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Canone Occ. POESIA pp 1 a 125 - Edizioni Alice

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Il metodo<br />

1. Prosa e poesia: livello grafico e formale<br />

15<br />

Il metodo<br />

Herman Gombiner aprì un occhio: era così che si svegliava ogni mattina, adagio adagio,<br />

aprendo prima un occhio, poi l’altro. Il suo sguardo cadde sulle crepe del soffitto e su una<br />

fetta dell’edificio di fronte. Era andato a letto alle ore piccole, verso le tre, e ci aveva messo<br />

un bel po’ prima di addormentarsi. Adesso erano quasi le dieci. Da qualche tempo Herman<br />

soffriva di una sorta di amnesia: quando si svegliava di notte non riusciva a ricordare dov’era,<br />

chi era, e nemmeno come si chiamava. Ci metteva qualche secondo a capire che non<br />

stava più a Kalomin o a Varsavia ma a New York, in una strada popolare tra Columbus<br />

Avenue e Central Park West.<br />

(Isaac B. Singer, L’uomo che scriveva lettere)<br />

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino<br />

di mezzo maggio in un verde giardino.<br />

Eran d’intorno vïolette e gigli<br />

fra l’erba verde, e vaghi fior’ novelli,<br />

azzurri, gialli, candidi e vermigli:<br />

ond’io porsi la mano a côr di quelli<br />

per adornare e mie’ biondi capelli,<br />

e cinger di grillanda el vago crino.<br />

(Angelo Poliziano, Rime)<br />

Dei due testi che abbiamo riportato il primo è scritto in prosa, il secondo, invece, è un<br />

testo in poesia. Come lo sa<strong>pp</strong>iamo? Quali sono le differenze tra prosa e poesia?<br />

Il primo brano è in prosa: descrive un personaggio, che non coincide con chi scrive (tutti<br />

i verbi sono alla terza persona singolare). Nonostante la brevità del testo, ci vengono offerti<br />

molti dati e, dopo soltanto poche righe, riusciamo già a sapere molte cose del protagonista,<br />

che ci sembra vicinissimo: possiamo quasi vederlo mentre si sveglia.<br />

All’interno del brano si possono isolare tre diversi momenti, che si susseguono l’uno<br />

all’altro:<br />

- innanzitutto c’è la descrizione del risveglio;<br />

- poi un flash-back (un ritorno indietro nel tempo) che ci porta alla notte precedente;<br />

- infine un ritorno al presente con la considerazione dello stato in cui l’uomo si trova da<br />

qualche tempo: svegliandosi nel cuore della notte, egli non sa più dove si trova, se in<br />

Europa o in America, e non riesce nemmeno a ricordare il proprio nome.<br />

In poche righe abbiamo tutti questi dati.


16 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Rileggendo questo breve brano, ci accorgiamo che lo scrittore di prosa prosegue l’azione<br />

dello scrivere fino in fondo alla riga, senza andare a capo, se non ogni tanto: la prosa è<br />

dunque una scrittura continua.<br />

La parola prosa deriva dall’aggettivo latino prorsus, che significa “ciò che va in linea<br />

retta”.<br />

Il secondo brano è in poesia. A differenza del primo, è scritto in prima persona: qualcuno<br />

racconta e descrive una situazione avvenuta nel passato. Viene ricordata una mattina di<br />

primavera in cui, all’interno di un giardino, il personaggio che parla ha raccolto alcuni<br />

fiori per farne una ghirlanda con cui adornare i propri capelli.<br />

Il testo rivela che la poesia non sfrutta tutto lo spazio a sua disposizione, si ferma prima<br />

della fine della riga e va a capo dopo alcune parole, ovvero è scritta in versi.<br />

La parola verso deriva dal verbo latino vertere, “tornare indietro, girare”, ovvero “andare<br />

a capo”.<br />

Il verso: una prima importante caratteristica che contraddistingue un testo poetico da un<br />

testo in prosa consiste nel fatto che i versi in cui è scritta la poesia tradizionale sono costituiti<br />

da una regolarità, data dal numero di sillabe che li compongono:<br />

I’ / mi / tro/vai, / fan/ciul/le, un / bel / mat/ti/no<br />

di / mez/zo / mag/gio in / un / ver/de / giardino.<br />

E/ran / d’in/tor/no / vï/o/let/te e / gi/gli<br />

fra / l’er/ba / ver/de, e / va/ghi / fior’ / no/vel/li,<br />

az/zur/ri, / gial/li, / can/di/di e / ver/mi/gli:<br />

on/d’io / por/si / la / ma/no a / côr / di / quel/li<br />

per / a/dor/na/re e / mie’ / bion/di / ca/pel/li,<br />

e / cin/ger / di / gril/lan/da el / va/go / cri/no.<br />

Ognuno di questi versi ha undici sillabe1 : quindi è sempre lo stesso verso che ripete la propria<br />

misura e lunghezza per tutto il componimento. Questo tipo di verso si chiama endecasillabo.<br />

I versi possono essere di diversa lunghezza, secondo questo schema:<br />

binario 02 sillabe La / cà<br />

ternario 03 sillabe La / ca/sa<br />

quaternario 04 sillabe La / ca/set/ta<br />

quinario 05 sillabe U/na / ca/sa / blu<br />

senario 06 sillabe U/na / ca/sa / gial/la<br />

settenario 07 sillabe U/na / ca/sa / az/zur/ra<br />

ottonario 08 sillabe U/na / ca/sa / a/ran/cio/ne<br />

novenario 09 sillabe U/na / bel/la / ca/set/ta / ros/sa<br />

decasillabo 10 sillabe U/na / bel/la / ca/set/ta / mar/ro/ne<br />

endecasillabo 11 sillabe U/na / ca/set/ta / con / un / bel / giar/di/no<br />

dodecasillabo 12 sillabe U/na / ca/sa / con / giar/di/no / e / pi/sci/na<br />

La rima: c’è poi un secondo importante aspetto che caratterizza il testo poetico nei confronti<br />

della prosa.<br />

1 Alcuni ne hanno di più, ma bisogna considerare che, in poesia, spesso due vocali che si trovano ad essere vicine vengono<br />

considerate una sola, per un fenomeno che si chiama elisione e che verrà a<strong>pp</strong>rofondito tra poco.


Riscriviamo ancora una volta il secondo brano:<br />

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino<br />

di mezzo maggio in un verde giardino.<br />

Eran d’intorno vïolette e gigli<br />

fra l’erba verde, e vaghi fior’ novelli,<br />

azzurri, gialli, candidi e vermigli:<br />

ond’io porsi la mano a côr di quelli<br />

per adornare e mie’ biondi capelli,<br />

e cinger di grillanda el vago crino.<br />

Il metodo<br />

Osserviamo l’ultima parola di ogni verso. Prendiamo le prime due e l’ultima: «mattino»,<br />

«giardino» e «crino». Queste tre parole hanno, nelle loro parti finali, identità di scrittura<br />

e di suono. E così anche le altre: «gigli» e «vermigli», e infine «novelli», «quelli» e<br />

«capelli». Tra queste parole avviene il fenomeno della rima, che ha come sede principale<br />

la parte finale del verso. Quindi diciamo che «mattino», giardino» e «crino» rimano tra<br />

loro.<br />

La presenza della rima in poesia era talmente importante che questa parola divenne sinonimo<br />

di versi, e “rimare” significò “comporre versi”.<br />

Il ritmo: leggiamo ora un brano di un famoso testo in prosa, il Decamerone di Giovanni<br />

Boccaccio, una raccolta medievale composta da cento novelle:<br />

Manifesta cosa è che, sì come le cose temporali tutte sono transitorie e mortali, così in sé e<br />

fuor di sé esser piene di noia, d’angoscia e di fatica...<br />

Se rileggiamo attentamente, ci accorgiamo che questo brano contiene una particolare<br />

regolarità che potremmo dire più comune alla poesia che alla prosa. Per vedere meglio<br />

questa regolarità, proviamo a scomporre il testo e a rileggere:<br />

Manifesta cosa è<br />

che, sì come le cose temporali<br />

tutte sono transitorie e mortali,<br />

così in sé e fuor di sé<br />

esser piene di noia,<br />

d’angoscia e di fatica<br />

Questa nostra “versione” del brano mette in luce la presenza di una costante, di un qualcosa<br />

che ritorna. Proviamo ora a scomporre in sillabe:<br />

Ma/ni/fe/sta / co/sa / è<br />

che, / sì / co/me / le / co/se / tem/po/ra/li<br />

tut/te / so/no / tran/si/to/rie e / mor/ta/li,<br />

co/sì in / sé / e / fuor / di / sé<br />

es/ser / pie/ne / di / no/ia,<br />

d’an/go/scia e / di / fa/ti/ca<br />

Il primo verso è formato da 7 sillabe; il secondo da 11; il terzo ancora da 11, se consideriamo<br />

la «e» dopo «transitorie» talmente flebile da venire assimilata, nella lettura, alla<br />

17


18 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

parola precedente (per un fenomeno che si chiama elisione); il quarto verso contiene,<br />

come il primo, 7 sillabe (con elisione tra «così» e «in»); il quinto ha 7 sillabe, così come<br />

l’ultimo verso (che, come il terzo, ha la congiunzione «e» talmente flebile che possiamo<br />

non contarla come sillaba a sé stante, ma “attaccarla” alla parola precedente «angoscia»).<br />

Ciò significa che, secondo tale scomposizione, il testo è composto da settenari (7 sillabe)<br />

e da endecasillabi (11 sillabe).<br />

Ci sono poi, a sorpresa, delle vere e proprie “rime”:<br />

Manifesta cosa è<br />

che, sì come le cose temporali<br />

tutte sono transitorie e mortali,<br />

così in sé e fuor di sé<br />

esser piene di noia,<br />

d’angoscia e di fatica<br />

Questa disposizione grafica conferisce un certo ritmo alle parole, che stanno bene anche<br />

in forma poetica, come dimostra la presenza delle rime.


2. L’uso della lingua<br />

Il metodo<br />

La lingua utilizzata dalla poesia si distingue dalla lingua che viene detta comune per vari<br />

aspetti.<br />

1) La lingua comune<br />

La lingua comune, quella che utilizziamo normalmente ogni giorno, è fondata sulla corrispondenza<br />

tra le parole che usiamo e il significato che attribuiamo loro.<br />

Ad esempio, se dico:<br />

Giorgio mangia la mela<br />

conosco il significato di ogni parola:<br />

- so che Giorgio è il nome di una persona;<br />

- so cosa vuol dire il verbo mangiare;<br />

- so cos’è una mela.<br />

Dunque, conosco anche il significato del loro insieme: una persona che si chiama Giorgio<br />

si sta cibando con un frutto rotondo, la mela.<br />

La parola è:<br />

- un insieme di suoni (nel caso della parola detta)<br />

-o un insieme di segni grafici (nel caso della parola scritta)<br />

- che simboleggiano qualcosa, di concreto (ad esempio un oggetto)<br />

-o di astratto (ad esempio un sentimento).<br />

Potremmo ra<strong>pp</strong>resentare le principali caratteristiche della parola attraverso un triangolo:<br />

SIGNIFICANTE<br />

REFERENTE SIGNIFICATO<br />

Se prendiamo la parola “mela”:<br />

significante è il suono o la grafia della parola: m+e+l+a;<br />

significato è il senso che diamo a quel simbolo grafico o a quel suono (quindi l’idea della<br />

mela) che ci permette di collegarlo all’oggetto a cui corrisponde;<br />

referente è l’oggetto “mela”, il frutto che, convenzionalmente, prende questo nome.<br />

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20 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

La parola è composta soltanto dal significato e dal significante; ma essa non potrebbe esistere<br />

se non ci fosse un oggetto esterno da nominare e da significare (il referente), perché<br />

sarebbe inutile, dato che la funzione della lingua è quella di comunicare nella realtà.<br />

Lo schema non cambia se il referente è qualcosa di astratto: infatti se parliamo di “amicizia”,<br />

pur non potendo toccarla con mano, il contenuto di questa parola è reale e riconosciuto<br />

nell’uso della lingua.<br />

2) Denotazione e connotazione<br />

A quanto detto finora a proposito dell’uso della lingua, aggiungiamo ora un elemento.<br />

Con la parola “pietra” indico un preciso oggetto naturale, senza alcun dubbio sulle sue<br />

caratteristiche generali.<br />

In questo caso, il ra<strong>pp</strong>orto preciso, senza possibilità di incertezza, tra parola e oggetto a<br />

cui essa si riferisce si chiama denotazione.<br />

Ovvero: la parola “pietra” denota quell’elemento naturale che tutti conosciamo (e non un<br />

altro).<br />

Ma se prendo l’espressione “cuore di pietra”, ecco che il significato della parola “pietra”<br />

si fa più incerto. Non indica più l’oggetto preciso di cui si è parlato sopra, ma una condizione,<br />

una disposizione particolare in cui l’uomo può trovarsi. Potremmo dire che il significato<br />

della parola “pietra”, in questo caso, diventa più esteso, e i confini che lo determinano<br />

nei confronti delle sfere di significato delle altre parole diventano meno precisi.<br />

Il suo significato esatto, denotativo, è scomparso; al suo posto troviamo un significato più<br />

esteso e più incerto: quello connotativo.<br />

Denotazione e connotazione sono due diversi tipi di ra<strong>pp</strong>orto tra simbolo e significato, tra<br />

parola e referente, che noi usiamo normalmente. Anzi, spesso non ci accorgiamo quando<br />

passiamo da una forma all’altra. Ad esempio, si sente parlare sempre più spesso degli hacker,<br />

parola inglese che in italiano viene tradotta con “pirata informatico”. È ovvio che le<br />

persone così chiamate non si aggirano nel Web con baffi, barba e uncino... In questo caso<br />

la parola “pirata”, che esiste autonomamente e indica un fenomeno di rapina storicamente<br />

avvenuto a bordo delle navi, assume un altro significato.<br />

Mentre la lingua della prosa è in prevalenza denotativa, quella della poesia è più frequentemente<br />

connotativa.<br />

3) La lingua della poesia<br />

a) Concentrazione della lingua e densità di significato: proponiamo ora un altro confronto<br />

tra un brano di prosa e un testo poetico:<br />

Un tale, che era un agente segreto, parcheggiò in una piazza bagnata dalla pioggia la<br />

macchina che aveva preso a nolo, e salì sull’autobus per andare in città.<br />

Quel giorno compiva quarantun anni e, buttandosi su un sedile a caso, chiuse gli occhi<br />

sprofondando in tetre meditazioni sulla natura del suo compleanno. Alla prima fermata,<br />

l’autobus che rallentava lo riportò alla realtà e vide due ragazze che si sedevano sui sedili<br />

liberi davanti a lui. La ragazza di sinistra aveva i capelli color bronzo, bronzo scuro<br />

che brillava di riflessi d’oro. I capelli erano lisci e raccolti sulla nuca con un nastro di<br />

velluto nero, annodato a fiocco. Il nastro, come i capelli, si distingueva per un senso di<br />

fresca pulizia, il genere di pulizia caratteristico delle cose che la mano irrequieta non ha<br />

ancora toccato. Chi le ha annodato il nastro con tanta cura, pensò il quarantunenne. Poi


Il metodo<br />

attese il momento in cui si sarebbe voltata verso la sua amica; a<strong>pp</strong>ena lei si girò verso<br />

l’amica e lui vide i tratti del suo viso, spalancò la bocca in un urlo soffocato in gola.<br />

Forse gli sfuggì. I viaggiatori, in ogni modo, non reagirono.<br />

(B. Tammuz, Il minotauro)<br />

In questo brano il tempo è lineare: i fatti si susseguono l’uno all’altro senza stravolgere<br />

lo scorrere naturale del tempo. Le descrizioni dei particolari e dei dettagli sono<br />

molto a<strong>pp</strong>rofondite e ricche di aggettivi. Il discorso che l’autore porta avanti è chiaro,<br />

fatto di termini precisi e immediatamente comprensibili.<br />

Ora vediamo una famosa poesia di Giuse<strong>pp</strong>e Ungaretti:<br />

Si sta come<br />

d’autunno<br />

sugli alberi<br />

le foglie<br />

(G. Ungaretti, Soldati)<br />

Nel confronto col testo in prosa, colpisce innanzitutto la differenza di quantità delle<br />

parole.<br />

La poesia di Ungaretti è costituita da pochissime parole, attraverso le quali il poeta<br />

restituisce al lettore la precarietà della condizione umana, particolarmente avvertita<br />

durante un’esperienza così totale ed estrema come quella della guerra di trincea (attraverso<br />

il titolo sa<strong>pp</strong>iamo infatti che sono i soldati ad essere paragonati alle foglie).<br />

La lunghezza minima dei versi trasmette un senso di grande desolazione. Le parole,<br />

immerse nel bianco della pagina, ci offrono l’immagine della solitudine; emergono dal<br />

silenzio, offrendo un linguaggio poetico fatto di essenzialità.<br />

Spesso, come in questo esempio, la poesia è caratterizzata da un’alta concentrazione<br />

verbale, a cui corrisponde, per contra<strong>pp</strong>osizione, un ampio contenuto semantico. Le<br />

parole della poesia sono dense di significato (come si è visto, sono prevalentemente<br />

connotative).<br />

Nel testo di Ungaretti l’aspetto descrittivo è ridotto al minimo, ma allo stesso tempo,<br />

con nove parole soltanto, il poeta ra<strong>pp</strong>resenta una condizione umana che percepiamo<br />

immediatamente con una vertigine per quanto è nettamente, lucidamente ed efficacemente<br />

descritta. Tutti ci immedesimiamo un po’ nella descrizione della fragilità dell’uomo,<br />

qui ra<strong>pp</strong>resentato come una foglia che un evento improvviso può far cadere<br />

dal ramo.<br />

b) L’ordine delle parole: un altro elemento importante in poesia è la disposizione delle<br />

parole, che può essere estremamente libera.<br />

L’ordine delle parole all’interno di un componimento è dettato dall’estro del poeta,<br />

dalla musicalità che vuole ottenere ma anche dal significato che cerca di restituire. La<br />

disposizione delle parole in poesia non risponde alle consuete norme sintattiche,<br />

secondo le quali la poesia di Ungaretti dovrebbe essere scritta così:<br />

Si sta come<br />

le foglie<br />

sugli alberi<br />

d’autunno<br />

Ma in questa riscrittura la poesia si indebolisce; l’ordine consueto delle parole la rende<br />

21


22 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

meno efficace.<br />

Infatti in Soldati la condizione di precarietà dell’uomo in guerra è resa anche dalla condizione<br />

di precarietà delle parole disposte all’interno della poesia: esse sono frammentate<br />

e divise tra loro, così come sono spezzati i loro legami logici. In questo modo il<br />

poeta ottiene un potenziamento dell’immagine principale del testo, fatta di desolazione<br />

e instabilità, rendendola più intensa e coinvolgente.<br />

c) Le immagini: il poeta non svela ma suggerisce il significato, e lo fa attraverso l’uso<br />

delle immagini.<br />

L’immagine poetica nasconde i legami logici, lasciandoli sottintesi; in questo consiste la<br />

grande forza della poesia, che non esplicita il suo senso, ma lo custodisce come un segreto.<br />

Ad esempio, nella poesia di Ungaretti l’immagine delle foglie in balía del vento suggerisce<br />

il senso del fragile destino dell’uomo. È un’immagine simbolica, e in quanto<br />

simbolica non immediatamente comprensibile: occorrono, per coglierla, una lettura<br />

a<strong>pp</strong>rofondita e uno sforzo nella comprensione.<br />

Questo avviene perché il metodo con cui la poesia procede non è l’analisi o la descrizione,<br />

tipiche della scrittura in prosa, ma il ra<strong>pp</strong>orto sintetico, la rapida scoperta dei ra<strong>pp</strong>orti<br />

e delle analogie tra le parole della poesia e i significati, i sentimenti e le cose a cui<br />

essa si riferisce. È proprio da questo ra<strong>pp</strong>orto di tipo sintetico che nascono le immagini<br />

della poesia.<br />

Un testo in prosa, nella maggior parte dei casi, è trasparente, e i significati che trasmette<br />

sono per lo più immediati.<br />

La poesia si comporta diversamente: ci chiede uno sforzo maggiore, dobbiamo rischiare<br />

di entrarci dentro e andare a fondo, perché spesso l’involucro (la forma, la lingua)<br />

non permette di cogliere immediatamente il suo contenuto (il significato).<br />

Un grande critico e scrittore inglese scriveva: «Nessuna poesia rivelerà il suo segreto<br />

a un lettore che le si pone di fronte considerando il poeta come un potenziale ingannatore<br />

e che è deciso a non cascare nel tranello. Dobbiamo rischiare di cascarci, se<br />

vogliamo ottenere qualcosa. La migliore salvaguardia contro la cattiva letteratura è<br />

un’ampia esperienza di quella buona; come un ra<strong>pp</strong>orto reale e di affetto con le persone<br />

oneste protegge meglio dai furfanti che una sfiducia abituale nei confronti di tutti»<br />

(C.S. Lewis, Lettori e letture).<br />

d) Polisemia (pluralità di significati):<br />

In fondo alla china,<br />

fra gli alti cipressi<br />

è un piccolo prato.<br />

Si stanno in quell’ombra<br />

tre vecchie<br />

giocando coi dadi.<br />

Non alzan la testa un istante,<br />

non cambian di posto un sol giorno.<br />

Sull’erba in ginocchio<br />

si stanno in quell’ombra giocando.<br />

(A. Palazzeschi, Ara Mara Amara)<br />

Questo componimento di Palazzeschi è un efficace esempio della compresenza di


Il metodo<br />

diversi significati in poesia.<br />

Ad una prima lettura, sembra che il testo sia la semplice descrizione di un gioco che<br />

tre vecchie fanno all’ombra degli alberi. Il linguaggio è chiaro e lineare, e non ostacola<br />

l’interpretazione.<br />

Una lettura più attenta, però, porterebbe a qualche sorpresa. La presenza di alcuni elementi,<br />

infatti, rimanda a una poesia sul destino: il gioco dei dadi simboleggia la legge<br />

del caso che governa la vita degli uomini, mentre le tre vecchie richiamano le Parche,<br />

dee pagane che presiedevano alla vita degli uomini. Infine, altri due elementi simbolici<br />

conducono la nostra interpretazione di questa poesia al senso della vita e alla sua<br />

precarietà: la china (che ra<strong>pp</strong>resenta la vita stessa) e i cipressi (che simboleggiano la<br />

morte, dove la vita inevitabilmente si conclude).<br />

Quindi una lettura più a<strong>pp</strong>rofondita, condotta in chiave simbolica, mostra come il componimento<br />

sia fondato sul tema della casualità della vita, costretta a sottostare alle<br />

leggi di un cieco destino.<br />

Questo esempio è utile per comprendere che anche in campo semantico il poeta gode<br />

di grande libertà.<br />

e) L’insieme dei suoni: nel testo poetico al significato delle parole si aggiunge e si allea<br />

quello dei suoni; infatti il significato e i suoni si richiamano, fondendosi tra loro.<br />

Prendiamo come esempio un famoso verso di Leopardi:<br />

e chiaro nella valle il fiume a<strong>pp</strong>are<br />

Le vocali accentate in modo più forte sono due: la /a/, che compare tre volte («chiaro»,<br />

«valle», «a<strong>pp</strong>are») e la /u/, che compare una volta soltanto («fiume»). Il suono<br />

della /a/ suggerisce chiarezza, mentre la /u/ è una vocale scura: quello che il verso ci<br />

fa vedere, con l’insieme sonoro oltre che con il significato delle parole che lo compongono,<br />

è un paesaggio immerso nel chiarore che ha al suo interno una macchia scura, il<br />

fiume.<br />

23


24 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

3. Il ritmo<br />

I testi poetici di tipo tradizionale rispondono a una serie di “regole” di composizione, che<br />

vanno sotto il nome di “metro” o “metrica”, cioè “misura”.<br />

Studiare le regole metriche è importante, anche se non bisogna mai credere che un componimento<br />

si riduca a tali regole. Lo studio del metro deve essere lo studio di un aspetto<br />

del linguaggio, non diverso dagli altri (la tessitura fonica, ovvero l’insieme dei suoni dato<br />

dalle parole di una poesia, la scelta delle parole, la gamma dei significati che un testo assume,<br />

l’uso della lingua che il poeta fa in una determinata poesia...), che, come gli altri, ci<br />

deve guidare a comprendere l’espressione poetica nella sua totalità.<br />

Possiamo paragonare una poesia ad un quadro: è importante conoscere la tecnica pittorica<br />

con cui è stata realizzata una tela, ma questo non deve allontanarci tro<strong>pp</strong>o dalle considerazioni<br />

sui colori utilizzati, il soggetto dipinto, le forme presenti...<br />

Al di là del metro, quindi, noi dobbiamo cogliere il ritmo.<br />

Il ritmo è connaturato alla poesia, perché alle sue origini essa era strettamente legata alla<br />

musica. Molti tipi di testi poetici, oltre alle parole che li compongono e che oggi conosciamo,<br />

erano provvisti di uno spartito musicale, e prevedevano un’esecuzione cantata e, a<br />

volte, anche ballata.<br />

Il ritmo è presente anche quando parliamo e quando scriviamo; capita spesso di accorgersi<br />

che una parola non stia bene in un posto e vada collocata altrove perché, come si usa<br />

dire, “suona male”.<br />

Se voglio raccontare dei miei successi nel gioco del calcio ad un amico, posso dire:<br />

il mio allenatore dice che sono il giocatore migliore della squadra<br />

o<strong>pp</strong>ure, anche se non è esattamente la stessa cosa, posso dire:<br />

nel calcio io sono il migliore,<br />

lo dice anche l’allenatore.<br />

Le due frasi contengono le stesse identiche informazioni, ma nella seconda compaiono<br />

alcuni elementi che sono immediatamente riconoscibili come “poetici”: tra i due versi c’è<br />

un episodio di rima, e dall’insieme nasce un ritmo tale che le due frasi si “assomigliano”,<br />

“pesano” allo stesso modo (hanno ciascuna 10 sillabe).<br />

Quello che il poeta fa, a differenza di una persona comune che si accinge a scrivere o a<br />

parlare, è potenziare ciò che tutti gli uomini comunque possiedono: la dimensione ritmica<br />

del discorso.<br />

Nel discorso quotidiano le parole si esauriscono col fine per cui esse servono: tornando<br />

all’esempio di prima sarà più probabile, parlando con un amico, pronunciare la prima<br />

frase piuttosto che i due versi, poiché sicuramente ciò che interessa di più è fargli sapere<br />

cosa ha detto l’allenatore, e non come trasmettergli questa informazione.<br />

Il ritmo in poesia è strettamente connesso con gli accenti delle parole che formano i versi.


3.1 L’accento e le sillabe<br />

a) Gli accenti della parola: parole piane, sdrucciole, tronche<br />

Il metodo<br />

Ogni parola ha una sillaba su cui, nel pronunciarla, si posa in modo speciale la voce,<br />

su cui ci si sofferma un po’ più a lungo: questa sillaba si chiama tonica, mentre la posa<br />

della voce si chiama accento tonico.<br />

Per capire come funziona il sistema degli accenti della lingua italiana prendiamo una<br />

parola qualsiasi e accentiamola in tutti i modi possibili: avremo, ad esempio<br />

pàtata<br />

patàta<br />

patatà<br />

Quale di queste parole ha il corretto accento? È patàta.<br />

La maggior parte delle parole italiane ha l’accento come patàta, ovvero sulla penultima<br />

sillaba: si chiamano parole piane (càsa, scuòla, formàggio, marmellàta).<br />

Le parole che hanno l’accento sulla terzultima sillaba, come pàtata, si chiamano<br />

sdrucciole, perché dopo la sillaba accentata è come se la parola scivolasse via (àlbero,<br />

telèfono, rigàgnolo, pèndolo, bàmbola).<br />

Le parole che hanno l’accento sull’ultima sillaba, come patatà, si chiamano tronche,<br />

ed è facile distinguerle perché spesso hanno l’accento grafico (più, così, sarà, carità,<br />

virtù).<br />

Le parole che hanno l’accento ancora più indietro delle sdrucciole (sulla quartultima sillaba,<br />

bisdrucciole: fàbbricano, e sulla quintultima, trisdrucciole: lìberacene) sono piuttosto<br />

rare, e nella maggior parte dei casi sono parole composte da verbi e particelle.<br />

b) Versi piani, sdruccioli, tronchi<br />

All’interno del verso l’accento più importante è l’ultimo, quindi ciò che definisce il<br />

verso è l’ultima parola che lo compone.<br />

Se un verso finisce con una parola piana, viene detto piano; se finisce con una parola<br />

tronca si chiama tronco; se termina con una parola sdrucciola, è detto sdrucciolo.<br />

c) Le particelle atone<br />

Bisogna poi considerare una serie di parole molto piccole e brevi: gli articoli, le particelle<br />

pronominali mi, ti, ci, si, vi, ve, ce, ne, le preposizioni (di, a, da, in...) e le congiunzioni<br />

monosillabiche, cioè formate da una sola sillaba (e, ma...). Tutte queste parole<br />

hanno di regola un accento così tenue, che se ne considerano quasi prive, e perciò<br />

vengono chiamate atone (senza tono, ovvero senza accento).<br />

d) Gli accenti del verso<br />

Quello che succede all’interno di una parola, in poesia succede all’interno del verso:<br />

infatti come la parola ha una sillaba “privilegiata”, sede dell’accento tonico, così il<br />

25


26 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

verso ha sedi privilegiate per gli accenti, che non sono mai messi a caso dal poeta:<br />

Nel mèzzo del cammìn di nostra vìta<br />

Mi ritrovài per una sèlva oscùra<br />

La presenza degli accenti all’interno del verso, oltre a conferire il ritmo di cui si è parlato,<br />

funziona anche da “argine” per la voce: la lettura, seguendoli, non risulterà né<br />

monotona né disordinata, rispettando così la misura dei versi.<br />

Come si vede dai due versi sopra riportati, gli accenti principali del verso (chiamati<br />

accenti ritmici o ictus) non coincidono con tutti gli accenti tonici delle parole che lo<br />

costituiscono, che risultano più numerosi. Questo significa che la metrica dispone di<br />

regole sue proprie, diverse da quelle della grammatica.<br />

Gli elementi essenziali del ritmo nel verso italiano sono due: il primo è un numero stabilito<br />

di sillabe; il secondo è il succedersi di accenti tonici su sedi determinate, ad intervallo<br />

di tempo fisso. Questi due elementi formano il metro, che è la misura del ritmo.<br />

Grazie al succedersi di accenti a intervalli regolari, noi percepiamo una musicalità<br />

della poesia. È proprio la ripetizione che conferisce al testo poetico un particolare<br />

ritmo.<br />

La cesura: il ritmo del verso viene sottolineato anche dalla presenza di pause, chiamate<br />

cesure, le cui possibili posizioni sono indicate dalle regole della metrica tradizionale.<br />

Le cesure però sono presenti solo nei versi lunghi, dove spesso coincidono con le<br />

pause segnalate dalla punteggiatura; esse dividono il verso in due parti, che prendono<br />

il nome di emistichi:<br />

Questo di tanta speme // oggi mi resta<br />

(U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni)


4. Il verso<br />

Il metodo<br />

Il verso, con i suoi accenti, le rime e i suoni, è la manifestazione più a<strong>pp</strong>ariscente del ritmo<br />

di cui abbiamo parlato, e permette alle parole che compongono una poesia di emergere<br />

dalla pagina bianca. Il loro significato è più profondo, più denso, più vario e sfuggente.<br />

Prendiamo una poesia di Ungaretti:<br />

E subito riprende<br />

il viaggio<br />

come<br />

dopo il naufragio<br />

un superstite<br />

lupo di mare<br />

Se questo testo non fosse scritto in versi, diventerebbe:<br />

E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare<br />

È evidente, non è la stessa cosa. Le parole, nella versione poetica, si stagliano con tutta la<br />

loro intensità, vengono isolate e come protette dagli spazi bianchi che le circondano,<br />

emergono con più forza e sono maggiormente suggestive.<br />

Come riconoscere un verso. I nomi dei versi italiani traducono il numero di sillabe da<br />

cui sono composti: ci si basa sul numero delle sillabe che realmente ha il verso quando è<br />

piano, poiché è il più diffuso dei versi. Questo significa che quando il verso è tronco ha<br />

una sillaba in meno di ciò che indica il suo nome, e quando è sdrucciolo ne ha una in più.<br />

Ad esempio, il verso settenario quando è piano ha sette sillabe:<br />

E / già / per / me / si / pie/ga<br />

Quando è tronco, invece, ne ha sei:<br />

Che / na/tu/ra / mi / diè<br />

Se è sdrucciolo, ha otto sillabe:<br />

Per/ché / tur/bar/mi / l’a/ni/ma<br />

(da Parini, La vita rustica)<br />

Quindi, più semplicemente, per riconoscere i versi italiani bisogna contare le sillabe fino<br />

all’ultima che ha l’accento, e aggiungere uno: settenario, 6 + 1; 10 + 1 = endecasillabo.<br />

Dopo il regolare accento tonico dell’ultima parola, il verso italiano in un certo senso non<br />

tiene più conto delle sillabe che seguono.<br />

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28 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

4.1. Le principali figure metriche<br />

Le principali figure metriche riguardano l’incontro di vocali, sia tra due parole che all’interno<br />

di una stessa parola.<br />

Sa<strong>pp</strong>iamo che una sillaba, per essere tale, deve contenere almeno una vocale. Laddove due<br />

(o più) vocali si incontrano, il nostro conteggio delle sillabe diventa più incerto: se casa<br />

ha due sillabe, quante ne ha la parola aria? Le seguenti regole metriche sfruttano questa<br />

indecisione, accordando al poeta una notevole libertà.<br />

ELISIONE O SINALÈFE<br />

È una delle principali particolarità metriche. Per evitare lo iato, cioè il suono prodotto dall’incontro<br />

di più vocali (cuoca), di regola, quando una parola finisce con una vocale<br />

non accentata e la seguente comincia pure per vocale (amore amaro), avviene una specie<br />

di fusione o di contrazione tra queste vocali:<br />

Ma pur ne tremi, o Psyche, ancora emesta<br />

(Pascoli, Psyche)<br />

Se contiamo tutte le sillabe di questo verso, risultano essere 14. Il poeta quindi, volendo<br />

scrivere un endecasillabo, sembra aver “esagerato”, ma non è così: considerando le elisioni<br />

che si possono fare nel verso (tra «tremi» e «o», tra «Psyche» e «ancora», tra «ancora»<br />

e «e»), esso risulta in effetti un endecasillabo.<br />

Quel che impone i comandi o addita i fati<br />

(D’Annunzio, La canzone di Umberto Cagni)<br />

In questo verso le sillabe sono addirittura 16; ma evidenziando gli episodi di elisione<br />

(«che impone», «impone i», «comandi o», «o addita», «addita i»), il verso è nuovamente<br />

un endecasillabo.<br />

A volte l’elisione viene sottolineata anche graficamente, attraverso un apostrofo messo al<br />

posto della vocale da elidere. Questo fenomeno prende il nome di afèresi:<br />

Preme ’l cor di desio, di speme il pasce<br />

(Petrarca, Canzoniere CCLXIV)<br />

Ch’addorna e ’nfiora la tua riva manca<br />

(Petrarca, Canzoniere CCVIII)<br />

Il poeta, più che obbedire a norme prestabilite, obbedisce al suo senso armonico. Laddove<br />

potrebbe esserci l’elisione, non è detto che il poeta vi ricorra.<br />

Ad esempio, Dante non usa l’elisione quando potrebbe:<br />

O in eterno faticoso manto!<br />

(Dante, Inferno XXIII)<br />

Come sa<strong>pp</strong>iamo che non utilizza questo espediente? Basta contare le sillabe: come tutti i<br />

versi della Divina Commedia anche questo è un endecasillabo e se, contando, non ci risul-


Il metodo<br />

tano 11 sillabe ma un numero maggiore o minore, abbiamo la certezza che il poeta ha<br />

sfruttato alcune particolarità metriche.<br />

In questo verso c’è un caso che richiederebbe l’elisione, tra la O iniziale e in. Ma contando<br />

le sillabe ci accorgiamo che Dante non utilizza questo espediente:<br />

O / in / e/ter/no / fa/ti/co/so / man/to!<br />

La mancata elisione, in questo caso, dà la sensazione della faticosa lentezza del tempo, se<br />

vissuto nell’eternità delle pene infernali.<br />

Tra «O» e «in» si verifica il fenomeno della dialèfe, esattamente contrario alla<br />

sinalefe/elisione: ha luogo quando due vocali vicine di parole diverse vengono calcolate<br />

separate.<br />

Se sinalefe/elisone e dialefe riguardano l’incontro tra due vocali a<strong>pp</strong>artenenti a parole diverse,<br />

l’incontro tra due vocali di una stessa parola determina fenomeni di dièresi o di sinèresi.<br />

DIERESI E SINERESI<br />

Dièresi: consiste nel pronunciare separate, come se fossero due sillabe distinte, due<br />

vocali contigue di una stessa parola. Una volta veniva segnata con due puntini sulla<br />

prima delle due vocali su cui cadeva tale fenomeno, ora spesso questo segno si tralascia.<br />

Tal fra le Perse torme infurïava<br />

L’ira de’ greci petti e la virtude.<br />

(Leopardi, All’Italia)<br />

L’effetto principale della dieresi è di dare al verso un’espressione di armonia lenta, quasi<br />

di riposo, o d’insistenza, poiché tende a prolungare il suono e a rallentare il ritmo.<br />

Sinèresi: è il fenomeno o<strong>pp</strong>osto alla dieresi, e consiste nel pronunciare unite in una sillaba<br />

sola due vocali consecutive a<strong>pp</strong>artenenti alla stessa parola, di regola atone. Nella<br />

parola grazioso di solito si contano 4 sillabe (gra/zi/o/so), ma con la sineresi diventano tre:<br />

gra/zio/so.<br />

ALTRE FIGURE METRICHE<br />

Afèresi: si ha quando una parola si diminuisce di una sillaba iniziale (la a di aferesi<br />

indica qualcosa che manca, che viene tolto):<br />

Limosina di messe Dio sa quando<br />

Io ne potrò toccare<br />

(Parini, Al canonico Agudio)<br />

Pròtesi: al contrario è l’aumento di una sillaba al principio di parola (protesi nel senso<br />

di aggiunta):<br />

Ciascuna par dolente e sbigottita,<br />

come persona discacciata e stanca<br />

(Dante, Rime XLVII)<br />

dove discacciata sta per scacciata.<br />

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30 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Sìncope: è la caduta di una vocale o di una consonante all’interno della parola, per<br />

cui questa diminuisce di una sillaba:<br />

Spirto gentil che quelle membra reggi<br />

(Petrarca, Canzoniere LIII)<br />

Rompea la notte e la rendea più truce<br />

(Monti, Bassviliana I)<br />

Epèntesi: è il fenomeno contrario alla sincope, cioè l’aumento di una vocale o di una<br />

consonante all’interno della parola:<br />

Similemente il mal seme d’Adamo<br />

(Dante, Inferno III)<br />

Apòcope: si ha quando si abbrevia una parola di una sillaba finale, come negli esempi:<br />

son per sono, andaro per andarono (anche in questo caso la a di apocope indica una<br />

mancanza, qualcosa che viene meno, che si toglie):<br />

Levossi Achille piè veloce e disse<br />

(Omero, Iliade I)<br />

Paragòge: è il contrario dell’apocope, e consiste nell’aggiunta di una sillaba alla fine di<br />

una parola: fue per fu, die per dì:<br />

Voi vigilate nell’eterno die.<br />

(Dante, Purgatorio XXX)<br />

e priegalami per la sua bontate<br />

che la mi degia tener lealtate.<br />

(Federico II, Oi lasso, non pensai)<br />

Sìstole: indica il ritrarsi, lo spostamento dell’accento dalla sillaba tonica verso il principio<br />

di parola:<br />

...minaccia gl’itali penati<br />

Ànnibal diro<br />

(Carducci, Alle fonti del Clitumno)<br />

Quando verrà la nimica podèsta<br />

(Dante, Inferno VI)<br />

Diàstole: è lo spostamento dell’accento verso la fine della parola. Si ha di frequente<br />

con nomi propri derivati dal greco: Umìle per ùmile, Agamennòn per Agamènnone:<br />

Quasi aspettando, pallido ed umìle<br />

(Dante, Purgatorio VIII)<br />

Tmesi: riguarda le parole che possono essere soggette al do<strong>pp</strong>io accento. Avviene di regola<br />

tra parole composte e si verifica quando una parola si scinde nei suoi componenti e si


spezza tra la fine del verso e il principio del seguente:<br />

E poi li volge a una a una lentamente<br />

(Pascoli, Il libro)<br />

4.2. I versi tradizionali<br />

Il metodo<br />

Una prima distinzione tra i versi italiani è quella tra parisillabi e imparisillabi, in base al<br />

numero pari o dispari di sillabe che li compone.<br />

I poeti italiani spesso hanno preferito i versi imparisillabi, perché permettono una maggior<br />

varietà di armonia e composizione, mentre i versi composti da un numero pari di sillabe<br />

corrono il rischio di risultare monotoni.<br />

Non esistono, se non raramente, versi di una, due o tre sillabe. Di solito versi così brevi<br />

non esistono di per sé: si trovano misti ad altri versi, a cui si a<strong>pp</strong>oggiano o s’intercalano,<br />

di regola con rima.<br />

Ad esempio, Pascoli usa un verso binario alla fine di ogni strofa che compone L’assiuolo,<br />

per restituire il verso di questo uccello notturno:<br />

Dov’era la luna? ché il cielo<br />

notava in un’alba di perla,<br />

ed ergersi il mandorlo e il melo<br />

parevano a meglio vederla.<br />

Venivano soffi di lampi<br />

da un nero di nubi laggiù;<br />

veniva una voce dai campi:<br />

chiù...<br />

Un esempio, molto raro, di trisallabo è il seguente:<br />

Si tace,<br />

non getta<br />

più nulla.<br />

(Palazzeschi, La fontana malata)<br />

Il quaternario: è un verso composto da 4 sillabe, con accento ritmico fisso sulla 3ª. Da<br />

solo è assai poco usato, come si vede da questo esempio in cui lo troviamo alternato al settenario:<br />

Accusato,<br />

tormentato,<br />

condannato<br />

sia colui, che in pian di Lècore<br />

prim’ osò piantar le viti;<br />

infiniti<br />

capri, e pecore<br />

si divorino quei tralci<br />

31


32 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

e gli stralci<br />

pioggia rea di ghiaccio asprissimo<br />

(Redi, Bacco in Toscana)<br />

Essendo un verso molto breve, difficilmente ha senso compiuto da solo: ad esempio il<br />

verso capre, e pecore preso singolarmente non dice veramente niente quanto a significato<br />

e armonia.<br />

Il quinario: ha un solo accento ritmico sulla 4ª sillaba. È un verso antico, adoperato sia<br />

in strofe da solo (strofe monocole) sia con settenari e endecasillabi.<br />

Esempio di quinari piani:<br />

Or che si tace<br />

- sia per brev’ora -<br />

quanto m’accora,<br />

in me, nel mondo;<br />

ed alla pace<br />

che m’ha beato<br />

è il cuor grato<br />

quanto è profondo<br />

Esempio di quinari sdruccioli:<br />

Sempremai tornino<br />

di nuovo a bevere<br />

l’altera porpora,<br />

che in Montera<strong>pp</strong>oli<br />

da’ neri gra<strong>pp</strong>oli<br />

sì bella spremesi.<br />

(Saba, Canzonetta nuova)<br />

(Redi, Bacco in Toscana)<br />

Esempio di quinario misto con settenari:<br />

La vïoletta,<br />

che in sull’erbetta<br />

apre al mattin novella,<br />

dì, non è cosa<br />

tutta odorosa,<br />

tutta leggiadra, e bella?<br />

(Chiabrera, Rime XVIII)<br />

Il senario: è un verso che va considerato diviso in due emistichi (mezzi versi) di tre sillabe<br />

ciascuno; gli accenti principali generalmente cadono sulla penultima sillaba di ognuno<br />

di questi, ovvero sulla 2ª e sulla 5ª:<br />

Evviva la vigna<br />

Che l’arti raccoglie,<br />

Che il gelo discioglie


Di barbare età!<br />

Si può trovare misto ad ottonari:<br />

(Carducci, Il Brindisi)<br />

Che buon pro facesse il verbo<br />

imbeccato a suon di nerbo<br />

nelle scuole pubbliche<br />

...<br />

Tutti noi, che grazie al Cielo<br />

non siam più di primo pelo,<br />

lo diremo ai posteri.<br />

(Giusti, Gl’immobili e i semoventi)<br />

Il metodo<br />

Il settenario: è uno dei nostri versi più antichi e più usati. Si trova agli albori della letteratura<br />

italiana, e via via per tutti i secoli, compresi i tempi moderni, da solo o misto ad altri<br />

versi (specie con l’endecasillabo). Ha due accenti principali, sulla 6ª e su una delle prime<br />

quattro sillabe, a piacimento.<br />

Ecco un esempio molto antico, che risale al Duecento:<br />

O gemma lezïosa,<br />

adorna villanella,<br />

che se’ più vertudiosa<br />

che non se ne favella:<br />

per la vertude c’hai<br />

per grazia del Signore,<br />

aiutami, ché sai<br />

ch’i’ son tuo servo, Amore.<br />

(Ciacco dell’Anguillaia)<br />

D’Annunzio l’ha usato non legato in strofe, e rimato a volontà:<br />

Nostra spiaggia pisana,<br />

amor di nostro sangue,<br />

vita di sabbie e d’acque<br />

silvana e litorana,<br />

o ferma creatura<br />

nella qual si compiacque<br />

un’arte che non langue<br />

non trema e non s’offusca,<br />

terra lieve e robusta<br />

che lineata pare<br />

dalla mano sicura<br />

del figulo onde nacque<br />

il purissimo vaso<br />

(D’Annunzio, I cammelli)<br />

L’ottonario: anche questo verso è antichissimo. Nella sua forma più antica è composto<br />

dall’unione di due quaternari, quindi gli accenti principali sono sulla 3ª e sulla 7ª sillaba.<br />

Un altro tipo di accentazione è 1ª, 4ª e 7ª.<br />

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34 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Carducci lo usò misto ai quaternari, come si vede nella poesia Alla rima:<br />

Ave, o rima! Con bell’arte<br />

Su le carte<br />

Te persegue il trovadore;<br />

Ma tu brilli, tu scintilli,<br />

Tu zampilli<br />

Su del popolo dal core.<br />

Modernamente è stato adoperato anche con altra posizione di accento, per rompere la<br />

monotonia che facilmente potrebbe prodursi da un ritmo così ugualmente cadenzato:<br />

Brevi chiomate sorelle,<br />

api operaie, già sparve<br />

l’ombra del verno, e già fanno<br />

l’api il lor miele per quelle<br />

ch’oggi son torpide larve,<br />

oggi, ma che voleranno<br />

domani.<br />

(Pascoli, Alle «Kursistki»)<br />

Il novenario: nella sua forma tradizionale ha gli accenti sulla 2ª, 5ª e 8ª sillaba. Questo<br />

verso ha un’armonia poco spiccata, tanto che non è difficile trovarlo in prosa (I promessi<br />

sposi di Alessandro Manzoni cominciano proprio con un novenario: «Quel ràmo del làgo<br />

di Còmo»):<br />

Dal Libano trema e rosseggia<br />

Su ’l mare la fresca mattina:<br />

Da Cipri avanzando veleggia<br />

La nave crociata latina.<br />

A po<strong>pp</strong>a di febbre anelante<br />

Sta il prence di Blaia, Rudello,<br />

E cerca co ’l guardo natante<br />

Di Tripoli in alto il castello.<br />

(Carducci, Jaufré Rudel)<br />

In Versilia di D’Annunzio gli accenti sono posti molto liberamente:<br />

Non temére, o uómo dagli ócchi<br />

gláuchi! Erómpo dalla cortéccia<br />

frágile io nínfa boscheréccia<br />

Versília, perché tu mi tócchi.<br />

Il decasillabo: è un verso divisibile armonicamente in 3 parti di 3 sillabe ciascuna, con<br />

l’accento sull’ultima sillaba di ogni parte, a cui si aggiunge una sillaba finale. Poiché la<br />

posizione dell’accento è quasi sempre fissa (3ª, 6ª e 9ª), il decasillabo ha un suono cadenzatamente<br />

monotono, che in certi casi può servire per onomatopea (armonia imitativa):<br />

Da le vètte dell’Ètna fumànti<br />

Ben ti lèvi, o facèlla di guèrra:


Su le tòmbe de’ vècchi gigànti<br />

Come bèlla e terrìbil sei tù!<br />

(Carducci, Sicilia e la Rivoluzione)<br />

Il metodo<br />

Per evitare la monotonia che spesso caratterizza il decasillabo, i poeti moderni ne hanno<br />

variato l’accentatura ritmica:<br />

Dunque, róndini róndini, addío!<br />

Dunque andáte, dunque ci lasciáte<br />

per paési tánto a noi lontáni.<br />

È finíta qui la róssa estáte.<br />

A<strong>pp</strong>assísce l’órto; i miei geráni<br />

più non hánno che i bécchi di grú.<br />

(Pascoli, Addio!)<br />

L’ENDECASILLABO<br />

È il re dei versi italiani, chiamato da Dante “celeberrimo”. È un verso che, per la sua lunghezza,<br />

si adatta tanto all’espressione dei sentimenti quanto al racconto e al dialogo. Risale<br />

alle origini della nostra poesia e fu adoperato ininterrottamente da tutti i nostri poeti.<br />

L’endecasillabo deve la sua fortuna alla sua grande duttilità, e anche al fatto che, essendo<br />

un verso di una certa lunghezza, permetteva al poeta di esprimere più contenuti.<br />

Fu usato in molti modi e diede voce a una grandissima varietà di atteggiamenti: ha raccontato<br />

l’universo della Divina Commedia, ha rivestito la malinconia del Petrarca, ha narrato<br />

le gesta di eroi e cavalieri, venne utilizzato nella satira, nella poesia comica ecc.<br />

Anche quando, nel Cinquecento e più tardi, si volle trovare una veste italiana adatta per i<br />

poemi antichi sottoposti a traduzione, si ricorse all’endecasillabo. Si è utilizzato rimato in<br />

tutte le forme di strofa, da solo o con altri versi.<br />

Ha due tipi di accenti principali: 6ª e 10ª,<br />

4ª, 8ª e 10ª,<br />

ma anche, più raramente: 4ª, 7ª e 10ª.<br />

Esempi di 6ª e 10ª:<br />

Nel mezzo del cammìn di nostra vìta<br />

(Dante, Inferno I)<br />

Canto l’arme pietòse e ’l capitàno<br />

(Tasso, Gerusalemme Liberata, canto I)<br />

Esempi di 4ª, 8ª e 10ª:<br />

Cantami, o dìva, del Pèlide Achìlle<br />

(Monti, Traduzione Iliade, canto I)<br />

Le cortesìe, l’audaci imprèse io cànto<br />

(Ariosto, Orlando Furioso, canto I)<br />

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36 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Esempi di 4ª, 7ª e 10ª:<br />

Quivi le strìda, il compiànto, il lamènto<br />

(Dante, Inferno V)<br />

Spinta dal vènto al frangènte del màre<br />

(D’Annunzio, L’Olenadro)<br />

La maggior parte degli endecasillabi segue una di queste disposizioni di accenti; tuttavia<br />

sono possibili anche altri tipi di accentazione.<br />

L’endecasillabo generalmente è divisibile in due membri di cui il primo è il maggiore e il<br />

secondo il minore, o viceversa. Nel primo caso la prima parte risulta un settenario piano,<br />

tronco o sdrucciolo e la seconda rispettivamente un quaternario, un quinario o un ternario.<br />

Settenario piano più quaternario:<br />

Come campo di biada / già matura<br />

(Monti, Bassvilliana II)<br />

Settenario tronco (sei sillabe) più quinario:<br />

Né mai più toccherò / le sacre sponde<br />

(Foscolo, A Zacinto)<br />

Settenario sdrucciolo (otto sillabe) più ternario:<br />

Di varïate polveri /ne sparse<br />

(Monti, Feroniade)<br />

Quando invece risulta più breve la prima parte del verso, questa è formata da un quinario<br />

tronco o piano o sdrucciolo.<br />

Quinario piano più senario:<br />

Voi ch’ascoltate in / rime sparse il suono<br />

(Petrarca, Canzoniere I)<br />

Quinario tronco più settenario:<br />

Chi è? Non so. / Che fai? Più nulla<br />

(Pascoli, Il naufrago)<br />

Quinario sdrucciolo più quinario (raro):<br />

Che, tutta libera a / mutar convento<br />

(Dante, Purgatorio XXI)


I VERSI DOPPI<br />

Il metodo<br />

Il do<strong>pp</strong>io quinario: è costituito da due quinari, tra i quali non si ammette elisione. Fu<br />

poco usato fino ai nostri tempi, in cui i poeti lo ripresero con non molta frequenza.<br />

Al mio cantuccio, – donde non sento<br />

se non le reste – brusir del grano<br />

il suon dell’ore – viene col vento<br />

dal non veduto – borgo montano:<br />

suono che uguale – che blando cade,<br />

come una voce – che persuade.<br />

(Pascoli, L’ora di Barga)<br />

Esempio con il primo dei due quinari sempre sdrucciolo:<br />

Me non contamini – venduta lode,<br />

Non premio sordido – d’util perfidia:<br />

Vinca io con semplice – petto l’invidia,<br />

Vinca la frode.<br />

(Carducci, A O.T.T.)<br />

Il do<strong>pp</strong>io senario o dodecasillabo: è un verso composto da due senari, che rende un<br />

suono cadenzatamente monotono. Fu poco usato:<br />

Il sole declina – fra i cieli e le tombe<br />

Ovunque l’inane – caligine incombe.<br />

Udremo sull’alba – squillare le trombe?<br />

Ricordati e aspetta.<br />

(D’Annunzio, Canti della ricordanza e dell’aspettazione)<br />

C’è anche un altro tipo di dodecasillabo, che risulta da un quaternario più un ottonario, e<br />

che ha quindi accenti sulla 3ª, 7ª e 11ª:<br />

Sotto i ponti – che s’inarcan trionfali<br />

passa l’Arno – tra due linee di fanali<br />

tra i palagi storici,<br />

e i fanali, – capovolti con le sponde,<br />

rifiammeggiano – e s’allungano nell’onde<br />

come razzi penduli.<br />

(Marradi, Notte fiorentina)<br />

Il do<strong>pp</strong>io settenario o martelliano: dei versi composti è stato ed è uno dei più adoperati,<br />

perché il settenario è un verso armonicamente vario:<br />

Rosa fresca aulentissima – c’apar’inver la state,<br />

le donne ti disiano – pulzelle e maritate:<br />

traimi d’este focora – se t’este a bolontade.<br />

(Cielo d’Alcamo, Contrasto)<br />

Due parole soltanto. – Dunque dirò così.<br />

Grande fu la sapienza – del mio illustre antenato<br />

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38 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Il marchese Alamanno. – Il quale non c’è stato<br />

Nessuno più illustre – e più dotto di esso!<br />

Per cui, diremo noi – questo nobil consesso<br />

È vero, che ha, diremo, – radice in casa mia.<br />

Ma siam tutti suoi figli – anche la libreria.<br />

(Colombi, Il Parini e la satira)<br />

Il do<strong>pp</strong>io ottonario: venne usato raramente. Riportiamo un esempio di Carducci, La<br />

sacra di Enrico Quinto:<br />

Quando cadono le foglie – quando emigrano gli augelli<br />

E fiorite a’ cimiteri – son le pietre de gli avelli,<br />

Monta in sella Enrico quinto – il delfin da’ capei grigi,<br />

E cavalca a grande onore – per la sacra di Parigi.


Laboratorio<br />

IL VERSO<br />

1<br />

2<br />

3<br />

Il metodo<br />

Riconoscete i seguenti versi, indicando a fianco il numero delle sillabe che li compongono<br />

e il nome corrispondente di ciascuno:<br />

VERSO NUMERO SILLABE NOME<br />

Perché di me pietà non vi ritene? __________________ __________________<br />

Ma che vad’io narrando __________________ __________________<br />

Di doman non c’è certezza __________________ __________________<br />

Discende l’alba __________________ __________________<br />

Perché turbàrmi l’ànima __________________ __________________<br />

Era la parola come vento __________________ __________________<br />

Andorra serena __________________ __________________<br />

Riconoscete i seguenti versi, facendo attenzione ad a<strong>pp</strong>licare le regole per il calcolo<br />

metrico delle sillabe:<br />

VERSO NOME<br />

Io son sì stanco sotto ’l fascio antico _______________________<br />

Questa selva selvaggia ed aspra e forte _______________________<br />

Venendo qui è affannata tanto _______________________<br />

Venivano soffi di lampi<br />

Da un nero di nubi laggiù _______________________<br />

Arbor vittorïosa trïonfale _______________________<br />

Uno il core, uno il patto, uno il grido:<br />

Né stranieri né o<strong>pp</strong>ressori mai più _______________________<br />

Leggete ad alta voce i seguenti endecasillabi, e segnate a fianco di ciascuno su quali<br />

sillabe cadono gli accenti principali:<br />

Sì lunga guèrra i begli òcchi mi fànno 4ª, 7ª, 10ª<br />

39


40 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

1<br />

Mi ritrovài per una sèlva oscùra ________________<br />

Erano i capei d’òro a l’aura spàrsi ________________<br />

Io son sì stanco sotto ’l fascio antico ________________<br />

Poi che se’ sgòmbro de la maggiòr sàlma ________________<br />

Solo d’un lauro tal selva verdeggia ________________<br />

La bella donna che cotanto amavi ________________<br />

Or con sì chiara luce, et con tai segni ________________<br />

VERSI E STROFE<br />

Riconoscete i versi che compongono le seguenti strofe:<br />

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, __________________<br />

Silenziosa luna? __________________<br />

Sorgi la sera, e vai,<br />

Contemplando i deserti; indi ti posi.<br />

(Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia)<br />

Fate attenzione al finale di verso:<br />

Tu dalle stanche ceneri __________________<br />

Sperdi ogni ria parola:<br />

Il Dio che atterra e suscita,<br />

Che affanna e che consola,<br />

Sulla deserta coltrice<br />

Accanto a lui posò.<br />

(Manzoni, Il Cinque Maggio)<br />

Dagli atri muscosi, dai Fori cadenti, __________________<br />

Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,<br />

Dai solchi bagnati di servo sudor,<br />

Un volgo disperso repente si desta<br />

(Manzoni, Adelchi, atto terzo, coro)<br />

Soletto su l’orlo d’un lago, __________________<br />

che al rosso tramonto riluce,<br />

v’è un uomo col refe e con l’ago<br />

che cuce __________________<br />

tra l’erica bassa __________________<br />

(Pascoli, Il mendico)


Il metodo<br />

Accusato, __________________<br />

tormentato,<br />

condannato,<br />

sta colui, che in pian di Lècore __________________<br />

prim’osò piantar le viti<br />

(Redi, Bacco in Toscana)<br />

San Lorenzo, io lo so perché tanto __________________<br />

di stelle per l’aria tranquilla __________________<br />

arde e cade, perché sì gran pianto<br />

nel concavo cielo sfavilla.<br />

(Pascoli, X Agosto)<br />

VERSI PIANI, TRONCHI E SDRUCIOLI<br />

1<br />

Leggendo ad alta voce questi versi, riconoscete se essi sono piani, tronchi o sdruccioli:<br />

Dall’Alpe alle Piràmidi __________________<br />

La terra al nunzio sta __________________<br />

La sua cruenta polvere __________________<br />

Sentier della speranza __________________<br />

La gloria che passò __________________<br />

41


42 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

5. La rima<br />

Prima di analizzare i diversi tipi di rima, occorre sapere cos’è lo schema metrico:<br />

Signori e cavallier che ve adunati<br />

Per odir cose dilettose e nove,<br />

Stati attenti e quïeti, ed ascoltati<br />

La bella istoria che ’l mio canto muove;<br />

E vedereti i gesti smisurati,<br />

L’alta fatica e le mirabil prove<br />

Che fece il franco Orlando per amore }<br />

A<br />

B<br />

A<br />

B<br />

A<br />

B<br />

C<br />

schema metrico<br />

Nel tempo del re Carlo imperatore.<br />

(Boiardo, Orlando innamorato, canto I)<br />

C<br />

Con schema metrico si indica una descrizione grafica composta da una serie di lettere, in<br />

cui ciascuna di esse indica la rima di un verso. Per costruire lo schema metrico di una poesia<br />

vengono usate le lettere dell’alfabeto a partire dalla a: due lettere uguali tra loro stanno<br />

ad indicare un episodio di rima.<br />

Per convenzione, si usano le minuscole per i versi inferiori all’endecasillabo, e le maiuscole<br />

per i versi uguali o più lunghi dell’endecasillabo.<br />

Si è già visto che la rima ha come sede principale la parte finale del verso.<br />

A volte però si può trovare anche l’uso un po’ artificioso della rimalmezzo (o rima al<br />

mezzo), quando rimano tra loro una parola finale di un verso e una parola nel corpo di un<br />

altro verso:<br />

Vedete, amanti, com’egli è umìle,<br />

Ed è gentile - e d’altero barnaggio,<br />

Ed ha ’l cor saggio - in fina canoscenza.<br />

(Lapo Gianni, Amore i’ non son degno...)<br />

Odi greggi belar, muggire armenti<br />

gli altri augelli contenti, a gara insieme<br />

per lo libero ciel fan mille giri.<br />

(Leopardi, Il passero solitario)<br />

Ci può essere rima anche tra due parole nel corpo dello stesso verso: questo tipo di rima<br />

è un mezzo efficace per richiamare l’attenzione sulle parole che si vogliono sottolineare e<br />

contra<strong>pp</strong>orre:<br />

I tetti adorni<br />

di canto: io sol di pianto il carcer tetro<br />

fo risonar.<br />

(Tasso, Sonetto alla duchessa Margherita)


Il metodo<br />

Rima interna: è un tipo di rima che assomiglia alla rimalmezzo; riguarda parole in versi<br />

diversi e può verificarsi anche all’interno dello stesso verso. Le rime interne sono molto<br />

usate nella poesia novecentesca, a sottolineare una scansione dei versi diversa da quella<br />

graficamente riportata:<br />

Noncuranza e dolore avevano saldato il galletto<br />

Di ferro sul tetto delle case e si tolleravano<br />

uniti.<br />

(Vittorio Sereni da René Char)<br />

Rima a co<strong>pp</strong>ia: si ha quando i versi sono rimati a due a due:<br />

Lo tesoro comenza. a<br />

Al tempo che Fiorenza a<br />

fiorio e fece frutto b<br />

sì ch’ell’era del tutto b<br />

la donna di Toscana c<br />

ancora che lontana c<br />

ne fosse l’una parte d<br />

rimossa in altra parte. d<br />

(Brunetto Latini, Il Tesoretto)<br />

SCHEMA METRICO: aa bb cc dd.<br />

Rima alternata: quando rimano tra loro il primo e il terzo verso, il secondo e il quarto,<br />

alternandosi tra loro:<br />

O tiranno signore a<br />

De’ miseri mortali b<br />

O male, o persuasore a<br />

Orribile di mali. b<br />

(Parini, Il bisogno)<br />

SCHEMA METRICO: ababab.<br />

Rima baciata: quando due versi consecutivi, dopo una serie di rime alternate, rimano tra<br />

loro:<br />

Già l’aura messaggiera erasi desta A<br />

a nunziar che se ne vien l’aurora; B<br />

ella intanto s’adorna, e l’aurea testa A<br />

di rose colte in paradiso infiora, B<br />

quando il campo, ch’a l’arme omai s’a<strong>pp</strong>resta A<br />

in voce mormorava alta e sonora, B<br />

e prevenia le trombe; e queste poi C<br />

dièr più lieti e canori i segni suoi. C<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto III)<br />

SCHEMA METRICO: ABABABCC.<br />

43


44 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Rima chiusa o incrociata: quando due versi a rima baciata sono chiusi tra due versi che<br />

rimano tra loro:<br />

Il Centauro afferrato avea pei palchi A<br />

delle corna il gran cervo nella zuffa, B<br />

come l’uom pe’ capei di retro acciuffa B<br />

il nemico, e lo trae finché lo calchi. A<br />

(D’Annunzio, La morte del cervo)<br />

SCHEMA METRICO: ABBA.<br />

Rima rinterzata: quando di tre versi non rimati ciascuno trova la rima in tre versi seguenti,<br />

o nello stesso ordine o in ordine differente:<br />

Qui cantò dolcemente e qui s’assise; A<br />

Qui si rivolse, e qui rattenne il passo; B<br />

Qui co’ begli occhi mi trafisse il core, C<br />

Qui disse una parola, e qui sorrise A<br />

Qui cangiò ’l viso. In questi pensier, lasso B<br />

Notte e dì tiemmi il signor nostro, Amore. C<br />

(Petrarca, Canzoniere CXII)<br />

SCHEMA METRICO: ABCABC.<br />

Rima incatenata: è quella della Divina Commedia, e si ha quando di tre versi, in cui il<br />

primo rima con il terzo, il secondo dà la rima al primo e al terzo dei tre versi seguenti:<br />

Nel mezzo del cammin di nostra vita A<br />

mi ritrovai per una selva oscura, B<br />

ché la diritta via era smarrita. A<br />

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura B<br />

esta selva selvaggia e aspra e forte C<br />

che nel pensier rinova la paura! B<br />

Tant’ è amara che poco è più morte; C<br />

ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, D<br />

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. C<br />

(Dante, Inferno I)<br />

SCHEMA METRICO: ABA BCB CDC.


5.1. Particolarità della rima<br />

Il metodo<br />

Rima equivoca: si ha quando la rima è tra parole di identica scrittura, ma di diverso significato<br />

(ovvero pur avendo lo stesso suono, non hanno lo stesso significato):<br />

Voglia de dir giusta ragion m’ha porta,<br />

ché la mia donna m’accoglie e m’a<strong>pp</strong>orta:<br />

a tutto ciò che mi piace m’a<strong>pp</strong>orta.<br />

Or non m’è morte el suo senno, ma porta<br />

di vita dolce, o’ mi pasco e deporto,<br />

ché tanto acconciamente mi dé porto<br />

en tempestoso mar, che vol ch’eo porti<br />

per lei la vita e faccia l’inde a<strong>pp</strong>orti.<br />

Ed eo sì fo, pur li piaccia e li porti.<br />

(Guittone d’Arezzo, Rime XII)<br />

In questo esempio le rime sono tutte giocate tra il verbo portare e sostantivi quali porta e<br />

porto. Così abbiamo, ad esempio, la rima equivoca tra primo verso («porta», dal verbo<br />

porgere) e quarto («porta», sostantivo).<br />

Rima ripetuta o identica: si ha quando le parole in rima, oltre ad avere la stessa scrittura,<br />

hanno anche lo stesso significato.<br />

A partire dal Trecento questo tipo di rima è considerata tro<strong>pp</strong>o facile e banale. Una famosa<br />

eccezione a questo divieto è la parola “Cristo” che Dante mette in rima con se stessa<br />

per quattro volte all’interno della Divina Commedia:<br />

...<br />

sì come de l’agricola che Cristo<br />

elesse a l’orto suo per aiutarlo.<br />

Ben parve messo e famigliar di Cristo:<br />

che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,<br />

fu al primo consiglio che diè Cristo.<br />

(Dante, Paradiso XII)<br />

L’importanza della parola Cristo, per Dante, è superiore a quella di qualsiasi altra parola:<br />

per questo essa può rimare solo con se stessa.<br />

Rima composta: è un tipo di rima piuttosto raro, e si ha quando, per ottenere la rima,<br />

occorre unire in fine di verso le ultime due parole, di regola composte da una sola sillaba,<br />

pronunziando atona la seconda:<br />

«Che andate pensando sì voi sòl tre?»<br />

Subita voce disse; ond’io mi scossi<br />

Come fan bestie spaventate e poltre<br />

(Dante, Purgatorio XXIV)<br />

45


46 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Rima ipèrmetra: è un tipo di rima piuttosto raro; il suo nome viene da iper, che vuol dire<br />

oltre, di più. Si ha quando il verso termina con una parola di cui, per avere la rima, bisogna<br />

computare l’ultima sillaba come facente parte del verso seguente (quindi il primo<br />

verso avrà una sillaba in più e il secondo una in meno):<br />

Crescevi sott’occhio che negano<br />

ancora; ed i petali snelli<br />

cadevano: il fiore già lega.<br />

(Pascoli, I due cugini)<br />

Assonanza: si ha quando due versi non finiscono proprio in rima, ma hanno tra loro una<br />

certa concordanza di suoni (nelle ultime parole che formano i versi); è un fenomeno caratteristico<br />

soprattutto della poesia popolare.<br />

Si tratta di una concordanza armonica, che può essere prodotta dall’identità delle vocali a<br />

partire dall’accento tonico incluso, ma non delle consonanti delle due parole:<br />

Laudato si’ mi Signore, per frate vento<br />

et per aere, et nubilo, et sereno et omne tempo.<br />

(San Francesco d’Assisi, Cantico delle creature)<br />

Questo tipo di assonanza si chiama assonanza tonica.<br />

L’assonanza atona, invece, si ha quando la vocale accentata è diversa, come la “o” e la<br />

“e” di questo esempio:<br />

Fior di giaggiolo<br />

Gli angeli belli stanno a mille in cielo<br />

Ma bella come te ce n’è uno solo.<br />

(Stornello dalla “Cavalleria rusticana”)<br />

Consonanza: la consonanza è la ripetizione, a partire dalla vocale accentata, di consonanti<br />

identiche:<br />

... traversando l’alte<br />

nebulose; hai le penne lacerate<br />

dai cicloni, ti desti e soprassalti.<br />

(Montale, Ti libero la fronte dai ghiaccioli)


Laboratorio<br />

1<br />

LA RIMA<br />

Il metodo<br />

Riconoscete lo schema metrico di questi gru<strong>pp</strong>i di versi, trascrivendolo a lato con le<br />

lettere corrispondenti. Fate attenzione nell’utilizzare lettere maiuscole o minuscole:<br />

Sopra il leggìo di quercia è nell’altana, A<br />

aperto, il libro. Quella quercia ancora, B<br />

esercitata dalla tramontana, A<br />

viveva nella sua selva sonora; B<br />

e quel libro era antico. Eccolo: aperto, C<br />

sembra che ascolti il tarlo che lavora. B<br />

(Pascoli, Il libro)<br />

Ardo d’amore, e conviemme cantare _____<br />

per una dama che me strugge el cuore; _____<br />

ch’ogni otta ch’i’ la sento ricordare, _____<br />

el cor me brilla e par ch’egli esca fuore. _____<br />

Ella non truova de bellezze pare, _____<br />

cogli occhi gitta fiaccole d’amore. _____<br />

I’ sono stato in città e ’n castella, _____<br />

e mai ne vidi ignuna tanto bella.<br />

(Lorenzo de’ Medici, La Nencia da Barberino)<br />

_____<br />

La vïoletta _____<br />

che in sull’erbetta _____<br />

s’apre al mattin novella _____<br />

dì, non è cosa _____<br />

tutta odorosa, _____<br />

tutta leggiadra e bella? _____<br />

(Gabriello Chiabrera, Rime XVIII)<br />

Quant’è bella giovinezza, _____<br />

che si fugge tuttavia! _____<br />

Chi vuol esser lieto, sia: _____<br />

di doman non c’è certezza. _____<br />

Quest’è Bacco e Arianna, _____<br />

belli, e l’un dell’altro ardenti: _____<br />

perché ’l tempo fugge e inganna, _____<br />

sempre insieme stan contenti. _____<br />

47


48 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Queste ninfe ed altre genti _____<br />

sono allegre tuttavia. _____<br />

Chi vuol esser lieto sia: _____<br />

di doman non c’è certezza.<br />

(Lorenzo de’ Medici, Canzona di Bacco)<br />

_____<br />

O dolce selva solitaria, amica _____<br />

de’ miei pensieri sbigottiti e stanchi, _____<br />

mentre Borea ne’ dì torbidi e manchi _____<br />

d’orrido giel l’aere e la terra implica; _____<br />

e la tua verde chioma ombrosa, antica, _____<br />

come la mia, par d’ognintorno imbianchi, _____<br />

or, che ’n vece di fior vermigli e bianchi, _____<br />

ha neve e ghiaccio ogni tua piaggia aprica; _____<br />

a questa breve nubilosa luce _____<br />

vo ripensando, che m’avanza, e ghiaccio _____<br />

gli spirti anch’io sento e le membra farsi: _____<br />

ma più di te dentro e d’intorno agghiaccio, _____<br />

ché più crudo Euro a me mio verno adduce, _____<br />

più lunga notte e dì più freddi e scarsi.<br />

(Giovanni Della Casa, Rime LXIII)<br />

_____<br />

Alma cortese, che dal mondo errante _____<br />

partendo ne la tua più verde etade, _____<br />

hai me lasciato eternamente in doglia, _____<br />

da le sempre beate alme contrade, _____<br />

ov’or dimori cara a quello amante, _____<br />

che più temer non puoi che ti toglia, _____<br />

risguarda in terra e mira, u’ la tua spoglia _____<br />

chiude un bel sasso, e me, che ’l marmo asciutto _____<br />

vedrai bagnar, te richiamando, ascolta.<br />

(Bembo, Rime CXLII)<br />

_____<br />

Vergine Madre, figlia del tuo figlio, _____<br />

umile e alta più che creatura, _____<br />

termine fisso d’etterno consiglio, _____<br />

tu se’ colei che l’umana natura _____<br />

nobilitasti sì, che ’l suo fattore _____<br />

non disdegnò di farsi sua fattura. _____<br />

Nel ventre tuo si raccese l’amore, _____


2<br />

Il metodo<br />

per lo cui caldo ne l’etterna pace _____<br />

così è germinato questo fiore.<br />

(Dante, Paradiso XXXIII)<br />

_____<br />

Trascrivete a fianco del testo lo schema metrico. Alcuni versi non rimano con nessun<br />

altro: a questi dovrete assegnare una lettera dell’alfabeto che non verrà ripetuta mai<br />

all’interno dello schema metrico.<br />

1 Nostra spiaggia pisana, _____<br />

2 amor di nostro sangue, _____<br />

3 vita di sabbie e d’acque _____<br />

4 silvana e litorana, _____<br />

5 o ferma creatura _____<br />

6 nella qual si compiacque _____<br />

7 un’arte che non langue _____<br />

8 non trema e non s’offusca, _____<br />

9 terra lieve e robusta _____<br />

10 che lineata pare _____<br />

11 dalla mano sicura _____<br />

12 del figulo onde nacque _____<br />

13 il purissimo vaso<br />

(D’Annunzio, I cammelli)<br />

_____<br />

Indicate infine i versi che rimano tra loro:<br />

1-4<br />

_____<br />

_____<br />

_____<br />

49


50 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

6. Stanze o strofe<br />

Si chiama stanza o strofa (o strofe) un raggru<strong>pp</strong>amento di più versi rimati in un determinato<br />

ordine, che di regola si ripete nello stesso modo per tutto il componimento poetico.<br />

La strofa più corta è costituita da versi rimati a due a due, e si chiama co<strong>pp</strong>ia.<br />

Esempio di endecasillabi a co<strong>pp</strong>ia:<br />

Nella Torre il silenzio era già alto. A prima co<strong>pp</strong>ia<br />

Sussurravano i pio<strong>pp</strong>i del rio Salto.<br />

I cavalli normanni alle lor poste<br />

frangean la biada con rumor di croste.<br />

(Pascoli, La cavalla storna)<br />

A<br />

B<br />

B }<br />

seconda co<strong>pp</strong>ia<br />

SCHEMA METRICO: AABB.<br />

La terzina: la terzina più comune è composta di tre versi endecasillabi, legati tra loro da<br />

rima incatenata, secondo lo schema ABA BCB CDC D ecc. È detta anche terzina dantesca,<br />

per l’uso sapiente che ne fece Dante nella sua Divina Commedia:<br />

Chi assaggia le pesche solo un tratto A<br />

E non ne vuole a cena e a desinare B<br />

Si può dir che sia pazzo affatto affatto, A<br />

E ch’alla scuola gli bisogni andare, B<br />

Come bisogna agli altri smemorati, C<br />

Che non san delle cose ragionare. B<br />

Le pesche eran già cibo da prelati, C<br />

Ma perché a ognun piace i buon bocconi D<br />

Voglion oggi le pesche infino ai frati, C<br />

Che fanno l’astinenza e l’orazioni. D<br />

(Berni, Capitolo in lode delle Pesche)<br />

Si vede qui ben espresso il concetto di schema infinito della terzina, che proseguirebbe,<br />

a<strong>pp</strong>unto, fino all’infinito. Per fermarsi e terminare, è necessario che l’ultima rima ricorra<br />

solo due volte, e non tre come tutte le altre: la terza volta che si presentasse, darebbe origine<br />

a una nuova rima.<br />

La quartina: è composta da quattro versi che rimano o alternatamente (ABAB) o a rima<br />

chiusa (ABBA). Raramente questa strofa è composta solo da endecasillabi.<br />

Esempio con strofe di 3 endecasillabi e un settenario:<br />

}


Te, quando sorge o quando cade il die, A<br />

E quando il sole a mezzo corso il parte B<br />

Saluta il bronzo che le turbe pie A<br />

Invita ad onorarte. b<br />

Nelle paure della veglia bruna, C<br />

Te noma il fanciulletto; a Te, tremante, D<br />

Quando ingrossa ruggendo la fortuna, C<br />

Ricorre il navigante. d<br />

(Manzoni, Il nome di Maria)<br />

SCHEMA METRICO: ABAb CDCd.<br />

Il metodo<br />

La sestina: è composta da sei versi endecasillabi di cui i primi quattro sono a rima alternata,<br />

e gli ultimi due a rima baciata, secondo lo schema ABABCC:<br />

Rondinella pellegrina, a<br />

Che ti posi in sul verone, b<br />

Ricantando ogni mattina a<br />

Quella flebile canzone, b<br />

Che vuoi dirmi in tua favella, c<br />

Pellegrina rondinella? c<br />

(Tommaso Grossi, Rondinella pellegrina)<br />

L’ottava: assomiglia, come schema metrico, alla sestina, perché i primi sei versi sono a<br />

rima alternata e gli ultimi due a rima baciata, secondo lo schema ABABABCC.<br />

È la strofa tipica dei racconti e dei poemi cavallereschi, epici e eroicomici:<br />

Fra duo guerrieri in terra ed uno in cielo A<br />

la battaglia durò sin a quella ora, B<br />

che spiegando per mondo oscuro velo, A<br />

tutte le belle cose discolora. B<br />

Fu quel ch’io dico, e non v’aggiungo un pelo: A<br />

io ’l vidi, i’ ’l so: né m’assicuro ancora B<br />

di dirlo altrui; che questa maraviglia C<br />

al falso più ch’al ver si rassimiglia. C<br />

(Ariosto, Orlando furioso, canto II)<br />

Ma perché l’ottava fu tanto usata per i racconti cavallereschi ed epici? Prima di tutto, dobbiamo<br />

ricordare che poemi come l’Orlando furioso o la Gerusalemme liberata erano l’equivalente<br />

dei romanzi di oggi.<br />

Il romanzo come lo conosciamo noi è nato piuttosto di recente, agli inizi del Settecento.<br />

Nei secoli precedenti, anche la narrazione di storie e di imprese era scritta in versi: l’intenzione<br />

era quella di realizzare uno svolgimento narrativo più ritmato ed aggraziato.<br />

Inoltre, la prosa veniva considerata un esercizio meno nobile e sofisticato, più facile e di<br />

minor pregio.<br />

I versi e le strofe che meglio si prestavano alla narrazione di storie erano ovviamente quelli<br />

più lunghi, poiché permettevano al discorso di fluire più armoniosamente. Così, il metro<br />

principale dei poemi in versi fu l’ottava di endecasillabi.<br />

51


52 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

7. Versi sciolti e versi liberi<br />

Se l’altre donne dormono in quel giorno<br />

Ed ella può, si riposi tra loro.<br />

E prenda forza a me’ poter vegghiare.<br />

Suo ber sia poco; merenda mi piace,<br />

Poco mangiando, e così nella cena<br />

Tro<strong>pp</strong>i confetti e tro<strong>pp</strong>e frutta lasci:<br />

Faccia che sia più leggiera che grave.<br />

(Francesco da Barberino, Reggimento e costume di donna)<br />

Versi sciolti: i versi di questo testo sono tutti endecasillabi, con una particolarità: non<br />

rimano tra loro.<br />

La poesia è scritta in versi sciolti, ovvero in versi che non sono legati tra loro attraverso<br />

la rima (ecco perché si chiamano “sciolti”), pur conservando la misura tradizionale dell’endecasillabo.<br />

I versi sciolti vennero usati soprattutto per le traduzioni di grandi opere straniere, dove<br />

sarebbe stato impossibile tradurre inserendo le rime senza stravolgere l’originale.<br />

Versi liberi: non bisogna confondere i versi sciolti con i versi liberi, cioè con quei versi<br />

che non solo non hanno vincolo di rima, ma nemmeno di sillabe e di accenti. Questo tipo<br />

di verso verrà usato sempre più, a partire dall’inizio del Novecento, fino a diventare la<br />

forma poetica dominante del nostro tempo.<br />

L’intenzione dei poeti che cominciarono ad utilizzare il verso libero era quella di rifiutare<br />

la tradizione metrica, e rivendicare la possibilità di poter costruire il proprio linguaggio,<br />

la propria “metrica”.<br />

Per la metrica tradizionale, la base del verso è costituita dalle sillabe e dalla loro quantità<br />

numerica. Nel verso libero questo aspetto viene a cadere. La sua stessa natura impedisce<br />

di fondare un discorso organico e ordinato che sia sempre valido in ogni situazione: il<br />

verso libero non può essere descritto schematicamente, come i versi della metrica tradizionale,<br />

e ogni sua a<strong>pp</strong>arizione deve considerarsi unica.<br />

Ma se il verso libero non ha più nessuno dei vincoli della metrica tradizionale, il ritmo<br />

poetico si ottiene in altri modi: ad esempio, attraverso gli accenti, o l’insieme fonico, o la<br />

sintassi contenuta nei versi.<br />

I.<br />

Perché tu mi dici: poeta?<br />

Io non sono un poeta.<br />

Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.<br />

Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.<br />

Perché tu mi dici: poeta?<br />

II.<br />

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.


Le mie gioie furono semplici,<br />

semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.<br />

Oggi io penso a morire.<br />

III.<br />

Il metodo<br />

Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;<br />

solamente perché i grandi angioli<br />

su le vetrate delle catedrali<br />

mi fanno tremare d’amore e d’angoscia;<br />

solamente perché, io sono, oramai,<br />

rassegnato come uno specchio,<br />

come un povero specchio melanconico.<br />

Vedi che io non sono un poeta:<br />

sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.<br />

(Sergio Corazzini, Desolazione del povero poeta sentimentale)<br />

Come si vede dall’esempio, verso libero non vuol dire distruzione della poesia come è<br />

stata sempre intesa.<br />

Infatti c’è qualcosa, in questo testo, che ci fa riconoscere che si tratta di una poesia: l’andare<br />

a capo segnala la presenza di versi, e l’intero componimento presenta una suddivisione<br />

in strofe.<br />

Ma a differenza dei versi della metrica tradizionale, quello che qui dà forma al verso non<br />

è più il numero di sillabe, né la disposizione degli accenti secondo schemi fissi, ma è il<br />

pensiero del poeta. La lunghezza del verso e il pensiero che il verso esprime coincidono<br />

tra loro: il verso (e a un livello superiore la strofa) si “adatta” all’ampiezza del pensiero,<br />

ne assume i movimenti.<br />

In particolare, questo tipo di verso darà vita a un modello che sarà utilizzato a lungo nella<br />

versificazione libera del Novecento, e nel quale la caratteristica peculiare è un’accentuata<br />

tendenza a far coincidere il limite del verso con il limite del pensiero, in una libertà conquistata<br />

di lunghezza e accenti.<br />

53


54 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

8. Non tutti i versi sono uguali:<br />

8. due esempi di endecasillabi<br />

Gli studiosi di metrica tendono a esaminare il verso e le forme metriche scomponendo gli<br />

elementi che li costituiscono, assegnando poi una grande importanza agli accenti.<br />

Ma un testo poetico non è fatto solo di accenti: preoccuparsi di essi trascurando il significato<br />

delle parole e la sintassi del periodo vuole dire, in definitiva, non occuparsi della poesia<br />

e del metro nella loro realtà.<br />

Due poeti che adottino lo stesso metro, ad esempio, potrebbero giungere a risultati assai<br />

diversi:<br />

All’ombra dei cipressi e dentro l’urne<br />

confortate di pianto è forse il sonno<br />

della morte men duro?...<br />

(Foscolo, Sepolcri)<br />

Sta Federico imperatore in Como.<br />

Ed ecco un messaggero entra in Milano<br />

da Porta Nova a briglie abbandonate.<br />

“Popolo di Milano,” ei passa e chiede,<br />

“Fatemi scorta al console Gherardo”<br />

(Carducci, Canzone di Legnano)<br />

In questi due esempi entrambi i poeti hanno utilizzato endecasillabi sciolti; ma il metro di<br />

Carducci non è lo stesso metro usato dal Foscolo, perché ciò che definisce il metro non è<br />

soltanto il numero delle sillabe o le rime, ma anche il giro sintattico del discorso.<br />

Qui i due poeti si comportano diversamente: Carducci tende a scrivere versi di senso compiuto,<br />

e accompagna la nostra lettura come in una sequenza di un film, assegnando a ogni<br />

verso un’immagine.<br />

Il discorso del Foscolo invece tende a uscire dalla misura del verso, a eccedere, a prolungarsi<br />

da un verso all’altro, e cattura la nostra attenzione spostando il soggetto in fondo alla<br />

frase. Nonostante i due poeti adottino lo stesso tipo di verso, il risultato è la creazione di<br />

due ritmi e due metri molto diversi tra loro.<br />

Attraverso questo esempio si vuole mostrare che descrivere gli schemi metrici è utile nella<br />

misura in cui si ha la coscienza che ogni poesia è unica, diversa da tutte le altre. Per ascoltare<br />

le voci dei poeti non basta contare le sillabe e conoscere le particolarità metriche. Se<br />

lo schema teorico dell’endecasillabo è uno, le possibili elaborazioni di quel verso sono<br />

infinite. Questo perché non si può separare il metro dal significato: il verso nella sua totalità,<br />

non nell’astrazione metrica, risulta l’insieme di accenti, di suoni, di significato delle<br />

parole, di parole la cui composizione e lunghezza ha un particolare valore.<br />

Queste osservazioni introducono un nuovo problema: quello del ra<strong>pp</strong>orto tra metrica e sintassi.


9. Metrica e sintassi<br />

9.1. L’enjambement<br />

“Donna de Paradiso,<br />

lo tuo figliolo è priso,<br />

Iesù Cristo beato.<br />

Accurre, donna, e vide<br />

che la gente l’allide:<br />

credo che lo s’occide,<br />

tanto l’ò flagellato”.<br />

(Jacopone da Todi, XCIII)<br />

Il metodo<br />

I due testi qui riportati mostrano come il ra<strong>pp</strong>orto tra metrica e sintassi possa essere diverso.<br />

Se si legge ad alta voce la prima poesia, la lettura del singolo verso risulta continua, mentre<br />

tra un verso e l’altro viene spontaneo fare una piccola pausa. La punteggiatura, che<br />

serve proprio per sottolineare le pause, è quasi tutta relegata in fondo al verso.<br />

In questo testo la sintassi corrisponde esattamente alla misura del verso: la frase ha lo<br />

stesso respiro, la stessa lunghezza del verso, e ogni verso contiene un segmento di frase<br />

che può stare a sé, che è già portatore di un significato completo.<br />

Jacopone da Todi ottiene, attraverso l’uso dei settenari e il ritorno insistente della rima, un<br />

ritmo martellante, quasi esasperato. All’interno dei versi, fortemente rimati e ritmati, il<br />

periodo sintattico coincide con il periodo ritmico; i versi funzionano come “gabbie” per le<br />

diverse parti delle proposizioni.<br />

Questo è evidentemente un modello di scrittura poetica, che in molti casi ha dato luogo a<br />

un forte senso di armonia; ma non tutti i poeti hanno cercato questa soluzione.<br />

La seconda poesia mostra un atteggiamento poetico molto diverso: la punteggiatura è<br />

piuttosto fitta ma tutta contenuta all’interno dei singoli versi, e la parte finale di ogni verso<br />

sembra fondersi con l’inizio di quello successivo. Leggendo ad alta voce, si nota che non<br />

c’è corrispondenza tra sintassi e metrica. La pausa che prima sorgeva alla fine del verso<br />

qui non risulta, e la nostra lettura, seguendo la struttura sintattica, prosegue più fluida da<br />

un verso all’altro.<br />

Se proviamo a riscrivere il testo facendo coincidere sintassi e metrica, il risultato sarebbe<br />

questo:<br />

Un dì,<br />

s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente,<br />

me vedrai seduto su la tua pietra,<br />

o fratel mio,<br />

gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto.<br />

È un’altra cosa: non esiste più una misura precisa dei versi (che nell’originale sono tutti<br />

55<br />

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo<br />

di gente in gente, me vedrai seduto<br />

su la tua pietra, o fratel mio, gemendo<br />

il fior de’ tuoi gentili anni caduto.<br />

(Foscolo, In morte del fratello Giovanni)


56 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

endecasillabi) e vengono a mancare le rime. Oltre a ciò, sicuramente questa riscrittura non<br />

rispetta le intenzioni del poeta.<br />

Quando il senso sintattico di un verso si prolunga in quello seguente, e quindi bisogna<br />

continuare la lettura di verso in verso, ci troviamo di fronte al fenomeno dell’enjambement,<br />

termine francese che in italiano si può tradurre con “inarcatura” o “scavalcamento”.<br />

Segue egli la vittoria, e la trafitta<br />

vergine minacciando incalza e preme.<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto XII)<br />

In questi due versi l’enjambement avviene tra «trafitta» e «vergine», ovvero tra il participio<br />

e il sostantivo a cui si riferisce: è una salda unità che viene incrinata dalla metrica, e<br />

in questo caso si parla di “enjambement forte”.<br />

Questo esempio serve anche per notare che, se andare a capo fosse solo un espediente di<br />

scrittura, non avvertiremmo questo fenomeno, del quale ci accorgiamo in quanto abbiamo<br />

nell’orecchio il ritmo costante del verso, che qui la sintassi in un certo senso infrange e<br />

trasgredisce.<br />

Nella poesia che segue, in alcuni versi metrica e sintassi coincidono, e in altri risultano<br />

sfasate dagli enjambements. Li abbiamo evidenziati:<br />

I<br />

Viene il freddo. Giri per dirlo<br />

tu, sgricciolo, intorno le siepi;<br />

e sentire fai nel tuo zirlo<br />

lo strido di gelo che crepi.<br />

Il tuo trillo sembra la brina<br />

che sgrigiola, il vetro che incrina...<br />

trr trr trr terit tirit...<br />

II<br />

Viene il verno. Nella tua voce<br />

c’è il verno tutt’arido e tecco.<br />

Tu somigli un guscio di noce,<br />

che ruzzola con rumor secco.<br />

T’ha insegnato il breve tuo trillo<br />

con l’elitre tremule il grillo...<br />

trr trr trr terit tirit...<br />

III<br />

Nel tuo verso suona scrio scrio,<br />

con piccoli crepiti e stiocchi,<br />

il segreto scricchiolettio<br />

di quella catasta di ciocchi.<br />

Uno scricchiolettio ti parve<br />

d’udirvi cercando le larve...<br />

trr trr trr terit tirit...<br />

(Pascoli, L’uccellino del freddo)


9.2. Paratassi e ipotassi<br />

Il metodo<br />

Con i termini paratassi e ipotassi si indicano due diversi tipi di relazioni sintattiche all’interno<br />

di un periodo:<br />

Giacomo è intelligente e farà un ottimo lavoro<br />

Giacomo farà un ottimo lavoro perché è intelligente<br />

Questi due periodi, che si assomigliano tanto, hanno un ra<strong>pp</strong>orto sintattico interno diverso.<br />

Il primo è un accostamento di due frasi mediante la congiunzione e; tra esse non c’è nessun<br />

tipo di dipendenza, e potremmo leggerle separatamente:<br />

Giacomo è intelligente<br />

Farà un ottimo lavoro<br />

Il secondo invece, è formato da una frase principale (Giacomo farà un ottimo lavoro) da<br />

cui dipende la seconda (perché è intelligente). Leggendo soltanto la seconda frase:<br />

Perché è intelligente<br />

è evidente che manca qualcosa: la principale, a<strong>pp</strong>unto.<br />

Paratassi: si ha paratassi quando due o più frasi si succedono, all’interno dello stesso<br />

periodo, senza che tra loro si instauri un ra<strong>pp</strong>orto di dipendenza.<br />

In testi organizzati paratatticamente, il significato deriva dall’accostamento delle parole:<br />

... O che vedete, o gufi<br />

dagli occhi tondi, e garrule cornacchie? –<br />

Ed ecco usciva con la spola in mano,<br />

d’oro, e guardò. Giaceva in terra, fuori<br />

del mare, al piè della spelonca, un uomo,<br />

sommosso ancor dall’ultima onda: e il bianco<br />

capo accennava...<br />

(Pascoli, Calypso)<br />

Ipotassi: si ha ipotassi quando una frase, detta subordinata o dipendente, è retta sintatticamente<br />

da un’altra, chiamata principale.<br />

In un testo organizzato ipotatticamente il significato è meno immediato, più complesso ma<br />

anche più preciso, poiché attraverso le subordinate i ra<strong>pp</strong>orti temporali, o di causa, o di<br />

relazione sono disposti in maniera ordinata e consecutiva:<br />

Molte isole verdi devon pur esistere<br />

nel profondo e vasto mare dell’Infelicità!<br />

perché il navigante, pallido e sfinito,<br />

possa così ancora continuare il viaggio,<br />

giorno e notte, e poi notte e giorno<br />

57


58 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

[...]<br />

mentre di sopra il cielo senza sole,<br />

gonfio di nubi, greve sta sospeso,<br />

e dietro la furia dell’uragano<br />

avanza con fulmineo piede,<br />

squarciando vele e tavole e gomene,<br />

finché la nave quasi ha bevuto<br />

la morte dal traboccante mare<br />

(Shelley, Versi scritti sui colli Euganei)


Laboratorio<br />

ENJAMBEMENT<br />

1<br />

Sottolineate gli enjambements contenuti nei seguenti testi:<br />

Un uomo è là, che sfoglia dalla prima<br />

carta all’estrema, rapido, e piano piano<br />

va, dall’estrema, a ritrovar la prima.<br />

E poi nell’ira del cercar suo vano<br />

volta i fragili fogli a venti, a trenta,<br />

a cento, con l’impazïente mano.<br />

(Pascoli, Il libro)<br />

Non t’ho perduta. Sei rimasta, in fondo<br />

all’essere. Sei tu, ma un’altra sei:<br />

senza fronda né fior, senza il lucente<br />

riso che avevi al tempo che non torna,<br />

senza quel canto. Un’altra sei, più bella.<br />

Ami, e non pensi essere amata: ad ogni<br />

fiore che sboccia o frutto che rosseggia<br />

o pargolo che nasce, al Dio dei campi<br />

e delle stirpi rendi grazie in cuore.<br />

(Ada Negri, Mia giovinezza)<br />

D’in su la vetta della torre antica,<br />

Passero solitario, alla campagna<br />

Cantando vai finché non more il giorno;<br />

Ed erra l’armonia per questa valle.<br />

(Leopardi, Il passero solitario)<br />

Il metodo<br />

Signorina Felicita, a quest’ora<br />

scende la sera nel giardino antico<br />

della tua casa. Nel mio cuore amico<br />

scende il ricordo. E ti rivedo ancora,<br />

e Ivrea rivedo e la cerulea Dora<br />

e quel dolce paese che non dico.<br />

(Gozzano, La signorina Felicita ovvero la Felicità)<br />

59


60 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

10. Le forme metriche<br />

10.1. Sonetto<br />

Un po’ di storia: il sonetto è certamente il componimento metrico più diffuso della nostra<br />

poesia; il suo successo è pressoché costante nei secoli, e prosegue dalle sue origini nel<br />

Duecento (risale infatti ai primissimi tempi della nostra letteratura) fino ai giorni nostri,<br />

favorito dalla sua brevità.<br />

Si ritiene che sia nato in Italia, e che il suo “inventore” fosse Jacopo da Lentini.<br />

In origine, “sonetto” era un qualsiasi testo poetico messo in musica; poi si specificò, e da<br />

canto generico divenne un preciso tipo di componimento.<br />

La struttura: il sonetto è un tipo di componimento che, più di tutti gli altri, mantenne<br />

inalterata la sua struttura nel corso dei secoli.<br />

Il sonetto classico è composto da quattordici versi endecasillabi, ed è diviso in due parti<br />

che prendono il nome di fronte e sirma, composte la prima da otto versi e la seconda da<br />

sei.<br />

La fronte è a sua volta divisa in due parti di quattro versi ciascuna (quartine); la sirma in<br />

due parti di tre versi ciascuna (terzine):<br />

Andando la formica alla ventura<br />

}<br />

}<br />

A<br />

si arrivò in un teschio di cavallo prima B<br />

il qual le parve senza niuno fallo quartina B<br />

un palagio reale con belle mura; A<br />

FRONTE<br />

e come più cercava sua misura<br />

}<br />

A<br />

le parea più chiaro del cristallo seconda B<br />

dicendo: – Questo è ’l più bello stallo quartina B schema<br />

ch’al mondo mai vedessi criatura. A metrico<br />

Ma quand’ella si fu molto aggirata,<br />

} }<br />

prima C<br />

di mangiare le venne gran disìo terzina D<br />

e, non trovando che, si fu turbata; C<br />

SIRMA<br />

ond’ella disse: – Ancora è meglio ch’io<br />

}<br />

seconda D<br />

mi torni al buco ov’io mi sono usata terzina C<br />

che morir qui di fame –, e gì con Dio. D<br />

(Anonimo del Trecento)<br />

Gli argomenti: per quanto riguarda le tematiche trattate, il sonetto si è sempre prestato<br />

agli usi più diversi. Ha cantato tutti gli affetti del cuore umano, ma anche gli sfoghi violenti,<br />

le nostalgie, e pure descrizioni complete.<br />

Nel corso della storia di questo componimento troviamo sonetti amorosi, sonetti morali,<br />

ma anche sonetti che trattano quella realtà quotidiana rifiutata dai componimenti ritenuti<br />

più “nobili”, che fanno dunque parte della poesia realistica e burlesca, o “comica”.


Laboratorio<br />

Il metodo<br />

Due sonetti a confronto: dei due esempi sotto riportati, il primo è del Trecento, il secondo<br />

invece è della fine del Novecento. Si noteranno tante differenze: innanzitutto la lingua<br />

usata, ma anche la disposizione delle parole e le ricerche sonore attraverso la scelta dei<br />

termini. Ciò non toglie che si tratti di due sonetti, aventi tutte le caratteristiche per essere<br />

detti tali.<br />

Pace non trovo, et non ò da far guerra<br />

di Francesco Petrarca<br />

Pace non trovo, et non ò da far guerra FRANCESCO PETRARCA<br />

Pace non trovo, et non ò da far guerra; A<br />

e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; B<br />

et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra; A<br />

et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio. B<br />

Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra, A<br />

né per suo mi riten né scioglie il laccio; B<br />

et non m’ancide Amore, et non mi sferra, A<br />

né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio. B<br />

Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido; C<br />

et bramo di perir, et cheggio aita; D<br />

et ò in odio me stesso, et amo altrui. E<br />

Pascomi di dolor, piangendo rido; C<br />

egualmente mi spiace morte et vita: D<br />

in questo stato son, donna, per voi. E<br />

(da Canzoniere CXXXIV)<br />

Per l’ultimo dell’anno 1975 ad Andrea Zanzotto,<br />

di Franco Fortini<br />

Per l’ultimo dell’anno 1975 ad Andrea Zanzotto FRANCO FORTINI<br />

Come nel buio si ritrae lento, A<br />

Andrea, questo anno già da sé diviso. B<br />

Ora nel vischio del suo fiele intriso B<br />

starà così per sempre dunque spento. A<br />

Ma quel che in noi di anno in anno è deriso B<br />

o incompiuto o deforme non lamento: A<br />

se uno è vinto e un altro è stato ucciso, B<br />

uno ha durato contro lo sgomento. A<br />

Qui stiamo a udire la sentenza. E non C<br />

ci sarà, lo sa<strong>pp</strong>iamo, una sentenza. D<br />

A uno a uno siamo in noi già volti. E<br />

Quanto sei bella, giglio di Saron, C<br />

Gerusalemme che ci avrai raccolti. E<br />

Quanto lucente la tua inesistenza. D<br />

(da Paesaggio con serpente)<br />

61


62 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Struttura metrica: lo schema ritmico delle quartine di un sonetto può essere a rima alternata<br />

(ABAB ABAB, come nel primo esempio) o a rima chiusa (ABBA ABBA, come nel<br />

secondo esempio). Il primo schema caratterizza la più antica produzione di sonetti; poi<br />

prese il sopravvento il secondo modello.<br />

Fin dall’inizio hanno invece maggiore libertà di rima le terzine che, a differenza delle<br />

quartine, sempre fondate su due rime, possono fondarsi su due (per lo più con schema<br />

CDC CDC o<strong>pp</strong>ure CDC DCD) o<strong>pp</strong>ure su tre rime (per lo più con schema CDE CDE,<br />

come nel primo esempio). Ma sono possibili anche altri schemi: le terzine del secondo<br />

esempio hanno lo schema CDE CED.<br />

Argomento degli esempi: il primo sonetto affronta una tematica amorosa. Il poeta si<br />

trova in una condizione di instabilità, sospeso tra i differenti stati d’animo che l’amore può<br />

causare. Egli è preda di sentimenti o<strong>pp</strong>osti («e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio»;<br />

«Pascomi di dolor, piangendo rido») e desideri contrastanti («et bramo di perir, et cheggio<br />

aita; / et ò in odio me stesso, et amo altrui»). Ogni affermazione porta con sé il suo contrario:<br />

alla paura è accostata la speranza, e mentre il poeta brucia, allo stesso tempo è un<br />

ghiaccio; egli si trova in una prigione che l’amata non apre e non chiude, così come Amore<br />

non lo uccide e non lo vuole vivo.<br />

Tutti questi elementi contrastanti tra loro, sono legati per polisindeto della congiunzione<br />

e, cosicché ogni sentimento e il suo contrario vivono nel poeta contemporaneamente.<br />

È una poesia fatta di tensioni e di contrasti, che Petrarca si trova a vivere a causa della<br />

donna amata. La figura retorica che sta alla base di tutto il sonetto è l’ossimoro, cioè l’accostamento<br />

di parole dai significati contra<strong>pp</strong>osti (es. “una dolce amarezza”).<br />

Mentre il primo sonetto ha un argomento amoroso ed è rivolto alla donna amata, il secondo<br />

tratta dell’amicizia, ed è indirizzato ad un amico poeta. Come si può capire dal titolo,<br />

questo sonetto vuole essere una sorta di bilancio dell’anno a<strong>pp</strong>ena passato, e una riflessione<br />

sul tempo trascorso. Un anno, il 1975, avvelenato («nel vischio del suo fiele intriso»)<br />

dalla perdita di un altro poeta, amico dell’autore del sonetto ma anche del destinatario,<br />

morto nel novembre 1975 in circostanze misteriose: Pier Paolo Pasolini («un altro è stato<br />

ucciso»).<br />

Nell’ultima terzina è contenuta una speranza sul futuro, su quel luogo di pace in cui tutti<br />

ci troveremo (indicato con «giglio di Saron, Gerusalemme»), anche se tale speranza è<br />

ridotta al minimo («quanto lucente la tua inesistenza»).<br />

Alcuni esempi di terzine:<br />

Ma del misero stato ove noi semo C<br />

condotte da la vita altra serena D<br />

un sol conforto, et de la morte, avemo: C<br />

che vendetta è di lui ch’a ciò ne mena, D<br />

lo qual in forza altrui presso a l’extremo C<br />

riman legato con maggior catena. D<br />

(Petrarca, Canzoniere VIII)<br />

So come i dì, come i momenti et l’ore C<br />

ne portan gli anni, et non ricevo inganno, D<br />

ma forza assai maggior che d’arti maghe. E


1<br />

La voglia et la ragion combattuto ànno D<br />

sette et sette anni; et vincerà il migliore, C<br />

s’anime son qua giù del ben presaghe. E<br />

(Petrarca, Canzoniere CI)<br />

Il metodo<br />

Riconoscete lo schema metrico di queste terzine, trascrivendolo a lato con le lettere<br />

corrispondenti (C, D, e se occorre E):<br />

Di risa irrefrenabili ai compagni, _____<br />

e a me di strano fervore argomento, _____<br />

quando alla scuola i versi recitavo; _____<br />

tra fischi, cori, animaleschi lagni, _____<br />

ancor mi vedo in quella bolgia, e sento _____<br />

solo un’intima voce dirmi bravo. _____<br />

(Saba, Autobiografia 4)<br />

Privo in tutto son io d’ogni mio bene, _____<br />

e nudo e grave e solo e peregrino _____<br />

vo misurando i campi e le mie pene. _____<br />

Gli occhi bagnati porto e ’l viso chino, _____<br />

e ’l cor in doglia e l’alma fuor di spene, _____<br />

né d’aver cerco men fero destino. _____<br />

(Bembo, Rime XLIII)<br />

Pietosa e bella è in essa ogni mestizia: _____<br />

e, se rigano i pianti il vago viso, _____<br />

dice piangendo Amor: – Questo è il mio regno. _____<br />

Ma, quando il mondo cieco è fatto degno _____<br />

che muova quella bocca un suave riso, _____<br />

conosce allor qual è vera letizia. _____<br />

(Lorenzo de’ Medici, Comento de’ miei sonetti XXIX)<br />

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono<br />

63


64 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

1 Voi ch’ascoltate:<br />

il vocativo<br />

plurale con cui si<br />

apre il componimento<br />

si estende<br />

all’intera quartina,<br />

ma non trova<br />

un compimento:<br />

nella seconda<br />

quartina, infatti,<br />

laddove ci aspetteremmo<br />

verbi<br />

alla seconda persona<br />

plurale, sono<br />

presenti una terza<br />

(chi) e poi una<br />

prima persona<br />

singolare (spero).<br />

1 rime sparse:<br />

rima è sinonimo<br />

di poesia. Si tratta<br />

di «poesie staccate<br />

tra loro», un<br />

modo per tradurre<br />

il titolo latino dell’opera<br />

che le<br />

contiene: Rerum<br />

vulgarium fragmenta.<br />

2 ond’io... ’l<br />

core: con i quali<br />

io nutrivo il cuore<br />

(personificato<br />

nella sede della<br />

passione amorosa).<br />

3 in sul... errore:<br />

al tempo del mio<br />

traviamento, iniziato<br />

durante la<br />

giovinezza (errore<br />

anche nel<br />

senso di errare,<br />

vagare). Si riferi-<br />

sce all’amore per<br />

Laura.<br />

4 in parte: il<br />

poeta è cambiato,<br />

ma non completamente:<br />

nonostante<br />

il trascorrere del<br />

tempo e il pentimento<br />

espresso in<br />

questo sonetto la<br />

passione per<br />

Laura non è anco-<br />

Analisi di un sonetto<br />

Voi ch’ascoltate di Francesco in Petrarca rime sparse il suono FRANCESCO PETRARCA<br />

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono A<br />

di quei sospiri ond’io nudriva ’l core B<br />

in sul mio primo giovenile errore B<br />

quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono: A<br />

del vario stile, in ch’io piango e ragiono, 5 A<br />

fra le vane speranze e ’l van dolore, B<br />

ove sia chi per prova intenda amore, B<br />

spero trovar pietà, non che perdono. A<br />

Ma ben veggio or sì come al popol tutto C<br />

favola fui gran tempo, onde sovente 10 D<br />

di me medesmo meco mi vergogno; E<br />

e del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto C<br />

e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente D<br />

che quanto piace al mondo è breve sogno. E<br />

(da Canzoniere, I)<br />

ra estinta.<br />

5 del vario stile:<br />

corrisponde alle<br />

«rime sparse» del<br />

v. 1, e riguarda le<br />

diverse soluzioni<br />

stilistiche che<br />

Petrarca adotta e<br />

modula ai suoi<br />

sentimenti.<br />

7 ove sia...<br />

amore: se c’è<br />

qualcuno che<br />

conosca il significato<br />

dell’amore,<br />

per averlo direttamente<br />

provato<br />

(per prova).<br />

8 non che: non<br />

solo.<br />

9 ben... sì: vedo,<br />

mi accorgo chiaramente<br />

(ben)<br />

adesso.<br />

Schema metrico: le quartine sono a rima chiusa, mentre le terzine si basano su tre rime<br />

alternate: ABBA ABBA, CDE CDE.<br />

Argomento: in questo sonetto Petrarca si volge indietro a considerare la propria vita, soffermandosi<br />

in particolare sull’esperienza amorosa che ne ha occupata gran parte e che è il<br />

fondamento di tutta la sua produzione poetica. Il poeta però non ripercorre i fatti e gli<br />

avvenimenti: si sofferma invece sui sentimenti, sulla propria condizione interiore («sospiri<br />

ond’io nudriva il core», «ragiono», «le vane speranze e ’l van dolore», «mi vergogno»),<br />

secondo un’analisi tutta introspettiva, ovvero rivolta all’interno di sé.<br />

Riconsiderando tutto ciò, egli compie una sorta di bilancio della propria esistenza, che<br />

viene descritto nell’ultima terzina: l’amore che Petrarca provò nella sua giovinezza lo<br />

ridusse a «vaneggiar», e ora restano solo «vergogna» e «’l pentersi».<br />

L’ultima considerazione, su cui si chiude il sonetto, è: «quanto piace al mondo è breve


Il metodo<br />

sogno». L’amore è stato un vaneggiare, il frutto che ne è derivato è la vergogna; conseguenza<br />

di questa è il pentimento, e conseguenza del pentimento, infine, la coscienza amara<br />

della vanità di tutte le cose.<br />

Evidentemente, questo bilancio è del tutto negativo.<br />

Metrica e sintassi: la sintassi di questo sonetto procede di pari passo con il metro, a parte<br />

qualche raro, e comunque debole, enjambement (vv. 1-2: «il suono / di quei sospiri»; vv.<br />

10-11: «sovente / di me medesmo...»). Ogni verso contiene una parte di frase di senso<br />

compiuto, e la voce, durante la lettura, è sollecitata a compiere una piccola pausa tra un<br />

verso e l’altro, adeguandosi alla struttura del sonetto.<br />

Le due quartine sono costruite in modo o<strong>pp</strong>osto: la prima comincia con il vocativo «Voi»,<br />

che costituisce il nucleo del periodo dei primi quattro versi. Da questo vocativo dipendono<br />

tutte le subordinate che seguono: le relative «ch’ascoltate» e «ond’io nudriva», e la<br />

temporale «quand’era».<br />

Nella seconda quartina questo modo di costruire la sintassi è rovesciato: infatti il nucleo<br />

principale «spero», che equivale al «Voi» della prima quartina e da cui dipendono una<br />

serie di complementi e di proposizioni subordinate, è posto non all’inizio, ma alla fine<br />

della quartina, nel verso conclusivo. Se volessimo schematizzare questo procedimento,<br />

assegnando A ai due nuclei e B alla serie di subordinate, avremmo: AB BA, come se nel<br />

mezzo ci fosse uno specchio a rovesciare lo schema.<br />

Troviamo lo stesso procedimento anche a un livello sintattico più semplice: ad esempio,<br />

nelle co<strong>pp</strong>ie di verbi o sostantivi: «piango e ragiono / fra le vane speranze e ’l van dolore»,<br />

dove l’oggetto del ragionare sono le «vane speranze», mentre quello del piangere è il<br />

«dolore», in una costruzione speculare del tipo AB BA identica a quella vista sopra.<br />

Questo tipo di struttura si chiama chiasmo, una figura che può riguardare interi periodi, ma<br />

anche, a livello più semplice, co<strong>pp</strong>ie di termini (ad esempio: «Le donne, i cavalier, l’arme,<br />

gli amori» è un chiasmo, anch’esso ra<strong>pp</strong>resentabile attraverso lo schema AB BA: a «donne»<br />

si accostano, per relazione semantica, «gli amori», mentre ai «cavalier» «l’arme»).<br />

Le terzine segnalano la distanza e lo stacco dalle quartine anche con il forte avversativo<br />

«Ma» del v. 9. Se nella prima parte del sonetto il poeta si rivolge a un «Voi», in questa<br />

seconda parte si volge su se stesso: i verbi passano alla prima persona singolare («ben veggio»,<br />

«favola fui»).<br />

La presenza dell’io del poeta è sottolineata dal pronome possessivo di prima persona del<br />

v. 12 («mio vaneggiar») e dalla ripetizione del pronome personale del v. 11: «di me medesmo<br />

meco mi vergogno».<br />

Mentre le due quartine comprendono lunghi periodi costituiti da numerose subordinate, le<br />

due terzine sono sintatticamente più semplici: ci sono meno subordinate e un notevole utilizzo<br />

del polisindeto, ovvero del legame per congiunzioni («e del mio vaneggiar..., e ’l<br />

pentersi, e ’l conoscer»). Queste frasi coordinate rendono il senso dell’incalzare dell’analisi<br />

introspettiva che ha luogo nella seconda parte del testo, ed evidenziano la successione<br />

dei passaggi, uno conseguente all’altro, che il poeta ha vissuto e vive: dal «vaneggiar»<br />

alla «vergogna», al «pentimento», infine al «conoscer chiaramente». Con queste frasi più<br />

brevi, e con uno stile più rigoroso, Petrarca sottolinea il tono più duro e desolato della<br />

seconda parte del sonetto. La conclusione di questa poesia, come si è visto, è piuttosto<br />

amara: tutte le cose sono vane, sono solo un «breve sogno».<br />

Lessico: questo sonetto di Petrarca è una poesia di aggettivi e sostantivi: sono essi, infatti, a<br />

trasmettere il significato profondo del testo e a indicare ciò che l’autore vuole comunicarci.<br />

65


66 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Gli aggettivi, non particolarmente numerosi, sono: «sparse», «vario», «vane», «van»,<br />

«breve». Come si vede, rimandano tutti allo stesso campo semantico (di significato) di<br />

vanità e di varietà, e allo stesso tempo indicano qualcosa di frantumato e sparso. L’unico<br />

aggettivo che sembrerebbe non conformarsi a questa tendenza è «giovenile»: ma se lo<br />

accostiamo al suo sostantivo di riferimento («errore») anche questo risulta essere connotato<br />

negativamente. Nel bilancio che il poeta trae della propria vita, la gioventù è vista<br />

come il tempo del correre dietro alle cose vane (il poeta insiste sul concetto della vanità<br />

anche attraverso il verbo «vaneggiar»).<br />

Tra i sostantivi troviamo «rime», «suono» e «stile», direttamente riconducibili all’esperienza<br />

del fare poesia; «sospiri» e «dolore», a indicare uno stato d’animo tormentato e sofferente;<br />

«errore», «favola», «vergogna» e «sogno», parole fondamentali per l’interpretazione<br />

del sonetto.<br />

Struttura fonica: all’interno del sonetto c’è un fonema che ritorna assai frequentemente,<br />

la /v/, che compare in quasi tutti i versi, spesso in parole molto importanti per il senso di<br />

questa poesia: il vocativo iniziale «Voi», il verbo «nudriva», gli aggettivi «giovenile»,<br />

«vario», «vane» di cui si è parlato prima, il verbo alla prima persona «veggio», il sostantivo<br />

«favola» riferito alla propria condizione passata, e soprattutto all’interno delle due<br />

parole su cui Petrarca insiste maggiormente, ovvero «vergogna» e «vaneggiar». Questa<br />

frequenza dello stesso fonema si avverte ad una lettura ad alta voce, e conferisce una sonorità<br />

morbida all’intero sonetto.<br />

Tra le vocali, spicca per maggior presenza la /o/. Nelle quartine la costante assonanza in<br />

o accresce un senso di monotonia, che ritorna nei versi finali, soprattutto nella parola<br />

«sogno», che si contra<strong>pp</strong>one e corrisponde alla prima parola in rima del sonetto: «suono».<br />

Elementi di retorica: oltre alla presenza delle strutture a chiasmo già segnalate, si nota<br />

un forte uso dell’allitterazione, ovvero della ripetizione dello stesso suono: ad esempio,<br />

in «me medesmo meco mi» essa sottolinea la forte presenza dell’io attraverso la messa in<br />

rilievo del pronome di prima persona.<br />

L’allitterazione più significativa riguarda due parole ripetute più volte all’interno del testo<br />

in diverse forme, fino ad essere accostate nel v. 12: «vaneggiar vergogna», dove l’allitterazione<br />

che le lega mette in evidenza il ra<strong>pp</strong>orto di causa ed effetto tra due momenti della<br />

vicenda interiore, ovvero l’errore e la vergogna che ne consegue.


10.2. Ballata<br />

Il metodo<br />

Un po’ di storia: la ballata è forse il genere poetico più antico della poesia italiana, derivato<br />

nel Duecento dalla poesia Provenzale (sorta nel Sud della Francia). Si tratta di un<br />

componimento di origine popolare, che viene distinto in particolare dalla canzone, come<br />

vedremo, per una maggior semplicità.<br />

La ballata veniva composta per essere cantata e danzata, come suggerisce il nome stesso,<br />

in una specie di giro-giro-tondo.<br />

La struttura: il coro, disposto in cerchio, compiendo movimenti in un senso intonava la<br />

prima parte della poesia, detta ripresa (cioè ritornello, che si cantava in coro all’inizio di<br />

ogni strofa).<br />

Poi il solista, che di solito stava in mezzo al cerchio composto dal coro, cantava una parte<br />

della strofa, detta prima mutazione, a cui si associava un mezzo giro in senso inverso di<br />

quello della ripresa; fatto ciò, il solista cantava la seconda mutazione, identica alla prima<br />

per forma metrica e musica, e tutti compivano un altro mezzo giro in senso inverso al precedente.<br />

Poi tutti insieme si cantava la volta, compiendo un giro intero in direzione o<strong>pp</strong>osta a quella<br />

della ripresa: in questo modo ciascuno tornava al posto in cui si trovava all’inizio del<br />

ballo. Perché ciò avvenisse, la volta doveva essere metricamente identica alla ripresa.<br />

L’ultimo verso della volta rima sempre con l’ultimo della ripresa.<br />

Il numero delle strofe che compongono la ballata è variabile; non di rado se ne trovano di<br />

una strofa sola.<br />

Di tempo in tempo mi si fa men dura<br />

}<br />

l’angelica figura, e ’l dolce riso, RIPRESA<br />

et l’aria del bel viso metricamente uguale alla volta<br />

e degli occhi leggiadri meno oscura.<br />

Che fanno meco omai questi sospiri,<br />

che nascean di dolore PRIMA MUTAZIONE<br />

et mostravan di fore metricamente uguale alla seconda mutazione<br />

la mia angosciosa et desperata vita?<br />

S’aven che ’l volto in quella parte giri<br />

per acquetare il core, SECONDA MUTAZIONE<br />

parmi vedere Amore metricamente uguale alla prima mutazione<br />

mantener mie ragion, et darmi aita:<br />

né però trovo anchor guerra finita,<br />

né tranquillo ogni stato del cor mio, VOLTA<br />

ché più m’arde ’l desio, metricamente uguale alla ripresa<br />

quanto più la speranza m’assicura.<br />

(Petrarca, Canzoniere CXLIX)<br />

Lo schema più tipico della ballata è il seguente (che non esclude modifiche):<br />

- xyyx (ripresa);<br />

- ab (prima mutazione);<br />

- ba (seconda mutazione);<br />

- bccx (volta) + ripresa, ecc.<br />

}<br />

}<br />

}<br />

67


68 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Quando si trascrive lo schema metrico di una ballata, è sufficiente farlo per la prima strofa,<br />

tralasciando la ripresa (che apre il testo): infatti lo schema della ripresa è identico a<br />

quello della volta, e quindi è compreso in quello della strofa.<br />

Gli argomenti: la ripresa svolge una funzione molto importante, perché presenta il tema<br />

e il motivo dominante di tutto il componimento.<br />

Gli argomenti delle ballate sono soprattutto motivi gentili, eleganti o scherzosi; in particolare<br />

è l’amore, in tutte le sue sfumature, a trovare un ruolo da protagonista.<br />

Ma la ballata si adattò anche ad altri temi, non esclusivamente a quelli leggeri e scherzosi<br />

o all’amore. Essendo un tipo di componimento semplice e popolare, era particolarmente<br />

adatto per essere divulgato. Fu così che nacque la lauda, ovvero la ballata di argomento<br />

sacro e religioso. Il più grande compositore di laude fu indubbiamente Jacopone da Todi.<br />

Classificazione delle ballate ed esempi: la ballata viene definita in base al numero di<br />

versi che compongono la ripresa (e dunque anche la volta).<br />

1) Ripresa di un solo verso settenario: ballata minima (assai rara)<br />

Giovinetta, tu sai Ripresa<br />

ch’i’ son tuo servidore,<br />

merzé del mio dolore<br />

che mi consuma e non ho posa mai!<br />

(Frescobaldi, Giovinetta, tu sai)<br />

Prima mutazione<br />

}<br />

Seconda mutazione Strofa<br />

Volta<br />

2) Ripresa di un solo verso endecasillabo: ballata piccola (anche di questa ci sono pochi<br />

esempi)<br />

Testina d’oro, cantano già i galli. Ripresa<br />

Dicono i galli: – Padrona amorosa,<br />

alzatevi di letto, ch’è già l’ora! –<br />

Ma tu segui a sognar d’esser sposa,<br />

ne la pulita casa la signora.<br />

Cantano i galli, ma tu dormi ancora<br />

e il sole è già su’ monti e ne le valli.<br />

(Severino Ferrari)<br />

}<br />

}<br />

}<br />

}<br />

Prima mutazione<br />

Seconda mutazione<br />

Volta<br />

Strofa<br />

Questo è un esempio molto particolare, perché le mutazioni hanno un numero di versi<br />

maggiore della ripresa (cosa che di regola non avviene), e la volta non è identica per<br />

numero di versi alla ripresa. Queste eccezioni erano abbastanza frequenti nelle ballate<br />

minime e piccole.<br />

3) Ripresa di due versi: ballata minore<br />

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino<br />

di mezzo maggio in un verde giardino. } Ripresa<br />

Eran d’intorno vïolette e gigli<br />

fra l’erba verde, e vaghi fior’ novelli,<br />

azzurri, gialli, candidi e vermigli:<br />

ond’io porsi la mano a côr di quelli<br />

per adornare e mie’ biondi capelli,<br />

e cinger di grillanda el vago crino.<br />

...<br />

}<br />

}<br />

}<br />

}<br />

Prima mutazione<br />

Seconda mutazione<br />

Volta<br />

Strofa<br />

(Angelo Poliziano, I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino)<br />

}


Il metodo<br />

Questa ballata minore è composta esclusivamente da endecasillabi.<br />

4) Ripresa di tre versi: ballata mezzana<br />

Per una ghirlandetta<br />

ch’io vidi, mi farà<br />

sospirare ogni fiore. }<br />

Ripresa<br />

I’ vidi a voi, donna, portare<br />

ghirlandetta di fior gentile,<br />

e sovr’a lei vidi volare<br />

un angiolel d’amore umile;<br />

e ’n suo cantar sottile<br />

dicea: «Chi mi vedrà<br />

lauderà ’l mio signore».<br />

(Dante, Rime LVI)<br />

}<br />

}<br />

}<br />

Prima mutazione<br />

}<br />

Seconda mutazione<br />

Volta<br />

Strofa<br />

5) Ripresa di quattro versi: ballata grande<br />

Ballata, i’ vo’ che tu ritrovi Amore<br />

e con lui vade a madonna davante,<br />

sì che la scusa mia, la qual tu cante,<br />

ragioni poi con lei lo mio segnore.<br />

Tu vai, ballata, sì cortesemente,<br />

che sanza compagnia<br />

dovresti avere in tutte parti ardire:<br />

ma, se tu vuoli andar sicuramente,<br />

retrova l’Amor pria,<br />

ché forse non è bon sanza lui gire;<br />

}<br />

}<br />

}<br />

Ripresa<br />

}<br />

Prima mutazione<br />

Seconda mutazione Strofa<br />

però che quella che ti dee audire,<br />

}<br />

sì com’io credo, è ver’ di me adirata;<br />

se tu di lui non fossi accompagnata,<br />

leggermente ti farìa disnore.<br />

(Dante, Vita Nuova XII)<br />

Volta<br />

Con questo esempio dantesco, notiamo una particolarità della ballata: spesso essa veniva<br />

inviata, diremo quasi “spedita” dal poeta alla sua donna (in questo caso, Dante lo fa per<br />

chiedere scusa di qualche suo errore, e siccome la donna è arrabbiata con lui, manda a lei<br />

la ballata in compagnia di Amore, così da convincere la donna a perdonarlo). Notiamo che<br />

le due mutazioni sono costituite da due endecasillabi alternati a un settenario, mentre tutti<br />

gli altri versi della ballata sono endecasillabi.<br />

6) Ripresa di cinque o sei versi: ballata stravagante<br />

Perch’i’ no spero di tornar giammai,<br />

ballatetta, in Toscana,<br />

va’ tu, leggera e piana,<br />

dritt’ a la donna mia,<br />

che per sua cortesia<br />

ti farà molto onore. }<br />

Ripresa<br />

69


70 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Tu porterai novelle di sospiri<br />

piene di dogli’ e di molta paura;<br />

ma guarda che persona non ti miri<br />

che sia nemica di gentil natura:<br />

ché certo per la mia disaventura<br />

tu saresti contesa,<br />

tanto da lei ripresa<br />

che mi sarebbe angoscia;<br />

dopo la morte, poscia,<br />

pianto e novel dolore.<br />

(Guido Cavalcanti, Rime XXXV)<br />

}<br />

}<br />

}<br />

Prima mutazione<br />

Seconda mutazione<br />

Volta }<br />

Strofa<br />

Come riconoscere una ballata. Per riconoscere il tipo di ballata c’è un modo piuttosto<br />

semplice: i versi sono raggru<strong>pp</strong>ati in strofe, e la prima di esse è sempre la ripresa (spesso<br />

separata dalle altre strofe per mezzo di una riga bianca). Contando il numero di versi che<br />

compone il primo gru<strong>pp</strong>o, sa<strong>pp</strong>iamo subito riconoscere se la ballata è minima, piccola,<br />

minore, o grande ecc.<br />

Laboratorio<br />

1<br />

2<br />

Trascrivete a fianco della ballata lo schema metrico delle rime, utilizzando le lettere<br />

dell’alfabeto e scegliendo, in base al tipo di versi, se usare le maiuscole o le minuscole.<br />

Testina d’oro, cantano già i galli.<br />

Dicono i galli: – Padrona amorosa,<br />

alzatevi di letto, ch’è già l’ora! –<br />

Ma tu segui a sognar d’esser sposa,<br />

ne la pulita casa la signora.<br />

Cantano i galli, ma tu dormi ancora<br />

e il sole è già su’ monti e ne le valli.<br />

(Severino Ferrari)<br />

}<br />

}<br />

}<br />

Ripresa<br />

Prima mutazione<br />

}<br />

Seconda mutazione Strofa<br />

Volta<br />

_____<br />

_____<br />

_____<br />

_____<br />

_____<br />

_____<br />

Nella seguente strofa di ballata dantesca, oltre allo schema delle rime, completate la<br />

struttura delle varie parti che la compongono:<br />

Ballata, i’ vo’ che tu ritrovi Amore<br />

e con lui vade a madonna davante, RIPRESA<br />

sì che la scusa mia, la qual tu cante,<br />

ragioni poi con lei lo mio segnore.<br />

Tu vai, ballata, sì cortesemente, _____<br />

che sanza compagnia _________ _____<br />

dovresti avere in tutte parti ardire: _____<br />

ma, se tu vuoli andar sicuramente, _____<br />

retrova l’Amor pria, _________ _____<br />

ché forse non è bon sanza lui gire; _____


1 novella: a<strong>pp</strong>ena<br />

sbocciata.<br />

3 prata... rivera:<br />

per prati e per la<br />

campagna.<br />

5 vostro... verdu-<br />

ra: il vostro fine<br />

pregio comunico<br />

alla natura verdeggiante.<br />

7 in gio’ si rinovelli:<br />

venga rin-<br />

novato con canti<br />

di gioia.<br />

8 zitelli: piccoli.<br />

9 per ciascuno<br />

camino: in tutte<br />

le strade.<br />

Il metodo<br />

però che quella che ti dee audire, _____<br />

sì com’io credo, è ver’ di me adirata; _________ _____<br />

se tu di lui non fossi accompagnata, _____<br />

leggermente ti farìa disnore. _____<br />

(Dante, Vita Nuova XII)<br />

11 in suo latino:<br />

nel suo verso, linguaggio.<br />

12 po’... vène:<br />

poiché viene la<br />

stagione primave-<br />

71<br />

Analisi di una ballata<br />

Fresca rosa novella GUIDO CAVALCANTI<br />

Fresca rosa novella,<br />

piacente primavera,<br />

per prata e per rivera<br />

gaiamente cantando,<br />

vostro fin presio mando – a la verdura. 5<br />

Lo vostro presio fino a<br />

in gio’ si rinovelli b<br />

da grandi e da zitelli b<br />

per ciascuno camino; a<br />

e càntine gli auselli b 10<br />

ciascuno in suo latino a<br />

da sera e da matino a<br />

su li verdi arbuscelli. b<br />

Tutto lo mondo canti, c<br />

po’ che lo tempo vène, d 15<br />

sì come si convene, d<br />

vostr’altezza presiata: e<br />

ché siete angelicata – crïatura. (e) X<br />

Angelica sembranza<br />

in voi, donna, riposa: 20<br />

Dio, quanto aventurosa<br />

fue la mia disïanza!<br />

Vostra cera gioiosa<br />

poi che passa e avanza<br />

natura e costumanza, 25<br />

ben è mirabil cosa.<br />

Fra lor le donne dea<br />

vi chiaman, come sète;<br />

rile (lo tempo).<br />

17 vostr’altezza<br />

presiata: la<br />

vostra preziosa<br />

nobiltà.<br />

20 riposa: si<br />

trova.<br />

21 aventurosa:<br />

fortunata.<br />

22 disïanza: desiderio.<br />

23 cera: viso,<br />

volto.<br />

24 avanza: trascende,<br />

va oltre.<br />

25 costumanza:<br />

la bellezza abituale,<br />

solita.


72 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

29 adorna: ornata<br />

di ogni qualità.<br />

30 ch’eo... contare:<br />

che io non lo<br />

so dire.<br />

31 chi... natura?:<br />

chi può andare<br />

col pensiero al di<br />

là della natura,<br />

delle capacità<br />

umane?<br />

33 piasenza: bellezza.<br />

34-35 per...<br />

sovrana: affinché<br />

nell’anima (per<br />

essenza) voi foste<br />

superiore (sovrana)<br />

alla natura<br />

umana.<br />

36 parvenza:<br />

aspetto, sembianza.<br />

37 luntana: sde-<br />

tanto adorna parete,<br />

ch’eo non saccio contare; 30<br />

e chi poria pensare – oltra natura?<br />

Oltra natura umana<br />

vostra fina piasenza<br />

fece Dio, per essenza<br />

che voi foste sovrana: 35<br />

per che vostra parvenza<br />

ver’ me non sia luntana;<br />

or non mi sia villana<br />

la dolce provedenza!<br />

E se vi pare oltraggio 40<br />

ch’ ad amarvi sia dato,<br />

non sia da voi blasmato:<br />

ché solo Amor mi sforza,<br />

contra cui non val forza – né misura.<br />

gnosa.<br />

38 villana: nemica.<br />

Questa parola<br />

indica il contrario<br />

dell’atteggiamen-<br />

to cortese.<br />

40 oltraggio:<br />

eccessivo.<br />

41 sia dato: io mi<br />

dedichi.<br />

42 blasmato: biasimato,disa<strong>pp</strong>rovato.<br />

44 non val...<br />

misura: non ser-<br />

vono né la forza<br />

d’animo (la<br />

costanza) né la<br />

saggezza<br />

(misura).<br />

Schema metrico: ballata stravagante, cioè con una ripresa composta da 5 versi (4 settenari<br />

e un endecasillabo formato da un settenario più un quinario, con rima al mezzo).<br />

Schema delle rime: le due mutazioni hanno uno schema metrico a rima chiusa (due versi<br />

a rima baciata chiusi tra due versi che rimano tra loro, secondo lo schema ABBA) e invertito:<br />

prima mutazione abba, seconda mutazione baab.<br />

La volta, che ha lo stesso numero di versi della ripresa (5), ha un primo verso che non<br />

rima con nessun altro, e ha nell’endecasillabo finale una rima interna con il settenario precedente<br />

(all’interno del v. 18 «angelicata» rima con il v. 17 «presiata»).<br />

Schema della volta: cdde(e)X. La e tra parentesi indica la rima al mezzo, con la maiuscola<br />

si indica l’endecasillabo, e con la minuscola ogni verso di lunghezza inferiore all’endecasillabo.<br />

L’ultimo verso di ogni strofa, com’è consuetudine nelle ballate, rima con il verso finale<br />

della ripresa.<br />

Lo schema generale, dunque, è: abba baab cdde(e)X.<br />

Argomento: l’argomento è amoroso, e il soggetto è la figura di una donna vista come<br />

creatura angelica, inserita in un paesaggio di natura rigogliosa. L’ambientazione primaverile<br />

è descritta nei suoi caratteri più tipici: troviamo la «rosa», i «prata», le «rivera», la<br />

«verdura» (intesa come natura verdeggiante), e una serie di aggettivi che ne sottolineano<br />

la delicatezza: «fresca», «novella», «piacente».<br />

Su questo sfondo fatto di primavera e del rinascere della vita emerge il “pregio” dell’amata,<br />

che il poeta vuole comunicare attraverso una poesia piena di gioia («gaiamente cantando»,<br />

dato che la ballata era accompagnata dalla musica e destinata al canto).


Il metodo<br />

Ma il poeta non è l’unico a cantare le lodi della donna: tutto il creato ne è coinvolto. Gli<br />

uomini, giovani e vecchi, gli uccelli dai canti melodiosi, «tutto lo mondo» collabora alla<br />

lode di questa donna così nobile da somigliare agli angeli.<br />

Alcuni accorgimenti tecnici e formali ci permettono di avere una impressione di delicata<br />

ed equilibrata armonia:<br />

Metrica: dal punto di vista metrico, bisogna innanzitutto sottolineare la disposizione delle<br />

rime: all’interno di ogni strofa c’è una rima do<strong>pp</strong>ia nel verso conclusivo, che rimanda al<br />

verso precedente; oltre a ciò, le rime che chiudono ogni strofa sono tra loro identiche<br />

(«verdura», «criatura», «natura», «misura»).<br />

Attraverso questi rimandi, l’effetto della rima risulta raddo<strong>pp</strong>iato, poiché si forma una circolarità<br />

sia all’interno delle parti (strofe) che fra le parti e il tutto (la canzone).<br />

Le strofe di cui è composta questa ballata sono capfinidas: questo significa che un concetto<br />

o una parola dell’ultimo verso di una strofa è ripreso nel primo verso della strofa successiva<br />

(vv. 5 e 6: «vostro fin presio» e «Lo vostro presio fino»; vv. 18 e 19: «siete angelicata»<br />

e «Angelica»; vv. 31 e 32: «oltra natura» e «Oltra natura»).<br />

Questo espediente attribuisce al testo una maggiore unità e funge da forte legame fra una<br />

strofa e l’altra.<br />

Lessico: un altro accorgimento tecnico che stabilisce ulteriormente la continuità all’interno<br />

del testo è l’uso del lessico. Molti vocaboli sono ripresi più volte all’interno della ballata,<br />

in varie forme:<br />

«novella» / «rinovelli», «cantando» / «cantine» / «canti», «presio» / «presio» / «presiata»,<br />

«verdura» / «verdi», «fin» / «fino» / «fina», «gaiamente» / «gio’» / «gioiosa», «angelicata»<br />

/ «angeli».<br />

Se poi si considera la natura di queste parole, si noterà che esse sono parole-chiave per il<br />

testo: esprimono infatti i concetti principali della poesia, cioè il canto, la gioia e il “pregio”<br />

inteso come nobiltà, come qualcosa di prezioso (la donna amata).<br />

73


74 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

10.3. Canzone<br />

Un po’ di storia: le origini della canzone sono piuttosto antiche. Molto probabilmente<br />

deriva dalla ballata, a cui somiglia molto nella struttura. Ma mentre la ballata nasce come<br />

componimento accompagnato da musica, e quindi di carattere più popolare, la canzone<br />

mira ad essere un puro testo poetico, tralasciando l’esecuzione di musica e ballo. Inoltre<br />

la canzone nasce come un componimento individuale: per questo motivo la ripresa, cioè<br />

quella parte che veniva cantata coralmente nella ballata, è assente.<br />

La struttura: mancando la ripresa, l’elemento principale della canzone è la strofa o stanza.<br />

Non esiste un numero prestabilito di stanze che formano la canzone, né di versi che compongono<br />

la singola stanza: la canzone è un componimento che lascia molta libertà al<br />

poeta, anche per quanto riguarda lo schema delle rime.<br />

Ma una volta costruita la prima strofa, tutte quelle che seguono devono essere identiche<br />

ad essa, eccetto che nelle rime.<br />

La prima stanza infatti dà la forma a tutte le altre (anche se può capitare che la canzone<br />

sia composta da una sola stanza).<br />

La struttura della canzone è piuttosto complessa: la stanza si suddivide in due parti, la<br />

fronte e la sirma (coda, strascico).<br />

La fronte può a sua volta suddividersi in due parti che si chiamano piedi, composti solitamente<br />

da un minimo di due a un massimo di sei versi (ma le forme più comuni erano di<br />

due, tre o quattro versi, endecasillabi o endecasillabi misti a settenari, disposti con lo stesso<br />

ordine nei due piedi).<br />

Esempio di fronte composta da piedi di tre endecasillabi:<br />

Di pensier in pensier, di monte in monte<br />

mi guida Amor, ch’ogni segnato calle primo piede<br />

provo contrario a la tranquilla vita.<br />

Se ’n solitaria piaggia, rivo o fonte,<br />

se ’nfra duo poggi siede ombrosa valle, secondo piede<br />

ivi s’acqueta l’alma sbigottita<br />

}<br />

}<br />

FRONTE<br />

La sirma, quando è formata da un numero dispari di versi, è indivisibile; se è composta<br />

da un numero pari di versi, può suddividersi in due o più parti, dette volte.<br />

La struttura della sirma è indipendente da quella della fronte, sia per numero di versi che<br />

per posizioni di rime. Ma, come per i piedi che compongono la fronte, anche le volte in<br />

cui si può suddividere la sirma devono essere identiche tra loro.<br />

Quando l’ultimo verso della fronte rima con il primo della sirma, questo prende il nome<br />

di chiave.<br />

La stanza di canzone di cui si sono riportati i primi versi prosegue così:<br />

et come Amor l’envita, chiave<br />

}<br />

or ride, or piange, or teme, or s’assecura;<br />

e ’l volto che lei segue ov’ella il mena<br />

si turba et rasserena, SIRMA<br />

et in un esser picciol tempo dura;<br />

onde a la vista huom di tal vita experto<br />

diria: Questo arde, et di suo stato è incerto.<br />

(Petrarca, Canzoniere CXXIX)<br />

}


Il metodo<br />

In questo esempio la sirma è indivisibile, e ha la chiave.<br />

Nell’esempio seguente, invece, la sirma è divisibile in volte e manca la chiave:<br />

Madonna, dir vo voglio<br />

como l’amor m’à priso<br />

inver lo grande orgoglio<br />

che voi bella mostrate, e no m’aita.<br />

Oi lasso, lo meo core,<br />

che ’n tante pene è miso<br />

che vive quando more<br />

per bene amare, e teneselo a vita.<br />

}<br />

}<br />

primo piede<br />

secondo piede } FRONTE<br />

Dunque mor’e viv’eo?<br />

No, ma lo core meo<br />

more più spesso e forte<br />

che non faria di morte – naturale<br />

per voi, donna, cui ama,<br />

più che se stesso brama,<br />

e voi pur lo sdegnate:<br />

amor, vostra ’mistate – vidi male.<br />

}<br />

}<br />

prima volta<br />

seconda volta }<br />

SIRMA<br />

(Jacopo da Lentini, Madonna, dir vo voglio)<br />

Il congedo: spesso la canzone termina con una strofa più breve, che ha lo schema di tutta<br />

la sirma o di una parte di essa, chiamata congedo o commiato: in essa il poeta si congeda<br />

dalla sua canzone e la invia alla persona per cui l’ha composta.<br />

Laddove in una canzone c’è il congedo, è l’unica strofa che può essere diversa dalla prima.<br />

Esempio di congedo:<br />

Canzonetta gioiosa,<br />

va’ a la fior di Sorìa,<br />

a quella c’ha in pregione lo mio core;<br />

di’ a la più amorosa,<br />

che per sua cortesia<br />

si rimembri del suo servidore:<br />

quelli che per suo amore va penando<br />

mentre non faccio tutto il suo comando;<br />

e priegalami per la sua bontate<br />

che la mi degia tener lealtate.<br />

(Federico II, Oi lasso, non pensai)<br />

Riassumendo le caratteristiche indispensabili della canzone, essa è composta da un<br />

numero variabile di strofe che però hanno tra loro uguaglianza di:<br />

- numero di versi;<br />

- disposizione di versi;<br />

- misura di versi corrispondenti all’interno delle strofe;<br />

- schema ritmico (ma non necessariamente uguaglianza di rime, che anzi di norma cambiano<br />

da una stanza all’altra).<br />

75


76 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Il verso prevalente: a partire da Dante, il verso prevalente della canzone è l’endecasillabo,<br />

che può venire alternato al settenario (raramente al quinario). Strofe di endecasillabi<br />

e settenari risultano particolarmente armoniche perché il settenario è una parte di cui si<br />

compone l’endecasillabo.<br />

Gli argomenti: Dante descrisse minuziosamente la canzone nel De vulgari eloquentia,<br />

rivendicandone la nobiltà di pensiero, di stile e di struttura metrica. Egli definisce la canzone<br />

come la forma più alta della lirica, adatta allo stile elevato, alla quale vanno assegnati<br />

argomenti altrettanto elevati: amore, armi e virtù.<br />

Gli schemi più tipici della canzone sono due:<br />

1) Fronte divisibile in primo piede e secondo piede + Sirma indivisibile<br />

2) Fronte divisibile in primo piede e secondo piede + Sirma divisibile in prima volta e<br />

seconda volta<br />

Di questi schemi, il più comune è il primo.<br />

Laboratorio<br />

Esempio del primo schema<br />

Fronte divisibile in primo piede e secondo piede + Sirma indivisibile<br />

Vergine bella, che di Sol vestita<br />

di Francesco Petrarca<br />

Vergine bella, che di Sol vestita FRANCESCO PETRARCA<br />

Vergine bella, che di Sol vestita,<br />

Coronata di stelle, al sommo Sole<br />

Piacesti sì, che in te Sua luce ascose,<br />

Amor mi spinge a dir di te parole;<br />

Ma non so incominciar senza tu’ aita,<br />

E di Colui che amando in te si pose:<br />

A<br />

B<br />

C<br />

B<br />

A<br />

C }<br />

primo piede<br />

secondo piede } fronte<br />

Invoco lei che ben sempre rispose,<br />

Chi la chiamò con fede.<br />

Vergine, s’ a mercede<br />

Miseria estrema de l’umane cose<br />

Già mai ti volse, al mio prego t’inchina;<br />

Soccorri alla mia guerra,<br />

C<br />

d<br />

d<br />

C<br />

E<br />

f<br />

(chiave)<br />

}<br />

sirma<br />

Bench’ i’ sia terra – e tu del ciel regina.<br />

(da Canzoniere, CCCLXVI)<br />

(f) E<br />

Schema metrico dell’esempio: in questa stanza di canzone, la fronte è suddivisa in due<br />

piedi di tre endecasillabi ciascuno, con rime ABC BAC.<br />

La sirma, essendo composta da un numero dispari di versi (7) è indivisibile.<br />

I tipi di versi che la compongono sono endecasillabi e settenari.<br />

Rime della sirma: CddCEf(f)E (tra parentesi si indica la rima interna «guerra»/«terra»).<br />

Schema dell’intera stanza: ABC BAC CddCEf(f)E.<br />

Argomento dell’esempio: questa canzone, di cui è riportata solo la prima stanza, è il<br />

componimento che chiude il Canzoniere di Petrarca, una raccolta di 365 poesie dedicate<br />

}


Il metodo<br />

all’amore della sua vita, Laura. Ma l’ultimo testo della raccolta è dedicato alla figura femminile<br />

per eccellenza: la Madonna, alla quale il poeta si rivolge come a una figura materna<br />

alla quale chiedere aiuto, conforto e sostegno nelle battaglie della vita.<br />

Esempio del secondo schema<br />

Fronte divisibile in primo piede e secondo piede + Sirma divisibile in prima volta e seconda<br />

volta<br />

Io sento sì d’Amor la gran possanza DANTE ALIGHIERI<br />

Io sento sì d’Amor la gran possanza,<br />

ch’io non posso durare<br />

lungamente a soffrire, ond’io mi doglio;<br />

però che ’l suo valor si pur avanza,<br />

e ’l mio sento mancare<br />

sì ch’io son meno ognora ch’io non soglio.<br />

A<br />

b<br />

C<br />

A<br />

b<br />

C<br />

}<br />

} }<br />

primo piede<br />

secondo piede<br />

Non dico ch’Amor faccia più ch’io voglio<br />

ché, se facesse quanto il voler chiede,<br />

quella vertù che natura mi diede<br />

nol sosterria, però ch’essa è finita:<br />

ma questo è quello ond’io prendo cordoglio,<br />

che a la voglia il poder non terrà fede;<br />

e se di buon voler nasce merzede,<br />

io l’addimando per aver più vita<br />

da li occhi che nel lor bello splendore<br />

C<br />

D<br />

D<br />

E<br />

C<br />

D<br />

D<br />

E<br />

F<br />

}<br />

}<br />

(chiave)<br />

prima volta<br />

seconda volta<br />

distico }<br />

portan conforto ovunque io sento amore.<br />

(da Rime XXXVIII)<br />

F finale<br />

fronte<br />

sirma<br />

Schema metrico dell’esempio: in questa stanza di canzone dantesca, la fronte è suddivisa<br />

in due piedi formati da due endecasillabi, a cui si fra<strong>pp</strong>one un settenario, con rime AbC<br />

AbC.<br />

La sirma è composta da un numero pari di versi, quindi è divisibile in due volte. Il primo<br />

verso della sirma è la chiave.<br />

Rime della sirma: C DDEC DDEFF. I versi che compongono la sirma sono tutti endecasillabi,<br />

e gli ultimi due formano un distico a rima baciata.<br />

Schema dell’intera stanza: AbC AbC CDDEC DDEFF.<br />

Argomento dell’esempio: questa canzone tratta un argomento amoroso: l’Amore è personificato<br />

in un signore potente («gran possanza») al quale obbedire. Ma quanto più<br />

Amore esercita il suo potere, tanto più il poeta sente di perdere le proprie forze. C’è una<br />

contraddizione insanabile, poiché se Amore facesse quanto il poeta desidera, la capacità<br />

umana (il «poder») non potrebbe sostenerlo: e così Dante si duole do<strong>pp</strong>iamente, perché la<br />

sua capacità non è in grado di sostenere l’ampiezza del suo desiderio.<br />

77


78 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

1 involan: sottraggono<br />

(ovvero:<br />

i giorni si allungano).<br />

2-3 le stelle...<br />

perde: con la<br />

scomparsa delle<br />

costellazioni<br />

invernali il freddo<br />

diminuisce.<br />

5 Driope: il fiore<br />

del loto.<br />

5-6 le sorelle...<br />

morio: figure<br />

mitologiche,<br />

sorelle di Fetonte:<br />

dopo la morte del<br />

fratello, precipitato<br />

nel Po per non<br />

aver saputo condurre<br />

il carro del<br />

Sole, furono trasformate<br />

in pio<strong>pp</strong>i.<br />

9 persi: colore<br />

scuro, bruno.<br />

11 Giacinto ed<br />

Adone: si tratta<br />

ancora di fiori, i<br />

giacinti e gli anemoni.<br />

13 lascive aurette:<br />

brezze capricciose.<br />

29 schiera: gregge.<br />

37 ne l’acerba<br />

stagion: in gioventù.<br />

39 mi rendo: mi<br />

dedico.<br />

40 diviso: è da<br />

unire a «have»<br />

del v. 42.<br />

41-42 sì tosto...<br />

dispietato: quando<br />

mi innamorai.<br />

44 rai: raggi,<br />

metafora assai<br />

ricorrente per<br />

indicare: sguardi.<br />

45 onestà grave:<br />

indica l’atteggiamento<br />

nobile e<br />

Analisi di una canzone<br />

I dì già involan parte GIOVANNI GUIDICCIONI<br />

I dì già involan parte<br />

di Giovanni Guidiccioni<br />

I dì già involan parte<br />

de la notte, e le stelle<br />

noiose dipartendo, il freddo perde;<br />

vedesi a parte a parte<br />

e Driope e le sorelle 5<br />

di quel che ’n Po morio, vestir di verde;<br />

ogni bosco rinverde,<br />

e i prati son dipinti<br />

di fior persi e vermigli;<br />

or gli odorati gigli 10<br />

e Giacinto ed Adone, ancora tinti<br />

di sangue, apron a<strong>pp</strong>ieno<br />

a le lascive aurette il vago seno.<br />

...<br />

[seconda stanza, in cui prosegue la descrizione della primavera]<br />

E ’l pastorel, cantando<br />

a le fresch’ombre, mira<br />

con occhio lieto la sua dolce schiera.<br />

Ma che vad’io narrando, 30<br />

se il cor langue e sospira,<br />

quante scopre ricchezze primavera?<br />

Perché la storia vera<br />

de’ mie’ infiniti mali<br />

(bastando dir ch’Amore 35<br />

m’assalse e punse ’l core<br />

ne l’acerba stagion co’ fieri strali)<br />

non raccont’io piangendo<br />

e a disfogar il mio dolor mi rendo?<br />

Dico ch’Amor diviso, 40<br />

sì tosto com’io entrai<br />

sotto il suo giogo dispietato, m’have<br />

da l’angelico viso,<br />

da’ chiari e caldi rai<br />

degli occhi e da la tanta onestà grave, 45<br />

dal ragionar soave<br />

ch’addolcia le mie pene:<br />

ma più, lasso! m’attrista<br />

che la beata vista<br />

decoroso della<br />

donna amata.<br />

49 che: il fatto<br />

che.


mi chiuda allor ch’in fronte a scherzar viene 50<br />

tra gl’irti capei d’oro<br />

e inanellati, ond’io mi discoloro.<br />

Pur crederei tenermi,<br />

fra tante pene, in vita,<br />

fra quante Amor mi ruota indegnamente; 55<br />

ch’agli occhi tristi e ’nfermi<br />

talor la mente ardita<br />

il bel volto disegna e quell’ardente<br />

luce, ove dolcemente<br />

piove Amor gioia pura; 60<br />

ma s’agghiacciano i sensi<br />

quando avvien poi ch’i’ pensi<br />

che il mio ricco tesoro altri mi fura,<br />

e ’n guisa manco e tremo,<br />

ch’a gran giornate vo verso l’estremo. 65<br />

Dir puoi canzon, se a’ piè santi t’inchini,<br />

che più de l’altrui gioia<br />

che del mio gran dolor sento di noia.<br />

50 mi chiuda: mi<br />

impedisca (il soggetto<br />

è Amore).<br />

52 ond’io mi<br />

discoloro: per cui<br />

io soffro, fino ad<br />

impallidire (indica<br />

una sofferenza<br />

anche fisica).<br />

Il metodo<br />

55 mi ruota: mi<br />

agita.<br />

58 disegna: raffi-<br />

79<br />

gura, ra<strong>pp</strong>resenta.<br />

58-59 quell’ardente<br />

luce: ancora<br />

una metafora,<br />

per indicare gli<br />

occhi dell’amata.<br />

60 piove: riversa.<br />

63 altri mi fura:<br />

qualcun altro mi<br />

sottrae, rapinandomi.<br />

64 manco: perdo<br />

i sensi.<br />

65 ch’a... estremo:<br />

che mi avvicino<br />

alla morte,<br />

rapidamente.<br />

67-68 che più...<br />

noia: che soffro<br />

(sento di noia)<br />

più per la felicità<br />

altrui, che per il<br />

mio grande dolore.<br />

Schema metrico: canzone formata da 5 strofe più un congedo.<br />

La fronte è composta da due piedi di tre versi ciascuno, due settenari e un endecasillabo,<br />

secondo lo schema abC abC.<br />

La sirma inizia con la chiave, che ha la particolarità di essere un verso settenario (mentre<br />

l’ultimo verso della fronte, con cui la chiave rima, è un endecasillabo).<br />

È composta da sette versi, quindi è indivisibile (ovvero mancano le volte), e alterna quattro<br />

settenari, un endecasillabo, un altro settenario e infine un endecasillabo, secondo lo<br />

schema cdeeDfF.<br />

Il congedo è identico (anche per lo schema delle rime) agli ultimi tre versi della sirma: un<br />

endecasillabo, un settenario, un endecasillabo, secondo lo schema DfF.<br />

Lo schema completo di questa canzone, dunque, è: abC abC cdeeDfF.<br />

Argomento: questa canzone può dividersi in due parti: nella prima si ha la descrizione<br />

dell’inizio della primavera. Come nella ballata vista precedentemente, la primavera è<br />

descritta qui nei suoi caratteri più tipici: «ogni bosco rinverde», i prati si riempiono di fiori<br />

colorati («i prati son dipinti / di fior»), e quelli che sbocciano si offrono ai venticelli primaverili<br />

(«lascive aurette»).<br />

A questa bellezza della natura rigogliosa si contra<strong>pp</strong>one la seconda parte della canzone,<br />

introdotta dai versi di transizione 30-32 dove il poeta, dopo aver descritto la natura verdeggiante,<br />

rivolge a se stesso una domanda: «Ma che vad’io narrando, / se il cor langue e<br />

sospira, / quante scopre ricchezze primavera?».<br />

In questo modo egli introduce il tema principale della seconda parte della poesia (dal v.<br />

33 fino alla fine del testo), che porta in primo piano la persona del poeta e le sue sofferen-


80 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

ze amorose. Infatti Amore l’ha diviso dalla donna che egli ama, la quale ora è accanto a<br />

un altro uomo. Il poeta prova un grande tormento per questa situazione, e il congedo<br />

mostra tutta la sua gelosia, poiché egli soffre più per la gioia dell’altro uomo che per il<br />

proprio dolore.<br />

La ricerca di piacevolezza: all’epoca in cui questa canzone fu scritta (nel Cinquecento),<br />

l’utilizzo di alcuni espedienti poetici garantiva “piacevolezza” a una poesia: secondo questa<br />

idea (teorizzata e argomentata nelle opere di un illustre personaggio del Cinquecento,<br />

il Bembo) un componimento risulta “piacevole” se le rime sono ravvicinate, se i versi<br />

sono di frequente settenari (poiché versi più brevi avvicinano maggiormente le rime), se<br />

le strofe sono brevi, se non sono frequenti i gru<strong>pp</strong>i consonantici (che danno, al contrario,<br />

un’idea di asprezza e durezza).<br />

La struttura metrica di questa canzone, secondo le indicazioni del Bembo, è composta<br />

da una maggioranza di versi settenari. Come si è detto, i versi brevi rendono le rime più<br />

vicine e rendono il componimento più “piacevole”; all’interno della poesia, in tre casi le<br />

rime sono addirittura baciate (quindi il più vicino possibile tra loro).<br />

Prima parte: ma nella prima parte di questa canzone, la piacevolezza risulta dalla sovra<strong>pp</strong>osizione<br />

di diversi livelli.<br />

Lessico. La piacevolezza della canzone è data anche, nelle prime strofe, dalla descrizione<br />

dell’arrivo della primavera: per il lessico, bisogna notare la presenza di diminutivi («aurette»,<br />

«pastorel») e la scelta degli aggettivi, tutti da ricondursi a un’idea di gradevolezza<br />

(«odorati», «lascive», «dolce»).<br />

Struttura fonica. A livello fonico, la piacevolezza delle prime strofe è ottenuta anche con<br />

l’insistita ricorrenza della vocale /a/, che porta chiarezza e dolcezza: ad esempio nel v. 12,<br />

«di sangue, apron a<strong>pp</strong>ieno», e nel v. 13, «a le lascive aurette il vago seno».<br />

Insieme delle immagini. Anche le immagini suscitate, molto tradizionali, restituiscono<br />

una raffigurazione della primavera gradevole e idillica: i prati, i fiori, le brezze; e poi il<br />

pastorello col suo gregge. Il tutto senza alcuna connotazione negativa, per meglio sottolineare<br />

il contrasto con la seconda parte della poesia.<br />

Seconda parte: se nella prima parte il poeta ha riprodotto la rinascita della natura all’inizio<br />

della primavera, con tutto ciò che di bello e piacevole comporta, nella seconda parte<br />

ragiona delle proprie pene d’amore.<br />

L’intera poesia ha un brusco cambio di direzione. Innanzitutto, troviamo termini riconducibili<br />

a un’esperienza dolorosa: il poeta parla dei suoi «infiniti mali», il suo cuore «langue<br />

e sospira» ed è assalito e punto da «fieri strali» d’Amore.<br />

E ancora:<br />

«piangendo», «giogo dispietato», «mi discoloro», «tante pene», «occhi tristi e ’nfermi»,<br />

«s’agghiacciano i sensi», «manco e tremo», ecc.<br />

Come per la descrizione della primavera, che assume i caratteri tipici e comuni a tanti<br />

componimenti dell’epoca, anche nella seconda parte della canzone troviamo un luogo<br />

comune, un motivo tradizionale di tanta poesia della nostra storia letteraria: quello delle<br />

sofferenze causate da un Amore personificato in un terribile signore.<br />

La gelosia: ma in questo testo, il tema tipico delle pene d’amore è arricchito e reso singolare<br />

dalla presenza di un elemento più “originale”: la gelosia. Un altro uomo, infatti, ha<br />

sottratto al poeta («altri mi fura») la donna amata, vista come un «ricco tesoro»; e nel congedo<br />

il poeta si lamenta più per la felicità altrui (principale fonte della gelosia) che per il


proprio dolore, legato all’assenza e al rifiuto dell’amata.<br />

Il metodo<br />

Elementi di unione tra le due parti: le due parti in cui abbiamo diviso la poesia, oltre<br />

alle differenze descritte, hanno anche alcuni elementi in comune.<br />

Nella seconda parte, infatti, la ricerca della piacevolezza non viene del tutto meno, anche<br />

se l’argomento trattato è il dolore. Il “piacevole” riemerge innanzitutto quando a<strong>pp</strong>are nel<br />

testo il tema della memoria, che riporta il poeta ai tempi di una sofferenza meno crudele,<br />

quando la presenza della donna amata addolciva le pene per un amore comunque impossibile.<br />

Anche la descrizione dell’amata riconduce a elementi piacevoli: essa è caratterizzata attraverso<br />

una tipica immagine della femminilità, secondo cui la donna è dotata di «angelico<br />

viso», di «chiari e caldi rai / degli occhi», di «onestà grave», di «capei d’oro» e di «bel<br />

volto».<br />

In questo modo, tra la prima e la seconda parte della canzone, oltre al contrasto che abbiamo<br />

visto, si aggiunge un aspetto di similarità: alla soavità della primavera corrisponde la<br />

soavità dell’amata («ragionar soave») contemplata nella memoria del poeta.<br />

81


82 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

■ Canzone libera o leopardiana<br />

Col trascorrere dei secoli, la canzone a<strong>pp</strong>arve ai poeti tro<strong>pp</strong>o vincolante nella sua struttura<br />

rigida e complessa.<br />

I poeti dell’Ottocento cominciarono a perdere interesse per tale componimento: la suddivisione<br />

delle strofe in parti minori, con schemi di rime preordinate, perse di valore ai loro<br />

occhi.<br />

In questo periodo Giacomo Leopardi, al contrario di molti poeti, adottò la forma della canzone<br />

a<strong>pp</strong>rezzandone l’estensione, la quale permetteva un ampio discorso poetico, ma ne<br />

diede un’interpretazione del tutto nuova e ne modificò notevolmente l’organizzazione<br />

interna.<br />

Egli, come poeta, aveva ben presto abbandonato l’uso della rima, che gli pareva un forte<br />

limite all’espressione libera dell’ispirazione poetica. Per questo stesso motivo egli interpretò<br />

in chiave nuova la canzone, dando origine a quella che ancor oggi prende il nome di<br />

canzone leopardiana.<br />

Inizialmente, la canzone di Leopardi mantenne le strofe di uguale lunghezza, ma modificò<br />

tutti gli altri elementi del componimento. Come affermò un poeta di poco successivo,<br />

Giosuè Carducci: «Leopardi mantenne lo stesso numero di versi, endecasillabi e settenari<br />

per ciascuna stanza; ma il genere dei versi e talvolta l’ordine delle rime mutò alternativamente<br />

da stanza a stanza di settenari in endecasillabi e da una in altre rispondenze;<br />

scemò anche il numero delle rime, limitandole ad alcune sedi fisse, finché le confinò nella<br />

chiusa; gettò la chiave; rese brusco il passaggio tra le volte e le combinazioni e dalla fronte<br />

alla sirma, accavallando i versi; con ciò sveltì e rese più nervoso l’andamento della vecchia<br />

canzone».<br />

In seguito, in testi come Il sabato del villaggio, la forma e l’organizzazione strofica diventano<br />

ancora più libere, fino ad arrivare alla struttura della canzone libera o leopardiana<br />

che, rispetto alla forma originaria, mantiene solo il genere di versi (endecasillabi e settenari).<br />

Ogni strofa ha indipendentemente dalle altre il numero di versi, la loro posizione e<br />

le eventuali rime: in questo modo si eliminano drasticamente gli schemi fissi che per secoli<br />

avevano contraddistinto la struttura della canzone.<br />

Laboratorio Analisi di una canzone libera<br />

Il sabato<br />

Il sabato del villaggio GIACOMO LEOPARDI<br />

1 donzelletta: la<br />

giovane donna. Il<br />

termine, che per<br />

noi assume un<br />

valore letterario e<br />

arcaicizzante, è<br />

usato qui con una<br />

connotazione<br />

affettuosa.<br />

2 in sul calar del<br />

sole: all’ora del<br />

tramonto.<br />

del villaggio<br />

di Giacomo Leopardi<br />

La donzelletta vien dalla campagna<br />

in sul calar del sole,<br />

col suo fascio dell’erba; e reca in mano<br />

un mazzolin di rose e viole,<br />

onde, siccome suole, 5<br />

ornare ella si a<strong>pp</strong>resta<br />

dimani, al dì di festa, il petto e il crine.<br />

Siede con le vicine<br />

su la scala a filar la vecchierella,<br />

5-7 onde... crine:<br />

fiori con i quali si<br />

prepara ad adornare<br />

il petto e i<br />

capelli nel giorno<br />

festivo, secondo<br />

l’usanza contadina.


incontro là dove si perde il giorno; 10<br />

e novellando vien del suo buon tempo,<br />

quando ai dì della festa ella si ornava,<br />

ed ancor sana e snella<br />

solea danzar la sera intra di quei<br />

ch’ebbe compagni dell’età più bella. 15<br />

Già tutta l’aria imbruna,<br />

torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre<br />

giù da’ colli e da’ tetti,<br />

al biancheggiar della recente luna.<br />

Or la squilla dà segno 20<br />

della festa che viene;<br />

ed a quel suon diresti<br />

che il cor si riconforta.<br />

I fanciulli gridando<br />

su la piazzuola in frotta, 25<br />

e qua e là saltando,<br />

fanno un lieto romore;<br />

e intanto riede alla sua parca mensa,<br />

fischiando, il za<strong>pp</strong>atore,<br />

e seco pensa al dì del suo riposo. 30<br />

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,<br />

e tutto l’altro tace,<br />

odi il martel picchiare, odi la sega<br />

del legnaiuol, che veglia<br />

nella chiusa bottega alla lucerna, 35<br />

e s’affretta, e s’adopra<br />

di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.<br />

Questo di sette è il più gradito giorno,<br />

pien di speme e di gioia:<br />

diman tristezza e noia 40<br />

recheran l’ore, ed al travaglio usato<br />

ciascuno in suo pensier farà ritorno.<br />

Garzoncello scherzoso,<br />

cotesta età fiorita<br />

è come un giorno d’allegrezza pieno, 45<br />

giorno chiaro, sereno,<br />

10 incontro...<br />

giorno: rivolta<br />

verso il sole che<br />

sta tramontando.<br />

11 novellando:<br />

raccontando.<br />

11 buon tempo:<br />

la sua giovinezza.<br />

14-15 intra di<br />

quei... bella:<br />

insieme ai compagni<br />

della sua giovinezza.<br />

16 imbruna:<br />

diventa scura.<br />

17 sereno: cielo<br />

(figura retorica<br />

della metonimia).<br />

19 recente: a<strong>pp</strong>ena<br />

sorta.<br />

20-21 la squilla...<br />

viene: la campana<br />

suona per annunciare<br />

il giorno<br />

festivo, la domenica.<br />

23 il cor si riconforta:all’annuncio<br />

del giorno<br />

festivo, che pro-<br />

Il metodo<br />

mette gioia e felicità,<br />

il cuore<br />

dimentica gli<br />

affanni.<br />

25 in frotta: in<br />

gru<strong>pp</strong>o.<br />

27 lieto romore:<br />

chiasso festoso e<br />

piacevole.<br />

28 riede...<br />

83<br />

mensa: ritorna a<br />

casa, dove lo<br />

aspetta la sua<br />

povera cena.<br />

30 e seco... riposo:<br />

e tra sé pensa<br />

al giorno del suo<br />

riposo, dopo la<br />

settimana di faticoso<br />

lavoro nei<br />

campi.<br />

31 face: luce.<br />

32 tutto... tace:<br />

tutto il resto del<br />

paese tace.<br />

34 legnaiuol:<br />

falegname.<br />

34-35 che<br />

veglia... lucerna:<br />

che prosegue il<br />

suo lavoro nella<br />

bottega, alla luce<br />

della lampada a<br />

olio.<br />

37 fornir l’opra...<br />

alba: terminare<br />

il lavoro<br />

prima che sorga il<br />

sole.<br />

38 Questo... giorno:<br />

il sabato è il<br />

giorno più gradito<br />

della settimana.<br />

39 pien di speme<br />

e di gioia: l’attesa<br />

della festa porta<br />

una speranza, e fa<br />

pregustare la<br />

gioia futura.<br />

40 tristezza e<br />

noia: sono le<br />

parole-chiave di<br />

Leopardi. Da<br />

unire a recheran<br />

l’ore.<br />

41 travaglio<br />

usato: lavoro<br />

consueto.<br />

43 Garzoncello<br />

scherzoso: fanciullo<br />

spensierato.<br />

44 età fiorita: la<br />

giovinezza, fiorente<br />

di speranze<br />

e illusioni.


84 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

47 precorre...<br />

vita: precede<br />

l’avvenire, atteso<br />

come una festa.<br />

49 stagion lieta:<br />

età felice, perché<br />

ricca di speranze.<br />

50 Altro dirti<br />

non vo’: tacerò<br />

sul resto, per non<br />

che precorre alla festa di tua vita.<br />

Godi, fanciullo mio; stato soave,<br />

stagion lieta è cotesta.<br />

Altro dirti non vo’; ma la tua festa 50<br />

ch’anco tardi a venir non ti sia grave.<br />

(da Canti)<br />

amareggiarti.<br />

50-51 ma la tua<br />

festa... grave:<br />

non ti crucciare<br />

(non ti sia grave)<br />

se ti sembra che<br />

l’età adulta tanto<br />

desiderata (quella<br />

che tu immagini<br />

come la tua<br />

festa) tardi ancora<br />

a venire. Il finale<br />

della lirica si spegne<br />

su quest’amara<br />

considerazione:<br />

la festa della vita<br />

è solo nella gioia<br />

dell’attesa, e tutto<br />

il resto è soltanto<br />

tristezza e noia.<br />

Struttura metrica: canzone libera composta da quattro strofe di endecasillabi e settenari<br />

disposti liberamente.<br />

Compaiono alcune rime, che non hanno però un’alternanza regolare (vv. 2, 4 e 5: «sole»<br />

/ «viole» / «suole»; «a<strong>pp</strong>resta» del v. 6 forma una rima al mezzo con «festa» del v. 7; vv.<br />

7 e 8: «crine» / «vicine»; vv. 13 e 15: «snella» / «bella»; vv. 16 e 19: «imbruna» / «luna»;<br />

vv. 24 e 26: «gridando» / «saltando»; vv. 27 e 29: «romore» / «za<strong>pp</strong>atore», ecc.).<br />

Per la presenza delle rime si segnala in particolare la strofa conclusiva del componimento,<br />

dove, se si esclude il primo verso («Garzoncello scherzoso»), gli altri otto rimano a<br />

gru<strong>pp</strong>i di quattro secondo lo schema della rima incatenata: aBbA DeED.<br />

Argomento: il tema principale del componimento è la rievocazione della giovinezza («età<br />

fiorita»), accostata metaforicamente all’immagine del sabato, ovvero del giorno che precede<br />

il «dì di festa», a sua volta metafora dell’età adulta.<br />

Questa do<strong>pp</strong>ia metafora tra i giorni della settimana e le età della vita dell’uomo percorre<br />

l’intera poesia. Attraverso essa, il poeta descrive quella che considera l’universale condizione<br />

dell’uomo, al quale è sempre negata la felicità nel presente. Per questo non c’è gioia<br />

più grande dei giorni che precedono la festa (e dunque della giovinezza che precede l’età<br />

matura): perché l’attesa del giorno di festa (e, secondo la metafora, dell’arrivo dell’età<br />

matura) verrà inevitabilmente delusa una volta raggiunto ciò che crediamo essere il bene<br />

futuro.<br />

Il dì della festa, e l’età dopo la giovinezza, si riveleranno immediatamente ingannevoli e<br />

deludenti, portando solamente «tristezza e noia».<br />

Questa poesia, costituita da quattro strofe di diversa lunghezza, può dividersi tematicamente<br />

in due parti principali:<br />

la prima parte è formata dalle prime due<br />

strofe, le quali contengono la descrizione<br />

dell’atmosfera che regna nel villaggio la<br />

sera che precede il giorno festivo (sono<br />

strofe principalmente descrittive) che<br />

regna nel villaggio la sera che precede il<br />

}<br />

Le singole strofe contengono diversi nuclei<br />

tematici.<br />

1) Nella prima, regna l’allegria per i giorni di<br />

festa, dove si contra<strong>pp</strong>ongono la freschezza<br />

della donzelletta ed i ricordi, ormai lontani,<br />

della vecchierella.<br />

2) Nella seconda, il silenzio in cui è immerso<br />

il villaggio è rotto dai rumori degli strumenti<br />

del falegname.


la seconda parte racchiude l’intervento del<br />

poeta, che contra<strong>pp</strong>one l’oggi spensierato,<br />

metafora della giovinezza, al domani,<br />

simbolo della noia e della vecchiaia (sono<br />

strofe principalmente meditative)<br />

Il metodo<br />

Analizziamo la lirica mettendo a fuoco, singolarmente, ogni strofa.<br />

Prima strofa: è la più lunga della canzone. Vi emerge fortemente la presenza umana: il<br />

primo verso porta in primo piano «la donzelletta», figura alla quale si aggiunge, qualche<br />

verso più sotto, quella della «vecchierella».<br />

Lessico e retorica. Questi due personaggi femminili hanno molte caratteristiche in comune,<br />

secondo la figura retorica del parallelismo:<br />

- entrambe sono indicate con un diminutivo;<br />

- vengono presentate con il duplice riferimento al lavoro (la prima torna dai campi «col<br />

suo fascio d’erba»; la seconda è «su la scala a filar») e ai preparativi per il giorno di festa<br />

(la giovane ha raccolto fiori per «ornare», il giorno dopo, «il petto e il crine» mentre la<br />

vecchia, in compagnia delle vicine, ricorda «quando ai dì della festa ella si ornava»).<br />

Per quanto riguarda il lessico, il parallelismo tra le due figure è sottolineato ulteriormente<br />

dall’utilizzo di alcun verbi che, pur alternandosi nei tempi, sono identici per entrambe:<br />

- al v. 5 troviamo «suole» riferito alla «donzelletta», che va accostato a «solea» (v. 14)<br />

riferito alla «vecchierella»;<br />

- allo stesso modo, come la giovane si prepara a «ornare» (v. 6), così la vecchia torna con<br />

la mente a quando «si ornava» (v. 12).<br />

Il tempo presente, riferito alla giovane donna, indica l’attesa del giorno di festa, mentre il<br />

tempo imperfetto, usato per la vecchierella, è il tipico tempo della memoria, di ciò che può<br />

essere vissuto solo nel ricordo di una giovinezza ormai trascorsa.<br />

Nella seconda parte della strofa (vv. 16-30) si susseguono immagini e suggestioni sonore.<br />

Nei vv. 16-19 l’attenzione si sposta dalle figure umane al paesaggio: all’imbrunire, dopo<br />

i colori del tramonto, il cielo torna azzurro, e la luce della luna proietta le ombre dei colli<br />

e delle case.<br />

Nei vv. 20-30 la descrizione trapassa dal piano visivo a quello sonoro: il silenzio in cui è<br />

immerso il borgo è rotto dai piacevoli rumori del suono della campana che preannuncia il<br />

giorno di festa, del vociare dei fanciulli che corrono sulla piazza, e del fischiettare del contadino<br />

che fa ritorno alla sua casa.<br />

Seconda strofa: in questi versi ritorna in primo piano la presenza umana, attraverso la<br />

descrizione del falegname che prosegue il suo lavoro chiuso nella bottega, tentando di<br />

finire la sua opera prima che spunti il sole del giorno festivo, mentre tutto intorno è silenzio<br />

e pace.<br />

Con il «chiarir dell’alba» si chiude il cerchio temporale che il poeta ha descritto, fatto di<br />

tramonto («calar del sole»), notte («imbrunire», «luna») e luce del nuovo giorno.<br />

}<br />

85<br />

3) Nella terza strofa emerge la considerazione<br />

del poeta: al giorno di festa seguirà un giorno<br />

di noia e tedio.<br />

4) Nell’ultima strofa, infine, il poeta si rivolge<br />

al «garzoncello»: chiarisce la metafora del<br />

giorno che precede la festa (giovinezza) in cui<br />

bisogna esser felici, perché ciò che seguirà,<br />

ovvero la vita dopo la giovinezza, non permetterà<br />

più di esserlo.


86 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Terza strofa: nella terza strofa entra in scena il poeta che, con pochi versi, afferma un’amara<br />

verità: l’attesa del sabato sarà delusa, e il giorno di festa tanto desiderato («diman»)<br />

porterà soltanto «tristezza e noia», a cui si aggiungerà il mesto pensiero della fatica quotidiana<br />

a cui ciascuno presto dovrà fare ritorno.<br />

Quarta strofa: il poeta, dopo aver preso la parola nei versi precedenti, ora instaura un dialogo<br />

con una nuova figura, quella del «garzoncello scherzoso».<br />

Rivolgendosi a lui, Leopardi chiarisce la metafora dei giorni della settimana come la successione<br />

delle età della vita, paragonando l’«età fiorita» (la giovinezza) con il «giorno di<br />

allegrezza pieno / giorno chiaro, sereno, / che precorre alla festa», ovvero che precede<br />

l’età adulta.<br />

L’attesa della domenica, messa a tema nella terza strofa, qui diventa simbolo di una fase<br />

dell’esistenza: anche la vita dell’uomo ha il suo sabato, ra<strong>pp</strong>resentato dalla fanciullezza,<br />

che per il poeta è l’unica età della gioia.<br />

Così come il sabato risulta il giorno più bello della settimana, allo stesso modo la giovinezza,<br />

tempo dell’attesa e delle speranze, è più felice dell’età adulta.<br />

Ma qui il poeta si ferma: non vuole rivelare al giovane spensierato l’amaro destino che lo<br />

attende, e si limita a consigliarlo affettuosamente di non rattristarsi tro<strong>pp</strong>o, se l’età matura<br />

che tanto desidera tarderà ancora a venire.<br />

Il lessico usato in questa strofa è, per la maggior parte, riferito a qualcosa di allegro:<br />

«scherzoso», «età fiorita», «giorno di allegrezza pieno», «chiaro, sereno», «festa»,<br />

«godi», «stato soave», «stagion lieta».<br />

In questa serie di termini emerge ai vv. 45-46 l’insistenza degli aggettivi riferiti al vocabolo<br />

«giorno»: (d’allegrezza) «pieno», «chiaro, sereno». Tale insistenza testimonia il particolare<br />

rilievo che il poeta vuole dare a questa parola e, metaforicamente, all’età della<br />

giovinezza.<br />

Ma né questi termini, né la ripetizione della parola «festa» (vv. 47 e 50) riescono a rendere<br />

meno amara la conclusione della poesia.


10.4. Sestina<br />

Il metodo<br />

Un po’ di storia: la sestina, oltre che come tipo di strofa interna ad altri componimenti,<br />

esiste anche come forma lirica autonoma.<br />

Fu inventata intorno al 1100 dai lirici trobadorici (della Francia del Sud); il primo a comporne<br />

una nella nostra lingua fu Dante.<br />

La struttura: la sestina è un tipo di componimento molto simile alla canzone, anzi può<br />

considerarsi una canzone composta di stanze indivisibili (senza fronte e sirma), ma il suo<br />

nome indica una caratteristica molto particolare: essa è composta da sei strofe, ciascuna<br />

di sei versi (tradizionalmente endecasillabi). A ciò, bisogna aggiungere un congedo.<br />

Il primo elemento caratteristico della strofa di sestina è che al suo interno non compaiono<br />

rime:<br />

Laboratorio<br />

Recitativo di Palinuro GIUSEPPE UNGARETTI<br />

Recitativo di Palinuro<br />

di Giuse<strong>pp</strong>e Ungaretti<br />

Per l’uragano all’apice di furia A<br />

Vicino non intesi farsi il sonno; B<br />

Olio fu dilagante a smanie d’onde, C<br />

Aperto campo a libertà di pace, D<br />

Di effusione infinita il finto emblema E<br />

Dalla nuca prostrandomi mortale. F<br />

Come si vede in questa prima strofa di sestina novecentesca, le rime non trovano corrispondenza<br />

all’interno della stessa stanza, quindi lo schema metrico risulta essere ABC-<br />

DEF.<br />

Vediamo la seconda strofa:<br />

Avversità del corpo ebbi mortale F<br />

Ai sogni sceso dell’incerta furia A<br />

Che annebbiava sprofondi nel suo emblema E<br />

Ed, astuta amnesia, afono sonno, B<br />

Da echi remoti inviperiva pace D<br />

Solo accordando a sfinitezze onde. C<br />

La seconda strofa rivela la particolarità di questo componimento: l’ultima parola di ogni<br />

verso che compone la prima strofa viene ripresa in ogni verso della strofa successiva.<br />

Non si tratta semplicemente di rime, ma di parole-rima, ognuna delle quali («furia»,<br />

«sonno», «onde», «pace», «emblema» e «mortale») verrà ripetuta all’interno delle strofe<br />

successive.<br />

La ripresa delle parole-rima non avviene in modo casuale, ma secondo uno schema detto<br />

retrogradazione incrociata: data una prima strofa con schema ABCDEF, nella seconda<br />

strofa il primo verso avrà la stessa parola-rima dell’ultimo della prima strofa, il secondo<br />

avrà quella del primo, il terzo del penultimo, il quarto del secondo, il quinto del terzultimo,<br />

il sesto del terzo, secondo lo schema seguente: 6+1, 5+2, 4+3.<br />

La terza strofa seguirà lo stesso ordine, ma rispetto alla seconda: riprenderà come prima<br />

87


88 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

parola-rima l’ultima della seconda strofa, come seconda la prima ecc. Vediamo nel dettaglio,<br />

rispetto alla seconda strofa:<br />

6+1, ovvero «onde»+«mortale»:<br />

Non posero a risposta tregua le onde, C<br />

Non mai accanite a gara più mortale, F<br />

5+2, ovvero «pace»+«furia»:<br />

Quanto credendo pausa ai sensi, pace; D<br />

Raddrizzandosi a danno l’altra furia, A<br />

4+3, ovvero «sonno»+«emblema»:<br />

Non se<strong>pp</strong>i più chi, l’uragano o il sonno, B<br />

Mi logorava a suo deserto emblema. E<br />

Lo schema della retrogradazione incrociata procede anche nelle ultime tre strofe:<br />

D’àugure sciolse l’occhio allora emblema E<br />

Dando fuoco di me a sideree onde; C<br />

Fu, per arti virginee, angelo in sonno; B<br />

Di scienza accrebbe l’ansietà mortale; F<br />

Fu, al bacio, in cuore ancora tarlo in furia, A<br />

Senza più dubbi caddi né più pace. D<br />

Tale per sempre mi fuggì la pace; D<br />

Per strenua fedeltà decaddi a emblema E<br />

Di disperanza e, preda d’ogni furia, A<br />

Riscosso via via a insulti freddi d’onde, C<br />

Ingigantivo d’impeto mortale, F<br />

Più folle d’esse, folle sfida al sonno. B<br />

Erto su più mi legava il sonno, B<br />

Dietro allo scafo a pezzi della pace D<br />

Struggeva gli occhi crudeltà mortale; F<br />

Piloto vinto d’un disperso emblema, E<br />

Vanità per riaverlo emulai d’onde; C<br />

Ma nelle vene già impietriva furia A<br />

Lo schema generale della sestina è dunque ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD,<br />

DEACFB, BDFECA.<br />

All’interno delle sei stanze si esaurisce la rotazione delle parole-rima: in una ipotetica settima<br />

stanza il sistema della retrogradazione porterebbe alla ripetizione dello schema della<br />

prima strofa.<br />

Il congedo: il congedo di sestina consta sempre di tre versi, nei quali devono comparire<br />

tutte le sei parole-rima, sia in fine di verso (in cui ne avremo tre) sia all’interno del verso,<br />

in successione libera e affidata alla scelta del poeta.<br />

Tuttavia, nel congedo di questa sestina, le parole-rima non sono equamente distribuite tra<br />

i versi:


Crescente d’ultimo e più arcano sonno, B<br />

E più su d’onde e emblema della pace C+E+D<br />

Così divenni furia non mortale. A+F<br />

(da La Terra Promessa)<br />

Il metodo<br />

Nel primo verso del congedo troviamo solo la parola-rima «sonno», nel secondo ne troviamo<br />

addirittura tre («onde», «emblema» e «pace»), e nell’ultimo verso due: «furia» e<br />

«mortale».<br />

Dato che la sestina è solo e soltanto di questo tipo, ogni sestina avrà lo schema metrico che<br />

abbiamo visto sopra: a differenza degli altri componimenti esso non muta mai, se non nel<br />

congedo, e non prevede cambiamenti strutturali e di forma. In questa caratteristica sta l’unicità<br />

della sestina.<br />

Argomento dell’esempio: in questa sestina Ungaretti riprende la leggenda di Palinuro,<br />

raccontata da Virgilio nell’Eneide.<br />

Secondo tale leggenda, dopo che la flotta troiana lasciò la Sicilia Venere chiese a Nettuno<br />

di concedere ad Enea di giungere alla foce del Tevere, dove l’eroe troiano avrebbe fondato<br />

la città di Roma. Nettuno acconsentì, ma in cambio chiese la vita di un membro dell’equipaggio.<br />

E così, durante la notte, il dio del mare fece prima addormentare il nocchiero<br />

Palinuro, poi lo fece cadere in mare. Naufrago, il giovane nocchiero cercò di aggra<strong>pp</strong>arsi<br />

agli scogli, ma venne ucciso dalla popolazione degli Enotri.<br />

Ecco il racconto di Virgilio:<br />

Ormai l’umida Notte aveva quasi toccato la meta nel mezzo<br />

del cielo, i marinai rilassavan le membra nella placida quiete<br />

sdraiati sotto i remi lungo i duri sedili,<br />

quando il Sonno scivolando leggero dagli eterei astri<br />

smosse l’aria tenebrosa e cacciò le ombre,<br />

cercando te, Palinuro, portando a te innocente i tristi<br />

sogni; il dio si sedette sull’alta po<strong>pp</strong>a<br />

simile a Forbante e versò con la bocca queste chiacchiere:<br />

«Palinuro di Iasio, le stesse acque portan la flotta,<br />

le arie spirano costanti, è dato tempo al riposo.<br />

Poggia la testa e ruba gli stanchi occhi alla fatica.<br />

Io stesso un poco affronterò i tuoi doveri per te».<br />

A stento alzandogli gli occhi Palinuro dice:<br />

«Vuoi forse che io ignori il volto del placido mare<br />

ed i quieti flutti? Forse che io mi fidi di questo mostro?<br />

Affiderei forse Enea? Tante volte ingannato da arie<br />

fallaci e dall’imbroglio del cielo sereno?».<br />

Dava tali risposte, fisso ed attaccandosi mai lasciava<br />

il timone e teneva gli occhi sotto le stelle.<br />

Ecco il dio scosse sopra entrambe le tempie un ramo<br />

inzu<strong>pp</strong>ato di rugiada letea e drogato di forza<br />

Stigia, sciolse, a lui esitante, gli occhi natanti.<br />

A<strong>pp</strong>ena la quiete improvvisa aveva rilassato le prime membra,<br />

quando saltandogli sopra, divelta una parte della po<strong>pp</strong>a,<br />

lo gettò nelle limpide onde col timone<br />

a capo fitto e spesso invocante invano i compagni;<br />

egli alato, volando, si alzò leggero nell’aria.<br />

[...]<br />

89


90 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

...quando il padre [Enea] capì che la nave ondeggiando errava, perduto<br />

il pilota, lui stesso la resse nelle onde notturne<br />

molto gemendo e colpito in cuore dalla morte dell’amico:<br />

«O Palinuro, fidatoti tro<strong>pp</strong>o del cielo e del mare<br />

sereno, nudo giacerai su sabbia ignota».<br />

(Virgilio, Eneide, libro V)<br />

Nella poesia di Ungaretti Palinuro racconta in prima persona la sua tragica storia, narrando<br />

del sonno traditore a cui lo costrinse Nettuno e della caduta nelle acque agitate del<br />

mare.<br />

In questo suo morire innocente e senza colpa, mentre adempie al suo lavoro di nocchiero<br />

della nave, il ragazzo diventa «... emblema / Di disperanza e preda d’ogni furia», ovvero<br />

simbolo della disperazione di un uomo in balìa di un destino crudele che si accanisce contro<br />

di lui, vittima inconsapevole e designata.<br />

Difficoltà della sestina: l’esempio di Ungaretti mostra tutta la rigidità di questa forma<br />

metrica, e quindi la grande difficoltà che il poeta incontra nel comporla.<br />

Fin dalle sue origini, la sestina fu considerata un tipo di componimento che richiede al<br />

poeta grande abilità tecnica, talento compositivo e virtuosismo; un difficile esercizio poetico<br />

dal carattere altamente elaborato e raffinato. Per tutti questi motivi, le sestine composte<br />

nella storia della letteratura sono veramente poche.<br />

La difficoltà della sestina consiste in primo luogo nelle sei ripetizioni delle parole-rima,<br />

che pongono un grande limite alla creatività poetica, poiché si riducono notevolmente gli<br />

argomenti possibili, le strutture sintattiche e ovviamente le scelte lessicali.<br />

Ma forse ancor più difficile è il fatto che le parole-rima devono essere obbligatoriamente<br />

disposte, all’interno delle strofe, in posizioni prestabilite, senza possibilità di modificarle.<br />

2-3 neve... anni:<br />

perifrasi per indicare<br />

il ghiaccio,<br />

come il risultato<br />

di uno strato di<br />

neve su cui non<br />

batte il sole per<br />

molto tempo.<br />

6 ov’io: dovunque<br />

io.<br />

6 in poggio o ’n<br />

riva: su un pendio<br />

o in piano.<br />

7 Allor... a riva:<br />

allora i miei pen-<br />

sieri saranno<br />

giunte a riva,<br />

ovvero avranno<br />

fine.<br />

8 che: quando.<br />

8 foglia... lauro:<br />

ossia mai, dato<br />

che l’alloro<br />

(lauro) è una<br />

pianta sempre-<br />

Analisi di una sestina<br />

Giovene donna sotto un verde lauro FRANCESCO PETRARCA<br />

Giovene donna sotto un verde lauro A<br />

vidi più biancha et più fredda che neve B<br />

non percossa dal sol molti et molt’anni; C<br />

e ’l suo parlare, e ’l bel viso, et le chiome D<br />

mi piacquen sì ch’i’ l’ò dinanzi agli occhi, E 5<br />

ed avrò sempre, ov’io sia, in poggio o ’n riva. F<br />

Allor saranno i miei pensieri a riva F<br />

che 97 foglia verde non si trovi in lauro; A<br />

quando avrò queto il core, asciutti gli occhi, E<br />

vedrem ghiacciare il foco, arder la neve: B 10<br />

verde.<br />

9-10 quando...<br />

neve: prosegue<br />

l’elenco delle<br />

cose impossibili:<br />

il desiderio amoroso<br />

del poeta<br />

cesserà quando il<br />

fuoco ghiaccerà e<br />

la neve arderà.


non ò tanti capelli in queste chiome D<br />

quanti vorrei quel giorno attender anni. C<br />

12 quanti... anni:<br />

costruzione:<br />

«quanti anni vorrei<br />

attendere quel<br />

giorno».<br />

15 o colle... chiome:<br />

o giovani, o<br />

anziani.<br />

20 o ne la<br />

nostra... anni:<br />

nel presente o<br />

nell’antichità.<br />

22 lagrimosa<br />

riva: fiume di<br />

lacrime.<br />

Il metodo<br />

Ma perché vola il tempo, et fuggon gli anni, C<br />

sì ch’a la morte in un punto s’arriva, F<br />

o colle brune o colle bianche chiome, D 15<br />

seguirò l’ombra di quel dolce lauro A<br />

per lo più ardente sole et per la neve, B<br />

fin che l’ultimo dì chiuda quest’occhi. E<br />

Non fur già mai veduti sì begli occhi E<br />

o ne la nostra etade o ne’ prim’anni, C 20<br />

che mi struggon così come ’l sol neve; B<br />

onde procede lagrimosa riva F<br />

ch’Amor conduce a pie’ del duro lauro A<br />

ch’à i rami di diamante, et d’òr le chiome. D<br />

I’ temo di cangiar pria volto et chiome D 25<br />

che con vera pietà mi mostri gli occhi E<br />

l’idolo mio, scolpito in vivo lauro: A<br />

che s’al contar non erro, oggi à sett’anni C<br />

che sospirando vo di riva in riva F<br />

la notte e ’l giorno, al caldo ed a la neve. B 30<br />

Dentro pur foco, et for candida neve, B<br />

sol con questi pensier’, con altre chiome, D<br />

sempre piangendo andrò per ogni riva, F<br />

per far forse pietà venir negli occhi E<br />

di tal che nascerà dopo mill’anni, C 35<br />

se tanto viver pò ben cólto lauro. A<br />

L’auro e i topacii al sol sopra la neve A+B<br />

vincon le bionde chiome presso agli occhi D+E<br />

che menan gli anni miei sì tosto a riva. C+F<br />

(da Canzoniere XXX)<br />

24 rami... chiome:<br />

i rami di<br />

diamante sono le<br />

braccia candide di<br />

Laura, le chiome<br />

91<br />

d’òr i suoi biondi<br />

capelli.<br />

27 idolo... lauro:<br />

Laura per il poeta<br />

è un idolo, oggetto<br />

di adorazione,<br />

ed è scolpita in un<br />

lauro vivente: in<br />

questa poesia,<br />

come in tante<br />

altre raccolte nel<br />

Canzoniere, vi è<br />

la consueta identificazioneallegorica<br />

tra Laura e il<br />

lauro.<br />

28 à sett’anni:<br />

sono trascorsi<br />

sette anni dal<br />

giorno dell’innamoramento.<br />

31 pur: tutto.<br />

31 for... neve:<br />

all’aspetto esterno<br />

sbiancato.<br />

35 tal: chi, ovvero<br />

il futuro lettore.<br />

36 ben còlto: ben<br />

coltivato. Il poeta<br />

vorrebbe sapere<br />

se può vivere<br />

tanto (dopo mill’anni)<br />

la poesia.<br />

37-38 L’auro...<br />

bionde chiome:<br />

le bionde chiome<br />

(soggetto) di<br />

Laura superano<br />

l’oro e i topazi.<br />

39 menan: incalzano.<br />

39 sì tosto a riva:<br />

così presto alla<br />

fine.<br />

Schema metrico: lo schema di questa sestina è uguale a quello di tutte le altre sestine:<br />

ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD, DEACFB, BDFECA.<br />

All’interno del congedo, le rime sono riprese nei tre versi secondo lo schema A+B, D+E,<br />

C+F.<br />

Argomento: pur costretto nella “gabbia” formale della sestina, il poeta è riuscito a raccontare<br />

un’intera vicenda umana, fatta di una donna e dello struggente amore che egli prova per lei.


92 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Come tutte le poesie raccolte nel Canzoniere di Petrarca, anche questa sestina è dedicata<br />

a Laura, l’amore indiscusso del poeta. Questa lirica, in particolare, si fonda sull’insistente<br />

identificazione della donna con l’alloro, attraverso allusioni al mito di Dafne, la donna<br />

che si trasformò in questa pianta.<br />

Petrarca torna con la memoria al momento del suo innamoramento per Laura: «Giovene<br />

donna... / vidi». L’amore che egli prova per questa donna è talmente grande e definitivo, che<br />

potrà cessare solo quando avverranno cose impossibili: quando il fuoco diventerà ghiaccio,<br />

e la neve potrà bruciare. Il proposito del poeta è quello di non allontanarsi mai dall’oggetto<br />

del suo amore, fino a quando giungerà per lui il giorno della morte. E se questa sestina<br />

potrà vivere a lungo, ed essere letta tra mille anni dagli occhi di un nuovo lettore, forse questi<br />

proverà pietà per lo stato in cui Petrarca si trova a causa del suo amore per Laura.<br />

Le parole-rima: la perizia con cui Petrarca ha composto questa sestina di grande naturalezza<br />

e scioltezza, quasi non ci fa accorgere della difficoltà che, sicuramente, sta dietro al<br />

componimento.<br />

Trattandosi di una sestina, il poeta ha composto le sei strofe basandosi su sei parole-rima,<br />

che si ripresentano in posizioni obbligate e preordinate all’interno di ogni strofa.<br />

Ma la presenza delle parole-rima non costituisce soltanto un limite e un rigido schema a<br />

cui sottomettere il genio poetico: esse conferiscono una grande unità all’intero componimento,<br />

rendendolo un edificio ben solido soprattutto per quanto riguarda il tema della poesia.<br />

In questo riconosciamo la straordinaria abilità di Petrarca.<br />

Le parole-rima di questa sestina a<strong>pp</strong>artengono a tre campi semantici ben riconoscibili:<br />

- la natura («lauro», «neve», «riva»);<br />

- gli elementi della bellezza di Laura («chiome» e «occhi»);<br />

- il senso del tempo che scorre («anni»).<br />

Petrarca ha utilizzato tutti i possibili significati di tali parole: non solo quelli letterali e<br />

consueti, ma anche quelli metaforici e allegorici. Ad esempio, la parola «riva» è intesa, in<br />

senso letterale, come elemento naturale (v. 6, col significato di piano, pianura) ma è utilizzata<br />

dal poeta anche in senso metaforico (v. 22: «lagrimosa riva» nel senso di fiume di<br />

lacrime e v. 39: «riva» nel senso di estremo a<strong>pp</strong>rodo, di fine della propria vita).<br />

A questa varietà di significati delle parole-rima, bisogna aggiungere anche la varietà dei<br />

riferimenti: ad esempio la parola «occhi» è riferita prima al poeta (vv. 5, 9 e 18), poi a<br />

Laura (vv. 19, 26 e 38) e infine al futuro lettore della sestina (v. 34).<br />

In questo modo, ampliando al massimo il ventaglio dei possibili significati delle parolerima,<br />

il poeta attenua il rischio di monotonia e di uniformità in cui la sestina incorre inevitabilmente,<br />

proprio a causa della rigidità della sua struttura.<br />

Elementi di retorica: questa sestina è caratterizzata da una serie di immagini iperboliche,<br />

ovvero esagerate, ingigantite, come quella contenuta nel v. 2: «più bianca e più fredda<br />

che neve / non percossa dal sol molti e molt’anni».<br />

Simili a questo procedimento poetico sono le affermazioni di valore assoluto: al v. 6<br />

«avrò sempre, ov’io sia».<br />

Nella seconda strofa questa procedura viene ulteriormente rafforzata: per indicare che il<br />

desiderio amoroso del poeta non avrà mai fine, troviamo un elenco di cose impossibili<br />

(«vedrem ghiacciare il foco, arder la neve»), attraverso l’uso della figura retorica dell’adynaton.<br />

L’insieme di questi espedienti ha lo scopo di esaltare l’esperienza amorosa del poeta, di<br />

renderla unica e incomparabile.


10.5. Madrigale<br />

Il metodo<br />

Un po’ di storia: componimento poetico di origine italiana, il madrigale è un testo piuttosto<br />

breve, nato nel corso del Trecento.<br />

Era originariamente composto per essere accompagnato dalla musica e cantato a più voci,<br />

come testimoniano i manoscritti che conservano, oltre ai testi, anche le partiture musicali<br />

corrispondenti. Ma, a differenza della ballata, il madrigale non era un componimento<br />

popolare, e probabilmente veniva eseguito in ambienti signorili.<br />

Come forma poetica ebbe molta fortuna, e attraverso i secoli modificò la propria struttura,<br />

pur senza stravolgerla mai del tutto.<br />

La struttura: composto da versi endecasillabi, si struttura in piccole strofe (in genere due<br />

o tre) di tre versi ciascuna, seguite da una o due co<strong>pp</strong>ie di versi a rima baciata.<br />

Schema delle rime: all’interno del madrigale, solo un elemento non cambia mai, ed è il<br />

distico finale a rima baciata. Ciò che muta è lo schema delle strofe, che possono rimare<br />

tra loro in modi molti vari, come vedremo negli esempi seguenti.<br />

Anche la quantità di rime può variare notevolmente.<br />

Esempi:<br />

Verso la vaga tramontana è gita, A<br />

quanto più luce il sol co’ raggi ardenti, B<br />

Amor, costei ch’è con pietà fuggita. A<br />

Cercando va li disïosi venti B<br />

il verde e’ fiori e degli augelli il canto, C<br />

ed ha lasciato i miei spirti dolenti: B<br />

dona, ove giugne, d’allegrezza tanto, C<br />

quanto dond’è partita lascia pianto. C<br />

(Sacchetti, Il libro delle Rime XL)<br />

Questo madrigale si fonda su tre rime, che all’interno delle strofe sono alternate tra loro<br />

secondo lo schema ABA BCB, a cui va aggiunto il distico finale CC.<br />

Amor, s’ i’ son dalle tue man fuggito, A<br />

Non ti doler di me, ma di costei, B<br />

Che ’n pena mi tenea servendo lei. B<br />

E non pensar ch’io sia mai più ghermito A<br />

Da te in lei, ben che le stia nel volto; C<br />

Ché reddire in prigion chi n’esce è stolto. C<br />

Quei libertà conosce quanto è cara D<br />

Che la smarrisce e ritrovare impara. D<br />

(Soldanieri, Amor, s’ i’ son dalle tue man fuggito)<br />

Nova angeletta sovra l’ale accorta A<br />

scese dal cielo in su la fresca riva, B<br />

93


94 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

là ’nd’io passava sol per mio destino. C<br />

Poi che senza compagna et senza scorta A<br />

mi vide, un laccio che di seta ordiva B<br />

teso fra l’erba, ond’è verde il camino. C<br />

Allor fui preso; et non mi spiacque poi, D<br />

sì dolce lume uscia degli occhi suoi. D<br />

(Petrarca, Canzoniere CVI)<br />

Questi due madrigali hanno quattro rime. Nel primo, lo schema isola il primo verso (A)<br />

facendolo seguire da un distico a rima baciata, secondo lo schema: ABB ACC.<br />

Nel secondo, invece, le prime tre rime si alternano tra loro: ABC ABC. In entrambi lo schema<br />

del distico finale è DD.<br />

Un falcon pellegrin dal ciel discese A<br />

con largo petto e con sì bianca piuma, B<br />

che chi ’l guarda innamora, e me consuma. B<br />

Mirando io gli occhi neri e sfavillanti, C<br />

la vaga penna e ’l suo alto volare, D<br />

mi disposi lui sempre seguitare. D<br />

Sì dolcemente, straccando, mi mena, E<br />

che altro non cheggio, se non forza e lena. E<br />

(Rinuccini, Rime XVII)<br />

In questo madrigale le rime sono cinque: è molto simile, come schema, a quello composto<br />

da Soldanieri, ma rimangono senza rima correlata i due versi iniziali di ogni strofa.<br />

Nel verde bosco, sotto la cui ombra A<br />

vago d’amor pensando mi trovai, B<br />

su la fresch’erba e su’ be’ fior posai. B<br />

Così dormendo subito m’a<strong>pp</strong>arve C<br />

donna gentil che m’inducea sospiri D<br />

nel cor che sempre in lei fermò desiri. D<br />

Dolcezza mi donava con martiri D<br />

mostrando sé a me, e po’ fuggiva E<br />

infra le fronde quando la seguia. E<br />

Sveglia’ mi; e ’n doglia tal mio cor salio F<br />

qual Febo dietro Dafne alfin sentio. F<br />

(Sacchetti, Il libro delle Rime XXIX)<br />

Questo è un esempio di madrigale composto da quattro strofe, con schema identico al<br />

madrigale precedente, che continua nella terzina aggiunta.<br />

Se il madrigale è composto da tre strofe, la co<strong>pp</strong>ia finale di versi può anche mancare, come


nel seguente esempio del Petrarca, con schema ABB ACC CDD:<br />

Or vedi, Amor, che giovenetta donna A<br />

tuo regno sprezza, et del mio mal non cura, B<br />

et tra duo ta’ nemici è sì secura. B<br />

Tu se’ armato, et ella in treccie e ’n gonna A<br />

si siede, et scalza, in mezzo i fiori et l’erba, C<br />

ver’ me spietata, e ’ncontra te superba. C<br />

I’ son pregion; ma se pietà anchor serba C<br />

l’arco tuo saldo, et qualchuna saetta, D<br />

fa’ di te et di me, signor, vendetta. D<br />

(Petrarca, Canzoniere CXXI)<br />

Il metodo<br />

Gli argomenti: leggendo gli esempi riportati, forse si avrà l’impressione di una ripetitività<br />

tematica: il madrigale infatti affronta solitamente argomenti amorosi, ambientati nella<br />

scena dell’aperta campagna. Amore e natura: queste sono le componenti tematiche principali<br />

del madrigale, almeno nei primi secoli della sua storia. Il madrigale del Trecento<br />

presenta contenuti elevati, e fa parte della poesia colta e raffinata. È infatti un genere alto,<br />

che non trova posto nella poesia di carattere popolare.<br />

In seguito cambiò lo scenario, ma il contenuto amoroso rimase a lungo come una delle<br />

caratteristiche principali del madrigale.<br />

Infine, col passare del tempo, il madrigale divenne un componimento molto versatile, che<br />

trattò anche di argomenti morali e politici.<br />

■ Variazioni della struttura nel corso dei secoli<br />

Il Cinquecento: nel Cinquecento si continuò a comporre madrigali, ma con maggior<br />

libertà di struttura, secondo le caratteristiche seguenti:<br />

• diventò una forma monostrofica e non più divisa in brevi strofe;<br />

• l’endecasillabo era alternato al settenario, con un alto grado di libertà nella disposizione<br />

e nell’alternanza degli endecasillabi e dei settenari e nelle loro rispettive proporzioni;<br />

• libera era anche la disposizione delle rime: ampiamente attestata la presenza del verso<br />

irrelato, ovvero senza rima.<br />

Proprio per l’estremo grado di libertà a cui il madrigale giunse, esso è stato considerato<br />

come una delle prime forme di “poesia libera” della nostra letteratura.<br />

95


96 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Laboratorio Analisi di una madrigale<br />

Un’ape esser vorrei TORQUATO TASSO<br />

Un’ape esser vorrei<br />

di Torquato Tasso<br />

Un’ape esser vorrei, a<br />

donna bella e crudele, b<br />

che sussurrando in voi suggesse il mele; B<br />

e, non potendo il cor, potesse almeno C<br />

pungervi il bianco seno, c<br />

e ’n sì dolce ferita d<br />

vendicata lasciar la propria vita. D<br />

(da Rime, 499)<br />

Struttura dell’esempio: questo madrigale è composto da un’unica strofa di sette versi<br />

endecasillabi e settenari.<br />

Il primo verso non trova corrispondenza di rima in nessun altro, mentre quelli che seguono<br />

rimano a co<strong>pp</strong>ia, alternando endecasillabo e settenario, secondo lo schema abBCedD.<br />

Anche la rima baciata finale avviene tra un settenario e un endecasillabo.<br />

Argomento dell’esempio: l’argomento tipicamente amoroso del madrigale è presente<br />

anche in questo testo, dove il poeta si rivolge a una donna «crudele».<br />

Il desiderio di vendetta nei confronti di questa donna si traduce nell’immagine dell’ape, in<br />

cui il poeta vorrebbe trasformarsi. Non potendo arrivare a pungere il cuore insensibile<br />

della donna, egli si accontenterebbe di pungerne il seno; e come l’ape muore dopo aver<br />

colpito con il suo pungiglione, così il poeta morirebbe «in sì dolce ferita», portando a termine<br />

la propria vendetta a rischio della vita.<br />

Nonostante l’argomento (una vendetta passionale), il tono della poesia è piuttosto leggero.<br />

Il desiderio di vendetta è attenuato dall’immagine dell’ape e dal confronto tra i due<br />

soggetti, che mostra una grande sproporzione: la guerra vendicativa avviene tra un’ape e<br />

una figura umana (la donna crudele), e l’azione in cui la vendetta si materializza è una<br />

puntura d’insetto, una dolce ferita inferta a costo della propria vita.<br />

Questa esagerazione e sproporzione tra le due figure del testo affievolisce e attenua il tema<br />

principale del madrigale.<br />

L’Ottocento: dopo le trasformazioni del Cinquecento il madrigale cadde in disuso, fino a<br />

una sua rinascita nell’Ottocento.<br />

La sua nuova diffusione fu favorita dalle peculiarità del componimento, caratterizzato da<br />

una struttura agile e breve. Venendo a mancare ogni riferimento alla destinazione originale<br />

(l’ambientazione signorile) e l’accompagnamento musicale, il madrigale si ridusse a<br />

uno schema metrico che i poeti affrontarono trattando qualsiasi argomento.<br />

In generale, nell’Ottocento fino ai primi del Novecento, il madrigale preferì tornare alla<br />

forma originaria trecentesca, come si vede dall’esempio che segue.


Lavandare<br />

di Giovanni Pascoli<br />

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero<br />

resta un aratro senza buoi, che pare<br />

dimenticato, tra il vapor leggero.<br />

1 campo mezzo<br />

grigio e mezzo<br />

nero: il lavoro<br />

dell’aratura<br />

lasciato interrotto<br />

determina la differenza<br />

di sfumature:<br />

la terra nera<br />

è quella arata di<br />

recente.<br />

3 vapor leggero:<br />

è la foschia che<br />

sale dai campi in<br />

certe condizioni<br />

atmosferiche tipiche<br />

dell’autunno,<br />

in particolar<br />

modo di mattina o<br />

verso sera.<br />

4 gora: canale<br />

murato in cui le<br />

donne usavano<br />

lavare i panni.<br />

5 sciabordare:<br />

verbo onomatopeico<br />

che riproduce<br />

il frusciare dell’acqua<br />

mossa<br />

nella gora dalle<br />

donne al lavoro.<br />

7 nevica la frasca:<br />

nevicare è<br />

usato qui transitivamente.<br />

Dai<br />

rami (frasca)<br />

cadono foglie<br />

Il metodo<br />

E cadenzato dalla gora viene<br />

lo sciabordare delle lavandare 5<br />

con tonfi spessi e lunghe cantilene:<br />

Il vento soffia e nevica la frasca,<br />

e tu non torni ancora al tuo paese!<br />

quando partisti, come son rimasta!<br />

come l’aratro in mezzo alla maggese. 10<br />

(da Myricae)<br />

come se nevicasse.<br />

Le due notazioniatmosferiche<br />

(vento e<br />

caduta delle<br />

foglie) rimandano<br />

all’autunno: vento<br />

e alberi che si<br />

spogliano contribuiscono<br />

ad<br />

accentuare il<br />

clima di desola-<br />

97<br />

Analisi di un madrigale<br />

Lavandare GIOVANNI PASCOLI<br />

zione e abbandono.<br />

9 come son rimasta!:<br />

il punto di<br />

vista è quello<br />

femminile: la<br />

donna attende il<br />

ritorno del proprio<br />

uomo partito<br />

da tempo; il<br />

tempo passa, ma<br />

l’attesa e la solitudinecontinuano.<br />

10 maggese: è il<br />

campo lasciato<br />

per qualche<br />

tempo inattivo,<br />

secondo il principio<br />

della rotazione<br />

agraria.<br />

Schema metrico: il madrigale è costituito da versi endecasillabi raccolti in due terzine<br />

con rima alternata, secondo lo schema ABA CBC, seguite da due co<strong>pp</strong>ie anch’esse a rima<br />

alternata: DEDE.<br />

La presenza di due co<strong>pp</strong>ie finali (e non di una soltanto) allontana un poco questo testo<br />

dalla forma del madrigale tradizionale; tuttavia si riconosce facilmente l’origine della poesia,<br />

e la struttura non ne risulta stravolta.<br />

Argomento: l’ambientazione è quella tipica del madrigale: l’aperta campagna, la natura<br />

(«campo», «buoi», «vapor leggero», «gora», «il vento», «frasca», «maggese»), in cui si<br />

inserisce il tema amoroso.<br />

All’interno del madrigale, c’è una netta divisione a livello contenutistico tra terzine e<br />

quartina.<br />

Le terzine sono principalmente descrittive: nella prima prevalgono le suggestioni visive,<br />

sollecitate in particolare dal richiamo ai colori del campo «mezzo grigio e mezzo nero».<br />

Il poeta ci mostra la natura comune e familiare dei campi al tempo dell’aratura (vv. 1-2),<br />

in un’ora non ben definita del giorno, ma che si su<strong>pp</strong>one essere l’alba o il crepuscolo, per<br />

la presenza del vapore acqueo che si leva dalla terra (v. 3: «tra il vapor leggero»).


98 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

In questa immagine descrittiva e realistica si insinua una nota di desolazione ra<strong>pp</strong>resentata<br />

dall’«aratro… dimenticato» (vv. 2-3).<br />

Nella seconda terzina, invece, predominano le suggestioni sonore, a stimolare il senso<br />

dell’udito: il particolare sciacquio dell’acqua della gora e il canto delle «lavandare» introducono<br />

indirettamente la presenza umana, percepita però solo in lontananza.<br />

Le donne sono al lavoro sulla sponda della «gora»: con ritmo ripetitivo e monotono<br />

(«cadenzato») lavano i panni nel canale («sciabordare delle lavandare», «con tonfi spessi»)<br />

e distraggono la fatica col canto malinconico («lunghe cantilene») riprodotto nei versi<br />

che seguono.<br />

Infatti la quartina è tutta occupata dalla citazione (parafrasata) delle parole tratte da due<br />

canti popolari marchigiani, di cui in uno si legge: «Tira lu viente, e nevega li frunna», e<br />

nell’altro: «Quando ch’io mi partii dal mio paese, / povera bella mia, come rimase! / Come<br />

l’aratro in mezzo alla maggese».<br />

Il riferimento a questi due canti popolari è evidente. Anche il tono e il linguaggio utilizzati<br />

si allontanano dal resto della poesia, avvicinandosi a quelli dei canti popolari attraverso<br />

due caratteristiche:<br />

1) la struttura sintattica, che nella quartina si fa più semplice e lineare: la misura sintattica<br />

coincide con la misura ritmica dei versi (non ci sono enjambements);<br />

2) l’adozione della rima imperfetta tra i vv. 7 e 9, legati non dalla rima tradizionale ma<br />

dall’assonanza: «frasca» / «rimasta».<br />

Infine, l’uso della prima e della seconda persona singolare: «e tu non torni ancora… quando<br />

partisti, come son rimasta!», rende ancora più forte le differenze tra terzine e quartina.<br />

Il forte stacco tra la prima e la seconda parte del testo è dato dal fatto che le due terzine<br />

sono principalmente descrittive, mentre la quartina è come una sequenza in presa diretta,<br />

una registrazione del canto delle lavandaie senza nessun segnale introduttore.<br />

La quartina riprende elementi da entrambe le terzine: della prima riproduce l’immagine<br />

dell’aratro e quindi dell’abbandono, della solitudine; della seconda riporta il canto nostalgico<br />

e pieno di dolore della donna che aspetta, forse invano, il ritorno del compagno.<br />

Chi parla, in questa seconda parte, è una donna, figura umana che entra prepotentemente<br />

nella lirica. Quel senso estremo di solitudine e abbandono già intravisto nell’immagine<br />

dell’aratro immobile senza buoi (vv. 1-2) ritorna qui, in chiusura, inserito in un paragone<br />

riferito alla donna (rimasta sola «come l’aratro in mezzo alla maggese», v. 10). La poesia<br />

ha quindi una struttura circolare, e quanto anticipato all’inizio trova verifica e conferma<br />

nella parte finale del madrigale, a ribadire il tema di fondo del componimento: la condizione<br />

esistenziale dell’uomo di isolamento e abbandono.<br />

Struttura fonica e elementi di retorica: la struttura fonica del componimento crea un<br />

nucleo di ritmo lento e identico in corrispondenza dei versi centrali (vv. 4-6), ben ritmati<br />

tra loro.<br />

Si osservi la disposizione degli accenti:<br />

E cadenzàto dalla gòra viène<br />

lo sciabordàre dèlle lavandàre<br />

con tonfi spèssi e lùnghe cantilène<br />

Gli accenti così disposti rendono percepibile e concreto il senso delle cantilene cantate


Il metodo<br />

dalle donne, ma anche la monotonia dell’occupazione di lavare i panni nel canale.<br />

La congiunzione «E» con la quale si apre la seconda terzina funge da attacco vocalico per<br />

l’avvio del ritmo e al tempo stesso, dal punto di vista contenutistico, si aggancia al non<br />

detto, all’inespresso: introduce un’immagine a<strong>pp</strong>arentemente sganciata da quella precedente<br />

(prima terzina), che trova però piena giustificazione nei versi finali che insistono<br />

sulla condizione esistenziale dell’abbandono.<br />

Più delle rime, pure presenti e che in modo regolare percorrono tutto il componimento,<br />

risalta il gioco musicale delle riprese foniche, sia interne alla terzina centrale («sciabordare…<br />

lavandare») sia esterne: al v. 4 «cadenzato» rima con «dimenticato» del v. 3, collocato<br />

nella stessa posizione all’interno del verso.<br />

Numerose le parole onomatopeiche, riconducibili all’elemento naturale dell’acqua: «sciabordare»<br />

che, grazie alla sibilante /s/ presente anche in «tonfi spessi» e nel successivo «(il<br />

vento) soffia», ricorda il rumore frusciante dell’acqua. L’acqua è evocata anche dalla<br />

liquida /r/ che ritroviamo, oltre che in «sciabordare», anche in «gora» e «lavandare».<br />

99


100 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Analisi di una poesia in versi liberi<br />

A partire dall’inizio del Novecento comincia ad affermarsi la poesia composta in versi<br />

liberi, che diventerà la forma poetica dominante del nostro tempo.<br />

Il testo che riportiamo è stato pubblicato nel 2003.<br />

Voler bene a una persona DAVIDE RONDONI<br />

Voler bene a una persona<br />

di Davide Rondoni<br />

Voler bene a una persona<br />

è un lungo viaggio<br />

rupi, cadute d’acqua e bui<br />

improvvisi, dilatati<br />

il chiuso di foreste, 5<br />

lampi a volte<br />

sul silenzio così vasto del mare<br />

e strade sopraelevate, grida<br />

viali immersi all’improvviso<br />

in una luce sconosciuta. 10<br />

Voler bene a uno, a mille, a tutti<br />

è come tener la ma<strong>pp</strong>a nel vento.<br />

Non ci si riesce ma il cuore<br />

me l’hanno messo al centro del petto<br />

per questo alto, meraviglioso fallimento. 15<br />

Sugli altipiani di ogni notte<br />

eccomi con le ripetizioni e le mani rovesciate della poesia:<br />

non farli stare male, sono tuoi, non farli andare via<br />

(da Avrebbe amato chiunque)<br />

Struttura metrica: pur essendo composta in versi liberi, questa poesia mantiene una suddivisione<br />

in strofe, di varia lunghezza. Allo stesso modo anche i versi che la compongono<br />

variano notevolmente per lunghezza.<br />

Ciò che dà forma al verso non è più il numero di sillabe, né la disposizione degli accenti<br />

secondo schemi fissi, ma è il pensiero del poeta.<br />

Le pause non sono più pause metriche, definite dalla misura del verso, ma sono pause di<br />

pensiero.<br />

La lunghezza del verso e il pensiero che il verso esprime coincidono tra loro: il verso (e a<br />

un livello superiore le strofe) si “adatta” all’ampiezza del pensiero, ne assume i movimenti.<br />

Rime: in un testo composto da versi in rima, è evidente che la presenza della rima è un<br />

fatto regolare, che scandisce il ritmo.<br />

Al contrario in una poesia senza rime, laddove ne compaiono poche, esse acquistano un<br />

rilievo ancora maggiore. È il caso di questo testo, dove troviamo due versi legati tra loro


dalla rima baciata. Sono gli ultimi due della poesia:<br />

Il metodo<br />

«...le mani rovesciate della poesia: / non farli stare male, sono tuoi, non farli andare via».<br />

Nessun verso è fra<strong>pp</strong>osto ai due che rimano, cosicché essi risultano vicinissimi, e la presenza<br />

di questa rima risulta sottolineata ancor più potentemente. Essa pone un accento particolare<br />

sulla seconda parte dell’ultimo verso, chiusura ideale dell’intera poesia: «non farli<br />

andare via».<br />

Anche i vv. 12 e 15 rimano tra loro: «vento» e fallimento», da avvicinare, per assonanza<br />

e struttura fonica, al v. 14: «petto».<br />

Argomento: l’oggetto di questa poesia è l’esperienza del voler bene. I primi due versi,<br />

raccolti in un’unica strofa, dichiarano subito il tema trattato nei versi successivi e sembrano<br />

posti come titolo del testo. L’affermazione che contengono è forte, non lascia spazio al<br />

dubbio, non cerca possibili interpretazioni: «Voler bene a una persona / è un lungo viaggio».<br />

L’esperienza del voler bene, dunque, è immediatamente accostata all’immagine del viaggio,<br />

che è la figura predominante del testo:<br />

v. 2: «viaggio»; v. 8: «strade sopraelevate»; v. 9: «viali»; v. 12: «ma<strong>pp</strong>a», e una lunga serie<br />

di paesaggi naturali che si possono incontrare viaggiando: v. 3: «rupi»; v. 5: «foreste»; v.<br />

7: la vastità del «mare»; v. 16: «altipiani».<br />

Il viaggio di cui il poeta parla è un percorso avventuroso, in parte sconosciuto nelle sue<br />

ta<strong>pp</strong>e e pieno di imprevisti. Questa incertezza significa che in un ra<strong>pp</strong>orto affettivo, di<br />

qualsiasi natura esso sia, ci sono momenti difficili, in cui prevale la fatica («bui», «il chiuso<br />

di foreste» come qualcosa di impenetrabile): questi momenti sono descritti nella seconda<br />

strofa, in cui tutto è portato verso il basso («cadute», «rupi»).<br />

Ma nell’esperienza dell’amore ci sono anche momenti felici: il v. 8, isolato dagli altri,<br />

riporta verso l’alto («strade sopraelevate»), e nei vv. 9-10 il buio del v. 3 lascia il posto a<br />

«una luce sconosciuta».<br />

Il voler bene, nella sua complessità, è fatto di sorprese continue: è l’esperienza di qualcosa<br />

di misterioso e sconosciuto, ultimamente inafferrabile, con cui si ha a che fare («bui /<br />

improvvisi», «lampi a volte», «viali immersi all’improvviso / in una luce sconosciuta»).<br />

Ma se queste sono la fatica e la bellezza del voler bene a una persona, come si fa a voler<br />

bene «a mille, a tutti»? Perché è a questo che il poeta si sente chiamato. Ed è costretto,<br />

subito, a riconoscere che la realizzazione di questo desiderio non è nelle capacità umane.<br />

Si tratta di un’impresa impossibile: ma anche se «non ci si riesce», anche se in questa<br />

esperienza si fallisce, si tratta di un «alto, meraviglioso fallimento».<br />

L’unica cosa che resta da fare, nei confronti dei «mille» e dei «tutti», è affidarli: affidarli<br />

a chi può tenerli e «non farli stare male, ... non farli andare via», raccogliendoli nella preghiera<br />

finale su cui si chiude questa poesia (le «mani rovesciate» del v. 17 indicano proprio<br />

un atteggiamento di preghiera e di mendicanza).<br />

Struttura fonica e lessicale: nel v. 3, che inaugura la strofa in cui sono descritti i momenti<br />

più difficili dell’esperienza affettiva, il poeta insiste sul fonema /u/, che ha un suono<br />

cupo, chiuso: «rupi, cadute d’acqua e bui», che ritorna anche nel v. 5: «chiuso di foreste».<br />

In questo caso, la struttura fonica delle parole collabora a potenziare il loro significato.<br />

I vv. 3 e 4, accostati tra loro, risaltano fortemente; nel v. 3 le parole sono molto brevi, come<br />

se fossero i salti diseguali di una cascata di montagna: «rupi, cadute d’acqua e bui». Ad<br />

101


102 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

esse si contra<strong>pp</strong>ongono le due parole che formano il verso successivo: «improvvisi, dilatati»,<br />

che rallentano bruscamente il ritmo.<br />

Ritroviamo lo stesso procedimento nei vv. 11-15, dove è descritto il tentativo del cuore di<br />

voler bene a tutti.<br />

I vv. 11, 12, 13, 14 e la prima parte del v. 15 sono costituiti da parole non più lunghe di<br />

due sillabe: «Voler bene a uno, a mille, a tutti / è come tener la ma<strong>pp</strong>a nel vento. / Non ci<br />

si riesce ma il cuore / me l’hanno messo al centro del petto / per questo alto...», fino ad<br />

arrivare a «meraviglioso fallimento»: due parole di quattro e cinque sillabe, che fungono<br />

da “freno”, segnano il traguardo e l’arrivo del tentativo di «voler bene... a tutti», di questa<br />

nobile ma impossibile impresa a cui il cuore dell’uomo è chiamato.


11. Retorica<br />

11.1. Ambiguità e persuasione<br />

Il metodo<br />

“Bere” e “fumare” sono due verbi che normalmente si riferiscono a soggetti animati.<br />

Per questo motivo, la frase:<br />

Marco non beve e non fuma<br />

non presenta nessun problema ed è di interpretazione immediata.<br />

Ma leggiamo il seguente slogan pubblicitario:<br />

Non beve e non fuma.<br />

Un diesel davvero sportivo<br />

L’accostamento delle due frasi risulta insolito e ambiguo: c’è un uso della lingua che cattura<br />

immediatamente la nostra attenzione. Ciò avviene perché i verbi “bere” e “fumare”,<br />

contrariamente a quanto succede di solito, sono riferiti a un oggetto inanimato (il motore<br />

di una macchina) e assumono un significato diverso da quello consueto: indicano un’automobile<br />

il cui motore non consuma tro<strong>pp</strong>o («non beve») e inquina meno di altri («non<br />

fuma»).<br />

Lo scopo della pubblicità è persuadere e convincere. Il primo modo che essa ha per realizzare<br />

il suo scopo è l’utilizzo delle figure retoriche.<br />

La retorica è l’arte e la tecnica del discorso persuasivo, ovvero l’insieme degli elementi<br />

che servono per convincere un interlocutore in un dialogo, o il lettore di un testo.<br />

Un po’ di storia: per tradizione, la retorica nasce nel V secolo a.C. in campo giuridico.<br />

All’interno di una lunga serie di processi per l’attribuzione di terreni, Corace e Tisia, considerati<br />

i fondatori della retorica, studiarono tutti i mezzi e le tecniche possibili per dimostrare<br />

la verosimiglianza di una tesi, convinti che il sembrare vero contasse più dell’essere<br />

vero.<br />

Nel frattempo, un’altra forma di retorica si andava affermando: essa cercava di raggiungere<br />

lo scopo di convincere non provando a dimostrare che un certo argomento fosse verosimile,<br />

ma sfruttando il fascino che una parola sapientemente manipolata era in grado di<br />

esercitare sugli ascoltatori, puntando cioè sulla loro reazione emotiva più che sul consenso<br />

razionale.<br />

La forza della parola: da allora, furono molti coloro che proposero e studiarono una serie<br />

di accorgimenti che, se ben utilizzati in un discorso o in un testo, avrebbero potuto meglio<br />

“persuadere” e convincere gli ascoltatori o i lettori. Per ottenere questo, si faceva (e si fa<br />

ancora) leva sui sentimenti degli ascoltatori o dei lettori, o<strong>pp</strong>ure si cercava di convincerli<br />

tramite dimostrazioni.<br />

Dietro le attuali definizioni delle “figure retoriche” ci sono secoli di studi, ricerche,<br />

discussioni e vere e proprie diatribe tra singoli retori e le scuole di retorica, che vennero<br />

103


104 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

istituite proprio per l’importanza di tale disciplina.<br />

Vediamo un brano tratto dall’Elogio di Elena, un’orazione composta da Gorgia, allievo di<br />

Tisia, in difesa della donna che, secondo la tradizione, scatenò la guerra di Troia:<br />

Esporrò le cause per le quali era naturale avvenisse la partenza di Elena verso Troia. Infatti,<br />

ella fece quel che fece o per meditata decisione degli dei; o<strong>pp</strong>ure perché rapita con forza; o<br />

perché convinta con parole.<br />

Se è per il primo motivo, è giusto che s’incolpi chi ha colpa; poiché la provvidenza divina<br />

non si può con previdenza umana impedire. La Divinità supera l’uomo e in forza e in saggezza<br />

e nel resto. Se dunque alla Divinità va attribuita la colpa, Elena va dall’infamia liberata.<br />

Se con forza fu rapita, e contro giustizia oltraggiata, è chiaro che del rapitore è la colpa, in<br />

quanto oltraggiò, e che la rapita, in quanto oltraggiata, subì una sventura. Merita dunque,<br />

colui che intraprese da barbaro una barbara impresa, d’esser colpito e verbalmente, e legalmente,<br />

e praticamente. Ma colei che fu violata, e della patria privata, e dei suoi cari orbata,<br />

come non dovrebbe esser piuttosto compianta che diffamata?<br />

Se poi fu la parola a persuaderla e a illuderla, ne<strong>pp</strong>ure questo è difficile a scusarsi e a giustificarsi<br />

così: la parola è un gran dominatore, che divinissime cose sa compiere; riesce<br />

infatti a calmare la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar la<br />

pietà. Qual motivo ora impedisce di credere che Elena sia stata trascinata da lusinghe di<br />

parole e così poco di sua volontà? Infatti un discorso che abbia persuaso una mente, costringe<br />

la mente e a credere nei detti, e a consentire nei fatti.<br />

La retorica e noi: oggi la retorica è ancora molto diffusa; anzi, lo è talmente che quasi<br />

non ci accorgiamo della sua presenza.<br />

Non è solo la pubblicità a farne un largo uso; anche noi, quotidianamente, ricorriamo<br />

all’arte della retorica.<br />

Ad esempio, tutte le volte che raccontiamo un fatto. Su<strong>pp</strong>oniamo di dover riferire agli<br />

amici di aver pescato un grosso pesce, o di aver percorso a piedi un lungo tragitto, o di<br />

aver aspettato a lungo per entrare a una mostra. Ebbene, di sicuro, nel nostro racconto, il<br />

pesce diventerà più grande e più pesante di quanto non fosse stato in realtà; così come la<br />

strada percorsa risulterà più lunga di quanto non sia stata; allo stesso modo, la fila per<br />

entrare nella mostra affollata avrà assunto dimensioni record. Sì, abbiamo esagerato. Ma<br />

perché? Per poter meglio catturare l’attenzione dei nostri ascoltatori, e per il piacere di<br />

suscitare in loro meraviglia e stupore. Senza saperlo, abbiamo utilizzato la figura retorica<br />

dell’iperbole, che consiste nell’esagerare o ridurre, oltre i limiti normali, la qualità di<br />

una persona, di un animale, di una cosa o di un’idea.<br />

Da quanto detto si capisce che la retorica non è qualcosa da relegare nei secoli passati:<br />

anche oggi è il modo di organizzare qualsiasi testo e qualsiasi discorso. Per questo è utile<br />

studiarla: per comprendere e imparare ad usare meglio la lingua che parliamo e le sue<br />

potenzialità.


12. Le principali figure retoriche<br />

12.1. Metafora<br />

Il metodo<br />

La metafora è di gran lunga la più importante delle figure retoriche, molte delle quali sono<br />

tipi particolari di metafora.<br />

Il procedimento su cui essa si basa è un trasferimento:<br />

I leoni sono coraggiosi<br />

metafora: Pietro è un leone<br />

Dal paragone di queste due frasi si ricava che un enunciato metaforico è il risultato del trasferimento<br />

di una proprietà generica (il coraggio) dal suo soggetto abituale (i leoni) ad un<br />

nuovo soggetto (Pietro).<br />

■ Significato letterale e significato metaforico<br />

La prima delle due frasi riportate ha un significato letterale, mentre la seconda ha un<br />

significato metaforico.<br />

Anche se ci sono notevoli differenze tra l’uno e l’altro, è possibile che si verifichi una<br />

sorta di scambio tra loro. Tanto è vero che ci sono espressioni linguistiche, dette metafore<br />

morte, che in origine nascevano come metafore; poi però, col tempo, hanno dato luogo<br />

a significati letterali:<br />

le gambe del tavolo<br />

}<br />

il collo della bottiglia metafore morte<br />

le onde sonore<br />

sono metafore più o meno antiche che oggi non sono più avvertite come tali, perché in loro<br />

ha prevalso, col tempo, il significato letterale (il nome di queste metafore morte in retorica<br />

è catacresi).<br />

■ Il contesto in cui si esprime la metafora<br />

Il significato della metafora è il risultato di una interrelazione tra due elementi:<br />

Lucia procedeva a tentoni nell’interrogazione<br />

“Lucia” e l’“interrogazione” mantengono il loro significato letterale e costituiscono una<br />

cornice entro cui interpretare metaforicamente l’espressione “procedeva a tentoni”. Il contesto<br />

che offre la cornice è indispensabile per comprendere se un enunciato sia metaforico<br />

o no.<br />

Il ragazzo bendato procedeva a tentoni cercando i suoi amici<br />

In questa frase, invece, non c’è più un significato metaforico, perché il contesto (un gioco<br />

di gru<strong>pp</strong>o) permette di stabilire che “procedeva a tentoni” ha un significato letterale.<br />

Dunque la metafora è un meccanismo sintattico, ed è il risultato del contrasto tra due ele-<br />

105


106 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

menti linguistici legati sintatticamente tra loro. Per questo motivo il contesto in cui essa si<br />

esprime è molto importante.<br />

Naturalmente, ci sono alcune espressioni tipicamente metaforiche per le quali non serve<br />

conoscere il contesto in cui si esprimono: ad esempio, la crema della società.<br />

■ Metafora e linguaggio<br />

La nave solcava il mare<br />

Se provo a esprimere il significato di questa frase senza utilizzare un’espressione metaforica,<br />

il risultato potrebbe essere questo:<br />

La nave avanzava nel mare creando un movimento dell’acqua simile a quello che l’aratro<br />

crea avanzando nella terra<br />

Oltre ad essere molto improbabile che qualcuno si esprima in modo così prolisso e contorto,<br />

questa parafrasi è alquanto inadeguata ad esprimere con la stessa forza il significato<br />

della metafora “la nave solcava il mare”: breve, efficace e perentoria.<br />

L’esempio serve per comprendere quanto la metafora sia intimamente legata al linguaggio<br />

d’uso comune e come sia utile ed efficace. Ma soprattutto, indica una delle sue principali<br />

caratteristiche, che consiste nel venire in soccorso al linguaggio, per nominare e comunicare<br />

oggetti di difficile denominazione, e per trasmettere, anche con espressioni sintetiche,<br />

significati assai complessi attraverso una forma efficace.<br />

La metafora è un procedimento attraverso cui la lingua si arricchisce continuamente di<br />

nuove espressioni e nuove sfumature; è una figura retorica strettamente legata alla<br />

creatività della lingua. Non è un fenomeno nuovo o speciale, ma è connaturato alla lingua<br />

stessa.<br />

■ Tipi di metafora<br />

I modi per realizzare una metafora sono tanti, e ognuno di essi conferisce alla metafora<br />

una particolare caratteristica. Le differenze tra le forme di metafora dipendono dal tipo<br />

grammaticale di parola usata.<br />

Vediamone alcuni esempi:<br />

metafora di nome il the è l’oro della Cina<br />

metafora nome + aggettivo un sorriso luminoso<br />

metafora di verbo brillava per la sua disinvoltura<br />

Oltre a questi tipi, le metafore possono essere realizzate attraverso combinazioni di parole.<br />

La più comune è quella con il genitivo (complemento di specificazione):<br />

metafora di genitivo la tempesta del cuore<br />

■ La metafora in poesia<br />

La metafora ha trovato nella poesia un posto d’onore principalmente per due motivi: il<br />

primo è la sua capacità di sintesi.<br />

Il linguaggio della poesia è sintetico, “rapido”. Dato che la metafora è una figura retorica che<br />

nasconde i legami espliciti a favore di una sintesi espressiva, essa si adatta benissimo alla<br />

poesia, in cui la lingua si comunica attraverso una concentrazione lessicale e semantica.


Il metodo<br />

L’altro motivo è che attraverso la metafora (ma anche attraverso altre figure retoriche) si<br />

indica un significato che, rispetto a quello letterale, è più ricco, complesso e maggiormente<br />

evocativo.<br />

Parlando di “tempesta del cuore”, si avranno presenti contemporaneamente due significati,<br />

con tutte le loro sfumature: quello di un cuore agitato dalle passioni e dai sentimenti, ma<br />

anche quello di una tempesta. La compresenza di più significati ha a che fare con la connotazione,<br />

che si è detto essere una delle principali caratteristiche del linguaggio della poesia.<br />

Esempi di metafora in poesia:<br />

… e prego anch’io nel tuo porto quïete. (morte)<br />

(Foscolo, In morte del fratello Giovanni)<br />

Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi<br />

in così verde etate! Ahi, per la via… (gioventù)<br />

(Leopardi, La sera del dì di festa)<br />

…tutto ei provò: la gloria<br />

maggior dopo il periglio,<br />

la fuga e la vittoria,<br />

la reggia e il tristo esiglio;<br />

due volte nella polvere, (in disgrazia)<br />

due volte sull’altar. (in trionfo)<br />

(Manzoni, Il Cinque Maggio)<br />

La metafora oggi: questa figura retorica si usa continuamente, anche nel linguaggio<br />

comune. Ancor oggi, infatti, è una delle figure retoriche più produttive: essere un pozzo di<br />

scienza; essere connessi (con riferimento a Internet); divorare l’asfalto; costa un occhio<br />

della testa; avere un cuore d’oro; essere una roccia.<br />

Laboratorio<br />

1<br />

Trascrivete a fianco del testo che cosa ra<strong>pp</strong>resentano le metafore in corsivo:<br />

Tu fior de la mia pianta ( figlio ) ( _______ )<br />

percossa e inaridita,<br />

tu de l’inutil vita<br />

estremo unico fior,…<br />

(Carducci, Pianto antico)<br />

Si devono aprire le stelle ( ____________________ )<br />

nel cielo sì tenero e vivo.<br />

(Pascoli, La mia sera)<br />

Non ho voglia<br />

di tuffarmi<br />

in un gomitolo ( ____________________ )<br />

di strade<br />

(Ungaretti, Natale)<br />

107


108 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

12.2. Allegoria<br />

Spesso la metafora non riguarda una singola parola, ma anche intere frasi. L’uso continuato<br />

della metafora è detto allegoria.<br />

Quintiliano definisce l’allegoria come l’indicare una cosa con le parole e un’altra con le<br />

idee sottintese.<br />

L’allegoria è il risultato di una serie ininterrotta di metafore, dunque una “metafora continuata”<br />

o “prolungata”, un ampliamento di essa.<br />

Leggiamo alcuni versi del poeta latino Orazio:<br />

O nave, ti rigetteranno in mare nuovi<br />

flutti: o che fai? saldamente tieniti<br />

stretta al porto<br />

Per nave il poeta intende la repubblica, per flutti le guerre civili e per porto la pace e la<br />

concordia.<br />

Il seguente esempio di allegoria è tratto dall’Orlando furioso di Ariosto. Nella strofa che<br />

riportiamo, il tema metaforico nautico viene ripreso in quasi tutti i versi:<br />

Or, se mi mostra la mia carta il vero,<br />

non è lontano a discoprirsi il porto;<br />

sì che nel lito i voti scioglier spero<br />

a chi nel mar per tanta via m’ha scorto;<br />

ove, o di non tornar col legno intero,<br />

o d’errar sempre, ebbi già il viso smorto.<br />

Ma mi par di veder, ma veggo certo,<br />

veggo la terra, e veggo il lido aperto.<br />

Spesso il riconoscimento dell’allegoria è agevolato dalla presenza di strutture del tipo<br />

come... così, o quali...:<br />

E come i gru van cantando lor lai<br />

... così vidi venir...<br />

(Dante, Inferno V)<br />

Non sempre, però, sono presenti nel testo termini che introducono l’allegoria. A volte, per<br />

coglierne la presenza, occorre procedere nella lettura del testo, come nel caso della poesia<br />

di Pascoli X agosto:<br />

Ritornava una rondine al tetto<br />

l’uccisero: cadde tra spini:<br />

ella aveva nel becco un insetto<br />

la cena de’ suoi rondinini.<br />

Quella che sembra la descrizione della morte di una rondine, nello svilu<strong>pp</strong>o dei versi a<strong>pp</strong>are<br />

accostata alla tragica morte del padre di Pascoli, trovato senza vita sulla via del ritorno<br />

a casa, con accanto i doni che stava portando ai figli.<br />

Non esistono limiti quantitativi all’allegoria: ci sono intere poesie, a volte interi poemi<br />

che sono costituiti dallo svilu<strong>pp</strong>o di una metafora.


12.3. Similitudine<br />

Nella destra scotea la spaventosa<br />

peliaca trave; come viva fiamma,<br />

o come disco di nascente Sole<br />

balenava il suo scudo…<br />

(Omero, Iliade Libro XXII, nella traduzione di V. Monti)<br />

Il metodo<br />

In questi versi, lo scudo del guerriero viene paragonato a una fiamma viva, che si muove<br />

(forse per i bagliori che quest’arma di difesa emana), e al sole dell’alba.<br />

La similitudine consiste nel paragonare persone, animali, cose, sentimenti per associazione<br />

di idee; è introdotta da come, sembra, pare, è simile, somiglia, ecc.<br />

Mentre la metafora è un paragone aperto, dinamico, che fonde e rende compresenti i due<br />

elementi che la compongono, la similitudine è un paragone statico, che non prevede più<br />

di una soluzione (il “come” stabilisce un’unica direzione di interpretazione della similitudine,<br />

cosa che non avviene con la metafora).<br />

Altri esempi di similitudine:<br />

Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane:<br />

mi sorprende, a pensarla, un ricordo remoto<br />

dell’infanzia vissuta tra queste colline,<br />

tanto è giovane. È come il mattino. Mi accenna negli occhi<br />

tutti i cieli lontani di quei mattini remoti.<br />

(Pavese, Incontro)<br />

Ed io pensavo: Di tante parvenze<br />

che s’ammirano al mondo, io ben so a quali<br />

posso la mia bambina assomigliare.<br />

Certo alla schiuma, alla marina schiuma…<br />

(Saba, Ritratto della mia bambina)<br />

La similitudine oggi: essere forte come un leone; essere debole come una formica; vergognarsi<br />

come un ladro; correre come il vento.<br />

Laboratorio<br />

1<br />

Riconoscete le figure retoriche dei versi seguenti. Sono metafore o similitudini?<br />

Trascrivete poi il loro significato.<br />

109<br />

SIGNIFICATO<br />

Gli venne dunque incontro<br />

con la nutrice che aveva in braccio il bambino,<br />

il figlio amato di Ettore, simile a chiara stella. __________ __________<br />

(Omero, Iliade Libro VI, nella traduzione di S. Quasimodo)


110 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Sono i tuoi puri occhi<br />

due miracolose corolle __________ __________<br />

sbocciate a lavarmi lo sguardo.<br />

(Antonia Pozzi, Notturno invernale)<br />

Lampo nel fiammeggiar, nel romor tuono,<br />

fulmini nel ferir le spade sono. __________ __________<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata)<br />

Come d’autunno si levan le foglie<br />

[...]<br />

similmente il mal seme d’Adamo... __________ __________<br />

(Dante, Inferno III)<br />

Tu sei come una giovane, __________ __________<br />

bianca pollastra.<br />

(Saba, A mia moglie)


Il metodo<br />

Le figure retoriche che ora vedremo (sinestesia, metonimia e sineddoche) possono considerarsi<br />

tipi particolari di metafora.<br />

12.4. Sinestesia<br />

Or ch’a i silenzi di cerulea sera<br />

tra fresco mormorio d’alberi e fiori<br />

ella siede,...<br />

(Carducci, Visione)<br />

L’espressione fresco mormorio crea un’immagine associando due termini che a<strong>pp</strong>artengono<br />

a sfere sensoriali diverse, quella tattile (fresco) e quella uditiva (mormorio): questa<br />

è la sinestesia.<br />

Dormi! bisbigliano, Dormi!<br />

là, voci di tenebra azzurra… sfera uditiva (voci) + sfera visiva (tenebra azzurra)<br />

(Pascoli, La mia sera)<br />

Per la fresca finestra<br />

scorre amaro un sentore di foglie. sfera gustativa (amaro) + sfera uditiva (sentore)<br />

(Pavese, Ulisse)<br />

Sepolto nella bruma il mare odora. sfera visiva (bruma) + sfera olfattiva (odora)<br />

(Cardarelli, Sera di Liguria)<br />

La sinestesia oggi: è molto usata nella pubblicità, dove la sinestesia più famosa e più abusata<br />

è il gusto morbido attribuito a famosi alcolici, a formaggi ecc. Altre sinestesie ricorrenti:<br />

colori a tinte calde/fredde (sfera visiva + sfera tattile); musica dolce (sfera uditiva +<br />

sfera gustativa); suono vellutato (sfera uditiva + sfera tattile).<br />

Laboratorio<br />

1<br />

Completate le sinestesie, segnalando quali sensi sono coinvolti e attraverso quali<br />

parole:<br />

Ma per le vie del borgo<br />

dal ribollir de’ tini<br />

va l’aspro odor de i vini sfera ______ (aspro) + sfera ______ ( _____ )<br />

l’anime a rallegrar.<br />

(Carducci, San Martino)<br />

E del grave occhio glauco entro l’austera<br />

dolcezza si rispecchia ampio e quieto<br />

il divino del pian silenzio verde. sfera ______ ( ____ ) + sfera ______ ( ____ )<br />

(Carducci, Il bove)<br />

Dai calici aperti si esala<br />

l’odore di fragole rosse. sfera ______ ( ____ ) + sfera ______ ( ____ )<br />

(Pascoli, Il gelsomino)<br />

111


112 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

12.5. Metonimia<br />

… porgea gli orecchi al suon della tua voce,<br />

ed alla man veloce<br />

che percorrea la faticosa tela.<br />

(Leopardi, A Silvia)<br />

In questo esempio, la faticosa tela sta per “faticoso lavoro”: dunque il poeta usa un termine<br />

concreto (tela) per indicare l’astratto (lavoro).<br />

La metonimia consiste nella sostituzione di un termine con un altro, che possono avere<br />

tra di loro uno dei seguenti ra<strong>pp</strong>orti:<br />

- la causa per l’effetto / l’effetto per la causa;<br />

- la materia per l’oggetto;<br />

- il contenente per il contenuto;<br />

- lo strumento al posto della persona;<br />

- l’astratto per il concreto / il concreto per l’astratto;<br />

- il simbolo per la cosa simbolizzata.<br />

Esempi:<br />

… s’accendon le finestre ad una ad una (le finestre sono la causa per<br />

come tanti teatri. illuminate) l’effetto<br />

(Cardarelli, Sera di Liguria)<br />

assursero in fretta dai blandi riposi,<br />

chiamati repente da squillo guerrier. (tromba) l’effetto per la<br />

(Manzoni, Adelchi, atto terzo, coro) causa<br />

Lingua mortal non dice (un uomo) lo strumento al<br />

quel ch’io sentiva in seno. posto della persona<br />

(Leopardi, A Silvia)<br />

… e intanto vola<br />

il caro tempo giovanil; più caro<br />

che la fama e l’allor,… (gloria poetica) il simbolo per la cosa<br />

(Leopardi, Le ricordanze) simbolizzata<br />

La metonimia oggi: leggere Tolkien (l’autore per l’opera); bere un Martini (il produttore<br />

per il prodotto); bere un bicchiere (il contenente per il contenuto); andare in San Pietro (il<br />

patrono per la chiesa); non ha cuore (il fisico per il morale); avere molte amicizie (l’astratto<br />

per il concreto). Tante le metonimie del simbolo per la cosa simboleggiata: armi per<br />

“guerra”, e delle divise per designare chi le indossa: bianconeri per “giocatori della<br />

Juventus”. Da aggiungere le denominazioni delle sedi per le istituzioni o gli organi di<br />

governo: il Vaticano, Palazzo Chigi, la Casa Bianca.


Laboratorio<br />

1<br />

Il metodo<br />

Completate le seguenti metonimie, segnalando il tipo di sostituzione:<br />

Mentre Rinaldo così parla, fende<br />

con tanta fretta il suttil legno l’onde, (barca) _________________<br />

(Ariosto, Orlando furioso, canto XLIII)<br />

ma per le vie del borgo<br />

dal ribollir de’ tini (dal mosto che bolle nei tini) _________________<br />

va l’aspro odor de i vini<br />

l’anime a rallegrar.<br />

(G. Carducci, San Martino)<br />

Tutta vestita a festa<br />

la gioventù del loco (i giovani) _________________<br />

lascia le case, e per le vie si spande;<br />

(G. Leopardi, Il passero solitario)<br />

113


114 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

12.6. Sineddoche<br />

E quando la fatal prora d’Enea<br />

per tanto mar la foce tua cercò,…<br />

(Carducci, Agli amici della Valle Tiberina)<br />

Qui Carducci indica la nave, nominandone solo una parte: la prora.<br />

Come la metonimia, la sineddoche è una figura di sostituzione. Ma a differenza della<br />

metonimia, il ra<strong>pp</strong>orto che sta alla base della sineddoche è esclusivamente di quantità.<br />

Si ha una metonimia quando si usa:<br />

- la parte per il tutto / il tutto per la parte;<br />

- il genere per la specie / la specie per il genere;<br />

- il singolare per il plurale / il plurale per il singolare.<br />

Esempi:<br />

…E quando ti corteggian liete<br />

le nubi estive e i zeffiri sereni,… (i venti) la specie per il genere<br />

(Foscolo, Alla sera)<br />

… onde non tacque<br />

le tue limpide nubi e le tue fronde<br />

l’inclito verso di colui che l’acque… (versi) il singolare per il plurale<br />

(Foscolo, A Zacinto)<br />

La sineddoche oggi: i senza-tetto (per “casa”, la parte per il tutto); “dacci oggi il nostro<br />

pane quotidiano” (per “cibo”, la specie per il genere); lo straniero per “gli stranieri” (il<br />

singolare per il plurale).<br />

Laboratorio<br />

1<br />

Completate la relazione su cui si basa la sineddoche:<br />

Sotto l’ali dormono i nidi, (gli uccellini) ________________<br />

come gli occhi sotto le ciglia.<br />

(Pascoli, Il gelsomino notturno)<br />

O sacrosante Vergini, se fami, (fame) _________________<br />

freddi o vigilie mai per voi soffersi, ( _____ ) _________________<br />

cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami.<br />

(Dante, Purgatorio XXIX)<br />

- O animal grazioso e benigno (persona) _________________<br />

che visitando vai per l’aer perso<br />

noi che tignemmo il mondo di sanguigno:…<br />

(Dante, Inferno XXIX)


12.7. Altre figure retoriche<br />

■ PERIFRASI o CIRCONLOCUZIONE<br />

e quella parte onde prima è preso<br />

nostro alimento, a l’un di lor trafisse<br />

(Dante, Inferno XXV)<br />

Il metodo<br />

Dante utilizza un verso e mezzo per indicare una parte del corpo umano, l’ombelico.<br />

La perifrasi è “un giro di parole” che sostituisce un unico termine definendolo o parafrasandolo.<br />

Esempi:<br />

in corso velocissimo se ’n vanno<br />

là ’ve Cristo soffrì mortale affanno. (Gerusalemme)<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto I)<br />

l’amor che move il sole e l’altre stelle (Dio)<br />

(Dante, Paradiso XXXIII)<br />

Ma lasciamolo andar dove lo manda<br />

il nudo arcier che l’ha nel cor ferito. (l’amore)<br />

(Ariosto, Orlando furioso, canto CIX)<br />

La perifrasi oggi: viene usata per nobilitare alcuni lavori un tempo disprezzati: così con<br />

“operatore ecologico” si indica il netturbino (o quello che si chiamava “spazzino”).<br />

Ricorre spesso nelle formule burocratiche: “Le esprimo i sensi della più profonda gratitudine”<br />

significa un semplice “grazie”.<br />

Laboratorio<br />

1<br />

Indicate l’oggetto della perifrasi segnalata in corsivo:<br />

Giova guarire? Giova che si viva?<br />

O meglio giova l’Ospite furtiva ( _____ )<br />

che ci affranca dal Tempo e dallo Spazio?<br />

(Gozzano, La signorina Felicita)<br />

Questo che a notte balugina<br />

nella calotta del mio pensiero... ( _____ )<br />

(Montale, Piccolo testamento)<br />

... nui<br />

chiniam la fronte al Massimo<br />

Fattor, che volle in lui... ( _____ )<br />

(Manzoni, Il Cinque Maggio)<br />

115


116 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

■ IPERBOLE<br />

- O frati, - dissi, - che per centomila<br />

perigli siete giunti all’occidente<br />

(Dante, Inferno XXVI)<br />

In questi versi danteschi è riportato il discorso con cui Ulisse convinse i suoi compagni a<br />

un’impresa mai tentata prima. Per meglio persuaderli egli utilizza l’iperbole centomila<br />

perigli, dove il numero di centomila non è da interpretarsi letteralmente, ma sta ad indicare<br />

un numero elevatissimo.<br />

L’iperbole consiste nell’esagerare o ridurre, oltre i limiti normali, la qualità di una persona,<br />

di un animale, di una cosa o di un’idea.<br />

Esempi:<br />

Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)<br />

di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto XII)<br />

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale<br />

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.<br />

(Montale, Satura, Xenia II)<br />

Come sei più lontana della luna,<br />

ora che sale il giorno<br />

e sulle pietre batte il piede dei cavalli!<br />

(Quasimodo, Ora che sale il giorno)<br />

L’iperbole oggi: mi piace da morire; scrivimi due righe; non ha un briciolo di cervello<br />

(con metonimia “cervello”: il concreto per l’astratto); essere accecato dalla rabbia; non<br />

vedere al di là del proprio naso; bere un goccio d’acqua.<br />

■ CLIMAX<br />

O mia stella, o fortuna, o fato, o morte,<br />

o per me sempre dolce giorno e crudo, ...<br />

(Petrarca, Canzoniere CCXCVIII)<br />

Il poeta crea una gradazione tra diversi concetti di destino: dal più immediato e “umano”<br />

(stella: “avere una buona stella”, ecc.) a quelli più divini (fortuna, fato) e fatali (morte).<br />

La climax consiste nell’ordinare i concetti in modo che dall’uno si passi all’altro come<br />

per gradi.<br />

Quando Orion dal cielo<br />

declinando imperversa;<br />

e pioggia e nevi e gelo<br />

sopra la terra ottenebrata versa, [...]<br />

(Parini, La caduta)


Il metodo<br />

In questi versi si passa dal concetto più “piccolo” al più “grande”: gelo è più di neve,<br />

che a sua volta è più di pioggia.<br />

Altri esempi:<br />

Vecchierel bianco, infermo,<br />

mezzo vestito e scalzo,<br />

con gravissimo fascio in su le spalle,<br />

per montagna e per valle,<br />

per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,<br />

al vento, alla tempesta, e quando avvampa<br />

l’ora, e quando poi gela,<br />

corre via, corre, anela,<br />

varca torrenti e stagni,<br />

cade, risorge, e più e più s’affretta,<br />

senza posa o ristoro,<br />

lacero, sanguinoso, [...]<br />

(Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia)<br />

Non cala il ferro mai, ch’a pien non colga,<br />

né coglie a pien, che piaga anco non faccia,<br />

né piaga fa, che l’alma altrui non tolga;<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto IX)<br />

Già il mostro, conscio di sua metallica<br />

anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei<br />

occhi sbarra; ...<br />

(Carducci, Alla stazione in una mattina d’autunno)<br />

Palpita, sale,<br />

si gonfia, s’incurva,<br />

s’alluma, propende.<br />

(D’Annunzio, L’onda)<br />

■ ANAFORA<br />

S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo;<br />

s’i’ fosse vento, lo tempesterei;<br />

s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;<br />

s’i’ fosse Dio, mandereil’ en profondo; ...<br />

(Cecco Angiolieri, S’i’ fosse foco)<br />

L’anafora consiste nella ripetizione di una o più parola all’inizio di due o più versi.<br />

Esempi:<br />

Per me si va ne la città dolente,<br />

per me si va ne l’etterno dolore,<br />

117


118 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

per me si va tra la perduta gente.<br />

(Dante, Inferno III)<br />

Figlio, l’alma t’è ’scita,<br />

figlio de la smarrita,<br />

figlio de la sparita,<br />

figlio attossecato<br />

(Jacopone da Todi, Laude)<br />

■ ANTITESI<br />

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.<br />

(E. Montale, Satura, Xenia II)<br />

In questi versi il viaggio (metafora della vita del poeta) è descritto con gli aggettivi breve<br />

e lungo.<br />

L’antitesi consiste nella contra<strong>pp</strong>osizione di idee espressa mettendo in corrispondenza<br />

parole di significato o<strong>pp</strong>osto.<br />

Su questa figura retorica alcuni autori costruiscono intere poesie, come l’esempio seguente<br />

tratto dal Canzoniere di Petrarca:<br />

Pace non trovo, et non ò da far guerra;<br />

e temo et spero; et ardo, et son un ghiaccio;<br />

et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra<br />

(Petrarca, Canzoniere CXXXIV)<br />

o come in questo di Dante, dove ci sono tre antitesi consecutive:<br />

- Vergine Madre, figlia del tuo figlio,<br />

umile e alta più che creatura<br />

(Dante, Paradiso XXXIII)<br />

■ OSSIMORO<br />

Sentia nell’inno la dolcezza amara<br />

de’ canti uditi da fanciullo; ...<br />

(Giusti, Sant’Ambrogio)<br />

L’espressione dolcezza amara è ottenuta mediante l’accostamento di due parole che indicano<br />

l’una il contrario dell’altra.<br />

L’ossimoro è una figura retorica simile all’antitesi, e consiste nel giusta<strong>pp</strong>orre due termini<br />

di significato o<strong>pp</strong>osto, da cui risultano binomi che solitamente sono composti da:<br />

- sostantivo + aggettivo:


Figure di Neumi elle sono<br />

in questa concordia discorde.<br />

(D’Annunzio, Undulna)<br />

- verbo + sostantivo:<br />

Cessate d’uccidere i morti<br />

(Ungaretti, Non gridate più)<br />

- aggettivo + avverbio:<br />

Ma il fanciullo Rinaldo e sovra questi<br />

e sovra quanti in mostra eran condutti,<br />

dolcemente feroce alzar vedresti<br />

la regal fronte, e in lui mirar sol tutti.<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto I)<br />

■ CHIASMO<br />

Immota e come attonita ste’ alquanto;<br />

poi sciolse al duol la lingua, e gli occhi al pianto.<br />

(Ariosto, Orlando furioso, canto VIII)<br />

Il metodo<br />

Potremmo schematizzare le parti di verso segnalate in corsivo e sottolineate con AB BA,<br />

dove A sta per i termini astratti (duol, pianto) e B per quelli concreti (la lingua, gli occhi),<br />

o<strong>pp</strong>ure attraverso una croce:<br />

duol la lingua<br />

gli occhi al pianto<br />

Il chiasmo consiste nel disporre in modo incrociato, secondo la forma della lettera greca<br />

χ (chi), due termini o due frasi.<br />

I tipi di chiasmo sono essenzialmente due:<br />

- quando le espressioni che lo compongono si corrispondono per la struttura grammaticale:<br />

Quell’uno e due e tre che sempre vive<br />

e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno, ...<br />

(Dante, Paradiso XIV)<br />

119


120 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Fuggì tutta la notte e tutto il giorno<br />

errò senza consiglio e senza guida,<br />

non udendo o vedendo altro d’intorno,<br />

che le lagrime sue, che le sue strida.<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto VII)<br />

- quando la corrispondenza avviene per significato:<br />

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,<br />

le cortesie, l’audaci imprese io canto<br />

(Ariosto, Orlando furioso, canto I)<br />

ingiusto fece me contra me giusto<br />

(Dante, Inferno XIII)<br />

Il chiasmo oggi: un chiasmo pubblicitario è Profumo Antico Nuovo Pulito.<br />

■ PERSONIFICAZIONE<br />

Febbraio è sbarazzino.<br />

…<br />

Questo mese è un ragazzo<br />

fastidioso, irritante,<br />

che mette a soqquadro la casa, …<br />

(Cardarelli, Febbraio)<br />

In questa poesia il mese di febbraio è visto come un ragazzo, e il poeta gli attribuisce un<br />

tipo di comportamento giovanile: fastidioso, irritante.<br />

Come suggerisce il nome, la personificazione consiste nell’attribuire a cose e ad animali<br />

azioni o sentimenti umani: ovvero nel renderli “persone” attraverso le caratteristiche<br />

loro attribuite.<br />

Ad esempio, nell’Iliade vediamo cavalli che piangono:<br />

D’Achille i cavalli intanto, veduto<br />

il loro auriga dalla lancia di Ettore<br />

nella polvere abbattuto, lontano<br />

dalla battaglia erano là piangenti.<br />

(Omero, Iliade Libro XVII, traduzione di Lorenzo De Ninis)<br />

Altri esempi:<br />

… e da le aurate volte<br />

a lei impietosita eco rispose…<br />

(Parini, Il giorno)<br />

Là, presso le allegre ranelle,<br />

singhiozza monotono un rivo.


(Pascoli, La mia sera)<br />

Da un pezzo si tacquero i gridi:<br />

là sola una casa bisbiglia.<br />

(Pascoli, Il gelsomino notturno)<br />

È giù nel<br />

cortile<br />

la povera<br />

fontana<br />

malata,<br />

che spasimo<br />

sentirla<br />

tossire!<br />

Tossisce,<br />

tossisce,<br />

un poco<br />

si tace,<br />

di nuovo<br />

tossisce.<br />

Mia povera<br />

fontana,<br />

il male<br />

che ài<br />

il core<br />

mi preme.<br />

(Palazzeschi, La fontana malata)<br />

Vanno a sera a dormire dietro i monti<br />

le nuvolette stanche.<br />

(Saba, Favoletta)<br />

■ ALLITTERAZIONE<br />

e caddi come corpo morto cade.<br />

(Dante, Inferno V)<br />

Il metodo<br />

In questo verso dantesco, due sono i suoni ripetuti con grande insistenza: /c/ e /o/.<br />

L’allitterazione consiste nel ripetere le stesse lettere (vocale, consonante o sillaba) all’inizio,<br />

ma anche all’interno di due o più parole successive legate dal senso.<br />

Per estensione, consiste nella ripetizione di suoni in qualsiasi posizione, vicini tra loro<br />

quanto basta per essere avvertiti facilmente nella loro sequenza.<br />

tra fresco mormorio d’alberi e fiori<br />

(Carducci, Visione)<br />

Lenta e rosata sale su dal mare<br />

la sera di Liguria,…<br />

(Cardarelli, Sera di Liguria)<br />

121


122 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Viene il freddo. Giri per dirlo<br />

tu, sgricciolo, intorno le siepi;<br />

e sentire fai nel tuo zirlo<br />

lo strido di gelo che crepi.<br />

(Pascoli, L’uccellino del freddo)<br />

Col mare<br />

mi sono fatto<br />

una bara<br />

di freschezza.<br />

(Ungaretti, Universo)<br />

Di tutto quel cupo tumulto,<br />

di tutta quell’aspra bufera,<br />

non resta che un dolce singulto<br />

nell’umida sera.<br />

(Pascoli, La mia sera)<br />

■ ONOMATOPEA<br />

Sciacqua, sciaborda,<br />

scroscia, schiocca, schianta,<br />

romba, ride, canta,…<br />

(D’Annunzio, L’onda)<br />

In questi versi, attraverso un’accurata scelta e un accostamento efficace dei vocaboli, il<br />

poeta riesce a riprodurre il rumore dell’acqua.<br />

L’onomatopea consiste nella composizione di parole che cercano di imitare e riprodurre<br />

un suono, un rumore o la voce degli animali.<br />

Esempi:<br />

A tutte l’ore gettate all’aria,<br />

chi di tra i solchi, chi di sui rami,<br />

la vostra voce stridula e varia,<br />

chi, che ripeta, chi, che richiami.<br />

(Pascoli, Primo canto)<br />

Le vele le vele le vele<br />

che schioccano e frustano al vento<br />

(Campana, Barche amarrate)


Laboratorio<br />

ESEMPIO DI ANALISI RETORICA<br />

Il metodo<br />

L’analisi retorica di un testo poetico può sembrare un esercizio arido, e in parte lo è.<br />

Tuttavia ci fa “entrare” nel testo, di cui ci rivela alcuni meccanismi base. Insomma ci<br />

rende lettori più consapevoli.<br />

Prendiamo un’ottava della Gerusalemme liberata del Tasso e proviamo a rintracciare tutte<br />

le figure retoriche.<br />

Vinta da l’ira è la ragione e l’arte<br />

e le forze il furor ministra e cresce.<br />

Sempre che scende il ferro o fora o parte<br />

o piastra o maglia, e colpo in van non esce.<br />

Sparsa è d’arme la terra e l’arme sparte<br />

di sangue, e ’l sangue co ’l sudor si mesce.<br />

Lampo nel fiammeggiar, nel romor tuono,<br />

fulmini nel ferir le spade sono.<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto VI, ottava 48)<br />

Principali figure retoriche:<br />

- Personificazione: «il furor» (v. 2) è come una persona che amministra, distribuisce e<br />

accresce le forze e l’ingegno del cavaliere.<br />

- Sineddoche: «il ferro» sta per la spada, secondo il ra<strong>pp</strong>orto “la parte per il tutto”.<br />

- Metafora: le spade, nella battaglia, sono descritte come «lampo», «tuono» e «fulmini»,<br />

gli elementi caratteristici di una tempesta. Inoltre, la successione di questi tre termini<br />

forma una climax.<br />

- Chiasmo: al v. 5 troviamo la disposizione incrociata del chiasmo: «Sparsa è d’arme la<br />

terra e l’arme sparte».<br />

Altre figure retoriche:<br />

- Polisindeto, ovvero il collegamento di vari termini mediante ripetute congiunzioni: «o<br />

..., o ..., o ..., o ...» (vv. 3-4).<br />

- Poliptoto, ovvero la ripetizione di un vocabolo in forme o funzioni grammaticali diverse:<br />

«sparsa» e «sparte» (v. 5).<br />

- Iperbato, cioè il separare due parole che dovrebbero stare insieme, interponendovi altri<br />

elementi, al v. 5: «Sparsa è d’arme la terra».<br />

- Anastrofe, cioè l’inversione dell’ordine naturale o abituale delle parole all’interno di un<br />

verso:«fulmini nel ferir le spade sono», dove il verbo viene posto alla fine della frase.<br />

123


124 <strong>Canone</strong> <strong>Occ</strong>identale - La poesia<br />

Esercizio 1<br />

Resta Goffredo a i detti, a lo splendore,<br />

d’occhi abbagliato, attonito di core.<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto I)<br />

In questi due versi sono presenti:<br />

- un chiasmo: __________________________________<br />

- un’allitterazione: __________________________________<br />

Esercizio 2<br />

Là dove più mi dolse, altri si dole,<br />

e dolendo adolcisce il mio dolore; [...]<br />

(Petrarca, Canzoniere CV)<br />

Quale figura retorica è contenuta nell’espressione dolendo addolcisce?<br />

■■ sinestesia<br />

■■ ossimoro<br />

■■ iperbole<br />

Esercizio 3<br />

O, tinta d’un lieve rossore,<br />

casina che sorridi al sole!<br />

(Pascoli, In viaggio)<br />

Individuate all’interno dei versi le seguenti figure retoriche:<br />

- sinestesia: ____________________________<br />

- personificazione: ____________________________<br />

Esercizio 4<br />

Tu fiore non retto da stelo,<br />

tu luce non nata da fuoco,<br />

tu simile a stella nel cielo;<br />

(Pascoli, Il sogno della vergine)<br />

Riconoscete la similitudine e la metafora contenute nei versi:<br />

- similitudine: ____________________________<br />

- metafora: ____________________________


Esercizio 4<br />

Tu, magnanimo Alfonso, il qual ritogli<br />

al furor di fortuna e guidi in porto<br />

me peregrino errante e fra gli scogli<br />

e fra l’onde agitato e quasi absorto,<br />

queste mie carte in lieta fronte accogli,<br />

che quasi in voto a te sacrata i’ porto.<br />

Forse un dì fia che la presaga penna<br />

osi scriver di te quel ch’or n’accenna.<br />

(Tasso, Gerusalemme liberata, canto I, ottava 4)<br />

Il metodo<br />

- In questa ottava è contenuta un’allegoria. Provate a coglierne gli elementi e a spiegarla.<br />

- Altre figure retoriche:<br />

carte sta per _______________<br />

Di che figura retorica si tratta?<br />

–––––––––––––––––––––––––<br />

fronte sta per _______________<br />

ed è:<br />

■■ metonimia<br />

■■ iperbole<br />

■■ perifrasi<br />

<strong>125</strong>

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