin<strong>al</strong>e del vino, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro lo condanna come fonte di immor<strong>al</strong>ità. Pier<br />

Damiani, pienamente consapevole della multiformità di queste tradizioni, si<br />

guarda bene <strong>d<strong>al</strong></strong>l’offrire il fianco a chi, Scrittura <strong>al</strong>la mano, lo potrebbe smentire.<br />

Sentiamo <strong>al</strong>lora questa sottilissima precisazione:<br />

«Del resto, io non intendo parlar di una t<strong>al</strong>e bevanda quasi per screditare una creatura<br />

di Dio, che senza dubbio è buona; ma sappiamo bene che a noi monaci è prescritto di<br />

porre in seconda linea vino, carne, matrimonio e molte <strong>al</strong>tre simili cose, così che, astenendoci<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le creature, possiamo piacere maggiormente <strong>al</strong> Creatore» 9 .<br />

Il vino, in quanto creatura di Dio, è senza dubbio una cosa buona, ma l’astinenza<br />

da esso mette i monaci nella condizione di aspirare a una forma speci<strong>al</strong>e di<br />

perfezione. Pier Damiani immagina il mancato eremita Guglielmo mentre protesta<br />

appellandosi <strong>al</strong>la solita concezione medicin<strong>al</strong>e del vino:<br />

«Ma forse dirai: mi fa m<strong>al</strong>e la testa, sono amm<strong>al</strong>ato di stomaco. Questi sono gli espedienti<br />

dei fiacchi, queste le scuse dei monaci che vivono secondo la carne; poiché<br />

8<br />

PIER DAMIANI, Lettera 10, in ID., Lettere (1-21), I, a cura di G.I. Gargano, N. D’Acunto, Roma 2000,<br />

pp. 270-283.<br />

9 Ivi, pp. 271-273.<br />

331


332<br />

anche l’acqua ristora i m<strong>al</strong>ati e il vino spesso li uccide, è evidente che t<strong>al</strong>i scuse sono<br />

molto inconsistenti» 10 .<br />

Segue una raffica impressionante di citazioni bibliche contro il vino, utilizzate con<br />

grande maestria. Giacomo di Alfeo, Noè, Lot e S<strong>al</strong>omone affollano la scena e<br />

preparano l’affondo fin<strong>al</strong>e contro chi si appellava <strong>al</strong>la già citata lettera a Timoteo:<br />

«Dio volesse, fratello, che sapessimo a memoria le <strong>al</strong>tre sentenze della S. Scrittura che<br />

raccomandano il digiuno, come sappiamo a memoria questa unica, che a motivo di<br />

discrezione mitiga il rigore dell’astinenza! Perché non ricordiamo nello stesso modo<br />

ciò che lo stesso Paolo dice <strong>al</strong>trove: Non ubriacatevi di vino, in cui è la lussuria (Ef 5, 18)» 11 .<br />

Dopo aver snocciolato un’<strong>al</strong>tra corona di passi biblici contro il vino, che fanno<br />

di questa lettera un vero e proprio repertorio sull’argomento, il Damiani osserva<br />

con perfidia che Paolo permetteva a Timoteo di bere vino «con condiscendenza»<br />

(indulgentia, nel testo) e che in questi casi<br />

«spesso è meglio se il discepolo umilmente tr<strong>al</strong>ascia il comando che se obbedisce prontamente»<br />

12 .<br />

Per chi disattende siffatti precetti si deve anzi parlare di «felice disubbidienza»,<br />

lautamente ricompensata <strong>d<strong>al</strong></strong> giudice divino, per cui è meglio che i monaci non<br />

bevano vino. Il discorso, che si snoda con grande finezza tra il serio e il faceto,<br />

si conclude con questa chicca, che rende ragione del gusto tutto mediev<strong>al</strong>e per i<br />

par<strong>al</strong>lelismi:<br />

«Da molto tempo, fratello carissimo, con la gola riarsa, ero assetato di parlarti; ora, colta<br />

l’occasione, dopo aver tenuto lontano il vino <strong>d<strong>al</strong></strong>la mensa dei monaci, mi sono saziato<br />

agli abbondanti rivoli della parola» 13 .<br />

Nella lettera 44 <strong>al</strong>l’eremita cittadino Teuzone, l’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino si configura<br />

come un vanto per Fonte Avellana, a segno dell’<strong>al</strong>meno temporaneo successo<br />

della scelta damianea:<br />

«Il non conoscere vino infatti, in una città, si reputa un portento; mentre il berne nell’eremo<br />

è cosa semplicemente ignobile» 14 .<br />

10 Ivi, p. 277.<br />

11 Ivi, p. 279.<br />

12 Ivi, pp. 279-280.<br />

13 Ivi, p. 283.<br />

14<br />

PIER DAMIANI, Lettera 44, in ID., Lettere (41-67), III, a cura di G.I. Gargano, N. D’Acunto, Roma<br />

2002, pp. 60-61.


E ancora:<br />

«Lupo, in re<strong>al</strong>tà vero agnello di mansuetudine, già prima di rinchiudersi, senza più<br />

uscirne, nel carcere della cella che ora abita per amore di eterna libertà, per tutto un<br />

periodo di circa tre anni di seguito non bevve vino (...) Vidi io stesso un monaco eremita<br />

che conduceva una vita molto rigida e austera; egli, p<strong>al</strong>lido in volto, tutto consunto<br />

nella carne, con gli occhi fissi a terra, sembrava morto <strong>al</strong> mondo: non aveva assaggiato<br />

vino da più di dieci anni» 15 .<br />

In poco tempo tuttavia, le resistenze <strong>al</strong>la ‘linea dura’ di Pier Damiani ebbero la<br />

meglio anche tra gli eremiti di Fonte Avellana, tanto che il priore fu costretto a<br />

fare marcia indietro. A meno di dieci anni <strong>d<strong>al</strong></strong>la citata lettera <strong>al</strong>l’eremita Guglielmo,<br />

in una ‘regola’ che codificava le consuetudini dell’eremo, il Damiani ricostruiva<br />

sconsolato la vicenda:<br />

«D<strong>al</strong> vino (...) per un po’ di tempo ci siamo astenuti; cosicché neppure i laici né gli ospiti<br />

venuti da fuori bevevano nient’<strong>al</strong>tro che acqua, anche nella Pasqua del Signore. Il<br />

vino non lo si utilizzava, qui, se non per il sacrificio della messa».<br />

Torna quindi la concezione medicin<strong>al</strong>e del vino:<br />

«Ma poiché anche quelli che qui dimorano cominciavano ad indebolirsi e ad amm<strong>al</strong>arsi,<br />

ed <strong>al</strong>tri che desideravano venire <strong>al</strong>l’eremo sentivano assoluta ripugnanza verso<br />

un’osservanza di t<strong>al</strong>e rigore, noi ci siamo determinati ad indulgere <strong>al</strong>la debolezza dei<br />

fratelli, o, più esattamente, <strong>al</strong>la debolezza di tutti, concedendo che se ne potesse distribuire,<br />

per cui qui si può bere vino mantenendo sobrietà e moderazione».<br />

Considerato l’apporto c<strong>al</strong>orico pressoché nullo determinato <strong>d<strong>al</strong></strong>la dieta rigidissima<br />

degli eremiti dell’Avellana, ci si accorge che il vino, lungi <strong>d<strong>al</strong></strong> costituire un<br />

complemento dell’<strong>al</strong>imentazione, ne era divenuto un cardine. Così anche il<br />

Damiani si vide costretto ad appellarsi <strong>al</strong> precetto paolino per Timoteo, che<br />

incautamente aveva rigettato nel 1045:<br />

«Così, non potendo eliminarlo del tutto come Giovanni il Battista, cerchiamo <strong>al</strong>meno<br />

con Timoteo, discepolo di Paolo, di accordarlo con sobrietà e umiltà <strong>al</strong>lo stomaco<br />

debole (cfr. 1 Tm 5, 23): non potendo essere astinenti del tutto, cerchiamo <strong>al</strong>meno<br />

d’essere sobri» 16 .<br />

15 Ivi, pp. 66-67.<br />

16 PIER DAMIANI, Lettera 18, in ID., Lettere, I, pp. 331-333.<br />

333


334<br />

Che Pier Damiani vivesse questa situazione come uno scacco lo dimostra la ripetizione<br />

quasi letter<strong>al</strong>e di questo segmento della lettera 18 che si trova nella numero<br />

50, la seconda regola per i suoi eremiti, scritta nel 105717 . Sebbene anche a Fonte<br />

Avellana t<strong>al</strong>uni, non bevendo vino, continuassero a imitare <strong>al</strong>la lettera il remoto<br />

modello di austerità dei Padri del deserto18 , Pier Damiani si vide costretto a distinguere<br />

la vita eremitica da quella degli anacoreti, quasi a rimarcare la distanza tra il<br />

modello di santità dei Padri del deserto, a cui si poteva solo guardare con rispetto,<br />

e quello tutto sommato compromissorio che egli stesso era riuscito a re<strong>al</strong>izzare:<br />

«Ma noi, ai santi anacoreti, che ai nostri tempi son pochi o forse nessuno, soltanto<br />

dimostriamo riverenza, mentre, con questa nostra trattazione consideriamo solo gli<br />

eremiti» 19 .<br />

D<strong>al</strong>l’imitazione <strong>al</strong>l’ammirazione<br />

T<strong>al</strong>e passaggio <strong>d<strong>al</strong></strong>l’imitazione del modello anacoretico <strong>al</strong>la semplice ammirazione<br />

fu non più praticato obtorto collo ma espressamente teorizzato nel basso<br />

medioevo, quando, secondo Delcorno, «come già nel secolo XI il riferimento <strong>al</strong><br />

monachesimo orient<strong>al</strong>e implicava, e mascherava, un richiamo <strong>al</strong>le origini evangeliche,<br />

operazione troppo compromessa dai movimenti eretic<strong>al</strong>i» 20 . Capisco che<br />

potrebbe far storcere il naso l’idea di inserire pacificamente nell’<strong>al</strong>veo della presente<br />

relazione la novità rappresentata dagli ordini mendicanti, ma nulla impedi-<br />

17<br />

PIER DAMIANI, Lettera 50, in ID., Lettere, III., pp. 156-157: «D<strong>al</strong> vino, per parecchio tempo ce ne<br />

astenemmo, tanto che qui anche i laici e gli ospiti, persino il giorno di Pasqua, non bevevano <strong>al</strong>tro<br />

che acqua; non si teneva qui vino fuorché per il sacrificio della messa. Ma poiché quelli che dimoravano<br />

in questo luogo cominciarono ad illanguidirsi e a venir meno ed <strong>al</strong>tri che desideravano passare<br />

<strong>al</strong>la vita eremitica sembrava si spaventassero di una vita tanto rigorosa, accondiscendendo <strong>al</strong>la debolezza<br />

di <strong>al</strong>cuni confratelli, o per esser più sincero, <strong>al</strong>la debolezza di tutti noi, permettemmo che, per<br />

quanto con moderazione e sobrietà, si bevesse del vino. E così, non potendo con Giovanni eliminarlo<br />

del tutto, ci si ricordi <strong>al</strong>meno con Timoteo, discepolo di Paolo, di servire <strong>al</strong> nostro stomaco<br />

infermo con parsimonia e con umiltà; e, visto che non possiamo essere as<strong>temi</strong> del tutto, si cerchi<br />

<strong>al</strong>meno con zelo di essere sobri».<br />

18 Ivi, pp. 164-167: «Vi sono <strong>al</strong>cuni tra noi, i qu<strong>al</strong>i, tra le <strong>al</strong>tre mortificazioni, si astengono <strong>d<strong>al</strong></strong> bere<br />

vino con un t<strong>al</strong>e rigore, che da quasi dieci anni non ne assaggiano più neppure nelle feste pasqu<strong>al</strong>i.<br />

Di questi, <strong>al</strong>cuni sono ancora nel fiore degli anni giovanili, <strong>al</strong>tri invece hanno già varcato la soglia di<br />

una veneranda vecchiaia. T<strong>al</strong>uni si privano persino dell’uva e dell’aceto».<br />

19 Ivi, pp. 148-151.<br />

20 DELCORNO, Introduzione,p.18.


sce di considerarli semplicemente come una riforma della vita regolare. Il modello<br />

della santità anacoretica, e insieme con esso la riproposizione del tema dell’astinenza<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vino, penetrarono sia nell’agiografia latina, sia nella cultura religiosa<br />

dei laici attraverso i volgarizzamenti delle Vitae patrum. Inevitabilmente t<strong>al</strong>e plur<strong>al</strong>ità<br />

dei destinatari determinò una grande variabilità negli accenti con i qu<strong>al</strong>i<br />

quelle tematiche venivano di volta in volta declinate. Sia a Francesco che a Domenico<br />

gli agiografi attribuirono l’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino. Per esempio, Bonaventura non<br />

resiste <strong>al</strong>la topica agiografica dei Padri del deserto e a proposito dei digiuni di<br />

Francesco dice che non si deve nemmeno parlare di vino, visto che il santo «a<br />

m<strong>al</strong>apena, quando si sentiva bruciare <strong>d<strong>al</strong></strong>la sete, osava dissetarsi con l’acqua» 21 .<br />

Per i fondatori dei due maggiori ordini mendicanti gli agiografi e i predicatori<br />

ammettevano l’uso del vino soltanto a scopo terapeutico. Tommaso da Celano<br />

22 e Bonaventura 23 attribuirono <strong>al</strong> Poverello il miracolo della trasformazione<br />

dell’acqua in vino, secondo un procedimento abitu<strong>al</strong>e dell’agiografia occident<strong>al</strong>e,<br />

che qui assume un significato particolare <strong>al</strong>la luce della concezione che vedeva<br />

in Francesco un <strong>al</strong>ter Christus. Amm<strong>al</strong>atosi nell’eremo di Sant’Urbano, presso<br />

Narni, il santo chiese un po’ di vino e, siccome non ce n’era, benedisse l’acqua<br />

col segno della croce e la trasformò in «ottimo vino», per guarire subito dopo.<br />

Anche san Domenico, secondo Giordano da Pisa 24 , si era astenuto per dieci<br />

anni <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, ma amm<strong>al</strong>atosi, ricevette da un vescovo l’ordine di berne, sia pure<br />

annacquato, per s<strong>al</strong>varsi la vita. P<strong>al</strong>ese e quasi letter<strong>al</strong>e il par<strong>al</strong>lelo con la lettera a<br />

Timoteo. Insomma, la eco del paradigma anacoretico dell’astinenza si accompagna<br />

a richiami <strong>al</strong>l’eredità biblica, che ne attenuano il rigore senza sminuire la<br />

misura delle privazioni che il santo, per essere t<strong>al</strong>e, doveva sopportare.<br />

La perdurante fascinazione esercitata dai Padri del deserto sulla spiritu<strong>al</strong>ità<br />

mediev<strong>al</strong>e e <strong>d<strong>al</strong></strong> modello agiografico a loro ispirato trova poi una sorprendente<br />

21 BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Legenda maior sancti Francisci,5,1,in Fontes Franciscani, a cura di E.<br />

Menestò e <strong>al</strong>tri. Assisi 1995, pp. 813-814; trad. it. in <strong>Fonti</strong> Francescane. Scritti e biografie di san Francesco<br />

d’Assisi. Cronache e testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di Chiara d’Assisi, Assisi 1977,<br />

p. 871; IDEM, Legenda minor, 3, 1, in Fontes Franciscani, p. 980; trad. it. in <strong>Fonti</strong> Francescane, pp. 1031-1032.<br />

22<br />

TOMMASO DA CELANO, Vita prima sancti Francisci, 21, 61, in Fontes Franciscani, pp. 336-337; trad. it. in<br />

<strong>Fonti</strong> Francescane. p. 460.<br />

23 BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Legenda maior sancti Francisci, 5, 10, in Fontes Franciscani, a cura di E.<br />

Menestò e <strong>al</strong>tri. Assisi 1995, p. 821; trad. it. in <strong>Fonti</strong> Francescane. pp. 878-879.<br />

24 Esempi, 28, L’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, in Racconti esemplari e predicatori del Due e Trecento, a cura di G. Varanini,<br />

G. B<strong>al</strong>dassarri, S<strong>al</strong>erno 1993.<br />

335


336<br />

conferma in un <strong>al</strong>tro episodio dell’agiografia francescana vicina agli Spiritu<strong>al</strong>i,<br />

quella della Compilatio Assisiensis 25 e dello Speculum perfectionis 26 . In entrambi i florilegi<br />

compare la pericope del miracolo della vigna di S. Fabiano. Francesco era<br />

ospite di un prete secolare nei pressi di Rieti, ove risiedeva la curia di Onorio III.<br />

Per questo molti ecclesiastici visitavano il santo. Il prete che lo ospitava possedeva<br />

una vigna che i visitatori depredavano: «Chi coglieva grappoli e se li piluccava<br />

sul posto, chi li pigliava per portarseli via, <strong>al</strong>tri c<strong>al</strong>pestavano il terreno». Il<br />

prete cominciò ad agitarsi: «Quest’anno il raccolto è perduto. Per quanto piccola,<br />

la vigna mi dava il vino sufficiente <strong>al</strong> mio bisogno». Sentito questo lamento,<br />

Francesco rassicurò il prete di Rieti. Se avesse raccolto meno di venti some d’uva,<br />

gliele avrebbe rifuse, anche se il raccolto in condizioni norm<strong>al</strong>i a stento raggiungeva<br />

le tredici some <strong>al</strong>l’anno. La vigna, per quanto devastata, produsse non<br />

meno di venti some. Caso del tutto eccezion<strong>al</strong>e, perché in condizioni norm<strong>al</strong>i la<br />

vigna non avrebbe potuto produrre tanto.<br />

A proposito di questa narrazione si potrebbero fare dei c<strong>al</strong>coli sul consumo<br />

di vino del prete di Rieti, partendo <strong>d<strong>al</strong></strong>la misura del raccolto sperato in rapporto<br />

con il vino che se ne sarebbe potuto produrre, nonché <strong>d<strong>al</strong></strong>l’estensione presunta<br />

della vigna: tutti c<strong>al</strong>coli utili per la storia della re<strong>al</strong>tà effettu<strong>al</strong>e del vino. Tuttavia a<br />

me preme in questa sede rimarcare come dietro questa narrazione apparentemente<br />

innocente pesi ancora una volta l’intertestu<strong>al</strong>ità agiografica 27 . Infatti il<br />

miracolo della vigna di S. Fabiano richiama molto da vicino un episodio della vita<br />

di Ilarione: il santo anacoreta fece visita a un monaco avaro. Questi, per evitare<br />

che gli accompagnatori di Ilarione gli devastassero la vigna, vi pose dei guardiani<br />

che impedissero l’accesso. Ilarione rifiutò quell’ospit<strong>al</strong>ità e si recò da un <strong>al</strong>tro<br />

monaco, più generoso, che natur<strong>al</strong>mente ebbe un raccolto assai più abbondante<br />

di quello dell’avaro, il cui poco vino si sarebbe addirittura tramutato in aceto 28 .<br />

L’agiografia francescana ci mostra dunque che il modello di santità dei Padri del<br />

deserto, pur se in filigrana, costituì un punto di riferimento costante per il cristianesimo<br />

mediev<strong>al</strong>e anche quando le trasformazioni profonde della spiritu<strong>al</strong>ità<br />

25 Compilatio Assisiensis, 67, in Fontes Franciscani, pp. 1567-1569.<br />

26 Speculum perfectionis, 104, in Fontes Franciscani, pp. 2019-2020; trad. it. in <strong>Fonti</strong> Francescane, pp. 1417-1418.<br />

27 Si veda in proposito E. PRINZIVALLI, Un santo da leggere: Francesco d’Assisi nel percorso delle fonti agiografiche,<br />

in Francesco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana, Torino 1997, pp. 71-116.<br />

28 Vita Hilarionis, 17, 1, in Vita di Martino, Vita di Ilarione, In memoria di Paola, testo critico e commento<br />

a cura di A.A.R. Bastiansen, J.W. Smit, Milano 1975, p. 110.


ichiesero notevoli innovazioni nel linguaggio agiografico29 . A differenza del loro<br />

fondatore, i francescani – le cui gesta potevano essere narrate con accenti meno<br />

vincolati <strong>d<strong>al</strong></strong>la topica corrente – consumavano tranquillamente vino, anche se l’agiografia<br />

mostra qu<strong>al</strong>che imbarazzo. Per esempio la Compilatio Assisiensis in Legenda<br />

Perusina 26 (1573, p. 1191) narra che <strong>al</strong>cuni frati che dimoravano con Francesco<br />

nel romitorio di Fonte Colombo presso Rieti portarono quel poco di pane e<br />

di vino che avevano <strong>al</strong> medico che curava il santo, vergognandosi di ospitarlo tanto<br />

indegnamente. A trarli d’impaccio giunse una donna che recava molte vivande,<br />

grappoli d’uva, ma non vino30 . C’è qui un certo pudore a parlare della bevanda,<br />

sebbene la dotazione inizi<strong>al</strong>e della tavola imbandita per il medico la comprendesse,<br />

a segno del fatto che rientrava nel consumo corrente della comunità.<br />

Conferma questa impressione Giacomo da Vitry, il qu<strong>al</strong>e nel secondo dei<br />

suoi sermoni ad Fratres Minores31 , commentando Ger 35, 6-7, paragona Francesco<br />

a Jonadab e i frati ai Recabiti, per richiamarli <strong>al</strong> senso letter<strong>al</strong>e dell’osservanza<br />

della povertà. Per questo vieta la costruzione di case e la coltivazione di vigne,<br />

ma sul consumo di vino è singolarmente elusivo.<br />

Anche nel Sacrum commercium <strong>al</strong>la povertà che li interroga i frati rispondono<br />

citando Sir 29,2:<br />

«Signora nostra, vino non ne abbiamo, perché indispensabili <strong>al</strong>la vita dell’uomo sono il<br />

pane e l’acqua, e non è bene che tu beva vino, perché la sposa di Cristo deve fuggire il<br />

vino come fosse veleno» 32 .<br />

La re<strong>al</strong>tà veniva qui volutamente travisata per proiettare il quotidiano dei minori<br />

in un’aura di perfetta povertà, ma <strong>al</strong>tre fonti sono più sincere nel confessare il<br />

consumo di vino da parte dei seguaci di Francesco. Per esempio l’autore della<br />

Passione di san Verecondo della seconda metà del Duecento, composta nell’omonimo<br />

monastero, sito nei dintorni di Gubbio, si muove con qu<strong>al</strong>che imbarazzo e si<br />

appella solo <strong>al</strong>l’uso medicin<strong>al</strong>e del vino: vicino <strong>al</strong> cenobio Francesco celebrò il<br />

capitolo dei primi trecento frati e per l’occasione l’abate li rifornì di «pane di<br />

orzo, frumento, sorgo e miglio, acqua limpida per bere e vino di mele diluito con<br />

29 Per la bibliografia relativa a questo confronto si veda DELCORNO, Introduzione,p.15.<br />

30 Compilatio Assisiensis, 67, in Fontes Franciscani, pp. 1569-1571.<br />

31 GIACOMO DI VITRY, Sermones ad Fratres Minores, «An<strong>al</strong>ecta Ordinis Minorum Capuccinorum», 19<br />

(1903), pp. 114-122, trad. it. in <strong>Fonti</strong> Francescane, pp. 1940-1941.<br />

32 Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate, in Fontes Franciscani, cap. 30, p. 1730; trad. it.<br />

in <strong>Fonti</strong> Francescane, p. 1662.<br />

337


338<br />

acqua», ma quest’ultima bevanda era destinata solo «ai più deboli» 33 . Di ben<br />

diverso tenore la testimonianza di S<strong>al</strong>imbene de Adam, il qu<strong>al</strong>e, fin<strong>al</strong>mente e del<br />

tutto libero dai condizionamenti del linguaggio agiografico, riferisce che il gener<strong>al</strong>e<br />

Giovanni da Parma era persona assai ‘cortese’: quando visitava un convento<br />

e si accorgeva che <strong>al</strong>la sua mensa c’era un vino migliore degli <strong>al</strong>tri, «ne faceva<br />

mescere ugu<strong>al</strong>mente a tutti oppure lo versava in una brocca perché tutti ne bevessero.<br />

E questa era ritenuta cortesia e carità grandissima» 34 . Qui l’uso del vino è<br />

pacificamente accolto. Semmai il v<strong>al</strong>ore da es<strong>al</strong>tare, come ha mostrato in uno<br />

splendido studio Cinzio Violante, era la curi<strong>al</strong>itas, che si esprimeva nella generosità<br />

con la qu<strong>al</strong>e si usava del vino 35 . Siamo dunque in una prospettiva etica completamente<br />

rib<strong>al</strong>tata rispetto ai v<strong>al</strong>ori biblici. La narrazione di S<strong>al</strong>imbene dimostra<br />

che il modello dei Padri del deserto è stato soppiantato – nel più estremo dei casi,<br />

rappresentato appunto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’acuto cronista francescano – dai v<strong>al</strong>ori cortesi, penetrati<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la società <strong>al</strong>l’interno dell’Ordine dei minori. Certo è che il cronista non<br />

può essere assunto a modello della gener<strong>al</strong>e concezione del vino in ambito francescano,<br />

vista l’eccezion<strong>al</strong>ità della sua figura, che possiamo considerare una sorta<br />

di situazione-limite della compenetrazione di ide<strong>al</strong>i cortesi e ment<strong>al</strong>ità minoritica.<br />

I domenicani nelle Vitae fratrum di Gerardo di Frachet si presentavano come<br />

i nuovi padri del deserto insistendo sullo zelo pastor<strong>al</strong>e degli antichi monaci<br />

orient<strong>al</strong>i 36 . Ma anche tra i seguaci di san Domenico il dovere dell’astinenza non<br />

venne accolto senza contrasti. Giordano da Pisa, negli Esempi (27) contrappone<br />

Antonio e Maccario, veri modelli di penitenza, a sant’Agostino, il qu<strong>al</strong>e invece<br />

«mangiò e carne e pane e bevve vino». Dei due modelli Giordano preferisce il<br />

secondo, perché mentre i primi «con ciò sia cosa che fossero così perfetti, non<br />

predicavano però, non amaestravano, se non che s<strong>al</strong>vavano loro medesimi». Chi<br />

fu maggiore? Certamente Agostino e i pastori come lui, perché «tanta gente s<strong>al</strong>varono».<br />

Insomma i mendicanti usano le Vitae patrum per colpire l’immaginario<br />

33 Legenda de Passione Sancti Verecundi militis et martyris,in M.FALOCI PULIGNANI, San Francesco e il monastero<br />

di san Verecondo, «Miscellanea Francescana», 10 (1906), pp. 10-11; trad. it. in <strong>Fonti</strong> Francescane, p.<br />

1931.<br />

34<br />

SALIMBENE DE ADAM, Cronica, a cura di G. Sc<strong>al</strong>ia, I, Turnholti 1998 (Corpus Christianorum. Continuatio<br />

Mediaev<strong>al</strong>is, 125), p. 470.<br />

35<br />

Cfr.C.VIOLANTE, La cortesia chieric<strong>al</strong>e e borghese nel Duecento, Firenze 1995.<br />

36 Per l’agiografia domenicana delle origini si veda <strong>al</strong>meno L. CANETTI, L’ invenzione della Memoria: il<br />

culto e l’immagine di Domenico nella storia dei primi frati Predicatori, Spoleto 1996.


dei laici senza incitarli <strong>al</strong>l’imitazione monastica, ma formulando un generico<br />

richiamo <strong>al</strong>la lotta col m<strong>al</strong>igno e <strong>al</strong>la necessità della penitenza. Essi stessi non si<br />

sentono in dovere di imitare l’astinenza dei padri del deserto e si limitano ad<br />

ammirarla. Il modello anacoretico, ancorché efficace per la predicazione, è considerato,<br />

proprio per la sua grande elevatezza, distante e non riproducibile.<br />

Apertamente polemico con il divieto di bere vino è anche Tommaso da<br />

Eccleston, che nel De adventu fratrum minorum in Anglia, 118, racconta divertito un<br />

aneddoto: il vescovo di Lincoln, Roberto Grossatesta, uno dei più grandi filosofi<br />

del Duecento, riteneva che «tre cose fossero necessarie <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute del corpo: il<br />

cibo, il sonno e il buon umore». Una volta ordinò a un frate domenicano m<strong>al</strong>inconico<br />

di bere una coppa del vino migliore. Questi rec<strong>al</strong>citrava, ma, quando<br />

ebbe bevuto, il vescovo gli disse: «Carissimo fratello, se tu facessi più spesso questa<br />

penitenza, avresti anche una coscienza migliore». Santità e vino potevano<br />

<strong>al</strong>lora andare perfettamente d’accordo e gli imitatori degli antichi anacoreti venivano<br />

presi sottilmente in giro 37 .<br />

Il progressivo logoramento del modello dell’astinenza, nonostante la sua perdurante<br />

presenza nella ment<strong>al</strong>ità religiosa dell’Occidente, continuò per tutto il<br />

medioevo. Il tentativo di imporre un ide<strong>al</strong>e di perfezione ascetica che comportava<br />

la rinuncia <strong>al</strong> vino fu vanificato da scelte e abitudini <strong>al</strong>imentari di lunghissimo<br />

periodo. Non è un caso che, pur impacciati <strong>d<strong>al</strong></strong>la perdurante presenza di stilemi<br />

agiografici immodificabili nell’immaginario religioso, nei fatti gli Ordini mendicanti<br />

del pieno e basso medioevo riuscirono a riconciliare l’aspirazione <strong>al</strong>la santità<br />

con la necessità e il piacere di bere vino. Non a caso a fronte di una sorta di<br />

ossessione dietetica delle regole monastiche della tarda antichità e del primo<br />

medioevo, le regole francescane non prevedevano nessuna restrizione <strong>al</strong>imentare<br />

per i minori, tranne i digiuni nei tempi d’avvento e di quaresima e il venerdì: «Sia<br />

loro lecito mangiare, secondo il Vangelo, di tutti i cibi che vengono loro presentati»<br />

38 . Il ritorno letter<strong>al</strong>e a Lc 10, 8 consentiva a Francesco di recuperare, in virtù<br />

del suo amore per le creature, l’essenza stessa del messaggio cristiano e di riportare<br />

<strong>al</strong> centro dell’attenzione il cuore dell’uomo. I frati, secondo Francesco, non<br />

dovevano più cercare la santità a tavola e ancor meno nel fondo dei loro bocc<strong>al</strong>i.<br />

37 TOMMASO DI ECCLESTON, De adventu fratrum minorum in Angliam, 15, a cura di A.G. Little, Manchester<br />

1951, p. 92; trad. it. in <strong>Fonti</strong> Francescane, p. 2079.<br />

38 Regula non bullata, III, in Fontes Franciscani, p. 188; trad. it. in <strong>Fonti</strong> Francescane,p.102.<br />

339


340


È stato ripetutamente sottolineato come le fonti agiografiche, spesso infide e poco<br />

attendibili nell’aderenza storica della loro trama fattu<strong>al</strong>e, costituiscano un cespite<br />

di informazione estremamente v<strong>al</strong>ido, t<strong>al</strong>ora anzi privilegiato, per la conoscenza<br />

delle strutture ment<strong>al</strong>i, della cultura materi<strong>al</strong>e e di svariati aspetti della vita comune<br />

dell’epoca in cui furono composte: <strong>d<strong>al</strong></strong>le pratiche devote e cultu<strong>al</strong>i <strong>al</strong>la nosografia,<br />

dai dettami comportament<strong>al</strong>i <strong>al</strong>la storia dell’<strong>al</strong>imentazione; né si dimenticherà,<br />

ancora, l’importanza rivestita da <strong>al</strong>cuni testi di questo ambito in ordine <strong>al</strong>la<br />

documentazione topografica e toponomastica. Proprio perché l’azione del santo,<br />

il più delle volte non si intreccia con eventi straordinarî, ma si dipana in un vissuto<br />

senza enfasi, dove l’elemento eccezion<strong>al</strong>e è invece introdotto <strong>d<strong>al</strong></strong> suo intervento,<br />

l’agiografo è quasi costretto infatti, nel descriverla, a fornire una serie di dati<br />

‘innocenti’ – estranei cioè <strong>al</strong>le intenzion<strong>al</strong>ità del racconto – che, in modo diverso,<br />

rientrano inscindibilmente nella quotidianità che le fa da contesto. Tuttavia, se per<br />

molte re<strong>al</strong>tà un rilevamento che potremmo definire di tipo positivistico-etnografico<br />

risulta felicemente perseguibile, nei presupposti metodologici come negli esiti,<br />

<strong>al</strong>tri soggetti resistono a una lettura univoca in t<strong>al</strong>e direzione, presentando una sorta<br />

di doppia immagine dove i contorni concreti si sovrappongono potenzi<strong>al</strong>mente<br />

a radici memori<strong>al</strong>i che li connotano di significati particolari.<br />

Partecipa ampiamente di questo novero anche il vino che, protagonista<br />

della cultura <strong>al</strong>imentare e dell’economia <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età antica, ma insieme collegato,<br />

nel mondo cristiano a Noè, il patriarca che stipulò l’<strong>al</strong>leanza con Dio, <strong>al</strong> Cristo<br />

stesso in quanto «vitis vera», <strong>al</strong> suo primo miracolo, a Cana, e <strong>al</strong>l’istituzione<br />

1 Si tratta di cose note; per una comoda selezione dei princip<strong>al</strong>i passi relativi <strong>al</strong>la vite e <strong>al</strong> vino, che in<br />

senso concreto o figurato si trovano nell’Antico e nel Nuovo testamento cfr. tuttavia G. ARCHETTI,<br />

Tempus vindemiae. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di<br />

storia bresciana. Fondamenta, 4), pp. 25-26 n. 1.<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.<br />

PAOLO TOMEA*<br />

Il vino nell’agiografia: elementi<br />

topici e aspetti soci<strong>al</strong>i<br />

341


342<br />

dell’eucarestia 1 , si riflette nella agiografia medioev<strong>al</strong>e secondo questo duplice<br />

assetto, aprendo la strada a un doppio registro di considerazioni. Per non<br />

eccedere i confini di tempo prefissati mi limiterò a una rapida ricognizione<br />

che, lontana <strong>d<strong>al</strong></strong> voler definire la mappa completa di un campo per ora quasi<br />

inesplorato, si accontenterà di additare <strong>al</strong>cuni punti e <strong>temi</strong> emergenti, che si<br />

incontrano nel primo dei due versanti enunciati.<br />

Relativamente <strong>al</strong>la storia del vino, dei suoi ruoli e delle sue vicende nei secoli<br />

medioev<strong>al</strong>i, i testi agiografici porgono notizie di colore eterogeneo, tra le qu<strong>al</strong>i<br />

tuttavia spiccano, più insistite di ogni <strong>al</strong>tra e inscritte in un quadro di lunga<br />

durata, quelle che ci illuminano sul posto raggiunto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>imento tratto <strong>d<strong>al</strong></strong>la vite<br />

nelle convenzioni soci<strong>al</strong>i dell’epoca, che ne associavano strettamente l’offerta <strong>al</strong><br />

dono dell’ospit<strong>al</strong>ità, anche quando ragioni pedologiche, climatiche o di differente<br />

natura lo rendessero prodotto non facilmente reperibile 2 . Sembra mostrarlo<br />

con chiarezza una folta schiera di miracoli, assai diffusi in area franco-francese,<br />

nei qu<strong>al</strong>i si replica il motivo di una quantità di vino, tot<strong>al</strong>mente inadeguata <strong>al</strong>le<br />

necessità dell’accoglienza, prodigiosamente moltiplicata grazie ai meriti dell’uomo<br />

di Dio, che può trovarsi in modo indifferente nelle vesti di ospitante o di<br />

ospitato. Appartengono a questa seconda eventu<strong>al</strong>ità i casi di Eligio di Noyon 3 e<br />

2 T<strong>al</strong>e aspetto è già stato messo in rilievo da R. DION, Histoire de la vigne et du vin en France des origines au<br />

XIXe siècle, Paris 1959, p. 188, che sottolinea: «Chez ces grandes [du monde] se manifeste avec force,<br />

dès le Haut Moyen Age, le sentiment que, dans le commerce d’hospit<strong>al</strong>ité, l’honneur fait à l’hôte et celui<br />

qui revient au maître qui accueille sont attachés à l’offrande du vin. N’en point avoir chez eux en quantité<br />

suffisante pour recevoir dignement le visiteur de qu<strong>al</strong>ité qui survient à l’improviste les met en un tel<br />

désarroi qu’on le voit, en pareil cas, implorer, comme ils feraient en un grand péril, la misericorde divine,<br />

qui, parfois, se laisse toucher, et les assiste d’un secours surnaturel». Sull’ospit<strong>al</strong>ità nel medioevo cfr.<br />

inoltre H.C. PEYER, Von der Gastfreundschaft zum Gasthaus. Studien zur Gastlichkeit im Mittel<strong>al</strong>ter, Hannover<br />

1987 (Schriften der MGH, 31), pp. 21-76 per quanto concerne l’ospit<strong>al</strong>ità non istituzion<strong>al</strong>izzata.<br />

3 «Erat autem vir quidam habitans in suburbio Parisiaco (…) quem Eligius pro fide et devotione sua<br />

familiariter diligebat (…). Accidit ergo quadam die ut praedia monasterii sui Eligius lustrata et a Gentiliaco<br />

iam digressus, Parisiis remaneret; cumque non longe a domo eius cum suo nobili, ut solebat,<br />

comitatu tramitem praeteriret, fortuitu ille eminus conspiciens cognovit illico adesse Eligium. Tunc<br />

obviam accurrens, coepit genua eius lambere, dicens: ‘Est mihi pauxillum f<strong>al</strong>erni in cado, divertat,<br />

quaeso, dominus meus paulisper in domum servi sui, ut hi qui tecum sunt percipiant merum et benedicat<br />

mihi Dominus ad introitum tuum; cumque ille recusare vellet, vix comitantium victus precibus<br />

tandem ad domum divertit. Erat autem praefato viro positum vas in cellario (quod vulgo tunna vocatur)<br />

duas fere aut tres tantummodo in se metretas vini habens. Cum ergo illic ingressus obnixe rogaretur<br />

ut vel parum quid pro benedictione perciperet, <strong>al</strong>latum sibi poculum benedicens, modicum ex<br />

eo pro satisfactione hausit; cuncti tamen comites eius gratissime ubertimque potati sunt. Deinde,<br />

benedicta domo, v<strong>al</strong>edicens viro, discessit atque ad monasterium suum, quod in eadem urbe ad


di Ermelando di Antresis 4 , che sovvengono <strong>al</strong>la penuria vinicola rispettivamente<br />

di un nobile parigino e di un signore del Coutances, Launo, che avevano fatto<br />

pressione perché il santo accettasse di sostare nella loro casa; di Filiberto di<br />

manendum divertit. Post cuius videlicet abscessum repente cadum, quod ad usum famulorum eius<br />

pene fuerat exhaustum, divinitatis gratia exuberante, vino usque ad summum est repletum. Facto<br />

autem die <strong>al</strong>tero, fortuitu ingressus homo in penum invenit tunnam, quae pridie vacua prope remanserat,<br />

usque ad os vini repletam: ex quo vehementer mox attonitus coepit nimium eventum rei mirari,<br />

confestimque hospitis sui merita reducens ad memoriam propere ad eum perrexit, narrans quanta<br />

sibi Dominus ad adventum eius praestiterit. Quod cum Eligius audisset, agens Domino gratias dixit<br />

ad eum: ‘Pax tibi, frater, tecum sit hic sermo, nec patieris unquam divulgare eum, sed vade, et cum gratiarum<br />

actione quod tibi pius Dominus largitus est in usus necessarios expende. Tunc ille coepit rogare<br />

eum ut dignaretur ipse iterum ad domum eius usque fatigari ac per semetipsum temetum illud<br />

benedicere et utendum ex vase proferre, quod nisi faceret, testabatur se nullatenus exinde unquam vel<br />

guttam foris praeripere. At ille cernens devotionem hominis pariter ad domum perrexit et ingressus<br />

domum prostravit se in pavimento ac diutissime precem fudit; post orationem vero, considerans<br />

apothecam plenam, iussit eam reserari vinumque in vase proferre; et cum factum fuisset et ipse quidem<br />

exinde modicum gustavit et omnes qui simul aderant largissimos ex eo meros hauserunt. Sic<br />

demum oculis manibusque ad coelum porrectis, gratias agens et glorificans nomen Domini, via qua<br />

venerat rediit» (AUDOINO DI ROUEN, Eligii episcopi Noviomensis vita [Bibliotheca hagiographica latina antiquae<br />

et mediae aetatis, 2 voll., Bruxelles 1898-1899 et 1986 (Subsidia hagiographica, 6 e 70) = BHL 2476], in<br />

Patrologia Latina [= PL], 87, coll. 551-552); già menzionato da DION, Histoire, p. 188.<br />

4 «Quidam nobilis illius provinciae vir, Launus nomine, virum Domini cum discipulis ad prandium<br />

vocavit. Sed ipse, ut erat animo mitis, eloquio affabilis, vultu serenus, eius petitionem non rennuens,<br />

sed, data benedictione, domum illius ingressus est. In regione quippe eadem vinum minime nascitur<br />

et ideo praedictus vir Launus non plus quam in uno vasculo, capiente, ut reor, metretas quaternas,<br />

parumper habebat vini. Ipse vero gaudens, quia Dei virum in domum suum suscipere meruit, convocatis<br />

amicorum turbis, hilariter omnibus iussit cum pauperibus et peregrinis supervenientibus ex<br />

eodem vino ubertim distribui. Mira omnipotentis dispensatione, omnibus habunde potantibus,<br />

vinum ita crevit in eodem vasculo, ut pro sui diminutione redundans eundem repleret iam poene<br />

exaustum vasculum. Sed haec res ea die silentio contecta, crastina ita per omnem illam regionem<br />

divulgata est (…). Vir itaque Domini post refectionem ad propriam domum, quae est in villa quae<br />

dicitur Oglauda, reversus est. Launus autem in crastinum uxorem requisivit, si s<strong>al</strong>tim parum vini<br />

superesset, ex quo ad virum Dei pro benedictione <strong>al</strong>iquid mitti v<strong>al</strong>eret. Quae cum praedictum vas<br />

diligentius fuisset intuita, repperit nihil diminutionis, verum augmentationis plenitudinem accessisse;<br />

quod et viro suo nuntiare studuit. Tunc praedictus Launus cum oblationibus ex eodem vino benedictionem<br />

sancto viro obtulit, et quantam ei Dominus per merita ipsius gratiam reddidisset indicavit.<br />

Quo audito, vir Domini silentio hoc abscondere adolationibus vacuus iussit, dicens: ‘Noli, quaeso,<br />

meis meritis hoc deputare miraculum, quod pro erogatione pauperum tuae Dominus largitati<br />

conferre dignatus est’ (…); sed omnibus fidelibus liquido patet, quia sancti sacerdotis merito hoc<br />

gestum est miraculum, quia illi toto corde adheserat, qui in Chana G<strong>al</strong>ileae aquam convertit in vino»<br />

(DONATO, Vita Ermenlandi abbatis Antrensis [BHL 3851], ed. W. Levison, in Monumenta Germaniae historica<br />

[= MGH], Scriptorum rerum merovingicarum [= SRM], V, Hannoverae-Lipsiae 1910, pp. 697-698). Il<br />

passo è ricordato anche in DION, Histoire, p. 188.<br />

343


344<br />

Jumièges 5 , che rinnova le scorte di una religiosa presso la qu<strong>al</strong>e si era fermato a<br />

mangiare, e del vescovo di Reims, Remigio, che – visto il rossore della cugina<br />

Celsa, quando, subito dopo averlo invitato, apprende di essere sfornita di vino –<br />

la s<strong>al</strong>va miracolosamente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’umiliazione 6 . Quanto a Isarno, abate di S. Vittore<br />

di Marsiglia presentatosi inatteso a visitare un antico compagno, che trova intento<br />

a parlare di lui con un <strong>al</strong>tro monaco, fa in modo che il vino non basti per tre<br />

ma per trenta persone 7 . Allo stesso modo, nella situazione tipologica inversa,<br />

5 «Quaedam religiosa femina Pinverno in villa virum Dei in propria recepit aedicola, rogans eum cellarium<br />

ingredi et vas vinarium, quod tunna dicitur, benedici atque in eadem domo, refectione peracta,<br />

dignaretur nocte eadem commanere. Quod obtentu, cum in honore sancti cuncti habitatores vel<br />

hospites domus illius fuisset largiter propinati, illo maturius decedente, praedicta femina ingressa cellarium,<br />

ita vas ipsud repperit plenum, hacsi nihil ex eo fuisset expensum» (Vita Filiberti abbatis Gemeticensis<br />

et Heriensis [BHL 6805], ed. W. Levison, MGH, SRM, V, p. 594).<br />

6 Riporto, per brevità, l’episodio <strong>d<strong>al</strong></strong>l’epitome che Flodoardo include nell’Historia Remensis ecclesiae, utilizzando<br />

la Vita Remigii BHL 7152-7159, composta da Incmaro di Reims. «Alio quoque tempore<br />

dum pontific<strong>al</strong>i sollicitudinem parochiam peragraret, rogatus a quadam consobrina sua nomine Celsa,<br />

Deo sacrata, villam ipsius vocabulo Celtum adiit. Ibi dum beatus vir spirit<strong>al</strong>ibus colloquiis vite<br />

propinat hospiti de more pocula, minister prefate Celse vini sufficientiam domine sue nunciat non<br />

adesse. Re huiuscemodi cognita sanctus Remigius hanc hilari consolatur vultu et post blanda verbi<br />

solamina eiusdem sibi domus ostendi precepit habitacula. Sicque de industria prius perlustrans cetera,<br />

tandem ad cellam pervenit vinariam, quam sibi faciens aperiri rogitat, si forte remanserit in <strong>al</strong>iquo<br />

vasorum quippiam vini. Et designato sibi vase, in quo tantillum vini pro s<strong>al</strong>vando scilicet eodem<br />

relictu fuerat, claudi precipit hostium iussoque consistere loco cellerarium, ipse vero ad <strong>al</strong>teram accedens<br />

vasis frontem super idem, quod erat non modice quantitatis, Christi annotat crucem flectensque<br />

genua secus parietem, celo devotam dirigit precem. Cepit interea – mirum dictu! – vinum per<br />

foramen superius exundare ac supra pavimentum abundanter effluere. Exclamat hoc viso cellarius<br />

stupore perculsus, sed mox a sancto viro repressus, ne id p<strong>al</strong>am faciat, inhibetur. At quia tam clari<br />

lumen operis minime v<strong>al</strong>uit abscondi, ubi consobrina sua factum comperit, eandem villam ipsi et<br />

ecclesie ipsius perpetim possidendam tradidit ac leg<strong>al</strong>i iure confirmavit» (FLODOARDO DI REIMS,<br />

Historia Remensis ecclesiae, ed. M. Stratmann, MGH, Scriptores [= SS], XXXVI, Hannoverae 1998, p. 83<br />

rr. 18-33). Sul capitolo dell’Historia, il XII del I libro, in cui con <strong>al</strong>tri è riferito il miracolo, cfr. M. SOT,<br />

Un historien et son église au Xe siècle: Flodoard de Reims, Paris 1993, pp. 382-384; per le fonti agiografiche<br />

messe a partito da Flodoardo nell’Historia: STRATMANN, Einleitung <strong>al</strong>l’ed. citata, in particolare pp. 8-<br />

13. Anche Flodoardo è già ricordato da DION, Histoire, pp. 188-189, che sembra tuttavia ignorare<br />

come il fatto sia una ripresa da Incmaro.<br />

7 «Me vero ista coram fratribus memorante, Rainoardus quidam, magnae sanctitatis aestimatione in<br />

monasterio venerabilis, ea, quae narraturus sum, intulit, dicens: ‘Ego apud ecclesiam s. Mauricii iuxta<br />

Marestam oppidum cum domino Isnardo monacho tunc adolescentulus manebam; cumque de<br />

beato Ysarno, quomodo in terras illas ferebatur advenisse, colloqueremur, ecce nobis ipse pro foribus<br />

adest. Nos vero nullum apparatum receptui eius congruum habentes, perturbari vehementer<br />

coepimus atque anxiari. Mensa tamen apposita ad prandium, blande nos consolatus, assedit. Erat


l’intercessione del defunto Goar rifornisce la cantina dell’abbazia di Prüm, così<br />

che il suo successore, l’abate Assuero, nonostante la grama vendemmia consentita<br />

da una cattiva stagione, non si trovi mai in difficoltà con gli ospiti del cenobio<br />

8 ; Agilo di Rebais converte l’acqua in vino per onorare un gruppo di Irlandesi<br />

giunti <strong>al</strong> monastero 9 ; né sono da meno Agerico, quando si tratta di accogliere<br />

re Childeberto II con il suo seguito 10 , e Soro, che dopo aver mondato perfetta-<br />

nobis tantillus vini, quod vix a tribus ad unam refectionem parcissime communicari posset; sed<br />

neque inveniendi plus in tota vicinia nostra spes habebatur. Quid plura? de benedictione patris confidentes,<br />

illud tantillum obtulimus. Ipse ego propinavit, et triginta ferme hominibus, nimium stupens,<br />

largissime abundare vidi» (Vita Ysarni [BHL 4477], in Acta Sanctorum [= ASS], Septembris, VI, Parisiis-<br />

Romae 1867, p. 744AB). Un episodio simile anche in ALCUINO DI YORK, Vita Willibrordi [BHL 8935-<br />

8936], ed. W. Levison, MGH, SRM, VII, Hannoverae-Lipsiae 1919, pp. 130 r. 19, 131 r. 5.<br />

8 «Assueri, qui primus coenobio Prumiae praefuit, tempore accidit, ut assolet, ex terrae sterilitatis<br />

minorem in G<strong>al</strong>licis regionibus vini copiam provenisse. Iamque novae vindemiae tempora propinquabant,<br />

et clericis, in cella viri Dei degentibus, una solummodo vini cupa supererat. Ea cum coepisset<br />

expendi et quotidie cum iisdem clericis, tum hospitibus, quorum ibi frequentia non minima<br />

semper existit, ex ea pocula praeberentur, spatio novem sive octo dierum transacto, cum vix media<br />

eius parte vel tertia vinum contineri putaretur, repente in ea ad summum usque repertum est excrevisse,<br />

ut subiaciens quoque pavimentum vino excrescente fuerit madefactum, et merito, quoniam vir<br />

beatus [sc. Goar] hospit<strong>al</strong>itatem proprie et sincere, quoad vixit, exercuit actum est; ne vel ipsis servientibus,<br />

vel hospitibus qui supervenirent, unde vinum ministraretur deesset» (WANDELBERTO DI<br />

PRÜM, Miracula sancti Goaris [BHL 3567], ASS, Iulii, II, Parisiis-Romae 1867, p. 339BC; ma, meglio,<br />

Vita et Miracula sancti Goaris, ed. H.E. Stiene, Frankfurt am M.-Bern 1981 [Lateinische Sprache und<br />

Literatur des Mittel<strong>al</strong>ters, 11], che non ho potuto vedere). Citato in DION, Histoire, p. 189.<br />

9 «Quadam die cum [plebs ex Hybernia] advenissent, beatus Agilus officiosissime eos suscipiens<br />

prandia iubet parari. Cumque pater monasterii respondisset, adfore satis omnia praeter vini copiam,<br />

unde non amplius quam tres modii in ministerium sacrificii servabantur et illud in magno vase, imperat<br />

abbas fratribus ac plebi propinari. Ministris vero respondentibus vix unius c<strong>al</strong>icis haustum unicuique<br />

in tanta multitudine porrigi posse, ait: ‘In Dei nomine offerte totum fratribus, quin et hospitibus,<br />

donec deficiat: potens est Dominus augere illud sua sancta et admirabili potentia, qui in nuptiis,<br />

quando defecit, aquam convertit in vina’. Sicque factum est ut, aperto vase, usque adeo sint vina<br />

secuta, ut fratres sobrie et populus ubertim satiatus sit; et illud vas divina virtute operante, usque ad<br />

summum vino ita sit repletum, ut desuper emanaret» (Vita Agili abbatis [BHL 148], ASS, Augusti,VI,<br />

Parisiis-Romae 1868, p. 586DE).<br />

10 «Childebertus rex cum placitum et conventum multorum Virduni habere debuisset, et sanctum<br />

virum dilectionis ac venerationis amplexibus honoraret, eum obsoniis necessariis non patiens gravari,<br />

removit servitii necessitatem et placitum transtulit ad Metensem civitatem. Cumque consequenti<br />

tempore per urbem fecisset transitum, et a sancto pontifice benigna esset susceptus dulcedine,<br />

humanitas quoque hospit<strong>al</strong>is ei exhiberetur cum omni cura et sollicitudine, in ipso fervore regiae servitutis<br />

accedens ad eum oeconomus rerum suarum univers<strong>al</strong>is: ‘Etsi <strong>al</strong>ia’, inquit, ‘domine, providendo<br />

abundamus, vinum ut maiestati regiae decet exhibere non possumus, quia praeter vas medium,<br />

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346<br />

mente <strong>d<strong>al</strong></strong>la lebbra un <strong>al</strong>tro monarca merovingio, Gontrano, trascinatosi fino a<br />

lui in cerca di guarigione, ricava da tre soli chicchi d’uva la bevanda necessaria ad<br />

<strong>al</strong>lestirgli un banchetto reg<strong>al</strong>e 11 .<br />

Eloquente, infine, sull’obbligo che incombeva agli ecclesiastici e <strong>al</strong>la nobiltà<br />

laica di congiungere il vino <strong>al</strong>l’ospit<strong>al</strong>ità, anche l’evento straordinario che, nel X<br />

quod tonna vulgariter dicitur, nihil habemus’. Tunc vir Dei, in re corporea angustiatus, sed corde in<br />

Domino dilatatus: ‘Noli’, inquit, ‘desperatione languescere, sed affer mihi de eodem liquore; potens<br />

est Deus tristitiam parcitatis nostrae in gaudium abundantiae commutare’. Dixit, et <strong>al</strong>lato sibi vino,<br />

paulum sorbuit, et ad caelum oculos sublevans: ‘Domine’, inquit, ‘oro ut fiat istius vini amplificatio’.<br />

Cumque eius praecepto illud refudisset in vase supradicto, coepit copiose vinum ministrari, coepit<br />

copiose vinum affluere, et quanto amplius vacuabatur ad libitum bibentium efferendo, tanto magis<br />

augebatur Creatoris iussu et virtute redundando. Poterat namque istud Omnipotens, et qui de aqua<br />

vinum fecerat in Cana G<strong>al</strong>ileae, poterat et vinum de vino facere sincera servi petentis et indubia fide.<br />

Quid plura? Biberunt ut G<strong>al</strong>li, nec erat mensura in erogando. Multis diebus vas illud vinarium conati<br />

sunt vacuare, et quodammodo vina infundere videbantur dum effusioni instarent. Crescebat modica<br />

benedictio multis vorantibus et, Deo imperante, modum naturae superabat. Ad ultimum finito<br />

servitio, nec imminuto vino, rex miraculo stupefactus, episcopo humiliatus, Deum in ipso veneratus,<br />

regiam ostendit largitatem, et qui vinum virtutis biberat, vineas et possessiones ex amore et devotione<br />

episcopi ecclesiae suae obtulit, quas et usque hodie privilegio et auctoritate stabili deinceps possedi»<br />

(Vita Agerici [BHL 143], in Cat<strong>al</strong>ogus codicum hagiograficorum latinorum antiquiorum saeculo XVI , qui<br />

asservantur in Bibliotheca Nation<strong>al</strong>i Parisiensi [= CCHL Paris], III, Paris 1892, pp. 88-89). Il medesimo<br />

prodigio anche nella Vita BHL 144 (CCHL Paris, I, p. 481) e in Gesta episcoporum Virdunensium,<br />

ed. G. Waitz, MGH, SS, p. 41, dove è contenuto un elenco minuzioso dei beni donati da Childeberto<br />

<strong>al</strong>la Chiesa di Verdun in seguito <strong>al</strong> miracolo. I Gesta sono ricordati in DION, Histoire, p. 189.<br />

11 Una volta sanato Gontrano, il santo «vocato ad se suarum rerum oeconomo, iubet citius regium<br />

praeparari convivium. Tempus erat, quo praecoque uvae vesci solent. Denegati minister meri quicquam<br />

reperiri posse, sed neque in vineis circumquaque quicquam uvarum, unde id liquoris quiddam<br />

exprimeretur, inveniri v<strong>al</strong>ere. Tum ille, ut totus semper affluebat in Domino, supplices oculos coelorum<br />

aspectui dirigens ‘Eia’ inquit ‘eia, nunquid manus Domini inv<strong>al</strong>ida est? Vade ocyus, et in illa<br />

quam nosti, parva vite tria, quae repereris de p<strong>al</strong>mite pendere, turgentia grana protinus defer’. Obsequitur<br />

minister magistri edictis et excusso pede defert quae fuerat iussus, traditque patri tria illa gemmea<br />

grana. At sanctus tota Spiritum sanctum mente concipiens ‘Eia, eia’ inquit ‘num manus Domini<br />

inv<strong>al</strong>ida est? Vade igitur oeconome et penu omne scopa terens diligenter emunda ac tres illas<br />

apothecas, quas rustici tonnas vocant, diligentissime compone’. Fecit ut fuerat iussus, conciteque ad<br />

patrem regressus, indicat cuncta studiose perfecta. ‘Accipe’ inquit sanctus ‘haec tria, quae clementia<br />

Domini contulit in vite grana, et ea in quas praeparasti apothecas exprime elicita. Aderit enim, credo,<br />

ille qui in Cana G<strong>al</strong>ileae aquam fundere limpidissimam iussit in vina’. Statimque ut iussus sancti<br />

minister obtemperans peregit quae praeceperat, exuberans unda subito replevit cellaria […] tun diligenter<br />

convivio edito, <strong>al</strong>iquamdiu inibi rex commoratus (…) orat suppliciter sanctum, quo, si fieri<br />

posset servorum Dei inibi contrueretur enodochium» (Vita Sori [BHL 7824], ASS, Februarii, I, Parisiis-Romae<br />

18633 ,p.202BC). Altri casi nei qu<strong>al</strong>i il santo, sprovvisto di vino riesce miracolosamente a<br />

far fronte ai doveri dell’accoglienza, in ALCUINO DI YORK, Vita Vedastis [BHL 8506-8508], ed. B.


secolo, si vorrebbe <strong>al</strong>l’origine della donazione di un’isoletta della costa bretone<br />

ai monaci di S. S<strong>al</strong>vatore di Redon. Il conte di Reims Giuele Berengario, mentre<br />

ha riunito la corte con i grandi della regione, viene colto <strong>al</strong>la sprovvista <strong>d<strong>al</strong></strong>l’arrivo<br />

di <strong>al</strong>cuni messi del conte dell’Angiò. Vedendosi esposto <strong>al</strong> rischio di non<br />

poter offrire loro che birra o idromele, si getta in preghiera ed ecco un villano<br />

annunciare <strong>al</strong> signore – con un’immagine quasi evocativa di <strong>al</strong>cune marine della<br />

pittura surre<strong>al</strong>ista – che una botte di enormi dimensioni, piena di vino puro si<br />

era arenata sull’isola in questione 12 .<br />

Ma i miracoli che la virtù del santo opera sul vino non si arrestano a queste<br />

uniche occasioni, né aiutano soltanto a comprendere le concezioni che regolavano<br />

le pratiche ospit<strong>al</strong>i nel medioevo. An<strong>al</strong>oghi prodigiosi incrementi della sua quantità<br />

ne attestano un uso, non più riservato ai ceti eminenti, in ricorrenze festive, in<br />

concomitanza con speci<strong>al</strong>i eventi dei qu<strong>al</strong>i gioisce l’intera comunità o semplicemente<br />

in relazione <strong>al</strong>la pratica caritativa. La Vita di Radegonda presenta la santa<br />

che lo distribuisce person<strong>al</strong>mente ai poveri ogni domenica 13 , mentre, sia per il tra-<br />

Krusch, MGH, SRM, III, Hannoverae 1896, p. 420 rr. 5-28; Vita Lupi [BHL 5082-5083] ed. B. Krusch,<br />

MGH, SRM, IV, Hannoverae-Lipsiae 1902, pp. 180 r. 25, 181 r. 10.<br />

12 «Ad utilitatem tam presentium quam posterorum, litteris mandare placuit, ut memoriter possit<br />

teneri, qu<strong>al</strong>iter Juhel Berenger, consul, nutu Dei a quo cuncta bona procedunt correptus, pro s<strong>al</strong>ute<br />

anime suae suorumque filiorum necnon ut sibi cuncta prospere succederent, tradidit Sancto S<strong>al</strong>vatori<br />

suisque monachis in perpetuum insulam quandam parvam in Britanniam, quae nuncupatur Enesmur,<br />

liberam et sine <strong>al</strong>icuius viventis c<strong>al</strong>umnia, nichil sibi nec <strong>al</strong>icui mort<strong>al</strong>ium reservans, sicuti ipse<br />

eam libere possidebat. Quadam vice, dum ex more supradictus comes cum obtimatibus tocius Britanniae<br />

in plebe que vocatur Lanmurmeler curiam suam teneret, et de communi utilitate sui regni<br />

cum ipsis tractaret, legati comitis Andegavorum, viri illustrissimi a suo comite publica legacione<br />

transmissi, plurima donaria secum deferentes, ad eum venerunt. In quorum adventu nobilissimus<br />

comes plurimum gavisus, accuratissime illos recepit, et ad hospicium duci precepit. Tristabatur<br />

tamen admodum quod in adventu tantorum virorum vinum non habebat, quamquam medonem et<br />

cervisam habundantissime haberet, nec in tota terra reperiri poterat. Quid faceret, quo se verteret,<br />

nesciebat. Tandem in se reversus, ad s<strong>al</strong>ubre refugium confugit, nomen S<strong>al</strong>vatoris toto corde invocans,<br />

ut sui misereretur oravit, et de suo illius locum honorare spopondit. Cumque haec sepe et<br />

sepius reperet, et nomen S<strong>al</strong>vatoris acclamaret, divina Providencia nuntiacum (sic) est sibi a quodam<br />

rustico, in portu illius supradicte insule quoddam vas mire magnitudinis, vini meri plenum, esse<br />

inventum, quod vulgo tonna noncupatur. Quod comes audiens, admodum gaudens, simulque Dei<br />

clemenciam tacite considerans, equos sibi preparari iussit» (A. DE COURSON, Cartulaire de l’abbaye de<br />

Redon en Bretagne, Paris 1863, n° 305 p. 257). Citato in DION, Histoire, pp. 189-190.<br />

13 ILDEBERTO DI LAVARDIN, Vita Radegundis [BHL 7051], ASS, Augusti, III, Parisiis-Romae 1867, p.<br />

89C. In questo caso non si parla tuttavia di un incremento miracoloso del vino, mentre non si esaurisce<br />

il vino contenuto nella «tonnella octo modiorum» che la santa dispensa per un anno intero <strong>al</strong>le<br />

347


348<br />

sporto delle reliquie di Giuliano a Tours 14 , sia per il passaggio del corpo dei martiri<br />

Giorgio, Aurelio e Nat<strong>al</strong>ia a Puteaux, nel IX secolo 15 , sia, ancora, durante la lunga<br />

marcia taumaturgica delle spoglie di Leodegario di Autun verso il cenobio di S.<br />

consorelle «ubicumque indigere vidit»: cfr. Vita sanctae Radegundis [BHL 7049] ed. B. Krusch, MGH,<br />

SRM, II, Hannoverae 1888, p. 384 rr. 20-28, da dove sono tratte le frasi citate, e ILDEBERTO, Vita<br />

Radegundis,p.92B.<br />

14 «Sed nec hoc silere puto, quod in nocte illa, priusquam sanctae reliquiae ibidem collocarentur, sit<br />

gestum. Monachus ipsius loci, dum de adventu solemnitatis gauderet et singulos quosque ad cellariolum<br />

basilicae prumptissimus invitaret, hortans, ut omnes in basilicam fideliter vigilarent, extracto<br />

a vase vino, coepit eos causa devotionis cum gaudio propinare, dicens: ‘Magnum nobis patrocinium<br />

in beatum martyrem pietas divina largitur. Idcirco rogo caritatem vestram, ut unianimiter vigiletis<br />

mecum. Cras enim sanctae eius reliquiae in hoc loco sunt collocandae’. Exacta quoque cum sacris<br />

hymnis modolisque caelestibus noctem, caelebrata etiam missarum solemnia, ovans festivitate clericus,<br />

coepit eos iterum quos prius invitaverat rogare ad refectionem, dicens: ‘Gratias vobis ago, quod<br />

sic ad vigilandum immobiles perstitistis’. Sed nec martyr diu distulit bonam voluntatem virtutis suae<br />

gratia munerare. Nam ingressus prumptuarium clericus, repperit cupellam, quam pene mediam reliquerat,<br />

per superiorem aditum redundare, in tantum ut copia defluentis vini rivum per terram ad<br />

ostium usque duceret. Quod ille admirans, positum deorsum vas, saepius extulit plenum; sed et de<br />

ipso, cum satis abundeque fuisset expensum, nihil prorsus defuit, sed usque in crastinum, mirantibus<br />

cunctis, semper stetit plenum. Erat autem K<strong>al</strong>. mensis quinti. O admirabilis virtus martyris! Cum<br />

produxit de vase sine flore vindemiam, cum sit solitum, ut collecta vina condantur in vascula, protulit<br />

doleum musta, in quo non uva, sed virtus sola defluxit. Turgescit vasculum a liquore, fructus<br />

non inlatus est, sed creatus. Agit hoc ille Dominus ad glorificandum martyrem, qui inplens uterum<br />

Virginis sine semine, et permanere praestit matrem in castitate. Sed tamen hic novo Maius exuberat<br />

fructu, cum sine codicibus F<strong>al</strong>erna porregit ad bibendum. In <strong>al</strong>iis vineis vix adhuc erumpunt gemmae,<br />

in hoc vero vase vinum defluit a virtute. Aequatur Maius Octobri, cum nova porregit pocula;<br />

plus habet quam ille, cum in prumtu non ostenditur vinea et in domo gignuntur F<strong>al</strong>erna. Rudius etenim<br />

venit sine torculare vindemia, quae non in p<strong>al</strong>mitibus, sed in occultis mysteriis est reperta. Acervus<br />

acenorum non premitur ab arbore, et vini defluunt undae. Hauriuntur F<strong>al</strong>erna, cum in torculari<br />

non cernuntur inpraessa; vitis, ecce, non aspicitur, et pocula large complentur. Sed quid inquam?<br />

Non enim deest fidelibus virtus illa caelestis. Nam qui quondam nuptiis de aquis praestetit vina, nunc<br />

suis eadem large porregit sine ullius elimenti natura; et geminis piscibus quinque milia hominum<br />

satiavit, nunc bonae voluntati multiplicata restituit. In ipsius enim ortus tempore angelica vox testata<br />

est, dicens: ‘Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis’» (GREGORIO DI<br />

TOURS, Libri octo miraculorum, ed. B. Krusch, MGH, SRM, I/2, Hannoverae 1885, II, p. 129).<br />

15<br />

AIMOINO DI S. GERMAIN, Historia translationis Georgii, Aureliae et Nat<strong>al</strong>iae [BHL 3409], ASS, Iulii,VI,<br />

Parisiis-Romae 1868, p. 465BC: «Cum ergo fuissent horum delatores sanctorum monachi, qui ea nocte<br />

una cum suis fere triginta ab eodem hospitio sunt excepti, illis necessaria non surdus auditor apostolicus,<br />

hilari animo distribuens praerogavit. Sed ut tantae tamque copiosae caritatis superabundans<br />

opus remuneratur: ipsius vinarii vascula sic sunt mane reperta acsi nihil ex inde sero potatum fuisset.<br />

Universis namque, omnique suae domus familiae ac advenientibus, causa sanctorum martyrum,<br />

ita ubertim propinatum fuerat, quatinus omnes pro sobrietatis competentia ad plenum vino satiati


Massenzio, nel Poitou 16 , esso viene erogato a coloro che erano convenuti ad attendere<br />

i sacri resti o che ne avevano effettuato e accompagnato il trasferimento.<br />

Estremamente significativo, infine, per la facile immediatezza della sua spiegazione,<br />

l’episodio della Vita di Frodoberto, dove lo zelo e la larghezza, con cui il santo<br />

abate dispensava il vino del monastero ai bisognosi, provoca un <strong>al</strong>lagamento vinicolo<br />

della cantina poiché – come annota l’agiografo – «quanto hauriebat propensius<br />

caritas, tanto benigna Creatoris largitas hausta profusius reformabat» 17 .<br />

Altri testi indicano invece come il vino fosse t<strong>al</strong>volta portato in offerta ai<br />

santuari, evidentemente per la celebrazione della messa. Ne danno un esempio<br />

la Vita di Glodesinda, dove la titolare reintegra la bevanda che una giovane conversa<br />

aveva dispensato ad <strong>al</strong>cune compagne assetate 18 e i Miracula di Sacerdote di<br />

Limoges, composti da Ugo di Fleury, nei qu<strong>al</strong>i il dono è <strong>al</strong> centro di una vicenda<br />

laetarentur. Penum siquidem eidem subiectum erat solario, (benedictionem desuper hauriens) quo<br />

beatorum corpora martyrum illa nocte ad quiescendum fuerant admissa».<br />

16 Passio Leodegarii [BHL 4849b] e URSINO, Passio Leodegarii [BHL 4851, 4851a, b], ed. B. Krusch,<br />

MGH, SRM, V, Hannoverae-Lipsiae 1910, rispettivamente pp. 321 r. 10 (s<strong>al</strong>tato perché = 351 rr. 8-<br />

17), 351 rr. 8-17: «Sed et hoc non est silendum miraculum, quia vir Dei Anso<strong>al</strong>dus pontifex, audiens<br />

sanctum adpropinquasse iam corpus, velocem ministrum quae ex Interamnis villam suam daret<br />

habundantiam vini unde pauperes et vulgus reliquum, qui commitabantur sancto corpore, habere<br />

potuissent ad refocilandum se refectionem. Sed cum hoc fuisset actum, non multum post spatium<br />

nuntiatum est, quod omnia vasa, qui intra apotica, unde ipsum vinum exierat, poene vacua remanserant,<br />

tam plena esse videbantur, ut etiam superfluentia vina in pavimento deciderent, ipsa tamen<br />

vascula plena remansissent».<br />

17 «Cumque illic saepe caritatis officio, [Frodobertus] ad sumendum poculum plurimos convocaret, die<br />

quadam apothecariam solito cellam ingressus, pavimenti faciem vini exuberantia reperit superfusam,<br />

veritusque ne forte vasculi incontinentia liquoris dispendium provenisset, fratrem qui secum forte<br />

venerat os superioris meatus inspicere praecepit: quo facto (mirum dictum quod est) vinum superne<br />

redundans aspicitur. Satisque aperte constitit, quod quanto hauriebat propensius caritas, tanto benigna<br />

Creatoris largitas hausta profusius reformabat. Eius nimirum hoc factum creditur pietate, qui<br />

cum nos misericordes esse iubeat et dare indigentibus, ut nobis quoque plurima dentur; in qua tamen<br />

mensura tribuimus, in eadem nobis remetiendum nihilominus repromittit. Est enim manus divina<br />

non larga solum, verum etiam dives et proflua» [Vita Frodoberti [BHL 3178], ASS, Ianuarii, I, Parisiis-<br />

Romae 18633 , p. 74 nella qu<strong>al</strong>e Pier Damiani narra che l’abate cluniacense «Iovini montis praerupta<br />

conscendens, obvios habuit pauperes, prae difficilis viae lassitudine potum aestuanti desiderio flagitantes.<br />

Pius itaque pater sui negligens, <strong>al</strong>iis in necessitate compatiens, iussit ut quidquid vini propriis<br />

haberetur in vasculis absque ulla reservationis industria, vel potius diffidentia, praeberetur egenis.<br />

Paullo post necessitate naturae cogente, discumbunt omnes ut capiant cibum. Et ecce utres, qui studio<br />

fuerant piae compassionis exhausti, vino reperiuntur, Deo scilicet debitum persolvente, repleti».<br />

18 Historia translationis Glodesindae, ASS, Iulii, VI, Parisiis-Romae 1868, p. 223AB.<br />

349


350<br />

a forti tinte. Lungo la strada che conduceva a un monastero intitolato <strong>al</strong> santo<br />

vescovo, una coppia di coniugi di umile condizione viene derubata con la forza<br />

da un prepotente, uomo di un miles non meglio precisato, del fiasco di vino che<br />

recava; ma quando lo sciagurato si accinge a gustare il frutto dell’impresa, i suoi<br />

complici, dopo aver dovuto ricorrere a un colpo di lancia per aprire il pessulum<br />

che sigillava la sommità del contenitore, non riescono egu<strong>al</strong>mente a versare il<br />

liquido mentre egli, colto da possessione demoniaca si infligge mordendosi t<strong>al</strong>i<br />

ferite da spirare poco dopo 19 .<br />

Non è certo il solo caso in cui il santo si fa tutore di vino e vigne contro furti<br />

o usurpazioni. Nei Miracula di Romarico, Amato e Adelfo, redatti nel X secolo,<br />

Pantone, mandato con un gruppo di armati <strong>d<strong>al</strong></strong> nobilissimo W<strong>al</strong>o a requisire<br />

la vendemmia di una vigna disputata, attribuita infine <strong>al</strong>le monache di Remiremont,<br />

affrontato da una suora che, tenendo in mano un c<strong>al</strong>zare di Romarico, gli<br />

offre in segno di sfida le chiavi della cantina, perisce immediatamente mandando,<br />

preda del demonio, «teterrime voces», né sono risparmiati i buoi destinati a<br />

portare l’illecito carico, che s<strong>al</strong>gono sul tetto della costruzione mandando orribili<br />

muggiti, e lo stesso W<strong>al</strong>o che morirà in un breve arco di tempo 20 . Così pure,<br />

19 «C<strong>al</strong>viniacus est vicus in confino Petragoricorum et Caturcensium. Huius vici incolae ad beati<br />

Sacerdotis monasterium venire consueverant. Quadam igitur die quidam illorum ex more veniebant;<br />

pauper vero quidam cum sua coniuge ceram et vinum de penuria sua coemerat, et sequebantur praecedentes.<br />

Sed dum, ut diximus, tardiori c<strong>al</strong>le iter caperent et soli incederent fit eis obviam unus ex<br />

parasitis cuiusdam militis, flasconemque vini, quem ferebant, violenter extorsit. At illi iter propositum<br />

expeditius peragentes ad supradictum veniunt monasterium. Tunc expansis manibus in terram<br />

se proiicientes de illata sibi iniuria a Deo et ab eius famulo, sancto videlicet Sacerdote, expetunt ultionem.<br />

Ille interim qui flasconem rapuerat ex eo sibi potum porrigi postulabat. Hi autem qui adstabant<br />

vinum ex supra memorato vasculo fundere cupiebant; sed nec pessulum quidem, quo desuper<br />

muniebatur, eximere praev<strong>al</strong>ebant. Demum lancea pessulum effringentes, vini liquorem ex eo elicere<br />

non potuerunt. Et dum haec fierent, auctor flagitii, divinitus percussus, a daemone corripitur,<br />

atque in seipsum debacchando sceleris ultor efficitur. Manus enim proprias et brachias furibundis<br />

depascebat dentibus, et omnes quos poterat saevis dilaniabat morsibus. Qui tandem apprehensus<br />

atque duris funibus adstrictus vitam exh<strong>al</strong>avit protinus. Illo igitur terribiliter mortuo, qui adfuerunt,<br />

flasconem cum vino ad beatissimi Sacerdotis monasterium detulerunt et ad memoriam tanti miraculi<br />

in eadem ecclesia suspenderunt» (UGO DI FLEURY, Vita, translatio, miracula Sacerdotis [BHL 7456-<br />

7459], ASS, Maii, II, Parisiis-Romae 18663 ,pp.19F-20A).<br />

20 «Qua necessitate compulsae tam abbatissa quam omnis congregatio concilio inito, contra morem<br />

loci elegerunt ex sanctimoni<strong>al</strong>ibus timentibus Deum et miserunt illas ad principem Richardum supplicantes<br />

ut res ablatas restitui iuberet. Venientes igitur ad supradictum principem, continuo largiente<br />

superna clementia, res iam dictas restitui praecepit. Quo responso accepto, famulae Dei introgressae<br />

vineam vindemiare iusserunt et in cellario iuxta ecclesiam collocaverunt. Quo audito perfi-


una tradizione tardiva narra che la piccola vigna miracolosa, piantata dagli eremiti<br />

ungheresi Zoerardo e Benedetto, oltre a produrre tutto l’anno un vino che<br />

guariva le febbri, recava anche la pestilenza a chi osasse rubarne dei grappoli 21 ,e<br />

Antonio Ivan Pini nel suo recente Miracoli del vino e santi bevitori nell’It<strong>al</strong>ia d’età<br />

comun<strong>al</strong>e, uno dei rarissimi contributi sul vino che presti attenzione <strong>al</strong>le fonti<br />

agiografiche, ha ricordato la miracolosa par<strong>al</strong>isi che nei Miracula di Rofillo di Forlimpopoli,<br />

composti agli inizî dell’XI secolo, blocca gli uomini del ricco signore<br />

ultramontano diretto in Oriente, mandati a impadronirsi, nella chiesa dedicata <strong>al</strong><br />

santo, del vino che doveva servire <strong>al</strong> sacrificio eucaristico, dopo aver deciso che<br />

nel luogo lo si vendeva a un prezzo troppo <strong>al</strong>to 22 .<br />

dus W<strong>al</strong>o indignatione commotus misit unum de militibus suis, nomine Panthonem, qui sibi vinum<br />

accersiret. Qui veniens cum comminatione illud recipere gestiens, una ex famulabus Dei c<strong>al</strong>ceamentum<br />

beati Romarici manu tenens simul cum clavi et fiduci<strong>al</strong>iter contra illum erigens dixit: ‘Accipe clavem<br />

hanc, quam requiris, ad cumulum damnationis tuae. Qui retro rediens cecidit ac voces teterrimas<br />

emittens, a diabolo graviter vexatus expiravit. Boves vero, qui ad vinum vehendum venerant,<br />

tecta conscendentes dirae vocis mugitum dabant. Videntes hoc famulae Dei omnisque plebs fidelium,<br />

qui ad spectaculum convenerant, gratulantes et laudantes Dominum, remearunt ad propria.<br />

W<strong>al</strong>o autem supradictus ante anni circulum miserabiliter vitam finivit» (Translationes et miracula sanctorum<br />

Romarici, Amati et Adelphi [BHL 75], ASS, Septembris, III, Parisiis-Romae 1868, p. 837B-D).<br />

21 Cfr. ASS, Iulii, IV, Parisiis-Romae 1868, p. 335CD, che riporta la tradizione riferita da Marcin<br />

Baronjusz (Martinus Baronius) nel Seicento. Sull’agiografo polacco: K. KANTAK - S. KOMORNICKI,<br />

Baronjusz, in Polski Słownik Biograficzny, I, Kraków 1934, p. 307.<br />

22 A.I. PINI, Miracoli del vino e santi bevitori nell’It<strong>al</strong>ia d’età comun<strong>al</strong>e, in La vite e il vino, Storia e diritto (secoli<br />

XI-XIX), a c. di M. Da Passano, A. Mattone, F. Mele, P.F. Simbula, Introduzione di M. Montanari, I,<br />

Roma 2000 (Collana del Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Sassari, 3), pp. 370-371.<br />

Così il testo, che si legge in Sancti Rophilli episcopi Foropopiliensis Miracula post mortem [BHL 7284], «An<strong>al</strong>ecta<br />

Bollandiana», 1 (1882), pp. 113-114: «Tunc temporis adveniens quidam dives vir occident<strong>al</strong>is,<br />

ex ultramontanis partibus versus orientem profisciens, prope beati iam dicti viri ecclesiam in quadam<br />

domuncula sibi hospitium praeparavit. Tunc circumquaque <strong>al</strong>iquos de suis mittens, quo sibi vinum<br />

quod nimis illo in loco carum fuerat, adquirere studuissent. Cumque illi ab incolis loci illius fuisset<br />

nuntiatum quod in sancti Rophilli ecclesia iuxta <strong>al</strong>tare in quodam vase quod veies nuncupatur, vini<br />

quid parum occultaretur, praecepit servis suis ut etiam sibi vinum ab ecclesia reportarent. Obsequentes<br />

igitur duo ex ipsis, ecclesiam cum austeritate ingressi, vinum furibundi a vase haurire nitebantur.<br />

Pauperculus vero presbyter tantum lacrimans, quo sibi vinum non raperent, precabatur; sed<br />

Deus omnipotens illorum procacitatem istiusque pauperiem contemplatus, servi sui sacerdotis<br />

misertus est, ita ut beati Rophilli merita fidelibus patescerent, ecclesiaque eius ampliori veneraretur<br />

honore. Servi igitur illi utrique tamquam divino iaculo perculsi, subito obmutuerunt, nec se loco<br />

movere, nec vinum haurire, nec sibi mutuo loqui potuere; sed velut lapides vix oculis p<strong>al</strong>pitantes<br />

mirabiliter obriguerunt. Videntes autem conservi eos tantam moram fecisse, <strong>al</strong>iquibus casibus perculsos<br />

aestimantes, concite ad ecclesiam pervenerunt. Conspicientes vero intus, eos t<strong>al</strong>iter obriguis-<br />

351


352<br />

Non vi è dubbio che <strong>al</strong>la base di queste punizioni non sia tanto il v<strong>al</strong>ore del<br />

vino quanto evidentemente l’oltraggio, t<strong>al</strong>ora sacrilego, portato <strong>al</strong> santo; ma ciò<br />

non toglie che in tutta la campionatura fin qua esaminata la bevanda figuri sempre<br />

bene prezioso e appetito; t<strong>al</strong>e del resto continuerà a essere anche dopo il XII<br />

secolo, quando la diffusione e gli spazi guadagnati <strong>d<strong>al</strong></strong>la viticoltura, rendendo il<br />

vino accessibile a fasce soci<strong>al</strong>i che prima non potevano se non eccezion<strong>al</strong>mente o<br />

quanto meno raramente fruirne, creerà, con nuove consolidate abitudini <strong>al</strong>imentari,<br />

nuovi bisogni ai qu<strong>al</strong>i diventava difficile o addirittura impensabile rinunciare.<br />

Anche questa mutata situazione riverbera frequentemente nell’agiografia esprimendosi<br />

in diverse contestu<strong>al</strong>izzazioni, <strong>al</strong>cune delle qu<strong>al</strong>i, per <strong>al</strong>tro, nettamente<br />

anteriori <strong>al</strong> crin<strong>al</strong>e indicato. Una chiara attestazione si riscontra già nella Vita di<br />

Crotilde, redatta verso la fine del IX secolo. Là, gli operai, che stavano costruendo,<br />

per conto della santa regina, un nuovo monastero nella loc<strong>al</strong>ità di Les<br />

Andelys, incuranti che la regione non fosse vinicola, «vinum exigebant» a conforto<br />

della loro fatica e, nel giorno del miracolo, provati <strong>d<strong>al</strong></strong>la c<strong>al</strong>ura estiva, «vociferant»<br />

e «vinum expostulant», finché Crotilde non placherà il m<strong>al</strong>contento grazie a<br />

una fonte scaturita presso il cenobio, la cui acqua versata nelle tazze si trasformerà<br />

in un vino del qu<strong>al</strong>e le maestranze mai avevano conosciuto il migliore 23 .<br />

Ancora nei Miracula di Rofillo, il santo preserva <strong>d<strong>al</strong></strong>le conseguenze di una<br />

caduta la piccola botte di vino diretta agli uomini che lavoravano a riparare il tet-<br />

se mirabantur. At illi tantummodo oculis non vocibus annuebant; et quia se movere non poterant,<br />

eorum immobilitas ostendebat. Quam rem eorum dominus audiens, ad ecclesiam venit, eique de suis<br />

bonis sancto Rophillo satisfaciens obtulit, atque ita servos suos miserante Deo sanos atque incolumes<br />

recepit». Per la datazione dei Miracula: P.TOMEA, L’agiografia dell’It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e, in Hagiographies.<br />

Histoire internation<strong>al</strong>e de la littérature hagiographique latine et vernaculaire en Occident des origines à<br />

1550, a cura di G. Philippart, III, Turnhout 2001 (Corpus Christianorum), pp. 134-135.<br />

23 «Regio illa vinifera non est; operarii tamen prefati monsaterii a regina vinum exigebant. Erat enim<br />

eo tempore tanta vini sterilitas, quanta numquam audita fuerat. Qua de re dum sancta Chrothildis<br />

anxiaretur, apparuit prope monasterii edificium egrediens de terra fons mire pulchritudinis, visu<br />

delectabilis, ad potandum s<strong>al</strong>ubris; dictumque est beatae Chrothildi in sonnis, ut, dum ab ea quererent<br />

potum vini edificatores monasterii, mitteret illis poculum per unam famularum suarum a predicto<br />

fonte haustum. Die vero sequenti, ut est natura estivi temporis, dum sol ferveret estu maximi<br />

c<strong>al</strong>oris, operarii vociferant, sanctam Chrothildim proclamant, vinum expostulant. Sancta Dei famula<br />

celeriter mittit eis poculum, quod ei fuerat a Deo inperatum. Mox illi ut sumpserunt, aqua conversa<br />

est in vinum, et dixerunt se nunquam tam obtimum bibisse vinum. Quo sumto, sanctam Dei<br />

famulam adeunt, cervices solo tenus flectunt, grates gratulando referunt, se numquam tam bonum<br />

sumpsisse poculum dicunt» (Vita Chrothildis [BHL 1785], ed. B. Krusch, MGH, SRM, II, pp. 346 r.<br />

35, 347 r. 7).


to della chiesa a lui intitolata 24 . In epoca successiva, Omobono di Cremona, unico<br />

canonizzato di quel gruppo di santi laici dell’It<strong>al</strong>ia comun<strong>al</strong>e che André Vauchez<br />

ha felicemente definito “della carità e del lavoro” 25 , avendo ceduto a dei<br />

bisognosi incontrati sul cammino il vino che portava ai suoi laboratores, riempiti<br />

con dell’acqua i recipienti svuotati e segnatili con la croce li troverà con sua grande<br />

sorpresa colmi di «amabile et pretiosum vinum» <strong>al</strong> momento della loro apertura<br />

26 . Un incrocio tra gli ultimi due miracoli, entrambi segn<strong>al</strong>ati <strong>d<strong>al</strong></strong> Pini nello<br />

studio appena menzionato, si trova infine nella Vita del vescovo di Nusco, Amato,<br />

dove il santo, con il segno s<strong>al</strong>vifico, converte dell’acqua in vino per dissetare<br />

gli operai che stavano erigendo la chiesa di S. Maria Nova 27 .<br />

24 «Aliud quoque miraculum consecutum est quod opere pretium credimus referendum. Cumque<br />

abbas qui illic primus omnium ordinatus fuerat, nomine Leo, pro restauratione ecclesiae circa frequens<br />

ministerium anhelaret, veterrimas trabes quae ab exordio eiusdem primitivae ecclesiae ibidem<br />

positae fuerant, quo novas imponeret, coepit excludere. Inter huiuscemodi operis exercitia, quoddam<br />

vas vinarium, quod propter laborantium bibitionem ad summum ecclesiae cacumen fuerat<br />

deportatum, ab ipso tecti fastigio accedente casu dilapsum est. Sicque factum est ut nec ipsum vas in<br />

pavimento fractum, nec vini damnum <strong>al</strong>iquod quo plenum fuerat, fecisse videretur» (Sancti Rophilli...<br />

Miracula, p. 115). Cfr. PINI, Miracoli del vino, pp. 371-372.<br />

25 Cfr. A. VAUCHEZ, La santità nel medioevo, Bologna 1989, pp. 159-160.<br />

26 In attesa della promessa edizione delle Vite del santo cremonese che sta approntando André Vauchez,<br />

utilizzo quella fornita anche per la Vita BHL 3971, nella qu<strong>al</strong>e è narrato l’episodio, da D. PIAZ-<br />

ZI, Omobono di Cremona. Biografie <strong>d<strong>al</strong></strong> XIII <strong>al</strong> XVI secolo. Edizione, traduzione e commento, Cremona 1991,<br />

p. 64: «Nam cum ipse exilem vineam purgari fecisset, quam solam pro victo suo et multorum pauperum<br />

tenuerat, ceteris <strong>al</strong>iis praediis venditis et distributis in pauperes, ferretque vasa vino plena<br />

colonis, hunc pauperes quidam suppliciter rogarent, ut ex eis vasis potum acciperent. Quod cum eis<br />

ita dedisset, ut fere omne vinum exaustum foret, nec auderet domum reverti implere vasa ob uxoris<br />

iurgia, aqua implevit signavitque et concludens laboratoribus tulit, quos sitibundos invenit. Illi ergo<br />

cum gustassent, senserunt amabile et pretiosum vinum, nec simile nostrati vino quod patria germinat<br />

et quaerebant unde hoc habuisset, cui numquam simile in bonitate fuisset. Quod audiens vir Dei,<br />

putans derisum fore, cum et ipse gustasset, illud opus Dei conoscens, grandes ei gratias retulit. Quidam<br />

vero qui aquam in vase mittentem illum viderant, hoc scientes narraverunt grande miraculum».<br />

27 «Dumque ecclesiam, quae sancta Maria Nova dicitur, faceret fabricari et propter vini inopiam aqua<br />

offerariis apponeretur in prandio sicut in Iesu Christi signorum patratum est initio, aqua in vinum<br />

signo mirabili conversa est. Qua in re artifices permaxima admiratione perculsi, seque mutuo inspectantes,<br />

qui aquam sciebant fuisse appositam, in Dei laudibus non tacebant. O res inaestimabilis! O<br />

signum praedicabile, et cunctis gentibus declarandum! Aqua in vini naturam et saporem conversa est.<br />

A Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris. Aqua data est et vinum haustum est.<br />

Aqua scyphis infusa est et diversam invenimus liquoris substantiam» (Vita <strong>al</strong>tera Amati [BHL 359],<br />

ASS, Augusti, VI, Parisiis-Romae 1868, p. 846F).<br />

353


354<br />

È chiaro che nell’autentico laboratorio di topoi costituito <strong>d<strong>al</strong></strong> genere agiografico<br />

anche i prodigi relativi <strong>al</strong> vino conoscono non di rado la reiterazione di<br />

strutture tematiche e narratologiche; ma se l’incidenza di t<strong>al</strong>e fattore non dovrà<br />

essere dimenticata nel v<strong>al</strong>utare la storicità del singolo episodio o in <strong>al</strong>tre prospettive<br />

di ricerca, essa non viene a pregiudicare o a sc<strong>al</strong>fire il rilevamento di<br />

quelli che abbiamo designato come dati innocenti. Al contrario può essere particolarmente<br />

significativo in proposito cogliere il cambiamento degli elementi<br />

accessori di un medesimo miracolo nel suo trapasso da un ambito cronologicosoci<strong>al</strong>e<br />

a un <strong>al</strong>tro. Così, per quanto riguarda il fatto della botte dimenticata aperta,<br />

ma il cui contenuto non fuoriesce o viene reintrodotto grazie a un intervento<br />

taumaturgico, è interessante constatare che mentre nella Vita di Adelfo di<br />

Metz, scritta <strong>al</strong>la fine del XII secolo 28 , il responsabile della svista è un monaco<br />

chiamato improvvisamente ad <strong>al</strong>tre incombenze, nella Vita Rig<strong>al</strong>dina di Antonio<br />

da Padova e nel racconto di Tomaso di Cantimpré su Giovanni da Vicenza, che<br />

rimontano pressapoco <strong>al</strong>la fine e <strong>al</strong>la metà del XIII, la protagonista è una donna<br />

che, nel primo caso 29 , volle ospitare presso di sé il santo che stava attraversando<br />

28 «Quadam die, cum cellerarius ad vinum fratribus exhibendum promptuarium fuisset ingressus,<br />

detracta de dolio brocca sive ducillo, missoque desubtus ad implendum vase, vocatus est ad <strong>al</strong>iud<br />

quoddam opus exercendum, de quo se cito sperabat reversurum; cumque vasculum impletum esset,<br />

nullo nisi Deo agente, stetit vinum, quasi clausum, duarum horarum spatio, donec cellerarius, reminiscens<br />

quomodo dimiserit, ingressus est et reperit ad integrum per omnia s<strong>al</strong>vum, quod timebat<br />

perditum vinum» (Vita Adelphi Mettensis [BHL 76], ASS, Augusti, VI, p. 510DE).<br />

29 «Cum vero postea a custodiatu Lemovicensi exoneratus, de Lemovico versus It<strong>al</strong>iam tendens cum<br />

socio, per provinciam Proventiae transiret, in quodam loco parvo quaedam mulier, eis fame afflictis<br />

compatiens ipsos Dei amore in suum hospitium introduxit. Illa ergo mulier, quasi <strong>al</strong>tera Martha solicita,<br />

panem et vinum mensae apposuit et a quadam vicina sua scyphum vitreum mutuavit. Sed Deus facere<br />

volens cum tentatione proventum, permisit quod mulier illa, de dolio vinum extrahens pro fratribus,<br />

incaute dolii clepsydram dereliquit apertam et vinum per pavimentum totum fuit effusum. Socius etiam<br />

beati Antonii, inepte scyphum accipiens eum ad mensam sic collisit quod pes ad unam partem et cuppa<br />

integra ad <strong>al</strong>iam partem remansit. Circa finem ergo prandii, cum mulier vinum recens vellet fratribus<br />

propinare, intrans cellarium vinum invenit esse totum per pavimentum effusum. Rediit autem ad fratres<br />

flens amarissime, et pro vini perditione supra modum afflicta. Quod cum beato Antonio revelasset,<br />

sanctus multum sibi compatiens, caput suum supra mensam inter p<strong>al</strong>mas reclinans, oravit Dominum<br />

cum fervore. Et dum mulier eum sic orantem respiceret (quod est dictu mirabile) dictus scyphus vitreus,<br />

qui erat ex una parte mensae, super pedem qui erat ex <strong>al</strong>tera, motu proprio seu potius impulsu divino se<br />

locavit. Quod videns mulier et stupens, celeriter scyphum accepit et scyphum fortiter concutiens, reintegratum<br />

virtute orationis conspexit. Credens ergo mulier, quod virtus quae scyphum reintegraverat,<br />

poterat vinum deperditum restaurare, gradu propero ad cellarium properat et dolium, quod vix ante erat<br />

bene medium, sic plenum reperit, quod ad summitatem dolii vinum erat scaturiens et bulliens quasi


la Provenza, nel secondo, fu distolta <strong>d<strong>al</strong></strong>l’operazione che stava compiendo <strong>d<strong>al</strong></strong>l’arrivo<br />

del santo nella piazza sulla qu<strong>al</strong>e si affacciava la casa 30 .<br />

Qu<strong>al</strong>che informazione danno infine le nostre fonti – sebbene in maniera<br />

assai più avara e discontinua – sulle specie di vino bevuto e sulle mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità tecniche<br />

del suo consumo. In un passo della Vita metrica di Martino di Tours, Venanzio<br />

Fortunato ci dà un breve elenco dei luoghi in cui venivano prodotti i vini più<br />

nobili: la zona della Campania che andava sotto il nome di F<strong>al</strong>erna, Gaza, Creta,<br />

Samo, Cipro, Colofona e Serapte 31 ; ma la lista sembra assai vicina <strong>al</strong>le simili enu-<br />

novum. Quo visu fuit mulier supra modum gaudens et stupefacta; verum dum sanctus Antonius se sensit<br />

exauditum, statim a loco verae humilitatis Chisti discipulus, ne ab <strong>al</strong>iis honoraretur, recessit» (Legenda<br />

<strong>al</strong>ia seu Liber miraculorum Antonii de Padua [BHL 595], ASS, Iunii, III, Parisiis-Romae 1867 3 ,p.222BC).<br />

30 «Venerabilem Regin<strong>al</strong>dum abbatem quondam Blesensem, narrantem audivi, quod dictus frater<br />

Ioannes oppidum quoddam intraverat et occurrit ei ac sequabatur infinita hominum multitudo. Quem<br />

ut transeuntem vidit mulier, quae in cellario stabat et vinum trahebat e dolio, cum clepsedra in manu<br />

oblita, in plateam cucurrit et avidis oculis sanctum virum non modico spatio properantem inspexit.<br />

Ut ergo ad se retraxit oculos invenit clepsedram in manu sua, currensque ad dolium totum vinum per<br />

cellarium effusum vidit. Consternata ergo ultra quam credi posset, quia virum suum crudelissimum<br />

exhorrebat, cucurrit post servum Dei et apprehenso pede eius cum clamore v<strong>al</strong>ido et lacrymis narrat<br />

eventum casus et quantum sibi ex hoc ex crudelitate viri periculum immineret. Tum frater, compatiens<br />

mulieri, benedixit illi et praecepit ut revertens in Domino secura mente confida. Mirare lector<br />

quod gestum est. Revertitur mulier ad cellarium, dolium totum repletum invenit, siccam aream cellarii,<br />

nec in sola gutta vini solo tenus humectatam. Ad evidentiam autem tanti miraculi, ipsum dolium,<br />

in fronte ecclesiae dictus abbas, a quo haec praecepi, suspensum vidit» (ASS, Iulii, I, Parisiis-Romae<br />

18673 , pp. 414F-415A). Su Tomaso e il Bonum univers<strong>al</strong>e de apibus, da cui è tratto l’episodio, cfr. H. PLA-<br />

TELLE, Le recueil de miracles de Thomas de Cantimpré et la vie religieuse dans les Pays-Bas et le Nord de la France<br />

au XIIIe siècle,in Actes du 97e Congrès nation<strong>al</strong> des sociétés savantes, Nantes 1972, Paris 1979, pp. 469-498; R.<br />

GODDING, Une oeuvre inédite de Thomas de Cantimpré. La ‘Vita Ioannis Cantipratensis’, «Revue d’histoire<br />

ecclésiastique», 71 (1981), pp. 241-316. Il motivo anche nel racconto della vita e dei miracoli di Colette,<br />

composto in francese <strong>d<strong>al</strong></strong>la compagna della santa Perine de B<strong>al</strong>ma, che cito <strong>d<strong>al</strong></strong>la traduzione latina<br />

di ASS, Martii, I, Parisiis-Romae 18653 ,p.614CD: «Eadem mihi narrando retulit accidisse sibi ut, in<br />

Ausonensi conventu nolulam pulsaret <strong>al</strong>icuius obsequii necessari caussa: accurrit ad sonitum, tum forte<br />

vino hauriendo intenta soror Ioanna Rabardelle, oblita vini decurrentis fluxum sistere epistomio,<br />

quod manu tenebat, in syphonem immisso. Itaque vacuum deinceps vas totum inveniens, recurrit ad<br />

matrem, ploratque ob culpam pariter et iacturam; sed ‘Revertere’, inquit moerenti mater, ‘et demo<br />

vide quomodo se habeat’. Dictu mirabile! Vas funditus vacuum, plenum vino sapidissimo reperit<br />

oboediens soror, cuius proinde virtuti miraculum Coleta, ipsa beatae matris meritis tribuebat».<br />

31 «Emblema gemma lapis toreumata tura, F<strong>al</strong>erna / Gazaque, Creta Samus Cypros Colofona Seraptis<br />

/ lucida perspicuis certantia vina lapillis, / vix discernendis cryst<strong>al</strong>lina pocula potis. / Inde c<strong>al</strong>ix<br />

niveus variat per vina colores, / hinc mentita bibunt patera fucante F<strong>al</strong>erna» (VENANZIO FORTUNA-<br />

TO, Vita sancti Martini [BHL 5624], ed. F. Leo, MGH, Auctorum antiquissimorum [= AA], IV, Berolini<br />

1881, II, pp. 316-317, vv. 80-85).<br />

355


356<br />

merazioni poetiche che si rinvengono in <strong>al</strong>tri autori, come Corippo, che nel carme<br />

In laudem Iustini rammenta i dolci doni di Bacco portati <strong>d<strong>al</strong></strong>la ferace Serapte, da<br />

Gaza e da Asc<strong>al</strong>ona 32 , o Sidonio Apollinare, che nel carme XVII 33 – poi ripreso<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> XII dei cosidetti Tituli G<strong>al</strong>licani 34 – cita a sua volta i vini preziosi di Gaza, di<br />

Chio, della F<strong>al</strong>erna e di Serapte, così da lasciare in dubbio se l’elencazione di<br />

Venanzio fosse rispondente a una diffusione ancora effettiva nell’epoca in cui egli<br />

scriveva o non fosse <strong>al</strong>mento parzi<strong>al</strong>mente nutrita da modelli retorico-letterari 35 .<br />

Più sicuri appaiono invece i riferimenti di Gregorio di Tours che nelle Historiae<br />

nomina, inseriti nella trama del racconto, lo Sc<strong>al</strong>onum, il vino cioè di Asc<strong>al</strong>o-<br />

32 «Interea laetus sacra cum coniuge princeps / coeperat Augustae felicia carpere mensae / gaudia,<br />

reg<strong>al</strong>es epulas et dulcia Bacchi / munera, quae Sarepta ferax, quae Gaza crearat, / Asc<strong>al</strong>on et laetis<br />

dederat quae grata colonis / Quaeve antiqua Tyros, quae fertilis Africa mittit, / quae Meroë, quae<br />

Memphis habet, quae candida Cypros: / quaeque ferunt veteres maturo robore vite / [...........<br />

...................................................] / quaeque Methymnaeis expressit cultor ab uvis; / pocula quae<br />

vitreo flagrabant plena F<strong>al</strong>erno. / Prisca P<strong>al</strong>estini miscentur dona Lyaei, / <strong>al</strong>ba colore nivis blandoque<br />

levissimo gustu. / Fusca dabant fulvo chrysattica vina met<strong>al</strong>lo, / quae natura parit liquidi non<br />

indiga mellis, / et Garisaei permiscent munus Iacchi» (CORIPPO, In laudem Iustini augusti minoris libri<br />

IV, ed. I. Partsch, MGH, AA, III/2, Berolini 1879, pp. 139-140, vv. 85-102).<br />

33 «non panes Libyca solitos flavescere Syrte / accipiet G<strong>al</strong>li rustica mensa tui. / Vina mihi non sunt<br />

Gazetica, Chia, F<strong>al</strong>erna / quaeque Sarepteno p<strong>al</strong>mite missa bibas. / Pocula non hic sunt inlustria<br />

nomine pagi / quod posuit nostris ipse triumvir agris» (Carmina, XVII, vv. 13-18, in Sidoine Apollinaire,<br />

ed. A. Loyen, I, Paris 1960, pp. 125-127. Sul carme v. l’attenta e ricca an<strong>al</strong>isi di I. GUALANDRI,<br />

‘Elegi acuti’: il distico elegiaco in Sidonio Apollinare, in La poesia cristiana latina in distici elegiaci, Atti del Convegno<br />

internazion<strong>al</strong>e Assisi, 20-22 marzo 1992, a cura di G. Catanzaro, F. Santucci, Assisi 1993 (Centro<br />

studi poesia latina in distici elegiaci, 3), pp. 190-216 in part. 204-206.<br />

34 «Nec scyphus hic dabitur, rutilo cui forte met<strong>al</strong>lo / crustatum stringat tortilis ansa latus; / vina<br />

mihi non sunt Gazetica, Chia, F<strong>al</strong>erna / quaeque Sarepteno p<strong>al</strong>mite missa bibas; / sed quidquid<br />

tenuis non complet copia mensae, / suppleat hoc, petimus, gratia plena tibi» (Tituli G<strong>al</strong>licani, ed. R.<br />

Peiper, MGH, AA, VI/2, Berolini 1883, XXIIII vv. 5-10, pp. 195-196).<br />

35 Va tuttavia osservato che – come rileva già GUALANDRI, ‘Elegi acuti’, p. 206 – vi è una grande disparità<br />

tra la memoria letteraria dei vini della P<strong>al</strong>estina, che cominciano ad apparire giusto tra V e VI<br />

secolo nei componimenti ricordati, e quella del F<strong>al</strong>erno e del vino Chio, che, singolarmente (con una<br />

pronunciata maggior frequenza del primo) o in coppia, ritroviamo in Catullo, Virgilio, Properzio,<br />

Orazio, Marzi<strong>al</strong>e, Gioven<strong>al</strong>e, Prudenzio, Macrobio e <strong>al</strong>tri; una tavola delle citazioni relative <strong>al</strong> F<strong>al</strong>erno,<br />

in A. TCHERNIA, Le vin de l’It<strong>al</strong>ie romaine. Essai d’histoire économique d’après les amphores, Rome 1986<br />

(Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 261), pp. 330-333, fondament<strong>al</strong>e per la<br />

storia e il posto di entrambi i vini nella società e nell’economia del mondo romano: in part. pp. 100-<br />

104 per il vino di Chio, indice s.v. per il F<strong>al</strong>erno.<br />

36<br />

GREGORIO DI TOURS, Historiarum libri X, ed. B. Krusch, MGH, SRM, I/1-13, Hannoverae 1937-<br />

1951, I, 19, p. 121, dove trattando della felicità natur<strong>al</strong>e in cui è posta Digione scrive: «Habet enim in


na 36 , e, definiti come particolarmente forti, il Laticinum, proveniente da Laodicea<br />

(l’odierna Latakia), e il Gazitinum o Gazetum, originario di Gaza, in P<strong>al</strong>estina 37 .<br />

T<strong>al</strong>i accenni, che confermano l’intensità delle comunicazioni e degli scambi<br />

commerci<strong>al</strong>i tra l’Occidente e l’area siro-p<strong>al</strong>estinese – vivi fino agli inizi del VII<br />

circuitu praetiosus fontes; a parte autem occidentes montes sunt uberrimi viniisque repleti, qui tam<br />

nobile incolis f<strong>al</strong>ernum porregunt, ut respuant Sc<strong>al</strong>onum». Una nuova traduzione it<strong>al</strong>iana dell’opera<br />

è stata recentemente proposta accanto <strong>al</strong> testo latino da M. OLDONI, Gregorio di Tours, Storia dei Franchi.<br />

I dieci libri delle storie, I-II, Napoli 2001 (Nuovo medioevo, 55). Sullo Sc<strong>al</strong>onum: P.SCHEFFER-BOI-<br />

CHORST, Zur Geschichte der Syrer im Abendlande, «Mitteilungen des Institus für Österreichische Geschichtsforschung»,<br />

6 (1885), pp. 529, 539-540; per l’importanza di Asc<strong>al</strong>ona come emporio vinicolo: B.<br />

JOHNSON, L.STAGER, Ashkelon: Wine Emporium of the Holy Land, in Recent Excavations in Israel, a cura<br />

di S. Gitin, Boston 1995, pp. 95-109.<br />

37<br />

GREGORIO, Historiarum libri, VII, 29, p. 348, dove Claudio <strong>al</strong>lettato <strong>d<strong>al</strong></strong>la promessa di Gontrano di<br />

farlo ricco se avesse ucciso Eberulfo, che si era rifugiato nella basilica di S. Martino a Tours, fintosi<br />

suo amico gli dice che avrebbe gradito assaggiare i vini che egli aveva a casa: «His ita loquentibus, ait<br />

Claudius Eberulfo: ‘Delectat animo ad metatum tuum haurire potum, si vina odoramentis essent<br />

inmixta aut certe potentioris vini libationem strenuetas tua requireret’. Haec eo dicente, gavisus Eberulfus,<br />

respondit habere se, dicens: ‘Et omnia quae volueris ad metatum meum repperies, tantum ut<br />

dignetur dominus meus tugurium ingredi mansionis meae’. Misitque pueros, unum post <strong>al</strong>ium ad<br />

requirenda potentiora vina, Laticina videlicet adque Gazitina». Sulle fortune del vino di Gaza: PH.<br />

MAYESON, The Wine and Vineyards of Gaza in the Byzantine Period, «Bulletin of the American School of<br />

Orient<strong>al</strong> Research», 257 (1985), pp. 75-80; C.A.M. GLUCKER, The City of Gaza in the Roman and Byzantine<br />

Periods, Oxford 1987 (British Archeologic<strong>al</strong> Reports. Int. Ser., 325), pp. 93-94; P.-L. GATIER, Le<br />

commerce maritime de Gaza au VIe s.,in Navires et commerces de la Méditerranée antique. Hommage à J. Rougé (=<br />

«Cahiers d’histoire», 33 [1988]), pp. 361-370; ARCHETTI, Tempus vindemie,p.79;M.MCCORMICK, Origins<br />

of the European Economy. Communications and Commerce, A.D. 300-900, Cambridge 2001, p. 93, che<br />

sottolinea come la crescita delle esportazioni del vino di Gaza e delle anfore legate <strong>al</strong>la sua produzione<br />

sia stata avvantaggiata <strong>d<strong>al</strong></strong>la progressiva importanza assunta tra VI e VII secolo <strong>d<strong>al</strong></strong> vicinissimo porto<br />

di Asc<strong>al</strong>ona. Sul gazition, il tipo di anfora vinaria fabbricata a Gaza e nei suoi dintorni (Late Roman<br />

4): M. BONIFAY, Observations sur les amphores tardives à Marseille d’après les fouilles de la Bourse (1980-1984),<br />

«Revue archeologique de Narbonnaise», 19(1986), pp. 269-305; C. PANELLA, Merci e scambi nel Mediterraneo<br />

tardoantico,in Storia di Roma, a cura di A. Schiavone, III, 2, Torino 1993, p. 665 n. 218. Sul vino di<br />

Laodicea-Latakia, KRUSCH, Gregorii Turonensis Historiarum, p. 348 n. 2, menziona, sulla scorta di Arndt,<br />

le citazioni di Strabone GEWGRAFIKA, XVI, 2, 9: «E ta Laod…keia, pˆ tÍ q<strong>al</strong>£ttV k£llista<br />

ktismšnh kaˆ eÙl…menoj pÒlij, cèran te œcousa polÚoinon prÕj tÍ ¥llV eÙkarp…¬ to‹j m n<br />

oân ’Alexandreàsin aÛth paršcei tÕ ple‹ston toà o‡nou, tÕ Øperke…menon tÁj pÒlewj Ôroj p©n<br />

kat£mpelon œcousa mšcri scedÒn ti tîn korufîn» (The Geography of Strabo, ed. H.L. Jones, VII,<br />

London-Cambridge Mass. 19613 [The Loeb Classic<strong>al</strong> Library], p. 248), che ricorda l’abbondanza della<br />

produzione vinicola del centro, che riforniva l’area di Alessandria; il PERIPLOUS THS ERUQRAS<br />

QALASSHS, 6, 30-35: «‘Omo…wj d kaˆ pelÚkia procwre‹ kaˆ skšparna kaˆ m£cairai kaˆ<br />

pot»ria c<strong>al</strong>k© stroggÚla meg£la kaˆ dhn£rion Ñl…gon prÕj toÙj pidhmoàntaV kaˆ o noj<br />

LadikhnÕj kaˆ ’It<strong>al</strong>ikÕj oÙ polÚj kaˆ œlaion oÙ polÚ tù d basile‹ ¢rgurèmata kaˆ crusè-<br />

357


358<br />

secolo per quel che concerne le importazioni vinicole, ma sostanzi<strong>al</strong>mente mai<br />

interrotti relativamente ad <strong>al</strong>tri aspetti 38 –, trovano un ulteriore sviluppo, limitatamente<br />

<strong>al</strong> solo Gazetum anche nel più schiettamente agiografico Liber in gloria<br />

confessorum dello stesso Gregorio, dove <strong>al</strong> prezioso nettare – che Cassiodoro nelle<br />

Variae utilizza qu<strong>al</strong>e termine di paragone per nobilitare il loc<strong>al</strong>e P<strong>al</strong>matianum 39<br />

mata ·opikù ruqmù kateskeuasmšna kaˆ ƒmat…wn ¢bÒllai kaˆ gaun£kai ¡plo‹, oÙ polloà<br />

d taàta» (The Periplus Maris Erythraei, ed. L. Casson, Princeton 1989, p. 52), dove si narra come sui<br />

mercati egiziani del Mar Rosso giungessero, tra le <strong>al</strong>tre merci, in quantità limitata vini it<strong>al</strong>iani o di Lodicea;<br />

Alessandro di Tr<strong>al</strong>les, che insieme con <strong>al</strong>tri vini da utilizzare nella terapia delle infiammazioni<br />

ren<strong>al</strong>i nomina anche quello di Laodicea: Alexander von Tr<strong>al</strong>les Origin<strong>al</strong>-Text und Übersetzung, ed. Th.<br />

Puschmann, II, Wien 1879 [= Amsterdam 1963], XI, 2, p. 483.<br />

38 Per gli stanziamenti, nelle diverse regioni europee, di vere e proprie colonie siriane, sempre utili i dati<br />

offerti da H. LECLERCQ,s.v.,Colonies d’Orientaux en Occident,in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie,<br />

III, Paris 1914, coll. 2266-2277. Quanto <strong>al</strong>la tesi del brusco troncamento del commercio mediterraneo<br />

provocato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’espansione araba, proposta da Henri Pirenne, soprattutto in Mahomet et Charlemagne,<br />

Bruxelles 1937 (ripubblicato con una cornice di studi integrativi in H. PIRENNE,B.LYON,H.STE-<br />

VER, F.GABRIELI, A.GUILLOU, La naissance de l’Europe, Antwerpen 1987), è stata, come è noto, dimostrata<br />

infondata nelle sue linee sostanzi<strong>al</strong>i: un gruppo di interventi che hanno preso in esame il problema<br />

in The Pirenne Thesis: An<strong>al</strong>ysis, Criticism and Revision, a cura di A.F. Havighurst, Lexington Mass. 19763 (Problem in European Civilization) e, più recentemente, nella rassegna di L. GENICOT, Mahomet et Charlemagne<br />

après 50 ans, «Revue d’histoire ecclésiastique», 82 (1987), pp. 277-285. In senso fortemente riduttivo<br />

rispetto <strong>al</strong>le opinioni del grande storico belga si muove oggi anche il poderoso lavoro di MC COR-<br />

MICK, Origins, in part. pp. 343-351, 696-733, 815-834. Nel caso dell’esportazione del vino <strong>d<strong>al</strong></strong> mondo<br />

medio-orient<strong>al</strong>e <strong>al</strong>l’Occidente (di cui danno ancora un’attestazione, intorno <strong>al</strong> 600 <strong>al</strong>cuni esemplari di<br />

anfore di Gaza rinvenuti presso le banchine merovinge del porto di Marsiglia: MC CORMICK, Origins,p.<br />

37), tuttavia l’influsso dell’Islam che vietava l’assunzione di bevande fermentate segnò un colpo di forbice<br />

decisivo, anche se vi erano nella regolamentazione della norma <strong>al</strong>cune libertà interpretative e anche<br />

nel mondo musulmano non venne mai meno completamente la produzione vinicola; in proposito I.<br />

IMBERCIADORI, Vite e vigna nell’<strong>al</strong>to medio evo,in Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Occidente nell’<strong>al</strong>to medioevo, Atti<br />

della XIII Settimana di studio del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to medioevo (Spoleto, 22-28 aprile<br />

1965), Spoleto 1966, in part. 328-332; J. SADAN, s.v.,khamr, in Encyclopédie de l’Islam, IV, Leiden-Paris<br />

1978, pp. 1027-1030; L. BOLENS, Al-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us: la vigne et l’olivier, un secteur de pointe (XIe-XIIIe siècles),in La<br />

production du vin et de l’huile en Méditerranée. Oil and Wine Production in the Mediterranean Area, a cura di M.-<br />

C. Amouretti, J.-P. Brun, Paris 1993 (Bulletin de correspondence hellénique. Suppl. 26), pp. 423-429.<br />

39 Vinum quoque, quod laudare cupiens P<strong>al</strong>matianum nominavit antiquitas, nos stipsim, asperum,<br />

sed gratum suavitate perquire. nam licet inter vina Bruttia videatur extremum, factum tamen est paene<br />

gener<strong>al</strong>i opinione praecipuum. ibi enim reperitur et Gazeto par et Sabino simile et magnis odoribus<br />

singulare. Sed quia illud famam sibi nobilissimam vindicavit, hoc et in suo genere nimis elegans<br />

perquiratur, ne prudentia maiorum <strong>al</strong>iquid appellasse videatur inproprium. est enim suavi pinguedine<br />

molliter crassum, vivacitate firmissimum, nare violentum, candore quoque perspicuum, quod ita<br />

redolet ore ructatum, ut merito illi a p<strong>al</strong>ma nomen videatur impositum (CASSIODORO, Variarum libri<br />

XII, ed. Th. Mommsen, MGH, AA, XII, Berolini 1894, 12, p. 369).


– tocca una parte di rilievo in un singolare episodio. A Lione una signora di ceto<br />

aristocratico, rimasta vedova, faceva consegnare periodicamente un sestario di<br />

Gazetum, per celebrare il suffragio del marito, <strong>al</strong> suddiacono della chiesa vicina;<br />

questi, tuttavia, teneva per il suo uso person<strong>al</strong>e, mosso <strong>d<strong>al</strong></strong>la gola, il vino recato<br />

in offerta sostituendovi un fortissimo aceto. La donna, che non si accostava<br />

spesso <strong>al</strong>l’eucaristia, non si accorge della cosa finché una notte non le appare in<br />

sogno il marito lamentandosi che dopo una vita trascorsa nella fatica di mantenere<br />

un’elevata condizione economica fosse ora costretto a bere aceto in oblazione.<br />

Il giorno seguente la frode sarà svelata, quando la matrona, accostatasi <strong>al</strong>la<br />

comunione, si troverà in bocca un aceto t<strong>al</strong>mente aspro che – sono le parole di<br />

Gregorio – se lo avesse inghiottito fino in fondo le sarebbero caduti i denti 40 .<br />

Ma il vino che domina la scena, senza una neppur lontana possibilità di paragone,<br />

è il F<strong>al</strong>erno, del qu<strong>al</strong>e, in un esame non certo completo, ho contato attestazioni<br />

in diciotto differenti Vite, princip<strong>al</strong>mente <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>i 41 . La frequen-<br />

40 «Duos in hac urbe fuisse ferunt, virum scilicet et coniugem eius, senatoria ex gente pollentes, qui<br />

absque liberis functi, heredem eclesiam dereliquerunt. Sed vir prius obiens, in basilicam sanctae<br />

Mariae sepultus est. Mulier vero per annum integrum ad hoc templum degens, assiduae orationi vacabat,<br />

celebrans cotidie missarum solemnia et offerens oblationem pro memoria viri, non diffusa de<br />

Domini misericordia, quod haberet defunctus requiem in die qua Domino oblationem pro eius anima<br />

delibasset, semper sextarium Gazeti vini praebens in sacrarium basilicae sanctae. Sed subdiaconus<br />

nequam, reservatum gulae Gazetum, acetum vehementissimum offerebat in c<strong>al</strong>icem, mulierem non<br />

semper ad communicandi gratiam accedente. Igitur cum fraudem hanc Deo placuit revelare, apparuit<br />

vir mulieri, dicens: ‘Heu, heu, dulcissima coniux, in quid defluxit labor meus in saeculo, ut nunc acetum<br />

in oblationem delibem?’ Cui illa: ‘Vere’, inquid, ‘quia caritati tuae non inmemor semper Gazetum<br />

potentissimum obtulit pro requie tua in sacrario Dei mei’. Expergefacta autem admirans visionem<br />

eandemque oblivioni non tradens, ad matutinum secundum consuetudinem surrexit. Quibus expletis<br />

celebratisque missis, accedit ad poculum s<strong>al</strong>utare. Quae tam ferventem acetum hausit ex c<strong>al</strong>ice, ut<br />

putaret sibi dentes excuti si haustum segnius deglutisset» (GREGORIO DI TOURS, Libri octo miraculorum,<br />

ed. B. Krusch, MGH, SRM, I/2, Hannoverae 1885, VIII (Liber in gloria confessorum), 64, pp. 335-336).<br />

41 GREGORIO, Libri octo miraculorum, p. 129 [BHL 4541]; 164, 169 [BHL 5618]; 351 [BHL 8495],<br />

VENANZIO FORTUNATO, Vita Martini [BHL 5624]; Vita Fidoli [BHL 2947], ed. B. Krusch, MGH,<br />

SRM, III, Hannoverae 1896, p. 430; Vita Lupi [BHL 5082-5083], p. 180; Vita Eligi [BHL 2476], p. 709;<br />

Vita Sa<strong>d<strong>al</strong></strong>abergae [BHL 7463], ed. B. Krusch, MGH, SRM, V, Hannoverae 1910, p. 61; Vita Filiberti<br />

[BHL 6805], pp. 588, 590; Vita Pardulfi [BHL 6459], ed. W. Levison, in MGH, SSRM, VII/1, Hannoverae<br />

1919, pp. 24, 25; Vita Germani [BHL 3469], ed B. Krusch, MGH, SRM, VII, 1, p. 419; Vita Tillonis<br />

[BHL 8291], ASS, Ianuarii, I, Parisiis-Romae 1863, p. 380; Vita Eligii [BHL 2478], ed. K. Strecker,<br />

in MGH, Poetae, IV/2, Berolini 1923, p. 795; Vita G<strong>al</strong>li [BHL 3256], ed. K. Strecker, MGH, Poetae,<br />

IV/2, p. 1104; ALCUINO DI YORK, Vita Willibrordi [BHL 8938-8939], ed. E. Dümmler, MGH, Poetae,<br />

I, Berolini 1881, pp. 249; Vita Desiderii [BHL 2144] ed. B. Krusch, MGH, SRM, IV, Hannoverae 1902,<br />

p. 596 [= Corpus christianorum series latina (= CCSL), CXVII, Turnholti 1957, p. 392]; Passio Thebeo-<br />

359


360<br />

za di t<strong>al</strong>i menzioni si giustifica in gran misura con l’illustre tradizione eminentemente<br />

poetica, che aveva consacrato il forte vino campano come il più celebre e<br />

pregiato dell’antichità latina, favorendo nei secoli successivi uno slittamento<br />

semantico che ne aveva reso la denominazione – specie quando si applicasse un<br />

linguaggio elevato – sinonimico di vino <strong>d<strong>al</strong></strong>le eccelse qu<strong>al</strong>ità. Basterà scorrere,<br />

per avere evidenti conferme in questa direzione, i passi del De virtutibus sancti<br />

Martini di Gregorio di Tours, della Vita di Pardolfo e della Vita metrica di Landelino,<br />

nei qu<strong>al</strong>i si parla del Cristo come di colui che mutò l’acqua in F<strong>al</strong>erno 42 ,o<br />

la sentenza «uas incrustatum corrumpit dulce f<strong>al</strong>ernum», che troviamo nella Passione<br />

dei martiri della legione Tebea, composta da Sigeberto di Gembloux 43 .<br />

Non sono tuttavia completamente concorde con la tesi di Émile Brouette –<br />

poi comunemente accolta –, secondo cui già a partire da Gregorio di Tours,<br />

F<strong>al</strong>ernum avrebbe ormai solo e sempre il significato generico di buon vino senza<br />

più <strong>al</strong>cuna attinenza a una precisa caratterizzazione vitivinicola 44 . Proprio il bra-<br />

rum [BHL 5754], ed. E. Dümmler, Sigibert’s von Gembloux ‘Passio sanctae Luciae virginis’ und ‘Passio sanctorum<br />

Thebeorum’,in Philosophische und historischen Abhandlungen der königlichen Akademie der Wissenschaften zu<br />

Berlin, Berlin 1893, p. 424; Vita Landelini [BHL 4698a], ed. K. Strecker, MGH, Poetae, V, Lipsiae 1937,<br />

p. 482. Quasi tutte queste attestazioni, che avevo raccolto autonomamente nel corso del censimento<br />

più gener<strong>al</strong>e effettuato per questo intervento, sono già elencate in E. BROUETTE, ‘Vinum F<strong>al</strong>ernum’.<br />

Contribution à l’étude de la sémantique latine au haut moyen-âge, «Classica et mediaev<strong>al</strong>ia», 10 (1949), pp. 267-<br />

273. Sulle caratteristiche che doveva avere l’antico F<strong>al</strong>erno: TCHERNIA, Le vin, pp. 342-344.<br />

42<br />

GREGORIO, Libri octo miraculorum, II, p. 164: «Fuit et illud insigne miraculum, cum Dominus in die<br />

ephiphaniorum obtentu beati antestitis ex aquis F<strong>al</strong>erna produxit ac de <strong>al</strong>vei fundere vinum elicuit pauperi,<br />

qui quondam latices in vina mutavit»; 169: «Cum autem venisset antedictus ad sancti basilicam in<br />

ea nocte, in qua dominus Iesus Christus fluenta laticum hauriens F<strong>al</strong>erna porrexit, ad beati pedes vigilare<br />

disposuit»; Vita Landelini, p. 223: «ac amnem vinum fecit prebere f<strong>al</strong>ernum». Da rilevare per il primo<br />

passo di Gregorio di Tours (dove il termine F<strong>al</strong>erno – in re<strong>al</strong>tà impiegato per il prodigio compiuto<br />

da Martino – è tuttavia estensibile <strong>al</strong> Cristo per l’immediato paragone con il miracolo di Cana) il vistoso<br />

incidente di C. URSO, L’<strong>al</strong>imentazione <strong>al</strong> tempo di Gregorio di Tours. ‘Consuetudines’ e scelte cultur<strong>al</strong>i, «Quaderni<br />

mediev<strong>al</strong>i», 43-44 (1997), p. 15, che, incredibilmente, a proposito del passo citato, scrive: «non<br />

mancarono casi di sofisticazione e ci fu addirittura chi ‘ex aquis F<strong>al</strong>erna produxit’». Corretto invece il<br />

riferimento a Libri octo miraculorum, VIII, p. 369, dove di fatto si narra la vicenda di un truffatore che<br />

annacquava il vino, punito con la perdita della somma accumulata illecitamente. Per quanto concerne i<br />

tagli apportati nel medioevo <strong>al</strong> vino con <strong>al</strong>tre sostanze e le vere e proprie adulterazioni, ottimamente B.<br />

PFERSCHY, Weinfälschungen im Mittel<strong>al</strong>ter,in Fälschungen im Mittelater, Internation<strong>al</strong>er Kongreß der Monumenta<br />

Germaniae Historica. München, 16.-19. September 1986, V, Hannover 1988, pp. 669-702.<br />

43 Passio Thebeorum, p. 424.<br />

44<br />

BROUETTE, ‘Vinum F<strong>al</strong>ernum’, in part. p. 268: «C’est à partir de Grégoire de Tours que ce vocable prit<br />

une extension plus grande: il devint générique et, vidé de toute idée de loc<strong>al</strong>isation géographique, s’ap-


no in cui lo studioso coglie la prima testimonianza del mutamento, quello delle<br />

Historiae, in cui si afferma che i monti a Ovest di Digione producevano un F<strong>al</strong>erno<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le note così eccellenti da farlo preferire <strong>al</strong> vino di Asc<strong>al</strong>ona 45 , mi sembra<br />

ribellarsi, anzi, a t<strong>al</strong>e interpretazione.<br />

Anzitutto, sostenere che nel passo «les vins de Langres et ceux d’Asc<strong>al</strong>on»<br />

sarebbero stati «confondus avec le F<strong>al</strong>erne» 46 costituisce una forzatura: Gregorio<br />

in re<strong>al</strong>tà dice solo, e con estrema chiarezza, che il F<strong>al</strong>erno prodotto nella zona era<br />

migliore dello Sc<strong>al</strong>onum, qu<strong>al</strong>ità che – come si è visto – era effettivamente importata<br />

in area g<strong>al</strong>lo-franca. Possiamo parlare di confusione solo a patto di negare<br />

aprioristicamente che nelle colline della Côte-d’Or non potessero coltivarsi viti<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le qu<strong>al</strong>i si traeva un vino con la denominazione di F<strong>al</strong>erno. Ma è davvero così?<br />

Gregorio – s<strong>al</strong>vo che per <strong>al</strong>cuni passaggi di sapore retorico-figurato – si rivela<br />

assai definito nelle indicazioni enologiche; si direbbe che – similmente a quanto<br />

traspare per Cassiodoro nella lettera citata – le conoscenze che egli mostra nel<br />

campo rappresentino addirittura – più o meno ostentate – uno degli emblemi della<br />

sua cultura soci<strong>al</strong>e, del ceto senatorio cui apparteneva. Perché dunque, mentre<br />

si sofferma con proprietà sui vini mediorient<strong>al</strong>i della P<strong>al</strong>estina e della Siria avrebbe<br />

dovuto utilizzare il termine F<strong>al</strong>ernum in senso tot<strong>al</strong>mente generico?<br />

A me pare invece probabile l’ipotesi che, a suo tempo, il vitigno del F<strong>al</strong>erno<br />

fosse stato effettivamente trapiantato in <strong>al</strong>cune zone della G<strong>al</strong>lia romana e che il<br />

vino derivatone, sebbene lo si possa immaginare lontano <strong>d<strong>al</strong></strong>l’origin<strong>al</strong>e per evidenti<br />

condizionamenti ambient<strong>al</strong>i e pedologici, ancora <strong>al</strong>l’epoca di Gregorio di<br />

Tours, continuasse a portarne il nome 47 .<br />

pliqua à tout bon vin, voire – et c’est de loin le cas le plus fréquent – à un vin de n’importe quelle qu<strong>al</strong>ité».<br />

Così anche DION, Histoire, p. 172 n. 21; D. NORBERG, Epistulae s. Desiderii Cadurcensis, Stockholm<br />

1961 (Studia Latina Stockholmiensia, 6), p. 60 n. 13; G. GUADAGNO, Produzione vinicola f<strong>al</strong>erna e campana<br />

tra antichità e età di mezzo, «Rivista storica del Sannio», s. 3 a , 3/1 (1996), pp. 45-73, in part. 54-55.<br />

45 Si v. il passo supra, n. 36.<br />

46 BROUETTE, ‘Vinum F<strong>al</strong>ernum’, p. 268.<br />

47 L’eventu<strong>al</strong>ità risulta ancor più plausibile <strong>al</strong>la luce di rinvenimenti archeologici recenti che, come sottolinea<br />

A. TCHERNIA, Du commerce des vins antiques, in ID., J.-P. BRUN, Le vin romain antique, Grenoble<br />

1999, pp. 154-155, mostrano il F<strong>al</strong>erno richiesto e trasportato, nel II secolo, non solo in It<strong>al</strong>ia, ma, per<br />

quanto riguarda il mondo latino, anche a Tarragona, negli accampamenti militari del Reno e, nelle G<strong>al</strong>lie,<br />

a Saint-Romain-en-G<strong>al</strong> nel pressi di Vienne. Allo stesso modo di ciò che si è detto per il brano di<br />

Gregorio, non mi sembra potersi ridurre a denominazione generica e letteraria – sia per il tono concreto<br />

del documento, sia soprattutto per l’esiguità della specifica richiesta ricordata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’estensore<br />

(«unam F<strong>al</strong>erni anforam deposcimus») – quella contenuta nella lettera inviata tra il 630 e forse il 647<br />

361


362<br />

Da segn<strong>al</strong>are infine, a conclusione di questo paragrafo, anche un passaggio<br />

del De situ civitatis Mediolani, che verso gli inizi dell’XI secolo traccia le biografie<br />

dei primi vescovi di Milano, dove l’es<strong>al</strong>tazione dell’abbondanza di vino donata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> contado milanese, superiore a quella di molte province «Romani nominis»,<br />

sottintende quasi certamente una par<strong>al</strong>lela eccellenza qu<strong>al</strong>itativa, ma è sopratutto<br />

interessante in quanto dimostra la vitivinicoltura elemento ormai costituivo<br />

del prestigio cittadino e, seppure in misura meno rilevata di <strong>al</strong>tre componenti,<br />

della sua identità 48 .<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vescovo di Verdun, Paolo, a Desiderio di Cahors, nella qu<strong>al</strong>e lo ringraziava, fra l’<strong>al</strong>tro del dono di<br />

dieci tunnae di f<strong>al</strong>erno: «Praeterea multiplices dominationi uestrae agimus gracia de eulogias sanctas, de<br />

F<strong>al</strong>erno nobile, uel uascula decem, quae nobis tanti habuistis dirigere. Superexcreuit quidem et superabundauit<br />

benedictio largitatis uestrae adeo, ut, dum nos unam F<strong>al</strong>erni anforam deposcimus, uos<br />

eminencia uasa et, ut usitacius dicam, tunnas decem eligantissimi F<strong>al</strong>erni tanti habuistis dirigere»<br />

(DESIDERIO DI CAHORS, Epistulae, ed. W. Arndt, CCSL, CXVII, Turnholti 1957, II, 11, p. 334; anche<br />

in Epistulae s. Desiderii, pp. 60-61). Rilevo, inoltre, che sebbene esportazioni di vino <strong>d<strong>al</strong></strong>la Campania siano<br />

ancora attestate nell’VIII secolo (cfr. P. ARTHUR, Early Mediev<strong>al</strong> Amphorae. The Duchy of Naples and<br />

the Food Supply of Rome, «Papers of the British School at Rome», 61 (1993), pp. 231-244, in part. 237-<br />

241; H. PATTERSON, Un aspetto dell’economia di Roma e delle Campagna Romana nell’<strong>al</strong>tomedioevo: l’evidenza della<br />

ceramica,in La storia economica di Roma nell’<strong>al</strong>to medioevo <strong>al</strong>la luce dei recenti scavi archeologici, Atti del Seminario,<br />

Roma 2-3 aprile 1992, a cura di L. Paroli, P. Delogu, Firenze 1993 [Biblioteca di archeologia<br />

mediev<strong>al</strong>e, 10], p. 313; MC CORMICK, Origins, p. 625), risulta difficile credere che il ‘F<strong>al</strong>erno’ in possesso<br />

di Desiderio non fosse prodotto nei dintorni di Cahors, ma fosse importato: scoraggiano t<strong>al</strong>e eventu<strong>al</strong>ità,<br />

così la quantità che Desiderio ne invia a Paolo, come il fatto che le testimonianze accennate si<br />

riferiscono a giri commerci<strong>al</strong>i di modesta distanza, di ambito it<strong>al</strong>iano.<br />

48 «Quid et de vini referam ubertate precipua, qua per supernam largitatem usque adeo plurimas<br />

Romani nominis provincias exuperat, ut multo amplius huic nonumquam meraca potio, quam sicere<br />

quibus suci vel etiam aque s<strong>al</strong>ubris videatur inesse plenitudo» (Libellus de situ civitatis Mediolani, de<br />

adventu Barnabe apostoli et de vitis priorum pontificum Mediolanensium, ed. A. e G. Colombo, in Rerum It<strong>al</strong>icarum<br />

Scriptores2 , I, 2, Bologna s.d. [1952], pp. 11 r. 10, 12 r. 3). Sulle descrizioni medioev<strong>al</strong>i delle città:<br />

J.K. HYDE, Mediev<strong>al</strong> Description of Cities, «Bulletin of the John Rylands Library Manchester», 48 (1965-<br />

1966), pp. 308-340; G. FASOLI, La coscienza civica nelle ‘laudes civitatum’, in La coscienza cittadina nei comuni<br />

it<strong>al</strong>iani del Duecento, Todi 1972 (Convegno del Centro di studi sulla spiritu<strong>al</strong>ità medioev<strong>al</strong>e, 11), pp.<br />

9-44; C.J. CLASSEN, Die Stadt im Spiegel der Descriptiones und Laudes urbium in der antiken und mittel<strong>al</strong>terichen<br />

Literatur bis zum Ende des zwölften Jahrhunderts, Hildesheim-New York 1980 (Beiträge zur Altertumswissenschaft,<br />

2); C. FRUGONI, Una lontana città. Sentimenti e immagini del medioevo, Torino 1983<br />

(Saggi 651); G. VITOLO, Città e coscienza cittadina nel Mezzogiorno medioev<strong>al</strong>e (secc. IX-XIII), S<strong>al</strong>erno 1989;<br />

P. TOMEA, Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel <strong>Medioevo</strong>. La leggenda di s. Barnaba, Milano<br />

1993 (Bibliotheca erudita. Studi e documenti di storia e filologia, 2), pp. 361-369; ID., Rappresentazioni<br />

e funzioni del cielo e della terra nelle fonti agiografiche del medioevo occident<strong>al</strong>e, in Cieli e terre nei secoli XI-XII.<br />

Orizzonti, percezioni, rapporti, Atti della tredicesima Settimana internazion<strong>al</strong>e di studio (Passo della<br />

Mendola, 22-26 agosto 1995), Milano 1998 (Miscellanea del Centro di studi medioev<strong>al</strong>i, 15), pp. 343-


Sul modo in cui veniva assunto il vino gli scritti agiografici sono poi quasi<br />

tot<strong>al</strong>mente reticenti. In un recente intervento Bruno Andreolli ha individuato,<br />

basandosi su di una documentazione di <strong>al</strong>tro genere, momenti <strong>al</strong>terni nella parabola<br />

del costume vigente in proposito, sottolineando, per l’arco di tempo che ci<br />

compete, lo stacco tra l’età antica, in cui si tendeva a controllare il vino mescolandolo<br />

in giusta misura con l’acqua, e il mondo medioev<strong>al</strong>e in cui pur con<br />

difformità prev<strong>al</strong>e la consumazione del prodotto <strong>al</strong>lo stato puro 49 . È una ripartizione<br />

sostanzi<strong>al</strong>mente ribadita <strong>d<strong>al</strong></strong>l’agiografia, dove per esempio Ansovino, in<br />

viaggio verso Roma, smaschera la truffa di un oste che gli aveva venduto vino<br />

annacquato facendoglielo versare in una cocca del proprio mantello 50 . L’autore<br />

345. Relativamente <strong>al</strong> posto assunto <strong>d<strong>al</strong></strong>la dotazione vitivinicola nell’ambito dell’honor cittadino, PINI,<br />

Miracula, p. 373, crede si possa scorgere un’umiliazione tesa a negare il rango di cives nella distruzione<br />

delle cantine operata dai Milanesi nei confronti dei Lodigiani che avevano ricusato di pagare loro<br />

il fodrum, della qu<strong>al</strong>e ci dà notizia in questi termini un passo di Ottone Morena: «Insuper etiam in<br />

sequenti mense Novembri eiusdem supradicti anni de indictione sexta Mediolanensium consules<br />

Laude venientes ipsis Laudensibus petierunt et, nisi eis darent, in bannum eos publice posuerunt et<br />

insuper etiam omnes illos, qui dare recusarent, sine ulla spe recuperationis de terra se delecturos fore<br />

spoponderunt. Laudenses vero eorum bannum et minas v<strong>al</strong>de timentes ac eorum nequitiam super<br />

ipsos, quacumque possent arte vel occasione, libenter exercere se velle sciente, v<strong>al</strong>de pertimuerunt;<br />

et per diversas terras multi ex ipsis statim fugierunt. Illi autem, qui steterunt, quamvis nolentes,<br />

dolentes tamen pernimium, quod cum gentiles fuerant cives, ipsum fodrum sicut pessimi villani<br />

timore Mediolanensium ipsis tribuerunt. Illis vero, qui dare recusaverunt, Mediolanenses perfidiam<br />

eorum exercentes, in domibus eorum introeuntes ac ipsas omnes expoliantes et omnem mobiliam<br />

quam portare potuerunt auferentes, vinum etiam eorum per terram effuderunt et eos de terra penitus<br />

deiecerunt» (OTTONE MORENA E CONTINUATORI, Historia Frederici I., ed. F. Güterbock, MGH,<br />

Scriptores rerum Germanicarum, VII, Berolini 1930, pp. 35 r. 21, 35 r.41).<br />

49 B. ANDREOLLI, Un contrastato connubio. Acqua e vino <strong>d<strong>al</strong></strong> medioevo <strong>al</strong>l’età moderna, in La vite e il vino, II,<br />

pp. 1031-1051.<br />

50 «Nam cum forte ventum esset in unam Romanorum civitatum quae Narniensis dicitur opportunitas<br />

illi emendi potus fuit. Illico vero caput ei taxato certo sane pretio, vinum obtulit. Cui sanctus ait<br />

Ansuinus: ‘Vide frater ne fortassis aqua vino miscueris, et frustremur huiuscemodi fraudolentiis,<br />

cum tu a nobis quod rite competit accipiat pretium, post vero nos decepisse gauderis, nosque amissae<br />

cogamus pati dispendium pecuniae’. At ille velut insultans beato: ‘Accipe inquit si vis: numquid<br />

tuis cogemur deliramentis nostra immutare negotia?’. Et sanctus ad eum: ‘Accipiam’ inquit, ‘sed<br />

vasculi deest nobis copia gratia huius exceptionis, nisi forte largitas vestrae humanitatis in hoc ergo<br />

nos exuberaverit. Postquam enim indigentia potandi aberit a nobis id tum quod vestrum est recipietis<br />

servata caritate’. Quo namque negante se illi nullatenus vas largiturum ait beatus Ansuinus: ‘Funde,<br />

inquiens illud in istius sinuamen cappae, potest enim omnipotens Deus qui ex nihilo cuncta creavit,<br />

illud ita praecepto suae firmitatis stabilire ut minime cogamur nostri super hoc pretii sustinere<br />

dampna’. Quibus auditis tabernarius, amplius coepit illum quasi gannientem habere et nescientem<br />

363


364<br />

della Vita di Pardolfo di Guéret, nell’VIII secolo accenna però, non importa se<br />

per via metaforica, a un <strong>al</strong>tro taglio evidentemente praticato: quello dei vini più<br />

austeri con il mosto 51 .<br />

Resterebbe ora da esaminare l’<strong>al</strong>tra faccia di queste testimonianze: quella<br />

intenzion<strong>al</strong>e e che sola contava per i nostri autori, nella qu<strong>al</strong>e il vino, sia rivelando<br />

la santità dell’uomo di Dio, diventando elemento dei contorni cristomimetici<br />

in cui si iscrive il suo operato, sia facendosi in vari modi tramite della sua<br />

potenza, compare strumento cosciente e voluto di un messaggio specificamente<br />

agiografico. Ma di questo diremo in una prossima occasione.<br />

quid diceret, atque illudere illi velut cuidam dementi quem utique insanire putabat. Ad quem sanctus<br />

Ansuinus magis hylaris, iterum atque iterum inquit: ‘Funde frater funde securus: quid trepidas quasi<br />

si quippam perdas tuorum? Numquid non nostrum apud te retines pretium? Neque quidquam propriorum<br />

amittis si disperierit, cum nostrae potius videaris rei iacturam’. Tum siquidem tandem his<br />

victus conflictibus vini negotiator fudit illud super cappa sancti Ansuini ipso sancto Ansuino quippe<br />

illam tenente. In quo facto continuo patuerunt dico stupenda memorandaque v<strong>al</strong>de prodigia.<br />

Nam tanta tenacitate retentus est fusus liquor in pannum ut putaretur <strong>al</strong>terius naturae fore non suae:<br />

fraus etiam venditoris continuo nihilominus manifeste claruit mirantibus cunctis. Ita namque discretum<br />

est vinum ab aqua ut ipse etiam qui miscuerat licet confusus confiteretur non <strong>al</strong>iter esse praeter<br />

quam Ansuinus antequam acciperet dixerat» (Vita Ansuini [BHL 555], ed. A.A. Bittarelli, S. Ansovino<br />

vescovo e Peregrino monaco nella civiltà longobarda maceratese, Macerata 1968 [Quaderni del Centro studi storici<br />

maceratesi, 1], pp. 77-78; anche nel più diffuso ASS, Martii, II, Parisiis-Romae 18653 ,p.319AB).<br />

51 «Sed melius utrobique, ut opinor, uterque comiscere in haustum, vinum scilicet et mustum, ut dulcedo<br />

quoque musti foveat ac temperet austeritatem meri, similiter autem austeritas f<strong>al</strong>erni dulcedinem<br />

exacuit musti» (Vita Pardulfi, p. 24 rr. 22-25).


Molto si è scritto, da parte della medievistica contemporanea, attorno <strong>al</strong>l’argomento<br />

del presente volume, e con buone ragioni. La produzione ed il consumo<br />

del vino, infatti, costituivano un elemento importante della civiltà medioev<strong>al</strong>e, la<br />

cui vita materi<strong>al</strong>e è stata indagata con sempre maggiore attenzione <strong>d<strong>al</strong></strong>la moderna<br />

ricerca storica 1 . Tuttavia, tra le fonti utilizzate, appaiono singolarmente poco<br />

considerate quelle canonistiche, che pure hanno offerto preziose indicazioni<br />

ogniqu<strong>al</strong>volta sono state prese in considerazione per indagini storiche, sia settori<strong>al</strong>i,<br />

sia di più ampio respiro 2 . Ciò si deve, in primo luogo, <strong>al</strong>l’estrema eterogeneità<br />

dei loro materi<strong>al</strong>i, costituiti inizi<strong>al</strong>mente dai canoni dei concili, loc<strong>al</strong>i e<br />

gener<strong>al</strong>i, e <strong>d<strong>al</strong></strong>le lettere dei pontefici romani, ai qu<strong>al</strong>i però si aggiunsero rapidamente<br />

<strong>al</strong>tre tipologie di documenti, dai libri della penitenza <strong>al</strong>le leggi laiche<br />

(romane e barbariche), dai brani degli scrittori ecclesiastici <strong>al</strong>le regole monastiche,<br />

per giungere, infine, ai fragmenta Patrum, soprattutto a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età della<br />

1 Per un bilancio storiografico si v., innanzi tutto, A.I. PINI, Il medioevo nel bicchiere. La vite e il vino nella<br />

medievistica it<strong>al</strong>iana degli ultimi decenni, «Quaderni mediev<strong>al</strong>i», 29 (1990), pp. 6-38, da integrarsi con l’eccellente<br />

monografia di G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa<br />

mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta, 4), pp. 36-172, con amplissima<br />

bibl. <strong>al</strong>le pp. 517-568.<br />

2 Un magistr<strong>al</strong>e esempio è offerto, in un ambito vicino a quello qui considerato, da G. PICASSO, Campagna<br />

e contadini nella legislazione della Chiesa fino a Graziano, in <strong>Medioevo</strong> rur<strong>al</strong>e. Sulle tracce della civiltà contadina,<br />

a cura di V. Fumag<strong>al</strong>li, G. Rossetti, Bologna 1980, pp. 381-397. Per il periodo successivo ci<br />

permettiamo di rimandare a R. BELLINI, Diritto canonico e mondo agrario, in Vites plantare et bene colere.<br />

Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Franciacorta nel medioevo, Atti della IV Bienn<strong>al</strong>e di Franciacorta (Erbusco,<br />

16 settembre 1995), a cura di G. Archetti, Brescia 1996, pp. 183-204.<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.<br />

ROBERTO BELLINI*<br />

Il vino nelle leggi della Chiesa<br />

365


366<br />

riforma 3 . Secondariamente, si deve segn<strong>al</strong>are la carenza di edizioni criticamente<br />

soddisfacenti delle collezioni canoniche, o <strong>al</strong>meno delle più importanti, <strong>al</strong>l’interno<br />

delle qu<strong>al</strong>i i documenti vennero ben presto raccolti ed ordinati: una re<strong>al</strong>tà,<br />

questa, frequentemente deplorata, cui si è ben lungi <strong>d<strong>al</strong></strong>l’avere posto rimedio 4 .<br />

Un po’ più soddisfacente è, forse, la situazione editori<strong>al</strong>e del nuovo diritto,<br />

avviato col papato di Alessandro III mediante l’emanazione delle lettere decret<strong>al</strong>i<br />

e della loro successiva raccolta in sillogi sistematiche 5 . Ma anche in questo<br />

settore molto è ancora da fare: basti considerare che lo stesso fondament<strong>al</strong>e<br />

Liber Extra, fatto comporre da Gregorio IX nel 1234, non è ancora disponibile<br />

in una vera edizione critica, giacché, come osservava Ger<strong>al</strong>d Fransen, il testo di<br />

Friedberg «reproduit simplement le texte des Correctores Romani» 6 .<br />

Non di agevole consultazione, infine, è pure la grande opera di commento<br />

dei testi giuridici svolta dai decretisti e dai decret<strong>al</strong>isti durante i secoli XII e XIII.<br />

Costoro aggiornarono ed attu<strong>al</strong>izzarono la normativa prodotta mediante il confronto<br />

e l’armonizzazione dei brani, i qu<strong>al</strong>i erano t<strong>al</strong>volta in apparente, o re<strong>al</strong>e,<br />

conflitto reciproco, impiegando, a t<strong>al</strong>e fine, anche <strong>al</strong>tre fonti giuridiche, qu<strong>al</strong>i le<br />

leggi imperi<strong>al</strong>i o i Libri feudorum 7 . In questo ambito, ebbe un’importanza partico-<br />

3 Cfr. su ciò G. FRANSEN, Les collections canoniques, Turnhout 1973 (Typologie des sources du moyen<br />

âge occident<strong>al</strong>, 10), pp. 29-30, nonché PICASSO, Campagna, pp. 381-383.<br />

4 Sulle collezioni canoniche fondament<strong>al</strong>e è lo studio di Fransen cit. <strong>al</strong>la n. precedente, con la mise à<br />

jour dello stesso maestro di Lovanio, pubblicata nella medesima collana (Turnhout 1985). Per la storia<br />

di queste fonti è tuttora indispensabile l’ormai classico lavoro di P. FOURNIER,G.LE BRAS, Histoire des<br />

collections canoniques en Occident depuis les Fausses Décrét<strong>al</strong>es jusqu’au Décret de Gratien, 2 voll., Paris 1931-32,<br />

bisognoso tuttavia di ampi aggiornamenti. Utili indicazioni in t<strong>al</strong>e senso si possono leggere in J. GAU-<br />

DEMET, Les sources du droit canonique (VIII e -XX e siècle). Repères canoniques. Sources occident<strong>al</strong>es, Paris 1993, pp.<br />

17-119, e L. KÉRY, Canonic<strong>al</strong> collections of the early middle ages (ca. 400-1140). A bibliographic<strong>al</strong> guide to the<br />

manuscripts and literature, Washington D.C. 1999 (History of mediev<strong>al</strong> canon law, 1).<br />

5 Essenzi<strong>al</strong>e inquadramento in G. FRANSEN, Les décrét<strong>al</strong>es et les collections des décrét<strong>al</strong>es, Turnhout 1972<br />

(Typologie des sources du moyen âge occident<strong>al</strong>, 2), con la mise à jour dell’autore nella stessa collana<br />

(Turnhout 1985) e l’aggiornamento di GAUDEMET, Les sources, pp. 119-131. L’evoluzione del diritto<br />

canonico, <strong>d<strong>al</strong></strong>le collezioni di canoni <strong>al</strong>le decret<strong>al</strong>i, è stata delineata da G. FRANSEN, Papes, conciles, évêques<br />

du XIIe au XVe siècle, in Problemi di storia della Chiesa. Il medioevo dei secoli XII-XV, Milano 1976 (Cultura<br />

e storia, 16), pp. 3-20, ma speci<strong>al</strong>mente pp. 4-11.<br />

6<br />

FRANSEN, Les décrét<strong>al</strong>es, p. 42. L’edizione in uso è Decret<strong>al</strong>es Gregorii IX, ed. Ae. Friedberg, Corpus Iuris<br />

Canonici, II, Lipsiae 1879 (rist. anast. Graz 1959). Sul Liber Extra si v. S. KUTTNER, Raymond of Peñafort<br />

as editor: the ‘Decret<strong>al</strong>es’ and the ‘Constitutiones’ of Gregory IX, ora in ID., Studies in the history of mediev<strong>al</strong><br />

canon law, Aldershot 1990 (Collected studies series, CS 325), n.o XII, pp. 65-80.<br />

7 Per i commentatori del diritto canonico cosiddetto classico cfr. GAUDEMET, Les sources, pp. 131-144.


lare l’opera di Enrico da Susa, i cui commenti acquisirono rapidamente un’assoluta<br />

autorevolezza e vennero perciò utilizzati ben oltre il secolo XIII 8 . Ad essa<br />

faremo riferimento per questo aspetto della nostra indagine, non senza tuttavia<br />

prioritariamente sottolineare come pure per t<strong>al</strong>i fondament<strong>al</strong>i testi occorra rifarsi<br />

<strong>al</strong>le cinquecentesche edizioni veneziane, inevitabilmente lacunose sotto il profilo<br />

degli strumenti di corredo, delle qu<strong>al</strong>i si possiede soltanto una contemporanea<br />

ristampa anastatica 9 .<br />

Le fonti<br />

Attraverso l’esame di quanto attu<strong>al</strong>mente edito, è comunque possibile enucleare<br />

<strong>al</strong>cune importanti riflessioni svolte <strong>d<strong>al</strong></strong>la Chiesa attorno <strong>al</strong> tema della vite e del<br />

vino. Della vite e del vino, dobbiamo precisare, intesi nel loro aspetto concreto, per<br />

così dire materi<strong>al</strong>e, poiché delle loro dimensioni sacrament<strong>al</strong>i e simboliche, ampiamente<br />

presenti nelle raccolte, non ci occuperemo in questo contributo. Anche con<br />

t<strong>al</strong>i limiti, del resto, la ricchezza del materi<strong>al</strong>e è veramente rilevante ed abbraccia<br />

una molteplicità di aspetti diversi, di natura economica, mor<strong>al</strong>e e socio-cultur<strong>al</strong>e.<br />

Avviando la nostra an<strong>al</strong>isi <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista storico-cronologico, occorre<br />

sottolineare come la prima importante sintesi normativa sull’argomento sia rappresentata<br />

dai Libri duo de syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis dell’abate Reginone di Prüm 10 . Il dos-<br />

8 Su Enrico di Susa, cardin<strong>al</strong>e di Ostia (e perciò soprannominato Ostiense), e sulla sua opera v. K.<br />

PENNINGTON,s.v.,Enrico di Susa,in Dizionario biografico degli it<strong>al</strong>iani, 42, Roma 1993, pp. 758-763; P.G.<br />

CARON, Il cardin<strong>al</strong>e Ostiense artefice dell’ ‘utrumque ius’ nella prospettiva europea della canonistica mediev<strong>al</strong>e, in<br />

Cristianità ed Europa. Miscellanea di studi in onore di L. Prosdocimi, a cura di C. Alzati, I/2, Roma-Freiburg-Wien<br />

1994, pp. 561-582.<br />

9 Le opere di Enrico qui considerate sono la Summa Aurea, Venetiis 1574 (rist. anast. Torino 1963: da<br />

ora S.A.), ed i Commentaria in libri Decret<strong>al</strong>ium, 2 voll., Venetiis 1581 (rist. anast. Torino 1965): il primo<br />

libro contiene il commento ai libri I-II delle decret<strong>al</strong>i, il secondo ai libri III-VI e ciascuno di questi<br />

ha un’autonoma numerazione delle pagine.<br />

10<br />

REGINONE DI PRÜM, Libri duo de syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis, ed. F.G.A. Wasserschleben, Lipsiae 1840 (rist.<br />

anast. Graz 1964: da ora Reg.), con utilissima tavola di concordanza <strong>al</strong>le pp. 497-516: sull’edizione v.<br />

le osservazioni di R. POKORNY, Nochm<strong>al</strong>s zur ‘Admonitio syno<strong>d<strong>al</strong></strong>is’, «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für<br />

Rechtsgeschichte. Kanonistische Abteilung» (da ora ZSSR.KA), 71 (1985), pp. 42-44. Sulla collezione<br />

dell’abate renano, esemplata agli inizi del secolo X, cfr. P. FOURNIER, L’oeuvre canonique de Réginon<br />

de Prüm, ora in ID., Mélanges de droit canonique, édité par Th. Kolzer, II, A<strong>al</strong>en 1983, pp. 333-372, ripreso<br />

per l’essenzi<strong>al</strong>e in FOURNIER, LE BRAS, Histoire, I, pp. 244-268; ulteriore aggiornamento bibliografico<br />

in KÉRY, Canonic<strong>al</strong> collections, pp. 131-133.<br />

367


368<br />

sier ivi raccolto consta di 42 capitoli, distribuiti perlopiù in lunghe serie soprattutto<br />

<strong>al</strong>l’interno del primo libro della raccolta. Di questi brani, 19 si leggono per<br />

la prima volta in una collezione canonica e nove di essi sono stati probabilmente<br />

composti <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso autore 11 , mentre quasi tutti gli <strong>al</strong>tri frammenti provengono<br />

da precedenti sillogi: la Collectio Dacheriana, il penitenzi<strong>al</strong>e Quadripartitus e la<br />

Collectio capitularium di Ansegiso abate di Fontenelle. Due testi si leggono pure<br />

nella Collectio Anselmo dedicata, la qu<strong>al</strong>e non è però una fonte form<strong>al</strong>e del De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus<br />

causis: si tratta di frammenti tratti dai Canones Apostolorum, forse mutuati,<br />

come un <strong>al</strong>tro canone del nostro dossier, <strong>d<strong>al</strong></strong>le Decret<strong>al</strong>i Pseudo-Isidoriane 12 .Di<br />

questi 42 capitoli, 31 si diffonderanno nelle sillogi successive ed 11 saranno<br />

ancora trascritti, sia pure non direttamente, nel Decreto di Graziano.<br />

Nella Concordia discordantium canonum del monaco bolognese si possono <strong>al</strong>tresì<br />

individuare 18 testi provenienti, prev<strong>al</strong>entemente tramite le collezioni di Ivo di<br />

Chartres, <strong>d<strong>al</strong></strong> Decretum di Burcardo di Worms 13 , il cui dossier conta 53 canoni, molti<br />

dei qu<strong>al</strong>i ignoti <strong>al</strong> De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis. Reginone rappresenta, in effetti, la princip<strong>al</strong>e<br />

fonte di Burcardo sull’argomento, seguito <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Anselmo dedicata e, in misura<br />

minore, da <strong>al</strong>tre sillogi (la Collectio Hibernensis e lo Pseudo-Isidoro in particolare).<br />

Tuttavia, 17 testi – tre dei qu<strong>al</strong>i sono f<strong>al</strong>sificazioni dell’autore – compaiono per la<br />

prima volta nella tradizione canonistica proprio grazie <strong>al</strong> Decretum. Il presule wormaciense,<br />

inoltre, dedica un intero libro dell’opera ad un problema strettamente<br />

collegato <strong>al</strong> tema del vino: «Il quattordicesimo libro – recita, infatti, l’indice della<br />

silloge – tratta della crapula e dell’ebbrezza e della loro penitenza», due vizi defini-<br />

11 Consideriamo infatti, in questo gruppo di testi, anche quelli che Reginone ha trascritto da una silloge<br />

composta nell’area lorenese, probabilmente nel tardo sec. IX, in quanto si tratta di una raccolta<br />

di materi<strong>al</strong>i normativi semplicemente giustapposti: cfr. su questo FOURNIER,LE BRAS, Histoire,I,pp.<br />

253-255 e 280-283; KÉRY, Canonic<strong>al</strong> collections, pp. 182-183. Per le f<strong>al</strong>sificazioni del De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis<br />

v. invece le pp. 259-264 dell’Histoire.<br />

12 Si tratta di Reg. 1, 64-65 e 146, testi diffusi anche nelle <strong>al</strong>tre collezioni maggiori.<br />

13<br />

BURCARDO DI WORMS, Decretum, PL 140, coll. 537-1058 (da ora Burch.), un’edizione tutt’<strong>al</strong>tro che<br />

irreprensibile, come hanno dimostrato gli studi di E. VAN BALBERGHE, Les éditions du Décret de Burchard<br />

de Worms. Avatars d’un texte, «Recherches de théologie ancienne et médiév<strong>al</strong>e», 37 (1970), pp. 5-22, e di<br />

G. FRANSEN, Le Décret de Burchard de Worms. V<strong>al</strong>eur du texte de l’édition. Essai de classement des manuscrites,<br />

ZSSR.KA, 94 (1977), pp. 3-8, del qu<strong>al</strong>e si v. anche le pp. 8-19 per una v<strong>al</strong>utazione dell’opera. Fondament<strong>al</strong>e<br />

studio della raccolta, esemplata agli inizi del secolo XI, in H. HOFFMANN, R.POKORNY, Das<br />

Dekret des Bischofs Burchard von Worms. Texstufen - Frühe Verbreitung - Vorlagen, München 1991 (MGH. Hilfsmittel,<br />

12), pp. 9-161, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e vanno aggiunti gli ormai classici lavori di P. FOURNIER, Etudes critiques sur<br />

le Décret de Burchard de Worms,e Le Décret de Burchard de Worms. Ses caractères, son influence, ora entrambi in<br />

ID., Mélanges, I, pp. 247-391 e 393-440. Altra bibliografia in KÉRY, Canonic<strong>al</strong> collections, pp. 149-155.


ti «detestabili» nella breve introduzione premessa ai 17 capitoli del medesimo<br />

libro 14 . Lo sviluppo ulteriore della casistica è affidato soprattutto <strong>al</strong> lungo interrogatorio,<br />

che costituisce il canone 5 del libro XIX, il famoso Corrector sive Medicus,<br />

diffusosi in seguito anche indipendentemente <strong>d<strong>al</strong></strong> resto della raccolta 15 .<br />

È ben nota l’influenza esercitata <strong>d<strong>al</strong></strong> Decretum Burchardi sulle collezioni di Ivo<br />

di Chartres 16 . Il vescovo francese ha, infatti, trascritto tutti i capitoli del libro<br />

XIV nel libro XIII del suo Decreto e questi, assieme ad <strong>al</strong>tri frammenti, compongono<br />

un dossier di 54 brani (uno è doppio), di cui ben 42 provengono da<br />

Burcardo e dieci <strong>d<strong>al</strong></strong>la Collectio tripartita, ossia la prima silloge, in ordine di tempo,<br />

uscita <strong>d<strong>al</strong></strong>l’atelier del presule di Chartres. Gli <strong>al</strong>tri due testi, le cui fonti form<strong>al</strong>i<br />

non sono ancora chiaramente identificabili, sono stati estrapolati dai f<strong>al</strong>si Capitolari<br />

di Benedetto Levita e <strong>d<strong>al</strong></strong> Registrum di papa Giovanni VIII 17 . T<strong>al</strong>i conside-<br />

14<br />

BURCARDO, Decretum, col. 541B, mentre il libro – uno dei più brevi dell’opera – si legge <strong>al</strong>le coll.<br />

889-894.<br />

15 Con opportune aggiunte, infatti, costituirà il cosiddetto Poenitenti<strong>al</strong>e ecclesiarum Germaniae, pubblicato<br />

da H.J. SCHMITZ, Die Bussbücher und das kanonische Bussverfahren, II, Düsseldorf 1898 (rist. anast.<br />

Graz 1958), pp. 403-467. Che quest’opera derivi <strong>d<strong>al</strong></strong> Corrector e non ne costituisca una delle fonti,<br />

come pensava lo Schmitz, è stato dimostrato definitivamente da FOURNIER, Le Décret, p. 445. Del<br />

Corrector Burchardi esiste una traduzione in lingua it<strong>al</strong>iana: G. PICASSO,G.PIANA,G.MOTTA, A pane e<br />

acqua. Peccati e penitenze nel medioevo, Novara 1986, pp. 57-183.<br />

16 Indicazioni fondament<strong>al</strong>i in t<strong>al</strong>e senso in FOURNIER, LE BRAS, Histoire, II, p. 70, che si basa sul<br />

monument<strong>al</strong>e studio di P. FOURNIER, Les collections canoniques attribuées à Yves de Chartres, ora in ID.,<br />

Mélanges, I, pp. 451-678. L’edizione della raccolta si legge in PL 161, coll. 47-1022 (da ora Ivo D.), ma<br />

presenta gravissimi difetti: cfr. M. BRETT, Urban II and the collections attributed to Ivo of Chartres, in Proceedings<br />

of the Eighth internation<strong>al</strong> Congress of mediev<strong>al</strong> canon law (San Diego, University of C<strong>al</strong>ifornia at la Jolla,<br />

21-27 august 1988), edited by S. Chodorow, Città del Vaticano 1992 (Monumenta Iuris Canonici.<br />

Series C: subsidia, 9), p. 32; si v. anche le pp. 27-46 per una considerazione complessiva sull’opera<br />

canonistica del presule francese, cronologicamente spostata <strong>d<strong>al</strong></strong>lo studioso inglese agli inizi del secolo<br />

XII, mentre Fournier aveva indicato l’ultimo decennio dell’XI (cfr. le pp. 483, 489, 552-555, 572-<br />

574 e 589-590 dello studio sopra cit.). Altra bibliografia in KÉRY, Canonic<strong>al</strong> collections, pp. 244-260.<br />

17 Sono Ivo D. 14, 35, tratto da GIOVANNI VIII, Registrum epistolarum, frag. 34, ed. E. Caspar, MGH,<br />

Epistulae, VII, Berolini 1928, pp. 292-293 (v. PH. JAFFÉ, Regesta pontificum romanorum ab condita Ecclesia<br />

ad annum post Christum natum MCXCVIII, ed. secundam curaverunt S. Loewenfeld, F. K<strong>al</strong>tenbrunner,<br />

P. Ew<strong>al</strong>d, Lipsiae 1885-1888 [da ora JL, JE, JK] = JE 2992), e Ivo D. 16, 353, trascritto da BENE-<br />

DETTO LEVITA, Capitularia 2, 20, ed. D.F.H. Kunst, MGH, Leges (in folio), II (pars <strong>al</strong>tera), Hannoverae<br />

1837 (rist. anast. Stuttgart 1965), p. 75. Sulla distinzione tra le fonti materi<strong>al</strong>i (ossia i testi materi<strong>al</strong>mente<br />

trascritti nella silloge) e quelle form<strong>al</strong>i (ossia le collezioni <strong>d<strong>al</strong></strong>le qu<strong>al</strong>i essa li ha ricopiati), essenzi<strong>al</strong>e<br />

nello studio di una raccolta, v. J.J. RYAN, Observations on the pre-Gratian canonic<strong>al</strong> collections: some recent<br />

works and present problems, in Congrès de droit canonique médiév<strong>al</strong> (Louvain et Bruxelles, 22-26 juillet 1958),<br />

Louvain 1959 (Bibliothèque de la «Revue d’histoire écclésiastique», 33), pp. 98-99 e 101.<br />

369


370<br />

razioni, tuttavia, sono prev<strong>al</strong>entemente ipotetiche: infatti, da un lato non esiste<br />

ancora <strong>al</strong>cuna edizione della Tripartita, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro quella del Decretum oggi disponibile<br />

è molto difettosa, quindi nessuna conclusione definitiva circa la trasmissione<br />

di questi testi da una collezione <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tra è oggi possibile. In ogni caso, i 14<br />

frammenti sull’argomento che si leggono nella Panormia – la terza raccolta attribuita<br />

ad Ivo di Chartres – appaiono tutti trascritti <strong>d<strong>al</strong></strong> Decreto 18 .<br />

D<strong>al</strong>la silva canonum prodotta <strong>d<strong>al</strong></strong>la precedente tradizione, il monaco bolognese<br />

Graziano 19 sceglierà 31 frammenti, ai qu<strong>al</strong>i aggiungerà <strong>al</strong>tri 21 nuovi brani. Del<br />

primo gruppo di testi, in verità, non è agevole indicare l’esatta provenienza, per i<br />

problemi già più volte segn<strong>al</strong>ati: in linea gener<strong>al</strong>e, sembrano nettamente prev<strong>al</strong>enti,<br />

come fonti form<strong>al</strong>i, la Collectio Tripartita e la Panormia (16 e 13 frammenti<br />

rispettivamente, ma quattro della seconda si leggono pure nella prima), <strong>al</strong>le qu<strong>al</strong>i<br />

si affiancano forse la Collectio canonum di Anselmo di Lucca, la Collectio Polycarpus ed<br />

il Liber de misericordia et iustitia di Algero di Liegi. Nel secondo gruppo spiccano<br />

ben dieci brani patristici e tre di scrittori ecclesiastici, oltre a quattro frammenti<br />

biblici e a due f<strong>al</strong>sificazioni (una già presente in Reginone, <strong>d<strong>al</strong></strong> qu<strong>al</strong>e però non è<br />

stata certo trascritta, mentre l’<strong>al</strong>tra si legge in Graziano per la prima volta) 20 .<br />

Per completare questo aspetto della problematica, è opportuno sottolineare<br />

la scarsa incidenza del tema nelle cosiddette collezioni canoniche della riforma 21 :<br />

18 Edizione dell’opera in PL 161, coll. 1041-1344 (da ora Ivo P.), non meno difettosa di quella del<br />

Decreto, come hanno osservato BRETT, Urban II, p.31,e G.FRANSEN, La tradition manuscrite de la<br />

Panormie d’Yves de Chartres, pp. 23-25 del medesimo volume.<br />

19 Su Graziano e la sua opera cfr. S. KUTTNER, s.v.,Gratien, in Dictionnaire d’histoire et de géographie écclésiastiques,<br />

21, Paris 1986, coll. 1235-1239; GAUDEMET, Les sources, pp. 103-119. Anche la collezione di<br />

Graziano, composta attorno <strong>al</strong> 1140, si legge in un’edizione classica, ma difettosa: Concordia discordantium<br />

canonum siue Decretum Magistri Gratiani, ed. Ae Friedberg, Corpus Iuris Canonici, I, Lipsiae 1922<br />

(da ora Grat.).<br />

20 Per le fonti di Graziano, e più in gener<strong>al</strong>e sulla sua collezione, è ancora fondament<strong>al</strong>e l’ampio studio<br />

di J. Rambaud in G. LE BRAS, CH. LEFEBVRE, J.RAMBAUD, L’âge classique (1140-1378). Sources et<br />

théorie du droit, Paris 1965 (Histoire du droit et des institutions de l’Église en Occident, 7), pp. 49-129,<br />

speci<strong>al</strong>mente pp. 51-77. Indicazioni ulteriori in GAUDEMET, Les sources, pp. 116-117.<br />

21 Sul significato di questa definizione cfr. H. MORDEK, D<strong>al</strong>la riforma gregoriana <strong>al</strong>la ‘Concordia discordantium<br />

canonum’ di Graziano: osservazioni margin<strong>al</strong>i di un canonista su un tema non margin<strong>al</strong>e, in Chiesa, diritto e ordinamento<br />

della ‘societas christiana’ nei secoli XI e XII, Atti della IX Settimana internazion<strong>al</strong>e di studio (Passo della<br />

Mendola, 28 agosto-2 settembre 1983), Milano 1986 (Miscellanea del Centro di studi medioev<strong>al</strong>i, 11),<br />

pp. 89-112 (speci<strong>al</strong>mente pp. 91-104); O. CAPITANI, L’interpretazione ‘pubblicistica’ dei canoni come momento<br />

della definizione di istituti ecclesiastici (secc. XI-XII), ora in ID., Tradizione ed interpretazione: di<strong>al</strong>ettiche ecclesiologiche


la più nota di esse, la su menzionata raccolta di Anselmo, contiene solamente tre<br />

brani sul vino, due dei qu<strong>al</strong>i forse provenienti da Burcardo. Sei, invece, i testi presenti<br />

nel Liber de vita christiana di Bonizone di Sutri, di cui quattro pure estratti<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’opera del presule tedesco. Costituiscono certamente un caso particolare i<br />

dieci capitoli della Collectio canonum del cardin<strong>al</strong>e Deusdedit, sui qu<strong>al</strong>i converrà<br />

pertanto soffermarsi più oltre, ma, nel complesso, questi dati confermano l’autorevole<br />

conclusione di Fransen circa il carattere sostanzi<strong>al</strong>mente ‘ideologico’ di<br />

queste collezioni, attente soprattutto a sviluppare i principi teorici della riforma,<br />

ognuna <strong>d<strong>al</strong></strong> suo peculiare punto di vista, più che ad affrontare e risolvere problemi<br />

di concreta prassi giuridica 22 .<br />

Infine, tra le raccolte della prima metà del secolo XI, si possono segn<strong>al</strong>are<br />

sette capitoli presenti nel libro III della Collectio V librorum: cinque di questi si leggono<br />

già in Reginone, gli <strong>al</strong>tri due sono tratti dai sermoni di Cesario di Arles ed<br />

il primo, tra l’<strong>al</strong>tro, verrà poi ripreso per via indiretta anche da un dictum di Graziano<br />

23 .<br />

del sec. XI, Roma 1990, soprattutto pp. 159-160 e 164-165 (per tutto il saggio pp. 151-182). Queste collezioni<br />

furono composte tra gli anni settanta del secolo XI ed i primi decenni del successivo.<br />

22 Ciò spiega, tra l’<strong>al</strong>tro, il duraturo successo di una silloge sostanzi<strong>al</strong>mente ‘episcop<strong>al</strong>ista’ come il<br />

Decretum Burchardi anche in piena ‘età gregoriana’, cfr. R. BELLINI, Un abrégé del Decreto di Burcardo di<br />

Worms: la Collezione canonica in 20 Libri (Ms. Vat. lat. 1350), «Apollinaris», 69 (1996), pp. 141-142 e nn.<br />

corrispondenti per gli opportuni approfondimenti bibliografici. Sull’argomento v. inoltre lo studio di<br />

Fransen cit. sopra, <strong>al</strong>la n. 13.<br />

23 Indichiamo qui le edizioni delle raccolte su citate, con le sigle che utilizzeremo nel contributo:<br />

5L = Collectio canonum V librorum, ed. M. Fornasari, Corpus Christianorum. Continuatio mediaev<strong>al</strong>is, 6,<br />

Turholti 1970 (primi tre libri); Collectio canonum in quinque libris. Libro IV, curante D. Cito, Roma 1989<br />

(Centro Accademico Romano della Santa Croce).<br />

Ans. = ANSELMO DI LUCCA, Collectio canonum una cum collectione minore, ed. F. Thaner, Oeniponte 1906<br />

et 1915 (rist. anast. A<strong>al</strong>en 1965), fino <strong>al</strong> l. XI cap. 15; per la restante parte del libro e per i due conclusivi<br />

abbiamo consultato il ms. Milano, Bibl. Ambrosiana, C. 287 inf.<br />

Bonizo = BONIZONE DI SUTRI, Liber de vita christiana, ed. E. Perels, Berlin 1930.<br />

Deusd. = V. WOLF VON GLANVELL, Der Kanonessammlung des Kardin<strong>al</strong>s Deusdedit, Paderborn 1905 (rist.<br />

anast. A<strong>al</strong>en 1967).<br />

Polyc. = Collectio canonum Polycarpus, per la qu<strong>al</strong>e, mancando una vera edizione, si v. U. HORST, Die<br />

Kanonessammlung Polycarpus des Gregor von S. Grisogono. Quellen und Tendenzen, München 1980 (MGH.<br />

Hilfsmittel, 5).<br />

371


372<br />

Per quanto riguarda le fonti materi<strong>al</strong>i impiegate <strong>d<strong>al</strong></strong>le princip<strong>al</strong>i collezioni canoniche,<br />

esse si distribuiscono secondo la tabella seguente:<br />

FONTI REGINONE BURCARDO IVO (DECRETO) GRAZIANO<br />

Capitolari 9 3 4 1<br />

Canoni di concili 9 15 18 14<br />

Libri penitenzi<strong>al</strong>i 8 7 7 2<br />

Regole monastiche 3 1 2 0<br />

Capitula episcoporum 2 4 4 1<br />

Decret<strong>al</strong>i dei pontefici 0 3 5 4<br />

Brani patristici 0 0 6 18<br />

Scrittori ecclesiastici 0 2 2 4<br />

Frammenti biblici 0 1 1 4<br />

F<strong>al</strong>sificazioni 11 14 5 4<br />

A prescindere da qu<strong>al</strong>che piccola oscillazione, sempre possibile quando si tratta di<br />

definire la tipologia di un testo, i dati raccolti consentono <strong>al</strong>cune interessanti conclusioni.<br />

In primo luogo, si coglie agevolmente la progressiva emarginazione dei<br />

testi spuri, molto abbondanti nelle prime due raccolte, avviata da Ivo di Chartres e<br />

completata da Graziano. In particolare, va sottolineato il fatto che questi ultimi<br />

non hanno elaborato nuove f<strong>al</strong>sificazioni, né le hanno recuperate da <strong>al</strong>tre fonti, ma<br />

si sono limitati – s<strong>al</strong>vo un caso isolato – a trascrivere quelle presenti nelle collezioni<br />

anteriori 24 . In secondo luogo, è non meno evidente la loro scelta di integrare i<br />

testi della tradizione soprattutto mediante l’inserimento dei fragmenta Patrum. Infatti,<br />

se Reginone e Burcardo non presentano <strong>al</strong>cun brano di questo tipo, nel Decretum<br />

del vescovo francese se ne leggono sei, che s<strong>al</strong>gono a 18 nella Concordia,o addirittura<br />

a 22, se ad essi si uniscono i frammenti degli scrittori ecclesiastici.<br />

24 Unica eccezione è infatti costituita da Grat. C. 16 q. 7 c. 4, dove si legge il frammento di un sermone<br />

quadragesim<strong>al</strong>e di asserita paternità ambrosiana: si tratta, in verità, di un testo composto da un anonimo<br />

attorno <strong>al</strong>la metà del sec. IX, posto però sotto l’<strong>al</strong>ta autorità ora del presule milanese, ora di S.<br />

Agostino (cfr. I. MACHIELSEN, Clavis patristica pseudoepigraphorum medii aevi, I/A, Turnholti 1990, pp. 22-<br />

23 n.o 35, e p. 518 n.o 2252). Un profilo complessivo circa l’utilizzo dei f<strong>al</strong>si nelle sillogi canonistiche<br />

è stato tracciato da P. LANDAU, Gefälschtes Recht in den Rechtssammlungen bis Gratian,in Fälschungen im Mittel<strong>al</strong>ter,<br />

Internation<strong>al</strong>er Kongreß der MGH (München, 16.-19. September 1986), II, Hannover 1988<br />

(Schriften der MGH, 33/2), pp. 11-49; per Graziano si v. pure il contributo di CH. MUNIER, Gratiani<br />

patristica apocrypha vel incerta, pp. 289-300 del medesimo volume, interamente dedicato <strong>al</strong>le f<strong>al</strong>sificazioni<br />

nelle fonti giuridiche. Sulla lotta contro i testi apocrifi a muovere <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età della riforma cfr. P. FOUR-<br />

NIER, Un tournant de l’histoire du droit 1060-1140, ora in ID., Mélanges, II, pp. 381-382.


Anche in rapporto <strong>al</strong> nostro tema, pertanto, possono essere confermati gli<br />

orientamenti gener<strong>al</strong>i assunti <strong>d<strong>al</strong></strong>la canonistica a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età della riforma, già<br />

autorevolmente individuati da Paul Fournier 25 . Le conclusioni del grande studioso<br />

francese trovano, per <strong>al</strong>tro, ulteriori e probanti riscontri <strong>al</strong>la luce di qu<strong>al</strong>che <strong>al</strong>tra<br />

rapida considerazione dei dati. Nel Decreto di Graziano si nota, infatti, la ridottissima<br />

presenza di fonti qu<strong>al</strong>i i capitolari, o i frammenti dei libri penitenzi<strong>al</strong>i, fenomeno<br />

spiegabile, nel secondo caso, non tanto – a nostro parere – con l’ostilità della<br />

Chiesa, già in età carolingia, nei confronti di questi testi 26 , quanto piuttosto col<br />

progressivo affermarsi, durante il secolo XII, di nuove pratiche espiatorie, frutto a<br />

loro volta dell’evoluzione soci<strong>al</strong>e e cultur<strong>al</strong>e del tempo, le qu<strong>al</strong>i daranno luogo <strong>al</strong><br />

moderno sistema penitenzi<strong>al</strong>e, sanzionato definitivamente <strong>d<strong>al</strong></strong> concilio Lateranense<br />

IV 27 . L’eclisse dei capitolari, invece, è già evidente in Burcardo, il qu<strong>al</strong>e, pur non<br />

ostile in linea di principio <strong>al</strong>l’intervento del potere imperi<strong>al</strong>e nella Chiesa, intese<br />

tuttavia porgli dei limiti e ciò fece anche riducendo l’utilizzo delle fonti giuridiche<br />

25 Cfr. FOURNIER, LE BRAS, Histoire, II, pp. 4-14, speci<strong>al</strong>mente p. 12, nonché FOURNIER, Un tournant,<br />

pp. 392-394. Fondament<strong>al</strong>e sull’argomento lo studio di CH.MUNIER, Les sources patristiques du droit de<br />

l’Eglise du VIIIe aux XIIIe siècles, Mulhouse 1957, soprattutto pp. 36-43 e, per Graziano, pp. 125-138;<br />

ma si v. anche J. DE GHELLINCK, Le mouvement théologique du XIIe siècle, Bruxelles-Paris 19482 (Museum<br />

Lessianum. Section historique, 10), pp. 465-472; G. PICASSO, <strong>Fonti</strong> patristiche tra teologia e diritto canonico<br />

nella prima metà del secolo XII,in L’Europa dei secoli XI e XII fra novità e tradizione: sviluppi di una cultura,<br />

Atti della X Settimana internazion<strong>al</strong>e di studio (Passo della Mendola, 25-29 agosto 1986), Milano<br />

1989 (Miscellanea del Centro di studi medioev<strong>al</strong>i, 12), pp. 21-35; G. PICASSO,G.MOTTA, Un florilegio<br />

patristico tra teologia e canonistica (Cava dei Tirreni, Bibl. della Badia, ms. 3), ZSSR.KA, 114 (1997), pp. 114-<br />

119. Per Graziano cfr. inoltre LE BRAS,LEFEBVRE,RAMBAUD, L’âge classique, pp. 61-64; CH.MUNIER,<br />

À propos des textes patristiques du Décret de Gratien,in Proceedings of the Third internation<strong>al</strong> Congress of mediev<strong>al</strong><br />

canon law (Strasbourg, 3-6 september 1968), edited by S. Kuttner, Città del Vaticano 1971 (Monumenta<br />

Iuris Canonici. Series C: subsidia, 4), pp. 43-50.<br />

26 Tesi questa sostenuta da Fournier (cfr. FOURNIER,LEBRAS, Histoire, II, pp. 6 e 26-27) e ribadita da<br />

C. VOGEL, Les «Libri paenitenti<strong>al</strong>es», Turnhout 1978 (Typologie des sources du moyen âge occident<strong>al</strong>,<br />

27), p. 91, ma contestata da MORDEK, D<strong>al</strong>la riforma gregoriana, p. 101. Abbiamo offerto una prova concreta<br />

del continuo impiego dei penitenzi<strong>al</strong>i come fonti canonistiche nel contributo Tra riforma e tradizione:<br />

un abrégé del Decreto di Burcardo di Worms, «Aevum. Rassegna di scienze storiche, linguistiche e<br />

filologiche», 72 (1998), pp. 324-331. Più in gener<strong>al</strong>e, per il rapporto tra questi due tipi di testi, G.<br />

PICASSO, Dolore dei peccati, espiazione e perdono in <strong>al</strong>cuni libri penitenzi<strong>al</strong>i, «Ann<strong>al</strong>i di scienze religiose», 3<br />

(1998), pp. 133-140 (speci<strong>al</strong>mente da p. 136).<br />

27 Evoluzione studiata da M.G. MUZZARELLI, Penitenze nel medioevo. Uomini e modelli a confronto, Bologna<br />

1994 (Il mondo mediev<strong>al</strong>e. Studi di storia e storiografia. Sezione di storia delle istituzioni, della spiritu<strong>al</strong>ità<br />

e delle idee, 22), pp. 61-75.<br />

28 La posizione di Burcardo è stata illustrata da FOURNIER, Le Décret, pp. 398-405.<br />

373


374<br />

civili 28 . Le drammatiche vicende della riforma completarono t<strong>al</strong>e orientamento,<br />

oltretutto nel secolo XII sarà semmai il diritto romano giustinianeo ad attirare l’attenzione<br />

dei canonisti, più che le norme dei capitolari 29 . Un atteggiamento simile<br />

le tre collezioni successive <strong>al</strong> De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis lo evidenziano verso le decret<strong>al</strong>i<br />

dei pontefici, completamente assenti in quest’ultima raccolta: pure in questo caso,<br />

Graziano mostra di privilegiare i documenti autentici, viceversa Ivo e Burcardo si<br />

rivolgono maggiormente <strong>al</strong>le Decret<strong>al</strong>i Pseudo-Isidoriane. Nella Concordia, invece,<br />

mancano tot<strong>al</strong>mente i brani estratti <strong>d<strong>al</strong></strong>le regole monastiche, mentre risulta più<br />

consistente l’utilizzo dei passi biblici, speci<strong>al</strong>mente nei dicta Gratiani, evidentemente<br />

con lo scopo di confermare, nel modo più autorevole possibile, la soluzione<br />

proposta <strong>d<strong>al</strong></strong> Maestro <strong>al</strong>le discordantiae canonum 30 .<br />

Molto meno numerosi, per converso, sono i testi offerti <strong>d<strong>al</strong></strong>le raccolte di<br />

decret<strong>al</strong>i. Complessivamente, abbiamo potuto individuare soltanto 18 brani contenenti<br />

riferimenti <strong>al</strong> vino o <strong>al</strong>la vigna, <strong>al</strong>cuni dei qu<strong>al</strong>i piuttosto generici sull’argomento.<br />

T<strong>al</strong>e materi<strong>al</strong>e, tuttavia, è decisamente ampliabile mediante il ricorso <strong>al</strong><br />

commento di Enrico di Susa, che tra l’<strong>al</strong>tro, muovendo <strong>d<strong>al</strong></strong> testo pontificio,<br />

sovente sviluppa la sua riflessione toccando <strong>temi</strong> di carattere più gener<strong>al</strong>e.<br />

Il lavoro dei campi<br />

Passando ora <strong>al</strong>l’esame delle problematiche, dobbiamo innanzi tutto dire che non<br />

si trova, nelle fonti canonistiche, la trattazione di argomenti tecnici relativi, in particolare,<br />

<strong>al</strong>la gestione del patrimonio vitivinicolo, o accenni <strong>al</strong>la sua consistenza; né<br />

si possono ricavare notizie sulla tipologia dei vini, sui lavori e sugli obblighi materi<strong>al</strong>i<br />

spettanti <strong>al</strong> contadino, o sulle rese del prodotto e sul suo v<strong>al</strong>ore commerci<strong>al</strong>e.<br />

29 Su questo v. CH. MUNIER, Droit canonique et droit romain d’après Gratien et les décrétistes, in Études d’histoire<br />

du droit canonique dediées à G. Le Bras, II, Paris 1965, pp. 943-947; J. GAUDEMET, L’apport du droit<br />

romain aux institutions ecclési<strong>al</strong>es (XIe-XIIe s.),in Chiesa, diritto, pp. 173-198, ma soprattutto pp. 180-184.<br />

30 Per l’impiego delle Scritture nel Decreto di Graziano cfr. G. LE BRAS, Les Écritures dans le Décret de<br />

Gratien, ZSSR.KA, 27 (1938), pp. 47-80; CH.MUNIER, À propos des citations scripturaires du Décret de Gratien,<br />

«Revue de droit canonique», 27 (1975), pp. 74-84; J. GAUDEMET, La Bible dans les collections canoniques,<br />

in Le Moyen Âge et la Bible, direction de P. Riché, G. Lobrichon, Paris 1984 (Bible de tous les temps,<br />

4), pp. 346-364, speci<strong>al</strong>mente pp. 355-358 per la loro presenza nei dicta. Sulla funzione di questi<br />

ultimi v. P. LEISCHING, Prolegomena zur Begriff der ‘ratio’ in der Kanonistik, ZSSR.KA, 72 (1986), pp. 329-<br />

337.


L’unica testimonianza attorno a questi <strong>temi</strong>, per <strong>al</strong>tro assai vaga, è offerta da una<br />

decret<strong>al</strong>e di Alessandro III, inviata <strong>al</strong>l’arcivescovo di Cosenza in una data non precisabile.<br />

Nel testo si definisce la pena per un diacono che, tornando assieme ad «un<br />

<strong>al</strong>tro chierico <strong>d<strong>al</strong></strong>le vigne della chiesa dopo avere terminato il lavoro, per <strong>al</strong>leviare<br />

la fatica imitavano un gioco dei viaggiatori», lanciando l’uno il bastone davanti a sé,<br />

mentre l’<strong>al</strong>tro cercava di colpirlo. Disgraziatamente, uno degli attrezzi, armato con<br />

una f<strong>al</strong>ce, colpì un uomo che procedeva a cav<strong>al</strong>lo, ferendolo così gravemente da<br />

portarlo a morte otto giorni dopo 31 . Da quanto si legge nel commento di Ostiense,<br />

si trattava di un gioco piuttosto diffuso, noto con il nome greco di commonovolon,<br />

tradotto da Enrico col corrispondente latino di <strong>al</strong>earum ludus, ossia – ci sembra<br />

– ‘gioco rischioso’, per similitudine con quello dei dadi: come t<strong>al</strong>e, esso era bandito<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la Chiesa, in particolare se praticato da religiosi 32 .<br />

Aldilà della fattispecie giuridica, la decret<strong>al</strong>e ci presenta dunque due ecclesiastici<br />

impegnati nella cura della vigna, un’attività verso la qu<strong>al</strong>e il diritto canonico,<br />

pur senza formulare divieti rigorosi ed espliciti, non aveva mostrato particolari<br />

entusiasmi se a dedicarvisi fossero stati dei chierici: <strong>al</strong>l’agricoltura, semmai, si preferiva<br />

il lavoro artigian<strong>al</strong>e, ma nelle decret<strong>al</strong>i si cerca soprattutto di imporre il<br />

principio secondo cui chi serve l’<strong>al</strong>tare deve vivere di questo 33 . In t<strong>al</strong>e orientamento<br />

convergevano ragioni d’ordine pratico, qu<strong>al</strong>e la necessità di garantire un<br />

adeguato e continuo servizio religioso, e remore di carattere ment<strong>al</strong>e, che collegavano<br />

l’agricoltura – e non solo essa – <strong>al</strong>le ‘opere servili’, indegne per un sacerdote<br />

34 . In re<strong>al</strong>tà, in nessun periodo del medioevo i chierici rimasero estranei <strong>al</strong>le<br />

31 Cfr. X.5.12.8 (seguiamo l’ormai classico modo di citare le decret<strong>al</strong>i proposto da A. STICKLER, Historia<br />

iuris canonici latini. I: Historia fontium, Augustae Taurinorum 1950, p. 251), una decret<strong>al</strong>e collezionata dapprima<br />

nella Comp. I 5.10.9 (le cinque sillogi precedenti il Liber Extra sono state pubblicate da AE.FRIED-<br />

BERG, Quinque compilationes antiquae necnon Collectio canonum Lipsiensis, Lipsiae 1882 [rist. anast. Graz 1956])<br />

32 Le riflessioni del cardin<strong>al</strong>e nei Commentaria si leggono in In quintum Decret<strong>al</strong>ium liber, p. 45A.<br />

33 Per indicazioni gener<strong>al</strong>i sul lavoro dei chierici cfr. G. LE BRAS, Le istituzioni ecclesiastiche della cristianità<br />

medioev<strong>al</strong>e (1130-1378),in Storia della Chiesa, diretta da A. Fliche, V. Martin, XII/1, Torino 1973, pp. 318-<br />

319. Più specificatamente L. PROSDOCIMI, Chierici e laici nella società occident<strong>al</strong>e del secolo XII. A proposito di<br />

Decr. Grat. C. 12 q. 1 c. 7: «Duo sunt genera christianorum»,in Proceedings of the Second internation<strong>al</strong> Congress of<br />

mediev<strong>al</strong> canon law (Boston College, 12-16 august 1963), edited by S. Kuttner, J.J. Ryan, Città del Vaticano<br />

1965 (Monumenta Iuris Canonici. Series C: subsidia, 1), pp. 112-114; J. LE GOFF, Mestieri leciti e mestieri<br />

illeciti nell’Occidente mediev<strong>al</strong>e, ora in ID., Tempo della Chiesa e tempo del mercante. E <strong>al</strong>tri saggi sul lavoro e la cultura<br />

nel medioevo, Torino 1977 (Paperbacks. Storia, 78), pp. 58-59; PICASSO, Campagna, pp. 392-393.<br />

34 Cfr. in particolare, per il secondo aspetto, LE GOFF, Mestieri leciti, pp. 53-55 (dove, <strong>al</strong>la n. 12, si ricorda<br />

il fondamento paolino del divieto, per i chierici, di praticare professioni laic<strong>al</strong>i), 56, 57 e 59; G. ROS-<br />

375


376<br />

fatiche dei campi, tra le qu<strong>al</strong>i la cura della vigna rimaneva sicuramente una delle<br />

princip<strong>al</strong>i, non fosse <strong>al</strong>tro perché da essa proveniva il vino impiegato nella celebrazione<br />

eucaristica 35 . La decret<strong>al</strong>e, inoltre, è l’unica testimonianza canonistica a<br />

presentarci uno degli attrezzi impiegati per questi lavori, la f<strong>al</strong>ce, che noi tenderemmo,<br />

in verità, ad associare piuttosto <strong>al</strong>la cere<strong>al</strong>icoltura o <strong>al</strong>la raccolta del foraggio,<br />

ma che era invece impiegata pure nella vigna, tanto nei lavori preparatori,<br />

quanto nella manutenzione delle piante 36 .<br />

Il vino e il sacro<br />

Il termine vinum, nelle collezioni, compare soprattutto in rapporto a tematiche<br />

eucaristiche, delle qu<strong>al</strong>i, però, non ci occuperemo direttamente. Inteso in questa<br />

prospettiva, in effetti, il vino non è più considerato come oggetto di consumo, o<br />

di v<strong>al</strong>ore, ma come sangue di Cristo, nel qu<strong>al</strong>e la consacrazione eucaristica lo ha<br />

mutato. Dobbiamo tuttavia accennare ad un nucleo di capitoli, tutti di origine<br />

<strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>e e diffusi nelle princip<strong>al</strong>i raccolte, che trattano argomenti prossimi<br />

a questo. Il primo di essi vieta <strong>al</strong> sacerdote l’impiego di un c<strong>al</strong>ice di rame, o di<br />

ottone, perché il vino lo farebbe arrugginire e la sua assunzione provocherebbe<br />

SETTI, Il matrimonio del clero nella società <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>e, in Il matrimonio nella società <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>e, Atti della<br />

XXIV Settimana di studio del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to medioevo (Spoleto, 22-28 aprile 1976),<br />

Spoleto 1977, pp. 538-539; G. FRANSEN, La notion d’oeuvre servile dans le droit canonique, in Le travail au<br />

moyen âge. Une approche interdisciplinaire, Actes du Colloque internation<strong>al</strong> de Louvain-la-Neuve (21-23 mai<br />

1987), ediction par J. Hamesse, C. Muraille-Samaran, Louvain-la-Neuve 1990 (Publication de l’Institut<br />

d’études médiév<strong>al</strong>es. Textes, études, congrés, 10), pp. 177-184, soprattutto pp. 178-181. Le sillogi accoglieranno,<br />

del resto, un autorevole testo carolingio, che ricorda ai fedeli di astenersi appunto <strong>d<strong>al</strong></strong>le «operae<br />

servilia» durante le festività, elencando tra queste «vinea colere» (il frammento si legge in ANSEGI-<br />

SO DI FONTENELLE, Capitularium collectio 1, 75, ed. G. Schmitz, MGH, Capitularia regum francorum,n.s.,I,<br />

Hannoverae 1996, pp. 471-472, ed è diffuso in Reg. 1, 383; Burch. 2, 82; 5L 3, 52, 1; Ivo D. 4, 17). L’ostilità<br />

verso il lavoro agricolo si radicava sull’immagine fortemente negativa del rusticus, oltre che appunto<br />

sulla natura servile della sua – per <strong>al</strong>tro insostituibile – opera: cfr. in proposito J. LE GOFF, I contadini<br />

e il mondo rur<strong>al</strong>e nella letteratura dell’<strong>al</strong>to medioevo, ora in ID., Tempo della Chiesa, pp. 99-113.<br />

35 Indicazioni in V. FUMAGALLI, Terra e società nell’It<strong>al</strong>ia padana. I secoli IX e X, Torino 1976, pp. 160-163<br />

(ma si v. tutto il capitolo, pp. 154-182); ROSSETTI, Il matrimonio, pp. 536-542; G. CHER<strong>UBI</strong>NI, Parroco, parrocchie<br />

e popolo nelle campagne dell’It<strong>al</strong>ia centro-settentrion<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la fine del medioevo,in Pievi e parrocchie in It<strong>al</strong>ia nel<br />

basso medioevo (secoli XIII-XV), Atti del VI Convegno di storia della Chiesa in It<strong>al</strong>ia (Firenze, 21-25 settembre<br />

1981), I, Roma 1984 (It<strong>al</strong>ia Sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, 35), p. 399.<br />

36 Cfr. ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 298, 299 n. 30, 389-396 (speci<strong>al</strong>mente p. 391 n. 6) e 397.


il vomito del celebrante 37 . Altri due canoni, invece, impongono <strong>al</strong> prete vari atti<br />

riparatori ed una breve penitenza – da tre a quattro giorni a pane ed acqua – «si<br />

de c<strong>al</strong>ice <strong>al</strong>iquid stillaverit» in terra, o sull’<strong>al</strong>tare, o sulla tovaglia, o sul corpor<strong>al</strong>e<br />

38 . Il peccato qui considerato è certamente meno grave del precedente, tuttavia<br />

siamo sempre <strong>al</strong>la presenza di reati attribuibili a mancanza d’attenzione e, quindi,<br />

di rispetto nei confronti del sacramento.<br />

Un <strong>al</strong>tro brano ci presenta un nuovo problema, condannando, tra l’<strong>al</strong>tro, la<br />

sostituzione del vino col latte nell’offerta <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tare e la somministrazione di chicchi<br />

d’uva benedetti ai fedeli nel corso dell’eucaristia in luogo della bevanda 39 . Si tratta di<br />

pratiche certamente attribuibili <strong>al</strong>l’ignoranza del sacerdote, ma il fatto che questo<br />

frammento compaia, per la prima volta, nel Decreto di Burcardo, potrebbe pure<br />

suggerire una certa difficoltà a reperire il prezioso liquido nell’area renana, dove la<br />

silloge fu esemplata. Burcardo, infatti, scrisse prima del grande sviluppo loc<strong>al</strong>e della<br />

viticoltura, avviatosi soltanto col secolo XII 40 . Un capitolo del Decretum Gratiani,<br />

estrapolato <strong>d<strong>al</strong></strong>le Etymologie di Isidoro di Siviglia, individua però, tra le varie eresie,<br />

comportamenti parzi<strong>al</strong>mente simili a questo, come quello degli artatyriti, che offrono<br />

pane e formaggio sull’<strong>al</strong>tare seguendo l’esempio dei primi uomini 41 . Si potrebbe<br />

<strong>al</strong>lora ipotizzare l’influenza sulla condotta del sacerdote di credenze a sfondo ereti-<br />

37 Cfr. Reg. 1, 68, diffuso in Burch. 3, 96; Ivo D. 2, 131; Ivo P. 1, 161; Grat. D. 1 c. 45 de cons. Il testo<br />

proverrebbe da un sinodo di Reims, ma è probabilmente una creazione dello stesso Reginone. L’ampia<br />

diffusione nel tempo ci sembra suggerisca una frequente ripetizione di simili casi.<br />

38 Il primo testo si legge in Reg. 1, 69, omogeneo col precedente e diffuso solo in Burch. 3, 89; il<br />

secondo invece in Burch. 5, 47, il qu<strong>al</strong>e lo attribuisce ad un decreto di Pio I (JK+52), mentre proviene<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’Excarpus Cummeani, cap. 13, 18-19 (ed. in SCHMITZ, Die Bussbücher, p. 639): è trascritto poi<br />

da Ivo D. 2, 56; Ivo P. 1, 155; Polyc. 3, 16, 17; Grat. D. 2 c. 47 de cons. Sul concetto di penitenza a pane<br />

ed acqua cfr. VOGEL, Les Libri, pp. 37-39; MUZZARELLI, Penitenze, pp. 41-43.<br />

39 Il testo, presente in Burch. 5, 1; Ivo D. 2, 11; Ivo P. 1, 146; Grat. D. 2 c. 7 de cons., proviene <strong>d<strong>al</strong></strong> concilium<br />

Bracarense III a. 675, cap. 1 (PL 84, coll. 587-589), anche se le collezioni lo attribuiscono ad un<br />

decreto di Giulio I (JK+203).<br />

40 Esempi significativi sul tema in L. CLEMENS, Trier. Eine Weinstadt im Mittel<strong>al</strong>ter, Trier 1993 (Trierer<br />

Historische Forschungen, 22), pp. 25-39 e 54-65; del medesimo autore v. anche Weinwirtschaft im hohen<br />

und späten Mittel<strong>al</strong>ter,in Weinbau zwischen Maas und Rhein in der Antike und im Mittel<strong>al</strong>ter, herausgegeben<br />

von M. Matheus, Trier 1997 (Trierer Historische Forschungen, 23), pp. 85-88.<br />

41 Cfr. Grat. C. 24 q. 3 c. 39, il qu<strong>al</strong>e ricorda pure gli aquarii, che offrono soltanto l’acqua, ed i severiani,<br />

che non bevono vino e rifiutano sia l’Antico Testamento, sia la resurrezione. A proposito dei primi,<br />

si noti come il testo conciliare citato ricordi la necessità di mescolare sempre acqua e vino nel<br />

c<strong>al</strong>ice, in segno di unione tra Cristo ed i fedeli. Natur<strong>al</strong>mente, l’impiego di Isidoro non significa che<br />

Graziano intendesse combattere proprio quella eresia.<br />

377


378<br />

c<strong>al</strong>e, o piuttosto di culti paganeggianti, i qu<strong>al</strong>i avrebbero potuto contaminare la celebrazione<br />

della messa cristiana nelle campagne renane 42 , magari grazie <strong>al</strong>la sua somiglianza<br />

con le offerte libatorie agli dei, benché quest’ultime, presso i germani, prevedessero<br />

di norma l’impiego dapprima dell’idromele ed in seguito della birra 43 .<br />

Infatti, un canone di Reginone vieta di consacrare sull’<strong>al</strong>tare «pro vino siceram»,<br />

poi però estende la proibizione, ancora una volta, <strong>al</strong> latte 44 : parrebbe quindi che l’offerta<br />

di quest’ultimo non fosse ignota <strong>al</strong>le pratiche religiose del mondo germanico,<br />

nonostante le fonti più importanti, relative <strong>al</strong>le antiche tradizioni religiose di questi<br />

popoli, tacciano sull’argomento 45 . A meno che non ci si trovi di fronte <strong>al</strong>la emergenza<br />

di credenze folkloriche di matrice celtica, sopravvissute <strong>al</strong> processo di cristianiz-<br />

42 In re<strong>al</strong>tà, il rapporto tra la cultura folklorica – condividiamo infatti le conclusioni di J.-C. SCHMITT,<br />

Introduzione a ID., Religione, folklore e società nell’Occidente mediev<strong>al</strong>e, Bari-Roma 1988 (Quadrante, 14), pp.<br />

13-20, circa le ragioni che suggeriscono di impiegare questo termine, piuttosto che quelli di ‘religione’<br />

o ‘cultura’ popolare – e quella ‘dotta’ e ‘scritta’ della Chiesa è assai complesso e descrivibile, in particolare,<br />

più nei termini della circolarità – non senza chiusure e resistenze reciproche – che di un’influenza<br />

unidirezion<strong>al</strong>e, come ha mostrato lo stesso Schmitt <strong>al</strong>le pp. 10-13 e 20-24 del contributo citato<br />

e, soprattutto, negli 11 saggi raccolti nel volume (si v. in particolare il primo di essi, Le tradizioni folkloriche<br />

nella cultura mediev<strong>al</strong>e, pp. 28-49, speci<strong>al</strong>mente pp. 38-44 e 48-49). Per ulteriori conferme v. J. LE<br />

GOFF, Cultura cleric<strong>al</strong>e e tradizioni folkloriche nella civiltà merovingia,ora in ID., Tempo della Chiesa, soprattutto<br />

pp. 198-201 e n. 26 di p. 203 (per tutto il saggio pp. 193-204); R. MANSELLI, Resistenze dei culti antichi<br />

nella pratica religiosa dei laici nelle campagne,in Cristianizzazione ed organizzazione ecclesiastica delle campagne<br />

nell’<strong>al</strong>to medioevo: espansione e resistenze, Atti della XXVIII Settimana di studio del Centro it<strong>al</strong>iano di studi<br />

sull’<strong>al</strong>to medioevo (Spoleto, 10-16 aprile 1980), Spoleto 1982, pp. 98-100; A.J. GUREVIČ, Contadini e<br />

santi. Problemi della cultura popolare nel medioevo, Torino 1986 (Paperbacks. Storia, 169), pp. 3-53 (circolarità<br />

che lo studioso russo ha confermato nei capitoli successivi dell’opera, esaminando varie tipologie<br />

di fonti: si v. soprattutto le pp. 145-146 e 164-165 per il processo di osmosi, presso i fedeli delle campagne,<br />

tra il cristianesimo ‘uffici<strong>al</strong>e’ e le credenze folkloriche di cui erano portatori).<br />

43 Cfr. A.M. DI NOLA, s.v.,Germani, in Enciclopedia delle religioni, II, Firenze 1970, col. 1784; J. DE<br />

VRIES, La religione dei Germani, in Storia delle religioni, a cura di H.-C. Puech, I/2, Roma-Bari 1976, pp.<br />

792-793; MANSELLI, Resistenze, p. 76. In gener<strong>al</strong>e sulla pratica delle libazioni v. H.D. BETZ, s.v.,Libazioni,<br />

in Enciclopedia delle religioni. II: Il rito. Oggetti, atti, cerimonie, a cura di D.M. Cosi, L. Saibene, R. Scagno,<br />

Milano 1994, pp. 322-325. Per il carattere sacro della birra nel paganesimo nordico, mantenutosi<br />

parzi<strong>al</strong>mente anche dopo la cristianizzazione, cfr. M. MONTANARI, La fame e l’abbondanza. Storia<br />

dell’<strong>al</strong>imentazione in Europa, Roma-Bari 1993 (Fare l’Europa, 3), pp. 27-29.<br />

44 e Reg. 1, 64, trascritto dai Canones Apostolorum, cap. 3, ed. P.-P. Ioannu, Discipline génér<strong>al</strong>e antique (IV -<br />

IXe s.). I/2: Les canons des synodes particuliers, Grottaferrata 1962 (Codificazione canonica orient<strong>al</strong>e.<br />

<strong>Fonti</strong>, 9), p. 9. Il brano è presente pure nella Anselmo dedicata 10, 84, <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e lo ha trascritto Burch.<br />

5, 8, che a sua volta lo ha trasmesso a Deusd. 3, 3 e ad Ivo D. 2, 17. Da sottolineare come la raccolta<br />

di Reginone provenga anch’essa <strong>d<strong>al</strong></strong>l’area renana.<br />

45 Un racconto danese, tuttavia, prevede l’impiego del latte per combattere un incantesimo, mentre<br />

un <strong>al</strong>tro tema folklorico, di provenienza germanica, narra di una mucca che produce latte rosso: cfr.


zazione delle campagne, la cui superfici<strong>al</strong>ità, del resto, è stata messa in luce da numerosi<br />

studi 46 . In <strong>al</strong>cuni racconti della tradizione pagana celtica, in effetti, il latte è presente<br />

con v<strong>al</strong>enze, ad onor del vero, più magiche che propriamente religiose e sacre 47 .<br />

Questa caratteristica, però, appare conservarsi anche in seguito, dopo l’avvenuta cristianizzazione,<br />

<strong>al</strong> punto da coinvolgere l’<strong>al</strong>imento in <strong>al</strong>cuni miracoli avvenuti in terre<br />

d’Irlanda e d’Inghilterra 48 . La natura latamente sacra del latte potrebbe perciò essersi<br />

conservata tenacemente, in questo forse favorita <strong>d<strong>al</strong></strong>la su menzionata difficoltà nell’approvvigionamento<br />

del vino. Che non si tratti di questione da poco lo suggerisce,<br />

tra l’<strong>al</strong>tro, la severa pena prevista <strong>d<strong>al</strong></strong> De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis per il prete inadempiente, il<br />

qu<strong>al</strong>e subirà la degradazione se sarà sorpreso a compiere t<strong>al</strong>e atto.<br />

Per quanto riguarda invece l’uva, <strong>al</strong>cuni testi la ricordano tra le primizie di cui era<br />

consentita l’offerta <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tare, una prassi antica, progressivamente abbandonata <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

Chiesa, ma costantemente ricordata <strong>d<strong>al</strong></strong> diritto canonico 49 . Un frammento, in parti-<br />

S. THOMPSON, Motif-index of folk-litterature, 6 voll., Helsinki 1932-1936 (Folklore fellows communications,<br />

106-109 e 116-117), B 182.1 e D 764.1 (in questi preziosi volumi si troveranno, volta a volta,<br />

gli opportuni rinvii <strong>al</strong>le fonti ed <strong>al</strong>la bibliografia). Inoltre, nell’Edda di Snorri, <strong>al</strong> cap. 6, si ricorda la<br />

mucca Audhhumla, <strong>d<strong>al</strong></strong>le cui mammelle scorrono quattro fiumi di latte, grazie ai qu<strong>al</strong>i è nutrito il<br />

gigante Ymir (cfr. L’Edda di Snorri. Miti e leggende dell’antica Scandinavia, a cura di G. Chiesa Isnardi,<br />

Milano 1975, p. 68). Il latte, in effetti, ricopriva un ruolo abbastanza rilevante nelle abitudini <strong>al</strong>imentari<br />

di questi popoli, v. MONTANARI, La fame, pp. 14-15.<br />

46 Tra questi M. BLOCH, La società feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e, Torino 1982 (Reprints, 10), pp. 100-102; MANSELLI, Resistenze,<br />

pp. 57-108; GUREVIČ, Contadini e santi, pp. 9-10 e 365-366.<br />

47 Delle numerose indicazioni raccolte da THOMPSON, Motif-index, si v., ad esempio, D 1652.3 (sette<br />

mucche forniscono latte senza mai esaurirsi) per l’area irlandese; D 766.4 (disincantamento mediante<br />

il bagno nel latte), D 1886.1 (ringiovanimento bruciando ossa e gettandole poi in un mastello di latte),<br />

F 271.1 e 366.1 (fate che mungono le mucche, nel secondo caso con le mammelle apparentemente<br />

asciutte) per l’area anglo-scozzese; D 479.4 (acqua mutata in latte), H 1361 (ricerca di latte di leone da<br />

parte di un eroe per guarire la madre) e T 592 (il latte riappare improvvisamente nel seno asciutto di<br />

una donna) per l’area francese (il secondo è bretone, l’ultimo lorenese). In ambito celtico va inoltre<br />

segn<strong>al</strong>ata la leggenda del porco di Mac Datho, un enorme anim<strong>al</strong>e nutrito per sette anni col latte di sessanta<br />

mucche e poi consumato assieme a quaranta buoi: cfr. MONTANARI, La fame,p.16.<br />

48 Sempre con riferimento <strong>al</strong>l’opera di Thompson, cfr. per l’Irlanda B 292.3 (una cerva fornisce il latte<br />

ad un bambino, su richiesta del santo, non essendovi mucche disponibili) e D 2182 (<strong>al</strong>cune mucche,<br />

leccate le vesti del santo, forniscono latte abbondantissimo); per l’Inghilterra D 2161.5.3.3 (guarigioni<br />

avvenute mediante il latte della vergine Maria).<br />

49 Fino <strong>al</strong> concilio di Trento, benché essa appaia in declino già a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> sec. IX: v. P. FOURNERET,<br />

s.v., Biens ecclésiastiques, in Dictionnaire de théologie catholique, 2/1, Paris 1910, col. 850; cfr. anche J. GAU-<br />

DEMET, L’Église dans l’empire romaine (IVe-Ve siècles), Paris 1958 (Histoire du droit et des institutions de<br />

l’Église en Occident, 3), pp. 291-293; ID., Le gouvernement de l’Église à l’epoque classique. II: Le gouvernement<br />

loc<strong>al</strong>, Paris 1979 (Histoire du droit et des institutions de l’Église en Occident, 8/2), p. 270.<br />

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380<br />

colare, attribuisce a papa Eutichiano l’avere riservato solo a questo frutto ed <strong>al</strong>le fave<br />

l’onore dell’offerta «tempore quo sancta celebretur oblatio», ma <strong>al</strong>tri vi aggiungono<br />

l’olio, l’incenso e le «novas spicas» 50 . Anche in questo caso, tuttavia, è rigido il divieto<br />

di sostituire questi prodotti <strong>al</strong> vino, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e si possono, <strong>al</strong> più, aggiungere.<br />

Il v<strong>al</strong>ore del vino<br />

La vigna e la sua produzione sono inseriti, natur<strong>al</strong>mente, nel più vasto problema<br />

dei beni ecclesiastici. Da questo punto di vista, però, non s’individua una normativa<br />

specifica: in <strong>al</strong>tre parole, la vigna è considerata semplicemente come uno<br />

dei tanti tipi di bona che componevano la proprietà della Chiesa e, pertanto,<br />

godeva dei loro comuni privilegi, qu<strong>al</strong>e, in prima istanza, la proibizione di <strong>al</strong>ienarla.<br />

Di questo aspetto si occupa un frammento tratto <strong>d<strong>al</strong></strong> Capitulare di Erardo<br />

di Tours, nel qu<strong>al</strong>e il vino è presente, a fianco di terre, boschi, utensilia, vestiti,<br />

pecore «et reliquis possessionibus», tra ciò che può essere donato a Cristo, divenendo,<br />

in t<strong>al</strong>e caso, oggetto consacrato e, dunque, non reimpiegabile per <strong>al</strong>tre<br />

fin<strong>al</strong>ità 51 . Nella pratica, tuttavia, l’<strong>al</strong>ienazione era t<strong>al</strong>volta consentita, quindi<br />

occorreva stabilirne esattamente i termini, onde evitare abusi o truffe <strong>al</strong>l’istituzione<br />

sacra. Un testo ben noto permette così <strong>al</strong> vescovo di cedere, o permutare,<br />

una «terrulas aut vineas» senza chiedere il consenso del suo clero, purché si tratti<br />

di proprietà exiguas, poste in loc<strong>al</strong>ità disagevoli e scarsamente produttive 52 .<br />

50 Il primo testo si trova in Bonizo 4, 27, che cita <strong>d<strong>al</strong></strong> Liber pontific<strong>al</strong>is (ma la pratica è successiva: v. H.<br />

MAROT,s.v.,Eutychien, in Dictionnaire d’histoire, 16, Paris 1967, col. 91); per gli <strong>al</strong>tri cfr. Reg. 1, 65, diffuso<br />

in Burch. 5, 6 (che lo trascrive però da Anselmo dedicata 10, 85); Deusd. 3, 3; Ivo D. 2, 16; inoltre Burch.<br />

5, 7 (sempre <strong>d<strong>al</strong></strong>la Anselmo dedicata, 10, 85bis), la cui fonte form<strong>al</strong>e è, significativamente, una f<strong>al</strong>sa epistola<br />

di Eutichiano creata <strong>d<strong>al</strong></strong>lo Pseudo-Isidoro (cfr. JK+145): il frammento si legge poi in Ivo D. 2, 17.<br />

51 Il brano si legge in Burch. 3, 129, tra i canoni dedicati <strong>al</strong>la decima, quindi in Bonizo 8, 3, e in Ivo<br />

D. 3, 195. Sull’in<strong>al</strong>ienabilità dei beni ecclesiastici cfr. in gener<strong>al</strong>e FOURNERET, s.v.,Biens ecclésiastiques,<br />

coll. 861-864. Per il diritto canonico, inquadramento complessivo in LE BRAS, Le istituzioni ecclesiastiche,<br />

pp. 329-330; più specifici sulle sillogi canonistiche G. PICASSO, Testi canonistici nel ‘Liber de honore<br />

Ecclesiae’ di Placido di Nonantola, «Studia Gratiana», 20 (1976), pp. 292-293; ID., Campagna, pp. 386-387;<br />

BELLINI, Tra riforma, p. 317, mentre v. ID., Diritto canonico, p. 186, per le decret<strong>al</strong>i.<br />

52 Cfr. Reg. 1, 363, poi ripreso da Ivo D. 3, 160 e da Grat. C. 12 q. 2 c. 53. La fattispecie si giustifica<br />

col principio ad meliorandum – v. FOURNERET,s.v.,Biens ecclésiastiques, col. 861 – che ritroveremo applicato<br />

più avanti. Su questo testo aveva già attirato l’attenzione PICASSO, Campagna, pp. 385-386; per le<br />

decret<strong>al</strong>i cfr. BELLINI, Diritto canonico, pp. 186-187.


Un <strong>al</strong>tro brano vieta l’applicazione della prescrizione trentenn<strong>al</strong>e <strong>al</strong>le vigne<br />

concesse <strong>d<strong>al</strong></strong> presule a secolari o regolari a titolo di beneficio, affinché un atto di<br />

generosità, o di misericordia, non si risolva in un danno permanente per la Chiesa<br />

53 . Invece, è possibile affrancare i servi e dotarli con terre e vigne – senza i qu<strong>al</strong>i<br />

beni, evidentemente, a poco servirebbe loro l’essere stati liberati – ma soltanto<br />

entro un v<strong>al</strong>ore di 20 soldi, <strong>al</strong>trimenti, gli eredi del beneficiato dovranno restituire<br />

quanto eccedeva t<strong>al</strong>e somma 54 .<br />

Identico discorso va fatto per la decima, cui era sottoposto pure il vino: anche<br />

in questo caso, non si possono dedurre dai capitoli caratteristiche particolari della<br />

tassa quando era applicata <strong>al</strong>la bevanda. Gli aspetti gener<strong>al</strong>i sono fissati da un diffusissimo<br />

canone di Burcardo 55 , un <strong>al</strong>tro frammento del qu<strong>al</strong>e si premura <strong>al</strong>tresì<br />

d’indicare il destinatario del versamento nella chiesa in cui sono percepiti i sacra-<br />

53 Il testo, proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong> concilium Aurelianense a. 511, cap. 23 (ed. Ch. Munier, Concilia G<strong>al</strong>liae A. 511-<br />

A. 595, Corpus Christianorum. Series latina [da ora CCL] 148A, Turnholti 1963, p. 11), è diffuso solo in<br />

Grat. C. 16 q. 3 c. 12: v. PICASSO, Campagna, p. 385. La Chiesa accolse il principio del possesso trentenn<strong>al</strong>e<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> diritto romano, sia pure con <strong>al</strong>cune modifiche, come ha mostrato J. GAUDEMET, Le droit<br />

au service de la pastor<strong>al</strong>e (Grat. C. XVI q. 3), in Società, istituzioni, spiritu<strong>al</strong>ità. Studi in onore di C. Violante,<br />

Spoleto 1994, pp. 409-421.<br />

54 Cfr. Ivo D. 16, 50, poi ripreso da Grat. C. 12 q. 2 c. 57, probabilmente attraverso la Collectio Tripartita.<br />

Queste raccolte, del resto, si collocano in un momento storicamente cruci<strong>al</strong>e, durante il qu<strong>al</strong>e<br />

avviene il passaggio <strong>d<strong>al</strong></strong> servaggio <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>e – o ‘carolingio’, per utilizzare una classica espressione<br />

di Marc Bloch – <strong>al</strong>la formazione di un nuovo ceto di non-liberi, conseguenza delle trasformazioni<br />

economiche, soci<strong>al</strong>i e politico-istituzion<strong>al</strong>i prodottesi durante i secoli X-XI: cfr. sull’argomento<br />

R. BOUTRUCHE, Signoria e feu<strong>d<strong>al</strong></strong>esimo. II: Signoria rur<strong>al</strong>e e feudo, Bologna 1974, pp. 43-64 (speci<strong>al</strong>mente da<br />

p. 57); G. DUBY, Le origini dell’economia europea. Guerrieri e contadini nel medioevo, Roma-Bari 1975, pp. 40-<br />

42, 49-58, 221-222 e 232-233; BLOCH, La società, pp. 288-315; ID., Come e perché finì la schiavitù antica,in<br />

ID., Lavoro e tecnica nel medioevo, Roma-Bari 1987, pp. 221-263; G. TABACCO,G.G.MERLO, <strong>Medioevo</strong>. V-<br />

XV secolo, Bologna 1989 (La civiltà europea nella storia mondi<strong>al</strong>e, 1), pp. 216-219.<br />

55 Cfr. Burch. 3, 136, che unisce un frammento della su citata sinodo aurelianense (cap. 15, v. n. 53,<br />

p. 9) con un brano elaborato <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso presule wormaciense: il testo si legge pure in Bonizo 8, 10;<br />

Ivo D. 3, 202; Ivo P. 2, 61; Grat. C. 10 q. 1 c. 7. Sull’origine e lo sviluppo della decima resta fondament<strong>al</strong>e<br />

C.E. BOYD, Tithes and parishes in mediev<strong>al</strong> It<strong>al</strong>y. The historic<strong>al</strong> roots of a modern problem, Ithaca-<br />

New York 1952, pp. 26-46, 75-86 e 103-240, da integrare con A. CASTAGNETTI, Le decime e i laici, in<br />

La Chiesa e il potere politico <strong>d<strong>al</strong></strong> medioevo <strong>al</strong>l’età contemporanea, a cura di G. Chittolini, G. Miccoli, Torino<br />

1986 (Storia d’It<strong>al</strong>ia. Ann<strong>al</strong>i, 9), pp. 507-530 (il qu<strong>al</strong>e osserva, pp. 528-529, come l’estrema varietà<br />

delle situazioni loc<strong>al</strong>i renda difficile un’interpretazione unitaria della problematica). Per gli aspetti<br />

canonistici v. G. LEPOINTE, s.v.,Dîme, in Dictionnaire de droit canonique, 4, Paris 1949, pp. 1231-1236;<br />

LE BRAS, Le istituzioni ecclesiastiche, pp. 323-327; PICASSO, Campagna, pp. 387-390; GAUDEMET, Le gouvernement,<br />

pp. 272-274; BELLINI, Tra riforma, p. 318; ID., Diritto canonico, pp. 189-193.<br />

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382<br />

menti 56 . Due brani confermano, a due secoli di distanza, l’obbligo di c<strong>al</strong>colarla sul<br />

lordo della produzione, la qu<strong>al</strong> cosa ne spiega il rilevante ammontare 57 ; il fatto però<br />

che la vigna ed il vino vengano costantemente ricordati nella casistica ci sembra<br />

ulteriormente attestare la consapevolezza della Chiesa circa il loro notevole v<strong>al</strong>ore:<br />

lo sfruttamento della vigna, in effetti, esigeva un notevole dispendio di tempo, di<br />

energie e di denaro prima di risultare redditizio 58 . Non casu<strong>al</strong>mente Graziano,<br />

quando vuole stabilire la completa esenzione dei bona Ecclesiae <strong>d<strong>al</strong></strong>la stessa autorità<br />

imperi<strong>al</strong>e, impiega, tra gli <strong>al</strong>tri, un passaggio del Sermo contra Auxentium di Ambrogio,<br />

che utilizza l’episodio biblico della vigna di Nabot come modello della difesa,<br />

cui la Chiesa è tenuta nei confronti dei suoi possedimenti 59 .<br />

Un <strong>al</strong>tro segno di questa attenzione può forse sorprendersi in un gruppo di<br />

canoni inseriti <strong>al</strong> termine del III libro della collezione di Deusdedit, una silloge di<br />

per sé composta per affermare e difendere le prerogative della sede romana 60 .Si<br />

tratta, innanzi tutto, di due lettere pap<strong>al</strong>i, che concedono due fondi «cum vineis<br />

suis», posti nelle vicinanze di Roma, in cambio di un censo annuo pari, rispettivamente,<br />

a due e tre soldi d’oro e, per il secondo, con la clausola ad meliorandum da<br />

parte del tenutario. La proprietà di entrambi resta però <strong>al</strong>la Chiesa, cui dovranno<br />

essere restituiti dopo la morte dei conduttori 61 . Alle lettere seguono una lunga<br />

56 Cfr. Burch. 3, 132, poi in Ans. 5, 57; Ivo D. 3, 189; Ivo P. 2, 59; Grat. C. 16 q. 1 c. 46. In It<strong>al</strong>ia, t<strong>al</strong>e<br />

destinazione si era imposta quando la decima era ancora un atto caritatevole e meritorio e non un<br />

obbligo fissato legislativamente, v. BOYD, Tithes and parishes, pp. 35-36.<br />

57 Si tratta di Reg. 1, 46, e di Grat. C. 16 q. 7 c. 4 (su quest’ultimo testo cfr. sopra, n. 24). Per gli introiti<br />

della decima indicazioni preziose in CASTAGNETTI, Le decime, pp. 513-516 (speci<strong>al</strong>mente p. 518 per<br />

il vino) e 525-529.<br />

58 Si v., con ampio corredo bibliografico, ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 290-303.<br />

59 Cfr. Grat. C. 23 q. 8 c. 21§5, trascritto <strong>d<strong>al</strong></strong>la Collezione in Tre Libri, come è stato documentato con<br />

chiarezza da G. MOTTA, Testi di sant’Ambrogio nella Collezione canonica in Tre Libri e nel Decreto di Graziano,<br />

in ‘Ambrosius episcopus’, Atti del Congresso internazion<strong>al</strong>e di studi ambrosiani nel XVI centenario<br />

della elevazione di sant’Ambrogio <strong>al</strong>la cattedra episcop<strong>al</strong>e (Milano, 2-7 dicembre 1974), a cura di G.<br />

Lazzati, II, Milano 1976 (Studia patristica Mediolanensia, 7), pp. 85-86 n. 6.<br />

60 Per questo aspetto della silloge si v. da ultimo G. PICASSO, Motivi ecclesiologici nella ‘Collectio canonum’<br />

del cardin<strong>al</strong>e Deusdedit. I testi di san Cipriano,in <strong>Medioevo</strong> e latinità in memoria di E. Franceschini, a cura di A.<br />

Ambrosioni, M. Ferrari, C. Leonardi, G. Picasso, M. Regoliosi, P. Zerbi, Milano 1993 (Bibliotheca<br />

erudita. Studi e documenti di storia e filologia, 7), pp. 403-413.<br />

61 Cfr. Deusd. 3, 139-140, lettere rispettivamente di Onorio I del 12 maggio 626 (JE 2013) e di Gregorio<br />

II del 13 aprile 725 (JE 2173). I fondi sono collocati lungo la via Portuense e la via Flaminia,<br />

v. P.F. KEHR, It<strong>al</strong>ia Pontificia.I:Roma, Berolini 1906, p. 15 n.o 4 e p. 19 n.o 1 (da ora IP).


serie di brani, tratti perlopiù <strong>d<strong>al</strong></strong> Liber censuum, <strong>d<strong>al</strong></strong> Registrum di Gregorio VII e <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

leggi imperi<strong>al</strong>i, i qu<strong>al</strong>i elencano beni e diritti di censo spettanti <strong>al</strong>la sede romana<br />

in un’area piuttosto vasta. In sette di questi testi vengono ricordate delle vigne:<br />

la percentu<strong>al</strong>e è pertanto esigua 62 , inoltre mancano, come nei due introduttivi,<br />

precise indicazioni sulla re<strong>al</strong>e consistenza di questi patrimoni. In soli due casi,<br />

infine, viene sottolineato il censo dovuto, pari a 30 soldi aurei l’anno per una concessione<br />

di Onorio I, a t<strong>al</strong>e Domenico, di «terre e vigne e prati fuori porta Flaminia<br />

fino <strong>al</strong> ponte Milvio», ed a 6 denari maggiori, 4 medi e 2 minori – più gli obblighi<br />

di «expeditionem, conloquium et placitum» – per la locazione del «castrum<br />

Albinino sito nel comitato di Narni», <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e sono collegati <strong>al</strong>cuni vigneti, a vantaggio<br />

degli oppidani 63 . Altri tre casi riguardano concessioni, effettuate da Gregorio<br />

II, di <strong>al</strong>cuni beni siti nel territorio di Anagni, nel «patrimonium suburbani<br />

Tusciae», nel «patrimonio dell’Appia»: in questi documenti non è indicato il censo,<br />

ma per l’ultimo fondo si precisa che, oltre ad esso, si verserà «vini decimatas<br />

numero lxxx. in praesentia missi parcellarii» 64 . Per quanto riguarda, infine, gli ultimi<br />

due frammenti – in re<strong>al</strong>tà i primi della serie – essi segn<strong>al</strong>ano l’esistenza di vigne<br />

nei possedimenti del monastero di S. Pietro di Lucca ed in quelli della Chiesa<br />

romana «nel comitato perugino», senza offrire ulteriori precisazioni 65 .<br />

I capitoli della collezione ci mettono dunque in rapporto con la concreta<br />

gestione del patrimonio vitivinicolo della sede romana, o meglio, con una piccolissima<br />

sua parte. Risulta abbastanza evidente la preoccupazione di ricavare<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le colture una rendita adeguata <strong>al</strong> loro v<strong>al</strong>ore e di favorirne lo sviluppo<br />

mediante la stipulazione di contratti di sfruttamento, mantenendone <strong>al</strong> tempo<br />

stesso il pieno possesso. Non è, tuttavia, possibile andare oltre queste osservazioni<br />

gener<strong>al</strong>i: del resto, se si fa eccezione per la quasi coeva epistola di Gregorio<br />

VII, gli <strong>al</strong>tri brani vanno datati a tempi antecedenti la composizione della<br />

raccolta, la qu<strong>al</strong>e li utilizza soprattutto per fondare il diritto di proprietà della<br />

Sede Apostolica, speci<strong>al</strong>mente nell’area del Patrimonium sancti Petri. Aldilà di que-<br />

62 Nella serie, costituita da Deusd. 3, 185-289, la presenza della vigna si riscontra nei capp. 191, 200,<br />

201, 209, 214, 222 e 247, la cui fonte è il Liber censuum (Le ‘Liber censuum’ de l’Église Romaine, ed. P.<br />

Fabre, Paris 1902, pp. 346, 349, 350-351 e 353).<br />

63 Per il primo testo (cap. 209) cfr. IP, I, p. 197 n.o 3 (JE 2032); il secondo (cap. 201) è un atto di Gregorio<br />

VII, segn<strong>al</strong>ato da IP.IV:Umbria, Picenum, Marsia, Berolini 1909, p. 34 n.o 3 (JE 5284).<br />

64 Si tratta dei capp. 214, 217 e 247, sui qu<strong>al</strong>i si v. IP. II: Latium, Berolini 1907, p. 7 n.o 11 (JE 2190),<br />

p. 11 n.o 9 (JE 2198) e p. 3 n.o 4 (JE 2223).<br />

65 Capp. 191 e 200, rispettivamente in IP. III: Etruria, Berolini 1908, p. 444 n.o 1, e IP, IV, pp. 78-79.<br />

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sti limiti, in ogni caso, la menzione di vigne e vigneti ci pare confermi l’importanza<br />

che la Chiesa attribuiva a questi beni, <strong>al</strong>l’interno del suo più ampio e variegato<br />

patrimonio.<br />

Per concludere questa parte della ricerca, ricorderemo come la riscossione<br />

della decima sul vino sia uno dei pochi argomenti ripresi in seguito <strong>d<strong>al</strong></strong> diritto<br />

delle decret<strong>al</strong>i. In gener<strong>al</strong>e, il prodotto è fatto rientrare tra i beni predi<strong>al</strong>i, oggetto<br />

della decima «expensis non deductis»: è però concesso <strong>al</strong> locatario dedurre <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

versamento tutte le spese affrontate per causa di forza maggiore e che non hanno,<br />

quindi, contribuito <strong>al</strong>la formazione del profitto. Viceversa, quelle sostenute<br />

<strong>al</strong>lo scopo di percepire i frutti della vigna e gli eventu<strong>al</strong>i investimenti fatti per risistemarla,<br />

se in tutto o in parte fosse stata danneggiata, non sono deducibili <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

tassa 66 . Nel suo commento, Enrico di Susa precisa così il senso della disposizione:<br />

la deduzione si può effettuare solamente se la spesa grava direttamente sui<br />

frutti e non sulla rendita garantita <strong>d<strong>al</strong></strong>la vigna; del resto, come si è sopra accennato,<br />

l’esborso economico per la sua gestione era, in effetti, molto consistenti e,<br />

quindi, in grado di ridurre notevolmente l’ammontare della decima, se ne fosse<br />

stata concessa la sottrazione <strong>d<strong>al</strong></strong>l’importo lordo. Per quanto attiene invece <strong>al</strong>le<br />

opere di riparazione, Ostiense osserva che «se spendi qu<strong>al</strong>che somma per restaurare<br />

il bene, t<strong>al</strong>e restaurazione è tua, non della Chiesa», ovverosia torna, in fin dei<br />

conti, a vantaggio del locatario, il qu<strong>al</strong>e potrà beneficiarne negli anni futuri.<br />

Esprimendo un tipico aspetto della ment<strong>al</strong>ità mediev<strong>al</strong>e, conclude poi sottolineando<br />

come l’eventu<strong>al</strong>e danno «va imputato a te ed ai tuoi peccati» e non <strong>al</strong>l’istituzione<br />

ecclesiastica, che pertanto sarebbe defraudata da un’eventu<strong>al</strong>e deduzione<br />

in materia 67 . Una decret<strong>al</strong>e di Onorio III, riprodotta solamente nella Com-<br />

66 Il testo princip<strong>al</strong>e è X.3.30.28, una decret<strong>al</strong>e di Innocenzo III <strong>al</strong> vescovo di Ely: cfr. Registrum epistolarum<br />

7, 169, ed. O. Hageneder, Die Register Innocenz’III. 7.: Pontifikatsjahr 1204/1205, Wien 1997<br />

(Publikationen des Historischen Instituts beim österreichischen Kulturinstitut in Rom. II. Abteilung.<br />

Quellen. 1. Reihe, 7 Band), p. 303, completato da una lettera di Alessandro III (X.3.30.22; JL 17655).<br />

67 Cfr. In tertium Decret<strong>al</strong>ium liber, p. 105. Questo aspetto della ment<strong>al</strong>ità medioev<strong>al</strong>e si originava <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

modo peculiare in cui, a quell’epoca, era pensato il rapporto tra l’uomo e la natura, che del resto<br />

conobbe un’evoluzione durante i secoli dell’età di mezzo: cfr. in gener<strong>al</strong>e LE GOFF, I contadini, p. 108;<br />

BLOCH, La società, pp. 102-103; V. FUMAGALLI, Atteggiamenti ment<strong>al</strong>i e stili di vita, in La Storia. I grandi<br />

problemi <strong>d<strong>al</strong></strong> medioevo <strong>al</strong>l’età contemporanea, a cura di N. Tranfaglia, M. Firpo, I/1, Milano 1993, pp. 748-<br />

753; ID., Paesaggi della paura. Vita e natura nel medioevo, Bologna 1994, pp. 27-36 e 95-115. Esemplificazioni<br />

in materia in P. BONASSIE, Consommation d’<strong>al</strong>iments immondes et cannib<strong>al</strong>isme de survie dans l’Occident<br />

du haut moyen âge, «Ann<strong>al</strong>es E.S.C.», 44 (1989), pp. 1047-1048, e in J. FLORI, L’Église et la guerre sainte de<br />

la ‘paix de Dieu’ à la ‘croisade’, «Ann<strong>al</strong>es E.S.C.», 47 (1992), p. 455.


pilatio V, stabilisce infine l’appartenenza del vino, assieme <strong>al</strong> pane ed <strong>al</strong>la «numerata<br />

pecunia», <strong>al</strong> «cottidianum stipendium» del chierico, sottoposto <strong>d<strong>al</strong></strong> concilio<br />

Lateranense IV <strong>al</strong>la vigesima, destinata a finanziare la crociata 68 .<br />

Questa normativa conferma dunque il rilevante v<strong>al</strong>ore economico della bevanda<br />

e si comprende, pertanto, la sua presenza nelle attività mercantili, <strong>al</strong>le qu<strong>al</strong>i le collezioni<br />

canoniche dedicano una certa attenzione. Non sorprende, a questo riguardo,<br />

l’arricchimento del materi<strong>al</strong>e riscontrabile nelle sillogi di Ivo e di Graziano, poiché<br />

è proprio nel loro periodo di stesura che il fenomeno assunse un rilievo vieppiù<br />

significativo 69 . Ciò stimolò l’attenzione della canonistica, secondo una prospettiva<br />

volta non soltanto a condannare l’attività del mercante, come si è a lungo ritenuto<br />

70 . Il problema che sembra preoccupare maggiormente i compilatori sono le<br />

68 La decret<strong>al</strong>e del pontefice (per la qu<strong>al</strong>e cfr. P. PRESSUTTI, Regesta Honorii papae III, I, Romae 1895<br />

[rist. anast. Hildeshein-New York 1978], p. 125 n.o 132) intendeva evitare che, con t<strong>al</strong>i dubbi, si<br />

potessero appunto giustificare inopportune deduzioni. Il testo si legge <strong>al</strong>le pp. 173-174 dell’edizione<br />

della collezione (cfr. sopra, n. 31). Sulla vigesima e sulle <strong>al</strong>tre forme di finanziamento della crociata, v.<br />

M. PURCELL, Pap<strong>al</strong> crusading policy. The chief instruments of pap<strong>al</strong> crusading policy and crusade to the Holy Land<br />

from the fin<strong>al</strong> loss of Jerus<strong>al</strong>em to the f<strong>al</strong>l of Acre (1244-1291), Leiden 1975 (Studies in the history of christian<br />

thought, 11), pp. 137-157, ma speci<strong>al</strong>mente pp. 137-139 e 141-142.<br />

69 Sul tema, oggetto di numerosi studi, cfr. in gener<strong>al</strong>e R.S. LOPEZ, La rivoluzione commerci<strong>al</strong>e del medioevo,<br />

Torino 1975, soprattutto pp. 73-108; G. FOURQUIN, Storia economica dell’Occidente mediev<strong>al</strong>e, Bologna<br />

1987, pp. 307-345, ma speci<strong>al</strong>mente 326-330.<br />

70 D’obbligo il rinvio <strong>al</strong> notissimo contributo di J. LE GOFF, Nel medioevo: tempo della Chiesa e tempo del mercante,<br />

ora in ID., Tempo della Chiesa, pp. 3-23, mentre per la riflessione canonistica v. in particolare V. PIER-<br />

GIOVANNI, Il mercante e il diritto canonico mediev<strong>al</strong>e: «Mercatores in itinere dicuntur miserabiles personae»,in Proceedings<br />

of the Eighth, pp. 617-631; <strong>al</strong>tre indicazioni in LE GOFF, Mestieri leciti, pp. 56, 58, 59-61, 62, 63-64 e<br />

67-68, e in A.J. GUREVIČ, Le categorie della cultura mediev<strong>al</strong>e, Torino 1983 (Paperbacks. Storia, 143), pp. 283-<br />

291, secondo il qu<strong>al</strong>e la riv<strong>al</strong>utazione del mercante operata <strong>d<strong>al</strong></strong>la cultura ecclesiastica fu meno favorevole<br />

di quanto ipotizzato da Le Goff. Interessanti riflessioni in proposito si leggono nel non meno<br />

famoso studio di D.-M. CHENU, Monaci, chierici e laici <strong>al</strong> crocevia della vita evangelica, ora in ID., La teologia nel<br />

XII secolo, Milano 1992 (Biblioteca di cultura mediev<strong>al</strong>e. Di fronte e attraverso, 169), pp. 269-271, nel<br />

qu<strong>al</strong>e si sottolinea acutamente la relazione tra la progressiva accettazione ecclesiastica dell’attività mercantile<br />

e la nuova, e cronologicamente par<strong>al</strong>lela, concezione della vita vere apostolica. Del resto, il contributo<br />

offerto <strong>d<strong>al</strong></strong>le istituzioni ecclesiastiche <strong>al</strong>la ripresa dei traffici, soprattutto <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista creditizio,<br />

è stato notevole, come ha mostrato, con la consueta lucidità, C. VIOLANTE, I vescovi dell’It<strong>al</strong>ia centrosettentrion<strong>al</strong>e<br />

e lo sviluppo dell’economia monetaria, ora in ID., Studi sulla cristianità medioev<strong>al</strong>e, raccolti da P. Zerbi,<br />

Milano 1975 (Cultura e storia, 8), pp. 325-347, e ID., Monasteri e canoniche nello sviluppo dell’economia<br />

monetaria (secoli XI-XIII), ora in ID., Ricerche sulle istituzioni ecclesiastiche dell’It<strong>al</strong>ia centro-settentrion<strong>al</strong>e nel medioevo,<br />

P<strong>al</strong>ermo 1986, pp. 485-538, ma speci<strong>al</strong>mente pp. 486-488, 505, 512-513, 522-524, 526-527 e 531,<br />

dove si sottolinea il ruolo secondario svolto da queste istituzioni, rispetto ai vescovi, nell’<strong>al</strong>imentare i<br />

traffici attraverso il prestito del denaro. Sull’argomento v. anche DUBY, Le origini, pp. 273-280.<br />

385


386<br />

possibili truffe compiute ai danni degli acquirenti. T<strong>al</strong>uni, infatti, vendono il vino<br />

impiegando un’«iniusta mensura»; <strong>al</strong>tri, invece, lo comprano a basso costo <strong>al</strong> tempo<br />

della vendemmia, non per consumo person<strong>al</strong>e, ma per conservarlo e poi rivenderlo<br />

in seguito, a prezzo raddoppiato 71 . Significativa, a nostro parere, l’integrazione<br />

fatta da Ivo <strong>al</strong> secondo caso, nella qu<strong>al</strong>e ricorda che, se l’acquirente compra per soddisfare<br />

le necessità proprie e degli <strong>al</strong>tri, <strong>al</strong>lora si è di fronte ad un commercio lecito,<br />

un aspetto quest’ultimo non contemplato dagli autori ai qu<strong>al</strong>i egli ha attinto.<br />

Parimenti condannata è la richiesta di vino o di olio come interesse su un’eventu<strong>al</strong>e<br />

prestito, in quanto usuraia, un tema pure ampiamente sviluppato da Ivo<br />

e da Graziano, poiché costituisce un aspetto essenzi<strong>al</strong>e nello sviluppo dell’economia<br />

di giro 72 . Si tratta, nel complesso, di tre frammenti, il primo dei qu<strong>al</strong>i ci presenta<br />

un chierico che ha prestato del denaro a terzi, con l’impegno di essere risarcito<br />

mediante vino o frumento. La fonte materi<strong>al</strong>e è assai precedente, ma il presule<br />

di Chartres è il primo ad impiegarla, oltretutto orientandone la lettura come fattispecie<br />

d’usura mediante la rubrica 73 . Il capitolo ingiunge <strong>al</strong> creditore di accontentarsi<br />

della semplice liquidazione monetaria della somma, se il debitore «non disponesse<br />

del prodotto occorrente»: quest’ultimo, in effetti, poteva avere un v<strong>al</strong>ore re<strong>al</strong>e<br />

superiore, soprattutto se rivenduto <strong>d<strong>al</strong></strong> creditore, in quanto agli inizi del secolo<br />

XII si registrò una sv<strong>al</strong>utazione della moneta circolante, par<strong>al</strong>lelamente <strong>al</strong>l’ascesa<br />

dei prezzi dei prodotti agricoli a seguito dell’aumentata domanda del mercato,<br />

quindi il negozio potrebbe re<strong>al</strong>mente nascondere una pratica usuraia 74 . La con-<br />

71 Il primo caso è contemplato da Reg. 2, 5 (int. 58), ripreso da Burch. 1, 94 (int. 77); per il secondo<br />

cfr. Reg. 1, 291; Burch. 2, 127; Ivo D. 6, 201 e 13, 21; Grat. C. 14 q. 4 c. 9. Il primo brano, inserito<br />

nell’inquisizione che il vescovo deve fare durante la visita <strong>al</strong>le parrocchie, ci pone di fronte a fenomeni<br />

evidentemente non rari.<br />

72 Queste raccolte, dunque, sono i primi indizi dell’attenzione canonistica verso i ‘peccati nuovi’, collegati<br />

<strong>al</strong>l’attività mercantile e bancaria, a cui saranno speci<strong>al</strong>mente attenti i penitenzieri durante il<br />

secolo XIII, come ha notato MUZZARELLI, Penitenze, pp. 88-90. In gener<strong>al</strong>e sul tema dell’usura v. O.<br />

CAPITANI, Sulla questione dell’usura nel medioevo, ora in L’etica economica mediev<strong>al</strong>e, a cura di O. Capitani,<br />

Bologna 1974, pp. 23-46; LE GOFF, Nel medioevo, pp. 3-5 e 17-22; GUREVIČ, Le categorie, pp. 291-296,<br />

che ha sottolineato, in particolare, la maggiore indulgenza dei giuristi verso il prestito ad interesse<br />

rispetto <strong>al</strong>l’atteggiamento più severo dei teologi.<br />

73 Il testo, infatti, proviene <strong>d<strong>al</strong></strong> concilium Tarraconense a. 516, cap. 3 (PL 84, col. 311). Presente ovviamente<br />

nella Collectio Hispana, tra le sillogi qui considerate appare solo con Ivo D. 6, 369, per poi passare<br />

in Ivo P. 3, 159, ed in Grat. C. 14 q. 4 c. 5.<br />

74 Cfr. DUBY, Le origini, pp. 315-317, 331-332 e 339; C.M. CIPOLLA, Storia economica dell’Europa pre-industri<strong>al</strong>e,<br />

Bologna 1980, pp. 210-213; VIOLANTE, Monasteri e canoniche, pp. 522-523; FOURQUIN, Storia economica,<br />

pp. 213-216, 220-221 e 254-262.


danna emerge in modo ancor più esplicito negli <strong>al</strong>tri due brani, ove si precisa come<br />

sia illecito chiedere più di quanto si è prestato e come il principio si applichi «non<br />

pecuniam solam, sed <strong>al</strong>iquid plus quam dedisti, sive illud triticum sit, sive vinum,<br />

sive oleum, sive quolibet <strong>al</strong>iud» 75 . La nostra bevanda era dunque coinvolta in simili<br />

affari e, anzi, il secondo testo ne ricorda perfino <strong>al</strong>cune specifiche qu<strong>al</strong>ità – un<br />

caso piuttosto raro tra le fonti canonistiche – che suggerisce di offrire gratis <strong>al</strong>la<br />

controparte del negozio 76 . Netta è pertanto la condanna del peccato, tuttavia da<br />

questi frammenti sembra emergere pure la preoccupazione della Chiesa per la s<strong>al</strong>vaguardia<br />

delle esigenze <strong>al</strong>imentari dei fedeli 77 , già di norma limitatamente soddisfatte<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le capacità produttive del sistema agricolo 78 , dagli intenti speculativi di chi<br />

cercava di approfittare della situazione a proprio esclusivo vantaggio.<br />

Una fattispecie prossima a quella testé considerata è prospettata da Graziano:<br />

negando sia lecito esigere doni per consentire l’ingresso in monastero di un<br />

postulante, il maestro bolognese an<strong>al</strong>izza l’episodio di 1Sam 1, 24, ove si narra<br />

l’oblazione del futuro profeta <strong>al</strong> tempio accompagnata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’offerta di <strong>al</strong>cuni beni,<br />

tra i qu<strong>al</strong>i un’anfora di vino 79 . La presenza della bevanda è qui collegata ad un<br />

ipotetico caso di simonia, escluso però da Graziano in quanto egli sottolinea il<br />

carattere di pura gratuità dell’offerta, non essendo stata essa preceduta da <strong>al</strong>cu-<br />

75 La citazione proviene <strong>d<strong>al</strong></strong> primo canone, che si legge in Ivo D. 13, 17 e poi in Grat. C. 14 q. 3 c. 1:<br />

la fonte form<strong>al</strong>e è AGOSTINO D’IPPONA, Enarrationes in ps<strong>al</strong>mos, 36, sermo III, 6, ed. E. Dekkers, I. Frapoint,<br />

CCL 38, Turnholti 1956, p. 372.<br />

76 Cfr. Ivo D. 13, 26; Grat. C. 14 q. 3 c. 3, che trascrivono un passo del De Tobia di sant’Ambrogio (ed.<br />

C. Schenkl, Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum [da ora CSEL] 32/2, Pragae-Vindobonae-<br />

Lipsiae 1897, pp. 546-547): i vini ricordati sono l’absynthio, ilvinum Picenum e il tyriacum (ma si tenga<br />

presente che il testo va datato <strong>al</strong> secolo IV).<br />

77 Aspetto colto acutamente da PICASSO, Campagna, pp. 389-390, e che abbiamo avuto modo di confermare<br />

nel nostro Tra riforma, pp. 328-329.<br />

78 Indicazioni gener<strong>al</strong>i (v<strong>al</strong>ide, per <strong>al</strong>tro, per tutta l’età pre-industri<strong>al</strong>e) in CIPOLLA, Storia economica,<br />

pp. 142-147; J. LE GOFF, La civiltà dell’Occidente mediev<strong>al</strong>e, Torino 1981, pp. 214-276, speci<strong>al</strong>mente pp.<br />

228-231 e 242-259. Per gli aspetti più propriamente <strong>al</strong>imentari cfr. invece M. MONTANARI, Mutamenti<br />

economico-soci<strong>al</strong>i e trasformazione del regime <strong>al</strong>imentare dei ceti rur<strong>al</strong>i nel passaggio <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>to <strong>al</strong> pieno medioevo.<br />

Considerazioni sull’It<strong>al</strong>ia padana, in <strong>Medioevo</strong> rur<strong>al</strong>e, pp. 79-97; BONASSIE, Consommation, pp. 1042-<br />

1051; A.M. NADA PATRONE, Alimentazione e m<strong>al</strong>attie nel medioevo, in La Storia, pp. 32-38; e MONTA-<br />

NARI, La fame, pp. 36-40 e 51-67, il qu<strong>al</strong>e ha messo in luce, nei suoi importanti studi, come l’aumento<br />

demografico e della produzione agricola, avviatisi col secolo XI, abbiano in re<strong>al</strong>tà reso più<br />

fragile il sistema produttivo rispetto a quello <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>e ed abbiano così posto le premesse per<br />

la grande crisi del secolo XIV.<br />

79 Si tratta del dictum ante di Grat. C. 1 q. 2 c. 1.<br />

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388<br />

na richiesta dei sacerdoti 80 . Medesima linea s’incontra in una decret<strong>al</strong>e di Alessandro<br />

III, nella qu<strong>al</strong>e si nega la natura simoniaca del dono fatto <strong>al</strong> cardin<strong>al</strong>e Pietro<br />

di S. Eustachio da parte del fratello dell’arcivescovo ungherese di Esztergom,<br />

cui il presule romano stava recando il p<strong>al</strong>lio. Infatti, osserva il pontefice, reg<strong>al</strong>ando<br />

a Pietro un cav<strong>al</strong>lo si è semplicemente agevolato il suo viaggio in Ungheria,<br />

né si può supporre un tentativo di corruzione, non essendo in questione il<br />

diritto dell’arcivescovo <strong>al</strong>la ricezione del p<strong>al</strong>lio e risultando il dono di basso prezzo.<br />

Ed Alessandro così conclude: «Poiché è scritto: ‘Beato chi ritira le sue mani<br />

da ogni ricompensa’, ciò tuttavia è detto di quei donativi, che sono soliti <strong>al</strong>lettare<br />

o pervertire l’animo di chi li riceve, sicché, se pure la stessa persona dell’eletto<br />

offrisse <strong>al</strong> suo ordinatore, o <strong>al</strong> consacratore, il ristoro o di ottimo vino, o di<br />

<strong>al</strong>tre cose, che fossero di modico prezzo e che non dovessero inclinare o muovere<br />

la volontà del ricevente», <strong>al</strong>lora il reato di simonia va escluso 81 . Il documento<br />

intende dunque fugare i sospetti circa un uso evidentemente frequente, ossia<br />

l’offerta del vino <strong>al</strong> viaggiatore perché si ristorasse, negandone il carattere simoniaco<br />

se avesse riguardato degli ecclesiastici. Ciò anche perché, ed è l’<strong>al</strong>tro aspetto<br />

interessante della decret<strong>al</strong>e, il vino non possiede un v<strong>al</strong>ore intrinseco rilevante<br />

se oggetto di ristoro, ovvero se trattato in quantità modesta.<br />

Il discorso, ovviamente, era diverso se coinvolgeva notevoli importi della<br />

bevanda o se riguardava la vigna, il cui v<strong>al</strong>ore economico è, infatti, confermato<br />

da una caso previsto sia <strong>d<strong>al</strong></strong> Decreto di Ivo di Chartres, sia <strong>d<strong>al</strong></strong> Liber Extra, benché<br />

le fonti materi<strong>al</strong>i <strong>al</strong>le qu<strong>al</strong>i le due raccolte attingono siano parzi<strong>al</strong>mente<br />

diverse 82 . In entrambe le sillogi si condanna <strong>al</strong> risarcimento dei danni, secondo la<br />

loro stima, chi avesse spinto il proprio cav<strong>al</strong>lo nella vigna <strong>al</strong>trui per farlo pascolare,<br />

un atto assai grave, perché poteva facilmente provocare la distruzione delle<br />

piante e vanificare anni di lavoro, rovinando economicamente il proprietario. Se<br />

aggiungiamo a questi due brani il commento di Enrico di Susa <strong>al</strong>la decret<strong>al</strong>e, si<br />

80 Attorno <strong>al</strong>la simonia, come è noto, si era concentrata l’attenzione dei riformatori del sec. XI: per il<br />

carattere del peccato cfr. J. LECLERCQ, ‘Simoniaca heresis’, «Studi Gregoriani», 1 (1947), pp. 523-530. Le<br />

sue conseguenze non riguardano, in verità, l’argomento qui in oggetto, per cui ci limitiamo a rinviare<br />

a O. CAPITANI, Episcopato ed ecclesiologia in età gregoriana, ora in ID., Tradizione, speci<strong>al</strong>mente pp. 88-<br />

89 e 117-132, ove si discute, tra l’<strong>al</strong>tro, tutta la princip<strong>al</strong>e bibliografia precedente.<br />

81 X.5.3.18, forse dell’anno 1166 (JL 11308) e già accolta nella Comp. I 5.2.20.<br />

82 Ivo D. 16, 353 trascrive, infatti, un brano dei f<strong>al</strong>si capitolari di Benedetto Levita (v. sopra, n. 17), la<br />

cui fonte è indicata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’editore in Ex 22, 5, che costituisce, a sua volta, il testo dell’Extra (X.5.36.4).


può cogliere agevolmente l’evoluzione dei costumi soci<strong>al</strong>i nell’interv<strong>al</strong>lo – circa<br />

140 anni – coperto dai documenti. Il capitolo di Ivo, infatti, appare diretto a porre<br />

sotto controllo una situazione di violenza che si attuava a livello loc<strong>al</strong>e, ma<br />

con continuità e, soprattutto, in forme gener<strong>al</strong>izzate, producendo, pertanto,<br />

disordine e turbamento costanti nella società. A nostro parere, esso va perciò<br />

inquadrato nella politica avviata <strong>d<strong>al</strong></strong>la Chiesa francese, <strong>al</strong>la fine del secolo X, contro<br />

le attività violente e predatorie della feu<strong>d<strong>al</strong></strong>ità minore, che si concretizzerà<br />

dapprima nel movimento della pax Dei, quindi nell’istituzione della tregua Dei,<br />

infine nel bando della prima crociata, con la qu<strong>al</strong>e la trasformazione del guerriero<br />

a cav<strong>al</strong>lo nel miles Christi raggiungerà un primo, chiaro punto d’approdo 83 .<br />

La riproposizione di un antico testo, per di più esemplato su un autorevole<br />

passo biblico, oltre ad essere riflesso dell’atteggiamento compilativo, ma non<br />

ripetitivo, della cultura medioev<strong>al</strong>e 84 , poteva soddisfare adeguatamente t<strong>al</strong>e fin<strong>al</strong>ità.<br />

Questi sforzi, in verità, non raggiunsero completamente il loro obiettivo,<br />

come dimostrano, ad esempio, i ripetuti interventi dei sinodi lateranensi del<br />

secolo XII, i qu<strong>al</strong>i ribadirono sistematicamente i principi della tregua di Dio 85 .E,<br />

in effetti, pure il commento di Ostiense sembra, a tutta prima, collocarsi lungo<br />

la linea tracciata <strong>d<strong>al</strong></strong> presule di Chartres: non a caso, egli utilizza i Libri feudorum<br />

per giungere <strong>al</strong>le medesime conclusioni, secondo cui il proprietario del cav<strong>al</strong>lo «è<br />

responsabile del danno» e deve, pertanto, risarcirlo, eventu<strong>al</strong>mente anche<br />

mediante la cessione dell’anim<strong>al</strong>e «pro noxa». Poi, però, aggiunge che costui ha<br />

il diritto di utilizzare l’erba e «viridi silva» per far pascolare l’anim<strong>al</strong>e, ovviamen-<br />

83 L’evoluzione è stata descritta e studiata da FLORI, L’Église, pp. 453-466; ulteriori indicazioni in F.<br />

CARDINI, La guerra santa nella cristianità, in ‘Militia Christi’ e crociata nei secoli XI-XIII, Atti della XI Settimana<br />

internazion<strong>al</strong>e di studio (Passo della Mendola, 28 agosto-1 settembre 1989), Milano 1992<br />

(Miscellanea del Centro di studi medioev<strong>al</strong>i, 13), pp. 387-399. Su pace e tregua di Dio cfr. anche<br />

DUBY, Le origini, pp. 206-208; PH.CONTAMINE, La guerre au moyen âge, Paris 1980 (Nouvelle Clio, 24),<br />

pp. 433-446; BLOCH, La società, pp. 462-470.<br />

84 Un aspetto, questo, fondament<strong>al</strong>e, in particolare proprio per le sillogi canonistiche, la cui struttura<br />

poggia completamente sul reimpiego attu<strong>al</strong>izzato dei materi<strong>al</strong>i elaborati <strong>d<strong>al</strong></strong>la tradizione: su esso si v.<br />

SCHMITT, Introduzione, pp. 8-9, e GUREVIČ, Contadini e santi, pp. 14-17 e 360-361; del grande medievista<br />

russo cfr. anche L’individu<strong>al</strong>ité au moyen âge. Le cas d’Opicinus de Canistris, «Ann<strong>al</strong>es E.S.C.», 48<br />

(1993), speci<strong>al</strong>mente pp. 1264-1268.<br />

85 Il primo intervento si ebbe nel 1123, col concilio Lateranense I, cap. 15, seguito <strong>d<strong>al</strong></strong> cap. 12 del Lateranense<br />

II (1139) e <strong>d<strong>al</strong></strong> cap. 21 del Lateranense III (1179): questi testi si leggono nella pratica edizione<br />

bilingue Conciliorum oecumenicorum decreta, a cura di G. Alberigo, G.L. Dossetti, P.-P. Ioannu, C. Leonardi,<br />

P. Prodi. Consulenza di H. Jedin, Bologna 1991, pp. 193, 199-200 e 222 (da ora COD).<br />

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390<br />

te «sine vastatione», se si trovasse ad attraversare un vigneto per necessità. Inoltre,<br />

il proprietario del terreno può, eventu<strong>al</strong>mente, <strong>al</strong>lontanare il cav<strong>al</strong>lo, ma non<br />

gli è consentito catturarlo o trattenerlo, perché «dominus de damno tenetur» 86 .<br />

T<strong>al</strong>e riflessione ci sembra attestare una situazione soci<strong>al</strong>e più ordinata, caratterizzata<br />

sia da costumi e prassi individu<strong>al</strong>i più civili, che si esprimono anche nell’impiego<br />

dei beni <strong>al</strong>trui senza sottoporli a distruzione, sia <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza di<br />

un’autorità ‘pubblica’, in grado di rendere giustizia <strong>al</strong> vignaiolo costringendo<br />

effettivamente il cav<strong>al</strong>iere <strong>al</strong> risarcimento.<br />

Per sottolineare ulteriormente l’attenzione della Chiesa verso l’attività dei<br />

coltivatori, ricordiamo come una decret<strong>al</strong>e di Onorio III avesse riconosciuto una<br />

dilazione a chi, convocato <strong>d<strong>al</strong></strong> tribun<strong>al</strong>e del vescovo, fosse stato impegnato nella<br />

vendemmia. Imponendo <strong>al</strong>la comunità di Signa l’accettazione del rettore nominato,<br />

con corretta procedura, <strong>d<strong>al</strong></strong> monastero di S. Maria di Firenze, il papa<br />

respinge infatti la seguente obiezione: «Se [cioè, la comunità di Signa] tunc,<br />

coram vobis [v<strong>al</strong>e a dire ai delegati nominati da Onorio], respondere de iure non<br />

teneri, cum tempus propter vindemias extiterat feriatum» 87 . Il pontefice definisce<br />

nella decret<strong>al</strong>e m<strong>al</strong>itiose l’atteggiamento della comunità in quanto, come Ostiense<br />

precisa, se, da un lato, la correttezza tecnica della giustificazione era ineccepibile,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro era non meno evidente il suo carattere strument<strong>al</strong>e: la nomina del<br />

rettore era infatti annu<strong>al</strong>e e la dilazione avrebbe pertanto impedito la soluzione<br />

del caso prima della sua scadenza. Siamo, dunque, <strong>al</strong>la presenza di una problematica<br />

che «richiede tempestività... ossia, quando una causa è t<strong>al</strong>e da essere peritura<br />

col tempo» 88 . In t<strong>al</strong>e fattispecie, la decret<strong>al</strong>e ordina di procedere pure in<br />

assenza di una delle parti, ma <strong>d<strong>al</strong></strong>le stesse parole di Enrico – che limita esplicitamente<br />

a t<strong>al</strong>e condizione il mancato riconoscimento della dilazione – si può <strong>al</strong>tresì<br />

cogliere l’esigenza di s<strong>al</strong>vaguardare la raccolta dei preziosi frutti, che una convocazione<br />

presso il pur autorevole tribun<strong>al</strong>e vescovile, o di <strong>al</strong>tra autorità compe-<br />

86 Cfr. In quintum Decret<strong>al</strong>ium, p. 95A. Sulle misure volte <strong>al</strong>la difesa della vigna v. I. IMBERCIADORI, Vite<br />

e vigna nell’<strong>al</strong>to medioevo,in Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Occidente nell’<strong>al</strong>to medioevo, Atti della XIII Settimana<br />

di studio del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to medioevo (Spoleto, 22-28 aprile 1965), Spoleto 1966,<br />

pp. 319-320 e 335-339; A. CORTONESI, Colture, pratiche agrarie e <strong>al</strong>levamento nel Lazio bassomedioev<strong>al</strong>e.<br />

Testimonianze <strong>d<strong>al</strong></strong>la legislazione statutaria, «Archivio della Società romana di storia patria», 101 (1978),<br />

pp. 146-148 e 196-201; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 295, 302-305, 312, 363-364.<br />

87 X.2.1.21, inviata <strong>al</strong> vescovo di Bologna Enrico il 31 ottobre 1225 e trascritta <strong>d<strong>al</strong></strong>la Comp. V 2.1.5<br />

(cfr. PRESSUTTI, Regesta Honorii, p. 379 n.o 5704)<br />

88 In secundum Decret<strong>al</strong>ium liber,p.9A.


tente, rischiava di compromettere, sottraendo uomini atti <strong>al</strong> lavoro. È così riconosciuta<br />

l’importanza della vendemmia, la qu<strong>al</strong>e costituiva effettivamente uno<br />

dei momenti di maggior impegno nell’attività annu<strong>al</strong>e dei contadini e richiedeva<br />

norm<strong>al</strong>mente l’impiego di tutte le energie disponibili 89 .<br />

Il vino e la penitenza<br />

D<strong>al</strong>le riflessioni finora svolte appare già chiaro come il consumo del vino fosse<br />

una pratica norm<strong>al</strong>e durante l’età mediev<strong>al</strong>e, tuttavia il diritto canonico prevede<br />

delle situazioni di astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong>la bevanda, soprattutto in relazione <strong>al</strong>la penitenza.<br />

Il rapporto è chiaramente adombrato da un bel canone di Graziano tratto dai<br />

Mor<strong>al</strong>ia in Job, nel qu<strong>al</strong>e, commentando la parabola del buon samaritano, s’interpretano<br />

il vino e l’olio versati sulle ferite del viaggiatore rispettivamente come<br />

simboli della «severa disciplina» e della «dolce pietà» che caratterizzano la penitenza,<br />

entrambe necessarie per ottenere la purificazione dai peccati 90 . Le sillogi<br />

indicano l’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino esplicitamente per gli assassini dei parenti – ma la<br />

misura appare avere un carattere più gener<strong>al</strong>e – mentre Ivo la estende a quei<br />

sacerdoti che, pur scomunicati, abbiano ugu<strong>al</strong>mente esercitato il loro ministero.<br />

Graziano completa la normativa comprendendovi il chierico fornicatore e chi si<br />

fosse impossessato dei beni ecclesiastici 91 . T<strong>al</strong>e prassi, accompagnata pressoché<br />

costantemente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong>la carne 92 , si radicava nelle più antiche concezio-<br />

89 Sull’importanza e l’impegno richiesto <strong>d<strong>al</strong></strong>la vendemmia cfr. CORTONESI, Colture, p. 156; P.<br />

SCHEUERMEIER, Il lavoro dei contadini. Cultura materi<strong>al</strong>e e artigianato rur<strong>al</strong>e in It<strong>al</strong>ia e nella Svizzera it<strong>al</strong>iana e<br />

reto-romanza, a cura di M. Dean, G. Pedrocco, I, Milano 1980, pp. 153-170; ARCHETTI, Tempus vindemie,<br />

pp. 305-308.<br />

90 Cfr. Grat. D. 45 c. 9, trascritto da GREGORIO MAGNO, Mor<strong>al</strong>ia in Job 20, 5, 14, ed. M. Adriaen, CCL<br />

143A, Turnholti 1979, pp. 1012-1014.<br />

91 Assassinio dei parenti: Burch. 6, 40 (Bonizo 10, 8; Ivo D. 8, 126; Ivo P. 7, 16; Grat. C. 33 q. 2 c. 8),<br />

e Burch. 6, 46 (Ans. 11, 43; Ivo D. 10, 173; Grat. 33 q. 2 c. 15). Sacerdoti scomunicati: Ivo D. 14, 35<br />

(Ivo P. 5, 104; Grat. C. 11 q. 3 c. 109). Chierici fornicatori e rapitori dei bona Ecclesiae: Grat. D. 82 c.<br />

5 (forse da Polyc. 4.41.14: si tratta di una delle rare f<strong>al</strong>sificazioni elaborate posteriormente <strong>al</strong>l’età della<br />

riforma), e C. 12 q. 2 c. 17.<br />

92 Secondo MUZZARELLI, Penitenze, p. 44, la normativa sottende una sorta di ‘legge del contrappasso’:<br />

chi ha peccato nella carne, in essa va punito, sottraendole questo cibo. M. MONTANARI, Alimentazione<br />

e cultura nel medioevo, Roma-Bari 1988, ha sottolineato <strong>al</strong>tresì il ruolo dell’ascesi monastica, che prevedeva<br />

norm<strong>al</strong>mente la privazione dei cibi carnei come segno di t<strong>al</strong>e scelta (pp. 47-51 e, più ampiamente,<br />

63-92), e la convinzione del carattere ‘lussurioso’ del suo consumo (pp. 10 e 66-68), osser-<br />

391


392<br />

ni cristiane del peccato, ritenuto la conseguenza soprattutto dei desideri del corpo<br />

e, dunque, da combattersi primieramente mediante i sacrifici imposti a quest’ultimo<br />

93 . Non sorprende, pertanto, di ritrovare identiche indicazioni nel Liber<br />

Extra, in un brano significativamente trascritto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Appendice I del De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus<br />

causis, che punisce con varie misure d’astinenza – tra le qu<strong>al</strong>i, ovviamente, quella<br />

da vino e carne – chi avesse ucciso un ladro sorpreso in flagrante, pur potendo<br />

procedere <strong>al</strong> suo arresto 94 . Si tratta di una presenza interessante perché conferma<br />

la solidità di una tradizione cultur<strong>al</strong>e, speci<strong>al</strong>mente se si considera che, nel<br />

periodo in cui fu composto l’Extra, la prassi della penitenza tariffata poteva dirsi<br />

sostanzi<strong>al</strong>mente superata.<br />

Un <strong>al</strong>tro frammento, assai diffuso, prevede l’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino pure per i battezzandi,<br />

come forma di mortificazione person<strong>al</strong>e e non come atto penitenzi<strong>al</strong>e,<br />

<strong>al</strong>lo scopo, in <strong>al</strong>tre parole di predisporre il candidato – si suppone, ovviamente,<br />

un adulto – a ricevere il sacramento nel modo migliore 95 . In effetti, come si accennava,<br />

le collezioni canoniche non connotano il consumo del vino in termini negativi,<br />

anzi, si coglie nella casistica quella ‘quotidianità del bere’, che Antonio Ivan<br />

Pini ha acutamente individuato come una delle componenti costitutive della stessa<br />

civiltà mediev<strong>al</strong>e 96 . Persino durante le penitenze più lunghe e severe non è prevista<br />

un’astensione tot<strong>al</strong>e, se non per <strong>al</strong>cuni degli anni da scontare: in seguito, essa<br />

si applicherà soltanto in determinati giorni della settimana e, comunque, mai<br />

durante le feste solenni. Rimaneva, inoltre, sempre la possibilità di commutarla<br />

col versamento di una certa somma, come prevede esplicitamente un capitolo di<br />

Reginone, un costume che genererà abusi e porterà, assieme ad <strong>al</strong>tri motivi, <strong>al</strong><br />

superamento della penitenza tariffata: in questo caso, però, considerata l’esiguità<br />

vando inoltre come la stessa legislazione civile punisse con questa misura vari reati (pp. 47 e 51). Lo<br />

studioso bolognese, infine, ha acutamente ipotizzato che l’interdizione della carne ai penitenti possa<br />

essere stata originata anche <strong>d<strong>al</strong></strong>l’influenza della ment<strong>al</strong>ità germanica, secondo la qu<strong>al</strong>e l’<strong>al</strong>imento era<br />

considerato il ‘cibo dei forti’ (cfr. La fame, pp. 19-23).<br />

93 Cfr. MUZZARELLI, Penitenze, pp. 20-23 e 41-44.<br />

94 Cfr. X.5.12.2, ripreso da Comp. I 5.10.4, che, a sua volta, lo trascrive da Burch. 19, 5: tuttavia, la fonte<br />

form<strong>al</strong>e e materi<strong>al</strong>e è Reg. App. 1, 28. Il brano si legge, in <strong>al</strong>tra forma, in Burch. 11, 60; Ivo D. 13,<br />

46; Grat. C. 13 q. 2 c. 32.<br />

95 Si tratta di un passo degli Statuta Ecclesiae antiqua, cap. 23, ed. Ch. Munier, Concilia G<strong>al</strong>liae A. 314-A.<br />

506, CCL 148, Turnholti 1953, pp. 170-171, il qu<strong>al</strong>e, attraverso Anselmo dedicata 9, 19, è giunto a Burch.<br />

4, 11, e da questi a Ivo D. 1, 206 e a Grat. D. 4 c. 60 de cons.<br />

96 Cfr. A.I. PINI, La viticoltura it<strong>al</strong>iana nel medioevo. Coltura della vite e consumo del vino a Bologna tra X e XV secolo,<br />

ora in ID., Vite e vino nel medioevo, Bologna 1989 (Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e, 6), p. 53.


della cifra richiesta (1 o 2 denari), il testo ci pare proprio sottolineare la rilevanza<br />

del consumo del vino nella ment<strong>al</strong>ità del tempo 97 .<br />

Lo conferma un famoso brano, proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>la Collectio Hibernensis e trascritto<br />

da Burcardo, Ivo e Graziano, il qu<strong>al</strong>e raccomanda il digiuno frequente ma<br />

moderato e spiega quest’ultimo concetto attraverso il noto passo di 1 Tim 5, 23,<br />

in cui Paolo invita il discepolo a bere un poco di vino, per curare le sue infermità 98 .<br />

Si tratta, pertanto, di evitare ogni eccesso, nel troppo come nel poco, ed Enrico di<br />

Susa svolge sull’argomento <strong>al</strong>cune interessanti riflessioni, glossando il su menzionato<br />

testo X.5.12.2 99 . Innanzi tutto, egli si sofferma sulla parola cervisia presente<br />

nella decret<strong>al</strong>e, uno degli <strong>al</strong>imenti dei qu<strong>al</strong>i si raccomanda appunto l’astinenza.<br />

Agli occhi ‘it<strong>al</strong>iani’ del cardin<strong>al</strong>e il termine risulta, ovviamente, meno usu<strong>al</strong>e di<br />

vinum, infatti, sulla scorta di Giovanni Teutonico, ipotizza che il contesto geografico<br />

del documento sia «de Anglia forsan». La conclusione è errata, ma trova spiegazione<br />

nel fatto che le condizioni climatiche del pieno medioevo avevano sì permesso<br />

la diffusione della vite anche in Inghilterra, ma in misura non sufficiente<br />

per soddisfare la domanda di vino del mercato loc<strong>al</strong>e 100 . La birra rimaneva, pertanto,<br />

la bevanda più diffusa dell’area nordica, nonostante il rilevante volume raggiunto<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le importazioni di vino bordolese nell’isola 101 .<br />

97 Su questi aspetti della penitenza tariffata v. VOGEL, Les Libri, pp. 37-39, 43-44 e 47-54 (speci<strong>al</strong>mente<br />

pp. 50-51 per il caso qui in oggetto); PICASSO, Dolore dei peccati, pp. 134-135. Il brano di Reg. 1,<br />

262 non avrà <strong>al</strong>cuna ulteriore diffusione.<br />

98 Cfr. Burch. 13, 24-25; Ivo D. 4, 56-57; Grat. D. 5 c. 20 de cons. Propria del monachesimo occident<strong>al</strong>e,<br />

questa linea moderata nella pratica del digiuno si trasmetterà ai libri della penitenza ed <strong>al</strong>le successive<br />

prassi espiatorie degli ultimi secoli mediev<strong>al</strong>i, cfr. R.M. BELL, La santa anoressia. Digiuno e misticismo<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> medioevo a oggi, Roma-Bari 1987, pp. 140-141; MONTANARI, Alimentazione, pp. 20-27; MUZ-<br />

ZARELLI, Penitenze, pp. 21 e 43; FUMAGALLI, Paesaggi, pp. 311-315.<br />

99 Per quanto segue facciamo riferimento a In quintum Decret<strong>al</strong>ium, p. 43A. Va sottolineato come<br />

Ostiense premetta <strong>al</strong>la sua riflessione l’osservazione secondo cui i giorni festivi non sono d’astinenza,<br />

denunciando come ‘manicheo’ – ossia, ci sembra di poter interpretare, come cataro, considerato<br />

il periodo in cui Enrico scrive – chi l’osservi senza il permesso del sacerdote.<br />

100 Su questi aspetti v. R.S. LOPEZ, La nascita dell’Europa. Secoli V-XIV, Torino 1984 (Reprints, 140), p.<br />

134 (da confrontarsi con la cartina riprodotta a p. 11 del medesimo volume); K.U. JÄSCHKE, Englands<br />

Weinwirtschaft in Antike und Mittelater, in Weinwirtschaft in Mittel<strong>al</strong>ter. Zur Verbreitung, Region<strong>al</strong>isierung und<br />

wirtschaftlichen Nuntzung einer Sonderkultur aus der Römerzeit, Vorträge des gleichnamingen Symposium<br />

von 21. bis 24. März 1996 in Heilbronn, herausgegeben von C. Schrenk, H. Weckbach, Heillbronn<br />

1997 (Quellen und Forschungen zur Geschichte der Stadt Heilbronn, 9), pp. 256-387.<br />

101 L’importanza di questo commercio, ricordato brevemente da LOPEZ, La nascita, p. 318, è stata<br />

appieno lumeggiata dai saggi di M.K. JAMES, Studies in the mediev<strong>al</strong> wine trade, Oxford 1971: cfr. in pro-<br />

393


394<br />

Enrico, però, è soprattutto preoccupato della quantità del consumo, piuttosto<br />

che della qu<strong>al</strong>ità, infatti spiega l’espressione potibus nel senso di «vino e birra e<br />

di qu<strong>al</strong>unque bevanda di qu<strong>al</strong>sivoglia genere, che dia ebbrezza». Esse vanno<br />

assunte «temperate et debili» e temperate significa «non ultram tertiam vicem», in<br />

perfetto accordo con un’antichissima tradizione monastica, attestata, ad esempio,<br />

dagli Apothegmata Patrum 102 .<br />

Tornando <strong>al</strong> sacramento del battesimo, lo stesso Graziano, attraverso due<br />

passi di Agostino, esclude che l’ecclesiastico ebriosus non possa celebrarlo v<strong>al</strong>idamente.<br />

Il vero ministro dell’atto, infatti, è Cristo, <strong>d<strong>al</strong></strong> qu<strong>al</strong>e proviene l’infusione<br />

dello Spirito nel battezzando, ossia «la colomba attraverso la qu<strong>al</strong>e mi è detto:<br />

questi è colui che battezza» 103 ; pertanto, la condizione di adultero, ubriaco o omicida<br />

del celebrante non può inv<strong>al</strong>idarlo, purché ne sia preservata la forma corretta.<br />

Per confortare queste affermazioni, Graziano paragona il battezzante<br />

ubriaco <strong>al</strong> vescovo eletto simoniacamente per intervento di terzi, senza che<br />

costui ne avesse consapevolezza. Non si tratta, in t<strong>al</strong>e caso, di nomina illecita,<br />

dunque il presule può esercitare il suo mandato perché, come in precedenza, ad<br />

agire è Cristo stesso, sia pure attraverso un intermediario non irreprensibile 104 .<br />

posito la sintesi di ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 48-50, ove si indica nel peggioramento delle condizioni<br />

climatiche, prodottosi a cav<strong>al</strong>iere dei secc. XIII-XIV, la causa princip<strong>al</strong>e dell’esaurirsi della<br />

viticoltura inglese (su ciò v. anche LOPEZ, La nascita, p. 430).<br />

102 Per la misura monastica del bere e il rapporto con la tradizione antica, si veda G. ARCHETTI, De<br />

mensura potus. Il vino dei monaci nel medioevo, nelle pp. precedenti del presente volume.<br />

103 Grat. C. 1 q. 1 c. 46§1: il testo impiegato <strong>d<strong>al</strong></strong> Maestro bolognese è, come nel capitolo cit. <strong>al</strong>la n.<br />

seguente, tratto da AGOSTINO D’IPPONA, In Iohannis evangelium tractatus 5, 18, ed. R. Willems, CCL 36,<br />

Turnholti 1954, pp. 51-52.<br />

104 Cfr. Grat. D. 4 c. 26§4 de cons., recuperato da Ivo P. 1, 31 che, a sua volta, lo aveva ripreso da Ivo<br />

D. 1, 159. Era stato, in effetti, il vescovo di Chartres a risolvere la questione, assai spinosa, della v<strong>al</strong>idità<br />

dei sacramenti officiati da ministri indegni, che aveva caratterizzato il dibattito teologico, giuridico<br />

ed ecclesiologico durante l’età della riforma: per indicazioni sul problema, si v., tra gli <strong>al</strong>tri, N.M.<br />

HARING, The interaction between canon law and sacrament<strong>al</strong> theology in the Twelth century, in Proceedings of the<br />

Fourth internation<strong>al</strong> Congress of mediev<strong>al</strong> canon law (Toronto, 21-25 august 1972), edited by S. Kuttner, Città<br />

del Vaticano 1976 (Monumenta Iuris Canonici. Series C: subsidia, 5), pp. 486-493; R. MORGHEN,<br />

<strong>Medioevo</strong> cristiano, Roma-Bari 1984 (Biblioteca Univers<strong>al</strong>e Laterza, 120), pp. 91-108; P. LANDAU, Das<br />

Verbot der Wiederholung einer Kirchweihe in der Geschichte des kanonischen Rechts. Ein Beitrag zur Entwicklung<br />

des Sakramentenrechts, in Studia in honorem eminentissimi cardin<strong>al</strong>is A.M. Stickler, curante R.I. card. Castillo<br />

Lara, Roma 1992 (Studia et textus historiae iuris canonici, 7), pp. 224-234.


«Fuge vinum... ne ebrietas superet te»<br />

Quest’ultimo argomento ci introduce <strong>al</strong> tema maggiormente trattato <strong>d<strong>al</strong></strong> diritto<br />

della Chiesa in materia di vino, ossia la condanna e la repressione dell’ubriachezza.<br />

Ricchissima, in proposito, è la casistica contemplata <strong>d<strong>al</strong></strong>la normativa, in parte fin<strong>al</strong>izzata<br />

a regolare aspetti gener<strong>al</strong>i della questione, in parte, invece, riflesso dell’ambiente<br />

e del contesto storico particolare in cui ciascuna raccolta venne esemplata.<br />

All’interno delle collezioni, in verità, non si avverte una significativa oscillazione<br />

nel numero dei canoni dedicati <strong>al</strong>l’ebrietas, quanto meno nelle sillogi più importanti.<br />

Il dossier raccolto da Reginone, attingendo prev<strong>al</strong>entemente ai libri penitenzi<strong>al</strong>i<br />

ed ai capitolari carolingi, conta 23 frammenti, 17 dei qu<strong>al</strong>i compongono la lunga<br />

serie Reg. 1, 135-151, una delle più ampie del De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis, quasi a confermare<br />

la peculiare attenzione con la qu<strong>al</strong>e l’abate di Prüm ha vagliato la questione.<br />

Tuttavia, occorre sottolineare come, nei due ampi questionari presenti nell’opera<br />

(Reg. 1, 304 e 2, 5), i brani in materia siano assai meno numerosi, mentre prev<strong>al</strong>gono<br />

<strong>al</strong>tre tipologie di peccato. Il Decretum di Burcardo impiega 15 testi della precedente<br />

collezione, aggiungendone <strong>al</strong>tri 11 di disparata provenienza. Inoltre, perfezionando<br />

l’organizzazione sistematica già utilizzata da Reginone, raccoglie 17 di<br />

questi frammenti in un unico libro – il già ricordato libro XIV – uno dei più brevi<br />

di tutta la silloge, in armonia con gli interrogatori di Burch. 1, 95 e 19, 5, per i qu<strong>al</strong>i<br />

v<strong>al</strong>e quanto si è detto per quelli del De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis. Il Decreto di Ivo di Chartres<br />

recupera da Burcardo 24 brani, tra i qu<strong>al</strong>i l’intera serie del libro XIV, inserendola,<br />

però, <strong>al</strong>l’interno del libro XIII assieme ad <strong>al</strong>tra casistica, qu<strong>al</strong>i l’usura e la condotta<br />

da tenersi nei riguardi degli ebrei. I nuovi contributi messi a frutto da Ivo<br />

sono prev<strong>al</strong>entemente di origine patristica e nello stesso modo procede Graziano,<br />

che raccoglie i frammenti sull’ebbrezza prev<strong>al</strong>entemente nella Distinctio 35. Sono<br />

complessivamente 11 i brani inediti presenti nella Concordia, mentre degli <strong>al</strong>tri dieci<br />

solamente quattro si leggono già in Reginone ed in Burcardo.<br />

Nelle decret<strong>al</strong>i il tema è affrontato in modo più parco: abbiamo potuto raccogliere<br />

solo otto brani <strong>d<strong>al</strong></strong> Liber Extra, uno <strong>d<strong>al</strong></strong> Sextus ed un <strong>al</strong>tro <strong>d<strong>al</strong></strong>le Clementinae,<br />

anche se va detto che si tratta comunque dell’argomento maggiormente trattato da<br />

queste fonti giuridiche relativamente <strong>al</strong> vino. Più significativi appaiono essere i<br />

commenti di Enrico di Susa, i qu<strong>al</strong>i traggono spunto dai testi per svolgere sovente<br />

considerazioni attinenti non soltanto <strong>al</strong>la materia specifica da essi discussa.<br />

Avviando l’an<strong>al</strong>isi del materi<strong>al</strong>e disponibile, osserviamo, innanzi tutto, come<br />

sia possibile individuare uno sviluppo nella trattazione. Mentre le collezioni<br />

395


396<br />

canoniche più antiche prendono in considerazione prev<strong>al</strong>entemente i comportamenti<br />

concreti prodotti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ebbrezza, con Ivo di Chartres e, soprattutto, col<br />

Decretum Gratiani l’attenzione si sposta decisamente sui suoi aspetti mor<strong>al</strong>i e psicologici.<br />

Ciò avviene mediante il su menzionato ricorso ai frammenti dei Padri,<br />

dove queste tematiche erano state ampiamente svolte, anche perché presenti in<br />

quella cultura pagana, che costituì, per i Padri della Chiesa, un sicuro punto di<br />

riferimento in materia 105 . Era stata infatti t<strong>al</strong>e antica tradizione a delineare lucidamente<br />

il rapporto tra la lussuria, l’oblivio mentis e l’ebbrezza, due dei <strong>temi</strong> princip<strong>al</strong>i<br />

di Graziano. Il Maestro bolognese fonda, innanzi tutto, teologicamente la<br />

sua riflessione attraverso un brano di Ambrogio, che individua le origini della<br />

«lascivia edendi» nel peccato origin<strong>al</strong>e e, quindi, nell’<strong>al</strong>lontanamento dell’uomo<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> Giardino dell’Eden. La tesi è illustrata mediante tre esempi scritturistici, <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

tentazione di Adamo e di Eva fino <strong>al</strong>le vicende di Noè e di Loth. Altri due brani,<br />

invece, esemplificano il rimedio, ossia l’astinenza misurata da cibo e vino,<br />

come fecero Abramo, il qu<strong>al</strong>e offrì burro e latte ai suoi ospiti, e Giovanni Battista,<br />

presentato <strong>d<strong>al</strong></strong> vangelo come colui che non mangia pane né beve vino 106 .<br />

Sulla scorta di queste premesse, diventa ovvio il collegamento tra ebbrezza<br />

ed amentia, ovvero la perdita dell’autocontrollo provocata <strong>d<strong>al</strong></strong> consumo smodato<br />

di un prodotto in sé non pericoloso. Un testo di Reginone dimostra, infatti,<br />

come l’ubriachezza faccia apostatare persino i sapientes – e tornano gli esempi di<br />

Noè e di Loth – i qu<strong>al</strong>i, per <strong>al</strong>tro verso, sono modelli di comportamento per tutti<br />

i fedeli 107 . L’abuso del vino conduce, infatti, inevitabilmente <strong>al</strong> furor ed <strong>al</strong>la luxuria,<br />

secondo un’an<strong>al</strong>isi già chiarita <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti latine classiche, in particolare da Plinio<br />

e da Seneca 108 . Burcardo, nello specifico, spiega come l’ubriaco finisca col<br />

compiere il m<strong>al</strong>e senza neppure accorgersene e come lo stravolgimento della<br />

ratio conduca sovente <strong>al</strong>la fornicazione: la riflessione sarà ripresentata da Gra-<br />

105 Ne abbiamo trattato nel contributo Intorno <strong>al</strong>l’ebbrezza: sant’Ambrogio e la cultura pagana, «Aevum.<br />

Rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche», 75 (2000), pp. 163-177, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e ci permettiamo<br />

di rinviare. Sul tema si v. anche il bel saggio di G. MOTTA, Il vino dei Padri: Ambrogio, Gaudenzio,<br />

Zeno, in di questo volume.<br />

106 Cfr. Grat. D. 35 c. 8§1-8, tratto da AMBROGIO DI MILANO, De Helia et ieiunio 4, 6-7 e 5, 10-14, ed.<br />

C. Schenkl, CSEL 32/2, Pragae-Vindobonae-Lipsiae 1897, pp. 415-417 e 418-420.<br />

107 Attesa la sua importanza, il tema sarà ripreso, dopo Reg. 1, 140 (un canone composito, trascritto<br />

poi da Burch. 14, 12 e da Ivo D. 13, 80), <strong>d<strong>al</strong></strong> cap. 15 del concilio Lateranense IV (COD, p. 242), che<br />

sarà riversato in seguito nell’Extra (X.3.1.14).<br />

108 Anche su ciò rinviamo <strong>al</strong> nostro Intorno <strong>al</strong>l’ebbrezza, speci<strong>al</strong>mente pp. 165-166, 167 e 168-169.


ziano attraverso immagini particolarmente significative, perlopiù veicolate tramite<br />

brevi e secche sentenze, mutuate <strong>d<strong>al</strong></strong>le opere di san Girolamo 109 .<br />

T<strong>al</strong>e linea si mantiene stabile pure nel diritto posteriore <strong>al</strong>la Concordia, trovando<br />

una sua v<strong>al</strong>ida sintesi nelle riflessioni del cardin<strong>al</strong>e Ostiense. Commentando<br />

una decret<strong>al</strong>e non direttamente rivolta <strong>al</strong>l’an<strong>al</strong>isi dell’ebbrezza, Enrico<br />

coglie l’occasione per chiarire il concetto di concupiscentia, che si concretizza nei<br />

sette peccati capit<strong>al</strong>i, il più grave dei qu<strong>al</strong>i è appunto l’ubriachezza: essa, infatti, è<br />

la «fomes omnium vitiorum», un concetto ripreso varie volte da Ostiense nei<br />

Commentaria 110 . Il testo princip<strong>al</strong>e da lui impiegato è il su menzionato capitolo 15<br />

del Lateranense IV. Il decret<strong>al</strong>ista procede sistematicamente, iniziando, secondo<br />

un tipico atteggiamento della cultura medioev<strong>al</strong>e, <strong>d<strong>al</strong></strong>la spiegazione etimologica<br />

del fenomeno: «Dicitur enim ebrietas ab e, quod est extra, et bria, id est mensura»,<br />

e nella Summa Aurea ribadisce essere l’ubriachezza «quasi senza misura, ma una<br />

misura va posta e tenuta» 111 . Da queste affermazioni emerge un atteggiamento<br />

ostile <strong>al</strong>l’abuso del vino, ma non <strong>al</strong> suo consumo, e a conforto di t<strong>al</strong>e linea è<br />

richiamata l’autorità di san Benedetto, la cui regola consentiva di bere «modico<br />

vino», benché ne auspicasse par<strong>al</strong>lelamente la rinuncia 112 . Una particolare attenzione<br />

Enrico rivolge <strong>al</strong>l’aspirante <strong>al</strong> sacerdozio, il qu<strong>al</strong>e non deve essere vinolentum<br />

se intende ricevere gli ordini sacri appunto perché questo eccita la lussuria e<br />

la violenza. Inoltre, l’ubriachezza porta sovente <strong>al</strong>la derisione di chi ne è vittima<br />

da parte dei sobri e ciò genera una mancanza di pietà, che si configura come<br />

un’ulteriore occasione di peccato 113 .<br />

109 Per Burcardo cfr. 14, 17, poi diffuso in Ivo D. 13, 85 e dedotto da ISIDORO DI SIVIGLIA, Sententiae 2,<br />

43, ed. P. Cazier, CCL 111, Turholti 1998, pp. 187-189. Per Graziano v. invece D. 35 cc. 3, 5-6.<br />

110 Cfr. In primum Decret<strong>al</strong>ium liber, p. 8, testo dedicato <strong>al</strong>la glossa di X.1.2.4 (la decret<strong>al</strong>e si limitava a<br />

stabilire il principio secondo cui ciò che la legge vieta deve essere considerato peccato), ma v. anche<br />

In tertium Decret<strong>al</strong>ium, p. 4. Il concetto dell’ebbrezza come causa di tutti i vizi era presente in Seneca,<br />

cfr. ad es. Epistulae ad Lucilium 10, 83, 19, ed. F. Préchac, H. Noblot, Paris 1957 (Collection des Universités<br />

de France), p. 116.<br />

111 Per il primo passo v. la n. precedente, il secondo si legge in S.A., col. 851.<br />

112 Cfr. In secundum Decret<strong>al</strong>ium, pp. 134A-135, con riferimento a Regula sancti Benedicti,cap.40,ed.A.De<br />

Vogüe, J. Neufville, La Régle de saint Benoit, II, Paris 1972 (Sources chretiennes, 182), pp. 578-580: sulla<br />

posizione di Benedetto v. De Vogüe, La Régle, VI, Paris 1971 (Sources chretiennes, 186), pp. 1142-<br />

1159; ARCHETTI, De mensura potus, cit. Ostiense conclude significativamente la sua riflessione osservando<br />

come «è lecito avere una moderata cura del corpo per supportare l’esercizio della virtù».<br />

113 Queste riflessioni si leggono nella S.A., coll. 178-179: l’ultimo argomento è presente anche in<br />

Ambrogio, cfr. BELLINI, Intorno <strong>al</strong>l’ebbrezza, p. 166.<br />

397


398<br />

Lo smarrimento della coscienza prodotto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ubriachezza portava a commettere<br />

dei reati, come già si è accennato esaminando un capitolo di Burcardo.<br />

È un frammento di Graziano a fissare i principi gener<strong>al</strong>i della questione, stabilendo<br />

che chi agisse in t<strong>al</strong>e modo deve essere punito per essersi ubriacato, ma<br />

non per la colpa commessa, non essendo in quel momento responsabile delle<br />

sue azioni. Un testo di Ivo di Chartres, pure diffuso nella Concordia, giustifica<br />

questo orientamento attraverso l’episodio veterotestamentario di Loth, certamente<br />

reo dell’ebbrezza, ma non dell’incesto con le figlie 114 . Enrico di Susa concorda<br />

con t<strong>al</strong>e linea, paragonando l’ubriaco <strong>al</strong> soporatus, il qu<strong>al</strong>e, agendo in stato<br />

di tot<strong>al</strong>e incoscienza, non può acquisire meriti, né farli acquistare, ma neppure è<br />

in grado di commettere colpe, s<strong>al</strong>vo ovviamente l’avere abusato del vino 115 .Tuttavia,<br />

se <strong>d<strong>al</strong></strong> piano gener<strong>al</strong>e si passa <strong>al</strong>la casistica concreta, i brani dedicati <strong>al</strong>la<br />

problematica diventano molto rari. Reginone e Burcardo contemplano le fattispecie<br />

dell’omicidio commesso a seguito di una rissa e dell’esercizio della sessu<strong>al</strong>ità<br />

coniug<strong>al</strong>e durante la quaresima. In entrambi i casi le penitenze risultano,<br />

in effetti, ridotte rispetto a quelle contemplate per i medesimi reati compiuti da<br />

sobri: si scende a 40 giorni a pane ed acqua per il sesso, contro un anno o 26 soldi<br />

in elemosina, ed a 4 anni per l’omicidio, punito invece rispettivamente con 7<br />

e 5 anni se volontario, o accident<strong>al</strong>e, senza l’attenuante dell’ebbrezza 116 .<br />

Quest’ultimo caso non doveva per <strong>al</strong>tro essere infrequente, infatti pure Ostiense<br />

lo esamina attraverso una decret<strong>al</strong>e che, in re<strong>al</strong>tà, non ne parla esplicitamente. Si<br />

tratta di un testo di Innocenzo III, nel qu<strong>al</strong>e si assolve un diacono autopunitosi perché,<br />

uditi a cena i propositi omicidi di <strong>al</strong>cuni suoi parenti ed amici contro un abate<br />

che lo aveva spogliato del suo beneficio, non era poi intervenuto per impedire il crimine.<br />

Ostiense ipotizza che, presumibilmente, durante il pasto «non defuit potus» ed<br />

è appunto questa, a suo parere, la ragione per cui i parenti del diacono hanno con-<br />

114 Cfr. Grat. C. 15 q. 1 c. 7, mentre per il secondo testo v. Ivo D. 9, 116, poi trascritto in Grat. C. 15<br />

q. 1 c. 9 probabilmente attraverso la Tripartita. Si noti che entrambi i testi sono costituiti da frammenti<br />

dei Padri, sulla cui riflessione in materia v. BELLINI, Intorno <strong>al</strong>l’ebbrezza, pp. 170-171.<br />

115 Cfr. In tertium Decret<strong>al</strong>ium, p. 172A, ma anche S.A., col. 179. Identica la linea del diritto romano, v.<br />

BELLINI, Intorno <strong>al</strong>l’ebbrezza, pp. 171-172.<br />

116 Cfr. Reg. 1, 304 per la sessu<strong>al</strong>ità in quaresima (Burch. 19,5, col. 960, aveva già ridotto le pene: 20<br />

giorni se ubriachi, 40 se sobri): sull’uso del sesso nel diritto canonico medioev<strong>al</strong>e v. J.A. BRUNDAGE,<br />

«Allas! That evere love was synne». Sex and mediev<strong>al</strong> canon law, ora in ID., Sex, law and marriage in the Middle<br />

Ages, Aldershot 1993 (Collected studies series, CS 397), n.o III, pp. 1-13; MUZZARELLI, Penitenze,pp.<br />

48-55; G. DUBY, I peccati delle donne nel medioevo, Roma-Bari 1997, pp. 15-16 e 20-33. Inoltre Reg. 2, 24<br />

per l’omicidio, non contemplato come caso particolare in Burcardo.


cretizzato il loro progetto 117 . Conseguenza meno grave dell’ebbrezza, invece, è il<br />

vomito da essa provocato. Questo peccato è quasi completamente ignorato da Graziano,<br />

s<strong>al</strong>vo che non coinvolga l’eucaristia, perché in t<strong>al</strong>e forma – come in parte si è<br />

già visto – diventa un sacrilegio ed una mancanza di rispetto verso il corpo di Cristo:<br />

non a caso il Maestro bolognese inserisce il frammento in oggetto nella terza parte<br />

della Concordia, che si occupa appunto dei sacramenti. La pena prevista è di 90 giorni<br />

se si tratta di un vescovo, di 70 se è coinvolto un chierico, mentre per i laici vi è<br />

una certa oscillazione: Reginone prevede 15 giorni a pane ed acqua, ridotti però da<br />

Ivo ad 11 e così recepiti da Graziano 118 . Se non è coinvolta la sacra specie, i giorni di<br />

penitenza si riducono a 40 per il prete e per il diacono, a 30 per il monaco, a 20 per<br />

il chierico ed a 15 per il laico 119 , ma la cosa doveva essere così frequente – come prova<br />

l’inserimento di questo peccato nel questionario della visita pastor<strong>al</strong>e riportato da<br />

Reginone e da Burcardo 120 – che Graziano ed il diritto posteriore decisero di ignorarla.<br />

Nel complesso, il problema dell’ubriachezza è inquadrato <strong>d<strong>al</strong></strong>la normativa<br />

<strong>al</strong>l’interno di quella ‘cultura del cibo’, il cui elemento cardine è costituito <strong>d<strong>al</strong></strong>l’invito<br />

<strong>al</strong>la moderazione 121 . Molte suggestioni orientavano la riflessione in t<strong>al</strong>e senso, in<br />

particolare la già ricordata considerazione delle limitate risorse <strong>al</strong>imentari <strong>al</strong>l’epoca<br />

disponibili, che richiedeva un comportamento responsabile, in modo da evitare<br />

inutili sprechi. Ma un rilievo non inferiore dovette averlo l’influenza della cultura<br />

ascetica e penitenzi<strong>al</strong>e del monachesimo 122 , ispirata essa pure in Occidente a prin-<br />

117 Cfr. il commento a X.5.12.17 di In quintum Decret<strong>al</strong>ium,p.48.<br />

118 Cfr. Grat. D. 2 c. 28 de cons., presente anche in Reg. 1, 151; Burch. 5, 46; Ivo D. 2, 55; Ivo P. 1, 154:<br />

il testo proviene <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Excarpus Bedae-Egberti, cap. 20 (ed. in SCHMITZ, Die Bussbücher, p. 692), un penitenzi<strong>al</strong>e<br />

del sec. VIII con interpolazioni successive fino <strong>al</strong>la seconda metà del IX, originario dell’Inghilterra<br />

anglo-sassone ed ampiamente diffuso sul continente (v. VOGEL, Les Libri, p.71,e A.J.<br />

FRANTZEN, The penitenti<strong>al</strong>s attributed to Bede, «Speculum», 58 [1983], pp. 591-592).<br />

119 Cfr. Reg. 1, 147, ripreso da Burch. 14, 13 e da Ivo D. 13, 81. Ma Reg. 1, 149 (Burch. 14, 14; Ivo D.<br />

13, 82) riduce la pena per i laici a tre giorni, ai qu<strong>al</strong>i aggiunge l’astensione <strong>d<strong>al</strong></strong>la carne e <strong>d<strong>al</strong></strong>la birra,<br />

oltre che ovviamente <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, durante t<strong>al</strong>e periodo. Tuttavia, Reg. 1, 304 (ripreso da Burch. 19, 5,<br />

col. 963) ripristina i 15 giorni: è una prova evidente del carattere assolutamente discrezion<strong>al</strong>e dei libri<br />

penitenzi<strong>al</strong>i, che giustificò l’ostilità dei riformatori, carolingi e gregoriani, nei loro riguardi, v. su questo<br />

VOGEL, Les libri, pp. 39-41; PICASSO, Dolore dei peccati, pp. 135-136 (v. anche sopra, n. 26).<br />

120 Cfr. Reg. 2, 5 (int. 61); Burch. 1, 94 (int. 60).<br />

121 Un concetto adeguatamente chiarito da MUZZARELLI, Penitenze, pp. 44-48.<br />

122 Cfr. MUZZARELLI, Penitenze, pp. 20-23 e 43, anche se DE VOGÜE, La Régle, VI, p. 1141, ha potuto<br />

concludere come Benedetto, sull’argomento, si mostri più severo rispetto ai suoi predecessori (v.<br />

anche sopra, n. 98); inoltre, ARCHETTI, De mensura potus, cit.<br />

399


400<br />

cipi di equilibrio e di moderazione. Ebbe infine un certo peso, soprattutto nelle<br />

collezioni di Reginone e di Burcardo, l’esigenza di combattere t<strong>al</strong>uni costumi della<br />

cultura folklorica germanica, di cui ci sembrano spie le condanne di chi si vantava<br />

di poter bere, senza conseguenze, grandi quantità di vino e di coloro che<br />

intraprendevano gare con <strong>al</strong>tri bevitori. Il primo problema è affrontato <strong>d<strong>al</strong></strong> Decretum<br />

Burchardi tramite un frammento pseudo-isidoriano, il qu<strong>al</strong>e riprende severamente<br />

i «potentes... ad bibendum», soliti ad abusare del vino a tavola ed a vantarsi<br />

di poterne sopportare gli effetti con facilità, mentre, in re<strong>al</strong>tà, offrono a tutti<br />

un pessimo esempio 123 . Il testo permette di cogliere il perpetuarsi di una ment<strong>al</strong>ità<br />

propria delle genti germaniche, presso le qu<strong>al</strong>i era ritenuto <strong>al</strong>tamente meritorio<br />

essere in grado di consumare notevoli quantità di bevande inebrianti. Non<br />

ci sembra una forzatura collegare <strong>al</strong> brano pure l’immagine tipica del loro <strong>al</strong>dilà,<br />

costituita <strong>d<strong>al</strong></strong> banchetto offerto da Odino e dagli <strong>al</strong>tri dei <strong>al</strong>le anime dei guerrieri<br />

morti, durante il qu<strong>al</strong>e si beve in abbondanza l’idromele e che viene interrotto<br />

solamente per temporanei e cruenti scontri armati 124 .<br />

Armi ed ebbrezza – i cui rapporti ci sembrano fin troppo evidenti – sono<br />

pertanto elementi caratteristici di una cultura folklorica profondamente radicata<br />

nei paesi d’oltr<strong>al</strong>pe – Graziano non ne tratta – che le sillogi di Burcardo e di Ivo<br />

intendevano contrastare. Infatti, i due canonisti fanno seguire a questo frammento<br />

un <strong>al</strong>tro brano, ove si nega esplicitamente sia cosa lodevole abusare del vino<br />

senza ubriacarsi, affermazione giustificata attraverso il ricorso ad una lunga serie<br />

di esempi scritturistici, che evidenziano, per converso, il rapporto dell’ebbrezza<br />

con la lussuria e la gola 125 . Gioverà qui ricordare come la stessa ment<strong>al</strong>ità cav<strong>al</strong>le-<br />

123 Cfr. Burch. 14, 16, diffuso in Ivo D. 13, 84. La fonte è costituta da una f<strong>al</strong>sa lettera di Clemente I<br />

(ep. 1, 35; JK+10), elaborata <strong>d<strong>al</strong></strong>lo Pseudo-Isidoro (cfr. Decret<strong>al</strong>es Pseudo-Isidorianae et Capitula Angilramni,<br />

ed. P. Hinschius, Leipzig 1863, p. 41).<br />

124 La complessa funzione svolta <strong>d<strong>al</strong></strong> banchetto presso la cultura tradizion<strong>al</strong>e germanica è stata studiata<br />

da GUREVIČ, Le categorie, pp. 238-245, e ID., Contadini e santi, pp. 148-149, che ne ha messo in<br />

luce la funzione insostituibile sul piano delle relazioni soci<strong>al</strong>i. Anche DUBY, Le origini, p. 67, ha segn<strong>al</strong>ato<br />

l’uso ritu<strong>al</strong>e delle potationes tra i contadini, fin<strong>al</strong>izzato a propiziarsi le potenze invisibili ed a rins<strong>al</strong>dare<br />

la solidarietà <strong>al</strong>l’interno del villaggio: quest’ultimo aspetto, sottolineato pure da GUREVIČ,<br />

Contadini e santi, pp. 162-163, spiega la forte capacità di resistenza delle tradizioni folkloriche <strong>al</strong> processo<br />

di cristianizzazione. Sul banchetto di Odino cfr. R. BELLINI, Il volo notturno nei testi penitenzi<strong>al</strong>i e<br />

nelle collezioni canoniche, in Cieli e terre nei secoli XI-XII. Orizzonti, percezioni, rapporti, Atti della XIII Settimana<br />

internazion<strong>al</strong>e di studio (Passo della Mendola, 22-26 agosto 1995), Milano 1998 (Miscellanea<br />

del Centro di studi medioev<strong>al</strong>i, 15), p. 306.<br />

125 Abbiamo già citato questo testo sopra, n. 106.


esca, pur sottoposta <strong>al</strong>la pressione della cultura ecclesiastica, ritenesse la voracità<br />

a tavola un tratto tipico del buon miles, anche se le ragioni che stavano a fondamento<br />

di tutto ciò sono parzi<strong>al</strong>mente differenti da quelle sopra esaminate 126 .<br />

Rientra nella medesima logica pure la seconda fattispecie, cui accenna rapidamente<br />

un testo di Reginone, il qu<strong>al</strong>e ricorda non essere lecito ad <strong>al</strong>cuno<br />

costringere un uomo a bere fino ad ubriacarsi 127 . Un capitolo successivo fissa in<br />

40 giorni la penitenza per il reo, pena aggravata da Burcardo mediante la privazione<br />

dell’eucaristia fino a debita emendazione, se si tratta di una condotta abitu<strong>al</strong>e<br />

128 . È lo stesso vescovo di Worms, in un passaggio del lungo e famoso canone<br />

5 del Corrector, a presentarci esplicitamente la gara tra bevitori ed a prevedere<br />

30 giorni di penitenza per i partecipanti, sia per evitare tentativi di imitazione, sia<br />

perché voler dimostrare di potere ingerire molto vino, o <strong>al</strong>tra bevanda simile, è<br />

un inutile segno di vanagloria 129 . Il costume è condannato pure <strong>d<strong>al</strong></strong>le decret<strong>al</strong>i: il<br />

canone 15 del concilio Lateranense IV lo presenta diffuso «in quibusdam partibus»,<br />

dove, prosegue il brano, «i bevitori si sfidano a bere e tra loro è ritenuto<br />

degno di lode chi ne fa ubriacare di più e consuma un maggior numero di bicchieri»<br />

130 . Commentando questo testo, Enrico di Susa individua significativamente<br />

nella Scozia, nella G<strong>al</strong>lia e nell’area anglo-normanna i paesi dove esso è<br />

maggiormente consueto e, dopo avere premesso che l’ubriachezza è un peccato<br />

grave soltanto se è «assidua», qu<strong>al</strong>ifica come colpa sempre mort<strong>al</strong>e la gara tra i<br />

bevitori, perché rivela una «certa disposizione d’animo ed una chiara volontà di<br />

126 L’abbondanza delle vivande è infatti uno dei segni del potere, sicché il ritu<strong>al</strong>e del banchetto – necessariamente<br />

abbondante, generoso e, soprattutto, ‘pubblico’ – assume il compito di manifestare esplicitamente<br />

i v<strong>al</strong>ori identificativi della classe cav<strong>al</strong>leresca: cfr., tra gli <strong>al</strong>tri, BLOCH, La società, p. 334; GUREVIČ,<br />

Le categorie, pp. 258-260; MONTANARI, Alimentazione, pp. 19-20 e 23-25; ID., La fame, pp. 30-36 e 73-76.<br />

127 Cfr. Reg. 1, 145, non ulteriormente diffuso, ma significativamente tratto <strong>d<strong>al</strong></strong> capitolare di Carlo<br />

Magno dell’803, attraverso ANSEGISO, Capitularium collectio 1, 138, p. 509. Sulla gara dei bevitori ci permettiamo<br />

di rinviare <strong>al</strong> nostro studio Intorno <strong>al</strong>l’ebbrezza, pp. 176-177.<br />

128 Cfr. Reg. 1, 150, ripreso con modifiche da Burch. 14, 15 (ma cfr. anche 19, 5, col. 963), che così lo<br />

trasmetterà a Ivo D. 13, 83. La fonte è, ancora una volta, di matrice germanica, trattandosi dell’Excarpus<br />

Bedae-Egberti, cap. 19, 2, p. 692.<br />

129 Cfr. Burch. 19, 5 (col. 963): per quanto pure questa fattispecie rientri nella cultura germanica (v. in<br />

proposito MONTANARI, La fame, pp. 17-18), l’esiguità della penitenza ci fa comprendere come Burcardo<br />

foc<strong>al</strong>izzi la sua attenzione soprattutto sui due aspetti su indicati.<br />

130 Per il testo v. sopra, n. 107. La pena prevista per gli ecclesiastici che avessero partecipato <strong>al</strong> certame<br />

è la sospensione <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ufficio e <strong>d<strong>al</strong></strong> beneficio, a meno che, ammoniti <strong>d<strong>al</strong></strong> superiore gerarchico,<br />

depongano t<strong>al</strong>e costume e facciano adeguata penitenza.<br />

401


402<br />

ubriacarsi» 131 . Rispetto a Burcardo, dunque, il cardin<strong>al</strong>e ritiene molto più grave<br />

questo reato, soprattutto in quanto espressione di un atteggiamento non certamente<br />

qu<strong>al</strong>ificabile come cristiano sul piano mor<strong>al</strong>e. Esso, per <strong>al</strong>tro, si dimostra<br />

decisamente resistente, considerati gli oltre tre secoli che separano il De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus<br />

causis <strong>d<strong>al</strong></strong>l’opera del cardin<strong>al</strong>e.<br />

Nelle fonti canonistiche si possono individuare <strong>al</strong>tre due fattispecie, nelle qu<strong>al</strong>i<br />

l’abuso del vino si coniuga col persistere di credenze ‘superstiziose’ 132 . La prima<br />

di queste si legge nel Decreto di Graziano, laddove si interdice severamente ai<br />

chierici di riunirsi in occasione dell’anniversario dei defunti (o per qu<strong>al</strong>unque <strong>al</strong>tro<br />

motivo) per brindare <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute delle loro anime o a quelle dei santi, un’abitudine<br />

che sfociava spesso nell’ebbrezza dei convenuti, con applausi, risate e chiacchiere<br />

inanes. Il testo di Graziano, in verità, parrebbe delineare un vero e proprio rito folklorico,<br />

o una serie di questi, infatti aggiunge che, in t<strong>al</strong>i occasioni, è <strong>al</strong>tresì vietato<br />

permettere lo svolgimento di «turpia ioca» (si ricordano spettacoli con l’orso o con<br />

i giullari) 133 , o acconsentire <strong>al</strong>le mascherate – «larvas demonum», dette t<strong>al</strong>amascae –<br />

le qu<strong>al</strong>i sono uno degli elementi più caratteristici della cultura ‘popolare’ 134 . Questo<br />

frammento, forse proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong> Capitulare I di Incmaro di Reims, ha una vicenda<br />

cronologica e geografica assai ampia, la qu<strong>al</strong> cosa conferma la diffusione di<br />

simili tradizioni nell’Occidente medioev<strong>al</strong>e 135 . Inoltre, pur fondando il divieto sul-<br />

131 Cfr. In tertium Decret<strong>al</strong>ium,p.4,e S.A., col. 179.<br />

132 Utilizziamo l’espressione nel significato chiarito da J.-C. SCHMITT, <strong>Medioevo</strong> «superstizioso», Roma-<br />

Bari 1992, soprattutto pp. 3-26.<br />

133 Cfr. Grat. D. 44 c. 7 e D. 5 c. 35 de cons. (già presente in Reg. 1, 216; Burch. 2, 161; Ivo D. 6, 252).<br />

La professione di giullare, di mimo o di danzatore era oggetto di condanna per i suoi possibili contenuti<br />

osceni (cfr. LE GOFF, Mestieri leciti, pp. 57-60 e 63 per la sua parzi<strong>al</strong>e riv<strong>al</strong>utazione), ma anche<br />

per i rapporti che la danza poteva avere sia con la tradizione folklorica, sia, <strong>al</strong>l’interno di questa, col<br />

mondo dei morti, come ha esemplificato J.-C. SCHMITT, «Giovani» e danze dei cav<strong>al</strong>li di legno. Il folklore<br />

meridion<strong>al</strong>e nella letteratura degli «exempla» (XIII-XIV secolo), ora in ID., Religione, folklore, pp. 98-123, e<br />

come confermerebbe anche il nostro canone (le danze, infatti, paiono collegate <strong>al</strong>la ricorrenza dei<br />

morti o <strong>al</strong>la memoria dei santi). Su questo tema cfr. L. GOUGAUD, La danse dans les églises, «Revue d’histoire<br />

ecclésiatique», 15 (1914), pp. 5-22 e 229-245.<br />

134 Cfr. J.-C. SCHMITT, Le maschere, il diavolo, i morti nell’Occidente mediev<strong>al</strong>e, ora in ID., Religione, folklore, pp.<br />

206-230: in Graziano non compare l’espressione t<strong>al</strong>amasca, di origine germanica ed impiegata soprattutto<br />

oltr<strong>al</strong>pe. L’illustre studioso francese ha mostrato come la condanna delle maschere si inscrivesse,<br />

ancora una volta, nel rapporto tra queste e la morte, ma si fondasse pure sul tema della trasformazione<br />

dell’uomo mascherato nell’essere rappresentato <strong>d<strong>al</strong></strong>la maschera, atto interpretato <strong>d<strong>al</strong></strong>la cultura ecclesiastica<br />

secondo una dimensione diabolica. Sull’argomento v. anche LE GOFF, I contadini, pp. 111-112.


l’obbligo, per il sacerdote, di dare esempio di vita sobria e retta ai fedeli, gli antecedenti<br />

non cristiani della pratica sono piuttosto evidenti. Nella Roma pagana,<br />

infatti, si celebravano i parent<strong>al</strong>ia, durante i qu<strong>al</strong>i si portavano, tra l’<strong>al</strong>tro, delle offerte<br />

<strong>al</strong>imentari sui cippi dei defunti, che venivano poi consumate dai parenti 136 .<br />

Nonostante questa prassi cultu<strong>al</strong>e rinviasse ad una concezione della morte e della<br />

funzione del defunto decisamente differente da quella proposta <strong>d<strong>al</strong></strong> cristianesimo<br />

137 , il suo forte radicamento tra le masse l’aveva fatta accogliere <strong>d<strong>al</strong></strong>la Chiesa, che<br />

l’aveva riservata prev<strong>al</strong>entemente <strong>al</strong> culto dei martiri. Dopo la ‘pace costantiniana’,<br />

tuttavia, il suo aspetto convivi<strong>al</strong>e e festoso si era a t<strong>al</strong> punto sviluppato da provocare<br />

ripetuti interventi uffici<strong>al</strong>i, ma i divieti relativi non erano evidentemente riusciti<br />

ad estirparla, come suggerirebbe appunto il nostro testo 138 . Se ne potrebbe<br />

dunque ipotizzare la sopravvivenza in forme folkloriche, ovviamente non del tut-<br />

135 È, infatti, diffuso in numerose sillogi: Reg. 1, 216; Burch. 2, 161; Ivo D. 6, 252; Grat. D. 44 c. 7<br />

(p<strong>al</strong>ea) e D. 5 c. 35 de cons. Il passo, come si accennava, proviene probabilmente da INCMARO DI REIMS,<br />

Capitulare I, cap. 14, edd. R. Pokorny, M. Stratmann, MGH, Capitula episcoporum, II, Hannover 1995,<br />

pp. 41-42, tuttavia le collezioni lo attribuiscono <strong>al</strong> discusso concilio di Nantes, sul qu<strong>al</strong>e cfr. O. PON-<br />

TAL, Histoire des conciles mérovingiennes, Paris 1989, pp. 235-241.<br />

136 La festa è descritta da OVIDIO NASONE, Fastes 2, 533-542, ed. R. Schilling, II, Paris 1993 (Collection<br />

des Universités de France), p. 49, che, in re<strong>al</strong>tà, raccomanda unicamente di deporre in un vaso<br />

poche semplici offerte (grano, pane imbevuto nel vino, s<strong>al</strong>e e violette) e nulla dice circa la loro eventu<strong>al</strong>e<br />

consumazione. Sulla celebrazione, che si svolgeva tra il 13 ed il 21 febbraio, cfr. A. GRENIER,<br />

Les religions étrusque et romaine, Paris 1948 («Mana». Introduction à l’histoire des religions, 2/3), pp.<br />

117-120, il qu<strong>al</strong>e ne ha sottolineato l’origine arcaica ed i caratteri prev<strong>al</strong>entemente magici.<br />

137 La visione cristiana della morte, definita <strong>d<strong>al</strong></strong>la riflessione di sant’Agostino (cfr. il De cura pro mortuis<br />

gerenda 1, 2; 10, 12 e 13, 16-16, 19, ed. J. Zycha, CSEL 41, Wien 1900, pp. 622-623, 639-641 e 647-<br />

653), implicava infatti la completa rottura delle relazioni tra vivi e defunti, che dunque appartenevano<br />

a due mondi completamente estranei ed incomunicabili tra loro (cfr. J.-C. SCHMITT, Spiriti e fantasmi<br />

nella società mediev<strong>al</strong>e, Roma-Bari 1995, pp. 20-39). La concezione pagana, invece, sia romana sia<br />

germanica, riteneva che il morto mantenesse, nell’<strong>al</strong>dilà, la sua individu<strong>al</strong>ità e quindi proseguisse,<br />

sostanzi<strong>al</strong>mente, la vita terrena; inoltre, egli costituiva, con i viventi della sua famiglia, un’unica collettività,<br />

assicurando a questi ultimi il necessario rapporto col divino, ma pretendendo in cambio i<br />

debiti onori, tanto da essere pronto a punire i familiari in caso di dimenticanza, di trascuratezza o di<br />

insufficiente attenzione. Per un confronto tra le due rappresentazioni v. B. YOUNG, Paganisme, christianisation<br />

et rites funéraires mérovingiennes, «Archéologie médiév<strong>al</strong>e», 7 (1977), pp. 6-8; sulla visione<br />

pagana si v. anche le pp. 18-20 del su citato studio di Schmitt.<br />

138 Famoso, in proposito, il passo di Agostino (Confessiones 6, 2, 2, ed. L. Verhejen, CCL 27, Turholti<br />

1981, p. 74), dove il santo di Ippona ricorda esplicitamente, tra i cibi consumati, una coppa di vino.<br />

Cfr. sull’argomento V. MONACHINO, La cura pastor<strong>al</strong>e a Milano, Cartagine e Roma nel secolo IV, Roma<br />

1947 (An<strong>al</strong>ecta Gregoriana, 41), pp. 70-72 e 206-207, le cui conclusioni ottimistiche circa l’efficacia<br />

dei divieti episcop<strong>al</strong>i (forse perché fondate su testi rispecchianti l’<strong>al</strong>ta cultura ecclesiastica) ci sem-<br />

403


404<br />

to corrispondenti – ma non sarebbe un caso eccezion<strong>al</strong>e – <strong>al</strong>le descrizioni del<br />

ritu<strong>al</strong>e offerte da Ovidio e da sant’Agostino, forse anche per influenze provenienti<br />

da <strong>al</strong>tre tradizioni ‘popolari’ 139 . Da questo punto di vista, però, per quanto il<br />

frammento abbia un’origine franca, non ci sembra debba supporsi un influsso della<br />

religiosità pagana germanica, perché presso quest’ultima non risultano attestati<br />

ritu<strong>al</strong>i an<strong>al</strong>oghi a quello dei parent<strong>al</strong>ia, e ciò nonostante il fatto che la sua visione<br />

della morte sia, nella sostanza, abbastanza vicina a quella del paganesimo latino.<br />

Anzi, nella G<strong>al</strong>lia merovingia, già <strong>al</strong>l’epoca della conversione di Clodoveo avviene<br />

la sparizione della deposizione di vivande nella tomba del defunto <strong>al</strong>l’atto della<br />

sepoltura, un costume, tra l’<strong>al</strong>tro, a nostro parere solo parzi<strong>al</strong>mente collegabile con<br />

quello dei parent<strong>al</strong>ia 140 . In conclusione, considerata anche la probabile provenienza<br />

del brano (Reims o, forse, Nantes), pensiamo si dovrebbe trattare, in questo caso,<br />

della prosecuzione di una ritu<strong>al</strong>ità di matrice prev<strong>al</strong>entemente latina.<br />

Il secondo testo è presentato nella famosa decret<strong>al</strong>e Audivimus di Alessandro<br />

III, inviata <strong>al</strong> re di Svezia Kol nel 1171 o 1172. Nel documento il pontefice vieta di<br />

venerare come santo il re Erico, predecessore del sovrano, da questi assassinato<br />

mentre si trovava in stato di ebbrezza 141 . Si è osservato giustamente come la decret<strong>al</strong>e<br />

rappresenti un passo importante verso l’istituzione della riserva pontificia nella<br />

canonizzazione dei santi ed André Vauchez ha <strong>al</strong>tresì acutamente aggiunto che<br />

brano v<strong>al</strong>ide solo per gli ambienti cittadini. Per l’origine e l’evoluzione del culto cristiano dei morti –<br />

soprattutto dei martiri – da quello pagano, <strong>d<strong>al</strong></strong> qu<strong>al</strong>e esso recuperò numerosi elementi, v. H.<br />

DELEHAYE, Les origines du culte des martyrs, Bruxelles 1933 (Subsidia hagiographica, 20), pp. 22-49.<br />

139 Va <strong>al</strong>tresì osservato, con YOUNG, Paganisme, pp. 8-12, come la Chiesa abbia probabilmente esitato<br />

ad aggredire direttamente una credenza così diffusa e radicata e si sia quindi limitata a colpirne solo<br />

le forme inaccettabili, <strong>al</strong>lo scopo di favorire il processo di conversione delle masse: v. su ciò LE<br />

GOFF, Cultura cleric<strong>al</strong>e, pp. 199-200; SCHMITT, <strong>Medioevo</strong> «superstizioso», pp. 37-42. Di quest’ultimo studioso,<br />

cfr. Spiriti e fantasmi, pp. 39-48, per la successiva evoluzione, che portò la Chiesa ad un nuovo<br />

atteggiamento verso le apparizioni dei morti rispetto a quello agostiniano. Relativamente <strong>al</strong> tardo<br />

medioevo, un quadro delle ‘sopravvivenze pagane’ e del complesso atteggiamento della Chiesa nei<br />

loro confronti è stato tracciato da CHER<strong>UBI</strong>NI, Parroco, parrocchie, pp. 370-375, 376, 384-389 e 399.<br />

140 A nostro parere, infatti, mentre nei parent<strong>al</strong>ia sono presenti con evidenza entrambi gli aspetti costitutivi<br />

la rappresentazione ‘pagana’ dei morti – come ha sottolineato pure R. BLOCH, La religione romana,<br />

in Storia delle religioni, p. 567 – l’offerta delle vivande, avvenendo una volta sola <strong>al</strong> momento della<br />

sepoltura, rimanda soprattutto <strong>al</strong> primo di questi: cfr. YOUNG, Paganisme, pp. 38-40, 47-49 e 54-57<br />

(per tutto il saggio pp. 5-81), la cui interpretazione discorda in parte <strong>d<strong>al</strong></strong>la nostra. Sull’argomento v.<br />

anche SCHMITT, <strong>Medioevo</strong> «superstizioso», pp. 170-171.<br />

141 La decret<strong>al</strong>e (JL 13546) venne inserita in varie raccolte non uffici<strong>al</strong>i, confluendo poi nell’Extra:<br />

X.3.45.1.


Alessandro III volle probabilmente cogliere l’occasione per richiamare le prerogative<br />

della sede apostolica «ad un sovrano di un popolo convertito da non molto» 142 .<br />

Ora, proprio quest’ultima osservazione ci consente di richiamare il rapporto tra<br />

l’ebbrezza ed il sacro, presente sia nella cultura classica pagana 143 , sia in quella germanica,<br />

nella qu<strong>al</strong>e – lo si è accennato – il consumo collettivo della birra aveva la<br />

funzione d’istituire un rapporto di comunità tra i partecipanti e tra questi e gli<br />

dei 144 . Nulla di strano, pertanto, se un popolo germanico di fresca conversione<br />

considerasse il sovrano defunto mediante una categoria dedotta <strong>d<strong>al</strong></strong>la nuova fede<br />

– la santità – ma forse riempita <strong>al</strong>meno parzi<strong>al</strong>mente di contenuti provenienti da<br />

quella precedente, come le stesse espressioni di Alessandro farebbero supporre 145 .<br />

È la Concordia discordantium canonum a sottolineare, con particolare forza, la differenza<br />

tra l’ubriachezza s<strong>al</strong>tuaria e quella cronica, riservando solo <strong>al</strong>la seconda la<br />

qu<strong>al</strong>ifica di peccato mort<strong>al</strong>e, una posizione su cui concorda, come si è visto, pure<br />

Enrico di Susa 146 . La distinzione, in verità, era già stata accennata <strong>d<strong>al</strong></strong>le sillogi pregrazianee:<br />

nell’ampio interrogatorio predisposto per la visita pastor<strong>al</strong>e, Reginone<br />

e Burcardo avevano invitato il vescovo ad informarsi se vi fossero fedeli inclini ad<br />

abusare del vino, ai qu<strong>al</strong>i occorreva <strong>al</strong>lora ricordare che «gli ubriachi non possiederanno<br />

il regno dei cieli» 147 . Tuttavia, per ciò che attiene il laicato, non viene fatta<br />

<strong>al</strong>cuna vera distinzione tra le due situazioni nel comminare le pene, le qu<strong>al</strong>i<br />

risultano essere oltretutto piuttosto leggere, oscillando dai tre giorni previsti <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis ai massimo 30 contemplati da Burcardo e da Ivo 148 , mentre<br />

142 Cfr. A. VAUCHEZ, La santità nel medioevo, Bologna 1989, pp. 33-39 (la cit. è a p. 37).<br />

143 Sull’argomento ci permettiamo di rinviare a BELLINI, Intorno <strong>al</strong>l’ebbrezza, pp. 174-176.<br />

144 Sul problema v. le indicazioni offerte sopra, n. 43.<br />

145 Il papa qu<strong>al</strong>ifica infatti gli adoratori come uomini «ingannati da frode diabolica» e che si atteggiano<br />

«more infidelium». L’impiego di categorie mutuate <strong>d<strong>al</strong></strong>la cultura cristiana, e spesso anche da quella<br />

classica, per condannare credenze pagane e/o folkloriche germaniche l’abbiamo potuto documentare<br />

nel nostro studio Il volo notturno, speci<strong>al</strong>mente pp. 301-303.<br />

146 Cfr. Grat. dictum post della D. 25 c. 3, il qu<strong>al</strong>e riprende un frammento del sermone 150 di Cesario<br />

di Arles (v. G. MORIN, Sancti Cesarii episcopi Arelatensis opera omnia. I/2: Sermones seu admonitiones,Maretoli<br />

1937, pp. 684-685) già trascritto in 5L 3, 317. Per Enrico v. sopra, n. 131.<br />

147 Reg. 2, 5 (int. 66); Burch. 1, 94 (int.) 65.<br />

148 Per il primo caso cfr. Reg. 1, 139; per il secondo v. Burch. 19, 5 (col. 963), che fissa in 10 giorni la<br />

penitenza per chi, in gener<strong>al</strong>e, abusa in cibo e bevande, e Burch. 14, 8 (poi trascritto in Ivo D. 13, 76),<br />

che contempla 7 giorni a pane ed acqua per chi è costretto ad ubriacarsi da <strong>al</strong>tri e 30 per chi lo fa<br />

volontariamente.<br />

405


406<br />

Graziano non indica <strong>al</strong>cuna penitenza precisa e preferisce affidarsi <strong>al</strong>la decisione<br />

del confessore. Possiamo interpretare t<strong>al</strong>e casistica <strong>al</strong>la luce di quanto sopra si<br />

diceva circa la quotidianità del bere: evidentemente, lo stato di <strong>al</strong>terazione era così<br />

frequente da doversi considerare come re<strong>al</strong>isticamente ineliminabile. Meglio, <strong>al</strong>lora,<br />

tentare unicamente di controllarlo, senza imporre ai fedeli obblighi impossibili<br />

da soddisfare. Potrebbe confermare questo il sostanzi<strong>al</strong>e disinteresse del diritto<br />

post-grazianeo verso il tema e ciò, certamente, non perché i laici avessero smesso<br />

di ubriacarsi, ma piuttosto perché i costumi erano forse divenuti un po’ più<br />

civili e controllati, grazie a questa intelligente opera educatrice della Chiesa.<br />

Sarebbe, del resto, il medesimo motivo posto <strong>d<strong>al</strong></strong>la Muzzarelli, assieme ad <strong>al</strong>tri,<br />

<strong>al</strong>le origini del contemporaneo passaggio <strong>d<strong>al</strong></strong>la penitenza tariffata <strong>al</strong> sistema fondato<br />

sulla confessione dei peccati e sull’assoluzione da parte del sacerdote: quest’ultimo,<br />

rivolgendosi pressoché esclusivamente <strong>al</strong>la dimensione interiore del<br />

fedele, ne presuppone, evidentemente, un affinamento ed una sensibilità, la qu<strong>al</strong>e<br />

può giustificare quanto sopra si diceva sull’ebbrezza dei laici 149 .<br />

Meritano pure di essere brevemente esaminati tre capitoli del De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis,<br />

che non conosceranno ulteriore diffusione. Il motivo riteniamo debba essere<br />

individuato nel loro pieno rispecchiare il contesto storico, nel qu<strong>al</strong>e la silloge venne<br />

esemplata, ossia l’età del cosiddetto particolarismo feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e, quando i poteri pubblici<br />

fluirono <strong>d<strong>al</strong></strong>le mani dell’autorità centr<strong>al</strong>e a quelle dei grandi proprietari fondiari,<br />

che potevano contare sulla forza di milites di vario livello, a loro legati da vincoli vass<strong>al</strong>latici.<br />

È, del resto, significativa la provenienza dei testi di Reginone dai capitolari<br />

celebrati da Carlo Magno agli inizi del secolo IX, quando l’impero appariva ancora<br />

solido, mentre in re<strong>al</strong>tà le premesse per la sua successiva dissoluzione si erano già<br />

poste 150 . Scendendo nei particolari, Reg. 1, 142 invita i seniores ad evitare l’ubriachezza<br />

affinché sia dato un buon esempio ai loro iuniores. I concetti impiegati richiamano<br />

con evidenza il rapporto di vass<strong>al</strong>laggio e cercano di sfruttarlo per fin<strong>al</strong>ità etiche e<br />

mor<strong>al</strong>i, non facendo, evidentemente, molto conto sulle capacità d’intervento dell’autorità<br />

pubblica nella repressione degli atti violenti di un miles ubriaco 151 .<br />

149 Cfr. MUZZARELLI, Penitenze, pp. 64-65, 69-71 e soprattutto 75-85. Fare della confessione e della<br />

contrizione person<strong>al</strong>e il fulcro della pratica penitenzi<strong>al</strong>e significò entrare appieno, <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista<br />

mor<strong>al</strong>e, nella cosiddetta ‘cultura della colpa’, non assente comunque nemmeno nei penitenzi<strong>al</strong>i: v. sul<br />

tema GUREVIČ, Contadini e santi, pp. 164-165.<br />

150 Lucida e sintetica descrizione del processo in TABACCO,MERLO, <strong>Medioevo</strong>, pp. 150-156 e 190-219.<br />

151 L’intrecciarsi di elementi propri del vass<strong>al</strong>laggio con quelli cristiani è stato esemplificato da C.D.<br />

FONSECA, Chiesa e mondo feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e: influssi e imprestiti, in Il feu<strong>d<strong>al</strong></strong>esimo nell’<strong>al</strong>to medioevo, Atti della XLVII


Reg. 1, 144 vieta a qu<strong>al</strong>sivoglia persona, in occasione dell’adunanza dell’esercito,<br />

di convincere un proprio pari a bere eccessivamente. Pure in questo caso<br />

ci troviamo di fronte ad un momento caratteristico della ‘vita feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e’, ossia<br />

quando il sovrano radunava i bellatores per spedizioni militari di varia natura,<br />

seguendo una prassi fissata dai carolingi e poi proseguita, con varie modifiche,<br />

nei regni sorti sulle macerie dell’impero 152 . La compresenza di numerosi guerrieri,<br />

come si può immaginare, era tutt’<strong>al</strong>tro che rassicurante e la norma di Reginone,<br />

infatti, ha un chiaro scopo preventivo. Tuttavia, l’autore non si fa soverchie<br />

illusioni, infatti il testo prosegue fulminando addirittura la scomunica verso chi<br />

fosse stato sorpreso in condizione di ebbrezza, ma, in re<strong>al</strong>tà, la pena si traduce<br />

concretamente nell’obbligo, per il reo, di assumere soltanto acqua «finché non<br />

avrà compreso di avere agito m<strong>al</strong>amente»: è il segno, se non ci inganniamo, di<br />

quanto limitate fossero le possibilità di azione dell’autorità ‘pubblica’ verso questi<br />

guerrieri, dai costumi decisamente rozzi. Ciò parrebbe essere confermato <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

ripresa della questione nell’opera di Enrico di Susa, il qu<strong>al</strong>e fa sì un riferimento<br />

diretto <strong>al</strong> testo di Reginone, però punisce il miles ubriaco con la sospensione<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’esercito 153 . Il cardin<strong>al</strong>e giustifica la misura osservando che l’ebbrezza è un<br />

incentivo a commettere la violenza, mentre quest’ultima deve mantenersi nei<br />

limiti delle necessità, che hanno portato a radunare l’esercito.<br />

La maggiore severità di Ostiense parrebbe dunque fondarsi sulla definitiva<br />

messa a punto del concetto di ‘guerra giusta’, operata <strong>d<strong>al</strong></strong>la cultura teologica e<br />

giuridica del tempo. Un ruolo non inferiore, tuttavia, dovette svolgerlo pure la<br />

profession<strong>al</strong>izzazione del servizio militare, avviatasi <strong>al</strong> termine della ‘età feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e’<br />

– per impiegare l’espressione di Philippe Contamine – che permetteva <strong>al</strong> sovrano<br />

di controllare meglio i suoi soldati e, quindi, di incan<strong>al</strong>are la violenza verso<br />

precisi obiettivi. Inoltre, divenendo il mestiere delle armi una professione <strong>al</strong>me-<br />

Settimana di studio del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to medioevo (Spoleto, 8-12 aprile 1999), Spoleto<br />

2000, pp. 833-834, ed è più ampiamente puntu<strong>al</strong>izzato in G. CREMASCOLI, Il sacro nella ment<strong>al</strong>ità feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e,<br />

in Chiesa e mondo feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e nei secoli X-XII, Atti della XII Settimana internazion<strong>al</strong>e di studio (Passo<br />

della Mendola, 24-28 agosto 1992), Milano 1995 (Miscellanea del Centro di studi medioev<strong>al</strong>i, 14), pp.<br />

537-552. Nella collezione di Reginone, anzi, il vincolo vass<strong>al</strong>latico prende t<strong>al</strong>volta il sopravvento<br />

sugli stessi principi cristiani, come ha mostrato, con la consueta maestria, G. PICASSO, Collezioni canoniche<br />

e società nella prima età feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e, pp. 473-475 del volume appena cit.<br />

152 Cfr. CONTAMINE, La guerre, pp. 100-105 per l’età carolingia, mentre l’evoluzione successiva è studiata<br />

nel capitolo II della parte II – Les temps féodeaux (début Xe-milieu XIIe siècle) – del qu<strong>al</strong>e si v., ad es.,<br />

le pp. 117-121, relative ai territori dell’Impero.<br />

153 Cfr. In tertium Decret<strong>al</strong>ium,p.4;S.A., col. 179.<br />

407


408<br />

no in parte retribuita, l’<strong>al</strong>lontanamento <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esercito comportava, per il guerriero,<br />

una perdita economica non indifferente 154 .<br />

In ultimo, Reg. 1, 143 interdice <strong>al</strong>l’ebriosus di discutere la sua causa nel m<strong>al</strong>lus,o<br />

di presentarsi come testimone, e similmente il comes «non tenga il placito se non è<br />

digiuno», espressione da interpretarsi, in t<strong>al</strong>e contesto, come sinonimo di sobrio.<br />

Momento importante nell’amministrazione dell’<strong>al</strong>ta giustizia, ma <strong>al</strong> tempo stesso<br />

occasione utile per discutere gli affari più rilevanti e per manifestare la forza del<br />

potere regio, l’assemblea del placito non poteva certo essere presieduta da un’autorità<br />

– fosse quella del conte, del vescovo, del messo regio, o dello stesso sovrano<br />

– le cui facoltà fossero state minate <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ubriachezza 155 . La prima parte del canone<br />

ci ricorda <strong>al</strong>tresì l’importanza della deposizione giurata nella procedura giudiziaria<br />

di quei secoli, <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e si affiancavano, in un rapporto complesso, le varie forme<br />

dell’or<strong>d<strong>al</strong></strong>ia 156 . L’affidabilità del testimone era dunque assolutamente necessaria e<br />

sarebbe stata irrimediabilmente compromessa se costui si fosse presentato ubriaco<br />

davanti <strong>al</strong> giudice, né t<strong>al</strong>e esigenza verrà meno quando questi procedimenti<br />

saranno sostituiti <strong>d<strong>al</strong></strong> sistema procedur<strong>al</strong>e inquisitorio, agli inizi del secolo XIII 157 .<br />

Testimoniare implicava, d’<strong>al</strong>tra parte, prestare un giuramento sui testi sacri o<br />

sulle reliquie, un atto che il pensiero cristiano fece proprio durante l’<strong>al</strong>to medioevo,<br />

sacr<strong>al</strong>izzandolo e sottoponendolo ad un’attenta regolamentazione, in vista<br />

soprattutto del suo impiego nel campo del diritto 158 . L’atteggiamento della cano-<br />

154 Su questi aspetti si sofferma CONTAMINE, La guerre, pp. 157-159, 192-207 e 449-452.<br />

155 Indicazioni gener<strong>al</strong>i sul placitum durante l’età di Reginone in F. BOUGARD, La justice dans le royaume d’It<strong>al</strong>ie<br />

de la fin du VIIIe siècle au début du XIe siècle, Rome 1995 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes<br />

et de Rome, 291), pp. 205-221 e 275-279; ID., La justice dans le royaume d’It<strong>al</strong>ie au IXe-Xe siècle, in La giustizia<br />

nell’<strong>al</strong>to medioevo. Secoli IX-XI, Atti della XLIV Settimana di studio del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to<br />

medioevo (Spoleto, 11-17 aprile 1996), Spoleto 1997, pp. 133-176, ma soprattutto pp. 161-175.<br />

156 Cfr. BOUGARD, La justice, pp. 250-252 e 331-339; ID., La justice,in La giustizia, pp. 167-168; in quest’ultimo<br />

volume si v. anche i contributi di C. WICKHAM, Justice in the kingdom of It<strong>al</strong>y in the Eleventh century,<br />

pp. 197-201, e O. GUILLOT, Le judiciaire: du champ leg<strong>al</strong> (sous Louis le Pieux) au champ de la pratique<br />

en France (IXe s.), pp. 715-785, il qu<strong>al</strong>e si occupa dell’or<strong>d<strong>al</strong></strong>ia solo nella forma del duello: per le <strong>al</strong>tre<br />

possibili mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità e per il rapporto stretto della pratica con il giuramento cfr. D. BARTHÉLEMY, Diversité<br />

des or<strong>d<strong>al</strong></strong>ies médiév<strong>al</strong>es, «Revue historique», 280 (1988), pp. 3-25.<br />

157 Il passaggio è stato oggetto di un bello studio di M. FRAHER, IV Lateran’s revolution in crimin<strong>al</strong> procedure:<br />

the birth of «inquisitio», the end of orde<strong>al</strong>s and Innocent III’s vision of ecclesiastic<strong>al</strong> politics, in Studia in<br />

honorem Stickler, pp. 97-111.<br />

158 Cfr.P.PRODI, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzion<strong>al</strong>e dell’Occidente, Bologna<br />

1992 (Ann<strong>al</strong>i dell’Istituto storico it<strong>al</strong>o-germanico. Monografie, 15), pp. 65-81, speci<strong>al</strong>mente p. 72 per<br />

il suo carattere fondativo del diritto.


nistica, in verità, è piuttosto circospetto e tende comunque ad escludere il religioso<br />

da coloro cui è lecito giurare, seguendo in modo rigoroso le indicazioni evangeliche<br />

in materia e prevedendo perciò severe punizioni per gli spergiuri 159 .In<br />

molti casi, tuttavia, giurare era inevitabile e poteva accadere che persone ubriache<br />

ne fossero coinvolte: qu<strong>al</strong>e v<strong>al</strong>ore andava <strong>al</strong>lora attribuito ad un impegno di questo<br />

genere? Ivo di Chartres risolve il dilemma attraverso un passo di Ambrogio,<br />

nel qu<strong>al</strong>e si an<strong>al</strong>izza il racconto della morte del Battista, a seguito della promessa<br />

incauta fatta da Erode ubriaco a S<strong>al</strong>omè. Per il presule francese, in t<strong>al</strong>e situazione<br />

occorre sempre v<strong>al</strong>utare le conseguenze dell’atto e, se risultassero più gravi dello<br />

spergiuro, è opportuno non dargli seguito: del resto, conclude il capitolo, le Scritture<br />

stesse ci mostrano come Dio «frequentemente abbia mutato la sua decisione»<br />

160 . Natur<strong>al</strong>mente, ciò non è affatto commendevole ed implica quindi delle<br />

conseguenze sul piano penitenzi<strong>al</strong>e, inoltre il brano non permette di annullare<br />

sempre le promesse degli ubriachi, ma soltanto ove ricorrano le su menzionate<br />

condizioni, in assenza delle qu<strong>al</strong>i i giuramenti mantengono tutto il loro v<strong>al</strong>ore.<br />

Con maggiore severità è giudicata l’ubriachezza dell’ecclesiastico. Un autorevole<br />

testo ricorda come poche cose siano incompatibili con la fede cristiana<br />

quanto l’abbandonarsi «<strong>al</strong>la crapula ed <strong>al</strong>l’ebbrezza» e ciò v<strong>al</strong>e speci<strong>al</strong>mente per<br />

coloro che rappresentano i vertici della cristianità e sono un modello per i fedeli<br />

161 . Un <strong>al</strong>tro frammento, di origine carolingia, completa il discorso collocando l’ebrietas<br />

tra i «negotia saecularia», nei qu<strong>al</strong>i è implicita la «concupiscenza della carne»<br />

e che sono pertanto estranei <strong>al</strong>la professione religiosa 162 . Gli ecclesiastici<br />

159 Sull’argomento v. J. GAUDEMET, Le serment dans le droit canonique médiév<strong>al</strong>, in Le serment, edité par R.<br />

Verdier, II, Paris 1991, pp. 63-75; BELLINI, Tra riforma, pp. 319-320.<br />

160 Il frammento proviene da AMBROGIO DI MILANO, De officiis ministrorum 3, 12, 76-77 e 79, ed. M.<br />

Testard, CCL 15, Turnholti 2000, pp. 182-183, e si legge in Ivo D. 12, 17; Ivo P. 8, 101; Grat. C. 22 q.<br />

4 c. 8. Sarà soprattutto con la riforma del secolo XI che la Chiesa rivendicherà il diritto esclusivo di<br />

decidere sull’opportunità o meno di mantenere il giuramento, cfr. PRODI, Il sacramento, pp. 119-129.<br />

161 Il brano proviene <strong>d<strong>al</strong></strong>la Regula Benedicti, cap. 39, 8-9, p. 578 e, appunto per la sua autorevolezza,<br />

godette di ampia diffusione (Reg. 1, 141; Burch. 14, 1; Ivo D. 13, 69). Sull’impiego della Regola nelle<br />

collezioni canoniche cfr. G. MOTTA, La ‘Regula Benedicti’ in <strong>al</strong>cune collezioni canoniche dei secoli VIII-<br />

XII, «Benedictina», 28 (1981), pp. 261-281.<br />

162 Cfr. concilium Moguntinense a. 813, cap. 14, ed. A. Werminghoff, MGH, Concilia aevi karolini, II/1,<br />

Hannoverae-Lipsiae 1906, pp. 264-265. Il sinodo appartiene ad un gruppo di assemblee ecclesiastiche<br />

promosse in quell’anno da Carlo Magno «super statu ecclesiarum corrigendo» (v. C.J. HEFELE, H.<br />

LECLERCQ, Histoire des conciles d’apres les documents originaux, III/2, Paris 1910, pp. 1135-1148), il che spiega<br />

la fortuna del testo: accolto da Burch. 8, 90, si trasmise ad Ivo D. 7, 108, quindi, per vie attu<strong>al</strong>mente<br />

non ricostruibili, fu trascritto nella Comp. I (3, 37, 1) e da questa passò nell’Extra (3, 50, 1).<br />

409


410<br />

devono dunque limitare il consumo del vino e, soprattutto, astenersi <strong>d<strong>al</strong></strong> suo abuso,<br />

in primo luogo per non scan<strong>d<strong>al</strong></strong>izzare i fedeli, in secondo luogo per essere<br />

sempre pronti <strong>al</strong> servizio di Dio che, ricorda un ampio canone di Burcardo, non<br />

può essere soddisfatto adeguatamente se non si è nel pieno possesso delle proprie<br />

facoltà ment<strong>al</strong>i 163 . Ciò non comporta, come abbiamo osservato, la tot<strong>al</strong>e astinenza<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vino, per quanto un frammento di san Girolamo, accolto <strong>d<strong>al</strong></strong> Decretum<br />

di Graziano, si esprima proprio in t<strong>al</strong>e senso. Mangiare carne e bere vino sono qui<br />

qu<strong>al</strong>ificati come concessioni fatte <strong>al</strong>l’uomo dopo il diluvio, quando Dio istituì la<br />

legge per regolarne la condotta, ma avendo Cristo abolito la legge, questi atti<br />

sono oggi inibiti 164 . Lo stesso Graziano, tuttavia, identifica nel capitolo il concetto<br />

di ‘bere vino’ con quello di ‘abusarne’, come fanno quegli ecclesiastici il cui<br />

costume sarà oggetto di riprovazione da parte del concilio Lateranense IV.<br />

Costoro trascorrono a tavola metà della notte e dedicano <strong>al</strong> riposo soltanto poche<br />

ore, sicché a fatica si <strong>al</strong>zano la mattina e celebrano m<strong>al</strong>amente i loro uffici, o addirittura<br />

li trascurano 165 . La condotta adeguata era stata invece puntu<strong>al</strong>izzata da Burcardo:<br />

il sacerdos non deve accettare nemmeno inviti a pranzo, a meno che non gli<br />

siano stati formulati <strong>d<strong>al</strong></strong> pater familias, desideroso di «accogliere il nutrimento della<br />

Parola» assieme <strong>al</strong>la consorte ed <strong>al</strong>la sua prole; in t<strong>al</strong>e modo, la refezione si trasforma<br />

in un’occasione di azione pastor<strong>al</strong>e e solo <strong>al</strong>lora può accettare l’invito 166 .<br />

Opportunamente, perciò, Innocenzo III paragonerà il consumo del vino <strong>al</strong> giuramento,<br />

interdetto usu<strong>al</strong>mente <strong>al</strong> consacrato <strong>d<strong>al</strong></strong>le leggi della Chiesa: in entrambi<br />

i casi, si tratta in verità di atti non illeciti in sé, purché non diventino abitudinari<br />

e, in particolare, rispondano ad effettive necessità pratiche 167 .<br />

Da tutto ciò segue l’assoluta intolleranza del diritto canonico verso l’ebbrezza<br />

dell’uomo di Chiesa, la qu<strong>al</strong>e comporta perfino la deposizione del colpe-<br />

163 Cfr. Burch. 14, 4, poi trascritto in Ivo D. 13, 72. Riflessioni simili si leggono in Burch. 14, 3 (Ivo<br />

D. 13, 71) ed in Bonizo 5, 80. Il principio sarà ripreso in S.A., col. 178, ove si sottolinea come «l’ubriachezza<br />

grava i cuori», mentre il clericus deve sempre «vigilare».<br />

164 Cfr. Grat. D. 35 c. 2, che trascrive GIROLAMO, Adversus Iovinianum 1, 18 (PL 23, coll. 247C-248A).<br />

165 Cfr. concilium Lateranense IV a. 1215, cap. 17 (COD, p. 243), ripreso in X.3.41.9; lo stesso concilio,<br />

<strong>al</strong> cap. 15, raccomanda di non abusare del vino, ma non obbliga ad astenersene.<br />

166 Burch. 14, 10, poi in Ivo D. 13, 78. Il frammento fu attribuito <strong>d<strong>al</strong></strong> presule tedesco a papa Eutichiano,<br />

ma proviene in re<strong>al</strong>tà da TEODOLFO D’ORLEANS, Capitulare I, cap. 13, ed. P. Brommer, MGH,<br />

Capitula episcoporum, I, Hannover 1984, p. 112 (JK+156).<br />

167 Cfr. X.2.24.26, una decret<strong>al</strong>e del 21 marzo 1206 (Reg. epist. 9, 24, PL 215, coll. 825-827), in precedenza<br />

trascritta nella Comp. III 2, 15, 13.


vole, nel caso fosse cronica. Tutte le sillogi concordano su questa norma, estesa<br />

ugu<strong>al</strong>mente <strong>al</strong> vescovo, <strong>al</strong> sacerdote e <strong>al</strong> diacono, mentre si limitano a privare<br />

della comunione chi avesse soltanto gli ordini minori 168 . Il principio è in buona<br />

parte confermato da una decret<strong>al</strong>e di Celestino III, in cui si ordina di spogliare il<br />

presbitero D. della sua chiesa, se risultasse <strong>al</strong> suo vescovo che costui ha effettivamente<br />

celebrato la messa in stato di ebbrezza, avendo trascorso la notte precedente<br />

in una taverna 169 .<br />

Occorre però sottolineare come le decret<strong>al</strong>i non facciano <strong>al</strong>cuna distinzione,<br />

per i religiosi, tra cronicità o s<strong>al</strong>tuarietà del reato, a differenza del diritto anteriore,<br />

che prevedeva pene assai addolcite nel secondo caso. Il canone più diffuso, in<br />

effetti, si limitava a comminare 30 giorni di digiuno eucaristico <strong>al</strong> prete, scontabili<br />

a piacere in un’unica soluzione mediante l’applicazione di un’imprecisata pena<br />

corpor<strong>al</strong>e. Si tratta di una delle penitenze più brevi previste <strong>d<strong>al</strong></strong>la casistica, la qu<strong>al</strong><br />

cosa suggerisce come questo peccato non venisse ritenuto particolarmente grave,<br />

probabilmente perché ampiamente diffuso tra un clero pievano o parrocchi<strong>al</strong>e<br />

tutt’<strong>al</strong>tro che irreprensibile per formazione person<strong>al</strong>e e per costumi 170 . Maggiore<br />

severità è prevista per il monaco, il cui status vitae era improntato <strong>al</strong>l’ascetismo e<br />

sul qu<strong>al</strong>e il controllo dei superiori era decisamente più forte: la regola di san Fruttuoso,<br />

ad esempio, gli impone tre mesi a pane ed acqua, estesi per <strong>al</strong>tro anche <strong>al</strong><br />

chierico, in contrasto con il precedente frammento. Simili oscillazioni in materia<br />

penitenzi<strong>al</strong>e sono, del resto, frequenti pure <strong>al</strong>l’interno della medesima raccolta,<br />

infatti un <strong>al</strong>tro brano, mutuato <strong>d<strong>al</strong></strong>la regola di san Ferreolo, richiede <strong>al</strong> monaco<br />

ebbro unicamente di astenersi per un mese <strong>d<strong>al</strong></strong> consumare vino, affinché possa<br />

sm<strong>al</strong>tire adeguatamente l’ebbrezza, senza vincolarlo ulteriormente per il futuro 171 .<br />

168 Cfr. Reg. 1, 138 (Burch. 14, 6; Ivo D. 13, 74), 1, 146 (Burch. 14, 5; Ivo D. 13, 73; Ivo P. 3, 170; Grat.<br />

D. 35 c. 1), e 1, 148. È però prevista l’ammonizione del vescovo e del sacerdote affinché i colpevoli<br />

si ravvedano, prima di colpirli con la deposizione.<br />

169 Cfr. X.5.1.12, la cui rubrica è chiarissima: «Deve essere privato della chiesa il prete ubriaco, che celebra<br />

la messa senza avere recuperato la sobrietà». Una conferma implicita di questa linea la si ha attraverso<br />

una decret<strong>al</strong>e di Innocenzo III (X.5.1.15), nella qu<strong>al</strong>e si legge di un chierico che, per liberarsi del<br />

suo vescovo, lo accusa, tra le <strong>al</strong>tre cose, di essere un ubriacone abitu<strong>al</strong>e ed un pubblico istrione.<br />

170 Cfr. Reg. 1, 135; Burch. 14, 11; Ivo D. 13, 79; Grat. D. 35 c. 9: si noti come la fonte form<strong>al</strong>e del<br />

passo – BENEDETTO LEVITA, Capitularia 3, 270, p. 119 – prevedesse una penitenza di 40 giorni.<br />

171 Il primo testo si legge in Reg. 1, 136 (Burch. 14, 9; Ivo D. 13, 77), la cui fonte è costituita da FRUT-<br />

TUOSO DI BRAGA, Regula Complutensis, cap. 16 (PL 87, col. 1107A); per il secondo v. Reg. 1, 137, trascritto<br />

da FERREOLO DI UZÈS, Regula ad monachos, cap. 39, ed. V. Desprez, «Revue Mabillon», 60<br />

(1981-84), p. 147 (la fonte materi<strong>al</strong>e di entrambi i brani è il Poenitenti<strong>al</strong>e Quadripartitus).<br />

411


412<br />

A sprezzo di ogni coerenza, Burcardo ed Ivo stabiliscono un’<strong>al</strong>tra minuziosa<br />

normativa, comminando 7 giorni di penitenza per l’ubriachezza s<strong>al</strong>tuaria del<br />

sacerdote se prodotta da ignoranza, 15 se dovuta a negligenza e 40 se volontaria.<br />

Le medesime pene si applicano ai diaconi ed ai monaci, mentre per gli ordini<br />

minori la decisione è lasciata <strong>al</strong> confessore 172 : come biasimare, di fronte a questa<br />

babele di norme, il severo giudizio dei riformatori carolingi sulle procedure della<br />

penitenza tariffata?<br />

La distinzione tra ubriachezza s<strong>al</strong>tuaria e cronica dell’ecclesiastico viene ripresa<br />

da Enrico di Susa, per il qu<strong>al</strong>e – lo si è accennato in precedenza – l’ebbrezza è<br />

peccato mort<strong>al</strong>e solamente «si fuerit assidua, quia <strong>al</strong>iter, si non fuerit assidua, non<br />

est mort<strong>al</strong>is». Da questo principio gener<strong>al</strong>e il cardin<strong>al</strong>e deduce il triplice significato<br />

della parola ebrietas, che può indicare l’oblivio mentis (e ciò non è colpa mort<strong>al</strong>e),<br />

«l’azione o l’atto frequente del bere», grave appunto solo se continuato e ripetuto<br />

nel tempo, infine la citata disposizione della mente ad inebriarsi, implicita nelle<br />

gare tra bevitori, la qu<strong>al</strong>e, come sappiamo, è sempre peccato mort<strong>al</strong>e 173 . Riteniamo<br />

che il riapparire di questa differenza presso Ostiense, che comporta il recupero<br />

delle antiche ed articolate sanzioni previste <strong>d<strong>al</strong></strong>le sillogi canonistiche per i colpevoli,<br />

manifesti indubbiamente la distanza esistente tra la re<strong>al</strong>tà dei fatti e le pur giuste<br />

aspirazioni della Chiesa, ma sia <strong>al</strong>tresì spia dello sforzo intrapreso da quest’ultima<br />

per migliorare i costumi del clero, soprattutto a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> pontificato di Innocenzo<br />

III, senza tuttavia cadere in utopistiche aspirazioni di perfezione 174 .<br />

172 Cfr. Burch. 14, 8; Ivo D. 13, 76: il testo in parte proviene <strong>d<strong>al</strong></strong> Poenitenti<strong>al</strong>e Remense, cap. 3, 1 (ed. H.J.<br />

SCHMITZ, Die Bussbücher und die Bussdisciplin der Kirche, I, Mainz 1883 [rist. anast. Graz 1958], p. 647),<br />

in parte è opera dello stesso Burcardo.<br />

173 Cfr. In tertium Decret<strong>al</strong>ium,p.4;S.A., col. 179.<br />

174 Il problema della formazione del clero, speci<strong>al</strong>mente nelle campagne, risultò pressoché insolubile<br />

durante l’età medioev<strong>al</strong>e e soltanto con la creazione dei seminari diocesani, stabilita <strong>d<strong>al</strong></strong> concilio di<br />

Trento, fu infine superato. Pur in assenza di indicazioni sicure, è dunque probabile che il livello complessivo<br />

della preparazione dei sacerdoti – e quindi anche i loro costumi – rimanesse piuttosto<br />

mediocre: cfr. in proposito BLOCH, La società, pp. 100-101; M. MACCARRONE, «Cura animarum» e «parochi<strong>al</strong>is<br />

sacerdos» nelle costituzioni del IV concilio Lateranense (1215). Applicazioni in It<strong>al</strong>ia nel secolo XIII, in Pievi<br />

e parrocchie, pp. 130-136; CHER<strong>UBI</strong>NI, Parroco, parrocchie, pp. 390-394; M. GUASCO, La formazione del<br />

clero: i seminari,in La Chiesa, pp. 634-637 (il qu<strong>al</strong>e ha ritenuto propria ai soli preti cittadini un’accettabile<br />

formazione durante il periodo mediev<strong>al</strong>e); C. VIOLANTE, Pievi e parrocchie nell’It<strong>al</strong>ia centrosettentrion<strong>al</strong>e<br />

durante i secoli XI e XII, ora in ID., Ricerche, pp. 439-445. D’<strong>al</strong>tra parte, questa posizione, per così<br />

dire, ‘mediana’ del clericus delle campagne ne fece il princip<strong>al</strong>e protagonista di quella circolarità della<br />

cultura <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e sopra si è accennato, come ha mostrato SCHMITT, Introduzione, pp. 11-13 e 24.


La casa del vino<br />

Collegata in buona parte <strong>al</strong>l’argomento testé svolto è la normativa sulla taverna,<br />

oggetto quest’ultima di un bel contributo di Mauro Tagliabue pubblicato nel<br />

presente volume 175 . Rimandando ad esso per gli aspetti più specifici, intendiamo<br />

qui limitarci a trattare brevemente le componenti propriamente canonistiche<br />

del tema, a fondamento delle qu<strong>al</strong>i c’è l’assoluta e continuamente ribadita interdizione,<br />

per l’ecclesiastico, di accedere <strong>al</strong>la taberna, qu<strong>al</strong>siasi sia il suo grado o il<br />

suo peculiare status vitae. Il più antico testo trascritto in una silloge è un canone<br />

dell’autorevolissimo concilio di Laodicea (secolo IV), che si legge nelle collezioni<br />

cronologiche dell’età carolingia – come la Dioniso-Hadriana o la Dacheriana<br />

– e che viene sostenuto con ulteriori brani, <strong>al</strong>cuni dei qu<strong>al</strong>i temperano tuttavia<br />

il rigore della disposizione, concedendo <strong>al</strong> sacerdote l’accesso <strong>al</strong>la taverna se,<br />

trovandosi in viaggio, dovesse nutrirsi e non fossero disponibili <strong>al</strong>tre soluzioni<br />

176 . Una misura così severa esigeva un’adeguata giustificazione, <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e<br />

attendono <strong>al</strong>cuni frammenti meno diffusi dei precedenti, ma di non minore<br />

rilevanza. Reginone, ad esempio, afferma che, se un chierico è solito frequentare<br />

luoghi simili, è inevitabilmente portato ad abbandonare la sua chiesa e ad<br />

occuparsi di affari secolari, con grave nocumento per il suo gregge 177 .<br />

Un <strong>al</strong>tro brano rende ancora più fosche le tinte del quadro: l’ecclesiastico,<br />

si dice, non deve comportarsi come un villicus, entrando nelle taverne e nelle<br />

«domos inhoneste et impudicae» (cioè, a nostro parere, nei lupanari, spesso del<br />

resto coincidenti con le prime), dove è norm<strong>al</strong>e abusare in cibi e bevande, dedicandosi<br />

inoltre a chiacchiere frivole e sconce. Chi operasse in t<strong>al</strong>e modo vitupera<br />

il ministero offrendo di sé ai fedeli – e si tratta di argomento ben noto – un<br />

175 M. TAGLIABUE, Bere vino in taverna, di seguito in questo volume. Con riferimento <strong>al</strong>le strutture di<br />

conservazione del vino, si veda invece il recente contributo di G. ARCHETTI, Là dove il vin si conserva e<br />

ripone. Note sulla struttura delle cantine mediev<strong>al</strong>i lombarde,in Le storie e la memoria. In onore di A. Esch, a cura<br />

di R. Delle Donne, A. Zorzi, Firenze 2002 (E-book. Reading, 1), pp. 109-131, per ora consultabile<br />

<strong>al</strong>l’indirizzo internet www.rm.unina.it/ebook/festesch.html>.<br />

176 Il cap. 24 del sinodo di Laodicea (ed. Ioannu, Discipline génér<strong>al</strong>e, I/2, p. 140) si legge in Reg. 1, 180<br />

ed è diffuso in Burch. 2, 131; 5L 3, 243, 1; Bonizo 5, 17; Ivo D. 6, 205; Grat. D. 44 c. 2. Simile normativa<br />

in Reg. 1, 179 (Burch. 2, 130; Ivo D. 6, 204; Grat. D. 44 c. 4); 1, 181 (Burch. 2, 129; 5L 3, 243,<br />

2; Ivo D. 6, 203); e 1, 182 (Burch. 2, 210; 5L 3, 244, 2; Ivo D. 6, 285; Grat. D. 91 c. 4§1): la su menzionata<br />

eccezione <strong>al</strong> divieto è contemplata nel primo e nell’ultimo frammento.<br />

177 Cfr. Reg. 1, 230, trascritto poi in 5L 3, 245 e mutuato <strong>d<strong>al</strong></strong> concilium Eliberitanum a. 310, cap. 19 (PL<br />

84, col. 304B).<br />

413


414<br />

esempio davvero miserabile 178 . A riprendere autorevolmente queste disposizioni<br />

provvederà, ancora una volta, il concilio Lateranense IV, che nel capitolo 16<br />

ricorderà sia l’interdizione, per i clerici, degli «officia vel commercia saecularia»<br />

(soprattutto se inhonesti), sia il divieto di accesso <strong>al</strong>la taverna – s<strong>al</strong>vo le su menzionate<br />

esigenze del viaggio – <strong>al</strong>le qu<strong>al</strong>i significativamente aggiungerà l’interdizione<br />

a partecipare o ad assistere a giochi d’azzardo, una pratica questa frequentissima<br />

in quei luoghi di accoglienza, <strong>al</strong> cui fascino evidentemente non<br />

sfuggivano neppure gli uomini di Chiesa 179 .<br />

Già da queste prime osservazioni si delinea un’immagine chiaramente negativa<br />

dell’osteria e, apparentemente, essa risultava ben meritata: un frammento del<br />

De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis, destinato ad una certa fortuna, proibisce <strong>al</strong> sacerdote di dare<br />

in pegno gli oggetti sacri, riservati <strong>al</strong> culto divino, ed indica tra i possibili acquirenti<br />

proprio il tabernarius 180 . È ovvio, <strong>al</strong>lora, che t<strong>al</strong>e mestiere rientri a pieno titolo<br />

tra i lavori assolutamente vietati <strong>al</strong>l’ecclesiastico, come ad esempio quello del<br />

macellaio, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e le fonti canonistiche sovente lo associano, anche se quest’ultimo<br />

è interdetto per ragioni collegabili <strong>al</strong> cosiddetto tabù del sangue e non per<br />

la disonestà del luogo in cui si esercitava 181 . Se il violatore della norma, debitamente<br />

ammonito <strong>d<strong>al</strong></strong> suo superiore, non ottempererà o lo farà solo temporaneamente,<br />

per poi riprendere in seguito l’attività, sarà deposto e perderà i privilegi<br />

del suo grado e stato. Va però notato come questa sanzione, già prevista <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

canone 9 del concilio Trullano (691), ricompaia in trascrizione nel Decretum Gratiani<br />

e sia nella sostanza ribadita <strong>d<strong>al</strong></strong> concilio di Vienne (1311-12) 182 , la qu<strong>al</strong> cosa<br />

è un’evidente smentita della sua efficacia nell’arco di quasi sette secoli e, <strong>al</strong> tem-<br />

178 Il brano, trascritto da Burch. 2, 147 e da Ivo D. 6, 220, proviene da BENEDETTO LEVITA, Capitularia<br />

1, 325, p. 65. Sono testi di t<strong>al</strong>e tenore a dare della taverna quell’immagine di ‘antichiesa’ così acutamente<br />

segn<strong>al</strong>ata da CHER<strong>UBI</strong>NI, Parrocco, parrocchie, pp. 389-390.<br />

179 Cfr. conc. Lateranense IV, cap. 16 (COD, p. 243), trascritto in seguito in X.3.1.15.<br />

180 Cfr. Reg. 1, 82, poi in Burch. 3, 104 ed in Ivo D. 2, 139. Il testo si legge originariamente in INC-<br />

MARO, Capitulare I, cap. 11, pp. 39-40.<br />

181 Lo confermano i testi cit. <strong>al</strong>la n. seguente. Su questo duplice divieto v. LE GOFF, Mestieri leciti, pp.<br />

54-56, 57 e 70. Per il ‘tabù del sangue’ cfr. inoltre R. DI SEGNI, Il sangue nelle leggi dietetiche, in Sangue e<br />

antropologia biblica, a cura di F. Vattioni, II, Roma 1981, pp. 587-599; GUREVIČ, Contadini e santi, p. 147.<br />

182 Cfr. rispettivamente concilium Quinisextum sive Trullanum a. 691, cap. 9 (ed. P.-P. Ioannu, Discipline<br />

génér<strong>al</strong>e antique (IVe-IXe s.). II/2: Les canons des conciles oecuméniques, Grottaferrata 1962 [Codificazione<br />

canonica orient<strong>al</strong>e. <strong>Fonti</strong>, 9], pp. 136-137); Grat. D. 44 c. 3 (che utilizza la traduzione latina fatta da<br />

Anastasio Bibliotecario nel sec. IX); e concilium Viennense a. 1311-1312, cap. 8 (COD, p. 364), inserito<br />

poi in Clementinae 3.1.1 (l’ed. è quella di Friedberg cit. sopra, <strong>al</strong>la n. 6).


po stesso, una prova della diffusione di t<strong>al</strong>e mestiere presso i chierici, presumibilmente<br />

a causa dei rilevanti introiti da esso garantiti. D’<strong>al</strong>tra parte, soprattutto<br />

nei secoli centr<strong>al</strong>i del medioevo, l’intensificarsi dei viaggi per i più diversi motivi<br />

aveva moltiplicato il numero dei potenzi<strong>al</strong>i avventori delle locande e delle taverne<br />

ed una consolidata tradizione normativa aveva stabilito l’obbligo, per l’ecclesiastico,<br />

di offrire ospit<strong>al</strong>ità <strong>al</strong> pellegrinus. Certamente, farlo con fini di lucro significava<br />

aggirare elegantemente lo spirito della normativa, ma le magre risorse di<br />

molte istituzioni ecclesiastiche, speci<strong>al</strong>mente nelle campagne, ben documentate<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le stesse fonti canonistiche, spingevano inevitabilmente in questa direzione 183 .<br />

Un sacerdote impegnato a gestire una taverna poteva giungere a trasformare<br />

la sua chiesa in un centro di smercio del vino, una situazione prevista già da<br />

Reginone e da lui condannata mediante due brani 184 . Reg. 1, 58, in particolare,<br />

presenta <strong>al</strong> lettore una viva immagine di quanto doveva accadere, non infrequentemente,<br />

nelle chiese dei villaggi agricoli in epoca <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>e, ma presumibilmente<br />

pure nei secoli successivi: «Dove dovrebbero risuonare soltanto le<br />

preghiere e la parola divina e le lodi a Dio, là si celebrano banchetti e si manifesta<br />

l’ubriachezza, là s’odono risate e parole sconce, là s’accendono risse e contese».<br />

Il testo prosegue ricordando come Cristo scacciò con violenza i mercanti <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

Tempio, nonostante la legge ebraica consentisse loro di concludere affari in quel<br />

luogo: a maggior ragione, si deve pertanto interdire quest’attività nelle chiese. Il<br />

capitolo non sarà trascritto da Graziano, né il problema sarà preso in considerazione<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> diritto successivo: può darsi che la sua origine apocrifa stia <strong>al</strong>la base<br />

della scelta del Maestro bolognese, mentre gli sviluppi economici, e soprattutto<br />

etico-mor<strong>al</strong>i, avviatisi a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> XII secolo, possono giustificare il venir meno<br />

della pratica, anche se, come abbiamo visto, ciò non significò l’astensione dei<br />

religiosi <strong>d<strong>al</strong></strong> lavoro di taverniere.<br />

183 Su quest’ultimo problema v. BELLINI, Diritto canonico, pp. 185-186 e 196-197. D’<strong>al</strong>tra parte, come<br />

ha osservato CHER<strong>UBI</strong>NI, Parroco, parrocchie, p. 400, la presenza del prete nell’osteria poteva anche<br />

essere utilizzata come una buona occasione per l’attività pastor<strong>al</strong>e.<br />

184 Cfr. rispettivamente Reg. 1, 53 (proveniente o da ANSEGISO, Capitularium collectio 1, 144, p. 511, o<br />

da BENEDETTO LEVITA, Capitularia 1, 46, p. 49) e 1, 58, la cui inscriptio rinvia ad un sinodo di Tours,<br />

mentre dovrebbe trattarsi di un testo creato <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso abate prümense. Il Wasserschleben ha indicato,<br />

come possibile riferimento, il cap. 13 del Capitulare di Riculfo di Soissons: semmai, potrebbe<br />

essere il cap. 15, che però contiene soltanto il divieto di accedere <strong>al</strong>la taverna e di farvi tenere compravendite<br />

(v. l’ed. in MGH, Cap. episc., II, pp. 106-107). Questo secondo frammento si diffonderà in<br />

Burch. 3, 84 ed in Ivo D. 3, 75. GUREVIČ, Contadini e santi, p. 127, ha segn<strong>al</strong>ato come l’utilizzo della<br />

chiesa per scopi simili fosse piuttosto diffuso nelle campagne medioev<strong>al</strong>i.<br />

415


416<br />

Bere... oppure no?<br />

«Fuge vinum velut venenum, ne ebrietas superet te expoliatumque virtutibus<br />

nudum efficiat»: così ammonisce il lettore l’incipit di un testo composito, che<br />

Reginone ha tratto <strong>d<strong>al</strong></strong> Poenitenti<strong>al</strong>e Quadripartitus e che conobbe una significativa<br />

diffusione; un <strong>al</strong>tro frammento parrebbe confermare questa linea severa minacciando<br />

– sia pure in termini <strong>al</strong>quanto generici – la scomunica nei confronti degli<br />

ubriaconi, fino «a congrua emendazione» 185 . Tuttavia, il quadro fin qui delineato<br />

non sembra giustificare, nel suo complesso, la rigorosa ammonizione del primo<br />

brano: il rapporto così quotidiano e consueto col vino appare semmai suggerire<br />

un approccio più generoso riguardo <strong>al</strong>l’ebbrezza. Lo attesta, innanzi tutto, un<br />

passo di Agostino, scelto significativamente da Ivo di Chartres per introdurre i<br />

capitoli sull’ebrietas trascritti <strong>d<strong>al</strong></strong> Decreto di Burcardo, nel qu<strong>al</strong>e si invita il sacerdote<br />

ad operare nei confronti dell’ubriaco «non aspere... non duriter», ma «più<br />

insegnando che ordinando, più ammonendo che minacciando» 186 . Infatti, spiega<br />

il frammento, la severità deve essere riservata per i peccati veramente gravi, commessi<br />

da un numero limitato di persone, e non per quelli assai diffusi, <strong>al</strong>trimenti<br />

– aggiungiamo a titolo di commento – si finirebbe con lo scoraggiare i fedeli,<br />

imponendogli obblighi impossibili da rispettare.<br />

L’ebbrezza si conferma dunque come una condizione tutt’<strong>al</strong>tro che eccezion<strong>al</strong>e<br />

e scan<strong>d<strong>al</strong></strong>osa nell’età mediev<strong>al</strong>e e ciò consente a Graziano di applicare <strong>al</strong> peccato<br />

i medesimi principi posti <strong>al</strong>la base della teoria della ‘guerra giusta’. Quest’ultima,<br />

come aveva teorizzato Anselmo di Lucca attraverso l’opportuno impiego<br />

dei testi di sant’Agostino, andava esercitata sempre «con benevolenza» nei confronti<br />

dei nemici, ossia <strong>al</strong>lo scopo di difendere la fede e di punire il colpevole, ma<br />

soprattutto di giungere <strong>al</strong>la sua conversione e correzione, nei limiti del possibile<br />

187 . Similmente si dovrà intervenire verso gli ubriaconi, non colpendoli con la<br />

185 Cfr. Reg. 1, 140, ricopiato da Burch. 14, 15 e Ivo D. 13, 80, per il primo testo, che l’abate tedesco<br />

attribuisce a san Girolamo, mentre Burcardo indica nell’inscriptio Agostino: in re<strong>al</strong>tà, è una elaborazione<br />

della fonte form<strong>al</strong>e (il penitenzi<strong>al</strong>e Quadripartitus) da parte di Reginone, <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e egli ha<br />

aggiunto un estratto di SMARAGDO DI SAINT-MICHEL, Commentarius in Regulam S. Benedicti 4, 35 (PL<br />

102, col. 771D). Il secondo brano si legge in Burch. 14, 2 e Ivo D. 13, 70.<br />

186 Cfr. AGOSTINO D’IPPONA, Epistulae, ep. 22, 1.1.3 e 5 (ed. A. Goldbacher, CSEL 31/1, Pragae-Vindobonae-Lipsiae<br />

1895, pp. 56 e 58), che si legge in Ivo D. 13, 68 ed è stato poi ripreso anche da Grat.<br />

D. 44 c. 1, probabilmente attraverso la Collectio Tripartita.<br />

187 Per la posizione di Anselmo, non del tutto condivisa <strong>d<strong>al</strong></strong>la canonistica posteriore, v. l’ormai classico<br />

studio di A. STICKLER, Il potere coattivo materi<strong>al</strong>e della Chiesa nella riforma gregoriana secondo Anselmo di


violenza, ma riprovandoli per la loro condotta e redarguendoli, senza condividerne<br />

il peccato, affinché, da un lato, si sottolinei l’<strong>al</strong>lontanamento spiritu<strong>al</strong>e del fedele<br />

da loro, ma, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro, non li si abbandoni materi<strong>al</strong>mente a se stessi, bensì si<br />

operi per ottenerne la redenzione 188 . A fondamento della riflessione, la Concordia<br />

pone un <strong>al</strong>tro frammento patristico, il qu<strong>al</strong>e, muovendo <strong>d<strong>al</strong></strong>la compresenza di<br />

bene e m<strong>al</strong>e nella vita del secolo, ne deduce con re<strong>al</strong>ismo l’esigenza di non rompere<br />

le relazioni con gli ubriachi e con gli <strong>al</strong>tri peccatori, ma semmai di accompagnarsi<br />

a loro per riportarli sulla retta via, così come si fa con gli scomunicati 189 .<br />

L’atteggiamento del diritto canonico verso il vino ci pare pertanto meglio<br />

espresso da un principio esposto in una lettera apocrifa di Gregorio Magno:<br />

«così permettiamo pure di bere il vino, affinché rifuggiamo completamente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ebbrezza»,<br />

un concetto ripreso in seguito, quasi <strong>al</strong>la lettera, da Enrico di Susa 190 .<br />

Sfumata in t<strong>al</strong> modo la cupa immagine dell’ebrietas, <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e siamo partiti, il<br />

cardin<strong>al</strong>e di Ostia assume addirittura un tono divertito e scherzoso attorno <strong>al</strong><br />

problema. Il segreto, secondo lui, sta nel mescolare il vino con l’acqua, <strong>al</strong>lo scopo<br />

di diluirne la forza; tuttavia si concede di abbondare maggiormente col primo<br />

nella mistura, «perché il vino rende la bevanda più gradevole rispetto <strong>al</strong>l’acqua».<br />

Per confermare questa ovvia tesi Ostiense ricorre, quasi si trattasse di una<br />

quaestio assai grave, <strong>al</strong>l’auctoritas di Goffredo da Trani, che aveva osservato come<br />

l’acqua sia considerata abominevole dai bevitori, speci<strong>al</strong>mente da quelli ultramontani,<br />

«i cui stomaci si accordano col vino, pertanto t<strong>al</strong>e uso gli è gradito». È<br />

vero, commenta Enrico, ma questa condotta non è propria soltanto a loro, infatti<br />

«in ea quilibet ordo concordat, unde versus: Vino cui cordo / concordat quilibet<br />

ordo»; e vi è di più, «infatti i compatrioti del signor Goffredo non sono soliti<br />

Lucca, «Studi Gregoriani», 2 (1947), pp. 245-246, 249 e 255-257 (per tutto il saggio pp. 235-285); cfr.<br />

anche E. PÁSZTOR, Lotta per le investiture e «ius belli»: la posizione di Anselmo di Lucca, in Sant’Anselmo,<br />

Mantova e la lotta per le investiture, Atti del Convegno internazion<strong>al</strong>e di studi (Mantova, 23-25 maggio<br />

1986), a cura di P. Golinelli, Bologna 1987, pp. 379, 382-384, 393 e 400-403.<br />

188 Cfr. Grat. C. 23 q. 4 c. 4§1, trascritto, non a caso, probabilmente da Ans. 12, 64, benché il testo si<br />

legga pure in Polyc. 7, 8, 9.<br />

189 Cfr. Grat. C. 11 q. 3 c. 24, che riprende un frammento di GIOVANNI CRISOSTOMO, In epistulam ad<br />

Hebraeos cap. XI, homilia 25 (versio Mutiani), PG 63, coll. 393-394. Sui rapporti con gli scomunicati v.<br />

E. VODOLA, Sovereignity and tabu. Evolution of the sanction against communication with excommunicates. Part 2:<br />

Canonic<strong>al</strong> collections,in Studia in honorem Stickler, pp. 581-598, soprattutto pp. 588-589.<br />

190 Il concetto princip<strong>al</strong>e del frammento (JE+1987) è che le leggi servono per frenare l’audacia umana<br />

– spinta <strong>d<strong>al</strong></strong> peccato origin<strong>al</strong>e – e per regolare l’uso delle facoltà, non per reprimere quest’ultime. Il testo<br />

si legge in Ivo D. 4, 29 e Grat. D. 4 c. 6§4; per Ostiense v. invece In tertium Decret<strong>al</strong>ium,p.4.<br />

417


418<br />

disprezzare il vino campano... né quello sorrentino, o l’amineum greco... né, come<br />

credo, cambiare il buon vino vecchio con uno novello di pessimo sapore». Queste<br />

divertite considerazioni ci sembrano, in definitiva, una mezza istigazione a<br />

consumare senza troppi scrupoli il prezioso liquido, anche se ciò non vuol dire<br />

abusarne. Lo conferma un’<strong>al</strong>tra osservazione del nostro giurista, laddove nota<br />

come normanni ed inglesi giustificano la stessa gara dei bevitori col principio<br />

secondo cui «anima non potest abitare in sicco», il che è motivo, commenta<br />

Enrico, «per bere assai, affinché appunto la loro anima non viva <strong>al</strong>l’asciutto». Lo<br />

facciano pure, conclude Ostiense, purché non si sfidino «ad potus equ<strong>al</strong>es»,<br />

essendo codesta, come sappiamo, una pratica vietata 191 .<br />

Come conclusione<br />

La presenza del vino si dimostra dunque pervasiva a tutti i livelli della civitas<br />

medioev<strong>al</strong>e ed il diritto non vi sfugge, pure quando tratta questioni non direttamente<br />

attinenti <strong>al</strong>la bevanda. Ne fanno fede due testi, con i qu<strong>al</strong>i vogliamo concludere<br />

questa ricerca.<br />

Il primo si legge nel Decreto di Graziano ed è costituito, ancora una volta,<br />

da un brano patristico, in cui si impiegano le immagini del vino e del sidro per<br />

affrontare una questione che, quando la collezione venne composta, andava<br />

assumendo dei risvolti assai delicati. Ricorrendo <strong>al</strong>l’autorità di san Girolamo, il<br />

qu<strong>al</strong>e si era dovuto, del resto, misurare con problematiche simili, Graziano paragona<br />

chi interpreta scorrettamente la Sacra Scrittura, pervertendone completamente<br />

il significato, ad un uomo ubriaco di vino, che, trovandosi in stato di amentia,<br />

è lontanissimo <strong>d<strong>al</strong></strong> poterne cogliere la verità. Chi, invece, abusa del sidro cade<br />

anch’egli nell’ebbrezza, però in forma meno grave, essendo questa bevanda più<br />

leggera del vino. A t<strong>al</strong>e condizione può essere paragonato colui che, ricorrendo<br />

<strong>al</strong>la «seculari sapientia et di<strong>al</strong>ecticorum tendicula» nell’esegesi biblica, raggiunge<br />

soltanto l’ombra e le immagini del vero e non la sua essenza profonda 192 .<br />

È facile identificare nell’ebbro di vino l’eretico e gli anni trenta-quaranta del<br />

XII secolo sono appunto caratterizzati <strong>d<strong>al</strong></strong> rapido diffondersi e moltiplicarsi dei<br />

191 Per queste considerazioni del cardin<strong>al</strong>e cfr. In tertium Decret<strong>al</strong>ium, pp. 4 e 165.<br />

192 Grat. D. 37 c. 4§1, trascritto da GIROLAMO, Commentarii in Esaiam 9, 28, 5/8, ed. M. Adriaen, CCL<br />

73, Turholti 1963, p. 358.


movimenti eterodossi, conseguenza inevitabile del gener<strong>al</strong>e rinnovamento della<br />

società europea dopo il Mille, della lotta per la riforma della Chiesa e del cosiddetto<br />

‘risveglio evangelico’, tutti fattori che comportarono la tensione di<strong>al</strong>ettica<br />

tra il desiderio di vivere la fede in forme puramente carismatiche e la necessità di<br />

definire in senso anche istituzion<strong>al</strong>e l’esperienza religiosa 193 . La lettura e l’interpretazione<br />

della sacra pagina – speci<strong>al</strong>mente del vangelo – in senso rigidamente<br />

letter<strong>al</strong>e o, comunque, divergente da quello proposto <strong>d<strong>al</strong></strong>la Chiesa furono, in<br />

effetti, quasi sempre <strong>al</strong>l’origine dell’eterodossia durante questo periodo, sia che<br />

t<strong>al</strong>e esegesi si fissasse sugli aspetti etico-mor<strong>al</strong>i del testo sacro, sia che venisse<br />

privilegiata la sua dimensione più propriamente dottrin<strong>al</strong>e 194 .<br />

Ma questo periodo storico fu <strong>al</strong>tresì caratterizzato <strong>d<strong>al</strong></strong> radic<strong>al</strong>izzarsi del<br />

cosiddetto scontro tra i di<strong>al</strong>ettici e gli antidi<strong>al</strong>ettici 195 , i primi dei qu<strong>al</strong>i sono non<br />

meno chiaramente adombrati <strong>d<strong>al</strong></strong>l’immagine dell’ubriaco di sidro. Il conflitto si<br />

era, in re<strong>al</strong>tà, avviato durante il secolo XI, inizi<strong>al</strong>mente polarizzandosi attorno<br />

<strong>al</strong>la questione eucaristica per iniziativa di Berengario di Tours, ma assumendo<br />

ben presto una portata più rilevante, la cui posta era costituita appunto dai criteri<br />

e dai metodi dell’ermeneutica biblica 196 . La nascita delle nuove scuole agli inizi<br />

del secolo successivo, le qu<strong>al</strong>i impiegavano spregiudicatamente, nella ricerca teologica,<br />

gli strumenti offerti <strong>d<strong>al</strong></strong>la logica, aveva provocato una dura reazione dei<br />

rappresentanti della teologia tradizion<strong>al</strong>e, preoccupati per le conclusioni, t<strong>al</strong>vol-<br />

193 Non è neppure ipotizzabile poter offrire in questa sede un’adeguata bibliografia su uno dei problemi<br />

più studiati – e storiograficamente più dibattuti – della storia mediev<strong>al</strong>e: ci limitiamo pertanto<br />

a rinviare, per le considerazioni su accennate, <strong>al</strong>l’agile e bel volumetto di G.G. MERLO, Eretici ed eresie<br />

mediev<strong>al</strong>i, Bologna 1989, pp. 21-22 (nell’opera si troveranno anche le opportune indicazioni, bibliografiche<br />

e storiografiche, sull’argomento in oggetto), ed <strong>al</strong> classico lavoro di R. MORGHEN, L’eresia<br />

nel medioevo, ora in ID., <strong>Medioevo</strong> cristiano, pp. 241-249.<br />

194 Questa, in particolare, l’interpretazione dei movimenti eretic<strong>al</strong>i successivi <strong>al</strong> Mille formulata da<br />

MORGHEN, L’eresia, pp. 189-264, speci<strong>al</strong>mente pp. 205-212 e 224-236.<br />

195 Categorie storiografiche, codeste, oggi piuttosto discusse: v. M.T. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIE-<br />

RI, Lanfranco di Pavia «maestro dei nostri studi»: cultura e filosofia nel secolo XI, in Lanfranco di Pavia e l’Europa<br />

del secolo XI nel IX centenario della morte (1089-1989), Atti del Convegno internazion<strong>al</strong>e di studi<br />

(Pavia, Almo Collegio Borromeo, 21-24 settembre 1989), a cura di G. D’Onofrio, Roma 1993 (It<strong>al</strong>ia<br />

Sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, 51), pp. 9-13. In gener<strong>al</strong>e sul problema cfr. DE GHEL-<br />

LINCK, Le mouvement, pp. 66-90.<br />

196 Sulla questione berengariana cfr. il penetrante contributo di M. CRISTIANI, Le «ragioni» di Berengario<br />

di Tours, in Lanfranco di Pavia, pp. 327-360, nel qu<strong>al</strong>e si esamina criticamente anche la precedente<br />

bibliografia sull’argomento.<br />

419


420<br />

ta sospette, raggiunte da maestri come Pietro Abelardo e Gilberto Porretano. Ed<br />

il periodo in cui Graziano esempla il suo Decreto – nato, tra l’<strong>al</strong>tro, probabilmente<br />

negli ambienti del monastero dei Santi Nabore e Felice a Bologna – è<br />

appunto segnato <strong>d<strong>al</strong></strong>lo scontro tra Abelardo e san Bernardo, i cui riflessi coinvolsero<br />

direttamente il papato, a seguito dell’appello rivolto <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso Maestro<br />

Pietro ad Innocenzo II, dopo la condanna del suo pensiero trinitario avvenuta<br />

col concilio di Sens (1140) 197 .<br />

Compagno consueto della vita dell’uomo, il vino viene dunque chiamato in<br />

causa anche per problemi di ordine teologico ed eretic<strong>al</strong>e e persino in una questione<br />

di capit<strong>al</strong>e importanza, qu<strong>al</strong>e l’elezione del papa. Infatti il canone 2 del<br />

secondo concilio di Lione (1274), poi trascritto nel Liber Sextus di Bonifacio VIII,<br />

occupandosi del conclave, onde evitare una vacanza troppo lunga della sede apostolica,<br />

come purtroppo ormai frequentemente accadeva 198 , stabilisce che i cardin<strong>al</strong>i<br />

elettori si dovranno accontentare di un unico pasto giorn<strong>al</strong>iero se dopo tre<br />

giorni non avranno dato <strong>al</strong>la Chiesa un nuovo pastore; se poi, dopo <strong>al</strong>tri cinque<br />

dì, non sarà stata effettuata l’elezione, <strong>al</strong>lora essi riceveranno, «tam in prandio<br />

quam in cena», solamente pane, acqua e vino 199 . Evidentemente, il frutto prezioso<br />

della vite era un <strong>al</strong>imento <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e non si poteva proprio rinunciare, nemmeno<br />

davanti ad un compito così importante qu<strong>al</strong>e era la scelta di un nuovo pontefice.<br />

197 Per le irriducibili posizioni di questi due grandi protagonisti della prima metà del secolo XII v. P.<br />

ZERBI, ‘Teologia monastica’ e ‘teologia scolastica’. Letture, riletture, riflessioni sul contrasto tra san Bernardo di Chiarav<strong>al</strong>le<br />

e Abelardo, in <strong>Medioevo</strong> e latinità, pp. 479-494. Temi e aspetti del conflitto sono stati inoltre magistr<strong>al</strong>mente<br />

an<strong>al</strong>izzati da Zerbi nel contributo Bernardo di Chiarav<strong>al</strong>le e le controversie dottrin<strong>al</strong>i, ora in ID.,<br />

«Ecclesia in hoc mundo posita». Studi di storia e storiografia medioev<strong>al</strong>e raccolti in occasione del 70° genetliaco dell’autore,<br />

a cura di M.P. Alberzoni, A. Ambrosioni, A. Lucioni, G. Picasso, P. Tomea, Milano 1993 (Bibliotheca<br />

erudita. Studi e documenti di storia e filologia, 6), pp. 453-489, soprattutto pp. 469-474 e 487-489.<br />

198 In particolare, il capitolo del sinodo teneva conto dei quasi tre anni di vacanza della sede apostolica<br />

antecedenti l’elezione di Gregorio X, non casu<strong>al</strong>mente il pontefice che convocò il concilio lionese.<br />

Ma prima del regno di Bonifacio VIII, <strong>al</strong>tre lunghe attese precedettero le elezioni di Martino<br />

IV, di Nicolò IV e di Celestino V.<br />

199 Cfr. concilium Lugdunense II a. 1274, cap. 2 (COD, p. 315), accolto nel Liber Sextus di Bonifacio VIII:<br />

1, 6, 3§1 (pure l’ed. di quest’opera si deve a Friedberg, cfr. sopra, n. 6).


Tra gli elementi natur<strong>al</strong>i che la Chiesa ha accolto nella liturgia occupa un posto<br />

preminente il vino «frutto della vite e del lavoro dell’uomo» 1 . Gesù stesso ha privilegiato<br />

il frutto della vite quando a Cana di G<strong>al</strong>ilea invitato a nozze con i suoi<br />

discepoli, cambiò l’acqua in vino2 : segno profetico di quanto avrebbe compiuto<br />

nell’ultima Cena con i suoi discepoli, quando trasformò il pane e il vino nel suo<br />

Corpo e nel suo Sangue3 , istituendo così il «sacrificio eucaristico (...) con il qu<strong>al</strong>e<br />

perpetuare nei secoli (...) il sacrificio della croce», che affidò <strong>al</strong>la Chiesa come<br />

«memori<strong>al</strong>e della sua passione e risurrezione» 4 . Come insegna il Catechismo della<br />

Chiesa Cattolica:<br />

«(...) celebrando il memori<strong>al</strong>e del sacrificio» di Cristo, noi «offriamo <strong>al</strong> Padre ciò che<br />

egli stesso ci ha dato: i doni della creazione, il pane e il vino, diventati per la potenza dello<br />

Spirito Santo e per le parole di Cristo, il Corpo e il Sangue di Cristo: in questo modo<br />

Cristo è reso re<strong>al</strong>mente e misteriosamente presente» 5 .<br />

Questa premessa, che situa il nostro tema <strong>al</strong> cuore stesso della celebrazione dell’eucaristia,<br />

rimanda ad una sintesi teologica sulla qu<strong>al</strong>e non intendiamo soffermarci;<br />

il nostro compito è piuttosto quello di illustrare l’uso del vino nella prassi<br />

liturgica medioev<strong>al</strong>e con un’attenzione <strong>al</strong>la Sacra Scrittura ed anche <strong>al</strong>la tradizione<br />

sacrament<strong>al</strong>e.<br />

1 Mess<strong>al</strong>e Romano [ediz. CEI], Rito della Messa: presentazione del vino, p. 309.<br />

2 Cfr. Gv 2, 1-11.<br />

FERDINANDO DELL’ORO*<br />

Il vino nella liturgia latina del <strong>Medioevo</strong><br />

3 Cfr. Mt 26, 26-29; Mc 14, 22-24; Lc 22, 14-20.<br />

4 Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 47.<br />

5 Catechismo, Sez. II, cap. I, par. V, nr. 1357.<br />

* Università Pontificia S<strong>al</strong>esiana, sezione di Torino.<br />

421


422<br />

Importanza e uso del vino nella Bibbia: suo significato simbolico<br />

Per cogliere in pienezza il significato biblico del nostro tema unitamente <strong>al</strong> suo<br />

simbolismo, è opportuno raccordare tra loro i termini vino - vite - vigna - uva in<br />

quanto espressione di un’unica re<strong>al</strong>tà natur<strong>al</strong>e da tutti conosciuta: si coltiva la<br />

vite che produce l’uva <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e, con la pigiatura, si estrae il vino 6 . La bibbia<br />

menziona per la prima volta il vino e la viticoltura nella storia di Noè (Gen 9, 20<br />

sgg.). Al tempo dei patriarchi il vino era una bevanda molto conosciuta (Gen 14,<br />

18; 27, 25.37; 49, 11 sgg.). La viticoltura era assai diffusa in P<strong>al</strong>estina e nei paesi<br />

vicini: pertanto era considerata un paese produttore di vino (Dt 6, 11; 8, 8).<br />

Soprattutto era ricercata l’uva della v<strong>al</strong>le di Escol, vicina a Ebron (Nm 13, 23<br />

sgg.). Il vino del Libano era ritenuto (Os 14, 8) ugu<strong>al</strong>mente pregiato come quello<br />

di Chelbon, vicino a Damasco (Ez 27, 18).<br />

Le vigne venivano di preferenza piantate su un terreno ben esposto (Is 5, 1;<br />

Ger 31, 5; Am 9, 14). I vigneti venivano circondati con siepi per proteggerli <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

bestiame e <strong>d<strong>al</strong></strong>le bestie selvatiche (Nm 22, 24; Pr 24, 30; Is 5, 5; Mt 21, 33). Un<br />

capanno o una torre di guardia riparavano i guardiani della vigna (Is 1, 8; 5, 2; Mt<br />

21, 33). I tr<strong>al</strong>ci venivano sostenuti per mezzo di bastoni oppure guidati sui fichi:<br />

da qui l’espressione «abitare sotto la propria vigna e sotto il proprio fico» (1 Re 5,<br />

5; Mi 4, 4; Zc 3, 10; 1 Mac 14, 12). I tr<strong>al</strong>ci poi dovevano essere regolarmente potati<br />

(Is 5, 6; 18, 5; Gv 15, 2) e le erbacce venivano strappate (Is 27, 2 sgg.; Pr 24, 31).<br />

La vendemmia, tempo di gioia e <strong>al</strong>legria (Is 16, 10; Ger 48, 33), iniziava verso<br />

la metà di settembre e durava fino a ottobre. I grappoli d’uva venivano portati<br />

nei tini, che gener<strong>al</strong>mente erano scavati nella pietra e situati nella vigna (Is 5, 2).<br />

Il vino nuovo si conservava in otri nuovi per evitare che si rompessero (Mt 9, 17:<br />

«Nessuno (...) mette vino nuovo in otri vecchi, <strong>al</strong>trimenti si rompono gli otri e il<br />

vino si versa. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli <strong>al</strong>tri si conservano»).<br />

Dt 20, 6 esenta <strong>d<strong>al</strong></strong> servizio militare colui che ha piantato una vigna,<br />

ma non ne aveva ancora goduto il frutto. Durante la vendemmia non si poteva<br />

tornare indietro a racimolare nella propria vigna: questo era riservato <strong>al</strong> forestiero,<br />

<strong>al</strong>l’orfano e <strong>al</strong>la vedova (Lv 19, 10; Dt 24, 21). Durante l’anno sabbatico e<br />

6 Si vedano, in particolare, le voci «Vino», in Enciclopedia della Bibbia, VI, Torino 1971, coll. 1174-1183;<br />

«Uva, Vigna, Vite, Vino», in Dizionario Enciclopedico della Bibbia, Roma 1995, pp. 1318-1320. Inoltre,<br />

M. LURKER, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, [ediz. it<strong>al</strong>.] a cura di G. Ravasi, Alba 1990, pp.<br />

232-234, s.v., Vino; Vite e Uva.


durante l’anno del giubileo non si potava né si vendemmiava; i frutti che nascevano<br />

spontaneamente potevano essere raccolti <strong>d<strong>al</strong></strong> proprietario e da chiunque,<br />

secondo la necessità di ogni giorno (Es 23, 10 sgg.; Lv 25, 3-11).<br />

La bibbia considera il vino come cosa di prima necessità per la vita dell’uomo (Sir 39,<br />

26); chi si metteva in viaggio ne portava con sé (Gdc 19, 19). All’epoca dei Maccabei<br />

il vino veniva mescolato con acqua (2 Mac 15, 39): non è sicuro però se si<br />

possa citare Is 1, 22 («il tuo vino migliore è diluito con acqua») per la stessa usanza<br />

<strong>al</strong> tempo di Isaia. D<strong>al</strong>l’espressione «sangue dell’uva» (Gen 49, 11; Dt 32, 14;<br />

Sir 50, 15, come pure da Is 63, 1 sgg.; Pr 23, 31), si ricava che gli Israeliti bevevano<br />

soprattutto vino rosso. Il vino era servito nei banchetti (1 Sam 25, 36; 2<br />

Sam 13, 28; Sap 2, 7 sgg.; Is 5, 12; Gv 2, 1-11). Per migliorare il suo gusto si<br />

aggiungevano erbe profumate. Il vino mescolato <strong>al</strong>la mirra (Mc 15, 23) diventava<br />

uno stupefacente e venne offerto a Gesù per <strong>al</strong>leviare i dolori della crocifissione.<br />

Il vino della parabola del buon samaritano è un medicamento (Lc 20, 34),<br />

come pure quello del consiglio che Paolo dà a Timoteo: «Fa’ uso di un po’ di<br />

vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni» (1 Tm 5, 23). La<br />

bibbia mette in guardia contro l’abuso del vino mostrandone le conseguenze<br />

disastrose (Pr 23, 31-35; Sir 18, 33; 19, 2). L’ubriachezza è menzionata tra le opere<br />

della carne che escludevano l’uomo <strong>d<strong>al</strong></strong> regno di Dio (G<strong>al</strong> 5, 21; 1 Cor 6, 10).<br />

In Israele durante i sacrifici del culto il vino non occupava un posto importante.<br />

Non veniva offerto come t<strong>al</strong>e, ma aggiunto ad un <strong>al</strong>tro sacrificio. Si doveva aggiungere<br />

<strong>al</strong> sacrificio di un agnello una libazione di un quarto di hîn di vino (Es 29, 40<br />

sgg.; Nm 15, 5; 28, 7-9.14); <strong>al</strong> sacrificio di un ariete un terzo di hîn (Nm 15, 7; 28,<br />

14); <strong>al</strong> sacrificio di un giovenco un mezzo hîn di vino (Nm 15, 10; 28, 14). Il vino,<br />

che doveva essere fermentato (Nm 28, 7), era versato ai piedi dell’<strong>al</strong>tare degli olocausti<br />

(Sir 50, 15). Ai banchetti sacrific<strong>al</strong>i si beveva vino (1 Sam 1, 9.14). Più tardi<br />

verrà attribuito un particolare significato <strong>al</strong> vino che accompagna l’agnello pasqu<strong>al</strong>e.<br />

Come si è accennato più sopra, Gesù prende pane e vino e istituisce l’eucaristia<br />

(Mc 14, 23-25 par.). Il posto importante occupato <strong>d<strong>al</strong></strong> vino e <strong>d<strong>al</strong></strong>la viticoltura nella<br />

vita degli Israeliti ha esercitato la sua influenza sul linguaggio simbolico della bibbia.<br />

Israele è una vite che Jahweh ha trapiantato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Egitto in Canaan, da cui dirama i<br />

suoi tr<strong>al</strong>ci in ogni direzione (S<strong>al</strong> 8, 9-12); è una vigna piantata e curata da Jahweh (Is<br />

5, 1-4: «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle (...) e vi aveva piantato<br />

scelte viti (...). Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica»). In<br />

Sir 24, 17 la pianta della vite è un’immagine di saggezza; nel S<strong>al</strong> 128, 3 rappresenta<br />

la moglie del giusto («la tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa»).<br />

423


424<br />

Nel Nuovo Testamento la vite figura nella parabola degli operai mandati nella<br />

vigna (Mt 20, 1-16) e in quella dei vignaioli omicidi (Mt 21, 33-46). L’<strong>al</strong>legoria<br />

della vite e dei tr<strong>al</strong>ci sottolinea la necessità di vivere in stretta unione con Gesù<br />

(Gv 15, 1-8: «Io sono la vera vite e il Padre mio il vignaiolo (...) ogni tr<strong>al</strong>cio che<br />

porta frutto, lo pota perché porti più frutto (...). Come il tr<strong>al</strong>cio non può far frutto<br />

da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me»).<br />

La masticazione degli acini acerbi, aspri, e le sue conseguenze, ha dato origine<br />

a un detto citato in Geremia 31, 29: «I padri hanno mangiato uva acerba e i<br />

denti dei figli si sono <strong>al</strong>legati!» (cfr. Ez 18, 2). Vivere m<strong>al</strong>e è produrre uva selvatica<br />

(Is 63, 2 sgg.; Ger 2, 21). Il vino e i suoi effetti hanno ispirato <strong>al</strong>tre immagini.<br />

Le buone disposizioni religiose sono un vino non mescolato (Is 1, 22).<br />

Secondo il Cantico dei cantici gioire per amore è bere vino e latte (Ct 5, 1); testimoniare<br />

il proprio amore è donare vino aromatico (Ct 8, 2). Nell’Apoc<strong>al</strong>isse il<br />

vino è simbolo della seduzione esercitata <strong>d<strong>al</strong></strong>la prostituzione, cioè <strong>d<strong>al</strong></strong>l’idolatria<br />

(Ap 14,8), oppure è un’immagine dell’ira di Dio (Ap 14, 10). La stessa immagine<br />

s’incontra già in S<strong>al</strong> 60, 5, più sviluppata in S<strong>al</strong> 75, 9 («Poiché nella mano del<br />

Signore è un c<strong>al</strong>ice ricolmo di vino drogato. Egli ne versa: fino <strong>al</strong>la feccia ne<br />

dovranno sorbire, ne berranno tutti gli empi della terra»), e soprattutto in Ger<br />

25, 15-19, in cui il profeta deve far bere <strong>al</strong>le nazioni la coppa dell’ira di Jahweh.<br />

È comprensibile che l’immagine della vite venisse continuamente ripresa e<br />

approfondita dai Padri della Chiesa. Ad esempio: secondo san Cirillo di Gerus<strong>al</strong>emme,<br />

per il battesimo l’uomo diviene parte della vite santa; chi resta nella fede,<br />

crescerà come un tr<strong>al</strong>cio che porta frutto. Similmente la grande comunità di fede<br />

della Chiesa diviene essa stessa quella vite che ricopre tutta la terra e i cui tr<strong>al</strong>ci<br />

si estendono fino <strong>al</strong> mare (cfr. S<strong>al</strong> 80, 9-12).<br />

D<strong>al</strong> quadro ritu<strong>al</strong>e della celebrazione dell’eucaristia<br />

Si tratta di una semplice rivisitazione di <strong>al</strong>cuni momenti ritu<strong>al</strong>i di questa celebrazione<br />

in rapporto <strong>al</strong> nostro tema. La parte centr<strong>al</strong>e è costituita <strong>d<strong>al</strong></strong>la grande preghiera<br />

eucaristica o preghiera di azione di grazie e di santificazione: contiene l’invocazione<br />

(epiclèsi) dello Spirito Santo 7 e «il racconto della cena o dell’istituzio-<br />

7 Mess<strong>al</strong>e Romano [ediz. CEI], Rito della Messa: Preghiera eucaristica III, p. 401: «(…) manda il tuo Spirito<br />

a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e<br />

nostro Signore».


ne» 8 , che termina con il comando di Gesù: «Fate questo in memoria di me (Hoc<br />

facite in meam commemorationem)». Da questo comando del S<strong>al</strong>vatore prende forma<br />

e sviluppo la struttura ritu<strong>al</strong>e della celebrazione dell’eucaristia, che san Giustino<br />

(† 165) così descrive nella sua prima Apologia:<br />

«67. Nel giorno del sole tutti coloro che abitano la città o le campagne si radunano in<br />

uno stesso luogo.<br />

1. Allora si leggono le memorie degli Apostoli e gli scritti dei Profeti, finché c’è tempo.<br />

Poi quando il lettore ha finito,<br />

2. colui che presiede prende la parola per ammonire i presenti ed esortarli ad imitare le<br />

belle lezioni udite.<br />

3. Quindi ci leviamo tutti in piedi e inn<strong>al</strong>ziamo preghiere; e (...)<br />

4. viene portato il pane e il vino e l’acqua;<br />

5. colui che presiede inn<strong>al</strong>za delle preghiere e delle azioni di grazie a seconda del suo<br />

meglio, e il popolo risponde: Amen.<br />

6. Allora ha luogo la distribuzione delle cose eucaristizzate a ciascuno, e agli assenti ne<br />

viene mandato per mezzo dei diaconi.<br />

7. Coloro che sono ricchi e vogliono dare, danno quel che a loro piace. Ciò che viene<br />

così raccolto è portato a colui che presiede, il qu<strong>al</strong>e pensa a provvedere gli orfani,<br />

le vedove (...)» 9 .<br />

«La descrizione della messa lasciataci da Giustino è la prima che s’incontra<br />

nella storia liturgica, e per l’epoca e il criterio con cui fu scritta, risulta per noi<br />

una fonte preziosissima d’informazione. Ma lo è assai più per il fatto che ci attesta<br />

la prassi ritu<strong>al</strong>e della Chiesa romana, nella qu<strong>al</strong>e, come scrive sant’Ireneo (†<br />

202) “si custodiva fedelmente la tradizione venuta dagli apostoli”» 10 . A partire da<br />

8 Ibid., pp. 402-403: «Nella notte in cui fu tradito, egli [Gesù] prese il pane, ti rese grazie con la preghiera<br />

di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: “Prendete e mangiatene tutti: questo<br />

è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi”. Dopo la cena, <strong>al</strong>lo stesso modo, prese il c<strong>al</strong>ice, ti rese<br />

grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli e disse: “Prendete e bevetene tutti:<br />

questo è il c<strong>al</strong>ice del mio Sangue per la nuova ed eterna <strong>al</strong>leanza, versato per voi e per tutti in remissione<br />

dei peccati”». Cfr. 1 Cor 11, 23-25; Mt 21, 26-27; Mc 14, 22-23; Lc 22, 19-20. Sulla traduzione<br />

it<strong>al</strong>iana di questo testo, si veda E. LODI, La formula sacrific<strong>al</strong>e nelle parole istituzion<strong>al</strong>i delle anafore occident<strong>al</strong>i<br />

ed orient<strong>al</strong>i, in “In factis mysterium legere”. Miscellanea di studi in onore di Iginio Rogger in occasione del suo<br />

ottantesimo compleanno, a cura di E. Curzel, Bologna 1999 (Pubblicazione dell’Istituto di Scienze religiose.<br />

Series maior, 6), pp. 285-302.<br />

9 Testo latino in Prex Eucharistica. Textus e variis liturgiis antiquioribus selecti, a cura di A. Hänggi, I. Pahl,<br />

Fribourg (Suisse) 1968 (Spicilegium Friburgense, 12), pp. 71-72.<br />

10 3 M. RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e di storia liturgica, III, Milano 1966 (ediz. anast., Milano 1998), p. 68.<br />

425


426<br />

questa descrizione 11 qui illustriamo, nel loro svolgimento e sviluppo, due momenti<br />

ritu<strong>al</strong>i della celebrazione dell’eucaristia: la presentazione del pane e del vino<br />

(offertorio) e la comunione da parte dei fedeli, con particolare attenzione <strong>al</strong> vino.<br />

La messa stazion<strong>al</strong>e romana nei secoli VII-VIII<br />

Il “cerimoni<strong>al</strong>e” più antico della messa è tramandato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Ordo Romanus primus 12 ,<br />

composto verso la fine del secolo VII o l’inizio dell’VIII 13 : esso descrive la solenne<br />

messa stazion<strong>al</strong>e celebrata <strong>d<strong>al</strong></strong> papa 14 . «Il quadro ritu<strong>al</strong>e descritto da quest’Ordo<br />

– spiega opportunamente Vincenzo Raffa – può riferirsi a tutti i giorni dell’anno<br />

nei qu<strong>al</strong>i il papa, o il vescovo che lo sostituisce, celebra in una chiesa di<br />

Roma con tutto il clero e il popolo» 15 .<br />

Presentazione delle offerte 16 . Dopo la proclamazione del vangelo, il papa s<strong>al</strong>uta i<br />

fedeli (Dominus vobiscum) e invita <strong>al</strong>la preghiera (Oremus), <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e non segue nes-<br />

11 «Lo schema dell’Eucaristia domenic<strong>al</strong>e tracciato da s. Giustino – spiega il Righetti – è rimasto fondament<strong>al</strong>e<br />

negli ordinamenti liturgici posteriori di tutte le Chiese. Ma, tra il III e il V secolo, vi furono<br />

inseriti parecchi nuovi elementi di secondaria importanza (...), i qu<strong>al</strong>i hanno più che <strong>al</strong>tro servito<br />

per dare <strong>al</strong>la messa una impronta esteriore maggiormente decorativa e solenne, in armonia con le<br />

condizioni di pace e di floridezza godute <strong>al</strong>lora <strong>d<strong>al</strong></strong>la Chiesa (...)»: RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e, III, p. 159.<br />

12 Per una conoscenza di questi “libri cerimoni<strong>al</strong>i” si veda, ad esempio, E. PALAZZO, Histoire des livres<br />

liturgiques. Le Moyen Âge, des origines au XIII e siècle, Paris 1993, pp. 187-196; A.-G. MARTIMORT, Les<br />

Ordines, les Ordinaires, et les Cérémoniaux, Turnhout-Belgium 1991 (Typologie des sources du Moyen<br />

Âge occident<strong>al</strong>, 56), pp. 15-47 (Les “Ordines”).<br />

13 Les Ordines Romani du haut Moyen Âge, a cura di M. Andrieu, II: Les textes (Ordines I-XIII), Louvain<br />

1948 (Spicilegium Sacrum Lovaniense, 23), pp. 67-108 (Incipit ordo ecclesiastici ministerii romanae ecclesiae<br />

vel qu<strong>al</strong>iter missa caelebratur). Nel suo nucleo primitivo l’Ordo è stato composto a Roma verso la fine del<br />

VII secolo o <strong>al</strong>l’inizio dell’VIII; è stato poi interpolato in Francia. Esistono due recensioni: una breve,<br />

non anteriore <strong>al</strong> pontificato di Sergio I (687-701) e l’<strong>al</strong>tra lunga. La recensione breve è pervenuta<br />

a noi in un solo codice, pieno di interpolazioni posteriori (ms. G = Sang<strong>al</strong>lensis 614). L’archetipo<br />

della recensione lunga dell’Ordo è copia della primitiva con un preambolo e <strong>al</strong>cuni passaggi interc<strong>al</strong>ati<br />

qua e là. D<strong>al</strong> confronto dei vari codici è possibile stabilire il prototipo romano che sta <strong>al</strong>la base<br />

delle due redazioni. La recensione lunga fu conosciuta in Francia nel 750 e ha ricevuto qu<strong>al</strong>che interpolazione<br />

in gran parte riconoscibile: cfr. Ibid., pp. 3-64 (in particolare, pp. 35-36, 46, 51-52, 55, 64).<br />

14 Ordo romanus I, nn. 24-126: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 74-108.<br />

15 V. RAFFA, Liturgia eucaristica. Mistagogia della Messa: <strong>d<strong>al</strong></strong>la storia e <strong>d<strong>al</strong></strong>la teologia <strong>al</strong>la pastor<strong>al</strong>e pratica,Roma<br />

1998 (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae»: Subsidia, 100), p. 79.<br />

16 Cfr. RAFFA, Liturgia eucaristica, pp. 84-86, 340-351; RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e, III, pp. 168-170, e più diffusamente<br />

pp. 307-318.


suna formula di preghiera. Ha quindi inizio la raccolta delle offerte, che si svolge<br />

con grande solennità e secondo un determinato ordine; intanto si prepara l’<strong>al</strong>tare<br />

17 . Il pontefice lascia la cattedra e discende a ricevere le offerte anzitutto quelle<br />

dei dignitari e delle matrone, che occupano un posto riservato (denominato<br />

senatorium) 18 , e poi quelle dei fedeli 19 . Il pontefice riceve l’offerta dei pani, che<br />

vengono deposti su una tovaglia, sostenuta ai lembi da due accoliti 20 . A sua volta<br />

l’arcidiacono riceve il vino contenuto nelle ampolle, che versa in un ampio<br />

c<strong>al</strong>ice (c<strong>al</strong>ix maior): quando è pieno, il vino viene riversato in un c<strong>al</strong>ice più grande<br />

(scyphus) tenuto sulla f<strong>al</strong>da della pianeta da un accolito 21 . Il vescovo di turno invece<br />

raccoglie, aiutato da un diacono, le offerte del clero minore e dei fedeli 22 .<br />

Intanto la “schola” esegue l’antifona di offertorio 23 . Da ultimo, si dispongono<br />

sull’<strong>al</strong>tare, secondo un determinato ordine, le offerte di pane e di vino 24 .<br />

La comunione dei fedeli 25 . Mentre la “schola” esegue l’antifona «ad communionem»<br />

interc<strong>al</strong>ata ad ogni versetto del s<strong>al</strong>mo prescelto 26 , ha inizio la comunione dei<br />

fedeli. Il pontefice porta egli stesso il pane consacrato ai patrizi e ai dignitari del<br />

17 Ordo romanus I, nn. 67-68: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 90-91.<br />

18 «Nelle navate si soleva riservare <strong>al</strong>l’aristocrazia (romana) un luogo apposito: da una parte quello<br />

per i signori (...) [e] <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro quello per le matrone»: RAFFA, Liturgia eucaristica, p. 84. Il vocabolo senatorium<br />

– commenta il RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e, III, p. 168 – «era l’univa cosa che <strong>al</strong> secolo VIII rimanesse<br />

ancora dell’antico Senato; in luogo dei senatori, scomparsi nel secolo VI».<br />

19 «Le oblazioni consistevano nell’offerta del pane e del vino per la consacrazione e quindi per la<br />

comunione di tutti o della maggior parte dei presenti. Ognuno recava seco la sua formella di pane<br />

confezionata con piccolissima quantità di farina e schiacciata a mo’ di corona. Questa soltanto era<br />

l’offerta del popolo e del clero inferiore; i vescovi invece, i preti, i diaconi, ed anche i maggiorenti fra<br />

i laici, aggiungevano piccole ampolle di vino, dette amulae. L’acqua veniva offerta dai cantori della<br />

Schola»: RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e, III, p.168.<br />

20 Ordo romanus I, nn. 69, 74-75: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 91-92.<br />

21 Ibid.: «70. Archidiaconus post eum suscipit amulas et refundit in c<strong>al</strong>ice maiore, tenente eum subdiacono<br />

regionario, quem sequitur cum sciffo super planetam acolytus, in quo c<strong>al</strong>ix impletus refunditur.<br />

(...) 73. Post quem [= episcopum ebdomadarium] diaconus, qui sequitur post archidiaconem,<br />

suscipit amulas et manu sua refunditur in sciffum»: ANDRIEU, Les OR, II, p. 93.<br />

22 Ordo romanus I, n. 72 e 76: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 91-92.<br />

23 Ibid., nn. 85-87: ANDRIEU, Les OR, II, p. 95.<br />

24 Ibid., nn. 77-80: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 92-93.<br />

25 Cfr. RAFFA, Liturgia eucaristica, pp. 88 e 89-92; RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e, III, pp. 175-178.<br />

26 Ordo romanus I, n. 117 e 122: ANDRIEU, Les OR, II, p. 105 e 107.<br />

427


428<br />

senatorium ponendolo loro sulla mano. Lo segue l’arcidiacono munito di una cannuccia<br />

d’oro con la qu<strong>al</strong>e porge successivamente ad ognuno un po’ del vino che<br />

nel c<strong>al</strong>ice più grande (scypphus) è stato santificato versandovi (durante il rito della<br />

frazione e della commixtio) 27 del vino consacrato. Successivamente pontefice e<br />

arcidiacono si recano <strong>d<strong>al</strong></strong>le matrone porgendo loro il pane consacrato e il vino<br />

santificato nel modo sopra indicato 28 . Quanto ai semplici fedeli, gli uomini ricevono<br />

la comunione dai vescovi, le donne dai presbiteri. Quando i diaconi, ai<br />

qu<strong>al</strong>i è stata affidata la distribuzione del vino e sono accompagnati <strong>d<strong>al</strong></strong> <strong>al</strong>cuni<br />

accoliti cum urceolis et scyphis, avvertono che esso sta per consumarsi aggiungono<br />

<strong>al</strong>tro vino in gemellionibus (ampie anfore) unde confirmantur populi 29 . Quest’ultima<br />

indicazione ritu<strong>al</strong>e (o rubric<strong>al</strong>e) necessita di un’adeguata spiegazione.<br />

Il c<strong>al</strong>ice col vino non consacrato 30 . Allo scopo di meglio esplicitare il rito della comunione<br />

dei fedeli più sopra descritto occorre riferirsi <strong>al</strong>la collocazione del pane e del<br />

vino posti sull’<strong>al</strong>tare secondo un determinato ordine a cui si è accennato 31 . Quando<br />

l’arcidiacono dispone le oblate – cioè il pane – sull’<strong>al</strong>tare, prende <strong>d<strong>al</strong></strong>le mani del<br />

suddiacono anche il c<strong>al</strong>ice anseato (cioè con manici) contenente il vino 32 per la<br />

consacrazione e lo colloca sull’<strong>al</strong>tare a fianco dell’oblata offerta <strong>d<strong>al</strong></strong> papa. Quindi il<br />

vino consacrato è soltanto quello del c<strong>al</strong>ice che si trova sull’<strong>al</strong>tare. Prima della<br />

comunione dei vescovi, <strong>al</strong> clero e ai dignitari, l’arcidiacono fa un’infusione di vino<br />

consacrato entro lo schiffus tenuto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’accolito. Ultimata la comunione degli ecclesiastici,<br />

l’arcidiacono versa nel medesimo schiffus tutto il resto del vino consacrato.<br />

D<strong>al</strong> medesimo schiffus il vino viene versato in piccole coppe (gemelliones, urcei), <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

qu<strong>al</strong>i i fedeli sorbiscono il contenuto mediante la cannuccia (pugillaris) 33 . Oltre<br />

<strong>al</strong>l’Ordo I, <strong>al</strong>tri Ordines accennano <strong>al</strong>l’infusione del vino consacrato in quello non<br />

27 Ordo romanus I, nn. 97-107 e 120: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 98-102 e 106. Inoltre si veda J.P. DE<br />

JONG, Le rite de la Commixtion dans la messe Romaine, «Revue bénédictine», 61 (1951), 15-37.<br />

28 Ordo romanus I, nn. 117-118: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 105-106.<br />

29 Ibid., nn. 114 e 116-117: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 104 e. 105.<br />

30 RAFFA, Liturgia eucaristica, pp. 89-92 e 470-471.<br />

31 Cfr. Ordo romanus I, nn. 67-80, 84, 89-90, 95, 97: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 90-93, 94, 96 e 98.<br />

32 L’arcidiacono, attraverso il panno che fa da filtro (colum), vi infonde il vino dell’ampolla (amula), sia<br />

quello offerto <strong>d<strong>al</strong></strong> papa sia quello offerto dai diaconi e forse, in qu<strong>al</strong>che occasione, da <strong>al</strong>tri: Ordo romanus<br />

I, n. 79 (ANDRIEU, Les OR, II, p. 93).<br />

33 Ordo romanus I, nn. 107-109; cfr. nn. 113, 114: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 101-104.


consacrato, in particolare l’Ordo IV34 , che rappresenta un adattamento dello stesso<br />

rito ai paesi franchi35 . Mentre i vescovi e i presbiteri si comunicano con il<br />

pane consacrato (sancta), l’arcidiacono fa una prima infusione di vino consacrato<br />

nello schiffus che contiene vino non consacrato36 . Successivamente per la<br />

comunione del clero (vescovi e presbiteri) e di <strong>al</strong>tri37 il vino consacrato viene versato<br />

tutto in un secondo c<strong>al</strong>ice:<br />

«75. Et devacuat c<strong>al</strong>icem archidiaconus in secundo c<strong>al</strong>ice (...) 83. Et tenens quartus<br />

fontem in manu, quod impleta est de sciffo primo [cioè, <strong>d<strong>al</strong></strong> c<strong>al</strong>ice che ha servito per la<br />

consacrazione], et accipit eam presbiter de manu ipsius et facit crucem de Sancta super<br />

fontem et ponit eam intro; similiter et omnes presbiteri faciunt quando confirmant<br />

populum, et confirmat schola» 38 .<br />

Da questo secondo c<strong>al</strong>ice viene fatta una seconda infusione di vino consacrato<br />

nello schiffus grande con vino non consacrato e destinato <strong>al</strong> popolo:<br />

«75. Et devacuat c<strong>al</strong>icem [è il primo] archidiaconus in secundo c<strong>al</strong>ice et de ipso perfundit<br />

acolithus in fonte priore [cioè, nello schiffus grande]» 39 .<br />

In conclusione: «si ha l’impressione – spiega Vincenzo Raffa – che i copisti dell’Ordo<br />

I cercavano di interpretare a loro modo le rubriche dell’Ordo I, non senza<br />

apportare qu<strong>al</strong>che confusione. Resta il fatto che intendono attenersi <strong>al</strong>la comunione<br />

del popolo con vino reso benedetto (o santificato) con l’infusione di pane<br />

o di vino consacrati» 40 . Su questa linea si collocano l’Ordo V che ric<strong>al</strong>ca in qu<strong>al</strong>-<br />

34 È datato ultimo quarto del secolo VIII. Ha un lungo titolo: «In nomine domini nostri Iesu Christi<br />

incipit ordo qu<strong>al</strong>iter in sancta atque apostolica ecclesia romana missa caelebratur, quam nos cum summo<br />

studio atque cum diligentia maxima curavimus (…), id est qu<strong>al</strong>iter pontifex procedit in die sollemni<br />

cum honore magno, sicut investigatum est a sanctis patribus»: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 157-170.<br />

35 È il secondo ritu<strong>al</strong>e della messa pap<strong>al</strong>e: rifacimento dell’Ordo I e di due supplementi del medesimo,<br />

v<strong>al</strong>e a dire l’Ordo II (romano) e l’Ordo III (franco). Sulla fisionomia dell’Ordo IV si veda in particolare:<br />

C. VOGEL, Introduction aux sources de l’histoire du culte chrétien au Moyen Âge, Spoleto 1966 (rist. anast.,<br />

1981; Biblioteca degli «Studi mediev<strong>al</strong>i», I), pp. 132-133.<br />

36 Ordo IV, 69. «Et tunc perfundit de c<strong>al</strong>ice in sciffo»: ANDRIEU, Les OR, II, p. 165.<br />

37 Ibid., nn. 78-79 et 82: ANDRIEU, Les OR,II, pp. 166 e 167.<br />

38 ANDRIEU, Les OR, II, pp. 166 e 167.<br />

39 Ibid., p. 166.<br />

40 RAFFA, Liturgia eucaristica, p. 91. Al pane consacrato (Sancta) immesso nel c<strong>al</strong>ice accenna lo stesso<br />

Ordo romanus I: «74. Deinde recipit archidiaconus c<strong>al</strong>icem ab episcopo et veniens subdiaconus,<br />

429


430<br />

che modo la forma ritu<strong>al</strong>e41 del primo Ordo42 e l’Ordo VI43 : in quest’ultimo i riti<br />

della frazione del pane (consacrato) e della commistione del vino consacrato con<br />

quello non consacrato sono descritti in modo <strong>al</strong>quanto confusi44 .L’Ordo VIII,<br />

che tramanda il testo del canone romano45 , e gli Ordines IX (n. 46) e X (n. 62) 46<br />

non fanno <strong>al</strong>cuna menzione della mescolanza di vino consacrato con il vino non<br />

consacrato: si ritrova però in <strong>al</strong>tri documenti posteriori, relativi <strong>al</strong> venerdì santo.<br />

Con il Raffa possiamo domandarci: «L’uso di infondere vino consacrato in<br />

<strong>al</strong>tro non consacrato è di sicura origine romana? Sembrerebbe di sì. Negli<br />

ambienti romani si intendeva operare una santificazione generica, cioè una specie<br />

di benedizione, oppure esprimere simbolicamente l’unione col sacrificio o<br />

addirittura un’antica consacrazione per contactum? L’Ordo I e <strong>al</strong>tri documenti che<br />

lo riproducono, non parlano né di santificazione né di consacrazione» 47 . Am<strong>al</strong>ario<br />

vescovo di Metz († 853) invece esprime la persuasione (e forse è solo una sua<br />

opinione person<strong>al</strong>e, come tante <strong>al</strong>tre) che il pane consacrato infuso nel vino<br />

ordinario lo santifichi e lo consacri:<br />

«Iuxta ordinem libelli per commixtionem panis et vini consecrat vinum» 48 .<br />

«Sanctificatur enim vinum non consecratum per sanctificatum panem» 49 .<br />

habens colatorio minore in manu sua, expellit Sancta de c<strong>al</strong>ice et ponit ea in fontem priore, unde<br />

archidiaconus debet confirmare populo». Cfr. OR,I,n.83;ANDRIEU, Les OR, II, p. 166.<br />

41 Si tratta di un Ordo ibrido romano-germanico della messa solenne: «rédigé en pays rhénan, vers<br />

850-900, dans une abbaye ou une ville épiscop<strong>al</strong>e». Si <strong>al</strong>lontana notevolmente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Ordo romanus I a<br />

causa di modifiche e aggiunte: cfr. VOGEL, Introduction, pp. 133-134.<br />

42<br />

ANDRIEU, Les OR, II, pp. 209-227 (Ordo processionis ad ecclesiam sive missam secundum Romanos). In particolare<br />

i nn. 44 (offerta del pane e del vino da parte dei fedeli) e 83, 86.87 (l’arcidiacono versa vino<br />

consacrato <strong>d<strong>al</strong></strong> c<strong>al</strong>ice «in schiphum et in pugillarem cum quo confirmet populum»).<br />

43 In nomine Domini incipit liber de Romano ordine: qu<strong>al</strong>iter celebrandum sit officium missae (in particolare, i nn.<br />

67 e 71): ANDRIEU, Les OR, II, pp. 241-250 (princip<strong>al</strong>mente, pp. 249-250). Quest’Ordo rappresenta la<br />

3a redazione franca dell’Ordo I; è posteriore ad Am<strong>al</strong>ario di Metz († 850), poiché <strong>al</strong> n. 67 riporta una<br />

sua frase sugli effetti consacratori della immixtio (v. sopra).<br />

44 Cfr. ANDRIEU, Les OR, II, pp. 237-238.<br />

45 Qu<strong>al</strong>iter quaedam orationes et crucis in Te igitur agendae sunt: ANDRIEU, Les OR, II, pp. 295-305 (in particolare<br />

i nn. 22-24). Riguardo <strong>al</strong> testo del canone romano, cfr. Ibid., pp. 269-281.<br />

46 Cfr. ANDRIEU, Les OR, II, p. 335 e 362. I due documenti rappresentano il 1° e 2° Ordo della messa<br />

episcop<strong>al</strong>e e sono stati scritti in Francia <strong>al</strong>la fine del IX secolo.<br />

47<br />

RAFFA, Liturgia eucaristica,p.91.<br />

48 Liber offici<strong>al</strong>is, lib. I, cap. XV,2:Am<strong>al</strong>arii Episcopi opera liturgica omnia, a cura di I.M. Hanssens, II, Città<br />

del Vaticano 1948 (Studi e testi, 139), p. 107.<br />

49 Liber offici<strong>al</strong>is, Lect. discr. long. [edizione longior] 3 (5.6): Ibid., p. 516.


«Ugu<strong>al</strong>mente si dovrebbe dire – conclude Vincenzo Raffa – del vino consacrato.<br />

Sarebbe la consacrazione per contactum» 50 . E in una nota <strong>al</strong> testo di Am<strong>al</strong>ario<br />

qui riportato, spiega opportunamente che «il testo si riferisce <strong>al</strong> rito di immistione<br />

in uso <strong>al</strong> venerdì santo. Tuttavia il riferimento è pertinente perché si tratta di<br />

una medesima re<strong>al</strong>tà: Am<strong>al</strong>ario dipende <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Ordo XXVII» 51 .<br />

L’Ordo VI, 67 (composto in Francia dopo il secolo IX da un privato) 52<br />

riprende l’opinione di Am<strong>al</strong>ario, da cui dipende:<br />

«67. Sed ipse pontifex confirmatur ab archidiacono in c<strong>al</strong>ice sancto, de quo parum<br />

refundit archidiaconus in maiorem c<strong>al</strong>icem, sive in cyphum, quem tenet acolitus, ut ex<br />

eodem sacro vaso confirmetur populus: quia vinum etiam non consecratum, sed sanguine<br />

domini commixtum, sanctificatur per omnem modum» 53 .<br />

«La convinzione della possibile consacrazione per contactum espressa da Am<strong>al</strong>ario<br />

– conclude Vincenzo Raffa – sarebbe stata rigettata dai teologi del secolo XII e<br />

seguenti, tra i qu<strong>al</strong>i Pietro Cantore († 1197). Nessun documento del magistero<br />

univers<strong>al</strong>e di carattere uffici<strong>al</strong>e, l’ha mai sostenuta. Il Decretum Gratiani (metà circa<br />

del secolo XII) proibisce l’infusione del pane consacrato nel vino per la<br />

comunione dei fedeli» 54 .<br />

50 RAFFA, Liturgia eucaristica,p.92.<br />

51 Ibid., nota 45 di p. 91. La stessa affermazione, e sempre riferita <strong>al</strong> venerdì santo, si trova nel pontific<strong>al</strong>e<br />

romano-germanico del secolo X: «Cum vero dixerint Amen [dopo l’embolismo: Libera nos domine ab<br />

omnibus m<strong>al</strong>is, etc.], sumit de sancta et ponit in c<strong>al</strong>icem nihil dicens (…). Sanctificat autem vinum non<br />

consecratum per sanctificatum panem. Et communicant omnes cum silentio (…)»: Le Pontific<strong>al</strong> romanogermanique<br />

du dixième siècle. Le texte, a cura C. Vogel-R. Elze, II, Città del Vaticano 1963 (Studi e testi,<br />

227), sez. XCIX, 335, p. 93. Vogel, in nota, rimanda <strong>al</strong>l’Ordo XXVIII, 46 che (come pure l’Ordo XXVII,<br />

49) non riferisce l’espressione di Am<strong>al</strong>ario: cfr. Ordo XXVIII, 46: «Cum dixerint Amen, sumit de Sancta<br />

et ponit in c<strong>al</strong>ice nihil dicens» (ANDRIEU, Les OR, III, p. 104). L’affermazione di Am<strong>al</strong>ario ritorna poi<br />

– sempre <strong>al</strong> venerdì santo – ma in forma esplicativa nel pontific<strong>al</strong>e romano del secolo XII: «Et cum<br />

dixerit (…) Pax domini (…) Sed, divisa hostia in tres partes, tertiam partem iuxta consuetudinem in c<strong>al</strong>icem<br />

mittat nihil dicens. Sic enim sanctificatur vinum non consecratum per corpus domini immissum. Et omnes qui<br />

volunt communicent cum silentio»: Le Pontific<strong>al</strong> Romain au Moyen Âge, a cura di M. Andrieu, I: Le Pontific<strong>al</strong><br />

Romain du XII e siècle, Città del Vaticano 1938 (Studi e testi, 86), cap. XXXI, 11, p. 257 (il corsivo è<br />

nostro). Inoltre, cfr. H.A.P. SCHMIDT, Hebdomada Sancta, II/2, Roma 1957, pp. 799-805.<br />

52 «Le texte est d’une médiocre v<strong>al</strong>eur documentaire: c’est un abrégé de l’Ordo I, parfois m<strong>al</strong> compris<br />

et interprété sans adjonction d’éléments nouveaux de poids»: VOGEL, Introduction, p. 134.<br />

53 ANDRIEU, Les OR, II, p. 249; il corsivo è nostro. Riguardo <strong>al</strong>la questione storica e teologica si veda<br />

M. ANDRIEU, Immixtio et consecratio, Paris 1924.<br />

54 RAFFA, Liturgia eucaristica, p. 92 nota 48, con citazione del Decretum: pars III, dist. II, c. 6. Per questi<br />

usi liturgici in ambito monastico si veda il saggio di G. Archetti in questo volume.<br />

431


432<br />

Benedizione di prodotti natur<strong>al</strong>i <strong>al</strong> termine del canone romano<br />

Nei primordi del canone romano e sino <strong>al</strong> tardo medioevo, prima della grande<br />

dossologia fin<strong>al</strong>e (per ipsum et cum ipso et in ipso...) si benedicevano, in diverse<br />

ricorrenze, prodotti natur<strong>al</strong>i55 . Nei più antichi sacramentari romani troviamo,<br />

oltre ad una benedizione dell’acqua, del latte e del miele in occasione del battesimo<br />

solenne56 , anche una benedizione dell’uva primaticcia nella festa di san<br />

Sisto papa (6 agosto) con questa formula:<br />

«Benedic, domine, et hos fructus novos uvae, quos tu, domine, rore caeli et inundantia<br />

pluviarum et temporum serenitate atque tranquillitate ad maturitatem perducere<br />

dignatus es, et dedisti ea ad usus nostros cum gratiarum actione percipere, in nomine<br />

domini nostri Iesu Christi. Per quem haec omnia, domine, semper bona creas, etc.» 57 .<br />

Nel sacramentario gelasiano vetus questa stessa formula si trova <strong>al</strong>la festività dell’ascensione<br />

con la rubrica: «ante expleto canone benedicis fruges novas» 58 ; <strong>al</strong>trove<br />

anche come benedizione a sé stante e con l’esplicitazione dei frutti nuovi: “uva”<br />

oppure “fave” 59 . Riguardo <strong>al</strong>la benedizione dell’uva Jungmann formula l’ipotesi<br />

che «nell’impero carolingio fosse in uso già per tempo di benedire a questo punto<br />

dell’uva, perché Am<strong>al</strong>ario 60 spiega il momento della consacrazione degli olii il giovedì<br />

santo dicendo: In eo loco ubi solemus uvas benedicere. Questa consuetudine la troviamo<br />

anche, ad esempio, in un mess<strong>al</strong>e di Ratisbona del 1485. In t<strong>al</strong> giorno si usa-<br />

55 Cfr. RAFFA, Liturgia eucaristica, pp. 594-595; RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e, III, pp. 419-425; J.A. JUNGMANN,<br />

Missarum Sollemnia, II, Torino 19632 , pp. 199-203.<br />

56 Cfr. Sacramentarium Veronense (Cod. Bibl. Veron. LXXXV [80]), a cura di L.C. Mohlberg, Roma 1956<br />

(Rerum Ecclesiasticarum Documenta, series maior. Fontes, 1), pp. 25-26 (In pentecosten ascendentibus a<br />

fonte): «Benedic, domine, et has tuas creaturas fontis mellis et lactis, et pota famulos tuos ex hoc fonte<br />

aquae vitae perennis, qui est spiritus veritatis, etc.», (nr. 205).<br />

57 Le Sacramentaire Grégorien. Ses princip<strong>al</strong>es formes d’après les plus anciens manuscrits, Édition comparative, a<br />

cura di J. Deshusses, I, Fribourg (Suisse) 1971, nr. 631 (Benedictio uvae).<br />

58 Cfr. Liber Sacramentorum Romanae Aeclesiae ordinis anni circuli (cod. Vat. Reg. lat. 316 / Paris, Bibl. Nat.<br />

7193, 41/56), a cura di L.C. Mohlberg, Roma 1981 3 (Rerum Ecclesiasticarum Documenta, series<br />

maior. Fontes, 4), pp. 88-89 (Orationes et praeces in ascensa domini), nr. 577.<br />

59 Ibid., nr. 1603. Questa benedizione passa poi nei Gelasiani del secolo VIII; si veda ad esempio:<br />

Liber Sacramentorum Gellonenis, a cura di A. Dumas, Turnholti 1981 (Corpus christianorum. Series latina,<br />

159), nr. 2833 (Benedictio uve sive fave).<br />

60 Liber offici<strong>al</strong>is,lib.I,c.12,7:HANSSENS, Am<strong>al</strong>arii Episcopi opera liturgica omnia, II, p. 69.


va anche vino nuovo per la consacrazione 61 , o si aggiungeva del succo d’uva <strong>al</strong> vino<br />

consacrato, abuso questo combattuto nel 1535 da Bertoldo di Chiemsee» 62 .<br />

L’offerta del vino in <strong>al</strong>cune celebrazioni particolari<br />

Forse sarebbe più esatto parlare di sopravvivenza di un’antica prassi offertori<strong>al</strong>e<br />

e conservata nel pontific<strong>al</strong>e romano 63 : in particolare, nella messa di consacrazione<br />

dei vescovi e di benedizione degli abati 64 .<br />

Nel rito di consacrazione del vescovo. Il pontific<strong>al</strong>e romano del secolo XII prescrive che<br />

<strong>al</strong>l’offertorio della messa il neo-consacrato presenti <strong>al</strong> vescovo consacratore<br />

«[duos] cereos adhuc accensos et duos panes in manutergio positos inter brachia sua et<br />

ampullam vini, quam acolitus tenet super praedictos panes (...), et rediens ad <strong>al</strong>tare perficit<br />

missam cum ipso» 65 .<br />

Nel pontific<strong>al</strong>e della curia romana (secolo XIII) la stessa ampolla di vino diventa<br />

duas fi<strong>al</strong>as (= bottiglia di vetro) o anche duas amphoras 66 . Quest’ultima indica-<br />

61<br />

GUGLIELMO DURANDO, Ration<strong>al</strong>e divinorum officiorum, a cura di A. Davril, T.M. Thibodeau, B.G.<br />

Guyot, Turnhout 2002 (Corpus christianorum. Continuatio mediaev<strong>al</strong>is, 140 B), lib. VII, cap. XXII,<br />

2: «In quibusdam locis, hac die conficitur sanguis Christi de novo vino si inveniri potest, aut s<strong>al</strong>tem<br />

racemi ex quibus populus communicat» (p. 68).<br />

62<br />

JUNGMANN, Missarum Sollemnia, II, p. 200 nota 3, il qu<strong>al</strong>e conclude: «Alla fine del medioevo si trasportò,<br />

a volte, a questo punto [della messa] la benedizione di <strong>al</strong>tri doni natur<strong>al</strong>i, in uso in determinate<br />

ricorrenze: qu<strong>al</strong>i il pane, il vino, la frutta e le sementi <strong>al</strong>la festa di san Biagio, il pane a quella di<br />

sant’Agata, i foraggi per il bestiame <strong>al</strong>la festa di santo Stefano, il vino <strong>al</strong>la festa di san Giovanni Evangelista»<br />

(Ibid., p. 200).<br />

63 e Cfr. M. DYKMANS, Le Pontific<strong>al</strong> Romain revisé au XV siècle, Città del Vaticano 1985 (Studi e testi, 311),<br />

pp. 111-123: «Le Pontific<strong>al</strong> de Clément VIII est resté celui de Patrizi Piccolomini. C’est la conclusione<br />

à laquelle on ne refusera pas de se r<strong>al</strong>lier. Urbain VIII ne voulut rien y changer. Les modifications<br />

de Benoît XIV sont insignificantes» (Ibid., p. 156). L’edizione del 1962, <strong>al</strong>meno per la «Pars prima»,<br />

conserva ancora il testo del card. Patrizi Piccolomini, il qu<strong>al</strong>e – conferma Dykmans – ha assunto<br />

come testo base della sua edizione il pontific<strong>al</strong>e di Guglielmo Durando, vescovo di Mende. Si veda<br />

inoltre l’«Introdution», pp. 7-15.<br />

64 Nell’elenco dei doni che vengono presentati, la sottolineatura riguarda, com’è ovvio, la “misura” o<br />

la “quantità” di vino offerto.<br />

65 e M. ANDRIEU, Le Pontific<strong>al</strong> Romain au Moyen Âge,I:Le Pontific<strong>al</strong> Romain du XII siècle, Città del Vaticano<br />

1938 (Studi e testi, 86), cap. X, 32, pp. 150-151 (il corsivo è nostro).<br />

66 e M. ANDRIEU, Le Pontific<strong>al</strong> Romain au Moyen Âge, II: Le Pontific<strong>al</strong> de la Curie Romaine au XIII siècle, Città<br />

del Vaticano 1940 (Studi e testi, 87), cap. XI, 33, pp. 364-365. La «recension longue (…) qui vit le<br />

433


434<br />

zione ritorna, con un’ulteriore precisazione, nel pontific<strong>al</strong>e di Guglielmo Durando,<br />

vescovo di Mende († 1296): duas amphoras vino plenas 67 . D<strong>al</strong>le anfore si arriva<br />

infine – tramite la revisione compiuta da Agostino Patrizi dei Piccolomini, già<br />

cerimoniere pontificio 68 – ai duo barilia (= barilotti) vino plena del pontific<strong>al</strong>e<br />

romano promulgato da Clemente VIII (1595) 69 . Come opportunamente vien fatto<br />

notare, sia il vino sia i pani offerti non servono per la consacrazione.<br />

Nel rito di benedizione dell’abate. Il rito primitivo della benedizione di un abate –<br />

riferisce il Righetti – consisteva semplicemente in una formula di preghiera con<br />

la qu<strong>al</strong>e si invocavano sull’eletto i doni di Dio, e nella consegna della verga pastor<strong>al</strong>e.<br />

Ma più tardi, l’accresciuta potenza degli abati circondò la cerimonia di un<br />

t<strong>al</strong>e apparato da rassomigliarla ad una consacrazione episcop<strong>al</strong>e70 : ne è testimone<br />

il pontific<strong>al</strong>e romano del secolo XII71 . T<strong>al</strong>e somiglianza nel rito si ha princip<strong>al</strong>mente<br />

con il pontific<strong>al</strong>e della curia romana del secolo XIII e, per concomitanza,<br />

anche nel rito offertori<strong>al</strong>e della messa:<br />

«Et dum cantatur offertorium, abbas offert pontifici primo duos magnos panes tob<strong>al</strong>eis<br />

coopertos, manum eius oculando, secundo duas fi<strong>al</strong>as vini duobus m<strong>al</strong>is (seu pomis)<br />

coopertas (...), tertio duos magnos cereos manus eius osculando (...)» 72 .<br />

Le rubriche che elencano le cose da preparare per la benedizione abbazi<strong>al</strong>e, specificano<br />

che le due “fi<strong>al</strong>e” devono contenere una vino bianco e l’<strong>al</strong>tra vino ros-<br />

jour vers la milieu ou dans la seconde moitié du XIIIe s.» (Ibid., p. 326) usa l’espressione «duas fi<strong>al</strong>as»;<br />

la recensione breve e quella di tipo misto invece indica «duas amphoras».<br />

67 M. ANDRIEU, Le Pontific<strong>al</strong> Romain au Moyen Âge, III: Le Pontific<strong>al</strong> de Guillaume Durand, Città del Vaticano<br />

1940 (Studi e testi, 88), lib. I, cap. XIV, 49, p. 387). Al solito elenco di doni, Durando aggiunge<br />

«et <strong>al</strong>ia consueta».<br />

68 Grande figura di cerimoniere sotto Innocenzo VIII, Paolo II e Sisto IV, e nel contempo anche vescovo<br />

di Pienza e Mont<strong>al</strong>cino († 1495). Profilo biografico in M. DYKMANS, L’oeuvre de Patrizi Piccolomini ou<br />

le Cérémoni<strong>al</strong> pap<strong>al</strong> de la première renaissance, I, Città del Vaticano 1980 (Studi e testi, 293), pp. 1*-15*.<br />

69 Pontific<strong>al</strong>e Romanum Clementis VIII. Pont. Max. iussu restitutum atque editum, Editio Princeps anastatica<br />

a cura di M. Sodi, A.M. Triacca, Città del Vaticano 1997 (Monumenta Liturgica Concilii Tridentini,<br />

1), Pars prima: De consecratione electi in Episcopum, pp. 114-115. Sorprende come i curatori di questa edizione<br />

ignorino nell’introduzione (pp. XIII-XV) la recente opera del gesuita Marco Dykmans qui citata<br />

<strong>al</strong>le note 63 e 68.<br />

70 2 M. RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e di storia liturgica, IV, Milano 1959 (ediz. anast., 1998), p. 482.<br />

71 Cfr. ANDRIEU, Le Pontific<strong>al</strong> Romain, I, cap. XV, pp. 170-174 (con la consegna della regola e del<br />

«baculus pastor<strong>al</strong>is officii»).<br />

72 Ibid., II, cap. XVI, nn. 1 et 5, pp. 409-410. Il corsivo è nostro.


so73 . Un’equiparazione con il rito per la consacrazione del vescovo – più sopra<br />

indicata e tramite la revisione di Patrizi Piccolomini74 – si ha con il pontific<strong>al</strong>e<br />

romano di Clemente VIII:<br />

«ad Offertorium (...) Abbas (...) coram (pontifici) geneflexus, offert ei duo intorticia<br />

accensa, duos panes et duo barilia vino plena» 75 .<br />

Questo gesto offertori<strong>al</strong>e con ceri, grossi pani e capaci bariletti di vino, poi si<br />

prolunga, con ulteriori arricchimenti, nel solenne rito di canonizzazione di un<br />

santo (o di una santa) 76 .<br />

Nella celebrazione del sacramento del matrimonio. Era uso assai comune, testimoniato<br />

anche dai ritu<strong>al</strong>i mediev<strong>al</strong>i di Francia e d’It<strong>al</strong>ia – scrive il Righetti – che gli sposi<br />

<strong>al</strong>l’offertorio della messa portassero <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tare «un pane e un bocc<strong>al</strong>e di vino». Dopo<br />

la messa, questi doni, «benedetti <strong>d<strong>al</strong></strong> sacerdote, erano presentati agli sposi, i qu<strong>al</strong>i<br />

ne mangiavano insieme, a significare quel vincolo che ormai li univa indissolubilmente<br />

(...). Si rompeva poi la tazza in cui gli sposi avevano bevuto» 77 . Anche i<br />

ritu<strong>al</strong>i tedeschi dell’<strong>al</strong>to medioevo conoscono quest’usanza del mangiare e bere<br />

insieme come simbolo del vincolo matrimoni<strong>al</strong>e; ben presto però essa venne<br />

sostituita <strong>d<strong>al</strong></strong>la «benedictio vini sancti Iohannis», v<strong>al</strong>e a dire <strong>d<strong>al</strong></strong>la Johannisminne di<br />

cui si tratterà più avanti 78 .<br />

In Inghilterra, <strong>al</strong>la fine del medioevo, si consumavano il pane e il vino presentati<br />

nella messa di matrimonio. Il manu<strong>al</strong>e di Sarum (S<strong>al</strong>isbury) prescrive:<br />

73 Ibid., cap. XVI, 1, p. 409. Il pontific<strong>al</strong>e di Guglielmo Durando (ANDRIEU, Le Pontific<strong>al</strong> Romain, III,<br />

cap. XX, 24, p. 407) non contiene ulteriori specificazioni riguardo <strong>al</strong> vino: usa semplicemente l’espressione<br />

«duas ampullas vino plenas».<br />

74<br />

DYKMANS, Le Pontific<strong>al</strong> Romain revisé, p. 114.<br />

75 Pontific<strong>al</strong>e Romanum Clementis VIII etc., pars prima: De benedictione Abbatis, p. 165 (il corsivo è nostro).<br />

Sia i ceri (ciascuno del peso di «quatuor librarum», sia i grossi pani e i due bariletti di vino «ornentur;<br />

duo, videlicet, videantur argentea et duo aurea, hinc et inde insignia Pontificis et Monasterii seu electi<br />

habentia, cum capello, vel cruce, vel mitra pro cuiusque gradu et dignitate»: Ibid., pp. 130-131.<br />

76 Si veda, in proposito, F. DELL’ORO, Beatificazione e Canonizzazione. «Excursus» storico-liturgico, Roma<br />

1997 (Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae»: Subsidia, 89), in particolare le pp. 66-67, 81-82, 90-91,<br />

107, 123, 171 e 181.<br />

77<br />

RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e, IV, pp. 467-468, il qu<strong>al</strong>e informa che «anche quest’uso decadde dopo il (concilio)<br />

Tridentino».<br />

78 A. FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen im Mittel<strong>al</strong>ter, I, Freiburg im Bresgau 1909 (ediz. anast., Graz<br />

1960), pp. 281-283.<br />

435


436<br />

«Post Missam benedicatur panis et vinum vel <strong>al</strong>iud potabile in vasculo et gustent in<br />

nomine Domini, sacerdote dicente: Dominus vobiscum (...). Oremus:<br />

“Bene+dic, Domine, istum panem et hunc potum et hoc vasculum, sicut benedixisti<br />

quinque panes in deserto, et sex hydriae in Chana G<strong>al</strong>ileae: ut sint sani, sobrii, atque<br />

immaculati omnes gustantes ex eis, S<strong>al</strong>vator mundi. Qui vivis et regnas etc.”» 79 .<br />

Nel rito di dedicazione della chiesa. Nel quadro ritu<strong>al</strong>e della dedicazione della chiesa<br />

tramandato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Ordo XLI di origine g<strong>al</strong>licana, compilato nella seconda metà del<br />

secolo VIII 80 , fermiamo la nostra attenzione sulla confezione dell’acqua esorcizzata,<br />

<strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e viene aggiunto vino, s<strong>al</strong>e e cenere 81 : con essa il vescovo compie<br />

ripetute lustrazioni o purificazioni <strong>al</strong>l’interno e <strong>al</strong>l’esterno della chiesa, sul pavimento<br />

e sulla mensa dell’<strong>al</strong>tare 82 .<br />

L’Ordo g<strong>al</strong>licano parla soltanto di «aquam cum vino mixtam»; nella formula<br />

di benedizione, Creator et conservator humani generis, si invoca lo Spirito Santo<br />

«super vinum cum aqua mixtum» 83 , senza <strong>al</strong>cuna specificazione particolare.<br />

79 Ibid., p. 282 (<strong>d<strong>al</strong></strong> Manu<strong>al</strong>e Eboracense, p. 25*). Cfr. Miss<strong>al</strong>e ad usum insignis et praeclarae ecclesiae Sarum,<br />

labore ac studio F.H. Dickinson, Oxonii et Londonii 1861-1883 (rist. anast., Westmead, Farnborough,<br />

Hants, England 1969), p. 844* (Ordo spons<strong>al</strong>ium).<br />

80 Ordo quomodo ecclesia debeat dedicari, in Les Ordines Romani du haut Moyen-Âge, a cura di M. Andrieu,<br />

IV, Louvain 1956 (Spicilegium Sacrum Lovaniense, 28), pp. 339-345; origine g<strong>al</strong>licana dell’Ordo e<br />

datazione, Ibid., pp. 315-336.<br />

81 I ritu<strong>al</strong>i, dopo il secolo XI, la chiamano acqua “gregoriana”. Spiega il Righetti: «È chiamata così per<br />

un riferimento a quanto s. Gregorio Magno scriveva a Mellitus d’Inghilterra per la consacrazione in<br />

cristiani dei templi idolatrici: Aqua benedicta fiat, et in eadem fanis aspergatur (Epist. IX, 71). Egli però<br />

non accenna a qu<strong>al</strong>i elementi la componessero. L’uso romano da principio ammise soltanto l’infusione<br />

nell’acqua di s<strong>al</strong>e e olio (crisma); la cenere e il vino erano un’aggiunta di provenienza g<strong>al</strong>licana».<br />

E aggiunge: «I vari suoi componenti sono chiaramente simbolici: il s<strong>al</strong>e della dottrina incorruttibile<br />

della fede, il vino della divinità di Cristo, le ceneri del duolo della penitenza. Quest’ultime, già<br />

in uso nel ritu<strong>al</strong>e mosaico (Num 19, 9-18) entrarono per ultimo (sec. IX) nella composizione dell’acqua<br />

gregoriana»: RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e, IV, pp. 515-516 con nota 58.<br />

82 Ordo XLI, nn. 7-14: ANDRIEU, Les OR, IV, pp. 341-342 (ed anche pp. 320-324). Per un approfondimento<br />

sul ritu<strong>al</strong>e romano e g<strong>al</strong>licano della dedicazione in rapporto <strong>al</strong>le Orationes in dedicatione basilicae<br />

novae del Sacramentario Gelasiano vetus (lib. I, LXXXVIII, 689-702), si veda A. CHAVASSE, Le<br />

Sacramentaire Gélasien (Vaticanus Reginensis 316). Sacramentaire présbyter<strong>al</strong> en usage dans les titres romains au<br />

VIIe siècle, Paris 1958 (Bibliothèque de Théologie. Série IV: Histoire de la Théologie, 1), pp. 36-49.<br />

83 Ordo consecrationis basilicae novae (nr. 2020); Orationes super aquam et vinum ad consecrationem <strong>al</strong>taris: Creator<br />

et conservator humani generis (nr. 2023), in Liber Sacramentorum Engolismensis (Le Sacramentaire<br />

Gélasien d’Angoulême [Paris, Bibl. Nat., latin 816; VIII-IX siècle]), Turnholti 1987 (Corpus christianorum.<br />

Series latina, 159 C), pp. 302-304. Vedi nota precedente.


Un’ulteriore specificazione sulla confezione dell’acqua esorcizzata si ha invece<br />

nell’Ordo XL:<br />

«7. Inde benedicit s<strong>al</strong>em et aquam cum cinere mixto et dicit hanc orationem Deus qui (...).<br />

9. Et misceitur s<strong>al</strong>is et cinis faciens ter inde crucem super ipsam aquam.<br />

10. Deinde ponis vinum mixtum cum ipsa aqua benedicta et dicis hanc orationem:<br />

Creator et conservator» 84 .<br />

L’Ordo (<strong>al</strong>quanto prolisso) del pontific<strong>al</strong>e romano-germanico del secolo X85 ,<br />

completa la benedizione degli elementi che compongono l’“acqua gregoriana”<br />

sottolineando il gesto di versare il vino nell’acqua con appropriate formule:<br />

«37. Tunc misceatur s<strong>al</strong> et cinis et faciat episcopus ter inde crucem super aquam et<br />

dicat: Haec commixtio s<strong>al</strong>is et cineris cum aqua benedicta sit sanctificata ad consecrationem huius<br />

aecclesiae et <strong>al</strong>taris, in nomine patris, etc.».<br />

«39. Deinde ponat vinum in ipsa aqua et dicat: Fiat commixtio aquae et vini ad consecrationem<br />

huius aecclesiae et <strong>al</strong>taris, in nomine patris, etc.» 86 .<br />

Il vino come elemento “sacrament<strong>al</strong>e”<br />

Tra le varie definizioni di sacrament<strong>al</strong>i che vengono proposte 87 , la più completa è<br />

quella formulata <strong>d<strong>al</strong></strong> Franz: «I sacrament<strong>al</strong>i sono segni visibili religiosi, istituiti<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la Chiesa a scopo di culto, a tutela contro gli influssi del demonio, e a incremento<br />

del bene spiritu<strong>al</strong>e e materi<strong>al</strong>e dei fedeli» 88 . A seconda del loro soggetto, i<br />

84<br />

ANDRIEU, Les OR, IV, pp. 341-342. Vedi sopra nota 81. Questa struttura ritu<strong>al</strong>e di benedizione viene<br />

poi ripresa <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Ordo romanus ad dedicandam ecclesiam del Pontific<strong>al</strong>e romano-germanico del secolo<br />

X; ediz. Vogel-Elze, I, pp. 82-89 (sez. XXXIII, 9-15).<br />

85 La “prolissità” di quest’Ordo (sez. XL, 1-150) si deve <strong>al</strong> fatto che è stata inserita una serie di benedizioni<br />

delle vesti liturgiche e delle suppellettili per il culto. Cfr. Le Pontific<strong>al</strong> romano-germanique, pp.<br />

124-173 (in particolare, p. 124).<br />

86 Ibid., pp. 139-140. Il pontific<strong>al</strong>e contiene un <strong>al</strong>tro Ordo più breve, <strong>d<strong>al</strong></strong> titolo Ordo romanus ad dedicandam<br />

ecclesiam, (sez. XXXIII, 1-49). Questo ritu<strong>al</strong>e, in effetti, «est une combination entre l’Ordo XLI et<br />

l’Ordo XLII» della raccolta di Andrieu. In quest’Ordo sono assenti le due formule di commistione<br />

sopra riportate: Ibid., pp. 82-89.<br />

87 Cfr. A. GABOARDI,s.v.,Sacrament<strong>al</strong>i, in Enciclopedia Cattolica, X, Roma 1953, coll. 1555-1558; J. BAU-<br />

DOT, s.v.,Bénédiction, in Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, II/2, Paris 1910, coll. 670-684;<br />

RIGHETTI, Manu<strong>al</strong>e, IV, pp. 473-477.<br />

88 FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen,I,p.17.<br />

437


438<br />

sacrament<strong>al</strong>i si possono dividere in tre classi; il vino che è <strong>al</strong> centro della nostra<br />

trattazione può essere collocato tra i sacrament<strong>al</strong>i che riguardano persone e cose.<br />

1. La «benedictio vini» 89 .<br />

I princip<strong>al</strong>i testimoni del gelasiano franco, comunemente denominati «gelasiani<br />

del secolo VIII», v<strong>al</strong>e a dire il Gellonensis90 e l’Augustodunensis (= Phillipps 1667) 91 ,<br />

ai qu<strong>al</strong>i si può aggiungere anche il Rhenaugiensis92 , contengono una benedictio vini<br />

senza <strong>al</strong>cuna rubrica esplicativa <strong>al</strong> riguardo:<br />

«Domine omnipotens Christe, qui ex quinque panibus et duobus piscibus quinque<br />

milia hominum satiasti et in Chana G<strong>al</strong>ileae ex aqua vinum fecisti, qui es vitis vera:<br />

multiplica super servos tuos misericordiam pietatis tuae, quemadmodum fecisti cum<br />

patribus nostris in tua misericordia sperantibus, et benedicere et sanctificare digneris<br />

hanc creaturam vini, quam ad substantiam servorum tuorum tribuisti, ut ubicumque<br />

ex hac creatura fusum fuerit vel a quolibet potatum, divinae benedictionis opulentia<br />

repleatur et accipientibus ex ea cum gratiarum actione sanctificetur in visceribus<br />

eorum; S<strong>al</strong>vator mundi, qui vivis et regnas in saecula» 93 .<br />

Questa preghiera di benedizione è tramandata anche da due pontific<strong>al</strong>i carolingi del<br />

IX secolo (Freiburg e Donaueschingen) 94 , <strong>d<strong>al</strong></strong> sacramentario Bergomense (secolo<br />

89 Cfr. Ibid., pp. 284-286.<br />

90 Liber Sacramentorum Gellonensis, a cura di A. Dumas, Turnholti 1981 (Corpus christianorum. Series<br />

latina, 159), p. 448, nr. 2842 (Benedictio vini). Cfr. CLLA 2 855/Suppl., p. 97.<br />

91 Liber Sacramentorum Augustodunensis, a cura di O. Heiming, Turnholti 1984 (Corpus christianorum.<br />

Series latina, 159 B), p. 232, nr. 1865 (Benedictio vini). Cfr. CLLA 2 853/Suppl., p. 96.<br />

92 Sacramentarium Rhenaugiense. Handschrift Rh 30 der Zentr<strong>al</strong>bibliothek Zürich, a cura di A. Hänggi, A.<br />

Schönherr, Freiburg (Schweiz) 1970 (Spicilegium Friburgense, 15), p. 256, nr. 1270 (Benedictio vini),<br />

Cfr. CLLA2 802.<br />

93 Questa formula, scrive il Franz, «finden wir in fast <strong>al</strong>len älteren Ritu<strong>al</strong>ien <strong>al</strong>s einfache Benedictio vini<br />

oder <strong>al</strong>s Benedictio novi vini». Una seconda formula, Benedico te, creatura vini, in nomine patris etc. è molto<br />

più rara e venne utilizzata come formula gener<strong>al</strong>e sia per il pane e sia per il vino e – spiega – «entbehrt<br />

daher der biblischen Hinweise, durch welche sich die erste Formel auszeichnet». Quest’ultima,<br />

a volte, viene abbreviata sopprimendo l’espressione «quemadmodum (…) sperantibus». Un’ulteriore<br />

abbreviazione (da qui es vitis fino a sperantibus) si riscontra nella nostra formula che – nell’Appendice<br />

<strong>al</strong> Ritu<strong>al</strong>e Romano – riceve come titolo Benedictio vini pro infirmis. Da ricordare infine che il contesto<br />

ritu<strong>al</strong>e della seconda formula (Benedico te creatura vini) si riferisce <strong>al</strong>la cena che in diversi monasteri<br />

segue <strong>al</strong> “mandato” (o lavanda dei piedi) il giovedì santo: FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p.<br />

285 (con nota 3) ed anche pp. 259-261.<br />

94 Zwei karolingische Pontifik<strong>al</strong>ien vom Oberrhein..., a cura di M. J. Metzger, Freiburg im Bresgau 1914<br />

(Freiburger Theologische Studien, 17), p. 51* (nr. 166). Cfr. CLLA2 1551-1552/Suppl., p. 148.


IX) 95 e <strong>d<strong>al</strong></strong> sacramentario di Fulda del secolo X 96 . La mancanza di rubriche (più o<br />

meno dettagliate) connesse <strong>al</strong>la «benedictio vini» rende difficile intuire la destinazione<br />

originaria – in assemblea liturgica – di quella formula. Secondo il Franz l’uso del<br />

vino benedetto apparterrebbe, anche in Occidente, <strong>al</strong>l’uso delle eulogie 97 ; in particolare<br />

si incontrano le eulogie del vino («die Weineulogie») sia in san Gregorio di Tours sia<br />

nelle vite più antiche di santi franchi. Franz stesso riferisce che una donna m<strong>al</strong>ata<br />

chiese a san Furseo abate di Lagny (Latiniacum; intorno <strong>al</strong> 650) l’eulogia del vino, ma<br />

siccome egli aveva finito il vino, in sostituzione le diede dell’acqua che subito si trasformò<br />

in vino con il potere di guarire. Similmente il vino benedetto da san Richerius<br />

da Centula († 644) (St. Riquier) guarì una donna che era par<strong>al</strong>izzata. Con il pane<br />

e il vino benedetto presso la tomba di san Martino di Tours venivano guariti indemoniati<br />

e m<strong>al</strong>ati con febbre <strong>al</strong>ta 98 . Verso la fine del medioevo si registrano formule<br />

di «benedictio vini» in onore di santi particolari come san Biagio e sant’Agata. Più<br />

tardi compare anche una «benedictio vini in honorem <strong>al</strong>icuius coelitis» 99 .<br />

2. Il vino di san Giovanni evangelista.<br />

«Si chiamava vino di Giovanni un sacrament<strong>al</strong>e che proteggeva contro il veleno e<br />

in gener<strong>al</strong>e contro le intossicazioni <strong>al</strong>imentari; per questo motivo – spiega Spadafora<br />

– Giovanni è t<strong>al</strong>volta rappresentato nelle vetrine delle farmacie (per<br />

95 Sacramentarium Bergomense. Manoscritto del secolo IX della Biblioteca di S. Alessandro in Colonna in Bergamo,<br />

trascritto da A. Paredi, Bergamo 1962 (Monumenta Bergomensia, 6), p. 353 (nr. 1527).<br />

96 Sacramentarium Fuldense saec. X..., a cura di G. Richter-A. Schönfelder, Fulda 1912 (Quellen und<br />

Abhandlungen zur Geschichte der Abtei und der Diözese Fulda, 9), p. 868, nr. 2788 (Benedictio vini),<br />

Cfr. CLLA2 970/Suppl. p. 109.<br />

97<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p. 284 con rimando <strong>al</strong>le pp. 239-246 dove tratta espressamente<br />

delle «nicht liturgische Eulogie». Alle eulogie nella Chiesa di Oriente e d’Occidente, l’autore<br />

dedica le pp. 229-263. Inoltre si veda P.L. JANSSENS, Les Eulogies, «Revue bénédictine», 7 (1890), pp.<br />

515-520; 8 (1891), pp. 28-41; H. LECLERCQ, s.v.,Ampoules à eulogies, in Dictionnaire d’archéologie chrétienne<br />

et de liturgie, I/2, Paris 1907, coll. 1722-1747.<br />

98<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 284 con note 3-5, il qu<strong>al</strong>e cita il Caeremoni<strong>al</strong>e Sebastiani Mylleri,<br />

Suffraganei Augustani, 1642.<br />

99 FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 285-285. Cfr. Ritu<strong>al</strong>e Romanum Pauli V Pont. Max. iussu editum<br />

etc., Editio juxta typicam Vaticanam, Mechliniae 1937, pp. 456-457: Benedictio panis, vinis, aquae et fructuum,<br />

contra gutturis aegritudinem in Festo S. Blasii Episcopi et Martyris [Approbata a SRC die 25 Sept. 1883]: «S<strong>al</strong>vator<br />

mundi Deus, qui hodiernam diem beatissimi Blasii martyrio consecrasti (…) exoramus et petimus;<br />

ut hos panes, vinum. aquam et fructus, quae plebs fidelis tibi devote hodie ad sanctificandum attulit,<br />

tua pietate bene+dicere et sancti+ficare dignes: ut, qui ex his gustaverint, ab omni gutturis plaga, et<br />

quavis <strong>al</strong>ia animae et corporis infirmitate, (…) plenam recipiant sanitatem. Qui vivis, etc.».<br />

439


440<br />

esempio, a Romans nel Delfinato) <strong>al</strong> posto e in riscontro ad Esculapio, il dio della<br />

medicina, che ha anch’esso per simbolo un serpente» 100 . All’origine di questo<br />

patronato sta la leggenda del c<strong>al</strong>ice con il veleno descritta dagli apocrifi.<br />

A. Origine e sviluppo della «Johannisminne» 101 .<br />

Tra le feste e usanze popolari (t<strong>al</strong>une – come sembra – di origine pagana) che nel<br />

medioevo si celebravano in onore di san Giovanni evangelista (27 dicembre) si<br />

annovera anche la “Minne” 102 , che acquistò molto credito quando venne accolta<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la Chiesa tra i “sacrament<strong>al</strong>i”. Adolph Franz (1842-1916), della diocesi di Bratislava<br />

e studioso di questioni liturgiche, afferma che non si è ancora riusciti a stabilire<br />

quando la “Minne” di san Giovanni abbia avuto origine. E porta questa motivazione:<br />

l’Evangelista appartiene a quel gruppo di santi (come l’arcangelo Michele<br />

e il vescovo Martino) in onore dei qu<strong>al</strong>i – secondo la testimonianza di Cesario di<br />

Arles († 542) – i franco-g<strong>al</strong>li e i burgundi facevano libagioni. In Germania si trovano<br />

formule per la benedizione della “Minne” soltanto a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> XIII secolo. Da<br />

questo periodo in avanti numerose sono le testimonianze riguardanti l’uso profano<br />

e religioso della “Minne” 103 . In effetti, non sono mancate le ipotesi circa l’origine della<br />

“Johannisminne” 104 , ma fra tutte – afferma Franz – solo una è vera: quella che<br />

ricollega la benedizione ecclesiastica della “Minne” di san Giovanni <strong>al</strong>la leggenda del<br />

c<strong>al</strong>ice con il veleno105 . Tra gli apocrifi che raccontano del c<strong>al</strong>ice (c<strong>al</strong>ix Iohannis sacer) in<br />

modi diversi106 , il Franz prende in considerazione soltanto la leggenda di Abdia107 .<br />

100 F. SPADAFORA,s.v.,Giovanni evangelista,in Bibliotheca Sanctorum, VI, Roma 1965, col. 790.<br />

101 FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 294-304.<br />

102 Minne è un termine del tedesco antico e significa “amore”, mentre nel tedesco moderno “amore”<br />

si esprime con la parola “Liebe”. Vedere K. BERTL, s.v.,Minnetrinken, in Lexicon für Theologie und Kirche,<br />

VII, Freiburg im Bresgau 1962, col. 480; FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p. 286-294.<br />

Riguardo <strong>al</strong>la accezione tedesca Minne per la bevanda di Giovanni, traducendola con la parola “amore”,<br />

si veda Ibid., pp. 324-326.<br />

103 FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 297-298.<br />

104 Franz segn<strong>al</strong>a, in particolare, quella di J. THOMASIUS, De poculo S. Iohannis, quod vulgo appellant S.<br />

Iohannis - Trunk, Lipsiae 1675, § 70.<br />

105 FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p. 298.<br />

106 Secondo la leggenda di Leucius il luogo del miracolo sarebbe Roma; stando <strong>al</strong> testo di Prochorus<br />

il miracolo avvenne a Mileto; secondo la tradizione di Abdia fu Efeso: FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen,<br />

I, pp. 298.<br />

107 Su Abdia «primo vescovo di Babilonia» e la sua opera, si veda Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura<br />

di L. Morandi, Torino 1971 (Classici delle religioni, sez. V), II, pp. 1433-1438. «Nei mss. che la con-


Riportiamo il testo in traduzione it<strong>al</strong>iana 108 :<br />

[19] Mentre avveniva questo presso Efeso e tutte le province dell’Asia ogni giorno più<br />

onoravano Giovanni diffondendone la fama, accadde che <strong>al</strong>cuni cultori di idoli causassero<br />

una sommossa: trascinarono Giovanni <strong>al</strong> tempio di Diana e lo obbligarono ad offrirle<br />

empi sacrifici. In quella circostanza il beato Giovanni disse: «Portiamoli tutti <strong>al</strong>la chiesa del<br />

Signore nostro Gesù Cristo; quando avrete invocato il suo nome, farò cadere questo tempio<br />

e annientare questo vostro idolo. Dopo di che vi sembrerà cosa giusta abbandonare la<br />

superstizione di ciò che fu vinto e distrutto <strong>d<strong>al</strong></strong> mio Dio, convertirvi a lui» (...).<br />

[20] Avuto sentore di questo, Aristodemo, gran Sacerdote di tutti quegli idoli, ripieno di<br />

un pessimo spirito, suscitò una sommossa tra la popolazione, affinché si preparassero<br />

<strong>al</strong>la guerra gli uni contro gli <strong>al</strong>tri. E Giovanni a lui: «Dimmi, Aristodemo, gli intimò, che<br />

cosa dovrò fare per togliere l’indignazione <strong>d<strong>al</strong></strong> tuo animo?». Aristodemo gli rispose: «Se<br />

vuoi che presti fede <strong>al</strong> tuo Dio, ti darò da bere un veleno. Se lo berrai e non morrai, vuol<br />

dire che il tuo Dio è quello vero ». Rispose l’apostolo: «Il veleno che mi darai da bere<br />

non potrà nuocermi, una volta che avrò invocato il nome del mio Signore». Di nuovo a<br />

lui Aristodemo: «Voglio che prima tu veda <strong>al</strong>tri berlo e subito morire, affinché così il tuo<br />

cuore possa aborrire questa bevanda». E il beato apostolo a lui: «Già prima ti assicurai<br />

di essere pronto a bere affinché tu creda nel Signore Gesù Cristo, <strong>al</strong>lorché mi vedrai<br />

sano e s<strong>al</strong>vo anche dopo aver bevuto il veleno». Aristodemo, dunque, si presentò <strong>al</strong> proconsole<br />

e chiese a lui due uomini che dovevano essere giustiziati. Dopo averli messi in<br />

mezzo <strong>al</strong>la piazza, davanti a tutto il popolo, sotto gli occhi dell’apostolo comandò che<br />

bevessero il veleno. Appena l’ebbero trangugiato, es<strong>al</strong>arono lo spirito. Allora rivolto a<br />

Giovanni, Aristodemo disse: «Ascoltami e lascia questa tua dottrina per la qu<strong>al</strong>e <strong>al</strong>lontani<br />

il popolo <strong>d<strong>al</strong></strong>l’onorare gli dèi; oppure prendi e bevi per dimostrare che il tuo Dio è<br />

onnipotente, qu<strong>al</strong>ora tu rimanga incolume dopo aver bevuto il veleno».<br />

Mentre i due che avevano preso il veleno giacevano cadaveri, il beato Giovanni con<br />

disinvoltura e coraggio prese il c<strong>al</strong>ice e fattosi il segno della croce, così parlò: Dio mio<br />

e Padre del Signor nostro Gesù Cristo, la cui parola ha creato i cieli, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e tutto è sottomesso, <strong>al</strong><br />

qu<strong>al</strong>e servono tutte le creature, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e ogni potestà è soggetta, ti teme e trema; noi ti invochiamo<br />

affinché ci aiuti. All’invocazione del tuo nome il serpente si acquieta, il dragone fugge, la vipera<br />

diventa silenziosa, come l’inquieta rubeta, o raganella, si intorpidisce, lo scorpione si c<strong>al</strong>ma, il prin-<br />

servano integra o in parte, l’opera ha vari titoli: virtutes apostolorum, miracula apostolorum, passiones apostolorum.<br />

Tenendo conto anche delle notevoli divergenze riscontrate nei mss., il Lipsius ha proposto<br />

di vedere in essa la confluenza di due generi di raccolte: prima sarebbero state sistemate insieme le<br />

passioni degli apostoli, appresso sarebbero state collezionate le loro gesta (virtutes) e <strong>d<strong>al</strong></strong>la compenetrazione<br />

delle due raccolte sarebbero sorte le historiae apostolicae di Abdia. La data approssimativa delle<br />

due raccolte è gener<strong>al</strong>mente posta tra il VI e il VII secolo; la compilazione definitiva si pensa che<br />

abbia avuto luogo in qu<strong>al</strong>che monastero franco» (Ibid., p. 1437 sgg.).<br />

108 Apocrifi, II, pp. 1520-1530 (<strong>d<strong>al</strong></strong> libro V); traduzione <strong>d<strong>al</strong></strong>l’edizione di J.A. FABRICIUS, Codex apocryphus<br />

Novi Testamenti, II, Hamburg 1719.<br />

441


442<br />

cipe è vinto e una schiera compatta non può fare nulla di nocivo; tutti gli anim<strong>al</strong>i velenosi, i rettili<br />

più feroci e nocivi vengono trafitti. Estingui tu questo succo velenoso, estingui le sue operazioni mortifere,<br />

elimina le forze che contiene; a tutti questi che hai creato dà <strong>al</strong> tuo cospetto occhi per vedere,<br />

orecchie per udire e cuore per capire la tua grandezza.<br />

Detto questo munì la sua bocca e tutto se stesso del segno di croce e bevve tutto ciò<br />

che il c<strong>al</strong>ice conteneva. Dopo che ebbe bevuto disse: Chiedo che coloro per i qu<strong>al</strong>i ho bevuto<br />

si convertano a te, Signore, e meritino di ricevere con la tua grazia illuminatrice la s<strong>al</strong>vezza che sta<br />

presso di te. Il popolo, dopo aver osservato per tre ore Giovanni con il volto sorridente,<br />

senza <strong>al</strong>cun segno di timore, cominciò a gridare a gran voce: «L’unico vero Dio è quello<br />

che adora Giovanni» (**).<br />

[21] Tuttavia Aristodemo non credeva ancora, anche se il popolo lo rimproverava, e<br />

rivoltosi a Giovanni disse: «Mi manca ancora una prova; se in nome del tuo Dio risusciterai<br />

quelli che sono morti con questo veleno, la mia mente sarà libera da ogni dubbio».<br />

Dopo t<strong>al</strong>i parole, la folla insorse contro Aristodemo gridando: «Bruceremo te e<br />

la tua casa se continui a infastidire l’apostolo con le tue chiacchiere».<br />

Vedendo dunque Giovanni che stava per nascere un’acerrima sedizione, comandò il<br />

silenzio e disse mentre tutti erano attenti: «La prima virtù divina che dobbiamo imitare<br />

è la pazienza, con la qu<strong>al</strong>e riusciamo a sopportare l’insipienza degl’increduli. Perciò<br />

se Aristodemo è schiavo dell’infedeltà, sciogliamone i nodi. Sia obbligato, anche se tardi,<br />

a riconoscere il suo creatore: non cesserò infatti da quest’opera fino a che sia data<br />

la medicina <strong>al</strong>la sua ferita. Come i medici che hanno tra le mani un m<strong>al</strong>ato bisognoso<br />

di cure, così siamo noi; se ancora Aristodemo non è stato guarito per le cose or ora fatte,<br />

si curerà con quelle che ora compirò».<br />

E fatto venire vicino a sé Aristodemo, gli diede la sua tunica; ed egli restò con il solo<br />

p<strong>al</strong>lio. Aristodemo gli domandò: «Perché mai mi hai dato la tua tunica?» E Giovanni:<br />

«Affinché <strong>al</strong>meno così abbandoni confuso la tua infedeltà». Aristodemo replicò: «E<br />

come la tua tunica mi farà abbandonare la mia infedeltà?» E l’apostolo: «Vai a metterla<br />

sopra i corpi dei defunti, dicendo così: “L’apostolo di nostro Signore Gesù Cristo mi<br />

inviò affinché nel suo nome risorgiate, e tutti sappiano che la vita e la morte obbediscono<br />

<strong>al</strong> mio Signor Gesù Cristo”».<br />

Aristodemo obbedì, li vide risorgere, si prostrò davanti a Giovanni, e andò in fretta <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

proconsole <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e disse a voce <strong>al</strong>ta: «Ascoltami, ascoltami, proconsole. Ti ricorderai,<br />

penso, come spesso mi sia adirato contro Giovanni e abbia macchinato ogni giorno<br />

molte cose contro di lui; temo di sperimentare la sua ira. È un dio infatti sotto forma<br />

umana [cfr., ad esempio, At 14, 11]; bevuto il veleno, non solo continuò a essere incolume,<br />

ma per mano mia, con il contatto della sua tunica, richiamò in vita coloro che per<br />

il veleno erano morti, ed ora non mostrano più <strong>al</strong>cun segno di morte».<br />

(**) Si deve a questa tradizione se Giovanni, qu<strong>al</strong>che volta, è raffigurato con un c<strong>al</strong>ice in mano; c<strong>al</strong>ice<br />

che una volta era additato ai pellegrini nella chiesa di San Giovanni in Roma. La sostanza <strong>al</strong>meno<br />

della narrazione era nota a sant’Agostino che la ricorda nei Soliloqui.


All’udire t<strong>al</strong>i cose il proconsole esclamò: «E ora cosa vuoi che faccia?» Rispose Aristodemo:<br />

«Andiamo a gettarci ai suoi piedi, chiediamo perdono e facciamo qu<strong>al</strong>unque cosa<br />

ci comanderà». Vennero assieme e si prostrarono chiedendo indulgenza. Al vederli egli<br />

offrì a Dio un ringraziamento e comandò loro una settimana di digiuno; <strong>al</strong> termine del<br />

qu<strong>al</strong>e li battezzò nel nome di nostro Signor Gesù Cristo, di suo Padre onnipotente e dello<br />

Spirito santo illuminatore. Dopo essere stati battezzati con le loro famiglie, domestici<br />

e parenti, spezzarono tutti i simulacri e costruirono una basilica sotto il titolo di san<br />

Giovanni. In essa lo stesso Giovanni apostolo morì nel modo seguente (...).<br />

Leggende su c<strong>al</strong>ici colmi di veleno erano già presenti nelle narrazioni della vita<br />

di <strong>al</strong>cuni santi: Franz ne segn<strong>al</strong>a <strong>al</strong>cune 109 , ma – a suo giudizio – un’impronta più<br />

efficace dei miracoli compiuti da questi santi ha avuto il c<strong>al</strong>ice di veleno di san<br />

Giovanni, e speci<strong>al</strong>mente la preghiera che l’apostolo recitò prima della bevanda (v. sopra<br />

nr. 20). L’evangelista chiedeva a Dio, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e tutte le piante e gli anim<strong>al</strong>i pericolosi<br />

o velenosi sono assoggettati, di rendere inefficace il veleno contenuto nella<br />

coppa, così che tutti riconoscessero la potenza di Dio. Nessuno poteva immaginare<br />

una benedizione così miracolosa ed efficace come quella. Di conseguenza,<br />

in Inghilterra, nel periodo tra l’VIII e il IX secolo la preghiera di san Giovanni<br />

venne accolta come preghiera “contra venenum” nel Book of Nunnaminster e,<br />

senza questa specificazione, anche nel Book of Cerne. Parimenti, in Germania<br />

questa preghiera si trova nei Passionari, come il Clm 4554 (di Benediktbeuern),<br />

che ris<strong>al</strong>gono <strong>al</strong>lo stesso periodo 110 .<br />

Il Franz giustamente rileva che sia il libro di Nunnaminster sia il libro di Cerne<br />

sono raccolte private di preghiere non liturgiche in uso nei monasteri. Però<br />

l’inserimento di quella preghiera in questi libri induce a pensare che essi non fossero<br />

utilizzati nella liturgia e che t<strong>al</strong>e preghiera poté essere adottata a motivo della<br />

sua provenienza e del suo effetto miracoloso 111 .<br />

Nei libri liturgici tedeschi anteriori <strong>al</strong> secolo XIII non si fa menzione di una<br />

benedizione del vino di san Giovanni. Pertanto, conclude il Franz, prendiamo<br />

per v<strong>al</strong>ida l’ipotesi che la forma ecclesiastica della “Minne” di san Giovanni<br />

entrò in uso in Germania a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> secolo XIII. Infatti non si riesce a capire<br />

– insiste ancora – come la forma ritu<strong>al</strong>e di una tradizione tanto importante per<br />

109 FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 299-300.<br />

110 Ibid., p. 300 con note 7 e 8 per le fonti. Nei due libri sopra citati, la preghiera dell’apostolo è riportata<br />

senza la qu<strong>al</strong>ifica di preghiera per la benedizione del vino.<br />

111<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 300-301.<br />

443


444<br />

il popolo non sia stata trascritta e conservata nei libri liturgici del X, XI e XII<br />

secolo quando essa ebbe origine. Ne consegue che prima di essere recepita <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

Chiesa e di aver ricevuto una forma ritu<strong>al</strong>e, già da tempo la “Minne” di san<br />

Giovanni era in uso presso il popolo 112 .<br />

B. D<strong>al</strong>la «preghiera di san Giovanni» <strong>al</strong>le formule di benedizione della «Johannisminne» 113 .<br />

La preghiera dell’Evangelista a protezione o a difesa <strong>d<strong>al</strong></strong> veleno – come si è accennato<br />

– era già in uso da tempo per cui quel testo apocrifo ha subìto poche modifiche<br />

per diventare una formula di benedizione della “Minne” di san Giovanni. In<br />

re<strong>al</strong>tà, quella “preghiera” costituisce la base di tutte le formule di preghiera della<br />

“Minne” di san Giovanni114 .Lapreghiera di san Giovanni – spiega il Franz – presenta<br />

due redazioni: una conservata nella leggenda di Abdia e l’<strong>al</strong>tra nella «Passio<br />

sancti Iohannis evangelistae» di Mellito o Mellitus; la «passio» però è una versione<br />

abbreviata della leggenda di Abdia. Ambedue i testi furono ampiamente diffusi e<br />

molte volte sono confluiti l’uno nell’<strong>al</strong>tro; ciò è visibile in non pochi passi della<br />

medesima preghiera. La stessa tradizione non riflette pienamente il testo di Abdia<br />

o quello di Melito per cui il Franz ai fini di un’an<strong>al</strong>isi redazion<strong>al</strong>e, trascrive il testo<br />

della preghiera tramandato <strong>d<strong>al</strong></strong> passionario di Benediktbeuern, (Clm 4554; ff.<br />

18v-19r), che ris<strong>al</strong>e <strong>al</strong> periodo fine VIII - inizio IX secolo115 .<br />

Questa preghiera dell’Evangelista non poteva, come è ovvio, essere usata<br />

nella sua forma integr<strong>al</strong>e per la benedizione del vino: infatti il c<strong>al</strong>ice in cui beveva<br />

san Giovanni conteneva vino avvelenato, mentre la benedizione si riferiva<br />

112 Ibid., p. 301; in <strong>al</strong>tre parole, la “Minne” di Giovanni faceva parte della tradizione o religiosità popolare<br />

(?). Il Franz sviluppa poi quest’ultima conclusione nelle pp. 301-302 riportando testi in tedesco<br />

antico della “Minne” di santa Gertrude e di san Giovanni. Successivamente (pp. 302-304) espone,<br />

critica e rifiuta la tesi di I. ZINGERLE [Johannisseges und Gertrudenminne,in Sitzungsberichten der K.K. Akademie<br />

der Wissenshaftern, Wien 1862 (Phil.-hist. Klasse, 40), pp. 197 sgg.], il qu<strong>al</strong>e ritiene che l’origine<br />

della “Minne” di Giovanni sia da ricercare nella festa del solstizio estivo e invern<strong>al</strong>e in onore di “Fro”<br />

e “Freyr”, dèi dell’antico popolo germanico.<br />

113<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 304-318. Alla nota 6 di p. 297 l’autore informa che, fino<br />

a quella data, «die Weiheformeln haben überhaupt noch keine Bearbeitung gefunden»: di qui la sua<br />

puntigliosa an<strong>al</strong>isi dei testi.<br />

114<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p. 305.<br />

115 Ibid., pp. 305-306. L’apparato critico che si accompagna <strong>al</strong> testo è costituito <strong>d<strong>al</strong></strong>le varianti secondo<br />

l’edizione di Fabricius (vedi sopra nota 108) e <strong>d<strong>al</strong></strong>le varianti del libro di preghiere di Nunnaminster e<br />

di Cerne, ai qu<strong>al</strong>i si è accennato sopra. A queste fonti poi fa riferimento la comparazione con il testo<br />

tramandato <strong>d<strong>al</strong></strong> passionario di Benediktbeuern (Ibid., p. 306).


soltanto <strong>al</strong> vino: pertanto venne conservata soltanto la prima parte (che loda il<br />

potere di Dio su tutte le cose e sulle specie velenose), eliminando tutto ciò che si<br />

riferiva <strong>al</strong>la coppa di veleno. T<strong>al</strong>e principio si applica <strong>al</strong>la formula contenuta nel<br />

Ritu<strong>al</strong>e di St. Florian del secolo XII (= CF XI 467) 116 .<br />

C. Formule di benedizione della “Johannisminne”.<br />

1. Benedictio amoris sancti Iohannis evangeliste:<br />

«Deus et pater domini nostri Iesu Christi, cuius verbo celi firmati sunt, cui omnis creatura<br />

deservit et omnis potestas subiecta est et metuit et expavescit; nos te ad auxilium<br />

invocamus, cuius audito nomine serpens conquiescit, draco fugit, vipera silet et subdola<br />

illa que dicitur rana inquieta torpescit, scorpius extinguitur, regulus vincitur et<br />

ph<strong>al</strong>angius nichil noxium operatur, et omnia venenata et adhuc forciora repencia et<br />

anim<strong>al</strong>ia noxia tenebrantur: tu extingue omnes diabolice fraudis humano generi adversantes<br />

nequicias et hunc liquorem vini per intercessionem sancti Iohannis evuangeliste<br />

tua virtute benedicas et omnes ex eo gustantes meritis et precibus omnium sanctorum<br />

tuorum intervenientibus ab omni m<strong>al</strong>o custodias et ad regnum glorie tue perducas tua<br />

misericordia, ubi pax est et leticia sempiterna secula seculorum. Amen» 117 .<br />

Il redattore di questa benedizione – spiega il Franz – aveva sott’occhio la<br />

“preghiera di san Giovanni” nella versione di Abdia: lo si deduce <strong>d<strong>al</strong></strong>le piccole<br />

modifiche introdotte 118 . All’inizio nella parte derivata <strong>d<strong>al</strong></strong>la “preghiera di san<br />

Giovanni” – spiega ancora il Franz – anim<strong>al</strong>i più vistosi che, a motivo del loro<br />

veleno, potrebbero danneggiare l’uomo (draco, vipera, rana, scorpius, regulus, ph<strong>al</strong>angius),<br />

nei manu<strong>al</strong>i mediev<strong>al</strong>i di storia natur<strong>al</strong>e venivano descritti come anim<strong>al</strong>i<br />

ributtanti e nemici pericolosi dell’uomo. Nel mondo delle leggende e delle streghe<br />

il “drago” aveva un ruolo importante. La “vipera” è il serpente velenoso che,<br />

nel bosco e nella campagna, insidia l’uomo. Lo “scorpione” racchiude nella coda<br />

un veleno mortifero. Gli occhi del “basiliscus” o “regulus” (serpente) uccidono<br />

l’uomo che incrociano con lo sguardo. Il morso del “ph<strong>al</strong>angius” (tarantola) porta<br />

disgrazia <strong>al</strong>l’uomo. Tutta questa gamma di anim<strong>al</strong>i velenosi e pericolosi per<br />

116 Cfr. Das Ritu<strong>al</strong>e von St. Florian aus dem zwölften Jahrhundert…, a cura di A. Franz, Freiburg im Breisgau<br />

1904, pp. 3-28 (Einleitung); PALAZZO, Histoire des livres liturgiques, pp. 197-203 (Les Rituels). Sul<br />

monastero di St. Florian si veda L. H. COTTINEAU, Répertoire topo-bibliographique des Abbayes et Prieurés,<br />

Macon 1937, coll. 2679-2680.<br />

117 Das Ritu<strong>al</strong>e von St. Florian,p.45.Cfr.FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 307-308.<br />

118 FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p. 308.<br />

445


446<br />

l’uomo conferisce <strong>al</strong>la preghiera la forma di un vero e proprio esorcismo contro<br />

il veleno e dovette sembrare una formula di benedizione particolarmente adatta<br />

<strong>al</strong>la “Johannisminne” 119 . In chiusura, diversamente <strong>d<strong>al</strong></strong>la parte inizi<strong>al</strong>e, si prega<br />

perché vengano annientati gli inganni del diavolo, tramite l’intercessione dell’Evangelista,<br />

in modo che chi beve vino sia liberato da qu<strong>al</strong>siasi m<strong>al</strong>e e ottenga la<br />

beatitudine eterna: è la fin<strong>al</strong>ità stessa della benedizione che si aggancia, per così<br />

dire, anche ai «meritis et precibus omnium sanctorum» 120 .<br />

Come semplice preghiera di benedizione senza particolare specificazione la<br />

nostra formula (v. sopra) si trova nei mess<strong>al</strong>i di St. Florian del secolo XIII, nel ritu<strong>al</strong>e<br />

di Mondsee del secolo XIV e in un ritu<strong>al</strong>e del secolo XV proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>la stessa<br />

loc<strong>al</strong>ità (Austria superiore) 121 . Altrove, invece, nelle regioni dell’Austria, le formule<br />

di questa benedizione furono ampliate già nel secolo XIII come la seguente, che<br />

si trova nel Vindobonensis P<strong>al</strong>atinus 1248 della K.K. Hofbibliothek di Vienna 122 .<br />

2. Benedictio vini sancti Iohannis 123 :<br />

1. «Deus meus et pater domini (...) radices arescant: te ergo suppliciter deprecamur, ut<br />

benedicere et sanctificare digneris hanc creaturam vini, ut quisquis ex eo gustaverit per<br />

intercessionem dilecti filii tui Iohannis evangeliste vitam consequatur eternam. Extingue<br />

in hac creatura vini, si quid veneni, si quid veneni, si quid potationis<br />

in se habet, et omnes vires mortiferas ab eo clementer evacua.<br />

2. Omnipotens eterne deus, qui ex quinque panibus (...) et benedicere et sanctificare<br />

digneris hanc creaturam vini in nomine patris, etc.<br />

3. In principio erat (Io 1, 1-14).<br />

4. In illo tempore recumbentibus undecim discipulis (...) sequentibues signis (Mc 16,<br />

14-20). Sancti loannis evangeliste vini benedictio protegat bibentes ab omni m<strong>al</strong>o» 124 .<br />

La conclusione della prima formula di benedizione si ispira ancora <strong>al</strong>la “preghiera<br />

di san Giovanni”; nella formula acquista più spazio la considerazione del-<br />

119 Ibid., pp. 308-309 con relative note.<br />

120 Ibid., p. 309.<br />

121 Ibid., p. 310.<br />

122 Ibid., p. 310 a nota 3.<br />

123 Ibid., pp. 310-312.<br />

124 Quest’espressione, in inchiostro rosso, chiude il formulario; più sotto un’ornamentazione con<br />

questo distico: «Brevis oracio, longa potacio est vini consummacio. / Si post vina labes, non vini sed<br />

tua labes». Citazione ripresa da FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p. 311 nota 2.


la forza del vino di Giovanni contro il veleno. La seconda orazione è la «Benedictio<br />

vini novi» 125 abbreviata nella conclusione. Il prologo dell’evangelo di Giovanni<br />

ha carattere apotropaico, secondo la ment<strong>al</strong>ità mediev<strong>al</strong>e; il secondo brano<br />

è qui scelto con particolare riferimento <strong>al</strong> versetto 18: «et si mortiferum quid<br />

biberint, non eos nocebit». Lo stesso formulario, ma con minori variazioni, si<br />

trova pure in due <strong>al</strong>tri ritu<strong>al</strong>i dell’abbazia di Klosterneuburg (secoli XIII e XIV)<br />

e in un ritu<strong>al</strong>e di Augsburg del secolo XIV 126 . Nel XIII secolo era in uso nel<br />

monastero di Neuburg (Austria) un formulario più lungo per la «Benedictio vini<br />

sancti Iohannis». A sua volta, il secondo ritu<strong>al</strong>e di St. Florian 127 <strong>al</strong>l’inizio del secolo<br />

XIV presentava un formulario di benedizione assai ampliato e ancora più ricco<br />

128 . Siamo così <strong>al</strong> terzo stadio dello sviluppo della “Johannisminne”.<br />

3. In festo Iohannis Evangeliste post nativitatem vel post pasca benedicitur vinum129 .<br />

Il rito di benedizione è introdotto <strong>d<strong>al</strong></strong> S<strong>al</strong>mo 66 (Deus misereatur nostri) con le<br />

«preces»: Kyrie eleison, Pater noster e Credo in Deum. Segue un esorcismo sul vino<br />

(Exorcizo te creatura vini) accompagnato da due preghiere, <strong>al</strong>quanto prolisse. Nella<br />

prima (Omnipotens sempiterne deus, tu primos homines) si accenna <strong>al</strong>la creazione dell’uomo,<br />

<strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e sono soggetti tutti gli anim<strong>al</strong>i della terra, ma dopo la caduta dei<br />

progenitori anche queste creature non sono più a lui soggette; pertanto si invoca<br />

la benevolenza di Dio uno e trino:<br />

«quatenus huic creature tue vini per tuam sanctificationem et benediccionem tantam et<br />

t<strong>al</strong>em inmittere et retribuere digneris efficaciam et virtutem, ut qui fide bona sumpse-<br />

125 Il testo completo a p. 436 del presente studio. Si veda anche Das Ritu<strong>al</strong>e von St. Florian, p. 104.<br />

126<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p. 311; elenco delle fonti qui segn<strong>al</strong>ate <strong>al</strong>le pp. XXVI-XXVII.<br />

Nei due ritu<strong>al</strong>i di Klosterneuburg è assente il brano di Mc 16, 14-20.<br />

127 Das Ritu<strong>al</strong>e von St. Florian, pp. 21-24 (Einleitung: «(…) aus dem 14. Jahrhundert» [= CFl XI 434]).<br />

Questo ritu<strong>al</strong>e deriva <strong>d<strong>al</strong></strong> precedente, datato XII secolo (vedi sopra p. 445); <strong>al</strong>cune parti risultavano<br />

antiquate.<br />

128<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 311-312.<br />

129 Si intenda «post nativitatem Domini», v<strong>al</strong>e a dire il 27 dicembre, festa di san Giovanni evangelista.<br />

Con l’espressione «vel post pasca» si <strong>al</strong>lude <strong>al</strong>la festa di san Giovanni evangelista «ante Portam Latinam»<br />

(6 maggio). Non è noto – spiega il Franz – che in questa circostanza avesse luogo la benedizione<br />

del vino; senza dubbio con la festa di san Giovanni dopo pasqua si intende qui il martedì di<br />

pasqua che, per an<strong>al</strong>ogia con le feste nat<strong>al</strong>izie, nella diocesi di S<strong>al</strong>zburg ed anche <strong>al</strong>trove, era dedicata<br />

<strong>al</strong>l’Evangelista: FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p. 327; testo della benedizione <strong>al</strong>le pp. 312-<br />

313. Questo formulario si trova pure nel mess<strong>al</strong>e di St. Florian (CFl III 204) datato fine secolo XIV<br />

(Ibid., p. 314 e nota 1).<br />

447


448<br />

rint haustum ex eo, fiat illis obstaculum contra perversas demonum inmissiones, contra<br />

m<strong>al</strong>orum hominum persecuciones, contra sevarum bestiarum invasiones (...)».<br />

Per l’intercessione dell’apostolo Giovanni, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e venne affidata la madre del<br />

S<strong>al</strong>vatore, infonda il Signore la rugiada della sua benedizione:<br />

«ut conferat nobis potus iste [il vino] donum gemine caritatis, dei et proximi, s<strong>al</strong>utem<br />

mentis et corporis cunctaque necessaria et s<strong>al</strong>utaria in praesenti vita et per eterna<br />

secula (...)».<br />

La seconda preghiera (Deus et pater domini nostri Iesu Christi) è la stessa del precedente<br />

ritu<strong>al</strong>e di St. Florian (secolo XII), ma ampliata – con un’accentuazione più<br />

forte – nella parte fin<strong>al</strong>e:<br />

«(...) tua virtute benedicas; remove virus venenosum, extingue operaciones mortiferas et<br />

vires, quas in se habent evacua, et concede omnibus eundem potum et haustum pregustantibus<br />

oculos, ut te videant, aures, ut te audiant, cor, ut magnitudinem tuam intelligant,<br />

et eos meritis et precibus omnium sanctorum ab omni m<strong>al</strong>o custodias et ad regnum gloriae<br />

tue perducas, ubi pax vera est et leticia in sempiterna secula seculorum. Amen».<br />

Una monizione introduce poi <strong>al</strong> brano evangelico di Gv 1, 1-14:<br />

«Iste est discipulus, qui dignus fuit esse inter secreta dei. Iste solus meruit divina inspiracione<br />

dicere: In principio erat Verbum, etc.<br />

Per istos sermones sancti evangelii dominus benedicere dignetur hunc potum vini».<br />

Da ultimo un’invocazione a cui segue l’orazione e la benedizione:<br />

a) «Ora pro nobis beate Iohannes evangelista: Ut digni etc.<br />

b) Oremus. Sit nobis, domine, quesumus, beati Iohannes apostolus tuus et evangelista<br />

contra quodcumque venenum presidium, qui ad confirmandam tui nominis potenciam<br />

veneni sumpsit poculum.<br />

c) Increatus pater, increatus filius, increatus spiritus sanctus.<br />

Immensus pater, immensus filius, immensus spiritus sanctus.<br />

Aeternus pater, aeternus filius, aeternus spiritus sanctus130 .<br />

d) Benediccio dei patris et filii et spiritus sancti descendat super hunc liquorem vini, ut<br />

sit remedium omnibus ex eo bibentibus in vita eternam. Amen».<br />

In un manoscritto dell’anno 1310 che apparteneva <strong>al</strong>l’ospizio della Collegiata di<br />

Phyrn e venne trovato nella collegiata di San Paolo nella Carinzia (Austria) si tro-<br />

130 I versetti d) derivano <strong>d<strong>al</strong></strong> Simbolo di sant’Atanasio. Questa formula veniva usata in senso dispregiativo<br />

contro i demoni e le disgrazie: FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, nota 6 di p. 313.


va lo stesso ritu<strong>al</strong>e di benedizione che abbiamo descritto, ma in una redazione e<br />

disposizione dei vari elementi un po’ modificata131 . Le variazioni del testo sono<br />

insignificanti, con eccezione per la seconda orazione (Deus et pater domini) che<br />

nella parte fin<strong>al</strong>e, così recita:<br />

«(...) per amorem dilecti tui Iohannis tu extingue in hoc poculo omne veneni virus,<br />

extingue operationes pessimas, quod bibituri sunt fideles tui, et in conspectu tuo omnibus,<br />

quos tu creasti et precioso sanguine unigeniti filii tui redemisti, da oculos ut<br />

videant, et aures ut te audiant et cor ut magnificentiam tuam intelligant» 132 .<br />

4. Il formulario abbreviato di benedizione in un manoscritto del secolo XIV133 .<br />

Al formulario più sopra descritto, lo stesso manoscritto del 1310 fa seguire una<br />

seconda benedizione abbreviata:<br />

Benedictio vini sancti Iohannis.<br />

1. Benedico te, creatura vini, in nomine patris et filii et spiritus sancti per virtutem<br />

dominicae passionis et resurrectionis a mortuis, ut sanctificata verbo dei benedictionem<br />

accipias adversus omnes nequitias spirit<strong>al</strong>es et universas v<strong>al</strong>etudines infirmitatesque<br />

membrorum et, quicumque ex te sumpserint, sis eis in tutelam mentis et corporis<br />

in honorem domini nostri Iesu Christi, qui est benedictus in secula seculorum.<br />

2. Deus Abraham, deus Ysaac, deus Iacob, suppliciter te deprecor, ut infundere digneris<br />

in hanc creaturam vini odoris tui virtutem, ut sit fidelibus tuis munimentum tue<br />

defensionis, ne intret hostis antiquus in viscera eorum et aditum ac sedem habere non<br />

possit.<br />

Secundum Iohannem. In principio erat Verbum (Io 1,1-14).<br />

3. Benedictio. Benedictio dei patris omnipotentis et filii et spiritus sancti descendere<br />

dignetur super hanc creaturam vini, ut animabus et corporibus s<strong>al</strong>ubris potatio et<br />

perfecta medicina efficiatur. Per Christum.<br />

Tunc: Et cum lohannes dixisset, os suum et semetipsum totum armavit signo sancte<br />

crucis et bibit totum, quod erat in c<strong>al</strong>ice.<br />

Tunc aspergatur et thurificetur.<br />

131 Cfr. FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 314-315.<br />

132 Nel Ritu<strong>al</strong>e Augustanum del 1444 a p. 65 vi è questa preghiera a sé stante: «Tu, domine, per invocacionem<br />

tue genitricis dilecte sancte Marie, ob dilectionem sancti Iohannis evangeliste extingue<br />

omnes veneni vires, extingue operaciones m<strong>al</strong>ificas et vires, quas in se habeant, evacua, et in conspectu<br />

tuo omnibus his, quos tu creasti, da eis oculos, ut videant et aures, ut audiant, et cor, ut magnitudinem<br />

tuam intelligant, da eis s<strong>al</strong>utem mentis et corporis. Qui cum patre». Testo ripreso da FRANZ,<br />

Die Kirchlichen Benediktionen, I, nota 5 di p. 314 sgg.<br />

133 FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 285 e 315-316.<br />

449


450<br />

È il primo formulario che esclude la “preghiera di Giovanni”: conserva però il<br />

legame con la leggenda di Abdia nella parte fin<strong>al</strong>e della benedizione (Et cum<br />

Iohannes etc.). Complessivamente nel secolo XIV i testi contenuti nel 2° e 3° formulario<br />

qui presi in esame (v. sopra pp. 445 e 446) vengono sostituiti <strong>d<strong>al</strong></strong>la benedizione<br />

della “Johannesminne”. Alla “preghiera di Giovanni” a volte manca l’esorcismo;<br />

il prologo di Giovanni viene usato, con poche eccezioni, semplicemente<br />

come brano di Vangelo; si nota invece una varietà nella scelta dei s<strong>al</strong>mi: <strong>al</strong><br />

posto del s<strong>al</strong>mo 66 si prega anche il s<strong>al</strong>mo 22 (Dominus reget et nihil mihi deerit).<br />

Sopravvivenza della benedizione del vino di san Giovanni<br />

Nei manoscritti del secolo XV si incontrano, oltre a queste preghiere, nuove<br />

formule ulteriormente elaborate; inoltre aumenta il numero delle antifone e dei<br />

versetti; infine come nuovo brano di vangelo viene inserito il racconto delle nozze<br />

di Cana con il miracolo dell’acqua cambiata in vino (Gv 2, 1-11). In <strong>al</strong>tre parole,<br />

si apre una nuova fase nella configurazione e sviluppo della benedizione del<br />

vino, che però non rientra nel quadro del presente contributo 134 .<br />

Un’ultima annotazione. Il Franz conclude il lungo capitolo dedicato <strong>al</strong>la<br />

benedizione della “Johannesminne” affermando che, come la pratica della “Minne”<br />

di Giovanni era una tradizione nazion<strong>al</strong>e della stirpe tedesca, così anche la<br />

benedizione del vino di san Giovanni era una consuetudine della Chiesa tedesca<br />

135 . T<strong>al</strong>e benedizione era sconosciuta in Francia: infatti non è segn<strong>al</strong>ata neppu-<br />

134 Si veda in proposito FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 318-326: l’autore presenta una raccolta<br />

di 12 formule (o preghiere) nuove; unitamente a brevi formule dopo la lettura del brano evangelico<br />

e di benedizione in chiusura.<br />

135<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, pp. 326-334. All’usanza tipicamente tedesca fa riferimento<br />

un’annotazione del can. Pierre-Etienne Duc che riferisce di una cerimonia strettamente loc<strong>al</strong>e, praticata<br />

nelle due parrocchie di Gressoney-St. Jean e di Gressoney-La-Trinité. Si tratta della benedizione<br />

del vino il 27 dicembre, festa di san Giovanni evangelista. «Ce vin – spiega – port le nom de saint Jean,<br />

parce qu’on le bénit en mémoire de saint Jean l’Evangéliste, et qu’en Allemagne on le boit, encore<br />

dans l’église, le prêtre disant en offrant ce vin: Bibe ad amorem sancti Iohannis, in nomine Patris + et Filii +<br />

et Spiritus Sancti +. Amen. La majeure partie se boit dans le sein de chaque famille qui a envoyé du vin<br />

pour le faire benir. Cette coutume tient à la légende suivante, laquelle l’idolâtre Aristomède donna à<br />

boir à saint Jean du vin empoisonné, disant qu’il se ferait chrétien si Jean le buvait sans en souffrir.<br />

L’apôtre le but et s’en trouva bien. L’église, en bénissant le vin, rappelle cet légende en exprimant le<br />

désir que cette boisson produise des effects s<strong>al</strong>utaires pour le corps et pour l’âme: Omnes ex eo gustan-


e una volta <strong>d<strong>al</strong></strong> maurino Edmond Martène († 1730) nella sua opera De antiquis<br />

Ecclesiis ritibus libri tres. È assente – come sembra – dai ritu<strong>al</strong>i inglesi e del nord.<br />

Il Sacerdot<strong>al</strong>e Romanum riporta il formulario della «Benedictio vini in festo sancti<br />

Iohannis evangeliste contra venenum» 136 , ma da ciò non consegue – sottolinea il<br />

Franz – che la “Minne” fosse in uso anche il It<strong>al</strong>ia. Il curatore di questo libro liturgico<br />

spiega chiaramente che ha raccolto cerimonie particolari provenienti da Chiese<br />

diverse. È però comprensibile che, nei molteplici rapporti fra l’It<strong>al</strong>ia e la Germania,<br />

questa usanza tedesca abbia potuto trovare accoglienza in <strong>al</strong>cune regioni<br />

it<strong>al</strong>iane. Ne è prova la «Peregrinatio fratris Iacobi de Verona» dell’anno 1335. Nel<br />

«Conductus», il suo libro di preghiera nei viaggi, ha raccolto la Benedictio vini in amore<br />

Iohannis Evangeliste et Apostoli: un formulario <strong>al</strong>quanto dissimile da quello in uso<br />

in Germania 137 . In gener<strong>al</strong>e, nei ritu<strong>al</strong>i dell’area it<strong>al</strong>ica, conclude il Franz, non si<br />

trova il formulario di benedizione della “Minne” di san Giovanni: unica eccezione,<br />

come si è accennato, il Sacerdot<strong>al</strong>e Romanum 138 . In re<strong>al</strong>tà, una ricerca in t<strong>al</strong> senso<br />

sui Ritu<strong>al</strong>i it<strong>al</strong>iani a stampa 139 – come sembra – non è ancora stata fatta. Ad esem-<br />

tes, dit le rituel de Passau, expulso toto genere nocivo, infuso suae benedictionis mysterio, in anima et corpore mereantur<br />

misericorditer exhilarari. La formule du rituel de Bamberg exprime le voeu que “le buveur de ce vin<br />

ainsi béni soit pénétré de l’amour qui remplissait l’âme de l’apôtre saint Jean”»: Ritu<strong>al</strong>e Augustanum, a<br />

cura di R. Amiet, II, Quart-Aoste 1991 (Monumenta Liturgica Ecclesiae Augustanae, 13), pp. 86-87.<br />

136 Sacerdot<strong>al</strong>e Romanum, Ad consuetudinem S. Romanae Ecclesiae <strong>al</strong>iarumque Ecclesiarum ex Apostolicae<br />

Bibliothecae, ac Sanctorum Patrum iurium sanctionibus, et Ecclesiasticorum Doctorum scriptis, ad aptatum quorumque<br />

Sacerdotum commodum, collectum: atque Summorum Pontificum authoritate multoties approbatum…, Venetiis<br />

1785, Pars secunda, cap. 12, pp. 206-207. Il formulario presenta questo schema:<br />

a) Adiutorium nostrum.<br />

In principio erat Verbum (Io 1, 1-14).<br />

b) Evangelium. Nuptiae factae sunt in Cana G<strong>al</strong>ileae etc. (Io 2, 1-11)<br />

c) Per istos sermones sancti evangelii, etc.<br />

d) Benedicat Dominus Iesus hanc creaturam vini. Amen.<br />

Ps 22 (Dominus regit me).<br />

Kyrie eleison, Christe eleison, Kyrie eleison.<br />

Pater noster. Ave Maria, cum precibus.<br />

e) Oratio. Deus et pater Domini nostri Iesu Christi cuius verbo caeli firmati sunt etc. (v. sopra p. 445).<br />

Oratio. Deus cuius potestate beatus Iohannes evangelista potum venenosum et toxicum digessit etc.<br />

f) Benedictio Dei omnipotentis (…) descendat et maneat super hanc creaturam vini. Amen.<br />

Aspergatur aqua benedicta.<br />

137<br />

FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p. 326 nota 5. Vedi sopra nota 135.<br />

138 Ibid., p. 326.<br />

139 Vedere G. ZANON, Cat<strong>al</strong>ogo di Ritu<strong>al</strong>i liturgici it<strong>al</strong>iani <strong>d<strong>al</strong></strong>l’inizio della stampa <strong>al</strong> 1614 , «Studia Patavina»,<br />

31 (1984), pp. 496-564.<br />

451


452<br />

pio, il ritu<strong>al</strong>e di Brescia del 1570, pubblicato <strong>d<strong>al</strong></strong> vescovo Bollani140 , non conosce<br />

affatto la benedizione del vino di san Giovanni141 ; mentre <strong>d<strong>al</strong></strong>l’elenco dei contenuti<br />

del Liber sacerdot<strong>al</strong>is del Castellani risulta che a f. 218v dell’edizione del 1523 è<br />

riportato il formulario «De benedictione vini in festo sancti Iohannis evangelistae<br />

contra venenum» 142 . L’ultimo approdo di questo formulario è nel Ritu<strong>al</strong>e Romanum<br />

pubblicato da Paolo V il 17 giugno 1614 come libro autorevole per tutta la Chiesa<br />

cattolica143 . Vi sono raccolti due formulari di benedizione del vino di san Giovanni<br />

apostolo ed evangelista. Significativa è la loro collocazione: nella «Appendix ad<br />

Ritu<strong>al</strong>e Romanum sive collectio <strong>al</strong>iarum Benedictionum et Instructionum sanctae<br />

Sedis auctoritate approbatarum seu permissarum etc.» 144 .<br />

La rubrica del primo formulario riferisce che il sacerdote, dopo la messa princip<strong>al</strong>e,<br />

«vinum a populo oblatum, in memoriam et honorem S. Johannis, qui<br />

venenum innocue sumpsit benedicit (...)». Chiaro è il riferimento <strong>al</strong>la leggenda di<br />

Abdia (v. sopra pp. 441-443), che traspare pure <strong>d<strong>al</strong></strong>la prima orazione:<br />

«Bene+dicere et conse+crare digneris Domine Deus, dextera tua hunc c<strong>al</strong>icem vini, et<br />

cuiuslibet potus: et praesta; ut per merita sancti Iohannis Apostoli et Evangelistae,<br />

omnes in te credentes et de c<strong>al</strong>ice isto bibentes benedicantur, et protegantur. Et sicut<br />

beatus Ioannes de c<strong>al</strong>ice bibens venenum, illaesus omnino permansit, ita omnes, hac die in honorem<br />

beati Joannis de c<strong>al</strong>ice isto bibentes, meritis ipsius ab omni aegritudine veneni, et noxiis quibusvis<br />

absolvantur, et corpore ac anima se offerentes, ab omni culpa liberentur. Per Christum<br />

Dominum nostrum».<br />

140 Ritu<strong>al</strong>e sacramentorum, secundum Romanam ecclesiam reverendiss. D. Domini Bollani episcopi Brixiae iussu editum<br />

ad usum suae ecclesiae, Brixiae 1570. Se ne conoscono due esemplari conservati, uno presso la<br />

Biblioteca Queriniana di Brescia, l’<strong>al</strong>tro presso il British Museum di Londra.<br />

141 Cfr.G.ZANON, Il Ritu<strong>al</strong>e di Brescia del 1570, modello del Ritu<strong>al</strong>e Romano di Paolo V, Roma 1988 (Studia<br />

Anselmiana, 95. An<strong>al</strong>ecta Liturgica, 12), pp. 643-681 (in particolare, pp. 671-672). «Le benedizioni<br />

riportate sono poche»: complessivamente dieci.<br />

142 Cfr. E. CATTANEO, Il Ritu<strong>al</strong>e Romano di Alberto Castellani, in Miscellanea Liturgica in onore di S. E. il<br />

Cardin<strong>al</strong>e Giacomo Lercaro…, II, Roma 1967, pp. 629-647, in part. p. 638.<br />

143 Per un’inquadratura storica ecc., si veda G. LÖW,s.v.,Ritu<strong>al</strong>e romano,in Enciclopedia Cattolica, X, coll.<br />

1010-1015.<br />

144 Ritu<strong>al</strong>e Romanum Pauli V Pont. Max., jussu editum… atque auctoritate SS.mi D.N. Pii Papae XI ad normam<br />

Codicis Juris Canonici accomodatum, edictio juxta typicam Vaticanam, Mechliniae 1937, pp. 447-451.<br />

Nella Editio Typica del 25 gennaio 1952 («Ss.mi D.N. Pii Papae XII auctoritate ordinatum et auctum»)<br />

l’Appendice segn<strong>al</strong>ata entrò a far parte del titolo IX De benedictionibus, cap. III. Benedictiones quibusdam<br />

diebus infra annum impertiendae, senza <strong>al</strong>cuna modifica nelle formule: cfr. Ritu<strong>al</strong>e Romanum, etc., Typis<br />

Polyglottis Vaticanis, A.D. 1962, pp. 402-407.


Segue una seconda orazione e quindi la benedizione: «Et benedictio Dei omnipotentis<br />

(...) descendat super hanc creaturam vini, et cuiuslibet potus, etc.» che si conclude<br />

con l’aspersione di acqua benedetta145 . Il secondo formulario non ha particolari<br />

rubriche; <strong>al</strong>l’ultimo evangelo della messa (In principio erat Verbum) segue il s<strong>al</strong>mo 22<br />

(Dominus regit me) con le preci (tra le qu<strong>al</strong>i: «Et si mortiferum quid biberint / non eis<br />

nocebit» con tre orazioni146 di cui la terza richiama ancora la leggenda di Abdia (v.<br />

sopra p. 441-443):<br />

«Deus, qui humano generi panem in cibum et vinum in potum procreasti [...]; quique beato<br />

Joanni praedilecto discipulo tuo tantam gratiam contulisti, ut non solum haustum veneni illaesus<br />

evaderet, sed etiam in tua virtute veneno prostratos a morte resuscitaret: praesta omnibus hoc<br />

vinum bibentibus, ut spiritu<strong>al</strong>em laetitiam et vitam consequi mereantur aeternam. Per» 147 .<br />

Terminiamo questa ricerca, che necessiterebbe di ulteriori approfondimenti, con<br />

una pagina di liturgia loc<strong>al</strong>e.<br />

Lavanda dei piedi e cerimonia convivi<strong>al</strong>e: il giovedì santo a S. Giulia di Brescia 148<br />

La liturgia del giovedì santo descritta <strong>d<strong>al</strong></strong> Liber Ordinarius (secolo XV) del monastero<br />

149 comprendeva diverse celebrazioni: <strong>al</strong> mattino, dopo l’ora di terza (quindi<br />

tra le 9 e le 10) la messa del popolo, cioè dei fedeli, nella qu<strong>al</strong>e «communicent<br />

145 Ritu<strong>al</strong>e Romanum… iuxta typicam Vaticanam, p. 403 (il corsivo è nostro).<br />

146 Cfr. FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen, I, p. 321-322, nr. 8-9 («Domine sancte (…), qui filium<br />

tuum unigenitum, coaeternum etc; Domine Iesu Christe, qui te vitem veram, etc.»).<br />

147 Ritu<strong>al</strong>e Romanum… iuxta typicam Vaticanam, pp. 404-407 (il corsivo è nostro). Cfr. FRANZ, Die kirchlichen<br />

Benediktionen, I, p. 322, nr. 10.<br />

148 Sul monastero si veda, in particolare, M. BETTELLI BERGAMASCHI, Per la storia del sito di S. S<strong>al</strong>vatore<br />

- S. Giulia a Brescia: il contributo di due fonti fra XIII e XV secolo, «Nuova Rivista Storica», 80/1 (1995),<br />

pp. 35-74; G. ARCHETTI, Per la storia di S. Giulia nel <strong>Medioevo</strong>. Note storiche in margine ad <strong>al</strong>cune pubblicazioni<br />

recenti, «Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia», V/3 (2000), pp. 5-44; Culto e storia<br />

in Santa Giulia, Atti del Convegno (Brescia, 20 ottobre 2000), a cura di G. Andenna, Brescia 2001;<br />

San S<strong>al</strong>vatore - Santa Giulia a Brescia. Il monastero nella storia, a cura di R. Stradiotti, Milano 2001, con<br />

particolare riferimento ai contributi di G. Andenna, G.P. Brogiolo, G. Archetti, A. Breda, G. Spinelli<br />

e G. Belotti.<br />

149<br />

Cfr.S.GAVINELLI, La liturgia del cenobio di Santa Giulia in età comun<strong>al</strong>e e signorile attraverso il Liber ordinarius,<br />

in Culto e storia, pp. 121-148, in part. p. 133. È in preparazione l’edizione critica del Liber Ordinarius<br />

per la collana «Monumenta It<strong>al</strong>iae Liturgica» diretta da F. Dell’Oro.<br />

453


454<br />

convecinos et parochianos» (f. 28 r ). Nel pomeriggio, dopo l’ora di nona (tra le<br />

ore 15 e le 18), vi era la messa per le monache, nella qu<strong>al</strong>e «debeant omnes domine<br />

communicari». Seguiva il vespro «submissa voce», quindi le monache «vadant<br />

in refectorio ad comedendum cum silentio» (f. 28 r ). Dopo un conveniente interv<strong>al</strong>lo,<br />

ha luogo il “mandato” o lavanda dei piedi, che in una comunità femminile<br />

come quella di S. Giulia, si svolgeva in tre momenti consecutivi: lavanda dei piedi;<br />

proclamazione del vangelo di Giovanni Ante diem festum Paschae (13, 1-15), la<br />

cui lettura terminava in refettorio in forma convivi<strong>al</strong>e; la cerimonia si concludeva<br />

poi «in ecclesia» (f. 28 v ).<br />

a) La lavanda dei piedi, con acqua c<strong>al</strong>da 150 , si svolgeva nel chiostro inferiore<br />

presso la fontana. La badessa e la priora, iniziando <strong>d<strong>al</strong></strong>le monache più anziane,<br />

lavavano, asciugavano e baciavano i piedi di tutte le consorelle: la cerimonia era<br />

accompagnata <strong>d<strong>al</strong></strong> canto di antifone di cui la prima era Mandatum novum do vobis<br />

(Gv 13, 34) 151 . Il canto si protraeva «donec omnes pedes fuerint abluti». Poi <strong>al</strong>cune<br />

monache si recavano a lavare «cum reverentia» i piedi della badessa: il gesto<br />

era sottolineato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antifona Vos vocatis me magister et dominus (Gv 13, 13). Successivamente<br />

la badessa offriva l’acqua «ad abluendum manus omnibus dominabus»<br />

e intonava l’antifona Maneant in vobis spes fides caritas; da ultimo tre monache<br />

portavano <strong>al</strong>la badessa l’acqua «ad abluendum manus».<br />

b) Nel chiostro inferiore presso la fontana – come si è accennato – era pure<br />

<strong>al</strong>lestito un <strong>al</strong>tare debitamente preparato per il secondo momento del “mandato”.<br />

I presbiteri e i “clerici” rivestiti con appropriati paramenti 152 giungevano<br />

<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tare; il sacerdote iniziava a leggere il brano evangelico di Giovanni: Ante diem<br />

festum Paschae fino <strong>al</strong>le parole et ad Deum vadit; quindi, rivolto <strong>al</strong>la comunità delle<br />

monache, diceva: Surgite et eamus hinc. A questo invito, tutti, presbiteri, “clerici” e<br />

150 Si reclutava per l’occorrenza quattro conversi dell’Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e, annesso <strong>al</strong> monastero, per sc<strong>al</strong>dare<br />

l’acqua. Liber Ordinarius: «Et cantoria mittat pro IIIIor de conversis de nostro hospit<strong>al</strong>i qui debeant<br />

c<strong>al</strong>efacere aquam ad faciendum mandatum» (f. 28v ).<br />

151 or or Liber Ordinarius: «Et cantoria precipiat IIII de plus iunioribus ut aportent IIII antifenariis ad<br />

faciendum mandatum et quando incipiunt ad abluendum pedes cantoria incipiat in voce hanc<br />

antiphonam Mandatum novum do vobis, antiphone que secuntur (…)» (f. 28v ).<br />

152 Liber Ordinarius: «Et secreste faciant venire presbiteri et clerici parati de cotis et pluvi<strong>al</strong>ibus et planetis<br />

et paratum <strong>al</strong>tare more solito et cum celostris et cereis accensis et incenso et aqua sancta ita ut<br />

deberent canere missam (...) quando ipsi veniunt debeat pulsare tabulam per tres vices» (f. 28v ) Sono<br />

i presbiteri addetti <strong>al</strong>la vicina chiesa di S. Daniele annessa <strong>al</strong> monastero e quindi a servizio della<br />

comunità monastica. Cfr. ARCHETTI, Per la storia,p.29.


monache si recavano nel refettorio: qui il sacerdote concludeva la lettura del brano<br />

evangelico.<br />

c) Siamo così <strong>al</strong> terzo momento della cerimonia. L’ambiente – come riferisce<br />

il Liber Ordinarius153 – era preparato sobriamente con tre lunghi tavoli ricoperti<br />

di tovaglie bianche, ricamate in modo raffinato, intorno <strong>al</strong>le qu<strong>al</strong>i le religiose<br />

prendevano posto nel modo solito. Solo <strong>al</strong>lora la badessa ordinava di portare<br />

due brocche di vetro che venivano poste su un grande basamento di pietra<br />

e in cui era contenuto, nella prima, una potione costituita di acqua e miele, nell’<strong>al</strong>tra<br />

del buon vino di colore vermiglio come il sangue del Signore. Lei stessa<br />

poi, aiutata <strong>d<strong>al</strong></strong>la priora e da un’<strong>al</strong>tra suora anziana, si incaricava di versare le due<br />

bevande nei bicchieri delle consorelle, le qu<strong>al</strong>i le baciavano la mano nel momento<br />

in cui mesceva il vino; viceversa quando tutte le monache avevano bevuto, ne<br />

veniva offerto anche <strong>al</strong>la superiora che ripeteva umilmente il gesto del bacio <strong>al</strong>la<br />

mano a colei che gliene porgeva. Solo <strong>al</strong> termine di questa distribuzione supplementare<br />

d’acqua e vino, si dava da bere <strong>al</strong> sacerdote e ai chierici che, avutone,<br />

in silenzio facevano ritorno verso la chiesa di S. S<strong>al</strong>vatore seguiti <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

monache154 . Quivi aveva luogo la recita di compieta. Il redattore termina la<br />

descrizione della lavanda dei piedi e della cerimonia convivi<strong>al</strong>e con questa motivazione:<br />

«Et hec his similia facere debemus ad honorem et exemplar nostri magistri qui dixit<br />

beato Petro: “Si non lavero tibi pedes non abebis partem mecum”» (ff. 28v-29r ).<br />

La peculiarità di questo rito a S. Giulia sta – come si è accennato – nella sua configurazione<br />

<strong>al</strong>la comunità monastica femminile: nella sua struttura originaria<br />

153 Liber Ordinarius: «Et tres mense debeant cooperiri de pulcris et <strong>al</strong>bis gausapibus, et omnes domine<br />

vadant ad sedendum ad mensas more solito. Et abatissa faciat venire duas ydrias supra lapidem<br />

magnum, una potionis et <strong>al</strong>tera boni vini, et abatissa et priorissa cum una <strong>al</strong>ia domina det potum omnibus<br />

dominabus et cum duas fi<strong>al</strong>as vitreas in una potione et in <strong>al</strong>tera vinum et in hoc debet dare<br />

potum [usque] maiori usque ad minorem sicuti vadunt per ordinem. Et quando domina porigit fi<strong>al</strong>am<br />

potionis cuilibet domine, ipsa obsculet manum abatisse. Et cum illa domina reddet fi<strong>al</strong>am abatisse,<br />

abatissa debet obsculare manus dicte domine. Et supradictum modum teneat cum illa que portat<br />

fi<strong>al</strong>am vini. Et postea det potum presbiteris et clericis. Et postea redeant cum <strong>al</strong>tare in ecclesia»<br />

(f. 28v ). Il corsivo è nostro.<br />

154<br />

ARCHETTI, Per la storia, p. 19. L’intero svolgimento di questa cerimonia è descritto anche in G.<br />

ARCHETTI, La vite e il vino a Brescia nel medioevo, «Civiltà bresciana» VI/3 (1977), pp. 17-19 e ripreso in<br />

IDEM, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (Fondamenta,<br />

4), pp. 486-488.<br />

455


456<br />

però il ritu<strong>al</strong>e del “mandato” con la lettura della pericope evangelica di Giovanni<br />

e con la degustazione della coppa di vino era tradizion<strong>al</strong>e nei monasteri<br />

maschili come, ad esempio, nel monastero di Rheinau (Svizzera) 155 e nella abbazia<br />

S. Arnolfo di Metz (Francia) 156 .<br />

155 Cfr. Der rheinauer Liber Ordinarius (Zürich Rh 80, Anfang 12. Jh.), a cura di A. Hänggi, Freiburg<br />

(Schweiz) 1957 (Spicilegium Friburgense, 1), pp. 122-126 (De mandato fratruum).<br />

156 Cfr. Der Liber Ordinarius der Abtei St. Arnulf von Metz (Metz, Stadtbibliothek, Ms. 132, um 1240), a<br />

cura di A. Odermatt, Freiburg (Schweiz) 1987 (Spicilegium Friburgense, 31), pp. 162-165 (De mandato<br />

fratruum; De caritate et de cypho sancti Arnulphi); <strong>al</strong>tri esempi in ARCHETTI, De mensura potus, in questo<br />

volume.


Se ci si prende la briga di sfogliare il c<strong>al</strong>endario annesso <strong>al</strong>lo Sluzhebnik, il ‘Libro<br />

del Servizio [Liturgico]’ con i riti eucaristici proprio della chiesa di Russia, si<br />

noterà che di tanto in tanto, subito dopo l’enunciazione della memoria o della<br />

festa del giorno, compare una rubrica, <strong>al</strong>quanto ermetica per i non iniziati, che<br />

avverte: «è permesso il vino e l’olio» 1 . Questo significa che se quella determinata<br />

festa o memoria cade in uno dei quattro periodi penitenzi<strong>al</strong>i dell’anno liturgico<br />

2 , o in qu<strong>al</strong>siasi mercoledì e venerdì, si permette il consumo dell’olio e del vino<br />

che, di norma, in quei giorni e periodi resta interdetto. Nell’applicazione concreta<br />

la prescrizione riguarda soprattutto i monaci e il clero, ma numerose sono<br />

le persone e le famiglie appartenenti <strong>al</strong>le chiese ortodosse che si attengono con<br />

scrupolo a questa normativa. Se però la spiritu<strong>al</strong>ità ortodossa è decisamente<br />

‘proibizionista’, non lo è la sua tradizione liturgica, dove il vino trova ai nostri<br />

giorni numerose possibilità di impiego, ben oltre quello, ovvio e comune a tutte<br />

le chiese apostoliche, nella celebrazione della divina eucaristia.<br />

In questa sede l’utilizzazione del vino nella liturgia di Bisanzio verrà visto<br />

esclusivamente attraverso i libri liturgici, greci ma anche slavi, con un continuo<br />

rimando <strong>al</strong>la tradizione manoscritta esaminata di prima mano. Infatti oltre <strong>al</strong>le<br />

note del classico Ritu<strong>al</strong>e Graecorum di Jacques Goar 3 , <strong>al</strong>le pagine di J.-M. Hanssens<br />

1 Sluzhebnik, Roma 1956, pp. 493-622.<br />

2 Sono le ‘quaresime’ di Nat<strong>al</strong>e (15/IX-24/XII), della Dormizione della Theotokos (1-14/VIII), di<br />

Pasqua e degli apostoli Pietro e Paolo, queste ultime due di durata variabile, cfr. J. HERBURT, De ieiunio<br />

et abstinentia in ecclesia byzantina ab initiis usque ad saec. XI, Roma 1968 (Corona Lateranensis, 12).<br />

3 EÙcolÒgion sive Ritu<strong>al</strong>e Græcorum complectens ritus et ordines Divinæ Liturgiæ, officiorum, sacramentorum,<br />

consecrationum, benedictionum, funerum, orationum &c. cuilibet personæ, statui, vel tempori congruos, juxta usum<br />

Orient<strong>al</strong>is Ecclesiæ ... editio secunda expurgata & accuratior, Venetiis 1730 (rist. Graz 1960), pp. 551-554.<br />

* Pontificio Ateneo S. Anselmo, Roma.<br />

STEFANO PARENTI*<br />

Il vino nella liturgia bizantina<br />

457


458<br />

dedicate <strong>al</strong> vino eucaristico nelle chiese orient<strong>al</strong>i 4 e di P. De Meester su <strong>al</strong>cune<br />

benedizioni 5 , non mi risulta che sul nostro argomento sia stato scritto <strong>al</strong>tro nell’arco<br />

degli ultimi settanta anni. Non terrò conto invece delle consuetudines monastiche<br />

relative <strong>al</strong> consumo del vino, anche se spesso sono codificate nei vari<br />

tupik¦ liturgici, ma che in re<strong>al</strong>tà restano norme puramente disciplinari.<br />

La vite e il vino nei manoscritti dell’eucologio<br />

Il corrispondente costantinopolitano del sacramentarium romano, in quanto raccolta<br />

ordinata di preghiere (eÙca…) presidenzi<strong>al</strong>i, riservate cioè <strong>al</strong> vescovo o presbitero<br />

celebrante, prende il nome di eucologio (eÙcolÒgion) 6 . Il più antico esemplare<br />

manoscritto di questo libro, tutt’ora indispensabile per lo svolgimento del<br />

culto liturgico, è tramandato nel codice Barberini gr. 336 della Biblioteca Apostolica<br />

Vaticana, copiato in C<strong>al</strong>abria nella seconda metà dell’VIII secolo 7 . Come<br />

quasi tutti i libri liturgici, anche l’antico Barberini è il risultato di una compilazione<br />

da più fonti; vi si distinguono infatti un fondo costantinopolitano, una tradizione<br />

patriarc<strong>al</strong>e e degli apporti medio-orient<strong>al</strong>i, la cui particolare sintesi è caratteristica<br />

della tradizione liturgica dell’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e greca.<br />

Nella sezione ‘patriarc<strong>al</strong>e’ vi è riportata una doppia preghiera che il vescovo<br />

della Nuova Roma recitava in occasione della vendemmia imperi<strong>al</strong>e 8 , poi più<br />

avanti nel codice la preghiera viene copiata una seconda volta 9 , ma senza <strong>al</strong>cuna<br />

menzione dei regnanti, destinata <strong>al</strong>la comune vendemmia e sprovvista della for-<br />

4 J.-M. HANSSENS, Institutiones liturgicae de ritibus orient<strong>al</strong>ibus. II: De missa rituum orient<strong>al</strong>ium, I, Roma 1930,<br />

pp. 217-271.<br />

5 P. DE MEESTER, Liturgia bizantina. Studi di rito bizantino <strong>al</strong>la luce della teologia, del diritto ecclesiastico, della storia,<br />

dell’arte e dell’archeologia. II/4: Ritu<strong>al</strong>e-benedizion<strong>al</strong>e bizantino, Roma 1930, pp. 387-391.<br />

6 S. PARENTI, L’eucologio slavo del Sinai nella storia dell’eucologio bizantino, Roma 1997 (Seminario del Dipartimento<br />

di Studi Slavi e dell’Europa Centro-orient<strong>al</strong>e. Università di Roma ‘La Sapienza’. Filologia Slava,<br />

2), pp. 5-9.<br />

7 S. PARENTI, E.VELKOVSKA, L’Eucologio Barberini gr. 336. Seconda edizione riveduta con traduzione in lingua<br />

it<strong>al</strong>iana, Roma 2000 (Bibliotheca Ephemerides Liturgicae. Subsidia, 80).<br />

8<br />

PARENTI,VELKOVSKA, Eucologio Barberini, §§ 177-178. E. V. MALTESE, Per una storia del vino nella cultura<br />

bizantina: appunti <strong>d<strong>al</strong></strong>la letteratura profana,in ID., Dimensioni bizantine. Donne, angeli e demoni nel medioevo greco,<br />

Torino 1995, 93-110.<br />

9<br />

PARENTI,VELKOVSKA, Eucologio Barberini, § 215,1.


mula fin<strong>al</strong>e di keph<strong>al</strong>oklisia 10 . Nell’eucologio Paris Coislin 213, copiato a Costantinopoli<br />

nel 1027, vi è un’intera sezione con preghiere relative <strong>al</strong>la coltivazione<br />

della vite, <strong>al</strong>la vendemmia e <strong>al</strong>la degustazione dei primi grappoli di uva 11 . Data<br />

l’importanza della raccolta e la provenienza costantinopolitana del codice, ne<br />

riporto gli incipit nell’ordine in cui le preghiere si trovano nel manoscritto:<br />

[1] EÙc¾ e„j tÕ futeàsai ¢mpelîna. SÝ e ¹ ¥mpeloj, Cristš, ¹ ¢lhqin», kaˆ Ð<br />

Pat¾r Ð gewrgÒj sti...<br />

[2] EÙc¾ n ¢rcÍ trÚghj koinÁj. ‘O proskunhtÕj swt¾r kaˆ p£ntwn QeÒj, Ð t¾n<br />

¥mpelon futeuqÁnai tù dika…w sou Nîe kaqupode…xaj...<br />

[3] EÙc¾ pˆ trÚgV. ‘O QeÕj Ð QeÕj ¹mîn, Ð eÙdok»saj ¥mpelon klhqÁnai tÕn<br />

monogenÁ sou UƒÕn kaˆ QeÕn tÕn KÚrion ¹mîn ’Ihsoàn CristÒn...<br />

[4] EÙc¾ e„j met£lhyin stafulÁj. EÙlÒghson KÚrie, tÕn karpÕn toàton tÕn nšon<br />

tÁj ¢mpšlou...<br />

[5] EÙc¾ ginomšnh ØpÕ toà patri£rcou, Óte prÕj sun»qeian pitele‹ t¾n trÚghn<br />

Ð basileÝj kaˆ tÍ ie\ aÙgoÚstou mhnÕj n Blacšrnaij. Toà diakÒnou lšgontoj<br />

sunapt»n, Ð ¢rciereÝj peucetai: ‘O QeÕj Ð swt¾r ¹mîn, Ð eÙdok»saj ¥mpelon<br />

klhqÁnai tÕn monogenÁ sou UƒÕn kaˆ QeÕn tÕn KÚrion ¹mîn ’Ihsoàn CristÒn...<br />

[5b] ‘O ¢rciereÚj: E„r»nh p©sin. ‘O di£konoj: T¦j kef<strong>al</strong>£j. ‘O ¢rciereÝj peÚcetai:<br />

KÚrie tîn dun£mewn, Ð BasileÝj tÁj dÒxhj, toÝj t¾n p…geion basile…an<br />

ØpÕ soà pisteuqšntaj...<br />

Alcune delle preghiere dell’eucologio Coislin si ritrovano anche in eucologi periferici<br />

del X e X-XI secolo copiati in It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e e in Medio Oriente. L’orazione<br />

[1] è tràdita, per esempio, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’eucologio it<strong>al</strong>o-greco Grottaferrata G. b.<br />

VII 12 , l’orazione [2] da due antichi eucologi it<strong>al</strong>o-greci, il St. Peterburg RNB, gr.<br />

226 13 e il Grottaferrata G. b. IV 14 , mentre le orazioni [3, 5 e 5b] sono le stesse dell’antico<br />

eucologio Barberini. L’aspetto che accomuna le formule orazion<strong>al</strong>i [1, 2,<br />

10 Quella di kef<strong>al</strong>oklis…a è una preghiera con funzione di congedo recitata sui fedeli che chinano la<br />

testa, per cui si v. R. F. TAFT, The inclination prayer before communion in the byzantine liturgy of St. John Chrysostom,<br />

«Ecclesia Orans», 3 (1986), pp. 29-60.<br />

11 A. DMITRIEVSKIJ, Opisanie liturgicheskix rukopisej xranjashchixsia v bibliotekax pravoslavnago Vostoka. II:<br />

Eujcolovgia, Kiev 1901 (rist. Hildesheim 1965), p. 1021.<br />

12 G. PASSARELLI, L’eucologio cryptense G.b. VII (sec. X), Thess<strong>al</strong>onikê 1982 (’An£lekta Blat£dwn, 36), p.<br />

137, § 220.<br />

13 e A. JACOB, L’euchologe de Porphyre Uspenski. Cod. Leningr. gr. 226 (X siècle), «Le Muséon», 78 (1965), p. 196,<br />

§ 180.<br />

14 S. PARENTI, L’eucologio manoscritto G.b. IV (X sec.) della Biblioteca di Grottaferrata. Edizione (Excerpta ex Dis-<br />

sertatione ad Doctoratum), Roma 1994, § 183.<br />

459


460<br />

3, 5 e 5b] del Coislin 213 è una diversa e più concisa recensione testu<strong>al</strong>e rispetto<br />

ai testimoni it<strong>al</strong>o-greci di appena mezzo secolo più antichi. La stessa diversa<br />

recensione la possiamo osservare anche nel caso dell’orazione [4] che, nell’eucologio<br />

medio-orient<strong>al</strong>e Sinai gr. 959, si presenta con varianti rispetto <strong>al</strong> contemporaneo<br />

del Coislin 213 15 .<br />

Il fenomeno della ‘doppia recensione’ dell’eucologia costantinopolitana<br />

deve essere messo in relazione con la riforma liturgica avviata dopo il secondo<br />

iconoclasmo (a. 840) e attuata nel corso del IX secolo 16 , ma a cui le periferie liturgiche<br />

come il Medio Oriente e l’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e sono rimaste per lungo tempo<br />

estranee. Evidenziare la doppia recensione eucologica è comunque importante<br />

perché consente di retrodatare a prima del IX secolo preghiere costantinopolitane<br />

non riportate nell’eucologio Barberini.<br />

Accanto <strong>al</strong> repertorio costantinopolitano i manoscritti periferici affiancano<br />

preghiere <strong>al</strong>ternative per il medesimo scopo secondo le leggi della ‘duplicazione’<br />

e/o ‘sostituzione eucologica’ 17 . In questo modo nell’eucologio it<strong>al</strong>o-bizantino<br />

Vaticano gr. 1833 (X secolo) avremo una formula per quanti vendemmiano 18 , significativamente<br />

introdotta <strong>d<strong>al</strong></strong>la rubrica «<strong>al</strong>tra preghiera» (eÙcº ¥llh), orazione sconosciuta<br />

a Costantinopoli ma comune a Sinai gr. 973, un eucologio medio-orient<strong>al</strong>e<br />

copiato nel 1152-53 19 . La presenza di una stessa preghiera in eucologi bizantini<br />

it<strong>al</strong>ioti e medio-orient<strong>al</strong>i si spiega per l’It<strong>al</strong>ia in conseguenza di un influsso diretto<br />

esercitato <strong>d<strong>al</strong></strong>le liturgie melkite in lingua greca e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra come resistenza delle<br />

stesse liturgie melkite in Oriente di fronte <strong>al</strong>l’avanzata del rito bizantino 20 .<br />

Se si confronta la situazione prospettata nei manoscritti con l’eucologio oggi<br />

in uso nelle chiese ortodosse si vedrà che vi sono confluite per lo più le preghiere<br />

costantinopolitane del Coislin 213, e segnatamente la preghiera [1], [3] e [4],<br />

15 DMITRIEVSKIJ, Opisanie,p.47.<br />

16 PARENTI, L’eucologio slavo del Sinai, pp. 13-16. Sulla riforma post-iconoclasta si veda anche R. F. TAFT, Storia<br />

sintetica del rito bizantino, Città del Vaticano 1999 (Collana di Pastor<strong>al</strong>e Liturgica, 20), pp. 60-65.<br />

17 PARENTI, L’eucologio slavo del Sinai, pp. 16-20.<br />

18 v r Vaticano gr. 1833, ff. 45 -46 ,cfr.P.CANART, Bibliothecae Apostolicae Vaticanae Codices manu scripti ...<br />

Codices Vaticani graeci: codices 1745-1962.I:Codicum enarrationes, Città del Vaticano 1970, p. 274, dove la<br />

preghiera viene data per inedita.<br />

19<br />

DMITRIEVSKIJ, Opisanie, p. 116.<br />

20 J. NASRALLAH, La liturgie des Patriarchats melchites de 969 à 1300, «Oriens Christianus», 71 (1987), pp.<br />

156-181; CH.HANNICK, Annexions et reconquêtes byzantines: peut-on parler d’«uniatisme» byzantin?, «Irénikon»,<br />

66 (1993), pp. 451-474.


specificando per quest’ultima che l’orazione viene recitata il 6 agosto, quando<br />

l’uva viene assaggiata per la prima volta21 . Se l’eucologio contemporaneo non ha<br />

saputo integrare, qui come in <strong>al</strong>tri ambiti, la ricchezza o <strong>al</strong>meno l’abbondanza<br />

orazion<strong>al</strong>e della tradizione manoscritta, è pur vero che rispetto <strong>al</strong> repertorio<br />

eucologico di Costantinopoli ci ha trasmesso una preghiera per la benedizione<br />

del vino22 , la cui più antica testimonianza manoscritta ris<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la fine del X secolo.<br />

Dato che il codice G. b. X di Grottaferrata che la riporta, presenta rispetto <strong>al</strong><br />

textus receptus <strong>al</strong>cune varianti importanti23 , ho pensato di pubblicarne qui il testo<br />

greco affiancato da una traduzione:<br />

KÚrie ¢gaq kaˆ fil£nqrwpe, œfide pˆ tÕn o non toàton kaˆ pˆ toÙj lamb£nontaja<br />

x aÙtoà, kaˆ eÙlÒghson aÙtÕn kaˆ aÙtoÝj æj eÙlÒghsaj tÕ fršar toà ’Iakëb<br />

kaˆ t¾n kolumb»qran toà {toà} Silw¦m kaˆ tÕn pot»rion tîn ¡g…wn sou<br />

¢postÒlwn: Ö kaˆ paragen£menoj n Kan´ tÁj G<strong>al</strong>ilšaj e„j tÕn g£mon kaˆ<br />

eÙlog»saj t¦j x Ødr…aj kaˆ tÕ Ûdwr e„j o non metab<strong>al</strong>ën kaˆ t¾n dÒxan sou<br />

fanerèsaj, kaˆ t¾n s¾nb c£rin kaˆ t¾n eÙlog…an xapÒsteilon, KÚrie Ð qeÕj ¹mîn,<br />

kaˆ pˆ tÕn o non toàton: Óti le»mwn kaˆ fil£nqrwpoj qeÕj Øp£rcei, kaˆ soˆ<br />

t¾n dÒxan ¢napšmpomen, sÝn tù ¢n£rcù sou patr….<br />

a Cod. lamb£nountaj<br />

b Cod. t¾n<br />

Signore buono e amico degli uomini, volgi lo sguardo su questo vino e su chi ne gusta,<br />

e benedici questo e quelli come hai benedetto il pozzo di Giacobbe, la piscina di Siloe e<br />

il c<strong>al</strong>ice dei tuoi santi apostoli. Tu che sei venuto <strong>al</strong>le nozze in Cana di G<strong>al</strong>ilea e hai benedetto<br />

le sei giare mutando l’acqua in vino ed hai mostrato la tua gloria, invia, Signore<br />

nostro Dio, la tua grazia e benedizione su questo vino, perché tu sei Dio misericordioso<br />

e pieno di amore per gli uomini, e noi a te rendiamo gloria, <strong>al</strong> tuo Padre che non<br />

conosce principio.<br />

Il textus receptus della preghiera chiede sul vino non solo la benedizione del Signore,<br />

ma direttamente lo Spirito Santo (tÕ ¤giÒn sou [i.e. Cristoà] Pneàma), una<br />

richiesta propria del contesto anaforico e qui decisamente fuori posto. Più interessante<br />

invece è il richiamo <strong>al</strong>la benedizione del «c<strong>al</strong>ice dei santi apostoli» che<br />

21 EÙcolÒgion tÕ mšga tÁj kat¦ ¢natol¦j ÑrqodÒxou kaqolikÁj ’Ekklhs…aj, Venezia 1862 2<br />

(rist. Atene 1992), pp. 497-498. J. PARISOT, La bénédiction liturgique des raisins, «Revue de l’Orient Chrétien»,<br />

4 (1899), p. 359.<br />

22 Ibid., p. 498.<br />

23 Grottaferrata G. b. X, f. 94 rv .<br />

461


462<br />

avremo modo di incontrare in seguito a proposito dei riti matrimoni<strong>al</strong>i. La tradizione<br />

it<strong>al</strong>o-greca, più propriamente del S<strong>al</strong>ento bizantino, ci ha conservato nell’Ottoboni<br />

gr. 344, copiato a Otranto nel 1174 (f. 129r ), una ulteriore preghiera per<br />

benedire il vino nuovo24 :<br />

EÙc¾ eij tÕ eÙlogÁsai o non nšon.<br />

KÚrie Ð qeÕj ¹mîn, soà deÒmeqa kaˆ s parak<strong>al</strong>oàmen, eÙlÒghson, ¡g…ason tÕn<br />

o non toàton: eÜfr£non t¦j yuc¦j tîn x aÙtoà pinÒntwn, kaˆ pl»qunon aÙtÕn<br />

aÙto‹j k tÁj piÒthtoj toà o‡kou sou, Ópwj eÙfrainÒmenoi x aÙtoà dox£zwmen<br />

tÕ pan£gion Ônom£ sou toà patrÕj kaˆ toà uƒoà kaˆ toà ¡g…ou pneÚmatoj, nàn.<br />

Preghiera per benedire il vino nuovo<br />

Signore nostro Dio, ti preghiamo e ti supplichiamo: benedici, santifica questo vino, r<strong>al</strong>legra<br />

lo spirito di quanti ne bevono e moltiplic<strong>al</strong>o per loro <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abbondanza della tua casa,<br />

affinché resi lieti <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, diamo gloria <strong>al</strong> tuo nome, Padre, Figlio e Spirito Santo, ora.<br />

Uno dei riti più costanti e diffusi dell’eucologio bizantino, sebbene non venga<br />

riportato nell’antico Barberini gr. 336, è quello celebrato per la purificazione di un<br />

contenitore <strong>al</strong>imentare 25 . È un rito legato <strong>al</strong>la vita di tutti i giorni in un contesto<br />

soci<strong>al</strong>e dove la perdita di riserve agricole, nel nostro caso il vino, ma anche olio<br />

o miele o <strong>al</strong>tro, magari per la caduta accident<strong>al</strong>e di un topo o di un <strong>al</strong>tro anim<strong>al</strong>e,<br />

poteva mettere in crisi l’economia domestica. La táxis riportata in uno dei<br />

codici più antichi che lo contiene, il Mosca RGB, gr. 27 (X secolo), prevede che se<br />

qu<strong>al</strong>cosa di impuro cade in un recipiente di generi <strong>al</strong>imentari, bisogna subito<br />

buttarlo via, prendere un nuovo recipiente e lavarlo dentro e fuori. Quindi il<br />

celebrante lo deve incensare <strong>al</strong>l’interno e <strong>al</strong>l’esterno e infondervi un po’ d’acqua<br />

benedetta nella festa della Teofania (6 gennaio), poi travasare il vino o l’olio che<br />

sia <strong>d<strong>al</strong></strong> recipiente sporco in quello pulito. A questo punto il celebrante recita una<br />

preghiera e versa di nuovo sul prodotto l’acqua della Teofania e ne assaggia <strong>al</strong>la<br />

presenza di tutti. Per finire la rubrica avverte: «Se quanto è caduto di impuro è<br />

restato per lungo tempo nel recipiente del vino fino a marcire, <strong>al</strong>lora non resta<br />

che buttare via il vino, e non bisogna neanche assaggiarlo» (!) 26 .<br />

Per ultimo vorrei segn<strong>al</strong>are una preghiera da recitare sul vino «quando inizia<br />

a fermentare», tràdita questa volta <strong>d<strong>al</strong></strong> celebre Euchologium Sinaiticum, il più antico<br />

24 DMITRIEVSKIJ, Opisanie, p. 219, <strong>d<strong>al</strong></strong> Sinai gr. 966 del XIII secolo.<br />

25 DE MEESTER, Liturgia bizantina, pp. 260-264.<br />

26 Mosca RGB, gr. 27, ff. 109v-110r.


testimone glagolitico dell’eucologio bizantino 27 , e della qu<strong>al</strong>e non è stato rinvenuto<br />

un equiv<strong>al</strong>ente greco 28 . Tra le centinaia di orazioni che può contenere un<br />

eucologio, certamente quelle destinate <strong>al</strong> vino e <strong>al</strong>la vite hanno incontrato grande<br />

favore da parte di fedeli e celebranti, <strong>al</strong>meno in ambiente it<strong>al</strong>o-greco. Manoscritti<br />

come il Grottaferrata G. b. X del X/XI secolo 29 , Vaticano gr. 1554 del XII 30<br />

e Vaticano gr. 1970 anche del XII secolo 31 , conservano tarde annotazioni in volgare<br />

it<strong>al</strong>iano, ma in caratteri greci, che mostrano come certe preghiere fossero le<br />

più usate, anche quando la grecità d’It<strong>al</strong>ia era ormai sul punto di dissolversi.<br />

Il vino nella divina liturgia eucaristica<br />

Per quanto a prima vista possa sembrare poco credibile, eppure l’esperienza<br />

insegna che quando si parla e si scrive di vino nella liturgia cristiana, in re<strong>al</strong>tà il<br />

vero argomento ad essere trattato è l’acqua: ovvero quanta ne va infusa nel c<strong>al</strong>ice,<br />

a che momento e anche, proprio nella tradizione ortodossa, a qu<strong>al</strong>e temperatura.<br />

Ma l’aspetto che per primo deve essere sottolineato con forza, comune a<br />

tutte le chiese d’Oriente, siano esse c<strong>al</strong>cedonesi, pre-c<strong>al</strong>cedonesi o efesine, è la<br />

loro ininterrotta continuità nella tradizione un tempo patrimonio anche dell’Occidente,<br />

di distribuire l’eucaristia nei ‘simboli’, o se si preferisce il linguaggio scolastico,<br />

sotto le ‘specie’ del pane e del vino 32 . Certamente la riforma liturgica<br />

attuata dopo il concilio Vaticano II ha, per così dire, restituito ai laici la possibilità<br />

di accedere <strong>al</strong> c<strong>al</strong>ice eucaristico 33 , ma si converrà che nei fatti la comunione<br />

27 R. NAHTIGAL, Euchologium Sinaiticum. Starocerkvenoslovenski Glagolski Spomenik. II: Tekst s komentarjem,<br />

Ljubljana 1942, pp. 31-32; J. FRČEK, Euchologium sinaiticum. Texte slave avec sources grecques et traduction<br />

française, I, Paris 1933 (Patrologia Orient<strong>al</strong>is, 24/5), p. 676 (rist. Turnhout 1974).<br />

28 Sulla tradizione slavo-meridion<strong>al</strong>e, manoscritta e stampata, delle preghiere afferenti <strong>al</strong> vino e <strong>al</strong>la coltivazione<br />

della vite, v. CH.TOCHEVA, Starob’lgarskite molitvi za vsjaka potreba v razvoja na slavjanskata r’kopisna<br />

knishnina (do kraja na XIX vek), Plovdiv 2000, pp. 19-21.<br />

29 E. VELKOVSKA, Funer<strong>al</strong> rites according to the byzantine liturgic<strong>al</strong> sources, «Dumbarton Oaks Papers», 55<br />

(2001), pp. 21-51, qui p. 31, n. 29.<br />

30 C. GIANNELLI, Bibliothecæ Apostolicæ Vaticanæ codices manu scripti ... Codices Vaticani Græci. Codices 1485-<br />

1683, Città del Vaticano 1950, p. 139.<br />

31 G. MERCATI, L’Eucologio di S. Maria del Patire con un frammento di anafora greca inedita, «Revue bénedictine»,<br />

46 (1934), pp. 224-240, ora in ID., Opere minori, IV, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 79), pp.<br />

469-486, precisamente p. 481.<br />

32 Il richiamo fatto di recente ad <strong>al</strong>cune chiese orient<strong>al</strong>i cattoliche affinché ripristinino la comunione sub<br />

utraque specie, è prova evidente di come queste chiese non possano essere considerate tout-court testimo-<br />

463


464<br />

sotto le due specie non è prassi abitu<strong>al</strong>e come in Oriente, <strong>al</strong> contrario viene invece<br />

proposta e teologicamente pensata come un option<strong>al</strong> simbolico legato <strong>al</strong>la<br />

solennizzazione di <strong>al</strong>cune ricorrenze (battesimo di adulti, matrimonio, professione<br />

religiosa, ecc.) «per esprimere meglio il sacramento» 34 . Certo è passato molto<br />

tempo da quando papa san Leone Magno stigmatizzava la comunione con il<br />

solo pane come «sacrilega simulatio» 35 .<br />

In ogni caso la prassi oggi in vigore nelle chiese orient<strong>al</strong>i non autorizza a pensare<br />

che queste abbiano conservato in<strong>al</strong>terato il modo antico di distribuire e ricevere<br />

la comunione, cioè non solo ovviamente sotto entrambi i simboli del pane e<br />

del vino, ma anche con simboli separati, dove il comunicando riceve prima il pane<br />

e poi il vino sorbendo direttamente <strong>d<strong>al</strong></strong> c<strong>al</strong>ice o servendosi di una cannuccia che<br />

può essere anche propria 36 , esattamente come fanno ancora oggi i celebranti. La<br />

storia mostra che diversi usi oggi considerati un privilegio o distintivo del clero, in<br />

un tempo più antico erano niente <strong>al</strong>tro che prassi comune anche ai laici. Questo<br />

costume più antico è oggi osservato dai soli Copti e Siri. Le <strong>al</strong>tre chiese comunicano<br />

i fedeli servendosi di un cucchiaino con cui attingono <strong>d<strong>al</strong></strong> c<strong>al</strong>ice una particola<br />

imbevuta del sangue del Signore, oppure ricorrono <strong>al</strong>l’intinzione, una pratica<br />

guardata però con molto sospetto nell’antichità cristiana perché nel corso dell’ultima<br />

cena l’unico discepolo ad ‘intingere il boccone nel piatto’ fu Giuda il traditore<br />

37 . A complicare il quadro interviene un <strong>al</strong>tro fenomeno tutto orient<strong>al</strong>e, ma<br />

decisamente non-tradizion<strong>al</strong>e, dell’assenteismo eucaristico: i laici, anche i più<br />

impegnati e praticanti, si comunicano molto raramente, <strong>al</strong> massimo quattro o<br />

cinque volte l’anno 38 . In quanto <strong>al</strong> colore si usa per consuetudine, ma tassativamente,<br />

vino rosso, a motivo della forte carica simbolica nel rapporto vino-sangue,<br />

ni credibili del patrimonio teologico, liturgico, spiritu<strong>al</strong>e e canonico dell’Oriente Cristiano (cfr. CON-<br />

GREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI, Istruzione per l’applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice<br />

dei Canoni delle Chiese Orient<strong>al</strong>i, Città del Vaticano 1996, pp. 51-52).<br />

33 Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia, 55 (Enchiridion Vaticanum 1. Documenti del<br />

Concilio Vaticano II. Testo uffici<strong>al</strong>e e traduzione it<strong>al</strong>iana, Bologna 1979, p. 55).<br />

34 I Praenotanda dei nuovi libri liturgici, a cura di A. Donghi, Milano 1988, pp. 176-177.<br />

35 Sermo XLII de Quadragesima IV, PL 54, coll. 279-280; cfr. Omilie e lettere di san Leone Magno, a cura di<br />

T. Mariucci, Torino 1968, p. 243.<br />

36 R. F. TAFT, Byzantine communion spoons: a review of the evidence, «Dumbarton Oaks Papers», 50 (1996),<br />

pp. 209-238.<br />

37 R. F. TAFT, Communion via inctinction,in Soli Deo gloria. Essays to recognize the life’s work of Wiebe Vos, edited<br />

by G. Winwright, K. Westerfield Tucker, pp. 225-236 (= «Studia Liturgica», 26 [1966]).


di forte gradazione e tendente <strong>al</strong> dolce. Famoso nelle chiese di lingua o di tradizione<br />

liturgica ellenica è il vino Koumandaria di Cipro, e nelle chiese slave sono<br />

celebri i vini della Georgia. Solo in molte chiese orient<strong>al</strong>i cattoliche, che costituiscono<br />

per la liturgia, come per la teologia e la spiritu<strong>al</strong>ità, una singolare rivisitazione<br />

e norm<strong>al</strong>izzazione in senso romano-cattolico, ma pre-Vaticano II, dell’Oriente<br />

cristiano, solo in molte di queste chiese dicevo, c’è la consuetudine di servirsi<br />

di vino bianco, adducendo le stesse motivazioni ‘pratiche’ invocate a volte a<br />

sostegno della prassi occident<strong>al</strong>e39 . Abbiamo già visto come le varie fasi della coltivazione<br />

della vite e della raccolta dell’uva avessero a Bisanzio una loro precisa<br />

liturgicizzazione. Un codice it<strong>al</strong>o-bizantino della Campania della fine del X secolo,<br />

il Grottaferrata G. b. IV, ci ha tramandato, con <strong>al</strong>tri due eucologi della stessa<br />

zona40 , una rara preghiera destinata <strong>al</strong>la saggiatura del vino che, volutamente, prima<br />

ho tr<strong>al</strong>asciato di menzionare. Ne riporto ora il testo in traduzione:<br />

EÙc¾ pˆ proceir»sewj o‡nou.<br />

KÚrie Ð QeÕj ¹mîn, Ð poiht¾j kaˆ dhmiourgÕj p£shj kt…sewj, Ð k toà m¾ Ôntoj<br />

e„j tÕ e nai paragagën t¦ sÚmpanta, Ð futeÚsaj par£deison n ’Ed m tÁj<br />

trufÁj kat¦ ¢natol£j, kaˆ n aÙtù qšmenoj l\ kaˆ x\ xÚla: dèdeka sèbrwta,<br />

kaˆ dèdeka xèbrwta, kaˆ dèdeka ÐlÒbrwta, kaˆ n x aÙtîn doÝj t¾n<br />

¥mpelon, kaˆ di¦ toà prof»tou sou Dauˆd deid£xaj ¹m©j Óti o noj eÙfra…nei<br />

kard…an ¢nqrèpou, oÙcˆ œneken mšqhj, ¢ll¦ toà ƒlaràn prÒswpon n la…ñ:<br />

kaˆ eÙdÒkhsaj, Dšspota, de…xai aÙtù æj tÕ t…miÒn sou aŒmaa , toàt\ œstin pˆ t¾n<br />

qe…an mustagwg…an kaˆ ¢nafor£n: kaˆ n Kan´ tÁj G<strong>al</strong>ila…aj prîton shme‹on<br />

¢nade…xaj kaˆ tÕ Ûdwr e„j o non metab<strong>al</strong>ën kaˆ eÜfranaj p£ntaj e„j dÒxan tÁj<br />

sÁj ¢gaqÒthtoj, aÙtÕj kaˆ nàn, Dšspota KÚrie, eÙlÒghson tÕn o non toàton, kaˆ<br />

dèrhsai aÙtÕn e„j ¢napl»rwsin tîn qe…wn sou musthr…wn kaˆ e„j eÙfras…an<br />

tîn pinÒntwnb x aÙtoà, †na dÒxan soi ¢napšmpwmen p£ntote tù tîn ¢gaqîn<br />

dwtÁri. SÝ g¦r e ¹ ¥mpeloj ¹ ¢lhqin», kaˆ soˆ t¾n dÒxan ap(šmpomen).<br />

a b Cod. swma Cod. pinnÒntwn<br />

Preghiera per saggiare il vino.<br />

Signore nostro Dio autore e creatore dell’universo, che <strong>d<strong>al</strong></strong> nulla hai tratto tutte le cose<br />

ad esistere, che ad Oriente hai piantato l’Eden, giardino delle delizie, mettendovi a<br />

dimora trentasei <strong>al</strong>beri, dodici che producono frutti dei qu<strong>al</strong>i si mangia la parte inter-<br />

38 R. F. TAFT, The frequency of the eucharist in byzantine usage: history and practice,in Miscellanea Metreveli,pp.<br />

103-132 (= «Studi sull’Oriente Cristiano», 4 [2000]).<br />

39 Liturgia e spiritu<strong>al</strong>ità dell’Oriente Cristiano. In di<strong>al</strong>ogo con Miguel Arranz, a cura di C. Giraudo, Cinisello<br />

B<strong>al</strong>samo 1997, pp. 289-290.<br />

40 Vaticano 1833 (CANART, Codices Vaticani graeci, p. 275) e Grotaferrata G. b. VII (PASSARELLI, L’eucologio<br />

cryptense G. b. VII, § 227).<br />

465


466<br />

na, dodici l’esterna e dodici interi, e tra questi la vite. Per mezzo di Davide ci hai insegnato<br />

che il vino r<strong>al</strong>legra il cuore dell’uomo, non per l’ubriachezza, ma per r<strong>al</strong>legrare il<br />

volto con l’olio, e hai voluto così prefigurare, Signore, il tuo prezioso sangue, quello<br />

che ci dai durante la divina mistagogia e oblazione. A Cana, come primo miracolo, hai<br />

mutato l’acqua in vino, r<strong>al</strong>legrando tutti a gloria della tua bontà, perciò anche ora, tu<br />

stesso, Signore, benedici questo vino e concedilo a noi per il compimento dei tuoi divini<br />

misteri e per la gioia di quanti ne bevono, perché sempre rendano gloria a te che<br />

doni i beni. Tu infatti sei la vera vite e noi rendiamo gloria a te.<br />

Non credo si sbagli se nella ‘saggiatura’ (proce…rhsij) di cui parla il lemma inizi<strong>al</strong>e<br />

della preghiera si riconosce un testo espressamente destinato a provare un<br />

‘vino da messa’. La preghiera appartiene, come è stato ricordato, <strong>al</strong> solo rito it<strong>al</strong>o-bizantino<br />

ed è del tutto sconosciuta agli eucologi di <strong>al</strong>tra provenienza, sia del<br />

passato che contemporanei. E siccome la preghiera in questione non è mutuata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’attiguo rito romano, c’è da pensare che, come molte <strong>al</strong>tre particolarità liturgiche<br />

del rito bizantino d’It<strong>al</strong>ia, sia stata importata da cristiani del Medio Oriente,<br />

quindi non di rito bizantino, spinti sulle coste meridion<strong>al</strong>i della penisola <strong>d<strong>al</strong></strong>l’avanzare<br />

dell’Islam 41 .<br />

Nelle tradizioni orient<strong>al</strong>i, in particolare nei paesi, il vino per la liturgia viene<br />

offerto dai fedeli. È consuetudine che prima dell’inizio della celebrazione vengano<br />

consegnati ai diaconi pani ritu<strong>al</strong>i cotti in casa, orcioli di vino, candele e<br />

incenso, accompagnati da biglietti con i nomi dei vivi e dei defunti che si desidera<br />

vengano ricordati durante l’eucaristia. I diaconi poi scelgono il pane meglio<br />

riuscito ed il vino migliore che verranno consacrati, il resto viene restituito sotto<br />

forma di eulogia, cioè di pane benedetto, il vino però è per il clero.<br />

Questo rito di preparazione-presentazione (prÒqesij) previo <strong>al</strong>la Divina<br />

Liturgia eucaristica, nato da esigenze puramente pratiche, dopo l’VIII secolo ha<br />

conosciuto un deciso sviluppo ritu<strong>al</strong>e ed un forte processo di simbolizzazione.<br />

La trasformazione della liturgia eucaristica da ripresentazione anamnetica fatta a<br />

Dio dell’economia di s<strong>al</strong>vezza da lui stesso operata, in rappresentazione ai fedeli<br />

della storia della s<strong>al</strong>vezza re<strong>al</strong>izzata in Cristo 42 , portò a rileggere la preparazione<br />

dei doni per l’eucaristia nell’ottica della passione. Il pane eucaristico è l’agnelloservo<br />

sofferente annunciato da Isaia e morto per la vita del mondo, mentre l’infusione<br />

o ‘unione’ (›nwsij) dell’acqua nel c<strong>al</strong>ice del vino avviene evocando Gv<br />

41 PARENTI, L’eucologio slavo del Sinai, pp. 21-22.


19,34: Uno dei soldati trafisse con la lancia il suo costato, e subito ne uscì sangue ed acqua.<br />

Dunque il c<strong>al</strong>ice eucaristico della Divina Liturgia ortodossa è mixtum, cioè tagliato<br />

con acqua. La proporzione tra vino ed acqua era ed è variabile, si può arrivare<br />

anche ad un terzo di acqua, che comunque è sempre meno di quella che veniva<br />

infusa nel c<strong>al</strong>ice della mensa <strong>al</strong> tempo di Gesù in cui la proporzione del 50%<br />

era già ritenuta poco decorosa per un pasto uffici<strong>al</strong>e: solo gli smodati avrebbero<br />

infuso meno acqua. Ma si faccia attenzione ad un dettaglio di non poco conto<br />

sul qu<strong>al</strong>e torneremo tra poco: il vino veniva temperato con acqua c<strong>al</strong>da. Nella<br />

storia delle liturgie cristiane l’infusione del vino e dell’acqua nel c<strong>al</strong>ice rappresenta<br />

un esempio classico del processo di ‘verb<strong>al</strong>izzazione’ delle azioni liturgiche,<br />

parte integrante del più complesso processo di ‘simbolizzazione’. Abbiamo<br />

già visto che la contemporanea tradizione ortodossa utilizza Gv 19,34 indicando<br />

nel contenuto del c<strong>al</strong>ice il sangue e l’acqua usciti <strong>d<strong>al</strong></strong> costato di Cristo. Diversamente<br />

l’odierna liturgia romana simbolizza il mixtum con l’unione in Cristo delle<br />

due nature umana e divina e la possibilità per i cristiani di partecipare <strong>al</strong>la vita<br />

divina 43 , a riprova che la simbolizzazione può anche caricarsi dogmaticamente<br />

con la conseguenza di leggere in negativo le diverse consuetudini liturgiche di<br />

<strong>al</strong>tre chiese. A questo riguardo le vicende subite <strong>d<strong>al</strong></strong>la chiesa armena sono quanto<br />

mai istruttive.<br />

I cristiani armeni celebrano ab antiquo l’eucaristia con pane azzimo e vino non<br />

temperato, e questa usanza, <strong>al</strong>meno riguardo <strong>al</strong> vino, ha più volte urtato la suscettibilità<br />

di Roma e di Costantinopoli. Il concilio detto ‘in Trullo’ del 692 nel canone<br />

32 giunse a formulare un’aperta condanna, senza tuttavia una precisa motivazione<br />

44 . Solo più tardi si vorrà vedere in questo uso una simbolizzazione liturgica<br />

del rifiuto da parte della chiesa armena del concilio di C<strong>al</strong>cedonia, che definiva le<br />

due nature umana e divina di Cristo. Il vino è segno della natura divina e l’acqua<br />

di quella umana, quindi omettere l’infusione dell’acqua significa non esprimere<br />

liturgicamente la fede nella perfetta umanità di Cristo. Ma nei fatti le cose erano<br />

42 R. F. TAFT, The liturgy of the Great Church: an initi<strong>al</strong> synthesis of structure and interpretation on the eve of iconoclasm,<br />

«Dumbarton Oaks Papers», 34/35 (1980-1981), pp. 45-75, rist. in ID., Liturgy in Byzantium<br />

and beyond, Aldershot 1995, n.o I; H.-J. SCHULZ, The byzantine liturgy. Symbolic structure and faith expression,<br />

New York 1986.<br />

43 Miss<strong>al</strong>e Romanum (Editio Typica), Città del Vaticano 1970, p. 390.<br />

44 G. NEDUNGATT, M.FEATHERSTONE, The council in Trullo revisited, Roma 1995 (Kanonika, 6), pp.<br />

106-110.<br />

467


468<br />

molto meno complicate. Semplicemente gli Armeni, a differenza degli <strong>al</strong>tri popoli,<br />

consumavano vino non tagliato anche durante i pasti. È significativa a questo<br />

riguardo la traduzione armena del versetto 8 del s<strong>al</strong>mo 22, dove l’espressione «il<br />

mio c<strong>al</strong>ice trabocca» è resa con «il mio c<strong>al</strong>ice di vino puro mi ha inebriato» 45 .<br />

È celebre il passo della Narratio de rebus Armeniae che scrive di quando Movses<br />

II (574-604) katholikòs degli armeni nel 593 venne convocato a Costantinopoli<br />

per trattare con i bizantini. Il patriarca declinò lapidariamente l’invito: «Non<br />

attraverserò il fiume Azat (cioè il confine), né mangerò pane lievitato, né berrò il<br />

thermòn» 46 . Il thermòn (qermÕn) era l’acqua c<strong>al</strong>da con cui i greci tagliavano il vino.<br />

Per molto tempo questo racconto è stato esibito come prova per dimostrare<br />

l’antichità del rito bizantino dello zéon (zšon), l’infusione di acqua bollente nel<br />

c<strong>al</strong>ice consacrato appena prima della comunione 47 . È un rito singolare e unico, in<br />

quanto nella cristianità di tradizione apostolica viene praticato unicamente <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

chiese di tradizione costantinopolitana. All’origine sembra vi sia la preoccupazione<br />

di mantenere il c<strong>al</strong>ice eucaristico a temperatura costante per esprimere<br />

attraverso questo simbolo la fede nel fatto che nella comunione si riceve il sangue<br />

di Cristo vivo (e dunque c<strong>al</strong>do). È significativo che del rito dello zšon se ne<br />

comincia a parlare soltanto nel corso dell’XI secolo proprio quando, in polemica<br />

con Roma, a Costantinopoli viene elaborata una vera propria ratio theologica<br />

circa l’impiego nell’eucaristia del pane fermentato 48 .<br />

Preparazione dell’unguento crism<strong>al</strong>e (mÚron)<br />

L’impiego del vino rientra anche nella preparazione del sacro myron (mÚron),<br />

45 C. GUGEROTTI, La riforma liturgica in Oriente e le celebrazioni orient<strong>al</strong>i dell’Anno Mariano. Acquisizioni e<br />

prospettive, in UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE DEL SOMMO PONTEFICE, Liturgie dell’Oriente<br />

Cristiano a Roma nell’Anno Mariano 1987-88. Testi e Studi, Città del Vaticano 1990, pp. 1080-2000, speci<strong>al</strong>mente<br />

pp. 1095-1096.<br />

46 G. GARITTE, La Narratio de rebus Armeniae. Édition critique et commentaire, Louvain 1952 (Corpus<br />

Scriptorum Christianorum Orient<strong>al</strong>ium, 132. Subsidia, 4), p. 40.<br />

47 R. F. TAFT, ‘Water into Vine’. The twice-mixed ch<strong>al</strong>ice in the byzantine eucharist, «Le Muséon», 100 (1987),<br />

pp. 323-342; ID., A history of the liturgy of St. John Chrysostom. V: The precommunion rites, Roma 2000<br />

(Orient<strong>al</strong>ia Christiana An<strong>al</strong>ecta, 261), pp. 441-502.<br />

48 J. H. ERICKSON, Leavened and Unleavened Bread: some theologic<strong>al</strong> implications of the Schism of 1054, «Saint<br />

Vladymir Theologic<strong>al</strong> Quarterly», 14 (1972), pp. 155-176.


l’unguento crism<strong>al</strong>e con il qu<strong>al</strong>e viene conferita l’unzione post-battesim<strong>al</strong>e (quella<br />

che in Occidente oggi si preferisce chiamare ‘confermazione’) e vengono unti<br />

l’<strong>al</strong>tare e la chiesa nel corso del rito di dedicazione 49 . Diversamente <strong>d<strong>al</strong></strong>la prassi<br />

romana e occident<strong>al</strong>e, nella tradizione di Costantinopoli non vengono praticate<br />

unzioni sui candidati <strong>al</strong>le sacre ordinazioni e l’unzione crism<strong>al</strong>e del sovrano<br />

bizantino è entrata nel ritu<strong>al</strong>e solo nel XIII secolo come ovvia imitazione di<br />

quanto prevede il Pontific<strong>al</strong>e Romano. La consacrazione del crisma si svolge ad<br />

interv<strong>al</strong>li decenn<strong>al</strong>i nelle sole chiese patriarc<strong>al</strong>i, autocef<strong>al</strong>e e autonome, durante<br />

la Divina Liturgia eucaristica del giovedì santo presieduta <strong>d<strong>al</strong></strong> presule supremo di<br />

ciascuna chiesa. Certamente non era questa la prassi antica: a questo proposito<br />

le rubriche dell’antico eucologio Barberini e di vari manoscritti posteriori dicono<br />

semplicemente che la consacrazione del myron spetta <strong>al</strong> «solo vescovo» che la<br />

presiede «il giovedì santo della settimana maggiore» 50 .<br />

Caratteristica peculiare del ‘crisma’ è l’impiego nella sua preparazione, che<br />

avviene durante la settimana santa, di un grande numero di piante e sostanze<br />

odorose, fino a 57. I cat<strong>al</strong>oghi contemporanei mettono il vino rosso ‘secco’<br />

(lett. stÚfwn) ‘astringente’, molto tanninico, <strong>al</strong> secondo posto dopo l’olio, ma<br />

in re<strong>al</strong>tà il vino, necessario <strong>al</strong>la complessa preparazione del crisma, non ne è un<br />

ingrediente strictu sensu, serve infatti <strong>al</strong>la lunga cottura dell’olio e delle sostanze<br />

aromatiche. La preparazione inizia <strong>al</strong> mattino del lunedì santo quando nell’atrio<br />

della chiesa patriarc<strong>al</strong>e vengono accese le c<strong>al</strong>daie e il patriarca vi versa l’olio,<br />

il vino, i fiori e le piante aromatiche. La cottura, accompagnata <strong>d<strong>al</strong></strong>la lectio<br />

continua del Nuovo Testamento, dura fino <strong>al</strong> mattino del mercoledì santo, ed è<br />

compito dei diaconi e dei farmaceuti triturare le sostanze aromatiche e continuare<br />

a versare nelle c<strong>al</strong>daie olio e vino. Infatti il vino precipitato sotto l’olio<br />

deve essere mantenuto a temperatura costante e non superare i 10 cm di spessore<br />

51 . L’insieme di queste normative non vanta però una grande antichità, in<br />

particolare l’impiego del vino per la cottura non viene menzionato prima dell’inizio<br />

del XIV secolo. Il primo testimone diretto sembra essere il manoscrit-<br />

49 P. MENEVISOGLOU, TÕ ¤gion muron n tÊ ÑrqodÒxò, ¢natolik¾ ’Ekklhs…a, Thess<strong>al</strong>onikê 1972<br />

(’An£lekta Blat£dwn, 14), pp. 107, 243, 235; M. ARRANZ, Les Sacrements de l’ancien Euchologe constantinopolitain<br />

(10). La consecration du Saint-Myron, «Orient<strong>al</strong>ia Christiana Periodica», 55 (1989), pp.<br />

317-338.<br />

50 PARENTI, VELKOVSKA, Eucologio Barberini, § 141,1; v. anche L. PETIT, Du pouvoir de consacrer le saint<br />

chrême, «Échos d’Orient», 3 (1899-1900), pp. 1-7.<br />

469


470<br />

to 292 della Biblioteca Marciana di Venezia, scritto a Creta nel 1306 52 . Al contrario,<br />

tra le poche fonti antiche che ci hanno conservato istruzioni per la confezione<br />

del crisma, l’eucologio it<strong>al</strong>o-bizantino Vaticano gr. 1970 (XII secolo),<br />

avverte in termini perentori che bisogna servirsi dell’acqua: «Senza acqua non<br />

è possibile cuocere l’olio» 53 .<br />

Unzione dei m<strong>al</strong>ati<br />

Un problema di duplice impiego, e anche di competizione, tra acqua e vino an<strong>al</strong>ogo<br />

<strong>al</strong> caso del crisma, lo troviamo anche nel rito dell’unzione di m<strong>al</strong>ati. Nella<br />

tradizione ortodossa quello dell’‘olio santo’ (¤gion œlaion) non è mai stato inteso<br />

come sacramento dei moribondi (sacramentum exeuntium), ma ha conservato la<br />

caratteristica di vero mysterion per la cura spiritu<strong>al</strong>e dei m<strong>al</strong>ati, anche se negli ultimi<br />

secoli nella prassi concreta delle comunità ha prev<strong>al</strong>so una interpretazione<br />

estensiva del concetto di m<strong>al</strong>attia. Il peccato stesso in quanto t<strong>al</strong>e viene considerato<br />

una vera e propria m<strong>al</strong>attia dello spirito curabile con l’unzione, e così nella<br />

maggior parte dei casi l’unzione viene conferita a soggetti fisicamente sani 54 .La<br />

benedizione dell’olio sacrament<strong>al</strong>e avviene sempre nel corso della celebrazione<br />

da parte del primo dei sette presbiteri celebranti. L’olio per l’unzione prima di<br />

essere benedetto viene versato in una lampada. Nelle moderne edizioni dell’eucologio<br />

o dei suoi estratti troviamo a questo punto una rubrica che prescrive di<br />

versare nella lampada vino e olio, oppure acqua e olio, ma avvertendo che nella<br />

pratica della ‘Grande Chiesa’, cioè della cattedr<strong>al</strong>e costantinopolitana, con l’olio<br />

si versa sempre e solo acqua 55 . Come per il crisma, lo scopo pratico del liquido<br />

51 L. PETIT, Composition et consécration du saint chrême, «Échos d’Orient», 3 (1899-1900), pp. 129-142; G.<br />

NEFYODOV, F.SOKOLOV, The Order of the preparation and the consecration of the Chrism, «The Journ<strong>al</strong> of<br />

the Moskow Patriarchate», 6 (1984), pp. 8-10.<br />

52 P. MENEVISOGLOU, Melet»mata perˆ toÝ ¡g…ou MÚrou, Atene 1999, pp. 117-126.<br />

53 A. JACOB, Cinq feuillets du Codex Rossanensis (Vat. gr. 1970) retrouvés à Grottaferrata, «Le Muséon», 87<br />

(1974), pp. 45-57, qui p. 52.<br />

54 Per la prassi contemporanea v. B. J. GROEN, Ter Genezing van Ziel en Licchaam. De viering van het oliesel<br />

in de Grieks-Orthodoxe Kerk, Kampen-Weinheim 1990 (Theologie & Empirie, 10), pp. 261-276; ID.,<br />

L’unzione degli infermi nella chiesa greco-ortodossa, «Concilium», 27 (1991), pp. 221-231. Per l’aspetto storico<br />

v. S. PARENTI, Care and Anointing of the Sick in the East,in Handbook for liturgic<strong>al</strong> studies.IV:Sacraments<br />

and sacrament<strong>al</strong>s, edited by A. J. Chupungco, Collegeville 2000, pp. 161-169 (con bibliografia).


più pesante, vino o acqua che sia, è quello di tenere <strong>al</strong>to l’olio, ma nella scelta del<br />

vino non è difficile scorgere un richiamo efficace <strong>al</strong>la parabola del Samaritano<br />

(Lc 10,34) che curò le ferite dell’uomo incappato nei briganti versandovi sopra<br />

olio e vino (katšdhsen t¦ traÚmata aÙtou picewn œlaion kaˆ o non).<br />

Nonostante il richiamo form<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la ‘Grande Chiesa’, l’antica tradizione di<br />

Costantinopoli non sembra dare ragione <strong>al</strong>le rubriche delle edizioni contemporanee.<br />

È quanto si deduce leggendo il complesso rito dell’unzione dei m<strong>al</strong>ati nell’eucologio<br />

Paris Coislin 213, scritto proprio a Costantinopoli nel 1027, dove si<br />

prescrive di versare nella lampada semplicemente dell’olio 56 . L’impiego del vino<br />

è invece una tradizione attestata per la prima volta in Medio Oriente (P<strong>al</strong>estina?),<br />

nell’eucologio Sinai gr. 973 del 1152-53 57 . Secondo questa fonte nella lampada<br />

insieme <strong>al</strong>l’olio vanno versati anche del vino e dell’acqua santa benedetta in<br />

occasione della festa della Teofania (6 gennaio). La Capit<strong>al</strong>e continua però ancora<br />

per lungo tempo a seguire i propri usi, evitando l’impiego del vino, fino <strong>al</strong>meno<br />

<strong>al</strong>la prima metà del XIV secolo, epoca a cui ris<strong>al</strong>e l’eucologio appartenuto<br />

<strong>al</strong>l’imperatore Giovanni VI Kantakouzenos (1347-1354), ora codice gr. 279 della<br />

Biblioteca Sino<strong>d<strong>al</strong></strong>e di Mosca 58 .<br />

Riti matrimoni<strong>al</strong>i<br />

Verso la fine dei riti matrimoni<strong>al</strong>i, oggi come ai tempi dell’eucologio Barberini,gli<br />

sposi bevono ambedue da un c<strong>al</strong>ice definito <strong>d<strong>al</strong></strong>le rubriche ‘comune’ (koinÕn) il<br />

cui senso è poco chiaro. Certamente il c<strong>al</strong>ice è ‘comune’ agli sposi, nel senso che<br />

ambedue – e loro soltanto – ne bevono il contenuto, ma resta il problema se<br />

<strong>al</strong>l’origine il c<strong>al</strong>ice fosse o meno ripieno di vino ‘comune’. Oggi il problema non<br />

si pone perché la comunione eucaristica è caduta in disuso, ma per il passato<br />

resta la difficoltà di una benedizione del c<strong>al</strong>ice ‘comune’ immediatamente prima<br />

55 Per comodità mia e del lettore rimando <strong>al</strong> volumetto di D. GUILLAUME, Sacrement de l’huile Sainte et<br />

prières pour les m<strong>al</strong>ades, Roma 1985, p. 32.<br />

56 M. ARRANZ, Le preghiere degli infermi nella tradizione bizantina. I sacramenti della restaurazione dell’antico<br />

Eucologio costantinopolitano II-5, «Orient<strong>al</strong>ia Christiana Periodica» 62 (1996), p. 329, r. 10.<br />

57 DMITRIEVSKIJ, Opisanie, p. 101.<br />

58 A. DMITRIEVSKIJ, Bogosluženie v Russkoj Cerkvi v XVI veke, I: Služby kruga sedmičnago i godičnago i činoposledovanija<br />

tajnstv..., Kazan 1884, p. 107.<br />

471


472<br />

della comunione eucaristica, sembra, extra missam. Alcuni studiosi sono del parere<br />

che il c<strong>al</strong>ice di vino divenga eucaristico grazie <strong>al</strong>la preghiera di benedizione<br />

prescritta 59 e la successiva immistione del pane consacrato secondo le regole della<br />

immixtio et consecratio – la consacrazione per contatto – ben note anche <strong>al</strong>l’antico<br />

rito romano 60 . Sebbene questa pratica non sia affatto sconosciuta <strong>al</strong>la tradizione<br />

costantinopolitana, la testimonianza di due arcaici eucologi del X secolo, il<br />

St. Peterburg gr. 226 (It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e) e il Sinai gr. 957 (P<strong>al</strong>estina) consente di<br />

interpretare diversamente la funzione del c<strong>al</strong>ice comune. In questi codici l’orazione<br />

ad esso destinata è stata copiata dopo il congedo, <strong>al</strong> termine dunque del<br />

rito nuzi<strong>al</strong>e, come solitamente accade con eucologia e riti di recente introduzione<br />

61 . Dunque i due codici it<strong>al</strong>o-greco e sinaitico presentano redazion<strong>al</strong>mente un<br />

rito più antico del Barberini, e il c<strong>al</strong>ice comune resta <strong>al</strong>lora una semplice coppa di<br />

vino benedetto <strong>al</strong> pari di una qu<strong>al</strong>siasi eulogia 62 .<br />

Per la benedizione del c<strong>al</strong>ice comune le fonti liturgiche ci hanno tramandato<br />

due formule, una di tradizione costantinopolitana, già nota <strong>al</strong>l’eucologio Barberini gr.<br />

336 e passata nel textus receptus 63 , e una seconda tràdita da eucologi medio-orient<strong>al</strong>i e<br />

it<strong>al</strong>o-greci 64 , e che qui pubblico <strong>d<strong>al</strong></strong> Grottaferrata G. b. X (f. 75 v ) del X-XI secolo:<br />

KÚrie Ð qeÕj ¹mîn, Ð eÙlog»saj tÕ pot»rion tîn ¡g…wn sou maqhtîn kaˆ<br />

¢postÒlwn e„h ÐmÒnoian kaˆ Ðmopist…an, kaˆ nàn, KÚrie Ð qeÕj ¹mîn, tÕ<br />

pot»rion toàto eÙloghqÁnai eÙdÒkhson tÍ dun£mei toà ¡g…ou sou pneÚmatoj,<br />

59 G. PASSARELLI, La cerimonia della Stefanoma (incoronazione) nei riti matrimoni<strong>al</strong>i bizantini secondo il Codice<br />

Cryptense G.b. VII (X sec.), «Ephemerides Liturgicae», 93 (1979), pp. 386-387<br />

60 er e Per es. K. RITZER, Le mariage dans les églises chrétiennes du I au XI siècle, Paris 1962 (Lex Orandi, 45),<br />

pp. 202-203; M. ARRANZ, La liturgie des présanctifiés de l’ancien Euchologe byzantin, «Orient<strong>al</strong>ia Christiana<br />

Periodica», 47 (1981), p. 380; D. GELSI, Punti di riflessione sull’ufficio bizantino per la «incoronazione» degli<br />

sposi, in La celebrazione cristiana del matrimonio. Simboli e testi, Atti del II Congresso internazion<strong>al</strong>e di<br />

liturgia (Roma, 27-31 maggio 1985), a cura di G. Farnedi, Roma 1986 (Studia Anselmiana, 93), pp.<br />

283-306, speci<strong>al</strong>mente pp. 297-300 (= «An<strong>al</strong>ecta Liturgica», 11).<br />

61 e e Tavola comparativa in A. PENTKOVSKY, Le cérémoni<strong>al</strong> du mariage dans l’euchologe byzantin du XI -XII siècle,<br />

in Le Mariage, Roma 1994 (Bibliotheca Ephemerides Liturgicae. Subsidia, 77), p. 285.<br />

62 PENTKOVSKY, Le cérémoni<strong>al</strong> du mariage, p. 264, con la cui interpretazione mi trovo pienamente d’accordo,<br />

fa notare che nel rito armeno la benedizione della coppa avviene a casa dopo la cerimonia<br />

nuzi<strong>al</strong>e (cfr. H. DENZINGER, Ritus orient<strong>al</strong>ium Coptorum, Syrorum et Armenorum in administrandis sacramentis,<br />

II, Würzburg 1864, pp. 474-476, 482).<br />

63 PARENTI,VELKOVSKA, Eucologio Barberini, § 188.<br />

64 DMITRIEVSKIJ, Opisanie, p. 31 (<strong>d<strong>al</strong></strong> Sinai gr. 958 dell’XI secolo); PASSARELLI, L’eucologio cryptense G.b.<br />

VII, § 172.


kaˆ to‹j x aÙtoà met<strong>al</strong>amb£nousin ÐmÒnoian c£risai kaˆ lšouj katax…wson,<br />

Óti qeÕj lšouj, o„ktirmîn kaˆ filanqrwp…aj Øp£rceij, kaˆ soˆ t¾n dÒxan<br />

¢napšmpomen, sÝn tù ¢n£rcJ sou patrˆ kaˆ tù panag…J kaˆ ¢gaqù kaˆ zwopoiù.<br />

Signore nostro Dio, che hai benedetto il c<strong>al</strong>ice dei tuoi santi discepoli e apostoli per la<br />

concordia e l’unità della fede, compiaciti anche ora, Signore nostro Dio, di benedire<br />

questo c<strong>al</strong>ice con la potenza del tuo Spirito Santo, e a coloro che ne bevono concedi<br />

concordia e rendili degni di misericordia, perché tu sei Dio di misericordia, di compassione<br />

e di amore per gli uomini, e noi a te rendiamo gloria, <strong>al</strong> tuo Padre che non<br />

conosce principio e <strong>al</strong> (tuo Spirito) santissimo, buono e vivificante.<br />

La tradizione del S<strong>al</strong>ento precisa che il c<strong>al</strong>ice comune sia colmo di kÒnditon 65 ,<br />

cioè di vino aromatizzato, e che dopo che gli sposi ne hanno bevuto, il c<strong>al</strong>ice<br />

venga gettato in terra e rotto 66 . La definitiva sostituzione del c<strong>al</strong>ice eucaristico<br />

con una coppa di vino comune si impone nel corso del XV secolo 67 ed è stata<br />

giudicata severamente da quel teologo di grande reputazione che era Alexander<br />

Schmemann, che non ha esitato a parlare di «desacrament<strong>al</strong>izzazione del matrimonio<br />

ridotto ad una felicità natur<strong>al</strong>e» 68 .<br />

Altri impieghi liturgici<br />

Nella tradizione costantinopolitana il vino trova impiego nei riti di consacrazione<br />

dell’<strong>al</strong>tare. Secondo l’eucologio Barberini, dopo l’erezione della mensa e la<br />

pulizia di mensa e colonnine con nitro ed acqua benedetta e prima dell’unzione<br />

con il myron, il patriarca versa per tre volte sulla mensa del vino profumato recitando<br />

i versetti 9-10 del s<strong>al</strong>mo 50 [LXX] 69 . Gli eucologi Barberini gr. 336 e<br />

Oxford, Bodleian Auct. E.5.13 (a. 1121-22/1132), latori della stessa tradizione<br />

65 Cfr. E. TRAPP ET ALII, s.v.,Kondit£ria, in Lexikon zur Byzantinischen Gräzität besonders des 9.-12.<br />

Jahrhunderts, Wien 2001, p. 857.<br />

66 F. QUARANTA, In difesa dei matrimoni greci e del mattutino pasqu<strong>al</strong>e. Un testo pugliese inedito del XIII secolo,<br />

in Miscellanea Metreveli, pp. 115-116; v. anche M. PETTA, Ufficiatura del fidanzamento e del matrimonio in<br />

<strong>al</strong>cuni eucologi otrantini, in Familiare ’82. Studi offerti per le nozze d’argento a R. Jurlano e N. Ditonno, Brindisi<br />

1982, pp. 95-104.<br />

67<br />

DMITRIEVSKIJ, Opisanie, p. 404 (Sinai gr. 968 del 1426).<br />

68 A. SCHMEMANN, The Mystery of Love, in For the Life of the World. Sacraments and orthodoxy, St. Vladimir’s<br />

Seminary Press 1973, pp. 81-94, speci<strong>al</strong>mente p. 91.<br />

473


474<br />

manoscritta, parlano in verità di kannˆn koll£qou, che significa «una caraffa<br />

della capacità di un kÒllaqon» 70 , ma non ci sono dubbi riguardo <strong>al</strong> contenuto<br />

che si trattasse di vino profumato o di semplice vino 71 , come conferma la stessa<br />

sequenza ritu<strong>al</strong>e nel Paris Coislin 213. Questo eucologio specifica infatti che si<br />

tratta di vino profumato (o„n£nqhj) o di semplice vino 72 .<br />

Nella prassi contemporanea di <strong>al</strong>cuni paesi, vi è l’uso <strong>al</strong> momento della sepoltura<br />

di versare sulla s<strong>al</strong>ma olio, vino e cenere 73 . Del vino viene anche versato sul cranio<br />

del defunto nel caso di una esumazione, in ricordo del sangue versato da Cristo<br />

sul C<strong>al</strong>vario, ‘Luogo del Cranio’ di Adamo 74 . Il ritu<strong>al</strong>e funebre (xodiastikÕn) del<br />

XV secolo del monastero di Mar Saba, in P<strong>al</strong>estina, prescrive invece un abluzione<br />

del defunto compiuta con il vino 75 . Nel complesso si tratta però di usi periferici e<br />

tardivi dei qu<strong>al</strong>i le fonti più antiche non fanno <strong>al</strong>cuna menzione 76 . Oggi resta però<br />

l’uso di far benedire del vino, insieme ad <strong>al</strong>tre vivande, ritu<strong>al</strong>i e non, in occasione<br />

delle commemorazioni gener<strong>al</strong>i dei defunti e degli anniversari del loro decesso.<br />

Caratteristica, sicuramente più gradevole, del rito bizantino di tradizione<br />

sabaita è invece il rito di benedizione dei pani, dell’olio, del vino e del grano che<br />

si svolge tra i vespri ed il mattutino nel corso della lunga vigilia propria delle<br />

domeniche e delle feste 77 . Nella prassi contemporanea greca e b<strong>al</strong>canica questa<br />

benedizione si compie anche su richiesta di singoli fedeli, in particolare in occasioni<br />

di grandi feste religiose o familiari, e il vino benedetto viene poi consuma-<br />

69 PARENTI,VELKOVSKA, Eucologio Barberini, § 152,1. Si v. anche V. RUGGIERI, Consacrazione e dedicazione di<br />

chiesa, secondo il ‘Barberinianus graecus’ 336, «Orient<strong>al</strong>ia Christiana Periodica», 54 (1988), pp. 79-118.<br />

70 L’eucologio medio-orient<strong>al</strong>e Sinai gr. 959 dell’XI secolo (f. 131 v ), <strong>al</strong>tro testimone della recensione<br />

del Barberini e dell’eucologio di Oxford, legge a questo riguardo kan¾n kolavq(hn)e non kain¾n<br />

kolavqhn come ha inteso erroneamente Dmitrievskij (Opisanie, p 61, r. 6).<br />

71 A. JACOB, Un euchologe du Saint-Sauveur «in Lingua Phari» de Messine. Le Bodleianus Auct. E.5.13, «Bulletin<br />

de l’Institut Historique Belge de Rome», 50 (1980), pp. 283-364.<br />

72 V. RUGGIERI,K.DOURAMANI, Tempio e Mensa, «Rassegna di Teologia», 32 (1991), pp. 279-300.<br />

73<br />

DE MEESTER, Liturgia bizantina,p.89;V.BRUNI, I funer<strong>al</strong>i di un sacerdote nel rito bizantino secondo gli eucologi<br />

manoscritti di lingua greca, Gerus<strong>al</strong>emme 1972 (Pubblicazioni dello Studium Biblicum Franciscanum.<br />

Collectio Minor, 14), p. 139.<br />

74<br />

DE MEESTER, Liturgia bizantina, p. 147-148.<br />

75 BRUNI, I funer<strong>al</strong>i di un sacerdote,p.90.<br />

76 VELKOVSKA, Funer<strong>al</strong> rites, pp. 21-51.<br />

77 N. EGENDER, Introduction, in La Prière des Heures. ‘WrolÒgion, Chevetogne 1975 (La prière des égli-<br />

ses de rite byzantin, 1), pp. 371-372.


to durante il pranzo festivo 78 . Una distribuzione di vino e di <strong>al</strong>tri generi <strong>al</strong>imentari<br />

in occasione delle feste dei santi, in particolare a beneficio dei poveri, non<br />

era estranea <strong>al</strong>la tradizione costantinopolitana dell’XI secolo, come testimonia il<br />

già tante volte ricordato eucologio Paris Coislin 213, che prescrive a riguardo l’impiego<br />

di una apposita preghiera 79 .<br />

Conclusione<br />

Da questa prima e rapida inchiesta sul vino nella liturgia di Costantinopoli e del<br />

Commonwe<strong>al</strong>th bizantino, mi sembra che vadano evidenziati anzitutto due<br />

momenti: a) progressiva ‘promozione liturgica’ dell’uso del vino che, a cominciare<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> Medio Oriente, <strong>d<strong>al</strong></strong>la sola liturgia dell’eucaristia trova impiego anche<br />

nell’unzione dei m<strong>al</strong>ati e poi, per logica attrazione, nella preparazione dell’unguento<br />

crism<strong>al</strong>e e b) progressiva simbolizzazione del nesso vino/sangue eucaristico,<br />

prima attraverso il colore e poi mediante un ‘potenziamento simbolico’<br />

ottenuto con l’infusione dell’acqua bollente nel c<strong>al</strong>ice consacrato, anche immediatamente<br />

prima della comunione. La presenza del c<strong>al</strong>ice di vino nei riti matrimoni<strong>al</strong>i,<br />

ma anche la stessa infusione dell’acqua bollente appena ricordata, parlano<br />

invece in maniera eloquente della capacità di integrare nella liturgia comportamenti<br />

etnico-soci<strong>al</strong>i. Le solenni e forse, per chi poco le conosce, sacr<strong>al</strong>i e<br />

distaccate liturgie delle chiese d’Oriente hanno saputo recepire ed accogliere il<br />

quotidiano dei popoli che hanno evangelizzato. Questa cristiana e liturgica accoglienza<br />

è quella che in Occidente si chiama inculturazione, considerata, a volte,<br />

ultima conquista della pastor<strong>al</strong>e. Forse anche in questo caso ancora v<strong>al</strong>e l’antico<br />

detto latino ex Oriente Lux!<br />

78 Ho osservato di persona t<strong>al</strong>i usanze sia in Grecia che in Bulgaria.<br />

79 Forse in una redazione più antica nel Sinai gr. 959 dell’XI secolo (Dmitrievskij, Opisanie, p. 46).<br />

475


476


Per ricordare, con la necessaria profondità, le parole di Gesù: «Questo è il mio<br />

sangue», ci chiediamo se per celebrare la messa è meglio usare il vino rosso? Esaminando<br />

a questo proposito i diversi usi cristiani, si incontrano molte difficoltà.<br />

Innanzitutto, non è possibile qui an<strong>al</strong>izzare il dibattito degli ultimi decenni riguardo<br />

<strong>al</strong>l’opportunità, in una prospettiva d’inculturazione, di sostituire il vino con<br />

un’<strong>al</strong>tra bevanda nei paesi dove la vite non esiste 1 . D’<strong>al</strong>tro canto, lo storico della<br />

liturgia deve immediatamente riconoscere di non avere la competenza necessaria<br />

per orientare la propria ricerca su ciò che gli storici del vino potrebbero dire, a<br />

proposito di quello che è stato una volta il suo colore rispetto ad oggi 2 .<br />

Partirò da due osservazioni diverse: da una parte, due liturgisti di lingua tedesca<br />

e, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra, un autore francese dell’Ottocento. Riguardo <strong>al</strong> colore del vino utilizzato<br />

per celebrare la messa, il grande liturgista gesuita J.A. Jungmann scriveva,<br />

già <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista storico: «In Oriente si preferisce il vino rosso, un tempo si<br />

1 È la tesi di R. JAOUEN, L’eucharistie du mil. Langages d’un peuple, expression de la foi, Paris 1995. Uno studio<br />

più recente conferma come nel medioevo veniva usato tanto il rosso quanto il bianco per scopi<br />

liturgici, senza che <strong>d<strong>al</strong></strong>la documentazione però emerga la promozione da parte della Chiesa di un tipo<br />

o dell’<strong>al</strong>tro per gli usi sacrament<strong>al</strong>i, cfr. G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino<br />

nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (Fondamenta, 4), pp. 181-182, 450, 455, 480, mentre per un quadro<br />

delle varietà vinicole, pp. 435-475.<br />

2 e Nel suo importante lavoro, R. DION, Histoire de la vigne et du vin en France des origines au XIX siècle,<br />

Paris 1959, ricorda tanto il vino rosso, quanto il vino bianco senza indicare se il colore del vino si è<br />

sempre differenziato in maniera netta. D’<strong>al</strong>tra parte questo autore, che menziona più volte le vigne<br />

vescovili o monastiche del medioevo, non dice in <strong>al</strong>cun luogo se la necessità di disporre di vino per<br />

l’eucaristia, anche dopo l’abbandono della comunione dei fedeli sotto le due specie, ha avuto un ruolo<br />

nell’interesse degli ecclesiastici per le vigne, o nelle loro cura d’importare il vino nei luoghi in cui<br />

non c’era la vigna.<br />

* Institut Catholique de Paris.<br />

PIERRE-MARIE GY*<br />

Il colore del vino per la messa<br />

477


478<br />

faceva lo stesso in Occidente perché il rischio di confonderlo con l’acqua era<br />

minore. Tuttavia, non si è mai giunti ad una regola gener<strong>al</strong>e ed obbligatoria su<br />

questo punto. Da quando è prev<strong>al</strong>so l’uso del purificatoio, cioè <strong>d<strong>al</strong></strong> XVI secolo, si<br />

è preferito impiegare il vino bianco perché lascia meno tracce» 3 . In una successiva<br />

edizione della sua opera 4 , con riferimento a J. Jeremias 5 , ha aggiunto che il vino<br />

rosso era prescritto per la cena pasqu<strong>al</strong>e. Riferendosi più esplicitamente <strong>al</strong> senso<br />

profondo della celebrazione, il liturgista tedesco Rupert Berger scriveva nel 1987:<br />

«Ad oggi si preferisce il vino rosso in Oriente, come accadeva in Occidente fino<br />

<strong>al</strong>la fine del medioevo, perché questo vino ci ricorda meglio il sangue di Cristo. Al<br />

contrario, in Occidente si è rinunciato a questo simbolo ed ora si utilizza quasi<br />

esclusivamente il vino bianco. Ciò per un motivo pratico: la pulizia dell’<strong>al</strong>tare è<br />

più semplice, anche se non c’è <strong>al</strong>cuna prescrizione a questo riguardo» 6 .<br />

Da questo punto di vista storico e da questo giudizio, che condivido pienamente,<br />

mi rifaccio a ciò che scriveva <strong>al</strong>lo stesso riguardo Jules Corblet, canonico di<br />

Amiens e grande erudito, verso la fine dell’Ottocento nel suo libro Histoire dogmatique,<br />

liturgique et archéologique du sacrement de l’Eucharistie, opera considerevole per i<br />

suoi tempi, anche se i riferimenti che contiene sono imprecisi e t<strong>al</strong>volta inesatti 7 .Il<br />

mio scopo attu<strong>al</strong>e è quello di riesaminare <strong>al</strong>meno le parti più importanti della<br />

documentazione disponibile e di proporre ai liturgisti e agli storici qui convenuti di<br />

misurarne la portata. Ma bisogna riconoscere prima di tutto che, anche se l’uso del<br />

vino bianco sembra essere il più frequente nella messa cattolica di rito latino, non<br />

saprei dire se il vino rosso viene utilizzato in <strong>al</strong>cune regioni e non ho notizie sul<br />

colore del vino utilizzato dai protestanti, non ignorando che da loro la comunione<br />

sotto le due specie è una pratica gener<strong>al</strong>e da quando Lutero, nel suo De captivitate<br />

babylonica ecclesiae (1520), ha proclamato che era ingiusto negarla ai laici 8 .<br />

3 J.A. JUNGMANN, Missarum Sollemnia, II, Paris 1952, p. 311 (cit. <strong>d<strong>al</strong></strong>la trad. francese).<br />

4 Op. cit., II, Wien 1958 4 , p. 48 (ed. tedesca).<br />

5 2 J. JEREMIAS, Die Abendsmahlsworte Jesu, Göttingen 1949 ; cfr., della IV ed. (1967), la trad. francese La<br />

dernière Cène. Les paroles de Jésus, Paris 1972, pp. 55-56 e 266. Jeremias dubita che in P<strong>al</strong>estina si bevesse<br />

abitu<strong>al</strong>mente il vino rosso, ma sottolinea come questo fosse prescritto per la cena pasqu<strong>al</strong>e e, del<br />

resto, ritiene che la parola di Gesù abbia qui una dimensione sacrific<strong>al</strong>e.<br />

6 Cfr. Gest<strong>al</strong>t des Gottesdienstes, Regensburg 1987 (Gottesdienst der Kirche. Handbuch der Liturgiewissenschaft,<br />

3), p. 264.<br />

7 Cfr.J.CORBLET, Histoire dogmatique, liturgique et archéologique du sacrement de l’eucharistie, Paris-Bruxelles-<br />

Genève 1885, pp. 199-201.<br />

8 In Luther Werke, VI, Weimar 1888, p. 503.


Tenuto conto delle precauzioni di cui ho parlato, inizierò a descrivere le parti<br />

più importanti della documentazione con una serie di affermazioni, di cui sarà<br />

necessario precisare il grado di certezza, di probabilità o il carattere ipotetico.<br />

Nel ritu<strong>al</strong>e della cena pasqu<strong>al</strong>e ebraica il vino rosso era obbligatorio. Nella<br />

comunione pasqu<strong>al</strong>e degli antichi cristiani – che, a seconda dei casi, era la loro<br />

comunione battesim<strong>al</strong>e, nella qu<strong>al</strong>e tutti assumevano l’eucaristia sotto le due<br />

specie – le catechesi iniziatiche del IV e V secolo ci fanno pensare che l’uso del<br />

vino rosso fosse norm<strong>al</strong>e. Così sant’Ambrogio nel De sacramentis, il suo catechismo<br />

iniziatico, scrive: «Tu sai dunque che il pane si trasforma nel corpo di Cristo<br />

e che si mescola del vino e dell’acqua nel c<strong>al</strong>ice, ma che la consacrazione operata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la parola celeste li trasforma in sangue (...). Allo stesso modo, infatti, in<br />

cui tu prendi il simbolo della morte, così bevi pure il simbolo del sangue, affinché<br />

non vi sia <strong>al</strong>cun disgusto provocato <strong>d<strong>al</strong></strong> sangue che cola e perché il prezzo<br />

della redenzione produca il suo effetto» 9 .<br />

San Giovanni Crisostomo, parlando <strong>al</strong> nuovo battezzato della sua prima<br />

comunione e della sua lotta contro il demonio, gli dice: «Se solo ti vedesse tornare<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> banchetto del Signore, egli fuggirebbe più veloce del vento, come chi<br />

vede un leone <strong>d<strong>al</strong></strong>le cui fauci sputa il fuoco. E non potrebbe resistere, se gli<br />

mostrassi la tua lingua colorata <strong>d<strong>al</strong></strong> prezioso sangue; se gli facessi vedere la tua<br />

bocca di porpora si ritrarrebbe velocemente, come un anim<strong>al</strong>e impaurito» 10 . Nel<br />

suo catechismo, Teodoro di Mopsuestia sottolinea il fatto che il vino utilizzato<br />

evidenzia il carattere sacrific<strong>al</strong>e dell’eucarestia: «Sarebbe assai opportuno che per<br />

nutrimento prendesse il pane e per bevanda il c<strong>al</strong>ice, che è di vino tagliato, poiché<br />

già nel Vecchio Testamento era concesso chiamare ‘sangue’ il vino: “È il<br />

sangue dell’uva che gli diede da bere, il vino” (Dt 32, 14), dice infatti la Scrittura,<br />

e in un <strong>al</strong>tro passaggio: “Egli laverà nel vino il suo vestito e nel sangue dell’uva<br />

i suoi indumenti” (Gn 49, 11). Ma ciò che fu del vino che venne donato da<br />

Cristo, egli lo rivelò esattamente dicendo: “Non berrò più del frutto di questa<br />

vigna fino a quando lo berrò di nuovo con voi nel regno di Dio” (Mt 26, 29)» 11 .<br />

9 AMBROGIO DI MILANO, Des sacrements 4, 19-20, ed. B. Botte, Paris 1950 (Sources chrétiennes, 25), p. 84.<br />

10<br />

GIOVANNI CRISOSTOMO, Cathéchèse baptism<strong>al</strong>e 3, 12, ed. A. Wenger, Paris 1957 (Sources chrétiennes,<br />

50), p. 158.<br />

11<br />

TEODORO DI MOPSUESTIA, Homélies catéchétiques 15, 13, ed. R. Tonneau, Città del Vaticano 1949<br />

(Studi e testi, 145), p. 481.<br />

479


480<br />

Interpreto <strong>al</strong>lo stesso modo l’aneddoto narrato da sant’Ireneo sul mago Marco,<br />

il qu<strong>al</strong>e operò in modo da far apparire il vino di colore rosso 12 .<br />

L’Oriente cristiano ha conservato, fino ad oggi, l’uso del vino rosso per la<br />

celebrazione eucaristica, mentre nelle rappresentazioni iconografiche dell’Europa<br />

mediev<strong>al</strong>e non è raro trovare rappresentazioni della cena in cui compare vino<br />

bianco 13 . Jungmann pensava che in Occidente la pratica antica fosse rimasta la<br />

stessa per lungo tempo. Suppongo che in gener<strong>al</strong>e sia stato così fino <strong>al</strong>l’abbandono<br />

della comunione sotto le due specie, verso la metà del medioevo 14 ,ed<br />

anche, come suggerisce Jungmann, fino <strong>al</strong>la svolta impressa da san Carlo Borromeo<br />

del XVI secolo, come dirò tra breve.<br />

Le nostre informazioni sul colore del vino nella celebrazione dell’eucarestia<br />

mediev<strong>al</strong>e sono poche, sia nei libri liturgici, sia negli scritti teologici e canonistici 15 ,i<br />

qu<strong>al</strong>i molto spesso non ne parlano. L’attenzione di entrambi è rivolta a ciò che è<br />

veramente indispensabile, avere re<strong>al</strong>mente del pane e del vino, e si cerca raramente<br />

di v<strong>al</strong>orizzare la simbologia dei riti. Il simbolismo biblico del vino è preso in considerazione<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> commento della Scrittura e <strong>d<strong>al</strong></strong>la predicazione biblica. La preoccupazione<br />

del rito è rivolta quasi esclusivamente ad assicurare l’essenzi<strong>al</strong>e. Così, <strong>al</strong>l’inizio<br />

del XIII secolo, gli statuti sino<strong>d<strong>al</strong></strong>i di Parigi danno la preferenza <strong>al</strong> vino rosso, per-<br />

12<br />

IRENEO DI LIONE, Contre les hérésies, 1, 13, ed. A. Rousseau, L. Doutreleau, Paris 1979 (Sources chrétiennes,<br />

264), pp. 190-191: «Fingendo di consacrare una coppa contenente vino e protraendo a lungo<br />

le parole dell’invocazione, fa in modo che la bevanda appaia purpurea e rossa». A favore del vino<br />

rosso, Corblet invoca una delle lettere di san Girolamo ad Eliodoro: io non ho trovato niente circa<br />

questa questione.<br />

13 Cfr. J.M. HANSSENS, Institutiones liturgicae de ritibus orient<strong>al</strong>ibus, II, Romae 1930, pp. 230-231 e il contributo<br />

di S. Parenti in questo volume. Per le rappresentazioni artistiche della cena in ambito it<strong>al</strong>iano,<br />

si veda il lavoro di D. RIGAUX, À la table du Seigneur. L’Eucharistie chez les Primitifs it<strong>al</strong>iens 1250-1497,<br />

Paris 1989, p. 242, dove l’autrice presenta <strong>al</strong>cuni casi di vino bianco; inoltre, EADEM, La Cène aux écrevisses:<br />

une image spécifique des Alpes it<strong>al</strong>iennes, «Civis. Studi e testi», 16 (2000), pp. 11-28.<br />

14 San Tommaso, dettando a Napoli la terza parte della sua Summa Theologiae, ha consapevolezza di<br />

trovarsi in un momento in cui, per quanto concerne la comunione sotto le due specie, le prassi differiscono<br />

tra le diverse chiese: «Provide in quibusdam Ecclesiis observatur ut populo sanguis non<br />

datur, sed solum a sacerdote sumatur» (q. 80, art. 12). Si sarebbe tentati di ipotizzare che l’eucaristia<br />

sotto le due specie si è mantenuta più a lungo a Napoli, e forse a Roma, che a Parigi. Sarebbe interessante<br />

sapere se santa Caterina da Siena, la cui spiritu<strong>al</strong>ità riserva una grande importanza <strong>al</strong> prezioso<br />

Sangue, si è ancora comunicata, un secolo più tardi, con la specie del vino.<br />

15 Non c’è <strong>al</strong>cun accenno <strong>al</strong> colore del vino nel Decretum di Graziano e neppure, così <strong>al</strong>meno sembra,<br />

presso l’Ostiense, grande canonista del secolo XIII.


ché non si rischia di confonderlo con l’acqua 16 . Al contrario, <strong>al</strong>la fine dello stesso<br />

secolo, a Colonia si usa il vino bianco, stando attenti a non confonderlo 17 .<br />

Molto spesso i grandi scritti scolastici non dicono niente del colore del vino.<br />

T<strong>al</strong>volta, affermando che il vino è necessario <strong>al</strong> sacramento, aggiungono che il<br />

suo colore non è importante. Così scrive san Tommaso d’Aquino, commentando<br />

Pier Lombardo: «A proposito del vino, il bianco ed il rosso non costituiscono<br />

una differenza paragonabile a quella tra il pane azzimo e il pane lievitato nel<br />

significato del sacramento» 18 . Non saprei dire se questa considerazione sia nata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la discussione con i greci sul pane azzimo 19 . All’inizio del XIV secolo, un <strong>al</strong>tro<br />

domenicano, Durando di S. Porziano, adotterà una problematica an<strong>al</strong>oga, pur<br />

<strong>al</strong>lontanandosi da Tommaso per quanto riguarda il pane azzimo e quello lievitato<br />

20 : a ciò che è necessario <strong>al</strong> sacramento, qui si aggiunge ciò che è obbligatorio<br />

senza essere intrinsecamente necessario – così in Occidente il pane azzimo –,<br />

ma da un lato come <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro non si prende in considerazione una categoria<br />

secondaria di ciò che è conveniente senza essere prescritto.<br />

Considerando, nel medioevo latino, i commenti biblici, gli scritti di teologia o<br />

di diritto canonico si può constatare, in gener<strong>al</strong>e, da una parte un’estrema attenzione<br />

a delimitare ciò che è indispensabile <strong>al</strong> sacramento – per ciò che riguarda il<br />

vino, può essere difficile da procurare, <strong>al</strong>meno nei paesi nordici – e d’<strong>al</strong>tra parte<br />

una mancanza di attenzione <strong>al</strong> simbolismo del rito eucaristico, mentre il simbolismo<br />

ha un posto importante nella meditazione dei testi biblici. Questa rilevanza<br />

si coglie, per esempio, se si considera, nell’ambito dei teologi parigini del XIII<br />

secolo, l’indice tematico di un’edizione moderna del grande commento biblico di<br />

16 «È necessario versare di preferenza del vino rosso nel c<strong>al</strong>ice, a causa della somiglianza del vino<br />

bianco con l’acqua» («Vinum autem potius rubeum ministretur in c<strong>al</strong>ice, propter similitudinem <strong>al</strong>bi<br />

vini cum aqua»: cfr. O. PONTAL, Les statuts sinodaux français du XIII e siècle, I, Paris 1971, pp. 82-83).<br />

17 Statuto sino<strong>d<strong>al</strong></strong>e del 1280, cap. 7, in Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, ed. J.D. Mansi,<br />

XXIV, Venetiis 1902, col. 350: «Ampullae vini et aquae integrae et mundae intus et exterius observentur,<br />

et <strong>al</strong>iquo signo notabili distinguantur, ut vinum ab aqua dignosci possit».<br />

18<br />

TOMMASO D’AQUINO Super IV libros Sententiarum, IV, dist. 11, q. 2, art. 2, quaest. 3, ed. S. Thomae<br />

Aquinatis Opera omnia, VII/B, Parmae 1858, p. 644.<br />

19 Cfr. la discussione avvenuta nel sec. XII, in J.-P. MIGNE, Patrologia Greca, 94, Parisiis 1864 , col. 406,<br />

e 133, col. 192.<br />

20<br />

DURANDO DI S. PORZIANO Super IV libros Sententiarum, dist. 11, q. 4, caput 9, Lyon 1556, p. 276:<br />

«Sicut non refert ad necessitatem sacramenti an vinum sit <strong>al</strong>bum an rubeum, sic non refert ad necessitatem<br />

sacramenti utrum panis sit azymus an fermentatus».<br />

481


482<br />

Ugo di Saint-Cher 21 , mentre non vi è <strong>al</strong>cun riferimento <strong>al</strong> simbolismo della comunione<br />

eucaristica. L’attenzione che san Tommaso e numerosi <strong>al</strong>tri rivolgono<br />

esclusivamente a ciò che è indispensabile <strong>al</strong> sacramento – necessitas sacramenti – ci<br />

autorizza forse a pensare che ciò che noi potremmo chiamare il simbolismo del<br />

colore del vino non abbia mai interessato uno come sant’Alberto Magno? Leggendo<br />

il De corpore Domini 22 , la cui paternità <strong>al</strong>bertina è in discussione 23 e dove forse<br />

si esprime lo sviluppo del pensiero di Alberto dopo aver frequentato Tommaso,<br />

non vi si trova <strong>al</strong>cuna specificazione sul colore del vino, ma una riflessione<br />

molto più profonda di quella di san Tommaso sul significato del vino, meditazione<br />

che sembra tener conto della tradizione patristica ricordata in precedenza 24 .<br />

Ho parlato, citando Jungmann, di ciò che si può chiamare la svolta di san<br />

Carlo, una decisione del primo concilio provinci<strong>al</strong>e di Milano presieduto <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

Borromeo nel 1565, nel qu<strong>al</strong>e la preoccupazione di non sporcare il purificatoio<br />

ha fatto preferire il vino bianco: «Gli ornamenti e gli strumenti degli <strong>al</strong>tari devono<br />

essere puri e puliti, soprattutto i corpor<strong>al</strong>i e i purificatoi. Per questa ragione<br />

anche i preti, per quanto è possibile, utilizzeranno soltanto del vino bianco per il<br />

sacrificio della messa» 25 . Nella prospettiva qui considerata questo momento è<br />

decisivo, anche se la preoccupazione di san Carlo non è stata accolta nel messa-<br />

21 Ho esaminato, a questo riguardo, il volume delle tavole nell’edizione veneziana del 1703.<br />

22 Essa figura sotto il titolo Liber de sacramento eucharistiae, in Opera Alberti Magni, ed. A. Borgnet, XXX-<br />

VIII, Paris 1899. Per l’attribuzione medioev<strong>al</strong>e, cfr. W. FAUSER, Die Werke des Albertus Magnus in ihrer<br />

handschriftlichen Überlieferung.I:Die Echten Werke, Münster 1982, pp. 326-336.<br />

23 Lo ritiene inautentico A. FRIES, Der Doppeltraktat über die Eucharistie unter dem Namen des Albertus<br />

Magnus, Münster 1984; L.J. BATAILLON, Bulletin d’histoire des doctrines médiév<strong>al</strong>es. Le XIIIe siècle, «Revue<br />

des sciences philosophiques et théologiques», 70 (1986), p. 262, ne sostiene invece l’autenticità: io<br />

mi pronuncio nello stesso senso.<br />

24 Forse Lotario di Segni, il futuro papa Innocenzo III, si è riferito ad essi quando ha scritto, nel suo<br />

De sacro <strong>al</strong>taris mysterio 5, 44: «C<strong>al</strong>ix iste si digne bibitur inebriat non corpus, sed cor, non ventrem, sed<br />

mentem. Unde “poculum tuum inebrias, quam preclarum est”» (in Patrologia latina, 217, Parisiis 1850,<br />

col. 685).<br />

25 «Ornamenta et instrumenta <strong>al</strong>tarium pro celebratione missae pura ac munda sint, praesertim corpor<strong>al</strong>ia<br />

et purificatoria. Quamobrem etiam in vino <strong>al</strong>bo, ubi possit, tantummodo ad missae sacrificium sacerdotes<br />

utantur» (ed. Mansi, XXXIV/A, Graz 1961 col. 19). Sull’importanza di questo testo cfr. L. FERRA-<br />

RIS, Prompta bibliotheca, VII, Bologna 1746 (cito <strong>d<strong>al</strong></strong>la ed. napoletana del 1855, Vinum § 14, p. 619a): «Omnia<br />

vina de vite sunt materia apta consecrationis (...). Nec refert an dicta vina sint <strong>al</strong>ba vel rubra, cum utraque<br />

sint vera genimina vitis. Quamvis tamen ubi commode adhiberi possint vina <strong>al</strong>ba, convenientius sint adhibenda,<br />

ut statuit Concilium Mediolanense cap. 1, que pertinent ad celebrationem missae».


le romano, né nel 1570 né in seguito 26 . Tuttavia, l’attenzione esclusiva a ciò che è<br />

indispensabile si è imposta decisamente nella teologia post mediev<strong>al</strong>e. T<strong>al</strong>e atteggiamento,<br />

che secondo me è m<strong>al</strong> equilibrato, è notevole, in un’epoca ancora<br />

recente, nell’opera che fu, <strong>al</strong>la metà del XX secolo, una sorta di ‘classico’ canonico<br />

sui sacramenti ed il cui autore era conosciuto per la sua pietà, il Tractatus<br />

canonico-mor<strong>al</strong>is de sacramentis del gesuita Felice M. Cappello 27 .<br />

Conviene concludere con una frase, che sottopongo <strong>al</strong>l’apprezzamento e <strong>al</strong> giudizio<br />

dei liturgisti cristiani. Non si potrebbe estendere <strong>al</strong>l’uso eucaristico del vino<br />

rosso una formula che, <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista cattolico, il mess<strong>al</strong>e di Paolo VI utilizza<br />

a proposito della comunione sotto le due specie: «In questa forma, il simbolismo<br />

eucaristico 28 è messo meglio in luce» 29 ? Perché la v<strong>al</strong>orizzazione del simbolismo<br />

sia ben articolata con ciò che si può chiamare la teologia classica, converrebbe<br />

sottolineare la portata spiritu<strong>al</strong>e dell’atto del bere comunicandosi, quel<br />

momento che i Padri della Chiesa e gli autori mediev<strong>al</strong>i hanno chiamato l’ebbrezza<br />

spiritu<strong>al</strong>e 30 . Da parte sua Tommaso d’Aquino ne sottolinea l’importanza,<br />

a proposito del banchetto escatologico, con riferimento <strong>al</strong>l’invito del Cantico 5,1:<br />

«Bevete e inebriatevi», e come prospettiva della vita sacrament<strong>al</strong>e 31 . Insomma,<br />

l’uso del vino rosso sembrerebbe più favorevole di quello del bianco per penetrare<br />

nel mistero e nella iniziazione eucaristica. In questo caso, sarebbe preferibile<br />

servirsi di purificatoi di colore rosso.<br />

26 Per ciò che riguarda il colore dei purificatori, si può segn<strong>al</strong>are che quelli della liturgia ortodossa<br />

sono rossi, e questo ben prima del comunismo.<br />

27 Ho impiegato la V ed., Torino 1945.<br />

28 Letter<strong>al</strong>mente «il segno del banchetto eucaristico».<br />

29 Institutio gener<strong>al</strong>is Miss<strong>al</strong>is Romani, n.o 240 (nuova ed. tipica del 2001, n.o 281): «In ea enim forma<br />

signum eucharistici convivii perfectius elucet». Questa formula è stata ripresa nel Cathéchisme de l’Eglise<br />

Catholique, n.o 1390.<br />

30 Cfr. il tema patristico della sobria ebbrezza in H.J. SIEBEN, A.SOLIGNAC, s.v.,Ivresse spirituelle, in Dictionnaire<br />

de spiritu<strong>al</strong>ité, VII, Paris 1971 2 , coll. 2312-2387.<br />

31 TOMMASO D’AQUINO, In Isaiam prophetam expositio, cap. 25, ed. cit., XIV, Parmae 1863, p. 502: «Il<br />

vino per l’ebbrezza»; ID., Expositio in II epistula ad Corinthios, ed. cit., XIII, Parmae 1862, p. 528: «L’ebbrezza<br />

dello Spirito Santo, che rapisce l’uomo per le cose divine (...) per l’amore di Dio»; ID., Super<br />

IV libros Sententiarum, Prologus, liber I, a proposito dei sacramenti e dell’escatologia, in riferimento a<br />

Cant. 5, 1: i beati sono inebriati in cielo <strong>d<strong>al</strong></strong>la visione di Dio e questa «ebbrezza sorpassa ogni misura<br />

della ragione e del desiderio» (ed. cit., VI, Parmae 1856, p. 2).<br />

483


484


Avviato sulla fine del Trecento <strong>d<strong>al</strong></strong>la lezione di Francesco Petrarca, e animato<br />

dapprima <strong>d<strong>al</strong></strong>l’iniziativa di una élite di intellettu<strong>al</strong>i dediti <strong>al</strong>le humanae litterae, l’umanesimo<br />

it<strong>al</strong>iano permeò poi gradu<strong>al</strong>mente i vari ambiti della vita civile e<br />

assunse il carattere di «moto nazion<strong>al</strong>e e unitario», secondo una felice definizione<br />

di Carlo Dionisotti 1 . L’innovativa ‘idea-guida’ fu un rib<strong>al</strong>tamento epistemologico<br />

applicato ai modi e ai contenuti del percorso formativo degli studi, in<br />

quanto si presupponeva come ineludibile via d’accesso <strong>al</strong>le <strong>al</strong>tre arti liber<strong>al</strong>i la<br />

profonda conoscenza del latino (eventu<strong>al</strong>mente del greco), verificato sulle<br />

grammatiche, ma soprattutto posseduto attraverso la diretta lettura degli autori<br />

classici 2 . T<strong>al</strong>e consistente bagaglio di conoscenze, incamerate con rigore di<br />

metodo, delineava le nuove figure emergenti nel panorama cultur<strong>al</strong>e, e la cultura<br />

così intesa fu il comune tessuto di confronto, ambìto e conquistato da campioni<br />

di arti un tempo solo mechanicae, come architetti, pittori e scultori qu<strong>al</strong>i<br />

Leon Battista Alberti, Mantegna e Donatello 3 . Secondo l’espressione suggerita<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’umanista fiorentino Leonardo Bruni, «litterarum peritiam cum rerum<br />

scientia coniungit», l’autentica erudizione era però conseguita solo nell’unione<br />

delle parole <strong>al</strong>le cose, cioè attraverso la conoscenza della re<strong>al</strong>tà effettiva 4 .Per-<br />

1 C. DIONISOTTI, Discorso sull’umanesimo it<strong>al</strong>iano, in ID., Geografia e storia della letteratura it<strong>al</strong>iana, Torino<br />

1967, p. 190.<br />

2 Una sintesi dei <strong>temi</strong> e dei problemi dell’umanesimo è contenuta in: Renaissance humanism: foundations,<br />

forms and legacy, edited by A. Rabil jr., I-III, Philadelphia 1988.<br />

3 F. RICO, Il sogno dell’umanesimo. Da Petrarca a Erasmo, Torino 1998 [tit. orig.: El sueño del humanismo. De<br />

Petrarca a Erasmo, Madrid 1993], pp. 3-9.<br />

4 L. BRUNI, De studiis et litteris,in Leonardo Bruni Aretino, Humanistisch-philosophische Schriften, a cura di H.<br />

Baron, Leipzig-Berlin 1928, p. 6.<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.<br />

SIMONA GAVINELLI*<br />

Gli umanisti e il vino<br />

485


486<br />

tanto, superando la mera verbosità fumosa, verso la metà del XV secolo questi<br />

nuclei di intellettu<strong>al</strong>i, pur in una società poco elastica e fortemente gerarchica,<br />

ottennero il monopolio dell’educazione. Con effetti di dirompente successo<br />

riuscirono addirittura a trasmettere i principi retorici di imitazione e di emulazione<br />

agli schemi comportament<strong>al</strong>i quotidiani, influenzando i canoni dell’abbigliamento,<br />

gli intrattenimenti e la politesse convivi<strong>al</strong>e della vita di corte e della<br />

emergente borghesia mercantile 5 .<br />

L’ottimistico entusiasmo per il metodo filologico e la predilezione per i <strong>temi</strong><br />

più impegnati della letteratura aulica, classica e patristica, ridussero in larga parte<br />

il dispiegarsi più ampio dei generi letterari, soprattutto quelli di matrice comica<br />

e ‘popolare’ dei carmina potatoria, che pure avevano avuto un’autorevole tradizione,<br />

prima classica e poi mediev<strong>al</strong>e, nei Carmina Burana 6 . Il vino quindi, destabilizzante<br />

per l’armonia psicofisica dell’uomo, affiora in maniera rapsodica, fortemente<br />

condizionato <strong>d<strong>al</strong></strong>le posizioni assunte nei suoi confronti dai conclamati<br />

modelli di riferimento, primo fra tutti Petrarca.<br />

Questi, oltre che sommo poeta, aveva scelto di essere philosophus, cioè amante<br />

della sapienza sostanziata di forti richiami <strong>al</strong>la mor<strong>al</strong>e cristiana e <strong>al</strong>l’etica austera di<br />

Cicerone, Virgilio, Seneca. Non sorprende dunque che nel De vita solitaria – forse<br />

il migliore dei suoi trattatelli in prosa, concepito nello stile edificante dell’epistola<br />

senechiana sulla ricerca del silenzio in cui coltivare l’ascesi cristiana e l’otium letterario<br />

– l’attivismo forzato dei centri urbani venga stigmatizzato nella descrizione<br />

topica di un lauto banchetto signorile, dove è sottolineata l’ostentazione del lusso<br />

nelle suppellettili e nelle portate. Tuttavia, come avviene pure nell’Africa, il poema<br />

epico <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e Petrarca aveva affidato la sua gloria imperitura, nell’episodio in cui<br />

Magone, poco prima di morire, costeggia le coste liguri delle Cinque Terre produttrici<br />

di vino, l’immancabile rassegna dei vini invecchiati si risolve in una compiaciuta<br />

citazione letteraria (VI, 850-853) 7 . Quei vini che spumeggiavano nei bicchieri<br />

d’oro rutilante nel De vita solitaria, I, 2, 10-12, ripetono identici gli <strong>al</strong>tisonanti<br />

nomi di «Gnosos, Meroe, Vesevus e F<strong>al</strong>ernus» e sono dottamente desunti dai<br />

5<br />

RICO, Il sogno, p. 31. Più in gener<strong>al</strong>e: La città e la corte. Buone e cattive maniere tra medioevo ed età moderna,<br />

a cura di D. Romagnoli, Milano 1991.<br />

6 Sui <strong>temi</strong> del vino, del gioco, della taverna celebrati nei carmina potatoria mediev<strong>al</strong>i: Carmina Burana,<br />

ed. B.K. Vollmann, Frankfurt a. M. 1987, pp. 596-704.<br />

7 F. PETRARCA,L’Africa, a cura di N. Festa, Firenze 1926 (Edizione Nazion<strong>al</strong>e delle opere di Francesco<br />

Petrarca, 1), p. 166; cfr. anche V. FERA, La revisione petrarchesca dell’«Africa», Messina 1984 (Studi e<br />

testi, n.s., 3), pp. 261-263.


testi classici di Columella, Lucano e Plinio il Vecchio 8 . Una netta condanna del<br />

vino, connotata da elementi autobiografici, figura invece nell’epistola autografa,<br />

inserita nella raccolta delle Senili, XII, 1, e indirizzata da Arquà <strong>al</strong>l’amico e medico<br />

person<strong>al</strong>e Giovanni Dondi dell’Orologio 9 . Rinfocolando una mai sopita polemica<br />

contro l’inettitudine e l’ignoranza dei medici in genere, sia gli archiatri pap<strong>al</strong>i<br />

di Avignone, sia gli anonimi e oscuri praticanti, Petrarca, stilando a pochi anni<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la morte una sorta di trattatello sul regime <strong>al</strong>imentare, reagisce con veemenza<br />

<strong>al</strong>le sollecite prescrizioni <strong>al</strong>imentari del Dondi, che gli aveva raccomandato di<br />

sospendere il digiuno prolungato pregandolo di non mangiare assolutamente<br />

frutta e di bere vino <strong>al</strong> posto dell’acqua 10 . Opponendosi persino <strong>al</strong> magistero di<br />

san Paolo, che aveva esortato Timoteo a curarsi con il vino senza bere più acqua<br />

«Noli, inquit, adhuc aquam bibere» (Ad Tim. I 5, 23), proprio a favore dell’acqua<br />

Petrarca accampava una serie di illustri exempla letterari, tratti dagli storici, come<br />

Livio o V<strong>al</strong>erio Massimo, o dai poligrafi qu<strong>al</strong>i Aulo Gellio, che avevano magnificato<br />

i vantaggi di cui godevano gli as<strong>temi</strong>, volontari o meno, rispetto <strong>al</strong>la genia dei<br />

bevitori, definiti spregiativamente con il termine medioev<strong>al</strong>e di meribibuli, letter<strong>al</strong>mente<br />

bevitori di vino puro. Sono infatti addotti come esempio gli abitanti delle<br />

Alpi, avvezzi a sedare la loro sete nelle fonti trasparenti, le popolazioni della G<strong>al</strong>lia,<br />

e persino le tenaci e gloriose matrone romane, per le qu<strong>al</strong>i bere vino comportava<br />

la pena capit<strong>al</strong>e, che poteva essere impunemente inferta <strong>d<strong>al</strong></strong> marito stesso,<br />

qu<strong>al</strong>ora le avesse sorprese con il bicchiere in mano. A suo modo di vedere, <strong>al</strong>l’insegnamento<br />

storico degli antichi si sommava una scontata controindicazione<br />

medica del vino, privo in sé di proprietà curative e in grado solo di disturbare lo<br />

stomaco causando spiacevoli e disonorevoli disagi. Gli stessi medici, e coloro che<br />

es<strong>al</strong>tavano i benefici del digiuno, potevano essere tacciati di incoerenza perché di<br />

fatto finivano per ingozzarsi a pranzo e a cena 11 . Chi si fosse infine ostinato a<br />

ricorrere <strong>al</strong> vino per porre riparo ai danni procurati <strong>d<strong>al</strong></strong> suo smodato uso, sarebbe<br />

incorso nel paradosso di voler «spegnere la fiamma con la fiamma» 12 :<br />

8 F. PETRARCA, De vita solitaria. Buch I. Kritische Textausgabe und ideengeschichtlicher Kommentar, v. K.A.E.<br />

Enenkel, Leiden-New York-København-Köln 1990 (Leidse Romanistische Reeks van de Rijksuniversiteit<br />

te Leiden, 24), pp. 66-67.<br />

9 Sul Dondi: T. PESENTI,in Dizionario biografico degli It<strong>al</strong>iani, 41, Roma 1992, pp. 96-104.<br />

10 A. PETRUCCI, Epistole autografe, Padova 1968 (Itinera erudita, 3), pp. 13-14; 40-51 n° 11.<br />

11 PETRUCCI, Epistole,p.44.<br />

12 PETRUCCI, Epistole, p. 48 rr. 273-274: «Sed nos gule culpam stomaco damus et invectos vino morbos<br />

vino pellere, quasi flammam flammis extinguere nitimur».<br />

487


488<br />

«Iubes ut ieiunium a pueritia usque ad hanc etatem, sine intermissione servatum, linquam<br />

et inertis more cursoris in stadii fine deficiam; atqui non nunc noviter audio consilia<br />

medicorum divinis adversa esse consiliis, nec sum nescius quid et medici et qui<br />

ieiunium damnant dicere soliti sint, utilius esse et honestius cibum partiri...».<br />

Con queste premesse appare chiaro che gli obiettivi pedagogici e civili soprattutto<br />

del primo umanesimo fiorentino e lombardo non lasciassero molto spazio<br />

<strong>al</strong>la celebrazione positiva di una bevanda legata sì <strong>al</strong>la convivi<strong>al</strong>ità, ma foriera di<br />

eccessi euforizzanti che minavano la gravitas dell’umanista.<br />

Nella produzione umanistica impegnata è dunque più raro trovare parole<br />

dedicate <strong>al</strong> vino. Per un gigante della filologia qu<strong>al</strong>e Lorenzo V<strong>al</strong>la, fiero polemista<br />

contro tutti gli orecchianti del latino e avversario perfino di Poggio Bracciolini, il<br />

termine ‘vino’, in quanto privo di particolarità morfologiche o sintattiche, non<br />

merita <strong>al</strong>cuna menzione autonoma nelle Elegantie, il suo corposo manu<strong>al</strong>e di grammatica,<br />

retorica e stilistica, esito di una gestazione plurienn<strong>al</strong>e lungo la prima metà<br />

del Quattrocento che, a dispetto del titolo, per il lettore non presenta nulla di ‘elegante’<br />

o di accattivante ma costituisce il manifesto letterario di un’epoca 13 .<br />

An<strong>al</strong>ogamente accade nei sussidi grammatic<strong>al</strong>i di vario livello e di diversa<br />

destinazione, compilati dai suoi epigoni, da Nicolò Perotti fino a Erasmo da<br />

Rotterdam 14 . Curiosa e inaspettata, quanto sintomatica della ripercussione soci<strong>al</strong>e<br />

che ebbe l’umanesimo, è invece una sezione del Vocabularium di Giovanni Tortelli,<br />

il medico letterato amico di V<strong>al</strong>la autore, tra l’<strong>al</strong>tro, di una grammatica elementare<br />

del greco pensata per chi volesse completare la propria formazione<br />

anche sui classici greci con un soggiorno integrativo a Bisanzio, secondo il<br />

costume in voga. Nel testo il contenuto propriamente grammatic<strong>al</strong>e si arricchisce<br />

di indicazioni turistiche di stampo pratico, evidenti in un breve glossario<br />

bilingue tematico inerente il lavoro, la casa, ma soprattutto la tavola, con il nome<br />

dei cibi e dei vini; vi si legge dunque come si dice ‘vino mescolato con acqua’, o<br />

gli aggettivi che qu<strong>al</strong>ificano il vino: novum, antiquum, <strong>al</strong>bum, rubeum, o penosamente<br />

acetosum invece che recens, c<strong>al</strong>idum,o amarum 15 .<br />

13 S. GAVINELLI, Le «Elegantie» di Lorenzo V<strong>al</strong>la: fonti grammatic<strong>al</strong>i latine e stratificazione compositiva, «It<strong>al</strong>ia<br />

medioev<strong>al</strong>e e umanistica», 31 (1988), pp. 205-257, con bibliografia di riferimento.<br />

14 Una panoramica sugli autori che hanno fatto tesoro nei loro scritti del magistero grammatic<strong>al</strong>e v<strong>al</strong>liano<br />

è proposta in S. GAVINELLI, Teorie grammatic<strong>al</strong>i nelle «Elegantie» e la tradizione scolastica del tardo Umanesimo,<br />

«Rinascimento», 31 (1991), pp. 155-181; RICO, Il sogno, pp. 19-28.<br />

15 La sezione con parole trascelte <strong>d<strong>al</strong></strong> volgare, studiate appunto per chi volesse recarsi in Grecia, si<br />

intitola «Hae dictiones videntur primo adiscendae quando quis linguam graecam adiscere vellet», e si


L’interesse per l’Oriente greco, la minaccia incombente dell’avanzata turca,<br />

e le cognizioni geografiche, incrementate <strong>d<strong>al</strong></strong>l’arrivo a Firenze dei codici greci<br />

con la Geografia di Tolomeo, dilatarono gli orizzonti umanistici e aprirono il varco<br />

ad una nuova sensibilità verso le scoperte geografiche, sfociate <strong>al</strong>la fine del<br />

secolo XV nell’impresa di Cristoforo Colombo 16 . Un riflesso di questo clima si<br />

coglie nell’ambizioso e polemico De varietate fortunae del fiorentino Poggio Bracciolini.<br />

Nell’annosa riflessione sui rimedi ai colpi avversi della sorte è inserita una<br />

digressione etnografica sulla coltivazione della vite in India, intesa come indice<br />

di civiltà, purtroppo appannaggio di una porzione limitata di abitanti poiché nel<br />

resto della regione circolava unicamente un tipo di bevanda ricavata <strong>d<strong>al</strong></strong> riso 17 .<br />

L’umanesimo resta comunque un fenomeno complesso, <strong>d<strong>al</strong></strong>la produzione<br />

sostanzi<strong>al</strong>mente aulica. Ma in un quadro per lo più compatto il tema del vino riesce<br />

ugu<strong>al</strong>mente a insinuarsi, soprattutto in opere di carattere scientifico, oppure<br />

in schegge letterarie di inattesa vivacità, inserite in generi più flessibili, come l’epistolografia<br />

o la produzione di tipo comico.<br />

Ed è di nuovo Poggio Bracciolini a costituire una gradita eccezione con la vis<br />

comica delle sue Facetiae. Secondo la testimonianza dell’autore che, come è noto,<br />

fu stimato scrittore apostolico presso la Curia romana, questi motti arguti e<br />

sboccati, in genere brevi e di intrattenimento novellistico, furono concepiti fin<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’epoca di papa Martino V in un luogo curiosamente denominato Bugi<strong>al</strong>e, officina<br />

di menzogne, dove i segretari pap<strong>al</strong>i si svagavano raccontandosi pettegolezzi<br />

piccanti e feroci, secondo una consuetudine cui nessuno osava sottrarsi nel<br />

timore di essere colpito in contumacia dagli str<strong>al</strong>i della sapida m<strong>al</strong>dicenza dei<br />

convenuti 18 . Il vino affiora nella macchietta del De potatore, incentrata su un robusto<br />

bevitore colpito da una forte febbre che gli procurava una grande arsura: ma<br />

ai medici, riuniti <strong>al</strong> suo capezz<strong>al</strong>e per sanarlo, il paziente in effetti intimava che<br />

gli eliminassero solo la febbre, in quanto <strong>al</strong>la sete avrebbe provveduto per con-<br />

trova nel manoscritto autografo Basel, Universitätsbibliothek, F VIII 3, ff. 141r-164v, in particolare<br />

f. 141v: M. CORTESI, Il «Vocabularium» greco di Giovanni Tortelli, «It<strong>al</strong>ia medioev<strong>al</strong>e e umanistica», 22<br />

(1979), p. 479; EAD., Umanesimo greco,in Lo spazio letterario del <strong>Medioevo</strong>,1.Il <strong>Medioevo</strong> latino. III: La ricezione<br />

del testo, Roma 1995, p. 470.<br />

16 P.O. LONG, Humanism and science, in Renaissance humanism, III, pp. 486-512; RICO, Il sogno, pp. 52-55.<br />

17<br />

POGGIO BRACCIOLINI, De varietate fortunae, ed. critica con intr. e comm. a cura di O. Meris<strong>al</strong>o, Helsinki<br />

1993, pp. 166 e 240-241.<br />

18<br />

POGGIO BRACCIOLINI, Facezie, Milano 1983 (Biblioteca Univers<strong>al</strong>e Rizzoli), pp. 406-408.<br />

489


490<br />

to suo 19 . Nella Facetia LXXIII un rib<strong>al</strong>tamento comico dei tradizion<strong>al</strong>i v<strong>al</strong>ori<br />

mor<strong>al</strong>i investe invece l’ubriachezza, il turpe risvolto della gola, condannato come<br />

vizio deprecabile, legato <strong>al</strong> diavolo nell’infame tempio della taverna 20 . A un padre<br />

che ammoniva il figlio contro i devastanti effetti dell’ubriachezza, additandogli<br />

un avvinazzato oscenamente riverso per strada e deriso da uno stuolo di ragazzi,<br />

il figlio, <strong>al</strong>lettato più che <strong>al</strong>tro dagli evidenti effetti afrodisiaci del vino, chiedeva<br />

bramosamente <strong>al</strong> genitore dove fosse in vendita una qu<strong>al</strong>ità così efficace 21 .<br />

Il ricorso letterario <strong>al</strong> vino, che <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità aveva trovato humus fecondo nel<br />

filone comico, è rivisitato agli <strong>al</strong>bori dell’umanesimo da Sicco Polenton (1375-<br />

1447) con il Catinia, una commedia in cui l’omonimo protagonista è appunto un<br />

venditore di catini approdato fortunosamente in un’osteria tra buontemponi.<br />

Nonostante la rudezza stilistica, il latino in cui è scritta presenta rimarchevoli<br />

commistioni con il volgare, o deformazioni lessic<strong>al</strong>i dello speriment<strong>al</strong>ismo ‘macaronico’<br />

che più tardi sarà interpretato, se pur con codici linguistici diversi, da due<br />

monaci letterati <strong>d<strong>al</strong></strong>la vita emblematica: Francesco Colonna nell’Hypnerotomachia<br />

Poliphili e Teofilo Folengo nelle Macheronee 22 . L’opera ebbe una fortuna immediata,<br />

soprattutto in area veneta, ed è quindi degno di menzione che il possessore di<br />

uno dei quattro codici superstiti sia stato proprio il vescovo bresciano Domenico<br />

de Dominici, conosciuto per la sua raffinata bibliofilia 23 . Oltre <strong>al</strong>la ricorrente ite-<br />

19 «... sitim autem mihi curandam relinquite»: BRACCIOLINI, Facezie, p. 260.<br />

20 C. CASAGRANDE, S.VECCHIO, I sette vizi capit<strong>al</strong>i. Storia dei peccati nel medioevo, Torino 2000 (Saggi,<br />

832), pp. 145-146.<br />

21 «… ubi est id vinum, quo iste ebrius factus est, ut ego etiam eius vini dulcedinem degustem»: BRAC-<br />

CIOLINI, Facezie, p. 192.<br />

22 Sul Colonna resta fondament<strong>al</strong>e lo studio FRANCESCO COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili, ed. critica<br />

e comm. a cura di G. Pozzi, L.A. Ciapponi, I-II, Padova 1980 (<strong>Medioevo</strong> e umanesimo, 38-39). Per<br />

Teofilo Folengo: M. CHIESA, Teofilo Folengo tra la cella e la piazza, Alessandria 1988 (Contributi e proposte,<br />

2); TEOFILO FOLENGO, B<strong>al</strong>dus, a cura di M. Chiesa, I-II, Torino 1997 (Classici it<strong>al</strong>iani, 99). Una<br />

scheda sulla princeps di MERLIN COCAI POETAE MANTUANI Liber Macaronices libri XVII non ante impressi,<br />

Venetiis 1517: T. PESENTI,A.GRIECO,in & coquatur ponendo... Cultura della cucina e della tavola in Europa<br />

tra medioevo ed età moderna, [Firenze] 1996, p. 190. Si segn<strong>al</strong>a inoltre la recente ristampa anastatica dell’edizione<br />

settecentesca: TEOFILO FOLENGO, Opus macaronicum, rist. anast. dell’edizione Braglia 1768-<br />

1771, con una premessa di G. Bernardi Perini, Volta Mantovana-Mantova-Bassano del Grappa 1996.<br />

23<br />

SICCO POLENTON, Catinia, ed. critica a cura di G. Padoan, Venezia 1969 (Memorie dell’Ist. Veneto<br />

di sc., lett. ed arti. Cl. di sc. mor<strong>al</strong>i, lett. ed arti, 34/3), pp. 1 e 38-39 con indicazione del Vat. lat. 8533.<br />

Per la bibliofilia del Dominici: C. VILLA, Brixiensia, «It<strong>al</strong>ia medioev<strong>al</strong>e e umanistica», 12 (1977), pp.<br />

243-261.


azione dell’invito «bibamus, comedamus, gaudeamus», l’es<strong>al</strong>tazione del vino e<br />

della vita gaudente è giustamente affidata <strong>al</strong>l’oste, Bibio (<strong>d<strong>al</strong></strong> nome parlante coniato<br />

con un richiamo <strong>al</strong>la radice latina di bibere). Dopo aver accusato l’improvvido<br />

avventore per avere violato la ferrea «lex Bibia», che proibiva a chiunque di s<strong>al</strong>dare<br />

il conto prima di avere scolato l’ultima goccia di vino, l’oste magnifica a lungo<br />

il creticum m<strong>al</strong>vacetum, la m<strong>al</strong>vasia aromatica dell’isola di Cipro. Segue la cor<strong>al</strong>e e<br />

partecipata approvazione di tutti gli avventori, immersi nella delibazione di un<br />

vino aggettivato quasi secondo un climax ascendente «quam dulce, bonum, suave<br />

sit», mentre, secondo la tradizione, l’acqua è nemica della natura dell’uomo perché<br />

fa m<strong>al</strong>e <strong>al</strong>lo stomaco e lo istupidisce: per questo Dio ha dato l’acqua <strong>al</strong>le<br />

bestie, e il vino <strong>al</strong>l’uomo, in modo da renderlo loquace, audace e combattivo<br />

«loquaciorem, audaciorem, pugnaciorem». A questo punto si impone la prevedibile<br />

stoccata antiaccademica contro la patente stultitia dei letterati, che di norma<br />

sono sempre deboli e p<strong>al</strong>lidi dato che si ostinano a mescolare <strong>al</strong>l’acqua del vino,<br />

ma sempre in poca quantità 24 . Un affondo sagace, levato tuttavia da chi aveva stilato<br />

la prima autentica storia della letteratura, gli Scriptores illustres Latinae linguae.<br />

Sottolineature aneddotiche e amare considerazioni di tono autobiografico traspaiono<br />

in una lunga epistola di Enea Silvio Piccolomini, il futuro papa Pio II, la De<br />

curi<strong>al</strong>ium miseriis, in cui, con esasperazioni retoriche ispirate <strong>al</strong>la Satira V di Gioven<strong>al</strong>e,<br />

è rappresentata l’avvilente durezza della vita dei cortigiani. In un clima scandito<br />

da rigidi cerimoni<strong>al</strong>i e da irrinunciabili etichette gli uomini delle corti nobiliari<br />

sono spesso costretti a vivere nelle riv<strong>al</strong>ità, infamati <strong>d<strong>al</strong></strong>le c<strong>al</strong>unnie e oppressi da<br />

estenuanti attese di cibo e bevande che vengono comunque serviti in una mensa<br />

separata, lurida e sordida. Mentre si diffonde nell’aria l’invitante fragranza dei vini<br />

aromatici di G<strong>al</strong>lia, Grecia e Ungheria, destinati <strong>al</strong>la tavola dei signori, i cortigiani<br />

faticano a conquistarsi un vino che sa di aceto, comunque annacquato, troppo c<strong>al</strong>do<br />

o gelato, connotato <strong>d<strong>al</strong></strong>la feccia sul fondo e da colore e sapore sgradevoli, versato<br />

infine puntu<strong>al</strong>mente in pochi bocc<strong>al</strong>i di legno annerito, per il gretto timore che i<br />

bicchieri d’argento possano essere rubati, quelli di vetro rotti 25 .<br />

Un inatteso quanto immediato elogio del vino e della sua forza fiaccante,<br />

con i riverberi goliardici dei beoni es<strong>al</strong>tati nei carmina potatoria, si rileva nelle<br />

amare riflessioni mor<strong>al</strong>istiche nella poesia pastor<strong>al</strong>e a impronta virgiliana di<br />

24 POLENTON, Catinia, pp. 120-123, e volgarizzato da un anonimo <strong>al</strong>le pp. 194-198.<br />

25<br />

AENEAE SILVII PICCOLOMINEI SENENSIS Opera quae extant..., Basileae, ex officina Henricpetrina,<br />

[1571] [= Frankfurt a. M. 1967], pp. 727-728.<br />

491


492<br />

Battista Spagnoli Mantovano, monaco carmelitano <strong>d<strong>al</strong></strong> 1463, dopo una giovinezza<br />

dissoluta, e precettore di casa Gonzaga, che qui vogliamo ricordare anche<br />

per un delicato elogio della città di Brescia, omaggio forse <strong>al</strong>la terra d’origine<br />

della madre, Costanza de’ Maggi26 :<br />

«Et tibi magna natant vitreis armenta sub undis<br />

Brixia, et implentur madida tua retia praeda».<br />

Nell’Egloga IX, nota per<strong>al</strong>tro anche in una anteriore redazione manoscritta dove<br />

i versi in questione non compaiono, insieme <strong>al</strong>la dura critica della corruzione<br />

della Curia romana, squaderna <strong>al</strong>cuni toni anticipatori della proteiforme quanto<br />

sboccata poetica che sarà folenghiana27 . Nelle parole del poeta mantovano il<br />

vino, efficace terapia per lo spirito, combatte la sete bicchiere dopo bicchiere;<br />

con il quinto viene sferrato l’attacco fin<strong>al</strong>e, la vittoria spetta <strong>al</strong> sesto ed è del settimo<br />

il trionfo definitivo28 :<br />

«Vina sitim minuunt animique doloribus obstant,<br />

vina ut amicitias vires ita corporis augent.<br />

Haec parit hora bonos, si patria vina racemos.<br />

Funde iterum, potare semel, gustare secundus<br />

colluit os potus, c<strong>al</strong>efacta refrigerat ora<br />

tertius, arma siti bellumque indicere, quartus<br />

aggreditur, quintus pugnat, victoria sexti est;<br />

septimus (Aenophili senis doctrina) triumphat».<br />

Cerniera tra generi letterari differenti è invece il De honesta voluptate et v<strong>al</strong>etudine del<br />

mantovano Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, la prima opera di <strong>al</strong>imentazione<br />

26 E. FACCIOLI, Mantova. Le lettere, II, Mantova 1962, pp. 151-202 che a p. 184 riporta la lode di Brescia<br />

e delle acque del Benaco; V. ROSSI, Storia letteraria d’It<strong>al</strong>ia. VI:Il Quattrocento, aggiornamento a<br />

cura di R. Bessi, Padova 1992, pp. 756, 779, 780.<br />

27 E. CARRARA, La poesia pastor<strong>al</strong>e, inStoria dei generi letterari it<strong>al</strong>iani, Milano 1904, p. 264, dove correggo<br />

in «vitreis» la forma riportata «vitrei»; L. PIEPHO, The organization of Mantuan’s Adulescentia and<br />

Spenser’s Shepheardes C<strong>al</strong>endar: A comparison, in Acta Conventus Neo-Latini Bononiensis, Proceedings of the<br />

Fourth internation<strong>al</strong> Congress of neo-latin studies (Bologna 26 August-1 September 1979), edited<br />

by R.J. Schoeck, Binghamton (N.Y.) 1985 (Mediev<strong>al</strong> & Renaissance Texts & Studies, 37), p. 578; G.<br />

ECHARD, The Eclogues of Baptista Mantuanus: A mediev<strong>al</strong> and humanist syntesis, «Latomus», 45 (1986), pp.<br />

837-847; L. PIEPHO, Mantuan and religious pastor<strong>al</strong>: Unprinted versions of his ninth and tenth Eclogues,<br />

«Renaissance Quarterly», 39 (1986), pp. 644-672, speci<strong>al</strong>mente pp. 646-647.<br />

28 Egloge fratris Baptistae Mantuani ... , Mediolani, Lignanorum fratrum impensa, [s. a.], p. GVII r-v, cfr. G.<br />

BOLOGNA, Le cinquecentine della Biblioteca Trivulziana. I: Le edizioni milanesi, Milano 1965, p. 161 n. 443.


sganciata <strong>d<strong>al</strong></strong>la trattatistica agronomica, pur con intenti terapeutici e speculazioni<br />

filosofiche antiepicuree, in un sapiente am<strong>al</strong>gama di edonismo cristiano e di<br />

medicina araba. Il trattato fu intrapreso negli ambienti colti e aristocratici della<br />

Curia romana quando il Platina, futuro primo prefetto della Biblioteca Vaticana,<br />

venne a contatto con il controverso ambito della dotta Accademia Romana guidata<br />

da Pomponio Leto. Fu poi completato durante la detenzione in carcere<br />

(dove era entrato con <strong>al</strong>tri membri dell’accademia travolto <strong>d<strong>al</strong></strong>le accuse di epicureismo<br />

e <strong>d<strong>al</strong></strong>le insinuazioni di pazzia in quanto aveva insultato pubblicamente il<br />

papa Paolo II), e soprattutto dopo la sua scarcerazione, quando fu magnanimamente<br />

accolto <strong>d<strong>al</strong></strong> giovanissimo cardin<strong>al</strong>e Francesco Gonzaga, di cui era stato<br />

precettore 29 . Lo stesso cardin<strong>al</strong>e fu generoso mecenate in rapporto con Mantegna<br />

e oculato committente della Favola di Orfeo del Poliziano, che contiene il<br />

noto coro delle Baccanti inneggianti <strong>al</strong> vino: «Ognun segua Bacco» 30 .<br />

Con il De honesta voluptate il Platina intendeva proporre un prontuario di haute<br />

cuisine padana, intessuto di erudizione classica, che attingeva soprattutto da Plinio<br />

il Vecchio e <strong>d<strong>al</strong></strong> raro Apicio, coniugata con il retaggio dei mediev<strong>al</strong>i regimina<br />

sanitatis. La novità risiede però nel copioso ricorso ad una fonte inaspettata, e<br />

mai citata esplicitamente come auctoritas 31 : il ricettario person<strong>al</strong>e di Martino de<br />

Rubeis, cuoco di fama <strong>al</strong> servizio del cardin<strong>al</strong>e Ludovico Trevisan († 1464) che,<br />

segno dei tempi, nel Libro de arte coquinaria aveva elevato a dignità letteraria un’arte<br />

sostanzi<strong>al</strong>mente manu<strong>al</strong>e 32 . Nei dieci libri del Platina è inserito un unico pas-<br />

29 A.S. CHAMBERS, Il Platina e il cardin<strong>al</strong>e Francesco Gonzaga, e M.E. MILHAM, New aspects of «De honesta<br />

voluptate», in Bartolomeo Sacchi il Platina (Piadena 1421-Roma 1481), Atti del convegno internazion<strong>al</strong>e di<br />

studi per il V centenario (Cremona, 14-15 novembre 1981), a cura di A. Campana, P. Medioli Masotti,<br />

Padova 1986 (<strong>Medioevo</strong> e umanesimo, 62), pp. 9-19, e 91-96, <strong>al</strong>le pp. 95-96 precisa come con la<br />

princeps del 1470 il De honesta voluptate sia stato il primo libro di cucina stampato in Europa; M.E.<br />

MILHAM, La nascita del discorso gastronomico: Platina,in & coquatur ponendo, pp. 125-129; PLATINA, On right<br />

pleasure and good he<strong>al</strong>t. A critic<strong>al</strong> edition and translation of De honesta voluptate et v<strong>al</strong>etudine, by M.E.<br />

Milham, Tempe (Arizona) 1998 (Mediev<strong>al</strong> & Renaissance Texts and Studies, 168), pp. 12-51.<br />

30 A. TISSONI BENVENUTI, L’Orfeo del Poliziano, Padova 1986 (<strong>Medioevo</strong> e umanesimo, 61), pp. 1-3,<br />

163-167.<br />

31 Pare che il codice Oxford, Bodl. Libr., Add. B 1 contenga un’epitome della Naur<strong>al</strong>is. historia di Plinio<br />

impiegata <strong>d<strong>al</strong></strong> Platina; sembra inoltre che Pomponio Leto, animatore della discussa Accademia<br />

romana, avesse curato le edizioni del De re rustica di Varrone e Columella e forse del De re coquinaria<br />

di Apicio: MILHAM, La nascita del discorso, p. 127.<br />

32 PLATINA, On right pleasure, pp. 12, 50-51. Su Martino de Rubeis e sul codice Washington, Library of<br />

Congress, Mediev<strong>al</strong> Manuscript, n° 153: E. FACCIOLI, Arte della cucina: libri di ricette, testi sopra lo sc<strong>al</strong>co,<br />

il trinciante e i vini <strong>d<strong>al</strong></strong> XIV <strong>al</strong> XIX secolo, I, Milano 1966, pp. 119-204; A. BERTOLUZZA, Libro di cucina<br />

493


494<br />

saggio sull’uva (II, 4), mentre il vino nero figura variamente come ingrediente<br />

della focaccia persiana <strong>d<strong>al</strong></strong> nome virgiliano, Moretum Persicinum, in grado di reprimere<br />

la bile e di giovare <strong>al</strong> fegato (VIII, 7), oppure mescolato <strong>al</strong>l’aceto per una<br />

s<strong>al</strong>sa agrodolce destinata <strong>al</strong> pesce, ma adatta <strong>al</strong>lo stomaco e <strong>al</strong> fegato (VIII, 17);<br />

riceve infine nel De vino un paragrafo autonomo, costruito sull’ostentata autorità<br />

di Plinio il Vecchio e del medico romano Celso (X, 69) 33 .<br />

Tutt’<strong>al</strong>tro spirito, gaudente ed eccessivo, <strong>al</strong>eggia nell’epica ‘macaronica’ di B<strong>al</strong>dus<br />

del padovano Teofilo Folengo, non propriamente umanista, ma emblematico ed<br />

inquieto monaco benedettino che adolescente aveva fatto la sua professione nel<br />

monastero di Sant’Eufemia di Brescia, una città più volte menzionata nel poema per<br />

l’industria estrattiva del ferro 34 . I lazzi buffoneschi sono amplificati in effetti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uso<br />

consapevole di un latino sapientemente deformato sul volgare di piazza, spesso<br />

adoperato per adombrare insegnamenti mor<strong>al</strong>i: così, in relazione <strong>al</strong> vino, l’ide<strong>al</strong>e di<br />

Folengo, affidato ai personaggi positivi, sembrerebbe risolversi nella sobrietà assoluta<br />

che fu degli uomini dell’età dell’oro o dei monaci del deserto. Ma le «grasse Muse»,<br />

evocate <strong>al</strong>l’inizio del poema come ispiratrici della poesia macaronica, sotto la presidenza<br />

di Gosa, la gozzuta musa della V<strong>al</strong>trompia che trangugia i ‘fiadoni’ o ‘ci<strong>al</strong>doni’<br />

di Brescia, trovano degna celebrazione tra le compagnie di bevitori e di mangiatori<br />

35 . L’apoteosi è raggiunta durante il sontuoso pranzo offerto <strong>d<strong>al</strong></strong> re di Francia ai<br />

futuri genitori del protagonista, B<strong>al</strong>dus, appunto (I, 390-513): con la sovrintendenza<br />

del cuoco Gambone, maestro dell’‘arte pappatoria’, prorompe un iperbolico cat<strong>al</strong>ogo<br />

di vivande, gioia di ghiottoni e di storici dell’<strong>al</strong>imentazione. Dopo un vortice di<br />

selvaggina, intingoli, s<strong>al</strong>sicce, morbide lasagne, l’arrivo del dessert fin<strong>al</strong>e, costituito da<br />

del Maestro Martino de Rossi, Trento 1993; M.E. MILHAM, Platina and Martin’s ‘Libro de arte coquinaria’,in<br />

Acta Conventus Neo-Latini Hafniensis, edited A. Moss et <strong>al</strong>., Binghampton (NY) 1994 (Mediev<strong>al</strong> and<br />

Renaissance Texts and Studies, 120), pp. 669-674; F. FANIZZA, in & coquatur ponendo, p. 293. Per una<br />

panoramica sui libri di cucina tardomediev<strong>al</strong>i: B. LAURIOUX, I libri di cucina it<strong>al</strong>iani <strong>al</strong>la fine del medioevo:<br />

un nuovo bilancio, «Archivio storico it<strong>al</strong>iano», 154 (1996), pp. 45-54.<br />

33 PLATINA, On right pleasure, pp. 138, 355, 358, 464-466.<br />

34<br />

FOLENGO, B<strong>al</strong>dus, I, pp. 124-125. Sulla parentesi bresciana del Folengo: E. SANDAL, Il giovane Folengo a<br />

S. Eufemia. Ipotesi su un manoscritto,e R.NAVARRINI - M. PEGRARI, Folengo monaco a Brescia: l’ambiente monastico<br />

e il «re<strong>al</strong>ismo» folenghiano, in Teofilo Folengo nel quinto centenario della nascita (1491-1991), Atti del Convegno<br />

(Mantova-Brescia-Padova, 26-29 settembre 1991), a cura di G. Bernardi Perini, C. Marangon, Firenze<br />

1993 (Accademia nazion<strong>al</strong>e virgiliana di scienze, lettere ed arti. Miscellanea, 1), pp. 205-211; 241-264.<br />

35 Sui fiadoni, fiadie o ci<strong>al</strong>done, che sottolineano la brescianità del Folengo, cfr. anche L. MESSEDA-<br />

GLIA, Vita e costume della rinascenza in Merlin Cocai, I, a cura di E. e M. Billanovich, Padova 1973<br />

(<strong>Medioevo</strong> e umanesimo, 13), p. 191.


torte, ostriche e pasticcini, è innaffiato da una sapiente profusione di vini destinati a<br />

«spegner la fiamma con la fiamma», con una ricercata ripresa della formula petrarchesca<br />

incontrata nella citata lettera a Giovanni Dondi dell’Orologio36 . L’ide<strong>al</strong>e ‘carta<br />

dei vini’ di Folengo contempla la m<strong>al</strong>vasia, il vino di Somma Vesuviana, il Mangiaguerra,<br />

la vernaccia dolce di Volta Mantovana, quella bresciana prodotta a Cellatica,<br />

il trebbiano di Modena, i moscatelli di Perugia o i vini di Corsica. Vini doc,<br />

potremmo dire: questi, in effetti, con le rispettive qu<strong>al</strong>ità organolettiche, la gradazione<br />

<strong>al</strong>colica e i suggerimenti sugli abbinamenti ai cibi, si ritrovano in due capis<strong>al</strong>di della<br />

letteratura enologica, Della qu<strong>al</strong>ità dei vini, di Sante Lancerio, che fu bottigliere di<br />

papa Paolo III Farnese (1534-1549) 37 , e l’opera del più ambizioso Andrea Bacci,<br />

archiatra di papa di Sisto V, ma soprattutto natur<strong>al</strong>ista, che nel De natur<strong>al</strong>i vinorum<br />

historia de vinis It<strong>al</strong>iae et de conviviis antiquorum (1596), sullo scorcio del secolo XVI volle<br />

compendiare usi e costumi correlati <strong>al</strong> vino da cui traspare comunque un’esperienza<br />

pratica costruita sul campo, inserendo anche una retrospettiva sull’antichità<br />

con ampi ricorsi <strong>al</strong>le citazioni classiche (Plinio il Vecchio, Columella) 38 .<br />

A conclusione di questa rapida e discontinua carrellata sul vino nelle fonti<br />

umanistiche si potrebbe pensare a un brindisi, <strong>al</strong>meno di sollievo. Per dovere di<br />

cronaca occorre tuttavia precisare che, <strong>al</strong>la fine del suo celebre G<strong>al</strong>ateo, Giovanni<br />

Della Casa non solo colpiva gli eccessi del vino, ma deplorava soprattutto la<br />

moda del brindisi, emergente proprio a quell’epoca come importazione <strong>d<strong>al</strong></strong>l’estero,<br />

ed esortava pertanto i buoni cortigiani a un garbato boicottaggio39 :<br />

«Lo invitare a bere (...) cioè far brindisi, è verso di sé biasimevole, e nelle nostre contrade<br />

non è ancora venuto in uso, siché egli non si dee fare. E se <strong>al</strong>tri inviterà te, potrai<br />

agevolmente non accettar lo ’nvito, e dire che tu ti arrendi per vinto, ringraziandolo, o<br />

pure assaggiando il vino per cortesia, senza <strong>al</strong>tramente bere».<br />

36 FOLENGO, B<strong>al</strong>dus, I, pp. 100-112, in cui nell’espressione macaronica del v. 500 p. 110 «Ignem sic sic<br />

morzarier igne», non è identificata l’<strong>al</strong>lusione petrarchesca della citata Sen. XII, 1, cfr. n. 11.<br />

37 SANTE LANCERIO, Della qu<strong>al</strong>ità dei vini,in FACCIOLI, Arte della cucina, I, pp. 315-341.<br />

38<br />

ANDREA BACCI, Storia natur<strong>al</strong>e dei vini: dei vini d’It<strong>al</strong>ia e dei conviti degli antichi in sette libri con l’aggiunta di<br />

notizie sui vini artifici<strong>al</strong>i e sulle cervogie, sui vini del Reno, della G<strong>al</strong>lia, della Spagna e di tutta l’Europa e su ogni<br />

uso dei vini, Roma 1596, trad., pref. e indici di M. Corino, Torino 1985; A.J. GRIECO, La gastronomia del<br />

XVI secolo: tra scienza e cultura,in & coquatur ponendo, pp. 151-153, 186-187. Sul personaggio: M. CRE-<br />

SPI, in Dizionario biografico degli It<strong>al</strong>iani, V, Roma 1963, pp. 29-30.<br />

39<br />

GIOVANNI DELLA CASA, G<strong>al</strong>ateo overo de’ costumi, a cura di E. Scarpa, Modena 1990, p. 48; cfr. anche<br />

la scheda di A. MANCIULLI, in & coquatur ponendo, pp. 119-120. Sul Della Casa: A. SANTOSUOSSO, The<br />

bibliography of Giovanni Della Casa. Books, readers and critics 1537-1975, Firenze 1979; ID., Vita di Giovanni<br />

Della Casa, Roma 1979.<br />

495


496


PARTE TERZA<br />

Tra norme e consumo:<br />

la dimensione pubblica del vino<br />

497


498


CORNELIA COGROSSI*<br />

Il vino nel «Corpus iuris» e nei glossatori<br />

«Vinea est prima, si vinum multum siet» 1 : la vigna è la più conveniente fra le coltivazioni,<br />

se produce molto vino, così Marco Porzio Catone nel II secolo a.C. La<br />

coltivazione della vite rivestiva un’importanza primaria nella penisola it<strong>al</strong>ica,<br />

quando si consigliava ai proprietari di coltivare sul proprio fondo tutti i prodotti<br />

necessari <strong>al</strong>l’uso ed <strong>al</strong> consumo della estesa familia romana 2 . Ma anche Varrone<br />

(116-27 a.C.) e Columella (I sec. a.C.) ritenevano che la viticoltura fosse un’attività<br />

molto lucrativa e raccomandavano estese colture a vite, speci<strong>al</strong>mente in<br />

pianura, ove la produzione era più abbondante che in collina 3 . Catone e Varrone<br />

stabilirono che un vigneto dovesse avere l’estensione di <strong>al</strong>meno 100 jugeri (25<br />

ettari). Ausonio, poeta latino del IV secolo d.C., originario della G<strong>al</strong>lia (Bordeaux),<br />

ottimo conoscitore degli itinerari enologici, possedeva una tipica proprietà<br />

terriera composta da 700 jugeri di bosco, 200 di terreno coltivabile, 50 di<br />

terreno a prato, 100 di vigna 4 .<br />

1 M. P. CATONE, De agricultura 1, 7, ed. R. Goujard, Paris 1975 (Collection des Universités de France<br />

[CUF]), p. 10.<br />

2 La familia romana aveva un’estensione molto lata che comprendeva i congiunti prossimi, i collater<strong>al</strong>i,<br />

gli affini, i figli acquistati per obbligazioni derivanti da contratto o da delitto (filii familias), gli<br />

schiavi, i clientes, i liberti, nel periodo primitivo, i filii familias e gli schiavi, in età storica. Cfr. sul concetto<br />

giuridico di famiglia in epoca romana G. MANFREDINI, s.v.,Famiglia, in Digesto It<strong>al</strong>iano., XI/1,<br />

Torino 1927, pp. 398-410; P. BONFANTE, Corso di Diritto romano. I: Diritto di famiglia, Roma 1925, pp.<br />

8-11; E. BETTI, Diritto romano. I: Parte gener<strong>al</strong>e, Padova 1935, pp. 107 sgg.; P. DE FRANCISCI, Storia del<br />

diritto romano, I, Milano 1939, pp. 142, 147-154.<br />

3 M.T. VARRONE, Res rusticae 1, 8, ed. J. Heurgon, I, Paris 1978 (CUF), pp. 28-30; L.J.M. COLUMELLA,<br />

De re rustica 3, 2, 3, ed. J.C. Dumont, Paris 1993 (CUF), p. 8.<br />

4 D.M. AUSONIO, Opusculum XII (de herediolo), vv. 21 sgg., ed. S. Prete, Leipzig 1978 (Bibliotheca scriptorum<br />

graecorum et romanorum teubneriana), p. 90.<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.<br />

499


500<br />

L’importanza economica della vite nel mondo romano<br />

Il rendimento medio di un vigneto era ritenuto di 208 ettolitri per ettaro (i latini<br />

10 cullei per jugero), ma si giungeva anche a 15 cullei (312 ettolitri), mentre ci si<br />

doveva limitare a 7-8 ettolitri per i vini più pregiati, come il cecubo. Se una vigna<br />

di nuova piantagione bastava che producesse, <strong>al</strong> primo raccolto, 104 ettolitri per<br />

ettaro (5 cullei), era buona norma che, scendendo la produzione a 3 cullei, se ne<br />

cessasse la coltivazione come improduttiva 5 .<br />

Quanto ai prezzi, essi variavano secondo le annate e secondo, natur<strong>al</strong>mente, i<br />

vini; le tendenze speculative erano tuttavia molto forti, se Catone, già nel II secolo<br />

a.C., consigliava di tener sempre una scorta di dolia per conservare i vini d’annata ed<br />

attendere il ri<strong>al</strong>zo; non era affatto improbabile che si re<strong>al</strong>izzassero enormi guadagni,<br />

come nell’annata del consolato di Opimio, resa famosa da una produzione che<br />

fruttò ben 100 sesterzi 6 ad anfora, o le annate del principato di C<strong>al</strong>igola, che, secondo<br />

Plinio, portarono i prezzi <strong>al</strong>le stelle. Per comprendere il v<strong>al</strong>ore degli importi<br />

bisogna partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età storica più antica, di cui disponiamo i dati; verso il 250 a.C.<br />

il congius (3 litri e 1/4) si vendeva a un asso 7 , e nell’88 a.C. il prezzo massimo dei vini<br />

amineo 8 e greco fu fissato dai censori ad otto assi per quadrant<strong>al</strong>e 9 (per anfora). Columella,<br />

nel I secolo a.C., riferisce che il prezzo medio del novello era di 300 sesterzi<br />

il culleus e Marzi<strong>al</strong>e, nel I secolo d.C., cita la cifra di 20 assi per un’anfora 10 .<br />

In tempi di economia recessiva e di scarsa produzione agricola e vinaria, per<br />

evitare la lievitazione dei prezzi l’imperatore Diocleziano fissò, con editto, il prezzo<br />

di 30 denari a sextarius 11 per i vini migliori, del Piceno, di Tivoli e della Sabina,<br />

per il pregiato amineo e per i vini di Sezia (oggi Sezze), di Sorrento e di S<strong>al</strong>erno 12 ;<br />

5 Il culleus era un sacco di cuoio o otre per contenere il vino, l’olio, l’acqua, i liquidi in genere e costituiva<br />

anche una misura per i liquidi, della capacità di 20 amphorae.<br />

6 Moneta d’argento corrispondente a due assi e mezzo, cioè 1/4 di denario, corrispondente a circa<br />

22 centesimi di lire it<strong>al</strong>iane.<br />

7 As (assis, axis) = l’intero come unità monetaria, diviso in 12 once; moneta del v<strong>al</strong>ore approssimativo<br />

di sei centesimi di lire it<strong>al</strong>iane ai tempi di Cicerone.<br />

8 D<strong>al</strong>l’Aminea, zona dell’agro Piceno che produceva vini eccellenti.<br />

9 Misura di capacità = otto congii = un’amphora.<br />

10 M.V. MARZIALE, Epigrammaton 12, 76, ed. H.J. Izaac, II/1, Paris 1933 (CUF), p. 184.<br />

11 Sesta parte del congius, corrispondente a circa mezzo litro.<br />

12 Zone di produzione di ottima qu<strong>al</strong>ità.


24 denari per i vini invecchiati di prima e di seconda qu<strong>al</strong>ità (vinum vetus primi gustus<br />

e vinum vetus secundi gustus); 16 denari per il vino comune (vinum rusticum).<br />

Quanto ai costi degli appezzamenti a vigna, essi erano senz’<strong>al</strong>tro remunerativi,<br />

se si tien conto che un certo Parridio, proprietario di una vigna, poté farne<br />

donazione di un terzo <strong>al</strong>la figlia maggiore (senza detrimento della produzione),<br />

un terzo <strong>al</strong>la minore e trattenere il rimanente terzo per sé, ricavandone ancora un<br />

rendimento elevato come da una coltivazione indivisa 13 . Ai tempi di Plinio, il<br />

grammatico P<strong>al</strong>emone acquistò nell’ager Nomentanus 14 un vigneto per 600.000<br />

sesterzi e ne affidò la coltura <strong>al</strong> liberto Acilio Steleno. Otto anni più tardi il raccolto<br />

fu venduto per 400.000 sesterzi e, due anni dopo, Seneca ne acquistò la<br />

proprietà ad un prezzo quattro volte superiore a quello dell’acquisto originario 15 .<br />

La plusv<strong>al</strong>enza risultante <strong>d<strong>al</strong></strong>le nuove piantagioni era così nota che il fittavolo<br />

che avesse piantato vigne sul suo fondo, anche senza un’apposita clausola<br />

contrattu<strong>al</strong>e che lo prevedesse, aveva diritto ad un indennizzo da parte del proprietario,<br />

anche in caso di risoluzione anticipata del contratto per morosità 16 .<br />

Lo Stato intervenne spesso, nel corso dei secoli, con misure legislative intese<br />

a proteggere la produzione dei vini it<strong>al</strong>ici, poiché l’esportazione era diretta <strong>al</strong>la<br />

Liguria, <strong>al</strong>la G<strong>al</strong>lia, <strong>al</strong>la Grecia, fino <strong>al</strong>l’India, <strong>al</strong>l’Illiria, <strong>al</strong>l’Africa settentrion<strong>al</strong>e.<br />

Cicerone nel De Republica, ambientata nel 129 a.C., sosteneva che «nos (…) Trans<strong>al</strong>pinas<br />

gentes oleam et vitem serere non sinimus, quo pluris sint nostra oliveta<br />

nostraeque vineae» 17 . E se i nervi e gli svevi, <strong>al</strong> tempo di Cesare nel I secolo a.C.,<br />

vietavano l’importazione del vino entro il loro territorio, per proteggere la pro-<br />

13 COLUMELLA, De re rustica 3, 3, 8, p. 23.<br />

14 Da Nomento, antica città latina, poi sabina, oggi Mentana, a 21 Km a nord-est da Roma.<br />

15 PLINIO IL VECCHIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 5(4), ed. J. André, XIV, Paris 1958 (CUF), pp. 39-41. Sulla<br />

gestione e sul rendimento dei fondi in età romana cfr. D.P. KEHOE, Investment, profit, and tenancy. The<br />

jurists and the roman agrarian economy, Ann Arbor 1997.<br />

16 Digesta Iustiniani 19, 2, 55 e 19, 2, 61, ed. Th. Mommsen, P. Krueger, Corpus Iuris Civilis, I, Berolini<br />

1954 (da ora D.): «Colonus cum lege locationis non esset comprehensum, ut vineas poneret, nihilominus<br />

in fundo vineas instituit, et propter earum fructus denis amplius aureis annuis is ager locari coeperat<br />

quaesitum est si dominus istum colonum fundo eiectum, pensionum debitarum nomine conveniat,<br />

an sumptus utiliter factus in vineis instituendis computare possit, opposita doli m<strong>al</strong>i exceptione?<br />

Respondi vel expensas consecuturum, vel nihil amplius praestaturum esse», e anche D. 19, 2, 55 con<br />

glossa di Bartolo: «Etiam qui eiicitur pensionem non solutam repetit expensas utiliter factas».<br />

17 «Noi non permettiamo che i popoli Trans<strong>al</strong>pini coltivino l’olivo e la vite, perché si mantengano<br />

superiori la nostra olivicoltura e viticoltura»: M.T. CICERONE., De Republica 3, 9, 16, ed. E. Bréguet,<br />

II, Paris 1980 (CUF), p. 58.<br />

501


502<br />

duzione della birra 18 , l’imperatore Domiziano, verso la fine del I secolo d.C., in<br />

un momento di stasi commerci<strong>al</strong>e, vietò di piantare nuove vigne, sia in It<strong>al</strong>ia che<br />

nelle province, e fece espiantare anche una parte dei vigneti esistenti 19 . Alle province<br />

g<strong>al</strong>liche per tutta l’età imperi<strong>al</strong>e non fu riconosciuto il diritto di disporre<br />

nuovi vigneti ed il divieto venne meno soltanto con l’imperatore Probo nel III<br />

secolo d.C., mentre V<strong>al</strong>ente e Graziano, ancor un secolo dopo, vietavano l’esportazione<br />

di vino presso i barbari 20 . In molte province, infatti, gli importatori<br />

pagavano speci<strong>al</strong>i diritti di dogana per le partite di vino che ricevevano; si trattava<br />

di una misura che aveva un chiaro fine protezionistico per i prodotti non<br />

coperti da diritti di dogana in territori stranieri. Nel basso impero i produttori<br />

pagavano una tassa sul vino in natura ai susceptores vini, funzionari fisc<strong>al</strong>i che rilasciavano<br />

ricevuta per quanto riscosso 21 .<br />

La coltivazione della vite e la produzione di vino erano una fonte di guadagno<br />

non solo per i privati, ma anche per il pubblico erario e spesso per il fisco<br />

imperi<strong>al</strong>e. In ogni caso produrre vino era costoso. La cura del prodotto vinario<br />

comportava l’esborso di notevoli somme <strong>al</strong> person<strong>al</strong>e preposto: a chi chiudeva<br />

le botti (exasciator), <strong>al</strong> degustatore (haustor), <strong>al</strong> guardiano delle botti (custos cuparum),<br />

a coloro che trasportavano le botti sul luogo di vendita (ph<strong>al</strong>angarii). Infine<br />

il contribuente portava un apposito vaso per la degustazione (ampulla) ai funzionari<br />

imperi<strong>al</strong>i e ne riceveva quietanza 22 .<br />

Dati i prezzi correnti le istituzioni pubbliche potevano favorire il consumo<br />

di vino abbassandone d’autorità il prezzo, o distribuendolo gratuitamente, su<br />

modello dell’annona 23 . Il vino ricavato <strong>d<strong>al</strong></strong>le proprietà imperi<strong>al</strong>i era fornito ad<br />

18 C. GIULIO CESARE, Bellum g<strong>al</strong>licum 2, 15 e 4, 2, ed. L.A. Constans, I, Paris 1955 (CUF), pp. 58 e 98.<br />

19 C. SVETONIO TRANQUILLO, De vita Caesarum. Domitianus 7, 2, ed. H. Ailloud, III, Paris 1957 (CUF),<br />

pp. 84-85.<br />

20 Codex Iustiniani 4, 41, 1, ed. P. Krueger, Corpus Iuris Civilis, II, Berolini 1954 (da ora C.), con glossa<br />

di Bartolomeo da S<strong>al</strong>iceto: «Quae res exportari non debeant. Nullum liquamen potest transferri ad<br />

barbaros, quantocumque modicum, etiam causa degustandi. S<strong>al</strong>ycetum: Ad barbaricum transferendi<br />

vini, olei, et liquaminis nullam quisquam habeat facultatem, nec gustus quidem causa, aut usus commerciorum»<br />

(«Di ciò che non è lecito esportare. Nessun succo può essere esportato presso i barbari,<br />

anche se in modica quantità, anche solo per degustazione. S<strong>al</strong>iceto: Nessuno possa esportare vino,<br />

olio e succo presso i barbari, neppure per degustazione, o per farne commercio»).<br />

21 Codex Theodosianus 14, 4, 4, ed. Th. Mommsen, Berolini 1905 (da ora Cod. Theod.).<br />

22 Cod. Theod. 12, 6.<br />

23 SVETONIO, De vita Caes. Augustus 42, ed. H. Ailloud, I, Paris 1954 (CUF), p. 98.


<strong>al</strong>cune corporazioni in pagamento dei loro servizi, mentre una parte era venduta<br />

<strong>al</strong> pubblico; l’imperatore Aureliano, nel III secolo d.C., fu il primo ad ordinare<br />

t<strong>al</strong>i vendite e nel 365 V<strong>al</strong>entiniano decise che il prezzo sarebbe stato inferiore<br />

di un quarto rispetto a quello corrente 24 . L’ufficio a ciò preposto era inserito nella<br />

organizzazione fisc<strong>al</strong>e: la contabilità dell’imposta vinaria (arca vinaria) era tenuta<br />

da un cassiere stat<strong>al</strong>e (ration<strong>al</strong>is vinorum) 25 .<br />

Fra gli ultimi decenni del II secolo d.C. ed i primi del III, le popolazioni rur<strong>al</strong>i<br />

sostennero le monarchie militari, da Commodo ad Alessandro Severo, grazie ad un<br />

sistema di affittanza, voluto da questi imperatori, sempre meno remunerativo per i<br />

grandi proprietari, ma più favorevole ai coloni. Con Elvio Pertinace incominciò l’abbandono<br />

delle terre e l’imperatore, nei suoi circa tre mesi di regno, chiamò inutilmente<br />

i contadini ad occupare come proprietari le terre incolte, concedendo anche<br />

l’esenzione <strong>d<strong>al</strong></strong>le imposte 26 . Nel periodo dell’anarchia militare (da Massimino a Diocleziano)<br />

l’agricoltura e in specie la viticoltura it<strong>al</strong>ica erano in rovina, dati i costi ed il<br />

tempo richiesti da t<strong>al</strong>e coltura. Aureliano negli anni Settanta del III secolo d.C., tentò<br />

invano di recuperare le terre incolte distribuendo famiglie di prigionieri di guerra fra<br />

i proprietari dei vigneti incolti dell’Etruria 27 . Con l’editto di Probo (276-282 d.C.) si<br />

aprì uno spazio <strong>al</strong>la viticoltura provinci<strong>al</strong>e presso i popoli barbari e l’imperatore<br />

permise fin<strong>al</strong>mente «a tutti i g<strong>al</strong>li ed a tutti gli spagnoli e persino ai britanni di coltivare<br />

le viti e di fare il vino», e di «possedere le vigne ai g<strong>al</strong>li e ai pannoni» 28 .<br />

Benché in decadenza, la coltivazione della vite non venne mai meno nel mondo<br />

mediterraneo. Nel VI secolo d.C. Cassiodoro, ministro di Teodorico, poteva<br />

ancora ammirare le vigne e gli oliveti intorno a Reggio, es<strong>al</strong>tare l’acinatico verone-<br />

24 Scriptores Historiae Augustae. Divus Aurelianus 48, 1-4, ed. F. Paschoud, V/1, Paris 1996 (CUF), p. 57;<br />

Cod. Theod., 11, 2.<br />

25 A. JARDÉ, s.v.,Vinum, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, a cura di Ch. Daremberg, E.<br />

Saglio, V/1, Paris 1912, p. 924.<br />

26 L. DALMASSO, La viticoltura ai tempi dell’Impero Romano, Roma 1940, p. 20.<br />

27 Historiae Aug. Aurel. 48, 2, p. 57.<br />

28 Historiae Aug. Probus 18, 8, ed. F. Paschoud, V/2, Paris 2001 (CUF), p. 36: «G<strong>al</strong>lis omnibus et Hispanis<br />

ac Britannis hinc permisit, ut vites haberent vinumque conficerent»; e in una sintesi sulla antica viticoltura<br />

germanica si legge: «assai tardi si produsse il vino presso i Germani, finché esso non fu importato<br />

dai coloni romani, o quanto meno <strong>d<strong>al</strong></strong>le legioni romane, che, stanziate presso il Reno per presidiarlo,<br />

per non dover acquistare i vini stranieri, che giungevano per nave, a gran prezzo, diffusero le viti<br />

in Germania; il che fu fatto in particolare <strong>al</strong> tempo dell’imperatore Aurelio Probo, il qu<strong>al</strong>e in cambio<br />

della fedeltà dimostrata in guerra concesse ai Germani, ai G<strong>al</strong>li e ai Pannoni di coltivare le viti».<br />

503


504<br />

se qu<strong>al</strong>e carneum liquorem (vino corposo) e lodare i vini dell’Istria e del Friuli. Ma<br />

solo con l’editto di Rotari del 643 d.C., in piena età longobarda, la viticoltura tornò<br />

ad essere oggetto di attenzione e di protezione da parte del legislatore, recuperando<br />

il carattere di coltivazione preminente nelle terre it<strong>al</strong>iche 29 .<br />

Esame del regime giustinianeo dei Digesta<br />

Messo in luce il v<strong>al</strong>ore della viticoltura nel mondo antico, con specifico riguardo a<br />

quello romano, risulta ora pienamente comprensibile la particolare attenzione prestata<br />

dai Digesti giustinianei <strong>al</strong>la proprietà e <strong>al</strong>la produzione vitivinicola nell’economia<br />

e nel commercio romani. Trattandosi di una raccolta e consolidazione di<br />

testi dei più famosi giureconsulti dell’età classica, questi testi ebbero, per espressa<br />

volontà di Giustiniano, v<strong>al</strong>ore di legge, sicché si può parlare, anche per i Digesta,di<br />

‘legislazione’ giustinianea. Ed essa tocca, nel nostro caso, sia la compravendita del<br />

prodotto vinicolo, sia, in ambito successorio, i legati di vino e di vigne; <strong>al</strong>la compravendita<br />

sono dedicati undici frammenti dei Digesti e venticinque ai legati.<br />

Raccolta organizzata di passi dei giureconsulti romani ritenuti più autorevoli<br />

30 , come si è detto sopra, fin<strong>al</strong>izzata <strong>al</strong>la conoscenza storica e dogmatica degli<br />

istituti, i Digesta (pubblicati il 16 dicembre 533) contengono passi tratti da opere<br />

di giureconsulti repubblicani, oltre, soprattutto, dei più famosi giuristi di età<br />

imperi<strong>al</strong>e 31 . Opera imponente, di grande portata per la storia e l’evoluzione degli<br />

29 Sulla proprietà terriera e sul suo sfruttamento cfr. KEHOE, Investment, profit, cit. <strong>al</strong>la n. 15.<br />

30 Alcuni dei qu<strong>al</strong>i erano stati insigniti, in età classica, di ius respondendi, così definito: «Antiquorum<br />

prudentium, quibus auctoritatem conscribendarum interpretandarumque legum sacratissimi principes<br />

tribuerunt» (le opinioni «degli antichi giusprudenti, cui i nostri santissimi principi attribuirono<br />

autorità di redigere e interpretare le leggi»).<br />

31 La commissione, nominata da Giustiniano il 15 dicembre 530, presieduta da Triboniano, quaestor<br />

sacri p<strong>al</strong>atii, non si attenne <strong>al</strong>le prescrizioni dell’imperatore di avv<strong>al</strong>ersi soltanto di giuristi insigni che<br />

avevano ottenuto il ius respondendi in età imperi<strong>al</strong>e, ma utilizzò anche giuristi repubblicani (Quinto<br />

Mucio, Alfeno Varo, Elio G<strong>al</strong>lo) e un maestro come Gaio, autore famoso delle Institutiones. I frammenti<br />

sono tratti da 38 o 39 giuristi; più numerosi quelli dell’epoca di Traiano ed Adriano (Giavoleno,<br />

Nerazio, Celso, Giuliano), degli Antonini (Pomponio, Africano, Scevola, Gaio, Marcello), dei<br />

Severi (Papiniano, Marciano, Fiorentino), sino a Ulpiano e Paolo, i due grandi compilatori dell’età di<br />

Alessandro Severo, che fornirono, rispettivamente un terzo ed un buon sesto del Digesto. Anche<br />

Modestino vi è largamente rappresentato, ed il post-classico Ermogeniano. Sui Digesta v. A. GUARI-<br />

NO, Storia del Diritto romano, Napoli 1993, pp. 565-569.


istituti giuridici e per l’individuazione dei principi fondament<strong>al</strong>i del diritto privato,<br />

essi permisero che la sapienza giuridica romana, di cui sono la sintetica<br />

espressione fin<strong>al</strong>e, esercitasse la sua influenza decisiva su tutta la cultura europea.<br />

Per t<strong>al</strong> motivo ci appare rilevante lo spazio dedicato <strong>al</strong>la normativa su la<br />

proprietà, la compravendita e le successioni, il cui oggetto è costituito da vigneti<br />

e prodotti viticoli; così come le frequenti glossae ed i casus apposti <strong>al</strong> testo <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

monument<strong>al</strong>e opera accursiana, della metà XIII secolo, sono indice di un non<br />

mai spento interesse dei glossatori bolognesi, lungo tutto l’arco del Rinascimento<br />

giuridico, per un settore della produzione agricola considerato, da sempre,<br />

economicamente importante 32 .<br />

Ma veniamo ai singoli principi esposti nei Digesti. Per quanto attiene <strong>al</strong> contratto<br />

di compravendita, sono contemplate l’individuazione e la specificazione<br />

degli elementi del contratto ai fini del suo perfezionamento, delle obbligazioni<br />

del venditore e del compratore (D. 18, 1, 7; 18, 6, 1 § 1; 18, 6, 1 § 2 e 4; 18, 6, 4<br />

§ 1 e 2; 18, 6, 5) e delle condizioni ad esso apponibili (D. 18, 6, 1 § 3; 18, 6, 4) 33 .<br />

Un rinvio <strong>al</strong>la nostra attu<strong>al</strong>e legislazione in materia di vendita è possibile considerando<br />

l’articolo 1470 e seguenti del Codice Civile. Occorre previamente chiarire<br />

che non fu creazione dei giuristi romani la teoria gener<strong>al</strong>e del negozio giuridico, ma<br />

essa ris<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la pandettistica tedesca del XIX secolo, ripresa poi da molte codificazioni,<br />

che crearono norme gener<strong>al</strong>i, applicabili (entro certi limiti) ad ogni negozio 34 .<br />

I romani preferirono, rispetto <strong>al</strong>le grandi astrazioni, introdurre trattazioni gener<strong>al</strong>i,<br />

sicché non è presente nel Corpus Juris giustinianeo una definizione di ‘vendita’ di<br />

cose mobili, bensì, ad esempio, i criteri, ricavati da Gaio, v<strong>al</strong>idi per la vendita di cose<br />

che «pondere, numero, mensurave constant», quantificabili in peso, numero, misura,<br />

qu<strong>al</strong>i frumento, vino, olio, argento. Trattandosi, t<strong>al</strong>ora, di responsa, quella che noi<br />

32 «Agli occhi dei giuristi bolognesi, il corpus iuris – per il suo v<strong>al</strong>ore form<strong>al</strong>e e l’intrinseco contenuto<br />

etico-giuridico – fu autorità per eccellenza, verità dogmatica che non poteva essere discussa: esso fu<br />

(...) l’intoccabile Bibbia del diritto, il donum Dei manifestantesi per ora principum» (A. CAVANNA, Storia<br />

del Diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, Milano 1982, p. 118; sulla glossa e sull’opera<br />

accursiana v. inoltre le pp. 118-120 e 134-136).<br />

33 Sulla compravendita in diritto romano v. S. ROMANO, Nuovi studi sul trasferimento della proprietà e il<br />

pagamento del prezzo nella compravendita romana, Padova 1937; F.M. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattu<strong>al</strong>e<br />

nel Diritto romano <strong>d<strong>al</strong></strong>la origini a tutta l’età postclassica, Bari 1994; G. MELILLO, ‘Contrahere, pacisci,<br />

transigere’. Contributi <strong>al</strong>lo studio del negozio bilater<strong>al</strong>e romano, Napoli 2001; sul diritto ereditario v. V. SCIA-<br />

LOJA, Diritto ereditario romano, I, Roma 1915; sulla proprietà v. F. PICCINELLI, Studi e ricerche intorno <strong>al</strong>la<br />

definizione «Dominium est ius utendi et abutendi re sua quatenus iuris ratio patitur», Napoli 1980.<br />

34 Metodo seguito per la prima volta <strong>d<strong>al</strong></strong> Codice civile tedesco del 1900.<br />

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506<br />

definiamo modernamente ‘norma’ non ha la struttura prescrittiva, ma è riportata in<br />

forma di risposta ad una questione: «In quelle cose che consistono in peso, numero,<br />

o misura (come il frumento, il vino, l’olio, l’argento), purché si osservi ciò che è<br />

prescritto per tutte le <strong>al</strong>tre, non appena se ne sia convenuto il prezzo la vendita<br />

appare perfetta, come se fossero state misurate, pesate, numerate» 35 .<br />

Segue il caso concreto: «Infatti, se tutto il vino, o l’olio, o il frumento, o l’argento,<br />

per quanto sia, fosse venduto ad un unico prezzo, sarebbe ugu<strong>al</strong>mente<br />

conforme <strong>al</strong> diritto, come per tutte le <strong>al</strong>tre cose» 36 . Segue poi l’an<strong>al</strong>isi casistica del<br />

perfezionamento del contratto attraverso il qu<strong>al</strong>e procede gran parte del materi<strong>al</strong>e<br />

dei Digesta: si chiede quando si possa considerare perfezionata la vendita, se il vino,<br />

l’olio, il frumento, l’argento siano venduti per singole unità di misura, o per numero;<br />

e ancora, se cose che si vendono a numero siano invece vendute a corpo 37 . Sabino<br />

e Cassio ritengono perfetto l’acquisto, <strong>al</strong>lorché si sia proceduto <strong>al</strong>la misura e <strong>al</strong>la<br />

numerazione, poiché la vendita pare avvenire sotto questa condizione: che si proceda<br />

<strong>al</strong>la determinazione delle singole pesature e numerazioni 38 .<br />

Nel ‘negozio giuridico’ romano, come per il nostro ordinamento, risulta fondament<strong>al</strong>e<br />

la dichiarazione di volontà, che può essere fatta in forma non solenne,<br />

come nel caso dei quattro contratti consensu<strong>al</strong>i tipici: vendita, locazione, società,<br />

mandato 39 . La dichiarazione, solenne o no, esprime una volontà che deve re<strong>al</strong>izzarsi<br />

nei due momenti del processo volitivo, l’intenzione e l’attuazione: quest’ultima<br />

inizia con la dichiarazione, sovente con una formula prestabilita 40 . Funzione<br />

35 D. 18,1,5: «In his quae pondere, numero, mensurave constant (velut frumento, vino, oleo, argento),<br />

modo ea servantur, quae in caeteris, ut simul atque de pretiis convenerit, non tamen <strong>al</strong>iter videatur<br />

perfecta venditio, quam si admensa, adpensa, adnumeratave sint».<br />

36 Ibid.<br />

37 D. 18,1,5.<br />

38 Ibid.: «Quia venditio quasi sub hac conditione videtur fieri, ut in singulos modios, quos, quasve<br />

admensus eris, aut in singulas libras, quas adpenseris, aut in singula corpora, quae adnumeraveris».<br />

39 Per questi contratti il diritto romano non richiedeva una forma, bastava cioè la conclusione verb<strong>al</strong>e,<br />

o per lettera, o per mezzo di un nuntius. Alla fine del III sec. d.C. il famoso form<strong>al</strong>ismo giuridico<br />

esisteva soltanto in teoria: Costantino, agli inizi del IV sec., diede per primo disposizioni abrogative<br />

in materia; t<strong>al</strong>e indirizzo legislativo si concluse con Giustiniano, nel cui diritto nessuna della forme<br />

antiche fu conservata. In età giustinianea l’atto solenne aveva solo forma scritta, ma non si vietava il<br />

ricorso <strong>al</strong>l’or<strong>al</strong>ità, dato l’an<strong>al</strong>fabetismo diffusissimo nelle campagne.<br />

40 All’interno del principio di tipicità si può distinguere fra tipicità di contenuto negozi<strong>al</strong>e e tipicità<br />

dei diritti soggettivi. La prima significa che il privato può concludere solo negozi che corrispondano<br />

ai modelli leg<strong>al</strong>i; essa deriva <strong>d<strong>al</strong></strong> particolare sviluppo del diritto romano, che non procede per norme


della vendita è assicurare lo scambio fra privati di beni mobili contro un corrispettivo;<br />

sulla base di t<strong>al</strong>e funzione il regime giuridico stabilisce che l’obbligo di<br />

consegnare la merce e quello di pagare il prezzo convenuto sono indispensabili<br />

per l’effettuazione di ogni vendita; ne consegue che risulta impossibile una vendita<br />

senza prezzo. Poiché ogni negozio ha il suo nomen, entro questo ambito i singoli<br />

hanno il potere di introdurre particolari disposizioni, adattando il modello<br />

leg<strong>al</strong>e agli interessi che vogliono soddisfare 41 .<br />

Le obbligazioni del venditore e del compratore sorgono <strong>d<strong>al</strong></strong>l’accordo dei<br />

due soggetti di scambiare fra loro una cosa contro una determinata somma di<br />

denaro 42 . È discusso il limite della responsabilità del venditore, cui <strong>al</strong>cuni attribuiscono<br />

la custodia della cosa, cioè la cura della cosa, affinché non perisca né si<br />

deteriori nell’interv<strong>al</strong>lo intercorrente fra la compravendita e la consegna, nei<br />

limiti che vanno <strong>d<strong>al</strong></strong> dolo fino <strong>al</strong>la culpa levis. Ma se la cosa si deteriora o perisce<br />

per caso fortuito o forza maggiore, il venditore è liberato da ogni responsabilità<br />

ed è tenuto a consegnare soltanto ciò che rimane della merce; viceversa il compratore<br />

è tenuto comunque a pagarne il prezzo: «periculum est emptoris».<br />

T<strong>al</strong>e principio rappresenta in effetti una peculiarità della compravendita<br />

consensu<strong>al</strong>e romana, inutilmente negata <strong>d<strong>al</strong></strong>la dottrina romanistica moderna, che<br />

avrebbe voluto attribuirne la creazione ai compilatori bizantini. Lo vediamo<br />

enunciato nei frammenti dei Digesti intitolati De periculo vini venditi, tratto da<br />

Gaio, e De periculo et commodo rei venditae preso da Ulpiano: il rischio del perimento<br />

incombe <strong>al</strong> venditore prima della misurazione, ma <strong>al</strong> compratore va tutto il<br />

danno, una volta effettuato l’acquisto, sia della acetificazione sopravvenuta, sia<br />

della effusio (spargimento) del vino, sia delle ammaccature o lesioni dei vasi che lo<br />

contengono o di <strong>al</strong>tri eventu<strong>al</strong>i accidenti 43 . Il venditore si sobbarca il rischio se<br />

gener<strong>al</strong>i, ma per singole ammissioni, per cui gli istituti sorgono quando la prassi negozi<strong>al</strong>e li richiede<br />

e le fonti autorizzate li riconoscono. All’opposto la moderna concezione: il privato, in base <strong>al</strong> principio<br />

della libera estrinsecazione della volontà, può concludere qu<strong>al</strong>siasi negozio, purché nel rispetto<br />

di <strong>al</strong>cune norme gener<strong>al</strong>i.<br />

41 Su t<strong>al</strong>e punto v. P. VOCI, Istituzioni di Diritto romano, Milano 1994, pp. 125 sgg.<br />

42 Nascono pertanto due distinte obbligazioni: 1) l’obbligo della parte che cede la cosa contro denaro<br />

di porla nella disponibilità della controparte; di garantire a quest’ultima la pacifica disponibilità e<br />

il pacifico godimento; di prestare garanzia per i vizi occulti; 2) l’obbligo della parte acquirente di trasmettere<br />

la proprietà della somma di denaro pattuita; di ricevere o di ritirare la cosa; di rimborsare <strong>al</strong><br />

venditore le spese che questi può aver sostenuto per la conservazione della cosa.<br />

43 D. 18, 1, 7: «Si (...) ex doleario pars vini venierit, veluti metreti centum, verissimum est antequam<br />

admetiatur omne periculum ad venditorem pertinere» («Se si è venduta una parte di vino contenuto in<br />

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508<br />

non ha specificamente indicato il termine entro cui si dovrà procedere <strong>al</strong>la degustazione,<br />

o se ha pattuito fino a quando il rischio rimane e rimarrà a suo carico;<br />

in ogni caso se non si è proceduto <strong>al</strong>l’assaggio, benché siano stati già contrassegnati<br />

i vasi o le botti, si dovrà conseguentemente ritenere che il rischio del perimento<br />

è a carico del venditore, a meno che non si sia convenuto <strong>al</strong>trimenti 44 .<br />

Questo importante frammento, di origine ulpianea, afferma un principio<br />

che rimarrà fissato anche per i glossatori 45 . L’ampio corredo di glosse che corona<br />

il testo giustinianeo attesta, infatti, l’importanza del «periculum vel commodum<br />

rei venditae», del carico del rischio della cosa venduta sull’<strong>al</strong>ienante o sull’acquirente.<br />

Problemi di non facile soluzione, soprattutto seguendo la metodologia<br />

casistica della prima dottrina di diritto comune, che sono stati risolti <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

paziente elaborazione dottrin<strong>al</strong>e di commentatori e trattatisti, ed hanno infine<br />

trovato una precisazione normativa che si è codificata, per quanto concerne il<br />

nostro attu<strong>al</strong>e ordinamento, negli articoli 1510-1514 del Codice Civile 46 .<br />

L’avvenuta individuazione della qu<strong>al</strong>ità e della quantità della cosa venduta, nella<br />

fattispecie del vino, addossa i rischi ed i vantaggi <strong>al</strong> compratore. In sostanza né<br />

una botte, è certissimo che prima che sia misurato tutto il pericolo del perimento spetta <strong>al</strong> venditore»).<br />

D. 18, 6, 1: «Si vinum venditum acuerit vel quid <strong>al</strong>iud vitii sustinuerit emptoris erit damnum: quemadmodum<br />

si vinum effusum, vel vasis contusis, vel quia <strong>al</strong>ia ex causa» («Se il vino venduto si è trasformato<br />

in aceto, o abbia manifestato qu<strong>al</strong>siasi <strong>al</strong>tro difetto il danno è del compratore: così come se il vino fosse<br />

stato versato, o i vasi avessero subito lesioni, o se fosse sopravvenuto qu<strong>al</strong>siasi <strong>al</strong>tro accidente»).<br />

44 D. 18, 6, 1: «Sed si venditor se periculo subiecit: quod si non designavit tempus, eatenus periculum<br />

sustinere debet, quoad degustetur vinum: (...) Aut igitur convenit quoad periculum vini sustineat et<br />

eatenus sustinebit; sed si nondum sunt degustata, signata tamen ab emptore vasa vel dolia, consequenter<br />

dicemus adhuc esse periculum venditoris, nisi <strong>al</strong>iud convenit».<br />

45 I più grandi di essi si sono cimentati intorno <strong>al</strong>la sua esegesi; ne conosciamo glosse e nomi attraverso<br />

la Magna Glossa di Accursio, e sono B<strong>al</strong>do, Viviano, Giovanni Bassiano, Bulgaro, Piacentino,<br />

Azzone, Martino, lo stesso Accursio e Cujas, grande maestro dell’Umanesimo giuridico. Cujas enuncia<br />

molto nitidamente la questione: «In questo titolo si mostra di chi sia il pericolo e il vantaggio della<br />

cosa venduta, se del compratore o del venditore; in questo problema vi sono molte sfaccettature.<br />

Quando la vendita è perfetta ogni rischio e vantaggio è del compratore eccetto il rischio dell’evizione;<br />

prima che la vendita sia perfetta riguarda sempre il venditore. Dopo la mora è del venditore, prima<br />

della mora del compratore (per la mora del venditore e del compratore v. gli attu<strong>al</strong>i nostri articoli 1206<br />

sgg., 1218 sgg. e speci<strong>al</strong>mente 1221 del Codice Civile [effetti della mora sul rischio]). E noi diciamo<br />

che il rischio è di triplice portata: se la cosa perisce, se si deteriora, se viene evitta (...). se in pendenza<br />

della condizione la cosa perisce, questo caso riguarda il venditore, se si deteriora il compratore».<br />

Secondo B<strong>al</strong>do, la degustazione fa passare il rischio <strong>d<strong>al</strong></strong> venditore <strong>al</strong> compratore.<br />

46 C.C. 4, 3, art. 1510 (luogo della consegna), 1511 (denunzia nella vendita di cose da trasportare), 1512<br />

(garanzia di buon funzionamento), 1513 (accertamento dei difetti), 1514 (deposito della cosa venduta).


l’aumento del prezzo del prodotto, né la mutata qu<strong>al</strong>ità, una volta stabilita la quantità<br />

certa, comporta che non si presti fede a quanto pattuito (v<strong>al</strong>e sempre il consenso<br />

e la tutela della buona fede) 47 . Ugu<strong>al</strong>mente nel caso in cui il vino sia stato <strong>al</strong>ienato<br />

ad un terzo acquirente, il primo avrà diritto a vederselo restituito, nella stessa<br />

misura e qu<strong>al</strong>ità, o ad agire con una actio mirante ad ottenere il risarcimento 48 .<br />

Le glosse di B<strong>al</strong>do, di Bartolomeo da S<strong>al</strong>iceto, di Accursio (che rinvia anche<br />

ad Azzone) testimoniano l’interesse della dottrina basso mediev<strong>al</strong>e per la compravendita<br />

e le responsabilità sorgenti in capo a venditore e compratore. In<br />

merito <strong>al</strong> testo giustinianeo si deve osservare che la voce periculum si presenta con<br />

frequenza, ove si tratti di responsabilità contrattu<strong>al</strong>e, ed essa viene de plano adottata<br />

dai glossatori ed assume, secondo la più recente romanistica, l’accezione di<br />

criterio di imputazione in caso di assunzione convenzion<strong>al</strong>e o attribuzione del<br />

rischio. Pertanto nella compilazione giustinianea rinveniamo l’elemento della<br />

colpa, qu<strong>al</strong>e fattore di maggiore responsabilità contrattu<strong>al</strong>e (s<strong>al</strong>vo sempre il<br />

dolo), ma anche quello del periculum nella accezione più ampia di responsabilità<br />

per inadempimento e più specifica di rischio 49 .<br />

La responsabilità contrattu<strong>al</strong>e si fonda, nei giuristi classici, anche sulla endiadi<br />

custodia-periculum, oltre che, natur<strong>al</strong>mente, sul dolo («semper dolo tenetur»); il<br />

periculum richiama il mancato adempimento, come fondamento della responsabilità,<br />

e costituisce, qu<strong>al</strong>e moderno criterio del rischio, un nesso eziologico fra l’inadempimento<br />

dell’obbligazione e la responsabilità contrattu<strong>al</strong>e nascente. I<br />

richiami <strong>al</strong> periculum appaiono come natur<strong>al</strong>ia negotii, ed esso deriva <strong>d<strong>al</strong></strong>la mancata<br />

custodia della cosa da consegnare (custodiae periculum) 50 . Nei Digesti un frammento<br />

di Gaio recita: «Item certum est tam res nostras quam res <strong>al</strong>ienas, quae tamen<br />

periculo nostro sunt, in hanc actionem deduci, veluti commodatas et locatas:<br />

certe depositae apud nos res, quia nostro periculo non sunt, ad hanc actionem<br />

non pertinent» («ugu<strong>al</strong>mente certo è che tanto le nostre, quanto le cose <strong>al</strong>trui,<br />

che tuttavia sono a nostro rischio, possono essere tutelate con questa azione,<br />

come ad esempio le cose date in comodato e in locazione; invece le cose che<br />

abbiamo in deposito, poiché non sono a nostro rischio, non possono essere<br />

47 C. 4, 49, 12: «Sicut periculum vini mutati quod certum fuerat comparatum ad emptorem ita commodum<br />

auctii pretii pertinet (...) verum est sic certae qu<strong>al</strong>itatis ac mensurae distracto vino fidem placiti<br />

servandam esse convenit».<br />

48 C. 4, 49, 12: «Quo non restituto non pretii quantitatis sed quanti interest emptori competit actio».<br />

49 Cfr. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattu<strong>al</strong>e, pp. 178-180.<br />

50 Cfr. GAIO in D. 4, 9, 5 e 19, 2, 40; ULPIANO in D. 47, 2, 14, 17 e 47, 5, 1, 4.<br />

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510<br />

tutelate con t<strong>al</strong>e azione») 51 . In sostanza, nei passi fin qui esaminati, concernenti<br />

la compravendita di vino, periculum assume il significato di rischio a carico del<br />

venditore o del compratore, secondo che la merce sia stata individuata, misurata,<br />

e con ciò passi ormai nella custodia del compratore, o che la medesima debba<br />

ancora essere degustata, benché già individuata; in t<strong>al</strong> caso, previo accordo,<br />

essa permane nella responsabilità del venditore 52 .<br />

In D. 18, 6, 1 § 1 entra in gioco il quantum periculi praestare, cioè di qu<strong>al</strong> misura<br />

di responsabilità sia gravato il venditore e fino a qu<strong>al</strong> termine essa permanga:<br />

«Sed et custodiam [D. Noodt suggerisce periculum] ad diem mensurae venditor<br />

praestare debet; priusquam enim admetiatur vinum quasi nondum venit; post<br />

mensuram factam, venditoris desinit esse periculum et ante mensuram periculo<br />

liberatur, si non ad mensuram vendidit, sed forte amphoras, vel singulas dolia»<br />

(«anche la custodia [il rischio di perimento per Noodt] è dovuta <strong>d<strong>al</strong></strong> venditore<br />

fino <strong>al</strong> giorno della misurazione; prima che il vino sia misurato infatti è come se<br />

non fosse ancora stato venduto; effettuata la misurazione, il rischio cessa di essere<br />

del venditore e anzi questi si libera del rischio anche prima della misurazione,<br />

se non ha venduto a misura, ma ad anfore o anche a singole botti»).<br />

Il paragrafo successivo del frammento concerne il momento in cui si può<br />

dire avvenuta la la consegna: «Si dolium signatum sit ab emptore, Trebatius ait<br />

traditum id videri. Labeo contra, quod et verum est: magis vero ne summutetur<br />

signari solere, quam ut tradere videatur» («se la botte viene segnata <strong>d<strong>al</strong></strong> compratore,<br />

Trebazio sostiene che essa è, a tutti gli effetti, come già consegnata. Labeone<br />

sostiene il contrario, il che è vero: infatti si suole segnare le botti più per evitare<br />

che siano scambiate, che perché appaiano come già consegnate»). In t<strong>al</strong> caso<br />

ci troviamo di fronte a due opposte autorevoli opinioni, di Trebazio e di Labeone,<br />

giuristi del I secolo a.C. - I secolo d.C., per i qu<strong>al</strong>i la segnatura (l’identificazione)<br />

della merce costituisce o, <strong>al</strong> contrario, non costituisce momento perfezio-<br />

51 D. 40, 12, 13, 1. Nelle Istituzioni gaiane (3, 204-206, ed. J. Reinach, Paris 1950 [CUF], pp. 133-134),<br />

in un excursus sulla actio furti si esamina appunto la responsabilità del comodatario e del creditore<br />

pignoratizio, per i qu<strong>al</strong>i il periculum è l’accollo del rischio per il perimento della cosa per mancata<br />

custodia; invece per il deposito si sottolinea che la responsabilità rimane limitata <strong>al</strong> dolo. Cfr. su questo<br />

DE ROBERTIS, La responsabilità contrattu<strong>al</strong>e, pp. 183 sgg.<br />

52 Secondo una parte della dottrina romanistica, il limite della responsabilità del venditore sarebbe<br />

invece discusso: E. VOLTERRA, Istituzioni di Diritto privato romano, Roma 1961, p. 504; v. il recente M.<br />

PENNITZ, Das Periculum Rei Venditae: Ein Beitrag zum ‘Aktionenrechtlichen Denken’ im Römischen Privatrecht,<br />

Wien-Köln-Weimar 2000, pp. 99-141.


nativo della consegna: problema di non piccola portata, per escludere o ammettere<br />

la responsabilità per custodia a carico del compratore, o del venditore.<br />

D<strong>al</strong>la conventio (accordo) delle due parti sulla cosa e sul prezzo sorgevano<br />

dunque le reciproche obbligazioni di compratore e venditore; tuttavia, bisogna<br />

notare che il rapporto nel negozio romano è diverso da quello sorgente <strong>d<strong>al</strong></strong> contratto<br />

di compravendita odierno. Per il diritto romano l’inadempimento della<br />

prestazione di una delle due parti, fosse anche dovuto a caso fortuito o a forza<br />

maggiore, non comportava de iure la risoluzione del contratto, né liberava la parte<br />

adempiente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’obbligo di eseguire la propria prestazione.<br />

D. 18, 6, 4 § 2 pone di fronte <strong>al</strong> problema del perdurare dell’obbligo della prestazione<br />

per entrambe le parti, anche quando una sia inadempiente; nel caso di<br />

specie si prospetta una vendita in blocco di vino non ritirato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’acquirente, e si<br />

fissa il termine per la custodia assegnabile <strong>al</strong> venditore, in mancanza di convenzione<br />

espressa: «Vino autem per aversionem vendito finis custodiae est avehendi<br />

tempus; caeterum si non adiectum videndum ne infinitam custodiam non debeat<br />

venditor» («quando il vino sia stato venduto in blocco, viene il tempo di portarlo<br />

via e di por fine <strong>al</strong>la custodia; nondimeno, se non è ammassato, si veda che il venditore<br />

non debba prestare una custodia infinita»). I Digesta suggeriscono dunque<br />

<strong>al</strong> venditore di far v<strong>al</strong>ere il tempo trascorso, o di intimare di ritirare il vino; in ogni<br />

caso, prima della vendemmia, quando serviranno le botti per il vino nuovo 53 .<br />

Un caso di eccezione liberatoria, a seguito di accordo fra le parti, è previsto<br />

in D. 18, 6, 1 § 3 (De die ad metiendum praetituto): quando si sia convenuto fra venditore<br />

e compratore un giorno preciso per la misurazione, ed essa non sia avvenuta,<br />

il venditore può versare il vino, ritenendosi libero <strong>d<strong>al</strong></strong>l’obbligo della custodia<br />

del venduto 54 . Ciò non potrà avvenire prima che il compratore sia stato<br />

avvertito di prendersi il vino o, diversamente, di vederselo versato per liberare le<br />

botti: «Effundere autem non statim poterit prius quam testando denunciet emptori<br />

ut aut tollat vinum aut sciat futurum ut vinum effunderetur» 55 . È possibile<br />

anche che il venditore decida di non versare il vino che gli è d’ingombro; in t<strong>al</strong><br />

caso, si dice, fa una cosa lodevole, ma può anche esigere un compenso per le<br />

53 D. 18, 6, 4 § 2: «Et est verius (secundum ea quae supra ostendimus) aut interesse quid de tempore<br />

actum sit, aut denunciare ei ut tollat vinum; certe antequam ad vindemiam fuerint dolia necessaria,<br />

debet avehi vinum».<br />

54 D. 18, 6, 1 § 3: «Licet autem venditori vel effundere vinum si diem ad metiendum praestituit, nec<br />

intra diem admensum est».<br />

55 D. 18, 6, 1 § 3.<br />

511


512<br />

botti che lo contengono, e di cui, aggiungiamo noi, il proprietario della vigna e<br />

venditore disponeva in numero limitato, dati i costi. Vi sono però <strong>al</strong>tre soluzioni:<br />

se i vasi, nei qu<strong>al</strong>i si custodisce il vino, sono vuoti, e il venditore li voglia affittare,<br />

o se si renda necessario prendere in affitto <strong>al</strong>tre botti per conservare il vino<br />

venduto e non ritirato, è senz’<strong>al</strong>tro molto più conveniente per il venditore affittare<br />

i vasi e non consegnare il vino, avuto riguardo solo <strong>al</strong>la quantità di merce<br />

contenuta nel numero di vasi affittati <strong>d<strong>al</strong></strong> compratore ed utilizzando i vasi non<br />

affittati, ma in cui pur si trova il vino in giacenza. Altra possibilità è per il venditore<br />

quella di vendere senz’<strong>al</strong>tro il vino bona fide, cioè quanto di esso gli può essere<br />

di intr<strong>al</strong>cio nel suo commercio rimanendo in giacenza, badando bene di arrecare<br />

<strong>al</strong> compratore il minimo danno 56 .<br />

La custodia del prodotto venduto e in giacenza oltre i termini per la consegna<br />

costituiva un problema perché, in ambiente romano, spesso il proprietario<br />

della vigna vendeva l’uva in massa ed il compratore spremeva il vino nelle cantine<br />

stesse del venditore, ritirandolo <strong>al</strong>le prime c<strong>al</strong>ende di ottobre, poiché il trasporto<br />

del liquido era più agevole che quello dell’uva. I contenitori per la conservazione<br />

e per il trasporto non erano però di proprietà del compratore, ma del<br />

venditore, che norm<strong>al</strong>mente li affittava ai suoi clienti; da qui la necessità, per il<br />

venditore di disporre di botti e di vasi per nuovo vino e nuovi clienti.<br />

Per il frammento di D. 18, 6, 1 § 4 il ritiro del vino acquistato nelle botti, ma<br />

su cui le parti non si siano ancora accordate per la consegna, deve comunque<br />

avvenire prima che le botti siano necessarie per un’<strong>al</strong>tra vendemmia; in caso di<br />

mancato ritiro la misurazione sarà fatta per ceste, come se fosse stata acquistata<br />

l’uva, anziché il prodotto finito 57 . La mora del compratore nel ritiro del vino<br />

acquistato, secondo Paolo (Liber V ad Sabinum), esenta il venditore <strong>d<strong>al</strong></strong>la responsabilità<br />

per custodia, qu<strong>al</strong>ora il prodotto sia perito non per suo dolo; se poi il vino<br />

sia stato venduto a misura, fin dopo l’effettuazione della misurazione ogni rischio<br />

56 D. 18, 6, 1 § 3: «Si tamen cum posset effundere non effundit, laudandus est potius ea propter mercedem<br />

doliorum potest exigere; sed, ita demum si interfuit eius inania esse vasa in quibus vinum fuit, veluti<br />

si locaturus ea fuisset, vel si necesse habuit <strong>al</strong>ia conducere dolia, commodius est autem conduci vasa<br />

nec reddi vinum, nisi quanti conduxerit ab emptore reddatur; aut vendere vinum bona fide, idest quantum<br />

sine ipsius incommodo fieri potest operam dare ut quam minime detrimento sit ea res emptori».<br />

57 D. 18, 6, 1 § 4 (De vino doliari): «Si doliare vinum emeris, nec de tradendo eo quicquam convenerit,<br />

id videri actum ut ante evacuarentur quam ad vindemiam eorum futura necessaria; quod si non sint<br />

evacuata, faciendum quod veteres putaverunt, per corbem venditorem mensuram suaserunt, si<br />

quanta mensura esset non appareat, videlicet ut appareret quantum emptori perierit».


di perimento è a carico del venditore, a meno che non se lo sia accollato il compratore<br />

58 . Se <strong>al</strong>l’epoca di Labeone emerge il principio secondo cui ognuno dei<br />

contraenti deve eseguire l’obbligazione solo in quanto l’<strong>al</strong>tro sia disposto ad eseguire<br />

la propria, con la progressiva affermazione del concetto di bilater<strong>al</strong>ità, ci<br />

troviamo di fronte ad una esenzione di responsabilità per il venditore, in sinàllagma<br />

con la mancata esecuzione di un obbligo del compratore 59 . Una delle obbligazioni<br />

del compratore, infatti, è quella di ricevere o di ritirare la cosa; ed un obbligo<br />

scaturente <strong>d<strong>al</strong></strong> ritardato o mancato ritiro è il rimborso, dovuto <strong>al</strong> venditore,<br />

delle spese, da quest’ultimo sostenute per la conservazione della merce.<br />

In D. 18, 6, 4 Ulpiano pone i seguenti quesiti: se un t<strong>al</strong>e ha venduto del vino<br />

e ha stabilito che entro una data fissa il compratore debba procedere <strong>al</strong>la degustazione,<br />

e questi non l’ha fatto, il venditore è tenuto a prestare ancora garanzia<br />

del suo inacidimento e della muffa? È inoltre a carico del venditore, una volta<br />

passato il giorno della degustazione, il rischio di perimento della merce? E, ancora,<br />

si deve considerare soluta la vendita, come fosse sotto condizione, se si è proceduto<br />

<strong>al</strong>la degustatio prima del giorno stabilito?<br />

Questa la soluzione: se la degustazione avvenne senza avvisare il venditore<br />

le condizioni di vendita permangono t<strong>al</strong>i; quanto <strong>al</strong> rischio di perimento e di<br />

deterioramento della qu<strong>al</strong>ità del vino, esso continua a riguardare il venditore<br />

anche oltre il giorno fissato per l’assaggio, perché la data è stata fissata proprio<br />

da quest’ultimo, assumendosi con ciò un grado maggiore di responsabilità ed<br />

accollandosi tutte le conseguenze del caso fortuito e della forza maggiore 60 .<br />

T<strong>al</strong>e soluzione riscuoteva interesse ancora nel XIII secolo: ne è testimonianza<br />

un lungo articolato casus di Viviano nella Magna Glossa accursiana. Vi è sviluppato<br />

ampiamente, distinguendo tra la vendita sotto condizione, voluta <strong>d<strong>al</strong></strong> vendi-<br />

58 D. 18, 6, 5. «Si per emptorem steterit quo minus ad diem vinum tolleret, postea nisi quod dolo m<strong>al</strong>o<br />

venditoris interemptum esset non debet ab eo praestari; si, verbi gratia, amphorae centum ex vino<br />

quod in cella esset venierit, si admensum est donec admetiatur omne periculum venditoris est, nisi<br />

id per emptorem fiat».<br />

59 Su questo punto v. BETTI, Diritto romano, p. 258; VOLTERRA, Istituzioni,p.507.<br />

60 D. 18, 6, 4: «Si quis vina vendiderit et intra certum diem degustanda dixerit, deinde per venditorem<br />

steterit quo minus degustarentur, utrum prateritum dumtaxat periculum acoris et mucoris venditor<br />

praestare debet? An vero etiam de praeterito ut si forte corrupta sint postea quam dies degustandi<br />

praeteriit, periculum ad venditorem pertineat? An vero magis emptio sit soluta quasi sub conditione<br />

venierit, hoc est si ante diem illum fuerit degustata? Et interrerit quid actum sit; ego autem arbitror<br />

si hoc in occulto sit, debere dici emptionem manere; periculum autem ad venditorem respicere etiam<br />

ultra diem degustando praefinitum quia per ipsum factum est».<br />

513


514<br />

tore (e in t<strong>al</strong> caso il periculum spetta <strong>al</strong> medesimo venditore ratione contractus, per<br />

contratto), se il vino fu venduto in genere; ma se esso fu venduto in specie, cioè avendone<br />

previamente identificata la qu<strong>al</strong>ità, <strong>al</strong>la mancata degustazione del compratore,<br />

il rischio di inacidimento e di muffa (periculum mucoris et acoris) pertiene <strong>al</strong><br />

compratore. Se poi non si convenne per la degustatio nel tempo confacente per il<br />

compratore, finché questi non vi abbia provveduto, tutto il rischio è del venditore;<br />

lo stesso dicasi se si fossero fissati i giorni per l’assaggio; ma si può anche porre<br />

il caso della vendita a misura, che comporta il rischio a carico del compratore,<br />

essendo stato convenuto. Altre glosse sono di Azzone e dello stesso Accursio 61 .<br />

Un <strong>al</strong>tro caso di vendita sottoposta a condizione sospensiva è quello contemplato<br />

in D. 18, 6, 4 § 1: il periculum della distruzione o del deterioramento della<br />

cosa passa <strong>al</strong> compratore solo nel momento in cui si verifica la condizione.<br />

Quest’ultima è qui rappresentata <strong>d<strong>al</strong></strong>la degustatio del vino, poiché con essa il compratore<br />

si riservava il diritto di esaminare la merce; nel caso di specie si tratta di<br />

gustare il vino acquistato per apprezzarne la qu<strong>al</strong>ità. Il periculum entra nella sfera<br />

di chi ha acquistato il prodotto, in quanto sono stati re<strong>al</strong>izzati sia la individuazione,<br />

sia il gradimento, anch’esso essenzi<strong>al</strong>e <strong>al</strong>l’acquisto per una merce deperibile,<br />

o passibile di vizi, come quella vinicola. Nella degustatio esso è indicato come<br />

periculum acoris et mucoris, rischio di acidità e di muffa, quella che viene denominata<br />

lagrima del ceppo della vite.<br />

Nelle compravendite di vino l’obbligo di garantire la cosa da vizi occulti risultava,<br />

per così dire, es<strong>al</strong>tato <strong>d<strong>al</strong></strong> carattere stesso della merce venduta, suscettibile di<br />

mutazioni nel gusto, nel profumo e nell’aroma, anche in relazione <strong>al</strong> modo e <strong>al</strong> luo-<br />

61 D. 18, 6, 4: «Vivianus, casus Si quis: Si vendidi tibi vinum in genere vel ad mensuram et actum sit<br />

ut intra certum diem degustetur et per venditorem steterit quo minus degustetur, an teneatur venditor<br />

de periculo post moram et ante moram ratione contractus, an magis contratctus solutus, quam<br />

condition<strong>al</strong>is sit venditio? Et responde. Primo inspiciendum quid actum sit, puta an condition<strong>al</strong>em<br />

venditionem voluerunt aut non. Si nihil appareat periculum non solum post moram sed ante (cum<br />

per venditorem stetit quo minus degustetur) spectatbit ad eum, scilicet ratione contractus, quia vendidit<br />

vinum in genere. Potest legi ut vendidi in specie, sed haec planior est, nisi propter verba quae<br />

sunt in fin. § ibi etiam interdum et c. quasi voluerint ut non tantum teneatur de periculo post moram,<br />

sed ante. Quod f<strong>al</strong>sum est, quia vendito vino in specie statim est in periculo emptoris. Vel dic quod<br />

in specie erat venditum sed actum erat ut de periculo teneatur venditor. Si in specie vinum vendatur<br />

et emptor periculum in se susceperit, sic emere videtur ut non degustet quo pacto evenit, ut si quis<br />

emit ne degustet omne periculum mucoris et acoris ad ipsum pertineat; si non convenit de gustando<br />

quandocumque poterit emptor degustare, et quoad degustaverit, periculum respiciet venditorem.<br />

Idem si dies degustationi apponatur. Vel potest dici quod hic erat venditio tantum ad mensuram et<br />

tunc periculum respiciet emptorem, quia sic convenit».


go di conservazione, nonché <strong>al</strong> tempo di invecchiamento. Nulla dicono a t<strong>al</strong> riguardo<br />

i Digesta, ma si deve presumere che la garanzia per i vizi occulti impegnasse a t<strong>al</strong><br />

punto il venditore da comportare una apposita stipulatio, <strong>al</strong>lo stesso modo in cui nella<br />

compravendita di schiavi e di anim<strong>al</strong>i gli edili, cui spettava la polizia e la vigilanza<br />

dei mercati, intervenivano a proteggere il compratore contro i vizi non manifesti 62 .<br />

Accursio, nella glossa Ut ne, ribadisce che il vino venduto in specie può anche non esigere<br />

la degustazione, mentre il vino a misura necessita dell’assaggio 63 .<br />

Un caso di errore nella indicazione della cosa, da parte del compratore, è<br />

quello contemplato in Pomponio (Liber ad Sabinum) in D. 18, 6, 6, De exceptione facta<br />

gratia emptoris (eccezione a favore del compratore): «Si vina emerim, exceptis<br />

62 D. 18, 6, 4 § 1: «Si versione vinum venit custodia tantum praestanda est; ex hoc apparet si non ita<br />

vinum venit ut degustaretur neque acorem neque mucorem venditorem praestare debere, sed omne<br />

periculum ad emptorem pertinere; difficile autem est ut quisquam sic emat ut ne degustet; quare si dies<br />

degustationis adiectus non erit quandoque degustare emptor poterit et, quoad degustaverit, periculum<br />

acoris et mucoris ad venditorem pertinebit; dies enim degustationis praestitutus meliorem conditionem<br />

emptoris facit». Sin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’epoca più antica era in uso che il venditore garantisse con precise stipulazioni<br />

il compratore <strong>d<strong>al</strong></strong>la eventu<strong>al</strong>ità che la cosa non fosse materi<strong>al</strong>mente della qu<strong>al</strong>ità e della consistenza per<br />

le qu<strong>al</strong>i era stata venduta o nelle condizioni stabilite convenzion<strong>al</strong>mente <strong>d<strong>al</strong></strong>le parti. A proposito degli<br />

edili e della loro vigilanza sulle compravendite di schiavi e di anim<strong>al</strong>i, bisogna aggiungere che in età<br />

repubblicana gli stessi previdero una protezione specifica nel loro editto (D. 21,1,1,1), obbligando i<br />

venditori a dichiarare le m<strong>al</strong>attie, i vizi corpor<strong>al</strong>i e caratteri<strong>al</strong>i <strong>al</strong>l’atto della vendita. Se i vizi non dichiarati<br />

si manifestavano dopo la conclusione del contratto, il compratore, indipendentemente <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza<br />

della garanzia del venditore, poteva esperire due diverse azioni: l’actio redhibitoria in factum e l’actio<br />

quanti minoris o aestimatoria. A seguito della prima il venditore, se soccombente, doveva pagare il doppio<br />

del prezzo ricevuto, o restituire la somma convenuta con gli interessi, in cambio della cosa oggetto della<br />

compravendita: ciò prevedeva dunque una rescissione del contratto. Per la seconda il compratore<br />

aveva diritto ad una riduzione del prezzo in proporzione del minor v<strong>al</strong>ore della cosa, re<strong>al</strong>izzabile, ove il<br />

prezzo fosse stato già versato, o non ancora, attraverso la restituzione della somma o riducendone il<br />

suo ammontare. Applicato dapprima in Roma, l’editto degli edili fu in seguito esteso <strong>al</strong>l’It<strong>al</strong>ia e poi <strong>al</strong>le<br />

province senatorie. La dottrina romanistica ritiene che, in età imperi<strong>al</strong>e, esso tutelasse, ampliato, tutte le<br />

compravendite, ma è comune opinione che solo in età giustinianea, con D. 21,1 (che accoglie l’editto<br />

degli edili), l’applicazione automatica di esso a tutte le specie di vendita fosse avvenuta.<br />

63 Dotta è la glossa apposta <strong>d<strong>al</strong></strong> francese Cujas, nel XVI secolo, a Si aversione:«gl.Si aversione: Graeci in<br />

§ 3 basil. tit. I aversione vendere interpretantur krità, id est <strong>al</strong>ea» («gl. Si aversione: i Greci <strong>al</strong> §3 dei Basilikà,<br />

tit. I interpretano ‘vendere in blocco’ con krità, cioè rischio»); «gl. Ut ne: Si in specie, tunc sive dictum<br />

est ut non degustetur, sive taceatur, videtur agi ut non degustetur; hoc autem raro fit quod taceatur,<br />

vel dicatur de non gustando. Si autem in mensura, tunc exigitur degustatio et mensura, nisi actum<br />

sit de non gustando, quod raro fit» («gl. Ut ne: se il vino è venduto in specie, <strong>al</strong>lora sia che ci si accordi<br />

di non procedere <strong>al</strong>la degustazione, sia che non si faccia <strong>al</strong>cun accordo, si procede senza l’assaggio;<br />

ma questo accade raramente. Se invece la vendita è a misura, <strong>al</strong>lora si esige la degustazione e la misurazione,<br />

a meno che non si sia convenuto di non assaggiare; il che accade raramente»).<br />

515


516<br />

acidis et mucidis, et mihi expediat acida quoque accipere, Proculus ait quamvis id<br />

emptoris causa exceptum sit, tamen acida et mucida non venisse; nam quae invitus<br />

emptor accipere non cogeretur, iniquum esse non permitti venditori vel <strong>al</strong>ii ea<br />

vendere» («se ho comprato vino, ma non l’aceto e le muffe, e mi servisse invece<br />

di averne anche l’aceto, Proculo sostiene che, benché quest’ultimo sia stato escluso<br />

per una svista del compratore, l’aceto e le muffe si daranno come non vendute;<br />

infatti come sarebbe ingiusto obbligare il compratore a ricevere ciò che non ha<br />

ordinato, così è ingiusto non permettere <strong>al</strong> venditore o ad <strong>al</strong>tri di venderli a parte»).<br />

La Glossa chiarisce acidis et mucidis con «id est excepto acido et mucido vino»<br />

(«evidentemente eccettuato l’aceto e le muffe del vino») ed Accursio stesso appone<br />

ad expediat un «id est propter familiam forte» («forse per i bisogni della famiglia»),<br />

intendendo con questo che, secondo l’usanza romana di utilizzare l’aceto e<br />

le muffe per preparare il vinello degli schiavi, il compratore non fu accorto nello<br />

specificare nel contratto che intendeva acquistare il vino (con i suoi prodotti di aceto<br />

e di muffe), ma che, a parte, necessitava anche di aceto e di muffe per la familia,<br />

costituita dai servi, per il bestiame e per curare le m<strong>al</strong>attie 64 .La Glossa chiarisce ulteriormente<br />

quanto detta il testo giustinianeo e scioglie il quesito se ciò che è di<br />

detrimento per il compratore debba esserlo anche per il venditore, mentre ciò che<br />

è favorevole <strong>al</strong>l’una debba esserlo anche per l’<strong>al</strong>tra parte, contrastando entrambe le<br />

ipotesi con norme contenute nel Codex: «Tu dic quod ibi nullus est favor, sed sic<br />

convenit ut bona emeret, m<strong>al</strong>a non, et sic non est contra» («tu dì invece che non vi<br />

è nessun patto a favore del compratore o del venditore, ma che t<strong>al</strong>e rimane l’accordo<br />

di comprare il buono del vino e non lo scarto») 65 .<br />

L’errore nella dichiarazione non influisce quindi sulla piena v<strong>al</strong>idità del<br />

negozio e sulla sua immodificabilità. V<strong>al</strong> bene rinviare <strong>al</strong>le chiarissime e ancor<br />

insuperate pagine del Betti: «Nella rigorosa e coerente concezione della giurisprudenza<br />

classica, libertà e autonomia privata portano in se stesse il freno e la<br />

sanzione dell’auto-responsabilità per l’uso inabile che se ne faccia. Liberi i privati<br />

di regolare i propri interessi come credono meglio; ma purché assumano su di<br />

sé le conseguenze del regolamento prescelto, siano esse per dimostrarsi a loro<br />

vantaggiose o siano, viceversa, per risultare onerose. Per la funzione che gli è<br />

propria, il negozio giuridico è essenzi<strong>al</strong>mente un atto impegnativo e irrevocabi-<br />

64 Cfr., JARDÉ,s.v.,Vinum, pp. 919 e 922; G. BERTAGNOLI,s.v.,Agricoltura, in Digesto It<strong>al</strong>iano, II/2, Torino<br />

1929, p. 147.<br />

65 D. 18, 6, 6 (gl. Non venisse).


le, che non comporta pentimenti, rettifiche o ritorni. Il regolamento d’interessi<br />

con esso disposto non risponderebbe <strong>al</strong>le esigenze soci<strong>al</strong>i se, entrato che fosse<br />

in vigore, potesse sempre esser modificato o posto nel nulla secondo il tornaconto<br />

o l’arbitrio unilater<strong>al</strong>e di chi lo prescrisse, o potesse esser da lui menomato<br />

con cavilli interpretativi (D. 2,15,12). Per questo il negozio giuridico è uno<br />

strumento pericoloso, contro i rischi e le delusioni del qu<strong>al</strong>e il privato non può<br />

ragionevolmente pretendere di essere assicurato a priori per opera automatica di<br />

legge. È uno strumento che non va messo in opera <strong>al</strong>la leggera, ma solo a ragion<br />

veduta, dopo un esame avveduto della situazione di fatto. Ora, da questo rigido<br />

punto di vista, non si può, in massima, riconoscere rilevanza giuridica <strong>al</strong>l’errore<br />

che vizi la determinazione caus<strong>al</strong>e, perché incombe <strong>al</strong>lo stesso interessato l’onere<br />

di procacciarsi, con una indagine accurata della situazione concreta, la cognizione<br />

esatta di quelle circostanze di fatto che dovranno costituire la base della<br />

sua determinazione. Se egli è incorso in errore, tanto peggio per lui: doveva essere<br />

più avveduto. Questo rigoroso criterio di massima trova applicazione, qu<strong>al</strong>unque<br />

sia la specie del negozio, form<strong>al</strong>e o meno, patrimoni<strong>al</strong>e o familiare» 66 .<br />

Questa la rigida concezione del diritto romano classico che viene in luce nel<br />

frammento del Digesto sopra esaminato. Nella dogmatica bizantina iniziò invece<br />

ad affermarsi un concetto di negozio giuridico qu<strong>al</strong>e manifestazione esterna della<br />

volontà interiore e si attribuì peso decisivo <strong>al</strong>la identificazione della volontà che<br />

si intendeva manifestare, sì che essa apparve rilevante ancorché fosse rimasta inespressa:<br />

«Licet hoc minime fuerit expressum» 67 . Pertanto, una divergenza fra<br />

manifestazione della volontà e volontà re<strong>al</strong>e assume rilevanza non soltanto qu<strong>al</strong>ora<br />

sia involontaria e inconsapevole (caso di errore ostativo o di dissenso), ma<br />

anche ove sia volontaria e consapevole (nella simulazione e nella riserva ment<strong>al</strong>e).<br />

Bisogna osservare che nel Digesto appaiono principi che avranno grande influenza<br />

sulla futura elaborazione della dottrina della volontà: «Nulla voluntas errantis<br />

est»; «quid tam contrarium consensui est quam error, qui imperitiam detegit?»;<br />

«nihil consensui tam contrarium est quam vis atque metus» 68 .<br />

66 BETTI, Diritto romano, pp. 293-294.<br />

67 C. 8, 37, 15; v. su questo punto BETTI, Diritto romano, p. 316.<br />

68 Cfr. rispettivamente D. 39, 3, 20; D. 2, 1, 15; D. 50, 17, 116 pr.; sui contratti nel diritto romano classico<br />

e giustinianeo v. S. RICCOBONO, Stipulatio ed instrumentum nel diritto giustinianeo, «Sonderabdruck aus<br />

der Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte», 35 (1914), pp. 214-306; inoltre ROMANO,<br />

Nuovi studi;DE ROBERTIS, La responsabilità contrattu<strong>al</strong>e;MELILLO, Contrahere, pacisci (tutti cit. <strong>al</strong>la n. 33).<br />

517


518<br />

Lo spazio assegnato nei Digesta <strong>al</strong>le transazioni aventi per oggetto specifico<br />

il vino ed i suoi derivati trova un correlativo insieme di frammenti, che, in materia<br />

successoria, contemplano legati di vigneti, di vino, di aceto e di prodotti della<br />

vigna. Casistico e particolareggiato il testo giustinianeo, che accoglie la migliore<br />

giurisprudenza classica, prevede numerosi passaggi dedicati <strong>al</strong> legato di prodotti<br />

vinari 69 . Le definizioni romane dell’istituto ne sottolineano l’oggetto, come<br />

entità patrimoni<strong>al</strong>e sottratta <strong>al</strong>la eredità affinché sia acquisita da un <strong>al</strong>tro soggetto;<br />

la disposizione del testatore ha carattere imperativo e per fine una liber<strong>al</strong>ità in<br />

favore del legatario 70 . Onerato del legato può essere solo l’erede, a cui favore sia<br />

stato disposto <strong>d<strong>al</strong></strong> testatore l’acquisto di una attività patrimoni<strong>al</strong>e; pertanto l’erede<br />

della sola quota di legittima non può essere onerato di legati 71 .<br />

Un passo dei Digesta prospetta il caso in cui sia stata legata una vigna corredata<br />

di arnesi agricoli: secondo Servio, questi ultimi non sono ricompresi nel<br />

legato, mentre secondo Cornelio, più correttamente, debbono esser considerati<br />

parte della vigna anche i p<strong>al</strong>i, le pertiche, i rastrelli, le zappe 72 . Da Ulpiano si ricava<br />

che il legato di vino include anche l’aceto, che da esso proviene 73 ; ed una glossa<br />

di Viviano, che prospetta il casus, appoggia l’opinio ulpianea, perché l’aceto era<br />

usato anche <strong>al</strong> posto del vino. Più dotta la spiegazione che ne dà il francese<br />

69 Sulle regulae contenute nel Digesto e sul metodo casistico in diritto romano può essere utile L. VAC-<br />

CA, Contributo <strong>al</strong>lo studio del metodo casistico nel diritto romano, Milano 1976.<br />

70 Cfr. D. 30, 116 pr.: «Legatum est delibatio hereditatis, qua testator ex eo, quod universum heredis<br />

foret, <strong>al</strong>icui quid collatum velit»; D. ULPIANO, Fragmenta seu Praemonitio 24, 1, ed. P.E. Huschke, Iurisprudentiae<br />

anteiustinianae quae supersunt, Lipsiae 1886 (Bibliotheca teubneriana), p. 603: «Legatum est,<br />

quod legis modo, id est imperative, testamento relinquitur»; D. 31, 36: «Legatum est donatio testamento<br />

relicta».<br />

71 Sul legato v. V. SCIALOJA, Diritto ereditario romano. Concetti fondament<strong>al</strong>i, Roma 1914, pp. 115 sgg.; P.<br />

VOCI, Diritto ereditario romano.I:Introduzione. Parte gener<strong>al</strong>e, Milano 1967, pp. 232 sgg. Si può anche così<br />

definire il legato: una disposizione del testatore nel testamento o in un codicillo <strong>al</strong> testamento con la<br />

qu<strong>al</strong>e assegna ad una persona ben individuata, senza con ciò conferirle titolo di erede, una precisa<br />

entità patrimoni<strong>al</strong>e, che può, per il diritto romano, essere costituita da una cosa di proprietà dell’erede<br />

o di un terzo, senza la necessità che sia compresa nella hereditas. Secondo la dottrina romanistica i<br />

legati trarrebbero origine <strong>d<strong>al</strong></strong>la norma delle XII Tavole uti legassit suae rei, ita ius esto (GAIO, Institutiones<br />

2, 224, p. 79), ma è discusso il momento di apparizione dell’istituto.<br />

72 D. 33, 7, 16 § 1: «Vinea et instrumento eius legato, instrumentum vineae nihil esse Servius respondit;<br />

qui eum consulebat Cornelium respondisse aiebat p<strong>al</strong>os, perticas, rastros, ligones instrumenti<br />

vineae esse; quod verius est».<br />

73 Ulpiano, Liber XX ad Sabinum = D. 33, 6, 1: «Vino legato acetum quoque continetur quod paterfamilias<br />

vini numero habuit».


Cujas: <strong>al</strong>cuni usano l’aceto <strong>al</strong> posto del vino e lo diluiscono con acqua per farne<br />

uso person<strong>al</strong>mente o per darlo agli schiavi, ai servi ed ai marinai in navigazione,<br />

poiché si ritiene che esso tolga la sete molto meglio del vino; anche ai militari,<br />

durante le spedizioni, viene somministrato, a giorni <strong>al</strong>terni, vino e aceto 74 .<br />

Se un legatario si vide assegnata una provvista di cibi, un <strong>al</strong>tro il vino, è evidente<br />

per Pomponio (Liber VI ad Sabinum) che l’intera provvista spetta ad uno<br />

dei due legatari, eccettuato il vino, che non si considera compreso nella provvista<br />

medesima. La Glossa accursiana pone il casus di un legato di anfore di vino a<br />

Tizio e l’onere per l’erede di far sì che egli possa degustarne una certa quantità,<br />

benché fra i beni ereditari non sia materi<strong>al</strong>mente disponibile il vino: infatti<br />

incombe <strong>al</strong>l’erede l’onere di acquistarlo (tranne l’aceto) per metterlo a disposizione<br />

di uno dei due legatari 75 .<br />

I legati di vino potevano contemplare anche le anfore che lo contenevano; il<br />

Digesto pone il problema se in un legato di vino si intendano ricompresi anche i<br />

vasi grandi o soltanto quelli piccoli. In ogni caso, secondo Celso, si presume che i<br />

recipienti siano sempre forniti, di qu<strong>al</strong>unque misura essi siano (purché non si tratti<br />

di botti, che servivano per conservare, o di otri, utili <strong>al</strong> trasporto). Pertanto si<br />

deve intendere legato il vino insieme con i vasi, anche se non espressamente nomi-<br />

74 D. 33, 6, 1 (gl. Vino legato): «Et dicitur quod sic illud scilicet quo utebatur pro vino»; «Vivianus, gl.<br />

acetum: Sunt enim qui in usu habeant acetum pro vino, idque dilutum aqua, quod compostam et<br />

Graeci oxùporon vocant, quod sumant ipsi, vel praebeant servis aut famulis, nautis in mare, ut est in<br />

usus frequens, diciturque id aqua dilutum sitim saedare melius quam vinum. Militibus quoque in<br />

expeditione, <strong>al</strong>ternis vinum, <strong>al</strong>ternis acetum datur». La mistura di aceto ed acqua era denominata<br />

composta dai romani e mistura acida dai greci.<br />

75 D. 33 ,6, 2 (gl. Cum <strong>al</strong>ii penum). Ma ci si chiede ancora: l’erede è tenuto a fornire a Tizio i vasi contenenti<br />

il vino? La glossa distingue fra vasi grandi e piccoli: i contenitori grandi, come le botti, non<br />

sono dovuti, sia che si trovino, o no, nelle cantine, ma i piccoli, come le anfore, le coppe e le coppette,<br />

debbono esser fornite, a meno che non siano fissi ed infissi del podere e della cantina. Il glossatore<br />

motiva la ratio della disposizione nella volontà presunta del de cuius che intese i piccoli contenitori<br />

come un complemento del legato di vino, ma esclude che gli otri, atti <strong>al</strong> trasporto e non <strong>al</strong>la<br />

conservazione, siano dovuti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’erede <strong>al</strong> legatario. Le azioni esperibili contro l’erede che non ottemperi<br />

sono l’actio ex testamento e l’actio ad exhibendum.<br />

76 D. 33, 6, 3 § 1: «Si vinum legatum sit, videamus an cum vasis debeatur. Et Celsus inquit, vino legato,<br />

etiamsi non sit legatum cum vasis vasa quoque legata videri; non quia pars sunt vini vasa, quemadmodum<br />

emblemata argenti, scyphorum forte vel speculi, sed quia credibile est mentem testantis<br />

eam esse ut voluerit accessioni esse vino amphoras, et sic (inquit) loquimur habere nos amphoras<br />

mille ad mensuram vini referentes. In doliis non puto verum, ut, vino legato, et doliis debeantur,<br />

maxime si depressa in cella vinaria fuerint, aut ea sunt quae per magnitudinem difficile moventur. In<br />

cuppis autem sive cuppulis puto admittendum et ea deberi, nisi pars modo immobiles in agro veluti<br />

519


520<br />

nati, sulla base di una volontà presunta del testatore (mentem testantis), che avrebbe<br />

inteso i contenitori come accessori <strong>al</strong> vino stesso 76 . Della medesima opinione sono<br />

Pomponio (Liber VI ad Sabinum) 77 e Proculo (Liber II epistolarum), il qu<strong>al</strong>e contrasta<br />

l’opinione di Trebazio, che, guardando <strong>al</strong> significato letter<strong>al</strong>e delle parole (i verba)<br />

del testatore, ritiene sia dovuto soltanto il vino e non i vasi. I compilatori dei Digesti<br />

accolgono però l’opinione che attribuisce rilievo <strong>al</strong> significato ricavabile attraverso<br />

l’interpretazione del testamento (il sensum), e quindi ritengono senz’<strong>al</strong>tro<br />

legati insieme il vino ed i vasi 78 . Il problema non era di poco conto, se si pensa che<br />

era costoso, per l’erede, fornire <strong>al</strong> legatario anche i recipienti, oltre <strong>al</strong> vino. La Glossa<br />

accursiana costruisce su questo passo un casus e riporta <strong>al</strong>cune glosse di Rogerio<br />

e del medesimo Accursio, segno che nei secoli XII e XIII t<strong>al</strong>e problema era ancora<br />

ritenuto attu<strong>al</strong>e. Infatti incombeva <strong>al</strong>l’erede, qu<strong>al</strong>ora il vino legato (nel numero<br />

di cento anfore, seguendo l’esempio di Ulpiano, Liber XXIII ad Sabinum) non fosse<br />

stato disponibile, acquistare il prodotto e metterlo a disposizione del legatario;<br />

ma, si noti, solo il vino, non l’aceto, da esso derivato 79 .<br />

Secondo Labeone e Trebazio il vino, di qu<strong>al</strong>ità sorrentina (quindi pregiata),<br />

contenuto in diverse urnae 80 , legato con l’espressione in amphoris (nelle anfore), si<br />

deve intendere, in senso traslato, come quel vino di Sorrento conservato nelle urnae,<br />

senza seguire l’interpretazione letter<strong>al</strong>e del testatore che scrisse in amphoris 81 .I Digesti<br />

affrontano il caso di un legato di un numero ben determinato di anfore di vino<br />

prodotto nel fondo (nella vigna, ove era anche conservato e custodito il vino) di<br />

Sempronio; ma il prodotto dell’annata è inferiore a quanto supponeva il testatore,<br />

che scriveva «quod natum erit». Secondo Giuliano (Liber XV Digestorum) deve prev<strong>al</strong>ere<br />

l’interpretazione letter<strong>al</strong>e, cioè intendersi «il vino che sarà nato» nell’anno in<br />

cui il testamento avrà efficacia, non nel momento in cui esso fu redatto, quindi non<br />

va considerato il numero delle anfore, ma la quantità di vino prodotta <strong>d<strong>al</strong></strong>la vigna 82 .<br />

instrumentum agri erant. Vino legato utres non debuntur nec culeos quidem deberi dico». La regola<br />

giustinianea è avv<strong>al</strong>orata nella Magna Glossa da una glossa del grande Bartolo da Sassoferrato, commentatore<br />

del XIV secolo.<br />

77 D. 33, 6, 14.<br />

78 D. 33, 6, 15.<br />

79 D. 33, 6, 3: «Si cui vinum sit legatum centum amphorarum, cum nullum vinum reliquisset, vinum<br />

heredem empturum et praestaturum, non acetum quod vini numero fuit».<br />

80 L’urna corrispondeva <strong>al</strong>la misura di mezza anfora.<br />

81 D. 33, 6, 16, ove la regola è presa da PROCULO, Liber III ex posterioribus Labeonis.<br />

82 D. 33, 6, 5. La regola è glossata da Viviano.


Fra i tipi di legato conosciuti <strong>d<strong>al</strong></strong> diritto romano (legatum per vindicationem, legatum<br />

sinendi modo, legatum per praeceptionem) vi era anche quello per damnationem. Esso<br />

comportava un rapporto obbligatorio fra legatario ed erede, per il qu<strong>al</strong>e quest’ultimo<br />

doveva trasmettere <strong>al</strong> primo la proprietà di una cosa o costituire, in suo<br />

favore, nelle forme richieste, il diritto indicato <strong>d<strong>al</strong></strong> de cuius 83 . Sulla base di un legato<br />

per damnationem il frammento D. 33, 6, 6, ripreso da Proculo, prevede che il<br />

vino che l’erede è tenuto a fornire, e che trovasi in anfore e in orci, è comunque<br />

dovuto come se fosse stato legato congiuntamente ai contenitori, benché nel<br />

testamento non sia fatta menzione né delle anfore, né degli orci 84 .<br />

Nel passo D. 33, 6, 7, tratto da Giavoleno (Liber II ex posterioribus Labeonis), si<br />

riportano le opinioni discordanti di iurisprudentes romani: Trebazio riteneva che<br />

l’erede tenuto a dare per damnationem <strong>al</strong>la moglie un legato (costituito da vino,<br />

olio, frumento, miele, pesce s<strong>al</strong>ato) non dovesse più di quanto egli stesso decidesse<br />

di dare, poiché non era stata specificata nel testamento la quantità di ciascun<br />

<strong>al</strong>imento. Ma Ofilio, Cascellio, Tuberone optavano per comprendere nel<br />

legato tutto ciò che di t<strong>al</strong>i viveri aveva lasciato il paterfamilias; tesi sostenuta anche<br />

da Labeone e accolta dai redattori del Digesto 85 .<br />

83 Il legatum per damnationem si disponeva con la formula «heres meus (es. vinum) damnas esto dare». Il<br />

testatore aveva facoltà di legare per damnationem anche cose non di sua proprietà e l’erede era obbligato<br />

ad acquistarle ed a trasmetterle <strong>al</strong> legatario, o a fargli avere il v<strong>al</strong>ore corrispondente, ma era possibile legare<br />

per damnationem anche cose future, come i frutti prodotti in futuro su un certo fondo. Per quanto concerne<br />

gli <strong>al</strong>tri tipi di legato, si deve tener presente che il legatum per vindicationem era disposto con la formula<br />

do lego o sumito oppure sibi habeto (es. «Titio hominem Stichum do lego», GAIO, Institutiones 2, 193,<br />

pp. 72-73), per effetto della qu<strong>al</strong>e il legatario acquistava direttamente, nel momento in cui l’erede compiva<br />

la aditio hereditatis, la proprietà della cosa o del diritto re<strong>al</strong>e ex iure Quiritium. Il legatum sinendi modo si<br />

disponeva con la formula «heres meus damnas esto sinere (es. L. Titium hominem Stichum) sumere<br />

sibique habere». Esso dava luogo, <strong>al</strong> momento della additio dell’erede, ad un rapporto obbligatorio, per<br />

cui l’erede era tenuto (diversamente che nel legatum per damnationem) ad una condotta passiva, cioè a sopportare<br />

che il legatario si impadronisse della cosa legata. Il legatum per praeceptionem comportava che il<br />

testatore attribuisse la cosa ad uno degli eredi con la formula «Lucius Titius rem sibi praecipito».<br />

84 D. 33, 6, 6: «Cui vinum heres damnatus est, quod in amphoris et cadis diffusum est, dari debet,<br />

etiamsi vasorum mentio facta non est. Item quamvis cum vasis, cadis legatum est; tamen id quoque<br />

quod in doliis legatum esse videtur. Sicuti si servos omnes cum peculio cuiusque eorum legasset,<br />

etiam eos quibus peculii nihil esset, legasse videtur». Il glossatore Viviano, nel XII sec., costruisce<br />

intorno a questa regola un casus e l’umanista francese Cujas vi dedica, nel sec. XVI, una glossa.<br />

85 D. 33, 6, 7: «Quidam heredem damnaverat dare uxori suae vinum, oleum, frumentum, mella, s<strong>al</strong>samenta.<br />

Trebatius aiebat ex singulis rebus non amplius deberi quantum heres mulieri dare voluisset,<br />

quoniam non adiectum esset quantum ex quaque re daretur. Ofilius, Cascellius, Tubero omnes quantum<br />

pater familias reliquisset legatum puntant. Labeo id probat, idque verum est». Il casus è illustra-<br />

521


522<br />

Il problema che sorge da un legato di vino, conservato nelle botti e non ritirato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> legatario una volta scaduto il dies cedens, è sviluppato in D. 33, 6, 6, 8 86 .Se<br />

in t<strong>al</strong> caso l’erede vuole versare il vino (perché gli servono le botti), lo fa, sia certo,<br />

a suo rischio; infatti gli è comunque riconosciuto un vantaggio sul legatario<br />

negligente. Se quest’ultimo richiedesse il vino, potrebbe veder respinta <strong>d<strong>al</strong></strong> giudice<br />

la sua pretesa con una exceptio doli m<strong>al</strong>i fatta inserire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’erede nella formula di<br />

actio intentata contro di lui <strong>d<strong>al</strong></strong> titolare del legato 87 .<br />

Il generico legato di vino comprende per intero il prodotto della vigna e il vino,<br />

di qu<strong>al</strong>siasi qu<strong>al</strong>ità, essa produca, tranne che il mielato (sia pur denominato vino), a<br />

meno che il paterfamilias lo abbia specificamente designato nel suo testamento 88 .Se<br />

il de cuius intendeva assegnare l’aceto del suo vino, ma non lo avesse indicato, si<br />

dovrà considerare ricompreso nella categoria dell’aceto l’embamma, cioè una specie<br />

di condimento acido, che si otteneva ugu<strong>al</strong>mente <strong>d<strong>al</strong></strong> vino 89 .<br />

to nella Glossa accursiana del sec. XII da Viviano, mentre una glossa a s<strong>al</strong>samenta è dell’eruditissimo<br />

Cujas del XVI sec.: «S<strong>al</strong>samenta: (...) Sunt igitur s<strong>al</strong>samenta s<strong>al</strong>si pisces ut thynii, vel thunii, h<strong>al</strong>eces,<br />

lardum etc.» («Si tratta di pesce s<strong>al</strong>ato, come il tonno, le <strong>al</strong>ici, o la carne porcina s<strong>al</strong>ata»).<br />

86 Poiché il legato era disposto nel testamento ed esso acquistava efficacia solo se era v<strong>al</strong>ida ed efficace<br />

l’istituzione di erede, l’acquisizione, da parte del legatario, della cosa legata si verificava soltanto<br />

con l’adizione <strong>al</strong>l’eredità dell’erede. I giuristi romani avevano individuato due momenti dell’acquisto<br />

del legato: il dies cedens, momento in cui era certo che il legatario acquistava il legato (il dies cedens<br />

coincideva con l’apertura del testamento, in età classica secondo la Lex Papia Poppaea, ma fu restituito<br />

<strong>al</strong>la morte del testatore da Giustiniano); il dies veniens, momento in cui il legatario diveniva titolare<br />

del diritto re<strong>al</strong>e o del diritto di credito riservatogli nel legato (esso si verificava con l’aditio <strong>al</strong>la eredità<br />

da parte dell’erede).<br />

87 D. 33, 6, 6, 8: «Si heres damnatus sit dare vinum, quod in doliis esset, per legatarium steterit quo<br />

minus accipiat periculose heredem facturum si id vinum effundat, sed legatarium petentem vinum<br />

ab herede doli m<strong>al</strong>i exceptione placuit summoveri si non praestet id quod propter moram eius damnum<br />

passus sit heres». La exceptio era inserita <strong>d<strong>al</strong></strong> pretore, su richiesta del convenuto, nella formula<br />

richiesta <strong>d<strong>al</strong></strong>l’attore ed obbligava il giudice a considerare i vizi del negozio invocati <strong>d<strong>al</strong></strong> convenuto,<br />

par<strong>al</strong>izzando l’azione giudizi<strong>al</strong>e intentata <strong>d<strong>al</strong></strong>la parte che, secondo lo ius civile, era titolare di un diritto<br />

soggettivo derivante <strong>d<strong>al</strong></strong> negozio giuridico. In t<strong>al</strong> modo chi avanzasse una pretesa iniqua, per il<br />

comportamento scorretto da lui stesso tenuto, non poteva ottenere, attraverso il giudizio, gli effetti<br />

pratici del negozio. Per il diritto romano il soggetto che volesse invocare un vizio negozi<strong>al</strong>e non aveva<br />

mezzi processu<strong>al</strong>i per contestare la v<strong>al</strong>idità del negozio o per farne dichiarare la nullità, poteva soltanto<br />

eseguirlo ed attendere che l’avversario lo convocasse in giudizio avanzando la sua pretesa. Da<br />

quel momento era possibile <strong>al</strong> convenuto opporsi <strong>al</strong>la concessione della actio richiesta, mediante l’inserimento<br />

della exceptio nella formula, par<strong>al</strong>izzandone l’efficacia e conseguendo l’assoluzione.<br />

88 D. 33, 6, 9 (Ulpiano, Liber XXIII ad Sabinum): «Si quis vinum legaverit omne continetur quod ex<br />

vinea natum vinum permansit».<br />

89 D. 33, 6, 9 § 1.


Ma il generico legato di dulcia, <strong>al</strong>imenti e bevande dolci, poteva comprendere<br />

«mulsum, passum, defrutum et similes potiones», il cosiddetto mielato, il<br />

passito, il mosto cotto e bevande simili, così come l’uva, i fichi, i datteri – non<br />

certo il vino – se il testamento non dava <strong>al</strong>tre indicazioni 90 . Nel caso in cui il<br />

legato prevedesse vino da anfora, vino amineo, vino greco e tutti i dulcia, secondo<br />

il parere di Labeone si dovevano intendere per dulcia solo le bevande, per<br />

an<strong>al</strong>ogia con il vino da anfora 91 . Cosa si intendeva quando veniva legato il vino<br />

vetus? Secondo Ulpiano, il vetus è il vino dell’anno precedente, ma per il dotto<br />

Cujas, che appose una glossa a D. 33, 6, 9 § 4, il vino vecchio era quello invecchiato<br />

per più di un anno, secondo il consiglio di Marco Terenzio Varrone in<br />

persona: «Si vetus bibere velis, anniculum promitte» 92 . Tuttavia, poiché non vi<br />

era una regola precisa quanto <strong>al</strong>l’invecchiamento, ci si poteva fondare sulle consuetudini<br />

del testatore, «ex usu testatoris (...) aestimabitur» 93 . Va aggiunto, inoltre,<br />

che tutti quelli sopra menzionati sono legati generis (genus per legatum relictum), cioè<br />

legati di una certa quantità di cose fungibili o di una cosa da scegliere tra quelle<br />

appartenenti ad un dato genus o categoria, ma occorre osservare che nel legato per<br />

damnationem, di cui si è fatta menzione più sopra, le cose fungibili, oggetto del<br />

legato, potevano anche non far parte della eredità.<br />

Proseguiamo ora con la casistica. Il legato che contempli dieci anfore del vino<br />

«quod in fundo nascetur» (di tutto il vino prodotto ogni anno da una determinata<br />

vigna) comporta per l’erede che soddisfi annu<strong>al</strong>mente la sua obbligazione. Ma che<br />

accade in quell’anno in cui la produzione non raggiunge neppure il numero di anfore<br />

legate <strong>d<strong>al</strong></strong> de cuius? L’erede dovrà dare comunque <strong>al</strong> legatario lo stesso numero di<br />

anfore previsto nel legato, acquistandole a proprie spese? Sabino è di questo parere<br />

e così Ulpiano (Liber XXIII ad Sabinum), da cui è tratta la regola dei Digesti 94 .<br />

90 D. 33, 6, 16 § 1.<br />

91 D. 33, 6, 16 § 2: «Quod si ita esset legatum, vinum amphorarium, aminaeum, graecum et dulcia<br />

omnia, nihil inter dulcia nisi quod potionis fuisset legatum putat Labeo ex collatione vini amphorarii;<br />

quod non improbo».<br />

92 D. 33, 6, 11 (Ulpiano, Liber XXIII ad Sabinum): «Vetus (accipietur) quod non est novum, id est anni<br />

prioris vinum appellatione veteris continebitur»; D. 33, 6, 9 § 4: «Cuiacius, gl. Vinum vetus: Puta<br />

bimum si non nisi bimo usus fuerit pro veteri (...) vinum verum id esse quod non est novum, id est<br />

vinum anni superioris quod et Varro ostendit in lib. de re rustica his verbis: si vetus bibere velis, anniculum<br />

promitte»; D. 33, 6, 12: «Quis finis aut quod initium vini sumeretur?».<br />

93 D. 33, 6, 10.<br />

94 D. 33, 6, 13.<br />

523


524<br />

Più complesso, per i problemi interpretativi che solleva, è il caso del legato<br />

di vino paterno. Le due figure, del testatore e del pater, non sono fatte coincidere:<br />

si considera infatti tutto ciò che il testator intendeva con il termine generico ‘vino’<br />

(quindi anche i dulcia, l’aceto e le muffe, il succo d’uva e ciò che da esso si ricava).<br />

Ma la disponibilità del testatore può anche non coincidere con quella del<br />

paterfamilias. Infatti quest’ultimo, in quanto t<strong>al</strong>e, ha nella sua disponibilità anche<br />

il vino dei servi, che tuttavia spetta solo ad essi e non può essere fatto oggetto di<br />

legato («peculiare in usu servorum remansit») 95 .<br />

Infine, Caio riporta una sententia tratta da una legge antichissima, la Lex XII<br />

Tabularum: non è consentito chiamare in giudizio e trarre in tribun<strong>al</strong>e, chi si trovi<br />

nella propria vigna, <strong>al</strong> bagno o a teatro. È necessario attendere che le occupazioni<br />

relative siano terminate, prima di poter avere a disposizione il convenuto.<br />

Risulta curioso, ma anche significativo, che il lavoro o la semplice presenza nella<br />

vigna inibisca la chiamata immediata in giudizio, a dimostrazione che, nell’ambito<br />

del processo civile, la coltura o i lavori inerenti la vigna ed i suoi prodotti erano<br />

considerati di t<strong>al</strong>e importanza da far sospendere il procedimento 96 .<br />

95 D. 33, 6, 9 § 3. La medesima disposizione v<strong>al</strong>e per il legato di vino invecchiato (vinum vetus) (D. 33,<br />

6, 9 § 4).<br />

96 D. 2, 4, 20 (Caio, Liber I ad legem XII Tabularum): «Sed etiam a vinea, et b<strong>al</strong>neo, et theatro nemo dubitat<br />

in ius vocari licere». Nelle XII Tavole l’antichissimo sistema della in jus vocatio, come principio della<br />

lite è un atto privato di ogni cittadino che aveva facoltà, ovunque incontrasse il suo debitore, di<br />

condurlo con lui davanti <strong>al</strong> magistrato con queste parole «in jus te voco, ambula mecum, sequere<br />

me», senza dovergli comunicare i motivi, che venivano detti soltanto davanti <strong>al</strong> magistrato. Il citato<br />

doveva obbedire, poiché <strong>al</strong> cittadino privato era riconosciuta in quel momento una vera e propria<br />

autorità, di cui avrebbe poi reso conto <strong>al</strong> giudice. Se l’invitato non obbediva, erano chiamati a testimoni<br />

gli astanti, toccando loro il lobo dell’orecchio a significare che dovevano ricordarsi di ciò che<br />

avevano udito, e si conduceva senz’<strong>al</strong>tro l’avversario davanti <strong>al</strong> giudice; se poi quest’ultimo avesse<br />

tentato la fuga, o fosse stato comunque renitente poteva esser sottoposto <strong>al</strong>la manus injectio, cioè <strong>al</strong>la<br />

presa con la forza della sua persona ed essere tradotto in tribun<strong>al</strong>e etiam obtorto collo. L’attore poteva,<br />

a t<strong>al</strong> fine, utilizzare persino i propri schiavi e rapire il convenuto. Col tempo, cadute molte form<strong>al</strong>ità,<br />

bastò provare che l’invito era stato fatto: infatti la renitenza ed il tentativo, da parte di amici o parenti,<br />

di liberare l’arrestato lo faceva incorrere in un giudizio minacciato <strong>d<strong>al</strong></strong> pretore (D. 2, 5, 5). Il vocatus<br />

poteva liberarsi in due soli modi: presentando un vindex locuples (un sostituto ricco, che si presentasse<br />

<strong>al</strong> suo posto), o transigendo con l’avversario. Infatti nel diritto romano tutto era regolato secondo<br />

la volontà delle parti e secondo l’interesse privato. Questo sistema di citazione si mantenne a lungo<br />

in Roma, ma cadde in disuso in età imperi<strong>al</strong>e per essere, via via, sostituito <strong>d<strong>al</strong></strong>la citazione per ordine<br />

del giudice e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uso di ricorrere <strong>al</strong> pretore, che comandava di intervenire in giudizio <strong>al</strong> convenuto<br />

e minacciava, in caso contrario, una multa a vantaggio dell’attore; il vindex andò in disuso e fu<br />

sostituito da un fidejussor, che rispondeva della comparsa del convenuto nel giorno stabilito. A volte


La lavorazione del vino, le qu<strong>al</strong>ità, la degustazione<br />

I principi giuridici contenuti nel Digesto sarebbero oscuri se mancassimo di tratteggiare<br />

<strong>al</strong>meno gli usi s<strong>al</strong>ienti della coltivazione della vite e della vinificazione,<br />

che spiegano l’importanza assunta <strong>d<strong>al</strong></strong>la conservazione, <strong>d<strong>al</strong></strong>la specificazione, <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

trasporto della merce-vino in ambito negozi<strong>al</strong>e e <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>ità di esso, oltre che<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la quantità, in ambito successorio, con i legati.<br />

Quanto <strong>al</strong>la coltivazione della vigna, essa esigeva un lavoro incessante per tutto<br />

l’anno, essendo irrigata con sis<strong>temi</strong> speci<strong>al</strong>i, nelle regioni scarsamente piovose<br />

(ad esempio, a Sulmona e in Spagna 97 ), o protetta <strong>d<strong>al</strong></strong>le intemperie, come in Crimea,<br />

ove si ricoprivano con la terra i ceppi di vite, durante l’inverno, e si accendevano<br />

fuochi con la paglia per evitare le brinate in primavera; in Betica (ora An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia<br />

e parte di Granata), durante la canicola, si ricoprivano le viti ed i grappoli d’uva<br />

con le stuoie per proteggerli dai venti brucianti. Nonostante queste cure non<br />

era possibile garantire un raccolto abbondante e sano; non vi era protezione dagli<br />

insetti, dai parassiti e <strong>d<strong>al</strong></strong>le m<strong>al</strong>attie delle piante, soprattutto ove si consideri che la<br />

vigna era utilizzata anche per <strong>al</strong>tre coltivazioni, specie di piante da frutto (erano<br />

preferiti i meli e i melograni, che hanno radici corte, ma anche gli olmi, i pioppi, i<br />

frassini, i fichi, gli olivi vi trovavano posto). In t<strong>al</strong> caso, quando la coltura era mista,<br />

le viti venivano fatte arrampicare agli <strong>al</strong>beri (orthampélos), sì da non esporre i frutti<br />

<strong>al</strong>la voracità dei topi e delle volpi. Ove la coltivazione veniva soltanto a vite, quest’ultima<br />

era sostenuta da p<strong>al</strong>i (pedamentum, ridica), preferibilmente di quercia, di olivo,<br />

di ginepro; era disposta a pergolato (vineae jugatae), in montanti vertic<strong>al</strong>i uniti fra<br />

loro con traverse orizzont<strong>al</strong>i (juga) e si sviluppava in linea retta (canterius, vineae canteriatae).<br />

I pergolati erano disposti a volte arrotondate (vineae characatae), o su quattro<br />

piani (vineae compluviatae). La coltivazione su sostegni era preferita in It<strong>al</strong>ia, benché<br />

fosse ben nota anche in Grecia; ma si trovavano anche vigneti che si sviluppavano<br />

<strong>al</strong> suolo, producendo grappoli molto ricchi e grossi.<br />

Per quanto riguarda le qu<strong>al</strong>ità, si piantavano da tre a dieci ceppi di vite addossati<br />

insieme e si cercava di combinare insieme le diverse specie, associando la visula,<br />

che fruttificava ai piedi degli <strong>al</strong>beri, <strong>al</strong>la <strong>al</strong>buelis che produceva soprattutto sul-<br />

non era lecita la in jus vocatio, con riguardo <strong>al</strong>le persone, <strong>al</strong> tempo, o <strong>al</strong> luogo. Quanto <strong>al</strong> luogo, era in<br />

primo luogo inviolabile il domicilio del convenuto (tutissimum cuique refugium atque receptaculum),oltre<br />

ad <strong>al</strong>cuni luoghi speci<strong>al</strong>i, sopra menzionati, la vigna, i bagni, il teatro.<br />

97<br />

PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 17, 40-41, ed. J. André, XVII, Paris 1964 (CUF), pp. 104-105.<br />

525


526<br />

la cima; si faceva poi passare la vite da un <strong>al</strong>bero <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro, sostenendola, <strong>al</strong>l’occorrenza,<br />

con forcelle. Si coltivava la vite soprattutto per produrre il vino, ma ciò non<br />

escludeva che, in via eccezion<strong>al</strong>e, se ne potesse utilizzare il legno: <strong>al</strong>cune colonne<br />

del tempio di Iuppiter a Metaponto e una sc<strong>al</strong>inata del tempio di Ar<strong>temi</strong>de ad<br />

Efeso erano in legno di vite 98 . Quanto <strong>al</strong> frutto, la produzione di uva da tavola era<br />

molto scarsa, praticata nelle vicinanze delle città, ove era più agevole il trasporto,<br />

e destinata solo ai mercati cittadini che ne assicuravano la consumazione.<br />

I grappoli venivano anche conservati, appendendoli, mettendoli sulla paglia,<br />

sulla crusca, sulla segatura, sul gesso, esponendoli <strong>al</strong> fumo, chiudendoli nei vasi,<br />

poi ricoperti con vinacce o riposti in una cisterna (uvae ollares). Si conservavano<br />

nel vino, nel mosto, nel vino cotto, nel vinello, ma si mantenevano anche nell’acqua<br />

piovana. I grappoli disidratati (uva passa) erano poi sottoposti ad una fonte<br />

di c<strong>al</strong>ore; tipica era l’uva di Cos, molto apprezzata dai Romani, per la qu<strong>al</strong>e<br />

occorreva un procedimento speci<strong>al</strong>e: dopo aver essiccato i grappoli <strong>al</strong> sole, li si<br />

avvolgeva in foglie di fico, di vite o di platano, che erano poi posti in barili, a strati<br />

separati da foglie, e infine chiusi con gesso 99 .<br />

Ed ora passiamo <strong>al</strong>la produzione del vino. Dopo la vendemmia l’uva era<br />

pestata nel tino e portata <strong>al</strong> torchio (torcular), che si trovava, di solito, in prossimità<br />

della vigna; <strong>d<strong>al</strong></strong>la spremitura il vino colava nei lacus o dolia 100 , ove sarebbe<br />

avvenuta la fermentazione. La spremitura dava però un vino ritenuto di qu<strong>al</strong>ità<br />

inferiore, il mustum tortivum, circumcisitum (vino di torchio o tagliato); la vinaccia<br />

(vinaceum) si toglieva e si conservava per usi diversi: mescolata con l’acqua e nuovamente<br />

spremuta dava il vinello (lora), ma poteva anche essere data <strong>al</strong> bestiame,<br />

specie ai suini, come mangime per l’ingrassaggio, o avere impieghi medicin<strong>al</strong>i 101 .<br />

Occorre tener presente che, per la spremitura dell’uva, gli attrezzi e i grandi<br />

recipienti erano forniti <strong>d<strong>al</strong></strong> proprietario della vigna sia <strong>al</strong> fittavolo, che <strong>al</strong> compratore<br />

dell’uva, e che essi, secondo l’uso, facevano il vino direttamente sul luo-<br />

98 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 2(1), p. 26.<br />

99 COLUMELLA, De re rustica 12, 16, 3, ed. J. André, XII, Paris 1988 (CUF), p. 46; PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia<br />

15, 18(17), 66, ed. J. André, XV, Paris 1960 (CUF), pp. 40-41. Pare che l’uva passa avesse virtù<br />

medicin<strong>al</strong>i, mentre l’uva fresca era vietata per i febbricitanti. Cfr. JARDÉ,s.v.,Vinum, p. 919.<br />

100 Il lacus era il tino o la tinozza in cui si raccoglievano il vino e l’olio torchiato; il dolium era una botte<br />

(di creta nei tempi più antichi, più avanti di legno), in cui si lasciava fermentare e depositare per<br />

più mesi il mosto prima di travasarlo nelle anfore.<br />

101<br />

VARRONE, Res rusticae 2, 4, ed. C. Guirard, II, Paris 1985 (CUF), pp. 34-43; CATONE, De agricultura<br />

28, 25, p. 34; PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 23, 10, 14, ed. J. André, XXIII, Paris 1971 (CUF), p. 25.


go; l’affittuario e il compratore si limitavano <strong>al</strong>la piccola utensileria indispensabile.<br />

La distinzione fra l’attrezzatura più costosa, dovuta <strong>d<strong>al</strong></strong> proprietario del<br />

fondo, e quella di piccolo uso è fatta da Ulpiano in D. 19, 2, 19, ove, in re<strong>al</strong>tà, si<br />

pone la questione per un frantoio delle olive, ma che è, estensivamente, applicata<br />

anche <strong>al</strong> torchio del vino. Il proprietario fornisce non solo i grandi tini<br />

(dolia), ma è anche tenuto ai danni più gli interessi, se il cattivo stato dei contenitori<br />

pregiudica la conservazione del vino. Natur<strong>al</strong>mente, nella spremitura,<br />

secondo l’uso degli antichi, non si mescolavano le varie specie di uva, né tanto<br />

meno le uve bianche con le nere; anzi, queste ultime si riteneva producessero<br />

un vino meno pregiato delle bianche 102 .<br />

Una volta nel tino di fermentazione il vino veniva subito lavorato; più era<br />

comune, più si aggiungevano ingredienti per migliorarlo, come l’acqua o vini di<br />

vigneti diversi, o, più drasticamente, si aggiungevano la resina, la pece, il marmo<br />

polverizzato, il gesso, la c<strong>al</strong>ce 103 . In Grecia lo si mescolava con l’acqua di mare,<br />

che poteva variare in percentu<strong>al</strong>e, <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà <strong>al</strong> doppio del vino puro. Poiché i<br />

vini greci erano molto apprezzati in tutto il mondo mediterraneo, la loro gradazione<br />

s<strong>al</strong>ina ne connotava le caratteristiche: così, i vini di Clazòmene e di Rodi<br />

erano poco s<strong>al</strong>ati, quelli di Mindo e di Alicarnasso molto, quelli di Cos, mediamente.<br />

La s<strong>al</strong>atura era comunque una operazione delicata, poiché l’eccesso di<br />

s<strong>al</strong>e poteva rendere il vino, secondo gli antichi, non solo sgradevole, ma dannoso<br />

104 . Altri procedimenti erano volti ad ottenere il bouquet del vino, a dargli profumazione,<br />

a togliergli note sgradite o a rendere dolce un vino forte. Si giungeva<br />

a vere e proprie f<strong>al</strong>sificazioni: Catone scrive di essere a conoscenza di ricette<br />

per fabbricare il vino pregiato greco o il vino di Cos 105 . Nella G<strong>al</strong>lia Narbonese<br />

102 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 23, 6, 1, p. 23. Con le uve comuni, appena mature, si fabbricava il vino per<br />

gli schiavi, vinum praeliganeum, cioè vino da uva da scarto e m<strong>al</strong> matura o vino immaturo (CATONE, De<br />

agricultura 26, 23, 2, p. 33).<br />

103 COLUMELLA, De re rustica 12, 3, pp. 27-30; Q. ORAZIO FLACCO, Sermones 2, 4, 55-60 e 2, 8, 15-16, in<br />

Le opere, a cura di P. Fedeli, C. Carena, II/1, Roma 1994 (Antiquitas Perennis), pp. 228-260; CATONE,<br />

De agricultura 27, 24, pp. 33-34; PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 6, 53-54 e 24, 120-121, pp. 41 e 62-63;<br />

ID., Natur<strong>al</strong>is historia, 23, 24, pp. 35-37.<br />

104 OMERO, Iliade, 6, 135-36, ed. P. Mazon, Paris 1937 (CUF), p. 158; TEOFRASTO, De causis plantarum<br />

6, 7, 6, ed. F. Wimmer, Parissis 1886 (rist. Frankfurt am Main 1964), p. 298; ID., De odoribus 11(51),<br />

ed. cit., p. 373; PLAUTO, Rudens 2, 7, 588, ed. A. Ernout, VI, Paris 1957 (CUF), p. 149; DIOSCORIDE,<br />

De materia medica 5, 10, ed. M. Wellmann, II, Berolini 1958, p. 13.<br />

105 CATONE, De agricultura 121, 112-113, pp. 76-77.<br />

527


528<br />

si arrivava ad usare prodotti nocivi <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute per sofisticare il vino e gli si dava<br />

colore e sapore persino con l’<strong>al</strong>oe 106 . Nonostante ciò, la legislazione non proibiva<br />

interventi sul prodotto, né prevedeva sanzioni o pene per le peggiori sofisticazioni;<br />

era nel costume del mondo antico manipolare il prodotto vinario ed era<br />

assolutamente sconosciuta l’esigenza di avere in tavola un prodotto genuino;<br />

benché fosse ritenuto dannoso, si continuava a bere, per esempio, il vino esposto<br />

<strong>al</strong> sole (per conservarne la gradazione), o affumicato in appositi loc<strong>al</strong>i (fumarium)<br />

ed il vino di Marsiglia, che pur conservava uno sgradevole gusto di fumo<br />

era, comunque, sempre richiesto 107 .<br />

Per il trasporto ci si serviva di otri (culleus, uter), sacchi di cuoio che si riteneva<br />

migliorassero il vino, ma si potevano anche utilizzare anfore di argilla, botti<br />

(dolia), di creta o di legno, e barili di legno (cupa). I vini da conservare si versavano<br />

dai dolia nelle anfore ed il vino si denominava vinum amphorarium, per distinguerlo<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vinum doliare; l’anfora era chiusa da tappi di sughero o d’argilla, rivestiti<br />

di pece o di gesso (pittucium), e vi si apponeva una etichetta con il nome del<br />

vino e, spesso, la data in cui era stato ‘messo in anfora’; le anfore erano poi ordinate<br />

in lunghe file e messe nelle celle delle cantine (cellae). Il vino non era mai<br />

limpido, ma ciò non impediva di apprezzarlo per le sue qu<strong>al</strong>ità ‘aggiuntive’; in<br />

ogni caso, prima di servirlo si era costretti a filtrarlo con un colino (colum), poi<br />

nuovamente con un saccus vinarius, fatto gener<strong>al</strong>mente di vimini o di tela di lino<br />

(saccus), preferito dai buongustai, che volevano anche si usasse tela nuova, per il<br />

gusto particolare che avrebbe lasciato 108 .<br />

Quanto <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità dei vini, essi avevano una base prev<strong>al</strong>entemente dolce ed<br />

erano i preferiti: il vino (passum) si produceva a Creta, in Cilicia, in Africa, in It<strong>al</strong>ia,<br />

ma anche nella G<strong>al</strong>lia Narbonese vi era un dulce, prodotto con uve seccate <strong>al</strong><br />

sole. Il mosto serviva <strong>al</strong>la preparazione di diverse bevande; secondo la spremitura<br />

se ne preparavano di differente qu<strong>al</strong>ità: il primo veniva imbottigliato (il siciliano<br />

<strong>al</strong>untium o protropum) 109 . Per ottenere l’aigleucòs, un vino dolce che non fermen-<br />

106 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 8(6), 68, p. 46.<br />

107 CATONE, De agricultura 114, 105, p. 73; PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 10(8), 77-78 e 11, 9, 85, pp. 49<br />

e 52; COLUMELLA, De re rustica 1, 6, 20, ed. H.B. Ash, London-Cambridge Mass. 1948 (The Loeb classic<strong>al</strong><br />

library), pp. 74 e 76; MARZIALE, Epigrammaton 10, 36, 1, p. 89. Cfr. JARDÉ,s.v.,Vinum, p. 920.<br />

108 ORAZIO, Sermones 2, 4, 54-55, p. 226.<br />

109 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 11(9), 80, p. 50.


tava e si conservava sempre t<strong>al</strong>e 110 , si impediva appunto la fermentazione di<br />

mosto conservandolo nell’acqua fino <strong>al</strong>l’inverno 111 . Il vino cotto si preparava<br />

invece facendo bollire il mosto sul fuoco fino a ridurlo a due terzi della quantità<br />

inizi<strong>al</strong>e, poi <strong>al</strong>la metà, infine a un terzo; nel primo caso si denominava carenum,<br />

nel secondo sapa, nel terzo defretum o defrutum 112 .<br />

Si poteva mescolare <strong>al</strong> vino il miele 113 , e con il mosto ed il miele si preparava<br />

il vino mielato (mulsum, melitites, oinomélis) 114 ; si otteneva una bevanda an<strong>al</strong>oga<br />

mescolando il miele <strong>al</strong>l’acqua (idroméli) 115 , <strong>al</strong>l’acqua di mare (th<strong>al</strong>assoméli), <strong>al</strong>l’aceto<br />

(oxùmeli), <strong>al</strong> succo di frutta (melòmeli) 116 ; il conditum o piperatum era fatto di vino, di<br />

miele e di pepe 117 . Una ricca casistica, tuttavia, consentiva l’abbinamento con<br />

varie sostanze. Facendo macerare nel vino i fiori, le foglie, i frutti si ottenevano<br />

vini aromatici che servivano soprattutto per la medicina e per la profumeria; si<br />

veda il vino di rose, rosetum, di mirto, di assenzio, citato anche nell’editto di Diocleziano<br />

118 ; ma si facevano anche macerare i profumi nel vino (aromatites), come<br />

la mirra, murrhina 119 . Al vino propriamente detto si collegavano bevande an<strong>al</strong>oghe<br />

(vina fictitia, in particolare ottenuti dai frutti, qu<strong>al</strong>i il sidro, i vini di fichi, di<br />

carrube, di melagrane, di datteri, di pinoli) 120 .<br />

Come e in che misura si consumava e degustava il vino nel mondo romano?<br />

In genere nel mondo antico, in Grecia, il consumo di vino era molto parco, le<br />

bevande più usu<strong>al</strong>i erano il latte e l’acqua; sia a Marsiglia, che a Mileto la legge vie-<br />

110 Un vino di origine greca, come del resto il nome aigleucòs <strong>d<strong>al</strong></strong> greco aeì gleukòs, sempre dolce.<br />

111 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 11(9), 83, p. 51.<br />

112 Le denominazioni venivano però spesso usate indifferentemente.<br />

113 Secondo Plinio, Aristeo sarebbe stato il primo a fare una miscela di vino, miele e farina: PLINIO,<br />

Natur<strong>al</strong>is historia 14, 6, 53, p. 41.<br />

114 COLUMELLA, De re rustica 12, 41, p. 74; PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 9(7), 75 e 11(9), 85, pp. 48-49 e 52.<br />

115 Il miglior idroméli era quello di Frigia.<br />

116 Cfr. JARDÉ, s.v.,Vinum, p. 921; DIOSCORIDE, De materia medica 5, 22, ed. M. Wellmann, II, Berolini<br />

1958, p. 20; COLUMELLA, De re rustica 12, 47, 3, pp. 84-85; PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 21, 114, p. 61.<br />

117 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 19, 108, p. 59; i venditori o i fabbricanti di queste bevande erano denominati<br />

conditarii, conditaria.Cfr.in Corpus Inscritionum Latinarum, VI/2, Berolini 1882, p. 1224, n.o 9277.<br />

118 Edictum Diocletiani 2, 18-19; CATONE, De agricultura 134, 125, p. 81; COLUMELLA, De re rustica 12, 5<br />

e 38, pp. 32 e 69-72; PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 19, 104, 106 e 109, pp. 58 e 59.<br />

119 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 15, 92-93 e 19, 107-108, pp. 54-55 e 59.<br />

120 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 19, 100-106, pp. 57-59.<br />

529


530<br />

tava <strong>al</strong>le donne di bere vino; l’ubriachezza poi era considerata un vizio dei barbari,<br />

non degna dei greci. Bere vino puro, sia in Grecia che a Roma era ritenuto<br />

costume molto rozzo, usanza di sciti. Pertanto si dovevano tagliare i vini forti e<br />

corposi con l’acqua; la proporzione di acqua variava secondo la forza del vino ed<br />

il gusto dei convitati. Si facevano miscele in cui il vino era pari ad 1/5, 1/4, 2/7,<br />

1/3, 2/5, 1/2, 4/7, 3/5, 2/3; la proporzione di 1/4 era ritenuta la migliore, anche<br />

se si ricorreva spesso <strong>al</strong>le <strong>al</strong>tre proporzioni, secondo la tolleranza dell’acqua, che<br />

si riteneva propria di <strong>al</strong>cune qu<strong>al</strong>ità di vino; natur<strong>al</strong>mente i veri bevitori trovavano<br />

la proporzione di 2/3 ancora troppo leggera e buona per le ranocchie 121 .<br />

Nell’antico Lazio il vino fu una merce rara per lungo tempo, per cui fu poco<br />

bevuto dai romani, che, <strong>al</strong>la maniera dei greci, si vantavano di una grande<br />

sobrietà e sostenevano che bere più che moderatamente ottundeva il senso del<br />

gusto; tuttavia si introdusse il vino in tutti i pasti, ma, ad imitazione dei greci era<br />

essenzi<strong>al</strong>e soltanto nei banchetti (comissatio) 122 . Come in Grecia, era vietato <strong>al</strong>le<br />

donne bere vino, ma si permetteva loro il vinello ed il passito 123 . I romani tagliavano<br />

il vino con acqua c<strong>al</strong>da o fredda; Nerone faceva bollire l’acqua, per poterla<br />

mescolare <strong>al</strong> vino, la più pura possibile 124 . Durante la coena ciascuno si faceva<br />

versare nella coppa la miscela di acqua e vino che più gradiva, ma durante la<br />

comissatio la mescolanza si faceva anticipatamente nel vaso da mescere. Anche a<br />

Roma, come in Grecia, si faceva raffreddare il vino, circondando il vaso con la<br />

neve o immergendolo in un sacco riempito di neve (saccus nivarius, colum nivarium)<br />

125 . Nonostante le abitudini morigerate, presso la corte imperi<strong>al</strong>e divenne<br />

sempre più frequente l’abuso di vino, specie da quando l’imperatore Claudio,<br />

facendone largo uso – era divenuto famoso per questo –, introdusse l’abitudine<br />

di bere a digiuno, prima di mangiare 126 .<br />

121<br />

FERECRATE presso ATENEO, Dipnosophistarum epitome 10, 430, ed. S.P. Peppinki, II/2, Lugduni<br />

Batavorum 1939, pp. 33-34.<br />

122 Banchetto, cui seguivano b<strong>al</strong>dorie e gozzoviglie e una passeggiata notturna con le fiaccole e la musica.<br />

123 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 14(13), 89-90, p. 53.<br />

124<br />

PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 31, 23, 40, ed. W.H.S. Jones, VIII, London-Cambridge Mass. 1963 (The<br />

Loeb classic<strong>al</strong> library), pp. 400 e 402.<br />

125 Cfr. JARDÉ,s.v.,Vinum, p. 921; PLINIO IL GIOVANE, Epistulae, 1, 15, 2, ed. A.-M. Guillemin, I, Paris<br />

1927 (CUF), p. 15; L.A. SENECA, Epistulae ad Lucilium, 9, 78, 23, ed. F. Préchac, H. Noblot, III, Paris<br />

1957 (CUF), p. 79; MARZIALE, Epigrammaton 5, 64, ed. H.J. Izaac, I, Paris 1969 (CUF), p. 169, e 14,<br />

103-104, ed. H.J. Izaac, II/2, Paris 1933 (CUF), p. 234.<br />

126 Cfr. JARDÉ,s.v.,Vinum, p. 921.


Natur<strong>al</strong>mente il vino aveva anche <strong>al</strong>tre utilizzazioni: per esempio in cucina<br />

per preparare s<strong>al</strong>se (garum) 127 e dolci, o in medicina come bevanda o come lozione128<br />

, ma si usava anche la feccia del vino come sostanza medicin<strong>al</strong>e, o la sapa<br />

(mosto cotto) 129 . Anche nelle pratiche religiose le libagioni di vino erano frequenti,<br />

specie dedicate ai Lares familiari, nel culto privato, ed <strong>al</strong>le più importanti<br />

divinità, nel culto pubblico.<br />

Cantava Orazio, dopo la vittoria di Cesare Ottaviano su Cleopatra e Marco<br />

Antonio:<br />

Nunc est bibendum, nunc pede libero<br />

pulsanda tellus, nunc S<strong>al</strong>iaribus<br />

ornare pulvinar deorum<br />

tempus erat dapibus so<strong>d<strong>al</strong></strong>es,<br />

antehac nefas depromere Caecubum<br />

cellis avitis, dum Capitolio<br />

regina dementis ruinas<br />

funus et imperio parabat (...) 130 .<br />

127 S<strong>al</strong>sa preparata con pesci marinati e con vino.<br />

128 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 14, 22(18), 116-118, pp. 61-62, e 23; 20, pp. 33-22; 40, pp. 31-33. Si pensava,<br />

per esempio, che iniettando nella vite una dose di theriaca, uno specifico contro i morsi degli anim<strong>al</strong>i<br />

velenosi, si trasmettessero le stesse qu<strong>al</strong>ità ai frutti. Cfr. JARDÉ,s.v.,Vinum, p. 922.<br />

129 PLINIO, Natur<strong>al</strong>is historia 23, 31, 63-65 e 33, 68, pp. 41-42 e 43.<br />

130 Q. ORAZIO FLACCO, Ode 37, 1-8, in ID., Opera, Oxonii 1957 (Scriptorum classicorum bibliotheca<br />

oxoniensis): «Amici miei, ora si deve bere / ora con piede libero / battere ritmicamente il suolo /<br />

ora i sacerdoti S<strong>al</strong>ii / debbono ornare i letti degli dei / con le più succulente vivande sacrific<strong>al</strong>i, / prima<br />

era vietato trar fuori <strong>d<strong>al</strong></strong>le celle avite il Cecubo, / finché una regina apprestava <strong>al</strong> Campidoglio<br />

assurde sciagure / e rovine a tutto l’impero (...)».<br />

531


532


* Università degli Studi di S<strong>al</strong>erno.<br />

CLAUDIO AZZARA*<br />

Il vino dei barbari<br />

In una lettera, poi raccolta nelle Variae, redatta con ogni probabilità nel 533 o nei<br />

primi mesi del 534 e inviata <strong>al</strong> canonicarius Venetiarum (il massimo funzionario<br />

finanziario della provincia), Cassiodoro chiedeva, per conto della corte gota di<br />

Ravenna, la fornitura a cura dell’interlocutore e a beneficio della mensa regia del<br />

delizioso vino dei produttori veronesi, del qu<strong>al</strong>e venivano nella circostanza<br />

magnificate le qu<strong>al</strong>ità senza pari 1 . La richiesta da parte della corte riguardava<br />

vino definito «acinaticium», v<strong>al</strong>e a dire di tipo passito, di cui le cantine ravennati<br />

erano ormai quasi a secco e che veniva perciò ricercato nella zona di Verona,<br />

dove esso era notoriamente di qu<strong>al</strong>ità eccellente. T<strong>al</strong>e prodotto veniva descritto<br />

come il vanto dell’It<strong>al</strong>ia (nel testo si intendeva probabilmente la sola It<strong>al</strong>ia annonaria,<br />

cioè quella settentrion<strong>al</strong>e), ineguagliato anche dai vini greci, i qu<strong>al</strong>i erano<br />

di regola abilmente “insaporiti” con l’aggiunta di spezie e di <strong>al</strong>tri ingredienti.<br />

Il vino veronese spiccava, nelle parole di Cassiodoro, per il suo colore purpureo,<br />

degno quindi di un re, e per il suo sapore unico; si rammentavano pure le<br />

fasi princip<strong>al</strong>i della sua produzione, <strong>d<strong>al</strong></strong>la conservazione dell’uva in specifici contenitori,<br />

perché perdesse i «fatui humores» e concentrasse gli zuccheri, divenendo<br />

dolce, <strong>al</strong>l’esposizione <strong>al</strong>l’aperto durante l’inverno, per asciugare e maturare, sì<br />

da essere infine spremuta <strong>al</strong>lorquando i vini norm<strong>al</strong>i cominciavano invece già a<br />

invecchiare. Una volta pronto, il vino doveva essere consegnato ai chartarii, fun-<br />

1 AURELIO CASSIODORO, Variarum libri XII, ed. Å. J. Fridh, Turnholti 1973 (Corpus Christianorum.<br />

Series Latina, 96) [d’ora in avanti, CASS. Variae], XII, 4. Per un commento <strong>al</strong>la lettera, si vedano L.<br />

[CRACCO] RUGGINI, Economia e società nell’It<strong>al</strong>ia annonaria. Rapporti fra agricoltura e commercio <strong>d<strong>al</strong></strong> IV <strong>al</strong> VI<br />

secolo d.C., Milano 1961, p. 340; M. PAVAN, La Venetia di Cassiodoro, in La Venetia <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>to<br />

<strong>Medioevo</strong>, Roma 1988, pp. 63-74, p. 70.<br />

533


534<br />

zionari del patrimonio di corte, che avevano l’obbligo di conservarlo adeguatamente,<br />

preservandone le caratteristiche. Ai produttori veniva pagato un «giusto<br />

prezzo», stabilito però <strong>d<strong>al</strong></strong> regio acquirente, attraverso il meccanismo della coemptio,<br />

con il capzioso ammonimento che costoro non potevano certo esitare a vendere<br />

come da richiesta ricevuta quanto avrebbero piuttosto dovuto spontaneamente<br />

donare, qu<strong>al</strong>e omaggio <strong>al</strong> loro monarca.<br />

Il vino e le stirpi barbariche nelle fonti letterarie<br />

Se la citata lettera di Cassiodoro <strong>al</strong> canonicarius Venetiarum informa su di un prodotto<br />

di qu<strong>al</strong>ità superiore, preparato con una lavorazione specifica, non a caso<br />

rievocata <strong>d<strong>al</strong></strong>lo scritto, <strong>al</strong>tre epistole contenute nelle Variae fanno cenno, sempre<br />

in rapporto <strong>al</strong>le regioni nordorient<strong>al</strong>i della penisola, della larga diffusione, nell’It<strong>al</strong>ia<br />

ostrogota, del vino e della sua incidenza sulla dieta della popolazione<br />

(rispetto <strong>al</strong>la cui tot<strong>al</strong>ità, va ricordato, i goti rappresentavano una minoranza tutto<br />

sommato esigua). Durante la carestia del 534, che aveva messo in ginocchio<br />

l’intera It<strong>al</strong>ia annonaria e i cui effetti si ripercossero anche negli anni seguenti, il<br />

vino era messo sulla stesso piano del triticum e del panicum nell’elenco dei beni di<br />

cui la Venetia era rimasta sprovvista e la cui mancanza pativa a t<strong>al</strong> punto da vedere<br />

molti suoi abitanti morire per fame. In t<strong>al</strong>e circostanza, mentre per l’approvvigionamento<br />

di grano si disponeva di fare ricorso <strong>al</strong>le riserve degli horrea pubblici<br />

della Venetia e della Liguria, per il vino si rinviava <strong>al</strong>l’Histria, che <strong>d<strong>al</strong></strong>la carestia<br />

era stata evidentemente risparmiata 2 .<br />

Il gradimento, dichiarato da Cassiodoro, del re goto e della sua corte per l’acinaticium<br />

chiesto ai veronesi testimonia pure come soggetti di origine barbara,<br />

qu<strong>al</strong>i erano i goti, avessero a quest’epoca una piena familiarità con il vino, <strong>al</strong>imento<br />

che costituiva una parte integrante della loro dieta quotidiana. La constatazione<br />

può sorprendere solo qu<strong>al</strong>ora, in modo del tutto naive, si associno automaticamente<br />

– e indistintamente – le stirpi barbariche (che erano assai eterogenee<br />

tra loro) e i loro singoli esponenti a bevande <strong>al</strong>coliche, come la birra, tipiche<br />

di regimi <strong>al</strong>imentari diversi da quelli dei popoli mediterranei. In re<strong>al</strong>tà, i secolari<br />

contatti con il mondo romano avevano permesso anche <strong>al</strong>le stirpi provenienti da<br />

2<br />

CASS. Variae, XII, 26; cfr. anche XII, 22. Cfr. RUGGINI, Economia e società, pp. 283 e 335; PAVAN, La<br />

Venetia di Cassiodoro,p.71.


territori in cui il clima non consentiva la coltivazione della vite di conoscere e<br />

apprezzare il vino e di introdurlo fra i propri usi <strong>al</strong>imentari. Insomma, le stirpi<br />

barbare che avevano frequentato la romanità e che si erano infine progressivamente<br />

stanziate sul suolo dell’impero non solo dimostravano di gradire il vino,<br />

ma, per così dire, lo avevano assunto appieno nella propria quotidianità di vita<br />

ed entro i propri stessi orizzonti cultur<strong>al</strong>i.<br />

Ogni discorso su un tema qu<strong>al</strong>e “i barbari e il vino” dovrebbe in verità<br />

scomporsi a seconda non solo della cronologia considerata, ma anche delle singole<br />

stirpi prese in esame, <strong>d<strong>al</strong></strong> momento che la g<strong>al</strong>assia di tribù che la cultura<br />

romana tendeva a comprendere sotto l’etichetta unificante di “barbari” era in<br />

re<strong>al</strong>tà costituita da una molteplicità di etnie, assai diverse l’una <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra (anche se<br />

non prive di significative interrelazioni). In questa sede, per offrire uno spaccato<br />

sufficientemente omogeneo e perciò in qu<strong>al</strong>che modo significativo, ci si limiterà,<br />

pertanto, a considerare – fatte s<strong>al</strong>ve <strong>al</strong>cune v<strong>al</strong>utazioni più gener<strong>al</strong>i – <strong>al</strong>cune tracce<br />

relative <strong>al</strong>l’It<strong>al</strong>ia “barbarica” <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e, e perciò – oltre a quanto già detto<br />

sui goti – ad esempi tratti soprattutto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età longobarda; iniziando <strong>d<strong>al</strong></strong> “ruolo”<br />

assegnato <strong>al</strong> vino nella stilizzazione letteraria, da cui provengono, tuttavia, ben<br />

poche indicazioni complessive 3 .<br />

Nella raffigurazione convenzion<strong>al</strong>e e stereotipa che dei barbari facevano i<br />

romani, accanto a una cospicua quantità di difetti assortiti (propensione <strong>al</strong>l’ira e<br />

<strong>al</strong>la violenza, impulsività, insincerità, subdola astuzia, rozzezza di costumi, sporcizia<br />

person<strong>al</strong>e) figurava anche la predisposizione per il consumo smodato di<br />

bevande <strong>al</strong>coliche (oltre che di cibo) e quindi per l’ubriachezza. Del resto, pure<br />

nelle rappresentazioni cultur<strong>al</strong>i interne <strong>al</strong> mondo barbarico, le grandi bevute, in<br />

occasioni convivi<strong>al</strong>i, appaiono costituire non solo una pratica comune, ma anche<br />

un comportamento carico di specifici v<strong>al</strong>ori. Nell’Edda di Snorri Sturluson (1178-<br />

1241), autentica summa della mitologia scandinava, che, pur se composta tra il XII<br />

e il XIII secolo raccoglie e rielabora materi<strong>al</strong>i antichissimi, affondanti nel passato<br />

pagano più remoto delle società nordiche, la condizione ide<strong>al</strong>e degli abitanti della<br />

V<strong>al</strong>höll, la dimora celeste degli dèi e degli eroi, consisteva nel trascorrere il tem-<br />

3 In gener<strong>al</strong>e, sulla coltivazione della vite nell’<strong>al</strong>tomedioevo, cfr. I. IMBERCIADORI, Vite e vigna nell’<strong>al</strong>to<br />

medioevo, in Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Occidente nell’<strong>al</strong>to medioevo, Spoleto 1966 (Settimane di studio del<br />

Centro It<strong>al</strong>iano di studi sull’Alto <strong>Medioevo</strong>, 13), pp. 307-342; A.I. PINI, Vite e olivo nell’<strong>al</strong>to medioevo,in<br />

L’ambiente veget<strong>al</strong>e nell’<strong>al</strong>to medioevo, Spoleto 1990 (Settimane di studio del Centro It<strong>al</strong>iano di studi sull’Alto<br />

<strong>Medioevo</strong>, 37), pp. 329-370; G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa<br />

mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta, 4), pp. 175-228.<br />

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536<br />

po, oltre che in gare di abilità con le armi e in <strong>al</strong>tri giochi, in interminabili riunioni<br />

convivi<strong>al</strong>i, in cui consumare senza freno cibi e bevande 4 . Nella società scandinava<br />

dei cui costumi l’Edda è specchio (pur ambientando le vicende narrate in un<br />

contesto mitico e fatto s<strong>al</strong>vo lo scarto cronologico tra l’epoca in cui queste sono<br />

ambientate e quella della redazione effettiva dei componimenti), ma, più in gener<strong>al</strong>e,<br />

anche nelle <strong>al</strong>tre culture barbariche occident<strong>al</strong>i, il mangiare e il bere in grandi<br />

quantità non costituivano solo un piacere per la gola, ma si configuravano<br />

come un’autentica prodezza, da esibire magari in apposite sfide a chi riusciva a<br />

ingurgitare di più: di simili gare le saghe scandinave offrono numerose descrizioni,<br />

in cui ciò che accadeva nel mondo re<strong>al</strong>e viene trasfigurato in ambientazioni<br />

ultraterrene. In specifiche circostanze, qu<strong>al</strong>i ad esempio le celebrazioni per una<br />

vittoria in battaglia o il banchetto per suggellare un’amicizia o un’<strong>al</strong>leanza, gli<br />

eccessi nel consumo di <strong>al</strong>colici erano t<strong>al</strong>mente consueti da risultare del tutto prevedibili<br />

nei loro esiti. Nella narrazione di Paolo Diacono (fuori dunque <strong>d<strong>al</strong></strong> contesto<br />

scandinavo) risultava come natur<strong>al</strong>e e ovvio lo stratagemma adottato dai<br />

longobardi, i qu<strong>al</strong>i avevano strategicamente abbandonato ai nemici franchi un<br />

proprio accampamento, ma solo per attendere nascosti nei pressi che i nemici si<br />

abbandonassero <strong>al</strong>l’inevitabile sbornia collettiva tesa a celebrare il successo, in<br />

modo da poterli sorprendere ebbri durante la notte e farne strage 5 .<br />

Presso le stirpi barbariche dell’occidente (così come presso <strong>al</strong>tre culture, inclusa<br />

quella romana), il banchetto costituiva un luogo privilegiato di espressione della<br />

soci<strong>al</strong>ità, in occasione del qu<strong>al</strong>e venivano istituiti, consolidati, rinnovati i rapporti<br />

tra i singoli individui o tra gruppi. La stessa ammissione <strong>al</strong> banchetto era determinata<br />

da forme rigidamente codificate, <strong>al</strong>meno in specifici contesti, come quello<br />

della mensa regia: da giovane, il longobardo Alboino (colui che, una volta divenuto<br />

re, guidò la migrazione in It<strong>al</strong>ia della sua stirpe) non fu ammesso <strong>al</strong> tavolo del<br />

padre Audoino – com’era consuetudine dei longobardi – fintantoché non avesse<br />

ricevuto le armi <strong>d<strong>al</strong></strong> re di una stirpe straniera, in segno di adozione 6 . Lo speci<strong>al</strong>e<br />

v<strong>al</strong>ore rivestito <strong>d<strong>al</strong></strong> banchetto, nelle sue espressioni più o meno solenni, per le<br />

v<strong>al</strong>enze soci<strong>al</strong>i, simboliche, politiche che gli erano connaturate, lo portava ad esse-<br />

4 SNORRI STURLUSON, Edda, a cura di G. Dolfini, Milano 1995 [d’ora in avanti, Edda], Gylfaginning, 41,<br />

p. 92. In gener<strong>al</strong>e, sul tema, cfr. C. AZZARA, Barbarus ludens. Elementi per uno studio della ludicità nell’<strong>al</strong>to<br />

medioevo barbarico, «Ludica», 3 (1997), pp. 40-50.<br />

5 PAOLO DIACONO, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano 1992 [d’ora in avanti: PAOLO<br />

DIAC.], V, 5, p. 256.<br />

6 PAOLO DIAC., I, 23, pp. 43-44.


e protetto da una pace speci<strong>al</strong>e, “rafforzata”, che vietava in modo assoluto di<br />

commettere atti di violenza <strong>al</strong> suo interno. Quando il citato Alboino venne ricevuto<br />

<strong>al</strong>la mensa del re dei gepidi Torisindo, del qu<strong>al</strong>e egli aveva ucciso il figlio, il<br />

monarca trattenne i giovani guerrieri che volevano vendicarsi del longobardo, per<br />

non mancare ai propri doveri di ospite 7 . Azioni di forza sono pure documentate in<br />

contesti di simposio, come nel caso del f<strong>al</strong>lito attentato contro il re longobardo<br />

Liutprando, ad opera di un suo parente di nome Rotari 8 ; per<strong>al</strong>tro, il carattere<br />

straordinario di simili episodi è reso evidente non solo <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esecrazione con cui essi<br />

sono condannati, ma <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto stesso che gli attentatori scegliessero proprio il<br />

momento del convivio per eseguire il crimine, contando sulla rilassatezza delle vittime<br />

designate, che erano natur<strong>al</strong>mente portate a sentirsi <strong>al</strong> sicuro in t<strong>al</strong>e frangente<br />

e quindi a tenere la guardia abbassata. La solidarietà che univa i commens<strong>al</strong>i<br />

aveva occasione di manifestarsi e di venire sottolineata attraverso precisi usi convivi<strong>al</strong>i,<br />

qu<strong>al</strong>e poteva essere la pratica di sorseggiare <strong>d<strong>al</strong></strong> medesimo bocc<strong>al</strong>e tra vicini<br />

di tavola. Sempre nella narrazione dell’Edda, il viaggiatore Aegir si trovò a condividere<br />

il bicchiere addirittura con il dio Bragi, che gli sedeva a fianco durante un<br />

banchetto tenutosi ad Àsgardhr, la dimora degli dèi 9 . Il gesto di bere <strong>d<strong>al</strong></strong>la stessa<br />

coppa, oltre che segno di amicizia tra commens<strong>al</strong>i, poteva sancire anche patti e<br />

accordi di varia natura, come una promessa di matrimonio. In ambito longobardo,<br />

l’esempio di un t<strong>al</strong>e atto è tramandato per la promessa di matrimonio fra la<br />

regina Teodolinda, la vedova del re Autari, e l’<strong>al</strong>lora duca di Torino Agilulfo, che<br />

proprio in virtù di queste nozze divenne il nuovo monarca. Nella circostanza, rievocata<br />

da Paolo Diacono, fa la sua comparsa – fin<strong>al</strong>mente in modo esplicito – il<br />

vino. Teodolinda, incontrato a Lomello l’uomo che, con il consiglio dei maggiorenti<br />

della stirpe, aveva prescelto per governare i longobardi, fece portare del vino<br />

e ne bevve per prima; quindi offrì la medesima coppa, con quanto restava del<br />

liquido, ad Agilulfo, perché terminasse di vuotarla, e chiese perciò <strong>al</strong>l’uomo di<br />

darle un bacio, a esprimere la volontà di renderlo suo sposo 10 .<br />

Nella narrazione dell’Historia Langobardorum, il vino ricorre in <strong>al</strong>meno <strong>al</strong>tri<br />

due episodi piuttosto significativi. Il primo è relativo <strong>al</strong>l’inganno ordito <strong>d<strong>al</strong></strong> nuovo<br />

re Grimo<strong>al</strong>do a danno del suo ostaggio Pertarito, il monarca che egli stesso<br />

7<br />

PAOLO DIAC., I, 24, pp. 44-46.<br />

8<br />

PAOLO DIAC., VI, 38, p. 340.<br />

9 Edda, Skàldskaparmàl, 1, pp. 127-128.<br />

10 PAOLO DIAC., III, 35, pp. 172-174.<br />

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538<br />

aveva spodestato <strong>d<strong>al</strong></strong> trono 11 . Quest’ultimo si era consegnato <strong>al</strong> suo vincitore, ricevendo<br />

la promessa di aver s<strong>al</strong>va la vita e di essere trattato con onore; ben presto,<br />

tuttavia, Grimo<strong>al</strong>do aveva mutato parere, essendosi lasciato convincere da <strong>al</strong>cuni<br />

cattivi consiglieri (secondo quanto riporta il Diacono, per ridurre le responsabilità<br />

person<strong>al</strong>i del re) che Pertarito rimaneva un pericoloso concorrente per il trono,<br />

in virtù del diffuso sostegno di cui continuava a godere presso i longobardi, e<br />

che era quindi preferibile assassinarlo. Grimo<strong>al</strong>do aveva quindi ordito un tranello,<br />

mirando a far ubriacare il riv<strong>al</strong>e per poi poterlo sorprendere ebbro nel sonno:<br />

gli aveva perciò fatto giungere cibi succulenti «vina quoque praecipua», assieme a<br />

diversi «potionum genera» (cioè <strong>al</strong>tri tipi di bevande, non specificate ma evidentemente<br />

<strong>al</strong>coliche, dato l’effetto che dovevano sortire), <strong>al</strong>lo scopo di coglierlo<br />

nottetempo «potatione resolutus vinoque sepultus». Ma Pertarito, messo <strong>al</strong> corrente<br />

da un servo fedele del re<strong>al</strong>e intento di quel banchetto, ingannò i messi di<br />

Grimo<strong>al</strong>do bevendo solo acqua, appositamente predisposta <strong>d<strong>al</strong></strong> suo coppiere in<br />

un c<strong>al</strong>ice d’argento, ogni qu<strong>al</strong>volta costoro lo spingevano fraudolentemente a<br />

vuotare in un sol sorso il bicchiere, per brindare in onore del re. La f<strong>al</strong>sa informazione<br />

che la vittima designata si stava riempiendo di vino indusse Grimo<strong>al</strong>do<br />

a r<strong>al</strong>legrarsi apertamente con i suoi per la stoltezza di quell’ebriosus che presto<br />

avrebbe reso con il sangue tutti i vini trangugiati («pariter eadem vina mixta cum<br />

sanguine refundet»); invece, Pertarito approfittò <strong>d<strong>al</strong></strong>l’indebita certezza del riv<strong>al</strong>e di<br />

averlo ormai in pugno per fuggire travestito da servo, coperto <strong>d<strong>al</strong></strong> fedele Unulfo,<br />

il qu<strong>al</strong>e fu pronto a rassicurare le guardie del re dichiarando che il suo padrone<br />

giaceva inerme e come morto per quanto aveva bevuto.<br />

La rievocazione letteraria della vicenda del tentato omicidio di Pertarito ad<br />

opera di Grimo<strong>al</strong>do – indipendentemente da come siano andate per davvero le<br />

cose – appare significativa per quanto essa suggerisce circa il modo di percepire<br />

<strong>al</strong>cuni aspetti legati <strong>al</strong> consumo del vino nell’It<strong>al</strong>ia di tradizione longobarda, tra<br />

VII e VIII secolo. Innanzitutto, trova conferma la consuetudine di cercare di<br />

approfittare dello stato di ubriachezza, conseguenza di occasioni convivi<strong>al</strong>i, di<br />

un avversario per eliminarlo, magari violando i doveri dell’ospit<strong>al</strong>ità, o la parola<br />

data, come nel caso di Grimo<strong>al</strong>do (anche se il biasimo viene rivolto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’autore –<br />

come detto – ai m<strong>al</strong>vagi consiglieri che gli avrebbero suggerito t<strong>al</strong>e condotta,<br />

indegna di un re <strong>al</strong>trimenti v<strong>al</strong>oroso). Il vino si pone così come mezzo che agevola<br />

un delitto. Inoltre, si nota come <strong>al</strong>lo stesso tempo lo smodato consumo di<br />

11 PAOLO DIAC., V, 2-3, pp. 246-252.


vino e di bevande <strong>al</strong>coliche venga messo nel conto qu<strong>al</strong>e comportamento natur<strong>al</strong>e<br />

in determinati contesti e rientri in una precisa prassi, propria del banchetto,<br />

ma venga, per<strong>al</strong>tro, biasimata e derisa l’ubriachezza, come suggeriscono le parole<br />

di scherno e disprezzo rivolte da Grimo<strong>al</strong>do a Pertarito, da lui creduto sbronzo.<br />

Una simile condanna, tuttavia, piuttosto che della cultura tradizion<strong>al</strong>e di un<br />

guerriero longobardo, qu<strong>al</strong>e potevano manifestare Grimo<strong>al</strong>do e i suoi seguaci,<br />

(laddove l’ubriacarsi appare condotta natur<strong>al</strong>e e non particolarmente censurabile,<br />

specie nell’ambito festoso e celebrativo del convivio) sembrerebbe poter essere<br />

attribuita <strong>al</strong>la mor<strong>al</strong>e cristiana che Paolo Diacono esprime, certamente più<br />

incline a bollare come stolto e indecente questo comportamento, pure sulla<br />

scorta di precisi modelli scritturistici (si pensi, ad esempio, <strong>al</strong> Noè ebbro).<br />

Il vino compare nel racconto dell’Historia Langobardorum anche nel celeberrimo<br />

episodio del macabro brindisi cui venne costretta la regina Rosmunda <strong>d<strong>al</strong></strong> proprio<br />

marito Alboino, il qu<strong>al</strong>e le offrì da bere proprio del vino in una coppa ricavata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> cranio del padre di lei Cunimondo, il monarca dei gepidi che lo stesso Alboino<br />

aveva precedentemente ucciso 12 . La vicenda è ben conosciuta e forte risulta l’intento<br />

di umiliazione della donna insito nel gesto del consorte, <strong>al</strong>meno nel resoconto<br />

di Paolo Diacono, che non poteva non esprimere la propria tot<strong>al</strong>e condanna<br />

verso quell’atto. Al fatto descritto, attinto da Paolo da una tradizione or<strong>al</strong>e ris<strong>al</strong>ente<br />

nel tempo, sembra potersi riconoscere una sostanzi<strong>al</strong>e veridicità (egli dichiara,<br />

oltretutto, di aver visto con i propri occhi la macabra tazza molto tempo dopo,<br />

<strong>al</strong>la corte del re Ratchis), considerando come la pratica di conservare il cranio dei<br />

nemici uccisi sia testimoniata presso diverse culture antiche e crani montati a coppa<br />

siano documentati – tra l’<strong>al</strong>tro – presso gli avari, con i qu<strong>al</strong>i i longobardi ebbero<br />

intensi rapporti durante il loro lungo soggiorno in Pannonia. D<strong>al</strong> teschio del<br />

nemico ucciso si riteneva di poter suggere la virtus del medesimo e, <strong>al</strong>meno in epoche<br />

remote, l’utilizzo di simili oggetti doveva essere conseguente <strong>al</strong>lo svolgimento<br />

di pratiche cannib<strong>al</strong>iche, difficili da ipotizzarsi, invece, per l’epoca di Alboino 13 .<br />

Nei pochi episodi tratti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’opera di Paolo Diacono e qui rammentati il vino<br />

ricorre, dunque, – suo m<strong>al</strong>grado – in occasioni di tragica rilevanza (fatta eccezione<br />

per la promessa di nozze tra Agilulfo e Teodolinda): strumento per stordire un<br />

avversario che si vuole assassinare, ovvero contenuto di un drammatico brindisi, in<br />

12 PAOLO DIAC., I, 27, pp. 64-68; II, 28, pp. 108-112.<br />

13 Per l’interpretazione storico-antropologica dell’episodio e una discussione dell’attendibilità della<br />

testimonianza di Paolo Diacono, cfr. S. GASPARRI, La cultura tradizion<strong>al</strong>e dei Longobardi. Struttura trib<strong>al</strong>e<br />

e resistenze pagane, Spoleto 1983, pp. 41-44.<br />

539


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cui il contenitore rinvia ad ancestr<strong>al</strong>i usi cannib<strong>al</strong>ici pagani. Da t<strong>al</strong>e constatazione<br />

non è certo possibile discendere, per<strong>al</strong>tro, <strong>al</strong>cuna v<strong>al</strong>utazione negativa di t<strong>al</strong>e bevanda<br />

(semmai, solo del suo abuso, come detto con riferimento <strong>al</strong> primo episodio); ma,<br />

piuttosto – anche se qui il vino compare in contesti regi (quelli che interessano <strong>al</strong>la<br />

narrazione) –, sembrano potersi ricavare la diffusione e la “familiarità” dell’uso del<br />

vino nell’intera società longobarda, sin dai primi tempi successivi <strong>al</strong>l’ingresso in It<strong>al</strong>ia<br />

della stirpe, e con ogni evidenza anche in epoca anteriore, durante i lunghi soggiorni<br />

dei longobardi nelle regioni centr<strong>al</strong>i del continente europeo (sebbene, come<br />

è ovvio, il racconto di Paolo sia assai posteriore) 14 . Insomma, anche da tracce letterarie<br />

pur minime, come queste, si trae la suggestione di come il vino fosse divenuto,<br />

per una tribù barbarica qu<strong>al</strong>e quella dei longobardi, parte costitutiva della dieta<br />

ed elemento connaturato del proprio orizzonte cultur<strong>al</strong>e.<br />

La testimonianza delle fonti normative<br />

La consuetudine con il vino delle princip<strong>al</strong>i stirpi dell’Occidente <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e,<br />

che si può desumere <strong>d<strong>al</strong></strong>le pur eterogenee testimonianze letterarie, non trova adeguata<br />

rispondenza nei codici di legge delle diverse gentes, nei qu<strong>al</strong>i i cenni <strong>al</strong>la viticoltura<br />

e <strong>al</strong> vino rimangono assai scarsi. T<strong>al</strong>e constatazione, che richiede per<strong>al</strong>tro<br />

v<strong>al</strong>utazioni specifiche nei diversi casi, non appare sorprendente, qu<strong>al</strong>ora si consideri<br />

la natura di simili codici, raccolta dei diritti tradizion<strong>al</strong>i di stirpe e originariamente<br />

applicati ai soli membri della gens (anche se portati ad acquisire nel tempo<br />

v<strong>al</strong>idità territori<strong>al</strong>e), nel mentre molte materie continuavano ad essere regolate<br />

princip<strong>al</strong>mente dagli usi consuetudinari o <strong>d<strong>al</strong></strong>lo ius romano, v<strong>al</strong>ido per la popolazione<br />

autoctona, di tradizione romana, delle regioni già imperi<strong>al</strong>i in cui i barbari<br />

si stanziarono. In ogni caso, tenuto ben presente il quadro di partenza sopra<br />

accennato, la considerazione del diritto longobardo, codificato nell’Editto del re<br />

Rotari e dei suoi successori, e dei capitolari emanati nel regnum Langobardorum dai<br />

monarchi franchi dopo il 774 riesce a fornire qu<strong>al</strong>che ulteriore indicazione circa<br />

la coltivazione della vite e il consumo di vino nell’It<strong>al</strong>ia di tradizione longobarda.<br />

Dei trecentottantotto capitoli di legge in cui si articola l’Editto di Rotari,<br />

emanato nell’anno 643, appena cinque si riferiscono esplicitamente <strong>al</strong>la viticol-<br />

14 Sul rapporto tra i longobardi e la viticoltura, cfr. A. TAGLIAFERRI, Le diverse fasi dell’economia longobarda<br />

con particolare riguardo <strong>al</strong> commercio internazion<strong>al</strong>e, in Problemi della civiltà e dell’economia longobarda.<br />

Scritti in memoria di Gian Piero Bognetti, Milano 1964.


tura, mentre nessuno riguarda in <strong>al</strong>cun modo il commercio del vino o l’attività di<br />

eventu<strong>al</strong>i luoghi di mescita (settori così accuratamente regolamentati, invece, ad<br />

esempio <strong>d<strong>al</strong></strong>la legislazione statutaria bassomediev<strong>al</strong>e). I capitoli rotariani sulle viti<br />

si trovano raccolti di seguito l’uno <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro – da Roth. 292 a Roth. 296 15 –, <strong>al</strong>l’interno<br />

di un blocco sufficientemente omogeneo di una ventina di norme, tutte<br />

più o meno inerenti la sfera agricola. Se percentu<strong>al</strong>mente sull’insieme dell’Editto<br />

le disposizioni circa la viticoltura non rivestono – com’è comprensibile, data la<br />

peculiare natura della compilazione – una particolare rilevanza statistica, non<br />

appare invece trascurabile la loro quantità in proporzione <strong>al</strong> gruppo di leggi<br />

dedicate in modo specifico <strong>al</strong> lavoro dei campi (come detto, cinque su venti).<br />

Nel codice di Rotari le norme relative <strong>al</strong>le attività agricole e pastor<strong>al</strong>i appaiono<br />

di gran lunga minoritarie rispetto ad <strong>al</strong>tri ambiti (qu<strong>al</strong>i, ad esempio, la materia<br />

crimin<strong>al</strong>e o il diritto familiare), poiché il lavoro della campagna era regolato essenzi<strong>al</strong>mente<br />

da consuetudini, che non trovarono posto, se non in misura assai ridotta,<br />

nella redazione scritta delle leggi, ma erano lasciate piuttosto <strong>al</strong>l’uso e <strong>al</strong>l’or<strong>al</strong>ità.<br />

Le disposizioni codificate concernenti le attività rur<strong>al</strong>i (e che insistono, comunque,<br />

più sull’<strong>al</strong>levamento degli anim<strong>al</strong>i che sulle coltivazioni, conseguentemente <strong>al</strong>la<br />

struttura tradizion<strong>al</strong>e della società longobarda e della sua economia) si preoccupavano<br />

soprattutto di sanzionare i danni e gli abusi che potevano essere commessi<br />

contro le colture e la proprietà, mentre non offrono indicazioni apprezzabili circa<br />

le forme di gestione della terra, le tecniche agricole e il dettaglio delle <strong>produzioni</strong>.<br />

Nei capitoli delle leggi longobarde che si riferiscono <strong>al</strong>le viti viene presa in<br />

considerazione, innanzitutto, la fattispecie del saccheggio, compiuto asportando<br />

più di tre o quattro elementi di sostegno da una vite (Roth. 292), oppure sottraendo<br />

il p<strong>al</strong>o di sostegno (Roth. 293), ovvero sradicando completamente la<br />

pianta <strong>d<strong>al</strong></strong> filare (Roth. 294); quindi, si passa a v<strong>al</strong>utare l’asporto indebito di un<br />

tr<strong>al</strong>cio di vite da una vigna <strong>al</strong>trui (Roth. 295), o di grappoli d’uva in numero<br />

superiore a tre (Roth. 296; <strong>al</strong> di sotto di t<strong>al</strong>e soglia la sottrazione non era c<strong>al</strong>colata<br />

come un furto).<br />

Altre colture espressamente regolate da Rotari sono l’olivo (in un capitolo<br />

specifico, Roth. 302) e, in un capitolo collettivo (Roth. 301), il castagno, il noce, il<br />

pero, il melo. In un <strong>al</strong>tro caso ancora (Roth. 300), si parla dapprima genericamente<br />

di <strong>al</strong>beri, solo per precisare subito dopo che il riferimento era soprattutto<br />

15 Le leggi dei Longobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo germanico, a cura di C. Azzara e S. Gasparri,<br />

Milano 1992 [d’ora in avanti: Leggi Longobardi], pp. 80-81; ARCHETTI, Tempus vindemie, p. 176.<br />

541


542<br />

a rovere, cerro e quercia 16 . È da notare che se per la distruzione completa (il verbo<br />

impiegato <strong>d<strong>al</strong></strong>la fonte è cappellare) di un olivo la composizione (cioè la somma<br />

di indennizzo a carico del reo, c<strong>al</strong>colata in base <strong>al</strong>la natura del reato commesso e<br />

<strong>al</strong>l’entità del danno prodotto o <strong>al</strong>lo status della parte lesa) prevista <strong>d<strong>al</strong></strong> codice era<br />

di 3 solidi, la distruzione per sradicamento di una vite veniva computata 1 solido,<br />

la stessa somma richiesta per il castagno, il pero e il melo. Nel caso dell’asportazione<br />

di elementi o del p<strong>al</strong>o di sostegno della vite, la composizione s<strong>al</strong>iva però a<br />

6 solidi. T<strong>al</strong>e incremento si spiega laddove si consideri che in forza di Roth. 281 17<br />

chi rubava del legno <strong>d<strong>al</strong></strong>la legnaia di un <strong>al</strong>tro individuo era chiamato a pagare una<br />

composizione di 6 solidi e la medesima composizione era prevista anche per chi<br />

sottraeva legno specificamente destinato a una costruzione (Roth. 283), oppure<br />

portava via da una casa già eretta un qu<strong>al</strong>siasi elemento ligneo o una scandola<br />

lignea impiegata per la copertura del tetto (Roth. 282) 18 .<br />

Il furto di un elemento o di un p<strong>al</strong>o di sostegno di una vite era quindi assimilato<br />

<strong>al</strong>l’appropriazione indebita di un qu<strong>al</strong>siasi oggetto di legno e si applicava perciò<br />

la medesima composizione, notevolmente più elevata rispetto <strong>al</strong> caso di semplice<br />

distruzione della vite: oltre <strong>al</strong> danno arrecato <strong>al</strong>la coltura si puniva anche la sottrazione<br />

del materi<strong>al</strong>e, che non doveva costituire fenomeno raro, vista la specifica<br />

attenzione dell’Editto per t<strong>al</strong>e reato. La composizione di 6 solidi era prevista, più in<br />

gener<strong>al</strong>e, per tutti i furti in ambito rur<strong>al</strong>e, da quello delle corregge dei buoi aggiogati<br />

o dello stesso giogo (rispettivamente, Roth. 291; 290) 19 a quello della cavezza di<br />

un cav<strong>al</strong>lo (Roth. 298) 20 , fino <strong>al</strong>le sottrazioni dei sonagli di cav<strong>al</strong>li o di buoi (Roth.<br />

289) 21 . Sufficientemente cospicua figurava anche la composizione – pure di 6 solidi<br />

– per chi veniva sorpreso a rubare più di tre grappoli d’uva (<strong>al</strong> di sotto di t<strong>al</strong>e quantità,<br />

come detto, non era prevista <strong>al</strong>cuna punizione); anche in questo caso si sanzionava<br />

non solo (e non tanto) il danno <strong>al</strong>la pianta, quanto il furto commesso.<br />

Cenni in qu<strong>al</strong>che misura an<strong>al</strong>oghi a quelli tratti <strong>d<strong>al</strong></strong>le leggi dei longobardi<br />

non mancano pure nelle codificazioni del diritto di <strong>al</strong>tre stirpi occident<strong>al</strong>i,<br />

anche se si tratta in genere di notazioni sporadiche, che si limitano – in sostan-<br />

16 Per i tre capitoli citati, cfr. Leggi Longobardi, pp. 82-83.<br />

17 Leggi Longobardi, pp. 78-79.<br />

18 Per i due capitoli citati, cfr. Leggi Longobardi, pp. 78-81.<br />

19 Leggi Longobardi, pp. 80-81.<br />

20 Leggi Longobardi, pp. 82-83.<br />

21 Leggi Longobardi, pp. 80-81.


za – a testimoniare l’esistenza in quei contesti della viticoltura. Un esempio è<br />

rappresentato <strong>d<strong>al</strong></strong>la legge dei bavari, nella qu<strong>al</strong>e si possono riscontrare sia<br />

misure tese a risarcire eventu<strong>al</strong>i danni arrecati <strong>al</strong>le vigne, o a prati, da anim<strong>al</strong>i<br />

sfuggiti <strong>al</strong> controllo dei loro mandriani o pastori; sia norme che regolano il<br />

caso di un’involontaria distruzione di segni di confine di proprietà da parte di<br />

chi stia piantando una vigna o arando un campo 22 . T<strong>al</strong>i disposizioni mostrano,<br />

oltretutto, evidenti an<strong>al</strong>ogie con <strong>al</strong>cune presenti nel corpus delle leggi degli <strong>al</strong>amanni<br />

e in quello dei visigoti. Una norma dei bavari, in particolare (per la qu<strong>al</strong>e<br />

pure si nota l’assonanza con la legislazione <strong>al</strong>amanna), introdotta <strong>d<strong>al</strong></strong> titulus<br />

«de colonis vel servis ecclesiae, qu<strong>al</strong>iter serviant vel qu<strong>al</strong>ia tributa reddant»,<br />

contiene un raro – ancorché fugacissimo – accenno <strong>al</strong>le diverse fasi della coltivazione<br />

della vite, fino <strong>al</strong>la vendemmia, compresa la menzione della tecnica<br />

della messa a propaggine 23 . Anche per la regolamentazione di questa pratica, si<br />

è sottolineata la vicinanza con una norma degli <strong>al</strong>amanni.<br />

Ritornando <strong>al</strong>l’It<strong>al</strong>ia, la vite e il vino sono presenti, ma ancora una volta in<br />

proporzione modesta, anche nella normativa che nel regnum Langobardorum conquistato<br />

dai Carolingi si aggiunse <strong>al</strong> sempre vigente editto longobardo: i cosiddetti<br />

capitolari it<strong>al</strong>ici, emanati <strong>d<strong>al</strong></strong>l’imperatore con v<strong>al</strong>idità specifica per il territorio<br />

della penisola, ovvero applicati pure ad essa in quanto vigenti per tutto l’impero.<br />

Su di un tot<strong>al</strong>e di circa cinquantasei capitolari classificati come it<strong>al</strong>ici – ciascuno<br />

articolato in più capitoli –, distribuiti lungo un arco cronologico che va <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

776 <strong>al</strong>l’898 (con le norme di Berengario I), si riscontrano appena tre occorrenze<br />

relative <strong>al</strong> vino (più che non <strong>al</strong>la vite). In un capitolare emanato da Carlo Magno<br />

in forma di lettera inviata <strong>al</strong> figlio Pipino, databile agli anni 806-810, e in un <strong>al</strong>tro<br />

del tempo di Ludovico II (collocabile tra l’845 e l’850), il vino viene rapidamente<br />

evocato in rapporto ad abusi nelle esazioni da parte di autorità 24 . Nel primo caso,<br />

22 Lex Baiwariorum, ed. E. von Schwind, in Monumenta Germaniae Historica (= MGH), Leges Nationum<br />

Germanicarum, V, 2, Hannoverae 1926 [d’ora in avanti: Lex Baiwariorum], rispettivamente XIV, 17, pp.<br />

419-420 e XII, 3, p. 399.<br />

23 Lex Baiwariorum, I, 13, pp. 286-290, <strong>al</strong>le pp. 287-288: «(...) et vineas plantando cludere fodere propaginare<br />

precidere vindimiare (...)».<br />

24 Capitularia regum Francorum, ed. A. Boretius, V. Krause, MGH, Legum sectio II, 2 voll., Hannoverae<br />

1883-1897 [d’ora in avanti: Capitularia], rispettivamente 103; 210, c. 15; cfr. I capitolari it<strong>al</strong>ici. Storia e<br />

diritto della dominazione carolingia in It<strong>al</strong>ia, a cura di C. Azzara, P. Moro, Roma 1998, rispettivamente pp.<br />

84-87, 166-173. In questo secondo volume, cfr. anche il saggio introduttivo I capitolari dei Carolingi<br />

(pp. 31-45), per le specificità di t<strong>al</strong>e normativa e il suo rapporto con le leggi longobarde.<br />

543


544<br />

si cercava di contrastare l’abitudine di molti duchi e di <strong>al</strong>tri uffici<strong>al</strong>i minori (gast<strong>al</strong>di,<br />

vicari, centenari e restanti ministeri<strong>al</strong>es) di prelevare indebitamente vino, e carne,<br />

dai contadini che lavoravano le terre di uomini liberi o della chiesa; nel secondo,<br />

ci si preoccupava di fissare un tetto <strong>al</strong>le esazioni compiute dai vescovi a carico<br />

dei propri arcipreti quando giravano la diocesi per impartire il sacramento della<br />

cresima, stabilendo che – accanto ad <strong>al</strong>tri beni (anim<strong>al</strong>i, pane, uova, miele, olio,<br />

cera, fieno e foraggio) – si potessero prelevare non più di 50 sestari di vino.<br />

Il vino risulta quindi da simili testimonianze un prodotto di larghissimo consumo<br />

nell’It<strong>al</strong>ia del IX secolo, ricercato fra i primi, fino ad essere prelevato tra gli<br />

<strong>al</strong>tri generi <strong>al</strong>imentari più comuni da chi ne aveva la facoltà o la semplice possibilità<br />

materi<strong>al</strong>e. La sua centr<strong>al</strong>ità nella dieta quotidiana si ricava, per contrasto,<br />

pure da disposizioni qu<strong>al</strong>i quella espressa da due capitoli tramandati singolarmente<br />

e di incerta datazione, attribuiti <strong>al</strong>ternativamente a Lotario o a Ludovico<br />

II 25 : con questi si imponeva come punizione e penitenza l’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino e<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la carne (per periodi di trenta o quaranta giorni) a vescovi e conti che avessero<br />

trascurato di castigare debitamente loro uomini, i qu<strong>al</strong>i si fossero resi protagonisti<br />

di rapine o <strong>al</strong>tre violenze. La princip<strong>al</strong>e sede di informazioni, tra i testi<br />

normativi, circa l’incidenza della coltivazione della vite nell’agricoltura di età<br />

carolingia, è costituita <strong>d<strong>al</strong></strong> notissimo capitolare conosciuto come capitulare de villis,<br />

il qu<strong>al</strong>e è teso a regolare, in settanta capitoli complessivi, i termini di una corretta<br />

gestione delle villae, cioè delle aziende – diverse tra loro per conformazione<br />

e dimensioni e distribuite in modo disomogeneo nelle varie regioni dell’impero<br />

– in cui era ordinato il patrimonio fisc<strong>al</strong>e dei monarchi franchi. Del capitulare de<br />

villis rimangono per<strong>al</strong>tro incerte sia la datazione (lo si è diversamente attribuito a<br />

Carlo Magno oppure a Ludovico il Pio) sia la genesi territori<strong>al</strong>e (si è ipotizzato<br />

che esso si rivolgesse <strong>al</strong>le terre più settentrion<strong>al</strong>i dell’impero carolingio, secondo<br />

<strong>al</strong>cuni in modo specifico <strong>al</strong> nucleo originario della dominazione franca) 26 .<br />

25 Capitularia, 219, 3-4; I capitolari it<strong>al</strong>ici, pp. 214-217.<br />

26 Per il testo, commentato, del capitulare de villis, cfr.B.FOIS ENNAS, Il “Capitulare de villis”, Milano<br />

1981, con introduzione che affronta i princip<strong>al</strong>i problemi critici qui accennati (speci<strong>al</strong>mente, per la<br />

datazione del capitolare e la sua v<strong>al</strong>idità territori<strong>al</strong>e, <strong>al</strong>le pp. 15-18); inoltre, ARCHETTI, Tempus vindemie,<br />

pp. 182-184, dove si mettono in evidenzia soprattutto le norme di carattere igienico e il passo<br />

relativo <strong>al</strong>la “pigiatura dell’uva con i piedi ben lavati”, su cui avevano già posto la loro attenzione L.<br />

CLEMENS,M.MATHEUS, Zur Keltertechnik in karolingischer Zeit, in Liber amicorum necnon et amicarum<br />

für Alfred Heit, Beiträge zur mittel<strong>al</strong>terlichen Geschichte und geschichtlichen Landeskunde, a cura di F. Bougard,<br />

C. Cluse, A. Haverkamp, Trier 1996 (Trierer Historische Forschungen, 28), pp. 255-265.


Sui settanta capitoli in cui è articolato il capitulare de villis <strong>al</strong>meno nove (cc. 5,<br />

8, 16, 22, 24, 45, 48, 62, 68) offrono disposizioni circa la coltivazione delle viti e<br />

soprattutto la produzione del vino. Insistita è l’esortazione rivolta agli iudices preposti<br />

<strong>al</strong>le villae perché vigilino scrupolosamente su ogni fase della vendemmia<br />

(così come delle <strong>al</strong>tre princip<strong>al</strong>i attività agricole, <strong>d<strong>al</strong></strong>la semina <strong>al</strong>l’aratura, <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

raccolta delle messi <strong>al</strong> taglio del fieno) e della produzione e poi della conservazione<br />

del vino (c. 5). Agli iudices viene fatto obbligo di controllare che le vigne del<br />

re poste sotto la loro giurisdizione siano coltivate adeguatamente, che da esse si<br />

ricavi del vino pressando l’uva con torchi ben costruiti (e pigiandola con i piedi<br />

ben lavati) e nel rispetto delle norme di igiene, che il prodotto ottenuto sia quindi<br />

riposto in recipienti adatti, senza che se ne sprechi, oppure, nel caso debba<br />

essere trasportato, che ciò avvenga in botti cerchiate di ferro (e non in otri di<br />

cuoio) (cc. 8, 24, 48, 68). Se il fabbisogno della villa non è soddisfatto <strong>d<strong>al</strong></strong>la produzione<br />

interna, si proceda ad acquisti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esterno, mentre si depositino in specifici<br />

magazzini i canoni dovuti in vino dai contadini (c. 8); ad ogni Nat<strong>al</strong>e, lo<br />

iudex doveva anche riferire in dettaglio <strong>al</strong> monarca la quantità complessiva di<br />

vino prodotto e l’ammontare dei canoni in vino esatti (c. 62).<br />

Il capitulare de villis informa pure sulla pratica di conservare <strong>al</strong>meno tre o<br />

quattro corone di grappoli d’uva da lasciar passire da parte di ciascun proprietario<br />

di vigne, qu<strong>al</strong>e provvista (c. 22); e sulla produzione di <strong>al</strong>tre bevande <strong>al</strong>coliche,<br />

che si affiancavano <strong>al</strong> vino, come il vino di more, il vin cotto, il sidro, la birra, un<br />

liquore fatto con le pere (cc. 24, 45, 62). Al loro riguardo, si sa, da <strong>al</strong>tre fonti, che<br />

il vino di more era preparato con vino norm<strong>al</strong>e, cui si aggiungevano succo di<br />

more selvatiche, miele, cannella e <strong>al</strong>tre spezie; mentre il sidro qui menzionato era<br />

ricavato <strong>d<strong>al</strong></strong>le mele selvatiche e doveva rappresentare una sorta di ‘vinello’, di<br />

qu<strong>al</strong>ità scadente. Da notare, infine, che una figura specificamente legata <strong>al</strong> vino<br />

e di cui il testo fa cenno era il butticularius (c. 16), il qu<strong>al</strong>e aveva l’incarico di rifornire<br />

di bevande la mensa regia, scegliendole accuratamente, affiancandosi in ciò<br />

ad <strong>al</strong>tri uffici<strong>al</strong>i addetti agli approvvigionamenti, come il senesc<strong>al</strong>cus; in modo an<strong>al</strong>ogo<br />

a quanto si è visto prescritto in <strong>al</strong>tri capitolari per i vescovi e i conti negligenti,<br />

anche per il cubicularius, qu<strong>al</strong>ora non avesse eseguito <strong>al</strong> meglio il proprio<br />

incarico, era prevista qu<strong>al</strong>e punizione e penitenza l’astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> bere, <strong>al</strong>meno<br />

fino a quando non avesse ottenuto il perdono direttamente <strong>d<strong>al</strong></strong> re.<br />

545


546


Istud vinum, bonum vinum, vinum generosum<br />

Reddit virum curi<strong>al</strong>em,<br />

probum, animosum<br />

Anonimo, sec. XII, Carmina Burana **<br />

Acor [est] nitor vini et mucor similiter<br />

[…]Pedamenta dicuntur ea,<br />

quibus vinea fulcitur<br />

Anonimo, secc. XII-XIII, Glossae ***<br />

È noto come il Liber de usanciis del comune di Brescia, iniziato nel 1225 <strong>al</strong> tempo<br />

della podesteria di Guidone Guizzardo con lo scopo di raccogliere in un complesso<br />

unitario l’insieme delle regole consuetudinarie bresciane, contenga nella<br />

sua redazione fin<strong>al</strong>e una serie di interventi aggiuntivi raccolti <strong>d<strong>al</strong></strong> compilatore sul<br />

finire del XIII secolo senza seguire un criterio evidente 1 . In uno di questi interventi,<br />

collocato <strong>al</strong> cap. 123, i correctores trascrivono i deliberati assunti nel 1285 <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

consiglio cittadino dei Cinquecento 2 . Durante una delle sedute di quell’anno,<br />

infatti, i consiglieri bresciani avevano preso decisioni importanti contro gli oppositori.<br />

In particolare avevano adottato provvedimenti contro i m<strong>al</strong>exardi, coloro<br />

cioè che avevano fatto parte della schiera dei sostenitori di Federico II, durante lo<br />

** Carmina burana, a cura di P.V. Rossi, Milano 1995, p. 210.<br />

*** Excerpta Codicis Vaticani Reg. 435, a cura di F. Patetta, in Scripta anecdota glossatorum, ed. A. Gaudenzi,<br />

Bononiae 1892 (Bibliotheca Iuridica Medii Aevii, II), pp. 135-136.<br />

1 I. BONINI VALETTI, Il libro «De usanciis» del Comune di Brescia, in Contributi dell’Istituto di Storia Medioev<strong>al</strong>e,<br />

II, Raccolta di studi in memoria di Sergio Mochi Onory, Milano 1972 (Pubblicazioni dell’Università<br />

Cattolica del Sacro Cuore. Contributi, serie 3 a ).<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza.<br />

ANGELO BARONIO*<br />

Bonum vinum commune<br />

Vite e vino in età comun<strong>al</strong>e<br />

547


548<br />

scontro che l’imperatore aveva avuto con il comune di Brescia. Avevano <strong>al</strong>tresì<br />

deciso che gli stessi provvedimenti dovevano essere estesi anche ai nemici del<br />

comune o ai semplici ribelli, a coloro cioè che contestavano gli organi cittadini e<br />

si opponevano <strong>al</strong>la politica di restrizioni che il comune di Brescia aveva adottato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> 1277 per far fronte ad un grave periodo di carestia; ma soprattutto a chi avesse<br />

inteso mantenere in futuro un simile atteggiamento ostile.<br />

Contro di essi i rettori del comune avevano stabilito che, qu<strong>al</strong>ora avessero vantato<br />

crediti in grano, biade, vino o olio e volessero rifarsi nei confronti dei loro debitori,<br />

non avrebbero potuto adire l’ufficio degli estimatori del comune per quantificare<br />

il v<strong>al</strong>ore complessivo del loro credito 3 . Allo stesso modo coloro che avevano con<br />

essi un debito an<strong>al</strong>ogo, una volta rifusa la quantità dei prodotti a suo tempo ricevuta,<br />

non dovevano essere tenuti a versare <strong>al</strong> proprio creditore l’interesse maturato 4 .<br />

Pane e vino: quasi un’endiadi<br />

Si tratta – come si può agevolmente constatare – di un provvedimento che presenta<br />

vari profili di interesse. Quel che tuttavia preme mettere in rilievo è il fatto<br />

che, nel definire rapporti che sono di natura essenzi<strong>al</strong>mente politica tra gli esponenti<br />

vincenti e la schiera dei perdenti nella dinamica degli scontri cittadini, si faccia<br />

riferimento non già ad un contenzioso di stretta natura politica, ma a vertenze<br />

che avevano per oggetto specifico quattro prodotti: grano, biade, vino e olio.<br />

Si tratta evidentemente di quei prodotti che, nella coscienza degli uomini del XIII<br />

secolo, erano considerati essenzi<strong>al</strong>i 5 e la cui disponibilità più o meno grande costi-<br />

2 Ibidem, p. 319.<br />

3 «Item statuunt et ordinant correctores, quod <strong>al</strong>iquis qui fuerit vel steterit m<strong>al</strong>exardus vel inimicus<br />

sive rebellis comunis Brixie aut inobediens comuni Brixie tempore carestie, que fuit in MCCLXX-<br />

VIII et ab eo tempore citra, vel erit seu stabit in futuro, non possit nec debeat petere nec exigere ab<br />

<strong>al</strong>iquo debente sibi granum seu bladum vel vinum seu oleum <strong>al</strong>iquam extimationem preteriti temporis<br />

illarum rerum». Ibidem, p. 299.<br />

4 «Et quod <strong>al</strong>iquis, debens <strong>al</strong>icui predictorum <strong>al</strong>iquid de predictis, non teneatur solvere <strong>al</strong>iquam estimationem<br />

de tempore preterito, eo solvente debitam quantitatem grani seu bladi, vini seu olei». Ibidem.<br />

5 Siamo di fronte ad uno degli effetti prodotti <strong>d<strong>al</strong></strong> processo di agrarizzazione che si manifestò dopo<br />

il Mille, tra i cui fenomeni vi fu quella “riconversione <strong>al</strong> frumento” che caratterizzò in particolare il<br />

periodo comun<strong>al</strong>e e che vide crescere nell’uomo di quel tempo un nuovo atteggiamento ment<strong>al</strong>e,<br />

testimoniato anche <strong>d<strong>al</strong></strong>l’affannosa ricerca nel garantirsi il recoltu panis nel quadro di un mutato regime<br />

<strong>al</strong>imentare. M. MONTANARI, Mutamenti economico-soci<strong>al</strong>i e trasformazione del regime <strong>al</strong>imentare dei ceti rur<strong>al</strong>i


tuiva metro di giudizio nei rapporti soci<strong>al</strong>i del tempo 6 . Che a t<strong>al</strong>i prodotti ci si<br />

dovesse richiamare quindi come ad elementi utilizzabili per definire un criterio di<br />

riferimento, adatto a regolare anche i rapporti politici e a costruire su di essi la<br />

qu<strong>al</strong>ità dei medesimi, è d’immediata comprensione, se li consideriamo <strong>al</strong>la luce di<br />

un’economia sempre più contraddistinta dai caratteri dello scambio, sollecitata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> moltiplicarsi tra X e XI secolo di fiere e mercati 7 e confermata in t<strong>al</strong>e dinamica<br />

di sviluppo <strong>d<strong>al</strong></strong> potenziamento dei mercati cittadini nel corso del XII secolo 8 .<br />

Ciò che più interessa tuttavia sottolineare è l’<strong>al</strong>tro aspetto, quello cioè della<br />

equiparazione ormai avvenuta, nella individuazione dei prodotti oggetto del<br />

nel passaggio <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>to <strong>al</strong> pieno <strong>Medioevo</strong>. Considerazioni sull’It<strong>al</strong>ia padana, in <strong>Medioevo</strong> rur<strong>al</strong>e, a cura di V.<br />

Fumag<strong>al</strong>li e G. Rossetti, Bologna 1980, pp. 79-97 (ora anche in Campagne mediev<strong>al</strong>i. Strutture produttive,<br />

rapporti di lavoro, sis<strong>temi</strong> <strong>al</strong>imentari, Torino 1984, pp. 149-173).<br />

6 In merito A.M. NADA PATRONE, Il cibo del ricco ed il cibo del povero. Contributo <strong>al</strong>la storia qu<strong>al</strong>itativa dell’<strong>al</strong>imentazione.<br />

L’area pedemontana negli ultimi secoli del Medio Evo, Torino 1981. Il Montanari mette a sua volta<br />

l’accento sul legame tra il cibo e la qu<strong>al</strong>ità person<strong>al</strong>e dell’uomo dell’<strong>al</strong>to medioevo, così che la<br />

discriminante è tra pauper, che non dispone di cibo e soffre la fame, e potens, che ne ha in abbondanza<br />

e ne mangia in quantità, anzi ne deve mangiare in quantità, perché è anche da t<strong>al</strong>e possibilità e da un<br />

simile comportamento che si desume la qu<strong>al</strong>ità del potens. M. MONTANARI, Alimentazione e cultura nel<br />

<strong>Medioevo</strong>, Roma-Bari 1988, p. 23. T<strong>al</strong>e atteggiamento assume poi, con la rinascita delle città, v<strong>al</strong>enze<br />

nuove, che si traducono in un controllo stretto da parte del nuovo potens per antonomasia, la città e<br />

per essa da parte dei potenti che la governano, sulla politica annonaria e sul monopolio degli approvvigionamenti<br />

cittadini, con lo scopo di garantirsi la disponibilità di cibo, segno di distinzione e di potere.<br />

ID., La fame e l’abbondanza. Storia dell’<strong>al</strong>imentazione in Europa, Roma-Bari 1993, pp. 71-76.<br />

7 F. BOCCHI, Città e mercati nell’It<strong>al</strong>ia padana, in Mercati e mercanti nell’<strong>al</strong>to medioevo, Atti della XL settimana<br />

di studio del centro It<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to medioevo, Spoleto, 23-29 aprile 1992, Spoleto 1993,<br />

pp. 139-185; inoltre A. A. SETTIA, «Per foros It<strong>al</strong>ie». Le aree extraurbane fra Alpi e Appennini, in Mercati e<br />

mercanti, pp. 187-237.<br />

8 Paradigmatico il caso di Brescia, dove oltre <strong>al</strong> vecchio mercato giudicato insufficiente, re<strong>al</strong>izzato nei<br />

pressi della curia ducis longobarda, nella seconda metà del XII secolo si decise di costruirne uno nuovo.<br />

L’anonimo ann<strong>al</strong>ista bresciano autore del codice di San Giovanni de foris ne attribuisce l’iniziativa<br />

<strong>al</strong> console Arderico S<strong>al</strong>a: «1173. Mercatum novum ab Arderico de S<strong>al</strong>is et sociis suis consulibus<br />

constructum». Ann<strong>al</strong>es Brixienses, ed. L. Bethmann, in Monumenta Germaniae historica (= MGH), Scriptores,<br />

XVIII, Hannoverae 1863, p. 814. Si veda in proposito: A. BOSISIO, Il Comune, in Storia di Brescia,<br />

I, Brescia 1961, p. 630. Per la sua ubicazione G. ANDENNA, Il monastero e l’evoluzione urbanistica di Brescia<br />

tra XI e XII secolo, in S. Giulia di Brescia. Archeologia, arte, storia, di un monastero regio dai Longobardi <strong>al</strong><br />

Barbarossa, Atti del Convegno internazion<strong>al</strong>e, Brescia, 4-5 maggio 1990, Brescia 1992, a cura di C.<br />

Stella e G. Brentegani, pp. 98-99. Per l’individuazione dell’area dove sorgeva l’antico horreum e successivamente<br />

il mercatum vetus: G. PANAZZA, Brescia e il suo territorio da Teodorico a Carlo Magno secondo gli<br />

studi fino <strong>al</strong> 1978, in G. PANAZZA, G.P.BROGIOLO, Ricerche su Brescia <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>e, I,Gli studi fino <strong>al</strong><br />

1978. Lo scavo di via Alberto Mario, Brescia 1988 (Supplemento ai Commentari dell’Ateneo di Brescia<br />

per l’anno 1988), p. 15; ANDENNA, Il monastero e l’evoluzione urbanistica, pp. 101-103.<br />

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550<br />

provvedimento, del vino e dell’olio <strong>al</strong> grano e <strong>al</strong>la biada. È insomma testimoniata<br />

anche in questa decisione dei consiglieri la circostanza che vede fatta propria<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la coscienza comune dell’uomo che abita la città del Duecento la consapevolezza,<br />

secondo la qu<strong>al</strong>e fra i prodotti che costituivano la gran parte dello scambio<br />

loc<strong>al</strong>e e la base dell’approvvigionamento cittadino, anche il vino e l’olio avevano<br />

acquisito la stessa v<strong>al</strong>enza che avevano da tempo ottenuto il grano per il<br />

pane dell’uomo e il bladum, il resto cioè delle granaglie, per il sostentamento suo<br />

e dei suoi anim<strong>al</strong>i 9 . In <strong>al</strong>tre parole anche il vino e l’olio erano entrati, nella convinzione<br />

comune, a far parte dell’elenco di quei generi che non potevano venir<br />

meno nella disponibilità di chi avesse voluto vivere la sua condizione di membro<br />

a pieno titolo della comunità cittadina 10 ; a t<strong>al</strong> punto che anche l’esponente della<br />

fazione avversa perdente non doveva essere assoggettato a confische dei quattro<br />

prodotti, ma ne poteva mantenere la disponibilità, scontando bensì, come sanzione,<br />

l’impossibilità di beneficiare dei proventi derivanti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’interesse maturato<br />

nel tempo o del semplice guadagno per la loro commerci<strong>al</strong>izzazione. Lo si escludeva<br />

insomma non già <strong>d<strong>al</strong></strong>la titolarità dei prodotti considerati essenzi<strong>al</strong>i, ma dai<br />

benefici che gli derivavano partecipando <strong>al</strong>la vita della città e lucrando della messa<br />

in gioco di t<strong>al</strong>i beni mobili nella dinamica commerci<strong>al</strong>e che in essa si svolgeva.<br />

Che la convinzione, secondo cui il vino doveva considerarsi un bene primario,<br />

fosse un dato acquisito nella ment<strong>al</strong>ità degli abitanti della città della seconda<br />

metà del XIII secolo, e che essa costituisse il punto d’arrivo di un processo, la cui<br />

evoluzione dovette accompagnarsi <strong>al</strong>la crescita e <strong>al</strong>lo sviluppo della città medesima,<br />

lo si ricava indirettamente anche da un <strong>al</strong>tro provvedimento contenuto nello<br />

stesso Liber de usanciis. Al cap. 145, con una delibera adottata presumibilmente<br />

nel 1266, il consiglio cittadino stabilì di estendere anche a favore degli olivi-<br />

9 Vite e vino nel medioevo da fonti veronesi e venete. Schede e materi<strong>al</strong>i per una mostra, a cura di G. Maroso e<br />

G.M. Varanini, Verona 1984, p. 59.<br />

10 Significativo in proposito l’episodio ricordato da Ottone Morena. Egli narra che nel 1157 i consoli<br />

di Milano, giunti a Lodi per pretendere dagli abitanti di quella città il pagamento del fodro, erano<br />

penetrati a forza nelle case di coloro che si erano rifiutati di corrispondere <strong>al</strong>la richiesta e avevano<br />

asportato ogni suppelletile, versando a terra in segno di disprezzo il vino che vi avevano trovato,<br />

umiliandoli così nel modo peggiore, perché un cittadino privato del vino vedeva sminuito il suo prestigio,<br />

<strong>al</strong> punto da non potersi più considerare a pieno titolo un vero cittadino. OTTONE MORENA,<br />

Historia Frederici I in Lombardia, ed. G. Güterbock, MGH, Scriptores rerum germanicarum, VII, Berolini<br />

1930, pp. 35-36. Citato anche da A.I. PINI, Miracoli del vino e santi bevitori nell’It<strong>al</strong>ia d’età comun<strong>al</strong>e, in La<br />

vite e il vino. Storia e diritto (secoli XI-XIX), a cura di M. Da Passano, A. Mattone, F. Mele, P. Simbula, I,<br />

Roma 2000, p. 373.


coltori della zona del Garda i benefici già concessi agli agricoltori e vignaioli dell’intero<br />

territorio bresciano 11 . Con un an<strong>al</strong>ogo provvedimento di <strong>al</strong>cuni anni prima<br />

il comune cittadino aveva infatti deciso che questi non dovessero essere<br />

distolti <strong>d<strong>al</strong></strong> lavoro nel periodo più delicato della loro attività per nessun motivo,<br />

neppure per comparire davanti ad un giudice. Perché la decisione non ammettesse<br />

deroghe, era stato <strong>al</strong>tresì disposto che i procedimenti giudiziari che li riguardavano<br />

fossero sospesi durante il periodo della mietitura e della vendemmia 12 .<br />

Il provvedimento per gli olivicoltori del Garda segna pertanto l’ingresso anche<br />

dell’olio nel novero dei prodotti essenzi<strong>al</strong>i e la sua equiparazione <strong>al</strong> vino, prodotto<br />

che già era stato acquisito a t<strong>al</strong>e regime nei decenni precedenti con una decisione<br />

che, concedendo il beneficio della sospensione delle procedure giudiziarie, si colloca<br />

sì sul piano dei provvedimenti che riguardano l’esercizio della giurisdizione, ma<br />

persegue di fatto l’obiettivo di un sostegno <strong>al</strong>la produzione. Nella sua ratio esso si<br />

pone in continuità con le scelte operate in quel periodo della seconda metà del XII<br />

secolo che segna, dopo i fatti di Legnano e la tregua tra comuni e imperatore, l’av-<br />

11 «Ut tollatur impedimentum, quod consilium gener<strong>al</strong>e Brixie singulis annis consuevit habere occasione<br />

interdicti, quod hominibus et comunibus riperie lacus Garde, tempore quo coligunt fructus<br />

olivarum, per ipsum consilium consuevit quolibet anno concedi, statuunt et ordinant corectores<br />

quod, temporibus colectarum olivarum sive fructuum illarum, rationes et querele ex nunc sint dictis<br />

hominibus et communibus annis singulis interdicte, ita quod ipsi teneantur suis creditoribus <strong>al</strong>iter<br />

respondere, quando coligunt dictos fructus, quam tenentur <strong>al</strong>ii homines brixiane [terre] quando temporibus<br />

messium et vindemiarum colligunt fruges suas. Et hoc interdictum v<strong>al</strong>eat et servetur eisdem<br />

tantum a medio mense novembris in antea usque ad medium mensis decembris tantum per triginta<br />

dies». BONINI VALETTI, Il libro «De usanciis», p. 305.<br />

12 Nei primi anni cinquanta del XIII secolo il podestà che si accingeva ad assumere l’incarico così giurava<br />

solennemente: «Item non interdicam querelas vel placita nec interdici faciam, nisi tempore messium<br />

et vindimiarum videlicet per quindecim dies ad exitum iunii et per <strong>al</strong>ios quindecim dies ad<br />

introitum octubris». Statuti bresciani del secolo XIII, ed. F. Odorici, Historiae Patriae Monumenta, Leges<br />

municip<strong>al</strong>es, XVI, 2, Augustae Taurinorum 1876, coll. 1584 (149-150). Che t<strong>al</strong>e disposizione recepisse<br />

una consuetudine inv<strong>al</strong>sa da lungo tempo nei territori a vocazione viticola è documentato anche<br />

da una riflessione di Giovanni Bassiano. Il grande giurisperito cremonese nella sua opera Libellus de<br />

ordine iudiciorum compilato negli anni ottanta del XII secolo, trattando delle eccezioni procedur<strong>al</strong>i per<br />

le convocazioni davanti <strong>al</strong> placito o per qu<strong>al</strong>siasi questione di ordine pubblico e della discussa esenzione<br />

prevista per chi fosse impegnato in una missione o fosse in procinto di iniziarla, esprimeva il<br />

suo netto dissenso nell’ammetterne la liceità, s<strong>al</strong>vo che si trattasse di impegno relativo <strong>al</strong>la vendemmia.<br />

Così <strong>al</strong> § 108: «Ratione utilitatis publice non est vocandus qui necesse habet in expeditione proficisci<br />

vel esse; licet quidam, scripserunt, hominem esse vocandum expeditionis tempore; commodius<br />

tamen est quod ego dico et pro eo quod ipsi dicunt, non est argomentum nisi quod de tempore<br />

vindemiarum dicitur forte». GIOVANNI BASSIANO, Libellus de ordine iudiciorum, a cura di G. Tamassia,<br />

G.B. P<strong>al</strong>mieri, in Scripta anecdota glossatorum, p. 222.<br />

551


552<br />

vio di una decisa politica di sviluppo dell’attività economica delle città dell’It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e<br />

e del loro contado. Ne è testimonianza la costruzione di importanti<br />

infrastrutture e l’adozione di incisivi provvedimenti a sostegno delle attività commerci<strong>al</strong>i,<br />

come si può riscontrare in forma paradigmatica nel caso di Brescia e del<br />

suo nuovo ampio mercato cittadino e dei deliberati dei consoli assunti per disciplinarne<br />

il funzionamento 13 . Si era trattato in definitiva di dare sostegno e di procedere<br />

a regolare un’economia che organizzava in forme inedite il rapporto città-campagna,<br />

caratterizzato princip<strong>al</strong>mente da un processo di crescita sempre più accentuato<br />

dei beni di consumo; tra questi soprattutto il vino, il cui incremento di produzione,<br />

anche secondo i contributi della più recente storiografia in proposito, era<br />

la diretta conseguenza di un notevole ampliamento delle superfici vitate 14 .<br />

Sviluppo dell’autonomia cittadina, incremento di produzione e consumo di vino<br />

È quest’ultimo un fenomeno ben noto per tutta l’Europa, documentato fin <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

finire dell’XI secolo 15 , ma ancora, sotto vari aspetti, da approfondire circa le cause<br />

che lo determinarono 16 . La prospettiva, eminentemente economico-coltur<strong>al</strong>e,<br />

13 Vedi sopra <strong>al</strong>la nota 8. Circa il ruolo del console bresciano Arderico S<strong>al</strong>a, sotto la cui direzione furono<br />

assunte le decisioni per l’istituzione e per la definizione delle regole di funzionamento del nuovo<br />

mercato: BOSISIO, Il Comune, p. 630; A. BARONIO, Una famiglia capitane<strong>al</strong>e bresciana: i “de S<strong>al</strong>is”, signori fondiari<br />

e protagonisti della politica comun<strong>al</strong>e cittadina, in Famiglie di Franciacorta nel <strong>Medioevo</strong>, Atti della VI Bienn<strong>al</strong>e<br />

di Franciacorta, Coccaglio, 25 settembre 1999, a cura di G. Archetti, Brescia 2000, pp. 96-100.<br />

14 G. ARCHETTI, Vigne e vino nel medioevo. Il modello della Franciacorta, in Vites plantare et bene colere.<br />

Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Franciacorta nel medioevo, Atti della IV Bienn<strong>al</strong>e di Franciacorta, Erbusco, 16<br />

settembre 1995, a cura di G. Archetti, Brescia 1996, pp. 79-100.<br />

15 Ne ha dato conto in una puntu<strong>al</strong>e rassegna: G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne<br />

e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta, 4), pp. 25-<br />

172. Per quanto riguarda l’It<strong>al</strong>ia si veda inoltre: PINI, Miracoli del vino, pp. 372-374; in particolare relativamente<br />

<strong>al</strong>l’area lombarda e bresciana in specie: ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 229-286.<br />

16 Tutta da indagare sarebbe ad esempio la circostanza che vede i cluniacensi dislocare i propri insediamenti<br />

monastici e le proprietà annesse, in un periodo significativo del fenomeno che stiamo indagando,<br />

in zone che dimostrano una spiccata vocazione viticola, come si può agevolmente rilevare<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la tavola che correda l’ampio panorama del saggio di Cinzio Violante, riassuntivo della prima<br />

sistematica ricognizione degli insediamenti cluniacensi del nord It<strong>al</strong>ia. C. VIOLANTE, Per una riconsiderazione<br />

della presenza cluniacense in Lombardia, in Cluny in Lombardia. Appendice e indici, Cesena 1981 (It<strong>al</strong>ia<br />

Benedettina, I/2), post p. 560. Si tratta di vocazione già ben sfruttata dagli interventi predisposti<br />

tra fine X e inizi XI secolo, secondo il Menant (F. MENANT, Campagnes lombardes au Moyen Age. L’économie<br />

et la société rur<strong>al</strong>es dans la région de Bergame, de Crémone et de Brescia du Xe au XIIIe siècle, Rome 1993<br />

(Bibliothéque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, 281), p. 627, n. 274), confermata <strong>al</strong>tresì


con cui lo si è indagato 17 non ha consentito di coglierne fino in fondo la dinamica<br />

e di porre in luce le spinte che l’hanno generato. Non si sono ancora esaminate,<br />

infatti, tutte le interazioni che, nel processo di trasformazione del periodo<br />

che segna il passaggio tra X e XI secolo, ne hanno segnato una accelerazione, se<br />

non proprio una svolta, e <strong>al</strong>imentato la straordinaria dinamica di sviluppo della<br />

città, con gli esiti che si dispiegheranno soprattutto nel corso della seconda metà<br />

di quest’ultimo con la nascita del comune. Non si è scandagliata adeguatamente,<br />

nonostante se ne sia avvertita l’esigenza <strong>al</strong>meno da un decennio 18 , la nuova diversa<br />

qu<strong>al</strong>ità dei rapporti che si sono instaurati tra i membri della comunità cittadina,<br />

in quella sua nuova forma di res publica 19 che segna il panorama delle città<br />

europee nel corso dell’XI secolo. Nell’ambito delle qu<strong>al</strong>i, ci sembra di poter dire,<br />

ognuno di essi agisce con un protagonismo inusitato 20 , ciascuno nella propria<br />

condizione giuridica ed economica, ma inserito in un contesto caratterizzato da<br />

una nuova temperie, determinata da regole e istituzioni nuove o in via di rinnovamento<br />

e da nuovi mezzi o anche dai vecchi e consueti, ma vissuti e utilizzati in<br />

forme inedite e con spirito nuovo 21 . Siamo cioè di fronte ad una complessità<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> successivo evidente impegno dei rettori dei vari priorati cluniacensi nell’incrementare la propria<br />

superficie vitata con operazioni di permuta dei propri beni e con l’impianto di nuove viti, come si<br />

può ben rilevare in Franciacorta (A. BARONIO, L’ingresso dei Cluniacensi in diocesi di Brescia, in Cluny in<br />

Lombardia, Atti del convegno, Pontida, 22-25 aprile 1977, Cesena 1979 (It<strong>al</strong>ia Benedettina, I/1), pp.<br />

195-226), ed in particolare nel caso del priorato franciacortino di Rodengo. ARCHETTI, Vigne e vino nel<br />

medioevo, pp. 79-80; N. GATTI, Proprietà e produzione agricola in ambito monastico: San Nicola di Rodengo (secoli<br />

XI-XIV), in Vites plantare et bene colere, pp. 205-213.<br />

17 Lo si può constatare nell’ampio excursus condotto in proposito da Gabriele Archetti, nel qu<strong>al</strong>e si<br />

denota, s<strong>al</strong>vo <strong>al</strong>cune eccezioni, la sostanzi<strong>al</strong>e conferma anche negli studi più recenti di un simile<br />

approccio <strong>al</strong> tema: ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 25-172.<br />

18 È esigenza cui ha cercato di dare una prima risposta il convegno di Trento del 1990. VIOLANTE, Il<br />

secolo XI: una svolta?, a cura di C. Violante, J. Fried, Bologna 1993 (Ann<strong>al</strong>i dell’Istituto storico it<strong>al</strong>ogermanico.<br />

Quaderno 35), pp. 7-40.<br />

19 R. BORDONE, La società cittadina del regno d’It<strong>al</strong>ia. Formazione e sviluppo delle caratteristiche urbane nei secoli<br />

XI e XII, Torino 1987 (Deputazione Sub<strong>al</strong>pina di Storia Patria. Biblioteca Storica Sub<strong>al</strong>pina, 202),<br />

pp. 27 sgg.<br />

20 Tilman Struve attribuisce t<strong>al</strong>e nuova condizione <strong>al</strong> processo di emancipazione dell’individuo, che<br />

si determina in questo periodo. T. STRUVE, Le trasformazioni dell’XI secolo <strong>al</strong>la luce della storiografia del tempo,<br />

in Il secolo XI: una svolta?, p. 43. In merito anche: A.J. GUREVIČ, La nascita dell’individuo nell’Europa<br />

mediev<strong>al</strong>e, Roma-Bari 1996, pp. 134-169.<br />

21 G. SERGI, Le istituzioni politiche del secolo XI: trasformazioni dell’apparato pubblico e nuove forme di potere, in<br />

Il secolo XI: una svolta?, pp. 73-97.<br />

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554<br />

straordinaria, la cui caratteristica princip<strong>al</strong>e è la fluidità, determinata ed anche<br />

qu<strong>al</strong>ificata dagli elementi più vari, che, interagendo, danno il tono e la qu<strong>al</strong>ità <strong>al</strong>le<br />

forme nuove della convivenza 22 . Occorre pertanto assumere una prospettiva<br />

d’indagine che si proponga un approccio complessivo, che non tr<strong>al</strong>asci cioè di<br />

ogni settore <strong>al</strong>cun elemento e prenda in considerazione ogni aspetto di questo<br />

periodo, con l’obiettivo di an<strong>al</strong>izzare soprattutto gli esiti prodotti <strong>d<strong>al</strong></strong> loro complessivo<br />

interagire nel crogiuolo della “nuova città” dell’XI secolo 23 .<br />

Non si è, ad esempio, indagato – e non sembri ban<strong>al</strong>e o incongruo, o peggio<br />

irrilevante – il ruolo avuto anche <strong>d<strong>al</strong></strong> vino in queste dinamiche di cambiamento;<br />

non si è approfondita l’an<strong>al</strong>isi circa le cause che ne hanno determinato la<br />

sua accresciuta disponibilità 24 e nemmeno si sono prese adeguatamente in consi-<br />

22 È quel cambiamento che è sotto gli occhi di tutti, che Wipone descrive come «magna confusio»<br />

(WIPONE, Gesta Cuonradi imperatoris, in ID., Opera, ed. H. Bresslau, MGH, Scriptores rerum Germanicarum<br />

ad usum scholarum, 61, Hannoverae-Lipsiae 1915, p. 54), ma che A<strong>d<strong>al</strong></strong>berone di Laon percepisce e correttamente<br />

così descive: «Tabescunt leges et jam pax defluit omnis/mutantur mores hominum,<br />

mutatur et ordo», cogliendo il senso di un mutamento non superfici<strong>al</strong>e col porre «in stretta connessione<br />

il cambiamento dei mores, dei costumi, con il cambiamento dell’ordo, cioè della struttura stabile<br />

della società». P. GROSSI, L’ordine giuridico mediev<strong>al</strong>e, Roma-Bari 1995, pp. 87-88.<br />

23 L’espressione è usata <strong>d<strong>al</strong></strong> C<strong>al</strong>asso, il qu<strong>al</strong>e, indagando gli ordinamenti giuridici del cosiddetto “rinascimento<br />

giuridico” mediev<strong>al</strong>e, attribuisce <strong>al</strong>la città del secolo XI un ruolo centr<strong>al</strong>e nella dinamica del<br />

processo che li ha generati e la definisce «crogiuolo e fucina delle nuove strutture costituzion<strong>al</strong>i e delle<br />

forme associative del Rinascimento politico-giuridico». F. CALASSO, Gli ordinamenti giuridici del Rinascimento<br />

mediev<strong>al</strong>e, Milano 1965, p. 95.<br />

24 Sostenere infatti che l’incremento di produzione di vino <strong>d<strong>al</strong></strong>l’XI secolo in poi è diretta conseguenza<br />

dell’aumento della superficie vitata che si constata in quel periodo, come ben dimostra Archetti<br />

(ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 214 sgg.), non contribuisce a chiarire le cause che hanno innescato un<br />

simile processo. Né basta affermare, per dar risposta <strong>al</strong> quesito, che ciò fu determinato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’eterna legge<br />

della domanda e dell’offerta, per cui a fronte dell’incremento della domanda non poteva che corrispondere<br />

un processo che conduceva ad ampliare le superfici vitate per aumentare la disponibilità di<br />

prodotto e la messa in campo di iniziative che organizzassero in forme più adeguate il sistema del suo<br />

convogliamento verso la città e il mercato cittadino. L’accresciuta richiesta di vino sembra determinata,<br />

a ben vedere, certamente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’incremento della popolazione cittadina, ma anche <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>largarsi in<br />

essa del numero dei consumatori di vino e soprattutto <strong>d<strong>al</strong></strong> mutato atteggiamento dell’uomo di questo<br />

periodo verso il vino, che assume il v<strong>al</strong>ore di <strong>al</strong>imento nell’ambito di una mutata dieta <strong>al</strong>imentare. È<br />

questa infatti la fase in cui si determina un profondo cambiamento del regime <strong>al</strong>imentare, ben messo<br />

in evidenza <strong>d<strong>al</strong></strong> Messedaglia e <strong>d<strong>al</strong></strong> Montanari (L. MESSEDAGLIA, Il mais e la vita rur<strong>al</strong>e it<strong>al</strong>iana, Piacenza<br />

1927, pp. 203-204; MONTANARI, Mutamenti economico-soci<strong>al</strong>i, pp. 164-166): da un regime basato prev<strong>al</strong>entemente<br />

sul consumo di carne, si passa ad un regime nel qu<strong>al</strong>e acquista un posto sempre più rilevante<br />

il consumo dei cere<strong>al</strong>i. Ne consegue tra l’<strong>al</strong>tro, come sostiene lo stesso Montanari, che la «scelta<br />

cere<strong>al</strong>icola» per molti significò un impoverimento qu<strong>al</strong>itativo del regime <strong>al</strong>imentare». Ibidem, p. 165.


derazione le conseguenze derivanti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’aumento del suo consumo fino ad un<br />

suo uso gener<strong>al</strong>izzato come <strong>al</strong>imento nella comunità cittadina dell’XI e XII<br />

secolo; che va considerato invece, se non per <strong>al</strong>tro, <strong>al</strong>meno per gli effetti benefici<br />

che t<strong>al</strong>e consumo dovette avere sia sulle condizioni gener<strong>al</strong>i di s<strong>al</strong>ute dell’uomo<br />

dei primi due secoli del nuovo millennio, dovuti <strong>al</strong>le note proprietà terapeutiche<br />

che il vino presenta 25 , ma anche per quegli effetti psicologici che dovettero<br />

È forse attribuibile quindi <strong>al</strong> mutato regime <strong>al</strong>imentare, che interessa soprattutto gli abitanti della città,<br />

l’esigenza che si fa sempre più gener<strong>al</strong>izzata di sostituire nella dieta il diminuito apporto proteico della<br />

carne con l’apporto c<strong>al</strong>orico garantito da un più diffuso e un più consistente consumo di vino.<br />

25 Fra le varie ipotesi avanzate in proposito dagli studiosi, il Montanari sostiene che già nell’<strong>al</strong>to<br />

medioevo il vino non doveva essere considerato una bevanda di lusso, poiché, pur essendo «la bevanda<br />

più ricercata, (…) era <strong>al</strong> tempo stesso la più diffusa e popolare: quasi tutti i poderi, infatti, (…)<br />

davano un canone di vino: dunque, quasi tutti i contadini ne disponevano per la propria <strong>al</strong>imentazione».<br />

M. MONTANARI, L’<strong>al</strong>imentazione contadina nell’<strong>al</strong>to <strong>Medioevo</strong>, Napoli 1979, p. 379. Proponendo poi la<br />

sua tesi in merito <strong>al</strong> mutare del regime <strong>al</strong>imentare <strong>d<strong>al</strong></strong>l’XI secolo già nei ceti rur<strong>al</strong>i e conseguentemente<br />

nelle comunità cittadine, egli sembrerebbe dare per scontato che il diffuso consumo di vino, che si<br />

registra in ambito cittadino, sia dovuto <strong>al</strong> manifestarsi dell’esigenza di disporne come di una irrinunciabile<br />

tradizion<strong>al</strong>e abitudine <strong>al</strong>imentare importata <strong>d<strong>al</strong></strong> contado. Forse la situazione dovette presentare<br />

profili assai più complessi. Accanto infatti <strong>al</strong> ruolo di integratore <strong>al</strong>imentare assunto <strong>d<strong>al</strong></strong> vino in una<br />

dieta mutata nella composizione tradizion<strong>al</strong>e, come si è accennato nella nota precedente, dovette<br />

maturare nella consapevolezza dei più attenti osservatori del tempo la necessità di dover far ricorso<br />

<strong>al</strong>le già <strong>al</strong>lora ben note proprietà medicamentose del fermentato d’uva per far fronte ad inedite forme<br />

patogene indotte <strong>d<strong>al</strong></strong>le nuove condizioni proprie del modello di vita cittadina. Se ne può cogliere un’eco<br />

anche nelle affermazioni del retore Michele Psello. Vissuto a Bisanzio nell’XI secolo, nel suo Encomio<br />

del vino egli propone l’artificio retorico della contrapposizione tra l’utilità di bere vino e la non convenienza<br />

di bere acqua, e lo fa adducendo come giustificazione il fatto che il bere acqua assimila l’uomo<br />

<strong>al</strong>la condizione dell’anim<strong>al</strong>e e, soprattutto, fa correre il rischio sempre più frequente di amm<strong>al</strong>arsi.<br />

Al contrario, l’assunzione di vino, oltre a tutti gli <strong>al</strong>tri positivi effetti, egli sostiene, si dimostra particolarmente<br />

utile <strong>al</strong>la s<strong>al</strong>ute. ARCHETTI, Tempus vindemie, p. 18. Si tratta, come si può vedere, di motivazioni<br />

che evocano un sentire comune che rimanda immediatamente <strong>al</strong>le condizioni di inquinamento<br />

delle acque cittadine, il cui uso plurimo, in un periodo di accelerata crescita della città, le esponeva<br />

più facilmente <strong>al</strong> rischio di non potabilità, facendo nascere quindi l’esigenza di una sorta di profilassi<br />

preventiva, che si poteva per quei tempi ottenere con un moderato gener<strong>al</strong>e consumo di vino. MON-<br />

TANARI, L’<strong>al</strong>imentazione contadina, pp. 374-375. An<strong>al</strong>ogamente, ma con toni accentuati, il tema viene<br />

proposto anche nei Carmina burana, la raccolta di carmi popolareschi proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abbazia bavarese<br />

di Benediktbeuren, posta sulle Alpi <strong>al</strong> confine col Tirolo, in un contesto aperto agli influssi della<br />

cultura it<strong>al</strong>iana. Nel Carme 193 l’anonimo autore immagina una vivace disputa tra il vino e l’acqua,<br />

durante la qu<strong>al</strong>e il primo lancia una violenta accusa <strong>al</strong>la seconda: «Cum quis de te forte potat, si sit<br />

sanus tunc egrotat». Carmina burana, p. 190. A prima vista una t<strong>al</strong>e pesante accusa potrebbe apparire<br />

frutto della vis polemica che l’autore affida <strong>al</strong> verso. A ben vedere, <strong>al</strong> contrario, essa dà conto di un<br />

dato effettivo che l’autore doveva riscontrare nella re<strong>al</strong>tà, quello cioè di una chiara consapevolezza dell’uomo<br />

di quel periodo circa il progressivo aggravarsi del tasso di inquinamento del patrimonio idri-<br />

555


556<br />

favorire anche <strong>al</strong>lora i processi di soci<strong>al</strong>izzazione e disporre il cuore dell’uomo di<br />

quel periodo ad una visione più positiva di quel che lo circondava, più di quanto<br />

non fosse accaduto <strong>al</strong>l’uomo dei secoli precedenti.<br />

Proviamo ad esemplificare. Che dire, ad esempio a t<strong>al</strong>e proposito, dell’uso<br />

antico di convocarsi ante ecclesiam da parte dei membri della communitas loci nel conventus,<br />

per definire la parabola inter vicinos 26 e del suo possibile esito cittadino rappresentato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> commune colloquium degli habitatores de civitate, convocato cum campana 27 .<br />

co cittadino, verificatosi durante la seconda metà del XII secolo; per rimediare il qu<strong>al</strong>e, i rettori delle<br />

città predisposero interventi edilizi specifici, con lo scopo di dotare di convenienti servizi la comunità<br />

cittadina. Matura in quel periodo infatti una diffusa consapevolezza circa i problemi di un degrado<br />

sempre più accentuato e dell’urgenza di porvi rimedio. Problemi che troveranno risposta nelle numerose<br />

disposizioni, che potremmo definire di carattere ecologico, contenute negli statuti cittadini<br />

comun<strong>al</strong>i e signorili tra XIII e XIV secolo. F. SINATTI D’AMICO, Per una città. Lineamenti di legislazione<br />

urbanistica e di politica territori<strong>al</strong>e nella storia di Milano, Todi s.d. (ma 1982), pp. 166 sgg.; EAD., L’immenso<br />

deposito di fatiche. Per la storia del territorio e dell’irrigazione in Lombardia, Milano s.d. (ma 1988), pp. 74 sgg.;<br />

R. GRECI, Il problema dello sm<strong>al</strong>timento dei rifiuti nei centri urbani dell’It<strong>al</strong>ia mediev<strong>al</strong>e, in Città e servizi soci<strong>al</strong>i nell’It<strong>al</strong>ia<br />

dei secoli XII-XV, Atti del dodicesimo convegno di studi, Pistoia, 9-12 ottobre 1987, Pistoia<br />

1990, pp. 439-464. Quello che, infine, va ulteriormente messo in evidenza è l’<strong>al</strong>tra affermazione che<br />

l’ignoto autore del Carme 193 fa dire <strong>al</strong> vino. Nella foga della contesa poetica egli infatti non esita a far<br />

declamare <strong>al</strong> vino in modo perentorio: «Per me datur cunctis sapientia», poiché, sostiene, «Cum non<br />

potant me magistri, sensu carent et ministri non frequentant studia». Carmina burana, p. 194. Anche in<br />

questo caso si potrebbe liquidare l’assunto come una costruzione iperbolica che perfettamente si<br />

inquadra nella dinamica della composizione poetica, se non ci apparisse come un’affermazione <strong>al</strong>lusiva<br />

di una situazione di fatto che anche i più attenti osservatori del tempo avevano probabilmente<br />

potuto verificare, quella cioè che poneva in evidenza un nesso di causa-effetto tra una corretta assunzione<br />

di vino ed il riscontrabile effetto benefico per la s<strong>al</strong>ute dell’uomo ed in specie sulle sue funzioni<br />

cerebr<strong>al</strong>i, nonché su quelle intellettive. Osservavano insomma nei fatti, con una attenzione tutta<br />

nuova, gli effetti concreti attribuibili <strong>al</strong> consumo del vino. Se per Ottone Morena risultava, infatti,<br />

degna di nota la circostanza che aveva visto molti Lodigiani, esuli a Pizzighettone dopo la distruzione<br />

della loro città ad opera dei Milanesi, «cum non aquam set bonum vinum soliti fuissent bibere»,<br />

amm<strong>al</strong>arsi e morire a causa, si diceva, proprio del fatto di essere stati costretti ad eliminare il vino <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

loro dieta quotidiana (OTTONE MORENA, Historia Frederici I, p. 46), per l’ignoto autore del Carme 183<br />

appariva invece del tutto natur<strong>al</strong>e, quasi fosse un topos che rimandava <strong>al</strong> comune sentire del tempo,<br />

evocare il riferimento <strong>al</strong>la convinzione, secondo la qu<strong>al</strong>e il vino favoriva l’attività del cervello e rafforzava<br />

l’intelligenza, registrando una constatazione empirica che sembra trovare riscontri obiettivi nelle<br />

più recenti acquisizioni scentifiche circa la proprietà di <strong>al</strong>cune sostanze contenute nel vino, qu<strong>al</strong>i i polifenoli<br />

e la loro benefica azione sull’attività vascolare.<br />

26 In proposito: G.P. BOGNETTI, Studi sulle origini dei comuni rur<strong>al</strong>i del medioevo, Milano 1978, pp. 174-180,<br />

330-335.<br />

27 In merito a t<strong>al</strong>i assemblee: O. BANTI, “Civitas” e “commune” nelle fonti it<strong>al</strong>iane dei secoli XI e XII, «Critica<br />

Storica», IX (1972), pp. 568-584, ora anche in Forme di potere e struttura soci<strong>al</strong>e in It<strong>al</strong>ia nel <strong>Medioevo</strong>,<br />

a cura di G. Rossetti, Bologna 1977, pp. 217-232.


L’obiettivo, fatti i debiti distinguo, era in fondo lo stesso: affrontare e risolvere problemi<br />

d’interesse comune dei convenuti. Tuttavia, prescindendo da ogni <strong>al</strong>tro<br />

aspetto, va sottolineato il fatto che le nuove affollate assemblee cittadine implicano<br />

dinamiche di rapporto tra gli intervenuti che solo con i criteri d’indagine della<br />

psicologia di massa in prospettiva storica si potrebbe tentare di ricostruire 28 .<br />

Vino e dinamiche di soci<strong>al</strong>izzazione<br />

T<strong>al</strong>e indagine per<strong>al</strong>tro ci condurrebbe a constatare che anche gli uomini del<br />

medioevo, sia in occasione della ricomposizione delle coniurationes più violente, sia<br />

in occasione delle assemblee di pacificazione, che di quelle che approdavano con<br />

un giuramento <strong>al</strong>la costituzione di un qu<strong>al</strong>che assetto istituzion<strong>al</strong>e, sia infine, con<br />

la nascita del comune, di quelle più squisitamente deliberative, dovettero avere l’abitudine<br />

di suggellare le decisioni assunte, bevendo in compagnia non solo per<br />

manifestare la soddisfazione per il risultato conseguito, ma anche per continuare in<br />

modo meno form<strong>al</strong>e a ragionare in merito ai problemi trattati nel contesto uffici<strong>al</strong>e<br />

dell’assemblea 29 . A ben vedere t<strong>al</strong>e momento di vita comunitaria, nel rappre-<br />

28 Circa le dinamiche che in t<strong>al</strong>i adunanze si determinavano ed i soggetti che in esse svolgevano un<br />

ruolo da protagonisti: BORDONE, La società cittadina, pp. 182-197. In merito infine <strong>al</strong>le mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di formazione<br />

della volontà collettiva e ai metodi di deliberazione: E. RUFFINI AVONDO, I sis<strong>temi</strong> di deliberazione<br />

collettiva nel medioevo it<strong>al</strong>iano, Torino 1927.<br />

29 È la novità dell’XI secolo, il moltiplicarsi delle coniurationes, non già per il fatto in sé, ma per la virulenza<br />

e la frequenza del fenomeno, che Wipone registra e bolla come «magna et modernis temporibus<br />

inaudita confusio» (WIPONE, Gesta Chuonradi imperatoris, p. 54). Così anche l’ann<strong>al</strong>ista di San G<strong>al</strong>lo,<br />

il qu<strong>al</strong>e sottolinea la pretesa di sovvertire ogni assetto della società cosicché non solo gli «inferiores»<br />

contro i «superiores (…) resistunt coadunati», ma anche «quidam ex servili conditione contra<br />

dominos suos proterva factione conspirati ipsi sibimet iudices, iura ac leges constituunt, fas nefasque<br />

confundunt» (Ann<strong>al</strong>es Sang<strong>al</strong>lenses majores, ed. H. Bresslau, MGH, Scriptores rerum Germanicarum ad usum<br />

scholarum, 61, Hannoverae-Lipsiae 1915, p. 93). Ad entrambi interessa mettere in evidenza la gravità<br />

dei fatti, non già la sequenza degli avvenimenti e le singole vicende ed i loro protagonisti, men che<br />

mai le dinamiche preparatorie, le riunioni, gli accordi preventivi, l’organizzarsi per sviluppare azioni<br />

efficaci di protesta, le riunioni successive <strong>al</strong>le azioni più violente o a quelle più riuscite, per festeggiarne<br />

il successo. Non trovano spazio nelle registrazioni, necessariamente stringate dei cronisti,<br />

eppure t<strong>al</strong>i vicende dovettero svolgersi anche secondo questi momenti di vita vissuta, che, non perché<br />

non sono registrati nelle cronache e nelle fonti, non fanno parte di una storia che dovrà pure<br />

essere tenuta presente se vogliamo cogliere appieno la dimensione complessiva della società di quel<br />

tempo. Anche perché, a ben vedere, le fonti qu<strong>al</strong>che indizio, anche se indiretto, tuttavia ce lo forniscono.<br />

Come interpretare infatti le affermazioni di Raterio, il vescovo veronese che, <strong>al</strong>ludendo a t<strong>al</strong>i<br />

557


558<br />

sentare un modo per confermare le decisioni assunte, costituiva nei fatti la maniera<br />

per sottolineare il clima di pacificazione e di concordia che le aveva rese possibili<br />

e che doveva essere rafforzato nell’interesse dell’intera comunità cittadina e per<br />

rins<strong>al</strong>darne l’identità 30 . Si replicava insomma anche in t<strong>al</strong>i occasioni quello stesso<br />

spirito che animava la voglia di far festa davanti <strong>al</strong>la chiesa ogni volta che una ricorrenza<br />

lo propiziasse, fosse di carattere religioso o civile o soprattutto in occasione<br />

dello svolgimento di una fiera. Lo testimoniano le fonti, quando riportano gli ana<strong>temi</strong><br />

degli uomini di chiesa e i deliberati dei concili contro la moda definita perversa<br />

di radunarsi a b<strong>al</strong>lare e a cantare davanti <strong>al</strong>la chiesa, proprio sul sagrato 31 .<br />

Aldilà di tutte le <strong>al</strong>tre considerazioni in proposito, quello che qui interessa<br />

sottolineare è il fatto che simili occasioni di divertimento o di aggregazione dell’uomo<br />

mediev<strong>al</strong>e comportavano, come natur<strong>al</strong>e e diretta conseguenza, il consumo<br />

di bevande. Il vino soprattutto, con la sua azione euforizzante, ebbe un ruo-<br />

fenomeni, interessato lui pure a denunciare il sovvertimento gener<strong>al</strong>e, ma in specie il gener<strong>al</strong>e abuso<br />

del giuramento, rivolgendosi ai suoi contemporanei chiede loro «de coniurationibus etiam et conspirationibus,<br />

de periuriis, de ebriosis, et qui in tabernis bibunt, et qui usuris inserviunt, si leg<strong>al</strong>iter synodarem,<br />

quem ex vobis indemnatum relinquerem?». RATERIO DI VERONA, Opera omnia, PL, 136, Parisiis<br />

1881, col. 586. La successione dei misfatti che egli dovrebbe giudicare, così come la dispone, fa<br />

sorgere qu<strong>al</strong>che perplessità. Se infatti lo spergiuro ben si accosta <strong>al</strong>la congiura e <strong>al</strong>la cospirazione<br />

contro assetti della società definiti appunto <strong>d<strong>al</strong></strong> giuramento, un qu<strong>al</strong>che interrogativo pone l’evocazione<br />

dell’ubriachezza e della frequentazione della taverna prima ancora della colpa di usura nella<br />

serie delle mancanze più gravi. Tuttavia, ciò potrebbe stupirci soltanto se non considerassimo il fatto,<br />

probabilmente del tutto logico per il presule veronese, di sovvertitori spergiuri, associabili ai suoi<br />

occhi agli ubriaconi e ai frequentatori di taverne proprio perché quello era il luogo delle loro riunioni<br />

preparatorie, dei conciliaboli organizzativi e del successivo ritrovarsi per festeggiare, con del buon<br />

vino e abusandone nella circostanza, le iniziative andate a buon fine.<br />

30<br />

BORDONE, La società cittadina, pp. 96-100.<br />

31 Emblematico il racconto della vicenda accaduta ai diciotto contadini di Kölbigk, il villaggio sassone<br />

sul sagrato della cui chiesa essi si erano radunati a b<strong>al</strong>lare la notte di nat<strong>al</strong>e del 1021. Incuranti dell’invito<br />

del sacerdote a non impedire con i loro strepiti la celebrazione delle liturgie nat<strong>al</strong>izie, furono<br />

da questi m<strong>al</strong>edetti e condannati a danzare per un intero anno. B<strong>al</strong>larono sul sagrato senza poter<br />

smettere, fino a scavarsi la fossa con i piedi e a sprofondare nel terreno fino <strong>al</strong>la cintola. Trascorso<br />

l’anno toccò <strong>al</strong> vescovo di Colonia liberarli <strong>d<strong>al</strong></strong>l’incantesimo, senza tuttavia impedire che <strong>al</strong>cuni<br />

morissero <strong>al</strong>l’istante ed <strong>al</strong>tri continuassero per sempre ad essere scossi da un continuo tremore. E.<br />

SCHRÖDER, Die Tänzer von Kölbigk. Ein Mirakel des 11. Jahrhunderts, «Zeitschrift fûr Kirchengeschichte»,<br />

17 (1897), p. 114. Per questo e per <strong>al</strong>tri episodi an<strong>al</strong>oghi si vedano: E. POWER, Vita nel medioevo,<br />

Torino 1966, pp. 25-26; J. HOROWITZ, Les danses cléric<strong>al</strong>es dans les églises au Moyen Âge, «Le Moyen Âge»,<br />

95 (1989), pp. 279-292; J.C. SCHMITT, Il gesto nel medioevo, Roma-Bari 1990, pp. 74 sgg.; J. HEERS, Le<br />

feste dei folli, Napoli 1990, pp. 38, 76, 108-111; G.M. CANTARELLA, I monaci di Cluny, Torino 1997, p. 7.


lo primario nell’animare e propiziare la moltiplicazione di t<strong>al</strong>i occasioni, cosicché<br />

l’aumento del consumo, ancorché non facilmente documentabile attraverso le<br />

fonti, non solo è ipotizzabile, ma costituisce una delle prove che giustificano l’incremento<br />

delle aree vitate, registrabile, quello sì, già nelle fonti notarili della<br />

seconda metà dell’XI secolo 32 . Non solo. L’aumento della domanda dovette<br />

creare le condizioni per un cambiamento profondo, così che nel corso del XII<br />

secolo si dovette determinare una vera e propria svolta nell’uso del vino: da<br />

bevanda del ricco il vino divenne bevanda per tutti; e per il povero da presidio<br />

terapeutico 33 si trasformò in sempre più diffuso prodotto <strong>al</strong>imentare 34 .<br />

Che si possa poi parlare di un consumo soci<strong>al</strong>e del vino <strong>d<strong>al</strong></strong> XII secolo, sembra<br />

possibile – tra l’<strong>al</strong>tro – anche per l’avvio di un processo ben noto, quello cioè<br />

del diffondersi nella società di quel periodo di una ment<strong>al</strong>ità e di una cultura<br />

cav<strong>al</strong>leresche 35 . Se da un lato t<strong>al</strong>e novità induce un processo di gerarchizzazione<br />

della società, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e si accompagnano forme di ritu<strong>al</strong>ità dei comportamenti,<br />

che sembrerebbero orientare la comunità a produrre nuovi meccanismi di esclusione,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro t<strong>al</strong>e processo non evolve in forme t<strong>al</strong>i da creare separatezza tra<br />

nobili, nuovi milites e il resto della comunità in cui tutti vivono 36 . Se infatti la cerimonia<br />

dell’addobbamento introduce elementi di distinzione, accentua e form<strong>al</strong>izza<br />

i tratti nobilitanti della condizione del nuovo cav<strong>al</strong>iere, essa si accompagna<br />

sempre <strong>al</strong>la festa con il torneamentum, la curia e il prandium, momenti ai qu<strong>al</strong>i sono,<br />

in forme diverse, chiamati comunque a partecipare tutti, sia in qu<strong>al</strong>ità di spettatori,<br />

che in quella di commens<strong>al</strong>i 37 . Con ruoli e mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità differenti certo, in modo<br />

che le distinzioni fossero evidenti, ma non a t<strong>al</strong> punto da annullare lo spirito<br />

32 Per il Piemonte: G. PASQUALI, Vite e vino in Piemonte (secoli VIII-XII), in Vigne e vini nel Piemonte mediev<strong>al</strong>e,<br />

a cura di R. Comba, Cuneo 1990, pp. 25-29. Per la Lombardia: ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 210<br />

sgg. Per un inquadramento gener<strong>al</strong>e del fenomeno: G. PICCINNI, La campagna e le città (secoli XII-XV),<br />

in Uomini e campagne nell’It<strong>al</strong>ia mediev<strong>al</strong>e, a cura di A. Cortonesi, Roma-Bari 2002, pp. 131-134; inoltre A.<br />

CORTONESI, Agricoltura e tecniche nell’It<strong>al</strong>ia mediev<strong>al</strong>e. I cere<strong>al</strong>i, la vite, l’olivo, in Ibidem, pp. 219-222.<br />

33 MONTANARI, L’<strong>al</strong>imentazione contadina, pp. 374-375.<br />

34 Ibidem, p. 384.<br />

35 S. GASPARRI, I “milites” cittadini. Studi sulla cav<strong>al</strong>leria in It<strong>al</strong>ia, Roma 1992 (Nuovi Studi Storici, 19), p. 12.<br />

36 Per la dimensione collettiva della vita cittadina e delle varie manifestazioni in cui si esplicava: BOR-<br />

DONE, La società cittadina, pp. 96-100. Presupposto teorico della stessa ricerca del Gasparri, per sua<br />

esplicita ammissione, è il dato costituto da «l’unità profonda della vita cittadina it<strong>al</strong>iana». GASPARRI,<br />

I “milites” cittadini, p. 12.<br />

37 Circa i riti connessi <strong>al</strong>la creazione di un nuovo cav<strong>al</strong>iere: Ibidem, pp. 55 sgg. In particolare, in merito<br />

<strong>al</strong>la pubblicità della cerimonia e <strong>al</strong> coinvolgimento della folla nella pubblica piazza: Ibidem, pp. 59, 68,70.<br />

559


560<br />

condiviso di essere membri di una stessa comunità, nell’ambito della qu<strong>al</strong>e spettasse<br />

ai milites addobbati di torneare e agli <strong>al</strong>tri di assistere e tifare; a tutti comunque<br />

di banchettare, certo a tavoli separati, ma tutti con il vino, anche se sulla<br />

tavola del miles e del nobilis incominciavano ad apparire vini pregiati 38 , resi disponibili<br />

da più attente clausole contrattu<strong>al</strong>i con il produttore 39 o da un commercio<br />

vinicolo ormai organizzato anche su tragitti di lunga distanza 40 .<br />

E ciò avveniva non solo in città, ma anche nei centri minori del contado. È<br />

il caso di Montichiari, i cui conti, ci riferiscono vari testi di una causa insorta<br />

con i rappresentanti del comune del luogo sul finire del XII secolo, erano soliti<br />

creare nuovi cav<strong>al</strong>ieri con cerimonie pubbliche, che dovevano prevedere la<br />

festa con l’immancabile torneo e il banchetto di rito 41 . Si doveva trattare, in<br />

verità, di festeggiamenti non così solenni e sfarzosi come quello che si tenne a<br />

Montichiari sul finire del secolo in occasione delle nozze di Lantelmo, figlio di<br />

Ugo conte del luogo, con una figlia dei duchi di Trenzano, ma <strong>al</strong>trettanto coinvolgenti.<br />

Racconta un testimone di essere stato presente ai fatti e di essere intervenuto<br />

<strong>al</strong> «magnum prandium» e <strong>al</strong>la «pulcra curia», tenuta in un clima di festa<br />

tanto intenso da essere ricordata nel tempo 42 .<br />

Si dovette trattare in verità di una festa come le tante <strong>al</strong>tre che si svolgevano<br />

in quel periodo e che la deposizione del teste evoca anche per rendere più<br />

attendibile la sua testimonianza. Ma un aspetto nuovo va rilevato comunque nel<br />

suo racconto. Il testimone, nel descrivere lo svolgimento dei fatti, ricorda di<br />

38 Che nel consumo di vino t<strong>al</strong>e attenzione <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità si accompagnasse tuttavia ancora a quello tradizion<strong>al</strong>e<br />

della quantità e dell’abbondanza, proprio di un’“etica <strong>al</strong>imentare aristocratica”, come la<br />

definisce il Montanari, è confermato – tra i tanti <strong>al</strong>tri episodi – anche da quello, ben noto, evocato da<br />

Donizone, relativo <strong>al</strong>le nozze di Bonifacio di Canossa. Per l’occasione – narra il biografo di Matilde<br />

– si <strong>al</strong>lestì un banchetto durato tre mesi, durante il qu<strong>al</strong>e si mesceva il vino attingendolo da due pozzi<br />

con secchi appesi a catene d’argento. DONIZONE, Vita Mathildis, a cura di L. Simeoni, in Rerum It<strong>al</strong>icarum<br />

Scriptores, V/II, Bologna 1940, p. 34, vv. 825-829, citato da MONTANARI, L’<strong>al</strong>imentazione contadina,<br />

p. 383. Che il forte consumo di vino fosse segno di nobiltà già lo si riscontra nella Chanson de<br />

Guillaume, nella qu<strong>al</strong>e si identifica la condizione di nobile nel cav<strong>al</strong>iere capace di bere in due sorsate<br />

un sestario di vino. Citato da M. BLOCH, La società feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e, Torino 1949, p. 334.<br />

39 ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 436-438 e n. 6.<br />

40 Ibidem, pp. 60, 62-63, 68, 462 sgg.<br />

41 F. ODORICI, Storie bresciane dai primi tempi sino <strong>al</strong>l’età nostra, VIII, Brescia 1856, nr. 288, p. 126. Circa<br />

la consuetudine di accompagnare la cerimonia della creazione di un nuovo cav<strong>al</strong>iere con festeggiamenti<br />

non solo privati, si vedano i riferimenti indicati sopra <strong>al</strong>la n. 37.<br />

42 Ibidem, p. 134.


aver accompagnato i due promessi sposi fino <strong>al</strong>la chiesa e di aver partecipato<br />

quindi a tutti i momenti successivi della memorabile giornata 43 .<br />

La testimonianza, ancorché succinta e schematica, non ci impedisce di constatare<br />

come il racconto del teste sia del tutto lineare, cosicché non vi si rilevano<br />

accenti diversificati nel riferire da un lato del momento più propriamente religioso,<br />

della messa e della celebrazione del matrimonio, e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro nel dare conto<br />

della pulcra curia e della festa successiva, che è facile immaginare si sia svolta<br />

con canti, b<strong>al</strong>li e il gioco del torneo dopo il banchetto imbandito per tutti, r<strong>al</strong>legrato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vino 44 . È qui, in una testimonianza margin<strong>al</strong>e, eppure vivissima, registrato<br />

l’esito di un mutamento nella coscienza dell’uomo del XII secolo, l’affacciarsi<br />

della consapevolezza cioè della propria dimensione di spirito e corpo,<br />

cosicché presenta an<strong>al</strong>ogo interesse per il teste riferire con semplicità sia i<br />

momenti più propri della dimensione spiritu<strong>al</strong>e che quelli che attengono più<br />

direttamente <strong>al</strong>la vita del corpo 45 .<br />

Vino e riso<br />

Quello che traspare insomma è un atteggiamento ment<strong>al</strong>e che si ispira non più<br />

<strong>al</strong>l’ide<strong>al</strong>e ascetico del monaco, di colui che piange 46 e considera il proprio corpo un<br />

ingombro sulla via della s<strong>al</strong>vezza, proposto come modello agli uomini dell’<strong>al</strong>to<br />

43 «Dicit haec infrascripta verba precisa, videlicet se recordari quod dominus Hugo, comes de Monteclaro,<br />

dedit quamdam filiam de Duchis de Trenzano Lantelmo suo filio in uxorem, et quando ipse Lantelmus<br />

duxit eam, duxit in terram Montisclari, et ipse testis erat in ipsa terra, et ivit cum eis quando duxerat<br />

eam ad missam et fuit factum in ipsa terra magnum prandium; et pulcra curia facta fuit ibi; et venerunt<br />

illuc milites de Brixiana et de <strong>al</strong>iis civitatibus multis et etiam comes Lantelmus de Crema». Ibidem.<br />

44 Il documento è mutilo e la deposizione del teste si interrompe proprio mentre il racconto sembra<br />

entrare nei particolari della memorabile giornata.<br />

45 È quel processo di scoperta dell’individu<strong>al</strong>ità, che fa comparire tra XI e XII secolo nelle descrizioni,<br />

che i vari autori tratteggiano delle singole person<strong>al</strong>ità, «un re<strong>al</strong>ismo fino ad <strong>al</strong>lora sconosciuto», ma<br />

anche una sempre più chiara consapevolezza di sé. STRUVE, Le trasformazioni dell’XI secolo, pp. 50-51.<br />

46 «Il nuovo eroe della società cristiana è un uomo che non ride, il monaco, che il medioevo definirà<br />

come “colui che piange” - “is qui luget”». J. LE GOFF, Il riso nelle regole monastiche dell’<strong>al</strong>to <strong>Medioevo</strong>, in ID.,<br />

I riti, il tempo, il riso. Cinque saggi di storia mediev<strong>al</strong>e, Roma-Bari 2001, p. 165. E t<strong>al</strong>e esercizio del pianto aveva<br />

una sua giustificazione, perché il versare lacrime era come condividere la condizione del martire che<br />

versa il suo sangue, giacché, come sosteneva Oddone di Cluny, il martire ha «esaurito il sangue del cuore,<br />

da cui nascono le lacrime (infatti fluiscono <strong>d<strong>al</strong></strong> sangue e dunque quando si spargono per devozione<br />

in qu<strong>al</strong>che modo imitano il martirio)», citato in CANTARELLA, I monaci di Cluny, p. 47.<br />

561


562<br />

medioevo, ma l’immagine di un uomo che vive con atteggiamento positivo la prospettiva<br />

del suo futuro, liberato nella sua possibilità di esprimere, nella sintesi più<br />

genuina di anima e corpo, tutte le sue facoltà, compreso quella di potersi legittimamente<br />

divertire e, perché no, di lecitamente poter ridere. Non a caso Le Goff<br />

in una sua stimolante ricerca di poco più di un decennio fa 47 , propiziata <strong>d<strong>al</strong></strong>la lettura<br />

48 dello scritto del Curtius su «Il serio e il faceto nella letteratura mediev<strong>al</strong>e» 49 ,<br />

prospettava uno stimolante abbozzo di periodizzazione per una storia del riso.<br />

Egli contrapponeva ad un periodo di negazione del riso – che individuava nei<br />

secoli dell’<strong>al</strong>to medioevo, durante i qu<strong>al</strong>i il buon cristiano doveva rifuggire <strong>d<strong>al</strong></strong> riso<br />

per imitare Cristo che, si diceva, non ha mai riso 50 –, un periodo del riscatto e della<br />

rilegittimazione di questa facoltà che, come affermava Aristotele, è esclusivamente<br />

dell’uomo 51 . Lo studioso francese infatti rileva dopo il Mille, durante i secoli<br />

XI e XII, un mutamento di sensibilità in proposito e ne attribuisce il merito <strong>al</strong>le<br />

menti più attente del tempo 52 , come si può constatare nelle riflessioni che <strong>al</strong> tema<br />

della liceità del riso hanno dedicato tra gli <strong>al</strong>tri Ugo di San Vittore, Giovanni di<br />

S<strong>al</strong>isbury e Pietro Cantore 53 , fino <strong>al</strong>l’esito di t<strong>al</strong>e parabola con la v<strong>al</strong>orizzazione del<br />

riso ad opera del santo più capace di tutti di interpretare le ansie dell’uomo dell’età<br />

comun<strong>al</strong>e, Francesco d’Assisi, il qu<strong>al</strong>e raccomandava ai suoi fratelli di affrontare<br />

sempre ogni circostanza hilari vultu 54 .<br />

47 J. LE GOFF, Ridere nel <strong>Medioevo</strong>, in ID., I riti, il tempo, il riso, pp. 139-157.<br />

48 Ibidem, p. 145.<br />

49 E. R. CURTIUS, Letteratura europea e medioevo latino, Firenze 1992, pp. 465-486.<br />

50 Ibidem, p. 470; LE GOFF, Il riso nelle regole monastiche, pp. 161, 164, 169.<br />

51 Ibidem, pp. 161-164.<br />

52 LE GOFF, Ridere nel <strong>Medioevo</strong>, pp. 153, 155.<br />

53<br />

CURTIUS, Letteratura europea e medioevo latino, pp. 469-471; LE GOFF, Ridere nel <strong>Medioevo</strong>, p. 146.<br />

54 Ibidem, pp. 156-157; C. FRUGONI, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Torino 1995, p. 12. Se «iocunditas<br />

et laetitia» sono pertanto la condizione che caratterizza la vita dei seguaci di Francesco, non ci<br />

può essere spazio nella vita del frate per la m<strong>al</strong>inconia, per rimuovere la qu<strong>al</strong>e non vi è rimedio<br />

migliore di un buon bicchiere di vino. Si narra che fosse questa la soluzione che tra i Francescani<br />

d’Inghilterra veniva adottata quando un qu<strong>al</strong>che membro della comunità era colto <strong>d<strong>al</strong></strong>la depressione,<br />

dimenticando il dovere verso se stesso di badare <strong>al</strong>la propria s<strong>al</strong>ute vivendo con animo giocoso e lieto.<br />

Il padre Pietro di Tewksbury giunse ad assegnarlo per penitenza ad un suo frate colto da irrimediabile<br />

m<strong>al</strong>inconia. Lo racconta nella sua cronaca Tommaso di Eccleston. Narra infatti che per Pietro<br />

«tria sunt necessaria ad s<strong>al</strong>utem tempor<strong>al</strong>em, cibus somnus et iocus. Item iniunxit cuidam fratri<br />

melancholico ut biberet c<strong>al</strong>icem plenum optimo vino pro poenitentia; et cum ebibisset, licet invitis-


Il fatto quindi che t<strong>al</strong>e proposta di periodizzazione collochi anche il cambiamento<br />

di atteggiamento relativo ad un aspetto solo apparentemente margin<strong>al</strong>e<br />

della ment<strong>al</strong>ità dell’uomo mediev<strong>al</strong>e, com’è quello di una diversa v<strong>al</strong>utazione del<br />

riso, nel periodo che vede le grandi trasformazioni dei primi due secoli del nuovo<br />

millennio, in par<strong>al</strong>lelo quindi <strong>al</strong>la rivoluzione che muta volto <strong>al</strong>le città e <strong>al</strong>l’economia<br />

che intorno ad esse si crea, compreso, in particolare per il sondaggio<br />

che andiamo compiendo, l’incremento della coltura della vite e del consumo del<br />

vino, si tratta – a ben vedere – di circostanza che evoca suggestioni di causa<br />

effetto che è difficile (e anche ingiusto per certi versi) non considerare. Occorrerebbe<br />

<strong>al</strong>lora scandagliare più a fondo per cogliere appieno tutte le interdipendenze<br />

e le connessioni che potrebbero confermare o smentire simili suggestioni.<br />

Difficile percorso, visto che chi ci si incamminasse sarebbe costretto ad indagare<br />

facendo riferimento a regole e statuti non scritti di vita vissuta.<br />

Vino e istituzioni giuridiche<br />

Quelli che in forma di comportamenti descritti da cronisti o tradotti in norme<br />

scritte ci sono pervenuti, ci riconducono invece ad una condizione di fatto, nel<br />

periodo dell’ultimo quarto del XII secolo, il periodo cioè della maturità del comune<br />

cittadino it<strong>al</strong>iano, che vede nel diffondersi della locande 55 e nei provvedimenti<br />

per la creazione di spazi per il mercato e di strutture <strong>al</strong> servizio dello stesso 56 per<br />

sime, dixit ei: “Frater carissime, si haberes frequenter t<strong>al</strong>em poenitentiam, haberes utique meliorem<br />

conscientiam”». De adventu fratrum minorum in Angliam. The Cronicle of Thomas of Eccleston, a cura di<br />

A.G. Little, Manchester 1951, p. 92. In merito anche: J. LE GOFF, Francescanesimo e modelli cultur<strong>al</strong>i del<br />

XIII secolo, in ID., San Francesco d’Assisi, Roma-Bari 2000, pp. 162-163.<br />

55 «Nel medioevo barbarico e nell’<strong>al</strong>to medioevo l’ospit<strong>al</strong>ità ecclesiastica aveva concordato ampiamente<br />

con quella laica, ma a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’XI-XII secolo l’ospit<strong>al</strong>ità profession<strong>al</strong>e e commerci<strong>al</strong>e prese<br />

il sopravvento sulle vecchie forme di ospit<strong>al</strong>ità gratuita, avocando a sé sempre più esclusivamente l’accoglienza<br />

dei forestieri e lasciando <strong>al</strong>la Chiesa da un lato l’ospit<strong>al</strong>ità rivolta ai potenti, spesso obbligatoria<br />

per motivi politici e di potere, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro quella benefica, ancorché limitata, rivolta ai poveri e ai<br />

m<strong>al</strong>ati». H.C. PEYER, Viaggiare nel <strong>Medioevo</strong>. D<strong>al</strong>l’ospit<strong>al</strong>ità <strong>al</strong>la locanda, Roma-Bari, 2000, p. 147.<br />

56 Si veda, tra i tanti <strong>al</strong>tri, l’esempio di Piacenza. L’ann<strong>al</strong>ista autore degli Ann<strong>al</strong>es Placentini ricorda che<br />

nell’anno 1180 i rettori della città «traxerunt rivum novum de Nuria et rivum novum de Teciva et fecerunt<br />

molendina (...). Et eo anno levata fuit turre de sinu et hospit<strong>al</strong>e Humiliatorum in burgo Sancti<br />

Pauli». Ann<strong>al</strong>es Placentini Guelfi, ed. G.H. Pertz, MGH, Scriptores, XVIII, Hannoverae 1863, p. 414. Per<br />

il territorio veneto: S. COLLODO, Il sistema annonario delle città venete: da pubblica utilità a servizio soci<strong>al</strong>e (secoli<br />

XIII-XIV), in Città e servizi soci<strong>al</strong>i, p. 389. Per una visione d’insieme di t<strong>al</strong>i aspetti della politica cittadina<br />

l’ormai classico: A. I. PINI, Città, comuni e corporazioni nel medioevo it<strong>al</strong>iano, Bologna 1986, pp. 42-44.<br />

563


564<br />

garantire, oltre agli <strong>al</strong>tri prodotti annonari, il commercio e l’approvvigionamento<br />

del vino, la prova di una sua domanda sempre più copiosa e di un significativo<br />

incremento del suo consumo. Indagando pertanto l’azione amministrativa dei rettori<br />

delle città in riferimento <strong>al</strong>la coltivazione della vite e <strong>al</strong> commercio del vino di<br />

quel periodo e la loro attività giurisdizion<strong>al</strong>e in proposito, possiamo constatare che<br />

essa si muove su due piani: quello annonario e quello di pubblica sicurezza.<br />

Il quadro di riferimento normativo, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e si attengono, affonda le sue radici<br />

in una tradizione antica, che ris<strong>al</strong>e <strong>al</strong>meno <strong>al</strong> dettato dei capitoli dell’editto di Rotari<br />

57 . Nella sua viva attu<strong>al</strong>ità t<strong>al</strong>e tradizione riproponeva invariata, ancorché attu<strong>al</strong>izzata<br />

nella quantificazione delle sanzioni per i damnificatori e i trasgressori, la necessità<br />

di proteggere la vigna e i suoi sostegni perimetr<strong>al</strong>i 58 , l’impianto dei filari 59 e le sin-<br />

57 Edictum Rothari, in Le leggi dei Longobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo germanico, a cura di C.<br />

Azzara e S. Gasparri, Milano 1992 (Le fonti, 1), pp. 80-81, capp. 292-296.<br />

58 Cap. 285. «De inderzun. Si quis sepem <strong>al</strong>ienam ruperit, id est inderzun, componat sol. sex». Cap.<br />

286. «De axegias. Si quis axegias de sepe, id est axegiato, una aut duas tulerit, componat solido uno».<br />

Cap. 287. «De sepe stantaria. Si quis de sepe stantaria facta vimen tulerit, componat solidum unum; si<br />

autem pertica transversaria tulerit, componat solidos sex». Ibidem. Si tratta – come si può notare – di<br />

sanzioni severe, che denotano l’essenzi<strong>al</strong>ità di una struttura predisposta per difendere le colture. Il<br />

sistema delle clausure, collocate prev<strong>al</strong>entemente nei pressi dell’abitazione, nel cui recinto trovava<br />

posto anche l’impianto del vigneto, doveva infatti impedire l’intrusione di anim<strong>al</strong>i o l’ass<strong>al</strong>to di ladri o<br />

m<strong>al</strong>intenzionati. ARCHETTI, Tempus vindemie, p. 176. T<strong>al</strong>e assetto coltur<strong>al</strong>e si riconferma per<strong>al</strong>tro anche<br />

nei secoli successivi <strong>al</strong> Mille, come ben si evince dai contratti agrari dei secoli XI e XII. F. MENANT,<br />

Campagnes lombardes au Moyen Age, p. 58, n. 72; ARCHETTI, Vigne e vino, p. 115. Ma anche nei secoli successivi,<br />

come si può riscontrare nelle prescrizioni contenute negli statuti e nei vari trattati di agronomia.<br />

Si veda ad esempio la prescrizione contenuta negli Statuti di Alfiano, corte del monastero di Santa<br />

Giulia di Brescia, collocata sulla sponda destra dell’Oglio in territorio cremonese. Redatti nel 1306<br />

<strong>al</strong> cap. 31 così recitano: «Item si quis teneret de dictis bestiis vel <strong>al</strong>icuius earum in dicta terra et terratorio<br />

cum voluntate dicte domine abbatisse, ut superius dictum est, non audeat nec presumet dare vel<br />

facere <strong>al</strong>iquod dampnum in dicta terra seu terratorio, in claussuris seu vineis dicti territorii seu in terris<br />

laboratis et cultis, pena et banno cuilibet contrafacienti .II. imperi<strong>al</strong>ium pro qu<strong>al</strong>ibet bestia et qu<strong>al</strong>ibet<br />

vice». A. BARONIO, Gli statuti del comune di Alfiano corte del monastero di S. Giulia di Brescia, «Brixia<br />

Sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia», V/1-2 (2000), p. 99. Più in gener<strong>al</strong>e: P. TOUBERT, Les<br />

statuts communaux et l’histoire des campagnes lombardes au XIVe siècle, «Mèlanges d’archéologie et d’histoire»,<br />

72 (1960), p. 464; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 295-296 e n. 22, 310-312 e nn. 58, 61.<br />

59 Con il cap. 293 Rotari interviene con severità contro coloro che danneggiano l’impianto di un filare<br />

impedendo <strong>al</strong>la vite di fruttificare. Stabilisce infatti: «De vite uvarum. Si quis vitem expoliaverit, id<br />

est aminicula tulerit super tres aut quattuor, componat solidos sex». Ribadisce quindi la gravità del fatto<br />

anche nel capitolo successivo, affermando che la stessa sanzione sarà comminata a chi asportasse<br />

anche un solo p<strong>al</strong>o di sostegno: «De p<strong>al</strong>o, quod est carracio. Si quis p<strong>al</strong>o de vite tulerit, componat solidos<br />

sex». Edictum Rothari, p. 80. Invano cercheremmo nei secoli successivi nella produzione normativa<br />

disposizioni <strong>al</strong>trettanto circostanziate in proposito. Non ne troviamo traccia nei capitolari e nep-


gole viti 60 ; ma anche l’aggiornamento dello spirito di quella consuetudine solidaristica<br />

che, nel vietare il furto dell’uva, consentiva tuttavia <strong>al</strong> viandante di poter prenderne<br />

fino a tre grappoli senza correre il rischio di essere punito 61 . Di t<strong>al</strong>e imposta-<br />

pure troviamo memoria dell’applicazione di t<strong>al</strong>i disposizioni negli atti notarili. Tuttavia, è proprio nei<br />

secoli XI e XII nel corso di vertenze complesse, istruite con il ricorso <strong>al</strong>le deposizioni testimoni<strong>al</strong>i,<br />

che apprendiamo dai racconti degli interrogati che tra la materia del contendere vi è, tra l’<strong>al</strong>tro, il diritto<br />

di tagliare legna e in particolare di procurarsi p<strong>al</strong>i destinati ad essere usati come sostegno secco per<br />

i filari. Si vedano ad esempio le testimonianze della causa tra l’abate di San Pietro di Serle, tra Brescia<br />

e il Garda, e gli uomini di Serle da una parte e gli uomini di Nuvolera <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra a proposito dei diritti<br />

sul monte Dragone. Più di uno rivendica il diritto di procedere, secondo una prassi di lungo periodo,<br />

a procurarsi nei boschi di quel monte la legna, di cui aveva bisogno. E se «Albertus F<strong>al</strong>cus de Carmelina»<br />

di Serle testimonia di essersi accapparrato «asses et p<strong>al</strong>os et cetera ligna sibi necessaria», a sua volta<br />

«Brixianus de Braida» di Nuvolera afferma di aver prelevato «ases et gambazas et gambazolos et<br />

p<strong>al</strong>os et maniculos et ligna tectorum et cetera ligna sibi necessaria». Le carte del monastero di San Pietro in<br />

Monte di Serle (Brescia) 1039-1200, a cura di E. Barbieri, E. Cau, Brescia 2000 (Fondazione Civiltà Bresciana,<br />

Codice Diplomatico Bresciano, I), nr. 85, p. 177, nr. 86, p. 193. Più precisamente, in un’<strong>al</strong>tra<br />

vertenza avviata <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso abate di San Pietro, un t<strong>al</strong>e Inverardo di Serle ammette che i p<strong>al</strong>i, che solitamente<br />

prendeva <strong>d<strong>al</strong></strong> bosco del monte Dragone, erano destinati a divenire sostegni per filari di vite<br />

(p<strong>al</strong>os vinearum). Ibidem, nr. 74, p. 151. Che t<strong>al</strong>i materi<strong>al</strong>i costituissero poi oggetto di danneggiamento e<br />

di furto da parte di vicini o m<strong>al</strong>intenzionati era nella logica immutabile delle cose. La fattispecie del<br />

reato era stata bensì evidenziata e sanzionata da Rotari. Il fatto che non compaia nelle fonti successive<br />

non è tuttavia – come si può intuire – testimonianza di un suo eradicamento, bensì la prova di un<br />

suo confinamento negli ambiti della norma consuetudinaria e di una prassi giudiziaria d’impronta<br />

signorile, non riscontrabile non già perché condotta “sine strepitu iudiciorum”, ma per l’uso di procedere<br />

“sine sententia scripta”. F. BOUGARD, La justice dans le royaume d’It<strong>al</strong>ie, in La giustizia nell’<strong>al</strong>to<br />

<strong>Medioevo</strong> (secoli IX-XI), Atti della XLIV Settimana del Centro It<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to <strong>Medioevo</strong>, I,<br />

Spoleto 1997, p. 134. Non a caso le disposizioni, esplicitamente espresse, con sanzioni ben definite,<br />

ricompaiono negli articolati degli statuti di epoca signorile e in particolare in quelli delle comunità<br />

rur<strong>al</strong>i. Si vedano ad esempio, fra i tanti, gli Statuti di Darfo del 1495. Il dettato del cap. 41, «De pena<br />

damnificantium vites et sepes», così recita: «Item statutum est quod non sit <strong>al</strong>iqua persona, cuiusvis<br />

gradus status et conditionis existat, habitantes super dicto comuni, que audeat nec presumat <strong>al</strong>iqu<strong>al</strong>iter<br />

auferre nec arripere p<strong>al</strong>los frosconos nec <strong>al</strong>ia lignamina posita in vitibus pro earum aptatura nec<br />

<strong>al</strong>iqu<strong>al</strong>iter de sepibus <strong>al</strong>iquid accipere nec amovere nisi ipse vites et sepes fuerint proprie ipsorum<br />

auferentium, pena et banno soldorum duorum planetorum pro singulo et singula vice; et quilibet possit<br />

acusare eis cum iuramento tantum et ei credatur; et ultra dictam penam t<strong>al</strong>es damnificantes teneantur<br />

reficere damnum passo in duplum». Statuti rur<strong>al</strong>i di Anfo, Darfo e Darzo dei secoli XV-XVI, a cura di<br />

U. Vaglia, Brescia 1969 (Supplemento ai Commentari dell’Ateneo di Brescia), p. 114. Si veda anche:<br />

G. GULLINO, La vite negli statuti comun<strong>al</strong>i dell’Albense mediev<strong>al</strong>e, in Vigne e vini nel Piemonte mediev<strong>al</strong>e, pp. 93-<br />

102. Per uno sguardo d’insieme circa le norme in proposito contenute nelle fonti statutarie di epoca<br />

signorile: ARCHETTI, Vigne e vino, pp. 158-159, nn. 283-284.<br />

60 Il re longobardo aveva previsto sanzioni non solo contro chi intenzion<strong>al</strong>mente compiva azioni che<br />

danneggiassero irreparabilmente la vite (cap. 294, «De vite incisa. Si quis vitem de fossa asto cappellaverit,<br />

componat solido uno»); ma anche per chi avesse divelto <strong>d<strong>al</strong></strong>la vite un tr<strong>al</strong>cio, limitandone la<br />

565


566<br />

zione non vi è traccia nei provvedimenti normativi inclusi nelle sillogi consuetudinarie<br />

o negli statuti comun<strong>al</strong>i. Ancor meno in quelli di epoca signorile sia cittadini<br />

che dei vari comuni rur<strong>al</strong>i. Il dato di novità è infatti costituito <strong>d<strong>al</strong></strong>la convinzione<br />

ormai maturata nella società di quel periodo della necessità non già soltanto di<br />

tutelare la vite, ma di favorire l’aumento della produzione d’uva in modo da garantire<br />

la più ampia disponibilità di vino per corrispondere <strong>al</strong>la accresciuta domanda<br />

della popolazione cittadina 62 .<br />

produttività (cap. 295, «De travicem vitis. Si quis travicem de vitem inciderit, componat medio solido».<br />

Edictum Rothari, p. 79). Affidate <strong>al</strong>la prassi di una giustizia che si loc<strong>al</strong>izza secondo i ritmi della particolarizzazione<br />

dei diritti di banno e che tra XI e XII secolo si caratterizza per i tratti dominanti costituiti<br />

da «petits profits, individu<strong>al</strong>isme et mansuétude» (MENANT, Campagnes lombardes, pp. 438-447), t<strong>al</strong>i<br />

regole riemergono non già nell’articolato dei capitoli degli statuti della piena maturità del comune cittadino,<br />

bensì in quelli di epoca signorile. ARCHETTI, Vigne e vino, pp. 158-159, nn. 283-284.<br />

61 Così recita il dettato del cap. 296 dell’editto di Rotari: «De ubas. Si quis super tres uvas de vinea <strong>al</strong>ienam<br />

tulerit, componat solidos sex; nam si usque tres tulerit, nulla sit illi culpa». Edictum Rothari, p. 80.<br />

62 Emblematico, per comprendere il mutamento di ment<strong>al</strong>ità che si determina in proposito in età comun<strong>al</strong>e,<br />

l’episodio narrato in uno dei Fioretti di san Francesco. Vi si racconta della decisione del santo di<br />

accettare l’invito del cardin<strong>al</strong>e Ugolino d’Ostia, il protettore dell’ordine, di recarsi a Rieti per risolvere un<br />

fastidioso problema agli occhi con le cure di un noto medico di quella città. Giunto nei pressi delle mura,<br />

anticipato <strong>d<strong>al</strong></strong>la notizia del suo arrivo, si trovò a dover evitare una grande folla che lo attendeva. Prese<br />

quindi <strong>al</strong>loggio presso la casa di un sacerdote, rettore di una chiesa della periferia cittadina, non riuscendo<br />

per<strong>al</strong>tro ad evitare che la notizia si diffondesse e che tanti accorressero per incontrarlo. La folla che<br />

si acc<strong>al</strong>cava <strong>al</strong>la porta della casa che lo ospitava non disdegnava di approfittare dei grappoli ormai prossimi<br />

<strong>al</strong>la maturazione di una vigna che il sacerdote possedeva nei pressi e che curava con particolare<br />

attenzione, guastandola quasi completamente. In cuor suo il prete si dispiaceva di simili conseguenze per<br />

aver ospitato il santo, il qu<strong>al</strong>e, interpretandone i pensieri, lo fece chiamare e gli disse di non rattristarsi e<br />

di lasciare che cogliessero quanti grappoli desiderassero, poiché la sua disponibilità avrebbe trovato una<br />

giusta ricompensa. Accolto l’invito del santo, il povero prete vide così quasi del tutto depredata l’uva della<br />

vigna, ma constatò pure con sorpresa, <strong>al</strong>l’atto della pigiatura della poca rimasta, che essa diede nei tini,<br />

miracolosamente, quasi il doppio del vino prodotto l’anno precedente. G. BATTELLI, I Fioretti di san Francesco.<br />

Introduzione e note, Torino 1929, pp. 46-48. An<strong>al</strong>izzando il racconto si possono cogliere interessanti<br />

elementi. L’atteggiamento ambiv<strong>al</strong>ente del prete innanzitutto, desideroso di proteggere la propria vigna<br />

certo, ma non ancora animato da quell’atteggiamento ispirato da una concezione esclusiva della proprietà<br />

così come sarà intesa successivamente, come documentano gli statuti di epoca signorile; disponibile<br />

<strong>al</strong> contrario a non contraddire una tradizione che forse ancora sopravviveva, quella appunto che ris<strong>al</strong>iva<br />

<strong>al</strong>le indicazioni dell’editto di Rotari, visto che non sembra <strong>d<strong>al</strong></strong> racconto avv<strong>al</strong>ersi della possibilità di<br />

richiedere l’aiuto del campario loc<strong>al</strong>e, in grado di assicurare un tempestivo intervento a sua tutela. In<br />

secondo luogo la forma stessa del miracolo, non limitato solo <strong>al</strong> ripristino del danno subito, restituendo<br />

<strong>al</strong> momento della vendemmia la possibilità che i pochi grappoli rimasti producessero la stessa quantità<br />

di vino che il prete si attendeva, bensì quasi il doppio, ben venti some e di ottima qu<strong>al</strong>ità, rispetto <strong>al</strong>le<br />

dodici sperate. Il miracolo insomma, inteso come l’avverarsi mirabilmente di un obiettivo <strong>al</strong>tamente


Tutti i provvedimenti, sia quelli assunti nel 1173 <strong>d<strong>al</strong></strong> console bresciano Arderico<br />

de S<strong>al</strong>is per l’istituzione del nuovo mercato 63 , con una decisione tanto opportuna<br />

e condivisa dagli operatori e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’intera città <strong>al</strong> punto che i bresciani definirono<br />

Foro Fortunato il luogo in cui il nuovo mercato fu <strong>al</strong>lestito 64 ; sia quelli successivi<br />

confluiti nella prima redazione degli statuti cittadini, mirano ad incentivare<br />

la produzione, favorendo in ogni modo la libera circolazione del vino, con<br />

interventi normativi tesi da un lato a confermare la protezione del vigneto 65 e<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro a rimuovere ogni ostacolo frapposto da chiunque <strong>al</strong> regolare trasporto<br />

e convogliamento del vino <strong>al</strong> mercato cittadino 66 .<br />

desiderabile, ritenuto impossibile, era costituto nella circostanza non già solo nel rimedio <strong>al</strong> danno ma<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la straordinaria quantità del vino ottenuto. L’aspettativa dell’uomo del tempo, e quindi anche dell’anonimo<br />

sacerdote reatino, doveva essere proprio quella di ricavare <strong>d<strong>al</strong></strong> suo lavoro il più consistente risultato<br />

produttivo, da collocare sul mercato cittadino... supponiamo. Illuminante infatti è anche il tono del<br />

racconto dell’agiografo. Non ci dice della destinazione che il beneficiato diede <strong>al</strong>la copiosa disponibilità<br />

di vino. Ci lascia solo intravvedere che la scelta del prete dovette essere quella di ricavarne un giusto guadagno,<br />

nella più pura adesione <strong>al</strong>la ment<strong>al</strong>ità del tempo, visto che per un agiografo <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e sarebbe<br />

stato natur<strong>al</strong>e <strong>al</strong> contrario es<strong>al</strong>tare la figura del santo anche nel supplemento di bene prodotto <strong>d<strong>al</strong></strong> suo<br />

intervento per il fatto che il beneficiato avrebbe natur<strong>al</strong>mente provveduto a distribuirne ai poveri. Si<br />

veda per il miracolo francescano: PINI, Miracoli del vino, p. 378.<br />

63 Sopra nn. 8, 13.<br />

64 «Edificatum fuit forum novum in hora Sancti Syri, quod potius exigente veritate forum Fortunatum<br />

deberet dici». Liber Potheris, nr. 124, col. 566.<br />

65 Il provvedimento, adottato nel 1252 e reiterato nel 1280, prevede la tutela delle mura e delle aree<br />

circostanti, in particolare la zona dei vigneti collocati presso le mura, in merito ai qu<strong>al</strong>i era fatto divieto<br />

di scagliare pietre contro le viti <strong>al</strong> fine di non danneggiarne tr<strong>al</strong>ci e grappoli. Statuti Bresciani del secolo<br />

XIII, a cura di F. Odorici, HPM, XVI/2, Leges municip<strong>al</strong>es, II, Torino 1876, col. 1584 (136), 1584<br />

(228). Si veda anche: ARCHETTI, Vigne e vino, p. 157 e n. 281.<br />

66 Il fatto che l’attività di trasporto del vino, come di <strong>al</strong>tri prodotti <strong>d<strong>al</strong></strong>la campagna in città, fosse particolarmente<br />

intensa ed ampiamente sostenuta, anche se occorre rilevare che non compare una particolare<br />

serie di provvedimenti espliciti relativi a t<strong>al</strong>e attività nelle sillogi normative comun<strong>al</strong>i bresciane<br />

del XIII secolo, come <strong>al</strong> contrario ci si aspetterebbe, è indirettamente documentato da più di una circostanza.<br />

Occorre rilevare infatti da un lato che, come si ricava <strong>d<strong>al</strong></strong> Liber de Usanciis del comune cittadino,<br />

l’attività mercatoria aveva tra XII e XIII secolo raggiunto volumi di scambi t<strong>al</strong>mente consistenti<br />

da essere autonomamente sottoposta <strong>al</strong> controllo dei «consules mercatorum et merchatendie Brixie<br />

et districtus» ed <strong>al</strong>la loro giurisdizione separata, ancorché riconosciuta e v<strong>al</strong>idata <strong>d<strong>al</strong></strong> consiglio comun<strong>al</strong>e.<br />

È nelle norme di t<strong>al</strong>e organismo, (che tuttavia non ci sono pervenute), che dovettero essere precisate<br />

le disposizioni, cui doveva attenersi ogni mercante, colui cioè che «publice exercet merchatendiam<br />

et qui scriptus sit sua spontanea voluntate in duobus libris, scriptis per unum ex notariis merchatendie,<br />

electum sorte in consilio gener<strong>al</strong>i comunis Brixie, in presentia duorum testium et fide<br />

dignorum». Il libro “De Usanciis”, p. 298. D<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro, che si era fatta assai fiorente l’attività irregolare di<br />

567


568<br />

Il gradu<strong>al</strong>e aumento delle superfici vitate e il numero sempre più ampio di<br />

addetti a questa sorta di “comparto emergente” dell’economia del tempo aveva<br />

fatto sorgere interessi di non facile coordinamento. Cresceva infatti da un lato<br />

l’esigenza della città di disporre di una adeguata e costante fornitura; <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro<br />

quella dei mercatores di aver la disponibilità di un sufficiente quantitativo per corrispondere<br />

<strong>al</strong>la richiesta cittadina; quella dei produttori infine, sia <strong>al</strong>lodieri, che<br />

livellari o titolari di signorie loc<strong>al</strong>i più o meno grandi e potenti, interessati ad<br />

ampliare le proprie vigne e a ricavare <strong>d<strong>al</strong></strong>le medesime la maggior quantità di vino,<br />

consapevoli ormai della potenzi<strong>al</strong>ità di guadagno che da esse poteva derivare.<br />

Di t<strong>al</strong>e consapevolezza c’è riscontro nella seconda metà del XII secolo nell’episodio<br />

che vede protagonista l’esercito di Federico Barbarossa. Durante la<br />

sua seconda discesa in It<strong>al</strong>ia, per intimorire le forze comun<strong>al</strong>i e fiaccarne la resistenza,<br />

i soldati dell’esercito imperi<strong>al</strong>e, giunti nella pianura a sud di Brescia, non<br />

si erano limitati a incendiare e distruggere i villaggi, «etiam arbores decorticavere»,<br />

avevano cioè preso di mira le piante, soprattutto quelle da frutta e i vigneti,<br />

tagliando e distruggendo le viti 67 .<br />

chi tentava di introdurre direttamente in città vari prodotti, compreso il vino, con sotterfugi che cercavano<br />

di s<strong>al</strong>tare ogni obbligo stabilito per il mercator regolarmente iscritto <strong>al</strong>l’apposita matricola<br />

comun<strong>al</strong>e, con grave danno sia per la categoria che per la fisc<strong>al</strong>ità cittadina, creando <strong>al</strong>tresì situazioni<br />

con rilevante profilo pen<strong>al</strong>e e di ordine pubblico, visto che il prodotto trasportato in città e in particolare<br />

l’uva o il vino poteva avere una provenienza furtiva. Per rimediare a t<strong>al</strong>e situazione in una delle<br />

provvisioni contenute negli Statuti Bresciani del XIII secolo, riferibile <strong>al</strong> periodo precedente il 1277, si<br />

prescriveva pertanto l’obbligo per i custodi delle porte di controllare chiunque, non mercante, introduceva<br />

in città prodotti di vario genere per chiarirne la provenienza e, qu<strong>al</strong>ora ne fosse stata accertata<br />

la natura furtiva, procedere <strong>al</strong> sequestro e <strong>al</strong>la riconsegna del m<strong>al</strong>tolto nelle mani dei legittimi proprietari.<br />

Si stabilisce, prima di tutto, che i capitani e i custodi delle porte provvedano di persona, e non<br />

con loro sostituti, a svolgere il loro compito, sia di notte che di giorno; che siano poi obbligati a «detinere<br />

omnes personas adducentes ligna seu fructus seu uvas, rapitias, fenum et p<strong>al</strong>ea contra interdictum<br />

communis Brixie; et illa ligna et fructus conservare et dare illis, quibus fuerit ablata». Statuti Bresciani<br />

del secolo XIII, coll. 1584 (181-182); ARCHETTI, Vigne e vino, pp. 157-158.<br />

67 Ricorda l’episodio un t<strong>al</strong>e Abate Warnico, chiamato a deporre in qu<strong>al</strong>ità di testimone nella vertenza<br />

che sul finire del XII secolo vide contrapposti Gonterio, abate del monastero di San Benedetto di<br />

Leno e Giovanni da Fiumicello, vescovo di Brescia, per i diritti spiritu<strong>al</strong>i e di decima contesi su varie<br />

chiese dipendenti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’abbazia. Attestationes, 1194-1195?, Brescia?, Archivio di Stato di Brescia, Archivio<br />

Storico Civico, Codice Diplomatico Bresciano, nr. 87. Per questo e <strong>al</strong>tri episodi che segnarono il passaggio<br />

nella pianura a nord del Po delle truppe di Federico Barbarossa lasciando distruzione e devastazione<br />

oltre che in territorio di Brescia, anche in quelli di Cremona e di Bergamo: ARCHETTI, Tempus vindemie,<br />

pp. 375-376. Circa t<strong>al</strong>i avvenimenti e più in particolare in merito <strong>al</strong>la vertenza tra abate e vescovo: F.<br />

A. ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, Venezia 1767 (ried anast., con Introduzione, a cura di A.<br />

Baronio, Brescia 1976), pp. 31, 136-187; A. BARONIO, “Monasterium et populus”. Per la storia del contado


Pur provenendo da un mondo più legato <strong>al</strong>la cultura della birra che a quella<br />

della vite e del vino i soldati d’oltr<strong>al</strong>pe dovettero comunque avere chiara la v<strong>al</strong>enza<br />

psicologica dei loro atti sul mor<strong>al</strong>e dei bresciani, gli effetti cioè di un’azione<br />

gravissima non già soltanto per il danno procurato, ma anche perché distruggeva<br />

le architetture di un paesaggio agrario di recente re<strong>al</strong>izzazione, <strong>d<strong>al</strong></strong> qu<strong>al</strong>e gli<br />

uomini del tempo erano ormai abituati a trarre, compiaciuti, non solo la prospettiva<br />

di un concreto tornaconto economico, ma anche la soddisfazione per il<br />

lavoro compiuto 68 . Se a ferire t<strong>al</strong>i sentimenti dovevano mirare anche i colpi por-<br />

lombardo: Leno, Brescia 1984 (Monumenta Brixiae Historica. Fontes, 8), pp. 35-45; G. CONSTABLE,<br />

Monks, Bishops, and Lymen in Rur<strong>al</strong> Lombardy in the Twelfth Century. The Dispute between the Bishop of Brescia<br />

and the Abbot of Leno in 1194-1195, «Bullettino dell’Istituto Storico It<strong>al</strong>iano per il Medio Evo e Archivio<br />

Muratoriano», 99/2 (1994), pp. 79-147, ora in it<strong>al</strong>iano con il titolo: Monaci, vescovi e laici nelle campagne<br />

lombarde del XII secolo, trad. di R. Bellini, in L’abbazia di San Benedetto di Leno. Mille anni nel cuore della<br />

pianura Padana, Atti della giornata di studio (Leno, Villa Seccamani, 26 maggio 2001), a cura di A.<br />

Baronio, «Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia», VII/1-2 (2002), pp. 155-214.<br />

68 Se infatti sono innumerevoli le fonti che danno conto e descrivono, accanto ai danni procurati <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

m<strong>al</strong> tempo, quelli causati <strong>d<strong>al</strong></strong>le violenze e <strong>d<strong>al</strong></strong>le guerre, a t<strong>al</strong> punto che divenne uso consueto introdurre<br />

nei contratti agrari la clausola modificativa o anche sospensiva del canone dovuto, in presenza di<br />

gravi danni <strong>al</strong>le colture e di impossibilità di arrivare <strong>al</strong> raccolto (ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 372<br />

sgg.), nuova dovette essere invece la sensibilità per i danni arrecati <strong>al</strong> paesaggio. T<strong>al</strong>e sentimento nell’XI<br />

secolo doveva accompagnarsi <strong>al</strong>la disperazione per la consapevolezza che il danno economico si<br />

traduceva rapidamente in crisi <strong>al</strong>imentare e carestia come testimoniano non solo le pagine dei cronisti<br />

(RODOLFO IL GLABRO, Storie dell’anno Mille, a cura di G. Cav<strong>al</strong>lo e G. Orlandi, Milano 1989, pp. 215-<br />

217), ma anche i provvedimenti imperi<strong>al</strong>i, motivati spesso <strong>d<strong>al</strong></strong> sommarsi degli effetti determinati <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

c<strong>al</strong>amità natur<strong>al</strong>i a quelli causati <strong>d<strong>al</strong></strong>le distruzioni di un periodo violento e inquieto. Heinrici et Arduini<br />

Diplomata, ed. H. Bresslau, H. Bloch, MGH, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, III, Hannoverae<br />

1900-1903, nr. 32. In proposito: G.M. VARANINI, Vite e vino fra la Germania, il Veneto e il Garda. Qu<strong>al</strong>che<br />

appunto <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti mediev<strong>al</strong>i e rinasciment<strong>al</strong>i, in Storie di vino fra la Germania e il Garda, a cura di L. Bonuzzi,<br />

Verona 1997, pp. 30-32; ARCHETTI, Tempus vindemie, p. 375. Nell’uomo del XII secolo la consapevolezza<br />

per quanto lo circondava era maturata anche a seguito del fatto che intorno <strong>al</strong>le città e anche<br />

nelle aree più distanti del contado, l’azione di conquista dei comuni aveva operato interventi di organizzazione<br />

territori<strong>al</strong>e con azioni di bonifica complesse intorno agli insediamenti dei borghi nuovi, in<br />

modo t<strong>al</strong>e da conferire <strong>al</strong> paesaggio quell’assetto, le cui forme andranno a definirsi completamente nel<br />

XIII secolo, così come si può riscontrare nel dipinto del Buon Governo del Lorenzetti. È proprio nella<br />

rappresentazione che ne fa il pittore senese che il paesaggio, come afferma il Sereni, acquisisce «tutto<br />

il suo autonomo rilievo» (E. SERENI, Storia del paesaggio agrario it<strong>al</strong>iano, Bari 1972, p. 136). Il paesaggio,<br />

insomma, nel suo assetto e nelle forme assunte a seguito dell’intervento umano da un lato si impone<br />

<strong>al</strong> compiacimento e <strong>al</strong> diletto dei contemporanei a t<strong>al</strong> punto da divenire familiare, con la conseguenza<br />

di dover ricorrere non solo <strong>al</strong>la evocazione, nella poesia cav<strong>al</strong>leresca, della selva perigliosa, per<br />

ricreare le forme di un paesaggio epico, nel qu<strong>al</strong>e collocare le imprese dell’eroe cortese, ma anche <strong>al</strong>la<br />

riscoperta del motivo classico del «locus amoenus», nel qu<strong>al</strong>e ambientare il rinnovato successo del<br />

tema della poesia pastor<strong>al</strong>e ad opera soprattutto dei «clerici vagantes», com’è possibile riscontrare nei<br />

569


570<br />

tati contro i vigneti della V<strong>al</strong>tenesi, gravemente danneggiati dagli scontri scaturiti<br />

tra i contrapposti gruppi loc<strong>al</strong>i sostenuti dai veronesi da un lato e dai bresciani<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro nel periodo delle lotte intercittadine dei decenni tra XII e XIII secolo<br />

69 , <strong>al</strong> danno economico dovevano più direttamente guardare i signori di Montichiari<br />

quando sul finire del XII secolo, giudicando due uomini di Redondesco,<br />

t<strong>al</strong>i Barisello e Picenato, accusati di aver tagliato <strong>al</strong>cune viti dei conti, avendoli<br />

trovati colpevoli, ai due condannati «fecerunt erui oculos» 70 .<br />

La vicenda tuttavia deve essere attentamente interpretata. La pena, inverosimilmente<br />

severa, sanziona probabilmente un atto di violenza che si inquadra nelle<br />

dinamiche dei contrasti scoppiati in quel periodo tra conti rur<strong>al</strong>i e vari titolari<br />

di dominati loc<strong>al</strong>i e gli abitanti dei centri sottoposti <strong>al</strong>la loro giurisdizione 71 ,più<br />

che un episodio van<strong>d<strong>al</strong></strong>ico contro l’impianto di un loro vigneto. Sia che v<strong>al</strong>ga l’u-<br />

«Carmina Burana» (CURTIUS, Letteratura europea, pp. 221-226); <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro si trasforma in oggetto di polemico<br />

rifiuto da parte di chi, contestando il modello di vita che era ormai prev<strong>al</strong>so, decide di operare<br />

scelte di contestazione, preferendo una vita di rigore e di povertà, come ci testimonia, a proposito di<br />

Francesco d’Assisi, Tommaso da Celano. A suo dire egli ben sapeva apprezzare la bellezza della natura,<br />

ma era anche consapevole della «loci amoenitas quae ad corrumpendum animi vigorem non<br />

mediocriter potest» e capace quindi di resistervi: «pulcritudinem agrorum, vinearum amoenitas et<br />

quicquid visu pulcrum est, in nullo potuit eum delectare». TOMMASO DA CELANO, Vita prima sancti<br />

Francisci, «An<strong>al</strong>ecta Franciscana», X (1926-1941), pp. 8, 3, 12, 28, 35, 12. Citato anche da LE GOFF, San<br />

Francesco d’Assisi, pp. 161-162.<br />

69 La contrapposizione tra le due fazioni degli abitanti di Padenghe, l’una appoggiata dai bresciani e<br />

dagli abitanti di Lonato, e l’<strong>al</strong>tra dai veronesi, ricomposta in una tregua a seguito dell’intervento del<br />

podestà di Brescia Rufino de Zenuc<strong>al</strong>is, era stata riaccesa con un’azione particolarmente odiosa, quella<br />

compiuta dagli «homines de Patengulis cum hominibus de Verona», i qu<strong>al</strong>i «inciderunt vineas et<br />

olivas et abstulerunt uvas hominum de Patengulis, qui sunt extra terra et de Lonado». Ciò indusse i<br />

rettori bresciani ad intervenire e a condannare gli abitanti di Padenghe, responsabili dei fatti, a rifondere<br />

i danni. ODORICI, Storie bresciane, VIII, p. 27.<br />

70 Ibidem, p. 133.<br />

71 Varie testimonianze danno conto di una tradizione di violenza in zona. Ad esempio quella di Martino,<br />

prete della chiesa di Carzago, uno dei testimoni chiamati a deporre nella vertenza tra Gonterio<br />

e Giovanni da Fiumicello del 1194-1195. Egli ricorda infatti i soprusi e le prepotenze di un t<strong>al</strong>e Algiso<br />

Tignoso, «vexillifer cumultatis vavassorum, qui insimul de variis episcopatibus conspiraverunt»,<br />

impossessatosi con l’inganno della corte di Carzago ai tempi della contessa Matilde: ZACCARIA, Dell’antichissima<br />

badia di Leno, p. 181; BARONIO, Monasterium et populus, pp. 146-148, 153-154; CONSTABLE,<br />

Monks, Bishops, and Laymen, pp. 101-102, 138-139. Oppure la notizia fornita <strong>d<strong>al</strong></strong>l’anonimo autore degli<br />

«Ann<strong>al</strong>es Brixienses», il qu<strong>al</strong>e riferisce degli scontri e della successiva pacificazione intervenuto nel<br />

1123 tra l’abate del monastero di Acquanegra e i milites della zona: «Pax inter monasterium Aquae<br />

Nigrae et militibus de Buzolano et Carawatio». Ann<strong>al</strong>es Brixienses, p. 812.


na o l’<strong>al</strong>tra delle ipotesi, quel che occorre sottolineare, tanto in questo quanto in<br />

tutti gli <strong>al</strong>tri episodi sopra citati, è che l’oggetto contro cui si scaglia la violenza, la<br />

vite organizzata a vigneto, identifica la parte su cui investivano in lavoro e fatica,<br />

ma probabilmente ancor più in attese di resa produttiva livellarii e proprietarii di<br />

quel periodo. Era il loro investimento più esposto e più vulnerabile, contro cui si<br />

dovevano immediatamente indirizzare le azioni di violenza nei contrasti più duri.<br />

Produzione, commercio e consumo di vino a Brescia e Milano: modelli a confronto<br />

Ma la vite, il vigneto e il prodotto fin<strong>al</strong>e, il vino, erano divenuti complessivamente<br />

anche il settore nel qu<strong>al</strong>e si dovevano esercitare pressioni sempre più insistenti<br />

da parte dei proprietari nei confronti dei propri livellari perché aumentassero<br />

le superfici vitate e fossero sempre più attente le loro cure <strong>al</strong>la vigna, così<br />

che fosse garantita la massima produttività delle viti e assicurata la maggior<br />

quantità possibile di vino prodotto 72 . D’<strong>al</strong>tro lato doveva farsi forte in occasione<br />

72 Significativo che la clausola ad meliorandum, tradizion<strong>al</strong>mente esposta nei contratti agrari, si precisi<br />

sempre più in quelli che con sempre maggior frequenza si confezionano nel corso del XII secolo, fino<br />

a trasformarsi in una serie dettagliata di prescrizioni e di doveri per il conduttore. Troviamo un esempio<br />

emblematico nel contratto che la badessa di Santa Giulia sottoscrive il 18 febbraio 1195 con<br />

Alberto de Bonommo. Con t<strong>al</strong>e provvedimento la badessa concede a lui e ai suoi eredi il possesso di un<br />

podere in parte coltivato a grano e in parte tenuto a vigneto collocato «in territorio de Sovignis». Tra<br />

le varie clausole e i numerosi impegni che le controparti decidono di rendere espliciti in forma dettagliata<br />

nel documento, di particolare interesse le specificazioni in merito <strong>al</strong>la cura con cui doveva essere<br />

gestita e lavorata la terra oggetto della concessione. Alberto si impegnava infatti a «predictam tenutam<br />

bene collere et manutenere, ut bonus pater familias, facere zapando, arrando et ledamando et <strong>al</strong>ia<br />

necessaria faciendo» e, in particolare, per quanto atteneva le viti, «eas provanare et ledamare et bene<br />

collere sine fraude». Carta concessionis, 1195 febbraio 18, Brescia, ASMi, PF, S. Giulia, cart. 84. Citato in<br />

ARCHETTI, Tempus vindemie, p. 289, n. 5. Non si trattava certamente di novità. La prassi dei rapporti tra<br />

proprietari e livellari doveva aver da tempo ben definito t<strong>al</strong>i obblighi. Lo testimoniano ad esempio le<br />

prescrizioni contenute nella «Constitutio», dettata dai monaci dell’abbazia svizzera di Muri nell’XI<br />

secolo, con la qu<strong>al</strong>e si dettavano regole dettagliate per la coltivazione della vite. Le disposizioni, a dire<br />

dei monaci, si erano rese indispensabili per evitare di lasciare <strong>al</strong>la libera iniziativa dei coloni la cura della<br />

vite, constatato che gli stessi agivano con negligenza e molto spesso fraudolenter. J.G. ECKARD, Origines<br />

familiae Hasburgo-Austriacae, Leipzig 1721, coll. 230-231; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 306-307.<br />

Quel che risulta nuovo è la frequenza e l’ampiezza, con cui t<strong>al</strong>i prescrizioni sono inserite nei contratti<br />

agrari e nei vari strumenti che precisano i rapporti tra proprietari e coltivatori. Si tratta non soltanto<br />

del manifestarsi di quel processo di form<strong>al</strong>izzazione cum scripto dei rapporti contrattu<strong>al</strong>i che si produce<br />

nella seconda metà del XII secolo, ma anche di quel più stretto controllo dei rapporti di con-<br />

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572<br />

della vendemmia la tentazione del livellario di incrementare a proprio vantaggio<br />

con gli espedienti tradizion<strong>al</strong>i la quota parte di prodotto di propria spettanza 73 .È<br />

infatti quello della regolamentazione dei rapporti tra proprietari e coloni nella<br />

gestione della vite, della vendemmia e della ripartizione dell’uva e, nel caso che il<br />

contratto lo prevedesse, del vino prodotto, l’aspetto che aveva assunto un rilievo<br />

t<strong>al</strong>e da indurre le autorità cittadine ad interventi normativi.<br />

Nel Liber Consuetudinum del comune di Milano i capitoli relativi <strong>al</strong>la vite e <strong>al</strong><br />

vino sono in massima parte compresi nella sezione IV, nella qu<strong>al</strong>e si regolano i<br />

rapporti di locazione e conduzione e si disciplina l’esercizio della giurisdizione<br />

signorile 74 . Con t<strong>al</strong>i norme si prevede l’obbligo per i coloni di custodire, concimare<br />

e governare le viti del signore «ut suas» 75 ; di procedere a tempo debito <strong>al</strong>la<br />

cessione per conseguire un più sicuro controllo della produzione, in particolare di un prodotto con<br />

sempre più <strong>al</strong>to v<strong>al</strong>ore aggiunto come il vino, destinato non già prev<strong>al</strong>entemente <strong>al</strong> consumo del proprietario,<br />

come nel passato, bensì ad <strong>al</strong>imentare la sempre più ampia richiesta del mercato cittadino.<br />

73 Anche per la clausola generica, che prevedeva la necessità di procedere con scrupolo nelle operazioni<br />

di determinazione delle quote parti o di uva o di vino da consegnare ai messi del proprietario,<br />

si constata un’evoluzione. Col diffondersi tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII dell’uso dell’instrumentum,<br />

nella definizione del contratto, il proprietario pretendeva che fosse esplicito il divieto<br />

di ricorrere ai sotterfugi consueti, ben noti per<strong>al</strong>tro, messi in atto per frodare il titolare del fondo,<br />

come nel caso ricordato <strong>d<strong>al</strong></strong> Torelli. In un contratto del monastero di San Benedetto Po della metà<br />

del XIII secolo si stabilisce di procedere facendo uso di tini regolamentari, cioè «de tina convenienti<br />

de VIII semissis de qu<strong>al</strong>ibet tina uvarum», evitando di utilizzare contenitori artefatti o di operare<br />

con procedure scorrette, cioè «faciendo tinam sine <strong>al</strong>iquo sustentaculo lignorum vel fruscarum, nec<br />

opponendo <strong>al</strong>iquid ad uvam tenendam in tina in fraudem faciendi maiorem tinam, ita quod mustum<br />

non exeat de tina sive extra tinam a superiori parte». Citato in G. TORELLI, Un comune cittadino in territorio<br />

ad economia agricola, Mantova 1930, p. 286 n. 2; ARCHETTI, Tempus vindemie, p. 306.<br />

74 Liber Consuetudinum Mediolani anni MCCXVI, a cura di E. Besta, G.L. Barni, Milano 1949, pp. 74-84.<br />

75 Cap. 10. «De vineis quoque laudaverunt ut coloni vineas dominorum ut suas bene custodiant, stercorent<br />

et colant». Ibidem, p. 77. Da notare la sottolineatura da parte del legislatore milanese della<br />

necessità che i coloni si prendano cura della vigna come se le viti fossero di loro proprietà. Neppure<br />

potevano concepire che ci fosse tra di essi chi non curasse <strong>al</strong> meglio quanto deteneva in possesso,<br />

ma la raccomandazione mirava a vincolare il colono ad assumere un atteggiamento di responsabilità<br />

che appariva come una garanzia in più. Per<strong>al</strong>tro la sottolineatura veniva dopo la precisazione fatta nel<br />

cap. 6, relativo <strong>al</strong>l’obbligo previsto per il colono, concessionario di terra di proprietà di due diversi<br />

signori. Anche in quel caso era previsto l’obbligo di concimare e custodire la terra in concessione da<br />

ogni possibile danneggiamento, con la precisazione tuttavia che ciò doveva essere fatto «uti bonus<br />

pater familias». Ibidem, p. 76. Per ottenere il massimo di garanzia e di impegno a far fruttare <strong>al</strong> meglio<br />

il bene dato in concessione, ci si richiama insomma <strong>al</strong> senso di responsabilità che doveva apparire<br />

rappresentato <strong>al</strong> meglio anche a quel tempo nell’atteggiamento proprio del capo famiglia; il qu<strong>al</strong>e, è<br />

noto, custodisce e fa fruttare <strong>al</strong> massimo il bene di cui dispone, proprio perché il guadagno che ne


vendemmia, previa autorizzazione del proprietario e in presenza sua o del suo<br />

missus 76 , <strong>al</strong> fine di procedere, secondo le disposizioni dello stesso, <strong>al</strong> riparto della<br />

metà dell’uva o del vino pigiato, come stabilito a termine di contratto; con la prescrizione<br />

inoltre di non diminuire, per nessuna ragione, la superficie destinata<br />

<strong>al</strong>la vigna 77 . Vi si precisa poi il divieto per tutti gli abitanti del territorio sottoposti<br />

<strong>al</strong>la giurisdizione del comune milanese di vendere l’uva, sia portandola <strong>al</strong><br />

mercato cittadino, sia trasportandola oltre i confini milanesi 78 .<br />

In questi provvedimenti emerge princip<strong>al</strong>mente da un lato la preoccupazione<br />

di dover disciplinare i rapporti tra proprietari e coltivatori, a favore, con tutta evidenza,<br />

dei primi 79 ; <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro la volontà di garantire il flusso costante dell’approvvi-<br />

ricava è destinato non già <strong>al</strong> suo tornaconto esclusivamente person<strong>al</strong>e, ma a quello della sua intera<br />

famiglia. E tuttavia va detto che t<strong>al</strong>i sottolineature evocano in modo esplicito gli echi di un dibattito<br />

che in merito <strong>al</strong>la definizione di uno ius utile del concessionario distinto <strong>d<strong>al</strong></strong>lo ius eminens del proprietario<br />

vede impegnati glossatori e commentatori nel periodo che segna il passaggio tra XII e XIII<br />

secolo e che troverà una appropriata definizione nell’apposita formula notarile elaborata da Ranieri<br />

da Perugia. In proposito: P. GROSSI, Le situazioni re<strong>al</strong>i nell’esperienza giuridica mediev<strong>al</strong>e. Corso di storia del<br />

diritto, Padova 1968, pp. 144 sgg.; ID., L’ordine giuridico mediev<strong>al</strong>e, Roma-Bari 1995, pp. 193, 238-240.<br />

76 Cap. 11. «Quod de presentia domini vel eius missi in fructibus fundorum percipiendis dixerunt. Ita<br />

etiam in uvis colligendis laudaverunt». Liber Consuetudinum, p. 77.<br />

77 «Et medietatem vini, quosque de uvis competenter exprimi possit, arbitrio scilicet dominorum ex<br />

suo decreto dominis concesserunt». Ibidem. Si precisa con questa norma un controllo assai stretto,<br />

che prevede non già soltanto la verifica del quantitativo, confermato nella metà del prodotto, ma<br />

anche l’accertamento della qu<strong>al</strong>ità dell’uva e il controllo delle mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di pigiatura. T<strong>al</strong>e precisazione<br />

doveva creare qu<strong>al</strong>che insofferenza nei coltivatori, che non riusciva ad essere superata <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto<br />

che nel capitolo si provvedesse a precisare, per iscritto, sottraendo la cosa <strong>al</strong>la discrezion<strong>al</strong>ità del rapporto,<br />

la prassi che prevedeva che la puscha, il vinello ottenuto dopo la pigiatura dilavando le graspe<br />

con acqua, fosse di spettanza del conduttore del fondo: «Puscha tamen colono, ultra medietatem<br />

vini, sine fraude conservata». Ibidem, p. 78. Ne sono ben consapevoli i compilatori del Liber, i qu<strong>al</strong>i,<br />

nell’intento di prevenire l’eventu<strong>al</strong>ità che qu<strong>al</strong>cuno resistesse a t<strong>al</strong>i disposizioni, ancor prima che i<br />

coloni si lasciassero tentare <strong>d<strong>al</strong></strong> disimpegno e diminuissero la superficie vitata, con tono perentorio e<br />

un poco minaccioso stabilirono che «Nec liceat eisdem colonis, quasi propter hoc indignatis, terram<br />

vel vineam dimittere». Ibidem, p. 78. Qu<strong>al</strong>ora poi si fosse m<strong>al</strong>auguratamente verificato il contrario, era<br />

stabilito che si procedesse secondo le mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità previste per le <strong>al</strong>tre infrazioni, cioè quantificando il<br />

danno «sub arbitrio iudicantium». Ibidem, p. 77.<br />

78 «Laudaverunt ut ne qui hominum suae iurisdictionis uvas vinearum vendant vel vendendas Mediolanum<br />

vel <strong>al</strong>ibi ducant». Ibidem, p. 78. Si stabiliva <strong>al</strong>tresì che contro i contravventori chiunque potesse<br />

intervenire a sequestrare l’uva trasportata. «Si vero contrafecerint omnibus auferendi eisdem ipsas<br />

uvas licentiam impune concesserunt atque dederunt». Ibidem.<br />

79 Il Lattes, nella sua insuperata an<strong>al</strong>isi del diritto consuetudinario delle città lombarde, sostiene infatti che<br />

«L’autore del Liber Consuetudinum s’ispira <strong>al</strong> principio fondament<strong>al</strong>e del rispetto per le convenzioni ed usi<br />

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574<br />

gionamento di vino <strong>al</strong>la città, mantenendone il monopolio sotto lo stretto controllo<br />

dei proprietari, il tutto in un’ottica dirigistica, monopolistica, interessata più<br />

<strong>al</strong>la minuziosa regolazione dei rapporti con il coltivatore e <strong>al</strong> controllo stretto della<br />

produzione dell’uva 80 , che <strong>al</strong> sostegno e <strong>al</strong>lo sviluppo dell’attività vitivinicola.<br />

Di tono diverso invece le disposizioni adottate dai responsabili del comune<br />

bresciano. In particolare, i provvedimenti assunti a metà del XIII secolo, oltre a<br />

vietare il danneggiamento delle vigne 81 , si concentrano sull’esigenza di rendere<br />

loc<strong>al</strong>i e manifesta insieme anche una notevole tendenza a favorire i proprietari delle terre a preferenza<br />

dei coloni; le stesse consuetudini milanesi ammettono a pregiudizio di questi ultimi <strong>al</strong>cuni divieti contrari<br />

ad <strong>al</strong>tri usi lombardi». A. LATTES, Il diritto consuetudinario delle città lombarde, Milano 1899, p. 306.<br />

80 T<strong>al</strong>e disciplina nel precisare gli obblighi concorreva nel contempo anche a limitare l’arbitrio delle<br />

pretese del proprietario, come nel caso delle indicazioni relative <strong>al</strong>le opere di aratura e di vendemmia<br />

e <strong>al</strong>la disciplina del rapporto nel caso di riparto dell’uva fatto «in vineis». «Nec pro aratura vel vindemiatura<br />

<strong>al</strong>iquid coloni accipiant vel <strong>al</strong>ii tribuant. Et si dominis placuerit, licentiam habeant partiendi in<br />

vineis uvas collectas, ita tamen ut de uvis collectis a massariis et partitis dominis suis expensis vinum<br />

faciant». Liber Consuetudinum, p. 77. In riferimento <strong>al</strong> termine «aratura», il Lattes preferisce intenderlo<br />

come «areatura», nel senso cioè di azione riferita <strong>al</strong> processo di essicazione delle granaglie, anch’esso<br />

obbligatoriamente assicurato <strong>d<strong>al</strong></strong> colono. LATTES, Il diritto consuetudinario, p. 309, n. 106.<br />

81 Di non immediata comprensione la scelta compiuta dai correctores bresciani, quella cioè di inserire nello<br />

statuto l’unico riferimento ad una norma che puniva i danneggiamenti della vite, il divieto cioè di lanciare<br />

pietre nelle vigne, nello stesso capitolo in cui si proibisce di manomettere le mura cittadine e in<br />

particolare quelle del castello, asportando pietre che venivano scagliate sulle case sottostanti. «Item<br />

ordinant correctores quod nullus devastet muros vel circam de castro Brixie nec eiciat lapides in vineis<br />

et domibus sitis circa castrum pena banno viginti imperi<strong>al</strong>ium». Statuti di Brescia, p. 1584 (136). Si<br />

potrebbe arguire che per il resto dei vigneti fosse inv<strong>al</strong>so un rispetto diffuso, t<strong>al</strong>e da non richiedersi la<br />

formulazione di norme in proposito e che il riferimento ai danneggiamenti e la preoccupazione per la<br />

tutela delle vigne collocate in adiacenza <strong>al</strong>le mura, contro le qu<strong>al</strong>i si verificavano le azioni di van<strong>d<strong>al</strong></strong>ismo<br />

rubricate, siano da v<strong>al</strong>utarsi <strong>al</strong>la stessa stregua dell’attenzione riservata ai danneggiamenti <strong>al</strong>le case adiacenti<br />

<strong>al</strong>le mura, non già quindi come re<strong>al</strong>tà produttiva, ma come semplice bene privato da tutelare,<br />

appunto come doveva intendersi la casa. Probabilmente t<strong>al</strong>e atteggiamento trova riscontro nell’ampia<br />

diffusione della vite sia in città che nelle immediate vicinanze, così che la percezione che i contemporanei<br />

ne avevano era quella di un patrimonio, privato sì, ma non esclusivo a t<strong>al</strong> punto da suscitare riv<strong>al</strong>sa<br />

o invidia, oggetto quindi di diffusi episodi di violenza. Che t<strong>al</strong>e fosse il quadro di riferimento, cui<br />

doveva <strong>al</strong>ludere lo statutario, è confermato anche <strong>d<strong>al</strong></strong> richiamo che ad esso viene fatto sul finire degli<br />

anni Settanta del XIII secolo, <strong>al</strong>lorquando i correctores richiamano lo stesso quadro di riferimento e procedono<br />

soltanto ad aggiornare l’ammontare della sanzione: «Item capitulo continenti, quod nullus<br />

devastet muros vel merletos castri Brixie nec eiatiat lapides in clusis vel vineis vel super domos, qui et<br />

que sunt prope dictum murum. Addunt corectores, quod cuilibet destruenti vel vastanti vel facienti<br />

destrui vel vastari dictum murum, imineat bamnum quinquaginta librarum; et cuilibet proicienti lapides<br />

in vineis vel clausis vel super domos predictas imineat bamnum quadraginta soldorum». Ibidem, p.<br />

1584 (228). La situazione tuttavia si modifica celermente. I processi evolutivi della società cittadina ver-


il più libero e agevole possibile il commercio delle derrate e del vino. Lo stesso<br />

podestà si impegna nel 1251 a non imporre <strong>al</strong>cun dazio in tutto il territorio bresciano<br />

sia sul vino che entra che su quello che esce <strong>d<strong>al</strong></strong>la città 82 . E con un provvedimento<br />

di tre anni dopo si stabilisce che il vino possa essere trasportato sia<br />

in città che nel resto del territorio bresciano senza l’apposizione di <strong>al</strong>cun sigillo<br />

83 . Con ulteriore provvedimento si fa divieto ai rettori dei comuni del contado<br />

di porre limiti <strong>al</strong> libero commercio dei prodotti della vite 84 . Non vi è inoltre, in<br />

particolare, traccia di provvedimenti che disciplinino i rapporti tra proprietari e<br />

coltivatori an<strong>al</strong>oghi <strong>al</strong>le disposizioni milanesi. Non sembrano essere le preoccupazioni<br />

dei milanesi una priorità per i bresciani, bensì l’esigenza di liber<strong>al</strong>izzare,<br />

diremmo noi, il settore; di rimuovere ogni ostacolo che ne impedisca la<br />

crescita; di rendere il più agevole possibile la vendita del vino da parte di chi lo<br />

so forme signorili nel corso dell’ultimo scorcio del secolo XIII e gli incipienti segn<strong>al</strong>i di crisi che anticipano<br />

quelli drammatici del XIV secolo inducono infatti fenomeni di violenza che coinvolgono anche<br />

i vigneti, con danneggiamenti che gli statutari, incaricati della stesura della nuova redazione degli Statuti<br />

Bresciani d’impianto signorile, promulgati nel 1313, colpiscono con il dettato della rubrica CXXXI:<br />

«De pena imposita incidentibus vineas <strong>al</strong>icuius persone». Si fissa una multa di 25 lire, da versarsi <strong>al</strong> camparo,<br />

per coloro che avessero recato danno <strong>al</strong>le viti e di 10 lire per coloro che ne danneggiassero gli<br />

<strong>al</strong>beri di sostegno. Il fatto poi che t<strong>al</strong>e multa si raddoppiasse per coloro che compivano t<strong>al</strong>i danneggiamenti<br />

di notte, in spedizioni programmate con l’intento di compiere il maggior danno possibile sfruttando<br />

il favore del buio, la dice lunga sul clima ormai degenerato dei rapporti tra i bresciani. Statuta civitatis<br />

Brixiae MCCCXIII, HPM, XVI, 2, coll. 1683-1684.<br />

82 «Item teneor ego potestas non permittere <strong>al</strong>iquod toloneum accipi de vino eundo per brixianam et<br />

exeundo de civitate». E tuttavia la disposizione podestarile dovette essere disattesa o variamente<br />

interpretata se con un intervento successivo si dovette dare l’interpretazione genuina del dettato e in<br />

particolare si dovette precisare in particolare che il trasporto del vino doveva essere esente anche <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

pontaticum, il pedaggio per il passaggio sui ponti. «Item statutum quod loquitur, quod <strong>al</strong>iquod datium<br />

vel teloneum non accipiatur in <strong>al</strong>iquo loco comunis Brixie etc. Addunt corectores: “non pontaticum”».<br />

Statuti di Brescia, p. 1584 (243).<br />

83 «Item statutum et ordinatum est quod vinum possit conduci per civitatem et totum districtum<br />

Brixie sine sigillo impune. Millesimo ducentesimo quinquagesimo quarto». Ibidem, p. 1584 (177).<br />

84 «Communia vero terrarum brixiane non possint facere statutum nec prohibere quod vinum hominum<br />

brixiane et <strong>al</strong>iarum terrarum brixiane non possint vendi in grossum in sua terra vel vicinis suis<br />

vel <strong>al</strong>iis vel emi ab eis vel conduci in terris suis; et si contrafecerit sit cassum et inutile et communi<br />

Brixie persolvat quolibet comune viginti quinque libras imperi<strong>al</strong>ium quociens contrafecerit». Ibidem.<br />

E più oltre si precisa: «Item ordinant correctores quod, si <strong>al</strong>iqua comunitas brixiane concederet <strong>al</strong>icui<br />

persone quod venderet vel possit vendere vinum in terra sua, quod etiam <strong>al</strong>ii, qui non sunt de dicta<br />

terra habentes vinum in ea, possint vendere et facere vinum vendi suum in ipsa terra; et commune<br />

illius loci vel quisquam <strong>al</strong>ius non possit interdicere hominibus illius lici quin vadant ad bibendum<br />

de illo vino nec eis hominibus bannum imponere vel auferre de dicta causa». Ibidem.<br />

575


576<br />

produce 85 ; di garantirne una scorta adeguata per le esigenze della città 86 ;di favorire<br />

infine le condizioni perché sia più ampia possibile la disponibilità di vino<br />

sul mercato cittadino e più agevole lo scambio con le città vicine 87 .<br />

85 «Item statutum et ordinatum est quod quolibet qui voluerit vendere vinum ad minutum de caneva sua<br />

per se vel per <strong>al</strong>iquem de sua familia, quod vinum habuerit de suis causis aut redditibus propriis, hoc<br />

facere possit sine prestatione <strong>al</strong>icuius pecunie. Ita quidem quod propriis vinis sic venditis nulla ratione<br />

vel casu teneatur neque compellatur ad <strong>al</strong>iquod inde datium persolvendum». Ibidem, p. 1584 (178).<br />

86 Tra gli impegni che il podestà assume nel momento in cui inizia il suo mandato vi è anche quello<br />

di adoperarsi perché non sia disattesa la volontà del consiglio di mantenere adeguate le scorte di vino<br />

sia per la città che per l’intero contado. Così dichiara: «Item teneor facere ad voluntatem conscilii de<br />

vino conservando in civitate et episcopatu». Ibidem.<br />

87 L’incremento dell’attività di commercio di derrate, di materie prime e di beni <strong>d<strong>al</strong></strong> contado verso la<br />

città dovette essere assai consistente nella seconda metà del XIII secolo così da riaccendere vecchi e<br />

nuovi appetiti dei titolari di prerogative signorili sui luoghi di passaggio dei mercatores e di convogliamento<br />

dei prodotti trasportati, dando origine ad abusi non tollerabili né da parte degli operatori del<br />

settore, né da parte dei rettori del comune, unico soggetto titolare del diritto di esigere «dathia et<br />

telonea». Per far chiarezza gli statuti bresciani del 1313 <strong>al</strong> cap. LXIII dettano prescrizioni inequivocabili:<br />

«Item statutum et ordinatum est, quod nullus negotiator seu habitator Brixie masculus vel<br />

femina debeat dare toloneum <strong>al</strong>iquod, nec coraturam, nec ullam dationem eundo, redeundo seu<br />

stando ad mercatum per vias et stratas vel vicos, per plateas aut zapellos, nec pontaticum ad pontes,<br />

nec rivaticum ad ripas aquarum, nec <strong>al</strong>iquis <strong>al</strong>ius homo, qui ducat vel trahat <strong>al</strong>iquod averum <strong>al</strong>icuius<br />

hominis masculi vel feminae praedictae civitatis debeat dare ulli dationem pro illo avero in episcopatu<br />

seu comitatu aut virtute Brixiae, sed libere et franchiter debeant mercatores Brixiae et homines<br />

masculi et femine nec non et illi, qui ducunt seu trahunt averum illorum, ire, redire et stare ad mercatum<br />

ubicumque sint aut vadant vel veniant in episcopatu vel comitatu aut virtute Brixiae per vias<br />

et stratas, per zapellos et plateas, per vicos, per pontes, per aquas et per loca caetera sine ulla datione<br />

pro suprascriptis rebus danda; ita quod nemo masculus vel femina episcopatus seu comitatus aut<br />

virtutis Brixiae exigat ullam dationem pro huiusmodi rebus ab hominibus iam dictae civitatis et ab<br />

hiis, qui ducunt seu trahunt averum ipsorum». Statuta civitatis Brixiae, coll. 1603-1604. Oltre <strong>al</strong>la conferma<br />

di provvedimenti precedenti, ris<strong>al</strong>enti <strong>al</strong> 1246, tesi a tutelare il commercio del legname (cap.<br />

LXIV: «Quod nullum tolomeum vel pedagium auferatur in V<strong>al</strong>trumpia»; cap. LXV: «Quod nullum<br />

datium auferratur <strong>al</strong>icui trahenti lignam superius a Pila versus civitatem»; cap. LXVI: «De non accipiendo<br />

<strong>al</strong>iquod buscaticum sive datium <strong>al</strong>icui civi Brixiae pro lignis montis Gombii». Ibidem, col.<br />

1604), il podestà si impegna a far riassettare la strada per Mantova, «ut mercathendia possit deferri<br />

ab una terra ad <strong>al</strong>iam» (cap. LXVII: «De faciendo assegurari stratam mantuanam», Ibidem), e a garantire<br />

tutti i mercanti bresciani, che svolgevano la loro attività in Lombardia, nel Veneto e in Trentino,<br />

assicurando loro, mediante patti sottoscritti con le città frequentate, la più ampia assistenza. Cap.<br />

LXVIII: «De dando operam quod negotiatores vadant securi. Item tenear dare operam, ut negotiatores<br />

et <strong>al</strong>iae personae Brixiae et virtutis eius vadant securi per Lombardiam et <strong>al</strong>ibi cum avere et personis,<br />

et concordie inde fiant, si discordie sunt; et, ut quilibet nostrae virtutis vel civitatis, qui habet<br />

vel habebit <strong>al</strong>iquid ad petendum <strong>al</strong>iqua de causa in <strong>al</strong>iqua civitate Lombardiae et Marchiae et in Trento,<br />

veniat in suam rationem, quae non fuissent contra statutum». Ibidem.


Verso il dirigismo e la fisc<strong>al</strong>ità signorile<br />

Gli interventi di sapore dirigistico sono semmai quelli che mirano a disciplinarne<br />

la distribuzione e la vendita del vino; a definire gli spazi per la mescita, regolando<br />

in dettaglio le mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di somministrazione <strong>al</strong> pubblico 88 . Il tutto per evitare<br />

contenziosi e problemi di ordine pubblico 89 che le taverne e i luoghi di consumo,<br />

il cui numero aumentava sempre più 90 , finivano col procurare. I rettori<br />

provvedono <strong>al</strong>lora a dettare regole ad hoc fino a prevedere la licenza per colui che<br />

intendesse intraprendere l’attività di venditore di vino. Si stabilisce infatti che t<strong>al</strong>e<br />

attività sia consentita solo a chi si sia presentato davanti <strong>al</strong> rettore del comune e<br />

abbia giurato di non consentire nel suo loc<strong>al</strong>e l’esercizio di giochi proibiti; abbia<br />

dichiarato inoltre di procedere <strong>al</strong>la vendita seguendo le regole che proibiscono la<br />

sofisticazione del prodotto e la contraffazione degli strumenti di mescita e mani-<br />

88 In un provvedimento riferibile agli anni cinquanta del XIII secolo si stabilisce il divieto di <strong>al</strong>lestire<br />

il banco di mescita e gli scranni per gli avventori sulla pubblica via: «Item statuunt et ordinant correctores<br />

quod <strong>al</strong>iquis tabernarius a modo non possit nec debeat tenere extra tabernam, in qua venditur<br />

vinum, in stratis vel viis banchum neque dischum <strong>al</strong>iquem vel scampum nec <strong>al</strong>iquid <strong>al</strong>iud in<br />

fraudem, super quo possit sederi; et si quis contrafecerit bamniatur in decem soldis quociens contrafecerit;<br />

et quilibet sit accusator et habeat medietatem bamni». Statuti di Brescia, p. 1584 (178).<br />

89 Se l’intervento appena sopra indicato doveva obbedire ad esigenze di corretta dislocazione di strutture<br />

di aggregazione soci<strong>al</strong>e tanto importanti per la vita degli abitanti della zona e per le esigenze di<br />

transitabilità della strada su cui si affacciavano e pertanto per il corretto svolgersi della vita cittadina,<br />

quello datato 1233 interveniva a far chiarezza in merito <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità del vino ed <strong>al</strong> contenzioso che a<br />

proposito di varie partite doveva essersi verificato e ripetersi sempre più spesso, non solo tra commercianti<br />

<strong>al</strong>l’ingrosso, ma anche <strong>al</strong> momento della mescita tra taverniere ed avventore. Si stabilisce<br />

infatti che nessuno potesse pretendere di ottenere rimborsi per le tasse versate <strong>al</strong> comune per partite<br />

di vino, adulterato <strong>d<strong>al</strong></strong>la permanenza in contenitori non adatti. Adducendo il fatto che il guasto poteva<br />

essersi verificato in città o nei sobborghi cittadini si avanzava il diritto a riv<strong>al</strong>ersi nei confronti del<br />

comune stesso. Con estrema chiarezza il consiglio cittadino stabilisce: «quod nulli restituatur de cetero<br />

pro communi Brixie dicenti vinum sibi effusum corruptum esse <strong>al</strong>iquo facto interveniente in vegetibus<br />

in civitate vel suburbiis; quod incipit v<strong>al</strong>ere millesimo trigesimo tertio, indictione decima». Ibidem,<br />

p. 1584 (134). L’intervento del comune, assunto con l’intento di s<strong>al</strong>vaguardare non solo gli interessi<br />

pubblici, ma soprattutto quello dei produttori, segn<strong>al</strong>a indirettamente la precaria condizione di tutto<br />

il comparto: del vino prima di tutto, il cui trasporto doveva essere assai pregiudizievole del mantenimento<br />

della qu<strong>al</strong>ità; delle tecniche di invecchiamento, ancora non adeguatamente perfezionate; dell’uso<br />

di contenitori inadatti non già solo per il trasporto, ma anche per la sua conservazione. Si tratta di<br />

situazioni e procedure e dell’uso di strumenti, che rendevano assai complesso il quadro di riferimento<br />

dei parametri di qu<strong>al</strong>ità neppure lontanamente paragonabili a quelli odierni. ARCHETTI, Vigne e vino,<br />

p. 161 e n. 289. In riferimento ai contenitori vinari: ID., Tempus vindemie, pp. 389 sgg.<br />

90 PEYER, Viaggiare nel <strong>Medioevo</strong>, pp. 233 sgg.<br />

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578<br />

festato la volontà di ottemperare a tutte le norme previste esplicitamente dagli<br />

statuti per i tabernarii 91 .<br />

Si tratta – come si può constatare – di norme che disciplinano il settore,<br />

attente a garantirne l’ordinato sviluppo 92 , ma soprattutto preoccupate di mantenere<br />

l’ordine pubblico e di prevenire incidenti che creino difficoltà <strong>al</strong>la convivenza<br />

cittadina 93 , o ancora, per evitare gravi rischi <strong>al</strong>la città stessa, come nel caso<br />

di quella disposizione che vieta di collocare <strong>al</strong>l’esterno della taverna, presso l’ingresso,<br />

rami e frasche a mo’ di richiamo pubblicitario, ma forse anche per creare<br />

ombra e confortevoli spazi di accoglienza per gli avventori; <strong>al</strong>lestimenti che<br />

tuttavia, seccando, potevano costituire facile esca per incendi, oltremodo pericolosi<br />

per una città costituita da edifici in massima parte di legno 94 .<br />

In conclusione. Esaminandoli nel complesso, possiamo constatare che lo<br />

spirito che anima i vari interventi dei rettori bresciani, è ben diverso <strong>d<strong>al</strong></strong>la cifra<br />

91 «Item statuunt et ordinant correctores quod nulla persona possit vel debeat vendere vel vendi facere<br />

in domo sua vel <strong>al</strong>ibi vinum ad minutum nisi primo coram rectore comunis Brixie vel <strong>al</strong>iquo iudicum<br />

eius corpor<strong>al</strong>iter ad sancta Dei evangelia iuraverit et satisdiderit ad voluntatem ipsius rectoris vel<br />

iudicis de non tenendo ludum buscatie, de vendendo et fatiendo vendi vinum bene mensuratum et<br />

cum recta et iusta bozola et de servando et fatiendo familios suos quos fecerit vendere vinum suum<br />

servare et attendere omnia statuta et ordinamenta facta et fienda super tabernariis et <strong>al</strong>iis vendentibus<br />

et fatientibus vendi vinum et eorum occasione; et quilibet persona contrafaciens condempnetur<br />

in centum soldis et non possit nec debeat amplius illo anno vendere nec facere vendi vinum ad minutum;<br />

et quilibet sit accusator et habeat medietatem banni». Statuti di Brescia, p. 1584 (178).<br />

92 Un intervento che segn<strong>al</strong>a l’emergere di una sorta di indirizzo programmatorio nella politica del<br />

comune circa l’apertura di nuove taverne è quello che nel 1254 autorizza gli abitanti di borgo Pile ad<br />

aprire loc<strong>al</strong>i di mescita e di accoglienza per l’ospit<strong>al</strong>ità ai forestieri. «Item statuunt correctores quod<br />

habitantes in burgo de li Pilis possint vendere vinum et hospitari forenses non suspectos nec famosos<br />

non obstante <strong>al</strong>iquo statuto». Ibidem, p. 1584 (185). Emerge anche in questo caso, come si può<br />

notare, la preoccupazione dell’ordine pubblico in quella specificazione riferita ai «forenses non<br />

suspectos nec famosos».<br />

93 Si veda il divieto di ingombrare le strade con i banchi di mescita, con tavoli e sedie collocati <strong>al</strong>l’esterno<br />

della taverna. Si veda sopra n. 88.<br />

94 Si tratta di un provvedimento che entra in vigore nel 1250 con la podesteria di Carzarinus de Alexandris.<br />

«Item statuunt et ordinant correctores quod, cum incepta et damnosa consuetudo excreverit, non presumat<br />

quis per se neque per <strong>al</strong>ium occasione vendendi vinum ponere fruscas vel ramos de arboribus seu<br />

<strong>al</strong>iquam arborem incisam ante ostium <strong>al</strong>icuius domus in via seu <strong>al</strong>ibi nec fruscatas facere in civitate vel<br />

circha nec proinde arbores vel ramos de arboribus suis vel <strong>al</strong>ienis incidere, bamno viginti soldorum<br />

imperi<strong>al</strong>ium quotiens contrafecerit; et quilibet sit accusator et habeat medietatem bamni». Ibidem, p. 1584<br />

(178). In merito le considerazioni di Archetti, il qu<strong>al</strong>e tuttavia attribuisce a t<strong>al</strong>e abitudine una funzione<br />

esclusivamente di richiamo, pubblicitaria insomma. ARCHETTI, Vigne e vino, p. 163.


che caratterizza quelli compiuti dai rettori milanesi. Sono molteplici le possibili<br />

spiegazioni. Si potrebbe pensare a un diverso atteggiamento dettato dai differenti<br />

contesti produttivi: meno ampia la coltura della vite in territorio milanese,<br />

dove la pianura aperta ne rendeva più problematiche le rese produttive 95 ; inoltre<br />

un più strutturato rapporto di potere tra classi dirigenti cittadine e comitatine a<br />

Milano precocemente <strong>al</strong>leate in un più stretto controllo dei concessionari e in un<br />

rinnovato ampliamento di funzioni giurisdizion<strong>al</strong>i sui piccoli proprietari loc<strong>al</strong>i 96 ,<br />

il tutto in funzione di un più ampio controllo dei prodotti del contado e della<br />

loro commerci<strong>al</strong>izzazione e in particolare del vino, la cui non consistente quantità<br />

doveva essere accuratamente convogliata verso la città per soddisfare la crescente<br />

domanda della popolazione milanese 97 .<br />

Più vocato <strong>al</strong> contrario il territorio bresciano con un più ampio insediamento<br />

della vite nella zone lacustri e in quelle collinari che si distendevano fin dentro le<br />

mura cittadine, con una produzione assai cospicua già in parte quindi direttamente<br />

disponibile per gli abitanti della città; verso il cui mercato doveva inoltre poter<br />

convergere la produzione di vino re<strong>al</strong>izzata da quella miriade di <strong>al</strong>lodieri e di livel-<br />

95 Nonostante le indicazioni di Bonvesin de la Riva, il qu<strong>al</strong>e descrive con cifre non verificabili la situazione<br />

della viticoltura milanese e afferma che «nel contado di Milano, quando la vendemmia è buona,<br />

vengono messi in botte più di seicentomila carri di vino l’anno, come afferma chi dice di conoscere<br />

bene la situazione per aver fatto un conto preciso» (BONVESIN DA LA RIVA, De magn<strong>al</strong>ibus Mediolani.<br />

Meraviglie di Milano, a cura di P. Chiesa, Milano 1997, p. 109), si può ben dire che la situazione<br />

fosse t<strong>al</strong>e per cui la presenza della vite segnava in modo preciso il paesaggio sotto la forma della<br />

piantata classica, ma non nei termini di vigneti speci<strong>al</strong>izzati o di diffusione della vite nelle forme che<br />

caratterizzeranno sul finire del XIV secolo il processo di trasformazione coltur<strong>al</strong>e che segna le campagne<br />

milanesi e che vede il superamento «dell’obbligo opprimente della cere<strong>al</strong>icoltura» a favore di<br />

«un più ampio ventaglio di scelte coltur<strong>al</strong>i: vigne, foraggi, boschi da taglio». L. CHIAPPA MAURI, Terra<br />

e uomini nella Lombardia mediev<strong>al</strong>e, Roma-Bari 1997, p. 35.<br />

96 R. ROMEO, Il comune rur<strong>al</strong>e di Origgio nel secolo XIII, con presentazione a cura di C. Violante, Milano<br />

1992, pp. 36 sgg. (già edito col titolo La signoria dell’abate di Sant’Ambrogio di Milano sul comune rur<strong>al</strong>e di<br />

Origgio nel secolo XIII, «Rivista storica it<strong>al</strong>iana», 69 (1957), pp. 340-377, 474-507); G. ANDENNA, Storia<br />

della Lombardia medioev<strong>al</strong>e, Torino 1998, pp. 112-113.<br />

97 Bonvesin da la Riva sostiene che «nel Milanese vivono più di settecentomila bocche umane, fra<br />

uomini e donne, contando con gli adulti anche i bambini» e per quanto riguarda la città afferma che<br />

chi volesse contarle «se farà un c<strong>al</strong>colo completo, arriverà ad un tot<strong>al</strong>e di circa duecentomila». BON-<br />

VESIN DA LA RIVA, De magn<strong>al</strong>ibus Mediolani, p. 87. In merito <strong>al</strong>le cifre fornite da Bonvesin il parere<br />

degli studiosi non è concorde. Da <strong>al</strong>cuni il numero di 200.000 è ritenuto spropositato, mentre per<br />

Racine esso appare verosimile, anche se ridimensionabile a 170.000. P. RACINE, Milan à la fine du XIII e<br />

siècle: 60.000 ou 200.000 habitants?, «Aevum», 58 (1984), pp. 246-253. Per i riferimenti <strong>al</strong>le varie posizioni<br />

in merito: BONVESIN DA LA RIVA, De magn<strong>al</strong>ibus Mediolani, pp. 197-198, 212-213.<br />

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larii del pedemonte e delle prime propaggini della pianura dove la vite trovava terreno<br />

ancora adatto per un prodotto apprezzabile, oltre a quella dei grandi dominati<br />

signorili sia laici che ecclesiastici ben insediati da lungo tempo nelle zone più<br />

adatte <strong>al</strong>la coltura della vite 98 . A t<strong>al</strong>e diverso panorama si riferiscono i provvedimenti<br />

dei rettori bresciani, tesi a facilitare l’attività di una plur<strong>al</strong>ità di produttori, la<br />

cui intraprendenza andava sostenuta e garantita 99 , aiutata a crescere e non già dirigisticamente<br />

strutturata in un assetto di potere che a Milano, anche nello spirito<br />

che informa le norme e gli strumenti giuridici relativi a questo settore 100 , già ne prefigura<br />

il precoce esito signorile della forma che assumerà il governo cittadino;<br />

mentre a Brescia, <strong>al</strong> contrario, evidenzia l’impossibilità tutta bresciana a selezionarsi<br />

un signore e a dotarsi di un assetto di governo signorile stabile e duraturo 101 .<br />

Un’ultima cosa va rilevata. Quel che nel complesso delle norme bresciane<br />

del XIII secolo si constata, a conferma di uno spirito di intraprendenza correttamente<br />

interpretato e sostenuto da chi era chiamato a reggere il comune, è la<br />

mancanza di riferimenti a qu<strong>al</strong>siasi disposizione di carattere fisc<strong>al</strong>e inerente il<br />

comparto vitivinicolo. Bisogna esaminare le disposizioni contenute sia negli statuti<br />

cittadini sia in quelli dei comuni rur<strong>al</strong>i d’epoca signorile per trovare un complesso<br />

di norme nuove tutte fin<strong>al</strong>izzate direttamente o indirettamente a conseguire<br />

oltre agli obiettivi di controllo economico anche quelli di un più stretto<br />

accurato prelievo fisc<strong>al</strong>e 102 . Compaiono <strong>al</strong>lora disposizioni che stabiliscono rigi-<br />

98 ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 229-286.<br />

99 Emblematico il provvedimento adottato nel 1254 e poi confermato nel 1277. Vi si ribadisce una<br />

pari dignità tra concessionario e concedente. A nessuno dei due è legittimamente consentito di essere<br />

inadempiente rispetto <strong>al</strong> contratto sottoscritto. Da notare che l’ammontare dell’ammenda non<br />

varia sia nel caso che si tratti del colono che del proprietario. Così recita infatti: «Item ordinant correctores<br />

quod si <strong>al</strong>iquis colonus laboraverit terram <strong>al</strong>icuius et non consignaverit nec dederit partem<br />

frugum domino terre, incidat in pena decem soldorum imperi<strong>al</strong>ium et eadem penam solvat dominus<br />

terre si negaverit habuisse suam partem frugum et postea reperiretur quod habuisset suam partem<br />

de frugibus illius terre». Statuti di Brescia, p. 1584 (255).<br />

100 CHIAPPA MAURI, Terra e uomini, pp. 29-35.<br />

101 G. ZANETTI, Le signorie (1313-1426), in Storia di Brescia, I, pp. 825-839.<br />

102 Se negli statuti bresciani del 1313 da un lato sono ancora riproposte norme che dovevano garantire<br />

e facilitare il movimento delle merci, come quelle che prevedevano la protezione per chi era<br />

addetto <strong>al</strong> trasporto di derrate <strong>al</strong>imentari (cap. CII. «Quod plaustra et boves cum victu<strong>al</strong>ibus possint<br />

secure cum determinatis personis venire ad civitatem». Statuta civitatis Brixiae, col. 1830) e il divieto<br />

del loro arresto (cap. CV: «Quod conducens victu<strong>al</strong>ia non possit detineri». Ibidem, col. 1770), <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro<br />

sono minuziosamente indicate disposizioni che sottopongono a controllo ogni operazione com-


damente il periodo durante il qu<strong>al</strong>e è consentito procedere <strong>al</strong>la vendemmia 103 ;<br />

<strong>al</strong>tre che definiscono le eccezioni che prevedono il permesso di cogliere l’uva<br />

solo per uso person<strong>al</strong>e 104 ; <strong>al</strong>tre che dispongono il rigido controllo <strong>al</strong>le porte del-<br />

merci<strong>al</strong>e. In esse (capp. CCXXXIII-CCCLXII, Ibidem, coll. 1713-1718) si stabilisce infatti che le<br />

merci provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong> contado, debitamente fornite di sigillum onde evitare il sequestro, seguano percorsi<br />

prestabiliti ed entrino in città soltanto attraverso le porte di Torrelunga e di San Giovanni, attraverso<br />

le qu<strong>al</strong>i devono passare anche quelle in uscita <strong>d<strong>al</strong></strong>la città. Alle porte i conducenti debbono pagare<br />

il teloneo prestabilito (cap. CCCXXXV, Ibidem, coll. 1713-1714) <strong>al</strong> notaio preposto, sotto il controllo<br />

dei custodes portarum, i qu<strong>al</strong>i controllano la regolarità delle merci e il corretto dimensionamento<br />

dei colli soprattutto per il trasporto del ferro (capp. CCXLII-CCLVIII, Ibidem, coll. 1715-1717) e per<br />

i qu<strong>al</strong>i sono previste gravi multe se non rilevano le infrazioni e le denunciano, arrestando i responsabili,<br />

ai «domini tolomei vel sui nuncii», incaricati di accertare l’infrazione e di comunicarla <strong>al</strong> podestà<br />

per la sanzione. Cap. CCXXXIII: «De omni mercathendia de qua solvitur tolomeum introducenda<br />

et exportanda tanto per duas portas». Ibidem, col. 1713. Se da un lato inoltre si stabilisce il<br />

divieto di aggiotaggio e di «facere monopolia» (cap. LXXXIII: «Quod <strong>al</strong>iqui non audeant facere<br />

monopolia», Ibidem, col. 1824), <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro dobbiamo constatare che non vi troviamo specifiche determinazioni<br />

circa il commercio del vino, mentre si stabilisce il numero delle taverne che possono essere<br />

aperte nei vari villaggi del contado dove poterlo vendere (cap. XCVI: «Quae tabernae debeant<br />

teneri in terris Brixianae et quae non». Ibidem, col. 1828) e si dettano regole severe per definire luoghi<br />

e mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di mescita. In proposito si stabilisce il divieto di usare contenitori diversi dai prescritti,<br />

ciò <strong>al</strong> fine di determinare preventivamente l’esatto costo per il compratore del vino che aveva<br />

richiesto ed evitare contenziosi delicati e controproducenti per la quiete pubblica. Il cap. CIV del<br />

Liber Quartus de Extraordinariis degli statuti del 1313 così recita: «Item quod nulla persona audeat vel<br />

praesumat vendere nec dare vinum ad minutum in civitate Brixiae cum cuppis, becheriis vel moyolis<br />

<strong>al</strong>icui personae, nec tenere in canipa in qua venditur vinum, <strong>al</strong>iquam cuppam, becherium, zaynam vel<br />

moyolum vel <strong>al</strong>iquod <strong>al</strong>iud vas de quo congrue possit bibi, sed solomodo g<strong>al</strong>etham, bozolam et<br />

mediam bozolam et tortirolum poena et banno cuilibet contrafacienti pro qu<strong>al</strong>ibet vice XL soldorum».<br />

Ibidem, coll. 1867-1868. Alla stessa stregua si comportano gli autori delle norme statutarie dei<br />

comuni rur<strong>al</strong>i. Tra i tanti esempi quello di Orzinuovi. Negli Statuti del 1341 di quel comune il cap.<br />

LXXXXVIIII stabilisce «quod omnes tabernarii et vendentes vinum ad minutum in terra et districtu<br />

castri de Urceis teneantur et debeant vendere et mensurare vinum quod vendunt cum bozola recta<br />

et bolata de vitreo bullo comunis; que bozola sit et esse debeat ampla in sumitate tria digita et non<br />

plus et illa bene implere»; inoltre gli stessi «teneantur et debeant facere exclamari dictum vinum et<br />

precium ipsius vini per castrum de Urceis per miliaria dicti comunis et post dictam exclamationem<br />

non audeant nec presument vendere dictum vinum nisi ad dictum precium exclamatum». Al cap. C<br />

quindi si ribadisce «quod <strong>al</strong>iquis tabernarius vendens vinum ad minutum non audeat nec debeat<br />

tenere in tabernis suis <strong>al</strong>iquam copam vel moyolum vel <strong>al</strong>iquam <strong>al</strong>iam mensuram ad vendendum<br />

vinum tenentes minus bozolle (…) et insuper dictus tabernarius amitat copas, moyoles vel <strong>al</strong>ias mensuras».<br />

Statuti di Orzinuovi dell’anno MCCCXLI, in Statuti rur<strong>al</strong>i bresciani del secolo XIV, a cura di B.<br />

Nogara, R. Cessi, G. Bonelli, Milano 1927 (Corpus Statutorum It<strong>al</strong>icorum, 10), p. 237.<br />

103 Negli Statuti del comune di Alfiano, corte di Santa Giulia di Brescia, promulgati nel 1306 <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

badessa Ramburzia de Muro, <strong>al</strong> cap. 71 è stabilito che nessun residente ad Alfiano possa vendemmiare<br />

nella propria vigna «usque ad festum sancte Marie de vendumia». Statuta et ordinationes terre de Alfiano,<br />

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582<br />

la città dei carichi di uva e vino destinati <strong>al</strong> mercato cittadino 105 ; <strong>al</strong>tre infine che<br />

disciplinano meticolosamente l’attività dei tavernieri 106 , impongono loro la bollatura<br />

da parte dei gabellatori del vino acquistato per la mescita e compiono periodici<br />

controlli della quantità, della qu<strong>al</strong>ità e delle mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di somministrazione di<br />

a cura di A. Baronio, V. Leoni, in A. BARONIO, Gli statuti del comune di Alfiano, corte del monastero di S. Giulia<br />

di Brescia, «Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia», V/1-2 (2000), p. 104. An<strong>al</strong>ogamente<br />

gli statuti di Orzinuovi, nei qu<strong>al</strong>i si stabilisce che è fatto divieto di vendemmiare prima di quella<br />

festa e che tuttavia spetta <strong>al</strong> consiglio gener<strong>al</strong>e stabilire la data, che tutti erano obbligati a rispettare,<br />

pena una multa di 10 soldi e l’impossibilità di trasportare l’uva entro le mura del castello. Statuti di Orzinuovi,<br />

p. 254. In merito <strong>al</strong>la data, indicata come termine perentorio anche negli statuti delle loc<strong>al</strong>ità collinari<br />

e lacustri del territorio bresciano, si vedano gli esempi presi in considerazione in ARCHETTI,<br />

Vigne e vino, p. 161. Inoltre, piu in gener<strong>al</strong>e, circa le motivazioni di t<strong>al</strong>i disposizioni, tese a garantire sia<br />

il proprietario del fondo che il colono nel momento più delicato del loro rapporto, si vedano le considerazioni<br />

di TOUBERT, Les statuts communaux, p. 473 a cui vanno aggiunti i riferimenti bibliografici<br />

presenti nel cit. contributo di Gabriele Archetti.<br />

104 Cap. LXXXX: «Item statutum et ordinatum est quod non sit <strong>al</strong>iquis qui audeat vindemiare <strong>al</strong>iquid<br />

de suis uvis nec de <strong>al</strong>iis, neque vindemiari facere super territorio de Tign<strong>al</strong>i usque ad tempus infrascriptum<br />

sub pena soldorum V planet pro quaque quarta uvarum. Excepto quod omnis familia in<br />

dicto comuni possit vindemiare unam quartam uvarum a quatuor diebus intrante mense septembris<br />

sine predicta pena, habendo tamen licentiam a domino vicario vel consule sue deganie seu quadre.<br />

Et primo dicendo». Statuti del comune di Tign<strong>al</strong>e (1467), a cura di A. Masetti Zannini, Brescia 1989, p.<br />

101. An<strong>al</strong>oga deroga negli Statuti di Anfo. Statuti rur<strong>al</strong>i di Anfo, Darfo e Darzo dei secoli XV-XVI, a cura<br />

di U. Vaglia, Brescia 1969, p. 68. Di particolare interesse l’indicazione, riferita da Archetti, della<br />

disposizione prevista a Rodengo, nella qu<strong>al</strong>e si stabilisce un’ammenda e la rifusione del danno per chi<br />

coglierà più di due grappoli d’uva <strong>al</strong> giorno per persona. Se t<strong>al</strong>e prescrizione evoca immediatamente<br />

quella contenuta nell’editto di Rotari, ipirata <strong>al</strong>lora a principi di solidarietà diffusa, accolta per questo<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> re nel suo provvedimento, si vede bene come qui l’intervento sia animato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esclusivo intento<br />

di s<strong>al</strong>vaguardare il bene nella sua più completa integrità a tutela degli interessi del proprietario del<br />

fondo. ARCHETTI, Vigne e vino, p. 162, n. 291.<br />

105 Vedi sopra n. 102.<br />

106 Stabiliscono l’orario di chiusura delle taverne e il divieto per il taverniere di versare vino dopo il<br />

suono prestabilito della campana non solo agli avventori presenti nella taverna, ma anche a quelli<br />

che si attardano nei pressi. A Bovegno infatti il cap. CXXX così recita: «Quod nullus tabernarius<br />

audeat nec presumat dare vinum <strong>al</strong>icui persone existenti in taberna, nec in circumstantiis illius<br />

taberne, post sonum campane qui pulsatur in sero». Statuti di Bovegno, p. 61. In quasi tutti gli statuti<br />

troviamo poi esplicito divieto ai tavernieri di permettere il gioco d’azzardo. Gli statuti di Bovegno,<br />

che presentano un organico complesso di norme relative <strong>al</strong> vino, così rubricano il cap. 122: «Quod<br />

tabernarii non permittant ludere in tabernis». Ibidem, p. 62, cap. 122. A Brescia si fa <strong>al</strong>tresì divieto ai<br />

tavernieri di prestare danaro agli avventori, ma soprattutto ai giocatori: «Quod tabernarii non<br />

faciant credentiam filiis familias». Statuta civitatis Brixiae, col. 1770. A tutela infine degli stessi tavernieri<br />

si dettano regole per gli avventori che non pagano il conto. Negli statuti di Cimmo il cap. 90<br />

porta la seguente rubrica: «De pena imposita separantibus a brigata, in qua biberint vel comederint,


quello venduto nelle taverne 107 . Ma questa, delle nuove norme relative <strong>al</strong>la vite e<br />

<strong>al</strong> vino che compaiono negli statuti di epoca signorile e del diverso rapporto che<br />

si instaura tra le nuove forme assunte <strong>d<strong>al</strong></strong> potere e questo settore sempre più rilevante<br />

nell’economia del tempo, è vicenda che supera i limiti cronologici di questa<br />

indagine e presenta connotati propri, quasi completamente inesplorati per<br />

l’area della Lombardia orient<strong>al</strong>e.<br />

nisi prius solverint vel hemaverint suam partem expensarum». Statuti di Cimmo dell’anno MCC-<br />

CLXXII, in Statuti rur<strong>al</strong>i bresciani, p. 162.<br />

107 Gli statuti di Bovegno e Cimmo sono tra i più dettagliati nel dettare le norme in proposito. Si tratta<br />

di due comuni dell’<strong>al</strong>ta v<strong>al</strong>le Trompia, che importavano <strong>d<strong>al</strong></strong>la Franciacorta il vino necessario <strong>al</strong>le<br />

rispettive comunità. ARCHETTI, Vigne e vino, p. 165, n. 298. Era pertanto indispensabile assicurarne la<br />

costante disponibilità e la corretta distribuzione, sia per garantirne la qu<strong>al</strong>ità, ma anche per permettere<br />

la corretta esazione della gabella stabilita. Si procedeva <strong>al</strong>lora <strong>al</strong>l’elezione dei componenti l’ufficio<br />

delle gabelle e se ne dettavano le regole di comportamento, cap. 93: «De ellectione gabelatorum<br />

et de pena imposita ipsis gabelatoribus non bene facientibus officium suum». Statuti di Cimmo, p. 163.<br />

Ad essi dovevano rivolgersi i tavernieri per ottenere la bollatura del vino, per accertarne quantità e<br />

qu<strong>al</strong>ità. Impegnarsi quindi a mettere in vendita esclusivamente il vino gabellato e rivolgersi comunque<br />

ai gabellatori per qu<strong>al</strong>siasi variazione si fosse resa necessaria. Cap. 91: «De pena imposita aspinantibus<br />

vel vendentibus vinum non gabelatum et ponentibus sive addentibus vinum <strong>al</strong>iud in vino<br />

gabelato». Ibidem, p. 162. Dovevano quindi somministrare <strong>al</strong>l’avventore il vino richiesto esclusivamente<br />

con i contenitori prescritti (cap. 127: «De mensurando vinum cum bociola et media bociola».<br />

Statuti di Bovegno, p. 63), regolarmente bollati dai gabellatori (cap. 125: «Quod tabernarii teneantur<br />

tenere mensuras bolatas», Ibidem), evitando di aumentarne il prezzo. Cap. 120: «De non vendendo<br />

vinum ultra precium constitutum», Ibidem, p. 62. In merito a questo complesso di norme e a quelle<br />

degli <strong>al</strong>tri statuti rur<strong>al</strong>i del territorio bresciano relative <strong>al</strong> vino in un assetto d’impianto signorile, fin<strong>al</strong>izzate<br />

oltre che a regolare l’attività degli addetti <strong>al</strong> settore per fini economici, ma anche per esigenze<br />

di ordine pubblico, ma soprattutto per esigenze di ordine fisc<strong>al</strong>e, si vedano le considerazioni svolte<br />

da ARCHETTI, Vigne e vino, pp. 164-165. Più in gener<strong>al</strong>e, con un’attenzione particolare <strong>al</strong>l’area piemontese:<br />

R. GRECI, Il commercio del vino negli statuti comun<strong>al</strong>i di area piemontese, in Vigne e vini nel Piemonte<br />

mediev<strong>al</strong>e, pp. 245-280.<br />

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ANTONIO IVAN PINI*<br />

Il vino del ricco e il vino del povero<br />

Vino del ricco e vino del povero 1 . Una dicotomia ben poco sfumata che riecheggia<br />

il linguaggio evangelico (i poveri e i ricchi, i dannati e gli eletti) ma anche<br />

marxista (i servi e i padroni) e che ric<strong>al</strong>ca il titolo di un bel libro di Anna Maria<br />

Nada Patrone uscito circa vent’anni fa col titolo Il cibo del ricco ed il cibo del povero 2 .<br />

In t<strong>al</strong>e libro si parla ovviamente anche di vino, limitando però il discorso <strong>al</strong> territorio<br />

piemontese e ai secoli del basso-medioevo.<br />

Il tema del vino del povero e vino del ricco – sarebbe però forse più corretto<br />

dire del vino comune e del vino di lusso – non conosce confini geografici e<br />

limiti cronologici ma s’estende <strong>d<strong>al</strong></strong> buio dei millenni quando Noè, stando <strong>al</strong>la<br />

Genesi, scoprì l’effetto euforizzante, ancor prima che nutritivo, della fermenta-<br />

1 Sulla vitivinicoltura mediev<strong>al</strong>e it<strong>al</strong>iana la bibliografia si è fatta in questi ultimi decenni molto ricca.<br />

Per un bilancio degli studi sino <strong>al</strong> 1989, cfr. A.I. PINI, La viticulture it<strong>al</strong>ienne au Moyen Age: recherches et<br />

acquis de l’historiographie récente, in Le vigneron, la viticulture et la vinification en Europe Occident<strong>al</strong>e au Moyen<br />

Age et à l’Europe Moderne, Bordeaux 1991, pp. 67-91 (il saggio è apparso anche in traduz. it. col titolo<br />

Il medioevo nel bicchiere. La vite e il vino nella medievistica it<strong>al</strong>iana degli ultimi decenni, «Quaderni mediev<strong>al</strong>i»,<br />

29 (1990), pp. 6-38 (ora anche in ID., Campagne bolognesi. Le radici agrarie di una metropoli mediev<strong>al</strong>e, Firenze<br />

1993, pp. 221-251). Opere classiche restano comunque A. MARESCALCHI,G.DALMASSO, Storia della<br />

vite e del vino in It<strong>al</strong>ia, voll. 3, Milano 1931-1937 ed i saggi raccolti in F. MELIS, I vini it<strong>al</strong>iani nel medioevo,<br />

a cura di A. Affortunati Parrini, Firenze 1984. Tra gli studi più recenti, cfr. Il vino nell’economia e nella<br />

società mediev<strong>al</strong>e e moderna, Atti del convegno (Greve in Chianti, 21-24 maggio 1987), Firenze 1989;<br />

A.I. PINI, Vite e vino nel medioevo, Bologna 1989; Vigne e vini nel Piemonte mediev<strong>al</strong>e, a cura di R. Comba,<br />

Cuneo 1990; D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino. <strong>Fonti</strong> e problemi della vitivinicoltura it<strong>al</strong>iana mediev<strong>al</strong>e, a cura di J.L. Gaulin e<br />

A.J. Grieco, Bologna 1994; G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa<br />

mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998; La vite e il vino. Storia e diritto (secoli XI-XIX), Atti del convegno (Alghero, 28-<br />

31 ottobre 1998), a cura di M. Da Passano, A. Mattone et <strong>al</strong>ii, voll. 2, Roma 2000.<br />

2 A.M. NADA PATRONE, Il cibo del ricco ed il cibo del povero. Contributo <strong>al</strong>la storia qu<strong>al</strong>itativa dell’<strong>al</strong>imentazione.<br />

L’area pedemontana negli ultimi secoli del Medio Evo, Torino 1981.<br />

* Università degli Studi di Bologna († 2003).<br />

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586<br />

zione dell’uva, sino ai giorni nostri. Date le mie competenze specifiche di storico<br />

del medioevo, limiterò il discorso <strong>al</strong> solo ambito it<strong>al</strong>iano e pressoché solo<br />

<strong>al</strong>l’età mediev<strong>al</strong>e.<br />

Vino del povero e vino del ricco sono, come già detto, una dicotomia. Una<br />

dicotomia in cui uno dei due termini acquista un significato, prende “corpo” –<br />

per usare una tipica espressione vinicola – solo di riflesso <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro. Chi è il buono?<br />

Chi non è cattivo, cioè non fa il m<strong>al</strong>e. Cos’è la pace? La mancanza della guerra.<br />

Cos’è la felicità? Proprio su questo tema si è tenuto di recente un convegno internazion<strong>al</strong>e<br />

di filosofi. La loro conclusione non si è discostata molto da quanto<br />

dicevano già Budda, Schopenauer e Leopardi, cioè che la felicità è la fine del dolore,<br />

la quiete dopo la tempesta. E chi è <strong>al</strong>lora il povero? Colui che non può permettersi<br />

quello che si permette il ricco. Tutto questo per dire che un discorso sui<br />

vini del povero e vini del ricco, per qu<strong>al</strong>siasi periodo storico lo si affronti e per<br />

qu<strong>al</strong>siasi regione geografica è, immancabilmente, un discorso tutto incentrato sui<br />

vini del ricco, sui vini cosiddetti pregiati, sui vini di lusso. Vini che non sono però<br />

sempre gli stessi, ma cambiano di volta in volta le loro peculiarità per un complesso<br />

di fattori che riflettono forse più la cultura, la religione, la moda, il gusto<br />

del loro tempo, che l’effettivo progredire delle tecniche <strong>vitivinicole</strong>, le congiunture<br />

economiche o l’evoluzione dei mezzi di trasporto. È quasi superfluo a questo<br />

punto ricordare come la diffusione della viticoltura si sia estesa grazie <strong>al</strong> cristianesimo<br />

3 – che del vino aveva fatto un elemento sacr<strong>al</strong>e nei suoi riti – nelle regioni<br />

più inadatte del nord Europa (ad esempio l’Inghilterra), mentre spariva completamente<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le regioni pur vocazion<strong>al</strong>i mediterranee dove si era però propagata<br />

la religione islamica che vietava drasticamente l’uso delle bevande fermentate 4 .<br />

In età romana, <strong>al</strong>meno a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà del II secolo avanti Cristo, il consumo<br />

del vino si era fatto sempre più consistente, estendendosi pian piano a tutte<br />

le classi soci<strong>al</strong>i e persino agli schiavi. L’uso gener<strong>al</strong>izzato del prodotto ebbe<br />

come conseguenza – come avviene con tutti i generi ed in tutte le epoche – una<br />

3 Cfr. D. RIGAUX, Le sang du Rédempteur, in Le Pressoir Mistique, Actes du Colloque, Paris 1990, pp. 57-67.<br />

4 Sulla diffusione della viticoltura in area europea in età mediev<strong>al</strong>e, cfr. il ponderoso volume di G.<br />

ARCHETTI, Tempus vindemie, cit. Sull’introduzione e la successiva scomparsa, nel corso del XII secolo,<br />

della viticoltura in Inghilterra, cfr. E. HYAMS, The Grape Wine in England, London 1949, e il contributo<br />

recente di K.U. JÄSCHKE, Englands Weinwirtschaft in Antike und Mittel<strong>al</strong>ter, in Weinwirtschaft in Mittel<strong>al</strong>ter.<br />

Zur Verbreitung Region<strong>al</strong>isierung und Wirtschaftlichen Nutzung einer Sonderkultur aus der Römerzeit, a<br />

cura di C. Schrenk, H. Weckbach, Heilbronn 1997 (Quellen und Forschungen zur Geschichte der<br />

Stadt Heilbronn, 9), pp. 256-387.


distinzione netta tra il prodotto comune, accessibile a tutti, ed il prodotto pregiato<br />

e di lusso riservato solo ai ricchi e ai potenti. Plinio, in età augustea, era già<br />

in grado di distinguere nella sua Natur<strong>al</strong>is Historia, oltre <strong>al</strong> Cecubo, <strong>al</strong> F<strong>al</strong>erno e <strong>al</strong><br />

Mamertino, <strong>al</strong>tri 80 «vina nobilia», di cui a suo parere, <strong>al</strong>meno due terzi si producevano<br />

in It<strong>al</strong>ia, anche se i migliori di tutti restavano sempre quelli greci 5 .<br />

Il quadro cambiò tot<strong>al</strong>mente con le invasioni barbariche e con la caduta dell’impero<br />

romano. Per tutto l’<strong>al</strong>to medioevo la viticoltura restò limitata a piccoli<br />

spazi, ben recintati e protetti, appena <strong>al</strong> di fuori, quando non addirittura <strong>al</strong>l’interno,<br />

di città ormai in profonda decadenza o in aperta campagna nei pressi dei<br />

grandi monasteri o delle loro celle annonarie 6 . A questo punto il vino – usato<br />

ormai solo nei riti religiosi, per la farmacopea e per il consumo dei nobili e dei<br />

ricchi – non aveva più bisogno di distinguersi con un nome proprio, che ne indicasse<br />

il vitigno o la provenienza. Bastava dire “vino” per indicare un prodotto di<br />

prestigio, una merce di lusso, un genere riservato <strong>al</strong>le classi dominanti 7 .<br />

La ripresa della viticoltura occident<strong>al</strong>e, che ha inizio con l’età carolingia (VIII-<br />

IX secolo), e che vede impegnati soprattutto i monaci e i vescovi, ma poi anche i<br />

signori laici, torna a gener<strong>al</strong>izzarsi in età comun<strong>al</strong>e (XII-XIII secolo), quando l’elemento<br />

mercantile e artigian<strong>al</strong>e urbano fa del consumo del vino un segno tangibile<br />

della sua ascesa soci<strong>al</strong>e, e a t<strong>al</strong>e scopo è disponibile ad investire parte dei propri<br />

capit<strong>al</strong>i nelle campagne per diffondere la viticoltura 8 . Il bere vino – e non solo<br />

acqua o latte o idromele o succhi di frutti fermentati (mele cotogne, more di rovo,<br />

5 PLINIO IL VECCHIO, Natur<strong>al</strong>is Historia, lib. XIV. Sul vino in età romana, cfr. A. TCHERNIA, Le vin de l’It<strong>al</strong>ie<br />

romaine. Essai d’histoire d’après les amphores, Rome 1986; H. JOHNSON, Il vino. Storia, tradizione, cultura,<br />

Padova 1991; T. UNWIN, Storia del vino. Geografie, culture e miti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità ai giorni nostri, Roma 1993.<br />

6 Sulla vitivinicoltura nell’<strong>al</strong>to <strong>Medioevo</strong>, cfr. I. IMBERCIADORI, Vite e vigna nell’<strong>al</strong>to <strong>Medioevo</strong>, in Agricoltura<br />

e mondo rur<strong>al</strong>e in Occidente nell’Alto <strong>Medioevo</strong>, Atti della XIII Settimana del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to<br />

medioevo, Spoleto 1966, pp. 307-342 [ora anche in ID., Miscellanea, «Rivista di storia dell’agricoltura»,<br />

23 (1983), pp. 189-218]; A.I. PINI, Vite e olivo nell’<strong>al</strong>to <strong>Medioevo</strong>, in L’ambiente veget<strong>al</strong>e nell’Alto <strong>Medioevo</strong>,<br />

Atti della XXXVII Settimana del Centro it<strong>al</strong>iano di studi sull’<strong>al</strong>to medioevo, Spoleto 1990, pp. 329-<br />

380 (ora anche in ID., Campagne bolognesi, pp. 183-219); ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 175-228.<br />

7 Da segn<strong>al</strong>are, a questo proposito, M. MONTANARI, L’<strong>al</strong>imentazione contadina nell’<strong>al</strong>to <strong>Medioevo</strong>, Napoli<br />

1979; ID., Campagne mediev<strong>al</strong>i. Strutture produttive, rapporti di lavoro, sis<strong>temi</strong> <strong>al</strong>imentari, Torino 1984; ID.,<br />

Alimentazione e cultura nel <strong>Medioevo</strong>, Bari 1988.<br />

8 Il massimo della diffusione capillare della viticoltura va posto nella prima metà del XIV secolo, prima<br />

cioè della peste del 1348, com’è documentato molto bene in Ch. M. DE LA RONCIÉRE, Le vignoble<br />

florentin et ses trasformation au XIV e siècle, in Le vin au Moyen Age: production et producteurs, s.l. 1978, pp.<br />

125-161; ID., Prix et s<strong>al</strong>aires à Florence au XIV e siècle (1280-1380), Rome 1982; ARCHETTI, Tempus vindemie,<br />

pp. 229-286.<br />

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588<br />

prugne selvatiche, frutti di sambuco) – ridiviene un uso gener<strong>al</strong>izzato <strong>al</strong>meno nelle<br />

città nel corso del Duecento 9 . Tra le tante testimonianze che si potrebbero portare<br />

<strong>al</strong> riguardo due mi sembrano particolarmente significative. Una è la ripresa da<br />

parte dei santi del miracolo classico della trasformazione dell’acqua in vino, per<br />

rispondere ad un’attesa frustrata da contingenze avverse (carestie, condizioni climatiche<br />

sfavorevoli, eventi bellici, ecc.) – ma di questo ho già trattato in <strong>al</strong>tra occasione<br />

e di questo parla Paolo Tomea nel presente volume 10 –; l’<strong>al</strong>tra è la testimonianza<br />

della distribuzione quotidiana di razioni di vino anche negli ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i dei<br />

poveri e dei bambini abbandonati, se pur a costoro con vini molto annacquati 11 .<br />

Tornato ad essere il vino un genere di consumo gener<strong>al</strong>izzato, e non più di per<br />

sé solo, uno status symbol, i ricchi andarono a cercarsi vini, i qu<strong>al</strong>i, provenendo da<br />

lontano e già per questo molto dispendiosi per l’<strong>al</strong>to costo dei trasporti e gli innumerevoli<br />

dazi, conferissero adeguato prestigio a chi poteva permettersi di consumarli.<br />

Ad assecondare questa operazione, ma in parte anche a promuoverla, furono<br />

i mercanti, già usi da tempo ad importare <strong>d<strong>al</strong></strong> Levante spezie, sete, gioielli, icone<br />

e reliquie di santi, tutti generi di elevato v<strong>al</strong>ore e dunque di pregio. Per la verità<br />

il vino “ultramarino” o “navigato”, come sarà poi spesso definito nei documenti,<br />

accusava un notevole handicap rispetto <strong>al</strong>le <strong>al</strong>tre merci “orient<strong>al</strong>i”: era una merce già<br />

di per sé pesante e voluminosa che si poteva trasportare solo con recipienti <strong>al</strong>trettanto<br />

pesanti e voluminosi come le botti e i caratelli di legno, che ormai avevano<br />

completamente sostituito le anfore e i dolia di terracotta d’età romana 12 .<br />

9 Sull’entità dei consumi vinicoli in età pieno e tardomediev<strong>al</strong>e in una grande città qu<strong>al</strong> era la Bologna<br />

del tempo, cfr. A.I. PINI, La viticoltura it<strong>al</strong>iana nel Medio Evo. Coltura della vite e consumo del vino a Bologna<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> X <strong>al</strong> XV secolo, «Studi mediev<strong>al</strong>i», s.3, 15 (1974), pp. 795-884 (ora anche in ID., Vite e vino nel<br />

<strong>Medioevo</strong>, pp. 51-145). Per Firenze, cfr. F. MELIS, Il consumo del vino a Firenze nei decenni attorno <strong>al</strong> 1400,<br />

in ID., I vini it<strong>al</strong>iani nel <strong>Medioevo</strong>, pp. 31-96. Per la Toscana in genere, cfr. D. BALESTRACCI, Il consumo del<br />

vino nella Toscana bassomediev<strong>al</strong>e, in Il vino nell’economia e nella società it<strong>al</strong>iana, pp. 13-29. Per il Piemonte,<br />

cfr. A. NADA PATRONE, Il consumo del vino nella società pedemontana del tardo medioevo, in Vigne e vini nel Piemonte<br />

mediev<strong>al</strong>e, pp. 281-299. Per il Veneto, cfr. Il vino nel medioevo da fonti veronesi e venete, a cura di G.<br />

Maroso e G.M. Varanini, Verona 1984.<br />

10 Cfr. A.I. PINI, Miracoli del vino e santi bevitori nell’It<strong>al</strong>ia d’età comun<strong>al</strong>e, in La vite e il vino. Storia e diritto,<br />

pp. 367-382; P. TOMEA, Il vino nell’agiografia: elementi topici e aspetti soci<strong>al</strong>i, in questo stesso volume.<br />

11 Cfr., per tutti, M.F. BARONI, L’Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e della Carità di Novara. Il codice “Vetus”. Documenti dei secoli XII-<br />

XIV, Novara 1985. Quanto ai bambini, l’Albini (cfr. infra n. 30) sconsigliava di far loro bere vino se<br />

inferiori ai cinque mesi, e in ogni caso servirglielo “linphatum” e solo a pasto sino ai 14 anni.<br />

12 Sul problema dei contenitori-standard utilizzati nei trasporti mediev<strong>al</strong>i, cfr. A.I. PINI, Alimentazione, trasporti,<br />

fisc<strong>al</strong>ità: i “containers” mediev<strong>al</strong>i, «Archeologia mediev<strong>al</strong>e», 8 (1981), pp. 173-182 (ora anche in ID., Vite<br />

e vino nel <strong>Medioevo</strong>, pp. 171-184). Ma cfr. anche il saggio di Hannelore Zug Tucci cit. <strong>al</strong>la nota 20.


Il vino “orient<strong>al</strong>e”, che sarà poi genericamente definito “vino di Romanìa”<br />

perché proveniente dai territori dell’Impero romano d’Oriente, cioè <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Impero<br />

bizantino, poteva viaggiare a costi non proibitivi solo per via d’acqua, ma anche<br />

qui con navi <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stivaggio ancora molto limitato. Giunto ai porti dei grandi<br />

empori commerci<strong>al</strong>i del tempo (Genova, Pisa, Venezia), ris<strong>al</strong>iva, se possibile, i<br />

fiumi su chiatte a fondo basso per poi essere trasferito su carri trainati da buoi o<br />

in piccole botticelle caricate a soma sui muli. Tra spese di trasporto e vari tipi di<br />

dazi il prezzo di questi vini “di Romanìa” (tra cui più tardi si distinguerà il vino<br />

di Creta e il vino libanese di Tiro, il cui commercio verrà in gran parte monopolizzato<br />

dai Veneziani) s<strong>al</strong>iva <strong>al</strong>le stelle. Si è potuto c<strong>al</strong>colare che una partita di<br />

vino partita da un porto del Levante raddoppiava il suo prezzo per giungere per<br />

via mare a Venezia, poi ancora lo raddoppiava se trasportato per via fluvi<strong>al</strong>e a<br />

Bologna (ca. 150 Km), poi nuovamente raddoppiava se condotto su carri per via<br />

di terra a Reggio Emilia o a Faenza (ca. 60 Km). Non deve <strong>al</strong>lora stupire il fatto<br />

che gli statuti di molte città vietassero l’importazione di vini prodotti <strong>al</strong> di fuori<br />

dei loro distretti, facendo però quasi sempre eccezione per pochi vini di lusso<br />

destinati in teoria ai m<strong>al</strong>ati (pro egritudine), ma in re<strong>al</strong>tà destinati <strong>al</strong>la tavola dei<br />

componenti di quelle classi aristocratiche, o comunque dirigenti, che detenevano<br />

il potere politico nelle città e cercavano adeguate forme per gratificarsi e per<br />

esternare il loro prestigio così nell’abbigliamento come nell’<strong>al</strong>imentazione, e dettavano<br />

ovviamente anche le regole statutarie dei rispettivi comuni 13 .<br />

Se il vino che dà prestigio, il vino di lusso, il vino del ricco deve essere per<br />

forza di cose un vino costoso, anzi il più costoso di tutti, i vini “navigati” provenienti<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> Levante rispondevano sicuramente a questa peculiarità 14 . Ma a sua vol-<br />

13 Sui divieti d’importazione del vino, cfr. G.M. VARANINI, Aspetti della produzione e del commercio del vino<br />

nel Veneto <strong>al</strong>la fine del <strong>Medioevo</strong>, in Il vino nell’economia e nella società it<strong>al</strong>iana, pp. 61-89; B. ANDREOLLI, Produzione<br />

e commercio del vino trentino tra <strong>Medioevo</strong> ed Età moderna, ibid., pp. 91-107; A. CORTONESI, Vini e commercio<br />

vinicolo nel Lazio mediev<strong>al</strong>e, ibid., pp. 129-146 (ora anche in ID., Il lavoro del contadino. Uomini, tecniche,<br />

colture nella Tuscia tardo-mediev<strong>al</strong>e, Bologna 1988, pp. 81-99); G. VITOLO, Produzione e commercio del vino<br />

nel Mezzogiorno, ibid., pp. 147-155; R.M. DENTICI BUCCELLATO, Produzione, commercio e consumo del vino nella<br />

Sicilia mediev<strong>al</strong>e, ibid., pp. 157-167; R. GRECI, Il commercio del vino negli statuti comun<strong>al</strong>i di area piemontese,<br />

in Vigne e vini nel Piemonte mediev<strong>al</strong>e, pp. 245-280; E. ORLANDO, Coltura vitivinicola, consumo e commercio del<br />

vino: il contributo degli statuti comun<strong>al</strong>i veneti, in La vite e il vino. Storia e diritto, pp. 71-107.<br />

14 Si è potuto c<strong>al</strong>colare che i vini di lusso erano venduti, sullo stesso mercato, <strong>d<strong>al</strong></strong>le 7 <strong>al</strong>le 9 volte tanto<br />

il vino comune (A.M. PULT QUAGLIA, La legislazione del vino nella Toscana moderna, in La vite e il vino.<br />

Storia e diritto, pp. 209-227, a p. 213; E. BASSO, I Genovesi e il commercio del vino nel tardo medioevo, ibid., pp.<br />

439-452, a p. 444).<br />

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590<br />

ta il consumo <strong>al</strong>imentare dettato inizi<strong>al</strong>mente e in gran parte <strong>d<strong>al</strong></strong>la volontà, ma<br />

anche <strong>d<strong>al</strong></strong>la necessità, di esternare il proprio prestigio, il proprio potere, la propria<br />

ricchezza, finì col creare, come spesso accade, un nuovo gusto, una nuova<br />

moda. I vini che venivano <strong>d<strong>al</strong></strong> Levante erano vini forti, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>ta gradazione <strong>al</strong>colica,<br />

gli unici per<strong>al</strong>tro adatti <strong>al</strong> trasporto e <strong>al</strong>l’invecchiamento. Il gusto orient<strong>al</strong>e,<br />

che si era andato consolidando nel corso dei secoli, li preferiva bianchi, dolciastri<br />

e liquorosi, non di rado arricchiti con spezie ed essenze profumate, e fu<br />

appunto questo il gusto che conquistò anche l’It<strong>al</strong>ia e l’Occidente per oltre tre<br />

secoli, <strong>d<strong>al</strong></strong> Duecento <strong>al</strong> Quattrocento.<br />

Il commercio dei vini di Romanìa, che diveniva via via più <strong>al</strong>lettante nel corso<br />

del Duecento per l’<strong>al</strong>largarsi della fascia dei consumatori di ceto non più solo<br />

nobiliare ed ecclesiastico, ma anche mercantile e ricco borghese, finì per diventare<br />

un monopolio veneziano dopo la presa di Costantinopoli nel 1204 e la creazione<br />

dell’Impero latino d’Oriente. Genova, temporaneamente del tutto esclusa<br />

da quel mercato, corse ai ripari in due modi: da un lato v<strong>al</strong>orizzando e promovendo<br />

il consumo di un vino che si produceva nel suo dominio, la vernaccia delle<br />

Cinque Terre 15 , che per colore, <strong>al</strong>ta gradazione, odore profumato e sapore dolce<br />

poteva paragonarsi, se non proprio competere con i vini di Romanìa, e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro<br />

organizzando il commercio di un vino meridion<strong>al</strong>e che si produceva in<br />

quella zona della C<strong>al</strong>abria rimasta per secoli e secoli sotto il dominio bizantino e<br />

che si ricavava da una viticoltura a suo tempo promossa da monaci di lingua e di<br />

rito greco e dai gusti bizantineggianti.<br />

È questa, a mio parere, la spiegazione più convincente per spiegare quella<br />

denominazione di vino “greco” che comincia ad apparire nella documentazione<br />

it<strong>al</strong>iana di metà Duecento, in contrapposizione a volte col vino detto “latino”.<br />

Cosa fosse in re<strong>al</strong>tà il vino “greco” è problema che ha assillato molti studiosi<br />

di storia della vite e del vino 16 . Per citarne solo un paio, ricorderemo<br />

15 Vernazza è infatti una loc<strong>al</strong>ità delle Cinque Terre passata sotto il dominio di Genova nel 1209. Il<br />

vino veniva comunque imbarcato nella vicina Corniglia, motivo per cui i documenti parlano per lo<br />

più di “vernaccia di Corniglia”. Il Melis ha avuto modo di contrastare con efficacia l’ipotesi del Dion<br />

(cfr. infra n. 42) che riteneva la vernaccia (in francese granache) un vino spagnolo che s’imbarcava a<br />

Granada. Sulla vernaccia ligure, cfr. L. BALLETTO, Vini tipici della Liguria tra <strong>Medioevo</strong> ed Età moderna, in<br />

Il vino nell’economia e nella società it<strong>al</strong>iana, pp. 109-128; G.P. GASPARINI, Le Cinque Terre e la Vernaccia: un<br />

esempio di sviluppo agricolo medioev<strong>al</strong>e, «Rivista di storia dell’agricoltura», 2 (1992), pp. 113-141.<br />

16 Scriveva, ancora pochi anni fa Giovanni Cherubini: «Per quanto possa sembrare strano, non mi<br />

pare sia stato ancora chiarito con sicurezza che cosa s’intendesse con “vino greco”» (G. CHER<strong>UBI</strong>NI,<br />

I prodotti della terra: olio e vino, in Terra e uomini nel Mezzogiorno normanno-svevo, Bari 1987, p. 206).


Federigo Melis, grande storico dell’economia mediev<strong>al</strong>e e della vinicoltura del<br />

tempo, il qu<strong>al</strong>e, assodato che il vino greco era sicuramente un vino bianco,<br />

<strong>al</strong>tamente <strong>al</strong>colico e <strong>d<strong>al</strong></strong> sapore dolce, confessava poi l’impossibilità di accertarne<br />

con sicurezza <strong>al</strong>tre peculiarità, come il vitigno d’origine, la zona precisa<br />

di produzione, le tecniche particolari di vinificazione, l’origine della specifica<br />

denominazione 17 . Eppure era lo stesso Melis che aveva individuato in Tropea,<br />

nella parte di C<strong>al</strong>abria già bizantina, il porto d’imbarco del vino che veniva poi<br />

convogliato su Napoli e da qui imbarcato dai genovesi e dai pisani per essere<br />

ridistribuito un po’ dovunque nei porti del Mediterraneo occident<strong>al</strong>e, ma<br />

anche Oltreappennino ed oltre le Alpi 18 . Il secondo studioso a cui mi riferisco<br />

non è uno storico, ma un linguista, il tedesco Thomas Hohnerlein-Buchinger<br />

che ha pubblicato di recente un volume <strong>d<strong>al</strong></strong> titolo Per un sublessico vitivinicolo 19<br />

dove raccoglie tutte le più antiche o più significative testimonianze scritte su<br />

circa 150 nomi di viti e di vini it<strong>al</strong>iani, cercandone la zona d’origine e di diffusione,<br />

oltre che a darne o tentare di darne una corretta spiegazione etimologica.<br />

A proposito del vino “greco” l’Hohnerlein-Buchinger sostiene che t<strong>al</strong>e<br />

nome deriva <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che la sua produzione avveniva in quella zona d’It<strong>al</strong>ia<br />

meridion<strong>al</strong>e già chiamata “Magna Grecia” e con vitigni probabilmente importati<br />

in quella zona sin dai tempi della colonizzazione greca del V-IV secolo<br />

avanti Cristo. L’ipotesi, a mio parere, non regge, sia perché non ci sono testimonianze<br />

d’età romana che parlino di vini chiamati “greco” prodotti nell’It<strong>al</strong>ia<br />

meridion<strong>al</strong>e, sia perché una continuità di coltivazione e di gusti gastronomici<br />

tra l’età preromana e l’<strong>al</strong>to medioevo è assolutamente impensabile. L’ipotesi<br />

invece regge – nel senso che la denominazione di quel vino pregiato deriva<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la sua zona di produzione e non da un particolare vitigno – se si dà <strong>al</strong> termine<br />

“greco” il significato specifico che t<strong>al</strong>e termine ebbe in Occidente in età<br />

mediev<strong>al</strong>e, dove “greco” equiv<strong>al</strong>eva a “bizantino”.<br />

Il vino “greco” dunque prendeva nome <strong>d<strong>al</strong></strong>le zone di produzione, territori<br />

rimasti ininterrottamente bizantini sino ai tempi della conquista normanna, e<br />

17 F. MELIS, Produzione e commercio dei vini it<strong>al</strong>iani (con particolare riguardo <strong>al</strong>la Toscana) nei secoli XIII-XVIII,<br />

«Ann<strong>al</strong>es cis<strong>al</strong>pines d’histoire soci<strong>al</strong>e», s.1, 3 (1972), pp. 107-133 (ora anche in ID., I vini it<strong>al</strong>iani,p.22).<br />

18 F. MELIS, La grande defluenza di vino c<strong>al</strong>abrese attraverso Tropea nel Tre-Quattrocento, in ID., I vini it<strong>al</strong>iani,<br />

pp. 97-104.<br />

19 TH. HOHNERLEIN-BUCHINGER, Per un sublessico vitivinicolo. La storia materi<strong>al</strong>e e linguistica di <strong>al</strong>cuni nomi<br />

di viti e vini it<strong>al</strong>iani, Tübingen 1996 (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, 274).<br />

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dunque latina, della fine dell’XI secolo 20 . T<strong>al</strong>i territori erano la C<strong>al</strong>abria meridion<strong>al</strong>e<br />

(dove si trova appunto Tropea), ma anche Napoli e la zona del Vesuvio da<br />

cui proverrà per secoli un particolare tipo di vino greco detto di Somma. Ma se<br />

il nome prendeva origine <strong>d<strong>al</strong></strong>le zone di produzione, il vino di t<strong>al</strong> nome aveva poi<br />

caratteristiche ben precise di forte <strong>al</strong>colicità, di gusto moscato e di particolare<br />

dolcezza, del tutto paragonabili ai vini di effettiva produzione greco-levantina<br />

come i già ricordati vini di Romanìa (a volte precisati come vino di Chio, vino di<br />

Lesbo, vino di Tiro, vino di Creta).<br />

Ma nel corso del Trecento s’impose in It<strong>al</strong>ia un nuovo tipo di vino “levantino”.<br />

Si trattava sempre di un vino bianco, forte, liquoroso, <strong>d<strong>al</strong></strong> sapore dolcissimo,<br />

ma <strong>d<strong>al</strong></strong>la gradazione ancora più <strong>al</strong>ta (anche 16-18 gradi) dei precedenti. Era la m<strong>al</strong>vasia,<br />

che prendeva nome da Monembasia, nel Pelopponneso, che non era però<br />

l’effettiva zona di produzione di t<strong>al</strong>e vino (che risulta essere prodotto soprattutto<br />

a Creta), ma il porto di stoccaggio su cui Venezia faceva a quei tempi confluire tutte<br />

le sue navi operanti nel Levante e poi dirette <strong>al</strong> mercato di Ri<strong>al</strong>to 21 . In ogni caso,<br />

la m<strong>al</strong>vasia s’impose ben presto come il vino più reputato dei secoli bassomediev<strong>al</strong>i<br />

22 . Un vino particolarmente nobile se è vero quanto riportano le cronache<br />

inglesi, poi riprese in una tragedia di Shakespeare e in una novella del Bandello, che<br />

il re d’Inghilterra Edoardo IV avrebbe fatto uccidere suo fratello, il duca di Clarence,<br />

accusato di <strong>al</strong>to tradimento, facendolo affogare in una botte di m<strong>al</strong>vasia. Per<br />

<strong>al</strong>tri cronisti sarebbe stato invece lo stesso duca di Clarence, una volta condanna-<br />

20 A t<strong>al</strong>e conclusione era già giunta la Zug Tucci quando scriveva: «I vini “greci” – inizi<strong>al</strong>mente denominati<br />

così perché originari delle regioni d’insediamento greco, poi in senso lato, per designare la qu<strong>al</strong>ità<br />

che li contraddistingueva – si caratterizzavano per la dolcezza, l’<strong>al</strong>to grado <strong>al</strong>colico e quindi la maggiore<br />

durevolezza nei confronti dei vini “latini”, e inoltre per la minore sensibilità agli effetti dei lunghi<br />

tragitti marittimi» (H. ZUG TUCCI, Un aspetto trascurato del commercio mediev<strong>al</strong>e del vino, in Studi in memoria di<br />

Federigo Melis, III, Napoli 1978, p. 315). Purtroppo la Zug Tucci non diradava completamente l’equivoco<br />

non giungendo a precisare che per «regioni d’insediamento greco» (in teoria le stesse isole dell’Egeo<br />

o le coste del Levante) andavano intese <strong>al</strong>cune regioni it<strong>al</strong>iane di secolare dominazione “bizantina” e<br />

cioè la parte centr<strong>al</strong>e e meridion<strong>al</strong>e della C<strong>al</strong>abria e <strong>al</strong>cuni territori della Campania.<br />

21 Cfr.U.TUCCI, Le commerce venetienne du vin de Crete, in Maritime food transport, a cura di K. Fridland,<br />

Köln-Weimar-Wien 1994, pp. 184-211; ID., Il commercio del vino nell’economia cretese, in Venezia e Creta,<br />

Atti del convegno, Padova 1998, pp. 194-211.<br />

22 Cfr.P.MICHELI, D<strong>al</strong>la vernaccia <strong>al</strong>la m<strong>al</strong>vasia, «Enotria», apr. 1924, pp. 110 sgg. Sul colore della m<strong>al</strong>vasia,<br />

a differenza della Nada Patrone che lo descrive come «rosso e frizzante» (Il cibo del ricco e il cibo<br />

del povero, p. 432), tutte le più antiche testimonianze lo danno per un vino “bianco”, e solo <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Ottocento<br />

in poi – e in riferimento a m<strong>al</strong>vasie non greche, ma nostrane – anche come vino “rosso” o<br />

“nero” (HOHNERLEIN-BUCHINGER, Per un sublessico vitivinicolo, p. 75).


to a morte, a scegliersi questa nobile ed euforizzante uscita di scena 23 . A completare<br />

la lista dei vini di lusso, che appaiono spesso nominati negli statuti cittadini<br />

e nelle tariffe daziarie del Due e Trecento e che sono ricordati ed es<strong>al</strong>tati anche<br />

da cronisti come fra S<strong>al</strong>imbene de Adam 24 e da poeti e novellieri a partire da Folgore<br />

da San Gimignano 25 a metà del ’200 per giungere sino <strong>al</strong> Boccaccio 26 ed <strong>al</strong><br />

Sercambi 27 agli inizi del ’400, bisogna ricordare <strong>al</strong>meno <strong>al</strong>tri due vini: la ribolla ed<br />

il trebbiano. La prima, di probabile origine friulana o istriana, è ancora una volta<br />

un vino bianco, dolce, forte ma meno <strong>al</strong>colico della m<strong>al</strong>vasia. Il secondo, per<br />

l’ennesima volta bianco, ma secco, austero, con un gusto un po’ aspro ma tutt’<strong>al</strong>tro<br />

che disdicevole, è il trebbiano di probabile origine toscana, ma già <strong>al</strong>lora diffuso<br />

in molte regioni it<strong>al</strong>iane.<br />

Pur se non ci fu una frontiera precisa che ne separasse la distribuzione commerci<strong>al</strong>e,<br />

i vini di lusso d’età comun<strong>al</strong>e si distribuivano sui mercati it<strong>al</strong>iani del<br />

tempo, seguendo la logica delle più convenienti vie di trasporto e dei princip<strong>al</strong>i<br />

attori del traffico internazion<strong>al</strong>e. Mentre la m<strong>al</strong>vasia, il vino di Creta, i vini di<br />

Romanìa e la ribolla erano commerciati e distribuiti soprattutto dai veneziani, la<br />

vernaccia, il greco ed il trebbiano erano commerciati soprattutto dai genovesi e<br />

dai pisani e più tardi anche dai fiorentini 28 .<br />

Ma frattanto – ma siamo già nel Trecento inoltrato – <strong>d<strong>al</strong></strong>l’anonima produzione<br />

loc<strong>al</strong>e, dai vini ancora solo distinti <strong>d<strong>al</strong></strong> colore (l’<strong>al</strong>bum, il bianco o il vermilium,il<br />

rosso), <strong>d<strong>al</strong></strong> sapore (dulce o bruscum) oppure <strong>d<strong>al</strong></strong> terreno di produzione (vinum de pla-<br />

23 W. SHAKESPEARE, Riccardo III, atto I, scena IV («Take that, and that! If <strong>al</strong>l this will not do, I’ll drown<br />

you in the m<strong>al</strong>msey-butt within»); MATTEO BANDELLO, Novelle, parte II, nov. XXXVII («Si sa <strong>al</strong>tresì<br />

che Riccardo re fece annegar il duca di Clocestre suo zio, essendo a C<strong>al</strong>es, in un vaso di m<strong>al</strong>vagia. Ma<br />

poco durò la sua tirannide, perché Enrico settimo lo cacciò <strong>d<strong>al</strong></strong> regno e combattendo fu ammazzato»).<br />

24 Cfr. L. MESSEDAGLIA, Leggendo la “Cronica” di frate S<strong>al</strong>imbene da Parma. Note per la storia economica e del<br />

costume nel secolo XIII, «Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», 103 (1943-44), pp. 351-426.<br />

25 Cfr. Poeti giocosi del tempo di Dante, a cura di M. Marti, Milano 1956.<br />

26 È noto come nel paese di Bengodi fantasticato in una novella del Boccaccio si bevesse solo vernaccia:<br />

«e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia della migliore che mai si bevve, senza avervi<br />

entro gocciol d’acqua» (GIOVANNI BOCCACCIO, Decamerone, VIII, 3).<br />

27 G. SERCAMBI, Novelle, a cura di G. Sinicropi, Bari 1972, p. 288: «le danze cominciate e venuti frutti<br />

e confezioni con vini grechi in abundanzia».<br />

28 Se ne ha conferma nei manu<strong>al</strong>i di mercatura fiorentini e veneziani del tempo. Cfr. FRANCESCO BAL-<br />

DUCCI PEGOLOTTI, La pratica della mercatura, ed. A. Evans, Cambridge Mass. 1936 (rist. New York<br />

1970); F. BORLANDI, El libro di mercatantie et usanze de’ paesi, Torino 1936 (Documenti e studi per la storia<br />

del commercio e del diritto commerci<strong>al</strong>e it<strong>al</strong>iano, 7).<br />

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no, vinum de monte), si distaccano <strong>al</strong>cuni tipi di vino che prendono gener<strong>al</strong>mente il<br />

loro nome o <strong>d<strong>al</strong></strong> nome del vitigno o da quello dell’uva e vengono senz’<strong>al</strong>tro stimati<br />

di qu<strong>al</strong>ità, anche se la loro fama resta racchiusa per lo più ad ambiti loc<strong>al</strong>i o<br />

<strong>al</strong> massimo region<strong>al</strong>i 29 . Non rientrano certo nei due circuiti classici dei vini dei ricchi<br />

e dei vini dei poveri, ma sono di fatto il vino dei benestanti ed anche dei s<strong>al</strong>utisti,<br />

quelli cioè più consigliati dai trattati di medicina, tutti concordi nel condannare<br />

i vini di lusso perché troppo carichi e “fumosi” 30 , ma tutti concordi anche nel<br />

consigliare ai m<strong>al</strong>ati vini di qu<strong>al</strong>ità, sul presupposto – v<strong>al</strong>ido in ogni epoca – che<br />

ciò che è particolarmente costoso debba anche far bene a chi lo consuma.<br />

Questi vini di pregio, senza voler qui fare una rassegna completa, sono i vari<br />

tipi di moscatello, prodotti in diverse regioni d’It<strong>al</strong>ia, il nebbiolo e l’arneis piemontesi,<br />

il razzese ligure, il groppello lombardo ed in particolare della Franciacorta<br />

31 , lo schiavo del lombardo-veneto, il garganigo e il marzemino veneti, il<br />

refosco friulano, il chianti bianco toscano 32 , il lacrima e il fiano o faiano della<br />

Campania, il gaglioppo dell’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e. Alcuni vini sono poi evidenti clonazioni<br />

– cioè vitigni importati – dei più famosi vini di lusso: così la vernaccia di<br />

Cellatica nel Bresciano 33 , la vernaccia di S. Gimignano, la ribolla di Imola 34 , il gre-<br />

29 Sui princip<strong>al</strong>i vitigni coltivati in It<strong>al</strong>ia agli inizi del Trecento si sofferma, com’è noto, il Liber rur<strong>al</strong>ium<br />

commodorum, trattato agronomico del bolognese Pier de’ Crescenzi, su cui cfr. J.-L. GAULIN, Sur le vin<br />

au Moyen Age. Pietro de’ Crescenzi lecteur et utilisateur des “Géoponiques” traduites par Burgundio de Pise, «Melanges<br />

de l’Ecole française de Rome», 96 (1984), pp. 95-127; ID., Tipologia e qu<strong>al</strong>ità dei vini in <strong>al</strong>cuni trattati<br />

di agronomia it<strong>al</strong>iana (sec. XIV-XVII), in D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino, pp. 59-83; inoltre, per un quadro aggiornato,<br />

ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 435-475. Per un’an<strong>al</strong>isi completa della trattatistica agronomica antica e<br />

mediev<strong>al</strong>e, cfr. A. SALTINI, Storia delle scienze agrarie, I, D<strong>al</strong>le origini <strong>al</strong> Rinascimento, Bologna 1984.<br />

30 Così si esprimeva, a metà del Trecento, il medico piemontese Giacomo Albini, <strong>al</strong> servizio dei principi<br />

Savoia-Acaia. Cfr. G. CARBONELLI, Il “De sanitatis custodia” di maestro Giacomo Albini di Monc<strong>al</strong>ieri,<br />

con <strong>al</strong>tri documenti sulla storia della medicina negli stati sabaudi nei secoli XIV e XV, Pinerolo 1906. Ma vedi<br />

anche B. PLATINA, Il piacere onesto e la buona s<strong>al</strong>ute, a cura di E. Faccioli, Torino 1985. Per una discussione<br />

di questi trattati, cfr. A.M. NADA PATRONE, Trattati medici, diete e regimi <strong>al</strong>imentari in ambito pedemontano<br />

<strong>al</strong>la fine del Medio Evo, «Archeologia mediev<strong>al</strong>e», 8 (1981), pp. 369-391.<br />

31 A. BACCI, De natur<strong>al</strong>i vinorum historia de vinis It<strong>al</strong>iae et de conviviis antiquorum libri VII, Roma 1596, lib.<br />

VI, p. 319: «Eodem tractu in Francia curta, sic dicta vicinia, obtentis iam illis locis a Franchis, usque<br />

in amoenissimam oram Idri lacus, Groppellum celebratur vinum».<br />

32 F. MELIS, La documentazione mediev<strong>al</strong>e sul Chianti delle origini, ora in ID., I vini it<strong>al</strong>iani, pp. 137-145.<br />

33 Cfr. G. ARCHETTI, Vigne e vino nel medioevo. Il modello della Franciacorta, in Vites plantare et bene colere.<br />

Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Franciacorta nel <strong>Medioevo</strong>, a cura di G. Archetti, Brescia 1996, p. 141 n. 146.<br />

34 Cfr. A.I. PINI, Produzione e trasporto del vino a Imola e nel suo contado in età mediev<strong>al</strong>e, «Studi Romagnoli»,<br />

25 (1974), pp. 215-233 (ora anche in ID., Vite e vino, pp. 147-169).


co di Corsica, il greco di Velletri 35 , la m<strong>al</strong>vasia e la vernaccia sarda. Ma tra la fine<br />

del ’300 e i primi decenni del ’400 avviene un fenomeno che avrà ripercussioni<br />

fortissime anche sulla viticoltura e sul consumo del vino. È quel fenomeno che<br />

il Melis ha individuato e chiamato “rivoluzione dei noli” 36 . Il patrono della nave<br />

che prima faceva pagare le spese di trasporto sulla base dell’ingombro della merce,<br />

si rese conto che forse era più conveniente far pagare il nolo in rapporto <strong>al</strong><br />

v<strong>al</strong>ore intrinseco della merce stessa, e dunque molto più le merci ricche (spezie,<br />

sete, panni di lana, met<strong>al</strong>li preziosi, ecc.) e molto meno le merci ingombranti e<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> ridotto v<strong>al</strong>ore intrinseco come l’olio e il vino. È questa idea geni<strong>al</strong>e, dapprima<br />

applicata solo ai trasporti marittimi, ma poi anche a quelli fluvi<strong>al</strong>i e infine a<br />

quelli terrestri, che permetterà <strong>al</strong> vino non di lusso, ma di qu<strong>al</strong>ità, di essere commerciato<br />

anche fuori dai rispettivi distretti di produzione, cosa che porterà ad<br />

incrementare la viticoltura nelle zone più vocazion<strong>al</strong>i e ad essere sostituita in<br />

<strong>al</strong>tre zone da colture più redditizie, come, a sud dell’Appennino, l’oliveto e lo<br />

zafferano, e a nord le foraggiere, la canapa, il lino, il gelso, le piante tintorie, e<br />

molto più tardi anche il mais, la patata e il riso.<br />

Lo svilupparsi di un commercio, per così dire di massa, a vasto raggio, del<br />

vino – favorito <strong>d<strong>al</strong></strong> sostanzioso c<strong>al</strong>o dei prezzi dei trasporti, ma anche da un<br />

migliorato sistema stra<strong>d<strong>al</strong></strong>e e da un rarefarsi delle barriere dogan<strong>al</strong>i in concomitanza<br />

col formarsi di grossi stati region<strong>al</strong>i 37 – fece convogliare sui grandi<br />

mercati di consumo una tipologia molto più ricca di vini. Divenne a questo<br />

punto necessario dare a questi vini una precisa denominazione che ne rievocasse<br />

le caratteristiche ed eventu<strong>al</strong>mente ne giustificasse la differenza di prezzo.<br />

T<strong>al</strong>e denominazione è per lo più un sintagma composto da un termine<br />

spesso generico, esempio trebbiano, con un toponimo che può essere il luogo<br />

di origine o anche solo quello di stoccaggio e redistribuzione. Siamo comunque<br />

ancora ben lontani <strong>d<strong>al</strong></strong> cru, anche se il Melis era portato a pensarlo avendo<br />

potuto individuare sulla scorta del catasto fiorentino del 1427 ben 106 loc<strong>al</strong>ità<br />

toscane produttrici di vino con stime fisc<strong>al</strong>i “<strong>al</strong> tino” tra loro nettamente dif-<br />

35 Cfr.M.T.CACIORGNA, Vite e vino a Velletri <strong>al</strong>la fine del Trecento, in Cultura e società nell’It<strong>al</strong>ia mediev<strong>al</strong>e.<br />

Studi per Paolo Brezzi, I, Roma 1988, pp. 157-170; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 148-149.<br />

36 F. MELIS, Werner Sombart e i problemi della navigazione nel <strong>Medioevo</strong>, in L’opera di Werner Sombart nel centenario<br />

della nascita, Milano 1964, pp. 87-149. Sulla “rivoluzione dei noli” il Melis si soffermò poi in tutti<br />

i saggi successivi dedicati <strong>al</strong>la storia del vino, in seguito raccolti in ID., I vini it<strong>al</strong>iani nel <strong>Medioevo</strong>, cit.<br />

37 Cfr.G.PINTO, Vino e fisco nelle città it<strong>al</strong>iane dell’età comun<strong>al</strong>e (secc. XIII-XIV): <strong>al</strong>cune considerazioni partendo<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> caso fiorentino, in La vite e il vino. Storia e diritto, pp. 167-177.<br />

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ferenziate 38 . Ad un’an<strong>al</strong>isi documentaria più approfondita ci si è resi infatti<br />

conto di come le stesse zone di produzione inviassero poi sul mercato fiorentino<br />

una gamma di vini <strong>al</strong>quanto diversi tra di loro 39 . Ed è proprio questa confusione<br />

non casu<strong>al</strong>e di denominazioni che ha finito col creare tanta incertezza<br />

tra gli studiosi (come forse già la creava a quei tempi tra gli acquirenti). Con lo<br />

stesso identico nome si vendevano infatti e si continueranno a vendere vini<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le diverse caratteristiche organolettiche: vini tradizion<strong>al</strong>mente bianchi, che<br />

sono però rossi, vini considerati forti, che sono però leggeri, vini reputati adatti<br />

<strong>al</strong>l’invecchiamento che sono però da consumarsi entro l’annata.<br />

Ma un effetto comunque positivo si ebbe sui consumi del vino in seguito<br />

<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>largarsi del mercato. Innanzitutto uno stabilizzarsi dei prezzi del vino non<br />

più tot<strong>al</strong>mente soggetti <strong>al</strong>le fortissime oscillazioni provocate da <strong>produzioni</strong> agricole<br />

loc<strong>al</strong>i in certe annate sovrabbondanti ed in <strong>al</strong>tre estremamente carenti. E<br />

poi si venne creando «una nuova sensibilità, un nuovo gusto per la qu<strong>al</strong>ità dei<br />

vini» 40 , cosa che rendeva il vino non solo un genere nutritivo e commerciabile,<br />

ma anche un fatto cultur<strong>al</strong>e, come ci confermano i primi libri di cucina che<br />

cominciano ad apparire proprio a quel tempo 41 . Tutto questo finì col provocare,<br />

nel giro di pochi decenni, un’autentica rivoluzione gastronomica, indubbiamente<br />

favorita anche <strong>d<strong>al</strong></strong> mutato quadro politico, economico e soci<strong>al</strong>e. Crollato l’impero<br />

bizantino a metà del ’400, del tutto scomparso il commercio genovese nel<br />

Levante e di molto ridotto quello veneziano, crollò anche il prestigio del vino<br />

38 F. MELIS, Il consumo del vino a Firenze nei decenni attorno <strong>al</strong> 1400, cit. <strong>al</strong>la nota 9.<br />

39 Per una documentata critica <strong>al</strong>le convinzioni del Melis, cfr. A.J. GRIECO, Le goût du vin entre doux et<br />

amer: essai sur la classification des vins au Moyen Age, in Le vin des historiens, Actes du 1 er symposium Vin et<br />

Historia, a cura di G. Garrier, Suze-la Rousse 1990, pp. 80-97; ID., I sapori del vino: gusti e criteri di scelta<br />

fra Trecento e Cinquecento, in D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino, pp. 163-186.<br />

40 A.M. NADA PATRONE, Il consumo del vino nella società pedemontana del tardo medioevo, in Vigne e vini nel<br />

Piemonte mediev<strong>al</strong>e, p. 282.<br />

41 Cfr. Il libro della cucina del secolo XIV, a cura di F. Zambrini, Bologna 1863; J.L. FLANDRIN - O.<br />

REDON, Les livres de cuisine it<strong>al</strong>iens des XIVe et XVe siècles, «Archeologia mediev<strong>al</strong>e», 8 (1981), pp. 393-<br />

408; Gastronomia del Rinascimento, a cura di L. Firpo, Torino 1974; E. FACCIOLI, L’arte della cucina in It<strong>al</strong>ia.<br />

Libri di ricette e trattati sulla civiltà della tavola <strong>d<strong>al</strong></strong> XIV <strong>al</strong> XIX secolo, Torino 1987; M. MONTANARI,<br />

Convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola, Roma-Bari 1989; O. REDON ET ALII, A tavola nel <strong>Medioevo</strong><br />

con 150 ricette <strong>d<strong>al</strong></strong>la Francia e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’It<strong>al</strong>ia, Roma-Bari 1994; Giovanni Bockenheim. La cucina di papa Martino<br />

V, a cura di G. Bonardi, Milano 1995; I. NASO, La cultura del cibo. Alimentazione, dietetica, cucina nel basso<br />

medioevo, Torino 1999; A. SALVATICO, Il principe e il cuoco. Costume e gastronomia <strong>al</strong>la corte sabauda nel<br />

Quattrocento, Torino 1999.


greco e grecizzante – bianco, dolce, moscato, liquoroso e molto <strong>al</strong>colico – e<br />

s’impose pian piano qu<strong>al</strong>e vino di lusso, qu<strong>al</strong>e vino di prestigio, qu<strong>al</strong>e vino nobile,<br />

un vino il più simile possibile <strong>al</strong> clarét francese, bianco ma anche rosso, limpido<br />

e chiaro, delicato e non dolce ma gradevolmente profumato, in una parola<br />

cortese. Ci troviamo insomma di fronte, riprendendo una famosa definizione di<br />

Rogier Dion, ma ora cambiata completamente di segno, ad un’autentica «offensiva<br />

dei vini leggeri» 42 . Spariscono dunque del tutto i vini greci e quelli lavorati<br />

con miele, zucchero o spezie ed essenze profumate, ma rimane sempre vivo, pur<br />

se di molto ridimensionato, un certo gusto per i vini dolci e liquorosi, soprattutto<br />

in occasione di banchetti e cerimonie di particolare prestigio e rimane del tutto<br />

invariata, e lo rimarrà ancora per secoli, la preferenza per il vino d’annata,<br />

com’era stato per tutta l’età mediev<strong>al</strong>e 43 .<br />

Per una decisa predilezione per i vini di buon invecchiamento occorrerà<br />

infatti attendere una nuova rivoluzione enologica, l’invenzione cioè del tappo di<br />

sughero che è innovazione settecentesca. E si avrà <strong>al</strong>lora anche un ritorno dei<br />

vini forti. Ma per andare ancora oltre bisognerà aspettare che <strong>al</strong>le pratiche empiriche<br />

si sostituiscano le scoperte scientifiche tardo settecentesche del Lavoiser<br />

sulla natura chimica del vino (fenomeno della trasformazione del glucosio contenuto<br />

nel succo dell’uva in soluzione <strong>al</strong>colica), e i fondament<strong>al</strong>i studi sulla fermentazione<br />

– che è poi l’operazione chiave del processo di vinificazione – condotti,<br />

con l’ausilio del microscopio, <strong>d<strong>al</strong></strong> fondatore della microbiologia, Louis<br />

Pasteur, verso il 1860 44 .<br />

Nulla dopo d’<strong>al</strong>lora sarà più lo stesso in enologia, e nulla sarà più lo stesso<br />

neppure nella viticoltura dopo la completa sostituzione degli impianti viticoli a<br />

cui si dovette ricorrere a seguito delle devastanti ampelopatie causate dapprima<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’oidio e <strong>d<strong>al</strong></strong>la peronospera e poi soprattutto <strong>d<strong>al</strong></strong>la filossera che fece le sue pri-<br />

42 e R. DION, Histoire de la vigne et du vin en France des origines au XIX siècle, Paris 1959 (nuova ed. Paris<br />

1977), pp. 317, 399, 469.<br />

43<br />

Cfr.Y.RENOUARD, Le vin vieux au Moyen Age, «Ann<strong>al</strong>es du Midi», 76 (1964) e poi in ID., Études d’histoire<br />

mèdièv<strong>al</strong>e, I, Paris 1968, pp. 249-256. Una riprova di quanto gli uomini del medioevo preferissero<br />

di gran lunga il vino novello ai vini “vecchi” la si ha per Prato dov’era uso “achonzare” il vino vecchio<br />

versandolo sulle vinacce del vino nuovo. Cfr. G. PAMPALONI, Vendemmia e produzione di vino nelle<br />

proprietà dell’Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e della Misericordia di Prato nel ’400, in Studi in memoria di Federigo Melis, III, pp. 349-<br />

379; su cui significativi approfondimenti sono offerti da ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 440-447.<br />

44 L. PASTEUR, Mèmoire sur la fermentation <strong>al</strong>coolique (1860), trad. it. in O. VERONA, Opere di L. Pasteur,<br />

Torino 1972.<br />

597


598<br />

me apparizioni in It<strong>al</strong>ia verso il 1880 45 . Rimarrà però sempre, <strong>al</strong> di là del colore,<br />

del sapore, dell’odore e del maggiore o minore invecchiamento, la dicotomia<br />

classica, da doppio regime <strong>al</strong>imentare, tra il vino destinato <strong>al</strong> ricco e il vino destinato<br />

<strong>al</strong> povero o, per dir meglio e come abbiamo già precisato, tra il vino comune<br />

da pasto e il vino di marca, tra il vino <strong>d<strong>al</strong></strong> basso v<strong>al</strong>ore ven<strong>al</strong>e e il vino molto<br />

costoso perché effettivamente, o comunque ritenuto, di qu<strong>al</strong>ità.<br />

45 Che il vino d’ancien régime sia «bevanda radic<strong>al</strong>mente dissimile e <strong>d<strong>al</strong></strong> gusto radic<strong>al</strong>mente difforme»<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> vino odierno è tesi v<strong>al</strong>idamente sostenuta in A. SALTINI, Enologia antica, enologia moderna: un solo<br />

vino, o bevande incomparabili?, «Rivista di storia dell’agricoltura», 38 (1998), pp. 23-50.


MAURO TAGLIABUE*<br />

Bere vino in taverna<br />

Nulla di meglio, per subito evocare, d’un tratto, in maniera inconfondibile, un<br />

tipico ambiente da taverna mediev<strong>al</strong>e, nulla v<strong>al</strong> meglio, penso, delle c<strong>al</strong>de e corpose<br />

note di una famosissima canzone goliardica, quella che così inizia:<br />

In taberna quando sumus, / non curamus quid sit humus,<br />

sed ad ludum properamus, / cui semper insudamus.<br />

Sullo sfondo di un’atmosfera ebbra di vino e infiammata <strong>d<strong>al</strong></strong> ritmo inc<strong>al</strong>zante del<br />

verso, diverse figure si distinguono: c’è chi gioca, c’è chi beve e c’è chi donne<br />

riceve. Nella taverna – prosegue la canzone – persino il terrore della morte si<br />

stempera, svanisce dietro i fumi del vino, dominatore assoluto dell’ambiente.<br />

Bacco trionfa, nessuno si sottrae <strong>al</strong> suo dominio. Anzi la gioia del bere, e del bere<br />

in compagnia, tra i dadi e le donne, esplode con parossistica insistenza nei versi,<br />

essi pure notissimi, che quel canto concludono:<br />

Bibit pauper et egrotus, / bibit exul et ignotus,<br />

bibit puer, bibit canus, / bibit presul et decanus,<br />

bibit soror, bibit frater, / bibit anus, bibit mater,<br />

bibit ista, bibit ille, / bibunt centum, bibunt mille1 .<br />

Tutti bevevano: uomini e donne, giovani e vecchi, mercanti e studenti, chierici e<br />

laici. Ma bere <strong>al</strong>la taverna era un’<strong>al</strong>tra cosa. Lì, il vino, da bevanda nutrizion<strong>al</strong>e,<br />

1 Carmina burana, herausgegeben von B.K. Vollmann, Frankfurt a.M. 1987 (Bibliothek des Mittel<strong>al</strong>ters,<br />

13), pp. 628-632. Gradevoli pagine sul vino e la taverna nei poeti, dai goliardi a Cecco Angiolieri,<br />

ha scritto G. CHER<strong>UBI</strong>NI, Tra il vino dei goliardi e il vino dei borghesi, «Rivista di storia dell’agricoltura»,<br />

33/1 (1993), pp. 73-83.<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.<br />

599


600<br />

indispensabile <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>imentazione dell’uomo mediev<strong>al</strong>e, si trasformava in bevanda<br />

voluttuaria, adatta ai momenti di relax, di incontro, di divertimento più o meno<br />

contenuto, di evasione – in una parola – <strong>d<strong>al</strong></strong>la monotonia della vita quotidiana.<br />

Nel vino della taverna lo studente annegava la noia delle ore trascorse sui libri; il<br />

contadino, l’artigiano, i s<strong>al</strong>ariati della città trovavano un incentivo <strong>al</strong>lo svago e<br />

<strong>al</strong>la soci<strong>al</strong>izzazione, speci<strong>al</strong>mente in tempo di festa, ma anche nelle pause lavorative<br />

della giornata o nelle ore ser<strong>al</strong>i; i ceti borghesi la maniera più semplice per<br />

spendere il loro denaro con una rinfrancante bevuta a buon mercato, quasi ad<br />

attutire l’innata ambizione verso i divertimenti tipici (giostre, cacce, armi e amori),<br />

ma ben più costosi, dell’<strong>al</strong>ta aristocrazia 2 . Persino i chierici, nonostante i ripetuti<br />

divieti canonici a metter piede nelle taverne (tabernas ingredi), non ne disdegnavano<br />

la frequentazione. Soprattutto non disdegnavano il buon vino.<br />

Tra i molteplici episodi che si potrebbero addurre a supporto di questa infrazione,<br />

sicuramente meno infrequente di quanto si possa immaginare, vista la frequenza<br />

dei canoni inibitori 3 , ci pare significativa la gustosa testimonianza, riferita<br />

2 Sono aspetti sottolineati a più riprese anche da A.I. PINI, Vite e vino nel medioevo, Bologna 1989<br />

(Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e, 6), pp. 24-25, 40, 80, sulle orme di R. DION, Histoire de la vigne<br />

et du vin en France des origines au XIX siècle, Paris 1959, p. 476, speci<strong>al</strong>mente per quel che riguarda «uno<br />

dei segni più tangibili della propria ascesa soci<strong>al</strong>e» che il ceto mercantile-borghese riponeva nel «consumo<br />

del vino».<br />

3 Proibiscono ai chierici di ogni grado l’ingresso nelle taverne <strong>al</strong>cuni canoni che provengono dai concili<br />

dell’antichità cristiana, riproposti in età ottoniana anche nel Decretum di Burcardo di Worms (lib. 2,<br />

cc. 130-131) e assicurati <strong>al</strong>la tradizione canonistica in via definitiva <strong>d<strong>al</strong></strong> Decretum di Graziano (Dist. 44,<br />

cc. 3, 4). Per più puntu<strong>al</strong>i indicazioni a questo proposito rinvio <strong>al</strong> saggio di R. Bellini in questo stesso<br />

volume, in aggiunta a quanto segn<strong>al</strong>ato da H.C. PEYER, Viaggiare nel medioevo. D<strong>al</strong>l’ospit<strong>al</strong>ità <strong>al</strong>la locanda,<br />

Roma-Bari 19912 , pp. 21, 89-91, 259, riproposto ed esteso <strong>al</strong> mondo della predicazione da G. CHERU-<br />

BINI, La taverna nel basso medioevo,in ID., Il lavoro, la taverna, la strada. Scorci di medioevo, Napoli 1997 (Nuovo<br />

medioevo, 53), pp. 191-224, in part. 203-204, con illuminanti squarci tratti <strong>d<strong>al</strong></strong>le prediche di san<br />

Bernardino da Siena, la cui pregiudizi<strong>al</strong>e nei confronti della taverna, considerata come una sorta di<br />

controchiesa, non si può dire non fosse sostanzi<strong>al</strong>mente condivisa nei ceti nobiliari e <strong>al</strong>to borghesi,<br />

convinti com’erano, <strong>al</strong>meno in teoria, del fatto che «in tabernis, tam in biscacis quam in ludis et rumoribus<br />

pessimis», gli uomini, recita uno statuto di Ferrara, «multa m<strong>al</strong>a faciunt» (ibid.). Cionondimeno,<br />

non mancano testimonianze sull’utilizzo di taverne da parte di abbazie, sedi vescovili ed <strong>al</strong>tri enti<br />

ecclesiastici, sfruttate sin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità per soddisfare le esigenze di pellegrini e di quanti partecipavano<br />

a funzioni religiose, ma anche come fonti di reddito, speci<strong>al</strong>mente a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età carolingia: per<br />

vari casi v. PEYER, Viaggiare nel medioevo, pp. 91-92 (taverne di St. Riquier e, per concessione di Ludovico<br />

il Pio, della chiesa di Parigi), 94 (taverna di Acquapendente, donata da Ottone I <strong>al</strong> monastero di<br />

S. S<strong>al</strong>vatore sul Monte Amiata nel 964), 96-97 (taverne del monastero di Ognissanti a Schaffausen e<br />

del vescovo di Costanza nel villaggio di Wurmlingen), 108 (S. Benigno di Digione), 103, 121-122 (conflitti<br />

fisc<strong>al</strong>i con le autorità cittadine, soprattutto aspri con i monaci cistercensi, i qu<strong>al</strong>i gestivano nume-


nella Cronica di S<strong>al</strong>imbene de Adam, relativa a un canonico tedesco del XIII secolo.<br />

Accusato di lussuria, di gioco d’azzardo e, per stare in tema, di bere nelle taverne,<br />

egli si scusava dicendo, tra l’<strong>al</strong>tro, che riusciva a scrivere e a predicare solo<br />

quando aveva bevuto nelle osterie vino buono e senza acqua, non come quello,<br />

annacquato, che invece gli offriva il coppiere del vescovo. Migliore era il vino dell’oste,<br />

e meglio gli venivan le prediche, assicurava, scagliando ana<strong>temi</strong> contro gli<br />

as<strong>temi</strong> 4 . Non diversa opinione esprimeva, a questo proposito, il pievano Arlotto,<br />

«frequentatore imperterrito, a dispetto dei divieti e dei ripetuti richiami del suo<br />

vescovo, delle taverne fiorentine e di quelle dei paesi circostanti» 5 , <strong>al</strong>lorché, nel<br />

porre in ris<strong>al</strong>to gli aspetti meno travianti e peccaminosi della taverna, sottolineava<br />

il piacere che provava nel mangiare e nel bere in compagnia con gli amici. Ren-<br />

rose taverne, nonostante i divieti del capitolo gener<strong>al</strong>e), 136-138 (ospit<strong>al</strong>ità presso cluniacensi e cistercensi).<br />

Di una taberna sive hospitio, situata presso una casa colonica nel territorio di Siena, della qu<strong>al</strong>e era<br />

proprietario nel 1343 un monastero della città, dà notizia il CHER<strong>UBI</strong>NI, La taverna, p. 214; <strong>al</strong>tri casi it<strong>al</strong>iani<br />

si segn<strong>al</strong>ano, per Verona, in G.M. VARANINI, Un episodio di ristrutturazione agraria nella ‘Bassa’ veronese:<br />

il monastero di S. Maria in Organo e le terre di Roncanova, «Studi storici veronesi Luigi Simeoni», 30-31<br />

(1980-81), p. 102, n. 41; per Genova, in E. BASSO, Un’abbazia e la sua città. Santo Stefano di Genova (sec.<br />

X-XV), Torino 1997 (Le testimonianze del passato. <strong>Fonti</strong> e studi, 9), p. 82; per Brescia, in G. BONFI-<br />

GLIO DOSIO, Il commercio degli <strong>al</strong>imentari a Brescia nel primo Quattrocento, Brescia 1979 (Monumenta Brixiae<br />

historica. Fontes, 4), p. 57, ove si cita l’esempio di Daniolo da Cremona che nel 1411 lavorava come<br />

taverniere per il monastero di S. Eufemia; per una taverna di cui era proprietaria la cattedr<strong>al</strong>e di Ascoli<br />

Satriano, v. G. CAPOZZI, Lite seicentesca ad Ascoli Satriano: una taverna fra spada e croce, «La Capitanata»,<br />

31 (1994), pp. 53-66. L’argomento, come si evince dagli esempi addotti (solo <strong>al</strong>cuni dei tanti che si<br />

potrebbero citare), meriterebbe autonoma ricerca. Altrettanto interessante la connessione, per lo<br />

meno in determinate aree geografiche e cronologiche, con l’ambiente dell’eresia; osti e tavernieri –<br />

basti dire – costituiscono, tra gli eretici sub<strong>al</strong>pini, la categoria più rappresentata: cfr. G.G. MERLO, Eretici<br />

e inquisitori nella società piemontese del Trecento, Torino 1977, pp. 104-105.<br />

4 Fonte e bibliografia in G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia della vite e del vino nell’Europa<br />

mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta, 4), pp. 438-439, n. 7.<br />

5 CHER<strong>UBI</strong>NI, La taverna, p. 213, con <strong>al</strong>tri esempi (ivi, e <strong>al</strong>le pp. 214, 218-219, 223) di sacerdoti e religiosi<br />

amanti del buon vino e frequentatori di taverne e osterie, tra cui un prete genovese accusato<br />

addirittura di aver celebrato messa in taverna e di avervi elargito la comunione a eretici. In t<strong>al</strong>e casistica<br />

si può intanto far rientrare quanto accadeva presso la prevostura agostiniana di S. Michele <strong>al</strong>l’Adige,<br />

dove l’abbondanza del vino non solo consentiva <strong>al</strong>l’ente di gestire <strong>al</strong>cune importanti osterie<br />

della zona, ma induceva in tentazione gli stessi religiosi, come segn<strong>al</strong>ato da B. ANDREOLLI, Produzione<br />

e commercio del vino trentino tra medioevo ed età moderna,in Il vino nell’economia e nella società it<strong>al</strong>iana medioev<strong>al</strong>e<br />

e moderna, Convegno di studi (Greve in Chianti, 21-24 maggio 1987), Firenze 1988 (Quaderni della<br />

«Rivista di storia dell’agricoltura», 1), p. 95; od ancora un inedito processo del 1307-08 intentato<br />

contro un monaco di S. Ambrogio di Milano, perché dedito <strong>al</strong> gioco e <strong>al</strong>la taverna (Archivio di Stato<br />

di Milano, Archivio diplomatico, Pergamene per fondi, cart. 326, perg. 30).<br />

601


602<br />

de bene questa sensazione una pagina della sua celebre raccolta di Motti e facezie,<br />

piacevolmente parafrasata <strong>d<strong>al</strong></strong> Cherubini nell’intento di offrire «uno squarcio particolarmente<br />

avvincente» dell’atmosfera che regnava in una taverna di paese e la<br />

caratterizzava come luogo per eccellenza deputato <strong>al</strong> divertimento, <strong>al</strong> momento<br />

dell’evasione <strong>d<strong>al</strong></strong>la monotonia quotidiana, <strong>al</strong> gusto di una rinfrancante bevuta<br />

dopo il duro lavoro di una settimana, <strong>al</strong>la chiacchiera inframmezzata da lenti sorseggi<br />

di spumeggianti bocc<strong>al</strong>i ricolmi di buon vino 6 . Narra, appunto, quell’umanissima<br />

figura di pievano, che «in una sera fredda e piovosa di domenica, stanco,<br />

intirizzito, tutto bagnato e infangato, smontò da cav<strong>al</strong>lo di fronte a un’osteria<br />

dopo un fastidioso viaggio. Si introdusse nell’interno dove divampava un gran<br />

fuoco ristoratore. Intorno <strong>al</strong>la fiamma stavano disposti una trentina di contadini,<br />

che, come in tutti i giorni di festa, ed evidentemente fino a tardi, avevano l’abitudine<br />

di radunarsi in quel luogo. Vi si recavano per bere, per giocare, ma anche per<br />

dirsi, secondo l’espressione del pievano, “novellacce e bugie”, cioè per il piacere<br />

di conversare e di comunicarsi notizie dopo una settimana di lavoro» 7 .<br />

A questa re<strong>al</strong>tà, certamente la più diffusa, della taverna come luogo della<br />

soci<strong>al</strong>izzazione studentesca o come luogo dello svago, del c<strong>al</strong>ore, del piacere dell’incontro<br />

e delle chiacchiere, corroborate da una buona bevuta con gli amici, i<br />

compagni di lavoro, i paesani, se ne contrappone però un’<strong>al</strong>tra, più cruda e truculenta,<br />

poiché il vino, «che era <strong>al</strong>lora e soprattutto per i ceti più bassi della<br />

società l’unica possibilità di evasione <strong>d<strong>al</strong></strong>la monotonia della vita d’ogni giorno»,<br />

avverte il Cherubini, cui devo questi suggerimenti, «poteva accendere le fantasie,<br />

scatenare la violenza, portare gli odii in superfice», suscitare risse spesso per i più<br />

futili motivi 8 . È pure noto, del resto, che il vino delle taverne richiamava gente di<br />

m<strong>al</strong>affare, m<strong>al</strong>andrini, gaglioffi, bari di professione, tagliaborse, ladri e imbroglioni<br />

d’ogni genere, insieme a prostitute e lenoni 9 . Anche a questo proposito gli<br />

6 A simile re<strong>al</strong>tà paesana si rapporta anche G. ORTALLI, Il giudice e la taverna. Momenti ludici in una piccola<br />

comunità lagunare (Lio Maggiore nel secolo XIV), in Gioco e giustizia nell’It<strong>al</strong>ia di Comune, a cura di G.<br />

Ort<strong>al</strong>li, Treviso-Roma 1993 (Ludica, 1), pp. 49-70, speci<strong>al</strong>mente nel paragrafo La taverna, luogo deputato<br />

per la ludicità (pp. 65-68).<br />

7 Cito da CHER<strong>UBI</strong>NI, La taverna, p. 216. Per il racconto originario: Motti e facezie del piovano Arlotto, a<br />

cura di G. Folena, Milano-Napoli 1953, pp. 61-63.<br />

8<br />

CHER<strong>UBI</strong>NI, La taverna, p. 216.<br />

9 Di questa varia umanità sono popolate le pagine di M.S. MAZZI, Il mondo della prostituzione nella Firenze<br />

tardo mediev<strong>al</strong>e, «Ricerche storiche», 14 (1984), pp. 337-363; ID., Prostitute e lenoni nella Firenze del<br />

Quattrocento, Milano 1991; E. ARTIFONI, I rib<strong>al</strong>di. Immagini e istituzioni della margin<strong>al</strong>ità nel tardo medioevo


aneddoti che potrebbero vivacizzare il discorso sarebbero molti, e divertenti,<br />

come ben sa chi frequenta l’ambiente – in chiave storiografica, beninteso! Basti<br />

pertanto ricordare il caso del «goliardo m<strong>al</strong>edetto», crudamente descritto da<br />

Boncompagno da Signa <strong>al</strong>lo scopo di mostrare gli effetti devastanti dell’abuso<br />

del vino. Si aggirava, quel t<strong>al</strong> Grisolito, monaco sradicato, tra taverne e postriboli,<br />

prendendo parte ad ogni tipo di scommessa e di gioco; ma mentre gli <strong>al</strong>tri<br />

invocavano nomi sacri per evitare un cattivo punteggio nel gioco dei dadi, egli,<br />

con voce demoniaca, lanciava ingiurie contro Dio, la Vergine e i santi a fronte di<br />

una scommessa mancata. Viveva di ruberie e d’imbrogli, sci<strong>al</strong>acquando poi tutto<br />

nel vino e nel gioco, e quando aveva perso ogni cosa, anche i vestiti che indossava,<br />

finiva per impegnarsi i capelli, e pure qu<strong>al</strong>cos’<strong>al</strong>tro: «Pro certo cum sepius<br />

esset in conspectu omnium rebus omnibus denudatus lusoribus capillos et testiculos<br />

obligavit», garantisce lo spregiudicato autore del Boncompagnus. E di fronte<br />

a quel relitto umano che si consumava nel bere, nel gioco e nella fornicazione,<br />

miseramente vagando «per tabernas et meretricum prostibula», incapace di staccarsene,<br />

l’exemplum inserito <strong>d<strong>al</strong></strong> magister bolognese in quella specie di manu<strong>al</strong>e<br />

propedeutico per studenti che è il Boncompagnus, non può che concludersi, amaramente,<br />

con questa sottolineatura: «Unde velut canis ad vomitum est reversus»;<br />

prigioniero delle proprie immondezze, giace come cane che ritorna <strong>al</strong> proprio<br />

vomito 10 . Questo accadeva nella Bologna della piena età comun<strong>al</strong>e, ma, torna<br />

piemontese, in Piemonte mediev<strong>al</strong>e. Forme del potere e della società. Studi per Giovanni Tabacco, Torino 1985<br />

(Saggi Einaudi, 680), pp. 227-248; M. Tulliani, cit. a n. 19. Ciò spiega l’<strong>al</strong>ta frequenza di interventi statutari<br />

tendenzi<strong>al</strong>mente contrari <strong>al</strong>la taverna, in quanto possibile luogo di favoreggiamento della prostituzione,<br />

nonché teatro di incitamento <strong>al</strong> gioco e di risse: per un esempio, tra i tanti, cfr. A. COR-<br />

TONESI, Vini e commercio vinicolo nel Lazio tardomedioev<strong>al</strong>e, in ID., Il lavoro del contadino. Uomini, tecniche, colture<br />

nella Tuscia tardomedioev<strong>al</strong>e, Bologna 1988 (Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e, 5), pp. 81-99 (a p.<br />

95, n. 56); rist. in Il vino nell’economia, pp. 129-145. Multe inflitte a tavernieri e a giocatori d’azzardo<br />

che si sono riuniti in taberna compaiono con frequenza anche nei conti di castellania di area sabauda:<br />

cfr.G.ALLIAUD, Cantine e vasi vinari nel tardo medioevo piemontese, in Vigne e vini nel Piemonte mediev<strong>al</strong>e, a<br />

cura di R. Comba, Cuneo 1990 (Mediev<strong>al</strong>ia, 2), pp. 69-90 (a p. 69 e relativa n. 7 a p. 84).<br />

10<br />

BONCOMPAGNO DA SIGNA, Testi riguardanti la vita degli studenti a Bologna nel sec. XIII (<strong>d<strong>al</strong></strong> ‘Boncompagnus’,<br />

lib. I), a cura di V. Pini, Bologna 1968 (Biblioteca di Quadrivium. Testi per esercitazioni accademiche,<br />

6), p. 24; sullo spirito spregiudicato e bizzarro del magister bolognese, ma anche ricco di umanità ed<br />

estremamente sensibile ai bisogni degli studenti poveri, si veda l’eponima ‘voce’ curata <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso<br />

V. PINI, in Dizionario biografico degli It<strong>al</strong>iani, XI, Roma 1969, pp. 720-725. A questo aneddoto, oltre A.I.<br />

PINI, «Discere turba volens». Studenti e vita studentesca a Bologna <strong>d<strong>al</strong></strong>le origini dello Studio <strong>al</strong>la metà del Trecento,<br />

in Studenti e università degli studenti <strong>d<strong>al</strong></strong> XII <strong>al</strong> XIX secolo, a cura di G.P. Brizzi, A.I. Pini, Bologna 1988<br />

(Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna, n.s., 7), pp. 45-136, in part. 110, ha dedica-<br />

603


604<br />

spontaneo credere, non solo in quella re<strong>al</strong>tà urbana, dove <strong>al</strong>la gran massa di studenti<br />

non mancava di mescolarsi qu<strong>al</strong>che chierico vagante, la cui presenza nella<br />

città felsinea trova un riscontro proprio nell’exemplum del goliardo m<strong>al</strong>edetto 11 .<br />

Ovviamente, a simile degrado erano maggiormente esposte le taverne di<br />

città. Altra cosa, come si è visto con il pievano Arlotto, dovevano essere, ed erano,<br />

le taverne di paese. Questa diversità va per<strong>al</strong>tro evidenziata anche in senso<br />

cronologico: <strong>al</strong>tro sono le taverne dell’<strong>al</strong>to medioevo, studiate <strong>d<strong>al</strong></strong> Peyer nel loro<br />

sviluppo fino <strong>al</strong> XIII secolo, epoca in cui si colloca la nascita dell’<strong>al</strong>bergo-locanda<br />

e, di conseguenza, una certa distinzione della taverna rispetto a strutture prev<strong>al</strong>entemente<br />

destinate <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>loggio di uomini e bestie 12 ; <strong>al</strong>tro la taverna degli ultimi<br />

secoli del medioevo, <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e mi sono preferibilmente riferito in base ai<br />

recenti studi, soprattutto del Cherubini, attento a una caratterizzazione d’insieme<br />

della taverna basso-mediev<strong>al</strong>e anche con il sostegno di efficaci strumenti iconografici.<br />

Tra i pezzi più significativi sinora individuati, si distinguono due<br />

miniature: una spagnola del XIII secolo e una francese del XV. «Nella prima –<br />

come con perspicacia descrittiva fa notare lo stesso studioso – la scena di taverna<br />

si presenta in tutta la complessità evocata <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti scritte, con bevitori che<br />

to attenzione anche CHER<strong>UBI</strong>NI, La taverna, p. 220. Non meno colorita la ‘storia’ del «monaco gaudente»<br />

preso a bastonate da un confratello perché sorpreso in taverna a fare oggetto di ardite attenzioni,<br />

dopo aver tracannato un bocc<strong>al</strong>e ricolmo di mosto, una compiacente ostessa (PEYER, Viaggiare<br />

nel medioevo,p.92).<br />

11 Si tratta, per la verità, dell’unica testimonianza riguardante Bologna, come avverte lo stesso PINI,<br />

«Discere turba volens», pp. 109-110, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e rinvio per ulteriori precisazioni semantiche intorno <strong>al</strong> termine<br />

‘goliardo’, identificativo nel medioevo dei clerici vagantes; ma v. anche, per <strong>al</strong>tre indicazioni sulla<br />

degradazione del termine nel tardo medioevo, ARTIFONI, I rib<strong>al</strong>di, pp. 229-230. Quanto <strong>al</strong>la possibilità<br />

di ridursi sul lastrico a causa del gioco e di una dispendiosa ‘vita di taverna’, <strong>al</strong> pari di un ‘rib<strong>al</strong>do’,<br />

come è definito chi conduce un’esistenza vile e deplorevole, passa il suo tempo <strong>al</strong>la taverna e si<br />

gioca ai dadi persino i vestiti fino <strong>al</strong>la camicia e <strong>al</strong>le brache (usque ad camisiam et farabulas), tutto ciò trova<br />

conferma in una legislazione statutaria di arginamento assai diffusa, qu<strong>al</strong>e risulta <strong>d<strong>al</strong></strong>le testimonianze<br />

di area piemontese raccolte in gran numero <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso Artifoni (pp. 233-234). Che l’eventu<strong>al</strong>ità<br />

non fosse poi così tanto ipotetica, lo si evince anche da uno statuto bresciano del 1252, inteso<br />

a proibire, occasione ludi vel cibi vel potus, l’accettazione in pegno o il prestito di panni e vestiti: «Item<br />

ordinant corectores, quod <strong>al</strong>iquis homo civitatis Brixie vel <strong>al</strong>iquis tabernarius non debeat nec possit<br />

mutuare occasione ludi nec occasione cibi et potus <strong>al</strong>icui super pannis de dorso, nec ipsos pannos<br />

accipere in pignore occasione ludi vel cibi vel potus; et si quis contrafecerit, baniatur in centum soldis<br />

in denariis numeratis. Millesimo ducentesimo quinquagesimo secundo, indictione decima», per il<br />

qu<strong>al</strong>e v. ODORICI, col. 1584 (260) , cit. a n. 82.<br />

12<br />

PEYER, Viaggiare nel medioevo: ne tratta speci<strong>al</strong>mente nel cap. IV della seconda parte, dedicato a Le<br />

taverne (pp. 87-124).


tracannano vino da grossi bocc<strong>al</strong>i riempiti <strong>d<strong>al</strong></strong> taverniere, con giocatori di dadi<br />

stretti attorno ad un basso tavolo opportunamente dotato di sponde, con un<br />

avventore che abbraccia e bacia una donna». Nella seconda, quella di matrice<br />

francese, «tre giocatori di dadi seduti su dei panchetti circondano un tavolo<br />

rotondo, mentre un quarto, in piedi, sembra seguire il gioco, ed una quinta persona,<br />

forse il taverniere, sonnecchia in un angolo seduto su una sedia. In un loc<strong>al</strong>e<br />

contiguo è scoppiata invece una rissa tra due giocatori di carte ed una terza<br />

persona sembra trattenere il giocatore che, <strong>al</strong>zatosi in piedi ha estratto il pugn<strong>al</strong>e»<br />

13 . Sulla base di scene come queste, surrisc<strong>al</strong>date <strong>d<strong>al</strong></strong> vino e <strong>d<strong>al</strong></strong>la conflittu<strong>al</strong>ità<br />

che il gioco, non meno della presenza delle donne, provoca, si giustifica del resto<br />

la cattiva fama e la diffidenza che, ereditata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità, anche nel medioevo si<br />

mantiene nei confronti della taverna e dei suoi non sempre onesti gestori, e si<br />

trasmette ai secoli dell’età moderna, fin oltre il Cervantes, il qu<strong>al</strong>e fa dire ad uno<br />

dei due locandieri che compaiono nel Don Chisciotte: «Benché oste, son cristiano<br />

anch’io» 14 . Per non parlare del Manzoni che <strong>al</strong> m<strong>al</strong>capitato Renzo, dopo le disavventure<br />

sperimentate nell’osteria milanese della Luna piena, mette in cuore l’esclamazione:<br />

«M<strong>al</strong>edetti gli osti! più ne conosco, peggio li trovo» 15 .<br />

13 Per queste e <strong>al</strong>tre testimonianze iconografiche: CHER<strong>UBI</strong>NI, La taverna, pp. 202-203. Si aggiunga<br />

l’interno di taverna raffigurante in primo piano due compari seduti a un tavolo rotondo, intenti a<br />

gustarsi un buon bicchiere durante una pausa del gioco ai dadi, e in secondo piano l’oste che, sornione,<br />

riempie un bicchiere con una brocca prima di porgerlo <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra parte del banco a un cliente<br />

ebbro e smanioso di riceverlo: se ne dà la riproduzione in C. OPSOMER, L’art de vivre en santé. Images et<br />

recettes du moyen âge. Le «Tacuinum sanitatis» (manuscrit 1041) de la Bibliothèque de l’Université de Liège, Alleur<br />

1991, p. 158.<br />

14 «Aunque ventero, todavía soy cristiano» (MIGUEL DE CERVANTES, Don Quijote de la Mancha, I, ed. J.<br />

Alcina Franch, Barcelona 19783 , p. 426). Sul vino nel capolavoro del Cervantes si consulterà sempre<br />

con profitto L. MESSEDAGLIA, Leggendo il Cervantes: spunti ed appunti a proposito del vino nel Don Quijote e<br />

nella Novela ejemplares, «Atti dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona», s. V, 15 (1937),<br />

pp. 89-124.<br />

15 A. MANZONI, I promessi sposi, a cura di C. Angelini, Torino 1965 (Classici it<strong>al</strong>iani U.T.E.T.), p. 344.<br />

Sul persistere di un atteggiamento di sospetto e diffidenza nei confronti dell’attività di osti e tavernieri,<br />

in età mediev<strong>al</strong>e, si sofferma anche J. LE GOFF, Mestieri leciti e mestieri illeciti nell’Occidente mediev<strong>al</strong>e,<br />

in ID., Tempo della Chiesa e tempo del mercante. E <strong>al</strong>tri saggi sul lavoro e la cultura nel <strong>Medioevo</strong>, Torino 19772 (Einaudi Paperbaks, 78), p. 57; per ambiti più circoscritti: CORTONESI, Vini e commercio, pp. 91-92;<br />

ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 472-473. Non mancano per<strong>al</strong>tro circostanze e momenti in cui l’oste<br />

è considerato «personaggio di fiducia di dichiarata rilevanza pubblica» (PEYER, Viaggiare nel medioevo,<br />

p. 257), secondo una tendenza destinata tuttavia a scomparire nel basso medioevo par<strong>al</strong>lelamente <strong>al</strong><br />

progressivo diffondersi di un’immagine negativa supportata da una linea di confine sempre più<br />

incerta tra «ospiti onesti e osti di taverna» (pp. 252-262).<br />

605


606<br />

Non dobbiamo tuttavia dimenticare la funzione ben più diffusa della taverna<br />

come luogo di incontro, di svago e di onesto passatempo (oltre che, beninteso,<br />

di norm<strong>al</strong>e punto di ristoro), cui si lega, a nostro avviso, uno degli aspetti che<br />

maggiormente caratterizzavano il vino in essa venduto e goduto, in quanto<br />

bevanda, non solo energetica, ma anche in grado, come recita il s<strong>al</strong>mo davidico,<br />

di r<strong>al</strong>legrare il cuore dell’uomo e sedare antichi dissapori 16 . In breve, nel tempo<br />

dell’acqua rara, come è stato definito il medioevo 17 , e in assenza di <strong>al</strong>tre bevande<br />

rinfrescanti o eccitanti che cominceranno a comparire solo <strong>al</strong>l’inizio dell’età<br />

moderna, se si eccettua la birra o l’idromele, per<strong>al</strong>tro consumati prev<strong>al</strong>entemente<br />

nei paesi nordici, il vino sorbito <strong>al</strong>la taverna finisce per connotarsi come<br />

bevanda ludica per eccellenza, anche se l’abuso che ne poteva derivare portava<br />

immancabilmente, in conseguenza della sua gradazione <strong>al</strong>colica, a devastazioni<br />

irreparabili, oltre che nel corpo, nell’animo e nello spirito. Ciò nonostante, non<br />

mancava il medico che consigliava di <strong>al</strong>zare il gomito di tanto in tanto, poiché<br />

una buona sbornia – a parer suo – era uno di quei piaceri, che, <strong>al</strong> pari dell’appetito<br />

sessu<strong>al</strong>e, meritava d’essere soddisfatto <strong>al</strong>meno una volta durante la vita 18 .<br />

Per chi, come me, mai prima d’ora s’era assiso <strong>al</strong> tavolo degli ampelografi ed<br />

enologi d’It<strong>al</strong>ia (dell’It<strong>al</strong>ia medievistica, ben mi s’intenda) e, forse troppo fidando<br />

nella buona sorte dei principianti, s’è lasciato convincere a giocarsi la penna,<br />

il discorso potrebbe chiudersi qui, anche per non compromettere definitivamente<br />

la partita. Accanto <strong>al</strong>l’aspetto ludico, però, e per t<strong>al</strong>uni elementi dissacratorio,<br />

del binomio ‘vino-taverna’, soprattutto se associato <strong>al</strong> vizio, <strong>al</strong> gioco d’az-<br />

16 Ps. 103, 15: «Vinum laetificat cor hominis». Anche <strong>al</strong>trove la Bibbia rimarca l’effetto gioioso insito<br />

nella natura di questa bevanda: «Vinum in iucunditatem creatum est» (Eccli. 31, 35), non senza frequenti<br />

segni di riprovazione («Bere vino non conviene ai re», Prov. 31, 4, 7), soprattutto nei confronti<br />

dell’ubriachezza: «Essa morde come una serpe ed avvelena come una vipera» (Prov. 23, 29), cui si<br />

potrebbero aggiungere ancora gli episodi di Noè e di Loth. Si veda in proposito anche quanto osserva<br />

CHER<strong>UBI</strong>NI, Tra il vino dei goliardi e il vino dei borghesi, pp. 77-78.<br />

17 D. ROCHE, Le temps de l’eau rare du moyen âge à l’époque moderne, «Ann<strong>al</strong>es ESC», 39/2 (1984), pp. 383-<br />

399. Alla difficoltà di reperire facilmente acqua potabile si richiama, nel quadro di una corretta impostazione<br />

degli usi <strong>al</strong>imentari in età mediev<strong>al</strong>e, anche M. MONTANARI, Bere acqua (e vino) nel medioevo,in<br />

Lettura d’acqua, a cura di O. Longo, P. Scarpi, Padova 1994 (Homo edens, 3), pp. 231-235.<br />

18 Ad affermarlo è Antonio Guainerio, medico piemontese, il qu<strong>al</strong>e, pur condannando lo smodato<br />

uso del vino come del sesso, e indicandone le conseguenze debilitanti, aggiunge: «Certe melius est<br />

per decennium vitam abbreviare quam esse tante dulcedinis inexpertum», che qui cito da A.M. NADA<br />

PATRONE, Bere vino in area pedemontana nel medioevo,in Il vino nell’economia, p. 59, n. 91.


zardo, <strong>al</strong>la lussuria, <strong>al</strong>meno un <strong>al</strong>tro motivo, tra i molti che caratterizzano una<br />

bevanda tanto poliv<strong>al</strong>ente, mi ha invogliato a non desistere <strong>d<strong>al</strong></strong>l’avventura, ed ha<br />

finito per catturare la mia attenzione: il peso economico del vino smerciato in<br />

taverna, colto in connessione con la sua qu<strong>al</strong>ità e quantità, visto il largo giro di<br />

clienti, e di affari, che era in grado di muovere.<br />

Spunti in proposito affiorano con frequenza nella letteratura sul vino e la viticoltura.<br />

Anzi, trovano nella recente ricerca di Maurizio Tulliani sulle taverne senesi<br />

una trattazione veramente aperta ad una visione glob<strong>al</strong>e, condotta secondo i<br />

più moderni canoni storiografici 19 . Normativa del comune, contribuzioni fisc<strong>al</strong>i<br />

cui era soggetta la vendita del vino <strong>al</strong> minuto, entrate che se ne ricavavano, ubicazione<br />

delle taverne in città e nel contado senese, proprietà e gestione, descrizione<br />

interna ed esterna dei loc<strong>al</strong>i adibiti <strong>al</strong>la mescita del vino, clientela e ruolo svolto<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la taverna nei vari contesti soci<strong>al</strong>i: sono <strong>al</strong>trettanti motivi sottesi <strong>al</strong>la complessa<br />

e variegata indagine del giovane studioso sulla città toscana. D’<strong>al</strong>tra parte proprio<br />

questa esemplare ricerca ci fa comprendere come le fonti da interrogare non<br />

siano davvero poche, e tanto meno di facile individuazione, speci<strong>al</strong>mente se da un<br />

orizzonte aperto ad ogni tipo di acquisizione si foc<strong>al</strong>izzi l’attenzione, di preferenza,<br />

sulla quantità e qu<strong>al</strong>ità del vino consumato in taverna, per quanto sia uno di<br />

quei problemi esposti a quelle «suggestive forzature» <strong>d<strong>al</strong></strong>le qu<strong>al</strong>i il B<strong>al</strong>estracci ci ha<br />

messo in guardia in una pagina di indubbio v<strong>al</strong>ore metodologico proprio in ordine<br />

<strong>al</strong>lo studio sulla quantità di vino consumato «in una città e in una determinata<br />

epoca» 20 . Tutt’<strong>al</strong> più, in età prestatistica, se ne potranno cogliere le linee di tendenza.<br />

Ed è quanto ci proponiamo di fare in rapporto <strong>al</strong> consumo del vino in<br />

taverna, ben consapevoli di t<strong>al</strong>i inevitabili condizionamenti. In ogni caso, tra le<br />

fonti maggiormente utili per simili rilevamenti, rientrano senza dubbio quei «libri<br />

di bottega», ossia quaderni di cassa, brogliacci, registri dei debitori e creditori, di<br />

cui è stata recentemente messa in ris<strong>al</strong>to l’importanza e la diffusione nei vari fondi<br />

d’archivio e che, pertanto, non dovrebbero certo mancare neppure per taverne<br />

e locande, benché scarsissime ne siano le tracce sinora portate in luce, e modestissima,<br />

per non dire inesistente, a quel che mi risulta, la loro fortuna editori<strong>al</strong>e 21 .<br />

19 M. TULLIANI, Osti, avventori e m<strong>al</strong>andrini. Alberghi, locande e taverne a Siena e nel suo contado tra Trecento e<br />

Quattrocento, Siena 1994.<br />

20 D. BALESTRACCI, Il consumo del vino nella Toscana bassomediev<strong>al</strong>e,in Il vino nell’economia, pp. 13-29: 23.<br />

21 Ne segn<strong>al</strong>ano l’esistenza vari statuti, tra cui quello dei vinattieri di Firenze, dove i consoli dell’arte<br />

potevano richiederli ai loro iscritti in ogni momento e questi erano tenuti a presentarli: «E che cia-<br />

607


608<br />

Sconsolatamente ne lamenta la mancanza, per Bologna, lo stesso Pini 22 ;ma<br />

non diversa la situazione per Siena, dai cui archivi, pur ricchissimi, non sono affiorati,<br />

nonostante le attente e minuziose ricerche del Tulliani, libri di contabilità da<br />

cui trarre dati più precisi sulla quantità e la qu<strong>al</strong>ità del vino consumato nelle taverne<br />

23 . Tanto più preziosa, <strong>al</strong>lora, la segn<strong>al</strong>azione di cinque registri <strong>al</strong>berghieri dell’area<br />

aretina 24 , compreso uno proveniente da una modesta locanda del contado,<br />

molto simile, per i servizi resi in ambito loc<strong>al</strong>e, <strong>al</strong>la gestione di una taverna 25 : si tratta<br />

di uno dei rari esemplari ricuperati <strong>al</strong>l’oblio degli archivi, dove <strong>al</strong>tri «libri di bottega»<br />

giacciono in gran numero, stando <strong>al</strong>meno <strong>al</strong>la testimonianza testé citata di<br />

Alessandro Guidotti, ma da dove meriterebbero di essere dissepolti, selezionati e,<br />

schuno vinattiere, a volontà de’ detti consoli, sia tenuto di portare il l i b r o l o r o, sotto pena di<br />

soldi XL. di fiorini piccioli (...)»; per questa e <strong>al</strong>tre citazioni, sempre da fonte statutaria, cfr. A. GUI-<br />

DOTTI, Per una definizione (ed un censimento) di una tipologia di fonte archivistica: il «Libro di bottega», in Studi<br />

in onore di Arn<strong>al</strong>do d’Addario, I, Lecce 1995 (Attraverso la storia, 1), pp. 145-164, in part. 150, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e<br />

rinvio anche per una messa a fuoco terminologica e documentaria, oltre che metodologica, su una<br />

fonte tanto diffusa, ma sinora assai poco sfruttata: l’autore ne avrebbe già rintracciate «<strong>al</strong>cune<br />

migliaia» (p. 162), speci<strong>al</strong>mente in vari fondi di archivio fiorentini e, in particolare, nell’Archivio di<br />

Stato di Firenze, dove è custodito il fondo Libri di commercio, «con quasi millenovecento pezzi compresi<br />

tra il 1413 e la metà del Settecento»; nell’elenco dei vari mestieri in essi rappresentati, proposto<br />

a titolo esemplificativo <strong>d<strong>al</strong></strong> Guidotti (p. 163), non trovo però né vinattieri, né tavernieri o locandieri,<br />

mentre <strong>al</strong> nostro scopo sarebbe intanto già prezioso lavoro cominciare a isolarne la presenza e renderla<br />

nota attraverso un adeguato censimento.<br />

22<br />

PINI, Vite e vino, p. 131.<br />

23 Lo rileva G. Cherubini nella prefazione <strong>al</strong> libro, sottolineando <strong>al</strong> contempo l’ampia gamma di fonti<br />

utilizzate: «Questo complesso documentario, affrontato <strong>al</strong>la luce di larghe letture, fa persino<br />

dimenticare un po’, ma non del tutto per la verità, quello che invece in questa documentazione manca,<br />

v<strong>al</strong>e a dire libri di contabilità di qu<strong>al</strong>cuno di questi esercizi commerci<strong>al</strong>i destinati <strong>al</strong>l’ospit<strong>al</strong>ità, dai<br />

qu<strong>al</strong>i trarre dati più precisi sui costi cui andavano incontro i clienti, sulla circolazione degli avventori,<br />

sui guadagni di osti e tavernieri» (TULLIANI, Osti, avventori e m<strong>al</strong>andrini,p.7).<br />

24 Formano l’oggetto di un recente studio di L. ROSI, Ricerche sull’attività <strong>al</strong>berghiera ad Arezzo fra Trecento<br />

e Quattrocento, «Ann<strong>al</strong>i aretini», 6 (1998), pp. 177-221, re<strong>al</strong>izzato sulla scia del rilievo dato a questo<br />

particolare tipo di fonti per lo studio dell’ospit<strong>al</strong>ità, dell’<strong>al</strong>imentazione e del commercio domestico<br />

nell’It<strong>al</strong>ia del Tre-Quattrocento da G. PINTO, Le fonti documentarie bassomediev<strong>al</strong>i, «Archeologia<br />

mediev<strong>al</strong>e», 8 (1981), pp. 39-58, il qu<strong>al</strong>e adduce come esempio «di fonte utilizzabile per l’an<strong>al</strong>isi delle<br />

pratiche <strong>al</strong>imentari delle classi più basse» proprio uno dei registri aretini, quello dell’<strong>al</strong>bergo di<br />

Quarata, loc<strong>al</strong>ità delle ‘cortine’ sulla strada per Firenze (ROSI, Ricerche, pp. 195-201 e passim).<br />

25 Lo lascia intendere il prologo del ‘libro’, dove il gestore della piccola locanda di Giovi, posta in un<br />

punto di snodo sulla direttrice Arezzo-Cesena, dichiara che vi avrebbe registrato «tutti i crediti fatti<br />

di taverna e d’ogni <strong>al</strong>tra cosa», come in effetti fece per gli anni 1414-17 (ROSI, Ricerche, p. 181 e passim<br />

per i relativi dati, raccolti anche in apposite tabelle <strong>al</strong>le pp. 203 e 209).


in vista di un’edizione dei pezzi più significativi, inseriti in un eventu<strong>al</strong>e dossier sulle<br />

fonti contabili di specifica attinenza <strong>al</strong>le taverne. Nell’attu<strong>al</strong>e impossibilità di far<br />

leva su dati di prima mano, qu<strong>al</strong>i appunto quelli ricavabili da un «libro di bottega»,<br />

possono in parte supplire i registri e le lettere dei grandi commercianti di vino,<br />

come quelli famosissimi del Datini, studiati <strong>d<strong>al</strong></strong> Melis, od ancora gli importantissimi<br />

registri delle gabelle, conservatisi in buon numero per diverse città, tra cui<br />

Roma, Firenze e Bologna 26 . Da tenere sempre presenti anche le fonti statutarie,<br />

indubbiamente problematiche, dato il carattere di ‘statica gener<strong>al</strong>ità’ che le contraddistingue,<br />

ma comunque sempre piuttosto ricche di informazioni relative <strong>al</strong><br />

vino, <strong>al</strong>la taverna e <strong>al</strong>l’ambiente ad essa correlato 27 ; per non dire poi degli elementi<br />

ben più consistenti forniti, a quest’ultimo proposito, dagli statuti propri dell’arte<br />

26 Per Roma:A.ESCH, Importe in das Rome der Frührenaissance. Ihr Volumen nach den römischen Zollregister<br />

der Jahre 1452-62, in Studi in memoria di Federigo Melis, III, Napoli 1978, pp. 381-452, trad. it. in Aspetti<br />

della vita economica e cultur<strong>al</strong>e a Roma nel Quattrocento, Roma 1981, pp. 7-79; ID., Importe in das Rom der<br />

Renaissance. Die Zollregister der Jahre 1470 bis 1480, «Quellen und Forschungen aus it<strong>al</strong>ienischen archiven<br />

und Bibliotheken», 74 (1994), pp. 360-453. Per Firenze e la Toscana: CH.-M. DE LA RONCIÈRE,<br />

Indirect taxes or ‘gabelles’ at Florence in the Fourteenth century, in Florence studies. Politics and society in Renaissance<br />

Florence, edited by N. Rubinstein, London 1968, pp. 140-192; ID., Prix et s<strong>al</strong>aires à Florence au XIVe siècle (1280-1380), Roma 1982 (Collection de l’École française de Rome, 59), speci<strong>al</strong>mente il cap. III,<br />

Les gabelles (pp. 33-60); E. CONTI, L’imposta diretta a Firenze nel Quattrocento (1427-1494), Roma 1984;<br />

D. HERLIHY, Direct and indirect taxation in Tuscan finance, ca. 1200-1400,in Finances et comptabilité urbaines<br />

du XIIIe au XVIe siècle, Bruxelles 1964, pp. 385-405. Per Bologna: PINI, Vite e vino, pp. 131-137. Da<br />

consultare, per le sempre utili indicazioni metodologiche suggerite, G.M. VARANINI, Aspetti e problemi<br />

del sistema fisc<strong>al</strong>e veneto nel Quattrocento: struttura e funzionamento della Camera fisc<strong>al</strong>e di Verona,in Il primo<br />

dominio veneziano a Verona (1405-1509), Atti del Convegno tenuto a Verona il 16-17 settembre 1988,<br />

Verona 1991, pp. 143-189.<br />

27 A questa fonte, per indagini <strong>vitivinicole</strong>, si riferiscono G. ORTALLI, La regolamentazione della coltura<br />

vitivinicola negli statuti di Forlimpopoli, «Studi romagnoli», 25 (1974), pp. 257-276; G. GULLINO, La vite<br />

negli statuti comun<strong>al</strong>i dell’Albese mediev<strong>al</strong>e,in Vigne e vini nel Piemonte mediev<strong>al</strong>e, pp. 91-109; R. GRECI, Il commercio<br />

del vino negli statuti comun<strong>al</strong>i di area piemontese, ibid., pp. 245-280, con adeguata premessa metodologica.<br />

Vi dedica un paragrafo anche l’ampio saggio del PINI, Coltura della vite e consumo del vino a Bologna<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> X <strong>al</strong> XV secolo, in ID., Vite e vino, pp. 51-145 (in part. 100-111), già in «Studi mediev<strong>al</strong>i», s. III,<br />

15 (1974), pp. 795-884; e dimestichezza con t<strong>al</strong>e materia dimostra, in ambito bresciano, G. ARCHET-<br />

TI, Vigne e vino nel medioevo. Il modello della Franciacorta (secoli X-XV), in Vites plantare et bene colere.<br />

Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Franciacorta nel medioevo, Atti della IV Bienn<strong>al</strong>e di Franciacorta (Erbusco, 16<br />

sett. 1995), Brescia 1996, pp. 61-182, in part. 157-164. L’apporto più recente è tuttavia quello fornito<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la miscellanea La vite e il vino. Storia e diritto (secoli XI-XIX), I-II, a cura di M. Da Passano, A. Mattone,<br />

F. Mele, P.F. Simbula, Roma 2000 (Collana del Dipartimento dell’Università degli Studi di Sassari,<br />

n. s., 3), con studi di E. Dezza, U. Santarelli, A. Cortonesi, S. Pucci, F. Panero, E. Orlando incentrati<br />

su tre diverse aree (toscano-lazi<strong>al</strong>e, piemontese, veneta).<br />

609


610<br />

dei vinattieri, che non mancano, come vedremo, neppure per Brescia 28 . A fronte di<br />

sì frastagliata situazione storiografica, che coinvolge fonti e studi, avrei pensato di<br />

‘azzardare’ un giro per taverne di città, sulla f<strong>al</strong>sariga degli studi finora prodotti.<br />

Rappresentativi, ai fini di una v<strong>al</strong>utazione della quantità e qu<strong>al</strong>ità del vino smerciato<br />

nelle taverne e del gettito fisc<strong>al</strong>e che assicurava, senz’<strong>al</strong>tro tra i più notevoli<br />

delle entrate cittadine, mi sono apparsi i casi di Bologna, per la presenza degli universitari,<br />

<strong>al</strong>la luce di quanto studiato speci<strong>al</strong>mente <strong>d<strong>al</strong></strong> Pini 29 , quello di Firenze, in<br />

quanto capit<strong>al</strong>e mercantile di portata europea, oggetto di approfondite ricerche<br />

avviate <strong>d<strong>al</strong></strong> già ricordato Federigo Melis 30 , ed infine Roma, meta di pellegrinaggi e<br />

capit<strong>al</strong>e della cristianità, per la qu<strong>al</strong>e soccorrono vari contributi della scuola romana<br />

sino <strong>al</strong>le recenti ricerche dedicate da Arnold Esch <strong>al</strong>la fornitura di due taverne<br />

cittadine, l’una in prossimità del porto sul Tevere e l’<strong>al</strong>tra nella più centr<strong>al</strong>e piazza<br />

di Campo de’ Fiori, in tempo d’anno santo 31 .<br />

28 Ben noto, ad esempio, il caso degli Statuti delle arti dei fornai e dei vinattieri di Firenze (1337-1339), con appendice<br />

di documenti relativi <strong>al</strong>le arti dei farsettai e dei tintori (1378-1379), a cura di F. Morandini, Firenze 1956 (<strong>Fonti</strong><br />

sulle corporazioni medioev<strong>al</strong>i, 5); affine, ma non di stretta pertinenza taverniera, lo Statuto dell’Arte dei<br />

locandieri, osti e <strong>al</strong>bergatori di Siena (1355), ms. in Archivio di Stato di Siena, Arti, 42 (segn<strong>al</strong>ato in TULLIANI,<br />

Osti, avventori e m<strong>al</strong>andrini, p. 231); pienamente pertinente invece lo Statuto dei tavernieri di Brescia, per il<br />

qu<strong>al</strong>e v. n. 90. Di età moderna, <strong>al</strong>cune sillogi romane, riguardanti: osti, tavernieri e sens<strong>al</strong>i (1586), gli<br />

<strong>al</strong>bergatori (1595), gli osti di Borgo (sec. XVII) e i bettolieri (1699), pubblicate da M. ROMANI, Pellegrini e<br />

viaggiatori nell’economia di Roma <strong>d<strong>al</strong></strong> XIV <strong>al</strong> XVII secolo, Milano 1948 (Edizioni dell’Università Cattolica del<br />

Sacro Cuore. Serie Pubblicazioni, 25), pp. 272-313. Si avverta, tuttavia, che per molti comuni it<strong>al</strong>iani non<br />

esistono statuti dei tavernieri perché l’organizzazione di t<strong>al</strong>e arte era vietata per legge.<br />

29 Mi riferisco <strong>al</strong>la più volte citata raccolta dei suoi studi, Vite e vino (v. n. 2), e <strong>al</strong>l’ampio saggio sugli<br />

studenti, «Discere turba volens» (v. n. 10).<br />

30 F. MELIS, Il consumo del vino a Firenze nei decenni attorno <strong>al</strong> 1400, «Arti e mercature», 4 (1967), n. 6-7, pp.<br />

6-33, rist. in ID., I vini it<strong>al</strong>iani nel medioevo, a cura di A. Affortunati Parrini, Firenze 1984 (Istituto internazion<strong>al</strong>e<br />

di storia economica ‘Francesco Datini’, 7), pp. 31-96, da integrare <strong>al</strong>meno con i seguenti studi,<br />

selezionati tra i più recenti e pertinenti <strong>al</strong> nostro scopo: LA RONCIÈRE, Prix et s<strong>al</strong>aires, pp. 43-51, 129-<br />

144, 543-544; BALESTRACCI, Il consumo del vino nella Toscana, pp. 13-29 (ripreso e ampliato ai <strong>temi</strong> della<br />

fisc<strong>al</strong>ità e dell’impianto della vigna come investimento in ID., La produzione e la vendita del vino nella Toscana<br />

mediev<strong>al</strong>e,in Vino y viñedo en la Europa mediev<strong>al</strong>, Actas de las Jornadas en Pamplona, los días 25 y 26 de<br />

enero de 1996, Pamplona 1996, pp. 39-54); G. PINTO, Vino e fisco nelle città it<strong>al</strong>iane dell’età comun<strong>al</strong>e (secc.<br />

XIII-XIV): <strong>al</strong>cune considerazioni partendo <strong>d<strong>al</strong></strong> caso fiorentino,in La vite e il vino. Storia e diritto, I, pp. 167-177.<br />

31 I. AIT,A.ESCH, Aspettando l’anno santo. Fornitura di vino e gestione di taverne nella Roma del 1475, «Quellen<br />

und Forschungen aus it<strong>al</strong>ienischen Archiven und Bibliotheken», 73 (1993), pp. 387-417. Non meno ricchi<br />

di dati ben circostanziati, in rapporto <strong>al</strong>la stessa Roma, gli studi di S. CAROCCI, Tivoli nel basso medioevo.<br />

Società cittadina ed economia agraria, Roma 1988 (Istituto storico it<strong>al</strong>iano per il medio evo. Nuovi studi<br />

storici, 2) e quelli confluiti nella raccolta del CORTONESI, Il lavoro del contadino (cit. sopra, n. 9).


Notevole, nella grassa Bologna, il consumo di vino. Decine e decine di<br />

taverne, frequentate da una gran massa di studenti, punteggiavano la città. Se ne<br />

coglie l’esistenza fin <strong>d<strong>al</strong></strong>la prima età comun<strong>al</strong>e nei canti goliardici che vi risuonavano<br />

disperdendosi per le vie cittadine, nelle ricorrenti b<strong>al</strong>dorie festaiole, nelle<br />

risse scatenate <strong>d<strong>al</strong></strong> gioco d’azzardo, o per questioni di donne, ma anche per i<br />

più futili motivi, nelle lettere di genitori preoccupati per la sorte dei figli, visto<br />

il fascino che non solo sugli studenti, ma su tutti i giovani esercitava la taverna<br />

nella società mediev<strong>al</strong>e, in quanto luogo per eccellenza deputato <strong>al</strong>l’evasione, <strong>al</strong><br />

divertimento, <strong>al</strong> gioco, <strong>al</strong>l’incontro con lenoni e meretrici d’ogni sorta. In t<strong>al</strong>e<br />

contesto, scrive il Pini, «la taverna», insieme <strong>al</strong>la piazza e ai portici, diventava il<br />

luogo di svago e d’incontro obbligato per ogni tipo di studente, che vi poteva<br />

gustare «i discreti vini loc<strong>al</strong>i o i raffinati vini orient<strong>al</strong>i» 32 . E, degustazioni di vino<br />

a parte, non sempre doveva trattarsi di svaghi onesti, nonostante il Petrarca si<br />

sforzi di edulcorare la re<strong>al</strong>tà e farci credere il contrario, quando declama:<br />

«Bononia olim, me adolescente, omnis honestae letitiae templum erat» 33 .<br />

Più re<strong>al</strong>isticamente, in che cosa molto spesso consistessero quegli svaghi,<br />

non ce lo dice solo l’apostrofe dantesca: «Via, ruffian! qui non son femmine da<br />

conio», rivolta contro un bolognese nel canto di M<strong>al</strong>ebolgie, ma, prosegue l’esperto<br />

studioso della società bolognese, «sono costretti ad ammetterlo le stesse<br />

autorità cittadine quando, in occasione di una durissima carestia avvenuta nel<br />

1259, dovettero decretare l’espulsione <strong>d<strong>al</strong></strong>la città e <strong>d<strong>al</strong></strong> territorio, entro 8 giorni,<br />

di tutte le ‘bocche’ improduttive, tra cui appunto multe publice meretrices et rufiani<br />

et rufiane» 34 . In difesa poi di un genere di prima necessità <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista non<br />

solo <strong>al</strong>imentare, qu<strong>al</strong> era il vino, ma a riprova anche della sua potenzi<strong>al</strong>ità voluttuaria,<br />

è il decreto di sospensione per <strong>al</strong>meno un anno – suggerito <strong>d<strong>al</strong></strong>la gravità<br />

del momento – della vendita di pane e vino (victu<strong>al</strong>ia) nelle taverne e cantine (in<br />

tabernis et canevis) della città e del suburbio, dove generi nutrizion<strong>al</strong>i così prezio-<br />

32 PINI, «Discere turba volens», p. 112; per tutto quel che concerne il comportamento degli studenti<br />

bolognesi, il loro rapporto col vino e la taverna, le preoccupazioni dei genitori esternate in numerosi<br />

e significativi str<strong>al</strong>ci di lettera, si veda l’intero paragrafo <strong>d<strong>al</strong></strong> titolo ‘Gaudeamus igitur’: i divertimenti (pp.<br />

109-116). Su questo particolare tipo di clientela e la taverna come «luogo centr<strong>al</strong>e» della soci<strong>al</strong>ità studentesca<br />

si diffonde anche CHER<strong>UBI</strong>NI, La taverna, pp. 219-221.<br />

33 Effetto di «ide<strong>al</strong>izzazione», anche secondo C. CALCATERRA, Alma mater studiorum. L’Università di<br />

Bologna nella storia della cultura e della civiltà, Bologna 1948, p. 120, che già ne aveva trattato nella nota<br />

su Bologna e Roma nella mente del Petrarca, «Convivium», 13 (1941), p. 130.<br />

34 PINI, «Discere turba volens», p. 115.<br />

611


612<br />

si «per inutiles personas sunt actenus consumpta et consumuntur et consumi<br />

possunt in futurum» 35 .<br />

Norm<strong>al</strong>mente, però, le taverne funzionavano a pieno ritmo, anche perché<br />

garantivano un gettito fisc<strong>al</strong>e non indifferente. Ce ne danno un’idea gli statuti del<br />

1288, quando la produzione vinicola di Bologna, per<strong>al</strong>tro sempre autosufficiente,<br />

fu sottoposta essa pure a regime daziario: in t<strong>al</strong>e circostanza venne infatti preventivata<br />

un’entrata comun<strong>al</strong>e di 7.000 lire per la produzione loc<strong>al</strong>e e di 600 lire<br />

per quella forestiera; in quest’ultimo caso, conoscendo il rapporto fisc<strong>al</strong>e di 1 soldo<br />

a corba (= litri 78,5931), è possibile quantificare un tot<strong>al</strong>e approssimativo di<br />

12.000 corbe (= hl. 8440) di vino forestiero importato annu<strong>al</strong>mente a Bologna;<br />

per il vino loc<strong>al</strong>e non è invece possibile stabilire la quantità tassata, poiché non è<br />

specificato il tipo di dazio, se cioè <strong>al</strong>l’ingrosso, che da an<strong>al</strong>oghe disposizioni sappiamo<br />

però essere di 2 soldi a corba per il vino puro e di 2 denari per il vino misclatum<br />

(vinello o vino annacquato), od invece <strong>al</strong> minuto, per il qu<strong>al</strong>e «l’oste doveva<br />

rivolgersi agli uffici<strong>al</strong>i della gabella ogni qu<strong>al</strong>volta spillava una botte nuova e pagare<br />

una gabella di 2 denari ogni corba» 36 . Osti e <strong>al</strong>bergatori, natur<strong>al</strong>mente, ne dovevano<br />

essere i princip<strong>al</strong>i acquirenti, ma anche i più accaniti evasori, in ragione se<br />

non <strong>al</strong>tro di una più capillare leva fisc<strong>al</strong>e cui erano maggiormente esposti, vista la<br />

preoccupazione delle autorità cittadine nello stabilire con scrupolosa esattezza le<br />

misure dei recipienti vinari 37 , <strong>al</strong>lo scopo di impedire le frodi nei confronti – s’in-<br />

35<br />

PINI, Vite e vino, p. 109. Sul vino come «genere di prima ma non di primissima necessità», utilizzato<br />

anche come forma di pagamento e posposto, natur<strong>al</strong>mente, <strong>al</strong> grano e agli <strong>al</strong>tri cere<strong>al</strong>i in tempo di<br />

carestia: ibid., p. 62 (con bibliografia) e, per un ulteriore riferimento <strong>al</strong>le conseguenze della carestia<br />

del 1259, p. 140.<br />

36 Per questi e <strong>al</strong>tri dati sul commercio del vino e delle uve a Bologna nel Duecento: PINI, Vite e vino,<br />

pp. 105-111. Sul dazio del 1288 (pp. 110-111), in seguito sospeso e poi reintrodotto: S. FRESCURA<br />

NEPOTI, Natura ed evoluzione dei dazi bolognesi nel secolo XIII, «Atti e memorie della Deputazione di storia<br />

patria per le province di Romagna», n.s., 31 (1980-81), pp. 137-163.<br />

37 Preoccupazione che Bologna ebbe in comune con <strong>al</strong>tre re<strong>al</strong>tà statutarie, sia urbane sia rur<strong>al</strong>i: cfr.<br />

ad esempio, per il Piemonte, GRECI, Il commercio del vino, pp. 269-270; per l’area toscana, U. SANTA-<br />

RELLI, La vite e il vino negli statuti della Toscana marittima, in La vite e il vino. Storia e diritto, I, pp. 23-33, in<br />

part. 30-33; per il Lazio, A. CORTONESI, La viticoltura negli statuti mediev<strong>al</strong>i del Lazio, ibid., pp. 35-45, in<br />

part. 43, e ID., Vini e commercio, pp. 92-93; od ancora, P. MAINONI, Le radici della discordia. Ricerche sulla<br />

fisc<strong>al</strong>ità a Bergamo tra XIII e XV secolo, Milano 1997, per Bergamo, dove la vendita del vino <strong>al</strong> minuto<br />

era soggetta intorno <strong>al</strong> 1378 a un regolamento «estremamente puntiglioso» (p. 67); mentre per Brescia,<br />

v. ARCHETTI, Vigne e vino nel medioevo, pp. 163-164 e, per la facilità di frodi fisc<strong>al</strong>i e sofisticazioni<br />

cui erano esposti i fermentati d’uva, ID., Tempus vindemie, pp. 401-402 e 470-474. Cercare di imbrogliare<br />

il fisco era del resto una costante anche a Firenze, suggerita, persino, nei manu<strong>al</strong>i di mercatu-


dovina facilmente – non solo dei consumatori, e visto soprattutto il progressivo<br />

speci<strong>al</strong>izzarsi di una sempre più minuziosa normativa sugli osti e i tavernieri, che<br />

si manifesta anche negli statuti bolognesi del Trecento 38 .<br />

Altre considerazioni a parte, colpisce il divario esistente tra la quantità di<br />

vino loc<strong>al</strong>e e di vino forestiero che sembra caratterizzare il mercato bolognese<br />

intorno <strong>al</strong> 1288, ma che perdura ancora <strong>al</strong>l’inizio del Quattrocento, quando sulla<br />

f<strong>al</strong>sariga dei dati forniti da due registri daziari del secondo semestre del 1406<br />

e del primo semestre del 1413 è possibile determinare non solo la quantità di<br />

vino consumato <strong>al</strong>l’interno della città, ma anche la qu<strong>al</strong>ità. Dei 35-36.000 ettolitri<br />

<strong>al</strong>l’anno, con una media di 2 ettolitri pro capite, stimati <strong>d<strong>al</strong></strong> Pini per una popolazione<br />

<strong>al</strong>lora di circa 40.000 abitanti, solo lo 0,39% è rappresentato da vini speci<strong>al</strong>i<br />

(m<strong>al</strong>vasia, moscatelli provenz<strong>al</strong>i, ribolla, trebbiani, vini della V<strong>al</strong>tellina e vino<br />

di Romania); una percentu<strong>al</strong>e molto modesta, a fronte del 97,72% rappresentato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’anonimo vino loc<strong>al</strong>e, consumato con prev<strong>al</strong>enza del rosso (66,25%) sul<br />

bianco (31,47%), <strong>al</strong>quanto più costoso 39 . Se da un lato il forte divario in favore<br />

del vino ‘loc<strong>al</strong>e’ comprova che a Bologna si è in presenza di un mercato autosufficiente<br />

e poco sofisticato, il suo largo consumo dimostra, d’<strong>al</strong>tro canto, che<br />

doveva trattarsi di un vino non disprezzabile, se riusciva gradito ai bolognesi, ai<br />

forestieri, a frequentatori inc<strong>al</strong>liti di taverne e locande, come studenti e soldati,<br />

ra, a giudicare da quanto riporta A. D’ADDARIO, Un fiorentino del Tre-Quattrocento, in Vita privata a Firenze<br />

nei secoli XIV e XV, Firenze 1966 (Vita fiorentina attraverso i secoli, 1), pp. 19-20; né vi si sottraevano<br />

i gestori delle taverne senesi, luoghi in cui era praticato il gioco d’azzardo e frequentate, come<br />

<strong>al</strong>trove, da truffatori, bari e ladri di professione: famoso il Nibbio da Siena, non meno di Giovanni<br />

Piccinino, autore di furti commessi pure nel Bresciano (TULLIANI, Osti, avventori e m<strong>al</strong>andrini, pp. 185-<br />

194). In più gener<strong>al</strong>e contesto, frodi fisc<strong>al</strong>i, contraffazioni di prezzi e delle misure si segn<strong>al</strong>ano anche<br />

per Londra, dove nel 1309 esistevano 304 taverners: cfr. PINI, Il commercio internazion<strong>al</strong>e del vino nel<br />

medioevo (a proposito degli studi di M.K. James),in ID., Vite e vino, pp. 183-204, in part. 203.<br />

38<br />

PINI, Vite e vino, p. 111, n. 257 (con <strong>al</strong>tre interessanti indicazioni attinte <strong>al</strong>le inedite redazioni statutarie<br />

del Tre-Quattrocento); v. anche a pp. 108-109, per disposizioni desunte invece <strong>d<strong>al</strong></strong>la redazione<br />

duecentesca edita <strong>d<strong>al</strong></strong> Frati: orario di apertura e chiusura, divieto di tenere insegna <strong>al</strong>lo scopo di attirare<br />

il cliente, divieto di tenere taverna nel raggio di due miglia <strong>d<strong>al</strong></strong>la città e men che meno vicino <strong>al</strong><br />

porto sul fiume Reno (dove esisteva già un ospizio gestito <strong>d<strong>al</strong></strong> comune), obbligo per le comunità del<br />

contado con <strong>al</strong>meno 30 fuochi di aprire una taverna rifornita di pane, vino, victu<strong>al</strong>ia e strumenti per<br />

ferrare i cav<strong>al</strong>li a giusto prezzo, proibizione per osti e <strong>al</strong>bergatori di riunirsi in corporazione.<br />

39<br />

PINI, Vite e vino, pp. 131-137. Da segn<strong>al</strong>are, per completezza, che la rimanenza di questa percentu<strong>al</strong>e<br />

è colmata da quantità minime di misclatum (vinello), marcitum (vino amm<strong>al</strong>orato) e <strong>al</strong>tra qu<strong>al</strong>ità<br />

imprecisata (pp. 133 e 136).<br />

613


614<br />

che sempre più numerosi stazionano in città 40 . Un vino «forte», lo qu<strong>al</strong>ifica il<br />

Pini, «di giusta <strong>al</strong>colicità, ma di notevole acidità, capace di conservarsi più nel clima<br />

rigido invern<strong>al</strong>e che in quello afoso estivo che caratterizza la zona bolognese»<br />

41 . Di t<strong>al</strong>e vino comune si rifornivano, in prev<strong>al</strong>enza, tavernieri e <strong>al</strong>bergatori,<br />

acquistandolo in una piazzetta sul lato destro della cattedr<strong>al</strong>e di San Petronio 42 e<br />

pagando un dazio <strong>al</strong>l’ingrosso che <strong>al</strong>l’inizio del Quattrocento era di 16 denari a<br />

corba 43 . Certo, erano pure in circolazione vini pregiati e costosi: la vernaccia, la<br />

m<strong>al</strong>vasia, vini di Creta e il vin greco; vini che solo nel 1335, insieme <strong>al</strong>l’acquavite,<br />

fanno però la loro comparsa negli statuti cittadini 44 . La tenuta, comunque, del<br />

vino bolognese è garanzia, ad un tempo, e dimostrazione della sua buona qu<strong>al</strong>ità:<br />

la produzione loc<strong>al</strong>e non doveva essere scadente, se la maggior parte del<br />

vino consumato nella città felsinea ancora <strong>al</strong>lo schiudersi del secolo XV, con la<br />

rivoluzione dei noli ormai in atto, non era di importazione, ma loc<strong>al</strong>e 45 . Anzi,<br />

40 La presenza di soldati di mestiere compensa quella degli universitari, in via di progressiva riduzione<br />

già <strong>d<strong>al</strong></strong> sec. XIII: cfr. PINI, Vite e vino, pp. 140-141.<br />

41 PINI, Vite e vino, p. 137, n. 322.<br />

42 T<strong>al</strong>e piazzetta si trovava, esattamente, nella «curia Sancti Ambrosii», attu<strong>al</strong>e via de’ Pignatari, e tutti<br />

potevano recarvisi ad acquistare vino <strong>al</strong>l’ingrosso od anche <strong>al</strong> minuto (PINI, Vite e vino, p. 107). Sull’esistenza<br />

di an<strong>al</strong>oghi spazi in <strong>al</strong>tre re<strong>al</strong>tà urbane invita a indagare il PINTO, Vino e fisco nelle città it<strong>al</strong>iane,<br />

p. 175.<br />

43 Anche questo dato si ricava dai registri delle gabelle studiati <strong>d<strong>al</strong></strong> PINI, Vite e vino, p. 132. Attraverso<br />

di essi, oltre <strong>al</strong>la quantità e <strong>al</strong> tipo di vino trattato giorn<strong>al</strong>mente a Bologna, come registra con puntu<strong>al</strong>ità<br />

la tabella ivi ricomposta (p. 133), è inoltre possibile arrivare a conoscere i nomi dei grandi produttori<br />

e mercanti di vino, i nomi dei brentatori e quelli dei maggiori acquirenti: tra cui, ovviamente,<br />

taverne, locande e <strong>al</strong>berghi; ma si tratta, purtroppo, di indagini rimaste circoscritte <strong>al</strong>lo stadio di tesi<br />

di laurea (ibid.).<br />

44 PINI, Vite e vino, pp. 111-112, n. 257.<br />

45 A favore della buona qu<strong>al</strong>ità del vino bolognese depone, del resto, la sua commerci<strong>al</strong>izzazione.<br />

Indubbiamente, gli <strong>al</strong>ti costi dei trasporti terrestri non gli consentivano di andare oltre l’asse Faenza-<br />

Reggio, ma per via d’acqua, attraverso il porto fluvi<strong>al</strong>e di Ferrara, arrivava <strong>al</strong>le foci sul mare e da qui<br />

fino a Venezia (PINI, Vite e vino, p. 160, n. 50, e p. 176). Il percorso inverso consentiva invece <strong>al</strong>la m<strong>al</strong>vasia,<br />

importata da Venezia, che ne deteneva in un certo senso il monopolio, di spingersi fino a Ferrara<br />

e da lì, navigando quasi sempre «per lo Reno», arrivare a Bologna, come testimonia il carteggio<br />

di Francesco Datini, per poi eventu<strong>al</strong>mente proseguire via terra <strong>al</strong>la volta di Firenze (MELIS, Il consumo<br />

del vino a Firenze, p. 29, n. 158), raggiunta, <strong>al</strong> di là delle giogaie appenniniche, insieme a discreti<br />

quantitativi di ribolla (vino pregiato di colore rosso, molto adatto <strong>al</strong>l’invecchiamento), nella cui produzione<br />

si era invece venuta speci<strong>al</strong>izzando Imola, soprattutto dopo la sua sottomissione <strong>al</strong> più<br />

potente capoluogo emiliano e la conseguente riconversione delle sue colture in foraggere e cere<strong>al</strong>icole,<br />

non senza il supporto di una viticoltura di qu<strong>al</strong>ità fin<strong>al</strong>izzata <strong>al</strong> mercato, a cominciare da quel-


proprio nel suo largo consumo, testimoniato dai registri daziari d’inizio Quattrocento,<br />

si ha la riprova della prev<strong>al</strong>ente circolazione di t<strong>al</strong>e tipo di vino anche<br />

sui banchi di vendita, sul desco e le mense di taverne, locande, <strong>al</strong>berghi, dove, tra<br />

scranni e tavoli da gioco, si offriva in pratica a tutti, cittadini e forestieri, ricchi e<br />

poveri, «lo stesso vino comune, attuando», è appena il caso di ribadire col Pini,<br />

«quel precetto goliardico per cui omnes gulae sunt sorores» 46 .<br />

Molto più vario e sofisticato si prospetta invece il panorama dei vini consumati<br />

nelle taverne fiorentine del Tre-Quattrocento, sì da giustificare piuttosto la<br />

deduzione: «chaque vin a sa clientèle», che si legge a conclusione delle dense<br />

pagine scritte da Charles-Marie de La Roncière sul prezzo del vino a Firenze nel<br />

corso del XIV secolo 47 . Il vino, osserva inoltre lo stesso studioso, «coule à flots<br />

sur les tables des florentins», e se non tutti potevano permettersi vino di buona<br />

qu<strong>al</strong>ità, prosegue il B<strong>al</strong>estracci, «si direbbe che tutti, proprio tutti, bevevano<br />

qu<strong>al</strong>che tipo di vino» 48 .<br />

Ad ogni vino la sua clientela, è dunque il caso di ripetere. Tanto più in una<br />

capit<strong>al</strong>e mercantile di portata europea come Firenze, dove, <strong>al</strong>la stessa stregua di<br />

qu<strong>al</strong>siasi <strong>al</strong>tra città mediev<strong>al</strong>e, cantine e taverne si aprivano ad ogni angolo di<br />

strada 49 . Vernaccia, m<strong>al</strong>vasia, vini orient<strong>al</strong>i e latini, trebbiani loc<strong>al</strong>i e d’importazione,<br />

vini bianchi e vermigli, pregiati e costosi, come la ribolla di Imola o di<br />

Capodistria, come il vin greco dell’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e, per il qu<strong>al</strong>e esisteva fin <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

1297 una gabella <strong>al</strong> dettaglio gestita dai pisani 50 , od ancora i vini dell’Elba, della<br />

lo della vicina Bologna (PINI, Vite e vino, p. 161). A Firenze arrivava anche la ribolla di Capodistria,<br />

«migliore che quella d’Imola», scrive un corrispondente del Datini a Bologna, e lodata dai medici «più<br />

che niun <strong>al</strong>tro vino» (MELIS, Il consumo del vino a Firenze, p. 27). Più spesso, però, l’importazione di<br />

vino straniero a Firenze, compresa la ricercatissima m<strong>al</strong>vasia, passava dai porti sul Tirreno e in particolare<br />

da quello di Pisa: oltre che <strong>d<strong>al</strong></strong> già citato Melis (pp. 27-29 e passim), se ne ha conferma da<br />

BALESTRACCI, Il consumo del vino nella Toscana, p. 16. Sulla qu<strong>al</strong>ità buona dei vini di Bologna e Imola<br />

brevemente s’intrattiene anche ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 103-104.<br />

46<br />

PINI, Vite e vino, p. 137, n. 321, cui si rinvia anche per <strong>al</strong>cune preliminari indicazioni su nomi e<br />

numero (35 <strong>al</strong>l’inizio del ’400) dei princip<strong>al</strong>i <strong>al</strong>berghi di Bologna.<br />

47<br />

LA RONCIÈRE, Prix et s<strong>al</strong>aires, pp. 129-144.<br />

48 BALESTRACCI, Il consumo del vino nella Toscana,p.28.<br />

49 Immagine, anche questa, resa paradigmatica da un esperto conoscitore della società cittadina<br />

mediev<strong>al</strong>e qu<strong>al</strong>e il LA RONCIÈRE, Prix et s<strong>al</strong>aires, p. 382: «Les cabarets et tavernes s’ouvrent à tous les<br />

coins de rue», a Firenze come <strong>al</strong>trove.<br />

50<br />

LA RONCIÈRE, Prix et s<strong>al</strong>aires, p. 544, n. 31; anche ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 96-97.<br />

615


616<br />

Corsica o della Sardegna, e qu<strong>al</strong>ità più modeste, come il vino pratese, decisamente<br />

scadente, tanto che se ne consigliava il taglio con uve della V<strong>al</strong>dinievole o<br />

con del trebbiano nero 51 , ma pur venduto nella cantina Datini di Firenze, e persino<br />

l’acquarello: tutti vini di cui si riforniva ampiamente la città gigliata, e messi<br />

a disposizione dei vari clienti, contadini, artigiani, mercanti, soldati, viaggiatori,<br />

pellegrini, chierici e laici, ricchi e poveri, che approdavano per le più svariate<br />

ragioni a taverne e locande della città, o le frequentavano giorn<strong>al</strong>mente per motivi<br />

di lavoro o di svago. Senz’<strong>al</strong>tro, questo è il panorama che si riflette <strong>d<strong>al</strong></strong> celebre<br />

studio del Melis sul consumo di vino a Firenze nel secolo XV, condotto <strong>al</strong>la luce<br />

del catasto fiorentino del 1427, integrato con dati desunti <strong>d<strong>al</strong></strong> ricchissimo archivio<br />

Datini di Prato. Ma fin <strong>d<strong>al</strong></strong> Trecento se ne ha il sentore, sull’onda di un volume<br />

d’affari che intorno <strong>al</strong> 1338 assicurava <strong>al</strong>l’erario cittadino un’entrata pari <strong>al</strong><br />

25% dell’intera gabella delle porte, da dove passavano, secondo il Villani, <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

55.000 <strong>al</strong>le 65.000 cogna di vino <strong>al</strong>l’anno (= hl. 223.740-263.820), sulla cui base<br />

è possibile quantificare per Firenze, in rapporto a una popolazione di circa<br />

90.000 abitanti prima della peste, un consumo pro capite stimato <strong>d<strong>al</strong></strong> Fiumi intorno<br />

ai 270 litri annui. Quanto di questo vino venisse smerciato nelle taverne lo si<br />

intuisce dai proventi della gabella <strong>al</strong> dettaglio: 59.300 fiorini <strong>al</strong>l’anno, stando<br />

sempre <strong>al</strong> Villani, corrispondenti a un terzo del prezzo di mercato e <strong>al</strong> 19% circa<br />

dell’intero ammontare del gettito fisc<strong>al</strong>e 52 .<br />

Certamente, non si vendeva vino solo in taverna. Ma, non v’è dubbio, il commercio<br />

di vino <strong>al</strong> minuto era quello che consentiva la tassazione con il più elevato<br />

indice di introiti nelle casse cittadine, <strong>d<strong>al</strong></strong> momento che poteva raggiungere, e a<br />

Firenze lo raggiunse, anzi t<strong>al</strong>volta lo superò, il 50% del prezzo di mercato, contribuendo<br />

a farne lievitare il tariffario in modo considerevole 53 . Frodi a danno del<br />

51 Due i tipi di trebbiano <strong>al</strong>lora in circolazione: il bianco, dolce, liquoroso e di color paglierino, molto<br />

apprezzato e comune sulle tavole dei fiorentini e nelle taverne (LA RONCIÈRE, Prix et s<strong>al</strong>aires, p.<br />

131); e un tipo nero «come inchiostro», che versato «in su vini da Prato», scrive Lapo Mazzei <strong>al</strong> Datini,<br />

«v<strong>al</strong>e molto e racconcia ogni cosa» (BALESTRACCI, Il consumo del vino nella Toscana, pp. 17-18).<br />

52 Per tutti questi dati si vedano gli studi più volte citati, e segn<strong>al</strong>ati nella n. 30. Quanto <strong>al</strong>la ‘stima’ del<br />

Fiumi, desunta <strong>d<strong>al</strong></strong> Villani e guardata con sospetto <strong>d<strong>al</strong></strong> Melis (Il consumo del vino a Firenze, p. 31), essa<br />

è risultata meno inverosimile in anni più recenti, quando è stato possibile il confronto con quelle,<br />

abbastanza simili, congetturate per <strong>al</strong>tre re<strong>al</strong>tà urbane: cfr. BALESTRACCI, Il consumo del vino nella Toscana,<br />

p. 27 e, per una dettagliata rassegna <strong>al</strong> riguardo, PINI, Vite e vino, p. 135, n. 316.<br />

53 Su andamento, prezzo del vino, incidenza e mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità del prelievo fisc<strong>al</strong>e nella Firenze del Due-Trecento,<br />

cfr. LA RONCIÈRE, Prix et s<strong>al</strong>aires, pp. 43-51, 129-144; PINTO, Vino e fisco, pp. 167-177 (per il<br />

dato qui rilevato e il confronto con <strong>al</strong>tre situazioni, v. <strong>al</strong>le pp. 174-175).


fisco e fuga dei tavernieri <strong>d<strong>al</strong></strong>la città ne sono, per così dire, le natur<strong>al</strong>i conseguenze.<br />

In t<strong>al</strong>e ottica pare muoversi, nel tentativo di porvi rimedio, lo statuto dei vinattieri<br />

fiorentini del 1339, dove compare una disposizione molto interessante <strong>al</strong> riguardo,<br />

anche perché vi si riflette l’ambiguità di atteggiamento delle autorità preposte<br />

<strong>al</strong>l’arte: nel vietare infatti di tenere taverna entro un miglio <strong>d<strong>al</strong></strong>le mura cittadine, ci<br />

si appella a ragioni di ordine mor<strong>al</strong>e, in re<strong>al</strong>tà formulate, molto più verosimilmente,<br />

in funzione di un recupero cittadino delle taverne e, com’è logico presumere,<br />

della gabella <strong>al</strong>le porte, di cui l’arte deteneva l’app<strong>al</strong>to e che t<strong>al</strong>uni tavernieri, spostandosi<br />

fuori delle mura, avevano abilmente trovato il modo di evitare 54 .<br />

D’<strong>al</strong>tra parte l’imposta sul commercio <strong>al</strong> minuto era anche la tassa che colpiva<br />

maggiormente lo strato dei meno abbienti. La possibilità tuttavia di accedere<br />

a vini dai prezzi <strong>al</strong>quanto differenziati, che, di fatto, mettevano il prodotto <strong>al</strong>la<br />

portata di tutti – chaque vin a sa clientèle – non venne mai meno nel tempo. «La<br />

gente minuta usano il vino e la taverna», nota un cronista del Trecento 55 , rivelandoci<br />

un aspetto nient’affatto scontato dello stretto rapporto intercorrente tra la<br />

città e l’ambiente della taverna. Ambiente polifunzion<strong>al</strong>e, certo, ma progressivamente<br />

orientato verso una sua specificità, soprattutto in ambito cittadino, dove<br />

nel trinomio «vino, sesso e gioco» la taverna finisce per trovare un elemento tra<br />

i più caratterizzanti. Ed è l’aspetto che, più d’ogni <strong>al</strong>tro, ne fa il luogo di accoglienza<br />

della margin<strong>al</strong>ità soci<strong>al</strong>e e cultur<strong>al</strong>e, in un contesto sovente degradato<br />

54 Il richiamo <strong>al</strong> fatto che «molte genti di diverse maniere di dì e di notte si ragunano» nelle taverne<br />

fuori città «per cagione della detta vendita del vino», e che «ivi si giuocha, e oltre a questo molte çuffe<br />

si fanno e cose non licite si comettono», e che le dette taverne sono cagione «di molti m<strong>al</strong>i e sono<br />

ricettagioni di ladroni, giucatori e huomini disonesti e di m<strong>al</strong>i, per le qu<strong>al</strong>i cose a tutta la città di<br />

Firençe e <strong>al</strong>la republica s’apartiene delle predette cose d’oportuno rimedio provedere», mi sembra<br />

meramente funzion<strong>al</strong>e, in questo caso, <strong>al</strong> ‘divieto’ di tenere taverna entro un miglio <strong>d<strong>al</strong></strong>le mura imposto<br />

a tutto vantaggio della gabella <strong>al</strong>le porte, come s’intuisce anche <strong>d<strong>al</strong></strong>la pesante sanzione di «libbre<br />

cento di fiorentini piccioli» per i contravventori e di ben 200 per ciascun console che «chontro <strong>al</strong>le<br />

predette cose facesse», intesa a scoraggiare connivenze e tavernieri ‘in fuga’ <strong>d<strong>al</strong></strong>la città (Statuti delle arti<br />

dei fornai e dei vinattieri di Firenze, ed. Morandini, pp. 145-146). Ulteriore e, senz’<strong>al</strong>tro, re<strong>al</strong>istica testimonianza<br />

del ‘mito’ che da sempre accompagna la taverna «come luogo di perdizione» (BALESTRAC-<br />

CI, Il consumo di vino nella Toscana, p. 21), t<strong>al</strong>e statuto, e il suo inserimento nel quadro degli interessi economici<br />

e fisc<strong>al</strong>i <strong>al</strong>lora in gioco, trova addentellati non meno probanti nelle migrazioni «vers la banlieue»,<br />

cui <strong>al</strong>lude sulla base di documentazione successiva il La Roncière, secondo il qu<strong>al</strong>e <strong>al</strong>l’origine<br />

della ‘fuga’ dei tavernieri vi sarebbero appunto le imposte «qui les accablent» e «assez lourdes en tous<br />

cas pour les pousser à fuir la ville et à chercher un soulagement précaire hors des murailles» (LA RON-<br />

CIÈRE, Prix et s<strong>al</strong>aires,p.51).<br />

55 Cito da CHER<strong>UBI</strong>NI, La taverna, pp. 213-214, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e rimando per <strong>al</strong>tre testimonianze in t<strong>al</strong> senso.<br />

617


618<br />

anche ambient<strong>al</strong>mente, come è dato di constatare non appena ci si addentri, guidati<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le pagine della Mazzi, nella Firenze del Quattrocento 56 .<br />

Taverne, spesso di m<strong>al</strong>affare, punteggiavano in gran numero, insieme agli<br />

<strong>al</strong>berghi-postribolo, il tessuto urbano, concentrandosi nel de<strong>d<strong>al</strong></strong>o di vie e viuzze<br />

convergenti sul chiasso di M<strong>al</strong>acucina, nel cuore stesso della città, tra piazza<br />

Duomo e piazza della Signoria. Una quarantina ne censisce un documento<br />

fisc<strong>al</strong>e del 1432, tra grandi e piccole. Insieme <strong>al</strong>la Macciana o <strong>al</strong> Frascato, dove<br />

era solita radunarsi una piccola folla per assistere <strong>al</strong> gioco delle tavole che vi si<br />

praticava 57 , o <strong>al</strong>la taverna del Fico, la qu<strong>al</strong>e prendeva nome <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>bero che le<br />

sorgeva accanto, <strong>al</strong>tre, <strong>d<strong>al</strong></strong> nome non meno <strong>al</strong>lusivo, come la taverna del Buco,<br />

della B<strong>al</strong>dracca o del Porco, contornano quel piccolo orizzonte. Dove non<br />

mancava certo il vino, ed anche di qu<strong>al</strong>ità: lo lasciano intendere t<strong>al</strong>une denominazioni,<br />

della M<strong>al</strong>vagìa, della Nave dei vini orient<strong>al</strong>i o della Corona dei vini stranieri,<br />

attribuite ad <strong>al</strong>cune taverne del centro cittadino 58 . Anche questo un segn<strong>al</strong>e<br />

indubbio della vasta gamma di vini che giungevano in città e, quindi, nelle<br />

taverne. Sicuramente effetto di quella rivoluzione dei noli che caratterizza il<br />

passaggio <strong>d<strong>al</strong></strong> Tre <strong>al</strong> Quattrocento e attuata non senza il determinante apporto<br />

dei mercanti fiorentini, ben consapevoli dei notevoli costi di trasporto e di<br />

dazio connessi <strong>al</strong> commercio del vino. Trasportare via terra da Greve in Chianti<br />

a Firenze una partita di vino nel 1402, quando la differenziazione delle tariffe<br />

dogan<strong>al</strong>i non si era ancora estesa <strong>d<strong>al</strong></strong>l’originario campo dei trasporti marittimi<br />

ai percorsi terrestri, osserva il Melis, veniva a costare più della metà di quanto<br />

costasse un equiv<strong>al</strong>ente cargo marittimo da P<strong>al</strong>ma di Maiorca <strong>al</strong> porto di<br />

56 Cfr. MAZZI, Prostitute e lenoni, e in particolare il cap. I luoghi e l’organizzazione (pp. 249-292), da cui<br />

sono tratte in massima parte le notizie e i dati che seguono.<br />

57 Si tratta di un gioco che si eseguiva con dadi e pedine su di un tavoliere, la cui liceità, a differenza<br />

del gioco d’azzardo, è comprovata da diversi statuti: cfr. M. LUCCHESI, Stefano Costa e il «Tractatus de<br />

ludo» (1471). Prime note, «Rivista di storia del diritto it<strong>al</strong>iano», 73 (2000), pp. 19-64, in part. 42-46, con<br />

<strong>al</strong>tre indicazioni sulla classificazione delle species ludi.<br />

58 Per questa e <strong>al</strong>tra onomastica ‘tabernaria’, oltre <strong>al</strong>le già citate pagine della Mazzi, v. CHER<strong>UBI</strong>NI, La<br />

taverna, p. 197, non meno fornito di coloriti spaccati sull’ubicazione, la raffigurazione – come nel<br />

caso della cella del Fico, rappresentata in un dipinto del primo Cinquecento, conservato nel museo<br />

Stibbert di Firenze (p. 202) –, la clientela, il ruolo soci<strong>al</strong>e e la novellistica delle taverne fiorentine (pp.<br />

196-202, 209, 218-219, 221).<br />

59 Altrettanto v<strong>al</strong>e per la ribolla di Imola: nel suo prezzo, che sul mercato bolognese si aggirava intorno<br />

ai 2 fiorini a ettolitro, circa il 35% spettava <strong>al</strong> trasporto Imola-Bologna; cfr. MELIS, Il consumo del


Bruges 59 . Il Quattrocento rivoluzionerà t<strong>al</strong>i rapporti, favorendo rispetto <strong>al</strong> Trecento<br />

una maggior importazione di vini ‘navigati’ e di lusso, sempre più ricercati,<br />

e immessi, a costi meno proibitivi, nelle taverne di una città caratterizzata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza di ben 137 vinattieri 60 .<br />

Non spiacerebbe, a questo punto, cogliere <strong>d<strong>al</strong></strong> vivo l’effettivo volume di vino<br />

smerciato in una specifica taverna, sulla f<strong>al</strong>sariga di quanto il Melis ha fatto per<br />

la cantina che la compagnia Datini aveva in Firenze. Come si ricava da un «quadernuccio»<br />

del 1398, la cantina giunse a immagazzinare vino per un tot<strong>al</strong>e di 94<br />

barili, pari a circa 43 ettolitri di vino imbottato nell’arco di un anno, il cui assortimento,<br />

in questo caso, non pare molto pronunciato: vi prev<strong>al</strong>e infatti il vino<br />

pratese (31 barili), con <strong>al</strong>tro vino di qu<strong>al</strong>ità imprecisata, anche se non mancano<br />

25 barili di chianti e 12 di vernacciola di Carmignano 61 . Ciò v<strong>al</strong>e per una ‘cantina’,<br />

dove pur si smerciava vino <strong>al</strong> minuto; non siamo ancora, però, in presenza<br />

di una ‘taverna’ vera e propria.<br />

Per dare una risposta adeguata a quest’ultimo interrogativo dobbiamo spostare<br />

l’attenzione su un’<strong>al</strong>tra re<strong>al</strong>tà urbana: quella di Roma, la capit<strong>al</strong>e della cristianità<br />

e meta di numerosi pellegrinaggi che vi convergevano speci<strong>al</strong>mente in occasione<br />

degli anni santi, quando quasi ogni casa della città si trasformava in <strong>al</strong>bergo o in un<br />

punto di mescita. «Ogni casa era <strong>al</strong>bergo e non bastava», commenta un cronista a<br />

fronte dell’affluenza in massa verificatasi nell’anno santo del 1450 62 ; e Giovanni<br />

Rucellai, riferendosi <strong>al</strong> medesimo anno giubilare, annota: «Erano in Roma questo<br />

anno del giubileo hosterie milleventidue che tengono insegna di fuori, et sanza<br />

vino a Firenze, pp. 17 e 27. Ancor più esplicito e paradigmatico l’esempio di una corba di m<strong>al</strong>vasia<br />

importata <strong>d<strong>al</strong></strong>la Grecia: fino a Venezia subiva un aumento del 5-6% del suo costo inizi<strong>al</strong>e, ma un <strong>al</strong>tro<br />

del 12-15% per giungere su zattere fluvi<strong>al</strong>i a Bologna e un ulteriore rincaro del 30%, per soli 30 km.,<br />

se avesse dovuto proseguire via terra fino a Imola (PINI, Vite e vino, pp. 175-176).<br />

60<br />

MELIS, Il consumo del vino a Firenze, p. 32. Inoltre, a più di 100 ammontavano i punti di ristoro e <strong>al</strong>loggio<br />

in Firenze, e a 157 nei villaggi del contado, ridottisi però a 76 nel 1394, ossia dopo la grande peste:<br />

per t<strong>al</strong>i dati, colti in un ampio quadro di storia comparata, cfr. PEYER, Viaggiare nel medioevo, pp. 284-<br />

289, il qu<strong>al</strong>e li desume «da <strong>al</strong>cune carte della parte non pubblicata» dell’opera del La Roncière (p. 287).<br />

61<br />

MELIS, Il consumo del vino a Firenze, pp. 31-32.<br />

62 Il “Memori<strong>al</strong>e” di Paolo di Benedetto di Cola dello Mastro del Rione di Ponte, a cura di F. Isoldi, Città di<br />

Castello 1912 (Rerum It<strong>al</strong>icarum scriptores, XXIV/2), p. 94.<br />

63 G. MARCOTTI, Il Giubileo dell’anno 1450 secondo una relazione di Giovanni Rucellai, «Archivio della Società<br />

romana di storia patria», 4 (1881), p. 579. Sull’effettiva frequenza di punti di ristoro e <strong>al</strong>loggio permanenti<br />

nella Roma del Quattro-Cinquecento, oltre a U. GNOLI, Alberghi ed osterie di Roma nella Rinascenza,<br />

Spoleto 1935 (rist. Roma 1942), fa testo l’ampia monografia del ROMANI, Pellegrini e viaggiatori, ric-<br />

619


620<br />

insegna anche uno grande numero» 63 . Il giubileo era, ed è, un evento in grado di<br />

muovere molteplici iniziative, pubbliche e private, sollecitate <strong>d<strong>al</strong></strong> momentaneo ma<br />

rilevante afflusso di persone, straordinario propellente, non soltanto nei secoli passati,<br />

per l’economia della città santa. «Tutti l’arti fecero assai bene», non può fare a<br />

meno di osservare, parlando ancora dell’anno santo del 1450, il dianzi citato Paolo<br />

dello Mastro, ma «l’arti che fero assai denari» furono «la prima di banchieri e lli<br />

speti<strong>al</strong>i e pentori di Volto Santo», e «appresso osterie e taverne» 64 .<br />

Il giubileo rappresentava un’occasione di guadagni per tutti, a maggior ragione<br />

per <strong>al</strong>bergatori, locandieri, tavernieri e per quanti, in previsione dell’ininterrotto<br />

flusso e riflusso di pellegrini e gente di passaggio, si sapevano organizzare adibendo<br />

le proprie abitazioni a punti di ristoro o <strong>al</strong>loggio. Poiché il vino era un bene<br />

di consumo di prima necessità, e poiché nelle assolate estati romane, quando maggiormente<br />

si concentravano, approfittando della bella stagione, i pellegrini e i viandanti,<br />

fungeva pure, se opportunamente trattato, da bevanda rinfrescante e tonificante,<br />

era del tutto natur<strong>al</strong>e trasformarsi in occasion<strong>al</strong>i concorrenti di un’attività i<br />

cui proventi erano garantiti <strong>d<strong>al</strong></strong>la grande richiesta del prodotto. E per chi possedeva<br />

capit<strong>al</strong>i, era un mezzo per diversificare gli investimenti, diminuendo i rischi.<br />

Su due di questi esercizi, appunto, tra quelli «senza insegna» il primo, organizzatisi<br />

cioè per la circostanza, e di quelli «che tengono insegna» il secondo, ossia una<br />

ca di dati quantitativi, statistiche e tabelle, da cui si ricava, in base <strong>al</strong> censimento del 1526-27, un numero<br />

di 236 tra <strong>al</strong>berghi, osterie e taverne (p. 68), che «rappresentano, pur nella incompletezza del dato,<br />

un fatto economico eccezion<strong>al</strong>e nell’It<strong>al</strong>ia di quegli anni» (AIT,ESCH, Aspettando l’anno santo, p. 395, n.<br />

24). Quanto <strong>al</strong>la differenza tra osterie con e senza insegna, identificativa nel primo caso di una «locanda<br />

pubblica» e, nel secondo, di una «casa privata adibita estemporaneamente a locanda», cfr. PEYER,<br />

Viaggiare nel medioevo, p. 236; per la varietà dei simboli (rami frondosi, <strong>al</strong>beri, cerchi di botti, p<strong>al</strong>i, etc.),<br />

il loro significato e il successivo approdo <strong>al</strong>l’insegna individu<strong>al</strong>e: ibid., pp. 245-251.<br />

64 «Massime chi lle fece – prosegue il cronista – per le strade de fuori overo in piazza de Sancto Petro e<br />

di Santo Ianni» (Il “Memori<strong>al</strong>e” di Paolo di Benedetto di Cola dello Mastro, ed. Isoldi, p. 95). Per la rilevanza<br />

economica attribuita agli anni santi, v. M. MIGLIO, «Se vuoi andare in paradiso, vienci». Aspetti economici e politici<br />

dei primi giubilei,in Roma sancta. La città delle basiliche, a cura di M. Fagiolo, M.L. Madonna, Roma 1985<br />

(Roma: storia, cultura, immagine, 2), pp. 233-237; ed anche AIT,ESCH, Aspettando l’anno santo, p. 398, <strong>al</strong><br />

qu<strong>al</strong>e ho attinto pure le tre precedenti citazioni cronachistiche. Anni santi a parte, la controprova dei<br />

buoni affari di taverna è confermata <strong>d<strong>al</strong></strong>la posizione che nella sc<strong>al</strong>a soci<strong>al</strong>e ed economica di Roma occupavano,<br />

<strong>al</strong> tempo di Martino V, i tavernai; con doti tra i 100 e i 300 fiorini correnti, si collocavano infatti,<br />

insieme ai barbieri, poco <strong>al</strong> di sotto di spezi<strong>al</strong>i, orefici e armaioli, e <strong>al</strong>lo stesso livello dei notai e di <strong>al</strong>tri<br />

esponenti delle professioni liber<strong>al</strong>i: cfr. A. MODIGLIANI, Artigiani e botteghe nella città, in Alle origini della<br />

nuova Roma. Martino V (1417-1431). Atti del convegno (Roma, 2-5 marzo 1992), Roma 1992 (Istituto<br />

storico it<strong>al</strong>iano per il medio evo. Nuovi studi storici, 20), pp. 455-477, <strong>al</strong>le pp. 476-477.


taverna vera e propria, abbiamo modo di orientare l’indagine <strong>al</strong>la luce della documentazione<br />

prodotta in vista e durante l’anno santo del 1475. Indetto <strong>d<strong>al</strong></strong> papa<br />

Sisto IV, era, tra l’<strong>al</strong>tro, il primo a scadenza venticinquenn<strong>al</strong>e, voluta per dar modo<br />

a più persone – considerata la brevità della vita – di fruire dell’indulgenza giubilare<br />

<strong>al</strong>meno una volta nel corso della propria esistenza. Qu<strong>al</strong>ità e quantità del vino<br />

immesso e smerciato in una taverna in quell’occasione, nel tentativo di rispondere<br />

<strong>al</strong> quesito sopra enunciato, fungeranno da motivo guida <strong>al</strong>la nostra indagine.<br />

Nel primo caso ci troviamo in presenza, come si è detto, di un esercizio<br />

provvisorio, messo in piedi con contratto stipulato il 17 giugno 1474 e rimasto<br />

attivo fino <strong>al</strong>la chiusura dell’anno santo del 1475. Contraenti erano: Gentile<br />

P<strong>al</strong>umbo da Castellammare di Stabia, nel ruolo di mercante e fornitore di vino,<br />

il suo compaesano Giacomo Strecanense e una donna, la proprietaria della casa<br />

adibita a osteria, Caterina Riba da P<strong>al</strong>ermo, nel ruolo di gestori. Ad essi si<br />

aggiunge un banchiere, Prospero Santacroce, indicato come eventu<strong>al</strong>e depositario,<br />

pro eorum securitate, del denaro ricavato <strong>d<strong>al</strong></strong>la vendita <strong>al</strong> minuto del vino in<br />

dicta taberna et hospitio, e protagonista a sua volta nel contratto di società posta in<br />

essere il 25 febbraio 1475 per l’«exercitium taberne vocate ‘la taverna dello F<strong>al</strong>gone’<br />

retro Campum Florum» 65 .<br />

Relativamente <strong>al</strong>la tavernetta di Trastevere, ché t<strong>al</strong>e ne era l’ubicazione, ai<br />

bordi della dogana marittima di Ripa romea, non lontano <strong>d<strong>al</strong></strong> porto fluvi<strong>al</strong>e sul<br />

Tevere dove attraccavano le navi cariche di pellegrini, e di botti di vino, il perno<br />

di tutta l’operazione è rappresentato <strong>d<strong>al</strong></strong> mercante di Castellammare, Gentile<br />

P<strong>al</strong>umbo, già da tempo in rapporto d’affari con Roma. Nell’arco dei 16-17 mesi<br />

di durata della società (probabilmente una delle tante da lui attivate, benché l’unica<br />

di cui si abbia notizia), <strong>al</strong>meno sei volte egli attraccò <strong>al</strong> porto di Ripa romea con<br />

la sua nave, scaricando diverse mercanzie, tra cui ben 259 botti di vino (= 135.975<br />

litri), delle qu<strong>al</strong>i 137 del tipo greco e 122 del tipo latino, per un v<strong>al</strong>ore complessivo<br />

di 4705 fiorini di camera 66 . T<strong>al</strong>e quantità di vino non si può certo pensare fosse<br />

tutta assorbita <strong>d<strong>al</strong></strong> piccolo spaccio di Trastevere. Ed infatti, una buona percentu<strong>al</strong>e<br />

venne importata in franchigia, essendo destinata a cardin<strong>al</strong>i e ad <strong>al</strong>tri perso-<br />

65 Entrambi i contratti sono riportati in appendice <strong>al</strong> saggio di AIT, ESCH, Aspettando l’anno santo, pp.<br />

414-417.<br />

66 Ripartiti in 2.998 fiorini per i 71.925 litri di vino greco e 1.707 fiorini per i 64.050 di vino latino:<br />

cfr. AIT,ESCH, Aspettando l’anno santo, pp. 391-392; in rapporto ai prezzi del tempo si segn<strong>al</strong>a una tendenza<br />

<strong>al</strong> c<strong>al</strong>o dei rispettivi costi: da 25 a 18 fiorini la botte nel caso del vino greco, da 21 a 10 fiorini<br />

la botte per il tipo latino (p. 392).<br />

621


622<br />

naggi di <strong>al</strong>to rango 67 . Una parte, però, finì sul libero mercato, avendo pagato la<br />

tariffa dogan<strong>al</strong>e, e un bel po’ di quel vino fu certamente venduto nello spaccio che<br />

Gentile aveva contribuito a impiantare nei pressi del porto sul Tevere e si era<br />

impegnato a rifornire. Se ne ha del resto conferma <strong>d<strong>al</strong></strong> registro della Gabella vini<br />

forensis ad minutum che, nel 1475, riporta <strong>al</strong>meno due incassi collegati con le forniture<br />

<strong>al</strong>la nostra taverna, una delle qu<strong>al</strong>i, il 3 maggio, costituita da otto botti di vino<br />

latino, prelevate a 3 bolognini d’imposta per botte <strong>d<strong>al</strong></strong> socio di Gentile, Giacomo<br />

Strecanense, e trasportate fino <strong>al</strong>la bottega, dove con Caterina, proprietaria del<br />

loc<strong>al</strong>e, attendeva <strong>al</strong>la mescita. Si tratta, nel caso documentato, di vino latino, meno<br />

costoso e, pertanto, più accessibile ai pellegrini di passaggio, od anche in sosta più<br />

prolungata 68 , e <strong>al</strong> tipo di clientela gravitante attorno <strong>al</strong>l’area portu<strong>al</strong>e: vino discreto,<br />

e a buon prezzo, <strong>al</strong>lo sbocco di una grande via di pellegrinaggio 69 . Ma, per certo,<br />

non doveva mancare neppure il vino dei cardin<strong>al</strong>i, il delizioso, ma un po’ più<br />

caro vin greco dell’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e, sdoganato in gran quantità <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso<br />

Gentile <strong>al</strong> porto di Ripa romea 70 . Non è plausibile che non ne abbia destinato una<br />

parte, per quanto minima, <strong>al</strong>la vicina taverna di cui era socio.<br />

Di vini ‘navigati’, provenienti cioè da paesi d’oltremare e, quindi, di <strong>al</strong>ta<br />

qu<strong>al</strong>ità, perché in grado di sostenere lunghi viaggi, si rifornì per lo più la taverna<br />

invece del F<strong>al</strong>cone, appartenente <strong>al</strong>la categoria dei loc<strong>al</strong>i con insegna (d’ispirazione<br />

zoomorfa, nella fattispecie) e gestita da due tavernieri che, in previsione<br />

del grande afflusso di pellegrini, pensarono bene di ricorrere <strong>al</strong> finanziamento<br />

di un banchiere, Prospero Santacroce, per l’ampliamento di un’attività<br />

già ben avviata, prendendo occasione da una circostanza particolarmente<br />

67 Approssimativamente, di tutte le importazioni effettuate da Gentile in questo periodo, passò in<br />

franchigia il 32% circa, di cui il 38% rappresentato <strong>d<strong>al</strong></strong> costoso vino greco e il 27% <strong>d<strong>al</strong></strong> latino; da<br />

segn<strong>al</strong>are, inoltre, tra i suoi clienti, la presenza del cardin<strong>al</strong>e Giuliano della Rovere, il futuro Giulio II,<br />

destinatario di <strong>al</strong>meno tre forniture: AIT,ESCH, Aspettando l’anno santo, p. 392.<br />

68 La società, infatti, era stata costituita «ad exercitium taberne et hospitii» (AIT, ESCH, Aspettando l’anno<br />

santo, p. 414.).<br />

69 Molti pellegrini, come attesta per il 1400 il carteggio Datini, sceglievano infatti il trasporto via mare<br />

per raggiungere Roma, dove sbarcavano appunto nel porto fluvi<strong>al</strong>e di Ripa romea, sul Tevere: AIT,<br />

ESCH, Aspettando l’anno santo, p. 398. Per più ampia panoramica sui percorsi seguiti dai pellegrini<br />

diretti a Roma: I. BELLI BORSALI, Le strade dei pellegrini, in Roma sancta, pp. 218-232. Quanto <strong>al</strong> vino<br />

latino, v. Tab 1, nota d; per il suo costo: n. 66.<br />

70 Al libero mercato fu destinato <strong>al</strong>meno il 68%, visto che il 32% dei vini importati da Gentile finì<br />

sulla tavola delle familiae cardin<strong>al</strong>izie (v. n. 67).


favorevole 71 . Senz’<strong>al</strong>tro, vi si vendeva anche vino ‘romano’, ossia vino dei dintorni<br />

di Roma o, tutt’<strong>al</strong> più, di produzione lazi<strong>al</strong>e, come si evince da una fornitura<br />

di 28 botti (= 14.700 litri) sdoganate nel dicembre del 1474. Ma le forniture<br />

registrate nella sopra citata Gabella a nome del Santacroce, a sua volta personaggio<br />

chiave nell’impresa poiché ad un tempo commerciante di vini e fornitore<br />

di capit<strong>al</strong>i, sono tutte di vino ‘navigato’, in prev<strong>al</strong>enza di medio-<strong>al</strong>ta qu<strong>al</strong>ità,<br />

destinato <strong>al</strong>la taverna del F<strong>al</strong>cone. Anche se non manca, come s’è appena detto,<br />

del vino ‘romano’, o il solito vino latino <strong>al</strong>la portata di clienti meno esigenti tra<br />

quanti fossero approdati <strong>al</strong>la taverna sul retro della centr<strong>al</strong>issima piazza di Campo<br />

de’ Fiori, fulcro economico e commerci<strong>al</strong>e della città, dove, non certo casu<strong>al</strong>mente,<br />

presso un banco dislocato in una casa «sita in angulo platee Campisfloris»<br />

operava e svolgeva l’attività più propriamente sua il nostro banchiere 72 .<br />

Pertanto, se vogliamo conoscere, benché in modo del tutto approssimativo<br />

e con tutte le riserve opportune, la quantità e la qu<strong>al</strong>ità di vino commerci<strong>al</strong>izzato<br />

in una taverna, la tabella ricomposta nella pagina successiva sulla base di dati<br />

attinti <strong>al</strong> più volte citato saggio di Ivana Ait e Arnold Esch, ce ne offre, sia pur<br />

in un frangente del tutto eccezion<strong>al</strong>e, qu<strong>al</strong>e appunto l’anno santo, un esempio<br />

sufficientemente indicativo.<br />

Innanzitutto risulta come il periodo di maggior concentrazione per quantità<br />

e a più ampio ventaglio qu<strong>al</strong>itativo coincida con i mesi c<strong>al</strong>di ed anche di più intenso<br />

afflusso di pellegrini, mentre da ottobre-novembre, <strong>al</strong> volgere cioè dell’anno,<br />

quando viene tra l’<strong>al</strong>tro a cessare la società con il Santacroce, che aveva garantito<br />

le forniture <strong>d<strong>al</strong></strong> febbraio precedente, si rientra piuttosto in un trend che possiamo<br />

ritenere caratteristico di anni norm<strong>al</strong>i e, a ben riflettere, di mesi in cui si poteva<br />

contare maggiormente sulla loc<strong>al</strong>e produzione di vino nuovo. Non si dimentichi<br />

che i dati in nostro possesso si riferiscono a vini ‘navigati’ e che per avere un quadro<br />

completo sullo smercio di vino <strong>al</strong> F<strong>al</strong>cone nel 1475 bisognerebbe poter<br />

disporre anche delle forniture della dogana di terra, i cui registri per questo periodo<br />

non ci sono però pervenuti. Complessivamente, comunque, nei mesi di maggior<br />

afflusso (marzo-settembre), le forniture di vini ‘navigati’, perciò più costosi,<br />

71<br />

AIT, ESCH, Aspettando l’anno santo, pp. 399-413 e 415-417; <strong>al</strong>le medesime pagine rinvio per le notizie<br />

che seguono su questa stessa taverna, nota anche <strong>al</strong>le ricerche del ROMANI, Pellegrini e viaggiatori,p.<br />

59, che la include nell’elenco degli «esercizi con insegna» (secc. XIV-XVII), e dello GNOLI, Alberghi,<br />

p. 84, secondo il qu<strong>al</strong>e essa si trovava nei pressi dell’<strong>al</strong>bergo della Vacca, posto in vicolo del G<strong>al</strong>lo<br />

<strong>al</strong>l’angolo con l’attu<strong>al</strong>e via dei Cappellari.<br />

72<br />

AIT,ESCH, Aspettando l’anno santo, p. 408.<br />

623


624<br />

Tab. 1 - Qu<strong>al</strong>ità e quantità del vino fornito <strong>al</strong>la taverna romana del F<strong>al</strong>cone durante<br />

l’anno santo del 1475 (dati desunti da AIT,ESCH, Aspettando l’anno santo, pp. 402-404)<br />

DATA:<br />

1474-75<br />

Romano (a) Corso (b) Ligure (c) Latino (d) Mazzacane (e)<br />

e Vermiglio<br />

Greco<br />

Greco e<br />

Corso misti<br />

ad <strong>al</strong>tre<br />

qu<strong>al</strong>ità (f)<br />

Dic. ’74 28 14.700<br />

Genn. ’75 – – – – – – – –<br />

Febbraio 22 7 15.225<br />

Marzo 42 22.050<br />

Aprile 20 7 7 17.850<br />

Maggio 21 14 18.375<br />

Giugno 28 14.700<br />

Luglio 28 14.700<br />

Agosto 7 28 18.375<br />

Settembre 28 14.700<br />

Ottobre – – – – – – – –<br />

Novembre (g) 14 14.816<br />

Dicembre 7 14.408<br />

TOTALE 28 107,3 14 7 14 7 112 151.899<br />

1 botte (9 barili) = 525 litri; 1 barile = 58,34 litri (ESCH, Importe in das Rom der Renaissance, p. 435).<br />

(a) Vino proveniente dai vigneti<br />

delle zone intorno a Roma: passava,<br />

pertanto, attraverso la dogana<br />

di terra a S. Eustachio, e non come<br />

i vini ‘navigati’ <strong>d<strong>al</strong></strong>la dogana di<br />

Ripa romea, sul Tevere. Via terra<br />

sarà giunto <strong>al</strong> F<strong>al</strong>cone sicuramente<br />

<strong>al</strong>tro vino, ma, non essendoci pervenuti<br />

i registri di questo periodo,<br />

non possiamo dirlo con certezza; i<br />

rimanenti dati della tabella si riferiscono<br />

infatti a vini ‘navigati’, cui<br />

andrebbero aggiunti, per un quadro<br />

completo, quelli di terra, dei<br />

qu<strong>al</strong>i non abbiamo <strong>al</strong>tra indicazione<br />

che questa del dicembre 1474.<br />

(b) T<strong>al</strong>e denominazione poteva riferirsi<br />

anche a vino proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Elba<br />

(un vinello di colore verdastro),<br />

meno pregiato del ‘corso’<br />

vero e proprio <strong>d<strong>al</strong></strong> colore dorato;<br />

considerando tuttavia l’imposta,<br />

che a volte è di 4-5 bolognini a botte,<br />

ossia superiore ai soliti 3 bolognini,<br />

dovrebbe trattarsi, <strong>al</strong>meno in<br />

quei casi, della qu<strong>al</strong>ità più pregiata.<br />

(c) Vino della Rivera, t<strong>al</strong>volta detto<br />

QUALITÀ E QUANTITÀ (in botti romane)<br />

di Taglia (Taggia), ossia proveniente<br />

dai vigneti dell’omonima loc<strong>al</strong>ità,<br />

nella Riviera ligure di Ponente,<br />

famosa per la produzione di<br />

moscatelli e vernaccia.<br />

(d) Sotto questa etichetta si nascondevano<br />

diverse qu<strong>al</strong>ità di provenienza<br />

per lo più campana; si tratta,<br />

comunque, di vino ritenuto, da<br />

un esperto inteditore del Cinquecento<br />

come Andrea Bacci, «bevanda<br />

passabile», da consumarsi preferibilmente<br />

entro marzo, perché<br />

poi andava in aceto (CORTONESI,<br />

Vini e commercio, p. 98).<br />

(e) Importato da Sorrento o da Vico<br />

Equense: varietà, la seconda, che<br />

m<strong>al</strong> sopportava il c<strong>al</strong>do, mentre la<br />

prima no.<br />

(f) Oltre <strong>al</strong> vino corso, di cui, come<br />

si è appena detto, esisteva la<br />

variante meno pregiata dell’Elba,<br />

le forniture di giugno-settembre<br />

sotto indicate comprendono vini<br />

delle seguenti qu<strong>al</strong>ità: mazzacane,<br />

vermiglio, c<strong>al</strong>abrese, asprino (proveniente<br />

da Aversa, molto adatto a<br />

TOTALE<br />

in litri<br />

togliere la sete) e ligure, con l’aggiunta<br />

di discreti quantitavi di greco<br />

e fianum (probabilmente una<br />

varietà del vino greco prodotto<br />

nell’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e); l’importo<br />

di 5 bolognini a botte, depone a<br />

favore della miglior qu<strong>al</strong>ità di questi<br />

ultimi due tipi, rispetto ai precedenti<br />

indistintamente tassati 3<br />

bologni a botte.<br />

(g) Le forniture di questo mese e<br />

del successivo sono in barili. S’avverta,<br />

inoltre, che le registrazioni a<br />

nome del Santacroce terminano il<br />

22 settembre; quelle del novembre<br />

e dicembre 1475 sono a nome di<br />

Pietro della Zecca e Pietro Vanniciolo<br />

(AIT, ESCH, Aspettando l’anno<br />

santo, p. 403, nota 45), ossia degli<br />

<strong>al</strong>tri due membri della societas, che<br />

nel frattempo doveva essersi sciolta;<br />

nel documento, la durata del<br />

contratto non viene né specificata,<br />

né genericamente prevista: si<br />

dichiara soltanto che, finita dicta<br />

sociatate, i soci si sarebbero divisi<br />

gli utili (p. 415-417).


assommano a un volume di 120.750 litri. Tot<strong>al</strong>e equiv<strong>al</strong>ente, grosso modo, a un<br />

consuntivo giorn<strong>al</strong>iero quantificabile intorno ai 550 litri: il che induce a figurarci,<br />

supponendo una media di uno scarso mezzo litro a cliente, un andirivieni di ben<br />

oltre un migliaio di avventori a giornata. Un movimento di persone che una taverna<br />

in posizione strategica, come il F<strong>al</strong>cone, doveva sicuramente poter sostenere,<br />

soprattutto se supportata a sua volta da un’oculata e preveggente strategia economica<br />

come quella messa in atto da Prospero Santacroce e dagli <strong>al</strong>tri due soci,<br />

esponenti come lui del ceto mercantile-bancario 73 .<br />

In merito poi <strong>al</strong>la tipologia dei vini, vi si riflette, nel piccolo, il panorama vinicolo<br />

che contraddistingue, su più vasta sc<strong>al</strong>a, il commercio con Roma, «città il cui<br />

mercato – scrive Alfio Cortonesi –, oltre a garantire il tot<strong>al</strong>e assorbimento dell’abbondante<br />

produzione loc<strong>al</strong>e, necessita di rifornimenti costanti sia per quanto<br />

concerne i vini pregiati che quelli di consumo corrente» 74 . Al F<strong>al</strong>cone, ritroviamo<br />

gli stessi vini che inondavano la piazza della città capitolina: il dolce e robusto vin<br />

greco, i vini corsi, smerciati in gran quantità sul mercato romano, e, in minor<br />

misura, quelli della Riviera ligure, accanto a fermentati loc<strong>al</strong>i, <strong>al</strong>cuni dei qu<strong>al</strong>i<br />

«godevano, comunque, di buona fama» 75 . Non solo, ma l’assortimento dei vini<br />

per così dire ‘in cartello’, o meglio in cartiglio <strong>al</strong> F<strong>al</strong>cone, può in certo modo considerarsi<br />

rappresentativo di una taverna romana ‘permanente’, una di quelle ‘con<br />

insegna’, caratterizzata da una variegata e consistente presenza di vino ‘navigato’,<br />

che insieme <strong>al</strong>la «centr<strong>al</strong>issima posizione», in una zona ad <strong>al</strong>ta concentrazione di<br />

‘botteghe’ ed esercizi an<strong>al</strong>oghi, «lungo l’asse che conduceva <strong>d<strong>al</strong></strong> centro politico e<br />

commerci<strong>al</strong>e della città <strong>al</strong> centro della cristianità», contribuisce a definirne «ancor<br />

meglio la tipologia, situandola tra le locande ‘rispettabili’, destinate ad avventori<br />

di medio e <strong>al</strong>to rango» 76 . Non tutte le taverne di città erano, dunque, luoghi di<br />

73 Per questa loro posizione soci<strong>al</strong>e, v. AIT,ESCH, Aspettando l’anno santo, pp. 399-400.<br />

74 CORTONESI, Vini e commercio,p.86.<br />

75<br />

CORTONESI, Vini e commercio, pp. 96-97, col qu<strong>al</strong>e concordo – sulla base dell’osservazione che gli<br />

arrivi di vino speci<strong>al</strong>e s’infittiscono, anche in anni norm<strong>al</strong>i, nel periodo primavera-estate – nell’attribuire<br />

<strong>al</strong> «vino ‘navigato’ una funzione integrativa della produzione loc<strong>al</strong>e, destinata ad attenuarne le<br />

caratteristiche di genere di consumo elitario» (p. 87).<br />

76<br />

AIT,ESCH, Aspettando l’anno santo, pp. 405-406. Anche recenti studi hanno confermato l’importanza<br />

economica della piazza, su cui convergevano i confini dei rioni Parione (uno dei due, con il rione<br />

Ponte, compresi entro l’ansa del Tevere) e Arenula, dove è stata registrata anche la più <strong>al</strong>ta concentrazione<br />

di taverne e locande: cfr. MODIGLIANI, Artigiani e botteghe, pp. 458, 469-470, 473-474. E giacché<br />

mi si offre l’occasione, merita segn<strong>al</strong>are come proprio in una taverna di Campo de’ Fiori, gesti-<br />

625


626<br />

‘m<strong>al</strong>-affare’. Lo sapeva bene il banchiere Santacroce. Soprattutto, aveva ben capito<br />

dove investire denaro e come farlo rendere <strong>al</strong> meglio.<br />

Tornando ora, dopo questa campionatura esemplificativa, ad un motivo di carattere<br />

gener<strong>al</strong>e, si deve segn<strong>al</strong>are il grande rilievo che anche sul consumo di vino<br />

nelle taverne e sul mutare dei gusti e della qu<strong>al</strong>ità stessa del vino ha esercitato la<br />

cosiddetta rivoluzione dei noli, ossia la diversificazione delle tariffe dogan<strong>al</strong>i tra<br />

merci ricche e leggere, come le spezie e la seta, e merci povere e pesanti, come il<br />

vino, l’olio e il grano, attuatasi tra la fine del Trecento e primi decenni del Quattrocento,<br />

ed estesasi dai porti marittimi a quelli fluvi<strong>al</strong>i, e via via ai percorsi terrestri<br />

77 . Brevemente, rende bene l’idea ancora il campione romano: per tutto il<br />

Duecento l’importazione di vino nella città non supera un ambito loc<strong>al</strong>e, che<br />

interessa anche la zona di Tivoli, non più presente però sul mercato della capit<strong>al</strong>e<br />

nel Quattrocento, quando solo vini molto più raffinati sembrano trovarvi<br />

accoglienza, come quelli dei Castelli, gli unici insieme <strong>al</strong> «prodotto delle vigne di<br />

fuori porta» a resistere in ambito lazi<strong>al</strong>e, o, come si è visto, i ben più pregiati e<br />

costosi vini greci dell’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e e dell’Oriente importati via mare attraverso<br />

quel grande emporio che fu il porto di Napoli nel basso medioevo 78 . Ma se<br />

ta <strong>d<strong>al</strong></strong>l’oste Strepacapa, trovi ambientazione una lunga novella a strutture narrative concentriche,<br />

inserta nell’Itinerarium romano di Bartolomeo Bayguera, un poema di circa 3000 esametri latini composto<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’umanista bresciano nei primi decenni del ’400, sul qu<strong>al</strong>e recentemente ha richiamato l’attenzione,<br />

sia pur per <strong>al</strong>tro aspetto, M. ZAMBELLI, Un di<strong>al</strong>ogo sulla vita monastica tra Bartolomeo Bayguera,<br />

umanista bresciano, e Francesco da Piacenza, monaco di Monte Oliveto, «Benedictina», 49 (2002), pp. 361-400;<br />

ringrazio Carla Maria Monti dell’Università Cattolica di Milano per la preziosa informazione.<br />

77 Su tempi e modi che ne hanno accompagnato l’affermazione, oltre <strong>al</strong> saggio innovativo di F.<br />

MELIS, Werner Sombart e i problemi della navigazione nel medio evo,in L’opera di Werner Sombart nel centenario<br />

della nascita, Milano 1964, pp. 85-149 (rist. in ID., I vini it<strong>al</strong>iani nel medioevo), si veda A.I. PINI, Alimentazione,<br />

trasporti, fisc<strong>al</strong>ità: i «containers» mediev<strong>al</strong>i, in ID., Vite e vino, pp. 171-184, corredato di amplissima<br />

bibliografia sui trasporti marittimi, fluvi<strong>al</strong>i e terrestri (pp. 173-175); ulteriori v<strong>al</strong>utazioni, sintetici<br />

rilievi e rimandi bibliografici, con riferimento <strong>al</strong>l’opera del Melis nel suo complesso, si leggono della<br />

rassegna dello stesso Pini, qui cit. a n. 81, pp. 18-22.<br />

78 Per queste e <strong>al</strong>tre indicazioni cfr. CAROCCI, Tivoli nel basso medioevo, pp. 319-320, 422-424, 454-466,<br />

501-507, oltre natur<strong>al</strong>mente <strong>al</strong>la panoramica sui vini lazi<strong>al</strong>i più commerci<strong>al</strong>izzati con Roma delineata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> CORTONESI, Vini e commercio, pp. 96-99. Nel Trecento, invece, il vino più consumato e apprezzato<br />

nella capit<strong>al</strong>e era quello di Velletri: cfr. M.T. CACIORGNA, Vite e vino a Velletri <strong>al</strong>la fine del Trecento,<br />

in Cultura e società nell’It<strong>al</strong>ia mediev<strong>al</strong>e. Studi per Paolo Brezzi, I, Roma 1988, pp. 157-170. Sull’importanza<br />

assunta <strong>d<strong>al</strong></strong> porto di Napoli nel commercio del vino, v. ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 157-158, in<br />

aggiunta a quanto già emerso <strong>d<strong>al</strong></strong> più volte citato saggio di I. Ait e A. Esch.


nelle taverne è possibile immettere e smerciare vino buono e pregiato, in grado<br />

di soddisfare p<strong>al</strong>ati divenuti più esigenti in conseguenza del mutare dei gusti, è<br />

perché ne sono stati resi accessibili i prezzi; ma i prezzi, come i gusti, sono cambiati,<br />

perché è mutato il rapporto tra il v<strong>al</strong>ore intrinseco della merce e il costo dei<br />

trasporti, perché è avvenuta la rivoluzione dei noli, che tanto inciderà sulla trasformazione<br />

del paesaggio agrario, rigenerato e ristrutturato, anche per quel che<br />

riguarda la vite e la produzione del vino, non più in funzione della maggior quantità<br />

possibile, ma della migliore qu<strong>al</strong>ità, sì da consentire <strong>al</strong> vino di viaggiare su<br />

lunghe distanze mantenendo un costo relativamente basso 79 .<br />

Gli effetti di questi cambiamenti non tardarono a farsi sentire neppure in<br />

ambito bresciano. Numerosi, in t<strong>al</strong> senso, gli indizi che ci vengono dagli studi di<br />

Gabriele Archetti, cui va il merito di aver intanto cominciato a colmare quella<br />

lacuna storiografica relativa <strong>al</strong>la Lombardia, per quanto concerne le indagini <strong>vitivinicole</strong><br />

80 , denunciata in una rassegna – fondament<strong>al</strong>e, non meno che suggestiva,<br />

fin <strong>d<strong>al</strong></strong> titolo, Il medioevo nel bicchiere – tracciata <strong>d<strong>al</strong></strong> Pini agli inizi degli anni ’90 81 .<br />

79 È la causa, con <strong>al</strong>tre (tra cui la peste del 1348), del duro colpo inferto, per esempio, <strong>al</strong> vigneto<br />

mediev<strong>al</strong>e bolognese, ma anche l’incentivo <strong>al</strong>la sua concentrazione in zone pedologicamente più<br />

‘vocate’ (PINI, Vite e vino, pp. 26-27, 88, 143-144). An<strong>al</strong>oghi i casi di Tivoli od ancora di Viterbo, studiati<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> Carocci (Tivoli nel basso medioevo, pp. 454-466 e passim) e <strong>d<strong>al</strong></strong> Cortonesi (La viticoltura <strong>al</strong>to-lazi<strong>al</strong>e<br />

nei secoli XIII-XIV, in ID., Il lavoro del contadino, pp. 49-80), dove a motivo della gener<strong>al</strong>e crisi della<br />

viticoltura numerosi vigneti furono sradicati per far posto già nel ’300 a colture più remunerative,<br />

con effetti notevoli sul commercio del vino e le relative delibere fisc<strong>al</strong>i.<br />

80 Oltre <strong>al</strong> già cit. Tempus vindemie, pp. 116-134 (La storiografia vitivinicola lombarda) e 173-356 (La coltura<br />

della vite nella Lombardia orient<strong>al</strong>e), si devono <strong>al</strong>lo stesso studioso anche i seguenti contributi: La vite in<br />

Lombardia in età mediev<strong>al</strong>e. Note storiografiche sull’ultimo decennio di studi e ricerche, «Civiltà bresciana», 9<br />

(2000), n. 1, pp. 3-45; La viticoltura lombarda nel medioevo, in Le piante coltivate e la loro storia, a cura di O.<br />

Failla, G. Forni, Milano 2001, pp. 228-247; Là dove il vin si conserva e ripone. Note sulla struttura delle cantine<br />

mediev<strong>al</strong>i lombarde, in Le storie e la memoria. In onore di Arnold Esch, Firenze 2002, pp. 109-131. Ad<br />

essi vanno aggiunti quelli su Brescia e la Franciacorta, che hanno permesso di portare <strong>al</strong>la rib<strong>al</strong>ta una<br />

zona vinicola tra le più ‘vocate’ dell’It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e: Note sulla viticoltura in Franciacorta nei secoli X<br />

e XI, «Civiltà bresciana», 4 (1995), n. 4, pp. 60-69; La vite e il vino a Brescia nel medioevo, ibid., 6 (1997),<br />

n. 3, pp. 3-24; Vigne et vin au moyen âge. L’exemple d’une région lombarde type: Brescia,in Vins, vignobles et terroirs<br />

de l’antiquité à nos jours, Actes du Colloque de Reims, du 9 au 11 octobre 1997, a cura di V. Barrie,<br />

Nancy 1999, pp. 93-117. Per gli effetti della rivoluzione dei noli sul commercio del vino in area<br />

bresciana, passato da una condizione di sostanzi<strong>al</strong>e staticità a una «circolazione più ampia» solo a<br />

partire <strong>d<strong>al</strong></strong> ’400, cfr. ARCHETTI, Vigne e vino nel medioevo, pp. 143, 167-168.<br />

81 A.I. PINI, Il medioevo nel bicchiere. La vite e il vino nella medievistica it<strong>al</strong>iana degli ultimi decenni, «Quaderni<br />

mediev<strong>al</strong>i», 29 (1990), pp. 6-38; la rassegna si concludeva infatti con questa osservazione: «Per questa<br />

regione [Lombardia] mancano tuttora studi riguardanti i problemi della viticoltura e dell’enologia<br />

ma, a quanto mi risulta, <strong>al</strong>cune ricerche sono già in fase d’attuazione» (p. 38).<br />

627


628<br />

C<strong>al</strong>andoci, per concludere, nella re<strong>al</strong>tà di Brescia, è appena il caso di rilevare<br />

come, <strong>al</strong>lo stato attu<strong>al</strong>e della ricerca, la fonte statutaria, pur nella sua nota problematicità,<br />

sia ancora quella di maggiore affidamento per un’indagine su ruolo<br />

e funzioni della taverna nella società bresciana, caratterizzata da un progressivo<br />

spostamento, a fasi intrecciate, da una situazione di libero mercato e di esenzione<br />

da imposta, favorita <strong>d<strong>al</strong></strong>la stessa legislazione comun<strong>al</strong>e, a una situazione di<br />

regime fisc<strong>al</strong>e e di controllo sul commercio del vino, con conseguente strutturazione<br />

e regolamentazione degli esercizi ad esso preposti, a cominciare <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

taverna. Si ha motivo di crederlo rileggendo la normativa <strong>al</strong> riguardo nella silloge<br />

statutaria del tardo Duecento, pubblicata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Odorici insieme a quella raccolta<br />

nella prima (1313) delle tre redazioni trecentesche 82 .<br />

Sin oltre la metà del XIII secolo, tutto il vino in entrata e uscita da Brescia<br />

era esente da pedaggi, come pure il suo trasporto <strong>al</strong>l’interno del distretto: non<br />

solo non esisteva dazio <strong>al</strong>cuno sul commercio dei fermentati d’uva, ma anche la<br />

vendita, sia <strong>al</strong>l’ingrosso, sia <strong>al</strong> minuto, poteva essere liberamente esercitata da<br />

chiunque lo desiderasse e ne avesse la possibilità 83 . Re<strong>al</strong>tà, questa, efficacemente<br />

rappresentata, sia pur in <strong>al</strong>tro ambito geografico, da uno statuto di area lazi<strong>al</strong>e, in<br />

cui si dichiara: «Taberna intelligatur, ubi sit una veges vel plures cum vino quod<br />

venditur minutatim» 84 . Bastava una botte, non occorreva <strong>al</strong>tro, per aprire un pun-<br />

82 Si tratta, nell’insieme, di un corpus piuttosto articolato, per il qu<strong>al</strong>e è disponibile unicamente la vecchia<br />

edizione dell’Odorici riguardante le prime due compilazioni: Statuti di Brescia del secolo XIII, ed.<br />

F. ODORICI, in Leges municip<strong>al</strong>es, II, Augustae Taurinorum 1876 (Historiae patriae monumenta, XVI),<br />

coll. 1584 (91-274) (basata tuttavia sul codice più lacunoso dei due che ci sono pervenuti); Statuta civitatis<br />

Brixiae MCCCXIII, ed. F. ODORICI, ibid., coll. 1585-1914, qui citate con il solo cognome dell’editore<br />

e la colonna. Inedite, a tutt’oggi, le successive redazioni di Bernabò Visconti (1355), Gian G<strong>al</strong>eazzo<br />

Visconti (1385) e quella veneta del 1429 promossa <strong>d<strong>al</strong></strong> doge Francesco Foscari <strong>al</strong>l’indomani della<br />

presa di Brescia. Punto di riferimento per una descrizione complessiva del corpus rimane il saggio,<br />

ormai datato, di A. VALENTINI, Gli statuti di Brescia dei secoli XII <strong>al</strong> XV illustrati e documenti inediti, «Nuovo<br />

archivio veneto», n.s., a. VIII, t. 15 (1898), n. 29, pp. 5-98, e n. 30, pp. 370-391; per l’elenco completo<br />

dei manoscritti, custoditi presso l’Archivio storico civico, già in dotazione <strong>al</strong>la Queriniana, ora<br />

presso l’Archivio di Stato di Brescia, si veda I. BONINI VALETTI, Il libro «De usanciis» del comune di Brescia,<br />

in Contributi dell’Istituto di storia medioev<strong>al</strong>e, II, Milano 1972 (Pubblicazioni dell’Università Cattolica<br />

del Sacro Cuore. Scienze storiche, 15), pp. 252-319, a p. 253 n. 3.<br />

83 (177)<br />

ODORICI, col. 1584 : «Item statutum et ordinatum est quod vinum possit conduci per civitatem<br />

et totum districtum Brixie sine sigillo impune. Millesimo ducentesimo quinquagesimo quarto»; od<br />

ancora: «Item tenear ego potestas non permittere <strong>al</strong>iquod tolomeum accipi de vino eundo per Brixianam<br />

et exeundo de civitate» (ibid.).<br />

84 CORTONESI, Vini e commercio, p. 95, n. 54: da uno statuto di Bagnoregio.


to di mescita. Brescia condusse anzi una vera e propria battaglia <strong>al</strong> riguardo. Nel<br />

trapasso dei diritti fisc<strong>al</strong>i sul vino <strong>d<strong>al</strong></strong>la gestione signorile <strong>al</strong>le istituzioni comun<strong>al</strong>i,<br />

si cominciò infatti col garantire a tutti gli abitanti del distretto t<strong>al</strong>e diritto, ossia<br />

la prerogativa di vendere vino a terzi. Anche le comunità rur<strong>al</strong>i che avessero<br />

riservato o intendessero riservare o concedere t<strong>al</strong>e facoltà ai soli vicini o a qu<strong>al</strong>cuno<br />

del posto dovettero sottostare <strong>al</strong>la nuova regola imposta <strong>d<strong>al</strong></strong> comune dominante.<br />

Ne sottintende tutta l’importanza che le si voleva attribuire, la pen<strong>al</strong>e di<br />

25 lire, una delle più pesanti tra le sanzioni pecuniarie previste nell’ordito statutario<br />

bresciano. Chiunque doveva sentirsi libero di vendere vino, in qu<strong>al</strong>siasi luogo<br />

del distretto, e tutti potevano recarsi ad bibendum de illo vino, senza impedimento<br />

<strong>al</strong>cuno 85 . Nella Brescia del primo Duecento ogni casa poteva trasformarsi<br />

in una rivendita, proprio come a Roma ancora nel Quattrocento; ma con una<br />

differenza: sine prestatione <strong>al</strong>icuius pecunie, senza cioè pagar dazio sul vino de caneva<br />

sua o de suis clausis, che chiunque – si ribadisce in uno statuto emanato <strong>al</strong> tempo<br />

della podesteria di Garzarino Assandri 86 – avrebbe potuto vendere ad minutum,e<br />

nessuno poteva costringerlo, per nessun motivo, ad <strong>al</strong>iquod datium persolvendum 87 .<br />

In t<strong>al</strong>e contesto, la ‘taverna’ sembra rimanere sullo sfondo, fatica ad affacciarsi.<br />

Un primo sintomo di differenziazione si coglie nel momento stesso in cui,<br />

vinta la battaglia per la ‘licenza del vino a tutti’, se ne ingaggiò subito un’<strong>al</strong>tra, per<br />

impedire a quanti ne praticavano la vendita <strong>al</strong> minuto di espandersi <strong>al</strong> di fuori<br />

degli spazi di loro pertinenza. Se ne ha sentore nel divieto, ris<strong>al</strong>ente anch’esso<br />

agli anni del podestà Garzarino Assandri, di poterlo fare sistemando davanti ai<br />

punti di vendita frasche o rami d’<strong>al</strong>bero, a mo’ di richiamo o d’insegna: né si presuma,<br />

occasione vendendi vinum, recita lo statuto, «frascatas facere in civitate vel cir-<br />

85 (177)<br />

ODORICI, col. 1584 : «Comunia vero terrarum Brixiane non possint facere statutum nec prohybere<br />

quod vinum hominum Brixiane et <strong>al</strong>iarum terrarum Brixiane non possit vendi in grossum in<br />

sua terra vel vicinis suis vel <strong>al</strong>iis vel emi ab eis vel conduci in terris suis; et si contrafecerint, sit cassum<br />

et inutile, et comuni Brixie persolvat quodlibet comune vigintiquinque libras imperi<strong>al</strong>es quociens<br />

contrafecerit»; «Item ordinant correctores quod si <strong>al</strong>iqua comunitas Brixiane concederet <strong>al</strong>icui<br />

persone quod venderet vel possit vendere vinum in terra sua, quod etiam <strong>al</strong>ii qui non sunt de dicta<br />

terra, habentes vinum in ea, possint vendere et facere vinum vendi suum in ipsa terra, et comune<br />

illius loci vel quisquam <strong>al</strong>ius non possit interdicere hominibus illius loci quin vadant ad bibendum de<br />

illo vino, nec eis hominibus bamnum imponere vel auferre dicta de causa».<br />

86 Originario di Mantova, ricoprì la carica di podestà di Brescia in <strong>al</strong>meno due circostanze, nel 1246-<br />

47 e nel 1250: cfr. ODORICI, col. 1584 (62), (63) .<br />

87 (178)<br />

ODORICI, col. 1584 .<br />

629


630<br />

cha» 88 ; evidentemente, qu<strong>al</strong>cuno aveva cominciato ad offrire, col vino, anche un<br />

po’ di frescura, munendo gli ingressi di ombrosi berceau di frasche, senza troppo<br />

curarsi del suolo pubblico che, così facendo, si finiva per usurpare. Comprensibile,<br />

<strong>al</strong>lora, la reazione delle autorità comun<strong>al</strong>i, intervenute in difesa della viabilità<br />

e contro l’occupazione abusiva del suolo o di parti comuni. Ancor più esplicitamente,<br />

la proibizione fu sanzionata in un coevo statuto vòlto a interdire la<br />

posa di deschi, tavolati e scranni sulla pubblica via ad uso e richiamo dei consumatori:<br />

«extra tabernam, in qua venditur vinum, in stratis et viis», non sia consentito<br />

tenere «banchum neque dischum <strong>al</strong>iquem vel scampnum, vel <strong>al</strong>iquid<br />

<strong>al</strong>iud, in fraudem (a danno del comune, evidentemente), super quo possit sederi» 89 .<br />

Si era solo agli inizi di un processo di trasformazione dagli esiti diametr<strong>al</strong>mente<br />

opposti <strong>al</strong>le posizioni di partenza: le esigenze della politica annonaria e<br />

fisc<strong>al</strong>e del comune avrebbero finito per trionfare, ancor prima della fine del<br />

secolo, sulle conclamate inizi<strong>al</strong>i libertà di vendita; i tavernieri, <strong>d<strong>al</strong></strong> canto loro, riusciranno<br />

a conquistarsi l’agognato spazio, quando, fin<strong>al</strong>mente, nel 1364 – facendo<br />

leva su una consuetudine da lungo inv<strong>al</strong>sa nelle <strong>al</strong>tre città lombarde e sul fatto<br />

che l’abitudine non recava danno a nessuno – ottennero dagli organi comun<strong>al</strong>i,<br />

contro una precedente condanna del giudice <strong>al</strong>le vettovaglie, sentenza abrogativa<br />

dell’antica norma, per<strong>al</strong>tro ancora confermata nelle redazioni statutarie<br />

del 1313 e 1355, ma non più in quella del 1385, compilata <strong>al</strong>l’inizio della signoria<br />

di Gian G<strong>al</strong>eazzo Visconti. Era il preludio di una prassi corporativa conseguita<br />

uffici<strong>al</strong>mente nel 1380 con la costituzione dell’«arte dei tavernieri», dotata<br />

di un proprio statuto, l’unico, tra gli statuti dei paratici bresciani redatti anteriormente<br />

<strong>al</strong> dominio veneto, ad esserci pervenuto, e tuttora inedito 90 .<br />

88 (178)<br />

ODORICI, col. 1584 ; ricompare rubricato nella redazione del 1313: Quod tabernarii non ponant fruscas<br />

ante tabernas (ODORICI, col. 1720, n. CCLXVIII). An<strong>al</strong>oga occorrenza in una rubrica fiorentina del<br />

1339: «Che niuno che venda, o vendere faccia, vino a minuto in Firençe, tengha frascha presso <strong>al</strong>la<br />

cella, né faccia frittelle erbate» (Statuti delle arti dei fornai e dei vinattieri di Firenze, ed. Morandini, pp. 107-<br />

108, n. XLI). Per il significato dell’espressione «frascatas facere», cfr. CH. DU CANGE, Glossarium<br />

mediae et infimae latinitatis, III, ed. L. Favre, Niort 1884, sub voce ‘Frascata’, data come equiv<strong>al</strong>ente di<br />

«Frascarium, locus arbustis consitus» (p. 593), o di «Frascato, berceau de feuilles» (p. 594).<br />

89 (177-178)<br />

ODORICI, col. 1584 .<br />

90 Puntu<strong>al</strong>i addentellati, per l’iter qui delineato, in BONFIGLIO DOSIO, Il commercio degli <strong>al</strong>imentari a Brescia,<br />

pp. 53-54; <strong>al</strong>la stessa rinvio per la segn<strong>al</strong>azione del codice contenente, con <strong>al</strong>tri Statuti dei paratici<br />

bresciani, anche quello dei tavernieri: ms. 1056 dell’Archivio storico civico, già <strong>al</strong>la Queriniana, ora<br />

presso l’Archivio di Stato di Brescia (ibid., p. 8, n. 11, e p. 53).


Verso una regolamentazione dell’attività connessa ad una taverna, con particolare<br />

riguardo <strong>al</strong>la normativa sul vino, già ci si era tuttavia avviati, come accennato,<br />

sin <strong>d<strong>al</strong></strong> secolo precedente. Esprime bene questa ormai assodata re<strong>al</strong>tà uno<br />

statuto coevo <strong>al</strong>l’ultimo decennio del Duecento, in cui la consuetudine di «vendere<br />

vel vendi facere in domo sua vel <strong>al</strong>ibi vinum ad minutum» è dichiarata decaduta<br />

in favore della privativa del comune 91 . In progresso di tempo, si arriverà addirittura<br />

<strong>al</strong>l’esclusiva, con l’istituzione di taverne comun<strong>al</strong>i nei vari luoghi del territorio<br />

bresciano 92 . Era l’effetto di una politica fisc<strong>al</strong>e passata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esenzione <strong>al</strong>la tassazione<br />

di un bene di prima necessità per l’<strong>al</strong>imentazione dell’uomo mediev<strong>al</strong>e,<br />

ma divenuto, in età comun<strong>al</strong>e, bevanda di largo consumo anche per puro piacere.<br />

L’affermazione della taverna, con tutto quel che la circonda, gioco d’azzardo,<br />

prostituzione, soprattutto in città, ne è in qu<strong>al</strong>che modo la più esplicita conferma<br />

93 . Ma anche la ragione della mutata politica del comune di Brescia, non appena<br />

si rese conto, o fu in grado di imporre un diverso modo di incidere sulle entrate<br />

che il vino della taverna avrebbe potuto assicurare <strong>al</strong> bilancio cittadino.<br />

Di fatto la situazione mutò radic<strong>al</strong>mente con l’introduzione del dazio sul<br />

vino <strong>al</strong> minuto, attorno <strong>al</strong> 1290. Intanto, «venne meno – osserva Archetti – la<br />

91 (178-179)<br />

ODORICI, col. 1584 : «Item statuunt et ordinant correctores quod nulla persona possit vel debeat<br />

vendere vel vendi facere in domo sua vel <strong>al</strong>ibi vinum ad minutum, nisi primo coram rectore comunis<br />

Brixie vel <strong>al</strong>iquo iudicum eius corpor<strong>al</strong>iter ad sancta Dei evangelia iuraverit et satisdederit ad voluntatem<br />

ipsius rectoris vel iudicis de non tenendo ludum buscatie, de vendendo et fatiendo vendi vinum<br />

bene mensuratum et cum recta et iusta bozola, et de servando et fatiendo familios suos et <strong>al</strong>ios, quos<br />

fecerit vendere vinum suum, servare et attendere omnia statuta et ordinamenta facta et fatienda super<br />

tabernariis et <strong>al</strong>iis vendentibus et fatientibus vendi vinum et eorum occasione, et quelibet persona<br />

contrafaciens condempnetur in centum soldis et non possit nec debeat amplius illo anno vendere nec<br />

facere vendi vinum ad minutum; et quilibet sit accusator et habeat medietatem bamni; et pro scriptura<br />

dicte satisdationis nulli accipiatur ultra duos imperi<strong>al</strong>es pro qu<strong>al</strong>ibet satisdatione».<br />

92 Ne vennero previste non più di quattro per loc<strong>al</strong>ità (ODORICI, col. 1828); inoltre, fu ordinato ai<br />

gestori di attenersi rigorosamente <strong>al</strong>le misure vinarie imposte <strong>d<strong>al</strong></strong>le autorità cittadine (coll. 1867-68).<br />

Per questo di Brescia, e per an<strong>al</strong>oghi sviluppi in quel di Bergamo, Milano e Cremona, v. MAINONI, Le<br />

radici della discordia, pp. 60-61. Nel sottolineare l’importanza di taverne e locande di proprietà comun<strong>al</strong>e,<br />

o comunque gestite direttamente <strong>d<strong>al</strong></strong> comune, ne auspica per l’It<strong>al</strong>ia comun<strong>al</strong>e «un quadro preciso»<br />

il PINTO, Vino e fisco, p. 176. Intanto, si segn<strong>al</strong>ano per Siena anche ‘<strong>al</strong>berghi’ di proprietà comun<strong>al</strong>e:<br />

«hospitium dicti comunis Senarum in M<strong>al</strong>borghetto», 1302 (TULLIANI, Osti, avventori e m<strong>al</strong>andrini,<br />

p. 79, n. 1); «domus sive hospitium in istrata Romipeta», di proprietà del comune di Abbadia San<br />

S<strong>al</strong>vatore <strong>al</strong>l’Amiata, che ne aveva deliberato la costruzione nel 1465 (ibid., pp. 80-81); attestazioni<br />

an<strong>al</strong>oghe non mancano neppure per Bologna (v. sopra n. 38).<br />

93 (179-181), (185), (206), (229) Per testimonianze su Brescia: ODORICI, coll. 1584 , 1655-57, 1679-80, 1832.<br />

631


632<br />

facoltà di vendere direttamente il prodotto delle proprie vigne <strong>al</strong> minuto, poiché<br />

la licenza di vendita veniva rilasciata <strong>d<strong>al</strong></strong> podestà che la concedeva dietro un giuramento<br />

form<strong>al</strong>e del venditore», il qu<strong>al</strong>e si impegnava nel contempo a non tenere<br />

«ludum buscatie», a vendere vino «bene mensuratum et cum recta et iusta<br />

bozola», a rispettare tutte le disposizioni comun<strong>al</strong>i «facta et fienda super tabernariis<br />

et <strong>al</strong>iis vendentibus et fatientibus vendi vinum», pena una s<strong>al</strong>ata contravvenzione<br />

di cento soldi e la sospensione <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esercizio per <strong>al</strong>meno un anno 94 .Di<br />

conseguenza, il vino venduto <strong>al</strong> minuto doveva essere tutto gabellato e il luogo<br />

deputato <strong>al</strong> suo smercio diventò la taverna, o <strong>al</strong>tri loc<strong>al</strong>i pubblici, come locande<br />

e <strong>al</strong>berghi, sottoposti <strong>al</strong>l’approvazione e <strong>al</strong> controllo comun<strong>al</strong>e di pesi, misure,<br />

orari e prezzi sia d’acquisto, sia di vendita.<br />

Se queste e <strong>al</strong>tre prescrizioni relative <strong>al</strong> vino della taverna, negli statuti bresciani<br />

del Due e del primo Trecento, editi <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Odorici, vennero formulate in<br />

modo ancora embrion<strong>al</strong>e e piuttosto sommario, in quelli delle successive redazioni<br />

tre-quattrocentesche, ma speci<strong>al</strong>mente nei Pacta dacii vini promulgati nel<br />

1430, poco dopo il passaggio di Brescia sotto la dominazione di Venezia (1426),<br />

trovano invece un’accurata formulazione, minuziosissima anzi, e così capillare<br />

da rasentare quasi il parossismo 95 . Preoccupazione pienamente comprensibile,<br />

tuttavia, non appena si pensi <strong>al</strong>l’elevatissimo gettito fisc<strong>al</strong>e che il vino della taverna,<br />

vera chiave di volta di tutto il commercio vinicolo, rendeva <strong>al</strong>le casse cittadine.<br />

Ciò la dice lunga sulla plur<strong>al</strong>ità di funzioni insite in una bevanda, tutto sommato,<br />

anche ludica, ma non poco redditizia per il fisco. Non per niente attorno<br />

<strong>al</strong>la taverna si costituì una sorta di zona fisc<strong>al</strong>e estesa t<strong>al</strong>volta fino a cento braccia,<br />

dentro la qu<strong>al</strong>e vigeva la proibizione di bere vino in pubblico se non nel luo-<br />

94<br />

ARCHETTI, Vigne e vino nel medioevo, p. 163, e v. sopra, n. 91. Sulla data del 1290 conservo tuttavia<br />

qu<strong>al</strong>che perplessità: il problema daziario, come tutta la questione fisc<strong>al</strong>e, necessita per Brescia di più<br />

mirate indagini. S’avverta, comunque, che anche a Bologna l’introduzione del dazio sul vino <strong>al</strong> minuto<br />

si fa ris<strong>al</strong>ire a una data non molto lontana (1288): v. n. 36.<br />

95 Ciò è particolarmente vero per i Pacta daciorum Camere duc<strong>al</strong>is Brixie, che si conservano nel ms.<br />

G.V.11 della Biblioteca Queriniana di Brescia; tra le tante e interessanti disposizioni meritevoli di studio,<br />

si distinguono, per la loro specifica attinenza <strong>al</strong> vino, le seguenti sezioni: Pacta dacii vini de minuto<br />

civitatis et burgorum Brixie, f.74r;Pacta dacii bulletarum exitus bladi et vini comunium Brixiane, f. 79v; Pacta<br />

dacii exitus bladi et vini civitatis et burgorum Brixie, f. 87v. La redazione statutaria del 1429, promossa <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

doge Francesco Foscari <strong>al</strong>l’indomani della conquista di Brescia, si conserva invece nei mss. 1048 e<br />

1049 dell’Archivio storico civico, attu<strong>al</strong>mente presso l’Archivio di Stato di Brescia. Si tratta, in<br />

entrambi i casi, di materi<strong>al</strong>e inedito, che nell’economia del presente lavoro non mi è stato possibile<br />

esaminare in modo adeguato.


go a t<strong>al</strong>e scopo appositamente deputato 96 . Va infine rilevato che Brescia costituisce,<br />

oltre tutto, uno dei casi in cui è stato portato a termine un censimento sistematico<br />

sul numero e il nome dei tavernieri presenti in ambito urbano e distrettu<strong>al</strong>e<br />

nel primo Quattrocento. Erano una cinquantina: 34 in città e 16 nel contado<br />

97 . Ne va dato merito <strong>al</strong>le ricerche di Giorgetta Bonfiglio Dosio, la qu<strong>al</strong>e non ha<br />

mancato di precisare anche le zone di maggior concentrazione taverniera, individuabili<br />

nelle contrade del Mercato delle biade, delle Cicogne e del Pozzolo 98 .<br />

Taverne in cui veniva offerto il buon vino nostrano e <strong>al</strong>tre non disprezzabili qu<strong>al</strong>ità<br />

loc<strong>al</strong>i, con prev<strong>al</strong>enza del rosso, il cui mercato, rispetto <strong>al</strong> bianco, prodotto in<br />

quantità inferiore (meno della metà), trovò incentivo in una leva fisc<strong>al</strong>e di tutto<br />

favore 99 . Ma anche taverne in cui non tardò a farsi sentire, soprattutto dopo la sot-<br />

96 Disposizioni in t<strong>al</strong> senso si riscontrano anche per Brescia, nella redazione statutaria del 1313: sia in<br />

rapporto <strong>al</strong>le taverne comun<strong>al</strong>i del distretto, «(...) et quod <strong>al</strong>iqua persona de ipsa terra non debeat ire<br />

ad bibendum ad ipsam tabernam vel tabernas, nec prope tabernam vel tabernas per viginti brachia»<br />

(ODORICI, col. 1828, n. XCVI); sia in rapporto <strong>al</strong>le taverne della città, «(...) et quod nullus audeat bibere<br />

penes tabernam ad quam vendetur vinum, ad centum brachia, poena .XL. soldorum pro quolibet<br />

et qu<strong>al</strong>ibet vice» (ODORICI, coll. 1867-68, n. CIV).<br />

97<br />

BONFIGLIO DOSIO, Il commercio degli <strong>al</strong>imentari a Brescia, pp. 53-60 e, per l’<strong>al</strong>legato elenco dei tavernieri,<br />

pp. 98-102; t<strong>al</strong>e elenco è stato ricomposto princip<strong>al</strong>mente sulla base di un registro di condanne<br />

degli anni 1411-17 tramandatoci nel cod. M<strong>al</strong>atestiano 66 (Sezione dell’Archivio di Stato di Fano),<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> qu<strong>al</strong>e sono desunti in gran parte anche i dati inerenti agli <strong>al</strong>tri paratici bresciani (panettieri,<br />

mugnai, macellai, pescatori, venditori d’olio, <strong>al</strong>bergatori), per ciascuno dei qu<strong>al</strong>i è stato ugu<strong>al</strong>mente<br />

ricomposto l’elenco in appendice. Per an<strong>al</strong>oghe indagini, tra quante me ne sono capitate in mano,<br />

segn<strong>al</strong>o: TULLIANI, Osti, avventori e m<strong>al</strong>andrini, pp. 209-223 (indice degli <strong>al</strong>berghi della città e del contado<br />

di Siena, secc. XIV-XV); ROMANI, Pellegrini e viaggiatori, pp. 56-81 (tabelle e statistiche inerenti a<br />

Roma, secc. XV-XVI); ANDREOLLI, Produzione e commercio del vino trentino, pp. 100-101 (prospetto di 11<br />

‘osterie’, termine che a Trento nel ’400 designava prev<strong>al</strong>entemente un <strong>al</strong>bergo, «dove il vino loc<strong>al</strong>e<br />

veniva consumato in grande abbondanza»); A. BARBERO, Un’oligarchia urbana. Politica ed economia a<br />

Torino fra Tre e Quattrocento, Roma 1995 (indica, per i tavernieri di Torino, una percentu<strong>al</strong>e del 6,5%<br />

sui capifamiglia censiti); infine, A. MAZZI, Taverne, osterie, <strong>al</strong>berghi in Bergamo fino <strong>al</strong> secolo XVI, «Bollettino<br />

della Civica Biblioteca di Bergamo», 15 (1921), n. 4, pp. 1-57 e L. CHIODI, Osterie e <strong>al</strong>berghi a Bergamo<br />

fino <strong>al</strong> sec. XVIII, «Bergomum», 34 (1960), n. 2, pp. 27-44, che però «non consentono <strong>al</strong>cuna ipotesi<br />

circa il numero degli osti presenti a Bergamo nel XV secolo» (MAINONI, Le radici della discordia,p.<br />

67, n. 280).<br />

98 Quest’ultima, per ragioni di omonimia, di difficile identificazione: cfr. BONFIGLIO DOSIO, Il commercio<br />

degli <strong>al</strong>imentari a Brescia, pp. 57-58. A due taverne della «Brixia romana» si riferisce invece L.<br />

URBINATI, I tavernieri delle porte antiche, in Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1991, Brescia 1993,<br />

pp. 55-70.<br />

99 Lo si desume, ancora una volta, <strong>d<strong>al</strong></strong>le ricerche di G. Archetti, cui si rinvia per più dettagliati ragguagli<br />

sul vinum nostranum e per tutta l’<strong>al</strong>tra gamma, abbastanza ampia e variegata, di vini e vitigni del-<br />

633


634<br />

tomissione di Brescia a Venezia, l’effetto della rivoluzione delle tariffe, dacché vi<br />

si potevano gustare, attorno <strong>al</strong> 1430, ottimi vini d’importazione e di elevata qu<strong>al</strong>ità:<br />

vini orient<strong>al</strong>i, provenienti da Creta e <strong>d<strong>al</strong></strong>la Romania, insieme <strong>al</strong>la richiestissima<br />

m<strong>al</strong>vasia (il vino più commerciato del Mediterrano 100 ), insieme <strong>al</strong>la vernaccia<br />

ligure, <strong>al</strong>la ribolla (non saprei dire se di Imola o di Capodistria), e a un discreto<br />

moscatello delle colline bergamasche, tassato, quest’ultimo, 25 soldi a carro, e pertanto<br />

meno pregiato rispetto ai 40 soldi di gabella ad anfora prelevati sui precedenti,<br />

importati attraverso gli sc<strong>al</strong>i di Genova, di Venezia, delle Marche 101 .<br />

È quanto traspare già ad una prima lettura degli inediti Pacta dacii vini del secolo<br />

XV, che ci si augura trovino presto un appassionato e accurato editore. Sicuramente,<br />

attraverso l’esame di questa e <strong>al</strong>tra documentazione fisc<strong>al</strong>e, integrata da<br />

quella statutaria sul commercio vinicolo e lo smercio in taverna o in <strong>al</strong>tri esercizi<br />

adibiti a t<strong>al</strong>e scopo, potranno trovare più esaustiva risposta t<strong>al</strong>uni quesiti riguardanti<br />

il prezzo del vino, la clientela, l’incidenza del dazio sul consumo <strong>al</strong> minuto,<br />

soprattutto se affiancati da fonti diverse, ma <strong>al</strong>trettanto pertinenti, qu<strong>al</strong>i i libri di<br />

gabella o addirittura di bottega, sempre che ne esista qu<strong>al</strong>che esemplare anche per<br />

Brescia. La storia di questa istituzione, minore, certo, ma non priva di rilevanza<br />

cultur<strong>al</strong>e e soci<strong>al</strong>e, non potrà ricavarne che rinnovato vigore: proprio come da<br />

una rinfrancante bevuta <strong>al</strong>le ‘fonti’..., non di Bacco, ovviamente, bensì di Clio.<br />

le colline bresciane, per indicazioni sui prezzi, la vendita e il consumo <strong>al</strong> minuto, per metodi e mezzi<br />

di conservazione e sofisticazione: ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 450-475; ID., Vigne e vino nel<br />

medioevo, pp. 139-146.<br />

100 D<strong>al</strong>la ‘m<strong>al</strong>vagìa’ prendevano addirittura nome taverne e rivendite di vino: a Firenze (MAZZI, Prostitute<br />

e lenoni, pp. 251, 272, 279), come a Venezia, che ne era il princip<strong>al</strong>e emporio (MELIS, Il consumo<br />

del vino a Firenze,p.29).<br />

101 «Item de qu<strong>al</strong>ibet anphora vini creti et m<strong>al</strong>vasie, ribole, vernacie, ianuensis, Romanie et cuiuslibet<br />

<strong>al</strong>terius vini forensis, quod conducitur de Veneciis, Marchia vel Ianua, solvatur soldos quadraginta<br />

planetorum et ab inde supra et infra pro rata; et de quolibet plaustro moscatelli quod conducitur de<br />

Pergamensi, solvatur soldos viginti planetorum» (Pacta daciorum Camere duc<strong>al</strong>is Brixie, f. 53v).


GIAN MARIA VARANINI*<br />

Le strade del vino<br />

Note sul commercio vinicolo nel tardo <strong>Medioevo</strong><br />

(con particolare riferimento <strong>al</strong>l’It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e)<br />

Dedico queste pagine <strong>al</strong>la memoria<br />

di Anna Maria Nada-Patrone<br />

Lo scopo di queste note è di tracciare, nei limiti dello spazio a disposizione, un<br />

bilancio delle ricerche recenti e dei problemi aperti riguardo <strong>al</strong>la storia del commercio<br />

vinicolo del tardo medioevo, concentrando l’attenzione sull’It<strong>al</strong>ia centrosettentrion<strong>al</strong>e<br />

e sui commerci a breve e medio raggio 1 . Il compito non è semplice:<br />

restano più che v<strong>al</strong>ide le osservazioni formulate diversi anni or sono da un’autorità<br />

in materia di ricerche <strong>vitivinicole</strong> mediev<strong>al</strong>i sul nesso strettissimo fra storia<br />

dell’<strong>al</strong>imentazione, storia dei trasporti e dei commerci, storia della fisc<strong>al</strong>ità 2 ,e sulla<br />

conseguente grande complessità del tema.<br />

Occuparsi di commercio vinicolo implica in <strong>al</strong>tre parole la necessità di aver<br />

coscienza (e conoscenza) di molti <strong>al</strong>tri aspetti che con t<strong>al</strong>e attività interferiscono:<br />

la variabile demografica che incide su un consumo sostanzi<strong>al</strong>mente anelastico<br />

come quello del vino; le abitudini <strong>al</strong>imentari con i loro risvolti cultur<strong>al</strong>i; le caratteristiche<br />

del sistema produttivo (che ovviamente non è sempre ugu<strong>al</strong>e a se stesso)<br />

di una regione determinata; il prelievo fisc<strong>al</strong>e che si può modificare nel tempo,<br />

e così via. Per questo, una considerazione comparata degli orientamenti, notevolmente<br />

differenziati, fra le ricerche dedicate <strong>al</strong>le diverse regioni it<strong>al</strong>iane e le<br />

1 Sul commercio a lunga distanza del vino interviene in questi stessi atti, impostando con la consueta<br />

lucidità e competenza il problema anche nella sua prospettiva d’insieme, A.I. PINI, Il vino del ricco e<br />

il vino del povero, pp. 585-598. A questo saggio si rinvia anche per ulteriori informazioni bibliografiche.<br />

2 A.I. PINI, Alimentazione, trasporti, fisc<strong>al</strong>ità: i «containers» mediev<strong>al</strong>i, in ID., Vite e vino nel medioevo, Prefazione<br />

di V. Fumag<strong>al</strong>li, Bologna 1989 (Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e, 6), p. 174 (studio già edito<br />

nel 1981).<br />

Ho in parte modificato, nonché ampliato, la struttura della comunicazione letta <strong>al</strong> convegno. Ringrazio<br />

Gabriele Archetti di numerose importanti indicazioni bibliografiche.<br />

* Università degli Studi di Verona.<br />

635


636<br />

ricerche sulle regioni trans<strong>al</strong>pine, è sembrata utile in limine a queste pagine. Le prime<br />

sono condizionate <strong>d<strong>al</strong></strong>la maggiore o minore vicinanza ai grandi porti, sono<br />

diverse fra di loro per assetto fondiario e per maggiore o minore incisività di una<br />

vocazione vitivinicola che è comunque una componente forte del sistema produttivo,<br />

sono segnate da una polarità politica che può determinare politiche<br />

annonarie incisive, per non indicare che tre variabili di grande rilievo. Le regioni<br />

trans<strong>al</strong>pine in ottica vitivinicola costituiscono un complicato e mutevole intreccio<br />

fra comprensori vinicoli non estesi ma importanti, le cui potenzi<strong>al</strong>ità produttive<br />

dovevano rispondere <strong>al</strong>la domanda di consumo di una popolazione molto meno<br />

numerosa che non nell’Europa meridion<strong>al</strong>e, e larghe aree non vocate <strong>al</strong>la viticoltura<br />

servite da una rete di commerci a lunga distanza. Sembra di poter constatare<br />

infatti che gli orientamenti di ricerca divergano abbastanza, negli anni recenti,<br />

e che la ricerca europea (soprattutto tedesca, ma anche in parte francese e spagnola)<br />

sia attu<strong>al</strong>mente più vivace di quella it<strong>al</strong>iana; anche se proprio <strong>al</strong>l’It<strong>al</strong>ia si<br />

dedicherà in questa sede il maggior spazio.<br />

Le tendenze recenti della ricerca sul commercio vinicolo in Europa<br />

La cosiddetta ‘rivoluzione dei noli’, che a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> tardo Trecento abbatte – per<br />

un complesso di fattori legati in primo luogo <strong>al</strong>l’evoluzione dei mezzi di comunicazione<br />

nav<strong>al</strong>i e terrestri – i costi del trasporto di prodotti a basso v<strong>al</strong>ore per unità<br />

di misura, resta un capos<strong>al</strong>do importantissimo per la periodizzazione della storia<br />

del commercio vinicolo. A v<strong>al</strong>le di quella svolta, che si colloca fra Trecento e<br />

Quattrocento, diventa assai più facile la circolazione a lungo raggio del prodotto,<br />

gli spostamenti si modificano nel sistema economico complessivo di rapporti e di<br />

distretto cittadino dei rapporti tra produzione da un lato e commercio e consumo<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro. Il fenomeno è ovviamente gener<strong>al</strong>e, e riguarda in modo cospicuo<br />

anche l’area mediterranea e l’It<strong>al</strong>ia. Diverse motivazioni d’ordine cultur<strong>al</strong>e hanno<br />

fatto in modo tuttavia che, prima delle osservazioni del Melis e successivamente<br />

del Pini 3 , nella storiografia it<strong>al</strong>iana non si tenesse conto, di fatto, di questo fenomeno:<br />

in prima fila, l’oggettiva arretratezza della storiografia agraria it<strong>al</strong>iana – che<br />

non sollecitava lo sviluppo delle ricerche sul commercio dei prodotti <strong>al</strong>imentari –,<br />

e il particolare orientamento assunto <strong>d<strong>al</strong></strong>la storiografia economica it<strong>al</strong>iana negli<br />

3 In prospettiva vinicola cfr. ibidem.


anni Venti e Trenta. Basta invece uno sguardo <strong>al</strong>la storia della storiografia europea<br />

sul commercio vinicolo per constatare come, dopo il celebre e anticipatore<br />

articolo di Pirenne sulle «Ann<strong>al</strong>es» del 1933 4 , riprenda ulteriore vigore e si consolidi<br />

in Francia e in Inghilterra una tradizione di studi già molto ricca, nella qu<strong>al</strong>e si<br />

possono distinguere diversi piani. Da un lato, si sviluppa infatti il tema del grande<br />

commercio internazion<strong>al</strong>e del vino, grazie <strong>al</strong>le ricerche e <strong>al</strong>le discussioni di grandi<br />

storici come Yves Renouard 5 e di speci<strong>al</strong>isti come la James 6 ; né mancano interventi<br />

di autori meno noti che si cimentano anch’essi con il fenomeno <strong>al</strong> livello macro<br />

dei rapporti fra due spazi economici ‘nazion<strong>al</strong>i’ 7 . D<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro lato (per quanto la<br />

distinzione possa apparire artificiosa, visto che gli autori sono <strong>al</strong>meno in parte gli<br />

stessi), il commercio a lunga distanza del vino è osservato anche da punti di vista<br />

più circoscritti, sulla base di fonti e di serie documentarie di ambito loc<strong>al</strong>e: singole<br />

regioni storiche e singoli dipartimenti come luoghi di produzione e di partenza del<br />

prodotto. Né stupisce che i più grandi studiosi, come lo stesso Renouard per la<br />

Guascogna, il Dion per il vino di Beaune, e sotto <strong>al</strong>tra prospettiva lo Higounet,<br />

siano in più casi gli artefici pure di queste indagini 8 .<br />

4 H. PIRENNE, Un grand commerce d’exportation au Moyen Age: les vins de France, «Ann<strong>al</strong>es d’histoire économique<br />

et soci<strong>al</strong>e», 5 (1933), pp. 225-433; cfr. ancora le osservazioni di A.I. PINI, Il commercio internazion<strong>al</strong>e<br />

del vino nel medioevo (a proposito degli studi di M.K. James),in ID., Vite e vino nel medioevo, pp. 184-205.<br />

5 Y. RENOUARD, Le grand commerce du vin au Moyen Age, «Revue historique de Bordeaux et du departement<br />

de la Gironde», 35 (1952), pp. 5-18.<br />

6 M.K. JAMES, Studies in mediev<strong>al</strong> wine trade, Oxford 1971; questa raccolta di saggi fu resa nota in It<strong>al</strong>ia<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la rassegna del Pini cit. sopra, nota 4.<br />

7 Cfr. ad esempio R. DOEHAERD,J.A.DE STURLER, A propos du commerce du vin au Moyen Age. Questions<br />

de fait et de méthodes, «Le Moyen Âge», 62 (1951), pp. 359-381; J. CRAEYBECKX, Un grand commerce d’importation:<br />

les vins de France aux anciens Pays Bas (XIIIe siècle-XVIe siècle), Paris 1958.<br />

8 Cfr. Y. RENOUARD, Le grand commerce des vins de Gascogne au Moyen Age, «Revue historique», 221 (1959),<br />

pp. 261-304; R. DION, Le commerce des vins de Beaune au Moyen Age, «Revue historique», fasc. 218 (1955),<br />

pp. 209-222; C. HIGOUNET, Cologne et Bordeaux, marchés du vin au Moyen Age, «Revue historique de Bordeaux<br />

et du département de la Gironde», 51 (1968), juillet-dicembre, pp. 65-79. Fra le ricerche di <strong>al</strong>tri<br />

autori, cfr. M. DELAFOSSE, Le commerce des vins d’Auxerre aux XIV e et XV e siècle, «Ann<strong>al</strong>es de Bourgogne»,<br />

13 (1941), pp. 203-230; F.J. HIMLY, L’exportations des vins d’Alsace en Europe au Moyen Age, «Revue d’Alsace»,<br />

89 (1949), pp. 25-37; M. TH. LORCIN, La viticulture dans la région lyonnaise au XIV e et XV e siècles,<br />

«Cahier d’histoire publié par les Universités de Clermont, Lyon, Grénoble», 2 (1966), pp. 151-162. Né<br />

la tradizione si è spenta in anni un po’ più recenti: cfr. M.C. CHAINEUX, Culture de la vigne et commerce du<br />

vin dans la région de Liège au Moyen Age, Liège-Louvain 1981, e la bella monografia di M. MAGUIN, La vigne<br />

et le vin en Lorraine. L’exemple de la Lorraine médiane à la fin du Moyen Age, Nancy 1982, largamente dedicata<br />

nella terza parte (Consommation et circulation des vins, pp. 187-271) <strong>al</strong> commercio del vino lorenese.<br />

637


638<br />

In sostanza, sembra di poter affermare che in aree geografiche in linea di<br />

massima meno vocate (rispetto <strong>al</strong>l’It<strong>al</strong>ia) <strong>al</strong>la viticoltura si sia più facilmente consolidata,<br />

in riferimento a comprensori viticoli chiaramente individuabili, una<br />

attenzione storiografica ad un commercio che è oggetto di un’attenzione particolare<br />

da parte di chi governa il sistema delle fonti documentarie (le istituzioni<br />

ecclesiastiche, i poteri cittadini e territori<strong>al</strong>i/signorili) e di chi ha in mano le leve<br />

del potere fisc<strong>al</strong>e. Una prospettiva simile appare ancora più evidente per l’area<br />

tedesca, per la qu<strong>al</strong>e l’essor delle ricerche sul commercio del vino sembra più<br />

recente: molte indagini – sia specifiche, che d’insieme – sono state svolte infatti a<br />

partire dagli anni Settanta/Ottanta. Fra i protagonisti di queste ricerche, vi sono<br />

Franz Irsigler e, sotto la direzione di Michael Matheus, Lukas Clemens, autori di<br />

diverse ricerche sul commercio (oltre che sulla produzione) del vino nelle v<strong>al</strong>late<br />

della Mosella e del Reno e coordinatori di ampi progetti di ricerca. L’uno e l’<strong>al</strong>tro<br />

autore 9 cercano di definire ciò che contraddistingue una ‘città del vino’ o Weinstadt,<br />

e il fatto stesso che sia possibile riflettere su una concettu<strong>al</strong>izzazione di questo<br />

tipo (e introdurla nel titolo di una monografia cittadina, come ha fatto Clemens)<br />

10 è in certo senso la prova di quanto si è affermato sopra. Weinstadt non è<br />

infatti, secondo Irsigler 11 , un epitheton ornans, ma una condizione che risponde a<br />

precise caratteristiche di un determinato centro urbano, in <strong>al</strong>cuni casi t<strong>al</strong>mente<br />

importante da caratterizzarne la stessa identità: collocazione geografica in un<br />

distretto viticolo, partecipazione di una larga parte della popolazione <strong>al</strong>la produ-<br />

9 Oltre <strong>al</strong>le ricerche citate nelle note seguenti, brevi sintesi delle ricerche di questi due autori in F. IRSI-<br />

GLER, Viticulture, vinification et commerce du vin en Allemagne occident<strong>al</strong>e des origines au XVI e siècle, in Le vigneron,<br />

la viticulture et la vinification en Europe occident<strong>al</strong>e au Moyen Age et à l’Epoque moderne, Auch 1991 (Flaran<br />

11), pp. 49-65; L. CLEMENS, Trèves, centre de la viticulture dans la moyenne v<strong>al</strong>lée de la Moselle au Moyen<br />

Age, ivi, pp. 247-257.<br />

10 L. CLEMENS, Trier. Ein Weinstadt im Mittel<strong>al</strong>ter, Trier 1993. Per il quadro istituzion<strong>al</strong>e e politico, ma<br />

con attenzione anche a questi aspetti, cfr. M. MATHEUS, Trier am Ende des Mittel<strong>al</strong>ters. Studien zur Sozi<strong>al</strong>,<br />

Wirtschafts- und Verfassungsgeschischte der Stadt Trier vom 14. bis zum 16. Jahrhundert, Trier 1984.<br />

11 F. IRSIGLER, Weinstädte an der Mosel im Mittel<strong>al</strong>ter, in Weinbau zwischen Maas und Rhein in der Antike und<br />

im Mittel<strong>al</strong>ter, Akten des Kolloquiums vom 2. bis zum 5. September 1992 an der Universität Trier, hrsg.<br />

von M. Matheus unter Mitarbeit von L. Clemens und B. Flug, Trier - Mainz 1996; Weinproduktion und<br />

Weinkonsum im Mittel<strong>al</strong>ter, Akten des Kolloquium vom 26.-28. September 1995 in Speyer, hrsg. Von M.<br />

Matheus, Stuttgart 1998; Weinbau, Weinhandel und Weinkultur, Sechstes Alzeyer Kolloquium, hrsg. von<br />

A. Gerlich, Stuttgart 1993; Weinwirtschaft im Mittel<strong>al</strong>ter. Zur Verbreitung, Region<strong>al</strong>isierung und Wirtschaftlichen<br />

Nutzung einer Sonderkultur aus der Römerzeit, Vorträge des gleichnamigen Symposiums von 21. bis<br />

24. März 1996 in Heilbronn, hrsg. von C. Schrenk, H. Wechbach, Heilbronn 1997.


zione del vino, differenziazione delle forme di organizzazione soci<strong>al</strong>e nella produzione<br />

vinicola, la concentrazione di strutture produttive speci<strong>al</strong>izzate (i torchi)<br />

12 , e infine (soprattutto?) presenza di un mercato vinicolo interno <strong>al</strong>la città che<br />

domini l’economia cittadina.<br />

Il confronto con l’It<strong>al</strong>ia centrosettentrion<strong>al</strong>e è stridente: in un’area geografica<br />

nella qu<strong>al</strong>e la viticoltura è onnipresente, a nessuno verrebbe in mente di discutere<br />

se questo o quel centro urbano possa essere definito ‘città del vino’; e in<br />

effetti i parametri di classificazione adottati in area tedesca sono forse un po’ rigidi,<br />

visto che si v<strong>al</strong>uta l’applicabilità della definizione ad una città importante come<br />

Metz 13 . Il ruolo accentratore e redistributore esercitato <strong>d<strong>al</strong></strong>le città fluvi<strong>al</strong>i (i fiumi<br />

– la Mosa, la Mosella, il Reno – costantemente figurano anche per questo, oltre<br />

che per il fatto ovvio che contraddistinguono le zone di produzione, nei titoli di<br />

queste ricerche) 14 non sembra ad ogni modo aver conosciuto soluzioni di continuità<br />

15 . Fra i tratti più significativi e nuovi delle ricerche di Matheus sul commercio<br />

vinicolo nelle città della Germania mediev<strong>al</strong>e, va annoverata l’attenzione <strong>al</strong>le<br />

infrastrutture tecniche per il commercio fluvi<strong>al</strong>e (argani, ma anche approdi fluvi<strong>al</strong>i<br />

predisposti e snodi attrezzati per il passaggio <strong>d<strong>al</strong></strong> mezzo natante <strong>al</strong> trasporto<br />

via terra) 16 . Si tratta di apparati impegnativi e costosi, la costruzione dei qu<strong>al</strong>i prova<br />

l’acquisita coscienza, da parte delle istituzioni municip<strong>al</strong>i, del fatto che il commercio<br />

vinicolo costituisce un elemento di interesse gener<strong>al</strong>e. L’attenzione per<br />

queste strutture sembra invece, nella ricerca storico-urbanistica sulle città it<strong>al</strong>iane,<br />

abbastanza scarsa e comunque non tematizzata e non gener<strong>al</strong>izzata.<br />

12 L. CLEMENS, M.MATHEUS, Weinkeltern im Mittel<strong>al</strong>ter, in Europäische Technik im Mittel<strong>al</strong>ter 800-1400.<br />

Tradition und Innovation, hrsg. von U. Lindgren, Berlin 1996, pp. 133-136.<br />

13 J. BARTHEL, Omniprésence de la réglementation municip<strong>al</strong>e: le cas du vignoble messin XIV e -XVIII e siècles, in<br />

Weinbau zwischen Maas und Rhein, pp. 185-197; G. RÖSCH, Wein und Weinhändel in städtischen Rechtstexten<br />

des Spätmittel<strong>al</strong>ters,in Stadt und Wein, pp. 193-206.<br />

14 J.J. HOEBANX, Routes du vin. Quelques itinéraires suivis par des vins domaniaux entre le Rhin et le Brabant w<strong>al</strong>lon<br />

au XV e siècle, in Villes et campagnes au Moyen Age. Mélanges Georges Despy, a cura di J.M. Duvosquel,<br />

A. Dierkens, Lüttich 1991, pp. 383-404; J.M. YANTE, Grains et vins des territoirs mosellans de Remich et Grevenmacher,<br />

XV e -XVIII e siècles, «Revue belge de philologie et d’histoire», 63 (1985), pp. 273-309.<br />

15 K. MILITZER, Handel und Vertrieb rheinischer und elässischer Wein über Köln im Spätmittel<strong>al</strong>ter,in Weinbau,<br />

Weinhandel und Weinkultur, pp. 165-185; M. ROTHMANN, Die Frankfurter Messe <strong>al</strong>s Weinhandelsplatz im<br />

Mittel<strong>al</strong>ter, pp. 365-419; K. ANDERMANN, Wein- und Fruchtpreise in Steinbach bei Baden-Baden 1484-1803,<br />

in Weinbau zwischen Maas, pp. 481-502.<br />

16 M. MATHEUS, Hafenkrane. Zur Geschichte einer mittel<strong>al</strong>terlichen Maschine am Rhein und Seinen Nebenflüssen<br />

von Strassburg bis Düsseldorf, Trier 1985.<br />

639


640<br />

Testimonianza di un interesse molto articolato per il tema sono anche le indagini<br />

dedicate specificamente in Germania <strong>al</strong> ruolo delle istituzioni ecclesiastiche<br />

nella produzione, ma anche e in certi casi soprattutto, nel commercio del vino. I<br />

casi più noti sono quelli dei cisterciensi (per<strong>al</strong>tro propensi piuttosto <strong>al</strong>l’autosufficienza<br />

e <strong>al</strong>l’autoconsumo, in ossequio a una precisa scelta cultur<strong>al</strong>e), e in particolare<br />

dei cav<strong>al</strong>ieri teutonici 17 . Meno indagato, per lo meno a livello di ricerche di<br />

sintesi che siano raggiungibili senza la conoscenza minuta di una bibliografia<br />

loc<strong>al</strong>e dispersissima, risulta forse il complesso insieme di fattori – il c<strong>al</strong>o demografico,<br />

gli effetti dell’inasprimento tardomediev<strong>al</strong>e del clima che riduce l’are<strong>al</strong>e<br />

trans<strong>al</strong>pino della vite (il che di per sé avrebbe anche potuto incentivare il commercio<br />

a lunga distanza) 18 , le modificazioni del gusto – che portarono sul lungo<br />

periodo ad un arretramento della viticoltura e del consumo del vino. T<strong>al</strong>e arretramento<br />

sarebbe iniziato per cause interne <strong>al</strong> sistema forse già nel Trecento, tradizion<strong>al</strong>mente<br />

considerato il momento di massima crescita della vitivinicoltura<br />

tedesca 19 , e si intrecciò poi con l’incentivazione del consumo della birra 20 .Le<br />

conseguenze a livello di produzione (scomparsa della viticoltura ‘di frontiera’<br />

affermatasi nell’ultimo secolo, incremento della produzione nelle regioni vocate<br />

in grado di produrre vini esportabili) potrebbero anche non aver avuto conseguenze<br />

negative, anzi, sull’attività commerci<strong>al</strong>e in quanto t<strong>al</strong>e fra le diverse regioni<br />

dell’area imperi<strong>al</strong>e: la Lorena o la v<strong>al</strong>le del Reno continuarono ad esportare; e<br />

anche il flusso proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong> sud delle Alpi, magari più mirato e meno rilevan-<br />

17 K. VAN EICKELS, Weinbau und Weinhandel der Deutschordensb<strong>al</strong>lei Koblenz im Spätmittel<strong>al</strong>ter, in Weinbau<br />

zwischen Maas, pp. 293-304.<br />

18 Tra i fattori che favoriscono fra XII e XIV secolo l’espansione della viticoltura nella pianura prussiano-polacca,<br />

sulle rive dell’Elba, in Slesia, va inserito infatti – a fianco della determinante spinta<br />

socio-cultur<strong>al</strong>e connessa con l’espansione tedesca – anche l’inn<strong>al</strong>zamento della temperatura media<br />

(IRSIGLER, Viticulture, vinification et commerce du vin,p.57).<br />

19 M. MATHEUS, Viticoltura e commercio del vino nella Germania occident<strong>al</strong>e del medioevo,in Vino y viñedo en la<br />

Europa mediev<strong>al</strong>, Actas de la Jornadas celebradas en Pamplona, los días 25 y 26 de enero 1996, a cura<br />

di F. Miranda García, Pamplona 1996, pp. 114-115 («una lunga serie di cambiamenti che non sembrano<br />

concordare con la tesi del ‘felice momento della vite’»).<br />

20 Per riferimenti <strong>al</strong> caso di Colonia, e per una periodizzazione diversa da quella ora proposta <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

Matheus, cfr. IRSIGLER, Viticulture, vinification et commerce du vin, p. 59 (apice della produzione e delle quantità<br />

di vino commerci<strong>al</strong>izzate nella prima metà del Quattrocento, accertata inversione di tendenza agli<br />

inizi del Cinquecento); U. BRAASCH-SCHWERSMANN, Rebgewächs und Hopfenbau: Wein und Bier in der spätmittel<strong>al</strong>terlichen<br />

Agrargeschichte der Deutschordensb<strong>al</strong>lei Hessen, in Weinbau zwischen Maas, pp. 305-363 (nella regione<br />

della Ruhr la birra soppianta il vino a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> Quattrocento, a seguito della crisi demografica).


te quantitativamente, continuò. Si tratta d’<strong>al</strong>tronde di mere deduzioni, difficilissime<br />

da comporre in un insieme coerente. Anche la storia del commercio vinicolo<br />

dell’area tedesca, in effetti, soffre della difficoltà di portare a compimento<br />

ricerche di carattere quantitativo, non diversamente da quanto si riscontra in It<strong>al</strong>ia<br />

e in Francia. Inserire in un quadro coerente una serie di prezzi di Colonia 21 ,<br />

l’accertamento di una tendenza evidente nelle esportazioni in Tirolo, una descrizione<br />

delle scorte di vino in una qu<strong>al</strong>che città dell’area renana, è davvero una<br />

fatica di Sisifo.<br />

Il commercio vinicolo dell’It<strong>al</strong>ia centro-settentrion<strong>al</strong>e nel tardo medioevo:<br />

un panorama complesso<br />

Confrontare il quadro storiografico sommariamente evocato nel paragrafo precedente<br />

con le tendenze prev<strong>al</strong>enti nella medievistica vitivinicola it<strong>al</strong>iana 22 significa,<br />

come accennato, sottolineare il fatto che <strong>al</strong>cuni orientamenti della ricerca<br />

recente riflettono differenze struttur<strong>al</strong>i tra gli assetti economico-produttivi e<br />

demografici, che si riflettono – attraverso il prisma deformante della situazione<br />

documentaria – nella ricerca dedicata <strong>al</strong>le due aree geografiche.<br />

Storiografia agraria e storiografia vitivinicola. Ormai mezzo secolo fa, non tanto in<br />

conseguenza dello stato di grave arretratezza nel qu<strong>al</strong>e versava la storiografia<br />

agraria sul medioevo it<strong>al</strong>iano, quanto piuttosto seguendo i suoi person<strong>al</strong>i orientamenti<br />

di ricerca che si ri<strong>al</strong>lacciavano <strong>al</strong>la storiografia economica it<strong>al</strong>iana degli<br />

anni Trenta e Quaranta, <strong>al</strong>le fonti datiniane, a Braudel, il Melis iniziava a pubblicare<br />

i suoi mirabili studi sul commercio del vino it<strong>al</strong>iano <strong>al</strong>la fine del medioevo 23 ;<br />

mirabili e sostanzi<strong>al</strong>mente disinteressati <strong>al</strong>la dimensione produttiva. Lo storico<br />

toscano ebbe come si è già implicitamente accennato il grande merito di porre<br />

un’attenzione specifica, innovativa per i tempi, <strong>al</strong> problema «dell’apertura del<br />

commercio a tutti i beni e della instaurazione del vero e proprio commercio di<br />

21 W. HERBORN, K.MILITZER, Der Kölner Weinhandel. Seine sozi<strong>al</strong>en und politischen Auswirkungen im<br />

ausgehenden 14. Jahrhundert, Sigmaringen 1980.<br />

22 A.I. PINI, S.V., Wein, -bau, -handel. It<strong>al</strong>ien, in Lexikon des Mittel<strong>al</strong>ters, VIII, München 1997, coll. 2123-2128.<br />

23 Cfr. la notissima raccolta di saggi I vini it<strong>al</strong>iani nel medioevo, a cura di A. Affortunati Parrini, introduzione<br />

di C. Higounet, Firenze 1974.<br />

641


642<br />

massa», legando in modo quasi esclusivo la capillarizzazione della circolazione<br />

dei prodotti agricoli con la rivoluzione dei trasporti e dei noli che a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

seconda metà del Trecento avrebbe portato, col tempo, «ad un grandioso risultato:<br />

la rinascita di tante comunicazioni interne fra il Mediterraneo e il Mare del<br />

Nord». Nelle ricerche successive questa prospettiva d’indagine non è stata assente;<br />

i residui storici economici che si occupino di medioevo ne sono «fat<strong>al</strong>mente<br />

attratti», come osservava giustamente Greci in apertura di un suo studio sul<br />

commercio del vino in Piemonte 24 . Tuttavia, s<strong>al</strong>vo mie omissioni o lacune bibliografiche,<br />

a ben guardare <strong>al</strong>cune dimensioni importanti di questa ricerca, come<br />

quelle suggerite da un noto (giustamente noto, e molto citato proprio perché un<br />

po’ isolato) articolo di Hannelore Zug Tucci del 1978 25 , dedicato appunto <strong>al</strong>l’organizzazione<br />

dello spazio sulle navi da carico destinate <strong>al</strong> grande commercio<br />

mediterraneo del vino, non ha avuto molto seguito nei decenni successivi. E<br />

sembra ragionevole sostenere che la quantificazione del commercio vinicolo –<br />

scontate le ovvie difficoltà poste <strong>d<strong>al</strong></strong>le carenze documentarie, e fatte le debite<br />

eccezioni 26 – non sia stata perseguita per scelta, piuttosto che per necessità. In<br />

tutto questo ha giocato certamente anche l’esaurimento dell’interesse degli storici<br />

economici ‘puri’ per il tardo medioevo: interesse che è ormai, nell’attu<strong>al</strong>e<br />

panorama storiografico ed accademico, un fatto quasi residu<strong>al</strong>e.<br />

Certo non si può dire che siano del tutto mancate in anni recenti le ricerche<br />

sulla commerci<strong>al</strong>izzazione dei vini di pregio ad <strong>al</strong>ta gradazione <strong>al</strong>coolica, di produzione<br />

mediterranea 27 , destinati <strong>al</strong> consumo d’élite. Ma la linea largamente prev<strong>al</strong>ente<br />

seguita dagli studi vitivinicoli recenti è stata senz’ombra di dubbio un’<strong>al</strong>tra,<br />

ed è stata quella di un pieno inserimento della vitivinicoltura negli studi di sto-<br />

24 R. GRECI, Il commercio del vino negli statuti comun<strong>al</strong>i di area piemontese, in Vigne e vini nel Piemonte mediev<strong>al</strong>e,<br />

a cura di R. Comba, Cuneo 1990, p. 246.<br />

25 H. ZUG TUCCI, Un aspetto trascurato del commercio mediev<strong>al</strong>e del vino,in Studi in memoria di Federigo Melis,<br />

III, Napoli 1978, pp. 311-348.<br />

26 È d’obbligo ancora una volta il rinvio ad una ricerca di Pini, quella dedicata a Bologna nel 1974 (Coltura<br />

della vite e consumo del vino a Bologna <strong>d<strong>al</strong></strong> X <strong>al</strong> XV secolo, riedita in ID., Vite e vino nel medioevo, pp. 51-145).<br />

27 Cfr. ad esempio, con riferimento a Venezia e <strong>al</strong> suo ‘entroterra’ <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e è dedicata la seconda parte<br />

di queste note, U. TUCCI, Le commerce vénitien du vin de Crète, in Maritime food transport, a cura di K.<br />

Fridland, Köln-Weimar-Wien 1994, pp. 184-211; ID., Il commercio del vino nell’economia cretese, in Venezia<br />

e Creta, Atti del convegno, Padova 1998, pp. 194-211. Sulla lunga tradizione di questi commerci, cfr.<br />

in breve E. KISLINGER, S.V., Wein, Weinbau, Weinhandel. Byzanz, inLexikon des Mittel<strong>al</strong>ters, VIII (cit.<br />

sopra, nota 22), coll. 2128-2130.


ia dell’agricoltura e dei sis<strong>temi</strong> produttivi in gener<strong>al</strong>e 28 . Si è andati dunque, in un<br />

certo senso, <strong>al</strong>l’estremo opposto dell’impostazione del Melis, ad un taglio fortemente<br />

‘agrario’ e poco ‘commerci<strong>al</strong>e’ delle ricerche <strong>vitivinicole</strong>. È prev<strong>al</strong>so in<br />

molti studi, un discorso di ‘sistema’, di considerazione complessiva dell’economia<br />

agraria delle singole re<strong>al</strong>tà cittadine, con attenzione prev<strong>al</strong>ente ai dati struttur<strong>al</strong>i<br />

della produzione, <strong>al</strong>l’espansione quantitativa e <strong>al</strong>la differenziazione qu<strong>al</strong>itativa in<br />

connessione con la crescita demografica, <strong>al</strong>l’intreccio con le <strong>al</strong>tre complesse<br />

tematiche della trasformazione dei sis<strong>temi</strong> agrari. La vitivinicoltura è stata considerata<br />

un elemento estremamente significativo, un minimo comune denominatore<br />

di essenzi<strong>al</strong>e rilievo nel panorama agrario dell’It<strong>al</strong>ia tardomediev<strong>al</strong>e.<br />

I progressi sono stati notevoli, come ha constatato con soddisfazione il Pini,<br />

cioè uno dei fondatori o rifondatori della ricerca storica sulla viticoltura e sul<br />

vino nel medioevo it<strong>al</strong>iano, laddove affida ad un breve passaggio di un recente<br />

bilancio storiografico sul rapporto fra ricerca sul medioevo agrario it<strong>al</strong>iano e<br />

città la convinzione della necessità di un approfondimento del tema delle «colture<br />

agricole di cui si fece promotrice la città» (colture ortofrutticole, di piante<br />

tessili o tintorie), ma ne eccettua la viticoltura ormai sufficientemente approfondita<br />

29 . In t<strong>al</strong>e occasione Pini, autore anche dell’ultima esauriente rassegna bibliografica<br />

dedicata <strong>al</strong>la storia della vite e del vino in It<strong>al</strong>ia 30 , ha rinviato in effetti agli<br />

atti dei numerosi convegni dell’ultimo quindicennio esplicitamente dedicati <strong>al</strong>la<br />

viticoltura e <strong>al</strong> vino fra i qu<strong>al</strong>i Greve in Chianti (1987), S. Marino di Bentivoglio<br />

(1991), Alghero (1998) 31 , nonché ad <strong>al</strong>tre ricerche di taglio region<strong>al</strong>e come quel-<br />

28 Non a caso, credo, ebbe un’eco significativa una trentina d’anni fa l’indagine ormai datata di L.<br />

STOUFF, Ravitaillement et <strong>al</strong>imentation en Provence au XIV e et XV e siècles, Paris-La Haye 1970: cfr. la lettura<br />

che ne diede, assicurando <strong>al</strong>l’opera una risonanza non scontata nella storiografia it<strong>al</strong>iana di <strong>al</strong>lora,<br />

G. CHER<strong>UBI</strong>NI, Un modello di indagine region<strong>al</strong>e per la storia dell’approvvigionamento e dell’<strong>al</strong>imentazione: la Provenza<br />

dei secoli XIV e XV, «Archivio storico it<strong>al</strong>iano», 130 (1972), pp. 277-286.<br />

29 «Su questo argomento gli studi sono ormai numerosi» (A.I. PINI, Storia agraria e storia della città, in<br />

Medievistica it<strong>al</strong>iana e storia agraria, a cura di A. Cortonesi, M. Montanari, Bologna 2001, p. 172).<br />

30 Col saggio Il medioevo nel bicchiere. La vite e il vino nella medievistica it<strong>al</strong>iana degli ultimi decenni, «Quaderni<br />

mediev<strong>al</strong>i», 29 (1990), pp. 6-38; il successivo punto di riferimento è l’ampia e an<strong>al</strong>itica trattazione<br />

dedicata <strong>al</strong>la storiografia europea ed it<strong>al</strong>iana nella monografia di G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per<br />

la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998.<br />

31 Per gli ultimi due cfr. rispettivamente D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino. <strong>Fonti</strong> e problemi della vitivinicoltura it<strong>al</strong>iana mediev<strong>al</strong>e,<br />

a cura di J.-L. Gaulin, A.J. Grieco, Bologna 1994 (Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e, 9), e La<br />

vite e il vino. Storia e diritto (secoli XI-XIX), Convegno di studi (Alghero, 28-31 ottobre 1998), a cura di<br />

M. Da Passano, A. Mattone, F. Mele, P. Simbula, 2 voll., Roma 2000.<br />

643


644<br />

le coordinate da Comba per il Piemonte mediev<strong>al</strong>e e rinasciment<strong>al</strong>e 32 . Ed effettivamente<br />

i progressi compiuti nello specifico settore sono stati cospicui, direttamente<br />

favoriti <strong>d<strong>al</strong></strong>la ‘cultura del vino’ e del vino loc<strong>al</strong>mente radicato ma industri<strong>al</strong>mente<br />

prodotto, a denominazione di origine controllata (con conseguenti<br />

sponsorizzazioni anche <strong>al</strong>la ricerca storica, che ‘nobilita’ il prodotto e lo fa bello)<br />

che s’è consolidata nella ricca It<strong>al</strong>ia di fine Novecento.<br />

Traffici inter - o intraregion<strong>al</strong>i: commerci marittimi. Nel complesso di indagini qui sopra<br />

menzionate, che forniscono complessivamente una campionatura geografica<br />

abbastanza vasta sulla geografia della produzione (e grazie <strong>al</strong>le ricerche di<br />

Archetti è stata <strong>al</strong>meno parzi<strong>al</strong>mente sanata la carenza di studi, lamentabile sino<br />

a non molto tempo fa, sulla viticoltura lombarda) 33 , l’attenzione <strong>al</strong>lo specifico<br />

tema del commercio vinicolo mediev<strong>al</strong>e è dunque nel complesso minoritaria 34 ,<br />

con l’eccezione del convegno chiantigiano del 1987, ove esso era evocato nei<br />

titoli di quasi tutte le relazioni region<strong>al</strong>i (per il Veneto, il Trentino, il Lazio, il<br />

Mezzogiorno, la Sicilia). Anche le politiche annonarie non hanno avuto tutto<br />

sommato una considerazione adeguata, una tematizzazione consapevole.<br />

Raccogliendo tuttavia spunti dispersi (compresa l’esemplificazione offerta <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

Melis sulla Toscana 35 , poi integrata <strong>d<strong>al</strong></strong> B<strong>al</strong>estracci), è forse possibile indicare <strong>al</strong><br />

momento attu<strong>al</strong>e <strong>al</strong>cune linee di ricerca che, senza isolare astrattamente (come giustamente<br />

non è stato fatto) il problema della circolazione e dello smercio del prodotto<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’insieme delle problematiche di storia vitivinicola, ne evidenzino tuttavia<br />

maggiormente significati e specificità: i commerci a breve e medio raggio dei vini<br />

loc<strong>al</strong>i, la politica annonaria delle città, i rapporti fra i mercati cittadini e il mercato<br />

region<strong>al</strong>e. Non si avrà certo una geografia region<strong>al</strong>e del commercio vinicolo it<strong>al</strong>iano,<br />

ma semplicemente qu<strong>al</strong>che indicazione; più problemi che non soluzione di<br />

32 Vigne e vini nel Piemonte mediev<strong>al</strong>e, cit.; Vigne e vini nel Piemonte rinasciment<strong>al</strong>e, a cura di R. Comba,<br />

Cuneo 1991.<br />

33<br />

ARCHETTI, Tempus vindemie, cit.; PINI, Il medioevo nel bicchiere,p.38.<br />

34 Constatò questa carenza, una dozzina d’anni fa (1989-90), anche GRECI, Il commercio del vino negli statuti<br />

comun<strong>al</strong>i, p. 246: «è comprensibile che il commercio interloc<strong>al</strong>e o region<strong>al</strong>e affascini meno del<br />

grande commercio internazion<strong>al</strong>e, ma non è detto che sia meno importante di quello per comprendere<br />

l’economia di una zona e i suoi sviluppi».<br />

35 Si cfr. F. MELIS, Produzione e commercio dei vini it<strong>al</strong>iani con particolare riferimento <strong>al</strong>la Toscana nei secoli XIII-<br />

XVIII, in ID., I vini it<strong>al</strong>iani, pp. 3-29; D. BALESTRACCI, Il consumo del vino nella Toscana bassomediev<strong>al</strong>e, in<br />

Il vino nell’economia e nella società it<strong>al</strong>iana, pp. 13-29.


problemi. Prima di passare <strong>al</strong>l’an<strong>al</strong>isi concreta (come s’è detto per exempla e per<br />

spunti) di queste tematiche, è innanzitutto il caso di ribadire che la contrapposizione<br />

fra grande commercio marittimo e commercio loc<strong>al</strong>e del vino da noi adottata<br />

resta un opportuno punto fermo, per quanto si tratti di uno schema, un riferimento<br />

di principio e di comodo. Ma la differenza di prezzi fra le due tipologie di<br />

prodotto, come è stato anche di recente ribadito è così elevata (il rapporto è nell’ordine<br />

di 7:1 o 9:1) 36 da costituire di per sé un fondamento preciso. In effetti, uno<br />

dei problemi sostanzi<strong>al</strong>i delle ricerche di storia del commercio del vino sta proprio<br />

nel definire il compasso di circolazione di una produzione così gener<strong>al</strong>izzata, come<br />

è quella del vino in It<strong>al</strong>ia, l’area entro cui il costo dei trasporti si mantiene sufficientemente<br />

contenuto da rendere conveniente la circolazione di prodotti loc<strong>al</strong>i<br />

che nella loro gran parte possono anche avere delle specificità <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista<br />

della qu<strong>al</strong>ità, ma non sufficienti certo per conquistare in modo massiccio mercati<br />

molto lontani. Teniamo pure separato, in <strong>al</strong>tre parole, il commercio dei vini mediterranei,<br />

che hanno costi più <strong>al</strong>ti e un ‘mercato’ più riconoscibile: ma per le <strong>produzioni</strong><br />

loc<strong>al</strong>i i centri di produzione e di smercio sono così diffusi (per non dire<br />

onnipresenti: ogni regione d’It<strong>al</strong>ia ha la sua vitivinicoltura), i costi di trasporto<br />

(determinati <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza/assenza di vie d’acqua, per esempio) sono così diversificati,<br />

le variabili congiuntur<strong>al</strong>i (le oscillazioni dei prezzi determinate da crisi agrarie<br />

o belliche) così frequentemente incisive, e insomma gli intrecci così complessi<br />

(senza contare poi i differenti stati di avanzamento delle ricerche, influenzati a loro<br />

volta <strong>d<strong>al</strong></strong>la diversità delle fonti documentarie tardo-mediev<strong>al</strong>i delle diverse regioni),<br />

che costruire un quadro in qu<strong>al</strong>che modo compiuto è estremamente difficile. Si<br />

tenterà comunque di dare una breve panoramica, partendo <strong>d<strong>al</strong></strong> commercio marittimo<br />

e puntando soprattutto sulle relazioni a medio e breve raggio.<br />

I porti princip<strong>al</strong>i – oltre a svolgere la funzione di scambiatori fra l’itinerario<br />

marino e quello fluvi<strong>al</strong>e, ovvero fra i trasporti via d’acqua e quelli per via di terra<br />

– potevano annodare sia il reticolo del grande traffico che quello più modesto<br />

dei traffici region<strong>al</strong>i. Ad esempio, il caso – messo in luce proprio <strong>d<strong>al</strong></strong> Melis – del<br />

porto c<strong>al</strong>abrese di Tropea, donde a fine Trecento partono grossi quantitativi di<br />

vino di quella regione per Pisa, per Genova, per la Provenza e la Linguadoca, per<br />

Barcellona, V<strong>al</strong>enza e P<strong>al</strong>ma di Maiorca, per Bruges e Londra, presuppone reti<br />

più circoscritte di traffici, che fanno capo a ciascuno dei porti di destinazione.<br />

Pisa per esempio svolgeva insieme con <strong>al</strong>cuni <strong>al</strong>tri porti versiliesi e maremmani<br />

36 Cfr. in questo volume PINI, Il vino del ricco, nota 14 e testo corrispondente.<br />

645


646<br />

la funzione di cerniera per il commercio toscano, come le fonti statutarie nel<br />

loro approccio ‘sis<strong>temi</strong>co’ consentono di intuire 37 . Nella Toscana nel Quattrocento<br />

non si consumavano solo i vini loc<strong>al</strong>i prodotti <strong>al</strong>l’interno dei territori cittadini,<br />

ma si importava oltre <strong>al</strong> vino di Napoli, della Sicilia, di Rodi e di Creta<br />

(attraverso l’itinerario Venezia - Ferrara - Bologna) anche il vino bianco dell’Elba<br />

e delle <strong>al</strong>tre isole dell’arcipelago toscano (Corsica compresa) 38 , e della costa<br />

ligure: dunque, nei mercati delle numerose (anche se ad eccezione di Firenze<br />

demograficamente abbastanza modeste) città toscane, scorrevano i vini dolci e<br />

ad <strong>al</strong>ta gradazione provenienti da lontano, ma anche prodotti più domestici 39 .<br />

Non è difficile tuttavia individuare anche <strong>al</strong>tre linee di traffico, meno facilmente<br />

prevedibili, per zone di produzione poste geograficamente ai margini del<br />

dominio sub-region<strong>al</strong>e fiorentino: il vino del Casentino, per esempio, viene<br />

esportato lungo la v<strong>al</strong>le del Tevere fino nel Lazio 40 . Ovviamente, da Pisa partivano<br />

i vini toscani per la Sardegna, il Nordafrica e la costa cat<strong>al</strong>ana. Di ampie<br />

dimensioni è anche il bacino di rifornimento di Roma, che nel Quattrocento propone<br />

una domanda in crescita anche per l’influenza della corte pontificia. Dai dati<br />

an<strong>al</strong>izzati da Esch sulle dogane del Tevere, si ricava che a metà Quattrocento l’importazione<br />

del vino via mare fornisce oltre il 70% degli introiti della dogana di<br />

Ripa e Ripetta, e l’Urbe è rifornita di vini greci, corsi e della riviera ligure, mentre<br />

nettamente subordinato è il vino ‘latino’ di Campania, pure trasportato per via<br />

d’acqua. Le stesse provenienze si ripercuotono anche sull’entroterra, se è vero<br />

che a Viterbo è lecito a tutti i cittadini importare in città «vinum autem grecum de<br />

Neapoli, m<strong>al</strong>vascia et guarnacia de riparia Ianue»; dunque la contiguità col mercato<br />

romano ha delle ripercussioni anche sul mercato delle città vicine determinando<br />

una particolare diffusione di quel particolare prodotto. Nello stesso tempo,<br />

però, la produzione lazi<strong>al</strong>e, dei castelli romani e dell’<strong>al</strong>to Lazio si orienta come<br />

è ovvio, oltre che sui mercati loc<strong>al</strong>i, anche su Roma 41 .<br />

37 Cfr. i cenni di U. SANTARELLI, La vite e il vino negli statuti della Toscana marittima,in La vite e il vino. Storia<br />

e diritto, I, speci<strong>al</strong>mente le pp. 30-31 (breve dei vinai di Pisa di inizio Trecento).<br />

38 Per la presenza di pregiato vino corso nei registri di ‘Spese di casa’ datiniani, cfr. A. PIERALLI, S.<br />

Gimignano e il suo vino in un carteggio mercantile di fine Trecento, Campobasso 1993, pp. 10-11.<br />

39 MELIS, Produzione e commercio, pp. 3-29, passim.<br />

40 BALESTRACCI, Il consumo del vino nella Toscana, pp. 13-14.<br />

41 Mi limito a rinviare qui, per brevità, <strong>al</strong> quadro sintetico fornito da A. CORTONESI, La vitivinicoltura<br />

negli statuti mediev<strong>al</strong>i del Lazio, in La vite e il vino. Storia e diritto, I, pp. 41-44, con rinvio a precedenti studi<br />

del medesimo autore, di I. Ait, A. Esch, S. Carocci, ecc.


Anche per <strong>al</strong>tre aree le ricerche recenti hanno fornito, sia pure occasion<strong>al</strong>mente,<br />

informazioni sul commercio vinicolo marittimo di raggio ristretto, o<br />

relativamente ristretto. Ad esempio un fittissimo traffico di piccolo cabotaggio<br />

portava la ribolla dai porti delle Marche verso nord, cioè verso il sistema fluvi<strong>al</strong>e<br />

padano-lagunare e verso Venezia, anche se a partire da Ancona non mancavano<br />

anche destinazioni ben più lontane (la Sicilia, l’Africa, persino la Cat<strong>al</strong>ogna).<br />

In riferimento <strong>al</strong>la costa tirrenica è stato studiato l’esempio di una imbarcazione<br />

di modesto tonnellaggio, armata da imprenditori loc<strong>al</strong>i e condotta da marinaicontadini,<br />

che nel Quattrocento ris<strong>al</strong>e la costa tirrenica da Policastro a Napoli,<br />

vendendo di porto in porto il prodotto proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’entroterra c<strong>al</strong>abrese 42 .<br />

Anche la produzione della riviera ligure di Ponente veniva in larga misura avviata,<br />

sin <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà del Duecento, verso il mercato genovese 43 . La schedatura sistematica<br />

di casi di questo genere farebbe toccare con mano, con maggiore precisione,<br />

il volume di questi traffici di breve o medio percorso.<br />

A proposito della circolazione marittima e fluvi<strong>al</strong>e del vino, mi sembra da<br />

richiamare qui la necessità di approfondire un aspetto trascurato ma che <strong>al</strong>meno<br />

in <strong>al</strong>cuni casi può avere un indubbio rilievo: la predisposizione da parte dei<br />

comuni cittadini di attrezzature portu<strong>al</strong>i ad hoc, volte a favorire il carico e scarico<br />

delle botti sui burchi e sulle zattere, con uso di paranchi e di macchinari di sollevamento.<br />

Si è accennato che per i comprensori vinicoli della Germania tardomediev<strong>al</strong>e,<br />

nelle Weinstädte del Reno e della Mosella, le ricerche di Matheus hanno<br />

molto sottolineato l’importanza di questo aspetto, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e si abbina una<br />

<strong>al</strong>meno tendenzi<strong>al</strong>e standardizzazione dei recipienti anche nel traffico fluvi<strong>al</strong>e. È<br />

interessante <strong>al</strong> proposito, fra le città it<strong>al</strong>iane, l’esempio di Treviso, che grazie <strong>al</strong>la<br />

facile navigabilità del Sile e soprattutto ovviamente <strong>al</strong>la vicinanza con la metropoli<br />

lagunare ha sotto questo profilo una grande importanza, sia per il traffico<br />

discendente <strong>d<strong>al</strong></strong>le colline del Montello sia per la circolazione verso nord dei vina<br />

navigata provenienti da Venezia. Gli statuti trecenteschi della città previdero dunque<br />

la costruzione di «unum manganum pro comuni, cum quo possint exhonerari<br />

vegetes et vasa vini et olei et <strong>al</strong>ias res», <strong>al</strong>l’effettivo impiego dei qu<strong>al</strong>i si fa fre-<br />

42 M. DEL TREPPO, Marinai e vass<strong>al</strong>li: ritratti della gente di mare campana nel secolo XV, «Rassegna storica<br />

s<strong>al</strong>ernitana», n.s., 4 (1985), pp. 9-24.<br />

43 L. BALLETTO, Il vino a Ventimiglia <strong>al</strong>la metà del Duecento,in Studi in memoria di Federigo Melis, I, pp. 445-<br />

458. Sul commercio genovese del vino cfr. ora E. BASSO, I Genovesi e il commercio del vino nel tardo medioevo,<br />

in La vite e il vino. Storia e diritto, I, pp. 439-452.<br />

647


648<br />

quente riferimento nella documentazione daziaria 44 . È verosimile che uno spoglio<br />

attento della documentazione (normativo-statutaria, o anche amministrativa)<br />

possa condurre <strong>al</strong>l’accertamento di casi an<strong>al</strong>oghi anche in <strong>al</strong>tre città fluvi<strong>al</strong>i.<br />

Tra politiche annonarie e commerci a medio e breve raggio: esempi<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> Piemonte, <strong>d<strong>al</strong></strong> Veneto, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’area <strong>al</strong>pina<br />

L’accenno a Treviso (un caso interessante, sul qu<strong>al</strong>e si ritornerà in conclusione)<br />

consente di abbandonare lo scenario dei traffici marittimi, rapidamente evocato,<br />

e di spostarsi nell’It<strong>al</strong>ia padana, ove è essenzi<strong>al</strong>e per il commercio a medio raggio<br />

del vino – speci<strong>al</strong>mente in Lombardia, Romagna, Veneto – appunto l’integrazione<br />

fra itinerari fluvi<strong>al</strong>i e itinerari stra<strong>d<strong>al</strong></strong>i. Non ci occuperemo tuttavia in<br />

questa sede di questi problemi, tanto vari quanto varia è la geografia e quanto<br />

complessa è la storia delle relazioni fra le diverse città. E trascureremo anche, in<br />

favore di un pur sommario censimento dei flussi di scambio conosciuti, il quadro<br />

normativo che in qu<strong>al</strong>che modo ostacola il commercio del vino a livello<br />

region<strong>al</strong>e, cioè la politica annonaria in materia dei comuni tardomediev<strong>al</strong>i it<strong>al</strong>iani.<br />

La politica annonaria dei comuni ovviamente non riguarda solo il commercio<br />

vinicolo ma più in gener<strong>al</strong>e tutti i prodotti del primo settore (dai cere<strong>al</strong>i, <strong>al</strong>l’olio,<br />

<strong>al</strong> pesce). È ovvio che i vincoli più forti <strong>al</strong>le esportazioni riguardano i cere<strong>al</strong>i, per<br />

i qu<strong>al</strong>i la prassi del censimento delle scorte e dell’obbligo di conferimento <strong>al</strong><br />

mercato cittadino è un fatto corrente. Ma non sono eccezion<strong>al</strong>i neppure le norme<br />

sulla descriptio vinorum da parte di funzionari cittadini itineranti nel contado,<br />

con contingentamento dei consumi per le famiglie contadine 45 ; l’obiettivo è l’autosufficienza<br />

e la ubertas della città.<br />

Ovviamente questo obiettivo non viene conseguito nella sua pienezza, e l’economia<br />

di scambio nel tardo medioevo it<strong>al</strong>iano evolve – per<strong>al</strong>tro in modo<br />

44 G.M. VARANINI, Aspetti della produzione e del commercio del vino nel Veneto <strong>al</strong>la fine del <strong>Medioevo</strong>, in Il vino<br />

nell’economia e nella società it<strong>al</strong>iana medioev<strong>al</strong>e e moderna, Firenze 1989, p. 87 nota 84. Sottolinea una particolare<br />

rilevanza dell’arte dei «portitores bigonciorum civitatis Tarvisii et burgorum», sulla base dello<br />

statuto cittadino, E. ORLANDO, Coltura vitivinicola, consumo e commercio del vino: il contributo degli statuti<br />

comun<strong>al</strong>i veneti,in La vite e il vino. Storia e diritto, I, p. 89 e nota 81.<br />

45 S. COLLODO, Il sistema annonario delle città venete: da pubblica utilità a servizio soci<strong>al</strong>e (secoli XIII-XVI), in<br />

Città e servizi soci<strong>al</strong>i nell’It<strong>al</strong>ia dei secoli XII-XV, Pistoia 9-12 ottobre 1987, Dodicesimo convegno di<br />

studi, Pistoia 1990, p. 398.


estremamente lento, ed incompiuto anche a v<strong>al</strong>le di trasformazioni secolari –<br />

verso la formazione di mercati sub-region<strong>al</strong>i e region<strong>al</strong>i, che superino il limite<br />

delle economie di distretto 46 . L’intensificazione dell’attenzione <strong>al</strong>le re<strong>al</strong>tà agrarie<br />

loc<strong>al</strong>i ha portato con sé un notevole ampliamento delle conoscenze sotto questo<br />

profilo: conosciamo meglio che non per il passato il fatto che vini prodotti in un<br />

determinato territorio cittadino siano presenti in modo massiccio sul mercato di<br />

un territorio contiguo.<br />

Ecco dunque i traffici ‘region<strong>al</strong>i’. Può esser presa in considerazione <strong>al</strong><br />

riguardo l’area ligure/piemontese: un campione abbastanza ben leggibile, grazie<br />

<strong>al</strong>l’intensità delle ricerche svolte e <strong>al</strong>la varietà delle fonti che t<strong>al</strong>i ricerche sostanziano<br />

(gli statuti, per quanto nell’ottica di t<strong>al</strong>e fonte il momento dello scambio<br />

sia sempre sub<strong>al</strong>terno, o meglio limitato <strong>al</strong>lo smercio <strong>al</strong> minuto nelle osterie; le<br />

preziose, ripetute fotografie della mobilità di beni e di uomini fornite dai conti<br />

delle castellanie sabaude; le deliberazioni dei consigli cittadini) 47 . Da un lato, è<br />

possibile riscontrare dunque l’attenzione preponderante <strong>al</strong> problema dell’importazione,<br />

il taglio protezionistico assunto <strong>d<strong>al</strong></strong>la normativa statutaria in particolare<br />

nel Piemonte meridion<strong>al</strong>e, più soggetto – per i minori costi di trasporto – <strong>al</strong>la<br />

concorrenza del vino proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>la Liguria. Si tutela con attenzione estrema<br />

la produzione loc<strong>al</strong>e e il suo possibile smercio, dando <strong>al</strong>l’espressione vinum forense<br />

un’accezione molto restrittiva, <strong>al</strong> punto che è forestiero anche il vino del villaggio<br />

vicino. Il vino circolava soprattutto in certi momenti e in certi ambiti, e in<br />

46 È stato proposto <strong>al</strong> riguardo, sin dagli anni Ottanta, un ‘modello’ di mercato region<strong>al</strong>e per la Toscana<br />

tre-quattrocentesca: per questo dibattito basti qui rinviare a S. EPSTEIN, Strutture di mercato, e a G.<br />

PETRALIA, Fisc<strong>al</strong>ità, politica e dominio nella Toscana fiorentina <strong>al</strong>la fine del <strong>Medioevo</strong>, in Lo stato territori<strong>al</strong>e fiorentino<br />

(secoli XIV-XV). Ricerche, linguaggi, confronti, Atti del seminario internazion<strong>al</strong>e di studi (San<br />

Miniato, 7-8 giugno 1996), a cura di A. Zorzi, W.J. Connell, Pisa 2001, rispettivamente pp. 93-134 e<br />

161-187. Per quanto riguarda la Terraferma veneta, ho in più occasioni cercato di dimostrare l’esistenza<br />

di una profonda frattura fra l’area orient<strong>al</strong>e comprendente i territori di Treviso e di Padova, il<br />

Friuli costiero e in progresso di tempo il Polesine – pesantemente influenzati dai rapporti con Venezia,<br />

anche per ciò che concerne l’economia agraria e il commercio delle derrate – e la porzione occident<strong>al</strong>e<br />

della Terraferma (da Vicenza a Bergamo, passando per due grandi città come Verona e Brescia).<br />

Cfr. G.M. VARANINI, Élites cittadine e governo dell’economia tra comune, signoria e ‘stato region<strong>al</strong>e’: l’esempio<br />

di Verona,in Strutture del potere ed élites economiche nelle città europee dei secoli XII-XVI, a cura di G. Petti<br />

B<strong>al</strong>bi, Napoli 1996, pp. 135-168; ID., Argento vicentino e preti veronesi. Una scheda d’archivio (1435), in Per<br />

Vittorio Castagna. Scritti di geografia e di economia, Verona 2000, pp. 405-408. Riflessioni d’insieme anche<br />

in E. DEMO, L’«anima della città». L’industria tessile a Verona e Vicenza (1400-1550), Milano 2001; P. LANA-<br />

RO, I mercati nella Repubblica Veneta. Economie cittadine e Stato territori<strong>al</strong>e (secoli XV-XVIII), Venezia 1999.<br />

47 Per le notizie che seguono, cfr. GRECI, Il commercio del vino negli statuti comun<strong>al</strong>i, pp. 245-272.<br />

649


650<br />

linea gener<strong>al</strong>e ad una inizi<strong>al</strong>e libertà della prima metà del Duecento segue una<br />

gener<strong>al</strong>e restrizione ed un atteggiamento di crescente controllo (che porta anche<br />

<strong>al</strong>la redazione di libri vinearii per il monitoraggio della produzione, come a Pinerolo).<br />

Comunque la citazione di <strong>al</strong>cuni vini liguri negli statuti e nelle tariffe ne<br />

attesta una circolazione relativamente ampia: il vino <strong>al</strong>binganensis è ricordato a<br />

Cuneo e in v<strong>al</strong>le Stura, il moscato di Taggia (presso Sanremo) è menzionato a<br />

Vercelli, S<strong>al</strong>uzzo, Cuneo, Savigliano, Carignano, Roccavione; e assai diffuso è<br />

anche il vino delle Cinque Terre 48 .<br />

La particolare ricchezza della documentazione prodotta <strong>d<strong>al</strong></strong>le corti piemontesi<br />

(marchesi di S<strong>al</strong>uzzo, Savoia-Acaia, Monferrato) ha permesso poi agli studiosi di<br />

riesumare il termine e il concetto di viticoltura e di commercio vinicolo aristocratici<br />

e princières, sottolineando come le vernacce liguri, ma anche i vini trans<strong>al</strong>pini<br />

della Borgogna siano attestati solo nei rendiconti delle spese giorn<strong>al</strong>iere delle grandi<br />

famiglie (vinum Arbosii, vino di Bresse, e così via). Uno degli aspetti più interessanti<br />

che emerge <strong>d<strong>al</strong></strong>le ricerche piemontesi mi sembra la capillarità delle correnti di<br />

traffico nelle v<strong>al</strong>late <strong>al</strong>pine già nel Duecento, percepibile anche se scarsamente<br />

documentata. Si apre qui uno spiraglio su un problema di rilevante importanza,<br />

che riprenderò più avanti a proposito di un’<strong>al</strong>tra zona di confine, quella trentinotirolese:<br />

la capacità dei vini di produzione it<strong>al</strong>iana di superare la barriera <strong>al</strong>pina, <strong>al</strong>la<br />

conquista dei mercati dell’<strong>al</strong>tro versante (nelle regioni montane della Francia sudorient<strong>al</strong>e,<br />

nel caso specifico del Piemonte; oppure in Svizzera, o ancora in Tirolo<br />

e nella Germania meridion<strong>al</strong>e per le zone di produzione poste sul versante sud delle<br />

Alpi centro-orient<strong>al</strong>i). Le fonti daziarie lasciano intravedere, per il Piemonte, la<br />

circolazione in ris<strong>al</strong>ita del vino someggiato in molte v<strong>al</strong>late: in v<strong>al</strong> Vermenagna<br />

(verso il colle di Tenda), in v<strong>al</strong>le Stura (verso il colle della Mad<strong>d<strong>al</strong></strong>ena), e anche in<br />

solchi v<strong>al</strong>livi che non danno accesso a v<strong>al</strong>ichi importanti, come la v<strong>al</strong> Grana e la v<strong>al</strong><br />

Maira 49 . Anche per Pinerolo, comune che governava una circoscritta ma non irrilevante<br />

zona di produzione, «si può ipotizzare un commercio del vino su distanze<br />

medie o medio-lunghe», verso «itinerari montani e oltr<strong>al</strong>pini» 50 .<br />

La considerazione della re<strong>al</strong>tà piemontese e dei suoi numerosi centri semiurbani<br />

suggerisce anche una pista di ricerca che si prospetta fruttuosa anche per<br />

48 A.M. NADA PATRONE, I vini in Piemonte tra medioevo ed età moderna, in Vigne e vini nel Piemonte rinasciment<strong>al</strong>e,<br />

pp. 268-269.<br />

49 GRECI, Il commercio del vino negli statuti comun<strong>al</strong>i, pp. 252-254.<br />

50 Ibidem, p. 256.


<strong>al</strong>tre aree geografiche, come quella <strong>al</strong>pina: una v<strong>al</strong>utazione più attenta del ruolo<br />

economico delle osterie (come ovvio termin<strong>al</strong>e del consumo) 51 , e soprattutto<br />

degli osti ed <strong>al</strong>bergatori, che in non pochi contesti sembrano svolgere anche la<br />

funzione di imprenditori commerci<strong>al</strong>i in questo settore, accanto e insieme ai mercatores<br />

speci<strong>al</strong>izzati. In materia di commercio vinicolo, non mancano nel territorio<br />

piemontese – last but not least – significative iniziative principesche. Nella<br />

seconda metà del Quattrocento, il marchese di S<strong>al</strong>uzzo progetta la costruzione<br />

di una strada che consenta l’esportazione dei vini piemontesi oltre lo spartiacque<br />

<strong>al</strong>pino della or ora citata v<strong>al</strong> Maira, a Barcellonette e zone vicine, con espliciti<br />

riferimenti agli esiti di mercato: «ita quod multo plura vina vendentur per ipsos<br />

de Dragonerio [cioè, Dronero]; tam v<strong>al</strong>lis quam Dragonerium locupletabuntur<br />

per hospitia et mercimonia».<br />

Il caso veneto si presta invece ad illustrare in modo particolarmente evidente la<br />

distinzione/sovrapposizione fra due circuiti commerci<strong>al</strong>i, quello dei vini greci e<br />

mediterranei provenienti da Venezia e quello dei vini prodotti loc<strong>al</strong>mente: con<br />

le diverse variabili geografiche, politico-istituzion<strong>al</strong>i ed economiche che intervengono<br />

soprattutto nel Quattrocento ad influenzare i diversi flussi commerci<strong>al</strong>i<br />

52 . Il circuito di redistribuzione a livello region<strong>al</strong>e dei vini mediterranei<br />

importati attraverso Venezia convisse infatti sin <strong>d<strong>al</strong></strong> Due-Trecento con gli assetti<br />

economici e daziari via via determinatisi in conseguenza delle scelte politicoeconomiche<br />

delle diverse città della Terraferma, e che avevano determinato<br />

<strong>al</strong>tri e più complessi scambi commerci<strong>al</strong>i 53 . Le tariffe daziarie due-trecentesche<br />

di Treviso, Vicenza, Verona, che regolano l’uno e l’<strong>al</strong>tro commerci<strong>al</strong>e, ben<br />

dimostrano questa compresenza. Nel Quattrocento, è il commercio del vino<br />

loc<strong>al</strong>e – quello che qui più specificamente interessa – ad essere influenzato ad<br />

un tempo <strong>d<strong>al</strong></strong>le vicende demografiche, <strong>d<strong>al</strong></strong>le trasformazioni (per<strong>al</strong>tro incisive<br />

51 Per<strong>al</strong>tro non esclusivo; pare univers<strong>al</strong>mente riconosciuta la pratica del libero smercio <strong>al</strong> minuto del<br />

vino da parte di privati (per esempi non solo toscani, cfr. D. BALESTRACCI, La produzione e la vendita<br />

del vino nella Toscana mediev<strong>al</strong>e, in Vino y viñedo, p. 51; inoltre, L. RICCETTI, Il naso di Simone. Il vino ad<br />

Orvieto nel medioevo,in D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino. <strong>Fonti</strong> e problemi, pp. 150-151).<br />

52 Rinvio qui una tantum <strong>al</strong>l’ottimo quadro di sintesi offerto sulla base degli statuti comun<strong>al</strong>i veneti da<br />

ORLANDO, Coltura vitivinicola, consumo e commercio del vino, pp. 91-103, con v<strong>al</strong>utazioni sostanzi<strong>al</strong>mente<br />

convergenti con quelle qui esposte.<br />

53 Per un efficace quadro d’insieme sull’agricoltura nei distretti delle città venete del Trecento, cfr. S.<br />

COLLODO, L’evoluzione delle strutture economiche nel Trecento: l’economia delle campagne, in Il Veneto nel medioevo.<br />

Le signorie trecentesche, a cura di A. Castagnetti, G.M. Varanini, Verona 1995, pp. 271-310.<br />

651


652<br />

soprattutto nella seconda metà del Quattrocento) del sistema produttivo, e <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

scelte di politica economica compiute <strong>d<strong>al</strong></strong> governo veneziano, che a partire<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> ventennio compreso fra il 1404 e il 1428 ha il controllo politico non solo di<br />

tutte le città dell’antica Marca Trevigiana (Treviso, Padova, Vicenza, Verona,<br />

Feltre e Belluno), ma anche del Friuli patriarchino e di Brescia e Bergamo.<br />

Ognuno di questi fattori ha, in ognuna delle città e territori menzionati, un<br />

peso, una ‘chimica’ diversa; si determina pertanto una situazione molto complessa,<br />

che cercheremo rapidamente di delineare (più per mettere in guardia<br />

contro gener<strong>al</strong>izzazioni e schematismi, che non per esporre – <strong>al</strong>lo stato attu<strong>al</strong>e<br />

delle ricerche – risultati conclusivi).<br />

Per motivi struttur<strong>al</strong>i, legati <strong>al</strong>la geografia e <strong>al</strong>la storia, il fabbisogno di vino<br />

dei forse 100.000 abitanti della metropoli lagunare si faceva sentire infatti, in prima<br />

istanza, sul territorio padovano e trevigiano. Ciò avveniva in primo luogo<br />

attraverso il flusso della rendita agraria proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>le proprietà fondiarie delle<br />

zone più vicine <strong>al</strong>la laguna 54 : è il mediocre vinum de plano della bassa padovana,<br />

che come afferma un contemporaneo bisogna bere a occhi chiusi e coi denti serrati,<br />

sia attraverso il drenaggio del vinum de monte degli Euganei, del Montello, dell’<strong>al</strong>ta<br />

pianura trevigiana. I fiumi sfocianti in laguna, <strong>d<strong>al</strong></strong> Brenta <strong>al</strong> Sile, rendevano<br />

facili, sicuri ed economici questi rapporti e questi trasporti, che le vicende politiche<br />

del tardo Trecento (specie con la forte ostilità fra Padova e Venezia) per un<br />

certo tempo ostacolarono pesantemente. Le scelte politiche <strong>al</strong> riguardo furono<br />

estremamente precise e decise, da parte del governo veneziano; basterà commentare<br />

<strong>al</strong> riguardo la lettera duc<strong>al</strong>e del 1407, indirizzata <strong>al</strong> podestà di Padova,<br />

con la qu<strong>al</strong>e il doge Michele Steno espose un vero e proprio programma di politica<br />

economica. Ricordato che <strong>al</strong> tempo dei da Carrara (gli sconfitti signori della<br />

città) le barriere dogan<strong>al</strong>i impedivano di fatto l’afflusso del vino padovano sul<br />

mercato veneziano («habebant tam magnum datium quod modica quantitas<br />

conducebatur Venetias»), si delibera l’abbattimento di questi dazi creando uno<br />

spazio daziario comune con il territorio trevigiano: «ad extrahendum de Padua<br />

[solvatur] solum id quod solvitur in Trivisana de vino quod conducitur de partibus<br />

Trivisane ad nostram civitatem Venetiarum» 55 . Il principio ispiratore è quel-<br />

54 Bibliografia anche per il periodo antecedente <strong>al</strong> Quattrocento (Pozza, Ling, Lazzarini) in G.M.<br />

VARANINI, Proprietà fondiaria e agricoltura, in Storia di Venezia <strong>d<strong>al</strong></strong>le origini <strong>al</strong>la caduta della Serenissima,V,Il<br />

Rinascimento. Società ed economia, a cura di U. Tucci, A. Tenenti, Roma 1996, pp. 807-879.<br />

55 rv Archivio di Stato di Padova, Dazi, b. 2024, c. 1 (14 settembre 1407). Per la politica veneziana nei<br />

confronti di Treviso, cfr. qui oltre.


lo, strettamente municip<strong>al</strong>istico, che ispirerà costantemente la politica economica<br />

veneziana verso la Terraferma anche in seguito (e per un lunghissimo periodo,<br />

per certi aspetti sino <strong>al</strong>la caduta della repubblica): il «commodum civium<br />

nostrorum». Natur<strong>al</strong>mente, il successo di questa linea non fu né immediato né<br />

facile; si vedrà più oltre come anche la geografia del commercio vinicolo trevigiano,<br />

segnata <strong>d<strong>al</strong></strong>la contrapposta domanda che proveniva <strong>d<strong>al</strong></strong> mercato tedesco e<br />

da quello veneziano, si riveli nel Quattrocento variegata e mutevole. In queste<br />

città, comunque, le scelte politiche della dominante influenzarono in modo incisivo<br />

la circolazione del prodotto loc<strong>al</strong>e.<br />

Altre città della Terraferma – ancorché soggette a Venezia – come Verona e<br />

Brescia, mantennero invece un assetto del commercio vinicolo (e non solo vinicolo,<br />

trattandosi di un dato struttur<strong>al</strong>e, derivante <strong>d<strong>al</strong></strong> quadro geo-politico nel suo<br />

insieme) ancor più imperniato sui tradizion<strong>al</strong>i canoni della politica municip<strong>al</strong>e,<br />

orientato <strong>d<strong>al</strong></strong>le polarità ‘forti’ costituite dai mercati urbani e influenzato <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

Dominante in modo molto meno incisivo, <strong>al</strong>meno sul medio periodo. In assenza<br />

di una documentazione daziaria seri<strong>al</strong>e è difficile farsi un’idea precisa di questo<br />

assetto; ma t<strong>al</strong>volta, negli anni di maggiore difficoltà, l’intervento dei governi<br />

cittadini mette a nudo con maggiore evidenza le caratteristiche del sistema. È<br />

quanto accade ad esempio nel 1411 (un anno di terribile «caritudo uvarum»). Il<br />

governo veneziano cercò di assicurare il rifornimento per il mercato cittadino<br />

abbattendo il dazio da capo d’Otranto in qua, nell’intero Golfo dunque, come i<br />

veneziani chiamavano l’Adriatico, e premendo sui podestà delle città della Terraferma<br />

da poco conquistata perché favorissero l’esportazione verso la dominante.<br />

Ma di fronte <strong>al</strong>la stessa emergenza, il podestà veneziano di Verona (che<br />

nonostante si trovasse <strong>al</strong>lora forse <strong>al</strong> punto più basso dell’evoluzione demografica<br />

tardomediev<strong>al</strong>e restava una città di cospicue dimensioni) non poté che compiere<br />

ovvie scelte protezionistiche – a difesa dunque del benessere della città atesina,<br />

non di Venezia –, non concedendo nessuna «licentia extrahendi». Altrettanto<br />

ovviamente, i mercatores di varie città e centri minori contermini sono presenti<br />

non tanto a Verona, quanto soprattutto nelle più lontane e riposte loc<strong>al</strong>ità<br />

della collina a incettare uva e a corrompere i sorveglianti del dazio. La fonte<br />

menziona esplicitamente, come loc<strong>al</strong>ità di provenienza, Rovigo, Lendinara,<br />

Badia Polesine, Ferrara, Ostiglia: per costoro, decisiva è dunque la chance costituita<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’idrografia, che attraverso l’Adige consente il collegamento diretto con<br />

il Po e rende economico il trasporto di prodotti ingombranti. Si rivela dunque un<br />

flusso di esportazione di vino da Verona verso il Polesine e la Romagna, che la<br />

653


654<br />

particolare congiuntura rende evidentemente più cospicuo; un flusso assai poco<br />

noto e poco conoscibile, anche se l’itinerario presumibile coincide nella sostanza<br />

con quella medesima «via Ravene» che da sempre percorrevano i panni di lana<br />

veronesi, avviati ai mercati marchigiani e pugliesi ignorando Venezia, e che<br />

seguivano anche <strong>al</strong>tre merci ingombranti e pesanti, come i marmi e i materi<strong>al</strong>i da<br />

costruzione. Siamo di fronte ad un’<strong>al</strong>tra piccola prova del fatto che una integrazione<br />

delle economie agrarie si venne determinando, nella Terraferma veneta,<br />

con molta lentezza; fu solo nel Cinque-Seicento, due secoli dopo l’assoggettamento<br />

politico di Verona e del suo distretto <strong>al</strong>la repubblica di Venezia, che i vini<br />

rossi della V<strong>al</strong>policella cominciarono ad approdare in misura consistente <strong>al</strong>la<br />

Riva del Vino presso Ri<strong>al</strong>to, sui burchi che – partendo da Pescantina, sull’Adige a<br />

nord di Verona – avevano disceso tutto il corso del grande fiume 56 .<br />

In questo quadro politico e commerci<strong>al</strong>e così complesso, un ulteriore elemento<br />

di variabilità è costituito dai non trascurabili margini di autonomia dei<br />

centri minori, come Bassano e Conegliano Veneto (sulle qu<strong>al</strong>i mi soffermerò<br />

brevemente anche più avanti, an<strong>al</strong>izzando più direttamente i flussi convergenti<br />

sul territorio trevigiano e il loro divergere verso nord e verso sud). Poste nel cuore<br />

di zone di produzione importanti, queste due ‘quasi città’ si avv<strong>al</strong>gono di diritti<br />

non troppo dissimili da quelli dei centri urbani maggiori, e sfuggono ad un<br />

inquadramento rigido nelle politiche annonarie. Solo dopo molte resistenze il<br />

consiglio del comune di Bassano è costretto a rinunciare <strong>al</strong>la difesa protezionistica<br />

della produzione loc<strong>al</strong>e, basata in precedenza sulla convinzione che «vina<br />

dicte terre Bassani sunt v<strong>al</strong>de meliora quam vina locorum circumstantium».<br />

Infine, un terzo (ma certamente non ultimo) profilo di commercio vinicolo che si<br />

può qui proporre a titolo esemplificativo riguarda <strong>al</strong>cune regioni <strong>al</strong>pine, che sono<br />

ad un tempo zone di produzione, compatibilmente con l’are<strong>al</strong>e della vite (nei fondov<strong>al</strong>le<br />

e nelle conche più aperte e soleggiate), e di conseguente circolazione a breve<br />

raggio; e nello stesso tempo ‘mercati di tappa’ 57 per il commercio di esportazione<br />

verso la Francia e l’area tedesca. Mi limiterò comunque a qu<strong>al</strong>che cenno sulle<br />

Alpi occident<strong>al</strong>i, basandomi su studi recenti, e sul territorio trentino-tirolese.<br />

56 G.M. VARANINI, Problemi di storia economica e soci<strong>al</strong>e della V<strong>al</strong>policella nel Cinquecento e primo Seicento,in La<br />

V<strong>al</strong>policella nella prima età moderna (1500 c. - 1630), a cura di G.M. Varanini, Verona 1987, pp. 182 sgg.<br />

57 CRAEYBECKX, Un grand commerce d’importation: les vins de France, pp. 60 sgg.


Per quanto riguarda la circolazione del vino ‘<strong>al</strong>pino’, reso omaggio a studi<br />

ben noti che costituiscono tuttora un punto di riferimento significativo 58 , dò qu<strong>al</strong>che<br />

cenno sulla base di una fonte di qu<strong>al</strong>ità come i Rechnungsbüchern dei conti di<br />

Tirolo di fine Due e inizi Trecento, recentemente editi: il loro interesse acuisce il<br />

disappunto per l’episodicità della testimonianza, che copre solo un breve tratto<br />

del periodo di governo di Mainardo II conte di Tirolo 59 . Proprio in questi anni si<br />

riscontra occasion<strong>al</strong>mente nella contrattu<strong>al</strong>istica agraria sudtirolese il riferimento<br />

<strong>al</strong> «bonum vinum theotonicum et non latinum» dovuto dai coltivatori nei pressi<br />

di Bolzano 60 , e forse non si tratta di un caso. Sono gli anni nei qu<strong>al</strong>i la ‘presa’ politico-economica<br />

del conte sul principato vescovile di Trento (nel territorio in cui<br />

si trovava la zona di produzione bolzanina e venostana) si fa diretta e incisiva: e i<br />

resoconti contabili fatti <strong>al</strong>la corte dai diversi offici<strong>al</strong>i dispersi sul territorio menzionano<br />

di frequente cospicui quantitativi di vino percepiti («vinum censu<strong>al</strong>e» è<br />

t<strong>al</strong>ora definito) e a vario titolo redistruibuiti. La fonte ha evidentemente i limiti di<br />

tutte le fonti contabili: non è possibile perciò individuare riferimenti <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità<br />

58 Per le v<strong>al</strong>late piemontesi cfr. in gener<strong>al</strong>e gli studi del Comba, e per una utilizzazione specifica in<br />

funzione del commercio vinicolo la ricerca del Patria citata qui sotto, nota 64; per il Trentino e il Sudtirolo,<br />

cfr. specificatamente B. ANDREOLLI, Produzione e commercio del vino trentino tra medioevo ed età<br />

moderna, in Il vino nell’economia e nella società, pp. 91-107; ma è largamente dedicato <strong>al</strong>la viticoltura e <strong>al</strong>la<br />

produzione del vino nel Duecento anche il breve ma documentato contributo di ID., Gestione della proprietà<br />

fondiaria, contratti agrari e coltivazioni nel territorio di Bolzano durante il XIII secolo, in Bolzano <strong>d<strong>al</strong></strong>le origini<br />

<strong>al</strong>la distruzione delle mura. Bozen von den Anfängen bis zur Schleifung der Stadtmauern, Atti del convegno<br />

internazion<strong>al</strong>e di studi organizzato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Assessorato <strong>al</strong>la Cultura del comune di Bolzano (Castel<br />

Mareccio, aprile 1989), Bolzano 1991, specie pp. 240-242. Cfr. inoltre il contributo di Josef Nössing<br />

citato qui sotto <strong>al</strong>la nota 65, e una ulteriore sintesi (con buona bibliografia) di B. ANDREOLLI, Alle origini<br />

della viticoltura trentina, in 2500 anni di cultura della vite nell’ambito <strong>al</strong>pino e cis<strong>al</strong>pino. 2500 years of viticulture<br />

in the <strong>al</strong>pine and the cis<strong>al</strong>pine environment, a cura di G. Forni, A. Scienza, Trento 1996, pp. 495-507.<br />

59 Cfr. le recenti edizioni curate da C. HAIDACHER: Die älteren Tiroler Rechnungsbücher (IC. 277, MC. 8).<br />

An<strong>al</strong>yse und Edition, Innsbruck 1993, e Die älteren Tiroler Rechnungsbücher (IC. 278, IC. 279 und Belagerung<br />

con Weineck). An<strong>al</strong>yse und Edition, Innsbruck 1998; non fornisco indicazioni puntu<strong>al</strong>i, rinviando<br />

<strong>al</strong>l’accurato indice delle cose notevoli <strong>al</strong>la fine del volume del 1998, che permette di ris<strong>al</strong>ire agevolmente<br />

<strong>al</strong>le notizie sul vino. Per l’importanza di questa fonte, cfr. ad es. J. RIEDMANN, Die Rechnungsbücher<br />

der Tiroler Landesfürsten, in Landesherrliche Kanzleien im Spätmittel<strong>al</strong>ter. Referate zum VI. Internation<strong>al</strong>en<br />

Kongress für Diplomatik, München 1984, pp. 315-323; inoltre, per una prima utilizzazione in ottica<br />

trentina ID., Das Hochstift Trent unter der Kontrolle Meinhards II. von Tirol. Eine Bestandsaufnahme anhand<br />

der Tiroler Rechnungsbücher 1288-1295, in In factis mysterium legere. Miscellanea di studi in onore di Iginio Rogger<br />

in occasione del suo ottantesimo compleanno, a cura di E. Curzel, Bologna 1999, pp. 35-55.<br />

60 ANDREOLLI, Gestione della proprietà fondiaria, p. 242.<br />

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656<br />

del prodotto sulla base delle frequenti denominazioni di luogo abbinate <strong>al</strong>le menzioni<br />

del vino, perché le specificazioni date sembrano riferirsi genericamente <strong>al</strong><br />

luogo di produzione o di corresponsione dei censi 61 . È certo tuttavia che (scontati<br />

i riferimenti <strong>al</strong> consumo dei signori e della corte, per la qu<strong>al</strong>e vengono inviati<br />

quantitativi cospicui anche in occasione di soggiorni in Tirolo o in Baviera: «pro<br />

vectura vini in Augustam») 62 , il vino circolava anche nelle più riposte loc<strong>al</strong>ità del<br />

Tirolo, presso i più periferici offici<strong>al</strong>i del conte. Esso veniva ordinariamente corrisposto,<br />

inoltre, ai lavoratori s<strong>al</strong>ariati (carpentieri, «muratores et <strong>al</strong>ii operarii»);<br />

tutt’<strong>al</strong>tro che un prodotto d’élite, insomma. Sotto il profilo più propriamente<br />

commerci<strong>al</strong>e, particolarmente interessanti sono i riferimenti a quantitativi di vini<br />

acquistati nel Tirolo settentrion<strong>al</strong>e («pro vinis carradis octo (...) comparatis ab eo<br />

[Chunrado marstellerio] in Inspruk»), oppure condotti da Imst, nell’<strong>al</strong>ta v<strong>al</strong>le dell’Inn<br />

(ov’erano evidentemente giunti <strong>d<strong>al</strong></strong> Sudtirolo) a Füssen (nella Baviera meridion<strong>al</strong>e)<br />

e ivi venduti («pro vini urnis 14 ductis in Fuezzen et ibidem venditis»).<br />

Ovviamente, nelle Alpi non circolava solo il vino prodotto nelle Alpi. La<br />

notevole domanda proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>le grandi metropoli (Milano, Venezia) e <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

numerose città di media grandezza (da Padova a Verona, da Brescia <strong>al</strong>le <strong>al</strong>tre<br />

città lombarde o piemontesi) poste nella zona peri<strong>al</strong>pina, la loro maggiore o<br />

minore (e mutevole nel tempo, per le oscillazioni dei prezzi determinate <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

variabili climatiche e politiche) capacità di approvvigionarsi di vino (quanto<br />

meno, di <strong>al</strong>cuni tipi di vino) da <strong>al</strong>tre zone di produzione (la Liguria per Milano,<br />

l’area adriatica per Venezia) libera maggiori o minori quote di produzione che<br />

possono prendere la via del nord e dei mercati posti <strong>al</strong> di là dello spartiacque. Le<br />

città <strong>al</strong>pine, <strong>d<strong>al</strong></strong> canto loro, per la modestissima caratura demografica non possono<br />

certo costituire grandi centri di consumo 63 ; sono invece centri di smista-<br />

61 Del tipo «vinum de Sporo» – Sporminore o Spormaggiore in V<strong>al</strong> di Non –, «vinum de Traminno»<br />

– Termeno in v<strong>al</strong> d’Adige –, «vinum de Griez» – presso Bolzano –, ecc., usate in <strong>al</strong>ternanza con quelle<br />

del tipo «vinum receptum in ***».<br />

62 Per il ruolo di un’<strong>al</strong>tra corte signorile <strong>al</strong>pina in tema di consumo del vino, di punto di riferimento per<br />

la circolazione presso i castellani e gli <strong>al</strong>tri offici<strong>al</strong>i, ecc., cfr. R. COMBA, I vini del principe: l’approvvigionamento<br />

della corte dei Savoia-Acaia fra XIII e XIV secolo,in Vigne e vini nel Piemonte mediev<strong>al</strong>e, pp. 301-319.<br />

63 Recentemente, J. MATHIEU nella sua Storia delle Alpi 1500-1900. Ambiente, sviluppo e società, Bellinzona<br />

2000 (I ed. 1998), ha constatato che nessun insediamento <strong>al</strong>pino dotato di funzioni urbane raggiunge<br />

ai primi del Cinquecento i 5.000 abitanti. Vi è solo qu<strong>al</strong>che temporanea eccezione; si tratta in<br />

più casi di centri minerari (come per esempio Schwaz in Tirolo, o Pergine in Trentino). Vi è un nesso<br />

fra sviluppo delle attività minerarie e consumo di un importante integratore c<strong>al</strong>orico come il vino;


mento o – appunto – mercati di passaggio, che integrano a volte con la produzione<br />

del circondario il flusso proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong> sud e indirizzato <strong>al</strong>l’ampio e non<br />

bene definito mercato trans<strong>al</strong>pino. Non sempre, tuttavia, è facile ricostruire con<br />

precisione i meccanismi economici e i flussi commerci<strong>al</strong>i. Lo si è fatto recentemente<br />

per il Piemonte centro-occident<strong>al</strong>e, ove mancano grandi centri urbani.<br />

Oltre <strong>al</strong> caso già ricordato del marchesato di S<strong>al</strong>uzzo, è interessante l’esempio<br />

della v<strong>al</strong> di Susa ove il ceto dirigente loc<strong>al</strong>e imposta una politica protezionistica<br />

contro i vini lombardi e ‘padani’ per favorire lo smercio in sede loc<strong>al</strong>e, ma<br />

soprattutto verso le regioni trans<strong>al</strong>pine (in direzione di Briançon e della sua<br />

regione) del vino prodotto in zona, arrivando agli inizi dell’età moderna ad una<br />

diffusione della viticoltura (con terrazzamenti, oltre che intensivi impianti in<br />

fondov<strong>al</strong>le) certo anom<strong>al</strong>a rispetto <strong>al</strong> contesto ambient<strong>al</strong>e 64 .<br />

Meno chiari sotto questo profilo sono i meccanismi che si vengono a creare<br />

nelle Alpi centro-orient<strong>al</strong>i. Secondo il più aggiornato consuntivo storiografico<br />

loc<strong>al</strong>e 65 , i mercanti di Bolzano non sono affatto speci<strong>al</strong>izzati nel commercio del<br />

vino (un prodotto, che nella zona circostante la città ha per<strong>al</strong>tro una antichissima<br />

tradizione, che ris<strong>al</strong>e <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>to medioevo e che coinvolge proprietari fondiari disparati<br />

e lontani, tra famiglie signorili e monasteri bavaresi come Benediktbeuern).<br />

Solo lentamente essi assumono un ruolo più attivo rispetto ad un commercio che<br />

è gestito, in direzione sud-nord, dai veronesi e dai trentini, esportando vino proveniente<br />

da ambedue i territori. In questo caso, dunque, sembrerebbe di poter<br />

dedurre che in linea di massima la produzione veronese copra il pur cospicuo fabbisogno<br />

loc<strong>al</strong>e, e che per questo il vino trentino non prende la strada – apparentemente<br />

più facile e redditizia – del sud e dell’Adige. Meno chiari sono invece i<br />

motivi della defluenza verso nord e verso l’area tedesca dei prodotti di <strong>al</strong>tri comprensori<br />

vinicoli del Veneto. Perché nel 1318 il comune di Conegliano in una con-<br />

in molti casi (come nel principato vescovile di Trento, in riferimento <strong>al</strong>le miniere della v<strong>al</strong> di Non) il<br />

potere pubblico abbatte le tariffe daziarie per favorire l’importazione di vino.<br />

64 L. PATRIA, Il vino in montagna: la produzione e il commercio del vino v<strong>al</strong>susino nel medioevo, in Vigne e vini nel<br />

Piemonte mediev<strong>al</strong>e, pp. 195-243.<br />

65 J. NÖSSING, Bozens Weinhandel im Mittel<strong>al</strong>ter und in der Neuzeit, in Stadt und Wein, pp. 181-191; cfr. poi<br />

le minute ricerche sul Tirolo di Nikolaus GRASS, riunite nel volume <strong>d<strong>al</strong></strong> curioso titolo Alm und Wein.<br />

Aufsätze aus Rechts- und Wirtschaftsgeschichte, hrsg. von L. Carlen, H.C. Faussner, Hildesheim 1990, in<br />

particolare Fragmente zur Geschichte der Tiroler Weinkultur, pp. 383-415. Cfr. anche G.M. VARANINI, Vite<br />

e vino fra la Germania, il Veneto e il Garda. Qu<strong>al</strong>che appunto <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti mediev<strong>al</strong>i e rinasciment<strong>al</strong>i, in Storie di vino<br />

fra la Germania e il Garda, a cura di L. Bonuzzi, Bardolino (Verona) 1997, pp. 35-48.<br />

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658<br />

tesa col comune di Treviso evidenzia l’esistenza di un flusso di vino di cattiva<br />

qu<strong>al</strong>ità verso le partes teutonice? Un abbozzo di motivazione si può forse trovare in<br />

una nota, apparentemente ‘di colore’, riportata nello stesso documento, laddove<br />

si sostiene che si trattava di un prodotto ‘buono solo per i tedeschi’, e che se non<br />

fosse stato possibile venderlo a loro i coneglianesi lo avrebbero potuto proicere per<br />

terram; il topos del tedesco grossolano e rozzo bevitore è del resto ricchissimamente<br />

documentato, come è ben noto. Va detto tuttavia che in linea gener<strong>al</strong>e queste<br />

motivazione basate su apprezzamenti qu<strong>al</strong>itativi appaiono sempre piuttosto<br />

problematiche, ed è necessario v<strong>al</strong>utarle con molta prudenza.<br />

D’<strong>al</strong>tra parte, anche riguardo <strong>al</strong>l’interscambio con le regioni trans<strong>al</strong>pine si<br />

hanno segn<strong>al</strong>i contraddittori. Non stupisce, ad esempio, che lo statuto del comune<br />

di Belluno della seconda metà del Trecento regolamenti attentamente i diversi<br />

itinerari del commercio vinicolo verso nord; ma lo stesso statuto regolamenta<br />

con pari attenzione il flusso del vino «portatum a partibus Almanie» (si usa<br />

anche l’espressione generica «de partibus superioribus») nel distretto di Belluno,<br />

precisando che esso viene someggiato, non trasportato su carri a due o quattro<br />

ruote. Dato che si fa esplicito riferimento <strong>al</strong>la loc<strong>al</strong>ità di Agre e <strong>al</strong> torrente Maé,<br />

è molto probabile che questo vino pervenga nelle v<strong>al</strong>late dell’Agordino e dello<br />

Zoldano, in funzione del consumo dei minatori, superando gli ardui v<strong>al</strong>ichi di S.<br />

Pellegrino e di forcella Staulanza (attraverso il Livin<strong>al</strong>longo): dunque in ultima<br />

an<strong>al</strong>isi da Bolzano e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’area trentino-tirolese 66 . Ovviamente, di qu<strong>al</strong> vino si trattasse<br />

– produzione sudtirolese, come forse è più probabile, o vino proveniente<br />

da sud (Trento, Verona) o da sud-ovest (Lombardia)? – è impossibile dire.<br />

Comunque sia, si tratta di un <strong>al</strong>tro esempio della rilevanza, nel versante meridion<strong>al</strong>e<br />

delle Alpi, dei traffici in direzione ovest/est (e viceversa), che collegano nel<br />

senso della longitudine le v<strong>al</strong>late lombarde, trentine e venete 67 . E del resto, non<br />

66 Statuti di Belluno del 1392 nella trascrizione di età veneziana, a cura di E. Bacchetti, Roma 2002, libro IV,<br />

stat. 81 (<strong>al</strong>l’interno delle rubriche «de dacio ferri»), p. 372. Cfr. anche stat. 80: chi importa vino in<br />

quelle v<strong>al</strong>late «vel ipsum vinum extra districtum conduxerit» «solvere teneatur collectoribus dacii ferri»<br />

4 grossi veneziani per ogni soma, 8 per ogni carretta (a due ruote), 12 per ogni carro a quattro<br />

ruote (di 10 conzi, circa 800 litri). Per il commercio del vino nel territorio bellunese, cfr. anche<br />

ORLANDO, Coltura vitivinicola, consumo e commercio del vino, pp. 102-103.<br />

67 Per una prima impostazione di questo problema (largamente sottov<strong>al</strong>utato <strong>d<strong>al</strong></strong>la storiografia loc<strong>al</strong>e)<br />

cfr. – imperniato sul caso trentino – G.M. VARANINI, Itinerari commerci<strong>al</strong>i secondari nel Trentino bassomedioev<strong>al</strong>e,<br />

in Die Erschliessung des Alpenraums für den Verkehr im Mittel<strong>al</strong>ter und in der frühen Neuzeit. L’apertura<br />

dell’area <strong>al</strong>pina <strong>al</strong> traffico nel medioevo e nella prima età moderna, Historikertagung in Irsee, Convegno<br />

storico a Irsee 13.-15. IX. 1993, a cura di E. Riedenauer, Bolzano 1996, pp. 101-128.


manca qu<strong>al</strong>che <strong>al</strong>tra indicazione dell’importazione di vino trentino, oltre che<br />

veronese e vicentino, nel territorio trevigiano già <strong>al</strong>la fine del Duecento 68 .<br />

Ometto qui riferimenti ad <strong>al</strong>tri casi, come quello delle città emiliane e romagnole,<br />

così ben lumeggiato da Pini in uno studio di parecchi anni or sono: Imola<br />

in particolare, che dimostra i cambiamenti ai qu<strong>al</strong>i va incontro il commercio del<br />

vino, passando <strong>d<strong>al</strong></strong>la viticoltura quantitativa <strong>al</strong>la viticoltura qu<strong>al</strong>itativa orientandosi<br />

<strong>al</strong>la produzione della ribolla 69 . Ma si può dire, a mo’ di provvisoria conclusione,<br />

che <strong>al</strong>lo stato attu<strong>al</strong>e delle ricerche lo sforzo di trovare logiche e coerenze in questo<br />

sovrapporsi così cangiante di flussi, di mutevoli contesti che è l’insieme dei<br />

mercati loc<strong>al</strong>i del vino nell’It<strong>al</strong>ia centrosettentrion<strong>al</strong>e, influenzato da tante variabili<br />

struttur<strong>al</strong>i (il modificarsi nel tempo della produzione, le vicende belliche, la<br />

diversa incidenza della fisc<strong>al</strong>ità...) appare ben lungi <strong>d<strong>al</strong></strong>la conclusione.<br />

Il commercio tardomediev<strong>al</strong>e del vino nel territorio trevigiano<br />

A conclusione di queste note, per esemplificare i tanti volti del commercio vinicolo<br />

in una città e in un distretto dell’It<strong>al</strong>ia centrosettentrion<strong>al</strong>e nel Trecento e<br />

Quattrocento, sembra utile proporre un’an<strong>al</strong>isi ravvicinata di un singolo caso:<br />

quello di Treviso e del suo territorio 70 . Alla città del Sile si è già fatto cenno a proposito<br />

dell’approdo attrezzato predisposto <strong>d<strong>al</strong></strong> comune sulle rive del fiume, e<br />

degli stretti rapporti col mercato veneziano: non c’è da stupirsi dunque del fatto<br />

che le stesse unità di misura del vino trevigiano (il conzo, l’anfora, l’urna, il bigoncio)<br />

sono rapportate sin <strong>d<strong>al</strong></strong> Duecento <strong>al</strong>le misure veneziane, «fiant ad modum<br />

mensurarum amphorarum et bigonciorum Veneciarum, ita quod duo urne<br />

faciant amphoram». D<strong>al</strong>la di<strong>al</strong>ettica fra il condizionamento esercitato da Venezia<br />

68 Uno statuto del 1294 prevede l’importazione e determina il prezzo del vino «vicentinum, veronense,<br />

tridentinum» (inferiore a quello della ribolla e del «vinum navigatum», oltre che ovviamente<br />

del «vinum pinelle, m<strong>al</strong>vaxie, moscatelli, Cretense, de Cipro, capiglate et vinum grecum», i qu<strong>al</strong>i ultimi<br />

costano il doppio) da giugno a ottobre; cfr. Gli Statuti del comune di Treviso (sec. XIII-XIV), a cura<br />

di B. Betto, vol. II, Roma 1986, p. 251. Non sono riuscito a reperire ulteriori notizie sul «vinum capiglate»<br />

(posto che non si debba leggere «Capiglate»: ma di qu<strong>al</strong>e toponimo si tratterebbe?).<br />

69 A.I. PINI, Produzione e trasporto del vino a Imola e nel suo contado nel medioevo, in ID., Vite e vino, pp. 147-<br />

179 (studio già edito nel 1976).<br />

70 Riprendo qui, ampliandoli sulla base di nuova documentazione, <strong>al</strong>cuni cenni sinteticamente dati in<br />

VARANINI, Aspetti della produzione e del commercio, pp. 84-89.<br />

659


660<br />

(che ha <strong>d<strong>al</strong></strong> Trecento il dominio politico su Treviso) e il variegato panorama dei<br />

flussi commerci<strong>al</strong>i che interessavano quest’area e <strong>d<strong>al</strong></strong> suo mercato emerge una<br />

situazione assai complessa.<br />

Le ricerche sulla distribuzione della proprietà fondiaria hanno mostrato la<br />

robusta ed antica (gli inizi ris<strong>al</strong>gono <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>to medioevo) presenza patrimoni<strong>al</strong>e di enti<br />

e di privati veneziani, soprattutto nella media e bassa pianura trevigiana, lungo i fiumi<br />

di risorgiva (il Sile, il V<strong>al</strong>lio, il Marzenego, il Musestre) 71 . È natur<strong>al</strong>e dunque che<br />

si muova verso Venezia un traffico discendente, che seguendo la corrente trasferisce<br />

le quote parziarie nelle cantine dei proprietari della città lagunare; ma un flusso<br />

an<strong>al</strong>ogo è <strong>al</strong>imentato anche <strong>d<strong>al</strong></strong> minuto popolo veneziano, privo di proprietà fondiaria<br />

e dipendente <strong>d<strong>al</strong></strong> mercato, che è spesso person<strong>al</strong>mente presente in Treviso –<br />

come attestano i registri daziari trevigiani contenenti le licenze di esportazione – per<br />

acquistare quanto gli necessita. È ragionevole pensare che il prodotto trevigiano<br />

(che in <strong>al</strong>cune annate del Quattrocento raggiungerà i 30.000 ettolitri) concorresse<br />

per un quinto o un sesto <strong>al</strong> complessivo fabbisogno cittadino. In buona parte, si<br />

trattava di vino di mediocre o bassa qu<strong>al</strong>ità, destinato «ai lavoratori della lana qua<br />

ammassati, giacché si richiede abbondanza di vino per gli operai e <strong>al</strong>tra gentaglia<br />

minuta». «I vini che si smerciano fuori distretto sono per lo più vini mescolati con<br />

acqua (vina aquata), di scarso pregio e facilmente deperibili (non durabilia)».<br />

Dopo la conquista di Treviso (1339), il governo veneziano tentò di costringere<br />

i produttori trevigiani a far affluire il prodotto sul mercato della capit<strong>al</strong>e, fissando<br />

un tetto per<strong>al</strong>tro non troppo basso per le esportazioni (nel 1352 pose un<br />

tetto di 2000 carri di vino, pari a 16.000 ettolitri) e inasprendo il dazio di uscita.<br />

È significativa <strong>al</strong> riguardo la schermaglia fra il doge e il podestà veneziano di Treviso<br />

(1349). Ricordando la «immensa vini penuria» del 1348, il primo propose<br />

con circospezione, consapevole della delicatezza della questione («non enim<br />

intendimus quod in totum restringatur»), che le vendite «ad partes exteras» fossero<br />

ridotte; ma il podestà, pressato dai produttori, ebbe buon gioco a far presente<br />

il forte consumo che si prevedeva per il giubileo imminente («propter<br />

indulgentiam urbis Rome multe gentes concurent et transibunt per partes Tarvisii,<br />

quibus erit necessaria maxima quantitas vini et bladi») e ribadì la sua intenzione<br />

di concedere licenze verso Venezia solo per gli affitti, prospettando in caso<br />

contrario un’impennata del contrabbando verso il territorio feltrino (attraverso<br />

71 Cenni e bibliografia in G.M. VARANINI, Venezia e l’entroterra, in Storia di Venezia, III, La formazione<br />

dello stato patrizio, a cura di G. Arn<strong>al</strong>di, G. Cracco, A. Tenenti, Roma 1997, pp. 159-236.


V<strong>al</strong>dobbiadene, Vas, la V<strong>al</strong>mareno) 72 . Da queste tensioni discende, come conseguenza<br />

anche archivisticamente rilevante, una particolare assiduità nelle descriptiones<br />

vini, effettuate dagli offici<strong>al</strong>i del comune trevigiano non solo nella podesteria<br />

di Treviso, ma anche nel territorio delle numerose podesterie dei centri minori<br />

(Conegliano, Castelfranco, Oderzo, ecc.) 73 . Le contromisure da parte dei contadini<br />

sono ovvie, e gli offici<strong>al</strong>i sono costretti a constatare che nell’anno precedente<br />

«quamplura vina (...) non fuerunt scripta quia occultata in çesis, fratis,<br />

buschis et nemoribus».<br />

Anche la politica daziaria del secondo Trecento è selettiva ed attenta. Se la<br />

netta distinzione di qu<strong>al</strong>ità fra vino di collina e vino di pianura, «vinum de monte»<br />

e «de plano», è comune a tutti i territori del Veneto, è inusu<strong>al</strong>e il riconoscimento<br />

di qu<strong>al</strong>ità («vini Montelli et de Montebelluna sunt meliora vina <strong>al</strong>iis vinis<br />

Trivisane») per i vini del Montello e di Montebelluna e dei villaggi del loro territorio<br />

(nominativamente elencati: «iste ville sunt de Montello», «iste ville sunt de<br />

Montebelluna»), tassati per un terzo in più (1370). Treviso era tuttavia anche uno<br />

snodo importante del commercio di vino che muoveva verso nord. Da un lato,<br />

era infatti un ‘mercato di tappa’ del vino mediterraneo («vina navigata», vini<br />

«nobilia et cara» ad <strong>al</strong>ta gradazione <strong>al</strong>coolica: la pinella di Cipro, il moscatello, la<br />

vernaccia, <strong>al</strong>tri vini detti genericamente vini ‘greci’ e soprattutto la m<strong>al</strong>vasia; ma<br />

anche la ribolla istriana o il vino delle Marche), travasato <strong>d<strong>al</strong></strong>le enormi botti delle<br />

g<strong>al</strong>ere veneziane ai carratelli o <strong>al</strong>le botti di dimensioni medio-piccole ospitate<br />

sulle barche che ris<strong>al</strong>ivano il Sile. Già nel Duecento la legge trevigiana vietava<br />

l’accaparramento e l’acquisto anticipato stipulato «dopo che il vino è entrato in<br />

acqua dolce ma prima che giunga in città <strong>al</strong>la riva». Passando <strong>d<strong>al</strong></strong>la barca <strong>al</strong> car-<br />

72 Biblioteca Capitolare di Treviso, sc. 19, Registrum litterarum 1349-50, <strong>al</strong>la data 24-25 settembre 1349;<br />

Biblioteca Comun<strong>al</strong>e di Treviso, ms. 615 /II, quaderno 1351-52, c. 20r .<br />

73 A. MARCHESAN, Treviso medioev<strong>al</strong>e. Istituzioni, usi, costumi, aneddoti, curiosità, I, Treviso 1923 (rist. anast.,<br />

a cura di L. Gargan, Bologna 1977), p. 453: sono censite tutte le bocche «ab uno anno supra», e<br />

si tiene conto di una franchigia di mezzo congio pro capite <strong>al</strong> mese, dunque circa 470 litri <strong>al</strong>l’anno di<br />

(auto)consumo. A t<strong>al</strong> riguardo mi sembra interessante osservare che, a proposito della dibattuta questione<br />

del consumo giorn<strong>al</strong>iero pro capite di vino nel basso medioevo, il quantitativo stimato per Treviso<br />

è inferiore a quello di 2 litri circa c<strong>al</strong>colato per il Piemonte nel Cinquecento (L. PICCO, Gabelle,<br />

commerci e consumi: il prelievo fisc<strong>al</strong>e sul vino nel Cinquecento,in Vigne e vini nel Piemonte rinasciment<strong>al</strong>e, p. 198)<br />

e per Bologna nel primo Quattrocento, ma sensibilmente vicino <strong>al</strong>le stime c<strong>al</strong>colate recentemente<br />

per la Germania (tra 1 e 1,5 litri: MATHEUS, Viticoltura e commercio del vino nella Germania, p. 114) o l’area<br />

lombarda (ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 484-485); e un po’ superiore a quanto proposto per la<br />

Toscana (BALESTRACCI, La produzione e la vendita del vino,p.48).<br />

661


662<br />

ro, questo vino per la gran parte prendeva poi la strada della Germania, soprattutto<br />

attraverso la v<strong>al</strong>le del Piave.<br />

Il costante tentativo dei governi che si succedono in Treviso fra Duecento e<br />

Quattrocento (comune, signoria caminese, Sc<strong>al</strong>igeri, Venezia) è ovviamente<br />

quello di convogliare il flusso verso il punto di controllo daziario di Quero 74 ,la<br />

stretta gola del Piave che, per quanto meno nota di <strong>al</strong>tre <strong>al</strong>la storiografia in materia,<br />

a buon diritto appartiene <strong>al</strong>la tipologia delle grandi ‘chiuse’ <strong>al</strong>pine. «De qui va<br />

le robe in terra todescha da Veniexia su carri», osserverà nel 1483, nella sua ottica<br />

sempre municip<strong>al</strong>e, il cronista Marin Sanudo, tra l’<strong>al</strong>tro attentissimo <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità<br />

dei vini 75 . Tra l’<strong>al</strong>tro, a Quero convergono direttamente, senza passare da<br />

Treviso, anche <strong>al</strong>tri flussi commerci<strong>al</strong>i, come una quota della produzione di Bassano<br />

del Grappa e del suo circondario 76 (un’<strong>al</strong>tra si orientava, sempre verso le<br />

Alpi, attraverso la V<strong>al</strong>sugana; meno attrae il mercato delle città della pianura<br />

veneta). Ma <strong>al</strong>trettanto ovviamente <strong>al</strong>tri itinerari verso nord (Serrav<strong>al</strong>le, Can<strong>al</strong>e S.<br />

Boldo, Tovena) sono praticati, e per molti sentieri il contrabbando fiorisce.<br />

Elementi ulteriori di complessità conferisce <strong>al</strong> quadro la presenza di <strong>al</strong>tri<br />

centri, economicamente autonomi. I registri della muda di Conegliano del 1360-<br />

65 mostrano infatti che una buona parte del vino loc<strong>al</strong>e prendeva la via di Belluno<br />

e Feltre: se metà circa della produzione sembra rifluire a Conegliano e nel<br />

territorio di Conegliano (sono una quarantina le ville soggette <strong>al</strong>la piccola città),<br />

mercanti speci<strong>al</strong>izzati di origine toscana e esponenti della nobiltà loc<strong>al</strong>e acquistano<br />

nei mesi autunn<strong>al</strong>i oltre un quinto del prodotto per avviarlo verso nord, e<br />

ad essi è da aggiungere di certo una buona parte di quel 17% accaparrato da<br />

acquirenti di Serrav<strong>al</strong>le (l’attu<strong>al</strong>e Vittorio Veneto). Modestissimo è il flusso ver-<br />

74 Per documentazione archivistica specifica, cfr. ad es. Archivio di Stato di Treviso, Comune, b. 307<br />

(«Vinum conductum per Clusam Queri et <strong>al</strong>iunde»).<br />

75 Itinerario di Marino Sanuto per la Terraferma veneziana compiuto l’anno MCCCCLXXXIII, a cura di R. Brown,<br />

Padova 1847, pp. 119-120. Quanto ai suoi interessi enologici, è noto nel suo tour in Terraferma <strong>al</strong><br />

seguito dei Sindici inquisitori il diciottenne patrizio veneto lascia cadere qua e là precisi giudizi di<br />

apprezzamento, in particolare per i vini «perfectissimi» di Cavaion Veronese (nella collina gardesana)<br />

e di Rosazzo in Friuli.<br />

76 B. BEDA PAZÈ, Quero <strong>d<strong>al</strong></strong>le origini <strong>al</strong> secolo XVIII, I, Quero (Treviso) 1990, p. 523 (con rinvio <strong>al</strong>le fonti<br />

edite <strong>d<strong>al</strong></strong> Verci): ordine <strong>al</strong> sorvegliante della muda di Quero di non daziare «totum vinum de Baxano<br />

et eius districtu quod asportabitur cum litteris comunis Baxani». Testimonia dell’importanza dell’esportazione<br />

del vino per l’economia bassanese la fitta normativa ricordata da ORLANDO, Coltura vitivinicola,<br />

consumo e commercio del vino, p. 100, sulla base dell’edizione della Fasoli degli statuti di Bassano.


so il Friuli (2%), e quasi sono assenti i commercianti veneziani. Ma a Conegliano,<br />

inoltre, circolava anche vino di Bassano del Grappa, riesportato verso mete<br />

imprecisate 77 .<br />

Cenno conclusivo<br />

L’esempio di Treviso qui sopra an<strong>al</strong>izzato – sia pure in modo tutt’<strong>al</strong>tro che esaustivo<br />

–, e il quadro complesso (e forse confuso) proposto in precedenza, sembrano<br />

suggerire una modesta considerazione di metodo e di prospettiva, che<br />

propongo qui nella sua ban<strong>al</strong>e semplicità a mo’ di conclusione. È ragionevole<br />

pensare che contributi significativi, nella storia del commercio vinicolo di un’area<br />

ad <strong>al</strong>tissima diffusione della produzione vitivinicola come l’It<strong>al</strong>ia centrosettentrion<strong>al</strong>e<br />

nel tardo medioevo, potranno venire in futuro anche <strong>d<strong>al</strong></strong>lo studio<br />

approfondito di casi di singole città e territori, o per meglio dire da studi che<br />

assumano una città e un territorio come punto di visu<strong>al</strong>e privilegiato (come del<br />

resto aveva fatto a suo tempo il Pini con Bologna). Si tratta infatti di reti di traffici<br />

che in ogni caso esaminato si sovrappongono parzi<strong>al</strong>mente ad <strong>al</strong>tre reti aventi il<br />

loro centro in <strong>al</strong>tre città o territori, creando nell’insieme, con queste sovrapposizioni<br />

multipolari, una maglia fittissima, quasi inestricabile: fittissima, e come è<br />

ovvio tutt’<strong>al</strong>tro che immutabile, ma soggetta anzi agli influssi struttur<strong>al</strong>i e di lungo<br />

periodo della dinamica demografica e della storia agraria, e agli influssi congiuntur<strong>al</strong>i.<br />

Ogni centro di produzione vinicolo e ogni centro di produzione e<br />

conservazione documentaria – città e ‘quasi città’, prev<strong>al</strong>entemente; ma non solo<br />

– è in questo senso centro e periferia.<br />

77 Archivio Comun<strong>al</strong>e di Conegliano, b. 437, fascicolo 2: «vinum basanense conductum extra districtum<br />

Coneclani».<br />

663


664


ALESSANDRO GHISALBERTI*<br />

Il vino degli scolastici: vini medicin<strong>al</strong>i<br />

ed elixir di lunga vita<br />

Pare che il primo trattato sistematico della Scolastica latina dedicato <strong>al</strong> vino sia<br />

costituito <strong>d<strong>al</strong></strong> De vinis di Arn<strong>al</strong>do da Villanova (1240–1311); l’opera è <strong>al</strong>l’interno<br />

di un vasto numero di scritti che la tradizione attribuisce <strong>al</strong> maestro cat<strong>al</strong>ano:<br />

secondo uno dei suoi ultimi studiosi, Antoine C<strong>al</strong>vet 1 , l’autenticità dell’opera è<br />

sostenibile con buoni argomenti di critica interna ed esterna. La caratteristica<br />

esplicita del trattato è quella di un’opera di medicina farmaceutica, studia cioè la<br />

mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di confezionare ‘vina medicin<strong>al</strong>ia’, e le loro proprietà terapeutiche in<br />

rapporto <strong>al</strong>le varie m<strong>al</strong>attie.<br />

La base per così dire scientifica è offerta <strong>d<strong>al</strong></strong>la tradizione filosofica, congiuntamente<br />

a quella medica ed <strong>al</strong>chemica, che riconosce <strong>al</strong> vino una forte capacità<br />

interattiva con la natura umana: «il vino non solo conforta il c<strong>al</strong>ore natur<strong>al</strong>e,<br />

ma schiarisce <strong>al</strong>tresì il sangue torbido, apre le vie di tutto il corpo, soprattutto le<br />

vene, toglie l’ispessimento del fegato, espelle <strong>d<strong>al</strong></strong> cuore la fumosità tenebrosa che<br />

genera tristezza, irrobustisce tutte le membra del corpo. E la sua bontà può essere<br />

esibita non solo nei confronti del corpo, ma anche dell’anima: induce, infatti,<br />

gioia nell’anima, e le fa dimenticare la tristezza, la conforta nella investigazione<br />

di cose sottili e nella contemplazione di quelle difficili, conferendole sollecitudine<br />

e audacia, riducendo lo spettro d’influenza in essa della fatica e del dolore e<br />

disponendo una v<strong>al</strong>ida preparazione agli strumenti dello spirito, affinché l’anima<br />

possa con essi operare. L’assunzione del vino, secondo le mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità corrette, è<br />

conveniente per ogni età, tempo e regione» 2 .<br />

1 e A. CALVET, Mutations de l’<strong>al</strong>chimie médic<strong>al</strong>e au XV siècle. A propos des textes authentiques et apocryphes d’Arnaud<br />

de Villeneuve, «Micrologus», 3 (1995), pp. 185-209; ma a questo proposito si vedano le puntu<strong>al</strong>i<br />

osservazioni di Ann<strong>al</strong>isa Albuzzi, di seguito in questo volume.<br />

2<br />

ARNALDO DA VILLANOVA, De vinis, in Opera Omnia, Basilea 1585, col. 584.<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.<br />

665


Il testo precisa che il vino s’addice ai vecchi perché viene incontro <strong>al</strong>la loro<br />

siccitas, che potremmo rendere in it<strong>al</strong>iano come complessione asciutta del corpo,<br />

incrementando l’umido. Ai giovani il vino si addice come vero e proprio cibo, <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

momento che «la natura del vino è simile <strong>al</strong>la natura del giovane». Per i ragazzi il<br />

vino è cibo, <strong>d<strong>al</strong></strong> momento che aumenta il loro c<strong>al</strong>ore e nutrimento, ed inoltre è<br />

una medicina, perché essica l’umidità contratta nell’utero. Nessuno scienziato<br />

(physicus) biasima l’uso del vino nelle persone sane, se non in rapporto <strong>al</strong>la quantità<br />

e <strong>al</strong>la mescolanza con l’acqua. I saggi (sapientes) l’hanno assimilato a una grande<br />

tiriaca («assimilaverunt ipsum theriacae magnae»), perché opera sul fronte dei<br />

contrari: induce c<strong>al</strong>ore di per sé, in modo natur<strong>al</strong>e, nei corpi freddi, mentre accident<strong>al</strong>mente<br />

raffredda quelli c<strong>al</strong>di, quando mediante la subtilitas che gli è propria<br />

raggiunge i punti più lontani del corpo, che hanno bisogno di refrigerio, ed an<strong>al</strong>ogamente<br />

opera umidificazione.<br />

È per questo, sentenzia Arn<strong>al</strong>do da Villanova, che «gli studiosi attenti della<br />

medicina scientifica hanno accolto il vino nelle loro trattazioni, dedicandogli<br />

molti capitoli, e stabilirono di scorporarne i componenti in vista dell’uso più utile<br />

<strong>al</strong>l’uomo, poiché il vino è molto amico della natura (naturae amicissimum), ricettivo<br />

di qu<strong>al</strong>siasi cosa buona gli venga infusa, capace di intervenire contro la nocività<br />

dei cibi cattivi» 3 . Il nostro autore ricorda anche la funzione del vino nel campo<br />

del gusto delle medicine: esso rende l’assunzione dei farmaci più piacevole,<br />

togliendo il disgusto o la nausea delle medicine, e per questo <strong>al</strong>cuni contemporanei<br />

(nonnulli modernorum) di Arn<strong>al</strong>do hanno elaborato delle ricette sui molteplici<br />

modi relativi <strong>al</strong>la possibilità di preparare i farmaci.<br />

Viene a questo punto richiamata un’obiezione, presente in G<strong>al</strong>eno e in Avicenna,<br />

secondo la qu<strong>al</strong>e l’unione del cibo con i farmaci è sconveniente, perché<br />

costringerebbe la natura a occuparsi di due cose insieme, secondo movimenti<br />

contrari: infatti, le membra estraggono <strong>d<strong>al</strong></strong> cibo <strong>al</strong>imento proprio, facendolo<br />

confluire verso la circonferenza, mentre con l’azione della medicina l’umore viene<br />

fatto confluire verso il centro. A questa obiezione è stato più volte risposto:<br />

si tratta di un fenomeno che si riscontra sempre nel corpo <strong>al</strong>lorché viene nutrito;<br />

le membra fanno sempre confluire l’<strong>al</strong>imento verso la circonferenza, ma<br />

sempre c’è un residuo di questa conversione, che le membra fanno rifluire, rinviandolo<br />

ai vasi delle evacuazioni. Quindi, con efficacia terapeutica, Macrobio<br />

seguendo Plinio ha prescritto che la sera si assumessero delle pillole di <strong>al</strong>oe subi-<br />

666 3 Cfr. l’opera citata <strong>al</strong>la nota precedente.


to dopo cena; io stesso, annota Arn<strong>al</strong>do da Villanova, «tentavi et reperi iuvamentum,<br />

non nocumentum», osservazione che va estesa a tutte le medicine non<br />

violente, ad azione ritardata, che si rafforzano e migliorano le loro capacità curative<br />

se vengono assunte con il cibo.<br />

Si noti come queste osservazioni includano il rinvio a una vivace discussione,<br />

in atto ai tempi del nostro autore: <strong>al</strong>la fine del secolo XIII infatti la medicina risultava<br />

accolta tra le scienze teoriche, sottratta cioè <strong>al</strong>l’ambito delle attività meramente<br />

pratiche, delle qu<strong>al</strong>i non c’è scienza; il carattere scientifico rivendicato <strong>al</strong>la<br />

medicina le aveva conferito il rango di scienza ‘docibile’, che si può insegnare, che<br />

si può trasmettere sulla base della propria epistemologia, e perciò era stata accolta<br />

tra le facoltà delle università, accanto <strong>al</strong>le arti liber<strong>al</strong>i, <strong>al</strong> diritto, <strong>al</strong>la teologia.<br />

Ai tempi di Arn<strong>al</strong>do anche l’<strong>al</strong>chimia stava tentando di assurgere <strong>al</strong>la dignità<br />

di scienza teorica, trovando sia consensi, sia opposizione. Ora la preparazione e<br />

lo studio dei farmaci appariva sì di competenza della medicina, in relazione <strong>al</strong>la<br />

conoscenza della s<strong>al</strong>ute e della m<strong>al</strong>attia dei corpi; ma, in quanto si occupava delle<br />

prerogative degli elementi natur<strong>al</strong>i, delle loro proprietà semplici e di quelle<br />

suscettibili di variazione grazie <strong>al</strong>le operazioni <strong>al</strong>chemiche, la farmacologia rientrava<br />

<strong>al</strong>meno parzi<strong>al</strong>mente anche nell’ambito dell’<strong>al</strong>chimia. Già c’erano stati precedenti<br />

prese di posizione su questa materia, in particolare con Alberto Magno<br />

e Ruggero Bacone; ma forse non è esagerato dire che lo studioso che maggiormente<br />

assunse su di sé il carattere di conciliatore-unificatore dei due ambiti epistemologici,<br />

quello medico e quello <strong>al</strong>chemico, fu proprio Arn<strong>al</strong>do da Villanova.<br />

Nelle righe immediatamente successive a quelle sinora lette del De vinis ci<br />

troviamo di fronte a un passaggio estremamente rivelativo circa il dibattito<br />

sulla scientificità della medicina e circa la sua pretesa esclusività nella preparazione<br />

dei medicin<strong>al</strong>i. Volendo riprendere il discorso avviato, precisa Arn<strong>al</strong>do,<br />

arriviamo a dire che il modo di preparare i vini ed il loro uso conformemente<br />

<strong>al</strong>la ragione appartiene <strong>al</strong>le medicine più eccellenti, di cui il medico si può<br />

avv<strong>al</strong>ere, in ragione delle delizie che la natura umana ha scoperto nei nostri<br />

tempi; e noi andiamo a cominciare l’esposizione delle loro preparazioni, con la<br />

benedizione di Dio. Aggiungiamo inoltre a ciò il canone gener<strong>al</strong>e, che ogni<br />

artefice – operatore – della medicina deve sempre avere davanti agli occhi, nell’applicazione<br />

di tutti i medicin<strong>al</strong>i: egli deve essere istruito circa i nomi, le cause<br />

delle m<strong>al</strong>attie, le proprietà (potestatibus) delle cose singolari; deve sempre<br />

discernere con criteri razion<strong>al</strong>i, e saper applicare il proprio giudizio <strong>al</strong>le operazioni<br />

con le divisioni gener<strong>al</strong>i a ciò richieste. Deve cioè saper discernere tra le<br />

667


668<br />

nature, le complessioni, le regioni, i tempi, le consuetudini, le età, tra gli effetti<br />

delle qu<strong>al</strong>ità elementari attive e passive, e di quelle simili, senza la cui conoscenza<br />

la scienza del medico non deve prescrivere nemmeno il pane o la carne.<br />

Pertanto a chiunque va consigliato di non prescrivere medicin<strong>al</strong>e <strong>al</strong>cuno, se<br />

non è un medico o se non opera su consiglio di un medico provetto 4 . Solo il<br />

medico, e per giunta il medico provetto, chiaramente quello ‘scolastico’, è abilitato<br />

a preparare e a prescrivere medicin<strong>al</strong>i; non dunque un operatore degli<br />

elementi, meglio scientificamente identificabile come l’<strong>al</strong>chimista, detentore di<br />

un sapere operativo in senso forte e in due direzioni: da un lato, l’<strong>al</strong>chimista<br />

conosce solo operando, ossia costruisce una filosofia radicata nel contatto con<br />

la materia; <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro lato, gli interventi dell’<strong>al</strong>chimista sono transmutazioni,<br />

non <strong>al</strong>terazioni, intendono in qu<strong>al</strong>che modo perfezionare, per certi versi ‘creare’,<br />

cioè non si limitano a far emergere la condizione migliore presente già in<br />

natura. Il sospetto che gravava sull’<strong>al</strong>chimia era sempre lo stesso: voler manipolare,<br />

<strong>al</strong>terare, la natura; e questo è un peccato di presunzione nei confronti<br />

della bontà natur<strong>al</strong>e, una hýbris nei confronti del piano del Creatore, che tutto<br />

ha disposto «in ordine, pondere et mensura» 5 .<br />

Passando a descrivere gli strumenti, le condizioni e le mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di preparazione<br />

dei vini medicin<strong>al</strong>i, Arn<strong>al</strong>do ricorda che il recipiente deve essere di legno, e<br />

di buon legno; circa i modi di preparazione, uno dei migliori è questo: «res ipsae<br />

decoquantur cum <strong>al</strong>iqua quantitate musti, et spuma removeatur, et hoc donec de<br />

musto sit tertia pars consumpta; quiescat per noctem et mane per solatorium, hoc<br />

est per lineum <strong>al</strong>bum, coletur» 6 . I prodotti da mescolare <strong>al</strong> vino devono essere<br />

‘decotti’, facendo evaporare un terzo del mosto; il decotto deve riposare per una<br />

notte, deve essere scolato attraverso un lino bianco, e poi deve essere mescolato<br />

con una quantità idonea di <strong>al</strong>tro mosto, perché acquisti il sapore desiderato.<br />

Un <strong>al</strong>tro modo di preparazione, che si può fare <strong>al</strong>l’occorrenza in qu<strong>al</strong>siasi<br />

tempo, è quello di trattare il vino mediante il fuoco: l’operazione v<strong>al</strong>e sia facendo<br />

sc<strong>al</strong>dare il vino da solo, sia mescolato con <strong>al</strong>tri ingredienti. Il ricorso <strong>al</strong> fuoco<br />

è conveniente, perché il fuoco è legato <strong>al</strong> sole, ossia, Arn<strong>al</strong>do vuol dire che si<br />

rispetta la natur<strong>al</strong>ità dell’opus richiesta <strong>al</strong> medico, perché «quidam Hermetis filii<br />

4 ARNALDO, De vinis, col. 585.<br />

5 Si veda C. CRISCIANI, Aspetti della trasmissione del sapere nell’<strong>al</strong>chimia latina, «Micrologus», 3 (1995), pp.<br />

151-152.<br />

6<br />

ARNALDO, De vinis, col. 585.


appellaverunt ignem solem, et quidam c<strong>al</strong>oris natur<strong>al</strong>is rerum vicarium» 7 . Il fuoco<br />

è chiamato da antichi autori ‘sole’, o anche ‘vicario del c<strong>al</strong>ore natur<strong>al</strong>e’. Nei<br />

libri sui segreti della natura si legge che ciò che il c<strong>al</strong>ore del sole opera nelle<br />

viscere della terra e nelle miniere in cento anni, lo si può conseguire col fuoco in<br />

un anno. E quest’azione del fuoco non è occulta (non è un’azione dell’<strong>al</strong>chimista,<br />

detentore della rivelazione segreta circa l’opus), ma la natura rende manifeste<br />

per mezzo del fuoco molte proprietà sconosciute delle cose, che divengono così<br />

maggiormente conosciute <strong>al</strong>la scienza, stante che l’uomo conosce solo il minimo<br />

dello scibile natur<strong>al</strong>e. Natur<strong>al</strong>mente occorre prudenza e cautela 8 !<br />

Dopo queste pagine introduttive, il testo arn<strong>al</strong>diano si occupa della preparazione<br />

dei diversi tipi di vino, fin<strong>al</strong>izzati a diversi scopi terapeutici: il vino per i<br />

m<strong>al</strong>inconici, per gli amm<strong>al</strong>ati di colera, di cuore, di fegato, di intestino; vino che<br />

aiuta la memoria, la vista, la digestione, la diuresi, la stipsi intestin<strong>al</strong>e, e così via,<br />

per tutte le possibili forme di sofferenza e di m<strong>al</strong>attia, avv<strong>al</strong>endosi delle proprietà<br />

che il vino stesso acquisisce attraverso la mescolanza con diverse erbe,<br />

aromi, frutti, fiori (in particolare è celebrato il vino con le rose macerate). Verso<br />

la fine del trattato troviamo un elogio gener<strong>al</strong>izzato del vino <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista<br />

terapeutico e da quello della prolongatio vitae; un tema delicato, ma è estremamente<br />

interessante che venga nominato, perché ci consente di dare rilevanza a due<br />

<strong>al</strong>tri passaggi, che si leggono nel De vinis: il primo riguarda un accenno <strong>al</strong>l’acquavite<br />

sive ardens (facta de vino) 9 ; Arn<strong>al</strong>do ne parla nel contesto dei grandi pregi del<br />

rosmarino unito <strong>al</strong> vino, e poi dell’acquavite o ardens, di cui celebra le proprietà<br />

medicin<strong>al</strong>i e medicament<strong>al</strong>i, per poi concludere che essa possiede <strong>al</strong>tre innumerevoli<br />

operazioni, omesse qui per ragioni di brevità.<br />

D<strong>al</strong>la tradizione è attestato un testo, a noi pervenuto, come «clarissimi et<br />

excellentissimi philosophi medicique magistri Arn<strong>al</strong>di de Villanova de aqua vitae<br />

simplici et composita tractatus pulcherrimus» 10 , dove l’autore insiste sugli effetti<br />

formidabili dell’acqua ardens sulle parti del corpo messe in rapporto con il correre<br />

della luna attraverso i segni dello zodiaco. Quest’opera di Arn<strong>al</strong>do, ricorda il<br />

C<strong>al</strong>vet, studioso recente del problema, divenne la fonte dottrin<strong>al</strong>e del De conside-<br />

7 ARNALDO, De vinis, col. 586.<br />

8 «Est ergo animadvertendum quantum et quando expediat cum igne <strong>al</strong>iquid fieri, ut fiat caute» (per<br />

la cit. cfr. nota precedente).<br />

9<br />

ARNALDO, De vinis, col. 590.<br />

10 CALVET, Mutations de l’<strong>al</strong>chimie, p. 208, n. 5.<br />

669


670<br />

ratione quintae essentiae di Giovanni da Rupescissa, un francescano spiritu<strong>al</strong>e forse<br />

di origine cat<strong>al</strong>ana, che negli anni intorno <strong>al</strong> 1351-52 scrisse il trattato di <strong>al</strong>chimia<br />

farmaceutica ora menzionato, quando già era noto per le sue opere di area profetico-escatologica.<br />

Nel De consideratione quintae essentiae il Rupescissa voleva offrire<br />

ai confratelli nella vita spiritu<strong>al</strong>e una dottrina che consentisse loro di preparare<br />

un farmaco meraviglioso ed arcano, capace di porre rimedio a tutte le m<strong>al</strong>attie,<br />

e di conservare il corpo sano e giovane, in an<strong>al</strong>ogia evidente con la medicina<br />

mirabile degli <strong>al</strong>chimisti 11 . Leggiamo <strong>al</strong>cuni passaggi significativi, nella traduzione<br />

it<strong>al</strong>iana fornitaci da Crisciani e Pereira, tratti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’inizio dell’opera del Rupescissa:<br />

«Ho visto che c’era un modo per poter fare questo, se le cose utili che ho<br />

appreso nello studio della filosofia per illuminazione dello Spirito divino fin <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

tempo della mia gioventù, quando Dio misericordioso e pietoso mi fu eccezion<strong>al</strong>mente<br />

vicino, le avessi rivelate ai poveri di Cristo e agli uomini evangelici,<br />

affinché quanti nel nome del Vangelo disprezzarono le ricchezze, imparino senza<br />

bisogno dell’insegnamento umano, con facilità, senza fatica e senza grandi<br />

spese, a guarire le proprie miserie corpor<strong>al</strong>i e debolezze umane, per benevolenza<br />

divina; a eliminare come per miracolo gli ostacoli <strong>al</strong>la preghiera e <strong>al</strong>la meditazione<br />

e a resistere addirittura <strong>al</strong>le tentazioni dei demoni, che si insinuano a causa<br />

di certe m<strong>al</strong>attie; affinché in ogni situazione e con ogni mezzo possano servire<br />

agevolmente il nostro Signore Gesù Cristo nella pienezza delle forze» 12 .<br />

Mi pare estremamente significativo, nell’orizzonte di un discorso sul vino<br />

degli scolastici, leggere anche le esatte puntu<strong>al</strong>izzazioni sulla natura dell’acqua di<br />

vita: «Ho detto che la Quinta Essenza è stata creata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Altissimo: essa infatti si<br />

estrae sì mediante un’operazione artifici<strong>al</strong>e, ma dai corpi natur<strong>al</strong>i creati da Dio; e<br />

la chiamerò coi tre nomi che le sono stati dati dai filosofi. Si chiama Acqua<br />

ardente, Anima del vino o spirito, e Acqua di vita. E quando vuoi parlarne in<br />

segreto, la chiamerai Quinta Essenza, poiché questa sua natura e questo suo<br />

nome i massimi filosofi non vollero manifestarlo a nessuno, e a dir la verità lo<br />

resero inaccessibile.<br />

Che non sia umida come l’elemento dell’acqua si dimostra <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che<br />

brucia, ciò che è contrario <strong>al</strong>l’acqua elementare. Che non sia c<strong>al</strong>da e umida<br />

come l’aria è chiaro, poiché l’aria secca si corrompe con qu<strong>al</strong>siasi cosa, come si<br />

11 C. CRISCIANI, M.PEREIRA, L’arte del sole e della luna. Alchimia e filosofia nel medioevo, Spoleto 1996<br />

(Biblioteca di «<strong>Medioevo</strong> latino», 17), pp. 73-74.<br />

12<br />

CRISCIANI,PEREIRA, L’arte del sole, pp. 220-221.


vede nella generazione dei ragni e delle mosche; ma essa rimane sempre incorrotta,<br />

se la si conserva chiusa affinché non evapori. Che non sia secca e fredda<br />

come la terra si dimostra espressamente: poiché eccita e risc<strong>al</strong>da in sommo grado.<br />

Che infine non sia c<strong>al</strong>da e secca come il fuoco, è chiaramente visibile: poiché,<br />

benché sia c<strong>al</strong>da, rinfresca, e riduce e annienta le m<strong>al</strong>attie dovute <strong>al</strong> c<strong>al</strong>ore,<br />

come dimostrerò in seguito. Che giovi <strong>al</strong>l’incorruttibilità e preservi <strong>d<strong>al</strong></strong>la corruzione<br />

lo dimostrerò con un’esperienza che ho fatto io stesso: poiché se si<br />

immerge in essa un pezzo qu<strong>al</strong>siasi di volatile, di carne, di pesce, non si corrompe<br />

finché vi rimane immerso; quanto più dunque potrà preservare <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

corruzione la carne animata e viva del nostro corpo?<br />

Questa Quinta Essenza è il cielo dell’uomo, che l’Altissimo creò affinché<br />

fossero conservate le quattro qu<strong>al</strong>ità del corpo umano, come il cielo è stato creato<br />

per la conservazione di tutto l’universo. E sappi per certo che i filosofi e i<br />

medici del nostro tempo ignorano del tutto questa Quinta Essenza, la sua verità<br />

e la sua virtù. Ma io, con l’aiuto di Dio, ti rivelerò nelle pagine che seguono la sua<br />

dottrina, come finora ti ho rivelato l’esistenza di questa cosa segreta, la Quinta<br />

Essenza, cioè il cielo dell’uomo» 13 .<br />

La pagina del Rupescissa è molto chiara ed eloquente; per uno storico dell’aqua<br />

ardens non sarà tuttavia di poco interesse il richiamo di una annotazione di<br />

C<strong>al</strong>vet, relativa <strong>al</strong> Tractatus de aqua vitae simplici et composita attribuito ad Arn<strong>al</strong>do da<br />

Villanova: in un manoscritto di Cambrai, l’incipit di quest’opera presenta l’acqua<br />

filosofica come una manifestazione degli angeli ai poveri evangelici, ossia ai discepoli<br />

dell’Olivi, ai qu<strong>al</strong>i Arn<strong>al</strong>do indirizzò una lettera spiritu<strong>al</strong>e. Ora, unendo questa<br />

testimonianza a tutte le opere nell’<strong>al</strong>chimia attribuite ad Arn<strong>al</strong>do e sinora<br />

gener<strong>al</strong>mente considerate apocrife, mi pare che risultino accresciuti gli interrogativi<br />

da sottoporre <strong>al</strong>le future ricerche circa la re<strong>al</strong>e portata della produzione<br />

<strong>al</strong>chemica villanoviana 14 .<br />

Ma avevamo lasciato in sospeso un ulteriore passaggio del De vinis di Arn<strong>al</strong>do,<br />

che risulta di estremo interesse; è il seguente, relativo <strong>al</strong> vinum extinctionis auri,<br />

<strong>al</strong> vino che raffredda o ‘estingue’ l’oro: «Questo vino ha una grande proprietà in<br />

molte condizioni, e si ottiene così: si faccia raffreddare (exstinguatur) una lamina<br />

d’oro in un buon vino, immergendola per quattro o cinque volte, si faccia schiarire<br />

il vino e poi venga diligentemente colato e servito. Il vino così trattato ha la<br />

13 CRISCIANI,PEREIRA, L’arte del sole, pp. 224-225.<br />

14 CALVET, Mutations de l’<strong>al</strong>chimie, p. 209; in particolare le note 2-5.<br />

671


672<br />

capacità di confortare il cuore, essica tutte le <strong>al</strong>tre fecce superflue del sangue,<br />

illumina con la sua chiarità la sostanza del cuore e dello spirito; conforta con la<br />

sua consistenza; con il suo temperamento mitiga e preserva il sangue <strong>d<strong>al</strong></strong>la corruzione<br />

delle cose mescolabili, purifica, e con la sua pesantezza inclina le cose<br />

superflue verso l’espulsione, conserva la giovinezza, e la virtù miner<strong>al</strong>e lo fa perseverare<br />

nelle sue operazioni, con la temperatura scioglie l’urina resistente, sana<br />

gli epilettici e i folli, giova ai lebbrosi» 15 .<br />

Il legame dell’oro potabile fuso nel vino con la conservazione della giovinezza,<br />

oltre che con una prodigiosa capacità terapeutica su molti fronti, viene ulteriormente<br />

specificato <strong>d<strong>al</strong></strong>la testimonianza che Arn<strong>al</strong>do offre di seguito: «Molti<br />

nobili contemporanei, soprattutto prelati, fanno bollire dei pezzetti d’oro con i<br />

cibi; <strong>al</strong>tri lo assumono con i cibi o con elettuari [miscele, sciroppi], <strong>al</strong>tri in una limatura,<br />

come nel preparato denominato diacameron, che contiene limatura di oro e di<br />

argento. Altri sono soliti tenere un pezzetto d’oro in bocca e poi deglutire la s<strong>al</strong>iva.<br />

Altri convertono l’oro in acqua potabile, e basta una modica quantità di quest’acqua<br />

una volta <strong>al</strong>l’anno; ciò risulta conservativo della s<strong>al</strong>ute e capace di prolungare<br />

la vita, in un modo quasi incredibile, ma senza dubbio è il modo migliore» 16 .<br />

Oltre <strong>al</strong> vino fuso con l’oro, divenuto oro potabile, c’è l’oro convertito in<br />

acqua potabile; quest’acqua pura e potabile era presentata <strong>d<strong>al</strong></strong>la tradizione <strong>al</strong>chemica<br />

del Duecento, in particolare da Ruggero Bacone, come una medicina perpetua,<br />

come acqua di vita capace di temperare il c<strong>al</strong>ore natur<strong>al</strong>e, impedendo l’invecchiamento.<br />

Siamo a questo punto messi di fronte a tre elementi (vino, oro<br />

potabile, acqua di vita o ardente), che includono il medesimo riferimento, quello<br />

dell’elixir di lunga vita, l’aspirazione centr<strong>al</strong>e di ogni operatore <strong>al</strong>chemico. Di<br />

questo elixir Arn<strong>al</strong>do, nel Rosarium Philosophorum, dice che è un «tesoro incomparabile»,<br />

e con la sua «natura occulta e sottile» guarisce tutte le m<strong>al</strong>attie e ringiovanisce<br />

i vecchi 17 . Arn<strong>al</strong>do, sempre nel De vinis, prosegue nell’elogio del vino e<br />

dell’oro per la loro straordinaria capacità terapeutica e la loro versatilità nel<br />

mescolarsi ad <strong>al</strong>tri elementi, dichiarando che sta parlando esclusivamente dell’oro<br />

natur<strong>al</strong>e, quello ricavato <strong>d<strong>al</strong></strong>le miniere e creato da Dio, e contemporaneamente<br />

biasimando gli <strong>al</strong>chimistae che si ingannano: essi riescono a produrre la sostan-<br />

15 ARNALDO, De vinis, coll. 590-591.<br />

16 ARNALDO, De vinis, col. 591.<br />

17 M. PEREIRA, Un tesoro inestimabile: elixir e «prolongatio vitae» nell’<strong>al</strong>chimia del ’300, «Micrologus», 1<br />

(1993), p. 178.


za ed il colore dell’oro, ma non infondono in esso le virtù sopra dette. «Advertendum<br />

est igitur, ut accipiatur de auro Dei, non de eo, quod factum manu hominum»<br />

18 ; l’oro fabbricato da <strong>al</strong>chemici non solo non dà <strong>al</strong>cun giovamento, ma è<br />

molto nocivo <strong>al</strong> corpo e <strong>al</strong>l’anima (degli avidi fabbricatori).<br />

In conclusione, si è visto che nella scolastica la discussione più ampia sul<br />

vino, prescindendo <strong>d<strong>al</strong></strong>la topica teologica legata <strong>al</strong>la transustanziazione eucaristica,<br />

è eminentemente proiettata sul versante delle proprietà curative del vino,<br />

piuttosto che su quelle nutritive o su quelle voluttuarie. Una fisica e una medicina<br />

fondate sulle proprietà degli elementi non potevano espungere <strong>d<strong>al</strong></strong>le menti<br />

curiose dei filosofi il bisogno di sapere fin dove le proprietà elementari siano<br />

passibili di combinazione e di svelamento degli arcana naturae. Agli inizi del Trecento<br />

era molto accentuato anche il carattere religioso dell’opus <strong>al</strong>chemico, messo<br />

in ris<strong>al</strong>to <strong>d<strong>al</strong></strong>l’incarnazione di Cristo, in cui la congiunzione di divino e di<br />

umano comportava la v<strong>al</strong>orizzazione di tutto ciò che è corporeo e materi<strong>al</strong>e. Il<br />

lapis <strong>al</strong>chemico per eccellenza diventava Cristo; la quinta essenza del vino, negli<br />

accenni di Arn<strong>al</strong>do da Villanova come nel passo prima letto di Giovanni da<br />

Rupescissa, in ultima an<strong>al</strong>isi si presentava come l’oggetto della ricerca della pietra<br />

filosof<strong>al</strong>e o dell’elixir di lunga vita, riproposta con il linguaggio di chi pone il<br />

vertice della sofia nella scoperta delle radici intime ed ultime della vita.<br />

18 ARNALDO, De vinis, col. 591.<br />

673


674


ANNALISA ALBUZZI*<br />

Medicina, cibus et potus<br />

Il vino tra teoria e prassi medica nell’Occidente mediev<strong>al</strong>e<br />

In un incontro dedicato <strong>al</strong> vino e <strong>al</strong>la sua azione ‘letificante’ non potevano mancare<br />

<strong>al</strong>cune considerazioni intorno <strong>al</strong>le proprietà terapeutiche, <strong>al</strong>l’impiego medico-farmacologico,<br />

nonché <strong>al</strong>le controindicazioni di una bevanda – anzi, come<br />

oggi apprendiamo <strong>d<strong>al</strong></strong>la scienza dell’<strong>al</strong>imentazione, di una soluzione idro<strong>al</strong>colica<br />

di oltre 250 sostanze, molte delle qu<strong>al</strong>i vantano particolari funzioni fisiologiche,<br />

t<strong>al</strong>ora in sinergismo con <strong>al</strong>tre 1 – affatto polifunzion<strong>al</strong>e che, proprio per la sua<br />

natura complessa, per la vistosa molteplicità dei suoi effetti, così come per la diffusione<br />

e il favore gener<strong>al</strong>izzato mai messi veramente a rischio, ha stimolato la<br />

riflessione dei medici senza soluzione di continuità, a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età classica 2 ,e<br />

via via, ben oltre il medioevo, fino ai nostri giorni 3 .<br />

1 M. TICCA, Alimentazione equilibrata e s<strong>al</strong>ute: il ruolo del vino, «La rivista di scienza dell’<strong>al</strong>imentazione»,<br />

24 (1995), p. 324.<br />

2 A proposito del vino nella medicina classica e tardo-antica, greca e latina: J. JOUANNA, Le vin et la<br />

médecine dans la Grèce ancienne, «Revue des études grecques», 109 (1996), pp. 410-434; J.-M. JACQUES,<br />

La conservation du vin à Pergame au IIe siècle après J.-C., «Revue des études anciennes», 98 (1996), pp. 173-<br />

185 (in margine <strong>al</strong> De antidotis, 1.3, di G<strong>al</strong>eno); A. TOUWAIDE, Vin, santé et médecine à travers le Traité de<br />

matière médic<strong>al</strong>e de Dioscoride, in Le vin de Rome. Rencontres de Carcassonne, 27 juin 1998; 19 juin 1999, éd.<br />

P. François, Toulouse 2000 [= «P<strong>al</strong>las», 53 (2000)], pp. 101-111; N. PURCELL, Wine and we<strong>al</strong>th in ancient<br />

It<strong>al</strong>y, «The journ<strong>al</strong> of roman studies», 75 (1985), pp. 1-19; C. REAL TORRES, El vino como <strong>al</strong>imento y<br />

medicina en la sociedad romana, «Fortunatae», 3 (1992), pp. 305-314; A. GARZYA, Il vino nella letteratura<br />

medica dell’antichità tarda e bizantina, «Filologia antica e moderna», 9/17 (1999), pp. 13-25; qu<strong>al</strong>che<br />

spunto anche in J.H. D’ARMS, Heavy drinking and drunkenness in the Roman world: four questions for historians,<br />

in In vino veritas, ed. by O. Murray and M. Tecușan, London 1995, pp. 314-315.<br />

3 Per un resoconto piuttosto recente dei risultati raggiunti <strong>d<strong>al</strong></strong>la ricerca scientifica in merito <strong>al</strong>le<br />

bevande <strong>al</strong>coliche e ai loro effetti sull’organismo umano: TICCA, Alimentazione equilibrata e s<strong>al</strong>ute, pp.<br />

323-342.<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.<br />

675


676<br />

<strong>Fonti</strong> e categorie interpretative<br />

In merito, il più comodo, ovvio e immediato punto di vista è, innanzitutto, quello<br />

offerto <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti medico-dietetiche. A motivo della duratura fortuna del genere<br />

(consolidata già a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età classica) 4 , dell’ampia diffusione ed anche –<br />

come si accennerà – della concreta, effettiva incidenza esercitata sugli atteggiamenti<br />

ment<strong>al</strong>i del tempo 5 . Ma, soprattutto, perché la dieta, ovvero la v<strong>al</strong>utazione<br />

delle sei res non natur<strong>al</strong>es 6 , aer, motus et quies, cibus et potus, somnus et vigilia, repletio et evaquatio,<br />

accidentia animi, è una problematica predominante tanto nei trattati e nei regi-<br />

4 Sulla dietetica nell’antichità: W.D. SMITH, The development of classic<strong>al</strong> dietetic theory,in Hippocratica. Actes<br />

du Colloque hippocratique de Paris, 4-9 septembre 1978, éd. préparée par M.D. Grmek, Paris 1980 (Colloques<br />

internationaux du Centre nation<strong>al</strong> de la recherche scientifique, 583), pp. 439-446; I. MAZZINI,<br />

Alimentazione e s<strong>al</strong>ute secondo i medici del mondo antico. Teoria e re<strong>al</strong>tà, «Ann<strong>al</strong>i della Facoltà di lettere e filosofia<br />

dell’Università di Macerata», 19 (1986), pp. 9-23; ID., Alimentazione e medicina nel mondo antico, in<br />

Storia dell’<strong>al</strong>imentazione, a cura di J.-L. Flandrin e M. Montanari, Roma-Bari 1997, pp. 191-200. In particolare,<br />

per la diffusione <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>e delle opere dietetiche appartenenti <strong>al</strong> corpus hippocraticum:I.<br />

MAZZINI, De observantia ciborum. Un’antica traduzione latina del Perˆ dia…thj pseudoippocratico (I.II)<br />

(editio princeps),in Romanobarbarica, 2, a cura di B. Luiselli e M. Simonetti, Roma 1977, soprattutto pp.<br />

287-307 [riedito, con lievi rimaneggiamenti <strong>al</strong>l’introduzione, in De observantia ciborum. Traduzione<br />

tardo-antica del Perˆ dia…thj pseudoippocratico (1.II), introduzione, testo critico ed index verborum memorabilium<br />

a cura di I. MAZZINI, Roma 1984 (Università di Macerata. Pubblicazioni della Facoltà di lettere<br />

e filosofia. Istituto di filologia classica, 18)]; mentre in merito <strong>al</strong>la duratura fortuna delle teorie<br />

g<strong>al</strong>eniche: M. SENTIERI, Un’indagine sulle ragioni della persistenza della dietetica g<strong>al</strong>enica lungo l’età preindustri<strong>al</strong>e,<br />

in Alimentazione e nutrizione (secc. XIII-XVIII). Atti della “ventottesima Settimana di studi” dell’Istituto<br />

internazion<strong>al</strong>e di storia economica “F. Datini”, Prato, 22-27 aprile 1996, a cura di S. Cavaciocchi, Firenze<br />

1997 (S. II. Atti delle “Settimane di studi” e <strong>al</strong>tri convegni, 28), pp. 787-795.<br />

5 Per quel che riguarda specificamente il vino, ad esempio, non prescindono dai criteri di v<strong>al</strong>utazione<br />

medico-dietetici né i lessici medioev<strong>al</strong>i, né (ovviamente) i trattati agronomici: B. ANDREOLLI, La terminologia<br />

vitivinicola nei lessici mediev<strong>al</strong>i it<strong>al</strong>iani, e J.-L. GAULIN, Tipologia e qu<strong>al</strong>ità dei vini in <strong>al</strong>cuni trattati di<br />

agronomia it<strong>al</strong>iana (sec. XIV-XVII), in D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino. <strong>Fonti</strong> e problemi della vitivinicoltura it<strong>al</strong>iana mediev<strong>al</strong>e,<br />

a cura di J.-L. Gaulin e A.J. Grieco, Bologna 1994 (Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e, 9), rispettivamente<br />

<strong>al</strong>le pp. 32 e 71, 73, 81.<br />

6 In merito <strong>al</strong>l’origine del termine e del concetto: L. GARCÍA-BALLESTER, On the origin of the “six nonnatur<strong>al</strong><br />

things”, in G<strong>al</strong>en und das hellenistische Erbe. Verhandlungen des IV. internation<strong>al</strong>en G<strong>al</strong>en-Symposiums<br />

veranst<strong>al</strong>tet vom Institut für Geschichte der Medizin am Bereich Medizin (Charité) der Humboldt-Universität zu<br />

Berlin, 18.-20. September 1989, herausgegeben von J. Kollesch und D. Nickel, Stuttgart 1993 (Sudhoffs<br />

Archiv. Beihefte 32), pp. 105-115; D. JACQUART, N.PALMIERI, La tradition <strong>al</strong>exandrine des Masâ ‘il fî ttibb<br />

de Hunain ibn Ishâq, in Histoire et ecdotique des textes médicaux grecs. Actes du IIe Colloque internation<strong>al</strong>,<br />

Paris 24-26 mai 1994 - Storia e ecdotica dei testi medici greci. Atti del II Convegno internazion<strong>al</strong>e, Parigi 24-26<br />

maggio 1994, éd. par A. Garzya et J. Jouanna, Napoli 1996 (Collectanea, 10), pp. 217-236.


mina sanitatis 7 , quanto nei consilia, fonti ancor più significative, perché più strettamente<br />

legate <strong>al</strong>la prassi medica, che, <strong>al</strong> momento di esporre la cura di un determinato<br />

paziente, dedicavano <strong>al</strong>le sei ‘cose non natur<strong>al</strong>i’ uno specifico spazio, prima<br />

di passare ai medicin<strong>al</strong>ia, cioè ai rimedi farmacologici e chirurgici 8 . Le tranches di<br />

testo relative <strong>al</strong> vino spesso hanno, pertanto, una loro, certa autonomia e si possono<br />

facilmente individuare, rubricate sotto il titolo De potu o De vino.<br />

Si noti, en passant, che anche i testi gastronomici, tornati a fiorire tra la fine<br />

del XIII secolo e l’inizio del XIV, possono essere accostati <strong>al</strong>le fonti medico-dietetiche,<br />

in virtù di una ormai ben accertata contaminatio tra i due ambiti e le rispettive<br />

sfere d’azione 9 . Se, infatti, da un lato i regimina forniscono a volte vere e proprie<br />

ricette di cucina, come ha messo in luce anche la schedatura recentemente<br />

7 Sul genere letterario dei regimina e sulla dietetica medioev<strong>al</strong>e, tematiche, entrambe, che negli ultimi<br />

decenni hanno goduto di un’efflorescente fortuna storiografica: A.M. NADA PATRONE, Trattati medici,<br />

diete e regimi <strong>al</strong>imentari in ambito pedemontano <strong>al</strong>la fine del medioevo, «Archeologia mediev<strong>al</strong>e», 8 (1981), pp.<br />

369-391; J.-L. FLANDRIN, Chronique de Platine. Pour une gastronomie historique, Paris 1992, pp. 130-140; P.<br />

GIL-SOTRES, Le regole della s<strong>al</strong>ute,in Storia del pensiero medico occident<strong>al</strong>e, a cura di M.D. Grmek, coordinamento<br />

di B. Fantini, I, Antichità e medioevo, Roma-Bari 1993, pp. 399-438; J. CRUZ CRUZ, Claves de la dietética<br />

mediev<strong>al</strong>, in Dietética mediev<strong>al</strong>. El «Régimen de s<strong>al</strong>ud» de Arn<strong>al</strong>do de Vilanova, Navarra 1994, pp. 9-53<br />

(introduzione <strong>al</strong>l’edizione e <strong>al</strong> commento della traduzione in castigliano <strong>al</strong> Regimen sanitatis di Arn<strong>al</strong>do<br />

da Villanova data <strong>al</strong>le stampe nel 1606); D. JACQUART,M.NICOUD, Les régimes de santé au XIII e siècle,in<br />

Comprendre le XIII e siècle. Études offertes à Marie-Thérèse Lorcin, sous la dir. de P. Guichard et D. Alexandre-Bidon,<br />

Lyon 1995, pp. 201-214; M. NICOUD, L’adaptation du discours diététique aux pratiques <strong>al</strong>imentaires:<br />

l’exemple de Barnabas de Reggio, «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen âge», 107 (1995),<br />

pp. 207-231; P. Gil-Sotres con la colaboración de J.A. PANIAGUA y L. GARCÍA-BALLESTER, Introducción,<br />

in ARNALDI DE VILLANOVA Opera medica omnia, X.1,Regimen sanitatis ad regem Aragonum, ediderunt L.<br />

García-B<strong>al</strong>lester et M.R. McVaugh et praefatione et commentariis cat<strong>al</strong>anis hispanisque instruxerunt<br />

P. Gil-Sotres adiuvantibus J.A. Paniagua et L. García-B<strong>al</strong>lester, Barcelona 1996, pp. 471-885; M.<br />

NICOUD, La dietetica nel medioevo, in & coquatur ponendo… Cultura della cucina e della tavola in Europa tra<br />

medioevo ed età moderna, Prato 1996, pp. 43-53; EAD., Aux origines d’une médecine préventive: les traités de diététique<br />

en It<strong>al</strong>ie et en France (XIII e- XV e siècle), thèse nouveau régime, sous la dir. de D. Jacquart, École pratique<br />

des Hautes Études, Paris 1998; B. LAURIOUX, Manger au moyen âge. Pratiques et discours <strong>al</strong>imentaires<br />

en Europe aux XIV e et XV e siècles, Paris 2002, speci<strong>al</strong>mente pp. 127-146.<br />

8 J. AGRIMI et C. CRISCIANI, Les consilia médicaux, Turnhout 1994 (Typologie des sources du moyen<br />

âge occident<strong>al</strong>, 77), speci<strong>al</strong>mente pp. 101-102, per le possibilità offerte da queste fonti <strong>al</strong>lo studio della<br />

storia materi<strong>al</strong>e.<br />

9 e e J.-L. FLANDRIN, O.REDON, Les livres de cuisine it<strong>al</strong>iens des XIV et XV siecles, «Archeologia mediev<strong>al</strong>e»,<br />

8 (1981), pp. 395-397; B. LAURIOUX, La cuisine des médecins à la fin du moyen âge,in M<strong>al</strong>adies médecines<br />

et sociétés. Approches historiques pour le présent. Actes du VIe Colloque d’histoire au présent, II, Paris 1993, pp.<br />

136-148; ID., Les livres de cuisine médiévaux, Turnhout 1997 (Typologie des sources du moyen âge occident<strong>al</strong>,<br />

77), soprattutto pp. 21-23, 61-64; brevi note sull’impiego di vino nei ricettari medioev<strong>al</strong>i:<br />

677


678<br />

condotta da Melitta Weiss Adamson 10 , <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro, non solo i testi gastronomici<br />

sono spesso tràditi in compilazioni ‘amatori<strong>al</strong>i’ di carattere medico-pratico (ecco<br />

<strong>al</strong>lora che in <strong>al</strong>cuni manoscritti ricette per migliorare il vino inquadrano le prescrizioni<br />

culinarie 11 ), ma, soprattutto, non sembrano prescindere <strong>d<strong>al</strong></strong>le coordinate<br />

espositive e <strong>d<strong>al</strong></strong>le categorie peculiari della letteratura dietetica. In questo senso,<br />

si colloca paradigmaticamente a metà strada l’Opusculum de saporibus del medico<br />

milanese Maino o Magino de Maineriis 12 (in sostanza un ricettario di s<strong>al</strong>se, dove<br />

tra l’<strong>al</strong>tro assai largo è l’impiego di vino e derivati) animato da due istanze basilari:<br />

l’appagamento della gola e il mantenimento della buona s<strong>al</strong>ute.<br />

E proprio ricette, formule e istruzioni legate in qu<strong>al</strong>che modo <strong>al</strong> vino e ai<br />

suoi diversificati impieghi costituiscono, <strong>al</strong>tresì, il minimo denominatore che<br />

accomuna trattati scientifici più gener<strong>al</strong>i, o, invece, specificamente dedicati a singole<br />

m<strong>al</strong>attie, a particolari tipologie di pazienti, a momenti connotativi della<br />

prassi medica 13 , e quel vasto genere letterario costituito dai ricettari medici e farmaceutici.<br />

Genere dai tratti fluttuanti e sfuggenti, non facile da definire e decifrare,<br />

anche perché comprende testi che si ribellano a classificazioni troppo rigide,<br />

per i problemi legati <strong>al</strong>la loro genesi, <strong>al</strong>la traditio e <strong>al</strong>la fruizione, così come<br />

per la duratura mancanza, <strong>al</strong>meno fino <strong>al</strong>l’età scolastica, di un preciso statuto<br />

disciplinare della farmacologia 14 .<br />

FLANDRIN,REDON, Les livres de cuisine it<strong>al</strong>iens, pp. 401-403; A.M. NADA PATRONE, Il consumo del vino nella<br />

società pedemontana del tardo medioevo, in Vigne e vini nel Piemonte mediev<strong>al</strong>e, a cura di R. Comba, Cuneo<br />

1990 (Mediev<strong>al</strong>ia, 2), pp. 292-293; J. BRUNET,O.REDON, Vins, jus et verjus. Du bon usage culinaire des jus<br />

de raisins en It<strong>al</strong>ie à la fin du moyen âge, in Le vin des historiens. Actes du 1 er symposium «Vin et histoire» (Suzela-Rousse,<br />

19, 20 et 21 mai 1989), sous la direction de G. Garrier, Suze-la-Rousse 1990, pp. 109-117.<br />

10 M. WEISS ADAMSON, Mediev<strong>al</strong> dietetics. Food and drink in Regimen sanitatis literature from 800 to 1400,<br />

Frankfurt am Main·Berlin·Bern·New York·Paris·Wien 1995 (German studies in Canada, 5).<br />

11<br />

LAURIOUX, Les livres de cuisine médiévaux,p.61.<br />

12 L. THORNDIKE, A mediaev<strong>al</strong> sauce-book, «Speculum», 9 (1934), pp. 183-189; T. SCULLY, The Opusculum<br />

de saporibus of Magninus Mediolanensis, «Medium ævum», 54 (1985), pp. 178-207.<br />

13 Per uno spaccato sulle diverse tipologie, relativo, tuttavia, a coordinate storico-geografiche ben<br />

delimitate: T. PESENTI, Generi e pubblico della letteratura medica padovana nel Tre e Quattrocento,in Università<br />

e società nei secoli XII-XVI. Nono Convegno internazion<strong>al</strong>e del Centro it<strong>al</strong>iano di studi di storia e d’arte (Pistoia,<br />

20-25 settembre 1979), Pistoia 1982, pp. 523-545.<br />

14 A proposito dei ricettari medici <strong>al</strong>tomedioevev<strong>al</strong>i, anteriori, cioè, <strong>al</strong>l’Antidotarium Nicolai:C.OPSO-<br />

MER HALLEUX, Prolégomènes a une étude des recettes médic<strong>al</strong>es latines, in Centre Jean P<strong>al</strong>erne. Mémories III.<br />

Médecins et médecine dans l’antiquité, ed. par G. Sabbah, Saint-Etienne 1982, pp. 85-103; I. MAZZINI, I<br />

ricettari medici latini <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>i. Significato storico-medico, cultur<strong>al</strong>e e soci<strong>al</strong>e. Problematiche di edizione e critica


Quello che ora ci occupa non è, comunque, un tema storiograficamente inedito,<br />

tutt’<strong>al</strong>tro. Non mancano singoli affondi, quasi tutti, però, contraddistinti da una<br />

scelta inevitabilmente episodica delle fonti o da una prospettiva ben delimitata:<br />

l’età moderna per Enrico Coturri e per Robert Benoit 15 , l’area pedemontana nei<br />

secoli bassomedioev<strong>al</strong>i per Anna Maria Nada Patrone 16 , le ricette medico-farmacologiche<br />

francesi per Marie-Thérèse Lorcin 17 , i criteri che sovrintendevano il<br />

giudizio sui diversi vini per Allen J. Grieco 18 , <strong>al</strong>cuni regimina sanitatis per Pedro<br />

Gil-Sotres 19 , la di<strong>al</strong>ettica con l’acqua per Bruno Andreolli 20 , il caso specifico del<br />

medico bresciano Girolamo Conforti († 1595), per Gabriele Archetti 21 , solo per<br />

citare <strong>al</strong>cuni esempi. La letteratura sull’argomento, comunque, è stata senza dub-<br />

testu<strong>al</strong>e, in Incontri di popoli e culture tra V e IX secolo. Atti delle V Giornate di studio sull’età romanobrabarica<br />

(Benevento, 9-11 giugno 1997), a cura di M. Rotili, Napoli 1998, pp. 103-115. Qu<strong>al</strong>che spunto per un utilizzo<br />

pratico dei ricettari medici, nella fattispecie tardomedioev<strong>al</strong>i francesi: M.-T. LORCIN, Les<br />

«meschantes herbes des jardins», in Vergers et jardins dans l’univers médiév<strong>al</strong>. Actes du colloque du C.U.E.R. M.A.<br />

(Aix-en-Provence, 1989), Aix-en-Provence 1990 [= «Senefiance», 28 (1990)], pp. 237-252, ora in EAD.,<br />

Pour l’aise du corps. Confort et plaisirs, médications et rites, Orléans 1998, pp. 61-73; EAD., Les m<strong>al</strong>adies de<br />

coeur dans les recueils de recettes médic<strong>al</strong>es et pharmaceutiques de la fin du moyen âge, in Le “cuer” au moyen âge<br />

(Ré<strong>al</strong>ité et Senefiance), [Aix-en-Provence] 1991 [= «Senefiance», 30 (1991)], pp. 205-221. Infine, per i<br />

cosiddetti “libri di segreti”: W. EAMON, La scienza e i segreti della natura. I “libri di segreti” nella cultura<br />

mediev<strong>al</strong>e e moderna, Genova 1999 (Nuova Atlantide) [trad. it<strong>al</strong>iana di Science and the secrets of nature.<br />

Books of secrets in mediev<strong>al</strong> and early modern culture, Princeton 1994], pp. 33-142.<br />

15 E. COTURRI, Il vino nella medicina tra Quattro e Cinquecento, in Il vino nell’economia e nella società it<strong>al</strong>iana<br />

medioev<strong>al</strong>e e moderna. Convegno di studi, Greve in Chianti, 21-24 maggio 1987, Firenze 1988 (Quaderni della<br />

Rivista di storia dell’agricoltura, 1), pp. 169-177; R. BENOIT, Vin et corps médic<strong>al</strong> à l’époque moderne:<br />

itinéraire œnologique à travers les thèses de médecine, in Vins, vignobles et terroirs de l’antiquité à nos jours. Actes du<br />

colloque de Reims (du 9 au 11 octobre 1997), réunis sous la dir. de V. Barrie, Nancy 1999, pp. 237-246.<br />

16<br />

NADA PATRONE, Trattati medici, pp. 373, 376, 377, 384-385, 387-389; EAD., Il consumo del vino, in particolare,<br />

ma non esclusivamente, pp. 292-296.<br />

17 e e M.-T. LORCIN, Les usages du vin à la fin du moyen âge (XIII -XV siècles), in Le vin des historiens, pp. 99-<br />

107, ora in EAD., Pour l’aise du corps, pp. 75-84.<br />

18 A.J. GRIECO, Le goût du vin entre doux et amer: essai sur la classification des vins au moyen âge, in Le vin des<br />

historiens, pp. 89-97; ID., I sapori del vino: gusti e criteri di scelta fra Trecento e Cinquecento,in D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino,<br />

pp. 163-186.<br />

19<br />

GIL-SOTRES, Introducción, pp. 715-733.<br />

20 B. ANDREOLLI, Un contrastato connubio. Acqua e vino <strong>d<strong>al</strong></strong> medioevo <strong>al</strong>l’età moderna, in La vite e il vino. Storia<br />

e diritto (secoli XI-XIX), a cura di M. Da Passano, A. Mattone, F. Mele, P.F. Simbula, II, Roma 2000<br />

(Collana del Dipartimento di storia dell’Università degli studi di Sassari, n.s., 3**), pp. 1031-1051.<br />

21 G. ARCHETTI, Intorno <strong>al</strong> vino mordace o «spumante», introduzione a Libellus de vino mordaci ovvero Le bollicine<br />

del terzo millennio, a cura di G. Archetti, Provaglio d’Iseo (Brescia) 2001, pp. 7-40.<br />

679


680<br />

bio orientata <strong>d<strong>al</strong></strong>lo status ecdotico delle fonti, niente affatto gratificante. Benché,<br />

in proposito, vada ormai registrata un’inversione di tendenza, sollecitata <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

più recente storiografia sulla cultura <strong>al</strong>imentare, sulla medicina e sull’<strong>al</strong>chimia (si<br />

pensi solo <strong>al</strong>l’edizione delle opere mediche di Arn<strong>al</strong>do da Villanova) 22 ,<strong>al</strong><br />

momento scarseggiano vere e proprie edizioni critiche di numerosi trattati e,<br />

soprattutto, di buona parte dei consilia medici, relativamente ai qu<strong>al</strong>i l’impegno<br />

editori<strong>al</strong>e può essere circoscritto solo nei decenni a cav<strong>al</strong>lo tra Quattro e Cinquecento,<br />

tra Otto e Novecento.<br />

Un simile bilancio non deve stupire. Numerosi tra i testi qui considerati, infatti,<br />

pur pensati con fin<strong>al</strong>ità e destinatari tra loro diversi, godettero – come già accennato<br />

– di larga fortuna, con le conseguenti, prevedibili complicazioni, speci<strong>al</strong>mente<br />

a livello di tradizione manoscritta: essi circolarono in numerosi esemplari, spesso<br />

furono volgarizzati in diverse lingue, oppure vennero rielaborati e riadattati. Ma<br />

è intuibile che già una prima mappatura dei codici sia indispensabile per fissare la<br />

scansione cronologica e le coordinate geografiche della loro diffusione, e quindi,<br />

in concreto, per comprendere tempi e luoghi della ricezione dei testi trasmessi.<br />

Particolari, questi, non trascurabili anche quando ci si muova da una problematica<br />

solo apparentemente estemporanea come la nostra. Ancora: utili indizi per definire<br />

l’impatto storico dei vini medicin<strong>al</strong>i e delle relative nozioni mediche potrebbero<br />

scaturire da un’an<strong>al</strong>isi delle diverse traduzioni (già di per se stesse adattamenti a<br />

re<strong>al</strong>tà geograficamente, oltre che storicamente e linguisticamente, diverse da quella<br />

in cui il testo è stato prodotto) e di quella stratificazione di adattamenti, person<strong>al</strong>izzazioni,<br />

attu<strong>al</strong>izzazioni, aggiunte ed omissioni spesso riscontrabili. Siamo di<br />

fronte a veri e propri works in progress, insomma, per i qu<strong>al</strong>i un’edizione critica circostanziata<br />

può spesso rappresentare un’impresa ardua ma essenzi<strong>al</strong>e 23 .<br />

Esemplare il caso del De vinis, il più noto e diffuso trattato-ricettario mediev<strong>al</strong>e<br />

sul vino che, per quanto disarmonico e farraginoso, può essere considerato<br />

un vero e proprio concentrato di sapere medico, farmaceutico e <strong>al</strong>chemico, oltre<br />

che, sia detto per inciso, una «testimonianza della diffusione dei distillati come<br />

farmaci fra XIII e XIV secolo» 24 . Di questo testo, attribuito – non senza conte-<br />

22<br />

ARNALDO DA VILLANOVA, Opera medica omnia, edenda curaverunt L. García-B<strong>al</strong>lester, J.A. Paniagua<br />

et M.R. McVaugh, Barcelona, a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> 1975.<br />

23 Il carattere vivente di molte fonti mediche, in particolare dei ricettari, è stato richiamato anche da<br />

OPSOMER HALLEUX, Prolégomènes,p.88.<br />

24 M. PEREIRA, Arn<strong>al</strong>do da Villanova e l’<strong>al</strong>chimia, Un’indagine preliminare,in Actes de la I Trobada internacion<strong>al</strong><br />

d’estudis sobre Arnau de Vilanova, II, Barcelona 1995 [= «Arxiu de textos cat<strong>al</strong>ans antics», 14 (1995)],


stazioni 25 – ad Arn<strong>al</strong>do da Villanova, assai trascritto 26 , stampato agli <strong>al</strong>bori del<br />

Cinquecento in edizioni tra loro discordanti, seppur lievemente, e volgarizzato<br />

in più lingue 27 , un testimone tra i tanti è custodito presso l’Archivio dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e<br />

maggiore di Milano. Non vi è però <strong>al</strong>cun esplicito riferimento <strong>al</strong>l’attribuzione<br />

arn<strong>al</strong>diana: per questo il ricettario è stato accreditato a «un anonimo compilatore...<br />

non spezi<strong>al</strong>e ma medico» da Nicola Latronico, che lo ha pubblicato nel<br />

1947, presentandolo come un unicum, senza <strong>al</strong>cun riferimento <strong>al</strong>la vasta diffusione<br />

manoscritta, e datandolo «<strong>al</strong>la prima metà del 1400», per quanto riguarda la<br />

confezione materi<strong>al</strong>e, e <strong>al</strong>la «seconda metà del 1300 e non oltre il 1378», per la<br />

redazione del testo 28 . Come spiegare la svista, tra l’<strong>al</strong>tro di non poco conto, <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

momento che così l’opera di Arn<strong>al</strong>do, compulsata in quanto t<strong>al</strong>e dagli storici della<br />

filosofia e dell’<strong>al</strong>chimia, si è trovata ad avere un <strong>al</strong>ter ego, immesso nei circuiti<br />

pp. 126-127 e bibliografia ivi citata. In merito <strong>al</strong> De vinis, oltre <strong>al</strong>la letteratura raccolta nella nota successiva,<br />

si vedano il saggio di A. GHISALBERTI, Il vino degli scolastici: vini medicin<strong>al</strong>i ed elixir di lunga vita,<br />

edito in questo stesso volume, e i contributi di M.A. PILEGGI PERASSOLLO, in particolare il Capítulo<br />

IV, O Liber de vinis - A <strong>al</strong>quimia na obra médica de Arn<strong>al</strong>do de Vilanova, della «dissertação de mestrado»<br />

Fragmentos do universo cultur<strong>al</strong> v<strong>al</strong>enciano na montagem da obra <strong>al</strong>química de Arn<strong>al</strong>do de Vilanova, Universidade<br />

de São Paulo (Brazil) 1992.<br />

25 Senz’<strong>al</strong>tro scettico, J.A. PANIAGUA, El maestro Arnau de Vilanova, médico, V<strong>al</strong>encia 1969 (Cuadernos<br />

v<strong>al</strong>encianos de historia de la medicina y de la ciencia, 8. Serie A), p. 71; più inclini, invece, a riconoscere<br />

la paternità arn<strong>al</strong>diana M.R. MCVAUGH, Medicine before the plague. Practitioners and their patients in the<br />

Crown of Aragon, 1285-1345, Cambridge 1993 (Cambridge history of medicine), p. 148, e PEREIRA,<br />

Arn<strong>al</strong>do da Villanova e l’<strong>al</strong>chimia, p. 127.<br />

26 Per avere un’idea, solo minima, della varietà che connota la traditio del De vinis, nella maggior parte<br />

dei casi accreditato dai copisti medioev<strong>al</strong>i ad Arn<strong>al</strong>do da Villanova e, di volta in volta, intitolato De<br />

confectionibus vinorum, Tractatus de vinis, Tractatus de 50 vinis, De vino et eius proprietate, De vinis medicin<strong>al</strong>ibus:<br />

L. THORNDIKE, P.KIBRE, A cat<strong>al</strong>ogue of incipits of mediaev<strong>al</strong> scientific writings in latin. Revised and augmented<br />

edition, London 1963 (The Mediaev<strong>al</strong> Academy of America. Publication 29), coll. 310, 812, 879,<br />

1107, 1310, 1367, 1697-1698.<br />

27 W.F. DAEMS, Ein mittelniederländisches Fragment des «Liber de vinis» des Arn<strong>al</strong>dus de Villanova, «Janus», 47<br />

(1958), pp. 87-100; W.L. BRAEKMAN, A middle dutch version of Arnold of Villanova’s «Liber de vinis»,<br />

«Janus», 55 (1968), pp. 96-133.<br />

28 2 N. LATRONICO, I vini medicin<strong>al</strong>i <strong>d<strong>al</strong></strong>le antiche formule <strong>al</strong>le preparazioni moderne, Milano 1947 (I prodotti<br />

delle industrie agrarie, 2) [1a edizione: Milano 1947 (Collana di studi di storia della medicina, 4)], pp.<br />

55-57; il codice era già stato segn<strong>al</strong>ato e sommariamente descritto da G.C. BASCAPÈ, La “spezieria„ dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e<br />

maggiore (sec. XV-XIX), Milano-Como [1934], pp. 21, 41-42, quindi <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso LATRONICO,<br />

Un trattato sui vini medicin<strong>al</strong>i del sec. XIV, «Gazzetta medica lombarda», 9 (1936), successivamente<br />

ancora <strong>d<strong>al</strong></strong> BASCAPÈ, Tre codici d’argomento medico e farmaceutico, «Bollettino chimico farmaceutico»,<br />

1937, pp. 5-9 dell’estratto, ed infine da G. CASTELLI, La farmacia dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e maggiore nei secoli, Milano<br />

1939, pp. 106-115.<br />

681


682<br />

storiografici sotto forma di anonimo tardo-trecentesco 29 ? Ebbene, per l’attribuzione<br />

e per la datazione del testo il Latronico si è ispirato ad <strong>al</strong>cuni indizi storici<br />

generici, sulla base dei qu<strong>al</strong>i, senza distinguere l’autore <strong>d<strong>al</strong></strong>l’amanuense, e,<br />

influenzato certamente <strong>d<strong>al</strong></strong> luogo di conservazione (la spezieria dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e<br />

maggiore di Milano, per l’appunto), lo ha riferito <strong>al</strong>l’ambiente milanese.<br />

Tutto sommato la vicenda in sé potrebbe sembrare irrilevante, se non in sede<br />

di edizione critica: qu<strong>al</strong>cosa da relegare tra le innocue minuzie erudite. Se non che<br />

consente di sfiorare un dato estremamente significativo ai fini del nostro discorso:<br />

la vit<strong>al</strong>ità pratica di un ricettario di vini medicamentosi, che nel secolo XV<br />

continuava ad essere trascritto e, soprattutto, aggiornato. E così – per rimanere<br />

nell’ambito dei manoscritti non segn<strong>al</strong>ati <strong>d<strong>al</strong></strong> Thorndike e <strong>d<strong>al</strong></strong> Kibre – se un<br />

secondo testimone del De vinis, conservato a Bergamo, fu redatto nel 1469 da<br />

Giovanni Kataneus ex capitaneis de Arsagho, «artium et medicine doctor» a Pavia, per<br />

scopi quasi certamente accademici 30 , un terzo esemplare custodito presso Lugano<br />

tramanda in c<strong>al</strong>ce <strong>al</strong> testo, fatto trascrivere nel 1466 da Ermanno Castello phisicus<br />

di Feltre, una ricetta person<strong>al</strong>izzata («vinum meum») di vino con l’anice 31 .<br />

Anche per quest’incursione, che vuole solo essere una serie di rapidi flash tesi a<br />

fissare termini ormai assodati e snodi problematici, una serie, insomma, di note<br />

in margine a un argomento fin troppo vasto, già parzi<strong>al</strong>mente avvicinato, ma<br />

ancora tutto da esaurire in modo sistematico, dovrò far riferimento – sia chiaro,<br />

esclusivamente a scopo esemplificativo, giusto per sostanziare il discorso di<br />

qu<strong>al</strong>che dato concreto – ad una limitata campionatura di testi significativi.<br />

Innanzitutto quelli che hanno segnato la medicina medioev<strong>al</strong>e nei suoi esordi o<br />

che, comunque, l’hanno più incisivamente caratterizzata, divenendo in qu<strong>al</strong>che<br />

29 Di «un trattato sul vino come medicamento (...) contenuto in un codice dell’archivio dell’Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e<br />

maggiore di Milano (...) reso noto con le stampe solo <strong>al</strong>la metà del nostro secolo <strong>d<strong>al</strong></strong> Latronico»<br />

parla, ad esempio, COTURRI, Il vino nella medicina, pp. 170, 172-174.<br />

30 Bergamo, Biblioteca civica «Angelo Mai», ms. MA 507 (ex Gamma V.2), schedato da J. AGRIMI, Tecnica<br />

e scienza nella cultura mediev<strong>al</strong>e. Inventario dei manoscritti relativi <strong>al</strong>la scienza e <strong>al</strong>la tecnica mediev<strong>al</strong>e (secc. XI-<br />

XV). Biblioteche di Lombardia, Firenze 1976 (Pubblicazioni del «Centro di studi del pensiero filosofico<br />

del Cinquecento e del Seicento in relazione ai problemi della scienza» del Consiglio nazion<strong>al</strong>e delle<br />

ricerche. S. II. Strumenti bibliografici, 4), p. 26.<br />

31 Sorengo (Svizzera), Bibliothèque internation<strong>al</strong>e de gastronomie, ms. 10, c. 47r (Fondation B.IN.G.,<br />

Cat<strong>al</strong>ogo del fondo it<strong>al</strong>iano e latino delle opere di gastronomia, sec. XIV-XIX, II, a cura di O. Bagnasco, Sorengo<br />

1994, pp. 1806-1807).


modo un punto di riferimento irrinunciabile per i contemporanei e per i posteri:<br />

i prodotti solitamente ascritti <strong>al</strong>l’ambiente s<strong>al</strong>ernitano 32 , come la notissima e<br />

assai diffusa ma, per molti aspetti, ancora misteriosa, raccolta didasc<strong>al</strong>ica in versi<br />

che, forse senza re<strong>al</strong>i legami con la scuola medica campana, va sotto il titolo di<br />

Regimen sanitatis S<strong>al</strong>ernitanum 33 ; le opere del medico cat<strong>al</strong>ano Arn<strong>al</strong>do da Villano-<br />

32 Oltre <strong>al</strong> corpus di testi attribuiti a Trotula, <strong>al</strong> Tractatulus de cibis et potibus febricitantium di Pietro Musandino<br />

e <strong>al</strong>la Chirurgia di Ruggero (di cui <strong>al</strong>le successive note 35 e 36), ho preso in considerazione anche<br />

il De flore dietarum, del qu<strong>al</strong>e P. CANTALUPO, Un trattatello medioev<strong>al</strong>e s<strong>al</strong>ernitano sull’<strong>al</strong>imentazione: il De<br />

flore dietarum, Acciaroli (S<strong>al</strong>erno) 1992 («Ann<strong>al</strong>i cilentani». Quaderno 2) (consultabile on line<br />

<strong>al</strong>l’URL: www.liberliber.it/biblioteca/c/cant<strong>al</strong>upo) ha fornito una trascrizione <strong>d<strong>al</strong></strong> notissimo codice<br />

Madrid, Universitad Complutense, 116-Z-31(sec. XIII in.): per quanto non sempre impeccabile nelle<br />

lezioni proposte <strong>d<strong>al</strong></strong>l’editore [si vedano, in proposito, le annotazioni critiche di E. Spinelli, «Rassegna<br />

storica s<strong>al</strong>ernitana», 10/1 (1993), pp. 306-307], il testo, un compendio del Liber dietarum particularium<br />

di Isaac Israeli ben S<strong>al</strong>omon, <strong>al</strong>trimenti detto Isaac Iudeus, tradotto in latino da Costantino<br />

Africano, rappresenta un significativo trait-d’union tra sapere greco-arabo e medicina occident<strong>al</strong>e e,<br />

pertanto, può essere assunto come utile ambito di verifica. In merito <strong>al</strong>la scuola medica s<strong>al</strong>ernitana<br />

rimane fondament<strong>al</strong>e la messa a punto di P.O. KRISTELLER, La Scuola di S<strong>al</strong>erno. Il suo sviluppo e il suo<br />

contributo <strong>al</strong>la storia della scienza, in ID., Studi sulla Scuola medica s<strong>al</strong>ernitana, Napoli 1986 (Istituto it<strong>al</strong>iano<br />

per gli studi filosofici. Hippocratica civitas, 1), pp. 11-96; un sintetico status quaestionis storiografico è<br />

stato, in seguito, tracciato da A. CUNA, Gli studi sulla scuola medica s<strong>al</strong>ernitana. Tendenze, orientamenti, sviluppi,<br />

in ID., Per una bibliografia della scuola medica s<strong>al</strong>ernitana (secoli XI-XIII), Napoli 1993 (Istituto it<strong>al</strong>iano<br />

per gli studi filosofici. Hippocratica civitas, 3), pp. 159-187, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e rinvio per un orientamento<br />

bibliografico più circostanziato. Quanto <strong>al</strong> trattato dietetico di Isaac Iudeus, che, anche grazie <strong>al</strong>la versione<br />

latina, si segn<strong>al</strong>a come uno tra i più diffusi dell’Occidente medioev<strong>al</strong>e: GIL-SOTRES, Introducción,<br />

pp. 497-498.<br />

33 Mancano, per il Regimen sanitatis, approfonditi studi e, soprattutto, un’adeguata edizione critica che,<br />

attraverso l’an<strong>al</strong>isi dei numerosissimi manoscritti e delle <strong>al</strong>trettante numerose edizioni, arrivi a far<br />

definitiva luce sulle origini della raccolta e sulle diverse fasi di rimaneggiamento cui fu sottoposta.<br />

Rimangono, pertanto, ancora un punto di riferimento imprescindibile gli studi primonovecenteschi<br />

di Karl SUDHOFF (Zum Regimen Sanitatis S<strong>al</strong>ernitanum I-XVI, «Archiv für Geschichte der Medizin», 7,<br />

1914, pp. 360-362; 8, 1915, pp. 292-293, 352-373; 9, 1916, pp. 221-249; 10, 1917, pp. 91-101; 12,<br />

1920, pp. 149-180), che, sulla base di una prima esplorazione codicologica, hanno escluso l’origine<br />

s<strong>al</strong>ernitana del trattatello in versi e lo hanno datato ai primi decenni del sec. XIV; per la letteratura<br />

scientifica successiva e per una rapida presentazione dello status quaestionis rinvio a KRISTELLER, La<br />

Scuola di S<strong>al</strong>erno, pp. 58-59, nonché <strong>al</strong>la breve scheda approntata da M. MCVAUGH, Regimen sanitatis<br />

S<strong>al</strong>ernitanum, in Dictionary of the Middle Ages, 10, New York 1989, p. 289. Avviso, infine, che, per il presente<br />

contributo, dovendo necessariamente scegliere tra edizioni moderne non sempre impeccabili<br />

e spesso <strong>al</strong>quanto diverse tra loro, mi sono avv<strong>al</strong>sa della Regola sanitaria s<strong>al</strong>ernitana - Regimen sanitatis<br />

S<strong>al</strong>ernitanum, versione it<strong>al</strong>iana di F. GHERLI, S<strong>al</strong>erno 1966; va da sé che i dettagli relativi <strong>al</strong> vino sarebbero<br />

stati ben più copiosi, ancorché contradditori e cronologicamente disorganici, se avessi preferito<br />

una silloge più ampia, come quella tradotta e annotata da A. SINNO, Regimen sanitatis. Flos medicinae<br />

scholae S<strong>al</strong>erni, S<strong>al</strong>erno 1941.<br />

683


684<br />

va, nella fattispecie, oltre <strong>al</strong> De vinis, il Regimen sanitatis composto nel 1305 per il<br />

re d’Aragona Giacomo II 34 . Come pure <strong>al</strong>cuni trattati monografici 35 , in particolare<br />

il De mulierum passionibus 36 , corpus di testi, anch’essi, con tutta probabilità, di<br />

scuola s<strong>al</strong>ernitana e comunemente accreditati a Trotula, che, ben testimoniati<br />

anche fuori dai confini it<strong>al</strong>iani (Monica Green ha recentemente censito ventiquattro<br />

traduzioni vernacolari, per un tot<strong>al</strong>e di 60 manoscritti 37 ), costituiscono il<br />

primo rilevante contributo <strong>al</strong>la ginecologia dell’Occidente medioev<strong>al</strong>e.<br />

E infine, oltre a un manipolo di ricettari 38 , solo una limitata selezione tra i<br />

numerosissimi regimina e consilia bassomedioev<strong>al</strong>i, scelti fra i più rappresentativi di<br />

epoche, ambiti geografici e destinazioni diversi: i consilia del noto medico di origi-<br />

34<br />

ARNALDO DA VILLANOVA, Opera medica omnia, X.1,Regimen sanitatis; si veda, in proposito, anche<br />

WEISS ADAMSON, Mediev<strong>al</strong> dietetics, pp. 110-117.<br />

35 Oltre <strong>al</strong> De mulierum passionibus, di cui <strong>al</strong>la nota successiva: il Tractatus de sterilitate. Anónimo de Montpellier<br />

(s. XIV) (atribuido a A. de Vilanova, R. de Moleris y J. de Turre), ledición crític<strong>al</strong> E. Montero Cartelle,<br />

V<strong>al</strong>ladolid 1993 (Lingüística y filología, 16); Il trattato ginecologico-pediatrico in volgare Ad mulieres<br />

Ferrarienses de regimine pregnantium et noviter natorum usque ad septennium di Michele Savonarola,<br />

edito da L. Belloni, Milano 1952; PETRI MUSANDINI MAGISTRI SALERNITANI Tractatulus de cibis et potibus<br />

febricitantium, in Collectio s<strong>al</strong>ernitana, ossia Documenti inediti, e trattati di medicina appartenenti <strong>al</strong>la scuola<br />

medica s<strong>al</strong>ernitana…, pubblicati a cura di S. De Renzi, II, Napoli 1853 (Biblioteca di storia della medicina,<br />

II.2), pp. 407-410; ROGERII MEDICI CELEBERRIMI Chirurgia,in Collectio s<strong>al</strong>ernitana, II, pp. 425-496;<br />

la Grande chirurgia e la Piccola chirurgia di Bruno da Longoburgo (o Longobucco), per le qu<strong>al</strong>i si può<br />

consultare la libera versione in it<strong>al</strong>iano di M. TABANELLI, Un chirurgo it<strong>al</strong>iano del 1200. Bruno da Longoburgo,<br />

Firenze 1970.<br />

36 Utilizzo – e solo per comodità, mancando a tutt’oggi, anche in questo caso, un’edizione critica che<br />

dia, tra l’<strong>al</strong>tro, conto delle diversificate tradizioni, così come delle successive stratificazioni, anche <strong>al</strong>la<br />

luce delle numerose traduzioni antiche – la versione it<strong>al</strong>iana condotta sull’edizione <strong>al</strong>dina del 1547:<br />

TROTULA DE RUGGIERO, Sulle m<strong>al</strong>attie delle donne, a cura di P. Cav<strong>al</strong>lo Boggi, traduzione di M. Nubié<br />

e A. Tocco, Torino 1979 (La Rosa, 5); per rilievi critici a quest’ultima traduzione, F. BERTINI, Trotula,<br />

il medico, in <strong>Medioevo</strong> <strong>al</strong> femminile, a cura di F. Bertini, Roma-Bari 1989 (Economica Laterza), p. 118,<br />

contributo <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e rinvio anche per una rapidissima presentazione dei problemi connessi <strong>al</strong>la multiforme<br />

traditio e <strong>al</strong>la fortuna editori<strong>al</strong>e del corpus (non va dimenticato, infatti, che la prima edizione a<br />

stampa, <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e hanno poi fatto riferimento tutte le successive, non è <strong>al</strong>tro, se non un arbitrario<br />

rimaneggiamento cinquecentesco). Non ho potuto, invece, consultare la traduzione in lingua inglese<br />

(The «Trotula». A Mediev<strong>al</strong> Compendium of Women’s Medicine, Philadelphia 2001) curata da M.H. Green,<br />

autrice, quest’ultima, di numerosi contributi dedicati <strong>al</strong> corpus di Trotula, per lo più raccolti in Womens<br />

he<strong>al</strong>thcare in the mediev<strong>al</strong> West: texts and contexts, Aldershot 2000 (Collected studies series, 680).<br />

37 M.H. GREEN, A handlist of latin and vernacular manuscripts of the so-c<strong>al</strong>led Trotula texts, «Scriptorium»,<br />

50 (1996), pp. 137-175; 51 (1997), pp. 80-104 (122 mss. latini e 24 traduzioni in vernacolo o riscritture).<br />

38 Rinvio, in proposito, <strong>al</strong>le note 48, 136, 141.


ni fiorentine Taddeo Alderotti († 1295 circa) 39 ; la summa, scolastica, minuziosa e<br />

sistematica, composta nel 1331 <strong>d<strong>al</strong></strong> milanese Maino de Maineriis, professore <strong>al</strong>l’università<br />

di Parigi, e dedicata <strong>al</strong> vescovo di Arras, Andrea Ghini de’ Maplighi 40 ;il<br />

De sanitatis custodia di Giacomo Albini, monc<strong>al</strong>ierese attivo <strong>al</strong>la corte dei principi di<br />

Savoia-Acaia nella prima metà del Trecento, riportato <strong>al</strong>la rib<strong>al</strong>ta storiografica <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

Nada Patrone e particolarmente significativo nella sua peculiare attenzione ai<br />

momenti della maternità e dell’infanzia 41 ;l’Ordine e reggimento, che si debbe osservare nel<br />

tempo di pistolenza, composto da Tommaso del Garbo nella Firenze ancora sconvolta<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la peste del 1348 42 ; il consiglio indirizzato, probabilmente agli esordi del<br />

Quattrocento, da Ugolino da Montecatini ad Averardo de’ Medici, cugino di Cosimo<br />

43 ; il Libreto de tutte le cosse che se magnano, notissimo regime quasi esclusivamente<br />

dedicato <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>imentazione (del qu<strong>al</strong>e, tra l’<strong>al</strong>tro, è stata recentemente approntata<br />

un’edizione critica 44 ), che Michele Savonarola († 1466), medico degli Estensi di<br />

39 TADDEO ALDEROTTI, I “consilia„ trascritti dai codici Vaticano lat. n. 2418 e M<strong>al</strong>atestiano D. XXIV. 3, a<br />

cura di G.M. Nardi, Torino 1937, con un’Introduzione riflettente le condizioni della medicina durante il sec.<br />

XIII e l’indirizzo dell’insegnamento medico-filosofico di Taddeo nello Studio bolognese; sull’Alderotti, autore, tra<br />

l’<strong>al</strong>tro, di un Libellus de conservatione sanitatis, si consultino, inoltre, il breve profilo tracciato da L. BEL-<br />

LONI, L.VERGNANO, Alderotti, Taddeo (Thaddaeus Florentinus), in Dizionario biografico degli It<strong>al</strong>iani, 2,<br />

Roma 1966, p. 85, e l’ormai classica monografia di N.G. SIRAISI, Taddeo Alderotti and his pupils. Two<br />

generations of it<strong>al</strong>ian medic<strong>al</strong> learning, Princeton 1981.<br />

40 Regimen sanitatis Magnini Mediolanensis medici famosissimi Attrebacensi episcopo directum, [Paris, ca. 1495];<br />

sul de Maineriis e il suo Regimen, oltre <strong>al</strong>la letteratura citata <strong>al</strong>la nota 12, si vedano GIL-SOTRES, Introducción,<br />

pp. 528-534 e 535-543; WEISS ADAMSON, Mediev<strong>al</strong> dietetics, pp. 121-133.<br />

41 G. CARBONELLI, Il «De sanitatis custodia» di maestro Giacomo Albini di Monc<strong>al</strong>ieri con <strong>al</strong>tri documenti sulla<br />

storia della medicina negli Stati sabaudi nei secoli XIV e XV, Pinerolo 1906 (Biblioteca della Società storica<br />

sub<strong>al</strong>pina, 35); notizie bio-bibliografiche sull’Albini in A.M. NADA PATRONE, Il cibo del ricco ed il cibo<br />

del povero. Contributo <strong>al</strong>la storia qu<strong>al</strong>itativa dell’<strong>al</strong>imentazione. L’area pedemontana negli ultimi secoli del medio evo,<br />

Torino 1981 (Biblioteca di studi piemontesi), p. 12; della medesima autrice si tengano, inoltre, presenti<br />

<strong>al</strong>tri due contributi, per larga parte ruotanti attorno <strong>al</strong>la figura e <strong>al</strong>l’opera del medico monc<strong>al</strong>ierese:<br />

Trattati medici e Il consumo del vino.<br />

42 TOMMASO DEL GARBO, Consiglio contro a pistolenza…, conforme un codice della Marciana già Farsetti, raffrontato<br />

con <strong>al</strong>tro codice Riccardiano da P. Ferrato, Bologna 1866 [rist. anastatica: Bologna 1968 (Scelta di<br />

curiosità letterarie inedite o rare <strong>d<strong>al</strong></strong> secolo XIII <strong>al</strong> XIX, 74)]; sul del Garbo, si consulti la voce A. DE<br />

FERRARI, Garbo, Tommaso,in Dizionario biografico degli It<strong>al</strong>iani, 36, Roma 1988, pp. 581-585.<br />

43 F. BALDASSERONI,G.DEGLI AZZI, Consiglio medico di maestr’Ugolino da Montecatini ad Averardo de’ Medici,<br />

«Archivio storico it<strong>al</strong>iano», 38 (1906), pp. 140-152.<br />

44 MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse che se magnano; un’opera dietetica del sec. XV, a cura di J.<br />

NYSTEDT, Stockholm 1988 (Acta Universitatis Stockholmiensis. Romanica Stockholmiensia, 13);<br />

sul noto medico e letterato di origini padovane: T. PESENTI MARANGON, Michele Savonarola a Padova:<br />

685


686<br />

Ferrara, dedicò a Borso d’Este; il De sanitate regenda consilium, composto per il nobile<br />

genovese Pietro Sauli <strong>d<strong>al</strong></strong> suo concittadino Ambrogio Oderico († 1505) 45 .<br />

Prima di passare ad interrogare le nostre fonti, sarà forse opportuno ricapitolare<br />

per sommi capi le categorie ment<strong>al</strong>i ad esse sottese, lo strumentario argomentativo<br />

entro cui si muovono, eredità a lunghissimo termine della filosofia<br />

ippocratico-g<strong>al</strong>enica 46 . Si tratta di un sistema quaternario con <strong>al</strong>cune variabili,<br />

che – come è noto – informava di sé non solo le conoscenze e le pratiche mediche,<br />

ma anche i canoni stessi secondo i qu<strong>al</strong>i venivano espressi i giudizi sui cibi<br />

e sulle bevande, e che, nella sua versione più semplificata ed elementare, i professionisti<br />

della medicina condividevano con i ceti medio-<strong>al</strong>ti. Quattro erano gli<br />

elementi (fuoco, aria, acqua, terra); quattro le qu<strong>al</strong>ità primarie corrispondenti<br />

(c<strong>al</strong>do, freddo, umido e secco), ognuna presente in natura secondo una differenziata<br />

sc<strong>al</strong>a d’intensità 47 ; quattro gli umori connessi (sangue, flemma, bile, melanconia).<br />

D<strong>al</strong>l’equilibrio di tutte queste componenti dipendeva il benessere fisico,<br />

perseguibile attraverso l’assimilazione accortamente combinatoria di adeguati<br />

<strong>al</strong>imenti, soprattutto secondo un principio <strong>al</strong>lopatico di compensazione (contraria<br />

contrariis), che doveva tener conto anche della complessione e dell’età dell’individuo,<br />

oltre che delle diverse stagioni ed aree geografiche. Per questo nei mesi<br />

invern<strong>al</strong>i e ai vecchi, di natura fredda e secchi, erano consigliate vivande c<strong>al</strong>de e<br />

umide; mentre cibi e bevande freddi e umidi erano ritenuti i più indicati per i giovani,<br />

di natura c<strong>al</strong>da e umida, così come durante la stagione primaverile. Schematizzato<br />

in t<strong>al</strong> modo, il metodo, dominato da istanze speculative e razion<strong>al</strong>iz-<br />

l’ambiente, le opere, la cultura medica, «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 9-10 (1976-<br />

1977), pp. 90-102.<br />

45 È disponibile, di questo trattatello, una traduzione it<strong>al</strong>iana – De regenda sanitate consilium di Oderico da<br />

Genova (sec. XV), a cura di F. Cirenei, Genova 1961 (Scientia veterum, 25) – a proposito della qu<strong>al</strong>e,<br />

tuttavia, si tengano presenti le perplessità avanzate da L. BALLETTO, Dieta e gastronomia,in EAD., Medici<br />

e farmaci, scongiuri e incantesimi, dieta e gastronomia nel medioevo genovese, Genova 1986 (Collana storica di<br />

fonti e studi, 46), speci<strong>al</strong>mente p. 185.<br />

46 Per un sintetico quadro d’insieme: H. SCHIPPERGES, Il giardino della s<strong>al</strong>ute. La medicina nel medioevo,<br />

Milano 1988 (Il corso della storia) [trad. it<strong>al</strong>iana di Der Garten der Gesundheit. Medizin im Mittel<strong>al</strong>ter,<br />

München - Zürich 1985], soprattutto pp. 61-63.<br />

47 Schemi riguardanti la ripartizione degli <strong>al</strong>imenti tra le quattro qu<strong>al</strong>ità primarie e i relativi, diversi<br />

gradi, così come si ricavano da Aldobrandino da Siena e <strong>d<strong>al</strong></strong> Tacuinum sanitatis, rispettivamente in<br />

FLANDRIN, Chronique de Platine, p. 132, e LAURIOUX, Manger au moyen âge, p. 140.


zanti, può sembrare semplice e meccanico: in re<strong>al</strong>tà era assai complesso e delicato,<br />

proprio perché ampio era lo spettro di fattori che andavano tenuti nel debito<br />

conto, soprattutto se l’armonia attentamente perseguita fosse stata <strong>al</strong>terata o<br />

corrotta da una m<strong>al</strong>attia.<br />

Fatto questo necessario preambolo, possiamo porre ai testi <strong>al</strong>cune domande:<br />

che tipo di vino veniva raccomandato e a chi? che criteri di v<strong>al</strong>utazione venivano<br />

adottati? qu<strong>al</strong>i erano le princip<strong>al</strong>i virtù terapeutiche del vino e qu<strong>al</strong>i le sue<br />

controindicazioni? quando e in che quantità era opportuno assumerlo? qu<strong>al</strong>e<br />

uso medico se ne faceva? Ed infine: qu<strong>al</strong> era la disposizione ment<strong>al</strong>e che si aveva<br />

nei confronti del vino da parte del medico medioev<strong>al</strong>e e, di conseguenza,<br />

anche da parte dei pazienti?<br />

Ampelografia medica<br />

A proposito del primo quesito, è ormai ben noto che i testi medici e farmacologici,<br />

propensi soprattutto a classificazioni astratte, che permettano una facile<br />

applicazione delle teorie umor<strong>al</strong>i, non si distinguono per una particolare consapevolezza<br />

relativa a tipologie di vitigni e loc<strong>al</strong>ità di produzione e, di conseguenza,<br />

non forniscono, se non occasion<strong>al</strong>mente e piuttosto tardi 48 , una panoramica<br />

48 Ad esempio, i «vina cyprina (...) greca (...) garnacina (...) g<strong>al</strong>lica», contrapposti ai «vina de belua<br />

, & de bersilitico, & de sancto portiano» da Maino de Maineriis (Regimen sanitatis, f. 79v);<br />

i due vini, «m<strong>al</strong>vagia o vernaccia», raccomandati <strong>d<strong>al</strong></strong> del Garbo in tempo di peste (Consiglio contro a<br />

pistolenza, pp. 33-34); «i vini corbini de uva d’oro», i «m<strong>al</strong>vaxia, ribolla, vini de tiro», e ancora «tribiano<br />

o m<strong>al</strong>vaxia, vim di tiro, vernaza, ribola, romania, moscatello e vino de la quaglia», il «marello», i<br />

«vini ferrarexi de colore carichi» ma «grossi», «il goreto» (vivamente consigliato <strong>al</strong>le donne in gravidanza),<br />

o infine «vernace m<strong>al</strong>vasie maroa… cropelli», in particolare le «vernace dolce» della «V<strong>al</strong>le del<br />

Monte de Zovone» (nei Colli Euganei), dei qu<strong>al</strong>i parla Michele Savonarola (Il trattato ginecologico-pediatrico,<br />

pp. 55, 56, 81, 92 e Libreto de tutte le cosse, pp. 152-153). Non a caso, del resto, i criteri che sovrintendevano<br />

il giudizio di un vino erano, secondo il de Maineriis (Regimen sanitatis, f. 79v), «coloribus,<br />

substantiis, odoribus, saporibus & locis», e secondo il SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, p. 151, «età<br />

substantia virtù loco colore e sapore», mentre tradizion<strong>al</strong>mente si teneva conto soprattutto di «odore,<br />

sapore, nitore, colore» (Regola sanitaria s<strong>al</strong>ernitana, p. 29). Meno re<strong>al</strong>istica e più strettamente legata<br />

a varietà desunte <strong>d<strong>al</strong></strong>la tradizione greco-latina sembrerebbe, invece, l’ampia gamma attestata dai ricettari<br />

medici <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>i schedati da C. OPSOMER, Index de la pharmacopée du I er au X e siècle, II, Hildesheim·Zürich·New<br />

York 1989 (Alpha Omega. Reihe A, Lexika·Indizes·Konkordanzen zur klassischen<br />

Philologie, 105), pp. 799-810; per la descrizione e la classificazione dei vini in età classica, oltre<br />

<strong>al</strong>la bibliografia citata <strong>al</strong>la nota 2: A. TCHERNIA, Le vin de l’It<strong>al</strong>ie romaine. Essai d’histoire économique d’après<br />

les amphores, Rome 1986 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 261), speci<strong>al</strong>mente<br />

pp. 322-344 (mappa dei crus it<strong>al</strong>iani, così come risulta <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti letterarie); ID., La vinifica-<br />

687


688<br />

geo-ampelografica molto dettagliata 49 : per una più ricca e sistematica messe di<br />

particolari è necessario ricorrere ad <strong>al</strong>tri tipi di fonti (i trattati agronomici, ad<br />

esempio, e quello di Pier de’ Crescenzi in primis 50 ). Comunque, eccezion fatta per<br />

<strong>al</strong>cune primarie classificazioni ricondotte a fasi di produzione e a peculiarità<br />

organolettiche, come l’odor, il sapor e il gustus 51 (purum, riferito <strong>al</strong> vino fiore o di<br />

prima torchiatura 52 , ma anche <strong>al</strong> non lymphatum e <strong>al</strong> non adulterato 53 , o <strong>al</strong> vino<br />

espresso da una sola qu<strong>al</strong>ità d’uva 54 ; dulce, amarum, ponticum, acutum 55 , acerbum, garbo<br />

56 , stipticum 57 , austerum, acido e astringente insieme 58 ; igneum 59 ; forte in odore o odoriferum<br />

60 ; fumosum, frizzante 61 , ma anche grassum, foeculentum, reversatum 62 , turbidum e<br />

tion des romains, in Le vin des historiens, pp. 65-74; E. BUCHI, La vitivinicoltura cis<strong>al</strong>pina in età romana, in<br />

2500 anni di cultura della vite nell’ambito <strong>al</strong>pino e cis<strong>al</strong>pino – 2500 years of viticulture in the <strong>al</strong>pine and cis<strong>al</strong>pine<br />

environment, a cura di G. Forni e A. Scienza, Trento 1996, pp. 373-386; M. BOUVIER, Recherches sur les<br />

goûts des vins antiques,in Le vin de Rome, pp. 115-133.<br />

49<br />

NADA PATRONE, Il consumo del vino, pp. 281-284; per un affresco sull’ampelografia della Lombardia<br />

medioev<strong>al</strong>e condotto a partire da un’ampia gamma di fonti, anche archivistiche: G. ARCHETTI,Tempus<br />

vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di storia<br />

bresciana. Fondamenta, 4), in particolare pp. 435-475.<br />

50<br />

PIER DE’ CRESCENZI, Trattato dell’agricoltura, traslato nella favella fiorentina, rivisto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Nferigno accademico<br />

della Crusca, Milano 18052 ; si vedano, in proposito, J.-L. GAULIN, Sur le vin au moyen âge. Pietro de’ Crescenzi<br />

lecteur et utilisateur des «Géoponiques» traduites par Burgundio de Pise, «Mélanges de l’École française de<br />

Rome. Moyen âge - Temps modernes», 96 (1984), pp. 95-127; A.I. PINI, Vite e vino nel medioevo, Bologna<br />

1989 (Biblioteca di storia agraria mediev<strong>al</strong>e, 6), pp. 112-121; GAULIN, Tipologia e qu<strong>al</strong>ità dei vini.<br />

51 Per il riferimento <strong>al</strong> profumo e <strong>al</strong> gusto come parametri imprescindibili nel giudizio di un buon<br />

vino: GRIECO, Le gôut du vin,eID., I sapori del vino (a p. 179, in particolare, una ricostruzione della sc<strong>al</strong>a<br />

dei sapori medioev<strong>al</strong>i); ARCHETTI, Intorno <strong>al</strong> vino, pp. 10-17.<br />

52 ARCHETTI, Tempus vindemie, p. 438.<br />

53 Ibidem, p. 442; BALLETTO, Dieta e gastronomia, pp. 209-210.<br />

54 NADA PATRONE, Il cibo del ricco ed il cibo del povero, pp. 407, 419, 429.<br />

55 Per il vino dulce, amarum, ponticum, acutum: NADA PATRONE, Il cibo del ricco ed il cibo del povero, sub indice;EAD.,<br />

Trattati medici, p. 373; EAD., Il consumo del vino, p. 282.<br />

56 Come in MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, p. 152.<br />

57 Attestato, soprattutto per usi medico-farmacologici, in Bruno da Longoburgo (TABANELLI, Un chirurgo<br />

it<strong>al</strong>iano, p. 57), Taddeo Alderotti (I “consilia”, pp. 13, 34), Michele Savonarola (Il trattato ginecologico-pediatrico,<br />

p. 129).<br />

58 Per la traduzione del termine latino, TCHERNIA, Le vin de l’It<strong>al</strong>ie romaine, pp. 205-206, nota 28.<br />

59 ARNALDO DA VILLANOVA, Opera medica omnia,X.1,Regimen sanitatis, p. 431.<br />

60 NADA PATRONE, Il cibo del ricco ed il cibo del povero, pp. 425, 428.<br />

61 Ibidem, p. 424; EAD., Trattati medici, p. 376; EAD., Il consumo del vino, p. 282.


uptum, con eccesso di tannino 63 ), le caratteristiche del vino prese in maggior<br />

considerazione si articolano entro quattro princip<strong>al</strong>i coppie di opposti, quelle,<br />

cioè, che si riferiscono <strong>al</strong> colore 64 , <strong>al</strong> grado di invecchiamento, <strong>al</strong>la virtus (forza) e<br />

<strong>al</strong>la substantia (da intendersi, quest’ultima, innanzitutto come consistenza e, soltanto<br />

in seconda istanza, come potenzi<strong>al</strong>ità nutritiva e/o gradazione <strong>al</strong>colica 65 ):<br />

<strong>al</strong>bum/rubeum 66 , recens o novus/vetus 67 , aquosum o debile/vinosum o forte 68 , subtile/grossum<br />

69 . Tra un polo e l’<strong>al</strong>tro oscillano le diverse possibilità e variazioni sul tema:<br />

niger, rufum, subrufum o subrubeum, glaucum, viridis, roseum, aureum, citrinum, p<strong>al</strong>meum,<br />

sub<strong>al</strong>bidum, secondo le gamme cromatiche 70 , mediocre, medium o mezano, sia per lo<br />

stato di invecchiamento, sia per la forza, sia per la substantia 71 .<br />

62 NADA PATRONE, Il cibo del ricco ed il cibo del povero, sub indice;EAD., Il consumo del vino, p. 282.<br />

63 NADA PATRONE, Il cibo del ricco ed il cibo del povero, sub indice;EAD., Trattati medici, p. 373.<br />

64<br />

NADA PATRONE, Il consumo del vino, pp. 282-284. Per il ruolo svolto <strong>d<strong>al</strong></strong> colore nella v<strong>al</strong>utazione del<br />

vino: GRIECO, I sapori del vino.<br />

65 CRUZ CRUZ, Claves,p.29;NADA PATRONE, Trattati medici, p. 384.<br />

66 Sull’importanza della dicotomia bianco/rosso nell’immaginario medico, e non solo, medioev<strong>al</strong>e:<br />

M.C. POUCHELLE, Corpo e chirurgia <strong>al</strong>l’apogeo del medioevo, Genova 1990 (Opera, 7) [trad. it<strong>al</strong>iana di Corps<br />

et chirurgie à l’apogée du moyen âge, Paris 1983], pp. 212-216.<br />

67 ARNALDO DA VILLANOVA, Regimen sanitatis, p. 431; CARBONELLI, Il «De sanitatis custodia», pp. 85-88;<br />

MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, pp. 151-153. E, a proposito del grado di invecchiamento,<br />

benché, in riferimento <strong>al</strong>l’età medioev<strong>al</strong>e, si sia soliti considerare già vetus il vino dell’anno<br />

precedente (ARCHETTI, Tempus vindemie, p. 444), va rimarcato come il De flore dietarum, paragrafo 102,<br />

definisca «mediocre» un vino «a duobus annos ad IIII or », «vetus», invece, quello «transiens VII ad<br />

annos». Ulteriore esemplificazione in GIL-SOTRES, Introducción, p. 724.<br />

68 ARNALDO DA VILLANOVA, Regimen sanitatis, p. 431; CARBONELLI, Il «De sanitatis custodia», p.88;<br />

MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, p. 152.<br />

69 CARBONELLI, Il «De sanitatis custodia», pp. 88, 95; MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, p. 152.<br />

70 Di vinum <strong>al</strong>bum, rubeum, subrubeum, niger parla Arn<strong>al</strong>do da Villanova (Regimen sanitatis, p. 431), seguito,<br />

in sostanza, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Albini (De regimine sanitatis, ad esempio p. 88; NADA PATRONE, Il consumo del vino,<br />

p. 282); <strong>al</strong>trettanto parco nell’aggettivazione MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, p. 152, che,<br />

trattando del colore, si limita a distinguere bianco, «negro» e «mezano». Al vino viride, un tipo di<br />

mosto secco, <strong>al</strong>lude il Tractatus de sterilitate, p. 142 (e, quanto <strong>al</strong>l’identificazione, p. 194), laddove consiglia,<br />

per la fertilità, «vinum dulce quod non sit viride», mentre il vino p<strong>al</strong>meum è ricordato nel De vinis<br />

(LATRONICO, I vini medicin<strong>al</strong>i, ad esempio p. 187). I vini <strong>al</strong>bum, nigrum, aureum, rubeum, glaucum, roseum,<br />

citrinum, p<strong>al</strong>meum, sub<strong>al</strong>bidum, infine, sono attestati nel De flore dietarum, paragrafo 102, e, pertanto,<br />

l’ampliamento della casistica sembra qui in parte legato <strong>al</strong>la tradizione orient<strong>al</strong>e, di cui Costantino<br />

Africano si era fatto tramite, anche se – non va dimenticato – la classificazione cromatica proposta<br />

nel Liber dietarum particularium conobbe un successo duraturo, ripresa come fu, <strong>al</strong>la lettera, ancora da<br />

689


690<br />

Il vino nella dietetica<br />

Circa le potenzi<strong>al</strong>ità proprie agli abbinamenti di ciascuna tipologia, v<strong>al</strong>utabili<br />

secondo i parametri medico-dietetici dei quattro elementi e delle qu<strong>al</strong>ità corrispondenti,<br />

possiamo prendere le mosse <strong>d<strong>al</strong></strong> Regimen sanitatis S<strong>al</strong>ernitanum, che,<br />

nella sua stringatezza, ben compendia i possibili giudizi: «si bona vina cupis, haec<br />

quinque probantur in illis, fortia, formosa, fragrantia, frigida, frisca» 72 ; e se «vina<br />

rubentia… naturae sunt v<strong>al</strong>itura» 73 , <strong>al</strong> vinum rubeum, per il cui effetto «venter stipatur,<br />

vox limpida turbificatur» 74 , e <strong>al</strong> vinum nigrum, che «corpus reddit tibi<br />

PIER DE’CRESCENZI, Trattato dell’agricoltura, p. 65 («bianco e nero, che sono semplici, e rosso e aureo,<br />

i qu<strong>al</strong>i sono composti da questi: e sono <strong>al</strong>tri colori intra questi, cioè glauco e roseo, i qu<strong>al</strong>i sono intra<br />

‘l rosso e ‘l bianco: e ‘l p<strong>al</strong>lido e ‘l supp<strong>al</strong>lido, i qu<strong>al</strong>i sono intra l’aureo e ‘l citrino, i qu<strong>al</strong>i tutti in questo<br />

modo si generano»; per i debiti contratti <strong>d<strong>al</strong></strong> de’ Crescenzi nei confronti del Liber dietarum particularium:GAULIN,<br />

Sur le vin, pp. 109, 122-124). Se vogliamo, poi, addentrarci nel dettaglio, il vinum citrinum,<br />

solo per fare un esempio, è ben presente non solo <strong>al</strong>le fonti greche (Dioscoride) e a quelle arabe<br />

o di derivazione islamica, come il Liber Pantegni di H<strong>al</strong>y Abbas (mi rifaccio <strong>al</strong>la relativa scheda della<br />

WEISS ADAMSON, Mediev<strong>al</strong> dietetics, p. 47) e il Tacuinum sanitatis, traduzione latina del Taqwîm as sihha<br />

d’ibn Butlân (Tacuinum sanitatis in medicina. Codex Vindobonensis series nova 2644 della österreichische Nation<strong>al</strong>bibliothek.<br />

Commentario <strong>al</strong>l’edizione in facsimile a cura di F. UNTERKIRCHER, con una prefazione di J.<br />

STUMMVOLL e una nota introduttiva di G. BARBIERI, Roma 1986, p. 120; C. OPSOMER, L’art de vivre en<br />

santé. Images et recettes du moyen âge. Le Tacuinum sanitatis [manuscrit 1041] de la Bibliothèque de l’Université de<br />

Liège, [Liège] 1991, p. 141, che, tra l’<strong>al</strong>tro, mette in ris<strong>al</strong>to <strong>al</strong>cune contraddizioni legate <strong>al</strong>le diverse definizioni<br />

di vinum citrinum e fa notare come l’origin<strong>al</strong>e arabo parli solo di «un vin jaune amer sans plus de<br />

précision»), ma anche ai medici del medioevo occident<strong>al</strong>e (come Bernard de Gordon, citato da GIL-<br />

SOTRES, Introducción, p. 721, o MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, p. 153, che, tuttavia, per<br />

attribuire la supremazia a «il citrino, lo aurelio o gauro» invoca l’autorità di Avicenna). Del vinum citrinum,<br />

che «v<strong>al</strong>de fovet intestinum et langores suffocat», così come del glaucum, che «potatorem facit<br />

raucum et frequenter mingere», tratta, poi, anche l’elogio del vino attribuito a Morando, «magister (...)<br />

qui Padue in gramatica rexit», e tramandato da SALIMBENE DE ADAM, Cronica, I,a. 1168-1249, edidit<br />

G. Sc<strong>al</strong>ia, Turnholti 1998 (Corpus Christianorum. Continuatio mediaev<strong>al</strong>is, 125), pp. 330-331 (versione<br />

it<strong>al</strong>iana: M. MONTANARI, Convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità <strong>al</strong> medioevo, Roma-<br />

Bari 1989 [Storia e società], pp. 332-333; per una tradizione autonoma dei versi, non legata, cioè, <strong>al</strong>la<br />

Cronica: F.NOVATI, Carmina medii ævi, Firenze 1883, pp. 69-70), elogio che, va comunque rimarcato, è<br />

interamente modulato attorno ad espressioni e a categorie medico-dietetiche.<br />

71<br />

MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, p. 151; si tenga, inoltre, conto delle osservazioni della<br />

NADA PATRONE, Trattati medici, pp. 373, 384-385, e Il consumo del vino, pp. 282-283.<br />

72 Regola sanitaria s<strong>al</strong>ernitana,p.29.<br />

73 Ibidem,p.27.<br />

74 Ibidem,p.29.


pigrum» 75 , andranno preferiti i dulcia candida vina, anche perché più nutritivi 76 ;il<br />

vino, comunque, «sit clarumque vetus, subtile, maturum, ac bene lymphatum,<br />

s<strong>al</strong>iens, moderamine sumptum» 77 .<br />

In verità, nella maggior parte dei testi medici medioev<strong>al</strong>i, la casistica è assai<br />

più sottile e puntigliosa 78 , anche se per niente unanime, governata da argomentazioni<br />

fisiologiche e da teorie cinetiche già presenti in nuce nella medicina antica<br />

79 , rielaborate, poi, e portate ad una più completa sistematizzazione <strong>d<strong>al</strong></strong>la scienza<br />

araba 80 . Teorie e argomentazioni che, senza rendere giustizia <strong>al</strong>le innumerevoli<br />

sfumature e distinzioni, qui possiamo ridurre ad unità, in forma molto semplificata:<br />

grazie <strong>al</strong>la sua sostanza c<strong>al</strong>da e sottile, il vino si segn<strong>al</strong>a come potus permixtivus<br />

e delativus, nonché come bonus penetrator, capace, cioè, non solo di essere<br />

immediatamente assorbito <strong>d<strong>al</strong></strong>l’organismo, ma anche di mettere in circolo con<br />

rapidità i principi nutritivi degli <strong>al</strong>imenti e di veicolare <strong>al</strong>le membra c<strong>al</strong>ore, oltre<br />

che, accident<strong>al</strong>iter, umidità. L’incremento del c<strong>al</strong>or innatus così provocato e la forza<br />

attrattiva che il vino esercita sulle diverse parti del corpo innesca, poi, una serie<br />

di reazioni a catena, quasi sempre benefiche, che coinvolgono i processi vit<strong>al</strong>i e<br />

i differenti organi (soprattutto testa, stomaco, fegato, intestino e vie urinarie) e<br />

75 Ibidem,p.32.<br />

76 Ibidem,p.29.<br />

77 Ibidem,p.33.<br />

78 Si veda, ad esempio, l’articolato distinguo operato <strong>d<strong>al</strong></strong> De flore dietarum, paragrafo 102: «Vinum<br />

<strong>al</strong>bum et grossum parum nutrit. Album et subtile satis est dyureticum, c<strong>al</strong>oris natura congruum et<br />

dolorem capitis ex grossis humoribus mitigat, nervos et membra adiuvat» ma «Album et inaquosum<br />

nullam facit mundificacionem», mentre «Vinum citrinum et subtile parum nutrit, tamen c<strong>al</strong>idum est;<br />

citrinum grossum c<strong>al</strong>idissimum est et acutissimum et cito ascendit ad caput; generat ebrietatem si sit<br />

vetus» e «sub<strong>al</strong>bidum apeirt poros et vias venarum perforat et cito eicitur»; invece «Vinum nigrum et<br />

grossum, ponticum, durum est ad digerendum et grossum sanguinem generat. Si iuvenibus detur<br />

ante cibum bonum est… Senioribus ante cibo et post inconveniens est. Nigrum grossum et dulce<br />

non est bonum»; ma «Vinum ruffum laudabilius est ad temperandum et adiungendum sanguinem et<br />

confortandum c<strong>al</strong>orem natur<strong>al</strong>em, si in colore, odore et tempore mediocritas perpendatur… Vinum<br />

grossum, rufum, ponticum minus est utile».<br />

79 Vastissima è ovviamente la bibliografia relativa <strong>al</strong>la dottrina medica classica, in particolare g<strong>al</strong>enica.<br />

Non si prescinda, <strong>al</strong>meno, dagli studi di Luis García-B<strong>al</strong>lester: ad esempio, quelli recentemente<br />

riproposti in G<strong>al</strong>en and g<strong>al</strong>enism. Theory and medic<strong>al</strong> practice from antiquity to the european Renaissance, ed. by<br />

J. Arrizab<strong>al</strong>aga, Aldershot 2002 (Collected studies series, 710). Quanto, poi, <strong>al</strong>le teorie farmacologiche:<br />

A. TOUWAIDE, Strategie terapeutiche: i farmaci, in Storia del pensiero medico occident<strong>al</strong>e, I,Antichità e<br />

medioevo, speci<strong>al</strong>mente pp. 350-363; ID., Vin, santé et médecine, pp. 109-110.<br />

80 GIL-SOTRES, Introducción, pp. 716-725.<br />

691


692<br />

hanno come esito primario l’assorbimento degli umori ed ogni tipo di evacuazione.<br />

Il prev<strong>al</strong>ere, nel vino, di una determinata caratteristica <strong>al</strong>tera, però, t<strong>al</strong>e<br />

equilibrio, o, comunque, imprime ad esso un andamento lievemente diverso. Ad<br />

esempio, la siccitas, che contraddistingue i vini molto invecchiati, può accentuare<br />

le potenzi<strong>al</strong>ità astringenti. La grossitudo, invece, solitamente associata ai vini rossi<br />

e dolci – per quanto non manchino professionisti che, come Maino de Maineriis,<br />

mettono in guardia da facili gener<strong>al</strong>izzazioni 81 – aumenta sì le capacità nutritive,<br />

ma, <strong>al</strong> tempo stesso, rende la bevanda più difficile da sm<strong>al</strong>tire. Se poi la leggerezza,<br />

connotativa soprattutto dei vini bianchi (statisticamente, i più apprezzati),<br />

è troppo accentuata, determina, come effetto, un rapido movimento ascension<strong>al</strong>e,<br />

che va a colpire, negativamente, il capo.<br />

Sulla base di questi principi, le virtù terapeutiche attribuite <strong>al</strong> vino – e come<br />

t<strong>al</strong>e intenderò, qui, solo il fermentato d’uva, non gli omonimi prodotti ottenuti<br />

da <strong>al</strong>tri frutti qu<strong>al</strong>i granatae, morae o citoniae, assai ben attestati sia in cucina, come<br />

sapores, sia nella farmacologia 82 – erano, dunque, numerose e, qu<strong>al</strong>ora la scelta<br />

fosse stata sapiente e ben ponderata, nettamente prev<strong>al</strong>enti sugli effetti indesiderati.<br />

Azione <strong>al</strong>tamente nutritiva e ricostituente, oltre che ematopoietica e<br />

confortativa, proprietà digestive, solutive, diuretiche, lassative, espettoranti, lenitive<br />

ed euforizzanti 83 : questi erano i meriti che, anche sulla scorta dei testi scien-<br />

81 Regimen sanitatis Magnini Mediolanensis,f.76v.<br />

82 Per qu<strong>al</strong>che esempio, senza pretesa di esaustività: TADDEO ALDEROTTI, I “consilia„, pp. 1, 8, 12, 15,<br />

21, 38, 45 (vinum granatorum), 10, 17, 21, 23 (vinum mororum), 12, 13, 16, 17, 23, 38, 46 (vinum citoniorum);<br />

MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, pp. 92, 119, 154; Il trattato ginecologico-pediatrico, p.<br />

81; si vedano, inoltre, NADA PATRONE, Il consumo del vino, p. 291; ARCHETTI, Tempus vindemie, p. 472;<br />

ID., De mensura potus. Il vino dei monaci nel medioevo, in questo volume, pp. 298, 307.<br />

83 Più nel dettaglio, secondo il De flore dietarum, paragrafo 102, non solo «Vinum si mediocre sit et ad<br />

misuram bibatur (...) sanum est» ma «bibitum moderate natur<strong>al</strong>em c<strong>al</strong>orem confortat et augmentat,<br />

coleram rubeam expellit cum sudore et urina, coleram nigram c<strong>al</strong>efaciens et humectans temperat,<br />

solida, dura atque sicca membra ex labore et fatigatione nimia humectat, defectionem tollit egrotis et<br />

vires reducit, corpora pinguescit, virtutem et appetitum confortat, inflationem et ventositatem dissolvit»<br />

e, se «clarum, odoriferum», «generat sanguinem clarum et inundat, cor confortat, animum letificat,<br />

tristiciam et angustiam expellit». Di poco si discosta il Regimen sanitatis Magnini Mediolanensis (f.<br />

74v): «Non solum non impedit nutritionem, immo multum iuvat, quia vinum est maxime nutritivum,<br />

& maxime restaurativum, et velocissime nutrit. Amplius vinum confortat c<strong>al</strong>orem natur<strong>al</strong>em & spiritum,<br />

et totum corpus c<strong>al</strong>efacit, que multum faciunt ad nutritionem (...) et fleuma grossum incidit, et<br />

resolvit ipsum et coleram rubeam cum urina et sudore extrahit, et coleram nigram c<strong>al</strong>efacit & facit exire,<br />

et flectit ipsius nocumentum, et materias coagulatas dissolvit. Amplius ingenium clarificat, iram<br />

compescit, tristiciam removet, gaudium inducit, libidinem incitat et immundicias expellit, audaciam<br />

causat, avariciam fugat, liber<strong>al</strong>itatem inducit (...)». Per Michele Savonarola (Libreto de tutte le cosse, p.


tifici greci e latini, venivano accordati <strong>al</strong>la bevanda dai medici medioev<strong>al</strong>i e che,<br />

in funzione tanto preventiva, quanto profilattica, la segn<strong>al</strong>avano come elemento<br />

chiave nella dieta di sani e di m<strong>al</strong>ati.<br />

Perciò, il vino, pur con le ovvie variabili e le dovute precauzioni, era concesso<br />

sostanzi<strong>al</strong>mente a tutti, senza accentuate distinzioni di sesso e di età. Se infatti i<br />

destinatari per eccellenza della bevanda <strong>al</strong>colica erano gli anziani e i vecchi 84 , con<br />

un temperamento, quindi, freddo e secco, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’assunzione di vino non erano certo<br />

esclusi né le donne, né i bambini, per lo meno stando ai teorizzatori più sensibili<br />

<strong>al</strong>le pratiche comuni. Così, secondo le prescrizioni della cosiddetta Trotula, un<br />

buon regime nutritivo che contemplasse ottimo vino era un corollario indispensabile<br />

per la dieta dimagrante a base di bagni di vapore consigliata <strong>al</strong>la donna «grassa,<br />

quasi idropica» 85 ; il «vino rosso <strong>al</strong>lungato con acqua di mare» e il «vino forte»<br />

sarebbero poi stati un toccasana per le donne affette rispettivamente da ipermenorreae<br />

da amenorrea o ipomenorrea, purché non avessero «m<strong>al</strong> di testa o svenimenti»<br />

e fossero senza febbre 86 , così come «uno sciroppo acetoso e un vino leggero»<br />

avrebbe giovato <strong>al</strong>le nutrici, il cui latte era troppo pesante 87 . Secoli dopo, il<br />

vino, assunto con moderazione e proprietà, continuava ad essere ritenuto parte<br />

integrante della dieta suggerita <strong>al</strong>le nutrici, oltre che <strong>al</strong>le donne in gravidanza e <strong>al</strong>le<br />

puerpere debilitate: lo testimoniano, tra gli <strong>al</strong>tri, i consigli di Giacomo Albini e di<br />

Michele Savonarola 88 , puntu<strong>al</strong>mente rispecchiati nella pratica quotidiana 89 . All’ap-<br />

153), con riferimento <strong>al</strong>la letteratura di derivazione araba (ad esempio, la versione lunga del Tacuinum<br />

sanitatis citata <strong>d<strong>al</strong></strong>la OPSOMER, L’art de vivre, p. 139): «tolto cum temperantia, ha molti zovamenti, dove<br />

B<strong>al</strong>dach ne scrive cinque per lo corpo e cinque per l’anima (...) fa meglio padire (...) Provoca la urina,<br />

fa bon colore, fa bono odore e fortifica il coyto. Per utilità del’anima quella <strong>al</strong>egra, f<strong>al</strong>la ben sperare,<br />

presta audatia, tutte le dispositione del corpo bellifica e la extrema audatia modera».<br />

84<br />

CARBONELLI, Il «De sanitatis custodia», p. 127; si tengano, inoltre, conto di GIL-SOTRES, Le regole della<br />

s<strong>al</strong>ute, p. 434 e, per il regime dietetico proposto ai vecchi, di L. DEMAITRE, The care and extension of<br />

old age in mediev<strong>al</strong> medicine, in Aging and the aged in mediev<strong>al</strong> Europe. Selected papers from the annu<strong>al</strong> Conference<br />

of the Centre of the mediev<strong>al</strong> studies, University of Toronto, held 25-26 february and 11-12 novembrer 1983,<br />

edited by M.M. Sheehan, Toronto 1990 (Papers in mediaev<strong>al</strong> studies, 11), pp. 3-22.<br />

85<br />

TROTULA DE RUGGIERO, Sulle m<strong>al</strong>attie delle donne,p.43.<br />

86 Ibidem, pp. 14 e 12.<br />

87 Ibidem,p.32.<br />

88<br />

CARBONELLI, Il «De sanitatis custodia», pp. 53, 55, 57, 59; Il trattato ginecologico-pediatrico, pp. 70, 81-82,<br />

131-132; 152-154, 162, 164.<br />

89 Si veda, ad esempio, la lettera nella qu<strong>al</strong>e il mercante genovese Giovanni da Pontremoli, a metà<br />

Quattrocento, ricorda «lo vim dolce (...) a Batestina per lo parto» (BALLETTO, Scongiuri e incantesimi,in<br />

693


694<br />

prossimarsi del travaglio, invece, il Savonarola, non senza un velo di lieve ironia,<br />

mette in guardia coloro che avrebbero dovuto prendersi cura della partoriente da<br />

prevedibili recriminazioni («se Ypocrate e li <strong>al</strong>tri medici havesseno pure una volta<br />

suola parturito, mi credo non haverìano puosto t<strong>al</strong> sue regule cussì scarse e subtile<br />

dil manzare e bevere») e, consiglia, perciò, di farle assumere «vino avantaziato»<br />

solo se «puoco per fiata», secondo «una dieta tenue e subtile», «per non la volere<br />

impigozare come se fano le oche» 90 .<br />

Ancora più cauta avrebbe dovuto essere la somministrazione a neonati e a<br />

bambini, perché, per dirla con Avicenna, equiv<strong>al</strong>eva ad «ignem igni addere» 91 .<br />

Ma, anche in questo caso, uno scarto tra teorie mediche consolidate, per quanto<br />

non sempre monocordi 92 , e prassi doveva esistere, se l’Albini, dopo aver ricordato,<br />

appellandosi <strong>al</strong>la tradizione greco-araba, come «vinum (...) apud antiquos<br />

philosophos et medicos non conceditur in hac etate», cioè ai bambini tra i sette<br />

e i quattordici anni, è costretto ad ammettere che «aput nos non est consuetum<br />

quod tot<strong>al</strong>iter abstineant», e per tanto a consentire che «bibant vinum debile<br />

multum limfatum, hora comestionis solum», quantunque «vinum modicam utilitatem<br />

in eis operatur et multum nocumentum inducit» 93 . Lo stesso Savonarola,<br />

EAD., Medici e farmaci, p. 147); ulteriore conferma, per quel che riguarda il vino corrisposto <strong>al</strong>le nutrici,<br />

in G. PICCINNI,L.VIGNI, Modelli di assistenza ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>iera tra medioevo ed età moderna. Quotidianità, amministrazione,<br />

conflitti nell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di Santa Maria della Sc<strong>al</strong>a di Siena,in La società del bisogno. Povertà e assistenza<br />

nella Toscana mediev<strong>al</strong>e, a cura di G. Pinto, Firenze 1989 (Quaderni di storia urbana e rur<strong>al</strong>e, 11), p.<br />

154, dove si apprende che la razione giorn<strong>al</strong>iera di vino solitamente riservata <strong>al</strong>le b<strong>al</strong>ie rasentava i 7<br />

decilitri. Per l’<strong>al</strong>imentazione di donne in gravidanza e puerpere: S. LAURENT, Naître au moyen âge. De<br />

la conception à la naissance: la grossesse et l’accouchement (XII e -XV e siècle), Paris 1989, pp. 126-130 e 209-210,<br />

ripreso da LAURIOUX, Manger au moyen âge, pp. 177-178.<br />

90 Il trattato ginecologico-pediatrico, pp. 109-110. Moderazione nell’assunzione di vino è raccomandata<br />

anche <strong>al</strong>la donna che soffre «propter suffocacionem matricis» («non bibat vino sine aqua») nel Tractatus<br />

de sterilitate, p. 104.<br />

91 AVICENNA, Liber canonis, Venetiis 1507 [reprografischer Nachdruck, Hildesheim 1964], f. 61r.<br />

92 Circa le divergenti opinioni mediche sull’argomento, GIL-SOTRES, Introducción, pp. 727-728. Allo stesso<br />

modo, non doveva esservi unanimità in merito <strong>al</strong>la pratica di bagnare «non in aqua, ma in vino… i fanzuoleti»,<br />

come si evince da Il trattato ginecologico-pediatrico, p. 141, dove il Savonarola, dopo aver riferito che<br />

«Avicena, Raxis, G<strong>al</strong>ieno e tuti li auctori antichi, apresso la pratica comuna» preferiscono il bagno d’acqua,<br />

mentre «dicono <strong>al</strong>quanti che per lo bagno de vino negro, i membri lassati e fessi meglio se confortano,<br />

et anche meglio se remove la frigidità da l’aere recevuta nel suo ussire dil ventre», conclude «quello<br />

di aqua essere megliore; che quello del vino è troppo resolutivo, e cum suo forte vapore è caxuone di<br />

offendere notabelmente il capo suo, e quello rendere più passibile quanto de l’aere extrinseco».<br />

93<br />

CARBONELLI, Il «De sanitatis custodia», p. 63 (nel passo edito <strong>al</strong>le precedenti pp. 60-61, l’Albini si era<br />

occupato dei lattanti) e NADA PATRONE, Trattati medici, p. 373.


del resto, ammette, già per lo svezzamento, «pane moiato nel vino aquato», limitandosi<br />

a stigmatizzare una divergenza d’uso, interpretata secondo una chiave di<br />

lettura sociologica: «la supa in vino molto adaquato giè molto buona, et è pur<br />

pratica comuna, speti<strong>al</strong>iter fra le poverete. La qu<strong>al</strong>e pratica corumpe le riche,<br />

dendogie il pane in supa di buon vino, dicendo che ie fa fare buon capo e che è<br />

contra i vermi. O matazuolle (...) t<strong>al</strong> uxo seguita le febre da puo’, e di quella date<br />

la caxuone ad <strong>al</strong>tro» 94 ; mentre non ha problemi nel consentire vino ai minori di<br />

sette anni, purché «sempre quello bevano picolo, temperato più o meno secondo<br />

la forteza di quello e secundo la età (...), che i mazuori puono bevere men<br />

adaquato» 95 . Ed «una dieta c<strong>al</strong>da e liquida» a base di «buon vino non troppo rosso»<br />

era già stata raccomandata nel De passionibus mulierum per ritemprare i neonati<br />

«con qu<strong>al</strong>che membro più grande dell’<strong>al</strong>tro», sottoposti, pertanto, a cure defatiganti<br />

96 , così come, sempre seguendo le ricette accreditate a Trotula, per bimbi<br />

tormentati da tosse acuta sarebbe stato di grande utilità un decotto di vino, issopo<br />

e serpillo, oppure del vino in cui erano stati stemperati grani di ginepro 97 .<br />

Alle proprietà toniche e corroboranti del fermentato d’uva, vero e proprio<br />

<strong>al</strong>imento («cibus & potus» 98 ), faceva, del resto, appello anche Arn<strong>al</strong>do da Villanova<br />

quando, nel De esu carnium, lo consigliava ai m<strong>al</strong>ati in sostituzione della carne,<br />

argomentando così il regime ascetico vegetariano proposto ai certosini e<br />

coniugando principi dietetici con istanze di riforma religiosa 99 . In quanto ricostituente<br />

e, soprattutto se rosso, assimilabile <strong>al</strong> sangue, il vino era poi raccomandato<br />

a tutti coloro che si dovevano sottoporre <strong>al</strong>la flebotomia 100 , terapia che ai tem-<br />

94 Il trattato ginecologico-pediatrico, pp. 157-158. Per l’abitudine di nutrire i bambini, già durante lo svezzamento,<br />

con brodo preparato a base di vino: GIL-SOTRES, Le regole della s<strong>al</strong>ute, p. 430; ID., Introducción,<br />

p. 727; LAURIOUX, Manger au moyen âge, p. 155; più in gener<strong>al</strong>e, sul regime <strong>al</strong>imentare infantile: D.<br />

ALEXANDRE-BIDON et M. CLOSSON, L’enfant à l’ombre des cathédr<strong>al</strong>es, Lyon 1985, pp. 112-149.<br />

95 Il trattato ginecologico-pediatrico, p. 159.<br />

96 TROTULA DE RUGGIERO, Sulle m<strong>al</strong>attie delle donne,p.31.<br />

97 Ibidem,p.39.<br />

98 Così, ad esempio, il Regimen sanitatis Magnini Mediolanensis,f.79v.<br />

99 D.M. BAZELL, De esu carnium: Arn<strong>al</strong>d of Villanova’s defence of Carthusian abstinence,in Actes de la I Trobada,<br />

pp. 233, 238, 246-247. Per l’applicazione di categorie medico-dietetiche nelle regole e nelle consuetudini<br />

monastiche: ARCHETTI, De mensura potus, pp. 208-231, 247, 276-279, 287-289.<br />

100 Regola sanitaria s<strong>al</strong>ernitana, p. 81; si veda anche, in merito, L. GOUGAUD, La pratique de la phlébotomie<br />

dans les cloîtres, «Revue Mabillon», 14 (1924), p. 10; per l’uso monastico di questa profilassi, cfr.<br />

ARCHETTI, De mensura potus, pp. 235, 263, 272, 276, 277.<br />

695


696<br />

pi godeva di particolare favore, poiché, sulla base delle teorie umor<strong>al</strong>i, si reputava<br />

necessario estrarre il sangue in eccesso e purificare così gli umori guasti.<br />

In questi accordi, a prima vista uniformi, non mancavano posizioni più sfumate,<br />

speci<strong>al</strong>mente <strong>al</strong>lorché era giocoforza adeguare convinzioni già di per sé<br />

non univoche a un evento assolutamente imprevisto, come poteva risultare il<br />

contagio pestilenzi<strong>al</strong>e. È, del resto, un senso di impotenza che trapela <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

cosiddette Pestschriften, dove – come hanno sottolineato la Crisciani e la Agrimi –<br />

la parte terapeutica e farmacologica poteva essere sintetica e stereotipata (perché<br />

niente, di fatto, serviva a vincere l’epidemia); oppure, <strong>al</strong> contrario, inutilmente<br />

esuberante (perché tutto avrebbe potuto essere efficace) 101 .<br />

Così, per quel che riguarda le possibilità preventive del vino, le teorie mediche<br />

oscillavano, accentuando ora il carattere ricostituente, ora le potenzi<strong>al</strong>ità<br />

antisettiche, benché, a lungo andare, abbia prev<strong>al</strong>so quest’ultimo orientamento<br />

102 . Ascoltiamo, in merito, le parole di Tommaso del Garbo, secondo il qu<strong>al</strong>e,<br />

in tempo di epidemia, è cosa raccomandabile bere, durante il pasto, vino «brusco,<br />

overo piccolo di buon odore e sapore», non «grosso, né turbo (...) però che<br />

l’uso de’ vini grossi e dolci è cosa generativa di molti e grossi omori», e, speci<strong>al</strong>mente<br />

nelle stagioni fredde e umide, «usare a bere un poco di m<strong>al</strong>vagia o vernaccia,<br />

o <strong>al</strong>tro buono vino bianco con una fettuccia di pane arrostito in uno bicchiere<br />

di vino la mattina innanzi che l’uomo eschi di casa» per «restrignere la<br />

m<strong>al</strong>izia dell’aria» 103 , dove, secondo le teorie mediche più diffuse 104 , si annidavano<br />

i miasmi pestiferi. Anzi, il vino può rappresentare una v<strong>al</strong>ida <strong>al</strong>ternativa <strong>al</strong>la teriaca,<br />

ossia a quel complesso polifarmaco ad efficacia univers<strong>al</strong>e, tanto in voga<br />

101 AGRIMI,CRISCIANI, Les consilia médicaux, pp. 37-38.<br />

102 ANDREOLLI, Un contrastato connubio, p. 1039.<br />

103<br />

TOMMASO DEL GARBO, Consiglio contro a pistolenza, p. 33; a ulteriore riprova della vasta fortuna mantenuta<br />

da questi testi, mette qui conto sottolineare che le raccomandazioni del Del Garbo sono riecheggiate,<br />

quasi puntu<strong>al</strong>mente, nelle note, di oltre mezzo secolo più tarde, destinate <strong>d<strong>al</strong></strong> mercante fiorentino<br />

Giovanni Morelli <strong>al</strong> proprio figlio (Ricordi, a cura di V. Branca, Firenze 1956, pp. 287-301).<br />

104 In merito <strong>al</strong>le congetture mediche sulla peste nel medioevo: J. HENDERSON, La peste nera a Firenze:<br />

le risposte mediche e comun<strong>al</strong>i,in L’arte di guarire. Aspetti della professione medica tra medioevo ed età contemporanea,<br />

a cura di M.L. Betri e A. Pastore, Bologna 1993, pp. 11-17; M. NICOUD, Médicine, prévention et santé<br />

publique en It<strong>al</strong>ie à la fin du moyen âge, in Religion et société urbaine au moyen âge. Études offertes à Jean-Louis<br />

Biget par ses anciens élèves, réunies par P. Boucheron et J. Chiffoleau, Paris 2000 (Histoire ancienne et<br />

médiév<strong>al</strong>e, 60), pp. 483-494, <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e rinvio anche per l’ulteriore bibliografia specifica.


durante l’intera età medioev<strong>al</strong>e 105 : così per chi non abbia «preso l’otriaca», «ogni<br />

mattina innanzi che (...) eschi di casa (...) è utile a prendere la detta fetta di pane<br />

nel vino, e poi aspettare il desinare infino che quella sia patita» 106 . Prescrizione,<br />

quest’ultima, particolarmente raccomandata <strong>d<strong>al</strong></strong> medico fiorentino a coloro che<br />

devono entrare in contatto con gli appestati (preti e notai, ad esempio): «innanzi<br />

ch’eglino entrino in camera, mangino due fette di pane infuse in un bicchiere<br />

di buono vino, e quello vino bea», e, natur<strong>al</strong>mente, la mattina stessa «prenda una<br />

midolla di pane inzuppata in ottimo vino, il pane mangi e il vino bea» 107 .<br />

Sani e m<strong>al</strong>ati potevano, poi, usufruire dei benefici effetti operati sull’apparato<br />

digerente <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, che si segn<strong>al</strong>ava, tra l’<strong>al</strong>tro, come rimedio sicuro contro le<br />

nausee, speci<strong>al</strong>mente durante i viaggi per mare 108 , ma che, au contraire, per le sue<br />

proprietà evacuanti, e solo se assunto in dosi massicce, poteva essere somministrato<br />

anche come vomitivo 109 . Essendo, poi, bevanda c<strong>al</strong>da e secca, quanto <strong>al</strong>le<br />

qu<strong>al</strong>ità primarie 110 , era particolarmente adatto ad essere abbinato a cibi freddi,<br />

umidi e ‘acquosi’ – quindi più difficili da assimilare o, addirittura, virtu<strong>al</strong>mente<br />

105 Sulla scorta della tradizione aveva già paragonato il vino <strong>al</strong>la «tyriaca» anche il De vinis (LATRONI-<br />

CO, I vini medicin<strong>al</strong>i, ad esempio pp. 188, 194); per qu<strong>al</strong>che cenno storico sul noto polifarmaco: J.-P.<br />

BÉNÉZET, Pharmacie et médicament en Méditerranée occident<strong>al</strong>e (XIIe-XVIe siècles), Paris 1999 (Sciences,<br />

techinques et civilisations du moyen âge à l’aube des Lumières, 3), pp. 675-680.<br />

106<br />

TOMMASO DEL GARBO, Consiglio contro a pistolenza, pp. 33-34.<br />

107 Ibidem, p. 23.<br />

108 Regola sanitaria s<strong>al</strong>ernitana,p.36;NADA PATRONE, Il consumo del vino, p. 290.<br />

109 Il trattato ginecologico-pediatrico, pp. 97-98: «(la pregnante) può cercar di fare vomito con il bere del<br />

vino dolze, come facea Iacomo da Forlì, mio doctore di medicina monarca, bevendone una grande<br />

engistara e meza <strong>al</strong> tracto».<br />

110 Si veda, in proposito, le tavole messe a punto <strong>d<strong>al</strong></strong> FLANDRIN, Chronique de Platine, p. 132, e, soprattutto,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> LAURIOUX, Manger au moyen âge, p. 140, <strong>d<strong>al</strong></strong>le qu<strong>al</strong>i si evince che nel Tacuinum sanitatis il vino<br />

è definito c<strong>al</strong>do e secco, c<strong>al</strong>do <strong>al</strong> secondo grado e secco <strong>al</strong> terzo, se vecchio, c<strong>al</strong>do e secco <strong>al</strong> secondo<br />

grado, se giovane. Più dettagliatamente, testo <strong>al</strong>la mano, il «vinum <strong>al</strong>bum novum», il «vinum<br />

rubeum grossum», il «vinum citrinum acutum» sono contraddistinti da una «complexio c<strong>al</strong>ida et sicca<br />

in 2°», mentre del «vinum vetus odoriferum» è propria una «complexio c<strong>al</strong>ida in 2°, sicca in 3°»<br />

(Tacuinum sanitatis in medicina, pp. 119-120; OPSOMER, L’art de vivre, pp. 139-141). Le possibilità,<br />

comunque, erano differenziate. Secondo il De flore dietarum, paragrafo 102, ad esempio, «vinum<br />

recens c<strong>al</strong>idum est in primo gradu. Vetus (...) c<strong>al</strong>idum in IIIIto gradu. Mediocre (...) c<strong>al</strong>idum in secundo<br />

gradu», mentre MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, p. 151, così puntu<strong>al</strong>izza la versione<br />

tradizion<strong>al</strong>e: «Dicono Ypocrate G<strong>al</strong>ieno Dyascorides univers<strong>al</strong>mente el vino c<strong>al</strong>do essere e secco nel<br />

secundo, che credo doverse intendere del mezano e di mezana potentia. Ma lo musto c<strong>al</strong>do in primo,<br />

il vechio c<strong>al</strong>do et secco in tertio».<br />

697


698<br />

nocivi – come carne suina e pesce 111 , panìco e legumi 112 , castagne, pere, pesche,<br />

prugne, zucche e, soprattutto, meloni 113 . Certo, come Maino de Maineriis 114 , ci si<br />

poteva legittimamente interrogare su qu<strong>al</strong>e fosse il momento più adatto per bere<br />

vino, se, cioè, prima, durante, o dopo i pasti, e se davvero fosse sano accompagnarlo<br />

a «m<strong>al</strong>is cibis & fructibus», <strong>d<strong>al</strong></strong> momento che, essendo «potus delativus»,<br />

avrebbe reso ancor più rapida la trasmissione <strong>al</strong>le membra della «m<strong>al</strong>icia ciborum».<br />

Il de Maineriis risolve facilmente quest’ultimo empasse: se consumato a piccole<br />

dosi, il vino «corriget m<strong>al</strong>iciam ciborum & digestionem confortabit» 115 .Ma<br />

richiamare l’attenzione sulla capacità «permixtiva» e «delativa» del vino, equiv<strong>al</strong>e<br />

ad associarlo indissolubilmente <strong>al</strong> cibo. Diviene, perciò, inevitabile raccomandare:<br />

«stomacho vacuo (...) nullomodo bibatur vinum», anche perché la sete «vera<br />

& natur<strong>al</strong>is», che il vino potrebbe spegnere, è quella che insorgerebbe «propter<br />

estuationem factum a cibo preassumpto». Né potrebbe essere buona cosa bere<br />

tra due pasti, «cibo sumpto adhuc in stomacho non digesto». L’ide<strong>al</strong>e, pertanto,<br />

è bere <strong>al</strong>la fine dell’intero processo digestivo, o, meglio ancora, «simul cum<br />

cibo» 116 , «completa prima digestione & parum ante horam suscipiendi <strong>al</strong>ium<br />

cibum sequentem», con l’ulteriore accortezza di far precedere i vini più forti e<br />

stomachici dai più deboli.<br />

Il minimo comune denominatore avrebbe dovuto essere, sempre, comunque<br />

e, ancora una volta su ispirazione dei testi greco-arabi 117 , la moderazione, la<br />

111 De flore dietarum, paragrafo 102; ARNALDO DA VILLANOVA, Regimen sanitatis, pp. 458-459; Regola sanitaria<br />

s<strong>al</strong>ernitana,p.38.<br />

112<br />

ARNALDI DE VILLANOVA Regimen sanitatis, p. 440; MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse,pp.<br />

66-67.<br />

113<br />

ARNALDO DA VILLANOVA, Regimen sanitatis, pp. 444, 446; Regola sanitaria s<strong>al</strong>ernitana, pp. 38, 47;<br />

MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, pp. 90-91, 93, 102, 187-188; De regenda sanitate, pp. 88,<br />

97, 104, 105 e BALLETTO, Dieta e gastronomia, pp. 206, 209, 214. Rinvio, inoltre, a FLANDRIN, Chronique<br />

de Platine, pp. 123-129.<br />

114 Regimen sanitatis Magnini Mediolanensis, f. 75r; si veda, poi, GIL-SOTRES, Introducción, p. 726.<br />

115 Ibidem, f. 75; più o meno sulla stessa lunghezza d’onda, l’Albini (CARBONELLI, Il «De sanitatis custodia»,<br />

pp. 103-105), il Savonarola (Libreto de tutte le cosse, pp. 187-188), l’Oderico (De regenda sanitate,pp.<br />

104-105).<br />

116 Ibidem, f. 75; sostanzi<strong>al</strong>mente d’accordo, l’Albini (CARBONELLI, Il «De sanitatis custodia», p.96),il<br />

Savonarola (Libreto de tutte le cosse, pp. 180-182) e l’Oderico (De regenda sanitate, pp. 99-100, 102, 103).<br />

Il Savonarola, in particolare, prospettando pro e contro, riassume i termini di quella che, ai suoi tempi,<br />

sembra essere una questione assai dibattuta.<br />

117<br />

GIL-SOTRES, Le regole della s<strong>al</strong>ute, p. 421.


‘misura’ 118 . A qu<strong>al</strong>e quantità di vino corrispondesse poi, in concreto, questa<br />

‘misura’, quasi sempre lo ignoriamo 119 : sono pochi, infatti, i trattatisti che, come<br />

Maino de Maineriis, entrano nel dettaglio, precisando: «quantitas autem mediocris<br />

potus, quem homo habet recipere in mensa ad sitim sedandum et ad cibi permixtionem,<br />

est quattuor librarum minutarum» 120 .<br />

È cosa sicura, invece, che la ‘misura’ venisse abbondantemente oltrepassata.<br />

Non si spiegherebbero, <strong>al</strong>trimenti, né l’insistita precisione con cui i medici<br />

descrivono, secondo una sequenza pressoché topica, gli effetti immediati e devastanti<br />

su cervello e nervi (par<strong>al</strong>isi, epilessia, apoplessia, perdita della vista, tremori,<br />

spasmi, idiozia 121 ), oltre che i deficit (diminuzione della fertilità 122 , nonostante<br />

il vino sia simbolo della facoltà generativa; invigorimento della lebbra 123 ) connessi<br />

ad un eccessivo consumo di vino, né le numerose prescrizioni volte ad<br />

attutire gli effetti delle sbornie 124 . Ai regimi <strong>al</strong>imentari iper<strong>al</strong>colici dei ceti emi-<br />

118 NADA PATRONE, Trattati medici, pp. 384-388, ed EAD., Il consumo del vino, pp. 285, 293-294.<br />

119 NADA PATRONE, Il consumo del vino, p. 293; LORCIN, Les usages du vin,p.81.<br />

120 Regimen sanitatis Magnini Mediolanensis,f.47v.<br />

121 De flore dietarum, paragrafo 102: «neglecta ration<strong>al</strong>i circuscriptione si bibatur, vel usque ad ebrietatem,<br />

generat mentis turbationem, stulticiam, apoplexiam, epilepsiam, par<strong>al</strong>isim, tremorem, spasmum<br />

et similia»; Regimen sanitatis Magnini Mediolanensis, f. 75r, soffermandosi maggiormente sui risvolti<br />

comportament<strong>al</strong>i e mor<strong>al</strong>i dell’ubriachezza: «si indebite exhibeatusque ad ebrietatem, rationem ration<strong>al</strong>is<br />

anime & lumen extinguit, & virtutem besti<strong>al</strong>em irrationabilem inducit, concupiscibilem & irascibilem<br />

confortat, & rationi inobedientem reddit. Et sic remanet corpus sicut navis in mari sine<br />

gubernante, propter quod favet cui non est favendum, & laudat quod non est laudandum. Et interdum<br />

facit loqui pessima cum ira & superflua superbia, & fin<strong>al</strong>iter facit operari pessima, puta adulteria<br />

& turpissima homicidia. Amplius indebite sumptum cerebrum & nervos mirabiliter ledit, &<br />

par<strong>al</strong>ysim, & stuporem, & ceteras humor<strong>al</strong>es egritudines inducit»; CARBONELLI, Il «De sanitatis custodia»,<br />

pp. 95-96: «immoderate acceptum epati cerebro et menti nocumentum facit, tremores quoque<br />

membrorum atque spasmum necnon par<strong>al</strong>ipsim et apoplesiam atque mortem subitaneam»; MICHE-<br />

LE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, p. 153: «quando è immoderatamente bevuto, depone<br />

de sede la rasone e di homo fa bestia deventare. E pur se non ebria, l’uso de quello immoderato<br />

induce la par<strong>al</strong>isia, epilensia, apoplexia, fa perdere la vista». Ulteriore esemplificazione in GIL-<br />

SOTRES, Introducción, pp. 729-731.<br />

122 Il trattato ginecologico-pediatrico, pp. 9-10.<br />

123 Per l’associazione lebbra/vino, considerato, quest’ultimo, come equiv<strong>al</strong>ente del sangue: F.O.<br />

TOUATI, M<strong>al</strong>adie et société au moyen âge. La lèpre, les lépreux et les léproseries dans la province ecclésiastique de Sens<br />

jusqu’au milieu du XIV e siècle, Paris-Bruxelles 1998 (Bibliothèque du moyen âge, 11), p. 120.<br />

124 Regola sanitaria s<strong>al</strong>ernitana, p. 35 («s<strong>al</strong>via cum ruta faciunt tibi pocula tuta»); si vedano, inoltre, NADA<br />

PATRONE, Il consumo del vino, p. 285, e GIL-SOTRES, Introducción, pp. 731-732.<br />

699


700<br />

nenti, poi, potrebbe essere legata, seppur non univocamente, la diffusione di<br />

<strong>al</strong>cune patologie, come la cirrosi epatica o le m<strong>al</strong>attie ‘coleriche’ 125 .<br />

Certo, si potrà obiettare che, nonostante i continui inviti <strong>al</strong>la sobrietà, fossero<br />

gli stessi professionisti della medicina ad avviare molti dei loro pazienti <strong>al</strong>l’etilismo<br />

126 . Tuttavia, non va dimenticato che gli effetti collater<strong>al</strong>i del fermentato<br />

d’uva erano quasi sempre doviziosamente elencati 127 e che, se il consumo di vino<br />

era vivamente consigliato in numerose patologie 128 , in <strong>al</strong>tre (come durante gli stati<br />

febbrili 129 ) era ammesso con parsimonia o completamente abolito <strong>d<strong>al</strong></strong>la dieta<br />

dell’infermo 130 . Con qu<strong>al</strong>i margini di successo, lo possiamo intuire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’emblematica<br />

rappresaglia messa in atto da Francesco Sforza, che, in una lettera del 25<br />

luglio 1460 131 , rivolgendosi <strong>al</strong>la moglie, Bianca Maria, appena rimessasi da uno<br />

«strectore del pecto con dolore del stomaco», le suggerisce di «far vetare ancora<br />

a loro – cioè ai medici – quelle cose che gli sonno in appetito (...), facendoli<br />

ancora stare uno giorno senza bevere vino como facessemo nuy fare questi dì<br />

passati a maestro Gasparro nostro, quando era am<strong>al</strong>ato, che li facessemo vetare<br />

el vino et de l’<strong>al</strong>tre cose che gli andavano per apetito, per farlo provare quello che<br />

fa a nuy quando habiamo qu<strong>al</strong>che m<strong>al</strong>e».<br />

125 A.M. NADA PATRONE, Gli uomini e le loro m<strong>al</strong>attie nel tardo medioevo (da tre testi medici pedemontani), «Studi<br />

piemontesi», 11 (1982), p. 81.<br />

126<br />

NADA PATRONE, Il consumo del vino, pp. 294-295.<br />

127<br />

MICHELE SAVONAROLA, Libreto de tutte le cosse, p. 153: «il nuoce <strong>al</strong> figato, induce il fluxo epatico,<br />

sconfia el corpo, difficile da padire, induce cattivi somni, genera collera assai. E l’antiquo nuoce <strong>al</strong><br />

capo, facendolo dolere e s’el gy’è negro (...) è cattivo <strong>al</strong> stomeco, inflativo stiptico e somegianti».<br />

128 Per un limitato campionario, che ulteriori esempi potrebbero ampliare e sfumare notevolmente:<br />

NADA PATRONE, Il consumo del vino, p. 295.<br />

129 PETRI MUSANDINI MAGISTRI SALERNITANI Tractatulus, p. 409, per quanto, significativamente, poco<br />

oltre (p. 410) la proibizione del vino venga <strong>al</strong>quanto sfumata: «Potus tercianorum debet esse ptisana<br />

infrigidata zuccarisata (...). Si vero egrotus non potest bibere tysanam bibat vinum limphatum vel<br />

vinum cum succo granatum percolatum» (entrambi i passi, tuttavia, non dovrebbero essere accreditati<br />

<strong>al</strong> Musandino, bensì <strong>al</strong> copista tedesco del notissimo codice di Breslavia, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e attinge l’edizione<br />

proposta nella Collectio s<strong>al</strong>ernitana).<br />

130 NADA PATRONE, Trattati medici, pp. 387-389.<br />

131 Segn<strong>al</strong>ata da M. NICOUD, Les pratiques diététiques à la cour de Francesco Sforza, in Scrivere il medioevo. Lo<br />

spazio, la santità, il cibo: un libro dedicato ad Odile Redon, a cura di B. Laurioux e L. Moulinier-Brogi, Roma<br />

2001 (I libri di Viella, 28), p. 401. Per lo scarto tra teoria e prassi quotidiana, si veda anche NADA<br />

PATRONE, Il consumo del vino, p. 294, mentre per l’insistito, quasi topico accento posto dai medici<br />

medioev<strong>al</strong>i sulla ghiottoneria dei propri contemporanei: GIL-SOTRES, Le regole della s<strong>al</strong>ute, pp. 421-422.


Ai medici, dunque, spesso non restava <strong>al</strong>tro da fare che accettare lo stato<br />

delle cose e giungere a un compromesso. Così, a cav<strong>al</strong>lo tra XIV e XV secolo,<br />

rivolgendosi ad Averardo de’ Medici, affetto da «passione catarr<strong>al</strong>e», Ugolino da<br />

Montecatini, pur consapevole che «ongni vino è contrario <strong>al</strong> catarro perché molto<br />

offende il capo, et perché è fummoso per sé; et fa molti fummi s<strong>al</strong>lire» e che<br />

«nella cura del catarro, sì per la natura della ‘nfermità, sì per le cose consequenti<br />

(...), si vorrebeno i vini <strong>al</strong> tucto lassare», deve ammettere che «ora questo non è<br />

ad l’età nostra possibile per la mirabile consuetudine aviamo a’ vini». Non se la<br />

sente, pertanto, di negare <strong>al</strong>l’illustre paziente, cugino di Cosimo, la gradita<br />

bevanda: gli basti «sapere quanto il vino è inimico di questa infermità». Anzi,<br />

«perché il vino bianco» gli «sia più contrario, non è però che ad l’entrare della<br />

taula» non ne possa «bere uno mezzo bicchieri», speci<strong>al</strong>mente se «tribiani non<br />

molto grandi» 132 .<br />

Il vino nella chirurgia e nella farmacopea<br />

Il vino, tuttavia, secondo la letteratura medica medioev<strong>al</strong>e, non esaurisce le sue<br />

potenzi<strong>al</strong>ità nella sfera <strong>al</strong>imentare. Com’era, del resto, facilmente prevedibile,<br />

esso trovò ampio spazio nel trattamento delle ferite, superfici<strong>al</strong>i o gravi che fossero.<br />

Il ricorso <strong>al</strong>le sue proprietà di agente prosciugante, in sé e per sé non innovativo,<br />

può, anzi, essere considerato una cifra distintiva, un manifesto, quasi, delle<br />

teorie chirurgiche propugnate da Henri de Mondeville, che, a suo dire, in reazione<br />

ai tradizion<strong>al</strong>i metodi suggeriti da Ruggero e Rolando, ma sulla scorta di<br />

132 BALDASSERONI e DEGLI AZZI, Consiglio medico, p. 145; in merito <strong>al</strong>la stima (anche economica) di cui<br />

godevano i bianchi trebbiani nella Toscana quattrocentesca: D. BALESTRACCI, Il consumo del vino nella<br />

Toscana bassomediev<strong>al</strong>e,in Il vino nell’economia e nella società, pp. 13-29; ID., La produzione e la vendita del vino<br />

nella Toscana mediev<strong>al</strong>e, in Vino y viñedo en la Europa mediev<strong>al</strong>. Actas de las Jornadas en Pamplona, los dias 25<br />

y 26 de enero de 1996, textos reunidos por F. Miranda García, Pamplona 1996, pp. 39-54. Già nelle prescrizioni<br />

dell’Alderotti (I “consilia”, pp. 8, 13-14, 20-21, 42) si possono contare frequenti eccezioni <strong>al</strong>la<br />

tot<strong>al</strong>e astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, per quanto presentate come inevitabili ripieghi: «Potus ipsius, si foret possibile,<br />

debet esse melicratum aut iuleb aut nectar; tamen si non est possibile sine vino esse, utatur<br />

vino veteri, subtili, claro, in modica quantitate, adaquato cum aqua in qua extinguitur c<strong>al</strong>ibs ignitus»,<br />

«caveat sibi a vino (...). Item si a vino cavere non potest, utatur vino debili, grosso, adaquato cum<br />

aqua rosata vel cum agresta vel cum julep», «potus eius, si fuerit possibile, sit melicratum (...). Tamen<br />

si non est possibile sine vino esse, utatur vino veteri, claro, subtili, adaquato», «utatur vino bono (...)<br />

et melius erit ut non utatur vino, sed melicrato aut iulep».<br />

701


702<br />

Guglielmo da S<strong>al</strong>iceto, di Lanfranco di Milano, e, soprattutto, di Ugo da Lucca e<br />

di Teodorico da Lucca, assegnava <strong>al</strong> vino una considerevole preminenza nella<br />

dietae nella medicazione dei feriti 133 . Nel vino c<strong>al</strong>do doveva essere tenuta immersa<br />

la ferita, dopo essere stata delicatamente detersa, così come sempre con vino<br />

c<strong>al</strong>do dovevano essere inumidite le bende che l’avrebbero dovuta fasciare.<br />

Altrettanto successo il vino riscosse come veicolo, solvente e coadiuvante in<br />

quelle medicine officin<strong>al</strong>i complesse, ad uso interno ed esterno, che, su larga sc<strong>al</strong>a,<br />

la farmacopea medioev<strong>al</strong>e aveva ereditato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità classica greco-latina<br />

134 . Pur nell’accentuata diversità di tenore, di consapevolezza tecnico-scientifica<br />

e di destinatari, ricette trascritte nei consilia e nei trattati medici 135 , reperibili<br />

nelle raccolte medico-farmacopeiche 136 , o sopravvissute nelle fonti farmaceuti-<br />

133 M. MCVAUGH, Strategie terapeutiche: la chirurgia,in Storia del pensiero medico occident<strong>al</strong>e,I,Antichità e medioevo,<br />

pp. 390-391; qu<strong>al</strong>che esempio, tratto da Guglielmo da S<strong>al</strong>iceto e Teodorico, anche in LATRONICO, I<br />

vini medicin<strong>al</strong>i, p. 88; per Bruno da Longoburgo: TABANELLI, Un chirurgo it<strong>al</strong>iano, pp. 32-33, 53, 57.<br />

134 Sulla farmacologia nel medioevo, <strong>al</strong>la bibliografia citata <strong>al</strong>la nota 14, si aggiungano le notizie rintracciabili<br />

in G. CONCI, Pagine di storia della farmacia, Milano 1934; A. BENEDICENTI, M<strong>al</strong>ati, medici e farmacisti.<br />

Storia dei rimedi traverso i secoli e delle teorie che ne spiegano l’azione sull’organismo, I, Milano 19472 , speci<strong>al</strong>mente<br />

pp. 275-550, i sintetici profili tracciati da G. PENSO, La medicina medioev<strong>al</strong>e, [Saronno] 19912 ,<br />

pp. 395-428; TOUWAIDE, Strategie terapeutiche, speci<strong>al</strong>mente pp. 363-365, e, soprattutto, l’introduzione<br />

di M.R. MCVAUGH a ARNALDO DA VILLANOVA, Opera medica omnia, II, Aphorismi de gradibus, edidit et<br />

praefatione et commentariis anglicis instruxit M.R. McVaugh, Granada-Barcelona 1975.<br />

135 Una scelta di ricette che prevedono l’impiego di vino nella confezione o per l’assunzione di un<br />

medicin<strong>al</strong>e: ROGERII MEDICI CELEBERRIMI Chirurgia, pp. 432-433 (fomento per il trattamento delle<br />

ferite <strong>al</strong>la testa e empiastro an<strong>al</strong>gesico), 434 (fomento maturativo per i tumori), 446 (decotto per i<br />

tumori <strong>al</strong>le gengive); TABANELLI, Un chirurgo it<strong>al</strong>iano, pp. 33, 97-98; ARNALDO DA VILLANOVA, Regimen<br />

sanitatis, pp. 466, 469 (lavande per le emorroidi); Tractatus de sterilitate, pp. 106 (sciroppo per la «cura<br />

precipitationis matricis»), 116, 118 (decotti per la «cura propter molam»), 150 (pillola «contra sterilitatem»);<br />

Il trattato ginecologico-pediatrico, pp. 89 («unguento stomach<strong>al</strong>e»), 93 (empiastro per la «confortatione<br />

dil stomaco»), 95, 104 (spugnatura per porre rimedio <strong>al</strong>la «matrice humida»), 126, 129 («supposta<br />

facta di lana succida» per arrestare l’emorragia); BALDASSERONI e DEGLI AZZI, Consiglio medico,<br />

p. 151 (contro il catarro). Si tenga, inoltre, presente che quasi tutte le prescrizioni terapeutiche suggerite<br />

da Taddeo Alderotti nei suoi consilia sono a base di vino.<br />

136 Per i ricettari <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>i, è d’obbligo il rinvio <strong>al</strong>le numerose occorrenze del vocabolo vinum<br />

censite da OPSOMER, Index de la pharmacopée, pp. 799-810. Basti, in questa sede, entrare nel dettaglio,<br />

ancora una volta a titolo puramente esemplificativo, foc<strong>al</strong>izzando l’attenzione su una sola fonte, la<br />

Physica Plinii Bambergensis (Cod. Bamb. med. 2, fol. 93v-232r ), ed. A. Önnerfors, Hildesheim·New York<br />

1975 [Bibliotheca graeca et latina suppletoria, 2], rielaborazione della Medicina Plinii, condotta, presumibilmente<br />

in It<strong>al</strong>ia nel V secolo, attraverso il ricorso ad <strong>al</strong>tre fonti latine e greche (OPSOMER, Index<br />

de la pharmacopée, p.XX; Centre Jean P<strong>al</strong>erne. Memories VI. Bibliographie des textes médicaux latins. Antiquité


co-ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>iere 137 , sono tutte accomunate <strong>d<strong>al</strong></strong> largo favore riconosciuto <strong>al</strong> fermentato<br />

d’uva nella confezione di prodotti enolici, infusi e decotti, unguenti,<br />

fomenti, empiastri, cataplasmi, spugnature, sciacqui, gargarismi e suffumigi, pillole,<br />

creme, applicazioni, pessari, lavacri, irrigazioni, colliri 138 , utili nel trattamento<br />

di patologie specifiche, legate, spesso ma non sempre, agli effetti profilattici<br />

(tonificare e restituire c<strong>al</strong>ore <strong>al</strong>le membra, evacuare umori, facilitare la digestione)<br />

più frequentemente accreditati <strong>al</strong>la nostra bevanda. Che, tuttavia, non si limitava<br />

ad addizionare le proprie virtù a quelle delle erbe e delle spezie che venivano<br />

di volta in volta ad essa unite, speci<strong>al</strong>mente attraverso macerazione a freddo<br />

o cottura, ma, resa ancor più rapido ed efficace da processi come la filtratura e<br />

la distillazione, era in grado di assicurare una migliore fusione dei principi attivi<br />

e di preparare o rafforzare, anche in quanto bonus penetrator, l’azione delle sostanze<br />

medicamentose, facilitandone, <strong>al</strong> tempo stesso, l’eventu<strong>al</strong>e assunzione or<strong>al</strong>e,<br />

senza, per questo, stravolgerne il delicato equilibrio 139 .<br />

et haut moyen âge, sous la dir. de G. Sabbah, P.-P. Corsetti, K.-D. Fischer, Saint-Etienne 1987, pp. 127-<br />

129). Ebbene, su 88 raggruppamenti di preparati, ben 55 prevedono il ricorso <strong>al</strong> vino, del qu<strong>al</strong>e spesso<br />

precisano anche caratteristiche e provenienza geografica preferite (<strong>al</strong>bum, nigrum, vetus, austerum,<br />

stipticum, aquatum, F<strong>al</strong>ernum, Amineum, Adrianum, Afrum, Siculum, Cipriacum, Tiriacum). Con il passare<br />

del tempo, si riduce drasticamente questa articolata varietà, in larga parte mutuata <strong>d<strong>al</strong></strong>la tradizione<br />

classica (si veda, in merito, la nota 48), ma non certo l’utilizzo del vino. Come lasciano intravedere le<br />

ricette accolte nei Secreti medicin<strong>al</strong>i di magistro Guasparino da Vienexia. Antidotario inedito del XIV-XV<br />

secolo, trascrizione e commento a cura di C. Castellani, Cremona 1959 [= «Ann<strong>al</strong>i della Biblioteca<br />

governativa e Libreria civica di Cremona», 12 (1959); Monumenta Cremonensia, 7], agglomerato<br />

composito compilato, a dire del suo editore, tra Tre e Quattrocento, dove il vino, in genere bianco,<br />

rientra nel 15 % dei preparati. O come dimostrano le ricerche della LORCIN, Les usages du vin, pp. 76-<br />

80: schedando 7 raccolte francesi bassomedioev<strong>al</strong>i, tra le qu<strong>al</strong>i una rielaborazione dell’Antidotarium<br />

Nicolai, la studiosa ha c<strong>al</strong>colato che il vino viene impiegato in 120 ricette su un tot<strong>al</strong>e di 400 (con una<br />

percentu<strong>al</strong>e, quindi, del 30%). Sulla presenza del vino in ricette di medicina popolare, si veda inoltre<br />

BALLETTO, Scongiuri e incantesimi, speci<strong>al</strong>mente pp. 128, 142-147.<br />

137 Ad esempio, l’ordinazione di una serie di unguenti fatta <strong>al</strong>la spezieria dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di S. Matteo di<br />

Firenze, nel 1409, da parte del medico maestro Giovanni da Radda, che raccomanda: «No’ manchi<br />

per niuno modo quattro erbe segnate di + voglionsi pestare molto bene e poi inzupparle in vino vermiglio<br />

buono per uno dì e poi strignerle e trarre el sugo per panno forte. Poi metti a fuoco, sanza<br />

fumo le gomme e la cera, l’olio e poi el sugo tanto sia sodo per unguento freddo, asciutto» (L. SAN-<br />

DRI, Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i e utenti dell’assistenza nella Firenze del Quattrocento,in La società del bisogno,p.89).<br />

138 Notizie storiche su quest’ultima categoria di farmaci in A. ANTONIBON, Storia dei colliri, Napoli 1939,<br />

speci<strong>al</strong>mente pp. 53-76 (età classica, greco-latina), 105-160 (farmacologia araba) 163-187 (medioevo).<br />

139 Si veda, in proposito, l’introduzione programmatica del De vinis (LATRONICO, I vini medicin<strong>al</strong>i, pp.<br />

187-191).<br />

703


704<br />

Sembra, comunque, necessario tenere distinti ambiti eterogenei. Un conto,<br />

infatti, è far riferimento ai testi più antichi e legati <strong>al</strong>la tradizione classica o a<br />

quelli caratterizzati da intenti divulgativi e più vicini <strong>al</strong>la medicina popolare, un<br />

<strong>al</strong>tro è prendere in considerazione gli antidotari influenzati <strong>d<strong>al</strong></strong>la farmacopea<br />

araba, più tardi e speci<strong>al</strong>izzati 140 . Se, infatti, per quel che riguarda i prontuari maggiormente<br />

legati <strong>al</strong>la profession<strong>al</strong>ità farmacologica 141 , basta una prima lettura per<br />

rivelare un utilizzo meno appariscente del vino (a vantaggio di miele, sciroppi,<br />

olii e succhi veget<strong>al</strong>i), nei rimanenti casi, invece, ad esso è riservato un larghissimo<br />

impiego per rimedi di semplice esecuzione e <strong>d<strong>al</strong></strong>le infinite potenzi<strong>al</strong>ità, a conferma,<br />

tra l’<strong>al</strong>tro, dell’ampio favore nei confronti di una bevanda sempre più diffusa<br />

e facilmente reperibile, se non addirittura più economica, o per lo meno –<br />

entro certi limiti – non esclusivamente connotativa dello status dei ceti più<br />

abbienti 142 , bevanda che non solo si segn<strong>al</strong>ava per le proprietà terapeutiche, ma<br />

che, come già accennato, garantiva <strong>al</strong> prodotto fin<strong>al</strong>e caratteristiche organolettiche<br />

più gradevoli e gradite. A mo’ di esemplificazione, basti qui un rinvio <strong>al</strong>le<br />

ricette tràdite dai testi attribuiti a Trotula: vino, o in misura minore aceto, qu<strong>al</strong>che<br />

volta mescolati o sostituiti con acqua dolce, acqua di mare, olio o miele, vengono<br />

quasi sistematicamente utilizzati sia per diluire e per rendere più appetibili<br />

misture di erbe, sia per confezionare preparati utili a risolvere un’ampia gamma<br />

di problemi prev<strong>al</strong>entemente ginecologici, legati <strong>al</strong> ciclo mestru<strong>al</strong>e, <strong>al</strong> concepi-<br />

140 Per la gradu<strong>al</strong>e acquisizione di più marcati caratteri distintivi da parte della disciplina farmacologica<br />

e della sua organizzazione profession<strong>al</strong>e, I. AIT, Tra scienza e mercato. Gli spezi<strong>al</strong>i a Roma nel tardo<br />

medioevo, Roma 1996 (<strong>Fonti</strong> e studi per la storia economica e soci<strong>al</strong>e di Roma e dello Stato pontificio,<br />

7), soprattutto p. 95.<br />

141 Ad esempio, il Nuovo receptario composto <strong>d<strong>al</strong></strong> famosissimo chollegio degli eximii doctori della arte et medicina<br />

della inclita città di Firenze, Firenze 1498.<br />

142 Particolarmente significative, in merito, le distinzioni entro le qu<strong>al</strong>i Michele Savonarola (Il trattato<br />

ginecologico-pediatrico, p. 101) articola i suoi suggerimenti per il «tremore dil cuore de la pregnante»: se,<br />

infatti, rivolgendosi evidentemente <strong>al</strong>le benestanti ferraresi, il medico padovano consiglia di «tore<br />

una meza octava di polvere buguloxa» ed afferma che «essere nobelle et experto remedio bevere<br />

unze doe di lacte dolze c<strong>al</strong>do cum meza dragma di garof<strong>al</strong>i», passando poi <strong>al</strong>le «povere», prescrive<br />

loro di «tuore (...) meza octava di polvere di mazorana, cum l’aqua freda, se nel stomaco sente c<strong>al</strong>do<br />

(...) se sente fredo (...) cum il vino c<strong>al</strong>do».<br />

143<br />

TROTULA DE RUGGIERO, Sulle m<strong>al</strong>attie delle donne, pp. 9-15 (decotti, creme, “ciambelline”, infusi per<br />

regolare le mestruazioni), 16-17 (impacchi e decotti per le patologie dell’utero), 23 (per trangugiare<br />

polveri che facilitino il concepimento di un figlio maschio), 26 (pozione che debelli i gonfiori del<br />

ventre e decotto da somministrare nell’imminenza del travaglio), 28-29, 32-33 (rimedi <strong>al</strong>le complica-


mento e <strong>al</strong> parto 143 . Non mancano poi consigli di natura igienico-cosmetica: <strong>al</strong><br />

sudore m<strong>al</strong>eodorante gioverebbe “un panno intinto nel vino, dove sian state fatte<br />

bollire foglie di mirtillo” 144 , mentre per schiarire le lentiggini servirebbero aceto<br />

molto forte, sei uova intere (guscio compreso) e quattro once di polvere di<br />

senape 145 . Ancora: vino e aceto vengono raccomandati come ingredienti per preparati<br />

contro i pidocchi, per tinture per capelli e per creme depilatorie 146 , mentre<br />

fungono, come è prevedibile, da colluttori disinfettanti per sbiancare i denti,<br />

arrestare l’eccessiva s<strong>al</strong>ivazione e combattere l’<strong>al</strong>itosi 147 .<br />

Si noti, poi, che, se nell’abbinamento ad elementi semplici, il vino predomina,<br />

si può ancora parlare per l’appunto di vinum 148 . Ecco <strong>al</strong>lora le numerose ricette<br />

di «vino» e «optimo vino», delle qu<strong>al</strong>i Taddeo Alderotti correda i suoi consilia 149 ,<br />

o il vinum s<strong>al</strong>viatum, il vinum enulatum e il vinum rosatum, vini di natura medicin<strong>al</strong>e<br />

ricordati anche da Maino de Maineriis 150 , o, infine, la vasta gamma di tipologie proposte<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> De vinis, una su tutte, quella del vinum rorismarini 151 , che ripropone una<br />

combinazione di ispirazione classica, variamente declinata ed elogiata da trattati<br />

e ricettari bassomedioev<strong>al</strong>i 152 .<br />

zioni del parto), 38 (suffumigi per “flussi dell’utero”), 43 (unguento da sp<strong>al</strong>mare per i bagni di vapore<br />

consigliati nelle cure dimagranti), 44 (empiastri e lenitivi per il prolasso del retto), 46 (decotto contro<br />

i c<strong>al</strong>coli), 48 (decotti utili in caso di “cancro” e cataplasmo contro prurito e vermi), 49 (decotti e<br />

applicazioni per il gonfiore dei testicoli), 50 (decotto per gargarismi in caso di abbassamento della<br />

vulva), 51 (irrigazioni in caso di sordità, decotto per disinfiammare le tonsille, lavacro per le emorroidi),<br />

52 (decotto per le fistole) .<br />

144 Ibidem,p.39.<br />

145 Ibidem,p.54.<br />

146 Ibidem, pp. 61-63.<br />

147 Ibidem, pp. 50, 57, 58.<br />

148 BÉNÉZET, Pharmacie et médicament, p. 567.<br />

149 Ad esempio, TADDEO ALDEROTTI, I “consilia”, pp. 2, 3, 28-29, 37, 42, ed ancora pp. 145, 212 (vinum<br />

mirabolanorum, vinum pro renibus).<br />

150 Regimen sanitatis Magnini Mediolanensis, ff. 78r-79r; qu<strong>al</strong>che notizia sul vinum s<strong>al</strong>viatum in ARCHETTI,<br />

Tempus vindemie, p. 471.<br />

151<br />

LATRONICO, I vini medicin<strong>al</strong>i, pp. 193-194 (pp. 144-146 per le caratteristiche del rosmarino e il suo<br />

impiego nella medicina classica e medioev<strong>al</strong>e).<br />

152 Si veda, ad esempio, l’anonimo trattatello sul rosmarino, presentato ed edito, nelle sue molteplici<br />

versioni in latino e in volgare (it<strong>al</strong>iano, francese, tedesco), da F. FERY-HUE, Le romarin et ses propriétés.<br />

Un traité anonyme faussement attribué à Aldebrandin de Sienne, «Romania», 115 (1997), pp. 138-192, e riproposto<br />

anche nel ricettario trevigiano non datato, parzi<strong>al</strong>mente pubblicato da B. BETTO, I collegi dei<br />

705


706<br />

Il vino, del resto, poteva essere venduto <strong>d<strong>al</strong></strong>lo spezi<strong>al</strong>e 153 . Non solo. Gli<br />

ingredienti utilizzati <strong>d<strong>al</strong></strong>l’apotecario spesso economici e a portata di mano potevano<br />

trasformare – <strong>al</strong>meno così si apprende <strong>d<strong>al</strong></strong>le recenti ricerche del Bénézet 154<br />

– una bevanda comune in un vero affare: Oltr<strong>al</strong>pe, per esempio, un vino ‘ippocratico’<br />

– cioè uno di quei vini speziati che, serviti anche a tavola come cordi<strong>al</strong>e<br />

e digestivo, connotavano le mense aristocratiche 155 – veniva venduto ad un prezzo<br />

sedici volte superiore a quello del norm<strong>al</strong>e vino.<br />

notai, dei giudici, dei medici e dei nobili in Treviso (secc. XIII-XVI). Storia e documenti, Venezia 1981 (Deputazione<br />

di storia patria per le Venezie. Miscellanea di studi e memorie, 19), pp. 299-300. Quest’ultima<br />

raccolta – potremmo dire “di segreti” – riporta anche una serie di annotazioni e consigli relativi<br />

<strong>al</strong> «vino del rosmarino», che <strong>al</strong>tro non sono se non il riadattamento in volgare dei passi consacrati <strong>al</strong><br />

«vinum rorismarini» accolti nel De vinis; passi, nei qu<strong>al</strong>i, sia detto per inciso, andrà probabilmente<br />

identificata quell’«ouvrage sur le romarin qui aurait été composé par Arnaud de Villeneuve», di cui<br />

fa menzione la FERY-HUE, Le romarin, p. 157.<br />

153 BÉNÉZET, Pharmacie et médicament, pp. 150-153 e 337-338; ID., Vin et <strong>al</strong>cool dans les apothicaireries médiév<strong>al</strong>es<br />

des pays du Sud, «Revue d’histoire de la pharmacie», 49 (2001), pp. 477-488. Per l’It<strong>al</strong>ia, ne è esempio<br />

eclatante la bottega imolese di Diolaiuti, dove il vino giocava un ruolo di primaria importanza,<br />

come risulta <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti contabili (Giorn<strong>al</strong>e di una spezieria in Imola nel sec. XIV, a cura di S. Gaddoni e B.<br />

Bughetti, Introduzione di A. PADOVANI, Imola 1995, sub indice), ma che, come ha anche messo in luce<br />

A.I. PINI, Alimentazione e distribuzione commerci<strong>al</strong>e nel medioevo: il «supermarket» di Diolaiuti di Cecco ad Imola<br />

a metà del Trecento, «Studi di storia mediev<strong>al</strong>e e di diplomatica», 9 (1987), pp. 99-110, <strong>al</strong> pari delle spezierie<br />

coeve, poteva essere accostata non tanto a una moderna farmacia, quanto a un vero e proprio<br />

emporio, dove la clientela aveva la possibilità di trovare un’ampia gamma di prodotti <strong>al</strong>imentari e merceologici,<br />

soprattutto se rari o sfiziosi. Altri esempi in: R. CIASCA, L’arte dei medici e spezi<strong>al</strong>i nella storia del<br />

commercio fiorentino: <strong>d<strong>al</strong></strong> secolo XII <strong>al</strong> XV, Firenze 1927 (Biblioteca storica toscana, s. I., 4), pp. 370, 405,<br />

441, 444-445; AIT, Tra scienza e mercato, speci<strong>al</strong>mente p. 86 per il nesso farmacia/vigna.<br />

154 BÉNÉZET, Pharmacie et médicament, p. 338.<br />

155 Dell’ippocras o claretus, tratta, tra gli <strong>al</strong>tri, Maino de Maineriis (Regimen sanitatis, f. 74r), che lo definisce<br />

«potus qui est medicina pure (...) ex forti vino & speciebus: quod datur in fine ad confortandum<br />

virtutem digestivam in stomacho solum». A proposito dei vini medicin<strong>al</strong>i speziati: NADA PATRONE,<br />

Il cibo del ricco ed il cibo del povero, pp. 371-373; EAD., Bere vino in area pedemontana nel medioevo, in Il vino<br />

nell’economia e nella società, pp. 55-56; EAD., Il consumo del vino, p. 291; B. LAURIOUX, Vins musqués et flaveurs<br />

de paradis: l’imaginaire médiév<strong>al</strong> des épices, in Le monde végét<strong>al</strong> (XII e -XVII e siècles). Savoirs et usages<br />

sociaux, sous la dir. de A.J. Grieco, O. Redon, L. Tongiorgi Tomasi, Saint-Denis 1993 (Essays et<br />

savoirs), pp. 157-174; A. CORTONESI, Vini e commercio vinicolo nel Lazio tardomedioev<strong>al</strong>e,in Il vino nell’economia<br />

e nella società, p. 142; I. NASO, Cantine signorili: vini, botti e recipienti vinari in Piemonte tra medioevo ed<br />

età moderna, in Vigne e vini nel Piemonte moderno. Atti del Convegno tenuto ad Alba il 17-18 ottobre 1992, a<br />

cura di R. Comba, Cuneo 1992 (Da Alba <strong>al</strong> Piemonte), p. 58; EAD., Provviste <strong>al</strong>imentari per la mensa del<br />

principe, in EAD., La cultura del cibo. Alimentazione, dietetica, cucina nel basso medioevo, Torino 1999 (Le testimonianze<br />

del passato, 14), p. 97; L. RICCETTI, Il naso di Simone. Il vino ad Orvieto nel medioevo, in D<strong>al</strong>la<br />

vite <strong>al</strong> vino, p. 140; ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 467-468; inoltre, informazioni dettagliate sull’uso di


Orientamenti e ipotesi di ricerca<br />

In sintesi, le fonti medico-dietetiche medioev<strong>al</strong>i sono contraddistinte da un vivo<br />

interesse verso il vino e da un ottimismo prudente, molto meno monolitico e<br />

generico, più sfumato e articolato di quanto si potrebbe ritenere, nei confronti<br />

delle sue virtù. Alla base, teorie mediche classiche aggiornate e riadattate ad una<br />

sempre più intensa diffusione della viniviticultura. Il vino supera così di gran<br />

lunga le possibili <strong>al</strong>ternative, per <strong>al</strong>tro ben presenti ai nostri testi: penso ad <strong>al</strong>cuni<br />

prodotti dell’<strong>al</strong>veare, come la cera (impiegata in molti unguenti) o il miele, le<br />

cui virtù terapeutiche sono state recentemente illustrate <strong>d<strong>al</strong></strong>la Naso, insieme a<br />

quelle dell’olio 156 . Ma penso soprattutto <strong>al</strong>l’acqua, guardata con sospetto per<br />

motivi igienici, consigliata (se non <strong>al</strong>tro bollita) per usi esterni e interni e protagonista,<br />

fin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’età antica, di quello che l’Andreolli ha definito un contrastato<br />

connubio con il vino 157 .<br />

Queste, dunque, le linee di tendenza che emergono da una prima esplorazione<br />

della letteratura medica. Un’esplorazione – me ne rendo conto – ancor<br />

troppo epifenomenologica e cronologicamente appiattita. Se, infatti, l’esigenza<br />

di tenere sotto un unico cono di luce testi tanto diversi per età, collocazione<br />

geografica e destinazione, trova la sua giustificazione nella sopravvivenza a lunga<br />

gittata di <strong>al</strong>cune categorie ment<strong>al</strong>i e cultur<strong>al</strong>i, che proprio in quanto t<strong>al</strong>i vanno<br />

colte e isolate, non possiamo, natur<strong>al</strong>mente, dimenticare che un conto è attenersi<br />

agli scritti <strong>al</strong>tomedioev<strong>al</strong>i, in larga parte connessi <strong>al</strong> Corpus hippocraticum,<br />

precedenti <strong>al</strong>l’ampia immissione di traduzioni arabe nel sapere medico occiden-<br />

vini speziati anche in ambito monastico, sono offerte in ID., De mensura potus, pp. 309-316. In particolare,<br />

per <strong>al</strong>cune ricette di ippocras e claretto, tràdite <strong>d<strong>al</strong></strong> Ménagier de Paris e da Le thresor de santé: O.<br />

REDON,F.SABBAN,S.SERVENTI, A tavola nel medioevo, con 150 ricette <strong>d<strong>al</strong></strong>la Francia e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’It<strong>al</strong>ia, Roma-Bari<br />

1994 (Grandi opere) [trad. it<strong>al</strong>iana di La gastronomie au moyen âge. 150 recettes de France et d’It<strong>al</strong>ie, textes<br />

trad. et présentés par O. REDON, F.SABBAN, S.SERVENTI, Paris 1993 (Stock - moyen âge)], p. 285, e<br />

FLANDRIN, Chronique de Platine, pp. 265-268.<br />

156 I. NASO, Un prodotto dell’<strong>al</strong>veare: il miele, e L’olio nel progetto <strong>al</strong>imentare e terapeutico, in EAD., La cultura del<br />

cibo, nell’ordine pp. 24-29 e pp. 46-48; sull’olio, in particolare, si veda anche A.J. GRIECO, Olive tree cultivation<br />

and the <strong>al</strong>imentary use of olive oil in late mediev<strong>al</strong> It<strong>al</strong>y (ca. 1300-1500),in La production du vin et de l’huile<br />

en Méditerranée - Oil and wine production in the Mediterranean area. Actes du Symposium internation<strong>al</strong> organisé par<br />

le Centre Camille Jullian (Université de Provence - C.N.R.S.) et le Centre archéologique du Var (Ministère de la culture<br />

et Conseil génér<strong>al</strong> du Var), Aix-en-Provence et Toulon, 20-22 novembre 1991, ed. par M.-C. Amouretti et J.-<br />

P. Brun, Athènes - Paris 1993 (Bulletin de correspondance hellénique. Supplément 26), pp. 297-306.<br />

157<br />

ANDREOLLI, Un contrastato connubio, cit.<br />

707


708<br />

t<strong>al</strong>e, un <strong>al</strong>tro è ragionare sui prodotti, espressione della scolastica, destinati <strong>al</strong>l’insegnamento<br />

universitario, o sulle opere bassomedioev<strong>al</strong>i dedicate <strong>al</strong>l’esercizio<br />

della professione medica e farmaceutica o, ancora, su quei trattati in volgare concepiti<br />

per un pubblico – <strong>al</strong>meno apparentemente – sempre più vasto. Anche perché,<br />

se è vero che con lo scorrere del tempo, con la gradu<strong>al</strong>e trasformazione del<br />

bacino di utenza, e, soprattutto, tra Due e Trecento (gli anni di Arn<strong>al</strong>do da Villanova<br />

e del De vinis, di Maino de Maineriis, ma anche di Guglielmo da S<strong>al</strong>iceto, di<br />

Lanfranco da Milano, di Henri de Mondeville e di Pier de’ Crescenzi), in seguito<br />

a una rinnovata e origin<strong>al</strong>e attenzione nei confronti del vino, che diviene, tra l’<strong>al</strong>tro,<br />

sempre più descrittiva e classificatoria, teorie e prescrizioni si fanno maggiormente<br />

icastiche e ricche di dettagli, è anche vero che esse corrispondono<br />

ormai a re<strong>al</strong>tà economiche profondamente mutate.<br />

Per andare oltre quel che di stereotipato si avverte e, <strong>al</strong> tempo stesso, per<br />

comprendere e armonizzare diverse aporie – <strong>al</strong> di là di <strong>al</strong>cune opinioni gener<strong>al</strong>i<br />

e diffuse sul vino e sulle sue proprietà (nutritive, digestive, diuretiche, sedative e<br />

disinfettanti), ad ogni singola teoria ne poteva benissimo corrispondere un’<strong>al</strong>tra<br />

di segno opposto (si pensi, soltanto, <strong>al</strong>le contrastanti opinioni a proposito degli<br />

effetti provocati <strong>d<strong>al</strong></strong>l’addizione di acqua <strong>al</strong> vino 158 ) – la lista dei desiderata è ancora<br />

lunga, a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la costruzione di una base testu<strong>al</strong>e solida, condotta secondo<br />

criteri scientifici aggiornati ed adeguatamente corredata.<br />

Un punto di riferimento sicuro che dia, poi, la possibilità di approdare ad<br />

un’an<strong>al</strong>isi sistematica e seri<strong>al</strong>e delle fonti, sincronica e diacronica, che trav<strong>al</strong>ichi l’aneddottica<br />

e, una volta identificato il cospicuo apporto delle auctoritates tradiziona-<br />

158 Ibidem; sulle divergenti opinioni in merito ai vini acquosi, o debilia natur<strong>al</strong>iter,GIL-SOTRES, Introducción,<br />

p. 724.<br />

159 Per la letteratura dietetica tardo-antica e medioev<strong>al</strong>e, araba e occident<strong>al</strong>e, la lunga catena di prestiti<br />

emerge con nettezza in ogni pagina della schedatura re<strong>al</strong>izzata <strong>d<strong>al</strong></strong>la WEISS ADAMSON, Mediev<strong>al</strong><br />

dietetics (<strong>al</strong>le pp. 197-201, prospetti di sintesi); a proposito, invece, del ricorso <strong>al</strong>le auctoritates nei<br />

testi chirurgici e dell’apporto offerto da questi ultimi <strong>al</strong>la re<strong>al</strong>e comprensione della chirurgia pratica,<br />

si veda MCVAUGH, Strategie terapeutiche, pp. 393-396; quanto <strong>al</strong>l’anatomia: R. WITTERN, Kontinuität<br />

und Wandel in der Medizin des 14. bis 16. Jahrhunderts am Beispiel der Anatomie, in Mittel<strong>al</strong>ter und<br />

frühe Neuzeit. Übergänge, Umbrüche und Neuansätze, herausgegeben von W. Haug, Tübingen 1999<br />

(Fortuna vitrea, 16), pp. 550-571; in merito, infine, <strong>al</strong>l’impatto della tradizione sull’autocoscienza<br />

medica di età scolastica e <strong>al</strong>l’atteggiamento, incerto, a dire il vero, che i testi di medicina (commentari,<br />

practicae, consilia, trattati chirurgici) e di farmacologia lasciano trasparire nei confronti dei<br />

canoni antichi: C. CRISCIANI, History, novelty, and progress in scholastic medicine, in Renaissance medic<strong>al</strong><br />

learning. Evolution of a tradition, ed. by M.R. McVaugh and N.G. Siraisi, Philadelphia 1990 [= «Osiris»,<br />

6 (1990)], pp. 118-139.


li 159 , sia greco-latine, sia, speci<strong>al</strong>mente, arabe 160 , permetta di contestu<strong>al</strong>izzare qu<strong>al</strong>siasi<br />

differenza o scarto, di v<strong>al</strong>orizzare ciascun testo e di fissarlo correttamente<br />

entro i margini non solo della produzione scientifica di un medesimo autore o di<br />

una medesima scuola e di un medesimo genere, ma anche dell’ambiente socio-cultur<strong>al</strong>e,<br />

nella maggior parte dei casi elitario, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e si rivolgeva e che cercava di<br />

influenzare, ma <strong>d<strong>al</strong></strong> qu<strong>al</strong>e, <strong>al</strong>la resa dei conti, era spesso condizionato. Un’an<strong>al</strong>isi,<br />

cioè, che consenta di identificare con sicurezza tutti i possibili adattamenti <strong>al</strong>le pratiche<br />

<strong>al</strong>imentari di determinati periodi o di aree geografiche e di chiarire, di volta in<br />

volta, in modo convincente, fino a che punto la citazione dotta fosse una semplice<br />

<strong>al</strong>lusione accademica, e non venisse, piuttosto, piegata <strong>al</strong>l’esigenza di appagare<br />

e giustificare abitudini e gusti dei ceti eminenti, se non, addirittura, <strong>al</strong>l’intento di<br />

re<strong>al</strong>izzare una vera e propria opera di promozione. Senza, per questo, mortificare<br />

l’origin<strong>al</strong>ità di ciascun apporto ma, <strong>al</strong> tempo stesso, senza correre il rischio di<br />

scambiare il topico con il particolare e di intendere come tipicamente medioev<strong>al</strong>e<br />

ciò che medioev<strong>al</strong>e non è.<br />

Il vino, insomma, come una delle numerose, possibili lenti d’ingrandimento,<br />

un fil rouge da percorrere, una chiave d’accesso epistemologica ai testi in questione.<br />

Con l’ulteriore necessità di comprendere – attraverso un’adeguata convergenza<br />

di fonti – l’effettivo impatto di questi ultimi, e i rapporti bidirezion<strong>al</strong>i con<br />

la pratica quotidiana. Che, nonostante i debiti contratti nei confronti della tradizione,<br />

erano concreti e intensi – pur se sovente contrastati – come si è potuto<br />

intravedere fin qui e come è già stato dimostrato a più livelli attraverso abbondante<br />

esemplificazione 161 . Non stupisce, <strong>al</strong>lora, che i vini più elogiati siano anche<br />

160 Si ricordi <strong>al</strong>meno, proprio in merito <strong>al</strong> vino e ai suoi effetti, il par<strong>al</strong>lelismo letter<strong>al</strong>e tra il Canone di<br />

Avicenna e il Regimen sanitatis di Maino de Maineriis, messo in luce <strong>d<strong>al</strong></strong>la WEISS ADAMSON, Mediev<strong>al</strong> dietetics,<br />

pp. 132-133. Un percorso di ricerca da non trascurare è, pertanto, quello che conduce <strong>al</strong>l’accertamento<br />

delle frequenti intersezioni tra pensiero occident<strong>al</strong>e e pensiero arabo a proposito del<br />

vino. Bevanda che, del resto, non era certo assente <strong>d<strong>al</strong></strong>la cultura islamica medioev<strong>al</strong>e, a dispetto delle<br />

proibizioni previste <strong>d<strong>al</strong></strong> Corano, ma in virtù di quel certo margine interpretativo consentito <strong>d<strong>al</strong></strong> dettato<br />

delle proibizioni stesse; per l’impiego del fermento d’uva e derivati nella medicina ed, anche, nella<br />

cucina araba, prime notizie in: L. BOLENS, La viticulture d’après les traités d’agronomie an<strong>d<strong>al</strong></strong>ous (XI e -XII e<br />

siècles), in L’An<strong>d<strong>al</strong></strong>ousie du quotidien au sacré, XI-XIII siècles, Aldershot 1990 (Collected studies series,<br />

337), articolo nr. V, pp. 1, 5; GIL-SOTRES, Introducción, p. 716; B. ROSEMBERGER, La cucina araba e il suo<br />

apporto <strong>al</strong>la cucina europea, in Storia dell’<strong>al</strong>imentazione, pp. 271-272.<br />

161 Se ne sono programmaticamente occupati, più in gener<strong>al</strong>e, NICOUD, L’adaptation, e Les pratiques<br />

diététiques, e, nello specifico, in merito <strong>al</strong> consumo del vino, GRIECO, Le goût du vin,eI sapori del vino.Il<br />

rapporto tra testi medico-dietetici e prassi <strong>al</strong>imentare-gastronomica funge, poi, da minimo comune<br />

709


710<br />

quelli maggiormente presenti sulle tavole dell’<strong>al</strong>ta aristocrazia, come, solo per<br />

ricordare uno dei numerosi esempi possibili, i rinomati vini di Saint-Pourçain e<br />

di Beaune lodati da Maino de Maineriis 162 , nella re<strong>al</strong>tà bevande considerate degne<br />

della mensa di un re o di un papa 163 .<br />

Senza dubbio, per riecheggiare le parole di Massimo Montanari, riferite però<br />

<strong>al</strong> consumo delle spezie, sarebbe interessante «poter accertare in che misura le<br />

opinioni dei medici fossero condizionate da quelle dei mercanti» 164 . Per il<br />

momento, invece, possiamo disporre di qu<strong>al</strong>che indizio per intuire in qu<strong>al</strong>e<br />

misura le opinioni dei medici condizionassero non solo quelle dei mercanti, ma<br />

anche il mercato e la produzione stessa. È nota, ad esempio, la lettera del 27 settembre<br />

1395 nella qu<strong>al</strong>e ser Lapo Mazzei suggeriva ai coniugi Datini i vini adatti<br />

<strong>al</strong>le diverse stagioni, proponendo loro anche di intervenire e modificare le<br />

caratteristiche di un dato vino secondo le norme medico-dietetiche <strong>al</strong>le qu<strong>al</strong>i si è<br />

fatto riferimento 165 .<br />

Un <strong>al</strong>tro percorso da tentare, sempre nel solco di un ormai lontano spunto<br />

del Montanari 166 , è la verifica dell’effettivo ruolo svolto <strong>d<strong>al</strong></strong> vino sia nell’<strong>al</strong>imentazione,<br />

sia nella cura dei m<strong>al</strong>ati 167 : per esempio, attraverso l’an<strong>al</strong>isi delle spese, così<br />

denominatore in contributi relativi ad <strong>al</strong>tri <strong>al</strong>imenti, come i prodotti ittici e il formaggio, o a particolari<br />

problematiche, come l’ordine delle portate e i rapporti tra cucina islamica e cucina cat<strong>al</strong>ana: A.J.<br />

GRIECO, Fiordiano M<strong>al</strong>atesta da Rimini e i trattati di ittiologia della metà del Cinquecento, in Scrivere il medioevo,<br />

pp. 305-317; I. NASO, Tempo di magro. Approvigionamento e consumo di pesce nel primo Quattrocento, in<br />

EAD., La cultura del cibo, pp. 131-180; B. LAURIOUX, Du bréhémont et d’autres fromages renommés au XV e<br />

siècle,in Scrivere il medioevo, pp. 319-336; A. RIERA-MELIS, Il Mediterraneo, crogiuolo di tradizioni <strong>al</strong>imentari.<br />

Il lascito islamico <strong>al</strong>la cucina cat<strong>al</strong>ana mediev<strong>al</strong>e,in Il mondo in cucina. Storia, identità, scambi, a cura di M. Montanari,<br />

Roma-Bari 2002 (Società e storia), pp. 3-43; J.-L. FLANDRIN, Diététique et ordre des mets, in Scrivere<br />

il medioevo, pp. 381-392.<br />

162 Regimen sanitatis Magnini Mediolanensis,f.79v.<br />

163 R. DION, Histoire de la vigne et du vin en France des origines au XIX e siècle, Paris 1959, pp. 268-273 e 286-294.<br />

164 M. MONTANARI, L’<strong>al</strong>imentazione contadina nell’<strong>al</strong>to medioevo, Napoli 1979 (Nuovo medioevo, 11), p. 408.<br />

165 Lettera citata da GRIECO, Le gôut du vin, pp. 90-91, e ID., I sapori del vino, pp. 184-18.<br />

166 MONTANARI, L’<strong>al</strong>imentazione, p. 375.<br />

167 Cenni sull’<strong>al</strong>imentazione dei m<strong>al</strong>ati, usu<strong>al</strong>mente interpretata più come soddisfazione delle esigenze<br />

dell’appetito, che non come vera e propria tereapia, in LAURIOUX, Manger au moyen âge, pp. 142-144;<br />

per l’esempio concreto del grande ‘ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e’ cittadino di S. Giulia di Brescia, cfr. G. ARCHETTI, Pellegrini<br />

e ospit<strong>al</strong>ità nel medioevo. D<strong>al</strong>la storiografia loc<strong>al</strong>e <strong>al</strong>l’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di Santa Giulia di Brescia, «Brixia sacra.<br />

Memorie storiche della diocesi di Brescia», VI/3-4 (2001), pp. 112-115; inoltre ID., De mensura potus,<br />

p. 287.


come emergono <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>iere 168 . Per l’It<strong>al</strong>ia dei secoli tardomedioev<strong>al</strong>i –<br />

dei secoli, cioè, caratterizzati da una progressiva istituzion<strong>al</strong>izzazione dell’assistenza<br />

‘pubblica’ o quanto meno municip<strong>al</strong>e, pur non ancora completamente<br />

‘medic<strong>al</strong>izzata’, che venne ad affiancare le forme tradizion<strong>al</strong>mente legate <strong>al</strong>l’hospit<strong>al</strong>itas<br />

monastica 169 – si possono annoverare pochi studi esplicitamente dedicati<br />

<strong>al</strong>l’argomento, stimolanti spunti emergono <strong>d<strong>al</strong></strong>le monografie incentrate su singole<br />

istituzioni o città 170 , ma, in compenso, vanno registrate rimarchevoli difficoltà<br />

metodologiche. Le ha recentemente sintetizzate il Grieco in un breve contributo<br />

dedicato <strong>al</strong>le derrate dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e fiorentino degli Innocenti 171 : ancora nel Quattrocento<br />

i sis<strong>temi</strong> di registrazione erano stentati, le fonti risultano così episodiche,<br />

m<strong>al</strong>amente accostabili tra loro e spesso inutilizzabili per an<strong>al</strong>isi di tipo quantitati-<br />

168 Se si passa, invece, ad <strong>al</strong>tre attività assistenzi<strong>al</strong>i, ad esempio quella svolta nei confronti degli oblati<br />

e, in misura minore, dei lavoratori <strong>d<strong>al</strong></strong>l’opera del duomo di Orvieto, così come è stata scandagliata<br />

da L. RICCETTI, Pranzi di cantiere, in Scrivere il medioevo, pp. 355-360, per un arco di tempo che va <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

1321 <strong>al</strong> 1450, si constata che la presenza di vino nelle elargizioni agli infermi è considerevole, pur se<br />

non fortemente connotativa: il vino, infatti, è destinato tanto agli oblati m<strong>al</strong>ati, quanto agli oblati<br />

sani, accompagnato da zucchero, confetti, spezie e medicin<strong>al</strong>i nel primo caso, insieme a carne, pesce<br />

e uova nel secondo. Quanto, poi, <strong>al</strong>l’economia dell’assistenza monastica e <strong>al</strong>l’importanza che il fermentato<br />

d’uva vi ricoprì: ARCHETTI, De mensura potus, pp. 240, 277-278, 285-287; mentre per la somministrazione<br />

di vino nei lebbrosari: TOUATI, M<strong>al</strong>adie et société au moyen âge, pp. 461-466, 473.<br />

169 Per un quadro di sintesi sull’assistenza e sull’organizzazione sanitaria nel medioevo, oltre <strong>al</strong> volume,<br />

per certi versi pionieristico, di M.S. MAZZI, S<strong>al</strong>ute e società nel medioevo, Scandicci (Firenze) 1978<br />

(Strumenti. Guide, 95), si tenga <strong>al</strong>meno presente l’agile profilo tracciato da J. AGRIMI, C.CRISCIANI,<br />

Carità e assitenza nella civiltà cristiana mediev<strong>al</strong>e,in Storia del pensiero medico occident<strong>al</strong>e,I,Antichità e medioevo,<br />

pp. 217-259; si aggiungano, poi, per una casistica specifica e per tematiche particolari, la miscellanea<br />

Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i e città: l’It<strong>al</strong>ia del centro-nord, XIII-XVI secolo. Atti del convegno internazion<strong>al</strong>e di studio tenuto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Istituto<br />

degli Innocenti e Villa i Tatti (The Harvard University Center for It<strong>al</strong>ian Renaissance Studies), Firenze 27-<br />

28 aprile 1995, a cura di A.J. Grieco e L. Sandri, Firenze 1997 (Medicina e storia), e il recente contributo<br />

di NICOUD, Médicine, prévention et santé publique.<br />

170 Ad esempio, quelle ricordate da ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 125, 400, 407-409, 446, per la Lombardia<br />

medioev<strong>al</strong>e. Per la Toscana: D. BALESTRACCI, Per una storia degli ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i del contado nella Toscana fra<br />

XIV e XVI secolo. Strutture, arredi, person<strong>al</strong>e, assistenza, in La società del bisogno, p. 51; SANDRI, Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i e<br />

utenti, p. 96, che rileva come, nel registro di Entrata e uscita dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e fiorentino di S. Matteo (anni<br />

1438-1449), tra le voci spesa siano annoverate una quantità di «trebbiano dolce» da somministrare a<br />

una m<strong>al</strong>ata, «ché disse il medico così si facesse», e della m<strong>al</strong>vasia da «mettere in una medicina pel chierico»,<br />

che «ha m<strong>al</strong> di fianco»; PICCINNI,VIGNI, Modelli di assistenza ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>iera, pp. 154, 163.<br />

171 A.J. GRIECO, Il vitto di un ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e: pratica, distinzioni soci<strong>al</strong>i e teorie mediche <strong>al</strong>la metà del Quattrocento,in Gli<br />

Innocenti e Firenze nei secoli. Un ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e un archivio, una città, a cura di L. Sandri, Firenze 1996, pp. 85-92.<br />

Ulteriori riflessioni metodologiche in L. STOUFF, L’approvisionnement des ménages et des maisons religieuses<br />

(communautés religieuses, ecoles, hôpitaux) aux XIV e et XV e siècles, in Alimentazione e nutrizione, pp. 643-702.<br />

711


712<br />

vo; molti <strong>al</strong>imenti poi (e probabilmente il vino era uno di questi) non venivano<br />

censiti nei registri delle spese perché non dovevano essere acquistati ma derivavano<br />

da un’economia di autosufficienza (in t<strong>al</strong> senso, non è un caso, perciò, che<br />

gli Innocenti possedessero numerosi terreni avvitati) 172 . Assai spesso, infine, i dati<br />

riguardano non tanto coloro che venivano ospitati e accuditi, ma il person<strong>al</strong>e, i<br />

familiares che prestavano la loro opera caritativa, com’è il caso della domus helemosine<br />

Sancti Petri di Roma investigata da Alfio Cortonesi 173 .<br />

Si tratta, perciò, di un percorso complesso e dai risultati non sempre sicuri.<br />

Varrà, tuttavia, la pena esperirlo, a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> caso lombardo, dove due archivi di<br />

ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i maggiori, quello di Milano e quello di Brescia, giacciono – seppure per<br />

motivazioni tra loro diverse – non ancora adeguatamente v<strong>al</strong>orizzati.<br />

172 S. GELLI e G. PINTO, La presenza dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e nel contado (sec. XV), in Gli Innocenti e Firenze, pp. 98,<br />

100-102. Lo stesso si può dire dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di S. Maria della Sc<strong>al</strong>a in S. Gimignano, che, grazie a una<br />

cospicua dotazione in vigneti, non solo era autosufficiente per il consumo di vino, ma addirittura<br />

poteva permettersi di vendere il surplus («vino greco», «vino bianco spuntato») a spezi<strong>al</strong>i loc<strong>al</strong>i e ad<br />

enti ecclesiastici: L. SANDRI, L’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di S. Maria della Sc<strong>al</strong>a di S. Gimignano nel Quattrocento. Contributo<br />

<strong>al</strong>la storia dell’infanzia abbandonata, Firenze 1982 (Biblioteca della «Miscellanea storica della V<strong>al</strong>delsa»,<br />

4), pp. 20-25, 45-46 (pp. 70-71 per gli acquisti in generi <strong>al</strong>imentari destinati agli infermi del ‘pellegrinaio’<br />

gestito <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e).<br />

173 A. CORTONESI, Le spese «in victu<strong>al</strong>ibus» della «domus helemosine Sancti Petri» di Roma, «Archeologia<br />

medioev<strong>al</strong>e», 8 (1981), pp. 193-225 (in particolare pp. 201-202).


PARTE QUARTA<br />

Vite e territorio<br />

in età moderna<br />

713


714


Uno dei fenomeni editori<strong>al</strong>i più interessanti del XVI secolo è rappresentato<br />

senz’<strong>al</strong>tro <strong>d<strong>al</strong></strong>l’introduzione e <strong>d<strong>al</strong></strong>lo sviluppo del filone dei testi di agronomia e<br />

agricoltura, destinato a divenire, in un rapido giro di anni a cav<strong>al</strong>lo della metà del<br />

secolo, uno degli ambiti più frequentati da autori ed editori della prima età<br />

moderna. Il fenomeno fu particolarmente sensibile nelle aree it<strong>al</strong>iane a forte<br />

vocazione agricola, prima fra tutte la terraferma della Repubblica di Venezia<br />

(quindi <strong>d<strong>al</strong></strong> territorio bresciano a quello friulano) dove, accanto <strong>al</strong>le enormi<br />

potenzi<strong>al</strong>ità produttive, non corrispondeva ancora un’agricoltura razion<strong>al</strong>e e<br />

soddisfacente: la terra era coltivata con metodi arcaici e senza una vera e propria<br />

selezione delle sementi, ed anche il settore più speci<strong>al</strong>izzato – la viticoltura e la<br />

conseguente produzione di vino – subiva le conseguenze di una pratica di stampo<br />

mediev<strong>al</strong>e e di una forte concorrenza da parte dei vini importati <strong>d<strong>al</strong></strong>la Francia<br />

o <strong>d<strong>al</strong></strong>la Grecia, che avevano enorme peso sul mercato e sulle tavole it<strong>al</strong>iane.<br />

La grande possibilità offerta <strong>d<strong>al</strong></strong>la stampa di diffondere in breve tempo e<br />

con costi relativamente contenuti le nuove proposte in ambito agricolo e vitivinicolo,<br />

fece sì che numerosi autori si dedicassero <strong>al</strong>l’elaborazione di sis<strong>temi</strong> produttivi<br />

nuovi e spesso rivoluzionari. Se l’agronomo della fine del Quattrocento e<br />

dei primi anni del Cinquecento aveva a disposizione, oltre agli autori classici latini<br />

e greci, solo il manu<strong>al</strong>e di Pier de’ Crescenzi o di qu<strong>al</strong>che <strong>al</strong>tro autore minore,<br />

l’agronomo della fine del secolo e degli inizi del XVII poteva contare su una ricca<br />

biblioteca speci<strong>al</strong>izzata, in volgare, di testi facilmente reperibili, maneggevoli,<br />

a basso costo e non di rado illustrati 1 .<br />

1 Sulla trattatistica agronomica moderna, in particolare per quella vicina <strong>al</strong>la re<strong>al</strong>tà bresciana, si veda<br />

il contributo di G. BARBIERI, Note sulla trattatistica economico-agraria nei secoli XVI e XVII, in Camillo<br />

* Biblioteca Civica Queriniana di Brescia.<br />

ENNIO FERRAGLIO*<br />

Il vino nella tradizione agronomica<br />

rinasciment<strong>al</strong>e<br />

715


716<br />

È indubbio che la vicinanza con Venezia, centro editori<strong>al</strong>e principe degli inizi<br />

dell’età moderna, abbia prodotto un’influenza benefica sul mercato librario<br />

bresciano dei secoli XV-XVII. Nelle botteghe dei librai bresciani, che si rifornivano<br />

soprattutto a Venezia ma che sfruttavano anche una legislazione favorevole<br />

per lo sviluppo dell’arte tipografica sul territorio, era possibile reperire, in<br />

grande quantità e con una certa varietà, opere in latino e volgare dedicate <strong>al</strong>l’agronomia<br />

e <strong>al</strong>l’agricoltura.<br />

Il dato cronologico è estremamente interessante. Come si vedrà meglio in<br />

seguito, è a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà del Cinquecento che iniziano a circolare, in maniera<br />

sempre più massiccia, le traduzioni dei classici (Columella, P<strong>al</strong>ladio, ma anche<br />

Pier de’ Crescenzi) e le sillogi di testi agricoli, mentre cominciano ad affacciarsi<br />

sul mercato i primi manu<strong>al</strong>i di agricoltura scritti ex novo, cioè prodotti sia <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

riflessione critica sulle re<strong>al</strong>i possibilità di applicazione in ambito agricolo dei precetti<br />

degli antichi, sia da intuizioni che riguardavano le tecniche coltur<strong>al</strong>i differenziate<br />

in base <strong>al</strong>le condizioni climatiche o pedologiche delle diverse regioni it<strong>al</strong>iane.<br />

La grande ‘conquista’ dell’agronomia moderna è di aver compreso che l’insegnamento<br />

degli antichi poteva essere v<strong>al</strong>ido per re<strong>al</strong>tà particolari, come quelle<br />

dell’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e o delle aree mediterranee dell’impero, ma che non poteva<br />

essere integr<strong>al</strong>mente applicato ovunque.<br />

Già a partire dai primi decenni del XV secolo l’area di terraferma della<br />

Repubblica di Venezia si configura come una delle zone it<strong>al</strong>iane di maggior produttività<br />

agricola; <strong>al</strong>l’interno di questa situazione, il caso del contado bresciano<br />

si caratterizza sia per la quantità della produzione agricola, sia per l’elevata speci<strong>al</strong>izzazione<br />

di <strong>al</strong>cune colture, qu<strong>al</strong>i quella della vite. Il rapporto tra viticoltura e<br />

agronomia è particolarmente stretto per <strong>al</strong>cune zone del territorio bresciano,<br />

come la Franciacorta, tanto da costituire un caso degno di nota nell’ambito della<br />

storia economica e soci<strong>al</strong>e del contado lombardo.<br />

La situazione particolarmente felice delle campagne bresciane – nonostante<br />

le continue guerre e una certa arretratezza tecnica – unitamente ad un progres-<br />

Tarello e la storia dell’agricoltura bresciana <strong>al</strong> tempo della Repubblica Veneta, Atti del Convegno (Lonato, 29-<br />

30 settembre 1979), Brescia 1980, pp. 11-20. Per quanto riguarda, in particolare, la viticoltura e l’importanza<br />

che questa venne ad assumere nella trattatistica agronomica della prima età moderna, si<br />

vedano <strong>al</strong>meno gli studi di J.L. GAULIN, Tipologia e qu<strong>al</strong>ità dei vini in <strong>al</strong>cuni trattati di agronomia it<strong>al</strong>iana (sec.<br />

XIV-XVII),in D<strong>al</strong>la vite <strong>al</strong> vino. <strong>Fonti</strong> e problemi della vitivinicoltura it<strong>al</strong>iana mediev<strong>al</strong>e, a cura di J.L. Gaulin<br />

e A.J. Grieco, Bologna 1994, pp. 59-83; A.M. NADA PATRONE, L’enologia nelle considerazioni di un medico<br />

piemontese del Cinquecento: Francesco G<strong>al</strong>lina, in Vigne e vini nel Piemonte moderno, a cura di R. Comba,<br />

Cuneo 1990, pp. 91-108.


sivo ritorno <strong>al</strong>la terra da parte degli interessi nobiliari, crearono i presupposti per<br />

lo sviluppo di una serie di istanze di rinnovamento teorico-pratico dell’agricoltura<br />

bresciana. La necessità di razion<strong>al</strong>izzare le colture e di ottenere una maggiore<br />

produttività fecero sì che gli studi di agronomia prendessero notevole slancio,<br />

soprattutto negli anni attorno <strong>al</strong>la metà del secolo. D<strong>al</strong> punto di vista di questa<br />

indagine diviene fondament<strong>al</strong>e chiedersi non tanto qu<strong>al</strong>i fossero gli agronomi<br />

bresciani, ma qu<strong>al</strong>i libri avessero circolazione nell’ambiente bresciano tra la<br />

metà del Cinquecento e la fine del secolo; sarà così possibile ottenere l’immagine<br />

della piccola ma fornita biblioteca agronomica che – in via ipotetica, ma senza<br />

essere troppo lontana <strong>d<strong>al</strong></strong> vero – era a disposizione di quanti, a Brescia, si<br />

occupavano di agronomia e agricoltura nel corso del XVI secolo 2 .<br />

Fra le figure che dominavano la scena loc<strong>al</strong>e si segn<strong>al</strong>ano soprattutto quelle<br />

di Agostino G<strong>al</strong>lo e di Camillo Tarello. Entrambi, anche se in diversa misura,<br />

contribuirono <strong>al</strong> rinnovamento dell’agricoltura bresciana attraverso una lunga e<br />

tenace battaglia contro le consuetudini e l’endemica arretratezza nelle tecniche<br />

coltur<strong>al</strong>i e nella dotazione degli attrezzi; l’obiettivo, comune ad entrambi, era<br />

quello di mirare a costituire un’agricoltura che non fosse solo di sussistenza,<br />

bensì economicamente produttiva e di sviluppo.<br />

G<strong>al</strong>lo e Tarello influenzarono, più o meno fortemente, gli agronomi successivi<br />

e certamente ebbero una ricaduta notevole sui contemporanei bresciani. La<br />

novità delle Giornate del G<strong>al</strong>lo o del Ricordo d’agricoltura del Tarello era rappresentata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’essere, queste due opere, strettamente <strong>al</strong>lacciate ai fenomeni della produzione<br />

e della distribuzione dei frutti della terra e dei loro derivati e di essere,<br />

di conseguenza, sganciati <strong>d<strong>al</strong></strong>la tradizione, inveterata, che vedeva l’impegno nell’agricoltura<br />

come forma di godimento dello spirito 3 .<br />

2 Non ritengo inutile far seguire <strong>al</strong>la citazione di testi antichi l’indicazione della biblioteca dove sia<br />

consultabile <strong>al</strong>meno un esemplare origin<strong>al</strong>e delle opere di volta in volta menzionate. Per evitare inutili<br />

appesantimenti nel testo, le biblioteche vengono indicate attraverso delle sigle, che vanno intese<br />

in questo modo: BBQ = Brescia, Biblioteca Civica Querinina; BBSV = Brescia, Biblioteca del Seminario<br />

Vescovile; BUCV = Brescia, Università Cattolica del S. Cuore, Biblioteca ‘Carlo Viganò’; LBF<br />

= Lonato, Biblioteca della Fondazione ‘Ugo da Como’.<br />

3 Le molteplici implicazioni del rapporto uomo-natura, e di conseguenza della contrapposizione tra<br />

vita in città e vita in campagna, sono state magistr<strong>al</strong>mente illustrate da O. BRUNNER, Vita nobiliare e<br />

cultura europea, Bologna 1949, in particolare le pp. 250-263.<br />

717


718<br />

L’ambiente bresciano e la trattatistica agronomica<br />

Ogni proposito di delineare i tratti dell’ambiente bresciano e della diffusione della<br />

trattatistica agronomica non può non partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’opera di Agostino G<strong>al</strong>lo,<br />

uno dei più importanti agronomi it<strong>al</strong>iani della seconda metà del XVI secolo 4 .Il<br />

continuo travaglio a cui venne sottoposta la sua opera princip<strong>al</strong>e, le Giornate dell’agricoltura,<br />

con le relative modifiche ed integrazioni apportate nel corso di <strong>al</strong>cuni<br />

anni, sono la testimonianza più evidente di come la materia fosse in continuo<br />

progresso e di come le aspettative di un pubblico sempre più vasto ed interessato<br />

fossero pressanti. Ricordiamo brevemente i passaggi fondament<strong>al</strong>i: nel 1564<br />

uscì a Brescia, stampata <strong>d<strong>al</strong></strong> Bozzola, la prima edizione de Le dieci giornate della vera<br />

agricoltura e piaceri della villa; a questa seguirono tre edizioni veneziane tra il 1565 e<br />

il 1566. Nel 1566 <strong>d<strong>al</strong></strong>l’officina del veneziano Nicolò Bevilacqua uscì una versione<br />

notevolmente ampliata, <strong>d<strong>al</strong></strong> titolo Le tredici giornate; nel 1569 uscì dapprima,<br />

sempre a Venezia ma questa volta <strong>d<strong>al</strong></strong>la tipografia di Grazioso Percaccino, un’appendice<br />

autonoma intitolata Le sette giornate dell’agricoltura, destinata a confluire, in<br />

quel medesimo anno, nell’unico volume de Le vinti giornate dell’agricoltura. Questa<br />

fu l’edizione definitiva e servì da base per tutte quelle successive, che finirono<br />

per dare vita ad una vicenda editori<strong>al</strong>e di assoluto rilievo nel panorama it<strong>al</strong>iano<br />

di quell’epoca: dodici edizioni nel corso del XVI secolo (nove a Venezia, due a<br />

Torino ed una a Brescia); sei del XVII secolo (tutte a Venezia); quattro del XVIII<br />

secolo (a Bergamo, Brescia, Cortona e Roma). L’opera ebbe grande successo<br />

oltre che a Brescia e Venezia, anche sul territorio milanese e quello veneto: si ha<br />

infatti notizia di contratti di vendita sottoscritti <strong>d<strong>al</strong></strong> figlio di Agostino, Mario G<strong>al</strong>lo,<br />

con librai di Milano, Pavia, Bergamo, Bologna, Piacenza, Verona e Vicenza 5 .<br />

Il profilo del G<strong>al</strong>lo è già stato delineato con dovizia di particolari da una storiografia<br />

sempre molto attenta a questo personaggio. Basti solo ricordare, di passaggio,<br />

<strong>al</strong>cuni elementi assolutamente degni di nota. In primo luogo, l’uso delle<br />

fonti scritte denota una profonda cultura, che non è solo di stampo classico ma<br />

4 Sull’autore e sulla genesi e fortuna editori<strong>al</strong>e delle sue Giornate dell’agricoltura esiste una ricca bibliografia.<br />

Un agile profilo, corredato da una scheda bio-bibliografica, si può leggere in M.A. MAROGNA,<br />

Agostino G<strong>al</strong>lo, in Scritti teorici e tecnici di agricoltura, a cura di S. Zaninelli, I, Milano 1995, pp. 129-193.<br />

Da ricordare anche l’ultimo convegno dedicato <strong>al</strong>la figura del G<strong>al</strong>lo, che ha prodotto un ricco volume<br />

di saggi: Agostino G<strong>al</strong>lo nella cultura del Cinquecento, Atti del Convegno (Brescia, 23-24 ottobre<br />

1987), a cura di M. Pegrari, Brescia, 1988.<br />

5<br />

MAROGNA, Agostino G<strong>al</strong>lo, p. 141.


è anche attenta agli sviluppi della scienza agronomica dei secoli immediatamente<br />

precedenti a quelli della sua epoca; leggendo le Giornate dell’agricoltura si trovano<br />

citazioni e riferimenti a tutti gli autori ‘canonici’ della classicità greco-latina,<br />

assieme a quelli della tradizione mediev<strong>al</strong>e e della prima età moderna (Pier de’<br />

Crescenzi su tutti, ma anche Arn<strong>al</strong>do da Villanova, Dante, Petrarca e Boccaccio)<br />

6 . In secondo luogo, l’opera del G<strong>al</strong>lo fu l’unica ad essere tradotta, ancora nel<br />

Cinquecento, in una lingua diversa da quella d’origine e ad essere diffusa in Francia<br />

attraverso più edizioni in questa versione 7 . Quanto la viticoltura andasse<br />

annoverata fra le attività princip<strong>al</strong>i dell’agricoltura è testimoniato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ampio spazio<br />

che le viene dedicato <strong>al</strong>l’interno dell’opera del G<strong>al</strong>lo. Ben due ‘giornate’,<br />

infatti, la Seconda e la Terza, sono dedicate rispettivamente <strong>al</strong>la coltura delle viti<br />

e <strong>al</strong>la produzione e conservazione dei vini 8 . All’interno di una descrizione molto<br />

accurata della situazione bresciana, il G<strong>al</strong>lo introduce una novità di assoluto rilievo,<br />

e cioè la questione legata <strong>al</strong>la produzione e <strong>al</strong> consumo dei vini frizzanti 9 ,che<br />

verrà ripresa più avanti da Girolamo Conforti e da Giovan Battista Croce.<br />

Appartenente <strong>al</strong>la re<strong>al</strong>tà bresciana, ma con poca fortuna in patria, è la figura<br />

di Camillo Tarello. Nativo di Lonato, pubblicò per la prima volta il suo Ricordo<br />

d’agricoltura nel 1567 a Venezia, nell’officina di Francesco Rampazetto, pochi<br />

anni dopo l’uscita de Le dieci giornate di Agostino G<strong>al</strong>lo 10 . L’opera ha fin<strong>al</strong>ità<br />

6 B. MARTINELLI, La fondazione delle ‘Giornate dell’agricoltura’ di Agostino G<strong>al</strong>lo, in Agostino G<strong>al</strong>lo, pp. 227-270.<br />

7 A. TENENTI, La fortuna di Agostino G<strong>al</strong>lo in Francia, in Agostino G<strong>al</strong>lo, pp. 9-21. In tutto l’opera del G<strong>al</strong>lo<br />

ebbe tre edizioni in Francia: la prima, <strong>d<strong>al</strong></strong> titolo Secrets de la vraye agriculture et honestes plaisirs qu’on<br />

recoit en la mesnagerie des champs, corrispondente <strong>al</strong>la prima traduzione in francese ad opera di François<br />

De Belle-Forest, è del 1571; le <strong>al</strong>tre due sono rispettivamente del 1572 e 1576.<br />

8 A. GALLO, Le dieci giornate della vera agricoltura e piaceri della villa, In Brescia, Appresso Gio. Battista<br />

Bozzola 1564. Un esemplare è conservato in BBQ con segnatura O.XIII.3. La Giornata terza, compresa<br />

fra le coll. 55v-69v, è intitolata Ragionamento intorno <strong>al</strong> piantare, et <strong>al</strong>leuare le uiti in poco tempo; la<br />

Giornata quarta, <strong>al</strong>le coll. 70r-86r, reca il titolo Ragionamento intorno <strong>al</strong> vendemiare, far’ i vini e conseruarli,<br />

con <strong>al</strong>tre cose a ciò pertinenti.<br />

9 Gabriele Archetti afferma, a ragione, che si possa «forse ritenere la prima codificazione agronomica<br />

di un vino non fermo ottenuto da rifermentazione; cfr. G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia<br />

delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta,<br />

4), p. 467.<br />

10 Per una visione d’insieme della vasta bibliografia sull’autore lonatese si veda la scheda in Scritti teorici,<br />

pp. 197-198, n. 1. Del Ricordo è uscita, recentemente, un’edizione a cura di Marino Berengo, condotta<br />

sull’edizione veneziana del Rampazetto del 1567: C. TARELLO, Ricordo d’agricoltura, a cura di M.<br />

Berengo, Torino 1975; da questo testo sono ricavate le citazioni che seguono. Un esemplare dell’origin<strong>al</strong>e<br />

del 1567 si trova presso BBQ, segnato 7a K.VII.1.<br />

719


720<br />

diverse rispetto <strong>al</strong>la precedente, in quanto non si rivolge più ai possidenti terrieri<br />

con l’invito ad occuparsi in maniera scientifica dell’agricoltura in nome dei<br />

profitti che se ne possono trarre, bensì ad un pubblico più vasto, rappresentato<br />

da tutta quella classe intermedia di lavoratori dell’agricoltura compresi tra i nobili<br />

ed i servi 11 . Stranamente – ma solo in apparenza, come si vedrà meglio in seguito<br />

– sono del tutto assenti riferimenti diretti <strong>al</strong> testo del G<strong>al</strong>lo, e gli unici punti di<br />

contatto (prova, forse, che il lonatese aveva ben presente le Giornate) sono rappresentati<br />

da una serie di argomentazioni comuni: i parassiti annu<strong>al</strong>i, le molteplici<br />

arature, la concimazione con il letame, le influenze del cattivo tempo, la<br />

necessità di un collegamento organico tra agricoltura e <strong>al</strong>levamento.<br />

Il Ricordo d’agricoltura non è un trattato organico di agronomia, essendo composto<br />

di due sezioni sostanzi<strong>al</strong>mente distinte. Il Ricordo vero e proprio occupa la<br />

prima parte, e riguarda l’esposizione del principio della rotazione delle colture,<br />

teoria elaborata <strong>d<strong>al</strong></strong> Tarello e per la qu<strong>al</strong>e aveva chiesto ed ottenuto un ‘privilegio’<br />

da parte del Senato veneto 12 . La seconda parte costituisce una sorta di prontuario,<br />

ordinato <strong>al</strong>fabeticamente, con massime di ispirazione classica, elementi di<br />

cultura popolare e annotazioni basate sull’esperienza person<strong>al</strong>e, intorno <strong>al</strong>la coltivazione<br />

delle viti, delle biade e degli <strong>al</strong>beri da frutto. Il tenore delle citazioni dai<br />

classici (soprattutto Plinio il Vecchio, Columella, Geoponica, Pietro de’ Crescenzi,<br />

P<strong>al</strong>ladio, Virgilio, Cesare e Cicerone) lasciano intendere che l’autore avesse a<br />

disposizione delle edizioni in volgare. Per contro, il frequente richiamo a tradizioni<br />

popolari prive di ogni fondamento scientifico rivela un certo arcaismo di<br />

fondo nella cultura dell’agronomo bresciano.<br />

Dell’opera del Tarello si hanno tre edizioni cinquecentesche nonostante una<br />

inizi<strong>al</strong>e accoglienza sfavorevole 13 , reiterata nel corso del Sei e Settecento; biso-<br />

11<br />

TARELLO, Ricordo d’agricoltura, p. 114: «Essendo questo Ricordo più in beneficio de’ lavoratori et massari<br />

o coloni delle possessioni, ch’esso non è in beneficio de’ patroni di quelle». In molti passaggi,<br />

inoltre, sottolinea la necessità che, oltre ai possidenti ed <strong>al</strong> person<strong>al</strong>e intermedio, anche i fattori ed i<br />

contadini venissero adeguatamente istruiti sulle tecniche agronomiche. In risposta a questa esigenza<br />

il Ricordo venne scritto in volgare, con uno stile semplice e volutamente disadorno, che però a volte<br />

risulta involuto e non immune da errori, soprattutto nelle citazioni di <strong>al</strong>cuni autori latini.<br />

12 C. PONI, Un ‘privilegio’ d’agricoltura: Camillo Tarello e il Senato di Venezia, «Rivista storica it<strong>al</strong>iana», 82<br />

(1970), pp. 592-610.<br />

13<br />

TARELLO, Ricordo d’agricoltura, p. 38: «(...) Sapendo che’l costume è re delle genti, io vo’, o agricoltori,<br />

raccontando istorie, adducendo esempi, trovando argomenti et inserendo favole in questa mia<br />

scrittura, per farvi creduli e capaci della verità del sudetto mio Ricordo con più capi. Il qu<strong>al</strong>e so che la<br />

prima fiata, che esso è uscito fuora, non era inteso da tutti. Onde io prego la vostra umanità e d’o-


gnerà infatti attendere la seconda metà del XVIII secolo per assistere ad una<br />

riscoperta – anche se, forse, sarebbe meglio definirla una ‘scoperta’ – di questo<br />

autore e delle sue teorie agronomiche, con il conseguente riconoscimento della<br />

v<strong>al</strong>idità delle intuizioni relative <strong>al</strong>la rotazione delle colture. Alla prima edizione<br />

veneziana del 1567, già ricordata, ne seguirono due a Mantova nel 1577 e 1585,<br />

rispettivamente presso Giacomo Ruffinello e Francesco Osanna 14 .<br />

Come ben sottolinea Marino Berengo nell’introduzione <strong>al</strong>l’ultima, recente<br />

edizione dell’opera di Camillo Tarello, «il Ricordo si dichiara frutto dell’esperienza<br />

che il suo autore ha maturato tra i campi» 15 . Tarello, infatti, secondo <strong>al</strong>cune<br />

fonti contemporanee citate <strong>d<strong>al</strong></strong> Berengo, era ‘agricoltore’ nel senso che era attento,<br />

da un lato, <strong>al</strong>le trasformazioni di cui era soggetta l’agricoltura bresciana <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

metà del XVI secolo, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro era abile sperimentatore di tecniche coltur<strong>al</strong>i<br />

nuove ed interessanti 16 . Da questo punto di vista non si discosta <strong>d<strong>al</strong></strong>l’immagine<br />

che la tradizione ci ha tramandato di Agostino G<strong>al</strong>lo: entrambi, infatti, fondano<br />

il proprio ragionamento non più solo sull’autorità dei classici – non più indiscussa<br />

– ma sull’esperienza pratica e sull’osservazione empirica della re<strong>al</strong>tà. In<br />

maniera significativa lo stesso Tarello dichiara esplicitamente di tenere in considerazione<br />

solo ciò che, ricavabile dai testi degli autori classici, trova una vera e<br />

proficua applicazione pratica 17 .<br />

gni <strong>al</strong>tro leggente et ascoltante che non tanto consideri le molte cose ch’io dico (e dico da me solo,<br />

senza averle potute conferire con <strong>al</strong>cuna persona sensata, essendo in villa, com’io sono), quanto la<br />

intentione che mi move a dirle, la qu<strong>al</strong> è di giovarvi; di che ci è bisogno grande. Perché ci sono uomini<br />

di così ottuso intelletto i qu<strong>al</strong>i, non avendo né teorica, né pratica d’agricoltura (e poco d’<strong>al</strong>tro),<br />

ch’avendo veduto questo mio Ricordo la prima volta ch’io l’ho fatto stampare, <strong>al</strong>cuni m’hanno detto<br />

apertamente ch’egli è una matteria e pazzia; et <strong>al</strong>cuni per circunlocutione me l’hanno scritto». Secondo<br />

Berengo (p. XLVII), l’autore mise in circolazione, prima dell’edizione definitiva, le bozze, che<br />

suscitarono i pareri negativi menzionati.<br />

14 a Esemplari delle due edizioni mantovane presso BBQ, con segnature 10 S.VII.14 e Cinq. GG.18.<br />

15 BERENGO, Introduzione,in TARELLO, Ricordo d’agricoltura,p.XXV.<br />

16 Berengo avanza l’ipotesi che il Tarello fosse un agente di campagna o il consigliere di un proprietario<br />

terriero, più che un massaro vero e proprio: questo spiega, fra l’<strong>al</strong>tro, oltre che la sua cultura,<br />

anche la libertà di movimento di cui godeva.<br />

17<br />

TARELLO, Ricordo d’agricoltura, pp. 22-23: «Non creda però <strong>al</strong>cuno che, perché io <strong>al</strong>leghi Virgilio,<br />

Columella, Plinio, P<strong>al</strong>ladio, Pietro Crescentio, Costantino Cesare imperatore et <strong>al</strong>tri autori ch’io <strong>al</strong>lego,<br />

e tolga da loro ciò ch’io tolgo, facendo con parte del tolto da loro co’l mio giudicio questo Ricordo,<br />

che perciò detto Ricordo sia di <strong>al</strong>cuno di loro né di tutti insieme, ché egli non è (...) Avvegna che io<br />

abbia tolto dai sudetti autori ciò ch’io ho tolto, come si dee conoscerlo».<br />

721


722<br />

L’interesse del Tarello per la coltivazione della vite si scontra con la re<strong>al</strong>tà<br />

dell’agricoltura di Gavardo negli anni a cav<strong>al</strong>lo della metà del Cinquecento 18 .Il<br />

paesaggio, caratterizzato da un’area collinare, presentava una scarsa superficie<br />

coltivabile a fronte di un complessivo sovrappopolamento; il regime fondiario<br />

era, inoltre, frazionato in piccoli poderi <strong>d<strong>al</strong></strong>le dimensioni medie di 10-20 piò,<br />

condotti da piccoli borghesi spesso di origine urbana. Ne consegue che la preoccupazione<br />

maggiore era rappresentata <strong>d<strong>al</strong></strong>la ricerca di mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità coltur<strong>al</strong>i in grado<br />

di far aumentare la resa unitaria dei terreni, quindi in termini di biade e cere<strong>al</strong>i,<br />

più che la speci<strong>al</strong>izzazione in colture particolari ed <strong>al</strong>tamente ‘tecniche’ come<br />

quella della vite. È certo per questo motivo che i passaggi dedicati <strong>al</strong>l’impianto<br />

delle vigne sono pochi e relativamente confusi: Tarello mescola precetti degli<br />

antichi – criticandoli, però, come fa nei riguardi di Columella – con tradizioni<br />

loc<strong>al</strong>i e credenze popolari 19 ; quasi del tutto trascurato, s<strong>al</strong>vo <strong>al</strong>cuni scarni riferimenti,<br />

è l’aspetto enologico. Essendo comunque interessato <strong>al</strong>la coltivazione<br />

della vite, osserva con particolare interesse le esperienze compiute in re<strong>al</strong>tà<br />

diverse <strong>d<strong>al</strong></strong>la sua: in occasione di un viaggio a Venezia, nel maggio 1567, non<br />

lascia sfuggire l’occasione per osservare quanto veniva fatto <strong>al</strong>l’interno di aree a<br />

forte vocazione vitivinicola, qu<strong>al</strong>e quella veronese, vicentina e padovana 20 .<br />

Apparentemente G<strong>al</strong>lo e Tarello sono simili 21 . Molti elementi li accomunano:<br />

sono colti e studiano gli antichi <strong>al</strong> fine di ricondurli in un’ottica moderna, hanno<br />

consuetudine con la campagna, propugnano il carattere pratico – più che la disquisizione<br />

dotta ed accademica – delle loro scoperte in ambito agronomico, sono <strong>al</strong>la<br />

18 L’unico studio dedicato esplicitamente <strong>al</strong>la viticoltura secondo il Tarello è quello di O. MILESI, M.<br />

Camillo Tarello da Lonato e la tecnica vitivinicola del XVI secolo,in Camillo Tarello, pp. 117-122.<br />

19 Ribadisce, per esempio, mutuandola da Plinio, la credenza che certi parassiti della vite si possano<br />

debellare facendo camminare <strong>al</strong>l’interno della vigna una donna mestruata, discinta, sc<strong>al</strong>za e con i<br />

capelli sciolti sulle sp<strong>al</strong>le, avvertendo però che «questo effetto dell’andare le donne per li campi, non<br />

si dee far giamai nel levare del sole, perché nuocerebbe». Cfr. TARELLO, Ricordo d’agricoltura,p.44.<br />

20<br />

TARELLO, Ricordo d’agricoltura, p. 108: «Benché io abbia guardato quant’ho potuto, per vedere se le vigne<br />

erano zappate la seconda volta, né sul Veronese né sul Vicentino né sul Padovano io n’ho veduto pur<br />

una che sia stata zappata la seconda fiata, come di maggio si debbono zappare esse vigne profondamente<br />

la seconda volta, poco innanzi che esse fioriscano. Cosa non meno vergognosa che dannosa».<br />

21 Un documentato e stimolante confronto fra i due autori si può leggere nello studio – <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e rimando<br />

per ogni ulteriore approfondimento – di E. SERENI, Spunti della rivoluzione agronomica europea nella scuola<br />

bresciana cinquecentesca di Agostino G<strong>al</strong>lo e di Camillo Tarello,in Miscellanea in onore di Roberto Cessi, II, Roma<br />

1958, pp. 113-128. Si veda anche lo studio di F. GRASSO CAPRIOLI, Camillo Tarello, Agostino G<strong>al</strong>lo, Giacomo<br />

Chizzola e l’Accademia di Rezzato, «Rivista di storia dell’agricoltura», 2 (1982), pp. 37-122.


icerca di principî univers<strong>al</strong>i (anche se, <strong>al</strong>meno intuitivamente, entrambi si rendono<br />

conto della difficoltà di elaborare un discorso di carattere univers<strong>al</strong>e <strong>al</strong>l’interno<br />

di una re<strong>al</strong>tà agricola in forte evoluzione). Ma non bisogna trascurare <strong>al</strong>tri elementi,<br />

che invece – seguendo le indicazioni di Berengo – contribuiscono a definire le<br />

opere dei due autori come lavori a se stanti, autonomi, differenti nella sostanza<br />

anche se non nelle fin<strong>al</strong>ità; in primo luogo si nota che, <strong>al</strong>le intenzioni del G<strong>al</strong>lo di<br />

scrivere un trattato sistematico sull’agricoltura, rivolto soprattutto ai proprietari<br />

terrieri, non corrisponde un egu<strong>al</strong>e intento programmatico del Ricordo del Tarello,<br />

dedicato esplicitamente <strong>al</strong>l’illustrazione delle sue teorie in ambito agronomico.<br />

Anche l’ambiente agricolo che fa da sfondo <strong>al</strong>la nascita delle due opere è<br />

sostanzi<strong>al</strong>mente diverso: da un lato la Bassa bresciana, rappresentata <strong>d<strong>al</strong></strong>la tenuta<br />

di Poncar<strong>al</strong>e del G<strong>al</strong>lo, dove l’agricoltura, irrigua e relativamente fiorente, è destinata<br />

princip<strong>al</strong>mente <strong>al</strong>l’approvvigionamento <strong>al</strong>imentare della vicina città di Brescia;<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro il territorio di Gavardo, rappresentato da una piccola tenuta di proprietà<br />

del Tarello – la Marcina – in una zona dove l’agricoltura è di sussistenza e<br />

permette <strong>al</strong>la popolazione rur<strong>al</strong>e di sopravvivere a m<strong>al</strong>apena. D<strong>al</strong> punto di vista<br />

del G<strong>al</strong>lo è rilevante la logica del profitto, cioè l’individuazione di un modus operandi<br />

nella conduzione della terra fin<strong>al</strong>izzato a trarre il massimo guadagno <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

vendita dei prodotti, di conseguenza attraverso una razion<strong>al</strong>izzazione dei sis<strong>temi</strong><br />

di coltura. Per Tarello i problemi sono diversi e di carattere eminentemente pratico:<br />

come <strong>al</strong>largare le superfici coltivate, come risparmiare sulle sementi, come far<br />

crescere il raccolto in misura soddisfacente. La preoccupazione princip<strong>al</strong>e – non<br />

essendo quella del profitto – diviene l’incremento della resa agricola anche e<br />

soprattutto attraverso il recupero dei terreni margin<strong>al</strong>i, fino a quel momento non<br />

bonificati o dissodati, oppure lasciati a pascolo e <strong>al</strong>la vegetazione spontanea.<br />

Sia G<strong>al</strong>lo che Tarello si rivolgono ad un pubblico ben preciso, quello che si<br />

potrebbe definire con un termine ante litteram dei ‘borghesi’, cioè dei possidenti<br />

terrieri – siano essi nobili o no – che non si interessano solamente agli svaghi<br />

della villa bensì <strong>al</strong>l’investimento di capit<strong>al</strong>i nell’agricoltura e che, per questo<br />

motivo, sono fortemente interessati <strong>al</strong>lo sviluppo ed <strong>al</strong> miglioramento delle pratiche<br />

agricole. Non è un caso che la lingua adottata sia il volgare it<strong>al</strong>iano, né che<br />

lo stile sia quello didasc<strong>al</strong>ico-narrativo, in nome di una maggiore e piena comprensione<br />

dei testi e comunicazione delle idee.<br />

Il più eminente fra i ‘debitori’ del duo G<strong>al</strong>lo - Tarello sembra essere Giovanni<br />

Maria Bonardo, originario del Polesine ed autore di un’opera agronomica<br />

intitolata Le ricchezze dell’agricoltura, uscita a Venezia nel 1584 ed ampiamente dif-<br />

723


724<br />

fusa in tutto il territorio della Repubblica, grazie <strong>al</strong>le numerose ristampe. Anche<br />

nel suo caso l’interesse per la viticoltura sembra essere centr<strong>al</strong>e, così come quello<br />

della coltivazione dei cere<strong>al</strong>i, secondo una linea tematica che riguardava grandemente<br />

gli scritti di agricoltura del Cinquecento. L’insistenza sulla coltura speci<strong>al</strong>izzata<br />

della vite rientrava, molto probabilmente, in un gener<strong>al</strong>e piano programmatico<br />

per lo sviluppo di aree depresse e per affrancarsi da un sistema agricolo<br />

di sussistenza. L’intera parte III de Le ricchezze dell’agricoltura è dedicata <strong>al</strong>la<br />

coltivazione delle viti, la cui argomentazione ruota attorno <strong>al</strong>la considerazione<br />

sull’utilità di piantare vitigni tipici del proprio paese «perché di paesi stranieri<br />

non si convengono così bene <strong>al</strong> terren nostro come le nostre, e però, come straniere,<br />

temono il mutamento del cielo e del terreno» 22 .<br />

Un <strong>al</strong>tro importante agronomo del Cinquecento, il padovano Africo Clementi,<br />

si ispirò <strong>al</strong> G<strong>al</strong>lo – senza per<strong>al</strong>tro mai nominarlo esplicitamente – nella<br />

composizione della sua opera princip<strong>al</strong>e, il Trattato dell’agricoltura. Pubblicato a<br />

Venezia nel 1572, rimase per lunghi anni quasi del tutto sconosciuto <strong>al</strong>la maggioranza<br />

degli agronomi dello Stato veneto, per essere poi riscoperto nei primi<br />

anni del XVII secolo e godere di nove edizioni tra Sei e Settecento. Partendo <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

considerazione che i terreni della terraferma della Repubblica avevano subito,<br />

nel corso del tempo, un gradu<strong>al</strong>e impoverimento e di conseguenza la produzione<br />

agricola bastava a m<strong>al</strong>apena per soddisfare le esigenze <strong>al</strong>imentari della popolazione<br />

cittadina, mentre era di pura sussistenza per quella rur<strong>al</strong>e, propose un<br />

progetto di riforma che era del tutto simile a quello elaborato <strong>d<strong>al</strong></strong> G<strong>al</strong>lo <strong>al</strong>cuni<br />

anni prima. La differenza rispetto <strong>al</strong>l’illustre modello era data da una diversa<br />

concezione dell’idea di orto o di luogo coltivato, visto non più come luogo di<br />

piacere nel qu<strong>al</strong>e si raccolgono frutti prelibati, bensì di appezzamento di terra da<br />

coltivare duramente per ricavare pochi frutti per il sostentamento quotidiano.<br />

Nonostante l’impostazione gener<strong>al</strong>e dell’opera andasse verso un’agricoltura di<br />

pura sussistenza, uno spazio considerevole è lasciato <strong>al</strong>la viticoltura (l’intero<br />

quarto libro), senza però apportare novità di rilievo rispetto a quanto tradizion<strong>al</strong>mente<br />

messo in atto.<br />

Per tornare <strong>al</strong>l’ambiente bresciano, non si può non notare come Brescia<br />

divenne rapidamente uno dei centri fondament<strong>al</strong>i per la stampa e la diffusione<br />

22 G.M. BONARDO, Le ricchezze dell’agricoltura, In Venetia, Presso Fabio e Agostino Zoppini, 1584. L’intera<br />

parte III, comprendente i capitoli riguardanti la viticoltura, è riportata <strong>al</strong>l’interno della sezione<br />

curata da MAROGNA, Giovanni Maria Bonardo,in Scritti teorici, pp. 237-256. I capitoli riguardano soprattutto<br />

la concimazione del suolo, la scelta dei vitigni e gli innesti.


dei testi di agronomia. Oltre <strong>al</strong>l’esempio di Agostino G<strong>al</strong>lo, <strong>al</strong>tri autori non legati<br />

<strong>al</strong>la re<strong>al</strong>tà bresciana per origine o adozione videro pubblicate le loro opere in<br />

questa città. È il caso del piacentino Giuseppe F<strong>al</strong>cone, autore de La nuova, vaga<br />

et dilettevole villa, che vide numerose edizioni tra cui una bresciana del 1599 23 .Per<br />

F<strong>al</strong>cone, come per molti <strong>al</strong>tri, l’insegnamento di Agostino G<strong>al</strong>lo è esemplare<br />

soprattutto per la modernità di quel sistema costituito da riferimenti agli antichi<br />

autori latini e da esperienza person<strong>al</strong>e; non a caso, fra i debiti di riconoscenza, un<br />

posto di rilievo viene lasciato proprio <strong>al</strong> G<strong>al</strong>lo, affiancato a Charles Estienne,<br />

Gabriel Alonso de Herrera e Camillo Tarello. Seguendo quello che sembra essere<br />

il nuovo orientamento della teoria agronomica, anche il F<strong>al</strong>cone ritiene di<br />

dover sottolineare con evidenza l’importanza dell’esperienza person<strong>al</strong>e nell’elaborazione<br />

del suo manu<strong>al</strong>e 24 ; uomo colto e ben informato, è <strong>al</strong> corrente delle<br />

esperienze agricole in Sicilia, Puglia e nelle campagne nei pressi di Napoli.<br />

La Villa del F<strong>al</strong>cone godette di un’indubbia fama, che produsse, tra il 1597<br />

ed il 1691, ben otto edizioni: una a Pavia (1597), due a Brescia (1599 e 1602), una<br />

a Treviso (1602), quattro a Venezia (1603, 1612, 1619, 1628), ed una a Piacenza<br />

(1691). A quest’opera se ne affianca una seconda, minore, che riguarda l’<strong>al</strong>levamento<br />

del bestiame ed intitolata Rimedii dove s’insegna molti et varii secreti per medicar<br />

bue, vacche, cani, cav<strong>al</strong>li et ogni <strong>al</strong>tra sorte di anim<strong>al</strong>i, pure con varie edizioni tra Cinque<br />

e Seicento anche se nessuna delle qu<strong>al</strong>i uscita a Brescia.<br />

Il caso di Giuseppe F<strong>al</strong>cone è molto interessante, perché apre uno spiraglio<br />

del tutto inaspettato nella storia dell’editoria tardo-cinquecentesca. Come è stato<br />

sottolineato recentemente 25 , la fortuna editori<strong>al</strong>e della Villa può essere dipesa<br />

in parte <strong>d<strong>al</strong></strong>l’afflato religioso e mor<strong>al</strong>e che pervade tutta l’opera, rendendola<br />

quindi bene accetta ai lettori dell’età post-tridentina 26 . Si tratta natur<strong>al</strong>mente di<br />

23 G. FALCONE, La nuova, vaga et dilettevole villa. Opera d’agricoltura più che necessaria per chi desidera d’accrescere l’entrate<br />

de suoi poderi, Alla libraria del Buozola, In Brescia 1599. Un esemplare in BBQ Cinq. GG.19.<br />

24<br />

FALCONE, La nuova, vaga et dilettevole villa, pp. 52-53: «Così tu hai da credere a quest’opera mia indubitatamente<br />

fondata sopra l’esperienza, dotta maestra, (...) Essendo io ormai canuto di sessant’anni<br />

mentre scrivo questa opera che tu vedi, esendo io dico versato in ogni azzione di villa, come di piantare,<br />

innestare, potare, seminare, vendemmiare e in somma prattico consumato come tu studiando<br />

questa mia fatica, dirai come dico anch’io, e non sarai punto ingannato né frodato».<br />

25<br />

MAROGNA, Giuseppe F<strong>al</strong>cone,in Scritti teorici, p. 396.<br />

26 Il discorso v<strong>al</strong>e in particolare per quei punti nei qu<strong>al</strong>i l’autore si sofferma a delineare il profilo<br />

mor<strong>al</strong>e e spiritu<strong>al</strong>e dei lavoranti della casa colonica, siano padroni o semplici contadini. Ad esempio,<br />

il ‘buon padrone’ doveva essere persona assennata, parco di parole, saggio, paziente, contrario <strong>al</strong>la<br />

bestemmia, onesto, moderato nel consumo del vino, ostile <strong>al</strong>le bettole e <strong>al</strong> gioco, fraterno con il<br />

725


726<br />

un’ipotesi che andrebbe verificata attraverso uno studio approfondito; certo non<br />

va trascurato il fatto che le caratteristiche dell’opera si combinino con il dato<br />

‘geografico’, e cioè che le prime edizioni siano uscite in zone – l’area milanese e<br />

quella bresciana che avevano raccolto l’eredità di s. Carlo Borromeo e di Domenico<br />

Bollani – nelle qu<strong>al</strong>i gli effetti del concilio di Trento si erano tramutati anche<br />

in una forte spinta per la produzione editori<strong>al</strong>e.<br />

Ma l’agronomo bresciano non si formava esclusivamente attraverso lo studio<br />

dei testi di G<strong>al</strong>lo, Tarello, F<strong>al</strong>cone ed <strong>al</strong>tri a lui contemporanei. Il primo passo<br />

era rappresentato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’acquisizione dell’eredità lasciata dagli autori classici,<br />

latini e greci, relativamente <strong>al</strong>l’agricoltura.<br />

Uno sguardo <strong>al</strong>l’antichità: la fortuna editori<strong>al</strong>e dei classici<br />

Come è stato evidenziato, la formazione degli agronomi del Cinquecento passava<br />

soprattutto attraverso lo studio degli autori classici, in particolare latini. È l’età<br />

in cui vengono riscoperti Columella, Varrone, Plinio il Vecchio, ed <strong>al</strong>tri minori<br />

come Catone o P<strong>al</strong>ladio, anche se – v<strong>al</strong>utato con gli occhi moderni – il fenomeno<br />

ebbe i connotati di un recupero cultur<strong>al</strong>e di più vasto respiro: non è azzardato<br />

affermare che gli umanisti leggevano Columella con lo stesso spirito con cui<br />

leggevano Cicerone o Tito Livio, cioè spinti da un senso estetico che li portava<br />

verso la classicità più che <strong>d<strong>al</strong></strong> desiderio di apprendere e di applicare metodologie<br />

e tecniche proprie della vita quotidiana. Ma, prima di procedere oltre, è necessario<br />

sgombrare il campo da un equivoco di fondo, e cioè che non bisogna lasciarsi<br />

tentare <strong>d<strong>al</strong></strong>la spiegazione – invero un po’ troppo semplicistica – che la riscoperta<br />

di questi autori sia frutto esclusivamente dell’erudizione filologica dell’Umanesimo,<br />

che porta a riv<strong>al</strong>utare anche quegli autori rimasti fino a quel momento<br />

in parte o del tutto in ombra. La prova è data <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che ben presto si sviluppò<br />

un vivace movimento di traduzioni e di edizioni sempre più emendate,<br />

indizio dell’elevato interesse che gli agronomi (e quindi non solo i filologi) nutrivano<br />

per opere di questo genere.<br />

prossimo. Il ‘buon contadino’, invece, non doveva bestemmiare, rubare o arrecare danno <strong>al</strong> prossimo<br />

e doveva frequentare la messa nelle feste comandate. I rapporti agrari, inoltre, dovevano essere<br />

improntati <strong>al</strong>l’onestà ed <strong>al</strong> buon senso. Indirettamente si nota come il F<strong>al</strong>cone riprenda – anche se<br />

ad un livello inferiore – l’attenzione <strong>al</strong>la re<strong>al</strong>tà soci<strong>al</strong>e ed economica delle campagne padane, che tanta<br />

parte aveva avuto nell’opera di Camillo Tarello.


Il caso degli scrittori di agricoltura è, quindi, sostanzi<strong>al</strong>mente diverso dagli<br />

<strong>al</strong>tri autori della classicità greco-latina, fatta eccezione per qu<strong>al</strong>cuno dei ‘grandi’<br />

(come Cicerone o Virgilio, per esempio), attorno ai qu<strong>al</strong>i si sviluppò una tradizione<br />

di trasmissione del testo che venne consolidata lungo tutto il corso del<br />

medioevo. Anche se complessivamente poco noti nella trattatistica mediev<strong>al</strong>e, è<br />

però difficile – se non impossibile – non ipotizzare una presenza forte, decisa, di<br />

autori qu<strong>al</strong>i Plinio o P<strong>al</strong>ladio (ma anche Columella, abbondantemente citato di<br />

seconda mano, in quanto ‘scoperto’ solo nel corso del XV secolo) <strong>al</strong>l’interno dei<br />

testi princip<strong>al</strong>i aventi per tema l’agricoltura. Un esempio concreto ed eclatante è<br />

dato <strong>d<strong>al</strong></strong> piccolo ma sontuoso trattatello di agronomia che costituisce il libro<br />

XVII delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, dove è evidente che gli autori classici<br />

non erano certo sconosciuti ed i riferimenti <strong>al</strong>le tecniche agricole non erano<br />

mutuati solamente <strong>d<strong>al</strong></strong>le opere dei poeti 27 .<br />

È comunque indubbio che la grande fortuna editori<strong>al</strong>e di molti autori latini<br />

‘minori’, qu<strong>al</strong>i quelli che hanno scritto di agricoltura, abbia costituito per gli<br />

agronomi moderni una solida base teorica sulla qu<strong>al</strong>e formulare nuove teorie<br />

sulle colture e proporre esperienze person<strong>al</strong>i; non a caso, le fonti princip<strong>al</strong>mente<br />

utilizzate dai moderni scrittori di agricoltura sono proprio gli antichi autori<br />

latini, accanto a qu<strong>al</strong>che voce autorevole della medicina (G<strong>al</strong>eno soprattutto) e<br />

della filosofia (Aristotele e Platone).<br />

Sul mercato, a partire dai primi anni del Cinquecento, erano reperibili volumi<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> titolo generico di Libri de re rustica, che raccoglievano sotto un’unica intestazione<br />

tematica le opere di agronomia di Marco Porcio Catone, Columella,<br />

Varrone e P<strong>al</strong>ladio. Con l’eccezione di Columella, pubblicato spesso autonomamente<br />

e oggetto di un’attenzione del tutto particolare, gli <strong>al</strong>tri autori venivano<br />

acquistati e letti soprattutto grazie a queste edizioni collettive. Non va trascurato<br />

il fatto che, attorno ai Libri de re rustica si sviluppò una rete di apparati critici<br />

ed esplicativi, con voci di assoluto rilievo come quelle di Giorgio Merula, Filippo<br />

Bero<strong>al</strong>do e Aldo Manuzio 28 .<br />

27<br />

ISIDORO DI SIVIGLIA, Etymologiarum sive originum libri XX, ed. W.M. Lindsay, II, Oxonii 1911.<br />

28 A titolo d’esempio si segn<strong>al</strong>a il volumetto di G. MERULA, Enarrationes vocum priscarum in libris de re<br />

rustica, Apud Sebastianum Gryphium, Lugduni 1549, che contiene, in appendice, le Annotationes in<br />

XII libros Columellae di Filippo Bero<strong>al</strong>do. Un esemplare del volume presso BBSV Cinq. A.199. Da<br />

segn<strong>al</strong>are anche TH.ZWINGER, Methodus rustica a Catonis atque Varronis praeceptis aphoristicis per locos communes<br />

digestis typice delineata et illustrata, Petri Perna opera, Basileae [1576].<br />

727


728<br />

Semplificando schematicamente, si possono individuare ben quindici edizioni<br />

cinquecentesche dei Libri de re rustica 29 . Usciti dapprima a Venezia nel 1514<br />

per i tipi di Aldo Manuzio ed Andrea da Asola, ben presto i Libri vennero acquisiti<br />

e stampati dai più grandi editori dell’epoca, fra i qu<strong>al</strong>i si segn<strong>al</strong>ano il parigino<br />

Jean Petit nel 1533, il basileense Johann Herwagen nel 1535, il lionese ma oriundo<br />

it<strong>al</strong>iano Sebastiano Griffio, negli anni 1535, 1537, 1541 e 1549. Robert<br />

Estienne (Robertus Stephanus) li stampò a Parigi nel 1543, affiancandoli ai propri<br />

lavori sull’argomento che andava pubblicando in quegli anni. Verso la fine del<br />

secolo anche il grande Christopher Plantin si interessò a quest’opera.<br />

Come si accennava in precedenza, Columella ebbe un diverso trattamento<br />

rispetto ai compagni, dovuto certamente sia <strong>al</strong>le dimensioni delle sue opere De agricultura<br />

e De cultu hortorum, sia <strong>al</strong>le caratteristiche intrinseche dei testi – non ultimo il<br />

bello stile latino. Escludendo le edizioni collettive dei Libri de re rustica, di questo<br />

autore si contano dieci edizioni nel corso del XV secolo e ben diciotto edizioni nel<br />

corso del XVI secolo 30 . Gli interessati potevano trovare belle edizioni latine, come<br />

quella lionese del Griffio del 1537, 1541 e 1548, o quella parigina dell’Estienne del<br />

1543; oppure rivolgersi verso edizioni it<strong>al</strong>iane, come quella tradotta da Pietro Lauro<br />

e stampata a Venezia una prima volta nel 1544 da Michele Tramezzino e successivamente<br />

nel 1559 da Girolamo Cav<strong>al</strong>c<strong>al</strong>ovo e nel 1564 da Nicolò Bevilacqua.<br />

Una buona traduzione dell’opera ebbe grande fortuna anche in Francia dove, tra il<br />

1551 ed il 1556, Jacques Kerver stampò a Parigi ben quattro edizioni.<br />

Un <strong>al</strong>tro aspetto è degno di nota <strong>al</strong>l’interno del vasto panorama editori<strong>al</strong>e<br />

europeo del XVI secolo: lungo tutto il corso del Cinquecento godettero di<br />

ampia fortuna editori<strong>al</strong>e le raccolte, di tradizione greco-bizantina, che vanno<br />

sotto il nome di Geoponica. Si tratta di testi di difficile collocazione tematica, in<br />

quanto costituiti perlopiù da testi appartenenti <strong>al</strong>la classicità latina e greca e<br />

riguardanti l’agricoltura, l’<strong>al</strong>levamento e le <strong>al</strong>tre attività connesse.<br />

In sostanza – ed il discorso riguarda tanto i Libri de re rustica quanto le edizioni<br />

singole dei diversi autori – non ci troviamo di fronte a veri e propri<br />

manu<strong>al</strong>i, sia perché le tecniche agronomiche del Cinquecento sono mutate –<br />

29 Si è consultata la ‘voce’ Cato, Marcus Porcius, in Index Aureliensis. Cat<strong>al</strong>ogus librorum sedecimo saeculo<br />

impressorum, VII/1, Aureliae Aquensis [Baden Baden] 1982, pp. 196-199. Si notano anche due edizioni<br />

singole di Catone.<br />

30 È stata consultata la ‘voce’ Columella, Lucius Junius Moderatus, in Gesamtkat<strong>al</strong>og der Wiegendrucke, VI,<br />

Leipzig 1934, coll. 762-766, e in Index Aureliensis, IX/1, pp. 316-319. Fra le edizioni quattrocentesche<br />

si contano cinque di Roma ed una ciascuna fra Padova, Vicenza, Vienna, Lipsia e Deventer.


anche se in maniera meno forte ed evidente di quanto ci si potrebbe aspettare<br />

– rispetto a quelle dell’età di Plinio, di Varrone o di Columella, sia perché i precetti<br />

dell’arte agronomica erano strettamente legati <strong>al</strong>le condizioni geologiche e<br />

climatiche delle zone mediterranee, e quindi poco praticabili nella pianura<br />

Padana o sui rilievi pre<strong>al</strong>pini.<br />

Va rilevato che, nonostante i limiti rappresentati <strong>d<strong>al</strong></strong>la scarsa applicazione<br />

pratica, le Geoponicae sono fra i testi più diffusi <strong>al</strong>l’interno della manu<strong>al</strong>istica cinquecentesca.<br />

Il fatto, poi, di essere stampati in un formato piccolo e maneggevole<br />

(solitamente in 8°, ma a volte anche in 4°) con tirature elevate e con conseguente<br />

basso prezzo di vendita, rendeva questi volumi facilmente reperibili sul<br />

mercato. Gli studiosi di agricoltura avevano a disposizione sia la silloge latina<br />

curata da Janus Cornarius (con molte edizioni a partire da quelle basileense e<br />

veneziana del 1538), sia diverse traduzioni in volgare. Di queste ultime le più<br />

note ed utilizzate erano quelle di Piero Lauro e di Nicolò Vitelli, uscite tutte a<br />

Venezia negli anni ’40-’50 del secolo; la versione <strong>d<strong>al</strong></strong> greco del Lauro, stampata a<br />

Venezia da Gabriel Giolito de’ Ferrari nel 1542 e ristampata <strong>al</strong>cuni anni dopo<br />

ebbe particolare diffusione grazie ai capillari can<strong>al</strong>i di distribuzione che facevano<br />

capo <strong>al</strong> grande editore/tipografo veneziano.<br />

Della Geoponica si registrano numerose edizioni diverse 31 . Fra quelle con<br />

testo latino si segn<strong>al</strong>ano gli esemplari stampati a Basilea da Heinrich Froben e<br />

Nicholas Bischoff nel 1538 e 1540, curatore Janus Cornarius, con una intermedia<br />

del 1539 curata da Johannes Brassicanus; sempre curate <strong>d<strong>al</strong></strong> Cornarius anche<br />

le edizioni di Venezia, per i tipi di Giovanni Battista da Borgofranco del 1538, e<br />

di Lione, stampata da Sebastiano Griffio nel 1541.<br />

Fra le edizioni in it<strong>al</strong>iano si segn<strong>al</strong>ano quella curata da Nicolò Vitelli e stampata<br />

a Venezia <strong>d<strong>al</strong></strong> Borgofranco nel 1542, nonché quella dello stesso anno, questa<br />

volta per i tipi di Gabriel Giolito de’ Ferrari e curata da Pietro Lauro, successivamente<br />

ripetuta nel 1549. Anche il testo curato <strong>d<strong>al</strong></strong> Vitelli vide una seconda<br />

edizione, nel 1554, sempre a Venezia, stampata da Bartolomeo Imperatore. Si<br />

31 Si è consultata la ‘voce’ Geoponica nei seguenti repertori: H.M. ADAMS, Cat<strong>al</strong>ogue of books printed on<br />

the continent of Europe, 1501-1600 in Cambridge libraries, I, Cambridge 1990, p. 479; Short-title cat<strong>al</strong>ogue of<br />

books printed in France and of french books printed in other countries from 1470 to 1600 in the British Museum,<br />

London 1966, p. 200; Short-title cat<strong>al</strong>ogue of books printed in the german-speaking countries and german books<br />

printed in other countries from 1455 to 1600 now in the British Museum, London 1962, p. 338. Di grandissima<br />

utilità è risultata essere la banca dati elettronica del Censimento delle edizioni it<strong>al</strong>iane del XVI secolo<br />

(EDIT16), consultabile <strong>al</strong>l’indirizzo internet: edit16.iccu.sbn.it.<br />

729


730<br />

nota anche un’edizione in tedesco, <strong>d<strong>al</strong></strong> titolo Der veldbaw oder das Buch von der Veldtarbeyt,<br />

curata da Leonhard Rabus e stampata a Strasburgo nel 1563.<br />

D<strong>al</strong>l’introduzione di Janus Cornarius <strong>al</strong>la Geoponica, sia nell’edizione basileense<br />

del 1540 che in quella lionese del 1541 32 , l’agricoltura viene definita, nell’ordine,<br />

come: utile per la vita dell’uomo, oggetto di diletto e voluttà, favorevole<br />

<strong>al</strong> godimento estetico, attività nobilitante per l’animo e tonificante per il corpo,<br />

strettamente connessa <strong>al</strong>la medicina (non a caso il prefatore è medico).<br />

All’interno della raccolta viene dedicato ampio spazio <strong>al</strong>l’illustrazione della coltura<br />

della vite e della produzione del vino. Ben cinque libri (<strong>d<strong>al</strong></strong> IV <strong>al</strong>l’VIII) sono<br />

dedicati a questo argomento, cioè <strong>d<strong>al</strong></strong>le questioni relative <strong>al</strong>la piantagione e <strong>al</strong>la<br />

cura delle viti, <strong>al</strong>la vendemmia, <strong>al</strong>l’uso di torchi e botti, <strong>al</strong>la classificazione, conservazione,<br />

degustazione e travaso dei diversi tipi di vino, ed infine <strong>al</strong>le qu<strong>al</strong>ità<br />

medicin<strong>al</strong>i e <strong>al</strong>la preparazione di pozioni vinarie o aceto 33 .<br />

Il discorso non si limita ad enumerare le tecniche agronomiche, ma si addentra<br />

anche nella descrizione di elementi diversi e nuovi, come le qu<strong>al</strong>ità fisiche e<br />

corporee delle persone che si dedicano <strong>al</strong>l’agricoltura e <strong>al</strong>le attività connesse. Si<br />

apprende, per esempio, che i vignaioli devono essere brevilinei e piuttosto tarchiati,<br />

oppure che tra i doveri del vignaiolo vi è quello di tenere in ordine gli<br />

attrezzi da lavoro, ungendo le f<strong>al</strong>ci con olio o con grasso 34 .<br />

32 Selectarum praeceptionum de agricultura libri viginti, Apud Seb. Gryphium, Lugduni 1541. Un esemplare<br />

presso BBQ, segnato 10a S.VII.1; le citazioni che seguono si riferiscono a questa edizione. Sempre in<br />

BBQ è presente un esemplare dell’edizione di Basilea, uscita <strong>d<strong>al</strong></strong>l’officina del Froben nel 1540<br />

(segnatura 1a H.VIII.22).<br />

33 I titoli dei singoli capitoli anticipano la complessità della materia. Il libro IV «continet de plantatione<br />

et cultura vitium arborearum et de plantatione earundem, deque uva Myrsinitide et Theriaca appellata,<br />

et de diuersa insitione et quomodo idem botrus diuersos habeat acinos, et de uvarum diuturnitate et<br />

<strong>al</strong>ia multa utilia». Il libro V «continet ordinem de plantatione et cultura vitium, et quando has vindemiare<br />

oportet, et quomodo abigendae sunt ferae uvis infestae, et de praeparatione oenanthes, et quomodo<br />

uva passa fiat et de plantatione arundinum». Il libro VI «continet structuram torcularis et lacuum<br />

sive vasorum subtorcularium, et vasorum olei et cellae vinariae et sedem doliorum et curam eorundem<br />

atque picationem et praeparationem ad vindemiam, et quomodo uvae c<strong>al</strong>candae sint, et quomodo<br />

mustum in dolia condendum, et ut hoc ipsum non supereffundatur, et quomodo possibile sit mustum<br />

per totum annum habere cognoscereque num aquam habeat, e quomodo acescenti opitulandum et de<br />

gypsatione». Il libro VII «continet ex ordine descriptionem differentiarum vinorum et de cura ipsorum<br />

et gustatione, et de transfusione in <strong>al</strong>ia vasa et quaedam <strong>al</strong>ia utilia». Il libro VIII «continet diuersas vinorum<br />

confectiones, itemque <strong>al</strong>iorum propomatum et aceti omnigenas praeparationes».<br />

34 Selectarum praeceptionum de agricultura, p. 30: «Vinitores non tam <strong>al</strong>tos esse oportet, verum quadratos»,<br />

ed anche pp. 113-114: «Aut adipe hircino aut sanguine ranarum f<strong>al</strong>ces ungito, aut coticula cinere cum<br />

oleo praelita f<strong>al</strong>ces acuito».


Ampio spazio è dedicato <strong>al</strong>le prescrizioni di natura enologica, che riguardano<br />

soprattutto la scelta dei tempi e delle mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità della vendemmia, i diversi tipi<br />

di vino («theriacum, scillinum, p<strong>al</strong>ustre, polyporum»), le tecniche per ottenere<br />

vini dolci e profumati, le caratteristiche fisiche dei vini (colore, gusto, durata). Di<br />

notevole interesse il capitolo VII del libro VII De tempore et modo gustandi vinum,<br />

che si stacca decisamente da ciò che riguarda l’aspetto tecnico-agronomico per<br />

interessare più propriamente quello enologico; fra i consigli dati vi è quello di<br />

degustare il vino nel momento in cui soffia l’austro o un vento bore<strong>al</strong>e, di non<br />

berlo a digiuno né dopo aver mangiato cibi piccanti o s<strong>al</strong>ati 35 .<br />

È evidente che la struttura e gli intenti di opere di questo genere tradiscono<br />

un certo intellettu<strong>al</strong>ismo di fondo. L’opera, cioè, non si configura tanto come un<br />

manu<strong>al</strong>e di agronomia, quanto come una elegante e raffinata operazione di recupero<br />

di testi classici, pienamente comprensibile nell’ottica cultur<strong>al</strong>e rinasciment<strong>al</strong>e;<br />

in t<strong>al</strong> modo diviene possibile, per l’editore ed il curatore della silloge, non badare<br />

<strong>al</strong>la sostanzi<strong>al</strong>e inattu<strong>al</strong>ità delle prescrizioni contenute, ormai sorpassate <strong>d<strong>al</strong></strong>l’evoluzione<br />

delle tecniche agronomiche e quindi improponibili a livello pratico.<br />

Il problema del re<strong>al</strong>e utilizzo pratico delle indicazioni contenute nelle opere di<br />

agronomia dell’antichità non sfuggì a molti uomini del Cinquecento. È emblematico,<br />

ad esempio, il caso del De agricultura opusculum di Antonino Venuti, pubblicato<br />

prima a Napoli nel 1516 e successivamente a Venezia nel 1556, nel qu<strong>al</strong>e l’autore,<br />

già a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’introduzione, confessa di ritenere assolutamente inadeguati gli<br />

insegnamenti in ambito agronomico dei vari Plinio, Varrone, Columella fino a Pier<br />

de’ Crescenzi; l’aspetto più significativo è rappresentato <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che l’operetta si<br />

rivolge espressamente <strong>al</strong>la situazione agricola siciliana, quando è noto che le opere<br />

dei classici riguardavano princip<strong>al</strong>mente proprio le aree mediterranee 36 .<br />

35 Ibidem, p. 140: «Hebes enim stupidus tunc est gustus».<br />

36 A. VENUTI, De agricultura opusculum, Per li heredi di Gioanne Padoano, Vinegia 1556, p. [3]:<br />

«Habenche molti eccellentissimi autori come è Varro, Plinio, Colomella, P<strong>al</strong>ladio, fra Roberto, Pietro<br />

Crescentio, et <strong>al</strong>tri che exprimere non curo, habbiano assai distintamente de l’arte de l’agricultura<br />

parlato, et per li desiderosi animi et sollicite mani de coltiuanti diuersi et sopra natur<strong>al</strong>i experimenti<br />

posto, nientedimeno o per differentia d’aire o d’asperità de terreni per la più parte de quanto<br />

costoro dissero per la experientia fatta tutto el contrario ne la nostra Sicilia retrouato hauemo.<br />

(...) Onde gli sopradetti autori per <strong>al</strong>tri regni et provincie hauendo scritto, credo che molto bene<br />

scrissero, ma variando de luochi non è maraviglia se anchora le loro experientie et documenti medesmamente<br />

variano. Per la qu<strong>al</strong> cosa io Antonino de Venuto notense <strong>al</strong>li milli cincocento et dece poi<br />

de lo humanato verbo anni preteriti, vedendo questa arte de agricultura in Sicilia essere m<strong>al</strong>e intesa<br />

et pegio operata, per la cui causa le subiette piante non potere a tranquillo et perfetto fine perveni-<br />

731


732<br />

Manu<strong>al</strong>i e testi affini<br />

Un posto fondament<strong>al</strong>e <strong>al</strong>l’interno della produzione manu<strong>al</strong>istica cinquecentesca<br />

va dato senz’<strong>al</strong>tro <strong>al</strong>le edizioni dell’opera di Pietro de’ Crescenzi, celebre<br />

agronomo bolognese vissuto tra il XIII ed il XIV secolo. Scrisse l’Opus rur<strong>al</strong>ium<br />

commodorum, che ebbe ampia circolazione nel corso del medioevo e si rivelò essere<br />

un vero e proprio testo di riferimento per tutta la letteratura agronomica<br />

mediev<strong>al</strong>e. Il motivo sta nella sostanzi<strong>al</strong>e innovazione proposta nello studio delle<br />

tecniche agricole, consistente nel superamento dei classici attraverso i riferimenti<br />

– sempre più concreti e circostanziati – <strong>al</strong>l’esperienza diretta e <strong>al</strong>l’osservazione<br />

della re<strong>al</strong>tà agricola it<strong>al</strong>iana del tempo. L’utilità dell’opera del Crescenzi<br />

rimase immutata per <strong>al</strong>meno due secoli, da un lato perché si trattava dell’unica<br />

vera sintesi del pensiero agronomico antico con le acquisizioni in ambito tecnico-agrario<br />

che si andavano verificando nel corso del medioevo, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro perché<br />

lo sviluppo agricolo del basso medioevo venne frenato <strong>d<strong>al</strong></strong>lo spostamento dell’asse<br />

socio-economico verso le città, lasciando <strong>al</strong>le campagne il solo compito di<br />

produrre quanto era necessario per l’<strong>al</strong>imentazione dei cittadini.<br />

Comunque, sul modello del Crescenzi si uniformarono pressoché tutti gli<br />

scrittori di agricoltura successivi, compresi quelli dell’età moderna. Infatti le fonti<br />

princip<strong>al</strong>i – anche se spesso si tratta di citazioni di seconda mano, come è stato<br />

recentemente dimostrato 37 – sono quelle che continueranno ad essere utilizzate<br />

fino <strong>al</strong>la fine del XVI secolo ed oltre: P<strong>al</strong>ladio, il Canone di Avicenna, il De re rustica<br />

di Varrone, Virgilio, Gargilio Marzi<strong>al</strong>e, Plinio il Vecchio e <strong>al</strong>tri autori più recenti,<br />

come ad esempio Burgundio da Pisa, autore, nel XII secolo, di una Geoponica 38 . Pri-<br />

re, ma per lo opposito poi de <strong>al</strong>cune che de ventura riescano la più parte inferme et di poco spirito<br />

trouarse, commosso de pietà da questa arte, fare un piccolo trattato deliberai». Un esemplare dell’operetta<br />

in BBQ S<strong>al</strong>one CC.X.16. Gli ultimi capitoli, numerati autonomamente rispetto ai rimanenti,<br />

contengono una trattazione sulle viti: I Del trattato delle viti et che terreno vogliano, II Della condition<br />

del maglolo, III Del modo del piantare, IV Del governo de essa vite, V Del roncare de viti, VI Del porpaginare de<br />

essa vite, VII Del potare et formacione de essa vite, VIII Dello insertare de essa vite.<br />

37 Soprattutto dagli studi di L. Savastano e J.L. Gaulin, secondo quanto si ricava <strong>d<strong>al</strong></strong>la ‘voce’ curata da<br />

P. TOUBERT, Crescenzi, Pietro de’, in Dizionario biografico degli it<strong>al</strong>iani, 30, Roma 1984, pp. 649-657, con<br />

ampia bibliografia.<br />

38 Di Burgundio si ricorda soprattutto un Liber de vindemiis, oggi presente in <strong>al</strong>cuni esemplari manoscritti<br />

di diversa datazione, testimonianza dell’uso prolungato nel tempo e dell’<strong>al</strong>ta considerazione in<br />

cui era tenuta quest’opera; si v., a titolo d’esempio, P.O. KRISTELLER, s.v.,Burgundio, in ID., Iter It<strong>al</strong>icum.<br />

Cumulative index to volumes I-VI, Leiden-New York-Köln 1997, p. 104.


va di un vero e proprio modello speculativo, l’opera del Crescenzi è basata soprattutto<br />

sull’esperienza person<strong>al</strong>e e, da questo punto di vista, il riferimento ai classici<br />

è limitato a quelle situazioni nelle qu<strong>al</strong>i si potevano scorgere soluzioni sperimentate<br />

e tecnicamente v<strong>al</strong>ide, riguardanti, ad esempio, la potatura, l’irrigazione del suolo<br />

o la vinificazione.<br />

Osservando l’elevato numero di edizioni a stampa e di traduzioni in volgare,<br />

si può affermare che l’opera del Crescenzi sia il ‘vero’ manu<strong>al</strong>e di riferimento di chi<br />

si interessava di agricoltura nel corso del Cinquecento: trentaquattro edizioni (in<br />

latino e con traduzioni in it<strong>al</strong>iano, francese, tedesco e persino polacco) fanno sì che<br />

si possa considerare, senza dubbio, fra i best sellers del secolo. Il libro IV, in particolare,<br />

è interamente dedicato <strong>al</strong>la viticoltura e vinificazione e ric<strong>al</strong>ca fedelmente il<br />

Liber de vindemiis di Burgundio da Pisa e solo in misura minore gli autori antichi.<br />

Natur<strong>al</strong>mente, a disposizione degli agronomi del Cinquecento non c’era solo<br />

Pietro de’ Crescenzi. All’interno della vasta produzione in volgare si segn<strong>al</strong>a, in<br />

maniera del tutto rilevante nell’ambito della storia editori<strong>al</strong>e di questo genere di<br />

libri, il manu<strong>al</strong>e dell’Agricoltura dello spagnolo Gabriel Alonso de Herrera, tradotto<br />

per la prima volta in it<strong>al</strong>iano nel 1568 da Mambrino Roseo e più volte ristampato<br />

fino <strong>al</strong>la fine del secolo 39 . L’opera, che sul frontespizio è presentata come una<br />

silloge di scritti di autori antichi, è in re<strong>al</strong>tà una rielaborazione compiuta <strong>d<strong>al</strong></strong>l’autore<br />

di argomenti, osservazioni, tecniche e caratteristiche fisico-chimiche di tutto ciò<br />

che riguarda le colture. Il riferimento agli autori classici non deve stupire, in quanto<br />

era un espediente per far sì che il libro avesse circolazione ad ampio raggio, cioè<br />

una sorta di ‘patente’ che ne garantisse la legittimità tecnico-scientifica.<br />

L’Agricoltura dell’Herrera è suddivisa in sei libri, il secondo dei qu<strong>al</strong>i – uno<br />

dei princip<strong>al</strong>i per estensione ed argomento trattato – è dedicato <strong>al</strong>la coltivazione<br />

delle viti, comprendendo la classificazione delle stesse, l’impianto della vigna, le<br />

caratteristiche del terreno, la concimazione, la potatura, eccetera; natur<strong>al</strong>mente,<br />

ampio spazio è riservato <strong>al</strong>la produzione del vino e dell’aceto 40 . All’interno del<br />

multiforme filone della manu<strong>al</strong>istica si segn<strong>al</strong>a anche un’opera dedicata esplici-<br />

39 G.A. DE HERRERA, Agricoltura tratta da diversi antichi et moderni scrittori, Per F. Sansovino, In Venetia<br />

1568. In BBQ è presente un esemplare, segnato 10a S.VI.4, dell’edizione veneziana del 1592, stampata<br />

da Nicolò Polo.<br />

40 È interessante leggere la classificazione dei vitigni proposta <strong>d<strong>al</strong></strong>l’autore <strong>al</strong> cap. II del libro II, in<br />

quanto riferita <strong>al</strong>le varietà maggiormente diffuse in quel tempo: verdicchio, moscatello, ‘cesenese’,<br />

cerasuolo dolce, castigliano bianco e rosso, m<strong>al</strong>vasia, ‘p<strong>al</strong>ombino’, assieme <strong>al</strong>la generica uva bianca e<br />

rossa <strong>d<strong>al</strong></strong> chicco di grosse dimensioni.<br />

733


734<br />

tamente <strong>al</strong>la coltivazione della vite ed <strong>al</strong>la vinificazione. Si tratta del Vineto di<br />

Charles Estienne (it<strong>al</strong>ianizzato in Carlo Stefano), editore francese ma anche<br />

autore di <strong>al</strong>cuni testi che riguardano l’agronomia e l’agricoltura 41 .<br />

Il Vineto, nonostante le dimensioni contenute in un numero limitato di pagine,<br />

è opera complessa ed ambiziosa 42 . L’autore non si limita, infatti, <strong>al</strong>la tradizion<strong>al</strong>e<br />

enumerazione di vitigni e suoli, ma intende anche spiegare la terminologia<br />

tecnica adottata nell’ambito della viticoltura, sia per quanto riguarda gli attrezzi<br />

da lavoro che le operazioni da compiere.<br />

Un intero capitolo è dedicato <strong>al</strong>la descrizione minuziosa degli attrezzi, cioè zappe,<br />

f<strong>al</strong>ci, coltelli di diversa forma e uso, che rappresentavano la dotazione tipica del<br />

vignaiolo 43 ; <strong>al</strong>trettanto interessante è il capitolo dedicato <strong>al</strong>le operazioni da compiere<br />

<strong>al</strong>l’interno della vigna, <strong>d<strong>al</strong></strong>la piantagione delle viti, ai diversi tipi di potatura, concimazione,<br />

aratura, propagginatura ed <strong>al</strong>tro 44 . In tutto l’autore conosce una quaran-<br />

41 C. ESTIENNE, Vineto. Nel qu<strong>al</strong>e brevemente si narrano i nomi latini antichi et volgari delle viti e delle uve, con<br />

tutto quello che appertiene <strong>al</strong>la cultura delle vigne, <strong>al</strong>la vendemia e <strong>al</strong>l’uve, Appresso Vincenzo Vaugris, In<br />

Venetia 1545. Un esemplare in BBQ 10 a S.VI.18; nel medesimo volume si trovano rilegate anche<br />

<strong>al</strong>tre due opere dell’Estienne, stampate pure a Venezia <strong>d<strong>al</strong></strong> Vaugris e sono Seminario over plantario de gli<br />

<strong>al</strong>beri che si piantano, con i loro nomi e de i fruti parimente e Le herbe, fiori, stirpi che si piantano ne gli horti.<br />

42 I capitoli in cui è suddivisa la materia: Che cosa sia il vign<strong>al</strong>e, Le parti della vite, Della differenza delle viti,<br />

Le particolari e le communi differenze de le vigne e de le viti, Parole propie <strong>al</strong>la cultura delle vigne, Pedamenta (col.<br />

27v: «sopra quello che la vite sta rita (...) quasi sian piedi»), Istromenti co’ qu<strong>al</strong>i si caua e si cultiua la vigna,<br />

Le herbe del vineto, Le sorti delle uve, Alcuni precetti de gli antichi intorno <strong>al</strong> porre e cultiuar le viti, Le m<strong>al</strong>atie de<br />

le viti, Vendemmia, Stormenti e vasi per far il vino e la vendemia, Il torcolo, Le sorti di vino, Vitii del vino, Vini che<br />

hanno il nome <strong>d<strong>al</strong></strong>le regioni <strong>d<strong>al</strong></strong>le città e <strong>d<strong>al</strong></strong> terreno nel qu<strong>al</strong>e nascano ottimi.<br />

43 Gli strumenti indispensabili, suggeriti <strong>d<strong>al</strong></strong>la pratica degli antichi, secondo quanto si legge <strong>al</strong>le coll.<br />

28v-30r: ‘bip<strong>al</strong>ium’ («istormento col qu<strong>al</strong>e prima si cauaua la terra, e speci<strong>al</strong>mente in quei luoghi o in<br />

quella cultura di vigne doue non s’ammetteua l’aratro, come nelle vigne per terra pedate e solleuate»),<br />

p<strong>al</strong>a, bidente, ‘pastino’ («col qu<strong>al</strong>e si ficcauano i semi e si metteuan nelle caue»), ‘ligo’ («utile a sc<strong>al</strong>zare<br />

o a scoprir le radici»), ‘merga’ («sarmento col qu<strong>al</strong>e si mergeuano i semi nella propagatione»),<br />

marra («con la qu<strong>al</strong>e si taglia la herba che nasce tra le viti»), ‘sarcolo’, ‘rastro’ («stormento dentato,<br />

usato da’ rustici cauando la terra e leuando le siepi nell’occasione»), ‘rutrum o rutum’ («stormento<br />

da riuoltar la terra leuandone le radici inutili»), ‘serrula’ («cosa da tagliar le radici dopo lo sc<strong>al</strong>zamento»),<br />

‘f<strong>al</strong>ce vineatica’, ‘dolabra’ («acuta per radere»), ‘scirpicola’ («una f<strong>al</strong>ce che essi usauano ad <strong>al</strong>legar<br />

le viti»), ‘terebri’ («per inserir le vigne»).<br />

44 Fra le operazioni s<strong>al</strong>ienti, <strong>al</strong>le coll. 22r-27v: «constituere o instituere le vigne», «conserere, piantar<br />

le vigne», «semitar le vigne e limitare», «limitar le vigne per dieci mani», «frequentar la vigna nouella<br />

e annicola», «fodere, cio è cauar le vigne», «occare», «poluerare», «pastinatione», «propagar le viti co i<br />

mergi», «curuatura», «potar la vigna», «ablaqueare, disc<strong>al</strong>zare», «pampinar la vite», «pedare è aggiunger<br />

sostegno <strong>al</strong>la vite», «iugar le viti, qando si legano on pertiche e per dritto e per trauerso».


tina di tipi di vino e ventuno qu<strong>al</strong>ità di uva; incline <strong>al</strong>la piacevole conversazione ama<br />

interc<strong>al</strong>are nel proprio discorso, oltre <strong>al</strong>le solite citazioni dagli antichi, anche proverbi<br />

e modi di dire che, in qu<strong>al</strong>che modo, hanno a che fare con il vino.<br />

Estienne viene ricordato anche per un <strong>al</strong>tro importante trattato di agricoltura,<br />

intitolato Agricoltura nuova et casa di villa, pubblicato anche in traduzione it<strong>al</strong>iana<br />

verso la fine del XVI secolo 45 . Il traduttore dell’opera, il ferrarese Ercole Cato,<br />

nel sottolinearne i pregi e la v<strong>al</strong>idità tecnico-scientifica, dichiara, in maniera<br />

significativa, di aver tradotto in it<strong>al</strong>iano quello che, ai suoi occhi, è il corrispettivo<br />

francese di Agostino G<strong>al</strong>lo 46 . Si tratta di una testimonianza importantissima,<br />

seppur indiretta, del posto di rilievo che il G<strong>al</strong>lo aveva già assunto nell’ambito<br />

della letteratura agronomica dell’It<strong>al</strong>ia della seconda metà del Cinquecento.<br />

Una parte consistente del libro V è dedicata <strong>al</strong>la vite e <strong>al</strong> vino 47 . Fra i passaggi<br />

significativi vi è certamente quello che subordina la piantagione della vite <strong>al</strong>la<br />

scelta del vino che si intende produrre, in base natur<strong>al</strong>mente <strong>al</strong>le caratteristiche<br />

fisiche e chimiche del suolo destinato ad ospitare il vigneto; essendo l’autore decisamente<br />

contrario <strong>al</strong>la concimazione con letame (per timore che il vino acquisisca<br />

un gusto sgradevole), è inevitabile che raccomandi ai titolari delle vigne la<br />

massima attenzione nella scelta dei suoli adatti. Per quanto riguarda la produzione<br />

del vino, si sofferma a lungo a descrivere le qu<strong>al</strong>ità dello stesso, delle botti e<br />

delle cantine; qu<strong>al</strong>che consiglio, dettato forse <strong>d<strong>al</strong></strong>la saggezza popolare, riguarda sia<br />

45 C. ESTIENNE, Agricoltura nuova et casa di villa, Presso Aldo Manuzio, In Venetia 1591. Un esemplare<br />

presso BBQ 1a G.V.20.<br />

46 Ibidem, p. 7: «Hauendo voluto imitare in questo la diligenza de’ medesimi francesi, i qu<strong>al</strong>i hanno trasportato<br />

(come intendo) in lingua loro le venti giornate dell’agricoltura di m. Agostino G<strong>al</strong>lo, per<br />

l’eccellenza, leggiadria et dolcezza loro. In modo che io stimo, che debba essere non solo caro, ma<br />

gioueuole a i nostri a riceuere il medesimo frutto delle fatiche de’ francesi, ch’essi hanno voluto<br />

godere de i nostri in questa materia, tanto più, che è sempre bene a vedere come l’<strong>al</strong>tre nationi, et<br />

massime i francesi d’eleuato et sottilissimo ingegno in tutte le facoltà, operano et si gouernano nella<br />

loro economica».<br />

47 I capitoli, <strong>d<strong>al</strong></strong> XXXVII <strong>al</strong> LVIII, <strong>al</strong>le pp. 381-411, sono: 37 L’utile della vigna ben coltiuata, 38 Che sorte<br />

di terreno ricerca la vite, 39 Che nissuna vigna si fa d’acini, se non vuole farsi per piacere, 40 Prima che piantare<br />

la vite bisogna sapere che vino produrrà la terra, doue ella si vuole piantare, 41 Scielta de’ magliuoli o p<strong>al</strong>miti di vite,<br />

42 Modo di piantare la vite, 43 Qu<strong>al</strong> terreno et coltura ricerca la vigna piantata di nuouo, 44 In che tempo bisogna<br />

piantare la vite, 45 Pianta di vite nera, 46 Pianta di vite bianca, 47 Il lauoriero della vigna cresciuta, 48 Modo di<br />

inestare la vite, 49 Alcune picciole singolarità pertinenti <strong>al</strong>la vite, 50 Delle m<strong>al</strong>attie della vite et de’ rimedii loro, 51<br />

Il modo di fare le vendemmie, 52 Del tempo di forare le botti et gustare il vino, 53 Alcuni leggieri auuertimenti pertinenti<br />

<strong>al</strong> vino, 54 Discorso d’<strong>al</strong>cuni vini per uso della medicina, 55 De’ vitii et accidenti che sopauengono <strong>al</strong> vino,56<br />

Modo di fare aceto, 57 Alcune particolarità pertinenti <strong>al</strong>l’aceto, 58 Il modo di fare agresta.<br />

735


736<br />

la degustazione del vino sia rimedi contro l’ubriachezza. La parte conclusiva è<br />

dedicata <strong>al</strong>l’impiego del vino in farmacopea e <strong>al</strong>la fabbricazione dell’aceto.<br />

Di <strong>al</strong>tro genere, e certamente non meno interessante, anche perché è uno dei<br />

primi manu<strong>al</strong>i ‘illustrati’ dedicati espressamente <strong>al</strong>la pratica agricola, è il Giardino<br />

di agricoltura del ravennate Marco Bussato. Pubblicata nel 1592 a Venezia e successivamente<br />

ristampata più volte, l’opera entrò ben presto nella pratica agronomica<br />

dell’It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e; le ragioni di questa fortuna vanno ricercate soprattutto<br />

nella sobrietà delle spiegazioni, del tutto prive di riferimenti ai testi classici<br />

ma dettate essenzi<strong>al</strong>mente <strong>d<strong>al</strong></strong>la pratica ‘sul campo’ 48 . Gli intenti dell’autore – già<br />

noto agli addetti ai lavori per aver pubblicato, nel 1578 a Ravenna presso Cesare<br />

Cavazza, la Prattica historiata dell’inestare gli arbori – non sono tanto di dilettare l’animo<br />

attraverso la lettura, quanto di insegnare il modo migliore per coltivare le<br />

piante. A questo proposito è interessante leggere il proemio <strong>al</strong>l’opera:<br />

Essendomi io delettato molto dell’Agricoltura, et in particolare hauendo lungo tempo<br />

atteso con somma diligenza <strong>al</strong>la professione d’innestar, o vogliamo dire inc<strong>al</strong>mare (per<br />

esser inteso da tutti) così gli arbori fruttiferi d’ogni sorte, come anche le viti, ho per la<br />

lunga pruova e per le molte esperienze imparato assai bellissimi secreti di questa arte;<br />

li qu<strong>al</strong>i conoscendo io, che saranno di qu<strong>al</strong>che utilità <strong>al</strong> mondo, e che saranno non poco<br />

grati a quelli, che si dilettano, ch’i lor giardini, bruoli, vigne, horti e possessioni, siano<br />

forniti et adornati di varie et diverse sorti d’arbori e viti innestati o inc<strong>al</strong>mati, non gli<br />

ho voluti tener nascosti, né far ch’insieme con me restino <strong>al</strong>la mia morte sepolti; anzi<br />

m’è piaciuto che si diuolghino e si diano <strong>al</strong>la stampa, a fine che ciascuno se ne possa<br />

commodamente servire, secondo che si servono di diversi <strong>al</strong>tri libri, che trattano di<br />

questa professione dell’Agricoltura, tanto necessaria et utile <strong>al</strong>la generatione humana.<br />

Li mando pertanto in luce, pregando il benigno lettore, che non trouando in essi quel<br />

bel stile che si richiederia, m’habbi per escusato, perché non è mia professione d’esser<br />

bel dicitore; né meno a questo ho atteso, ma sommi solamente curato d’esplicare col<br />

mio famigliare modo di parlare quei secreti, che l’esperienza di molto tempo m’ha assigurato<br />

esser veri. E ciascuno sia sicuro, ch’osseruando quanto io in questa mia operetta<br />

li mostro, non serà privo del desiato frutto della sua industria, anzi lieto goderà di<br />

quanto egli delli suoi arbori e viti desidera49 .<br />

48 M. BUSSATO, Giardino di agricoltura, nel qu<strong>al</strong>e con bellissimo ordine si tratta di tutto quello che s’appartiene a<br />

sapere a un perfetto giardiniero, Appresso Giovanni Fiorina, In Venetia 1592; un esemplare in BBQ 10a S.VI.7; <strong>al</strong>tri esemplari di edizioni diverse. A questa seguirono le edizioni, sempre veneziane, del 1593<br />

presso Bartolomeo Carampello, e del 1599 presso Sebastiano Combi.<br />

49 Ibidem, pp. [3-4].


L’opera si compone di due parti autonome. Nella prima vengono date tutte le<br />

istruzioni necessarie per la preparazione dei terreni, la semina, il trapianto, la potatura,<br />

la scelta delle diverse qu<strong>al</strong>ità delle piante e così via. Nella seconda parte si<br />

espone, in maniera sintetica ma precisa, le operazioni da compiere in campagna di<br />

mese in mese. Secondo una tradizione ormai consolidata, anche in quest’opera<br />

viene lasciato ampio spazio per ciò che riguarda la coltivazione delle viti. Ben sei<br />

capitoli sono dedicati a questo tema e spesso corredati da xilografie esplicative 50 .<br />

Indicazioni sulla coltivazione delle viti e sulla vendemmia si trovano, natur<strong>al</strong>mente,<br />

<strong>al</strong>l’interno della sezione dedicata ai lavori da svolgere nel periodo estivo-autunn<strong>al</strong>e.<br />

In particolare ad agosto «si spampano le viti, ligando i sarmenti un<br />

poco lontano l’un <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro, accioche il c<strong>al</strong>ore del sole signoreggi ben l’uva per<br />

farla maturare, che la faccia buon vino. Si fa scandaglio dell’uva, quanta gli ne<br />

può essere, et si fa l’agresta. Si mettono in ordine tutti gli stromenti, che fa bisogno<br />

della vendemia. Alla fine di questo mese, se l’uva sarà matura si comincia a<br />

vendemiare»; a settembre «si finisce di vendemiare et si coglie il guado (...) si<br />

netano le vite fertili»; ad ottobre, infine, «si dà principio a podare le vite (...) si<br />

piantano vite in luoco asciutto et si cuoprono per il freddo del verno» 51 .Da<br />

segn<strong>al</strong>are, infine, la netta distinzione tra viti ed <strong>al</strong>tri <strong>al</strong>beri da frutto; Bussato chiama<br />

questi ultimi genericamente arbori e li considera glob<strong>al</strong>mente, a differenza<br />

delle viti che invece godono di un’attenzione tutta particolare.<br />

Tra enologia e farmacopea<br />

L’attenzione dei medici per le possibilità terapeutiche offerte <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uso del vino<br />

rientra nell’antica tradizione dei Secreta naturae, cioè dei ricettari di pozioni e cataplasmi<br />

a base di prodotti natur<strong>al</strong>i (veget<strong>al</strong>i, anim<strong>al</strong>i o miner<strong>al</strong>i) che trovavano<br />

ampia applicazione nella farmacopea antica e mediev<strong>al</strong>e. Il celebre Evonymus – il<br />

cui Tesauro ebbe numerose edizioni nel corso del XVI secolo, anche <strong>al</strong> di fuori dell’It<strong>al</strong>ia<br />

– si sofferma a lungo a trattare delle virtù benefiche del vino per combatte-<br />

50 Si tratta dei capp. XI Del far col sarmento della vite quantità di cauelute da cauar per piantare, XLIII Dell’innestar<br />

le viti in due modi diuersi col troncarle e non con fenderle, XLIV Dell’innestar vite a troncarle o fenderle, XLV Dell’innestar<br />

vite a zanca, XLVI Dell’innestar vite a temperatura di penna, XLVII Dell’innestar vite ad occhio.<br />

51 BUSSATO, Giardino di agricoltura, capp. 48-50.<br />

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738<br />

re <strong>al</strong>cune m<strong>al</strong>attie ed infermità 52 . Su questa linea sono anche Lievens Lemmens<br />

(Levinio Lennio), autore dell’opera intitolata De gli occulti miracoli et varii ammaestramenti<br />

delle cose della natura, con varie edizioni nei primi anni ’60 del secolo 53 , e Antoine<br />

Mizauld, deciso assertore, in molte opere, dell’uso terapeutico del vino 54 . Del<br />

tutto contraria è l’opinione di Jacopo Berengario, il qu<strong>al</strong>e critica la somministrazione<br />

di vino a chi ha la febbre o ha riportato ferite, in particolare <strong>al</strong>la testa 55 .<br />

Nell’ambiente bresciano si svilupparono le ricerche di Girolamo Conforti e<br />

di Bartolomeo Boldo, anche se su versanti differenti. Il Conforti, autore di un<br />

Libellus de vino mordaci, prende in considerazione gli effetti prodotti sul corpo<br />

umano <strong>d<strong>al</strong></strong> consumo di vino frizzante 56 . La sua cultura, imbevuta di aristotelismo<br />

e platonismo, lo porta a considerare il vino in un ordine di idee superiore: ecco,<br />

quindi, la lunga digressione sull’origine e classificazione dei sapori, che occupa<br />

52 EVONYMUS, Tesauro de rimedii secreti, trad. Pietro Lauro, Appresso G. Battista et Marchion Sessa, In<br />

Venetia 1566. Un esemplare presso BBQ, segnato 10 a I.VI.35. A c. 143 inizia il paragrafo intitolato De<br />

vini fattitii et medicati, cioè quelle pozioni a base di vino ottenute «cuocendo le medicine col mosto»; a<br />

c. 146 De vini aromatici, cioè preparati con aromi o miele; a c. 148 Vini mulsi aromatici, cioè addolciti con<br />

zucchero; a c. 150 Vini aromatici con acqua ardente; a c. 151 Vini aromatici che si fanno co’l sacco sospeso nel vaso;<br />

a c. 152 Vini arteficiosi, c’hanno sapore de vini forestieri e Vino di Romania, contenente essenze diverse.<br />

53 L. LEMMENS, De gli occulti miracoli et varii ammaestramenti delle cose della natura, con probabili ragioni et artificiosa<br />

congiettura confermati, Appresso Lodovico Avanzi, In Venetia 1560. Un esemplare, assieme ad<br />

<strong>al</strong>tri di diversa edizione, in BBQ 10 a I.VI.33. All’indice tematico a c. [16] sono indicati i paragrafi:<br />

Vini grandi e dolci inducano seme assai, Vini conci con raggia causano le gote, Vini arteficiati peggiori che i natur<strong>al</strong>i,<br />

Vino o ceruosa come presto inacetisce, Vino r<strong>al</strong>legra l’huomo, Vino si conserua, Vino come si muta in aceto, Vino<br />

guasto come si concia, Vino beuuto a digiuno è nemico <strong>al</strong>la natura, Vino si adacqui prima che si mangi, Vini diversi<br />

non si mescolino insieme, Vino bianco a desinare ed il rosso a cena, Vino spagnuolo che inacetisce et poi torna, Vino<br />

si usi dentro et boglio di fuori, Vino a vecchi, Vino smoderato scioglie le congiunture, Vino nero meglio nodrisce, Vino<br />

smoderato genera m<strong>al</strong>atie fredde, Vino come si rende grato <strong>al</strong> gusto.<br />

54 A. MIZAULD, Artificiosa methodus comparandorum hortensium fructuum, olerum, radicum, uvarum, vinorum,<br />

carnium et iusculorum, quae corpus clementer purgent et variis morbis absque ulla noxa et nausea blande succurrant,<br />

Ex officina Federici Morelli, Lutetiae 1575. Un esemplare in BBQ 10 a I.IV.34m7. Interessanti i capp.<br />

XI-XII della prima parte dell’opera, dedicati rispettivamente <strong>al</strong>le qu<strong>al</strong>ità purgative dell’uva e <strong>al</strong>l’effetto<br />

anti-veleno di certi vini ed uve (cc. 14-16), ma soprattutto l’intera seconda parte, dedicata integr<strong>al</strong>mente<br />

agli effetti terapeutici del vino ed intitolata Artificia perpulchra componendorum vinorum quae<br />

diversis morbis blande ac iucunde succurrant (cc. 19-39).<br />

55 J. BERENGARIO, Tractatus perutilis et completus de fractura cranei, Venetiis, Per I.A. de Nicolinis de Sabio,<br />

1535. Un esemplare in BBQ, segnato Cinq. E.87.<br />

56 G. CONFORTI, Libellus de vino mordaci, Apud Thomam Bozolam, Brixiae 1570. Un esemplare si conserva<br />

presso BUCV, segnatura Viganò Fa 5.B.60; una riproduzione anastatica, corredata da traduzione<br />

in it<strong>al</strong>iano e da una pregevole introduzione, può essere osservata in Libellus de vino mordaci ovvero<br />

le bollicine del terzo millennio, a cura di G. Archetti, Monterotondo di Passirano 2001.


uona parte del trattatello, con frequenti riferimenti <strong>al</strong>le fonti predilette (il Timeo<br />

di Platone e le opere di G<strong>al</strong>eno). Se l’inizio dell’opera, là dove afferma che il vino<br />

è il più potente corroborante per il corpo umano 57 , collima perfettamente con<br />

l’opinione rinasciment<strong>al</strong>e sul vino, la conclusione – con il giudizio decisamente<br />

negativo sul vino frizzante, responsabile di m<strong>al</strong>attie e scompensi fisici – si pone<br />

su di un piano sostanzi<strong>al</strong>mente nuovo, indice di una riflessione critica sul rapporto<br />

tra uomo e natura. La moderazione indispensabile nel consumo di vino<br />

non è dovuta a considerazioni di natura etico-mor<strong>al</strong>e o religiosa, bensì <strong>al</strong> principio<br />

elementare della conservazione della s<strong>al</strong>ute corporea; non va dimenticato<br />

che, nell’opinione di molti medici del Quattro-Cinquecento, l’ubriachezza stessa<br />

viene considerata una m<strong>al</strong>attia.<br />

Il Libellus del Conforti è del tutto singolare nel suo svolgimento, tanto da<br />

essere di difficile collocazione tematica. Alla già accennata questione della definizione<br />

dei sapori (nella linea aristotelica che fa prev<strong>al</strong>ere il gusto sugli <strong>al</strong>tri organi<br />

di senso), seguono una serie di passaggi per definire il ‘c<strong>al</strong>ore’ natur<strong>al</strong>e dei frutti<br />

come l’uva, ed il conseguente ‘c<strong>al</strong>ore’ acquisito <strong>d<strong>al</strong></strong> vino; la conclusione riguarda<br />

gli effetti negativi prodotti <strong>d<strong>al</strong></strong> consumo di vino frizzante, ma senza proporre<br />

<strong>al</strong>cun rimedio che non sia l’abolizione tot<strong>al</strong>e del consumo da parte dell’uomo 58 .<br />

L’esperienza del Conforti rimase, però, un caso pressoché isolato, nonostante<br />

una certa fama acquisita <strong>d<strong>al</strong></strong>l’autore già presso i suoi contemporanei 59 . All’edizione<br />

bresciana del 1570 non seguì una ripresa dell’opera, né sotto forma di nuova edizione,<br />

né – a quanto pare – come citazione <strong>al</strong>l’interno di opere di <strong>al</strong>tri autori.<br />

L’<strong>al</strong>tro medico bresciano, Bartolomeo Boldo, autore di un’opera intitolata<br />

Libro della natura, rifacimento di una silloge di autori antichi curata in precedenza<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> medico padovano Michele Savonarola, considera positivo per la s<strong>al</strong>ute il<br />

consumo non eccessivo di vino; egli stesso afferma significativamente: «Il commune<br />

beuer di tutti gli anim<strong>al</strong>i è l’acqua, ma il proprio beuer dell’huomo è il<br />

57<br />

CONFORTI, Libellus, p. [3r]: «Cum ad tuendas humani corporis vires nihil a natura nobis tributum<br />

fuerit utilius vino (...)».<br />

58 Ibidem, p. [13v]: «Quamobrem tanquam pestiferum atque laet<strong>al</strong>e ex victu hominis esset exterminandum,<br />

et humani generis sanitas, qua nihil hac in vita optabilius atque praeciosus, voluptatis quasi<br />

titillantis huius vini anteponenda (...)».<br />

59 Per un inquadramento biografico relativo a Girolamo Conforti si veda l’introduzione di G. Archetti<br />

in Libellus de vino mordaci, pp. 7-8 e p. 38, n. 2.<br />

60 B. BOLDO, Libro della natura et virtu delle cose che nutriscono et delle cose non natur<strong>al</strong>i, Appresso Domenico<br />

et G. Battista Guerra, In Venetia 1575, p. 176. Un esemplare in BBQ 1a G.IX.33.<br />

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vino» 60 . L’intero Trattato X del Libro della natura è dedicato <strong>al</strong> vino e <strong>al</strong>le virtù dello<br />

stesso, sulla scorta di quanto hanno scritto molti autori antichi; oltre ai classici<br />

latini si trovano riferimenti ad Aristotele, Avicenna e <strong>al</strong>la grande tradizione<br />

araba 61 . Torna, come già in Conforti, la teoria dei sapori che sarebbero influenzati<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> c<strong>al</strong>ore intrinseco degli ingredienti che costituiscono le sostanze; fra gli<br />

autori più citati vi sono infatti Platone e G<strong>al</strong>eno, non a caso punti di riferimento<br />

essenzi<strong>al</strong>i per la trattatistica medica dell’epoca.<br />

Nella seconda metà del Cinquecento non era raro imbattersi in trattatelli<br />

scientifici ma <strong>d<strong>al</strong></strong> tono divulgativo, quasi dei prontuari, scritti da medici illustri e<br />

stampati e diffusi in un gran numero di copie. È il caso del Trattato della natura de<br />

cibi et del bere del medico bolognese B<strong>al</strong>dassarre Pisanelli, che conobbe un paio di<br />

edizioni nel corso degli anni ’80 del secolo 62 .<br />

L’opera ha una struttura schematica: di ogni cibo (veget<strong>al</strong>e, anim<strong>al</strong>e o derivato)<br />

e bevanda si indicano le caratteristiche ottim<strong>al</strong>i, i benefici per il corpo, i danni,<br />

i rimedi, il ‘c<strong>al</strong>ore’ intrinseco ed <strong>al</strong>cune notizie di storia natur<strong>al</strong>e. Non mancano,<br />

natur<strong>al</strong>mente, riferimenti specifici <strong>al</strong> vino, ma limitati <strong>al</strong>la serie di contrapposizioni<br />

vecchio/giovane, dolce/aspro, rosso/bianco. È però interessante notare che, a<br />

differenza di <strong>al</strong>tri cibi e bevande (con la sola eccezione dell’acqua), la sezione dedicata<br />

<strong>al</strong> vino è preceduta da un testo discorsivo – una sorta di introduzione <strong>al</strong>la<br />

materia – con precetti relativi <strong>al</strong> consumo del vino. Le fonti sono rappresentate<br />

ancora dai classici, nonostante il Pisanelli dimostri di non dare troppo peso ai loro<br />

insegnamenti 63 , e <strong>al</strong>l’esperienza pratica dell’autore. La lettura di questo testo rende<br />

perfettamente l’idea di come venisse considerato il vino e l’uso che se ne faceva:<br />

Effetti del vino beuuto moderatamente<br />

D<strong>al</strong> moderato uso del vino l’ingegno si fa illustre e chiaro, l’animo si rende più fedele<br />

e più mansueto, l’anima si dilata, gli spiriti si confortano, l’<strong>al</strong>legrezze si moltiplicano e i<br />

dispiaceri si scordano. (...) Quanto poi appartiene <strong>al</strong> corpo, il vino conferisce <strong>al</strong>la nutri-<br />

61 I capitoli del Trattato X sono: I Del vino, II Del vin cotto, III Della sapa («ò vero il sapor d’uva», p. 172),<br />

IV Del vino granato («fatto con le scorze e con i grani», p. 173), V Del vino de’ codogni, VI Del vino de’ crespini,<br />

VII Dell’aceto, VIII Dell’agresto.<br />

62 B. PISANELLI, Trattato della natura de cibi et del bere, Appresso Gio. Battista Porta, In Venetia 1584. Un<br />

esemplare presso BBQ 3a A.IX.16; un esemplare dell’edizione di Bergamo, Per Comino Ventura,<br />

1587, segnato 8a F.X.14.<br />

63 Ibidem, p. 136: «Queste leggi, può essere che nella Grecia, oue i paesi sono c<strong>al</strong>dissimi et i vini potentissimi,<br />

hauessero già luogo. Ma in queste parti fredde, oue i vini non sono tanto grandi, non si seruaranno<br />

mai».


tione, <strong>al</strong>la concottione, <strong>al</strong>la digestione et <strong>al</strong>la generatione del sangue. Egli distribuisce<br />

gli humori che sono concotti, nutrisce con velocità, r<strong>al</strong>legra il cuore, caccia le ventosità,<br />

prouoca l’orina, augumenta il c<strong>al</strong>or natur<strong>al</strong>e, ingrassa i conu<strong>al</strong>escenti, risueglia l’appetito,<br />

muoue i sudori, fa dormire, rischiarisce il sangue ch’è torbido, apre l’ostruttioni,<br />

porta il nutrimento a tutte le parti del corpo, assottiglia gli humori grossi, manda via il<br />

cattiuo colore della cotica et aiuta a fare uscire tutti gli escrementi del corpo. E questa<br />

quantità moderata del vino, secondo la dottrina de gli antichi, vuole esser tanta nello<br />

stomaco che non nuoti et i cibi non vadano navigando, non faccia vento né rugito.<br />

Della qu<strong>al</strong>ità poi del vino parlando G<strong>al</strong>eno, disse che il buon vino vuole essere di età<br />

mezano, cioè né nuouo né vecchio, di sostanza puro e lucido, di color bianco o mezo<br />

rosso, di odor soaue e che nel gusto non si senta acquoso, né stittico, né amaro, né dolce<br />

eccessiuamente. E questo è conueniente a tutti, massime a i vecchi.<br />

Effetti del vino beuuto fuori di modo<br />

Quando la quantità del vino che si beue non può esser retta né moderata <strong>d<strong>al</strong></strong> c<strong>al</strong>or<br />

natur<strong>al</strong>e, non solo egli non sc<strong>al</strong>da, ma genera effetti et infermità frigide, perciocché<br />

suffocando il c<strong>al</strong>or natur<strong>al</strong>e nuoce assai <strong>al</strong> ceruello et a tutti i nerui, e quindi nasce l’apoplesia,<br />

la par<strong>al</strong>isia, il letargo, il m<strong>al</strong> caduco, lo spasmo et il tremore.<br />

Quanto poi appartiene <strong>al</strong>l’animo, il vino fa gli huomini loquaci, ingiuriosi, fuorsennati,<br />

stupidi, homicidiarii e lussuriosi; gli corrompe la mente, risolue l’animo e distrugge le<br />

potenze anim<strong>al</strong>i e natur<strong>al</strong>i, e se l’ebbriachezza si frequenta apporta molte lesioni <strong>al</strong> corpo<br />

humano (...) percioché il vino in <strong>al</strong>cuni stomachi si conuerte in cholera et in <strong>al</strong>tri in<br />

puro aceto, e l’uno e l’<strong>al</strong>tro è grandissimo m<strong>al</strong>e. E quando l’huomo è ebriaco, è come<br />

una naue che sta in mezo il mare senza gouerno. Pure se l’huomo volesse <strong>al</strong>cuna volta,<br />

o per compagnia o per delitia o per sensu<strong>al</strong>ità bere un poco più del suo ordinario, auuerta<br />

in quel pasto di mangiar poco, accioché la quantità del vino non portasse il molto cibo<br />

indigesto per le vene, e a molta quantità del cibo non ritardasse il passaggio <strong>al</strong> vino, il<br />

qu<strong>al</strong>e con questa occasione fermandosi nello stomaco mandarebbe gran copia di fumi<br />

<strong>al</strong>a testa, e potrebbe causare <strong>al</strong>cuni di quei m<strong>al</strong>i effetti, che si sono detti di sopra.<br />

Di più non si pongano cibi diuretici nelle viuande, né si mangino cose dolci, ma cose<br />

amare, come mandorle. I cauoli nel pasto sono ottimi contra i nocumenti del vino, e<br />

dopo il pasto l’uso delle cotogne, delle cotognate, de i grani di mortelle e di tutte l’<strong>al</strong>tre<br />

cose astringenti, è molto <strong>al</strong> proposito per questo effetto 64 .<br />

Nel complesso, il giudizio del Pisanelli sul vino non è del tutto positivo. Egli<br />

invita <strong>al</strong>la cautela soprattutto nel consumo di vino invecchiato per più di quattro<br />

anni, più adatto <strong>al</strong>la preparazione di medicine che per la degustazione; <strong>al</strong>lo stesso<br />

modo, invita a non eccedere con il vino giovane, che genera «m<strong>al</strong>i humori e<br />

64 Ibidem, pp. 137-139.<br />

741


742<br />

sogni disordinati». Il vino dolce è potenzi<strong>al</strong>mente giovevole <strong>al</strong> corpo, ma una<br />

quantità eccessiva nuoce <strong>al</strong> fegato e <strong>al</strong> cuore; per contro ritiene i vini «bruschi,<br />

agrestini, stittici, pontici, austeri et acerbi» assai dissetanti, digestivi e diuretici.<br />

Tra i vini rossi e i bianchi dà la preferenza ai primi, perché più nutritivi.<br />

Certamente, non si può stabilire con sicurezza se i precetti del Pisanelli fossero<br />

seguiti ed applicati <strong>al</strong>la lettera: è comunque significativo notare come l’interesse<br />

si fosse gradu<strong>al</strong>mente spostato <strong>d<strong>al</strong></strong>le questioni tecnico-coltur<strong>al</strong>i a quelle sanitarie,<br />

in un processo destinato a produrre un’intensa attività negli anni a venire.<br />

Nel 1597 il medico romano Andrea Bacci pubblicò, con un privilegio di<br />

papa Clemente VIII, un’opera <strong>d<strong>al</strong></strong> titolo De natur<strong>al</strong>i vinorum historia, vera summa<br />

delle conoscenze enologiche del periodo 65 . Divisa in sette libri, per un tot<strong>al</strong>e di<br />

poco meno di quattrocento pagine, l’opera intende classificare, in una maniera<br />

sistematica pressoché inedita, tutte le conoscenze che riguardano la produzione<br />

e l’uso del vino. Gli autori di riferimento sono Dioscoride e G<strong>al</strong>eno, oltre agli<br />

immancabili Aristotele e Platone. L’intera prima sezione dell’opera, <strong>al</strong>l’incirca<br />

fino <strong>al</strong> quarto libro, non si discosta <strong>d<strong>al</strong></strong>la tradizione, ormai consolidata, della trattatistica<br />

su questo argomento: natura e classificazione dei vini e delle uve, usi farmacologici<br />

del vino; illustrazione, con l’ausilio di frequenti citazioni da Omero e<br />

Virgilio, dell’uso del vino nell’antichità.<br />

I libri V-VII, raccolti sotto un titolo cumulativo di De vinis It<strong>al</strong>iae, sono invece<br />

molto più interessanti, poiché contengono una sorta di ‘cat<strong>al</strong>ogo’ dei vini it<strong>al</strong>iani;<br />

di ogni vino, infatti, vengono indicate oltre <strong>al</strong> nome, le caratteristiche organolettiche,<br />

l’origine del vitigno e la zona di produzione, nonché i benefici o i<br />

danni che ne può ricavare il corpo umano <strong>d<strong>al</strong></strong> consumo moderato o eccessivo.<br />

Nella rassegna del Bacci entrano tutti i vini dell’It<strong>al</strong>ia di <strong>al</strong>lora: <strong>d<strong>al</strong></strong>la Sicilia fino<br />

<strong>al</strong>la zona pre<strong>al</strong>pina; non può mancare un’ampia pagina dedicata <strong>al</strong>la produzione<br />

65 A. BACCI, De natur<strong>al</strong>i vinorum historia; De vinis It<strong>al</strong>iae et de conviviis antiquorum libri septem. Accessit de factitiis<br />

ac cervisiis deque Rheni, G<strong>al</strong>liae, Hispaniae et de totius Europae vinis et de omni vinorum usu compendiaria<br />

tractatio, Ex typographia Nicolai Mutii, Romae 1597. Un esemplare in BBQ 1 a G.III.12. Nella dedica<br />

indirizzata <strong>al</strong> card. Ascanio Colonna, a c. [2r], il Bacci scrive: «Vinum in comparatione cunctarum<br />

rerum maximas obtinuit praerogatiuas. Gemmae quidem, argentum et aurum et liae res pretiosae,<br />

cum pro sui tantum splendore ac raritate sint desiderabiles, <strong>al</strong>ioquin pauci aut nullius in natura usus;<br />

vinum praeter caetera habitum est a prima usque hominum industria atque vinearum cultura gratissimum<br />

omnibus, ac multa ad vitam utilitatis. Et, ubi caetera quaecunque fruges sunt pro natura sui<br />

utiles, et in <strong>al</strong>imentis, non ubique tamen nec communiter expetuntur, at vinum a primaeuis illis cultoribus<br />

tam communem apud homines et omnes nationes meruit gratiam, ut quasi coeleste quoddam<br />

donum fuerit».


vinicola del territorio bresciano, riconosciuta come <strong>al</strong>tamente speci<strong>al</strong>izzata già in<br />

quel periodo. Il testo è molto interessante, e non è fuori luogo trascriverlo integr<strong>al</strong>mente,<br />

nonostante la lunghezza:<br />

In Brixianis agris vina<br />

Ea est naturae generositas in producendis abunde vinis, ac locorum simul quorundam<br />

natur<strong>al</strong>is ad id dispositio, ut Brixiae ager, ausim dicere, foecunditate cunctarum frugum<br />

ac inorum prae caeteris, reliquam superet Transpadanae huius regionis ubertatem. Naturae<br />

peculiarem indicat fauorem ciuitatis ipsius deductum a foecunditate nomen (ut nobiles<br />

quidam interpretantur historici) Brixia a ‘brithein’, grauari, quod proprium apud<br />

Graecos de arboribus est, quae onustae ac pendulis ramis pro grauitate fructuum sint, et<br />

‘bebritas’ mensas vino graues dixit Homerus (Odyss. XIX). Unde pro celebri vinorum<br />

fame carmen adducit Textor in epithetis: «Brixia pampineas laetissima munere Bacchi».<br />

Ad haec situ et amplitudine agri tellus uberrima, quam geographi quinquaginta miliaria<br />

latitudine, vel etiam centum longitudine erga Rhetios continere metiuntur; centenis<br />

confertissima castris, vicis ac opulentis oppidis, vocibus ut plurimum longobardicis,<br />

sicut et montibus ac magnis multis fluminibus, fluentisque Mella et Ollio praesertim<br />

irrigata, et lacubus Sebino a dextris ac Idro a sinistris, quibus ab aqua inditum a Graecis<br />

nomen, illorum indicat antiquum dominium ac gentem. Montibus praeterea ad iuga<br />

usque Rhetia frugiferis ac met<strong>al</strong>lorum fodinis ditissimis, ferri praesertim atque aeris; ac<br />

cere<strong>al</strong>ium cum his frugumque <strong>al</strong>iarum et vinorum tanta ac tam generosa abundat<br />

copia, ut quot castra dixerim, tot fere genera habeantur. Relinquo communia et quae in<br />

ciuitatis suburbanis abundant innumera, <strong>al</strong>ba, fulua ac rubra, muscatella et partim<br />

robusta, partim mediocris roboris, et domestica vernacia.<br />

Occident<strong>al</strong>i situ, qua via Bergomum itur, vicus a dextris occurrit Collaticum, seu C<strong>al</strong>l<strong>al</strong>tum<br />

vetus [Cellatica] ubi electissima parantur vernacia vina, colore, odore, sapore<br />

suauissima, et quae Graecis Romanis aemula confortant cor hominis; quapropter cum<br />

magno quaestu Mediolanum et in Germaniam conuehuntur, ac Romam <strong>al</strong>iquando<br />

cum summa laude. Eodem tractu in Francia curta [Franciacorta], sic dicta vicinia, obtentis<br />

iam illis locis a Franchis, usque in amoenissimam oram Idri lacus, groppellium celebrat<br />

vinum, a greppellis sic vernacula voce dictis uvis, quas cumulatis in unum grupum<br />

dicunt It<strong>al</strong>i racemulis, rubicunda ac pineolis quas supra diximus similes, quod Albanis<br />

et Ariciae vinis aemulum, potentius ac gustu admodum grato, in Germaniam similiter<br />

magnis curris ac onustis utris deuehi solet. Eodem collium tractu sclaua vulgo appellant<br />

preciosa vina, clarettis g<strong>al</strong>licis aemula. Exinde descensu ad sinistram in ampliorem<br />

planiciem, qua colliculi secus Ollium amnem in aspectum eminent It<strong>al</strong>iae ad meridiem,<br />

famosa extant castra suis vinis, Padornum [Paderno], Passaranum [Passirano], Adornum<br />

[Adro] et quae non longe ab Ollii ripis, P<strong>al</strong>azzolum et Orbuscum [Erbusco] vinis admodum<br />

generosis foecunda, colore ac sapore lachrymae.<br />

Sunt post has et duae v<strong>al</strong>les, Camonica amplissima, quae ad oram Seuini lacus ac Rhetios<br />

attingit, multis exculta castris ac collibus viniferis, et v<strong>al</strong>lis a Sole ob amoenitatem<br />

743


744<br />

cognominata, quae vinis optimis celebrantur, sum [i.e. sunt] Orbanno [Erbanno] praecipue<br />

Castello, ac Bormii collibus, colore similiter rubicundo ac splendido sapore, ac<br />

tota substantia delectabili.<br />

Multae quoque famae est Gauardum castrum in vinis, quae producit generosa, ubi<br />

Nauilii amnis fontes, versus Idrium lacum XX mil. pas. Influunt. In planis vero cum<br />

sint, ac minus solaribus radiis exposita castra, Bircium, Brianum, M<strong>al</strong>ignum, minus<br />

gignunt v<strong>al</strong>ida et quae non longe citra eundem amnem sub castro Castanedulo [Castenedolo]<br />

et ultra amnem sub Monte Claro [Montichiari], latissima campania mediocria.<br />

In suburbanis vero Brixiae collibus rubicunda et grato primis mensibus dulcore, vinaciolis<br />

familia, caeterum sub ineuntis aestatis c<strong>al</strong>oribus inu<strong>al</strong>ida, vel quae permanent ad<br />

usum aegrotantium habentur v<strong>al</strong>de s<strong>al</strong>ubria. Multa relinquo sub dominiis illustrium<br />

ciuium, quorum exacta cura adhibita ad foecundandas vineas, optima sub quocunque<br />

genere praedictorum parantur vina, quae suam singul merentur historiam 66 .<br />

All’interno del testo vi sono <strong>al</strong>cuni spunti interessanti. Per esempio, la conferma<br />

che la Franciacorta è, da sempre, zona ad elevata vocazione vitivinicola, che vede<br />

da un lato la speci<strong>al</strong>izzazione delle colture, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro l’elevata quantità di vino<br />

prodotto. Per quanto riguarda il primo punto, vengono citati espressamente la<br />

vernaccia («domestica vernacia») da un vitigno coltivato sulle <strong>al</strong>ture di Cellatica,<br />

di eccellente colore, sapore e odore; segue il groppello, prodotto in tutta la Franciacorta<br />

e molto simile, anche se di gradazione maggiore («potentius») ai vini<br />

prodotti sui colli Albani e ad Ariccia; seguono i vini prodotti con l’uva schiava,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> gusto fine e ricercato e simili ai vini bianchi francesi («preciosa vina, clarettis<br />

g<strong>al</strong>licis aemula»); conclude la rassegna il vino passito, non nominato <strong>d<strong>al</strong></strong> Bacci<br />

con un termine specifico ma con il semplice riferimento <strong>al</strong> celebre lachrima Christi<br />

(«colore ac sapore lachrymae»), prodotto nei vigneti attorno a Paderno, Passirano,<br />

Adro, Erbusco e P<strong>al</strong>azzolo. Per quanto riguarda il livello produttivo è presumibile<br />

che la quantità di ciascun tipo di vino fosse considerevole, soprattutto<br />

per quelli pregiati, destinati in buona parte ad <strong>al</strong>imentare «cum summa laude» il<br />

mercato dell’esportazione verso la Germania, Milano e Roma.<br />

Accanto <strong>al</strong>la Franciacorta il Bacci segn<strong>al</strong>a come zone ad elevata produttività<br />

vinicola la V<strong>al</strong>camonica e la V<strong>al</strong> di Sole – ora appartenente <strong>al</strong> Trentino – dove la<br />

coltivazione della vite trae giovamento <strong>d<strong>al</strong></strong>la fertilità del suolo e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esposizione ai<br />

raggi solari: in queste v<strong>al</strong>li viene prodotto un vino rosso assai apprezzato («splendido<br />

sapore ac tota substantia delectabili»); elogia i vini prodotti a Gavardo ma,<br />

66 Ibidem, pp. 319-320.


per contro, non apprezza né la quantità né la qu<strong>al</strong>ità di quelli prodotti nella campagna<br />

attorno a Castenedolo e Montichiari, <strong>d<strong>al</strong></strong> momento che ritiene l’esposizione<br />

ai raggi solari, in pianura, del tutto insufficiente per la coltivazione delle viti.<br />

Parlando delle vicinanze del territorio bresciano si sofferma sui «muscatella suavissima»<br />

dei rilievi collinari bergamaschi di Cenate, Grumello e della V<strong>al</strong> C<strong>al</strong>epio,<br />

nonché sulla «egregia vernacia» prodotta nel mantovano.<br />

Il ‘censimento’ del Bacci è opera veramente notevole, sorretta da precisi riferimenti<br />

<strong>al</strong>le fonti antiche e <strong>al</strong>l’esperienza person<strong>al</strong>e. Egli può, <strong>al</strong>la fine dell’opera,<br />

tirare le somme della ricerca compiuta, arrivando a c<strong>al</strong>colare in Europa oltre<br />

duecento tipi di uva diversi, contro i quindici proposti da Virgilio e gli ottanta di<br />

Plinio, e giungendo <strong>al</strong>la conclusione che il numero dei tipi di vino che si possono<br />

produrre è pressoché illimitato 67 .<br />

La voce del Bacci era assai autorevole <strong>al</strong>l’interno del panorama degli studi di<br />

medicina dell’It<strong>al</strong>ia di <strong>al</strong>lora, e questo sicuramente contribuì <strong>al</strong>la diffusione delle sue<br />

opere presso una cerchia di studiosi molto vasta. Il De natur<strong>al</strong>i vinorum historia ebbe<br />

più edizioni: tre a Roma nel triennio 1596-1598 ed una a Francoforte nel 1607; l’autorevolezza<br />

dell’autore suggerisce, indirettamente, l’importanza che la discussione<br />

sull’uso del vino in campo medico aveva acquisito <strong>al</strong>la fine del XVI secolo 68 .<br />

La lunga tradizione dell’interesse sull’applicazione del vino in medicina durò<br />

per tutto il secolo successivo; da ricordare, a titolo d’esempio, le opere di Pamphilus<br />

Herilacus, Giovanni Molfino e di Prospero Rendella (quest’ultimo era in re<strong>al</strong>tà<br />

giureconsulto, ma nella sua opera sono frequenti i riferimenti <strong>al</strong>la medicina, in un<br />

par<strong>al</strong>lelo interdisciplinare abbastanza comune nel Cinquecento) 69 .<br />

67 Ibidem, p. 370: «Quicquid ergo Virgilius, eodem Plinio attestante, quindecim uvarum retulerit genera,<br />

nimirum dumtaxat externa, tria oleae, totidem pirorum, m<strong>al</strong>o vero tantum Assyrio, caeteris omnibus<br />

neglectis; et quicquid insuper ipse Plinius scribat se ad octoginta collegisse species. Nos quidem,<br />

praeter G<strong>al</strong>lica et Hispanica et Rheni vina, quorum insigniora recensuimus, innumeraque <strong>al</strong>ia relicta<br />

supponimus, ex solis it<strong>al</strong>icis ducenta comprehendimus genera. Unde computatis quae ad nostram<br />

non peruenerunt notitiam, vel etiam transegimus, cum eiusdem Plinii tandem censura concludimus<br />

sine numero reperiri vina, totidemque esse genera quot agri. Vel si verum fuit, eodem teste asserere,<br />

quod mundus finitus infinito similis, et naturam praecipue in producendis vinis fatebimur infinito<br />

similem, nec certum eorum, cum sapientissimo agricola haberi numerum (...)».<br />

68 Per un sintetico ma preciso profilo del Bacci si veda la ‘voce’ curata da M. CRESPI, Bacci Andrea,in<br />

Dizionario biografico degli it<strong>al</strong>iani, 5, Roma 1963, pp. 29-30, con ulteriore bibliografia.<br />

69 P. HERILACUS, Aquarum natura et facultates, vinorum et aquarum effectuum invicem comparatorum tractatus,<br />

Apud Johannem Beyer, Francofurti 1645; G. MOLFINO, Oenologia, idest vini dissertatio in qua demonstratur<br />

vinum propinari posse in destillatione, Apud J. Baptistam Tiboldum, Genuae 1667; P. RENDELLA, Trac-<br />

745


746<br />

Libri tra manu<strong>al</strong>istica e letteratura<br />

Appartengono a questa categoria un gruppo ragguardevole di opere che in senso<br />

stretto non possono essere definiti manu<strong>al</strong>i o libri d’uso, bensì testi aventi la<br />

duplice funzione di dilettare lo spirito attraverso la lettura e contemporaneamente<br />

informare gli interessati di ciò che è pertinente <strong>al</strong>la pratica agronomica. In<br />

un certo senso anche le Geoponicae, di cui si è detto più sopra, appartengono a<br />

questa categoria; la differenza sostanzi<strong>al</strong>e è data <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che le Geoponicae sono<br />

raccolte di testi o sono ispirate a testi che, nell’antichità, erano considerati d’uso<br />

e quindi privi di ‘nobiltà’ letteraria, mentre ora ci troviamo di fronte <strong>al</strong> prodotto<br />

di evidenti sforzi di natura intellettu<strong>al</strong>e per dotare testi di un’aura poetica in grado<br />

di farli circolare <strong>al</strong>l’interno di ambienti soci<strong>al</strong>mente e cultur<strong>al</strong>mente elevati.<br />

Un autorevole esponente di questa categoria di libri è senz’<strong>al</strong>tro l’opera di Bartolomeo<br />

Taegio intitolata La villa. Si tratta di un testo di classica eleganza form<strong>al</strong>e,<br />

infarcito di citazioni dotte, versi in metrica, riferimenti <strong>al</strong>l’attu<strong>al</strong>ità nobiliare europea,<br />

dove le prescrizioni di natura agronomica vengono disseminate <strong>al</strong>l’interno di<br />

una più vasta trattazione sui piaceri del vivere in campagna. Il fine dell’opera non<br />

è meramente pratico; l’autore, infatti, intende stimolare, attraverso la pratica dell’agricoltura,<br />

la ricerca di un ordine superiore della re<strong>al</strong>tà delle cose. Questo fine di<br />

carattere filosofico è ben compendiato <strong>d<strong>al</strong></strong>le parole del Taegio stesso:<br />

Loco <strong>al</strong>cuno non si può trovar più accommodato per t<strong>al</strong>e essercitatione di mente, che l’amena<br />

et solitaria Villa; oue veggiamo, che tutte le cose <strong>d<strong>al</strong></strong>la natura create non solamente<br />

destano in noi il desiderio di saper le cause de i veduti effetti, ma incaminandosi con temperato<br />

passo verso la lor perfettione, c’inuitano a mettere ancora noi tutti i nostri studii,<br />

tutte le fatiche, et tutti i pensieri per veder di conseguire il nostro sommo bene70 .<br />

Le indicazioni relative <strong>al</strong>la coltivazione delle viti non sono particolarmente<br />

numerose, ma estremamente interessanti. Un paragrafo è dedicato, ad esempio,<br />

a spiegare che «ogni uva si può far diventare moscatella» (cioè utilizzando pol-<br />

tatus de vinea, vindemia et vino, Apud Iuntas, Venetiis 1629. Un esemplare di quest’ultima opera, posseduto<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la Biblioteca Queriniana di Brescia (segnatura 1a G.IV.1), reca l’ex-libris della biblioteca dei<br />

Carmelitani sc<strong>al</strong>zi di S. Pietro in Oliveto di Brescia, indizio importante che lascia intendere come si<br />

trattasse di un libro <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uso pratico, un vero e proprio manu<strong>al</strong>e, quindi, per l’impianto e la cura della<br />

vigna del monastero.<br />

70 B. TAEGIO, La villa, di<strong>al</strong>ogo, Per Gabriel Giolito de Ferrari, In Vinegia 1559, p. [20]. Un esemplare<br />

in BBQ 10a S.VI.8.


vere di noce moscata!), un <strong>al</strong>tro «a far nascer l’uva senza grana» 71 . Il vagheggiamento<br />

dell’ide<strong>al</strong>e rappresentato <strong>d<strong>al</strong></strong>la vita in campagna, frutto, fra l’<strong>al</strong>tro, del<br />

recupero di un tema caro <strong>al</strong>la classicità latina (basti pensare, solo a titolo d’esempio,<br />

<strong>al</strong>le opere di Virgilio o di Tibullo) costituì uno dei filoni più fecondi della<br />

produzione poetica in volgare del secondo Cinquecento it<strong>al</strong>iano. Se l’opera del<br />

Taegio ha un sottofondo didasc<strong>al</strong>ico, è invece una vera e propria opera poetica il<br />

componimento intitolato La coltivatione di Luigi Alamanni 72 . Uscita poco prima<br />

della metà del secolo, l’opera si impose subito <strong>al</strong>l’attenzione di quanti cercavano<br />

nell’agricoltura e nella coltivazione dei giardini una forma di appagamento dello<br />

spirito. Su questa stessa linea è il componimento poetico De hortorum cultura del<br />

bresciano Giuseppe Milio Voltolina 73 e le opere di molti <strong>al</strong>tri autori minori.<br />

È, quest’ultimo, un aspetto rilevante della concezione dell’agricoltura, che si<br />

è venuto costituendo nel corso del tempo: il lavoro nei campi e nelle vigne diviene<br />

un’attività per educare lo spirito, prima ancora che attività pratica e mechanica.<br />

Attraverso l’agricoltura l’uomo riacquista una dimensione più consona <strong>al</strong>la propria<br />

natura, conquista l’equilibrio psico-fisico, scopre i segreti della germinazione<br />

delle piante e partecipa del grande ordine matematico dell’universo. Quanto<br />

opere di questo genere fossero apprezzate lo si può dedurre da un esempio concreto:<br />

la Lettera nella qu<strong>al</strong>e celebra la Villa et lauda molto l’agricoltura di Alberto Lollio,<br />

corrispondente di Agostino G<strong>al</strong>lo, viene dapprima pubblicata in forma autonoma<br />

a Venezia nel 1544, ristampata in un volume miscellaneo della collana di<br />

Lettere volgari curata da Lodovico Dolce, ed infine ripresa <strong>d<strong>al</strong></strong> G<strong>al</strong>lo stesso nell’edizione<br />

de Le vinti giornate dell’agricoltura del 1584 74 .<br />

71 Ibidem, p. 158: «Farete l’uva moscatella se tagliate la vite che si pianta in maniera che ne restino tre<br />

occhi di essa sopra terra, et cauatole fuori con un filo di ferro tutta la medolla riempirassi quella canna<br />

di poluere di noce moscada, chiudendo poi il buco di sopra molto bene di cera, sì che acqua <strong>al</strong>cuna non<br />

vi possa entrare»; a p. 159: «Se cauate la medolla <strong>d<strong>al</strong></strong>la vite subito nata, l’uva nascerà senza grana».<br />

72 L. ALAMANNI, La coltivatione, appresso Bernardo di Giunti, In Fiorenza 1546. In BBQ esistono due<br />

esemplari di questa edizione (segnati 7a F.VII.20 e 10a M.VI.31), sia uno di quella parigina per i tipi<br />

di Robert Estienne, 1546 (segnata 1a H.VII.26). riguardo a quest’ultima edizione, va senz’<strong>al</strong>tro segn<strong>al</strong>ato<br />

il fatto che il libraio editore, l’Estienne, chiese ed ottenne un privilegio re<strong>al</strong>e per la stampa e la<br />

vendita in esclusiva dei volumi su tutto il territorio francese.<br />

73 G. MILIO VOLTOLINA, De hortorum cultura libri III, Apud Vincentium Sabium, Brixiae 1574. Due<br />

esemplari si trovano presso BBQ, con segnatura 5a H.VI.17m2 e LBF, con segnatura I L.4.145.<br />

74 A. LOLLIO, Lettera nella qu<strong>al</strong>e rispondendo ad una di m. Hercole Perinato, egli celebra la villa et lauda molto l’agricoltura,<br />

Appresso Gabriel Giolito di Ferrari, In Vinetia 1544 (un esemplare in BBQ, 3a<br />

I.XIII.11m6); Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini et eccellentissimi ingegni scritte in diverse materie, In<br />

747


748<br />

Piace concludere con un passo di Giuseppe F<strong>al</strong>cone, autore di un’opera <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

titolo La nuova, vaga et dilettevole villa, stampata più volte nel corso del Cinquecento<br />

e Seicento:<br />

Parmi che le città (so che non m’abbaglio) pe ’l più hoggidì, <strong>al</strong>ro non siano, che un<br />

patente teatro di miseria e d’ogni infelicità ripiene (...).<br />

Più tosto voglio l’esercitio di villa, che l’otio sì pestifero della città. Perché l’otio offende<br />

il corpo e l’anima, e l’esercitio conferisce honore e beneficio <strong>al</strong> corpo et <strong>al</strong>l’anima.<br />

E quiui in villa, con gran beneficio e contento, si nasconde la pouertà dell’huomo.<br />

Se tu attendi <strong>al</strong>la villa, ella ti sarà una dotta maestra, della parsimonia una entrada<br />

nascosa, util da tutti non conosciuto, oue tu ti ritroui aria purissima, sole splendidissimo,<br />

ombra gratissima, notte quietissima, acqua freschissima, verdole piaggie, arbori<br />

fronduti, fioriti e fruttiferi, viti d’uve diuerse saporitissime.<br />

In villa mangiasi di quello che s’ha, il pane asciutto ti pare torta, a che hora tu vuoi e<br />

quanto poi t’aggrada; doue a te piace, hor sotto la pergola, o sotto la loggia, o sotto il<br />

portico, o nel mezo dell’aia, o nell’horto, o nel giardino, o <strong>al</strong>la fontana, o appresso del<br />

pozzo, o nel mezo della vigna, o soto d’un pomo, o pero, o faggio, o cipresso; hora in<br />

mezo d’un bel pratolino, o <strong>al</strong> canto <strong>al</strong>la peschiera, o lungo il fiume, o nel mezo della s<strong>al</strong>a.<br />

Quiui, con poca spesa, vesti <strong>al</strong>la liggieri, dico senza riguardi chi sia, sei lontano di litigosi<br />

tribun<strong>al</strong>i, attendi <strong>al</strong>le tue diuotioni, da strepiti cittadineschi non interrotte. Poi vai in<br />

campagna, a combattere contro l’otio, con l’arme dell’essercitio, con cui il fuoco s’accende,<br />

l’aria si risana, l’acqua indolcisce, la terra produce, l’oro risplende, il ferro si lima,<br />

l’<strong>al</strong>bergo si ristora, l’intelletto penetra, il corpo prende forze, il corsiere nitrisce e b<strong>al</strong>la<br />

su la terra, la naue si sp<strong>al</strong>ma, l’armigero diuiene feroce leone, la voce squilla, il vino vien<br />

piccante, il rubino fiammeggia, il legno indurisce et il panno immorbidisce (...).<br />

O dolce e soaue vita della villa, oue si gode suoi soggetti piaceuoli e semplici, oue s’odono<br />

canti di quelle villanelle, la sampogna, il suono di teglia e le armoniche musiche<br />

de tant’ucelli variati, il mugire de buoi, vacche e vitelli, il nitrire de cau<strong>al</strong>li e polledri, il<br />

grugnire de porci, il pipire de polli, il crocitare de g<strong>al</strong>line, il cucurire de g<strong>al</strong>li, il cucco, la<br />

gaza, lo storno, il merlo, il garbieri, e tant’<strong>al</strong>tra diuersità (...).<br />

Perciò v’invito <strong>d<strong>al</strong></strong>la città <strong>al</strong>la villa, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’otio <strong>al</strong>l’essercitio, <strong>d<strong>al</strong></strong>la pacchia <strong>al</strong>la sobrietà, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’inimicitie<br />

<strong>al</strong>la quiete et <strong>al</strong>la santa pace, <strong>d<strong>al</strong></strong>le lasciue pompe <strong>al</strong>la vita mortificata e positiua75 .<br />

casa de’ figliuoli di Aldo, In Vinegia 1545 (BBQ, 7a H.VII.12); A. GALLO, Le vinti giornate de’ l’agricoltura<br />

et de’ piaceri della villa, Appresso Camillo Borgominerio, In Venetia 1584, pp. 414-416 (BBQ, 10a<br />

Q.IX.9). Sui rapporti tra Lollio e G<strong>al</strong>lo si veda: E. SELMI, Alberto Lollio e Agostino G<strong>al</strong>lo, in Agostino<br />

G<strong>al</strong>lo, pp. 271-314.<br />

75 FALCONE, La nuova, vaga et dilettevole villa, cc. [2-4], passim.


Come si può facilmente notare, la strada verso il vagheggiamento di un mondo<br />

ide<strong>al</strong>e ed immutabile, tanto caro ai poeti ed agli artisti del Seicento it<strong>al</strong>iano, è<br />

definitivamente tracciata.<br />

Conclusioni<br />

Nel corso del XV-XVI secolo si assiste ad un rapido ma progressivo ‘affinamento’<br />

della materia agricola, attraverso la produzione di una letteratura che –<br />

sotto molti aspetti – assume caratteri di sistematicità e crea i fondamenti dell’economia<br />

agricola di stampo moderno. La produzione manu<strong>al</strong>istica e letteraria<br />

riguarda tutta l’Europa, con particolare attenzione in It<strong>al</strong>ia, Francia e Germania.<br />

Si assiste, par<strong>al</strong>lelamente, <strong>al</strong> tramonto dei classici come modelli unici di riferimento,<br />

per mantenere quello di testimoni di pratiche, metodologie e scelte teoriche<br />

delle colture agricole ed orticole. La viticoltura e l’orticoltura, in particolare,<br />

vengono ad assumere la fisionomia di modelli di coltura intensiva, soggetti<br />

però ad applicazioni e modificazioni dettate <strong>d<strong>al</strong></strong>le esigenze loc<strong>al</strong>i.<br />

Nel corso del XVII secolo i nuovi modelli di riferimento – non di rado<br />

riguardanti re<strong>al</strong>tà diverse da quella bresciana, ma comunque espressione di una<br />

continua ricerca nell’ambito agronomico –, testimonianza di un mutato orizzonte<br />

cultur<strong>al</strong>e e di uno ‘svecchiamento’ delle biblioteche degli agronomi, prevederanno<br />

gradu<strong>al</strong>mente la presenza di opere importanti qu<strong>al</strong>i la Coltivazione<br />

toscana della vite e degli <strong>al</strong>beri di Bernardo Davanzati, i Villae libri duodecim di Giovanbattista<br />

Porta, Le delitie e i frutti dell’agricoltura di Giovan Battista Barpo, l’Economia<br />

del cittadino in villa di Vincenzo Tanara, i Cento e dieci ricordi che formano il buon<br />

fattor di villa di Giacomo Agostinetti, l’Instruttione <strong>al</strong> fattore di campagna di Fabio<br />

Allegri. Chi ne aveva la possibilità, poteva rifornirsi sui mercati d’Oltr<strong>al</strong>pe, dove<br />

poteva trovare opere come il Theatre d’agriculture di Olivier de Serres, il Praedium<br />

rusticum di Charles Estienne, il De re rustica di Konrad Heresbach, la Oeconomia<br />

rur<strong>al</strong>is et domestica di Johann Coler. Natur<strong>al</strong>mente, vi erano testi che erano superati<br />

già <strong>al</strong> loro primo apparire sulla scena: è il caso appena di ricordare il Trattato<br />

della coltivatione delle viti di Giovan Vittorio Soderini, farraginoso centone di credenze<br />

tradizion<strong>al</strong>i, privo di v<strong>al</strong>utazione critica ed <strong>al</strong> limite con la superstizione.<br />

Ciò che accomuna questi autori, oltre a quelli citati <strong>al</strong>l’interno di questo contributo<br />

e a molti <strong>al</strong>tri, è il fatto che si tratta perlopiù di esponenti di una borghesia<br />

agiata, dotata di proprietà fondiarie (e quindi con esperienza pratica), di cul-<br />

749


750<br />

tura umanistica e, non di rado, di relazioni internazion<strong>al</strong>i. In sostanza, rappresentano<br />

la fusione della piena e perfetta conoscenza della cultura della loro epoca<br />

con l’esperienza pratica, empirica e diretta nell’agricoltura.<br />

Il punto di rottura rispetto <strong>al</strong> passato va ricercato proprio nel superamento<br />

degli pseudoaristotelici Libri oeconomicorum e delle opere di Columella, P<strong>al</strong>ladio,<br />

Catone, Varrone e Pier de’ Crescenzi, che tanta parte avevano nelle biblioteche<br />

monastiche mediev<strong>al</strong>i, e <strong>d<strong>al</strong></strong>la trasformazione dell’idea stessa di agricoltura,<br />

non più attività pratica votata esclusivamente <strong>al</strong> sostentamento umano,<br />

ma scienza vera e propria. Natur<strong>al</strong>mente, la nuova concezione dell’agricoltura<br />

andava ad inserirsi in un quadro cultur<strong>al</strong>e caratterizzato <strong>d<strong>al</strong></strong>la visione umanistica<br />

dell’uomo che domina la natura; non a caso, nella trattatistica agronomica o<br />

più in particolare vitivinicola sono frequenti i riferimenti ai filosofi, da Platone<br />

a Aristotele, nel tentativo di sostenere la funzione dell’agricoltura nell’ordinamento<br />

logico ed armonico del mondo.<br />

Tra i vari settori che trassero indubbio beneficio <strong>d<strong>al</strong></strong> superamento dei classici<br />

latini e greci vi fu senz’<strong>al</strong>tro quello della viticoltura che – come è stato spesso<br />

ricordato – nel secolo XV compì il definitivo ‘s<strong>al</strong>to di qu<strong>al</strong>ità’, sia <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di<br />

vista teorico che pratico, acquisendo una fisionomia fin<strong>al</strong>mente <strong>al</strong> passo con le<br />

trasformazioni economiche e tecniche della società moderna. Un dato di fatto<br />

b<strong>al</strong>za immediatamente agli occhi: i primi testi dedicano gener<strong>al</strong>mente poche<br />

pagine <strong>al</strong>la vite e ancora meno <strong>al</strong> vino; con il passare del tempo e con l’affinamento<br />

delle conoscenze, i capitoli dedicati <strong>al</strong>la viticoltura divengono gradu<strong>al</strong>mente<br />

più corposi, meglio strutturati e ricchi di riferimenti <strong>al</strong>l’esperienza pratica.<br />

Infine, tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento – dopo che sono state<br />

affrontate via via questioni come la definizione del sapore del vini, per esempio<br />

– cominciano a comparire testi dedicati interamente <strong>al</strong>la produzione e agli effetti<br />

medico-fisici del consumo del vino.<br />

L’impressione – anche se in re<strong>al</strong>tà molti elementi concorrono a renderla<br />

qu<strong>al</strong>cosa in più di una semplice impressione – è che l’agronomia così come si era<br />

venuta delineando nei secoli XV-XVII fosse una scienza in formazione, magmatica,<br />

in perenne bilico tra riferimento ai classici ed esigenze di rinnovamento;<br />

va dato atto, comunque, a gran parte degli agronomi della prima età moderna, di<br />

avere speso molti sforzi nel tentativo di affrancare l’agricoltura <strong>d<strong>al</strong></strong> livello basso<br />

delle pratiche tradizion<strong>al</strong>i, e di avere tracciato una via definitiva verso la ‘civiltà<br />

del vino’ che tanta parte ebbe – ed ha – nella società e nella cultura europee.


PIETRO GIBELLINI*<br />

Il vino nella letteratura it<strong>al</strong>iana moderna:<br />

il caso di Manzoni e di Verga 1<br />

Il c<strong>al</strong>amaio di Dioniso: questo è il titolo che ho scelto per un libro che sto per pubblicare<br />

sul vino nella letteratura it<strong>al</strong>iana moderna. Quando uscirà, i lettori<br />

potranno visitare le enoteche di vari scrittori: vini nostrani o forestieri, etichettati<br />

o sciolti, li troviamo nella cantina di Paolo Rolli (Montepulciano e Sciampagna,<br />

vin di Spagna e Claré), di Carlo Goldoni (Borgogna, Cipro, Canarie), di Lorenzo<br />

Da Ponte (l’«eccellente marzemino» di Don Giovanni), di Carlo Porta (Busto,<br />

Gattinara, Groppello, Moscatello, Alicante). Belli ci accompagna nelle osterie<br />

romane (Castelli, Orvieto, Est-est-est e soprattutto quel Genzano di cui a Vienna<br />

Metastasio ha struggente nost<strong>al</strong>gia), Rovani e Dossi ci guidano nel tour enologico<br />

della Milano scapigliata (bianco ‘razzente’ e Bordeaux, Barletta e Château-<br />

Lafitte, M<strong>al</strong>vasia e Chambertin, i liquori di Campari e i rosolj di Cambiasi, il ‘latte<br />

di vecchia’ e il ‘perfetto amore’, infine, ça va sans dire, assenzio quanto basta);<br />

Carducci traccia la carta dei vini d’It<strong>al</strong>ia (Chianti e V<strong>al</strong>tellina, chiaretto del Garda<br />

e Aleramo), mentre D’Annunzio mesce in bicchieri di crist<strong>al</strong>lo bevande raffinate<br />

(Champagne e vieux cognac, Chablis e vin di rose).<br />

Ma intendiamoci: quello cui miro non è un discorso sui vini, e neppure un<br />

libro sul rapporto degli scrittori con il vino. Alcuni aneddoti biografici possono,<br />

tutt’<strong>al</strong> più, servirci per penetrare i testi. Leopardi rimpiange i suoi vini marchigiani,<br />

sorseggiandone di pessimi a Milano e di «fatturati» a Bologna; <strong>al</strong>lo scapigliato Praga<br />

basta un solo bicchiere per ubriacarsi; Pascoli muore forse per cirrosi; l’as<strong>temi</strong>o<br />

1 La relazione, che <strong>al</strong> convegno tenni ‘a braccio’, anticipava le linee gener<strong>al</strong>i del mio volume Il c<strong>al</strong>amaio<br />

di Dioniso: il vino nella letteratura it<strong>al</strong>iana moderna, uscito nel frattempo nei ‘Saggi blu’ Garzanti<br />

(Milano 2001, pp. 184): qui, dopo la breve premessa, si riproducono le pagine su Manzoni e Verga.<br />

* Università “Ca’ Foscari”, Venezia.<br />

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752<br />

D’Annunzio, infine, brinda a Carducci citando Pindaro, «ottima è l’acqua», e suscita<br />

la brusca replica del ‘maestro avverso’: « ... e io bevo vino». Altro deve attrarci,<br />

di uno scrittore! La pista dionisiaca, vogliamo percorrerla per penetrare nel cuore<br />

dell’opera, per illuminarne l’interpretazione. Mentre negli <strong>al</strong>tri interventi di questo<br />

convegno, il vino è l’oggetto specifico della ricerca e il suo fine specifico, noi lo<br />

consideremo come uno strumento per penetrare nel cuore delle opere letterarie,<br />

per sondare attraverso i segn<strong>al</strong>i enoici la visione e lo stile degli scrittori.<br />

Che differenza, ad esempio, fra la scrittura <strong>al</strong>colica di Giuseppe Parini e quella<br />

dei letterati coevi, convenzion<strong>al</strong>i anche nell’elogio del vino, celebrato in modi<br />

anacreontici e arcadici. Il secolo dei lumi, come sappiamo, <strong>al</strong> vino preferisce il<br />

caffè, che èccita la ragione senza offuscarla. Nel Giorno, dove il vino fa continue<br />

apparizioni, anche Parini parrebbe m<strong>al</strong>trattarlo, considerandolo emblema dell’ozio,<br />

del vizio, del privilegio. Il Giovin Signore, infatti, fa le ore piccole fra i «licor<br />

lieti di Francesi colli / e d’Ispani e di Toschi o l’Ungarese / bottiglia» (dunque Bordeaux,<br />

Chianti, Xerès, Tokay); il brindisi con l’«<strong>al</strong>trui cara sposa» che accosta le labbra<br />

<strong>al</strong> crist<strong>al</strong>lo «castissimo» colmo di «annoso licor», si trasforma in un segreto<br />

bacio inviato <strong>al</strong> suo cicisbeo; nella favola del Piacere, il vino è il privilegio dei<br />

«semidei» aristocratici negato <strong>al</strong> volgo plebeo; e nella sfilata d’imbecilli che compare<br />

verso la fine del poemetto spicca il frequentatore d’osterie, i luoghi dove «si<br />

ministran bevande ozio e novelle». Ma a ben vedere, quando lo sguardo del poeta<br />

campagnolo si volge <strong>al</strong> paesaggio lombardo, le viti appaiono, con le messi e con i<br />

gelsi, come parte essenzi<strong>al</strong>e dell’Eden costruito <strong>d<strong>al</strong></strong> paziente lavoro degli uomini.<br />

E con amorevole re<strong>al</strong>ismo il fisiocrate Parini paragona elegantemente la lacrimetta<br />

della dama <strong>al</strong>le «stille tremule brillanti» che gemono dai tr<strong>al</strong>ci recisi della vite...<br />

Maestri di re<strong>al</strong>ismo, Porta e Belli mettono spesso mano <strong>al</strong> «pestùn» o <strong>al</strong>la<br />

«fujetta». Il Milanese, nel giovanile entusiasmo per Napoleone, si traveste da<br />

Meneghino per bere a garganella in onore del presunto liberatore («Giò giò <strong>al</strong>egher<br />

/ del vin negher»), e dopo la caduta di Bonaparte gli toccherà brindare agli<br />

Austriaci («trinche vain!»), ma anche quel vino gli andrà di traverso. Nel ‘monumento’<br />

<strong>al</strong>la plebe di Roma eretto nei sonetti belliani, il vino scorre a fiumi: lo<br />

beve già Caino, prima che Noè l’abbia inventato; ne bevono i cardin<strong>al</strong>i e i popolani<br />

che, quando il papa cerca di moderarne il consumo, insorgono: «Tu mànnace<br />

a scannatte er giacobbino, / ma guai per dio a chi ce tocca er vino!». Ma è un<br />

piacere anche nell’umile casa della Bona famija che trascorre la serata facendo «un<br />

par d’ore de sgoccetto», prima di coricarsi: «’na pisciatina, ’na Sarve-reggina / e in<br />

santa pace ce n’annàmo a letto».


Ma il vero pensatore dionisiaco – chi lo sospetterebbe? – è Giacomo Leopardi.<br />

Nei Canti, stillano solo acqua e lacrime, ma qu<strong>al</strong>che indizio della simpatia<br />

per il vino affiora nelle Operette mor<strong>al</strong>i: la scoperta di Bacco, insieme <strong>al</strong>l’olio dopobagno<br />

di Minerva e <strong>al</strong> pentolino economico di Vulcano, viene premiata come<br />

miglior invenzione nella Scommessa di Prometeo (che s’illudeva di vincere avendo<br />

creato l’uomo). Ma è nello Zib<strong>al</strong>done che si dà la stura a una vera e propria filosofia<br />

bacchica: «piacere misto di corpor<strong>al</strong>e e di spiritu<strong>al</strong>e», il vino era, con il riso,<br />

il patrimonio di un’umanità primigenia e vigorosa, pre-razion<strong>al</strong>e; l’homo ridens et<br />

bibens era dunque più felice dell’homo sapiens: il qu<strong>al</strong>e può trarre <strong>d<strong>al</strong></strong> vino l’«entusiasmo»<br />

che potenzia la capacità sintetica del pensiero, dà <strong>al</strong>i pindariche <strong>al</strong> volo<br />

del poeta e, not least, rende audace il corteggiatore timido (lo sa per esperienza lo<br />

stesso Giacomo, come confessa incident<strong>al</strong>mente). Persino l’ubriachezza, abitu<strong>al</strong>mente<br />

condannata anche dai più convinti lodatori del vino, viene es<strong>al</strong>tata <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

recanatese perché induce «una specie di letargo, d’irriflessione, e di anaisthesìa»<br />

pur lasciando l’uomo «straordinariamente sensibile, e riflessivo e profondo».<br />

Amaro o dolce, «nero» o «biondo», il vino scorre gioiosamente tra i versi di<br />

Enotrio Romano, <strong>al</strong>ias Giosuè Carducci. Il vate della nuova It<strong>al</strong>ia leva il bicchiere<br />

in poesie d’occasione, ma <strong>al</strong>la fine ogni pretesto è buono: esso diventa di volta<br />

in volta il nettare per libare ad Apollo nel sogno di una restaurazione neopagana,<br />

il fervido sangue dei patrioti, il succo vit<strong>al</strong>e del satanismo progressista.<br />

Con un bicchiere di vino egli placa anche i suoi furori anticleric<strong>al</strong>i, ed è disposto<br />

a fare un brindisi con Pio IX: «Cittadino Mastai, bevi un bicchier!», esclama. Nella<br />

maturità del poeta, la simbologia di cui il vino era stato caricato sfuma, e il<br />

poeta lo canta per quel che è: «unico l’amo, o biondo siasi o nero». Il ribollir dei<br />

tini tempera la m<strong>al</strong>inconia per l’inverno imminente in San Martino, la meta delle<br />

passeggiate v<strong>al</strong>dostane è Gaby, dove una giovane ostessa «ride, s<strong>al</strong>uta e mesce lo<br />

scintillante vino». Anche l’ombra della Chiesa di Polenta è gradita <strong>al</strong> poeta se gli<br />

consente di ammirare la «spumeggiante vendemmia», dono dei «colli it<strong>al</strong>ici».<br />

Nel mondo di Andrea Sperelli, invece, si preferiscono prodotti d’importazione:<br />

«vieux cognac» e soprattutto «vin ghiacciato di Sciampagna», «quel vino<br />

chiaro e brillante, che ha su le donne» la virtù di risvegliare «il piccolo dèmone<br />

isterico» e di «farlo correre per tutti i loro nervi propagando la follia». I piaceri<br />

del Piacere, Bacco, tabacco e Venere, del resto, sono d’importazione inglese,<br />

come si conviene a un vero precursore di Dorian Gray. Il fumo entra nell’edonismo<br />

di Sperelli, ma non sappiamo se lo aspiri con voluttà, come fa con l’effluvio<br />

dei fasci di fiori e del sudore equino. Bere il vino <strong>d<strong>al</strong></strong> cavo della mano femminile<br />

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754<br />

è un gioco eccitante, che non è nulla a paragone con il tè che Andrea sorseggia<br />

direttamente <strong>d<strong>al</strong></strong>la bocca dell’amata. E non è preparando religiosamente quella<br />

bevanda che Andrea aspetta l’amante? Di fatto, le ebbrezze del Piacere, come poi<br />

quelle dell’Alcyone, sono quasi tutte metaforiche: ci si inebria di parole, di melodia,<br />

di aria fragrante, del «possente profumo d’amore», dell’esplosione pànica<br />

della natura, del «vino dell’estate». Non c’è dunque da stupirsi che D’Annunzio<br />

disprezzasse chi, per ‘sregolare’ i sensi, ricorreva <strong>al</strong> vino, cioè i marinai delle<br />

Novelle della Pescara che nelle bettole intonano «i cori del vino»; o lo stupratore<br />

della Vergine Orsola, che ha «nel fiato l’odore del vino»; o il «doloroso bevitore»<br />

del Giovanni Episcopo, o Cola di Rienzo «sempre pieno di vino e di vivanda». Il<br />

disprezzo di D’Annunzio per i bevitori è dunque di natura psicologica e soci<strong>al</strong>e,<br />

non mor<strong>al</strong>e: nel suo delirio narcisistico egli poteva dire: «Non ero ebbro se non<br />

di me, come se fossi solo <strong>al</strong> mondo, dedito a tutto ottenere da me e a rifoggiare<br />

in simiglianza di me tutto ciò che intorno viveva, per deificarmi».<br />

Al contrario di Gabriele, il suo ‘fratello nemico’ Giovanni Pascoli chiedeva <strong>al</strong><br />

vino non l’es<strong>al</strong>tazione, ma consolazione e oblìo, anche se conosceva le insidie celate<br />

in quella medicina del dolore. Ce lo dice nella poesia I tre grappoli: «Ha tre, Giacinto,<br />

grappoli la vite. / Bevi del primo il limpido piacere; / bevi dell’<strong>al</strong>tro l’oblio<br />

breve e mite; / e... più non bere: / / ché sonno è il terzo, e con lo sguardo acuto /<br />

nel nero sonno vigila, da un canto, / sappi, il dolore; e <strong>al</strong>to grida un muto / pianto<br />

già pianto». Un filo enoico percorre tenacemente tutta la sua poesia, <strong>d<strong>al</strong></strong>le Myricae,<br />

in cui si nasconde sotto la vite e l’uva («È del fior d’uva questa ambra che sento?»),<br />

ai Canti di Castelvecchio, dove scorre nei bicchieri dei contadini esiodei raccolti<br />

intorno Ciocco ardente; ai Poemi convivi<strong>al</strong>i, in cui brilla nelle anfore e nelle coppe,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la civiltà greca (da Omero a Socrate, «placido Sileno») fino <strong>al</strong>la Buona novella<br />

che spunta in Oriente, mentre Roma tramonta «ebbra» delle orge dei Coribanti e<br />

del sangue dei gladiatori. Lì, per bocca di Solon, Pascoli dà voce <strong>al</strong> suo ide<strong>al</strong>e di vita<br />

e di poesia: «Triste il convito senza canto come / tempio senza votivo oro di doni<br />

ché / questo è bello: attendere <strong>al</strong> cantore / che nella voce ha l’eco dell’Ignoto». E<br />

ci addita il segreto della sua poesia così tradizion<strong>al</strong>e e così innovativa: «Te la coppa<br />

ora giova: ora tu lodi / più vecchio il vino e più novello il canto».<br />

Volta per volta, insomma, il vino viene piegato <strong>al</strong>le esigenze dello scrittore, in<br />

forza della sua natura ambigua, la stessa del suo mitico inventore Dioniso. Agli<br />

occhi dei moderni combina tratti demoniaci e angelici, distruttivi e rigenerativi: dio<br />

cornuto, ha un volto luminoso; è circondato da fauni capripedi assetati di eros e da<br />

furibonde baccanti, ma è anche il dolce consolatore di Arianna abbandonata; in


suo nome i corpi si straziano, ma grazie a lui la vita si rigenera gioiosamente; dio<br />

del sangue e del vino, egli prefigura Cristo non meno che Satana. Così il suo dono<br />

è nettare divino e liquore diabolico, può consolare dai dolori più atroci o scatenare<br />

le passioni più torbide, aiutare a fuggire <strong>d<strong>al</strong></strong> mondo o a godere appieno la vita.<br />

Sotto il torchio di questa lettura tematica, anche i capolavori più frequentati<br />

liberano aromi inattesi. Cercheremo di verificarlo rileggendo l’opera di due classici<br />

dell’Ottocento, Alessando Manzoni e Giovanni Verga.<br />

Alessandro Manzoni<br />

E viti e vino, che ruolo hanno nel romanzo di Manzoni? Fin <strong>d<strong>al</strong></strong>la prima pagina<br />

dei Promessi sposi, in cui è dipinto panoramicamente il luogo in cui prende avvio<br />

la storia di Renzo e Lucia, la vigna appare due volte. La prima per dare un tocco<br />

di colore a un paesaggio idillico:<br />

«Il lembo estremo, tagliato <strong>d<strong>al</strong></strong>le foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il<br />

resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di cas<strong>al</strong>i; in qu<strong>al</strong>che parte boschi, che si<br />

prolungano su per la montagna».<br />

La seconda, per accennare <strong>al</strong>le birbonate che commettevano, nel territorio di<br />

Lecco, i soldati spagnoli<br />

«che insegnavan la modestia <strong>al</strong>le fanciulle e <strong>al</strong>le donne del paese, accarezzavan di tempo<br />

in tempo le sp<strong>al</strong>le a qu<strong>al</strong>che marito, a qu<strong>al</strong>che padre; e, sul finir dell’estate, non mancavan<br />

mai di spandersi nelle vigne, per diradar l’uve, e <strong>al</strong>leggerire a’ contadini le fatiche<br />

della vendemmia».<br />

Due pennellate che compendiano la visione del mondo di Manzoni, secondo<br />

il qu<strong>al</strong>e l’operosità umana rende la natura ancor più bella, mentre la violenza<br />

dei prepotenti, con le sue devastazioni, la degrada. Il motivo torna nel IV capitolo,<br />

là dove l’incanto della stagione autunn<strong>al</strong>e contrasta con la tristezza degli<br />

uomini, afflitti <strong>d<strong>al</strong></strong>la carestia. Perla del paesaggio è, ancora una volta, la vite:<br />

«A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tr<strong>al</strong>ci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a<br />

varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne’ campi di stoppie<br />

biancastre e luccicanti <strong>d<strong>al</strong></strong>la guazza».<br />

Quando, nel romanzo, la guerra si aggiunge <strong>al</strong>la fame e <strong>al</strong>la peste (a peste, fame et<br />

bello libera nos, Domine, invocava l’antica preghiera), l’agronomo Manzoni soffre<br />

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756<br />

per il saccheggio del vino e ancor più per la devastazione delle viti. Il primo<br />

segno dello scempio compiuto dai lanzichenecchi, nel capitolo XXX, qu<strong>al</strong> è?<br />

«Dopo un’<strong>al</strong>tra po’ di strada, cominciarono i nostri viaggiatori a veder co’ loro occhi<br />

qu<strong>al</strong>che cosa di quello che avevan tanto sentito descrivere: vigne spogliate, non come<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la vendemmia, ma come <strong>d<strong>al</strong></strong>la grandine e <strong>d<strong>al</strong></strong>la bufera che fossero venute in compagnia:<br />

tr<strong>al</strong>ci a terra, sfrondati e scompigliati; strappati i p<strong>al</strong>i, c<strong>al</strong>pestato il terreno, e sparso<br />

di schegge, di foglie, di sterpi».<br />

Possiamo fin d’ora vedere che Manzoni, da grande scrittore, della vite e del vino sa<br />

fare il paradigma di vicende collettive e di storie individu<strong>al</strong>i. A partire da quella di<br />

don Abbondio, che si affaccia nel romanzo in compagnia della sua pavidità. Dopo<br />

l’incontro con i due bravi, il suo cuore è in affanno tachicardico. Basta un’occhiata<br />

a quel viso stravolto per far capire a Perpetua che <strong>al</strong> povero prete ne è capitata una<br />

davvero una grossa. Ma che cosa? «Ohimè! tacete, e non apparecchiate <strong>al</strong>tro: da<strong>temi</strong><br />

un bicchiere del mio vino». E qui comincia il tira-e-molla del bicchiere, che dà<br />

forma <strong>al</strong> contrasto tra curiosità e reticenza: Perpetua lo riempie e lo tiene in mano,<br />

come se volesse mollarlo solo in premio della confidenza che si fa tanto aspettare:<br />

«Date qui, date qui, – disse don Abbondio, prendendole il bicchiere, con la mano non<br />

ben ferma, e votandolo poi in fretta, come se fosse una medicina».<br />

Più tardi, nel rimasuglio di tizzi e tizzoni della casa del prete devastata <strong>d<strong>al</strong></strong>le soldatesche,<br />

si riconoscerà «una doga della botticina, dove ci stava il vino che rimetteva<br />

lo stomaco a don Abbondio». Diametr<strong>al</strong>mente opposto, anche rispetto <strong>al</strong> bicchier<br />

di vino, l’atteggiamento di padre Cristoforo il qu<strong>al</strong>e, nel capitolo V, quando si reca<br />

nel castello di don Rodrigo per perorare la causa di Lucia, trova il tirannello a mensa<br />

e deve accettare suo m<strong>al</strong>grado il c<strong>al</strong>ice offerto con una battuta arrogante:<br />

«Il padre voleva schermirsi; ma don Rodrigo, <strong>al</strong>zando la voce, in mezzo <strong>al</strong> trambusto<br />

ch’era ricominciato, gridava: - no, per bacco, non mi farà questo torto; non sarà mai<br />

vero che un cappuccino vada via da questa casa, senza aver gustato del mio vino, né un<br />

creditore insolente, senza aver assaggiate le legna de’ miei boschi».<br />

Lo zoom è ancora sul vino nella scena che segue, dipinta con la mano esperta<br />

di un caravaggesco:<br />

«Un servitore, portando sur una sottocoppa un’ampolla di vino, e un lungo bicchiere<br />

in forma di c<strong>al</strong>ice, lo presentò <strong>al</strong> padre; il qu<strong>al</strong>e, non volendo resistere a un invito tanto<br />

pressante dell’uomo che gli premeva tanto di farsi propizio, non esitò a mescere, e<br />

si mise a sorbir lentamente il vino».


L’accettazione di quel c<strong>al</strong>ice, da parte di un uomo che porta sempre con sé un<br />

tozzo del «pane del perdono», potrebbe forse inscriversi in una prospettiva eucaristica.<br />

Un puro caso? Nel Fermo e Lucia, cioè nella prima redazione del romanzo,<br />

dopo quell’episodio, anche il parente dell’ucciso veniva contagiato, per dir così,<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’ardore spiritu<strong>al</strong>e di fra G<strong>al</strong>dino (poi Cristoforo), e ordinava un’elargizione di<br />

pane e vino: «Il signore <strong>al</strong>zando la voce disse <strong>al</strong> cameriere: – Si mandi pane bianco<br />

e vino <strong>al</strong> convento per tutta la comunità». Si noti in proposito che nel passo in<br />

cui è detto che il cardin<strong>al</strong> Federigo, per soccorrere i poverelli, «insieme coi sacerdoti<br />

mandò facchini che portassero pane, vino, minestra, uova fresche, brodi stillati,<br />

aceto, per nutrire, per confortare coloro che cadessero per inedia», il binomio<br />

pane-vino, che inaugura la lista dei beni di prima necessità, è prossimo <strong>al</strong>la parola<br />

‘sacerdoti’, quasi un ponte fra il conforto spiritu<strong>al</strong>e e l’aiuto materi<strong>al</strong>e.<br />

Ma torniamo <strong>al</strong>la tavola imbandita nel p<strong>al</strong>azzotto di don Rodrigo dove,<br />

bevendo, si parla di bastonate agli ambasciatori, di guerra e di politica. Il padrone<br />

di casa propone un brindisi: «Signor podestà, e signori miei! - disse poi: - un<br />

brindisi <strong>al</strong> conte duca; e mi sapranno dire se il vino sia degno del personaggio».<br />

Segue l’elogio dei convitati <strong>al</strong> vino dell’ospite, che offre il destro a Manzoni per<br />

perfezionare il ritratto fisico e mor<strong>al</strong>e di Azzeccagarbugli (e viene <strong>al</strong>la mente, stavolta,<br />

il Daumier più grottesco):<br />

«Tirato fuor del bicchiere un naso più vermiglio e più lucente di quello, il dottore rispose,<br />

battendo con enfasi ogni sillaba: – Dico, proferisco, e sentenzio che questo è l’Olivares<br />

de’ vini».<br />

Nel gran fin<strong>al</strong>e i commens<strong>al</strong>i, privati <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>col dei freni inibitori, rivelano nella<br />

sua brut<strong>al</strong>e elementarità, una Weltanschauung dominata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’edonismo e <strong>d<strong>al</strong></strong> servilismo<br />

(«ambrosia») oltre che <strong>d<strong>al</strong></strong>la volontà di difendere i propri privilegi con la<br />

violenza più estrema («impiccarli»). Un delirio mor<strong>al</strong>e e ment<strong>al</strong>e, che preesiste<br />

<strong>al</strong>l’ubriacatura etilica:<br />

«S’andava intanto mescendo e rimescendo di quel t<strong>al</strong> vino; e le lodi di esso venivano,<br />

com’era giusto, frammischiate <strong>al</strong>le sentenze di giurisprudenza economica; sicché le<br />

parole che s’udivan più sonore e più frequenti, erano: ambrosia, e impiccarli».<br />

Da impiccare, s’intende, erano i fornai, attraverso i qu<strong>al</strong>i riemerge il binomio<br />

pane-vino, certo non congiunti nello spirito dell’àgape cristiana!<br />

Vino nei p<strong>al</strong>azzi e vino nelle osterie. La prima osteria che troviamo nel romanzo<br />

è quella del villaggio di Renzo e Lucia. Vi capitano, per combinare il matrimonio<br />

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segreto, il promesso sposo e Tonio, che subito vuotano un bocc<strong>al</strong>e di vino. Ma<br />

vi sosteranno anche i due bravacci, che si fingono avventori per studiare il piano<br />

per rapire Lucia e si cimentano nella morra «mescendosi or l’uno or l’<strong>al</strong>tro da<br />

bere» <strong>d<strong>al</strong></strong> gran fiasco: l’osteria, <strong>al</strong>lora, si presenta come luogo dell’intrigo, di cui<br />

il gioco è il complemento necessario. Si delinea già il profilo mor<strong>al</strong>e (o amor<strong>al</strong>e)<br />

dell’oste, che <strong>al</strong>la Luna piena e a Gorgonzola si andrà definendo nei particolari.<br />

A Renzo, che chiede chi sono quei due loschi tipi, il taverniere risponde cinicamente<br />

che si tratta di g<strong>al</strong>antuomini, poiché t<strong>al</strong>i sono<br />

«quelli che bevono il vino senza criticarlo, che pagano il conto senza tirare, che non<br />

metton su lite con gli <strong>al</strong>tri avventori, e se hanno una coltellata da consegnare a uno, lo<br />

vanno ad aspettar fuori, e lontano <strong>d<strong>al</strong></strong>l’osteria, tanto che il povero oste non ne vada di<br />

mezzo».<br />

Ma è nel capitolo XI che Manzoni parla più diffusamente del vino. Lo fa quando,<br />

per descrivere la difficoltà di Perpetua a custodire il segreto rivelatole da don<br />

Abbondio, usa una similitudine che solo un osservatore, anzi un frequentatore<br />

di cantine poteva impiegare:<br />

«Certo è che un così gran segreto stava nel cuore della povera donna, come, in una botte<br />

vecchia e m<strong>al</strong> cerchiata, un vino molto giovine, che grilla e gorgoglia e ribolle, e, se<br />

non manda il tappo per aria, gli geme <strong>al</strong>l’intorno, e vien fuori in ischiuma, e trapela tra<br />

doga e doga, e gocciola di qua e di là, tanto che uno può assaggiarlo, e dire a un di presso<br />

che vino è».<br />

Un’<strong>al</strong>tra annotazione enologica, e natur<strong>al</strong>mente psicologica e sociologica, troviamo<br />

nel Fermo e Lucia, <strong>al</strong>lorché sulla mensa di don Rodrigo arriva un vino speci<strong>al</strong>e:<br />

«Quindi si pose sul desco molle un gran piatto pirami<strong>d<strong>al</strong></strong>e di marroni arrostiti, e si portarono<br />

fiaschi di vino più prelibato di quello che in Lombardia si chiama vino della<br />

chiavetta, e del qu<strong>al</strong>e, per un privilegio singolare, ogni proprietario ha sempre il migliore<br />

del contorno».<br />

Durante la rielaborazione del romanzo, a Manzoni dovette parere stonata questa<br />

nota umoristica in un contesto grottesco. Del resto, nella redazione primitiva,<br />

dove l’oste era chiamato lombardamente «ostiere», correva più vino che nei Promessi<br />

sposi: Fermo, <strong>al</strong>l’osteria del paese, sancisce più volte con il bicchiere il patto<br />

con Tonio e, <strong>al</strong>la Luna piena, egli trangugia bocc<strong>al</strong>i (mentre Renzo si sbronzerà<br />

a bicchieri); Tonio è ansioso di recuperare la collana della moglie data in pegno<br />

a don Abbondio per cambiarla «in tanta polenta, non in vino»; don Rodrigo fa


omaggio <strong>al</strong> podestà del suo vino migliore; un bravo del Conte del Sagrato, cercando<br />

dell’aceto per far riprendere i sensi a Lucia svenuta e trovando invece del<br />

vino, non manca di scherzarci su; e così via. Anche se non è qui il caso di completare<br />

il cat<strong>al</strong>ogo, non si può far a meno di osservare che il maggior tasso <strong>al</strong>colico<br />

di quella stesura ne conferma il carattere più trasgressivo.<br />

Ma l’episodio che basterebbe da solo a collocare i Promessi sposi sullo scaff<strong>al</strong>e dei<br />

capolavori della letteratura sul vino, è quello celeberrimo di Renzo <strong>al</strong>l’osteria della<br />

Luna piena, nei capitoli XIV e XV. Non occorre insistere sulla maestria manzoniana<br />

nella resa della «spranghetta» del giovane e dei suoi duetti con lo sbirro,<br />

con l’oste, con l’avventore ‘poeta’. Per la nostra inchiesta, basterà osservare che<br />

il narratore, dopo aver espressamente rinunciato a contare i bicchieri tracannati<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> suo eroe dopo il terzo (ma è descritta la bevuta di <strong>al</strong>tri due) del primo fiasco<br />

(che è «fesso» e «crocchia») e avergliene fatto servire un secondo, cerca paternamente<br />

di giustificarlo:<br />

«Que’ pochi bicchieri che aveva buttati giù da principio, l’uno dietro l’<strong>al</strong>tro, contro il<br />

suo solito, parte per quell’arsione che si sentiva, parte per una certa <strong>al</strong>terazione d’animo,<br />

che non gli lasciava far nulla con misura, gli diedero subito <strong>al</strong>la testa: a un bevitore<br />

un po’ esercitato non avrebbero fatto <strong>al</strong>tro che levargli la sete».<br />

Vino e parole scorrono, è vero, «senza misura né regola», in un giovane <strong>d<strong>al</strong></strong>l’animo<br />

turbato, ma non vizioso: è un errore, certo, pensa Manzoni, chiedere aiuto a<br />

«quel benedetto fiasco» – anche se, quando ad attingervi è il promesso sposo,<br />

non parla mai di «gran fiasco», come fa per quello dei bravi <strong>al</strong>l’osteria del paese<br />

e per quello dei monatti plaudenti <strong>al</strong>la fuga del «povero untorello». Si tratta di<br />

una spia linguistico-enologica della clemenza dell’autore verso il suo m<strong>al</strong>destro<br />

pupillo, che lampeggia anche in un <strong>al</strong>tro luogo: Renzo, <strong>al</strong>la Luna piena, chiede<br />

<strong>al</strong>l’oste vino «sincero» (come farà <strong>al</strong>l’osteria di Gorgonzola) e quando il mattino<br />

dopo la sbronza si trova davanti gli sbirri, dichiara che «questi osti <strong>al</strong>le volte hanno<br />

certi vini traditori». È facile accorgersi che, con il procedimento metonimico<br />

sul vino dei due epiteti, ‘sincero’ e ‘traditore’, il narratore arriva a designare le<br />

opposte attitudini mor<strong>al</strong>i o ideologiche dei personaggi. E nella sua umanizzazione<br />

del vino Renzo arriva a dire che «quando il vino è giù, è lui che parla».<br />

Da sempre, l’<strong>al</strong>col è considerato il tramite di una visione <strong>al</strong>ternativa del mondo<br />

da autori che oscillano fra trasgressione e ribellismo, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Angiolieri m<strong>al</strong>edetto<br />

<strong>al</strong> Carducci satanico. E se «la donna, la taverna e ‘l dado» sono i piaceri predi-<br />

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letti <strong>d<strong>al</strong></strong> maudit duecentesco, anche sulla lunga tavola della Luna piena stanno in<br />

disordine «carte voltate e rivoltate, dadi buttati e raccolti; fiaschi e bicchieri» (con<br />

la donna il morigerato scrittore va cauto). Del resto, chi dà lavoro agli osti, i<br />

«buoni figliuoli» o i potenti? Son mai venuti i signori delle gride – chiede il giovane<br />

protagonista – a bere un bicchierino? «Tutta gente che beve acqua, – disse<br />

un vicino di Renzo. – Vogliono stare in sé, – soggiunse un <strong>al</strong>tro, – per poter dir<br />

le bugie a dovere». Il discorso slitta ormai <strong>d<strong>al</strong></strong> faceto <strong>al</strong> serio: «Ho un po’ di brio,<br />

sì... ma le ragioni le dico giuste», inc<strong>al</strong>za lo stesso, ed è mai venuto Ferrer «a fare<br />

un brindisi, e a spendere un becco d’un quattrino?».<br />

Durante il pranzo di don Rodrigo, come <strong>al</strong>la Luna piena, le copiose libagioni<br />

stimolano le proclamazioni ideologiche, più o meno lucide, sappiamo, e diametr<strong>al</strong>mente<br />

opposte: là si inneggiava a un progetto autoritario e repressivo<br />

(«Impiccarli! Impiccarli!»), qui ne prende forma uno, se non rivoluzionario, <strong>al</strong>legramente<br />

sovversivo. Due posizioni politiche estreme, entrambe respinte da<br />

Manzoni. Fra gli avventori dell’osteria c’è n’è uno lucidissimo, fautore di un’utopia<br />

che possiamo definire radic<strong>al</strong>mente comunista: tante bocche da sfamare, tanto<br />

pane. Chi non sarebbe tentato di seguirla? Peccato che il vagheggiatore di<br />

quella società ide<strong>al</strong>e sia uno sbirro che fa il doppio gioco. Renzo, il futuro Antonio<br />

Rivolta (nomen omen), abbocca. Se ne pentirà amaramente.<br />

Dopo la brutta esperienza, il nostro eroe abbandona per sempre la rivoluzione.<br />

Non definitiva è invece la sua rinuncia <strong>al</strong> vino. Alla prima sosta, durante la fuga<br />

verso Bergamo descritta nel capitolo XVI, egli lo rifiuta:<br />

«Chiese un boccone; gli fu offerto un po’ di stracchino e del vin buono: accettò lo<br />

stracchino, del vino la ringraziò (gli era venuto in odio, per quello scherzo che gli aveva<br />

fatto la sera avanti); e si mise a sedere, pregando la donna che facesse presto».<br />

Ma <strong>al</strong>l’osteria di Gorgonzola il transfuga è già diventato meno intransigente:<br />

«Chiese un boccone, e una mezzetta di vino: le miglia di più, e il tempo gli avevan fatto<br />

passare quell’odio così estremo e fanatico».<br />

Diavolo d’un Manzoni! Sorridi qui del tuo Renzo, che abbandona così presto i<br />

suoi propositi di astemìa, troppi estremi per lui, bravo figliuolo ma aperto <strong>al</strong>le<br />

oneste gioie della vita; per lui, che <strong>al</strong>la fine del romanzo dovrà cercare di convincere<br />

quell’intransigente di Lucia a recedere <strong>d<strong>al</strong></strong> voto di verginità! Se la volontà<br />

di non bere più evapora, il primo uomo della storia manzoniana mantiene inve-


ce tutta la sua diffidenza verso l’opportunismo dei vinattieri, incarnato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’oste<br />

della Luna piena («Testardo d’un montanaro! (...) Manca osterie in Milano, che<br />

tu dovessi proprio capitare <strong>al</strong>la mia?») e confermato da quello di Gorgonzola<br />

(«M<strong>al</strong>edetti gli osti! – esclamò Renzo tra sé: – più ne conosco, peggio li trovo»).<br />

Non il vino dunque, che è buono se preso con «misura» e «regola», ma gli uomini<br />

che lo bevono sono soggetti <strong>al</strong> giudizio mor<strong>al</strong>e dello scrittore. Della risma dell’oste,<br />

dev’essere il mercante che mostra antica consuetudine con lui:<br />

«Ehi, oste, il mio letto solito è in libertà? Bene: un bicchier di vino, e il mio solito boccone<br />

[...] Empì il bicchiere, lo prese con una mano, poi con le prime due dita dell’<strong>al</strong>tra<br />

sollevò i baffi, poi si lisciò la barba, bevette, e riprese: – Oggi, amici cari, ci mancò<br />

poco, che non fosse una giornata brusca come ieri, o peggio».<br />

Il gesto teatr<strong>al</strong>e con cui degusta quel bicchiere anticipa il tono del suo racconto,<br />

una drammatizzazione enfatica e f<strong>al</strong>sificante della verità. La contrarietà <strong>al</strong>la sedizione,<br />

dettata solo <strong>d<strong>al</strong></strong>la minaccia dei propri interessi, lo spinge a cercare la solidarietà<br />

dell’oste. Dopo aver ass<strong>al</strong>tato le botteghe, i rivoltosi potrebbero volger le<br />

loro brame verso le osterie!<br />

«Cominciavan già a prender il vizio d’entrar nelle botteghe, e di servirsi, senza metter<br />

mano <strong>al</strong>la borsa; se li lasciavan fare, dopo il pane sarebbero venuti <strong>al</strong> vino».<br />

Emerge qui con chiarezza, a dispetto delle sue propensioni liberiste, il disprezzo<br />

di Manzoni per questo tipo umano, meschino ed egoista, non meno che per la<br />

folla besti<strong>al</strong>e e sediziosa. Del resto, se con l’intelletto o scrittore è favorevole <strong>al</strong><br />

libero mercato (l’artigiano Tramaglino si trasformerà in piccolo imprenditore), il<br />

suo cuore è quello di un fisiocrate. Ce ne accorgiamo quando s’immedesima nel<br />

fuggiasco Renzo che, avvicinandosi <strong>al</strong>l’Adda, soffre <strong>al</strong>la vista di una campagna<br />

inselvatichita <strong>d<strong>al</strong></strong>l’assenza di cure umane:<br />

«La noia del viaggio veniva accresciuta <strong>d<strong>al</strong></strong>la s<strong>al</strong>vatichezza del luogo, da quel non veder più né<br />

un gelso, né una vite, né <strong>al</strong>tri segni di coltura umana, che prima pareva quasi che gli facessero<br />

una mezza compagnia».<br />

D<strong>al</strong> capitolo XV, dove incontriamo l’osteria di Gorgonzola, dobbiamo correre<br />

fino <strong>al</strong> XXI per trovare il prossimo accenno <strong>al</strong> vino. È questa la bevanda che l’Innominato<br />

manda, con la cena, a Lucia, rapita dai bravi e custodita <strong>d<strong>al</strong></strong>la vecchia.<br />

La giovane, atterrita, non mangia né beve e <strong>al</strong> culmine dell’angoscia pronuncia il<br />

suo voto di verginità. Potremmo chiederci, prendendo la licenza di immaginare<br />

ciò che lo scrittore non ha detto, se insieme a quel proposito estremo, Lucia non<br />

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formuli, <strong>al</strong> pari di Renzo dopo la brutta avventura <strong>al</strong>la Luna piena, la promessa<br />

di non toccare più il vino, ammesso che non fosse già as<strong>temi</strong>a. Certo <strong>al</strong>la sua<br />

purezza, l’acqua, la bevanda che Francesco chiama «utile et humile et pretiosa et<br />

casta», sembra convenire ben più del rosso liquore. Eppure, preferiamo credere,<br />

e ne spiegheremo più avanti la ragione, che nella casa del sarto, dove ripassa con<br />

Agnese e don Abbondio dopo la gran buriana, anche Lucia partecipi <strong>al</strong> festoso<br />

convito assaggiando un sorso del vino spillato <strong>d<strong>al</strong></strong>la «botticina», senz’<strong>al</strong>tro rosso,<br />

per accompagnare le «castagne primaticce».<br />

Ma di fronte a un romanzo già così ricco di dettagli, conviene troncare le<br />

congetture e tornare <strong>al</strong> testo. Dunque, nel castello dell’Innominato la vecchia si<br />

sforza inutilmente di persuadere la trepida prigioniera a bere <strong>al</strong>meno un sorso di<br />

quel «vino che beve il padrone co’ suoi amici... quando capita qu<strong>al</strong>cheduno di<br />

quelli...! e vogliono stare <strong>al</strong>legri!». L’autore del Fermo aveva indugiato nella descrizione<br />

della sordida serva che magnifica il contenuto del fiasco, incredula che<br />

dopo tanto digiuno Lucia possa resistere <strong>al</strong>la tentazione:<br />

«Prese con la sua destra rugosa e scarnata un fiasco che stava sulla tavola, con la sinistra<br />

un bicchiere, e fattili prima cozzare un tratto e tintinnire, sollevò il fiasco, lo inclinò sul<br />

bicchiere, lo riempì, se lo pose <strong>al</strong>la bocca, tracannò un sorso, ritirò il bicchiere, batté due<br />

o tre volte un labbro contra l’<strong>al</strong>tro, e esclamò: – Ah! questo risusciterebbe un morto!<br />

Bella felicità averne dinanzi un buon fiasco! Al diavolo i rangoli, e i pensieri! Non mi<br />

duole più nemmeno d’esser vecchia; ma se fossi giovane ih! come vorrei godermela!».<br />

In quel pezzo di bravura, Manzoni ci offriva il ritratto di un personaggio deformato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> materi<strong>al</strong>ismo e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’edonismo, una variante <strong>al</strong> femminile del vecchio m<strong>al</strong>vissuto<br />

che agitava una corda e un chiodo, antitesi della santa canizie di Federigo.<br />

Perché, dunque, ha messo la sordina a quell’acuto? Abbiamo del resto già detto<br />

che l’autore dei Promessi sposi annacquò o contenne il ruscelletto di vino che correva<br />

nella prima redazione. Viene il sospetto che la rinuncia a incidere con forza<br />

espressionista la gravure della vecchia che degusta (e disgusta), obbedisca a ragioni<br />

piuttosto mor<strong>al</strong>i che artistiche. Che potrebbero essere <strong>al</strong>l’origine anche dell’espunzione<br />

della scena in cui, nella prima redazione, don Rodrigo, appestato e delirante,<br />

sparisce nella notte su un cav<strong>al</strong>lo nero come l’inferno, sostituita nella forma definitiva<br />

da una visione di quella morte volutamente enigmatica, che non esclude l’ipotesi<br />

di un estremo pentimento: «Può esser gastigo, può esser misericordia», dice<br />

padre Cristoforo a Renzo, indicando il moribondo. Avrà voluto, Manzoni, dare<br />

anche <strong>al</strong> personaggio minore della vecchia del castello una chance in più? Gli autori<br />

finiscono per affezionarsi ai loro personaggi, con i loro difetti e le loro miserie.


Fra banchetti pantagruelici, cene solitarie e digiuni, le tavole finora incontrate<br />

nel romanzo non riescono mai a diventare una communio eucaristica. Neppure<br />

il pranzo per le nozze di Renzo e Lucia lo è, visto che il buon marchese preferisce<br />

servire i due umili sposi piuttosto che sedere accanto a loro. In re<strong>al</strong>tà, una<br />

mensa che si avvicina in ispirito <strong>al</strong>l’àgape cristiana la troviamo nel capitolo<br />

XXIX, nella casa del sarto, dove, come abbiamo ricordato, ritornano Lucia,<br />

Agnese e don Abbondio. I semplici cibi che recano gli ospiti e qu<strong>al</strong>che frutto<br />

offerto <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ospitante, bastano a comporre un pranzo povero di pietanze ma ricco<br />

di umanità e perfino di «<strong>al</strong>legrezza». Può mancare il vino?<br />

«Presto, presto; il sarto ordinò a una bambina (quella che aveva portato quel boccone<br />

a Maria vedova: chi sa se ve ne rammentate più!), che andasse a diricciar quattro castagne<br />

primaticce, ch’eran riposte in un cantuccio: e le mettesse a arrostire. (...) Lui andò<br />

a spillare una sua botticina; la donna a prendere un po’ di biancheria da tavola. Perpetua<br />

cavò fuori le provvisioni; s’apparecchiò...».<br />

Certo che la ricordiamo, la bambina che nel capitolo XXIV portava da mangiare<br />

a Maria vedova e ai suoi figli! Insieme <strong>al</strong> cibo, suo padre<br />

«le diede nell’<strong>al</strong>tra mano un fiaschetto di vino, e soggiunse: – Va’ qui da Maria vedova;<br />

lasci<strong>al</strong>e questa roba, e dille che è per stare un po’ <strong>al</strong>legra co’ suoi bambini».<br />

Il vino diventa anche qui segno e strumento della carità cristiana, di cui è campione<br />

Federigo Borromeo. Il suo prodigarsi per fronteggiare la carestia è descritto<br />

nel capitolo XXVIII:<br />

«Agli affamati dispensavano minestra, ova, pane, vino; ad <strong>al</strong>tri, estenuati da più antico<br />

digiuno, porgevano consumati, stillati, vino più generoso, riavendoli prima, se faceva di<br />

bisogno, con cose spiritose».<br />

Potrebbe sembrare una forzatura attribuire un v<strong>al</strong>ore eucaristico <strong>al</strong> binomio<br />

pane-vino, in questo passo; e ancor più vedere un’<strong>al</strong>lusione <strong>al</strong>lo spiritu<strong>al</strong>e nelle<br />

«cose spiritose». I due termini ricompaiono dopo la conversione dell’Innominato,<br />

là dove lo scrittore afferma che, nell’emulazione del fervore caritativo di<br />

Federigo, «a chi non poteva o non voleva farsi le spese, si distribuiva nel castello<br />

pane, minestra e vino». E qui, la non contiguità stempera ulteriormente la possibile<br />

portata simbolica.<br />

Perché, sia chiaro, non di simbolo o di <strong>al</strong>legoria, ma di figur<strong>al</strong>ità o di anagogia<br />

bisogna parlare per Manzoni, un maestro del re<strong>al</strong>ismo per il qu<strong>al</strong>e le cose<br />

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764<br />

sono prima di tutto quello che sono. Così, la vigna devastata di Renzo del capitolo<br />

XXXIII è, in primo luogo, una vigna, oggetto delle tenaci cure di tanti artigiani-contadini<br />

delle colline lombarde, nel Seicento come <strong>al</strong> tempo di Manzoni,<br />

descritta, come si sa, con la perizia di un esperto botanico e l’accoramento di un<br />

appassionato agricoltore. In secondo luogo, quella vigna distrutta è il segno<br />

vistoso di una violenza che va oltre la ruberie, di un van<strong>d<strong>al</strong></strong>ismo che produce il<br />

caos obbedendo <strong>al</strong>le leggi del m<strong>al</strong>e. «Povera vigna! (...) Viti, gelsi, frutti d’ogni<br />

sorte, tutto era stato strappato <strong>al</strong>la peggio, o tagliato <strong>al</strong> piede». Non deve dunque<br />

stupire che in un quadro così rigorosamente re<strong>al</strong>istico, si trovi il paragone fra i<br />

veget<strong>al</strong>i e gli umani, affratellati nella sventura: la zucca selvatica e la vite, avviluppate<br />

per cercar sostegno, «si tiravan giù, pure a vicenda, come accade spesso<br />

ai deboli che si prendon l’uno con l’<strong>al</strong>tro per appoggio».<br />

In terzo luogo, la vigna saccheggiata può essere l’emblema, per il cristiano<br />

Manzoni, dell’oltraggio recato ai v<strong>al</strong>ori di quel Vangelo in cui si legge: «Io sono<br />

la vite, voi i tr<strong>al</strong>ci». In questo caso, <strong>al</strong>l’interno del romanzo, potrebbe trasparire<br />

la vaga immagine enoica della S<strong>al</strong>vezza raggiunta <strong>d<strong>al</strong></strong>l’umanità nell’itinerario<br />

degli Inni sacri, <strong>d<strong>al</strong></strong>la Passione, in cui l’ubriachezza connotava la crescente crudeltà<br />

dello «stuol de’ beffardi» verso il Christus patiens («Come l’ebbro desidera il vino<br />

/ nell’offese quell’odio s’irrìta»), <strong>al</strong>la Resurrezione, dove troviamo l’ebbrezza casta<br />

di Chi vince la morte («Come un forte inebbriato / il Signor si risvegliò»).<br />

Anche Renzo, vinta per sempre la tentazione dell’<strong>al</strong>col (e della violenza), ha sete<br />

d’un vino che non è più materi<strong>al</strong>e. Da questo, anzi, girerà <strong>al</strong>la larga, d’ora in poi.<br />

Così, quando procede verso Milano appestata <strong>al</strong>la ricerca della sua Lucia, abbandona<br />

la strada maestra e va nei campi per trovare un cascinotto in cui passare la<br />

notte, «ché con osterie non si voleva impicciare». E nel cuore di Milano, scampato<br />

<strong>al</strong> linciaggio, rifiuta di bere <strong>d<strong>al</strong></strong> «gran fiasco» dei monatti:<br />

«Viva la morìa, e moia la marmaglia! – esclamò l’<strong>al</strong>tro; e, con questo bel brindisi, si mise<br />

il fiasco <strong>al</strong>la bocca, e, tenendolo con tutt’e due le mani, tra le scosse del carro, diede una<br />

buona bevuta, poi lo porse a Renzo, dicendo: – Bevi <strong>al</strong>la nostra s<strong>al</strong>ute.<br />

Ve l’auguro a tutti, con tutto il cuore, – disse Renzo: – ma non ho sete; non ho proprio<br />

voglia di bere in questo momento».<br />

Accetta invece il vino che gli offre fra Cristoforo, <strong>al</strong> lazzaretto:<br />

«Ma... – soggiunse subito, fermandosi, – tu mi pari ben rifinito: devi aver bisogno di<br />

mangiare.


È vero, – disse Renzo: – ora che lei mi ci fa pensare, mi ricordo che sono ancora<br />

digiuno.<br />

Aspetta, – disse il frate; e, presa un’<strong>al</strong>tra scodella, l’andò a empire <strong>al</strong>la c<strong>al</strong>daia: tornato,<br />

la diede, con un cucchiaio, a Renzo; lo fece sedere sur un saccone che gli serviva di letto;<br />

poi andò a una botte ch’era in un canto, e ne spillò un bicchier di vino, che mise sur<br />

un tavolino, davanti <strong>al</strong> suo convitato; riprese quindi la sua scodella, e si mise a sedere<br />

accanto a lui».<br />

Mangiano e bevono insieme, in comunione, il maestro e il discepolo, che rompe<br />

anche un digiuno spiritu<strong>al</strong>e. Siamo nel capitolo XXXV. Da qui in poi, di vino<br />

non ne troveremo più. Non così per le botti, che le soldataglie hanno vuotato,<br />

infranto, bruciato. Ma, passata la carestia, la guerra e la peste, è tempo di riedificare.<br />

Renzo, nel capitolo XXXVII, cammina rasserenato sotto la pioggia purificatrice<br />

che si porta via il morbo. Egli sosta presso un amico che gli offre fuoco<br />

e panni asciutti. E quante cose da raccontare!<br />

«Del resto [Renzo] mantenne ciò che aveva detto <strong>al</strong>l’amico, di voler raccontargliene per<br />

tutta la giornata; tanto più, che, avendo sempre continuato a piovigginare, questo la<br />

passò tutta in casa, parte seduto accanto <strong>al</strong>l’amico, parte in faccende intorno a un suo<br />

piccolo tino, e a una botticina, e ad <strong>al</strong>tri lavori, in preparazione della vendemmia; ne’<br />

qu<strong>al</strong>i Renzo non lasciò di dargli una mano; ché, come soleva dire, era di quelli che si<br />

stancano più a star senza far nulla, che a lavorare».<br />

Lui, che con il vino s’era cacciato nei guai, lui che si stanca di più a oziare che a<br />

lavorare, ora aiuta a costruire una «botticina» per la nuova, rigenerativa vendemmia.<br />

E a partire da quel momento, il cammino dell’artigiano-contadino è tutto di<br />

crescita. La sosta successiva la farà presso il cugino Bortolo, suo futuro socio<br />

d’impresa. Non tornerà <strong>al</strong> paesello a risistemare la vigna, ma, siatene certi, continuerà<br />

a bere del buon vino. Con misura, attingendo a un suo «piccolo tino».<br />

Giovanni Verga<br />

La nostra pista ci conduce ora a Verga, il grande narratore dell’Ottocento che<br />

sviluppò la lezione re<strong>al</strong>istica di Manzoni, sostituendo però il proprio disincantato<br />

materi<strong>al</strong>ismo <strong>al</strong>la visione provvidenzi<strong>al</strong>e della storia di Renzo e Lucia. E anche<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> confronto fra i vini dello scrittore lombardo e i vini del narratore siciliano<br />

emergerà, precisa, questa contrapposizione. Certo, l’obbiettivo che nei Promessi<br />

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766<br />

sposi spaziava <strong>d<strong>al</strong></strong>le ‘genti meccaniche’ ai ‘qu<strong>al</strong>ificati personaggi’, nelle mani Verga<br />

finì per essere puntato sugli strati soci<strong>al</strong>i più bassi, quelli occupati da pescatori,<br />

pastori e contadini. Tant’è che il ciclo dei Vinti, concepito per esplorare tutti<br />

gli strati del corpo soci<strong>al</strong>e, si arrestò <strong>al</strong>le classi più umili, trascurando gli ambienti<br />

<strong>al</strong>to-borghesi e mondani che avevano fatto da sfondo <strong>al</strong>la produzione precedente.<br />

Dopo aver delibato pregiati liquori, lo scrittore preferì dunque dissetarsi<br />

con l’aspro vino dei contadini. E, noi con lui, assaggeremo il contenuto di botti<br />

e bottiglie di Vita dei campi, delle Novelle rusticane e dei M<strong>al</strong>avoglia. E ci accorgeremo<br />

che quell’umile bevanda insaporita <strong>d<strong>al</strong></strong> tannino del verismo, non è del tutto<br />

priva di sottili aromi simbolici.<br />

Scorrendo le Novelle, ci accorgiamo che per quei ‘vinti’, il vino è innanzitutto<br />

un ben di Dio: «Suo padre sta benone laggiù a Marineo; ché quando andai a trovarli<br />

mi misero dinanzi pane, vino, formaggio, e ogni ben di Dio», leggiamo in Jeli<br />

il pastore; e poco dopo: «Ogni mese Mara andava a riscuotere il s<strong>al</strong>ario <strong>d<strong>al</strong></strong> padrone,<br />

e non le mancavano né le uova nel pollaio, né l’olio nella lucerna, né il vino nel<br />

fiasco». Non un bene superfluo, si badi, ma di prima necessità, come si ricava da<br />

Rosso M<strong>al</strong>pelo: «Questo è per il pane! Questo pel vino! Questo per la gonnella di<br />

Nunziata! – e così andava facendo il conto del come avrebbe speso i denari del<br />

suo app<strong>al</strong>to, il cottimante!». Il vino è parte essenzi<strong>al</strong>e del benessere di Pentolaccia<br />

nel racconto omonimo («A lui in cambio non gli mancava nulla, né il grano nel<br />

graticcio, né il vino nella botte, né l’olio nell’orciuolo»), di quello di Lucia in Pane<br />

nero («Aveva pane e minestra quanta ne voleva, un bicchiere di vino <strong>al</strong> giorno, e il<br />

suo piatto di carne la domenica e le feste»); ed è gran parte della Roba accumulata<br />

da quel Mazzarò («Ogni volta che Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un<br />

giorno per contare il denaro, tutto di 12 tarì d’argento») la cui maniac<strong>al</strong>e parsimonia<br />

è descritta partendo <strong>d<strong>al</strong></strong>la notazione che «egli non beveva vino». Assieme<br />

<strong>al</strong> pane, quella bevanda è così presente nella vita familiare che può dar forma a un<br />

modo idiomatico per definirne l’essenza, come in Janu e Nedda: «Se fossimo marito<br />

e moglie si potrebbe tutti i giorni mangiare il pane e bere il vino insieme».<br />

Il vino, parte importante del misero patrimonio dei poveri, diventa un tesoro<br />

per il fanciullo. Il fiaschetto fa parte dell’armamentario del pastorello Jeli, invidiato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> signorino, nostrani Tom Sawyer e Huckleberry Finn:<br />

«Don Alfonso, che era tenuto nel cotone dai suoi genitori, invidiava <strong>al</strong> suo amico Jeli<br />

la tasca di tela, dove ci aveva tutta la sua roba, il pane, le cipolle, il fiaschetto del vino,<br />

il fazzoletto pel freddo, il batuffoletto dei cenci col refe e gli aghi rossi, la scatoletta di<br />

latta coll’esca e la pietra focaja».


Ed è parte preziosa dell’ancor più povero corredo di Rosso M<strong>al</strong>pelo:<br />

«M<strong>al</strong>pelo andava sgomberando il terreno, e metteva <strong>al</strong> sicuro il piccone, il sacco vuoto<br />

ed il fiasco del vino».<br />

Ecco perché esso ricompare nel fin<strong>al</strong>e della tragica storia del ragazzo-minatore,<br />

che sparisce per sempre nella cava della rena rossa:<br />

«Prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco<br />

del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui».<br />

Il culto della ‘roba’, che domina in quel mondo, comporta la monetizzazione di<br />

ogni bene, dunque anche del vino. E lo scrittore che, com’è noto, controllava<br />

attentamente le proprie rendite agrarie, si mostra esperto del mercato quanto i<br />

suoi personaggi, come possiamo desumere da una pagina di Nedda:<br />

«Il prezzo del vino era s<strong>al</strong>ito, e un ricco proprietario faceva dissodare un gran tratto di<br />

chiuse da mettere a vigneti (...)<br />

Le chiuse rendevano 1200 lire <strong>al</strong>l’anno in lupini ed olio; messe a vigneto avrebbero dato,<br />

fra cinque anni, 12 o 13 mila lire, impiegandovene solo 10 o 12 mila; il taglio degli ulivi<br />

avrebbe coperto metà della spesa».<br />

Tuttavia, nella visione forzatamente materi<strong>al</strong>istica dei poveri, le cose non escludono<br />

i sentimenti, anzi, nell’imperson<strong>al</strong>e scrittura verghiana se ne fanno segno<br />

discreto. Il succo vivificatore ricavato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uva è la povera medicina con cui si soccorrono<br />

i diseredati: Rosso M<strong>al</strong>pelo spende la paga per curare con vino e minestra<br />

il povero Ranocchio, e Jeli assiste il padre m<strong>al</strong>arico offrendogli vino, euc<strong>al</strong>ipto<br />

e qu<strong>al</strong>che pezzetto di carne di montone. Per quei personaggi, il succo dell’uva<br />

è il surrogato degli affetti inesprimibili: per festeggiare il ritorno di Jeli, la gnà Lia<br />

corre a «spillare del vino fresco <strong>d<strong>al</strong></strong>la botte», e gliene versa «un bel bicchiere»; e<br />

Mara, divenuta brava massaia, mentre la minestra bolle <strong>al</strong>legramente, lo accoglie<br />

versandogli il vino che lo fa sentire come un papa. L’amore di Lucia per Brasi, in<br />

Pane nero, si p<strong>al</strong>esa nel lasciare a lui il miglior piatto e «il bicchier di vino più colmo»,<br />

e nel prender per sé i rabbuffi del padrone; nella stessa novella, «il vino e le<br />

fave tostate» per il povero matrimonio del figlio bastano a r<strong>al</strong>legrare anche compare<br />

Nanni, sebbene abbia già addosso la m<strong>al</strong>aria. Nei M<strong>al</strong>avoglia saranno i ceci<br />

tostati a far coppia con il vino, nel rustico banchetto degli sposi. E qu<strong>al</strong>e affetto è<br />

più arduo da confessare della passione amorosa? Il vino entra in gioco, come preliminare<br />

o ausilio per una dichiarazione d’amore, fin da Nedda:<br />

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«Janu aveva anche del vino, del buon vino di Masc<strong>al</strong>i che reg<strong>al</strong>ava a Nedda senza<br />

risparmio, e la povera ragazza, la qu<strong>al</strong>e non c’era avvezza, si sentiva la lingua grossa, e<br />

la testa assai pesante. (...)<br />

Di tratto in tratto si guardavano e ridevano senza saper perché.<br />

– L’annata sarà buona pel povero e pel ricco, – disse Janu, – e se Dio vuole <strong>al</strong>la messe<br />

un po’ di quattrini metterò da banda... e se tu mi volessi bene!... – e le porse il fiasco.<br />

– No, non voglio più bere. – disse ella colle guance tutte rosse.<br />

– O perché ti fai rossa? – diss’egli ridendo.<br />

– Non te lo voglio dire.<br />

– Perché hai bevuto!<br />

– No!<br />

– Perché mi vuoi bene? (...)<br />

Ella chinò gli occhi come se ci vedesse delle fiamme, e le sembrò che tutto il vino che<br />

aveva bevuto le montasse <strong>al</strong>la testa, e tutto l’ardore di quel cielo di met<strong>al</strong>lo le penetrasse<br />

nelle vene».<br />

E sarà l’elemento propiziatore dell’abbandono <strong>al</strong>l’amplesso, nella c<strong>al</strong>ura del<br />

meriggio. Nel fresco della cantina, il vino è g<strong>al</strong>eotto per <strong>al</strong>tri due giovani, Brasi e<br />

Lucia, protagonisti di Pane nero:<br />

«Ella stava spillando il vino, accoccolata colla mezzina fra le gambe, e Brasi era sceso<br />

con lei in cantina a farle lume. (...)<br />

Come la cantina era grande e scura <strong>al</strong> pari di una chiesa, e non si udiva una mosca in<br />

quel sotterraneo, soli tutti e due, Brasi e Lucia, egli le mise un braccio <strong>al</strong> collo e la baciò<br />

su quella bocca rossa <strong>al</strong> pari del cor<strong>al</strong>lo. (...)<br />

La poveretta l’aspettava sgomenta, mentre stava china tenendo gli occhi sulla brocca, e<br />

tacevano entrambi, e udiva il fiato grosso di lui, e il gorgogliare del vino. (...)<br />

Sì, vi voglio bene anch’io – rispose lei; – e mi struggevo di dirvelo. Se tremo ancora<br />

non ci badate. È stato per la paura del vino».<br />

Ma quanto più efficace sarà l’icasticità della Lupa! Qui l’<strong>al</strong>col non serve a far perdere<br />

la testa, ma è il segn<strong>al</strong>e seduttivo dell’eros che avvampa nella donna fat<strong>al</strong>e:<br />

«Svegliati! – disse la Lupa a Nanni che dormiva nel fosso, accanto <strong>al</strong>la siepe polverosa,<br />

col capo fra le braccia. – Svegliati, ché ti ho portato il vino per rinfrescarti la gola».<br />

E diventa puro simbolo della passione, presagio del fin<strong>al</strong>e cruento, là dove il rosso<br />

dei papaveri sostituisce quello del sangue della donna che si offre impavida<br />

<strong>al</strong>la scure dell’amato. Allusioni, dislocazioni, reticenze: per Verga, si può ancora<br />

parlare di verismo?


Neppure in Cav<strong>al</strong>leria rusticana, la perla più lucente della collana di Vita dei campi,<br />

il vino è un puro dettaglio re<strong>al</strong>istico. Sebbene il bicchiere compaia una volta sola,<br />

<strong>al</strong>l’osteria in cui Alfio e Turiddu si scambiano il bacio della sfida, tutta la novella<br />

è percorsa da una catena magistr<strong>al</strong>mente costruita di richiami indiretti <strong>al</strong> vino<br />

che, come un basso continuo, fanno intuire l’esito tragico. Turiddu per far ingelosire<br />

Lola, corteggia Santa, la figlia di «massaro Cola, il vignaiuolo». E nella<br />

schermaglia g<strong>al</strong>ante, non la chiama forse ‘grappolino mio’?<br />

«–La volpe quando <strong>al</strong>l’uva non ci poté arrivare...<br />

– Disse: come sei bella, racinedda mia!<br />

– Ohé! quelle mani, compare Turiddu».<br />

Nel gioco delle parti, la giovane esorta il suo spasimante-dipendente a riprendere<br />

il lavoro, accennando ai tr<strong>al</strong>ci: «Spicciamoci, che le chiacchiere non ne affastellano<br />

sarmenti». E Lola, divenuta amante di Turiddu, da che cosa è spinta a<br />

confessarsi?<br />

«Domenica voglio andare a confessarmi, ché stanotte ho sognato dell’uva nera – disse<br />

Lola. – Lascia stare! lascia stare! – supplicava Turiddu.<br />

– No, ora che s’avvicina la Pasqua, mio marito lo vorrebbe sapere il perché non sono<br />

andata a confessarmi».<br />

Ha sognato l’uva nera, che nelle credenze popolari, a tacer della cab<strong>al</strong>a, è presagio<br />

infausto. Il dramma annunciato si produce inesorabile. Turiddu, il giorno che<br />

precede la Pasqua, circondato dagli amici, consuma la sua «ultima» (così in una<br />

precedente lezione) s<strong>al</strong>siccia <strong>al</strong>l’osteria, dove ha luogo l’inevitabile incontro con<br />

l’avversario:<br />

«Turiddu, adesso che era tornato il gatto, non bazzicava più di giorno per la stradicciuola,<br />

e sm<strong>al</strong>tiva l’uggia <strong>al</strong>l’osteria, cogli amici. La vigilia di Pasqua avevano sul desco<br />

un piatto di s<strong>al</strong>siccia. Come entrò compare Alfio, soltanto <strong>d<strong>al</strong></strong> modo in cui gli piantò gli<br />

occhi addosso, Turiddu comprese che era venuto per quell’affare e posò la forchetta<br />

sul piatto.<br />

– Avete comandi da darmi, compare Alfio? – gli disse.<br />

– Nessuna preghiera, compare Turiddu, era un pezzo che non vi vedevo, e voleva parlarvi<br />

di quella cosa che sapete voi –.<br />

Turiddu da prima gli aveva presentato un bicchiere, ma compare Alfio lo scansò colla<br />

mano. Allora Turiddu si <strong>al</strong>zò e gli disse:<br />

– Son qui, compar Alfio –.<br />

Il carrettiere gli buttò le braccia <strong>al</strong> collo».<br />

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F<strong>al</strong>lito il tentativo di conciliazione con lo sdegnoso rifiuto di Alfio di bere un<br />

bicchiere di vino offerto <strong>d<strong>al</strong></strong> riv<strong>al</strong>e, i due si scambiano il bacio della sfida, cui<br />

segue, il giorno successivo, il duello che conduce a morte il colpevole Turiddu,<br />

‘piccolo S<strong>al</strong>vatore’, secondo il significato letter<strong>al</strong>e del suo nome, nonché «figlio<br />

della ‘gna Nunzia», cioè dell’Annunziata. Un S<strong>al</strong>vatore, un’Annunziata, una colpa<br />

da espiare, un’ultima cena con la corona degli amici, il bacio di Giuda, la<br />

Pasqua: è questa la sequenza di indizi che ci ha spinto a leggere la folgorante storia<br />

verghiana come una laica passio, dove vino e sangue connotano una mancata<br />

eucarestia. La passione di un figlio predestinato come Cristo <strong>al</strong> sacrificio, ma tutta<br />

terrena, senza resurrezione, perché a lui, oltre che un padre fisico, ne manca<br />

uno celeste, negato <strong>d<strong>al</strong></strong> suo padre letterario. Non a caso Stanislao Gast<strong>al</strong>don intitolò<br />

La M<strong>al</strong>a Pasqua il melodramma tratto <strong>d<strong>al</strong></strong>la novella. E un’<strong>al</strong>lusione eno-cristologica<br />

non manca neppure nella Cav<strong>al</strong>leria rusticana musicata da Pietro Mascagni,<br />

con libretto di Giovanni Targioni Tozzetti e Guido Menasci. Ricordate il<br />

s<strong>al</strong>uto fin<strong>al</strong>e di Turiddu <strong>al</strong>la madre?<br />

«Mamma quel vino è generoso, e certo<br />

oggi troppi bicchier ne ho tracannato...<br />

vado fuori <strong>al</strong>l’aperto;<br />

ma prima voglio che mi benedite<br />

come quel giorno che partii soldato...<br />

e poi... mamma... sentite...<br />

s’io... non tornassi...voi dovrete fare<br />

da madre a Santa...».<br />

Il bacio richiesto <strong>al</strong>la madre nella novella, si trasforma qui in un’implorata benedizione,<br />

mentre <strong>al</strong> vago richiamo <strong>al</strong>l’ultima cena (il vino generoso) si aggiunge un<br />

<strong>al</strong>trettanto sottile cenno <strong>al</strong>le parole del Crocefisso, che affidava Giovanni <strong>al</strong>le<br />

cure della madre, come Turiddu fa con Santa.<br />

Le diverse funzioni del vino, rilevabili qua e là nelle novelle, sono tutte presenti<br />

nel mondo compatto e complesso dei M<strong>al</strong>avoglia. Anche qui è un bene di prima<br />

necessità (le comari tornano «<strong>d<strong>al</strong></strong>l’osteria, coll’orciolino dell’olio, o col fiaschetto<br />

del vino») e può rappresentare una quota di s<strong>al</strong>ario:<br />

«Noi siamo parenti, – ripeteva. – Quando vado a giornata da lui mi dà mezza paga, e<br />

senza vino, perché siamo parenti – (...) e anticipava anche la spesa per la ciurma, se<br />

volevano, e prendeva soltanto il denaro anticipato, e un rotolo di pane a testa, e mezzo<br />

quartuccio di vino».


Anche qui è una merce economicamente rilevante: quello di massaro Filippo<br />

può entrare di contrabbando, con la compiacenza del doganiere don Michele, e<br />

Alfio Mosca provvede ai carichi di vino per l’osteria della Santuzza.<br />

Ancora una volta, può essere il ben di Dio dei poveri («Gli amici portavano<br />

qu<strong>al</strong>che cosa, com’è l’uso, pasta, ova, vino e ogni ben di Dio»), il segno di «ben<br />

tornato», l’innocente piacere <strong>al</strong>l’inizio di una giornata («In quel momento spuntava<br />

il sole, e un sorso di vino si beveva volentieri, pel fresco che s’era messo»),<br />

il complemento essenzi<strong>al</strong>e di una festa rusticana:<br />

«Qui ci è compare Cipolla che è venuto a farvi una visita; – disse padron ‘Ntoni, facendoli<br />

entrare, come se nessuno ne sapesse niente, mentre nella cucina c’era preparato il<br />

vino ed i ceci abbrustoliti, e i ragazzi e le donne avevano i vestiti della festa (...).<br />

– Ora bevete un bicchier di vino che è di quello buono, – aggiunse la Longa, e questi<br />

ceci qui li ha abbrustoliti mia figlia (...).<br />

Allora la cugina Anna finse che le scappasse di mano il bocc<strong>al</strong>e, nel qu<strong>al</strong>e c’era ancora<br />

più di un quartuccio di vino, e cominciò a gridare: – Allegria! <strong>al</strong>legria! Dove ci sono i<br />

cocci ci son feste, e il vino che si spande è di buon augurio».<br />

E l’ostessa può offrirlo persino gratuitamente, in casi eccezion<strong>al</strong>i:<br />

«E la Santuzza come tornò <strong>al</strong>l’osteria, gli disse: – Chiamateli qua, quei poveretti, che devono<br />

aver sete, dopo tanta strada che hanno fatto, e ci vuole un bicchiere di vino schietto».<br />

E nel romanzo, come nelle novelle, il vino trasmette messaggi affettivi: a don<br />

Michele, Santuzza mesce «quello buono», che poi riserverà a ‘Ntoni M<strong>al</strong>avoglia<br />

(quando il rapporto si deteriora, gli versa «acqua sporca», e lui protesta, «dicendo<br />

che era tossico di quello che avevano dato a Gesù sacramentato»); e discorrendo<br />

di vino, Alfio e Mena intrattengono un segreto di<strong>al</strong>ogo amoroso:<br />

«e le parlava del carico di vino che aveva preso per la Santuzza, e dell’asino che portava<br />

quattro quint<strong>al</strong>i meglio di un mulo, povera bestia. (...) – E voi ci guadagnate bene,<br />

coi carichi del vino? domandò la Mena».<br />

Ma nel ‘romanzo cor<strong>al</strong>e’ di Verga, la vita dei singoli coinvolge e interessa tutta la<br />

comunità. Ecco <strong>al</strong>lora che l’osteria, diventa il luogo privilegiato di osservazione,<br />

di scambio delle notizie e delle idee. Se nei Promessi sposi abbiamo incontrato<br />

quattro osterie, nei M<strong>al</strong>avoglia ce n’è solo una, quella di Aci Trezza, ma quante<br />

volte ce la troviamo davanti agli occhi! Chi volesse darsi la pena di contarle arriverebbe<br />

a settantaquattro. Non sorprende perciò che la prima foto di gruppo dei<br />

personaggi del romanzo sia scattata <strong>al</strong>l’interno della taverna della Santuzza:<br />

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«Nella bettola di suor Mariangela la Santuzza c’era folla: quell’ubriacone di Rocco Spatu,<br />

il qu<strong>al</strong>e vociava e sputava per dieci; compare Tito Piedipapera, mastro Turi Zuppiddu,<br />

compare Mangiacarrubbe, don Michele il brigadiere delle guardie dogan<strong>al</strong>i, coi<br />

c<strong>al</strong>zoni dentro gli stiv<strong>al</strong>i, e la pistola appesa <strong>al</strong> ventre, quasi dovesse andare a caccia di<br />

contrabbandieri con quel tempaccio, e compare Mariano Cinghi<strong>al</strong>enta. Quell’elefante<br />

di mastro Turi Zuppiddu andava distribuendo per ischerzo agli amici dei pugni che<br />

avrebbero accoppato un bue, come se ci avesse ancora in mano la m<strong>al</strong>abestia di c<strong>al</strong>afato,<br />

e <strong>al</strong>lora compare Cinghi<strong>al</strong>enta si metteva a gridare e bestemmiare, per far vedere<br />

che era un uomo di fegato e carrettiere».<br />

Del villaggio verghiano, sede di una società che vive <strong>al</strong> riparo <strong>d<strong>al</strong></strong>la storia, quella<br />

bettola è un elemento natur<strong>al</strong>e e necessario, come il sole e l’ombra, aperta a tutti,<br />

<strong>al</strong> pari della piazza e della chiesa:<br />

«Il sole c’era lì per tutti, e l’ombra degli ulivi per mettersi <strong>al</strong> fresco, e la piazza per passeggiare,<br />

e gli sc<strong>al</strong>ini della chiesa per stare a chiacchierare, e lo stradone per veder passare<br />

la gente e sentir le notizie, e l’osteria per mangiare e bere cogli amici».<br />

Ma a differenza della manzoniana osteria di Gorgonzola, luogo di rifugio del<br />

mercante e del fuggiasco, dunque del passaggio e del cambiamento, quella di Aci<br />

Trezza è l’emblema della stanzi<strong>al</strong>ità: gli avventori, sempre gli stessi e sempre nella<br />

stessa osteria, sentenzia zio Santoro, il padre cieco della Santuzza, si avvezzano<br />

<strong>al</strong> vino «come il bambino <strong>al</strong>la poppa» (guai, dunque, a cambiare quello fornito<br />

da massaro Filippo). Non è un caso che in due novelle rusticane, M<strong>al</strong>aria e Di<br />

là del mare, dove assistiamo <strong>al</strong> tramonto di quella civiltà statica, travolta <strong>d<strong>al</strong></strong>la storia,<br />

la nost<strong>al</strong>gia per quel mondo perduto si manifesti nel rimpianto per la taverna<br />

di Ammazzamogli.<br />

Anche nei M<strong>al</strong>avoglia troviamo però <strong>al</strong>cuni tratti tipici dell’osteria in genere e<br />

di quella manzoniana in particolare: è luogo di ‘sbirri’ e vi si discute di politica e<br />

di economia (perché non l’aumentano sul vino, il loro dazio? o sulla carne, che<br />

nessuno ne mangia?); e vi si possono «sapere i fatti di ognuno» perché lo zio Santoro,<br />

cieco com’è, «sa tutto quello che succede in paese». Né manca una difesa<br />

del bere in chiave soci<strong>al</strong>e, per bocca di ‘Ntoni:<br />

«Che se uno va <strong>d<strong>al</strong></strong>la Santuzza, per dimenticare i suoi guai, si chiama ubbriacone; mentre<br />

tanti <strong>al</strong>tri si ubbriacano a casa di vino buono non hanno guai per la testa, né nessuno<br />

che li rimproveri o faccia loro la predica di andare a lavorare, giacché non hanno<br />

nulla da fare, e son ricchi per due; eppure tutti siamo figli di Dio <strong>al</strong>lo stesso modo, e<br />

ognuno dovrebbe avere la sua parte egu<strong>al</strong>mente».


Né un profilo psicologico e mor<strong>al</strong>e dell’oste:<br />

«L’osteria è come un porto di mare, chi va e chi viene, e bisogna essere amici con tutti,<br />

e fedeli con nessuno; per questo l’anima l’abbiamo ciascuno la sua, e ognuno deve<br />

badare ai suoi interessi, e non far giudizi temerari contro il prossimo».<br />

E neppure l’efficace quadro di genere che potrebbe intitolarsi Osteria con avvinazzati:<br />

«Il vino buono faceva vociare, e il vociare metteva sete, intanto che non avevano aumentato<br />

il dazio sul vino; e quelli che avevano bevuto levavano i pugni in aria, colle maniche<br />

della camicia rimboccate, e se la prendevano persin colle mosche che volavano».<br />

Di suo, il romanziere siciliano, con la voce del narratore o con quella dei personaggi<br />

(ma l’una si confonde con l’<strong>al</strong>tra), ci mette l’aceto del pettegolezzo: la<br />

devota Santuzza che si confessa risciacquando la coscienza «meglio dei suoi bicchieri»,<br />

lascia a sorvegliare l’osteria il padre cieco che s’accorge di tutto, tranne<br />

del fatto che il doganiere si apparta con la figlia per «dire il rosario» - in cambio,<br />

questi, chiuderà due occhi sul contrabbando di vino. Del pettegolezzo, dicevamo,<br />

con il qu<strong>al</strong>e la piccola comunità commenta i comportamenti individu<strong>al</strong>i, li<br />

classifica e li giudica secondo il proprio codice, frutto del compromesso fra le<br />

due opposte leggi che la reggono, quella del tempio e quella del mercato.<br />

Quell’osteria, è anche e soprattutto il luogo della perdizione di ‘Ntoni. Già<br />

in Pane nero, bozzetto a carboncino dell’affresco dei M<strong>al</strong>avoglia, è adombrata l’idea<br />

che vi si trovi il diavolo:<br />

«Perché ci andate <strong>al</strong>l’osteria? Lasciatela stare l’osteria, che non fa per voi.<br />

– Si vede che siete una contadina! – rispondeva lui. – Voi <strong>al</strong>tri credete che <strong>al</strong>l’osteria ci<br />

sia il diavolo».<br />

E non si mette forse «a fare il diavolo», ‘Ntoni, quando proprio <strong>al</strong>l’osteria incontra<br />

don Michele, che gli contende la Santuzza? Grida, rompe i bicchieri, minaccia;<br />

poi passerà <strong>al</strong>le vie di fatto. Varcata quella soglia, egli supera, una volta per tutte,<br />

il confine che separa il mondo del sobrio padron ‘Ntoni da quello dell’«ubriacone»<br />

Rocco Spatu. A quel punto, niente potrà fermare il suo scivolamento lungo la<br />

china rovinosa. Proprio il contrario di quello che succede a Renzo, che <strong>al</strong>la Luna<br />

piena ha sì bevuto senza misura, «contro il suo solito», e ha abbracciato la finta<br />

utopia rivoluzionaria, ma subito si è riscattato imboccando una strada di rigenerazione,<br />

del tutto negata <strong>al</strong> disgraziato figlio del materi<strong>al</strong>ista scrittore siciliano.<br />

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Quella pericolosa soglia, la si può v<strong>al</strong>icare senza danno se si rispettano i limiti fissati<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la legge del villaggio, cioè la domenica, quando è lecito bere del buon vino<br />

anche nella casa dei morigerati M<strong>al</strong>avoglia:<br />

«Nello stesso tempo avevano fatte tutte le provviste per l’inverno, il grano, le fave, l’olio;<br />

e avevano data la caparra a massaro Filippo per quel po’ di vino della domenica».<br />

Non come Rocco Spatu, bollato fin <strong>d<strong>al</strong></strong>l’inizio come principe dei «fannulloni»,<br />

che preferisce «godersi <strong>al</strong>l’osteria quella domenica che prometteva di durare<br />

anche il lunedì», che «faceva festa tutti i giorni». E proprio quando comincia a<br />

volere «che tutti i giorni fosse domenica», ‘Ntoni diventa come lui e<br />

«la sera mangiava ingrugnato la sua minestra, e la domenica andava a gironzare attorno<br />

<strong>al</strong>l’osteria, dove la gente non aveva <strong>al</strong>tro da fare che ridere e spassarsi, senza pensare<br />

che il giorno dopo si tornava a fare quel che si era fatto in tutta la settimana».<br />

La trasgressione di quella legge segn<strong>al</strong>a dunque la sua perdizione, scandita da<br />

una sequenza di inequivocabili segn<strong>al</strong>i, come l’<strong>al</strong>lontanamento anche fisico <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

villaggio, che per lui, come per il Turiddu di Cav<strong>al</strong>leria rusticana, è la prima, decisiva<br />

crepa che provocherà il crollo di ogni certezza:<br />

«‘Ntoni che veniva da lontano, e il mondo lo conosceva meglio degli <strong>al</strong>tri, si annoiava<br />

a sentir quelle chiacchiere, e preferiva andarsene a girandolare attorno <strong>al</strong>l’osteria, dove<br />

c’era tanta gente che non faceva nulla».<br />

Il suo tragico taedium vitae, ora reso <strong>d<strong>al</strong></strong> verbo ‘annoiarsi’, più tardi <strong>d<strong>al</strong></strong> sostantivo<br />

‘uggia’ («Poi si levava di là frettoloso, e se ne andava <strong>al</strong>l’osteria a sm<strong>al</strong>tire l’uggia»),<br />

è proprio come quello di Turiddu che la vigilia di Pasqua «sm<strong>al</strong>tiva l’uggia<br />

<strong>al</strong>l’osteria, cogli amici». Ormai ‘Ntoni è <strong>al</strong>la deriva, e si sc<strong>al</strong>da la testa vedendo<br />

due giovanotti tornati «da Trieste, o da Alessandria d’Egitto, insomma da lontano»,<br />

che «spendevano e spandevano <strong>al</strong>l’osteria» e «dicevano delle barzellette <strong>al</strong>le<br />

ragazze»; più tardi tornerà «a pensare a quei due forestieri che andavano di qua e<br />

di là, e si sdraiavano sulle panche dell’osteria».<br />

Dunque il luogo emblematico del percorso rovinoso di quel giovane è l’osteria,<br />

in cui Verga, con tratti da maestro essenzi<strong>al</strong>i e precisi, continua a ricondurlo<br />

con diabolica determinazione: ‘Ntoni va «<strong>al</strong>l’osteria a far quattro chiacchiere,<br />

giacché non ci aveva un soldo in tasca», a farsi pagare «qu<strong>al</strong>che bicchiere<br />

di vino»; «va a girandolare pel paese, e davanti <strong>al</strong>l’osteria, t<strong>al</strong>e e qu<strong>al</strong>e come Rocco<br />

Spatu», e ripensa «a quei due marinai» che andavano «girelloni pel mondo, da


un’osteria <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tra, a spendere i denari che avevano in tasca». Presto, però, l’infrazione<br />

da celata si fa p<strong>al</strong>ese:<br />

«Ora non ci andava più di nascosto <strong>al</strong>l’osteria della Santuzza, che s’era fatto grande, e il<br />

nonno non gli avrebbe tirato le orecchie <strong>al</strong>la fin fine; ed egli avrebbe saputo rispondere<br />

il fatto suo se gli rimproveravano di andare a cercarsi quel po’ di bene che poteva».<br />

Ma il provetto romanziere, nel seguire il giovane trasgressore verso la perdizione<br />

ormai fat<strong>al</strong>e gli pone davanti agli occhi, per l’ultima volta, l’<strong>al</strong>ternativa positiva<br />

da lui rifiutata, la figura del vecchio patriarca:<br />

«Padron ‘Ntoni, come il nipote gli arrivava a casa ubbriaco, la sera, faceva di tutto per<br />

mandarlo a letto senza che gli <strong>al</strong>tri se ne avvedessero, perché questo non c’era mai stato<br />

nei M<strong>al</strong>avoglia, e gli venivano le lagrime agli occhi».<br />

Per un istante Verga ci fa credere che il pianto del nonno induca ‘Ntoni a ravvedersi<br />

(«Non voglio andarci più <strong>al</strong>l’osteria, neanche se m’ammazzano!») e produca<br />

il «miracolo» che dura «tutta la settimana, e la domenica». Ma una «disgrazia»<br />

lo porterà a «capitare di nuovo <strong>al</strong>l’osteria», un punto di non ritorno, ci fa intuire<br />

questo formidabile narratore di destini tragici.<br />

775


776


BERNARDO SCAGLIA*<br />

La viticoltura bresciana nella prima età moderna<br />

Per avere un quadro, il più re<strong>al</strong>istico possibile, di qu<strong>al</strong>e fosse l’incidenza della<br />

viticoltura nel panorama agrario bresciano tra Quattro e Cinquecento e come<br />

essa si inserisse nella re<strong>al</strong>tà produttiva dell’azienda agricola, <strong>al</strong> fine di coglierne<br />

persistenze e mutamenti rispetto <strong>al</strong>l’epoca precedente, è necessario evidenziare,<br />

innanzi tutto, la profonda trasformazione che subisce l’ambiente agrario bresciano<br />

sul finire del medioevo e l’inizio dell’età moderna. Le ragioni di t<strong>al</strong>i mutamenti<br />

vanno ricercate nel radic<strong>al</strong>e sovvertimento che coinvolge la proprietà fondiaria<br />

della provincia, fenomeno che innesca trasformazioni di carattere tecnico<br />

produttivo, giuridico istituzion<strong>al</strong>e e, soprattutto, economico soci<strong>al</strong>e.<br />

Durante gli ultimi due secoli del medioevo, nel Bresciano, la dissoluzione<br />

della grande proprietà monastica per la decadenza economica e mor<strong>al</strong>e delle istituzioni<br />

religiose e della proprietà feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e sotto i colpi delle re<strong>al</strong>tà comun<strong>al</strong>i in<br />

espansione, sia dei comuni cittadini sia di quelli rur<strong>al</strong>i, aveva dato origine a una<br />

piccola e diffusa proprietà contadina e a una rilevante proprietà comune da parte<br />

degli abitanti dei territori rur<strong>al</strong>i. Questo possesso <strong>al</strong>lodi<strong>al</strong>e o spesso enfiteutico<br />

o comunitario di questi piccoli proprietari rappresentava circa i 2/3 di tutta la<br />

superficie agraria del Territorio bresciano, costituito <strong>d<strong>al</strong></strong>le zone di pianura e di collina<br />

della provincia ad esclusione delle V<strong>al</strong>li e della Riviera del Garda. Nella<br />

seconda metà del XV secolo famiglie cittadine, nobili e borghesi, attratte le prime<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’aumento dei prezzi dei generi <strong>al</strong>imentari con il conseguente incremento<br />

della rendita fondiaria, le <strong>al</strong>tre desiderose di ‘innobilitarsi’ e di vivere di rendita,<br />

si lanciano <strong>al</strong>l’accaparramento delle terre, soprattutto le più fertili della pianura e<br />

della collina, facilitate in questa loro azione <strong>d<strong>al</strong></strong> disagio economico, presente nei<br />

piccoli proprietari a causa delle lunghe scorrerie di truppe nella guerra che<br />

* Università degli Studi di Brescia.<br />

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778<br />

oppone Venezia a Milano e di cui il territorio bresciano diviene il teatro di battaglie<br />

aspre e cruente.<br />

In quarant’anni, tra <strong>al</strong> fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento oltre<br />

140.000 piò 1 di terra passano <strong>d<strong>al</strong></strong>le mani dei contadini o della comunità rur<strong>al</strong>i in<br />

quelle di 300 famiglie del capoluogo, i cosiddetti cittadini, costituenti la classe<br />

politica e amministrativa della provincia; così che <strong>al</strong>l’inizio dell’età moderna i<br />

2/3 del territorio appartengono a nobili di antica o recente nobiltà, invertendo<br />

<strong>al</strong>a situazione della proprietà fondiaria presente nel medioevo. Una cinquantina<br />

di casate aristocratiche sono titolari di circa 250.000 piò con possessi varianti tra<br />

i 300 e i 4000 piò per ogni ramo gene<strong>al</strong>ogico di ciascuna di esse.<br />

La sola forma di conduzione presente in tutti i possedimenti, sia di medie o<br />

di grandi dimensioni è la mezzadria: ogni proprietà veniva suddivisa in più poderi<br />

di grandezza variabile tra i 40 e i 100 piò di terra in ragione della composizione<br />

numerica della famiglia lavoratrice e conduttrice ognuno di questi fondi. I<br />

prodotti del suolo venivano poi suddivisi a metà tra il proprietario della terra e la<br />

famiglia mezzadrile. Certe volte, soprattutto nelle grandi proprietà di Opere Pie,<br />

Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i o nei grandi possessi feu<strong>d<strong>al</strong></strong>i residui era presente un affittuario che,<br />

però, non era l’affittuario capit<strong>al</strong>ista della bassa milanese, ma aveva le caratteristiche<br />

dell’intermediario come lo definisce il Giorgetti, che si interponeva tra<br />

proprietà e conduttore, anticipando <strong>al</strong>la prima una somma di danaro prestabilita,<br />

trattenendo, poi , <strong>d<strong>al</strong></strong> mezzadro la sua quota dei frutti.<br />

Il podere mezzadrile veniva, quindi, organizzato per la produzione con una<br />

suddivisione in varie pezze o appezzamenti di misura variabile tra i 2 o 3 piò fino<br />

a 20 e oltre, utilizzate ognuna nell’annata agraria a seconda degli avvicendamenti<br />

in uso, come aratorio a cere<strong>al</strong>i grossi o minuti, come prato a vicenda o come<br />

prato stabile . Ognuna di queste pezze di terra era delimitata ai suoi bordi da fossi<br />

per l’irrigazione o da cavedagne lungo i qu<strong>al</strong>i sorgevano filari di <strong>al</strong>beri costituiti<br />

da olmi, frassini, aceri campestri che formavano, nel loro insieme il tipico<br />

paesaggio della pianura che porta il nome di piantata. Questa innovazione come<br />

con acutezza sottolinea Gabriele Archetti, è frutto proprio di quelle modificazioni<br />

della proprietà terriera viste sopra, per cui vengono meno le piccole proprietà<br />

contadine e si costituisce la grande proprietà cittadina e nobiliare, con la<br />

1 B. SCAGLIA, Note sull’agricoltura bresciana durante i secoli XV, XVI , XVII attraverso gli estimi, in Atti del<br />

Convegno su Camillo Tarello e l’agricoltura bresciana <strong>al</strong> tempo della Repubblica Veneta, Lonato 1979, pp. 123-<br />

132.


scomparsa anche della proprietà comun<strong>al</strong>e: viene meno il piccolo proprietario<br />

che si trasforma in mezzadro, lavoratore su una terra <strong>al</strong>trui, mentre scompaiono<br />

gli usi civici, tipici dei possessi comunitari. «Venendo meno, infatti – scrive<br />

Archetti – quei beni collettivi che erano una garanzia di sopravvivenza per le<br />

comunità rur<strong>al</strong>i, la piantata, con i suoi filari di viti e di <strong>al</strong>beri, inframmezzati da<br />

colture cere<strong>al</strong>icole e foraggiere e delimitata da fossati e siepi, era una riserva per<br />

l’approvvigionamento di legna da ardere e p<strong>al</strong>i da opera, nel momento in cui non<br />

si poteva più fare libero uso delle risorse del bosco» 2 .<br />

La scomparsa della piccola proprietà contadina che rimane solo in limitate<br />

zone della provincia dove più forte era stata la resistenza dei comuni rur<strong>al</strong>i <strong>al</strong>la pressione<br />

nobiliare oppure dove questa era stata meno incisiva a causa della modesta<br />

fertilità del suolo, così da renderla meno appetibile, <strong>al</strong>tera profondamente i modi di<br />

sfruttamento della terra, coinvolgendo in questo anche la coltura della vite.<br />

Sui piccoli possessi <strong>al</strong>lodi<strong>al</strong>i o sui modesti appezzamenti enfiteutici dei contadini<br />

medioev<strong>al</strong>i, la coltura della vite doveva assumere quasi per necessità la forma<br />

della coltura speci<strong>al</strong>izzata: il prodotto della vite rappresentava uno degli elementi<br />

che costituivano la razione giorn<strong>al</strong>iera di vitto per la famiglia ed esso doveva<br />

essere ottenuto sfruttando <strong>al</strong> meglio la superficie più ridotta possibile, vista l’esiguità<br />

della terra disponibile, la qu<strong>al</strong>e doveva offrire tutto quanto fosse sufficiente<br />

<strong>al</strong>la sopravvivenza. Il luogo più adatto si presentava, quindi, quello posto attorno<br />

<strong>al</strong>l’abitazione, per nulla sfruttabile per le colture cere<strong>al</strong>icole, ma spazio di vita<br />

familiare per i bisogni di bambini e anziani e dove erano presenti colture arboree<br />

necessarie <strong>al</strong>la famiglia per frutti o legname o come riparo e ornamento dell’abitazione.<br />

Proprio questi <strong>al</strong>beri, insieme con <strong>al</strong>tri sostegni erano i tutori della vite, i<br />

cui tr<strong>al</strong>ci, uniti tra loro ad <strong>al</strong>tezza d’uomo, formavano il pergolato sotto il qu<strong>al</strong>e il<br />

suolo era disponibile per le attività familiari e per l’<strong>al</strong>levamento di anim<strong>al</strong>i da cortile.<br />

La stessa tipologia cultur<strong>al</strong>e, anche se spesso su dimensioni più estese avveniva<br />

in prossimità di residenze monastiche o di abitazioni signorili.<br />

Nella nuova situazione creatasi con la costruzione delle medie e grandi proprietà,<br />

in cui i contadini sono diventati o mezzadri o lavoratori giorn<strong>al</strong>ieri, la coltura<br />

della vite costituisce ora una delle fonti, spesso la meno importante o, <strong>al</strong> più,<br />

integrativa del reddito azien<strong>d<strong>al</strong></strong>e, dato, primariamente, dai prodotti dell’aratorio.<br />

Per l’agricoltore questa coltura rappresenta un aggravio <strong>al</strong>le sue già pesanti fati-<br />

2 G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998,<br />

p. 368.<br />

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780<br />

che e da cui trae, per di più, solo una parte del risultato del suo lavoro. Per tutto<br />

ciò la coltivazione della vite trova, da parte del proprietario del fondo, l’ostacolo<br />

offerto <strong>d<strong>al</strong></strong>la minor produttività, rispetto ad <strong>al</strong>tre colture, del lavoro ad essa dedicato<br />

e, da parte del lavoratore, il limite della stretta necessità <strong>al</strong>imentare, oltre il<br />

qu<strong>al</strong>e la sua fatica va solo a vantaggio del proprietario.<br />

La piantata, che caratterizza il paesaggio agrario della pianura dopo le trasformazioni<br />

suddette, appare, con i suoi filari di <strong>al</strong>beri, il luogo natur<strong>al</strong>e per la<br />

coltivazione della vite: questa si trasferisce, così, <strong>d<strong>al</strong></strong> fondo, posto attorno <strong>al</strong>l’abitazione,<br />

lungo i bordi della distesa dell’aratorio. È evidente che la coltivazione<br />

della vite sia nella pianura sia nella collina, con eccezione di limitate zone sul lago<br />

di Garda, si presenti ora nella forma di coltura promiscua: non solo è scomparsa<br />

completamente la speci<strong>al</strong>izzazione, ma l’<strong>al</strong>levamento della vite diventa un’attività<br />

complementare a quelle della cere<strong>al</strong>icoltura e delle foraggiere che rappresentano<br />

le <strong>produzioni</strong> fondament<strong>al</strong>i di ogni possesso agrario.<br />

Se la diffusione della vite in tutta la provincia bresciana è determinata, come<br />

si è visto, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’organizzazione stessa del territorio e dell’azienda agraria, l’intensità<br />

della sua presenza, v<strong>al</strong>e a dire la quantità di ceppi su ogni unità fondiaria,<br />

varia notevolmente da zona a zona, in ragione, fondament<strong>al</strong>mente, di due elementi:<br />

la natur<strong>al</strong>e vocazione del suolo <strong>al</strong>la coltura viticola e la dimensione degli<br />

appezzamenti in cui è suddivisa la possessione. Questo ultimo elemento determina,<br />

soprattutto, la quantità massima di viti coltivabili su ogni piò di terra. Così,<br />

per esempio, su una pezza di terra <strong>d<strong>al</strong></strong>la dimensione di due o tre piò, dove sono<br />

presenti 70 - 100 <strong>al</strong>beri, la quantità di ceppi coltivabile, c<strong>al</strong>colando 2 o 3 ceppi<br />

per <strong>al</strong>bero, secondo quanto afferma Agostino G<strong>al</strong>lo 3 , si aggira tra le 250-300<br />

unità, con una media di 100 viti <strong>al</strong> piò; parimenti una pezza di 20 o 30 piò, di<br />

superficie decupla della prima, ha ai suoi bordi 250 o 300 <strong>al</strong>beri, v<strong>al</strong>e a dire un<br />

migliaio di ceppi che significano 40-50 viti mediamente <strong>al</strong> piò. Questa frequenza<br />

degli <strong>al</strong>beri sugli appezzamenti delle possessioni viene confermata in un<br />

documento, se pure più tardo, citato da Gabriella Motta: a Cigole, i 300 piò della<br />

possessione Foresti e Lova, appartenente <strong>al</strong>la famiglia Cigola hanno una piantata<br />

di 16600 <strong>al</strong>beri, dei qu<strong>al</strong>i 11600 sono <strong>al</strong>beri dolci e 4250 ontani, mentre 300<br />

sono di <strong>al</strong>to fusto e oltre 1000 sono gelsi 4 . Come appare da semplice c<strong>al</strong>colo,<br />

3 A. GALLO, Le venti giornate della vera agricoltura, Venezia 1566 (ediz. anast., Brescia 1986), p. 72.<br />

4 G. MOTTA, Paesaggi agrari a confronto,in Atlante della Bassa, II. Uomini, vicende, paesi della pianura orient<strong>al</strong>e,<br />

Brescia 1987, p. 156.


poco più di 50 <strong>al</strong>beri a piò. A parità di produttività del vitigno, nel primo caso di<br />

piccolo appezzamento avremo una produzione media di circa 2 o 3 quint<strong>al</strong>i di<br />

vino <strong>al</strong> piò, nel secondo caso esattamente la metà.<br />

Suddivisa ora la pianura bresciana nelle tradizion<strong>al</strong>i zone agrarie in base <strong>al</strong>le<br />

loro caratteristiche pedologiche e produttive, attraverso le attestazioni dei possessori<br />

di terra, cercheremo di v<strong>al</strong>utare la presenza della vite agli inizi del Cinquecento.<br />

La pianura irrigua tra Mella ed Oglio, che rappresenta la parte più produttiva<br />

della provincia è caratterizzata <strong>d<strong>al</strong></strong>la grande proprietà cittadina e nobiliare,<br />

con vaste aziende a vocazione cere<strong>al</strong>icola, costituite da ampi appoderamenti <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

suolo argilloso con abbondante presenza di acqua in ogni stagione dell’anno per<br />

le risorgive che la caratterizzano. Zona, quindi, dove la vite non trova certo le<br />

condizioni favorevoli <strong>al</strong>la sua coltivazione, tanto che Agostino G<strong>al</strong>lo consigliava<br />

<strong>al</strong>l’amico Vincenzo Maggi di estirpare i ceppi nei suoi possedimenti di Pompiano<br />

5 . Infatti a Trenzano i Coradelli che possiedono, secondo l’estimo del 1575, 100<br />

piò di terra, posti tra Trenzano e Maclodio, dichiarano che fin <strong>d<strong>al</strong></strong> 1550 non viene<br />

più prodotto vino in questa loro proprietà 6 e gli Emili sempre a Maclodio nello<br />

stesso periodo, sul loro podere di 60 piò non raccolgono che 4 gerle di vino,<br />

v<strong>al</strong>e a dire 2 ettolitri, frutto del piccolo vigneto posto attorno <strong>al</strong>la casa colonica 7 .<br />

La conferma che sulle medie e grandi proprietà nobiliari solo una piccolissima<br />

parte era vitata ce lo conferma la polizza degli Avogadro sempre nello stesso<br />

estimo: a Meano e Pompiano dove essi possiedono 737 piò complessivamente<br />

non esistono terreni vitati, mentre a Cignano, sui 135 piò in loro possesso solo<br />

47 hanno viti 8 . Proprio nella proprietà dei Maggi a Pompiano nel 1515 i 120 piò<br />

di una loro possessione danno solo 48 ettolitri di vino, dimostrando che la presenza<br />

della vite era limitata a non più di 20 o 30 piò di terra, mentre a Offlaga,<br />

nello stesso anno i Barbisoni possiedono 133 piò da cui ricavano ben 84 ettolitri<br />

di vino. Infatti il paese posto sulle sponde del Mella si trova in condizioni più<br />

favorevoli <strong>al</strong>la coltivazione della vite, sui terrazzi fluvi<strong>al</strong>i, vicini <strong>al</strong>la pianura<br />

orient<strong>al</strong>e dove il terreno è più ghiaioso e minore è la presenza d’acqua . Infatti su<br />

questa proprietà i filari di viti occupano circa di 50 piò, v<strong>al</strong>e a dire poco meno del<br />

5 GALLO, Le venti giornate,p.83.<br />

6 Archivio di Stato di Brescia (= ASBs), Fondo Territorio ex Veneto, Estimo 1575: Trenzano, polizza<br />

Coradelli, b. 423.<br />

7 ASBs, Ibidem, Maclodio, polizza Emili, b. 423.<br />

8 ASBs, Ibidem, Cignano, b. 421.<br />

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782<br />

50% della superficie a cere<strong>al</strong>i, il doppio di quanto rilevato a Pompiano, confermando<br />

che, mentre la pianura irrigua è, praticamente, priva di coltura viticola,<br />

questa si ritrova solo nelle possessioni poste sui terrazzi fluvi<strong>al</strong>i dell’Oglio e del<br />

Mella dove entra nel 30 o 40% dell’aratorio, con una media di 80-100 viti <strong>al</strong> piò.<br />

La pianura orient<strong>al</strong>e presenta <strong>al</strong>l’opposto una diversa re<strong>al</strong>tà coltur<strong>al</strong>e. La parte<br />

del territorio dove la vite è presente in quasi tutto l’aratorio è quella posta tra<br />

Mella e la confluenza del Chiese con l’Oglio, ai confini con il cremonese, mentre<br />

ne sono completamente prive le possessioni poste nella zona lamiva di Ghedi e<br />

nella brughiera tra Ghedi e Montichiari. È sempre l’estimo degli Avogadro a evidenziare<br />

che essi non hanno viti sui 230 piò aratori di Ghedi, mentre ad Alfianello,<br />

prossimo <strong>al</strong> cremonese Alfiano (ex grande proprietà del monastero di S. Giulia),<br />

dove essi possiedono 313 piò, solo 44 sono privi di viti. Qui l’aratorio vitato<br />

copre oltre il 90% della proprietà. Anche a Seniga i 18 piò dei Roberti offrono 24<br />

ettolitri di vino, quasi un ettolitro e mezzo a piò indicando la presenza su ognuno<br />

di essi di <strong>al</strong>meno 80 ceppi, la media cioè dell’aratorio vitato della pianura. Priva di<br />

viti è anche la campagna tra Montichiari, Mazzano e Rezzato dove, sempre gli<br />

Avogadro possiedono ben 617 piò di terra, di cui solo un centinaio verso Virle<br />

sono vitati. Al contrario, la vite è presente nella sua forma norm<strong>al</strong>e di 80 - 100 viti<br />

<strong>al</strong> piò di media sui piccoli rilievi che increspano la pianura, qu<strong>al</strong>i il monte Netto<br />

di Capriano e la collina di Castenedolo, dove, nel 1517, i 60 piò dei Roberti danno<br />

120 ettolitri di vino, con una media di ben 2 ettolitri <strong>al</strong> piò. Qui appare evidente<br />

che gli appezzamenti delle possessioni sono di piccole dimensioni – 3 o 5<br />

piò – perché solo in appezzamenti piccoli sono possibili quei 100 ceppi di media<br />

<strong>al</strong> piò che possono dare i 2 ettolitri di vino. Questa forma di coltivazione della vite<br />

è presente anche in tutta l’<strong>al</strong>ta pianura <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Oglio a Brescia, a cav<strong>al</strong>lo dell’attu<strong>al</strong>e<br />

Stat<strong>al</strong>e 11 e in tutta la zone del pedemonte orient<strong>al</strong>e tra Brescia e Lonato.<br />

Se la presenza della vite nell’ambiente agrario della provincia <strong>al</strong>l’inizio dell’età<br />

moderna si può delineare con buona approssimazione, ben più difficile,<br />

anzi impossibile definire la tipologia dei vitigni e la loro relativa presenza <strong>al</strong>l’interno<br />

delle aree ambient<strong>al</strong>i sopra descritte. Certa è una sola cosa: in tutta la provincia<br />

i vitigni utilizzati erano i più diversi <strong>al</strong>l’interno di una stessa pezza vitata.<br />

Vi erano vitigni per uva bianca e uva nera, quelli per uva da pasto e da vinificazione<br />

con scarsa possibilità di conoscenza dell’esatta denominazione e della percentu<strong>al</strong>e<br />

di incidenza di ognuno di questi vitigni rispetto <strong>al</strong> tot<strong>al</strong>e. Le sole indicazioni<br />

che abbiamo sono quelle che ci vengono offerte da Agostino G<strong>al</strong>lo nella<br />

terza giornata delle Vinti giornate che sono, però, di carattere tecnico-enologi-


co e non storico-descrittivo. Una sola riflessione: <strong>d<strong>al</strong></strong>la descrizione dell’agronomo<br />

cinquecentesco appare chiaro che, ad esclusione, forse, di poche zone di collina,<br />

nella pianura i contadini badavano solo a coltivare quel tipo di vitigno che<br />

potesse offrire la maggior quantità di prodotto, poco curando la qu<strong>al</strong>ità. Alcune<br />

indicazioni sui vitigni coltivati nelle varie zone del Bresciano e sulla qu<strong>al</strong>ità del<br />

vino prodotto, si possono ottenere <strong>d<strong>al</strong></strong>le indicazioni di Andrea Bacci nel suo trattato<br />

dei vini it<strong>al</strong>iani 9 .<br />

Secondo il medico romano, i vitigni più comuni nella provincia erano i<br />

moscatelli bianchi, biondi e rossi e, soprattutto, le vernacce: di questi vini <strong>al</strong>cuni<br />

erano robusti e <strong>al</strong>tri di mediocre vigore. La zona della Franciacorta tra P<strong>al</strong>azzolo<br />

e Brescia era quella che produceva vini migliori, soprattutto con i vitigni delle vernacce,<br />

di cui le più pregiate erano quelle di Cellatica; il groppello popolava, invece,<br />

le colline da Brescia verso il lago d’Idro e con questo nome erano denominati<br />

un insieme di vitigni non solo a Brescia, ma anche <strong>al</strong>tre parti d’It<strong>al</strong>ia. La schiava<br />

faceva da signora nei comuni di Paderno, Passirano, Erbusco fino <strong>al</strong>l’Oglio, e<br />

da questa si ottenne un vino molto generoso, <strong>d<strong>al</strong></strong> colore e <strong>d<strong>al</strong></strong> sapore della Lachrima<br />

10 . Molto buoni erano i vini di Gavardo verso la v<strong>al</strong>le Sabbia, mentre mediocri<br />

erano quelli di Castenedolo e quelli del territorio di Montichiari oltre il Chiese.<br />

Un discorso a sé deve essere fatto per la Riviera del Garda, v<strong>al</strong>e a dire la zona<br />

formata <strong>d<strong>al</strong></strong>le colline moreniche tra il lago d’Idro e la sponda occident<strong>al</strong>e del lago<br />

fino <strong>al</strong>la pianura di Desenzano. Amministrativamente nel periodo che stiamo<br />

considerando, questa parte della provincia costituiva la podestaria di S<strong>al</strong>ò, chiamata<br />

anche la Magnifica Patria, direttamente dipendente da Venezia e separata,<br />

quindi, <strong>d<strong>al</strong></strong> territorio bresciano. Qui la vite si trovava maritata <strong>al</strong>l’olmo e <strong>al</strong> frassino<br />

che erano gli <strong>al</strong>beri più diffusi nelle proprietà contadine della zona pianeggiante<br />

verso Desenzano, dove era interc<strong>al</strong>ata nell’aratorio <strong>al</strong>le colture cere<strong>al</strong>icole.<br />

La parte collinare che si estende tra la riva del lago e il Chiese era dominata <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

colture arboree che, nella parte più prossima <strong>al</strong> lago formavano un solo grande<br />

uliveto, mentre strade e abitazioni erano ombreggiate da <strong>al</strong>lori, <strong>d<strong>al</strong></strong>le cui bacche si<br />

estraeva l’olio laurino; l’<strong>al</strong>ta Riviera da S<strong>al</strong>ò a Gargnano e Limone, oltre agli ulivi,<br />

era coperta da giardini di agrumi, limoni, cedri, melograni: queste condizioni<br />

ambient<strong>al</strong>i, in cui le colture arboree erano speci<strong>al</strong>izzate, non permetteva a questi<br />

<strong>al</strong>beri di formare il sostegno vivo <strong>al</strong>la vite. Perciò questa, che trovava terreno e cli-<br />

9 A. BACCI, De natur<strong>al</strong>i vinorum historia, Roma 1596.<br />

10 BACCI, De natur<strong>al</strong>i vinorum, p. 319.<br />

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784<br />

ma favorevoli <strong>al</strong>la sua diffusione, fin <strong>d<strong>al</strong></strong>la sua introduzione, probabilmente in<br />

epoca romana, seguendo il sistema di coltivazione che era adottato nel Lazio, venne<br />

coltivata con il sostegno a p<strong>al</strong>o secco, sorretta, quindi, da p<strong>al</strong>i «che nell’estremità<br />

superiore portano infisse delle braccia di legno, cui si legano i tr<strong>al</strong>ci», così che<br />

le viti suddette hanno, rispetto <strong>al</strong> sistema di sostegno adottato nel resto della provincia,<br />

«il vantaggio di essere più esposte <strong>al</strong>l’azione del sole e dell’atmosfera» 11 .<br />

Agli inizi del Cinquecento più della metà della viti, coltivate nella Riviera, era<br />

con tutori morti e, secondo il Grattarolo 12 i vitigni più diffusi erano le vernacce,<br />

le schiave, il marzemino, i moscatelli e le <strong>al</strong>bamatte. In tutte le zone dove la vite<br />

era sostenuta <strong>d<strong>al</strong></strong> p<strong>al</strong>o, la coltura era di tipo quasi speci<strong>al</strong>izzato, in piccole proprietà<br />

contadine: proprio la limitata possibilità finanziaria di queste aziende non<br />

permetteva una estensione di questa forma di coltura delle vite a causa degli <strong>al</strong>ti<br />

costi di impianto costituiti <strong>d<strong>al</strong></strong> prezzo rilevante <strong>d<strong>al</strong></strong> legname utilizzato come<br />

sostegno la cui anticipazione incideva fortemente sui costi di produzione e,<br />

quindi, del v<strong>al</strong>ore unitario del prodotto finito. Nella zona tra S<strong>al</strong>ò e Limone un<br />

piò di terra a coltura speci<strong>al</strong>izzata poteva offrire 10-15 ettolitri di vino, mentre<br />

nelle zone a coltura promiscua la produzione non superava 3 ettolitri con una<br />

media di 5 quint<strong>al</strong>i di vino <strong>al</strong> piò.<br />

Da quanto sopra esposto possiamo ricavare questo quadro d’insieme della<br />

viticoltura bresciana agli inizi dell’età moderna. La coltivazione della vite avveniva<br />

su una superficie di circa 170.000 piò sui 450.000 che costituivano il territorio<br />

e la Riviera del Garda , così suddivisi: 10.000 piò nella Bassa occident<strong>al</strong>e (10%<br />

della superficie), 100.000 in quella centr<strong>al</strong>e e orient<strong>al</strong>e, 50.000 nella zona pedemontana<br />

(30% della superficie) e 10.000 nella Riviera. C<strong>al</strong>colando una media di 2<br />

ettolitri <strong>al</strong> piò in coltura promiscua del territorio e 5 ettolitri nella Riviera, possiamo<br />

ritenere che la produzione tot<strong>al</strong>e di vino si aggirasse sui 370.000 ettolitri.<br />

Lungo tutto il Cinquecento e anche durante il Seicento la situazione descritta<br />

non presenta modificazioni sostanzi<strong>al</strong>i. La sola conseguenza, nella seconda<br />

metà del XVII secolo, a causa della diminuzione della popolazione per le pestilenze<br />

che colpiscono la provincia e per la conseguente crisi commerci<strong>al</strong>e e manifatturiera,<br />

è data da un abbandono da parte dei proprietari terrieri della coltura<br />

viticola a vantaggio delle <strong>produzioni</strong> cere<strong>al</strong>icole, molto più remunerative per i<br />

frequenti inn<strong>al</strong>zamenti dei prezzi dei grani. Nel Settecento incomincia la grande<br />

11 A. SABATTI, Quadro statistico del Dipartimento del Mella, Brescia 1807, p. 78.<br />

12 B. GRATTAROLO, Historia della Riviera di S<strong>al</strong>ò, Brescia 1599, p. 29.


stagione della bachicoltura che ha un riflesso, seppur non rivoluzionario sulla<br />

coltura della vite nella provincia bresciana. L’<strong>al</strong>levamento del baco che ha come<br />

suo nutrimento la foglia del gelso, obbliga necessariamente gli agricoltori a piantare<br />

filari di mori (morus nigra e morus <strong>al</strong>ba) per il grande consumo di foglie, dieci<br />

quint<strong>al</strong>i per ogni oncia di seme bachi <strong>al</strong>levati, per cui milioni di gelsi in tutta la<br />

provincia si sostituiscono ai frassini, agli olmi, agli aceri, tipici della tradizion<strong>al</strong>e<br />

piantata. Due sono le conseguenze sulla coltura della vite: la prima è la sostituzione<br />

del tutore che diventa ora il gelso e la seconda, più importante, è la riduzione<br />

della superficie a coltura promiscua. La carenza di lavoratori, già vista per<br />

il Seicento, si fa ancora più pesante lungo il Settecento per l’introduzione sia del<br />

doppio raccolto del mais sia per l’incremento di lavoro dato <strong>d<strong>al</strong></strong>la nuova pesante<br />

attività produttiva, molto remunerativa, ma che obbliga i proprietari dei fondi<br />

<strong>al</strong>la richiesta di manodopera supplementare: nei periodi di maggior lavoro bisogna<br />

rivolgersi a manodopera delle v<strong>al</strong>li trentine e, perfino, del genovese.<br />

Per questo la vite viene abbandonata nelle zone di pianura dove l’<strong>al</strong>levamento<br />

del baco si presenta di gran lunga più vantaggioso economicamente. Così essa tende<br />

a ridursi soprattutto nella pianura centro-orient<strong>al</strong>e, concentrandosi nelle zone<br />

dei terrazzi fluvi<strong>al</strong>i e sui rilievi di Capriano e Castenedolo e, in modo particolare,<br />

nelle zone del pedemonte e della Franciacorta, oltre che sulla Riviera del Garda.<br />

Un esempio, che conferma quanto accennato, offerto <strong>d<strong>al</strong></strong>le colture nelle proprietà<br />

dei Martinengo di Villagana: qui nella possessione delle Vittorie presso Barco<br />

sono raccolti solo 46 pesi di uva, v<strong>al</strong>e a dire poco di 2 ettolitri di vino e agli inizi<br />

dell’Ottocento gli aratori vitati ammontavano a 37 piò su un tot<strong>al</strong>e di 606 piò di<br />

tutte le proprietà di Villagana 13 . In tutta questa proprietà venivano prodotte 80 zerle<br />

di vino , v<strong>al</strong>e a dire 40 ettolitri. Appare evidente che l’aratorio vitato si è ridotto<br />

<strong>al</strong> 5-6% rispetto <strong>al</strong> 10 c<strong>al</strong>colato nel 1500. Anche a Cigole, come riferisce Gabriella<br />

Motta, deducendo i dati <strong>d<strong>al</strong></strong> catasto napoleonico, nelle proprietà della famiglia<br />

Cigola non esistono aratori vitati: «La presenza della vite, in filari interc<strong>al</strong>ari <strong>al</strong><br />

seminativo, secondo l’uso tradizion<strong>al</strong>e, è limitato solamente <strong>al</strong>le particelle più piccole<br />

di proprietà contadina» 14 . Proprio a Cigole, nel 1517 15 , i 102 piò di terra di proprietà<br />

dei Barbisoni davano circa 40 ettolitri di vino, il che significa che la superfi-<br />

13 P. ZANONI, Villagana dove volava l’aquila dei Martinengo, Comune di Villachiara 2002, p. 78.<br />

14 G. MOTTA MASSUSSI, Paesaggi agrari a confronto,in Atlante della Bassa, p. 157.<br />

15 ASBs, Fondo Civico Antico, Polizze delle Quadre, Cittadella Vecchia, a. 1517, b. 253.<br />

785


786<br />

cie vitata non era inferiore ai 30 piò che rappresentano quel 30% indicato sopra<br />

come media dell’aratorio vitato nelle proprietà della pianura centro-orient<strong>al</strong>e 16 .<br />

La riduzione della superficie a coltura promiscua può essere c<strong>al</strong>colata attorno<br />

ai 50-70.000 piò, per cui <strong>al</strong> momento del crollo della Repubblica Veneta la terra<br />

vitata nella provincia poteva c<strong>al</strong>colarsi attorno ai 100.000 piò. Alla riduzione<br />

della superficie corrispose, però, un aumento della produttività, soprattutto nella<br />

zone collinari e pedemontane, dove la coltivazione della vite a filare, riducendo le<br />

distanze tra ceppo e ceppo, comporta un aumento del numero di viti presenti su<br />

una stessa superficie agraria. Così <strong>d<strong>al</strong></strong>la media di 2 ettolitri a piò si passa a 3-4 ettolitri<br />

e questa quantità è confermata <strong>d<strong>al</strong></strong>la statistica di Antonio Sabatti, che c<strong>al</strong>cola<br />

in 786.000 zerle, v<strong>al</strong>e a dire 390.000 ettolitri, la quantità di vino prodotta nel Bresciano<br />

<strong>al</strong>la fine del Settecento 17 . Questa superficie vitata e questa produttività non<br />

si discosta molto da quella rilevata, cinquant’anni dopo, da Ludovico Bettoni che<br />

v<strong>al</strong>utava in 80.000 piò la superficie a coltura promiscua e a 400.000 ettolitri il prodotto<br />

tot<strong>al</strong>e con una resa di 15 ettolitri di vino per ettaro 18 .<br />

Se nel corso del Settecento vi è stato un tentativo di razion<strong>al</strong>izzare la coltura<br />

della vite, cercando di limitare la sua coltivazione ai terreni più favorevoli, nulla<br />

era stato fatto per migliorare la qu<strong>al</strong>ità del vino, nemmeno con la scelta dei<br />

vitigni più adatti <strong>al</strong>la vinificazione e più rispondenti <strong>al</strong>le esigenze dei suoli nelle<br />

aree della provincia vocate a t<strong>al</strong>e produzione. Il pessimo sistema di mettere, nello<br />

stesso filare, una grande varietà di vitigni, con il risultato di ottenere, <strong>al</strong><br />

momento della vendemmia, uve con gradi diversi di maturazione, era continuato,<br />

nel Bresciano, durante tutta l’età moderna, per la «superstiziosa venerazione<br />

che hanno i contadini pei principi e pei metodi di coltivare la terra veduti praticarsi<br />

dai loro maggiori; né deve parer maraviglia se essi sono restii a introdurne<br />

dei nuovi (...) nell’<strong>al</strong>levare le viti, nel fare i vini».<br />

Neppure la zona della provincia a più elevata vocazione viti-vinicola, quella,<br />

da sempre, avviata verso la coltura speci<strong>al</strong>izzata, la Riviera di S<strong>al</strong>ò, aveva saputo<br />

fare significativi progressi negli oltre tre secoli di dominazione veneta. Il vantaggio<br />

acquisito, rispetto <strong>al</strong> resto della provincia, da parte degli agricoltori benacensi,<br />

li aveva fatti adagiare su una posizione di tranquilla superiorità, sicuri che il<br />

16<br />

SABATTI, Appendice statistica e quadro dimostrativo lo stato di prosperità, <strong>al</strong>legato a Quadro statistico (fuori<br />

testo).<br />

17 L. BETTONI, Memoria sulla vita del Benaco, «Commentari dell’Ateneo di Brescia», s.n. (1879), pp. 19-20.<br />

18 SABATTI, Quadro statistico,p.93.


privilegio offerto <strong>d<strong>al</strong></strong>le condizioni storico - ambient<strong>al</strong>i li avrebbe protetti contro<br />

ogni tentativo di sc<strong>al</strong>zarli <strong>d<strong>al</strong></strong> gradino più <strong>al</strong>to della produzione di qu<strong>al</strong>ità. La<br />

conferma viene da un s<strong>al</strong>odiano puro sangue che nel 1804 così scriveva: «Le viti<br />

prosperano a meraviglia in questa plaga e il vino non potrebbe mancare di esservi<br />

eccellente, se vi si lasciassero maturare le uve e se la scelta e la coltura di esse<br />

non fosse ancora di molto addietro da quella esattezza, a cui da non molt’anni è<br />

stata portata nella Riviera inferiore» 19 . Ma anche qui, continua il nostro autore «vi<br />

è ancora un vuoto grande nella classe delle sue uve; che una materi<strong>al</strong> tradizione<br />

di inerzia e di diffidenza per ogni sperimento, che abbia del nuovo vi rattiene il<br />

vignaiuolo nella strettissima sfera di sei, o otto specie indigene di uva senza <strong>al</strong>cuna<br />

costante, e ben assortita prova di <strong>al</strong>tra specie esotica».<br />

Questa continuità <strong>al</strong>l’insegna di una tradizione la cui forza di conservazione<br />

era pari <strong>al</strong>la sua arretratezza tecnica e scientifica, non verrà interrotta nemmeno<br />

a metà del XIX secolo, sotto i colpi dell’oidio. Il vero momento di rottura con il<br />

passato avverrà qu<strong>al</strong>che decennio più tardi, quando la fillossera non darà più<br />

scampo <strong>al</strong>la coltura tradizion<strong>al</strong>e. Il notevole investimento finanziario e le forti<br />

immobilizzazioni necessarie <strong>al</strong> rinnovamento coltur<strong>al</strong>e obbligheranno i produttori<br />

a mettere in atto tutte quelle innovazioni tecniche e scientifiche rivolte <strong>al</strong>l’incremento<br />

della produttività e, soprattutto, <strong>al</strong> miglioramento qu<strong>al</strong>itativo del prodotto,<br />

i soli mezzi v<strong>al</strong>idi <strong>al</strong> fine di ottenere una equa remunerazione <strong>al</strong>le pesanti<br />

anticipazioni attuate.<br />

19 G. GARGNANI, Colpo d’occhio fisico, istorico e civile della Riviera benacense, Brescia 1804, pp. 24-25.<br />

787


788


Paolo Tedeschi*<br />

Il rinnovamento coltur<strong>al</strong>e<br />

La viticoltura bresciana tra Ottocento e Novecento<br />

Questo contributo ha l’obiettivo di evidenziare le tappe del lento progresso verificatosi<br />

nella viticoltura bresciana a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’inizio dell’Ottocento fino agli<br />

anni ’60 del Novecento, <strong>al</strong>lorché in <strong>al</strong>cune delle cantine della Franciacorta furono<br />

introdotte nuove tecniche di selezione delle uve e di vinificazione e cominciò<br />

la cosiddetta “era tecno-enologica” caratterizzata da una crescita esponenzi<strong>al</strong>e<br />

della qu<strong>al</strong>ità dei vini bresciani divenuti, <strong>al</strong>l’inizio del nuovo millennio, parte integrante<br />

dell’élite enologica mondi<strong>al</strong>e.<br />

In particolare si evidenzierà come l’evoluzione delle tecniche <strong>vitivinicole</strong> sia<br />

passata attraverso una serie di shocks che, legati a cause di diversa natura, portarono<br />

ad una forte selezione sia fra i produttori che fra le tipologie di vitigno utilizzate,<br />

determinando una gradu<strong>al</strong>e crescita della qu<strong>al</strong>ità dei vini bresciani: iniziata<br />

lentamente grazie <strong>al</strong>le prime innovazioni illustrate dagli accademici dell’ateneo<br />

cittadino nei primi decenni dell’Ottocento, la crescita della viticoltura bresciana<br />

proseguì infatti con le ripetute ristrutturazioni dei fondi vitati attuate per<br />

rimediare <strong>al</strong>le sfavorevoli congiunture vissute <strong>d<strong>al</strong></strong> settore, sia a causa dei parassiti<br />

che colpirono la vite nell’Ottocento, sia in seguito a provvedimenti legislativi<br />

fortemente pen<strong>al</strong>izzanti come quelli legati <strong>al</strong>le guerre dogan<strong>al</strong>i con la Francia e<br />

<strong>al</strong>la “battaglia del grano” fascista. Verranno inoltre segn<strong>al</strong>ati i limiti di questa<br />

mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di sviluppo che, pur in presenza di significative eccezioni legate ad <strong>al</strong>cuni<br />

prodotti del Basso Garda e della Franciacorta, lasciò i vini bresciani in una<br />

posizione arretrata rispetto <strong>al</strong>le <strong>al</strong>tre <strong>produzioni</strong> nazion<strong>al</strong>i limitandone il mercato<br />

ad un ambito provinci<strong>al</strong>e che garantiva comunque ai produttori redditi crescenti.<br />

Infine si accennerà a quanto accaduto nei primi decenni del secondo<br />

* Università degli Studi di Brescia.<br />

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790<br />

dopoguerra in particolare in Franciacorta dove specifiche scelte produttive promosse<br />

nelle maggiori cantine (in particolare Berlucchi) portarono <strong>al</strong>la creazione<br />

dei primi vini doc di <strong>al</strong>ta qu<strong>al</strong>ità cui seguirono i famosi spumanti attu<strong>al</strong>mente<br />

distribuiti con successo in tutti i mercati mondi<strong>al</strong>i.<br />

Un prodotto di qu<strong>al</strong>ità medio-bassa per un mercato “sicuro”<br />

Nonostante lo sviluppo della viticoltura nel Bresciano trovasse notevoli limiti sia<br />

qu<strong>al</strong>itativi che quantitativi nella diffidenza del mondo contadino nei confronti<br />

dell’introduzione di nuove mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità produttive 1 , la vite era nella prima metà dell’Ottocento<br />

una delle colture più diffuse in particolare nei fondi delle aree collinari.<br />

Già nel medioevo e così per tutta l’età moderna 2 , la zona morenica della<br />

riviera meridion<strong>al</strong>e del Garda, le colline della V<strong>al</strong>tenesi, la parte orient<strong>al</strong>e del<br />

distretto di Brescia, i piccoli rilievi del suburbio e la Franciacorta erano infatti i<br />

luoghi a maggiore vocazione viticola: il numero delle viti scendeva invece in pianura<br />

e, se in quella <strong>al</strong>ta i fondi “aratori vitati” e i “prati vitati” erano comunque<br />

numerosi, nella Bassa era sempre più raro trovare filari che, quando presenti,<br />

risultavano comunque piuttosto radi 3 .<br />

In gener<strong>al</strong>e esistevano due tipologie di podere vitato: «a ordinanze condotte<br />

diritto a grandi interv<strong>al</strong>li e campo coltivato frammezzo» (gli «aratori vitati») o «a<br />

spesso» cioè «a pancata con due filari o più posti vicino» (le vigne). I primi, oltre<br />

<strong>al</strong> fatto che non esistevano terre «buone ugu<strong>al</strong>mente per la messe e per le biade»,<br />

avevano rese minori: da una parte l’ombra dei vitigni ostacolava la crescita dei<br />

1 All’inizio dell’800 il Sabatti segn<strong>al</strong>ava come i progressi nell’agricoltura bresciana fossero fortemente<br />

limitati <strong>d<strong>al</strong></strong>la «superstiziosa venerazione» mostrata dai contadini nei confronti dei «principi e metodi<br />

di coltivare la terra» praticati dai loro avi che, sommandosi <strong>al</strong>la paura che qu<strong>al</strong>unque novità comportasse<br />

per loro perdite «<strong>al</strong> solo vantaggio del proprietario» del fondo, li portava ad essere estremamente<br />

«restii a introdurne de’ nuovi nel lavoro delle terre, nel preparar le sementi, nell’<strong>al</strong>levar le viti,<br />

nel far i vini» (A. SABATTI, Quadro statistico del dipartimento del Mella, Brescia 1807, p. 93).<br />

2 Sulla viticoltura nel Bresciano in età moderna e nel medioevo si rinvia <strong>al</strong> saggio di Scaglia in questo<br />

volume, nonché a Vites plantare et bene colere. Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Franciacorta nel medioevo, a<br />

cura di G. Archetti, Brescia 1996 (Bienn<strong>al</strong>i di Franciacorta, 4); G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per<br />

la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998 (Fondamenta, 4).<br />

3 Sulle colture più diffuse nelle diverse zone agrarie del Bresciano nella prima metà dell’Ottocento si<br />

rinvia a P. TEDESCHI, Aspetti dell’agricoltura bresciana nell’età della Restaurazione: tecniche produttive e rendimenti,<br />

in Brescia 1849. Il popolo in rivolta, a cura di S. Onger, Brescia 2002, pp. 207-242.


grani i qu<strong>al</strong>i a loro volta «ruba[va]no il vigor nutritivo <strong>al</strong>la vigna»; <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra parte<br />

i lavori fatti <strong>al</strong>la vite danneggiavano il seminato, mentre zappa e aratro potevano<br />

“ferire” le viti. I secondi erano quindi da preferirsi in quanto oltre ai “vantaggi<br />

natur<strong>al</strong>i” («la vite vuole star sola con la vite») erano di fatto chiusi «a’ pascoli, agli<br />

anim<strong>al</strong>i, agli squarci dell’aratro» e quindi il prodotto aveva minori possibilità di<br />

subire danni non legati a fattori meteorologici 4 .<br />

Ovunque i fondi a coltura promiscua rappresentavano la grande maggioranza<br />

delle terre in cui era presente la vite, mentre quelli speci<strong>al</strong>izzati (le vigne)<br />

rappresentavano solo il 3% del tot<strong>al</strong>e ed erano presenti in modo significativo<br />

solo in collina 5 . Qui il sistema di coltivazione più diffuso era quello a filari sostenuti<br />

in parte con «p<strong>al</strong>o secco», in parte con piante come il frassino o l’olmo: inoltre<br />

«ove il terreno [era] più soleggiato si copr[iva] tutto il piano di poderetti a<br />

vigna, qui nominati spessi» e si usavano «pergole <strong>al</strong>te da terra quanto un uomo<br />

(…) ove l’uva credesi più esente <strong>d<strong>al</strong></strong> melume e saporita». In pianura invece i filari<br />

delle «piante da uva» erano disposti interc<strong>al</strong>ati in modo da non impedire la raccolta<br />

di quanto seminato nei prati e si sostenevano su gelsi o <strong>al</strong>beri da frutto: le<br />

viti erano qui gener<strong>al</strong>mente presenti solo nei fondi dei piccoli proprietari, mentre<br />

nelle grandi proprietà era t<strong>al</strong>volta presente un fondo solo vitato la cui produzione,<br />

quantitativamente limitata anche se di qu<strong>al</strong>ità migliore, era destinata ad<br />

autoconsumo. Infine in montagna la vite, piantata a uno o due gambi (tr<strong>al</strong>ci) o<br />

«a ceppaja», era quasi sempre maritata ad <strong>al</strong>beri (frassino, acero campestre, ciliegio<br />

e in particolare gelso) e si trovava sia negli aratori che nei prati dove garantiva<br />

<strong>produzioni</strong> di scarsa qu<strong>al</strong>ità destinate <strong>al</strong> consumo loc<strong>al</strong>e e <strong>al</strong>l’estrazione del-<br />

4 Sui vitigni bresciani cfr. G.B. PAGANI, Saggio su vini e vigneti, «Commentari dell’Ateneo di Brescia» (=<br />

CAB), s.n. (1824), pp. 93-95 e P. REBUSCHINI, «Cenni statistici intorno <strong>al</strong>la Provincia di Brescia»,<br />

Milano, 10 aprile 1836, ora pubblicato in S. ONGER, L’economia come paesaggio. Il Bresciano nell’opera di<br />

Pietro Rebuschini e negli studi del primo Ottocento, Brescia 1995, pp. 137-139.<br />

5 Alla metà degli anni ’30 dell’Ottocento le vigne occupavano una superficie di 21.419 pertiche censuarie<br />

(da ora pc.) cui si sommavano le 583 pc. dedicate <strong>al</strong>le vigne adacquatorie. Decisamente superiori<br />

erano le superfici a coltura promiscua con 414.680 pc. dedicate <strong>al</strong>l’aratorio vitato cui si aggiungevano<br />

270.286 pc. di fondi aratori vitati adacquatori, 12.496 pc. di aratori vitati ulivati e 19.566 pc. di<br />

prati vitati. I vigneti erano particolarmente diffusi nel distretto cittadino (quasi il 40% del perticato<br />

tot<strong>al</strong>e) e in quelli che comprendevano la Franciacorta (Adro, Iseo e Ospit<strong>al</strong>etto con rispettivamente il<br />

21,5%, il 12% e il 10%), mentre le colture promiscue vedevano una distribuzione più equilibrata (il<br />

15% del tot<strong>al</strong>e era nel distretto di Lonato ovvero nel Basso Garda, il 14% nel distretto di Brescia,<br />

l’11% in quello di Chiari, il 10% circa in quelli di Bagnolo e Montichiari, il 9,5% in quello di S<strong>al</strong>ò, l’8%<br />

in quello di Adro; elaborazione complessiva dati in ONGER, L’economia come paesaggio, pp. 202-205).<br />

791


792<br />

l’olio dai vinaccioli: solo in <strong>al</strong>cuni vigneti non promiscui, posti in versanti favorevolmente<br />

esposti <strong>al</strong> sole, i filari davano un prodotto migliore, ma le rese complessive<br />

erano basse e non paragonabili a quelle delle vigne poste in collina 6 .I<br />

poderi “aratori vitati”, i più diffusi, avevano però rese in uva inferiori sia a livello<br />

qu<strong>al</strong>itativo che quantitativo e questo incideva ovviamente sulla qu<strong>al</strong>ità delle<br />

<strong>produzioni</strong> enologiche che restava mediamente bassa nonostante la pur significativa<br />

eccezione di <strong>al</strong>cune aree nel Basso Garda e nella Franciacorta: in queste<br />

terre «dense di ricchi vigneti, feracissime di grappoli squisiti», si trovavano infatti<br />

«le più belle e grandi cantine della Lombardia», quelle in cui si producevano gli<br />

unici vini bresciani che avevano un mercato fuori provincia 7 , ma questo non<br />

6 I filari erano estesi per tutta la lunghezza del campo e le viti adulte erano riunite «a poste» di sei o<br />

otto tr<strong>al</strong>ci, oppure con «brancoli simmetricamente disposti» cui erano norm<strong>al</strong>mente collegati da due<br />

a quattro tr<strong>al</strong>ci. Nei fondi seminati, i filari, piantati preferibilmente in autunno inoltrato (ma anche da<br />

«mezzo febbraio sino a tutto aprile»), erano orientati «da mezzodì a tramontana, per cui le vigne passa[va]no<br />

per tutti i gradi della luce e del c<strong>al</strong>ore del sole e il terreno [aveva] manco d’uligine». Lo spazio<br />

tra i filari variava a seconda della presenza o meno di <strong>al</strong>tre colture sul fondo: per quelli esclusivamente<br />

vitati i filari distavano fra loro da 3 a 3,5 metri per un tot<strong>al</strong>e di 6.000-7.000 viti adulte per ettaro,<br />

mentre era inferiore (di mezzo metro circa) negli «aratori-vitati» dove si coltivavano in apposite<br />

«pianette» larghe da 2,5 a 3 metri i cere<strong>al</strong>i. Nella riviera s<strong>al</strong>odiana e sulle colline del distretto di Brescia<br />

i filari erano molto concentrati e il numero di viti era t<strong>al</strong>e che rapportando «il prodotto del suolo (...)<br />

con quello del soprassuolo» si poteva parlare di vere e proprie vigne: qui la produzione di uva era<br />

abbondante e il vino di buona qu<strong>al</strong>ità, mentre pochissimo spazio era lasciato a mais e legumi i cui scarsi<br />

raccolti restavano <strong>al</strong> mezzadro. Poco diffuso era invece l’uso di «tener le viti a pergola» con l’utilizzo<br />

del filo di ferro: non solo quest’ultimo rischiava infatti di essere «esposto <strong>al</strong>le ruberie», ma soprattutto<br />

era quasi infruttifero il terreno sottoposto <strong>al</strong>la pergola che veniva a mancare «della luce e delle<br />

rugiade» e che non poteva essere lavorato col vomere (per evitare danni ai p<strong>al</strong>i del pergolato), ma solo<br />

col meno efficiente ed efficace utilizzo della vanga. In proposito si cfr. G.B. PAGANI, Della piantagione<br />

delle viti, «CAB», s.n. (1830), pp. 42-50; A. MOIOLI, I sis<strong>temi</strong> agricoli nella Lombardia orient<strong>al</strong>e durante la prima<br />

metà dell’Ottocento. Il caso delle zone ex-venete (province di Bergamo, Brescia e Cremasco), «Rivista di storia dell’agricoltura»,<br />

18/3 (1978), pp. 36-37 e 65-66; nonché Agricoltura e condizioni di vita dei lavoratori agricoli<br />

lombardi: 1835-1839. Inchiesta di Karl Czoernig, a cura di L. Faccini, Milano 1986.<br />

7 Già in età napoleonica veniva definito ottimo il vino di Franciacorta ed eccellente quello della Riviera<br />

Benacense, in particolare quello «più squisito» della V<strong>al</strong>tenesi (SABATTI, Quadro statistico, pp. 75-79);<br />

inoltre «nessun de’ buoni gustai de’ vini (...) ignora[va] il nome e il sito della Franciacorta» e i vini<br />

ottenuti erano considerati «eccellentissimi neri, e bianchi, e garbi» che venivano esportati anche nel<br />

Lecchese e nel Bergamasco (G. ROSA, La Franciacorta, Bergamo 1852, p. 3 e G. ZANARDELLI, Sulla<br />

Esposizione Bresciana lettere di Giuseppe Zanardelli. Estratte <strong>d<strong>al</strong></strong> giorn<strong>al</strong>e «Il Crepuscolo» del 1857, Milano<br />

1857, p. 43). Esisteva anche un’eccezione in positivo in pianura ed era quella rappresentata dai vini<br />

dei comuni di Ghedi e C<strong>al</strong>visano che, considerati fra i migliori della provincia, venivano però ceduti<br />

solo sul mercato cittadino [Camera di commercio e industria di Brescia, L’economia bresciana (struttura<br />

economica della provincia di Brescia), I, parte II, L’agricoltura, Brescia 1927, p. 206].


astava, secondo i contemporanei, a modificare il quadro complessivo di un’enologia<br />

loc<strong>al</strong>e decisamente modesta che stava lentamente recependo le innovazioni<br />

utili ad un uso più razion<strong>al</strong>e del legno per sostenere i filari (con conseguente<br />

riduzione dei costi di impianto) e ad una migliore vinificazione (<strong>d<strong>al</strong></strong>l’uso<br />

di uve con lo stesso grado di maturazione a quello del coperchio per i tini) 8 .<br />

La quantità di uva prodotta variava sensibilmente non solo a seconda della<br />

tipologia di fondo in cui era coltivata, ma anche fra terreni simili: i rendimenti<br />

maggiori si avevano ovviamente nelle vigne, mentre nei fondi promiscui il prodotto<br />

si riduceva ad un terzo, ovunque però le differenze legate <strong>al</strong>la pedologia e<br />

<strong>al</strong>l’abilità del coltivatore avevano una rilevanza t<strong>al</strong>e da poter aumentare le rese di<br />

tre o quattro volte 9 . L’andamento climatico e la presenza di parassiti potevano<br />

poi diminuire in modo significativo l’entità dell’uva raccolta e questo incideva<br />

anche sulle <strong>produzioni</strong> vinicole che potevano più che dimezzarsi da un anno<br />

8 Sui princip<strong>al</strong>i precetti di viticoltura consigliati ai produttori bresciani nei primi decenni dell’Ottocento<br />

si cfr. V. DANDOLO, Istituzioni pratiche sul modo di ben fare e conservare il vino, Milano 1812 e G.<br />

FERRINI, Nuovo metodo di fare il vino condensando i vapori che es<strong>al</strong>ano nella fermentazione per trarne profitto,<br />

Brescia 1822. Sulle nuove tecniche relative <strong>al</strong>l’impianto delle viti si cfr., invece, L. MAZZOLENI,<br />

Modelli di metodi per piantare e sostenere le viti a ceppaja e a filetto, «CAB», s.n. (1837), pp. 306-307; L. MAZ-<br />

ZOLENI, Proposta di varii metodi, onde sostenere le viti con minore dispendio di legname, «CAB», s.n. (1938), pp.<br />

35-47; G.D. SILVA, Nuovi metodi, l’uno per la vitificazione, l’<strong>al</strong>tro per la infrascatura dei bigatti, «CAB», s.n.<br />

(1844), pp. 159-162; G.B. PAGANI, Sulla piantagione delle viti e sull’ordigno inventato da L. Mazzoleni, in<br />

Materi<strong>al</strong>i per un quadro statistico topografico della provincia di Brescia, Brescia 1835 [Biblioteca Queriniana<br />

di Brescia (= BQBs), ms., K.II.10 m. 1, n. 61]. Sull’arretratezza complessiva della viticoltura bresciana<br />

si cfr. infine SABATTI, Quadro statistico, p.93;G.B.PAGANI, Istruzione agraria ai possidenti bresciani,<br />

«CAB», s.n. (1820), pp. 118-119 e A. SABATTI, Sullo stato economico della provincia bresciana, «CAB»,<br />

s.n. (1825), p. 118; A. LONGHENA, «Modo di fabbricare di <strong>al</strong>cuni vini di lusso ossia di bottiglia», Brescia,<br />

1 agosto 1847, in ASBs, Ateneo di Brescia, b. 31. Sulla lenta crescita del settore è inoltre emblematico<br />

il fatto che, cinquanta anni dopo le critiche del Sabatti, Zanardelli affermasse che nel Bresciano<br />

l’enologia era materia sconosciuta o comunque non ritenuta importante (ZANARDELLI, Sulla<br />

Esposizione Bresciana, p. 43).<br />

9 Questi i rendimenti in uva (per ha.) negli anni ’30 dell’Ottocento nei diversi distretti: a Brescia si<br />

passava da 5 a 15 q. nei fondi «aratori vitati», da 7 a 46 q. nei ronchi e da 15 a 62 q. nelle vigne; ad<br />

Iseo negli «aratori vitati» si andava da 5 a 17 q., in quelli «aratori vitati ulivati» da 4 a 15 q., nei ronchi<br />

da 15 a 44 q. e nelle vigne da 22 a 54 q.; ad Adro negli «aratori vitati» si passava da 4 a 16 q., mentre<br />

nelle vigne da 12 a 36 q.; a S<strong>al</strong>ò e Gargnano nei fondi «aratori vitati» si passava da 15 a 30 q., mentre<br />

in quelli «aratori vitati ulivati» da 7 a 21 q.; a Chiari, Ospit<strong>al</strong>etto, Orzinuovi e Verolanuova si passava<br />

da 4 a 7 q. per i fondi «aratori vitati» e da 4 a 9 q. per quelli «aratori vitati adacquatori»; nei fondi «aratori<br />

vitati adacquatori» di Bagnolo e di Leno si passava da 6 a 15 q., mentre in quelli di Montichiari<br />

si passava da 6 a 12 q.; infine nei distretti montani (Bovegno, Gardone, Preseglie e Vestone) nei fondi<br />

«aratori vitati» si passava da 4 a 15 q. (TEDESCHI, Aspetti dell’agricoltura bresciana, pp. 239-242).<br />

793


794<br />

<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tro: in epoca napoleonica si passò ad esempio dai poco più di 390.000 hl.<br />

prodotti nel 1803 ai 170.000 hl. del 1811 10 , mentre nel periodo austriaco la produzione<br />

media annua fu, fino <strong>al</strong>l’inizio degli anni ’50, pari a hl. 400.000 con punte<br />

negative sotto i 100.000 hl. “uffici<strong>al</strong>i” ovvero 200.000 hl. “re<strong>al</strong>i” 11 . In gener<strong>al</strong>e<br />

comunque il distretto enologico più importante era quello di Brescia (vi si pro-<br />

10<br />

SABATTI, Quadro statistico, p. 284 e A. COVA, Aspetti dell’economia agricola lombarda <strong>d<strong>al</strong></strong> 1796 <strong>al</strong> 1814. Il<br />

v<strong>al</strong>ore dei terreni, la produzione, il mercato, Milano 1977, p. 82.<br />

11 Per il dato di media cfr. C. COCCHETTI, Brescia e la sua provincia,in Grande illustrazione del Lombardo-Veneto,<br />

a cura di C. Cantù, III, Milano 1858, p. 208 che verrebbe confermato da quanto indicato (410.000<br />

hl.) <strong>al</strong>la metà degli anni ’30 dell’Ottocento in ONGER, L’economia come paesaggio, p. 139 (dato elaborato).<br />

In merito <strong>al</strong>la produzione di vino nel corso della dominazione austriaca i dati sono però discordanti e<br />

variano a seconda delle fonti che si utilizzano: bisogna infatti considerare che per motivi fisc<strong>al</strong>i (erano<br />

in atto i lavori preparatori <strong>al</strong>la formazione del nuovo catasto austriaco per Brescia e provincia) le cifre<br />

indicate nelle statistiche compilate dai bresciani risultavano decisamente più basse del re<strong>al</strong>e e per quanto<br />

riguarda il vino erano praticamente dimezzate. Così, secondo i dati “uffici<strong>al</strong>i” forniti da corrispondenti<br />

bresciani, <strong>al</strong> c<strong>al</strong>o verificatosi negli anni immediatamente successivi <strong>al</strong>la caduta di Napoleone (dai<br />

155.000 hl. del 1815 si scese ai soli 80.656 del 1817) corrispose una produzione media di quasi 161.000<br />

hl. negli anni ’20 (con un massimo di 267.150 hl. nel 1823 e un minimo di 110.700 hl. nel 1828), un<br />

v<strong>al</strong>ore confermato anche nel decennio successivo (161.600 hl. di media con un minimo di 98.450 hl.<br />

nel 1836 e un massimo di 220.800 hl. nel 1833) e sceso a poco più di 140.000 hl. negli anni ’40 (con un<br />

minimo di 76.100 hl. nel 1843 e un massimo di 198.000 hl. nel 1841). In proposito si cfr. «Cenni statistici<br />

sulla provincia bresciana relativi <strong>al</strong>l’anno 1815», in Archivio di Stato di Milano (= ASMi), Studi<br />

p.m., c. 1142; «Prospetto gener<strong>al</strong>e dei prodotti agrari relativi <strong>al</strong>la prima notificazione ottenibili in via<br />

ordinaria e di quelle ottenute nell’anno 1817», Milano, 25 febbraio 1819, in ASMi, Agricoltura p.m., c.<br />

1; «Prospetto gener<strong>al</strong>e dei prodotti agrari dell’anno 1818 cadenti sotto la prima Notificazione col confronto<br />

delle quantità del raccolto ordinario», Milano, 29 febbraio 1819, in Ibid.; «Prospetto gener<strong>al</strong>e delle<br />

quantità dei prodotti natur<strong>al</strong>i del suolo lombardo (1823-1828)», in Ibid., c. 2; «Prospetto gener<strong>al</strong>e delle<br />

quantità dei prodotti natur<strong>al</strong>i del suolo ottenutisi nelle provincie della Lombardia e cadenti sotto la<br />

prima notificazione dell’anno [1829-1831]», in Ibid., c. 3; «Esposizione delle cause princip<strong>al</strong>i del maggiore<br />

o minore raccolto verificatosi nell’anno [1823-1828] in confronto del raccolto ordinario e dell’anno<br />

precedente», in Ibid.; «Tavola statistica relativa <strong>al</strong> regno veget<strong>al</strong>e desunta da ciascheduna statistica<br />

parzi<strong>al</strong>e delle province lombarde per l’anno 1818», Milano, 8 agosto 1821, in ASMi, Studi p.m., c.<br />

1144; «Prospetto gener<strong>al</strong>e dei prodotti agrari», [1840], in ASMi, Commercio p.m., c.15;G.B.CRIPPA,<br />

Cenni statistici agrarj della Provincia di Brescia, 1833, in ASMi, Studi p.m., c. 1139; W. MENIS, Saggio di topografia<br />

statistico-medica della Provincia di Brescia, aggiuntevi le notizie storico-statistiche sul cholera epidemico che la desolò<br />

nell’anno 1836, Brescia 1837, p. 53; G.B. PAGANI, Prospetto dell’industria della provincia di Brescia <strong>al</strong> primo dell’anno<br />

1846, ossia prospetto statistico industri<strong>al</strong>e, 1846, in BQBs, ms. K.IV.1 m. 49. V<strong>al</strong>ori leggermente diversi<br />

sono poi indicati in B. CAIZZI, L’economia lombarda durante la Restaurazione (1814-1859), Milano 1972,<br />

p. 26 e R. CANETTA, Materi<strong>al</strong>i statistici sulle <strong>produzioni</strong> agricole della Lombardia nella prima metà dell’Ottocento,<br />

in Questioni di storia agricola lombarda nei secoli XVIII-XIX. Le condizioni dei contadini, le <strong>produzioni</strong> e l’azione<br />

pubblica, a cura di S. Zaninelli, Milano 1979, p. 211, nonché nelle risposte date nei distretti bresciani ai<br />

quesiti dell’inchiesta ora pubblicata in Agricoltura e condizioni di vita, pp. 267 passim.


duceva il 23% del vino bresciano) seguito da quelli di Lonato, S<strong>al</strong>ò ed Adro che<br />

assieme arrivavano ad un terzo del prodotto tot<strong>al</strong>e provinci<strong>al</strong>e 12 .<br />

Ancora più variabile era la qu<strong>al</strong>ità delle <strong>produzioni</strong> enologiche anche se in<br />

gener<strong>al</strong>e il vino frutto di viti poste in aree asciutte era ritenuto di qu<strong>al</strong>ità doppia<br />

rispetto a quello proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>le viti presenti nell’irriguo. La qu<strong>al</strong>ità media era<br />

poi influenzata negativamente <strong>d<strong>al</strong></strong>le scelte produttive operate da molti contadini<br />

che non seguivano né i consigli di evitare la coltivazione di cere<strong>al</strong>i e legumi fra i<br />

filari di viti e l’uso di «viti miste insieme, bianche, nere, rosse», né quelli di «scegliere<br />

nelle piantagioni quelle qu<strong>al</strong>ità di uve che matur[ava]no contemporaneamente,<br />

molto nuocendo <strong>al</strong>la bontà del vino il mescolamento di grappoli acerbi e<br />

di stramaturi» e di produrre due vini diversi uno «sceltissimo» e l’<strong>al</strong>tro «comune»<br />

ottenuto con «le uve inferiori» 13 . Inoltre <strong>al</strong> fine di minimizzare il rischio di perdite<br />

legate a fattori climatici, si cercava di raccogliere l’uva non appena giungeva a<br />

maturazione, ma spesso la vendemmia era svolta in tempi sbagliati e quindi si<br />

effettuava con uve non ancora pronte; in <strong>al</strong>tre occasioni invece la raccolta si<br />

effettuava in più tornate (legate <strong>al</strong>la maggiore o minore disponibilità di manodopera)<br />

con effetti deleteri sulla qu<strong>al</strong>ità del vino visto che venivano messe assieme,<br />

in assoluta casu<strong>al</strong>ità, uve con diversi gradi di maturazione; infine, anche<br />

quando la vendemmia risultava effettuata nel periodo giusto e con mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità corrette,<br />

era la fase della vinificazione, a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la mancata selezione delle uve<br />

raccolte fino <strong>al</strong>la conservazione del mosto in botti troppo vecchie, ad incidere<br />

negativamente sulla qu<strong>al</strong>ità dei vini 14 . Così, escludendo <strong>al</strong>cuni casi di produzione<br />

12 Alla metà degli anni ’30 dell’Ottocento i distretti di Lonato, S<strong>al</strong>ò ed Adro detenevano rispettivamente<br />

il 12%, 11% e 10% della produzione vinicola provinci<strong>al</strong>e; quote inferiori avevano i distretti di<br />

Chiari e Montichiari (entrambi il 7,5%), Bagnolo (6,5%), Ospit<strong>al</strong>etto (5%), Iseo (4%), Leno (3,5%) e<br />

Gargnano (3%). I distretti montani di Gardone e Preseglie arrivavano <strong>al</strong> 2% ciascuno, inferiori <strong>al</strong><br />

punto percentu<strong>al</strong>e erano infine sia le <strong>produzioni</strong> dei distretti di <strong>al</strong>ta montagna (Bovegno e Vestone)<br />

che della Bassa pianura (Verolanuova e Orzinuovi; elaborazione gener<strong>al</strong>e dati in ONGER, L’economia<br />

come paesaggio, p. 206).<br />

13 PAGANI, Istruzione agraria, pp. 118-119 e SABATTI, Sullo stato economico, p. 118.<br />

14 Si noti che dopo la vendemmia non solo l’uva veniva portata nei loc<strong>al</strong>i adibiti a cantina senza operare<br />

<strong>al</strong>cuna selezione fra uve di tipo diverso, ma le donne e i ragazzi avevano anche il compito di effettuare<br />

l’equiv<strong>al</strong>ente della “spigolatura” per i cere<strong>al</strong>i, ovvero la raccolta di tutti gli acini caduti a terra con<br />

le ovvie conseguenze negative sulla qu<strong>al</strong>ità complessiva del vino. La pigiatura veniva poi effettuata col<br />

classico sistema dell’uso dei piedi (ovvero «co’ lordi e schifosi piedi del contadino»), mentre la fermentazione<br />

e la macerazione a contatto con le bucce, operate in tini aperti (con conseguenti effetti<br />

negativi sul grado <strong>al</strong>colico), duravano molti giorni (in <strong>al</strong>cuni casi sino «ai venti e più») onde consentire<br />

l’estrazione <strong>d<strong>al</strong></strong>le bucce di notevoli quantità di tannino e permettere una migliore conservazione del<br />

795


796<br />

speci<strong>al</strong>izzata in Franciacorta e sul Garda, il vino prodotto non poteva che essere<br />

classificato «comune» (ovvero di bassa qu<strong>al</strong>ità). Ciò ne impediva significative<br />

esportazioni fuori provincia, ma non ne precludeva assolutamente la vendita nel<br />

Bresciano: se è infatti vero che i vini più costosi, provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>le colline moreniche<br />

o <strong>d<strong>al</strong></strong>le riviere dei laghi, erano venduti a prezzi molto <strong>al</strong>ti (t<strong>al</strong>volta più del<br />

doppio della media) non solo in città e nelle v<strong>al</strong>li, ma anche nel Bergamasco e nel<br />

Lecchese 15 , il “vino comune” disponeva comunque di un ampio mercato loc<strong>al</strong>e<br />

che, <strong>al</strong>l’inizio degli anni ’50, garantiva introiti annui complessivi pari a lire<br />

8.000.000 e questo spiega la riluttanza di molti produttori ad attuare modifiche,<br />

t<strong>al</strong>volta costose, ai processi produttivi 16 .<br />

vino che in t<strong>al</strong> modo assumeva anche una colorazione più intensa (considerata sintomo di maggiore<br />

qu<strong>al</strong>ità). La svinatura era invece anticipata e la torchiatura fatta con torchi con l’obiettivo di avere una<br />

spremitura massima che rendesse i “cilindri delle vinacce” praticamente asciutti. Le botti di legno usate<br />

erano molto grandi e sottoposte ad uno scarso rinnovamento con la conseguenza di avere perdite<br />

di prodotto (tanto che qu<strong>al</strong>che secchio veniva posto sotto le stesse per raccogliere le gocce perdute) e<br />

t<strong>al</strong>volta di ottenere vini <strong>d<strong>al</strong></strong> sapore amaro. Infine la maggioranza delle cantine, oltre ad essere di<br />

dimensioni limitate e spesso priva di acqua corrente, non manteneva temperature costanti e conseguentemente<br />

non permetteva un’idonea conservazione del vino. Questo, sommandosi <strong>al</strong>l’uso di unire<br />

il prodotto di spremiture successive, aumentava i casi di acetosità e in gener<strong>al</strong>e rendeva più facili le<br />

<strong>al</strong>terazioni del colore e del sapore: non solo queste ultime erano possibili dopo un semplice trasporto<br />

in comuni limitrofi, ma era anche molto difficile che il vino si “mantenesse” per più di un anno. Sulle<br />

osservazioni fatte in proposito dagli accademici bresciani si cfr. PAGANI, Saggio su vini, pp. 93-95 e<br />

A. SABATTI, Osservazioni concernenti il metodo di fare il vino, «CAB», s.n. (1825), p. 124. Per un’an<strong>al</strong>isi di<br />

quanto accadeva nelle <strong>al</strong>tre province lombarde, dove spesso si riscontravano gli stessi metodi arretrati<br />

usati nel Bresciano, si cfr. I. LOMENI, Del vino, sua fabbricazione, conservazione e degenerazione, Milano<br />

1829; A. BELLANI, Frammenti sulle viti e sui vini, «Giorn<strong>al</strong>e Agrario del Lombardo-Veneto» (= GALV),<br />

10 (1848), pp. 282-310; M. BALSAMO CRIVELLI, Alcune parole intorno <strong>al</strong>la raccolta delle uve, <strong>al</strong>la fabbricazione<br />

e conservazione del vino, «GALV», 8 (1852), pp. 199-205; M. ROMANI, Produzione e commercio dei vini in<br />

Lombardia nei secoli XVIII e XIX, in Aspetti e problemi di storia economica lombarda nei secoli XVIII e XIX.<br />

Scritti riediti in memoria di M. Romani, a cura di S. Zaninelli, Milano 1977, pp. 517-529.<br />

15 Questi i prezzi del vino (in lire milanesi per una zerla di quasi 50 l.) negli anni ’30 nei diversi distretti:<br />

Brescia, 5-6 lire in pianura e da 8.5 a 10 lire in collina; Ospit<strong>al</strong>etto, lire 6; Bagnolo, lire 5; Montichiari,<br />

lire 6; Lonato, lire 10; Gardone, lire 6; Bovegno, lire 6; Chiari, lire 10 nei terreni asciutti e lire<br />

5 in quelli irrigabili; Adro, lire 10; Iseo, da 10 a 15 lire; Verolanuova, lire 5; Orzinuovi, lire 6; Leno,<br />

lire 5; S<strong>al</strong>ò, lire 13; Gargnano, da 7 a 11 lire Preseglie, da 6 a 8 lire; Vestone, lire 6 (Agricoltura e condizioni<br />

di vita, pp. 267 passim). I prezzi potevano però avere forti oscillazioni e arrivavano a triplicarsi<br />

rispetto a quelli inizi<strong>al</strong>mente indicati dai produttori: così ad esempio nel 1837 sul mercato di Brescia<br />

una zerla di vino fu venduta a v<strong>al</strong>ori compresi fra le 30,61 lire austriache dei primi giorni di maggio<br />

e le 27,06 lire registrate l’8 di luglio [Archivio di Stato di Brescia (= ASBs), IRDP, b. 4119, fasc. 1].<br />

16<br />

COCCHETTI, Brescia e la sua provincia, p. 208. Si noti che il vino comune risultava quello più gradito<br />

ai «bevitori del popolo» che volevano bere «vini di gran colore e corpo», cioè quelli «neri»: il vino


La riduzione delle aree viticole<br />

Oltre a non essere un settore in cui venivano applicate rilevanti innovazioni, la<br />

viticoltura bresciana stava anche perdendo il suo tradizion<strong>al</strong>e ruolo di maggiore<br />

coltura arborea della provincia: a partire dagli anni immediatamente successivi<br />

<strong>al</strong>la caduta di Napoleone si assisteva infatti ad una riduzione della quota di viti a<br />

vantaggio dei gelsi che, grazie <strong>al</strong>la bachicoltura, davano rendite superiori a quelle<br />

della vite e quindi t<strong>al</strong>i da giustificare anche le perdite produttive causate a cere<strong>al</strong>i<br />

e legumi «rimasti <strong>al</strong>l’ombra dei moroni» (nel S<strong>al</strong>odiano si c<strong>al</strong>colò una resa inferiore<br />

del 40%). Collocati fra un filare di viti e l’<strong>al</strong>tro o molto vicino <strong>al</strong>le «ceppaje»<br />

o dentro la linea delle viti, i gelsi che servivano inizi<strong>al</strong>mente come sostegno per le<br />

viti e i tr<strong>al</strong>ci 17 avevano relegato ad un ruolo secondario la vite: in molti fondi «aratori<br />

vitati moronati» la quota destinata ai vitigni, i cui prodotti erano considerati<br />

solo una piccola integrazione <strong>al</strong>le entrate garantite da cere<strong>al</strong>i e gelsi, era sempre<br />

più ridotta e i filari erano di fatto divenuti «gelsi con viti» 18 . Solo nei fondi «vitati<br />

consumato nelle osterie e nelle bettole era di qu<strong>al</strong>ità molto bassa, ma era ugu<strong>al</strong>mente gradito perché<br />

considerato bevanda «ristoratrice e tonica» in grado di garantire «un’ora di giocondità ed un aumento<br />

di forze» (Cronaca loc<strong>al</strong>e, «La Sferza», 17 settembre 1853). All’autoconsumo della famiglia contadina<br />

veniva invece riservato il vinello annacquato di seconda spremitura, l’unico tollerato sui luoghi di<br />

lavoro visto che gli effetti negativi sulla produttività della manodopera erano limitati: il vinello era<br />

infatti a bassa gradazione <strong>al</strong>colica ed era consumato a pranzo, mentre il vino di migliore qu<strong>al</strong>ità era<br />

destinato <strong>al</strong> mercato (B. BENEDINI, Terra e agricoltori nel circondario di Brescia, Brescia 1881, p. 166 e Agricoltura<br />

e condizioni di vita, pp. 267 passim).<br />

17 I gelsi erano situati ad interv<strong>al</strong>li regolari di varia grandezza sostituendo una pianta di vite o frapponendosi<br />

fra due ceppaje: la distanza <strong>d<strong>al</strong></strong>la vite era limitata (1-2 m.) mentre fra i gelsi la distanza era<br />

di 8-10 m. (non mancavano però casi come quelli di Lonato e Adro in cui i gelsi distavano solo 3-4<br />

m. o come quello di Chiari dove erano posizionati con interv<strong>al</strong>li successivi di diversa ampiezza,<br />

rispettivamente di 3,40 m., 7,20 m. e 8 m.). Sulla gelsicoltura nel Bresciano nella prima metà dell’Ottocento<br />

si cfr. A. PERONI, La coltivazione del gelso: trattato pratico dedotto da classici autori che hanno trattato<br />

di questa materia e <strong>d<strong>al</strong></strong>la pratica sulle esperienze fatte negli ultimi tempi; con in fine le osservazioni sopra <strong>al</strong>cune varietà<br />

del gelso nuovamente introdotte, Brescia 1832 e A. MOIOLI, La gelsicoltura della Lombardia orient<strong>al</strong>e nella prima<br />

metà dell’Ottocento, in Le campagne lombarde fra Sette e Ottocento. Alcuni <strong>temi</strong> di ricerca, a cura di M. Romani,<br />

Milano 1976, pp. 179-306.<br />

18 In <strong>al</strong>cuni casi i «gelsi nelle viti» erano numerosi quanto i «gelsi sparsi» o comunque rappresentavano<br />

una quota rilevante del tot<strong>al</strong>e. Ampia propaganda <strong>al</strong>l’utilità del «maritaggio della vite coi gelsi»<br />

fu fatta <strong>d<strong>al</strong></strong> Pagani che suggeriva, anche per i fondi meno fertili, di non rinunciare <strong>al</strong> gelso in<br />

favore di <strong>al</strong>tre piante qu<strong>al</strong>i l’olmo o il frassino, ma di coltivare ugu<strong>al</strong>mente il gelso separandolo <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

vite eccezion<strong>al</strong>mente «puntellata» a tronchi secchi [G.B. PAGANI, Sul maritaggio delle viti coi gelsi,<br />

«CAB», s.n. (1826), pp. 104-105]. Nel distretto di S<strong>al</strong>ò i «gelsi nelle viti» erano oltre il 50% del tota-<br />

797


798<br />

moronati» la particolare qu<strong>al</strong>ità delle viti (la stessa che in precedenza aveva consigliato<br />

di eliminare le colture cere<strong>al</strong>icole e lasciare sul fondo una vigna speci<strong>al</strong>izzata<br />

che dava buone <strong>produzioni</strong> sia in termini quantitativi che qu<strong>al</strong>itativi) giustificava<br />

i necessari investimenti a lungo termine (<strong>d<strong>al</strong></strong>la piantagione <strong>al</strong> momento in cui<br />

le viti iniziavano a produrre frutti a pieno ritmo trascorrevano circa 8-9 anni) e<br />

permetteva quindi <strong>al</strong>la coltura viticola di conservare un ruolo preminente 19 .<br />

A ridurre ancor più le aree viticole intervennero poi <strong>al</strong>cuni eventi sfavorevoli<br />

che colpirono i vigneti bresciani a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà dell’Ottocento diminuendone<br />

la quantità, ma operando nel contempo una selezione fra i fondi vitati e i<br />

produttori che, sia pure nel lungo periodo, aumentò la qu<strong>al</strong>ità del vino bresciano.<br />

Nel 1850 si manifestò l’oidio, un fungo parassita che, individuato qu<strong>al</strong>che<br />

anno prima in Inghilterra, si diffuse rapidamente in Francia e in tutta l’Europa<br />

meridion<strong>al</strong>e creando gravi problemi: non solo azzerava le <strong>produzioni</strong> di molti<br />

vigneti, ma rendeva il vino comunque ottenuto di scarsissima qu<strong>al</strong>ità, t<strong>al</strong>volta<br />

quasi imbevibile 20 .<br />

Arrivato nel 1850 in V<strong>al</strong>sabbia, l’oidio giunse solo due anni dopo nelle colline<br />

del Garda, ma da qui si propagò rapidamente in tutta la provincia: dopo che<br />

già «negli anni 1852 e 1853 aveva cagionato gravissimi danni», l’oidio raggiunse<br />

così la massima diffusione nel biennio 1854-55 con esiti disastrosi per la viticol-<br />

le, mentre si situavano fra il 30% e il 40% circa ad Adro, Chiari e Iseo; erano invece poco più del<br />

20% a Lonato, Brescia e Ospit<strong>al</strong>etto; arrivavano infine <strong>al</strong> 15% a Bagnolo, <strong>al</strong> 9% a Montichiari e<br />

<strong>al</strong>l’8% a Leno e Gardone («Provincia di Brescia e parte della Provincia di Mantova. Prospetto dei<br />

comuni aventi la coltivazione dei gelsi nei filari di viti, colla contrapposizione del giudizio sulla<br />

quantità dei gelsi in essere numerati da escludersi», Milano, 27 febbraio 1838, in ASMi, Catasto<br />

Lombardo-Veneto, cart. 7275).<br />

19 La vita media di una vite era c<strong>al</strong>colata in 16-20 anni, ma nei terreni meno fertili le piante invecchiavano<br />

più velocemente e, quando la progressiva sostituzione delle viti deperite non veniva operata nei<br />

tempi corretti, si avevano riflessi negativi sulla qu<strong>al</strong>ità e quantità del raccolto. Inoltre, o perché non<br />

ricevevano le dovute cure o a causa di eventi atmosferici, non tutte le viti inizi<strong>al</strong>mente piantate riuscivano<br />

a sopravvivere fino <strong>al</strong> momento in cui potevano produrre i frutti, mentre <strong>al</strong>tre venivano rovinate<br />

dagli stessi agricoltori che si distraevano durante le operazioni eseguite fra i filari con l’aratro: tutto<br />

questo comportava, oltre ad un c<strong>al</strong>o del prodotto, la necessità di nuove spese per il rinnovo delle viti<br />

danneggiate e rendeva l’investimento complessivo ancora più oneroso (PAGANI, Della piantagione, cit.).<br />

20 Sulle caratteristiche dell’oidium tuckeri e sulla sua diffusione in Europa a metà dell’Ottocento si rinvia<br />

a T. UNWIN, Storia del vino. Geografie, culture e miti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità ai giorni nostri, Roma 1993, pp. 37-39<br />

e 284-286; in riferimento <strong>al</strong>la sua diffusione in It<strong>al</strong>ia si cfr. anche G. DALMASSO, Le vicende tecniche ed<br />

economiche della viticoltura e della enologia in It<strong>al</strong>ia, in Storia della vite e del vino in It<strong>al</strong>ia, a cura di A. Maresc<strong>al</strong>chi,<br />

G. D<strong>al</strong>masso, III, Milano 1937, pp. 596-599.


tura bresciana 21 . L’oidio riuscì infatti a «rovinare non solo l’uva, ma [anche] le<br />

foglie ed i tr<strong>al</strong>ci e a far morire quasi tutte le viti, che dovettero essere ripiantate»<br />

utilizzando viti «meno fruttifere, ma più vigorose» che però subivano maggiori<br />

rischi meteorologici di danno <strong>al</strong> raccolto (avevano infatti una vendemmia posticipata)<br />

e richiedevano tempi di vinificazione più lunghi 22 .<br />

Per molto tempo i vari tentativi di eliminare l’oidio o di attenuarne la carica<br />

distruttiva si rivelarono inutili e «per undici anni le cantine rimasero chiuse» 23 :in<br />

pianura i danni furono meno gravi visto che <strong>al</strong>la viticoltura venivano dedicate aree<br />

limitate, ma in collina, dove i fondi vitati rappresentavano ancora una quota rile-<br />

21 Nel Bresciano nel 1852 vennero prodotti 33.975 hl. di vino scesi a 8.325 nel 1854: a causa dell’oidio,<br />

secondo la Camera di Commercio, nel periodo 1853-56 fu registrato un danno pari a 32.000.000<br />

di lire austriache. Sugli effetti della diffusione dell’oidio nel Bresciano si cfr. F. MAZZOLDI, Sulla m<strong>al</strong>attia<br />

delle uve. Studi teorici ed esperienza pratica, Brescia 1853, p. 281; Rapporto della Camera di commercio e d’industria<br />

della provincia di Brescia <strong>al</strong>l’eccelso I.R. Ministero del Commercio, dell’Industria e delle Pubbliche costruzioni<br />

sullo stato dell’industria e del commercio della propria provincia negli anni 1854, 1855 e 1856, Brescia 1857,<br />

p. 8; COCCHETTI, Brescia e sua provincia, p. 209.<br />

22 Si utilizzarono infatti viti provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’America che però, pur essendo «resistentissime <strong>al</strong>l’oidio<br />

(...) matura[va]no otto o dieci giorni più tardi delle varietà europee» e avevano bisogno sia di «una fermentazione<br />

<strong>al</strong>quanto più prolungata», sia di «un riposo di cinque mesi <strong>al</strong>meno» dopo la svinatura (G.<br />

SANDRI, Il circondario di Breno,in Atti della Giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola,<br />

VI, t. I, Roma 1881, p. 273). Sulla diffusione delle viti americane nella viticoltura lombarda si cfr. G.G.<br />

NESSI, Intorno <strong>al</strong>le varietà d’uva americana che pajono più adatte a resistere <strong>al</strong>la invasione dell’oidio, «GALV», 1<br />

(1854), pp. 260-261; Osservazione sulla vite della varietà detta «Isabella d’America» ed esperimento di vinificazione<br />

colla sola uva di detta «Isabella», «GALV», 3 (1855), pp. 338-342; G.G. NESSI, Uva americana detta «Isabella»,<br />

«GALV», 4 (1855), pp. 281-283; Le uve americane, «GALV», 6 (1856), pp. 245-248.<br />

23 Sul tema dell’oidio che distruggeva i raccolti e sulla sensazione di crescente impotenza dei contadini<br />

cfr. MAZZOLDI, Sulla m<strong>al</strong>attia delle uve, cit; D. DEFENDINI, Scoperta della vera natura, cause e rimedi dell’attu<strong>al</strong>e<br />

m<strong>al</strong>attia della vite, Brescia 1855; A. VILLA, Intorno <strong>al</strong>la m<strong>al</strong>attia delle viti, Milano 1855; M. BALSA-<br />

MO CRIVELLI, Cenni storici ed osservazioni sulla m<strong>al</strong>attia che attacca attu<strong>al</strong>mente le viti, «GALV», 6 (1851), pp.<br />

105-117; G. SANDRI, Intorno <strong>al</strong>la causa del morbo apparso recentemente nell’uva, Ibid., pp. 321-339; C. RIDOL-<br />

FI, Sulla crittogama parassita dell’uva, Ibid., 8 (1852), pp. 279-293 e 333-347; F. DOSSENA, Comparsa della<br />

crittogama che intacca la vigna, Ibid., 9 (1852), pp. 310-311; L. MASPERO, Sulla m<strong>al</strong>attia dell’uva, Ibid., 10<br />

(1853), pp. 34-40; M. BALSAMO CRIVELLI, Rimedio per guarire le uve e le viti <strong>d<strong>al</strong></strong>la dominante crittogama, Ibid.,<br />

pp. 193-198; Della m<strong>al</strong>attia della vite; riassunto di tutte le notizie che importano di essere conosciute sino <strong>al</strong> dì d’oggi,<br />

Ibid., 1 (1854), pp. 101-109; Qu<strong>al</strong>i precauzioni si debbano oggi usare <strong>al</strong>le viti, Ibid., pp. 149-151; Fin<strong>al</strong>mente<br />

cosa si debba fare oggi dì per prevenire i danni della perdita della vendemmia, Ibid., 2 (1854), pp. 16-17; Dell’attu<strong>al</strong>e<br />

condizione della m<strong>al</strong>attia della vite, Ibid., 4 (1855), pp. 114-118; Alcune considerazioni sul prodotto della vendemmia<br />

a questi tempi, Ibid., 6 (1856), pp. 257-262; Della crittogama che infesta le viti ed i gelsi, Ibid., 8 (1857),<br />

pp. 30-31; La m<strong>al</strong>attia della vite, «Mutuo soccorso», 6 settembre 1859, pp. 280-282.<br />

799


800<br />

vante del perticato tot<strong>al</strong>e 24 , proprietari e mezzadri ebbero forti perdite e dovettero<br />

indebitarsi non solo per le spese straordinarie legate <strong>al</strong>la necessità di innestare nuove<br />

piantagioni, ma anche per riuscire a far fronte <strong>al</strong>l’ordinaria amministrazione 25 .<br />

Per aiutarli fu emanata «la Sovrana risoluzione del 28 dicembre 1855» che<br />

accordava ai proprietari «un compenso per il mancato raccolto delle uve», ma<br />

t<strong>al</strong>e provvedimento non si rivelò, a detta dei contemporanei, sufficiente: «venne<br />

bonificata, a quei proprietarii che avevano perduto il terzo della rendita tot<strong>al</strong>e dei<br />

loro terreni vitati, una quota delle imposte regie commisurate sulla rispettiva rendita<br />

censuaria», ma ciò non compensò il danno re<strong>al</strong>mente sofferto visto che di<br />

fatto la rendita censuaria non comprendeva la rendita «brutta», ossia «il corrispettivo<br />

del lavoro e del capit<strong>al</strong>e impiegato» 26 .<br />

L’aver precedentemente sottostimato, per motivi fisc<strong>al</strong>i, i rendimenti dei<br />

vitigni comportò così un minor recupero delle perdite anche perché l’inn<strong>al</strong>zamento<br />

dei prezzi sul mercato non compensò la grande riduzione del prodotto<br />

che poteva essere commerci<strong>al</strong>izzato. La crisi, che colpì anche i rivenditori e <strong>al</strong>cune<br />

delle <strong>produzioni</strong> più strettamente collegate come quelle dell’acquavite favorendo<br />

nel contempo lo sviluppo dei cosiddetti «vini senz’uva» 27 , fece ulterior-<br />

24 Nel 1855, nonostante la presenza dell’oidio avesse già danneggiato notevolmente molti vitigni, il<br />

20% dei comuni bresciani, quelli in prev<strong>al</strong>enza collinari, segn<strong>al</strong>ava i terreni vitati come i più diffusi<br />

sul proprio territorio (ASMi, Agricoltura, c. 112).<br />

25 Rapporto della Camera di commercio, p. 14. Emblematico il caso del distretto di S<strong>al</strong>ò dove il v<strong>al</strong>ore della<br />

produzione di vino che nel decennio 1842-1851 era stato mediamente di lire austriache 1.223.550<br />

scese, nel triennio 1852-54, a 573.256 determinando un introito netto di lire 253.276 (tolta l’imposta<br />

di lire 320.000) a fronte di una rendita censuaria stabilita in 630.703,43 lire. Nel S<strong>al</strong>odiano i mutui<br />

ipotecari raggiunsero i 5.000.000 di lire e si ebbe un forte aumento delle vendite dei fondi vitati il cui<br />

v<strong>al</strong>ore si dimezzò (COCCHETTI, Brescia e sua provincia, p. 208). An<strong>al</strong>oga situazione si presentò in Franciacorta<br />

dove, oltretutto, il raccolto dell’uva portava ancora le conseguenze del nubifragio del 30 settembre<br />

1850 che aveva completamente distrutto le <strong>produzioni</strong> di Rovato, Cazzago e Coccaglio (F.<br />

NARDINI, Brescia e provincia. Storia per date <strong>d<strong>al</strong></strong>la preistoria <strong>al</strong> 1980, Brescia 1982, p. 174).<br />

26 Rapporto della Camera di commercio, pp. 10-11. Il 28 ottobre 1856 furono concessi abbuoni per l’imposta<br />

predi<strong>al</strong>e ai possidenti colpiti <strong>d<strong>al</strong></strong>la m<strong>al</strong>attia della vite negli anni 1854 e 1855: nel Bresciano furono accolte<br />

61 domande su 84 per entrambi gli anni per un tot<strong>al</strong>e di lire 202.696,77 <strong>al</strong>l’anno. In proposito si cfr. i<br />

documenti relativi <strong>al</strong>la «Retrodatazione d’imposta per compenso m<strong>al</strong>attia uve. Disposizioni gener<strong>al</strong>i sui<br />

compensi d’imposta per la m<strong>al</strong>attia delle uve negli anni 1854-55» in ASBs, IRDP, b. 3549.<br />

27 L’oidio ebbe effetti negativi anche sulle aziende che effettuavano la distillazione dell’acquavite di<br />

vinacce che dava q. 6.400 annue (con un reddito di 800.000 lire) e che fu quasi azzerata visto che nel<br />

1857 se ne produssero solo 10 q. (Rapporto della Camera di Commercio, p. 120). Proprio la distruzione delle<br />

uve da parte della crittogama e l’aumento dei prezzi ebbero invece un’influenza positiva sulla produ-


mente ridurre gli investimenti nei fondi vitati la cui estensione risultava essere,<br />

negli ultimi anni di dominazione austriaca, pari a circa un terzo di quella censita<br />

poco più di venti anni prima 28 . Anche quando nel 1856 la produzione riprese, fu<br />

giudicato «di buona qu<strong>al</strong>ità» solo un sesto del vino prodotto, mentre nel biennio<br />

successivo i risultati furono ancora negativi visto che un inverno particolarmente<br />

freddo uccise molti dei vigneti già indeboliti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’oidio 29 : non si verificò il passaggio<br />

definitivo dei fondi vitati <strong>al</strong>la gelsicoltura solo perché poco dopo l’oidio<br />

arrivò la pebrina che ridusse in modo significativo le rendite bachicole rendendo<br />

non conveniente t<strong>al</strong>e riconversione produttiva 30 .<br />

Non si ebbero invece gravi ripercussioni sui consumi che rimasero praticamente<br />

invariati: <strong>al</strong>la mancanza di vino loc<strong>al</strong>e si sopperì sia con un aumento delle<br />

importazioni da fuori provincia (i vini provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong> Piemonte e dai ducati<br />

emiliani si aggiunsero a quelli ordinariamente acquistati nelle colline del Mantovano<br />

e del Veneto 31 ), sia con metodi illeciti che garantivano un’offerta costante<br />

con una produzione inferiore (si aggravò infatti il fenomeno delle sofisticazioni<br />

operate da coloro che si occupavano della mescita <strong>al</strong> pubblico del vino 32 ). Proprio<br />

questa rigidità della domanda rispetto ai prezzi più <strong>al</strong>ti permise <strong>al</strong>la viticol-<br />

zione di distillati qu<strong>al</strong>i grappe e acqueviti. L’impennata del prezzo del vino portò infatti i ceti meno<br />

abbienti ad orientarsi verso distillati di varia provenienza (cere<strong>al</strong>i, patate, frutta, barbabietole): questi<br />

«vini senz’uva», inizi<strong>al</strong>mente prodotti per autoconsumo, furono poi destinati <strong>al</strong> mercato con tutta una<br />

serie di pericoli per la s<strong>al</strong>ute pubblica vista la possibilità di avere una gamma di sofisticazioni molto più<br />

ampia di quella tradizion<strong>al</strong>mente riservata ai «vini d’uva» (COCCHETTI, Brescia e sua provincia, p. 242).<br />

28 Nel 1857 i fondi vitati esistenti nel Bresciano occupavano complessivamente 25.341 ha. contro i<br />

quasi 75.000 ha. indicati <strong>d<strong>al</strong></strong> Rebuschini (COCCHETTI, Brescia e sua provincia, p. 200).<br />

29 La produzione di vino ris<strong>al</strong>ì a 21.852 hl. nel 1856 per poi scendere a 13.000 hl. nel 1857 (Rapporto<br />

della Camera di commercio, p.8 e Dei guasti della crittogama nella provincia bresciana, «Mutuo soccorso», 10<br />

agosto 1858, pp. 254-255).<br />

30 La pebrina era la m<strong>al</strong>attia del baco da seta provocata <strong>d<strong>al</strong></strong> nosema bombyx, uno sporozoo patogeno<br />

che impediva lo sviluppo del baco e annullava la conseguente produzione serica: nel Bresciano la<br />

pebrina arrivò nel 1854 e ridusse il «raccolto di bozzoli» a meno di un quinto della quantità ordinaria<br />

con evidenti ripercussioni negative sulle rendite gelsibachicole (Rapporto della Camera di Commercio,<br />

p. 12).<br />

31 Nel 1854 nella sola città di Brescia si consumarono 60.000 gerle di vino ad un prezzo medio di 40<br />

lire a zerla (COCCHETTI, Brescia e sua provincia, p. 208).<br />

32 Il fenomeno delle sofisticazioni praticate <strong>d<strong>al</strong></strong>l’oste era così diffuso che, per combattere le frodi e le<br />

adulterazioni, era stata istituita un’apposita commissione sanitaria addetta <strong>al</strong> controllo dei vini e delle<br />

bevande <strong>al</strong>cooliche in commercio sul mercato suburbano (A. PAVAN, Ordine pubblico e stabilità soci<strong>al</strong>e<br />

a Brescia (1820-1857), in A. Pavan e C. Simoni, Pauperismo e controllo soci<strong>al</strong>e, Brescia 1982, p. 20).<br />

801


802<br />

tura loc<strong>al</strong>e di sopravvivere: garantì ai produttori rimasti buone prospettive favorendo<br />

gli investimenti in nuovi impianti viticoli soprattutto a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> 1860,<br />

<strong>al</strong>lorché il successo dell’operazione di “solforatura delle viti” (che di fatto impediva<br />

lo sviluppo dell’oidio) fece tornare le rese produttive a livelli che, pur inferiori<br />

<strong>al</strong> passato, venivano compensati dai prezzi più elevati 33 .<br />

L’effetto fin<strong>al</strong>e della diffusione dell’oidio fu quindi quello di un ridimensionamento<br />

delle aree riservate <strong>al</strong>la produzione della vite tramite una selezione dei<br />

fondi vitati a favore di quelli collinari meglio esposti <strong>al</strong> sole 34 : qui «la maggiore<br />

bontà del prodotto, la sicurezza di non essere danneggiati <strong>d<strong>al</strong></strong>le brine, la maggiore<br />

facilità di difesa <strong>d<strong>al</strong></strong>le m<strong>al</strong>attie dovuta <strong>al</strong>la maggior ventilazione» si univano<br />

<strong>al</strong>la «maestranza più abile ed appassionata» caratteristica dei fondi dati a mezzadria<br />

o coltivati dai piccoli proprietari permettendo di avere rese più elevate (in<br />

media 15 hl. per ha.) 35 .<br />

La vite si confermò sempre più come la coltura dei fondi piccoli o, quando le<br />

dimensioni erano maggiori, di quelli in cui vigevano contratti mezzadrili: per le<br />

aziende con possibilità di ampie coltivazioni cere<strong>al</strong>icole e foraggiere la viticoltura<br />

aveva infatti un rapporto fra costi e ricavi non competitivo, per i piccoli proprieta-<br />

33 Già nel 1858 aveva dato esito positivo l’esperimento della solforatura delle viti effettuato in V<strong>al</strong>tenesi,<br />

a Polpenazze, ma fu dopo il 1860 che si ebbe la diffusione di t<strong>al</strong>e operazione in tutta la provincia<br />

(Della solforatura delle viti, «Mutuo soccorso», 8 giugno 1858, pp. 184-185; A. BARBIERI, Cenni pratici<br />

sull’insolforazione delle viti, S<strong>al</strong>ò s.d.; P. SAVI, Regole per zolfare le viti con sicurezza e buon esito, S<strong>al</strong>ò s.d.; L.<br />

BORGHI, Del zolfo impiegato come specifico contro la crittogama della vite. Memoria dedicata agli agricoltori della<br />

provincia di Brescia, Brescia 1860 e NARDINI, Brescia e provincia, p. 180).<br />

34 «La vite, decimata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’oidio [era] tenuta ancora meritatamente in pregio» ed era infatti presente in<br />

percentu<strong>al</strong>i comprese fra il 60 e il 70% della superficie coltivata solo nei mandamenti di Lonato e d<br />

Adro, mentre nelle <strong>al</strong>tre aree la sua quota era limitata a quanto concesso dagli «aratori vitati». Ai v<strong>al</strong>ori<br />

compresi fra il 21 e il 30% registrati nei mandamenti di Brescia, Iseo, S<strong>al</strong>ò e Montichiari, corrispondevano<br />

infatti quelli oscillanti fra l’11 e il 20% esistenti a Leno, Rezzato, Bagnolo, Ospit<strong>al</strong>etto e<br />

Rovato e quelli fra il 6 e il 10% a Chiari, Orzinuovi, Verolanuova, tutte aree sempre più dedicate ai<br />

seminativi con prati. Ormai in netto declino era invece la viticoltura sulle <strong>al</strong>te riviere lacustri e nelle<br />

v<strong>al</strong>li: solo nei mandamenti di Gargnano e Preseglie si arrivava a v<strong>al</strong>ori compresi fra il 6 e il 10%, mentre<br />

<strong>al</strong>trove si era sotto il 5% [P. MARCHIORI, La diversa intensità delle nostre princip<strong>al</strong>i coltivazioni agrarie,<br />

«CAB», s.n. (1882), pp. 141-142].<br />

35 Il dato di media è in L. BETTONI CAZZAGO, Monografia sulla vite del lago di Garda, «CAB», s.n. (1879),<br />

p. 20. All’inizio degli anni ’80 in un fondo vitato in collina si ottenevano 30 hl. di vino per ha. a fronte<br />

dei 16 hl. ricavabili in fondi an<strong>al</strong>oghi nell’<strong>al</strong>ta pianura, degli 11 hl. dei fondi aratori vitati e dei soli<br />

80 l. dei fondi di “mediocre fertilità” della bassa pianura (dati elaborati dai resoconti di amministrazione<br />

in BENEDINI, Terra e agricoltori, pp. 97 sgg.).


i e i mezzadri rappresentava invece un’importante integrazione del reddito complessivamente<br />

ottenibile <strong>d<strong>al</strong></strong> fondo. Per i primi il surplus di lavoro dato <strong>d<strong>al</strong></strong>la viticoltura<br />

(quello che accresceva eccessivamente rispetto <strong>al</strong>le rese il monte s<strong>al</strong>ari delle<br />

grandi aziende) non era un problema visto che, in assenza di <strong>al</strong>ternative occupazion<strong>al</strong>i,<br />

i piccoli proprietari e le loro famiglie tendevano «<strong>al</strong> maggior prodotto<br />

lordo, poco v<strong>al</strong>utando il proprio lavoro»; per i mezzadri invece la viticoltura aveva<br />

un <strong>al</strong>to gradimento perché, sebbene fosse più onerosa <strong>d<strong>al</strong></strong> punto di vista del lavoro<br />

applicato, risultava meno bisognosa, rispetto <strong>al</strong>le <strong>al</strong>tre colture, di esborsi finanziari<br />

anticipati (ad esempio per l’acquisto di fertilizzanti e di sementi selezionate) 36 .<br />

Per quasi tre decenni le rendite viticole furono buone e, grazie anche <strong>al</strong>la<br />

presenza di un mercato di sbocco “sicuro”, giustificarono gli investimenti fatti<br />

dai produttori: solo a livello qu<strong>al</strong>itativo la crescita fu invece limitata visto che<br />

restarono in gran parte invariate sia le mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di coltivazione e vinificazione 37 ,<br />

sia la tendenza a scegliere varietà meno pregiate, ma più resistenti ad intemperie<br />

e m<strong>al</strong>attie con la conseguente netta prev<strong>al</strong>enza delle uve rosse 38 .<br />

Comunque sia si trattò di una congiuntura positiva: non solo i problemi causati<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’arrivo della peronospora, un <strong>al</strong>tro fungo parassita che colpiva pianta e<br />

36 Sui contratti di “mezzadria pei vigneti” in vigore <strong>al</strong>l’inizio degli anni ’80 nel Bresciano si cfr. BENE-<br />

DINI, Terra e agricoltori, pp. 154-155.<br />

37 Erano ancora molti i produttori che coglievano «l’uva prima che la sua parte zuccherina [fosse] perfettamente<br />

formata» e «lascia[va]no che la fermentazione si svilupp[asse] e si spegn[esse] abbandonata<br />

a sé, co’ graspi g<strong>al</strong>leggianti a contatto con l’aria»; inoltre «si svina[va] in gener<strong>al</strong>e troppo tardi» e<br />

mancavano «cantine acconce ai vini vecchi» che quindi risentivano degli effetti del risc<strong>al</strong>damento<br />

degli ambienti causato <strong>d<strong>al</strong></strong>la fermentazione dei vini vecchi [L. BETTONI CAZZAGO, Il vino del Lago di<br />

Garda, «CAB», s.n. (1879), pp. 46-49]. Si noti che gli accademici illustrarono le princip<strong>al</strong>i innovazioni<br />

introdotte dai maggiori enologi europei nella vinificazione, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’aerazione del mosto <strong>al</strong> risc<strong>al</strong>damento<br />

del vino <strong>al</strong>l’uso dello zucchero per correggere i mosti, ma a prescindere <strong>d<strong>al</strong></strong>la loro effettiva<br />

utilità, esse non ebbero grande seguito [A. MONÀ, Princip<strong>al</strong>i innovazioni tentate in questi ultimi tempi nella<br />

vinificazione, «CAB», s.n. (1875), pp. 108-112].<br />

38 Nelle aree collinari le varietà rosse più diffuse erano schiava, corva, b<strong>al</strong>samino, groppello, rossera,<br />

brognera, vernaccia, nonché nei vigneti più attrezzati carmené e pinot; l’unica varietà bianca di rilievo<br />

era invece la trebbiana. Nei fondov<strong>al</strong>le, dove le uve bianche erano quasi inesistenti, prev<strong>al</strong>evano<br />

gropello, moscatello, rosastra e bondria. Sulle mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di coltivazione della vite nel Bresciano nei<br />

primi decenni post-unitari si cfr. BENEDINI, Terra e agricoltori, pp. 36-38 e 46-49; SANDRINI, Il circondario<br />

di Breno, pp. 272-274; P. MARCHIORI, Monografia sulle condizioni dell’agricoltura e della classe agricola nel<br />

circondario di S<strong>al</strong>ò, in Atti della Giunta, pp. 398-401 e 409-411; BETTONI CAZZAGO, Monografia sulla vite,<br />

pp. 19-25; IDEM, Il vino del Lago, pp. 45-51. Per un confronto con quanto accadeva in <strong>al</strong>tre province<br />

si rinvia invece a R. SERNAGIOTTO, Enologia domestica, Milano 1894.<br />

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804<br />

frutti 39 , furono in breve tempo superati grazie <strong>al</strong>l’uso del latte di c<strong>al</strong>ce prima e del<br />

solfato di rame poi che ne arrestarono la diffusione, ma proprio la presenza di<br />

fondi vitati garantì ai relativi possessori una maggiore resistenza agli effetti della<br />

grande crisi agraria degli anni ’80. La caduta dei prezzi cere<strong>al</strong>icoli fu infatti compensata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la crescita dei prezzi di uva e vino dovuta <strong>al</strong>l’aumento della domanda<br />

che prima si orientava verso le <strong>produzioni</strong> francesi già gravemente colpite <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

filossera non ancora arrivata in It<strong>al</strong>ia: s<strong>al</strong>vo <strong>al</strong>cuni casi come sempre legati <strong>al</strong>la<br />

Franciacorta e <strong>al</strong> Basso Garda, i vini bresciani non ebbero un effetto diretto di<br />

sostituzione rispetto a quelli d’oltr<strong>al</strong>pe, ma beneficiarono comunque del trend<br />

positivo garantito <strong>d<strong>al</strong></strong>la crescente domanda di <strong>produzioni</strong> enologiche it<strong>al</strong>iane.<br />

Alla fine degli anni ’80 la mancata crescita del livello qu<strong>al</strong>itativo iniziò però a<br />

creare qu<strong>al</strong>che problema: <strong>al</strong>la guerra dogan<strong>al</strong>e del 1888 con la Francia e <strong>al</strong>la conseguente<br />

caduta della domanda di vino che ebbe ripercussioni negative sui prezzi,<br />

si aggiunse la crescente concorrenza dei vini meridion<strong>al</strong>i che, non più colpiti<br />

da dazio e ora favoriti <strong>d<strong>al</strong></strong> miglioramento dei trasporti nella penisola, arrivavano<br />

sui mercati lombardi con qu<strong>al</strong>ità superiore a prezzi competitivi. Questo provocò<br />

una diminuzione delle rese e delle rendite complessive garantite <strong>d<strong>al</strong></strong>le viti e causò<br />

un inasprimento dei rapporti contrattu<strong>al</strong>i fra mezzadri e proprietari: questi<br />

ultimi chiedevano infatti una diminuzione degli investimenti viticoli a favore di<br />

un incremento delle quote destinate a prato, una scelta giustificata <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che<br />

mentre la diminuzione dei guadagni legati <strong>al</strong>le <strong>produzioni</strong> vinicole si sommava<br />

<strong>al</strong>la costante discesa dei prezzi dei bozzoli ridimensionando significativamente i<br />

redditi ottenibili <strong>d<strong>al</strong></strong>l’arboreo, nuove importanti prospettive si stavano aprendo<br />

per la stabulazione bovina e per il mercato delle foraggiere che già fornivano<br />

opportunità di guadagno sempre più rilevanti 40 . Da una parte si ebbe così un’ulteriore<br />

diminuzione delle viti nelle aree non collinari, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra i produttori della<br />

Franciacorta e del Basso Garda furono spinti a cercare nuove tecniche coltur<strong>al</strong>i<br />

e di vinificazione che garantissero una maggiore qu<strong>al</strong>ità della produzione.<br />

Alcuni produttori come Folonari e Rossetti proposero di utilizzare tecniche<br />

più moderne orientando nel contempo le <strong>produzioni</strong> verso le richieste di un<br />

39 Sulle caratteristiche della peronospora e sui suoi effetti si cfr. UNWIN, Storia del vino, pp. 38-39; sul<br />

caso it<strong>al</strong>iano si cfr. DALMASSO, Le vicende tecniche ed economiche della viticoltura, pp. 596-599.<br />

40 E. BRAGA, L’agricoltura bresciana <strong>d<strong>al</strong></strong>la crisi <strong>al</strong>lo sviluppo (1880-1913),in Per una storia dell’economia e della<br />

società bresciana, a cura di M.A. Romani e M. Cattini, III, D<strong>al</strong>la famiglia contadina <strong>al</strong>l’impresa moderna. Un<br />

secolo di agricoltura bresciana, Brescia 1984, p. 15.


mercato che gradiva sempre più vini come quelli provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong> sud: si doveva<br />

eliminare l’eccessiva varietà di vitigni (i vigneti «coltivati con una sola qu<strong>al</strong>ità»<br />

erano ancora rari) puntando <strong>al</strong>la «creazione di pochi e costanti tipi di vino»<br />

(mentre spesso «si procede[va] a miscele praticate senza criterio <strong>al</strong>cuno di scienza<br />

enologica» con l’effetto di una «incostanza nel sapore e nella bontà» 41 .Le<br />

loro proposte che prevedevano fra l’<strong>al</strong>tro nuove tecniche di innesto e di potatura<br />

delle viti (nonché di concimazione e sistemazione dei terreni su cui si piantavano<br />

le viti) non ebbero inizi<strong>al</strong>mente molto seguito, poi, sia pur lentamente,<br />

molti produttori iniziarono a considerare la necessità di un completo rinnovamento<br />

coltur<strong>al</strong>e della vite bresciana.<br />

La filossera: il rinnovamento “obbligato”<br />

In re<strong>al</strong>tà, la scelta di rinnovare gli impianti viticoli non fu, nella maggioranza dei<br />

casi, il frutto dell’an<strong>al</strong>isi dei costi-benefici di t<strong>al</strong>e operazione, ma una scelta forzata<br />

legata ad un evento che avrebbe modificato per sempre la viticoltura loc<strong>al</strong>e:<br />

a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>l’autunno 1896 gli afidi della fillossera iniziarono infatti a diffondersi<br />

anche fra le viti bresciane provocandone in breve tempo il «disseccamento delle<br />

foglie e la morte della pianta». Poiché l’unica soluzione efficace contro la diffusione<br />

degli phylloxera vitifoliae era l’innesto della vitis vinifera europea su radici<br />

americane che si rivelavano più resistenti <strong>al</strong>l’azione della filossera, anche i produttori<br />

più riottosi a fare investimenti furono costretti ad operare significative<br />

modifiche nei propri fondi vitati 42 .<br />

In t<strong>al</strong>e fase furono aiutati <strong>d<strong>al</strong></strong> Consorzio antifillosserico che, nato nel marzo<br />

1897 <strong>al</strong>lo scopo di «escogitare i migliori mezzi per distruggere l’invasore e crear-<br />

41 G. ROSA, Ai viticoltori bresciani, «L’agricoltura bresciana», 10 gennaio 1893; G. ROSA, La vinificazione,<br />

Ibid., 30 settembre 1893; A. GNAGA, La provincia di Brescia e la sua esposizione del 1904, Brescia<br />

1905, p. 64.<br />

42 Sulla fillossera, identificata per la prima volta in It<strong>al</strong>ia nel 1879 e capace di portare di fatto <strong>al</strong>la distruzione<br />

della vitis vinifera presente in Europa, si cfr. S. CETTOLINI, M<strong>al</strong>attie ed <strong>al</strong>terazione dei vini, Milano<br />

1894; DALMASSO, Le vicende tecniche ed economiche della viticoltura, pp. 596-599. Sugli effetti della fillossera<br />

per la viticoltura in It<strong>al</strong>ia si rinvia a S. ZANINELLI, Un tema di storia dell’agricoltura it<strong>al</strong>iana tra Otto e Novecento:<br />

la diffusione della fillossera ed il rinnovamento della viticoltura,in Fatti e idee di storia economica nei secoli XIX-<br />

XX. Studi dedicati a Franco Borlandi, Bologna 1977, pp. 861-868; sulle mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità della sua diffusione e sulle<br />

sue ripercussioni sull’enologia europea si cfr. infine UNWIN, Storia del vino, pp. 40-41 e 286-299.<br />

805


806<br />

gli un ambiente sfavorevole <strong>al</strong>lo sviluppo», costituì decine di scuole d’innesto<br />

con centinaia di iscritti cui venivano distribuite gratuitamente migliaia di t<strong>al</strong>ee e<br />

barbatelle di viti americane ed erogati premi in denaro (riservati agli <strong>al</strong>lievi che<br />

ottenevano i migliori risultati): fra il 1900 e il 1906, gli anni di massima attività<br />

del Consorzio (istituito grazie <strong>al</strong>la cooperazione di ben 145 comuni bresciani), le<br />

350 scuole di innesto avviate furono frequentate regolarmente da oltre 4.000<br />

<strong>al</strong>lievi (gli iscritti complessivi risultavano però oltre 7.500) e furono distribuite<br />

oltre 740.000 t<strong>al</strong>ee con una spesa complessiva superiore <strong>al</strong>le 22.900 lire 43 .<br />

Le nuove viti erano più produttive, ma i vini avevano un grado <strong>al</strong>colico inferiore<br />

ed erano quindi necessarie lavorazioni più complesse e più costose (come il<br />

taglio con i vini meridion<strong>al</strong>i): questo comportò una inizi<strong>al</strong>e selezione dei produttori,<br />

ma per i rimasti, come era accaduto dopo la crisi dell’oidio, il mercato offrì<br />

nuove importanti prospettive. Non solo il fatto che non vi fossero <strong>al</strong>ternative agli<br />

investimenti per un tot<strong>al</strong>e rinnovo degli impianti (gli oneri in questo caso erano<br />

dati non <strong>d<strong>al</strong></strong>l’acquisizione della “materia prima”, distribuita gratuitamente, ma <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

costo della forza lavoro e <strong>d<strong>al</strong></strong>la “immobilizzazione del capit<strong>al</strong>e” per gli anni, <strong>al</strong>meno<br />

tre, necessari ad arrivare <strong>al</strong>la piena produzione da parte delle viti innestate) fu<br />

compensato dai prezzi crescenti, ma la forte crescita del proletariato urbano coincidente<br />

col processo di industri<strong>al</strong>izzazione della provincia di Brescia, garantì un<br />

mercato anche <strong>al</strong>le <strong>produzioni</strong> delle viti che davano «vini di minore bontà, ma più<br />

rigogliose». Escludendo la piccola “nicchia” dei produttori di uva da tavola (un<br />

prodotto di <strong>al</strong>ta qu<strong>al</strong>ità, soprattutto quella invernenga che, raccolta sui Ronchi,<br />

veniva venduta sui princip<strong>al</strong>i mercati del nord It<strong>al</strong>ia) 44 , si accentuò fra i viticoltori<br />

una netta divaricazione: da una parte quelli che facevano onerosi investimenti per<br />

migliorare il prodotto ottenendo significativi incrementi qu<strong>al</strong>itativi che, come evidenziato<br />

<strong>al</strong>la Esposizione Bresciana del 1904 e, in seguito, in occasione dei vari<br />

premi enologici precedenti <strong>al</strong> primo conflitto mondi<strong>al</strong>e, portarono l’enologia bre-<br />

43 Nel solo inverno 1902-03 nelle 102 scuole di innesto istituite i frequentanti furono 1.069 e le t<strong>al</strong>ee<br />

distribuite 114.000; <strong>d<strong>al</strong></strong> vivaio della scuola Pastori, nella primavera del 1903, i viticoltori ritirarono<br />

513.000 t<strong>al</strong>ee e 195.000 barbatelle di viti americane. Sull’attività svolta <strong>d<strong>al</strong></strong> Consorzio antifillosserico<br />

sotto la direzione tecnico-scientifica del prof. Antonio Moretti si cfr. Consorzio antifillosserico bresciano,<br />

I 25 anni di attività del Consorzio antifillosserico bresciano (1897-1922), Brescia 1922; O. MILESI, Fillossera<br />

a Brescia. D<strong>al</strong>la scoperta <strong>al</strong>la sconfitta, Brescia 2001.<br />

44 Si producevano circa 500 q. di uva da tavola <strong>al</strong>l’anno (GNAGA, La provincia di Brescia, p. 64). Sulle<br />

peculiarità di t<strong>al</strong>e prodotto <strong>al</strong>l’inizio del Novecento si cfr. anche D. TAMARO, Uve da tavola: economia<br />

della coltivazione, varietà, coltivazione, conservazione e cura dell’uva, Milano 1915.


sciana ad affermarsi anche fuori provincia senza limitarsi ai tradizion<strong>al</strong>i sbocchi<br />

della V<strong>al</strong>seriana e della V<strong>al</strong>brembana 45 ; <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra quelli che, mostrando scarso interesse<br />

ai contributi teorico-pratici forniti <strong>d<strong>al</strong></strong>le scuole agrarie sorte fra il 1875 e il<br />

1925 nella provincia di Brescia 46 , avevano limitato l’innovazione <strong>al</strong>l’innesto della<br />

vitis vinifera europea sulle radici americane lasciando invariato tutto il resto.<br />

La loro presenza portava così ad un quadro complessivo che non mostrava<br />

<strong>al</strong>cun progresso qu<strong>al</strong>itativo: in età giolittiana, in base a quanto indicato <strong>d<strong>al</strong></strong> consorzio<br />

antifillosserico, le viti si estendevano nel Bresciano su una superficie pari<br />

a 27.639 ha. con un incremento di quasi il 5% rispetto <strong>al</strong>la fine del periodo<br />

austriaco 47 , mentre i rendimenti per ha. restavano inferiori a quelli delle <strong>al</strong>tre aree<br />

viticole della Lombardia 48 ; si registrava un incremento complessivo del raccolto,<br />

45 Nel 1914 <strong>al</strong>cuni vini della Franciacorta furono ad esempio premiati in rassegne di rilevanza nazion<strong>al</strong>e<br />

dedicate ai vini in bottiglia (il moscato bianco e rosso di Cellatica prodotto nei fondi viticoli della<br />

Congrega Apostolica, nonché il Nigoline bianco e il Masserino rosso provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>le cantine di Alessandro<br />

Torri a Nigoline di Cortefranca: O. MILESI, Spumanti in Franciacorta, Brescia 1984, p. 29).<br />

46 Si fa qui esplicito riferimento <strong>al</strong>la Scuola agraria della Bornata (poi Pastori), <strong>al</strong>la “Vincenzo Dandolo”<br />

di Bargnano, nonché <strong>al</strong>la Colonia Agricola di Remedello. In relazione <strong>al</strong> loro ruolo nello sviluppo<br />

dell’agricoltura bresciana si rinvia a G. BONSIGNORI, Per la risurrezione economica di tutta la provincia<br />

bresciana, Brescia 1899; IDEM, Guida per portare rapidamente la terra ad <strong>al</strong>ta fertilità e mantenervela,<br />

Brescia 1902; La Colonia agricola di Remedello Sopra. Studi per il centenario (1895-1995), Brescia 1998, pp.<br />

149 sgg.; P. TEDESCHI, La formazione delle Istituzioni agrarie raggruppate, in Istituzioni Agrarie in Provincia<br />

di Brescia. Storia e documenti, Brescia 1999, pp. 13-53.<br />

47 A metà Ottocento, sommando le viti della V<strong>al</strong>camonica (in età napoleonica e austriaca inserita nella<br />

provincia di Bergamo) a quelle del resto della provincia di Brescia si arrivava ad un tot<strong>al</strong>e di circa 26.400<br />

ha. (GNAGA, La provincia di Brescia, p. 63) e t<strong>al</strong>e v<strong>al</strong>ore era rimasto praticamente in<strong>al</strong>terato fino <strong>al</strong>l’arrivo<br />

di peronospora e fillossera visto che nel 1879 le viti occupavano 26.419 ha. (BETTONI CAZZAGO, Monografia<br />

sulla vite, p. 19). Si noti inoltre che v<strong>al</strong>ori molto diversi erano invece indicati <strong>d<strong>al</strong></strong> catasto del 1898<br />

che segn<strong>al</strong>ava un’estensione dei fondi vitati pari a 14.643 ha. (di cui 597 in V<strong>al</strong>camonica): in re<strong>al</strong>tà i dati<br />

non erano equiparabili perché il catasto considerava solo le «aree di coltura intensiva e quelle di cui l’uva<br />

[era] il reddito princip<strong>al</strong>e, mentre le viti restanti [era]no accomunate con <strong>al</strong>tre piante nei prati e seminativi<br />

arborati e negli orti» (a questo proposito cfr. anche GNAGA, La provincia di Brescia, p. 63).<br />

48 Nel periodo 1909-13 la produzione di uva nel Bresciano fu mediamente di quasi q. 400.000, mentre<br />

quella di vino fu di circa 280.000 hl. <strong>al</strong>l’anno; negli anni immediatamente precedenti <strong>al</strong> primo conflitto<br />

mondi<strong>al</strong>e nelle aree a coltura speci<strong>al</strong>izzata (14.525 ha.) la resa per ha. fu invece di 18,17 q., nettamente<br />

la più bassa della Lombardia visto che in V<strong>al</strong>tellina, la penultima, si arrivava a q. 34,21 (BRA-<br />

GA, L’agricoltura bresciana <strong>d<strong>al</strong></strong>la crisi <strong>al</strong>lo sviluppo, p. 62 che fa riferimento a dati del Ministero dell’Agricoltura).<br />

La differenza rispetto <strong>al</strong>le <strong>al</strong>tre province lombarde era però inferiore: nel 1909 la re<strong>al</strong>e produzione<br />

di vino risultava di 420.000 hl e in merito <strong>al</strong>le rese per ha. coltivato si passava dai q. 10 ottenuti<br />

nel “promiscuo” (produzione di q. 166.910 su ha 12.121) ai q. 30 nei vigneti speci<strong>al</strong>izzati (q.<br />

412.610 su ha. 14.555). Si noti inoltre che le variazioni, fortemente correlate <strong>al</strong>l’andamento climati-<br />

807


808<br />

ma la contemporanea crescita, anche nelle aree collinari, dei fondi aratori vitati e<br />

la permanenza di strutture produttive fortemente arretrate portava inevitabilmente<br />

a rese medie più basse. In re<strong>al</strong>tà la situazione era molto più articolata visto<br />

che erano sempre più numerosi sia coloro che puntavano a <strong>produzioni</strong> di qu<strong>al</strong>ità<br />

49 , sia quelli che importavano da <strong>al</strong>tre province uve, mosti e vini (195.000 hl.<br />

nel solo 1904) per creare nuovi vini da distribuire sul mercato nazion<strong>al</strong>e dove la<br />

concorrenza dei vini meridion<strong>al</strong>i era sempre più forte 50 : era però evidente che<br />

senza una crescita qu<strong>al</strong>itativa molti produttori “margin<strong>al</strong>i” avrebbero avuto<br />

grandi problemi non appena la congiuntura fosse cambiata.<br />

Per cercare di risolvere il problema del grande numero di produttori che<br />

seguivano tecniche <strong>vitivinicole</strong> obsolete si cercò di sviluppare la cooperazione<br />

fra produttori: dopo il successo del consorzio antifillosserico nacquero, sia pure<br />

con esiti molto più deludenti, i primi consorzi “grandinifughi” (nel 1903 ne esistevano<br />

già 56) dotati di “artiglierie antigrandine” 51 , nonché <strong>al</strong>cune cooperative<br />

di produttori che avevano l’obiettivo di migliorare la qu<strong>al</strong>ità del prodotto fin<strong>al</strong>e<br />

producendo pochi vini di grande prestigio e soprattutto di “tipo costante” dei<br />

qu<strong>al</strong>i fossero chiaramente definite a priori le caratteristiche e che potessero quindi<br />

meglio far identificare la produzione loc<strong>al</strong>e con evidenti vantaggi nella distri-<br />

co, erano molto ampie: la media della produzione per il periodo 1909-1920 fu ad esempio di q.<br />

348.000 d’uva, ma si ebbe un massimo di 552.000 nel 1909 e un minimo di q. 164.000 nel 1918<br />

(CAMERA DI COMMERCIO E INDUSTRIA DI BRESCIA, L’economia bresciana, pp. 207-208).<br />

49 Fra i produttori bresciani più qu<strong>al</strong>ificati <strong>al</strong>l’inizio del Novecento si trovavano: Pellizzari nob. Camillo<br />

(Rivoltella), F.lli Bellini (S<strong>al</strong>ò), on. Pompeo Molmenti (Moniga), Principe Scipione Borghese e<br />

Giuseppe Rossetti (San Felice del Benaco), F.lli Bellini (Polpenazze), cav. Alessandro Bruni (Gavardo),<br />

conti C<strong>al</strong>ini-Brognoli (Bedizzole), ing. Giovanni Trebeschi e Binetti Archimede (Cellatica), Berlucchi<br />

(Borgonato), nob. Paratico (Capriolo), Cominotti Defendente (Cologne), conti Zoppola (Collebeato),<br />

Giuseppe Andreola (Gussago), ing. Carlo Cochard (Adro). Importanti erano poi considerati<br />

i vigneti in Brescia e Castenedolo dei F.lli Riccardi, nonché quelli in Franciacorta e a Botticino<br />

Mattina della Congrega di Carità Apostolica e <strong>al</strong>la Bornata della Scuola Pastori (GNAGA, La provincia<br />

di Brescia, pp. 64 e 106)<br />

50 In proposito la ditta Folonari risultava una delle maggiori in It<strong>al</strong>ia e un’<strong>al</strong>tra trentina di aziende enologiche<br />

bresciane aveva «uno smercio attivissimo» (Ibid., pp. 105 e 107).<br />

51 Esempi dei cannoni grandinifughi utilizzati nel Bresciano (il Maggiora ad acetilene e il Serini<br />

costruito <strong>d<strong>al</strong></strong>la Fabbrica Nazion<strong>al</strong>e d’Armi di Brescia) si trovano in ASBs, Carte Bendiscioli, b. 34.<br />

Sull’esito inferiore <strong>al</strong>le attese dell’attività dei consorzi grandinifughi si cfr. GNAGA, La provincia di Brescia,<br />

p. 65. Si noti inoltre che, oltre venti anni dopo la loro nascita, la Camera di commercio segn<strong>al</strong>ava<br />

che «non passa[va] anno senza che qu<strong>al</strong>che nostra plaga viticola non ven[isse] danneggiata <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

grandine» (CAMERA DI COMMERCIO E INDUSTRIA DI BRESCIA, L’economia bresciana, p. 208).


uzione sul mercato. Per arrivare a ciò la lavorazione delle uve non era più possibile<br />

coi soli mezzi disponibili ad un viticoltore isolato visto che richiedeva specifiche<br />

competenze per fare i “tagli” necessari <strong>al</strong>la creazione di vini di qu<strong>al</strong>ità: il<br />

contadino doveva quindi rivolgersi <strong>al</strong>le neonate cantine soci<strong>al</strong>i i cui tecnici avevano<br />

il compito di «consigliare la coltivazione dei più convenienti vitigni, limitando<br />

il numero e rendendo più omogeneo il prodotto». Teoricamente i contadini<br />

avrebbero dovuto quindi limitarsi <strong>al</strong>la coltivazione del fondo vitato sotto la<br />

supervisione degli enologi della cantina soci<strong>al</strong>e, lasciando poi a quest’ultima tutta<br />

la fase della vinificazione, in re<strong>al</strong>tà ci si limitò nella maggioranza dei casi <strong>al</strong>la<br />

semplice attività di consulenza verso i produttori e questo lasciò in moltissimi<br />

casi in<strong>al</strong>terata la scarsa qu<strong>al</strong>ità del vino prodotto 52 .<br />

In un ambito in cui si aveva la piena consapevolezza del fatto che la coltivazione<br />

della vite fosse ancora lontana «da quel grado di perfezionamento che<br />

[era] desiderabile e possibile raggiungere», restavano inoltre insoluti <strong>al</strong>cuni problemi:<br />

quello della ancora insufficiente distribuzione del prodotto fuori provincia<br />

che, a detta dei contemporanei, erano legati solo <strong>al</strong>la «insipienza dei produttori»<br />

e non <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità dei vini che anzi erano «non inferiori a qu<strong>al</strong>unque Barolo,<br />

Borgogna o Bordeaux» 53 e quello della limitata diffusione dei bianchi che,<br />

richiedendo maggiori oneri per la produzione e la conservazione, rappresentavano<br />

solo il 7% del tot<strong>al</strong>e 54 .<br />

La lenta ripresa di una coltura “minore” e la nuova era “tecno-enologica”<br />

Alla fine dell’età giolittiana ad ampliare il divario fra le due tipologie di produttori<br />

e a modificare il quadro complessivo dell’enologia bresciana furono prima il<br />

rafforzamento delle organizzazioni dei lavoratori che raggiunse l’apice nell’im-<br />

52 La prima cantina soci<strong>al</strong>e fu costituita nel 1898 a Tremosine. Sull’opportunità di produrre uno o<br />

pochi vini di grande qu<strong>al</strong>ità e di “tipo costante” e in gener<strong>al</strong>e sugli obiettivi delle cantine soci<strong>al</strong>i si cfr.<br />

A. MORETTI, Le cantine soci<strong>al</strong>i in provincia di Brescia, Brescia 1900; G. ROSSETTI, La cooperazione e il risanamento<br />

enologico bresciano, Brescia 1901 e GNAGA, La provincia di Brescia, p. 106.<br />

53 I vitigni più diffusi erano la schiava, il marzemino, la corva, il groppello, la negrara, il trebbiano, la<br />

vernaccia e la rossera: i vini rossi erano compresi fra i 10° e i 12% (con un estratto fra il 20 e il 24 per<br />

mille) e si raggiungevano punte di 13° Franciacorta e di 16° in V<strong>al</strong>tenesi (GNAGA, La provincia di Brescia,<br />

pp. 64 e 107).<br />

54 BRAGA, L’agricoltura bresciana <strong>d<strong>al</strong></strong>la crisi <strong>al</strong>lo sviluppo,p.62.<br />

809


810<br />

mediato dopoguerra e poi le scelte di politica economica agraria fatte <strong>d<strong>al</strong></strong> fascismo<br />

a metà degli anni ’20.<br />

La maggiore forza contrattu<strong>al</strong>e dei lavoratori agricoli, nel bresciano in maggioranza<br />

affiliati <strong>al</strong>le organizzazioni sindac<strong>al</strong>i cattoliche, non solo ampliò i poteri<br />

decision<strong>al</strong>i e le quote di prodotto riservate ai mezzadri (fra il 50 e il 55% a seconda<br />

dei casi), ma diede anche ai s<strong>al</strong>ariati nuove quote di compartecipazione 55 . Nei<br />

fondi mezzadrili questo portò ad un miglioramento della produttività dei fondi cui<br />

però non sempre seguì il miglioramento del vino prodotto: se da una parte la maggiore<br />

stabilità del contratto di mezzadria (divenuto <strong>al</strong>meno bienn<strong>al</strong>e) e l’incremento<br />

di quanto spettava <strong>al</strong> mezzadro contribuirono a migliorare la resa dei fondi vitati<br />

56 , <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra il fatto che la rendita padron<strong>al</strong>e diminuisse portò ad una riduzione<br />

della spesa per i nuovi impianti (che era completamente a carico del proprietario)<br />

con un c<strong>al</strong>o della qu<strong>al</strong>ità del prodotto finito. Nei fondi in cui prev<strong>al</strong>evano <strong>al</strong>tre forme<br />

contrattu<strong>al</strong>i il fatto che le quote di compartecipazione si riferissero essenzi<strong>al</strong>mente<br />

ai cere<strong>al</strong>i portò invece ad una definitiva eliminazione delle viti residue.<br />

A questo contribuirono anche i provvedimenti connessi <strong>al</strong>la “battaglia del<br />

grano” che, uniti <strong>al</strong>la forte riv<strong>al</strong>utazione della lira, incentivavano le <strong>produzioni</strong><br />

cere<strong>al</strong>icole e danneggiavano quelle dell’arboreo anche nelle aree in cui i vini prodotti<br />

avevano un mercato limitato <strong>al</strong>le province limitrofe 57 .<br />

I fondi viticoli divennero quindi sempre più appannaggio o di piccoli proprietari<br />

che tendevano «<strong>al</strong> maggior prodotto lordo poco v<strong>al</strong>utando il proprio<br />

55 Sui nuovi contratti agrari stipulati nel Bresciano fra l’inizio del Novecento e l’avvento del fascismo<br />

si rinvia a W. RIOLFI, Il prete e il sovversivo. Un caso atipico: partito cattolico e soci<strong>al</strong>ismo a Brescia nel primo quindicennio<br />

del secolo, Brescia 1980, pp. 127-159 e 229-245; P. TEDESCHI, Economia e sindacato nel Bresciano<br />

tra primo dopoguerra e fascismo. Le Unioni del Lavoro (1918-1926), Milano 1999, pp. 190-228.<br />

56 Sulla correlazione fra l’aumento del reddito dei lavoratori e l’incremento della produttività dei fondi<br />

si cfr. P. TEDESCHI, Contratti agrari e produttività del fattore lavoro nei primi decenni del ’900 nelle province della<br />

Lombardia orient<strong>al</strong>e, in Il lavoro come fattore produttivo e come risorsa nella storia economica it<strong>al</strong>iana, a cura di<br />

S. Zaninelli e M. Taccolini, Milano 2002, pp. 555-572.<br />

57 Sugli effetti della “battaglia del grano” sui redditi agricoli bresciani si cfr. E. CAMERLENGHI, Agricoltura<br />

e territorio in provincia di Brescia tra le due guerre mondi<strong>al</strong>i, in Per una storia dell’economia e della società<br />

bresciana, pp. 98 sgg. Per un’an<strong>al</strong>isi a livello region<strong>al</strong>e si cfr. invece M. ROMANI, Un secolo di vita agricola<br />

in Lombardia (1861-1961), Milano 1963, pp. 176 sgg.; Agricoltura e forze soci<strong>al</strong>i in Lombardia nella crisi degli<br />

anni Trenta, Milano 1983. Per un’an<strong>al</strong>isi specifica dei provvedimenti si rinvia invece a: A. SERPIERI, La<br />

politica agraria in It<strong>al</strong>ia e i recenti provvedimenti legislativi, Piacenza 1926; G. TASSINARI, Le vicende del reddito<br />

dell’agricoltura <strong>d<strong>al</strong></strong> 1925 <strong>al</strong> 1932, Faenza 1935; M. BANDINI, Cent’anni di storia agraria it<strong>al</strong>iana, Roma<br />

1957, pp. 102 sgg.; C. BARBERIS, Le campagne it<strong>al</strong>iane <strong>d<strong>al</strong></strong>l’Ottocento a oggi, Roma-Bari 1999, pp. 423-433<br />

e 437-444.


lavoro», o di quei grandi proprietari che, avendo già fatto rilevanti investimenti<br />

per aumentare la qu<strong>al</strong>ità, risentivano meno del maggiore costo del mezzadro,<br />

figura contrattu<strong>al</strong>e e profession<strong>al</strong>e che restava fondament<strong>al</strong>e per una viticoltura<br />

di <strong>al</strong>ta qu<strong>al</strong>ità visto che, considerando la vite «la dote del fondo, la riserva della<br />

famiglia», aveva un interesse diretto <strong>al</strong>la buona resa del fondo, nonché competenze<br />

tecniche difficilmente riscontrabili nei lavoratori s<strong>al</strong>ariati. Così mentre da<br />

una parte i nuovi investimenti portavano ad un aumento dei filari di viti Isabella<br />

e Clinton e <strong>al</strong>la coltivazione con buoni risultati «di tutte le migliori qu<strong>al</strong>ità della<br />

Francia, del Piemonte, del Veneto e della Toscana» 58 , <strong>al</strong>trove, ovvero in quei fondi<br />

in cui già in passato si era fatto il minimo necessario di innovazione, le superfici<br />

vitate subivano una significativa diminuzione non solo in pianura e nei fondov<strong>al</strong>le<br />

(rispettivamente il 22 e l’11%), ma soprattutto in collina (il 24%) dove <strong>al</strong><br />

c<strong>al</strong>o si sommò la “despeci<strong>al</strong>izzazione” di molti dei fondi viticoli rimasti in attività<br />

59 . Alla fine degli anni ’20 solo il 4% della superficie coltivata risultava dedicato<br />

<strong>al</strong>la vite che, anche nell’area collinare dove pure manteneva una presenza<br />

non trascurabile, veniva considerata una “coltura minore” 60 .<br />

58 CAMERA DI COMMERCIO E INDUSTRIA DI BRESCIA, L’economia bresciana, pp. 208-209.<br />

59 Nel 1929 la superficie a vigneto risultava diminuita di oltre il 63% (dai 14.551 ha. censiti nel 1909<br />

ai soli 5.361 con un c<strong>al</strong>o di oltre i due terzi in collina), mentre si ampliavano di un sesto i fondi destinati<br />

<strong>al</strong>la coltura promiscua cui erano dedicati ha. 19.610 contro i 16.793 di venti anni prima. D<strong>al</strong> 1909<br />

<strong>al</strong> 1929 la superficie vitata esistente nelle v<strong>al</strong>li bresciane scese da 4.821 ha. (1.867 di coltura speci<strong>al</strong>izzata<br />

e 2.954 consociata con colture erbacee) a 4.729 ha. (rispettivamente 900 e 3.859); nello stesso<br />

periodo in pianura i fondi vitati passavano invece da 3.100 ha. (1.052 e 4.098) a 2.409 ha. (653 e<br />

1.756); infine nelle aree collinari i 23.423 ha. vitati del 1909 (11.632 e 11.791) si ridussero ai 17.803<br />

ha. (4.107 e 13.995) registrati nel 1929 (CAMERLENGHI, Agricoltura e territorio, p. 135). Questa invece<br />

la ripartizione della superficie (in ha.) occupata dai vigneti: V<strong>al</strong>camonica, 689; V<strong>al</strong>trompia, 102; V<strong>al</strong>sabbia,<br />

40; lago d’Iseo (riviera e anfiteatro morenico), 1.504; lago di Garda (riviera e anfiteatro morenico),<br />

8.898; colline rocciose di Brescia, 3.513; pianura, 1.139 (CAMERA DI COMMERCIO E INDUSTRIA<br />

DI BRESCIA, L’economia bresciana, p. 16, si noti però che il dato camer<strong>al</strong>e era relativo <strong>al</strong>le colture legnose<br />

speci<strong>al</strong>izzate e quindi comprendeva oltre ai vigneti anche gli uliveti e i frutteti la cui quota era<br />

significativa sulle riviere dei due laghi).<br />

60 Nel 1927 il 16% circa della superficie collinare occupata da colture era coltivata a vigneto, mentre<br />

percentu<strong>al</strong>i molto più ridotte erano quelle registrate in montagna (1,5% circa) e in pianura (meno<br />

dell’1%). Nelle singole aree la vite risultava rilevante solo nelle riviere (il 29% dell’anfiteatro morenico<br />

del Garda, oltre il 13% sul Sebino) e sulle colline del distretto cittadino (oltre il 10%) (CAMERA DI<br />

COMMERCIO E INDUSTRIA DI BRESCIA, L’economia bresciana, p. 18). Sul ridimensionamento del ruolo<br />

della viticoltura è significativo il fatto che nell’inchiesta camer<strong>al</strong>e sull’economia bresciana del 1927 la<br />

viticoltura fosse classificata fra le colture minori (Ibid., p. 205).<br />

811


812<br />

Al ridimensionamento delle aree dedicate <strong>al</strong>la vite non corrispose comunque<br />

un an<strong>al</strong>ogo c<strong>al</strong>o della produzione di uva e in particolare di quella del vino: il gener<strong>al</strong>e<br />

miglioramento delle tecniche enologiche e la possibilità di integrazione con<br />

mosti e uve provenienti da <strong>al</strong>tre province limitarono gli effetti delle forti oscillazioni<br />

produttive generate da eventu<strong>al</strong>i sfavorevoli situazioni climatiche 61 e garantirono<br />

una crescita qu<strong>al</strong>itativa soprattutto sul Garda e in particolare in V<strong>al</strong>tenesi 62 .<br />

Si noti poi che per i produttori rimasti le prospettive sul mercato restarono<br />

comunque buone e questo incentivò nuovi investimenti sia per migliorare la qu<strong>al</strong>ità<br />

delle <strong>produzioni</strong> che per impiantare nuove viti: negli anni ’30 si ebbe così un<br />

miglioramento dei rendimenti produttivi (che comunque restavano inferiori a<br />

quelli delle <strong>al</strong>tre province lombarde) e si registrò anche un incremento delle<br />

superfici vitate in collina e pianura (rispettivamente il 3,5 e il 3%) e soprattutto nei<br />

fondov<strong>al</strong>le (oltre il 9%) 63 . A livello “tecnologico” vennero inoltre introdotte in<br />

tutta la provincia le diraspatrici per le uve rosse (a rullo o a cilindri bucati) gene-<br />

61 Il raccolto d’uva medio negli anni ’20 risultava compreso fra i 400.000 e i 600.000 q., ma le oscillazioni<br />

erano molto forti di anno in anno: nel 1924 la produzione d’uva fu ad esempio di 393.000 q.,<br />

mentre nei due anni successivi fu rispettivamente di 381.000 e 321.000 q. La produzione di vino era<br />

invece sempre meno legata <strong>al</strong>l’andamento dei loc<strong>al</strong>i raccolti d’uva, così, a fronte di un rendimento di<br />

mosto per quint<strong>al</strong>e di uva pari a circa 75 litri e di una produzione di circa 400.000 q., si potevano produrre,<br />

utilizzando mosti e uve provenienti da <strong>al</strong>tre province, ben 551.000 hl. di vino (CAMERA DI<br />

COMMERCIO E INDUSTRIA DI BRESCIA, L’economia bresciana, p. 208). Restavano comunque possibili<br />

anche annate con rese molto più limitate come quella del 1929 che, a fronte di un raccolto di uva pari<br />

a 476.092 q. vide una produzione complessiva di l. 333.264 di vino [M. ZUCCHINI, L’agricoltura bresciana<br />

nel centenario 1871-1970, «Rivista di storia dell’agricoltura», 11 (1971), p. 513].<br />

62 I vini più rinomati risultavano quelli bianchi di lusso della Lugana, i vini “<strong>al</strong>coolici resistenti” di<br />

Moniga e della Raffa, nonché qu<strong>al</strong>che “vino profumato” delle colline rocciose di Brescia. I vini bianchi<br />

raggiungevano mediamente i 10-12°, mentre i rossi andavano da 9 a 12°. Le viti “a frutto nero”<br />

più diffuse erano: schiava, berzamino, croppello, corva, v<strong>al</strong>camonica, negrara, trentina, lambruscone<br />

di Alessandria, barbera, fresia e sangiovese, mentre era scomparsa la vernaccia nera in precedenza<br />

molto diffusa soprattutto nelle colline rocciose. Quelle “a frutto bianco” erano: trebbiana, uva d’oro,<br />

pigne, tetavacca, pinot, verdisa, garganega, riesling it<strong>al</strong>ico (CAMERA DI COMMERCIO E INDUSTRIA<br />

DI BRESCIA, L’economia bresciana, p. 209). Sullo sviluppo dell’enologia nel periodo considerato si rinvia<br />

invece a O. OTTAVIO, A.STRUCCHI, Enologia: precetti ad uso degli enologi it<strong>al</strong>iani, Milano 1923; D.<br />

TAMARO, Viticoltura industri<strong>al</strong>e: manu<strong>al</strong>e pratico ad uso dei viticoltori it<strong>al</strong>iani, Milano 1930.<br />

63 Nel 1936 le viti avevano una resa in uva per ha. pari a 23,8 q., quasi la metà della media lombarda<br />

[F. LECHI, L’agricoltura bresciana nel dopoguerra (1945-1980), in Per una storia dell’economia e della società bresciana,<br />

pp. 180-181]. Nel 1939 la superficie vitata risultava così suddivisa: montagna, 5.166 ha. (942 in<br />

vigne speci<strong>al</strong>izzate e 4.224 in fondi promiscui); collina, 17.865 ha. (rispettivamente 4.107 e 13.758<br />

ha); pianura, 2.484 ha. (710 e 1.774) (CAMERLENGHI, Agricoltura e territorio, p. 135).


<strong>al</strong>mente azionate manu<strong>al</strong>mente dai contadini: restava invece ancora lontana (e<br />

sarebbe arrivata solo <strong>al</strong>la fine degli anni ’50) la lavorazione specifica dell’uva bianca<br />

che, a parte l’eccezione dei “bianchi di lusso” del Basso Garda, continuava a<br />

dare vini di scarsa qu<strong>al</strong>ità riservati <strong>al</strong>l’autoconsumo, mentre le nuove tecniche di<br />

vinificazione offrivano maggiori garanzie per la conservazione e rendevano più<br />

omogeneo il prodotto fin<strong>al</strong>e quando si usavano le uve rosse 64 .<br />

Il conflitto mondi<strong>al</strong>e e l’immediato dopoguerra portarono ad un nuovo<br />

ridimensionamento del settore viticolo legato sia <strong>al</strong>l’aumento degli investimenti<br />

nelle <strong>produzioni</strong> cere<strong>al</strong>icole e foraggere, sia ad una diminuzione gener<strong>al</strong>izzata<br />

del consumo di vino: come sempre questo determinò la riduzione delle<br />

superfici vitate, una nuova selezione dei produttori e un’ulteriore crescita della<br />

qu<strong>al</strong>ità delle <strong>produzioni</strong> delle cantine. Da una parte si formarono importanti<br />

cooperative e furono predisposti i primi statuti dei vini bresciani 65 , <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra<br />

migliorarono le tecniche produttive e le rese: arrivarono infatti le prime botti in<br />

cemento che, una volta risolti grazie <strong>al</strong>le vernici epossidiche o <strong>al</strong> cemento sm<strong>al</strong>tato<br />

gli inizi<strong>al</strong>i problemi creati <strong>d<strong>al</strong></strong> rilascio di ferro e c<strong>al</strong>cio, garantivano una<br />

migliore conservazione del prodotto; inoltre si iniziò lentamente ad abbandonare<br />

ogni forma di “maritaggio” della vite con <strong>al</strong>tri <strong>al</strong>beri (s<strong>al</strong>ici, pioppi, gelsi) e<br />

aumentarono le superfici dedicate esclusivamente a vigneto; infine si intervenne<br />

per limitare l’eccessivo uso di zolfo il cui odore t<strong>al</strong>volta restava anche nel<br />

vino rendendone impossibile la distribuzione sul mercato 66 . I vini bresciani, che<br />

fino ad <strong>al</strong>lora, anche nei casi di maggiore qu<strong>al</strong>ità, non potevano essere definiti<br />

di “tipo costante”, iniziarono ad assumere caratteristiche specifiche che, pur in<br />

presenza di mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di pastorizzazione t<strong>al</strong>volta dannose per la qu<strong>al</strong>ità, ne permettevano<br />

una chiara identificazione sul mercato con evidenti vantaggi a livel-<br />

64 In effetti «l’uva veniva pigiata tradizion<strong>al</strong>mente e in fermentazione si attendeva la s<strong>al</strong>ita del cappello<br />

delle vinacce prima di svinare»: la conseguenza era quella di ottenere «vini <strong>d<strong>al</strong></strong> colore piuttosto<br />

marcato, poco profumati e pesanti» (F. ARRIGONI, Franciacorta: storie di vigne, di vini e di uomini, Brescia<br />

1997, p. 28).<br />

65 Nel 1951 nascevano ad esempio le Cantine Riunite di Cellatica; già nel 1942 il conte Renato C<strong>al</strong>ini<br />

e il dott. Camillo Pellizzari avevano predisposto uno “statuto dei vini bresciani” (MILESI, Spumanti in<br />

Franciacorta, pp. 22-23).<br />

66 Nel 1950 le viti occupavano 9.300 ha. ridottisi a 8.300 dieci anni dopo: nel 1960 le rese per ha. erano<br />

però s<strong>al</strong>ite a q. 67,7 (sempre la metà circa della media region<strong>al</strong>e; cfr. LECHI, L’agricoltura bresciana<br />

nel dopoguerra, pp. 180-181). Sulle tecniche di vinificazione usate negli anni ’50 nel Bresciano si cfr.<br />

ARRIGONI, Franciacorta: storie di vigne,p.28.<br />

813


814<br />

lo distributivo 67 . Restavano comunque molti problemi irrisolti: in molti casi,<br />

anche in aree che erano note per la buona qu<strong>al</strong>ità del prodotto fin<strong>al</strong>e come la<br />

Franciacorta, il vino non era imbottigliato ed etichettato, ma, dedotta la quota<br />

destinata <strong>al</strong>l’autoconsumo, ceduto <strong>al</strong>le osterie o a commercianti che lo rivendevano<br />

sfuso o in damigiane sui mercati cittadini 68 .<br />

Solo negli anni ’60 si ebbe l’inizio della cosiddetta era “tecno-enologica”:<br />

mentre i fondi vitati “promiscui” diminuivano, aumentarono le superfici a<br />

“vigneto intensivo” nei qu<strong>al</strong>i scompariva la pergola e si utilizzavano sempre più<br />

sesti d’impianto <strong>al</strong>ti per diminuire i rischi delle gelate primaverili; inoltre i casi di<br />

contadini che non conoscevano nemmeno la varietà dei vitigni dei loro fondi<br />

divennero sempre più rari e la cura della vite, affidata agli ex mezzadri divenuti<br />

s<strong>al</strong>ariati agricoli, divenne sempre più meticolosa ed efficiente e <strong>al</strong>cune varietà<br />

diffuse in passato vennero sostituite con <strong>al</strong>tre che, a seconda del fondo vitato,<br />

risultavano più produttive; infine si re<strong>al</strong>izzarono i primi esempi di “marketing<br />

enologico” grazie a Franco Ziliani che cominciò a far visitare le cantine della<br />

Berlucchi in Franciacorta e a vendere ai clienti il vino in confezioni da una dozzina<br />

di bottiglie (o da mezza) 69 . A ciò si aggiunse da una parte l’introduzione della<br />

fermentazione m<strong>al</strong>olattica (che “demolisce” l’acido m<strong>al</strong>ico diminuendo l’acidità<br />

complessiva e dona <strong>al</strong> vino maggior morbidezza), <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra la comparsa di<br />

nuovi strumenti tecnici (diraspatrici razion<strong>al</strong>i e presse orizzont<strong>al</strong>i e pneumatiche<br />

a polmone) che permisero di ottenere vini, soprattutto bianchi, di grande qua-<br />

67 La produzione lorda vendibile di uva e vino passò, fra il 1950 e il 1961, da 3.123.000 a 3.719.000 lire<br />

(LECHI, L’agricoltura bresciana nel dopoguerra, p. 182). La pastorizzazione del vino tramite un trattamento<br />

termico piuttosto violento eliminava ogni forma biologica nel vino che risultava così perfettamente stabile,<br />

ma nel contempo organoletticamente “piatto” (ARRIGONI, Franciacorta: storie di vigne, p. 28).<br />

68 Sull’inesistenza di un mercato del vino in Franciacorta fino agli anni Cinquanta si cfr. ARRIGONI,<br />

Franciacorta: storie di vigne,p.43.<br />

69 Nel 1969 gli ha. a solo vigneto s<strong>al</strong>irono a 8.417, mentre scesero quelli promiscui (16.000 ha.): la<br />

produzione complessiva arrivò a 802.800 q. di uva e dai 794.800 destinati a vinificazione si ottennero<br />

572.300 q. di vino (ZUCCHINI, L’agricoltura bresciana nel centenario, p. 516). Le rese per ha. s<strong>al</strong>irono<br />

dai 67,7 q. del 1960 ai 99,4 del 1970 (LECHI, L’agricoltura bresciana nel dopoguerra, p. 181 che però non<br />

considera i vigneti “promiscui”). Queste invece le varietà più diffuse: fra i bianchi, tocai, riesling,<br />

trebbiano, pinot, vernaccia, moscato, erbamat, luglienga; fra i rossi, brugnera, besegana, maiolina,<br />

marzemino, groppello, barbera, nebbiolo, bordò e bordonsì. Sulla viticoltura nel Bresciano e sulle<br />

sue <strong>produzioni</strong> negli ultimi decenni si cfr. ARRIGONI, Franciacorta: storie di vigne, cit., che fornisce un’illuminante<br />

descrizione della storia delle princip<strong>al</strong>i cantine della Franciacorta, nonché CAMERA DI<br />

COMMERCIO, INDUSTRIA, ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI BRESCIA, I vini bresciani, Bornato 1976.


lità. Le tappe successive furono relativamente rapide e portarono <strong>al</strong>la definitiva<br />

re<strong>al</strong>izzazione di ottimi vini con caratteristiche costanti: nel 1962 nasceva il “Consorzio<br />

volontario dei vini tipici e pregiati della provincia di Brescia” che anticipava<br />

di un anno la prima legge nazion<strong>al</strong>e sulla denominazione d’origine dei vini;<br />

nel 1967 si stabiliva il disciplinare del Franciacorta doc (passo decisivo verso l’affermazione<br />

dei vini della Franciacorta che si avviavano per la prima volta a superare<br />

sia qu<strong>al</strong>itativamente che in termini di quota di mercato quelli del Basso Garda)<br />

e infine si formavano le attu<strong>al</strong>i sette zone doc provinci<strong>al</strong>i 70 .<br />

La vendemmia e la pigiatura in una xilografia del XVI secolo.<br />

70 Queste le aree viticole con riconoscimento della denominazione d’origine controllata: Riviera del<br />

Garda bresciano (rosso, rosso superiore e chiaretto), Tocai di San Martino della Battaglia, Lugana<br />

(bianco e spumante), Botticino, Cellatica, Capriano del Colle (bianco e rosso) e Franciacorta (bianco,<br />

rosso, spumante brut e rosè) [M. BERLUCCHI, Il vino di ieri e oggi, «CAB», s.n. (1988), p. 244].<br />

71 Nel 1987 il vino doc bresciano venduto era pari a 36.636 hl. nei qu<strong>al</strong>i erano compresi 5.440 hl. di<br />

spumante (4.235 di Franciacorta e 1.165 di Lugana. Ibid., p. 245). Sugli spumanti bresciani, in particolare<br />

quelli della Franciacorta, si cfr. D. GAETA, An<strong>al</strong>isi delle dinamiche redditu<strong>al</strong>i e competitive lungo la filiera<br />

degli spumanti di Franciacorta, «Notiziario economico della <strong>Banca</strong> San Paolo di Brescia», 3 (1990), pp.<br />

67-80; MILESI, Spumanti in Franciacorta, pp. 31 sgg.; R. CREA, Una strada del vino in Franciacorta e nel Sebino,<br />

in Il Sebino e la Franciacorta, a cura di C. Boroni, Venezia 1998, pp. 183-188.<br />

815


816<br />

L’era “tecno-enologica” continua...<br />

A partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la fine degli ’60 la qu<strong>al</strong>ità del vino bresciano è ulteriormente cresciuta<br />

e si è arrivati <strong>al</strong>la creazione, in particolare in Franciacorta, di spumanti di<br />

<strong>al</strong>tissima qu<strong>al</strong>ità che <strong>al</strong>la fine degli anni ’80 non solo rappresentavano un sesto<br />

della produzione enologica provinci<strong>al</strong>e, ma venivano distribuiti con successo sui<br />

princip<strong>al</strong>i mercati in It<strong>al</strong>ia e <strong>al</strong>l’estero 71 : in quel settore viticolo, che nei primi<br />

decenni del secolo era considerato una coltura minore nel panorama agricolo<br />

provinci<strong>al</strong>e, erano ora presenti oltre 6.500 aziende che, pur operando su una<br />

superficie decisamente ridotta rispetto <strong>al</strong> passato (e in continua diminuzione<br />

visto che si lavorano solo i fondi migliori), avevano rese quantitative e soprattutto<br />

qu<strong>al</strong>itative decisamente più elevate e in grado di competere con le migliori<br />

<strong>produzioni</strong> mondi<strong>al</strong>i 72 .<br />

72 Nel 1987 la produzione di uva nelle aree doc (pari a 1.500 ha.) era pari ad oltre 86.000 q., mentre<br />

quella di vino risultava pari a 57.728 hl. (considerando anche l’<strong>al</strong>tro vino prodotto la produzione<br />

complessiva di vino era invece di 500.000 hl.) Si noti inoltre la diminuzione della superficie vitata non<br />

promiscua passata da circa 8.000 ha. censiti negli anni ’70 ai 6.000 ha. della seconda metà degli anni<br />

’80 [BERLUCCHI, Il vino di ieri, pp. 246-247 (dati elaborati) e P. D’ATTOMA, Colline DOC: si rinnova con<br />

le serre l’agricoltura della vigna e dell’olivo, «Atlante bresciano», 10 (1987), p. 28; LECHI, L’agricoltura bresciana<br />

nel dopoguerra, p. 180]. Bisogna infine sottolineare che <strong>al</strong>l’inizio degli anni ’90 le aziende <strong>vitivinicole</strong><br />

bresciane censite <strong>d<strong>al</strong></strong>la Camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato erano 6.549:<br />

427 producevano vini doc, 6.309 <strong>al</strong>tri vini e 51 uva da tavola (i tot<strong>al</strong>i non coincidono perché <strong>al</strong>cune<br />

producevano sia vini doc che “comuni”, nonché uva da tavola): la superficie investita dai vitigni era<br />

pari a 4.789,14 ha. di cui 1.848,29 per il doc, 2.932,57 per <strong>al</strong>tri vini e 5,57 per l’uva da tavola (elaborazione<br />

dati Istat sul censimento di agricoltura degli anni ’90 tratti da www.ring.lombardia.it). Sulla<br />

situazione della viticoltura mondi<strong>al</strong>e negli ultimi trenta anni si rinvia invece a UNWIN, Storia del vino,<br />

cit.; H. JOHNSON, Il vino: storia, tradizioni, cultura, Padova 1991; H. ENJALBERT, Histoire de la vigne et du<br />

vin: l’avènement de la qu<strong>al</strong>ité, Paris, 1975.


BARBARA BETTONI*<br />

La degustazione del vino<br />

Ambienti e suppellettili a Brescia tra XVII e XVIII secolo<br />

Questo contributo ha come obiettivo l’illustrazione degli ambienti e degli oggetti<br />

destinati a ospitare il vino conservandolo e ad agevolarne e arricchirne la degustazione.<br />

La ricerca è limitata <strong>al</strong>l’età moderna con particolare riferimento ai secoli<br />

XVII e XVIII e a una serie di casi relativi <strong>al</strong> territorio bresciano. La dimensione del<br />

lavoro è dettata in primo luogo <strong>d<strong>al</strong></strong>le caratteristiche delle fonti. La documentazione<br />

presa in considerazione si riferisce a un campione di circa trenta famiglie bresciane<br />

di estrazione medio/<strong>al</strong>ta, residenti prev<strong>al</strong>entemente in città, e si presenta<br />

ricca di dettagli intorno <strong>al</strong>le abitudini, il tenore di vita e i gusti delle stesse. I materi<strong>al</strong>i<br />

sono stati rinvenuti <strong>al</strong>l’interno del fondo Archivio Congrega della Carità Apostolica,<br />

sezione Eredità ed Ann<strong>al</strong>i, depositato presso l’Archivio di Stato di Brescia. La<br />

serie Eredità ed Ann<strong>al</strong>i è formata dagli archivi person<strong>al</strong>i e familiari dei benefattori<br />

che <strong>d<strong>al</strong></strong> secolo XVI hanno incrementato, con cospicui lasciti e donazioni, l’opera<br />

della Congrega della carità Apostolica, un ente di carità che assunse una sua fisionomia<br />

giuridica, mediante l’approbatio del vescovo di Brescia, cardin<strong>al</strong>e Corner, tra il 1535<br />

e il 1538. Roberto Navarrini ricorda come la Congrega abbia «conservato gelosamente<br />

queste carte che formano un complesso archivistico di estremo interesse<br />

(...). La serie, infatti, è costituita da un centinaio di archivi (...), nella maggior parte<br />

di famiglia» composti dai «documenti di interesse gener<strong>al</strong>e del casato, e da quelli<br />

particolari che si ricollegano <strong>al</strong>l’attività dei singoli componenti» 1 .<br />

Lo studio è stato condotto princip<strong>al</strong>mente attraverso l’an<strong>al</strong>isi e la cat<strong>al</strong>ogazione<br />

di inventari, in modo particolare post mortem, e di polizze d’estimo. Gli<br />

1 R. NAVARRINI, L’Archivio della Congrega della Carità Apostolica di Brescia. Serie Eredità ed Ann<strong>al</strong>i, Ateneo<br />

di Brescia Accademia di scienze lettere ed arti, Brescia 1988, pp. 9-19.<br />

* Università degli Studi di Brescia.<br />

817


818<br />

inventari, redatti da un notaio <strong>al</strong> momento della formazione dell’eredità, riportano<br />

gli elenchi dei beni mobili di natura durevole e semidurevole rientranti nel<br />

patrimonio del de cuius. Le voci vengono inserite negli scritti secondo diverse<br />

mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità. Si passa da elenchi di poche e brevi linee in cui vengono indicati gli<br />

oggetti, senza <strong>al</strong>cuna informazione circa la collocazione nello spazio domestico<br />

dei medesimi, a fascicoli in cui i beni vengono raggruppati in pagine distinte a<br />

seconda dell’appartenenza a un loc<strong>al</strong>e dell’abitazione piuttosto che a un <strong>al</strong>tro. In<br />

questo ultimo caso, le pagine riportano un titolo che corrisponde <strong>al</strong>l’ambiente<br />

(s<strong>al</strong>a, cucina, camera, studio, stanza) presso il qu<strong>al</strong>e sono stati rinvenuti i mobili<br />

elencati di seguito. Poche volte t<strong>al</strong>i fonti riferiscono informazioni anche intorno<br />

<strong>al</strong>l’entità dei beni stabili, dei crediti e dei debiti e circa le caratteristiche complessive<br />

delle unità abitative. Quest’ultimo genere di dati può essere più frequentemente<br />

rilevato attraverso lo spoglio delle polizze d’estimo, che invece offrono un<br />

quadro completo dei beni stabili, dei crediti, degli aggravi, essendo formate da<br />

autodichiarazioni mediante le qu<strong>al</strong>i i capi di un nucleo familiare denunciavano <strong>al</strong><br />

comune di appartenenza lo stato del proprio patrimonio, il numero e la posizione<br />

soci<strong>al</strong>e dei conviventi. D<strong>al</strong>le polizze si possono inoltre ricavare particolari relativi<br />

<strong>al</strong>le caratteristiche struttur<strong>al</strong>i delle abitazioni: la casa poteva essere «murata,<br />

cupata, solerata» 2 , essere distribuita su più ordini, avere cantina e bottega oppure<br />

stanze contigue date in affitto. L’accostamento delle due fonti consente di fotografare<br />

e ricomporre ide<strong>al</strong>mente gli oggetti e le destinazioni degli spazi interni.<br />

La scelta di studiare gli inventari post mortem tra Sei e Settecento è giustificata<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>l’interesse a cogliere, attraverso lo sviluppo dei luoghi destinati <strong>al</strong>l’intimità<br />

e <strong>al</strong>le relazioni soci<strong>al</strong>i, la progressiva speci<strong>al</strong>izzazione degli ambienti domestici e<br />

la par<strong>al</strong>lela crescente funzion<strong>al</strong>ità degli oggetti. Fernand Braudel <strong>al</strong>la fine degli<br />

anni Settanta del XX secolo invitava ad an<strong>al</strong>izzare «le strutture del quotidiano»<br />

presentando il proprio lavoro, dedicato ai secoli XV-XVIII, come «un lungo<br />

viaggio <strong>al</strong> di qua delle facilità e delle abitudini che la vita attu<strong>al</strong>e ci prodiga». Il<br />

2 Dicitura comunemente usata, <strong>al</strong>l’interno delle polizze d’estimo consultate, conservate sempre nelle<br />

buste dell’Archivio Congrega della Carità Apostolica, sezione Eredità, presso l’Archivio di Stato di Brescia,<br />

per la descrizione delle strutture delle unità abitative. Le espressioni fanno riferimento <strong>al</strong>la presenza<br />

di pareti in muratura, a quella di tetti rivestiti di tegole e a quella di tavolati, ossia di rivestimenti<br />

dei piani sui qu<strong>al</strong>i camminare, o forse, in quest’ultima ipotesi della costruzione di «cameraccia a tetto,<br />

ultimo piano della casa, senza <strong>al</strong>tro piano, che il tetto». Per le definizioni vedasi: Vocabolario Bresciano<br />

- Toscano compilato per facilitare a’ bresciani col mezzo della materna loro lingua il ritrovamento de’ vocaboli<br />

modi di dire e proverbi toscani a quelle corrispondenti in Brescia, Brescia 1759 (rist. anast., Brescia 1974). In<br />

particolare si rinvia <strong>al</strong>le voci «solér» e «cop dei tègg».


medesimo autore individuava attraverso la vita materi<strong>al</strong>e di quel periodo il «prolungamento<br />

di una società, di un’economia antiche, trasformatesi molto lentamente,<br />

impercettibilmente, che a poco a poco hanno creato <strong>al</strong> di sopra di loro<br />

(...) una società superiore di cui esse portano necessariamente il peso» 3 . Questo<br />

periodo dell’età moderna, come puntu<strong>al</strong>mente ha riferito in seguito Daniel<br />

Roche sempre in relazione <strong>al</strong> contesto europeo, si presta facilmente a un’indagine<br />

diretta <strong>al</strong>la riv<strong>al</strong>utazione degli oggetti e dei luoghi. Non che t<strong>al</strong>i secoli rappresentino<br />

«un campo di passaggio evidente <strong>d<strong>al</strong></strong>la sfera tradizion<strong>al</strong>e dello scambio e<br />

del dono a quella dell’invenzione del mercato e delle merci oggetto di consumo»,<br />

ma configurano un terreno in cui pur essendo scarsi gli oggetti «è possibile veder<br />

sorgere una prima moltiplicazione dei consumi (...), di una circolazione che non<br />

risulta unicamente fondata sulla separazione delle persone e degli oggetti, del<br />

simbolico e dell’economico» 4 .<br />

L’esposizione è articolata su due versanti: da un lato, quello della càneva, nel<br />

suo duplice significato di cantina e di bottega, come luogo di smercio del vino<br />

aperto <strong>al</strong> pubblico, e delle stanze destinate <strong>al</strong>la conservazione del vino e dei suoi<br />

derivati, e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro, quello della cucina e degli <strong>al</strong>tri loc<strong>al</strong>i, gener<strong>al</strong>mente indicati<br />

con il termine generico di «camere». I <strong>temi</strong> sopra individuati tendono tuttavia a<br />

intrecciarsi. La speci<strong>al</strong>izzazione progressiva degli spazi si percepisce, ma si tratta<br />

di un processo di trasformazione lento e gradu<strong>al</strong>e: spesso la càneva, nel senso di<br />

bottega e osteria, figura priva di un’entità distinta e autonoma e per <strong>al</strong>cune funzioni<br />

ancora dipendente <strong>d<strong>al</strong></strong>la cucina privata. La lettura degli inventari, integrata<br />

con lo studio delle polizze d’estimo, ha consentito di rilevare l’utilizzazione promiscua<br />

di <strong>al</strong>cuni ambienti. Par<strong>al</strong>lelamente si è però potuto osservare intorno a<br />

loc<strong>al</strong>i con duplice destinazione, privata e verso il pubblico, l’articolarsi di stanze,<br />

camere, dispense e fondaci aventi una definizione funzion<strong>al</strong>e maggiore.<br />

L’iter della ricerca si snoda attraverso le stanze, lungo un’esplorazione in<br />

senso vertic<strong>al</strong>e 5 degli spazi, <strong>d<strong>al</strong></strong> basso verso gli ordini superiori, e si sviluppa<br />

3 F. BRAUDEL, Civiltà materi<strong>al</strong>e e capit<strong>al</strong>ismo. Le strutture del quotidiano (secoli XV-XVIII), Torino 1982, p. XXI.<br />

4 D. ROCHE, Storia delle cose ban<strong>al</strong>i. La nascita del consumo in Occidente, Roma 1999, pp. 7 sgg.<br />

5 G. Bachelard sostiene che «la casa costituisca un essere privilegiato, a condizione, tuttavia, che essa<br />

venga considerata nella sua unità e insieme nella sua complessità, cercando di integrarne tutti i v<strong>al</strong>ori<br />

particolari in uno fondament<strong>al</strong>e». Lungo questo viaggio in cui «la casa ci fornirà, ad un tempo,<br />

immagini disperse ed un corpus di immagini», l’autore propone un criterio vertic<strong>al</strong>e attraverso il qu<strong>al</strong>e<br />

captare la poetica degli spazi, <strong>d<strong>al</strong></strong> basso verso l’<strong>al</strong>to, «<strong>d<strong>al</strong></strong>la cantina <strong>al</strong>la soffitta», in modo sistematico<br />

(G. BACHELARD, La poetica dello spazio, Bari 19995 , pp. 31-97).<br />

819


820<br />

mediante l’an<strong>al</strong>isi delle cose in esse contenute. In questa sede l’attenzione viene<br />

foc<strong>al</strong>izzata in modo particolare intorno ai recipienti per la conservazione delle<br />

bevande, per la mescita e per la degustazione dei vini. Il progressivo evolversi<br />

delle caratteristiche funzion<strong>al</strong>i delle suppellettili non risulta estraneo a quel fenomeno<br />

di lenta moltiplicazione delle cose di cui hanno scritto Fernand Braudel e<br />

Daniel Roche, del qu<strong>al</strong>e si è sopra riferito. La crescente funzion<strong>al</strong>ità degli oggetti,<br />

e in particolar modo di quelli legati <strong>al</strong>le «buone maniere a tavola» 6 , aderisce <strong>al</strong><br />

processo di civilisation che ha contribuito <strong>al</strong>la diffusione e <strong>al</strong>l’arricchimento di<br />

corredi e servizi per l’offerta e la consumazione di pietanze e bevande 7 .<br />

Cantine, càneve, fondaci e dispense<br />

Nella documentazione consultata e, in particolar modo, <strong>al</strong>l’interno degli inventari<br />

post mortem compilati mantenendo negli elenchi il riferimento <strong>al</strong>la collocazione<br />

dei beni, è frequente la menzione degli ambienti cantina, càneva, fondaco,<br />

dispensa e dispensino e di bottega. Le informazioni tratte <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti conducono<br />

a rilevare una percezione abbastanza distinta delle stanze menzionate rispetto ai<br />

rimanenti corpi delle abitazioni da parte dei fruitori degli spazi suddetti e dei<br />

redattori degli elenchi. La constatazione della consapevolezza di una diversificazione<br />

degli spazi interni fa pensare a una effettiva diversità funzion<strong>al</strong>e degli<br />

ambienti in questione rispetto <strong>al</strong>la destinazione di <strong>al</strong>tre camere presenti nelle<br />

6 BRAUDEL, Civiltà materi<strong>al</strong>e,p.XXII.<br />

7 La schedatura dei dati ricavati dagli inventari e <strong>d<strong>al</strong></strong>le polizze d’estimo è stata eseguita attraverso la<br />

rielaborazione, in un apposito data-base, delle macrocategorie (necessary, domestic life, civilisation, luxury)<br />

proposte da M. Baulant con il titolo di living standard index. L’indice è stato ripreso da C. Dessure<strong>al</strong>t e<br />

da J.A. Dickinson e da P. M<strong>al</strong>anima. Gli oggetti dei qu<strong>al</strong>i si tratta nel corso del presente contributo<br />

rientrano, secondo t<strong>al</strong>e modello, princip<strong>al</strong>mente nelle categorie del necessary e del domestic life, nel caso<br />

dei recipienti per la conservazione o per il trasporto di liquidi; del luxury e in modo particolare della<br />

civilisation qu<strong>al</strong>ora il riferimento sia ai coltelli, <strong>al</strong>le forchette e ai bicchieri, <strong>al</strong>le bevande stimolanti, agli<br />

oggetti di porcellana, argento e crist<strong>al</strong>lo. Si vedano <strong>al</strong> riguardo C. DESSUREALT, J.A.DICKINSON, T.<br />

WIEN, Living standards of Norman and Canadian peasants, 1690-1835, in Materi<strong>al</strong> culture: consumption, lifestyle,<br />

standard of living, 1500-1900. B4, Proceedings eleventh Internation<strong>al</strong> Economic History Congress,<br />

Milan, September 1994, Milano 1994, pp. 95-112; P. MALANIMA, Economia preindustri<strong>al</strong>e. Mille<br />

anni: <strong>d<strong>al</strong></strong> IX <strong>al</strong> XVIII secolo, Milano 1997, pp. 550-551. Per l’approfondimento dei <strong>temi</strong> legati <strong>al</strong>la civilisation<br />

si rinvia a J. REVEL, Gli «usi» delle buone maniere, O. RANUM, I rifugi dell’intimità, J.L. FLANDRIN,<br />

La distinzione attraverso il gusto, apparsi in La vita privata <strong>d<strong>al</strong></strong> Rinascimento <strong>al</strong>l’Illuminismo, a cura di P. Ariès,<br />

G. Duby, Roma-Bari 2001, rispettivamente pp. 125-160, 161-204, 205-240.


unità abitative. Se dunque da un lato, <strong>al</strong>la luce dell’an<strong>al</strong>isi degli oggetti presenti<br />

nelle varie sedi, viene confermata una sorta di soglia limite fra spazio aperto <strong>al</strong><br />

pubblico e spazio privato per l’intimità, di luoghi per il deposito e la conservazione<br />

a lunga scadenza e stanze per le attività domestiche, la consumazione<br />

minuta e la cucina, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro, attraverso gli stessi elementi, è possibile osservare<br />

come non sempre la distinzione, rilevata a livello form<strong>al</strong>e nelle documentazioni,<br />

corrisponda a una netta differenziazione degli stessi luoghi, per sede e per funzione.<br />

Il lento passaggio interessa soprattutto le botteghe degli osti e le loro cucine<br />

private, tra le qu<strong>al</strong>i permane una tendenza <strong>al</strong>la utilizzazione promiscua di suppellettili<br />

e <strong>al</strong>l’interscambio di funzioni.<br />

Maggiormente definita risulta invece l’assegnazione di una destinazione specifica<br />

agli ambienti fondaco, dispensa e dispensino. Con t<strong>al</strong>i espressioni si indicano<br />

luoghi per il deposito e la conservazione di prodotti <strong>al</strong>imentari. Nel primo<br />

caso, il termine fondaco viene inteso in funzione di magazzino per bottega, negli<br />

ultimi due, dispensa e dispensino indicano depositi di minori dimensioni, disposti<br />

gener<strong>al</strong>mente accanto <strong>al</strong>le cucine. Non è raro l’uso <strong>al</strong>ternato di fondaco<br />

/dispensa per indicare il magazzino di uno spaccio aperto <strong>al</strong> pubblico. Come si<br />

avrà modo di illustrare in seguito con l’ausilio di casi concreti, la destinazione di<br />

questi spazi a magazzino e a deposito di insaccati, formaggi, grani e soprattutto<br />

di olio, aceto e vino è confermata <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza negli elenchi rispettivi di botti,<br />

olle, vasi di una certa dimensione, contenitori scavati nella pietra per mantenere<br />

<strong>al</strong> fresco prodotti deteriorabili <strong>al</strong> c<strong>al</strong>ore e <strong>al</strong>la luce. La collocazione dei depositi<br />

pare sita, per quanto è possibile dedurre <strong>d<strong>al</strong></strong>l’accostamento di polizze e inventari,<br />

<strong>al</strong>lo stesso livello – si presume terreno – delle botteghe e delle cucine prese in<br />

considerazione. Difficilmente vengono fornite indicazioni intorno <strong>al</strong>la struttura<br />

e <strong>al</strong>le caratteristiche dei magazzini e delle dispense: raramente viene menzionata<br />

la vicinanza dei fondaci <strong>al</strong>la strada e risulta pressoché nullo il riferimento <strong>al</strong>la<br />

presenza e <strong>al</strong>l’ubicazione delle aperture. La situazione delle dispense, piccole o<br />

grandi, viene desunta indirettamente <strong>d<strong>al</strong></strong>la maggiore o minore distanza <strong>d<strong>al</strong></strong>le<br />

cucine o <strong>d<strong>al</strong></strong>le cantine cui spesso sono contigue.<br />

La difficoltà nell’individuare una funzione specifica degli ambienti emerge<br />

soprattutto in relazione ai termini cantina, càneva e bottega, qu<strong>al</strong>ora quest’ultima<br />

si riferisca <strong>al</strong>l’esercizio di un’osteria. Si è potuta constatare l’<strong>al</strong>ternanza dei<br />

termini cantina e càneva e, forse, l’uso dell’espressione càneva in sostituzione del<br />

termine bottega, nel senso di spaccio di vino, stanza per la degustazione del vino<br />

in osteria o presso una locanda. La necessità di un chiarimento permane anche<br />

821


822<br />

<strong>al</strong> margine di un’indagine sull’origine dei termini che, a loro volta, confermano<br />

l’ambiv<strong>al</strong>enza riscontrata negli inventari. Si è precedentemente accennato <strong>al</strong><br />

duplice significato dell’accezione càneva. Giuseppe Boerio, nel suo Dizionario di<br />

di<strong>al</strong>etto veneziano (1856), ricorda che dicesi càneva o canova «la stanza dove si tengono<br />

i vini», detta anche «cella o celliere» qu<strong>al</strong>ora ci si riferisca a una «stanza terrena<br />

dove si tiene il vino; cantina o volta» nel caso di «cella sotterranea» 8 . Ma lo stesso<br />

autore ricorda come con il termine càneva si possa indicare anche «il luogo<br />

dove si vende il vino» 9 . La distinzione tra càneva terranea e sotterranea, riportata<br />

nel dizionario di Boerio, pone in evidenza come la cantina, qu<strong>al</strong>e stanza in cui<br />

vengono conservati i vini, non sempre fosse un ambiente affossato, ma più frequentemente<br />

fosse posta <strong>al</strong>lo stesso livello della strada. Verrebbe spontaneo<br />

identificare la bottega, indicata nelle polizze e negli inventari come terranea, con<br />

quest’ultima destinazione, qu<strong>al</strong>ora l’ambiente cantina sia, secondo le indicazioni<br />

presenti nelle documentazioni, destinato <strong>al</strong>la conservazione dei vini e insieme<br />

<strong>al</strong>la funzione di spaccio degli stessi.<br />

Della duplice collocazione, terranea o affossata, delle cantine e dell’ambiv<strong>al</strong>enza<br />

del termine càneva tratta anche l’etnografo Paul Scheuermeier con esplicito<br />

riferimento <strong>al</strong>le costruzioni del panorama rur<strong>al</strong>e delle regioni it<strong>al</strong>iane 10 . L’autore<br />

ricorda che «la cantina è spesso uno spazio infossato, mezzo sotterraneo, fresco e<br />

buio, situato sotto la casa (...); può essere però anche un norm<strong>al</strong>e loc<strong>al</strong>e <strong>al</strong> pianterreno,<br />

come avviene nella pianura padana, dove i loc<strong>al</strong>i sotterranei sono sempre<br />

molto rari». A proposito delle cantine ticinesi e lombarde sotterranee, spesso scavate<br />

nella roccia, indicate con il termine di crotti, l’etnografo osserva che «il nome<br />

crotto designa anche lo spazio antistante la cantina, dove si offre il vino seduti a un<br />

tavolo di pietra <strong>al</strong>l’ombra di pergolati o sotto castagni frondosi», che «lo stesso<br />

nome è stato dato <strong>al</strong> piccolo commercio sorto sul posto» e che «anche i termini<br />

cantina, cànova, canva hanno assunto il significato di spaccio di vino».<br />

8 G. BOERIO, Dizionario del di<strong>al</strong>etto veneziano, Venezia 1856 (rist. anast., Firenze 1998), s.v., Càneva, p. 128.<br />

9 Ibidem.<br />

10 P. SCHEUERMEIER, Il lavoro dei contadini. Cultura materi<strong>al</strong>e e artigianato rur<strong>al</strong>e in It<strong>al</strong>ia e nella Svizzera it<strong>al</strong>iana<br />

e retoromanza, a cura di M. Dean, G. Pedrocco, I, Milano 1980, pp. 170-184 per i luoghi di conservazione<br />

del vino, in part. pp. 170-171; nel II volume l’autore si occupa, pp. 32-42, di recipienti per<br />

l’acqua e per il vino. La panoramica illustrata nei volumi è fondata su una casistica ris<strong>al</strong>ente prev<strong>al</strong>entemente<br />

<strong>al</strong>la fine del secolo XIX, non priva però di ampi riferimenti <strong>al</strong>l’evoluzione dei luoghi e<br />

degli oggetti a partire dai secoli precedenti.


La questione relativa <strong>al</strong>la duplice collocazione della cantina viene rilevata<br />

anche da Gabriele Archetti nell’ambito di una ricerca sulla storia delle vigne e del<br />

vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e 11 . L’autore, sulla scorta di indagini archeologiche e<br />

documentarie e ricorrendo agli scritti di Luisa Chiappa Mauri sulla tipologia dell’edilizia<br />

rur<strong>al</strong>e nel lodigiano, ricorda che «norm<strong>al</strong>mente la cantina non era interrata<br />

sia per motivi di natura economica (...) sia per i problemi legati <strong>al</strong>l’impermeabilizzazione»<br />

e che «la caneva era invece re<strong>al</strong>izzata a livello del terreno». Il<br />

medesimo studioso, con un riferimento <strong>al</strong> contesto urbano, particolarmente<br />

interessante in t<strong>al</strong>e sede, scrive che «se dunque la canipa appare come struttura<br />

gener<strong>al</strong>mente non interrata, questo non significa certo che non esistessero cantine<br />

sotterranee rispetto <strong>al</strong> livello di superficie, soprattutto dove la complessità<br />

della struttura abitativa rimandava ad un edificio articolato e multifunzion<strong>al</strong>e,<br />

come nel caso di un grande cenobio o di un’importante azienda agricola; oppure<br />

<strong>al</strong>l’interno del tessuto urbano e dei centri densamente popolati, dove lo spazio<br />

era sempre più esiguo e la possibilità di sfruttare le potenzi<strong>al</strong>ità edilizie verso<br />

l’<strong>al</strong>to o verso il basso era l’unico modo per aumentare le superfici abitabili» 12 .<br />

Lo stesso autore rileva inoltre come questo tema sia «solitamente trascurato<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti scritte e di conseguenza anche dagli storici, che, se da una parte hanno<br />

dedicato molte energie <strong>al</strong>lo studio della coltivazione della vite e <strong>al</strong>la produzione<br />

del vino, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tra, hanno tr<strong>al</strong>asciato gli aspetti materi<strong>al</strong>i riguardanti le<br />

strutture relative <strong>al</strong> luogo o agli ambienti della conservazione vinicola» 13 . Un per-<br />

11 G. ARCHETTI, Tempus vindemie. Per la storia delle vigne e del vino nell’Europa mediev<strong>al</strong>e, Brescia 1998<br />

(<strong>Fonti</strong> e studi di storia bresciana. Fondamenta, 4), pp. 389-433.<br />

12 Il medesimo autore commenta in proposito un passo di C. Bonardi estendendo la problematica fino<br />

<strong>al</strong> termine del XVI secolo: «<strong>al</strong>la fine del ’500 – come è stato giustamente notato – le cantine delle abitazioni<br />

povere non erano affatto delle strutture speci<strong>al</strong>i destinate esclusivamente <strong>al</strong>la conservazione<br />

del vino, ma erano loc<strong>al</strong>i spesso interscambiabili nell’uso quotidiano con gli <strong>al</strong>tri ambienti della casa» 12 .<br />

L’interscambiabilità di funzioni fra questi ambienti fa supporre che anche le cantine di cui tratta la<br />

Bonardi siano poste <strong>al</strong>lo stesso livello delle <strong>al</strong>tre stanze, presumibilmente a pian terreno, e non affossate.<br />

Sempre Archetti nota come «novità rilevanti si ebbero invece nelle abitazioni aristocratiche, dove<br />

l’adattamento di appositi spazi per l’invecchiamento e la cura del vino si accompagnò a soluzioni<br />

architettoniche del tutto coerenti con l’idea odierna di cantina (…) a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la fine del medioevo»<br />

(G. ARCHETTI, Là dove il vin si conserva e ripone. Note sulla struttura delle cantine mediev<strong>al</strong>i lombarde,in Le storie<br />

e la memoria. In onore di Arnold Esch, a cura di R. Delle Donne, A. Zorzi, Firenze 2002, pp. 109-131).<br />

13 ARCHETTI, Là dove il vin si conserva e ripone, p. 111. L’autore prosegue notando che nella documentazione<br />

della Lombardia orient<strong>al</strong>e «i termini usati per indicare la cantina, intesa come luogo per la<br />

custodia e la lavorazione del vino, sono essenzi<strong>al</strong>mente due: quello di caneva a vino o canipa e, con un<br />

823


824<br />

corso attraverso il qu<strong>al</strong>e diviene possibile capire come effettivamente venissero<br />

utilizzati gli ambienti càneva, bottega, cosina e dispensa e qu<strong>al</strong>i fossero le relazioni di<br />

interscambiabilità degli spazi domestici è dato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’an<strong>al</strong>isi della tipologia dei beni<br />

presenti nei medesimi luoghi 14 .<br />

La presenza in una càneva, in cui fossero segn<strong>al</strong>ati oltre ad <strong>al</strong>cuni recipienti<br />

contenitori per la conservazione dei vini, anche di vasellame per la degustazione<br />

delle bevande, di banconi, di tavoli e di sgabelli può far pensare a una cantina<br />

avente ulteriore funzione di spaccio. In t<strong>al</strong> senso gli inventari post mortem,<br />

soprattutto se presentano una suddivisione degli elenchi in base <strong>al</strong>la collocazione<br />

degli oggetti, possono essere adottati qu<strong>al</strong>e utile strumento di indagine. La<br />

ricerca <strong>d<strong>al</strong></strong>la qu<strong>al</strong>e sono state ricavate le informazioni riportate in seguito rientra<br />

in uno studio ancora in corso. Risulta dunque complesso e azzardato, data la<br />

natura frammentaria del lavoro, fornire in t<strong>al</strong>e sede una riflessione conclusiva.<br />

Pare invece opportuno il riferimento ad <strong>al</strong>cuni casi, <strong>d<strong>al</strong></strong>la cui an<strong>al</strong>isi può essere<br />

ricavata una parzi<strong>al</strong>e risposta o una conferma relativa ai dubbi e <strong>al</strong>le incertezze<br />

interpretative di cui sopra.<br />

La famiglia Landi: gestione di una locanda e loc<strong>al</strong>i interscambiabili<br />

Intorno <strong>al</strong>la seconda metà del XVIII secolo <strong>al</strong>cuni membri della famiglia Landi,<br />

originari probabilmente di Pr<strong>al</strong>boino, loc<strong>al</strong>ità presso la qu<strong>al</strong>e esercitavano il<br />

mestiere di fornai, si trasferivano nella terra di Ospit<strong>al</strong>etto con la prospettiva<br />

uso sporadico semanticamente assai dilatato, quello di domus». «Non compare invece il vocabolo classico<br />

di cella vinaria - cellarium presente invece in ambito milanese, mentre raramente si trova l’espressione<br />

casina sive canipa e l’uso del termine camera o, con più precisione, camera de vino» (Ibidem, p. 112).<br />

Nel passo successivo Archetti sottolinea come nelle carte t<strong>al</strong>volta «si trovano nettamente distinti gli<br />

ambienti della casa (domus) da quelli della cantina (caneva) a conferma del fatto che le due parole, per<br />

quanto usate come sinonimi, hanno in re<strong>al</strong>tà una propria v<strong>al</strong>enza e non sono del tutto assimilabili,<br />

né sempre interscambiabili». L’autore infine aggiunge che «fino <strong>al</strong> termine del medioevo il significato<br />

di caneva non si esaurisce con quello di cantina nel senso stretto, ma può indicare anche il magazzino<br />

domestico o la dispensa <strong>al</strong>imentare, il ripostiglio per il ricovero degli attrezzi, un loc<strong>al</strong>e rustico<br />

e persino la stessa abitazione contadina» (Ibid., p. 112).<br />

14 Bisogna rilevare come negli inventari consultati si sia potuta osservare una prev<strong>al</strong>ente assenza di<br />

indicazioni intorno <strong>al</strong>la collocazione, a pian terreno o scavata, delle cantine; una sporadica presenza,<br />

invece, di note – «supra» o «sutto» –, relative <strong>al</strong> sito delle cucine.


concreta di gestire «un’ostaria» 15 . Puntu<strong>al</strong>i informazioni intorno <strong>al</strong>l’organizzazione<br />

dell’osteria si ricavano <strong>d<strong>al</strong></strong>la lettura di un inventario, datato 1664, «delli beni<br />

stabili mobili crediti et debiti». Il documento non pare redatto in occasione della<br />

formazione di un’eredità, non riporta la firma di un notaio e non compare<br />

nessun riferimento <strong>al</strong>la morte di un familiare. Lo scritto si presenta piuttosto<br />

simile a una polizza d’estimo, vista l’inclusione nell’elenco della descrizione dei<br />

beni stabili e dell’ammontare dei crediti e degli aggravi. L’inventario pare addirittura<br />

compilato <strong>d<strong>al</strong></strong>lo stesso gestore della locanda. La supposizione deriva <strong>d<strong>al</strong></strong>la<br />

mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità seguita per la v<strong>al</strong>utazione dei debiti e dei crediti, assai simile a quella<br />

ricorrente nei libri di partite o nei libri giorn<strong>al</strong>i, <strong>al</strong>l’interno dei qu<strong>al</strong>i i commercianti<br />

erano soliti annotare le proprie entrate e uscite, e <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza di <strong>al</strong>cune<br />

note di carattere strettamente person<strong>al</strong>e. L’elenco è inoltre completo della menzione<br />

dei beni mobili, stimati e inscritti secondo la divisione per stanze.<br />

Nell’inventario si fa riferimento <strong>al</strong>la presenza di una «cosina», di una «camera di<br />

sopra della cosina», di una «camera situata nei pressi di una porta et caneva», di una<br />

«caneva», di «una camaretta fra mezzo la caneva et st<strong>al</strong>la», di una «st<strong>al</strong>la» e di <strong>al</strong>tre<br />

cinque «camare». D<strong>al</strong>l’an<strong>al</strong>isi del documento emerge una distinzione abbastanza<br />

netta tra ambito strettamente privato e spazio destinato <strong>al</strong>l’ospit<strong>al</strong>ità di forestieri per<br />

quanto riguarda gli ambienti indicati con il termine di camera/camara. Se la «camera<br />

di sopra della cosina» sembra riservata ai gestori della locanda, data la presenza<br />

di «una lettera con letto lenzoli coperta tutto fornito», quindi di un letto stabile e<br />

non da campo, e di biancheria, «lenzoli di diverse sorti (...), tovaglioli diversi (...),<br />

tovaglie diverse (...), pandamani diversi (...), sachi da biava» per la gestione delle attività,<br />

oltre che di «panni o drappi per uso et portar» della moglie e della figlia del<br />

gestore, le <strong>al</strong>tre cinque camere paiono destinate anche <strong>al</strong>la specifica funzione di<br />

ospitare. In queste ultime stanze non vengono rilevati oggetti strettamente person<strong>al</strong>i<br />

e si registra una certa frequenza di letti da campo, di cav<strong>al</strong>letti e assi da letto da<br />

comporre. Accanto <strong>al</strong>la quarta e <strong>al</strong>la quinta camera, nelle qu<strong>al</strong>i rispettivamente si<br />

trovano «cav<strong>al</strong>etti para n° 4 con quattro letti forniti (...), una tavola e un quadro con<br />

sue banche, scagni n° 4» e «quattro para de cav<strong>al</strong>etti con trei letti solamente forniti<br />

(...), tavole n° una con sue banchette et doi scagni» 16 , si riscontra la presenza di <strong>al</strong>tri<br />

15 Archivio di Stato di Brescia (= ASBs), Archivio Congrega della Carità Apostolica (= AC), sezione<br />

Eredità, Landi, busta 122, inventari datati 1664, 1670.<br />

16 Per cav<strong>al</strong>letti s’indende la struttura portante del letto, per letto il giaciglio di piuma o di lana e con<br />

l’attributo fornito si vuole indicare che il letto è già predisposto. Con il termine quadro si vuole indicare<br />

un tavolo <strong>d<strong>al</strong></strong>la struttura piuttosto semplice ed elementare.<br />

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826<br />

tre loc<strong>al</strong>i, destinati <strong>al</strong>meno in parte agli ospiti, i qu<strong>al</strong>i presentano un arredo, più o<br />

meno curato a seconda dei casi, prev<strong>al</strong>entemente funzion<strong>al</strong>e <strong>al</strong> sonno e <strong>al</strong> riposo 17 .<br />

L’ipotesi che l’inventario si riferisca a uno stabile nel qu<strong>al</strong>e veniva gestita<br />

un’osteria adibita anche a locanda viene suffragata, oltre che <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza di<br />

cav<strong>al</strong>letti e «lettere» nelle camere e di banchi, scagni e stramazzi 18 , <strong>d<strong>al</strong></strong>la collocazione<br />

di tavole di foresteria 19 sia in una stanza vicina <strong>al</strong>la càneva sia sotto il portico,<br />

probabilmente antistante la stessa. La cucina, il loc<strong>al</strong>e vicino <strong>al</strong>la porta, indicato<br />

con il termine «camera», e la caneva sembrano disposte sullo stesso livello,<br />

terreno: il medesimo della st<strong>al</strong>la. Gli oggetti e gli strumenti disposti <strong>al</strong>l’interno di<br />

queste ultime stanze terrene fanno pensare a una serie di attività collegate fra<br />

loro e fin<strong>al</strong>izzate <strong>al</strong>l’esercizio della locanda e dell’osteria.<br />

Nella cucina si ritrovano, accanto a strumenti e oggetti per la gestione del<br />

camino e a una varietà di «candelieri d’ottone di ferro et lame d’az<strong>al</strong>e» per illuminare<br />

le stanze, un servizio di «peltro pesi 52» del v<strong>al</strong>ore di «lire picole n° 150»,<br />

forse arricchito <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza di <strong>al</strong>cuni bocc<strong>al</strong>i, qu<strong>al</strong>che coppa oppure <strong>al</strong>cune<br />

caraffe per agevolare la mescita e la degustazione delle bevande, «bottazzi di latta<br />

et bozzole» 20 , «doi centenari di pietra, un piccolo et l’<strong>al</strong>tro grandino» 21 , «credenze<br />

doi et trei scantie (...) et un cassone della biava con una moiolera et scantia»<br />

22 , «un sedelino d’ottone con una bacina et boc<strong>al</strong>e d’ottone» 23 . Nella camera<br />

17 Nella prima camera <strong>al</strong> piano superiore, per esempio, «si retrova letti doi forniti con suoi cav<strong>al</strong>letti o lettera<br />

(...), quadri n° doi uno di noce l’<strong>al</strong>tro di <strong>al</strong>bera, cadreghe n° 2 et scagni n° 4, una scagna di curame».<br />

18 V<strong>al</strong>e a dire, materassi di pezze, stracci e stoffe.<br />

19 Ossia di banchi presso i qu<strong>al</strong>i fare accomodare per la consumazione dei pasti, ed eventu<strong>al</strong>mente<br />

sdraiare, i forestieri.<br />

20 La bottazza era un barile, una bariletta, v<strong>al</strong>e a dire «un arnaso a doghe di sufficiente grandezza, per<br />

tenervi il vino». Le bozzole erano probabilmente delle bottiglie per contenere liquido, da bozza, misura<br />

di liquidi e di vino.Vedasi BOERIO,s.v.,Bottazza e Bozza,in Dizionario del di<strong>al</strong>etto veneziano,p.94.<br />

21 I centenari erano contenitori scavati nella pietra. Le pareti dei contenitori spesse e resistenti <strong>al</strong>le temperature<br />

esterne servivano per il mantenimento <strong>al</strong> fresco di insaccati, formaggi e anche di bevande<br />

sensibili sia <strong>al</strong> c<strong>al</strong>ore sia <strong>al</strong> deterioramento provocato <strong>d<strong>al</strong></strong>la luce.<br />

22 Si può dunque osservare la disposizione di scaff<strong>al</strong>i e di mensole o ripiani, di scolatoi, particolarmente<br />

utili per riporre le stoviglie e il vasellame. Tra questi mobili particolarmente funzion<strong>al</strong>i viene<br />

ricordata la moiolera, un mobiletto con una serie di ripiani, gener<strong>al</strong>mente appeso <strong>al</strong> muro, sopra il qu<strong>al</strong>e<br />

sistemare stoviglie e vasellame di maiolica.<br />

23 Bacina sta probabilmente per catino, bacinella, mentre boc<strong>al</strong>e sta per bocc<strong>al</strong>e, ossia «vaso per bere o<br />

rinfrescare il vino», vedasi L. GRASSI, M.PEPE, G.SESTIERI, Dizionario di antiquariato. Dizionario storico-critico<br />

di Arte e Antiquariato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’antichità <strong>al</strong>l’inizio del Novecento, Milano 1992, 1264 pagine, 4000 voci,<br />

2000 illustrazioni e disegni in nero, 16 tavole a colori, p. 180, ad vocem bocc<strong>al</strong>e.


«vicino <strong>al</strong>la porta et caneva si retrova un stramazzo (...) fornito con suoi cav<strong>al</strong>etti<br />

lenzoli et coperta» insieme <strong>al</strong>le «tavole di foresteria (...), comprese quelle sotto<br />

il portico et doi banc<strong>al</strong>i con sue banche» di cui si è già trattato sopra. All’interno<br />

della «caneva si retrova varelli trei et uno piccolo per il lardo (...), una zerla et una<br />

lora (...), vino diverso zerle n° 2 » 24 .<br />

Al medesimo esercizio si riferisce con ogni probabilità l’inventario «delli<br />

mobili retrovati nel l’ostaria» dovuti a Mad<strong>d<strong>al</strong></strong>ena Piccioli, vedova di Carlo Lando.<br />

Nell’inventario, ris<strong>al</strong>ente <strong>al</strong> 1670 e privo di una divisione degli elenchi a<br />

seconda della collocazione dei mobili, è possibile rintracciare una serie di oggetti<br />

inerenti il consumo e l’offerta di vino. Si ricorda <strong>al</strong> riguardo la presenza nell’elenco<br />

di «diversi pezzi di terra che servano per la cusina (...), oli di terra et fiaschi<br />

n° cinque, boc<strong>al</strong>i diversi di vetro (...), tasi et scudele n° sei (...), peltro diverso<br />

pezzi n° trentadoi (...), varelli diversi parte cerchiati di fero et uno di legno n° sei<br />

compreso un carero (...), due barilette una cerchiata di fero et l’<strong>al</strong>tra no (...), libri<br />

del hostaria con diverse partite (...), vino zerle n° otto». D<strong>al</strong>le voci riportate è<br />

possibile notare la presenza di contenitori in legno rinforzati anche con elementi<br />

in ferro, abbinamento di materi<strong>al</strong>i (legno + met<strong>al</strong>lo) che si riscontra con maggior<br />

frequenza a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> secolo successivo, e una quantità abbastanza significativa<br />

e varia di pezzi in peltro, in terra e anche in vetro. L’accostamento di bocc<strong>al</strong>i<br />

in vetro a scodelle e tazze risulta significativo anche <strong>al</strong>la luce di un passo di<br />

24 Il termine varello probabilmente indica un vaso contenitore per la conservazione di grassi, come<br />

nell’esempio sopra riportato, e forse anche di liquidi qu<strong>al</strong>ora il recipiente fosse di una certa capacità.<br />

La parola potrebbe derivare da <strong>al</strong>barello o da vezzolo, vezzello, v<strong>al</strong>e a dire piccola veza, vesa, veggia,<br />

ossia botte. Si suppone che il recipiente potesse essere re<strong>al</strong>izzato sia in terracotta sia in legno oppure<br />

in met<strong>al</strong>lo. Il contenitore indicato con il termine zerla poteva essere sia la cesta gerla /gerlo da portare<br />

sulle sp<strong>al</strong>le piena di grappoli durante la vendemmia per trasportare nei tini l’uva raccolta, sia il<br />

contenitore, una damigiana, nel qu<strong>al</strong>e veniva conservato il vino ottenuto <strong>d<strong>al</strong></strong>la pigiatura di una quantità<br />

di grappoli t<strong>al</strong>i da riempire una gerla. Per zerla si intende inoltre l’unità di misura della capacità<br />

equiv<strong>al</strong>ente <strong>al</strong> vino ricavato <strong>d<strong>al</strong></strong>la pigiatura della quantità di uva di cui veniva riempita la gerla. La zerla<br />

o gerla bresciana, unità di misura dei liquidi, corrisponde a litri 49,742700. La zerla si suddivide in<br />

4 secchie, la secchia in 9 pinte, la pinta in 2 bocc<strong>al</strong>i, il bocc<strong>al</strong>e in 2 mezzi, il mezzo in 2 tazze. Si vedano,<br />

rispettivamente <strong>al</strong>le voci «comuni del territorio bresciano» e «Brescia», le tabelle relative ai ragguagli<br />

delle unità di misura dei liquidi in: Tavole dei ragguagli dei pesi e delle misure già in uso nelle varie provincie<br />

del regno col sistema metrico decim<strong>al</strong>e approvate con Decreto Re<strong>al</strong>e 20 maggio 1877 n. 3836, Roma 1877;<br />

A. MARTINI, Manu<strong>al</strong>e di metrologia, ossia misure, pesi e monete in uso attu<strong>al</strong>mente presso tutti i popoli, Roma<br />

1976. Per lora «pevera o imbottatolo, dicesi lo strumento di legno fatto a guisa di conca per uso d’imbottare<br />

vino, olio, acqua etc.» (BOERIO,s.v.,Lora,in Dizionario del di<strong>al</strong>etto veneziano, p. 375; utile anche<br />

ARCHETTI, Tempus vindemie, pp. 389 sgg.).<br />

827


828<br />

Braudel relativo <strong>al</strong>l’apparecchiare la tavola 25 . L’autore ricorda come «una tavola<br />

apparecchiata a modo nostro, il modo di comportarvisi sono tutti particolari che<br />

l’uso ha imposto lentamente, ad uno ad uno e in modo diverso, a seconda delle<br />

regioni». «Cucchiaio e coltello sono consuetudini piuttosto vecchie» anche se l’uso<br />

del cucchiaio e l’abitudine di fornire coltelli non si sono gener<strong>al</strong>izzati prima<br />

del Cinquecento. «Lo stesso v<strong>al</strong>e per l’abitudine di dare ad ognuno il proprio bicchiere<br />

e di porglielo davanti» 26 . Nel caso del citato inventario del 1670 è opportuno<br />

evidenziare come l’accostamento di tazze, scodelle e bocc<strong>al</strong>i in vetro segni<br />

un momento di gradu<strong>al</strong>e passaggio <strong>d<strong>al</strong></strong>la degustazione originaria in scodelle, solitamente<br />

di terra, dei vini a quella in bocc<strong>al</strong>i re<strong>al</strong>izzati in met<strong>al</strong>lo o in bicchieri di<br />

vetro. L’ambiente dell’osteria è arricchito con la disposizione nella stanza di credenzoni,<br />

scansie, quadri, ossia tavole, di noce e di paghera 27 , lumi e candelieri e<br />

di utensili per il fuoco in ferro e ottone.<br />

Botteghe di vino e cantine in città: gli osti Pederdò e Razzella<br />

Gli <strong>al</strong>tri casi che si vogliono presentare sono relativi a due osti che vivevano a<br />

Brescia tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XVIII e probabilmente svolgevano<br />

la propria attività, nelle adiacenze dell’abitazione. La documentazione più<br />

antica riguarda l’oste Melchior/Marchion Pederdò 28 . Questi, «originario della<br />

terra di Collio di V<strong>al</strong> Trompia», nel 1665 dichiarava in una polizza di tenere<br />

«mercantia di vino et <strong>al</strong>tre bevande per la suma di lire picole 500». Dieci anni più<br />

tardi lo stesso Pederdò compilava il proprio testamento, esprimendo la volontà<br />

di lasciare la moglie Mad<strong>d<strong>al</strong></strong>ena usufruttuaria della casa, sita «in questa Città in<br />

Contrada di Arco del vino sive Cav<strong>al</strong>lerizza», in cui la loro vita in comune era trascorsa.<br />

Ris<strong>al</strong>e invece <strong>al</strong> 1680 l’inventario «di tutti li mobili ritrovati nella casa» del<br />

medesimo, in Brescia, sempre presso la Contrada di Arco del vino. Gli elenchi<br />

25 BRAUDEL, Civiltà materi<strong>al</strong>e, pp. 179-181.<br />

26 Ibidem. L’autore aggiunge di seguito: «L’antica creanza voleva che ognuno vuotasse completamente<br />

il proprio [bicchiere] prima di passarlo <strong>al</strong> vicino, che faceva <strong>al</strong>trettanto. Oppure, dietro richiesta, il<br />

servitore recava <strong>d<strong>al</strong></strong>la dispensa o <strong>d<strong>al</strong></strong>la credenza vicina <strong>al</strong>la tavola dei convitati la bevanda che si desiderava,<br />

vino o acqua».<br />

27 Ossia di legno di abete.<br />

28 ASBs, AC, sez. Eredità, Pederdò, b. 233, polizza d’estimo 1665, testamento 1675, inventario post<br />

mortem 1680.


sono suddivisi in base <strong>al</strong>la disposizione degli oggetti nei loc<strong>al</strong>i. L’abitazione si<br />

sviluppava in più ordini e le stanze collocate ai piani superiori dovevano essere<br />

caratterizzate da un arredo raffinato. Manca uno specifico riferimento <strong>al</strong> luogo<br />

presso il qu<strong>al</strong>e l’oste praticava la propria attività. L’ubicazione della casa nei pressi<br />

di Contrada di Arco del vino e la menzione nell’inventario di una càneva, probabilmente<br />

collocata <strong>al</strong> pian terreno – come si deduce <strong>d<strong>al</strong></strong>la descrizione della<br />

disposizione delle <strong>al</strong>tre camere e della posizione delle sc<strong>al</strong>e e di una «stanza vicino<br />

<strong>al</strong>la strada» – possono far pensare che Pederdò avesse mantenuto in t<strong>al</strong> luogo<br />

l’esercizio dell’osteria.<br />

Nell’elenco, oltre a una serie di camere superiori, si fa riferimento a una<br />

«caminatella terranea», a una «camera sopra la caminatella», a un «mezzano», a<br />

una «stanza vicino <strong>al</strong>la strada» e a una «caneva». Nel primo di questi loc<strong>al</strong>i vengono<br />

rilevati una «sottocopa» in vetro, diversi «pezzi» sempre in vetro, posti in<br />

un armadio, «tre <strong>al</strong>barelli di terra (...) un vaso di maiolica» nonché «un quadro di<br />

noce con sopra un tapiedo rotto (...) una moiolera in noce (...) una credenza in<br />

noce con sua scancia». Nella «camera» collocata sopra la precedente si registra la<br />

presenza di ben settantanove pezzi in peltro, di «diverso peltro e rame», di dieci<br />

«cuchiari» e <strong>al</strong>trettanti coltelli e di sette «pironi» 29 . All’interno del mezzano vengono<br />

invece menzionati un sedello, ossia un secchiello, di ferro, un raminetto, v<strong>al</strong>e<br />

a dire un contenitore per liquidi, pure di ferro e una soiolina, cioè una piccola<br />

tinozza, cerchiata in ferro; tra i mobili d’arredo «un quadro di paghera, un quadrettino<br />

di legno piccolo, una canevetta 30 in bulgaro coperta e grande, una cassetta<br />

di paghera con dentro duoi lavezzi», ossia due catini. Mentre nella stanza<br />

vicina <strong>al</strong>la strada e, probabilmente adiacente la caneva, viene rammentata la presenza<br />

di un fiasco di terra verde, di un quadrettino, cioè di un tavolinetto, di una<br />

cassetta di paghera, di una banca, v<strong>al</strong>e a dire una panca, forse con coperchio.<br />

Nella caneva si ritrovano «tredici vaselli tra grandi et piccoli in <strong>al</strong>cuni dei qu<strong>al</strong>i vi<br />

è dentro vino bianco et nero et uno dell’aceto, due ole grandi, un pestone 31 di<br />

vetro grande, una bossa di vetro grande, una lora, uno sc<strong>al</strong>etto di legno, con-<br />

29 Forchette.<br />

30 Piccole cantinette, recipienti, come si spiegherà più diffusamente nei passi successivi, che servivano<br />

per la conservazione <strong>al</strong> fresco e/o <strong>al</strong> riparo <strong>d<strong>al</strong></strong>la luce di bottiglie e fiaschi, soprattutto se di vetro.<br />

31 V<strong>al</strong>e a dire un fiasco. Si veda BOERIO, s.v.,Piston, inDizionario del di<strong>al</strong>etto veneziano, p. 313. L’autore<br />

riferisce del «piston da vin, Fiascone e Fiasco. Vaso grande ritondo di vetro, col collo ma senza piede».<br />

Nella stessa pagina <strong>al</strong>la voce pistoncin: «Fiaschetto o Fiaschettino».<br />

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chietti 32 n° vinti, un cistello con dentro due <strong>al</strong>tre bozze, due tinelli 33 di legno cerchiati<br />

di ferro (...), un bariletto». Intorno non vi sono che una banca un paio di<br />

cassette.<br />

Il secondo esempio riguarda l’oste Giovanni Razzella, figlio di Tommaso.<br />

Questi nel 1697 acquistava da un t<strong>al</strong>e Andrea Paderno «una bottega et camera»,<br />

ossia una «bottega terranea» e «una camera sopra essa bottega», sita nei pressi<br />

della «Piazzoletta (…) di Porta Brusata» 34 .<br />

L’inventario dell’eredità dell’oste ris<strong>al</strong>e <strong>al</strong> 1726 ed è diviso per stanze 35 . Nell’elenco<br />

vengono annotati una cucina con secchiaro 36 , una camera, una camera<br />

sopra, una «prima cantina» e una «<strong>al</strong>tra cantena o sia stanzetto». Presso la cucina,<br />

l’acquaio e le cantine si riscontra la presenza di numerosi recipienti aventi<br />

funzione di conservazione delle bevande e di offerta e presentazione delle stesse<br />

anche in tavola. Già nel testamento redatto nell’anno 1696 <strong>d<strong>al</strong></strong> notaio Antonio<br />

Monticelli, per ordine dello stesso Giovanni Razzella, <strong>al</strong>lora «sano di corpo,<br />

mente sensi et intelletto», l’oste rammentava «tra le cose bisognevoli» da lasciare<br />

<strong>al</strong>la moglie Francesca «boc<strong>al</strong>i due et due pistoni, fiaschi ole» 37 . Ritornando <strong>al</strong>l’inventario<br />

dell’eredità ris<strong>al</strong>ente <strong>al</strong> 1726 è possibile osservare come <strong>al</strong>l’interno del<br />

documento non si faccia riferimento né a una stanza chiamata bottega, né a un<br />

ambiente con il nome di càneva. Si fa piuttosto menzione di una cantina e di una<br />

cucina e non si hanno elementi concreti dai qu<strong>al</strong>i desumere se l’oste esercitasse<br />

nei loc<strong>al</strong>i dell’abitazione il proprio mestiere o gestisse <strong>al</strong>trove la propria attività.<br />

Si può tuttavia constatare la presenza in cantina di «nove barili», tre dei qu<strong>al</strong>i<br />

in legno, «un barilotto» e «due mastelli»; in cucina di «una ola di terra per l’oglio»,<br />

di «un vezzolo con cercoli in ferro di tre zerle» di capacità, di un «vezzolino con<br />

tre cercoli in ferro», di «diverso peltro» pari a quattro libbre in peso, di vari secchielli<br />

in rame, di «una bacinetta in rame per li boc<strong>al</strong>i», di «una lora per il vino».<br />

32 Per conchietto vedasi BOERIO,s.v.,Conchèta,inDizionario del di<strong>al</strong>etto veneziano, p. 186: «Specie di truogolo,<br />

che si mette sotto la cannella della botte per raccogliere il vino che sgocciola quando si versa. Questo<br />

vino svapora moltissimo e diventa cattivo; laonde si suol chiamare vin de concheta il Vino peggiore».<br />

33 Tinello sta per «tinela o tinèta (...) tinozza, vaso ad uso di porre sotto il tino, per raccogliere il vino<br />

e portarlo nelle botti»; vedasi BOERIO,s.v.,Tinela,inIbid., p. 749.<br />

34 ASBs, AC, sezione Eredità, Razzella, b. 283, compera 6 maggio 1697.<br />

35 ASBs, AC, sezione Eredità, Razzella, b. 283, inventario dell’eredità 1726.<br />

36 Acquaio.<br />

37 ASBs, AC, sezione Eredità, Razzella, b. 284, testamento 7 luglio 1696.


Cucine e secchiai<br />

Nelle pagine precedenti si è più volte accennato <strong>al</strong>la presenza delle cucine e <strong>al</strong>la<br />

funzione ausiliaria che t<strong>al</strong>i ambienti svolgevano, soprattutto nelle osterie e nelle<br />

locande, non solo come luoghi di supporto per le attività interne <strong>al</strong>la famiglia e<br />

rientranti nella sfera privata delle relazioni, ma anche per quelle volte a ricevere<br />

e ospitare un pubblico esterno. L’an<strong>al</strong>isi degli inventari delle famiglie prese in<br />

considerazione, non necessariamente coinvolte nello spaccio di vino <strong>al</strong> minuto o<br />

nella gestione di una locanda, ha permesso di osservare, per quanto riguarda i<br />

ceti medio/<strong>al</strong>ti, una lenta, ma progressiva, speci<strong>al</strong>izzazione delle cucine <strong>al</strong>l’interno<br />

delle case. Il fenomeno risulta in t<strong>al</strong>e contesto favorito e stimolato <strong>d<strong>al</strong></strong>la gradu<strong>al</strong>e<br />

espansione dell’unità abitativa. La cucina, dapprima unica stanza munita di<br />

focolare, utilizzata, di giorno, per lo svolgimento delle attività domestiche, e di<br />

notte, anche per il sonno, viene progressivamente circondata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’emergere di<br />

<strong>al</strong>tre «camare» o «stanze». Si incomincia dunque a percepire una specie di soglia<br />

divisoria tra questo centro delle attività comuni, e luogo della preparazione e del<br />

consumo delle pietanze, dagli <strong>al</strong>tri ambienti, appositamente re<strong>al</strong>izzati per il riposo<br />

notturno e l’intimità o per le chiacchiere e le relazioni soci<strong>al</strong>i esterne.<br />

Nelle cucine delle famiglie considerate, in modo particolare a partire <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

XVIII secolo, difficilmente viene registrata negli inventari la presenza di<br />

pagliazzi e di stramazzi 38 , ma piuttosto viene indicata l’inst<strong>al</strong>lazione – accanto<br />

<strong>al</strong>le già più comuni cassapanche, banche, tavole in legno di <strong>al</strong>bera o di paghera<br />

– di scansie, piccoli scaff<strong>al</strong>i, credenze, moiolere e vestari 39 , predisposti per le<br />

stoviglie, il vasellame, per le guantiere e i cabaret e inoltre per la biancheria da<br />

tavola e da cucina. L’ambiente della cucina diviene soprattutto luogo per cucinare,<br />

per conservare piccole quantità di cibi e di liquidi 40 , per lavare le stoviglie<br />

e riporre i servizi da portare in tavola. Rimane tuttavia una stanza piuttosto<br />

modesta: lo sfoggio di corredi in vetro pregiato, in crist<strong>al</strong>lo o in met<strong>al</strong>li di un<br />

certo v<strong>al</strong>ore viene riservato <strong>al</strong>le <strong>al</strong>tre camere, aventi funzione di s<strong>al</strong>otto, studio-<br />

38 Vedasi BOERIO,s.v.,Stramazzo, in Dizionario del di<strong>al</strong>etto veneziano, p. 710: «Arnese da letto notissimo,<br />

ripieno di lana ed impuntito (…). Se è ripieno di piuma dicesi coltrice». Il pagliazzo era invece il «sacco<br />

che involge la paglia del letto»; BOERIO,s.v.,Pagiarizzo,inDizionario del di<strong>al</strong>etto veneziano, p. 462.<br />

39 S. PINELLI, Piccolo dizionario del di<strong>al</strong>etto bresciano, note introduttive di V. Mora, Brescia 1976, ad vocem<br />

“Vestare”, p. 78: «Vestiario, Armadio, Armario. Arnese di legno fatto per riporvi checchessia».<br />

40 L’aceto veniva per esempio conservato in bariletti di capacità minore.<br />

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832<br />

lo, g<strong>al</strong>leria o di s<strong>al</strong>a da pranzo 41 . Negli elenchi di oggetti riposti in cucina si fa<br />

spesso riferimento <strong>al</strong>la presenza di contenitori per la conservazione di minore<br />

capacità, rispetto a quella dei recipienti riposti nelle cantine e nelle dispense.<br />

Compaiono frequentemente i termini bocc<strong>al</strong>etti, barilette, bottazze, bozzole,<br />

vezzolini, ole e fiaschi. In spazi ben precisi vengono inoltre collocati centenari e<br />

caneette. I primi sono recipienti, più o meno capaci a seconda delle dimensioni,<br />

scavati nella pietra. T<strong>al</strong>i contenitori, rivestiti internamente di latta e chiusi da un<br />

pesante coperchio, sempre di pietra (bianca o di Sarnico), caratterizzati da una forma<br />

cilindrica o a par<strong>al</strong>lelepipedo, servivano da piccole cellette, nelle qu<strong>al</strong>i mettere<br />

<strong>al</strong> fresco e conservare quantità di liquidi, insaccati e formaggi. Le seconde, v<strong>al</strong>e a<br />

dire le caneette/canevette/cantinette, erano delle piccole cassette, re<strong>al</strong>izzate più<br />

frequentemente in legno e a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà del XVIII secolo anche in rame, nelle<br />

qu<strong>al</strong>i venivano collocate ed eventu<strong>al</strong>mente trasportate ole, bozze, pistoni e fiaschi,<br />

evitando che gli stessi contenitori venissero esposti <strong>al</strong>la luce e a urti.<br />

Nelle cucine si riscontra inoltre la presenza di refrescatori o rinfrescadori,<br />

ossia rinfrescatoi. Si tratta di recipienti, per lo più bassi, in forma ov<strong>al</strong>e o tonda,<br />

variamente modellati, con la funzione specifica di mantenere in fresco, nel ghiaccio,<br />

i bicchieri e le bottiglie. In <strong>al</strong>cuni casi questi recipienti contenevano semplicemente<br />

dell’acqua per rinfrescarsi. La letteratura contempla due tipi di rinfrescatoio:<br />

quello per i bicchieri e quello per il vino 42 . Il rinfrescatoio per bicchieri,<br />

creato per «raffreddare i c<strong>al</strong>ici da vino entro acqua fredda», gener<strong>al</strong>mente «aveva<br />

tacche sul bordo, in cui si fissava il gambo del bicchiere, lasciando la coppa<br />

sospesa nell’acqua». I rinfrescatoi per bicchieri, già in uso a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> XV secolo,<br />

si diffusero soprattutto <strong>d<strong>al</strong></strong> XVII secolo in poi. Re<strong>al</strong>izzati in vetro, ceramica o<br />

in met<strong>al</strong>lo, nel XVIII secolo raggiunsero vertici di particolare raffinatezza: basti<br />

pensare ai modelli in porcellana prodotti anche in It<strong>al</strong>ia. Con il termine «rinfrescatoio<br />

per vino» si poteva indicare «sia una recipiente che veniva posto sulla<br />

tavola, sia un mobiletto ch’era collocato vicino ad essa, entrambi adibiti a mantenere<br />

in fresco le bottiglie entro ghiaccio o neve» 43 .<br />

41 Per approfondire il tema della speci<strong>al</strong>izzazione degli spazi e la concomitante nascita delle comodità<br />

si vedano: G. BASSANINI, Tracce silenziose dell’abitare. La donna e la casa, Milano 1992 3 ;J.STYLES, Product<br />

innovation in early modern London, «Past & Present», 18 (2000), pp. 124-169; J.E. CROWLEY, The invention<br />

of Comfort. Sensibilities & Design in Early Modern Britain & Early America, B<strong>al</strong>timore and London 2001.<br />

42 Cfr. Dizionario di antiquariato, p. 944, s.v., Rinfrescatoio.<br />

43 Ibidem.


Camere e s<strong>al</strong>otti: intimità, relazioni soci<strong>al</strong>i e vino<br />

Si è già fatto riferimento <strong>al</strong>la progressiva speci<strong>al</strong>izzazione degli spazi domestici<br />

stimolata, soprattutto negli ambienti appartenenti a una fascia soci<strong>al</strong>e<br />

medio/<strong>al</strong>ta, da una gradu<strong>al</strong>e estensione del numero delle stanze <strong>al</strong>l’interno delle<br />

abitazioni. Nelle <strong>al</strong>tre «camere», cioè negli ambienti diversi <strong>d<strong>al</strong></strong>la cucina, andavano<br />

creandosi angoli sempre più confortevoli, grazie anche <strong>al</strong> diffondersi di piccoli<br />

camini per risc<strong>al</strong>darsi, della maggiore disponibilità di candelieri e di lumi per<br />

rendere più confortevoli e luminosi gli ambienti e di tappezzerie, stoffe e arazzi<br />

per foderare e isolare le pareti. Par<strong>al</strong>lelamente <strong>al</strong>la definizione di uno spazio per<br />

l’intimità nelle stanze per la notte, segnato da letti con b<strong>al</strong>dacchini, tendoni, portiere<br />

44 e porte di legno con tanto di chiavistelli e catenacci, se ne individuava un<br />

<strong>al</strong>tro per le relazioni soci<strong>al</strong>i, <strong>al</strong>l’interno del qu<strong>al</strong>e si tendeva a fare sfoggio di pitture,<br />

mobili raffinati, libri e servizi da tavola.<br />

Pare opportuno ricordare, proprio in riferimento <strong>al</strong> consumo di vini pregiati,<br />

l’inventario delle camere della dimora cittadina di Bernardino Tosio, un mercante<br />

di tessuti bresciano attivo nella seconda metà del XVIII secolo. Le pagine dell’inventario<br />

della sua eredità ris<strong>al</strong>gono <strong>al</strong> 1797 45 e sono ricche di dettagli, soprattutto<br />

per quanto riguarda oggetti, suppellettili e ambienti che segnano un avanzamento<br />

di rilievo in termini di civilization 46 . Vi è una notevole quantità di posate,<br />

soprattutto di forchette, di scodelle, sottocoppe e bicchieri. «Piatti re<strong>al</strong>i», caraffe e<br />

zuccheriere vengono riposti in stanze nelle qu<strong>al</strong>i transitano o soggiornano gli<br />

ospiti. Curiose sono le note dell’inventario relative <strong>al</strong>l’antistudio, nel qu<strong>al</strong>e, insieme<br />

a un servizio di otto ciccare 47 in porcellana «con suoi scudelini da caffè», sono<br />

44 «Paramento di drappo o d’<strong>al</strong>tro che serve per mettere <strong>al</strong>le porte e ripararle. Sotto il nome portiera<br />

ora più comunemente conosciamo quell’imposta d’uscio più gentile e più ornata di quella che chiamasi<br />

porta; e dassi più speci<strong>al</strong>mente questo nome <strong>al</strong>le imposte di legname di noce o di ciliegio o d’<strong>al</strong>tro<br />

legname più ricercato, impi<strong>al</strong>lacciate o no, ed adorne per lo più di specchi con o senza foglia»<br />

(BOERIO,s.v.,Portiera,in Dizionario del di<strong>al</strong>etto veneziano, p. 527).<br />

45 ASBs, AC, sezione Eredità, Tosio, b. 338, inventario 1797.<br />

46 Con il termine civilization si fa riferimento a quel progressivo mutamento di gusti e di maniere connesso<br />

<strong>al</strong>la gradu<strong>al</strong>e diffusione delle comodità e dell’articolarsi di relazioni soci<strong>al</strong>i e interessi cultur<strong>al</strong>i<br />

che vengono tra l’<strong>al</strong>tro marcati <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza di luoghi nelle abitazioni di famiglie di ceto medio e<br />

medio <strong>al</strong>to destinati <strong>al</strong>le specifiche attività che da t<strong>al</strong>e tessuto di rapporti conseguono. Si rinvia in<br />

proposito a DESSUREALT,DICKINSON,WIEN, Living standards, pp. 95-112.<br />

47 Piccole tazzine.<br />

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disposti: «cinque carafine di crist<strong>al</strong>lo», «cinque biliconi di crist<strong>al</strong>lo», «due boccette<br />

di crist<strong>al</strong>lo per l’olio», «venticinque tassini con piede di crist<strong>al</strong>lo da vin di Cipro»,<br />

«tredici tassini con piede di crist<strong>al</strong>lo da rosolio», «tredici tassini, senza piede, di crist<strong>al</strong>lo<br />

da vin di Cipro», «due carafine di crist<strong>al</strong>lo», «un s<strong>al</strong>atino di crist<strong>al</strong>lo», «ventuno<br />

pistonzetti nel vestiario posto nel muro», «quattordici boccette bianche, di<br />

vetro, vuote». Sempre nell’antistudio sono riposte: quattro bottiglie di vetro, cinque<br />

bottiglie «di canarie piane», una bottiglia di «moscatto di Cipro piana» 48 .<br />

Alla ricchezza sfoggiata nello studiolo corrisponde una quantità non trascurabile<br />

di recipienti per il vino nella «cantina unita <strong>al</strong>la g<strong>al</strong>leria», nella dispensa e<br />

nella cucina. Nella prima ampia stanza, fra gli <strong>al</strong>tri recipienti, è possibile individuare<br />

«tre vessole cerchiate di ferro, una vessola cerchiata di ferro (…) di zerle<br />

due, un vessolino con cerchi di legno di zerle una, un barile cerchiato di legno di<br />

zerle una, una zerla, una <strong>al</strong>ba di pietra» 49 . Seguono nella dispensa, oltre a una serie<br />

di contenitori per la cottura e la frittura di cibi, «tre centenari di pietra, tre mastiletti<br />

di legno, sei basiotti di terra, un fiasco» e, in cucina, «sei bottiglie di vino di<br />

cipro (…), tre fiaschetti impagliati vuoti, una damigiana impagliata vuota».<br />

Note conclusive<br />

Si è potuto constatare come la progressiva speci<strong>al</strong>izzazione degli spazi nelle unità<br />

abitative delle famiglie bresciane di estrazione medio/<strong>al</strong>ta sia stata accompagnata<br />

da una par<strong>al</strong>lela evoluzione della funzione e delle forme degli oggetti. Questo<br />

fenomeno si è presentato in via complementare, nell’ambito della diffusione del<br />

comfort, rispetto a quello dell’acquisto e della consumazione di <strong>al</strong>imenti e bevande<br />

pregiati. La presenza del vino o di suoi derivati emerge <strong>d<strong>al</strong></strong>la segn<strong>al</strong>azione di servizi<br />

per la mescita e la degustazione non solamente nei loc<strong>al</strong>i, qu<strong>al</strong>i cucine,<br />

dispense e cantine, propriamente destinati <strong>al</strong>la conservazione delle bevande, ma<br />

anche nei nuovi ambienti appositamente re<strong>al</strong>izzati per ricevere ospiti e intratte-<br />

48 «Vino di Cipro, Vino pregiatissimo che deriva <strong>d<strong>al</strong></strong>l’isola di Cipro – el va’ el vien come el vin de Cipro –. Bel<br />

modo figur che si riferisce a Persona di carattere incostante e lunatico, ed è tratto <strong>d<strong>al</strong></strong>la proprietà del<br />

Vino di Cipro, il qu<strong>al</strong>e conservandosi nella botte pare t<strong>al</strong>volta guasto, ma qu<strong>al</strong>che tempo dopo torna<br />

buono com’era prima». Vedasi BOERIO,s.v.,Vin,in Dizionario del di<strong>al</strong>etto veneziano, pp. 793-794.<br />

49 Il termine «<strong>al</strong>ba» sta probabilmente per <strong>al</strong>bea, «particolare tipo di vaso cilindrico per uso farmaceutico<br />

appartenenti <strong>al</strong>la famiglia dell’<strong>al</strong>barello»; vedasi Dizionario di antiquariato,p.20,s.v.,Albea.


nere conversazioni. Spesso le tazzine e i bicchieri per sorseggiare i vini dolci sono<br />

disposti nei s<strong>al</strong>otti, nelle stanze da studio e nelle biblioteche, accanto ai servizi per<br />

il caffè e per il tè e <strong>al</strong>le cuccume per la cioccolata, che sono manifesta espressione<br />

del diffondersi di prodotti esotici e ricercati e di un nuovo gusto.<br />

La consapevolezza da parte dei fruitori del ruolo distintivo, soci<strong>al</strong>e e cultur<strong>al</strong>e,<br />

in termini di civilization, della consumazione dei nuovi prodotti è confermata,<br />

inoltre, <strong>d<strong>al</strong></strong>la collocazione di corredi per la degustazione in ambienti di passaggio<br />

e certamente visibili anche da persone non appartenenti <strong>al</strong>la famiglia.<br />

Spesso in t<strong>al</strong>i ambienti viene segn<strong>al</strong>ata la presenza di carte geografiche appese<br />

<strong>al</strong>le pareti e di pitture nelle qu<strong>al</strong>i vengono ritratti paesaggi, composizioni di fiori<br />

e frutta e di nature morte che sono tra l’<strong>al</strong>tro testimonianza del gradu<strong>al</strong>e passaggio,<br />

in campo artistico, da un gusto che predilige <strong>temi</strong> di carattere sacro a una<br />

tendenza che riv<strong>al</strong>uta scene concernenti la vita laica seguendo, documentandoli,<br />

l’evoluzione del comfort e l’arricchirsi delle relazioni soci<strong>al</strong>i. La diffusione se non<br />

degli agi per lo meno delle comodità 50 tra i ceti medio/<strong>al</strong>ti emergenti viene inoltre<br />

sottolineata <strong>d<strong>al</strong></strong>la presenza negli inventari di annotazioni intorno <strong>al</strong>le dimensioni<br />

dei recipienti, ai materi<strong>al</strong>i di fabbricazione e <strong>al</strong>le lavorazioni che li caratterizzano,<br />

rendendoli più consoni e adeguati <strong>al</strong>la loro funzione.<br />

50 Intorno <strong>al</strong>la diffusione delle comodità del ceto borghese, con particolare riferimento, ai secoli<br />

XVIII e XIX, e <strong>al</strong>le differenze rispetto ai comfort dell’aristocrazia, si veda G. D’AMATO, L’arte di arredare.<br />

La storia di un millennio attraverso gusti, ambienti, atmosfere, Milano 2001, pp. 413-433.<br />

835


836


MARIO FREGONI*<br />

I percorsi storici della potatura della vite<br />

La selezione delle varietà nei boschi e la potatura rappresentano i segni del passaggio<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la vite selvatica spontanea nei boschi <strong>al</strong>la ‘viti-coltura’. La collocazione<br />

storica dell’introduzione dei due eventi viticoli può essere stimata attorno a<br />

6.000 anni prima di Cristo, ossia <strong>al</strong>l’epoca nella qu<strong>al</strong>e l’uomo da pastore nomade<br />

si trasforma in agricoltore sedentario (periodo del neolitico). I luoghi primari di<br />

queste trasformazioni, per la vite, sono quelli che si identificano con i grandi<br />

percorsi della viticoltura, partiti <strong>d<strong>al</strong></strong> mitico monte Ararat. Il più antico tratto di<br />

migrazione della vite, <strong>d<strong>al</strong></strong> Caucaso <strong>al</strong>l’Egitto, va grosso modo da circa 6.000 a<br />

2.500 anni prima di Cristo. I numerosi popoli di quell’area (in particolare quella<br />

mesopotamica) sono i primi potatori della vite. Ad essi probabilmente dobbiamo<br />

il distacco della vite <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>bero dei boschi e l’<strong>al</strong>levamento strisciante, ancora<br />

diffuso in certe aree caucasiche. Con l’avvicinarsi <strong>al</strong>l’Egitto la vite diviene una<br />

pianta eretta, che si sostiene da sola oppure su sostegni morti. È il caso delle pergole,<br />

note ai tempi dei faraoni. Gli egizi insegnarono a potare la vite a molti<br />

popoli, compresi i greci. La leggenda vuole che l’idea della potatura sia venuta<br />

osservando l’effetto positivo sulla qu<strong>al</strong>ità della brucatura delle capre, come testimoniano<br />

i dipinti delle piramidi egiziane.<br />

D<strong>al</strong> 2500 <strong>al</strong>la nascita di Cristo la viticoltura si espande nel Mediterraneo per<br />

opera dei greci, che giunsero sino a Marsiglia (l’antica Mass<strong>al</strong>ia). È questo il<br />

secondo periodo di migrazione della vite. L’epopea greca si ritiene collegata<br />

<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>berello (quello greco era senza p<strong>al</strong>i o canne), ai vigneti fitti, potati corti a<br />

sperone. La qu<strong>al</strong>ità dei vini greci è ampiamente nota e si deve soprattutto <strong>al</strong> rigore<br />

ed <strong>al</strong>la perfezione della potatura applicata da questo popolo, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e la viticoltura<br />

deve molto. Vedremo in seguito qu<strong>al</strong>i possono essere le forme di <strong>al</strong>levamento<br />

derivanti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>berello. L’It<strong>al</strong>ia del sud e delle isole, nonché <strong>al</strong>cune zone<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza.<br />

837


838<br />

del nord (Liguria, Piemonte, V<strong>al</strong>le d’Aosta, eccetera, tramite Marsiglia) furono<br />

molto influenzate <strong>d<strong>al</strong></strong>la cultura greca.<br />

Il terzo grande tragitto della viticoltura è dovuto ai romani, che partendo<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong>la foce del Rodano, nei primissimi secoli dopo Cristo, portarono la vite nel<br />

nord Europa, costituendo quella che si definisce la viticoltura fluvi<strong>al</strong>e, ossia<br />

quella del Rodano, del Reno, della Mosella, del Danubio, eccetera. I romani portarono<br />

la vite anche nella penisola Iberica, nell’attu<strong>al</strong>e Portog<strong>al</strong>lo ed in Spagna.<br />

Speci<strong>al</strong>mente nella zona del Porto (V<strong>al</strong>le del Douro) e dei Vinhos Verdes (sempre<br />

<strong>al</strong> nord del Portog<strong>al</strong>lo), vi sono segni viticoli romani. Nel Porto i terrazzamenti<br />

antichi, ma <strong>al</strong>tresì la potatura corta a cordone speronato, nei Vinhos Verdes<br />

l’<strong>al</strong>levamento ad <strong>al</strong>berata, di origine etrusca. I romani, infatti, hanno diffuso<br />

sia le forme di <strong>al</strong>levamento egiziane e greche che quelle etrusche.<br />

La civiltà etrusca, del tutto unica <strong>al</strong> mondo, si sviluppò in It<strong>al</strong>ia a partire <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

7° secolo circa avanti Cristo, ossia par<strong>al</strong>lelamente a quella greca, dell’It<strong>al</strong>ia del<br />

Sud, che diede luogo <strong>al</strong>la cosiddetta Magna Grecia, la cui cultura ed i cui monumenti<br />

sono t<strong>al</strong>mente evidenti ed eccezion<strong>al</strong>i (specie i templi siciliani) da non avere<br />

bisogno di richiami. Molte varietà di vite meridion<strong>al</strong>i ed insulari sono state<br />

portate dai greci, i qu<strong>al</strong>i le avevano in gran parte ricevute <strong>d<strong>al</strong></strong> Caucaso e <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

Medio Oriente. Gli etruschi non sono stati dei bravi viticoltori. Consideravano<br />

la vite una liana che doveva s<strong>al</strong>ire sugli <strong>al</strong>beri <strong>al</strong>ti. La potavano raramente solo<br />

per eliminare le parti secche. I tr<strong>al</strong>ci lunghi e penduli sono esattamente il contrario<br />

della potatura corta a speroni eretti dei greci.<br />

Le forme di <strong>al</strong>levamento classiche degli etruschi sono: 1) l’Arbustum it<strong>al</strong>icum<br />

(su <strong>al</strong>beri bassi, con tr<strong>al</strong>ci ricadenti <strong>d<strong>al</strong></strong>le branche del tutore vivo), da cui ha avuto<br />

origine il Testucchio, diffuso in Toscana, nel Lazio ed in Umbria, ossia nell’Etruria<br />

centr<strong>al</strong>e; 2) l’Arbustum g<strong>al</strong>licum, diffusosi nell’Etruria settentrion<strong>al</strong>e (la<br />

G<strong>al</strong>lia Cis<strong>al</strong>pina) e nell’Etruria meridion<strong>al</strong>e (Campania in particolare) e composto<br />

da <strong>al</strong>beri <strong>al</strong>ti (anche 10-15 metri, come i pioppi) dai qu<strong>al</strong>i la vite si diparte con<br />

cordoni permanenti lungo il filare <strong>al</strong>berato o anche <strong>al</strong>l’interno del campo, formando<br />

quadrati o rettangoli sospesi sugli <strong>al</strong>beri vivi. Ogni pianta di vite ha una<br />

carica di gemme enorme e <strong>produzioni</strong> che possono superare i duecento Kg. La<br />

qu<strong>al</strong>ità scadente dei vini etruschi era nota ai romani e ai greci, che preferivano i<br />

vini della Grecia o della Magna Grecia del Sud It<strong>al</strong>ia. Per quanto attiene i tutori<br />

vivi adottati dagli etruschi, si <strong>al</strong>lega una tabella specifica (tab. 1).


TAB.1:Tutori vivi (mariti) delle viti <strong>al</strong>levate ad <strong>al</strong>berate<br />

Acero campestre = Oppio (Opulus), loppio, acero campestre = Acer campestris<br />

Olmo = Ulmus campestris<br />

Pioppo (b., n.) = Populus <strong>al</strong>ba, Populus nigra<br />

Frassino = Fraxinus excelsior<br />

Orniello = Fraxinus ornus<br />

Fico = Ficus carica<br />

Corniolo = Cornus mas<br />

Tiglio = Tilia argentea<br />

Carpino = Carpinus betulus<br />

S<strong>al</strong>ice = S<strong>al</strong>ix caprea, S<strong>al</strong>ix vimin<strong>al</strong>is<br />

Quercia = Quercus robur<br />

Gelso (b., n.) = Morus <strong>al</strong>ba, Morus nigra<br />

noce = Juglans regia<br />

Ciliegio = Cerasus avium<br />

Mandorlo = Prunus amyg<strong>d<strong>al</strong></strong>us<br />

Olivo = Olea europea<br />

Cipresso = Cupressus macrocarpa, Cupressus sempervirens<br />

TAB.2:Tappe evolutive delle forme di <strong>al</strong>levamento della vite<br />

ASIANICO-EGEE (zone c<strong>al</strong>do-aride)<br />

1. Viti rampicanti sugli <strong>al</strong>beri nei boschi o sulle<br />

rocce<br />

2. Viti striscianti sul terreno (prive di sostegni)<br />

3. Viti orizzont<strong>al</strong>i appena sollevate da terra o<br />

leggermente inclinate sul terreno, sostenute<br />

da pietre o legate a p<strong>al</strong>etti o canne<br />

4. Viti basse con fusti o cordoni inclinati a raggera<br />

sostenuti da p<strong>al</strong>etti<br />

5. Viti con tronco eretto ad <strong>al</strong>berello non p<strong>al</strong>ificato<br />

6. Viti ad <strong>al</strong>berello p<strong>al</strong>ificato<br />

7. Viti basse a sp<strong>al</strong>liera a cordone speronato<br />

orizzont<strong>al</strong>e<br />

8. Viti ‘giogate’ (sp<strong>al</strong>liere) su p<strong>al</strong>i bassi ed <strong>al</strong>ti<br />

ETRUSCHE (zone temperato-fresche)<br />

1. Viti a pergola con sostegni morti (vigne irrigue)<br />

2. Viti rampicanti sugli <strong>al</strong>beri nei boschi o sulle<br />

rocce<br />

3. Viti sugli <strong>al</strong>beri vivi ai margini dei campi<br />

4. Viti ad <strong>al</strong>berata: a) arbsutum g<strong>al</strong>licum con<br />

festoni orizzont<strong>al</strong>i concatenati fra <strong>al</strong>beri<br />

viciniori; b) arbustum it<strong>al</strong>icum ad <strong>al</strong>beri isolati<br />

e tr<strong>al</strong>ci ricadenti<br />

5. Viti <strong>al</strong>te a raggera o raggi con sostegni vivi<br />

6. Viti <strong>al</strong>te a raggio o raggera con sostegni<br />

morti<br />

7. Viti a raggera bassa con sostegni morti<br />

8. Viti a pergola con sostegni vivi e quindi<br />

morti<br />

9. Viti a tendone<br />

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840<br />

Evoluzione delle forme di <strong>al</strong>levamento della vite in It<strong>al</strong>ia<br />

Le due ‘scuole’ di potatura, greca ed etrusca, si contrapposero <strong>al</strong>l’epoca del grande<br />

sviluppo it<strong>al</strong>iano delle due civiltà e con il progredire dei secoli diedero origine<br />

a diverse forme di <strong>al</strong>levamento. La fantasia it<strong>al</strong>iana si è librata nell’inventare<br />

forme di <strong>al</strong>levamento della vite, t<strong>al</strong>ché l’It<strong>al</strong>ia è il paese più ricco <strong>al</strong> mondo di<br />

sis<strong>temi</strong> di potatura; ogni regione o zona ha le proprie forme di <strong>al</strong>levamento. L’evoluzione<br />

delle forme di <strong>al</strong>levamento asianico-egee e di quelle etrusche è riassunto<br />

nella tab. 2. D<strong>al</strong>la stessa si evince che le forme di <strong>al</strong>levamento meno<br />

espanse e più adatte <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>ità, ma meno produttive, sono quelle greche, mentre<br />

quelle più espanse, più produttive e meno adatte a produrre vini di qu<strong>al</strong>ità<br />

sono quelle di origine od influenza etrusca.<br />

Situazione attu<strong>al</strong>e in It<strong>al</strong>ia<br />

Le due ‘scuole’, greca ed etrusca, sono ancora presenti sul territorio it<strong>al</strong>iano ed<br />

<strong>al</strong>cune forme di <strong>al</strong>levamento stanno ormai scomparendo, tanto che sarebbe<br />

necessaria un’operazione di ‘archeologia viticola’ mediante la creazione di un<br />

vigneto muse<strong>al</strong>e, costituito <strong>d<strong>al</strong></strong>la raccolta delle varie forme di <strong>al</strong>levamento antiche.<br />

Nessun paese <strong>al</strong> mondo possiede un patrimonio simile <strong>al</strong> nostro. Elaborando<br />

i dati delle forme di <strong>al</strong>levamento registrate durante i rilevamenti dello schedario<br />

viticolo, su una scheda predisposta <strong>d<strong>al</strong></strong>lo scrivente, è possibile ipotizzare e<br />

classificare le forme di <strong>al</strong>levamento secondo l’appartenenza <strong>al</strong>la filosofia greca o<br />

etrusca, ovviamente sulla base di una serie di caratteri arbitrari (potatura corta o<br />

lunga, <strong>al</strong>tezza del fusto, carica di gemme e di grappoli, eccetera). Nella pagina<br />

seguente è riportata detta ripartizione e la percentu<strong>al</strong>e di diffusione in It<strong>al</strong>ia.


FORME GRECHE<br />

Alberello (20,05%)<br />

Guyot (14,77%)<br />

Guyot doppio (3,38%)<br />

Archetto aperto doppio (3,32%)<br />

Archetto semplice (3,27%)<br />

Cordone speronato semplice (2,38%)<br />

Cordone speronato bilater<strong>al</strong>e (1,49%)<br />

Guyot doppio <strong>al</strong>la piacentina (1,03%)<br />

Archetto chiuso (0,68%)<br />

Cordone speronato vertic<strong>al</strong>e (0,14%)<br />

Cazenave (0,03%)<br />

Cordone speronato a V (0,01%)<br />

Guyot a C (0,01%)<br />

FORME ETRUSCHE<br />

Tendone (21,16%)<br />

Sylvoz (4,30%)<br />

Capovolto doppio (3,85%)<br />

Guyot a p<strong>al</strong>metta (2,40%)<br />

Casarsa (1,96%)<br />

Pergola doppia (1,92%)<br />

Pergola emiliano-romagnola (1,85)<br />

Capovolto doppio <strong>al</strong>t (1,72%)<br />

Raggi o Bellussi (1,39%)<br />

Pergola semplice (1,11%)<br />

Semi-Bellussi (0,94%)<br />

Pergola romagnola (0,83%)<br />

Geneva Double Courtain (GDC) (0,51%)<br />

Sylvoz V<strong>al</strong>tellinese (0,19%)<br />

Sylvoz doppio (0,16%)<br />

Alberata modenese (0,18%)<br />

Cortina centr<strong>al</strong>e <strong>al</strong>ta (tr<strong>al</strong>ci lunghi) (0,07%)<br />

Cortina centr<strong>al</strong>e <strong>al</strong>ta (tr<strong>al</strong>ci corti) (0,07%)<br />

Maggiorino (0,08%)<br />

Testucchio (0,07%)<br />

Alberata Casertana (0,06%)<br />

Pergola V<strong>al</strong>dostana (0,03%)<br />

Cappuccina modificata (0,02%)<br />

Duplex (0,01%)<br />

La classificazione esposta, anche se grossolana e non condivisibile per certe forme<br />

di <strong>al</strong>levamento, informa che <strong>al</strong>l’incirca in It<strong>al</strong>ia sono diffuse forme di <strong>al</strong>levamento<br />

greche per il 55,12% e forme di <strong>al</strong>levamento etrusche per il 44,88%.<br />

La meccanizzazione dei vigneti, progredita a velocità considerevole negli<br />

ultimi anni, ha introdotto nuove forme di <strong>al</strong>levamento; le forme di <strong>al</strong>levamento<br />

riconducibili <strong>al</strong>le forme greche, qu<strong>al</strong>i la sp<strong>al</strong>liera ed il filare rappresentano la<br />

maggioranza, mentre quelle ad ampio sviluppo o di estensione orizzont<strong>al</strong>e di<br />

origine etrusca sono la minoranza ma poco lontana <strong>d<strong>al</strong></strong> 50% e non certamente<br />

positive per la qu<strong>al</strong>ità. D<strong>al</strong>l’esposizione risulta inoltre possibile dedurre le aree<br />

viticole it<strong>al</strong>iane di influenza greca ed etrusca, sulla base delle forme di <strong>al</strong>levamento.<br />

Ad esempio molte zone viticole del nord e del centro sono di stile ‘etrusco’,<br />

mentre diverse aree del sud sono di stile greco, anche se il tendone ha<br />

inquinato l’immagine storica e soprattutto ridotto la qu<strong>al</strong>ità dei vini.<br />

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842<br />

L’<strong>al</strong>berello è la forma di <strong>al</strong>levamento greca più antica.<br />

Il cordone speronato è una forma di ispirazione greca.


L’<strong>al</strong>berata casertana è la forma di <strong>al</strong>levamento etrusca più <strong>al</strong>ta del mondo.<br />

L’<strong>al</strong>berata modenese (arbustum g<strong>al</strong>licum) è la forma etrusca più espansa, nel senso<br />

del filare dei tutori vivi (olmi) e dell’interfilare.<br />

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Il Raggi o Bellussi deriva <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>berata del Veneto.<br />

Il tendone è una forma etrusca derivata <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>berata.


Il testucchio (arbustum it<strong>al</strong>icum) è un arbustum it<strong>al</strong>icum, con quattro viti i cui tr<strong>al</strong>ci<br />

penzolano verso il terreno.<br />

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CONCLUSIONI<br />

La coltura della vite<br />

nel medioevo<br />

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848


GIANCARLO ANDENNA*<br />

Coltura della vite e cultura del vino<br />

nella civiltà it<strong>al</strong>iana ed europea<br />

Discorso conclusivo<br />

Nei convegni scientifici in genere gli esperti sono chiamati a tenere relazioni,<br />

mentre a volte le conclusioni sono affidate ad un inesperto; si tratta di una regola<br />

che anche in questo caso è stata osservata. Chi parla si è chiesto qu<strong>al</strong>e titolo<br />

potesse vantare per prendere la parola per ultimo, dopo aver ascoltato una trentina<br />

di relazioni, dense di dati e di contributi anche inediti, sulle quattro sezioni<br />

in cui si è articolato il convegno. Una ragione poteva essere data <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto di bere<br />

un bicchiere o due di vino ai pasti, o forse, ma nessuno lo sapeva prima d’ora, di<br />

essere un nipote di un viticoltore del Monferrato e di aver più volte lavorato nelle<br />

vigne per irrorarle di verderame, o per zapparle, oppure per abbassare i tr<strong>al</strong>ci<br />

che si inn<strong>al</strong>zavano sopra il filo di ferro del filare, o per soffiare lo zolfo sulle<br />

foglie e sui piccoli grappoli. Ma il loc<strong>al</strong>e più affascinante della mia infanzia era la<br />

cantina, la “crota”, scavata nell’argilla <strong>al</strong> di sotto delle fondamenta della cascina.<br />

Le grandi botti e le piccole damigiane, il barilotto dell’aceto e la sterminata massa<br />

delle bottiglie impolverate, ben tappate con tappi di sughero, in cui riposava la<br />

“barbera”, il “grignolino” e il “dolcetto”, mi attraevano, in quanto possedevano<br />

una sorta di sacr<strong>al</strong>ità, poiché il vino era stato imbottigliato sempre nei primi giorni<br />

dopo il plenilunio di primavera, cioè tra il giovedì santo e il lunedì dell’angelo,<br />

e solo se il tempo era sereno e non vi erano nuvole in cielo. Altrimenti per giorni<br />

e giorni occorreva aspettare il bel tempo.<br />

Anche la penombra della cantina creava una sorta di complicità e mi invogliava<br />

a fantasticare sulle generazioni che mi avevano preceduto e che in quello<br />

spazio avevano faticato e sperato in prospere annate e in un futuro più sereno e<br />

meno soggetto agli sb<strong>al</strong>zi del tempo, in quanto la viticoltura è una coltivazione<br />

che esige tempi lunghi, da febbraio a novembre. Per questo essa è più sottoposta<br />

di tutte le <strong>al</strong>tre <strong>al</strong>l’inclemenza delle stagioni. Ricordo di essere andato nelle<br />

* Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia.<br />

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850<br />

vigne nelle notti e nelle prime ore dei giorni di aprile ad accendere fuochi con le<br />

fascine di sarmenti, per tentare di evitare i danni delle brine, o meglio delle<br />

improvvise gelate notturne durante la gemmazione dei tr<strong>al</strong>ci; ricordo nei pomeriggi<br />

di torride estati di aver sparato con <strong>al</strong>tri giovani il cannone per rompere le<br />

nubi tempestose e <strong>al</strong>lontanare il pericolo della grandine. E poi mi ritornano nella<br />

mente le parole del nonno, che temeva le piogge autunn<strong>al</strong>i che procuravano la<br />

muffa sui grappoli e rendevano poco <strong>al</strong>colico il vino, favorendo l’aumento della<br />

acidità, con la conseguente perdita di pregio del prodotto, fatti che aprivano le<br />

porte ad una grave iattura economica.<br />

La fatica fisica e gli incerti guadagni, nonché l’esperienza della vita cittadina,<br />

a cui pervenni nella adolescenza e nella giovinezza, mi consigliarono di abbandonare<br />

per sempre la campagna e così le belle vigne familiari divennero a poco<br />

a poco dei “gerbidi” e infine dei boschi. Anche se il Monferrato era ed è un luogo<br />

adatto <strong>al</strong>la coltivazione della vite, io avevo perso l’animo del viticoltore, pur<br />

rimanendomi il gusto del bere bene ai pasti e di festeggiare con il vino, perché<br />

una festa senza la presenza del vino mi risulta inconcepibile. A queste cose pensavo,<br />

mentre scorrevano le diapositive, presentate da Andrea Breda, sui luoghi<br />

bresciani della conservazione del vino e oggi sono rammaricato di non poterle<br />

più ammirare in quanto la sua relazione non è pervenuta per la stampa degli atti.<br />

Ma occorre ritornare, dopo questa estemporanea confessione, ai quattro<br />

<strong>temi</strong> del convegno. Essi erano rispettivamente dedicati <strong>al</strong>la coltura della vite <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

medioevo ad oggi, con attenzione <strong>al</strong>le regioni europee e it<strong>al</strong>iane in cui i viticoltori<br />

si sono affaticati; in secondo luogo <strong>al</strong>le normative e ai diversi usi del vino,<br />

soprattutto in rapporto ai numerosi modi e ai differenti momenti del suo consumo;<br />

poi <strong>al</strong>la cultura del vino nelle varie forme in cui si sono espresse <strong>al</strong>cune<br />

civiltà del Mediterraneo e dell’Occidente. E infine <strong>al</strong> vino nell’ambiente bresciano<br />

della Franciacorta, regione che ci ospita in questa “Antica Fratta” di Monticelli<br />

Brusati, ove è stato possibile assistere <strong>al</strong>le varie fasi della produzione di rinomate<br />

bottiglie di vino bianco, in una sorta di laboratorio-tirocinio, come oggi si<br />

dice con il nuovo linguaggio della didattica universitaria, in modo da affiancare<br />

<strong>al</strong> sapere teorico anche gli aspetti pratici del fare quotidiano. Ovviamente non<br />

posso parlare di tutti i contributi presentati dai relatori, ma mi limiterò a sottolineare<br />

quelli che mi hanno stimolato in quanto mi hanno fornito conoscenze che<br />

non possedevo, oppure mi hanno richiamato <strong>al</strong>la mente nozioni o esperienze da<br />

tempo dimenticate, ma in anni ormai passati ben vive nella mia azione giorn<strong>al</strong>iera.<br />

Chiedo pertanto scusa agli <strong>al</strong>tri e li rassicuro che il fatto di non citarli è solo


legato <strong>al</strong>la mia abiss<strong>al</strong>e incapacità di comprendere le cose importanti e non a un<br />

loro difetto di esposizione o a una loro scarsa competenza.<br />

Mario Fregoni ad esempio mi ha fatto capire che la potatura della vite è il<br />

momento più importante di tutto il ciclo della coltivazione annu<strong>al</strong>e; la potatura<br />

ha trasformato la vite da liana, che s<strong>al</strong>e sugli <strong>al</strong>beri e si <strong>al</strong>lunga scorrendo “a pantera”<br />

da un olmo ad un <strong>al</strong>tro, in pianta da frutto, migliorando la qu<strong>al</strong>ità del prodotto.<br />

Potare la vigna a febbraio è una operazione che richiede intelligenza, capacità<br />

di osservazione ed esperienza, non per nulla la potatura deriva <strong>d<strong>al</strong></strong>l’esperienza<br />

agricola dei greci, a cui le nostre colture della vite e dell’olivo devono molto.<br />

I greci hanno sviluppato la coltivazione orizzont<strong>al</strong>e delle viti, tenendole contro i<br />

venti e contro il solleone appena sollevate da terra, mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità di coltura che ho<br />

ammirato in questi ultimi anni nelle isole dell’Egeo. Inoltre essi hanno potenziato<br />

la coltivazione delle viti ad <strong>al</strong>berello, che è molto diffusa nell’It<strong>al</strong>ia Meridion<strong>al</strong>e<br />

e insulare, mentre quella delle viti basse a sp<strong>al</strong>liera, o a filare, con sostegni di<br />

p<strong>al</strong>i e di canne è comune nel Settentrione padano, come nel mio Monferrato. In<br />

tutti questi casi una forte potatura della vite appare necessaria: il prodotto ottenuto<br />

non è abbondante, ma è di gran pregio.<br />

Al contrario dei greci, gli etruschi hanno preferito potare poco le viti e puntare<br />

in questo modo sulla grande quantità di gemmazione, ottenendo un raccolto<br />

abbondante, ma di bassa qu<strong>al</strong>ità. Il numero dei grappoli prodotti dai tr<strong>al</strong>ci era<br />

t<strong>al</strong>mente elevato che era necessario sorreggere la pianta facendola s<strong>al</strong>ire sugli<br />

<strong>al</strong>beri: così si sono diffuse le viti ad <strong>al</strong>berata nella doppia connotazione dell’<strong>al</strong>berata<br />

it<strong>al</strong>ica, con tr<strong>al</strong>ci ricadenti da un <strong>al</strong>bero isolato, e dell’<strong>al</strong>berata g<strong>al</strong>lica a<br />

festoni orizzont<strong>al</strong>i concatenati fra piante poste l’una accanto <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tra. Da questi<br />

due sis<strong>temi</strong> di coltivazione derivano anche le viti <strong>al</strong>te a raggiera con sostegni<br />

morti, diffuse nel Ghemmese e nella zona di Gattinara, e quelle a pergola, o pergolati,<br />

le “topie”, tipiche delle zone pre<strong>al</strong>pine e ora anche per l’uva da tavola in<br />

Sicilia, nel Ragusano, e le viti a tendone. Le due scelte economiche e tecnologiche<br />

hanno condizionato la struttura del paesaggio rur<strong>al</strong>e it<strong>al</strong>iano ed europeo ed<br />

hanno nello stesso tempo contrapposto in modo drastico la qu<strong>al</strong>ità del prodotto<br />

<strong>al</strong>la quantità della produzione.<br />

Anche Paolo Tedeschi mi ha riportato ai racconti del bisnonno, nato negli<br />

anni Sessanta dell’Ottocento, che parlava <strong>al</strong>la sera, davanti a un bicchiere di vino,<br />

della possibilità diffusa quando era un ragazzo di vincere il “marin du sufru” soffiando<br />

sulle foglie lo zolfo. Tedeschi mi ha chiarito che si trattava di una m<strong>al</strong>attia,<br />

chiamata oidio, data da un fungo parassita che azzerava la produzione e<br />

851


852<br />

determinava la morte dei ceppi. Unica àncora di s<strong>al</strong>vezza, dopo anni di gravi crisi<br />

produttive, fu la “solforatura delle viti”, quella che il bisnonno raccontava di<br />

aver fatto da bambino con ottimi risultati. Le conoscenze chimiche e scientifiche<br />

erano intervenute a s<strong>al</strong>vare la pianta simbolo della civiltà occident<strong>al</strong>e, sulla qu<strong>al</strong>e<br />

si basava anche il messaggio religioso cristiano. Ma nel secondo Ottocento le difficoltà<br />

del viticoltore e le astinenze dei consumatori non erano finite: dopo<br />

trent’anni di buoni raccolti e di eccellenti bevute, in quanto l’oidio aveva imposto<br />

la coltivazione della vite nei fondi collinari soleggiati e ben ventilati, ecco<br />

sopraggiungere la peronospora, un <strong>al</strong>tro fungo parassita che colpiva la pianta e i<br />

frutti. Anche in questo caso la lotta fu chimica, in quanto si trattava di aspergere<br />

le piante con una miscela di latte di c<strong>al</strong>ce e solfato di rame, il “verderame” del<br />

bisnonno. Da queste necessità nacquero le esigenze di scavare nelle vigne delle<br />

cisterne per raccogliere l’acqua piovana, che era necessaria per sciogliere il solfato<br />

di rame e creare con la c<strong>al</strong>ce la celebre poltiglia bordolese, o meglio il “verderame”,<br />

in grandi recipienti rotondi di cemento. Non vi era vigna che non avesse<br />

la cisterna e la grande tinozza rotonda di cemento di colore azzurrino e le vigne,<br />

dopo numerose irrorazioni di “verderame”, acquisivano un colore dai toni sfumati<br />

tra il verde e l’azzurro; insomma è il caso di dire che le m<strong>al</strong>attie delle piante,<br />

con le necessarie azioni chimiche di difesa, a volte cambiano l’effetto cromatico<br />

e struttur<strong>al</strong>e del paesaggio.<br />

Lo spavento dato <strong>d<strong>al</strong></strong>la comparsa della peronospora non era ancora passato,<br />

quando sopraggiunsero gli afidi della filossera nell’autunno del 1896: la relazione<br />

di Tedeschi e il racconto del bisnonno su questo punto concordano pienamente.<br />

Le foglie seccavano e le viti morivano, non vi erano mezzi chimici per<br />

superare la grave congiuntura, che azzerava tante fatiche e tanti capit<strong>al</strong>i. Molti<br />

uomini nel Monferrato decisero di partire per l’America, l’Argentina o gli Stati<br />

Uniti, non vi era <strong>al</strong>cuna differenza, vi era solo la speranza di poter lavorare e di<br />

poter mantenere la famiglia che era rimasta a casa a coltivare i pochi campi di<br />

grano con l’aiuto della vacca magra e non sempre ben nutrita <strong>d<strong>al</strong></strong> fieno durante<br />

l’inverno. L’unica soluzione efficace per evitare che la vite si estinguesse per<br />

sempre era l’innesto della vitis vinifera europea su radici americane, che si erano<br />

rivelate resistenti <strong>al</strong>l’azione della filossera. Il bisnonno innestò tra il 1900 e il<br />

1906 su vitigno americano tutte le sue vigne e sostenne che il prodotto era più<br />

abbondante, ma meno pregiato e meno <strong>al</strong>colico, pertanto doveva acquistare vini<br />

meridion<strong>al</strong>i da taglio a costi elevati. Comunque la decisione degli innesti s<strong>al</strong>vaguardò<br />

la sua attività di viticoltore, che non dovette <strong>al</strong>lontanarsi <strong>d<strong>al</strong></strong> Monferrato,


come avvenne anche per numerosi vignaioli del bresciano di cui Tedeschi ha<br />

tracciato la fisionomia per il periodo dell’età giolittiana. Lentamente in It<strong>al</strong>ia e in<br />

particolare nella Franciacorta iniziava l’era della tecnologia enologica, fondata<br />

sulla eliminazione dei fondi vitati promiscui a vantaggio di vigneti intensivi nei<br />

qu<strong>al</strong>i scompariva la pergola. A partire <strong>d<strong>al</strong></strong> 1960 la qu<strong>al</strong>ità dei vini bianchi bresciani<br />

e in particolare di quelli della Franciacorta aumentò considerevolmente,<br />

grazie anche <strong>al</strong>l’introduzione della fermentazione m<strong>al</strong>olattica, che diminuiva l’acidità<br />

complessiva del prodotto e aumentava la “morbidezza” del vino: in questo<br />

caso mio bisnonno e mio nonno non potevano aggiungere più nulla, né tanto<br />

meno porsi come esperienze di vita.<br />

Ho apprezzato il discorso introduttivo di Alfio Cortonesi, che abita in un<br />

territorio importante per il vino pregiato it<strong>al</strong>iano, e si occupa di un prodotto di<br />

<strong>al</strong>tissima qu<strong>al</strong>ità qu<strong>al</strong>e il “Brunello di Mont<strong>al</strong>cino”, perché egli ha saputo parlare<br />

delle operazioni della vendemmia ricorrendo agli atti privati e insieme <strong>al</strong>la trattatistica<br />

del Trecento, con particolare attenzione <strong>al</strong>l’opera del de’ Crescenzi, un<br />

maestro nella descrizione della fermentazione “in rosso” del mosto delle aree<br />

emiliane. Ma il collega ha anche illustrato la moda di ottenere dei vinelli (acquarellum<br />

sive pusca), da bere in estate, versando dell’acqua sulle vinacce non torchiate,<br />

oppure versando sulle medesime vinacce il vino dell’anno precedente non<br />

ben conservato, che attraverso una nuova fermentazione poteva diventare<br />

migliore. Si trattava di vini “acconciati” destinati agli umili e ai familiari. Al contrario<br />

dolcissimi e con <strong>al</strong>ta gradazione <strong>al</strong>colica erano i vini cotti, ottenuti con la<br />

cottura del mosto in appositi recipienti, sino <strong>al</strong>la riduzione del prodotto di circa<br />

un quarto; essi erano ovviamente destinati ai più abbienti. Ma la mia attenzione<br />

è poi stata sollecitata <strong>d<strong>al</strong></strong> fatto che Cortonesi ha affermato che nel Trecento e in<br />

particolare nell’opera del de’ Crescenzi compaiono tra bianche e nere una quarantina<br />

di uve: sono presenti la “nebiola” ad Asti, la “<strong>al</strong>bana” a Forlì, la “sclava”<br />

nel bresciano, nel mantovano e nel bolognese, la “garganica” a Padova, la “gramesta”<br />

nel bolognese, il “trebbiano” <strong>d<strong>al</strong></strong>le Marche.<br />

Al contrario Antonio Ivan Pini ha sollevato una questione delicata a proposito<br />

di una denominazione particolare: che cosa si deve intendere con l’espressione<br />

“vino greco”? Il compianto collega ha dimostrato che dopo la presa di<br />

Costantinopoli ad opera dei crociati e dei Veneziani, Genova fu completamente<br />

esclusa <strong>d<strong>al</strong></strong> commercio dei vini provenienti <strong>d<strong>al</strong></strong>la Grecia, prodotti di <strong>al</strong>ta gradazione<br />

<strong>al</strong>colica, liquorosi, da bersi in associazione <strong>al</strong>le spezie e <strong>al</strong>le essenze profumate,<br />

qu<strong>al</strong>i il muschio. Tra questi vini spiccava quello prodotto in grande quan-<br />

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tità nell’isola di Creta, ma in gran parte conservato per la vendita nel porto peloponnesiaco<br />

di Monembasia, da cui assunse poi il nome di “m<strong>al</strong>vasia”. Come era<br />

possibile reagire per Genova a una simile iattura? La città ligure corse ai ripari in<br />

due modi: da un lato promosse il consumo di un vino prodotto nel suo dominio,<br />

a Vernazza, nelle Cinque Terre, e pertanto detto “vernaccia”, <strong>d<strong>al</strong></strong>l’<strong>al</strong>tro v<strong>al</strong>orizzò<br />

un vino proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e, soprattutto <strong>d<strong>al</strong></strong>la C<strong>al</strong>abria bizantina,<br />

un tempo denominata “Magna Grecia”, imbarcato a Tropea e poi commerciato<br />

a Napoli, ove i genovesi lo acquistavano per poi rivenderlo su tutti i mercati del<br />

Mediterraneo occident<strong>al</strong>e. Si trattava di un vino bianco, particolarmente forte,<br />

insomma “greco”, o meglio bizantino, che aveva caratteristiche simili <strong>al</strong>la “m<strong>al</strong>vasia”<br />

e <strong>al</strong>la “vernaccia”. Insomma i p<strong>al</strong>ati più raffinati del <strong>Medioevo</strong>, sino <strong>al</strong> tardo<br />

Trecento, erano abituati a bere vini di <strong>al</strong>ta gradazione, dolci e liquorosi, in larga<br />

misura comperati in Grecia, o nei territori dominati dai bizantini, o dai veneziani,<br />

o dai genovesi.<br />

La nuova sensibilità, il nuovo gusto per apprezzare la qu<strong>al</strong>ità dei vini si diffuse<br />

solo <strong>al</strong>la metà del Quattrocento, in concomitanza con la conquista di<br />

Costantinopoli ad opera dei turchi; <strong>al</strong>lora i vini greci, bianchi, dolci, liquorosi,<br />

moscati e molto <strong>al</strong>colici persero il loro prestigio, mentre si andavano affermando<br />

come vini nobili quelli simili <strong>al</strong> clarét francese, bianchi e rossi, limpidi, chiari,<br />

delicati, leggermente profumati, o meglio “cortesi”. Ebbe <strong>al</strong>lora luogo un’offensiva<br />

di vini leggeri, da bersi prontamente, senza <strong>al</strong>cun invecchiamento. Infatti<br />

Pini ha ricordato che l’attu<strong>al</strong>e interesse per i vini invecchiati data solo a partire<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> Settecento e <strong>d<strong>al</strong></strong>l’invenzione del tappo di sughero, che permette la conservazione<br />

di particolari vini di marca per le mense dei ricchi, mentre i poveri continuano<br />

a bere vini da pasto, giovani e ottenuti più con la torchiatura che con la<br />

fermentazione degli acini dell’uva.<br />

Abbiamo visto che i grandi eventi politici e militari, come la caduta di<br />

Costantinopoli, hanno anche segnato la storia della viticoltura; in questo senso<br />

va sottolineata, come ha fatto Manuel Vaquero Piñeiro l’importanza della reconquista<br />

in Spagna, poiché a partire <strong>d<strong>al</strong></strong>la metà del Duecento nei territori dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia<br />

e nella v<strong>al</strong>le del Gua<strong>d<strong>al</strong></strong>quivir le antiche e pregiate coltivazioni arabe della<br />

canna da zucchero, del cotone e del riso, lasciarono il posto <strong>al</strong> grano e ai vigneti.<br />

L’agricoltura di fatto regredì, ma i vigneti servirono agli spagnoli per ottenere<br />

dei vini di buona gradazione, qu<strong>al</strong>i il Jeréz o il Puerto de Santa Maria, molto<br />

apprezzati in Inghilterra durante il Quattrocento. Ugu<strong>al</strong>i osservazioni potrebbero<br />

essere fatte per la zona di Catania dopo la conquista normanna: un matrimo-


nio tra un Altavilla e una nobile del Monferrato ebbe come risultato il trasferimento<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> Piemonte <strong>al</strong>la Sicilia di ben quarantamila vignaioli, destinati a coltivare<br />

la vite in quelle terre, che i normanni ritenevano particolarmente adatte <strong>al</strong>la<br />

qu<strong>al</strong>ità del prodotto.<br />

Risulta ora possibile sostenere che esiste un rapporto negativo e positivo tra<br />

le civiltà del Mediterraneo e il vino: la civiltà araba ha in larga misura annullato i<br />

vigneti in quanto la proibizione di bere vino contenuta nel Corano li ha resi inutili,<br />

anche là ove le condizioni climatiche e la conformazione pedologica del suolo<br />

li avrebbe ampiamente favoriti. Al contrario la civiltà cristiana ha imposto per<br />

ragioni liturgiche e sacrament<strong>al</strong>i di coltivare la vite ben <strong>al</strong> di sopra delle possibilità<br />

climatiche, cioè nella fredda Inghilterra. Ma ecco sorgere una curiosità religiosa:<br />

che rapporto hanno avuto gli arabi con il vino? Il divieto coranico era proprio<br />

tassativo? Paolo Branca ha affrontato questo argomento e già nel titolo egli<br />

lascia qu<strong>al</strong>che spazio di speranza <strong>al</strong> lettore. Nel chiedersi che presenza abbia avuto<br />

il vino nella cultura arabo-musulmana, egli ha risposto che si tratta di qu<strong>al</strong>cosa<br />

di più di un genere letterario e non solo nel periodo preislamico, quando i<br />

beduini assumevano numerose bevande fermentate, ottenute <strong>d<strong>al</strong></strong>la spremitura<br />

dell’uva fresca e <strong>d<strong>al</strong></strong>la macerazione dell’uva secca in acqua. Il Profeta dispose che<br />

il musulmano non potesse accingersi <strong>al</strong>la preghiera in stato di ebbrezza e negò<br />

l’uso del vino a motivo degli effetti nefasti che l’ubriachezza avrebbe prodotto<br />

nei rapporti soci<strong>al</strong>i. Nonostante t<strong>al</strong>i proibizioni la letteratura araba ricorda che<br />

un c<strong>al</strong>iffo ommayyade, <strong>al</strong>-W<strong>al</strong>id ibn Yazid, scrisse numerose poesie in cui si es<strong>al</strong>tava<br />

il tema bacchico per diretta esperienza; ma anche in epoca abbaside i poeti<br />

continuarono a cantare i banchetti con il vino, “fruttato e robusto”, <strong>al</strong>lungato<br />

con acqua fresca e con miele di api. Tuttavia dopo queste trasgressioni il tema<br />

del vino divenne usu<strong>al</strong>e tra i poeti sufi, o mistici musulmani, come Ibn <strong>al</strong>-Fârid,<br />

o come <strong>al</strong>-Rûmî, il qu<strong>al</strong>e nei suoi scritti propone l’immagine di una ebbrezza univers<strong>al</strong>e<br />

in quanto Dio, che pervade l’intero cosmo, rende euforiche tutte le cose.<br />

Per lui il sole divino rende ubriachi i fedeli, in quanto essi sono descritti nel loro<br />

“amore proibito”, tot<strong>al</strong>e. Anche qu<strong>al</strong>che poeta siciliano, <strong>al</strong> tempo della dominazione<br />

araba, si permise di cantare le <strong>al</strong>legre libagioni di vino, che scacciano i pensieri<br />

e rendono più leggera la fatica quotidiana, ma in ogni caso si tratta di generi<br />

letterari di evidente intento dissacrante, poiché la proibizione del vino rimane<br />

tassativa nella religione di Maometto.<br />

Al contrario a Bisanzio si beveva molto vino di Monembasia, <strong>al</strong>lungato con<br />

acqua c<strong>al</strong>da, come ha ben dimostrato con un tono ironico Ew<strong>al</strong>d Kislinger. Nel<br />

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856<br />

suo lavoro emerge che sino <strong>al</strong>l’XI secolo i bizantini, pur consumando il vino con<br />

abbondanza, erano propensi a condannare le manifestazioni di ubriachezza, in<br />

quanto l’ebbrezza <strong>al</strong>ienava il senno, come nel caso di san Simeone, un folle santo<br />

che in una taverna offriva acqua c<strong>al</strong>da ai bevitori di vino puro. Con Psello la<br />

società bizantina dimostra di avere una maggiore tolleranza nei confronti dei<br />

bevitori, ma è soprattutto con l’opera di Nicola Mesarita, metropolita di Efeso,<br />

che descrive la vita nelle taverne delle città dell’Asia Minore, che appare evidente<br />

l’abitudine di bere vino puro già <strong>d<strong>al</strong></strong> mattino. Questo vescovo, vissuto agli inizi<br />

del Duecento, sa anche descrivere le qu<strong>al</strong>ità dei vini di corte, qu<strong>al</strong>i il Lesbo, il<br />

Chio e il Monembasia, definito il principe dei vini; ma erano vini bevuti dai<br />

potenti, i poveri, già a partire <strong>d<strong>al</strong></strong> XII secolo bevevano vino mescolato <strong>al</strong>la resina,<br />

la retzina, vino da pasto dei meno abbienti e pertanto poco stimato dai dotti<br />

e dai potenti. In questo caso il Kislinger ha potuto correggere Umberto Eco,<br />

che nel suo romanzo ambientato a Costantinopoli ha posto sulla tavola dello<br />

storico Niceta Coniata proprio la retzina, che viene offerta in abbondanza <strong>al</strong> piemontese<br />

Baudolino.<br />

D<strong>al</strong>l’an<strong>al</strong>isi dei <strong>temi</strong> letterari appare in modo sempre più evidente che a<br />

Bisanzio tra Trecento e Quattrocento il problema dell’<strong>al</strong>colismo era ben presente:<br />

in una celebre predica del metropolita di S<strong>al</strong>onicco, pronunciata per la festa<br />

del patrono san Demetrio, si sostiene che l’ametria, cioè la smoderatezza del bere,<br />

è una invenzione del M<strong>al</strong>igno per sedurre le anime e portare gli uomini nelle<br />

taverne invece che in chiesa. Tuttavia il vescovo proibiva anche di bere in casa,<br />

per non perdere il senno necessario a comprendere l’importanza della festività.<br />

Insomma nel tardo <strong>Medioevo</strong> bizantino il tema del consumo del vino era divenuto<br />

una consuetudine, segno che la società era più tollerante anche nei casi di<br />

abuso, ma t<strong>al</strong>e re<strong>al</strong>tà era possibile solo per il fatto che il vino aveva un costo di<br />

gran lunga inferiore di quello dei secoli antecedenti il Mille, sia per l’aumento<br />

della produzione, sia per la maggiore facilità dei trasporti, che con la rivoluzione<br />

dei noli, attuata nel tardo Trecento, permisero di importare vini buoni a prezzi<br />

inferiori. Ma da tempo sulle navi viaggiavano, <strong>al</strong> posto delle anfore, le botti di<br />

rovere e sulle strade dell’Europa i carri, trainati dai buoi, potevano trasportare in<br />

sicuri vasi vinari di legno, ben cerchiati, una maggiore quantità di vini.<br />

Proprio sulla trecentesca rivoluzione dei noli, consistente nel chiedere da<br />

parte del padrone della nave un pagamento in base <strong>al</strong> v<strong>al</strong>ore delle merci trasportate<br />

e non in base <strong>al</strong>l’ingombro della superficie utilizzata, come avveniva in precedenza,<br />

si è soffermato Gian Maria Varanini, che ha anche tracciato un bilancio


delle ricerche e dei problemi ancora aperti sulla storia del commercio dei vini nel<br />

tardo <strong>Medioevo</strong>. Utili le sue osservazioni anche per meglio inquadrare i rapporti<br />

tra It<strong>al</strong>ia e Germania, che sono emersi nello studio di Michael Matheus sulla<br />

viticoltura nelle regioni trans<strong>al</strong>pine dell’impero, ove il ruolo delle istituzioni<br />

ecclesiastiche dei cistercensi e dei Cav<strong>al</strong>ieri Teutonici soprattutto nel corso del<br />

Trecento non si limitò <strong>al</strong>la sola produzione e <strong>al</strong>l’autoconsumo, ma spaziò anche<br />

nel settore della commerci<strong>al</strong>izzazione del vino.<br />

A quell’epoca le popolazioni germaniche avevano ampiamente superato l’uso<br />

di bere smodatamente, passando il bocc<strong>al</strong>e tra i commens<strong>al</strong>i, durante i banchetti,<br />

sino <strong>al</strong>l’ubriacatura, come risulta <strong>d<strong>al</strong></strong>le fonti narrative del periodo <strong>al</strong>to<br />

mediev<strong>al</strong>e an<strong>al</strong>izzate da Claudio Azzara. Inutile dire che nell’opera di Paolo Diacono<br />

il vino, utilizzato a corte, si accomuna a fatti tragici della storia di quel<br />

popolo, come nell’esempio di Alboino e di Rosmunda, anche se in un solo, ma<br />

importante, episodio il brindare con il vino si lega ad un fatto di scelta amorosa,<br />

quella di Teodolinda nei confronti del duca Agilulfo. A Lomello la bella regina<br />

diede testimonianza di saper bere vino e di saper offrire la stessa tazza in cui aveva<br />

bevuto <strong>al</strong>l’aitante Agilulfo, che le baciò la mano. Il vino dovette disinibire la<br />

cattolica Teodolinda, che richiese <strong>al</strong> suo corteggiatore un bacio sulla bocca, il<br />

primo, se non erro, della storia mediev<strong>al</strong>e it<strong>al</strong>iana. «Ella sorridendo e diventando<br />

tutta rossa in volto gli disse che non era il caso di sciupare un bacio sulla sua<br />

mano, visto che poteva baciarla sulla bocca».<br />

Di certo tutta la civiltà occident<strong>al</strong>e del <strong>Medioevo</strong> è stata invogliata <strong>al</strong> consumo<br />

del vino <strong>d<strong>al</strong></strong>la religione cattolica, che ha inn<strong>al</strong>zato il pane e il vino a simboli<br />

re<strong>al</strong>i dell’Eucarestia durante il banchetto festivo. Ma una buona responsabilità è<br />

riscontrabile anche nella Prima Lettera a Timoteo dell’apostolo Paolo: «Non bere<br />

pertanto acqua, ma un po’ di vino a vantaggio del tuo stomaco e della tua s<strong>al</strong>ute<br />

cagionevole» (5, 23). L’espressione paolina modico vino utere venne poi chiarita <strong>d<strong>al</strong></strong><br />

medesimo autore nella Lettera agli Efesini (5, 18), quando raccomanda a loro di<br />

non inebriarsi con il vino, che potrebbe essere fonte di lussuria. Insomma si può<br />

bere vino, ma in modo controllato: lo sostengono anche per i loro monaci i<br />

grandi abati occident<strong>al</strong>i, da Benedetto da Norcia a Benedetto di Aniane, da Bernardo<br />

di Chiarav<strong>al</strong>le a Pietro di Cluny, come ha affermato Gabriele Archetti. Per<br />

questa ragione e per definire in modo preciso cosa si dovesse intendere con le<br />

parole modico vino, le consuetudini di vita monastiche adottarono un bicchiere,<br />

ugu<strong>al</strong>e per tutti, che fu denominato “giustizia” e quindi il bibere in iustitiis significava<br />

rispettare la normativa vigente nel monastero in rapporto <strong>al</strong> vino. D’<strong>al</strong>tra<br />

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parte ogni cenobio possedeva delle vigne, che servivano per l’autoconsumo dei<br />

monaci e dei conversi; la produzione era infatti in larga misura impiegata nel<br />

monastero, soprattutto in inverno, giacché le fredde giornate europee potevano<br />

essere un po’ risc<strong>al</strong>date <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, in questo caso visto come fonte di c<strong>al</strong>orie per i<br />

monaci che dovevano a lungo pregare nelle chiese gelide.<br />

Le c<strong>al</strong>orie del vino, o meglio dello spirito di vino, e le funzioni medicin<strong>al</strong>i del<br />

medesimo sono emerse nella avvincente comunicazione di Alessandro Ghis<strong>al</strong>berti,<br />

seguita <strong>d<strong>al</strong></strong> lavoro di Ann<strong>al</strong>isa Albuzzi, in larga misura incentrata sull’opera<br />

De vinis di Arn<strong>al</strong>do da Villanova, un filosofo scolastico cat<strong>al</strong>ano della seconda<br />

metà del Duecento e del primo Trecento. Con Arn<strong>al</strong>do, che parla della possibilità<br />

di creare dei medicin<strong>al</strong>i con il vino, emergeva l’uso di utilizzare il fuoco, sostitutivo<br />

del sole, per predisporre dei medicin<strong>al</strong>i utili a prolungare la vita. Uno di<br />

questi era l’acquavite, aqua ardens facta de vino, già nota ai filosofi e successivamente<br />

propagandata nel lavoro <strong>al</strong>chemico De consideratione quintae essentiae di Giovanni<br />

da Rupescissa, un francescano spiritu<strong>al</strong>e attivo <strong>al</strong>la metà del secolo XIV.<br />

Tutti attingevano <strong>al</strong> Tractatus de aqua vitae simplici et composita, attribuito ad Arn<strong>al</strong>do<br />

da Villanova, nella cui introduzione si afferma che essa fu manifestata dagli<br />

angeli ai francescani spiritu<strong>al</strong>i, ai poveri evangelici, cioè ai discepoli di Pietro di<br />

Giovanni Olivi. Essi erano t<strong>al</strong>mente poveri da non poter utilizzare il vino e pertanto<br />

il buon Dio permise a loro di scoprire le virtù dell’acquavite, di cui occorrono<br />

pochi sorsi per poter pareggiare tanto vino. Ai ricchi prelati invece Arn<strong>al</strong>do<br />

consigliava per poter conservare la giovinezza l’oro potabile fuso nel vino,<br />

una sorta di opus <strong>al</strong>chemico che poteva richiamare la figura di Cristo, momento di<br />

congiunzione tra l’umano e il divino, proprio come l’aqua vitae o “spirito di vino”<br />

era capace di fondere l’elemento spiritu<strong>al</strong>e con la materi<strong>al</strong>ità della bevanda.<br />

Un <strong>al</strong>tro stimolo <strong>al</strong>la v<strong>al</strong>utazione positiva del vino durante i banchetti deriva<br />

<strong>d<strong>al</strong></strong> celebre miracolo di Cana, la città in cui Cristo ha tramutato l’acqua in vino per<br />

sopperire ad una spiacevole penuria verificatasi durante un banchetto di nozze. I<br />

commens<strong>al</strong>i avevano di certo bevuto troppo, ma l’episodio sarà a lungo ripreso<br />

nelle agiografie occident<strong>al</strong>i, an<strong>al</strong>iticamente studiate da Paolo Tomea, in rapporto<br />

a santi che operano miracoli cristomimetici, moltiplicando una quantità di vino<br />

inadeguata rispetto <strong>al</strong>le circostanze. Dagli episodi menzionati si ricava che sulla<br />

nobiltà laica dell’<strong>al</strong>to <strong>Medioevo</strong> incombeva l’obbligo di congiungere il vino <strong>al</strong>l’ospit<strong>al</strong>ità,<br />

evitando di offrire ai viandanti la birra o l’idromele. In <strong>al</strong>tri casi i miracoli<br />

attestano una abitudine ormai radicata negli ecclesiastici a dispensare anche <strong>al</strong><br />

popolo il vino in occasione di traslazioni di reliquie, o di particolari feste di santi,


in modo da coniugare la solennitas <strong>al</strong>la caritas, ottenendo insieme un effetto di<br />

ebbrezza. Altri santi difendono le vigne e il vino conservato nelle cantine, comminando<br />

la morte a sacrileghi violatori di vendemmie monac<strong>al</strong>i e a violenti scherani<br />

di cav<strong>al</strong>ieri in transito per la pianura padana, la cui audacia giungeva <strong>al</strong> punto<br />

di rubare nelle chiese il vino necessario per la celebrazione delle messe. Un tema<br />

ricorrente, capace di testimoniare una moda diffusa, era quello di offrire del vino<br />

da bere agli operai che erigevano chiese, o monasteri, oppure lavoravano nei campi<br />

di un padrone timorato di Dio. Tra i santi lombardi, noti per una simile disposizione<br />

<strong>al</strong>la carità, spicca il laico Omobono di Cremona, che mentre si accingeva<br />

a portare ai coloni, che lavoravano la sua vigna, da cui egli traeva di che bere per<br />

tutto l’anno, una certa quantità di vino, incontrò numerosi poveri che gli chiesero<br />

da bere. La botte si esaurì in fretta e il santo, per evitare di ritornare a casa ove la<br />

moglie lo avrebbe redarguito, riempì il recipiente con acqua, lo benedisse con il<br />

segno di croce e offrì il contenuto ai lavoratori, che ritennero di aver bevuto un<br />

vino così eccellente tanto da chiedere da qu<strong>al</strong>e luogo provenisse.<br />

Proprio sulla provenienza dei vini Paolo Tomea ha sostenuto che in Gregorio<br />

di Tours è ben presente la conoscenza di vini di importazione orient<strong>al</strong>e, a<br />

testimonianza della continuità di commercio tra Oriente e Occidente, fra cui lo<br />

Sc<strong>al</strong>onum, da Asc<strong>al</strong>ona, il Laticinum, da Laodicea, l’odierna Latakia, e il Gazetum,<br />

da Gaza in P<strong>al</strong>estina. Gregorio a proposito del Gazetum narra un episodio avvenuto<br />

a Lione, ove una matrona era solita donare t<strong>al</strong>e vino a un chierico perché<br />

celebrasse le preghiere di suffragio per il defunto marito. L’ecclesiastico con frode<br />

teneva per se il vino orient<strong>al</strong>e e lo sostituiva con aceto nella cerimonia liturgica:<br />

l’imbroglio fu denunciato <strong>d<strong>al</strong></strong> marito morto, che una notte comparve in<br />

sogno <strong>al</strong>la moglie, lamentandosi di dover bere aceto, <strong>al</strong> posto del vino, dopo una<br />

vita passata a lavorare per mantenere la dignità soci<strong>al</strong>e della sua famiglia. Ciò<br />

prova che nella G<strong>al</strong>lia, come ha osservato anche Pierre Racine, del periodo tardo<br />

antico circolavano ancora i vini orient<strong>al</strong>i che piacevano ai p<strong>al</strong>ati dei gruppi<br />

dirigenti merovingi.<br />

L’It<strong>al</strong>ia e la Francia meridion<strong>al</strong>e hanno tuttavia avuto una lunga tradizione<br />

nella coltivazione della vite, testimoniata <strong>d<strong>al</strong></strong>la legislazione e dai testi della giurisprudenza<br />

romana, che si occupano dei casi più incredibili di azioni leg<strong>al</strong>i connesse<br />

<strong>al</strong>le vigne o <strong>al</strong>la vendita del vino. Ma la lunga consuetudine con i vigneti è<br />

anche ben documentata nel tardo impero romano nelle opere di Ambrogio di<br />

Milano, il qu<strong>al</strong>e, parlando della sua Chiesa milanese, descrive la necessità di una<br />

potatura simbolica e di un sistema di coltivazione della vite a pergolato. Que-<br />

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st’ultima immagine gli permetteva infatti di operare un raffronto con la società<br />

cristiana in cui tutti i fedeli sono ugu<strong>al</strong>i, come i p<strong>al</strong>i dei pergolati. Tuttavia nel<br />

momento di parlare in modo simbolico della vendemmia il metropolita di Milano<br />

descrive anche una tipica <strong>al</strong>berata g<strong>al</strong>lica, sulla qu<strong>al</strong>e i grappoli pendono<br />

come festoni dai lunghi tr<strong>al</strong>ci. La vite e la vita cristiana nel suo pensiero erano<br />

intimamente connesse, come lo erano anche nelle opere di Gaudenzio di Brescia<br />

e di Zeno di Verona. Giuseppe Motta lo ha ricordato sottolineando la forte<br />

visione positiva del vino nell’insegnamento di Ambrogio, formatosi nella cultura<br />

della Roma pagana, che condannava certo gli ubriachi, ma che riv<strong>al</strong>utava il<br />

vino creato per dare gioia e per r<strong>al</strong>legrare il cuore e l’animo dell’uomo.<br />

Su questa linea, di sostanzi<strong>al</strong>e positività nei confronti del consumo del vino,<br />

si pongono anche i grandi canonisti del XII secolo, la cui visione nei confronti<br />

dell’uso abbondante del vino era improntata più <strong>al</strong>la tolleranza che <strong>al</strong>la violenta<br />

condanna. Secondo Roberto Bellini infatti lo stato di ebbrezza era nella piena età<br />

mediev<strong>al</strong>e, o meglio <strong>al</strong> tempo di Burcardo e di Graziano, una condizione tutt’<strong>al</strong>tro<br />

che eccezion<strong>al</strong>e e scan<strong>d<strong>al</strong></strong>osa, come abbiamo già visto anche per Bisanzio. Gli<br />

ubriaconi infatti secondo i canonisti vanno trattati con benevolenza, «più insegnando<br />

che ordinando, più ammonendo che minacciando». Insomma i preti non<br />

debbono rompere le relazioni con chi abusa del vino, ma stargli vicino per riportarlo<br />

sulla retta via. In particolare un canonista del Duecento, il cardin<strong>al</strong> Enrico<br />

di Susa, vescovo di Ostia, tratta il problema con tono divertito e scherzoso, proponendo<br />

ai grandi bevitori di continuare a bere, ma mescolando l’acqua <strong>al</strong> vino,<br />

come anche proponeva Goffredo da Trani. Tuttavia nel richiamare i vini dell’It<strong>al</strong>ia<br />

meridion<strong>al</strong>e, bevuti dai conterranei di Goffredo, l’Ostiense dimostra di<br />

conoscere bene i vini e le abitudini di mescita campane, in quanto non disprezza<br />

«il vino campano, né quello sorrentino, o l’amineum greco» e non è solito cambiare<br />

il buon vino vecchio con un vino novello di pessimo sapore. Infine, poiché<br />

l’anima non può vivere <strong>al</strong>l’asciutto, Enrico di Susa, sposa la causa degli inglesi<br />

presenti a Roma che si sfidano in lunghe ed estenuanti bevute.<br />

Insomma il tema del vino <strong>al</strong>la fine del <strong>Medioevo</strong> sembra più divertire che<br />

preoccupare, anche se qu<strong>al</strong>cuno passava la regola della moderazione voluta da<br />

San Paolo. Su una linea diversa si posero Petrarca e i primi umanisti, anzi il<br />

Petrarca in una lettera ad un amico medico, sostenne la necessità di bere solo<br />

acqua, come facevano i popoli delle Alpi e i G<strong>al</strong>li. Essi in sostanza avevano paura<br />

che l’euforia causata <strong>d<strong>al</strong></strong> vino potesse diminuire la loro gravitas. Simona Gavinelli<br />

ha notato con arguzia che molti umanisti, a cominciare da Poggio Braccio-


lini, non trattano del vino nei loro manifesti letterari, <strong>al</strong> contrario lo citano<br />

abbondantemente se disquisiscono di argomenti scientifici o di facezie. Lo stesso<br />

Poggio ha <strong>al</strong>cuni racconti piccanti sui bevitori e sugli ubriachi, sottolineando<br />

come il vino possa anche essere un buon afrodisiaco. Questo secondo aspetto,<br />

più vicino ai comportamenti tolleranti dei canonisti, emerge nella produzione di<br />

Sicco Polenton tutta rivolta ad es<strong>al</strong>tare le bevute di m<strong>al</strong>vasia cretese nelle taverne<br />

del dominio veneto e a condannare i letterati, <strong>d<strong>al</strong></strong> viso smorto, poiché sono<br />

incapaci di bere vino puro. Una risposta <strong>al</strong> Polenton venne da Bartolomeo Sacchi,<br />

detto il Platina, che scrisse in elegante latino un De honesta voluptate, che può<br />

anche essere considerato un prontuario di <strong>al</strong>ta cucina padana. Ma l’autore non<br />

manifesta grande origin<strong>al</strong>ità, in quanto trae le ricette <strong>d<strong>al</strong></strong> Libro de arte coquinaria di<br />

Martino de Rubeis e le nozioni sul vino, sulle sue qu<strong>al</strong>ità mediche e sulla coltivazione<br />

della vite da Plinio il Vecchio e da Celso. Era di moda tra i letterati copiare,<br />

dimenticando l’immenso campo di conoscenze dell’esperienza.<br />

Più origin<strong>al</strong>e nella lingua e nell’ispirazione risultò invece Teofilo Folengo,<br />

buon conoscitore di Brescia e della Franciacorta, nella cui opera B<strong>al</strong>dus emergevano<br />

personaggi positivi e figure grottesche, come le ben pasciute Muse, guidate<br />

da Gosa, la gozzuta bellezza della V<strong>al</strong>trompia, che beve tutto d’un fiato il<br />

“ci<strong>al</strong>done” di vino bresciano. Anche il Folengo conosceva i vini eccellenti della<br />

Grecia e del Mezzogiorno d’It<strong>al</strong>ia, ma la sua attenzione si rivolse ai prodotti<br />

loc<strong>al</strong>i, qu<strong>al</strong>i la vernaccia di Cellatica e di Volta Mantovana, il trebbiano di Modena<br />

e il moscatello di Perugia. Un insopportabile pedante infine dovette essere<br />

Giovanni della Casa, che nel suo G<strong>al</strong>ateo proibiva la nascente moda dei brindisi,<br />

scordandosi che Orazio molti secoli prima aveva invitato tutti i Romani e continuava<br />

ad invitare nelle scuole degli umanisti i giovani a bere. Come dobbiamo<br />

fare noi ora, dopo aver ascoltato Pietro Gibellini che da par suo, con l’arguzia e<br />

la competenza che lo contraddistinguono, ha parlato del vino nella letteratura<br />

it<strong>al</strong>iana dell’Ottocento, con particolare riferimento a Manzoni e a Verga.<br />

Orsù pertanto: Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus. Bere, cantare<br />

e b<strong>al</strong>lare: tre espressioni forti di civiltà occident<strong>al</strong>e per dimostrare la gioia di vivere<br />

e per rassicurare i tristi censori che la tradizione iniziata dagli Ebrei di Noè<br />

nella Bibbia e continuata con Gesù e con Paolo di Tarso nel Nuovo Testamento<br />

non ha ancora avuto termine. L’unico problema è la definizione, che ritengo<br />

debba essere solo person<strong>al</strong>e, dell’espressione paolina modico vino. Ma per stabilirlo<br />

il lettore ha tutto il tempo che desidera, anche dopo aver chiuso questo importante<br />

libro sul vino nella nostra civiltà europea.<br />

861


862


INDICI<br />

La coltura della vite<br />

nel medioevo<br />

863


864


Abate Warnico, 568<br />

Abbasidi, c<strong>al</strong>iffi di Baghdad, 172<br />

‘Abd Allah, visir di Granata, 73<br />

‘Abd <strong>al</strong>-M<strong>al</strong>ik <strong>al</strong>-Muzzafar, c<strong>al</strong>iffo di Cordova,<br />

73<br />

‘Abd <strong>al</strong>-Rahman III, c<strong>al</strong>iffo di Cordova, 73<br />

‘Abd el-Gawwad, 188<br />

Abdes-Samad M., 189<br />

Abdia, ps.-vescovo di Babilonia, 440-441, 444-<br />

445, 450, 452-453<br />

ABEGG E., 285<br />

Abelardo Pietro, scolastico, 420<br />

Abele, 199-200<br />

Abramo (Abraham), 396, 449<br />

Abû Firâs, poeta, 175<br />

Abû l-Hindî, poeta, 172<br />

Abû Nuwâs, poeta, 172-173, 175<br />

Accursio, giurista, 505, 508-509, 513-516, 519-<br />

520<br />

Acilio Steleno, liberto, 501<br />

Achille, 157<br />

A<strong>d<strong>al</strong></strong>ardo, abate di Corbie, 242<br />

A<strong>d<strong>al</strong></strong>berone, vescovo di Laon, 554<br />

A<strong>d<strong>al</strong></strong>giso Grimo, diacono, 93<br />

Adamo, 176, 184, 396, 474<br />

ADAMS H.M., 729<br />

Adelfio (santo), abate di Remiremont, 350-351<br />

Adelfo (santo), vescovo di Metz, 354<br />

‘Adi ibn Zayd, poeta, 167<br />

ADRIAEN M., 391, 418<br />

Adriano, imperatore, 504<br />

Aelfric, abate di Eynsham, 283, 302, 303<br />

Aegir, 537<br />

AFFORTUNATI PARRINI A., 99, 585, 610, 641<br />

Africano, giurista, 504<br />

Afrodite,v.Venere<br />

AGAPITOS P.A., 157<br />

Agata (santa), martire, 433, 439<br />

Indice dei nomi di persona<br />

Agerico (santo), vescovo di Metz, 345-346<br />

Agilo (santo), abate di Rebais, 345<br />

Agilulfo, re dei Longobardi, 537, 539, 857<br />

Agnese, 762-763<br />

Agostinetti G., agronomo, 749<br />

Agostino (santo), vescovo di Ippona, 195-196,<br />

219, 221, 231, 287, 338, 372, 387, 394, 403-<br />

404, 416, 442<br />

AGRIMI J., 677, 682, 696, 711<br />

AHRWEILER H., 148<br />

AILLOUD H., 22, 502<br />

Aimoino, monaco di S. Germain, 348<br />

AIT I., 610, 620-626, 646, 703, 706<br />

Akht<strong>al</strong> (<strong>al</strong>-), poeta, 171<br />

Alamanni L., agronomo, 747<br />

ALBERIGO G., 389<br />

ALBERS B., 307, 312<br />

Alberti Leon Battista, umanista, 485<br />

Alberto de Bonommo, 571<br />

Alberto Magno (santo), domenicano e magister<br />

theologiae, 482, 667<br />

Albertus F<strong>al</strong>cus de Carmelina, 565<br />

ALBERZONI M.P., 290, 420<br />

Albini Giacomo, medico, 588, 594, 685, 689,<br />

693-694, 698<br />

Alboino, re dei Longobardi, 536-537, 539, 857<br />

ALBUZZI A., XVI, 217, 665, 675, 858<br />

ALCINA FRANCH J., 605<br />

Alcuino di York, monaco e scolastico, 312, 345-<br />

346, 359<br />

Alcuino ps., 302<br />

Aldelmo (santo), abate di M<strong>al</strong>mesbury e vescovo<br />

di Sherborne, 315<br />

Alderotti Taddeo, medico, 685, 688, 692, 701-<br />

702, 705<br />

Aldobrandino da Siena, medico, 686, 705<br />

ALESSANDRINI R., 327<br />

Alessandro, imperatore, 139<br />

865


866<br />

Alessandro da Sesto, monaco olivetano e cronista,<br />

289<br />

Alessandro di Tr<strong>al</strong>les, medico, 155, 358<br />

Alessandro Severo, imperatore, 503-504<br />

Alessandro III (Rolando Bandinelli), papa, 366,<br />

375, 384, 388, 404-405<br />

Alessio, monaco di Studion e patriarca di<br />

Costantinopoli, 297<br />

ALEXANDER P.J., 141<br />

ALEXANDRE P., 20<br />

ALEXANDRE-BIDON D., 297, 677, 695<br />

Alexandru cel Bun (il Buono), voivoda di Moldavia,<br />

128<br />

Alfio, 769-770<br />

Alfio Mosca, 771<br />

Alfonso X, re di Castiglia, 67<br />

Algero di Liegi, canonico e monaco di Cluny,<br />

370<br />

Algiso Tignoso, vexillifer bresciano, 570<br />

‘Ali, quarto c<strong>al</strong>iffo, 169<br />

‘Ali ibn <strong>al</strong>-‘Abbâs <strong>al</strong>-Maðûsî, medico, 690<br />

Allàh (Dio, Beneamato, Signore), 169, 172, 175,<br />

177-178, 186-189, 191<br />

Allegri F., agronomo, 749<br />

ALLEN P., 160<br />

ALLIAUD G., 266, 603<br />

‘Almaqah, padre di monaci, 167<br />

Almohadi, signori del Marocco e di Al-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us,<br />

73<br />

Almoràvidi, signori del Marocco e di Al-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us,73<br />

Altavilla, sovrani normanni di Sicilia, 855<br />

ALZATI C., 367<br />

Am<strong>al</strong>ario, vescovo di Metz, 301-302, 430-432<br />

Amato (santo), abate di Remiremont, 350-351<br />

Amato (santo), vescovo di Nusco, 353<br />

Ambrogio (santo), arcivescovo di Milano, 195-<br />

204, 219, 372, 382, 387, 396-397, 409, 479,<br />

859-860<br />

AMBROSIONI A., 382, 420<br />

AMIET R., 451<br />

AMMANN H., 113-114<br />

Ammazzamogli, 772<br />

Ammiano Marcellino, cronista, 167<br />

AMOURETTI M.-C., 147, 358, 707<br />

‘Amr ibn Kulthûm, poeta, 165<br />

Anacreonte, poeta, 175<br />

ANAGNOSTAKES I., 155-157<br />

Anastasio Bibliotecario, cardin<strong>al</strong>e di S. Marcello<br />

e bibliotecario della Curia romana, 414<br />

ANDENNA G., XII, 205, 234, 253, 268, 453, 549,<br />

579, 849<br />

ANDERMANN K., 639<br />

ANDRÉ J., 22, 147, 501, 525<br />

Andrea da Asola, tipografo, 728<br />

Andrea Ghini de’ Maplighi, vescovo di Arras,<br />

685<br />

Andrea Sperelli, 753, 754<br />

Andrea II, re d’Ungheria, 128<br />

Andreola G., vitivinicultore, 808<br />

ANDREOLLI B., XII, 281, 363, 589, 601, 633,<br />

655, 676, 679, 696, 707<br />

ANDRÉS BARRIOS F., 87<br />

ANDRIEU M., 295, 301, 426-431, 433-437<br />

Andrieux M., 302<br />

Angeli, famiglia imperi<strong>al</strong>e, 161<br />

ANGELINI C., 605<br />

ANGENENDT A., 242<br />

ANGERER J.F., 254, 292<br />

ANGHEL GH., 123<br />

Anna, 771<br />

Anonimo cluniacense, agiografo, 252<br />

Anonimo di Montpellier, medico, 684<br />

Anonimo v<strong>al</strong>lombrosano, agiografo, 278<br />

Anscario (santo), vescovo di Amburgo, 312<br />

Ansegiso (santo), abate di Fontenelle, 368, 376,<br />

401, 415<br />

Anselmo II da Baggio (santo), vescovo di Lucca,<br />

370-371, 416-417<br />

Anso<strong>al</strong>do, vescovo di Terni, 349<br />

Ansovino (santo), vescovo di Camerino, 363-<br />

364<br />

ANTÈS S., 159<br />

ANTONIBON A., 703<br />

Antonini, famiglia imperi<strong>al</strong>e, 25, 504<br />

Antonio (santo), eremita egiziano, 212-213,<br />

287, 329, 338<br />

Antonio da Barga, monaco olivetano, 289, 290<br />

Antonio da Padova (santo), francescano e predicatore,<br />

354-355<br />

Antonio Ferrer, 760<br />

Aper, 26<br />

Apicio, gastronomo, 493<br />

Apollo, 753<br />

Apollonio di Tiro, 157<br />

Apostolo, v. Paolo di Tarso<br />

ARCHETTI G., XI-XII, XVI, 5, 15, 69, 73-74, 81,<br />

94, 118, 131, 162, 197-198, 201-202, 204-<br />

205, 217, 237, 242, 247, 265, 269-270, 282,<br />

284-285, 287, 290, 294, 297, 306, 309, 311,


313, 316-320, 322-323, 341, 357, 365, 376,<br />

381, 390-391, 394, 397, 399, 413, 431, 453-<br />

456, 477, 535, 541, 544, 552-555, 559-560,<br />

564-569, 571-572, 577-578, 580, 582-583,<br />

585-587, 594-595, 597, 601, 605, 609, 612,<br />

615, 626-627, 631-635, 643-644, 660, 679,<br />

688, 692, 695, 705-707, 710-711, 719, 738-<br />

739, 778-779, 790, 823-824, 827, 857<br />

Arderico S<strong>al</strong>a (de S<strong>al</strong>is), console di Brescia, 549,<br />

552, 567<br />

Ardone Smaragdo (santo), monaco di Aniane,<br />

205, 206<br />

Arduino d’Ivrea, re d’It<strong>al</strong>ia, 569<br />

Arianna, 754<br />

ARIATTA P., 147, 320<br />

ARIÈS PH., 820<br />

Aristeo, scrittore, 529<br />

Aristodemo (Aristomède), sacerdote pagano,<br />

441-443, 450<br />

Aristotele, filosofo, 562, 727, 740, 742, 750<br />

ARMBRUSTER A., 136<br />

ARNALDI G., 660<br />

Arn<strong>al</strong>do (Arnaud) da Villanova, medico, XVI,<br />

83, 665-669, 671-673, 677, 680-681, 683-<br />

684, 688-689, 695, 698, 702, 706, 708, 719,<br />

858<br />

ARNDT W., 357, 362<br />

ARNOLD U., 100, 112<br />

ARRANZ M., 465, 469, 471-472<br />

ARRIGONI F., 813-814<br />

ARRIZABALAGA J., 691<br />

Ar<strong>temi</strong>de, 526<br />

ARTHUR P., 362<br />

ARTIFONI E., 602, 604<br />

Asburgo, famiglia imperi<strong>al</strong>e, 571<br />

ASH H.B., 22, 528<br />

A‘shâ (<strong>al</strong>-), poeta, 166<br />

Asola Andrea da, 728<br />

Assuero, abate di Prüm, 345<br />

Assunta, v. Maria<br />

ASTRUC C., 146<br />

ASTUTI G., 137<br />

Atanasio (santo), patriarca di Alessandria, 212-<br />

213, 448<br />

Ateneo, erudito, 146, 530<br />

AT-TAHTÂWÎ R., 187<br />

A<strong>UBI</strong>NEAU M., 150<br />

Audhhumla, 379<br />

Audoino, re dei Longobardi, 536<br />

Audoino (santo), vescovo di Rouen, 343<br />

AUGUSTIN F., 17<br />

Augusto, imperatore, 502, 531<br />

Aulo Gellio, erudito, 487<br />

Aureliano, imperatore, 503<br />

Aureliano (santo), vescovo di Arles, 220, 232,<br />

306<br />

Aurelio (santo), martire di Cordova, 348<br />

Ausonio, poeta, 93, 499<br />

Aussenzio, arcivescovo di Milano, 382<br />

Autari, re dei Longobardi, 537<br />

AVAGLIANO F., 248<br />

Avanzi L., tipografo, 738<br />

Averardo de’ Medici, 685, 701<br />

Avicenna, filosofo e medico, 666, 690, 694, 709,<br />

732, 740<br />

Avogadro, famiglia bresciana, 781-782<br />

AZÉMA Y., 147<br />

AZZARA C., XVI, 533, 536, 541, 543, 564, 857<br />

Azzeccagarbugli, 757<br />

Azzone, giurista, 508-509, 514<br />

BACCHETTI E., 658<br />

Bacci Andrea, agronomo, 495, 594, 624, 742,<br />

744-745, 783<br />

Bacco, Bacchus,v.Dioniso<br />

BACHELARD G., 819<br />

Badoer Giacomo, mercante, 162<br />

BADURÍK J., 99, 107, 115<br />

BAGNASCO O., 682<br />

BĂICAN V., 123<br />

BALARD M., 161<br />

BALBERGHE E. VAN, 368<br />

BALBONI D., 291<br />

BALDASSARRI G., 335<br />

BALDASSERONI F., 685, 701, 702<br />

B<strong>al</strong>do degli Ub<strong>al</strong>di, giurista, 508-509<br />

B<strong>al</strong>ducci Pegolotti Francesco, mercante, 161,<br />

593<br />

B<strong>al</strong>dus, 494<br />

BALESTRACCI D., 588, 607, 610, 615-617, 644,<br />

646, 650, 660, 701, 711<br />

BALLETTO L., 161, 590, 647, 686, 688, 693, 698,<br />

703<br />

BALSAMO CRIVELLI M., 796, 799<br />

B<strong>al</strong>uze É., erudito, 298<br />

Bandello Matteo, novelliere, 592-593<br />

BANDINI M., 810<br />

BANTERLE G., 196, 198, 201, 203<br />

BANTI O., 161, 556<br />

867


868<br />

BARBERIS C., 810<br />

BARBERO A., 70-71, 633<br />

BARBIERI A., 802<br />

BARBIERI E., 565<br />

BARBIERI G., 690, 715<br />

Barbisoni, famiglia bresciana, 781, 785<br />

BARCHIERI M., 219<br />

Barisello, 570<br />

Barnaba (santo), 362<br />

Barnaba di Reggio (Emilia), medico, 677<br />

BARNI G.L., 572<br />

BARON H., 485<br />

BARONI M.F., 588<br />

BARONIO A., XVI, 547, 552-553, 564, 568-570,<br />

582<br />

Baronjusz M., agiografo, 351<br />

Barpo G.B., agronomo, 749<br />

BARRIE V., 240, 627, 679<br />

BARSANTI C., 266<br />

BARTELINK G.J.M., 212, 219<br />

BARTH M., 98, 114<br />

BARTHEL J., 639<br />

BARTHÉLEMY D., 408<br />

Bartolo da Sassoferrato, giurista, 501, 520<br />

Bartolomeo da S<strong>al</strong>iceto, giurista, 502, 509<br />

BASCAPÈ G.C., 681<br />

Basilio il Grande (santo), monaco e arcivescovo<br />

di Cesarea, 125, 154, 210, 211, 221, 222,<br />

223, 329<br />

Basilio ps., 213, 240<br />

Basilio I, imperatore, 141<br />

Basilio II, imperatore, 160<br />

BASS G.F., 162<br />

BASSANINI G., 832<br />

BASSERMANN-JORDAN F. VON, 102, 119<br />

BASSO E., 589, 601, 647<br />

BASTIANSEN A.A.R., 336<br />

BATAILLON L.J., 482<br />

Batestina, 693<br />

BATTELLI G., 566<br />

Baudolino, 149, 856<br />

BAUDOT J., 266, 437<br />

BAULANT M., 820<br />

BAUSANI A., 177-178<br />

Bayguera Bartolomeo, umanista, 626<br />

BAZELL D.M., 695<br />

BEATON R., 157<br />

BEAUROY J., 32<br />

BECET M., 36<br />

BECK H.-G., 151, 157<br />

BECK P., 49<br />

BECKER J., 147<br />

BECKER P., 265<br />

Beda il Venerabile, monaco di Jarrow, 399, 401<br />

BEDA PAZÈ B., 662<br />

BEECH G.T., 260<br />

BEGNI REDONA P.V., 319<br />

BEKKER I., 139, 141<br />

BELL R.M., 393<br />

BELLANI A., 796<br />

BELLI G., 751-752<br />

BELLI BORSALI I., 622<br />

Bellini, vitivinicultori, 808<br />

BELLINI R., XVI, 199, 218, 300, 365, 371, 380-381,<br />

397-398, 400, 405, 409, 415, 569, 600, 860<br />

BELLONI L., 684-685<br />

BELOTTE M., 63<br />

BELOTTI G., 453<br />

Beltandro, 157-158<br />

BENDER E., 114<br />

Benedetto (santo), abate di Aniane, 205-207,<br />

234-238, 254-256, 277, 281-282, 287, 296,<br />

305-306, 308, 857<br />

Benedetto (santo), eremita ungherese, 351<br />

Benedetto da Norcia (santo), abate di Montecassino,<br />

35, 206, 215, 220-222, 226-236,<br />

238, 240, 242, 247, 249, 251, 254, 271, 276,<br />

299-300, 305, 322-323, 325, 329, 397, 399,<br />

409, 416, 857<br />

Benedetto Levita, 308, 369, 388, 411, 414-415<br />

Benedetto XIV (Prospero Lambertini), papa, 433<br />

BENEDICENTI A., 702<br />

BENEDINI B., 797, 802-803<br />

BÉNÉZET J.-P., 697, 705, 706<br />

BENOIT R., 679<br />

Berengario di Tours, canonico e scolastico, 419<br />

Berengario J., agronomo, 738<br />

Berengario I, re d’It<strong>al</strong>ia, 543<br />

BERENGO M., 719, 721, 723<br />

BERGER R., 478<br />

BERLIÈRE U., 283<br />

BERTELLI C., 285<br />

Berlucchi, vitivinicultori, 790, 814<br />

BERLUCCHI M., 815-816<br />

Bernabò Visconti, signore di Milano, 628<br />

BERNARD A., 299<br />

BERNARD J., 55<br />

Bernard de Gordon, medico, 690<br />

Bernardino da Siena (santo), francescano e predicatore,<br />

600


BERNARDI PERINI G., 490, 494<br />

Bernardo (santo), abate di Clairvaux, 200, 268,<br />

270, 314, 326, 420, 857<br />

Bernardo, monaco di Cluny, 252-254, 256, 261,<br />

277, 279, 283, 293, 300, 302, 309, 311-314,<br />

316<br />

BERNUTH J., 100<br />

Bero<strong>al</strong>do Filippo, 727<br />

BERTAGNOLI G., 516<br />

BERTELÈ T., 162<br />

BERTI K., 440<br />

BERTINI F., 684<br />

Bertoldo di Chiemsee, 433<br />

BERTOLINI O., 159<br />

BERTOLUZZA A., 493<br />

BESTA E., 572<br />

BETHMANN L., 549<br />

BETRI M.L., 696<br />

BETTELLI BERGAMASCHI M., 201, 453<br />

BETTI E., 499, 513, 516-517<br />

BETTO B., 659, 705<br />

BETTONI B., XII, 817<br />

BETTONI CAZZAGO L., 786, 802-803, 807<br />

BETZ H.D., 378<br />

BEUMANN H., 106<br />

Bevilacqua Nicolò, tipografo, 718, 728<br />

Bevitore, 152<br />

Beyer J., tipografo, 745<br />

Biagio (santo), eremita e martire, 433, 439<br />

Bianca Maria Sforza, duchessa di Milano, 700<br />

Bibio, 491<br />

BIFFI G., 204<br />

BIFFI I., 204<br />

BIGET J.-L., 696<br />

BILLANOVICH E., 494<br />

BILLANOVICH M., 494<br />

Binetti A., vitivinicultore, 808<br />

BIRABEN J.-N., 160<br />

BISCHOFF G., 61<br />

Bischoff N., tipografo, 729<br />

BITTARELLI A.A., 364<br />

BLOC G., 29<br />

BLOCH H., 569<br />

BLOCH M., 381, 384, 389, 401, 404, 412, 560<br />

Boccaccio Giovanni, scrittore, 593, 719<br />

BOCCHI F., 549<br />

BOCKENHEIM G., 596<br />

BÖCKMANN A., 276<br />

BOCșAN N., 124<br />

BOEHLER J.M., 61<br />

BOERIO G., 822, 826-827, 829-831, 833-834<br />

Bogdan Baksiè P., cronista, 133<br />

BOGNETTI G.P., 540, 556<br />

BOIS G., 47<br />

BOISSONADE J.FR., 149, 156<br />

BOISSONADE P., 42<br />

Boldo Bartolomeo, agronomo, 738-739<br />

BOLENS L., 67, 358, 709<br />

BÖLL K.-P., 100<br />

Bollani Domenico, vescovo di Brescia, 452, 726<br />

BOLOGNA G., 492<br />

BONARDI C., 596, 823<br />

Bonardo G.M., agronomo, 723-724<br />

Boncompagno da Signa, magister di retorica, 603<br />

BONASSIE P., 72, 384, 387<br />

Bonaventura da Bagnoregio (santo), gener<strong>al</strong>e<br />

dei francescani e magister theologiae, 335<br />

BONELLI G., 581<br />

BONETTI C., 205, 234<br />

BONFANTE P., 499<br />

BONFIGLIO DOSIO G., 601, 630, 633<br />

Bonifacio, marchese di Canossa, 560<br />

Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), papa, 420<br />

BONIFAY M., 357<br />

BONINI VALETTI I., 547, 551, 628<br />

Bonizzone, vescovo di Sutri, 371<br />

BONNEN G., 95, 105<br />

Bononio (santo), abate di Lucedio, 291<br />

BONSIGNORI G., 807<br />

BONUZZI L., 569, 657<br />

Bonvesin de la Riva, cronista, 579<br />

BOON A., 209<br />

BORDONE R., 553, 557-559<br />

BORELY B., 28<br />

BORETIUS A., 27, 307, 543<br />

Borghese S., vitivinicultore, 808<br />

BORGHI L., 802<br />

BORGNET A., 482<br />

Borgominerio C., tipografo, 748<br />

BORLANDI F., 593, 805<br />

BORONI C., 815<br />

BORRERO FERNÁNDEZ M., 84-85<br />

Borromeo Carlo (santo), arcivescovo di Milano,<br />

480, 482, 726<br />

BORRUSO A., 167, 175, 178<br />

BORSARI M., 327<br />

BORSARI S., 161<br />

Borso d’Este, duca di Ferrara, 686<br />

Bortolo, 765<br />

BOSCH R., 160<br />

869


870<br />

BOSISISO A., 549, 552<br />

Botero Giovanni, scrittore, 137<br />

BOTEZ C., 123<br />

BOTEZAN L., 123<br />

BOTTE B., 479<br />

BOUCHERON P., 696<br />

BOUGARD F., 408, 544, 565<br />

BOURGERY A., 147<br />

BOUTRUCHE R., 47, 58, 381<br />

BOUVIER M., 688<br />

BOYD C.E., 381-382<br />

BOZZI M., 222, 223, 226<br />

Bozzola (Buozola) G.B., tipografo, 718-719,<br />

725<br />

Bozzola T., tipografo, 738<br />

BRAASCH-SCHWERSMANN U., 98, 640<br />

Bracciolini Poggio, segretario fiorentino e umanista,<br />

488, 489, 490, 860-861<br />

BRAEKMAN W.L., 681<br />

BRAGA E., 804, 807, 809<br />

Bragi, 537<br />

BRANCA P., XV, 73, 165, 305, 855<br />

BRANCA V., 696<br />

BRANDT B., 91<br />

Brasi, 767-768<br />

Brassicanus Johannes, 729<br />

BRAUDEL F., 130, 135, 641, 818-820, 828<br />

BRÄUER H., 100<br />

BREDA A., XIII, 453, 850<br />

BRÉGUET E., 501<br />

BRENTEGANI G., 549<br />

BRESSLAU H., 554, 557, 569<br />

BRETT M., 369-370<br />

BREZZI P., 595, 626<br />

Brixianus de Braida, 565<br />

BRIZZI G.P., 603<br />

BROGIOLO G.P., 285, 453, 549<br />

BROMMER P., 410<br />

BROUETTE E., 360-361<br />

BROWE P., 301<br />

BROWN R., 662<br />

BRUEL A., 299<br />

BRUN J.P., 147, 358, 361, 707<br />

BRUNDAGE J.A., 398<br />

BRUNET J., 678<br />

Bruni A., vitivinicultore, 808<br />

Bruni Leonardo, segretario fiorentino e umanista,<br />

485<br />

BRUNI V., 474<br />

BRUNNER O., 717<br />

Bruno (santo), vescovo di Segni, 294<br />

Bruno da Longoburgo (Longobucco), medico,<br />

684, 688, 702<br />

Bruno di Colonia (santo), fondatore dei Certosini,<br />

290<br />

BUCHI E., 688<br />

Budda, 586<br />

BUGHETTI B., 706<br />

BULENCEA A., 123<br />

Bulgaro, giurista, 508<br />

Burcardo, vescovo di Worms, 368-369, 371-<br />

374, 377, 381, 393, 395-402, 405, 410, 412,<br />

416, 600, 860<br />

Burebista, re daco, 123-124<br />

BURGARD F., 93-94<br />

Burgundio di Pisa, medico, 594, 688, 732-733<br />

Bussato Marco, agronomo, 736-737<br />

BUTURĂ V., 123, 130, 132<br />

BYNUM C.W., 248<br />

CACIORGNA M.T., 595, 626<br />

Caino, 199-200, 752<br />

Caio, giurista, 524<br />

CAIZZI B., 794<br />

CALABRESE G., 324<br />

CALASSO F., 554<br />

CALATI B., 206<br />

CALCATERRA C., 611<br />

C<strong>al</strong>igola, imperatore, 500<br />

C<strong>al</strong>ini R., vitivinicultore, 813<br />

C<strong>al</strong>ini-Brognoli, vitivinicultori, 808<br />

C<strong>al</strong>limaco, 157-158<br />

CALMETTE J., 62<br />

CĂLUșER C., 125<br />

CALVET A., 665, 669, 671<br />

CAMERLENGHI E., 810-812<br />

CAMERON A., 159<br />

Caminesi, signori di Treviso, 662<br />

CAMPANA A., 493<br />

CANALI L., 147<br />

CANART P., 460, 465<br />

CANETTA R., 794<br />

CANETTI L., 338<br />

CANIVEZ J.M., 269<br />

CANTALUPO P., 683<br />

CANTARELLA G.M., 252, 280, 558, 561<br />

Can<strong>temi</strong>r Dimitrie, principe-cronista, 133-134,<br />

137-138<br />

CANTÙ C., 794


Capaci Fernante, cronista, 135<br />

CAPITANI O., 370, 386, 388<br />

CAPO L., 536<br />

CAPOZZI G., 601<br />

CAPPELLO F.M., 483<br />

CARAMPELLO B., 736<br />

CARANDE R., 86<br />

CARBONELLI G., 594, 685, 689, 693-694, 698-<br />

700<br />

CARDINI F., 290, 389<br />

CARDUCCI G., 751-753, 759<br />

CARENA C., 527<br />

CARLÉ M.C., 82<br />

CARLEN L., 657<br />

Carlo il C<strong>al</strong>vo, imperatore, 312<br />

Carlo il Temerario, duca di Borgogna, 58<br />

Carlo Magno (Charlemagne), imperatore, 27,<br />

29, 94, 234, 236-238, 251, 285, 287, 296,<br />

308, 315, 358, 401, 406, 409, 543-544, 549<br />

Carlo VII, re di Francia, 58<br />

Carlo Stefano, v. Estienne Ch.<br />

CAROCCI S., 610, 626-627, 646<br />

Carolingi, famiglia imperi<strong>al</strong>e, 27, 407, 543<br />

CARON P.G., 367<br />

CARRARA E., 492<br />

Carraresi, signori di Padova, 652<br />

Carzarinus de Alexandris, 578<br />

CASADO ALONSO H., 87<br />

Cascellio, giurista, 521<br />

CASPAR E., 369<br />

Cassio, giurista, 506<br />

Cassiodoro, abate del Vivarium, 322, 358, 361,<br />

503, 533-534<br />

CASSON L., 358<br />

CASTAGNA V., 649<br />

CASTAGNETTI A., 381-382, 651<br />

CASTELLANI A., 452<br />

CASTELLANI C., 703<br />

CASTELLI G., 681<br />

CASTELLINI G., XIII<br />

CASTER G., 32<br />

CASTILLO LARA R.I., 394<br />

CATANZARO G., 356<br />

Caterina da Siena (santa), terziaria domenicana,<br />

480<br />

Cato E., 735<br />

Catone il Censore, politico e scrittore, 499-500,<br />

526-529, 726-728, 750<br />

Cattaneo Alessandro, mercante, 86<br />

CATTANEO E., 452<br />

Catullo, poeta, 356<br />

CAU E., 565<br />

CAVACIOCCHI S., 676<br />

Cav<strong>al</strong>ca D., cronista, 329<br />

Cav<strong>al</strong>c<strong>al</strong>ovo Girolamo, tipografo, 728<br />

CAVALLO G., 155, 569<br />

CAVALLO BOGGI P., 684<br />

CAVANNA A., 505<br />

Cavazza Cesare, tipografo, 736<br />

CAZELLES R., 35<br />

CAZIER P., 397<br />

Cecco Angiolieri, poeta, 599, 759<br />

Celebi E., cronista, 135<br />

Celestino III (Giacinto Orsini), papa, 411<br />

Celestino V (Pietro da Morrone), papa, 420<br />

Celsa, 344<br />

Celso, giurista, 504, 519<br />

Celso, medico, 494, 861<br />

Cercel Petru, signore del Paese Rumeno, 133<br />

Cerere,97<br />

CERUTI A., 275<br />

Cervantes Miguel de, scrittore, 605<br />

Cesare, politico e scrittore, 22, 501-502, 720<br />

Cesare Ottaviano, v. Augusto<br />

Cesario (santo), vescovo di Arles, 219-220, 232,<br />

306, 371, 405, 440<br />

CESSI R., 581, 722<br />

CETTOLINI S., 805<br />

CHAINEUX M.C., 105, 637<br />

CHAMBERS A.S., 493<br />

CHANIOTIS A., 148<br />

CHARANIS P., 154<br />

CHAVASSE A., 436<br />

CHEDEVILLE A., 35<br />

CHENU D.-M., 385<br />

CHER<strong>UBI</strong>NI G., 3, 77, 125, 376, 404, 412, 414-<br />

415, 590, 599, 600-602, 604-606, 608, 611,<br />

617-618, 643<br />

CHEVALIER B., 60<br />

CHIAPPA MAURI L., 12, 579-580, 823<br />

Chiara d’Assisi (santa), fondatrice delle Damianite,<br />

335<br />

CHIESA M., 490<br />

CHIESA P., 579<br />

CHIESA ISNARDI G., 379<br />

CHIFFOLEAU J., 696<br />

Childeberto II, re dei Franchi, 345-346<br />

CHILDS W.R., 85<br />

CHIODI L., 633<br />

CHITTOLINI G., 381<br />

871


872<br />

Chizzola G., 722<br />

CHODOROW S., 369<br />

Chrotildis, v. Crotilde<br />

Chunradus marstellerio, 656<br />

CHUPUNGCO A.J., 470<br />

CHRYSOSTOMIDES J., 150, 161-162<br />

CIAPPONI L.A., 490<br />

CIASCA R., 706<br />

Cicerone, politico e scrittore, 486, 500-501, 720,<br />

726-727<br />

Cigola, famiglia bresciana, 780, 785<br />

CIHODARU C., 123<br />

CIPOLLA C.M., 386-387<br />

CIPOLLINI F., 294<br />

Cipriano (santo), arcivescovo di Cartagine, 382<br />

CIRENEI F., 686<br />

Cirillo (santo), patriarca di Gerus<strong>al</strong>emme, 424<br />

Ciro (santo), medico e martire, 152<br />

CITO D., 371<br />

CLASSEN C.J., 362<br />

Claudio, imperatore, 530<br />

Claudio, sicario, 357<br />

CLEMENS L., 94-95, 101, 105-106, 108, 111, 115,<br />

120, 265, 269, 377, 544, 638-639<br />

CLÉMENT J.-M., 222<br />

Clemente di Alessandria (santo), teologo, 209,<br />

210<br />

Clemente I (santo), papa, 400<br />

Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini), papa,<br />

433-435, 742<br />

Clementi A., agronomo, 724<br />

Cleopatra, regina d’Egitto, 531<br />

Clio, 634<br />

Clodoveo, re dei Franchi, 404<br />

CLOSSON M., 695<br />

CLUSE C., 94, 544<br />

COCCHETTI C., 794, 796, 799-801<br />

Cochard C., vitivinicultore, 808<br />

COGROSSI C., XVI, 306, 499<br />

COJOCARU D., 125<br />

Cola di Rienzo, tribuno, 754<br />

Coler J., agronomo, 749<br />

Colette Boyllet (santa), fondatrice delle Colettine,<br />

355<br />

COLLODO S., 563, 648, 651<br />

Colombano (santo), abate di Bobbio, 220<br />

COLOMBO A., 362<br />

Colombo Cristoforo, navigatore, 489<br />

COLOMBO G., 362<br />

Colonna Ascario, cardin<strong>al</strong>e di Preneste, 742<br />

Colonna Francesco, domenicano di Ss. Giovanni<br />

e Paolo di Venezia, 490<br />

Columella, agronomo, 22, 180, 487, 493, 495,<br />

499-501, 526-529, 716, 720-722, 726-729,<br />

731-732, 750<br />

COMBA R., XII, 12, 266, 270, 290, 559, 585, 603,<br />

644, 655-656, 678, 706, 716<br />

COMBES D., 125<br />

Combi S., tipografo, 736<br />

Cominotti D., vitivinicultore, 808<br />

Commodo, imperatore, 503<br />

Comneni, famiglia imperi<strong>al</strong>e, 156-157<br />

compare Cipolla, 771<br />

CONCA F., 156<br />

CONCI G., 702<br />

Conforti Girolamo, medico, XII, 217, 679, 719,<br />

738-740<br />

Conforto da Costozza, notaio e cronista, 14<br />

CONNELL W.J., 649<br />

CONSTABLE G., 260, 569-570<br />

CONSTANS L.A., 502<br />

CONSTANTINIDES HERO A., 154<br />

CONTAMINE PH., 389, 407-408<br />

Conte del Sagrato, 759<br />

CONTI E., 3, 609<br />

COPPA G., 197<br />

Coradelli, famiglia bresciana, 781<br />

CORBLET J., 478, 480<br />

CORINO M., 495<br />

Corippo, poeta, 159, 356<br />

Cornarius Janus, 729-730<br />

Cornelio, giurista, 518<br />

Cornelio quod vocetur Mochariseos,abate,209<br />

Corner Francesco, cardin<strong>al</strong>e e vescovo di Brescia,<br />

817<br />

Corrado II, imperatore, 554, 557<br />

CORSETTI P.-P., 703<br />

CORTELLAZZO M., 163<br />

CORTESI M., 489<br />

CORTONESI A., XI-XII, XV, 3, 81, 305, 317,<br />

318, 390-391, 559, 589, 603, 605, 609-610,<br />

612, 624-628, 643, 646, 706, 712, 853<br />

COSI D.M., 378<br />

Cosimo de’ Medici il Vecchio, signore di Firenze,<br />

685, 701<br />

Cosma (santo), medico e martire, 152<br />

Cosroe, re persiano, 174<br />

Costa Stefano, giurista, 618<br />

Costantino Africano, medico, 683, 689<br />

Costantino Manasse, scrittore, 156, 158


Costantino I, imperatore, 23-24, 506, 721<br />

Costanza de’ Maggi, 492<br />

COTTINEAU H., 445<br />

COTURRI E., 679, 682<br />

COUGNY E., 155<br />

COVA A., 794<br />

COZZOLINO C., 152<br />

CRACCO G., 660<br />

CRACCO RUGGINI L., 533-534<br />

CRAEYBECKX J., 42, 637, 654<br />

CREA R., 815<br />

CREMASCOLI G., 407<br />

CREMONESI CH., 150<br />

CRESPI M., 495, 745<br />

CRIPPA G.B., 794<br />

Crisanza, 157-158<br />

CRISCIANI C., 667, 670-671, 677, 696, 708, 711<br />

Crisorroe, 157-158<br />

CRISTIANI M., 419<br />

CRISTIANI R., 276, 278, 280<br />

Cristo (Christós, Christus, Crocefisso, Figlio,<br />

Gesù, Kyrios, Redentore, S<strong>al</strong>vatore, Signore,<br />

Uiós, Verbo), XV-XVI, 20, 125, 154, 195-<br />

196, 200-201, 209-210, 219, 256, 266, 278-<br />

279, 284, 288, 295, 297-298, 301-302, 304,<br />

314, 331, 333, 335, 337, 341, 344, 347, 353,<br />

355, 360, 376-377, 380, 389, 394, 399, 410,<br />

415, 421, 423-425, 429, 432-433, 436, 438-<br />

439, 441-443, 445, 448-449, 451-453, 455,<br />

459, 461-462, 464, 467-468, 474, 477-479,<br />

480, 482, 562, 586, 591, 670, 673, 755, 764,<br />

770-771, 837-838, 858, 861<br />

Croce Gian Battista, agronomo, 719<br />

CROSARA F., 289<br />

Crotilde (santa), regina dei Franchi, 352<br />

CROWLEY J.E., 832<br />

CRUZ CRUZ J., 677, 689<br />

Cujas (Cuiacius), giurista, 508, 515, 519, 521-523<br />

CUNA A., 683<br />

Cunimondo, re dei Gepidi, 539<br />

Cuonradi, v. Corrado II<br />

CUPANE C., 151, 157<br />

CURTIUS E.R., 562, 570<br />

CURZEL E., 425, 655<br />

Cusano Nicolò, cardin<strong>al</strong>e e vescovo di Bressanone,<br />

107<br />

CUTLER A., 145<br />

CZOERNIG K., 792<br />

CZOK K., 100<br />

D’ACUNTO N., XVI, 208, 288, 327, 331-332<br />

D’ADDARIO A., 608, 613<br />

D’AMATO G., 835<br />

D’AMBROSIO A., 253<br />

D’ANNUNZIO G., 751-752, 754<br />

D’ARMS J.H., 675<br />

D’ATTOMA P., 816<br />

DAAGE C., 305<br />

da Borgofranco Giovanni Battista, tipografo,<br />

729<br />

da Carrara, v. Carraresi<br />

DACHS H., 115<br />

DAEMS W.F., 681<br />

DAGRON G., 145<br />

DAHLMANN C.F., 312<br />

DALBY A., 153<br />

DALMASSO L., 503, 585, 798, 804-805<br />

DAL PRÀ L., 267<br />

DAL VERME A., 12<br />

Damiano (santo), medico e martire, 152<br />

DANDOLO V., 793<br />

Daniolo da Cremona, taverniere, 601<br />

DANSGAARD W., 19<br />

Dante Alighieri, scrittore, 233, 293, 593, 611,<br />

719<br />

DA PASSANO M., 4, 286, 351, 550, 585, 609, 643,<br />

679<br />

DA PONTE L., 751<br />

DAREMBERG CH., 503<br />

Datini, famiglia mercantile, 609, 616, 619, 641,<br />

646, 710<br />

Datini Francesco, figlio di Marco, 73, 99, 610,<br />

614-616, 622, 676<br />

Daumier, 757<br />

Davanzati B., agronomo, 749<br />

DAVID G., 123, 130, 136-137<br />

Davide (Davìd), re d’Israele, 465-466<br />

DAVRIL A., 255, 433<br />

DEAN M., 391, 822<br />

De Belle-Forest F., 719<br />

DE BOOR C., 139<br />

DE BRUYNE D., 231<br />

DE CASTRO MARTÍNEZ T., 73<br />

Deceneus, sac. daco, 124<br />

DE COURSON A., 307, 347<br />

de Dominici Domenico, vescovo di Brescia,<br />

490<br />

DEFENDINI D., 799<br />

DE FERRARI A., 685<br />

DE FRANCISCI P., 499<br />

873


874<br />

DE GHELLINCK J., 373, 419<br />

DEGLI AZZI G., 685, 701, 702<br />

DEJEU L., 123, 138<br />

DE JONG J.P., 302, 428<br />

DE JONG M., 242, 247, 294<br />

DEKKERS E., 219, 387<br />

DELAFOSSE M., 21, 53, 637<br />

DE LA RONCIÉRE CH., 587, 609-610, 615-617, 619<br />

DEL CORNO C., 329, 334, 337<br />

DELEHAYE H., 147, 404<br />

Della Casa Giovanni, scrittore, 495, 861<br />

DELLA CORTE F., 146<br />

DELLE DONNE R., 413, 823<br />

DELL’ORO F., XIV, 275, 284, 294, 296, 301, 421,<br />

435, 453<br />

DELOGU P., 139, 362<br />

DELORT R., 20<br />

DEL TREPPO M., 647<br />

DEMAITRE L., 693<br />

DEMBINSKA M., 238<br />

DE MEESTER P., 458, 462, 474<br />

DEMESLAY D., 222<br />

Demetrio (santo), arcivescovo di S<strong>al</strong>onicco,<br />

150, 856<br />

Demetrio Cidone, 156<br />

DEMO E., 649<br />

DE MOXÓ S., 76<br />

DENNIS G.T., 156<br />

DENTICI BUCCELLATO R.M., 589<br />

DENZINGER H., 472<br />

DE RENZI S., 684<br />

DE ROBERTIS F.M., 505, 509-510, 517<br />

DÉROCHE V., 142<br />

de S<strong>al</strong>is, famiglia bresciana, 552<br />

Deschamps E., poeta, 36<br />

de Serres O., agronomo, 479<br />

DESHUSSES J., 432<br />

Desiderio (santo), vescovo di Cahors, 359, 361-<br />

362<br />

DESPREZ V., 411<br />

DESPY G., 639<br />

DESROUSSEAUX A.M., 146<br />

DESSUREALT C., 820, 833<br />

Deusdedit, cardin<strong>al</strong>e di S. Pietro in Vincoli, 371,<br />

382<br />

DE VALOUS G., 255, 256, 257, 261, 262, 299,<br />

313, 314<br />

DE VITRAY-MAYEROVITCH E., 177<br />

DE VOGÜE A., 209, 212, 220, 221, 222, 226,<br />

230, 232, 397, 399<br />

DE VRIES J., 378<br />

DEVROEY J.-P., 238, 239, 240<br />

DEZZA E., 609<br />

DIAGO HERNANDO M., 80, 87<br />

Diana, 441<br />

DICKINSON F.H., 436<br />

DICKINSON J.A., 820, 833<br />

DICKSON M.P., 253<br />

DIERKENS A., 639<br />

DIETEN I.A. VAN, 143<br />

DIETRICH J.V., 61<br />

DÍEZ HERRERA C., 71<br />

DINDELLI A., 208<br />

DI NOLA A.M., 378<br />

DINTER P., 253<br />

Dio (Altissimo, Creatore, Deus, Dieu, Dominus,<br />

Kyrios, Onnipotente, Padre, Patròs, Provvidenza,<br />

Signore, Theós), 52, 125, 150, 196,<br />

198, 200, 203-204, 206-208, 211-212, 215,<br />

218-220, 222, 224, 228-229, 231, 250, 256,<br />

283, 291, 294, 322, 324, 331-332, 341-342-<br />

355, 359-360, 363-364, 384, 389, 409-410,<br />

415, 421, 423-424, 430-432, 434, 436-438,<br />

441-443, 445-449, 451-454, 459, 461-462,<br />

465-466, 473, 479, 483, 491, 505, 578, 603,<br />

631, 667-667, 670-673, 755, 766, 768, 771-<br />

772, 855, 858-859<br />

Diocleziano, imperatore, 500, 503, 529<br />

Diodoro Siculo, cronista, 167<br />

Diolaiuti di Cecco di Imola, spezi<strong>al</strong>e, 706<br />

DION R., XIV, 15, 21-24, 26, 28, 42, 52, 321,<br />

342-347, 361, 477, 590, 597, 600, 637, 710<br />

Dioniso, 91, 97, 124, 149-150, 155, 158-159, 356,<br />

493, 599, 634, 743, 751-754<br />

DIONISOTTI C., 485<br />

Dioscoride, medico, 527, 529, 675, 690, 697,<br />

742<br />

DI SEGNI R., 414<br />

DITONNO N., 473<br />

DMITRIEVSKIJ A., 459-460, 462, 471-475<br />

DOEHAERD R., 29, 637<br />

Dolce Lodovico, 747<br />

DOLFINI G., 536<br />

DOLLINGER PH., 35<br />

Domenico, affittuario, 383<br />

Domenico di C<strong>al</strong>eruega (santo), fondatore dei<br />

Domenicani, 335, 338<br />

Domiziano, imperatore, 22, 25, 502<br />

don Abbondio, 756, 758, 762-763<br />

don Alfonso, 766


Donatello (Donato Bardi), pittore, 485<br />

Donato, monaco di Antresis (?), 343<br />

don Chisciotte, 605<br />

Dondi dell’Orologio Giovanni, medico, 487, 495<br />

DONGHI A., 464<br />

don Giovanni, 751<br />

Donizone, abate di S. Apollonio, 560<br />

don Michele, 771-773<br />

D’ONOFRIO G., 419<br />

don Rodrigo, 756-758, 760, 762<br />

DOORNINCK F.H. VAN, 162<br />

DOPF G., 61<br />

DOPSCH H., 317<br />

Doria Benedetto, mercante, 86<br />

Dorian Gray, 753<br />

DORINI U.,162<br />

DOSSENA F., 799<br />

DOSSETTI G.L., 389<br />

DOSSI C., 751<br />

DOUGLAS K., 305<br />

DOUGLAS M., 328<br />

DOURAMANI K., 474<br />

DOUTRELEAU L., 480<br />

DRAGUET R., 212<br />

DREYER J., 61<br />

DREXL F., 155<br />

DUBOIS H., 46<br />

DUBOIS J., 322<br />

DUBY G., 78, 381, 385-386, 389, 398, 400, 820<br />

Duc P.-E., canonico, 450<br />

DU CANGE CH., 312, 630<br />

DUCHESNE L., 295<br />

DUMAS A., 432, 438<br />

DUMAY R., 61<br />

DÜMMLER E., 97, 312, 315, 359-360<br />

DUMONT J.C., 499<br />

Durando di S. Porziano, vescovo di Puy, 481<br />

DURLIAT J., 159-160<br />

Dusares (Dhu’sh-sharâ, Dhû Sharâ), 167<br />

DUSSAUD R., 167<br />

DUTOUR T., 53<br />

DUVAL ARNOULD L., 64<br />

DUVOSQUEL J.-M-, 96, 639<br />

DÜWELL K., 96<br />

DYKMANS M., 433-435<br />

EAMON W., 679<br />

EBELING D., 110<br />

Eberulfo, cubiculario di Gontrano, 357<br />

Ebulo, commediografo, 216<br />

ECHARD G., 492<br />

ECKARD J.G., 571<br />

ECO U., 149, 856<br />

Edoardo IV, re d’Inghilterra, 592<br />

Egberto, arcivescovo di York, 399, 401<br />

EGENDER N., 474<br />

EHLERS J., 116<br />

EHWALD R., 315<br />

EICKELS K. VAN, 112, 640<br />

EIDENEIER H., 148, 151<br />

Eleonora d’Aquitania, regina d’Inghilterra, 260<br />

Elia, profeta, 199, 396<br />

Eligio (santo), vescovo di Noyon, 342-343, 359<br />

Eliodoro, 480<br />

ELVERT C., 283<br />

ELZE R., 302, 431, 437<br />

Emeric, re d’Ungheria, 128<br />

Emili, famiglia bresciana, 781<br />

EMPEREUR J.-Y., 147<br />

Emre Y., poeta, 187<br />

ENENKEL K.A.E., 487<br />

ENGELBERT P., 240<br />

ENJALBERT H., 816<br />

ENNEN E., 106<br />

Enotrio Romano, v. Carducci<br />

Enrico, vescovo di Bologna, 390<br />

Enrico di Susa, cardin<strong>al</strong>e di Ostia, 367, 374-375,<br />

384, 388-390, 393-395, 397-398, 401, 405,<br />

407, 412, 417-418, 480, 860<br />

Enrico II, imperatore, 569<br />

Enrico VII, re d’Inghilterra, 593<br />

EPSTEIN S., 649<br />

Erardo, vescovo di Tours, 380<br />

Erasmo da Rotterdam, umanista, 485, 488<br />

Erchenperto, vescovo di Frisinga, 315<br />

ERICKSON J.H., 468<br />

Erico, re di Svezia, 404<br />

Ermanno Castello, phisicus, 682<br />

Ermelando (santo), abate di Antresis, 343<br />

Ermete Trismegisto, 667<br />

Ermogeniano, giurista, 504<br />

Ermoldo Nigello, chierico e poeta, 97<br />

ERNOUT A., 527<br />

Erode Antipa, tetrarca della G<strong>al</strong>ilea e della<br />

Perea, 409<br />

ESCH A., 413, 609-610, 620-627, 646, 823<br />

ESCHNAUER H.R., 110<br />

Esculapio, 440<br />

ESPADAS BURGOS M., 73<br />

875


876<br />

ESTELLA ALVAREZ M.C., 72, 79, 87<br />

Estensi, signori di Ferrara, 685<br />

Estienne Charles, agronomo, 725, 734-735, 749<br />

Estienne Robert, agronomo, 728, 747<br />

Eugendo (santo), abate di Condat, 219<br />

Eumenio, retore, 23<br />

Eustazio, arcivescovo di S<strong>al</strong>onicco, 153<br />

Eustazio Macrembolita, scrittore, 156-157<br />

Eustochio (santa), monaca a Betlemme, 217<br />

EUSTRATIADES S., 154<br />

Eutichiano (Eutychien) (santo), papa, 380, 410<br />

Eutimio (Eutichio), abate di Psamathia e<br />

patriarca di Costantinopoli, 141<br />

Eva, 396<br />

Evagrio Pontico, eremita, 213, 221<br />

EVANS A., 161, 593<br />

Evonymus, agronomo, 737-738<br />

EWALD P., 369<br />

Ezechiele, profeta, 250<br />

FABRE P., 383<br />

FÁBREGAS GARCÍA A., 68<br />

Fabricius J.A., 441, 444<br />

FACCINI L., 792<br />

FACCIOLI E., 492-493, 495, 594, 596<br />

FAGIOLO M., 620<br />

FAILLA O., 318, 627<br />

F<strong>al</strong>cone G., agronomo, 725-726, 748<br />

FALOCI PULIGNANI M., 338<br />

FANIZZA F., 494<br />

FANTINI B., 677<br />

FARNEDI G., 472<br />

FASOLI G., 362, 662<br />

FATOUROS G., 155<br />

FATTORINI V., 233<br />

FAUSER W., 482<br />

FAUSSNER H.C., 657<br />

FAVRE L., 630<br />

FEATHERSTONE M., 467<br />

FEDELI P., 527<br />

Federico I Barbarossa, imperatore, 363, 549-<br />

550, 556, 568<br />

Federico II, imperatore, 547<br />

Federigo Borromeo, 757, 762-763<br />

FERA V., 486<br />

Ferecrate, filosofo, 530<br />

Fermo, 757-758, 762<br />

FERNÁNDEZ DE LA PRADILLA MAYORAL C., 78-79<br />

FERRAGLIO E., XII, 318, 715<br />

Ferrando, diacono di Cartagine e agiografo,<br />

219, 222<br />

FERRARI M., 382<br />

Ferraris L., giurista, 482<br />

FERRATO P., 685<br />

Ferreolo (santo), vescovo di Uzès, 220-221,<br />

241, 300, 411<br />

FERRINI G., 793<br />

FERY-HUE F., 705, 706<br />

FESTA N., 486<br />

Fidolo (santo), monaco, 359<br />

Filastrio (santo), vescovo di Brescia, 202<br />

Filiberto (santo), abate di Jumièges, 343-344,<br />

359<br />

Filippo di Beaumanoir, giurista, 36-37<br />

Filippo il Buono, duca di Borgogna, 49, 51-52<br />

Filippo l’Ardito, duca di Borgogna, 48-49, 51-<br />

52<br />

Filippo II Augusto, re di Francia, 17, 19, 21<br />

Fiordiano M<strong>al</strong>atesta da Rimini, gastronomo,<br />

710<br />

Fiorentino, giurista, 504<br />

Fiorina G., tipografo, 736<br />

FIRPO L., 596<br />

FIRPO M., 384<br />

FISCHER K.-D., 703<br />

FIUMI E., 616<br />

FLANDRIN J.L., 32, 153, 254, 271, 328, 596, 676-<br />

678, 686, 697-698, 707, 710, 820<br />

FLICHE A., 375<br />

Flodoardo, chierico e cancelliere della chiesa di<br />

Reims, 344<br />

Florio, 157<br />

FLORY J., 384, 389<br />

FLUG B., 638<br />

Foca, imperatore, 139<br />

FOIS ENNAS B., 307, 544<br />

FOLENA G., 602<br />

Folengo Teofilo, monaco e poeta, 490, 494-495,<br />

861<br />

Folgore di S. Gimignano, poeta, 593<br />

Folonari, vitivinicultori, 804, 808<br />

FONSECA C.D., 406<br />

FONTAINE J., 217<br />

FORNASARI M., 371<br />

FORNI G., 318, 627, 655, 688<br />

FOSSIER R., 35<br />

FOUQUET G., 104, 109, 117-118<br />

FOURNERET P., 379-380<br />

FOURNIER P., 366-369, 372-373


FOURQUIN G., 45, 64, 385-386<br />

FRACHEBOUD A., 233<br />

fra Cristoforo, 756, 762, 764<br />

fra G<strong>al</strong>dino, 757<br />

FRAHER M., 408<br />

FRANCESCHINI E., 382<br />

Francesco d’Assisi (santo), fondatore dei Francescani,<br />

335-339, 562-563, 565, 570, 762<br />

Francesco da Piacenza, monaco, 626<br />

Francesco Foscari, doge, 628, 632<br />

Francesco Sforza, duca di Milano, 700<br />

FRANÇOIS P., 675<br />

FRANKENBERG W., 213<br />

FRANSEN G., 366, 368, 370-371, 376<br />

FRANTZEN A.J., 399<br />

FRANZ A., 296, 435, 437-440, 443-448, 450-451,<br />

453<br />

FRAPOINT I., 387<br />

FRATI L., 613<br />

FRčEK J., 463<br />

FREGONI M., XII, 837, 851<br />

FRESCURA NEPOTI S., 612<br />

Freyr, 444<br />

FRIDH Å.J., 533<br />

FRIDLAND K., 592, 642<br />

FRIED J., 553<br />

FRIEDBERG AE., 366, 370, 375, 414, 420<br />

FRIES A., 482<br />

Frisoni F., XIII<br />

Fro, 444<br />

Froben H., tipografo, 729-730<br />

Frodoberto (santo), abate di Cluny, 349<br />

Froissart Jean, cronista, 61<br />

FRUGONI C., 362, 562<br />

Fruttuoso (santo), monaco e arcivescovo di<br />

Braga, 220, 232 , 300, 411<br />

FUGE B., 110<br />

FUHRMANN H., 309<br />

Fulgenzio (santo), monaco e vescovo di Ruspe,<br />

219<br />

FUMAGALLI V., XII, 3, 365, 376, 384, 393, 549,<br />

635<br />

FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M.T., 419<br />

Furseo (santo), abate di Lagny, 296, 439<br />

GAAR AE., 219<br />

GABOARDI A., 437<br />

Gabriele, arcivescovo di S<strong>al</strong>onicco, 150-151<br />

GABRIELI F., 70, 166, 172, 186, 358<br />

GADDONI S., 706<br />

GADILLE R., 20<br />

GAETA D., 815<br />

Gaio, giurista, 504-506, 509-510, 518, 521<br />

GALÁN SÁNCHEZ P.J., 80, 82<br />

GALASSO G., 139<br />

G<strong>al</strong>eno, medico, 666, 675-676, 686, 691, 694,<br />

697, 727, 739-742<br />

G<strong>al</strong>lina Francesco, agronomo, 716<br />

G<strong>al</strong>lo (santo), eremita, 359<br />

G<strong>al</strong>lo, giurista, 504<br />

G<strong>al</strong>lo Agostino, agronomo, XI, 717-726, 735,<br />

747-748, 780-782<br />

G<strong>al</strong>lo M., 718<br />

G<strong>al</strong>lus, v. Jean d’Hesdin<br />

GALTIER G., 17<br />

Gambone, 494<br />

GARCÍA-BALLESTER L., 676-677, 680, 691<br />

GARCÍA DE CORTÁZAR J.A., 69, 71, 76<br />

GARCÍA FERNÁNDEZ J., 71, 77<br />

GARCÍA FITZ F., 83<br />

GARCÍA GARCÍA E., 72<br />

GARCÍA SáNCHEZ E., 74<br />

GARDERE J.P., 32<br />

GARGAN L., 661<br />

GARGANO G.I., 208, 331-332<br />

Gargilio Marzi<strong>al</strong>e, agronomo, 732<br />

GARGNANI G., 787<br />

GARITTE G., 468<br />

GARLAND L., 157<br />

GARRIER G., 596, 678<br />

GARRIGUES M., 28<br />

Garzarino Assandri, podestà di Brescia, 629<br />

GARZYA A., 149, 155, 675-676<br />

GASPARES CH., 163<br />

GASPARINI G.P., 590<br />

GASPARRI S., 539, 541, 559, 564<br />

Gasparro, medico di Francesco Sforza, 700<br />

GASTALDELLI F., 268<br />

GASTALDON S., 770<br />

GATIER P.L., 357<br />

GATTI N., 553<br />

GAUDEMET J., 366, 370, 374, 379, 381, 409<br />

GAUDENZI A., 547<br />

Gaudenzio (santo), vescovo di Brescia, 195-<br />

196, 201-202, 396, 860<br />

GAULIN J.-L., 5, 11, 74, 266, 306, 585, 594, 643,<br />

676, 688, 690, 716, 732<br />

GAUTIER J.F., 125<br />

GAUTIER DALCHÉ J., 77<br />

877


878<br />

GAVINELLI S., XVI, 453, 485, 488, 860<br />

Gebeardo, arcivescovo di Ravenna, 291<br />

GELLI S., 712<br />

GELSI D., 472<br />

GENICOT L., 358<br />

GEOFFROY P., 53<br />

Gerardo di Angers (santo), monaco di S. Aubin,<br />

322<br />

Gerardo di Frachet, domenicano e agiografo,<br />

338<br />

Geremia, profeta, 424<br />

GERLICH A., 102, 638<br />

Germano (santo), vescovo di Parigi, 359<br />

Gertrude (santa), 444<br />

GEUENICH D., 242<br />

GHERLI F., 683<br />

GHISALBERTI A., XVI, 83, 665, 681, 858<br />

Giacobbe, patriarca, 449, 461<br />

Giacomo da Forlì (della Torre), medico, 697<br />

Giacomo di Alfeo detto il Minore (santo), 332<br />

Giacomo di Vitry, cardin<strong>al</strong>e e patriarca di Gerus<strong>al</strong>emme,<br />

337<br />

Giacomo il Maggiore (santo), apostolo, 77<br />

Giacomo II, re d’Aragona, 684<br />

Gian G<strong>al</strong>eazzo Visconti, duca di Milano, 628,<br />

630<br />

GIANNELLI C., 463<br />

Giavoleno, giurista, 504, 521<br />

GIBELLINI P., XVI, 751, 861<br />

Gilberto Porretano, scolastico, 420<br />

GILLES K.J., 91<br />

GIL-SOTRES P., 677, 679, 683, 685, 689-691,<br />

693-695, 698-700, 708-709<br />

GINGERICK BERRY V., 153<br />

Gioacchino da Fiore, monaco, fondatore dei<br />

Florensi, 277-278, 290-291<br />

Giobbe, 391<br />

Giolito de’ Ferrari Gabriel, tipografo, 729, 746-<br />

747<br />

Giona, profeta, 221<br />

Giordano da Pisa, domenicano e predicatore,<br />

335, 338<br />

GIORGETTI G.,3,778<br />

Giorgio (santo), monaco di S. Saba e martire,<br />

348<br />

Giorgio Monaco, cronista, 141<br />

Giovanna d’Arco (santa), 58<br />

Giovanni, arcivescovo di Lione, 280<br />

Giovanni (santo), evangelista, 172, 200-201,<br />

394, 433, 439-454, 456, 770<br />

Giovanni (santo), medico e martire, 152<br />

Giovanni, monaco romu<strong>al</strong>dino, 253<br />

Giovanni Apocauco, arcivescovo di Naupatto,<br />

147<br />

Giovanni Bassiano, giurista, 508, 551<br />

Giovanni Cassiano, monaco, 218, 223, 229, 234<br />

Giovanni Confessore detto Vincenzo (santo),<br />

eremita sul monte Pirchirano, 285-286<br />

Giovanni Crisostomo, monaco e patriarca di<br />

Costantinopoli, 150, 212, 219, 417, 459,<br />

468, 479<br />

Giovanni Crisostomo ps., 150<br />

Giovanni Cumno, scrittore, 149, 156<br />

Giovanni d’Avignone, medico, 84<br />

Giovanni da Fiumicello, vescovo di Brescia,<br />

568, 570<br />

Giovanni da Parma, gener<strong>al</strong>e dei Domenicani,<br />

325, 338<br />

Giovanni da Pontremoli, mercante, 693<br />

Giovanni da Radda, medico, 703<br />

Giovanni da Rupescissa, francescano spiritu<strong>al</strong>e<br />

e <strong>al</strong>chimista, 670-671, 673, 858<br />

Giovanni da Vicenza (santo), domenicano e<br />

predicatore, 354-355<br />

Giovanni di Bellesmes, monaco e arcivescovo<br />

di Lione, 279<br />

Giovanni di S<strong>al</strong>isbury, vescovo di Chartres, 562<br />

Giovanni Eleemon (santo), patriarca di Alessandria,<br />

147<br />

Giovanni Episcopo, 754<br />

Giovanni Gu<strong>al</strong>berto (santo), fondatore dei V<strong>al</strong>lombrosani,<br />

277, 278, 290<br />

Giovanni il Battista (santo), 288-289, 333-334,<br />

396, 409<br />

Giovanni Kataneus ex capitaneis de Arsagho,<br />

«artium et medicine doctor», 682<br />

Giovanni Rode, abate di S. Matteo e di S. Massimino<br />

di Treviri, 265, 305, 318<br />

Giovanni Teutonico, giurista, 393<br />

Giovanni Tzimisce, imperatore, 140<br />

Giovanni Zonara, cronista, 153<br />

Giovanni I Senza Terra, re d’Inghilterra, 18<br />

Giovanni VI Kantakouzenos, imperatore, 471<br />

Giovanni VIII, papa, 369<br />

Gioven<strong>al</strong>e, poeta, 356, 491<br />

Gioviniano, monaco ed eretico, 410<br />

Giovin Signore, 752<br />

GIRAUDO C., 465<br />

Girolamo (santo), teologo, 213, 217-219, 222,<br />

287, 307, 397, 410, 416, 418, 480


GITIN S., 357<br />

Giuda Iscariota, 279, 464, 770<br />

Giuditta, contessa d’Auvergne, 298<br />

Giuditta, imperatrice, 97<br />

Giuele Berengario, conte di Reims, 347<br />

Giuliano, giurista, 504, 520<br />

Giuliano di Brioude (santo), martire, 348<br />

Giuliano l’Apostata, imperatore, 25, 146<br />

Giulio I (santo), papa, 377<br />

Giulio II (Giuliano della Rovere), papa, 622<br />

Giunti Bernardo de, tipografo, 747<br />

GIURESCU C.C., 123-124<br />

Giustiniano I, imperatore, 159, 501-502, 504,<br />

506, 509, 522<br />

Giustino (santo), apologista e martire, 425-426<br />

Giustino II, imperatore, 159, 356<br />

GLICK T.I., 68, 75<br />

Glodesinda (santa), badessa di Metz, 349<br />

GLUCKER C.A.M., 357<br />

GNAGA A., 805-809<br />

gnà Lia, 767<br />

gnà Nunzia, 770<br />

GNOLI U., 619, 623<br />

Goar (santo), abate di Prüm, 345<br />

GOAR J., 457<br />

GODDING R., 355<br />

GOELZER H., 147<br />

GOFFARD P., 61<br />

Goffredo da Trani, giurista, 417, 860<br />

GOLDBACHER A., 416<br />

Goldoni C., commediografo, 751<br />

GOLINELLI P., 417<br />

Gonterio, abate di Leno, 568, 570<br />

Gontrano, re dei Franchi, 346, 357<br />

Gonzaga, duchi di Mantova, 492<br />

Gonzaga Francesco, cardin<strong>al</strong>e di S. Maria Nuova<br />

e vescovo di Mantova, 493<br />

GONZÁLEZ JIMÉNEZ M., 83-84<br />

GORI F., 198-199<br />

GOROVEI Ș.S., 137<br />

Gosa, 494, 861<br />

GOUGAUD L., 402, 695<br />

GOUJARD R., 499<br />

GRAND R., 33<br />

GRANSDEN A., 239<br />

GRASS N., 657<br />

GRASSI L., 826<br />

GRASSO CAPRIOLI F., 722<br />

Grattarolo B., agronomo, 784<br />

Graziano, imperatore, 502<br />

Graziano (Gratian, Gratianus, Gratien), monaco<br />

e canonista, 365-366, 368-374, 377, 382,<br />

385-387, 391, 393-400, 402, 406, 410, 415-<br />

416, 418, 420, 480, 600, 860<br />

GREATREX G., 159<br />

GRECI R., 556, 583, 589, 609, 612, 642, 644,<br />

649-650<br />

GREEN M.H., 684<br />

GRÉGOIRE R., 205, 294<br />

Gregorio, cardin<strong>al</strong>e di S. Grisogono, 371<br />

Gregorio (santo), vescovo di Tours, 26, 238,<br />

312, 348, 356-358-361, 439, 859<br />

Gregorio di Nazianzo (santo), patriarca di<br />

Costantinopoli, 154<br />

Gregorio I Magno (santo), papa, 206, 391, 417,<br />

436<br />

Gregorio II (santo), papa, 382-383<br />

Gregorio VII (Ildebrando di Soana), papa, 383<br />

Gregorio IX (Ugolino dei Conti di Segni), papa,<br />

366, 566<br />

Gregorio X (Teb<strong>al</strong>do Visconti), papa, 420<br />

Gregorio XI (Pietro Ruggero di Beaufort),<br />

papa, 51<br />

GRENIER A., 403<br />

GREWENIG M.M., 265<br />

GRIECO A.J., 5, 11, 266, 490, 495, 585, 596, 643,<br />

676, 679, 688-689, 706-707, 709-711, 716<br />

Griffio (Gryphium) Sebastiano, tipografo, 727-<br />

730<br />

GRIGORAș N., 132<br />

GRILLI A., 222, 307<br />

Grim<strong>al</strong>di Bernardo, mercante, 86<br />

Grimo<strong>al</strong>do, re dei Longobardi, 537-539<br />

Grisolito, monaco, 603<br />

GRMEK M.D., 676, 677<br />

GROEN B.J., 470<br />

GROSSI P., 554, 573<br />

GROSSI V., 195<br />

GRUNDMANN H., 278, 291<br />

GUADAGNO G., 361<br />

Guainerio Antonio, medico, 307, 606<br />

GUALANDRI I., 356<br />

GUARINO A., 504<br />

GUASCO M., 412<br />

Guerra D., tipografo, 739<br />

Guerra G.B., tipografo, 739<br />

GUGEROTTI C., 468<br />

Guglielmo, abate di Hirsau, 253, 258-266, 277,<br />

279, 283, 295, 305, 307-309, 311-313, 316<br />

Guglielmo, abate di S. Thierry, 268, 314, 326<br />

879


880<br />

Guglielmo, conte, 207<br />

Guglielmo, eremita avellanita, 208, 288, 330-<br />

331, 333<br />

Guglielmo, vescovo di Canterbury, 272<br />

Guglielmo Anglico, cronista, 21<br />

Guglielmo da S<strong>al</strong>iceto, medico, 702, 708<br />

Guglielmo da Volpiano (santo), fondatore dei<br />

Fruttuariensi, 253, 303<br />

Guglielmo Durando detto l’Anziano, vescovo<br />

di Mende, 433-435<br />

Guglielmo I, re di Sicilia, 10<br />

Guglielmo II, re di Sicilia, 10<br />

Guglielmo VIII, duca d’Aquitania, 260<br />

Guglielmo X, conte di Poitiers, 43<br />

Guiberto, abate di Nogent, 290<br />

GUICHARD P., 677<br />

Guido degli Strambiati, abate di Pomposa, 291-<br />

292<br />

Guidone Guizzardo, podestà di Brescia, 547<br />

GUIDOTTI A., 608<br />

GUILLAUME D., 471<br />

Guillaume d’Orange, 560<br />

GUILLAUMONT A., 213<br />

GUILLAUMONT C., 213<br />

GUILLEMIN A.-M., 530<br />

GUILLOT O., 408<br />

GUILLOU A., 160, 358<br />

GUIRARD C., 526<br />

GULLINO G., 565, 609<br />

GÜNSENIN N., 148<br />

GUREVIÈ A.J., 378-379, 385-386, 389, 400-401,<br />

406, 414-415, 553<br />

GÜTERBOCK F., 363, 550<br />

GUY J.-C., 213, 218<br />

GUYOT B.G., 433<br />

GY P.-M., XIV, 297, 477<br />

Hâfez, poeta, 178<br />

HAFNER W., 242<br />

HAGENEDER O., 384<br />

HAIDACHER C., 655<br />

Hakam I (<strong>al</strong>-), emiro di Cordova, 73<br />

Hakam II (<strong>al</strong>-), emiro di Cordova, 73, 182<br />

HALLEGO FRANCO H., 69<br />

HALLINGER K., 236, 254, 259, 279, 283, 293,<br />

295, 303, 313-314, 316, 320<br />

H<strong>al</strong>y Abbas, v. ‘Alî ibn<br />

HAMESSE J., 322, 376<br />

HÄNGGI A., 283, 425, 438, 456<br />

HANNICK CH., 460<br />

HANSEN TAKAHASHI J.E., 20<br />

HANSEN TAKAHASHI T., 20<br />

HANSSENS I.M., 302, 430, 432, 457-458, 480<br />

HARING N.M., 394<br />

HARVEY A., 161<br />

Hasburgo,v.Asburgo<br />

HASE C.B., 140<br />

Hassan ibn Thâbit, poeta, 171<br />

HÄUBLER T., 100<br />

HAUG W., 708<br />

HAUPTMANN P., 142<br />

HAUREAU B., 51<br />

HAVERKAMP A., 93-94, 544<br />

HAVIGHURST A.F., 358<br />

HEERS J., 35, 558<br />

HEFELE C.J., 409<br />

HEIMING O., 438<br />

HEINE P., 186<br />

HEINEMANN K., 152<br />

HEISENBERG A., 145-146<br />

HEIT A., 94, 544<br />

HEITZ C., 62<br />

HELD W., 100, 103, 107, 109<br />

Helia,v.Elia<br />

HENDERSON J., 696<br />

Henri d’Andeli, canonico e poeta, 17, 28, 32, 43,<br />

46, 48, 50, 55, 64<br />

Henri de Mondeville, medico, 701, 708<br />

HENSEL M., 107<br />

HERBORN W., 100, 104, 112, 641<br />

HERBURT J., 457<br />

Heresbach K., agronomo, 749<br />

Herilacus P., medico, 745<br />

HERLHY D., 609<br />

HERON A., 17<br />

Herrera Gabriel Alonso de, agronomo, 725, 733<br />

Herrgott M., 252<br />

HERRIN J., 155<br />

HERTER H., 155<br />

Herwagen Johann, tipografo, 728<br />

HERWEGEN I., 237<br />

HEURGON J., 499<br />

HIGOUNET CH.M., 17, 32, 41, 54, 60, 99, 267,<br />

269, 637, 641<br />

HILBERG I., 217<br />

HIMLY F.J., 60, 637<br />

HINSCHIUS P., 400<br />

HIRSCHFELD Y., 154<br />

HIRSCHFELDER G., 112


HOCQUET J.-C., 234, 237-238, 240<br />

HOEBANX J.J., 639<br />

HOFFMANN A., 115<br />

HOFFMANN H., 368<br />

HOFMEISTER A., 291<br />

HOHNERLEIN BUCHINGER T., 591-592<br />

HOLBAN M., 132<br />

HOLDER-EGGER O., 29<br />

Honorius, v. Onorio III<br />

HOROWITZ J., 558<br />

HORST U, 371<br />

Hostenius L., 271<br />

HOUBEN H., 270<br />

HUBERT J., 21<br />

Huckleberry Finn, 766<br />

HUETZ DE LEMPS A., 73, 80, 82, 85-86<br />

HUGLIN P., 61<br />

Hugo comes, v. Ugo di Montichiari<br />

Hunain ibn Ishâq, medico, 676<br />

HUNDSBICHLER H., 317<br />

HUNGER H., 140-141, 146, 151, 153, 157<br />

HUSCHKE P.E., 518<br />

HUTCHISON C., 305<br />

HUYGENS R.B.C., 271, 313<br />

HYAMS E., 586<br />

HYDE J.K., 362<br />

Iacob, v. Giacobbe<br />

Iacobus de Verona, frater, 451<br />

Ibn <strong>al</strong>-‘Awwâm, agronomo, 180<br />

Ibn <strong>al</strong>-Fakih, agronomo, 181<br />

Ibn <strong>al</strong>-Fârid, sufi, 175, 855<br />

Ibn <strong>al</strong>- Mu‘tazz, poeta, 175<br />

Ibn <strong>al</strong>-Rûmî, poeta, 175, 177<br />

Ibn Bass<strong>al</strong>, agronomo, 74<br />

Ibn Butlân, medico, 690<br />

Ibn Hajjâj, agronomo, 182<br />

Ibn Hamdîs, poeta, 178<br />

Ibn Wahshiyya, agronomo, 180, 182<br />

Idungo, monaco di Prüfening, 271, 313<br />

Ilario (santo), vescovo di Arles, 219<br />

Ilarione (santo), eremita, 329, 336<br />

Ildeberto di Lavardin, arcivescovo di Tours,<br />

347-348<br />

Ildegarda (santa), badessa di Bingen, 318<br />

Ildemaro di Corbie, monaco benedettino, 240-<br />

244, 247-251, 255, 259, 294, 300<br />

IMBERCIADORI I., 70, 358, 390, 535, 587<br />

IMHAUS B., 163<br />

Imperatore B., tipografo, 729<br />

Incmaro, arcivescovo di Reims, 344, 402-403,<br />

414<br />

Innocenzo III (Lotario dei Conti di Segni),<br />

papa, 278-280, 297-298, 301-302, 307, 313,<br />

316, 384, 398, 408, 410-412, 420, 482<br />

Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo),<br />

papa, 434<br />

Innominato, 761-763<br />

Inverardo di Serle, 565<br />

Ioanna (Giovanna) Rabardelle, suora, 355<br />

Ioannes Cantipratensis, v. Giovanni da Vicenza<br />

IOANNU P.P., 155, 378, 389, 413, 414<br />

IOGNA-PRAT D., 252, 253<br />

Iohannes evangelista, v. Giovanni evangelista<br />

Iosif, arcivescovo di Moldavia, 128<br />

Iovinianum, v. Gioviniano<br />

Ippocrate, medico, 686, 694, 697<br />

Ireneo di Smirne (santo), arcivescovo di Lione,<br />

425, 480<br />

Irimia Movilă, signore del Paese Rumeno, 130<br />

IRSIGLER F., 60, 93, 98, 101, 104, 108-110, 112,<br />

115-116, 268, 317-318, 638, 640<br />

Isaac Israeli ben S<strong>al</strong>omon detto Isaac Iudeus,<br />

medico, 683<br />

Isacco, patriarca, 198, 200, 449<br />

Isacco II Angelo, imperatore, 143<br />

Isaia, profeta, 203, 423, 483<br />

Isaia l’Anziano, eremita di Sceta, 212, 216<br />

Isarno o Isnardo (santo), abate di S. Vittore,<br />

344-345<br />

Isidoro (santo), arcivescovo di Siviglia, 69, 220-<br />

221, 232, 240-241, 251, 256, 263, 276, 283,<br />

293, 305, 307-308, 312, 315, 330, 377, 397,<br />

727<br />

Isidoro, eremita di Sceta, 214<br />

Ismine, 157-158<br />

Isminia, 157-158<br />

ISOLDI F., 619-620<br />

Iuntas, tipografo, 746<br />

Iuppiter, 526<br />

Iustinianus, v. Giustiniano<br />

Ivo (santo), vescovo di Chartres, 368-370, 372,<br />

374, 385-386, 388-389, 391, 393, 395-396,<br />

398-400, 405, 409, 412, 416<br />

IZAAC H.J., 500, 530<br />

JACOB A., 459, 470, 474<br />

JACOB P.-A., 219<br />

881


882<br />

JACOBY D., 161<br />

JACQUART D., 676-677<br />

JACQUES J.-M., 675<br />

JAFFÉ PH., 369<br />

Jahweh, 423-424<br />

JAMES M.K., 55, 86, 393, 613, 637<br />

JANSSENS P.L., 296, 439<br />

Janu, 766, 768<br />

JAOUEN R., 477<br />

JARDÉ A., 503, 516, 526, 528-531<br />

JASCHKE K.-U., 99, 393, 586<br />

JAUBERT A., 209<br />

Jean (Ioannes) Apokaukos, v. Giovanni Apocauco<br />

Jean de Hesdin, ospit<strong>al</strong>iere e teologo, 51<br />

Jean l’Aumonier, v. Giovanni Eleemon<br />

JEANSELME E., 140<br />

JEDIN H., 389<br />

Jeli il pastore, 766-767<br />

JEREMIAS J., 478<br />

Job,v.Giobbe<br />

John Chrysostom, v. Giovanni Crisostomo<br />

JOHNSON B., 357<br />

JOHNSON H., 94, 305, 587, 816<br />

Jonadab, 337<br />

JONES H.L., 357<br />

JONES W.H.S., 530<br />

JOUANNA J., 675-676<br />

J<strong>UBI</strong>NAL A., 48<br />

Juhel Berenger, v. Giuele Berengario<br />

JUILLARD E., 20<br />

JUNGMANN J.A., 432-433, 477-478, 480, 482<br />

JURLANO R., 473<br />

Justinus, v. Giustino II<br />

K<strong>al</strong>limachos,v.C<strong>al</strong>limaco<br />

KALTENBRUNNER F., 369<br />

KAMMERER O., 21<br />

KANTAK K., 351<br />

KARLIN-HAYTER P., 139, 141<br />

KAZHDAN A., 145, 153<br />

KEHOE D.P., 501, 504<br />

KEHR P.F., 382<br />

KERBER D., 104<br />

Kerver Jacques, tipografo, 728<br />

KÉRY L., 366-369<br />

Khayyâm Omar, poeta, 186<br />

KIBRE P., 681-682<br />

KIEWISCH S., 110<br />

KIRIŢESCU C.C., 132<br />

KISLINGER E., 139, 141-142, 146, 149-150, 153,<br />

159-160, 162, 305, 317, 320-321, 642, 855-856<br />

KLEBERG T., 146<br />

KLEIBER W., 92<br />

KNOWLES D., 253<br />

KODER J., 142, 149, 154, 160<br />

Kol, re di Svezia, 404<br />

KOLLESCH J., 676<br />

KOLOVOU F., 149<br />

KOLZER TH., 367<br />

KOMORNICKI S., 351<br />

Konrad von Weinsberg, 113<br />

Konstantinos Manasses, v. Costantino Manasse<br />

Kosmas, v. Cosma<br />

Kraus G., cronista, 136<br />

KRAUSE V., 307, 543<br />

KREISKOTT H., 118<br />

KRIARAS E., 144<br />

KRISTELLER P.O., 683, 732<br />

KRUEGER P., 501-502<br />

KRUSCH B., 26, 221, 312, 346-349, 352, 356-357,<br />

359<br />

KUKULES PH., 153, 155<br />

KULA W., 234<br />

KUNST D.F.H., 369<br />

KURTZ E., 155<br />

KURZE F., 98<br />

KUTTNER S., 366, 370, 373, 375, 394<br />

Labeone, giurista, 510, 513, 520-521, 523<br />

Labîd ibn Rabî‘a, poeta, 166<br />

LACANDRE A., 28<br />

LACARRA J.M., 77<br />

LACHIVER M., 15, 22-23, 25, 32, 36-37, 43, 47,<br />

51-52, 57-59, 61, 135<br />

LADERO QUESADA M.A., 82, 85<br />

LAGHI P., 291-292<br />

LAIOU A.E., 161-162<br />

LAMAÎTRE J.-L., 275<br />

LAMPROPOULOS K., 147<br />

LAMPROS S.P., 149<br />

LANARO P., 649<br />

Lancerio Sante, umanista, 495<br />

LANDAU P., 372, 394<br />

Landelino (santo), abate di S. Crespin, 360<br />

Landi, famiglia bresciana, 824<br />

Lando C., taverniere, 827<br />

Lanfranco da Milano, medico, 702, 708<br />

Lanfranco di Pavia, monaco e arcivescovo di<br />

Canterbury, 253, 263, 266, 279, 283, 285,<br />

294, 300, 304, 419


LANGENSIEPEN F., 104<br />

Lantelmo, conte di Crema, 561<br />

Lantelmo di Montichiari, 560-561<br />

LAOURDAS B., 150<br />

Lapo Mazzei, 616, 710<br />

LAPORTE M., 314<br />

LARDIN PH., 47<br />

Lascaridi, famiglia imperi<strong>al</strong>e, 145<br />

LATRONICO N., 681-682, 689, 697, 702-703, 705<br />

LATTES A., 573-574<br />

Launo, nobile, 343<br />

LAURENT S., 694<br />

LAURIOUX B., 271, 494, 677-678, 686, 694-695,<br />

697, 700, 706, 710<br />

Lauro Pietro, traduttore, 728-729, 738<br />

LAVALLE J., 53<br />

Lavoiser A.L., 597<br />

LAZZARINI I., 652<br />

LAZZATI G., 201, 382<br />

LEBEAU M., 267<br />

LEBECQ S., 95-96, 267<br />

LE BRAS G., 366-370, 373-375, 380-381<br />

LECCISOTTI T., 248<br />

Lechi F., erudito, 812-814, 816<br />

LECLERCQ H., 266, 295, 296, 358, 409, 439<br />

LECLERCQ J., 271, 272, 388<br />

LEFEBVRE CH., 370, 373<br />

LEFORT J., 145<br />

LEFORT L.TH., 209<br />

Legione Tebea, martiri, 360<br />

LE GOFF J., 125, 160, 375-376, 378, 384-387,<br />

402, 404, 414, 561-563, 570, 605<br />

LEISCHING P., 374<br />

LEKAI L.J., 267-268<br />

LE MENE M., 59, 103<br />

Lemmens (Lennio) Levinio, medico, 738<br />

LENTINI A., 226, 227<br />

LEO F., 26, 355<br />

Leo, abbas, 353<br />

Leodegario, abate, 242<br />

Leodegario (santo), vescovo di Autun e martire,<br />

348-349<br />

LEONARDI C., 382, 389<br />

Leone Diacono, cronista, 140<br />

Leone Grammatico, cronista, 139, 141<br />

Leone il Filosofo, arcivescovo di Tess<strong>al</strong>onica,<br />

155<br />

Leone I Magno, papa, 464<br />

Leone VI, imperatore, 141-142<br />

LEONI V., 582<br />

LEONTSINI ST., 155<br />

Leonzio, vescovo di Neapolis (Cipro), 142<br />

LEOPARDI G., 586, 751, 753<br />

LEPOINTE G., 381<br />

LERCARO G., 452<br />

LEROY LADURIE E., 19, 62<br />

Lesc<strong>al</strong>opier Pierre, agronomo, 136<br />

Leucius, 440<br />

LEVADOUX L., 22<br />

LÉVI PROVENÇAL E., 182<br />

LEVISON W., 26, 312, 343-345, 359<br />

LEXER M., 308<br />

Liber, 124<br />

Libera, 124<br />

Libistros, 157<br />

LIEU S.N.C., 159<br />

LILIE R.-J., 161<br />

LINDGREN U., 94, 112, 639<br />

LINDSAY W.M., 727<br />

LING L., 652<br />

LIPSIUS R.A., 441<br />

LITTLE A.G., 339, 563<br />

LITTLEWOOD A., 144<br />

LITTMANN E., 167<br />

Liutprando, re dei Longobardi, 537<br />

Liutprando, vescovo di Cremona, 147, 163,<br />

320-321<br />

LOBRICHON G., 374<br />

LÖCHER K., 109<br />

LODI E., 425<br />

LOENERTZ R.-J.,156<br />

LOEWENFELD S., 369<br />

Lola, 769<br />

Lollio A., agronomo, 747-748<br />

LOMENI I., 796<br />

LONG P.O., 489<br />

Longa, 771<br />

LONGHENA A., 793<br />

LONGNON A., 27<br />

LONGO O., 606<br />

LOPEZ R.S., 385, 393-394<br />

LORCIN M.T., 29, 637, 677, 679, 699, 703<br />

Lorenzetti Ambrogio, pittore, 569<br />

Lotario di Segni, v. Innocenzo III<br />

Lotario I, imperatore, 544<br />

Loth, 214, 241, 332, 396, 398, 606<br />

LÖW G., 452<br />

LOYEN A., 26, 356<br />

Luca, arcivescovo di Cosenza, 291<br />

Luca (santo), evangelista, XV, 197-198, 200<br />

883


884<br />

Lucano, poeta, 147, 487<br />

LUCCHESI M., 618<br />

Lucia, 766-768<br />

Lucia (santa), martire, 360<br />

Lucia Mondella, 755-765<br />

Lucilio, corrispondente di Seneca, 397, 530<br />

LUCIONI A., 420<br />

LUCIUS A., 20<br />

Ludovico I il Pio (Louis le Pieux), imperatore,<br />

97-98, 234, 408, 544, 600<br />

Ludovico II, imperatore, 543-544<br />

LUDWIG U., 242<br />

LUGANO P., 290<br />

Luigi (Ludovico) VII, re di Francia, 153, 260<br />

Luigi XI, re di Francia, 58-59<br />

LUISELLI B., 676<br />

LUMPERDEAN I., XV, 123-124, 138, 305, 317<br />

Lupa, 768<br />

Lupicino (santo), abate di Condat, 219<br />

Lupo (santo), eremita avellanita, 333, 347, 359<br />

LURKER M., 422<br />

Lutero (Luther) Martin, 109, 478<br />

LUTZ W., 100<br />

LYON B., 358<br />

MACALISTER S., 157<br />

Mabillon J., 226<br />

Macario il Grande (santo), eremita di Sceta, 216,<br />

338<br />

Macario ps., 221<br />

Maccabei, 201, 423<br />

MACCARONE M., 412<br />

MACHIELSEN I., 372<br />

Macrobio, filosofo, 356, 666<br />

MADIGNIER J.¸ 28<br />

MADONNA M.L., 620<br />

Maestro (il), 222-224, 226-227, 230-232, 299,<br />

305<br />

Maggi, famiglia bresciana, 781<br />

Maggi V., 781<br />

Magino di Milano (Maino de Maineriis, Magnino<br />

Mediolanensis), medico, 678, 685, 687, 692,<br />

695, 698-699, 706, 708-710<br />

Magone, 486<br />

MAGOULIAS H.J., 152<br />

MAGUIN M., 60, 105, 637<br />

MAHFUZ N., 189<br />

MAIER P., 239<br />

Mainardo II, conte di Tirolo, 655<br />

MAINONI P., 612, 631, 633<br />

MAJERUS P., 110<br />

MALAMUT E., 161<br />

MALANIMA P., 820<br />

M<strong>al</strong>avoglia, 766-767, 772-775<br />

MALTESE E.V., 144, 155-157, 458<br />

MAMBRETTI R., 275<br />

Mancinelli Giulio, 135<br />

MANCIULLI A., 495<br />

MANE P., 266<br />

MANFREDINI G., 499<br />

Mangiacarrubbe, 772<br />

MANGO C., 145<br />

MANOLESCU R., 136-137<br />

MANSELLI R., 378-379<br />

Mansi G.D., arcivescovo di Lucca ed erudito,<br />

302, 481-482<br />

Mantegna Andrea, pittore, 485, 493<br />

Manuele File, poeta, 156<br />

Manuele Gab<strong>al</strong>a, v. Matteo di Efeso<br />

Manuele II P<strong>al</strong>eologo, imperatore, 156<br />

Manuzio Aldo, tipografo, 727-728, 735, 748<br />

MANZONI A., 605, 751, 755-765, 772, 861<br />

Maometto (Mahomet, Profeta), XV, 169-170,<br />

186, 358, 855<br />

Mara, 766-767<br />

MARANGON C., 494<br />

MARANGOU-LERAT A., 148<br />

Marcello, giurista, 504<br />

MARCHESAN A., 661<br />

MARCHESANI TONOLI F., XIII<br />

MARCHIORI P., 802-803<br />

Marciano, giurista, 504<br />

Marco (santo), evangelista, 312<br />

Marco, mago, 480<br />

Marco Antonio, gener<strong>al</strong>e romano, 531<br />

MARCOS N.F., 152<br />

MARCOTTI G., 619<br />

MARESCALCHI A., 585, 798<br />

Margherita, contessa di Fiandre, 48-49, 51<br />

Maria, madre di Gesù, 9, 202, 256, 278, 318, 348,<br />

379, 448-449, 451, 457, 581, 603<br />

Maria, vedova, 763<br />

Mariangela la Santuzza, 771-773, 775<br />

Mariano Cinghi<strong>al</strong>enta, 772<br />

MARILLIER J., 28<br />

Marino Sanuto, patrizio veneto, 662<br />

MARIUCCI T., 464<br />

MAROGNA M.A., 718, 724-725<br />

MAROSO G., 550, 588


MAROT H., 380<br />

Marrier M., 252<br />

MARROU H.-I., 210<br />

Marta, 354<br />

Martène E., 226, 258, 260, 279, 284, 305, 313,<br />

314, 316, 451<br />

MARTI M., 593<br />

MARTIMORT A.-G., 426<br />

MARTIN V., 375<br />

MARTINE F., 219<br />

MARTINELLI B., 719<br />

Martinengo, famiglia bresciana, 785<br />

Martínez Liébana E., 76<br />

MARTÍNEZ SOPENA P., 79-80<br />

Martínez Tomé A., 76<br />

MARTÍN GALINDO J.L., 75<br />

MARTINI A., 827<br />

Martino (santo), arcivescovo di Tours, 296, 336,<br />

355, 359, 439-440<br />

Martino, giurista, 508<br />

Martino, prete di Carzago, 570<br />

Martino, priore di Cam<strong>al</strong>doli, 288<br />

Martino de Rubeis, gastronomo, 493-494, 861<br />

Martino IV (Simon de Brie), papa, 420<br />

Martino V (Oddone Colonna), papa, 489, 596,<br />

620<br />

Marzi<strong>al</strong>e, poeta, 22, 356, 500, 528, 530<br />

MASCAGNI P., 770<br />

MASETTI ZANNINI A., 582<br />

MASPERO L., 799<br />

massaro Cola, 769<br />

massaro Filippo, 771-772, 774<br />

Massimino il Trace, imperatore, 25, 503<br />

Massimo, monaco di Planude, 156<br />

MATEESCU T., 123, 135<br />

Matei de Miechow, cronista, 137<br />

Matei de Muriano, medico, 132<br />

MATHEUS M., XV, 91-94, 98, 101, 103-107, 110-<br />

112, 120-121, 265, 268, 270, 305, 309, 312,<br />

317, 377, 544, 638-640, 647, 661, 857<br />

MATHEUS R., 121<br />

MATHIEU J., 656<br />

Matilde, marchesa di Canossa, 560, 570<br />

Matteo, arcivescovo di Efeso, 155-156<br />

Matteo Ronto, monaco olivetano, 293<br />

MATTONE A., 4, 286, 351, 550, 585, 609, 643,<br />

679<br />

Maurizio, imperatore, 159<br />

MAYER TH., 115<br />

MAYESON PH., 357<br />

MAZON P., 527<br />

Mazzarò, 766<br />

MAZZETTI E., 287<br />

MAZZI M.S., 602, 618, 633-634, 711<br />

MAZZINI I., 676, 678<br />

MAZZOLDI F., 799<br />

MAZZOLENI L., 793<br />

MC CORMICK M., 155, 357-358, 362<br />

MCVAUGH M.R., 677, 680-681, 683, 702, 708<br />

MEDIOLI MASOTTI P., 493<br />

Meinhard, v. Mainardo<br />

MELE F., 4, 286, 351, 550, 609, 643, 679<br />

MELILLO G., 505, 517<br />

MELIS F., 11, 85, 99, 585, 588, 590-592, 594-597,<br />

609-610, 614-616, 618-619, 626, 634, 636,<br />

641-644, 646-647<br />

Mellito (Mellitus) d’Inghilterra (santo), arcivescovo<br />

di Canterbury, 436, 444<br />

Mena, 771<br />

MENANT F., 552, 564, 566<br />

MENASCI G., 770<br />

Meneghino, 752<br />

MENESTÒ E., 335<br />

MENEVISOGLOU P., 469-470<br />

MENIS W., 794<br />

MENJOT D., 82<br />

MENTGEN G., 109<br />

MERCATI G., 463<br />

MERISALO O., 489<br />

Merlin Cocai, v. Folengo<br />

MERLO G.G., 290, 381, 406, 419, 601<br />

Merula G., agronomo, 727<br />

MESSEDAGLIA L., 494, 554, 593, 605<br />

Metastasio (Pietro Trapassi), poeta, 751<br />

METREVELI H., 465, 473<br />

METZGER M.J., 438<br />

MICCOLI G., 381<br />

Michele (santo), arcangelo, 285, 286, 440<br />

Michele Coniata, arcivescovo di Atene, 149<br />

Michele Gabra, cronista, 155<br />

Michele Glica, cronista, 140<br />

Michele Psello, cronista, 143-146, 155, 158, 555,<br />

856<br />

Michele Steno, doge, 652<br />

Michele III, imperatore, 140-141, 152<br />

MICHELI P., 592<br />

MICHIELS G., 242<br />

MIGLIO M., 620<br />

MIGNE J.-P., 481<br />

MIKLOSICH FR., 151<br />

885


886<br />

Milani L., XII<br />

MILESI O., 722, 806-807, 813, 815<br />

MILHAM M.E., 493-494<br />

Milio Voltolina G., agronomo, 747<br />

MILITZER K., 109, 112, 639, 641<br />

MILLER E., 156<br />

Minerva, 753<br />

MINGANTI P., 166-167, 171<br />

MÍNGUEZ FERNÁNDEZ J.M., 76<br />

MIRANDA GARCÍA F., 72, 78, 80-81, 270, 640, 701<br />

Mircea cel Bătrân (il Vecchio), signore del Paese<br />

Rumeno, 128<br />

MIRONESCU N.AL., 123<br />

Mitadolus, 260<br />

MITTERMÜLLER R., 242<br />

Mizauld A., agronomo, 738<br />

MOCHI ONORY S., 547<br />

Modestino, giurista, 504<br />

MODIGLIANI A., 620, 625<br />

MOHLBERG L.C., 432<br />

MOHRMANN C., 219<br />

MOHRMANN R.-E., 104<br />

MOIOLI A., 792, 797<br />

Molfino G., medico, 745<br />

MOLLAT M., 45<br />

Molmenti P., vitivinicultore, 808<br />

MOMMSEN TH., 358, 501-502<br />

MONA A., 803<br />

MONACHINO V., 403<br />

MONDÉSERT C., 210<br />

MONTANARI M., XI-XII, 4, 35, 153, 216-217,<br />

221, 238, 240, 253-254, 276, 281-282, 285-<br />

286, 289, 313, 327-328, 351, 378-379, 387,<br />

391, 393, 401, 549, 554-555, 559-560, 587,<br />

596, 606, 643, 676, 690, 710<br />

MONTERO CARTELLE E., 684<br />

MONTES ROMERO-CAMACHO I., 84<br />

MONTI C.M., 626<br />

Monticelli A., notaio di Brescia, 830<br />

MORA V., 831<br />

MORANDI L., 440<br />

MORANDINI F., 610, 617, 630<br />

Morando, magister gramaticae, 690<br />

MORDEK H., 370, 373<br />

MOREAU-NERET A., 64<br />

Morelli F., tipografo, 738<br />

Morelli Giovanni, mercante fiorentino, 696<br />

MORESCHINI G., 198, 200<br />

MORETA VELAYOS S., 76, 80, 82<br />

MORETTI A., 806, 809<br />

MORGHEN R., 394, 419<br />

MORIN G., 405<br />

MORO P., 543<br />

Mosè, eremita di Sceta, 213<br />

Mosè, patriarca, 152<br />

MOSS A., 494<br />

MOTTA G., XVI, 195, 300, 369, 373, 382, 396,<br />

409, 860<br />

MOTTA MASSUSSI G., 780, 785<br />

MOULIN L., 255, 267<br />

MOULINIER-BROGI L., 700<br />

MOUSNIER M., 32<br />

Movses II, katholikòs degli armeni, 468<br />

MPAKIRTZES CH., 162<br />

Mucio, giurista, 504<br />

MÜLLER J., 151<br />

MÜLLER K., 102<br />

MULLON M., 64<br />

MUNIER CH., 372-374, 381, 392<br />

Münster S., umanista, 61, 132<br />

MURAILLE-SAMARAN C., 322, 376<br />

MURRAY O., 675<br />

Mușat Petru, 128<br />

MUSCHIOL G., 242<br />

Mutanabbî (<strong>al</strong>-), poeta, 175<br />

MUTHESIUS A., 160<br />

Mutius N., tipografo, 742<br />

MUZZARELLI M.G., 373, 377, 386, 391-393,<br />

398-399, 406<br />

MYNORS R.A.B., 24<br />

Naboth, 198, 382<br />

Nabucodonosor, re di Babilonia, 213<br />

Nabuzardan, capo cuciniere di Nabucodonosor,<br />

213<br />

NADA PATRONE A.M., 222-223, 234, 238, 254,<br />

269-272, 275-276, 306-307, 313-314, 316,<br />

387, 549, 585, 588, 592, 594, 596, 606, 635,<br />

650, 677-679, 685, 688-690, 692, 694, 697,<br />

699-700, 706, 716<br />

NAHTIGAL R., 463<br />

Nanni, 767-768<br />

Napoleone I Bonaparte, imperatore dei francesi,<br />

752, 794, 797<br />

NARDI G.M., 685<br />

NARDINI F., 800, 802<br />

NASO I., 266, 596, 706-707, 710<br />

NASRALLAH J., 460<br />

NAVARRINI R., 494, 817


Nedda, 766-768<br />

NEDUNGATT G., 467<br />

NEFYODOV G., 470<br />

NELSON J.L., 285<br />

Neofito, arcivescovo di Mokessos, 154<br />

Nerazio, giurista, 504<br />

Nerone, imperatore, 530<br />

NESSI G.G., 799<br />

NEUFVILLE J., 222, 397<br />

Nibbio da Siena, 613<br />

Niceforo Basilace, scolastico, 148<br />

Niceta Coniata, cronista, 143, 149, 153, 856<br />

Niceta Eugeniano, scrittore, 156<br />

NICKEL D., 676<br />

Nicola (santo), vescovo di Mira, 319<br />

Nicola Mesarita, arcivescovo di Efeso, 143, 145-<br />

149, 856<br />

Nicolò IV (Girolamo Masci), papa, 420<br />

NICOUD M., 677, 696, 700, 709<br />

Nilo di Rossano (santo), abate di Grottaferrata,<br />

213<br />

NOBLOT H., 397, 530<br />

NOCENT H., 283<br />

Noè, patriarca, 209, 241, 332, 341, 396, 422,<br />

459, 539, 585, 606, 752, 861<br />

NOGARA B., 581<br />

NOIRET H., 163<br />

NOODT D., 510<br />

NORBERG D., 361<br />

NÖSSING J., 93, 95, 116, 655, 657<br />

NOVATI F., 690<br />

‘Ntoni M<strong>al</strong>voglia, 771-775<br />

N<strong>UBI</strong>É M., 684<br />

Nunziata, 766<br />

NYSTEDT J., 685<br />

OBERREINER C., 61<br />

Oddone (santo), abate di Cluny, 561<br />

Oderico A., medico, 686, 698<br />

ODERMATT A., 284, 456<br />

Odilone (santo), abate di Cluny, 252-253, 256<br />

Odino, 400<br />

Odo di Deuil, cronista, 153<br />

ODORICI F., 551, 560, 567, 570, 604, 628-633<br />

Ofilio, giurista, 521<br />

OIKONOMIDÈS N., 162<br />

OLDONI M., 147, 320, 357<br />

Olivares, conte-duca, 757<br />

Omero, 527, 742-743, 754<br />

Ommayadi, c<strong>al</strong>iffi di Cordova, 75<br />

Ommayadi, c<strong>al</strong>iffi di Damasco, 171<br />

Omobono di Cremona (santo), 353, 859<br />

ONGER S., 790-791, 794-795<br />

ÖNNERFORS A., 702<br />

Onorato (santo), vescovo di Marsiglia, 219<br />

Onorio I, papa, 382-383<br />

Onorio III (Cencio Savelli), papa, 336, 384-385,<br />

390<br />

Opicino de Canistris, chierico pavese, 389<br />

Opimio, console, 500<br />

OPLL F., 99<br />

OPREA Ș., 123<br />

OPSOMER HALLEUX C., 605, 678, 680, 687, 690,<br />

693, 697, 702<br />

Orazio, poeta, 146, 356, 527-528, 531, 861<br />

Orfeo, 493<br />

Origene, teologo, 200<br />

ORLANDI G., 569<br />

ORLANDO E., 589, 609, 648, 651, 658, 662<br />

Orsiesi (santo), abate di Pêbu, 209<br />

ORTALLI G., 602, 609<br />

Osanna F., tipografo, 721<br />

OSSENDORF K., 112<br />

Ostiense, v. Enrico di Susa<br />

OSTROGORSKY G., 139-140, 160<br />

OŢETEA A., 138<br />

OTTAVIO O., 812<br />

OTTE E., 86<br />

OTTEN-FROUX C., 161<br />

Ottone Morena, cronista, 363, 550, 556<br />

Ottone I, imperatore, 147, 600<br />

Ottoni, famiglia imperi<strong>al</strong>e, 96<br />

Ovidio, poeta, 123, 403-404<br />

PACI R., 318<br />

Pacomio di Tabennesi (santo), abate di Pêbu,<br />

208-209, 212, 221, 276, 306<br />

Paderno A., agronomo, 830<br />

PADOAN G., 490<br />

Padoano G., tipografo, 731<br />

PADOVANI A., 706<br />

padron ‘Ntoni, 773, 775<br />

Pafnuzio (santo), eremita di Sceta, 215<br />

Pafnuzio ps., 221<br />

PAGANI G.B., 791-798<br />

PAHL G., 100, 103<br />

PAHL I., 425<br />

PALAZZO E., 426, 445<br />

887


888<br />

P<strong>al</strong>emone, grammatico, 501<br />

P<strong>al</strong>eologi, famiglia imperi<strong>al</strong>e, 150, 157, 162<br />

PALERNE J., 678, 702<br />

P<strong>al</strong>ladio, agronomo, 716, 720-721, 726-727,<br />

731-732, 750<br />

P<strong>al</strong>ladio (santo), vescovo di Elenopoli, 212, 219,<br />

221<br />

PALMIERI G.B., 551<br />

PALMIERI N., 676<br />

P<strong>al</strong>umbo Gentile, mercante, 621-622<br />

PAMPALONI G., 11, 597<br />

PANAGIOTAKES N., 158<br />

PANAITESCU P.P., 133, 137<br />

PANAZZA G., 549<br />

PANELLA C., 357<br />

PANERO F., 609<br />

PANIAGUA J.A., 677, 680-681<br />

PANOFSKY E., 260<br />

Pantone, miles, 350-351<br />

Panurge,52<br />

Paola (santa), badessa a Betlemme, 336<br />

Paolo, giurista, 504, 512<br />

Paolo, vescovo di Verdun, 362<br />

Paolo di Benedetto di Cola dello Mastro del<br />

Rione di Ponte, 619-620<br />

Paolo di Tarso (santo), XV, 201, 208, 209, 210,<br />

221, 229, 233, 248, 256, 288, 289, 292, 315,<br />

325, 326, 328, 330-334, 393, 423, 457, 487,<br />

857, 860-861<br />

Paolo Diacono, cronista, 159, 536-540, 857<br />

Paolo II (Pietro Barbo), papa, 434, 493<br />

Paolo III (Alessandro Farnese), papa, 495<br />

Paolo V (Camillo Borghese), papa, 439, 452<br />

Paolo VI (Giovanni Battista Montini), papa, 483<br />

Paolo Warnefrido, diacono di Montecassino, 242<br />

PAPACOSTEA Ș., 137<br />

PAPE F., 99<br />

Papiniano, giurista, 504<br />

Paratico, vitivinicultori, 808<br />

Pardulfo (santo), abate di Guéret, 359-360, 364<br />

PAREDI A., 439<br />

PARENTI S., XIV, 320, 457-460, 466, 469-470,<br />

472, 474, 480<br />

Parini G., poeta, 752<br />

PARISOT J., 461<br />

PARKER A.J., 162<br />

PAROLI L., 362<br />

PARRIDIO, 501<br />

PARTSCH I., 356<br />

PASCHOUD F., 25, 503<br />

PASCOLI G., 751, 754<br />

PASCU Ș., 131, 133<br />

PASINI G., 214, 297<br />

Pasqu<strong>al</strong>e II, papa, 302<br />

PASQUALI G., XI, 3, 11, 559<br />

PASSARELLI G., 459, 465, 472<br />

PASSINI J., 77<br />

PASTEUR L., 597<br />

Pastore, v. Pimenio<br />

PASTORE A., 696<br />

PASTOUREAU M., 297<br />

PÁSZTOR E., 417<br />

PATAKI I., 130, 134<br />

PATETTA F., 547<br />

PATRIA L., 655, 656<br />

Patrizi Piccolomini Agostino, vescovo di Pienza<br />

e Mont<strong>al</strong>cino, 433-435<br />

PATTERSON H., 362<br />

PATZE H., 106<br />

PAULY M., 112, 117, 119<br />

PAVAN A., 801<br />

PAVAN M., 533-534<br />

Pederdò Mad<strong>d<strong>al</strong></strong>ena, 828<br />

Pederdò Melchior/Marchion, taverniere, 828-<br />

829<br />

PEDROCCO G., 391, 822<br />

PEGRARI M., 494, 718<br />

PEIPER R., 356<br />

PELC O., 99<br />

Pellizzari C., vitivinicultore, 808, 813<br />

PENCO G., 200, 253<br />

PENNINGTON K., 367<br />

PENNITZ M., 510<br />

PENSO G., 702<br />

PENTKOVSKI A., 472<br />

Pentolaccia, 766<br />

PEPE M., 826<br />

PEPPINKI S.P., 530<br />

Percaccino G., tipografo, 718<br />

Peregrino, monaco marchigiano, 364<br />

PEREIRA M., 670-672, 680-681<br />

PERELS E., 371<br />

PERGER R., 114<br />

PERINATO E., 747<br />

Perine de Blama, suora colettina, 355<br />

Perna P., tipografo, 727<br />

PERONI A., 797<br />

Perotti Nicolò, umanista, 488<br />

Perpetua, 756, 758, 763<br />

Pertarito, re dei Longobardi, 537-539


Pertinace, imperatore, 503<br />

PERTUSI A., 161<br />

PERTZ G.H., 563<br />

Pescennio Nigro, governatore della Siria, 167<br />

PESENTI MARANGON T., 487, 490, 678, 685<br />

Petit Jean, tipografo, 728<br />

PETIT L., 154, 469-470<br />

PETRALIA G., 649<br />

Petrarca Francesco, scrittore, 50-51, 485-487,<br />

611, 719, 860<br />

PETRESCU P., 123<br />

PÉTRIDÈS S., 147<br />

PETRUCCI A., 487<br />

PETRY K., 93<br />

PETTA M., 473<br />

PETTI BALBI G., 649<br />

PEYER H.C., 342, 563, 577, 600, 604-605, 619-<br />

620<br />

PFERSCHY-MALECZEK B., 110, 309, 360<br />

PHILIPPART G., 352<br />

Piacentino, giurista, 508<br />

PIANA G., 300, 369<br />

PIAZZI D., 353<br />

PICARDA A., 45<br />

PICASSO G., 222, 233, 253, 290, 300, 365-366,<br />

369, 373, 375, 380-382, 387, 393, 399, 407,<br />

420<br />

PICCINELLI F., 505<br />

Piccinino Giovanni, 613<br />

PICCINNI G., XI, 3, 559, 694, 711<br />

Piccioli M., 827<br />

PICCO L., 661<br />

Piccolomini Enea Silvio, v. Pio II<br />

Picenato, 570<br />

PICHERY E., 218<br />

PIEPHO L., 492<br />

PIERALLI A., 646<br />

Pier Damiani (santo), abate di Fonte Avellana e<br />

cardin<strong>al</strong>e di Ostia, 208, 252, 288, 330-334,<br />

349<br />

Pier de’ Crescenzi, agronomo, 11-13, 110, 119,<br />

594, 688, 690, 708, 715-716, 719-721, 731,<br />

733, 750, 853<br />

PIERGIOVANNI V., 385<br />

Pier Lombardo, vescovo di Parigi, 481<br />

Pietro (santo), apostolo, 172, 201, 213, 256, 455,<br />

457<br />

Pietro, cardin<strong>al</strong>e di S. Eustachio, 388<br />

Pietro Cantore, chierico e teologo, 431, 562<br />

Pietro della Zecca, banchiere, 624<br />

Pietro di Giovanni Olivi, francescano spiritu<strong>al</strong>e<br />

e teologo, 671, 858<br />

Pietro di Tewksbury, francescano e provinci<strong>al</strong>e<br />

d’Inghilterra 562<br />

Pietro il Venerabile (santo), abate di Cluny, 257,<br />

259-263, 298, 300, 314-316, 326, 857<br />

Pietro Musandino (Petrus Musandinus magister<br />

S<strong>al</strong>ernitanus), medico, 683-684, 700<br />

Pietro Pionita in Cellis, eremita di Sceta, 214<br />

Pievano Arlotto, 601-602, 604<br />

PILEGGI PERASSOLLO M.A., 681<br />

Pimenio detto il Pastore (santo), eremita di Sceta,<br />

208, 215, 213<br />

Pindaro, poeta, 752<br />

Pinelli Antonio, mercante, 86<br />

PINELLI S., 831<br />

PINI A.I., XII-XIII, XVI, 4-6, 10-11, 70, 72, 81,<br />

86, 285-286, 291, 306-307, 318, 322, 351,<br />

353, 363, 365, 392, 535, 550, 552, 563, 567,<br />

585, 587-588, 594, 600, 603-604, 608-615,<br />

619, 626-627, 635-637, 641-645, 659, 663,<br />

688, 706, 853-854<br />

PINI V., 603<br />

PINTO G., 595, 608, 610, 614, 616, 631, 694, 712<br />

Pio I (santo), papa, 377<br />

Pio II (Enea Silvio Piccolomini), papa, 491<br />

Pio IX (Giovanni Mastai Ferretti), papa, 753<br />

Pio XI (Achille Ratti), papa, 452<br />

Pio XII (Eugenio Pacelli), papa, 452<br />

PIQUERAS HABA J., 83<br />

PIPER P., 242<br />

Pipino, re d’It<strong>al</strong>ia, 543<br />

PIRENNE H., 42, 358, 637<br />

Pisanelli B<strong>al</strong>dassarre, medico, 740-742<br />

PISTARINO G., 161<br />

PITZ E., 113<br />

PIZZOLATO L.F., 195, 198<br />

Placido, abate di Nonantola, 380<br />

Plantin Christopher, erudito, 728<br />

PLATELLE H., 355<br />

Platina (Bartolomeo Sacchi), prefetto della Vaticana,<br />

492-494, 594, 861<br />

Platone, filosofo, 123, 727, 739-740, 742, 750<br />

Plauto, commediografo, 527<br />

Plaziaflore, 157<br />

Plinio il Giovane, scrittore, 530<br />

Plinio il Vecchio, scrittore, 22-23, 147, 162, 396,<br />

487, 493-495, 500-501, 525-531, 587, 666,<br />

720-722, 726-727, 729, 731-732, 745, 861<br />

PLÖCKINGER H., 100<br />

889


890<br />

Plutarco, storiografo, 22<br />

POHL W., 159<br />

POIREL D., 260<br />

POKORNY R., 367-368, 403<br />

Poliziano (Angelo Ambrogini), umanista, 493<br />

Polo N., tipografo, 733<br />

Pomponio, giurista, 504, 515, 519-520<br />

Pomponio Leto, umanista, 493<br />

PONCHONT M., 147<br />

PONI C., 720<br />

PONTAL O., 403, 481<br />

Pontormo (Iacopo Carucci), pittore, 261<br />

Ponzio di Melgueil, abate di Cluny, 298, 302<br />

POP A., 124<br />

POPESCU M., 134<br />

Porfirio Uspenski, 459<br />

PORTELA E., 82<br />

PORTA C., 751-752<br />

Porta G.B., agronomo, 740, 749<br />

PORTINARI F., 321<br />

Possidio (santo), vescovo di C<strong>al</strong>ama, 219<br />

POSTEL R., 113<br />

POUCHELLE M.C., 689<br />

Poverello, v. Francesco<br />

POWER E., 558<br />

POWERS J.F., 83<br />

POZZA M., 161, 652<br />

POZZI G., 490<br />

PRAGA E., 751<br />

PRAOVEANU I., 123<br />

PRÉCHAC F., 397, 530<br />

PRESSUTTI P., 385, 390<br />

PRESTINI R., 319<br />

PRETE S., 499<br />

PRINZIVALLI E., 336<br />

Prisciano, grammatico, 251<br />

Probo, imperatore, 25, 502-503<br />

Prochorus, 440<br />

Proculo, giurista, 516, 520-521<br />

PRODAN D., 132, 136<br />

PRODI P., 389, 408-409<br />

Prometeo, 753<br />

Properzio, poeta, 356<br />

PROSDOCIMI L., 367, 375<br />

Prudenzio, poeta, 356<br />

Pseudo-Isidoro, 368, 380, 400<br />

PUCCI S., 609<br />

PUECH H.C., 378<br />

PULT QUAGLIA A.M., 589<br />

PURCELL M., 385<br />

PURCELL N., 675<br />

PUșCĂ I.M., 138<br />

PUSCHMANN T., 155, 358<br />

QUARANTA F., 473<br />

QUASTEN J., 213<br />

Quercetanus A., 252<br />

Rabbûlâ, vescovo di Edessa, 212<br />

Rabelais, scrittore, 52, 58-59<br />

RABIL JR. A., 485<br />

Rabus Leonhard, 730<br />

RACINE P., XV, 15, 268, 305, 317, 579, 859<br />

Radegonda (santa), regina e monaca, 347-348<br />

Radu II, signore del Paese Rumeno, 128<br />

RĂDULESCU M., 125<br />

Radu Mihnea, signore del Paese Rumeno, 130<br />

RAFFA V., 295, 302, 426-432<br />

Raimondo di Peñafort, gener<strong>al</strong>e dei domenicani<br />

e giurista, 366<br />

Rainoardus, monacus, 344<br />

RAMBAUD J., 370, 373<br />

Ramburzia de Muro, badessa di S. Giulia, 581<br />

Rampazetto F., tipografo, 719<br />

Ranieri da Perugia, notaio, 573<br />

Ranieri di Ponza, monaco di Fossanova e legato<br />

pap<strong>al</strong>e, 278<br />

Ranocchio, 767<br />

RANUM O., 820<br />

RAPETTI A.M., 267, 270<br />

RAPP F., 61, 109<br />

Ratchis, re dei Longobardi, 539<br />

Raterio, vescovo di Verona, 557-558<br />

RAUSCH J., 100<br />

RAVASI G., 422<br />

RAVEGNANI G., 161<br />

Raxis (ar-Râzî), medico 694<br />

Razzella F., 830<br />

Razzella G., taverniere, 828, 830<br />

Razzella T., 830<br />

REAL TORRES C., 675<br />

REBUSCHINI P., 791, 801<br />

REDON O., 596, 677-678, 700, 706-707<br />

Regin<strong>al</strong>do, abate di Blois, 355<br />

Reginone, abate di Prüm, 98, 367-368, 370, 372,<br />

377-378, 392, 395-396, 398-401, 405-408,<br />

413, 415-416<br />

REGOLIOSI M., 382<br />

REINACH J., 510


REINSCH D., 156-157<br />

Remigio (santo), arcivescovo di Reims, 344<br />

Rendella P., medico, 745<br />

RENOUARD Y., 21, 32, 49, 52, 55, 85, 119, 597,<br />

637<br />

Renzo Tramaglino (Antonio Rivolta), 605, 755, 757-<br />

765, 773<br />

REVEL J., 820<br />

REY M. VAN,95<br />

RHOUMA F., 190<br />

Riba Caterina da p<strong>al</strong>ermo, taverniera, 621-622<br />

Rimberto, arcivescovo di Amburgo e Brema,<br />

312<br />

Riccardi, vitivinicultori, 808<br />

Riccardo III, re d’Inghilterra, 593<br />

RICCETTI L., 651, 706, 711<br />

RICCOBONO S., 517<br />

RICHARD J., 15, 29, 45, 53-54, 118<br />

Richardus, principe, 350<br />

RICHÉ P., 374<br />

Richerio (Ricario) da Centula (santo), eremita,<br />

296, 439<br />

RICHTER G., 439<br />

RICO F., 485-486, 488-489<br />

Riculfo, vescovo di Soisson, 415<br />

RIDOLFI C., 799<br />

RIEDENAUER E., 658<br />

RIEDMANN J., 655<br />

RIERA I MELIS A., 68, 72-73, 81, 254, 710<br />

RIGAUX D., 297, 480, 586<br />

RIGHETTI M., 294-295, 425-427, 432, 434-437<br />

Rigord, monaco di S. Denis e cronista, 18, 21<br />

RIOLFI W., 810<br />

RITZER K., 472<br />

RIZA A., 130<br />

RIZZI M., 195<br />

RIZZO NERVO F., 157<br />

Roberti, famiglia bresciana, 782<br />

Roberto, frate, 731<br />

Roberto Grossatesta, vescovo di Lincoln, 339<br />

Robertus Stephanus, v. Estienne R.<br />

ROBINSON J., 94, 119-120<br />

Rocco Spatu, 772-774<br />

ROCHE D., 606, 819<br />

Rodolfo, abate di Cam<strong>al</strong>doli, 289<br />

Rodolfo il Glabro, monaco e cronista, 253, 303,<br />

304, 569<br />

Rofillo (santo), vescovo di Forlimpopoli, 351-<br />

353<br />

Rogerio, giurista, 520<br />

ROGGER I., 425, 655<br />

Rolando da Parma, medico, 701<br />

ROLFI G., XIII<br />

Rolin Nicolas, cancelliere di Borgogna, 51<br />

ROLLI P., 751<br />

ROMAGNOLI D., 486<br />

ROMANI M., 610, 619, 623, 633, 796-797, 810<br />

ROMANI M.A., 804<br />

Romanino Girolamo, pittore, 261<br />

Romano (santo), abate di Condat, 219<br />

ROMANO S., 505, 517<br />

Romarico (santo), abate di Remiremont, 350-<br />

351<br />

ROMEO R., 579<br />

Romu<strong>al</strong>do di Ravenna (santo), fondatore dei<br />

Cam<strong>al</strong>dolesi, 253, 288, 330<br />

Rondinelli Pietro, mercante, 86<br />

ROSA G., XII, 792, 805<br />

RÖSCH G., 639<br />

ROSEMBERGER B., 709<br />

RÖSENER W., 97, 106, 108, 268<br />

Roseo M., 733<br />

ROSI L., 608<br />

Rosmunda, regina dei Longobardi, 539, 857<br />

Rossetti, vitivinicultori, 804, 808<br />

ROSSETTI G., 365, 375-376, 549, 556, 809<br />

ROSSI G., 278<br />

ROSSI P.V., 547<br />

ROSSI V., 51, 492<br />

Rosso M<strong>al</strong>pelo, 766-767<br />

Rotari, re dei Longobardi, 504, 537, 540-541,<br />

564-566, 582<br />

ROTHMANN M., 114, 639<br />

ROTILI M., 679<br />

ROUCHE M., 21, 238<br />

ROUGÉ J., 357<br />

ROUSSEAU A., 480<br />

ROUSSELLE A., 217<br />

Rovani G., 751<br />

R<strong>UBI</strong>NSTEIN N., 609<br />

Rublëv Andrej, pittore, 261<br />

Rucellai G., 619<br />

Ruffinello G., tipografo, 721<br />

RUFFINI AVONDO E., 557<br />

Rufino de Zenuc<strong>al</strong>is, 570<br />

Ruggero Bacone, francescano e magister theologiae,<br />

667, 672<br />

Ruggero Frugardi (Rogerius medicus), medico,<br />

683-684, 701-702<br />

RUGGIERI V., 474<br />

891


892<br />

RUGOLO C.M., 8<br />

Ruíz DE LOIZAGA S., 72<br />

Rûmî (<strong>al</strong>-), Gi<strong>al</strong><strong>al</strong> <strong>al</strong>-Din, poeta persiano, XV,<br />

177, 855<br />

RUNCIMAN S., 140<br />

Rut, 250<br />

RYAN J.J., 369, 375<br />

RYDÈN L., 142<br />

SABATTI A., 784, 786, 790, 792-796<br />

SABBAH G., 678, 703<br />

SABBAN F., 707<br />

Sabino, giurista, 506, 512, 515, 518-520, 522-<br />

523<br />

Sabio N. de, tipografo, 738<br />

Sabio V., tipografo, 747<br />

SACCONE C., 178<br />

Sacerdote (santo), vescovo di Limoges, 349-350<br />

SACHELARIE O., 127<br />

Sa<strong>d<strong>al</strong></strong>aberga (santa), badessa di S. Giovanni di<br />

Laon, 359<br />

SADAN J., 358<br />

SADOURNY A., 45<br />

SAGLIO E., 503<br />

SAIBENE L., 378<br />

SAINT DENIS A., 29<br />

S<strong>al</strong>imbene de Adam, francescano e cronista, 29,<br />

45-46, 317, 325, 338, 593, 690<br />

SALMON A., 36<br />

S<strong>al</strong>omè, 409<br />

S<strong>al</strong>omone, re d’Israele, 332<br />

SALTINI A., 594, 598<br />

SALVATICO A., 596<br />

Samaritano, 471<br />

Samuele, profeta, 242, 387<br />

Sancho Ramírez, re di Navarra, 77<br />

SANDAL E., 494<br />

SANDER A., 113<br />

SANDRI G., 799<br />

SANDRI L., 703, 711-712<br />

Sansovino F., tipografo, 733<br />

Santa, 769-770<br />

Santacroce Prospero, banchiere, 621-625<br />

SANTARELLI U., 609, 612, 646<br />

SANTOSUOSSO A., 495<br />

SANTUCCI F., 356<br />

SAPIN C., 252, 253<br />

SARACENO L., 208<br />

SATHAS K.M., 144<br />

Sauli P., nobile genovese, 686<br />

SAVASTANO L., 732<br />

SAVI P., 802<br />

Savoia-Acaia, famiglia principesca, 594, 656,<br />

685<br />

Savonarola Michele, medico, 685, 687-690, 692-<br />

694, 697, 700, 704, 739<br />

SCAGLIA B., XII, 777-778, 790<br />

SCAGNO R., 378<br />

SCALIA G., 317, 338, 690<br />

Sc<strong>al</strong>igeri, signori di Verona, 662<br />

SCARPA E., 495<br />

SCARPI P., 144, 606<br />

Scenute di Atripe, archimandrita del monastero<br />

Bianco, 209, 212, 221<br />

Scevola, giurista, 504<br />

SCHÄFER TH., 283<br />

SCHARF M., 92<br />

SCHEFFER-BOICHORST P., 357<br />

SCHELER D., 111<br />

SCHENKL C.,387,396<br />

SCHEUERMEIER P., 391, 822<br />

SCHIAVONE A., 357<br />

SCHILBACH E., 162<br />

SCHILLING R., 403<br />

SCHIPPERGES H., 318, 686<br />

SCHLENKRICH E., 100<br />

SCHLESINGER W., 106<br />

SCHMEMANN A., 473<br />

SCHMID K., 242<br />

SCHMIDT H.A.P., 431<br />

SCHMITT J.-C., 378, 389, 402-404, 412, 558<br />

SCHMITT S., 105-107<br />

SCHMITZ G., 376<br />

SCHMITZ H.J., 369, 399, 412<br />

SCHNEIDER J., 60<br />

SCHOECK R.J., 492<br />

SCHÖNE R., 98, 100, 103<br />

SCHÖNFELDER A., 439<br />

SCHÖNHERR A., 438<br />

SCHOPENHAUER A., 586<br />

SCHREIBER G., 116, 268<br />

SCHREINER P., 161-162<br />

SCHRENK C., 15, 93, 309, 393, 586, 638<br />

SCHRÖDER E., 558<br />

SCHULZ H.J., 467<br />

SCHULZ K., 108<br />

SCHUMANN F., 106, 117<br />

SCHÜTZ F., 121<br />

SCHWARTZ G., 285, 291


SCHWIND E. VON, 543<br />

SCIALOJA V., 505, 518<br />

SCIENZA A., 688<br />

SCULLY T., 678<br />

SELMI E., 748<br />

SEMMLER J., 234, 235, 238, 239<br />

Seneca, filosofo, 396-397, 486, 501, 530<br />

Senofonte, scrittore, 123<br />

SENTIERI M., 676<br />

Serapione ps., 221<br />

ȘERBAN C., 123<br />

SERGI G., 285-286, 553<br />

Sergio I, papa, 426<br />

SERENI E., 3, 569, 722<br />

SERNAGIOTTO R., 803<br />

SERVENTI S., 707<br />

Servio, giurista, 518<br />

SESTIERI G., 826<br />

Sessa G.B., tipografo, 738<br />

Sessa M., tipografo, 738<br />

SETTIA A.A., 549<br />

Settimio Severo, imperatore, 167<br />

Severi, famiglia imperi<strong>al</strong>e, 504<br />

SEWARD D., 305<br />

Shakespeare W., scrittore, 592-593<br />

Shay‘ <strong>al</strong>-qawm, 167<br />

SHEEHAN M.M., 693<br />

Sicco Polenton, umanista, 490-491, 861<br />

Sidonio Apollinare, agiografo, 26, 356<br />

SIEBEN H.J., 200, 483<br />

Sigeberto di Gembloux, monaco e cronista, 360<br />

SILVA G.D., 793<br />

SIMBULA P.F., 4, 286, 351, 550, 609, 643, 679<br />

Simeone, zar di Bulgaria, 140<br />

Simeone Logoteta ps., cronista, 141<br />

Simeone S<strong>al</strong>os (santo), eremita, 142-143, 146,<br />

856<br />

SIMEONI L., 560, 601<br />

SIMONETTI M., 676<br />

SIMONI C., 801<br />

SINATTI D’AMICO F., 556<br />

SINICROPI G., 593<br />

SINISCALCO P., 199<br />

SINNO A., 683<br />

SIRAISI N.G., 685, 708<br />

Sisoe, eremita di Sceta, 215, 216<br />

Sisto II (santo), papa, 295, 432<br />

Sisto IV (Francesco della Rovere), papa, 434<br />

Sisto V (Felice Peretti), papa, 495, 621<br />

SITTLER L., 61, 114<br />

SIVERY G., 52<br />

Sivori Franco, umanista, 133<br />

Smaragdo, abate di Saint-Michel, 240-241, 299-<br />

300, 416<br />

SMIT J.W., 336<br />

SMITH W.D., 676<br />

Snorri Sturluson, aedo, 379, 535-536<br />

Socrate, filosofo, 754<br />

Soderini G.V., agronomo, 749<br />

SODI M., 434<br />

Sodoma (Giovanni Antonio Bazzi), pittore, 263<br />

Sofronio, 152<br />

SOKOLOV F., 470<br />

SOLER J., 327<br />

SOLIGNAC A., 483<br />

SOMBART W., 595, 626<br />

SOMIGLI C., 208<br />

Soro (santo), abate di Terrasson, 345-346<br />

Sorseggiatore, 152<br />

SOT M., 344<br />

SPADAFORA F., 439-440<br />

Spagnoli Mantovano B., monaco, 492<br />

SPAHR G., 100<br />

SPANNAGEL A., 240<br />

Sparziano Elio, cronista, 167<br />

SPÄTLING L., 253<br />

SPICCIANI A., 253<br />

SPIESS K.-H., 107<br />

SPIESS-HANKAMMER E., 99, 113<br />

SPINELLI E., 683<br />

SPINELLI G., 253, 278, 319, 453<br />

Spirito Santo (aghión sou Pneuma), 201-202, 346,<br />

394, 421, 424, 436, 448-449, 461-462, 473,<br />

483, 670<br />

SPRANDEL R., 45, 104-105, 109, 114-118<br />

STAAB F., 93, 96-98, 106, 110<br />

STAAB J., 106, 112, 120<br />

STAGER L., 357<br />

STATHAKOPOULOS D., 160<br />

Ștefan cel Mare, vojvoda di Moldavia, 132<br />

ȘTEFĂNESCU L., 123<br />

Stefano (santo), 433<br />

Stefano di Parigi, chierico, 263<br />

STELLA C., 549<br />

STENDARDI A., 206<br />

STEVER H., 358<br />

STICKLER A.M., 375, 394, 408, 416-417<br />

STIENE H.E., 345<br />

STOICESCU N., 127<br />

STÖRMER W., 100<br />

893


894<br />

STOUFF L., 62, 643, 711<br />

Strabone, geografo, 123, 357<br />

STRADIOTTI R., 453<br />

STRATMANN M., 344, 403<br />

STRATOS A.M., 159<br />

Strecanense Giacomo, taverniere, 621-622<br />

STRECKER K., 359-360<br />

Strepacapa, 626<br />

STRUCCHI A., 812<br />

STRUVE T., 553, 561<br />

Stryjkowski Maciej, cronista, 135<br />

STUMMVOLL J., 690<br />

STURLER J.A. DE, 637<br />

STYLES J., 832<br />

Sucellus,91<br />

SUDHOFF K., 683<br />

Sugero, abate di Saint-Denis, 260, 266<br />

SULLIVAN R.J., 262<br />

Sulpicio Severo, agiografo, 217<br />

ȘUTA I., 123<br />

Svetonio, storiografo, 22, 502<br />

SYMONS TH., 312<br />

SZÉKELY M.M., 137<br />

TABACCO G., 330, 381, 406, 603<br />

TABANELLI M., 684, 688, 702<br />

TABURET-DELAHAYE E., 266<br />

TACCOLINI M., 810<br />

Taegio B., agronomo, 746-747<br />

TAFEL T.L.F.,153<br />

TAFT R.F., 459-460, 464-465, 467-468<br />

TAGLIABUE M., XVI, 293, 318, 413, 599<br />

TAGLIAFERRI A., 540<br />

TAMARO D., 806, 812<br />

TAMASSIA G., 551<br />

Tanaglia M., agronomo, 13<br />

Tanara Vincenzo, agronomo, 306, 749<br />

ŢÂRDEA C., 123, 138<br />

Tarello Camillo, agronomo, 715-717, 719-723,<br />

725-726, 778<br />

TARGIONI TOZZETTI G., 770<br />

TASSINARI G., 810<br />

TCHERNIA A., 23, 356, 360-361, 587, 687-688<br />

TEALL J.L., 160<br />

TECUșAN M., 675<br />

TEDESCHI P., XII, 789-790, 793, 807, 810, 851-<br />

853<br />

TENENTI A., 652, 660, 719<br />

Teobero (santo), martire, 359-360<br />

Teodolfo, vescovo d’Orleans, 410<br />

Teodolinda, regina dei Longobardi, 537, 539,<br />

857<br />

Teodomaro, abate di Montecassino, 236-238,<br />

308<br />

TEODORESCU I.C., 123, 136, 138<br />

Teodoreto, vescovo di Ciro, 147<br />

Teodorico, conte di Carlo Magno, 236<br />

Teodorico, re degli Ostrogoti, 503, 549<br />

Teodorico Borgognoni, medico, 702<br />

Teodoro, vescovo di Mopsuestia, 479<br />

Teodoro B<strong>al</strong>samone, giurista, 155<br />

Teodoro Prodromo, poeta, 156<br />

Teodoro Studita, abate di Studion, 297, 316,<br />

320<br />

Teodosio II, imperatore, 502<br />

Teofane, cronista, 139-141<br />

Teofilatto Simocatta, cronista, 159<br />

Teofrasto, filosofo, 527<br />

TESTARD M., 409<br />

TESTORE C., 302<br />

Teuzone, eremita, 332<br />

THANER F., 371<br />

Theotokos, v. Maria<br />

THIBODEAU T.M., 433<br />

THIRIET F., 161, 163<br />

THOMAS J., 154<br />

Thomasius J., 440<br />

THOMPSON S., 379<br />

THORNDIKE L., 678, 681, 682<br />

Tiboldo G.B., tipografo, 745<br />

Tibullo, poeta, 747<br />

TICCA M., 675<br />

Tillone (santo), abate di Solignac, 359<br />

Timoteo (santo), XV, 208, 210, 221, 229, 288-<br />

289, 330, 332-335, 393, 423, 487<br />

TISSONI BENVENUTI A., 493<br />

Tito Livio, storiografo, 487, 726<br />

Tito Piedipapera, 772<br />

Tobia, 387<br />

TOCCO A., 684<br />

TOCH M., 98, 109<br />

TOCHEVA CH., 463<br />

Tolomeo, astronomo e geografo, 489<br />

TOMASI D., 150<br />

Tomaso (Thomas) di Cantimpré, domenicano,<br />

354-355<br />

TOMEA P., XVI, 219, 242, 286, 341, 352, 362,<br />

420, 588, 858-859


Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury,<br />

18<br />

Tommaso d’Aquino, domenicano e magister theologiae,<br />

480-483<br />

Tommaso da Celano, francescano e agiografo,<br />

335, 570<br />

Tommaso del Garbo, medico, 685, 687, 697<br />

Tommaso di Eccleston, francescano e cronista,<br />

339, 562-563<br />

Tom Sawyer, 766<br />

TONGIORGI TOMASI L., 706<br />

Tonio, 758<br />

TONNEAU R., 479<br />

TOPPING P., 163<br />

TORELLI G., 572<br />

Torisindo, re dei Gepidi, 537<br />

Torri A., vitivinicultore, 807<br />

Tortelli Giovanni, umanista, 488-489<br />

Tosio B., mercante, 833<br />

TOUATI F.-O., 699, 711<br />

TOUBERT P., 10, 564, 582, 732<br />

TOURNIER C., 53<br />

TOUWAIDE A., 675, 691, 702<br />

TRABUT CUSSAC J.P., 54<br />

Traiano, imperatore, 504<br />

Tramezzino M., tipografo, 728<br />

TRANFAGLIA N., 384<br />

TRAPP E., 473<br />

TRAUBE L., 242<br />

Trebazio, giurista, 510, 520-521<br />

Trebeschi G., vitivinicultore, 808<br />

TREITINGER O., 155<br />

TREU M., 156<br />

Trevisan Ludovico, cardin<strong>al</strong>e camerlengo, 493<br />

TRIACCA A.M., 434<br />

Triboniano, quaestor sacri p<strong>al</strong>atii, 504<br />

Trinità, 256<br />

Trotula (de Ruggiero), medico, 683-684, 693,<br />

695, 704<br />

TRUCI CAPPELLETTI N., 290<br />

Tuberone, giurista, 521<br />

TUCCI U., 592, 642, 652<br />

Tucher Antonio, patrizio, 118<br />

TUDOR S., 123<br />

TULLIANI M., 603, 607-608, 610, 613, 631, 633<br />

TUNIZ D., 222, 252-253<br />

TURBESSI G., 209-210, 212, 219-220, 223<br />

Turiddu, 769-770, 774<br />

Turi Zuppiddu, 772<br />

Turstino, vescovo di York, 271-272<br />

U<strong>d<strong>al</strong></strong>rico di Ratisbona, monaco di Hirsau, 253,<br />

256, 258, 259, 261, 262, 263, 264, 265, 277,<br />

280, 281, 283, 286, 294, 295, 300, 305, 309,<br />

311, 312, 313, 316<br />

Ugo, abate di San Vittore, 562<br />

Ugo, conte d’Alvernia, 285-286<br />

Ugo, conte di Montichiari, 560-561<br />

Ugo da Lucca, medico, 702<br />

Ugo di Fleury, monaco e cronista, 349-350<br />

Ugo di Saint-Cher, domenicano e cardin<strong>al</strong>e di S.<br />

Sabina, 482<br />

Ugo di Semur (santo), abate di Cluny, 252, 255-<br />

256, 261, 277, 279-280, 283, 293, 300, 302,<br />

309, 311-314, 316<br />

Ugolino da Montecatini, medico, 685, 701<br />

Ugolino di Ostia, v. Gregorio IX<br />

Ulpiano, giurista, 504, 507-509, 513, 518, 520,<br />

522-523, 527<br />

UNGUREANU GH., 123<br />

UNTERKIRCHER F., 690<br />

Unulfo, servo di Pertarito, 538<br />

UNWIN T., 321, 587, 798, 804-805, 816<br />

Uqayshir (<strong>al</strong>-), poeta, 171<br />

Urbano II (Ottone di Lagery) (beato), papa,<br />

302, 369-370<br />

Urbano VIII (Maffeo Vincenzo Barberini),<br />

papa, 433<br />

URBINATI L., 633<br />

Ureche G., cronista, 133<br />

URÍA J., 77<br />

Ursino, abate di Ligugé, 349<br />

URSO C., 238, 312, 360<br />

URSUŢIU L., 132<br />

UYTVEN R. VAN, 104, 112, 118-120<br />

VACCA L., 518<br />

VACCA V., 166,<br />

VAGLIA U., 565, 582<br />

V<strong>al</strong>deberto (santo), abate di Luxeuil, 220, 307,<br />

325<br />

V<strong>al</strong>ente, imperatore, 502<br />

VALENTINI A., 628<br />

V<strong>al</strong>entiniano I, imperatore, 503<br />

VALENTINITSCH H., 99, 109<br />

V<strong>al</strong>erio Massimo, storiografo, 487<br />

V<strong>al</strong>la Lorenzo, umanista, 488<br />

VALLARO M., 173<br />

VALLVÉ J., 67, 73-74<br />

Vanniciolo Pietro, banchiere, 624<br />

895


896<br />

VAQUERO PIÑEIRO M., XV, 67, 77-78, 305, 317,<br />

854<br />

VARANINI G., 335<br />

VARANINI G.M., XVI, 14, 86, 95, 116, 318, 550,<br />

569, 588-589, 601, 609, 635, 648-649, 651-<br />

652, 654, 657-660<br />

Varo, giurista, 504<br />

Varrone, erudito, 493, 499, 523, 526, 726-727,<br />

729, 731-732, 750<br />

VASSALLO VENTRONE G., 166-167, 171<br />

VATTIONI F., 414<br />

VAUCHEZ A., 353, 404-405<br />

Vaugris V., tipografo, 734<br />

VÁZQUEZ DE PARGA L., 77<br />

VECCHIO S., 490<br />

Vedasto (santo), vescovo di Arras, 346<br />

VELKOVSKA E., 458, 463, 469, 472, 474<br />

Venanzio Fortunato, agiografo, 26, 93, 355, 359<br />

Venere, 158, 753<br />

VENINI P., 147<br />

Ventura C., tipografo, 740<br />

Venuti A., agronomo, 731<br />

Verancsics Anton, cronista, 133<br />

Verci G.B., 662<br />

VERDIER R., 409<br />

Verecondo (santo), martire, 337-338<br />

VERGA G., 751, 755, 765-766, 768, 770-772,<br />

774-775, 861<br />

Vergine, v. Maria<br />

Vergine Orsola, 754<br />

VERGNANO L., 685<br />

VERHEJEN L., 219, 403<br />

VERHULST A., 95-96<br />

VERONA O., 597<br />

VETERE B., 270<br />

VEZIN J., 242<br />

VIGIL M., 70-71<br />

VIGNI L., 694, 711<br />

VILANOVA J.E.M., 220<br />

VILLA A., 799<br />

VILLA C., 490<br />

Villa P., XIII<br />

Villani Giovanni, cronista fiorentino, 6, 616<br />

VIOLANTE C., 253, 338, 381, 385-386, 412, 552-<br />

553, 579<br />

Virgilio, poeta, 147, 356, 486, 720-721, 727, 732,<br />

742, 745, 747<br />

Vitelli Nicolò, 729<br />

VITI G., 267<br />

VITOLO G., 362, 589<br />

Viviano, giurista, 508, 514, 518, 520-522<br />

Vlad Dracul, signore del Paese Rumeno, 128<br />

VOCI P., 507, 518<br />

VODOLA E., 417<br />

VOGEL C., 302, 373, 377, 393, 399, 429-431, 437<br />

VOLK O., 101-103, 106-109, 120<br />

VOLK R., 144, 154<br />

VOLLMANN B.K., 486, 599<br />

VOLTERRA E., 510, 513<br />

VOS W., 464<br />

VULCĂNESCU R., 124-125<br />

Vulcano, 753<br />

WAGNER F., 120<br />

WAGNER G., 158<br />

WAITZ G., 159, 205, 346<br />

W<strong>al</strong>a, abate di Bobbio, 309<br />

W<strong>al</strong>id ibn Yazîd (<strong>al</strong>-), c<strong>al</strong>iffo ommayade, 172,<br />

855<br />

WALKER G.S.M., 220<br />

W<strong>al</strong>o, nobile, 350-351<br />

WALTER F., 20<br />

Wandelberto di Prüm, monaco e agiografo, 345<br />

Waroch, capo bretone, 26<br />

WASSERSCHLEBEN F.G.A., 367, 415<br />

WATSON A.W., 67-68<br />

WATZL H., 276<br />

WEBER A.O., 93, 95, 100, 107, 116<br />

WEBER TH., 149, 163<br />

WEBER W., 99<br />

WECKBACH H., 15, 93, 309, 393, 586, 638<br />

WEGENER D.K., 236<br />

WEISS ADAMSON M., 276, 678, 684-685, 690,<br />

708-709<br />

WELLMANN M., 527-529<br />

WENGER A., 479<br />

WERMINGHOFF A., 239, 409<br />

WERVEKE H. VAN,95<br />

WESOLY K., 108<br />

WESTERFIELD TUCKER K., 464<br />

WHARTON EPSTEIN A., 153<br />

WHITBY M., 159<br />

WICKHAM C., 408<br />

WIEGELMANN G., 104<br />

WIEN T., 820, 833<br />

WIESMANN H., 209<br />

WILLEMS R., 394<br />

Willibrord (santo), abate di Epternach, 345, 359<br />

WIMMER F., 527


WINKELMANN R., 102<br />

WINWRIGHT G., 464<br />

Wipone, cronista, 554, 557<br />

WITTERN R., 708<br />

WITTHOFT H., 234, 238<br />

WOLF VON GLANVELL V., 371<br />

WUNDERER R., 110<br />

WYNANDY D.J., 236<br />

YANTE J.M., 639<br />

Ysaac, v. Isacco<br />

Ymir, 379<br />

YOUNG B., 403-404<br />

Ysarnus, v. Isarno<br />

Yves de Chartres, v. Ivo<br />

Zaccaria A., gesuita ed erudito, 568, 570<br />

ZĂICEANU V.D., 125<br />

ZAKYTHINOS D.A., 162<br />

ZELZER K., 210, 242<br />

ZAMBELLI M., 626<br />

ZAMBRINI F., 596<br />

ZANARDELLI G., 792-793<br />

ZANELLA A., 159<br />

ZANETTI G., 580<br />

ZANINELLI S., 718, 794, 796, 805, 810<br />

ZANON G., 451-452<br />

ZANONI P., 785<br />

Zeno/Zenone (santo), vescovo di Verona, 195,<br />

203-204, 396, 860<br />

ZERBI P., 270, 382, 385, 420<br />

ZEUMER K., 315<br />

Ziani Sebastiano, doge, 136<br />

Ziliani F., vitivinicultore, 814<br />

ZIMMERMANN G., 255, 295, 308, 312-313<br />

ZINGERLE I., 444<br />

zio Santoro, 772<br />

ZIWES F.J., 109<br />

Zoerardo (santo), eremita ungherese, 351<br />

Zoppini A., tipografo, 724<br />

Zoppini F., tipografo, 724<br />

Zoppola, vitivinicultori, 808<br />

ZORZI A., 413, 649, 823<br />

ZUCCHINI M., 812, 814<br />

ZUG TUCCI H., 83, 85-86, 588, 592, 642<br />

Zwinger Th., agronomo, 727<br />

ZYCHA J., 403<br />

897


898


A<strong>al</strong>en, 367, 371<br />

Abbadia San S<strong>al</strong>vatore <strong>al</strong>l’Amiata, prov. di Siena,<br />

631<br />

– Ospizio in strata Romipeta, 631<br />

Abruzzo, 358<br />

Abydos, 160<br />

Aci Trezza, prov. di Catania, 771-772<br />

Acquanegra, monastero benedettino di S. Tommaso,<br />

570<br />

Acquapendente, prov. di Viterbo, 600<br />

Acri, 385<br />

Adda, fiume, 761<br />

Adige, fiume, 116, 653-654, 657<br />

Adriatico, mare, 653, 656<br />

Adro, prov. di Brescia, 743-744, 791, 795-798,<br />

802, 808<br />

Afflighem, monastero benedettino dei Ss. Pietro<br />

e Paolo, 262, 266, 282, 301, 305<br />

Afganistan, 186<br />

Africa, 150, 185, 356, 501, 528, 646-647<br />

Agordino, 658<br />

Agre, 658<br />

Agro romano, 623<br />

Ahr, fiume, 95, 100, 107<br />

Aigues Mortes, 62<br />

Aino (Aenus, Ainos), 154<br />

Aisey le Duc, 49<br />

Aiud, 132<br />

Aix-en-Provence, 63, 679, 707<br />

Al-An<strong>d<strong>al</strong></strong>us, 67-68, 70, 73-75, 178, 358<br />

Al-Andarîn, 165<br />

Alava, 72<br />

Alba, prov. di Cuneo, XII, 422, 706<br />

Alba Iulia, 123, 128, 132, 138<br />

Albani, colli, 743-744<br />

Albarrecín, 79<br />

Albese, 565, 609<br />

Aldershot, 145, 160, 366, 398, 467, 684, 691, 709<br />

Indice dei nomi di luogo<br />

Alessandria, 490, 812<br />

Alessandria d’Egitto (Alexandreia), 159, 200,<br />

357, 774<br />

Alfianello, prov. di Brescia, 782<br />

Alfiano, prov. di Cremona, 564, 581-582, 782<br />

Algeria, 185<br />

Alghero, prov. di Sassari, XII, 5, 318, 585, 643<br />

Alicarnasso, 527<br />

Aljarafe, 84<br />

Allemagne, Almania, v. Germania<br />

Alleur, 605<br />

Allier, fiume, 50<br />

Almería, 74-75<br />

Almuñécar, 74<br />

Aloxe, 39<br />

Alpi, catena montuosa, 22, 63, 93, 102-103, 116,<br />

162, 297, 480, 487, 549, 555, 591, 640, 648,<br />

650-651, 654-658, 662, 860<br />

Alsazia (Alsace), 17-21, 35, 37, 42, 60-61, 64-65,<br />

96, 109, 112-114, 269<br />

Alto Adige, 92-93, 95, 116, 655-656, 658<br />

Alvernia, 58, 207<br />

Alzey, 102<br />

Am<strong>al</strong>fi, 161<br />

Amberg, 100<br />

Amburgo, 113, 441<br />

America, 799, 805-807, 852<br />

Amiens, 478<br />

Aminea, 500<br />

Amsterdam, 153, 155-156, 159, 358<br />

Anagni, prov. di Frosinone, 319, 383<br />

Anatolia, penisola, 187<br />

Ancona, 647<br />

An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia (An<strong>d<strong>al</strong></strong>ucía), 67, 69, 80, 82-87, 180-<br />

182, 525, 709, 854<br />

Andernach, 93<br />

Andlau-au-V<strong>al</strong>, monastero benedettino dei Ss.<br />

Fabiano e Felicita, 61-62<br />

899


900<br />

Anfo, prov. di Brescia, 565, 582<br />

Angers, 59<br />

– Monastero benedettino di S. Aubin, 322<br />

Angiò (Andegavis, Anjou), 18, 26, 59-60, 347<br />

Angleterre, Anglia, v. Inghilterra<br />

Angoulême, 436<br />

Aniane, fiume, 206<br />

– Monastero benedettino di S. S<strong>al</strong>vatore,<br />

206, 234<br />

Ann Arbor, 501<br />

Antwerpen, 104, 258, 358<br />

Anversa, 64, 111<br />

Appennini, catena montuosa, 549, 595<br />

Aquileia, 203<br />

Aquitania, 24, 32, 41, 54, 57-59, 63, 65, 97<br />

Aquisgrana/Aachen, 234-235, 239-240, 277,<br />

281-282, 308<br />

Arabia, penisola, 167-168, 170, 182<br />

Arad, 128<br />

Aragona (Aragón), 76, 79-80, 87<br />

Aramă, baia, 132<br />

Ararat, monte, 837<br />

Arbois, 52<br />

Arebrignus pagus, v. Autun<br />

Aretino, 608<br />

Arezzo, 6, 608<br />

Argenteuil, 18, 27<br />

Argentina, 852<br />

Argeș, 123, 128<br />

Ariccia, prov. di Roma, 743-744<br />

Arles, 62-63, 65, 219<br />

Armançon, fiume, 46<br />

Armenia, 468<br />

Arquà, prov. di Padova, 487<br />

Arras, 49, 52, 685<br />

Ascoli Satriano, prov. di Foggia, 601<br />

Asc<strong>al</strong>ona (Ashkelon), 356-357, 361, 859<br />

Asia, 182<br />

Asia Minore, 139, 162, 441, 856<br />

Assisi, prov. di Perugia, 335-337, 356<br />

Asti, 13, 853<br />

Asturias de Santillana, 71<br />

Asturie, 71-72, 80<br />

Atene (Athena, Athènes), 147, 149-150, 153,<br />

155, 161-163, 356, 408, 461, 470, 552, 687,<br />

707<br />

Athos, monte, 154<br />

– Monastero del Filotheou, 147<br />

Atlantico, oceano, 19, 21, 47, 68-69, 84, 86<br />

Auch, 21, 103, 267-268, 638<br />

Augsburg (Augusta Vindelicorum), 271, 447<br />

Augusta, 114, 116, 449, 451, 656<br />

Augusta Taurinorum, v. Torino<br />

Aunis, 18, 42-43, 48, 65<br />

Aurelia, v. Orleans<br />

Aurelia Aquensis, v. Baden-Baden<br />

Aurillac, monastero benedettino di S. Ger<strong>al</strong>do,<br />

312<br />

Aussy, 61<br />

Austria, 93, 95, 102, 107, 115, 154, 162, 265,<br />

297, 308, 313, 357, 384, 446-448<br />

Autun (Augustodunum), 23-25, 28, 39, 41, 438<br />

Auxerre, 21, 29, 36, 46, 48, 51, 53, 317<br />

Auxerrois, 52<br />

Auxois, 49<br />

Auxonne (Ausonum), monastero delle suore<br />

colettine, 355<br />

Auxy, 39<br />

Av<strong>al</strong>lon, 49, 52<br />

Aversa, prov. di Caserta, 624<br />

Avigliana, prov. di Torino, 290<br />

Avignone, 48-52, 62-63, 317, 487<br />

Avila, 82, 87<br />

Azat, fiume, 468<br />

Babadag, 132, 135<br />

Babilonia, 50<br />

Baden, 102<br />

Baden-Baden, 639, 728<br />

Badia Polesine, prov. di Rovigo, 653<br />

Baetica (Provincia), 22, 525<br />

Bagnolo Mella, prov. di Brescia, 791, 795-796,<br />

798, 802<br />

Bagnoregio, prov. di Viterbo, 628<br />

B<strong>al</strong>cani, penisola, 139, 159-160, 474<br />

B<strong>al</strong>ș, 132<br />

B<strong>al</strong>tico, mare, 21, 113, 116<br />

B<strong>al</strong>timore, 832<br />

Bamberga (Bamberg), 111, 451<br />

Barcellona (Barcelona), 71-72, 78-79, 605, 645,<br />

677, 680-681, 702<br />

Barcelonette, 63, 651<br />

Barco, prov. di Brescia, 785<br />

– Possessione delle Vittorie, 785<br />

Bardolino, prov. di Verona, 657<br />

Bargnano, prov. di Brescia, 807<br />

– Scuola ‘Vincenzo Dandolo’, 807<br />

Bari, XI, 3, 10, 12, 153, 155, 216-217, 221, 254,<br />

317, 328, 378, 381, 391, 393-394, 398, 402-


403, 505, 549, 553-554, 558-559, 561, 563,<br />

569, 573, 579, 587, 590, 596, 600, 676-677,<br />

684, 690, 707, 710, 810, 819-820<br />

Bar sur Seine, 60, 63<br />

Basilea, 51, 61, 132, 491, 665, 727-730<br />

– Universitätsbibliothek, 489<br />

Bassano del Grappa (Baxano), prov. di Vicenza,<br />

490, 654, 662-663<br />

Bassin Parisien, v. Parigino<br />

Baubigny, 39<br />

Baumgarten, monastero cistercense di S. Bernardo,<br />

269<br />

Baviera (Bayern), 61, 93, 95, 100, 104, 114, 145-<br />

146, 255, 256, 293, 305, 312, 317, 656-657<br />

Bayen, 116<br />

Bayonne, 32<br />

Beaujolais, 62<br />

Beaune, 18-19, 21, 23, 29, 46, 48-50, 52-54, 58,<br />

118, 317, 637<br />

– Hospices, 51<br />

Beauvais, 18, 46<br />

Beauvaisis, 36<br />

Bec, v. Le Bec<br />

Bedizzole, prov. di Brescia, 808<br />

Belgio (Belge, Belgium), 95, 105, 426, 474, 639<br />

Bellinzona, 656<br />

Bellunese, 658<br />

Belluno, 652, 658, 662<br />

Benaco, lago, 492, 786, v. anche Garda<br />

Benediktbeuern, monastero benedettino dei Ss.<br />

Benedetto e Giacomo, 443-444, 555, 657<br />

Benevento, 679<br />

– Monastero benedettino dei Ss. Benedetto<br />

e Michele, 251<br />

Bergamasco, 634, 745, 792, 796<br />

Bergamo (Bergomum), XII, 438-439, 568, 612,<br />

631, 633, 649, 652, 718, 740, 743, 760, 792,<br />

807<br />

– Biblioteca civica ‘Angelo Mai’, 682<br />

– Biblioteca di Sant’Alessandro in Colonna,<br />

439<br />

Bergerac, 32, 55<br />

– Monastero di Notre Dame de Saintes<br />

(Ordine di Fontevrault), 32<br />

Berheci, 134<br />

Berkeley, 83, 142, 153<br />

Berlino (Berlin, Berolinum), 26, 94, 112, 133, 143,<br />

149, 156-157, 213, 242, 312, 315, 355-356,<br />

358-360, 363, 369, 371, 382-383, 485, 501-<br />

502, 527, 529, 550, 639, 676, 678<br />

Berna (Berna), 110, 119, 345, 678<br />

Berry, 49<br />

Berzo (Bircium), prov. di Brescia, 744<br />

Beuron, 283<br />

Béziers, 18<br />

Bihor, monte, 123<br />

Bilbao, 77<br />

Binghamton, 492, 494<br />

Bingen, 41, 318<br />

Birka, 96<br />

Bisanzio (Byzance, Byzantium, Byzanz), v.<br />

Costantinopoli<br />

Bistriţa, 131-132<br />

Bitinia (Bithynie), 145, 154<br />

Bizzolano, prov. di Mantova, 570<br />

Blaj, 132<br />

Blayais, 32<br />

Blois, monastero benedettino di S. Martin-au-<br />

V<strong>al</strong>, 355<br />

Bodensee, fiume, 100<br />

Boemia, 99<br />

Bologna (Bononia), XI, XIII, 4-6, 11-12, 74, 86,<br />

163, 266, 281, 285, 312, 328, 353, 362, 365,<br />

368, 370, 373, 381, 384-387, 389, 392, 394,<br />

396, 399, 405, 408, 415, 417, 419, 425, 464,<br />

482, 492, 505, 547, 549, 553, 556, 560, 563,<br />

585, 588-589, 596, 600, 603-604, 608-615,<br />

618-619, 631-632, 635, 642-643, 646, 655,<br />

661, 663, 676, 685, 688, 696, 716-718, 733,<br />

740, 751, 805<br />

– Cattedr<strong>al</strong>e di San Petronio, 614<br />

– Monastero dei Ss. Nabore e Felice, 420<br />

– Via de’ Pignattari, 614<br />

Bolognese, 10-11, 13, 587, 594, 614, 627, 853<br />

Bolzano/Bozen, 116, 159, 655-658<br />

– Castel Mareccio, 655<br />

Bonn (Bonna), 92, 99, 104, 106, 139-141<br />

Bordeaux, 15, 17, 21, 23, 25, 32, 41-43, 45, 54-<br />

55, 57-59, 73, 317, 499, 585, 637<br />

– Canonica, poi monastero benedettino di<br />

Saint Seurin, 32<br />

– Capitolo di Sant’Andrea, 32<br />

– Hôpit<strong>al</strong> de Saint Jean, 32<br />

– Monastero benedettino di S. Croix, 32, 276<br />

Bordolese (Bordelais, Bordonnais), 15, 32, 33,<br />

41, 45, 47-48, 54-55, 65, 393<br />

Borgogna (Bourgogne), 15, 17-21, 23-25, 28-<br />

29, 32, 33, 36-37, 39, 41, 46, 48-49, 51-54,<br />

59-60, 63, 65, 118, 252, 256, 267, 270-271,<br />

298-299, 312-314, 317, 637, 650, 751<br />

901


902<br />

Borgonato, prov. di Brescia, 808<br />

Bornato, prov. di Brescia, 814<br />

Borno (Bormius), prov. di Brescia, 744<br />

Boston, 357<br />

– College, 375<br />

Botticino Mattina, prov. di Brescia, 808, 815<br />

Bourbince, fiume, 50<br />

Bourbonnais, 60<br />

Bourgés, 32, 51<br />

Bourgneuf, baia, 42, 59<br />

Bourgueil, 59<br />

Bovegno, prov. di Brescia, 582-583, 795-796<br />

Brabante (Brabant), 48, 111, 113, 117-118, 639<br />

Braga, 302, 377<br />

Brandeburgo, 99<br />

Brasile (Brazil), 681<br />

Brașov, 131, 136<br />

Bratislava, 99, 115, 440<br />

Braunschweig, 100<br />

Brema, 113<br />

Breno, prov. di Brescia, 799, 803<br />

Brenta, fiume, 652<br />

Brescia (Brixia), XI-XIII, 5, 13, 15, 69, 94, 131,<br />

162, 196-197, 201-202, 217, 222, 237, 268,<br />

282, 284-285, 294, 319, 341-242, 365, 452,<br />

455, 477, 492, 494-495, 535, 547-549, 551-<br />

553, 560-561, 563, 565, 567-571, 574-578,<br />

580, 582, 585, 594, 601, 604, 609-610, 612,<br />

626, 627-634, 643, 649, 652-653, 656, 679,<br />

688, 710, 717-719, 722-725, 738-739, 743-<br />

744, 747, 779-780, 782-784, 786-787, 790-<br />

792, 794, 796-802, 804-815, 817-818, 823,<br />

827-828, 831, 833-834, 861<br />

– Archivio di Stato, 306, 628, 630, 632, 781,<br />

785, 796, 800, 808, 817-818, 825, 828, 830,<br />

833<br />

– Biblioteca ‘Carlo Viganò’, 717, 738<br />

– Biblioteca Civica Queriniana, 452, 628,<br />

630, 632, 717, 719, 721, 725, 730, 733-734,<br />

738-740, 742, 746-748, 794<br />

– Biblioteca della Fondazione ‘Ugo da<br />

Como’, 717<br />

– Biblioteca del Seminario Vescovile, 717,<br />

727<br />

– Borgo Pile, 576, 578<br />

– Chiesa di San Daniele, 287, 454<br />

– Chiesa di San Giovanni de foris, 549<br />

– Congrega Apostolica della Carità, 807-<br />

808, 817-818, 825<br />

– Contrada delle Cicogne, 633<br />

– Contrada del Mercato delle biade, 633<br />

– Contrada del Pozzolo, 633<br />

– Contrada di Arco del vino (Cav<strong>al</strong>lerizza),<br />

828-829<br />

– Foro Fortunato, 567<br />

– hora Sancti Syri<br />

– Canonica di San Pietro in Oliveto, 746<br />

– Monastero benedettino di Santa Eufemia,<br />

494, 601<br />

– Monastero benedettino femminile di San<br />

S<strong>al</strong>vatore - Santa Giulia, 242, 282, 284, 294,<br />

297, 306, 315, 318, 322-323, 453-455, 549,<br />

571, 581-582, 782<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di Santa Giulia, 287, 454, 710<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e extraurbano di San Giacomo<br />

dei Romei, 287<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e Maggiore, 711<br />

– Piazzetta di Porta Brusata, 830<br />

– Porta di San Giovanni, 581<br />

– Porta di Torrelunga, 581<br />

– Scuola Agraria della Bornata (poi Pastori),<br />

806, 808<br />

– Sobborgo dei Ronchi, 806<br />

– Sobborgo de Sovignis, 571<br />

– Via Alberto Mario, 549<br />

Bresciano, 242, 579, 581, 583, 594, 609, 613,<br />

627, 629, 631, 634, 715-719, 721, 723-726,<br />

743, 745, 749, 777-778, 780-781, 783-786,<br />

789-801, 803-817, 827, 850, 853, 861<br />

Breslavia (Breslau), 156, 700<br />

Bresse, 650<br />

Bretagna (Bretagne, Britannia), 19, 45, 57-59, 64-<br />

65, 294, 307, 312, 347, 379<br />

Briançon, 63, 657<br />

Brianum, prov. di Brescia,744<br />

Briedel, 91<br />

Brindisi, 473<br />

Bristol, 57, 86<br />

Brouilly, 29<br />

Bruges, 32, 35, 43, 45, 49, 64, 619, 645<br />

Bruttium,v.Abruzzo<br />

Bruxelles, 141, 322, 343, 358, 369, 373, 404,<br />

478, 609, 699<br />

Bucarest (București), 123-125, 127-128, 130,<br />

132-134, 136-138<br />

Bulgaria, 140, 148, 475<br />

Burdig<strong>al</strong>a, v. Bordeaux<br />

Burgos, 72, 76, 87<br />

Burgund, v. Borgogna<br />

Bursa/Prusa, 150


Bursfeld, monastero benedettino dei Ss. Tommaso<br />

e Nicola, 265<br />

Buzău, 132<br />

Buzolano, v. Bizzolano<br />

Caana (Cana), 152, 201, 331, 341, 343, 346, 360,<br />

421, 436, 438, 450-451, 461, 465-466, 858<br />

Cahors (Caturcensis), 55, 350, 362<br />

C<strong>al</strong>abria, 320, 458, 590-592, 624, 647, 854<br />

C<strong>al</strong>ais (C<strong>al</strong>es), 593<br />

C<strong>al</strong>atayud, 79<br />

C<strong>al</strong>cedonia, 468<br />

C<strong>al</strong>ifornia, 369<br />

Călinești, 128<br />

C<strong>al</strong>vario, monte, 474<br />

C<strong>al</strong>visano, prov. di Brescia, 792<br />

Cam<strong>al</strong>doli, eremo di S. S<strong>al</strong>vatore, 288<br />

Cambrai, 52, 262, 671<br />

Cambridge, 161, 253, 357, 681, 729<br />

Cambridge/Massachusset, 22, 161, 260, 357,<br />

528, 530, 593<br />

Cammino di Santiago, 69, 75, 76, 78-79, 87<br />

Campania, 7, 133, 283, 320, 355, 360-362, 418,<br />

465, 594, 646-647, 838, 860<br />

Campobasso, 646<br />

Canaan, 423<br />

Canada, 276<br />

Canarie, isole, 751<br />

Cantabria (Cantábrico), 71<br />

Cantabrici, catena montuosa, 70, 75<br />

Canterbury, monastero benedettino di S. Agostino,<br />

292<br />

Capo d’Otranto, 653<br />

Capodistria, 615, 634<br />

Cappadocia, 210<br />

Capriano del Colle, prov. di Brescia, 782, 785,<br />

815<br />

Capriolo, prov. di Brescia, 808<br />

Carac<strong>al</strong>, 132<br />

Caransebeș, 132<br />

Caravaggio (Carawatio), prov. di Bergamo, 570<br />

Carcassonne, 18, 32, 675<br />

Cardeña, monastero di San Pedro (benedettino,<br />

poi cluniacense), 76<br />

Carignano, prov. di Torino, 650<br />

Carinzia, collegiata di San Paolo, 448<br />

Carmignano, prov. di Firenze, 619<br />

Carmona, 84<br />

Carpazia, 124<br />

Carpentras, 63<br />

Cartagine, 403<br />

Carzago, prov. di Brescia, 570<br />

Casamari, monastero dei Ss. Giovanni e Paolo<br />

(benedettino, poi cistercense), 291<br />

Casentino, 646<br />

Caserta, 841<br />

Castelfranco Veneto, prov. di Treviso, 661<br />

Castellammare di Stabia, prov. di Napoli, 621<br />

Castelli Romani, 319, 626, 646, 751<br />

Castello (Castelfranco di Rogno), prov. di Bergamo,<br />

744<br />

Castelvecchio, prov. di Forlì, 754<br />

Castenedolo, prov. di Brescia, 744-745, 782-<br />

783, 785, 808<br />

Castiglia (Castilla), 71, 73, 76-78, 80, 82-83, 86<br />

Cat<strong>al</strong>ogna (Cat<strong>al</strong>uña), 68, 72, 76, 79-81, 646-<br />

647, 665, 670, 710, 858<br />

Catania, 854<br />

Caucaso, catena montuosa, 837-838<br />

Cava dei Tirreni, monastero benedettino della<br />

S. Trinità, 373<br />

Cavaion Veronese, prov. di Verona, 662<br />

Cazzago, prov. di Brescia, XIII, 800<br />

Cellatica, prov. di Brescia, 495, 594, 743-744,<br />

783, 807-808, 815, 861<br />

– Cantine Riunite, 813<br />

Celle, 99-100<br />

Celtum, 344<br />

Cenate, prov. di Bergamo, 745<br />

Cernavodă, 132<br />

Cerne, monastero benedettino di S. Edvoldo,<br />

443-444<br />

Cesarea, 210<br />

Cesena, 253, 552-553, 608<br />

Cetatea Albă, 137<br />

Ceuta, 74<br />

Chablis, 18-19, 28, 36, 46, 48, 53<br />

Ch<strong>al</strong>on sur Saône, 18, 46, 50, 52<br />

Champagne, 15, 17, 20, 37, 46, 63, 65<br />

Charente, fiume, 65<br />

Chartres, 35, 369, 386, 389, 394<br />

Châteauneuf, 62<br />

Châteaux Latour, 32<br />

Chatelaillon, 43<br />

Chauvigny (C<strong>al</strong>viniacus), 350<br />

Chelbon, 422<br />

Chenôve, 29, 39, 49<br />

Chevetogne, 474<br />

Chiari, prov. di Brescia, 791, 795-798, 802<br />

Chiese, fiume, 782-783<br />

Chilia, 137<br />

903


904<br />

Chimara, 147<br />

Chinon, 59<br />

Chio, isola, 145-146, 148-150, 320, 356, 591<br />

Chiusa di Pesio, prov. di Cuneo, 290<br />

Cicladi, isole, 22<br />

Cignano, prov. di Brescia, 781<br />

Cigole, prov. di Brescia, 780, 785<br />

– possessione Foresti, 780<br />

– possessione Lova, 780<br />

Cilento, 320<br />

Cilicia, 150, 160, 528<br />

Cimmo, prov. di Brescia, 582-583<br />

Cincinnati, 242<br />

Cinisello B<strong>al</strong>samo, prov. di Milano, 205, 222, 465<br />

Cinque Terre, 13, 486, 590, 650, 854<br />

Cipro, 18-19, 62, 355-356, 465, 491, 659, 661,<br />

751, 834<br />

Cîteaux, casa madre dei Cistercensi, 20, 28, 41,<br />

45, 49, 53, 267<br />

Città del Vaticano, 156, 162, 295, 302, 369, 373,<br />

375, 394, 421, 430-431, 433-434, 452, 460,<br />

463, 467-468, 479<br />

– Biblioteca Apostolica, 156, 162, 458, 493<br />

Città di Castello, prov. di Perugia, 619<br />

Civate, monastero benedettino dei Ss. Pietro,<br />

Paolo e C<strong>al</strong>ogero, 242, 248<br />

Clairvaux, monastero cistercense di S. Maria, 279<br />

Clara, 62<br />

Clarence, 592<br />

Clazomene, 527<br />

Clermont, 36, 302<br />

Clos Vougeot, 20, 267<br />

Cloucester (Clocestre), 593<br />

Cluj-Napoca, 123-125, 131, 133, 137<br />

Cluny, monastero di S. Pietro, 27, 251-258, 261-<br />

262, 280-283, 293, 298, 299, 302-303, 309,<br />

312-315, 319, 558, 561<br />

– Domus infirmorum, 279<br />

– Oratorio di Santa Maria, 279<br />

Coblenza, 41, 92-93, 104, 112, 640<br />

– Commenda dell’Ordine Teutonico, 111<br />

Coccaglio, prov. di Brescia, 552, 800<br />

Coimbra, 74<br />

Collegeville, 470<br />

Collegno, prov. di Torino, 290<br />

Collio V<strong>al</strong>trompia, prov. di Brescia, 828<br />

Colmar, 61, 104, 114<br />

Colofona, 355<br />

Cologne, prov. di Brescia, 808<br />

Colonia (Cologne), 41, 60-61, 64, 96, 104, 106,<br />

109, 111-113, 116, 148, 151, 158, 238, 242,<br />

268-269, 481, 487, 510, 558, 592, 637, 639-642<br />

Como, 681<br />

Compiègne, 52-53<br />

Compostella, v. Santiago<br />

Comtat Venaissin, 63<br />

Conegliano Veneto, prov. di Treviso, XII, 150,<br />

654, 657, 661-662<br />

– Archivio Comun<strong>al</strong>e, 663<br />

Corbie, monastero dei Ss. Pietro, Paolo e Stefano<br />

(irlandese, poi benedettino), 234, 237,<br />

239-240, 287, 307-309<br />

Cordova (Córdoba), 73, 75, 83<br />

Corias, monastero benedettino di San Juan Bautista,<br />

71<br />

Corinto, 209<br />

Corniglia, prov. di La Spezia, 13, 590<br />

Corsica, 495, 595, 616, 646<br />

Cortefranca, prov. di Brescia, 807<br />

Corton, 29, 48<br />

Cortona, prov. di Arezzo, 718<br />

Cos, isola, 146, 526-527<br />

Cosenza, 375<br />

Costantinopoli (Constantinople), 139-142, 145-<br />

155, 157-163, 212, 321, 458-461, 465, 467-<br />

469, 471, 475, 488, 555, 590, 642, 853-856, 860<br />

– Basilica di Santa Sofia, 146, 471<br />

– Monastero della Dormizione, 297<br />

– Monastero di Psamathia, 141<br />

– Monastero di San Mama, 154<br />

– Monastero di Studion, 297<br />

– Tomaita, 146<br />

– Trullum, 153, 155, 414, 467<br />

Costanza, città, 115, 600<br />

– lago, 100, 318<br />

Costești, 134<br />

Côte d’Or, 28, 52-53, 361<br />

Côte de Beaune, 28<br />

Côte de Toul, 36<br />

Côte Rotie, 22<br />

Cotnari, 123, 130, 132-134, 137-138<br />

Coutances, 343<br />

Cozia, monastero ortodosso della S. Trinità<br />

(Romania), 128<br />

Cracovia, 351<br />

Craiova, 132<br />

Cravant, 46, 53<br />

Cremasco, 792


Cremona, 6, 321, 353, 493, 551-552, 564, 568,<br />

631, 703<br />

Cremonese, 782<br />

Creta, isola, 14, 62, 148, 150, 158, 160-161, 163,<br />

319, 355, 470, 528, 589, 592-593, 614, 634,<br />

642, 646, 659, 854, 861<br />

Crete senesi, 319<br />

Cricău, 128<br />

Crimea, penisola, 138, 525<br />

Cuenca, 82<br />

Cuenca Omecilla, 72<br />

Cuneo, 12, 266, 290, 559, 585, 603, 642, 644,<br />

650, 678, 706, 716<br />

Curtea de Argeș, 132<br />

Dacia, 123-124<br />

D<strong>al</strong>mazia, 217<br />

Damasco, 422<br />

Dambach le Ville, 62<br />

Damme, 43<br />

Danimarca, 378<br />

Danubio (Donau, Dunăre), fiume, 93, 99-100,<br />

115, 124, 133, 137, 838<br />

Darfo, prov. di Brescia, 565, 582<br />

Darny, 29<br />

Daroca, 79<br />

Darzo, prov. di Trento, 565, 582<br />

Dayr Bawannâ, 172<br />

Delfinato (Dauphiné), 33, 63, 440<br />

Desenzano, prov. di Brescia, 783<br />

Deutschland, v. Germania<br />

Deventer, 728<br />

Digione (Dijon), 28-29, 49, 53-54, 65, 267, 356,<br />

361<br />

– Canonica di S. Etienne, 29<br />

– Monastero benedettino di S. Benigno, 600<br />

– Rue Saint Jean, 53<br />

Digionese (Dijonnais), 49<br />

Digne, 63<br />

Digoin, 50<br />

Dobrugia (Dobrogea), 123, 132, 135<br />

Don, fiume, 138<br />

Donaueschingen, 438<br />

Dordogna (Dordogne), fiume, 32, 55<br />

Dorestadt, 96<br />

Douai, 49<br />

Doublans, 52<br />

Drăgășani, 132, 137-138<br />

Dragone, monte, 565<br />

Dresda, 100<br />

Dronero (Dragonerio), prov. di Cuneo, 651<br />

Dublino (Dublin), 220<br />

Duero, fiume, 71, 76, 79, 82<br />

Duisburg, 96<br />

Dumitra, 132, 138<br />

Durance, 63<br />

Durazzo, 161<br />

Düsseldorf, 112, 369, 639<br />

Eberbach, canonica, poi monastero benedettino,<br />

poi cistercense , 120, 268<br />

Eboracium,v.York<br />

Ebro, fiume, 71-72, 75, 79-80<br />

Ebron, 422<br />

Echevronne, 39<br />

Eden, 465-466<br />

Edessa, 212<br />

Efeso, 440-441, 526<br />

– Chiesa di San Giovanni, 443<br />

Egeo, mare, 14, 146, 149, 160, 851<br />

Egitto, 147, 159, 181-183, 187, 208, 217, 234,<br />

423, 837<br />

Eichstätt, 114<br />

Einsiedeln, 238<br />

Elba (Elbe), fiume, 100, 640<br />

Elba, isola, 615, 624, 646<br />

Elche, 74<br />

Elenopoli, 219<br />

Elsass, v. Alsazia<br />

Elvira (Eliberis), 413<br />

Ely, 384<br />

Embrun, 63<br />

Emesa, 142<br />

Emilia-Romagna, 6, 10, 612, 648, 653, 659, 801,<br />

841, 853<br />

Enesmur, isola, 347<br />

England, v. Inghilterra<br />

Entre Deux Mers, 32<br />

Epernay, 18, 46<br />

Erbanno, prov. di Brescia, 744<br />

Erbusco, prov. di Brescia, XII, 365, 552, 609,<br />

743-744, 783<br />

Eritrea, 358<br />

Escol, v<strong>al</strong>le, 422<br />

Eslingen, 115<br />

España, Espagne, v. Spagna<br />

Estella, 77-78<br />

Esztergom, 388<br />

905


906<br />

Etampes, 18<br />

Etna, vulcano, 7<br />

Etruria, v. Toscana<br />

Eubea, isola, 146-147, 149<br />

Euganei, colli, 652, 687<br />

Europa, XII, XIV-XV, 15, 20-21, 60, 67, 69-70,<br />

72, 74, 77-78, 80, 84, 86, 94-96, 98-99, 103-<br />

104, 106, 112-116, 119, 123, 125, 130-131,<br />

137, 162-163, 185, 197, 221, 237, 242, 268,<br />

270, 275, 285, 304, 307-308, 315-316, 341,<br />

357-358, 365, 373, 378, 381, 386, 393, 419,<br />

455, 458, 477, 480, 490, 495, 505, 535, 540,<br />

552-553, 585-586, 601, 610, 636-640, 643,<br />

677, 688, 693, 701, 709, 719, 729, 742, 745,<br />

749-750, 779, 790, 798, 803, 805, 807, 819,<br />

823, 838, 849-852, 856, 858, 861<br />

Exeter, 57<br />

Eynsham, monastero benedettino di Ognissanti,<br />

239, 292, 302, 303, 308<br />

Faenza, prov. di Ravenna, 292, 589, 614, 810<br />

Făgăraș, 132, 136<br />

Fălciu, 134<br />

F<strong>al</strong>ernus, ager, 283, 320, 355-356, 361<br />

Fano, Archivio di Stato, 633<br />

Farfa, monastero di S. Maria (benedettino, poi<br />

cluniacense), 253<br />

Farnborough, 436<br />

Faro, 74<br />

Fécamp, monastero della S. Trinità, 45<br />

Feltre, prov. di Belluno, 652, 662, 682<br />

Feltrino, 661<br />

Ferentino, prov. di Frosinone, 10<br />

Ferrara, 13, 254, 600, 614, 646, 653, 684, 686,<br />

704, 735<br />

– Canonica, poi monastero benedettino di<br />

San Giorgio de Ferraiola, 293<br />

Fiandre (Frandes), 18-19, 21, 42, 48, 51, 58, 85-<br />

86, 109, 111, 113, 131, 275<br />

Filippopoli, v. Plovdiv<br />

Filotheou, v. Athos<br />

Fiore, monastero di S. Giovanni Battista (cistercense,<br />

poi florense), 277<br />

Firenze, 5-6, 14, 51, 73, 85, 99, 156, 267, 290,<br />

338, 362, 376, 413, 488-490, 494-495, 562,<br />

585, 587-588, 595-596, 601-602, 607-610,<br />

612-619, 627, 630, 634, 641, 646, 648, 676,<br />

679, 684-685, 690, 694, 696-697, 703-704,<br />

706, 711-712, 747, 822-823<br />

– Archivio di Stato, 608<br />

– Cantina Datini, 616<br />

– G<strong>al</strong>leria degli Uffizi, 261<br />

– Istituto degli Innocenti, 711<br />

– M<strong>al</strong>acucina, 618<br />

– Monastero benedettino di Santa Maria, 390<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e degli Innocenti, 711<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di San Matteo, 703, 711<br />

– Piazza del Duomo, 618<br />

– Piazza della Signoria, 618<br />

– Taverna del Buco, 618<br />

– Taverna del Fico, 618<br />

– Taverna della B<strong>al</strong>dracca, 618<br />

– Taverna della Corona dei vini, 618<br />

– Taverna della M<strong>al</strong>vagìa, 618<br />

– Taverna della Nave dei vini orient<strong>al</strong>i, 618<br />

– Taverna del Porco, 618<br />

– Taverna Frascato, 618<br />

– Taverna Macciana, 618<br />

Flaran, monastero cistercense de l’Esc<strong>al</strong>e Dieu,<br />

XII, 268<br />

Fleury, monastero benedettino di S. Benoît-sur-<br />

Loire, 254-256, 259-260, 262-263, 266, 294-<br />

296, 300, 302-305, 308-309, 311-313, 315<br />

Fonte Avellana, eremo della S. Croce, 288, 330,<br />

332-334<br />

Forlì, 13, 853<br />

Forlimpopoli (Foropopilis), 609<br />

Chiesa di San Rofillo, 351, 353<br />

Franca Contea, 52<br />

Francia (France), XII, XIV, 15, 17-23, 28, 32-33,<br />

35, 39, 42-43, 45, 47-50, 54-55, 57-59, 62,<br />

64-65, 81, 103, 116, 118, 138, 140, 146, 187,<br />

190, 237, 243, 267, 269, 275, 301, 312, 317,<br />

321, 342, 355, 369, 372-373, 389, 397, 402-<br />

403, 408-409, 426, 430-431, 435, 450, 456,<br />

477, 481, 494, 499, 562, 596-597, 600, 637,<br />

641, 650, 654, 677, 679, 703, 707, 710, 715,<br />

719, 728-729, 734, 749, 752, 789, 798, 804,<br />

811, 854, 859<br />

Franciacorta, prov. di Brescia, XII-XIV, 318-<br />

319, 323, 365, 552-553, 583, 594, 609, 627,<br />

716, 743-744, 783, 785, 789-792, 795, 800,<br />

804, 807-809, 813-816, 850, 853, 861<br />

Francoforte (Frankfurt am Main), 61, 64, 102,<br />

114, 153, 157, 269, 276, 345, 486, 491, 527,<br />

599, 639, 678, 745, 789-792<br />

Franconia (Franken), 98, 104, 107, 109-110,<br />

114, 309


Friburgo (Freiburg im Bresgau), 111, 296, 367,<br />

435, 438, 440, 445<br />

Friburgo (Svizzera), 61, 283-284, 425, 432, 438,<br />

456<br />

Frigia, 529<br />

Frisia, 96<br />

Frisinga, 315<br />

Friuli Venezia-Giulia, 132, 319, 504, 593-594,<br />

649, 652, 662-663, 715<br />

Frontignan, 62<br />

Fruttuaria, (S. Benigno Canavese), monastero<br />

benedettino di S. Benigno e Tiburzio, 240,<br />

253-264, 266, 277, 279-284, 293-295, 298,<br />

301, 303, 305, 311-312, 316<br />

Fulda, monastero benedettino dei Ss. S<strong>al</strong>vatore,<br />

Pietro, Paolo e Bonifacio, 254-255, 258,<br />

264-266, 279, 283, 287, 293, 296, 300, 308,<br />

439<br />

Füssen, 656<br />

Gaby, prov. di Aosta, 753<br />

Gaillac, 55<br />

Gaillon, castello, 58<br />

G<strong>al</strong>atina, prov. di Lecce, 270<br />

G<strong>al</strong>lia (Gaule), 21-23, 26, 65, 92, 276, 309, 315,<br />

361, 381, 392, 401, 404, 487, 491, 495, 499,<br />

501-502, 527-528, 742, 745, 859<br />

G<strong>al</strong>ilea (G<strong>al</strong>ilaía), 201, 343, 346, 421, 436, 438,<br />

451, 461, 465<br />

G<strong>al</strong>șa, 128<br />

Gano, 148, 162<br />

Garda, lago, 318, 551, 565, 569, 657, 662, 751,<br />

780, 789, 791-792, 796, 798, 802-804, 811-<br />

813, 815<br />

Gardone, prov. di Brescia, 795-796, 798<br />

Gargnano, prov. di Brescia, 783, 795-796, 802<br />

Garonna (Garonne), fiume, 22-23, 32, 42, 45,<br />

55, 65<br />

Gâtinais, 18<br />

Gattinara, prov. di Vicenza, 851<br />

Gavardo, prov. di Brescia, 722, 744, 783, 808<br />

Gaza, 150, 355-357, 859<br />

Gellonense, v. Saint Guilhelm<br />

Genova (Genua), 14, 161, 319, 589-590, 601,<br />

634, 645, 647, 679, 686, 689, 693, 745, 853-<br />

854<br />

– Monastero benedettino di S. Stefano, 601<br />

Genovese, 785<br />

Gent, 96<br />

Gentilly (Gentiliacus), 342<br />

Genzano, prov. di Roma, 751<br />

Georgia, 99, 465<br />

Germania, 26, 35, 41-42, 45, 57, 61, 97-100, 104,<br />

106, 108-110, 112-117, 120, 131, 138, 219,<br />

265, 268-269, 309, 317, 360, 369, 402, 408,<br />

410, 440, 443, 450-451, 478, 503, 505, 569,<br />

638-641, 647, 650, 653-654, 657-658, 661-662,<br />

743-744, 749, 857<br />

Germolles, 49<br />

Gerona, 79<br />

Gerus<strong>al</strong>emme, 152, 212-213, 385, 474<br />

– Monastero di Mar Saba (Grande Laura), 474<br />

– Piscina di Siloe, 461<br />

– il Tempio, 415<br />

Ghedi, prov. di Brescia, 782, 792<br />

Ghemmese, 851<br />

Ginevra (Genève), 29, 67, 478<br />

Gioia del Colle, prov. di Bari, 10<br />

Giovi, prov. di Arezzo, 608<br />

Girona, 72<br />

Gironda (Gironde), fiume, 42, 54-55<br />

– Dipartimento, 41, 637<br />

Giudea, deserto, 154<br />

Givry, 52-53<br />

Gloucester, monastero benedettino di S. Pietro,<br />

292<br />

Gombio, monte, 576<br />

Gorgonzola, prov. di Milano, 758-761, 772<br />

Gorj, 123<br />

Gorze, monastero benedettino dei Ss. Pietro,<br />

Stefano e Gorgone, 279, 293<br />

Göteborg, 142<br />

Gottinga (Göttingen), 96-97, 106, 108, 478<br />

Granada (Granata), 68, 73-74, 525, 590, 702<br />

Gran Bretagna, 57, 275<br />

Grande Chartreuse (La), casa madre dei Certosini,<br />

314<br />

Grandmont, monastero di S. Michele, casa<br />

madre dell’Ordine, 258, 305<br />

Graves, 58<br />

Graz, 271, 302, 366, 369, 375, 412, 435, 457,<br />

482<br />

Grecești, 132, 134<br />

Grecia (Greece), 149, 153, 158, 320, 418, 474-<br />

475, 488, 491, 501, 525, 527, 529-530, 587,<br />

619, 675 715, 740, 837-838, 853-854, 861<br />

Grenoble, 29, 72, 290, 361, 637<br />

Gressoney-La-Trinité, prov. di Aosta, 450<br />

Gressoney-Saint-Jean, prov. di Aosta, 450<br />

907


908<br />

Greve in Chianti, prov. di Firenze, XI, XIII, 5,<br />

14, 585, 601, 618, 643-644, 679<br />

Grevenmacher, 639<br />

Gries, 656<br />

Groenlandia (Greenland), 20<br />

Groningen, 149<br />

Grottaferrata, prov. di Roma, 155, 378, 414, 461<br />

Grumello, prov. di Bergamo, 745<br />

Gua<strong>d<strong>al</strong></strong>quivir, fiume, 75, 83, 85, 178, 854<br />

Guascogna (Gascogne), 32, 43, 55, 86, 637<br />

Gubbio, prov. di Perugia, 337<br />

– Monastero benedettino di S. Verecondo,<br />

337-338<br />

Gueldre, 48<br />

Guérande, 59<br />

Gussago, prov. di Brescia, 808<br />

Hainaut, 52<br />

Haithabu, 96<br />

H<strong>al</strong>le, 52, 109<br />

Hamburg, v. Amburgo<br />

Hannover (Hannovera), 26-27, 29, 98, 109-110,<br />

147, 159, 221, 239, 242, 291, 307, 309, 312,<br />

315, 342-345, 347-349, 356, 359-360, 369,<br />

372, 376, 403, 409-410, 543, 549, 554, 557,<br />

563, 569<br />

Hants, 436<br />

Harkov, 138<br />

Hârlău, 123, 132<br />

Haute Brion, 58<br />

Hautvillers, 18<br />

Heidelberg, 157<br />

Heilbronn, 15, 93, 109, 115, 309, 393, 586, 638<br />

Helsinki, 379, 489<br />

Hermitage, 22<br />

Hessen, 98<br />

Hibernia, v. Irlanda<br />

Hijâz, <strong>al</strong>topiano, 171<br />

Hildesheim, 156, 258, 362, 385, 459, 657, 687,<br />

694, 702<br />

Himmerod, monastero cistercense di S. Tommaso,<br />

269<br />

Hiroshima, 47<br />

Hirsau, monastero benedettino dei Ss. Pietro,<br />

Paolo e Nazario, 253, 258-266, 277, 279,<br />

283, 295, 305, 307-308, 311-313, 316<br />

Hispania,v.Spagna<br />

Histria, v. Istria<br />

Huesca, 79, 87<br />

Hull, 57<br />

Hunedoara, 130, 132, 134<br />

Huși, 130, 132, 134, 137<br />

Hyde, monastero benedettino di S. Pietro, 292<br />

Iași, 125, 132<br />

Ibiza, 74<br />

Idanha, 74<br />

Idro, lago, 594, 743-744, 783<br />

Ighiu, 128<br />

Île d’Aix, 42-43<br />

Île d’Oléron, 42<br />

Île-de-France, 17-18, 20, 36-37, 45-46<br />

Illiria, 501<br />

Imola, prov. di Bologna, 594, 614-615, 618-619,<br />

634, 659, 706<br />

Imst, 656<br />

India, 489, 501<br />

Ingersheim, 61<br />

Inghilterra, 17-18, 21, 32, 42-43, 45, 54-55, 57-<br />

59, 61, 85-86, 96, 99, 113, 253, 270, 339,<br />

379, 393-394, 399, 401, 435-436, 443, 451,<br />

562-563, 586, 592, 637, 798, 854-855<br />

Inn, fiume, 93, 656<br />

Innsbruck (Inspruk), 371, 655-656<br />

– Wilten, monastero premostratense, poi<br />

benedettino dei Ss. Lorenzo e Stefano, 266<br />

Interamnia,v.Terni<br />

Iovino, monte, 349<br />

Ippona, 403<br />

Irache, monastero benedettino di S. María, 77-<br />

78<br />

Irakleion, 163<br />

Iran, 180-181, 186<br />

Irancy, 53<br />

Iraq, 167, 171, 182<br />

Irlanda, 220, 345, 379<br />

Irsee, 658<br />

Iseo, prov. di Brescia, 791, 795, 798, 802<br />

– lago, XII, 743, 811, 815<br />

Isole Britanniche, v. Gran Bretagna<br />

Israele, 357, 423<br />

Istria, 13, 116, 319, 504, 534, 593, 661<br />

It<strong>al</strong>ia (It<strong>al</strong>ía, It<strong>al</strong>ie, It<strong>al</strong>y), XI, 3, 5-6, 11, 14, 22-23,<br />

42, 50, 62, 72, 74, 81, 84-86, 93, 99, 116, 137,<br />

139, 147, 159-160-162, 222, 233, 240, 242,<br />

253, 266, 269-270, 275, 285-286, 290, 306,<br />

313, 318, 320-321, 351-354, 356-358, 361-<br />

362, 365, 376, 381-382, 385, 387, 391-392,


408, 412, 419, 435, 451, 453, 458-460, 463,<br />

466, 472, 480, 485, 488, 495, 499, 501-502,<br />

504, 515, 525, 528, 533-536, 538, 540, 543-<br />

544, 550, 552-553, 555-556, 559-560, 563,<br />

565, 585, 587-596, 598, 601-602, 606, 608,<br />

610, 614-615, 620, 622, 624, 626-627, 631,<br />

636-639, 641, 643-645, 648, 650, 659, 663,<br />

675-676, 678-679, 684, 687-688, 696, 702,<br />

706-707, 711, 716, 718, 728-729, 735-737,<br />

742-743, 745, 747, 749, 751, 753, 783, 798,<br />

804-806, 808, 810, 812, 816, 822, 832, 837-<br />

838, 840-841, 849-851, 853, 857, 859<br />

Ithaca, 381<br />

Ivry, 45<br />

Jaca, 79<br />

Jaén, 83<br />

Jena, 100, 103, 107, 109, 155<br />

Jesi, prov. di Ancona, 318<br />

Jeréz, 74, 85<br />

Jerus<strong>al</strong>em, v. Gerus<strong>al</strong>emme<br />

Jidvei, 132<br />

Jll, 114<br />

Jumièges, monastero benedettino di S. Pietro, 45<br />

Jura, 52<br />

– Monastero benedettino di S. Claude, 299<br />

K<strong>al</strong>amazoo, 305<br />

Kamp, monastero cistercense di S. Maria, 268<br />

Kampen, 470<br />

Kastler (Castellense, Kastel), monastero benedettino<br />

di S. Pietro, 239, 254-255, 262, 265,<br />

277, 282-283, 287, 292, 297-298, 304-308,<br />

311, 313, 317<br />

Kazan, 471<br />

Kellía (Cellules), eremo presso Nitria, 214<br />

Kiev, 138, 459<br />

Klosterneuburg, canonica dei Ss. S<strong>al</strong>vatore e<br />

Maria, 447<br />

Kluny, v. Cluny<br />

Kobenhavn, 487<br />

Koblenz, v. Coblenza<br />

Köln, v. Colonia<br />

Kölbigk, 558<br />

Konstantinopel, Konstantinopole, v. Costantinopoli<br />

Konstanz, v. Costanza<br />

Konz, 92<br />

Kraków, v. Cracovia<br />

Krems, 100, 107, 114<br />

Kretas, v. Creta<br />

Kues, 107<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di S. Nicolaus, 107<br />

Kûfa (<strong>al</strong>-), 171<br />

Kyr Georgiou, 145<br />

La Fresne, 50<br />

Lagny-sur-Marne, monastero benedettino di S.<br />

Pietro, 296<br />

La Haye, 643<br />

Lahn, fiume, 100-103<br />

Lahr, 102, 114<br />

La Jolla, 369<br />

La Mancha, 82<br />

La Montagne, 49<br />

Landsburg, 120<br />

Langres, 361<br />

Lanmurmeler, 347<br />

Laodicea (Laodíkeia, Latakia), 161, 357-358,<br />

413, 859<br />

Laon, 29, 35, 46<br />

Laonnois, 29<br />

La Peña, monastero cluniacense di San Juan, 79<br />

La Rochelle, 17-18, 21, 32, 42-43, 49, 51, 57, 59,<br />

64<br />

La Sauve Majeure, monastero benedettino di<br />

Notre Dame, 32<br />

Las Navas de Tolosa, 83<br />

Lazio (Latium), 9, 81, 319, 383, 390, 530, 589,<br />

603, 609, 612, 623, 626-628, 644, 646, 706,<br />

784, 838<br />

Le Bec-H<strong>al</strong>louin, monastero benedettino di<br />

Notre Dame, 45, 253, 255, 282-284, 294,<br />

300, 304, 308<br />

Lecce, 608<br />

Lecchese, 792, 796<br />

Lecco, 755<br />

Lech, fiume, 93<br />

Lechinþa, 132, 138<br />

Legnano, prov. di Milano, 551<br />

Leida (Leiden), 182, 242, 358, 385, 487<br />

Le Mans, 18<br />

Lendinara, prov. di Rovigo, 653<br />

Leno, prov. di Brescia, 569, 795-796, 798, 802<br />

– Monastero benedettino dei Ss. S<strong>al</strong>vatore e<br />

Benedetto, 242, 568-570<br />

– Villa Seccamani, 569<br />

León, 76-77, 83<br />

Lepe, 86<br />

909


910<br />

Lerida, 79<br />

Les Andelys, 17, 352<br />

Lesbo, isola, 146, 150, 592<br />

Le-Taillan-Medoc, 58<br />

Lexington/Massachusset, 358<br />

Libano, 422, 589<br />

Libia, 356<br />

Licostomo, 137<br />

Liébana, v<strong>al</strong>le, 71<br />

– Monastero benedettino di S. Toribio, 71<br />

Liegi (Liège), 105, 636, 690<br />

– Bibliothèque de l’Université, 605, 690<br />

Liguria, 13-14, 319, 501, 534, 590, 594, 624,<br />

634, 649-650, 656, 838, 854<br />

Lillà (Lille), 47, 52, 63, 95<br />

Limoges (Lemovicus), 354<br />

Limone, prov. di Brescia, 783-784<br />

Lindau, 116<br />

Linguadoca (Languedoc), 17, 19, 42, 62-63, 645<br />

Linz, 99<br />

Lio Maggiore, loc. veneta, 602<br />

Lione (Lugdunum, Lyon), 25, 29, 62, 279, 359,<br />

420, 481, 637, 677, 695, 727-730, 859<br />

– Basilica di Santa Maria, 359<br />

Lionese (Lyonnaise), 29, 37, 62, 637<br />

Lipsia (Leipzig), 97, 100, 114, 139, 144, 147, 149,<br />

158, 221, 239, 285, 343, 345, 347, 349, 360,<br />

366-367, 369-370, 375, 387, 396, 400, 409,<br />

416, 440, 485, 499, 518, 554, 557, 571, 728<br />

Livin<strong>al</strong>longo, prov. di Belluno, 658<br />

Livorno, 159<br />

Lodi, 363, 550<br />

Lodigiano, 823<br />

Logroño, 78<br />

Loira, fiume, 26, 42-43, 50, 58-59, 60, 63, 65<br />

Lombardia, 6, 12, 237, 240, 242, 306, 319, 321,<br />

413, 488, 550, 552-553, 556, 559, 564, 566,<br />

569, 573-574, 579, 583, 594, 627, 630, 648,<br />

656-658, 661, 752, 758, 764-765, 792, 794,<br />

796-798, 804, 807, 810, 812, 822-823, 859<br />

Lomello, prov. di Pavia, 537, 857<br />

Lonato (Lonado), prov. di Brescia, 570, 716, 719-<br />

720, 722, 778, 782, 791, 795-798, 802<br />

Londra (London, Londonum), 22, 43, 46, 57, 83,<br />

140, 142, 153-154, 157, 159, 163, 305, 312,<br />

328, 357, 436, 528, 530, 586, 609, 613, 645,<br />

675, 681, 729, 832<br />

– British Museum, 452, 729<br />

– Public Record Office, 54<br />

Longpont, monastero cistercense di S. Maria, 64<br />

Lorca, 74<br />

Lorena (Lorraine), 21, 41, 60-61, 65, 105, 368,<br />

379, 637, 640<br />

Lorsch, monastero benedettino dei Ss. Maria e<br />

Nazario, 97<br />

Los Angeles, 83, 142, 153<br />

Losanna, 190<br />

Lot, fiume, 55<br />

Lotaringia (Lothringen), 105, 114<br />

Lotru, 128<br />

Lovanio (Louvain), 209, 212, 269, 272, 275,<br />

301, 322, 366, 369, 376, 426, 436, 468, 637<br />

Lubecca (Lübeck), 45, 99, 104, 113<br />

Lubiana (Ljubljana), 463<br />

Lucca, monastero benedettino di S. Pietro, 383<br />

Lucedio, monastero cistercense di S. Maria, 222,<br />

275<br />

Lucerna, 61<br />

Lugana, territorio tra Brescia e Verona, 812, 815<br />

Lugano, 682<br />

Lugoj, 132<br />

Lüneburg, 99<br />

Lussemburgo (Luxemburg), 48, 112, 117, 119,<br />

131<br />

Lutetia, v. Parigi<br />

Lüttich, 95, 639<br />

Lützel, monastero cistercense <strong>al</strong>saziano, 269<br />

Maas, v. Mosa<br />

Macerata, 676<br />

Măcin, 132<br />

Maclodio, prov. di Brescia, 781<br />

Macon, 445<br />

Mad<strong>d<strong>al</strong></strong>ena, colle della, 650<br />

Madrid, 69-71, 76-77, 80, 87, 152, 485<br />

– Escori<strong>al</strong>, 156<br />

– Universitad Complutense, 683<br />

Maé, torrente, 658<br />

Maghreb, 190<br />

Magna Grecia, 226, 591, 838, 854<br />

Magonza (Mainz, Moguntia), 91-93, 96, 121, 268,<br />

269, 279, 302, 409, 412, 638<br />

Maine, 275<br />

Málaga, 74-75<br />

M<strong>al</strong>egno (M<strong>al</strong>ignum), prov. di Brescia, 744<br />

Manchester, 85, 339, 362, 563<br />

Mang<strong>al</strong>ia, 135<br />

Manresa, 72, 79<br />

Mantes, 45


Mantova, 6, 13, 417, 490, 492, 494, 572, 629,<br />

721, 798, 801<br />

Mantovano, 745, 853<br />

Marbella, 74<br />

Marburgo (Marburg), 100, 102, 112<br />

Marche, 13, 270, 319, 330, 634, 647, 654, 661,<br />

751, 853<br />

Marcigny, priorato cluniacense femminile della<br />

S. Trinità , 299<br />

Mare del Nord, 642<br />

Mare di Marmara, 150<br />

Maredsous (Maretoli), 405<br />

Maremma, 645<br />

Mareotica, p<strong>al</strong>ude presso Mariout (Egitto), 147<br />

Marestam, 344<br />

– Chiesa di San Maurizio, 344<br />

Marineo, prov. di P<strong>al</strong>ermo, 766<br />

Marmoutier, canonica, poi monastero benedettino,<br />

poi cistercense di S. Martino, 217<br />

Marna (Marne), fiume, 41, 46, 65<br />

Mar Nero (Marea Neagră), 137, 320<br />

Marocco, 185, 190<br />

Mar Rosso, 358<br />

Mar Saba, v. Gerus<strong>al</strong>emme<br />

Marsia, 383<br />

Marsiglia (Mass<strong>al</strong>ia), 42, 62, 357-358, 528-529,<br />

837-838<br />

– Monastero benedettino di S. Vittore, 344<br />

Marzenego, fiume, 660<br />

Masc<strong>al</strong>i, prov. di Catania, 768<br />

Massachussetts, 68<br />

Massiccio Centr<strong>al</strong>e, catena montuosa, 26<br />

Maylis, monastero olivetano di Notre Dame, 289<br />

Mazzano, prov. di Brescia, 782<br />

Meano, prov. di Brescia, 781<br />

Mecca, 168, 171<br />

– Santuario della Ka‘ba, 168<br />

Meclenburgo, 99<br />

Mechelen/M<strong>al</strong>ines (Mechlinia), 112, 439, 452<br />

Medgidia, 132<br />

Mediaș, 132<br />

Medina, 167-168<br />

Medina del Campo, 79<br />

Medio (Vicino) Oriente, 181, 459-460, 466, 471,<br />

475, 838<br />

Mediterraneo, mare, XIII, XV, 10, 14, 38, 42,<br />

62, 68-70, 73, 84, 86, 92, 99, 117, 119, 147,<br />

150, 162, 181, 319-320, 357-358, 503, 586,<br />

591, 634, 636, 642, 645, 651, 697, 707, 710,<br />

716, 729, 731, 837, 850, 854-855<br />

Médoc, 32, 58<br />

Mehedinţi, 123<br />

Meißen, 100<br />

Melk, collegiata, poi monastero benedettino dei<br />

Ss. Pietro, Paolo, Colombano e della S. Croce,<br />

265, 292, 297, 305-306, 311-313<br />

Mella, fiume, XII, 743, 781-782, 784, 790<br />

Meloisey, 39<br />

Menat, monastero benedettino, poi cluniacense di<br />

Notre Dame e dei Ss. S<strong>al</strong>vatore e Martino, 207<br />

Mende, 433<br />

Menfi, 356<br />

Meno, fiume, 100<br />

Mentana, prov. di Roma, 501<br />

Menton, 18<br />

Meroe, 356<br />

Merzig, 92<br />

Mesopotamia, 182-183<br />

Messina, 7-8, 486<br />

– Monastero basiliano di S. S<strong>al</strong>vatore in lingua<br />

Phari, 474<br />

Metaponto, 526<br />

Mettlach, monastero benedettino di S. Pietro,<br />

312<br />

Metz, 37, 60, 93, 345, 639<br />

– Monastero benedettino di S. Arnolfo,<br />

283-284, 301, 456<br />

– Stadtbibliothek, 284, 456<br />

Meudon, 46<br />

Meursault, 19, 39<br />

Méziéres, 53<br />

Mezzogiorno (It<strong>al</strong>ia del sud, Meridione), 7, 10,<br />

14, 270, 320, 362, 589-590, 644, 851, 854,<br />

860-861<br />

Michigan, 305<br />

Midi, 19, 54-55, 119, 597<br />

Milanese, 718, 726<br />

Milano, XIII, 144, 149, 155, 159, 166, 177, 195-<br />

201, 203-204, 219, 233, 253, 255, 268-271,<br />

275, 285, 294, 307, 318, 322, 336, 362-363,<br />

366, 370, 372-373, 378-379, 382, 385, 389,<br />

400, 403, 407, 420, 425, 434, 453, 464, 482,<br />

486, 489, 492-493, 499, 505, 507, 518, 533,<br />

536, 540-541, 544, 547, 550, 554, 556, 564,<br />

569, 571-575, 579-581, 585, 593, 595-596,<br />

602, 610, 612, 626, 628, 631, 649, 656, 681,<br />

684-686, 688, 692, 695, 698-699, 702, 705,<br />

710, 718, 743-744, 751, 761, 764, 778, 792-<br />

794, 796, 798-799, 803, 805, 810, 812, 820,<br />

822, 826, 832, 835, 859-860<br />

911


912<br />

– Archivio di Stato, 601, 794, 798, 800<br />

– Biblioteca Ambrosiana, 371<br />

– Biblioteca Trivulziana, 492<br />

– Monastero benedettino di S. Ambrogio,<br />

579, 601<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e Maggiore, 681-682, 711<br />

– Osteria della Luna piena, 605, 758-762, 773<br />

Milcov, fiume, 134<br />

Mileto, 440, 529<br />

Mindo, 527<br />

Miniș, 138<br />

Modena, 9, 327, 495, 841, 861<br />

Moissac, 55<br />

Moldavia (Moldova), XV, 123, 127-128, 130-137<br />

Monaco di Baviera (München), 98, 110, 116,<br />

139, 141, 144-146, 151, 154, 157, 159, 162,<br />

242, 309, 360, 368, 371-372, 641, 655, 686<br />

Monastero della Kosmosoteria, v. Pherrai<br />

Monc<strong>al</strong>ieri, prov. di Torino, 594, 685<br />

Mondsee, monastero benedettino dei Ss. Pietro<br />

e Michele, 446<br />

Monembasia, 147, 149-150, 163, 592, 854-855<br />

Monferrato, 650, 849-852, 855<br />

Moniga, prov. di Brescia, 808, 812<br />

Mont<strong>al</strong>cino, prov. di Siena, XI, 4, 434, 853<br />

Montauban, 32<br />

Montbard, 49<br />

Monte Amiata, monastero benedettino, poi<br />

cistercense di S. S<strong>al</strong>vatore, 600<br />

Montebelluna, prov. di Treviso, 661<br />

Montecassino, monast. di S. Benedetto, 226, 233,<br />

236, 238, 242, 248, 258-259, 263-264, 277,<br />

280, 296, 305, 308, 312, 315, 319, 320, 323<br />

Monte Catria, 330<br />

– Eremo di Sitria, 330<br />

Montello, colline del, 647, 652, 661<br />

Monte Oliveto Maggiore, monastero di S.<br />

Maria, 263, 289-290, 307, 319, 626<br />

Montagne de Reims, 17<br />

Monterotondo di Passirano, prov. di Brescia, 738<br />

Monticelli Brusati (Brescia), XII-XIV, Antica<br />

Fratta, 850<br />

Montichiari (Montisclari), prov. di Brescia, 560-561,<br />

570, 744-745, 783, 791, 795-796, 798, 802<br />

– Chiesa di S. Maria Nuova, 261<br />

Montpellier, 42, 62<br />

Montre<strong>al</strong> (Canada), 162<br />

Montré<strong>al</strong>, regione francese, 49<br />

Mont-Saint-Michel, monastero benedettino di<br />

S. Michele, 59<br />

Monza, pieve di S. Giovanni Battista, 275<br />

Moravia, 99<br />

Morea (Morée), 163<br />

Moreruela, monastero benedettino, poi cistercense<br />

di S. María, 76<br />

Mosa, fiume, 46, 91-93, 95, 98, 101, 103, 105,<br />

107, 112, 114, 117, 377, 638-640<br />

Mosca, Biblioteca Sino<strong>d<strong>al</strong></strong>e, 471<br />

– G<strong>al</strong>leria Tretjakov, 261<br />

– Seminario di San Vladimiro, 473<br />

Mosella, fiume, 18-19, 21, 25, 41-42, 57, 60, 65,<br />

91-95, 100, 101, 103-105, 106-109, 120, 162,<br />

265, 267-270, 293, 317-318, 638-639, 647, 838<br />

Moutiers-Saint-Jean, monastero benedettino di<br />

Notre Dame e S. Giovanni, 303<br />

Mulhouse, 373<br />

Münster, 104, 242, 255, 482<br />

Murfatlar, 132, 138<br />

Muri, monastero benedettino di S. Martino, 571<br />

Muscel, 123<br />

Musestre, fiume, 660<br />

Nájera, 78-79<br />

Nancy, 21, 29, 60, 240, 627, 637, 679<br />

Nantes, 26, 59-60, 355, 403-404<br />

Napoletano, 14<br />

Napoli (Naples), 11, 81, 189, 319, 217, 357, 362,<br />

480, 504-505, 555, 558, 587, 591-592, 600,<br />

602, 609, 626, 642, 646-647, 649, 676, 679,<br />

684, 703, 710, 725, 731, 854<br />

Narbona (Narbonne), 18, 22<br />

Narbonese (Narbonnaise), 357, 527-528<br />

Narcea, fiume, 72<br />

Narni, prov. di Terni, 335, 363, 383<br />

– Castrum Albinino, 383<br />

– Eremo di Sant’Urbano, 335<br />

Nassau, 101<br />

Navarra, 76-80, 87, 677<br />

Naviglio (Navilius), can<strong>al</strong>e presso Brescia, 744<br />

Neamţ, monastero regio ortodosso della Moldavia,<br />

128<br />

Neckar, fiume, 100, 102, 105-107, 109, 114<br />

Neiße, fiume, 99<br />

Netto, monte, 782<br />

Neubourg, monast. cistercense sulla Moder, 269<br />

Neuburg, v. Nonberg<br />

Neumagen, 91<br />

Newcastle, 57<br />

New Haven, 154


New York (Novum Eboracium), 104, 143, 145,<br />

149, 153, 157, 159, 242, 362, 381, 385, 467,<br />

487, 593, 678, 687, 702<br />

Nicea (Nikaia), 145<br />

Nicorești, 132, 134<br />

Niebla, 84<br />

Nigoline, prov. di Brescia, 807<br />

Nimega (Nimègue), 27<br />

Niort, 312, 630<br />

Nitria, deserto, 219, 330<br />

Nizza (Nice), 82<br />

Nomentum, v. Mentana<br />

Nonberg, monastero benedettino di S. Erentrude,<br />

447<br />

Nördlingen, 114<br />

Norimberga (Nürnberg), 104,109, 113-115, 118<br />

Normandia (Normandie), 19, 45, 47, 57-59, 64-<br />

65, 253, 275, 282, 401<br />

Notre Dame de Saintes, v. Bergerac<br />

Nova, 353<br />

Novara, 147, 252, 278, 290, 300, 320, 369, 588<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e della Carità, 588<br />

Nuit-Saint-George, 23, 54, 267<br />

Nuova Roma, v. Costantinopoli<br />

Nusco, chiesa di Santa Maria Nova, 353<br />

Nuvolera, prov. di Brescia, 565<br />

Oberpf<strong>al</strong>z, 115<br />

Oder, fiume, 99, 114<br />

Oderzo, prov. di Treviso, 661<br />

Odessa, 138<br />

Odobești, 123-124, 130, 132, 134, 137-138<br />

Oeniponte, v. Innsbruck<br />

Offlaga, prov. di Brescia, 781<br />

Oglauda, 343<br />

Oglio, fiume, XII, 564, 743, 781-783<br />

Oise, fiume, 18, 45-46, 51<br />

Olanda, 48, 131<br />

Oléron, 42<br />

Olimpo, monte, 154<br />

Olite, 78, 80<br />

Oradea, 123<br />

Orăștie, 131, 138<br />

Oraviţa, 132<br />

Origgio, prov. di Varese, 579<br />

Orleanese, 36<br />

Orléans, 18, 36, 58-60, 309, 381, 679<br />

Orvieto, prov. di Terni, 651, 706, 751<br />

Duomo, 711<br />

Orzinuovi, prov. di Brescia, 581-582, 795-796,<br />

802<br />

Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>etto, prov. di Pisa, 161<br />

Ospit<strong>al</strong>etto, prov. di Brescia, 791, 795-796, 798,<br />

802, 824<br />

Österreich, v. Austria<br />

Ostia, 417<br />

Ostiglia, prov. di Mantova, 653<br />

Otterberg, monastero cistercense bavarese, 269<br />

Otranto, prov. di Lecce, 462, 473<br />

Oviedo, 72<br />

Oxford (Oxonium), 24, 86, 94, 119-120, 145,<br />

155, 159, 162, 308, 357, 393, 436, 474, 531,<br />

636, 727<br />

– Bodleian Library, 493<br />

Oxfordshire, 239<br />

Padana, pianura, 6, 10, 13, 569, 729, 851, 859,<br />

861<br />

Padenghe (Patengulis), prov. di Brescia, 570<br />

Paderborn, 371<br />

Paderno, prov. di Brescia, 743-744, 783<br />

Padova (Padua), 487, 490, 492-494, 499, 505,<br />

573, 587, 592, 606, 642, 649, 652, 656, 678,<br />

685-686, 690, 704, 724, 728, 739, 816, 853<br />

– Archivio di Stato, 652<br />

Padovano, 13, 652, 722<br />

Paese Rumeno, 127-128, 130-137<br />

Paesi Baschi, 80<br />

Paesi Bassi (Pays Bas), 41-42, 45-46, 48, 57-58,<br />

61, 113, 117, 269, 355, 637<br />

Pairis, monastero cistercense <strong>al</strong>saziano, 269<br />

P<strong>al</strong>atinato, 91-92, 269<br />

P<strong>al</strong>azzolo, prov. di Brescia, 743-744, 783<br />

P<strong>al</strong>ermo, 7, 385, 621<br />

P<strong>al</strong>estina, 140, 147, 150, 215, 320, 356-357, 361,<br />

422, 471-472, 474, 478, 859<br />

P<strong>al</strong>ma di Maiorca, 618, 645<br />

P<strong>al</strong>mira, 167<br />

Pamplona, 72, 77-78, 270, 610, 640, 701<br />

Panaro, fiume, 10<br />

Pâncota, 128<br />

Pannonia, 539<br />

Parigi (Paris, Parisius), XIV, 15, 17-22, 25-28, 29,<br />

33, 35-36, 42, 45-49, 51-53, 55, 60-65, 82,<br />

85, 98, 119, 135, 144, 146-150, 155-156,<br />

159, 161-163, 182, 187, 200, 209-210, 212-<br />

213, 217, 222, 234, 242, 252, 255, 260, 266,<br />

269, 272, 275, 295-299, 302, 305, 307, 321,<br />

913


914<br />

330, 342, 344-351, 353, 355-356, 358-359,<br />

366, 370, 373-374, 379, 381, 389, 397, 403,<br />

409, 426, 431, 436-437, 439, 463, 677, 472,<br />

477-483, 499-503, 510, 525-527, 530, 558,<br />

586, 597, 600, 637, 643, 676, 678, 685, 689,<br />

694, 696-697, 699, 707, 710, 728, 738, 816<br />

– Bibliothéque Nation<strong>al</strong>, 156, 346<br />

– Colle di Belleville, 29, 45<br />

– Colle di Charonne, 45<br />

– Colle di Cormeilles en Parisis, 45<br />

– Colle di Montmartre, 45<br />

– Colle di Montmorency, 45<br />

– Monastero benedettino di S. Denis, 27, 45,<br />

260, 266<br />

– Monastero benedettino di S. Germain de<br />

Prés, 27, 45<br />

– Monte di S. Geneviève, 45<br />

– Museo del Louvre, 260<br />

– Università, 685<br />

Parigino, 29, 37, 45, 64<br />

Parma, 481, 483<br />

Passau, 451<br />

Passirano, prov. di Brescia, 743-744, 783<br />

Passo della Mendola, 269, 271, 275, 362, 370,<br />

373, 389, 400, 407<br />

Pavia, 307, 682, 718, 725<br />

– Almo Collegio Borromeo, 419<br />

– Certosa, 12<br />

Pecq, 45<br />

Peloponneso, 163, 592<br />

Penisola Iberica (Península Ibérica), 58, 67-71,<br />

73, 75, 77, 80, 82, 317, 838<br />

Pergamo, 675<br />

Pergine, prov. di Trento, 656<br />

Périgueux (Petragoricum), 350<br />

Pernand, 39<br />

Perreuil, 39<br />

Persia, v. Iran<br />

Perugia, 337, 383, 495, 861<br />

Pescantina, prov. di Verona, 654<br />

Pescara, fiume, 754<br />

Petra, 167<br />

Pfäffers, monast. benedettino di Notre Dame, 242<br />

Pfeddersheim, 115<br />

Pherrai, Monastero della Theotokos Kosmosoteira<br />

(Tracia), 153<br />

Philadelphia, 485, 684, 708<br />

Phyrn, Collegiata, 448<br />

Piacenza, 324, 554, 563, 718, 725, 810, 841<br />

– Fiume Nure, 563<br />

– Monastero cistercense di Chiarav<strong>al</strong>le della<br />

Colomba, 270<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di San Paolo, 563<br />

– Torrente Teciva, 563<br />

– Università Cattolica, 324<br />

Piadena, prov. di Cremona, 493<br />

Piave, fiume, 662<br />

Piccardia, 19, 42<br />

Piceno, 383, 387, 500<br />

Piemonte, 9, 12, 266, 270, 319, 559, 565, 583,<br />

585, 588-589, 594, 601, 603-604, 609, 612,<br />

642, 644, 648-651, 655-657, 661, 678, 700,<br />

706, 716, 801, 811, 838, 855-856<br />

Pinerolo, prov. di Torino, 594, 650, 685<br />

Pinvernum, loc<strong>al</strong>ità francese, 344<br />

Pienza, prov. di Siena, 434<br />

Pirchiriano, monte, 285<br />

– Monastero benedettino di S. Michele della<br />

Chiusa, 285-286<br />

Pirenei, catena montuosa, 72, 75, 77, 79, 102<br />

Pisa, 161, 589, 615, 645-646, 649<br />

Pistoia, 556, 648, 678<br />

Pitești, 132<br />

Pizzighettone, prov. di Cremona, 556<br />

Ploiești, 132<br />

Plovdiv, 148-149, 160, 463<br />

Po, fiume, 568, 653<br />

Poitiers, 42-43<br />

Poitou, 42-43, 49, 65, 349<br />

– Monastero benedettino di San Massenzio,<br />

348-349<br />

Polenta, prov. di Forlì, 753<br />

Polesine, 649, 723<br />

Policastro, prov. di S<strong>al</strong>erno, 647<br />

Poligny, 52<br />

Polonia, 99, 137, 640<br />

Polpenazze, prov. di Brescia, 802, 808<br />

Pommard, 28-29, 33, 49<br />

Pommerania, 99<br />

Pompiano, prov. di Brescia, 781-782<br />

Pomposa, monastero benedettino di S. Maria,<br />

261, 291<br />

Poncar<strong>al</strong>e, prov. di Brescia, 723<br />

Pontailler, 49<br />

Pontida, priorato cluniacense di S. Giacomo,<br />

553<br />

Pontigny, monastero cistercense in diocesi di<br />

Sens, 28<br />

Ponto, 124, 137<br />

Porto, 838


Portog<strong>al</strong>lo, 58, 74, 81, 85-86, 838<br />

Praga, 116, 387, 396, 416<br />

Pr<strong>al</strong>boino, prov. di Brescia, 824<br />

Pratese, 12, 616, 619<br />

Prato, 11, 597, 616, 676-677<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e della Misericordia, 10-11, 597<br />

Preuilly, monastero cistercense in Provins, 64<br />

Preseglie, prov. di Brescia, 795-796, 802<br />

Pressburg, v. Bratislava<br />

Princeton, 68, 260, 358, 679, 685<br />

Provenza (Provence, Proventia), 18, 22, 33, 42,<br />

62-64, 354-355, 643, 645<br />

– Université, 707<br />

Provaglio d’Iseo, prov. di Brescia, 679<br />

Prüm, monast. benedettino dei Ss. S<strong>al</strong>vatore, Pietro,<br />

Stefano e Maurizio, 97-98, 345, 395, 415<br />

Prussia, 99-100, 640<br />

Psamathia, v. Costantinopoli<br />

Puerto de Santa Maria, 69, 85<br />

Puglie, 320, 473, 654, 725<br />

Puligny, 19, 28<br />

Puteaux, 348<br />

Putna, 132, 134<br />

Pylai, 145<br />

Quarata, prov. di Arezzo, 608<br />

Quart-Aoste, 451<br />

Quero, prov. di Belluno, 662<br />

Raffa, prov. di Brescia, 812<br />

Ragusa, 851<br />

Râmnic, 128<br />

Râmnicu-Vâlcea, 128<br />

Râmnicul Sărat, 132<br />

Ratisbona (Regensburg), 100, 114-116, 242,<br />

432, 478<br />

– Monastero benedettino di S. Emmeran,<br />

254-256, 260, 283, 293<br />

Ravenna, 291, 533, 736<br />

Recloses, 297<br />

Redon, monastero benedettino di S. S<strong>al</strong>vatore,<br />

307, 312, 347<br />

Redondesco, prov. di Mantova, 570<br />

Reggio Emilia, 503, 589, 614<br />

Reichenau, 318<br />

Reims, XIII, 17, 58, 240, 377, 404, 412, 627, 679<br />

Remedello Sopra, prov. di Brescia, 807<br />

– Colonia Agricola, 807<br />

Remiremont, monastero doppio benedettino di<br />

S. Pietro, 350<br />

Remich, 639<br />

Renania, 93, 99, 376, 378, 430, 641<br />

Rennes, 18, 46<br />

Reno (Rhein), fiume, 18, 21, 25, 41-42, 57, 61,<br />

65, 91-93, 95-98, 100-114, 117-118, 121,<br />

131, 265, 267-270, 293, 317-318, 361, 377,<br />

495, 503, 638-640, 647, 742, 745, 838<br />

Reno, fiume emiliano, 613-614<br />

Rezzato, prov. di Brescia, 722, 782, 802<br />

Rheinau, monast. benedettino di Notre Dame e<br />

dei Ss. Pietro e Fintano, 283, 438, 456<br />

Rheingau, 106, 119<br />

Rethia, v. Svizzera<br />

Ribera del Duero, 84, 87<br />

Rieti, 336-337, 566-567<br />

– Chiesa di San Fabiano, 336<br />

– Romitorio di Fonte Colombo, 337<br />

Rioja, 76, 78, 80, 87<br />

Riviera Benacense, 787, 792<br />

Riviera del Garda, 777, 783-785, 790, 815<br />

Riviera di Ponente, 624-625, 646-647<br />

Riviera di S<strong>al</strong>ò, 783, 786, 792, 797, 800<br />

Rivoli, prov. di Torino, 12<br />

Rivoltella, prov. di Brescia, 808<br />

Rocca de’ B<strong>al</strong>di, prov. di Cuneo, 290<br />

Roccavione, prov. di Cuneo, 650<br />

Rodano, fiume, 22, 25, 37, 41-42, 48, 50, 62, 838<br />

Rodengo, prov. di Brescia, 268, 582<br />

– Priorato cluniacense di S. Nicolò, 318-<br />

319, 553<br />

Rodi, isola, 146, 149, 319, 527, 646<br />

Roma, XI-XII, 3, 4, 6, 10, 12, 22-23, 25, 51, 91,<br />

147, 150, 153, 155, 157, 159, 161-162, 173,<br />

178, 186, 196-201, 203-205, 206, 208-209,<br />

214, 216-219, 221, 236, 242, 254, 266, 268,<br />

270, 275, 279, 286, 291, 295, 301, 319, 321,<br />

328, 330-332, 345-351, 353, 355-357, 359,<br />

362-363, 367, 371, 376, 378, 382, 384-385,<br />

391, 393-394, 398, 402-403, 408, 414, 419,<br />

422, 426, 431-432, 435, 437, 440, 452, 457-<br />

459, 467-468, 471-472, 474, 480, 487, 489,<br />

492-493, 495, 499, 501, 503, 505, 510, 515,<br />

518, 524, 527, 530, 533, 543, 549-550, 552-<br />

554, 558-559, 561, 563, 573, 579, 585, 587,<br />

594-596, 600, 602-603, 609-611, 619-622,<br />

624-626, 629, 633, 643, 646, 652, 658-660,<br />

676-677, 679, 684-685, 687-688, 690, 700,<br />

704, 707, 710, 712, 718, 722, 728, 742-745,<br />

915


916<br />

752, 754, 783, 798-799, 810, 819-820, 827,<br />

860<br />

– Albergo della Vacca, 623<br />

– Basilica di S. Giovanni in Laterano, 373, 385,<br />

389, 396-397, 401, 408, 410, 412, 414, 442<br />

– Campidoglio, 531<br />

– Domus helemosine Sancti Petri, 711<br />

– Piazza di Campo de’ Fiori (Campisfloris),<br />

610, 623, 625<br />

– Piazza San Giovanni in Laterano, 620<br />

– Piazza San Pietro, 620<br />

– Ponte Milvio, 383<br />

– Porta Flaminia, 383<br />

– Porto di Ripa romea, 621-622, 624, 646<br />

– Porto di Ripetta, 646<br />

– Rione Arenula, 625<br />

– Rione Parione, 625<br />

– Rione Ponte, 625<br />

– Sant’Eustachio (dogana), 624<br />

– Taverna del F<strong>al</strong>cone, 621-625<br />

– Trastevere, 621<br />

– Via Appia, 383<br />

– Via dei Cappellari, 623<br />

– Via Flaminia, 382<br />

– Via Portuense, 382<br />

– Vicolo del G<strong>al</strong>lo, 623<br />

Romagna, v. Emilia<br />

Roman, 132<br />

Romania (Românie), XV, 123-126, 128, 132-<br />

133, 136, 138, 613, 634, 738<br />

Romans, 440<br />

Roncanova, prov. di Verona, 601<br />

Rosazzo, prov. di Udine, 662<br />

Rossano C<strong>al</strong>abro, prov. di Cosenza, 261<br />

– Monast. basiliano di S. Maria del Patire, 463<br />

– Museo dell’arcivescovado, 282<br />

Rossiglione (Roussillon), 62<br />

Rottenbuch, canonica, 219<br />

Rouen, 17, 45-47, 52-53, 57-59, 64<br />

Rovato, prov. di Brescia, 800, 802<br />

Rovigo, 653<br />

Royan, 54<br />

Ruhr, 99, 640<br />

Rus’, 214, 297<br />

Russia, 137-138, 457<br />

Ruwer, 162<br />

Sa<strong>al</strong>e, fiume, 100<br />

Saar, fiume, 93, 162<br />

Sabinia, 500<br />

Sahagún, monastero cluniacense di S. Benito, 76<br />

Saint Apollinaire, 29<br />

Saint-Aubin, v. Angers<br />

Saint Bris, 28<br />

Saint-Claude, v. Jura<br />

Saint-Denis, 706<br />

Saint Emmeran, v. Ratisbona<br />

Saint-Etienne, 678, 703<br />

Saint Florian, monastero agostiniano in diocesi<br />

di Passau, 445-448<br />

Saint Gengoux, 53<br />

Saint Germain de Prés, v. Parigi<br />

Saint-Guilhelm-du-Désert, monastero benedettino<br />

dei Ss. S<strong>al</strong>vatore, Maria, Pietro, Paolo,<br />

Giovanni Evangelista e Andrea, 438<br />

Saint Jean d’Angely, 53<br />

Saint-Michel, v. Verdun<br />

Saint Pourçain, 18, 26, 37, 50, 59-60, 481<br />

Saint Riquier, monastero benedettino in diocesi<br />

di Amiens, 600<br />

Saint-Romain-en-G<strong>al</strong>, 361<br />

Saint Seurin, v. Bordeaux<br />

Saint Vanne, v. Verdun<br />

Saint Wandrille (Fontenelle), monastero benedettino<br />

dei Ss. Pietro e Paolo, 45<br />

Sainte Croix, v. Bordeaux<br />

Saintonge, 42, 48-49<br />

S<strong>al</strong>amanca, 76, 80, 82, 87<br />

S<strong>al</strong>ento, 462, 473<br />

S<strong>al</strong>erno, 335, 362, 500, 683-684, 690, 695, 697,<br />

699-700<br />

S<strong>al</strong>isbury (Sarum), 435-436<br />

S<strong>al</strong>ò, prov. di Brescia, 783-784, 791, 795, 797,<br />

800, 802-803, 808<br />

S<strong>al</strong>odiano, v. Riviera di S<strong>al</strong>ò<br />

S<strong>al</strong>onicco, 150, 158, 856<br />

S<strong>al</strong>uzzo, prov. di Cuneo, 650-651, 657<br />

S<strong>al</strong>zburg, 317-318, 447<br />

Sambucina, monast. cistercense c<strong>al</strong>abrese, 277<br />

Samo, isola, 146, 148, 355<br />

Sampigny, 39<br />

San Benedetto Po, monastero cluniacense del<br />

Polirone, 572<br />

San Boldo, passo, 662<br />

San Diego, 369<br />

Sandwich, 57<br />

San Felice del Benaco, prov. di Brescia, 808<br />

San G<strong>al</strong>lo, monastero irlandese, poi benedettino,<br />

315, 557


San Gimignano, prov. di Siena, 319, 594, 646<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di Santa Maria della Sc<strong>al</strong>a, 712<br />

San Juan Bautista, v. Corias<br />

San Juan de la Peña, v. la Peña<br />

Sankt Maximin, v. Treviri<br />

Sanlúcar de Barramela, 85<br />

San Michele della Chiusa, v. Pirchirano<br />

San Marino di Bentivoglio, prov. di Bologna,<br />

XII, 643<br />

San Martino della Battaglia, prov. di Brescia,<br />

815<br />

San Michele <strong>al</strong>l’Adige, prov. di Trento, 601<br />

San Millán de la Cogolla, monastero benedettino<br />

presso C<strong>al</strong>ahorra, 76, 79<br />

San Miniato, prov. di Pisa, 649<br />

Sannio, 361<br />

San Pedro, v. Cardeña<br />

San Pellegrino, passo, 658<br />

Sanremo, prov. di Imperia, 650<br />

San S<strong>al</strong>vatore <strong>al</strong> Monte Amiata, v. Monte Amiata<br />

Santa María de Irache, v. Irache<br />

Santa Maria del Patire, v. Rossano<br />

Santa María de Moreruela, v. Moreruela<br />

Santa María de V<strong>al</strong>buena, v. V<strong>al</strong>buena<br />

Santander, 71<br />

Santiago di Compostella, santuario, 77<br />

Santo Domingo de Silos, v. Silos<br />

Santo Toribio, v. Liébana<br />

Săo Paulo, 681<br />

Saona (Saône), fiume, 20-23, 25, 41, 46, 48-49,<br />

50, 52, 65<br />

Saragozza, 74, 79, 87<br />

Saratoga, 32<br />

Sardegna, 320, 595, 616, 646<br />

Sarepta, 150<br />

Sarnico, prov. di Bergamo, 832<br />

Saronno, prov. di Varese, 702<br />

Sarre, v. Saar<br />

Sassari, 351, 609, 679<br />

Sassonia, 100, 268, 558<br />

Saulx le Duc, 49<br />

Saumur, 59<br />

Saussignac, 32<br />

– Priorato cluniacense di S. Sylvain de la<br />

Monzie, 32<br />

Saverne, 61<br />

Savigliano, prov. di Cuneo, 650<br />

Scandicci, prov. di Firenze, 711<br />

Scandinavia, 21, 96, 99, 113, 379, 536<br />

Sceta, deserto egiziano, 326<br />

Schaffausen, monastero di Ognissanti, 600<br />

Schelda, fiume, 111<br />

Schleswig-Holstein, 104<br />

Schwaben, v. Svevia<br />

Schwarz, 656<br />

Scozia, 379, 401<br />

Sebino, v. Iseo, lago<br />

Segni, prov. di Roma, 294<br />

Segovia, 82, 87<br />

Selmaise, 49<br />

Senese, 607, 633<br />

Seniga, prov. di Brescia, 782<br />

Senlis, 64<br />

Senna (Seine), fiume, 19, 25, 41-42, 45-46, 48,<br />

51-52, 57, 65<br />

Sens, 420, 699<br />

Serapte, 355-356<br />

Serce Limani, 162<br />

Serein, fiume, 46<br />

Sérignan, 62<br />

Serle, prov. di Brescia, 565<br />

– Monastero benedettino di S. Pietro, 565<br />

Serrav<strong>al</strong>le, v. Vittorio Veneto<br />

Sezze (Sezia), prov. di Latina, 500<br />

Sibiu, 123<br />

Sicilia, 7-8, 10, 68, 73, 178, 320, 528, 589, 644,<br />

646-647, 725, 731, 742, 765, 773, 851, 855<br />

Siegburg, 234, 239-240, 248, 253-254, 259, 265,<br />

292<br />

Siena, 6, 77, 323, 491, 569, 601, 607-608, 610,<br />

613, 631<br />

– Albergo in M<strong>al</strong>borghetto, 631<br />

– Archivio di Stato, 610<br />

– Ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e di Santa Maria della Sc<strong>al</strong>a, 694<br />

Sigmaringen, 106, 108, 112, 641<br />

Signa, prov. di Firenze, 390<br />

Sile, fiume, 647, 652, 659-661<br />

Silos, monastero benedettino di S. Domingo, 82<br />

Șimleul Silvaniei, 132<br />

Sinai, 458, 460, 462, 466<br />

Sinistra, 135<br />

Siret, fiume, 134<br />

Siria, 161, 167, 182-183, 186, 357, 361<br />

Sirte, golfo, 356<br />

Sisteron, 63<br />

Sitria, v. Monte Catria<br />

Siviglia (Sevilla), 83-86<br />

– Cabildo-Catedr<strong>al</strong>, 84<br />

Slesia, 99, 640<br />

Slovacchia (Slowakie), 99, 107, 115<br />

917


918<br />

Soissons, 46<br />

Somma Vesuviana, prov. di Napoli, 495, 592<br />

Sorengo, 682<br />

– Bibliothèque internation<strong>al</strong>e de gastronomie,<br />

682<br />

Soria, 87<br />

Sorrento, 418, 500, 520, 624, 860<br />

Southampton, 57<br />

Soveria Mannelli, prov. di Catanzaro, 157<br />

Spagna, XV, 18-19, 42, 58, 62, 68-74, 76, 80-82,<br />

85-87, 178, 181-182, 219, 260, 495, 525, 590,<br />

733, 742, 745, 751-752, 755, 838, 854<br />

Spira (Speyer), 115, 265<br />

Spoleto, 11, 70, 279, 294, 338, 358, 376, 378,<br />

381, 390, 407-408, 429, 535, 539, 549, 565,<br />

587, 619, 670<br />

Spormaggiore, prov. di Trento, 656<br />

Sporminore, prov. di Trento, 656<br />

Stati Uniti, 852<br />

Staulanza, passo, 658<br />

Steenbrugg (Steenbrugis), 219<br />

Steimberg, 268<br />

Stiria, 99, 109<br />

Stoccarda (Stuttgart), 92-93, 102, 104, 114, 116,<br />

119, 144, 155, 205, 369, 638, 676<br />

Stoccolma (Stockholm), 142, 361, 685<br />

Strasburgo (Strasbourg, Straßburg), 35, 61, 92,<br />

97-98, 112, 114, 373, 639, 730<br />

Subiaco, priorato benedettino del Sacro Speco,<br />

254, 266, 287, 292-293, 306<br />

Südtirol, v. Alto Adige<br />

Sulmona, prov. di L’Aquila, 525<br />

Susa, prov. di Torino, 290<br />

Suze-la-Rousse, 596, 678<br />

Svevia, 61, 108, 110, 309<br />

Svizzera, 61, 114, 283, 391, 456, 571, 650, 743<br />

– Canton Ticino, 822<br />

Tabriz, 177<br />

Taggia (Taglia), provincia di Imola, 13, 319,<br />

624, 650<br />

Tâ’if, 167<br />

Tajo, fiume, 82<br />

T<strong>al</strong>ant, 49<br />

T<strong>al</strong>ence, 58<br />

Ţara Românească, v. Paese Rumeno<br />

Tarascona (Tarascon), 62<br />

Târgoviște, 132<br />

Târgu-Cărbunești, 132<br />

Târgu-Jiu, 132<br />

Tarn, fiume, 55<br />

Târnave, 128, 131, 133, 138<br />

Tarragona, 361, 386<br />

Tarvisio (Tarvisium), prov. di Udine, 648<br />

Taso (Thasia), isola, 147, 150<br />

Teaca, 132, 138<br />

Tebaide, 212<br />

Tecuci, 132, 134<br />

Tempe, 493<br />

Tenda, colle di, 650<br />

Termeno, prov. di Bolzano, 656<br />

Terni, 349<br />

Teruel, 79, 87<br />

Tess<strong>al</strong>onica (Thess<strong>al</strong>onikê), 459, 469<br />

Tevere, fiume, 610, 621-622, 624-625, 646<br />

Texas, 162<br />

Tierra de Campos, 87<br />

Tign<strong>al</strong>e, prov. di Brescia, 582<br />

Tiro, 150, 319, 356, 589, 592<br />

Tirolo, 93, 95, 116, 555, 641, 650, 654-658<br />

Tirreno, mare, 615, 647<br />

Tivoli, prov. di Roma, 500, 610, 626-627<br />

Todi, 362, 556<br />

Tokay, 134<br />

Toledo, 69-70, 82<br />

Tolone (Toulon), 707<br />

Tolosa (Toulouse), 32, 35, 675<br />

Tolosano, 55<br />

Tonnerre, 46, 52<br />

Torino, 139, 144, 146, 156-157, 213, 280, 306,<br />

336, 357, 362, 367, 375-376, 378-379, 381,<br />

385, 387, 393, 422, 432, 440, 458, 464, 483,<br />

485, 490, 495, 499, 516, 537, 549, 551, 553,<br />

558, 560, 562, 566-567, 579, 585, 587, 593-<br />

594, 596-597, 601, 603, 605, 628, 633, 684-<br />

685, 706, 718-719, 819<br />

Toro, 79-80, 87<br />

Toronto, 394, 693<br />

– University, 693<br />

Tortosa, 79<br />

Toscana (Tuscan, Tuscia), 12-13, 319, 383, 503,<br />

588-589, 591, 593-595, 603, 607, 609-610,<br />

612, 615-617, 641, 644, 646, 649, 651, 661,<br />

694, 701, 749, 752, 811, 838<br />

Toul, 60, 95<br />

Touraine, 59-60<br />

Tours, 18, 59-60, 348, 415<br />

– Basilica di San Martino, 26, 357<br />

Tovena, prov. di Treviso, 662


Tracia, 148, 154<br />

Transilvania, 101, 123-124, 127-128, 130-134,<br />

136, 138<br />

Trasmiera, 71<br />

Tremosine, prov. di Brescia, 809<br />

Trentino, 319, 589, 601, 644, 650, 654-659, 744,<br />

785<br />

Trento, XII, 159, 178, 379, 412, 494, 553, 576,<br />

633, 655, 657-658, 688, 726<br />

Trenzano, prov. di Brescia, 560-561, 781<br />

Trevigiano, 652, 659-660<br />

Treviri (Trier), 25, 91, 93-95, 98-99, 101, 105-<br />

106, 108, 110, 112, 115, 120, 162, 264-265,<br />

269-270, 305, 307, 318, 377, 544, 638-639<br />

– Monastero benedettino di S. Massimino,<br />

106, 265, 283, 297, 318<br />

– Monastero basiliano, poi benedettino di S.<br />

Matteo, 265, 283, 297, 311, 318<br />

Treviso, 150, 602, 647-649, 651-653, 658-663,<br />

705-706, 725<br />

– Archivio di Stato, 662<br />

– Biblioteca Capitolare, 661<br />

– Biblioteca Comun<strong>al</strong>e, 661<br />

Trieste, 774<br />

Trigleia, v. Zeytinbagi<br />

Tropea, prov. di Catanzaro, 591-592, 645, 854<br />

Tübingen, 92, 591, 708<br />

Tudela, 78, 80<br />

Tulle, monastero benedettino di S. Martino, 312<br />

Tunisia, 185<br />

Turchia, 186<br />

Turenna, 314<br />

Turingia (Türinge), 100, 102, 107, 268, 270<br />

Turnhout (Turnholtus), 196, 338, 352, 359, 362,<br />

366, 371-373, 381, 387, 391-392, 394, 397,<br />

403, 409, 418, 426, 432-433, 436, 438, 533,<br />

677, 690<br />

Tutova, 134<br />

Überlingen, 115<br />

Ucraina, 99, 137<br />

Ulm, 114-115<br />

Umbria, 383, 838<br />

Ungheria, 127-128, 137, 160, 351, 388, 491, 752<br />

Unstrut, fiume, 100<br />

Upps<strong>al</strong>a, 142, 146<br />

Urceis, v. Orzinuovi<br />

V<strong>al</strong>, 59<br />

V<strong>al</strong>brembana, 807<br />

V<strong>al</strong>buena, monastero cistercense di S. María, 76<br />

V<strong>al</strong>c<strong>al</strong>eppio, 745<br />

V<strong>al</strong>camonica, XII, 743-744, 807, 811<br />

Vâlcea, 123<br />

V<strong>al</strong> d’Adige, 656<br />

V<strong>al</strong>darno, 13<br />

V<strong>al</strong>dinievole, 616<br />

V<strong>al</strong> di Non, 656-657<br />

V<strong>al</strong> di Sc<strong>al</strong>ve, XII<br />

V<strong>al</strong> di Sole, 743-744<br />

V<strong>al</strong> di Susa, 657<br />

V<strong>al</strong>dobbiadene, 661<br />

V<strong>al</strong>ea Călugărească, 132<br />

V<strong>al</strong>encia, 68, 74, 83, 681<br />

V<strong>al</strong>enzia, 87, 645<br />

V<strong>al</strong>grana, 650<br />

V<strong>al</strong>ladolid, 75-76, 87, 684<br />

V<strong>al</strong>le d’Aosta, 753, 838, 841<br />

V<strong>al</strong>le del Monte de Zovone, 687<br />

V<strong>al</strong>le Stura, 650<br />

V<strong>al</strong>lio, fiume, 660<br />

V<strong>al</strong>lombrosa, eremo della S. Trinità, 259, 278,<br />

283, 290, 302-303<br />

V<strong>al</strong>maira, 650-651<br />

V<strong>al</strong>mareno, 661<br />

V<strong>al</strong>ois, 64<br />

V<strong>al</strong>policella, 654<br />

V<strong>al</strong>sabbia, 783, 798, 811<br />

V<strong>al</strong>seriana, 807<br />

V<strong>al</strong>sugana, 662<br />

V<strong>al</strong>tellina, 613, 807, 841<br />

V<strong>al</strong>tenesi, 570, 790, 792, 802, 809, 812<br />

V<strong>al</strong>trompia, 493, 576, 583, 811, 861<br />

V<strong>al</strong>venosta, 655<br />

V<strong>al</strong>vermenagna, 650<br />

Vannes, 26<br />

Vanves, 46<br />

Var, regione francese, 707<br />

Varna, 148, 320<br />

Vas, prov. di Belluno, 661<br />

Vaugirard, 46<br />

Velletri, prov. di Roma, 595, 626<br />

Venafro, prov. di Isernia, 294<br />

Veneto (Marchia, Venetia), 6, 14, 319, 533-534,<br />

550, 563, 569, 576, 588-589, 594, 609, 628,<br />

644, 648-649, 651, 654, 657-658, 661-662,<br />

718, 794, 796, 798, 801, 811<br />

919


920<br />

Venezia (Venedig, Venetia), 161-163, 292, 306,<br />

319, 329, 367, 451, 457, 461, 481-482, 489,<br />

568, 589, 592, 609, 614, 619, 632, 634, 642,<br />

646-647, 649, 651-654, 656, 659-662, 694,<br />

706, 715-716, 718-725, 728-729, 731, 734-<br />

736, 738-740, 746-748, 778, 780, 783, 786,<br />

815, 822<br />

– Basilica di San Marco, 261, 266<br />

– Biblioteca Marciana, 470<br />

– Ri<strong>al</strong>to, 592, 654<br />

– Riva del Vino, 654<br />

Ventimiglia, prov. di Imperia, 647<br />

Vercelli, 222, 650<br />

Verdun, 240, 345-346<br />

– Monastero benedettino di S. Michel-sur-<br />

Meuse, 240<br />

– Monastero benedettino di S. Vanne, 321<br />

Vermenton, 53<br />

Vernazza, prov. di La Spezia, 319, 590, 854<br />

Verolanuova, prov. di Brescia, 795-796, 802<br />

Verona, 196, 202-203, 503-504, 533, 550, 558,<br />

569-570, 588, 601, 605, 609, 649, 651-654,<br />

656-658, 718<br />

– Monastero benedettino di Santa Maria in<br />

Organo, 601<br />

Veronese, 657, 659, 722<br />

Versilia, 645<br />

Vestf<strong>al</strong>ia, 99, 113<br />

Vestone, prov. di Brescia, 795-796<br />

via Ravene, 654<br />

Vic, 72, 79<br />

Vicentino, 659, 722<br />

Vicenza, 8, 14, 649, 651-652, 718, 728<br />

Vicina, 137<br />

Vico Equense, prov. di Napoli, 624<br />

Vienna (Vindobona), 106, 113-114, 140, 142,<br />

146, 149, 151-152, 154-155, 156, 158, 160,<br />

162, 210, 217, 317, 358, 367, 384, 387, 396,<br />

403, 416, 444, 473, 477, 510, 592, 642, 678,<br />

728, 751<br />

– K.K. Hofbibliothek, 446<br />

– Nation<strong>al</strong>bibliothek, 690<br />

– Kunsthistorisches Museum, 266<br />

Vienne, 22, 361, 414<br />

Villachiara, prov. di Brescia, 785<br />

Villagana, prov. di Brescia, 785<br />

Villaines en Duesmois, 49<br />

Villar Focchiardo, prov. di Torino, 290<br />

Villiers le Duc, 49<br />

Vinhos Verdes, 838<br />

Virle, prov. di Brescia, 782<br />

Viterbo, 6, 8, 14, 319, 627, 646<br />

Vittorio Veneto, prov. di Treviso, 662<br />

Volnay, 48-49<br />

Volta Mantovana, prov. di Mantova, 490, 495, 861<br />

Vosgi, catena montuosa, 37, 61<br />

Wachau, 100, 107, 114-115<br />

W<strong>al</strong>cheren-Domburg, 96<br />

W<strong>al</strong>tham, monastero agostiniano di S. Croce e<br />

S. Lorenzo, 292<br />

Wandel, 108, 111<br />

Washington D.C., 20, 154, 156, 366<br />

– Library of Congress, 493<br />

– Nation<strong>al</strong> G<strong>al</strong>lery of Art, 266<br />

Weimar, 478, 510, 592, 642<br />

Weinheim, 470<br />

Weißenburg, monastero benedettino dei Ss. Pietro,<br />

Paolo e Stefano, 97<br />

Westmead, 436<br />

Wien, v. Vienna<br />

Wiesbaden, 91, 93, 100-101, 104, 106, 110, 112,<br />

120, 186<br />

Wilten, v. Innsbruck<br />

Wittlich, 93, 110<br />

Wolfenbüttel, 100<br />

Wolxheim, 61<br />

Worms, 96, 368, 381, 401<br />

Wurmlingen, 600<br />

Würzburg, 100, 114-115, 472<br />

Yassi-Ada, 162<br />

Yemen, 167<br />

Ynglaterra, v. Inghilterra<br />

York, 436<br />

Yonne, fiume, 21, 36, 41, 46, 53, 65<br />

Ypres, 18<br />

Zamora, 76<br />

Zelanda, 48<br />

Zeytinbagi, 149-150<br />

Zoldano, 658<br />

Zürich, 98, 283, 456, 686-687<br />

– Zentr<strong>al</strong>bibliothek, 438


abbazie, abbayes, v. anche monasteri, 239-240,<br />

252-253, 256, 261-262, 265, 267, 269-270,<br />

272, 281-283, 286, 294, 298-299, 304, 313,<br />

320, 322, 345, 430, 555, 568, 600<br />

– abate, abati, v. monachesimo<br />

– benedettine, 236<br />

– chiesa abbazi<strong>al</strong>e, 284, 294<br />

– cistercensi, 28<br />

– foresterie, 285-286<br />

– vigne abbazi<strong>al</strong>i, 309<br />

abbigliamento, vestiti, indumenti, v. anche monachesimo,<br />

283, 380, 479, 486, 589, 603-604<br />

– brache, farabulas, 604<br />

– camicia, camisiam, 604, 773<br />

– fazzoletto, 766<br />

– gonna, 766<br />

– guanti, 295<br />

– mantello, cappa, 363-364<br />

– p<strong>al</strong>lio, 442<br />

– parrucche, 153<br />

– san<strong>d<strong>al</strong></strong>i, 295<br />

– scarpe, 283, 380<br />

– stiv<strong>al</strong>i, 152<br />

Indice delle cose notevoli<br />

Indicazioni di carattere metodologico. In questo indice sono stati introdotti degli accorpamenti <strong>al</strong> fine di<br />

razion<strong>al</strong>izzare le voci che <strong>al</strong>trimenti sarebbero comparse in modo troppo dispersivo e avrebbero in<br />

molti casi ostacolato, per la loro lunghezza, la consultazione dell’indice stesso. Si è usato il carattere<br />

corsivo per tutti quei nomi che compaiono in lingua diversa da quella it<strong>al</strong>iana, per i titoli di opere e<br />

per i termini che nel testo sono posti fra apici o virgolette. In presenza di nomi sia <strong>al</strong> singolare che<br />

<strong>al</strong> plur<strong>al</strong>e è stata riportata quest’ultima forma; è stata fatta l’eccezione per la voce “vino” che ha conservato<br />

le versioni di vinum, vini, vina. Non sono state raggruppate invece, per ovvi motivi, le voci<br />

“vino”, “uva”e “vite”, come pure “vendemmia”, “vinificazione” e “vitigni”, che sarebbero rientrate<br />

rispettivamente negli accorpamenti “bevande”, “frutta e verdura”, “<strong>al</strong>beri e piante” ed “agricoltura”.<br />

– tunica, 442<br />

– vesti di seta, 153<br />

– vesti[re] <strong>al</strong>la liggieri, 748<br />

ABITAZIONI, p<strong>al</strong>azzi, castelli, cas<strong>al</strong>i, case, cascine,<br />

domus, 49, 99, 574, 619, 755-756, 762-<br />

765, 772, 775, 779-780, 783, 818-819, 828-<br />

829, 833, 849<br />

– acquaio, secchiaro, 830-831<br />

– adibite a luoghi di ristoro, 619-621<br />

– domus sive hospitium di proprietà comun<strong>al</strong>e,<br />

631<br />

– aia, 748<br />

– bagni, 524<br />

– biancheria:<br />

– asciugamano, 282<br />

– coperta, 825, 827<br />

– da cucina, 831<br />

– da tavola, 831<br />

– lenzoli, 825<br />

– pandamani, 825<br />

– panni o drappi, 825, 833<br />

921


922<br />

– sachi da biava, 825<br />

– tovaglioli, 825<br />

– biblioteca, 835<br />

– bottega, 818, 820<br />

– bruoli, 736<br />

– camera, camere, 818-819, 825-826, 829-<br />

831, 833<br />

– caminatella terranea, 829<br />

– caneva, 829<br />

– de vino, 824<br />

– mezzano, 829<br />

– camino, focolare, 826, 831, 833<br />

– cantina, cella vinaria, v. anche magazzini,<br />

monasteri, luoghi di accoglienza, 344, 542,<br />

768, 818-819, 823-824, 830, 834<br />

– casina, sive canipa, 824<br />

– coloniche, 601, 725, 781<br />

– cucina, cosina, 771, 818, 821, 824-827, 830-<br />

834<br />

– cupata, 818<br />

– dispense, v. anche monasteri, 28, 39, 49,<br />

757, 819-821<br />

– signorili, 62<br />

– dispensino, 820-821<br />

– edifici di legno, 578<br />

– edilizia rur<strong>al</strong>e nel lodigiano, 823<br />

– fondaco, dispensa, magazzino per bottega,<br />

821, 824, 828, 832, 834<br />

– fontana, 748<br />

– g<strong>al</strong>leria, 832, 834<br />

– granai, 39<br />

– legnaia, 542<br />

– loggia, 748<br />

– mobili, 818, 826-827, 833<br />

– armadi, 829<br />

– cassapanche, 264, 831<br />

– cassone della biava, 826<br />

– cav<strong>al</strong>letti e assi da letto, 825-827<br />

– credenze, credenzoni, 826, 828-829,<br />

831<br />

– letti, letto da campo, lettèra, giaciglio di<br />

piuma o lana, 145-146, 152, 278-279,<br />

765, 775, 825-826<br />

– con b<strong>al</strong>dacchini, 833<br />

– maiolera, 826, 829, 831<br />

– panche, banche, banchi, banc<strong>al</strong>i, 257, 774,<br />

825-827, 829-831<br />

– rinfrescatoio per vino, 832<br />

– scaff<strong>al</strong>i, mensole, scantie, scolatoi, 826,<br />

828-829, 831<br />

– scagni, 825-826<br />

– di curame, 826<br />

– scranni, 577, 615, 630<br />

– sedie, cadreghe, 578, 605, 826<br />

– sgabelli, trunci, 257<br />

– tavoli, tavole, mense, deschi, v. anche<br />

pasti e monasteri, 13, 45, 51, 54, 58, 64-<br />

65, 117, 146-147, 149, 180, 209, 216,<br />

222, 224, 226, 239, 244, 252, 255, 260,<br />

264, 275, 281, 284, 291, 293, 304-305,<br />

325-326, 337, 339, 354, 356, 400, 410,<br />

455, 473, 488, 491, 528, 536-537, 545,<br />

560, 578, 589, 605, 615-616, 622, 630,<br />

756, 758, 760, 762, 765, 820, 854<br />

– di pietra, 822<br />

– quadro, quadrettino, tavolino, tavole, da<br />

foresteria, 825-829, 831<br />

– vestare, 831<br />

– murata, 818<br />

– utensili, utensilia, stoviglie, arnesi e spazi<br />

domestici, 380, 527, 826, 831<br />

– <strong>al</strong>ambicco, 83<br />

– cabaret, 831<br />

– candele, 255, 466<br />

– candelieri, 826, 828, 833<br />

– carte geografiche, 835<br />

– cassette, cassetta di paghera, canevette,<br />

caneette, cantinette, 829-830, 832<br />

– chiavi, claves, 350-351<br />

– chiavistelli, catenacci, 833<br />

– cistello, 830<br />

– colino, colum, 528<br />

– coltelli, 244, 146, 820, 828-829<br />

– cucchiai, cuchiari, 244, 464, 765, 769,<br />

828-829<br />

– forchette, pironi, 820, 829, 833<br />

– guantiere, 831<br />

– lame d’az<strong>al</strong>e, 826<br />

– lampade, 166<br />

– libri, 833<br />

– del hostaria, 827<br />

– lora, pevera, bottatolo, 827, 829-830<br />

– lucerna, 311, 766<br />

– lumi, 828, 833<br />

– materassi, stramazzi, pagliazzi, coltrice,<br />

826-827, 831<br />

– moiolera, 826, 829


– paiolo, 142<br />

– piatti, 758, 767<br />

– fondi, cicothus, pateras, 262-263, 265<br />

– pitture [quadri], 833, 835<br />

– porte, portiere, 833<br />

– posate, 264, 833<br />

– saccus vinarius, 528<br />

– s<strong>al</strong>atino di crist<strong>al</strong>lo, 834<br />

– sc<strong>al</strong>etto di legno, 829<br />

– scatoletta con esca e pietra focaia, 766<br />

– scopino, flabello, 311<br />

– scure, 768<br />

– sedelino d’ottone, 826<br />

– servizi da caffè, 835<br />

– da tavola, 833<br />

– da tè, 835<br />

– sottocoppe, sottocopa, 829, 833<br />

– specchi, 833<br />

– stoviglie, 244, 254, 826<br />

– suppellettili, 821, 833<br />

– di lusso, 486<br />

– tapezzerie, arazzi, 833<br />

– tappeto, 304<br />

– tappi, 528, 758<br />

– di argilla, 185<br />

– di sughero, 597, 849<br />

– utensili per il fuoco, 828<br />

– trepiedo, 829<br />

– vassoio, 278<br />

– orti, v. terre, terra<br />

– pergola, pergolati, 748, 822<br />

– peschiera, 748<br />

– pollai, 766<br />

– portico, 748, 826- 827<br />

– pozzo, 560, 748<br />

– ripostiglio, 824<br />

– s<strong>al</strong>a, s<strong>al</strong>a da pranzo, 818, 832<br />

– s<strong>al</strong>otto, 831, 833, 835<br />

– sc<strong>al</strong>e, 829<br />

– signorili, 39, 49, 62<br />

– soffitta, 819<br />

– solerata, 818<br />

– st<strong>al</strong>la, 826<br />

– stanze, v. anche camere, 818, 820-821,<br />

823-824, 829, 831, 833<br />

– studio, studiolo, antistudio, 818, 831, 834-<br />

835<br />

– tegole, 818<br />

– tetto, 542<br />

abluzioni, 300, 303<br />

acqua, v. anche bevande, 210, 267, 282, 290,<br />

293-294, 437, 527, 529, 694, 704, 707, 743,<br />

747, 781, 796, 822, 827-828, 832<br />

– aqua rosata, 701<br />

– da bagno, 147<br />

– di scolo, 23<br />

– di vita, v. acquavite<br />

– dolce, 704<br />

– elementare, 670<br />

– fonti, 285, 487<br />

– fredda, 832<br />

– ghiaccio, neve, 832<br />

– mutata in latte, 379<br />

– piovana, 526, 852-853<br />

– rara, 606<br />

– risorgiva (risorgive), 781<br />

– s<strong>al</strong>ata, di mare, 8, 529, 573, 693, 704<br />

– sporca, 771<br />

agiografia, 141- 143, 152, 206-207, 219, 252,<br />

286, 291, 323, 330, 336, 352, 354, 363<br />

– agiografi, 219, 341, 349, 363<br />

– mediev<strong>al</strong>i, 567<br />

– domenicana, 338<br />

– fonti, 96, 286, 296, 341, 344, 351<br />

– francescana, 336<br />

– latina, 335<br />

– letteratura, 285<br />

– linguaggio agiografico, 338, 364<br />

– mediev<strong>al</strong>e, 342<br />

– occident<strong>al</strong>e, 335<br />

– racconti, 157, 567<br />

– stilemi, 339<br />

– topos agiografico, topoi, 288, 354<br />

AGRICOLTURA, 22, 61, 67-68, 70, 72- 74, 83-84,<br />

86, 101, 375, 503, 651, 715- 717, 719- 723,<br />

726- 728, 730, 733, 736, 750, 854<br />

– attività nobilitante per l’animo, 730<br />

– aziende agricole, 784<br />

– a vocazione cere<strong>al</strong>icola, 781<br />

– bresciane, 777, 780-781<br />

– bachicoltura, <strong>al</strong>levamento del baco, 785,<br />

797<br />

– produzione serica, 801<br />

– raccolto di bozzoli, 801<br />

– rendite gelsibachicole, 801<br />

– gelsicoltura, 801<br />

– bresciana, 777, 790, 807, 816<br />

– caduta dei prezzi, 804<br />

923


924<br />

– capacità del sistema agricolo, 387<br />

– coltivazione dei giardini, 747<br />

– colture, coltivazioni, 541, 643, 725, 733,<br />

749<br />

– arboree, v. anche <strong>al</strong>beri e piante, 779<br />

– cere<strong>al</strong>icole, 376, 614, 724, 779- 781,<br />

783-784, 795, 798, 802, 810, 813<br />

– foraggiere, 614, 779-780, 802, 804, 813<br />

– promiscue, promiscua 784- 786, 791,<br />

793, 811-812, 814, 853<br />

– orticole, 749<br />

– ortofrutticole, 643<br />

– conduzione della terra, 723<br />

– costi di produzione, 784<br />

– dei frutti della terra, 322, 717<br />

– destinata <strong>al</strong>l’approvigionamento <strong>al</strong>imentare,<br />

723<br />

– distribuzione dei frutti, v. anche commercio,<br />

717, 809<br />

– favorevole <strong>al</strong> godimento estetico, 730<br />

– germinazione delle piante, 747<br />

– immobilizzazione del capit<strong>al</strong>e, 806<br />

– impianti, sis<strong>temi</strong> di irrigazione, 67, 778<br />

– incremento della resa agricola, 723<br />

– investimenti di capit<strong>al</strong>i, 723<br />

– irrigua, 723<br />

– Kitâb <strong>al</strong> filâba, v. Islam, trattati di agricoltura<br />

– lavoratori dell’agricoltura, v. arti, mestieri<br />

– lavori agricoli, attività rur<strong>al</strong>i, 4, 33, 70, 108,<br />

167, 241, 293, 322, 374, 376, 541, 737, 791<br />

– <strong>al</strong>levamento di anim<strong>al</strong>i, di bestiame,<br />

101, 541, 720, 725, 728, 779<br />

– ammostatura dell’uva, v. vinificazione<br />

– annaffiatura manu<strong>al</strong>e, 181<br />

– aratura, arare, 22, 545, 571, 574, 720<br />

– in profondità, 37<br />

– areatura, essicazione delle granaglie, 574<br />

– attività, tecniche <strong>vitivinicole</strong>, 574, 586,<br />

789, 804- 806, 808-809, 812-813<br />

– consulenza, 809<br />

– bonifica di terreni, 130<br />

– carreggio, 39<br />

– cogliere il guado, 737<br />

– colmare le botti, 55<br />

– coltivazioni delle messi, 724, 752, 768,<br />

790<br />

– concimare, fertilizzare, concimi, fertilizzanti,<br />

33, 53, 67, 105, 125, 138, 724,<br />

733-734, 803, 805<br />

– fondi d’uva, 180<br />

– ledamare, 571-572, 720<br />

– letame anim<strong>al</strong>e, genne, concime organico,<br />

38, 53, 720, 735<br />

– costruzione di muretti, 37<br />

– diradamento dei tr<strong>al</strong>ci, 125<br />

– diraspatura dei grappoli d’uva, v. vinificazione<br />

– disboscamento, 37, 101, 130<br />

– dissodare, dissodamenti, 33, 71, 130,<br />

767<br />

– con la spada, 181<br />

– fienagione, taglio del fieno, 232, 238,<br />

308, 545<br />

– imbottare imbottamento del vino, 309,<br />

827<br />

– imbottigliare il vino, 849<br />

– impianto del vigneto, v. vite, coltivazione,<br />

20<br />

– innestare, inc<strong>al</strong>mare, 74, 110, 724-725,<br />

736, 805-806<br />

– irrigazione, 68, 75, 79, 138, 181, 525, 733<br />

– irrorare di verderame le vigne, 849<br />

– lavaggio dei tini, 39<br />

– lavori contadini, nei campi, 747, 849<br />

– servili, 69<br />

– viticoli, 309<br />

– ligare i sarmenti, i tr<strong>al</strong>ci, 125, 737<br />

– lotta contro gl’insetti, 130, 852<br />

– manutenzione delle piante, 376<br />

– messa a coltura di terreni, 78<br />

– mietitura, 27, 203, 207, 232, 551<br />

– netare le vite fertili, 737<br />

– piantagione delle viti, v. vite, coltivazione<br />

– piantare, 725, 737<br />

– pigiatura dell’uva, v. vinificazione<br />

– potare, potatura, v. vite, coltivazione<br />

– preparazione, sistemazione:<br />

– dei barili, 125<br />

– dei terreni, 130, 737, 805<br />

– dei vini, 322<br />

– pressatura, v. vinificazione<br />

– propagginazione, v. vite<br />

– protezione delle viti <strong>d<strong>al</strong></strong>le m<strong>al</strong>attie, patologie,<br />

v. anche vite, m<strong>al</strong>attie, 181<br />

– raccolta dei frutti della terra, 322<br />

– del foraggio, 376<br />

– dell’uva, v. vendemmia<br />

– delle messi, 545


– sarchiatura, 37, 125<br />

– selezione e moltiplicazione delle propaggini,<br />

126, 130<br />

– semina, seminare, 67, 545, 725, 737<br />

– sfogliatura delle viti, 38<br />

– si cuoprono per il freddo del verno (le<br />

viti), 737<br />

– sistemazione dei loc<strong>al</strong>i (cantine), 39<br />

– solfitazione del vino, 120<br />

– solforatura delle viti, 802, 852<br />

– sorveglianza delle coltivazioni, 127<br />

– spigolatura, 795<br />

– spillare il vino, 768<br />

– spremitura, v. vinificazione<br />

– torchiatura, v. vinificazione<br />

– trapianto, 737<br />

– trasporto dell’uva, 78<br />

– vendemmiare, v. vendemmia<br />

– vinea colere, 376<br />

– zappatura, vangatura, 38, 125, 126, 571,<br />

849<br />

– luoghi, loc<strong>al</strong>ità a vocazione vitivinicola,<br />

786, 790<br />

– manu<strong>al</strong>i del Cinquecento scritti ex novo,<br />

716<br />

– meccanizzazione, 841<br />

– modo di semina, 67<br />

– modus operandi, 723<br />

– morisca,75<br />

– oggetto di diletto e voluttà, 730<br />

– olivicoltura, 72, 501<br />

– orticoltura, 749<br />

– osservazione della re<strong>al</strong>tà, o empirica, 721,<br />

732<br />

– pratiche agricole, esperienza diretta, v.<br />

anche agronomia, trattati, 69, 721, 723,<br />

736, 746, 750, 851<br />

– viticole, 7<br />

– prodotti agricoli, del suolo, v. anche commercio,<br />

campagne, 386, 723, 778<br />

– dell’aratorio, 779-780, 782<br />

– produzione, produttività, 69, 77, 387,<br />

505, 596, 717, 724, 780-781, 787, 810<br />

– profitto (utile, logica del), 723<br />

– razion<strong>al</strong>izzazione dei sis<strong>temi</strong> di coltura,<br />

723<br />

– re<strong>al</strong>tà agricola, 723<br />

– rendite agrarie, cere<strong>al</strong>icole e vinicole, 281,<br />

652, 767, 803, 810<br />

– rinnovamento teorico pratico, 717<br />

– rotazione delle colture, 67, 720-721<br />

– sementi, 433, 723, 790, 803<br />

– selezione delle, 715<br />

– sistema agricolo di sussistenza, 723-724<br />

– sis<strong>temi</strong> produttivi, 715<br />

– situazione agricola siciliana [del ’500], 731<br />

– spartizione del raccolto, 33<br />

– stabulazione bovina, 804<br />

– sviluppo agricolo mediev<strong>al</strong>e, 732<br />

– tecniche coltur<strong>al</strong>i, agricole, agronomiche,<br />

716-717, 727-728, 730- 732, 805<br />

– tonificante per il corpo, 730<br />

– trattati, scritti, testi, v. agronomia, letteratura,<br />

723<br />

agronomia, agronomie, scienza agronomica, v.<br />

anche trattati e letteratura, 67, 180, 715- 717,<br />

719, 731, 749-750<br />

– agronomi persiani, v. anche Islam, 181<br />

– ampelografia, 105, 318<br />

– ampelografi, 606<br />

– an<strong>d<strong>al</strong></strong>ouse,67<br />

– biblioteche, biblioteca agronomica, 717<br />

– codificazione agronomica, 719<br />

– erbari, 110<br />

– orientamento della teoria, 725<br />

– pedologia, studio dei suoli, 67, 316-317,<br />

342, 793<br />

– caratteristiche, fattori, 21, 308, 361, 716,<br />

781, 855<br />

– zone pedologiche più vocate, 627<br />

– pensiero agronomico antico, 732<br />

– prescrizioni, 746<br />

– scoperte in ambito agronomico, 722<br />

– sis<strong>temi</strong> e tecniche di coltivazione, 180<br />

– dei musulmani, v. Islam, 79<br />

– viticole, 131, 186<br />

– teorie agronomiche, 721, 723<br />

– tradizioni agricole arabe, v. Islam, 83<br />

– trattati, opere, testi agronomici, manu<strong>al</strong>i,<br />

trattatistica, v. anche letteratura e fonti<br />

edite e inedite, 180, 322, 493, 564, 594,<br />

597, 665, 715, 718- 720, 723- 725, 727,<br />

729, 731-733, 735-736, 742, 746<br />

– arabi, v. Islam, 74, 749-750<br />

– di viticoltura rumena, 138<br />

– mediev<strong>al</strong>e, 719, 727<br />

– moderna, 716, 719<br />

– trattati sull’arte dell’innesto, 110<br />

925


926<br />

<strong>al</strong>beri, piante, 443, 466, 525, 541, 578, 748, 778,<br />

780-781, 791, 838<br />

– abete, 8<br />

– aceri, aceri campestri, 778, 785, 791, 839<br />

– agrumi, 783<br />

– <strong>al</strong>beri da frutto, arbori fruttiferi, frutteti, 33,<br />

105, 181, 270, 568, 720, 736-737, 748, 791,<br />

851<br />

– <strong>al</strong>lori, 783<br />

– <strong>al</strong>oe, 528, 666<br />

– aneto, 312<br />

– anice, aniso, 316, 320<br />

– arbores, arbori, 568, 737<br />

– assenzio, absynthio, 316, 529<br />

– Atriplex hortensis, 307<br />

– silvestris, 307<br />

– betulla, 8<br />

– bosso, 294<br />

– canapa, 595<br />

– canna da zucchero, 68, 84, 168, 854<br />

– canne, 126, 184, 837, 851<br />

– carpini, 839<br />

– castagni, 8, 542, 822<br />

– ceci, 767-768, 771<br />

– cedri, 783<br />

– cere<strong>al</strong>i, v. cibi, <strong>al</strong>imenti<br />

– cerri, 542<br />

– ciliegi, 295, 791, 839<br />

– cipressi, 748, 839<br />

– cornioli, 839<br />

– cotone, 68, 84, 854<br />

– dhubab, purpureo fiore, 166<br />

– di <strong>al</strong>to fusto, 780<br />

– erba, herba, 277, 389, 669, 704, 734<br />

– legnosa, abig<strong>al</strong>ia, 311<br />

– euc<strong>al</strong>ipto, 767<br />

– faggi, 748<br />

– fave, 767<br />

– fichi, 181, 422, 525, 839<br />

– foglie, 526<br />

– fiori, 178, 469, 529, 753, 835<br />

– foglie, 258, 529<br />

– frasche, 126, 578, 629-630<br />

– foraggio, fieno, fenum, 544-545, 568, 595,<br />

852<br />

– frassini, 525, 778, 783, 785, 791, 797, 839<br />

– frutti, 529, 724<br />

– gelsi, mori, morus nigra, <strong>al</strong>ba, 68, 595, 752,<br />

761, 780, 791, 797, 839<br />

– foglie, 785<br />

– nelle viti, 797-798, 813<br />

– giglio, 178<br />

– ginepro, 525<br />

– giunco, 8<br />

– grano, v. cibi, <strong>al</strong>imenti<br />

– crusca, 526<br />

– guado, 737<br />

– issopo, 294, 312<br />

– larice, 8<br />

– legumi, leguminose, v. cibi, <strong>al</strong>imenti<br />

– liana, 838, 851<br />

– limoni, 783<br />

– lino, 595<br />

– lupini, 767<br />

– luppolo, 103-104, 270<br />

– mais, v. cibi, <strong>al</strong>imenti<br />

– mandorli, 839<br />

– medicin<strong>al</strong>i, v. anche medicina, medicin<strong>al</strong>ia,<br />

67<br />

– meli, 105, 525, 542, 748<br />

– melograni, 525, 783<br />

– miglio, v. cibi, <strong>al</strong>imenti<br />

– mirto, 529<br />

– muschio, 166-167, 170, 175, 179, 853<br />

– nocciolo, 8<br />

– noci, noce, noceti, 8, 12, 33, 105, 839<br />

– olivi, oliveti, olivas, 11, 33, 70, 72-73, 81,<br />

84, 322, 501, 503, 525, 542, 570, 575, 595,<br />

767, 783, 791, 839, 851<br />

– olmi, 525, 778, 783, 785, 791, 797, 839,<br />

843, 851<br />

– ontani, 780<br />

– ornielli, 839<br />

– orzo, v. cibi, <strong>al</strong>imenti, 168<br />

– p<strong>al</strong>ma, 168-169, 173, 176<br />

– patata, 595<br />

– peri, 542, 748<br />

– piante aromatiche, 469<br />

– pino, 320<br />

– pioppi, 525, 813, 838-839<br />

– platano, foglie, 526<br />

– querce, 127, 525, 542, 839<br />

– radici, 734<br />

– riso, v. cibi, <strong>al</strong>imenti<br />

– rose, 186, 320, 529<br />

– rosmarino, 705<br />

– roveri, 8, 542<br />

– rovi, 587-588<br />

– ruta, 699<br />

– saggina, 170


– s<strong>al</strong>ici, s<strong>al</strong>ice, 8, 813, 839<br />

– s<strong>al</strong>via, 699<br />

– sambuco, 588<br />

– serpillo (timo), 695<br />

– sorgo, v. cibi, <strong>al</strong>imenti<br />

– tessili, 643<br />

– tigli, 839<br />

– tintorie, 595, 643<br />

– tutori della vite, v. anche vigne, vigneti,<br />

779<br />

– violette, 403<br />

– vite, v.<br />

– zenzero, 319<br />

– zumaque (o scotano), coltivazione, 78<br />

<strong>al</strong>chimia, v. medicina<br />

<strong>al</strong>cool, <strong>al</strong>coolici, v. anche bevande <strong>al</strong>coliche,<br />

distillati, 139, 324, 757, 759, 764, 768<br />

– consumo, 536<br />

– etilico, 325<br />

– fumi dell’<strong>al</strong>cool, <strong>al</strong>colismo, v. m<strong>al</strong>attie,<br />

patologie<br />

<strong>al</strong>imentazione, v. anche monachesimo, 4, 53, 64,<br />

73, 80, 82, 123, 135, 153, 234, 238, 240, 254,<br />

589, 600, 608, 631, 675, 724<br />

– abitudini, tradizioni <strong>al</strong>imentari, 73, 82,<br />

153, 328, 352, 555, 635<br />

– assunzione di vino, 216<br />

– astensione, astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, 210, 391-<br />

392<br />

– bere vino, 333<br />

– rifiuto, rinuncia di, v. anche monachesimo,<br />

328- 330<br />

– bilanci energetici, 328<br />

– consumo di <strong>al</strong>imenti, v. anche digiuno,<br />

astinenza, 212, 327, 329, 590<br />

– barriera <strong>al</strong>imentare, 327<br />

– di carne, 327<br />

– di vino, 328<br />

– astensione, rifiuto, 329<br />

– dieta di cibi, <strong>al</strong>imenti freddi, 217<br />

– dissecante, 217<br />

– quotidiana, razione giorn<strong>al</strong>iera, 209,<br />

232, 534, 544, 554-556, 676, 779<br />

– vegetariana, 324<br />

– dei cittadini, 732<br />

– eccessi <strong>al</strong>imentari, 218<br />

– esigenze, fabbisogno, necessità <strong>al</strong>imentari,<br />

82, 387, 724, 780<br />

– etica <strong>al</strong>imentare aristocratica, 560<br />

– frode <strong>al</strong>imentare, v. anche vino, f<strong>al</strong>sificazione,<br />

36<br />

– generi <strong>al</strong>imentari, 544<br />

– mangiare cum moderatione, 218<br />

– regime <strong>al</strong>imentare, 487, 554-555, 598<br />

– risorse, generi <strong>al</strong>imentari, 399, 777, 821<br />

– rivoluzione gastronomica, 596<br />

– sistema <strong>al</strong>imentare, 321<br />

– storici dell’<strong>al</strong>imentazione, 494<br />

– usi <strong>al</strong>imentari, 606<br />

– uva, v.<br />

– vino (di uva), v.<br />

amore, liebe, Minne, 440, 445<br />

– romanzesco, 157<br />

anima, stati d’animo, 145, 176, 182, 188-189,<br />

198, 200, 278, 288, 343, 348, 357, 359, 418,<br />

441, 451-452, 562, 578, 665-666, 673, 740-<br />

741, 748, 856, 860<br />

– es<strong>al</strong>tazione, 754<br />

– estasi dionisiaca, 140<br />

– furor, 396<br />

– incoscienza, 398<br />

– indemoniati, 296, 439<br />

– inedia, 757<br />

– irascibilità, 143<br />

– m<strong>al</strong>inconia, tristezza, 562, 665, 669, 753<br />

– m<strong>al</strong>inconico, melancholico, 339, 562<br />

– riflettere m<strong>al</strong>inconicamente, 144<br />

– oblivio menstis, amentia, perdita dell’autocontrollo,<br />

396, 412, 418<br />

– smarrimento, 398<br />

– uggia, 774<br />

anim<strong>al</strong>i, bestiame, 69, 167, 422, 443, 447, 491,<br />

515, 526, 543-544, 550, 564, 604, 791<br />

– agnelli, 144, 281, 333, 423<br />

– agnello pasqu<strong>al</strong>e, 423<br />

– api, 175, 855<br />

– aragoste, 148<br />

– arieti, 423<br />

– asini, 171, 207, 771<br />

– baco da seta, 785, 801<br />

– m<strong>al</strong>attie, pebrina, 801<br />

– parassiti, nosema bombyx, 801<br />

– bestie selvatiche, 422<br />

– buoi, boves, 379, 542, 580, 748, 856<br />

– corregge per, 542<br />

– giogo, 542<br />

– sonagli per, 542<br />

– cammelli, 169, 171, 175, 177<br />

927


928<br />

– capre, 837<br />

– cav<strong>al</strong>lette, 206<br />

– cav<strong>al</strong>li, 375, 388, 390, 542, 602<br />

– corse di, 140<br />

– da sella, 156<br />

– ferratura, 613, 762<br />

– sonagli, 542<br />

– cervi, 379<br />

– cicogne, 178<br />

– cimice, 144<br />

– cucco, 748<br />

– da cortile, 779<br />

– drago, dragone, draco, 167, 441, 445<br />

– g<strong>al</strong>li, g<strong>al</strong>line, 166, 748<br />

– gamberetti, 148<br />

– garbieri, 748<br />

– gatti, 769<br />

– gaza, 748<br />

– gazzella, 175<br />

– giovenco, 423<br />

– insetti, 130, 262, 311, 525<br />

– leoni, 479, 748<br />

– lupo, 333<br />

– mai<strong>al</strong>i, 144, 281<br />

– merlo, 748<br />

– montoni, 767<br />

– mosche, 262, 304, 311, 671, 773<br />

– mucche, 378-379<br />

– muli, 145, 589, 771<br />

– oche, 236<br />

– orsi, 402<br />

– ostriche, 148<br />

– parassiti, 525, 720, 722<br />

– butritis, 38<br />

– pidocchi, 144, 304<br />

– pecore, 86, 380<br />

– pesci, v. cibi, <strong>al</strong>imenti<br />

– polledri, 748<br />

– polli, 236, 748<br />

– porci, 748<br />

– ragni, 671<br />

– ranocchie, raganelle, rubeta, 441, 530<br />

– rettili, 442<br />

– scorpione, scorpius, 441, 445<br />

– serpente, serpens, basiliscus, regulus, 174,<br />

440-441, 445, 606<br />

– storno, 748<br />

– suini, 526<br />

– tarantola, ph<strong>al</strong>angius, 445<br />

– topi, 462, 525<br />

– uccelli, 748<br />

– vacche, 748, 852<br />

– velenosi, 442, 445<br />

– vipera, 174, 441, 445, 606<br />

– vitelli, 748<br />

– volatili, v. anche cibi<br />

– volpi, 198, 525, 769<br />

apatheia (libertà <strong>d<strong>al</strong></strong>le passioni terrene), 142<br />

Arab (The) agricoltur<strong>al</strong> revolution,67<br />

– green revolution,68<br />

argilla, v. anche terracotta, 185, 528, 849<br />

aria, 38, 686, 748, 754, 758<br />

aritmetica, 237<br />

armi, artiglierie, cannoni antigrandine, 808, 850<br />

– lancia, 350<br />

– pugn<strong>al</strong>e, 605<br />

arnesi per la vendemmia, v. cantine, arnesi<br />

arte sacra, 266<br />

ARTI, mestieri ed occupazioni, 608<br />

– a giornata, 770<br />

– addetti <strong>al</strong> trasporto di botti, ph<strong>al</strong>angarii,<br />

502<br />

– agenti di campagna, 721<br />

– agricoltori, contadini, coltivatori, coloni,<br />

potatori, mezzadri, livellari, s<strong>al</strong>ariati,<br />

rustici, 87, 130, 390-391, 503, 544-545,<br />

551, 558, 571- 575, 579-580, 582, 600,<br />

602, 616, 647, 661, 720-721, 725, 734,<br />

754-755, 764- 766, 779, 783, 785, 790,<br />

793, 795, 800, 803-804, 809-811, 813-814,<br />

837, 859<br />

– asserviti, 130<br />

– liberi, 130<br />

– agronomi, 181, 715, 717, 720, 724, 726-<br />

727, 733, 750, 755, 783<br />

– <strong>al</strong>bergatori, 612- 614, 620, 633, 651<br />

– <strong>al</strong>chimisti, 668-669, 672<br />

– <strong>al</strong>levamento transumante, 86<br />

– <strong>al</strong>levatori, 87<br />

– ampelografi, 606<br />

– archiatra pap<strong>al</strong>e, 495<br />

– architetti, 485<br />

– armaioli, 620<br />

– arti liber<strong>al</strong>i, 485<br />

– artigiani, lavoro artigian<strong>al</strong>e, 82, 375, 600,<br />

616, 761, 764-765<br />

– artisti, 749<br />

– banchieri, 620-623, 626


– barbieri, 620<br />

– bellatores, 407<br />

– botanici, 764<br />

– bottai, 8, 50, 108<br />

– bottigliere pap<strong>al</strong>e, 495<br />

– braccianti, 108<br />

– brentatori, 614<br />

– butticularius della mensa regia, 545<br />

– campario (comun<strong>al</strong>e), 566<br />

– canonicarius Venetiarum, 533-534<br />

– cantinieri, 120, 185<br />

– capitani (comun<strong>al</strong>i), 568<br />

– carpentieri, 8, 656<br />

– carrettieri, 50, 108<br />

– cassiere stat<strong>al</strong>e, 503<br />

– castellani, 656<br />

– cav<strong>al</strong>iere, 390<br />

– cerquari,8<br />

– chiuditore di botti, exasciator, 502<br />

– commercianti, 825<br />

– di vino, 160, 663, 814<br />

– consiglieri, 538, 550, 721<br />

– consoli, 549-550, 552, 567, 607-608, 617<br />

– coppieri, 49, 538, 601<br />

– corporazioni di mestiere, 108<br />

– cortigiani, 491, 495<br />

– cottimanti, 766<br />

– cubicularius, 545<br />

– cuochi, 493-494<br />

– custodi delle porte, 568, 581<br />

– danzatori, 402<br />

– degustatore, haustor, 502<br />

– doganiere, guardie dogan<strong>al</strong>i, 771- 773<br />

– domestici, 36<br />

– edili (vigilanza dei mercati), 515<br />

– editori, stampatori, librai, 728-729, 731,<br />

734, 747<br />

– enologi, 606, 803, 809<br />

– estimatori comun<strong>al</strong>i, 548<br />

– etnografi, 822<br />

– facchini, 757<br />

– farmaceuti, 469<br />

– fattore, nuntius, missus, 9, 573<br />

– filosofi, philosophus, 155, 339, 486, 586,<br />

670-671, 673, 750, 858<br />

– fisiocrate, 761<br />

– fornai, 757, 824<br />

– funzionari<br />

– di corte, chartarii, 533<br />

– finanziari, 533-534<br />

– imperi<strong>al</strong>i, 502<br />

– gabellieri, gabellatori del vino, sorveglianti<br />

del dazio, 582-583<br />

– giardinieri, giardinaggio, 86, 177<br />

– giudici, iudices, magistrati, 522, 524, 545,<br />

551, 631<br />

– giullari, 402<br />

– giuristi, giureconsulti, 386, 504-505, 510,<br />

521, 551, 745<br />

– guardie, guardiani, 538<br />

– custos cuparum, 502<br />

– delle vigne, 422<br />

– guerrieri a cav<strong>al</strong>lo, 389<br />

– intermediari, 109<br />

– lavoratori, dell’agricoltura, 720, 810<br />

– della lana, 660<br />

– s<strong>al</strong>ariati, 130, 600, 656<br />

– stagion<strong>al</strong>i, 108<br />

– letterati, scrittori, poeti, novellieri, romanzieri,<br />

narratori, umanisti, cronisti, biografi, filologi,<br />

ann<strong>al</strong>isti, storici, historici, 372, 487, 491-<br />

492, 557, 560, 593, 599, 619-620, 662, 726-<br />

727, 743, 749, 751-754, 761, 765- 767, 773,<br />

823, 860-861<br />

– arabi, 178<br />

– arabo-an<strong>d<strong>al</strong></strong>usi, 178<br />

– bacchici, 171, 175, 855, 861<br />

– libertini, 172<br />

– sufi, mistici musulmani, 175, 177-178,<br />

855-856<br />

– librai, 716, 718<br />

– liturgisti, 477, 483<br />

– locandieri, 605, 608, 620<br />

– macellai, 633<br />

– maestri, magister, 603, 752, 765<br />

– bottai, 8<br />

– magazzinieri, 41<br />

– mandriani, 543<br />

– manovratori, 41<br />

– marinai, 519, 647, 754, 774<br />

– marstellerio, 656<br />

– massari, massaia, 721, 767, 771-772, 774<br />

– medici, dottori, physici, 83, 132, 152, 155,<br />

307, 337, 442, 487, 489, 494, 531, 566,<br />

606, 615, 665-669, 671, 675, 737, 739-740,<br />

742, 757, 783, 860<br />

– mercanti, mercatores, 58-59, 110, 112-113,<br />

116, 138, 145, 166, 385, 576, 588, 599,<br />

616, 618, 657<br />

– bresciani, 833<br />

929


930<br />

– di tessuti, 53, 833<br />

– di vino, 43, 53, 109, 568, 614, 621, 623,<br />

651, 653, 662<br />

– messo regio, 408<br />

– mestieri leciti, 375<br />

– mietitori, 36<br />

– miles Christi, 389<br />

– mimi, 402<br />

– minatori, attività minerarie, 656, 658, 767<br />

– monatti, 759, 764<br />

– mugnai, 151, 633<br />

– muratores, 656<br />

– musicanti, 151<br />

– notai, 581, 620, 818, 825, 830<br />

– officia vel commercia saecularia, 414<br />

– offici<strong>al</strong>i, 656, 661<br />

– olivicoltori, 551<br />

– operai, 264, 660, 859<br />

– orefici, 620<br />

– orticoltori, 108<br />

– osti, vinattieri, caupones, ostessa, ostiere,<br />

155, 200, 491, 601, 604-605, 607-608, 610,<br />

612-613, 617, 619, 626, 633, 651, 753,<br />

758- 761, 771, 773, 801, 821, 828- 830<br />

– panettieri, 633<br />

– pastori, pastorizia, 86, 541, 543, 766, 837<br />

– patrono, padrone della nave, 595, 856<br />

– penitenzieri, 386<br />

– pentori, 620<br />

– pescatori, 633, 766<br />

– piccolo imprenditore, 761<br />

– pigiatori (d’uva), 183, 203-204<br />

– pirateria, 160<br />

– pittori, 485<br />

– podestà, 551, 570, 575-576, 581, 629, 632,<br />

652-653, 660<br />

– poligrafi, 487<br />

– precettori, 492-493<br />

– primo prefetto [della Bibl. Vaticana], 493<br />

– professione d’innestar, [di] inc<strong>al</strong>mare, 736<br />

– professioni, laic<strong>al</strong>i, 375<br />

– liber<strong>al</strong>i, 620<br />

– religiose, v. anche ecclesiastici, 409<br />

– quaestor sacri p<strong>al</strong>atii, 504<br />

– rivenditori, 800<br />

– scienziato, studiosi, 666, 729<br />

– scultori, 485<br />

– segretari pap<strong>al</strong>i, 489<br />

– senesc<strong>al</strong>cus, 545<br />

– servi, lavoro servile, 69, 128, 375-376,<br />

381, 519, 524, 538, 756<br />

– signori delle gride, 760<br />

– soldati, guerrieri, sbirri, armigeri, milites,<br />

128, 199, 401, 406-408, 568- 570, 613-614,<br />

616, 748, 759, 770, 772<br />

– guerrieri a cav<strong>al</strong>lo, 389<br />

– miles Christi, 389<br />

– spezi<strong>al</strong>i, speti<strong>al</strong>i, 620, 681, 704, 706, 712<br />

– studenti, 599-600, 603-604, 610-611, 613<br />

– tavernieri, tabernarii, venditori di vino,<br />

414-415, 577-578, 581-583, 601, 603- 605,<br />

608, 613-614, 617, 620, 630-633, 758<br />

– teologi, 386, 431, 473, 481<br />

– umanisti, 485, 626<br />

– universitari, 610, 614<br />

– vendemmiatori, 36<br />

– arabi, 183<br />

– venditori di bevande, conditarii, conditaria, 529<br />

– di catini, 490<br />

– di olio, 633<br />

– vignaioli, viticoltori, vinitores, vignerons, 15,<br />

21, 28-29, 37-38, 45, 49, 52, 60-61, 65, 92,<br />

97, 101, 103, 106-110, 135, 240, 390, 424,<br />

551, 730, 734, 769, 787, 806, 809, 849-850,<br />

852-853, 855<br />

– zappatori, 108<br />

ascetismo, v. monachesimo<br />

astemìa, as<strong>temi</strong>, 289, 487, 601, 751, 760, 762<br />

astinenza, v. anche digiuno, digiunare, 215, 218-<br />

219, 252, 288, 307, 315, 330, 332, 338-339,<br />

391, 393, 396, 399<br />

– astinenza quaresim<strong>al</strong>e, 227<br />

– <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, 330, 332, 335, 392, 399, 410, 544-<br />

545<br />

– <strong>d<strong>al</strong></strong>la birra, 399<br />

– <strong>d<strong>al</strong></strong>la carne, 391-392, 399, 544<br />

– modello di astinenza, 329<br />

atti leg<strong>al</strong>i, v. anche contratti, 853<br />

– accordo, conventio, 511<br />

– cessioni, permute, 82, 85<br />

– di terrulas aut vineas, 380<br />

– vit<strong>al</strong>izia, 82<br />

– codicilli ai testamenti, 518<br />

– donazioni, 817<br />

– instrumentum, 572<br />

– inventari, elenchi post mortem, 817- 822,<br />

824-825, 827-828, 830- 833<br />

– lasciti, 817


– legati, 504, 518, 523<br />

– di vino, 518<br />

– per damnationem, 521, 523<br />

– per praeceptionem, 521<br />

– per vindicationem, 521<br />

– sinendi modo, 521<br />

– mandato, 506<br />

– notarili, 565<br />

– obbligazioni, 507<br />

– polizze d’estimo, 817-821, 825, 828<br />

– società, 506, 621-624<br />

– stipulatio, 515<br />

– successioni, 505<br />

– testamenti, 518, 520, 522-523, 828, 830<br />

– vendita, 573<br />

attrezzi agricoli, 518, 717<br />

– aratro, 24, 38, 734, 791, 798<br />

– argano a ruota, 112<br />

– bidente, 37, 734<br />

– c<strong>al</strong>astri,8<br />

– canestri, 39<br />

– cannella della botte, 830<br />

– carri, carrette, plaustra, 10, 145, 281, 580,<br />

589, 658, 662, 764, 856<br />

– catene, 560<br />

– cesti, cestini, 39<br />

– coperti, 264<br />

– chiodi, 762<br />

– chorda, coardă, 124<br />

– clepsydram (dolii), clepsedram, 355<br />

– coltelli, 734<br />

– dolabra, 734<br />

– f<strong>al</strong>ci, 375-376, 730, 734<br />

– vineatica, scirpicola, 734<br />

– frantoi delle olive, 527<br />

– gerla, gerle, zerle, 261, 827, 834<br />

– ligo, 734<br />

– macina, 151<br />

– manganum, 647<br />

– marra, 126, 734<br />

– merga, 734<br />

– p<strong>al</strong>a, 734<br />

– paranchi, 647<br />

– pastino, 734<br />

– piccone, 767<br />

– rastrelli, 518<br />

– rastro, 734<br />

– roncola, cosor, 124, 126<br />

– rutrum, rutum, 734<br />

– sarcolo, 734<br />

– serrula, 734<br />

– spina della botte, 267<br />

– terebri, 734<br />

– vanga, bip<strong>al</strong>ium, 734, 792<br />

– vomere, 792<br />

– zappa, zappe, 24, 37, 126, 518, 734, 791<br />

attrezzi per la vendemmia e la cantina, v. anche<br />

attrezzi agricoli, 182, 520, 730, 734, 737<br />

– <strong>al</strong>bor,12<br />

– ammostatoi, 11<br />

– can<strong>al</strong>i,11<br />

– castellate, 10<br />

– cesti, cestini senza manici, 183<br />

– circuli, 8<br />

– diraspatrici, 812, 814<br />

– ferramenta di vario tipo per torchi, 12<br />

– graticula, 11<br />

– imbuti con fessure, 184<br />

– pigiatrice, 183<br />

– pistarola, 11<br />

– presse, 183<br />

– orizzont<strong>al</strong>i, 814<br />

– pneumatiche a polmone, 814<br />

– ruote idrauliche, 75<br />

– scogha (scoggia), 12<br />

– stringitoria, 12<br />

– syphonem, 355<br />

– torchi, torculari, torcitoria, 11-12, 29, 39,<br />

49, 72, 79, 91, 94, 108, 126, 152, 176,<br />

182, 203, 297, 348, 526-527, 545, 639,<br />

730, 796<br />

– a vite, 95<br />

– ad <strong>al</strong>bero, 94<br />

– in legno, 95<br />

– tubo per travasare il vino, 152<br />

audacia umana, 417<br />

aziende, 803<br />

– agricole, 81, 823<br />

– arabe, Alquerías,84<br />

– enologiche, <strong>vitivinicole</strong> bresciane, 808, 816<br />

– per la distillazione dell’acquavite, 800<br />

– reddito azien<strong>d<strong>al</strong></strong>e, 779<br />

– vinicole, 105<br />

banda infame, 141<br />

bestemmie, bestemmiare, 212, 603, 726<br />

931


932<br />

BEVANDE, v. anche vino, 117, 168, 171, 173,<br />

187, 210-211, 225-228, 235, 239, 247, 250-<br />

251, 257, 272, 276- 279, 281-282, 284, 289,<br />

292, 296-297, 313, 316, 320-321, 324, 328,<br />

331, 337-338, 346, 349, 352, 377, 381, 385,<br />

388, 391, 393-394, 401, 405, 413, 418, 441,<br />

477, 479, 491, 523, 528, 531, 536, 538, 559,<br />

606-607, 620, 631-632, 740, 752, 820, 826,<br />

828, 830, 834<br />

– acqua, v. anche acqua (per <strong>al</strong>tri usi, non<br />

bevanda), 45, 66, 75, 140-142, 148, 152,<br />

156, 166-169, 174, 176, 185, 205-208, 210,<br />

212-214, 216, 222, 224-225, 227, 238, 243,<br />

247, 255, 257-258, 261, 264, 266-267, 272,<br />

280, 284, 286-294, 298, 300, 304-307, 311,<br />

314, 318, 324, 329-331, 333, 335, 337-338,<br />

345, 353, 362-363, 398-399, 405, 407, 411,<br />

417, 420, 423, 425, 427, 439, 454-455, 461,<br />

463, 467-468, 470-471, 478-479, 481, 487,<br />

491, 500, 529-530, 538, 555-556, 587, 593,<br />

601, 606, 672, 739-740, 760, 762, 855, 857,<br />

859-860<br />

– bollente, bollita, 468, 475, 530<br />

– c<strong>al</strong>da, 141-142, 147, 165, 220, 223, 225-<br />

226, 306, 454, 467-468, 530, 855-856<br />

– fredda, fresca, 175, 207, 218, 289, 530,<br />

748<br />

– natur<strong>al</strong>e, 210<br />

– pura, 289<br />

– rossa (mescolata <strong>al</strong> vino), 299<br />

– tiepida, 145-146<br />

– <strong>al</strong>coliche, distillati, 74, 105, 170, 187, 190,<br />

209, 221, 313, 534, 801<br />

– acquavite, 800-801, 858<br />

– acqua di vita, acqua ardente, aqua<br />

ardens facta de vino, aqua vitae spirito di<br />

vino, 614, 669-672, 858<br />

– acqua filosofica, 671<br />

– anima del vino o spirito, 670<br />

– quinta essenza, 670-671<br />

– produzione, 83<br />

– assenzio, absynthio, v. anche <strong>al</strong>beri e piante,<br />

258, 316, 529, 751<br />

– cognac vieux, 751, 753<br />

– consumo, 139, 535, 538-539, 558<br />

– abuso, 140<br />

– divieto di, 7, 187<br />

– di barbabietole, 801<br />

– di cere<strong>al</strong>i, 801<br />

– di frutta, 801<br />

– di patate, 801<br />

– distillazione, 83<br />

– grappe, 801<br />

– latte di vecchia, 751<br />

– liquori, 74, 752, 766<br />

– di Campari, 751<br />

– perfetto amore, 751<br />

– produzione, 545<br />

– rosolio, 834<br />

– di Cambiasi, 751<br />

– vendita, 190<br />

– vini senz’uva, 800-801<br />

– an<strong>al</strong>oghe <strong>al</strong> vino, vina fictitia, 529<br />

– aperitivo, 4<br />

– aromatizzate, 300, 315<br />

– avvelenata (pestifer potus), 206<br />

– borgerasae, 314<br />

– caffè, 752, 833, 835<br />

– c<strong>al</strong>dos, c<strong>al</strong>dellos (miscela di acqua e vino),<br />

226, 306<br />

– caratteristiche ottim<strong>al</strong>i, 740<br />

– cioccolata, 835<br />

– decotti a base d’erbe (cum iotta, jotha,<br />

rojtha), 226, 306-307<br />

– degustazione, 17, 456, 502, 508, 513-515,<br />

525, 730, 736, 741, 817, 820-821, 824, 826,<br />

828<br />

– dolci, dulcia, 523-524<br />

– a base di mosto, 74<br />

– eukraton (vino c<strong>al</strong>do aromatizzato col<br />

pepe), 316, 320<br />

– fermentate, fermentazione, 73, 168, 170,<br />

270, 272, 275, 286, 309, 312, 586, 855<br />

– birra, Bier, 98, 220, 235, 239-240, 255,<br />

270, 272, 275, 292, 300, 307-309, 315,<br />

347, 378, 393-394, 399, 545, 569, 606,<br />

640, 858<br />

– <strong>al</strong>imento, 221<br />

– cervogia (birra senza luppolo), 18, 41,<br />

221, 307<br />

– cervisia, 219-220, 239, 255, 262, 286,<br />

307-308, 312-313, 315, 393<br />

– consumo, 104-405<br />

– di crauti, 270<br />

– di gruit, 103<br />

– di luppolo, 103<br />

– produzione, 502<br />

– schenka, 308<br />

– citoniae, 692<br />

– di canna da zucchero, 168


– di carrube, 529<br />

– di datteri, nabîdh, 168, 307, 529<br />

– di fichi, 182, 529<br />

– di grano, 148<br />

– di melagrane, de m<strong>al</strong>o granatis, granatae,<br />

vinum granatorum, 298, 529, 692<br />

– di mele, 337<br />

– di melecotogne, 587<br />

– di more, de moris, moratum, vinum mororum,<br />

298, 307, 545, 587, 692<br />

– di p<strong>al</strong>ma, 168-169<br />

– di pere (bierenviez), 270, 307, 545<br />

– di pinoli, 529<br />

– di prugne selvatiche, 588<br />

– di riso, 489<br />

– di sambuco, 588<br />

– di uva, v. vino<br />

– idromele, medum, idroméli, 168, 173, 270,<br />

307, 315, 347, 378, 400, 529, 587, 606,<br />

858<br />

– mazarìtes oinos, 320<br />

– rodìtes oinos, 320<br />

– selinìtes oinos, 320<br />

– sidro, sicera, 65, 270, 272, 307, 313, 418-<br />

419, 529, 545<br />

– inebrianti, 221, 400<br />

– infusi d’erbe aromatiche, 255, 272, 306-307<br />

– di chicchi di melagrana, 307<br />

– kûmis, 170<br />

– latte, lacte, 167, 169-170, 315, 377- 379,<br />

529, 587, 693, 704<br />

– di giumenta, 170<br />

– mescita, 142, 145, 541, 577-578, 581-582,<br />

607, 619, 622, 629, 801, 820, 826<br />

– mielate, 315<br />

– Minne di san Giovanni, 440, 443-444<br />

– mosto d’uva, 135<br />

– oxùméli, 529<br />

– proibite, vietate, 170, 180<br />

– pusca, marello, picheta, mesgio, aquatum, v.<br />

anche vino acido, 306<br />

– raffinate, 75<br />

– sawîq, 168<br />

– muqannad, 168<br />

– sciroppi, 74-75<br />

– d’uva, 183<br />

– sharâb, 168<br />

– stimolanti, 820<br />

– succo, succhi, 704<br />

– del fiore di vite, 197<br />

– di frutta, melòméli, 529<br />

– di melecotogne, 75<br />

– granatum, 700<br />

– tè, 754, 835<br />

– temperatio, 226, 394<br />

– th<strong>al</strong>assoméli, 529<br />

bevitori, beoni, ubriaconi, ebbri, potatoris, ebriosis,<br />

v. anche ecclesiastici, monachesimo, 140,<br />

142, 152, 275, 394, 396, 400-401, 405-409,<br />

411-412, 415-419, 487, 489, 491, 494, 530,<br />

536, 538, 558, 604, 658, 741, 754, 764, 772-<br />

773, 775, 796, 856-860, 861<br />

biblioteche, 715, 717<br />

– Apostolica Vaticana, 458, 493<br />

– Capitolare di Treviso, 661<br />

– Civica di Bergamo, 682<br />

– Comun<strong>al</strong>e di Treviso, 661<br />

– degli agronomi, 749<br />

– dei Carmelitani di Brescia, 746<br />

– del Seminario di Brescia, 717<br />

– Fondazione Ugo da Como di Lonato, 717<br />

– Marciana di Venezia, 470<br />

– monastiche mediev<strong>al</strong>i, 750<br />

– Queriniana di Brescia, 632, 717, 746<br />

– Sino<strong>d<strong>al</strong></strong>e di Mosca, 471<br />

– Universitaria di Brescia, 717<br />

bitume, 185<br />

Boule (Gkiostra ton politikon), 158<br />

cab<strong>al</strong>a<br />

c<strong>al</strong>ce, 527<br />

c<strong>al</strong>endario, 254<br />

campane, v. anche oggetti sacri, 556<br />

cantine, canevis, càneva, canva, canipa, magazzini,<br />

cellarios, empori, fondaci, cellae, Weinkeller, crota,<br />

v. anche abitazioni, luoghi di accoglienza,<br />

magazzini, monasteri, 10-11, 39, 79, 97, 108,<br />

113, 117, 119-121, 127, 203-204, 209, 244,<br />

256, 264, 267-298, 342, 354-355, 363, 528,<br />

533, 611, 615-616, 619, 629, 660, 751, 758,<br />

795-796, 799, 803, 814, 819-820, 823-825,<br />

827, 859<br />

– bottega, osteria, luogo di smercio <strong>al</strong> pubblico,<br />

819-822, 824, 826-832<br />

– banconi, 824<br />

– sgabelli, 824-825<br />

– tavoli, 824<br />

– cella, celliere, volta sotterranea, stanza dove si<br />

tengono i vini, 822<br />

933


934<br />

– della Franciacorta, 789-790<br />

– della Lombardia, lombarde e ticinesi, 792,<br />

822<br />

– pontificie, 50<br />

– soci<strong>al</strong>i, 809, 813<br />

– con soffitto a volta, 134<br />

– con volte ogiv<strong>al</strong>i, 39<br />

– tinaia, v. anche cantine, 11<br />

canzone goliardica, 599<br />

carestia, 534, 548, 755<br />

carme bacchico, 175<br />

– Carmina Burana, v. fonti, 547<br />

casa del vino della lega Anseatica, 112<br />

castità, v. sessu<strong>al</strong>ità<br />

cemb<strong>al</strong>o, 248, 254<br />

cemento sm<strong>al</strong>tato, 813, 852<br />

cenere, cinis, cineris, 280, 294, 436-437, 474<br />

– ceneri in sacrario, 304<br />

cenobi, v. monasteri, 224<br />

cera, 279, 544, 703, 707, 747<br />

ceramica, 96, 832<br />

chiabotti,10<br />

Chiesa (cattolica romana), v. anche cristianesimo,<br />

66, 132, 160, 197-198, 202-203, 236,<br />

365, 367, 375, 378, 380-382, 387, 390, 395,<br />

403-404, 406, 409, 412, 414, 419-421, 424-<br />

425, 429, 437, 440, 444, 452, 477, 563<br />

– ana<strong>temi</strong>, 558<br />

– canonistica, 385<br />

– fonti, 373<br />

– Catechismo della Chiesa cattolica, 421, 479<br />

– concili, 558, 600<br />

– Clermont, 302<br />

– concilium Aquisgranensem, 239<br />

– decreti, disposizioni conciliari, 69, 239<br />

– di C<strong>al</strong>cedonia, 468<br />

– IV concilio di Braga, 302<br />

– Laodicea, 413<br />

– Lateranense I, 389<br />

– II, 389<br />

– III, 389<br />

– IV, 373, 385, 396-397, 401, 410, 414<br />

– Lione, 420<br />

– Mediolanense, 482<br />

– Sens, 420<br />

– Tridentino, di Trento, 302, 379, 412,<br />

435, 726<br />

– Trullano, in Trullo, 155, 414, 467<br />

– Vaticano II, 464-465<br />

– Vienne, 414<br />

– cristiana, v. anche cristianesimo, 328<br />

– liturgisti cristiani, 483<br />

– Padri della Chiesa, patristica, 328, 398,<br />

418, 424, 482-483<br />

– diritti spiritu<strong>al</strong>i e di decima, 568<br />

– patrimonio, patrimonium, 384<br />

– dell’Appia, 383<br />

– vitivinicolo, 383<br />

– sancti Petri, 383<br />

– suburbani Tusciae, 383<br />

– prerogative della sede romana, 382<br />

– riforma, 419<br />

– Sede apostolica, curia romana, v. anche<br />

corti, 383, 405, 420, 434<br />

– sinodi ecclesiastici, 239, 277, 389, 415<br />

– chiesa di Toledo, 69<br />

– decreti sino<strong>d<strong>al</strong></strong>i, 239, 281-282, 308<br />

– decreti, disposizioni conciliari, 240<br />

– statuti sino<strong>d<strong>al</strong></strong>i, 480<br />

chiese, ecclesiae, 21, 65-66, 71, 128, 130, 201-202,<br />

206, 214, 216, 257, 261, 264, 278-279, 282,<br />

295-296, 303, 350-353, 355, 411, 413, 415,<br />

426, 436-437, 455, 469, 558, 561, 566, 568,<br />

570, 768, 772, 856, 858-859<br />

– <strong>al</strong>tari, 167, 241, 293- 295, 300, 302- 304,<br />

375, 377, 427-428, 437, 454, 469<br />

– consacrazione, 473<br />

– mense, 436<br />

– pulizia, 478, 482<br />

– basiliche, 357, 443, 454<br />

– cattedr<strong>al</strong>i, 601, 614<br />

– centri di smercio del vino, 415<br />

– consacrazione, 294<br />

– dedicazione, v. cristianesimo, liturgia, 469<br />

– lavacrum, 267<br />

– oratori, 279, 322<br />

– pavimento, 436<br />

– posto riservato, senatorium, 427-428<br />

– sacristia, 295, 303<br />

– armarium, armarius, 295, 303<br />

– schola (cantorum), 427, 429<br />

chimica, sostanze chimiche:<br />

– acido m<strong>al</strong>ico, 814<br />

– <strong>al</strong>cool etilico, 324<br />

– antociani, 324<br />

– c<strong>al</strong>cio, 813<br />

– carboidrati, 324


– ciclossigenasi-2, 324<br />

– elementi, 672-673<br />

– glucosio, 597<br />

– grassi, 324, 730<br />

– polifenoli, 324, 556<br />

– proteine, 324<br />

– resveratrolo, 324<br />

– tannino, 11, 324, 795<br />

– zolfo, 110, 120, 813, 851<br />

CIBI, <strong>al</strong>imenti, 235, 247, 249-250, 252-253, 271,<br />

276-279, 281, 283, 292, 296-297, 327- 329,<br />

339, 393, 396, 403, 405, 413, 488, 491, 536,<br />

538, 549, 562, 666-667, 672, 675-676, 741,<br />

831, 834<br />

– aceto, 36, 75, 133, 180, 200, 224-225, 265,<br />

267, 301, 306-307, 334, 336, 359, 491, 508,<br />

516, 518- 520, 522, 524, 624, 704, 741,<br />

757, 821, 829, 831, 849, 859<br />

– produzione, fabbricazione, 733, 736<br />

– agresto, agresta, 7, 298, 701, 737<br />

– ambrosia, 757<br />

– anim<strong>al</strong>i, 740<br />

– astringenti, 741<br />

– biade, granaglie, bladum, 548, 550, 660,<br />

720, 790<br />

– burro, 396<br />

– cacciagione, 143<br />

– caratteristiche ottim<strong>al</strong>i, 740<br />

– carne, 35, 145-146, 167, 170-171, 208,<br />

212, 218, 236-237, 281, 287, 297, 315,<br />

327- 329, 331, 338, 399, 410, 544, 554-<br />

555, 668, 671, 695, 711, 766-767<br />

– astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong>la carne, 392<br />

– cibo dei forti, 392<br />

– grassi, 827<br />

– rossa, 323-324<br />

– suina, porcina, lardo, lardum, 281, 315,<br />

522, 698, 827<br />

– ceci, 767-768, 771<br />

– cere<strong>al</strong>i, 84, 137, 270, 323, 554, 612, 648,<br />

724, 743, 782, 795, 797, 810<br />

– condimenta, 308<br />

– confetti, 711<br />

– cotognate, 741<br />

– cultura del cibo, 399<br />

– derivati, 740<br />

– diuretici, 741<br />

– dolci, dulcia, 523, 531<br />

– embamma, 522<br />

– farina, 258, 529<br />

– fave, 767, 774<br />

– focaccia persiana, Moretum Persicinum, 494<br />

– formaggi, 236, 281, 287, 290, 315, 323-<br />

324, 377, 710, 766, 821, 832<br />

– frittelle erbate, 630<br />

– frumento, v. anche grano, 195, 297, 505-<br />

506, 521, 548<br />

– frutta e verdura, v.<br />

– grano, 22, 27, 59, 68, 71, 75, 84-85, 104,<br />

133, 159-160, 170, 203, 297, 403, 534-535,<br />

548, 550, 571, 612, 626, 774, 791, 821,<br />

852, 854<br />

– prezzi, 784<br />

– spicas, 380<br />

– spighe immature, 209<br />

– insaccati, 821, 832<br />

– intingoli, 494<br />

– lasagne, 494<br />

– latticini, 323<br />

– legumi, leguminose, ligumina, 234, 237-<br />

238, 281, 290, 312, 323-324, 698, 792, 795,<br />

797<br />

– libagioni, 760<br />

– lievito, 184<br />

– lupini, 767<br />

– mais, 595, 785, 792<br />

– marroni arrostiti, 758<br />

– miele, melle, 66, 75, 110-111, 146, 167-170,<br />

174-175, 238, 258, 268, 277-279, 284, 307-<br />

308, 311-316, 319-321, 356, 432, 455, 462,<br />

521, 529, 544-545, 597, 704, 707, 855<br />

– miglio, 170, 337<br />

– minestre, brodi stillati, 757, 763, 766-767,<br />

774<br />

– nocività dei cibi cattivi, 666<br />

– olio, oleum, olea, oglio, 72, 85, 105, 182, 195,<br />

241, 244, 250, 380, 386-387, 391, 457, 462,<br />

466, 469-471, 474, 500-501, 505-506, 521,<br />

544, 548, 550-551, 595, 626, 647-648, 703-<br />

704, 707, 730, 745, 766-767, 770, 774, 821,<br />

827, 834<br />

– estratto dai vinaccioli, 792<br />

– torchiato, 526<br />

– orzo, 168, 170, 234, 337<br />

– ostriche, 495<br />

– pane, 66-67, 144-145, 147, 159, 203, 205,<br />

210, 212-214, 218, 220, 223-224, 227-228,<br />

234-241, 244, 247-249, 255, 257, 263, 272,<br />

277-278, 281-283, 287, 290, 293, 295-297,<br />

935


936<br />

299-303, 305-308, 337-338, 354, 377, 385,<br />

398-399, 403, 405, 411, 420-421, 423, 425,<br />

427-428, 432-436, 438-439, 453, 463-464,<br />

479-480, 544, 548, 550, 611, 613, 668,<br />

695-697, 748, 757, 760-761, 763, 766-767,<br />

770, 857<br />

– azzimo, 283, 317, 467, 481<br />

– bianco, 135, 318, 757<br />

– con zenzero, zinziberatum, 319<br />

– lievitato, fermentato, 468, 481<br />

– panes Libyca, 356<br />

– panìco, 698<br />

– pasticcini, 495<br />

– paxamatia (focacce d’orzo), 234<br />

– pesce, pesci, 143, 148, 210, 236, 281, 290,<br />

315, 323, 494, 648, 671, 698, 710-711<br />

– <strong>al</strong>ici, h<strong>al</strong>eces, 522<br />

– s<strong>al</strong>ato, s<strong>al</strong>si pisces, 145, 521-522<br />

– tonno, Thynii, Thunii, 522<br />

– piccanti, 731<br />

– polenta, 758<br />

– pulmentum, pulmentaria, 224, 235, 275<br />

– riso, 68, 84, 595, 854<br />

– s<strong>al</strong>ati, 731<br />

– s<strong>al</strong>sa agrodolce, 494<br />

– s<strong>al</strong>samenta, 522<br />

– s<strong>al</strong>se, garum, 265, 531<br />

– s<strong>al</strong>sicce, 494, 769<br />

– sapa, v. mosto cotto, 13, 531<br />

– selvaggina, 494<br />

– sementi, 433<br />

– sorgo, 337<br />

– spiedini, suvlakia, 144<br />

– stracchino, 760<br />

– torte, torta, 495, 748<br />

– uova, 236, 315, 323, 544, 705, 711, 757,<br />

763, 766<br />

– veget<strong>al</strong>i, 740<br />

– vino, v.<br />

– vivande, 754<br />

– volatili, 236-238, 671<br />

– yogurt, 135<br />

– zucchero, 184, 313, 324, 597, 711<br />

– zuppa, 187<br />

città, civitates, 17-19, 22-25, 27, 29, 32-33, 35, 43,<br />

46-47, 50, 52, 54-55, 61-64, 69, 73-74, 77-<br />

83, 85, 87, 92, 96, 99-100, 104, 108, 111-112,<br />

114-115, 117, 133, 135-136, 149-150, 155,<br />

163, 167, 195, 201, 219-220, 492, 526, 549,<br />

552-553, 555-556, 560, 563-567, 569, 575,<br />

577, 581, 588-589, 600-601, 604, 609-611,<br />

614-615, 617-619, 623, 625, 628-629, 631,<br />

633, 639, 644, 652-653, 656, 659-660, 662-<br />

663, 723, 725, 732, 743, 748, 796, 801, 817,<br />

828, 854, 856, 858<br />

– antiche, 501<br />

– arte dei tavernieri, 630<br />

– bagni pubblici, 154<br />

– bollatura del vino, 582<br />

– botteghe, 625, 761<br />

– di librai, 716, 718<br />

– per smercio di vino, 54<br />

– centri per la stampa, 724<br />

– centro commerci<strong>al</strong>e, 625<br />

– politico, 625<br />

– città del vino, Weinstadt, 638-639, 647<br />

– classi dirigenti, 579<br />

– commerci<strong>al</strong>i, 113<br />

– comun<strong>al</strong>i, 319, 494<br />

– comune, comunità, v. istituzioni, enti laici,<br />

568<br />

– consuetudini, v. anche statuti, 566, 630<br />

– controllo economico, 580<br />

– convivenza cittadina, 578<br />

– deganie seu quadre, 582<br />

– del Duecento, 550<br />

– dell’XI secolo, 554<br />

– divieto, di aggiotaggio, 581<br />

– di facere monopolia, 581<br />

– di ingombrare strade, 578<br />

– fiere e mercati, v. commercio, 567<br />

– fisc<strong>al</strong>ità, v. fisco, fisc<strong>al</strong>ità<br />

– fluvi<strong>al</strong>i, 639, 648<br />

– forniture di vino, 568<br />

– governo cittadino, v. comune, 580<br />

– igiene pubblica:<br />

– disposizioni di carattere ecologico, 556<br />

– inquinamento delle acque cittadine, 555<br />

– profilassi preventiva, 555<br />

– inteventi edilizi, 556<br />

– licenza, del vino a tutti, 629<br />

– di vendita del vino, 632<br />

– loc<strong>al</strong>i pubblici, v. anche luoghi di accoglienza,<br />

632<br />

– mediev<strong>al</strong>i, 362<br />

– mura cittadine, 3, 6, 112, 566-567, 574,<br />

579, 582, 617<br />

– officina tipografica, tipografia, 718-719,<br />

742


– piazze, plateas, 576, 611, 614, 618, 620,<br />

623, 772, 830<br />

– popolazione cittadina, 566, 579<br />

– porte cittadine, 581<br />

– portici, 611<br />

– pubblica sicurezza, ordine pubblico, 564,<br />

568, 577-578, 583<br />

– punti di mescita, 629<br />

– rettori, v. istituzioni, enti laici, 556, 563-564<br />

– richiesta di vino, 568<br />

– rioni, 625<br />

– Santa (Roma), 620, 625<br />

– scambi fra città vicine, v. anche commercio,<br />

576<br />

– scorte di vino, 576<br />

– sobborghi, suburbio, borghi nuovi, 569,<br />

577-578, 611<br />

– suolo pubblico, occupazione del, 630<br />

– taverne, v. luoghi di accoglienza<br />

– ubertas (abbondanza), 648<br />

– viabilità, 630<br />

– vie, strade, contrade cittadine, 576, 611,<br />

614-615, 618, 620, 623, 630, 633, 772,<br />

828-829<br />

– vita in città, 717<br />

– zapellos, 576<br />

climatologia, clima, condizioni climatiche, 7, 9,<br />

17, 23-24, 61, 67, 70-72, 75, 82-83, 95, 99,<br />

102-103, 125, 136, 168, 181, 184-185, 235,<br />

308, 393-394, 535, 588, 614, 640, 656, 793,<br />

795, 812, 855<br />

– bufera, 756<br />

– c<strong>al</strong>amità natur<strong>al</strong>i, 569<br />

– cattivo tempo, 569, 720<br />

– condizioni sfavorevoli, 588<br />

– estati umide, 61<br />

– freddo del verno, giornate fredde, 737, 858<br />

– gelo, gelate, brine, brinate, 19, 25, 61, 182,<br />

814, 802, 850<br />

– grandine, 9, 756, 808, 850<br />

– inasprimento tardomediev<strong>al</strong>e del clima, 640<br />

– inn<strong>al</strong>zamento della temperatura, 640<br />

– inverni rigidi, 61<br />

– neve, 530<br />

– nubifragio, 800<br />

– pioggia, piogge autunn<strong>al</strong>i, 765, 850<br />

– rischi meteorologici, 61, 791, 798-799<br />

– tempeste invern<strong>al</strong>i, 57<br />

– zone climatiche, 309<br />

colla (di farina di grano), 8<br />

collana, 758<br />

commercio, 103, 270, 512, 564, 595, 608, 646<br />

– ascesa dei prezzi, 386<br />

– attività bancaria, 386<br />

– mercantili, 385-386<br />

– circolazione di merci e persone, 77, 265, 267<br />

– vendita di prodotti agricoli, 642, 723<br />

– crisi, 47, 59, 367, 784<br />

– di derrate e vino, 575-576<br />

– dinamica commerci<strong>al</strong>e, 550<br />

– distribuzione, 595<br />

– fiere e mercati cittadini, 526, 549, 552,<br />

558, 563, 567, 573, 576, 582, 590, 593,<br />

596, 613, 625, 644, 646, 647-649, 653, 662,<br />

767, 814<br />

– mercati di tappa, v. anche vino, vendita,<br />

654, 661<br />

– greco, 160<br />

– libero, 161, 761<br />

– dei prodotti della vite, 575<br />

– manu<strong>al</strong>i di mercatura, 612<br />

– mercato, mercati mondi<strong>al</strong>i, 790, 819<br />

– merci, oggetto di consumo, 819<br />

– mezzi di trasporto, 586<br />

– prodotti <strong>al</strong>imentari, 528, 636, 723<br />

– rapporto città-campagna, 552<br />

– romano, 504<br />

– stasi commerci<strong>al</strong>e, 502<br />

– traffici, scambi commerci<strong>al</strong>i, 68-69, 357,<br />

385-386, 550, 649-650<br />

– trasporti, trasporto, 20, 93, 95, 99, 112,<br />

159, 162, 270, 588, 804<br />

– costi, prezzi, 113, 118, 149, 162, 588-<br />

589, 595, 614, 618, 627, 636, 645, 649,<br />

856<br />

– derrate <strong>al</strong>imentari, 580<br />

– fluvi<strong>al</strong>i e marittimi (anche via mare, fiume,<br />

acqua), 21, 41-42, 65-66, 80, 91, 93,<br />

97, 112, 161, 267, 269, 589, 592, 595,<br />

614, 626, 639, 644-648<br />

– cargo marittimo, 618<br />

– di pellegrini, 622<br />

– infrastrutture, approdi, 639<br />

– argani, 639<br />

– piccolo cabotaggio, 647<br />

– mezzi nav<strong>al</strong>i e terrestri, 116, 586, 636<br />

– noli, 595<br />

– rivoluzione dei, 595, 626-627, 636,<br />

642, 856<br />

937


938<br />

– rischi, 160<br />

– su strada, via terra (carreggio), v. anche<br />

vino someggiato, 21, 41, 112, 619, 624,<br />

626, 639, 645, 648, 650<br />

– troncamento del, 358<br />

– vinicolo, v. vino, commercio<br />

concimi e fertilizzanti, v. agricoltura<br />

consumo di <strong>al</strong>imenti, v. <strong>al</strong>imentazione, digiuno,<br />

astinenza<br />

CONTENITORI, recipienti per conservazione,<br />

trasporto, mescita e degustazione di bevande<br />

e liquidi, 577, 820, 830, 834, 856<br />

– <strong>al</strong>ba, <strong>al</strong>bea, 834<br />

– ampolline, ampullas, ampullae, amulae, 266,<br />

279-280, 285-286, 294, 303, 427-428, 433,<br />

435, 481, 502, 756<br />

– anfore, 162, 166, 180, 261, 265, 293, 361,<br />

387, 433-434, 500, 510, 519-521, 523, 528,<br />

588, 754, 856<br />

– degli israeliti, ebrei, 260<br />

– di terracotta, 92<br />

– gazition (vinarie di Gaza), 357-358<br />

– gemellionibus, 428<br />

– lagena, 265<br />

– bacili, 266<br />

– bacinella, catino, bacina, bacinetta, 278, 826,<br />

830<br />

– barilette, bariletta, arnaso a doghe, 826, 830-<br />

832<br />

– barili, cupa, 112, 125, 127, 526, 528, 826,<br />

830<br />

– barilotti, barilia, 207, 434-435, 830, 849<br />

– basiotti, 834<br />

– bicchieri, g<strong>al</strong>etas, g<strong>al</strong>ethas, pocula, becheriis,<br />

scyphulos, modioli, biberes, 179, 215, 220,<br />

226-227, 232, 247, 256-258, 260-265, 278,<br />

284, 290-291, 320-321, 325, 331, 348-349,<br />

355-356, 401, 449, 482, 486-487, 491-492,<br />

538, 562, 581, 605, 699, 701, 751, 753-754,<br />

756-762, 765-767, 769-771, 773-774, 820,<br />

828, 832, 835, 851<br />

– bigonce da soma,10<br />

– biliconi, 834<br />

– bocc<strong>al</strong>i, bocc<strong>al</strong>ette, cannata, cuppam, peccarius,<br />

ciatis, cyatos, g<strong>al</strong>leta, 141, 225-226, 260, 262,<br />

264-265, 291-292, 339, 435, 491, 537, 602,<br />

604-605, 758, 771, 826-828, 832<br />

– iusticias, iustitias, iustitiae (della misura<br />

giusta), 256-257, 262<br />

– boccette, 834<br />

– borracce di pelle, 152<br />

– botti, botticella, bot<strong>al</strong>lum, bottazzi, vessole,<br />

veza, vesa, vegetes, 8-9, 36, 39, 41, 50, 54-55,<br />

65, 72, 91, 112, 120, 127, 150, 152, 162,<br />

179, 207, 215, 221, 267, 276, 289-290, 298,<br />

301, 347, 352, 354-355, 500, 507-508, 510-<br />

512, 519, 522, 526-528, 545, 579, 588, 592,<br />

621-622, 628, 647, 661, 730, 735, 756, 758,<br />

762-763, 765-767, 795-796, 821, 826-827,<br />

829-830, 832, 834, 849, 856, 859<br />

– cuccume, 835<br />

– cretese, 152<br />

– da ammostatura, 94<br />

– <strong>d<strong>al</strong></strong> fondo impecciato, 179<br />

– in cemento, 813<br />

– bottiglie, bottiglia, bozza, bozola, v.anche<br />

misure di capacità, fi<strong>al</strong>e, fi<strong>al</strong>as, phi<strong>al</strong>a vitrea,<br />

139, 257-258, 260, 263-265, 283, 295, 305,<br />

308, 312, 433-434, 578, 581, 647, 807, 814,<br />

826, 830, 832, 834 849-850<br />

– di canarie piane, 834<br />

– ungheresi (bottiglia Ungherese), 752<br />

– bricco, 166<br />

– brocche, situlas, ydrias, 145, 179, 256, 260-<br />

261, 264, 278, 338, 455, 605<br />

– brocca sive ducillo, 354<br />

– di vetro, 261, 284<br />

– mezzina, 768<br />

– sericus maius, 265<br />

– c<strong>al</strong>daie, c<strong>al</strong>daia, 469, 765<br />

– c<strong>al</strong>ici, c<strong>al</strong>ix, sciffo, schiffus, scyphis, 170, 178,<br />

200, 214, 222-223, 225-226, 236-237, 240,<br />

258, 260-261, 265-266, 272, 276, 279-280,<br />

297, 300-301, 303-304, 307, 345, 376-377,<br />

424-425, 428-430, 440-441, 443-444, 452,<br />

461, 463, 467, 471-473, 538, 562, 756-757,<br />

832<br />

– ansati, anseati, 266, 428<br />

– c<strong>al</strong>ice eucaristico, santo c<strong>al</strong>ice, c<strong>al</strong>ix<br />

maior, maius scyphus, c<strong>al</strong>ices ministeri<strong>al</strong>es,<br />

poculum s<strong>al</strong>utare, 238, 260, 301, 359, 427-<br />

428, 431, 464, 467-468, 473, 475, 479,<br />

481-482<br />

– cyathum vini, 305<br />

– vitreis, 301-302, 354, 356, 428<br />

– cannucce, fistulae, arundines, pugillaris,<br />

266, 301, 428, 430, 464<br />

– caraffe, carafine, napos, 96, 187, 206, 264,<br />

474, 826, 834


– caratelli, 588, 661<br />

– carero, 827<br />

– carraria,10<br />

– carrata,8<br />

– catini, lavezzi, 266, 282-283, 829<br />

– centenari di pietra, 826, 832, 834<br />

– ciberi,9<br />

– cicothus, 258<br />

– ciotole, 225, 263<br />

– pateras, paterae, 258, 262, 311<br />

– cisterne, 185, 526, 852<br />

– concha, 307<br />

– conchietti, 830<br />

– contenitori, vasi vinari, vasa vini, 8, 185,<br />

209, 256-259, 298, 311, 346, 348, 353, 355,<br />

577, 647, 821<br />

– tunna, tonna, tonnella, vas medio, 342-344,<br />

346-347, 362, 507-508, 512, 519-520,<br />

526<br />

– coppe, cantaro, cantro, cantrus, cantras, cuppae<br />

vinariae, cuppis, cyphus, scyphis, vasculum<br />

vinarium, vasi potatori, 166-167, 172, 176,<br />

199-200, 214-216, 223, 225-226, 236-238,<br />

244, 255-266, 278, 283, 292-293, 314, 331,<br />

354, 356, 403, 424, 443, 445, 456, 472-473,<br />

480, 530, 537, 539, 581, 754, 826, 832<br />

– di crist<strong>al</strong>lo, 261<br />

– di legno, 258<br />

– iusticias, iustitias, iustitiae (della misura<br />

giusta), 256-265, 311<br />

– piccole, gemelliones, urcei, 428<br />

– damigiane, damigiana, 814, 827, 834, 849<br />

– doghe,39<br />

– fiaschetta, 152<br />

– fiaschi, fiasco, flascones, pistoni, 350, 758-760,<br />

762, 764, 766-768, 827, 829-830, 832, 834<br />

– fiadoni, ci<strong>al</strong>doni di Brescia, 494, 861<br />

– fusti, 36<br />

– giare, 215, 461<br />

– mastelli, tinozza, tinèta, soiolina, 126, 829-<br />

830, 834<br />

– mixtoria, 259, 263<br />

– navacce,10<br />

– olle, oli, ola, 526, 821, 827, 829-830, 832<br />

– orci, cadus, metreta, 179, 183, 225, 264, 342-<br />

343, 507, 521<br />

– d’argilla, 185<br />

– orcioli, urceolis, 325, 428, 466, 766, 770<br />

– otri, sacchi di cuoio, culleus, uter, 166, 175,<br />

185, 202, 422, 500, 519, 528<br />

– raminetto, 829<br />

– recipienti per la conservazione del vino, 8,<br />

173, 612<br />

– rinfrescatoi, refrescatori, 832<br />

– scodelle, scudele, pocula, 248, 262, 265, 293,<br />

315, 344, 348, 699, 765, 827-828, 833<br />

– scudelini da caffè, 833<br />

– secchi, cavete, situlas, 256-257, 264-265,<br />

293, 560<br />

– g<strong>al</strong>eta, de aqua, 264- 266, 281<br />

– de vino, 266, 284, 305, 281<br />

– secchiello, sedello, 829-830<br />

– tazze, tazzine, ciccare, tasi, tassini, vasa vitrea,<br />

sciphos, modioli, pocula, 206, 216, 220, 259,<br />

261-265, 284, 295, 313, 352, 435, 539,<br />

827-828, 833-835, 857<br />

– tini, lacus, tina, tinae, 8-11, 39, 203, 422,<br />

526-527, 765, 827, 830<br />

– aperti, 795<br />

– cocchiume, 8<br />

– coperchi, 793<br />

– scavati nella pietra, 422, 821, 824<br />

– tortirolus, 581<br />

– varelli, varello, 827<br />

– vasche, vascae, vasc<strong>al</strong>e, p<strong>al</strong>menta, 9-10, 94<br />

– scavate nella pietra o in muratura, 9-10<br />

– vascula, 239, 244, 255, 265, 291, 343, 348-<br />

350, 362-363, 436<br />

– vitrea (que mixtoria vocant), 259, 263<br />

– vasellame, 826, 831<br />

– vaselli, vasello, 207, 265, 829<br />

– vasi, vasa, 124, 244, 293, 403, 829<br />

– da mescita, 530<br />

– potori, 260, 263, 278<br />

– urceis, 264<br />

– zaynam, 581<br />

– zuber, 258, 265<br />

contratti agrari, v. anche diritto, 38, 103, 501, 569,<br />

571-572, 580, 621, 624, 655, 810<br />

– ad complantatio, 78, 81-82, 84<br />

– ad laborandum,78<br />

– ad meliorandum, 380, 382, 571<br />

– ad pastinandum,81<br />

– di Bergrecht (locazione), 107<br />

– di Burgrecht (locazione), 107<br />

– di compravendita, 131, 505-508, 511,<br />

514-515, 718<br />

– del prodotto vinicolo, 504<br />

– sotto condizione, 514<br />

939


940<br />

– di enfiteusi, 85, 107<br />

– di locazione, 107, 110, 383, 506<br />

– di mezzadria, patti mezzadrili, 6, 107,<br />

778, 802, 810<br />

– pei vigneti, 803<br />

– di piantagione, 33<br />

– di sfruttamento, 383<br />

– di terzeria, 107<br />

– rapporti, di conduzione, 572, 726<br />

– di locazione, 572<br />

– rescissione di contratto, 515<br />

Corano, v. Islam<br />

CORPO umano, 289, 296, 339, 562, 666, 669,<br />

671, 673, 738-740, 742, 748<br />

– c<strong>al</strong>ore natur<strong>al</strong>e, 741<br />

– funzioni del corpo, 675<br />

– attività vascolare, 556<br />

– concottione, humori che sono concotti, 741<br />

– digestione, 208, 324-325, 330, 669, 741<br />

– diuresi, 669<br />

– evacuazioni, 666<br />

– generatione del sangue, 741<br />

– gusto, 739<br />

– memoria, 669<br />

– nutritione, 741<br />

– ventosità, vento, rugito, 741<br />

– vista, 669<br />

– m<strong>al</strong>attie, patologie e indisposizioni, 212-<br />

214, 219, 247, 276, 280, 304, 323, 393,<br />

423, 665, 667, 669-670, 678, 738-739<br />

– affanno tachicardiaco, 756<br />

– <strong>al</strong>coolismo, 140, 143-144, 146, 151, 241,<br />

741, 856<br />

– arsura, 489<br />

– cause, 667<br />

– cirrosi epatica, 700, 751<br />

– colera, 669, 700, 741<br />

– debolezza, 277<br />

– depressione, 562<br />

– descrizione, nosografia, 341<br />

– di cuore, 669<br />

– di fegato, 669<br />

– di intestino, intestin<strong>al</strong>i, 289, 669<br />

– dolori intestin<strong>al</strong>i, 315<br />

– epilettici, 672<br />

– etilismo, 700<br />

– febbre, stati febbrili, 277, 296, 351, 439,<br />

489, 700, 738<br />

– ferite, 701-702, 738<br />

– folle, s<strong>al</strong>os, follia, 142-143, 672, 753<br />

– forme patogene, 555<br />

– gotta, 156<br />

– inappetenza, 277<br />

– infermità frigide, 741<br />

– infiammazioni ren<strong>al</strong>i, 358<br />

– intossicazioni <strong>al</strong>imentari, 439<br />

– lebbra, lebbrosi, 346, 672, 699<br />

– m<strong>al</strong>aria, m<strong>al</strong>arico, 767<br />

– nausea, 666<br />

– par<strong>al</strong>isi (donna par<strong>al</strong>izzata), par<strong>al</strong>isia,<br />

439, 741<br />

– peste, pestilenza, 28, 47-48, 57, 59, 63-<br />

64, 160, 351, 587, 616, 685, 696-697,<br />

755, 765, 784<br />

– stipsi intestin<strong>al</strong>e, 669<br />

– tumor<strong>al</strong>i, 324<br />

– vomito, 227, 299, 304, 377, 399<br />

– parti del corpo, baffi, 761<br />

– barba, 761<br />

– bile, 494<br />

– bocca, 145, 152, 227-228, 279-280, 302,<br />

479, 754, 762, 764, 768, 857<br />

– braccia, brachias, 350, 768-769<br />

– capelli, 603, 722<br />

– capo, testa, caput, 244, 293, 326, 354,<br />

459, 738, 741, 768, 772, 774<br />

– cavo or<strong>al</strong>e, 299<br />

– cervello, 556, 741<br />

– collo, 768-769<br />

– costato, 467<br />

– cranio, teschio, 474, 539<br />

– cuore, 293, 324, 346, 448, 466, 482, 561,<br />

566, 665, 672, 741-743, 756, 758, 761,<br />

764, 860<br />

– denti, 359, 424<br />

– dita, digitos, 258, 303, 305, 761<br />

– fegato, 213, 325, 494, 665, 742<br />

– gambe, 768<br />

– ginocchia, genua, 342<br />

– gola, 315, 678, 768<br />

– gomito, 606<br />

– labbra, 258, 752, 762<br />

– lingua, 479, 768<br />

– mani, p<strong>al</strong>mas, 183, 258, 262, 282-283, 295,<br />

316, 346, 350, 354-355, 428, 430, 442,<br />

454-455, 761, 764, 766, 769, 771, 857<br />

– cavo della, 753, 756


– membra, 665-666<br />

– mente, mentem, 482<br />

– milza, 213<br />

– narici, 293<br />

– naso, 757<br />

– nervi, 741<br />

– occhi, oculos, 258, 305, 333, 346, 353,<br />

355, 448-449, 539, 566, 570, 735, 754,<br />

756, 769, 771, 775<br />

– orecchi, orecchie, 524, 775<br />

– organi di senso, 739<br />

– p<strong>al</strong>ato, 859<br />

– piedi, 94, 183, 282-283, 453-455, 545,<br />

605<br />

– sangue, 297, 466-468, 474, 477, 479,<br />

538, 561, 665, 672, 695, 699, 741, 753,<br />

755, 770<br />

– sistema, cardio circolatorio, 325<br />

– nervoso, 325<br />

– sopracilia, supercilium, 305<br />

– sp<strong>al</strong>le, 722<br />

– stomaco, 288, 289, 299, 314, 324, 333,<br />

417, 423, 487, 491, 494, 741, 756, 857<br />

– succhi gastrici, 324<br />

– strutture enzimatiche, 324<br />

– membrane cellulari, 324<br />

– testiculos, 603<br />

– utero, 666<br />

– vasi sanguigni, arterie, vene, 324, 326,<br />

665-666, 768<br />

– ventre, ventrem, 482<br />

– viso, volto, faciem, 305, 857, 861<br />

– stati psico-fisici:<br />

– complessione, 666, 668, 686<br />

– ebbrezza, ebrietas,v.<br />

– equilibrio, 747<br />

– giovinezza, 672<br />

– incontinenza, 225, 230, 300, 325<br />

– invecchiamento, 672<br />

– mollezza, tryphe, 153<br />

– ozio, 748, 752<br />

– pavidità, 756<br />

– riposo, 826<br />

– s<strong>al</strong>ute, 111, 120, 132, 136, 141, 197, 216,<br />

218, 220, 230, 235, 278-279, 289, 296,<br />

316, 323-325, 667, 672, 739, 857<br />

– benefici derivanti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uso del vino,<br />

288, 742<br />

– cagionevole, 208, 315<br />

– siccitas, 666, 672, 692<br />

– sofferenza, 669<br />

– sonno, somnus, 339, 562, 826, 831<br />

– ubriachezza, sbronza, sbornia, v.<br />

– vigilia, agrypnia, 140, 676<br />

corti, 121, 656, 856-857<br />

– del sultano, 156<br />

– del voivoda, 127<br />

– di conti, 347<br />

– duc<strong>al</strong>i, arciduc<strong>al</strong>i, 49, 52<br />

– gota di Ravenna, 533-534<br />

– imperi<strong>al</strong>i, 530<br />

– pontificia, curia romana, 48-51, 62-63,<br />

317, 336, 434, 489, 492-493, 646<br />

– principesche, 127, 136<br />

– re<strong>al</strong>i, regie, 19, 45, 58-59, 70, 234, 285, 539<br />

– signorili, 127, 656<br />

crapula, v. anche ebbrezza, 218, 292, 368, 409<br />

creta, 265, 528<br />

crist<strong>al</strong>lo, 261, 751-752, 820, 831, 834<br />

– cryst<strong>al</strong>lina pocula, 355<br />

CRISTIANESIMO, fede cristiana, 124, 154, 158,<br />

327, 336, 403, 409, 419, 424<br />

– acqua santa, benedetta, 280, 453-454, 462,<br />

471, 473<br />

– della Teofania, 462, 471<br />

– esorcizzata, gregoriana, 436-437<br />

– àgape cristiana, 757, 763<br />

– <strong>al</strong>imentazione, 327<br />

– ascesi cristiana, v. anche monachesimo,<br />

486<br />

– capit<strong>al</strong>e della cristianità, 610, 619, 625<br />

– chiesa:<br />

– armena, 467-468<br />

– c<strong>al</strong>cedonese, 463<br />

– cattolica, 857<br />

– cristiana, 327<br />

– apostolica, 457<br />

– libri liturgici, 480<br />

– Padri della Chiesa, patristica, 327<br />

– efesina, 463<br />

– ellenica, 465<br />

– orient<strong>al</strong>e, v. anche liturgia, 458, 463-<br />

465, 475<br />

– chiese autocef<strong>al</strong>e, 469<br />

– chiese autonome, 469<br />

– chiese patriarc<strong>al</strong>i, 469<br />

– Copti, 464<br />

941


942<br />

– Grande Chiesa, cattedr<strong>al</strong>e costantinopolitana,<br />

471<br />

– Siri, 464<br />

– ortodossa, 154, 457-458, 460, 463<br />

– di Russia, 457<br />

– divina liturgia, 467<br />

– iconoclasno (secondo, a. 840), 460<br />

– libri liturgici, tupika, 458<br />

– greci, 457<br />

– slavi, 457<br />

– liturgica, costantinopolitana, 457,<br />

467, 470-473, 475, 483<br />

– slava, 465<br />

– tedesca, 450<br />

– crocifissione di Gesù, 312, 423<br />

– cultura, cristiana, 405<br />

– teologica e giuridica, 407<br />

– eretici, 418, 420<br />

– aquarii, 377<br />

– artatyriti, 377<br />

– catari, 393<br />

– eresie, 198, 202<br />

– movimenti eretic<strong>al</strong>i, eterodossi, eterodossia,<br />

334, 419<br />

– severiani, 377<br />

– fedeli, 377, 396, 426- 428<br />

– imitazione di Dio, mimesis theou, 140<br />

– liturgia, riti sacri, sacramenti, 399, 443,<br />

457, 465, 587<br />

– battesimo, 202, 204, 424, 432<br />

– battezzandi, 392, 394<br />

– confermazione, unzione post-battesim<strong>al</strong>e,<br />

469<br />

– di adulti, 464<br />

– benedizione, 433, 443, 446, 450, 452-<br />

453, 458<br />

– del c<strong>al</strong>ice dei santi apostoli, 462<br />

– di prodotti natur<strong>al</strong>i, 432-433, 474<br />

– acqua santa, benedetta, 280, 439,<br />

453-454, 462, 471, 473<br />

– della Teofania, 462, 471<br />

– esorcizzata, gregoriana, 436-437<br />

– aspersione, 453<br />

– frutta, 433, 439<br />

– grano, 474<br />

– latte, 432<br />

– miele, 432<br />

– olio santo, crisma, 280, 436, 469-<br />

471, 474<br />

– simbolo di dolce pietà, 391<br />

– pane eucaristico, consacrato, benedetto,<br />

corpo di Cristo, sancta, v.<br />

anche offertorio, ostia, 295, 304,<br />

399, 431-433, 439, 467, 472, 474,<br />

479<br />

– del perdono, 757<br />

– pani ritu<strong>al</strong>i, 466<br />

– sementi, 433<br />

– uva primaticcia, 432<br />

– vino, 296, 301, 428, 430-431, 433,<br />

438-439, 443-444, 447, 449-450,<br />

452, 461, 474-475<br />

– nuovo, 433, 462<br />

– parole dell’invocazione, 480<br />

– pro musto, 296<br />

– purificazione di contenitore <strong>al</strong>imentare,<br />

462<br />

– rito, ritu<strong>al</strong>e, 447, 449, 455-456<br />

– canonizzazione di santi, 435<br />

– celebrazioni dei martiri, 403<br />

– nat<strong>al</strong>izie, 298<br />

– confessione dei peccati, 406<br />

– assoluzione, 406<br />

– consacrazione, 434<br />

– degli <strong>al</strong>tari, 473<br />

– degli olii il giovedì santo, 432<br />

– cresima, 544<br />

– culti, dei martiri, 404<br />

– dei morti, 404<br />

– paganeggianti, 378<br />

– dedicazione delle chiese, 294, 436, 469<br />

– dossologia, 432<br />

– esumazione, 474<br />

– eucaristia, messa, celebrazione eucaristica,<br />

125, 227, 241, 248, 252-253, 260, 279,<br />

286-288, 295, 298-299, 301-304, 311-<br />

312, 333-334, 342, 349, 359, 376-377,<br />

399, 401, 421, 424-426, 432-433, 436,<br />

454, 457, 463, 466-468, 472, 475, 477-<br />

480, 482, 561, 601, 726, 770, 857, 859<br />

– antifona, ad communionem, 427<br />

– di offertorio, 427<br />

– banchetto festivo, 857<br />

– cerimoni<strong>al</strong>e, 426<br />

– cibo eucaristico, 296<br />

– commistione, commixtio, 428, 430, 437<br />

– comunione dei fedeli, 426-428<br />

– consacrazione, 301, 429<br />

– per contactum, 430-431, 472


– del popolo, 453<br />

– dibattito teologico, 302<br />

– distribuzione, nei simboli, sotto le specie<br />

del pane e del vino, 227, 278-279,<br />

296, 299-303, 305, 399, 411, 428, 431,<br />

463-464<br />

– episcop<strong>al</strong>e, 430<br />

– eulogie del vino, eulogias sanctas, Weineulogie,<br />

295-296, 362, 439, 466, 472<br />

– farmaco della vita eterna, 278<br />

– immistione, immixtio, 301, 430-431,<br />

472<br />

– infusione del pane consacrato nel<br />

vino, 431, 467<br />

– del vino consacrato in quello non,<br />

428, 429<br />

– dell’acqua, 468, 475<br />

– intinzione, intinctio, 301-302, 464<br />

– invocazione, epiclèsi, 424<br />

– istituzione, 331, 423, 425<br />

– latte sostituito <strong>al</strong> vino, 377<br />

– liturgia latina, 421<br />

– momenti ritu<strong>al</strong>i, 426<br />

– offertorio, presentazione delle offerte,<br />

295, 379, 426-427, 430, 433, 435<br />

– benedictio vini santi Iohannis, 435, 439<br />

– Johannisminne, 435, 440, 444-447,<br />

450<br />

– oblate, oblazione, 427-430, 466<br />

– ostia, hostiam, particola, 279-280, 294,<br />

299-304, 464<br />

– frazione [dell’ostia], 428, 430<br />

– passione, resurrezione di Cristo, 421<br />

– per le monache, 454<br />

– proclamazione del vangelo, 295, 426<br />

– riti di preparazione-presentazione, 466<br />

– romana, 302<br />

– sacrificio eucaristico, della croce, 296,<br />

298, 303, 305, 351, 421<br />

– santa comunione, Sacre specie, due<br />

specie, 227, 278-279, 296, 299-303,<br />

305, 399, 411, 431, 463-464, 468, 472,<br />

475, 477, 479-480, 482<br />

– banchetto escatologico, 483, 601<br />

– battesim<strong>al</strong>e, 479<br />

– pasqu<strong>al</strong>e, 479<br />

– sacrilega simulatio, 464<br />

– transustanziazione eucaristica, 673<br />

– servizio religioso, 375<br />

– significato eucaristico del vino, 328<br />

– simbolismo del rito eucaristico, 481<br />

– solenne, 430<br />

– stazion<strong>al</strong>e, pap<strong>al</strong>e, 426-427, 429<br />

– per i franchi, 429<br />

– suffragio, 359<br />

– tematiche eucaristiche, 376<br />

– ultima cena, 296<br />

– vino utilizzato dai protestanti, 478<br />

– liturgia bizantina, 457<br />

– lustrazioni, purificazioni, 436<br />

– matrimonio, 48, 52, 157-158, 208, 331,<br />

435, 462, 464, 471, 473, 561<br />

– mistagogia, 466<br />

– prassi liturgica mediev<strong>al</strong>e, 421<br />

– occident<strong>al</strong>e, 465<br />

– processioni domenic<strong>al</strong>i, 311<br />

– professione religiosa, 464<br />

– riti armeno, 472<br />

– bizantino, costantinopolitano, 468-469<br />

– commemorazione dei defunti, 474<br />

– consacrazione del crisma, 469, 470<br />

– liturgia ecucaristica del giovedì santo,<br />

469<br />

– myron, preparazione dell’unguento<br />

crism<strong>al</strong>e, 469, 475<br />

– prassi greca, b<strong>al</strong>canica, 474<br />

– riti matrimoni<strong>al</strong>i, 471, 475<br />

– tradizione sabaita, 474<br />

– unzione crism<strong>al</strong>e del sovrano, 469<br />

– unzione dei m<strong>al</strong>ati, 470-471, 475<br />

– zéon, infusione di acqua bollente, 468<br />

– it<strong>al</strong>o-bizantino, 466<br />

– romano, 466-467, 469, 472<br />

– sacre ordinazioni, 469<br />

– rito funebre, sepoltura, 280, 404, 474<br />

– abluzione del defunto, 474<br />

– commemorazioni dei defunti, 474<br />

– sacrament<strong>al</strong>i (segni), 435, 437, 439-440<br />

– vino, 438<br />

– segno della croce, signum crucis, v.anche<br />

benedizione, 204, 206, 225, 282, 291,<br />

335, 428, 441-442, 859<br />

– simbologia dei riti, 480<br />

– Sluzhebnik, libro del servizio liturgico,<br />

457<br />

– tradizione, tradizioni:<br />

– liturgica dell’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e greca,<br />

melkita, 458, 460, 462<br />

– orient<strong>al</strong>i, 466<br />

943


944<br />

– pagana celtica, 379<br />

– sacrament<strong>al</strong>e, 421<br />

– ufficio ad hospit<strong>al</strong>em, 287<br />

– ufficio funebre, 235<br />

– unzione, 280<br />

– vespri, 248, 253, 282, 474<br />

– mondo cristiano, 341, 403<br />

– mor<strong>al</strong>e cristiana, 486, 539<br />

– ordinamenti liturgici di tutte le Chiese, 426<br />

– preghiere, invocazioni, orationes, pregare,<br />

144, 155, 169, 171, 188-189, 225, 228, 243,<br />

275, 279, 282, 290, 292, 312, 326, 343, 415,<br />

425, 427, 437, 443-444, 446-448, 450-453,<br />

458-459, 462-463, 472, 475, 769, 858-859<br />

– Ave Maria, 451<br />

– benedictio vini, 438-439, 451<br />

– novi, 447<br />

– contra venenum, 443-444, 451<br />

– costantinopolitane, 460-461<br />

– Credo in Deum, 447<br />

– Deus et pater domini nostri Iesu Christi, 448<br />

– di benedizione, 425, 438<br />

– Eis tina kapelon genomenon nomikon,144<br />

– esorcismo, contro il veleno, 446<br />

– sul vino, exorcizo te creatura vini, 447,<br />

450<br />

– Kyrie eleison, 447, 449, 451<br />

– Minne di san Giovanni, benedictio amoris s.<br />

Iohannis, 440, 444-447, 449-450, 452<br />

– Omnipotens sempiterne Deus, tu primo homines,<br />

447<br />

– Padre nostro, Pater noster, 301, 447, 451<br />

– per la benedizione del vino, 461, 463<br />

– che inizia a fermentare, 463<br />

– per la coltivazione della vite, 459, 463, 465<br />

– per la degustazione di grappoli d’uva, 459<br />

– per la saggiatura del vino, 465-466<br />

– per la vendemmia, raccolta dell’uva,<br />

459-460, 465<br />

– imperi<strong>al</strong>e, 458-459<br />

– redenzione, 279, 417<br />

– regno di Dio, dei Cieli, 405, 423<br />

– s<strong>al</strong>mi, v. anche monachesimo, 427<br />

– santità, 405<br />

– spiritu<strong>al</strong>ità, dimensione spiritu<strong>al</strong>e, v. anche<br />

monachesimo, 465<br />

– storia liturgica, 425<br />

– teologia tradizion<strong>al</strong>e, 419, 465, 481, 483<br />

– post mediev<strong>al</strong>e, 483<br />

– ratio theologica costantinopolitana, 468<br />

– tradizioni, 328, 331<br />

– via di s<strong>al</strong>vezza del corpo, 561<br />

– visione cristiana della morte, 403<br />

– vita cristiana, sacrament<strong>al</strong>e, 328, 483<br />

crociate, crociati, 385, 853<br />

– seconda, 153<br />

cucina (ambiente) v. abitazioni, monasteri<br />

– (modo di cucinare):<br />

– an<strong>d<strong>al</strong></strong>usa, 182<br />

– testi gastronomici, ricette, prescrizioni<br />

culinarie, 677-678<br />

– prontuario di haute cuisine, ricettario,<br />

493, 861<br />

– ricettario di s<strong>al</strong>se, 678<br />

cultura iranica, 167<br />

cuoio, 78, 500, 519, 528, 826<br />

– concia, lavorazione, 75, 78<br />

decotti, v. bevande e medicin<strong>al</strong>ia<br />

demografia, 159, 653, 656, 663, 784<br />

– sovrappopolamento, 722<br />

denaro, monete, pecunia, 283, 385-387, 507, 576,<br />

600, 620-621, 626, 766, 770, 775, 806<br />

– aspro, 135-136<br />

– assi, 500<br />

– bolognini, 622, 624<br />

– denari, 383, 500-501, 614<br />

– fiorini, fiorini piccioli, fiorini di camera, 608,<br />

616-618, 620-621<br />

– grossi veneziani, 658<br />

– leul, 131-132<br />

– lira, lire, 767, 796, 801, 806, 810<br />

– austriache, 796, 800<br />

– centesimi, 500<br />

– it<strong>al</strong>iane, 500<br />

– libbre, libras imperi<strong>al</strong>ium, 574, 612, 629<br />

– milanesi, 796<br />

– picole, 826, 828<br />

– nomisma, 162<br />

– once, 500<br />

– prestiti, 582<br />

– sesterzi, 500-501<br />

– siclo, 251<br />

– soldi, 381, 398, 542, 564-565, 574, 578,<br />

582, 604, 608, 612, 631-634<br />

– d’oro, aurei, 382-383<br />

– tarì d’argento, 766


digiuno, digiunare, ieiunium, v. anche astinenza,<br />

148, 171, 188-189, 199, 213, 218, 241, 252,<br />

254, 272, 299, 324-325, 332, 393, 408, 443,<br />

487-488, 530, 731, 763, 765<br />

diritto, 408, 418<br />

– canonico, 375, 379-380, 391, 406, 410,<br />

481<br />

– atteggiamento verso il vino, 417<br />

– collezioni canoniche, 385, 396<br />

– fonti canonistiche, 402, 414<br />

– legge divina, 211<br />

– tradizione canonistica, aspetti canonici,<br />

373, 381, 385, 600<br />

– civile, ius civile, 522, 540<br />

– citazione, 524<br />

– Codice civile (attu<strong>al</strong>e), 505, 508<br />

– consuetudinario, 573<br />

– corpus iuris, 499, 504, 506, 508-509, 516-<br />

518, 521-522, 540<br />

– Digesta, 504-506, 518, 523, 525<br />

– deposizione giurata, 408<br />

– dominium emines, 127, 573<br />

– entità patrimoni<strong>al</strong>e, patrimonio, 518,<br />

818<br />

– erede, eredità, 518-523, 818, 825, 830<br />

– giuramento, giurare, 408-409<br />

– spergiuri, spergiuro, 409<br />

– ius utile, 573<br />

– legatario, 518, 520-522<br />

– legislazione, leggi, 365<br />

– barbariche, 365<br />

– giustinianea, 504, 508-509, 516, 518<br />

– romana, 365, 504, 506, 517, 521-522,<br />

540<br />

– longobardo, 540<br />

– mora, 512<br />

– negozio giuridico, 505-506, 511, 516-<br />

517, 522<br />

– pandettistica tedesca, 505<br />

– processo civile, 524<br />

– giudizio, 524<br />

– rinascimento giuridico, 505<br />

– testatore, testator, de cuius, 518, 520-524,<br />

818<br />

– testimone, testimoniare, 408<br />

– trasmissione ereditaria, 131<br />

– usurpazioni, 350<br />

– vocatio, 524<br />

– di offrire in dono i propri averi, 128<br />

– di piantare vigneti, 25<br />

– di prelazione, 33<br />

– di proprietà, 128<br />

– di tagliare legna, 565<br />

– di usufrutto, usufruttuario, 33, 828<br />

– procedura giudiziaria, 408<br />

dono, v. anche atti leg<strong>al</strong>i, donazione, 128, 150,<br />

356, 388<br />

ebbrezza, ebrietas, v. anche ubriachezza, 169,<br />

175, 177, 186, 195, 199-200, 204, 209, 211,<br />

213, 224, 239, 240-241, 249-250, 256, 277,<br />

292, 300, 324, 368, 394-400, 402, 404-411,<br />

416-418, 468, 691, 699, 764, 855-856, 859-<br />

860<br />

– ivresse spirituelle, 200<br />

– peccato mort<strong>al</strong>e, 412<br />

– spiritu<strong>al</strong>e, 483<br />

– vinolentiae ebrietatem, 224, 232<br />

ebraismo, v. anche popolazioni, ebrei<br />

– legge ebraica, 415<br />

ecclesiastici, v. anche monachesimo, dignità e<br />

uffici, 336, 346, 410, 413, 457, 590<br />

– apostoli, 201, 261, 279, 282-283, 425, 448,<br />

452, 461, 473, 857<br />

– arcidiaconi, 301, 427-431<br />

– arcivescovi, 58, 63, 261, 269, 279, 291,<br />

375, 388<br />

– auditore apostolico, 299<br />

– autorità ecclesiastica, 150<br />

– canonici, 601<br />

– cardin<strong>al</strong>i, 50, 367, 371, 388, 393, 402, 407,<br />

412, 417, 493, 566, 621-622, 742, 752, 757,<br />

817, 860<br />

– elettori del papa, 420<br />

– cerimoniere pontificio, 434<br />

– chierici, clerici vagantes, goliardi, 150, 284,<br />

287, 345, 375, 391, 399, 402, 410-415, 454-<br />

455, 569, 599-600, 604, 616, 859<br />

– constantinopolitani, 147<br />

– cottidianum stipendium, 385<br />

– numerata pecunia, 385<br />

– sottoposti <strong>al</strong>la vigesima, 385<br />

– clero, 426-427<br />

– parrocchi<strong>al</strong>e, 411<br />

– pievano, 411, 601<br />

– confessore, 406, 412<br />

– diaconi, 256, 284, 295, 303, 375, 398-399,<br />

411-412, 427-428, 466, 469<br />

945


946<br />

– ecclesiastico, adultero, 394<br />

– battezzante, 394<br />

– lavori vietati <strong>al</strong>l’ecclesiastico, 414<br />

– taverniere, 415<br />

– nomina illecita, 394<br />

– obbligo di ospit<strong>al</strong>ità <strong>al</strong> pellegrinus, 415<br />

– omicida, 394<br />

– ubriaco, ebriosus, v. anche bevitori, 394,<br />

409, 415<br />

– evangelisti, 331<br />

– papi, pontefici, 50-52, 62, 280, 301, 365-<br />

366, 372, 374, 380, 385, 388, 390, 404-405,<br />

410, 420, 428, 435, 489, 491, 493, 495,<br />

621, 752<br />

– elezione, 420, 426<br />

– insignia, 435<br />

– messa stazion<strong>al</strong>e, 426-427<br />

– patriarchi, 141, 147, 154, 198, 241, 422<br />

– pievani, 601-602<br />

– primo prefetto (della Bibl. Vaticana), 493<br />

– profeti, 424<br />

– sacerdoti, presbiteri, arcipreti, preti, sacerdos,<br />

presbyter, 124, 242, 248, 256, 279, 282,<br />

284, 296, 301-304, 336, 375-377, 388, 391,<br />

399, 403, 406, 412, 415-416, 427-429, 452,<br />

454-455, 458, 470, 480, 482, 544, 558, 566,<br />

570, 601, 756-757, 860<br />

– celebranti messa in stato di ebbrezza, 411<br />

– digiuno eucaristico, 411<br />

– vinolentum, 397<br />

– segretari pap<strong>al</strong>i, 489<br />

– status vitae, 411, 413<br />

– subpriore, 284<br />

– suddiaconi, 303, 359, 428-429<br />

– vescovi, 26, 28, 33, 61, 66, 97-98, 147,<br />

195-196, 199, 201-203, 210, 212, 219, 271-<br />

272, 294, 301, 315, 321, 339, 344, 350,<br />

353, 362, 369-370, 372, 380, 390, 394, 399,<br />

401, 408, 411, 426, 427-430, 434, 440, 452,<br />

458-469, 490, 544,-545, 557-558, 568,<br />

587, 600-601, 817, 856, 860<br />

– consacrazione, 294, 433-435<br />

– insegne vescovili, 295<br />

– anello, 295<br />

– guanti, 295<br />

– mitra, 295<br />

– san<strong>d<strong>al</strong></strong>i, 295<br />

– visita pastor<strong>al</strong>e, <strong>al</strong>le parrocchie, 385,<br />

399<br />

economia, 563, 644, 772, 819<br />

– attività commerci<strong>al</strong>i, 552<br />

– economica delle città, 552<br />

– bresciana, 811<br />

– creditore, 386<br />

– debitore, 386<br />

– domanda del mercato, 386<br />

– economia di giro, 386<br />

– mediev<strong>al</strong>e, 591, 620<br />

– politica:<br />

– annonaria, 549, 630, 644, 648<br />

– daziaria, 661<br />

– economica, 653<br />

– programmi, 652<br />

– pratica usuraia, 386<br />

– prestiti, 386<br />

– prodotti annonari, 564<br />

– risarcimento dei danni, 388<br />

– sistema produttivo, 387, 652<br />

editoria:<br />

– editori, stampatori, librai, 728-729, 731,<br />

734, 747<br />

– edizioni a stampa, ristampe, 733, 736, 740,<br />

745, 747<br />

– produzione, fortuna editori<strong>al</strong>e, 726-728<br />

– privilegio re<strong>al</strong>e per la stampa e la vendita,<br />

747<br />

– storia editori<strong>al</strong>e, 733<br />

– vicenda editori<strong>al</strong>e, 718<br />

elemosina, 224, 398<br />

enologia, scienza enologica, 361, 597, 606, 627,<br />

722, 731, 737, 742, 758, 805<br />

– bresciana, 793, 806, 809<br />

– premi enologici, 806<br />

– tecnica cantiniera, enologica, 120, 812<br />

epidemie, v. anche corpo umano, m<strong>al</strong>attie, patologie,<br />

103<br />

esercito, 407, 408<br />

età, epoche:<br />

– abbaside, 172, 855<br />

– antica, classica, 504, 675-676<br />

– greca, 837<br />

– contemporanea, 789<br />

– dominazione, periodo austriaco, 794,<br />

801, 807<br />

– era tecno-enologica, 789, 809, 814, 816, 853<br />

– giolittiana, 807, 809, 853<br />

– napoleonica, 792, 794, 807<br />

– Novecento, 789, 808<br />

– Ottocento, 755, 765, 785, 789-791, 793,<br />

795, 798, 807, 851-852, 861


– primo dopoguerra, 810<br />

– secondo dopoguerra, 813<br />

– giustinianea, quaestor sacri p<strong>al</strong>atii, 504<br />

– imperi<strong>al</strong>e romana, 502, 504, 524<br />

– pace costantiniana, 403<br />

– susceptores vini, 502<br />

– longobarda, 504<br />

– mediev<strong>al</strong>e, 200, 265, 287, 299, 307, 318,<br />

323, 329-330, 336, 339, 347, 360, 363, 375,<br />

391, 412, 415-416, 418-419, 421, 483, 558,<br />

600, 606, 675, 860<br />

– agiografia, 342<br />

– basso medioevo, 585, 592, 605, 626,<br />

661, 679<br />

– biblioteche monastiche, 750<br />

– campagne, 415<br />

– carolingia, 287, 302, 373, 413, 544<br />

– riformatori carolingi, 412<br />

– testo carolingio, 376, 409<br />

– civiltà, civiltà occident<strong>al</strong>e, 365, 392, 857<br />

– comun<strong>al</strong>e, 562, 566, 593, 603, 611, 631<br />

– cultura, ecclesiastica, 401, 402<br />

– medioev<strong>al</strong>e, 389, 397<br />

– Duecento, 8, 11, 306, 317-318, 337-339,<br />

550, 590, 612, 616, 626, 628-629, 631-<br />

632, 647, 650, 655, 659, 661-662, 672,<br />

854, 856, 858, 860<br />

– maudit duecentesco, 760<br />

– economia, v.<br />

– feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e, 407<br />

– gusto, 332<br />

– letteratura, v.<br />

– lotte intercittadine, 570<br />

– medioevo, 440, 477-478, 480-481, 561-<br />

562, 586, 588, 597, 606, 675, 790, 823,<br />

850, 854, 857, 860<br />

– barbarico, 563<br />

– basso, tardo, 239, 253, 279, 281, 290,<br />

292, 328, 334, 404, 432-433, 439, 557,<br />

588, 635, 641, 647-648, 659, 663, 732,<br />

856<br />

– primo, <strong>al</strong>to, 339, 342, 359, 387, 408,<br />

415, 435, 549, 555, 562-563, 587, 604,<br />

657, 660, 857-858<br />

– ment<strong>al</strong>ità, 384, 393, 447, 563<br />

– or<strong>d<strong>al</strong></strong>ia, duello, 408, 770<br />

– ospit<strong>al</strong>ità, 342, 347<br />

– ottoniana, 600<br />

– Quattrocento, 10, 12-14, 488, 590, 608,<br />

613-615, 618-619, 626, 629, 633, 636,<br />

640, 646-647, 651-653, 659, 660-662,<br />

715, 739, 777-778, 854, 856<br />

– rinascimento giuridico, 554<br />

– romanzo, cav<strong>al</strong>leresco bizantino, 157<br />

– greco mediev<strong>al</strong>e, 157<br />

– signorile, 583<br />

– Trecento, 6-7, 11, 14, 317, 329, 485,<br />

592-594, 608, 613, 615-616, 618-619,<br />

626-627, 632, 636, 640, 642, 645, 652,<br />

655, 658-661, 673, 853-854, 856-858<br />

– vinificazione, v.<br />

– moderna, 605-606, 679, 719, 750, 777,<br />

782, 784, 786, 790, 817, 819<br />

– Cinquecento, 618-619, 624, 654, 656,<br />

661, 715-717, 719, 722, 724-725, 728,<br />

731, 733, 735, 739-740, 745, 747-748,<br />

750, 777-778, 781, 784, 828<br />

– della riforma, 365, 370, 373<br />

– post-tridentina, 725<br />

– prima età, inizi, 657, 715-716<br />

– scrittori di agricoltura, 732<br />

– Seicento, 654, 724-725, 748- 750, 784-<br />

785, 818<br />

– Settecento, secolo dei lumi, 724, 784,<br />

786, 818, 854<br />

– società, 750<br />

– trattatistica agronomica, v. agronomia<br />

– mongola, 181<br />

– patristica, 200<br />

– preromana, 591<br />

– romana, 500, 586, 591, 784<br />

– augustea, 587<br />

etichetta, pittacium, 163, 528<br />

fame, carestia, 755, 763, 765<br />

feste, divertimenti e cerimonie laiche, v. anche<br />

pasti, banchetti, 600, 611, 855, 857<br />

– addobbamento del cav<strong>al</strong>iere, 559-560<br />

– amori, 600<br />

– armi, 600<br />

– b<strong>al</strong>dorie festaiole, 611<br />

– b<strong>al</strong>li, 561<br />

– cacce, 600<br />

– canti, 561<br />

– carnev<strong>al</strong>e bizantino, 149<br />

– curia, 559, 560<br />

– giostre, 600<br />

– spettacoli con l’orso, 402<br />

– tornei, torneamenta, 559-561<br />

947


948<br />

festività e ricorrenze, 216, 225, 231-232, 237-<br />

238, 240, 248, 255, 275, 281, 286, 291, 304,<br />

311-312, 376, 392-393, 403, 474-475, 558,<br />

726, 850<br />

– anniversari, 281<br />

– anno sabbatico, 422<br />

– santo, del giubileo, giubilare, 423, 610,<br />

619- 621, 623-624<br />

– ascensione, 432<br />

– avvento, 313, 339<br />

– del patrono, 856, 859<br />

– die ephiphaniorum, 360<br />

– dies nat<strong>al</strong>is (del defunto), 280<br />

– domeniche, 206, 215-216, 219-220, 223,<br />

225, 240, 248, 254-255, 290, 295, 313, 347,<br />

602, 766, 769, 774-775<br />

– delle p<strong>al</strong>me, 313<br />

– processioni domenic<strong>al</strong>i, 294<br />

– giovedì santo, 254, 281-283, 293, 313-314,<br />

316, 432, 438, 453, 469, 849<br />

– liturgiche, 236<br />

– lunedì santo, dell’angelo, 469, 849<br />

– mercoledì santo, 469<br />

– Nat<strong>al</strong>e, Nat<strong>al</strong>is Domini, 57, 66, 235-237,<br />

240, 256, 298, 447, 545, 558<br />

– notte, 298<br />

– pagane, 440<br />

– Pasqua del Signore, tempo pasqu<strong>al</strong>e, 57,<br />

196, 201, 203, 214, 223, 225, 228, 236-237,<br />

240, 253, 255-256, 288, 291, 303, 333-334,<br />

447, 769, 774<br />

– Pentecoste, 240, 256<br />

– quaresima, quadragesima, 228, 235-236,<br />

241, 248, 254, 272, 281, 291, 312-313,<br />

315-316, 320, 339, 398<br />

– degli apostoli Pietro e Paolo, 457<br />

– della Dormizione della Theotokos (1-<br />

14/VIII), 457<br />

– di Nat<strong>al</strong>e (15/IX-24/XII), 457<br />

– di Pasqua, 457<br />

– predicazione quaresim<strong>al</strong>e, 196<br />

– ricorrenza, anniversario dei morti, 402<br />

– san Biagio, 433<br />

– san Giovanni evangelista, 433<br />

– ante Portam latinam (6 maggio), 447<br />

– Minne di san Giovanni (27 dicembre),<br />

440, 447, 450-452<br />

– san Nicola, 319<br />

– san Remigio, 287<br />

– san Sisto martire (6 agosto), 295, 432<br />

– sancte Marie de vendumia, 581<br />

– santa Maria (8 settembre), 9<br />

– Assunta, 256<br />

– santi Pietro e Paolo, 256<br />

– santo Stefano, 287<br />

– settimana santa, maggiore, 256, 282, 469<br />

– Teofania (6 gennaio), 462, 471<br />

– trasfigurazione del Signore, 295<br />

– venerdì santo, 294, 430-431<br />

filologia, 488<br />

– erudizione filologica dell’umanesimo, 726<br />

filosofia, 188, 668, 670, 681, 686, 727<br />

– bacchica, v. anche letteratura, carmi, 753<br />

– epicureismo, edonismo, 493, 757, 762<br />

– epistemologia, 667<br />

– etica, 486<br />

– etrusca, 840<br />

– greca, 840<br />

– logica, 419<br />

– materi<strong>al</strong>ismo, 762<br />

– mor<strong>al</strong>e cristiana, 486<br />

– psicologia platonica, 213<br />

fisco, fisc<strong>al</strong>ità, 502-503, 612, 632-633, 659, 800<br />

– barriere dogan<strong>al</strong>i, 652, 591, 595<br />

– catasti, estimi, 595, 616, 781, 785, 794, 807<br />

– cittadina, 568, 580, 583<br />

– entrate, gettito fisc<strong>al</strong>e, 610, 612, 616,<br />

632<br />

– organizzazione fisc<strong>al</strong>e, 630-631<br />

– stime <strong>al</strong> tino, 595<br />

– controllo daziario, 662<br />

– diritti fisc<strong>al</strong>i, 629<br />

– documentazione fisc<strong>al</strong>e, daziaria, 634,<br />

648, 651, 653<br />

– erario, 616<br />

– descriptio vinorum, 648<br />

– imperi<strong>al</strong>e romano, 502-503<br />

– pubblico erario, 502<br />

– esenzioni, 150, 269<br />

– frodi fisc<strong>al</strong>i, 612-613, 616<br />

– funzionari, susceptores vini, 502<br />

– obblighi, contribuzioni, pesi fisc<strong>al</strong>i, 69,<br />

132, 134, 580, 607<br />

– organizzazione fisc<strong>al</strong>e, 503, 630-631<br />

– patrimonio fisc<strong>al</strong>e dei monarchi, 544<br />

– potere fisc<strong>al</strong>e, 638<br />

– prelievo fisc<strong>al</strong>e, 635<br />

– regime daziario, 612<br />

– fisc<strong>al</strong>e, 628


– rendita, brutta, 800<br />

– censuaria, 800<br />

– signorile, 577<br />

fiumi, torrenti, 22-23, 33, 41-42, 45-46, 50, 54,<br />

59, 61, 65, 72, 80, 92, 97-100, 102, 105, 107,<br />

111, 114, 134, 137, 143, 152, 169, 206, 379,<br />

468, 589, 613, 639, 652, 654, 659-660, 743,<br />

748<br />

– acqua dolce, 661<br />

– foci, 614<br />

FONTI (edite), 151, 219, 242, 275, 367, 569, 817<br />

– Ann<strong>al</strong>es Brixienses, 570<br />

– Antidotarium Nicolai, 678, 703<br />

– Antiquiores consuetudines, 253<br />

– apocrifi, 440, 444<br />

– Apologia, di san Bernardo, 314<br />

– di san Giustino, 425<br />

– Apothegmata Patrum, 213, 326, 394<br />

– Book, of Cerne, 443<br />

– of Nunnaminster, 443<br />

– brani patristici, 372<br />

– Canones Apostolorum, 368<br />

– canoni di concili, 372<br />

– canonistiche, 373-374, 387, 414-415<br />

– capitolari, 372-373<br />

– carolingi, 395<br />

– capitula episcoporum, 372<br />

– Capitulare de villis, 28, 94, 544-545<br />

– di Erardo di Tours, 380<br />

– I di Incmaro, 402<br />

– carmina burana, 486, 547, 555-556, 599<br />

– potatoria, 491<br />

– cartulari monastici, 321<br />

– Clementinae, 395, 414<br />

– Codex purpureus, 260<br />

– Collectio Anselmo dedicata, 368<br />

– canonum del cardin<strong>al</strong>e Deusdedit, 371<br />

– canonum di Anselmo di Lucca, 370<br />

– capitularium di Ansegiso abate di Fontanelle,<br />

368<br />

– Dacheriana, 368, 413<br />

– Dioniso-Hadriana, 413<br />

– Hibernensis, 368, 393<br />

– Polycarpus, 370<br />

– tripartita, 369-370, 398<br />

– V librorum, 371<br />

– Commentaria dell’Ostiense, 397<br />

– Commentarium in Regulam Benedicti, Florilegium<br />

Casinense, 242<br />

– Compilatio Assisiensis, 336-337<br />

– V (Compilatio), 385<br />

– Concordia discordantium canonum, 368, 372,<br />

395, 397-399, 405, 417<br />

– regularum, 306<br />

– Consuetudines dell’abate di Bec, 253<br />

– di Cluny, 312<br />

– Corpus hippocraticum, v. anche medicina,<br />

676, 707<br />

– Cronica di S<strong>al</strong>imbene de Adam, 601<br />

– De administratione dell’abate Sugero, 260<br />

– De adventu fratrum minorum in Anglia, 339<br />

– De antiquis Ecclesiis ritibus libri tres, 451<br />

– De captivitate babylonica ecclesiae di Lutero,<br />

478<br />

– De consideratione quintae essentiae di G. da<br />

Rupescissa, 669-670, 858<br />

– De flore dietarum, v. anche medicina, 683,<br />

689, 691-692, 697-699<br />

– De sacramentis di sant’Ambrogio, 479<br />

– De sacro <strong>al</strong>taris mysterio, 278<br />

– De situ civitatis Mediolani, 362<br />

– De syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis, 368, 374, 379, 392,<br />

395, 402, 406, 414<br />

– De vinis di Arn<strong>al</strong>do da Villanova, 665, 667,<br />

669, 671-672, 858<br />

– De virtitubus sancti Martini di Gregorio di<br />

Tours, 360<br />

– Decreta di Lanfranco di Carterbury, 253<br />

– decret<strong>al</strong>i dei pontefici, 372, 374, 384-385,<br />

388, 390, 393, 398, 401, 404, 410-411<br />

– unica testimonianza canonistica, 376<br />

– Decret<strong>al</strong>i Pseudo-Isidoriane, 368, 374<br />

– Decreto di Ivo di Chartres, 388, 395<br />

– Decretum Burcardi, Decreto di Burcardo,<br />

368-372, 377, 395, 400, 416, 600<br />

– Gratiani, Decreto di Graziano, 368, 373,<br />

377, 396, 402, 410, 414, 418, 420, 431,<br />

480, 600<br />

– Disputa del vino e dell’acqua,48<br />

– Editto di Rotari, 540-543, 564, 566, 582<br />

– Esempi di Giordano da Pisa, 338<br />

– Etymologie di Isidoro di Siviglia, 377<br />

– Euchologium Sinaiticum, 463<br />

– Excarpus Bedae-Egberti, 401<br />

– Expositio dell’abate Smaragdo di Saint-<br />

Michel, 240<br />

– in regulam s. Benedicti, 240, 242<br />

– f<strong>al</strong>sificazioni, 372<br />

– florilegi, 336<br />

949


950<br />

– frammenti biblici, fragmenta Patrum, 365,<br />

372, 374<br />

– Historiae di Gregorio di Tours, 356<br />

– In laudem Iustini, carme di Corippo, 356<br />

– Institutiones di Cassiano, 223<br />

– latine classiche, 396<br />

– Le thresor de santé, v. anche medicina, 707<br />

– Legenda perusina, 337<br />

– Lex Visigothorum,69<br />

– XII Tabularum, 524<br />

– Liber, censuum, 383<br />

– consuetudinum del comune di Milano,<br />

572-574<br />

– de misericordia et iustitia di Algero di Liegi,<br />

370<br />

– de sacramento eucharistiae, 482<br />

– de usanciis del comune di Brescia, 547,<br />

550, 567<br />

– de vita christiana di Bonizone di Sutri, 371<br />

– extra, 366, 388, 392, 395<br />

– in gloria confessorum di Gregorio di Tours,<br />

358<br />

– ordinarius, 453-455<br />

– pontific<strong>al</strong>is, 295, 380<br />

– sacerdot<strong>al</strong>is, 452<br />

– sextus di Bonifacio VIII, 395, 420<br />

– tramitis, 253, 256, 261<br />

– Libri duo de syno<strong>d<strong>al</strong></strong>ibus causis dell’abate<br />

Reginone di Prüm, 367<br />

– feudorum o leggi imperi<strong>al</strong>i, 366, 389<br />

– libri, registri, 638, 825<br />

– <strong>al</strong>berghieri, 608<br />

– cerimoni<strong>al</strong>i della messa, 426<br />

– contabili, 608-609<br />

– della muda di Conegliano, 662<br />

– della penitenza, 365, 393<br />

– delle gabelle, daziari, v. anche fisco,<br />

fisc<strong>al</strong>ità, 609, 613-615, 634, 660<br />

– descriptiones vini, 661<br />

– di bottega (quaderni di cassa, brogliacci,<br />

registri dei debitori e creditori), 607-<br />

609, 634<br />

– di commercio, 608<br />

– di commercianti di vino, 609, 619<br />

– di condanne, 633<br />

– documentazione daziaria, v. anche fisco,<br />

fisc<strong>al</strong>ità, 653<br />

– Gabella vini forensis ad minutum, 622-<br />

623<br />

– liturgici, 443-444<br />

– Pacta daciorum Camere duc<strong>al</strong>is Brixie, 632<br />

– penitenzi<strong>al</strong>i, 372-373, 395<br />

– Rechnungsbüchern, 655<br />

– vinearii, 650<br />

– Medicina Plinii, 702<br />

– Ménagier de Paris, 707<br />

– Miracula di Rofillo di Forlimpopoli, 351-352<br />

– di Romarico, Amato e Adelfo, 350<br />

– di Sacerdote di Limoges, 349<br />

– Monachikos, 213<br />

– Mor<strong>al</strong>ia in Job, 391<br />

– Narratio de rebus Armeniae, 468<br />

– Nuovo receptario composto <strong>d<strong>al</strong></strong> famosissimo chollegio<br />

degli eximii doctori della arte et medicina<br />

della inclita città di Firenze, 704<br />

– Ordo monasterii, 219<br />

– Romanus primus, 426, 430<br />

– Panormia di Ivo di Chartres, 370<br />

– Passio Thebeorum di Sigeberto di Gembloux,<br />

360<br />

– passionari, 443<br />

– Passione di san Verecondo, 337<br />

– Poenitenti<strong>al</strong>e ecclesiarum Germaniae, 369<br />

– Quadripartitus, 416<br />

– Pontific<strong>al</strong>e Romano, 295, 431, 433-435, 437-<br />

438<br />

– Quadripartitus (penitenzi<strong>al</strong>e), 368<br />

– Recensio Basilii abbatis, 242<br />

– Redactio Virdunensis, 283, 317<br />

– Regimen sanitatis S<strong>al</strong>ernitanum, Regola sanitaria<br />

s<strong>al</strong>ernitana, 683, 687, 690, 695, 697-699<br />

– Registrum di papa Gregorio VII, 383<br />

– epistolarum di papa Giovanni VIII, 369<br />

– regole monastiche, v. anche monachesimo,<br />

365, 372, 374<br />

– Regula di Pietro il Venerabile, 315<br />

– di san Benedetto da Norcia, 227<br />

– Magistri, 221, 223, 227, 231<br />

– Regulas cuiusdam Patris, 221<br />

– Ritu<strong>al</strong>e Augustanum, 449<br />

– Graecorum, 457<br />

– romano, Ritu<strong>al</strong>e Romanum, 438, 452<br />

– ritu<strong>al</strong>i liturgici a stampa, 451<br />

– mediev<strong>al</strong>i, 435<br />

– Rosarium Philosophorum di Arn<strong>al</strong>do da Villanova,<br />

672<br />

– Sacerdot<strong>al</strong>e Romanum, 451<br />

– scrittori di agricoltura, 727<br />

– ecclesiastici, 372<br />

– Sermo contra Auxentium di Ambrogio, 382


– Sermones ad Fratres Minores, 337<br />

– Soliloqui di sant’Agostino, 442<br />

– Speculum perfectionis, 336<br />

– statutarie, v. statuti<br />

– Statuti bresciani del XIII secolo, 568<br />

– Summa aurea, 397<br />

– Theologiae di san Tommaso, 480<br />

– Tacuinum sanitatis, 686, 690, 693, 697<br />

– Tituli G<strong>al</strong>licani, 356<br />

– Tractatus canonico-mor<strong>al</strong>is de sacramentis, 483<br />

– de acqua vitae simplici et composita di A. da<br />

Villanova, 671, 858<br />

– de sterilitate, 684, 689, 694, 702<br />

– Variae di Cassiodoro, 358<br />

– Vita Antonii, 213, 329<br />

– Benedicti abbatis Anianensis et Indensis, 205,<br />

206<br />

– di Adelfo di Metz, 354<br />

– di Amato vescovo di Nusco, 353<br />

– di Crotilde, 352<br />

– di Glodesinda, 349<br />

– di Guido degli Strambiati, 291<br />

– di Ilario di Arles, 219<br />

– di Pardolfo di Guéret, 360, 364<br />

– di Ugo di Semur, 252<br />

– Frodoberti, 349<br />

– metrica di Landelino, 360<br />

– Radegundis di Idelberto di Lavardin, 347<br />

– Rig<strong>al</strong>dina di Antonio da Padova, 354<br />

– sancti Martini di Venanzio Fortunato,<br />

355<br />

– Vitae fratrum di Gerardo di Frachet, 338<br />

– Patrum, 285, 329-330, 335, 338<br />

– Romu<strong>al</strong>di, 330<br />

fonti iconografiche, 39<br />

frutta e verdura, 74, 170, 181, 237, 309, 323,<br />

433, 439, 487, 835<br />

– agrumi, 68<br />

– <strong>al</strong>bicocche, 170<br />

– Atriplex hortensis, 307<br />

– silvestris, 307<br />

– bietolone rosso, 307<br />

– castagne, marroni, 698, 758, 762-763<br />

– cavoli, caules, 148, 278, 741<br />

– ciliege, 170<br />

– cherriscibere, 295<br />

– uvas arborum, 295<br />

– cipolle, 766<br />

– citoniae, 692<br />

– datteri, 148, 168, 170, 307, 523<br />

– erba rapa, 307<br />

– erbe aromatiche, v. anche spezie, 272, 300,<br />

306-307, 309, 312<br />

– fagioli, 142<br />

– fave, 282, 295, 380, 432<br />

– fichi, 170, 182, 523<br />

– finocchio, 320<br />

– fresca, 235<br />

– gëmuse (verdura), 160<br />

– granatae, 692<br />

– lenticchie, 148, 244<br />

– melagrane, 298, 307<br />

– melanzana, 178<br />

– mele, 148, 337, 745<br />

– cotogne, 587, 741<br />

– selvatiche, 307, 545<br />

– meloni, 698<br />

– mirtillo, foglie di, 705<br />

– more, 170, 298, 307, 545, 692<br />

– pere, 270, 307, 545, 698, 745<br />

– pesche, 698<br />

– prugne, 588, 698<br />

– sedano, 320<br />

– uva, v.<br />

– zucche, 698, 764<br />

fumo (di sigaretta, sigaro o pipa), 753<br />

fuoco, 83, 142, 144, 173, 176-177, 183, 206, 211,<br />

218, 479, 525, 529, 602, 608, 668-669, 671,<br />

686, 703, 765, 858<br />

– brace, 144<br />

– fiamma, 487, 525<br />

– vicario del sole, 669<br />

gemme, acquamarina, 260<br />

– ametiste, 198<br />

– indiane, 198<br />

– preziose, 260<br />

genne, fertilizzante, v. anche concimi, 53<br />

gesso, 8, 321, 526-527, 528<br />

Ghiostra ton politicon (Boule), 158<br />

giochi, svaghi, 486, 562, 599, 601, 603-604, 611,<br />

617, 723, 725, 754<br />

– carte, 605, 760<br />

– con i giullari, 402<br />

– d’azzardo, giocatori, 414, 582, 601, 606,<br />

613, 618, 631<br />

– dadi, <strong>al</strong>earum ludus, 375, 599, 603-605, 618,<br />

759-760<br />

951


952<br />

– danze, 402<br />

– dei viaggiatori, commonovolon, 375<br />

– delle tavole, 618<br />

– di abilità con le armi, 536<br />

– ludum buscatie, 632<br />

– mascherate, t<strong>al</strong>amascae, 402<br />

– morra, 758<br />

– proibiti, 577<br />

– scommesse, 603<br />

– species ludi, 618<br />

– turpia ioca, 402<br />

gioielli, 588<br />

giorno, giornata, 6, 87, 99, 130, 141, 166, 173,<br />

176-177, 179, 196, 198, 204, 207, 216-218,<br />

226-228, 230, 234-235, 238-240, 249, 254,<br />

257-258, 260, 265, 268, 276, 278, 283, 286-<br />

288, 292, 294, 296, 299, 304, 326, 335, 353,<br />

360, 424, 433, 442-443, 458, 511-512, 514,<br />

525, 569, 583, 603, 701, 765, 771<br />

– del Signore, v. festività, domeniche<br />

– del sole, 425-426<br />

– di Pasqua, v. festività, 214<br />

– giorno, dì, 168, 568, 617, 766, 770, 831<br />

– mattina, mattino, 146, 149, 255, 258, 410,<br />

856<br />

– memori<strong>al</strong>e dei defunti, 277, 282<br />

– notte, 140- 142, 149, 172, 176, 179, 256,<br />

299, 360, 410-412, 426, 537, 559, 568-569,<br />

575-576, 618, 668-669, 762, 831<br />

– ore, 752<br />

– decima, 223, 225<br />

– mezzogiorno, 179, 223, 236-237, 241,<br />

248<br />

– nona, 223- 225, 247-248, 308, 454<br />

– ottava, 247<br />

– piccole, 752<br />

– ser<strong>al</strong>i, 600<br />

– sesta, 223-224, 248<br />

– terza, 278, 453<br />

– pomeriggio, meriggio, 768, 850<br />

– sera, 140-142, 223, 236-237, 254, 300,<br />

317, 603, 666-667, 760, 774-775, 851<br />

giurisdizioni territori<strong>al</strong>i:<br />

– contado, distretto, circondario, mandamento,<br />

territorio, muda, 79, 362, 552, 555,<br />

560, 567, 569, 575-576, 579, 581, 589,<br />

607-608, 611, 613, 619, 628-629, 631, 633,<br />

636, 648-649, 651, 658-659, 662-663, 716,<br />

724, 743, 795-796, 800, 802, 817<br />

– bresciano, 777-778, 783, 791-794<br />

– corte, 581<br />

– podesteria di S<strong>al</strong>ò, Magnifica Patria, 783<br />

– provincia, 79, 149, 362, 533, 807<br />

– bresciana, 777-783, 785-786, 792, 794,<br />

797-798, 801-802, 806, 807<br />

– provincie Romani nominis, 362<br />

– vescovado, episcopatu, 576<br />

gozzoviglie, 148<br />

greggi, v. anche anim<strong>al</strong>i<br />

guerre, vicende, eventi bellici, 47, 68, 127, 139,<br />

233, 569, 588, 659, 716, 755, 757, 765, 777<br />

– battaglia del grano, 789, 810<br />

– conflitto mondi<strong>al</strong>e (II), 813<br />

– contro i sassanidi, 159<br />

– contro l’Islam, 82<br />

– dei Cento anni, 55, 57, 62, 65<br />

– dei Trent’anni, 103<br />

– dei vini, 17, 28, 43, 64<br />

– dogan<strong>al</strong>i, 789, 804<br />

– giusta, 407, 416<br />

– greco-gotica, 232-233<br />

– in Francia, 47<br />

– in G<strong>al</strong>lia, 22<br />

– in Spagna, 83<br />

– primo conflitto mondi<strong>al</strong>e, 806-807<br />

icone, 588<br />

Impero, 535, 543<br />

– carolingio, 98, 234, 381, 406-407, 544<br />

– cristiano, 154<br />

– germanico, 91<br />

– latino (1204-1261), 149<br />

– leggi imperi<strong>al</strong>i, 383<br />

– ottomano, 134-135<br />

– renovatio imperii, 159<br />

– romano, 70, 92, 95, 98, 119<br />

– d’Occidente, senato, senatori, 427<br />

– d’Oriente, o bizantino, 139, 153, 159-<br />

160, 589-590<br />

– eparca, 142, 161<br />

imposte e tasse, 23, 35, 52, 85, 95, 112, 119, 131,<br />

577<br />

– bollette, dazi del vino, datium, vinum gabellatum,<br />

119, 575-576, 582, 583, 588, 593, 612,<br />

614-615, 622, 628-629, 631-632, 634, 648,<br />

651-653, 657, 660, 662, 772-773, 804<br />

– bonvin (diritto di), 27<br />

– buscaticum, 576<br />

– censi, 656


– comergium, 137<br />

– decime, 240, 381-384<br />

– diritti di dogana, 54, 502<br />

– donazione di vino (imposta sul vino, vinaiolo),<br />

131, 132<br />

– dopo i torchi, 131<br />

– esazioni, 544<br />

– esenzioni, 628, 631<br />

– dogan<strong>al</strong>i del vino, 269<br />

– evasori, 612<br />

– fodro, fodrum, 363, 550<br />

– imposte:<br />

– predi<strong>al</strong>e, 800<br />

– regie, 800<br />

– sul commercio <strong>al</strong> minuto, 617<br />

– limitazioni dogan<strong>al</strong>i del vino, 269<br />

– pedaggi, pedagium, 41, 576<br />

– del vino, 21, 50, 628<br />

– pontaticum, 576<br />

– privilegi dogan<strong>al</strong>i del vino, 111, 269<br />

– regime daziario, 612<br />

– rivaticum, 576<br />

– tariffe daziarie, dogan<strong>al</strong>i, 593, 618, 622,<br />

626<br />

– tassazione, 616, 631<br />

– del vino, issac, arca vinaria, 54, 384, 502-<br />

503, 543<br />

– abusi, 543<br />

– teloneo, teloneum, 41, 576, 581, 628<br />

incendio, 206<br />

incenso, 280, 380, 454, 466<br />

inchiostro, 446<br />

indulgenza giubilare, 621<br />

Islam, religione di Maometto, musulmani, 73,<br />

83, 135, 165, 169, 172, 174, 180, 182, 190,<br />

466, 855<br />

– agronomi persiani, 181<br />

– arabi, 68, 71, 159, 167, 173, 175, 181, 183-<br />

185, 187, 855<br />

– espansione araba, 358<br />

– preislamici, 174<br />

– avanzata turca, 489<br />

– beduini, 855<br />

– civiltà arabo islamica, 165, 190, 855<br />

– coltivazioni arabe, 854<br />

– concorrenza araba sul mare, 160<br />

– conquista islamica, 67<br />

– Corano, 169, 170-171, 178, 180, 186-187,<br />

191, 709, 855<br />

– digiuno del ramadan, 171<br />

– dominazione musulmana, arabo-musulmana,<br />

73<br />

– araba in Sicilia, 855<br />

– era islamica, 175<br />

– guerra (contro l’), 82<br />

– legge islamica, sharî’a, 180, 190<br />

– divieto, interdizione di consumo:<br />

– di bevande fermentate, 358<br />

– di vino, 7, 134-135, 855<br />

– letteratura araba, 855<br />

– pirateria, 160<br />

– poesie mistiche, 177-178<br />

– poeti, v. arti, mestieri<br />

– pozzo sacro, 178<br />

– religione, fede islamica, 171, 586<br />

– Sunna (tradizione musulmana), 169-170<br />

– tecniche e sis<strong>temi</strong> agricoli musulmani, 79<br />

– tradizioni agricole arabe, 83<br />

– trattati arabi di agricoltura, Kitâb <strong>al</strong> filâba,<br />

74, 180<br />

– vinificatori arabi, metodo di vinificazione,<br />

183-184<br />

– vino consumato in Arabia, 170<br />

– vino nella cultura arabo-musulmana, 73, 855<br />

isole, 14, 57, 68, 149-150, 206, 320, 347, 393,<br />

491, 592, 646, 834, 837<br />

istituzioni, enti, 660<br />

– ecclesiastici, 384, 385, 415, 638, 640, 777,<br />

857<br />

– abusi o truffe <strong>al</strong>le istituzioni, 380<br />

– beni, bona, 391<br />

– in<strong>al</strong>ienabili, 380, 382<br />

– Congrega di carità apostolica, 807-808, 817-<br />

818<br />

– di carità, 817<br />

– diocesi, 262, 440, 447, 544<br />

– formazione del clero, 412<br />

– monasteri, 295, 777<br />

– musei diocesani, 266<br />

– patriarcato costantinopolitano, 151<br />

– prevostura agostiniana, 601<br />

– proprietari di taverne, 600-601<br />

– di vigne, 28, 61, 101, 103, 116, 322,<br />

375, 477, 580, 782<br />

– repubbliche marinare it<strong>al</strong>iane, 161<br />

– sedi vescovili, 600<br />

– seminari diocesani, 412<br />

– tribun<strong>al</strong>i, sino<strong>d<strong>al</strong></strong>e o ecclesiastico, 151<br />

– laici, 638<br />

– amministrazione dell’<strong>al</strong>ta giustizia, 408<br />

953


954<br />

– annona, 502<br />

– assemblea del placito, 408<br />

– autorità pubblica, 407<br />

– banche, banchi, 623<br />

– camere di commercio, 808, 816<br />

– casa del vino della lega Anseatica, 112<br />

– castellanie sabaude, 10, 603, 649<br />

– comune, comunità, amministrazioni<br />

comun<strong>al</strong>i, 8-9, 33, 53-54, 61, 390, 548,<br />

551, 556, 563, 566, 569, 573-574, 577,<br />

580, 589, 607, 629-631, 639, 648, 659,<br />

662, 779<br />

– <strong>al</strong>berghi, hospitium comunis, 631<br />

– assemblee cittadine, 557, 560<br />

– autorità cittadine, 572, 611-612<br />

– bilancio cittadino, 631<br />

– campario, 566<br />

– capitani, 568<br />

– consiglio, consiglio gener<strong>al</strong>e, 547,<br />

551, 567, 576-577, 582, 649, 654<br />

– console, 550, 552, 567, 607-608, 617<br />

– consules mercatorum, 567<br />

– controllo di pesi, misure, orari, prezzi,<br />

632<br />

– correctores, 574<br />

– custodi delle porte, custodes portarum,<br />

568, 581<br />

– descriptio vinorum, 648<br />

– estimatori, 548, 550<br />

– funzionari cittadini, 648<br />

– gabella delle porte, 616-617<br />

– governi cittadini, 653<br />

– legislazione comun<strong>al</strong>e, 628<br />

– locande comun<strong>al</strong>i, 631<br />

– matricola dei mercanti, 568<br />

– normativa sul vino, 631<br />

– notai del comune, 581<br />

– organizzazione territori<strong>al</strong>e, 569<br />

– podestà, podesteria, 547, 551, 570,<br />

575-576, 581, 629, 632, 661, 759<br />

– politica daziaria, 661-662<br />

– municip<strong>al</strong>e, 653<br />

– privativa sul vino, 631<br />

– regime daziario, 612<br />

– rettori, 556, 570, 575-580, 631<br />

– azione amministrativa, 564<br />

– azione annonaria, 564, 630<br />

– azione di pubblica sicurezza, 564<br />

– statuti cittadini, comun<strong>al</strong>i, v. statuti<br />

– ufficio, uffici<strong>al</strong>i delle gabelle, gabellieri,<br />

609, 612, 614, 653<br />

– gabellatori del vino, 582-583<br />

– vexillifer, 570<br />

– consorzi vinicoli bresciani, 815<br />

– antifillosserico, 805- 808<br />

– grandinifughi, 808<br />

– cooperative, 808<br />

– vinicole bresciane, 813<br />

– corporazioni, 108, 161, 503, 563, 610,<br />

613<br />

– arte dei tavernieri, 630<br />

– dei vinattieri, 617<br />

– console, 549<br />

– dieta (assemblea nobiliare), 127<br />

– dogana di terra, 623-624, 646<br />

– marittima, 621, 624<br />

– funzionari, canonicarius Venetiarum, 533-<br />

534<br />

– cassieri stat<strong>al</strong>i, 503<br />

– centenari, 544<br />

– console, 549, 552, 567, 607-608, 617<br />

– finanziari, 533-534<br />

– gast<strong>al</strong>di, 544<br />

– ministeri<strong>al</strong>es, 544<br />

– pretore, 524<br />

– proconsole, 442-443<br />

– vicari, 544<br />

Coutume,(Grande) des vins, 54, 57<br />

– (Petite) des vins,54<br />

– lazzaretto, 764<br />

– lebbrosari, 699, 711<br />

– Lega dei Mercanti d’Acqua (Hanse des<br />

Merchands de l’Eau), 45<br />

– organizzazioni sindac<strong>al</strong>i dei lavoratori,<br />

809-810<br />

– ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i, v. anche monasteri, ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i<br />

monastici, 35, 87, 107, 287, 563, 588,<br />

778<br />

– amministrazione, 287<br />

– dei bambini abbandonati, 588<br />

– dei poveri, oblati, 588<br />

– domus infirmorum, 277, 279<br />

– armariolum, 277<br />

– dotazione dell’infermeria, 278<br />

– gestiti <strong>d<strong>al</strong></strong>la chiesa, 66<br />

– infermeria, 311<br />

– medic<strong>al</strong>izzazione dell’assistenza sanitaria,<br />

278<br />

– ospizi, hospitii, 448


– gestiti da comuni, 613<br />

– refettorio, 283<br />

– rettori, 287<br />

– xenodochia, hospit<strong>al</strong>ia, 278<br />

– potere regio, 408<br />

– principato vescovile, 655, 657<br />

– scuole agrarie, 807-808<br />

– di innesto, 806<br />

– vivai, 806<br />

– signorie, 662<br />

– sindici inquisitori, 662<br />

– sistema procedur<strong>al</strong>e inquisitorio, 408<br />

– Stato, dominio, Senato veneto, 720, 724,<br />

861<br />

– tribun<strong>al</strong>i, 524, 748<br />

– civile, 9<br />

– vescovile, 390<br />

– università, facoltà di medicina, 667<br />

junior-partners, 162<br />

Kammertbau (viticoltura), 92<br />

kapeleia, v. luoghi di accoglienza, taverne<br />

karm, 182<br />

Krasopateras, padre del vino, 151-152<br />

laghi, 100, 318, 743-744, 780<br />

– riviere dei, <strong>al</strong>te riviere, 796, 811<br />

latte, v. anche bevande, 396, 424<br />

– bagno nel, 379<br />

– natura sacra del, 379<br />

– rosso, 378-379<br />

lavori vari, v. anche arti, mestieri ed occupazioni,<br />

375<br />

– conservare, 831<br />

– cucinare, cottura, frittura, 831, 834<br />

– opere servili, operae servilia, 375-376<br />

– restauro della chiesa abbazi<strong>al</strong>e, 264<br />

leggende, v. anche miracoli, 445<br />

– del c<strong>al</strong>ice con il veleno, 440<br />

– del porco di Mac Datho, 379<br />

– di Abdia vescovo di Babilonia, 440, 444, 450,<br />

452-453<br />

– Passio sancti Iohannis evangelistae, 444<br />

legno, legna, legname, 91, 95, 126, 162, 184,<br />

257, 258, 264-266, 491, 526, 528, 542, 578,<br />

588, 668, 748, 784, 796, 827, 832-834<br />

– <strong>al</strong>bera, 831<br />

– contenitori, 827<br />

– da ardere, 779<br />

– di abete, paghera, 828-831<br />

– di ciliegio, 833<br />

– di noce, 826, 828-829, 833<br />

– di rovere, 528, 856<br />

– di quercia, 127<br />

– di sughero, 528, 849, 854<br />

– di vite, 526<br />

– in bulgaro, 829-830<br />

– prezzo, 784, 793<br />

– scandola, 542<br />

LETTERATURA, 67, 157, 183, 187, 191, 196, 209,<br />

261, 285, 486, 491, 562, 680, 683, 685, 693,<br />

701, 707-708, 732, 735, 746, 749<br />

– agiografica, v. anche agiografia, 285<br />

– aulica, 486<br />

– carmi<br />

– carme bacchico, 172, 180, 187<br />

– classica greca e latina, autori, testi classici<br />

greci e latini, 485, 488, 715-716, 719-721,<br />

725-728, 731-733, 739-740<br />

– ellenistica cristiana, 209<br />

– elogio del vino, 752<br />

– enologica, sul vino, 495, 607, 751, 759, 832<br />

– eroe cortese, 569<br />

– humanae litterae, 485<br />

– it<strong>al</strong>iana moderna, dell’Ottocento, 751<br />

– libri oeconomicorum pseudoaristotelici, 750<br />

– mediev<strong>al</strong>e, 486, 562<br />

– monastica, 261, 285<br />

– opere letterarie, 752<br />

– Agostinetti Fabio, Cento e dieci ricordi che<br />

formano il buon fattor di villa, 749<br />

– Alamanni Luigi, La coltivazione, 747<br />

– Allegri Fabio, Instruttione <strong>al</strong> fattore di campagna,<br />

749<br />

– Bacci Andrea, De natur<strong>al</strong>i vinorum historia...,<br />

495, 742, 745<br />

– Barpo Giovan Battista, Le delitie e i frutti<br />

dell’agricoltura, 749<br />

– Bayguera Bartolomeo, Itinerarium, 626<br />

– Boerio Giuseppe, Dizionario di di<strong>al</strong>etto<br />

veneziano, 822<br />

– Boldo Bartolomeo, Libro della natura,<br />

739, 740<br />

– Bonardo Giovanni Maria, Le ricchezze<br />

dell’agricoltura, 723, 724<br />

955


956<br />

– Boncompagno da Signa, Boncompagnus,<br />

603<br />

– Bracciolini Poggio, De potatore, 489<br />

– De varietate fortunae, 489<br />

– Facetie, 489<br />

– Bussato Marco, Giardino di agricoltura,<br />

736<br />

– Prattica historiata dell’inestare gli arbori,<br />

736<br />

– Carducci Giosuè, Chiesa di Polenta, 753<br />

– San Martino, 753<br />

– Casa (della) Giovanni, G<strong>al</strong>ateo, 861<br />

– Cassiodoro, Variae, 533-534<br />

– Cervantes (de) Miguel, Don Chisciotte,<br />

605<br />

– Chanson de Guillaume, 560<br />

– Cicerone, De Republica, 501<br />

– Clementi Africo, Trattato dell’agricoltura,<br />

724<br />

– Coler Johann, Oeconomia ruraklis et domestica,<br />

749<br />

– Colonna Francesco, Hypnerotomachia<br />

Poliphili, 490<br />

– Columella, De agricoltura, 728<br />

– De cultu hortorum, 728<br />

– Conforti Girolamo, Libellus de vino mordaci,<br />

738-739<br />

– Crescenzi (de’) Pier, Liber rur<strong>al</strong>ium commodorum,<br />

594, 732<br />

– D’Annunzio Gabriele, Giovanni Episcopo,<br />

754<br />

– Novelle della Pescara, 754<br />

– Vergine Orsola, 754<br />

– Davanzati Bernardo, Coltivazione toscana<br />

della vite e degli <strong>al</strong>beri, 749<br />

– Diacono Paolo, Historia Langobardorum,<br />

537, 539<br />

– Dolce Lodovico, Lettere volgari, 747<br />

– Estienne Charles, Agricoltura nuova et casa<br />

di villa, 735<br />

– Le herbe, fiori, stirpi che si piantano ne gli<br />

horti, 734<br />

– Praedium rusticum, 749<br />

– Seminerio over plantario de gli <strong>al</strong>beri che si<br />

piantano..., 734<br />

– Vineto, 734<br />

– Evonymus, Tesauro, 737<br />

– F<strong>al</strong>cone Giuseppe, La nuova, vaga et dilettevole<br />

villa, 725, 748<br />

– Rimedii dove s’insegna molti et varii secreti<br />

per medicar bue, vacche..., 725<br />

– Folengo Teofilo, B<strong>al</strong>dus, 494<br />

– Macheronee, 490<br />

– Francesco d’Assisi, Fioretti, 566<br />

– G<strong>al</strong>lo Agostino, Le venti giornate dell’agricoltura,<br />

717-720, 747, 782<br />

– Geoponicae, raccolte di tradizione grecobizantina,<br />

728-729, 732, 746<br />

– Gioven<strong>al</strong>e, Satira V, 491<br />

– Herrera (de) Gabriel Alonso, Agricoltura,<br />

733<br />

– Isidoro di Siviglia, Etymologiae, 727<br />

– Konrad Heresbach, De re rustica, 749<br />

– Lancerio Sante, Della qu<strong>al</strong>ità dei vini, 495<br />

– Lemmens Lievens, De gli occulti miracoli et<br />

varii ammaestramenti..., 738<br />

– Leopardi Giacomo, Canti, 753<br />

– Operette mor<strong>al</strong>i, 753<br />

– Scommessa di Prometeo, 753<br />

– Zib<strong>al</strong>done, 753<br />

– Libri de re rustica, 727-728<br />

– Lollio Alberto, Lettera nella qu<strong>al</strong>e celebra la<br />

Villa et lauda molto l’agricoltura, 747<br />

– Manzoni Alessandro, Promessi sposi<br />

(anche Fermo e Lucia), 755, 757-759, 762,<br />

765, 771<br />

– Milio Voltolina Giuseppe, De hortorum<br />

cultura, 747<br />

– Pascoli Giovanni, Canti di Castelvecchio,754<br />

– Ciocco, 754<br />

– I tre grappoli, 754<br />

– Poemi convivi<strong>al</strong>i, 754<br />

– Myricae, 754<br />

– Solon, 754<br />

– Petrarca Francesco, Africa, 486<br />

– De vita solitaria, 486<br />

– Physica Plinii Bambergensis, 702<br />

– Piccolomini Enea Silvio, De curi<strong>al</strong>ium<br />

miseriis, 491<br />

– Pisanelli B<strong>al</strong>dassarre, Trattato della natura<br />

de cibi et del bere, 740<br />

– Plinio, Natur<strong>al</strong>is historia, 587<br />

– Polenton Sicco, Catinia, commedia, 490<br />

– Poliziano, Favola di Orfeo, 493<br />

– Porta Giovanbattista, Villae libri duodecim,<br />

749<br />

– Psello Michele, Encomio del vino, 555<br />

– Rubeis (de) Martino, Libro de arte coquinaria,<br />

493, 861


– Sacchi Bartolomeo <strong>al</strong>ias Platina, De honesta<br />

voluptate et v<strong>al</strong>etudine, 492-493, 861<br />

– Scriptores illustres Latinae linguae, 491<br />

– Secreta naturae, 737<br />

– Serres (de) Olivier, Theatree d’agricolture,<br />

749<br />

– Soderini Giovan Vittorio, Trattato della<br />

coltivazione delle viti, 749<br />

– Sperelli Andrea, Alcyone, 754<br />

– Piacere, 753- 754<br />

– Sturluson Snorri, Edda, 535-537<br />

– Taegio Bartolomeo, La villa, 746<br />

– Tanara Vincenzo, L’economia del cittadino<br />

in villa, 749<br />

– Tarello Camillo, Ricordo d’agricoltura, 717,<br />

719-721, 723<br />

– Tolomeo, Geografia, 489<br />

– Tortelli Giovanni, Vocabularium, 488<br />

– V<strong>al</strong>la Lorenzo, Elegantie, 488<br />

– Veldbaw (Der) oder das Buch von der Veldtarbeyt,<br />

730<br />

– Venuti Antonio, De agricoltura opusculum,<br />

731<br />

– Verga Giovanni, M<strong>al</strong>avoglia (I), 766-767,<br />

770, 772-773<br />

– Nedda, 766-767<br />

– Novelle rusticane, 766, 772; (Roba, 766);<br />

(Pane nero, 766-768, 773)<br />

– Vita dei campi, 766, 769; (Cav<strong>al</strong>leria<br />

rusticana, 769-770); (Jeli il pastore, 766);<br />

(Lupa!, 768); (Pentolaccia, 766); (Rosso<br />

M<strong>al</strong>pelo, 766)<br />

– otium letterario, 486<br />

– paesaggio epico, 569<br />

– patristica, 196, 486<br />

– poesia, 165, 754<br />

– cav<strong>al</strong>leresca, 569<br />

– epigramma convivi<strong>al</strong>e, 157<br />

– nawriyyât (composizioni poetiche), 178<br />

– pastor<strong>al</strong>e, 491, 569<br />

– produzione poetica in volgare, 747<br />

– ptocoprodromica, 147<br />

– prima opera di <strong>al</strong>imentazione, 492<br />

– romanzo, 762, 764, 771<br />

– cav<strong>al</strong>leresco bizantino, 157-158<br />

– d’amore, 156<br />

– greco mediev<strong>al</strong>e, 157<br />

– scrittori di agricoltura, 732<br />

– scrittura <strong>al</strong>colica, 752<br />

– stile latino, 728<br />

– Stilnovo, 178<br />

– umanesimo it<strong>al</strong>iano, 485, 488-491<br />

– celebrazione del vino, 488<br />

– cultura umanistica, 750<br />

– epistolografia, 489<br />

– erudizione filologica, 726<br />

– monopolio dell’educazione, 486<br />

– obiettivi pedagogici, 488<br />

– produzione di tipo comico, 489-490<br />

– speriment<strong>al</strong>ismo macaronico, 490, 494<br />

libertinaggio, rendi, 178<br />

lingue, francese, 719, 733<br />

– greco, 485, 529<br />

– it<strong>al</strong>iana, it<strong>al</strong>iano, 463, 735, 738<br />

– volgare, 488, 490, 494, 723, 729, 733,<br />

747<br />

– latino, 485, 488, 490, 494, 729, 733, 861<br />

– polacco, 733<br />

– rumeno, 124<br />

– tedesco, 730, 733<br />

luna, 174, 669<br />

luoghi di accoglienza, ristoro, mescita, incontro<br />

e svago, v. anche monasteri, abitazioni, cantine,<br />

10, 577-578, 581, 600, 606, 616, 801<br />

– <strong>al</strong>berghi, 614-615, 619-620, 623, 632-633,<br />

748<br />

– comun<strong>al</strong>i, 631<br />

– postribolo, 618<br />

– <strong>al</strong>berghi-locande, 604<br />

– bettole, 158, 175-177, 199, 269, 272, 413,<br />

725, 754, 772, 797<br />

– bordelli, postriboli, meretricum postribula,<br />

155, 603<br />

– enoteche, 751<br />

– locande, 145, 155, 158, 413, 415, 563, 607-<br />

608, 613-616, 625, 632, 821, 824-826, 831<br />

– comun<strong>al</strong>i, 631<br />

– pandocheion, 146<br />

– lupanari, domos inhoneste et impudicae, 413<br />

– osterie, 145, 150, 413-415, 490, 601-602,<br />

605, 619-621, 633, 649, 651, 751-752, 757-<br />

761, 764, 769-775, 797, 814<br />

– insegne, simboli, 620<br />

– taverne, tabernae, 145-146, 158, 277, 411,<br />

413-415, 486, 558, 577-578, 581, 583, 599-<br />

628, 630-634, 759, 771-772, 856, 861<br />

– ambiente polifunzion<strong>al</strong>e, 617<br />

– banco di mescita, 577, 605, 615<br />

957


958<br />

– berceau di frasche, 630<br />

– comun<strong>al</strong>i, 631, 633<br />

– domos inhoneste et impudicae, 413<br />

– infame tempio, 490<br />

– insegne, simboli, 613, 622-623, 625, 629<br />

– kapeleia, 142<br />

– luoghi di m<strong>al</strong>affare, 618, 626<br />

– orari di apertura e chiusura, 582, 613<br />

– tabernae sive hospitii, 601, 621-622<br />

– tavoli da gioco, 615<br />

– veneziane, 150<br />

– trattoria, 142<br />

lusso materi<strong>al</strong>e, 154<br />

magazzini, empori, fondaci, v. anche cantine<br />

– di vino, cellae, cellarios, v. anche cantine, 72-<br />

73, 342, 528, 545, 589, 789<br />

– genovesi, 319<br />

– metata, 161, 357<br />

– veneziani, 319<br />

maiolica, 826, 829<br />

m<strong>al</strong>ati, v. persone, infermi<br />

m<strong>al</strong>exardi (ghibellini), 547<br />

manodopera, 785, 795, 797<br />

MANOSCRITTI, v. anche fonti, letteratura, 151,<br />

219, 441, 448, 450<br />

– carte comun<strong>al</strong>i, 33<br />

– cartulari monastici, 28, 32<br />

– codice, 292 della Bibl. Marciana, 470<br />

– Barberini gr. 336 (eucologio), 458, 460,<br />

462, 469, 471-474<br />

– Bergamo, MA 507 (ex Gamma V.2), 682<br />

– gr. 279 della Bibl. Sino<strong>d<strong>al</strong></strong>e di Mosca<br />

(eucologio), 471<br />

– Grottaferrata G. b. IV (eucologio), 459,<br />

465<br />

– Grottaferrata G. b. VII (eucologio), 459<br />

– Grottaferrata G. b. X (eucologio), 461,<br />

463, 472<br />

– Madrid, 116-Z-31, 683<br />

– Mosca gr. 27, 462<br />

– Ottoboni gr. 344 (eucologio), 462<br />

– Oxford, Bodleian Auct. E.5.13 (eucologio),<br />

474<br />

– Oxford, Bodleian Libr. Add. B.1., 493<br />

– Paris Coislin 213 (eucologio), 459-461,<br />

471, 474-475<br />

– Sinai gr. 957 (eucologio), 472<br />

– Sinai gr. 959 (eucologio), 460, 475<br />

– Sinai gr. 973 (eucologio), 460, 471<br />

– Sorengo (CH), ms. 10, 682<br />

– St. Peterburg RNB, gr. 226 (eucologio),<br />

459, 472<br />

– Vaticano gr. 1554 (eucologio), 463<br />

– Vaticano gr. 1833 (eucologio), 460<br />

– Vaticano gr. 1970 (eucologio), 463, 470<br />

– Vindobonense B.N. 2207, 219<br />

– codici greci, 489<br />

– eucologi, v. anche manoscritti, 459-460<br />

– bizantino, 458, 462-463, 470, 472<br />

– it<strong>al</strong>o-bizantini, 460-461, 466<br />

– it<strong>al</strong>o-greci, 459-460, 463, 472<br />

– medio-orient<strong>al</strong>e, 460<br />

– Liber de vindemiis di Burgundio, 732-733<br />

– manu<strong>al</strong>i mediev<strong>al</strong>i, 445<br />

– Record Office (Public), 54<br />

– registri o libri obituari, 275<br />

– sacramentari romani, 295, 458<br />

mare, 14, 22, 43, 55, 65, 70, 81, 85, 160, 181,<br />

519, 527, 529, 589, 614, 622, 626, 642, 646-<br />

647, 693, 697, 704, 741, 773<br />

marmo, marmi, 654<br />

maysir, 169<br />

MEDICINA, 337, 672-673, 675, 730<br />

– <strong>al</strong>chimia, v. anche chimica, 667, 671<br />

– elixir di lunga vita, 665, 672-673<br />

– farmaceutica, 670<br />

– lapis <strong>al</strong>chemico, 673<br />

– opus <strong>al</strong>chemico, 673, 858<br />

– tradizione <strong>al</strong>cheimica, 670, 672<br />

– carattere scientifico, 667<br />

– chirurgia, 701<br />

– cose non natur<strong>al</strong>i, res non natur<strong>al</strong>es, 676-677<br />

– dietetica, v. anche <strong>al</strong>imentazione, 327, 339,<br />

676-677, 708<br />

– dio della medicina (Esculapio), 440<br />

– facoltà delle università, 667<br />

– farmacie, 439<br />

– farmacologia, 667<br />

– statuto disciplinare, 678<br />

– farmacopea, 701-702, 736-737<br />

– antica e mediev<strong>al</strong>e, 737<br />

– modo di preparare i vini, 667<br />

– preparazione dei medicin<strong>al</strong>i, 667-670,<br />

741<br />

– fisiologia medica mediev<strong>al</strong>e, 217<br />

– medici, dottori, v. arti, mestieri


– medicina araba, 493<br />

– farmaceutica, v. medicin<strong>al</strong>ia<br />

– medicin<strong>al</strong>ia, rimedi farmacologici e chirurgici,<br />

277, 321, 442, 666-667, 675, 677<br />

– acquavite, v. anche bevande, 669<br />

– ad azione ritardata, 667<br />

– applicazioni, 703, 705<br />

– argento, v. met<strong>al</strong>li<br />

– assunzione dei farmaci, 666<br />

– bagni di vapore, 705<br />

– bevande usate come medicamento, 171<br />

– capacità curative, proprietà, 667<br />

– cataplasmi, 703, 705, 737<br />

– cera (per unguenti), 703<br />

– colliri, 703<br />

– colluttori, 705<br />

– creme, 703-704<br />

– decotti, 668, 702-705<br />

– diacameron, 672<br />

– dieta di vino contro la gotta, 156<br />

– empiastri, 702-703, 705<br />

– erbe medicin<strong>al</strong>i, v. <strong>al</strong>beri e piante, 277<br />

– fin<strong>al</strong>ità medico-dietetiche del vino, 208,<br />

215<br />

– fiori, 669<br />

– flebotomia, 276-277, 695<br />

– fomenti, 702-703<br />

– frutti, 669<br />

– gargarismi, 703<br />

– gomme (per unguenti), 703<br />

– impacchi, 704<br />

– infusi, 703-704<br />

– interventi chirurgici, 277<br />

– irrigazioni, 703, 705<br />

– lavacri, sciacqui, 703, 705<br />

– lavande, 702<br />

– lozioni, 531<br />

– microbiologia, 597<br />

– miscele, 672<br />

– mosto, 668<br />

– cotto, sapa, v. cibi, <strong>al</strong>imenti<br />

– oro, v. met<strong>al</strong>li<br />

– pessari, 703<br />

– pigmenta, 313<br />

– pillole, 666, 702, 703<br />

– polvere buguloxa, 704<br />

– pozioni, potiones, 277, 737<br />

– preparati a base di erbe, 308<br />

– miele rosato, 308<br />

– mosto, 308<br />

– vino, 308<br />

– prescrizione, 668<br />

– principi attivi, 277<br />

– prodotti anim<strong>al</strong>i, 737<br />

– da mescolare <strong>al</strong> vino, 668<br />

– miner<strong>al</strong>i, 737<br />

– natur<strong>al</strong>i, 737<br />

– profilassi medico-dietetica, 277<br />

– ptisana infrigidata zuccarisata, 700<br />

– ricostituenti, 277<br />

– s<strong>al</strong>assi, 235, 272, 276<br />

– minutio sanguinis, 277<br />

– sciroppi, 277, 307, 672, 693, 702, 704<br />

– spugnature, 702-703<br />

– suffumigi, 703, 705<br />

– supposte, 702<br />

– teriaca, tiriaca, otriaca, 531, 666, 696-697<br />

– unguenti, 702-703, 705, 707<br />

– uva, 180<br />

– effetto antiveleno, 738<br />

– qu<strong>al</strong>ità purgative, 738<br />

– vino, vina medicin<strong>al</strong>ia, 293, 321, 330-331,<br />

333, 423, 665-666, 668-669, 858, 861<br />

– aromatico, 529<br />

– capacità, proprietà terapeutiche, 155,<br />

287, 328, 335, 358, 555, 559, 669,<br />

672-673, 675, 730, 737-738, 742, 745,<br />

754, 756, 861<br />

– con mirra, stupefacente, 423<br />

– con pece, b<strong>al</strong>nea, 320-321<br />

– con rose macerate, 669<br />

– con rosmarino, 669<br />

– cum iuleb, iulep, julep, 701<br />

– effetti, v. vino<br />

– feccia, 531<br />

– lenitivo, 293<br />

– permesso ai m<strong>al</strong>ati, 217<br />

– prolongatio vitae, 669<br />

– proprietà nutritive, 673<br />

– ricostituente, 210, 276-277, 293<br />

– sc<strong>al</strong>dato, 668<br />

– speziato, v.<br />

– vinum extintionis auri, 671<br />

– virtù miner<strong>al</strong>e, 672<br />

– nosografia, 341<br />

– nutrizionisti, 324<br />

– patologia umor<strong>al</strong>e, 155<br />

– Pestschriften,v.anche consilia, 696<br />

959


960<br />

– povera, 767<br />

– prassi medica, 675, 677-678<br />

– scienza dell’<strong>al</strong>imentazione, v. <strong>al</strong>imentazione<br />

– scienza medica, 152, 324, 666<br />

– docibile, 667<br />

– teorica, 667<br />

– spezierie, v. anche farmacie, 681-682, 703,<br />

706<br />

– tradizione:<br />

– <strong>al</strong>chemica, 665<br />

– filosofica, 665<br />

– trattati, prontuari medici, chirurgici, ginecologici,<br />

594, 676, 678, 702, 708, 727, 740,<br />

745<br />

– consilia, v.anche Pestschriften, 677, 680,<br />

684, 702, 708<br />

– regimina sanitatis, 676-679, 684<br />

– ricette, ricettari medici e farmaceutici,<br />

antidotari, libri di segreti, 666, 678-679,<br />

684, 687, 702-706, 737<br />

– <strong>al</strong>chimia farmaceutica, 670<br />

– corpus hippocraticum, v. anche fonti medico-dietetiche,<br />

consilia, 676, 707<br />

medievistica contemporanea, 365, 606, 641<br />

melodrammi:<br />

– Gast<strong>al</strong>don Stanislao, La M<strong>al</strong>a Pasqua, 770<br />

– Mascagni Pietro, Cav<strong>al</strong>leria rusticana, 770,<br />

774<br />

membranas, pergamene, 282<br />

ment<strong>al</strong>ità consumistica, 159<br />

mesi, 624<br />

– agosto, 17, 38, 183, 234, 269, 271, 275,<br />

295, 362, 370, 373, 389, 400, 407, 432,<br />

461, 624, 737, 793, 794<br />

– aprile, 624, 850<br />

– febbraio, 624, 851<br />

– dicembre, 452, 624, 800<br />

– luglio, 624, 796<br />

– maggio, 38, 624, 796<br />

– ottobre, 422, 624, 737<br />

– settembre, 183, 269, 370, 389, 422, 624,<br />

737, 799-800<br />

met<strong>al</strong>li, 828, 831-832<br />

– ferro, 545, 581, 747-748, 792, 813, 826-<br />

830, 834, 849<br />

– dacio ferri, 658<br />

– latta, 826, 832<br />

– miniere, industria estrattiva, 494, 743<br />

– ottone, 376, 826, 828<br />

– peltro, 826-827, 829-830<br />

– preziosi, 595<br />

– argento, argentum, 435, 491, 505-506,<br />

538, 560, 672, 742, 766, 820<br />

– oro, aurum, 260, 428, 435, 486, 494, 671-<br />

672, 742, 748, 754<br />

– capacità terapeutiche, 672<br />

– conversione in acqua potabile, 672,<br />

858<br />

– fabbricato da <strong>al</strong>chemici (<strong>al</strong>chimisti), 673<br />

– potabile, fuso nel vino, 672<br />

– rame, 376, 829-830, 832<br />

methystes, v. bevitori, ubriaconi<br />

microscopio, 597<br />

mimesis theou, v. cristianesimo, imitazione di Dio<br />

miracoli, prodigi, 152, 280, 286, 342, 347, 352,<br />

354-355, 379, 443-444, 588<br />

– conversione dell’acqua in vino, 421, 450,<br />

461, 466, 588, 858-859<br />

– Cristo mutò l’acqua in F<strong>al</strong>erno, 360<br />

– dei cinque pani e due pesci, 348, 436, 438<br />

– del beato:<br />

– Agilo abate di Rebais, 345<br />

– Goar di Prüm, 345<br />

– del c<strong>al</strong>ice con il veleno, di san Giovanni, 440<br />

– dell’abate Guido degli Strambiati (santo),<br />

261, 291-292<br />

– dell’eremita Giovanni, 285<br />

– della vigna di san Fabiano, 336<br />

– delle nozze di Cana, 152, 201, 261, 291,<br />

331, 341, 343, 346, 421, 436, 438, 450,<br />

461, 466, 858<br />

– di Agerico vescovo di Verdun, 345<br />

– di Benedetto di Aniane, 206-207<br />

– di Eligio di Noyon, 342<br />

– di Ermelando di Antresis, 343<br />

– di Filiperto di Jumièges, 344<br />

– di Isarno abate di San Vittore di Marsiglia,<br />

344<br />

– di Remigio vescovo di Reims, 344<br />

– di san Francesco, 566-567<br />

– di san Furseo abate di Lagny, 296, 439<br />

– di san Martino vescovo di Tours, 296<br />

– di san Richerio di Centula, 296, 439-440<br />

– di san Soro, 345<br />

– di santa Colette, 355<br />

– guarigioni, 379<br />

– intervento taumaturgico, 354<br />

– moltiplicazione del pane, 220<br />

– della cervogia, 220


– trasformazione del pane e vino nel corpo<br />

e sangue di Cristo, v. cristianesimo, eucaristia<br />

– trasformazione dell’acqua in birra (cervogia),<br />

220<br />

– in vino, 291-292, 335, 345, 348, 353, 422<br />

miscere, mittere, ministrare, mescere, dispensare,<br />

versare, 243, 560, 752-753, 756-758<br />

misure, lineari, di peso, capacità e superficie:<br />

– acri, 268<br />

– amphorae, 500<br />

– anfora veneziana, 634, 659<br />

– aranzadas,84<br />

– barile, 619<br />

– bigoncio veneziano, 659<br />

– bociola, 583<br />

– botte, 621- 623, 628<br />

– romana, 624<br />

– bozza, bozola, 578, 581, 631-632, 826<br />

– braccia, brachia, 632-633<br />

– c<strong>al</strong>ice campione, 237<br />

– cantaras,82<br />

– carro, carri, carradis, 634, 656, 658, 660<br />

– chilo, kg, quint<strong>al</strong>e, q., 234, 240, 771, 793,<br />

806- 808, 816, 838<br />

– cogna, 616<br />

– congio, 500, 658-659, 661<br />

– contraffazione, 612-613<br />

– coopercula, 263<br />

– copas, 581<br />

– corba, 612, 614, 619<br />

– cotile, 251<br />

– cubiti, 181<br />

– cullei, 500<br />

– dita, digita, 581<br />

– dramme, 251<br />

– emina, hemina, 220, 226-228, 232, 234-239,<br />

250-251, 255-256, 263, 292, 308, 325<br />

– latina, 251<br />

– emna greca, 251<br />

– engistara, 697<br />

– ettaro, ettari, ha, 49, 500, 793, 797, 801-<br />

802, 807, 811-814, 816<br />

– gerle, 781, 801<br />

– hîn, 423<br />

– iustitiam vini, “giusta misura” monastica,<br />

259, 278, 281-282, 305, 857<br />

– jugeri, 499<br />

– Kharvâr, 177<br />

– koinix, 251<br />

– kóllaton, 474<br />

– libbra, libbre, 74, 234-236, 238-239, 241,<br />

247, 251, 277-278, 282, 299-300, 305-306,<br />

435, 506, 830<br />

– libra minuta (capacità), 699<br />

– litro, ettolitro, hl, millilitro, 51, 127, 134,<br />

226, 237, 239-240, 260, 324-325, 500, 612-<br />

613, 616, 618-619, 621, 623, 625, 658, 661,<br />

781-782, 784-786, 794, 796, 799, 801-802,<br />

807, 816, 827<br />

– mensuras bollata, 583<br />

– metro, 797<br />

– metron th<strong>al</strong>assion, 162<br />

– mezzetta (di vino), 760<br />

– miliaria (miglia), 743<br />

– mina latina, 251<br />

– misure mediev<strong>al</strong>i, 237<br />

– moderne, 238<br />

– volumetriche, 237<br />

– mnas greca, 251<br />

– moggio, 39, 237, 250, 771<br />

– moyolis, 581<br />

– oc<strong>al</strong>e, 127<br />

– oncia, 785<br />

– ouvrée,49<br />

– pertica censuaria, 791<br />

– pesi, 785<br />

– piò, 778, 780-782, 784-786<br />

– pogonul, 133<br />

– quadra, 235<br />

– quadrant<strong>al</strong>e, 500<br />

– quarta, 318<br />

– secchi (situla), 237<br />

– sestari, 220, 226, 237, 241, 251, 359, 544, 560<br />

– sextarius, 500<br />

– some, 566, 658<br />

– stânjenul, 133<br />

– urna, urnis, urnae, 520, 656, 659<br />

– vadra (secchi, tina), 133, 136<br />

– zerla, zerle, secchia, pinta, bocc<strong>al</strong>e, mezzo,<br />

tazza, 786, 827, 830<br />

mixtus, mixtum, v. vino<br />

MONACHESIMO, 205, 315, 321, 330, 399<br />

– <strong>al</strong>imentazione, 211, 234, 240, 270, 272,<br />

275-276, 290, 298, 308, 323, 333<br />

– astinenza, 221-222, 228, 230, 236, 239,<br />

241, 250, 252, 289, 315, 330, 338-339<br />

– <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, 215, 228, 243, 289, 330, 332,<br />

334<br />

961


962<br />

– quaresim<strong>al</strong>e, 227<br />

– autoconsumo di vino, 269<br />

– bere vino, 215, 255-256, 334, 394, 397,<br />

458<br />

– divieto di, 288, 330-331<br />

– giusta misura, misura conveniente,<br />

260, 311, 363<br />

– prepon metron, 142<br />

– non conveniente ai monaci, 213<br />

– rifiuto, rinuncia di, 221-222, 228, 252,<br />

285, 291, 294, 330, 332-334, 339<br />

– rifuggito come il veleno, 217, 337<br />

– trina propinatio, 255-256<br />

– bevande fermentate, 275<br />

– consuetudini bavaresi, 255<br />

– continenza, 218<br />

– dieta, 212, 251, 276-277, 324, 333<br />

– apporto nutrizion<strong>al</strong>e vegetariano, 323<br />

– cassinese, 236<br />

– cistercense, 270<br />

– equilibrio dietetico, 323<br />

– dieta, razione giorn<strong>al</strong>iera, 241, 248<br />

– di cibo, 228, 230, 234<br />

– di vino e bevande da bere, 222, 226-<br />

227, 230-231, 234, 240-241, 249-251,<br />

255-256, 258-263, 265, 278, 280, 311,<br />

315, 323, 394, 397<br />

– digiuno, digiunare, v. anche astinenza,<br />

142, 148, 205, 208, 213, 217-218, 224,<br />

227-228, 231, 234-236, 241, 250, 254,<br />

272, 299, 306, 335<br />

– frug<strong>al</strong>ità del cibo, 225, 230, 253, 300<br />

– giorni di magro, 236<br />

– menu settiman<strong>al</strong>e, 236<br />

– modello <strong>al</strong>imentare, 323<br />

– norme, regole <strong>al</strong>imentari, v. anche vita,<br />

tradizioni, regole, 212<br />

– dei cistercensi, 222<br />

– del Maestro, 224, 276, 305<br />

– di san Benedetto, 276<br />

– pietanze, 235, 247<br />

– cotte, 234, 236-237<br />

– di legumi, 234, 237-238, 281<br />

– di verdure crude, 234<br />

– pitancia, pitantie, v. anche supplemento<br />

<strong>al</strong>imentare, 262, 275, 281, 308, 311<br />

– terzo piatto, 235, 281<br />

– regime <strong>al</strong>imentare, 220, 234, 236, 323<br />

– restrizioni <strong>al</strong>imentari, 271, 339<br />

– satietas, 231<br />

– supplemento <strong>al</strong>imentare, 241, 250, 262,<br />

277<br />

– aggiunta di vino giorn<strong>al</strong>iero, 255-256,<br />

281, 286<br />

– caritas, karitas o bibitio caritatis, 255,<br />

259<br />

– consolatio, 240<br />

– uso di vino, 288<br />

– moderato, parcius, 229, 233, 250<br />

– asceti, 327<br />

– della montagna della Nitria, 219<br />

– bizantino, 214<br />

– celtico, 220<br />

– comunità cenobitiche, cenobiti, 208-209,<br />

211, 216, 219, 221, 289<br />

– cenobitismo benedettino, 330<br />

– egiziani, 209, 217, 234<br />

– p<strong>al</strong>estinesi, 212<br />

– dignità e uffici:<br />

– abate, abati, 206-208, 212-216, 225, 230,<br />

234-236, 238-239, 242-244, 247, 250,<br />

252-256, 258, 260-261, 264-266, 272,<br />

275, 277, 280-281, 283-284, 290-292,<br />

294-295, 297-300, 302-303, 309, 311,<br />

314-315, 318, 322, 344-345, 349, 353,<br />

355, 367-368, 416, 435, 439, 565, 568,<br />

570, 857<br />

– riti di benedizione, 433-434<br />

– simboli della sua autorità, 294<br />

– verga pastor<strong>al</strong>e, baculus pastor<strong>al</strong>is, 294,<br />

434<br />

– viticoltori, 322, 337<br />

– anacoreta, anacoreti, padri del deserto,<br />

334-336, 338-339, 494<br />

– p<strong>al</strong>estinesi, 212<br />

– archimandrita, 212<br />

– badessa, abatissa, 220, 284, 287, 318,<br />

325, 350, 454-455, 564, 571, 581<br />

– camerario, 311<br />

– canonico, 239<br />

– cantiniere, cantiniera, 207, 220<br />

– cantore, 239<br />

– cav<strong>al</strong>ieri teutonici, 640, 857<br />

– cellerario, cellerarius, economo della<br />

comunità, 206, 210, 221, 224-225, 235,<br />

243-244, 247-248, 256, 281-282, 294,<br />

300, 305, 308-309, 311, 313, 344, 354<br />

– conversi, 256, 269, 271-272, 275, 279-<br />

280, 282, 284, 858


– custos caritatis, 256<br />

– ecclesiae, 295<br />

– vini, 257, 309, 311<br />

– decano, 247, 254<br />

– elemosiniere, elemosynarius, 255, 257,<br />

259, 281<br />

– eremita, eremiti, 208, 214-215, 285-290,<br />

322, 331-334<br />

– egiziani, 234, 287<br />

– padri del deserto, 213, 287<br />

– ungheresi, 351<br />

– lettore di settimana, lector ebdomadarius,<br />

227, 247, 254, 259, 293, 299-300, 305-<br />

306<br />

– maestro di scuola, 257<br />

– metropolita, 856, 860<br />

– monache, suore, sorores, 240, 282, 284,<br />

287, 299, 306, 323, 350, 355, 454-455,<br />

599, 772<br />

– spagnole, 219<br />

– monaci, padri, frati, fratres, 20, 28, 41, 49,<br />

154, 167, 206-211, 213-216, 218-219,<br />

221-228, 230-233, 235-236, 239-240,<br />

242- 244, 248-260, 262-264, 267-269,<br />

271-272, 275-278, 280-282, 286, 290-<br />

291, 296-297, 299-300, 303-304, 308,<br />

311-315, 317-319, 322, 325, 327, 331-<br />

333, 336-337, 339, 344-345, 348, 354-<br />

355, 368, 370, 457, 490, 492, 494, 561-<br />

562, 571, 587, 590, 599, 601, 603-604,<br />

756, 762, 765, 857-858<br />

– addetti <strong>al</strong> refettorio, refectorarius, 262-<br />

263, 308, 313<br />

– <strong>al</strong>l’assistenza degli infermi, infermieri,<br />

278, 313<br />

– <strong>al</strong>la cucina, 247, 254, 259, 282, 284,<br />

293, 305-306<br />

– copti, 212<br />

– egiziani, 209<br />

– greci, 320<br />

– infermieri, 264<br />

– litterati, 282<br />

– monaco ebbro, vinolentus, vinolentia,<br />

227-228, 230, 249, 411-412<br />

– orient<strong>al</strong>i, 328-329, 334<br />

– p<strong>al</strong>estinesi, 215<br />

– novizio, 258<br />

– padre gener<strong>al</strong>e, 338<br />

– patriarca, 141, 147, 151, 154, 198, 203,<br />

297, 341, 468-469<br />

– predicatori, 335<br />

– prepositi, 226<br />

– previsor vinearum, fratello Bacco, 309<br />

– priora, 284, 454-455<br />

– priori, 220, 247, 254, 257, 280, 282, 284,<br />

288, 293, 299, 308, 311, 330<br />

– sacrestano, 293, 296, 298, 301<br />

– settimanari di cucina, 225, 227, 231, 241<br />

– superiora, 287<br />

– superiori, 225, 243, 249-250, 255, 257,<br />

275, 278, 283, 291, 296, 304<br />

– occident<strong>al</strong>e, 218, 234, 393<br />

– ordini:<br />

– benedettino, 76, 222, 227- 229, 233-234,<br />

236, 322, 330, 494<br />

– carmelitani sc<strong>al</strong>zi, 746<br />

– carolingio, 234, 242, 251<br />

– riformato, 207<br />

– cassinese, 232, 234-236, 242, 277, 280,<br />

320<br />

– certosino, 290<br />

– cistercense, 28, 101, 111-112, 222, 267,<br />

269-270, 271-272, 314, 317, 600-601,<br />

640, 857<br />

– aziende agrarie, 271<br />

– monaci bianchi, 271, 275<br />

– monasteri, 112<br />

– navi dei monaci, 112<br />

– cluniacense, 251-252, 267, 270-271,<br />

280-281, 283, 286, 294-295, 302, 305,<br />

311-315, 317-318, 320, 349, 552-553,<br />

601<br />

– monaci neri, 299-300<br />

– domenicano, 339<br />

– francescano, 337, 670, 858<br />

– cappuccini, 756<br />

– minori, 338-339<br />

– mendicanti, 328, 334-335, 338-339<br />

– teutonico, 111-112, 640, 857<br />

– orient<strong>al</strong>e, 208, 210, 214, 218, 338<br />

– slavo, 214<br />

– vita, tradizioni e regole, 205, 209, 230,<br />

243, 253, 257, 262, 265, 277, 282, 290,<br />

292, 296, 304-306, 312, 314, 322, 394, 411<br />

– abbandono dell’uso quotidiano del<br />

vino, 324<br />

– abiti e c<strong>al</strong>zature, 231<br />

– accoglienza, 216<br />

963


964<br />

– ascesi, purezza e perfezione ascetica,<br />

fervore, rigore, ide<strong>al</strong>e ascetico, 208, 215,<br />

217-218, 224, 229-230, 232, 252, 287,<br />

290-291, 323, 325, 329, 339, 391, 399,<br />

411, 561<br />

– bacio della mano, 284, 455<br />

– benedizione:<br />

– benedictio vini, 296<br />

– dei loc<strong>al</strong>i, 294<br />

– del mosto, pro musto, 295, 296<br />

– del vino novello (mustum), 296<br />

– delle uve, benedictio uvae, 295<br />

– prima dei pasti, 254<br />

– bere vino, bibitio, 857<br />

– di notte (proibito), 255<br />

– dopo la comunione, 302<br />

– iustitiam vini, bibere in iustitiis, v.anche<br />

misure, 259, 278, 281-282, 305, 857<br />

– mensura potus, misura del vino, 205,<br />

223, 226, 228, 233, 386, 394, 433, 436,<br />

675-676<br />

– post collationem, 254<br />

– post nonam, 254<br />

– post scillam vespertinam, 254<br />

– canto delle antifone, 454<br />

– Mandatum novum do vobis, 454<br />

– Maneant in vobis spes fides caritas, 454<br />

– Vos vocatis me magister et dominus, 454<br />

– carità fraterna, 216<br />

– caritatem de pane et vino, 277<br />

– castità, 217, 225, 233, 326<br />

– celebrare, cantare messa, 247-248<br />

– cerimonia convivi<strong>al</strong>e, 453<br />

– dell’oblazione, 294<br />

– charta caritatis, 270, 272<br />

– coltura delle vigne, 322<br />

– commemorazione di parenti e benefattori,<br />

281<br />

– compieta, 235, 255, 272, 308<br />

– comunità monastica femminile, 455<br />

– condivisione fraterna, 216<br />

– consuetudini, consuetudines, 208, 234,<br />

255, 277, 458, 857<br />

– controllo delle fantasie inopportune,<br />

225<br />

– convivi<strong>al</strong>ità, 216<br />

– costituzioni monastiche, typikon, 297<br />

– cultura penitenzi<strong>al</strong>e, 399<br />

– cura corporis, 329<br />

– debolezza mor<strong>al</strong>e, 229<br />

– derivazione cluniacense, 253<br />

– deroghe <strong>al</strong> consumo di vino, 239<br />

– digiuno, digiunare, v. anche <strong>al</strong>imentazione,<br />

astinenza, 335, 339<br />

– distribuzione<br />

– del vino, 216, 220<br />

– del vinum in fi<strong>al</strong>a, 257<br />

– delle eulogie del vino, 296<br />

– dottrina francescana, 670<br />

– paolina, 229, 248, 289, 292, 328, 330,<br />

333, 375<br />

– doveri di ospit<strong>al</strong>ità, 235<br />

– elemosina, 224<br />

– fermarsi in taverna, 272<br />

– fonte di reddito, 267<br />

– freno di castità <strong>al</strong>la lussuria, 224<br />

– impegno in favore pauperibus et infirmi,<br />

259<br />

– incorregibiles e sfrenati bevitori, 275<br />

– isolamento durante il pasto, 243<br />

– lavanda di mani e piedi, 282-284, 453-<br />

455<br />

– mandatum fratrum, 282-283, 293, 438,<br />

454, 456<br />

– lavori di cucina, 247<br />

– rur<strong>al</strong>i, impegno nei campi, 231-232,<br />

247, 271, 374<br />

– liturgia eucaristica, 303<br />

– quotidiana, 252<br />

– mensa comune, 228<br />

– modello agiografico, di santità, 329, 335,<br />

339<br />

– movimenti eretic<strong>al</strong>i, 334<br />

– necessitas loci, 231<br />

– norme igieniche, 288<br />

– Ordo monasterii, 219<br />

– ospit<strong>al</strong>ità, 285-286<br />

– osservanza della povertà, 337<br />

– ostacoli <strong>al</strong>la preghiera e <strong>al</strong>la meditazione,<br />

670<br />

– penitenza, pene, 228, 300, 303, 338<br />

– battiture, 272<br />

– condannati a morte, 312<br />

– per il monaco che si ubriaca, 300<br />

– riduzione <strong>al</strong>imentare, 272<br />

– portare vino in viaggio (vietato), 272,<br />

275<br />

– potum caritatis, caritatem vini, vinum caritatis,<br />

283, 293, 308<br />

– prassi terapeutica, 276


– pratica della flagellazione, 330<br />

– precetto benedettino ora et labora, 322<br />

– preghiera, 330<br />

– comune, 243, 294<br />

– processioni domenic<strong>al</strong>i, 294, 311<br />

– recita del De profundis, 283<br />

– del Miserere mei Deus, 248, 279, 283<br />

– di s<strong>al</strong>mi, 244<br />

– regole, 238, 248, 250-251, 254, 256, 260,<br />

276-277, 334<br />

– antiche, 223<br />

– dei santi padri, 221, 329<br />

– di Basilio, 329<br />

– francescane, 339<br />

– monastiche, 209, 217, 339<br />

– Regula Magistri, 222-223, 227, 231, 299<br />

– S. Benedicti, regola benedettina, 222,<br />

227, 229-235, 240, 242, 260-261,<br />

276, 299, 305, 329, 409<br />

– sanctarum virginum, 219<br />

– rendite cere<strong>al</strong>icole e vinicole, 281<br />

– ricevere, dare, sumere iustitiam vini, v. bere<br />

vino<br />

– ricompensa (merces) particolare, 229<br />

– riforma, riformatori della vita religiosa,<br />

correnti riformatrici, reformatio, 242,<br />

328-329<br />

– carolingia, 255<br />

– cluniacense, 252<br />

– rigore, rigorismo ascetico, 214, 221<br />

– rilassatezza dei costumi, 229, 272<br />

– rintocchi ad mixtum, 248<br />

– rinuncia monastica, 208<br />

– riunione del capitolo, 300<br />

– silenzio, a tavola, 254, 258, 272<br />

– in infermeria, 277<br />

– simbologia liturgica, 257<br />

– spiritu<strong>al</strong>ità mediev<strong>al</strong>e, 335-336<br />

– sviluppo comunitario, 221<br />

– tradizione, v. anche regole:<br />

– anacoretica, 215, 334-335, 339<br />

– antica, 217, 289, 330<br />

– benedettina, 281, 290<br />

– bernardina, 270-271<br />

– cenobitica, 216, 224, 233, 323, 330<br />

– contemplativa, 328-330<br />

– dei padri del deserto, 215<br />

– eremitica, 142, 288, 334<br />

– regolare dell’Occidente, 328<br />

– trapasso, morte, 280, 293, 404, 409<br />

– apparizione dei morti, 404<br />

– concezione cristiana, 403<br />

– pagana della morte, 403<br />

– trina propinatio, v. bere vino<br />

– tupika, v. chiesa ortodossa<br />

– usi, conventu<strong>al</strong>i, 211<br />

– liturgici della comunione, 302, 431<br />

– verginità, 229<br />

– vespro submissa voce, 454<br />

– vestiti, vestimenta, 251, 271<br />

– viatico liturgico, 275<br />

– vino, v. bere vino<br />

– vinolentia, v. monaco ebbro, vinolentus<br />

– vita spiritu<strong>al</strong>e, 670<br />

monasteri, conventi, v. anche cenobi, 35, 112,<br />

235, 237, 239-240, 242, 251-252, 256, 264-<br />

265, 268, 272, 281, 284, 289, 293-294, 297,<br />

303-304, 308, 314, 337-338, 342, 344-345,<br />

349-350, 352, 355, 390, 420, 441, 443, 453-<br />

454, 456, 494, 564, 570, 587, 600-601, 657,<br />

746, 757, 857-859<br />

– biblioteche mediev<strong>al</strong>i, 750<br />

– cantieri monastici, 259<br />

– cantine, 244, 256, 264, 267, 294, 298, 301,<br />

311, 345, 349-350<br />

– cella vinaria, cellaria, cellarios de vino, 294,<br />

344, 346, 350<br />

– capitolo, 294<br />

– celle annonarie, 587<br />

– cenobi, 206-207, 224, 233-234, 239, 243-<br />

244, 252-254, 257, 267-268, 275, 283, 285-<br />

286, 290-291, 293, 309, 318, 323, 337, 345,<br />

348, 352, 823<br />

– brolo del cenobio, 232, 306<br />

– chiesa, 257, 278, 295-296<br />

– abbazi<strong>al</strong>e, 284, 294<br />

– chiostro, 257, 271, 280, 282-283, 454<br />

– fontana, 284, 454<br />

– cistercensi, 112<br />

– cucina, 220, 244, 248, 259, 281, 293-294,<br />

299<br />

– decime, 285<br />

– dispense, 220, 244<br />

– domini, tenute viticole, v. istituzioni, enti<br />

ecclesiastici, proprietari di vigne<br />

– dormitorio, 294, 311<br />

– entrate monastiche, 285<br />

– eremi, 233, 288-289, 330, 332-333, 335<br />

– foresterie, 286-287<br />

965


966<br />

– forno, 244<br />

– infermeria, 277, 279-280, 311, 313<br />

– armariolum, 277<br />

– ingresso di postulanti, 387<br />

– insediamenti monastici, priorati, 552-553<br />

– insignia (insegne), 435<br />

– loco hostiarum, 295<br />

– mense, 234, 241, 244, 252, 257, 259-260,<br />

265, 268, 270, 281, 291, 296, 299-300, 304,<br />

332, 338<br />

– orto, v. anche terre, terra, 244<br />

– ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i, hospit<strong>al</strong>e, 240, 247, 313, 454<br />

– pavimento, 294<br />

– priorati, 318<br />

– proprietari di vigne, v. anche istituzioni,<br />

enti ecclesiastici, 49, 61, 71-72, 76, 78-79,<br />

82, 95, 98-99, 101, 128, 130, 206, 309, 318,<br />

322, 477, 553, 777, 782, 858<br />

– refettorio, 224, 227, 239, 243-244, 247-<br />

248, 254-257, 261-262, 264, 271, 276-277,<br />

284, 294-296, 305, 311, 313, 454-455<br />

– armarium, armadio a muro, 261, 264<br />

– ceste di legno e vimini (canistrum), 257<br />

– dell’ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>e monastico, 283<br />

– residenze monastiche, 779<br />

– romitori, 337<br />

– sacristia, 266-267, 295, 311<br />

– armarium, armarius, 266-267<br />

– s<strong>al</strong>a, aula capitolare, 283-284<br />

– sc<strong>al</strong>e, 293<br />

– scuola, 257<br />

– tenute viticole monastiche, v. proprietari<br />

di vigne<br />

– vigne abbazi<strong>al</strong>i, v. proprietari di vigne<br />

mormorazione, murmuratio, mormorare, 231,<br />

249-250, 300<br />

mosaico, 261<br />

mosto, mustum, 8, 11, 74, 75, 94, 117, 124, 126-<br />

127, 135, 182-183, 203-204, 307, 313, 320-<br />

321, 323-324, 526, 528, 604, 697, 803, 808,<br />

812, 853<br />

– aggiunta di zucchero, 36<br />

– arricchito con pet<strong>al</strong>i di rosa, 320-321<br />

– circumcisitum (vino tagliato), 526<br />

– con semi di finocchio, 320-321<br />

– di sedano, 320-321<br />

– concentrato, 183<br />

– conservazione, 795<br />

– consumo, 73<br />

– cotto, carenum, defrutum, sapa, 13, 523, 529<br />

– cottura, bollitura, 12-13, 183-184, 290<br />

– di frutta, 105<br />

– elemento dei contorni cristomimetici, 364<br />

– fermentazione, v. anche vinificazione, 8,<br />

127, 529<br />

– governo del mosto con uva raverusco,12<br />

– mosellanum, 317<br />

– primo fiore, 183<br />

– rodìtes oinos, 320<br />

– selinìtes oinos, 320<br />

– tortivum (vino di torchio), 526<br />

– trasporto del, 10<br />

muffa, 289, 513, 514<br />

– del vino, 516<br />

– dell’uva, 850<br />

mulini, molendina, 563<br />

natanti, imbarcazioni, 639<br />

– barche, 661<br />

– battelli, 53<br />

– burchi, 647, 654<br />

– chiatte, 269, 589<br />

– g<strong>al</strong>ere venziane, 661<br />

– kogges,42<br />

– navi, navires, 42-43, 55, 57, 59, 96-97, 111,<br />

116, 137, 152, 163, 185, 503, 589, 592,<br />

595, 621, 642, 647, 741, 856<br />

– dei monaci cistercensi, v. monachesimo,<br />

ordini<br />

– timone assi<strong>al</strong>e, 42<br />

– traghetti, 50<br />

– zattere, zattere fluvi<strong>al</strong>i, 619, 647<br />

navigazione marittima, v. anche vino, 160<br />

– fluvi<strong>al</strong>e, v. anche vino, trasporto, 52, 97, 269<br />

nitro, 473<br />

oggetti sacri, 414<br />

– c<strong>al</strong>ici, v. contenitori, 260<br />

– campana, campanella, 248, 254, 257, 280<br />

– candelabri, 279<br />

– capello, 435<br />

– celostris, 454<br />

– ceri, cereos, cereis, intorcia, 295, 433-435, 454<br />

– corpor<strong>al</strong>i, corpor<strong>al</strong>ia, 267, 377, 482<br />

– croce, cruce, 152, 173, 200, 203, 280, 435<br />

– crocifisso, 254<br />

– cucchiaini, 464


– lampade, 470-471<br />

– mess<strong>al</strong>e, 432<br />

– mitra, 435<br />

– panno che fa da filtro, colum, 428<br />

– pannulum, 303<br />

– patena, 267, 294, 303<br />

– pisside, 301, 303<br />

– purificatoi, purificatoria, 482-483<br />

– reliquie di santi, 348, 408, 858<br />

– suppellettili per il culto, 437<br />

– tovaglie, gausapibus, 278, 284, 295, 304,<br />

377, 427, 455<br />

– turibolo, 279-280<br />

– vesti liturgiche, 437<br />

– cotte, cotis, 454<br />

– pianete, planetis, 427, 454<br />

– pluvi<strong>al</strong>ibus, 454<br />

oikumene, 159<br />

orazioni, v. cristianesimo, preghiere<br />

ordini religiosi, v. monachesimo<br />

oreficeria, 266<br />

orgie, 140<br />

orticoltura, v. agricoltura<br />

ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i, v. anche monasteri, ospe<strong>d<strong>al</strong></strong>i monastici<br />

– infermeria, 313<br />

ospit<strong>al</strong>ità, v. anche monachesimo, regole, 28, 99,<br />

235, 242, 285, 287, 342, 346, 608<br />

– di forestieri, 825, 858<br />

– doveri, 538<br />

– ecclesiastica, 563<br />

– gratuita, benefica, 563<br />

– luoghi di, 28<br />

– pratiche ospit<strong>al</strong>i, 347<br />

– profession<strong>al</strong>e e commerci<strong>al</strong>e, 563<br />

paesaggio agrario, rur<strong>al</strong>e, v. anche terre, campagne,<br />

6, 9-10, 12-13, 68-69, 71, 75-80, 82, 84,<br />

569, 579, 627, 722, 752, 780, 851<br />

– cassine della Certosa, 12<br />

– colture arboree, 783, 810<br />

– interc<strong>al</strong>ari, 33, 38, 785<br />

– intervento umano, 569<br />

– piantata, della pianura, 7, 579, 778-780,<br />

785<br />

– sfruttamento, coltura promiscua, 38, 780<br />

– vinicolo, 103<br />

paese del vino, 133<br />

paganesimo:<br />

– culto, rappresentazione dei morti, 404<br />

– cultura, tradizione pagana, 396, 403<br />

– gentili, v. anche popolazioni, 201, 328,<br />

396, 403-404<br />

– germani, 378, 400-401, 403-405, 503, 857<br />

– banchetto di Odino, 400<br />

– concezione della morte, 403<br />

– conversione, 405<br />

– credenze folkloriche, 405<br />

– rapporto fra ebbrezza e il sacro, 405<br />

– religiosità, 404<br />

– scontri armati, 400<br />

– stirpe tedesca, 450<br />

– idolatria, 424<br />

– latini, rapporto fra ebbrezza e il sacro, 405<br />

– religiosità, ritu<strong>al</strong>ità latina, 404<br />

– merovingico, deposizione di vivande sulle<br />

tombe dei morti, 404<br />

– romani, cippi dei defunti, 403<br />

– concezione della morte, 403<br />

– parent<strong>al</strong>ia (celebrazioni dei), 403<br />

paglia, 126, 182, 184, 525-526<br />

p<strong>al</strong>menti, 127<br />

– a cielo aperto, 10<br />

passioni terrene, apatheia (libertà <strong>d<strong>al</strong></strong>le), 142<br />

pasti, 223-225, 227, 230, 234, 236, 241, 243-244,<br />

247-248, 252-254, 257, 262, 272, 278, 292,<br />

299, 311, 324, 741<br />

– banchetti, comissatio, occasioni convivi<strong>al</strong>i,<br />

287, 401, 415, 423, 530, 535-539, 560-561,<br />

597, 754, 762-763, 767, 858<br />

– sacrific<strong>al</strong>i, 423<br />

– signorili, 486<br />

– brindisi, brindare, 495, 539, 753, 757, 760,<br />

764, 857, 861<br />

– <strong>al</strong>la ricorrenza dei santi, 402<br />

– <strong>al</strong>le anime dei morti, 402<br />

– buffet, 146<br />

– cena, pasto ser<strong>al</strong>e, 145, 209, 220, 223-224,<br />

235, 237, 253, 265, 292, 308, 325, 398,<br />

420, 424-425, 438, 487, 530, 667, 761, 763<br />

– del Signore, 209<br />

– pasqu<strong>al</strong>e, 478<br />

– ebraica, 479<br />

– rappresentazioni artistiche, 480<br />

– colazione, 305<br />

– dei cardin<strong>al</strong>i elettori del papa, 420<br />

– dessert, 187, 494<br />

– di mezzogiorno, 241<br />

– invern<strong>al</strong>e, 236<br />

– livello gastronomico, 146<br />

967


968<br />

– merenda, 248<br />

– pietanze, 820, 831, 850<br />

– pranzo, prandio, prandium, 52, 220, 223-<br />

224, 235-237, 248, 253, 265, 272, 277, 308,<br />

325, 343-345, 410, 420, 475, 487, 494,<br />

559-560, 760, 763, 797<br />

– refezione, 241, 256, 275, 287, 410<br />

– spuntino di metà mattina, 254<br />

peccati, v. anche vizi, 169-170, 175-176, 200,<br />

211, 214, 377, 387, 391-392, 399, 401, 411,<br />

417, 470<br />

– concupiscenza della carne, v. anche sessu<strong>al</strong>ità,<br />

397, 409<br />

– eresia, 601<br />

– fornicazione, simonia (anche reato), 211,<br />

387-388, 396, 603<br />

– incesto, 398<br />

– m<strong>al</strong>attia dello spirito, 470<br />

– mancanza di pietà, 397<br />

– mort<strong>al</strong>i, 412, 416<br />

– opere della carne, 423<br />

– origin<strong>al</strong>e, 396, 417<br />

– peccati capit<strong>al</strong>i, 397<br />

– nuovi, 386<br />

– peccatori, 189, 289, 417<br />

– pratiche vietate, 418<br />

– prostituzione, v. persone, gente di m<strong>al</strong>affare<br />

– remissione dei peccati, 425<br />

– sacrilegi, 399<br />

– sessu<strong>al</strong>ità coniug<strong>al</strong>e in quaresima, 398<br />

– tipologie, 395<br />

– ubriachezza, 405<br />

– usura, 386, 395<br />

– vomito provocato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’ebbrezza, 399<br />

– voracità, v. vizi, 223<br />

pece, 8, 179, 185, 320-321, 528<br />

pellegrini, peregrinis, viandanti, viaggiatori, 35,<br />

73, 77, 135-136, 145, 168, 216, 242, 285-<br />

287, 343, 375, 388, 391, 415, 442, 537, 600,<br />

610, 616, 620-623, 633, 756, 858<br />

pelli, concia delle, 78<br />

pene, condanne, sanzioni, ammende, punizioni,<br />

multe, v. anche penitenza e monachesimo,<br />

36, 140, 151, 171, 190, 227-228, 269, 302,<br />

352, 400-401, 405, 407, 409, 412, 414, 516,<br />

528, 542, 544-545, 550, 564-565, 570, 574-<br />

575, 580, 582, 603, 629, 632<br />

– astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, 544<br />

– <strong>d<strong>al</strong></strong>la carne, 544<br />

– corpor<strong>al</strong>i, 411<br />

– legge del contrappasso, 391<br />

– pane ed acqua, 377, 398-399, 405, 411<br />

– scomunica, 407, 416<br />

penisola iberica, 67-73, 75,77, 80, 82, 88, 168,<br />

182, 317<br />

– it<strong>al</strong>ica, 14, 270, 318, 320, 466, 499, 534,<br />

543, 804, 838<br />

– b<strong>al</strong>canica, 159-160<br />

penitenza, v. anche monachesimo, 368, 377,<br />

391, 398, 401, 406<br />

– cultura della colpa, 406<br />

– degli ecclesiastici, 411-412, 562<br />

– dei laici, 339<br />

– libri della penitenza, 393<br />

– prassi espiatorie, 393<br />

– severa disciplina e dolce pietà, 391<br />

– tariffata, 392-393, 406<br />

perle, 198<br />

persone, gente, v. anche popolazione, popolazioni,<br />

774<br />

– abitudini, 817<br />

– anziani, 779<br />

– archivi person<strong>al</strong>i, 817<br />

– di m<strong>al</strong>affare<br />

– bari, 602, 613<br />

– bravi (di manzoniana memoria), 756-<br />

759<br />

– briganti, 215<br />

– disonesti, inhonesti, 414, 617<br />

– gentaglia minuta, 660<br />

– giocatori, 617<br />

– ladri, ladroni, 127, 564, 602, 613, 617<br />

– m<strong>al</strong>andrini, m<strong>al</strong>intenzionati, tagliaborse,<br />

imbroglioni, 602<br />

– meretrici, prostitute, puttane, v. anche<br />

prostituzione, 155, 158, 602, 611<br />

– ruffiani, lenoni, 155, 602, 611<br />

– truffatori, bari, ladri, 613<br />

– donna, donne, dama, 125, 144, 172, 188,<br />

199, 202, 296, 325, 337, 354, 359, 379,<br />

398, 428, 439, 530, 539, 579, 599, 605,<br />

611, 621, 684, 687, 693-694, 722, 752-753,<br />

755, 758-760, 763, 768, 771, 795<br />

– famiglie, familiari, casati, 76, 163, 204, 403,<br />

443, 457, 503, 516, 552, 573, 633, 650, 766,<br />

779, 785, 803, 831, 850, 852-853, 859<br />

– bona famija, 752<br />

– borghesi, borghesia, v. anche società,<br />

classi, ceti soci<strong>al</strong>i, 117, 777


– bresciane, 817-818, 824, 831, 833-834<br />

– cittadine, residenti in città, v. anche<br />

società, classi, ceti soci<strong>al</strong>i, 777-778, 817<br />

– contadine, v. anche arti mestieri, contadini,<br />

72, 85, 648<br />

– mezzadrili, 778, 792<br />

– duc<strong>al</strong>i, v. anche società, classi, ceti soci<strong>al</strong>i,<br />

49, 572<br />

– imperi<strong>al</strong>i, v. anche società, classi, ceti<br />

soci<strong>al</strong>i, 156<br />

– in epoca romana, 499<br />

– nobili, v. anche società, classi, ceti soci<strong>al</strong>i,<br />

58<br />

– signorili, 657<br />

– giovani, ragazzi, 666, 753, 767-769, 774,<br />

795<br />

– infanzia, bambini, fanciulli, pueri, 125, 223,<br />

225, 244, 247, 255-257, 259, 264, 281, 284,<br />

293, 300, 302, 305, 357, 379, 763, 766,<br />

772, 779<br />

– abbandonati, 588<br />

– bambini oblati, 247, 293-294<br />

– orfani, 422, 425<br />

– infermi (anche m<strong>al</strong>ati), 217-218, 221, 223,<br />

229-231, 234, 235, 238, 241, 247, 254, 259,<br />

264, 271, 276, 278-280, 286, 293, 302, 311,<br />

315, 442, 470, 563, 589, 594<br />

– cura spiritu<strong>al</strong>e, 470<br />

– debolezza fisica, 229<br />

– domus infirmorum, 277<br />

– flebotomizzato, 263<br />

– infermità fisica, 210<br />

– infirmorum imbecillitatem, 222, 228-229,<br />

249<br />

– puerpere, 318<br />

– rapporto uomo-natura, 739<br />

– sane, 666<br />

– tenore di vita, 817<br />

– uomo, uomini, 420, 747-748, 750, 752,<br />

756-757, 860<br />

– audace, 491<br />

– combattivo, 491<br />

– homo ridens et bibens, 753<br />

– sapiens, 753<br />

– loquace, 491<br />

– mediev<strong>al</strong>e, 558<br />

– patrioti, 753<br />

– villicus, 413<br />

– vedove, 422, 425<br />

piantata, v. paesaggio agrario, rur<strong>al</strong>e<br />

pianto, lacrime, 561<br />

pietre, lapides, 574<br />

piscina di Siloe, 461<br />

politica economica agraria, 810<br />

– fascismo, 810<br />

polittici, 321, 323<br />

ponti, 383<br />

popolazione, 35, 46-47, 63, 65, 68, 70-71, 73,<br />

75, 84, 93, 104, 109, 115, 117, 441, 487, 503,<br />

534, 540, 566, 579, 613, 616, 636, 638<br />

– aumento demografico, 5, 77, 108, 387,<br />

554<br />

– c<strong>al</strong>o demografico, 7, 47, 159<br />

– cittadina, 724<br />

– rur<strong>al</strong>e, v. anche società, contadini, 723-724<br />

popolazioni, etnie:<br />

– <strong>al</strong>amanni, legislazione, 543<br />

– an<strong>d<strong>al</strong></strong>usi, 181<br />

– angioini, 270<br />

– arabi, v. Islam<br />

– dominazione araba in Sicilia, 7, 855<br />

– armeni, 468, 472<br />

– àvari, 139, 539<br />

– barbari, 502-503, 530, 533, 535, 540<br />

– invasioni barbariche, 26, 587<br />

– mondo barbarico, 535<br />

– stirpi barbare, 535<br />

– bavari, legislazione, 543<br />

– beduini, v. Islam<br />

– bizantini, 153, 160, 162, 468, 591, 856<br />

– Commonwe<strong>al</strong>th bizantino, 475<br />

– società bizantina, 153<br />

– britanni, 503<br />

– bulgari, 124, 139<br />

– burgundi, 440<br />

– carolingi, 407, 543<br />

– cechi, 124<br />

– celti, 378-379<br />

– credenze folkloriche, 378<br />

– cristiani, v. anche cristianesimo, 71, 209,<br />

260, 327-328, 331, 406, 467, 479<br />

– croati, 124<br />

– dell’area mesopotamica, 837<br />

– egizi, egiziani, 837<br />

– mercati, 358<br />

– etruschi, 838<br />

– franchi, g<strong>al</strong>li, 404, 429, 440, 487, 503, 536,<br />

544, 743, 860<br />

– gentili, v. paganesimo<br />

– gepidi, 537, 539<br />

969


970<br />

– germani, v. paganesimo<br />

– goti, 534-535<br />

– greci, Graecos, 468, 481, 529-530, 743, 838,<br />

851<br />

– inglesi, 418, 860<br />

– israeliti, ebrei, 73, 109, 152, 174, 260, 861<br />

– <strong>al</strong>tare degli olocausti, 423<br />

– comunità ebraica, 63<br />

– mondo giudaico, 209<br />

– sacrifici del culto, 423<br />

– tradizione ebraica, 327<br />

– vinaio ebreo, 167<br />

– lanzichenecchi, 756<br />

– lascaridi, 145<br />

– latini, v. romani<br />

– longobardi, 139, 159, 536-540, 743<br />

– consuetudini, 541<br />

– economia, 541<br />

– leggi, legislazione, 541<br />

– mamelucchi, 170<br />

– mediterranei, 534<br />

– merovingi, 404, 859<br />

– mozárabi, 73<br />

– musulmani, v. Islam<br />

– dominazione musulmana, 67, 70<br />

– nabatei, 167<br />

– nervi, 501<br />

– nordiche, scandinave, 536<br />

– mitologia, 535<br />

– normanni, 591, 854-855<br />

– età normanna in Sicilia, 7<br />

– invasioni normanne, 27<br />

– ostrogoti, 534<br />

– pannoni, 503<br />

– polacchi, 124<br />

– romani, 181, 184, 226, 403-405, 503, 526,<br />

530, 535, 743, 838<br />

– antichità latina, 360<br />

– cippi dei defunti, 403<br />

– familia, 499, 516<br />

– matrone, 487<br />

– mondo romano, 356, 529, 534<br />

– parent<strong>al</strong>ia (celebrazioni dei), 403-404<br />

– paterfamilias, 410, 521-522, 524<br />

– soldati, 306<br />

– rumeni, 124<br />

– sassanidi, 139, 159<br />

– sciti, 530<br />

– secui, 131, 136<br />

– serbi, 124<br />

– siriane, colonie, 358<br />

– slavi, 139<br />

– slovacchi, 124<br />

– spagnoli, hispani, 503<br />

– svevi, 501<br />

– Trans<strong>al</strong>pinas gentes, 501<br />

– turchi, 134, 170, 187, 854<br />

– ucraini, 124<br />

– ungheresi, 124<br />

– visigoti, legislazione, 543<br />

porcellana, 820, 832-833<br />

porti, 591<br />

– fluvi<strong>al</strong>i, 52, 65, 269, 610, 613, 621-622,<br />

626<br />

– marittimi, 22, 42, 54-55, 57-58, 62, 65, 86,<br />

135, 137, 150, 589, 591, 615, 618, 626,<br />

636, 645, 647, 773<br />

– attrezzature, 647<br />

pozzo, 264, 267<br />

– di Giacobbe, 461<br />

procedimenti giudiziari, 69<br />

– sequestro, 581<br />

produzione agricola, v. agricoltura<br />

– tessile, 68<br />

profumeria, profumi, aromatites, 529<br />

– mirra, murrhina, 529<br />

prostituzione, v. anche persone, gente di m<strong>al</strong>affare,<br />

155, 424, 602-603, 631<br />

proverbi e modi di dire, 735<br />

ratio, stravolgimento della, 396<br />

reati, crimini, furti, 350, 398, 402, 510, 541<br />

– assassinio dei parenti, 391<br />

– atti di violenza, violenze, 397, 407, 537,<br />

544, 570, 575, 602, 764<br />

– incesto, 398<br />

– in ambito rur<strong>al</strong>e, 542<br />

– di uva, 9, 336, 350, 541-542, 565<br />

– omicidio, 398<br />

– rissa, risse, 398, 603, 611<br />

– simonia, v. anche peccati, fornicazione, 388<br />

– uccisione di un ladro colto in flagrante,<br />

392<br />

reddito, integrazione del, 803<br />

rendi, v. libertinaggio<br />

repoblación, processo di ripopolamento, 76<br />

resine, v. anche spezie, 316<br />

ricerca della pietra filosof<strong>al</strong>e, 673


iso, ridere, 561-563<br />

– hilari vultu, 562<br />

– homo ridens et bibens, 753<br />

– liceità del, 562<br />

roccia, 152<br />

Rôles d’Oléron,42<br />

rotte commerci<strong>al</strong>i di terra e acqua, v. vino, trasporto<br />

sacco, riempito di neve, saccus nivarius, colum nivarium,<br />

530<br />

saggezza popolare, 735<br />

s<strong>al</strong>e, 7, 42-43, 59, 265, 403, 436-437, 527<br />

– di Bayen, 116<br />

s<strong>al</strong>ma, 280, 293<br />

s<strong>al</strong>os, folle, v. corpo umano, 142<br />

s<strong>al</strong>terio, 230<br />

s<strong>al</strong>vatore, soter, 141<br />

sampogna (zampogna), 748<br />

santi, sante, 142-143, 150, 152, 196, 198, 204,<br />

215, 217, 221, 230, 233, 258, 260, 277, 285-<br />

286, 291, 334-337, 341, 343, 346-347, 349-<br />

350, 352-353, 355, 416, 436, 439-445, 448,<br />

475, 479-482, 487, 562, 566-567, 588, 600,<br />

603, 856, 858-859<br />

– canonizzazione, 404<br />

– della carità e del lavoro, 353<br />

– lombardi, 859<br />

– martire, martirio, 561<br />

– reliquie, 348, 408<br />

sasso, 206<br />

sc<strong>al</strong>a paradisi, 153<br />

scan<strong>d<strong>al</strong></strong>o, 209, 212<br />

scavi archeologici, 39<br />

Scisma (Grande), 48<br />

Scrittura (sacra), 203, 240, 332, 418, 421, 480<br />

– Antico Testamento, 341, 377<br />

– Canto dei cantici, 424<br />

– aspetti etico-mor<strong>al</strong>i, 419<br />

– Bibbia, 327, 423, 861<br />

– ermeneutica biblica, 419<br />

– esegesi biblica, 418-419<br />

– significato simbolico dell’uso del vino,<br />

198, 422-424<br />

– Vangelo, 450-451, 454-455, 670<br />

– di san Giovanni, 447<br />

– pericope evangelica, 456, 480<br />

– sancta Dei evangelia, 578, 631<br />

– eredità biblica, 335<br />

– Libro dei Maccabei, 201<br />

– Nuovo Testamento, 327, 341, 424, 469, 861<br />

– Apoc<strong>al</strong>isse, 424<br />

– memorie degli apostoli, 425<br />

– scritti dei profeti, 425<br />

– passi, episodi biblici, v. anche miracoli,<br />

prodigi, 332, 389, 424, 481<br />

– Cristo scacciò i mercanti <strong>d<strong>al</strong></strong> tempio,<br />

415<br />

– immagine di saggezza, 423<br />

– meditazione dei, 481<br />

– nozze di Cana, v. anche miracoli, prodigi,<br />

201, 331<br />

– operai mandati nella vigna, 424<br />

– parabola del buon samaritano, 391, 423,<br />

471<br />

– vigna di Nabot, 382<br />

– vignaioli omicidi, 424<br />

– lettera prima, a Timoteo, 208, 330, 332,<br />

857<br />

– ai Corinzi, 233<br />

– lettera di san Paolo agli efesini, 857<br />

– testi sacri, Scritture, 408-409<br />

– v<strong>al</strong>ori biblici, 338<br />

– Vangelo, 201, 284, 295, 312, 339, 419, 764<br />

– Vecchio Testamento, 479<br />

scuola <strong>al</strong>essandrina, 200<br />

segatura, 526<br />

sego, 8<br />

sessu<strong>al</strong>ità, 158<br />

– amore omosessu<strong>al</strong>e, 178<br />

– castità, 157, 217, 224-225, 233<br />

– controllo, 217<br />

– delle fantasie inopportune, 225<br />

– desideri sessu<strong>al</strong>i, corporei, appetito sessu<strong>al</strong>e,<br />

libido, 157, 211, 216, 232, 392, 398,<br />

606, 617<br />

– fuoco della concupiscenza, 218<br />

– pensieri impuri, 224<br />

– pulsioni della carne, 217, 232<br />

– sessu<strong>al</strong>ità coniug<strong>al</strong>e, 398<br />

– sogni sessu<strong>al</strong>i, 157<br />

sheikh, 188-189<br />

sigilli, sigillum, 166, 575, 581<br />

– pessulum, 350<br />

– vitreo bullo comunis, 581, 628<br />

sillogi consuetudinarie, statutarie, v. statuti<br />

– di testi agricoli, 716<br />

– latini e volgari, 729, 731, 733, 739<br />

situlas, v. brocche e secchi<br />

971


972<br />

società, 389, 557, 566, 819<br />

– barbarica <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e, 535<br />

– bizantina, v. popolazioni, etnie<br />

– cittadina, 628<br />

– classi, ceti soci<strong>al</strong>i, v. anche arti, mestieri,<br />

23, 587, 608, 657<br />

– aristocrazia, nobiltà, 97, 121, 130, 285,<br />

346, 427, 560, 589, 600, 650, 662, 720,<br />

752, 779<br />

– conti, comes, 18, 41, 49, 53, 408, 544-<br />

545, 560, 570, 655, 757, 759<br />

– dogi, 652, 660<br />

– duchi, dinastia duc<strong>al</strong>e, 48, 537, 544,<br />

560, 592-593, 757<br />

– feudatari, 128, 131, 133, 135<br />

– imperatori, 23-24, 26, 28, 97, 139,<br />

141, 143, 147, 155-156, 159, 287, 296,<br />

502-504, 530, 548, 551, 721<br />

– marchesi, 650<br />

– nobile, nobiles, 58, 82, 84, 343, 560,<br />

686, 723, 746, 778<br />

– patrizi, 662<br />

– principi, principato, 29, 33, 41, 48, 65,<br />

127, 130, 133, 350, 594<br />

– della chiesa, 65<br />

– vescovile, 655, 657<br />

– re, regine, sovrani, monarchi, 18,<br />

352, 404-405, 407-408, 534, 536-<br />

539, 544-545, 565, 582, 592-593,<br />

606, 857<br />

– voivoda, 127, 130<br />

– borghese, borghesi, borghesia, 29, 55,<br />

590, 600, 722-723, 749, 766<br />

– mercantile, 486<br />

– cav<strong>al</strong>ieri, classe cav<strong>al</strong>leresca, 400-401,<br />

559-560<br />

– cittadini, 778, 781<br />

– classe politica, amministrativa, 778<br />

– contadini, mezzadri, v. anche arti,<br />

mestieri, 85, 128, 130, 777-779, 783-785<br />

– ecclesiastico, 590<br />

– liberti romani, 501<br />

– mediev<strong>al</strong>e, 611<br />

– medio, medio-<strong>al</strong>ta, 817, 831, 833<br />

– meno abbienti, 801<br />

– mercantile, 590, 600, 625<br />

– miles, milites, 559-560<br />

– nobiliare, 590, 600<br />

– non-liberi, 381<br />

– padroni, 585, 752<br />

– popolani, volgo plebeo, 752<br />

– poveri, pauperes, oblati, umili, diseredati,<br />

27, 63, 66, 87, 154, 199, 216, 239-240,<br />

242, 247, 255, 272, 280-283, 285, 298,<br />

308, 311, 347, 349, 353, 475, 549, 559,<br />

563, 566-567, 585-586, 594, 598-599,<br />

603, 615-616, 757, 759, 766-768, 771,<br />

854, 856, 858-859<br />

– ricchi, potens, 549, 615-616, 856<br />

– rur<strong>al</strong>e, 555<br />

– schiavi, 515-516, 519, 524, 527, 586<br />

– servi, servaggio <strong>al</strong>to mediev<strong>al</strong>e, 69, 128,<br />

375-376, 381, 519, 524, 538, 585, 720<br />

– buon contadino, 726<br />

– comportamenti etnico-soci<strong>al</strong>i, 475<br />

– costumi soci<strong>al</strong>i, 389<br />

– aspetti mor<strong>al</strong>i e psicologici, 396<br />

– cultura del cibo, 399<br />

– ecclesiastica, 401, 403<br />

– folklorica germanica, v. paganesimo,<br />

germani<br />

– tradizione pagana, 378-379, 396<br />

– gare tra bevitori, 400-401, 412, 418<br />

– ment<strong>al</strong>ità cav<strong>al</strong>leresca, 400<br />

– rapporto quotidiano col vino, 416<br />

– riti folklorici, 402-403<br />

– superstizione, credenze superstiziose,<br />

402, 749<br />

– tabù del sangue, 414<br />

– tradizioni popolari, 404, 720<br />

– uso ritu<strong>al</strong>e delle potiones tra i contadini,<br />

400<br />

– europea dopo il Mille, 419<br />

– feu<strong>d<strong>al</strong></strong>ità minore, 389<br />

– forza contrattu<strong>al</strong>e dei lavoratori agricoli, 810<br />

– individu<strong>al</strong>ismo agrario mediterraneo, 10<br />

– istituzione della tregua Dei, 389<br />

– movimento della pax Dei, 389<br />

– pratiche, usi cannib<strong>al</strong>ici, 539, 540<br />

– proprietari fondiari, terrieri, possidenti,<br />

dominati signorili, 406, 503, 580, 657, 720,<br />

723, 749, 777, 780-781, 784, 791, 800,<br />

802-804, 810-811<br />

– rapporti agrari fra proprietari e coloni,<br />

572-574, 726<br />

– re<strong>al</strong>tà soci<strong>al</strong>e ed economica delle campagne,<br />

726<br />

– ricomposizione delle coniurationes, 557<br />

– strutture di aggregazione, v. anche luoghi<br />

di accoglienza, 577


– umanesimo it<strong>al</strong>iano, v. letteratura, 485, 489<br />

– gravitas umanistica, 488<br />

– metodo filologico, 486<br />

– monopolio dell’educazione, 486<br />

– politesse convivi<strong>al</strong>e, convivi<strong>al</strong>ità, 486, 488<br />

– vass<strong>al</strong>laggio (rapporto di), vincolo vass<strong>al</strong>latico,<br />

406-407<br />

– vita feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e, 407<br />

– gaudente, 491<br />

sole, solleone, 151, 179, 181, 206-207, 231, 425,<br />

526, 528, 668-669, 722, 737, 771-772, 784,<br />

792, 851, 858<br />

soporatus, ubriaco, v. ubriachezza, ubriaco, 398<br />

spezie, v. anche <strong>al</strong>beri e piante, 66, 75, 103, 110,<br />

268, 270-271, 277, 298, 307, 309, 311-316,<br />

533, 545, 588, 590, 595, 703, 711, 853<br />

– anice, aniso, 312-313, 316, 320<br />

– cannella, 313, 545<br />

– cardamomo, 313<br />

– chiodi di garofano, 313<br />

– cumino, 313, 316, 320<br />

– garof<strong>al</strong>i, 704<br />

– ginepro, 695<br />

– grani di [melo] paradiso, 313<br />

– grani di mortelle, 741<br />

– gruit (mistura), 103<br />

– in polvere, 313<br />

– issopo, 313, 695<br />

– mazorana, polvere di, 704<br />

– mirra, 312<br />

– noce moscata, 747<br />

– pece, v.<br />

– pepe, 111, 313, 320, 529<br />

– pet<strong>al</strong>i di rosa, 320<br />

– pigmenta, graecorum, 312<br />

– radici, 313<br />

– resina, 320-321, 527, 856<br />

– rosmarino, 705<br />

– ruta, 699<br />

– s<strong>al</strong>via, 699<br />

– semi, di finocchio, 320<br />

– di sedano, 320<br />

– senape, in polvere, 705<br />

– serpillo (timo), 695<br />

– sostanze, essenze odorose, profumate,<br />

469, 590, 597, 853<br />

– olio dopobagno, 753<br />

– zafferano, 165, 175, 595, 597, 626<br />

– zenzero, 313, 319<br />

stagioni, 236<br />

– autunno, periodo autunn<strong>al</strong>e, 24, 38, 126,<br />

138, 182, 737, 755, 792<br />

– estate, periodo estivo, 12, 138, 223-225,<br />

228, 230, 232, 236, 238, 248, 253, 262,<br />

308, 311, 614, 620, 737, 754-755, 850, 853<br />

– muscarum tempore, 262<br />

– inverno, periodo invern<strong>al</strong>e, 223, 253, 257,<br />

308, 525, 529, 533, 614, 753, 774, 801,<br />

852, 858<br />

– primavera, 24, 38, 57, 126, 181, 525, 849<br />

statuti, fonti statutarie, 609, 646<br />

– bresciani del XIII secolo, 568<br />

– cassinensi, 277<br />

– cittadini, comun<strong>al</strong>i, 8-10, 556, 564, 566-<br />

567, 574, 578, 580-583, 589, 593, 600, 604,<br />

607, 609, 612-614, 617-618, 628-634, 648-<br />

650, 658-659, 662<br />

– correctores, 574, 578, 631<br />

– dei tavernieri, 610<br />

– sul commercio vinicolo, 634, 647<br />

– cluniacensi, 326<br />

– dei bottai di Messina, 8<br />

– dei vinattieri fiorentini, 607, 617<br />

– dei vini bresciani, 813<br />

– di Teodoro di Studion (costituzioni monastiche),<br />

316, 320<br />

– murbacensi, 235, 239<br />

stelle, 179<br />

stoffe, tessuti e panni, 604, 825-826, 833<br />

– coloritura, 78<br />

– di lana, 595, 654, 660, 825<br />

– di lino, saccus, 528, 668<br />

– di seta, silk, 153, 160, 588, 595, 626<br />

– p<strong>al</strong>lia fresonica,96<br />

– panni, v. anche abbigliamento, 748, 765<br />

storia, storiografia, 643, 658, 662<br />

– agraria, dell’agricoltura, 3-4, 68, 636, 641,<br />

643, 663<br />

– dei trasporti e dei commerci, 635<br />

– del commercio vinicolo, 96, 637-638, 641,<br />

645, 663, 857<br />

– del riso (inteso come ridere), 562<br />

– del vino, vitivinicola, 4-5, 14-15, 17, 72,<br />

94, 123, 125, 162, 321, 342, 590, 641, 643-<br />

644, 854<br />

– nella cultura bizantina, 144<br />

– nella penisola Iberica, 70<br />

– dell’<strong>al</strong>imentazione, 4, 238, 253, 341, 635<br />

– nel mondo bizantino, 153<br />

973


974<br />

– dell’editoria tardo cinquecentesca, 725,<br />

727<br />

– della fisc<strong>al</strong>ità, v. anche fisco, fisc<strong>al</strong>ità, 635<br />

– delle vigne e del vino, 823<br />

– economica, 636, 641, 716<br />

– liturgica, 425<br />

– mediev<strong>al</strong>e it<strong>al</strong>iana, 419, 857<br />

– soci<strong>al</strong>e, 716<br />

strutture igieniche e fognarie, 324<br />

stuoie, 304, 525<br />

suggerimenti pedagogici, 211<br />

superstizione, v. società, costumi soci<strong>al</strong>i<br />

tabula (strumento music<strong>al</strong>e), 282<br />

taifas, regni di, 75<br />

teatri, 524<br />

temperanza, 212, 218<br />

templi pagani, 526<br />

terra, terracotta, terra verde, creta, 261, 264-<br />

265, 588, 829-830<br />

terre, terreni, suoli, fondi, 280, 300, 304, 333,<br />

377, 383, 390, 544, 573, 734, 755, 767<br />

– a pascolo, 723<br />

– a vegetazione spontanea, 723<br />

– a vocazione agricola, 715<br />

– vitivinicola, 722, 744<br />

– abbandonate, incolte, 84, 503<br />

– ambiente agricolo, 723<br />

– appezzamento da coltivare, 724<br />

– are<strong>al</strong>e della vite, 654<br />

– argillosi, 21, 781<br />

– bonifiche, 101<br />

– boschi, 24, 71, 75, 309, 380, 445, 499, 565,<br />

755-756, 779, 837, 850<br />

– campagne, 3-4, 6, 29, 45, 99, 198, 306,<br />

378-379, 412, 415, 425, 445, 506, 541, 552,<br />

567, 587, 651, 717, 721-722, 725-726, 732,<br />

737, 746-748, 782, 850<br />

– affittuari, 778<br />

– agenti di, 721<br />

– an<strong>al</strong>fabetisto, 506<br />

– appezzamenti, pezze, 778, 780, 782<br />

– austriache, 107<br />

– azioni di bonifica, 569<br />

– bolognesi, 585<br />

– bresciane, 777, 780-782<br />

– brughiera, 782<br />

– cave, 767<br />

– cavedagne (strade), 778<br />

– chiuse, clausure, clausis, 564, 574, 629<br />

– <strong>al</strong>pine, v. terre, colline<br />

– condizioni geologiche, 729<br />

– conduttori, 778<br />

– coltivate con metodi arcaici, 715<br />

– danni, distruzioni, <strong>al</strong>le colture, 569<br />

– <strong>al</strong>le vigne, 574<br />

– da passaggio di soldati, 569<br />

– della terraferma veneziana, 724, 783<br />

– di Napoli, 725<br />

– distesa dell’aratorio, 780, 782<br />

– emiliane, 10, 853<br />

– fattore, 749<br />

– filari di <strong>al</strong>beri, 778-780<br />

– di gelsi, 785<br />

– di viti, v. vigne, vigneti<br />

– fossati, 779<br />

– francesi, 29, 33, 45, 47, 317<br />

– intermediari, 778<br />

– it<strong>al</strong>iane, 7, 209, 376<br />

– lombarde, 564, 569, 752, 761, 797<br />

– bresciane, 716<br />

– di Castenedolo e Montichiari, 745<br />

– inselvatichite, 761<br />

– milanesi, 579<br />

– non bonificati, 723<br />

– padane, 726<br />

– padovane, 13<br />

– poderi, mezzadrili, 778<br />

– possessioni, grandi possessi, v. proprietà<br />

– pratesi, 12<br />

– prodotti delle, 567, 723<br />

– produttività, 810<br />

– renane, 378<br />

– romane, 362<br />

– siepi, sepibus, 564, 734, 768, 779<br />

– superfici coltivate, 723<br />

– terrazzi fluvi<strong>al</strong>i, 781-782, 785<br />

– venete, 319<br />

– vita in campagna, 717<br />

– viticoli, v. vigne, vigneti<br />

– zona lamiva, 782<br />

– campi, poderi, 543, 571, 721-722, 747,<br />

755, 764, 838<br />

– cessioni, permute, v. atti leg<strong>al</strong>i<br />

– colli, colline, pedemonte, monti, 14, 70,<br />

72, 97, 174, 361, 579, 582, 634, 653, 661-<br />

662, 722, 743-744, 753, 755, 782-783, 785-<br />

786, 790-792, 796, 798-799, 802-804, 808,<br />

811-812, 852


– chiuse <strong>al</strong>pine, 662<br />

– lombarde, 764, 780<br />

– zone moreniche, 783, 790, 796, 811-812<br />

– di pianura, pianeggianti, 14, 580, 660-662,<br />

729, 745, 785, 791-792, 795-796, 799, 811-<br />

812, 822<br />

– bresciana, 780-783, 786, 790<br />

– lombarde, 780<br />

– di uso collettivo, 84<br />

– disboscamento, 101<br />

– fondov<strong>al</strong>le, 657<br />

– foreme di conduzione, v. anche contratti<br />

agrari, 778<br />

– giardini, 67, 105, 177-178, 322, 748<br />

– coltivazione, 747<br />

– di agrumi, 783<br />

– Giardino dell’Eden, 396, 752<br />

– grange, 267, 269, 271, 275<br />

– interessi nobiliari, 717<br />

– luogo coltivato, 724<br />

– orto, orti, horti, 67, 75, 237, 724, 736, 748<br />

– p<strong>al</strong>udi, 181<br />

– pascoli, 84, 389<br />

– pedemonte, 580<br />

– piccola tenuta, 723<br />

– potenzi<strong>al</strong>ità produttive, 715<br />

– prati, 177, 383, 543, 748, 778, 791, 804<br />

– produttività agricola, 716<br />

– proprietà fondiarie, possessioni, grandi<br />

possessi, tenute, 27, 29, 574, 652, 660,<br />

720, 736, 777-778, 780, 785, 791, 858<br />

– accaparramento, 777<br />

– <strong>al</strong>lodi<strong>al</strong>e, 777, 779<br />

– cessioni, permute, v. atti leg<strong>al</strong>i<br />

– cittadina, v. società, classi soci<strong>al</strong>i<br />

– comun<strong>al</strong>e, comunitario, usi civici, 777-779<br />

– contadina, mezzadrile, v. società, classi<br />

soci<strong>al</strong>i<br />

– ecclesiastica, 27, 29, 39, 55, 71, 76, 78,<br />

128, 268, 380, 382-383, 782<br />

– enfiteutici, 82, 85, 777, 779<br />

– feu<strong>d<strong>al</strong></strong>e, 777<br />

– fondiarie, 777<br />

– medie e grandi, 779, 782<br />

– nobiliare, 778, 781<br />

– piccola, 779<br />

– signorile, 28, 49, 51, 55, 58, 78, 85, 127<br />

– regime fondiario, 722<br />

– repartimientos (terre divise fra conquistatori),<br />

84<br />

– resa dei terreni, 722<br />

– superfici vitate, v. vigne, vigneti<br />

– terrazzamenti, 657<br />

– v<strong>al</strong>li, v<strong>al</strong>late, 22-23, 26-27, 33, 41, 45-46,<br />

53, 55, 59-61, 63, 65, 71-72, 76, 85, 92-93,<br />

101, 105, 107, 114, 116, 133, 318, 422,<br />

583, 640, 646, 650, 656, 658, 662, 687,<br />

744, 777, 783, 785, 802<br />

– verzieri, 174<br />

– zone lacustri, 579, 582<br />

thermodotes (colui che porge l’acqua c<strong>al</strong>da), 141<br />

thermòn, v. bevande, acqua c<strong>al</strong>da<br />

timore di Dio, 212<br />

tinaia, v. cantine<br />

torchi, v. cantine, arnesi<br />

tovaglie, v. oggetti sacri<br />

traffici commerci<strong>al</strong>i, v. commercio<br />

truffe, 380, 386<br />

ubriachezza, sbronza, sbornia, v. anche ebbrezza,<br />

150, 182, 190, 199, 208, 209, 211, 215,<br />

218, 220-221, 228, 230, 232, 238, 241, 300,<br />

315, 325, 328, 398-399, 401, 406, 408-410,<br />

412, 415, 423, 466, 490, 530, 535, 538-539,<br />

606, 736, 739, 741, 753, 759, 764, 855-856<br />

– condanna, 395<br />

– cronica, 405, 412<br />

– fomes omnium vitiorum, 397<br />

– repressione, 395-396<br />

– s<strong>al</strong>tuaria, 405<br />

universo, ordine matematico dell’, 747<br />

urina, 672<br />

utensili, stoviglie, arnesi, per casa e il lavoro, v.<br />

abitazioni<br />

UVA, 7-9, 22, 46, 63, 73-75, 83, 94, 105, 117, 128,<br />

135, 137, 178, 182, 184, 186, 196, 209, 268,<br />

295, 297, 322-323, 334, 348, 356, 379, 422-<br />

423, 432, 494, 512, 523, 526, 555, 566, 568,<br />

570, 573, 582, 586, 594, 628, 737, 739, 748,<br />

754-755, 785, 787, 793, 795, 799, 808, 812-<br />

814, 854-855<br />

– acebibe,74<br />

– acerba, 203, 424<br />

– succo, v. cibi, agresto<br />

– acino, acini, chicchi, 183, 197, 346, 377,<br />

424, 795, 854<br />

– agresto, agresta, v. cibi, agresto<br />

– <strong>al</strong>arije,74<br />

975


976<br />

– <strong>al</strong>bana, 853<br />

– ammucchiata, 183<br />

– appesa, 184<br />

– b<strong>al</strong>samino, rossa, 803<br />

– bianca, 527, 733, 782, 803, 813, 853<br />

– bob<strong>al</strong>,83<br />

– bondria, bianca, 803<br />

– brognera, rossa, 803<br />

– bucce, 795<br />

– caritudo uvarum, 653<br />

– carmené, rossa, 803<br />

– ciclo dell’uva, 69<br />

– classificazione, 742<br />

– coltivazione, coltura, v. vite<br />

– commercio, 612<br />

– conservazione, 533<br />

– nel mosto, 526<br />

– nel vinello, 526<br />

– nel vino cotto, 526<br />

– nell’acqua piovana, 526<br />

– consumo, 7, 526<br />

– corva, rossa, 803<br />

– da lasciar passire, 545<br />

– da pasto, 782<br />

– da scarto, 527<br />

– da tavola, 180, 317, 526, 806, 816, 851<br />

– invernenga, 806<br />

– pergolese, 319<br />

– pizzutella, 319<br />

– da vinificazione, v.<br />

– del Bresciano, 807<br />

– della Franciacorta, 800<br />

– della V<strong>al</strong>dinievole, 616<br />

– della v<strong>al</strong>le di Escol, 422<br />

– di Almuñécar, 74<br />

– di Badia Polesine, 653<br />

– di Coimbra, 74<br />

– di Elche, 74<br />

– di Erbusco, 783<br />

– di Faro, 74<br />

– di Ferrara, 653<br />

– di Granada, 74<br />

– di Ibiza, 74<br />

– di Idanha, 74<br />

– di Jerez, 74<br />

– di Lendinara, 653<br />

– di Lorca, 74<br />

– di M<strong>al</strong>aga, 74<br />

– di Marbella, 74<br />

– di Ostiglia, 653<br />

– di Paderno, 783<br />

– di Passirano, 783<br />

– di Rovigo, 653<br />

– di Saragozza, 74<br />

– di V<strong>al</strong>encia, 74<br />

– dolce, 74<br />

– fermentati d’uva, v. anche vinum, mellitum,<br />

208, 220, 228, 268, 276, 279, 292, 304<br />

– <strong>al</strong>bi, 316<br />

– liitranch, 312<br />

– uvasledam, 312<br />

– vermigli, 316<br />

– fiore, 754<br />

– fondi (fertilizzante), 180<br />

– fresca, 7, 126, 180, 183<br />

– garganica, 853<br />

– grappoli, 124, 180, 197-198, 204, 295,<br />

336-337, 351, 422, 525-526, 541-542, 545,<br />

565-567, 582, 754, 792, 795, 827, 840,<br />

850-851, 860<br />

– gropello, groppello, greppellis uvis, 743<br />

– bianca, 803<br />

– rossa, 803<br />

– impieghi medicin<strong>al</strong>i, v. medicina, medicin<strong>al</strong>ia,<br />

526<br />

– lavorazione, 94, 126, 809<br />

– macerazione, 168, 855<br />

– mangime, per anim<strong>al</strong>i, 526<br />

– matura, maturazione, 72, 203, 737, 786,<br />

793, 795<br />

– melume, 791<br />

– monastrell,83<br />

– moscatello, moscatella, 74, 746-747<br />

– bianca, 803<br />

– mosto, v.<br />

– nebiola, 853<br />

– nera, 307, 527, 769, 782, 853<br />

– parte zuccherina, 803<br />

– passa, 7, 74, 126, 135, 175, 184, 526<br />

– di Cos, 526<br />

– seccata <strong>al</strong> sole, 528<br />

– pergolese,8<br />

– pigiatura, pestatura, pressatura, spremitura,<br />

v. vinificazione<br />

– pinot, rossa, 803<br />

– prezzi, 804<br />

– primaticcia, 432<br />

– produzione, 70, 566, 574, 792-793, 812<br />

– qu<strong>al</strong>ità, 735<br />

– purgative, 738


– raccolta, 69<br />

– ripartizione fra proprietari e coloni, 572<br />

– rosastra, bianca, 803<br />

– rossa, 733, 803, 812<br />

– rossera (rossa), 803<br />

– schiava, 297, 318-319, 744, 783<br />

– rossa, 803<br />

– sciroppo, 183<br />

– sclava, 853<br />

– secca, 168, 855<br />

– selvatica, 423-424<br />

– senza vinaccioli, grana, 747<br />

– strugure, 124<br />

– succo, spremuta, 168, 184, 433, 524<br />

– vinificatore (ricavato <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uva), 767<br />

– tecniche di selezione, 789<br />

– trasporto, 78, 126, 526, 573<br />

– trebbiana, 853<br />

– bianca, 803<br />

– usi farmaceutici, v. medicina, medicin<strong>al</strong>ia<br />

– uso person<strong>al</strong>e, 581<br />

– uvetta, v. anche passa, 180<br />

– vernaccia, rossa, 803<br />

– vinaccia, vinacciolo, vinaceus, vinaţ, 11, 94,<br />

124, 197, 290, 306, 526, 597, 792, 800, 853<br />

veleno, venenum, 206, 217, 331, 337, 441-447,<br />

449, 452-453<br />

VENDEMMIA, vindemiare, 5, 8-10, 12, 26-27, 38-<br />

39, 54, 69, 74, 81, 86, 94, 104, 106, 109, 125-<br />

126, 130, 133, 162, 183, 185, 198, 203-204,<br />

241, 289-290, 305, 309, 311, 319, 322, 345,<br />

350, 386, 390-391, 422, 511-512, 526, 543,<br />

545, 551, 566, 572-574, 579, 581-582, 725,<br />

730, 737, 755-756, 765, 786, 795, 799, 827,<br />

853, 860<br />

– imperi<strong>al</strong>e, 458<br />

– mancato raccolto, 800<br />

– pigiatura, pestatura, pressatura, spremitura,<br />

torchiatura dell’uva, v. vinificazione<br />

– precoce, 49<br />

– riparto dell’uva fatto in vineis, 574<br />

– ritu<strong>al</strong>i laici e religiosi, 126<br />

– spumeggiante, 753<br />

– tempi e mo<strong>d<strong>al</strong></strong>ità, 731<br />

– trasporto dell’uva per la pigiatura, 10<br />

– vinificazione, v.<br />

venti, 851<br />

– austro, 731<br />

– bore<strong>al</strong>e, 731<br />

verginità, 198, 760-761<br />

vernici epossidiche, 813<br />

vetro, 206, 258, 261, 263-264, 266, 284, 301-<br />

302, 311, 354, 356, 428, 433, 455, 491, 827-<br />

829, 832, 834<br />

– lavorato, 264<br />

– pregiato, 831<br />

viaggi, 275, 413-415, 423, 451, 622, 722, 761,<br />

818<br />

– pellegrinaggi, 77, 168, 171, 610, 619<br />

– a Roma, 610, 619, 622<br />

– cammino di Santiago de Compostela,<br />

69, 75, 77-79, 87<br />

– per mare, 697<br />

vie, strade, v. anche città, campagne, 160, 595,<br />

642, 654, 662, 756, 764, 769, 771, 783, 856<br />

– cavedagne, 778<br />

– di commercio, 95<br />

– rete stra<strong>d<strong>al</strong></strong>e mediev<strong>al</strong>e, 21<br />

vigna, vigne (la), viña, vinea, v. vite, sistemazioni,<br />

15, 20-23, 28-29, 45, 53, 69, 72, 84, 85, 92,<br />

124, 240, 348, 350, 374, 422, 424, 499, 547<br />

744<br />

– canteriatae, canterius, 525<br />

– characatae, 525<br />

– compluviatae, 525<br />

– jugatae, 525<br />

– miracolosa, 351<br />

– particolare per i poveri, 255<br />

– simbolo di fede, 198<br />

– vignoble, 240<br />

– cat<strong>al</strong>an,72<br />

VIGNE, VIGNETI, 5-6, 10, 15, 22-24, 27-28, 32-<br />

33, 35-36, 42-43, 45-47, 49, 53, 57-59, 61-<br />

65, 67-72, 75-85, 87, 93, 95, 97-99, 101, 103,<br />

105, 107-110, 116, 124-126, 128, 130-134,<br />

138, 141, 162, 167, 175-176, 181, 185, 198,<br />

202-203, 206, 265, 267-269, 289, 298, 306,<br />

309, 317-318, 322-323, 336, 350, 365, 376,<br />

380, 382-383, 384, 388, 390, 422-423, 501,<br />

503-505, 512, 518-520, 522-524, 526-527,<br />

543, 545, 552, 554, 559, 564, 566, 568, 570-<br />

571, 573-575, 581, 624, 632, 734-736, 748,<br />

755, 764-765, 767, 781, 786, 789-793, 798,<br />

800-803, 805, 811-814, 849-850, 852-855,<br />

859<br />

977


978<br />

– abbandono, 130<br />

– adacquatori, adaquatorie, 791, 793<br />

– affitto, 33<br />

– appezzamenti vitati, 131<br />

– aragonesi, 79<br />

– aratorio, aratori vitati, v. anche poderi vitati,<br />

782, 785-786, 790-793, 797<br />

– moronati, 798, 802<br />

– ulivati, 791, 793<br />

– bresciani, 798, 808, 853<br />

– caratteristiche dei terreni, 733, 735<br />

– circondati con siepi, 422<br />

– Clos Vougeot, 20<br />

– collinari, 32<br />

– coltivazione del fondo, 809<br />

– costi di impianto, 793<br />

– cru, 595<br />

– cura, 27, 375-376, 571, 746, 798, 814<br />

– danneggiamenti, devastazioni, spogliazioni,<br />

distruzione, 47, 574-575, 756, 764<br />

– del Bordolese, 65<br />

– dell’Alsazia, <strong>al</strong>saziani, 21, 60, 65<br />

– dell’Aquitania, aquitani, 55, 63<br />

– dell’Île de France, 18<br />

– della Borgogna, borgognoni, 21, 25, 60, 65<br />

– della Bornata, 808<br />

– della Bretagna, 19<br />

– della Champagne, 63<br />

– della Dive Bouteille, 52, 58<br />

– della Franciacorta, 808<br />

– della Linguadoca, 63<br />

– della Lorena, lorenesi, 21, 60<br />

– della Mosella, 60<br />

– della Normandia, 19<br />

– della Piccardia, 19<br />

– della V<strong>al</strong>camonica, 807<br />

– della v<strong>al</strong>le della Loira, 63<br />

– delle Fiandre, 19<br />

– di Arbois, 52<br />

– di Beaune, 58<br />

– di Botticino Mattina, 808<br />

– di Castenedolo, 808<br />

– di Spagna, spagnoli, 69<br />

– di Treviri, 25<br />

– difesa, 69<br />

– diffusione nella G<strong>al</strong>lia, 26<br />

– diritto di piantare vigneti, 25<br />

– espianto, sradicamento, 22, 59, 60, 73,<br />

502, 541-542, 627<br />

– fălcia, 135<br />

– filari, 33, 38, 779, 781, 786, 790-792, 795,<br />

797-798, 838, 841<br />

– con una sola qu<strong>al</strong>ità di vitigni, 805<br />

– con varietà di vitigni, 786, 795, 805<br />

– ri<strong>al</strong>zati, 72<br />

– fitti, 837<br />

– francesi, 15, 17, 19-21, 23, 28, 47-48<br />

– frutti della vigna, fructus vineae, 69, 384<br />

– impianto, piantagione, reimpianto, v.<br />

anche vite, coltivazione, 7, 28, 59, 500-<br />

501, 564, 570, 802, 805<br />

– introduzione, 25<br />

– irrigazione, v. anche agricoltura, lavori<br />

agricoli, 181, 525<br />

– lombarde, 807, 811<br />

– meccanizzazione, 841<br />

– p<strong>al</strong>i di sostegno, puntelli, p<strong>al</strong>los, p<strong>al</strong>ea, v.<br />

vite, coltivazione<br />

– piantati intorno ai p<strong>al</strong>azzi imperi<strong>al</strong>i, 27<br />

– poderi vitati, spessi, 790-791<br />

– a campo coltivato frammezzo, 790<br />

– a ordinanze condotte diritto a grandi<br />

interv<strong>al</strong>li, 790<br />

– possesso trentenn<strong>al</strong>e, 381<br />

– prati vitati, 790-791<br />

– proibizione di <strong>al</strong>ienazione di vigne, 380<br />

– proprietà, 61<br />

– monastica, v. anche monasteri, 477<br />

– signorile e re<strong>al</strong>e, 127, 130<br />

– vescovile, v. anche istituzioni, enti ecclesiastici,<br />

477<br />

– protezione, protettori, guardiani, 124,<br />

127, 422, 567<br />

– rese, rendimento, rendita, 107, 500, 792-<br />

793, 807-808, 812-813<br />

– rinnovo delle viti, 798<br />

– sfruttamento, 382<br />

– indiretto, 39<br />

– speci<strong>al</strong>izzati, 807<br />

– suburbani, 35<br />

– sviluppati <strong>al</strong> suolo, 525<br />

– sviluppo, espansione, 26, 28, 80<br />

– taglio della vigna, 38<br />

– terroirs viticoli, 6, 240<br />

– tolosani, 55<br />

– torre di guardia, 422<br />

– v<strong>al</strong>ore economico, 388<br />

– vigneto intensivo, 814<br />

– muse<strong>al</strong>e, 840<br />

– selvaggio (in G<strong>al</strong>lia), 21


– rossa, 795<br />

– vivai, 138<br />

– Weinberg,95<br />

– zappati, 722<br />

villaggi, 568, 757, 774<br />

vimini, 8, 257, 528<br />

vina, de vite, 482<br />

– domestica vernacia (Brixianis agris), 743, 744<br />

– fulva, 356, 743<br />

– fusca dabant fulvo chrysattica vina met<strong>al</strong>lo, 356<br />

– mediocre vigore, mediocris roboris, 743<br />

– nobilia et cara, 661<br />

– non durabilia, 660<br />

– sitis minuunt, 492<br />

– vera gemina vitis, 482<br />

vinaccia, vinacciolo, v. uva<br />

VINI, 268, 500, 591, 633<br />

– acerbi, acerbum, 708, 742<br />

– agrestini, 742<br />

– aigleucòs, aeì gleukòs, 528-529<br />

– <strong>al</strong>binganensis, 650<br />

– <strong>al</strong>coolici resistenti, 812<br />

– Aleramo, 751<br />

– <strong>al</strong>untium, 528<br />

– amineo, amineum greco, 418, 500, 523, 703,<br />

860<br />

– Arbosii, 650<br />

– Argenteuil, 18<br />

– Ariciae (di Ariccia), 743-744<br />

– arneis, 594<br />

– Aunis, 18, 43<br />

– austeri, 742<br />

– barbera, rosso, 814, 849<br />

– Barolo, 809<br />

– Bastert, 115<br />

– besegana, rosso, 814<br />

– Béziers, 18<br />

– bizantino, 591<br />

– bordò, rosso, 814<br />

– bordonsì, rosso, 814<br />

– bretoni, 59<br />

– brugnera, rosso, 814<br />

– Brunello di Mont<strong>al</strong>cino, 853<br />

– bruschi, 742<br />

– Busto, 751<br />

– c<strong>al</strong>abrese, 320, 624<br />

– Carcassonne, 18<br />

– Cecubo, 587<br />

– Ch<strong>al</strong>ons, 18<br />

– Chambertin, 751<br />

– Champagne, Sciampagna, 15, 17, 751<br />

– Château Latour, 32<br />

– chianti, 619, 751, 752<br />

– bianco, 594<br />

– Claré, 751<br />

– Claret, 118<br />

– classificazione, 742<br />

– Crete senesi, 319<br />

– d’Irancy, 53<br />

– d’It<strong>al</strong>ia, it<strong>al</strong>iani, it<strong>al</strong>ici, 23, 62, 85, 99, 116,<br />

358, 501, 528, 591, 650, 742-743, 745, 783<br />

– <strong>d<strong>al</strong></strong> colore piuttosto marcato, 813<br />

– dei Castelli romani, 319, 626, 646, 751<br />

– dei colli Euganei, 652<br />

– del Beaujolais, 62<br />

– del Bordolese, bordolesi, 15, 32, 43, 45,<br />

47, 58, 317, 393<br />

– del Bourbonnaise, 60<br />

– del Casentino, 646<br />

– del Cilento, 320<br />

– del Comtat Venaissin, 63<br />

– del Friuli, friulani, 116, 132, 504, 662<br />

– del Garda, 796, 813<br />

– del Lazio, lazi<strong>al</strong>i, romano, 623-624, 626,<br />

646<br />

– del Levante, levantino, 590, 592<br />

– del Libano, libanesi, 422, 589<br />

– del Lionese, 37, 62<br />

– del mar Nero, 320<br />

– del Médoc, 58<br />

– del Montello, Montelli, 652, 661<br />

– del Neckar, 114<br />

– del Piceno, 500<br />

– del Piemonte, piemontesi, 651, 801<br />

– del Poitou, 43, 49<br />

– del pugliese, 320<br />

– del Reno, 57, 97, 113, 118, 121, 268, 317-<br />

318, 745<br />

– del Rodano, 62<br />

– del Taillan, 58<br />

– del Trevigiano, 116<br />

– del V<strong>al</strong>, 59<br />

– del Viterbese, 319<br />

– dell’Africa, 528<br />

– dell’Alsazia, <strong>al</strong>saziani, 17-19, 41, 61, 64,<br />

113-114<br />

– dell’Alto Adige, 116<br />

– dell’An<strong>d<strong>al</strong></strong>usia, 80, 83, 85-87<br />

– dell’Aquitania, aquitani, 41, 54, 57-59<br />

979


980<br />

– dell’Auxerrois, 52<br />

– dell’Elba (isola), 615, 624<br />

– bianco, 646<br />

– dell’Eubea, 146, 149<br />

– dell’Istria, 116, 504<br />

– dell’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e, meridion<strong>al</strong>i, del<br />

Mezzogiorno, Magna Grecia, 14, 615,<br />

622, 624, 626, 808, 838, 852, 854, 860-861<br />

– dell’Ungheria, 491<br />

– della Borgogna, borgognoni, 15, 17-18,<br />

37, 39, 46, 48-49, 51, 53, 63, 317, 650, 751,<br />

809<br />

– della Campania, campani, 133, 320, 418,<br />

624, 646, 860<br />

– della Cilicia, 150, 528<br />

– della Côte d’Or, 52-53, 361<br />

– della Franca Contea, 52<br />

– della Franciacorta, 583, 594, 743-744, 783,<br />

792, 796, 807, 809, 814, 853<br />

– doc, 815<br />

– della Franconia, 109, 114<br />

– della G<strong>al</strong>lia, g<strong>al</strong>lica, g<strong>al</strong>licum, 23, 92, 491,<br />

687, 743-745<br />

– Narbonese, 528<br />

– della Georgia, 465<br />

– della Grecia, greco, grecum, grecorum, 63,<br />

149, 163, 313, 491, 500, 523, 527, 533,<br />

587, 590-593, 597, 614, 621-622, 624-626,<br />

646, 651, 659, 661, 687, 712, 837-838,<br />

853-854, 861<br />

– graecum de Neapoli, 646<br />

– della Guascogna, guasconi, 43, 45, 55, 86<br />

– della Liguria, Riviera Ligure, liguri, 14,<br />

590, 624-625, 634, 646-647, 649-650<br />

– della Linguadoca, 19, 42, 62<br />

– della Lombardia, lombardi, 657-658<br />

– della Lorena, 41<br />

– della Lugana, 812<br />

– della Mosella, mustum mosellanum, 18-19,<br />

57, 318<br />

– della P<strong>al</strong>estina, p<strong>al</strong>estinese, 147, 150, 356,<br />

361, 422<br />

– della p<strong>al</strong>ude mareotica o Mareotides, 147<br />

– della Provenza, 18, 42, 62<br />

– della Raffa, 812<br />

– della Ribera del Duero, 87<br />

– della Rioja, 80, 87<br />

– della Riviera benacense, 792<br />

– della Romania, rumeni, 115, 126, 133,<br />

136, 589-590, 592-593, 613, 634, 687<br />

– della Sabina, 500<br />

– della Sicilia, siciliani, siculum, 528, 646, 703<br />

– della Siria, 361<br />

– della Spagna, spagnoli, ispani, hispanica vina,<br />

18, 62, 72-73, 80, 590, 745, 751-752<br />

– della V<strong>al</strong> C<strong>al</strong>epio, 745<br />

– della V<strong>al</strong> di Sole, 743-744<br />

– della V<strong>al</strong>le Camonica, 743-744<br />

– della v<strong>al</strong>le di Krems, 114<br />

– della V<strong>al</strong>policella, 654<br />

– della V<strong>al</strong>tellina, 613<br />

– della V<strong>al</strong>tenesi, 792, 809<br />

– della Varna, barnioticon, 320<br />

– della Wachau, 114<br />

– delle Alpi, <strong>al</strong>pino, 655-656<br />

– delle Canarie, 751<br />

– delle colline del Mantovano, 801<br />

– delle colline del Veneto, 801<br />

– delle Graves, 58<br />

– delle Marche, marchigiani, 13, 661, 751<br />

– dello Jura, 52<br />

– di Adro, 743-744<br />

– di Alba Iulia, 138<br />

– di Albano (Lazi<strong>al</strong>e), Albanis, 743-744<br />

– di Alicante, 751<br />

– di Alicarnasso, 527<br />

– di Anagni, 319<br />

– di Angiò (anche Anjou), 18, 26, 59-60<br />

– di Arbois, 52<br />

– di Asc<strong>al</strong>ona, sc<strong>al</strong>onum, 356-357, 361, 859<br />

– di Aunis, 42, 48<br />

– di Aussy, 61<br />

– di Auxerre, 46, 48, 317<br />

– di Av<strong>al</strong>lon, 52<br />

– di Barletta, 751<br />

– di Bassano del Grappa, basanense, 116, 654,<br />

663<br />

– di Baubigny, 39<br />

– di Beaune, 18-19, 46, 48, 50, 52-53, 58,<br />

118, 317, 637, 710<br />

– di Beauvais, 18, 46<br />

– di Bergerac, 32, 55<br />

– di Bircium, 744<br />

– di Blayais, 32<br />

– di Bordeaux, 59, 751-752, 809<br />

– di Bormio, 744<br />

– di Bougueil, 59<br />

– di Bourgés, 32<br />

– di Brescia, bresciani, 783, 789, 792, 795,<br />

804, 812-813, 816, 861


– di Bresse, 650<br />

– di Brianum, 744<br />

– di C<strong>al</strong>visano, 792<br />

– di Castello, 744<br />

– di Castenedolo, 744-745, 783<br />

– di Cavaion Veronese, 662<br />

– di Cenate, 745<br />

– di Chablis, 18-19, 36, 46, 53<br />

– di Chartres, 35<br />

– di Château-Lafitte, 751<br />

– di Chelbon, 422<br />

– di Chenôve, 39<br />

– di Chinon, 59<br />

– di Chio, chioticon, 145-146, 148-150, 320,<br />

356, 592, 856<br />

– di Cipro, ciprioti, cipriacum, 18-19, 62, 355-<br />

356, 465, 491, 687, 703, 751, 834<br />

– di Clazòmene, 527<br />

– di Colmar, 114<br />

– di Colofona, 355<br />

– di Colonia, 113<br />

– di Conegliano, 654<br />

– di Corsica, corsi, 495, 616, 624-625, 646<br />

– di Cos, 527<br />

– di Costanza, 318<br />

– di Costești, 134<br />

– di Cotnari, 134, 138<br />

– di Creta, cretesi, 62, 148, 150, 355, 528,<br />

589, 592-593, 614, 634, 646, 659, 854<br />

– di Doublans, 52<br />

– di Drăgășani, 138<br />

– di Dumitra, 138<br />

– di Echevronne, 39<br />

– di Erbanno, 744<br />

– di Erbusco, 743-744<br />

– di Esslingen, 115<br />

– di F<strong>al</strong>erno della Campania, 133<br />

– di Gaillac, 55<br />

– di Gavardo, 744, 783<br />

– di Gaza, 150, 355-357, 859<br />

– di Ghedi, 792<br />

– di Givry, 53<br />

– di Grecești, 134<br />

– di Griez, 656<br />

– di Grumello, 745<br />

– di Haute Brion, 58<br />

– di Heilbronn, 115<br />

– di Huși, 134<br />

– di Jeréz, 854<br />

– di La Rochelle, 18, 51, 59, 64<br />

– di Langres, 361<br />

– di Laodicea (Latakia), 357-358, 859<br />

– di Laon, 46<br />

– di Lechinţa, 138<br />

– di Lepe, 86<br />

– di Lesbo, 146, 150, 592, 856<br />

– di M<strong>al</strong>aga, 75<br />

– di M<strong>al</strong>ignum, 744<br />

– di Mang<strong>al</strong>ia, 135<br />

– di Marsiglia, 528<br />

– di Medina del Campo, 79<br />

– di Memphis, 356<br />

– di Meroë, 356<br />

– di Methymna, 356<br />

– di Meursault, 39<br />

– di Mindo, 527<br />

– di Miniș, 138<br />

– di Moissac, 55<br />

– di Monembasia, 147, 149-150, 592, 855,<br />

856<br />

– di Moniga, 812<br />

– di Montebelluna, 661<br />

– di Montepulciano, 751<br />

– di Montichiari, 744, 745, 783<br />

– di Murfatlar, 138<br />

– di Napoli, 646<br />

– di Nicorești, 134<br />

– di Odobești, 134, 138<br />

– di Olite, 80<br />

– di Orăștie, 138<br />

– di Orléans, 18, 36, 58, 60<br />

– di Paderno, 743-744<br />

– di P<strong>al</strong>azzolo, 743-744, 783<br />

– di Passirano, 743-744<br />

– di Pfeddersheim, 115<br />

– di Poligny, 52<br />

– di Preßburg, 115<br />

– di Puerto de Santa Maria, 854<br />

– di Reichenau, 318<br />

– di Rodi, 149, 319, 527, 646<br />

– di Rosazzo in Friuli, 662<br />

– di Rouen, 64<br />

– di Saint Gengoux, 53<br />

– di Saint Jean d’Angély, 53<br />

– di Saint Pourçain, de Sancto Portiano, 18, 26,<br />

36, 50, 60, 687, 710<br />

– di Saintonge, 48-49<br />

– di S<strong>al</strong>erno, 500<br />

– di Samo, 148, 355<br />

– di San Martino della Battaglia (doc), 815<br />

981


982<br />

– di Sardegna, 616<br />

– di Sarepta, 150<br />

– di Serapte, 355-356<br />

– di Sezia (oggi Sezze), 500<br />

– di Siviglia, 84<br />

– di Soissons, 46<br />

– di Somma Vesuviana, 495, 592<br />

– di Sorrento, sorrentini, 500, 520<br />

– di Spira, 115<br />

– di Sporminore o Spormaggiore, de Sporo,<br />

656<br />

– di T<strong>al</strong>ence, 58<br />

– di Târnave, 138<br />

– di Taso, 150<br />

– di Teaca, 138<br />

– di Termeno, de Traminno, 656<br />

– di Tierra de Campos, 87<br />

– di Tiro, 150, 319, 356, 589, 592, 687<br />

– di Tivoli, 500<br />

– di Tonnerre, 46, 52<br />

– di Toro, 79-80, 87<br />

– di Touraine, 60<br />

– di Tracia, 148<br />

– di Trento, trentino, 658-659<br />

– di Trigleia (oggi Zeytinbagi), 149-150<br />

– di Tudela, 80<br />

– di Überlingen, 115<br />

– di Vernazza, 319, 854<br />

– di Verona, veronesi, 533, 658-659, 662<br />

– di Vienna, 114<br />

– di Würzburg, 114-115<br />

– di Xerès, 752<br />

– digestivi, 742<br />

– dissetanti, 742<br />

– diuretici, 742<br />

– dolcetto, 849<br />

– du Bordonnais,49<br />

– emiliani, 801<br />

– Epernay, 18<br />

– erbamat, bianco, 814<br />

– Est-est-est, 751<br />

– Etampes, 18<br />

– etruschi, 838<br />

– f<strong>al</strong>erno, f<strong>al</strong>ernus, 283, 342, 348, 355-357,<br />

359-361, 364, 486, 587, 703<br />

– fatturati, 751<br />

– fiano, faiano, 594<br />

– fianum, 624<br />

– francesi, 18, 46, 116, 744, 752<br />

– frensch, 117<br />

– gaglioppo, 594<br />

– garganico, 594<br />

– Gâtinais, 18<br />

– Gattinara, 751<br />

– Genzano, 751<br />

– Gnosos, 486<br />

– greco dell’It<strong>al</strong>ia meridion<strong>al</strong>e, del Mezzogiorno,<br />

14, 615, 622, 624, 626<br />

– di provenienza napoletana, 14<br />

– grignolino, 849<br />

– groppello, groppellum, cropello, 594, 687,<br />

751, 783<br />

– della Franciacorta, 743-744<br />

– rosso, 814<br />

– Hautvillers, 18<br />

– heunisch, 117<br />

– Île de France, 17<br />

– in bottiglia, 807<br />

– Koumandaria, 465<br />

– lacrima, lachrima Christi, 594, 744, 783<br />

– latino, latinum, latini, 83, 590, 592, 615,<br />

621-623, 646, 655<br />

– Lautertranck o Luttertranck, 118<br />

– Le Mans, 18<br />

– loc<strong>al</strong>i, 611<br />

– luglienga, bianco, 814<br />

– maiolina, rosso, 814<br />

– m<strong>al</strong>vasia, m<strong>al</strong>vagia, m<strong>al</strong>vaxia, 14, 104-105,<br />

109, 114-118, 163, 495, 592-593, 613-615,<br />

618, 634, 659, 661, 687, 696, 711, 751, 854<br />

– della Grecia, 619<br />

– di Cipro, creticum m<strong>al</strong>vacetum, 491, 659<br />

– di Creta, cretese, 861<br />

– ligure, 14<br />

– Mamertino, 587<br />

– Mangiaguerra, 495<br />

– marchigiani, 751<br />

– marzemino, 594, 751<br />

– rosso, 814<br />

– Masserino, 807<br />

– Mazzacane di Sorrento, 624<br />

– di Vico Equense, 624<br />

– mediterranei, 283, 651, 661<br />

– Menton, 18<br />

– Meroe, 486, 491<br />

– Montagne de Reims, 17<br />

– moscato, moscatello, muscatella, 13, 63,<br />

115, 319, 592, 594, 597, 659, 661, 687,<br />

743, 745, 854<br />

– bianco, 807, 814


– dei colli bergamaschi, 745<br />

– del Mediterraneo orient<strong>al</strong>e, 62<br />

– delle colline bresciane, 634<br />

– di Cellatica, 807<br />

– di Cipro, 834<br />

– di Perugia, 495, 861<br />

– di Taggia, Taglia, 13, 624<br />

– provenz<strong>al</strong>i, 613<br />

– rosso, 807<br />

– Narbonne, 18<br />

– nebbiolo, 594<br />

– rosso, 814<br />

– Nigoline, 807<br />

– orient<strong>al</strong>i, 589, 611, 615, 618, 634, 859<br />

– Orvieto, 751<br />

– Osterwein, 114-115<br />

– padani, 657<br />

– padovani, 652<br />

– pinella di Cipro, 659<br />

– pinot, bianco, 814<br />

– poco profumati, 813<br />

– pontici, 742<br />

– Porto, 838<br />

– portoghesi, 85-86<br />

– pratese, 616, 619<br />

– protropum, 528<br />

– Rainf<strong>al</strong>, 116<br />

– raverusco,12<br />

– razzese, 594<br />

– refosco, 594<br />

– Rennes, 18<br />

– ribolla, ribola, 593, 613-614, 647, 659, 687<br />

– di Capodistria, istriana, 319, 615, 634,<br />

661<br />

– di Imola, 615, 618, 634<br />

– ribolle istriane, 13<br />

– riesling, bianco, 814<br />

– sapore, 750<br />

– sorrentino, 418<br />

– spumante, spumanti, 138, 816<br />

– bresciani, 815<br />

– stittici, 742<br />

– sudtirolese, 658<br />

– Tiroler Weine, 93, 95, 116<br />

– tocai, bianco, 814<br />

– di San Martino della Battaglia (doc), 815<br />

– Tokay, 134, 752<br />

– toscani, toschi, 646, 752<br />

– Tours, 18, 26<br />

– trebbiano, tribiano, 593, 595, 613, 615, 687,<br />

701, 711<br />

– bianco, 616, 814<br />

– del V<strong>al</strong>darno, 13<br />

– delle Marche, della Marca,13<br />

– di Modena, 495, 861<br />

– nero, 616<br />

– Trevisane, 661<br />

– V<strong>al</strong>tellina, 751<br />

– vermiglio di Sorrento, 624<br />

– di Vico Equense, 624<br />

– vernaccia, vernacciola, vernacia, vernaza,<br />

granache, 590, 593, 614-615, 661, 687, 701,<br />

711, 743<br />

– bianca, 814, 854<br />

– del mantovano, 745<br />

– della C<strong>al</strong>abria, 590<br />

– delle Cinque Terre, 13, 590, 650, 854<br />

– di Carmignano, 619<br />

– di Cellatica, 495, 743-744<br />

– di Corniglia, 13, 590<br />

– di Taggia, Taglia, 624, 650<br />

– di Vernazza, 854<br />

– dolce di Volta Mantovana, 495, 861<br />

– ligure (guarnaccia de riparia Ianue), 14, 590,<br />

634, 646, 650<br />

– Vesevus, 486<br />

– vicentini, vinum vicentinum, 659<br />

– vina nobilia et cara, 587<br />

– Vinhos Verdes, 838<br />

– Welsch, 116<br />

VINIFICAZIONE, 10, 12, 13, 39, 68, 87, 105-106,<br />

110-111, 733-734, 786, 789, 793, 795, 803,<br />

809, 814<br />

– ammostatura dell’uva, 10<br />

– diraspatura dei grappoli d’uva, 183<br />

– entro la vigna, 10, 422<br />

– fermentazione (processo di), 11, 39, 127,<br />

184, 423, 526-527, 585, 591, 733, 803, 813,<br />

853-854<br />

– a tino aperto, 11<br />

– con chiusura ermetica del vaso, 11<br />

– in bianco, 11<br />

– in rosso, 11-12, 853<br />

– macerazione, 795<br />

– m<strong>al</strong>olattica, 814, 853<br />

– mosto, v.<br />

– natur<strong>al</strong>e, 184<br />

983


984<br />

– prolungata, 799<br />

– rifermentazione, 719<br />

– s<strong>al</strong>ita del cappello, 813<br />

– imbottamento, 12<br />

– impianti di trasformazione, 84<br />

– di vinificazione, 10<br />

– metodo arabo, v. Islam<br />

– pigiatura, pestatura, pressatura, spremitura,<br />

torchiatura dell’uva, Weinkeltern, 10, 11,<br />

39, 53, 72, 75, 91, 94, 106, 115, 125, 127,<br />

180, 182-183, 203-204, 290, 306, 422, 512,<br />

526, 528, 533, 545, 566, 573, 795-796, 813,<br />

827, 854-855<br />

– antica tecnica, 94, 106<br />

– con i piedi, 183, 795<br />

– con le mani, 183<br />

– in casa, 183<br />

– in recipienti piccoli, 11<br />

– saggiatura del vino, 465-466<br />

– selezione delle uve, 795<br />

– stazionamento nei tini, 12<br />

– strumenti per la, v. attrezzi per la venedemmia<br />

e la cantina<br />

– svinatura, svinamento, 796, 799, 813<br />

– tecniche, pratica viticola, vinificatoria, v.<br />

anche agricoltura, attività, tecniche, 9, 12,<br />

591, 789, 795, 804<br />

– aerazione del mosto, 803<br />

– per ottenere vini dolci, 731<br />

– risc<strong>al</strong>damento del vino, 803<br />

– tardo mediev<strong>al</strong>i, 290<br />

– uso dello zucchero, zuccheraggio, 35,<br />

803<br />

– tempi di, 799<br />

– torchiatura, v. pigiatura<br />

– travasamento, 12<br />

VINO, khamr, vin, wein, wine, 4, 6, 8-10, 20, 22,<br />

25, 27, 35, 47, 51, 54-55, 57-58, 61, 64-70,<br />

72-75, 78-79, 81-82, 85-86, 91-92, 94-97,<br />

100, 104, 109-110, 112-113, 116, 118, 120-<br />

121, 123-128, 130-137, 139-140, 143-148,<br />

150-151, 158, 160-161, 163, 165-173, 175-<br />

178, 182-184, 186-189, 195, 196-202, 205-<br />

216, 218-222, 225, 227, 229-231, 235-244,<br />

247-252, 255-259, 261-267, 270, 272, 277-<br />

281, 283-286, 290, 292-294, 296-301, 303-<br />

304, 306, 308-309, 311-312, 314-316, 318,<br />

321, 323-326, 328-329, 331-339, 341-347,<br />

349-353, 355-357, 359, 362-365, 367, 371,<br />

374, 376-377, 380, 382-386, 391, 394-395,<br />

399-401, 403, 410, 417-418, 420-428, 434-<br />

436, 438-439, 445, 455-458, 461-464, 466-<br />

469, 471-475, 477-482, 485-489, 491, 494-<br />

495, 499, 501, 503-516, 518-526, 533-535,<br />

537-540, 543-544, 548, 550-552, 554, 557-<br />

558, 560-562, 566, 568-569, 572-573, 575-<br />

576, 579, 581-583, 585-587, 591-592, 594-<br />

596, 598-599, 602-603, 605-607, 609, 611-<br />

613, 615, 618-619, 621-622, 625-626, 628,<br />

640, 643, 649, 655-656, 658, 660, 662, 666,<br />

672-673, 675-678, 731, 735, 739-740, 750-<br />

763, 765-772, 781-782, 787, 790, 795, 801,<br />

804, 808, 814-815, 821-822, 826-830, 832-<br />

834, 849-852, 854-861<br />

– abrostino,12<br />

– accaparramento, 661<br />

– acconciato, 12, 853<br />

– acetificazione, 507<br />

– acetoso, acetosum, acetosità, v. acido<br />

– achonzare, 597<br />

– acido, acidulo, inacidito, acetoso, acetosum,<br />

pusca, 36, 42, 49, 57, 65, 120, 148, 155,<br />

224-225, 289, 298-299, 306, 311, 488, 491,<br />

513-514, 614, 796, 814, 850, 853<br />

– acqua di zibibbo, 175<br />

– acquisto anticipato, 661<br />

– acquoso, acquato, aquatum, acquarellum, sive<br />

pusca, <strong>al</strong>lungato, mescolato con acqua,<br />

vinello leggero, v. anche misto, 12, 36, 119,<br />

142, 148, 155-156, 214, 272, 298-299, 305,<br />

363, 491, 601, 612, 616, 660, 666, 689, 695,<br />

701, 703, 708, 797, 853<br />

– adulterato, adulterazione, f<strong>al</strong>sificazione,<br />

sofisticazione, 298, 309, 527-528, 577,<br />

612, 801, 859<br />

– <strong>al</strong>lungato con acqua, 36<br />

– aqua vino miscueris, 363<br />

– ex aquis F<strong>al</strong>erna produxit, 360<br />

– f<strong>al</strong>sificazione di etichetta, 163<br />

– vecchio spacciato per nuovo, 36<br />

– Weinfälschung, 111<br />

– affinamento in cantina, 121<br />

– affumicato, fumosum, v. anche vini di Marsiglia,<br />

528, 594, 688<br />

– <strong>al</strong>batico,12<br />

– <strong>al</strong>imento, prodotto <strong>al</strong>imentare, 35, 144,<br />

169, 223, 276, 293, 308, 321, 342, 420,<br />

554-555, 559


– amaro, amer, 690, 753, 796<br />

– amico della natura, naturae amicissimum, 666<br />

– amm<strong>al</strong>orato, marcitum, 613<br />

– apporto c<strong>al</strong>orico, 324, 333<br />

– approvvigionamento, 379, 564, 574<br />

– aroma (del), 53, 145, 174<br />

– aromatico, aromatizzato, kónditon, 317,<br />

424, 473, 491, 529<br />

– asprino, di Aversa, 624<br />

– aspro, 119, 133, 593, 740, 766<br />

– astinenza <strong>d<strong>al</strong></strong> vino, 392<br />

– aurelio, 690<br />

– aureo, aureum, 11, 46, 689-690<br />

– austero, austerum, 593, 688<br />

– autoconsumo, 269<br />

– avvelenato, 444<br />

– bene di prima necessità, 766<br />

– predi<strong>al</strong>e, 384<br />

– benefico liquore, 171<br />

– bevanda, 144, 236, 251, 276<br />

– <strong>al</strong>colica, 138, 221<br />

– d’onore, 113<br />

– di largo consumo, 631<br />

– di lusso, 113<br />

– gradevole (mischiato <strong>al</strong>l’acqua), 417<br />

– ludica, 632<br />

– mattutina, 146, 165<br />

– paradisiaca, 169<br />

– purpurea, 480<br />

– rinfrescante, 620<br />

– ritu<strong>al</strong>e, 125<br />

– ristoratrice, tonificante, 620, 797<br />

– voluttuaria, 600<br />

– bianchino, 175<br />

– bianco, <strong>al</strong>bum, <strong>al</strong>bo, <strong>al</strong>ba, 13, 14, 17, 19, 36-<br />

37, 42-43, 45-46, 58, 60, 62-65, 84, 86-87,<br />

114, 118-120, 133, 258, 295, 297-298, 305,<br />

317-319, 356, 434, 465, 477-478, 480-483,<br />

488, 590, 592-593, 596-597, 613, 615-616,<br />

633, 646, 689-692, 696-697, 701, 703, 740,<br />

742-744, 807, 809, 812-814, 829, 850, 854<br />

– della Franciacorta (doc), 815<br />

– di Botticino (doc), 815<br />

– di Capriano del Colle (doc), 815<br />

– di Cellatica (doc), 815<br />

– di Lugana (doc), 815<br />

– razzente, 751, 792<br />

– spuntato, 712<br />

– binomio donne e vino, 199<br />

– biondo, 753<br />

– brillante, 753<br />

– brulé, 111<br />

– brusco, bruscum, 593, 696<br />

– buono, bonum, bon, 73, 220, 276, 287, 360-<br />

361, 418, 455, 491, 547, 556, 600-601, 627,<br />

655, 671, 737, 760-761, 765, 768, 771-774<br />

– se preso con misura e regola, 761<br />

– c<strong>al</strong>do, c<strong>al</strong>idum, bollente, 134, 320, 488, 491<br />

– c<strong>al</strong>ore del vino, 218, 740<br />

– caratteristiche bacchiche, 167<br />

– caratteristiche organolettiche, 596, 731,<br />

742, 814<br />

– carico, 594<br />

– carta dei vini d’It<strong>al</strong>ia, 751<br />

– cat<strong>al</strong>ogo dei vini, classificazione, 159, 730<br />

– chiaretto, claretum, 58, 63-65, 175, 298,<br />

311-313<br />

– clarettis g<strong>al</strong>licis, 743-744<br />

– del Garda, 751<br />

– della Riviera del Garda (doc), 815<br />

– chiarificazione, 184<br />

– chiaro, clarus, 84, 305, 311-312, 597, 691-<br />

692, 701, 753, 854<br />

– cibo, nutrimento, 666<br />

– ciclo produttivo del vino, 74<br />

– circolazione, 61, 644-645, 647, 654-655<br />

– citrino, citrinum, 689-691, 697<br />

– clarét francese, 597, 854<br />

– colorato, colorazione, colore, 63, 174, 796<br />

– commercianti, 160, 663, 814<br />

– commercio, commerci<strong>al</strong>izzazione, distribuzione,<br />

traffico, convogliamento, 6, 13,<br />

20-21, 27, 29, 32, 41-42, 46-47, 52-55, 61-<br />

66, 73, 80-81, 83, 85-86, 92-93, 95-98,<br />

100-101, 103, 105, 108, 111-116, 119, 125,<br />

130, 136-138, 150, 163, 167, 267, 269, 362,<br />

386, 541, 550, 560, 564, 567, 571, 575-576,<br />

579, 581, 590, 593, 612, 614, 616, 618,<br />

623, 627-628, 632, 635, 639-641, 646-648,<br />

650-651, 653-655, 853, 857, 859<br />

– a breve e medio raggio, interloc<strong>al</strong>e e<br />

region<strong>al</strong>e, 644-645, 796, 809<br />

– a lunga distanza, 41, 635-636, 640<br />

– circuito commerci<strong>al</strong>e, 269<br />

– compravendita, smercio, 8, 623<br />

– concorrenza, 57<br />

– flussi commerci<strong>al</strong>i, 657-660, 662<br />

– internazion<strong>al</strong>e, 637-638, 644<br />

– mediev<strong>al</strong>e, 644<br />

– vendita, Weinabsatz, 102-103, 106-109<br />

985


986<br />

– compagno della vita dell’uomo, 420<br />

– comune, communem, rusticum, 130, 220, 299,<br />

501, 547, 598, 614-615, 795<br />

– con aceto, 494<br />

– con aggiunta di erbe profumate, 423<br />

– con <strong>al</strong>oe, 528<br />

– con anice, 682<br />

– con miele, mielato, mellitum, melle mistum,<br />

melle dulcoratum, melicratum, mulsum, melitites,<br />

oinomélis, 312, 314-316, 324, 455, 522-523,<br />

529, 597, 701<br />

– con mirra, 423<br />

– con pece o picatum,22<br />

– con resina di pino, resinato, retsina, retzina,<br />

149, 316, 320-321, 527, 856<br />

– con spezie, speziato, pigmentum, 118, 258,<br />

281, 286, 311-314, 316-317<br />

– Lautertranck, 118, 312<br />

– Luttertranck, 118, 312<br />

– concezione medicin<strong>al</strong>e, v. medicina, medicin<strong>al</strong>ia<br />

– consacrato, santificato, benedetto, v. cristianesimo,<br />

benedizione<br />

– conservazione, 8, 36, 39, 72, 108, 110,<br />

120, 124-125, 127, 138, 185, 221, 301, 413,<br />

515, 527, 545, 730, 795-796, 809, 813, 817,<br />

819, 822-824, 854<br />

– in buche, 185<br />

– stoccaggio, 184<br />

– tecnica di, 184<br />

– consumo, 5-6, 15, 35, 45, 59, 62, 68-69, 73,<br />

87, 95, 104, 110, 112-113, 117, 119, 123,<br />

125-127, 130, 135, 139, 142-143, 149, 153,<br />

155, 158, 168, 170, 182, 184, 186-187, 227,<br />

241, 252, 267, 270, 275, 321, 325, 328, 336-<br />

337, 355, 365, 376, 391-393, 410, 502, 538,<br />

540, 552, 554-556, 559-560, 563-564, 571-<br />

572, 586-588, 590, 595-596, 600, 607-608,<br />

610-611, 613-616, 619-620, 626, 635-636,<br />

640, 651, 658, 661, 740, 750, 813, 833<br />

– abuso, eccesso nel bere, uso smodato,<br />

143, 154, 199, 208, 232, 240-241, 250,<br />

300, 396-398, 402, 407, 410, 418, 423,<br />

487, 495, 530, 538, 540, 603, 742, 773,<br />

856-857, 860<br />

– degno di lode, 401<br />

– smoderatezza, ametria, 150, 856<br />

– autoconsumo della famiglia contadina,<br />

797, 813-814, 857<br />

– bere a garganella, 752<br />

– bere vino, 143, 177, 235, 251-252, 314,<br />

401, 410, 416, 446, 487, 537, 538-539,<br />

555, 587, 588, 599, 601-602, 606, 632,<br />

665-666, 725, 739, 758, 768, 850, 856-<br />

857, 859, 861<br />

– a digiuno, 530<br />

– a sazietà, 239<br />

– abitudini di mescita campane, 860<br />

– con moderazione, 739-741<br />

– condanna, 487<br />

– moderato, moderatezza, modico vino<br />

utere, 857, 860-861<br />

– necessità, 255<br />

– non a digiuno, 731<br />

– piacere di bere, 200, 339<br />

– rapporto quotidiano, quotidianità,<br />

392, 406, 416<br />

– sorbir lentamente il vino, 756<br />

– consumo person<strong>al</strong>e, 386<br />

– desiderio di bere vino, 213<br />

– di vini frizzanti, 719<br />

– divieto di bere, 7, 70, 73, 169, 171, 173,<br />

180, 183, 186-187, 190, 211-212, 218, 288<br />

– iniusta mensura, 386<br />

– jeune, 690<br />

– loc<strong>al</strong>e, 791, 796<br />

– mensura potus, potibus, misura del vino, v.<br />

monachesimo, vita e tradizioni, bere<br />

vino<br />

– moderato, parsimonioso, 208, 213, 229,<br />

233, 250, 742, 752<br />

– quantità, 394, 400, 433<br />

– sanzioni previste <strong>d<strong>al</strong></strong> Corano, v. Islam<br />

– sfondo religioso, 168<br />

– vietato <strong>al</strong>le donne, 487, 530<br />

– Weinkonsum, 109<br />

– contenuto <strong>al</strong>colico, di zuccheri, v. grado<br />

<strong>al</strong>colico, gradazione<br />

– contrabbando, 660, 771, 773<br />

– controindicazioni medico-dietetiche, 211,<br />

487<br />

– conveniente, 299<br />

– corbino, 687<br />

– cori del vino, 754<br />

– corposo, carneum liquorem, 504, 530, 586<br />

– corrotto, corruptum, 200, 298, 311<br />

– cortese, 597, 854<br />

– costo, prezzi e tariffe, 13, 22, 42, 50, 53-<br />

54, 119, 138, 386, 500, 502-503, 509, 511,<br />

534, 581, 589, 594, 596, 615-619, 621-623,


627, 632, 634, 641, 645, 650, 657, 659,<br />

767, 802, 804, 806, 856<br />

– a buon mercato, <strong>d<strong>al</strong></strong> basso v<strong>al</strong>ore ven<strong>al</strong>e,<br />

130, 598<br />

– costoso, 598, 796, 800-801<br />

– di trasporto, 113<br />

– cottura, cotto, g<strong>al</strong>anz, 12-13, 49, 74, 307,<br />

469-470, 526, 529, 545, 853<br />

– creatura di Dio, 208, 324, 331<br />

– culto di Dioniso, 155<br />

– cultura del vino, 644<br />

– cura del prodotto vinario, 502<br />

– d’ancien regime, 598<br />

– da colore, 12<br />

– da messa, 298, 466<br />

– da pasto, 598, 854, 856<br />

– <strong>d<strong>al</strong></strong> sapore amabile, 110<br />

– de la quaglia, 687<br />

– debole, debile, debilis, debilis natur<strong>al</strong>iter, 133,<br />

298, 311, 687, 689, 694, 701, 708<br />

– degli scolastici, v. anche medicina, medicin<strong>al</strong>ia,<br />

665, 670, 673<br />

– degustazione, assaggio, degustatio, 508,<br />

513-515, 730-731, 736, 741, 817, 820-821,<br />

824, 826<br />

– delicato, 854<br />

– delizioso, 169<br />

– dell’estate, 754<br />

– della chiavetta, 758<br />

– delle proprietà imperi<strong>al</strong>i, 502<br />

– denominazioni, v. vini<br />

– detti: Bacco, tabacco e Venere, 753<br />

– di assenzio, v. bevande, <strong>al</strong>coliche<br />

– di buon odore e sapore, 696<br />

– di cattivo sapore, sgradevole, 299, 491,<br />

735<br />

– di collina, de monte, 14, 594, 652, 661<br />

– di colore sgradevole, 491<br />

– di Giovanni (san), 447<br />

– di grano, v. bevande, 148<br />

– di importazione, 91, 615, 634<br />

– di marca, 598<br />

– di mirto, 529<br />

– di pessimo sapore, 860<br />

– di pianura, de plano, 14, 593, 652, 661<br />

– di prima torchiatura, 688<br />

– di qu<strong>al</strong>ità, 840<br />

– <strong>al</strong>ta, elevata, eccelsa, di pregio, di prestigio,<br />

di lusso, ottimo, optimo, rinomato,<br />

speci<strong>al</strong>e, scelto, squisito, superiore, 8,<br />

53, 103, 105, 147, 149, 155, 170, 185,<br />

267, 298, 312, 318, 335, 360, 388, 394,<br />

560, 562, 586, 591, 593-595, 597-598,<br />

608, 610, 613-615, 619, 623-626, 634,<br />

642, 783, 790, 795-797, 808-809, 812-<br />

813, 815-816, 833, 850-851, 853<br />

– bassa, scarsa, cattiva, 130, 658, 660,<br />

790-791, 797, 851<br />

– buona, 792, 814<br />

– comune, ovvero di bassa qu<strong>al</strong>ità, 796-<br />

797<br />

– di gran corpo, 796<br />

– v<strong>al</strong>ore, 796<br />

– di minore bontà, 806<br />

– di tipo costante, 808-809, 813, 815<br />

– difettoso, 298<br />

– mediocre, discreto, medium, mezano, 53,<br />

292, 311, 622, 660, 689, 692, 697<br />

– di rose, rosetum, 529<br />

– di seconda, terza, quarta spremitura, 11,<br />

117, 797<br />

– di torchio, 526<br />

– diffusione, 161<br />

– diritti di dogana, v. imposte e tasse, 54,<br />

502<br />

– diritti fisc<strong>al</strong>i, 629<br />

– diritto di sc<strong>al</strong>o, 113<br />

– scarico, 113<br />

– trasbordo, 113<br />

– distribuzione, v. anche commercio, monachesimo<br />

potio, potione, 220, 223, 281, 284,<br />

305, 313, 325, 455<br />

– quotidiana, 588<br />

– dolce, dolze, dulce, dulcis, 119, 133, 146, 156,<br />

465, 491, 527-529, 533, 590-591, 593, 597,<br />

616, 625, 646, 688-689, 691-693, 696-697,<br />

731, 740, 742, 753, 835, 854<br />

– non fermentato, 528<br />

– dolciastro, 590<br />

– dolcissimo, 592, 853<br />

– domanda, 393<br />

– dono di Dio, 150<br />

– di Bacco, 356<br />

– drogato, 312, 424<br />

– dulci et solemni vicissitudine, 271<br />

– effetti, virtù, 738, 740<br />

– antiveleno, 738<br />

– afrodisiaci, 490, 861<br />

– aiuta a fare uscire tutti gli escrementi del corpo,<br />

741<br />

987


988<br />

– aiuta a fuggire <strong>d<strong>al</strong></strong> mondo, 755<br />

– aiuta a godere appieno la vita, 755<br />

– anaisthesìa, 753<br />

– apoplesia, 741<br />

– apporta molte lesioni <strong>al</strong> corpo umano, 741<br />

– apre l’ostruttioni, 741<br />

– assottiglia gli humori grossi, 741<br />

– augumenta il c<strong>al</strong>or natur<strong>al</strong>e, 741<br />

– benefico, benefici derivanti <strong>d<strong>al</strong></strong>l’uso,<br />

170, 288<br />

– caccia la ventosità, 741<br />

– c<strong>al</strong>ore natur<strong>al</strong>e, 665<br />

– conferisce <strong>al</strong>la:<br />

– concottione, 741<br />

– digestione, 741<br />

– generatione del sangue, 741<br />

– nutritione, 741<br />

– consola dai dolori più atroci, consolazione,<br />

754-755<br />

– corrompe la mente, 741<br />

– destabilizzante l’armonia psicofisica<br />

dell’uomo, 486<br />

– distribuisce gli humori, 741<br />

– distrugge le potenze anim<strong>al</strong>i e natur<strong>al</strong>i, 741<br />

– eccitante, 36<br />

– euforia, 860<br />

– fa dormire, 741<br />

– fa gli huomini fuorsennati, 741<br />

– homicidiarii, 741<br />

– ingiuriosi, 741<br />

– loquaci, 741<br />

– lussuriosi, 741<br />

– stupidi, 741<br />

– fonte di lussuria, 857<br />

– giovevole <strong>al</strong> corpo, 742<br />

– gli spiriti si confortano, 740<br />

– i dispiaceri si scordano, 740<br />

– inebriante, azione euforizzante, 144,<br />

558, 585, 857<br />

– ingrassa i conu<strong>al</strong>escenti, 741<br />

– irriflessione, 753<br />

– ispessimento del fegato (toglie), 665<br />

– l’<strong>al</strong>legrezze si moltiplicano, 740<br />

– l’anima si dilata, 740<br />

– l’animo si rende più fedele e mansueto, 740<br />

– l’ingegno si fa illustre e chiaro, 740<br />

– l’odore del vino nel fiato, 754<br />

– letargo, 741, 753<br />

– m<strong>al</strong> caduco, 741<br />

– manda via il cattivo colore della cotica, 741<br />

– medico-fisici, 750<br />

– muoue i sudori, 741<br />

– nocumenti del vino, 741<br />

– nuoce, 289<br />

– <strong>al</strong> cuore, 742<br />

– <strong>al</strong> fegato, 742<br />

– nutrisce con velocità, 741<br />

– oblio, 754<br />

– placa i furori, 753<br />

– porta il nutrimento a tutte le parti del corpo,<br />

741<br />

– priva dei freni inibitori, 757<br />

– prouoca l’orina, 741<br />

– r<strong>al</strong>legra il cuore, 741<br />

– rende audace il corteggiatore timido,<br />

753<br />

– rischiarisce il sangue ch’è torbido, 741<br />

– risolue l’animo, 741<br />

– risveglia l’appetito, 325, 741<br />

– il piccolo demone isterico, 753<br />

– scatena le passioni più torbide, 755<br />

– spasmo, 741<br />

– sregola i sensi, 754<br />

– trarre <strong>d<strong>al</strong></strong> vino l’entusiasmo, 753<br />

– tremore, 741<br />

– ubriacatura etilica, sbronza, 539, 757,<br />

857<br />

– elemento convivi<strong>al</strong>e, 208<br />

– sacrament<strong>al</strong>e, 437<br />

– propiziatore, 768<br />

– energetico, 293<br />

– es<strong>al</strong>tazione del, 491<br />

– esportazione, v. anche commercio, 26, 46,<br />

54-55, 60, 112, 358, 362, 653-654, 660,<br />

662, 796<br />

– licentia extrahendi, 653<br />

– esposto <strong>al</strong> sole, 528<br />

– etichettato, 751<br />

– eucaristico, v. uso liturgico<br />

– fa sangue, 330<br />

– fabbisogno, 652<br />

– fabbricazione, 125<br />

– farmaco, v. medicina, medicin<strong>al</strong>ia<br />

– di vita eterna, 276<br />

– fatto a regola d’arte, 36<br />

– feculento, faeculento, foeculentum, cum faecibus,<br />

298, 311-312, 688<br />

– fermentato, fermentazione, v. vinificazione<br />

– filtraggio, filtrato, 166, 184


– fiore, v. anche puro, purum, 688<br />

– fonte<br />

– di guadagno, 502<br />

– di immor<strong>al</strong>ità, 331<br />

– di vita, 200<br />

– forestiero, forense, 649, 751<br />

– forte, 133, 147, 319, 360, 527, 530, 590,<br />

592-593, 596-597, 612-614, 688, 693<br />

– francese, 22<br />

– fresco, friscum, 141, 156, 296-297, 311, 767<br />

– frizzante, piccante, 592, 719, 738-739, 748<br />

– responsabile di m<strong>al</strong>attie e scompensi<br />

fisici, 739<br />

– fruttato, 174, 855<br />

– frutto della vite, della vigna, 191, 219, 324,<br />

420-421, 479<br />

– g<strong>al</strong>eotto, 768<br />

– garbo, 688, 792<br />

– gauro, 690<br />

– gelato, ghiacciato, 491, 753<br />

– genere nutritivo, bevanda nutrizion<strong>al</strong>e,<br />

596, 599<br />

– genere voluttuario, 113<br />

– generoso, generosum, 547, 770, 783<br />

– giocondità (vini iucunditas), 203<br />

– giovane, 119-120, 184, 697, 740-741, 758,<br />

854<br />

– genera m<strong>al</strong>i humori, 741<br />

– sogni disordinati, 742<br />

– grilla, gorgoglia, ribolle, 758<br />

– glauco, glaucum, 689-690<br />

– goreto, 687<br />

– gradazione s<strong>al</strong>ina, v. s<strong>al</strong>atura<br />

– grado <strong>al</strong>colico, gradazione, 6, 35-36, 58,<br />

115, 120, 174, 185, 277, 324-325, 495, 528,<br />

590-592, 606, 614, 642, 646, 661, 795, 797,<br />

806, 850, 852-854<br />

– <strong>al</strong>ta, forte gradazione, 119, 465<br />

– bassa, poco <strong>al</strong>colico, 72, 119, 298<br />

– grosso, grossum, 689, 691, 696-697, 701<br />

– guasto, 289<br />

– imbevibile, 119<br />

– imbottato, 619<br />

– imbottigliato ed etichettato, 814<br />

– immaturo, praeliganeum, degli schiavi, 527<br />

– impeciato di Vienne, 22<br />

– importato, di importazione, importazioni,<br />

14, 87, 393, 589, 619, 626, 659, 856<br />

– <strong>d<strong>al</strong></strong>la Francia, 715<br />

– <strong>d<strong>al</strong></strong>la Grecia, 715<br />

– imposte e tasse, v.<br />

– in cartello, in cartiglio, 625<br />

– infuocato, igneum, Feuerwein, 110, 688, 691<br />

– integratore, <strong>al</strong>imentare, c<strong>al</strong>orico, dei pasti,<br />

324, 555, 656<br />

– invecchiato, invecchiamento, v. vecchio<br />

– ippocrasso, ippocras o claretus, 66, 706-707<br />

– latte di Afrodite, 158<br />

– leggero, v. anche pusca, 12, 84, 290, 573,<br />

596-597, 693, 854<br />

– limpido, 175, 597, 854<br />

– liquore diabolico, 755<br />

– liquoroso, 62-63, 324, 590, 592, 597, 616,<br />

853-854<br />

– marello, marellum, 306, 687<br />

– marketing enologico, 814<br />

– maroa, 687<br />

– maturato, 175<br />

– medio, 119<br />

– mediocre vigore, mediocris roboris, 783<br />

– mercato, mercati di consumo, di passaggio,<br />

42, 45, 592-593, 595, 613-614, 622,<br />

628, 639, 644, 647, 649-650, 652-653, 656-<br />

660, 662, 744, 791, 796-797, 800, 804,<br />

808-809, 812, 815-816<br />

– mescolare acqua e vino: unione tra Cristo<br />

e fedeli, 377<br />

– mescolato ad acqua, misto, v. anche vinum,<br />

mixtus, 45, 140, 165-167, 174, 179, 223,<br />

259, 289-290, 294, 417, 423, 488, 491, 519,<br />

527, 530, 855, 860<br />

– mezano, di mezana potentia, 689<br />

– mezzo vino, 12<br />

– miscele, 805<br />

– misto (pane intinto nel vino), v. anche<br />

vinum, mixtum, 240-241, 247-248, 277-278,<br />

300, 305, 403<br />

– mordere (in area franca), 247<br />

– nutrimento eucaristico, medicina della<br />

redenzione, v. uso liturgico<br />

– monopolio, 574<br />

– morbidezza, 814, 853<br />

– morbo pestifero, 205<br />

– mordace, 217<br />

– morte dello spirito, 214<br />

– mutazioni (di gusto, profumo, aroma), 514<br />

– natura chimica del, 597<br />

– navigato, ultramarino, vina navigata, 14,<br />

588-589, 619, 622-625, 647, 659, 661<br />

– nelle fonti umanistiche, 495<br />

989


990<br />

– nero, niger, nigrum, negher, 11, 37, 319, 494,<br />

592, 616, 689-691, 694, 703, 752-753, 792,<br />

796, 829<br />

– nettare, nectar, 66, 358, 701, 753, 755<br />

– nobile, 592, 597, 854<br />

– non artefatto, non adulterato, 272, 297<br />

– non condannato, 328<br />

– non dolce, 597<br />

– non fermo, 719<br />

– nostrano, nostranum, loc<strong>al</strong>e, 87, 147, 149,<br />

318, 612-613, 633, 646, 651, 653-654, 662,<br />

751, 801<br />

– novello, nuovo, d’annata, Heuriger, recens,<br />

mustum, 9, 36, 55, 119, 152, 202, 236-237,<br />

264, 278, 295-298, 307, 311-312, 319, 418,<br />

422, 433, 447, 488, 500, 511, 523, 597,<br />

688, 697, 860<br />

– odoroso, odoriferum, 46, 84, 688, 692, 697<br />

– offerto, offerta, 388<br />

– opinione rinasciment<strong>al</strong>e sul, 739<br />

– opus diaboli, 324<br />

– paglierino, 49, 616<br />

– p<strong>al</strong>lido, supp<strong>al</strong>lido, 50, 690<br />

– paragonato <strong>al</strong>lo zafferano, 175<br />

– passito, passum, acinaticium, 184, 523, 528,<br />

530, 533-534, 744<br />

– pastorizzazione, 813<br />

– trattamento termico, 814<br />

– patrimonio dei poveri, 766<br />

– per la messa, 267, 285-286<br />

– peso economico, 607<br />

– piccolo e debole, 49, 696<br />

– pigmentato, pigmentatum, clarum, claretum,<br />

herbolatum, hysopatum, 259, 270, 311-313<br />

– portato da lungi, 175<br />

– potente, potentius, corroborante, 739, 743-<br />

744<br />

– pratiche dannose, 111<br />

– precipitato, 469<br />

– preparazione, 130, 322<br />

– prezioso, pretiosum, 353, 418<br />

– principe, 147<br />

– privo di proprietà curative, 487<br />

– produttori, v. anche economia, sistema<br />

produttivo, 131, 270, 614, 652, 660, 796,<br />

802, 805-806, 808-809, 812<br />

– <strong>al</strong>lodieri, 568, 579<br />

– livellari, 568, 571-572, 579<br />

– produzione, Weinproduction, 11, 13, 41-42,<br />

47, 70, 73-74, 76-77, 81-82, 84-85, 92-93,<br />

95, 100, 104, 106, 108-111, 113, 115, 123-<br />

124, 135-136, 147, 180, 185-186, 190, 268-<br />

270, 309, 323, 357, 365, 382, 502, 526,<br />

545, 552, 567-568, 571-572, 579, 591, 596,<br />

612, 627, 639-640, 646, 650, 654-655, 657,<br />

659, 663, 719, 733, 735, 742-744, 750, 782,<br />

786-787, 792, 794-796, 801, 812, 816, 823,<br />

850, 857<br />

– di qu<strong>al</strong>ità, 318<br />

– doc, denominazione d’origine controllata,<br />

644, 790, 815-816<br />

– loc<strong>al</strong>e, 593, 614, 625, 808<br />

– luogo, 656<br />

– penuria, 660<br />

– pratica di stampo mediev<strong>al</strong>e, 715<br />

– prodotto, 779, 809<br />

– d’élite, v. anche di qu<strong>al</strong>ità, 656, 789-<br />

790<br />

– di spremiture successive, 796<br />

– omogeneo, 809<br />

– quantità, 621, 623-624, 627, 858-859<br />

– speci<strong>al</strong>izzazione produttiva, 270<br />

– profumato, oinàntes, 473-474, 590, 597,<br />

731, 812, 854<br />

– col muschio, 175<br />

– come muschio, 179<br />

– profumazione, bouquet, 527<br />

– puro, purum de vite, merus, schietto, senza<br />

mescolanza <strong>al</strong>cuna, akraton, 111, 146, 152,<br />

156, 166, 187, 220, 222-223, 225-226, 272,<br />

276, 284, 289, 297, 300-301, 305, 311-312,<br />

319, 347, 468, 527, 530, 612, 688<br />

– pro sacrificio fiendo, 296<br />

– purpureo, v. rosso<br />

– pusca, puscha, vinello, v. anche bevande;<br />

vino acido; vino acquoso; vino leggero;<br />

vinello:<br />

– da lavaggio di graspe con acqua, 573<br />

– qu<strong>al</strong>ità, 615, 621, 623-624, 626-627, 645,<br />

655, 662, 735, 741, 786, 795, 798, 813,<br />

854, 856<br />

– dei vini bresciani, 789<br />

– rese del prodotto, 374<br />

– ricerca storica, 644<br />

– richiesta, 386<br />

– rinforzato, 175<br />

– ripassato sulla vinaccia, 36<br />

– riservato ai vecchi, 217<br />

– riti magico religiosi, 124<br />

– rivoluzione enologica, 597


– robusto, robusta, 174, 307, 320, 625, 743,<br />

783, 855<br />

– rosa, rosato, roseo, roseum, 83, 177, 179,<br />

689-690, 705<br />

– rosso liquore, 762<br />

– rosso, rubeum, rubens, rufum, rubro, rubra,<br />

purpureo, 11, 13-14, 19, 43, 50, 58-60, 62,<br />

83, 87, 105, 118-119, 133, 145, 175, 258,<br />

295, 297-298, 305, 307, 311, 317-319, 423,<br />

434, 465, 477-483, 488, 533, 592-593, 596-<br />

597, 613-614, 633, 654, 689-693, 695, 697,<br />

740, 742-744, 762, 807, 814-815, 854<br />

– astringente, 469<br />

– c<strong>al</strong>abrese, 320<br />

– della Franciacorta (doc), 815<br />

– della Riviera del Garda (doc), 815<br />

– di Botticino (doc), 815<br />

– di Capriano del Colle (doc), 815<br />

– di Cellatica (doc), 815<br />

– sardescho, 320<br />

– secco, 469<br />

– tanninico, 469, 689<br />

– saccheggio del vino, 756<br />

– s<strong>al</strong>atura, gradazione s<strong>al</strong>ina, 527<br />

– sangue del Signore, di Cristo, sanguinis<br />

dominicus, eucaristico, 20, 125, 266, 279,<br />

298, 284, 286, 301-304, 455, 464, 475,<br />

477-478<br />

– dell’otre, 175<br />

– dell’uva, 423, 479<br />

– di drago, 167<br />

– di gazzella, 175<br />

– sapore, 117<br />

– scelta del vino che si intende produrre,<br />

735<br />

– schiavo, schiava, 594, 743-744<br />

– sciolto, 751<br />

– scomunica dei vini cattivi, 18<br />

– secco, 593<br />

– segno della carità cristiana, 255, 276, 763<br />

– segreto, 177<br />

– semplice, 149, 270<br />

– simbolismo liturgico o cristiano, 155<br />

– simbolo di passione, 768<br />

– simbolo di severa disciplina, 391<br />

– sincero, 759<br />

– solfitazione, 120<br />

– someggiato, 650, 658<br />

– speziato, 313<br />

– spumante, 217, 790<br />

– della Franciacorta (doc), 815<br />

– di Lugana (doc), 815<br />

– spumeggiante, 149<br />

– stagionato, 36<br />

– status symbol, 588<br />

– stoccaggio, 39, 115, 595<br />

– straniero, 615<br />

– strumenti di mescita, contraffazione, 577<br />

– strumento di tortura, 199<br />

– tagliato, v. anche mosto, 299, 479, 530<br />

– taglio con vini meridion<strong>al</strong>i, 806, 809<br />

– tassazione, v. imposte e tasse, 54<br />

– temperatio, 226, 394<br />

– temperato, temperatrum<br />

– c<strong>al</strong>do, con acqua c<strong>al</strong>da, 223-225, 467<br />

– temperato, temperatum, 394<br />

– con miele, 258<br />

– tolleranza del vino, 328<br />

– torbido, turbidum, 299, 688<br />

– traditore, 759<br />

– transito, 45<br />

– trasporto, 26, 42, 50, 61, 65, 91, 93, 95,<br />

115-116, 125, 138, 161-162, 259, 512, 525,<br />

528, 567, 577, 590, 593, 628<br />

– via mare o via acqua (anche fiume, fluvi<strong>al</strong>e),<br />

21, 41-42, 45, 50, 55, 57, 61, 65-<br />

66, 80-81, 85, 91, 93, 97, 112, 115, 137,<br />

161, 265, 267, 503<br />

– via terra o su strada (carreggio), 21, 41,<br />

50, 53, 65-66, 81, 91, 112, 115, 589, 595,<br />

614<br />

– travaso, 730<br />

– turbo, 696<br />

– uso, v. anche consumo, medicin<strong>al</strong>ia, 211,<br />

338, 458, 559, 737, 740, 742<br />

– in ambito agiografico, 219<br />

– liturgico, 99, 278-279, 293, 421, 458,<br />

475, 477, 483<br />

– purificatorio, 478<br />

– sacristiae, 276<br />

– sancti libaminis, v. anche sangue eucaristico,<br />

297<br />

– nella Bibbia, 422<br />

– somministrazione, 738<br />

– v<strong>al</strong>ore commerci<strong>al</strong>e, economico, 374, 376,<br />

385, 388<br />

– varietà, tipi diversi, 745<br />

– vecchio, invecchiato, dell’anno precedente,<br />

vechio, vetus, veteris, firner Wein, 13, 36,<br />

119-121, 174, 184, 189, 307, 418, 486, 501,<br />

991


992<br />

523, 577, 590, 596-598, 614, 689, 691, 697,<br />

701, 703, 740-741, 803, 823, 853-854, 860<br />

– veleno, 199<br />

– vendita, v. anche commercio, 54, 62, 81,<br />

102, 108, 125, 267, 575, 577, 611, 617,<br />

619, 629, 766, 859<br />

– a tappa, 54, 269, 654<br />

– ad brocam, 269<br />

– <strong>al</strong> minuto, ad minutum, 269, 576-578,<br />

581, 607, 612, 614, 616-617, 619, 621,<br />

628-632, 634, 649, 651, 831<br />

– <strong>al</strong>l’ingrosso, in grossum, 575, 612, 614,<br />

628-629<br />

– bene mensuratum, 632<br />

– in confezioni, 814<br />

– licenza, 577<br />

– di esportazione, 660<br />

– mensuratum cum bozola, 578, 581, 631-632<br />

– sfuso, 814<br />

– verdastro, viride, 134, 624, 689<br />

– vermiglio, vermilium, 65, 284, 455, 593,<br />

615, 703<br />

– vin, 28, 32, 41, 124, 238, 240, 305, 342<br />

– vin de concheta, 830<br />

– vinello, v. anche pusca, 624<br />

– lora, 53, 306, 526<br />

– degli schiavi, 516, 527<br />

– per le donne greche, 530<br />

– misclatum, 612-613<br />

– vinificato in grigio, 36<br />

– vinum, 124, 220, 231, 248, 256-257, 266,<br />

269, 292, 308, 342-346, 348-349, 352, 354-<br />

355, 358, 363, 376, 387, 393, 395, 416,<br />

431, 436-437, 446, 448-449, 452-453, 490,<br />

521, 575-576, 658<br />

– acutum, 688, 697<br />

– Adrianum, 703<br />

– afrum, 703<br />

– amabile, 353<br />

– amarum, 488, 688<br />

– amphorarium, 528<br />

– animosum, 547<br />

– antiquum, 488<br />

– Austr<strong>al</strong>e, 317<br />

– bersilitico, 687<br />

– bulliens quasi novum, 354<br />

– candidum, 691<br />

– capiglate, 659<br />

– censu<strong>al</strong>e, 655<br />

– citoniorum, 692<br />

– claretum, 313<br />

– conditum, 529<br />

– corruptum, 298<br />

– cum iuleb, iulep, julep, 701<br />

– curi<strong>al</strong>em, 547<br />

– de Belva, 687<br />

– doliare, 528<br />

– enulatum, 692, 705<br />

– flore vindemiam, 348<br />

– forte, 689<br />

– francium, francone, 317-318<br />

– garnacinum, 687<br />

– granatorum, 692<br />

– grassum, 688<br />

– herbolatum, 311-312<br />

– hunnicum, unnico, 317-318<br />

– hysopatum, 311-312<br />

– insipidum, 299<br />

– integrum, 305, 311<br />

– iucunditatem creatum est, 606<br />

– linphatum, limfatum, limphatum, lymphatum,<br />

305, 588, 688, 691, 694, 700<br />

– maturum, 691<br />

– mirabolanorum, 705<br />

– mixtum (pane intinto nel vino), 228, 241,<br />

247-248, 259, 263, 272, 278, 296, 299-<br />

300, 305-306, 312-313, 316<br />

– simbolo dell’unione in Cristo delle<br />

due nature umana e divina, 467<br />

– mixtus (ovvero misto ad acqua), anche<br />

mixtum, 225-227, 247, 299, 436-437, 467<br />

– p<strong>al</strong>meum, 689<br />

– p<strong>al</strong>ustre, 731<br />

– pendulum, 311<br />

– piperatum, 529<br />

– polyporum, 731<br />

– ponticum, 688, 691<br />

– potum vini, 352, 448, 453, 481<br />

– pro renibus, 705<br />

– probum, 547<br />

– reversatum, 688<br />

– rorismarini, 705, 706<br />

– ruptum, 689<br />

– s<strong>al</strong>iens, 691<br />

– s<strong>al</strong>viatum, 705<br />

– sanum, 276, 292, 311<br />

– sapidissimo, 355<br />

– scillinum, 731<br />

– sincerum, 305<br />

– stipticum, 688, 703


– suave, suavissima, 491, 745<br />

– sub<strong>al</strong>dicum, 689, 691<br />

– subtile, 689<br />

– theotonicum, 655<br />

– theriacum, 703, 731<br />

– villum, 299<br />

– vinosum, 689<br />

– viziato, 299<br />

– zone doc provinci<strong>al</strong>i (bresciane), 815<br />

virtù, virtus, 199, 539<br />

– cristiana, <strong>al</strong>ousia, 154<br />

– astinenza, 252<br />

– divina, pazienza, 442<br />

– imperi<strong>al</strong>e, evergesia, 142<br />

VITE, 6, 9-10, 33, 70-71, 73-74, 78, 81, 86, 91,<br />

98-99, 106, 110, 137, 146, 169, 173, 180,<br />

182, 187, 196, 198, 200-201, 208, 211, 219,<br />

297, 308, 322-323, 341, 346, 365, 367, 422-<br />

424, 458, 466, 477, 500-501, 503, 531, 541-<br />

542, 564-572, 579-580, 583, 591, 627, 640,<br />

654, 734-737, 748, 750, 752, 754-756, 761,<br />

764, 780-785, 787, 790-791, 795, 797-799,<br />

802, 804, 812-813, 837-838, 849, 851<br />

– a frutto bianco, bianche, 795, 812<br />

– a frutto nero, nere, 795, 812<br />

– <strong>al</strong>beri da giardino, 74<br />

– <strong>al</strong>beri tutori, 779<br />

– <strong>al</strong>buelis (qu<strong>al</strong>ità), 525<br />

– americana, 806<br />

– antiparassitari, latte di c<strong>al</strong>ce, 804, 852<br />

– poltiglia bordolese, 852<br />

– solfato di rame, verderame, 804, 852<br />

– barbera, nera, 812<br />

– berzamino, nera, 812<br />

– biturica (vite), 23<br />

– borgognona, 23<br />

– bresciana, 805<br />

– classificazione, 733<br />

– Clinton, 811<br />

– coltivazione, coltura, 3, 20, 22, 69, 72, 74,<br />

76, 101-102, 105, 110, 124-126, 130-131,<br />

133, 180, 182, 321, 337, 489, 499, 502-503,<br />

525, 535, 540, 543-545, 563-564, 579-580,<br />

591, 716, 719-720, 722, 724, 733-734, 737,<br />

742, 744-746, 779-782, 784-785, 798, 803,<br />

823, 839-840, 850-852, 855, 859, 861<br />

– ablaqueare, disc<strong>al</strong>zare, 734<br />

– <strong>al</strong>legar le viti, 734<br />

– bandita nelle p<strong>al</strong>udi, 181<br />

– bassa piantata in buche, 181<br />

– conserere, piantar le vigne, 734<br />

– curvatura, 734<br />

– egiziana, 838<br />

– esperimenti di acclimatazione, 181<br />

– di selezione, 181<br />

– estirpata, 24<br />

– fodere, cio è cavar le vigne, 734<br />

– frequentar la vigna novella e annicola, 734<br />

– impianto, v. anche sistemazione, 20, 22,<br />

25, 29, 37-38, 66, 76, 101, 107, 181, 553,<br />

564, 597, 730, 733-735, 746, 798, 800, 806<br />

– barbatelle, 806<br />

– di gameti, 53<br />

– di viti nuove, majuelos,72<br />

– constituere, instituere le vigne, 734<br />

– costi, 793<br />

– per t<strong>al</strong>ea, t<strong>al</strong>ee, 38, 806<br />

– sesti d’impianto, 814<br />

– innesto, 806<br />

– irrigazione, v. vigne, vigneti; agricoltura,<br />

lavori agricoli<br />

– iugar le viti, quando si legano in pertiche<br />

e per dritto e per trauerso, 734<br />

– legata <strong>al</strong> giogo, 203<br />

– limitar le vigne per dieci mani, 734<br />

– mergere i semi nella propagatione, 734<br />

– metodi di coltivazione, 321, 323<br />

– monocoltura viticola, 7<br />

– occare, 734<br />

– pampinar la vite, 734<br />

– pastinatione, 734<br />

– pedare, aggiungere sostegno <strong>al</strong>la vite, 734<br />

– piantagione, v. impianto<br />

– polverare, 734<br />

– potatura, potar la vigna, v. anche sistemazione,<br />

23, 38, 74, 180, 422, 725, 733-<br />

734, 737, 747, 805, 837, 851<br />

– corta a cordone speronato eretto,<br />

837-838, 840, 842<br />

– etrusca, 840<br />

– greca, asianico-egee, 840<br />

– lunga, 840<br />

– sis<strong>temi</strong> di, 840<br />

– propagar le viti co i mergi, 734<br />

– propagginazione, 24, 35, 38, 543<br />

– razion<strong>al</strong>izzazione, 786<br />

– sc<strong>al</strong>zare, scoprir le radici, 734<br />

– semitar le vigne e limitare, 734<br />

993


994<br />

– sistemazione, sistemazioni, 784<br />

– a ceppaia, 791, 797<br />

– a interc<strong>al</strong>are, 181<br />

– a interfilare stretto, 6<br />

– a monocoltura, 46<br />

– a poste, 792<br />

– a spesso, a pancata, 790<br />

– a tr<strong>al</strong>ci lunghi e peduli, arbustum it<strong>al</strong>icum,<br />

testucchio, 838, 845<br />

– a terrazzo, 101, 268<br />

– a tutore morto, 6, 784-785, 837<br />

– <strong>al</strong>te a raggiera con sostegni morti,<br />

851<br />

– p<strong>al</strong>i, puntelli, p<strong>al</strong>los, p<strong>al</strong>ea, p<strong>al</strong>us, par,<br />

38, 124, 197, 541-542, 564-565,<br />

568, 571, 756, 779, 784, 791-792,<br />

837, 851, 860<br />

– vertic<strong>al</strong>i e orizzont<strong>al</strong>i, juga, pedamentum,<br />

ridica, 38, 518, 525<br />

– a tutore vivo, testucchio, arbustum it<strong>al</strong>icum,<br />

7, 783, 838-839, 843, 845<br />

– camarata,92<br />

– etrusca, 838- 839, 841, 843<br />

– a pergola, pergolati, canteriatae, characatae,<br />

compluviatae, jugatae, topie, 72,<br />

74, 197, 525, 779, 791-792, 814,<br />

837, 851, 853, 859-860<br />

– a tendone, Kammertbau, 92, 844, 851<br />

– ad <strong>al</strong>berata it<strong>al</strong>ica, 838-839, 844<br />

– casertana, 843<br />

– modenese, arbustum g<strong>al</strong>licum, 838,<br />

843<br />

– veneta, Raggi o Belussi, 844<br />

– ad <strong>al</strong>berata g<strong>al</strong>lica a festoni orizzont<strong>al</strong>i,<br />

851, 860<br />

– greca, 838-839, 841-842<br />

– a filare, 851<br />

– a sp<strong>al</strong>liera, o basse, 841, 851<br />

– ad <strong>al</strong>berello, 7, 837, 842<br />

– corta a cordone speronato eretto, 842<br />

– maritaggio, 813<br />

– <strong>al</strong> ciliegio, 791<br />

– <strong>al</strong> frassino, 783, 791, 797<br />

– <strong>al</strong> gelso, 791, 797<br />

– <strong>al</strong>l’acero campestre, 791<br />

– <strong>al</strong>l’olmo, 783, 797<br />

– arrampicata ad <strong>al</strong>beri, orthampélos, 525<br />

– speci<strong>al</strong>izzata, 724, 779, 784<br />

– taglio della vigna, 38<br />

– trazion<strong>al</strong>e, 787, 790<br />

– corva, nera, 812<br />

– croppello, nera, 812<br />

– cura, 110<br />

– del Piemonte, 811<br />

– del Veneto, 811<br />

– della Francia, 811<br />

– della Toscana, 811<br />

– diffusione, 393, 780, 784<br />

– dote del fondo, 811<br />

– espansione, 99<br />

– fresia, nera, 812<br />

– garganega, bianca, 812<br />

– innesti, v. agricoltura, lavori agricoli<br />

– insulare, 838<br />

– Isabella, 811<br />

– lagrima del ceppo, 514<br />

– lambruscone di Alessandria, nera, 812<br />

– m<strong>al</strong>attie, parassiti, 597, 722, 789, 800, 802<br />

– antracosi, 182<br />

– filossera, phylloxera vitifoliae, 597, 787,<br />

804-805, 807, 852<br />

– ittero, 182<br />

– oidio, oidium tuckeri, 597, 787, 798-802,<br />

806, 851-852<br />

– peronospera, 597, 803-804, 807, 852<br />

– protezione, 181<br />

– ruggine, 182<br />

– meridion<strong>al</strong>e, 838<br />

– morte della pianta, 805<br />

– negrara, nera, 812<br />

– parti della vite<br />

– ceppi di vite, butuc, 124, 181-182, 525,<br />

780-782, 852<br />

– foglie, 526, 755-756, 799, 805, 851-852<br />

– fusto, 840<br />

– germoglio, gimme, 101, 838, 840, 851<br />

– grappoli, v. uva<br />

– graspi, 803<br />

– medolla della vite, 747<br />

– occhi, 747<br />

– pampini, 173-174, 197<br />

– radici, 21, 25, 38<br />

– americane, 805, 807, 852<br />

– tr<strong>al</strong>ci, 38, 124, 126, 197, 203-204, 422,<br />

424, 541, 567, 755-756, 764, 769, 779,<br />

784, 792, 797, 799, 838, 849-851<br />

– viticcio, curpen, 124<br />

– pigne, bianca, 812<br />

– pinot, bianca, 812<br />

– preghiere per la coltivazione, 459


– profumo della vite in fiore, 196<br />

– proveniente <strong>d<strong>al</strong></strong>l’America, 799<br />

– rampicante, 181<br />

– regioni viticole francesi, 15<br />

– riesling it<strong>al</strong>ico, bianca, 812<br />

– riproduzione, v. coltivazione, 24<br />

– riserva della famiglia, 811<br />

– rossa (vite), 795<br />

– sangiovese, nera, 812<br />

– schiava, nera, 812<br />

– selvatica, spontanea, 837<br />

– sostenuta, filari sostenuti da forcelle, 526<br />

– terra riportata sui piedi, 38<br />

– tetavacca, bianca, 812<br />

– Thasiae, 147<br />

– trebbiana, bianca, 812<br />

– trentina, nera, 812<br />

– uva d’oro, bianca, 812<br />

– v<strong>al</strong>camonica, nera, 812<br />

– verdisa, bianca, 812<br />

– vernaccia, nera, 812<br />

– vides (plur<strong>al</strong>e), 72<br />

– visula (qu<strong>al</strong>ità), 525<br />

– viţă, 124<br />

– vita media, 798<br />

– vitis, 124, 348<br />

– vinifera europea, 805, 807, 852<br />

viticoltori, 108<br />

VITICOLTURA, v. anche vite, coltivazione, 7, 24,<br />

26, 28, 33, 35, 39, 46-47, 63, 65, 69, 72, 76,<br />

79, 82-83, 86-87, 91, 93, 95, 98-108, 110,<br />

112, 114-115, 117, 123-126, 131, 133, 135-<br />

138, 163, 185, 268, 270, 304, 321, 352, 394,<br />

422-423, 499, 501, 503-504, 540, 543, 563,<br />

579, 586-587, 590, 595, 607, 614, 636, 638-<br />

640, 643-644, 650, 655, 657, 715, 719, 722,<br />

724, 733, 749-750, 793, 799, 803, 813, 837-<br />

838, 849, 857<br />

– bresciana, 777, 784, 789, 793, 797-799,<br />

801-802, 805<br />

– cistercense, 267<br />

– difesa dei vigneti, 69<br />

– fluvi<strong>al</strong>e, 838<br />

– investimenti viticoli, 804, 806<br />

– Kammertbau,92<br />

– linguaggio dei viticoltori, 92<br />

– moderna, 318<br />

– operazioni da compiere, 734<br />

– origine romana, 91<br />

– <strong>produzioni</strong> vinicole, 804, 808<br />

– protezione, 14<br />

– qu<strong>al</strong>itativa, quantitativa, 659<br />

– sviluppo, 101, 377, 790<br />

– terminologia tecnica, 734<br />

– Weinbau, 92-93<br />

VITIGNI, 25, 65-66, 78, 86, 105, 110, 124, 131,<br />

181, 185, 203, 319, 323, 587, 591, 594, 633,<br />

724, 733-734, 781-784, 786, 789-790, 797,<br />

800, 809<br />

– <strong>al</strong>bamatte, 784<br />

– <strong>al</strong>bana, 13, 319<br />

– <strong>al</strong>verniti, anche <strong>al</strong>verniati, morillons, 58, 65<br />

– americano, 852<br />

– athiri, 319<br />

– auvergnat,36<br />

– auxerrois gris,36<br />

– b<strong>al</strong>adí,84<br />

– barbisino, 319<br />

– beurot,36<br />

– blanche chenière,43<br />

– bonimperghe, 319<br />

– bresciani, 791<br />

– cabernet, 37, 59, 65<br />

– bit-durs, 23<br />

– sauvignon, 23<br />

– verdure, 23<br />

– cadic, 319<br />

– carmenère,23<br />

– carmenets,23<br />

– castigliano bianco, 733<br />

– rosso, 733<br />

– cerasuolo dolce, 733<br />

– cesenese, 733<br />

– chardonnay,37<br />

– chauche,43<br />

– chenin,65<br />

– angioino, 43<br />

– ciclo vegetativo, 181<br />

– coltivati nel Bresciano, 783<br />

– corva, 809<br />

– duracla,13<br />

– f<strong>al</strong>erno, f<strong>al</strong>ernus, 283, 317, 320, 361<br />

– fiano, 319<br />

– fromenteau, v. pinot grigio<br />

– gamay, 37, 317<br />

– garganica, garganiga, 13, 319<br />

– gazitinum, gazetum, 357-359, 859<br />

– gocciadoro, 319<br />

995


996<br />

– golz, gouais, 37, 60, 317<br />

– gragnolate, 319<br />

– gramesta,13<br />

– greco, 319<br />

– di Corsica, 594-595<br />

– di Napoli, 319<br />

– di Velletri, 595<br />

– grignolino, 319<br />

– grilla,13<br />

– groppello, 319, 744, 783, 809<br />

– gros noir ou de goet,37<br />

– labrusca, lambrusca (selvatica), lambrusco, lăuruscă,<br />

12-13, 124, 203<br />

– laticinum, 357, 859<br />

– luglienga, 319<br />

– maiolo,13<br />

– m<strong>al</strong>ixia o sarcula,13<br />

– m<strong>al</strong>vasia, m<strong>al</strong>vagia, m<strong>al</strong>vaxia, 83, 319, 320,<br />

595, 733<br />

– di Creta, 319<br />

– mandruzzo, 319<br />

– marzemino, 319, 784, 809<br />

– merlot, 23<br />

– moreillons, morillon, morillons, 36, 43, 65<br />

– moscato, moscatello, 61, 65, 733, 784<br />

– bianco, 783<br />

– biondo, 783<br />

– di Taggia, 319<br />

– rosso, 783<br />

– nebbiolo, nebiola, 12-13<br />

– negrara, 809<br />

– nero, <strong>al</strong>lobrogicum, 22-23, 25<br />

– orello, 319<br />

– origini dei, 742<br />

– orleanesi, 59<br />

– p<strong>al</strong>estra, 319<br />

– p<strong>al</strong>matianum, 358<br />

– p<strong>al</strong>ombino, 733<br />

– petit verdot, 23<br />

– pignolo, 319<br />

– pinot, 36, 53<br />

– grigio, 36-37, 43, 65<br />

– nero, noir, 43, 317<br />

– pineau, pinneau, chenin,65<br />

– rosso, 51<br />

– prezuolo, 319<br />

– rafosco, 319<br />

– raverusco,12<br />

– ribolla, ribola, 319<br />

– di Imola, 594<br />

– riesling, 106, 268, 317<br />

– rossera, 809<br />

– Sabino, 358<br />

– sauvignon, 23<br />

– schiava, sclava, 13, 784, 809<br />

– spanna, 319<br />

– Spätburgunder, 106<br />

– syrah, 22<br />

– tipici, 724<br />

– torrontés,84<br />

– traminer, 318<br />

– trebbiano, tribiano, 13, 319, 809<br />

– delle Marche, della Marca, 319<br />

– varietà, tipologia, 782, 805, 814<br />

– verdelez,49<br />

– verdicchio, 733<br />

– vernaccia, vernaza, granache, 13, 319, 320,<br />

809, 783, 784<br />

– di Cellatica, 594, 744, 783, 861<br />

– di San Gimignano, 594<br />

– ligure, 319<br />

– sarda, 595<br />

– vizago, 319<br />

– zeppolino,13<br />

vitivinicoltura, 304, 362, 580, 587, 627, 640,<br />

642-643, 645, 816, 853<br />

– caratterizzazione vitivinicola, 360<br />

– dotazione vitivinicola, 363<br />

– mediev<strong>al</strong>e, 305<br />

– patrimonio vitivinicolo, 374<br />

– sis<strong>temi</strong> produttivi, 715<br />

– trattatistica, v. agronomia, trattati, 750<br />

– vocazione vitivinicola, 269<br />

vizi, 200, 209, 243, 249, 324, 368, 606, 752<br />

– avarizia, cupidigia, 143, 211<br />

– gola, voracità, gastrimargia, gutturis plaga,<br />

153, 218, 221, 223, 243, 300, 359, 400-401,<br />

439, 487, 490<br />

– idolatria, 211<br />

– lussuria, luxuria, 210, 232, 315, 326, 396-<br />

397, 400, 601, 607, 857<br />

– m<strong>al</strong>dicenza, 211<br />

– rapacità, 211<br />

– ubriachezza, v. corpo umano, stati psicofisici<br />

– voluptas, 199, 211<br />

Zeitgeist (spirito del tempo), 148<br />

zodiaco, segni dello, 669


Presentazione, Giampaolo Mantelli, Cristina Ziliani, Franco Nicoli Cristiani . . . . . .pag. VII<br />

GABRIELE ARCHETTI, La civiltà del vino: una doverosa premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . » XI<br />

PARTE PRIMA<br />

La coltura della vite nel medioevo<br />

ALFIO CORTONESI, La coltivazione della vite nel <strong>Medioevo</strong>. Discorso introduttivo . . . . . . . » 3<br />

PIERRE RACINE, Vigne e vini nella Francia mediev<strong>al</strong>e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 15<br />

MANUEL VAQUERO PIÑEIRO, Il vino nella penisola Iberica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 67<br />

MICHAEL MATHEUS, La viticoltura mediev<strong>al</strong>e nelle regioni trans<strong>al</strong>pine dell’Impero . . . . . . » 91<br />

IOAN LUMPERDEAN, Il vino in Romania e Moldavia nel <strong>Medioevo</strong> . . . . . . . . . . . . . . . . . » 123<br />

EWALD KISLINGER, D<strong>al</strong>l’ubriacone <strong>al</strong> krasopateras. Il consumo del vino a Bisanzio . . . . . » 139<br />

PAOLO BRANCA, Il vino nelle cultura arabo-musulmana. Un genere letterario...<br />

e qu<strong>al</strong>cosa di più . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 165<br />

PARTE SECONDA<br />

La civiltà del vino<br />

Indice gener<strong>al</strong>e<br />

GIUSEPPE MOTTA, Il vino nei Padri: Ambrogio, Gaudenzio e Zeno . . . . . . . . . . . . . . . . » 195<br />

GABRIELE ARCHETTI, De mensura potus. Il vino dei monaci nel <strong>Medioevo</strong> . . . . . . . . . . . » 205<br />

NICOLANGELO D’ACUNTO, Il vino negato. Riforma religiosa e astinenza<br />

nel <strong>Medioevo</strong> regolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 327<br />

PAOLO TOMEA, Il vino nell’agiografia: elementi topici e aspetti soci<strong>al</strong>i . . . . . . . . . . . . . . . . » 341<br />

ROBERTO BELLINI, Il vino nelle leggi della Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 365<br />

FERDINANDO DELL’ORO, Il vino nella liturgia latina del <strong>Medioevo</strong> . . . . . . . . . . . . . . . . » 421<br />

STEFANO PARENTI, Il vino nella liturgia bizantina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 457<br />

PIERRE-MARIE GY, Il colore del vino per la messa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 477<br />

SIMONA GAVINELLI, Gli umanisti e il vino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 485<br />

997


998<br />

PARTE TERZA<br />

Tra norme e consumo: la dimensione pubblica del vino<br />

CORNELIA COGROSSI, Il vino nel «Corpus iuris» e nei glossatori . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 499<br />

CLAUDIO AZZARA, Il vino dei barbari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 533<br />

ANGELO BARONIO, Bonum vinum commune. Vite e vino in età comun<strong>al</strong>e . . . . . . . . . . . . » 547<br />

ANTONIO IVAN PINI, Il vino del ricco e il vino del povero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 585<br />

MAURO TAGLIABUE, Bere vino in taverna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 599<br />

GIAN MARIA VARANINI, Le strade del vino. Note sul commercio vinicolo nel tardo <strong>Medioevo</strong><br />

(con particolare riferimento <strong>al</strong>l’It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 635<br />

ALESSANDRO GHISALBERTI, Il vino degli scolastici: vini medicin<strong>al</strong>i ed elixir di lunga vita . » 665<br />

ANNALISA ALBUZZI, Medicina, cibus et potus. Il vino tra teoria e prassi medica<br />

nell’Occidente mediev<strong>al</strong>e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 675<br />

PARTE QUARTA<br />

Vite e territorio in età moderna<br />

ENNIO FERRAGLIO, Il vino nella tradizione agronomica rinasciment<strong>al</strong>e . . . . . . . . . . . . . . » 715<br />

PIETRO GIBELLINI, Il vino nella letteratura it<strong>al</strong>iana moderna:<br />

il caso di Manzoni e di Verga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 751<br />

BERNARDO SCAGLIA, La viticoltura bresciana nella prima età moderna . . . . . . . . . . . . . » 777<br />

PAOLO TEDESCHI, Il rinnovamento coltur<strong>al</strong>e. La viticoltura bresciana<br />

tra Ottocento e Novecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 789<br />

BARBARA BETTONI, La degustazione del vino. Ambienti e suppellettili a Brescia<br />

tra XVII e XVIII secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 817<br />

MARIO FREGONI, I percorsi storici della potatura della vite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 837<br />

CONCLUSIONI<br />

GIANCARLO ANDENNA, Coltura della vite e cultura del vino nella civiltà it<strong>al</strong>iana ed europea.<br />

Discorso conclusivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 849<br />

INDICI<br />

Indice dei nomi di persona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 865<br />

Indice dei nomi di luogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 899<br />

Indice delle cose notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 921


CENTRO CULTURALE ARTISTICO DI FRANCIACORTA E DEL SEBINO<br />

Atti delle Bienn<strong>al</strong>i di Franciacorta<br />

1.<br />

Prima Bienn<strong>al</strong>e di Franciacorta. “Atti del convegno”<br />

Brescia 1990<br />

2.<br />

Cultura, arte ed artisti in Franciacorta<br />

A cura di G. Brentegani e C. Stella, Brescia 1993<br />

3.<br />

Le forme della carità. Istituzioni assistenzi<strong>al</strong>i in Franciacorta<br />

A cura di F. Marchesani Tonoli, Brescia 1994<br />

4.<br />

Vites plantare et bene colere.<br />

Agricoltura e mondo rur<strong>al</strong>e in Franciacorta nel <strong>Medioevo</strong><br />

A cura di G. Archetti, Brescia 1996<br />

5.<br />

Per un parco letterario. Franciacorta e Sebino<br />

A cura di P. Gibellini e C. Stella, Brescia 1998<br />

6.<br />

Famiglie di Franciacorta nel <strong>Medioevo</strong><br />

A cura di G. Archetti, Brescia 2000<br />

7.<br />

La civiltà del vino.<br />

<strong>Fonti</strong>, <strong>temi</strong> e <strong>produzioni</strong> <strong>vitivinicole</strong> <strong>d<strong>al</strong></strong> <strong>Medioevo</strong> <strong>al</strong> Novecento<br />

A cura di G. Archetti, Brescia 2003<br />

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