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Département Humanisme numérique<br />
POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />
per un umanesimo<br />
Digitale CritiCo
Con questo breve testo programmatico il<br />
Dipartimento Humanisme numérique intende<br />
posizionarsi nel dibattito contemporaneo sulla<br />
nozione di «umanesimo digitale» e delineare le<br />
proprie prospettive di ricerca future a partire<br />
dal lavoro condotto dai propri ricercatori dalla<br />
fondazione del Dipartimento ad oggi .
DÉPARTEMENT HUMANISME NUMÉRIQUE - POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />
anCora un umanesimo?<br />
La nozione di umanesimo viene costantemente<br />
richiamata nel dibattito relativo alle trasformazioni<br />
tecnologiche in corso e alle loro implicazioni culturali,<br />
etiche e politiche, e la sua introduzione ha quasi<br />
sempre esiti fortemente polarizzanti. La proposta di<br />
un “umanesimo digitale” sembra per lo più rispondere<br />
alla seguente domanda: come si può “restare umani”<br />
in un mondo caratterizzato dalla presenza pervasiva<br />
della tecnologia? Come garantire cioè la salvaguardia<br />
dei valori e degli ideali propriamente umani in un<br />
contesto nel quale la nostra vita dipende in misura<br />
sempre maggiore da infrastrutture tecnologiche, e nel<br />
quale queste stesse infrastrutture sembrano operare<br />
con crescente autonomia? O, detto diversamente,<br />
come e dove stabilire i limiti delle tecnologie, nel<br />
momento in cui queste appaiono potenzialmente<br />
illimitate, tanto da riconfi gurare radicalmente la<br />
nostra condizione corporea e mentale? Al di là delle<br />
risposte, questi interrogativi presuppongono una<br />
serie di assunti antropologici ed etici non sempre<br />
esplorati fi no in fondo.<br />
Per altro verso, secondo alcuni il termine stesso di<br />
“umanesimo digitale” sarebbe ormai inattuale: perché<br />
appellarsi ancora all’umanesimo in un’epoca segnata<br />
dall’erosione dei confi ni tra umano e non-umano?<br />
Riproporre un «umanesimo» non comporta il rischio<br />
di cadere nuovamente in una forma di indebita<br />
cristallizzazione di una “natura umana universale”,<br />
che distingue - all’interno dell’umano - ciò che è<br />
umano da ciò che non lo è, fi ssando come necessarie<br />
e atemporali categorie storicamente e culturalmente<br />
connotate? Al tempo stesso, rifarsi alla tradizione<br />
“umanistica” non signifi ca implicitamente sminuire<br />
le forme di oppressione e violenza sistemica che<br />
essa ha generato, con i suoi esiti antropocentrici ed<br />
eurocentrici?<br />
Dato questo contesto, è impossibile utilizzare il<br />
termine “umanesimo” in modo ingenuo, senza tener<br />
conto delle sue complesse implicazioni storiche e<br />
culturali. Al tempo stesso, l’appello a una posizione<br />
umanista non può consistere in una semplice reazione<br />
ad alcune tendenze culturali del nostro tempo, un<br />
generico tentativo di difendere o salvare “l’umano”<br />
contro quelle correnti - ad esempio alcune forme di<br />
post-umanesmo e di anti-umanesimo - che da questo<br />
modello vorrebbero prendere defi nitivamente le<br />
distanze.<br />
Al contrario, un uso consapevole e adeguato della<br />
nozione di umanesimo passa proprio per il rifi uto<br />
di ogni defi nizione astratta. La pluralità delle fi gure<br />
concrete della tradizione umanistica costituisce una<br />
riserva ricca di risorse teoriche e culturali, un tesoro<br />
stratifi cato e complesso che non è ancora stato<br />
esplorato fi no in fondo. Insomma, l’umanesimo si dice<br />
in molti modi, e solo valorizzando le sue potenzialità<br />
inespresse e rifi utando le semplifi cazioni è possibile<br />
mostrare in che senso oggi esso resta non solo una<br />
possibilità, ma addirittura un’esigenza.<br />
L’accostamento con il termine “digitale” introduce<br />
poi un’ulteriore diffi coltà: come conservare<br />
un’impostazione umanista, che si è storicamente<br />
fondata sulla cultura del libro e della pagina scritta,<br />
in un contesto tecnologico in cui la trasmissione del<br />
senso passa sempre più attraverso schermi che<br />
integrano parole, immagini e suoni? Anche in questo<br />
caso occorre mobilitare una diversa sensibilità<br />
storica, che interpreti la tecnologia non come un<br />
correlato esteriore del discorso umanistico, ma<br />
anzi come un punto focale dell’impegno di quella<br />
tradizione. Ogni epoca - ovvero: ogni confi gurazione<br />
tecno-sociale - ha il suo umanesimo: dalla paideia<br />
greca al Rinascimento italiano, dal razionalismo<br />
illuminista fi no alla sensibilità per i diritti umani<br />
nel XX secolo, la rifl essione umanistica pone da<br />
sempre le sue domande proprio a partire dal nesso<br />
tra vita e tecnologia. La storia degli umanesimi - al<br />
plurale - rivela la centralità di questo nesso: non si<br />
tratta in prima battuta di esprimere un giudizio di<br />
valore sulla tecnologia, ma anzi di riconoscere che è<br />
impossibile pensare la nostra umanità senza tenere<br />
in considerazione gli ambienti tecnici, le pratiche,<br />
i contesti simbolici e gli immaginari in cui essa si<br />
esprime e continuamente si riconfi gura.<br />
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DÉPARTEMENT HUMANISME NUMÉRIQUE - POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />
non solo un’antropologia<br />
Dire “umanesimo” signifi ca non volersi limitare a<br />
una semplice descrizione dell’essere umano. Ogni<br />
umanesimo si fonda su un’antropologia implicita, ma<br />
non può essere ridotto a quest’ultima: gli è connaturato<br />
un riferimento alla sfera normativa, un discorso<br />
non sui fatti, ma sui valori. Indipendentemente<br />
dall’esigenza di trovare una defi nizione dell’umano,<br />
il punto fondamentale è che una descrizione<br />
puramente empirica non è ancora suffi ciente, perché,<br />
diversamente da quanto vale per gli altri viventi,<br />
non basta nascere umani per essere umani. Anche<br />
l’antropologia fi losofi ca degli ultimi due secoli ha<br />
riconosciuto che per diventare umani è necessario<br />
un continuo lavoro di autoplasmazione, tanto etica<br />
quanto tecnica.<br />
Occorre quindi riconoscere i tratti che identifi cano<br />
il registro del discorso umanista a partire dalle<br />
modalità specifi che dell’essere e del diventare<br />
umani. Elaborando la proposta di un umanesimo<br />
digitale, Milad Doueihi ha scritto - sulla scorta di Lévi-<br />
Strauss - che il discorso antropologico ha focalizzato<br />
l’attenzione sull’esplorazione dell’altro, e dunque<br />
sulla scoperta di altri valori, altre culture, altre forme<br />
di vita: a fronte di questo sforzo, un umanesimo pone<br />
l’accento sull’altrimenti, sulla costitutiva multimodalità<br />
della condizione umana. Essere umani signifi ca<br />
sempre, al tempo stesso, poter essere, ma soprattutto<br />
poter essere in diverse modalità.<br />
Il riferimento a questa multimodalità permette di<br />
ripensare la complessa relazione tra umanesimo e<br />
universalismo. In prima battuta, questa relazione si<br />
presenta come l’ambizione di produrre un discorso<br />
condiviso da tutti sulla “natura” dell’essere umano o<br />
sui valori che la contraddistinguono: in questo caso,<br />
occorre mostrare che un umanesimo consapevole<br />
non deve necessariamente ambire a stabilire teorie o<br />
norme valide sempre e per tutti, trans-culturalmente<br />
e trans-storicamente.<br />
L’universalità, tuttavia, non è solo un obiettivo teorico<br />
o etico-politico: essa non riguarda solo la forma del<br />
discorso umanista sulla natura e sui valori umani,<br />
ma viene chiamata in causa innanzitutto come tratto<br />
specifi co dell’umano in quanto tale. In un senso più<br />
profondo, infatti, l’universalismo umanista consiste<br />
nel pensare l’umano come il luogo dell’universale.<br />
Secondo questa impostazione, il punto non è tanto<br />
produrre affermazioni valide sempre e per tutti<br />
sull’essere umano, ma riconoscere l’essere umano<br />
come quel vivente che, a differenza di tutti gli altri, è<br />
contrassegnato dal tratto dell’universalità.<br />
In un primo senso, una tradizione plurisecolare<br />
ha identifi cato l’universalità come differenza<br />
specifi ca dell’essere umano rispetto agli altri viventi,<br />
concependolo come “animale razionale”, ovvero come<br />
l’unico vivente capace di astrazione e di pensiero.<br />
In questo modo un aspetto specifi co - la razionalità<br />
- viene presentato come l’unico rilevante: l’umano è<br />
tale quando pensa, non quando sente, gioca, mangia,<br />
vive. Eppure, che cosa signifi ca “ragione”? Esiste<br />
davvero una razionalità disincarnata, disancorata<br />
dalle pratiche e dalle condizioni materiali e simboliche<br />
dell’agire e del comunicare?<br />
D’altra parte, il contrassegno dell’universalità è molto<br />
più profondo dell’idea essenzialista di una “natura<br />
umana”, perché può essere mantenuto anche quando<br />
si rinunci a dare una definizione dell’umano valida<br />
una volta per tutte. In un secondo senso, infatti,<br />
l’essere umano viene pensato come universale<br />
perché indeterminato, privo di differenza specifica, e<br />
dunque indefinibile. Questa indefinibilità può essere<br />
considerata come il frutto di una contingenza (grazie al<br />
dono del fuoco di Prometeo nel racconto di Platone),<br />
come un dono divino (Pico della Mirandola), come un<br />
tratto biologico (la tradizione antropologico-filosofica<br />
tedesca) o come un destino metafisico (la tradizione<br />
esistenzialista), ma si pone sempre negli stessi termini:<br />
l’essere umano non deve essere niente di specifico, e<br />
dunque può essere tutto. Anche qui, tuttavia, occorre<br />
chiedersi se questa indeterminatezza non sia una<br />
astrazione indebita: la condizione umana è mutevole,<br />
ma le sue trasformazioni sono sempre determinate da<br />
condizioni contingenti di carattere ambientale, storico,<br />
simbolico. Come pensare questa mutevolezza?<br />
Come coniugare il bisogno di orientarsi a partire da<br />
un’immagine dell’essere umano con l’esigenza di<br />
salvaguardarne la costitutiva apertura e plasticità?<br />
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DÉPARTEMENT HUMANISME NUMÉRIQUE - POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />
Anche se sfugge tanto all’idea di una defi nizione<br />
specifi ca quanto all’idea di una pura indeterminatezza,<br />
la condizione umana non è semplicemente<br />
condannata alla frammentarietà, come se le<br />
sue diverse confi gurazioni fossero singolarità<br />
morfologiche chiuse. Le forme della humana<br />
communitas non sono mai isolate, ma comunicano, e<br />
solo nello spazio di questa comunicazione è possibile<br />
individuare una communis humanitas. L’intreccio<br />
delle fi gure singolari e la loro storia materiale<br />
tesse la trama di ciò che chiamiamo “umanità”,<br />
non intendendola come un un terminus ad quem,<br />
ma come una condizione esplorabile, nella quale<br />
abitiamo e alla quale non smettiamo di rivolgerci. In<br />
quanto umani, condividiamo esigenze fi siologiche,<br />
pratiche e strutture simboliche che costituiscono un<br />
punto di partenza costante per nuove relazioni, in<br />
cui la differenza e la comunanza sono le condizioni<br />
dell’ospitalità. In questa comunanza, l’ultima parola<br />
sull’umano non può mai essere pronunciata.<br />
tra filologia e fisiologia<br />
Se si recupera la specifi cità storica della tradizione<br />
umanistica si trova una serie di risorse che possono<br />
essere identifi cate come strumenti per comprendere<br />
il senso della communis humanitas. Riprendendo<br />
Vico, Milad Doueihi profi la l’umanesimo digitale<br />
come un’operazione costitutivamente fi lologica. Per<br />
Giambattista Vico la fi lologia non è semplicemente<br />
quella disciplina che ricostruisce e interpreta<br />
documenti scritti, ma è anche quella «coscienza del<br />
Certo» che costituisce la «cognizione delle Lingue, e<br />
de’ Fatti de’ popoli, così in casa, come sono i costumi,<br />
e le leggi, come fuori, quali sono le guerre, le paci,<br />
l’alleanze, i viaggi, i commerzi».<br />
La fi lologia si presenta come una scienza della cultura<br />
tout court, che si orienta a partire da coordinate<br />
metodologiche molto precise: la fi lologia non è<br />
teoria, non è pura contemplazione, né speculazione.<br />
Il fi lologo parte da documenti, e più in generale da<br />
oggetti: il suo dominio è la sfera delle cose tangibili,<br />
dalla materialità dei singoli alla concretezza dei<br />
reperti. Solo a partire da un’analisi attenta di queste<br />
cose, il fi lologo è capace di accedere alla dimensione<br />
simbolica, ai discorsi e alle pratiche che queste cose<br />
sottendono.<br />
In questo senso, l’umanesimo digitale è materialista<br />
perché è fi lologico: il suo materialismo non va però<br />
confuso con una posizione che riduca l’essere<br />
umano alla dimensione materiale. Piuttosto esso<br />
rappresenta un’impostazione metodologica che<br />
implica una tesi generale sulla cultura: ogni sfera<br />
simbolica o valoriale, ogni prassi teorica o culturale<br />
esiste sulla base di condizioni materiali specifi che,<br />
ovvero di oggetti, risorse, pratiche, rapporti di forza e<br />
di lavoro, contesti ambientali.<br />
L’appello a un metodo fi lologico non implica però<br />
una assolutizzazione della scrittura e del libro come<br />
forme privilegiate di trasmissione della cultura. Al<br />
contrario, la fi lologia è qui intesa come una teoria<br />
della medialità, in cui l’attitudine fi lologica interroga<br />
la trasformazione delle nostre idee di ragione, di<br />
comunicazione e di azione in un’epoca segnata dal<br />
passaggio dal modello tipografi co alle tecnologie<br />
digitali. Solo riconoscendo che la condizione umana è<br />
sempre situata tecnologicamente è possibile sfuggire<br />
all’alternativa tra due forme altrettanto astratte di<br />
particolarismo e di indeterminatezza.<br />
Se si valorizza questo rapporto di co-implicazione tra<br />
tecnologie, processi di produzione della soggettività e<br />
immaginari, il metodo fi lologico non è più la semplice<br />
applicazione, dall’esterno, di un sapere formale già<br />
strutturato. Ogni oggetto pone le sue domande ed<br />
esige lo sviluppo di un metodo particolare. Nello<br />
specifi co gli oggetti del “fi lologo digitale” sono quelli<br />
che si trovano ovunque negli spazi pubblici delle<br />
società industrializzate: la nuova fi lologia si occupa<br />
di schermi e applicazioni, reti e cloud, profi li e servizi<br />
di condivisione.<br />
Una diretta conseguenza di questa impostazione è<br />
la centralità della dimensione corporea: seguendo<br />
l’esempio nietzschiano, la fi lologia è quindi una<br />
fi siologia. Il riferimento fi siologico non va inteso<br />
in senso allegorico, ovvero sulla base di una<br />
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DÉPARTEMENT HUMANISME NUMÉRIQUE - POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />
qualche metafora diagnostica, per cui si considera<br />
la società o il mondo come un corpo da analizzare<br />
chirurgicamente. Al contrario, l’idea di una «fi siologia<br />
della cultura» rimanda all’esigenza di fondare le<br />
analisi di qualsiasi genere - anche di carattere etico<br />
e simbolico - sul riconoscimento della centralità di un<br />
corpo che non può essere pensato né come supporto<br />
naturale di una supposta “facoltà cognitiva superiore”,<br />
né come oggetto che obbedisca prometeicamente<br />
a una pura progettualità. La corporeità è anzi la<br />
dimensione in cui diviene più evidente il carattere<br />
situato dell’esperienza umana, in cui la possibilità<br />
della trasformazione non sfugge a una rete di<br />
condizioni, presupposti, opportunità.<br />
un’etiCa eD estetiCa Degli affetti<br />
Sulla base di questo approccio fi lologico, un’etica<br />
umanista del digitale non può essere concepita<br />
come una formulazione teorica astratta, come<br />
l’elaborazione di un modello generale da applicare<br />
aprioristicamente a qualsiasi caso singolo. Piuttosto,<br />
in questa prospettiva la dimensione normativa<br />
emerge dalla descrizione stessa, lasciando che<br />
sia la condizione tecnologica specifi ca dell’umano<br />
digitalizzato a determinare quali sono i problemi,<br />
quali le opportunità, quali i pericoli e le aspettative da<br />
mobilitare.<br />
Più a fondo, il modello alla base di una concezione<br />
etica umanista non può essere quello ingenuamente<br />
teleologico, strutturato secondo una successione<br />
lineare di mezzi e fi ni. La storia della tecnologia<br />
insegna che il cosiddetto “progresso” è un percorso<br />
accidentato e composto da contingenze, esattamenti,<br />
cambi improvvisi di rotta e potenzialità inesplorate.<br />
Un’etica progettuale tiene conto della co-produzione<br />
di tecnologia e cultura. L’ingegnere che progetta<br />
l’oggetto tecnico non deve solo ridurre i rischi o<br />
minimizzre i danni: se da un lato è infl uenzato dal<br />
contesto tecnologico, economico e culturale in cui<br />
agisce, al tempo stesso sta progettando valori,<br />
producendo immaginari. In quest’ottica gli oggetti<br />
tecnici non possono essere concepiti né come<br />
semplici strumenti, né come un destino che determina<br />
a priori la nostra forma di vita.<br />
Un approccio fi lologico alle tematiche etiche pensa la<br />
relazione strutturale tra corpo, ambiente tecnologico<br />
e sfera socio-culturale. I problemi etici e culturali non<br />
sopraggiungono in un secondo momento, ma sono<br />
già incorporati nei processi di progettazione - prima<br />
- e di implementazione sociale - poi - dei dispositivi<br />
e delle pratiche tecnologiche. Nello stesso modo, la<br />
tecnologia non è una dimensione “seconda” rispetto a<br />
una presunta esperienza corporea “naturale”: il nostro<br />
rapporto con la tecnologia è innanzitutto affettivo,<br />
perché ogni tecnologia determina una confi gurazione<br />
specifi ca della nostra sensibilità e della nostra<br />
motilità. Per questa ragione un’etica così concepita è<br />
innanzitutto un’estetica nel senso di una teoria della<br />
sensibilità: tutti i problemi etici sono radicati nella<br />
nostra costituzione materiale, che ci confi gura come<br />
esseri sensibili e mediali, permeabili al mondo.<br />
Alla luce di questo intreccio, la rilevanza della<br />
tradizione teologica cristiana per gli umanismi storici<br />
assume un signifi cato molto specifi co. La teologia<br />
qui non va intesa come un elenco di dottrine, o come<br />
una rifl essione speculativa su ciò che trascende<br />
l’esperienza: al contrario, la tradizione teologica ci<br />
offre un thesaurus di analisi dell’esperienza umana.<br />
Da questo punto di vista l’antropologia teologica<br />
cristiana può essere compresa come una descrizione<br />
fenomenologica di modi possibili di abitare il mondo,<br />
ma anche dei momenti che eccedono questa<br />
dimensione: gli interstizi, le fratture, i momenti di<br />
trascendenza e di estasi sono una parte costitutiva<br />
dell’esperienza umana tanto quanto i processi di<br />
codeterminazione tra individuo e mondo. L’essere<br />
umano è sempre nel mondo, ma gli appartiene<br />
l’esperienza di non essere del mondo: anche questa<br />
sfumatura di senso contribuisce alla ricchezza del<br />
nostro sentire. Questa tradizione antropologica<br />
ha sviluppato un apparato ricchissimo di risorse<br />
destinate a pensare gli aspetti della nostra esperienza<br />
irriducibili alla dimensione puramente “mondana”.<br />
Tanto più questo strumentario si rivela prezioso per il<br />
fi lologo degli ambienti digitali.<br />
L’intreccio di etica ed estetica determina il carattere<br />
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DÉPARTEMENT HUMANISME NUMÉRIQUE - POS<strong>IT</strong>ION PAPER<br />
critico dell’umanesimo digitale qui proposto. La critica,<br />
intesa come capacità di esercitare una sensibilità<br />
irriducibile alla semplice sfera argomentativa, consiste<br />
in quel krinein, quel discernere che si modella<br />
progressivamente attraverso l’esperienza delle cose<br />
stesse, e non tramite l’applicazione dall’alto di un<br />
metodo pre-determinato. Questa posizione si trova in<br />
piena risonanza con la prospettiva interazionale, che<br />
intende la rifl essione etica a partire da un impegno<br />
diretto con i casi tecnologici concreti.<br />
È il caso di ricordare che la cultura digitale è una<br />
cultura del discreto. Già nella tradizione teologica<br />
e umanistica, il termine “discretio” ha un doppio<br />
signifi cato. In un primo senso, la discretio è la capacità<br />
del discernere, di esplorare la realtà assecondando<br />
con consapevolezza il ritmo delle cose. In questo<br />
senso è importante sottolineare che un’etica della<br />
tecnica fl essibile non propone per questo modelli<br />
vaghi, o poco solidi: al contrario, l’obiettivo è quello<br />
di rispettare il principio della massima aderenza alla<br />
concretezza del caso di volta in volta in esame.<br />
In un secondo senso, la discrezione è un’arte della<br />
giusta distanza: da Cassiano a Baltasar Graciàn,<br />
un’etica discreta sa avvicinarsi alle cose nel<br />
modo giusto, prenderne la misura. Un esempio di<br />
questa capacità è la vita del monaco: non si tratta<br />
di un ripiegamento su di sé, ma di un esercizio<br />
prospettico in cui poter bilanciare la conoscenza<br />
di sé, l’interazione con il mondo e la ricerca di<br />
Dio. Possiamo prendere le distanze dal mondo<br />
perché questo non è mai un semplice dato che<br />
ci si presenta in modo univoco. Lo stesso vale per<br />
la nostra storia: la tradizione non è un destino.<br />
ConClusione<br />
Il gesto di tornare alla tradizione umanistica non ha<br />
nulla di nostalgico. Non c’è alcuna verità originaria<br />
da recuperare, nessuna età dell’oro da riprodurre.<br />
La premessa di questo indirizzo è la consapevolezza<br />
che il nostro stesso passato non ci è trasparente, e<br />
che la nostra storia può offrirci continuamente risorse<br />
nuove e insperate. Ciò che cerchiamo dalla storia<br />
della cultura non sono verità sepolte, ma strumenti<br />
teorici capaci di riorientare il nostro sguardo sulle cose<br />
e analisi esperienziali che entrino in risonanza con<br />
la nostra condizione contemporanea. Ripercorrere i<br />
sentieri dell’umanesimo classico, cercare ciò che in<br />
essi rimane di impensato, può aiutarci a comprendere<br />
cosa l’umanesimo può - e cosa non può più - essere<br />
oggi.<br />
Questo signifi ca pensare un umanesimo<br />
che attinge alla tradizione, ma i cui sforzi sono<br />
orientati al futuro. L’umanesimo digitale che alimenta<br />
il nostro progetto non difende alcuna immagine<br />
precostituita dell’essere umano, non è concepito per<br />
“salvare” alcunché a fronte del progresso. Non è un<br />
umanesimo contro o per il digitale: la sfi da è concepire<br />
le tecnologie digitali non come oggetto, ma come<br />
soggetto del discorso umanistico e dell’elaborazione<br />
etica. L’esigenza alla base dell’umanesimo digitale<br />
è pensare fi no in fondo la nostra stessa costituzione<br />
tecnica ed elaborare una rifl essione teorica ed etica<br />
sulla condizione umana che non sia semplicemente<br />
applicata alla tecnologia, ma che sorga dal nostro<br />
rapporto costitutivo con essa. In questa chiave, un<br />
confronto diretto e attento con gli effettivi sviluppi<br />
delle singole tecnologie non permette l’elaborazione<br />
di una “teoria generale del digitale”, ma richiede la<br />
messa a punto di strumenti ermeneutici e critici per<br />
esplorare i problemi etici e teorici che emergono dalle<br />
trasformazioni tecnologiche stesse, dall’analisi delle<br />
pratiche e delle loro condizioni materiali. Non una<br />
teoria, ma una fi lologia del digitale.<br />
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