Catalogo download - Matthias Brandes
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mi hanno permesso di contemplare il dipinto<br />
nel suo insieme. E quello che ho visto mi ha<br />
comunicato una malinconia struggente.<br />
Su un isolotto brullo, che si immagina essere<br />
la cima di una montagna o uno scoglio al<br />
centro del mare, le case sono così strette l’una<br />
all’altra da aver perso la consueta posizione<br />
eretta. Eppure non danno l’impressione di<br />
stare per cadere. Mai. Massicce, monolitiche,<br />
apparentemente composte da un unico blocco<br />
di pietra il cui spazio interno è solo un’illusione<br />
creata dalle rare finestre cieche e dai portoni<br />
bui, quelle costruzioni appaiono inamovibili.<br />
Eterne. Inscatolate sotto un cielo così limpido<br />
da sembrare un asettico sottovuoto, danno<br />
l’idea di stare lì da sempre, come le pietre di<br />
Stonhenge, immerse in un tempo immobile.<br />
Non c’è tempo che trascorre, nei dipinti<br />
di <strong>Brandes</strong>, perché non c’è narrazione. La<br />
scansione equilibrata degli spazi, la tavolozza<br />
essenziale (ridotta agli ocra e ai grigi dei<br />
muri, ai verdi cupi degli alberi e alzata solo<br />
dallo squillo rosso dei tetti), parlano un<br />
linguaggio emotivo e immediato che non ha<br />
bisogno di storia. E’ un linguaggio costruito su<br />
ritmi precisi e armoniosi, come una partitura<br />
musicale, capace di toccare le corde più<br />
profonde del nostro essere. Questa pittura<br />
non fornisce né cerca spiegazioni. La sua<br />
logica – se una logica vi si può trovare – è<br />
quella dei sogni. Forse, si potrebbe azzardare,<br />
quella delle libere associazioni freudiane.<br />
Probabilmente non succede così, ma mi piace<br />
immaginare <strong>Matthias</strong> che dipinge una casa.<br />
Dritta, imponente, appena alleggerita nella<br />
propria austera presenza dalle quattro finestre<br />
ad arco - cieche, naturalmente - se ne sta lì,<br />
al centro del quadro. Una volta dipinta quella,<br />
ecco che il pittore sente l’esigenza di crearne<br />
un’altra, ma questa volta completamente stesa<br />
a terra (il tetto rosso è laterale), e poi un’altra<br />
ancora, un po’ inclinata, e poi un campanile,<br />
un cipresso, una cupola, come in un flusso di<br />
coscienza.<br />
Sia che mantengano un se pur minimo grado<br />
di realtà, perché adagiate su una roccia o sulla<br />
superficie calma dell’acqua, sia che si rivelino<br />
gli elementi di una natura morta appoggiata<br />
su un tavolo dalla tovaglia immacolata, le case<br />
di <strong>Matthias</strong> <strong>Brandes</strong> mi danno la sensazione di<br />
essere tutte parte di un unico, lungo sogno.<br />
E le variazioni minime che distinguono una<br />
tela dall’altra sono inviti a una contemplazione<br />
lenta: sfide ingaggiate con lo spettatore per<br />
mettere alla prova le sue percezioni. Ma se<br />
quel giocare con le emozioni e le suggestioni<br />
e quell’inquietudine sotterranea non sono<br />
tanto distanti dalle piazze di De Chirico e dagli<br />
enigmi surrealisti, su tutto, sempre, domina<br />
un’armonia squisitamente quattrocentesca,<br />
dove ogni dubbio alla fine si placa nelle perfette<br />
volumetrie di Piero della Francesca.<br />
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