tesi su dislessia.pdf
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INTRODUZIONE<br />
La <strong>dislessia</strong> è un disturbo specifico di apprendimento che può verificarsi in ragazzi che<br />
non presentano handicap neurologici o sensoriali e che non vivono in condizioni di<br />
svantaggio sociale.<br />
Dislessia significa disturbo di lettura; non significa disturbo del linguaggio, né si definisce<br />
genericamente una difficoltà ad apprendere. I bambini dislessici hanno problemi con tutto<br />
ciò che riguarda la lingua scritta. Non hanno “problemi d’intelligenza”, né problemi di<br />
socializzazione, almeno fino al momento in cui il confronto scolastico con i coetanei non li<br />
determina.<br />
La difficoltà di lettura, caratteristica specifica del dislessico, può essere più o meno grave e<br />
spesso si accompagna a problemi nella scrittura e/o nel calcolo.<br />
La <strong>dislessia</strong> si manifesta quando un bambino, esposto a normale iter scolastico, non<br />
sviluppa, o sviluppa in maniera molto incompleta o con gravi difficoltà, la capacità di<br />
identificare in modo automatico la parola scritta.<br />
Questo disturbo è provocato da piccole alterazioni dell’apparato neurobiologico che<br />
usiamo per leggere i segni scritti. Pur essendo invisibili, minuscole, e con effetti a volte<br />
reversibili, tali alterazioni determinano difficoltà consistenti in una fase importante della vita<br />
di un bambino quale è la scolarizzazione.<br />
Le difficoltà di lettura del dislessico permangono dopo la prima fase di acquisizione e si<br />
manifestano in un difficile rapporto con il testo scritto e la <strong>su</strong>a decodifica. Per leggere e<br />
scrivere, i dislessici impegnano al massimo le loro energie raggiungendo però scarsi<br />
ri<strong>su</strong>ltati. Saltano le righe, sbagliano a scrivere le doppie e dimenticano le lettere perché<br />
faticano a riconoscere l’ortografia della lingua italiana (per gli inglesi l’apprendimento della<br />
propria lingua scritta ri<strong>su</strong>lta ancora più difficile per l’irregolarità del sistema di scrittura).
Un’altra caratteristica della <strong>dislessia</strong> è la sostituzione, in lettura e scrittura, di lettere con<br />
grafia simile; p, b, d, g, q; a/o; e/o; o <strong>su</strong>oni simili: t/d; r/l; d/b; v/f; e altre non prevedibili:“ Il<br />
bambino commetteva errori strani: non staccava le parole o le staccava in modo anomalo,<br />
aveva problemi con le “acca”, non rispettava le doppie, non sapeva andare a capo;<br />
confondeva “gli” e “gni”. La lettura era stentata, soprattutto mi colpiva la cronica<br />
confusione fra “a” ed “e”, della quale non sapevo darmi una spiegazione, ma nelle prove<br />
orali il rendimento era molto buono. (…) Mio figlio peraltro era ben inserito nella classe,<br />
non si mostrava svogliato, anzi era motivato e mi sembrava avesse delle aspettative <strong>su</strong> di<br />
sé.” 1<br />
Molti dislessici hanno difficoltà ad imparare l’ordine alfabetico, i giorni della settimana e i<br />
mesi in ordine; presentano difficoltà nell’espressione verbale del pensiero, hanno un<br />
lessico povero e non memorizzano i termini difficili. Inoltre non riconoscono le<br />
caratteristiche morfologiche della lingua italiana e quasi sempre le loro prestazioni<br />
grammaticali sono inadeguate.<br />
Moti dislessici sono anche discalculici, ovvero non riescono a imparare le tabelline, fare i<br />
conti in automatico, fare numerazioni regressive, imparare le procedure delle operazioni<br />
aritmetiche.<br />
Tutti i dislessici italiani hanno grosse difficoltà ad apprendere le lingue straniere, in<br />
particolare scritte. La difficoltà maggiore è rappresentata dalla lingua inglese a causa delle<br />
differenze molto accentuate tra la scrittura e la pronuncia delle lettere e tra la pronuncia e<br />
la scrittura di una stessa lettera in parole diverse.<br />
Esistono diversi tipi di <strong>dislessia</strong>, ma la natura comune del disturbo è la difficoltà di<br />
decodificare un testo scritto.<br />
1 “Storie di <strong>dislessia</strong>” Giacomo Stella ed. Libri liberi (A. I. D.)<br />
2
La <strong>dislessia</strong> non è né una malattia né un handicap. Dal punto di vista scientifico la<br />
<strong>dislessia</strong> evolutiva 2 è un disturbo ben riconosciuto, di cui sono note sia le basi biologiche,<br />
sia le metodiche cliniche per diagnosticarlo in modo preciso. Sul piano pratico, però, molti<br />
problemi derivano dal fatto che non vi siano segni premonitori e che, quando il disturbo di<br />
lettura si manifesta, non vi sono segni fisici che consentano di differenziare il<br />
comportamento del dislessico da quello di bambini che mostrano il rifiuto della<br />
scolarizzazione.<br />
Infatti la <strong>dislessia</strong> è un disturbo neurofunzionale, di origine costituzionale, in persone sane<br />
a livello intellettivo, neurologico e sensoriale.<br />
Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche ha permesso di stabilire che si tratta di una<br />
caratteristica costituzionale, determinata biologicamente e non dovuta a problemi<br />
psicologici o di disagio socio-culturale. E’ facile comprendere come in una cultura come la<br />
nostra, così fortemente legata alla scrittura, questo problema incida pesantemente<br />
condizionando la vita scolastica e in seguito la vita professionale.<br />
Molti di questi ragazzi non sono riconosciuti come dislessici e non ottengono alcuna<br />
facilitazione o adattamento della didattica che permetta loro di avere opportunità di<br />
apprendimento.<br />
Il mancato riconoscimento della <strong>dislessia</strong> ha importanti conseguenze psicologiche,<br />
determina spesso l’abbandono della scuola e talvolta un futuro professionale di basso<br />
livello nonostante le potenzialità di creatività e di intelligenza che questi ragazzi<br />
manifestano; inoltre influisce negativamente <strong>su</strong>llo sviluppo della personalità e<br />
compromette un adattamento sociale equilibrato.<br />
Non ci sono menomazioni evidenti, ma il bambino dislessico si sente comunque frustrato e<br />
inadeguato. E’ un circolo vizioso: si crede poco intelligente, perde autostima, si impegna<br />
meno e riesce sempre peggio.<br />
2 viene chiamata così la forma congenita del disturbo, che di solito si presenta nei bambini<br />
3
Dunque dislessici si nasce.<br />
Ma quali sono le cause? Un’ipo<strong>tesi</strong> parla di deficit del sistema fonologico, che dipende<br />
dalle aree cerebrali deputate al linguaggio; un’altra chiama in causa il sistema del cervello<br />
che elabora le informazioni in movimento; un’altra ancora considera gli aspetti cerebrale,<br />
fonetico, visivo, massivo (Uta Frith, Rasmus).<br />
Nei capitoli che seguono analizzerò nei dettagli queste ed altre ipo<strong>tesi</strong>.<br />
4
CAPITOLO I<br />
Le caratteristiche del dislessico<br />
“Perché questo bambino non sa leggere?” “Perché scrive così male?”<br />
“Perché non memorizza le tabelline?” “Perché appare così confuso?”<br />
La definizione della <strong>dislessia</strong> evidenzia innanzi tutto il fatto che fra i molti bambini che<br />
trovano difficoltà nell’apprendere a leggere e a scrivere, solo una piccola percentuale è<br />
dislessica.<br />
Alcuni bambini come i sordi o i portatori di handicap psichico, presentano problemi di<br />
lettura uniti ad altri tipi di difficoltà di apprendimento. Altri bambini, invece, arrivano alla<br />
scuola elementare con lacune nell’area percettiva da attribuire al non uso o al cattivo uso<br />
delle abilità di base: poco movimento, impacci psicomotori, scarsa attitudine al ritmo, alla<br />
segmentazione della parola in sillabe, limitata competenza linguistica di origine<br />
socioambientale, in<strong>su</strong>fficiente attitudine all’analisi del linguaggio e al <strong>su</strong>o uso, carenza di<br />
stimolazioni.<br />
Il dislessico è invece, in genere, un bambino dotato di un’intelligenza vivace e curiosa che<br />
si esprime con disinvoltura usando un linguaggio ben strutturato. Cambia completamente<br />
atteggiamento di fronte a un testo scritto: si agita, è pervaso da uno stato d’ansia, diviene<br />
insicuro. La sfiducia in sé accentua le difficoltà di comprensione e nello stesso tempo lo<br />
distacca dal proprio gruppo classe.<br />
Laddove la scoperta della lettura e della scrittura per la maggioranza dei bambini<br />
costituisce spesso una nuova occasione di relazione con gli adulti e con i familiari, per i<br />
bambini con difficoltà di apprendimento diviene “un incubo” , un’esperienza negativa che<br />
spesso segna in modo irreversibile tutto il <strong>su</strong>ccessivo percorso scolastico.<br />
5
Per un dislessico, l’impatto iniziale con il sistema scritto è molto difficile, in quanto la lettura<br />
di una parola, che noi concepiamo come un compito unico e semplice, in realtà è il<br />
ri<strong>su</strong>ltato di tante singole attività che devono essere affrontate simultaneamente o<br />
comunque integrate in rapida <strong>su</strong>ccessione: identificazione delle lettere, riconoscimento del<br />
valore sonoro convenzionale, mantenimento della sequenza di presentazione,<br />
rappresentazione fonologica delle parole, coinvolgimento del lessico per il riconoscimento<br />
del significato. Nel dislessico la difficoltà può presentarsi solo in una di queste attività o<br />
anche in più di una e altresì appare evidente come la <strong>su</strong>a capacità di lettura e scrittura<br />
ri<strong>su</strong>lta significativamente inferiore rispetto alla <strong>su</strong>a vivacità intellettiva.<br />
Nel leggere, il bambino dislessico, compie elisioni, sostituzioni, inversioni di fonemi ( “in”<br />
diventa “ni”; “il” diventa “li” ), confonde i <strong>su</strong>oni omologhi, cioè quei <strong>su</strong>oni che definizione<br />
“Mio figlio, nel corso della prima elementare, manifestò difficoltà nel leggere e nello<br />
scrivere. In seconda i problemi si aggravarono: capovolgeva tutti i numeri, invertiva le<br />
lettere, confondeva i <strong>su</strong>oni simili, leggeva fermandosi a decifrare parole nel punto<br />
sbagliato della frase.” 3<br />
“Il bambino non riusciva a copiare quei segni chiamati lettere e numeri, non riusciva a<br />
riprodurli in modo adeguato: ne saltava qualcuno, ne vedeva diverso qualcun altro, era<br />
lento, molto lento. E poi com’era che lo stesso <strong>su</strong>ono si scriveva in quattro modi diversi?<br />
Stampato maiuscolo, stampato minuscolo, corsivo maiuscolo, corsivo minuscolo; proprio<br />
non capiva e non memorizzava.” 4<br />
Nell’esecuzione di un compito che per lui è troppo complesso il bambino as<strong>su</strong>me<br />
atteggiamenti e posture anomali per cui viene frequentemente rimproverato, “accusato” di<br />
essere pigro o sbadato, immaturo e di “non impegnarsi abbastanza.”<br />
3<br />
“Storie di <strong>dislessia</strong>” G. Stella ed. Libri Liberi (A.I.D.) pag. 19<br />
4<br />
ibidem p. 44<br />
6
L’invisibilità dell’alterazione che dà luogo alle difficoltà di lettura, determina la scarsa<br />
tendenza a riconoscerla come disabilità ed è la causa principale della confusione tra<br />
mancanza d’impegno e reale difficoltà di decodifica dei segni scritti da parte del bambino.<br />
Il bambino affetto da <strong>dislessia</strong> all’inizio è frustrato e indispettito da queste accuse che<br />
trova ingiuste, ma non ha strumenti per contrastarne il fondamento, <strong>su</strong>bentra, quindi, un<br />
sentimento d’inadeguatezza globale, dovuto alle difficoltà sperimentate in tanti ambiti del<br />
lavoro scolastico e alla frequenza delle frustrazioni.<br />
La convinzione di non essere intelligente come gli altri è molto diffusa e provoca un<br />
abbassamento della stima personale (o di sé?), e di conseguenza una riduzione<br />
dell’impegno.<br />
Il dislessico, soprattutto nel periodo adolescenziale, ha spesso paura di non essere in<br />
grado, di non farcela, di fronte a nuove attività che gli vengono proposte. Questa paura è<br />
il frutto dell’incapacità di rendersi conto degli errori che fa e quindi della necessità di<br />
ricorrere all’aiuto e sottoporsi al giudizio degli altri per verificare il proprio lavoro.<br />
Nello specifico, le difficoltà del dislessico sono legate a problemi specifici di<br />
automatizzazione e velocizzazione del processo di lettura. Il soggetto non trova difficoltà<br />
particolarmente gravi nel linguaggio orale, ma nei compiti legati alla lingua scritta, sia<br />
relativi alla decodifica, sia relativi alla comprensione e all’espressione.<br />
I dislessici dimostrano una particolare lentezza nella ricostruzione dei significati, a mano a<br />
mano che aumenta la complessità e la lunghezza del brano da leggere. Solo se guidati<br />
riescono a cogliere il valore e gli scopi del linguaggio come mezzo di comunicazione di<br />
idee diverse, poiché mancano loro le capacità di cogliere il significato della parola<br />
indipendentemente dal contesto in cui è inserita.<br />
7
Ciò che sembra inficiare lo studio e disincentivarne la pratica, sono i tempi lunghi di lettura<br />
e il dispendio di energia attentiva per controllare e correggere gli errori di decodifica; per<br />
questo il bambino dislessico evolutivo non accede a conoscenze che, dal punto di vista<br />
concettuale, potrebbe benissimo assimilare. Inoltre la mancata abitudine a frequentare il<br />
testo scritto gli impedisce di raffinare i metodi attraverso i quali si apprende.<br />
1.1 Difficoltà scolastiche e disturbi specifici dell’apprendimento<br />
Le dimensioni del disagio scolastico sono da molti anni oggetto delle valutazioni più<br />
disparate e divergenti, in conseguenza del fatto che ciascuna ricerca effettuata coglie<br />
aspetti diversi del problema.<br />
Una ricerca condotta nel 1991 5 mise in evidenza due gruppi di soggetti fra i bambini che<br />
manifestano disagio scolastico:<br />
a) coloro che incontrano difficoltà scolastiche in quanto portatori di una disabilità specifica<br />
di apprendimento di natura endogena;<br />
b) coloro che presentano difficoltà scolastiche senza che vi siano evidenze per condizioni<br />
endogene che giustifichino queste difficoltà. In questo caso le difficoltà sono<br />
probabilmente riconducibili a cause ambientali, cioè a fattori che riguardano l’ambiente<br />
educativo e relazionale o quello scolastico in cui il bambino vive.<br />
Questa distinzione è importante poiché fa riflettere <strong>su</strong>l fatto che i bambini che mostrano<br />
difficoltà a scuola non possono essere trattati come “fenomeno unico” e che quindi è<br />
importante cercare di capire da dove nasca il problema evitando di trarre conclusioni.<br />
L’osservazione del bambino che evidenzia qualche difficoltà inattesa nell’acquisizione<br />
della letto-scrittura deve essere condotta con verifiche appropriate, sistematiche e<br />
5<br />
fonte G. Stella “In classe con un allievo con disordini dell’apprendimento”, Milano, Fabbri 2001 da “La <strong>dislessia</strong>” G.<br />
Stella Il Mulino 2004<br />
8
periodiche, poiché vi sono fattori linguistici che influenzano in mi<strong>su</strong>ra molto consistente la<br />
possibilità di leggere e riconoscere una parola.<br />
La frequenza d’uso di una parola nel lessico infantile e il <strong>su</strong>o valore d’immagine (cioè il<br />
grado di concretezza) sono molto importanti, per cui a parità di lunghezza e di complessità<br />
ortografica, è più facile leggere una parola frequente e facilmente immaginabile come<br />
“cane”, rispetto alla parola poco frequente e molto astratta “pena”. Anche se entrambe<br />
sono costituite da quattro lettere, la difficoltà di rappresentazione mentale della parola<br />
“pena” e la <strong>su</strong>a assenza nel lessico dei bambini ne rendono difficile il riconoscimento.<br />
Un altro fattore importante è la lunghezza della parola. E’ molto più facile leggere la parola<br />
“cane”, piuttosto che la parola “albero”, a causa del maggior numero di lettere da leggere e<br />
da convertire in <strong>su</strong>oni. Inoltre è tanto più difficile ricostruire una parola attraverso la fusione<br />
di <strong>su</strong>oni singoli disposti in sequenza, quanto maggiore è il numero di <strong>su</strong>oni da considerare.<br />
Entrambe le parole sono ad alta frequenza e ad alta immaginabilità, per cui la differenza di<br />
da esaminare e di <strong>su</strong>oni da fondere.<br />
Un altro elemento che interferisce con la facilità di leggere una parola è la complessità<br />
ortografica. La parola “matita” è più facile da leggere della parola “strada”. Pur avendo lo<br />
stesso numero di lettere costituenti, la parola “strada” accosta una serie di <strong>su</strong>oni più difficili<br />
da pronunciare insieme rispetto alla parola “matita”, dove l’alternanza di consonante e<br />
vocale è regolare e facilita certamente la ricostruzione della parola per via sillabica (ma-ti-<br />
ta). Anche se “strada” è composta da due sole sillabe, la <strong>su</strong>a ricostruzione attraverso la<br />
lettura richiede a un principiante maggior impegno, poiché la formazione di una sillaba<br />
complessa è certamente più laboriosa rispetto alla sillaba semplice.<br />
Un bambino che ha difficoltà di acquisizione della lettura si eserciterà più facilmente e con<br />
maggior profitto se deve leggere parole semplici, brevi, frequenti e immaginabili, piuttosto<br />
che parole complesse e sconosciute. Nel primo caso potrà infatti contare <strong>su</strong>lle <strong>su</strong>e<br />
9
conoscenze lessicali per compensare le difficoltà di decifrazione o di fusione dei <strong>su</strong>oni,<br />
mentre nel secondo caso troverà ulteriori ostacoli.<br />
Un altro fattore di complessità è costituito dall’impiego di diversi tipi di carattere per<br />
rappresentare le lettere. La maggior parte dei bambini non incontra difficoltà ad<br />
apprendere corrispondenze multiple, ma i dislessici, che hanno bisogno di grande stabilità<br />
per imparare le corrispondenze tra i segni e i <strong>su</strong>oni, incontrano molti ostacoli dalla<br />
presentazione simultanea di caratteri diversi usati per rappresentare graficamente lo<br />
stesso <strong>su</strong>ono. I dislessici, quindi, non sono in grado di apprendere il corsivo e riescono<br />
invece a utilizzare con più facilità lo stampatello maiuscolo in quanto più stabile e più facile<br />
da discriminare dal punto di vista percettivo.<br />
Come ho osservato in precedenza, la <strong>dislessia</strong> è un disturbo che ostacola il normale<br />
processo d’interpretazione dei segni grafici con cui si rappresentano per iscritto le parole,<br />
è essenzialmente un difetto di automatizzazione dei processi di decodifica che si esprime<br />
principalmente in due modi: o attraverso lentezza nel riconoscimento delle lettere e nel<br />
processo di conversione in fonemi, o attraverso gli errori di decifrazione.<br />
Viene definita come un “deficit di sviluppo” che ha origine da alterazioni di natura<br />
neurobiologica non rientrante in un quadro psicopatologico.<br />
Alcuni bambini leggono male, ma comprendono ciò che leggono. Questo può creare<br />
confusione <strong>su</strong>l significato dell’espressione “deficit di lettura”. Cosa si intende, allora, per<br />
“deficit”?<br />
Prima di definire il significato di questo termine, o meglio, come viene inteso in riferimento<br />
alla <strong>dislessia</strong>, vorrei introdurre l’argomento “lettura”. Cosa significa “leggere”?<br />
Con il termine “lettura” si intende un’attività che consente di comprendere il contenuto di<br />
un testo scritto. Questa attività è il ri<strong>su</strong>ltato di una serie di processi molto complessi che<br />
comprendono:<br />
- il riconoscimento dei segni dell’ortografia<br />
10
- la conoscenza delle regole di conversione dei segni grafici in <strong>su</strong>ono<br />
- la ricostruzione delle “sequenze di <strong>su</strong>oni” in parole del lessico<br />
- la comprensione del significato delle singole frasi e del testo<br />
La <strong>dislessia</strong> interessa solo alcuni di questi processi, in particolare i primi tre, mentre non<br />
riguarda la fase di comprensione di una frase o di un testo.<br />
I primi tre processi vengono considerati come le fasi di un’unica attività, chiamata attività di<br />
“decodifica” o “transcodifica”, in quanto consente di trasformare il codice scritto in codice<br />
orale, quello che usiamo per esprimerci verbalmente.<br />
Nel lettore esperto è molto difficile distinguere l’attività di decodifica dal processo di<br />
comprensione, poiché, quando un individuo legge un testo ha l’impressione di accedere<br />
direttamente al significato.<br />
L’importanza di questo processo viene messa in evidenza proprio dal dislessico, cioè dal<br />
soggetto che presenta difficoltà nelle attività di decodifica, nell’attività di trasformazione dei<br />
segni dell’ortografia in <strong>su</strong>oni .(che hanno un significato). A questo riguardo è bene<br />
precisare le differenti difficoltà dei diversi sistemi ortografici quali sono l’italiano e l’inglese.<br />
L’ortografia della lingua italiana, grazie all’elevata regolarità nella corrispondenza tra i<br />
<strong>su</strong>oni e i segni, è, a detta degli esperti, una delle più facili da apprendere.<br />
La lingua inglese, invece, ha un’ortografia molto più difficile e irregolare della lingua<br />
italiana. Per esempio, le vocali, struttura portante del nostro sistema fonetico, in inglese<br />
non vengono insegnate in quanto non hanno una pronuncia stabile all’interno della parola;<br />
la lettera “a” si pronuncia in almeno sei modi diversi, a seconda del contesto in cui è<br />
inserita. Nella nostra ortografia, invece, le lettere che non hanno una corrispondenza unica<br />
e fissa con un <strong>su</strong>ono sono molto poche.<br />
La maggior parte delle sillabe e delle lettere ha una corrispondenza univoca con un<br />
determinato <strong>su</strong>ono e queste relazioni possono essere insegnate in modo indipendente.<br />
Esistono alcuni <strong>su</strong>oni che hanno rappresentazioni diverse e che , a seconda del contesto<br />
11
fonologico, vengono indicate con grafemi complessi, cioè formati da più lettere ( come la<br />
/k/: ch o la /g/: gh), ma le eccezioni sono poche e le regole sono stabili. Le vocali sono fra<br />
le lettere con corrispondenza più stabile e, per la loro facilità, costituiscono le prime lettere<br />
che vengono insegnate.<br />
L’ortografia italiana non presenta parole cosiddette “omofone non omografe”, cioè parole<br />
che si scrivono in modo diverso ma che vengono pronunciate nello stesso modo (come ad<br />
esempio per il francese “parle” e “parlent”). Non esistono nemmeno le parole “omografe<br />
non omofone”, cioè quelle che pur essendo scritte in modo uguale si leggono in modo<br />
diverso, che invece si trovano in inglese (ad es. la parola “bass” quando si pronuncia /bas/<br />
significa “sardina”, mentre quando si pronuncia /beis/ significa “basso”).<br />
Quanto più una lingua presenta eccezioni, tanto più è difficile da imparare e tanto più<br />
frequenti ( o tanto maggiore è il numero di sogg.) sono i soggetti che possono incontrare<br />
dei problemi nell’acquisizione. Grazie alla regolarità del sistema ortografico, i bambini<br />
italiani possono imparare a leggere e a scrivere in poco tempo (alla fine della classe prima<br />
elementare, dopo solo nove mesi di esercizio, il novanta per cento dei bambini in età tra i<br />
sei e i sette anni è in grado di leggere agevolmente un libro di narrativa) ed è forse per<br />
questa ragione che l’incidenza della <strong>dislessia</strong> <strong>su</strong>l totale della popolazione è più bassa<br />
rispetto ad altri paesi. 6<br />
L’obiezione a questa considerazione potrebbe consistere nell’affermazione che se la<br />
<strong>dislessia</strong> ha origini neurobiologiche, allora la distribuzione della <strong>dislessia</strong> stessa nella<br />
popolazione dovrebbe essere uniforme in tutti i paesi.<br />
La risposta a tale obiezione, seguendo le indicazioni delle odierne ricerche, sottolinea che<br />
le disabilità non sono solo il ri<strong>su</strong>ltato di una menomazione, o di una peculiarità<br />
dell’organismo, ma anche del loro impatto con l’ambiente. Se l’ambiente è “ostile” anche le<br />
6 l’incidenza della struttura ortografica nei casi di <strong>dislessia</strong> è oggetto dell’attuale ricerca scientifica<br />
12
disabilità lievi verranno messe in evidenza; se l’ambiente è favorevole, allora le disabilità<br />
lievi avranno un’espressività così bassa da scomparire.<br />
Il bambino con <strong>dislessia</strong> ha, quindi, solo un problema con i codici scritti, oppure, ha anche<br />
un problema di linguaggio verbale?<br />
Per quanto riguarda la prima parte della domanda si può affermare che le cause che<br />
contrastano una normale acquisizione della lettura possono rendere impossibile la corretta<br />
esecuzione di un esercizio di dettatura o di una composizione scritta, rendendo il<br />
dislessico anche disortografico.<br />
Gli errori che si riscontrano più di frequente nella scrittura del bambino dislessico sono i<br />
seguenti:<br />
- confusione tra le consonanti costituite dagli stessi elementi strutturali, ma con<br />
diverso orientamento (a,o,s,c,gl,gh) o con strutture diverse ma con analogie sonore<br />
(f/v, d/t, p/b, c/g, s/z)<br />
- inversioni dell’orientamento di lettere di una sillaba o di più sillabe in una parola (la-<br />
al; li-il; per-pre)<br />
- elisioni letterali o sillabiche effettuate all’inizio o alla fine della parola (pomeriggio-<br />
pomeriggi; porta-pota; pane-pne)<br />
- sillaba ripetuta più volte in una parola (nascondono-nascondonono; caricare-<br />
caricacare; mangiato-mangiangiato)<br />
- assimilazione della parola precedente o seguente, assimilazione dell’articolo al<br />
nome (il sole-ilsole; <strong>su</strong>l prato- <strong>su</strong>l prato)<br />
- divisione della parola in più frammenti o sillabe (andiamo: an/dia/mo)<br />
- la grafia può essere irregolare.<br />
Gli errori tipici del disortografico possono essere così schematizzati:<br />
- sostituzioni fonologiche: b/p; t/d<br />
- sostituzione dei grafemi: a, e, o; m, n (grafemi fisicamente uguali)<br />
13
- elisioni, omissioni, immissioni: treno diventa TENO; tavolo diventa TAVOLTO<br />
- trasposizioni: cinema diviene CIMENA<br />
- errori di regola: perdita dell’acca; ch, sc, gl, ci; sbagli nell’uso delle doppie e<br />
dell’accento<br />
- separazione e fusione illegali di parole: lago diventa LA-GO; la scuola diviene<br />
LASCUOLA<br />
- errori d’identificazione del singolo <strong>su</strong>ono e sequenzialità dei <strong>su</strong>oni: esempio la<br />
parola GATO viene letta GATTO.<br />
Per quanto riguarda il linguaggio verbale il problema è più complesso e, dal punto di vista<br />
scientifico, non del tutto chiaro.<br />
Ci sono bambini dislessici che, pur non avendo mai avuto disturbi di linguaggio, hanno<br />
difficoltà ad esprimersi, soprattutto per riportare contenuti specifici che richiedono<br />
sequenzialità e l’impiego di una terminologia precisa. Questa difficoltà espressiva, che si<br />
riscontra frequentemente nei soggetti con <strong>dislessia</strong>, non viene considerata un vero e<br />
proprio disturbo di linguaggio ma piuttosto un problema di integrazione di varie funzioni<br />
che concorrono alla realizzazione di questa abilità.<br />
Le difficoltà potrebbero derivare da un difetto nella realizzazione delle sequenze, difetto<br />
comune alle difficoltà di lettura; oppure da un problema di recupero lessicale, cioè di<br />
recupero dei termini dal lessico “speciale”. Anche questo problema è stato descritto nei<br />
dislessici ed è conosciuto come una difficoltà di denominazione rapida di termini che pure<br />
sono disponibili nel repertorio lessicale dell’individuo; oppure potrebbe essere determinato<br />
da una limitata capacità della memoria di lavoro, che provoca una difficoltà nella visione di<br />
insieme dei contenuti e quindi nella loro organizzazione.<br />
Infine, la difficoltà di esporre ordinatamente i contenuti potrebbe essere imputata alla<br />
scarsa confidenza del soggetto con la lettura; chi legge molto impara più facilmente a<br />
14
esporre seguendo le forme testuali più ordinate e consequenziali delle costruzioni tipiche<br />
della comunicazione.<br />
Ciascuno di questi fattori, sia associati fra di loro che presi singolarmente, rende<br />
difficoltosa soprattutto la comunicazione argomentativi o specialistica, ma non interessa in<br />
modo altrettanto significativo la comunicazione “sociale”, cioè quella che usiamo con più<br />
frequenza nell’ambito dei contatti quotidiani interpersonali.<br />
La comunicazione specialistica ha molti vincoli e non accetta l’impiego di termini aspecifici,<br />
che sono invece molto frequenti nella comunicazione sociale. Per questo motivo i bambini<br />
dislessici non mostrano difficoltà di comunicazione con i coetanei nel corso dei giochi<br />
spontanei o degli scambi interpersonali, ma possono incontrare problemi anche notevoli di<br />
esposizione quando devono ripetere ad alta voce un argomento di studio.<br />
Questo è ciò che caratterizza un bambino affetto da un disturbo specifico d’apprendimento<br />
quale è la <strong>dislessia</strong>, un disturbo che per lunghi anni ostacola la manifestazione delle<br />
capacità di un bambino rendendogli difficile l’apprendimento e l’organizzazione delle<br />
conoscenze che concorrono a formare l’individuo come “prodotto della <strong>su</strong>a cultura”.<br />
Introdurre capitolo <strong>su</strong>lla <strong>dislessia</strong><br />
15
COS’E’ LA DISLESSIA<br />
La <strong>dislessia</strong> è definita come “un disturbo manifestato<br />
nell’apprendimento della lettura nonostante istruzione adeguata<br />
in assenza di deficit intellettivi, neurologici o sensoriali e con<br />
adeguate condizioni socioculturali”.<br />
(Manuale di neuropsicologia dell’età evolutiva)<br />
“La <strong>dislessia</strong> è un disordine che si manifesta con difficoltà<br />
nell’apprendimento della lettura nonostante un insegnamento<br />
convenzionale, un’intelligenza adeguata e buone opportunità<br />
socio-culturali. Essa è causata da disabilità cognitive<br />
fondamentali che sono spesso di origine costituzionale”<br />
(Federazione Internazionale di Neurologia, Critchley 1975)<br />
“ La <strong>dislessia</strong> evolutiva non è il ri<strong>su</strong>ltato di una lesione in senso<br />
stretto, cioè di un danno alle strutture neurobiologiche, ma<br />
16
piuttosto sarebbe espressione di variabilità individuali che a volte<br />
raggiungono una soglia sensibile e determinano il cattivo<br />
funzionamento di alcuni processi. Queste disfunzioni per<br />
manifestarsi hanno bisogno di incontrare fattori che scatenano il<br />
problema. Dunque la <strong>dislessia</strong> si manifesta solo se il soggetto che<br />
ha certe caratteristiche viene sollecitato ad imparare il codice<br />
ortografico, altrimenti non si manifesta.” (G. Stella)<br />
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha definito cinque<br />
condizioni che debbono <strong>su</strong>ssistere perché un disturbo di lettura<br />
possa essere definito come <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />
- il livello intellettivo del soggetto con disturbo di lettura deve<br />
essere nella norma (Q. I. > 85)<br />
- il livello di lettura deve essere significativamente distante da<br />
quello di un bambino di pari età o classe frequentata.<br />
17
- Il soggetto non deve presentare disturbi neurologici o<br />
sensoriali che possano giustificare la difficoltà di lettura<br />
come conseguenza indiretta.<br />
- Il disturbo deve essere persistente, nonostante la<br />
scolarizzazione adeguata e interventi didattici specifici.<br />
- Il disturbo di lettura deve presentare conseguenze <strong>su</strong>lla<br />
scolarizzazione o nelle attività sociali in cui è richiesto<br />
l’impiego della letto-scrittura.<br />
La <strong>dislessia</strong>, quindi, è definita come uno specifico e significativo<br />
“deficit” nelle abilità di lettura, inspiegabile facendo riferimento<br />
ad un deficit intellettivo o ad opportunità d’apprendimento, alla<br />
motivazione, od acuità sensoriale.<br />
I bambini che presentano altre difficoltà mostrano deficit in<br />
ambiti diversi: linguaggio orale (DISFASIA), nella scrittura<br />
(DISGRAFIA), matematica (DISCALCULIA), coordinazione<br />
motoria (DYSPRAXIA), capacità visivo-spaziali, difficoltà<br />
18
d’attenzione.<br />
Il termine proprio “<strong>dislessia</strong>” è usato, invece, per descrivere<br />
qualsiasi disturbo che implichi una lettura stentata e/o gravi<br />
deficienze ortografiche.<br />
In realtà la “<strong>dislessia</strong> specifica evolutiva” descrive una difficoltà o<br />
incapacità di leggere specifica, non dovuta ad altri fattori come<br />
l’handicap, ma legata ad un processo evolutivo mai portato a<br />
compimento.<br />
Con il termine “<strong>dislessia</strong> evolutiva” ci si riferisce più<br />
propriamente alle problematiche legate alla lettura strumentale,<br />
alla capacità di base di leggere, cioè di riconoscere le parole di un<br />
testo scritto, anche se mai lette in precedenza.<br />
L’abilità strumentale, le cui basi sono costruite nei primi anni di<br />
scuola elementare, è in grado di adattarsi a casi diversi e a<br />
padroneggiare tutti, o quasi, i testi scritti. L’abilità si definisce<br />
“strumentale” quando il soggetto è in grado di adattarsi a casi<br />
diversi e a padroneggiare tutti o quasi i testi scritti; mentre l’abilità<br />
19
è detta “funzionale”, quando non è appresa nella <strong>su</strong>a totalità, ma<br />
solo funzionalmente a scopi e contesti particolari.<br />
Per meglio descrivere la difficoltà di passaggio dal codice scritto<br />
al codice linguistico, o viceversa, si può usare l’espressione<br />
“disturbo di decodifica” al posto del termine <strong>dislessia</strong>.<br />
20
Da controllare se già scritto<br />
Le caratteristiche del dislessico<br />
“Perché questo bambino non riesce a leggere? Perché scrive<br />
così male? Perché sembra sempre così confuso?”<br />
La definizione della <strong>dislessia</strong> evidenzia innanzi tutto il fatto che<br />
fra i molti bambini che trovano difficoltà nell’apprendere a<br />
leggere e a scrivere, solo una piccola percentuale è dislessica.<br />
Alcuni bambini, come i sordi o i portatori di handicap psichico,<br />
presentano problemi di lettura uniti ad altri tipi di difficoltà di<br />
apprendimento. Altri bambini, invece, arrivano alla scuola<br />
elementare con lacune nell’area percettiva da attribuire al non uso<br />
o al cattivo uso delle abilità di base: poco movimento, impacci<br />
psicomotori, scarsa attitudine al ritmo, alla segmentazione della<br />
parola in sillabe, limitata competenza linguistica di origine<br />
21
socioambientale, in<strong>su</strong>fficiente attitudine all’analisi del linguaggio<br />
e al <strong>su</strong>o uso, carenza di stimolazioni.<br />
Il dislessico è invece, in genere, un bambino dotato di<br />
un’intelligenza vivace e curiosa, si esprime con disinvoltura<br />
usando un linguaggio ben strutturato. Cambia completamente<br />
atteggiamento di fronte ad un testo scritto: si agita, è pervaso da<br />
uno stato d’ansia, diviene insicuro.<br />
La sfiducia in sé accentua le difficoltà di comprensione e nello<br />
stesso tempo lo distacca dal proprio gruppo classe.<br />
Nel leggere compie elisioni, sostituzioni, inversioni di fonemi,<br />
confonde i <strong>su</strong>oni omologhi. As<strong>su</strong>me atteggiamenti e posture<br />
anomali nell’esecuzione di un compito che per lui è troppo<br />
complesso e fonte di in<strong>su</strong>ccesso.<br />
Il <strong>su</strong>o è un problema specifico relativo all’automatizzazione,<br />
velocizzazione, del processo di lettura. Non trova difficoltà<br />
particolarmente gravi nel linguaggio orale, ma nei compiti legati<br />
22
alla lingua scritta, sia relativi alla decodifica, sia relativi alla<br />
comprensione e all’espressione.<br />
I dislessici dimostrano una particolare lentezza nella<br />
ricostruzione dei significati, a mano a mano che aumenta la<br />
complessità e la lunghezza del brano da leggere. Solo se guidati<br />
riescono a cogliere il valore comunicativo e gli scopi del<br />
linguaggio come “comunicatore” di idee diverse, poiché mancano<br />
loro le capacità metalinguistiche, cioè le capacità di cogliere il<br />
significato della parola distaccandola dal contesto.<br />
Ciò che sembra inficiare lo studio e disincentivarne la pratica,<br />
sono i tempi lunghi di lettura ed il dispendio di energia attentiva<br />
per controllare e correggere gli errori di decodifica; per questo il<br />
bambino dislessico evolutivo non accede a conoscenze che, dal<br />
punto di vista concettuale, potrebbe benissimo assimilare.Inoltre la<br />
disabitudine a frequentare il testo gli impedisce di raffinare i<br />
metodi attraverso i quali si apprende.<br />
23
Caratteristiche della <strong>dislessia</strong><br />
Esistono più forme di dislessie?<br />
Una prima distinzione viene fatta tra <strong>dislessia</strong> acquisita e<br />
<strong>dislessia</strong> evolutiva. Questa distinzione concerne “l’epoca” in cui<br />
insorge il disturbo di interpretazione dell’ortografia.<br />
Nel caso della d. acquisita un soggetto che è in grado di leggere<br />
normalmente inizia a compiere errori oppure non riesce più a<br />
riconoscere le parole con la stessa facilità. Di solito queste<br />
difficoltà di decodifica sono la conseguenza di qualche evento<br />
patologico che ha determinato lesioni nelle aree corticali che<br />
sono coinvolte nel processo di decodifica.<br />
La d. evolutiva si manifesta invece dall’inizio del processo di<br />
apprendimento della lettura. Il bambino mostra <strong>su</strong>bito difficoltà<br />
a riconoscere le lettere dell’alfabeto, a fissare le corrispondenze<br />
fra segni grafici e <strong>su</strong>oni, e ad automatizzarle, cioè a compierle<br />
in modo rapido e senza sforzo apparente.<br />
24
Il primo segno riconoscibile della d. evolutiva è il lento e<br />
faticoso apprendimento della lettura ad alta voce. Bisogna<br />
tuttavia sottolineare che la lentezza nell’apprendere la lettura<br />
non è un elemento <strong>su</strong>fficiente per definire un bambino<br />
dislessico, poiché i tempi di apprendimento sono diversi da<br />
soggetto a soggetto e quindi, in alcuni casi, il ritardo di un<br />
bambino nell’imparare la lettura potrebbe essere riconducibile<br />
alle caratteristiche di un sistema che necessita di tempi più<br />
lunghi per completarsi.<br />
La distinzione tra i due tipi di <strong>dislessia</strong> non è, quindi, solo una<br />
questione di “epoca” di comparsa, ma è più profonda e<br />
complessa innanzitutto poiché nella d. acquisita il soggetto ha<br />
già appreso il processo di decodifica e la <strong>su</strong>a capacità viene<br />
danneggiata dalla lesione; mentre nella d. evolutiva la prima<br />
conseguenza, e anche la più evidente, è la difficoltà nel<br />
processo di apprendimento del codice scritto.<br />
25
In secondo luogo la d. acquisita è riconducibile a una lesione,<br />
mentre la d. evolutiva ha cause diverse, non lesionali, ma<br />
congenite che interessano sempre il <strong>su</strong>bstrato neurobiologico<br />
coinvolto nella realizzazione del processo. Inoltre il danno<br />
acquisito può provocare conseguenze molto più circoscritte<br />
rispetto alla condizione congenita, per cui spesso la d. acquisita<br />
ostacola solo la lettura o alcuni dei <strong>su</strong>oi aspetti come per<br />
esempio il riconoscimento di parole nuove; mentre nel caso<br />
della d. evolutiva il disturbo è molto più esteso e, soprattutto<br />
nelle fasi iniziali, può interessare tutto il sistema scritto,<br />
compresa la scrittura delle parole e la letto-scrittura dei numeri.<br />
Anche la possibilità di rieducazione è molto diversa nelle due<br />
condizioni. Nel caso della d. acquisita si tratta di recuperare una<br />
funzione che il soggetto possedeva già. Il recupero dipende<br />
dalla gravità della lesione, dalla vastità delle aree corticali<br />
interessate e dall’età dell’insorgenza: ogni atto specifico della<br />
26
ieducazione ha lo scopo di reintegrare la funzione persa o<br />
danneggiata.<br />
Nel caso della d. evolutiva il soggetto deve acquisire una<br />
funzione che ancora non possiede avvalendosi di un sistema<br />
neurobiologico che ha delle peculiarità che ne ostacolano<br />
l’apprendimento: si tratta di mettere in atto mi<strong>su</strong>re che<br />
agevolino l’acquisizione del processo di decodifica e la <strong>su</strong>a<br />
automatizzazione.<br />
Dopo questa introduzione è importante sottolineare che non è<br />
esatto definire dislessico qualunque bambino che non impara a<br />
leggere. Un bambino, infatti, potrebbe avere difficoltà a<br />
imparare il processo di transcodifica per motivi diversi, che non<br />
sono necessariamente legati a una peculiarità delle strutture<br />
cerebrali coinvolte nei processi di elaborazione dell’ortografia.<br />
Per esempio, il bambino affetto da sordità non impara le<br />
corrispondenze <strong>su</strong>ono-segno perché ha difficoltà a percepire i<br />
<strong>su</strong>oni della lingua. Oppure un bambino che presenta un deficit<br />
27
intellettivo potrebbe imparare le corrispondenze tra segni e<br />
<strong>su</strong>oni, ma non essere in grado di riconoscere le parole a causa di<br />
un lessico in<strong>su</strong>fficiente, oppure perché non riesce a compiere in<br />
modo adeguato la fusione dei <strong>su</strong>oni. Inoltre potrebbero esserci<br />
bambini culturalmente deprivati con difficoltà nella lettura.<br />
Questa difficoltà, dunque, non è di per sé un elemento<br />
<strong>su</strong>fficiente per definire un soggetto come dislessico, poiché si<br />
parla di <strong>dislessia</strong> solo quando il disturbo di transcodifica è<br />
isolato e non può essere messo in relazione con altri disturbi di<br />
cui la difficoltà di lettura può essere considerata una<br />
conseguenza indiretta.<br />
DISLESSIA EVOLUTIVA<br />
La <strong>dislessia</strong> evolutiva si può presentare sotto diverse forme:<br />
lettura lettera per lettera (alessia pura)<br />
<strong>dislessia</strong> <strong>su</strong>perficiale<br />
<strong>dislessia</strong> fonologica<br />
28
<strong>dislessia</strong> profonda<br />
lettura visiva non- semantica (iperlessia)<br />
“LETTURA LETTERA PER LETTERA”<br />
E’ stata, forse, la sindrome maggiormente studiata fino agli anni<br />
’70. Può essere considerata, <strong>su</strong>l piano funzionale, come la<br />
conseguenza di un’eliminazione di collegamento tra il livello di<br />
identificazione delle lettere e le vie visiva e fonologica.<br />
L’impossibilità di attivare il sistema di riconoscimento delle<br />
parole impedisce una lettura visiva “globale” e la parola deve<br />
essere ricavata, in modo indiretto, dalle singole lettere attraverso<br />
un meccanismo che generalmente non viene utilizzato.<br />
Tutto ciò fa sì che i soggetti affetti da questa sindrome<br />
commettano molti più errori nelle parole lunghe che non in quelle<br />
corte, che il tempo di lettura aumenti a seconda del numero di<br />
lettere che costituiscono lo stimolo; inoltre essi possono arrivare al<br />
29
significato della parola solo se prima la leggono correttamente<br />
lettera per lettera. La comprensione è, quindi, lenta e laboriosa.<br />
L’alessia pura è stata classificata secondo i livelli linguistici<br />
compromessi in:<br />
• alessia verbale: caratterizzata da una buona abilità nel<br />
riconoscimento dei grafemi isolati anche se sono rilevabili dei<br />
deficit nel riconoscimento degli stessi quando sono inseriti in un<br />
contesto significativo. La lettura lettera per lettera è scadente e<br />
avviene sillabando; il riconoscimento globale della parola è<br />
impossibile.<br />
• alessia letterale: i soggetti sono incapaci di leggere le lettere<br />
anche se sono in grado di riconoscerle.<br />
• alessia per frasi: non ci sono difficoltà di lettura delle singole<br />
lettere; vi sono difficoltà <strong>su</strong>lle sillabe, ma non <strong>su</strong>lle singole<br />
parole.<br />
Il soggetto con alessia pura non presenta deficit linguistici, cioè è<br />
in grado di comprendere il “linguaggio parlato” mentre perde la<br />
30
<strong>su</strong>a capacità di capire la parola scritta. Nei casi più gravi ci sono<br />
difficoltà nella lettura anche delle lettere e vengono confuse quelle<br />
simili visivamente (d-b; m-n; p-q); nei casi più lievi, invece,<br />
leggono correttamente le singole lettere, ma quando si trovano di<br />
fronte alle parole, scandiscono prima tutte le lettere, di solito a<br />
voce alta, per poi unirle. All’aumentare della lunghezza della<br />
parola aumenta anche il tempo impiegato a leggere e il numero<br />
degli errori; chi è affetto da alessia pura per comprendere una<br />
parola deve prima leggerla lettera per lettera, quindi, ogni<br />
condizione sperimentale che impedisca questo tipo di lettura<br />
impedisce, automaticamente, anche la comprensione. Ciò dà l’idea<br />
della difficoltà e della fatica che questi soggetti affrontano nella<br />
lettura e anche del tempo che impiegano a svolgere questa attività<br />
che non è più un piacere.<br />
DISLESSIA SUPERFICIALE<br />
31
E’ stata scoperta nel 1973 da Marshall e Newcombe e consiste in<br />
un disturbo facilmente evidenziabile nelle lingue, come ad<br />
esempio l’inglese, che hanno un’ortografia irregolare con molte<br />
parole che sono eccezioni di pronuncia. Tutto ciò perché il<br />
dislessico <strong>su</strong>perficiale utilizza prevalentemente la via fonologica<br />
rispetto a quella visiva che porta ad una lettura migliore delle<br />
parole regolari rispetto a quelle irregolari.<br />
Oltre a questo sintomo i dislessici <strong>su</strong>perficiali tendono a<br />
confondere gli omofoni (parole che presentano la stessa pronuncia<br />
di altre) in una prova di comprensione, nella scrittura commettono<br />
errori fonologicamente corretti (ad es. l’aradio al posto di la<br />
radio), anche se si deve ammettere che leggendo solo<br />
fonologicamente non si può dire che la parola scritta “l’itro” sia<br />
una sequenza fonologica senza senso.<br />
Molti pazienti inglesi sembrano essere di questo tipo, mentre nei<br />
pazienti italiani non tutti i sintomi possono essere evidenziati,<br />
32
poiché l’ortografia italiana ha un rapporto molto più univoco e<br />
trasparente tra <strong>su</strong>oni e segni rispetto all’ortografia inglese.<br />
L’italiano può essere letto mediante l’applicazione di regole<br />
grafema- fonema, quindi si dimostra una lingua regolare per<br />
quanto riguarda l’assegnazione grafema- fonema, ma non per ciò<br />
che concerne l’accentazione delle parole. L’accento viene posto<br />
generalmente <strong>su</strong>lla vocale della penultima sillaba, ma si possono<br />
trovare molte eccezioni che con la sola via fonologica non<br />
possono dare informazioni utili. Un lettore fonologico tenderà a<br />
commettere degli errori molto particolari; se una parola è<br />
accentata in maniera irregolare tenderà a leggerla con un accento<br />
regolare conseguente all’applicazione della regola. Inoltre se in<br />
italiano non è possibile avere delle parole omofone ma non<br />
omografe è però possibile avere due parole omofone: per es. l’ago<br />
è omofono di lago.<br />
Interessante è lo studio di pazienti poliglotti, lettori sia di<br />
ortografie regolari sia irregolari in quanto questa sindrome è legata<br />
33
alle caratteristiche dell’ortografia di una certa lingua. Poiché tutti i<br />
pazienti leggono una certa percentuale di parole irregolari si<br />
<strong>su</strong>ppone che il deficit alla via visiva non sia assoluto, il dislessico<br />
<strong>su</strong>perficiale acquisito, avendo la via visiva danneggiata, usa più<br />
del normale la via fonologica; mentre il dislessico <strong>su</strong>perficiale<br />
evolutivo presenta un deficit nello sviluppo dell’efficienza della<br />
via visiva, quindi, leggendo fonologicamente avrà delle difficoltà<br />
a giudicare se due parole irregolari hanno la stessa pronuncia,<br />
come ad es. hear e here.<br />
Il tempo di lettura in questi pazienti è nella media in quanto<br />
utilizzano una via di lettura, quella fonologica, usata dai lettori<br />
senza difficoltà.<br />
La comprensione di parole isolate, invece, può variare dal livello a<br />
cui è danneggiata la via visiva, se questa lo è al livello del sistema<br />
di riconoscimento, la comprensione può essere buona utilizzando<br />
indirettamente la via fonologica; se, invece, la compromissione è a<br />
livello semantico e interessa la rappresentazione del significato<br />
34
delle parole, il deficit di comprensione si manifesta per tutti gli<br />
stimoli.<br />
Il metodo standard di lettura prevede che anche i pazienti con una<br />
discreta comprensione nella lettura presentino deficit di<br />
comprensione di un certo tipo di stimoli. Comprendendo ciò che<br />
viene letto attraverso la via fonologica se due parole hanno la<br />
stessa pronuncia ma sono scritte diversamente (omofoni non<br />
omografi) saranno scambiate l’una con l’altra facilmente se<br />
presentate senza un contesto.<br />
DISLESSIA FONOLOGICA<br />
E’ stata osservata per la prima volta nel 1979 da Beavois e<br />
Derousnè <strong>su</strong> un paziente francese che aveva una prestazione bassa<br />
nella lettura di non- parole associata ad una buona, ma non<br />
35
perfetta, lettura delle parole; commetteva errori morfologici (ad es.<br />
andare- andato).<br />
Nel 1980 è stata classificata da Shallice e Warrington come una<br />
<strong>dislessia</strong> a “componente singolo” ipotizzando che il deficit alla<br />
ricodificazione fonologica spieghi il disturbo.<br />
L’area lesa in tutti questi pazienti è relativamente ristretta ed è<br />
situata nella regione frontale inferiore, vicina e forse coincidente<br />
con l’area di Broca, cioè i lobi frontali che Broca ritenne (1861)<br />
che fossero la sede del linguaggio espressivo.<br />
I pazienti dislessici fonologici che presentano un’abolizione<br />
completa della lettura delle non- parole sono molto pochi; la<br />
maggior parte cerca di leggerle e compie errori visivi (ad es. bane-<br />
pane). Inoltre essi commettono, quando leggono a voce alta delle<br />
parole, una certa percentuale di errori visivi, alcuni errori<br />
morfologici e qualche volta saltano addirittura la parola, mentre<br />
non fanno errori semantici (cioè non sostituiscono le parole con<br />
altre di significato affine) nella lettura a voce alta e non mostrano<br />
36
di essere influenzati dall’effetto concretezza delle parole. I<br />
soggetti in questo caso sono in grado di compiere in maniera<br />
adeguata il compito di decisione lessicale (discriminare gli stimoli<br />
che sono parole da quelli che non lo sono) e la loro comprensione<br />
è buona.<br />
Temple e Marshall (1983) pubblicarono la prima descrizione<br />
dettagliata delle caratteristiche di un soggetto affetto da <strong>dislessia</strong><br />
fonologica evolutiva. Questi leggeva le parole regolari e irregolari<br />
con la stessa facilità, ma era molto carente nel pronunciare parole<br />
poco familiari e non- parole. La <strong>su</strong>a lettura di parole non era<br />
perfetta, poiché tendeva a compiere errori di tipo visivo (ad es.<br />
“cheery” letto come “cherry”; “bouquet” come “boutique”) e<br />
morfologico (“cautios” letto come “caution”; “appeared” come<br />
“appearance”) 7 ; così come la lettura di non- parole o di parole<br />
reali ma insolite era mediocre. Non commetteva, invece, errori<br />
semantici nel leggere ad alta voce parole singole.<br />
7 Cautious=cauto; caution=cautela; appeared=apparve; appearance=apparizione<br />
37
Questi errori vennero interpretati come la tendenza del soggetto<br />
ad usare la strategia dell’accesso visivo approssimativo.<br />
L’esistenza di questi due sottotipi di <strong>dislessia</strong> evolutiva<br />
consentirebbe di dimostrare l’indisponibilità di alcuni meccanismi<br />
molto specifici e selettivi nel processo di lettura; infatti, come<br />
analizzerò nel capitolo <strong>su</strong>ll’analisi neuropsicologica della<br />
<strong>dislessia</strong>, l’utilizzo di una specifica strategia di lettura a scapito di<br />
un’altra <strong>su</strong>pporterebbe l’ipo<strong>tesi</strong> di un sistema lettura costituito da<br />
componenti separabili l’una dall’altra e danneggiabili<br />
separatamente ( struttura modulare della mente ).<br />
DISLESSIA PROFONDA<br />
38
La <strong>dislessia</strong> profonda è un grave disturbo della lettura che colpisce<br />
di solito pazienti con vaste lesioni all’emisfero dominante. E’<br />
caratterizzata dall’incapacità di leggere le non- parole e dalla<br />
produzione di “paralessie semantiche 8 ” nella lettura a voce alta,<br />
cioè sostituzioni di una parola con un’altra ad essa associata o<br />
appartenente alla stessa sfera semantica.<br />
I sintomi della <strong>dislessia</strong> profonda sono numerosi e tendono a<br />
comparire sempre assieme con questa sindrome. Essi sono:<br />
• la presenza di errori semantici nella lettura ( paralessie<br />
semantiche)<br />
• la produzione di errori visivi (pane- cane)<br />
• la produzione di errori morfologici (andare- andato)<br />
• effetto della categoria grammaticale con le parole funzione che<br />
sono lette meno bene rispetto alle altre<br />
• effetto concretezza per cui le parole concrete sono lette meglio<br />
di quelle astratte<br />
8<br />
Sostituzione di una parola con un’altra ad essa associata o appartenente alla stessa sfera semantica. Sostituzione di<br />
parole con significato affine<br />
39
• la lettura delle non- parole è impossibile<br />
• la disgrafia è sempre presente<br />
• si rileva un deficit alla memoria verbale a breve termine<br />
Il sintomo cruciale, quello che differenzia la <strong>dislessia</strong> profonda<br />
dalle altre sindromi, è, come già accennato, la produzione di<br />
paralessie semantiche nella lettura a voce alta; i pazienti con<br />
<strong>dislessia</strong> profonda, quando leggono delle parole isolate,<br />
commettono degli errori che mantengono una relazione di<br />
significato con lo stimolo loro presentato: liberty- freedom; little-<br />
small; child- girl; e per l’italiano matrimonio- gioia.<br />
I soggetti affetti da <strong>dislessia</strong> profonda nel commettere errori<br />
semantici possono utilizzare per esempio parole che sono sinonimi<br />
come liberty al posto di freedom, oppure parole che esprimono<br />
una relazione di parentela come zio invece nipote, oppure<br />
un’associazione di idee come antico al posto di vaso.<br />
40
LETTURA VISIVA NON- SEMANTICA o iperlessia<br />
I dislessici evolutivi che presentano una buona capacità di lettura a<br />
voce alta, ma una comprensione molto povera sono chiamati<br />
iperlessici. Iperlessia è un termine usato per la prima volta nel<br />
1968 dagli Silberberg per connotare il riconoscimento della parola<br />
scritta scisso dalle capacità di comprensione della parola stessa.<br />
Negli anni <strong>su</strong>ccessivi è stato utilizzato per indicare quei bambini<br />
in cui l’abilità in lettura era nettamente <strong>su</strong>periore alle aspettative<br />
basate sia <strong>su</strong>lle capacità cognitive sia <strong>su</strong> quelle linguistiche, intese<br />
come capacità di comprensione del linguaggio.<br />
I disturbi dell’iperlessico sono rappresentati in modo diverso a<br />
seconda degli autori: dai problemi motori di differente natura<br />
(aprassia, disprassia, instabilità, disturbi dell’attenzione, anomalie<br />
di lateralizzazione), ai problemi comportamentali (tendenza<br />
all’isolamento, comportamenti di tipo ossessivo), ai problemi di<br />
comunicazione (mutismo, iperverbalismo).<br />
41
Questa variabilità clinica della sindrome iperlessica è correlata alla<br />
molteplicità delle teorie <strong>su</strong>lla eziopatogenesi 9 e <strong>su</strong>i meccanismi<br />
di apprendimento della lettura che sono raramente spiegabili da<br />
teorie genetiche ad orientamento psichiatrico, neuropsicologico,<br />
cognitivista.<br />
Secondo Berton (1978) nei bambini iperlessici “la lettura<br />
fonologica è concretamente in anticipo rispetto alla lettura<br />
semantica”, il processo di lettura utilizzato è quindi l’opposto di<br />
quello del bambino “normale” in cui le capacità semantiche sono<br />
in genere più avanzate di quelle fonologiche.<br />
Iperlessia e <strong>dislessia</strong> costituiscono due diverse varianti, non<br />
opposte, entrambe fondate <strong>su</strong> un disturbo delle relazioni<br />
simboliche.<br />
Questa ipo<strong>tesi</strong> viene sostenuta da Healy e coll. (1982) i quali<br />
ritengono che questi disturbi, così come sono presenti nella<br />
<strong>dislessia</strong>, si ritrovano anche nei bambini iperlessici; inoltre il<br />
legame tra questi due disturbi si dimostra più saldo in seguito al<br />
9<br />
lo studio delle cause di una malattia (eziologia) e del loro meccanismo di azione (patogenesi)<br />
42
dato da loro trovato di una familiarità, soprattutto nella linea<br />
paterna, nei disturbi di linguaggio e/o di apprendimento.<br />
Diversa, invece, appare la teoria neuropsicologica sostenuta da<br />
alcuni autori come Cos<strong>su</strong> e Marshall (1986-1988) per i quali<br />
l’iperlessia fornisce un <strong>su</strong>pporto clinico all’organizzazione<br />
modulare della mente, che discuterò nei cap. 17 e 18.<br />
Un problema molto importante che si pongono gli studiosi di<br />
questa sindrome è la correlazione tra lettura e comprensione; tra i<br />
pochi autori che hanno indagato la comprensione della lettura c’è<br />
un accordo sostanziale: il bambino iperlessico legge ad un livello<br />
<strong>su</strong>periore, ma comprende secondo il <strong>su</strong>o livello cognitivo.<br />
Uno dei casi descritti da Silberberg e Silberberg (1968) riguarda<br />
un bambino di nove anni, con un Q. I. di 64, quindi notevolmente<br />
inferiore alla media, il cui linguaggio verbale era scarsamente<br />
sviluppato, ma che, nonostante ciò, era in grado di leggere come<br />
un bambino di dieci anni. Un dato significativo era che il bambino<br />
comprendeva ciò che aveva letto soltanto nella mi<strong>su</strong>ra in cui la <strong>su</strong>a<br />
43
“intelligenza lo consentiva”. Per questo bambino, come per gli<br />
altri bambini iperlessici, l’abilità nel leggere ad alta voce è<br />
sviluppata fino a un livello che <strong>su</strong>pera tutte le altre abilità<br />
cognitive. Vi sono inoltre indizi del fatto che la lettura ad alta voce<br />
vada oltre la comprensione e che il bambino iperlessico non sia in<br />
grado di comprendere quello che legge con facilità ad alta voce.<br />
Questa particolare capacità dell’iperlessico di leggere viene<br />
attribuita alle condizioni ancora intatte dei collegamenti fra le<br />
unità di riconoscimento visivo della parola e le unità fonetiche di<br />
produzione della parola.<br />
Huttenlocher e Huttenlocher, con lo studio di un bambino<br />
iperlessico di sette anni, giunsero alla conclusione che le parole<br />
vengono riconosciute attraverso uno “schema visivo”<br />
(l’equivalente delle unità di riconoscimento visivo della parola), il<br />
quale si ricollega al significato delle parole (le rappresentazioni<br />
fonetiche di produzione della parola) e infine, separatamente, a<br />
uno “schema uditivo” (le unità fonetiche di produzione della<br />
44
parola. Huttenlocher e Huttenlocher notarono che nei soggetti<br />
iperlessici “il deficit osservato potrebbe consistere in un’abilità<br />
molto ridotta di associare gli schemi delle parole con i relativi<br />
significati”. Malgrado questo deficit, la lettura ad alta voce è<br />
ancora possibile grazie ai collegamenti diretti fra schemi visivi e<br />
schemi uditivi.<br />
45
Capitolo 2<br />
2.1 Aspetti essenziali dei processi di lettura e scrittura<br />
I modelli della psicologia metacognitiva sottolineano l’aspetto<br />
proces<strong>su</strong>ale della lettura, la complessità e la molteplicità dei<br />
diversi sottosistemi impiegati.<br />
Prima della scolarizzazione il bambino usa il linguaggio quasi<br />
esclusivamente come mezzo di comunicazione. Quando inizia la<br />
scuola invece apprende a riflettere <strong>su</strong>l linguaggio identificando e<br />
analizzando gli elementi e le strutture che lo compongono. Il<br />
termine “metalinguistica” si riferisce alla capacità di usare il<br />
linguaggio per analizzare, studiare, conoscere il linguaggio<br />
stesso.<br />
La lettura diventa un processo interattivo che implica sia il testo,<br />
sia ciò che il lettore ne trae, in base alle <strong>su</strong>e conoscenze di<br />
fondo. Come evidenzia Cornoldi, il soggetto normolessico<br />
utilizza contemporaneamente operazioni semantiche (top- down)<br />
46
e operazioni sintattiche (bottom- down), cioè, durante la lettura<br />
analizza e mette in continua relazione i dati ed i concetti letti.<br />
La difficoltà di decodifica è propria dei sistemi di scrittura<br />
alfabetica in quanto il segno grafico non rappresenta l’oggetto o<br />
l’evento, bensì i fonemi poiché non esiste corrispondenza diretta<br />
tra evento fono-articolatorio ed unità percettive; ogni gesto<br />
fono-articolatorio produce informazioni per più unità fonemiche.<br />
L’accesso al significato avviene per via mediata, tramite il<br />
linguaggio. Questo comporta una strutturazione dei metodi di<br />
apprendimento diversa da quelli alla base dell’apprendimento per<br />
esempio del sistema ideografico (memorizzazione).<br />
L’organizzazione mediata dei sistemi alfabetici crea difficoltà alla<br />
ricerca ed all’individuazione dei processi che devono essere<br />
controllati dal bambino per accedere alla scrittura.<br />
Se, quindi, nei sistemi alfabetici la scrittura rappresenta la lingua,<br />
la premessa per l’apprendimento e l’utilizzazione del sistema<br />
scritto è costituita dalla conoscenza della lingua stessa.<br />
47
Il bambino giunge a scuola con una <strong>su</strong>fficiente padronanza della<br />
lingua, sembra in grado di controllare le strutture della sintassi e<br />
della morfologia. Tuttavia questo non consentirà al bambino<br />
l’acquisizione immediata della lettura, che non deriva<br />
automaticamente dalla capacità linguistica dell’individuo.<br />
Il bambino deve affinare le proprie abilità metalinguistiche, deve<br />
imparare a riflettere <strong>su</strong>l significato del segno scritto e <strong>su</strong>lla <strong>su</strong>a<br />
funzione comunicativa; i processi di lettura e di scrittura<br />
comportano, cioè, una doppia cifratura: dalle sequenze di lettere<br />
alla struttura fonemica della parola e da questa al significato.<br />
Tale operazione di simbolizzazione costituisce l’essenza delle<br />
operazioni metalinguistiche <strong>su</strong>lle quali si articola il processo di<br />
lettura e scrittura.<br />
Per cogliere il significato della “stringa (sequenza) fonologica”<br />
della parola, il bambino deve riuscire a compiere delle operazioni<br />
<strong>su</strong>lla stringa stessa, altrimenti è costretto ad immagazzinare ogni<br />
singola parola scritta come fosse un’entità autonoma.<br />
48
E’ stato dimostrato (Liberman e Coll) che un bambino in età<br />
prescolare incontra notevoli difficoltà nell’effettuare delle<br />
operazioni metalinguistiche esplicite, soprattutto nella<br />
scomposizione fonemica, poiché per il bambino ri<strong>su</strong>lta impossibile<br />
separare le caratteristiche fisiche del significato dalla struttura del<br />
significante.<br />
Con l’osservazione dell’ambiente che lo circonda, il bambino<br />
comincia a rendersi conto di abitare un luogo in cui segni e disegni<br />
posti <strong>su</strong>gli oggetti corrispondono, per gli adulti, ai nomi degli<br />
oggetti. In questo modo comincia a costruire un “ lessico<br />
ortografico primitivo” grazie al quale riesce ad associare una<br />
sequenza di lettere ad un certo oggetto, senza avere una coscienza<br />
della struttura fonologica interna della parola.<br />
49
Per poter accedere al sistema scritto in modo produttivo, il<br />
bambino dovrà riuscire a dissociare la componente del<br />
significante da quella del significato.<br />
2.2 Difficoltà di lettura<br />
Vi sono fattori linguistici che influenzano in mi<strong>su</strong>ra molto<br />
consistente la possibilità di leggere e riconoscere una parola.<br />
La frequenza d’uso di una parola nel lessico infantile e il <strong>su</strong>o<br />
valore d’immagine (cioè il grado di concretezza) sono molto<br />
importanti, per cui a parità di lunghezza e di complessità<br />
ortografica, è più facile leggere una parola frequente e facilmente<br />
immaginabile come “cane”, rispetto alla parola poco frequente e<br />
molto astratta “pena”. Anche se entrambe sono costituite da<br />
quattro lettere, la scarsa rappresentabilità della parola “pena” nel<br />
lessico dei bambini ne rende difficile il riconoscimento.<br />
Un altro fattore importante è la lunghezza della parola. E’ molto<br />
più facile leggere la parola “cane”, piuttosto che la parola<br />
“albero”, a causa del maggior numero di lettere da leggere e da<br />
50
convertire in <strong>su</strong>oni. Inoltre è tanto più difficile ricostruire una<br />
parola attraverso la fusione di <strong>su</strong>oni singoli disposti in sequenza,<br />
tanto maggiore è il numero di <strong>su</strong>oni da considerare. Entrambe le<br />
parole sono ad alta frequenza e ad alta immaginabilità, per cui la<br />
differenza di difficoltà deriva unicamente dalla quantità di lettere<br />
da esaminare e di <strong>su</strong>oni da fondere.<br />
Un altro elemento che interferisce con la facilità di leggere una<br />
parola è la complessità ortografica. La parola “matita” è più facile<br />
da leggere della parola “strada”. Pur avendo lo stesso numero di<br />
lettere costituenti, la parola “strada” accosta una serie di <strong>su</strong>oni più<br />
difficili da pronunciare insieme rispetto alla parola “matita”, dove<br />
l’alternanza di consonante e vocale è regolare e facilita certamente<br />
la ricostruzione della parola per via sillabica (ma-ti-ta). Anche se<br />
“strada” è composta da due sole sillabe, la <strong>su</strong>a ricostruzione<br />
attraverso la lettura richiede a un principiante maggior impegno,<br />
poiché la formazione di una sillaba complessa è certamente più<br />
laboriosa rispetto alla sillaba semplice.<br />
51
Un bambino che ha difficoltà di acquisizione della lettura si<br />
eserciterà più facilmente e con maggior profitto se deve leggere<br />
parole semplici, brevi, frequenti e immaginabili, piuttosto che<br />
parole complesse e sconosciute. Nel primo caso potrà infatti<br />
contare <strong>su</strong>lle <strong>su</strong>e conoscenze lessicali per compensare le difficoltà<br />
di decifrazione o di fusione dei <strong>su</strong>oni, mentre nel secondo caso<br />
troverà ulteriori ostacoli.<br />
Un altro fattore di complessità è costituito dall’impiego di diversi<br />
tipi di carattere per rappresentare le lettere. La maggior parte dei<br />
bambini non incontra difficoltà ad apprendere corrispondenze<br />
multiple, ma i dislessici, che hanno bisogno di grande stabilità per<br />
imparare le corrispondenze tra i segni e i <strong>su</strong>oni, incontrano molti<br />
ostacoli dalla presentazione simultanea di caratteri diversi usati<br />
per rappresentare graficamente lo stesso <strong>su</strong>ono. I dislessici, quindi,<br />
non sono in grado di apprendere il corsivo e riescono invece a<br />
utilizzare con più facilità lo stampatello maiuscolo in quanto più<br />
stabile e più facile da discriminare dal punto di vista percettivo.<br />
52
2.3 Dislessia e lettura<br />
La <strong>dislessia</strong> è un disturbo che ostacola il normale processo<br />
d’interpretazione dei segni grafici con cui si rappresentano per<br />
iscritto le parole. Viene definita come un “deficit di sviluppo” che<br />
ha origine da alterazioni di natura neurobiologica non rientrante in<br />
un quadro psicopatologico.<br />
Alcuni bambini leggono male, ma comprendono ciò che leggono.<br />
Questo può creare confusione <strong>su</strong>l significato dell’espressione<br />
“deficit di lettura”. Ma, allora, cosa si intende per “deficit”?<br />
Prima di definire il significato di questo termine, o meglio, come<br />
viene inteso in riferimento alla <strong>dislessia</strong>, vorrei introdurre<br />
l’argomento “lettura”.<br />
Che cosa significa leggere?<br />
Con il termine lettura si intende un processo che consente di<br />
comprendere il contenuto di un testo scritto. Questa attività è il<br />
ri<strong>su</strong>ltato di una serie di processi molto complessi che<br />
comprendono:<br />
53
- il riconoscimento dei segni dell’ortografia<br />
- la conoscenza delle regole di conversione dei segni grafici in<br />
<strong>su</strong>oni<br />
- la ricostruzione delle “stringhe di <strong>su</strong>oni” in parole del lessico<br />
- la comprensione del significato delle singole frasi e del testo<br />
La <strong>dislessia</strong> interessa solo alcuni di questi processi, i primi tre,<br />
mentre non riguardala fase di comprensione di una frase o di un<br />
testo.<br />
I primi tre processi vengono considerati come le fasi di un’unica<br />
attività, chiamata attività di “decodifica” o “transcodifica”, in<br />
quanto consente di trasformare il codice scritto in codice orale,<br />
quello che usiamo per esprimerci verbalmente.<br />
Nel lettore esperto è molto difficile distinguere l’attività di<br />
decodifica dal processo di comprensione, poiché, quando un<br />
individuo legge un testo ha l’impressione di accedere direttamente<br />
al significato.<br />
L’importanza di questo processo viene messa in evidenza proprio<br />
dal dislessico, cioè dal soggetto che presenta difficoltà nelle<br />
attività di decodifica.<br />
54
La <strong>dislessia</strong> è un disturbo che riguarda unicamente la<br />
trasformazione dei segni in <strong>su</strong>oni; concerne, quindi, il processo<br />
d’interpretazione dei segni dell’ortografia.<br />
55
2.4 Errori di scrittura del dislessico<br />
Il dislessico è quasi sempre anche “disortografico” in quanto le<br />
cause che contrastano una normale acquisizione della lettura<br />
rendono impossibile la corretta esecuzione di un esercizio di<br />
dettatura o di una composizione.<br />
Gli errori che si riscontrano più di frequente nella scrittura del<br />
dislessico sono i seguenti:<br />
• Confusione tra le consonanti costituite dagli stessi elementi<br />
strutturali, ma con diverso orientamento (a, o, s, c, gl, gh) o con<br />
strutture diverse, ma con analogie sonore (f-v; d-t; p-b; c-g; s-z)<br />
• Inversioni dell’orientamento di lettere di una sillaba o di più<br />
sillabe in una parola (la- al; li- il; per- pre)<br />
• Elisioni letterali o sillabiche effettuate all’inizio o alla fine<br />
della parola (pomeriggio- pomeriggi; porta- pota; pane- pne)<br />
• Sillaba ripetuta in una parola più volte (nascondono-<br />
nascondonono; caricare- caricacare; mangiato- mangiangiato)<br />
56
• Assimilazione della parola precedente o seguente, assimilazione<br />
dell’articolo al nome (il sole- ilsole; <strong>su</strong>l prato- <strong>su</strong>lprato)<br />
• Divisione della parola in più frammenti o sillabe (andiamo, an-<br />
dia-mo)<br />
• La grafia può essere irregolare.<br />
Gli errori tipici del disortografico possono essere così<br />
schematizzati:<br />
- sostituzioni fonologiche: b/p; t/d<br />
- sostituzione dei grafemi: a, e, o; m, n (grafemi fisicamente<br />
uguali)<br />
- elisioni, omissioni, immissioni: TRENO- TENO; TAVOLO-<br />
TAVOLTO<br />
- trasposizioni: CINEMA diventa CIMENA<br />
- errori di regola: perdita dell’acca, ch, sc, gl, ci; sbagli<br />
nell’uso delle doppie e dell’accento<br />
- separazione e fusione illegali di parole: LAGO diventa LA -<br />
GO; LA SCUOLA diviene LASCUOLA<br />
57
- errori di identificazione del singolo <strong>su</strong>ono e sequenzialità dei<br />
<strong>su</strong>oni: esempio la parola GATO viene letta GATTO.<br />
58
Applicabilità dei modelli modulari della lettura alla<br />
Dislessia evolutiva<br />
Sono state rivolte varie critiche all’applicabilità dei modelli della<br />
<strong>dislessia</strong> acquisita alla <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />
Prima critica:<br />
La d. evolutiva deve essere spiegata in riferimento ad un modello<br />
evolutivo che sia in grado di render conto dello sviluppo normale<br />
della lettura, poiché i processi sottostanti alla lettura dell’adulto<br />
non sono gli stessi di quelli che sottendono la lettura dei bambini<br />
che apprendono la lettura. Uta Frith, per es., spiega la d. evolutiva<br />
come una difficoltà ad accedere alla fase alfabetica e vede alla<br />
base di questa difficoltà disturbi nel sistema fonologico.<br />
All’interno di questo approccio evolutivo, l’applicabilità dei<br />
modelli della d. acquisita a quella evolutiva non dà conto del fatto<br />
che nelle fasi dell’apprendimento della lettura vengono<br />
identificate unità ortografiche diverse da quelle identificate con<br />
59
l’una e con l’altra della due vie di lettura, cioè il grafema o la<br />
parola intera.<br />
L’indipendenza delle due procedure, as<strong>su</strong>nto di base del modello a<br />
due vie, non spiegherebbe come possa avvenire la costruzione di<br />
un lessico ortografico attraverso lo sviluppo di una via isolata di<br />
conversione grafema-fonema.<br />
Seconda critica:<br />
Da alcune ricerche effettuate negli anni 1985/87 confrontando d.<br />
evolutivi e lettori normali di pari età di lettura, è emerso che non<br />
si può sostenere che la <strong>dislessia</strong> sia dovuta al mancato sviluppo di<br />
una delle componenti del sistema di lettura adulto, ma che esso si<br />
configuri come un ritardo di apprendimento.<br />
L’analisi critica di tale conclusione portò ad affermare che<br />
l’identificazione di pattern di lettura dei dislessici<br />
anche nei lettori senza difficoltà, non infici di per sé la spiegazione<br />
della <strong>dislessia</strong> evolutiva in termini di IPOSVILUPPO di una o più<br />
procedure di lettura identificate all’interno di modelli cognitivisti<br />
60
di indirizzo neuropsicologico. Infatti, mentre può essere normale<br />
che coesistano differenti livelli di efficienza di una o dell’altra<br />
strategia nel corso dell’apprendimento della lettura a seconda dello<br />
stadio di apprendimento raggiunto è assolutamente “anormale”<br />
non sviluppare nel tempo una relativa efficienza in entrambe le<br />
strategie.<br />
In chiave evolutiva non è ancora stato chiarito se le diverse<br />
tipologie di <strong>dislessia</strong> evolutiva, differenziate <strong>su</strong>lla base di deficit a<br />
carico di specifiche strategie di lettura, riflettano sottostanti<br />
pattern di deficit cognitivi differenziati e quanto questi siano<br />
associati ad architetture neurali atipiche.<br />
(Ricerca dell’85: differenze cognitive relative a fattori linguistici e<br />
a fattori vi<strong>su</strong>ospaziali fra d. italiani e controlli e d. americani e<br />
controlli).<br />
61
Gradi di gravità della <strong>dislessia</strong><br />
La distinzione classica fino ad ora utilizzata dagli psicologi e<br />
studiosi in questi campi è tra:<br />
Dislessia costituzionale: considerata la più grave e la meno<br />
curabile, ricollegata ad una lateralizzazione mal strutturata ed a<br />
disturbi del linguaggio; si trovano, oltre ai sintomi significativi,<br />
perturbazioni gravi a livello dell’orientamento e della<br />
lateralizzazione, con problemi di livello intellettuale e di<br />
personalità legati intorno ad in<strong>su</strong>ccessi scolastici.<br />
Dislessia evolutiva: si manifesta in occasione dei primi esercizi<br />
scolastici; i sintomi sono meno numerosi e le perturbazioni sono<br />
meno gravi e ciò incoraggia la rieducazione.<br />
Dislessia affettiva: diagnosticata nei casi in cui non si ritrovano<br />
né disturbi del linguaggio né della struttura spazio- temporale,<br />
62
ma un blocco affettivo che si esprime nel campo della lettura; è<br />
una reazione d’in<strong>su</strong>ccesso localizzata nella lettura.<br />
Nel momento della diagnosi, tutte le forme di <strong>dislessia</strong> sono il<br />
ri<strong>su</strong>ltato di un processo partito dal disturbo della relazione Io-<br />
universo nell’età sensibile e che si sviluppa nei primi mesi o<br />
anni della scolarità.<br />
Prima della prova scolastica le radici della <strong>dislessia</strong> esistono,<br />
ma essa non si è ancora rivelata; alcuni aspetti come il ritardo<br />
del linguaggio, le turbe del comportamento, l’instabilità e la<br />
goffaggine possono essere già percettibili. Entrando nella scuola<br />
elementare, si instaura una stretta relazione tra il clima socio-<br />
affettivo (rapporto con le insegnanti e i compagni), i ri<strong>su</strong>ltati<br />
scolastici e il clima affettivo familiare.<br />
Trovandosi di fronte alla <strong>su</strong>a difficoltà d’apprendimento, il<br />
bambino cerca di reagire con tutta la <strong>su</strong>a buona volontà e con il<br />
timore di venir emarginato dal gruppo del quale fa parte e che<br />
procede nel <strong>su</strong>o lavoro scolastico senza problemi.<br />
63
Le <strong>su</strong>e reazioni a questa situazioni possono essere varie: il<br />
progresso compensatorio <strong>su</strong>gli altri piani; l’estensione del<br />
blocco alla scrittura e al linguaggio; la generalizzazione del<br />
blocco a tutte le materie; la ricerca di compensazioni per<br />
l’in<strong>su</strong>ccesso intellettuale.<br />
64
Basi biologiche della <strong>dislessia</strong><br />
Fin dalla fine del 1800, in base alle prime descrizioni di bambini<br />
con “cecità verbale congenita” (Morgan, 1896; Hinshelwood,<br />
1900), è stato ipotizzato che i dislessici evolutivi costituissero un<br />
gruppo con caratteristiche peculiari non solo cognitive (elevata<br />
intelligenza e specifico difetto di lettura) ma anche neurologiche a<br />
cattivi lettori con ritardo generale del funzionamento intellettivo.<br />
In particolare gli autori sopra menzionati, rifacendosi a Dejerine,<br />
che nel 1892 aveva descritto un caso di alessia e agrafia acquisita<br />
a seguito di una lesione del giro angolare di sinistra, postularono<br />
che anche nei casi evolutivi di <strong>dislessia</strong> fossero danneggiate le<br />
porzioni posteriori dell’emisfero di sinistra.<br />
Quasi un secolo dopo (1979) Galaburda e Kemper riportarono un<br />
caso di un dislessico di vent’anni in cui l’esame post-mortem<br />
rivelò la presenza di anomalie morfologiche confinate nel lobo<br />
temporale posteriore di sinistra.<br />
65
Negli ultimi anni, con l’introduzione di nuove metodiche per lo<br />
studio della morfologia cerebrale e del funzionamento in vivo del<br />
sistema nervoso centrale è stata notevolmente incrementata la<br />
ricerca di anomalie strutturali e funzionali del sistema nervoso<br />
centrale di pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />
Alla domanda se il cervello di individui dislessici presenti<br />
alterazioni strutturali hanno cercato di dare risposta studi effettuati<br />
<strong>su</strong> pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva, sia con l’uso di tecniche<br />
tradizionali (studi autoptici) che nuove per lo studio della<br />
morfologia cerebrale e del funzionamento in vivo del sistema<br />
nervoso centrale.<br />
Studi <strong>su</strong>l funzionamento cerebrale con la Tomografia a emissione<br />
di positroni (PET) hanno evidenziato nei dislessici una riduzione<br />
del metabolismo del glucosio nella regione perin<strong>su</strong>lare di sinistra<br />
durante l’attività di lettura (Gross-Glenn e coll. 1986). Altri studi<br />
con la PET (1992) hanno dimostrato anomalie nel flusso cerebrale<br />
nell’area temporoparietale di sinistra.<br />
66
Alterazioni neuroanatomiche sono state riscontrate anche in aree<br />
corticali e sottocorticali deputate alla percezione visiva e acustica<br />
che sono state messe in relazione con difficoltà dei dislessici a<br />
livelli più periferici del processamento sensoriale e percettivo.<br />
Sembra, quindi esserci una convergenza di dati neuroanatomici e<br />
neurofisiologici a favore di un’organizzazione e di un<br />
funzionamento cerebrale atipici in pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />
E’ stato ipotizzato, infatti, che la <strong>dislessia</strong> sia riconducibile a un<br />
difetto di lateralizzazione funzionale degli emisferi sinistri<br />
cerebrali.<br />
Lateralizzazione emisferica e <strong>dislessia</strong><br />
Orton (1925) introdusse la teoria che alla base della <strong>dislessia</strong> ci<br />
fosse una mancata dominanza dell’emisfero cerebrale di sinistra<br />
originata da un ritardo dello sviluppo neurologico. Le<br />
manifestazioni cognitive di questa atipia sarebbero una confusione<br />
tra immagini visive di simboli scritti processati da entrambi gli<br />
emisferi che portava, ad esempio, alla difficoltà a distinguere<br />
67
lettere speculari (b, d). Alla mancata dominanza emisferica sinistra<br />
era da attribuirsi, sempre secondo Orton, un mancato stabilirsi<br />
della dominanza manuale e della concordanza fra dominanza<br />
manuale e oculare. La teoria di Orton è stata molto influente ma<br />
scarsamente sostenuta da dati sperimentali; sono numerosissime le<br />
ricerche ad essa ispira<strong>tesi</strong> allo scopo di dimostrare un legame fra<br />
ridotta specializzazione emisferica e <strong>dislessia</strong>.<br />
Nello studio <strong>su</strong>lle “specializzazioni emisferiche” anche il<br />
cognitivismo ebbe notevole influenza. Negli anni Sessanta si ebbe<br />
una grande svolta che consentì di poter utilizzare nelle ricerche<br />
neuropsicologiche i soggetti normali e non solo i cerebrolesi.<br />
Tale svolta consistette nella messa a punto di metodiche che<br />
permettevano di predeterminare, a livello di emisferi, la zona del<br />
cervello <strong>su</strong> cui sarebbero andati in primo luogo a terminare gli<br />
stimoli inviati all’organismo. Ebbero una notevole importanza<br />
nella messa a punto di tali metodiche e nella modellizzazione<br />
68
teorica B. Milner (1962) per quel che riguarda la modalità visiva,<br />
e D. Rimura (1964) per quel che concerne quella uditiva.<br />
Un’esemplificazione di ciò può essere la seguente. Si <strong>su</strong>pponga di<br />
voler stabilire se un certo compito (il riconoscimento di una<br />
melodia) viene effettuato a livello di emisfero destro o di emisfero<br />
sinistro; se si invia la melodia all’emisfero sinistro, ed è qui che<br />
effettivamente si svolge il riconoscimento, il tempo di decisione<br />
del soggetto dovrà essere più rapido rispetto a quando si invia la<br />
melodia all’emisfero destro; in quest’ultimo caso, infatti, al tempo<br />
di decisione dovrà essere aggiunto il tempo necessario per<br />
trasferire gli impulsi nervosi corrispondenti dall’emisfero destro al<br />
sinistro. Il contrario si dovrà avere se è l’emisfero destro deputato<br />
al riconoscimento.<br />
Diversi dati tendono a dimostrare che le modalità di<br />
processamento sono diverse per emisfero destro ed emisfero<br />
sinistro. Esiste una serie di dicotomie, con significato spesso in<br />
parte sovrapponibile, che illustrano tali differenze:<br />
69
_ analitico/sintetico (o solistico): l’emisfero sinistro processerebbe<br />
gli stimoli analiticamente, mentre l’emisfero destro coglierebbe<br />
immediatamente il loro significato globale;<br />
_ seriale /parallelo: l’emisfero sinistro processerebbe gli stimoli<br />
nel loro ordine temporale in <strong>su</strong>ccessione, mentre l’emisfero destro<br />
ne processerebbe più alla volta, simultaneamente (soprattutto i<br />
loro rapporti reciproci);<br />
_ temporale/spaziale: l’emisfero sinistro coglierebbe soprattutto le<br />
<strong>su</strong>ccessioni temporali, l’emisfero destro i rapporti spaziali;<br />
_ verbale/spaziale: l’emisfero sinistro analizzerebbe gli stimoli<br />
verbali e i nomi attribuibili a oggetti non verbali, mentre<br />
l’emisfero destro analizzerebbe soprattutto le caratteristiche<br />
spaziali;<br />
_ referenziale/valutativo: l’emisfero sinistro processerebbe le<br />
caratteristiche referenziali degli stimoli, mentre l’emisfero destro<br />
ne processerebbe gli aspetti valutativi.<br />
Studi recenti<br />
70
Nello scorso decennio con lo sviluppo di una tecnica denominata<br />
“risonanza magnetica funzionale” (FMRI) la ricerca <strong>su</strong>lla <strong>dislessia</strong><br />
ha potuto compiere dei passi avanti. Questa tecnica infatti<br />
permette di vedere quali parti del cervello siano maggiormente<br />
irrorate dal flusso sanguigno e quindi quali di queste ri<strong>su</strong>ltino più<br />
attive durante la lettura.<br />
Gli scienziati hanno usato questa tecnica per identificare tre aree<br />
del lato sinistro del cervello che hanno un ruolo chiave nella<br />
lettura. Scientificamente queste sono conosciute come “giro<br />
frontale inferiore sinistro”, “area temporo- parietale sinistra” e<br />
“l’area temporo- occipitale sinistra”. Ognuna di queste aree è<br />
specializzata in un compito: nella prima si “vocalizzano” le parole<br />
e si dà il via all’analisi dei fonemi, cioè dei <strong>su</strong>oni che le<br />
compongono (area produttrice di fonemi – “phoneme producer”).<br />
Nella seconda viene effettuata l’analisi completa delle parole<br />
scritte; queste sono scomposte in sillabe e lettere e ognuna è<br />
collegata al relativo <strong>su</strong>ono ( area analista di parole – “analyzer<br />
71
word”). La terza (automatic detector) è “incaricata di vedere” le<br />
lettere e rendere automatico il processo di riconoscimento delle<br />
parole. Più spesso viene attivata, meglio funziona; nel senso che<br />
chi legge molto può scorrere un foglio scritto a velocità<br />
rapidissima. Dalla ricerca in oggetto, sembra che il cervelletto<br />
svolga una funzione importante nel coordinamento delle varie<br />
funzioni cognitive e quindi anche nell’automatizzazione della<br />
lettura. E’ importante comunque sottolineare che queste tre aree<br />
“lavorano” simultaneamente come un’orchestra che <strong>su</strong>ona una<br />
sinfonia.<br />
Utilizzando la FMRI, gli scienziati hanno determinato che “i<br />
lettori principianti” dipendono molto dall’area “phoneme<br />
producer” e dall’area “analyzer word”. La prima di queste due<br />
aree aiuta il lettore a pronunciare parole – silenziosamente o ad<br />
alta voce- e inizia ad analizzare alcuni fonemi che formano le<br />
parole dette. La seconda area analizza le parole minuziosamente,<br />
72
<strong>su</strong>ddividendole nelle sillabe e fonemi costituenti e collegando le<br />
lettere ai loro <strong>su</strong>oni.<br />
Come i lettori diventano esperti accade qualcosa d’interessante: la<br />
terza sezione – “automatic detector” – diviene più attiva. La <strong>su</strong>a<br />
funzione è costruire un repertorio permanente che permetta ai<br />
lettori di riconoscere a prima vista le parole familiari. Come i<br />
lettori progrediscono, l’equilibrio tra le tre aree viene meno e<br />
l’”automatic detector” incomincia a dominare. Se tutto va bene la<br />
lettura diverrà un’attività che non implica alcuno sforzo. Il<br />
dislessico, invece, si trova ad affrontare questa attività con un<br />
notevole dispendio di energie poiché non riesce ad automatizzare<br />
la corrispondenza tra il <strong>su</strong>ono, o fonema, e il segno grafico<br />
corrispondente: ogni volta che si trova di fronte ad una parola<br />
scritta è costretto a “scoprirla” come se fosse la prima volta. Non<br />
si attua, cioè, quell’automatismo tipico del lettore esperto. Questo<br />
avviene perché, nel cervello del dislessico, i circuiti neurali<br />
deputati alla lettura ri<strong>su</strong>ltano rallentati o addirittura interrotti. Gli<br />
73
studi condotti con l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale<br />
hanno stabilito che durante la lettura c’è una minore presenza o<br />
attività dei neuroni rispetto alla norma, sia a livello del cervelletto<br />
sia a livello del lobo temporale nell’emisfero sinistro. In qualche<br />
modo “saltano” o “funzionano male” i collegamenti tra le varie<br />
aree cerebrali garantiti dai neurotrasmettitori e in particolare con<br />
“l’analista delle parole” e il “detector automatico”.<br />
Il dislessico compensa utilizzando di più il “produttore di <strong>su</strong>oni” e<br />
le aree dell’emisfero destro del cervello, normalmente deputate a<br />
processare immagini e idee astratte.<br />
74
La diagnosi della <strong>dislessia</strong><br />
La diagnosi della sindrome, secondo alcuni autori, può essere fatta<br />
a tre livelli: il primo è limitato alla descrizione del sintomo, il<br />
secondo riguarda la classificazione e il terzo la formulazione<br />
diagnostica.<br />
Descrizione della capacità o del sintomo: corrisponde al primo<br />
momento dell’iter diagnostico; momento nel quale i genitori o gli<br />
insegnanti chiedono spiegazioni <strong>su</strong>ll’incapacità di apprendimento<br />
del bambino in un settore.<br />
75
La <strong>dislessia</strong> è un problema psicosociale che nasce, quindi, in un<br />
individuo dall’incontro di questo con una prestazione; spesso le<br />
difficoltà non sono immediatamente evidenti e questo fa sì che una<br />
valutazione compiuta da esaminatori diversi possa portare a<br />
differenti conclusioni.<br />
Il problema della “capacità di lettura” riguarda prestazioni diverse<br />
come la correttezza, la rapidità e la capacità di comprensione del<br />
testo scritto.<br />
Classificazione e formulazione diagnostica<br />
Classificazione diagnostica: la classificazione del disturbo di<br />
apprendimento della lettura come “<strong>dislessia</strong>” implica il<br />
riconoscimento della <strong>su</strong>a specificità.<br />
Il deficit di lettura del dislessico è inaspettato visto il <strong>su</strong>o livello<br />
intellettuale, la <strong>su</strong>a adeguatezza emotiva, il <strong>su</strong>o idoneo curriculum<br />
scolastico, la <strong>su</strong>a motivazione ad apprendere e il <strong>su</strong>o ambiente<br />
sociale di provenienza.<br />
76
Poiché spesso i bambini con ritardo di apprendimento della lettura<br />
presentano più problemi contemporaneamente, la diagnosi di<br />
<strong>dislessia</strong> implica necessariamente un’operazione di interpretazione<br />
dei fattori eziologici in gioco: la classica definizione di <strong>dislessia</strong> li<br />
farebbe corrispondere a danni neurologici ed ereditari mentre<br />
azzererebbe quasi i problemi pedagogici, quelli emotivo-<br />
relazionali e socio- culturali.<br />
Formulazione diagnostica: in questa fase le valutazioni<br />
dovrebbero essere finalizzate all’intervento riabilitativo. Poiché la<br />
comprensione della patologia del processo di lettura avviene<br />
attraverso il confronto con la normalità, è necessario un<br />
riferimento ad un preciso modello di evoluzione di questo<br />
processo; modello che individui le capacità di base che<br />
costituiscono un prerequisito necessario al processo stesso<br />
(sviluppo intellettuale, sviluppo emotivo, analizzatore visivo,<br />
analizzatore uditivo, funzioni <strong>su</strong>periori).<br />
77
copiato<br />
DISLESSIA EVOLUTIVA: la <strong>su</strong>a storia<br />
DIVERSE TEORIE SULLA DISLESSIA<br />
Kussmal (1877) e Morgan parlarono di cecità alla parola, il<br />
secondo in termini di difetto dello sviluppo nel giro angolare<br />
78
sinistro del cervello. Fino ai primi anni del 1900 il disturbo venne<br />
affrontato da un punto di vista prettamente organico.<br />
Orton (1925-1937) fu il primo ad occuparsi in modo scientifico,<br />
con il ricorso a esperimenti, del disturbo della lettura adducendo<br />
come causa il mancato sviluppo della dominanza emisferica del<br />
linguaggio. La mancanza di dominanza laterale provoca una<br />
percezione visiva distorta con una conseguente confusione<br />
spaziale, poiché non avviene la cancellazione dell’immagine<br />
nell’emisfero non dominante.<br />
Con Eustiss nel 1947 si iniziò a guardare alla difficoltà di lettura<br />
come parte di un quadro comprendente goffaggine, difficoltà di<br />
linguaggio, ambidestrismo, mancinismo, predisposizione<br />
ereditaria nella lenta maturazione neuromuscolare e nella<br />
lateralizzazione inadeguata.<br />
Drew (1956) analizzò attentamente i disturbi alla base dei<br />
problemi di lettura: difficoltà nello spelling, nell’orientamento,<br />
79
nella lateralizzazione, deficienze motorie e di scrittura, scarsa<br />
capacità attentiva.<br />
Rabinovitch (1956) fu il primo a considerare la possibilità che le<br />
difficoltà di lettura potessero essere associate a disordini del<br />
linguaggio.<br />
Hermann (1959) parlò di mancanza di lateralizzazione, confusione<br />
sinistra-destra, agnosia digitale, difficoltà nella lettura, nella<br />
scrittura e nel calcolo, deficiente apprendimento dei simboli.<br />
A partire dalla prima metà degli anni 70, soprattutto con Bakker<br />
(1972), si guardò al dislessico come ad un soggetto che presenta<br />
difficoltà nella percezione temporale nella sequenza degli stimoli<br />
verbali. In questo caso non c’è relazione tra <strong>dislessia</strong> e disturbi<br />
(disfunzioni) del linguaggio.<br />
Sempre negli anni 70 si iniziò a distinguere tra <strong>dislessia</strong> visiva e<br />
<strong>dislessia</strong> uditiva.<br />
La lettura e la scrittura sono funzioni autonome, raggiungibili<br />
anche senza uno sviluppo intellettivo nella norma.<br />
80
Cos<strong>su</strong> distingue tra due componenti: la prima è il complesso di<br />
abilità e competenze che il bambino controlla per decifrare una<br />
stringa visiva; la seconda componente è quella di accesso al<br />
significato, accesso lessicale che avviene attraverso la<br />
“ricodificazione fonologica”.<br />
La competenza fonologica, cioè la capacità di analizzare<br />
separatamente i <strong>su</strong>oni all’interno della parola, è fondamentale.<br />
81
Il discorso <strong>su</strong>lla <strong>dislessia</strong> coinvolge un’ampia serie di discipline<br />
che concorrono allo studio e all’intervento <strong>su</strong>i disturbi<br />
dell’apprendimento ciascuna rappresentata da varie<br />
specializzazioni e da discipline che fanno da <strong>su</strong>pporto quali<br />
l’audiologia e la riabilitazione motoria.<br />
Queste differenti competenze determinano approcci differenti non<br />
comunicanti tra loro:<br />
- approccio neuropsicologico<br />
- approccio psicologico: teorie psico- pedagogiche dello schema<br />
corporeo, buon orientamento spazio temporale<br />
- approccio pedagogico a livello di rieducazione scolastica a<br />
partire dalla scuola materna: disegno, gioco, organizzazione<br />
dello spazio attraverso il movimento, la scoperta del proprio<br />
corpo<br />
- approccio sociologico: gli esiti sociali della <strong>dislessia</strong>, a distanza,<br />
sono rilevanti sia in termini di mancata realizzazione personale<br />
sia in termini di conseguenze psicologiche e sociali.<br />
82
DESCRIZIONE CLINICA<br />
Dal punto di vista clinico la <strong>dislessia</strong> evolutiva è considerata un<br />
disturbo complesso attribuibile a cause molto diverse.<br />
Dalla maggior parte degli autori è descritta come un disturbo della<br />
codifica fonemica non sempre legata ad un precedente disturbo del<br />
linguaggio; più precisamente, gli studi neuroanatomici parlano di<br />
“deficit funzionale derivante da piccole alterazioni<br />
neuroanatomiche di natura costituzionale”.<br />
Anche se descritta come un disturbo di codifica fonetica, non<br />
sempre legata ad un disturbo del linguaggio, i bambini dislessici<br />
mostrano una difficoltà di apprendimento di letto- scrittura legata<br />
alla primaria “difficoltà” di decodifica fonologica, in quanto<br />
questo processo necessita della decodifica dei segni scritti.<br />
In molti casi al disturbo legato alla lettura sono associati deficit<br />
nella scrittura, nell’operazione con i numeri, così come emergono<br />
83
la disorganizzazione e la difficoltà di comprensione, la confusione<br />
di spazio e tempo.<br />
Alcuni autori sostennero che all’origine della <strong>dislessia</strong> evolutiva ci<br />
fossero problemi legati al processamento visivo, cioè affermarono<br />
che il disturbo responsabile della difficoltà di lettura fosse di tipo<br />
vi<strong>su</strong>opercettivo per cui il soggetto avrebbe incontrato difficoltà a<br />
percepire o a ricostruire la configurazione della parola scritta.<br />
Mentre altri pensarono che i dislessici avessero qualche lesione<br />
cerebrale o nervosa, o una disfunzione congenita che interferiva<br />
con i processi mentali necessari alla lettura.<br />
Studi recenti hanno dimostrato l’esistenza di una base biologica<br />
della <strong>dislessia</strong>: il cervello dei bambini dislessici presenta delle<br />
alterazioni nel <strong>su</strong>o funzionamento. Mentre nei soggetti cosiddetti<br />
”normali”, quando leggono, aumenta il flusso di sangue in alcune<br />
zone cerebrali, attivandole, questo processo non avviene nei<br />
soggetti affetti dalla <strong>dislessia</strong>.<br />
84
ANALISI NEUROPSICOLOGICA<br />
Prima di esporre nello specifico la teoria neuropsicologica<br />
cognitiva, vorrei introdurre brevemente la teoria della modularità<br />
della mente per poi mostrare nello specifico i punti di contatto di<br />
entrambe le teorie.<br />
Studiosi di discipline diverse si sono interessati spesso allo studio<br />
e all’analisi della nostra capacità di acquisire la lingua o le lingue<br />
a cui siamo esposti. Alcune caratteristiche di questa capacità<br />
hanno indotto alcuni autori a ritenere che le strutture mentali che<br />
rendono possibile l’acquisizione del linguaggio siano innate,<br />
specifiche, discontinue e dissociabili da altri sistemi percettivi e<br />
cognitivi. Mentre la complessità di tale capacità ha portato altri<br />
studiosi a considerare il linguaggio come un sistema innato, ma<br />
che coinvolge una riconfigurazione di sistemi mentali e neurali<br />
che esistono in altre specie e continuano a svolgere anche alcune<br />
funzioni non linguistiche.<br />
85
Due delle teorie fondamentali che rappresentano gli indirizzi di<br />
ricerca sopra esposti sono: la teoria della modularità (Fodor, 1983;<br />
Pinker e Bloom, 1990) e la teoria cognitivista-funzionalista<br />
(Slobin 1973-1985; Bates e Mc Whinney 1989).<br />
Secondo la teoria della modularità, il linguaggio viene acquisito e<br />
mantenuto grazie a una facoltà che è indipendente dalle altre<br />
facoltà; per la teoria cognitivista-funzionalista il linguaggio è<br />
acquisito e mantenuto attraverso processi mentali/neurali che<br />
condivide con altri domini percettivi, cognitivi e affettivi. In altri<br />
termini secondo il primo punto di vista il linguaggio è inteso come<br />
un sistema modulare e le abilità linguistiche sono innate e<br />
specifiche; l’approccio cognitivo-funzionalista, pur sostenendo la<br />
presenza di abilità alla nascita, ritiene che la sofisticazione con cui<br />
i bambini affrontano l’acquisizione del linguaggio si basi <strong>su</strong> abilità<br />
cognitive e percettive più generali. Il linguaggio, in questo caso, è<br />
inteso come un’entità complessa formata da vari componenti,<br />
ciascuno dei quali può avere interrelazioni con una serie di<br />
86
componenti non linguistici: percettivi, cognitivi e sociali. C’è<br />
interdipendenza tra lo sviluppo cognitivo e lo sviluppo<br />
comunicativo, più nello specifico per quanto riguarda il rapporto<br />
tra componenti comunicativi gestuali e lo sviluppo verbale.<br />
Linguisti e psicolinguisti, influenzati dal punto di vista<br />
chomskiano, in principio hanno indagato la capacità linguistica in<br />
termini di acquisizione semantica e sintattica come separata da<br />
altri sistemi cognitivi per poi ampliare le proprie ricerche<br />
includendo molti altri ambiti (fonologico, morfologico,<br />
pragmatico) e affermare che la capacità linguistica: a) non si<br />
identifica esclusivamente con la semantica e la sintassi e b)<br />
implica capacità non linguistiche comunicative, percettive,<br />
cognitive.<br />
I dati emersi dagli studi <strong>su</strong>ll’acquisizione di lingue diverse hanno<br />
fatto emergere, accanto a notevoli somiglianze, varie differenze tra<br />
le lingue e l’esistenza, all’interno della stessa lingua, di una<br />
variabilità individuale tra i soggetti.<br />
87
Un contributo importantissimo alla comprensione<br />
dell’acquisizione del linguaggio viene soprattutto dall’analisi dei<br />
bambini che non acquisiscono il linguaggio o lo acquisiscono in<br />
tempi e modi diversi da quelli dei bambini cosiddetti “normali”.<br />
In molti di questi soggetti con disturbi specifici di linguaggio o<br />
con particolari forme di ritardo mentale, il deficit può riguardare<br />
solo alcuni aspetti della capacità linguistica e lasciare<br />
apparentemente intatte altre abilità; in altri casi, invece, si<br />
intreccia in modo estremamente complesso con altri deficit<br />
percettivi e/o cognitivi.<br />
In ambito neurologico e neuropsicologico, gli autori sono portati<br />
ad affermare che la capacità di acquisire un linguaggio sia<br />
un’abilità innata, ma che, almeno inizialmente, non sia specifica e<br />
indipendente da altre capacità. Ritengono che almeno inizialmente<br />
sia collegata a meccanismi cognitivi e percettivi più generali e che<br />
solo in un secondo tempo il linguaggio, soprattutto alcune abilità<br />
particolari, possono modularizzarsi costituendo dei domini<br />
88
separati e molto specifici. I moduli dei neuropsicologi incorporano<br />
fondamentalmente i principi della localizzabilità e della<br />
danneggiabilità selettiva: condizione necessaria affinché un<br />
modulo sia alla base della capacità di svolgere una certa classe di<br />
prestazioni è che tale capacità sia localizzabile e dissociabile.<br />
Per localizzabilità si intende che una lesione in una determinata<br />
area cerebrale deve comportare l’impossibilità di svolgere<br />
qualsiasi prestazione appartenente a quella classe; per<br />
dissociabilità (o selettività del deficit) si intende che quando sono<br />
colpite le prestazioni di una certa classe tutte le altre prestazioni<br />
cognitive rimangono intatte. Questi principi sono irrinunciabili per<br />
l’esistenza stessa della disciplina, che trae le <strong>su</strong>e ipo<strong>tesi</strong> teoriche<br />
dai danni funzionali indotti da lesioni cerebrali più o meno estese.<br />
A danneggiabilità e selettività si accompagna talora la specificità<br />
di dominio, nel senso che in diversi casi sono stati riscontrati<br />
danni localizzati ad aree di conoscenza assai specifiche, come i<br />
nomi propri, nomi di certi generi naturali, ecc.<br />
89
La neuropsicologia cognitiva ha quindi prodotto, nell’ambito di un<br />
approccio modulare all’organizzazione delle funzioni cognitive,<br />
modelli che prevedono il frazionamento del processo di lettura in<br />
una serie di operazioni cognitive specificate che vengono<br />
effettuate a partire dall’analisi visiva della stringa di lettere fino<br />
alla produzione della parola. Tali modelli si sono rivelati molto<br />
influenti nell’analisi e nell’interpretazione delle dislessie acquisite.<br />
Il modello più importante per le <strong>su</strong>e conseguenze teoriche è quello<br />
che si riferisce al modello di lettura “del doppio accesso” (Sartori,<br />
1984) o “dual-route model” (Coltheart, 1978). Questo modello<br />
prevede che il “buon lettore” utilizzi due strategie per leggere: una<br />
detta “dell’accesso diretto” (o via lessicale) attraverso la quale il<br />
soggetto riconosce globalmente la parola e arriva a pronunciarla<br />
dopo averla riconosciuta e richiamata dal <strong>su</strong>o repertorio lessicale;<br />
l’altra detta “dell’accesso indiretto” (o via fonologica) che richiede<br />
l’analisi delle <strong>su</strong>bunità che compongono la parola (lettere o<br />
sillabe) e attraverso le regole di conversione grafema- fonema,<br />
90
viene ricostruita la catena fonologica che consente il recupero<br />
della parola nel repertorio lessicale.<br />
Nella prima strategia la rappresentazione fonologica della parola è<br />
post-lessicale in quanto per pronunciare la parola stessa deve<br />
prima riconoscerla visivamente e ritrovarla nel <strong>su</strong>o lessico<br />
ortografico, mentre nella strategia indiretta la rappresentazione<br />
fonologica prelessicale in quanto la parola può essere pronunciata<br />
senza alcun confronto con il repertorio lessicale.<br />
Si as<strong>su</strong>me che il lettore usi entrambe le strategie utilizzando<br />
preferibilmente la via lessicale in quanto più rapida e meno<br />
dispendiosa e ricorrendo alla via fonologica solo quando incontra<br />
parole che non ha mai incontrato prima, oppure quando le parole<br />
presentano delle eccezioni o sono molto lunghe.<br />
Applicando questo modello ai disturbi della lettura sono stati<br />
identificati i due sottotipi di “<strong>dislessia</strong> <strong>su</strong>perficiale” e “fonologica”<br />
prima esposti. In ciascuno di questi sottotipi il modello a due vie<br />
91
non è riprodotto in quanto soltanto una via d’accesso è efficiente,<br />
mentre l’altra non è disponibile.<br />
L’esistenza di questi sottotipi consentirebbe di dimostrare<br />
l’indisponibilità di alcuni meccanismi molto specifici e selettivi<br />
nel processo di lettura. Inoltre l’attuazione di una sola strategia di<br />
lettura <strong>su</strong>pporrebbe l’ipo<strong>tesi</strong> di un sottosistema di lettura costituito<br />
da varie sottocomponenti separabili l’una dall’altra, danneggiabili<br />
separatamente (Castles e Coltheart; Cos<strong>su</strong> e Marshall) e quindi,<br />
dal punto di vista teorico, di una struttura modulare della mente.<br />
92
VIA<br />
VISIVA<br />
MODELLO STANDARD DI LETTURA<br />
Sistema<br />
Semantico<br />
Parola scritta<br />
Questo modello, che si ritiene alla base dell’idea di modularità<br />
della mente, rappresenta le strategie di lettura di un soggetto<br />
considerato “buon lettore”.<br />
93<br />
Analisi<br />
Visiva<br />
Riconoscimento delle<br />
lettere<br />
Riconoscimento<br />
visivo delle parole<br />
Produzione parole<br />
Sistema articolato<br />
VIA<br />
FONOLOGICA<br />
Identificazione delle<br />
lettere<br />
Conversione grafema<br />
fonema
Il primo stadio di “analisi visiva” sottopone lo stimolo ad<br />
un’analisi delle caratteristiche distintive e lo codifica in modo che<br />
possa alimentare lo stadio di riconoscimento delle lettere. Lo<br />
stadio di “identificazione delle lettere” le identifica in modo<br />
astratto.<br />
Il sistema di “riconoscimento delle parole” è composto da tanti<br />
riconoscitori quante sono le parole della lingua, fornisce una<br />
risposta (cioè il riconoscimento di una data parola) solo se una<br />
data soglia è stata raggiunta. Quindi, se il sistema di<br />
riconoscimento delle parole ha acquisito un’evidenza percettiva.<br />
La via di lettura che inizia da questo stadio può essere denominata<br />
via visiva o via lessicale per distinguerla dalla via fonologica o<br />
non lessicale che si basa <strong>su</strong>lla ricodificazione fonologica.<br />
La via lessicale a <strong>su</strong>a volta si divide in due: una semantica e una<br />
non- semantica; entrambe attivano il meccanismo di “produzione<br />
delle parole”.<br />
94
La via visiva semantica rappresentata nello schema dal passaggio<br />
dal riconoscimento visivo delle parole alla loro produzione<br />
attivando il significato della parola nel “sistema semantico”;<br />
alcuni sintomi propri di alcune forme di <strong>dislessia</strong> come l’effetto<br />
concretezza (il fatto che le parole concrete vengano lette in<br />
maniera più accurata di quelle astratte) e l’effetto di categoria<br />
grammaticale (nel quale i sostantivi sono letti meglio delle parole<br />
funzione) sono stati identificati da Morton e Patterson (1980).<br />
La via visiva non-semantica connette, invece, direttamente il<br />
“sistema di riconoscimento” con il “sistema di produzione” delle<br />
parole senza passare per il significato. Questa via permette di<br />
spiegare l’esistenza di una lettura di parole accurata in assenza di<br />
comprensione.<br />
La via fonologica costruisce la “forma fonologica” delle parole e<br />
delle non- parole date le lettere che sono state identificate negli<br />
stadi precedenti, che rappresentano il livello astratto<br />
95
dell’identificazione delle lettere, e attraverso l’applicazione di<br />
regole grafema- fonema.<br />
L’ultimo stadio, quello dell’articolazione (sistema articolato della<br />
figura), produce la parola o la non- parola che è stata elaborata dai<br />
meccanismi precedenti e rappresenta la fase finale del processo di<br />
lettura.<br />
Applicando questo modello ai disturbi della lettura sono stati<br />
identificati due sottotipi di <strong>dislessia</strong>: la <strong>dislessia</strong> <strong>su</strong>perficiale e la<br />
<strong>dislessia</strong> fonologica.<br />
In ciascuno di questi sottotipi il modello a due vie non è<br />
riprodotto, in quanto soltanto una via d’accesso è efficiente. Come<br />
già ampiamente descritto in precedenza, nel caso della <strong>dislessia</strong><br />
fonologica il soggetto incontra difficoltà con le parole irregolari o<br />
con le non- parole in quanto può usare solo l’accesso diretto o via<br />
lessicale (semantica). Nel caso della <strong>dislessia</strong> <strong>su</strong>perficiale, invece,<br />
il soggetto legge allo stesso modo parole e non- parole, senza<br />
mostrare alcun vantaggio per le parole più frequenti; inoltre non è<br />
96
in grado di leggere in modo corretto le parole irregolari (in italiano<br />
le parole con l’accento irregolare).<br />
E’ importante aggiungere che, per quanto riguarda l’italiano, la<br />
nostra ortografia ha un rapporto molto più univoco e trasparente<br />
tra <strong>su</strong>oni e segni rispetto all’ortografia inglese e quindi la via<br />
fonologica appare molto semplice e naturale, soprattutto nelle<br />
prime fasi dell’apprendimento della lettura.<br />
Sicuramente anche in italiano l’accesso diretto viene utilizzato dal<br />
lettore efficiente ma, contrariamente a quanto accade per la lingua<br />
inglese nella quale la via lessicale è indispensabile fin dall’inizio<br />
per imparare a pronunciare le parole, nell’ortografia italiana la via<br />
lessicale può essere attivata <strong>su</strong>ccessivamente, come ri<strong>su</strong>ltato<br />
dell’automatizzazione dei processi di codifica fonologica, dal<br />
momento che in essa ha le <strong>su</strong>e radici.<br />
Vi sono dati sperimentali che dimostrano che, nonostante<br />
l’adozione della via fonologica, i bambini già a partire dalla classe<br />
prima elementare mostrano un vantaggio derivante dall’influenza<br />
97
di componenti lessicali. Leggono, infatti, più rapidamente e in<br />
modo maggiormente accurato le parole più frequenti, cioè le<br />
parole più usate e quindi conosciute.<br />
I bambini italiani raggiungono l’apprendimento e<br />
l’automatizzazione dei processi di codifica in tempi molto rapidi e<br />
anche i dislessici, pur non riuscendo a raggiungere mai a<br />
raggiungere un’efficienza uguale a quella dei pari livello<br />
scolastico, riescono ad automatizzare le procedure di lettura entro<br />
il tempo dell’obbligo scolastico.<br />
Alcuni autori italiani (tra i quali Tressoldi), partendo dall’ipo<strong>tesi</strong><br />
dell’organizzazione gerarchica delle varie fasi dell’apprendimento<br />
(modello di Frith) sostengono che, data la natura del nostro<br />
sistema ortografico, non si potrebbero trovare dislessie<br />
fonologiche pure, ma solo dislessie <strong>su</strong>perficiali o miste. Per questo<br />
motivo considerano un limite del modello a due vie il non<br />
considerare l’interazione fra la strategia lessicale e quella<br />
fonologica: l’indipendenza delle due vie, che costituisce<br />
98
un’as<strong>su</strong>nzione di base del modello standard, non rende conto delle<br />
numerose prove che gli autori dispongono a favore dell’influenza<br />
della conoscenza lessicale <strong>su</strong>i processi di assemblaggio fonetico.<br />
99
Introduzione alla teoria modulare della mente<br />
Lo sviluppo delle neuroscienze contribuì allo sviluppo della psicologia<br />
scientifica <strong>su</strong>l piano della corrispondenza tra funzioni cerebrali e attività<br />
mentali.<br />
Un particolare rilievo, da questo punto di vista, ebbe l’attività scientifica<br />
dello scienziato austriaco Franz Joseph Gall (1821-25). All’attività di<br />
ricerca anatomico- funzionale Gall associò un’attività speculativa che lo<br />
portò a proporre una “psicologia delle facoltà”, con cui sostenne una<br />
<strong>su</strong>ddivisione “verticale” (in termini fodoriani): in altri termini, il pensiero<br />
matematico piuttosto che musicale, ma anche la vaghezza, la fiacca, come<br />
facoltà psicologiche, sarebbero separate completamente le une dalle altre.<br />
La concezione opposta sosteneva che vi sono dei “processi orizzontali”, al<br />
servizio di tutte le facoltà, come la memoria, la percezione ecc. Per Gall,<br />
invece, la memoria musicale non avrebbe alcun rapporto con la memoria<br />
per la matematica. Egli fece il tentativo di combinare la “psicologia delle<br />
facoltà” con le analisi neuro- anatomo- funzionale del cervello. Sosteneva<br />
che ogni facoltà ha una <strong>su</strong>a sede cerebrale specifica; che l’esercizio di una<br />
facoltà (o anche una <strong>su</strong>a dotazione innata) comportava uno sviluppo<br />
100
particolare, in senso di accrescimento fisico, dell’area cerebrale relativa;<br />
sosteneva inoltre che tale zona cerebrale quantitativamente accresciuta,<br />
premendo contro la scatola cranica, la deformasse. La conseguenza<br />
sarebbe stata la presenza <strong>su</strong>lla scatola cranica di asimmetrie che avrebbero<br />
consentito, da un’ispezione del cranio, la determinazione delle<br />
predisposizioni dell’individuo.<br />
Questo aspetto dell’opera di Gall non venne mai accolto con particolare<br />
entusiasmo dalla comunità scientifica; si dovette attendere il 1861 perché il<br />
discorso della localizzazione cerebrale delle funzioni mentali potesse<br />
riaprirsi. Quando, cioè, Broca scoprì il centro cerebrale del linguaggio<br />
articolato, rilevando che chi aveva una lesione nel piede della terza<br />
circonvoluzione prerolandica sinistra perdeva la capacità di articolare il<br />
linguaggio, pur conservando tutte le altre funzioni linguistiche, a<br />
cominciare dalla comprensione.<br />
Venivano così progressivamente individuati altri centri, la cui lesione<br />
corrispondeva alla perdita di altre funzioni mentali, del linguaggio (le<br />
cosiddette afasie), della rappresentazione cognitiva di cose o eventi (le<br />
agnosie), della capacità pratica di compiere azioni servendosi o meno di<br />
101
utensili (le aprassie). Tutto ciò porterà i neuropsicologi clinici ad affermare<br />
un’analitica rappresentazione cognitiva delle funzioni mentali.<br />
Lo stesso Fodor, del quale parlerò nel prossimo capitolo, si ricollega<br />
esplicitamente alla “psicologia delle facoltà” tramontata con la morte di<br />
Gall.<br />
102
DISLESSIA E TEORIA MODULARE DELLA<br />
MENTE<br />
In questo capitolo esaminerò più nello specifico la teoria della<br />
modulare di Fodor per confrontarla con il modello<br />
neuropsicologico di modularità.<br />
Secondo Fodor “l’architettura cognitiva” si distingue, per quel che<br />
riguarda i sistemi periferici di analisi dell’input, in particolare<br />
percezione e linguaggio, in strutture verticali (moduli) che<br />
“trasformano computazionalmente gli input in rappresentazioni”.<br />
Sono modulari, quindi, soltanto alcuni “sistemi periferici di input<br />
e output”, deputati a funzioni quali la percezione visiva e uditiva,<br />
l’elaborazione del linguaggio e il controllo motorio; cioè i sistemi<br />
percettivi in senso stretto, il cui output non è ancora una<br />
rappresentazione concettuale vera e propria. I sistemi di input si<br />
collocano a metà tra i trasduttori sensoriali, che convertono<br />
103
“l’energia che li colpisce in segnali elaborabili dai sistemi di<br />
input” e i sistemi centrali.<br />
E’ importante sottolineare come Fodor non ritenga la mente<br />
uniformemente modulare; infatti la “cognizione centrale”,<br />
l’insieme delle attività cognitive in si “fissano le credenze”, si<br />
traggono inferenze e si prendono decisioni, non presenta le<br />
caratteristiche di modularità dei sistemi periferici di input.<br />
Il modulo è un sottosistema di elaborazione delle informazioni che<br />
possiede delle caratteristiche sostanziali quali la specificità per<br />
dominio, obbligatorietà del funzionamento, velocità,<br />
incap<strong>su</strong>lamento informazionale.<br />
Specificità per dominio significa che il tipo di dati elaborati da un<br />
modulo concerne esclusivamente una ristretta area di conoscenza.<br />
I moduli sono strutture altamente specializzate che possono<br />
analizzare tipi di input differenziati da modulo a modulo; un<br />
modulo che per esempio serva a individuare il soggetto in una<br />
frase udita non può svolgere un altro tipo di compito. Per ciò che<br />
104
concerne in modo particolare il linguaggio è importante<br />
sottolineare che il modulo dell’analisi costruisce rappresentazioni<br />
della struttura grammaticale delle frasi, ma non rappresentazioni<br />
più profonde di livello semantico o pragmatico.<br />
Un’altra caratteristica del modulo è la <strong>su</strong>a attivazione automatica<br />
(obbligatorietà) in presenza del tipo specifico di input che è<br />
deputato ad analizzare. Non si può impedire che il modulo entri in<br />
azione nelle circostanze appropriate di funzionamento; per<br />
esempio non si può evitare di udire una frase proferita nella<br />
propria lingua o di avvertire una sensazione tattile quando si posa<br />
la mano <strong>su</strong> una <strong>su</strong>perficie.<br />
I moduli fodoriani sono “isolati informativamente” dal resto del<br />
sistema cognitivo, quindi il soggetto può accedere esclusivamente<br />
all’output del modulo, cioè alle rappresentazioni finali e non alle<br />
eventuali rappresentazioni intermedie di cui non è consapevole.<br />
D’altra parte questo “isolamento” sottolinea il fatto che il modulo<br />
sia incap<strong>su</strong>lato informazionalmente, cioè che durante il <strong>su</strong>o<br />
105
funzionamento, non può avere accesso né in generale alla<br />
rappresentazione delle conoscenze dell’individuo, né ad<br />
informazioni provenienti da altre parti del sistema cognitivo<br />
dell’individuo.<br />
La proprietà di accessibilità limitata unita alla caratteristica di<br />
incap<strong>su</strong>lamento informativo determina una netta separazione tra<br />
un modulo e il resto del sistema. Il modulo lavora in modo<br />
indipendente e autonomo ed è solo a livello della <strong>su</strong>a interfaccia di<br />
output che i “processi centrali” possono accedere ai dati elaborati<br />
dal modulo.<br />
Secondo Fodor “è l’incap<strong>su</strong>lamento informativo a costituire il<br />
cuore della modularità” . Questa caratteristica ri<strong>su</strong>lta fondamentale<br />
nei casi di percezione visiva, nell’analisi della sintassi e nel<br />
riconoscimento lessicale per spiegare i fenomeni di feed-back,<br />
cioè l’apparente uso nei processi di analisi percettiva di<br />
informazione di “alto livello”, non specifica dello stimolo<br />
percettivo.<br />
106
Esempi di questo fenomeno sono le reintegrazioni di fonemi o di<br />
particolari visivi: se in una sequenza di <strong>su</strong>oni linguistici<br />
percepiamo l’assenza di un fonema, inseriamo il pre<strong>su</strong>nto fonema<br />
mancante <strong>su</strong>lla base dei fonemi precedenti e <strong>su</strong>ccessivi,<br />
indipendentemente dal fatto che il fonema in questione fosse<br />
realmente presente nella sequenza.<br />
Nella prospettiva modularista questi fenomeni vengono spiegati<br />
affermando che gli effetti del feed- back (le integrazioni o<br />
correzioni) intervengono <strong>su</strong>i ri<strong>su</strong>ltati dei sistemi di input, non <strong>su</strong>lle<br />
loro elaborazioni.<br />
Anche le illusioni ottiche sarebbero una prova a favore<br />
dell’incap<strong>su</strong>lamento, poiché sono casi in cui il modulo visivo<br />
sbaglia per ragioni intrinseche ai <strong>su</strong>oi principi di funzionamento;<br />
ricorrere alla nostra conoscenza non evita l’errore, ma lo corregge<br />
a posteriori.<br />
Fodor respinge così la concezione top- down della percezione, in<br />
base alla quale la codificazione percettiva di uno stimolo è<br />
107
determinata in larga mi<strong>su</strong>ra da credenze e attese più o meno<br />
consapevoli del soggetto.<br />
Nella lettura a prima vista l’interpretazione iniziale della frase è<br />
data dal solo ricorso a indici sintattici; solo in un secondo<br />
momento entreranno in gioco fattori semantici.<br />
L’analizzatore sintattico, la componente dell’elaboratore<br />
linguistico che computa le relazioni grammaticali tra le parole,<br />
funziona applicando regole che tengono conto della categoria<br />
sintattica delle parole e non sono guidate dall’informazione<br />
semantica o da altre informazioni di “alto livello”.<br />
E’ questo che fa sì che si possa parlare di incap<strong>su</strong>lamento<br />
informazionale dell’analizzatore sintattico e quindi della <strong>su</strong>a<br />
modularità.<br />
Lo stesso discorso può essere fatto a proposito del<br />
“riconoscimento lessicale”. Come lo si può analizzare dal punto di<br />
vista modulare? Il processo di selezione degli elementi lessicali è<br />
influenzato dalle conoscenze sintattiche e semantiche?<br />
108
Il “riconoscimento lessicale” è l’insieme dei processi che, dato un<br />
certo input acustico e fonetico, selezionano un elemento tra quelli<br />
contenuti nel lessico mentale. Potrebbe sembrare legittimo, in<br />
questo caso, congetturare che le conoscenze dei sistemi centrali<br />
siano inviate all’elaboratore lessicale determinando una<br />
facilitazione del riconoscimento delle parole. Fodor risponde a<br />
questa congettura distinguendo tra associazioni lessicali e giudizi:<br />
una cosa è istituire un nesso associativo tra elementi del lessico e<br />
un’altra cosa è disporre della conoscenza che si ha degli elementi<br />
in oggetto.<br />
Per Fodor l’idea di base è che “la struttura logica e grammaticale<br />
di una frase è determinata unicamente (se non ambigua) dalla <strong>su</strong>a<br />
costituzione fonetica; quest’ultima è a <strong>su</strong>a volta determinata<br />
unicamente da certe <strong>su</strong>e proprietà acustiche”. Quindi “il<br />
riconoscimento della forma linguistica non può essere guidato dal<br />
contesto, perché non è il contesto che determina la forma; e il fatto<br />
che la forma linguistica possa essere poi riconosciuta deve essere<br />
109
determinato da processi in larga mi<strong>su</strong>ra incap<strong>su</strong>lati. Così il sistema<br />
dell’input linguistico specifica la forma linguistica, e forse anche<br />
logica, di ogni enunciato appartenente al <strong>su</strong>o dominio. In questa<br />
proposta è implicito che non faccia più di questo”.<br />
La concezione modulare implica per Fodor che i processi rapidi,<br />
obbligati e incap<strong>su</strong>lati informazionalmente formano un sistema<br />
funzionalmente rilevante per la comprensione del linguaggio<br />
poiché “trasmettono delle rappresentazioni di enunciati che<br />
appaiono perfettamente sensate se considerate come delle<br />
rappresentazioni di enunciati: (cioè) rappresentazioni che<br />
specificano i costituenti morfemici, la struttura sintattica, la forma<br />
logica”.<br />
Per completare l’esposizione della teoria fodoriana è importante<br />
introdurre le altre proprietà dei moduli: la realizzazione neuronale<br />
fissa (plausibile in base all’idea che i moduli siano selezionati<br />
geneticamente) e la danneggiabilità selettiva.<br />
110
Per quanto concerne la seconda caratteristica, questa è una<br />
conseguenza dell’incap<strong>su</strong>lamento e della realizzazione neuronale<br />
fissa: un danno circoscritto a un gruppo di circuiti neuronali può<br />
colpire esclusivamente le funzioni eseguite dal modulo<br />
corrispondente. Fodor descrive, quindi, l’afasia e l’agnosia come<br />
turbe funzionali che seguono un ben preciso modello; non possono<br />
essere spiegate riconducendole a un mero decremento quantitativo<br />
di capacità globali orizzontali come la memoria, l’attenzione, la<br />
capacità di risolvere problemi. (…) L’analisi degli input è<br />
ampiamente influenzata da circuiti neurali specifici, connaturati, e<br />
dall’altro le patologie dei sistemi di input sono causate da lesioni<br />
di questi circuiti specializzati. (…) Ogni meccanismo psicologico<br />
che sia funzionalmente distinto può <strong>su</strong>bire dei danni selettivi”.<br />
La <strong>dislessia</strong> in base a questa teoria, potrebbe essere considerata<br />
come il ri<strong>su</strong>ltato del malfunzionamento di uno o più moduli, cioè<br />
di una o più unità computazionali geneticamente predisposte a<br />
111
svolgere computazioni molto specifiche, in questo caso quelle<br />
predisposte per la decodifica e la trans-codifica dei segni grafici.<br />
Questa organizzazione, così articolata e specifica, è confermata<br />
dalla letteratura <strong>su</strong>i disturbi di lettura, scrittura e calcolo che<br />
consente di documentare danni settoriali e specifici.<br />
112
Basi biologiche della <strong>dislessia</strong><br />
Fin dalla fine del 1800, in base alle prime descrizioni di bambini<br />
con “cecità verbale congenita” (Morgan, 1896; Hinshelwood,<br />
1900), è stato ipotizzato che i dislessici evolutivi costituissero un<br />
gruppo con caratteristiche peculiari non solo cognitive (elevata<br />
intelligenza e specifico difetto di lettura) ma anche neurologiche a<br />
cattivi lettori con ritardo generale del funzionamento intellettivo.<br />
In particolare gli autori sopra menzionati, rifacendosi a Dejerine,<br />
che nel 1892 aveva descritto un caso di alessia e agrafia acquisita<br />
a seguito di una lesione del giro angolare di sinistra, postularono<br />
che anche nei casi evolutivi di <strong>dislessia</strong> fossero danneggiate le<br />
porzioni posteriori dell’emisfero di sinistra.<br />
Quasi un secolo dopo (1979) Galaburda e Kemper riportarono un<br />
caso di un dislessico di vent’anni in cui l’esame post-mortem<br />
rivelò la presenza di anomalie morfologiche confinate nel lobo<br />
temporale posteriore di sinistra.<br />
113
Negli ultimi anni, con l’introduzione di nuove metodiche per lo<br />
studio della morfologia cerebrale e del funzionamento in vivo del<br />
sistema nervoso centrale è stata notevolmente incrementata la<br />
ricerca di anomalie strutturali e funzionali del sistema nervoso<br />
centrale di pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />
Alla domanda se il cervello di individui dislessici presenti<br />
alterazioni strutturali hanno cercato di dare risposta studi effettuati<br />
<strong>su</strong> pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva, sia con l’uso di tecniche<br />
tradizionali (studi autoptici) che nuove per lo studio della<br />
morfologia cerebrale e del funzionamento in vivo del sistema<br />
nervoso centrale.<br />
In uno studio autoptico di quattro pazienti di sesso maschile<br />
(Galaburda e coll.) e <strong>su</strong>ccessivamente di tre pazienti di sesso<br />
femminile (Humphreys e coll. 1990) che in vita avevano avuto<br />
una storia di difficoltà di apprendimento della lettura, sono state<br />
descritte sia alterazioni del pattern di asimmetrie cerebrali di aree<br />
linguistiche, sia malformazioni corticali minori della corteccia<br />
114
perisilviana. In particolare il planum temporale era simmetrico in<br />
tutti i cervelli esaminati, mentre nel cervello normale il planum<br />
temporale, un’area triangolare definita anteriormente dal giro di<br />
Heschl e posteriormente dal margine posteriore della scis<strong>su</strong>ra di<br />
Silvio, presenta nel 70% dei casi un’estensione maggiore a sinistra<br />
che a destra. Le alterazioni morfologiche riscontrate nei lavori di<br />
Galaburda e coll. interessavano un’area che includeva la porzione<br />
anteriore all’area di Broca, l’area di Broca, parte di quella di<br />
Wernicke, il lobulo parietale e l’opercolo parietale, aree implicate<br />
nell’elaborazione linguistica orale e scritta.<br />
In una serie di lavori che hanno utilizzato la Risonanza Magnetica<br />
Nucleare <strong>su</strong> soggetti dislessici adulti e in età evolutiva (1980-90) è<br />
stata confermata la presenza di variazioni strutturali in specifiche<br />
regioni cerebrali di pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva. Tali variazioni<br />
dalla norma includono soprattutto plana temporali simmetrici o<br />
con asimmetria invertita (planum temporale destro più esteso del<br />
sinistro).<br />
115
L’interesse di questi dati in riferimento alla patogenesi della<br />
<strong>dislessia</strong> consiste nel fatto che le anomalie e le malformazioni<br />
riscontrate interessano prevalentemente aree implicate in aspetti<br />
diversi dell’elaborazione linguistica. Larsen e coll. (1990) a questo<br />
proposito hanno dimostrato che la simmetria del planum<br />
temporale si associava nei dislessici a un deficit della codifica<br />
fonologica della lingua scritta.<br />
Studi <strong>su</strong>l funzionamento cerebrale con la Tomografia a emissione<br />
di positroni (PET) hanno evidenziato nei dislessici una riduzione<br />
del metabolismo del glucosio nella regione perin<strong>su</strong>lare di sinistra<br />
durante l’attività di lettura (Gross-Glenn e coll. 1986). Altri studi<br />
con la PET (1992) hanno dimostrato anomalie nel flusso cerebrale<br />
nell’area temporoparietale di sinistra.<br />
Alterazioni neuroanatomiche sono state riscontrate anche in aree<br />
corticali e sottocorticali deputate alla percezione visiva e acustica<br />
che sono state messe in relazione con difficoltà dei dislessici a<br />
livelli più periferici del processamento sensoriale e percettivo.<br />
116
Sembra, quindi esserci una convergenza di dati neuroanatomici e<br />
neurofisiologici a favore di un’organizzazione e di un<br />
funzionamento cerebrale atipici in pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />
E’ stato ipotizzato, infatti, che la <strong>dislessia</strong> sia riconducibile a un<br />
difetto di lateralizzazione funzionale degli emisferi sinistri<br />
cerebrali.<br />
Lateralizzazione emisferica e <strong>dislessia</strong><br />
Orton (1925) introdusse la teoria che alla base della <strong>dislessia</strong> ci<br />
fosse una mancata dominanza dell’emisfero cerebrale di sinistra<br />
originata da un ritardo dello sviluppo neurologico. Le<br />
manifestazioni cognitive di questa atipia sarebbero una confusione<br />
tra immagini visive di simboli scritti processati da entrambi gli<br />
emisferi che portava, ad esempio, alla difficoltà a distinguere<br />
lettere speculari (b, d). Alla mancata dominanza emisferica sinistra<br />
era da attribuirsi, sempre secondo Orton, un mancato stabilirsi<br />
della dominanza manuale e della concordanza fra dominanza<br />
manuale e oculare. La teoria di Orton è stata molto influente ma<br />
117
scarsamente sostenuta da dati sperimentali; sono numerosissime le<br />
ricerche ad essa ispira<strong>tesi</strong> allo scopo di dimostrare un legame fra<br />
ridotta specializzazione emisferica e <strong>dislessia</strong>.<br />
Studi recenti<br />
Nello scorso decennio con lo sviluppo di una tecnica denominata<br />
“risonanza magnetica funzionale” (FMRI) la ricerca <strong>su</strong>lla <strong>dislessia</strong><br />
ha potuto compiere dei passi avanti. Questa tecnica infatti<br />
permette di vedere quali parti del cervello siano maggiormente<br />
irrorate dal flusso sanguigno e quindi quali di queste ri<strong>su</strong>ltino più<br />
attive durante la lettura.<br />
Gli scienziati hanno usato questa tecnica per identificare tre aree<br />
del lato sinistro del cervello che hanno un ruolo chiave nella<br />
lettura. Scientificamente queste sono conosciute come “giro<br />
frontale inferiore sinistro”, “area temporo- parietale sinistra” e<br />
“l’area temporo- occipitale sinistra”. Ognuna di queste aree è<br />
specializzata in un compito: nella prima si “vocalizzano” le parole<br />
e si dà il via all’analisi dei fonemi, cioè dei <strong>su</strong>oni che le<br />
118
compongono (area produttrice di fonemi – “phoneme producer”).<br />
Nella seconda viene effettuata l’analisi completa delle parole<br />
scritte; queste sono scomposte in sillabe e lettere e ognuna è<br />
collegata al relativo <strong>su</strong>ono ( area analista di parole – “analyzer<br />
word”). La terza (automatic detector) è “incaricata di vedere” le<br />
lettere e rendere automatico il processo di riconoscimento delle<br />
parole. Più spesso viene attivata, meglio funziona; nel senso che<br />
chi legge molto può scorrere un foglio scritto a velocità<br />
rapidissima. Dalla ricerca in oggetto, sembra che il cervelletto<br />
svolga una funzione importante nel coordinamento delle varie<br />
funzioni cognitive e quindi anche nell’automatizzazione della<br />
lettura. E’ importante comunque sottolineare che queste tre aree<br />
“lavorano” simultaneamente come un’orchestra che <strong>su</strong>ona una<br />
sinfonia.<br />
Utilizzando la FMRI, gli scienziati hanno determinato che “i<br />
lettori principianti” dipendono molto dall’area “phoneme<br />
producer” e dall’area “analyzer word”. La prima di queste due<br />
119
aree aiuta il lettore a pronunciare parole – silenziosamente o ad<br />
alta voce- e inizia ad analizzare alcuni fonemi che formano le<br />
parole dette. La seconda area analizza le parole minuziosamente,<br />
<strong>su</strong>ddividendole nelle sillabe e fonemi costituenti e collegando le<br />
lettere ai loro <strong>su</strong>oni.<br />
Come i lettori diventano esperti accade qualcosa d’interessante: la<br />
terza sezione – “automatic detector” – diviene più attiva. La <strong>su</strong>a<br />
funzione è costruire un repertorio permanente che permetta ai<br />
lettori di riconoscere a prima vista le parole familiari. Come i<br />
lettori progrediscono, l’equilibrio tra le tre aree viene meno e<br />
l’”automatic detector” incomincia a dominare. Se tutto va bene la<br />
lettura diverrà un’attività che non implica alcuno sforzo. Il<br />
dislessico, invece, si trova ad affrontare questa attività con un<br />
notevole dispendio di energie poiché non riesce ad automatizzare<br />
la corrispondenza tra il <strong>su</strong>ono, o fonema, e il segno grafico<br />
corrispondente: ogni volta che si trova di fronte ad una parola<br />
scritta è costretto a “scoprirla” come se fosse la prima volta. Non<br />
120
si attua, cioè, quell’automatismo tipico del lettore esperto. Questo<br />
avviene perché, nel cervello del dislessico, i circuiti neurali<br />
deputati alla lettura ri<strong>su</strong>ltano rallentati o addirittura interrotti. Gli<br />
studi condotti con l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale<br />
hanno stabilito che durante la lettura c’è una minore presenza o<br />
attività dei neuroni rispetto alla norma, sia a livello del cervelletto<br />
sia a livello del lobo temporale nell’emisfero sinistro. In qualche<br />
modo “saltano” o “funzionano male” i collegamenti tra le varie<br />
aree cerebrali garantiti dai neurotrasmettitori e in particolare con<br />
“l’analista delle parole” e il “detector automatico”.<br />
Il dislessico compensa utilizzando di più il “produttore di <strong>su</strong>oni” e<br />
le aree dell’emisfero destro del cervello, normalmente deputate a<br />
processare immagini e idee astratte.<br />
121
ANALISI PSICOLOGICA<br />
La ricerca psicologica ha posto al centro dell’attenzione il<br />
problema relazionale del soggetto dislessico (evolutivo).<br />
L’intento è quello di descrivere l’universo del dislessico, di<br />
analizzare il <strong>su</strong>o modo di “essere nel reale in quanto dislessico”,<br />
capire la <strong>su</strong>a condizione non come condizione “disorganizzata”,<br />
ma come tipo di consapevolezza in rapporto con un mondo non<br />
organizzato secondo “il nostro comune sistema di significati”.<br />
In base a questi pre<strong>su</strong>pposti il dislessico non è un bambino per il<br />
quale le cose non hanno un senso o le parole hanno perduto il loro<br />
significato; per lui le cose, le azioni e le parole, hanno un<br />
significato, ma questo significato, “che è un significato per lui”, si<br />
scontra con il significato che le cose, le parole scritte e parlate, le<br />
azioni e i semplici gesti hanno per gli altri.<br />
Questo “scontro” porta con sé una costante ricerca di punti di<br />
riferimento “stabili” in un “universo di significati per lui” che non<br />
122
è caotico, ma ambiguo e non stabile. Le cose sono di fronte a lui<br />
come per tutti, ma i rapporti che esse hanno tra di loro o in<br />
riferimento a lui, sono mobili sfuggenti, bipolari e ambivalenti:<br />
non c’è punto di vista intenzionale unitario.<br />
Il soggetto dislessico vive in un universo instabile, si sente<br />
disorientato e questa <strong>su</strong>a condizione è “cronica” in quanto<br />
l’ambiguità del significato esiste per lui in tutte le dimensioni del<br />
<strong>su</strong>o mondo: direzione, significato, punto di vista, sentimento e<br />
simbolo. Ogni parola può cambiare significato fino al punto che il<br />
contesto contaminato dall’equivoco non serve più nemmeno come<br />
riferimento.<br />
Se deve usare una certa parola il dislessico ne vede nascere nella<br />
mente molte vicine per significato o per forma; questo lo porta<br />
all’incertezza <strong>su</strong>lla scelta di una o di un’altra o l’impiego di un<br />
<strong>su</strong>ono per un altro o di una parola per il <strong>su</strong>o analogo rovesciato.<br />
L’incontro con la lettura porta il bambino dislessico a stabilire dei<br />
punti di riferimento che gli serviranno per sfogliare il libro nel<br />
123
senso giusto, cioè conformemente alle indicazioni e alle correzioni<br />
fatte dagli adulti. La ricerca dei punti di riferimento comincia<br />
molto presto ed è facilitata dalla relativa semplificazione della vita<br />
infantile prima dell’ingresso a scuola; con l’entrata nell’universo<br />
scuola la necessità dei punti di riferimento, il loro numero e la<br />
necessaria stabilizzazione aumentano in maniera brusca. Così il<br />
bambino cerca di trovare punti fissi nella realtà materiale interna<br />
ed esterna alla classe riferendosi ad oggetti fissi nell’ambiente; per<br />
questo teme il cambiamento di posto all’interno della classe<br />
perché tutto il <strong>su</strong>o “sistema” si rivelerebbe inefficace. Il<br />
disorientamento spaziale e temporale si accompagna a un<br />
disorientamento affettivo.<br />
Nello stesso tempo ri<strong>su</strong>ltano fondamentali, per il dislessico, la<br />
motivazione ed il desiderio di riuscire, di <strong>su</strong>perare il <strong>su</strong>o<br />
disorientamento: il bambino avverte più profondamente degli altri<br />
le reazioni ai <strong>su</strong>oi errori e si sente escluso dal gruppo.<br />
124
Cerca, per questo, di moltiplicare i punti di riferimento e i sistemi<br />
che permettono di “accomodare” le risposte; cercherà di capire di<br />
capire di cosa si tratta grazie alle illustrazioni, cercherà di<br />
imparare a memoria le didascalie delle illustrazioni, davanti a testi<br />
senza illustrazioni ricorrerà ad un approccio globale al testo per<br />
rendersi conto in modo approssimativo di che cosa si tratta per poi<br />
improvvisare al momento opportuno.<br />
Questi procedimenti, però, falliscono nel momento in cui la lettura<br />
si complica diventando un mettere insieme le lettere semplificando<br />
e complicando la loro unione. L’immaginazione è l’addetta a<br />
colmare le lacune fra i punti decodificati, ma mentre il bambino<br />
cerca di decifrare, il senso globale si perde.<br />
Il più delle volte, alla fine del primo anno di apprendimento, le<br />
motivazioni diventano negative e il bambino si mostra reticente e<br />
svogliato quando si tratta di leggere.<br />
125
Le condizioni dell’universo orientato (no)<br />
La psicologia cosiddetta del senso comune considera lo sviluppo<br />
mentale come un “adattamento progressivo” ad una realtà esterna<br />
strutturata.<br />
Il mondo e l’Io si costituiscono correlativamente e si strutturano<br />
reciprocamente, cambiano insieme in quanto sono i termini<br />
essenziali di una relazione che li rende indissolubili nel momento.<br />
C’è un rapporto molto stretto tra essi perché una certa forma<br />
dell’ambiente o un certo atteggiamento dell’individuo che<br />
rappresenta quell’ambiente, determina o induce nel soggetto una<br />
relazione vis<strong>su</strong>ta, un atteggiamento, una postura, un<br />
comportamento che costituisce una risposta irriflessa<br />
dell’organismo; tutto ciò avviene ad un livello di comunicazione<br />
non cosciente e senza linguaggio in quanto si tratta di<br />
complementarietà di atteggiamenti ad un livello irriflesso e di tipo<br />
animale.<br />
126
Da questo punto di vista, una turba della relazione è<br />
necessariamente alla base delle perturbazioni dell’universo<br />
vis<strong>su</strong>to; l’universo disorientato del dislessico è legato ad un Io che<br />
vive nell’incertezza e in una certa forma di insicurezza.<br />
E’ importante, quindi, esplicitare di quale Universo orientato si<br />
parla, delle <strong>su</strong>e caratteristiche e del legame che esse hanno con il<br />
problema trattato.<br />
Fattori di stabilizzazione dell’Universo orientato<br />
- Lateralizzazione<br />
- Schema corporeo<br />
- Orientamento spazio- temporale<br />
- Stabilizzazione dei valori<br />
127
LATERALIZZAZIONE<br />
Lo sviluppo neurologico avviene in maniera diversa nei due<br />
emisferi cerebrali e nei territori neuro- sensitivo- motori che gli<br />
corrispondono.<br />
Una delle mani è più abile dell’altra o effettua una data operazione<br />
prima dell’altra. Verso i quattro mesi il bambino è capace di<br />
vedere passare la <strong>su</strong>a mano davanti agli occhi; si può notare,<br />
dunque, che una mano può effettuare quest’operazione prima<br />
dell’altra. Verso i sette mesi, il bambino è capace di far passare un<br />
oggetto da una mano all’altra, una delle due è più abile dell’altra<br />
nell’eseguire questo movimento.<br />
Nei primi mesi si può constatare, nella maggioranza dei bambini,<br />
una relativa dominanza motoria in quanto non esistono destri e<br />
mancini al 100% e la lateralità dominante.<br />
Il destrimane non è colui che adopera solo la mano destra, ma si<br />
serve di tutte e due le mani; la mano sinistra, però, nei momenti<br />
coordinati, ha un compito di sostegno.<br />
128
Non tutti gli autori concordano <strong>su</strong>l momento in cui compare la<br />
lateralità, ma quasi tutti convergono <strong>su</strong>l fatto che:<br />
- prima dei sette mesi non è possibile alcuna previsione di<br />
dominanza<br />
- essa è precoce soltanto se è netta<br />
- il momento della stabilizzazione dipende da molti fattori<br />
Ogni segmento del corpo sembra avere una <strong>su</strong>a dominanza a<br />
seconda delle azioni; si può essere destri in un segmento e sinistri<br />
in un altro (lateralizzazione crociata) sempre riferendosi a<br />
movimenti attivi che fino ad oggi sono serviti come riferimento<br />
per la diagnosi di lateralizzazione.<br />
Ogni emisfero controlla i movimenti dell’emisoma opposto alla<br />
<strong>su</strong>a posizione: l’emisfero destro domina il lato sinistro e viceversa.<br />
Nella nostra cultura la maggior parte degli uomini ha dominanza<br />
emisferica sinistra.<br />
129
- La dominanza emisferica dipende da fattori anatomo-<br />
strutturali, anche se la <strong>su</strong>a potenzialità è influenzata da fattori<br />
sociali e di sviluppo.<br />
- Il legame tra preferenza manuale e dominanza emisferica esiste,<br />
ma non in assoluto.<br />
- Il rapporto tra la preferenza laterale e l’apprendimento della<br />
lettura- scrittura può essere considerato un fatto socio- culturale,<br />
data la rarità dei relativi disturbi riscontrata negli analfabeti.<br />
Lateralità della mano<br />
Sono state tentate molte spiegazioni <strong>su</strong>l perché facciamo uso della<br />
mano destra più della sinistra; non è <strong>su</strong>fficiente interrogare gli<br />
interessati per conoscere la loro lateralità reale, certi mancini<br />
s’ignorano e altri, abituati magari ad usare la destra con la forza,<br />
saranno i primi a dire che sono destrimani; i gesti non appresi sono<br />
quelli che possono fornire informazioni più precise.<br />
130
C’E’ UN LEGAME TRA IL MANCINISMO E I PROBLEMI<br />
DELLA LETTURA?<br />
Esisteva, soprattutto in ambito scolastico, l’opinione che esista una<br />
relazione tra mancinismo o ambidestrismo e disturbi<br />
nell’apprendimento della lettura, ma questa ipo<strong>tesi</strong> non è stata<br />
sostenuta da fatti e ri<strong>su</strong>ltati sperimentali.<br />
La <strong>su</strong>a origine risale alle osservazioni di Orton (1937) il quale<br />
constatò, nei bambini con disturbi di lettura, un’elevata<br />
percentuale di preferenza manuale mista e di errori nel<br />
riconoscimento di lettere speculari. Interpretò questi<br />
comportamenti come riflessi di una confusione tra destra e sinistra<br />
e li assimilò ad una mancata dominanza dell’emisfero cerebrale<br />
sinistro per le funzioni verbali.<br />
Poiché si ritiene che l’uso della mano destra indichi la<br />
specializzazione dell’emisfero sinistro per il linguaggio è<br />
giustificata l’attesa che i bambini con disturbi nella lettura siano o<br />
131
mancini o ambidestri; ma le ricerche non hanno evidenziato in<br />
modo chiaro l’esistenza di una relazione tra preferenza manuale e<br />
disturbo della lettura.<br />
Il mancinismo, quale naturale organizzazione della dominanza<br />
laterale, non è un fenomeno anormale, un mancino non ha difetti<br />
neurologici, ma difficoltà di orientamento nell’universo orientato.<br />
Di solito il mancinismo è rapportato a fenomeni embrio- genetici<br />
tra cui l’ereditarietà, ma le cause sono ancora oscure.<br />
E’, però, rafforzata l’ipo<strong>tesi</strong> che il mancinismo non sia una<br />
caratteristica predominante del dislessico, come lo è invece una<br />
lateralizzazione non perfettamente strutturata<br />
132
Dominanza incrociata<br />
La prevalenza per le diverse paia di organi in uno stesso individuo<br />
non è sempre unilaterale un soggetto lateralizzato a destra per la<br />
mano può essere lateralizzato a sinistra per il piede o per l’occhio<br />
e viceversa.<br />
SCHEMA CORPOREO<br />
Il corpo è come un radar che registra, raccorda, elabora e<br />
organizza informazioni per sviluppare capacità di relazione con il<br />
mondo; è usato dall’uomo nel <strong>su</strong>o dialogo con la realtà circostante<br />
durante ogni età, dal dialogo tonico- affettivo con la madre a<br />
quello di comunicazione con gli oggetti e le persone.<br />
Il concetto di schema corporeo si riferisce alla conoscenza che<br />
l’individuo ha di sé come funzionamento dei meccanismi<br />
fisiologici attraverso cui egli sperimenta le sensazioni della reale<br />
struttura corporea, è un concetto dinamico, globale e applicabile<br />
all’intera personalità.<br />
133
E’ una definizione che risale, circa, ai primi dell’800 e si fonda<br />
con l’ipo<strong>tesi</strong> che ciascuno possiede una sensibilità interna<br />
(cines<strong>tesi</strong>) da cui riceve informazioni <strong>su</strong>l proprio corpo.<br />
La consapevolezza del proprio corpo, delle parti, dei movimenti<br />
corporei, delle posture e degli atteggiamenti, si sviluppa molto<br />
lentamente nel bambino e si trova compiuta normalmente verso gli<br />
11-12 anni.<br />
La consapevolezza del corpo è carica, nella <strong>su</strong>a compiutezza, degli<br />
schemi motori virtuali ed è capace di prolungarsi con le tante<br />
“prese” <strong>su</strong>l mondo mediante attrezzi, macchine e strumenti che le<br />
nostre abitudini e la nostra abilità ci permettono di farle<br />
incorporare.<br />
La percezione delle “estremità corporee” comincia quando il<br />
bambino fa passare le mani o i piedi nel campo visivo.<br />
Verso il nono mese lo sviluppo motorio permette percezioni<br />
labirinto- percettivo- motorie nuove, come sdraiarsi, sedersi,<br />
voltarsi; tra gli 11 e i 14 mesi inizia l’esperienza del camminare<br />
134
con tutte le sensazioni ad essa associate, visive, motorie e della<br />
distanza che costituiscono una prima divisione Io- non Io.<br />
Verso i 2 anni il gioco preferito del bambino è, molto<br />
simbolicamente, quello degli incastri, di mettere le cose vicine,<br />
ammucchiarle come se cercasse di “mettersi insieme”.<br />
In questo periodo sono molto importanti le bambole, gli<br />
orsacchiotti con i quali il bambino si identifica e anche lo<br />
specchio.<br />
Durante il terzo anno ha molta importanza il controllo degli<br />
sfinteri e nel quarto il bambino fa una nuova differenziazione tra<br />
Io- non Io con la scoperta del <strong>su</strong>o sesso e della differenza tra i<br />
sessi.<br />
A 5 anni si compie il primo schema corporeo totale e nel disegno<br />
dell’omino il “testone” è sostituito da una forma umana dotata di<br />
testa, occhi, orecchie, naso, bocca e di un tronco con gambe e<br />
braccia terminanti con molte dita; il fatto che né il numero delle<br />
135
dita né le proporzioni siano rispettate, dimostra che<br />
l’aggiustamento è da completare.<br />
Sul piano dei movimenti e dell’azione, lo spazio del proprio corpo<br />
è definitivamente conquistato.<br />
A questo punto l’organizzazione di un qualsiasi atto non riflesso<br />
esige la formazione di un’immagine motoria che si costruisce<br />
attraverso l’interiorizzazione del modello dell’atto motorio riuscito<br />
fino ad arrivare ad un’abitudine motoria che si complica per<br />
integrare azioni sempre più lunghe e difficili.<br />
Gli schemi motori, quindi, possono organizzarsi solo partendo<br />
dallo schema corporeo e ad esso appoggiarsi; di conseguenza un<br />
bambino o un adulto che ha una turba dello schema corporeo, e<br />
cioè della coscienza del <strong>su</strong>o corpo e delle <strong>su</strong>e possibilità motorie,<br />
non riuscirà a costruire nes<strong>su</strong>no schema dinamico di azione in<br />
quanto questo richiede la sensazione di talune regioni corporee, la<br />
differenziazione di certi movimenti e la coordinazione di gesti<br />
simultanei o <strong>su</strong>ccessivi.<br />
136
Nel caso di turbe dello schema corporeo, si nota goffaggine che è<br />
il sintomo di questo disturbo, poiché leggere e scrivere sono<br />
abitudini vi<strong>su</strong>o- motorie, l’acquisizione degli schemi dinamici<br />
corrispondenti si fonda <strong>su</strong>ll’organizzazione dello schema corporeo<br />
da cui essi dipendono direttamente.<br />
Nella formazione delle abitudini motorie intervengono anche<br />
fattori affettivi espressi mediante le posture, gli atteggiamenti e i<br />
comportamenti in quanto un’abitudine affettiva tende a costituire<br />
uno schema posturale che invita a certi atteggiamenti.<br />
L’affettività è legata alla psicomotricità in quanto legata ad<br />
atteggiamenti espressivi irriflessi; lo schema corporeo costituisce,<br />
quindi, nei primi anni di vita in funzione della maturazione del<br />
sistema nervoso, ma anche in funzione dell’universo nel quale i<br />
movimenti devono compiersi, della tonalità affettiva di questo<br />
universo e della rappresentazione che il bambino ha di se stesso e<br />
degli oggetti del <strong>su</strong>o mondo in rapporto a sé.<br />
137
ORIENTAMENTO SPAZIO- TEMPORALE<br />
Nel bambino si forma una specie di schema spaziale nello stesso<br />
tempo in cui si forma lo schema corporeo; quindi, mentre impara<br />
ad abitare lo spazio vis<strong>su</strong>to, il bambino l’orienta in riferimento a<br />
sé, percepisce meglio il proprio corpo ed adatta meglio i<br />
movimenti.<br />
Orientarsi nello spazio significa vedere se stessi e le cose in<br />
rapporto a sé nello spazio, dirigersi con facilità, comprendere le<br />
distanze, la localizzazione e le azioni a noi possibili; tutto ciò per<br />
stabilizzare lo spazio vis<strong>su</strong>to e per potersi collocare e agire.<br />
E’ molto importante la collocazione correlativa delle cose e del<br />
corpo e il loro reciproco orientamento, quindi, l’alto- basso,<br />
destra- sinistra, davanti- dietro, dentro- fuori. Il bambino si trova a<br />
non saper scrivere nelle righe e nei quadretti, a non saper<br />
organizzare il <strong>su</strong>o lavoro rispettando un certo ordine, a confondere<br />
le lettere per l’incapacità di distinguere con chiarezza l’alto e il<br />
basso, la destra e la sinistra; tutto ciò porta ad una confusione tra<br />
138
alcune lettere che graficamente si somigliano, ma che hanno la<br />
“linea” o il “cerchio” a sinistra o a destra rispettivamente (p- q; b-<br />
d; u- n; p- b).<br />
Orientarsi nel tempo significa situare il presente in riferimento ad<br />
un passato, ad un “avanti” e ad un “dopo”, significa valutare il<br />
movimento nel tempo, distinguere il veloce, il lento, il <strong>su</strong>ccessivo<br />
e il simultaneo e porre i momenti nel tempo uno vicino all’altro.<br />
Il tempo comporta due dati essenziali: durata e <strong>su</strong>ccessione; la<br />
capacità di cogliere una <strong>su</strong>ccessione nel tempo è mi<strong>su</strong>rata<br />
dall’esattezza delle strutture temporali che si possono percepire<br />
nel ritmo e che fanno comprendere come questi dati siano<br />
importanti per la lettura, in quanto “avere il senso del ritmo<br />
significa essere capace di percepire nella <strong>su</strong>a complessità una serie<br />
di <strong>su</strong>oni che forma un’unità….” (Fraisse)<br />
139
STABILIZZAZIONE DEI VALORI<br />
La stabilizzazione della vita affettiva ha stretti rapporti con la<br />
stabilizzazione dell’universo vis<strong>su</strong>to sempre secondo la legge<br />
dell’interazione- scambio tra l’Io e il mondo.<br />
Le figure parentali sono vis<strong>su</strong>te in maniera intensa <strong>su</strong>l piano<br />
affettivo in quanto gli atteggiamenti che i genitori as<strong>su</strong>mono fanno<br />
scattare comportamenti complementari irriflessi.<br />
Intorno al bambino gli adulti costituiscono centri di diffusione e<br />
generano sentimenti complementari.<br />
E’ importante quindi che ci siano riferimenti affettivi precisi in<br />
modo che il bambino possa riconoscere il significato di una<br />
manifestazione affettiva, di una mimica, di un tono di voce<br />
associandolo all’atto osservato o alla situazione che lo ha<br />
provocato.<br />
Per orientarsi nell’orizzonte vis<strong>su</strong>to è necessaria la collocazione<br />
dei riferimenti affettivi che poi regolano i nostri atteggiamenti.<br />
140
Essenziale è anche la stabilità dei limiti in quanto il bambino si<br />
orienta in riferimento a valori che si associano ai <strong>su</strong>oi atti, desideri<br />
e avvenimenti ripetitivi della <strong>su</strong>a vita quotidiana. Se i valori<br />
positivi o negativi sono stabili il bambino è in grado di<br />
accomodare l’azione. Uno dei rischi più grossi è , inoltre, la<br />
mancanza di ampiezza dello spazio di vita; lo spazio troppo<br />
ristretto da limiti, pieno cioè di proibizioni, sfocia in reazioni (lotta<br />
contro gli adulti, contro le barriere, fuga nell’autismo, esplosioni<br />
emotive, ecc.) che sono la negazione dell’orientamento e della<br />
stabilizzazione della relazione Io- universo.<br />
Nell’universo vis<strong>su</strong>to appaiono immediatamente le figure<br />
parentali: padre e madre. Il padre è responsabile<br />
dell’atteggiamento verso l’azione, della fiducia in sé e<br />
dell’avvenire, è la spinta verso il mondo, verso il sociale, una<br />
figura centrata <strong>su</strong>ll’azione esploratrice e <strong>su</strong>ll’avvenire. La madre,<br />
invece, genera sicurezza, fiducia negli altri e capacità di amare.<br />
141
Passo ora ad analizzare le cause di questa grossa difficoltà di<br />
apprendimento e di socializzazione.<br />
CAUSA E CONDIZIONI DELLA DISLESSIA<br />
La <strong>dislessia</strong> è uno degli effetti inevitabili di un certo stato della<br />
relazione Io- universo quando il bambino è costretto ad imparare a<br />
leggere.<br />
L’universo del “futuro” dislessico, come anche il <strong>su</strong>o Io, sono<br />
ambigui ed incerti sia che dipendano da una cattiva<br />
lateralizzazione, da un mancinismo contrastato, da un’in<strong>su</strong>fficiente<br />
strutturazione spazio- temporale.<br />
Per definire la <strong>dislessia</strong> bisogna riferirsi ad uno stato provocato<br />
dalla richiesta di un dover leggere che nasce all’interno di una<br />
relazione Io- universo incapace di soddisfarla ed impossibilità ad<br />
integrare tale meccanismo. E’, quindi, nel momento della richiesta<br />
di certi apprendimenti che il bambino, fino a quel momento<br />
142
dislessico “in potenza”, si rivela dislessico “in atto” cioè incapace,<br />
inadatto.<br />
Fino all’età della lettura il dislessico cerca di vivere nel miglior<br />
modo possibile in un certo tipo di universo nel quale tende a<br />
costruire un equilibrio tra sé, il mondo e le esigenze quotidiane<br />
d’azione, e questo è il passaggio dalla malattia alla cronicità.<br />
La relazione Io- universo non resta nella disorganizzazione totale,<br />
ma parte dalle incerte prese dell’Io <strong>su</strong> un universo instabilmente<br />
orientato e porta al costituirsi di compensazioni, riferimenti e<br />
abitudini per giungere ad un modus vivendi che tiene conto della<br />
condizione e della parziale impotenza. Infatti al momento di<br />
imparare a leggere, si evidenzia la disarmonia tra l’universo del<br />
dislessico e quello in cui si inserisce la lettura.<br />
Dunque la malattia si costituisce prima della prova che la rivela.<br />
143
UNIVERSO DEL DISLESSICO<br />
• Ambiguità delle distanze e delle posizioni relative delle cose<br />
fra di loro: il rapporto del soggetto con le cose è<br />
relativamente stabile, ma i rapporti spaziali delle cose tra di<br />
loro sono mobili; le posizioni relative delle cose, sia nello<br />
spazio sia nel tempo, sono incerte e mutevoli.<br />
• Ambiguità delle forme e dei significati: le forme in “se<br />
stesse” sono percepite bene, ma il loro orientamento e quindi<br />
il loro significato è instabile.<br />
• Ambiguità dei valori: i valori si presentano senza valenza<br />
positiva o negativa; quando i caratteri positivi o negativi si<br />
presentano simultaneamente il dislessico vacilla.<br />
144
IO CORRISPONDENTE A QUESTO UNIVERSO<br />
• Incertezza dell’io: l’Io non trova in sé la sicurezza di cui ha<br />
bisogno e perde la fiducia nei <strong>su</strong>oi mezzi.<br />
• Goffaggine del gesto e dell’espressione verbale: i gesti sono<br />
maldestri, nell’espressione orale c’è confusione di significati<br />
e analogia delle parole.<br />
• Ambivalenza affettiva: il dislessico è in relazione continua<br />
con valori che cambiano o che sono ambigui ed è quindi in<br />
una situazione instabile tra ciò che bisogna fare e ciò che non<br />
bisogna fare.<br />
“Abitudini organizzate in risposta a questo rapporto Io-<br />
universo”<br />
• Ricerca attenta dei riscontri e dei sostegni esterni: per<br />
adattarsi all’universo degli altri, il dislessico si costruisce un<br />
sistema di riferimento sicuro, attraverso il quale passa per<br />
145
isolvere le <strong>su</strong>e difficoltà. Ad esempio la destra e la sinistra<br />
sono identificate grazie a dei segnali artificiali.<br />
• Aderenza alle percezioni: il dislessico cerca di “attaccarsi”<br />
alle cose per non smarrirsi nell’universo pieno di significati<br />
molteplici e contradditori.<br />
La lettura, invece, esige:<br />
• Orientamento fisso: si legge da sinistra a destra in tutte le<br />
righe, in tutte le parole e dall’alto al basso del foglio.<br />
• Vi<strong>su</strong>alizzazione e fissazione delle forme: in quanto ogni<br />
parola ha una forma è orientata; l’ambiguità di orientamento<br />
di una lettera porta ad un cambiamento di lettera o ad una<br />
lettera che non esiste (d, p, b, q oppure n, u).<br />
• “Distanza” in relazione alle parole, alla loro lettura ed alla<br />
punteggiatura: in modo da prevedere il significato che essa<br />
avrà nel contesto e poter formare la frase. E’ un lavoro che<br />
146
pre<strong>su</strong>ppone il sorvolo delle singole parole lette e l’arrivo alla<br />
comprensione del significato, partendo da riferimenti sicuri.<br />
• Padronanza della relazione significato- <strong>su</strong>ono: in modo che ci<br />
sia la discriminazione tra gli omonimi (significato-<strong>su</strong>ono) e i<br />
sinonimi (<strong>su</strong>ono-significato).<br />
• Capacità di organizzazione per padroneggiare la sintassi.<br />
• Sincronizzazione della lettura: in quanto essa comporta<br />
movimenti degli occhi, linguaggio interiore e coordinazione<br />
articolazione-pronuncia.<br />
• Padronanza della comunicazione verbale.<br />
• Passaggio permanente dall’analisi alla sin<strong>tesi</strong> e contrario.<br />
• Stabilità affettiva: condizione di fiducia.<br />
I soggetti dislessici non possono, inoltre, accedere al<br />
simbolismo in quanto hanno difficoltà di orientamento e di<br />
strutturazione spazio- temporale che non permettono l’accesso<br />
alla fase del concetto e del simbolo, della sintassi e del calcolo.<br />
147
QUADRO TEORICO GENERALE<br />
Si può constatare come tra i diversi autori non ci sia una netta<br />
distinzione tra <strong>dislessia</strong> e disturbi del linguaggio, ma emergano tre<br />
differenti posizioni:<br />
- coloro che adottano un’interpretazione restrittiva dei problemi<br />
di manipolazione del materiale scritto. Questi ricercatori sono<br />
interessati a studi <strong>su</strong>i meccanismi neuropsicologici di ciascun<br />
disturbo specifico<br />
- autori che teorizzano una continuità tra funzionamento normale<br />
e patologico (Cos<strong>su</strong>)<br />
- autori che considerano i problemi di lettoscrittura dei dislessici<br />
diversi. Accettano la definizione di <strong>dislessia</strong> e considerano i<br />
cattivi lettori tutti coloro che manifestano difficoltà nella lingua<br />
scritta associate a difficoltà di apprendimento.<br />
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