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TRAKS MAGAZINE 021

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<strong>MAGAZINE</strong><br />

Numero 21 - febbraio 2019<br />

BABIL ON SUITE<br />

un disco senza obblighi<br />

LEDI<br />

MARSALA<br />

BUCKWISE<br />

JACK JASELLI


sommario<br />

4<br />

8<br />

12<br />

16<br />

20<br />

24<br />

28<br />

32<br />

34<br />

38<br />

42<br />

46<br />

Babil on Suite<br />

Ledi<br />

Marsala<br />

Buckwise<br />

Jesus Franco & The Drogas<br />

Jack Jaselli<br />

Mambo Melon<br />

Matteo Toscano<br />

Light in the Sky<br />

Glue’s Avenue<br />

Alessandro Sipolo<br />

Baustelle<br />

Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata<br />

senza alcuna periodicità. Non può pertanto<br />

considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge<br />

n. 62/2001. Qualora l’uso di un’immagine violasse<br />

diritti d’autore, lo si comunichi a info@musictraks.com<br />

e provvederemo alla rimozione immediata<br />

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BABIL ON SUITE<br />

un disco senza<br />

obblighi<br />

La band che ha già collaborato con<br />

musicisti del calibro di Lucio Dalla,<br />

Mario Venuti, Max Gazzè, Samuele<br />

Bersani propone un disco che riconcilia<br />

molti tasselli del caleidoscopio<br />

musicale<br />

Fritz Lang, Andrea Pazienza,<br />

“pace” in portoghese… Avete<br />

riunito molti concetti dentro la<br />

copertina e il titolo del disco. Da<br />

quali premesse nasce questo disco?<br />

Alla base c’era l’idea e il desiderio<br />

di fare un disco senza obblighi di<br />

struttura, stile o necessità di mer-


cato, forse per questo consideriamo<br />

PAZ un disco naturalmente<br />

Pop e di natura corale, che canta<br />

più lingue. Per chi fa musica è un<br />

istinto quasi fisiologico, se non terapeutico,<br />

avevamo parecchi brani<br />

scritti subito dopo “Safari Now”,<br />

che grazie alla produzione di Puntoeacapo<br />

sono diventati un disco.<br />

Viste le molteplici influenze<br />

e la scarsa attenzione al concetto<br />

di “genere”, vorrei saperne<br />

qualcosa di più del vostro<br />

metodo di composizione delle<br />

canzoni.<br />

I nostri brani nascono sempre<br />

dalla musica o da una suggestione,<br />

come ad esempio una frase<br />

in loop, vengono poi registrate in<br />

un primo momento e in maniera<br />

quasi schizofrenica… cambia<br />

il mood, accordi e groove, spesso<br />

ritornano al punto di partenza ma<br />

arricchiti dal percorso, siamo una<br />

band che si lascia contaminare anche<br />

dall’aria che respira.<br />

Ed è proprio la contaminazione<br />

che ha generato il cambiamento,<br />

frutto anche dell’ingresso dei<br />

nuovi componenti e un nuovo approccio<br />

alla scrittura.<br />

Vorrei sapere come nasce “You<br />

can be free”<br />

È un brano a cui teniamo molto,<br />

scritto a quattro mani con Totò<br />

Sultano dei “Music from Eleven<br />

Instruments” nel 2012, c’è anche<br />

un suo cammeo nel finale. È<br />

il pensiero di un ragazzo vissuto<br />

ai bordi di un polo petrolchimico,<br />

gli occhi puri di un bambino<br />

ignari del denaro e del business<br />

vedono quello che in realtà è, una<br />

privazione dell’aria che respiri. C’è<br />

emozione e delicatezza, resa perfettamente<br />

dai piccoli cantori del<br />

Coro Interscolastico “Vincenzo<br />

Bellini” di Catania.<br />

Le vostre collaborazioni sono già<br />

un numero molto consistente.<br />

Come nasce l’incontro con Mario<br />

Venuti per Boa Babil On?<br />

Mario Venuti è un artista che abbiamo<br />

sempre stimato e seguito<br />

dai tempi de Denovo, ricordando<br />

il Venuti di “Fortuna” che suona<br />

molto brasiliano abbiamo pensato<br />

che “Boa Babil On” fosse un brano<br />

nelle sue corde e che magari ci<br />

porti, perché’ no… “Fortuna” :-)<br />

Il concerto più bello che avete<br />

visto di recente?<br />

Il concerto del gruppo belga<br />

Soulwax.<br />

6<br />

7


LEDI<br />

“Stanze” è il secondo lavoro di inediti di Ledi, cantautore di origini<br />

italo-albanesi che ha conquistato una bella fetta di critica italiana con<br />

il suo esordio “Cose da difendere”<br />

Ci vuoi raccontare qualcosa della<br />

tua storia?<br />

A casa mia si è stati ricchi, poi poveri,<br />

poi ricchi, poi poveri... e<br />

così via. Diciamo che il padre<br />

di mio nonno era una specie di<br />

muezzin di un piccolo villaggio<br />

greco, ucciso dalla guerra. Mio<br />

nonno è scappato in Albania dove<br />

si è rifatto una vita passando dalla<br />

condizione di “principe” a quella<br />

di sottomesso al regime. Poi, come<br />

tutti, mio padre un giorno ha preso<br />

un barcone e si è ritrovato nel<br />

porto di Brindisi con una moneta<br />

da 200 lire in tasca. Io ero un<br />

bambino. Da lì si comincia. Genova<br />

perché il mio vecchio lavorava<br />

nel porto di Durazzo e faceva contrabbando<br />

con i finanzieri italiani.<br />

A uno aveva dato il denaro per<br />

comprargli una Vespa bianca, che<br />

il finanziere si era giocato perché<br />

aveva il vizio del gioco. Ma quando<br />

ha bussato alla sua porta per<br />

reclamarla è stato gentile con lui.<br />

Ci sono dei particolari veramente<br />

da romanzo, nei dischi futuri ne<br />

parlerò.<br />

Ho letto che avresti potuto includere<br />

venti canzoni in questo<br />

disco. Avevi quello che si dice un’<br />

“urgenza” da trasmettere in questo<br />

disco? Come sei arrivato alla<br />

selezione finale?<br />

In realtà non la definirei proprio<br />

urgenza, nella misura in cui scrivo<br />

sempre, perché mi fa bene, per cui<br />

quando poi i brani di un periodo<br />

raccontano proprio quei passaggi<br />

di tempo, viene come naturale<br />

considerarli nel disco. Tuttavia<br />

produrre 20 pezzi costa troppo,<br />

già 14 è stato un discreto salasso.<br />

Alla fine si scelgono quelli a cui<br />

sei più affezionato, si vuole un po’<br />

8<br />

9


ene alle canzoni, le proprie e<br />

quelle degli altri, ti fanno compagnia.<br />

Il disco si chiama Stanze, ma<br />

personalmente lo vedo poco “al<br />

chiuso”: mi sembra anzi che le<br />

atmosfere siano urbane ma aperte,<br />

come se avessi scritto le canzoni<br />

vagando per una città straniera…<br />

In effetti è così. Quei quattro soldi<br />

che guadagno alla fine li spendo<br />

in musica e in viaggi, perché è bello.<br />

Kreuzberg, i borghesi di oggi e<br />

le loro contraddizioni. Tirana ancora<br />

di più, con le sue connotazioni<br />

affettive, che mi lasciato un<br />

cuore arabo e una mente europea.<br />

E poi Genova, la mia casetta con<br />

una finestra tra le montagne e il<br />

mare. Stanze perché in ogni canzone<br />

compare la parola o il concetto<br />

di stanza, ma è vero, è un disco<br />

di visioni esterne. Il prossimo<br />

lavoro dichiaratamente sarà sulle<br />

città.<br />

Ho trovato sorprendente la cover<br />

de “I giardini di marzo”: come<br />

nasce l’idea?<br />

Lo ritengo uno dei brani più belli<br />

che le mie orecchie abbiano<br />

ascoltato e la sera, quando sono<br />

solo, lo suono spesso. Una preghiera<br />

alla vita. Volevo renderle<br />

onore senza presunzioni o virtuosismi<br />

inutili, una specie di litania,<br />

una carezza. Non so se sono stato<br />

in grado di rendere ciò che mi fa<br />

provare.<br />

Vorrei sapere come nasce “Kreuzberg”,<br />

nella quale sento forti<br />

influenze della new wave italiana,<br />

che forse vanno anche al di là<br />

della tua età anagrafica<br />

Kreuzberg nasce dopo un viaggio<br />

a Berlino, dove vive mia sorella.<br />

Volevo rappresentare le emozioni<br />

che stava/stavamo vivendo così ho<br />

diviso il brano in tre parti distinte,<br />

anche nel metronomo affinché si<br />

potessero percepire tre differenti<br />

emotività. In effetti sia nelle<br />

tematiche generazionali che<br />

nell’arrangiamento ci sono forti<br />

spunti a quella new wave, ma è<br />

capitato inconsapevolmente.<br />

Vorrei che ci raccontassi qualcosa<br />

anche del tuo lavoro presso<br />

la onlus alla quale presti la tua<br />

opera.<br />

La mission dell’Istituto è legata<br />

alle persone non vedenti, delle<br />

quali ancora si occupa. Offre tuttavia<br />

servizi alla persona ormai a<br />

360 gradi. Io lavoro sia con le<br />

persone non vedenti, con le quali<br />

ho un laboratorio musicale, di<br />

coro e con malati psichiatrici.<br />

Fare l’educatore è faticoso, ma<br />

estremamente arricchente. Mi<br />

considero molto fortunato perché,<br />

pur nelle sue enormi difficoltà,<br />

è un lavoro di significati,<br />

di parola. Certo la trincea dell’anima<br />

a volte lascia sgomenti,<br />

stanchi, impauriti ma ne vale la<br />

pena.<br />

10<br />

11


MARSALA<br />

Al debutto solista l’ex voce e chitarra dei The Rambo.<br />

Coordinate di riferimento di massima: psichedelia,<br />

industrial, ambient, folk, blues e noise<br />

Qual è la tua storia fin qui e<br />

come nasce il progetto “Marsala”?<br />

Come parecchi del circuito underground,<br />

sono approdato al mondo<br />

elettroacustico dopo diverse esperienze<br />

musicali in ambito rock,<br />

per me, nello specifico attraverso<br />

il punk nelle sue varie forme: Lifeinacage<br />

(hardcore), Yokotobigeri<br />

(prog/noise-rock), Nazareno (impro-noise)<br />

e attualmente suono<br />

coi The Rambo, trio noise/punk<br />

doppia chitarra/voce/batteria con<br />

all’attivo tre dischi e un nuovissimo<br />

Nagant Fun, duo psych/noise/<br />

dub. Marsala nasce dalla voglia di<br />

mettersi in gioco autonomamente<br />

sia sul piano musicale che personale;<br />

mi verrebbe da dire “necessità<br />

di libertà” ma se suona troppo<br />

intellettualoide da strapazzo allora<br />

risponderei con “irrefrenabile bisogno<br />

di farmi i cazzi miei senza<br />

nessuno a cui rendere conto o mediare<br />

musicalmente” eheheheh.<br />

Come nascono le composizioni<br />

del disco? Frutto di lavoro stratificato<br />

nel tempo oppure impronta<br />

rapida del periodo?<br />

Ho iniziato nel 2014/2015 giocando<br />

con una drum machine, una<br />

tastiera e una loop station di un<br />

amico chiudendomi nel box sotto<br />

casa e improvvisando per ore.<br />

Negli anni successivi non è cambiato<br />

molto in termini di approccio,<br />

solo che ho rimpiazzato la<br />

tastiera con un sintetizzatore più<br />

piccolo e pratico e anziché nel<br />

box, suono in casa. Lunghe improvvisazioni<br />

da cui ho estrapolato<br />

canovacci/pattern/melodie/<br />

rumori per poi riprodurli nella<br />

dimensione live in maniera libera.<br />

La stessa cosa è avvenuta durante<br />

la registrazione, con alcuni accorgimenti,<br />

sfumature e arrangia-<br />

12<br />

13


menti in più; Paolo Cantù (regia e<br />

arrangiamenti) ha contribuito ad<br />

aggiungere colore al disco.<br />

Nella presentazione si affianca<br />

la tua musica a quella di gruppi<br />

come Tangerine Dream, Dead<br />

Can Dance, Goblin. Altri tuoi<br />

punti<br />

di riferimento?<br />

Onestamente<br />

ascolto,<br />

come<br />

tanti,<br />

quintali<br />

di<br />

musica<br />

e decifrare<br />

le<br />

mie influenze<br />

non mi<br />

risulta<br />

proprio<br />

semplice.<br />

Sicuramente<br />

dentro quello che faccio c’è tanta<br />

psichedelia ossessiva, musica industrial<br />

e musica da “finta” colonna<br />

sonora; poi ognuno sente i riferimenti<br />

che vuole eheheheh.<br />

Per tipo di vocazione si direbbe<br />

che il target della tua musica sia<br />

più internazionale che italiano.<br />

Che idea ti sei fatto del possibile<br />

pubblico del tuo disco?<br />

Penso che all’estero, l’underground<br />

sia più o meno come in Italia: poche<br />

persone ai live ma tanto desiderio<br />

di condividere situazioni<br />

piacevoli con chi bypassa la logica<br />

del grande mercato. Nei live c’è<br />

spesso, fortunatamente, gente dai<br />

gusti musicali eterogenei e questo<br />

permette di crescere e magari,<br />

spero senza presunzione, far crescere<br />

qualcun’altro con la logica<br />

della reciproca contaminazione.<br />

Ci si nutre degli altri e gli altri si<br />

nutrono di te.<br />

Tre nomi della scena italiana<br />

contemporanea che ti piacciono<br />

particolarmente?<br />

BlackPoint 45, Makhno e Father<br />

Murphy.<br />

14<br />

15


BUCKWISE<br />

Dopo anni di collaborazione musicale in varie band, è nata una band<br />

che mescola elementi folk ed elettronica: “Turning Point” è il risultato<br />

Come nasce e come si sviluppa il<br />

progetto Buckwise?<br />

Il progetto è nato da Nicola, Lorenzo<br />

e Gnappo, che collaboravano<br />

già da tempo in altri progetti<br />

musicali. La necessità di includere<br />

nel progetto qualcuno che scrivesse<br />

(e cantasse) le parti vocali li ha<br />

portati ad aggiungere me (Roberto)<br />

alla band.<br />

Il vostro sound è caratterizzato<br />

dall’accostamento di elementi<br />

molto distanti, come le radici<br />

folk e il banjo da una parte e l’elettronica<br />

“europea” dall’altra.<br />

Vorrei sapere come vi è arrivata<br />

l’illuminazione che ha portato<br />

all’accostamento<br />

È nato in maniera abbastanza<br />

naturale, in particolare l’avvicinamento<br />

di Gnappo all’elettronica<br />

(originariamente bassista) e<br />

di Nicola al banjo e al bluegrass<br />

(lui ha cominciato con la tromba)<br />

hanno sicuramente dato una spinta<br />

importante a questo processo.<br />

L’ingresso nel gruppo di Roberto,<br />

producer con alle spalle vari progetti<br />

musicali, ha contribuito a<br />

rafforzare la parte elettronica del<br />

progetto. In realtà non<br />

è stato troppo difficile<br />

trovare elementi simbiotici<br />

nei due generi,<br />

la famosa cassa dritta<br />

dell’elettronica non è altro<br />

che la cassa battente<br />

utilizzata nel folk e nel<br />

country, i roll del banjo<br />

sono assimilabili agli<br />

arpeggiatori dei synth<br />

usati molto nell’elettronica,<br />

eccetera. Anche il<br />

tipo di cantato usato da<br />

noi prende molto dal<br />

folk tradizionale americano,<br />

ma ha spiccati<br />

rimandi alle voci usate nell’elettronica<br />

più indie di matrice inglese e<br />

tedesca.<br />

Perché questo rappresenta un<br />

“Turning Point” per voi?<br />

Veniamo da un periodo in cui ci<br />

sono stati molti cambiamenti nelle<br />

vite di noi quattro, ognuno per<br />

motivi diversi. Una volta finito il<br />

disco abbiamo notato che il cambiamento<br />

era il filo conduttore di<br />

tutti i brani, quindi è stato naturale<br />

prendere Turning Point, il titolo<br />

della della seconda canzone, come<br />

16<br />

17


elemento fondativo di tutto il lavoro.<br />

È diventato un po’ un simbolo.<br />

Trovo “Due” la canzone più interessante<br />

del disco: come nasce?<br />

È nata principalmente da Gnappo,<br />

dalla sua passione per una certa<br />

scena elettronica downtempo<br />

tedesca e inglese,<br />

poi la mia propensione<br />

naturale a trovare melodie<br />

su quelle sonorità e<br />

la vena indie di Lorenzo<br />

e Nicola hanno fatto il<br />

resto.<br />

Benché la vostra musica<br />

potrebbe suggerire anche<br />

qualche fuga dalla<br />

realtà, siete ben ancorati<br />

a ciò che vi accade intorno.<br />

Di che cosa raccontano<br />

i vostri testi?<br />

Come abbiamo detto<br />

prima, il cambiamento è la tematica<br />

che più accomuna le canzoni,<br />

e quindi i testi, del disco. Sia esso<br />

personale o sociale, positivo o negativo,<br />

frutto di una scelta o di un<br />

processo inevitabile. I vari brani<br />

declinano questa tematica nelle<br />

maniere più diverse. Nessuno dei<br />

testi è però diretto, lascia all’ascoltatore<br />

la possibilità di interpretarlo,<br />

un po’ per nostra scelta. Forse<br />

scrivere in una lingua straniera<br />

aiuta questo tipo di attitudine.<br />

18<br />

19


JACK JASELLI<br />

Prodotto da Max Casacci, cantato per la prima volta tutto in italiano,<br />

“Torno a casa” è il nuovo disco del cantante e chitarrista milanese<br />

Mi sembra che il titolo del disco,<br />

Torno a casa, abbia significati,<br />

anche sonori, piuttosto chiari:<br />

vuoi parlarne?<br />

Ho scelto il titolo Torno A Casa<br />

per varie ragioni, senza dubbio<br />

quella geografica è fra le più evidenti.<br />

Il precedente disco è stato<br />

scritto e registrato interamente<br />

negli Stati Uniti, questo è stato<br />

composto, prodotto ripreso e<br />

mixato in Italia. Ho cambiato lingua,<br />

dopo tre album cantati in inglese<br />

ho deciso di usare l’italiano.<br />

Anche se da un lato questo rende<br />

Torno A Casa una sorta di punto<br />

di partenza più che un ritorno,<br />

rappresenta in realtà un cominciare<br />

nuovamente a guardare più<br />

vicino, al nostro Paese, porlo al<br />

centro della mia attenzione dopo<br />

aver a lungo rivolto lo sguardo<br />

verso orizzonti più distanti e spesso<br />

sconfinati.


Scrivere e cantare italiano ha<br />

cambiato in qualche modo il tuo<br />

metodo di lavoro?<br />

Per scrivere e cantare in italiano<br />

brani che fossero miei e non destinati<br />

a qualche collega ho dovuto<br />

per prima cosa rieducarmi a<br />

sentire e pensare la mia musica in<br />

italiano. Le regole della metrica,<br />

della fonetica e perfino della poetica<br />

cambiano radicalmente, e la<br />

traslazione o trasposizione di un<br />

sound non è una strada praticabile,<br />

o almeno non lo è stata per me.<br />

Per questo ho scritto alcuni brani<br />

insieme ad alcuni musicisti che<br />

stimo particolarmente e che ho la<br />

fortuna si poter chiamare amici,<br />

come Chris Lavoro e Max Elli.<br />

Si è trattato di reinvenzione, bellissima,<br />

appassionante e appena<br />

iniziata.<br />

Che cosa ha rappresentato la<br />

produzione di Max Casacci, produttore<br />

esimio e “mente” dei<br />

Subsonica, per questo disco?<br />

La fortuna e l’importanza di poter<br />

lavorare insieme a Max Casacci<br />

sono andate oltre il lavoro di<br />

studio. Max è un vero maestro, e<br />

come sapete oltre a essere un musicista<br />

e un produttore sopraffino<br />

è un intellettuale. Ho fatto tesoro<br />

delle sue parole sia nel tempo<br />

trascorso in studio che durante le<br />

nostre lunghe chiacchierate tori-<br />

nesi. Credo che abbia da subito<br />

capito quale fosse la strada migliore<br />

per i provini chitarra e voce<br />

chi ha ascoltato. Abbiamo fatto un<br />

disco pop in un’accezione molto<br />

ampia e musicalmente la sua inclinazione<br />

“elettronica” ha spinto<br />

senza mai forzare le canzoni oltre<br />

il margine delle mie abitudini, il<br />

che è sempre un bene.<br />

Abbiamo sempre lavorato col sorriso,<br />

il che non capita sempre.<br />

Non avrei potuto avere un mentore<br />

migliore per il mio primo disco<br />

in italiano e credo allo stesso tempo<br />

aver trovato un vero amico.<br />

Come nasce Balla, che hai anche<br />

scelto come singolo?<br />

Balla è una canzone nata nell’inverno<br />

milanese a casa di Andrea<br />

Mazzantini in arte Mazay, noto<br />

producer e dj. Collaboriamo da<br />

tempo e per una volta abbiamo<br />

deciso di fare le cose in modo<br />

diverso e ho provato a cantare<br />

e scrivere in italiano su una sua<br />

base dalla forte spinta dance.<br />

Ne è nata questa sorta di tragedia<br />

d’amore che si consuma su una<br />

pista da ballo. Quando Max ci ha<br />

prodotto il brano, le chitarre alla<br />

Nile Rodgers ci sono sembrate<br />

d’obbligo e in qualche modo questa<br />

canzone si trova a far coesistere<br />

una componente ddm, una<br />

dance-funk e una cantautore.<br />

Mi incuriosisce molto anche<br />

Quando saremo robot, teoricamente<br />

sottoposta a incubi da Intelligenza<br />

Artificiale ma in realtà<br />

molto dolce e anche piuttosto<br />

“acustica”…<br />

Sono affezionato a Quando Saremo<br />

Robot. E’ una delle primissime<br />

canzoni che io abbia scritto in<br />

italiano. E’ una riflessione leggera<br />

su quanto sia importante la nostra<br />

componente umana. Su quanto<br />

i nostri limiti, i nostri spigoli e il<br />

nostro essere “altro da” sia in realtà<br />

ciò che ci permette di vivere,<br />

e se siamo fortunati abbastanza,<br />

di costruire un amore. Se fossimo<br />

lisci, senza attriti e parti ruvide le<br />

cose e le persone ci scivolerebbero<br />

addosso in silenzio. Con le nostre<br />

umane, universali e inevitabili<br />

ammaccature siamo come pezzi di<br />

un puzzle che con un po’ di lavoro<br />

e di ricerca possono trovare i loro<br />

incastri e perché no, intravedere<br />

un disegno più grande.<br />

22<br />

23


JESUS FRANCO<br />

& THE DROGAS<br />

Tre anni dopo, ecco il ritorno di una band che fa un “rock’n’roll transgender”,<br />

con evidenti tracce noise: il nuovo disco è “No(w) future”<br />

“No(w) Future” è sia un richiamo<br />

ai Sex Pistols sia un aggiornamento<br />

contemporaneo del discorso:<br />

da che tipo di ispirazioni,<br />

e di incazzature, nasce il vostro<br />

nuovo disco?<br />

Le nostre principali ispirazioni<br />

nascono da ciò che leggiamo,<br />

ascoltiamo e viviamo in prima<br />

persona. Visti i repentini muta-<br />

menti della società e dell’ essere<br />

umano che stiamo vivendo<br />

in questi tempi, abbiamo notato<br />

come certe “profezie” (vedi 1984<br />

di G.Orwell) si stiano avverando e<br />

stiano portando noi esseri umani<br />

ad una totale “disumanizzazione”<br />

a favore di un “turbo consumismo”<br />

che distrugge irrimediabilmente<br />

la nostra umanità e la nostra<br />

natura. Concetti espressi dalla<br />

controcultura punk/Hardcore e<br />

D.I.Y già dal 1977, ma anticipata<br />

anche da gente tipo Stooges,<br />

Doors e Velvet Underground. Per<br />

quello che riguarda il richiamo<br />

ai Sex Pistols, diciamo che preferiamo<br />

un richiamo direttamente<br />

a Johnny “Rotten” Lydon, sicuramente<br />

la personalità più affine<br />

al nostro modo di vedere le cose<br />

all’interno dei Pistols, che secondo<br />

noi, ha dato il meglio di se nei<br />

mitologici P.I.L. Le “incazzature”<br />

che hanno portato al nostro nuovo<br />

disco vengono dalla politica e<br />

da come ormai la musica sia solo<br />

esclusivamente un prodotto da<br />

condire con griffe e messaggi stupidi<br />

per adolescenti lasciati soli<br />

da un sistema che punta ad avere<br />

solo consumatori e non cittadini<br />

“pensanti”. Probabilmente è sempre<br />

stato così, ma periodicamente<br />

nelle decadi passate, alle grandi<br />

major il giocattolo della musica è<br />

24<br />

25


sfuggito di mano più di una volta;<br />

managers coraggiosi hanno<br />

puntato su gruppi “diversi” dal<br />

sound mainstream (basta pensare<br />

cosa ha generato l’arrivo su major<br />

dei Sonic Youth... Ha sintetizzato<br />

molto bene questo concetto il<br />

grande Frank Zappa su un celebre<br />

video, ora su youtube: “ci mancano<br />

i tempi dei produttori col sigaro<br />

che non capivano un cazzo di<br />

musica”.<br />

Mi ha sorpreso del vostro disco il<br />

fatto che, benché palesemente se<br />

ne fotta delle mode, riesca a suonare<br />

comunque molto “contemporaneo”:<br />

come e quanto avete<br />

lavorato al sound?<br />

Sì, siamo lontani dagli stereotipi,<br />

odiamo i cliché di genere. Il<br />

nostro sound nasce sotto un impeto<br />

punk rock’n’roll e noisy che<br />

ci siamo iniettati nel corso degli<br />

anni aggiungendo altri combi modernizzati<br />

di psychedelia acida,<br />

avanguardia rockabilly cercando<br />

di non rimanere troppo scontati<br />

e omaggiamo tutto e tutti in un<br />

ibrido “franchiano”.<br />

Nonostante tutto, avete messo<br />

una canzone di “speranza” a fondo<br />

disco: come nasce Wake Up?<br />

Qualcuno dirà speranza, altri tristezza.<br />

Abbiamo voluto concederci<br />

un angolo di meditazione e di<br />

visione, cercando di emozionare e<br />

far sognare più pacatamente possibile.<br />

Insomma volevamo ipnotizzare...<br />

in fondo questo pezzo è<br />

la reale stima che abbiamo tra di<br />

noi, trasmessa al mondo intero.<br />

Leggendo le vostre note ho un<br />

po’ paura di farvi questa domanda.<br />

Ma cazzo, tanto rispondete<br />

per mail, non mi potete mica<br />

prendere a sberle da lontano:<br />

che cosa ne pensate della musica<br />

contemporanea?<br />

Certo è che la produzione di musica<br />

odierna è sterminata ed è difficile<br />

dare un giudizio valido, ma<br />

secondo noi la musica contemporanea<br />

non esiste, se non come<br />

revivalismo, più forte che nei decenni<br />

passati. Proprio per questo<br />

è diventato tutto più settoriale e,<br />

in generale, ognuno si muove in<br />

un ambito di ascolti ben definito.<br />

Per quanto ci riguarda cerchiamo<br />

di ascoltare e ci piacciono band di<br />

vario genere, ma purtroppo ben<br />

poche di quelle contemporanee.<br />

26<br />

27


MAMBO MELON<br />

Sono in tre e vengono da Cuneo: basso, batteria e flauto racchiusi in un<br />

nuovo disco “Il Bestiario” che si muove tra post rock, mashup, bigbeat,<br />

elettronica, synthwave, funk, retrowave, prog<br />

Vorrei sapere su quali impulsi e<br />

motivazioni nasce Il Bestiario, il<br />

vostro terzo album.<br />

La motivazione principale è sempre<br />

quella di fare musica propria,<br />

evolvendosi come musicisti. Nel<br />

disco precedente, Metro Jungle, il<br />

lavoro compositivo era stato fatto<br />

in due. Avevamo in seguito aggiunto<br />

il flauto, ma solo in fase di<br />

registrazione quando i pezzi erano<br />

già arrangiati. L’inserimento di un<br />

nuovo musicista e l’aggiornamento<br />

della line-up hanno stimolato<br />

il processo creativo ma lo hanno<br />

reso anche più complesso sebbene<br />

avessimo ben in mente da dove<br />

dovevamo partire e dove voleva-


mo arrivare. Tuttavia la musica<br />

ci sorprende sempre e il risultato<br />

è stato un evoluzione del sound.<br />

Questo disco suona più dark e<br />

cela meglio dietro di sé i riferimenti<br />

da cui eravamo partiti.<br />

Di quali animali e di quali “mostri”<br />

è composto il vostro Bestiario?<br />

Il nostro Bestiario non è popolato<br />

da animali ma da persone realmente<br />

esistenti. Entrare nel Bestiario<br />

è come entrare in un bar<br />

di montagna dove gli avventori<br />

abituali si azzittiscono e si girano<br />

tutti insieme quando entri, parlano<br />

una lingua quasi incomprensibile,<br />

ridono forte e bevono. E ogni<br />

volta ci si stupisce quanto sembri<br />

esserci una selezione naturale per<br />

consentire l’accesso a questo luogo:<br />

soltanto i mostri sembrano<br />

essere i bene accetti. I personaggi<br />

del nostro Bestiario ci affascinano<br />

perché sono genuini, sinceri<br />

e ci fanno sorridere. Il Bestiario è<br />

un luogo che noi frequentiamo e<br />

amiamo ed è stato facile utilizzarlo<br />

come metafora per il titolo del<br />

nostro disco.<br />

Vorrei sapere come nasce “Lollypop”<br />

e quanto Edoardo Vianello<br />

nasconde nelle sue viscere.<br />

Bella domanda. Ci dai la possibilità<br />

di spiegare un po’ quale sia il<br />

nostro processo creativo. L’idea di<br />

base era quella di giocare attorno<br />

a un riff ripetitivo ma che girasse<br />

una volta in battere e una volta in<br />

levare. Abbiamo quindi ricampionato<br />

un riff a caso di chitarra<br />

elettrica che ha creato l’ossatura.<br />

Volevamo inoltre utilizzare un<br />

campione vocale di Lollipop delle<br />

Chordettes che però abbiamo<br />

scartato, seppur abbia dato il titolo<br />

al pezzo. Abbiamo poi incastrato<br />

le nostre improvvisazioni strumentali<br />

con i campioni scelti in<br />

precedenza. La scelta dei samples<br />

in questo caso è stata abbastanza<br />

facile (altre volte lo è stata meno):<br />

volevamo assolutamente utilizzare<br />

dei campioni di fiati perchè risuonavano<br />

nella nostra testa come<br />

adatti al pezzo. Cercavamo però<br />

qualcosa di particolare che sapesse<br />

di canzoni pop anni 60 e/o Jazz.<br />

Ed ecco che Edoardo Vianello, ma<br />

soprattutto Sonny Rollins sono<br />

venuti in nostro aiuto. In questo<br />

caso i campioni li abbiamo adattati<br />

al pezzo, altre volte<br />

cambiamo la tonalità. In<br />

fine abbiamo sgrossato il<br />

tutto con l’arrangiamento.<br />

Di solito dopo una trentina<br />

di revisioni il pezzo<br />

funziona per noi e lo consideriamo<br />

finito.<br />

Dopo Metro Jungle avete<br />

fatto un lungo tour che vi<br />

ha portati anche all’estero.<br />

Pianificate qualcosa<br />

di simile anche questa<br />

volta?<br />

Ci piace riprendere quanto<br />

detto da Bob Corn<br />

durante un suo recente<br />

concerto qui a Cuneo. Secondo<br />

lui il tour è uno stato mentale in<br />

cui il musicista perde i riferimenti<br />

della sua vita quotidiana. L’unica<br />

preoccupazione diventa dove si<br />

suonerà il giorno dopo, quanto<br />

dista il locale e a che ora si dovrà<br />

essere lì. E’ fortunato chi ha<br />

provato questo stato. Noi siamo<br />

completamente d’accordo, ci piace<br />

essere in tour. Per l’uscita del disco<br />

abbiamo pianificato una serie<br />

di concerti spot in giro per l’Italia<br />

magari combinando un paio di<br />

date. Questa modalità è quella che<br />

al momento pare funzionare meglio<br />

anche perché i locali in Italia<br />

organizzano prevalentemente il<br />

venerdì e il sabato e bisogna anche<br />

far quadrare la vita di ognuno di<br />

noi al di fuori dei Mambo. Per un<br />

vero e proprio tour si vedrà in futuro.<br />

Tre nomi che vi piacciono particolarmente<br />

nella musica italiana<br />

di oggi.<br />

Dunk (perché racchiude le anime<br />

dei Verdena e di Giuradei), Calibro<br />

35, Massimo Volume.<br />

30 31


MATTEO TOSCANO<br />

“Cambiare vista” è il primo singolo del cantautore ligure, con la collaborazione<br />

di Emanuele Dabbono e con un lavoro più esteso in arrivo<br />

Che cosa ti va di raccontare della<br />

tua carriera fin qui?<br />

Più che carriera preferisco chiamarla<br />

strada. Di carriera possono<br />

parlare i grandi e la strada è lunga.<br />

Chissà. Della mia strada fino a<br />

ora posso raccontare che è partita<br />

come un’esigenza, e lo continua a<br />

essere. Quando ero piccolo chiuso<br />

in cameretta ho cominciato a<br />

usare il pettine come microfono e<br />

i miei genitori hanno capito ben<br />

presto che ero leggermente malato<br />

di musica e allora sono iniziate<br />

le esibizioni, lo studio e poi la<br />

scrittura. Dopo anni di concorsi<br />

e esperienze nel 2010 ho registrato<br />

il mio primo brano La nostra<br />

favola e da lì ho cominciato a<br />

scrivere. Nel 2016 l’incontro con<br />

Emanuele Dabbono mi ha portato<br />

alla scrittura di molti testi e finalmente<br />

quest’anno i tempi erano<br />

maturi e si parte con Cambiare<br />

vista.<br />

Come nasce “Cambiare vista”?<br />

Cambiare vista nasce<br />

dall’esigenza di cambiare<br />

prospettiva dopo determinate<br />

situazioni. Senza<br />

stravolgere tutto ma semplicemente<br />

cambiando<br />

angolo di visuale. Vedi in<br />

modo diverso e affronti<br />

tutto in un altro modo. È<br />

stata una canzone anche<br />

terapeutica.<br />

Che cosa ti ha regalato<br />

lavorare con Emanuele<br />

Dabbono?<br />

Emanuele Dabbono è un<br />

amico ed è una persona stupenda,<br />

con lui non è lavoro, è puro<br />

divertimento. Si parla, si leggono<br />

testi, nasce l’idea, si suona, si arrangia,<br />

si canta e si ride, tanto.<br />

Hai in preparazione un nuovo<br />

disco: ci vuoi raccontare qualcosa?<br />

Ci sto lavorando ora. È ancora<br />

tutto work in progress. Sicuramente<br />

ci tengo a essere vero e<br />

sarà un lavoro che curerò molto.<br />

Sto pensando se fare uscire<br />

prima altri brani singoli oppure<br />

un prodotto intero. Insomma, lo<br />

scopriremo solo scrivendo.<br />

32<br />

33


LIGHT IN THE SKY<br />

La band ligure pubblica “Revolution”, compendio di dieci anni di carriera<br />

e spinta verso un futuro brillante e molto rock<br />

Qual è la storia dei Light in the<br />

Sky?<br />

La storia dei LiTS inizia alcuni<br />

anni fa dall’incontro tra Lorenzo<br />

Vassallo, Teodoro Chighine e<br />

Tony Randello, e dà il via ad un<br />

percorso di amicizia e collaborazione<br />

musicale, che sebbene in<br />

un primo momento sia improntata<br />

su una dimensione per lo più<br />

live dove si dà ovviamente ampio<br />

spazio anche alle cover, ha fin<br />

da subito l’obiettivo di arrivare a<br />

comporre dei brani inediti, fino<br />

ad arrivare circa due anni fa alla<br />

decisione di concretizzare il materiale<br />

accumulato in questi anni<br />

dando vita a Revolution.<br />

“Revolution” è un titolo importante.<br />

Da cosa nasce?<br />

Abbiamo scelto questo titolo perché<br />

incarna il grande desiderio di<br />

cambiamento interiore che è alla<br />

base del nostro percorso, musicale<br />

e non solo. Revolution è un<br />

viaggio attraverso 13 tracce/storie,<br />

nelle quali raccontiamo dal nostro<br />

punto di vista quello che è stato il<br />

viaggio di tutti questi anni alla ricerca<br />

di sé stessi, affrontando quel<br />

muro di paure, schemi e preconcetti<br />

che spesso impediscono di<br />

poter realizzare ed esprimere liberamente<br />

sé stessi, per poter attuare<br />

un profondo cambiamento, ovvero<br />

una piccola ma grande rivoluzione<br />

interiore.<br />

Ci potete raccontare come sono<br />

andate le lavorazioni del disco?<br />

La lavorazione del disco è stata<br />

un percorso lungo e difficile, ma<br />

dall’altro lato<br />

anche estremamente<br />

affascinante<br />

ed<br />

interessante,<br />

in quanto ci<br />

ha permesso<br />

di confrontarci<br />

con quanto<br />

effettivamente<br />

stia dietro alla<br />

lavorazione di<br />

un album, e allo stesso tempo ci<br />

ha dato l’opportunità di collaborare<br />

con professionisti del mestiere<br />

quali il Maestro Gianni Serino<br />

in fase di produzione o il Drum<br />

Code Studio per il mixing e il mastering<br />

finali.<br />

Il disco racchiude brani scritti<br />

nel corso del tempo oppure è la<br />

fotografia di questo momento?<br />

Beh, quasi tutti i brani sono di<br />

composizione recente, ma in un<br />

certo senso potremmo dire che<br />

questo disco è la fotografia del<br />

percorso di crescita personale ed<br />

artistica di questi anni ma guardata<br />

con gli occhi di “oggi”.<br />

Come nasce “Taxi Driver”? Ci<br />

sono riferimenti a Bob De Niro?<br />

34 35


Taxi Driver ha fin da subito avuto<br />

una sonorità che richiama atmosfere<br />

molto “urban”, e siccome<br />

Revolution è stato concepito come<br />

una sorta di viaggio, abbiamo ritenuto<br />

che la figura che meglio<br />

potesse condurci lungo appunto<br />

questo viaggio, fosse quella del<br />

tassista. Il Taxi Driver, soggetto in<br />

un certo senso un po’ criptico ed<br />

oscuro, incarna infatti molto bene<br />

l’immagine di “Caronte”, colui che<br />

traghetta, in un certo senso, le<br />

anime, creando una sorta di legame<br />

con il proprio passeggero, percorrendo<br />

insieme a lui un tratto di<br />

strada, e di vita. In questo, a nostro<br />

vedere, richiama decisamente<br />

il personaggio di De Niro e le atmosfere<br />

del film.<br />

Che cosa si può aspettare chi viene<br />

a vedervi dal vivo?<br />

A noi piace vivere i live come momenti<br />

di condivisione, in cui il<br />

pubblico non sia distante ma in<br />

un certo senso sul palco insieme a<br />

noi. Per questo mettiamo sempre<br />

tanta energia nei nostri concerti<br />

per cercare di coinvolgere il più<br />

possibile chi viene a sentirci.<br />

36


GLUE’S AVENUE<br />

Si chiama “Glues” il disco d’esordio della band ligure nata nel gennaio<br />

2018. Il nuovo disco mette in rilievo l’eclettismo del trio e la<br />

sintonia già raggiunta<br />

Soltanto un anno di vita e siete<br />

già all’album d’esordio. Come<br />

avete fatto a ottenere già l’amalgama<br />

giusto per arrivare al debutto<br />

con “Glues”?<br />

Andrea: Un anno di vita insieme,<br />

ma un trio consolidato da esperienze<br />

ben distinte. Nessuno di<br />

noi si è mai seduto a riflettere o<br />

si è sforzato di cercare qualcosa:<br />

probabilmente dovevamo solamente<br />

incontrarci, e così è stato.<br />

La nostra forza è la stima e il rispetto<br />

reciproco, il resto o in questo<br />

caso “l’amalgama”, è il nostro<br />

esprimerci in modo naturale e<br />

spontaneo.<br />

Che cosa vuol dire e a cosa fa riferimento<br />

il nome “Glue’s Avenue”?<br />

Roberto: E’ semplicemente ispirato<br />

alla strada in cui siamo cresciuti<br />

io e Lorenzo, Strada alla Colla,<br />

“colla” sarebbe un modo ligure di<br />

definire la collina, ma la parola<br />

Glue’s suona un po’ come Blues e<br />

l’abbiamo preferita alla traduzione<br />

letterale “Hill”. Strada alla colla è<br />

una strada della periferia sanremese,<br />

apparentemente tranquilla,<br />

ma piena di personaggi molto pittoreschi<br />

del passato e del presente<br />

che sono citati, alcuni di loro, in<br />

qualche canzone dell’album.<br />

Citate i cantautori italiani ma<br />

anche gli Eagles fra i vostri<br />

“numi tutelari”. Qualche altro<br />

nome da aggiungere alla lista?<br />

Lorenzo: Oltre al suonare e scrivere<br />

mi piace molto dedicarmi<br />

all’ascolto; ho avuto la fortuna<br />

di crescere in un ambiente<br />

dove la musica è un importante<br />

elemento di educazione<br />

e cultura, perciò ho conosciuto,<br />

ammirato e studiato<br />

musicalmente e storicamente<br />

parecchi gruppi e artisti di<br />

cui sono appassionato ancora<br />

oggi. Chitarristicamente,<br />

ma non solo, aggiungo alla<br />

lista Eric Clapton assieme ai<br />

Cream il gruppo con cui si è<br />

affermato; la sua musica suona da<br />

sempre nella mia vita così tanto<br />

che mi innamorai della chitarra<br />

elettrica cominciando a studiarla,<br />

lui è stato il primo di tanti altri<br />

come Jimi Hendrix, i Dire Straits,<br />

Beatles, Queen, Led Zeppelin, fino<br />

a spaziare in altro genere come<br />

Stevie Wonder e i Tower of Power.<br />

Molto spesso con Roberto e Andrea<br />

ci dedichiamo agli ascolti<br />

facendo uno scambio delle nostre<br />

influenze musicali attraverso i dischi<br />

più significativi fino a fare<br />

ricerche in rete ascoltando altri<br />

lavori meno conosciuti e guardando<br />

diverse interviste di backstage<br />

38 39


o altro. Tutto questo senza dubbio<br />

ha creato un sound nei Glue’s<br />

Avenue dall’esecuzione delle cover<br />

fino alla realizzazione del disco<br />

“GLUES”.<br />

Nel disco è presente un elemento<br />

swing ma si capisce anche lo<br />

sforzo di far sì che le canzoni<br />

suonino tutte diverse una dall’altra.<br />

E’ stato complicato o vi è venuto<br />

spontaneo?<br />

Roberto: Ci fa piacere che si percepisca<br />

un’influenza swing nel disco,<br />

pur non essendoci una vera e<br />

propria canzone swing. Ci fa piacere<br />

perché in realtà il trio è nato<br />

proprio con questa impronta, anche<br />

se in pochi mesi ci siamo trovati<br />

ad arricchire il repertorio con<br />

cover di ogni genere in maniera<br />

molto spontanea così come<br />

il nostro disco. Possiamo<br />

dire che ogni canzone di<br />

“GLUES” è a sé, non abbiamo<br />

mai pensato di prefissarci<br />

dei limiti con un solo<br />

genere, nulla è stato pensato<br />

a tavolino, è venuto, ci è<br />

piaciuto e l’abbiamo fatto.<br />

Vorrei sapere come nasce<br />

Gally e perché l’avete scelta<br />

come singolo?<br />

Andrea: Penso che non ci sia rifugio<br />

più intimo e angosciante<br />

come la notte e i propri pensieri<br />

spiattellati al muro.<br />

Un momento per noi stessi, un<br />

momento dove non si può barare<br />

e dove la verità può scatenare<br />

emozioni capaci di destabilizzare<br />

o di arricchire ciò che non si conosce.<br />

Gally è uno sfogo, un confronto,<br />

un urlare contro ciò che<br />

fa paura, contro verità che non<br />

possiamo né vogliamo cambiare.<br />

Tutti possiamo ritrovarci in questa<br />

canzone bellica di sentimenti,<br />

allora perché non far emergere<br />

come status quo Gally e presentarci<br />

con un equilibrio di emozioni?<br />

41


ALESSANDRO SIPOLO<br />

Arrivato al suo terzo album, “Un altro equilibrio”, il cantautore propone<br />

atmosfere personalissime e lontane da quanto ci si aspetta da un artista<br />

“indie”, sa regalare le sensazioni di un viaggio in terre lontane o di un<br />

buon libro letto tutto d’un fiato. Gli abbiamo fatto qualche domanda per<br />

sapere cosa muove un animo così raffinato<br />

Un altro equilibrio è un titolo<br />

azzeccato per descrivere la tua<br />

arte, non solo l’ultimo album.<br />

Mescoli parole, suoni e atmosfere<br />

creando un equilibrio magico<br />

e distante dalle mode del momento.<br />

Questa armonia è frutto<br />

di un lungo processo creativo?<br />

Be’, innanzitutto grazie per questa<br />

considerazione generosa. Le<br />

mode effettivamente non mi hanno<br />

mai appassionato. “Moda”, del<br />

resto, è un concetto matematico.<br />

E’ semplicemente “il valore più<br />

frequente”. Non necessariamente<br />

il migliore. Il mio modo di scrivere<br />

e comporre è effettivamente<br />

piuttosto distante dalla musica<br />

che oggi va per la maggiore. Non<br />

per questo mi ritengo inferiore o<br />

superiore a qualcun altro. Credo<br />

semplicemente di aver sviluppato<br />

uno stile e un gusto personale.<br />

Dietro ogni tuo testo ci sono<br />

persone, luoghi, sensazioni. Ho<br />

avuto la fortuna di assistere a<br />

un tuo concerto qualche anno<br />

fa, e sentir raccontare i retroscena<br />

dei tuoi brani è sicuramente<br />

stato fondamentale per poterli<br />

apprezzare fino in fondo. Sicuramente<br />

incuriosisce sapere<br />

qualcosa in più sullo Sciamano<br />

bianco, uno dei protagonisti che<br />

sembra di poter toccare, come<br />

era stato per Arnaldo, Denoda e<br />

Gagiò Romanò...<br />

Lo sciamano bianco racconta il<br />

rapporto di fiducia e cura tra due<br />

persone a me care, uno psicologo<br />

italiano (scherzosamente definito<br />

nel brano “lo sciamano bianco”)<br />

e un ragazzo africano, rifugiato<br />

in Italia. Quello psicologo, Federico,<br />

era mio collega, nel progetto<br />

SPRAR della città di Brescia, ed è<br />

mancato improvvisamente, all’età<br />

di 29 anni. Volevo scrivere un<br />

brano che lo ricordasse. Che ricordasse<br />

la sua intelligenza, la sua<br />

apertura verso le persone di origine<br />

straniera, la sua competenza<br />

etno-clinica. E che ricordasse il<br />

prezioso aiuto prestato a quel ragazzo<br />

maliano.<br />

I riferimenti culturali non mancano:<br />

dal mito di Sisifo a Calvino<br />

e alle sue città invisibili, alla ricerca<br />

di un equilibrio e di risposte,<br />

si muovono in un contesto<br />

particolarmente impegnativo e<br />

arido di risposte. La musica intesa<br />

come impegno appartiene forse<br />

a un momento storico lontano,<br />

non hai timore di precluderti<br />

la possibilità di sfondare definitivamente,<br />

di fare il salto?<br />

Guarda, come avrai dedotto ascoltando<br />

Mostar, l’unico “salto” che<br />

credo di poter fare è quello dal<br />

ponte… A parte gli scherzi, sono<br />

pienamente consapevole che il<br />

tipo di musica che compongo e<br />

canto non è attualmente il più<br />

ambito dal mercato discografico.<br />

Detto questo, non mi interessa<br />

42 43


apparire diversamente da quel<br />

che sono, né francamente sarei in<br />

grado di farlo. Non per questo mi<br />

ritengo più “impegnato” di altri<br />

autori. Credo che ciascuno racconti<br />

le cose che più gli premono.<br />

Evidentemente, ho interessi diversi<br />

dalla maggior parte degli artisti<br />

miei coetanei. Tutto qui. Negli ultimi<br />

mesi mi sono sentito oppresso<br />

da un paese inaridito, spesso<br />

frustrante, da un punto di vista<br />

culturale e politico. Ho cercato di<br />

non cedere allo sconforto, inseguendo<br />

un equilibrio differente,<br />

appunto. Come ci insegna Camus,<br />

nel suo Il mito di Sisifo, il peso<br />

delle conseguenze delle nostre<br />

scelte a volte pare schiacciarci, ma<br />

può regalare la meraviglia quotidiana<br />

della libertà…<br />

Il viaggio è un po’ il centro di<br />

questo lavoro, che sia nel mondo<br />

o dentro di sé. Quali sono i<br />

luoghi a cui sei maggiormente<br />

legato? Quali i viaggi che hanno<br />

saputo toccarti al punto da farti<br />

cambiare punti di vista, da sradicare<br />

convinzioni, da allargare<br />

orizzonti?<br />

Per questo disco, i due viaggi fondamentali<br />

sono stati quelli in Vietnam<br />

e in Senegal. Certamente<br />

non sono stati abbastanza lunghi<br />

da consentirmi di approfondire la<br />

realtà sociale di quei paesi, com’era<br />

stato invece per il Perù, dove<br />

ho vissuto un anno. Però mi hanno<br />

permesso di vivere momenti<br />

indimenticabili, come per esempio<br />

una lunga cavalcata in moto,<br />

a nord, vicino al confine cinese.<br />

Oppure di conoscere e rispolverare<br />

storie dimenticate, come quella<br />

dei “tirailleurs”, giovani africani<br />

razziati dai villaggi per ingrossare<br />

le fila dell’esercito francese. Quei<br />

militari hanno combattuto anche<br />

in Europa. Anche a difesa dei<br />

nostri confini. Riportare alla luce<br />

una storia come quella, cantarla<br />

insieme a un grande artista senegalese<br />

come Dudu Kouaté, mi è<br />

sembrato un doveroso gesto artistico<br />

e politico, in risposta agli<br />

egoismi europei che oggi sembrano<br />

prevalere.<br />

Di solito chiudiamo le nostre<br />

interviste con la playlist. Oltre<br />

a regalarci qualche brano a cui<br />

sei particolarmente legato, ti<br />

va di consigliare qualche lettura,<br />

film o quello che ti viene in<br />

mente per spingersi ancora un<br />

po’ nel tuo mondo?<br />

Volentieri.<br />

Dunque, per quanto riguarda<br />

questo disco, oltre ai testi già citati<br />

(Le città invisibili e Il mito di<br />

Sisifo), direi I dannati della terra<br />

di Fanon e Diario di un bevitore<br />

di London.<br />

Qualche brano?<br />

Hold on di Tom Waits, Yamore di<br />

Salif Keita e Cesaria Evora, Road<br />

di Nick Drake.<br />

Chiara Orsetti<br />

44 45


BAUSTELLE<br />

“GOMMA”<br />

#quellochesentivo<br />

Quasi vent’anni fa i Baustelle pubblicavano il disco d’esordio, “Sussidiario<br />

illustrato della giovinezza”(2000). Nel disco trova posto “Gomma”, canzone<br />

nella quale è già possibile scorgere tutto lo stile di Bianconi e compagni,<br />

ripubblicata nel 2010 come singolo estratto da “Cofanetto illustrato della<br />

giovinezza”, riedit del primo, ormai introvabile, album<br />

Era settembre, e ogni volta che<br />

l’estate finisce niente è come sembra.<br />

Perché lo so che sembravo<br />

sicura, con le sigarette a coprirmi<br />

di fumo e quella sete mai placata.<br />

Invece non avere molto da vivere<br />

sembrava la sola consolazione.<br />

Settembre spesso ad aspettarti<br />

e giorni scarni tutti uguali<br />

fumavo venti sigarette<br />

e groppi in gola e secca sete di te<br />

tue cartoline-condoglianze<br />

“hello bastardo ci vediamo”<br />

l’adolescenza che spedivi<br />

sulle mie tenebre incestuose-osé<br />

ed il futuro stava fuori<br />

dalla new wave da liceale<br />

così speravo di ammalarmi<br />

o perlomeno che si infettassero i bar<br />

Era novembre. La voglia continuava<br />

a non placarsi, nemmeno<br />

cercando distrazione tra vertigini<br />

sintetiche e patinate, potenzialmente<br />

consolatorie, evidentemente<br />

inutili.<br />

Novembre mio facevi freddo<br />

la fronte frigo il polso a zero<br />

sporcare specchi era narcosi<br />

“potrei scambiare i miei ‘Le Ore’<br />

con te?”<br />

Tremavo un po’ di doglie blu<br />

e di esistenza inutile<br />

vibravo di vertigine<br />

di lecca-lecca e zuccheri<br />

Era agosto. Il freddo aveva smesso<br />

di essere reale, passava solamente<br />

dal cuore, come residui di<br />

una primavera che aveva tardato<br />

troppo ad arrivare.<br />

Vespe d’agosto in caldo sciame<br />

per provinciali bagni al fiume<br />

mi pettinavo un po’ all’indietro<br />

superficiali ricreative pietà<br />

Sabato sera dentro un buco<br />

e disco-gomma-americana<br />

leccavo caramelle amare<br />

e primavere già sfiorite con te<br />

Non sapevi passare, come le<br />

mode che vedi addosso a tutti e<br />

su di te fanno schifo, ma non riesci<br />

a fare a meno di indossare. E<br />

addosso avrei voluto averti, tra le<br />

vertigini.<br />

E già ti odiavo dal profondo<br />

avevo piombo da sparare<br />

se stereofonico posavo<br />

d’imbarazzante giovinezza lamé<br />

E fantascienza ed erezioni<br />

che mi sfioravano le dita<br />

tasche sfondate e pugni chiusi<br />

“avrei bisogno di scopare con te”<br />

Chiara Orsetti<br />

46<br />

47

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