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Orchestra<br />
Haydn.<br />
Orchester<br />
XXIII. Stagione - Saison <strong>1982</strong>/83<br />
20. XII. <strong>1982</strong> BOLZANO - BOZEN<br />
ore 20.30 Uhr Conservatorium<br />
21. XII. <strong>1982</strong> TRENTO<br />
ore 21<br />
Sala della Filarmonica<br />
22. XII. <strong>1982</strong> ROVERETO<br />
ore 21<br />
Teatro Zandonai
Maurizio Arena<br />
nato a Messina nel 1935 ha compiuto gli studi musicali, parallelamente a quelli<br />
classici, a Palermo e a Perugia. Allievo per la direzione d’orchestra del M° Franco<br />
Ferrara è stato diversi anni sostituto dei maestri Serafin e Votto.<br />
Ha iniziato l’attività nel 1958 dedicandosi con pari interesse alla musica sinfonica e<br />
operistica.<br />
Dal 1961 al 1970 è stato particolarmente attivo al Teatro Massimo di Palermo. In<br />
quegli anni ha fondato e diretto il Gruppo Strumentale Solisti del Massimo, dedicandosi<br />
prevalentemente alla diffusione di musiche di compositori moderni e contemporanei.<br />
Dal 1970 è presente presso I maggiori Teatri e le principali Istituzioni musicali in<br />
Italia e all’estero.<br />
Nel 1973 gli è stato assegnato l’Antonello da Messina in riconoscimento «della<br />
particolare versatilità nella interpretazione delle partiture della musica contemporanea<br />
che ha spesso diretto in prima esecuzione».<br />
Collabora di frequente con la RAI, con RTF e con la Rias di Beriirto.<br />
ist 1935 in Messina geboren und absolvierte sein Musikstudium zusammen mit<br />
dem Klassischen in Palermo und Perugia. Nach seiner Ausbildung in<br />
Orchesterleitung bei Franco Ferrara war er mehrere Jahre lang Assistent der Dirigent<br />
Serafin und Votto.<br />
Seine eigentliche Tätigkeit als Dirigent begann er 1958. Er widmete sich von<br />
Anfang an mit gleichem Eifer und Interesse der symphonischen wie auch der<br />
Opernmusik.<br />
Von 1961 bis 1970 war er am Teatro Massimo von Palermo tätig. In dieser Zeit<br />
gründete er das Ensemble Gruppo Strumentale Solisti del Massimo, dessen Leiter<br />
er von Anfang an war. Dieses Ensemble befaßt sich vorwiegend mit der Verbreitung<br />
moderner und zeitgenössischer Musik.<br />
Ab 1970 trifft man Maurizio Arena an den bedeutendsten Opernhäusern und in den<br />
berühmtesten Konzertsälen Italiens und des Auslandes an.<br />
1973 wurde ihm in Anerkennung der “besonderen Vielseitigkeit bei der Interpretation<br />
zeitgenössischer Werke, von denen so manche ihm ihre Uraufführung verdanken”<br />
der Antonello-da-Messina-Preis verliehen.<br />
Maurizio Arena arbeitet häufig mit RAI, RTF und Rias Berlin zusammen.<br />
I<br />
0*
PROGRAMMA - PROGRAMM<br />
MALIPIERO '<br />
nel centenario della nascita<br />
zum 100. Geburtstag<br />
Vivaldiana, per orchestra/für Orchester<br />
HINDEMITH<br />
Kammermusik Nr. 5<br />
(Bratschen-Konzert/Concerto per viola)<br />
Schnelle Halbe<br />
Langsam<br />
Mässig schnell<br />
Variante eines Militärmarsches<br />
PAGANINI ^<br />
nel 200’ anniversario della nascita<br />
zum 200. Geburtstag<br />
Sonata per la gran viola<br />
MENDELSSHON<br />
Sinfonia n. 5 in re min. (La Riforma)<br />
Symphonie Nr. 5 d-moll (Die Reformation)<br />
Andante-Allegro con fuoco<br />
Allegro vivace<br />
Andante<br />
Choral (Andante con moto-Allegro vivace-Allegro maestoso)<br />
Violista - Bratschist<br />
DINO ASCIOLLA<br />
Direttore - Dirigent<br />
MAURIZIO ARENA
Dino Asciolla<br />
svolge attività concertistica suonando per le più importanti Società in Italia e all’estero.<br />
Ha fatto parte di famosi complessi strumentali («I Virtuosi di Roma», «I Musici»<br />
ecc.); è professore al Conservatorio S. Cecilia di Roma ed è titolare di vari corsi<br />
di perfezionamento. Ha inciso dischi per varie case discografiche (D.G.G., R.C.A.,<br />
«Italia», Edipan) ed ha effettuato numerose prime esecuzioni di musiche di autori<br />
contemporanei che gli hanno spesso dedicato le loro opere.<br />
Suona su una viola Maggini del 1600.<br />
spielt im Laufe regen Konzerttätigkeit für die bedeutendsten Vereine sowohl in Italien<br />
als auch im Ausland. Er hat berühmten Instrumentalgruppen wie "I Virtuosi di<br />
Roma”, “I Musici” usw. angehört und ist derzeit Lehrer am Conservatorio di S. Cecilia<br />
in Rom; auch hält er viele Fortbildungskurse. Er hat für verschiedene Firmen<br />
(D.G.G., R.C.A., Italia, Edipan) Platten eingespielt und zahlreiche Werke zeitgenössischer<br />
Autoren aus Taufe gehoben; von letzteren sind ihm so manche Arbeiten gewidmet<br />
worden.<br />
Er spielt auf einer Maggini-Bratsche aus dem Jahre 1600.
NOTE AL PROGRAMMA<br />
Gian Francesco Malipiero: Vivaldiana<br />
Nell’opera di Gian Francesco Malipiero, di cui quest’anno si celebra il centenario<br />
della nascita, Vivaldi e la civiltà musicale veneziana hanno avuto un ruolo di primo<br />
piano, esercitando un’influenza determinante non soltanto sull’attività di trascrittore<br />
e di revisore del musicista veneziano (attività che si è concentrata nella pregevolissima<br />
edizione completa delle opere di Claudio Monteverdi), ma anche sulla<br />
poetica originale del compositore, uno dei massimi fra gli italiani di questo secolo.<br />
Anche di Vivaldi Malipiero curò in diversi momenti della sua vita edizioni moderne<br />
dei Concerti, contribuendo cosi al recupero di un patrimonio essenziale dell’antica<br />
musica italiana; e cosi come era accaduto con Monteverdi, anche da Vivaldi trasse<br />
molteplici spunti volti a dare, dello stile concertistico vivaldiano, un’interpretazione<br />
personale, attuale, seppur rispettosa delle qualità peculiari del modello. Uno degli<br />
esiti più caratteristici di questo atteggiamento è appunto Vivaldiana, composta nel<br />
1952, dove Malipiero adotta temi e moduli stilistici del maestro veneto ricercandone:<br />
in prospettiva moderna, l’ambiente sonoro, la ricchezza timbrica, la piacevolezza<br />
melodica, la chiarezza armonica, il gusto discorsivo: in una parola, la spirito.<br />
Adottando una sorta di originale intreccio fra lo schema del concerto grosso e quello<br />
del concerto solistico, Malipiero procede come se si trattasse di un piacevole divertimento,<br />
un omaggio riverente e sincero offerto con grazia insieme aristocratica<br />
e popolare, appena venata da un’ombra di sorridente disincanto.<br />
Hindemith: Kammermusik n. 5<br />
La serie delle sette Kammermusiken composte da Hindemith tra il 1921 e il 1928<br />
■ rappresenta uno dei blocchi più organici e omogenei nel panorama della musica<br />
europea del primo'dopoguerra. Pur richiedendo ognuna organici strumentali diversi,<br />
esse sono accomunate dall’uso di un tipo di scrittura cameristico, raffinato, estremamente<br />
chiaro, e dal ricorso pressoché costante a uno stile concertante, nel quale<br />
cioè singoli strumenti o varie sezioni sono contrapposti con funzioni spiccatamente<br />
solistiche. Significativo in questo senso é che ogni brano presenti un diverso<br />
solista con compiti protagonistici, fatto che differenzia e determina non soltanto<br />
l’impianto formale ma anche il clima sonoro e il tono espressivo.<br />
Se cinque delle sette Kammermusiken danno ragione al titolo e debbono essere<br />
considerate essenzialmente da camera, due fanno eccezione e, giacché richiedono<br />
un organico strumentale notevole più ampio, rimandano in modo esplicito al campo<br />
orchestrale, sia pure per piccola orchestra: esse sono la quarta (per violino e orchestra)<br />
e la quinta (per viola e orchestra, nota anche col sottotitolo di Concerto<br />
per viola). Composta nel 1927, la Quinta Kammermusik è forse il pezzo più notevole<br />
dell’intero ciclo, certo quello nel quale i caratteri peculiari della poetica<br />
hindemithiàna vengono alia luce con assoluta evidenza. Da rivelare anzitutto il trattamento<br />
straordinariamente virtuosistico della viola solista (Hindemith era egli<br />
stesso un ottimo violinista, fondatore di un quartetto specializzato nell’esecuzione<br />
della musica contemporanea); in secondo luogo, la varietà delle situazioni musicali,<br />
di continuo oscillanti fra una solida compattezza ritmica e una trasparente distensione<br />
lirica. Il brano si segnala anche per la cura dell’architettura formale (in quattro<br />
parti, rispettivamente “Mosso”, "Lento”, “Moderatamente mosso” e “Variante
di una marcia militare”, chiusa stravolta e allucinata nel suo motorismo ritmico) e<br />
per la densità della scrittura strumentale, alla cui base vive però sempre l’ideale di<br />
una compiuta chiarezza espressiva.<br />
Paganini: Sonata per la gran viola<br />
La Sonata per la gran viola è l’unica composizione per strumento solista e orchestra<br />
scritta da Paganini ad eccezione, naturalmente, di quelle per violino. Che cosa<br />
avesse spinto il celeberrimo virtuoso a crearla e ad eseguirla a Londra neH’aprile<br />
1834, non sappiamo con certezza; certo è che si tratta di un magnifico regalo da lui<br />
lasciato ai solisti di viola, a quelli, beninteso, che sono in grado di cimentarsi con le<br />
stratosferiche difficoltà della parte. L’opera, che racchiude tutti i tratti sostanziali<br />
deil’arte e del virtuosismo paganiniani, si articola come una grande scena e aria per<br />
viola e orchestra; dove la viola, è chiaro, mima e trasfigura i diversi accenti del più<br />
tipico belcanto operistico dell’epoca fino a innalzarsi, secondo traiettorie proprie,<br />
nei cieli di un impervio, scintillante vituosismo strumentale. Ciò accade quando,<br />
dopo una drammatica introduzione e un recitativo in do minore, la viola espone vittoriosamente<br />
il tema in do maggiore, slanciandosi poi in tre acrobatiche variazioni<br />
degnamente concluse da una pirotecnica coda.<br />
Mendelssohn: Sinfonia n. 5 in re minore op. 107 (“Della Riforma”)<br />
Composta nel 1830 per celebrare il trecentesimo anniversario della Confessione di<br />
Augusta, quinta in ordine di numerazione (op. 107, pubblicata postuma nel 1868)<br />
ma terza in ordine di nascita (fatte salve le Sinfonie giovanili), la Sinfonia in re minore<br />
risente di evidenti suggestioni programmatiche, che tra l’altro le hanno valso il<br />
sottotitolo di “Sinfonia della Riforma”: insolita severità e profondità di accenti, elaborazioni<br />
nel più tradizionale stile contrappuntistico (caratteristico è l’uso del fugato),<br />
voluta parsimonia di slanci melodici e di contrasti armonici, corali luterani, insomma<br />
austera solennità e matrice compositiva tutta tedesca. Di fatto, almeno da<br />
noi, “La Riforma” è la meno nota ed eseguita fra le Sinfonie di Mendelsshon, anche<br />
se ha ricchezze musicali di primissimo ordine e bene illumina quel lato costruttivo,<br />
positivo, luminosamente ottimista, solido, che è parte fondamentale della poetica<br />
musicale di questo “classico” fra i maestri dell’età romantica.<br />
Aperta da un’introduzione lenta in re maggiore nella quale risuonano i mistici accenti<br />
del Dresden Amen della liturgia sassone, in seguito utilizzato da Wagner nel<br />
Parsifal per il tema del Gral, la Sinfonia si articola in quattro movimenti ma segue<br />
sviluppi assai liberi, quasi prefigurando una forma ciclica: le cesure fra i movimenti<br />
e fra le stesse sezioni di essi sono infatti appena avvertibili, così che il discorso,<br />
moltiplicandosi e ritornando di continuo su se stesso, comunica l'idea di una tensione<br />
verso il raggiungimento di un’unitaria identità originaria. Il primo movimento<br />
(“Allegro con fuoco”) è il più debole dei quattro, risultando quasi schiacciato dalla<br />
meravigliosa, assorta introduzione (sembra che per questa ragione Mendelsshon<br />
rifiutasse di pubblicare l’opera); il secondo tempo è costituito da uno Scherzo in si<br />
bemolle maggiore, dal ritmo danzante e dalle movenze popolaresche, cui segue il<br />
delicato “Andante” in sol minore, quasi un sentimentale Lied ohne Worte strumento<br />
per archi soli. Momento culminante dell’intera Sinfonia è il vasto movimento finale,<br />
nel quale un breve “Andante con moto” funge da introduzione al Corale luterano<br />
Ein’ feste Burg ist unser Gott (che adesso riconosciamo come il centro originario<br />
cui la composizione tendeva), seguito da un “Allegro vivace” in 6/8 che a sua volta<br />
introduce l’ultima apoteosi, un “Allegro maestoso" intessuto di vigorosi contrasti<br />
dinamici e sostenuto da efficace forza inventiva, che non può non farci pensare,<br />
seppur sotto altro profilo, al finale della Nona beethoveniana.<br />
Sergio Sablich
ANMERKUNGEN ZUM PROGRAMM<br />
Gian Francesco Malipiero: Vivaldiana<br />
Im Oeuvre von Gian Francesco Malipiero, dessen Geburtstag sich heuer zum hundertsten<br />
Mal jährt, spielen Vivaldi und die venezianische Musikkultur eine Rolle ersten<br />
Ranges. Sie üben auf die Transkriptions-und Revisionstätigkeit des venezianische<br />
Musikers einen entscheidenden Einfluß aus - eine Tätigkeit, die in der Gesamtausgabe<br />
der Werke Claudio Monteverdi gipfelt -, aber auch auf die eigene<br />
Poetik des Komponisten, der zu den größten zählt, die es in diesem Jahrhundert in<br />
Italien gegeben hat. Malipiero hat sich zu verschiedenen Zeitpunkten seines Lebens<br />
auch mit Vivaldi befaßt, moderne Ausgaben der Konzerte dieses Meisters geschaffen<br />
und so dazu beigetragen, wertvolles Kulturgut der Vergessenheit zu entreißen.<br />
Dabei schöpfte er, wie einst aus Monteverdi, auch aus Vivaldis Konzertstil<br />
mannigfache Anregungen für eine eigene, moderne, wenngleich den besonderen<br />
Merkmalen des Modells getreue Intrepretation. Mit zu den besten Beispielen dieser<br />
seiner Einstellung ist die 1952 entstandene Komposition Vivaldiana, in der er Themen<br />
und Stilmodelle des venezianischen Meisters übernimmt und dessen Klangwelt<br />
mit ihrer timbrischen Vielfalt, der melodischen Gefälligkeit und der harmonischen<br />
Klarheit, kurz: ihrem besonderen Geist in neuer, moderner Perspektive Wiedererstehen<br />
läßt. Er bedient sich dabei einer originellen Verquickung zwischen dem<br />
Schema des Concerto grosse und demjenigen des Solistenkonzerts und behandelt<br />
diese Form nach der Art eines anmutigen Divertissements, mit einer Grazie, die etwas<br />
Aristokratisches, gleichzeitig aber auch etwas Volkstümliches an sich hat: Nur<br />
ab und zu glaubt man aus der Komposition ein wenig lächelnde Ernüchterung herauszuhören.<br />
Hindemith: Kammermusik n. 5<br />
Die Reihe der siebe, Kammermusiken, welche Hindemith zwischen 1921 und 1929<br />
schuf, zählt zum Organischsten und Homogensten, was die europäische Musik der<br />
ersten Nachkriegszeit hervorgebracht hat. Zwar ist die Besetzung von Fall zu Fall<br />
verschieden; gemeinsam aber haben die Kompositionen die kammermusikalische<br />
Schreibweise, welche große Raffinesse und äußerste Klarheit erkennen läßt, und<br />
die nahezu ständige Anwendung eines konzertanten Stils, in dem einzelne Instrumente<br />
oder Instrumentalgruppen dem Rest des Orchesters mit ausgesprochen solistischen<br />
Aufgaben entgegengestellt sind. Bemerkenswert ist in diesem Sinne, daß<br />
jeder Abschnitt einen verschiedenen Solopart mit entsprechenden Aufgaben aufweist:<br />
Dadurch wird nicht nur die formale Anlage, sondern auch die Klangatmosphäre<br />
und der Ausdruck gekennzeichnet.<br />
Fünf der sieben Kammermusiken verdienen diese Bezeichnung: Sie dürfen als<br />
kammermusikalische Werke angesehen werden. Zwei hingegen bilden eine Ausnahme,<br />
denn sie erforden eine beträchtlich reichere Besetzung, ein richtiges Orchester,<br />
wenn auch kleineren Ausmaßes: Es sind die vierte (für Violine und Orchester)<br />
und die fünfte (für Viola und Orchester, welche, dem Untertitel entsprechend,<br />
auch als Violakonzert bekannt ist). Die Fünfte Kammermusik entstand im Jahr<br />
1927 und ist vermutlich das bedeutenste Werk des gesamten Zyklus', mit Sicherheit<br />
aber dasjenige, in dem die besonderen Merkmale der Hindemithschen Poetik<br />
am augenscheinlichsten zutage treten. Hervorgehoben zu werden verdienen vor allem<br />
die ausgesprochen virtuose Handhabung des Soloparts (nicht umsonst war<br />
Hindemith selbst ein ausgezeichneter Bratschist und Gründer eines auf die<br />
Ausführung zeitgenössischer Musik spezialisierten Quartetts) und in zweiter Linie<br />
die Mannigfaltigkeit der musikalischen Episoden mit ihrem ständigen Wechsel zwischen<br />
solider rhythmischer Kompaktheit und transparenter lyrischer Entspannung.<br />
Die Komposition besticht auch durch die besonderes gepflegte formale Architektur<br />
(sie ist in vier Teile gegliedert, die mit “Mosso”, “Lento”, "Moderatamente mosso”<br />
und “Variante di una marcia militare” überschrieben sind: Der letzte zeichnet sich
durch die besondere rhythmische Motorik aus). Ein weiteres hervorstechendes<br />
Merkmal ist die außergewöhnliche Dichte der instrumentalen Schreibweise, die jedoch<br />
überall das Bemühen um vollendete Klarheit des Ausdrucks erkennen läßt.<br />
Paganini: Sonata für große Viola<br />
Die Sonata für die große Viola, ist mit Ausnahme der Violinkonzerte die einzige<br />
Komposition für Soloinstrument und Orchester, welche Paganini geschrieben hat.<br />
Was den berühmten Virtuosen dazu bewogen haben mag, dieses Werk zu schreiben<br />
und im April 1934 il London zur Aufführung zu bringen, wissen wir nicht mit Sicherheit,<br />
doch hat er damit den Bratschisten ein prächtiges Werk zum Geschenk<br />
gemacht - natürlich nur denen, welche in der Lage sind, die ungeheuren technischen<br />
Schwierigkeiten des Parts zu meistern. Die Komposition, welche sämtliche<br />
wesentlichen Züge der Paganinischen Virtuosität in sich vereinigt, nimmt sich wie<br />
eine große Szene und Arie für Viola und Orchester aus, in der das Soloinstrument<br />
die verschiedenen Akzente des typischen musikalischen Belcanto der damaligen<br />
Zeit imitiert und in besonderer, dem Instrument eigener virtuoser Art wiedergibt.<br />
Nach einer dramatischen Einleitung und einem Rezitativ in c-Moll stimmt die Viola<br />
siegreich das Thema in C-Dur an; dann folgen drei akrobatische Variationen und,<br />
als würdiger Adschluß, eine feuerwerkartig schillernde Coda.<br />
Mendelssohn: Symphonie Nr. 5 in d-Moll Op, 107 ('‘Reformationssymphonie”)<br />
Mendelssohns 1830 zur Dreihundertjahrfeier der Augsburger Konfession geschriebene<br />
Symphonie Op. 107, die erst 1868, nach dem Tod des Komponisten gedruckt<br />
wurde, wird als die fünfte bezeichnet, obwohl sie entstehungsmäßig die dritte ist<br />
(die Jugendsymphonien bilden eine eigene Gruppe). Sie hat etwas eindeutig Programmatisches<br />
an sich und ist denn auch unter der Bezeichnung “Reformationssymphonie”<br />
bekannt geworden. Kennzeichnende Merkmale sind die Strenge und<br />
Tiefe der Akzente, die Anwendung eines kontrapunktischen Stiles in seiner denkbar<br />
traditionellsten Erscheinungsform mit häufingen Fugati, die gewollte Einschränkung<br />
des melodischen Elans und der harmonischen Kontraste, die häufige Wiederkehr<br />
von Motiven aus lutherischen Kirchenliedern, kurz: eine ernste Feierlichkeit in<br />
typisch deutschem Sinne. So ist denn diese Symphonie bei uns auch weniger bekannt<br />
als die übrigen; dies obwohl sie sich durch große musikalische Schönheit<br />
auszeichnet und die Merkmale der Kompositionsweise Mendelssohns, dieses<br />
Klassikers unter den Komponisten der romantischen Periode, in besonderem Maße<br />
aufweist, allen voran die positive, solide, einen gesunden Optimismus widerspiegelnde<br />
Konstruktion.<br />
Die Symphonie beginnt mit einer langsamen Einleitung in D-Dur, in der die mystischen<br />
Akzente des Dresdener Amens der sächsischen Liturgie anklingen, welche<br />
Wagner später im Parsival für das Gralsthema verwendet hat; dann folgen vier Sätze,<br />
die jedoch sehr frei gestaltet sind und beinahe zyklische Form aufweisen: Die<br />
Zäsuren zwischen diesen Sätzen und auch zwischen den einzelnen Abschnitten<br />
davon sind kaum wahrnehmbar, und das musikalische Gespräch vermittelt durch<br />
die ständige Wiederkehr zum Ausgangspunkt den Eindruck, als werde eine einheitliche<br />
ursprüngliche Identität angestrebt. Der erste Satz (“Allegro con fuoco”) ist<br />
der schwächste der vier, da er nach der wundervollen selbstvergessenen Einleitung<br />
kaum richtig zur Geltung kommt (es scheint, als ob Mendelssohn sich aus diesem<br />
Grunde geweigert hätte, das Werk zu veröffentlichen); der zweite besteht aus<br />
seinem Scherzo in B-Dur, das mit seinem tänzerischen Rhythmus ausgesprochen<br />
volkstümlich wirkt: es folgt ein feinsinniges “Andante” in g-Moll, das wie ein gefühlvolles<br />
Lied ohne Worte für bloße Streicher wirkt. Die Symphonie gipfelt in einem<br />
weitgespannten Finale, in dem ein kurzes “Andante con moto” als Einleitung zum<br />
lutherischen Kirchenlied Ein’ feste Burg überführt: Dieses darf als der ursprüngliche<br />
Kern des Werkes angesehen werden. Es folgt ein “Allegro vivace” im Sechsachteltakt,<br />
das seinerseits in die letzte Apotheose überführt, ein “Allegro maestoso",<br />
das sich durch kräftige dynamische Kontraste und wirksame Erfindungsgabe<br />
auszeichnet: Ein Vergleich mit der Neunten von Beethoven ist hier nicht ganz unpassend,<br />
mögen die beiden Werke auch ein ganz verschiedenes Profil aufweisen.<br />
Sergio Sablich
Orchestra<br />
Haydn<br />
Orchester<br />
XXIII. Stagione - Saison <strong>1982</strong>/83<br />
st<br />
20. XII. <strong>1982</strong><br />
ore 20.30 Uhr<br />
21. XII. <strong>1982</strong><br />
ore 21<br />
22. XII. <strong>1982</strong><br />
ore 21<br />
BOLZANO - BOZEN<br />
Conservatorium<br />
TRENTO<br />
Sala della Filarmonica<br />
ROVERETO<br />
Teatro Zandonai<br />
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