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INTRODUZIONE<br />

La <strong>dislessia</strong> è un disturbo specifico di apprendimento che può verificarsi in ragazzi che<br />

non presentano handicap neurologici o sensoriali e che non vivono in condizioni di<br />

svantaggio sociale.<br />

Dislessia significa disturbo di lettura; non significa disturbo del linguaggio, né si definisce<br />

genericamente una difficoltà ad apprendere. I bambini dislessici hanno problemi con tutto<br />

ciò che riguarda la lingua scritta. Non hanno “problemi d’intelligenza”, né problemi di<br />

socializzazione, almeno fino al momento in cui il confronto scolastico con i coetanei non li<br />

determina.<br />

La difficoltà di lettura, caratteristica specifica del dislessico, può essere più o meno grave e<br />

spesso si accompagna a problemi nella scrittura e/o nel calcolo.<br />

La <strong>dislessia</strong> si manifesta quando un bambino, esposto a normale iter scolastico, non<br />

sviluppa, o sviluppa in maniera molto incompleta o con gravi difficoltà, la capacità di<br />

identificare in modo automatico la parola scritta.<br />

Questo disturbo è provocato da piccole alterazioni dell’apparato neurobiologico che<br />

usiamo per leggere i segni scritti. Pur essendo invisibili, minuscole, e con effetti a volte<br />

reversibili, tali alterazioni determinano difficoltà consistenti in una fase importante della vita<br />

di un bambino quale è la scolarizzazione.<br />

Le difficoltà di lettura del dislessico permangono dopo la prima fase di acquisizione e si<br />

manifestano in un difficile rapporto con il testo scritto e la <strong>su</strong>a decodifica. Per leggere e<br />

scrivere, i dislessici impegnano al massimo le loro energie raggiungendo però scarsi<br />

ri<strong>su</strong>ltati. Saltano le righe, sbagliano a scrivere le doppie e dimenticano le lettere perché<br />

faticano a riconoscere l’ortografia della lingua italiana (per gli inglesi l’apprendimento della<br />

propria lingua scritta ri<strong>su</strong>lta ancora più difficile per l’irregolarità del sistema di scrittura).


Un’altra caratteristica della <strong>dislessia</strong> è la sostituzione, in lettura e scrittura, di lettere con<br />

grafia simile; p, b, d, g, q; a/o; e/o; o <strong>su</strong>oni simili: t/d; r/l; d/b; v/f; e altre non prevedibili:“ Il<br />

bambino commetteva errori strani: non staccava le parole o le staccava in modo anomalo,<br />

aveva problemi con le “acca”, non rispettava le doppie, non sapeva andare a capo;<br />

confondeva “gli” e “gni”. La lettura era stentata, soprattutto mi colpiva la cronica<br />

confusione fra “a” ed “e”, della quale non sapevo darmi una spiegazione, ma nelle prove<br />

orali il rendimento era molto buono. (…) Mio figlio peraltro era ben inserito nella classe,<br />

non si mostrava svogliato, anzi era motivato e mi sembrava avesse delle aspettative <strong>su</strong> di<br />

sé.” 1<br />

Molti dislessici hanno difficoltà ad imparare l’ordine alfabetico, i giorni della settimana e i<br />

mesi in ordine; presentano difficoltà nell’espressione verbale del pensiero, hanno un<br />

lessico povero e non memorizzano i termini difficili. Inoltre non riconoscono le<br />

caratteristiche morfologiche della lingua italiana e quasi sempre le loro prestazioni<br />

grammaticali sono inadeguate.<br />

Moti dislessici sono anche discalculici, ovvero non riescono a imparare le tabelline, fare i<br />

conti in automatico, fare numerazioni regressive, imparare le procedure delle operazioni<br />

aritmetiche.<br />

Tutti i dislessici italiani hanno grosse difficoltà ad apprendere le lingue straniere, in<br />

particolare scritte. La difficoltà maggiore è rappresentata dalla lingua inglese a causa delle<br />

differenze molto accentuate tra la scrittura e la pronuncia delle lettere e tra la pronuncia e<br />

la scrittura di una stessa lettera in parole diverse.<br />

Esistono diversi tipi di <strong>dislessia</strong>, ma la natura comune del disturbo è la difficoltà di<br />

decodificare un testo scritto.<br />

1 “Storie di <strong>dislessia</strong>” Giacomo Stella ed. Libri liberi (A. I. D.)<br />

2


La <strong>dislessia</strong> non è né una malattia né un handicap. Dal punto di vista scientifico la<br />

<strong>dislessia</strong> evolutiva 2 è un disturbo ben riconosciuto, di cui sono note sia le basi biologiche,<br />

sia le metodiche cliniche per diagnosticarlo in modo preciso. Sul piano pratico, però, molti<br />

problemi derivano dal fatto che non vi siano segni premonitori e che, quando il disturbo di<br />

lettura si manifesta, non vi sono segni fisici che consentano di differenziare il<br />

comportamento del dislessico da quello di bambini che mostrano il rifiuto della<br />

scolarizzazione.<br />

Infatti la <strong>dislessia</strong> è un disturbo neurofunzionale, di origine costituzionale, in persone sane<br />

a livello intellettivo, neurologico e sensoriale.<br />

Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche ha permesso di stabilire che si tratta di una<br />

caratteristica costituzionale, determinata biologicamente e non dovuta a problemi<br />

psicologici o di disagio socio-culturale. E’ facile comprendere come in una cultura come la<br />

nostra, così fortemente legata alla scrittura, questo problema incida pesantemente<br />

condizionando la vita scolastica e in seguito la vita professionale.<br />

Molti di questi ragazzi non sono riconosciuti come dislessici e non ottengono alcuna<br />

facilitazione o adattamento della didattica che permetta loro di avere opportunità di<br />

apprendimento.<br />

Il mancato riconoscimento della <strong>dislessia</strong> ha importanti conseguenze psicologiche,<br />

determina spesso l’abbandono della scuola e talvolta un futuro professionale di basso<br />

livello nonostante le potenzialità di creatività e di intelligenza che questi ragazzi<br />

manifestano; inoltre influisce negativamente <strong>su</strong>llo sviluppo della personalità e<br />

compromette un adattamento sociale equilibrato.<br />

Non ci sono menomazioni evidenti, ma il bambino dislessico si sente comunque frustrato e<br />

inadeguato. E’ un circolo vizioso: si crede poco intelligente, perde autostima, si impegna<br />

meno e riesce sempre peggio.<br />

2 viene chiamata così la forma congenita del disturbo, che di solito si presenta nei bambini<br />

3


Dunque dislessici si nasce.<br />

Ma quali sono le cause? Un’ipo<strong>tesi</strong> parla di deficit del sistema fonologico, che dipende<br />

dalle aree cerebrali deputate al linguaggio; un’altra chiama in causa il sistema del cervello<br />

che elabora le informazioni in movimento; un’altra ancora considera gli aspetti cerebrale,<br />

fonetico, visivo, massivo (Uta Frith, Rasmus).<br />

Nei capitoli che seguono analizzerò nei dettagli queste ed altre ipo<strong>tesi</strong>.<br />

4


CAPITOLO I<br />

Le caratteristiche del dislessico<br />

“Perché questo bambino non sa leggere?” “Perché scrive così male?”<br />

“Perché non memorizza le tabelline?” “Perché appare così confuso?”<br />

La definizione della <strong>dislessia</strong> evidenzia innanzi tutto il fatto che fra i molti bambini che<br />

trovano difficoltà nell’apprendere a leggere e a scrivere, solo una piccola percentuale è<br />

dislessica.<br />

Alcuni bambini come i sordi o i portatori di handicap psichico, presentano problemi di<br />

lettura uniti ad altri tipi di difficoltà di apprendimento. Altri bambini, invece, arrivano alla<br />

scuola elementare con lacune nell’area percettiva da attribuire al non uso o al cattivo uso<br />

delle abilità di base: poco movimento, impacci psicomotori, scarsa attitudine al ritmo, alla<br />

segmentazione della parola in sillabe, limitata competenza linguistica di origine<br />

socioambientale, in<strong>su</strong>fficiente attitudine all’analisi del linguaggio e al <strong>su</strong>o uso, carenza di<br />

stimolazioni.<br />

Il dislessico è invece, in genere, un bambino dotato di un’intelligenza vivace e curiosa che<br />

si esprime con disinvoltura usando un linguaggio ben strutturato. Cambia completamente<br />

atteggiamento di fronte a un testo scritto: si agita, è pervaso da uno stato d’ansia, diviene<br />

insicuro. La sfiducia in sé accentua le difficoltà di comprensione e nello stesso tempo lo<br />

distacca dal proprio gruppo classe.<br />

Laddove la scoperta della lettura e della scrittura per la maggioranza dei bambini<br />

costituisce spesso una nuova occasione di relazione con gli adulti e con i familiari, per i<br />

bambini con difficoltà di apprendimento diviene “un incubo” , un’esperienza negativa che<br />

spesso segna in modo irreversibile tutto il <strong>su</strong>ccessivo percorso scolastico.<br />

5


Per un dislessico, l’impatto iniziale con il sistema scritto è molto difficile, in quanto la lettura<br />

di una parola, che noi concepiamo come un compito unico e semplice, in realtà è il<br />

ri<strong>su</strong>ltato di tante singole attività che devono essere affrontate simultaneamente o<br />

comunque integrate in rapida <strong>su</strong>ccessione: identificazione delle lettere, riconoscimento del<br />

valore sonoro convenzionale, mantenimento della sequenza di presentazione,<br />

rappresentazione fonologica delle parole, coinvolgimento del lessico per il riconoscimento<br />

del significato. Nel dislessico la difficoltà può presentarsi solo in una di queste attività o<br />

anche in più di una e altresì appare evidente come la <strong>su</strong>a capacità di lettura e scrittura<br />

ri<strong>su</strong>lta significativamente inferiore rispetto alla <strong>su</strong>a vivacità intellettiva.<br />

Nel leggere, il bambino dislessico, compie elisioni, sostituzioni, inversioni di fonemi ( “in”<br />

diventa “ni”; “il” diventa “li” ), confonde i <strong>su</strong>oni omologhi, cioè quei <strong>su</strong>oni che definizione<br />

“Mio figlio, nel corso della prima elementare, manifestò difficoltà nel leggere e nello<br />

scrivere. In seconda i problemi si aggravarono: capovolgeva tutti i numeri, invertiva le<br />

lettere, confondeva i <strong>su</strong>oni simili, leggeva fermandosi a decifrare parole nel punto<br />

sbagliato della frase.” 3<br />

“Il bambino non riusciva a copiare quei segni chiamati lettere e numeri, non riusciva a<br />

riprodurli in modo adeguato: ne saltava qualcuno, ne vedeva diverso qualcun altro, era<br />

lento, molto lento. E poi com’era che lo stesso <strong>su</strong>ono si scriveva in quattro modi diversi?<br />

Stampato maiuscolo, stampato minuscolo, corsivo maiuscolo, corsivo minuscolo; proprio<br />

non capiva e non memorizzava.” 4<br />

Nell’esecuzione di un compito che per lui è troppo complesso il bambino as<strong>su</strong>me<br />

atteggiamenti e posture anomali per cui viene frequentemente rimproverato, “accusato” di<br />

essere pigro o sbadato, immaturo e di “non impegnarsi abbastanza.”<br />

3<br />

“Storie di <strong>dislessia</strong>” G. Stella ed. Libri Liberi (A.I.D.) pag. 19<br />

4<br />

ibidem p. 44<br />

6


L’invisibilità dell’alterazione che dà luogo alle difficoltà di lettura, determina la scarsa<br />

tendenza a riconoscerla come disabilità ed è la causa principale della confusione tra<br />

mancanza d’impegno e reale difficoltà di decodifica dei segni scritti da parte del bambino.<br />

Il bambino affetto da <strong>dislessia</strong> all’inizio è frustrato e indispettito da queste accuse che<br />

trova ingiuste, ma non ha strumenti per contrastarne il fondamento, <strong>su</strong>bentra, quindi, un<br />

sentimento d’inadeguatezza globale, dovuto alle difficoltà sperimentate in tanti ambiti del<br />

lavoro scolastico e alla frequenza delle frustrazioni.<br />

La convinzione di non essere intelligente come gli altri è molto diffusa e provoca un<br />

abbassamento della stima personale (o di sé?), e di conseguenza una riduzione<br />

dell’impegno.<br />

Il dislessico, soprattutto nel periodo adolescenziale, ha spesso paura di non essere in<br />

grado, di non farcela, di fronte a nuove attività che gli vengono proposte. Questa paura è<br />

il frutto dell’incapacità di rendersi conto degli errori che fa e quindi della necessità di<br />

ricorrere all’aiuto e sottoporsi al giudizio degli altri per verificare il proprio lavoro.<br />

Nello specifico, le difficoltà del dislessico sono legate a problemi specifici di<br />

automatizzazione e velocizzazione del processo di lettura. Il soggetto non trova difficoltà<br />

particolarmente gravi nel linguaggio orale, ma nei compiti legati alla lingua scritta, sia<br />

relativi alla decodifica, sia relativi alla comprensione e all’espressione.<br />

I dislessici dimostrano una particolare lentezza nella ricostruzione dei significati, a mano a<br />

mano che aumenta la complessità e la lunghezza del brano da leggere. Solo se guidati<br />

riescono a cogliere il valore e gli scopi del linguaggio come mezzo di comunicazione di<br />

idee diverse, poiché mancano loro le capacità di cogliere il significato della parola<br />

indipendentemente dal contesto in cui è inserita.<br />

7


Ciò che sembra inficiare lo studio e disincentivarne la pratica, sono i tempi lunghi di lettura<br />

e il dispendio di energia attentiva per controllare e correggere gli errori di decodifica; per<br />

questo il bambino dislessico evolutivo non accede a conoscenze che, dal punto di vista<br />

concettuale, potrebbe benissimo assimilare. Inoltre la mancata abitudine a frequentare il<br />

testo scritto gli impedisce di raffinare i metodi attraverso i quali si apprende.<br />

1.1 Difficoltà scolastiche e disturbi specifici dell’apprendimento<br />

Le dimensioni del disagio scolastico sono da molti anni oggetto delle valutazioni più<br />

disparate e divergenti, in conseguenza del fatto che ciascuna ricerca effettuata coglie<br />

aspetti diversi del problema.<br />

Una ricerca condotta nel 1991 5 mise in evidenza due gruppi di soggetti fra i bambini che<br />

manifestano disagio scolastico:<br />

a) coloro che incontrano difficoltà scolastiche in quanto portatori di una disabilità specifica<br />

di apprendimento di natura endogena;<br />

b) coloro che presentano difficoltà scolastiche senza che vi siano evidenze per condizioni<br />

endogene che giustifichino queste difficoltà. In questo caso le difficoltà sono<br />

probabilmente riconducibili a cause ambientali, cioè a fattori che riguardano l’ambiente<br />

educativo e relazionale o quello scolastico in cui il bambino vive.<br />

Questa distinzione è importante poiché fa riflettere <strong>su</strong>l fatto che i bambini che mostrano<br />

difficoltà a scuola non possono essere trattati come “fenomeno unico” e che quindi è<br />

importante cercare di capire da dove nasca il problema evitando di trarre conclusioni.<br />

L’osservazione del bambino che evidenzia qualche difficoltà inattesa nell’acquisizione<br />

della letto-scrittura deve essere condotta con verifiche appropriate, sistematiche e<br />

5<br />

fonte G. Stella “In classe con un allievo con disordini dell’apprendimento”, Milano, Fabbri 2001 da “La <strong>dislessia</strong>” G.<br />

Stella Il Mulino 2004<br />

8


periodiche, poiché vi sono fattori linguistici che influenzano in mi<strong>su</strong>ra molto consistente la<br />

possibilità di leggere e riconoscere una parola.<br />

La frequenza d’uso di una parola nel lessico infantile e il <strong>su</strong>o valore d’immagine (cioè il<br />

grado di concretezza) sono molto importanti, per cui a parità di lunghezza e di complessità<br />

ortografica, è più facile leggere una parola frequente e facilmente immaginabile come<br />

“cane”, rispetto alla parola poco frequente e molto astratta “pena”. Anche se entrambe<br />

sono costituite da quattro lettere, la difficoltà di rappresentazione mentale della parola<br />

“pena” e la <strong>su</strong>a assenza nel lessico dei bambini ne rendono difficile il riconoscimento.<br />

Un altro fattore importante è la lunghezza della parola. E’ molto più facile leggere la parola<br />

“cane”, piuttosto che la parola “albero”, a causa del maggior numero di lettere da leggere e<br />

da convertire in <strong>su</strong>oni. Inoltre è tanto più difficile ricostruire una parola attraverso la fusione<br />

di <strong>su</strong>oni singoli disposti in sequenza, quanto maggiore è il numero di <strong>su</strong>oni da considerare.<br />

Entrambe le parole sono ad alta frequenza e ad alta immaginabilità, per cui la differenza di<br />

da esaminare e di <strong>su</strong>oni da fondere.<br />

Un altro elemento che interferisce con la facilità di leggere una parola è la complessità<br />

ortografica. La parola “matita” è più facile da leggere della parola “strada”. Pur avendo lo<br />

stesso numero di lettere costituenti, la parola “strada” accosta una serie di <strong>su</strong>oni più difficili<br />

da pronunciare insieme rispetto alla parola “matita”, dove l’alternanza di consonante e<br />

vocale è regolare e facilita certamente la ricostruzione della parola per via sillabica (ma-ti-<br />

ta). Anche se “strada” è composta da due sole sillabe, la <strong>su</strong>a ricostruzione attraverso la<br />

lettura richiede a un principiante maggior impegno, poiché la formazione di una sillaba<br />

complessa è certamente più laboriosa rispetto alla sillaba semplice.<br />

Un bambino che ha difficoltà di acquisizione della lettura si eserciterà più facilmente e con<br />

maggior profitto se deve leggere parole semplici, brevi, frequenti e immaginabili, piuttosto<br />

che parole complesse e sconosciute. Nel primo caso potrà infatti contare <strong>su</strong>lle <strong>su</strong>e<br />

9


conoscenze lessicali per compensare le difficoltà di decifrazione o di fusione dei <strong>su</strong>oni,<br />

mentre nel secondo caso troverà ulteriori ostacoli.<br />

Un altro fattore di complessità è costituito dall’impiego di diversi tipi di carattere per<br />

rappresentare le lettere. La maggior parte dei bambini non incontra difficoltà ad<br />

apprendere corrispondenze multiple, ma i dislessici, che hanno bisogno di grande stabilità<br />

per imparare le corrispondenze tra i segni e i <strong>su</strong>oni, incontrano molti ostacoli dalla<br />

presentazione simultanea di caratteri diversi usati per rappresentare graficamente lo<br />

stesso <strong>su</strong>ono. I dislessici, quindi, non sono in grado di apprendere il corsivo e riescono<br />

invece a utilizzare con più facilità lo stampatello maiuscolo in quanto più stabile e più facile<br />

da discriminare dal punto di vista percettivo.<br />

Come ho osservato in precedenza, la <strong>dislessia</strong> è un disturbo che ostacola il normale<br />

processo d’interpretazione dei segni grafici con cui si rappresentano per iscritto le parole,<br />

è essenzialmente un difetto di automatizzazione dei processi di decodifica che si esprime<br />

principalmente in due modi: o attraverso lentezza nel riconoscimento delle lettere e nel<br />

processo di conversione in fonemi, o attraverso gli errori di decifrazione.<br />

Viene definita come un “deficit di sviluppo” che ha origine da alterazioni di natura<br />

neurobiologica non rientrante in un quadro psicopatologico.<br />

Alcuni bambini leggono male, ma comprendono ciò che leggono. Questo può creare<br />

confusione <strong>su</strong>l significato dell’espressione “deficit di lettura”. Cosa si intende, allora, per<br />

“deficit”?<br />

Prima di definire il significato di questo termine, o meglio, come viene inteso in riferimento<br />

alla <strong>dislessia</strong>, vorrei introdurre l’argomento “lettura”. Cosa significa “leggere”?<br />

Con il termine “lettura” si intende un’attività che consente di comprendere il contenuto di<br />

un testo scritto. Questa attività è il ri<strong>su</strong>ltato di una serie di processi molto complessi che<br />

comprendono:<br />

- il riconoscimento dei segni dell’ortografia<br />

10


- la conoscenza delle regole di conversione dei segni grafici in <strong>su</strong>ono<br />

- la ricostruzione delle “sequenze di <strong>su</strong>oni” in parole del lessico<br />

- la comprensione del significato delle singole frasi e del testo<br />

La <strong>dislessia</strong> interessa solo alcuni di questi processi, in particolare i primi tre, mentre non<br />

riguarda la fase di comprensione di una frase o di un testo.<br />

I primi tre processi vengono considerati come le fasi di un’unica attività, chiamata attività di<br />

“decodifica” o “transcodifica”, in quanto consente di trasformare il codice scritto in codice<br />

orale, quello che usiamo per esprimerci verbalmente.<br />

Nel lettore esperto è molto difficile distinguere l’attività di decodifica dal processo di<br />

comprensione, poiché, quando un individuo legge un testo ha l’impressione di accedere<br />

direttamente al significato.<br />

L’importanza di questo processo viene messa in evidenza proprio dal dislessico, cioè dal<br />

soggetto che presenta difficoltà nelle attività di decodifica, nell’attività di trasformazione dei<br />

segni dell’ortografia in <strong>su</strong>oni .(che hanno un significato). A questo riguardo è bene<br />

precisare le differenti difficoltà dei diversi sistemi ortografici quali sono l’italiano e l’inglese.<br />

L’ortografia della lingua italiana, grazie all’elevata regolarità nella corrispondenza tra i<br />

<strong>su</strong>oni e i segni, è, a detta degli esperti, una delle più facili da apprendere.<br />

La lingua inglese, invece, ha un’ortografia molto più difficile e irregolare della lingua<br />

italiana. Per esempio, le vocali, struttura portante del nostro sistema fonetico, in inglese<br />

non vengono insegnate in quanto non hanno una pronuncia stabile all’interno della parola;<br />

la lettera “a” si pronuncia in almeno sei modi diversi, a seconda del contesto in cui è<br />

inserita. Nella nostra ortografia, invece, le lettere che non hanno una corrispondenza unica<br />

e fissa con un <strong>su</strong>ono sono molto poche.<br />

La maggior parte delle sillabe e delle lettere ha una corrispondenza univoca con un<br />

determinato <strong>su</strong>ono e queste relazioni possono essere insegnate in modo indipendente.<br />

Esistono alcuni <strong>su</strong>oni che hanno rappresentazioni diverse e che , a seconda del contesto<br />

11


fonologico, vengono indicate con grafemi complessi, cioè formati da più lettere ( come la<br />

/k/: ch o la /g/: gh), ma le eccezioni sono poche e le regole sono stabili. Le vocali sono fra<br />

le lettere con corrispondenza più stabile e, per la loro facilità, costituiscono le prime lettere<br />

che vengono insegnate.<br />

L’ortografia italiana non presenta parole cosiddette “omofone non omografe”, cioè parole<br />

che si scrivono in modo diverso ma che vengono pronunciate nello stesso modo (come ad<br />

esempio per il francese “parle” e “parlent”). Non esistono nemmeno le parole “omografe<br />

non omofone”, cioè quelle che pur essendo scritte in modo uguale si leggono in modo<br />

diverso, che invece si trovano in inglese (ad es. la parola “bass” quando si pronuncia /bas/<br />

significa “sardina”, mentre quando si pronuncia /beis/ significa “basso”).<br />

Quanto più una lingua presenta eccezioni, tanto più è difficile da imparare e tanto più<br />

frequenti ( o tanto maggiore è il numero di sogg.) sono i soggetti che possono incontrare<br />

dei problemi nell’acquisizione. Grazie alla regolarità del sistema ortografico, i bambini<br />

italiani possono imparare a leggere e a scrivere in poco tempo (alla fine della classe prima<br />

elementare, dopo solo nove mesi di esercizio, il novanta per cento dei bambini in età tra i<br />

sei e i sette anni è in grado di leggere agevolmente un libro di narrativa) ed è forse per<br />

questa ragione che l’incidenza della <strong>dislessia</strong> <strong>su</strong>l totale della popolazione è più bassa<br />

rispetto ad altri paesi. 6<br />

L’obiezione a questa considerazione potrebbe consistere nell’affermazione che se la<br />

<strong>dislessia</strong> ha origini neurobiologiche, allora la distribuzione della <strong>dislessia</strong> stessa nella<br />

popolazione dovrebbe essere uniforme in tutti i paesi.<br />

La risposta a tale obiezione, seguendo le indicazioni delle odierne ricerche, sottolinea che<br />

le disabilità non sono solo il ri<strong>su</strong>ltato di una menomazione, o di una peculiarità<br />

dell’organismo, ma anche del loro impatto con l’ambiente. Se l’ambiente è “ostile” anche le<br />

6 l’incidenza della struttura ortografica nei casi di <strong>dislessia</strong> è oggetto dell’attuale ricerca scientifica<br />

12


disabilità lievi verranno messe in evidenza; se l’ambiente è favorevole, allora le disabilità<br />

lievi avranno un’espressività così bassa da scomparire.<br />

Il bambino con <strong>dislessia</strong> ha, quindi, solo un problema con i codici scritti, oppure, ha anche<br />

un problema di linguaggio verbale?<br />

Per quanto riguarda la prima parte della domanda si può affermare che le cause che<br />

contrastano una normale acquisizione della lettura possono rendere impossibile la corretta<br />

esecuzione di un esercizio di dettatura o di una composizione scritta, rendendo il<br />

dislessico anche disortografico.<br />

Gli errori che si riscontrano più di frequente nella scrittura del bambino dislessico sono i<br />

seguenti:<br />

- confusione tra le consonanti costituite dagli stessi elementi strutturali, ma con<br />

diverso orientamento (a,o,s,c,gl,gh) o con strutture diverse ma con analogie sonore<br />

(f/v, d/t, p/b, c/g, s/z)<br />

- inversioni dell’orientamento di lettere di una sillaba o di più sillabe in una parola (la-<br />

al; li-il; per-pre)<br />

- elisioni letterali o sillabiche effettuate all’inizio o alla fine della parola (pomeriggio-<br />

pomeriggi; porta-pota; pane-pne)<br />

- sillaba ripetuta più volte in una parola (nascondono-nascondonono; caricare-<br />

caricacare; mangiato-mangiangiato)<br />

- assimilazione della parola precedente o seguente, assimilazione dell’articolo al<br />

nome (il sole-ilsole; <strong>su</strong>l prato- <strong>su</strong>l prato)<br />

- divisione della parola in più frammenti o sillabe (andiamo: an/dia/mo)<br />

- la grafia può essere irregolare.<br />

Gli errori tipici del disortografico possono essere così schematizzati:<br />

- sostituzioni fonologiche: b/p; t/d<br />

- sostituzione dei grafemi: a, e, o; m, n (grafemi fisicamente uguali)<br />

13


- elisioni, omissioni, immissioni: treno diventa TENO; tavolo diventa TAVOLTO<br />

- trasposizioni: cinema diviene CIMENA<br />

- errori di regola: perdita dell’acca; ch, sc, gl, ci; sbagli nell’uso delle doppie e<br />

dell’accento<br />

- separazione e fusione illegali di parole: lago diventa LA-GO; la scuola diviene<br />

LASCUOLA<br />

- errori d’identificazione del singolo <strong>su</strong>ono e sequenzialità dei <strong>su</strong>oni: esempio la<br />

parola GATO viene letta GATTO.<br />

Per quanto riguarda il linguaggio verbale il problema è più complesso e, dal punto di vista<br />

scientifico, non del tutto chiaro.<br />

Ci sono bambini dislessici che, pur non avendo mai avuto disturbi di linguaggio, hanno<br />

difficoltà ad esprimersi, soprattutto per riportare contenuti specifici che richiedono<br />

sequenzialità e l’impiego di una terminologia precisa. Questa difficoltà espressiva, che si<br />

riscontra frequentemente nei soggetti con <strong>dislessia</strong>, non viene considerata un vero e<br />

proprio disturbo di linguaggio ma piuttosto un problema di integrazione di varie funzioni<br />

che concorrono alla realizzazione di questa abilità.<br />

Le difficoltà potrebbero derivare da un difetto nella realizzazione delle sequenze, difetto<br />

comune alle difficoltà di lettura; oppure da un problema di recupero lessicale, cioè di<br />

recupero dei termini dal lessico “speciale”. Anche questo problema è stato descritto nei<br />

dislessici ed è conosciuto come una difficoltà di denominazione rapida di termini che pure<br />

sono disponibili nel repertorio lessicale dell’individuo; oppure potrebbe essere determinato<br />

da una limitata capacità della memoria di lavoro, che provoca una difficoltà nella visione di<br />

insieme dei contenuti e quindi nella loro organizzazione.<br />

Infine, la difficoltà di esporre ordinatamente i contenuti potrebbe essere imputata alla<br />

scarsa confidenza del soggetto con la lettura; chi legge molto impara più facilmente a<br />

14


esporre seguendo le forme testuali più ordinate e consequenziali delle costruzioni tipiche<br />

della comunicazione.<br />

Ciascuno di questi fattori, sia associati fra di loro che presi singolarmente, rende<br />

difficoltosa soprattutto la comunicazione argomentativi o specialistica, ma non interessa in<br />

modo altrettanto significativo la comunicazione “sociale”, cioè quella che usiamo con più<br />

frequenza nell’ambito dei contatti quotidiani interpersonali.<br />

La comunicazione specialistica ha molti vincoli e non accetta l’impiego di termini aspecifici,<br />

che sono invece molto frequenti nella comunicazione sociale. Per questo motivo i bambini<br />

dislessici non mostrano difficoltà di comunicazione con i coetanei nel corso dei giochi<br />

spontanei o degli scambi interpersonali, ma possono incontrare problemi anche notevoli di<br />

esposizione quando devono ripetere ad alta voce un argomento di studio.<br />

Questo è ciò che caratterizza un bambino affetto da un disturbo specifico d’apprendimento<br />

quale è la <strong>dislessia</strong>, un disturbo che per lunghi anni ostacola la manifestazione delle<br />

capacità di un bambino rendendogli difficile l’apprendimento e l’organizzazione delle<br />

conoscenze che concorrono a formare l’individuo come “prodotto della <strong>su</strong>a cultura”.<br />

Introdurre capitolo <strong>su</strong>lla <strong>dislessia</strong><br />

15


COS’E’ LA DISLESSIA<br />

La <strong>dislessia</strong> è definita come “un disturbo manifestato<br />

nell’apprendimento della lettura nonostante istruzione adeguata<br />

in assenza di deficit intellettivi, neurologici o sensoriali e con<br />

adeguate condizioni socioculturali”.<br />

(Manuale di neuropsicologia dell’età evolutiva)<br />

“La <strong>dislessia</strong> è un disordine che si manifesta con difficoltà<br />

nell’apprendimento della lettura nonostante un insegnamento<br />

convenzionale, un’intelligenza adeguata e buone opportunità<br />

socio-culturali. Essa è causata da disabilità cognitive<br />

fondamentali che sono spesso di origine costituzionale”<br />

(Federazione Internazionale di Neurologia, Critchley 1975)<br />

“ La <strong>dislessia</strong> evolutiva non è il ri<strong>su</strong>ltato di una lesione in senso<br />

stretto, cioè di un danno alle strutture neurobiologiche, ma<br />

16


piuttosto sarebbe espressione di variabilità individuali che a volte<br />

raggiungono una soglia sensibile e determinano il cattivo<br />

funzionamento di alcuni processi. Queste disfunzioni per<br />

manifestarsi hanno bisogno di incontrare fattori che scatenano il<br />

problema. Dunque la <strong>dislessia</strong> si manifesta solo se il soggetto che<br />

ha certe caratteristiche viene sollecitato ad imparare il codice<br />

ortografico, altrimenti non si manifesta.” (G. Stella)<br />

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha definito cinque<br />

condizioni che debbono <strong>su</strong>ssistere perché un disturbo di lettura<br />

possa essere definito come <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />

- il livello intellettivo del soggetto con disturbo di lettura deve<br />

essere nella norma (Q. I. > 85)<br />

- il livello di lettura deve essere significativamente distante da<br />

quello di un bambino di pari età o classe frequentata.<br />

17


- Il soggetto non deve presentare disturbi neurologici o<br />

sensoriali che possano giustificare la difficoltà di lettura<br />

come conseguenza indiretta.<br />

- Il disturbo deve essere persistente, nonostante la<br />

scolarizzazione adeguata e interventi didattici specifici.<br />

- Il disturbo di lettura deve presentare conseguenze <strong>su</strong>lla<br />

scolarizzazione o nelle attività sociali in cui è richiesto<br />

l’impiego della letto-scrittura.<br />

La <strong>dislessia</strong>, quindi, è definita come uno specifico e significativo<br />

“deficit” nelle abilità di lettura, inspiegabile facendo riferimento<br />

ad un deficit intellettivo o ad opportunità d’apprendimento, alla<br />

motivazione, od acuità sensoriale.<br />

I bambini che presentano altre difficoltà mostrano deficit in<br />

ambiti diversi: linguaggio orale (DISFASIA), nella scrittura<br />

(DISGRAFIA), matematica (DISCALCULIA), coordinazione<br />

motoria (DYSPRAXIA), capacità visivo-spaziali, difficoltà<br />

18


d’attenzione.<br />

Il termine proprio “<strong>dislessia</strong>” è usato, invece, per descrivere<br />

qualsiasi disturbo che implichi una lettura stentata e/o gravi<br />

deficienze ortografiche.<br />

In realtà la “<strong>dislessia</strong> specifica evolutiva” descrive una difficoltà o<br />

incapacità di leggere specifica, non dovuta ad altri fattori come<br />

l’handicap, ma legata ad un processo evolutivo mai portato a<br />

compimento.<br />

Con il termine “<strong>dislessia</strong> evolutiva” ci si riferisce più<br />

propriamente alle problematiche legate alla lettura strumentale,<br />

alla capacità di base di leggere, cioè di riconoscere le parole di un<br />

testo scritto, anche se mai lette in precedenza.<br />

L’abilità strumentale, le cui basi sono costruite nei primi anni di<br />

scuola elementare, è in grado di adattarsi a casi diversi e a<br />

padroneggiare tutti, o quasi, i testi scritti. L’abilità si definisce<br />

“strumentale” quando il soggetto è in grado di adattarsi a casi<br />

diversi e a padroneggiare tutti o quasi i testi scritti; mentre l’abilità<br />

19


è detta “funzionale”, quando non è appresa nella <strong>su</strong>a totalità, ma<br />

solo funzionalmente a scopi e contesti particolari.<br />

Per meglio descrivere la difficoltà di passaggio dal codice scritto<br />

al codice linguistico, o viceversa, si può usare l’espressione<br />

“disturbo di decodifica” al posto del termine <strong>dislessia</strong>.<br />

20


Da controllare se già scritto<br />

Le caratteristiche del dislessico<br />

“Perché questo bambino non riesce a leggere? Perché scrive<br />

così male? Perché sembra sempre così confuso?”<br />

La definizione della <strong>dislessia</strong> evidenzia innanzi tutto il fatto che<br />

fra i molti bambini che trovano difficoltà nell’apprendere a<br />

leggere e a scrivere, solo una piccola percentuale è dislessica.<br />

Alcuni bambini, come i sordi o i portatori di handicap psichico,<br />

presentano problemi di lettura uniti ad altri tipi di difficoltà di<br />

apprendimento. Altri bambini, invece, arrivano alla scuola<br />

elementare con lacune nell’area percettiva da attribuire al non uso<br />

o al cattivo uso delle abilità di base: poco movimento, impacci<br />

psicomotori, scarsa attitudine al ritmo, alla segmentazione della<br />

parola in sillabe, limitata competenza linguistica di origine<br />

21


socioambientale, in<strong>su</strong>fficiente attitudine all’analisi del linguaggio<br />

e al <strong>su</strong>o uso, carenza di stimolazioni.<br />

Il dislessico è invece, in genere, un bambino dotato di<br />

un’intelligenza vivace e curiosa, si esprime con disinvoltura<br />

usando un linguaggio ben strutturato. Cambia completamente<br />

atteggiamento di fronte ad un testo scritto: si agita, è pervaso da<br />

uno stato d’ansia, diviene insicuro.<br />

La sfiducia in sé accentua le difficoltà di comprensione e nello<br />

stesso tempo lo distacca dal proprio gruppo classe.<br />

Nel leggere compie elisioni, sostituzioni, inversioni di fonemi,<br />

confonde i <strong>su</strong>oni omologhi. As<strong>su</strong>me atteggiamenti e posture<br />

anomali nell’esecuzione di un compito che per lui è troppo<br />

complesso e fonte di in<strong>su</strong>ccesso.<br />

Il <strong>su</strong>o è un problema specifico relativo all’automatizzazione,<br />

velocizzazione, del processo di lettura. Non trova difficoltà<br />

particolarmente gravi nel linguaggio orale, ma nei compiti legati<br />

22


alla lingua scritta, sia relativi alla decodifica, sia relativi alla<br />

comprensione e all’espressione.<br />

I dislessici dimostrano una particolare lentezza nella<br />

ricostruzione dei significati, a mano a mano che aumenta la<br />

complessità e la lunghezza del brano da leggere. Solo se guidati<br />

riescono a cogliere il valore comunicativo e gli scopi del<br />

linguaggio come “comunicatore” di idee diverse, poiché mancano<br />

loro le capacità metalinguistiche, cioè le capacità di cogliere il<br />

significato della parola distaccandola dal contesto.<br />

Ciò che sembra inficiare lo studio e disincentivarne la pratica,<br />

sono i tempi lunghi di lettura ed il dispendio di energia attentiva<br />

per controllare e correggere gli errori di decodifica; per questo il<br />

bambino dislessico evolutivo non accede a conoscenze che, dal<br />

punto di vista concettuale, potrebbe benissimo assimilare.Inoltre la<br />

disabitudine a frequentare il testo gli impedisce di raffinare i<br />

metodi attraverso i quali si apprende.<br />

23


Caratteristiche della <strong>dislessia</strong><br />

Esistono più forme di dislessie?<br />

Una prima distinzione viene fatta tra <strong>dislessia</strong> acquisita e<br />

<strong>dislessia</strong> evolutiva. Questa distinzione concerne “l’epoca” in cui<br />

insorge il disturbo di interpretazione dell’ortografia.<br />

Nel caso della d. acquisita un soggetto che è in grado di leggere<br />

normalmente inizia a compiere errori oppure non riesce più a<br />

riconoscere le parole con la stessa facilità. Di solito queste<br />

difficoltà di decodifica sono la conseguenza di qualche evento<br />

patologico che ha determinato lesioni nelle aree corticali che<br />

sono coinvolte nel processo di decodifica.<br />

La d. evolutiva si manifesta invece dall’inizio del processo di<br />

apprendimento della lettura. Il bambino mostra <strong>su</strong>bito difficoltà<br />

a riconoscere le lettere dell’alfabeto, a fissare le corrispondenze<br />

fra segni grafici e <strong>su</strong>oni, e ad automatizzarle, cioè a compierle<br />

in modo rapido e senza sforzo apparente.<br />

24


Il primo segno riconoscibile della d. evolutiva è il lento e<br />

faticoso apprendimento della lettura ad alta voce. Bisogna<br />

tuttavia sottolineare che la lentezza nell’apprendere la lettura<br />

non è un elemento <strong>su</strong>fficiente per definire un bambino<br />

dislessico, poiché i tempi di apprendimento sono diversi da<br />

soggetto a soggetto e quindi, in alcuni casi, il ritardo di un<br />

bambino nell’imparare la lettura potrebbe essere riconducibile<br />

alle caratteristiche di un sistema che necessita di tempi più<br />

lunghi per completarsi.<br />

La distinzione tra i due tipi di <strong>dislessia</strong> non è, quindi, solo una<br />

questione di “epoca” di comparsa, ma è più profonda e<br />

complessa innanzitutto poiché nella d. acquisita il soggetto ha<br />

già appreso il processo di decodifica e la <strong>su</strong>a capacità viene<br />

danneggiata dalla lesione; mentre nella d. evolutiva la prima<br />

conseguenza, e anche la più evidente, è la difficoltà nel<br />

processo di apprendimento del codice scritto.<br />

25


In secondo luogo la d. acquisita è riconducibile a una lesione,<br />

mentre la d. evolutiva ha cause diverse, non lesionali, ma<br />

congenite che interessano sempre il <strong>su</strong>bstrato neurobiologico<br />

coinvolto nella realizzazione del processo. Inoltre il danno<br />

acquisito può provocare conseguenze molto più circoscritte<br />

rispetto alla condizione congenita, per cui spesso la d. acquisita<br />

ostacola solo la lettura o alcuni dei <strong>su</strong>oi aspetti come per<br />

esempio il riconoscimento di parole nuove; mentre nel caso<br />

della d. evolutiva il disturbo è molto più esteso e, soprattutto<br />

nelle fasi iniziali, può interessare tutto il sistema scritto,<br />

compresa la scrittura delle parole e la letto-scrittura dei numeri.<br />

Anche la possibilità di rieducazione è molto diversa nelle due<br />

condizioni. Nel caso della d. acquisita si tratta di recuperare una<br />

funzione che il soggetto possedeva già. Il recupero dipende<br />

dalla gravità della lesione, dalla vastità delle aree corticali<br />

interessate e dall’età dell’insorgenza: ogni atto specifico della<br />

26


ieducazione ha lo scopo di reintegrare la funzione persa o<br />

danneggiata.<br />

Nel caso della d. evolutiva il soggetto deve acquisire una<br />

funzione che ancora non possiede avvalendosi di un sistema<br />

neurobiologico che ha delle peculiarità che ne ostacolano<br />

l’apprendimento: si tratta di mettere in atto mi<strong>su</strong>re che<br />

agevolino l’acquisizione del processo di decodifica e la <strong>su</strong>a<br />

automatizzazione.<br />

Dopo questa introduzione è importante sottolineare che non è<br />

esatto definire dislessico qualunque bambino che non impara a<br />

leggere. Un bambino, infatti, potrebbe avere difficoltà a<br />

imparare il processo di transcodifica per motivi diversi, che non<br />

sono necessariamente legati a una peculiarità delle strutture<br />

cerebrali coinvolte nei processi di elaborazione dell’ortografia.<br />

Per esempio, il bambino affetto da sordità non impara le<br />

corrispondenze <strong>su</strong>ono-segno perché ha difficoltà a percepire i<br />

<strong>su</strong>oni della lingua. Oppure un bambino che presenta un deficit<br />

27


intellettivo potrebbe imparare le corrispondenze tra segni e<br />

<strong>su</strong>oni, ma non essere in grado di riconoscere le parole a causa di<br />

un lessico in<strong>su</strong>fficiente, oppure perché non riesce a compiere in<br />

modo adeguato la fusione dei <strong>su</strong>oni. Inoltre potrebbero esserci<br />

bambini culturalmente deprivati con difficoltà nella lettura.<br />

Questa difficoltà, dunque, non è di per sé un elemento<br />

<strong>su</strong>fficiente per definire un soggetto come dislessico, poiché si<br />

parla di <strong>dislessia</strong> solo quando il disturbo di transcodifica è<br />

isolato e non può essere messo in relazione con altri disturbi di<br />

cui la difficoltà di lettura può essere considerata una<br />

conseguenza indiretta.<br />

DISLESSIA EVOLUTIVA<br />

La <strong>dislessia</strong> evolutiva si può presentare sotto diverse forme:<br />

lettura lettera per lettera (alessia pura)<br />

<strong>dislessia</strong> <strong>su</strong>perficiale<br />

<strong>dislessia</strong> fonologica<br />

28


<strong>dislessia</strong> profonda<br />

lettura visiva non- semantica (iperlessia)<br />

“LETTURA LETTERA PER LETTERA”<br />

E’ stata, forse, la sindrome maggiormente studiata fino agli anni<br />

’70. Può essere considerata, <strong>su</strong>l piano funzionale, come la<br />

conseguenza di un’eliminazione di collegamento tra il livello di<br />

identificazione delle lettere e le vie visiva e fonologica.<br />

L’impossibilità di attivare il sistema di riconoscimento delle<br />

parole impedisce una lettura visiva “globale” e la parola deve<br />

essere ricavata, in modo indiretto, dalle singole lettere attraverso<br />

un meccanismo che generalmente non viene utilizzato.<br />

Tutto ciò fa sì che i soggetti affetti da questa sindrome<br />

commettano molti più errori nelle parole lunghe che non in quelle<br />

corte, che il tempo di lettura aumenti a seconda del numero di<br />

lettere che costituiscono lo stimolo; inoltre essi possono arrivare al<br />

29


significato della parola solo se prima la leggono correttamente<br />

lettera per lettera. La comprensione è, quindi, lenta e laboriosa.<br />

L’alessia pura è stata classificata secondo i livelli linguistici<br />

compromessi in:<br />

• alessia verbale: caratterizzata da una buona abilità nel<br />

riconoscimento dei grafemi isolati anche se sono rilevabili dei<br />

deficit nel riconoscimento degli stessi quando sono inseriti in un<br />

contesto significativo. La lettura lettera per lettera è scadente e<br />

avviene sillabando; il riconoscimento globale della parola è<br />

impossibile.<br />

• alessia letterale: i soggetti sono incapaci di leggere le lettere<br />

anche se sono in grado di riconoscerle.<br />

• alessia per frasi: non ci sono difficoltà di lettura delle singole<br />

lettere; vi sono difficoltà <strong>su</strong>lle sillabe, ma non <strong>su</strong>lle singole<br />

parole.<br />

Il soggetto con alessia pura non presenta deficit linguistici, cioè è<br />

in grado di comprendere il “linguaggio parlato” mentre perde la<br />

30


<strong>su</strong>a capacità di capire la parola scritta. Nei casi più gravi ci sono<br />

difficoltà nella lettura anche delle lettere e vengono confuse quelle<br />

simili visivamente (d-b; m-n; p-q); nei casi più lievi, invece,<br />

leggono correttamente le singole lettere, ma quando si trovano di<br />

fronte alle parole, scandiscono prima tutte le lettere, di solito a<br />

voce alta, per poi unirle. All’aumentare della lunghezza della<br />

parola aumenta anche il tempo impiegato a leggere e il numero<br />

degli errori; chi è affetto da alessia pura per comprendere una<br />

parola deve prima leggerla lettera per lettera, quindi, ogni<br />

condizione sperimentale che impedisca questo tipo di lettura<br />

impedisce, automaticamente, anche la comprensione. Ciò dà l’idea<br />

della difficoltà e della fatica che questi soggetti affrontano nella<br />

lettura e anche del tempo che impiegano a svolgere questa attività<br />

che non è più un piacere.<br />

DISLESSIA SUPERFICIALE<br />

31


E’ stata scoperta nel 1973 da Marshall e Newcombe e consiste in<br />

un disturbo facilmente evidenziabile nelle lingue, come ad<br />

esempio l’inglese, che hanno un’ortografia irregolare con molte<br />

parole che sono eccezioni di pronuncia. Tutto ciò perché il<br />

dislessico <strong>su</strong>perficiale utilizza prevalentemente la via fonologica<br />

rispetto a quella visiva che porta ad una lettura migliore delle<br />

parole regolari rispetto a quelle irregolari.<br />

Oltre a questo sintomo i dislessici <strong>su</strong>perficiali tendono a<br />

confondere gli omofoni (parole che presentano la stessa pronuncia<br />

di altre) in una prova di comprensione, nella scrittura commettono<br />

errori fonologicamente corretti (ad es. l’aradio al posto di la<br />

radio), anche se si deve ammettere che leggendo solo<br />

fonologicamente non si può dire che la parola scritta “l’itro” sia<br />

una sequenza fonologica senza senso.<br />

Molti pazienti inglesi sembrano essere di questo tipo, mentre nei<br />

pazienti italiani non tutti i sintomi possono essere evidenziati,<br />

32


poiché l’ortografia italiana ha un rapporto molto più univoco e<br />

trasparente tra <strong>su</strong>oni e segni rispetto all’ortografia inglese.<br />

L’italiano può essere letto mediante l’applicazione di regole<br />

grafema- fonema, quindi si dimostra una lingua regolare per<br />

quanto riguarda l’assegnazione grafema- fonema, ma non per ciò<br />

che concerne l’accentazione delle parole. L’accento viene posto<br />

generalmente <strong>su</strong>lla vocale della penultima sillaba, ma si possono<br />

trovare molte eccezioni che con la sola via fonologica non<br />

possono dare informazioni utili. Un lettore fonologico tenderà a<br />

commettere degli errori molto particolari; se una parola è<br />

accentata in maniera irregolare tenderà a leggerla con un accento<br />

regolare conseguente all’applicazione della regola. Inoltre se in<br />

italiano non è possibile avere delle parole omofone ma non<br />

omografe è però possibile avere due parole omofone: per es. l’ago<br />

è omofono di lago.<br />

Interessante è lo studio di pazienti poliglotti, lettori sia di<br />

ortografie regolari sia irregolari in quanto questa sindrome è legata<br />

33


alle caratteristiche dell’ortografia di una certa lingua. Poiché tutti i<br />

pazienti leggono una certa percentuale di parole irregolari si<br />

<strong>su</strong>ppone che il deficit alla via visiva non sia assoluto, il dislessico<br />

<strong>su</strong>perficiale acquisito, avendo la via visiva danneggiata, usa più<br />

del normale la via fonologica; mentre il dislessico <strong>su</strong>perficiale<br />

evolutivo presenta un deficit nello sviluppo dell’efficienza della<br />

via visiva, quindi, leggendo fonologicamente avrà delle difficoltà<br />

a giudicare se due parole irregolari hanno la stessa pronuncia,<br />

come ad es. hear e here.<br />

Il tempo di lettura in questi pazienti è nella media in quanto<br />

utilizzano una via di lettura, quella fonologica, usata dai lettori<br />

senza difficoltà.<br />

La comprensione di parole isolate, invece, può variare dal livello a<br />

cui è danneggiata la via visiva, se questa lo è al livello del sistema<br />

di riconoscimento, la comprensione può essere buona utilizzando<br />

indirettamente la via fonologica; se, invece, la compromissione è a<br />

livello semantico e interessa la rappresentazione del significato<br />

34


delle parole, il deficit di comprensione si manifesta per tutti gli<br />

stimoli.<br />

Il metodo standard di lettura prevede che anche i pazienti con una<br />

discreta comprensione nella lettura presentino deficit di<br />

comprensione di un certo tipo di stimoli. Comprendendo ciò che<br />

viene letto attraverso la via fonologica se due parole hanno la<br />

stessa pronuncia ma sono scritte diversamente (omofoni non<br />

omografi) saranno scambiate l’una con l’altra facilmente se<br />

presentate senza un contesto.<br />

DISLESSIA FONOLOGICA<br />

E’ stata osservata per la prima volta nel 1979 da Beavois e<br />

Derousnè <strong>su</strong> un paziente francese che aveva una prestazione bassa<br />

nella lettura di non- parole associata ad una buona, ma non<br />

35


perfetta, lettura delle parole; commetteva errori morfologici (ad es.<br />

andare- andato).<br />

Nel 1980 è stata classificata da Shallice e Warrington come una<br />

<strong>dislessia</strong> a “componente singolo” ipotizzando che il deficit alla<br />

ricodificazione fonologica spieghi il disturbo.<br />

L’area lesa in tutti questi pazienti è relativamente ristretta ed è<br />

situata nella regione frontale inferiore, vicina e forse coincidente<br />

con l’area di Broca, cioè i lobi frontali che Broca ritenne (1861)<br />

che fossero la sede del linguaggio espressivo.<br />

I pazienti dislessici fonologici che presentano un’abolizione<br />

completa della lettura delle non- parole sono molto pochi; la<br />

maggior parte cerca di leggerle e compie errori visivi (ad es. bane-<br />

pane). Inoltre essi commettono, quando leggono a voce alta delle<br />

parole, una certa percentuale di errori visivi, alcuni errori<br />

morfologici e qualche volta saltano addirittura la parola, mentre<br />

non fanno errori semantici (cioè non sostituiscono le parole con<br />

altre di significato affine) nella lettura a voce alta e non mostrano<br />

36


di essere influenzati dall’effetto concretezza delle parole. I<br />

soggetti in questo caso sono in grado di compiere in maniera<br />

adeguata il compito di decisione lessicale (discriminare gli stimoli<br />

che sono parole da quelli che non lo sono) e la loro comprensione<br />

è buona.<br />

Temple e Marshall (1983) pubblicarono la prima descrizione<br />

dettagliata delle caratteristiche di un soggetto affetto da <strong>dislessia</strong><br />

fonologica evolutiva. Questi leggeva le parole regolari e irregolari<br />

con la stessa facilità, ma era molto carente nel pronunciare parole<br />

poco familiari e non- parole. La <strong>su</strong>a lettura di parole non era<br />

perfetta, poiché tendeva a compiere errori di tipo visivo (ad es.<br />

“cheery” letto come “cherry”; “bouquet” come “boutique”) e<br />

morfologico (“cautios” letto come “caution”; “appeared” come<br />

“appearance”) 7 ; così come la lettura di non- parole o di parole<br />

reali ma insolite era mediocre. Non commetteva, invece, errori<br />

semantici nel leggere ad alta voce parole singole.<br />

7 Cautious=cauto; caution=cautela; appeared=apparve; appearance=apparizione<br />

37


Questi errori vennero interpretati come la tendenza del soggetto<br />

ad usare la strategia dell’accesso visivo approssimativo.<br />

L’esistenza di questi due sottotipi di <strong>dislessia</strong> evolutiva<br />

consentirebbe di dimostrare l’indisponibilità di alcuni meccanismi<br />

molto specifici e selettivi nel processo di lettura; infatti, come<br />

analizzerò nel capitolo <strong>su</strong>ll’analisi neuropsicologica della<br />

<strong>dislessia</strong>, l’utilizzo di una specifica strategia di lettura a scapito di<br />

un’altra <strong>su</strong>pporterebbe l’ipo<strong>tesi</strong> di un sistema lettura costituito da<br />

componenti separabili l’una dall’altra e danneggiabili<br />

separatamente ( struttura modulare della mente ).<br />

DISLESSIA PROFONDA<br />

38


La <strong>dislessia</strong> profonda è un grave disturbo della lettura che colpisce<br />

di solito pazienti con vaste lesioni all’emisfero dominante. E’<br />

caratterizzata dall’incapacità di leggere le non- parole e dalla<br />

produzione di “paralessie semantiche 8 ” nella lettura a voce alta,<br />

cioè sostituzioni di una parola con un’altra ad essa associata o<br />

appartenente alla stessa sfera semantica.<br />

I sintomi della <strong>dislessia</strong> profonda sono numerosi e tendono a<br />

comparire sempre assieme con questa sindrome. Essi sono:<br />

• la presenza di errori semantici nella lettura ( paralessie<br />

semantiche)<br />

• la produzione di errori visivi (pane- cane)<br />

• la produzione di errori morfologici (andare- andato)<br />

• effetto della categoria grammaticale con le parole funzione che<br />

sono lette meno bene rispetto alle altre<br />

• effetto concretezza per cui le parole concrete sono lette meglio<br />

di quelle astratte<br />

8<br />

Sostituzione di una parola con un’altra ad essa associata o appartenente alla stessa sfera semantica. Sostituzione di<br />

parole con significato affine<br />

39


• la lettura delle non- parole è impossibile<br />

• la disgrafia è sempre presente<br />

• si rileva un deficit alla memoria verbale a breve termine<br />

Il sintomo cruciale, quello che differenzia la <strong>dislessia</strong> profonda<br />

dalle altre sindromi, è, come già accennato, la produzione di<br />

paralessie semantiche nella lettura a voce alta; i pazienti con<br />

<strong>dislessia</strong> profonda, quando leggono delle parole isolate,<br />

commettono degli errori che mantengono una relazione di<br />

significato con lo stimolo loro presentato: liberty- freedom; little-<br />

small; child- girl; e per l’italiano matrimonio- gioia.<br />

I soggetti affetti da <strong>dislessia</strong> profonda nel commettere errori<br />

semantici possono utilizzare per esempio parole che sono sinonimi<br />

come liberty al posto di freedom, oppure parole che esprimono<br />

una relazione di parentela come zio invece nipote, oppure<br />

un’associazione di idee come antico al posto di vaso.<br />

40


LETTURA VISIVA NON- SEMANTICA o iperlessia<br />

I dislessici evolutivi che presentano una buona capacità di lettura a<br />

voce alta, ma una comprensione molto povera sono chiamati<br />

iperlessici. Iperlessia è un termine usato per la prima volta nel<br />

1968 dagli Silberberg per connotare il riconoscimento della parola<br />

scritta scisso dalle capacità di comprensione della parola stessa.<br />

Negli anni <strong>su</strong>ccessivi è stato utilizzato per indicare quei bambini<br />

in cui l’abilità in lettura era nettamente <strong>su</strong>periore alle aspettative<br />

basate sia <strong>su</strong>lle capacità cognitive sia <strong>su</strong> quelle linguistiche, intese<br />

come capacità di comprensione del linguaggio.<br />

I disturbi dell’iperlessico sono rappresentati in modo diverso a<br />

seconda degli autori: dai problemi motori di differente natura<br />

(aprassia, disprassia, instabilità, disturbi dell’attenzione, anomalie<br />

di lateralizzazione), ai problemi comportamentali (tendenza<br />

all’isolamento, comportamenti di tipo ossessivo), ai problemi di<br />

comunicazione (mutismo, iperverbalismo).<br />

41


Questa variabilità clinica della sindrome iperlessica è correlata alla<br />

molteplicità delle teorie <strong>su</strong>lla eziopatogenesi 9 e <strong>su</strong>i meccanismi<br />

di apprendimento della lettura che sono raramente spiegabili da<br />

teorie genetiche ad orientamento psichiatrico, neuropsicologico,<br />

cognitivista.<br />

Secondo Berton (1978) nei bambini iperlessici “la lettura<br />

fonologica è concretamente in anticipo rispetto alla lettura<br />

semantica”, il processo di lettura utilizzato è quindi l’opposto di<br />

quello del bambino “normale” in cui le capacità semantiche sono<br />

in genere più avanzate di quelle fonologiche.<br />

Iperlessia e <strong>dislessia</strong> costituiscono due diverse varianti, non<br />

opposte, entrambe fondate <strong>su</strong> un disturbo delle relazioni<br />

simboliche.<br />

Questa ipo<strong>tesi</strong> viene sostenuta da Healy e coll. (1982) i quali<br />

ritengono che questi disturbi, così come sono presenti nella<br />

<strong>dislessia</strong>, si ritrovano anche nei bambini iperlessici; inoltre il<br />

legame tra questi due disturbi si dimostra più saldo in seguito al<br />

9<br />

lo studio delle cause di una malattia (eziologia) e del loro meccanismo di azione (patogenesi)<br />

42


dato da loro trovato di una familiarità, soprattutto nella linea<br />

paterna, nei disturbi di linguaggio e/o di apprendimento.<br />

Diversa, invece, appare la teoria neuropsicologica sostenuta da<br />

alcuni autori come Cos<strong>su</strong> e Marshall (1986-1988) per i quali<br />

l’iperlessia fornisce un <strong>su</strong>pporto clinico all’organizzazione<br />

modulare della mente, che discuterò nei cap. 17 e 18.<br />

Un problema molto importante che si pongono gli studiosi di<br />

questa sindrome è la correlazione tra lettura e comprensione; tra i<br />

pochi autori che hanno indagato la comprensione della lettura c’è<br />

un accordo sostanziale: il bambino iperlessico legge ad un livello<br />

<strong>su</strong>periore, ma comprende secondo il <strong>su</strong>o livello cognitivo.<br />

Uno dei casi descritti da Silberberg e Silberberg (1968) riguarda<br />

un bambino di nove anni, con un Q. I. di 64, quindi notevolmente<br />

inferiore alla media, il cui linguaggio verbale era scarsamente<br />

sviluppato, ma che, nonostante ciò, era in grado di leggere come<br />

un bambino di dieci anni. Un dato significativo era che il bambino<br />

comprendeva ciò che aveva letto soltanto nella mi<strong>su</strong>ra in cui la <strong>su</strong>a<br />

43


“intelligenza lo consentiva”. Per questo bambino, come per gli<br />

altri bambini iperlessici, l’abilità nel leggere ad alta voce è<br />

sviluppata fino a un livello che <strong>su</strong>pera tutte le altre abilità<br />

cognitive. Vi sono inoltre indizi del fatto che la lettura ad alta voce<br />

vada oltre la comprensione e che il bambino iperlessico non sia in<br />

grado di comprendere quello che legge con facilità ad alta voce.<br />

Questa particolare capacità dell’iperlessico di leggere viene<br />

attribuita alle condizioni ancora intatte dei collegamenti fra le<br />

unità di riconoscimento visivo della parola e le unità fonetiche di<br />

produzione della parola.<br />

Huttenlocher e Huttenlocher, con lo studio di un bambino<br />

iperlessico di sette anni, giunsero alla conclusione che le parole<br />

vengono riconosciute attraverso uno “schema visivo”<br />

(l’equivalente delle unità di riconoscimento visivo della parola), il<br />

quale si ricollega al significato delle parole (le rappresentazioni<br />

fonetiche di produzione della parola) e infine, separatamente, a<br />

uno “schema uditivo” (le unità fonetiche di produzione della<br />

44


parola. Huttenlocher e Huttenlocher notarono che nei soggetti<br />

iperlessici “il deficit osservato potrebbe consistere in un’abilità<br />

molto ridotta di associare gli schemi delle parole con i relativi<br />

significati”. Malgrado questo deficit, la lettura ad alta voce è<br />

ancora possibile grazie ai collegamenti diretti fra schemi visivi e<br />

schemi uditivi.<br />

45


Capitolo 2<br />

2.1 Aspetti essenziali dei processi di lettura e scrittura<br />

I modelli della psicologia metacognitiva sottolineano l’aspetto<br />

proces<strong>su</strong>ale della lettura, la complessità e la molteplicità dei<br />

diversi sottosistemi impiegati.<br />

Prima della scolarizzazione il bambino usa il linguaggio quasi<br />

esclusivamente come mezzo di comunicazione. Quando inizia la<br />

scuola invece apprende a riflettere <strong>su</strong>l linguaggio identificando e<br />

analizzando gli elementi e le strutture che lo compongono. Il<br />

termine “metalinguistica” si riferisce alla capacità di usare il<br />

linguaggio per analizzare, studiare, conoscere il linguaggio<br />

stesso.<br />

La lettura diventa un processo interattivo che implica sia il testo,<br />

sia ciò che il lettore ne trae, in base alle <strong>su</strong>e conoscenze di<br />

fondo. Come evidenzia Cornoldi, il soggetto normolessico<br />

utilizza contemporaneamente operazioni semantiche (top- down)<br />

46


e operazioni sintattiche (bottom- down), cioè, durante la lettura<br />

analizza e mette in continua relazione i dati ed i concetti letti.<br />

La difficoltà di decodifica è propria dei sistemi di scrittura<br />

alfabetica in quanto il segno grafico non rappresenta l’oggetto o<br />

l’evento, bensì i fonemi poiché non esiste corrispondenza diretta<br />

tra evento fono-articolatorio ed unità percettive; ogni gesto<br />

fono-articolatorio produce informazioni per più unità fonemiche.<br />

L’accesso al significato avviene per via mediata, tramite il<br />

linguaggio. Questo comporta una strutturazione dei metodi di<br />

apprendimento diversa da quelli alla base dell’apprendimento per<br />

esempio del sistema ideografico (memorizzazione).<br />

L’organizzazione mediata dei sistemi alfabetici crea difficoltà alla<br />

ricerca ed all’individuazione dei processi che devono essere<br />

controllati dal bambino per accedere alla scrittura.<br />

Se, quindi, nei sistemi alfabetici la scrittura rappresenta la lingua,<br />

la premessa per l’apprendimento e l’utilizzazione del sistema<br />

scritto è costituita dalla conoscenza della lingua stessa.<br />

47


Il bambino giunge a scuola con una <strong>su</strong>fficiente padronanza della<br />

lingua, sembra in grado di controllare le strutture della sintassi e<br />

della morfologia. Tuttavia questo non consentirà al bambino<br />

l’acquisizione immediata della lettura, che non deriva<br />

automaticamente dalla capacità linguistica dell’individuo.<br />

Il bambino deve affinare le proprie abilità metalinguistiche, deve<br />

imparare a riflettere <strong>su</strong>l significato del segno scritto e <strong>su</strong>lla <strong>su</strong>a<br />

funzione comunicativa; i processi di lettura e di scrittura<br />

comportano, cioè, una doppia cifratura: dalle sequenze di lettere<br />

alla struttura fonemica della parola e da questa al significato.<br />

Tale operazione di simbolizzazione costituisce l’essenza delle<br />

operazioni metalinguistiche <strong>su</strong>lle quali si articola il processo di<br />

lettura e scrittura.<br />

Per cogliere il significato della “stringa (sequenza) fonologica”<br />

della parola, il bambino deve riuscire a compiere delle operazioni<br />

<strong>su</strong>lla stringa stessa, altrimenti è costretto ad immagazzinare ogni<br />

singola parola scritta come fosse un’entità autonoma.<br />

48


E’ stato dimostrato (Liberman e Coll) che un bambino in età<br />

prescolare incontra notevoli difficoltà nell’effettuare delle<br />

operazioni metalinguistiche esplicite, soprattutto nella<br />

scomposizione fonemica, poiché per il bambino ri<strong>su</strong>lta impossibile<br />

separare le caratteristiche fisiche del significato dalla struttura del<br />

significante.<br />

Con l’osservazione dell’ambiente che lo circonda, il bambino<br />

comincia a rendersi conto di abitare un luogo in cui segni e disegni<br />

posti <strong>su</strong>gli oggetti corrispondono, per gli adulti, ai nomi degli<br />

oggetti. In questo modo comincia a costruire un “ lessico<br />

ortografico primitivo” grazie al quale riesce ad associare una<br />

sequenza di lettere ad un certo oggetto, senza avere una coscienza<br />

della struttura fonologica interna della parola.<br />

49


Per poter accedere al sistema scritto in modo produttivo, il<br />

bambino dovrà riuscire a dissociare la componente del<br />

significante da quella del significato.<br />

2.2 Difficoltà di lettura<br />

Vi sono fattori linguistici che influenzano in mi<strong>su</strong>ra molto<br />

consistente la possibilità di leggere e riconoscere una parola.<br />

La frequenza d’uso di una parola nel lessico infantile e il <strong>su</strong>o<br />

valore d’immagine (cioè il grado di concretezza) sono molto<br />

importanti, per cui a parità di lunghezza e di complessità<br />

ortografica, è più facile leggere una parola frequente e facilmente<br />

immaginabile come “cane”, rispetto alla parola poco frequente e<br />

molto astratta “pena”. Anche se entrambe sono costituite da<br />

quattro lettere, la scarsa rappresentabilità della parola “pena” nel<br />

lessico dei bambini ne rende difficile il riconoscimento.<br />

Un altro fattore importante è la lunghezza della parola. E’ molto<br />

più facile leggere la parola “cane”, piuttosto che la parola<br />

“albero”, a causa del maggior numero di lettere da leggere e da<br />

50


convertire in <strong>su</strong>oni. Inoltre è tanto più difficile ricostruire una<br />

parola attraverso la fusione di <strong>su</strong>oni singoli disposti in sequenza,<br />

tanto maggiore è il numero di <strong>su</strong>oni da considerare. Entrambe le<br />

parole sono ad alta frequenza e ad alta immaginabilità, per cui la<br />

differenza di difficoltà deriva unicamente dalla quantità di lettere<br />

da esaminare e di <strong>su</strong>oni da fondere.<br />

Un altro elemento che interferisce con la facilità di leggere una<br />

parola è la complessità ortografica. La parola “matita” è più facile<br />

da leggere della parola “strada”. Pur avendo lo stesso numero di<br />

lettere costituenti, la parola “strada” accosta una serie di <strong>su</strong>oni più<br />

difficili da pronunciare insieme rispetto alla parola “matita”, dove<br />

l’alternanza di consonante e vocale è regolare e facilita certamente<br />

la ricostruzione della parola per via sillabica (ma-ti-ta). Anche se<br />

“strada” è composta da due sole sillabe, la <strong>su</strong>a ricostruzione<br />

attraverso la lettura richiede a un principiante maggior impegno,<br />

poiché la formazione di una sillaba complessa è certamente più<br />

laboriosa rispetto alla sillaba semplice.<br />

51


Un bambino che ha difficoltà di acquisizione della lettura si<br />

eserciterà più facilmente e con maggior profitto se deve leggere<br />

parole semplici, brevi, frequenti e immaginabili, piuttosto che<br />

parole complesse e sconosciute. Nel primo caso potrà infatti<br />

contare <strong>su</strong>lle <strong>su</strong>e conoscenze lessicali per compensare le difficoltà<br />

di decifrazione o di fusione dei <strong>su</strong>oni, mentre nel secondo caso<br />

troverà ulteriori ostacoli.<br />

Un altro fattore di complessità è costituito dall’impiego di diversi<br />

tipi di carattere per rappresentare le lettere. La maggior parte dei<br />

bambini non incontra difficoltà ad apprendere corrispondenze<br />

multiple, ma i dislessici, che hanno bisogno di grande stabilità per<br />

imparare le corrispondenze tra i segni e i <strong>su</strong>oni, incontrano molti<br />

ostacoli dalla presentazione simultanea di caratteri diversi usati<br />

per rappresentare graficamente lo stesso <strong>su</strong>ono. I dislessici, quindi,<br />

non sono in grado di apprendere il corsivo e riescono invece a<br />

utilizzare con più facilità lo stampatello maiuscolo in quanto più<br />

stabile e più facile da discriminare dal punto di vista percettivo.<br />

52


2.3 Dislessia e lettura<br />

La <strong>dislessia</strong> è un disturbo che ostacola il normale processo<br />

d’interpretazione dei segni grafici con cui si rappresentano per<br />

iscritto le parole. Viene definita come un “deficit di sviluppo” che<br />

ha origine da alterazioni di natura neurobiologica non rientrante in<br />

un quadro psicopatologico.<br />

Alcuni bambini leggono male, ma comprendono ciò che leggono.<br />

Questo può creare confusione <strong>su</strong>l significato dell’espressione<br />

“deficit di lettura”. Ma, allora, cosa si intende per “deficit”?<br />

Prima di definire il significato di questo termine, o meglio, come<br />

viene inteso in riferimento alla <strong>dislessia</strong>, vorrei introdurre<br />

l’argomento “lettura”.<br />

Che cosa significa leggere?<br />

Con il termine lettura si intende un processo che consente di<br />

comprendere il contenuto di un testo scritto. Questa attività è il<br />

ri<strong>su</strong>ltato di una serie di processi molto complessi che<br />

comprendono:<br />

53


- il riconoscimento dei segni dell’ortografia<br />

- la conoscenza delle regole di conversione dei segni grafici in<br />

<strong>su</strong>oni<br />

- la ricostruzione delle “stringhe di <strong>su</strong>oni” in parole del lessico<br />

- la comprensione del significato delle singole frasi e del testo<br />

La <strong>dislessia</strong> interessa solo alcuni di questi processi, i primi tre,<br />

mentre non riguardala fase di comprensione di una frase o di un<br />

testo.<br />

I primi tre processi vengono considerati come le fasi di un’unica<br />

attività, chiamata attività di “decodifica” o “transcodifica”, in<br />

quanto consente di trasformare il codice scritto in codice orale,<br />

quello che usiamo per esprimerci verbalmente.<br />

Nel lettore esperto è molto difficile distinguere l’attività di<br />

decodifica dal processo di comprensione, poiché, quando un<br />

individuo legge un testo ha l’impressione di accedere direttamente<br />

al significato.<br />

L’importanza di questo processo viene messa in evidenza proprio<br />

dal dislessico, cioè dal soggetto che presenta difficoltà nelle<br />

attività di decodifica.<br />

54


La <strong>dislessia</strong> è un disturbo che riguarda unicamente la<br />

trasformazione dei segni in <strong>su</strong>oni; concerne, quindi, il processo<br />

d’interpretazione dei segni dell’ortografia.<br />

55


2.4 Errori di scrittura del dislessico<br />

Il dislessico è quasi sempre anche “disortografico” in quanto le<br />

cause che contrastano una normale acquisizione della lettura<br />

rendono impossibile la corretta esecuzione di un esercizio di<br />

dettatura o di una composizione.<br />

Gli errori che si riscontrano più di frequente nella scrittura del<br />

dislessico sono i seguenti:<br />

• Confusione tra le consonanti costituite dagli stessi elementi<br />

strutturali, ma con diverso orientamento (a, o, s, c, gl, gh) o con<br />

strutture diverse, ma con analogie sonore (f-v; d-t; p-b; c-g; s-z)<br />

• Inversioni dell’orientamento di lettere di una sillaba o di più<br />

sillabe in una parola (la- al; li- il; per- pre)<br />

• Elisioni letterali o sillabiche effettuate all’inizio o alla fine<br />

della parola (pomeriggio- pomeriggi; porta- pota; pane- pne)<br />

• Sillaba ripetuta in una parola più volte (nascondono-<br />

nascondonono; caricare- caricacare; mangiato- mangiangiato)<br />

56


• Assimilazione della parola precedente o seguente, assimilazione<br />

dell’articolo al nome (il sole- ilsole; <strong>su</strong>l prato- <strong>su</strong>lprato)<br />

• Divisione della parola in più frammenti o sillabe (andiamo, an-<br />

dia-mo)<br />

• La grafia può essere irregolare.<br />

Gli errori tipici del disortografico possono essere così<br />

schematizzati:<br />

- sostituzioni fonologiche: b/p; t/d<br />

- sostituzione dei grafemi: a, e, o; m, n (grafemi fisicamente<br />

uguali)<br />

- elisioni, omissioni, immissioni: TRENO- TENO; TAVOLO-<br />

TAVOLTO<br />

- trasposizioni: CINEMA diventa CIMENA<br />

- errori di regola: perdita dell’acca, ch, sc, gl, ci; sbagli<br />

nell’uso delle doppie e dell’accento<br />

- separazione e fusione illegali di parole: LAGO diventa LA -<br />

GO; LA SCUOLA diviene LASCUOLA<br />

57


- errori di identificazione del singolo <strong>su</strong>ono e sequenzialità dei<br />

<strong>su</strong>oni: esempio la parola GATO viene letta GATTO.<br />

58


Applicabilità dei modelli modulari della lettura alla<br />

Dislessia evolutiva<br />

Sono state rivolte varie critiche all’applicabilità dei modelli della<br />

<strong>dislessia</strong> acquisita alla <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />

Prima critica:<br />

La d. evolutiva deve essere spiegata in riferimento ad un modello<br />

evolutivo che sia in grado di render conto dello sviluppo normale<br />

della lettura, poiché i processi sottostanti alla lettura dell’adulto<br />

non sono gli stessi di quelli che sottendono la lettura dei bambini<br />

che apprendono la lettura. Uta Frith, per es., spiega la d. evolutiva<br />

come una difficoltà ad accedere alla fase alfabetica e vede alla<br />

base di questa difficoltà disturbi nel sistema fonologico.<br />

All’interno di questo approccio evolutivo, l’applicabilità dei<br />

modelli della d. acquisita a quella evolutiva non dà conto del fatto<br />

che nelle fasi dell’apprendimento della lettura vengono<br />

identificate unità ortografiche diverse da quelle identificate con<br />

59


l’una e con l’altra della due vie di lettura, cioè il grafema o la<br />

parola intera.<br />

L’indipendenza delle due procedure, as<strong>su</strong>nto di base del modello a<br />

due vie, non spiegherebbe come possa avvenire la costruzione di<br />

un lessico ortografico attraverso lo sviluppo di una via isolata di<br />

conversione grafema-fonema.<br />

Seconda critica:<br />

Da alcune ricerche effettuate negli anni 1985/87 confrontando d.<br />

evolutivi e lettori normali di pari età di lettura, è emerso che non<br />

si può sostenere che la <strong>dislessia</strong> sia dovuta al mancato sviluppo di<br />

una delle componenti del sistema di lettura adulto, ma che esso si<br />

configuri come un ritardo di apprendimento.<br />

L’analisi critica di tale conclusione portò ad affermare che<br />

l’identificazione di pattern di lettura dei dislessici<br />

anche nei lettori senza difficoltà, non infici di per sé la spiegazione<br />

della <strong>dislessia</strong> evolutiva in termini di IPOSVILUPPO di una o più<br />

procedure di lettura identificate all’interno di modelli cognitivisti<br />

60


di indirizzo neuropsicologico. Infatti, mentre può essere normale<br />

che coesistano differenti livelli di efficienza di una o dell’altra<br />

strategia nel corso dell’apprendimento della lettura a seconda dello<br />

stadio di apprendimento raggiunto è assolutamente “anormale”<br />

non sviluppare nel tempo una relativa efficienza in entrambe le<br />

strategie.<br />

In chiave evolutiva non è ancora stato chiarito se le diverse<br />

tipologie di <strong>dislessia</strong> evolutiva, differenziate <strong>su</strong>lla base di deficit a<br />

carico di specifiche strategie di lettura, riflettano sottostanti<br />

pattern di deficit cognitivi differenziati e quanto questi siano<br />

associati ad architetture neurali atipiche.<br />

(Ricerca dell’85: differenze cognitive relative a fattori linguistici e<br />

a fattori vi<strong>su</strong>ospaziali fra d. italiani e controlli e d. americani e<br />

controlli).<br />

61


Gradi di gravità della <strong>dislessia</strong><br />

La distinzione classica fino ad ora utilizzata dagli psicologi e<br />

studiosi in questi campi è tra:<br />

Dislessia costituzionale: considerata la più grave e la meno<br />

curabile, ricollegata ad una lateralizzazione mal strutturata ed a<br />

disturbi del linguaggio; si trovano, oltre ai sintomi significativi,<br />

perturbazioni gravi a livello dell’orientamento e della<br />

lateralizzazione, con problemi di livello intellettuale e di<br />

personalità legati intorno ad in<strong>su</strong>ccessi scolastici.<br />

Dislessia evolutiva: si manifesta in occasione dei primi esercizi<br />

scolastici; i sintomi sono meno numerosi e le perturbazioni sono<br />

meno gravi e ciò incoraggia la rieducazione.<br />

Dislessia affettiva: diagnosticata nei casi in cui non si ritrovano<br />

né disturbi del linguaggio né della struttura spazio- temporale,<br />

62


ma un blocco affettivo che si esprime nel campo della lettura; è<br />

una reazione d’in<strong>su</strong>ccesso localizzata nella lettura.<br />

Nel momento della diagnosi, tutte le forme di <strong>dislessia</strong> sono il<br />

ri<strong>su</strong>ltato di un processo partito dal disturbo della relazione Io-<br />

universo nell’età sensibile e che si sviluppa nei primi mesi o<br />

anni della scolarità.<br />

Prima della prova scolastica le radici della <strong>dislessia</strong> esistono,<br />

ma essa non si è ancora rivelata; alcuni aspetti come il ritardo<br />

del linguaggio, le turbe del comportamento, l’instabilità e la<br />

goffaggine possono essere già percettibili. Entrando nella scuola<br />

elementare, si instaura una stretta relazione tra il clima socio-<br />

affettivo (rapporto con le insegnanti e i compagni), i ri<strong>su</strong>ltati<br />

scolastici e il clima affettivo familiare.<br />

Trovandosi di fronte alla <strong>su</strong>a difficoltà d’apprendimento, il<br />

bambino cerca di reagire con tutta la <strong>su</strong>a buona volontà e con il<br />

timore di venir emarginato dal gruppo del quale fa parte e che<br />

procede nel <strong>su</strong>o lavoro scolastico senza problemi.<br />

63


Le <strong>su</strong>e reazioni a questa situazioni possono essere varie: il<br />

progresso compensatorio <strong>su</strong>gli altri piani; l’estensione del<br />

blocco alla scrittura e al linguaggio; la generalizzazione del<br />

blocco a tutte le materie; la ricerca di compensazioni per<br />

l’in<strong>su</strong>ccesso intellettuale.<br />

64


Basi biologiche della <strong>dislessia</strong><br />

Fin dalla fine del 1800, in base alle prime descrizioni di bambini<br />

con “cecità verbale congenita” (Morgan, 1896; Hinshelwood,<br />

1900), è stato ipotizzato che i dislessici evolutivi costituissero un<br />

gruppo con caratteristiche peculiari non solo cognitive (elevata<br />

intelligenza e specifico difetto di lettura) ma anche neurologiche a<br />

cattivi lettori con ritardo generale del funzionamento intellettivo.<br />

In particolare gli autori sopra menzionati, rifacendosi a Dejerine,<br />

che nel 1892 aveva descritto un caso di alessia e agrafia acquisita<br />

a seguito di una lesione del giro angolare di sinistra, postularono<br />

che anche nei casi evolutivi di <strong>dislessia</strong> fossero danneggiate le<br />

porzioni posteriori dell’emisfero di sinistra.<br />

Quasi un secolo dopo (1979) Galaburda e Kemper riportarono un<br />

caso di un dislessico di vent’anni in cui l’esame post-mortem<br />

rivelò la presenza di anomalie morfologiche confinate nel lobo<br />

temporale posteriore di sinistra.<br />

65


Negli ultimi anni, con l’introduzione di nuove metodiche per lo<br />

studio della morfologia cerebrale e del funzionamento in vivo del<br />

sistema nervoso centrale è stata notevolmente incrementata la<br />

ricerca di anomalie strutturali e funzionali del sistema nervoso<br />

centrale di pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />

Alla domanda se il cervello di individui dislessici presenti<br />

alterazioni strutturali hanno cercato di dare risposta studi effettuati<br />

<strong>su</strong> pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva, sia con l’uso di tecniche<br />

tradizionali (studi autoptici) che nuove per lo studio della<br />

morfologia cerebrale e del funzionamento in vivo del sistema<br />

nervoso centrale.<br />

Studi <strong>su</strong>l funzionamento cerebrale con la Tomografia a emissione<br />

di positroni (PET) hanno evidenziato nei dislessici una riduzione<br />

del metabolismo del glucosio nella regione perin<strong>su</strong>lare di sinistra<br />

durante l’attività di lettura (Gross-Glenn e coll. 1986). Altri studi<br />

con la PET (1992) hanno dimostrato anomalie nel flusso cerebrale<br />

nell’area temporoparietale di sinistra.<br />

66


Alterazioni neuroanatomiche sono state riscontrate anche in aree<br />

corticali e sottocorticali deputate alla percezione visiva e acustica<br />

che sono state messe in relazione con difficoltà dei dislessici a<br />

livelli più periferici del processamento sensoriale e percettivo.<br />

Sembra, quindi esserci una convergenza di dati neuroanatomici e<br />

neurofisiologici a favore di un’organizzazione e di un<br />

funzionamento cerebrale atipici in pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />

E’ stato ipotizzato, infatti, che la <strong>dislessia</strong> sia riconducibile a un<br />

difetto di lateralizzazione funzionale degli emisferi sinistri<br />

cerebrali.<br />

Lateralizzazione emisferica e <strong>dislessia</strong><br />

Orton (1925) introdusse la teoria che alla base della <strong>dislessia</strong> ci<br />

fosse una mancata dominanza dell’emisfero cerebrale di sinistra<br />

originata da un ritardo dello sviluppo neurologico. Le<br />

manifestazioni cognitive di questa atipia sarebbero una confusione<br />

tra immagini visive di simboli scritti processati da entrambi gli<br />

emisferi che portava, ad esempio, alla difficoltà a distinguere<br />

67


lettere speculari (b, d). Alla mancata dominanza emisferica sinistra<br />

era da attribuirsi, sempre secondo Orton, un mancato stabilirsi<br />

della dominanza manuale e della concordanza fra dominanza<br />

manuale e oculare. La teoria di Orton è stata molto influente ma<br />

scarsamente sostenuta da dati sperimentali; sono numerosissime le<br />

ricerche ad essa ispira<strong>tesi</strong> allo scopo di dimostrare un legame fra<br />

ridotta specializzazione emisferica e <strong>dislessia</strong>.<br />

Nello studio <strong>su</strong>lle “specializzazioni emisferiche” anche il<br />

cognitivismo ebbe notevole influenza. Negli anni Sessanta si ebbe<br />

una grande svolta che consentì di poter utilizzare nelle ricerche<br />

neuropsicologiche i soggetti normali e non solo i cerebrolesi.<br />

Tale svolta consistette nella messa a punto di metodiche che<br />

permettevano di predeterminare, a livello di emisferi, la zona del<br />

cervello <strong>su</strong> cui sarebbero andati in primo luogo a terminare gli<br />

stimoli inviati all’organismo. Ebbero una notevole importanza<br />

nella messa a punto di tali metodiche e nella modellizzazione<br />

68


teorica B. Milner (1962) per quel che riguarda la modalità visiva,<br />

e D. Rimura (1964) per quel che concerne quella uditiva.<br />

Un’esemplificazione di ciò può essere la seguente. Si <strong>su</strong>pponga di<br />

voler stabilire se un certo compito (il riconoscimento di una<br />

melodia) viene effettuato a livello di emisfero destro o di emisfero<br />

sinistro; se si invia la melodia all’emisfero sinistro, ed è qui che<br />

effettivamente si svolge il riconoscimento, il tempo di decisione<br />

del soggetto dovrà essere più rapido rispetto a quando si invia la<br />

melodia all’emisfero destro; in quest’ultimo caso, infatti, al tempo<br />

di decisione dovrà essere aggiunto il tempo necessario per<br />

trasferire gli impulsi nervosi corrispondenti dall’emisfero destro al<br />

sinistro. Il contrario si dovrà avere se è l’emisfero destro deputato<br />

al riconoscimento.<br />

Diversi dati tendono a dimostrare che le modalità di<br />

processamento sono diverse per emisfero destro ed emisfero<br />

sinistro. Esiste una serie di dicotomie, con significato spesso in<br />

parte sovrapponibile, che illustrano tali differenze:<br />

69


_ analitico/sintetico (o solistico): l’emisfero sinistro processerebbe<br />

gli stimoli analiticamente, mentre l’emisfero destro coglierebbe<br />

immediatamente il loro significato globale;<br />

_ seriale /parallelo: l’emisfero sinistro processerebbe gli stimoli<br />

nel loro ordine temporale in <strong>su</strong>ccessione, mentre l’emisfero destro<br />

ne processerebbe più alla volta, simultaneamente (soprattutto i<br />

loro rapporti reciproci);<br />

_ temporale/spaziale: l’emisfero sinistro coglierebbe soprattutto le<br />

<strong>su</strong>ccessioni temporali, l’emisfero destro i rapporti spaziali;<br />

_ verbale/spaziale: l’emisfero sinistro analizzerebbe gli stimoli<br />

verbali e i nomi attribuibili a oggetti non verbali, mentre<br />

l’emisfero destro analizzerebbe soprattutto le caratteristiche<br />

spaziali;<br />

_ referenziale/valutativo: l’emisfero sinistro processerebbe le<br />

caratteristiche referenziali degli stimoli, mentre l’emisfero destro<br />

ne processerebbe gli aspetti valutativi.<br />

Studi recenti<br />

70


Nello scorso decennio con lo sviluppo di una tecnica denominata<br />

“risonanza magnetica funzionale” (FMRI) la ricerca <strong>su</strong>lla <strong>dislessia</strong><br />

ha potuto compiere dei passi avanti. Questa tecnica infatti<br />

permette di vedere quali parti del cervello siano maggiormente<br />

irrorate dal flusso sanguigno e quindi quali di queste ri<strong>su</strong>ltino più<br />

attive durante la lettura.<br />

Gli scienziati hanno usato questa tecnica per identificare tre aree<br />

del lato sinistro del cervello che hanno un ruolo chiave nella<br />

lettura. Scientificamente queste sono conosciute come “giro<br />

frontale inferiore sinistro”, “area temporo- parietale sinistra” e<br />

“l’area temporo- occipitale sinistra”. Ognuna di queste aree è<br />

specializzata in un compito: nella prima si “vocalizzano” le parole<br />

e si dà il via all’analisi dei fonemi, cioè dei <strong>su</strong>oni che le<br />

compongono (area produttrice di fonemi – “phoneme producer”).<br />

Nella seconda viene effettuata l’analisi completa delle parole<br />

scritte; queste sono scomposte in sillabe e lettere e ognuna è<br />

collegata al relativo <strong>su</strong>ono ( area analista di parole – “analyzer<br />

71


word”). La terza (automatic detector) è “incaricata di vedere” le<br />

lettere e rendere automatico il processo di riconoscimento delle<br />

parole. Più spesso viene attivata, meglio funziona; nel senso che<br />

chi legge molto può scorrere un foglio scritto a velocità<br />

rapidissima. Dalla ricerca in oggetto, sembra che il cervelletto<br />

svolga una funzione importante nel coordinamento delle varie<br />

funzioni cognitive e quindi anche nell’automatizzazione della<br />

lettura. E’ importante comunque sottolineare che queste tre aree<br />

“lavorano” simultaneamente come un’orchestra che <strong>su</strong>ona una<br />

sinfonia.<br />

Utilizzando la FMRI, gli scienziati hanno determinato che “i<br />

lettori principianti” dipendono molto dall’area “phoneme<br />

producer” e dall’area “analyzer word”. La prima di queste due<br />

aree aiuta il lettore a pronunciare parole – silenziosamente o ad<br />

alta voce- e inizia ad analizzare alcuni fonemi che formano le<br />

parole dette. La seconda area analizza le parole minuziosamente,<br />

72


<strong>su</strong>ddividendole nelle sillabe e fonemi costituenti e collegando le<br />

lettere ai loro <strong>su</strong>oni.<br />

Come i lettori diventano esperti accade qualcosa d’interessante: la<br />

terza sezione – “automatic detector” – diviene più attiva. La <strong>su</strong>a<br />

funzione è costruire un repertorio permanente che permetta ai<br />

lettori di riconoscere a prima vista le parole familiari. Come i<br />

lettori progrediscono, l’equilibrio tra le tre aree viene meno e<br />

l’”automatic detector” incomincia a dominare. Se tutto va bene la<br />

lettura diverrà un’attività che non implica alcuno sforzo. Il<br />

dislessico, invece, si trova ad affrontare questa attività con un<br />

notevole dispendio di energie poiché non riesce ad automatizzare<br />

la corrispondenza tra il <strong>su</strong>ono, o fonema, e il segno grafico<br />

corrispondente: ogni volta che si trova di fronte ad una parola<br />

scritta è costretto a “scoprirla” come se fosse la prima volta. Non<br />

si attua, cioè, quell’automatismo tipico del lettore esperto. Questo<br />

avviene perché, nel cervello del dislessico, i circuiti neurali<br />

deputati alla lettura ri<strong>su</strong>ltano rallentati o addirittura interrotti. Gli<br />

73


studi condotti con l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale<br />

hanno stabilito che durante la lettura c’è una minore presenza o<br />

attività dei neuroni rispetto alla norma, sia a livello del cervelletto<br />

sia a livello del lobo temporale nell’emisfero sinistro. In qualche<br />

modo “saltano” o “funzionano male” i collegamenti tra le varie<br />

aree cerebrali garantiti dai neurotrasmettitori e in particolare con<br />

“l’analista delle parole” e il “detector automatico”.<br />

Il dislessico compensa utilizzando di più il “produttore di <strong>su</strong>oni” e<br />

le aree dell’emisfero destro del cervello, normalmente deputate a<br />

processare immagini e idee astratte.<br />

74


La diagnosi della <strong>dislessia</strong><br />

La diagnosi della sindrome, secondo alcuni autori, può essere fatta<br />

a tre livelli: il primo è limitato alla descrizione del sintomo, il<br />

secondo riguarda la classificazione e il terzo la formulazione<br />

diagnostica.<br />

Descrizione della capacità o del sintomo: corrisponde al primo<br />

momento dell’iter diagnostico; momento nel quale i genitori o gli<br />

insegnanti chiedono spiegazioni <strong>su</strong>ll’incapacità di apprendimento<br />

del bambino in un settore.<br />

75


La <strong>dislessia</strong> è un problema psicosociale che nasce, quindi, in un<br />

individuo dall’incontro di questo con una prestazione; spesso le<br />

difficoltà non sono immediatamente evidenti e questo fa sì che una<br />

valutazione compiuta da esaminatori diversi possa portare a<br />

differenti conclusioni.<br />

Il problema della “capacità di lettura” riguarda prestazioni diverse<br />

come la correttezza, la rapidità e la capacità di comprensione del<br />

testo scritto.<br />

Classificazione e formulazione diagnostica<br />

Classificazione diagnostica: la classificazione del disturbo di<br />

apprendimento della lettura come “<strong>dislessia</strong>” implica il<br />

riconoscimento della <strong>su</strong>a specificità.<br />

Il deficit di lettura del dislessico è inaspettato visto il <strong>su</strong>o livello<br />

intellettuale, la <strong>su</strong>a adeguatezza emotiva, il <strong>su</strong>o idoneo curriculum<br />

scolastico, la <strong>su</strong>a motivazione ad apprendere e il <strong>su</strong>o ambiente<br />

sociale di provenienza.<br />

76


Poiché spesso i bambini con ritardo di apprendimento della lettura<br />

presentano più problemi contemporaneamente, la diagnosi di<br />

<strong>dislessia</strong> implica necessariamente un’operazione di interpretazione<br />

dei fattori eziologici in gioco: la classica definizione di <strong>dislessia</strong> li<br />

farebbe corrispondere a danni neurologici ed ereditari mentre<br />

azzererebbe quasi i problemi pedagogici, quelli emotivo-<br />

relazionali e socio- culturali.<br />

Formulazione diagnostica: in questa fase le valutazioni<br />

dovrebbero essere finalizzate all’intervento riabilitativo. Poiché la<br />

comprensione della patologia del processo di lettura avviene<br />

attraverso il confronto con la normalità, è necessario un<br />

riferimento ad un preciso modello di evoluzione di questo<br />

processo; modello che individui le capacità di base che<br />

costituiscono un prerequisito necessario al processo stesso<br />

(sviluppo intellettuale, sviluppo emotivo, analizzatore visivo,<br />

analizzatore uditivo, funzioni <strong>su</strong>periori).<br />

77


copiato<br />

DISLESSIA EVOLUTIVA: la <strong>su</strong>a storia<br />

DIVERSE TEORIE SULLA DISLESSIA<br />

Kussmal (1877) e Morgan parlarono di cecità alla parola, il<br />

secondo in termini di difetto dello sviluppo nel giro angolare<br />

78


sinistro del cervello. Fino ai primi anni del 1900 il disturbo venne<br />

affrontato da un punto di vista prettamente organico.<br />

Orton (1925-1937) fu il primo ad occuparsi in modo scientifico,<br />

con il ricorso a esperimenti, del disturbo della lettura adducendo<br />

come causa il mancato sviluppo della dominanza emisferica del<br />

linguaggio. La mancanza di dominanza laterale provoca una<br />

percezione visiva distorta con una conseguente confusione<br />

spaziale, poiché non avviene la cancellazione dell’immagine<br />

nell’emisfero non dominante.<br />

Con Eustiss nel 1947 si iniziò a guardare alla difficoltà di lettura<br />

come parte di un quadro comprendente goffaggine, difficoltà di<br />

linguaggio, ambidestrismo, mancinismo, predisposizione<br />

ereditaria nella lenta maturazione neuromuscolare e nella<br />

lateralizzazione inadeguata.<br />

Drew (1956) analizzò attentamente i disturbi alla base dei<br />

problemi di lettura: difficoltà nello spelling, nell’orientamento,<br />

79


nella lateralizzazione, deficienze motorie e di scrittura, scarsa<br />

capacità attentiva.<br />

Rabinovitch (1956) fu il primo a considerare la possibilità che le<br />

difficoltà di lettura potessero essere associate a disordini del<br />

linguaggio.<br />

Hermann (1959) parlò di mancanza di lateralizzazione, confusione<br />

sinistra-destra, agnosia digitale, difficoltà nella lettura, nella<br />

scrittura e nel calcolo, deficiente apprendimento dei simboli.<br />

A partire dalla prima metà degli anni 70, soprattutto con Bakker<br />

(1972), si guardò al dislessico come ad un soggetto che presenta<br />

difficoltà nella percezione temporale nella sequenza degli stimoli<br />

verbali. In questo caso non c’è relazione tra <strong>dislessia</strong> e disturbi<br />

(disfunzioni) del linguaggio.<br />

Sempre negli anni 70 si iniziò a distinguere tra <strong>dislessia</strong> visiva e<br />

<strong>dislessia</strong> uditiva.<br />

La lettura e la scrittura sono funzioni autonome, raggiungibili<br />

anche senza uno sviluppo intellettivo nella norma.<br />

80


Cos<strong>su</strong> distingue tra due componenti: la prima è il complesso di<br />

abilità e competenze che il bambino controlla per decifrare una<br />

stringa visiva; la seconda componente è quella di accesso al<br />

significato, accesso lessicale che avviene attraverso la<br />

“ricodificazione fonologica”.<br />

La competenza fonologica, cioè la capacità di analizzare<br />

separatamente i <strong>su</strong>oni all’interno della parola, è fondamentale.<br />

81


Il discorso <strong>su</strong>lla <strong>dislessia</strong> coinvolge un’ampia serie di discipline<br />

che concorrono allo studio e all’intervento <strong>su</strong>i disturbi<br />

dell’apprendimento ciascuna rappresentata da varie<br />

specializzazioni e da discipline che fanno da <strong>su</strong>pporto quali<br />

l’audiologia e la riabilitazione motoria.<br />

Queste differenti competenze determinano approcci differenti non<br />

comunicanti tra loro:<br />

- approccio neuropsicologico<br />

- approccio psicologico: teorie psico- pedagogiche dello schema<br />

corporeo, buon orientamento spazio temporale<br />

- approccio pedagogico a livello di rieducazione scolastica a<br />

partire dalla scuola materna: disegno, gioco, organizzazione<br />

dello spazio attraverso il movimento, la scoperta del proprio<br />

corpo<br />

- approccio sociologico: gli esiti sociali della <strong>dislessia</strong>, a distanza,<br />

sono rilevanti sia in termini di mancata realizzazione personale<br />

sia in termini di conseguenze psicologiche e sociali.<br />

82


DESCRIZIONE CLINICA<br />

Dal punto di vista clinico la <strong>dislessia</strong> evolutiva è considerata un<br />

disturbo complesso attribuibile a cause molto diverse.<br />

Dalla maggior parte degli autori è descritta come un disturbo della<br />

codifica fonemica non sempre legata ad un precedente disturbo del<br />

linguaggio; più precisamente, gli studi neuroanatomici parlano di<br />

“deficit funzionale derivante da piccole alterazioni<br />

neuroanatomiche di natura costituzionale”.<br />

Anche se descritta come un disturbo di codifica fonetica, non<br />

sempre legata ad un disturbo del linguaggio, i bambini dislessici<br />

mostrano una difficoltà di apprendimento di letto- scrittura legata<br />

alla primaria “difficoltà” di decodifica fonologica, in quanto<br />

questo processo necessita della decodifica dei segni scritti.<br />

In molti casi al disturbo legato alla lettura sono associati deficit<br />

nella scrittura, nell’operazione con i numeri, così come emergono<br />

83


la disorganizzazione e la difficoltà di comprensione, la confusione<br />

di spazio e tempo.<br />

Alcuni autori sostennero che all’origine della <strong>dislessia</strong> evolutiva ci<br />

fossero problemi legati al processamento visivo, cioè affermarono<br />

che il disturbo responsabile della difficoltà di lettura fosse di tipo<br />

vi<strong>su</strong>opercettivo per cui il soggetto avrebbe incontrato difficoltà a<br />

percepire o a ricostruire la configurazione della parola scritta.<br />

Mentre altri pensarono che i dislessici avessero qualche lesione<br />

cerebrale o nervosa, o una disfunzione congenita che interferiva<br />

con i processi mentali necessari alla lettura.<br />

Studi recenti hanno dimostrato l’esistenza di una base biologica<br />

della <strong>dislessia</strong>: il cervello dei bambini dislessici presenta delle<br />

alterazioni nel <strong>su</strong>o funzionamento. Mentre nei soggetti cosiddetti<br />

”normali”, quando leggono, aumenta il flusso di sangue in alcune<br />

zone cerebrali, attivandole, questo processo non avviene nei<br />

soggetti affetti dalla <strong>dislessia</strong>.<br />

84


ANALISI NEUROPSICOLOGICA<br />

Prima di esporre nello specifico la teoria neuropsicologica<br />

cognitiva, vorrei introdurre brevemente la teoria della modularità<br />

della mente per poi mostrare nello specifico i punti di contatto di<br />

entrambe le teorie.<br />

Studiosi di discipline diverse si sono interessati spesso allo studio<br />

e all’analisi della nostra capacità di acquisire la lingua o le lingue<br />

a cui siamo esposti. Alcune caratteristiche di questa capacità<br />

hanno indotto alcuni autori a ritenere che le strutture mentali che<br />

rendono possibile l’acquisizione del linguaggio siano innate,<br />

specifiche, discontinue e dissociabili da altri sistemi percettivi e<br />

cognitivi. Mentre la complessità di tale capacità ha portato altri<br />

studiosi a considerare il linguaggio come un sistema innato, ma<br />

che coinvolge una riconfigurazione di sistemi mentali e neurali<br />

che esistono in altre specie e continuano a svolgere anche alcune<br />

funzioni non linguistiche.<br />

85


Due delle teorie fondamentali che rappresentano gli indirizzi di<br />

ricerca sopra esposti sono: la teoria della modularità (Fodor, 1983;<br />

Pinker e Bloom, 1990) e la teoria cognitivista-funzionalista<br />

(Slobin 1973-1985; Bates e Mc Whinney 1989).<br />

Secondo la teoria della modularità, il linguaggio viene acquisito e<br />

mantenuto grazie a una facoltà che è indipendente dalle altre<br />

facoltà; per la teoria cognitivista-funzionalista il linguaggio è<br />

acquisito e mantenuto attraverso processi mentali/neurali che<br />

condivide con altri domini percettivi, cognitivi e affettivi. In altri<br />

termini secondo il primo punto di vista il linguaggio è inteso come<br />

un sistema modulare e le abilità linguistiche sono innate e<br />

specifiche; l’approccio cognitivo-funzionalista, pur sostenendo la<br />

presenza di abilità alla nascita, ritiene che la sofisticazione con cui<br />

i bambini affrontano l’acquisizione del linguaggio si basi <strong>su</strong> abilità<br />

cognitive e percettive più generali. Il linguaggio, in questo caso, è<br />

inteso come un’entità complessa formata da vari componenti,<br />

ciascuno dei quali può avere interrelazioni con una serie di<br />

86


componenti non linguistici: percettivi, cognitivi e sociali. C’è<br />

interdipendenza tra lo sviluppo cognitivo e lo sviluppo<br />

comunicativo, più nello specifico per quanto riguarda il rapporto<br />

tra componenti comunicativi gestuali e lo sviluppo verbale.<br />

Linguisti e psicolinguisti, influenzati dal punto di vista<br />

chomskiano, in principio hanno indagato la capacità linguistica in<br />

termini di acquisizione semantica e sintattica come separata da<br />

altri sistemi cognitivi per poi ampliare le proprie ricerche<br />

includendo molti altri ambiti (fonologico, morfologico,<br />

pragmatico) e affermare che la capacità linguistica: a) non si<br />

identifica esclusivamente con la semantica e la sintassi e b)<br />

implica capacità non linguistiche comunicative, percettive,<br />

cognitive.<br />

I dati emersi dagli studi <strong>su</strong>ll’acquisizione di lingue diverse hanno<br />

fatto emergere, accanto a notevoli somiglianze, varie differenze tra<br />

le lingue e l’esistenza, all’interno della stessa lingua, di una<br />

variabilità individuale tra i soggetti.<br />

87


Un contributo importantissimo alla comprensione<br />

dell’acquisizione del linguaggio viene soprattutto dall’analisi dei<br />

bambini che non acquisiscono il linguaggio o lo acquisiscono in<br />

tempi e modi diversi da quelli dei bambini cosiddetti “normali”.<br />

In molti di questi soggetti con disturbi specifici di linguaggio o<br />

con particolari forme di ritardo mentale, il deficit può riguardare<br />

solo alcuni aspetti della capacità linguistica e lasciare<br />

apparentemente intatte altre abilità; in altri casi, invece, si<br />

intreccia in modo estremamente complesso con altri deficit<br />

percettivi e/o cognitivi.<br />

In ambito neurologico e neuropsicologico, gli autori sono portati<br />

ad affermare che la capacità di acquisire un linguaggio sia<br />

un’abilità innata, ma che, almeno inizialmente, non sia specifica e<br />

indipendente da altre capacità. Ritengono che almeno inizialmente<br />

sia collegata a meccanismi cognitivi e percettivi più generali e che<br />

solo in un secondo tempo il linguaggio, soprattutto alcune abilità<br />

particolari, possono modularizzarsi costituendo dei domini<br />

88


separati e molto specifici. I moduli dei neuropsicologi incorporano<br />

fondamentalmente i principi della localizzabilità e della<br />

danneggiabilità selettiva: condizione necessaria affinché un<br />

modulo sia alla base della capacità di svolgere una certa classe di<br />

prestazioni è che tale capacità sia localizzabile e dissociabile.<br />

Per localizzabilità si intende che una lesione in una determinata<br />

area cerebrale deve comportare l’impossibilità di svolgere<br />

qualsiasi prestazione appartenente a quella classe; per<br />

dissociabilità (o selettività del deficit) si intende che quando sono<br />

colpite le prestazioni di una certa classe tutte le altre prestazioni<br />

cognitive rimangono intatte. Questi principi sono irrinunciabili per<br />

l’esistenza stessa della disciplina, che trae le <strong>su</strong>e ipo<strong>tesi</strong> teoriche<br />

dai danni funzionali indotti da lesioni cerebrali più o meno estese.<br />

A danneggiabilità e selettività si accompagna talora la specificità<br />

di dominio, nel senso che in diversi casi sono stati riscontrati<br />

danni localizzati ad aree di conoscenza assai specifiche, come i<br />

nomi propri, nomi di certi generi naturali, ecc.<br />

89


La neuropsicologia cognitiva ha quindi prodotto, nell’ambito di un<br />

approccio modulare all’organizzazione delle funzioni cognitive,<br />

modelli che prevedono il frazionamento del processo di lettura in<br />

una serie di operazioni cognitive specificate che vengono<br />

effettuate a partire dall’analisi visiva della stringa di lettere fino<br />

alla produzione della parola. Tali modelli si sono rivelati molto<br />

influenti nell’analisi e nell’interpretazione delle dislessie acquisite.<br />

Il modello più importante per le <strong>su</strong>e conseguenze teoriche è quello<br />

che si riferisce al modello di lettura “del doppio accesso” (Sartori,<br />

1984) o “dual-route model” (Coltheart, 1978). Questo modello<br />

prevede che il “buon lettore” utilizzi due strategie per leggere: una<br />

detta “dell’accesso diretto” (o via lessicale) attraverso la quale il<br />

soggetto riconosce globalmente la parola e arriva a pronunciarla<br />

dopo averla riconosciuta e richiamata dal <strong>su</strong>o repertorio lessicale;<br />

l’altra detta “dell’accesso indiretto” (o via fonologica) che richiede<br />

l’analisi delle <strong>su</strong>bunità che compongono la parola (lettere o<br />

sillabe) e attraverso le regole di conversione grafema- fonema,<br />

90


viene ricostruita la catena fonologica che consente il recupero<br />

della parola nel repertorio lessicale.<br />

Nella prima strategia la rappresentazione fonologica della parola è<br />

post-lessicale in quanto per pronunciare la parola stessa deve<br />

prima riconoscerla visivamente e ritrovarla nel <strong>su</strong>o lessico<br />

ortografico, mentre nella strategia indiretta la rappresentazione<br />

fonologica prelessicale in quanto la parola può essere pronunciata<br />

senza alcun confronto con il repertorio lessicale.<br />

Si as<strong>su</strong>me che il lettore usi entrambe le strategie utilizzando<br />

preferibilmente la via lessicale in quanto più rapida e meno<br />

dispendiosa e ricorrendo alla via fonologica solo quando incontra<br />

parole che non ha mai incontrato prima, oppure quando le parole<br />

presentano delle eccezioni o sono molto lunghe.<br />

Applicando questo modello ai disturbi della lettura sono stati<br />

identificati i due sottotipi di “<strong>dislessia</strong> <strong>su</strong>perficiale” e “fonologica”<br />

prima esposti. In ciascuno di questi sottotipi il modello a due vie<br />

91


non è riprodotto in quanto soltanto una via d’accesso è efficiente,<br />

mentre l’altra non è disponibile.<br />

L’esistenza di questi sottotipi consentirebbe di dimostrare<br />

l’indisponibilità di alcuni meccanismi molto specifici e selettivi<br />

nel processo di lettura. Inoltre l’attuazione di una sola strategia di<br />

lettura <strong>su</strong>pporrebbe l’ipo<strong>tesi</strong> di un sottosistema di lettura costituito<br />

da varie sottocomponenti separabili l’una dall’altra, danneggiabili<br />

separatamente (Castles e Coltheart; Cos<strong>su</strong> e Marshall) e quindi,<br />

dal punto di vista teorico, di una struttura modulare della mente.<br />

92


VIA<br />

VISIVA<br />

MODELLO STANDARD DI LETTURA<br />

Sistema<br />

Semantico<br />

Parola scritta<br />

Questo modello, che si ritiene alla base dell’idea di modularità<br />

della mente, rappresenta le strategie di lettura di un soggetto<br />

considerato “buon lettore”.<br />

93<br />

Analisi<br />

Visiva<br />

Riconoscimento delle<br />

lettere<br />

Riconoscimento<br />

visivo delle parole<br />

Produzione parole<br />

Sistema articolato<br />

VIA<br />

FONOLOGICA<br />

Identificazione delle<br />

lettere<br />

Conversione grafema<br />

fonema


Il primo stadio di “analisi visiva” sottopone lo stimolo ad<br />

un’analisi delle caratteristiche distintive e lo codifica in modo che<br />

possa alimentare lo stadio di riconoscimento delle lettere. Lo<br />

stadio di “identificazione delle lettere” le identifica in modo<br />

astratto.<br />

Il sistema di “riconoscimento delle parole” è composto da tanti<br />

riconoscitori quante sono le parole della lingua, fornisce una<br />

risposta (cioè il riconoscimento di una data parola) solo se una<br />

data soglia è stata raggiunta. Quindi, se il sistema di<br />

riconoscimento delle parole ha acquisito un’evidenza percettiva.<br />

La via di lettura che inizia da questo stadio può essere denominata<br />

via visiva o via lessicale per distinguerla dalla via fonologica o<br />

non lessicale che si basa <strong>su</strong>lla ricodificazione fonologica.<br />

La via lessicale a <strong>su</strong>a volta si divide in due: una semantica e una<br />

non- semantica; entrambe attivano il meccanismo di “produzione<br />

delle parole”.<br />

94


La via visiva semantica rappresentata nello schema dal passaggio<br />

dal riconoscimento visivo delle parole alla loro produzione<br />

attivando il significato della parola nel “sistema semantico”;<br />

alcuni sintomi propri di alcune forme di <strong>dislessia</strong> come l’effetto<br />

concretezza (il fatto che le parole concrete vengano lette in<br />

maniera più accurata di quelle astratte) e l’effetto di categoria<br />

grammaticale (nel quale i sostantivi sono letti meglio delle parole<br />

funzione) sono stati identificati da Morton e Patterson (1980).<br />

La via visiva non-semantica connette, invece, direttamente il<br />

“sistema di riconoscimento” con il “sistema di produzione” delle<br />

parole senza passare per il significato. Questa via permette di<br />

spiegare l’esistenza di una lettura di parole accurata in assenza di<br />

comprensione.<br />

La via fonologica costruisce la “forma fonologica” delle parole e<br />

delle non- parole date le lettere che sono state identificate negli<br />

stadi precedenti, che rappresentano il livello astratto<br />

95


dell’identificazione delle lettere, e attraverso l’applicazione di<br />

regole grafema- fonema.<br />

L’ultimo stadio, quello dell’articolazione (sistema articolato della<br />

figura), produce la parola o la non- parola che è stata elaborata dai<br />

meccanismi precedenti e rappresenta la fase finale del processo di<br />

lettura.<br />

Applicando questo modello ai disturbi della lettura sono stati<br />

identificati due sottotipi di <strong>dislessia</strong>: la <strong>dislessia</strong> <strong>su</strong>perficiale e la<br />

<strong>dislessia</strong> fonologica.<br />

In ciascuno di questi sottotipi il modello a due vie non è<br />

riprodotto, in quanto soltanto una via d’accesso è efficiente. Come<br />

già ampiamente descritto in precedenza, nel caso della <strong>dislessia</strong><br />

fonologica il soggetto incontra difficoltà con le parole irregolari o<br />

con le non- parole in quanto può usare solo l’accesso diretto o via<br />

lessicale (semantica). Nel caso della <strong>dislessia</strong> <strong>su</strong>perficiale, invece,<br />

il soggetto legge allo stesso modo parole e non- parole, senza<br />

mostrare alcun vantaggio per le parole più frequenti; inoltre non è<br />

96


in grado di leggere in modo corretto le parole irregolari (in italiano<br />

le parole con l’accento irregolare).<br />

E’ importante aggiungere che, per quanto riguarda l’italiano, la<br />

nostra ortografia ha un rapporto molto più univoco e trasparente<br />

tra <strong>su</strong>oni e segni rispetto all’ortografia inglese e quindi la via<br />

fonologica appare molto semplice e naturale, soprattutto nelle<br />

prime fasi dell’apprendimento della lettura.<br />

Sicuramente anche in italiano l’accesso diretto viene utilizzato dal<br />

lettore efficiente ma, contrariamente a quanto accade per la lingua<br />

inglese nella quale la via lessicale è indispensabile fin dall’inizio<br />

per imparare a pronunciare le parole, nell’ortografia italiana la via<br />

lessicale può essere attivata <strong>su</strong>ccessivamente, come ri<strong>su</strong>ltato<br />

dell’automatizzazione dei processi di codifica fonologica, dal<br />

momento che in essa ha le <strong>su</strong>e radici.<br />

Vi sono dati sperimentali che dimostrano che, nonostante<br />

l’adozione della via fonologica, i bambini già a partire dalla classe<br />

prima elementare mostrano un vantaggio derivante dall’influenza<br />

97


di componenti lessicali. Leggono, infatti, più rapidamente e in<br />

modo maggiormente accurato le parole più frequenti, cioè le<br />

parole più usate e quindi conosciute.<br />

I bambini italiani raggiungono l’apprendimento e<br />

l’automatizzazione dei processi di codifica in tempi molto rapidi e<br />

anche i dislessici, pur non riuscendo a raggiungere mai a<br />

raggiungere un’efficienza uguale a quella dei pari livello<br />

scolastico, riescono ad automatizzare le procedure di lettura entro<br />

il tempo dell’obbligo scolastico.<br />

Alcuni autori italiani (tra i quali Tressoldi), partendo dall’ipo<strong>tesi</strong><br />

dell’organizzazione gerarchica delle varie fasi dell’apprendimento<br />

(modello di Frith) sostengono che, data la natura del nostro<br />

sistema ortografico, non si potrebbero trovare dislessie<br />

fonologiche pure, ma solo dislessie <strong>su</strong>perficiali o miste. Per questo<br />

motivo considerano un limite del modello a due vie il non<br />

considerare l’interazione fra la strategia lessicale e quella<br />

fonologica: l’indipendenza delle due vie, che costituisce<br />

98


un’as<strong>su</strong>nzione di base del modello standard, non rende conto delle<br />

numerose prove che gli autori dispongono a favore dell’influenza<br />

della conoscenza lessicale <strong>su</strong>i processi di assemblaggio fonetico.<br />

99


Introduzione alla teoria modulare della mente<br />

Lo sviluppo delle neuroscienze contribuì allo sviluppo della psicologia<br />

scientifica <strong>su</strong>l piano della corrispondenza tra funzioni cerebrali e attività<br />

mentali.<br />

Un particolare rilievo, da questo punto di vista, ebbe l’attività scientifica<br />

dello scienziato austriaco Franz Joseph Gall (1821-25). All’attività di<br />

ricerca anatomico- funzionale Gall associò un’attività speculativa che lo<br />

portò a proporre una “psicologia delle facoltà”, con cui sostenne una<br />

<strong>su</strong>ddivisione “verticale” (in termini fodoriani): in altri termini, il pensiero<br />

matematico piuttosto che musicale, ma anche la vaghezza, la fiacca, come<br />

facoltà psicologiche, sarebbero separate completamente le une dalle altre.<br />

La concezione opposta sosteneva che vi sono dei “processi orizzontali”, al<br />

servizio di tutte le facoltà, come la memoria, la percezione ecc. Per Gall,<br />

invece, la memoria musicale non avrebbe alcun rapporto con la memoria<br />

per la matematica. Egli fece il tentativo di combinare la “psicologia delle<br />

facoltà” con le analisi neuro- anatomo- funzionale del cervello. Sosteneva<br />

che ogni facoltà ha una <strong>su</strong>a sede cerebrale specifica; che l’esercizio di una<br />

facoltà (o anche una <strong>su</strong>a dotazione innata) comportava uno sviluppo<br />

100


particolare, in senso di accrescimento fisico, dell’area cerebrale relativa;<br />

sosteneva inoltre che tale zona cerebrale quantitativamente accresciuta,<br />

premendo contro la scatola cranica, la deformasse. La conseguenza<br />

sarebbe stata la presenza <strong>su</strong>lla scatola cranica di asimmetrie che avrebbero<br />

consentito, da un’ispezione del cranio, la determinazione delle<br />

predisposizioni dell’individuo.<br />

Questo aspetto dell’opera di Gall non venne mai accolto con particolare<br />

entusiasmo dalla comunità scientifica; si dovette attendere il 1861 perché il<br />

discorso della localizzazione cerebrale delle funzioni mentali potesse<br />

riaprirsi. Quando, cioè, Broca scoprì il centro cerebrale del linguaggio<br />

articolato, rilevando che chi aveva una lesione nel piede della terza<br />

circonvoluzione prerolandica sinistra perdeva la capacità di articolare il<br />

linguaggio, pur conservando tutte le altre funzioni linguistiche, a<br />

cominciare dalla comprensione.<br />

Venivano così progressivamente individuati altri centri, la cui lesione<br />

corrispondeva alla perdita di altre funzioni mentali, del linguaggio (le<br />

cosiddette afasie), della rappresentazione cognitiva di cose o eventi (le<br />

agnosie), della capacità pratica di compiere azioni servendosi o meno di<br />

101


utensili (le aprassie). Tutto ciò porterà i neuropsicologi clinici ad affermare<br />

un’analitica rappresentazione cognitiva delle funzioni mentali.<br />

Lo stesso Fodor, del quale parlerò nel prossimo capitolo, si ricollega<br />

esplicitamente alla “psicologia delle facoltà” tramontata con la morte di<br />

Gall.<br />

102


DISLESSIA E TEORIA MODULARE DELLA<br />

MENTE<br />

In questo capitolo esaminerò più nello specifico la teoria della<br />

modulare di Fodor per confrontarla con il modello<br />

neuropsicologico di modularità.<br />

Secondo Fodor “l’architettura cognitiva” si distingue, per quel che<br />

riguarda i sistemi periferici di analisi dell’input, in particolare<br />

percezione e linguaggio, in strutture verticali (moduli) che<br />

“trasformano computazionalmente gli input in rappresentazioni”.<br />

Sono modulari, quindi, soltanto alcuni “sistemi periferici di input<br />

e output”, deputati a funzioni quali la percezione visiva e uditiva,<br />

l’elaborazione del linguaggio e il controllo motorio; cioè i sistemi<br />

percettivi in senso stretto, il cui output non è ancora una<br />

rappresentazione concettuale vera e propria. I sistemi di input si<br />

collocano a metà tra i trasduttori sensoriali, che convertono<br />

103


“l’energia che li colpisce in segnali elaborabili dai sistemi di<br />

input” e i sistemi centrali.<br />

E’ importante sottolineare come Fodor non ritenga la mente<br />

uniformemente modulare; infatti la “cognizione centrale”,<br />

l’insieme delle attività cognitive in si “fissano le credenze”, si<br />

traggono inferenze e si prendono decisioni, non presenta le<br />

caratteristiche di modularità dei sistemi periferici di input.<br />

Il modulo è un sottosistema di elaborazione delle informazioni che<br />

possiede delle caratteristiche sostanziali quali la specificità per<br />

dominio, obbligatorietà del funzionamento, velocità,<br />

incap<strong>su</strong>lamento informazionale.<br />

Specificità per dominio significa che il tipo di dati elaborati da un<br />

modulo concerne esclusivamente una ristretta area di conoscenza.<br />

I moduli sono strutture altamente specializzate che possono<br />

analizzare tipi di input differenziati da modulo a modulo; un<br />

modulo che per esempio serva a individuare il soggetto in una<br />

frase udita non può svolgere un altro tipo di compito. Per ciò che<br />

104


concerne in modo particolare il linguaggio è importante<br />

sottolineare che il modulo dell’analisi costruisce rappresentazioni<br />

della struttura grammaticale delle frasi, ma non rappresentazioni<br />

più profonde di livello semantico o pragmatico.<br />

Un’altra caratteristica del modulo è la <strong>su</strong>a attivazione automatica<br />

(obbligatorietà) in presenza del tipo specifico di input che è<br />

deputato ad analizzare. Non si può impedire che il modulo entri in<br />

azione nelle circostanze appropriate di funzionamento; per<br />

esempio non si può evitare di udire una frase proferita nella<br />

propria lingua o di avvertire una sensazione tattile quando si posa<br />

la mano <strong>su</strong> una <strong>su</strong>perficie.<br />

I moduli fodoriani sono “isolati informativamente” dal resto del<br />

sistema cognitivo, quindi il soggetto può accedere esclusivamente<br />

all’output del modulo, cioè alle rappresentazioni finali e non alle<br />

eventuali rappresentazioni intermedie di cui non è consapevole.<br />

D’altra parte questo “isolamento” sottolinea il fatto che il modulo<br />

sia incap<strong>su</strong>lato informazionalmente, cioè che durante il <strong>su</strong>o<br />

105


funzionamento, non può avere accesso né in generale alla<br />

rappresentazione delle conoscenze dell’individuo, né ad<br />

informazioni provenienti da altre parti del sistema cognitivo<br />

dell’individuo.<br />

La proprietà di accessibilità limitata unita alla caratteristica di<br />

incap<strong>su</strong>lamento informativo determina una netta separazione tra<br />

un modulo e il resto del sistema. Il modulo lavora in modo<br />

indipendente e autonomo ed è solo a livello della <strong>su</strong>a interfaccia di<br />

output che i “processi centrali” possono accedere ai dati elaborati<br />

dal modulo.<br />

Secondo Fodor “è l’incap<strong>su</strong>lamento informativo a costituire il<br />

cuore della modularità” . Questa caratteristica ri<strong>su</strong>lta fondamentale<br />

nei casi di percezione visiva, nell’analisi della sintassi e nel<br />

riconoscimento lessicale per spiegare i fenomeni di feed-back,<br />

cioè l’apparente uso nei processi di analisi percettiva di<br />

informazione di “alto livello”, non specifica dello stimolo<br />

percettivo.<br />

106


Esempi di questo fenomeno sono le reintegrazioni di fonemi o di<br />

particolari visivi: se in una sequenza di <strong>su</strong>oni linguistici<br />

percepiamo l’assenza di un fonema, inseriamo il pre<strong>su</strong>nto fonema<br />

mancante <strong>su</strong>lla base dei fonemi precedenti e <strong>su</strong>ccessivi,<br />

indipendentemente dal fatto che il fonema in questione fosse<br />

realmente presente nella sequenza.<br />

Nella prospettiva modularista questi fenomeni vengono spiegati<br />

affermando che gli effetti del feed- back (le integrazioni o<br />

correzioni) intervengono <strong>su</strong>i ri<strong>su</strong>ltati dei sistemi di input, non <strong>su</strong>lle<br />

loro elaborazioni.<br />

Anche le illusioni ottiche sarebbero una prova a favore<br />

dell’incap<strong>su</strong>lamento, poiché sono casi in cui il modulo visivo<br />

sbaglia per ragioni intrinseche ai <strong>su</strong>oi principi di funzionamento;<br />

ricorrere alla nostra conoscenza non evita l’errore, ma lo corregge<br />

a posteriori.<br />

Fodor respinge così la concezione top- down della percezione, in<br />

base alla quale la codificazione percettiva di uno stimolo è<br />

107


determinata in larga mi<strong>su</strong>ra da credenze e attese più o meno<br />

consapevoli del soggetto.<br />

Nella lettura a prima vista l’interpretazione iniziale della frase è<br />

data dal solo ricorso a indici sintattici; solo in un secondo<br />

momento entreranno in gioco fattori semantici.<br />

L’analizzatore sintattico, la componente dell’elaboratore<br />

linguistico che computa le relazioni grammaticali tra le parole,<br />

funziona applicando regole che tengono conto della categoria<br />

sintattica delle parole e non sono guidate dall’informazione<br />

semantica o da altre informazioni di “alto livello”.<br />

E’ questo che fa sì che si possa parlare di incap<strong>su</strong>lamento<br />

informazionale dell’analizzatore sintattico e quindi della <strong>su</strong>a<br />

modularità.<br />

Lo stesso discorso può essere fatto a proposito del<br />

“riconoscimento lessicale”. Come lo si può analizzare dal punto di<br />

vista modulare? Il processo di selezione degli elementi lessicali è<br />

influenzato dalle conoscenze sintattiche e semantiche?<br />

108


Il “riconoscimento lessicale” è l’insieme dei processi che, dato un<br />

certo input acustico e fonetico, selezionano un elemento tra quelli<br />

contenuti nel lessico mentale. Potrebbe sembrare legittimo, in<br />

questo caso, congetturare che le conoscenze dei sistemi centrali<br />

siano inviate all’elaboratore lessicale determinando una<br />

facilitazione del riconoscimento delle parole. Fodor risponde a<br />

questa congettura distinguendo tra associazioni lessicali e giudizi:<br />

una cosa è istituire un nesso associativo tra elementi del lessico e<br />

un’altra cosa è disporre della conoscenza che si ha degli elementi<br />

in oggetto.<br />

Per Fodor l’idea di base è che “la struttura logica e grammaticale<br />

di una frase è determinata unicamente (se non ambigua) dalla <strong>su</strong>a<br />

costituzione fonetica; quest’ultima è a <strong>su</strong>a volta determinata<br />

unicamente da certe <strong>su</strong>e proprietà acustiche”. Quindi “il<br />

riconoscimento della forma linguistica non può essere guidato dal<br />

contesto, perché non è il contesto che determina la forma; e il fatto<br />

che la forma linguistica possa essere poi riconosciuta deve essere<br />

109


determinato da processi in larga mi<strong>su</strong>ra incap<strong>su</strong>lati. Così il sistema<br />

dell’input linguistico specifica la forma linguistica, e forse anche<br />

logica, di ogni enunciato appartenente al <strong>su</strong>o dominio. In questa<br />

proposta è implicito che non faccia più di questo”.<br />

La concezione modulare implica per Fodor che i processi rapidi,<br />

obbligati e incap<strong>su</strong>lati informazionalmente formano un sistema<br />

funzionalmente rilevante per la comprensione del linguaggio<br />

poiché “trasmettono delle rappresentazioni di enunciati che<br />

appaiono perfettamente sensate se considerate come delle<br />

rappresentazioni di enunciati: (cioè) rappresentazioni che<br />

specificano i costituenti morfemici, la struttura sintattica, la forma<br />

logica”.<br />

Per completare l’esposizione della teoria fodoriana è importante<br />

introdurre le altre proprietà dei moduli: la realizzazione neuronale<br />

fissa (plausibile in base all’idea che i moduli siano selezionati<br />

geneticamente) e la danneggiabilità selettiva.<br />

110


Per quanto concerne la seconda caratteristica, questa è una<br />

conseguenza dell’incap<strong>su</strong>lamento e della realizzazione neuronale<br />

fissa: un danno circoscritto a un gruppo di circuiti neuronali può<br />

colpire esclusivamente le funzioni eseguite dal modulo<br />

corrispondente. Fodor descrive, quindi, l’afasia e l’agnosia come<br />

turbe funzionali che seguono un ben preciso modello; non possono<br />

essere spiegate riconducendole a un mero decremento quantitativo<br />

di capacità globali orizzontali come la memoria, l’attenzione, la<br />

capacità di risolvere problemi. (…) L’analisi degli input è<br />

ampiamente influenzata da circuiti neurali specifici, connaturati, e<br />

dall’altro le patologie dei sistemi di input sono causate da lesioni<br />

di questi circuiti specializzati. (…) Ogni meccanismo psicologico<br />

che sia funzionalmente distinto può <strong>su</strong>bire dei danni selettivi”.<br />

La <strong>dislessia</strong> in base a questa teoria, potrebbe essere considerata<br />

come il ri<strong>su</strong>ltato del malfunzionamento di uno o più moduli, cioè<br />

di una o più unità computazionali geneticamente predisposte a<br />

111


svolgere computazioni molto specifiche, in questo caso quelle<br />

predisposte per la decodifica e la trans-codifica dei segni grafici.<br />

Questa organizzazione, così articolata e specifica, è confermata<br />

dalla letteratura <strong>su</strong>i disturbi di lettura, scrittura e calcolo che<br />

consente di documentare danni settoriali e specifici.<br />

112


Basi biologiche della <strong>dislessia</strong><br />

Fin dalla fine del 1800, in base alle prime descrizioni di bambini<br />

con “cecità verbale congenita” (Morgan, 1896; Hinshelwood,<br />

1900), è stato ipotizzato che i dislessici evolutivi costituissero un<br />

gruppo con caratteristiche peculiari non solo cognitive (elevata<br />

intelligenza e specifico difetto di lettura) ma anche neurologiche a<br />

cattivi lettori con ritardo generale del funzionamento intellettivo.<br />

In particolare gli autori sopra menzionati, rifacendosi a Dejerine,<br />

che nel 1892 aveva descritto un caso di alessia e agrafia acquisita<br />

a seguito di una lesione del giro angolare di sinistra, postularono<br />

che anche nei casi evolutivi di <strong>dislessia</strong> fossero danneggiate le<br />

porzioni posteriori dell’emisfero di sinistra.<br />

Quasi un secolo dopo (1979) Galaburda e Kemper riportarono un<br />

caso di un dislessico di vent’anni in cui l’esame post-mortem<br />

rivelò la presenza di anomalie morfologiche confinate nel lobo<br />

temporale posteriore di sinistra.<br />

113


Negli ultimi anni, con l’introduzione di nuove metodiche per lo<br />

studio della morfologia cerebrale e del funzionamento in vivo del<br />

sistema nervoso centrale è stata notevolmente incrementata la<br />

ricerca di anomalie strutturali e funzionali del sistema nervoso<br />

centrale di pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />

Alla domanda se il cervello di individui dislessici presenti<br />

alterazioni strutturali hanno cercato di dare risposta studi effettuati<br />

<strong>su</strong> pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva, sia con l’uso di tecniche<br />

tradizionali (studi autoptici) che nuove per lo studio della<br />

morfologia cerebrale e del funzionamento in vivo del sistema<br />

nervoso centrale.<br />

In uno studio autoptico di quattro pazienti di sesso maschile<br />

(Galaburda e coll.) e <strong>su</strong>ccessivamente di tre pazienti di sesso<br />

femminile (Humphreys e coll. 1990) che in vita avevano avuto<br />

una storia di difficoltà di apprendimento della lettura, sono state<br />

descritte sia alterazioni del pattern di asimmetrie cerebrali di aree<br />

linguistiche, sia malformazioni corticali minori della corteccia<br />

114


perisilviana. In particolare il planum temporale era simmetrico in<br />

tutti i cervelli esaminati, mentre nel cervello normale il planum<br />

temporale, un’area triangolare definita anteriormente dal giro di<br />

Heschl e posteriormente dal margine posteriore della scis<strong>su</strong>ra di<br />

Silvio, presenta nel 70% dei casi un’estensione maggiore a sinistra<br />

che a destra. Le alterazioni morfologiche riscontrate nei lavori di<br />

Galaburda e coll. interessavano un’area che includeva la porzione<br />

anteriore all’area di Broca, l’area di Broca, parte di quella di<br />

Wernicke, il lobulo parietale e l’opercolo parietale, aree implicate<br />

nell’elaborazione linguistica orale e scritta.<br />

In una serie di lavori che hanno utilizzato la Risonanza Magnetica<br />

Nucleare <strong>su</strong> soggetti dislessici adulti e in età evolutiva (1980-90) è<br />

stata confermata la presenza di variazioni strutturali in specifiche<br />

regioni cerebrali di pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva. Tali variazioni<br />

dalla norma includono soprattutto plana temporali simmetrici o<br />

con asimmetria invertita (planum temporale destro più esteso del<br />

sinistro).<br />

115


L’interesse di questi dati in riferimento alla patogenesi della<br />

<strong>dislessia</strong> consiste nel fatto che le anomalie e le malformazioni<br />

riscontrate interessano prevalentemente aree implicate in aspetti<br />

diversi dell’elaborazione linguistica. Larsen e coll. (1990) a questo<br />

proposito hanno dimostrato che la simmetria del planum<br />

temporale si associava nei dislessici a un deficit della codifica<br />

fonologica della lingua scritta.<br />

Studi <strong>su</strong>l funzionamento cerebrale con la Tomografia a emissione<br />

di positroni (PET) hanno evidenziato nei dislessici una riduzione<br />

del metabolismo del glucosio nella regione perin<strong>su</strong>lare di sinistra<br />

durante l’attività di lettura (Gross-Glenn e coll. 1986). Altri studi<br />

con la PET (1992) hanno dimostrato anomalie nel flusso cerebrale<br />

nell’area temporoparietale di sinistra.<br />

Alterazioni neuroanatomiche sono state riscontrate anche in aree<br />

corticali e sottocorticali deputate alla percezione visiva e acustica<br />

che sono state messe in relazione con difficoltà dei dislessici a<br />

livelli più periferici del processamento sensoriale e percettivo.<br />

116


Sembra, quindi esserci una convergenza di dati neuroanatomici e<br />

neurofisiologici a favore di un’organizzazione e di un<br />

funzionamento cerebrale atipici in pazienti con <strong>dislessia</strong> evolutiva.<br />

E’ stato ipotizzato, infatti, che la <strong>dislessia</strong> sia riconducibile a un<br />

difetto di lateralizzazione funzionale degli emisferi sinistri<br />

cerebrali.<br />

Lateralizzazione emisferica e <strong>dislessia</strong><br />

Orton (1925) introdusse la teoria che alla base della <strong>dislessia</strong> ci<br />

fosse una mancata dominanza dell’emisfero cerebrale di sinistra<br />

originata da un ritardo dello sviluppo neurologico. Le<br />

manifestazioni cognitive di questa atipia sarebbero una confusione<br />

tra immagini visive di simboli scritti processati da entrambi gli<br />

emisferi che portava, ad esempio, alla difficoltà a distinguere<br />

lettere speculari (b, d). Alla mancata dominanza emisferica sinistra<br />

era da attribuirsi, sempre secondo Orton, un mancato stabilirsi<br />

della dominanza manuale e della concordanza fra dominanza<br />

manuale e oculare. La teoria di Orton è stata molto influente ma<br />

117


scarsamente sostenuta da dati sperimentali; sono numerosissime le<br />

ricerche ad essa ispira<strong>tesi</strong> allo scopo di dimostrare un legame fra<br />

ridotta specializzazione emisferica e <strong>dislessia</strong>.<br />

Studi recenti<br />

Nello scorso decennio con lo sviluppo di una tecnica denominata<br />

“risonanza magnetica funzionale” (FMRI) la ricerca <strong>su</strong>lla <strong>dislessia</strong><br />

ha potuto compiere dei passi avanti. Questa tecnica infatti<br />

permette di vedere quali parti del cervello siano maggiormente<br />

irrorate dal flusso sanguigno e quindi quali di queste ri<strong>su</strong>ltino più<br />

attive durante la lettura.<br />

Gli scienziati hanno usato questa tecnica per identificare tre aree<br />

del lato sinistro del cervello che hanno un ruolo chiave nella<br />

lettura. Scientificamente queste sono conosciute come “giro<br />

frontale inferiore sinistro”, “area temporo- parietale sinistra” e<br />

“l’area temporo- occipitale sinistra”. Ognuna di queste aree è<br />

specializzata in un compito: nella prima si “vocalizzano” le parole<br />

e si dà il via all’analisi dei fonemi, cioè dei <strong>su</strong>oni che le<br />

118


compongono (area produttrice di fonemi – “phoneme producer”).<br />

Nella seconda viene effettuata l’analisi completa delle parole<br />

scritte; queste sono scomposte in sillabe e lettere e ognuna è<br />

collegata al relativo <strong>su</strong>ono ( area analista di parole – “analyzer<br />

word”). La terza (automatic detector) è “incaricata di vedere” le<br />

lettere e rendere automatico il processo di riconoscimento delle<br />

parole. Più spesso viene attivata, meglio funziona; nel senso che<br />

chi legge molto può scorrere un foglio scritto a velocità<br />

rapidissima. Dalla ricerca in oggetto, sembra che il cervelletto<br />

svolga una funzione importante nel coordinamento delle varie<br />

funzioni cognitive e quindi anche nell’automatizzazione della<br />

lettura. E’ importante comunque sottolineare che queste tre aree<br />

“lavorano” simultaneamente come un’orchestra che <strong>su</strong>ona una<br />

sinfonia.<br />

Utilizzando la FMRI, gli scienziati hanno determinato che “i<br />

lettori principianti” dipendono molto dall’area “phoneme<br />

producer” e dall’area “analyzer word”. La prima di queste due<br />

119


aree aiuta il lettore a pronunciare parole – silenziosamente o ad<br />

alta voce- e inizia ad analizzare alcuni fonemi che formano le<br />

parole dette. La seconda area analizza le parole minuziosamente,<br />

<strong>su</strong>ddividendole nelle sillabe e fonemi costituenti e collegando le<br />

lettere ai loro <strong>su</strong>oni.<br />

Come i lettori diventano esperti accade qualcosa d’interessante: la<br />

terza sezione – “automatic detector” – diviene più attiva. La <strong>su</strong>a<br />

funzione è costruire un repertorio permanente che permetta ai<br />

lettori di riconoscere a prima vista le parole familiari. Come i<br />

lettori progrediscono, l’equilibrio tra le tre aree viene meno e<br />

l’”automatic detector” incomincia a dominare. Se tutto va bene la<br />

lettura diverrà un’attività che non implica alcuno sforzo. Il<br />

dislessico, invece, si trova ad affrontare questa attività con un<br />

notevole dispendio di energie poiché non riesce ad automatizzare<br />

la corrispondenza tra il <strong>su</strong>ono, o fonema, e il segno grafico<br />

corrispondente: ogni volta che si trova di fronte ad una parola<br />

scritta è costretto a “scoprirla” come se fosse la prima volta. Non<br />

120


si attua, cioè, quell’automatismo tipico del lettore esperto. Questo<br />

avviene perché, nel cervello del dislessico, i circuiti neurali<br />

deputati alla lettura ri<strong>su</strong>ltano rallentati o addirittura interrotti. Gli<br />

studi condotti con l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale<br />

hanno stabilito che durante la lettura c’è una minore presenza o<br />

attività dei neuroni rispetto alla norma, sia a livello del cervelletto<br />

sia a livello del lobo temporale nell’emisfero sinistro. In qualche<br />

modo “saltano” o “funzionano male” i collegamenti tra le varie<br />

aree cerebrali garantiti dai neurotrasmettitori e in particolare con<br />

“l’analista delle parole” e il “detector automatico”.<br />

Il dislessico compensa utilizzando di più il “produttore di <strong>su</strong>oni” e<br />

le aree dell’emisfero destro del cervello, normalmente deputate a<br />

processare immagini e idee astratte.<br />

121


ANALISI PSICOLOGICA<br />

La ricerca psicologica ha posto al centro dell’attenzione il<br />

problema relazionale del soggetto dislessico (evolutivo).<br />

L’intento è quello di descrivere l’universo del dislessico, di<br />

analizzare il <strong>su</strong>o modo di “essere nel reale in quanto dislessico”,<br />

capire la <strong>su</strong>a condizione non come condizione “disorganizzata”,<br />

ma come tipo di consapevolezza in rapporto con un mondo non<br />

organizzato secondo “il nostro comune sistema di significati”.<br />

In base a questi pre<strong>su</strong>pposti il dislessico non è un bambino per il<br />

quale le cose non hanno un senso o le parole hanno perduto il loro<br />

significato; per lui le cose, le azioni e le parole, hanno un<br />

significato, ma questo significato, “che è un significato per lui”, si<br />

scontra con il significato che le cose, le parole scritte e parlate, le<br />

azioni e i semplici gesti hanno per gli altri.<br />

Questo “scontro” porta con sé una costante ricerca di punti di<br />

riferimento “stabili” in un “universo di significati per lui” che non<br />

122


è caotico, ma ambiguo e non stabile. Le cose sono di fronte a lui<br />

come per tutti, ma i rapporti che esse hanno tra di loro o in<br />

riferimento a lui, sono mobili sfuggenti, bipolari e ambivalenti:<br />

non c’è punto di vista intenzionale unitario.<br />

Il soggetto dislessico vive in un universo instabile, si sente<br />

disorientato e questa <strong>su</strong>a condizione è “cronica” in quanto<br />

l’ambiguità del significato esiste per lui in tutte le dimensioni del<br />

<strong>su</strong>o mondo: direzione, significato, punto di vista, sentimento e<br />

simbolo. Ogni parola può cambiare significato fino al punto che il<br />

contesto contaminato dall’equivoco non serve più nemmeno come<br />

riferimento.<br />

Se deve usare una certa parola il dislessico ne vede nascere nella<br />

mente molte vicine per significato o per forma; questo lo porta<br />

all’incertezza <strong>su</strong>lla scelta di una o di un’altra o l’impiego di un<br />

<strong>su</strong>ono per un altro o di una parola per il <strong>su</strong>o analogo rovesciato.<br />

L’incontro con la lettura porta il bambino dislessico a stabilire dei<br />

punti di riferimento che gli serviranno per sfogliare il libro nel<br />

123


senso giusto, cioè conformemente alle indicazioni e alle correzioni<br />

fatte dagli adulti. La ricerca dei punti di riferimento comincia<br />

molto presto ed è facilitata dalla relativa semplificazione della vita<br />

infantile prima dell’ingresso a scuola; con l’entrata nell’universo<br />

scuola la necessità dei punti di riferimento, il loro numero e la<br />

necessaria stabilizzazione aumentano in maniera brusca. Così il<br />

bambino cerca di trovare punti fissi nella realtà materiale interna<br />

ed esterna alla classe riferendosi ad oggetti fissi nell’ambiente; per<br />

questo teme il cambiamento di posto all’interno della classe<br />

perché tutto il <strong>su</strong>o “sistema” si rivelerebbe inefficace. Il<br />

disorientamento spaziale e temporale si accompagna a un<br />

disorientamento affettivo.<br />

Nello stesso tempo ri<strong>su</strong>ltano fondamentali, per il dislessico, la<br />

motivazione ed il desiderio di riuscire, di <strong>su</strong>perare il <strong>su</strong>o<br />

disorientamento: il bambino avverte più profondamente degli altri<br />

le reazioni ai <strong>su</strong>oi errori e si sente escluso dal gruppo.<br />

124


Cerca, per questo, di moltiplicare i punti di riferimento e i sistemi<br />

che permettono di “accomodare” le risposte; cercherà di capire di<br />

capire di cosa si tratta grazie alle illustrazioni, cercherà di<br />

imparare a memoria le didascalie delle illustrazioni, davanti a testi<br />

senza illustrazioni ricorrerà ad un approccio globale al testo per<br />

rendersi conto in modo approssimativo di che cosa si tratta per poi<br />

improvvisare al momento opportuno.<br />

Questi procedimenti, però, falliscono nel momento in cui la lettura<br />

si complica diventando un mettere insieme le lettere semplificando<br />

e complicando la loro unione. L’immaginazione è l’addetta a<br />

colmare le lacune fra i punti decodificati, ma mentre il bambino<br />

cerca di decifrare, il senso globale si perde.<br />

Il più delle volte, alla fine del primo anno di apprendimento, le<br />

motivazioni diventano negative e il bambino si mostra reticente e<br />

svogliato quando si tratta di leggere.<br />

125


Le condizioni dell’universo orientato (no)<br />

La psicologia cosiddetta del senso comune considera lo sviluppo<br />

mentale come un “adattamento progressivo” ad una realtà esterna<br />

strutturata.<br />

Il mondo e l’Io si costituiscono correlativamente e si strutturano<br />

reciprocamente, cambiano insieme in quanto sono i termini<br />

essenziali di una relazione che li rende indissolubili nel momento.<br />

C’è un rapporto molto stretto tra essi perché una certa forma<br />

dell’ambiente o un certo atteggiamento dell’individuo che<br />

rappresenta quell’ambiente, determina o induce nel soggetto una<br />

relazione vis<strong>su</strong>ta, un atteggiamento, una postura, un<br />

comportamento che costituisce una risposta irriflessa<br />

dell’organismo; tutto ciò avviene ad un livello di comunicazione<br />

non cosciente e senza linguaggio in quanto si tratta di<br />

complementarietà di atteggiamenti ad un livello irriflesso e di tipo<br />

animale.<br />

126


Da questo punto di vista, una turba della relazione è<br />

necessariamente alla base delle perturbazioni dell’universo<br />

vis<strong>su</strong>to; l’universo disorientato del dislessico è legato ad un Io che<br />

vive nell’incertezza e in una certa forma di insicurezza.<br />

E’ importante, quindi, esplicitare di quale Universo orientato si<br />

parla, delle <strong>su</strong>e caratteristiche e del legame che esse hanno con il<br />

problema trattato.<br />

Fattori di stabilizzazione dell’Universo orientato<br />

- Lateralizzazione<br />

- Schema corporeo<br />

- Orientamento spazio- temporale<br />

- Stabilizzazione dei valori<br />

127


LATERALIZZAZIONE<br />

Lo sviluppo neurologico avviene in maniera diversa nei due<br />

emisferi cerebrali e nei territori neuro- sensitivo- motori che gli<br />

corrispondono.<br />

Una delle mani è più abile dell’altra o effettua una data operazione<br />

prima dell’altra. Verso i quattro mesi il bambino è capace di<br />

vedere passare la <strong>su</strong>a mano davanti agli occhi; si può notare,<br />

dunque, che una mano può effettuare quest’operazione prima<br />

dell’altra. Verso i sette mesi, il bambino è capace di far passare un<br />

oggetto da una mano all’altra, una delle due è più abile dell’altra<br />

nell’eseguire questo movimento.<br />

Nei primi mesi si può constatare, nella maggioranza dei bambini,<br />

una relativa dominanza motoria in quanto non esistono destri e<br />

mancini al 100% e la lateralità dominante.<br />

Il destrimane non è colui che adopera solo la mano destra, ma si<br />

serve di tutte e due le mani; la mano sinistra, però, nei momenti<br />

coordinati, ha un compito di sostegno.<br />

128


Non tutti gli autori concordano <strong>su</strong>l momento in cui compare la<br />

lateralità, ma quasi tutti convergono <strong>su</strong>l fatto che:<br />

- prima dei sette mesi non è possibile alcuna previsione di<br />

dominanza<br />

- essa è precoce soltanto se è netta<br />

- il momento della stabilizzazione dipende da molti fattori<br />

Ogni segmento del corpo sembra avere una <strong>su</strong>a dominanza a<br />

seconda delle azioni; si può essere destri in un segmento e sinistri<br />

in un altro (lateralizzazione crociata) sempre riferendosi a<br />

movimenti attivi che fino ad oggi sono serviti come riferimento<br />

per la diagnosi di lateralizzazione.<br />

Ogni emisfero controlla i movimenti dell’emisoma opposto alla<br />

<strong>su</strong>a posizione: l’emisfero destro domina il lato sinistro e viceversa.<br />

Nella nostra cultura la maggior parte degli uomini ha dominanza<br />

emisferica sinistra.<br />

129


- La dominanza emisferica dipende da fattori anatomo-<br />

strutturali, anche se la <strong>su</strong>a potenzialità è influenzata da fattori<br />

sociali e di sviluppo.<br />

- Il legame tra preferenza manuale e dominanza emisferica esiste,<br />

ma non in assoluto.<br />

- Il rapporto tra la preferenza laterale e l’apprendimento della<br />

lettura- scrittura può essere considerato un fatto socio- culturale,<br />

data la rarità dei relativi disturbi riscontrata negli analfabeti.<br />

Lateralità della mano<br />

Sono state tentate molte spiegazioni <strong>su</strong>l perché facciamo uso della<br />

mano destra più della sinistra; non è <strong>su</strong>fficiente interrogare gli<br />

interessati per conoscere la loro lateralità reale, certi mancini<br />

s’ignorano e altri, abituati magari ad usare la destra con la forza,<br />

saranno i primi a dire che sono destrimani; i gesti non appresi sono<br />

quelli che possono fornire informazioni più precise.<br />

130


C’E’ UN LEGAME TRA IL MANCINISMO E I PROBLEMI<br />

DELLA LETTURA?<br />

Esisteva, soprattutto in ambito scolastico, l’opinione che esista una<br />

relazione tra mancinismo o ambidestrismo e disturbi<br />

nell’apprendimento della lettura, ma questa ipo<strong>tesi</strong> non è stata<br />

sostenuta da fatti e ri<strong>su</strong>ltati sperimentali.<br />

La <strong>su</strong>a origine risale alle osservazioni di Orton (1937) il quale<br />

constatò, nei bambini con disturbi di lettura, un’elevata<br />

percentuale di preferenza manuale mista e di errori nel<br />

riconoscimento di lettere speculari. Interpretò questi<br />

comportamenti come riflessi di una confusione tra destra e sinistra<br />

e li assimilò ad una mancata dominanza dell’emisfero cerebrale<br />

sinistro per le funzioni verbali.<br />

Poiché si ritiene che l’uso della mano destra indichi la<br />

specializzazione dell’emisfero sinistro per il linguaggio è<br />

giustificata l’attesa che i bambini con disturbi nella lettura siano o<br />

131


mancini o ambidestri; ma le ricerche non hanno evidenziato in<br />

modo chiaro l’esistenza di una relazione tra preferenza manuale e<br />

disturbo della lettura.<br />

Il mancinismo, quale naturale organizzazione della dominanza<br />

laterale, non è un fenomeno anormale, un mancino non ha difetti<br />

neurologici, ma difficoltà di orientamento nell’universo orientato.<br />

Di solito il mancinismo è rapportato a fenomeni embrio- genetici<br />

tra cui l’ereditarietà, ma le cause sono ancora oscure.<br />

E’, però, rafforzata l’ipo<strong>tesi</strong> che il mancinismo non sia una<br />

caratteristica predominante del dislessico, come lo è invece una<br />

lateralizzazione non perfettamente strutturata<br />

132


Dominanza incrociata<br />

La prevalenza per le diverse paia di organi in uno stesso individuo<br />

non è sempre unilaterale un soggetto lateralizzato a destra per la<br />

mano può essere lateralizzato a sinistra per il piede o per l’occhio<br />

e viceversa.<br />

SCHEMA CORPOREO<br />

Il corpo è come un radar che registra, raccorda, elabora e<br />

organizza informazioni per sviluppare capacità di relazione con il<br />

mondo; è usato dall’uomo nel <strong>su</strong>o dialogo con la realtà circostante<br />

durante ogni età, dal dialogo tonico- affettivo con la madre a<br />

quello di comunicazione con gli oggetti e le persone.<br />

Il concetto di schema corporeo si riferisce alla conoscenza che<br />

l’individuo ha di sé come funzionamento dei meccanismi<br />

fisiologici attraverso cui egli sperimenta le sensazioni della reale<br />

struttura corporea, è un concetto dinamico, globale e applicabile<br />

all’intera personalità.<br />

133


E’ una definizione che risale, circa, ai primi dell’800 e si fonda<br />

con l’ipo<strong>tesi</strong> che ciascuno possiede una sensibilità interna<br />

(cines<strong>tesi</strong>) da cui riceve informazioni <strong>su</strong>l proprio corpo.<br />

La consapevolezza del proprio corpo, delle parti, dei movimenti<br />

corporei, delle posture e degli atteggiamenti, si sviluppa molto<br />

lentamente nel bambino e si trova compiuta normalmente verso gli<br />

11-12 anni.<br />

La consapevolezza del corpo è carica, nella <strong>su</strong>a compiutezza, degli<br />

schemi motori virtuali ed è capace di prolungarsi con le tante<br />

“prese” <strong>su</strong>l mondo mediante attrezzi, macchine e strumenti che le<br />

nostre abitudini e la nostra abilità ci permettono di farle<br />

incorporare.<br />

La percezione delle “estremità corporee” comincia quando il<br />

bambino fa passare le mani o i piedi nel campo visivo.<br />

Verso il nono mese lo sviluppo motorio permette percezioni<br />

labirinto- percettivo- motorie nuove, come sdraiarsi, sedersi,<br />

voltarsi; tra gli 11 e i 14 mesi inizia l’esperienza del camminare<br />

134


con tutte le sensazioni ad essa associate, visive, motorie e della<br />

distanza che costituiscono una prima divisione Io- non Io.<br />

Verso i 2 anni il gioco preferito del bambino è, molto<br />

simbolicamente, quello degli incastri, di mettere le cose vicine,<br />

ammucchiarle come se cercasse di “mettersi insieme”.<br />

In questo periodo sono molto importanti le bambole, gli<br />

orsacchiotti con i quali il bambino si identifica e anche lo<br />

specchio.<br />

Durante il terzo anno ha molta importanza il controllo degli<br />

sfinteri e nel quarto il bambino fa una nuova differenziazione tra<br />

Io- non Io con la scoperta del <strong>su</strong>o sesso e della differenza tra i<br />

sessi.<br />

A 5 anni si compie il primo schema corporeo totale e nel disegno<br />

dell’omino il “testone” è sostituito da una forma umana dotata di<br />

testa, occhi, orecchie, naso, bocca e di un tronco con gambe e<br />

braccia terminanti con molte dita; il fatto che né il numero delle<br />

135


dita né le proporzioni siano rispettate, dimostra che<br />

l’aggiustamento è da completare.<br />

Sul piano dei movimenti e dell’azione, lo spazio del proprio corpo<br />

è definitivamente conquistato.<br />

A questo punto l’organizzazione di un qualsiasi atto non riflesso<br />

esige la formazione di un’immagine motoria che si costruisce<br />

attraverso l’interiorizzazione del modello dell’atto motorio riuscito<br />

fino ad arrivare ad un’abitudine motoria che si complica per<br />

integrare azioni sempre più lunghe e difficili.<br />

Gli schemi motori, quindi, possono organizzarsi solo partendo<br />

dallo schema corporeo e ad esso appoggiarsi; di conseguenza un<br />

bambino o un adulto che ha una turba dello schema corporeo, e<br />

cioè della coscienza del <strong>su</strong>o corpo e delle <strong>su</strong>e possibilità motorie,<br />

non riuscirà a costruire nes<strong>su</strong>no schema dinamico di azione in<br />

quanto questo richiede la sensazione di talune regioni corporee, la<br />

differenziazione di certi movimenti e la coordinazione di gesti<br />

simultanei o <strong>su</strong>ccessivi.<br />

136


Nel caso di turbe dello schema corporeo, si nota goffaggine che è<br />

il sintomo di questo disturbo, poiché leggere e scrivere sono<br />

abitudini vi<strong>su</strong>o- motorie, l’acquisizione degli schemi dinamici<br />

corrispondenti si fonda <strong>su</strong>ll’organizzazione dello schema corporeo<br />

da cui essi dipendono direttamente.<br />

Nella formazione delle abitudini motorie intervengono anche<br />

fattori affettivi espressi mediante le posture, gli atteggiamenti e i<br />

comportamenti in quanto un’abitudine affettiva tende a costituire<br />

uno schema posturale che invita a certi atteggiamenti.<br />

L’affettività è legata alla psicomotricità in quanto legata ad<br />

atteggiamenti espressivi irriflessi; lo schema corporeo costituisce,<br />

quindi, nei primi anni di vita in funzione della maturazione del<br />

sistema nervoso, ma anche in funzione dell’universo nel quale i<br />

movimenti devono compiersi, della tonalità affettiva di questo<br />

universo e della rappresentazione che il bambino ha di se stesso e<br />

degli oggetti del <strong>su</strong>o mondo in rapporto a sé.<br />

137


ORIENTAMENTO SPAZIO- TEMPORALE<br />

Nel bambino si forma una specie di schema spaziale nello stesso<br />

tempo in cui si forma lo schema corporeo; quindi, mentre impara<br />

ad abitare lo spazio vis<strong>su</strong>to, il bambino l’orienta in riferimento a<br />

sé, percepisce meglio il proprio corpo ed adatta meglio i<br />

movimenti.<br />

Orientarsi nello spazio significa vedere se stessi e le cose in<br />

rapporto a sé nello spazio, dirigersi con facilità, comprendere le<br />

distanze, la localizzazione e le azioni a noi possibili; tutto ciò per<br />

stabilizzare lo spazio vis<strong>su</strong>to e per potersi collocare e agire.<br />

E’ molto importante la collocazione correlativa delle cose e del<br />

corpo e il loro reciproco orientamento, quindi, l’alto- basso,<br />

destra- sinistra, davanti- dietro, dentro- fuori. Il bambino si trova a<br />

non saper scrivere nelle righe e nei quadretti, a non saper<br />

organizzare il <strong>su</strong>o lavoro rispettando un certo ordine, a confondere<br />

le lettere per l’incapacità di distinguere con chiarezza l’alto e il<br />

basso, la destra e la sinistra; tutto ciò porta ad una confusione tra<br />

138


alcune lettere che graficamente si somigliano, ma che hanno la<br />

“linea” o il “cerchio” a sinistra o a destra rispettivamente (p- q; b-<br />

d; u- n; p- b).<br />

Orientarsi nel tempo significa situare il presente in riferimento ad<br />

un passato, ad un “avanti” e ad un “dopo”, significa valutare il<br />

movimento nel tempo, distinguere il veloce, il lento, il <strong>su</strong>ccessivo<br />

e il simultaneo e porre i momenti nel tempo uno vicino all’altro.<br />

Il tempo comporta due dati essenziali: durata e <strong>su</strong>ccessione; la<br />

capacità di cogliere una <strong>su</strong>ccessione nel tempo è mi<strong>su</strong>rata<br />

dall’esattezza delle strutture temporali che si possono percepire<br />

nel ritmo e che fanno comprendere come questi dati siano<br />

importanti per la lettura, in quanto “avere il senso del ritmo<br />

significa essere capace di percepire nella <strong>su</strong>a complessità una serie<br />

di <strong>su</strong>oni che forma un’unità….” (Fraisse)<br />

139


STABILIZZAZIONE DEI VALORI<br />

La stabilizzazione della vita affettiva ha stretti rapporti con la<br />

stabilizzazione dell’universo vis<strong>su</strong>to sempre secondo la legge<br />

dell’interazione- scambio tra l’Io e il mondo.<br />

Le figure parentali sono vis<strong>su</strong>te in maniera intensa <strong>su</strong>l piano<br />

affettivo in quanto gli atteggiamenti che i genitori as<strong>su</strong>mono fanno<br />

scattare comportamenti complementari irriflessi.<br />

Intorno al bambino gli adulti costituiscono centri di diffusione e<br />

generano sentimenti complementari.<br />

E’ importante quindi che ci siano riferimenti affettivi precisi in<br />

modo che il bambino possa riconoscere il significato di una<br />

manifestazione affettiva, di una mimica, di un tono di voce<br />

associandolo all’atto osservato o alla situazione che lo ha<br />

provocato.<br />

Per orientarsi nell’orizzonte vis<strong>su</strong>to è necessaria la collocazione<br />

dei riferimenti affettivi che poi regolano i nostri atteggiamenti.<br />

140


Essenziale è anche la stabilità dei limiti in quanto il bambino si<br />

orienta in riferimento a valori che si associano ai <strong>su</strong>oi atti, desideri<br />

e avvenimenti ripetitivi della <strong>su</strong>a vita quotidiana. Se i valori<br />

positivi o negativi sono stabili il bambino è in grado di<br />

accomodare l’azione. Uno dei rischi più grossi è , inoltre, la<br />

mancanza di ampiezza dello spazio di vita; lo spazio troppo<br />

ristretto da limiti, pieno cioè di proibizioni, sfocia in reazioni (lotta<br />

contro gli adulti, contro le barriere, fuga nell’autismo, esplosioni<br />

emotive, ecc.) che sono la negazione dell’orientamento e della<br />

stabilizzazione della relazione Io- universo.<br />

Nell’universo vis<strong>su</strong>to appaiono immediatamente le figure<br />

parentali: padre e madre. Il padre è responsabile<br />

dell’atteggiamento verso l’azione, della fiducia in sé e<br />

dell’avvenire, è la spinta verso il mondo, verso il sociale, una<br />

figura centrata <strong>su</strong>ll’azione esploratrice e <strong>su</strong>ll’avvenire. La madre,<br />

invece, genera sicurezza, fiducia negli altri e capacità di amare.<br />

141


Passo ora ad analizzare le cause di questa grossa difficoltà di<br />

apprendimento e di socializzazione.<br />

CAUSA E CONDIZIONI DELLA DISLESSIA<br />

La <strong>dislessia</strong> è uno degli effetti inevitabili di un certo stato della<br />

relazione Io- universo quando il bambino è costretto ad imparare a<br />

leggere.<br />

L’universo del “futuro” dislessico, come anche il <strong>su</strong>o Io, sono<br />

ambigui ed incerti sia che dipendano da una cattiva<br />

lateralizzazione, da un mancinismo contrastato, da un’in<strong>su</strong>fficiente<br />

strutturazione spazio- temporale.<br />

Per definire la <strong>dislessia</strong> bisogna riferirsi ad uno stato provocato<br />

dalla richiesta di un dover leggere che nasce all’interno di una<br />

relazione Io- universo incapace di soddisfarla ed impossibilità ad<br />

integrare tale meccanismo. E’, quindi, nel momento della richiesta<br />

di certi apprendimenti che il bambino, fino a quel momento<br />

142


dislessico “in potenza”, si rivela dislessico “in atto” cioè incapace,<br />

inadatto.<br />

Fino all’età della lettura il dislessico cerca di vivere nel miglior<br />

modo possibile in un certo tipo di universo nel quale tende a<br />

costruire un equilibrio tra sé, il mondo e le esigenze quotidiane<br />

d’azione, e questo è il passaggio dalla malattia alla cronicità.<br />

La relazione Io- universo non resta nella disorganizzazione totale,<br />

ma parte dalle incerte prese dell’Io <strong>su</strong> un universo instabilmente<br />

orientato e porta al costituirsi di compensazioni, riferimenti e<br />

abitudini per giungere ad un modus vivendi che tiene conto della<br />

condizione e della parziale impotenza. Infatti al momento di<br />

imparare a leggere, si evidenzia la disarmonia tra l’universo del<br />

dislessico e quello in cui si inserisce la lettura.<br />

Dunque la malattia si costituisce prima della prova che la rivela.<br />

143


UNIVERSO DEL DISLESSICO<br />

• Ambiguità delle distanze e delle posizioni relative delle cose<br />

fra di loro: il rapporto del soggetto con le cose è<br />

relativamente stabile, ma i rapporti spaziali delle cose tra di<br />

loro sono mobili; le posizioni relative delle cose, sia nello<br />

spazio sia nel tempo, sono incerte e mutevoli.<br />

• Ambiguità delle forme e dei significati: le forme in “se<br />

stesse” sono percepite bene, ma il loro orientamento e quindi<br />

il loro significato è instabile.<br />

• Ambiguità dei valori: i valori si presentano senza valenza<br />

positiva o negativa; quando i caratteri positivi o negativi si<br />

presentano simultaneamente il dislessico vacilla.<br />

144


IO CORRISPONDENTE A QUESTO UNIVERSO<br />

• Incertezza dell’io: l’Io non trova in sé la sicurezza di cui ha<br />

bisogno e perde la fiducia nei <strong>su</strong>oi mezzi.<br />

• Goffaggine del gesto e dell’espressione verbale: i gesti sono<br />

maldestri, nell’espressione orale c’è confusione di significati<br />

e analogia delle parole.<br />

• Ambivalenza affettiva: il dislessico è in relazione continua<br />

con valori che cambiano o che sono ambigui ed è quindi in<br />

una situazione instabile tra ciò che bisogna fare e ciò che non<br />

bisogna fare.<br />

“Abitudini organizzate in risposta a questo rapporto Io-<br />

universo”<br />

• Ricerca attenta dei riscontri e dei sostegni esterni: per<br />

adattarsi all’universo degli altri, il dislessico si costruisce un<br />

sistema di riferimento sicuro, attraverso il quale passa per<br />

145


isolvere le <strong>su</strong>e difficoltà. Ad esempio la destra e la sinistra<br />

sono identificate grazie a dei segnali artificiali.<br />

• Aderenza alle percezioni: il dislessico cerca di “attaccarsi”<br />

alle cose per non smarrirsi nell’universo pieno di significati<br />

molteplici e contradditori.<br />

La lettura, invece, esige:<br />

• Orientamento fisso: si legge da sinistra a destra in tutte le<br />

righe, in tutte le parole e dall’alto al basso del foglio.<br />

• Vi<strong>su</strong>alizzazione e fissazione delle forme: in quanto ogni<br />

parola ha una forma è orientata; l’ambiguità di orientamento<br />

di una lettera porta ad un cambiamento di lettera o ad una<br />

lettera che non esiste (d, p, b, q oppure n, u).<br />

• “Distanza” in relazione alle parole, alla loro lettura ed alla<br />

punteggiatura: in modo da prevedere il significato che essa<br />

avrà nel contesto e poter formare la frase. E’ un lavoro che<br />

146


pre<strong>su</strong>ppone il sorvolo delle singole parole lette e l’arrivo alla<br />

comprensione del significato, partendo da riferimenti sicuri.<br />

• Padronanza della relazione significato- <strong>su</strong>ono: in modo che ci<br />

sia la discriminazione tra gli omonimi (significato-<strong>su</strong>ono) e i<br />

sinonimi (<strong>su</strong>ono-significato).<br />

• Capacità di organizzazione per padroneggiare la sintassi.<br />

• Sincronizzazione della lettura: in quanto essa comporta<br />

movimenti degli occhi, linguaggio interiore e coordinazione<br />

articolazione-pronuncia.<br />

• Padronanza della comunicazione verbale.<br />

• Passaggio permanente dall’analisi alla sin<strong>tesi</strong> e contrario.<br />

• Stabilità affettiva: condizione di fiducia.<br />

I soggetti dislessici non possono, inoltre, accedere al<br />

simbolismo in quanto hanno difficoltà di orientamento e di<br />

strutturazione spazio- temporale che non permettono l’accesso<br />

alla fase del concetto e del simbolo, della sintassi e del calcolo.<br />

147


QUADRO TEORICO GENERALE<br />

Si può constatare come tra i diversi autori non ci sia una netta<br />

distinzione tra <strong>dislessia</strong> e disturbi del linguaggio, ma emergano tre<br />

differenti posizioni:<br />

- coloro che adottano un’interpretazione restrittiva dei problemi<br />

di manipolazione del materiale scritto. Questi ricercatori sono<br />

interessati a studi <strong>su</strong>i meccanismi neuropsicologici di ciascun<br />

disturbo specifico<br />

- autori che teorizzano una continuità tra funzionamento normale<br />

e patologico (Cos<strong>su</strong>)<br />

- autori che considerano i problemi di lettoscrittura dei dislessici<br />

diversi. Accettano la definizione di <strong>dislessia</strong> e considerano i<br />

cattivi lettori tutti coloro che manifestano difficoltà nella lingua<br />

scritta associate a difficoltà di apprendimento.<br />

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