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2024 - Mai - PositionPaper_HN_IT_

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Département Humanisme numérique<br />

POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />

per un umanesimo<br />

Digitale CritiCo


Con questo breve testo programmatico il<br />

Dipartimento Humanisme numérique intende<br />

posizionarsi nel dibattito contemporaneo sulla<br />

nozione di «umanesimo digitale» e delineare le<br />

proprie prospettive di ricerca future a partire<br />

dal lavoro condotto dai propri ricercatori dalla<br />

fondazione del Dipartimento ad oggi .


DÉPARTEMENT HUMANISME NUMÉRIQUE - POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />

anCora un umanesimo?<br />

La nozione di umanesimo viene costantemente<br />

richiamata nel dibattito relativo alle trasformazioni<br />

tecnologiche in corso e alle loro implicazioni culturali,<br />

etiche e politiche, e la sua introduzione ha quasi<br />

sempre esiti fortemente polarizzanti. La proposta di<br />

un “umanesimo digitale” sembra per lo più rispondere<br />

alla seguente domanda: come si può “restare umani”<br />

in un mondo caratterizzato dalla presenza pervasiva<br />

della tecnologia? Come garantire cioè la salvaguardia<br />

dei valori e degli ideali propriamente umani in un<br />

contesto nel quale la nostra vita dipende in misura<br />

sempre maggiore da infrastrutture tecnologiche, e nel<br />

quale queste stesse infrastrutture sembrano operare<br />

con crescente autonomia? O, detto diversamente,<br />

come e dove stabilire i limiti delle tecnologie, nel<br />

momento in cui queste appaiono potenzialmente<br />

illimitate, tanto da riconfi gurare radicalmente la<br />

nostra condizione corporea e mentale? Al di là delle<br />

risposte, questi interrogativi presuppongono una<br />

serie di assunti antropologici ed etici non sempre<br />

esplorati fi no in fondo.<br />

Per altro verso, secondo alcuni il termine stesso di<br />

“umanesimo digitale” sarebbe ormai inattuale: perché<br />

appellarsi ancora all’umanesimo in un’epoca segnata<br />

dall’erosione dei confi ni tra umano e non-umano?<br />

Riproporre un «umanesimo» non comporta il rischio<br />

di cadere nuovamente in una forma di indebita<br />

cristallizzazione di una “natura umana universale”,<br />

che distingue - all’interno dell’umano - ciò che è<br />

umano da ciò che non lo è, fi ssando come necessarie<br />

e atemporali categorie storicamente e culturalmente<br />

connotate? Al tempo stesso, rifarsi alla tradizione<br />

“umanistica” non signifi ca implicitamente sminuire<br />

le forme di oppressione e violenza sistemica che<br />

essa ha generato, con i suoi esiti antropocentrici ed<br />

eurocentrici?<br />

Dato questo contesto, è impossibile utilizzare il<br />

termine “umanesimo” in modo ingenuo, senza tener<br />

conto delle sue complesse implicazioni storiche e<br />

culturali. Al tempo stesso, l’appello a una posizione<br />

umanista non può consistere in una semplice reazione<br />

ad alcune tendenze culturali del nostro tempo, un<br />

generico tentativo di difendere o salvare “l’umano”<br />

contro quelle correnti - ad esempio alcune forme di<br />

post-umanesmo e di anti-umanesimo - che da questo<br />

modello vorrebbero prendere defi nitivamente le<br />

distanze.<br />

Al contrario, un uso consapevole e adeguato della<br />

nozione di umanesimo passa proprio per il rifi uto<br />

di ogni defi nizione astratta. La pluralità delle fi gure<br />

concrete della tradizione umanistica costituisce una<br />

riserva ricca di risorse teoriche e culturali, un tesoro<br />

stratifi cato e complesso che non è ancora stato<br />

esplorato fi no in fondo. Insomma, l’umanesimo si dice<br />

in molti modi, e solo valorizzando le sue potenzialità<br />

inespresse e rifi utando le semplifi cazioni è possibile<br />

mostrare in che senso oggi esso resta non solo una<br />

possibilità, ma addirittura un’esigenza.<br />

L’accostamento con il termine “digitale” introduce<br />

poi un’ulteriore diffi coltà: come conservare<br />

un’impostazione umanista, che si è storicamente<br />

fondata sulla cultura del libro e della pagina scritta,<br />

in un contesto tecnologico in cui la trasmissione del<br />

senso passa sempre più attraverso schermi che<br />

integrano parole, immagini e suoni? Anche in questo<br />

caso occorre mobilitare una diversa sensibilità<br />

storica, che interpreti la tecnologia non come un<br />

correlato esteriore del discorso umanistico, ma<br />

anzi come un punto focale dell’impegno di quella<br />

tradizione. Ogni epoca - ovvero: ogni confi gurazione<br />

tecno-sociale - ha il suo umanesimo: dalla paideia<br />

greca al Rinascimento italiano, dal razionalismo<br />

illuminista fi no alla sensibilità per i diritti umani<br />

nel XX secolo, la rifl essione umanistica pone da<br />

sempre le sue domande proprio a partire dal nesso<br />

tra vita e tecnologia. La storia degli umanesimi - al<br />

plurale - rivela la centralità di questo nesso: non si<br />

tratta in prima battuta di esprimere un giudizio di<br />

valore sulla tecnologia, ma anzi di riconoscere che è<br />

impossibile pensare la nostra umanità senza tenere<br />

in considerazione gli ambienti tecnici, le pratiche,<br />

i contesti simbolici e gli immaginari in cui essa si<br />

esprime e continuamente si riconfi gura.<br />

3


DÉPARTEMENT HUMANISME NUMÉRIQUE - POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />

non solo un’antropologia<br />

Dire “umanesimo” signifi ca non volersi limitare a<br />

una semplice descrizione dell’essere umano. Ogni<br />

umanesimo si fonda su un’antropologia implicita, ma<br />

non può essere ridotto a quest’ultima: gli è connaturato<br />

un riferimento alla sfera normativa, un discorso<br />

non sui fatti, ma sui valori. Indipendentemente<br />

dall’esigenza di trovare una defi nizione dell’umano,<br />

il punto fondamentale è che una descrizione<br />

puramente empirica non è ancora suffi ciente, perché,<br />

diversamente da quanto vale per gli altri viventi,<br />

non basta nascere umani per essere umani. Anche<br />

l’antropologia fi losofi ca degli ultimi due secoli ha<br />

riconosciuto che per diventare umani è necessario<br />

un continuo lavoro di autoplasmazione, tanto etica<br />

quanto tecnica.<br />

Occorre quindi riconoscere i tratti che identifi cano<br />

il registro del discorso umanista a partire dalle<br />

modalità specifi che dell’essere e del diventare<br />

umani. Elaborando la proposta di un umanesimo<br />

digitale, Milad Doueihi ha scritto - sulla scorta di Lévi-<br />

Strauss - che il discorso antropologico ha focalizzato<br />

l’attenzione sull’esplorazione dell’altro, e dunque<br />

sulla scoperta di altri valori, altre culture, altre forme<br />

di vita: a fronte di questo sforzo, un umanesimo pone<br />

l’accento sull’altrimenti, sulla costitutiva multimodalità<br />

della condizione umana. Essere umani signifi ca<br />

sempre, al tempo stesso, poter essere, ma soprattutto<br />

poter essere in diverse modalità.<br />

Il riferimento a questa multimodalità permette di<br />

ripensare la complessa relazione tra umanesimo e<br />

universalismo. In prima battuta, questa relazione si<br />

presenta come l’ambizione di produrre un discorso<br />

condiviso da tutti sulla “natura” dell’essere umano o<br />

sui valori che la contraddistinguono: in questo caso,<br />

occorre mostrare che un umanesimo consapevole<br />

non deve necessariamente ambire a stabilire teorie o<br />

norme valide sempre e per tutti, trans-culturalmente<br />

e trans-storicamente.<br />

L’universalità, tuttavia, non è solo un obiettivo teorico<br />

o etico-politico: essa non riguarda solo la forma del<br />

discorso umanista sulla natura e sui valori umani,<br />

ma viene chiamata in causa innanzitutto come tratto<br />

specifi co dell’umano in quanto tale. In un senso più<br />

profondo, infatti, l’universalismo umanista consiste<br />

nel pensare l’umano come il luogo dell’universale.<br />

Secondo questa impostazione, il punto non è tanto<br />

produrre affermazioni valide sempre e per tutti<br />

sull’essere umano, ma riconoscere l’essere umano<br />

come quel vivente che, a differenza di tutti gli altri, è<br />

contrassegnato dal tratto dell’universalità.<br />

In un primo senso, una tradizione plurisecolare<br />

ha identifi cato l’universalità come differenza<br />

specifi ca dell’essere umano rispetto agli altri viventi,<br />

concependolo come “animale razionale”, ovvero come<br />

l’unico vivente capace di astrazione e di pensiero.<br />

In questo modo un aspetto specifi co - la razionalità<br />

- viene presentato come l’unico rilevante: l’umano è<br />

tale quando pensa, non quando sente, gioca, mangia,<br />

vive. Eppure, che cosa signifi ca “ragione”? Esiste<br />

davvero una razionalità disincarnata, disancorata<br />

dalle pratiche e dalle condizioni materiali e simboliche<br />

dell’agire e del comunicare?<br />

D’altra parte, il contrassegno dell’universalità è molto<br />

più profondo dell’idea essenzialista di una “natura<br />

umana”, perché può essere mantenuto anche quando<br />

si rinunci a dare una definizione dell’umano valida<br />

una volta per tutte. In un secondo senso, infatti,<br />

l’essere umano viene pensato come universale<br />

perché indeterminato, privo di differenza specifica, e<br />

dunque indefinibile. Questa indefinibilità può essere<br />

considerata come il frutto di una contingenza (grazie al<br />

dono del fuoco di Prometeo nel racconto di Platone),<br />

come un dono divino (Pico della Mirandola), come un<br />

tratto biologico (la tradizione antropologico-filosofica<br />

tedesca) o come un destino metafisico (la tradizione<br />

esistenzialista), ma si pone sempre negli stessi termini:<br />

l’essere umano non deve essere niente di specifico, e<br />

dunque può essere tutto. Anche qui, tuttavia, occorre<br />

chiedersi se questa indeterminatezza non sia una<br />

astrazione indebita: la condizione umana è mutevole,<br />

ma le sue trasformazioni sono sempre determinate da<br />

condizioni contingenti di carattere ambientale, storico,<br />

simbolico. Come pensare questa mutevolezza?<br />

Come coniugare il bisogno di orientarsi a partire da<br />

un’immagine dell’essere umano con l’esigenza di<br />

salvaguardarne la costitutiva apertura e plasticità?<br />

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DÉPARTEMENT HUMANISME NUMÉRIQUE - POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />

Anche se sfugge tanto all’idea di una defi nizione<br />

specifi ca quanto all’idea di una pura indeterminatezza,<br />

la condizione umana non è semplicemente<br />

condannata alla frammentarietà, come se le<br />

sue diverse confi gurazioni fossero singolarità<br />

morfologiche chiuse. Le forme della humana<br />

communitas non sono mai isolate, ma comunicano, e<br />

solo nello spazio di questa comunicazione è possibile<br />

individuare una communis humanitas. L’intreccio<br />

delle fi gure singolari e la loro storia materiale<br />

tesse la trama di ciò che chiamiamo “umanità”,<br />

non intendendola come un un terminus ad quem,<br />

ma come una condizione esplorabile, nella quale<br />

abitiamo e alla quale non smettiamo di rivolgerci. In<br />

quanto umani, condividiamo esigenze fi siologiche,<br />

pratiche e strutture simboliche che costituiscono un<br />

punto di partenza costante per nuove relazioni, in<br />

cui la differenza e la comunanza sono le condizioni<br />

dell’ospitalità. In questa comunanza, l’ultima parola<br />

sull’umano non può mai essere pronunciata.<br />

tra filologia e fisiologia<br />

Se si recupera la specifi cità storica della tradizione<br />

umanistica si trova una serie di risorse che possono<br />

essere identifi cate come strumenti per comprendere<br />

il senso della communis humanitas. Riprendendo<br />

Vico, Milad Doueihi profi la l’umanesimo digitale<br />

come un’operazione costitutivamente fi lologica. Per<br />

Giambattista Vico la fi lologia non è semplicemente<br />

quella disciplina che ricostruisce e interpreta<br />

documenti scritti, ma è anche quella «coscienza del<br />

Certo» che costituisce la «cognizione delle Lingue, e<br />

de’ Fatti de’ popoli, così in casa, come sono i costumi,<br />

e le leggi, come fuori, quali sono le guerre, le paci,<br />

l’alleanze, i viaggi, i commerzi».<br />

La fi lologia si presenta come una scienza della cultura<br />

tout court, che si orienta a partire da coordinate<br />

metodologiche molto precise: la fi lologia non è<br />

teoria, non è pura contemplazione, né speculazione.<br />

Il fi lologo parte da documenti, e più in generale da<br />

oggetti: il suo dominio è la sfera delle cose tangibili,<br />

dalla materialità dei singoli alla concretezza dei<br />

reperti. Solo a partire da un’analisi attenta di queste<br />

cose, il fi lologo è capace di accedere alla dimensione<br />

simbolica, ai discorsi e alle pratiche che queste cose<br />

sottendono.<br />

In questo senso, l’umanesimo digitale è materialista<br />

perché è fi lologico: il suo materialismo non va però<br />

confuso con una posizione che riduca l’essere<br />

umano alla dimensione materiale. Piuttosto esso<br />

rappresenta un’impostazione metodologica che<br />

implica una tesi generale sulla cultura: ogni sfera<br />

simbolica o valoriale, ogni prassi teorica o culturale<br />

esiste sulla base di condizioni materiali specifi che,<br />

ovvero di oggetti, risorse, pratiche, rapporti di forza e<br />

di lavoro, contesti ambientali.<br />

L’appello a un metodo fi lologico non implica però<br />

una assolutizzazione della scrittura e del libro come<br />

forme privilegiate di trasmissione della cultura. Al<br />

contrario, la fi lologia è qui intesa come una teoria<br />

della medialità, in cui l’attitudine fi lologica interroga<br />

la trasformazione delle nostre idee di ragione, di<br />

comunicazione e di azione in un’epoca segnata dal<br />

passaggio dal modello tipografi co alle tecnologie<br />

digitali. Solo riconoscendo che la condizione umana è<br />

sempre situata tecnologicamente è possibile sfuggire<br />

all’alternativa tra due forme altrettanto astratte di<br />

particolarismo e di indeterminatezza.<br />

Se si valorizza questo rapporto di co-implicazione tra<br />

tecnologie, processi di produzione della soggettività e<br />

immaginari, il metodo fi lologico non è più la semplice<br />

applicazione, dall’esterno, di un sapere formale già<br />

strutturato. Ogni oggetto pone le sue domande ed<br />

esige lo sviluppo di un metodo particolare. Nello<br />

specifi co gli oggetti del “fi lologo digitale” sono quelli<br />

che si trovano ovunque negli spazi pubblici delle<br />

società industrializzate: la nuova fi lologia si occupa<br />

di schermi e applicazioni, reti e cloud, profi li e servizi<br />

di condivisione.<br />

Una diretta conseguenza di questa impostazione è<br />

la centralità della dimensione corporea: seguendo<br />

l’esempio nietzschiano, la fi lologia è quindi una<br />

fi siologia. Il riferimento fi siologico non va inteso<br />

in senso allegorico, ovvero sulla base di una<br />

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DÉPARTEMENT HUMANISME NUMÉRIQUE - POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />

qualche metafora diagnostica, per cui si considera<br />

la società o il mondo come un corpo da analizzare<br />

chirurgicamente. Al contrario, l’idea di una «fi siologia<br />

della cultura» rimanda all’esigenza di fondare le<br />

analisi di qualsiasi genere - anche di carattere etico<br />

e simbolico - sul riconoscimento della centralità di un<br />

corpo che non può essere pensato né come supporto<br />

naturale di una supposta “facoltà cognitiva superiore”,<br />

né come oggetto che obbedisca prometeicamente<br />

a una pura progettualità. La corporeità è anzi la<br />

dimensione in cui diviene più evidente il carattere<br />

situato dell’esperienza umana, in cui la possibilità<br />

della trasformazione non sfugge a una rete di<br />

condizioni, presupposti, opportunità.<br />

un’etiCa eD estetiCa Degli affetti<br />

Sulla base di questo approccio fi lologico, un’etica<br />

umanista del digitale non può essere concepita<br />

come una formulazione teorica astratta, come<br />

l’elaborazione di un modello generale da applicare<br />

aprioristicamente a qualsiasi caso singolo. Piuttosto,<br />

in questa prospettiva la dimensione normativa<br />

emerge dalla descrizione stessa, lasciando che<br />

sia la condizione tecnologica specifi ca dell’umano<br />

digitalizzato a determinare quali sono i problemi,<br />

quali le opportunità, quali i pericoli e le aspettative da<br />

mobilitare.<br />

Più a fondo, il modello alla base di una concezione<br />

etica umanista non può essere quello ingenuamente<br />

teleologico, strutturato secondo una successione<br />

lineare di mezzi e fi ni. La storia della tecnologia<br />

insegna che il cosiddetto “progresso” è un percorso<br />

accidentato e composto da contingenze, esattamenti,<br />

cambi improvvisi di rotta e potenzialità inesplorate.<br />

Un’etica progettuale tiene conto della co-produzione<br />

di tecnologia e cultura. L’ingegnere che progetta<br />

l’oggetto tecnico non deve solo ridurre i rischi o<br />

minimizzre i danni: se da un lato è infl uenzato dal<br />

contesto tecnologico, economico e culturale in cui<br />

agisce, al tempo stesso sta progettando valori,<br />

producendo immaginari. In quest’ottica gli oggetti<br />

tecnici non possono essere concepiti né come<br />

semplici strumenti, né come un destino che determina<br />

a priori la nostra forma di vita.<br />

Un approccio fi lologico alle tematiche etiche pensa la<br />

relazione strutturale tra corpo, ambiente tecnologico<br />

e sfera socio-culturale. I problemi etici e culturali non<br />

sopraggiungono in un secondo momento, ma sono<br />

già incorporati nei processi di progettazione - prima<br />

- e di implementazione sociale - poi - dei dispositivi<br />

e delle pratiche tecnologiche. Nello stesso modo, la<br />

tecnologia non è una dimensione “seconda” rispetto a<br />

una presunta esperienza corporea “naturale”: il nostro<br />

rapporto con la tecnologia è innanzitutto affettivo,<br />

perché ogni tecnologia determina una confi gurazione<br />

specifi ca della nostra sensibilità e della nostra<br />

motilità. Per questa ragione un’etica così concepita è<br />

innanzitutto un’estetica nel senso di una teoria della<br />

sensibilità: tutti i problemi etici sono radicati nella<br />

nostra costituzione materiale, che ci confi gura come<br />

esseri sensibili e mediali, permeabili al mondo.<br />

Alla luce di questo intreccio, la rilevanza della<br />

tradizione teologica cristiana per gli umanismi storici<br />

assume un signifi cato molto specifi co. La teologia<br />

qui non va intesa come un elenco di dottrine, o come<br />

una rifl essione speculativa su ciò che trascende<br />

l’esperienza: al contrario, la tradizione teologica ci<br />

offre un thesaurus di analisi dell’esperienza umana.<br />

Da questo punto di vista l’antropologia teologica<br />

cristiana può essere compresa come una descrizione<br />

fenomenologica di modi possibili di abitare il mondo,<br />

ma anche dei momenti che eccedono questa<br />

dimensione: gli interstizi, le fratture, i momenti di<br />

trascendenza e di estasi sono una parte costitutiva<br />

dell’esperienza umana tanto quanto i processi di<br />

codeterminazione tra individuo e mondo. L’essere<br />

umano è sempre nel mondo, ma gli appartiene<br />

l’esperienza di non essere del mondo: anche questa<br />

sfumatura di senso contribuisce alla ricchezza del<br />

nostro sentire. Questa tradizione antropologica<br />

ha sviluppato un apparato ricchissimo di risorse<br />

destinate a pensare gli aspetti della nostra esperienza<br />

irriducibili alla dimensione puramente “mondana”.<br />

Tanto più questo strumentario si rivela prezioso per il<br />

fi lologo degli ambienti digitali.<br />

L’intreccio di etica ed estetica determina il carattere<br />

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DÉPARTEMENT HUMANISME NUMÉRIQUE - POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />

critico dell’umanesimo digitale qui proposto. La critica,<br />

intesa come capacità di esercitare una sensibilità<br />

irriducibile alla semplice sfera argomentativa, consiste<br />

in quel krinein, quel discernere che si modella<br />

progressivamente attraverso l’esperienza delle cose<br />

stesse, e non tramite l’applicazione dall’alto di un<br />

metodo pre-determinato. Questa posizione si trova in<br />

piena risonanza con la prospettiva interazionale, che<br />

intende la rifl essione etica a partire da un impegno<br />

diretto con i casi tecnologici concreti.<br />

È il caso di ricordare che la cultura digitale è una<br />

cultura del discreto. Già nella tradizione teologica<br />

e umanistica, il termine “discretio” ha un doppio<br />

signifi cato. In un primo senso, la discretio è la capacità<br />

del discernere, di esplorare la realtà assecondando<br />

con consapevolezza il ritmo delle cose. In questo<br />

senso è importante sottolineare che un’etica della<br />

tecnica fl essibile non propone per questo modelli<br />

vaghi, o poco solidi: al contrario, l’obiettivo è quello<br />

di rispettare il principio della massima aderenza alla<br />

concretezza del caso di volta in volta in esame.<br />

In un secondo senso, la discrezione è un’arte della<br />

giusta distanza: da Cassiano a Baltasar Graciàn,<br />

un’etica discreta sa avvicinarsi alle cose nel<br />

modo giusto, prenderne la misura. Un esempio di<br />

questa capacità è la vita del monaco: non si tratta<br />

di un ripiegamento su di sé, ma di un esercizio<br />

prospettico in cui poter bilanciare la conoscenza<br />

di sé, l’interazione con il mondo e la ricerca di<br />

Dio. Possiamo prendere le distanze dal mondo<br />

perché questo non è mai un semplice dato che<br />

ci si presenta in modo univoco. Lo stesso vale per<br />

la nostra storia: la tradizione non è un destino.<br />

ConClusione<br />

Il gesto di tornare alla tradizione umanistica non ha<br />

nulla di nostalgico. Non c’è alcuna verità originaria<br />

da recuperare, nessuna età dell’oro da riprodurre.<br />

La premessa di questo indirizzo è la consapevolezza<br />

che il nostro stesso passato non ci è trasparente, e<br />

che la nostra storia può offrirci continuamente risorse<br />

nuove e insperate. Ciò che cerchiamo dalla storia<br />

della cultura non sono verità sepolte, ma strumenti<br />

teorici capaci di riorientare il nostro sguardo sulle cose<br />

e analisi esperienziali che entrino in risonanza con<br />

la nostra condizione contemporanea. Ripercorrere i<br />

sentieri dell’umanesimo classico, cercare ciò che in<br />

essi rimane di impensato, può aiutarci a comprendere<br />

cosa l’umanesimo può - e cosa non può più - essere<br />

oggi.<br />

Questo signifi ca pensare un umanesimo<br />

che attinge alla tradizione, ma i cui sforzi sono<br />

orientati al futuro. L’umanesimo digitale che alimenta<br />

il nostro progetto non difende alcuna immagine<br />

precostituita dell’essere umano, non è concepito per<br />

“salvare” alcunché a fronte del progresso. Non è un<br />

umanesimo contro o per il digitale: la sfi da è concepire<br />

le tecnologie digitali non come oggetto, ma come<br />

soggetto del discorso umanistico e dell’elaborazione<br />

etica. L’esigenza alla base dell’umanesimo digitale<br />

è pensare fi no in fondo la nostra stessa costituzione<br />

tecnica ed elaborare una rifl essione teorica ed etica<br />

sulla condizione umana che non sia semplicemente<br />

applicata alla tecnologia, ma che sorga dal nostro<br />

rapporto costitutivo con essa. In questa chiave, un<br />

confronto diretto e attento con gli effettivi sviluppi<br />

delle singole tecnologie non permette l’elaborazione<br />

di una “teoria generale del digitale”, ma richiede la<br />

messa a punto di strumenti ermeneutici e critici per<br />

esplorare i problemi etici e teorici che emergono dalle<br />

trasformazioni tecnologiche stesse, dall’analisi delle<br />

pratiche e delle loro condizioni materiali. Non una<br />

teoria, ma una fi lologia del digitale.<br />

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