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Rosalba Carriera - a lume di candela

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ROSALBA CARRIERA<br />

<strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> è’ una pittrice <strong>di</strong> grande<br />

talento che coltiva estimatori in Francia, in<br />

Germania, in Inghilterra e che nel 1705<br />

entra a far parte dell’Accademia <strong>di</strong> San<br />

Luca e in seguito della Accademia Reale <strong>di</strong><br />

pittura <strong>di</strong> Parigi. I suoi lavori, miniature,<br />

pastelli, <strong>di</strong>segni, sono molto ambiti e ben<br />

pagati, ricercati da nobili e ambasciatori<br />

perché un ritratto fatto dalla virtuosa<br />

<strong>Rosalba</strong> aumenterebbe “il pregio del<br />

soggetto (che) risveglierebbe a più giusto<br />

titolo l’ammirazione” del pubblico. Morì più<br />

che ottantenne, cieca, dopo aver prodotto<br />

uno straor<strong>di</strong>nario numero <strong>di</strong> opere d’arte<br />

che stu<strong>di</strong>osi e critici sottopongono oggi a<br />

nuove revisioni, anche alla luce dell’attività<br />

delle artiste della sua scuola.<br />

“Un concentrato <strong>di</strong> vivacità, grazia ed espressione”: questo il giu<strong>di</strong>zio lapidario ed entusiasta che<br />

il Mercure de France aveva de<strong>di</strong>cato al<br />

morceau de réception, una Musa al seguito <strong>di</strong><br />

Apollo, inviato da <strong>Rosalba</strong> all'Accademia<br />

parigina <strong>di</strong> pittura e scultura che l'aveva<br />

accolta tra i suoi membri nel 1722. Un giu<strong>di</strong>zio<br />

che sintetizza efficacemente sia il carattere<br />

della ritrattistica a pastello <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong>, capace<br />

<strong>di</strong> fondere la svaporata grazia settecentesca<br />

con la sottile introspezione psicologica del<br />

personaggio effigiato, sia la ragione stessa del<br />

suo incre<strong>di</strong>bile successo internazionale. Spetta<br />

a <strong>Rosalba</strong>, infatti, l'aver dato nuovo impulso e<br />

definizione a questo genere pittorico,<br />

sottraendolo ad una resa troppo realistica e<br />

paludata a favore, invece, <strong>di</strong> una <strong>di</strong>mensione<br />

edulcorata e intimista della raffigurazione del<br />

‘vero’ fino a rendere il ritratto una


‘irrinunciabile moda’.<br />

Ma non solo grazia, concetto dominante dell'estetica settecentesca, ma anche sottile malizia<br />

traspaiono nei suoi personaggi femminili, siano essi dame, allegorie, raffigurazioni mitologiche.<br />

Nel percorso culturale <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong>, abile<br />

<strong>di</strong>segnatrice e miniaturista, e, <strong>di</strong> conseguenza, nel<br />

suo stile, confluiscono sollecitazioni e apporti vari,<br />

pittorici, letterari e musicali, che nella materia<br />

polverosa del pastello hanno il più efficace mezzo<br />

espressivo.<br />

Per sod<strong>di</strong>sfare le innumerevoli richieste <strong>di</strong> una<br />

committenza soprattutto straniera, colta ed<br />

esigente, un ruolo essenziale era esercitato<br />

dall'atelier tutto femminile della pittrice, nel quale<br />

operavano le sorelle, Angela e soprattutto<br />

Giovanna, che si occupava <strong>di</strong> eseguire le repliche e<br />

talvolta le rifiniture. Ma alla scuola <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> si<br />

sono formate e lavoravano altre celebri pastelliste,<br />

Felicita Sartori, l'allieva pre<strong>di</strong>letta, e Marianna<br />

Carlevaris, rendendo oltremodo arduo definire i<br />

confini <strong>di</strong> eventuali collaborazioni o il ruolo delle singole artiste, e per l'intensa produzione <strong>di</strong><br />

repliche, e per la mancanza <strong>di</strong> sicuri termini <strong>di</strong> confronto. L'atelier <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> era anche un luogo<br />

<strong>di</strong> incontro, una sede privilegiata <strong>di</strong> dotte <strong>di</strong>scussioni pittoriche, letterarie e musicali ben nota non<br />

solo al bel mondo veneziano, ma anche alla cultura europea, come riportano i carteggi e le<br />

memorie dei grand tour.<br />

Gli otto pastelli esposti facevano parte della collezione che i nobili Pisani dal Banco, gran<strong>di</strong> cultori<br />

dell’arte, avevano raccolto nella loro residenza <strong>di</strong> campagna, la sontuosa villa <strong>di</strong> Stra. I rapporti<br />

tra la famiglia e <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> sono certificati dall’incarico accordato alla pittrice da Almorò II<br />

Francesco per il ritratto della moglie Isabella Correr.<br />

Il patrimonio dei Pisani venne, nella seconda metà del Settecento, <strong>di</strong>lapidato dagli ere<strong>di</strong> e la villa<br />

<strong>di</strong> Stra con le sue suppellettili fu venduta a Napoleone nel 1807. Gli oggetti fortunatamente non<br />

furono rimossi dalla loro sede. Una ricerca dei nostri <strong>di</strong>segni negli inventari <strong>di</strong> Stra ha messo in<br />

evidenza la presenza nel 1806, poco prima della ven<strong>di</strong>ta, “Di <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong>. Mezze figure a<br />

pastella. 6 … Dette d’incerto, pure a pastello poste al Letto 2. Tutti otto hanno le cornici dorate e<br />

bel cristallo” (Gallo 1945). La generica descrizione potrebbe riferirsi alle opere oggi esposte, che<br />

compaiono in un elenco <strong>di</strong> due anni successivo come “8 quadri a Pastela <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong>. 6 de quali<br />

rappresentano 6 Cibile, e 2 immagini”.


Metteva in dubbio l’autografia della <strong>Carriera</strong> Pietro Edwards, che redasse nel 1810 nuovi<br />

inventari, designando i pastelli quali “Copie <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong>”, “due Imagini <strong>di</strong>vote e 6 Ritrati <strong>di</strong><br />

Signore” e ancora “cose passabili”(Pavanello<br />

2005). In un momento non precisato,<br />

probabilmente con le ristrutturazioni dei Savoia,<br />

la serie passò nel Palazzo Reale <strong>di</strong> Venezia.<br />

Successivi riscontri inventariali, relativi sia agli<br />

anni sabau<strong>di</strong> che a quelli successivi al passaggio<br />

dei Beni della Corona al Demanio dello Stato,<br />

consentono <strong>di</strong> ricostruire il destino delle otto<br />

figure fino all’attuale collocazione: quattro <strong>di</strong><br />

esse negli uffici della Soprintendenza <strong>di</strong> Palazzo<br />

Ducale, due allegorie nell’appartamento del<br />

Prefetto e i due soggetti religiosi nei depositi<br />

delle Gallerie dell’Accademia.<br />

Sei pastelli raffigurano allegorie, tema più volte<br />

trattato e replicato dall'atelier <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong>:<br />

eccetto le due raffigurazioni riconducibili ad un<br />

ciclo delle stagioni, le rimanenti quattro che<br />

reggono tutte un libro, non possono essere identificate con sicurezza per la grande libertà con la<br />

quale l'artista si ispirava all'Iconologia del Ripa, il repertorio mitologico e iconografico più usato<br />

dai pittori settecenteschi. Ciò nonostante, non è escluso possa rappresentare la Filosofia che


caccia le tenebre dell'Ignoranza la figura sovrastata da una stella, o la Poesia la raffigurazione con<br />

una coroncina <strong>di</strong> stelle. Potrebbero essere queste quattro allegorie quelle già pubblicate nel 1976<br />

come opere <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> e riproposte nella monografia dell'artista, nel 1988, come opere <strong>di</strong><br />

collezione privata veneziana, anche se non si può escludere si tratti <strong>di</strong> una ulteriore serie <strong>di</strong><br />

repliche, per le quali, comunque, si ritiene probabile un'attribuzione all'atelier dell'artista, in anni<br />

successivi al viaggio parigino <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> (1720-1721).<br />

Le figurazioni allegoriche delle Stagioni furono un tema più volte affrontato da <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong><br />

nel decennio compreso tra il 1720 e il 1730, come si evince dai suoi carteggi.<br />

Le opere più significative sono quelle visibili a Windsor nelle Collezioni Reali, e a San Pietroburgo,<br />

all'Ermitage, dove se ne conservano serie complete. L'Inverno della collezione <strong>di</strong> Palazzo Reale è<br />

molto simile, anche nelle misure, al pastello con il medesimo soggetto presente nelle Collezioni<br />

Reali <strong>di</strong> Windsor <strong>di</strong> cui potrebbe essere una replica.<br />

Appare sotto le sembianze <strong>di</strong> una giovane donna dalla carnagione <strong>di</strong>afana e lo sguardo<br />

melanconico, cinta da una morbida stola <strong>di</strong> ermellino che lascia scoperta parte del busto.<br />

Leggermente ruotata verso destra, con gesto elegante e sensuale trattiene con la mano sinistra la<br />

pelliccia e parte del manto drappeggiato <strong>di</strong> colore rosso scuro. Il pastello realizzato con tratto<br />

leggero e luminoso, colpisce per la morbidezza e delicatezza dei toni. Anche l'Estate richiama in<br />

maniera evidente l’opera con analogo soggetto delle Collezioni Reali <strong>di</strong> Windsor, avvicinata dalla<br />

critica alla Terra della Gemäldegalerie <strong>di</strong> Dresda.<br />

L'impostazione della figura, una donna giovane a mezzo busto, è la stessa: leggermente ruotata<br />

verso destra, regge un piccolo cesto con frutta e fiori tipicamente estivi. Benché più rigido<br />

nell'esecuzione e semplice nella resa cromatica e nella realizzazione dei panneggi, il <strong>di</strong>segno<br />

risulta, in ogni caso, vicino alla versione inglese.<br />

I pastelli a carattere religioso, meno numerosi,<br />

rientrano tra le opere destinate alle stanze private<br />

e alle cappelle dei nobili. Il soggetto del Cristo fu<br />

trattato varie volte da <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong>, ma,<br />

purtroppo, gli esempi noti finora alla critica,<br />

conservati a Dresda, andarono <strong>di</strong>spersi con la<br />

seconda guerra mon<strong>di</strong>ale. Il pastello esposto, <strong>di</strong><br />

notevole efficacia espressiva, presenta una<br />

raffigurazione del Cristo bene<strong>di</strong>cente a mezzo<br />

busto, ove compaiono entrambe le mani, a<br />

<strong>di</strong>fferenza delle altre versioni note.


TECNICA<br />

La delicata raffigurazione della Madonna orante, che<br />

denuncia una grande padronanza della tecnica<br />

esecutiva, si pone in relazione con la serie <strong>di</strong> pastelli<br />

dello stesso tema <strong>di</strong> Dresda e <strong>di</strong> Ca’ Rezzonico, nella<br />

comune suggestione dei modelli cinquecenteschi e, in<br />

particolare, del Correggio. Nella medesima Galleria <strong>di</strong><br />

Dresda sono conservate due miniature, riferite a<br />

Felicita Sartori, che ripropongono fedelmente entrambi<br />

i soggetti. Nel riallacciarsi ad una tra<strong>di</strong>zione già<br />

consolidata, <strong>Rosalba</strong>, nella produzione sacra, non<br />

riesce ad esprimere pienamente la raffinata e<br />

maliziosa eleganza che caratterizza i suoi famosi<br />

ritratti, pur mantenendo quel tono <strong>di</strong> mirabile 'grazia'<br />

che le valse le entusiastiche lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> chi vedeva in lei<br />

“...l'ornamento d'Italia e [la] prima pittrice de<br />

l'Europa.”(C.Cole, 1705).<br />

Il pastello è un tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>segno eseguito con colori a forma <strong>di</strong> cannelli cilindrici, chiamati pastelli,<br />

che si ottengono impastando polveri colorate con acqua resa agglutinante da leggere soluzioni <strong>di</strong><br />

gomma arabica. L'impasto viene modellato e ridotto in bastoncini colorati che sono poi lasciati<br />

essiccare prima dell'uso. I pastelli, che variano per durezza e qualità dovute alla composizione,<br />

possono essere impiegati su qualsiasi supporto che risulti abbastanza ruvido, in grado <strong>di</strong><br />

trattenere il colore quando questo è sfregato sulla superficie. Generalmente si utilizza la carta e<br />

dalla sua consistenza <strong>di</strong>pende anche la buona riuscita del <strong>di</strong>segno. Il colore si attacca<br />

<strong>di</strong>rettamente al supporto per adesione, riempiendo i vuoti della grana della carta su cui si <strong>di</strong>pinge.<br />

La stesura del pastello avviene, infatti, con leggera pressione della mano, ricorrendo talvolta<br />

all'uso <strong>di</strong>retto delle <strong>di</strong>ta o <strong>di</strong> uno sfumino che consentono <strong>di</strong> raggiungere una maggiore fusione dei<br />

toni e delicate gradazioni cromatiche, mentre le <strong>di</strong>verse tonalità <strong>di</strong> colore sono ottenute<br />

<strong>di</strong>rettamente per impasto. Questa tecnica richiede grande abilità e sicurezza nell'esecuzione:<br />

lascia, infatti, poco spazio a ripensamenti e ritocchi, poiché non è possibile ripassare più volte col<br />

colore sul lavoro già impostato.<br />

La morbidezza dei toni, l'aspetto vellutato e vaporoso, gli effetti d'imme<strong>di</strong>ata rispondenza resero<br />

questa tecnica particolarmente apprezzata nel Rococò e proprio a <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> e al suo atelier<br />

va il merito <strong>di</strong> aver reso famoso il pastello impiegato nell'esecuzione dei ritratti, mezzo che<br />

consentiva, infatti, <strong>di</strong> rendere, con notevole efficacia e rapi<strong>di</strong>tà, i colori dell’incarnato, la<br />

lucentezza dei capelli, la raffinatezza delle stoffe delle vesti. Alla stessa pittrice si deve un


affascinante scritto, che si conserva all'Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Venezia (Brusatin 2005), intitolato<br />

"Maniere <strong>di</strong>verse per formare i colori nella Pittura". Attraverso la lettura <strong>di</strong> questo interessante<br />

trattato, che si presenta sotto forma <strong>di</strong> un vero e proprio ricettario, veniamo a conoscere i segreti<br />

dell'artista sul modo <strong>di</strong> ottenere i colori della sua preziosa tavolozza e su come questi fossero poi<br />

utilizzati, con puntualità, nella realizzazione dei ritratti.<br />

Recenti acquisizioni fotografiche delle opere esposte intendono evidenziare la precisione della<br />

tecnica esecutiva, che rispecchia le in<strong>di</strong>cazioni riportate nel manoscritto citato.<br />

La tinta dei capelli castagni<br />

si fa con un punto <strong>di</strong> nero<br />

con la sesta tinta dei chiari<br />

(R. <strong>Carriera</strong>, "Maniere <strong>di</strong>verse<br />

per formare i colori nella Pittura").<br />

Nel punto <strong>di</strong> luce si metta un punto<br />

<strong>di</strong> bianco, e sulla pupilla un punto<br />

nero, il contorno dell'occhio si carica<br />

con una tinta bruna, ed il resto <strong>di</strong><br />

tinta celeste, composta da una<br />

piccola punta <strong>di</strong> blu nella biacca.<br />

Per far li occhi bruni si fa nel punto<br />

della luce come negli azzurri.<br />

Il contorno si empie <strong>di</strong> una tinta<br />

bruna, ed il resto della luce con<br />

una piccola punta <strong>di</strong> nero alla sesta<br />

tinta de' chiari.<br />

(R. <strong>Carriera</strong>, Maniere <strong>di</strong>verse per<br />

formare i colori nella Pittura<br />

La carnagione tenera sia <strong>di</strong> donne,<br />

ragazzi o piccoli geni si fanno<br />

macinando una piccola punta <strong>di</strong><br />

cinabro nella biacca; locchè serve<br />

per i chiari più gran<strong>di</strong> delle carni.<br />

La tinta <strong>di</strong> carnagioni <strong>di</strong> donne,<br />

e <strong>di</strong> bambini si compone come la<br />

precedente <strong>di</strong> biacca, e <strong>di</strong> un ottavo<br />

<strong>di</strong> gialolino, eccettuato però che<br />

della quantità <strong>di</strong> carminio che vi<br />

entra vi sostituisce il doppio <strong>di</strong><br />

cinabro, e per gradazione si<br />

aumenta il cinabro più alla sesta<br />

tinta (R. <strong>Carriera</strong>, Maniere <strong>di</strong>verse<br />

per formare i colori nella Pittura).


<strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> (Venezia 1675 – 1757)<br />

<strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> nacque a Venezia nella parrocchia <strong>di</strong> San Basilio il 17 ottobre 1675 (Zava<br />

Boccazzi 1981). Il “padre era impiegato nelle podesterie, la madre Angela Foresti ricamava. È<br />

<strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>re quale fu la formazione della pittrice. Il primo <strong>di</strong>lemma che si presenta è se <strong>Rosalba</strong><br />

fosse allieva <strong>di</strong> qualche pittore veneziano o brillante auto<strong>di</strong>datta, cresciuta nella «bottega<br />

artigianale» della sua famiglia dove, cosa rara per l’epoca, la pratica del ricamo, e quin<strong>di</strong> del<br />

<strong>di</strong>segno, era unita ad una certa cultura letteraria e musicale. È certo che <strong>Rosalba</strong>, con le sorelle<br />

Giovanna e Angela, imparava il francese, la storia, la letteratura e infatti poté sempre scrivere le<br />

sue lettere ai corrispondenti stranieri in buon francese. Delle sorelle, Giovanna [andata sposa al<br />

pittore Antonio Pellegrini] si cimentò con componimenti petrarcheschi, e Angela seppe ben<br />

figurare alla corte del Pfalz a Düsseldorf facendo musica e recitando insieme ai virtuosi italiani”<br />

(Sani 1988).<br />

“Prima <strong>di</strong> mettersi a <strong>di</strong>pingere, questa sapiente giovinetta non aveva altra occupazione che<br />

tracciare modelli per i merletti chiamati punto Venezia, e quando passarono <strong>di</strong> moda si venne a<br />

trovare in grande imbarazzo, perché bisognava pur vivere, e né lei né i suoi genitori ne avevano<br />

i mezzi” (Mariette 1851-1853).<br />

Fin da ragazza però <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> aveva <strong>di</strong>mostrato inclinazione al <strong>di</strong>segno, e quando la<br />

famiglia tornò a Venezia, dopo gli incarichi del padre nelle cancellerie del Friuli, la giovinetta vi si<br />

applicò sistematicamente. Le fonti ricordano come suo primo maestro Giuseppe Diamantini, al<br />

quale seguì Antonio Balestra (Zanetti 1771; Campori 1866). “Ritornatosene il padre suo in<br />

Vinegia, e quivi fermata la sua <strong>di</strong>mora, ebbe <strong>Rosalba</strong> miglior agio <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are e <strong>di</strong> esercitarsi nella<br />

pittura; e fu allora che, oltre al lavorare ad olio, <strong>di</strong>edesi con più attenzione alla miniatura,<br />

producendo <strong>di</strong> quando in quando varie teste e mezze figure <strong>di</strong> buon gusto. Di queste però non<br />

era conosciuto né il pregio, né il valore, avendo ella cominciato a <strong>di</strong>pingerle sul rovescio dei<br />

coperchi <strong>di</strong> certe tabacchiere d’avorio ch’erano allora in gran pregio, lavorate con picciole borchie<br />

d’oro o d’argento, ma che tuttavia assai scarsamente le si pagavano per la miniatura” (Memorie<br />

intorno alla vita <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong>, 1755 [1843]).


Il passo verso una ritrattistica maggiore fu breve, e da subito le sue composizioni a pastello<br />

suscitarono l’interesse della nobiltà veneziana. Il 27 settembre 1705 fu ammessa all’Accademia<br />

<strong>di</strong> San Luca a Roma presentando una miniatura in avorio.<br />

La notorietà dell’artista, in crescente ascesa, trova conferma nelle numerose or<strong>di</strong>nazioni <strong>di</strong><br />

ritratti che le iniziarono a pervenire anche da parte <strong>di</strong> principi e signori <strong>di</strong> passaggio a Venezia.<br />

Ricevette infatti commissioni dal duca Cristiano <strong>di</strong> Meclemburgo (1706), da Federico IV <strong>di</strong><br />

Danimarca (1709), dall’elettore <strong>di</strong> Sassonia (1717).<br />

Nel marzo del 1720, assieme alla madre e alle due sorelle, accompagnata da Pellegrini, si recò a<br />

Parigi ospite <strong>di</strong> Pierre Crozat, che la introdusse nei fastosi ricevimenti dei personaggi <strong>di</strong> corte.<br />

Oltre a dare concerti assai apprezzati, essendo ella anche valente musicista, conobbe Watteau,<br />

Coypel, Rigaud e, soprattutto, eseguì numerosi ritratti che riscossero un notevole successo. A<br />

conferma <strong>di</strong> tale consenso fu ammessa, nell’ottobre dello stesso anno, all’Académie de Peinture<br />

<strong>di</strong> Parigi.<br />

Rientrata poco dopo fra le lagune, l’artista continuò a lavorare e a ricevere gratificazioni, come<br />

l’invito, formulato dall’imperatore Carlo VI, <strong>di</strong> recarsi a Vienna per ritrarre l’imperatrice (1630).<br />

“All’apice del suo successo, reduce dai trionfi parigini, quando si preparava a coglierne altri nel<br />

suo viaggio viennese, la pittrice accolse nella sua casa Felicita Sartori che sarebbe <strong>di</strong>ventata la<br />

sua allieva pre<strong>di</strong>letta” (Sani 2003).<br />

Sfortunatamente “verso il 1746 cominciò a manifestarsi in tutta la sua gravità una incurabile<br />

malattia agli occhi, cui tenne seguito un forte squilibrio mentale, sicché da tale momento<br />

<strong>Rosalba</strong> pose fine alla sua incre<strong>di</strong>bile operosità. Visse quin<strong>di</strong> in estrema tristezza i suoi ultimi<br />

anni fino al 15 ottobre 1757” (Cessi 1965), quando morì nella parrocchia <strong>di</strong> San Vio (Santi Vito e<br />

Modesto) a Venezia.<br />

Antonio Canaletto morì a Venezia il 18 aprile 1768 dopo “lungo compassionevole male” nella sua<br />

casa <strong>di</strong> corte Perina e venne sepolto nella vicina chiesa <strong>di</strong> San Lio. “Stranamente l’inventario dei<br />

suoi beni mostra una situazione patrimoniale assai meno brillante <strong>di</strong> quanto ci si sarebbe<br />

aspettato, stando alla sua conclamata esosità e alla enorme quantità <strong>di</strong> <strong>di</strong>pinti eseguiti. In<br />

realtà, Canaletto al momento della morte possedeva soltanto duemilacentocinquanta ducati in<br />

deposito presso la Scuola dei Luganegheri, destinati ad essere sud<strong>di</strong>visi tra le tre sorelle


sopravvissutegli, trecento ducati in contanti, pochi mobili <strong>di</strong> nessuna qualità, qualche gioiello <strong>di</strong><br />

scarso valore, ventotto <strong>di</strong>pinti rimasti nello stu<strong>di</strong>o e un modesto guardaroba composto perlopiù<br />

da abiti e mantelli vecchi e malandati” (Pedrocco 1995).<br />

“Discepola fu prima del Cav. Gio. Antonio Lazari Veneziano <strong>di</strong>lettante, poi del Cav. Diamantini, e<br />

in fine del Balestra, da cui molto apprese; e prendea consigli con gran modestia da ogni buon<br />

Pittore; e spezialmente da Antonio Pellegrini cognato suo, che non isdegnava talvolta <strong>di</strong><br />

comporre, e <strong>di</strong> apprestare anche pastelli all’uopo ch’ella ne avea” (Zanetti 1771).<br />

“Se dai maestri citati dalle fonti ben poco <strong>Rosalba</strong> poté apprendere, è certo che molto dovette<br />

giovarle lo stu<strong>di</strong>o degli esempi <strong>di</strong> ritrattistica del Bombelli e del Ghislan<strong>di</strong> [Fra Galgario] e della<br />

tavolozza chiara e vaporosa del cognato Giannantonio Pellegrini. Ma <strong>Rosalba</strong> seppe giungere da<br />

sola ad un sottile ed ine<strong>di</strong>to linguaggio con il quale coglie a volte anche i più labili umori interni<br />

dei ritrattati, leggeri e leziosi come le stoffe <strong>di</strong> cui sono adorni” (Donzelli 1957).<br />

La sua ritrattistica nasce, si può <strong>di</strong>re, già matura e si mantiene fedele, nel tempo, allo stato<br />

iniziale. “Ed è certo che <strong>Rosalba</strong>, neppure dopo il suo soggiorno parigino (1720-21), dove arrivò<br />

già celebre e ammiratissima, mutò <strong>di</strong> molto il suo modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere. [...] Nessuno seppe più<br />

della <strong>Carriera</strong> concretare e fondere dentro agli schemi allora <strong>di</strong> moda che rispecchiavano il gusto<br />

della società <strong>di</strong> quel tempo, un così profondo senso della bellezza, né portarlo a un così alto<br />

grado <strong>di</strong> purezza. Neanche i pur gran<strong>di</strong> ritrattisti francesi la superarono. Nei <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> costoro<br />

infatti si nota spesso qualcosa <strong>di</strong> crudo, <strong>di</strong> fotografico che ricorda troppo la materialità del vero;<br />

mentre in quelli <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> vi è sempre un calore, una luce e un profumo spirituale che li nobilita<br />

e ce li fa amare. [...] Ed è anche per merito <strong>di</strong> queste sue qualità, naturali e me<strong>di</strong>tate insieme,<br />

se il rococò nelle Lagune, tra il 1710 e il 1750, tocca forse il suo momento <strong>di</strong> maggiore incidenza<br />

internazionale, nel quale le forme <strong>di</strong> carattere più propriamente veneziano s’incontrano e si<br />

fondono felicemente con quelle <strong>di</strong> provenienza straniera (Martini 1982).<br />

“<strong>Rosalba</strong> seppe esprimere con forza impareggiabile la svaporata delicatezza dell’epoca. La<br />

Pastorella miniata della Galleria <strong>di</strong> San Luca è squisita come un Gabriel de Saint Aubin; [...]<br />

all’Accademia il ritratto del Car<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> Polignac può dar dei punti a molti La Tour e regge al<br />

migliore Peronneau. Le si presentavano come modelli le gentildonne più svaporate d’Europa? Ma<br />

che <strong>Rosalba</strong> riuscisse sempre a intravvedere un viso, a sentire una variazione minuta <strong>di</strong>


temperatura interna dove non sembrava essere che un piumino stinto <strong>di</strong> cipria e <strong>di</strong> rossetto,<br />

questo ripeto, mi par segno <strong>di</strong> forza” (Longhi 1946).<br />

L’Autoritratto, con il ritratto della sorella Giovanna in elaborazione tra le mani, inviato verso il<br />

1715 al granduca Cosimo III, ora agli Uffizi è forse la prima immagine che la pittrice offre <strong>di</strong> sé sui<br />

quarant’anni. In quest’opera, “la schiaritura della veste, ornata <strong>di</strong> delicati ricami, comporta una<br />

dosatura più nervosa <strong>di</strong> luci e <strong>di</strong> ombre nel viso, d’una schiettezza quasi popolana” (Pallucchini<br />

1994).<br />

Attorno al 1735 - 1740 esegue l’effigie <strong>di</strong> Caterina Barbarigo Sagredo (Eikemeier 1971). Donna<br />

“celebre a Venezia per bellezza, cultura e per la vita al <strong>di</strong> fuori dai canoni <strong>di</strong> comportamento<br />

delle nobili veneziane dell’epoca” (Sani 1988). “Il ritratto, simbolo della femminilità in chiave<br />

rococò, è certo un capolavoro <strong>di</strong> arguzia pittorica per il modo con il quale l’immagine femminile<br />

dolcemente libertina è incorniciata dal tricorno nero, dalla fluida capigliatura bruna, e dal<br />

manto blu scuro, ravvivato dal nastro rosso annodato sul petto; piacque molto, tanto da essere<br />

più volte replicato: se ne conoscono infatti due redazioni (una al Fogg Art Museum <strong>di</strong> Cambridge,<br />

l’altra, in sembianze <strong>di</strong> Berenice, al Detroit Institute of Arts <strong>di</strong> Detroit)” (Pallucchini 1994).<br />

Va detto in proposito che molti <strong>di</strong>pinti furono replicati in gran numero e in momenti <strong>di</strong>versi, ma<br />

non sempre dalla sua mano. <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> infatti ebbe numerose seguaci (la sorella<br />

Giovanna, Margherita Terzi, Marianna Carlevarijs, Felicita Sartori) e uno stuolo <strong>di</strong> imitatori.<br />

“Lo stile suo era nitido, lieto e facile: vaghissima la tinta senza scostarsi dal naturale, e il<br />

<strong>di</strong>segno ben regolato delle opere sue avea grazia nativa e nobile, non facile a trovarsi in pittura.<br />

Non riportò forse giammai tante vittorie sul cuore umano beltà femminile con le lusinghe,<br />

quante ne poté vantare <strong>Rosalba</strong> con le dotte sue opere” (Zanetti 1771).<br />

<strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> e i ritratti <strong>di</strong> Barbara Campanini<br />

Nel giugno del 1764 Joseph Smith, nominato nel 1735 console inglese a Venezia riceveva il<br />

saldo, da Sua Maestà il re Giorgio III d' Inghilterra, per la ven<strong>di</strong>ta al monarca della più parte<br />

delle sue collezioni. Il console aveva pazientemente raccolto, durante tutta la sua vita trascorsa<br />

a Venezia, una quadreria <strong>di</strong>venuta celebre in Europa, un'altrettanto nota biblioteca e una


preziosa collezione <strong>di</strong> incisioni e <strong>di</strong> <strong>di</strong>segni. La ven<strong>di</strong>ta era conseguente a un momento <strong>di</strong> crisi<br />

finanziaria che il console-mercante stava attraversando. Con un lavoro <strong>di</strong>plomatico <strong>di</strong> sottile<br />

abilità, egli aveva condotto <strong>di</strong>rettamente le trattative con la corte inglese, grazie anche all'aiuto<br />

<strong>di</strong> James Stuart MacKenzie, personaggio molto vicino al re, che seguiva i negoziati con la<br />

tesoreria dello Stato. Negli elenchi, compilati dallo stesso Smith, relativi alle incisioni e ai<br />

<strong>di</strong>segni, pervenuti poi, in seguito alla ven<strong>di</strong>ta, a Windsor Castle, risulta «un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> David<br />

Antonio Fossati» senza specificare il soggetto. Viene quin<strong>di</strong> assegnato al Fossati, con la nuova<br />

catalogazione, quest'unico <strong>di</strong>segno acquerellato, privo <strong>di</strong> contrassegni o <strong>di</strong> altra attribuzione,<br />

giunto nella raccolta reale. L'assegnazione è riproposta con formula dubitativa, tuttavia è ben<br />

nota la familiarità del Fossati con lo Smith per le numerose incisioni, eseguite su commissione <strong>di</strong><br />

quest'ultimo, soprattutto attorno al 1743.<br />

4. Davide Antonio Fossati (?), Barbara Campanini. Windsor Castle, Royal Library.<br />

L' acquerello in questione (mm. 220 x 165) raffigura una giovane dal volto «pienotto» (fig. 4)<br />

con un abito a fondo rosa, delineato a quadri con liste bianche, ed è ornato nello scollo da un<br />

mazzolino <strong>di</strong> fiori. Il modello dell'abito è alquanto singolare: è rigonfio, longhette (e quin<strong>di</strong> si<br />

vedono bene i pie<strong>di</strong>) ed è stretto in vita. L'atteggiamento dell 'effigiata (per ora anonima) è<br />

congeniale all'abito, poiché a evidenza si tratta <strong>di</strong> una ballerina nell'atto <strong>di</strong> iniziare un primo<br />

passo <strong>di</strong> danza, le braccia sono alzate con un movimento al ritmo <strong>di</strong> un ideale motivo musicale.


1. Davide Antonio Fossati (?), La graziosa Barberina sfortunata.<br />

Il <strong>di</strong>segno potrebbe essere del Fossati ma interessa il personaggio raffigurato, che sarebbe<br />

rimasto anonimo se non fosse apparso, in collezione privata <strong>di</strong> Vicenza, un ine<strong>di</strong>to <strong>di</strong>segno<br />

acquerellato (mm. 240 x 156,5), la cui effigiata è un'altra giovane (fig. 1), del tutto simile a<br />

quella <strong>di</strong> Windsor. Anche qui l'abito è rosa a righe bianche che formano scacchi, è longhette,<br />

stretto alla vita. Non ha il mazzolino <strong>di</strong> fiori nello scollo e il volto è leggermente più affilato. E'<br />

inoltre raffigurata mentre accenna a un lieve passo <strong>di</strong> danza, con le braccia protese verso l'alto<br />

e le mani lasciate andare a una sorta <strong>di</strong> aggraziato abbandono, sull'onda <strong>di</strong> un ritmo musicale. Il<br />

<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Windsor è, a evidenza, della stessa mano <strong>di</strong> questo conservato a Vicenza e il<br />

personaggio è il medesimo finalmente identificabile. Infatti, la redazione che si presenta reca nel<br />

lato inferiore l'iscrizione, coeva al <strong>di</strong>segno e stilata con inchiostro bruno: La graziosa Barberina<br />

/sfortunata. Questa <strong>di</strong>dascalia chiarisce l' identità del personaggio dei due acquerelli. Si tratta<br />

della stessa ballerina e l'aggiunta "sfortunata" fa supporre che il <strong>di</strong>segno sia stato eseguito a<br />

Venezia, ma non prima dell'aprile del 1744, e il personaggio non può essere altri che la famosa<br />

ballerina Barbara Campanini, celebre in tutta Europa e contesa dai teatri più importanti. Era<br />

nata a Parma nel 1721 e a <strong>di</strong>ciotto anni esor<strong>di</strong>va a Parigi assieme ad Antonio Rinal<strong>di</strong>, ballerino e<br />

scenografo, che l'aveva "scoperta" nel corpo <strong>di</strong> ballo del Teatro 'Farnese <strong>di</strong> Parma'. La


personalità vivace, la bravura, oltre che la bellezza, facilitarono a Barberina l'imme<strong>di</strong>ato<br />

successo a Parigi, dove anche il principe Vittorio Amedeo <strong>di</strong> Savoia Carignano non era rimasto<br />

insensibile al suo fascino e alle sue prestazioni artistiche.<br />

Per il carnevale del 1744 Barbara Campanini si trovava a Venezia, scritturata per il Teatro <strong>di</strong><br />

San Giovanni Grisostomo (oggi Teatro Malibran). Era giunta nella Repubblica Serenissima,<br />

accompagnata dall'inseparabile madre, Marianna Campanini, e da un "adoratore", sir James<br />

Stuart MacKenzie, rampollo <strong>di</strong> una importante e ricca famiglia scozzese (imparentata con<br />

l'omonimo interlocutore dello Smith a Londra). Barberina l'aveva conosciuto durante una<br />

brillante tournée a Londra nel 1740 e aveva commesso l'errore <strong>di</strong> innamorarsene, ma è anche<br />

vero che sir James l'aveva sempre seguita nei suoi spostamenti artistici fino a Venezia.<br />

Quin<strong>di</strong> Barberina poteva nutrire delle aspettative, anche perché in pubblico, molto spesso, lo<br />

chiamava "mio sposo" con la tacita accettazione dell'interessato.<br />

Probabilmente, <strong>di</strong>etro richiesta dello stesso Stuart, ma anche con i buoni uffici del console<br />

Smith, <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> acconsentì a fare il ritratto della Campanini, cosa non facile da ottenere<br />

poiché la pittrice, ormai anziana, era in quegli anni sommersa da commissioni, la più parte da<br />

famiglie principesche.<br />

2. Ritratto <strong>di</strong> Barbara Campanini. Londra, Walpole Gallery.<br />

3. Ritratto <strong>di</strong> Barbara Campanini. Dresda, Gemäldegalerie.


Il bellissimo ritratto <strong>di</strong> Barbara Campanini (fig. 3) è oggi nella Galleria <strong>di</strong> Dresda e la giovane<br />

donna appare, nella vaporosità del pastello, in tutto il suo splendore: leggermente posta <strong>di</strong> tre<br />

quarti, con aggraziata movenza, sorregge un lembo dell ' abito, quasi per far intuire l 'accenno a<br />

un primo passo <strong>di</strong> danza. <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> doveva aver trovato il personaggio congeniale e <strong>di</strong><br />

particolare considerazione, perché, com'era solita fare per certuni, aveva replicato il ritratto. E,<br />

infatti, apparso un secondo pastello (fig. 2), anch'esso <strong>di</strong> altissima qualità, nella mostra del<br />

Palazzo per le Belle Arti <strong>di</strong>Milano, <strong>di</strong> proprietà della Walpole Gallery. Nel relativo catalogo il<br />

ritratto viene etichettato Barberina Campani, errore abbastanza <strong>di</strong>ffuso. La ballerina è ritratta<br />

con la stessa elegante compostezza come appare in quello <strong>di</strong> Dresda. Posta leggermente <strong>di</strong> tre<br />

quarti, nell'atto <strong>di</strong> una movenza trattenuta, mentre sorregge il lembo dell'abito, che è simile all'<br />

altro, con fiocchi, fiori e pettorina <strong>di</strong> pizzo. Completa, anche qui, l'abbigliamento un filo <strong>di</strong> grosse<br />

perle a giro collo con i pendenti alle orecchie, inoltre un mazzetto <strong>di</strong> fiori, oltre che alla vita, è <strong>di</strong><br />

ornamento ai capelli assieme a un serto <strong>di</strong> perle. Il tutto reso con una sinfonia <strong>di</strong> azzurri, nella<br />

modulazione delle tonalità, accompagnata a un tocco <strong>di</strong> rosa e <strong>di</strong> bianco dei fiori.<br />

L'incanto dei décolleté appare delicato ed emana un soffio luminoso al bellissimo volto<br />

animato da un sorriso non <strong>di</strong>schiuso e dagli occhi penetranti. Sono appunto gli occhi che<br />

particolarmente attraggono per le <strong>di</strong>fferenze, seppure minime, che si notano nel confronto fra i<br />

due ritratti. Il pastello della Galleria <strong>di</strong> Dresda è del tutto simile all'altro, ma il taglio degli occhi<br />

è invece allungato leggermente a mandorla e lo sguardo è tendenzialmente obliquo. Mentre<br />

ton<strong>di</strong> sono gli occhi della seconda Barberina con lo sguardo reso più <strong>di</strong>retto, così come la<br />

struttura delle <strong>di</strong>ta, che reggono il lembo dell'abito, sono lisce e grassocce, mentre nell'e<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> Dresda appaiono più affilate e definite nel <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> contorno. Altro <strong>di</strong>fferente dettaglio è il<br />

mazzetto <strong>di</strong> fiori alla vita, reso con tocchi sicuri quello <strong>di</strong> Dresda; trattato più rapidamente,<br />

senza la scansione decisa dei petali è quello dell' e<strong>di</strong>zione apparsa a Milano.<br />

L' esistenza <strong>di</strong> una duplice redazione non deve destare meraviglia. E noto che <strong>Rosalba</strong> si<br />

affidasse alle sue allieve migliori, tra le quali la sorella "Nenetta" , oltre a Marianna Carlevarijs e<br />

Felicita Sartori, per le repliche sulle quali poi interveniva <strong>di</strong> persona per il tocco finale.<br />

Nel 1739 Federico Cristiano, figlio <strong>di</strong> Augusto III <strong>di</strong> Polonia, in occasione <strong>di</strong> una sua visita a<br />

Venezia, sembra chiedesse a <strong>Rosalba</strong> <strong>di</strong> poter acquistare tutti i ritratti (circa 40 pastelli) che


ornavano lo stu<strong>di</strong>o della pittrice, probabilmente erano tutte repliche <strong>di</strong> opere già licenziate<br />

dall'artista che avevano destato l'ammirazione del principe. Quin<strong>di</strong> è evidente che il "secondo<br />

ritratto" era quasi consuetu<strong>di</strong>ne con la <strong>di</strong>retta collaborazione delle allieve <strong>di</strong> una "bottega" in<br />

piena efficienza come doveva essere quella <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> negli anni Trenta-Quaranta. L' ideazione<br />

originale della composizione, tuttavia, restava pur sempre del capobottega. Qualche piccolo<br />

dettaglio poteva <strong>di</strong>fferenziarsi, ma non è determinante per la resa finale. Quin<strong>di</strong> non è facile<br />

riuscire a in<strong>di</strong>viduare l'eventuale collaboratrice della replica del ritratto <strong>di</strong> Barberina: lo stile è<br />

quanto mai affine a quello <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> e l' intervento<strong>di</strong> quest' ultima nell' effetto finale rende le<br />

due opere identiche.<br />

Il pastello raffigurante la Campanini era stato eseguito nel 1744, poiché in quell'anno la<br />

ballerina era a Venezia, ma in quell'anno Giovanna o "Nenetta" <strong>Carriera</strong>, la più valente delle<br />

collaboratrici, era già morta (1737), e Felicita Sartori nel 1741 era andata sposa a Dresda al<br />

consigliere <strong>di</strong> Augusto III, il <strong>di</strong>plomatico Hoffman: restava Marianna o Marietta Carlevarijs e<br />

qualche altra allieva non chiaramente in<strong>di</strong>viduabile. Quin<strong>di</strong> è <strong>di</strong>fficile avanzare anche qualche<br />

supposizione sull'eventuale aiuto. I due pastelli, entrambi bellissimi, con delicate vibrazioni nel<br />

colore degli incarnati, in contrasto con le tonalità più accese del blu delle vesti, sono<br />

stilisticamente vicini , per l' intensità cromatica, ai Quattro elementi (soprattutto il Fuoco) che<br />

<strong>Rosalba</strong> aveva eseguito tra il 1744 e il 1746 per Augusto III <strong>di</strong> Polonia e oggi nella<br />

Gemäldegalerie <strong>di</strong> Dresda. Barberina Campanini a Venezia, malgrado i continui successi,<br />

l'attenzione che le aveva riservato <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> e l' i<strong>di</strong>llio con sir James, aveva la grave<br />

preoccupazione <strong>di</strong> riuscire a sciogliere un contratto teatrale, stipulato ancora l'anno precedente<br />

a Parigi. L' impegno era importante, la scrittura era in<strong>di</strong>rettamente con Federico II re <strong>di</strong> Prussia,<br />

tramite il barone Chambrier, suo ministro plenipotenziario. Gli accor<strong>di</strong> stipulati erano ben<br />

precisi, poiché si trattava della serata per il lancio internazionale del nuovo teatro <strong>di</strong> Berlino,<br />

fatto costruire dal re soprattutto in concorrenza con quello <strong>di</strong> Vienna e per in<strong>di</strong>spettire Maria<br />

Teresa d'Austria. La Campanini voleva scindere il contratto ad ogni costo «causa gravi ragioni<br />

familiari», in realtà, sir James non aveva alcuna intenzione <strong>di</strong> seguirla ancora e, su consiglio <strong>di</strong><br />

mamma Marianna, non era il caso <strong>di</strong> allontanarsi senza <strong>di</strong> lui. Malgrado i <strong>di</strong>nieghi e le<br />

umanissime scuse <strong>di</strong> Barberina, Federico II «tuonava» da Berlino, poiché non intendeva


inunciare, per la stagione del suo teatro, alla ballerina più famosa d'Europa e ingiungeva al<br />

conte Cattaneo, suo ambasciatore presso la Serenissima, <strong>di</strong> portargli l'artista a Berlino in<br />

qualsiasi modo. Barberina subiva <strong>di</strong> conseguenza la soluzione più drastica: veniva rapita<br />

(beninteso assieme alla madre), con il tacito consenso della Repubblica <strong>di</strong> Venezia che non<br />

voleva «irritare» Federico II . Pertanto nell'opinione pubblica <strong>di</strong>veniva subito «la graziosa<br />

Barberina sfortunata», come scrive l'ignoto artista (o probabilmente il Fossati), che aveva<br />

eseguito i due <strong>di</strong>segni acquerellati, entrambi, forse, sulla memoria, nell'aprile del 1744, cioè<br />

dopo l'avvenuto rapimento, che tanto scalpore aveva fatto, soprattutto nell'ambiente teatrale<br />

veneziano. Giunta fortunosamente a Berlino (mentre allo Stuart, che intendeva raggiungerla a<br />

ogni costo, veniva interdetta l'entrata in Prussia), e condotta alla presenza del re, la «furente»<br />

Barberina si ammansiva e subiva, suo malgrado, il fascino intellettuale <strong>di</strong> Federico II,<br />

appassionato ed esperto musicologo e, convinta dall' eloquenza del monarca, ballò <strong>di</strong>vinamente<br />

sul palcoscenico del nuovo teatro <strong>di</strong> Berlino e anche qui ottenne i favori del pubblico.<br />

Cosa più incre<strong>di</strong>bile, scaduto il contratto, la Campanini rimaneva in Prussia con scritture<br />

vantaggiosissime con il teatro reale, <strong>di</strong>mentica, anche se con una punta <strong>di</strong> nostalgia, <strong>di</strong> sir<br />

James Stuart (rientrato nel frattempo in Inghilterra), e in seguito la sua vita a Berlino fu<br />

costellata non solo <strong>di</strong> successi teatrali, ma anche da vicende inusuali, romanzesche, quasi<br />

impensabili.<br />

<strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong>: un ritratto a olio <strong>di</strong> Giambattista Tiepolo<br />

1. <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong>, Ritratto <strong>di</strong> Giambattista Tiepolo trentenne.<br />

Venezia, collezione privata.<br />

Gli autoritratti <strong>di</strong> Giambattista Tiepolo non mancano <strong>di</strong> certo: per<br />

tutto l'arco della sua vita egli si è fatto un vanto <strong>di</strong> raffigurarsi in<br />

non pochi dei suoi <strong>di</strong>pinti, soprattutto, con una legittima punta <strong>di</strong><br />

orgoglio e consapevolezza, in quelli <strong>di</strong> grande impegno.<br />

Così, per seguire cronologicamente l'autoiconografia tiepolesca,<br />

sono ben noti alcuni esempi, facilmente identificabili data la<br />

fisionomia particolarmente caratteristica <strong>di</strong> Giambattista. Egli presenta, infatti, un volto


accentuatamente ovale e affilato, il naso molto pronunciato, camuso, ingobbito, col setto nasale<br />

storto e deviato verso la sinistra dello spettatore (parrebbe per un fatto traumatico, anziché<br />

congenito), l'attaccatura dei capelli piuttosto alta, una bocca un po' piccola e tumida dalle labbra<br />

carnose e molto sinuose e sensuali, il mento leggermente rivolto all'insù, gli occhi chiari. Inoltre,<br />

egli non nasconde <strong>di</strong> certo il suo carattere, volitivo, quasi aggressivo e, per il suo guardare<br />

lontano, al <strong>di</strong> sopra e all'infuori <strong>di</strong> tutto, un certo atteggiamento <strong>di</strong> superiorità.<br />

Fra gli autoritratti già noti e quegli altri che a me sembrano tali e in<strong>di</strong>cherò qui per la prima<br />

volta, cercando <strong>di</strong> farlo in or<strong>di</strong>ne verosimilmente cronologico, più o meno evidenti, credo<br />

anzitutto <strong>di</strong> poter proporre il "pennacchio", del 1715 circa, all' Ospedaletto con il giovane<br />

Apostolo ed evangelista Giovanni, il cui profilo è eguale a quell'altro autoritratto che ricorre nel<br />

<strong>di</strong>segno Accademia <strong>di</strong> nudo <strong>di</strong> cui si parlerà più avanti ed è lo stesso, in controparte, del Bacco<br />

nel Mito <strong>di</strong> Fetonte, a villa Baglioni <strong>di</strong> Massanzago, da porsi a ridosso del luglio 1718, <strong>di</strong> cui<br />

conferma ulteriormente l'autografia, intuita da Mariuz e Pavanello e del Trionfo <strong>di</strong> Davide del<br />

Louvre: una reiterazione della propria immagine <strong>di</strong>ventata stilema. Per la verità, a ben vedere<br />

questa tipologia abituale, forse potremmo riscontrarla ad<strong>di</strong>rittura nel piccolo <strong>di</strong>pinto su rame<br />

(unico a noi noto su questo supporto assieme alla splen<strong>di</strong>da Madonna col Bambino e San Filippo<br />

Neri del 1728, resa nota contemporaneamente da George Knox in "Arte Documento" e da<br />

Gemin e Pedrocco, che, a mio avviso, riproduce le fattezze <strong>di</strong> Cecilia e <strong>di</strong> Giandomenico (?) coll'<br />

Allegoria della morte (?), nel giovane che sostiene il vecchio avvicinandolo al sepolcro da cui<br />

fuoriesce lo scheletro con la clessidra.<br />

Anche per l'ovvietà della situazione che il soggetto comporta si è già riconosciuto l'autoritratto <strong>di</strong><br />

Giambattista nel pittore dell' Apelle e Campaspe <strong>di</strong> Montreal, attribuito al 1728-30, dove si<br />

raffigura al cavalletto intento a <strong>di</strong>pingere la splen<strong>di</strong>da, solare modella che altri non è che<br />

l'amatissima, altera Cecilia.<br />

Ne identificherei il profilo "perduto" nello sgherro che trattiene il Santo nel Martirio <strong>di</strong> San<br />

Bartolomeo della chiesa veneziana <strong>di</strong> San Stae, opera certa, almeno questa volta, documentata<br />

al 1722 (vale a questo proposito, quanto detto per il San Giovanni dell'Ospedaletto, il Bacco <strong>di</strong><br />

Massanzago e il <strong>di</strong>segno con la Scuola <strong>di</strong> Nudo).


Proponendosi in posizione frontale, svetta, sia pur con un certo giovanile imbarazzo, al centro<br />

dell'affresco del palazzo arcivescovile <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne Rachele nasconde gli idoli, ritenuto del 1727,<br />

quando Giambattista contava ormai la bellezza trentun anni..., anno <strong>di</strong> nascita del primogenito<br />

Giandomenico. E' l'unico caso a me noto, in cui egli si ritrae nella tipica posa dell'autoritratto,<br />

cioè con lo sguardo rivolto <strong>di</strong>ritto verso l'esterno, verso lo spettatore.<br />

Nel Trionfo <strong>di</strong> Mario, attualmente al Metropolitan <strong>di</strong> New York, ma eseguito per il salone <strong>di</strong><br />

palazzo Dolfin nel 1729, egli sbuca fuori sul lato sinistro della tela, fisso verso un punto<br />

indeterminato, né tutto dentro, né tutto fuori del <strong>di</strong>pinto: sarà la sua posa preferita, che<br />

ritroviamo, a una certa <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> tempo, circa il 1745 (o prima) nel soffitto <strong>di</strong> villa Pisani alla<br />

Mira, nota anche come villa Contarini per i precedenti proprietari, ora a Parigi, al Museo<br />

Jacquemart-André; poi, più tar<strong>di</strong>, circa il 1746-47, nel Convito <strong>di</strong> Cleopatra <strong>di</strong> Palazzo Labia,<br />

forse accanto all'inseparabile Mengozzi Colonna. Altro esempio, in controparte rispetto a questo,<br />

è nel modelletto già Broglio per il Martirio <strong>di</strong> sant'Agata, che sembra, pertanto, coevo all'affresco<br />

veneziano, anche per la stessa età dell'effigiato; fino al soffitto <strong>di</strong> Würzburg, del 1753, dove<br />

compare a fianco <strong>di</strong> un ventiseienne, splen<strong>di</strong>do Giandomenico, che, come si evince dal facile<br />

confronto, doveva aver assunto le proprie caratteristiche fisionomiche tutte dalla madre e punto<br />

dal padre.<br />

Non mi sento, invece, <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre l'opinione <strong>di</strong> chi ritiene autoritratto quello <strong>di</strong> Palazzo Clerici,<br />

del 1740 (a meno <strong>di</strong> restauri che lo abbiano stravolto): un vecchio dalla carnagione terrea, sul<br />

tipo della servente nella Danae <strong>di</strong> Stoccolma, molto segnato dall'età, quale il pittore non si<br />

rappresenta neppure a Würzburg. Curiosamente, invece, non sono riuscito a ritrovarlo nel<br />

soffitto <strong>di</strong> Madrid, il che mi fa pensare che ciò abbia a ricondursi, per esempio, a una clausola<br />

contrattuale (a meno che non sia imputabile a mia <strong>di</strong>sattenzione).<br />

Per quanto attiene ai <strong>di</strong>segni, unico esempio in cui, a mio sapere, compare un autoritratto del<br />

nostro, già rilevato anche dal Morassi, è il giovanile Scuola <strong>di</strong> nudo, già Rasini e Morassi: si<br />

tratta del personaggio <strong>di</strong> centro in primo piano, <strong>di</strong> spalle a trequarti, che mi sembra identico a<br />

quello più su proposto <strong>di</strong> San Stae. La porzione visibile del volto, un altro profilo perduto,<br />

allungato e dal naso assai pronunciato, è sufficiente per suggerire l'identificazione.<br />

Passando alle incisioni, è certamente il nostro Giambattista, quello che figura alla tavola V della


accolta: Compen<strong>di</strong>o delle vite de' pittori veneziani... con suoi ritratti tratti dal naturale delineati<br />

ed incisi da Alessandro Longhi veneziano... MDCCLXII; il che per<strong>di</strong>ppiù ci fa certi dell'esistenza<br />

del relativo <strong>di</strong>pinto a olio, ora perduto, eseguito dal giovane Longhi.<br />

Per chiudere, infine, il capitolo de<strong>di</strong>cato alla grafica, devo <strong>di</strong>re del ritratto che la critica<br />

ipoteticamente ritiene eseguito da Franz Joseph Degle a Giambattista. Tale ipotesi è formulata<br />

sulla base dell'altro, cosiddetto, ritratto <strong>di</strong> Giandomenico (della cui identità sono tutt'altro che<br />

certo, in quanto è del tutto <strong>di</strong>ssimile da quello sopracitato <strong>di</strong> Würzburg, né l'età del ritrattato<br />

corrisponde all'epoca <strong>di</strong> esecuzione), ora al museo <strong>di</strong> Berlino, effettivamente eseguito dal pittore<br />

<strong>di</strong> Augusta, ma datato 1773 ciò che esclude analoga paternità per un peraltro sconosciuto<br />

ritratto del Tiepolo maggiore. Né va sottovalutata la possibilità dell'esistenza <strong>di</strong> un autoritratto <strong>di</strong><br />

quest'ultimo, come, peraltro, è in<strong>di</strong>cato nel frontispizio, da cui Giandomenico derivò la prima<br />

della Raccolta <strong>di</strong> Teste..., ancorché esso risponda a requisiti troppo laudativi, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

quanto il Tiepolo padre faccia abitualmente, nei suoi autoritratti, assai più feroce, sincero e<br />

pungente.<br />

In mezzo a tanti esempi, però, mancava fino a oggi un vero, autonomo ritratto del pittore.<br />

Trovo pertanto <strong>di</strong> gran momento il poter segnalare una recentissima scoperta, che viene a<br />

colmare questa strana lacuna. Si tratta <strong>di</strong> uno splen<strong>di</strong>do <strong>di</strong>pinto, raffigurante il nostro<br />

Giambattista Tiepolo all'età <strong>di</strong> circa trent'anni, quin<strong>di</strong> databile attorno al 1726, in posa spavalda,<br />

quasi drammatica, e abito molto elegante. Il ritratto ha aspetto monumentale, il personaggio<br />

riempie la tela con assoluta padronanza spaziale, la pittura è quella veneziana della più alta<br />

qualità. La stesura del colore è morbida e lieve, con una larga gamma <strong>di</strong> tonalità chiare sia per<br />

l'incarnato, dove la materia pittorica si arricchisce per accentuare la luminosità, sia per la<br />

stupenda giacca celeste pallido su cui spiccano alcuni guizzi <strong>di</strong> luce. Le ombre sono tenere e<br />

fredde, così come freddo e incipriato e gessoso è il tono generale del <strong>di</strong>pinto; il <strong>di</strong>segno del viso,<br />

sul lato sinistro rispetto allo spettatore, dove è situata la fonte luminosa, è sfumato e cresce non<br />

per velature, come sarebbe normale per un pittore abituato all'olio, ma per stesure successive:<br />

se ne possono contare nitidamente tre parallelle che intensificano col loro progre<strong>di</strong>re la<br />

luminosità del volto; dalla parte opposta, sul collo, è segnato con una linea larga e <strong>di</strong>ritta, un<br />

bordo netto, come quando si vogliono delimitare i contorni col carboncino. Lo zabò (jabot),


svolazzante e quasi impalpabile merletto che si sprigiona con grande sapienza dallo scollo nero<br />

della giacca, vivifica il <strong>di</strong>pinto con eleganza impressionante e vi si propone come centro visivo -<br />

la foggia dell'abito contribuisce perfettamente a confermare la datazione proposta -, esplode in<br />

una gamma <strong>di</strong> bianchi che si esaltano nei grumi can<strong>di</strong><strong>di</strong> <strong>di</strong> luce sul fondo grigio della camicia in<br />

ombra. Lo sfondo è uniforme, salvo che per due <strong>di</strong>agonali parallele che servono a creare un<br />

senso <strong>di</strong> movimento, leggero al fine <strong>di</strong> non <strong>di</strong>stogliere troppo l'attenzione.<br />

Il tutto denota una scelta <strong>di</strong> colori e una tecnica tipica <strong>di</strong> chi è abituato a lavorare il pastello con<br />

grande abilità, congiunta a superbe qualità pittoriche.<br />

Caratteristiche che possono appartenere solo a <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong>, correttamente in un periodo<br />

posteriore al suo viaggio a Parigi.<br />

Mi corre l'obbligo <strong>di</strong> richiamare l'attenzione sulle ipotetiche alternative "locali" a <strong>Rosalba</strong>. Attorno<br />

al nostro anno 1726, operano a Venezia e possono essere considerati, chi più chi meno,<br />

ritrattisti: Lazzarini, Sebastiano Ricci, Piazzetta, Amigoni, Nogari, Grassi, Rotari, oltre a<br />

Giannantonio Pellegrini, cognato della stessa <strong>Rosalba</strong> e con lei a Parigi nel corso del suo viaggio,<br />

nel 1720-21. Della ritrattistica <strong>di</strong> tutti questi abbiamo una conoscenza sufficiente per poterne<br />

escludere ogni coinvolgimento. Rimarrebbe ancora <strong>di</strong> <strong>di</strong>re <strong>di</strong> Bartolomeo Nazzari, bergamasco,<br />

attivo a Venezia fra il 1716 e il '36, <strong>di</strong> cui sappiamo dai documenti che eseguì i ritratti <strong>di</strong> vari<br />

pittori. Fra questi avrebbe <strong>di</strong>pinto, a pastello, per il console Smith anche quello <strong>di</strong> Tiepolo dal<br />

quale potrebbe derivare l'incisione <strong>di</strong> Giovanni Cattini; ma gli altri ritratti che si conoscono,<br />

come, per esempio, quello del Carlevarijs dell'Ashmolean Museum <strong>di</strong> Oxford o il Sebastiano Ricci<br />

già <strong>di</strong> proprietà privata in Germania, per loro stessa natura escludono qualsiasi possibilità nel<br />

senso ipotizzato.<br />

So <strong>di</strong> lanciare il proverbiale sasso nello stagno. In anni lontani, fui tra i pochissimi a oppormi<br />

decisamente all'idea sostenuta da molti, fra quelli che erano i più accre<strong>di</strong>tati stu<strong>di</strong>osi, <strong>di</strong> <strong>di</strong>pinti a<br />

olio della <strong>Rosalba</strong>, operazione che, in quei casi - lo confermo tuttora - ubbi<strong>di</strong>va forse più a<br />

logiche <strong>di</strong> mercato che a in<strong>di</strong>cazioni culturali. Lo stesso cosiddetto Ritratto <strong>di</strong> Augusto III <strong>di</strong><br />

Polonia, per verità assai modesto, del Kunsthistorisches Museum che la Sani mantiene a titolo <strong>di</strong><br />

ipotesi nel catalogo della pittrice, più che altro per esterne ragioni storiche come ben si evince<br />

dal testo, non ha nessuna caratteristica che possa far pensare all'opera a olio <strong>di</strong> un'abituale


pastellista e ritengo ne sia spiegabile la provenienza da <strong>Rosalba</strong> come un oggetto che la stessa<br />

può aver portato a Venezia dal suo soggiorno parigino o le sia stato comunque donato e,<br />

rimasto sempre nel suo stu<strong>di</strong>o, passò poi, per forza <strong>di</strong> cose, nell'asse ere<strong>di</strong>tario.<br />

Assume pertanto straor<strong>di</strong>naria importanza la trascurata lettera <strong>di</strong> Nicholas Vleughels a <strong>Rosalba</strong>,<br />

con cui egli accompagna il dono (o vi si riferisce) <strong>di</strong> un suo <strong>di</strong>pinto, evidentemente rimasto<br />

danneggiato o i particolari del quale comunque non la sod<strong>di</strong>sfacevano: "Même vous pouvez, si<br />

vous voulez, le raccomoder aux androits qui vous paraîtront les plus deffectueux; vous savez<br />

assez peindre à l'huile pour corriger de pareils ouvrages". A ben leggere, quin<strong>di</strong>, egli riba<strong>di</strong>sce la<br />

norma per la veneziana <strong>di</strong> una tecnica <strong>di</strong>versa, ma le riconosce altresì senza possibilità <strong>di</strong><br />

equivoco, la capacità <strong>di</strong> avvalersi dell'olio.<br />

Al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questo documento, peraltro, a mio avviso, totalmente probante, non abbiamo alcun<br />

testo pittorico, riconosciutole o storicamente provato, che avalli l'ipotesi <strong>di</strong> una <strong>Carriera</strong> pittrice<br />

a olio, anche se, a onor del vero, non vi sono neppure esplicite in<strong>di</strong>cazioni contrarie.<br />

Nel <strong>di</strong>pinto che stiamo stu<strong>di</strong>ando, invece, le affinità con alcuni pastelli della <strong>Rosalba</strong>, certo fra i<br />

più belli, soprattutto come il Ritratto <strong>di</strong> Lord Boyne (e quelli cosiddetti <strong>di</strong> Thomas Middleton e <strong>di</strong><br />

Lionel, quarto conte <strong>di</strong> Dysart) sono inequivocabili. Identica è la partitura luministica,<br />

sovrapponibile l'impostazione generale, uguali stesura, vaporosità e resa pittoriche. Eccezionali,<br />

in entrambi i casi - del ritratto Tiepolo e <strong>di</strong> quello Boyne <strong>di</strong>co - la concezione spaziale, la<br />

caratterizzazione, la resa fisionomica, anche se con un pizzico <strong>di</strong> spavalderia e <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>atezza<br />

in più nell'ovviamente meno azzimato "collega" a olio.<br />

Certo: nulla ci assicura su una <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> pittrice a olio. Tuttavia, a ben leggere il <strong>di</strong>ario<br />

della stessa <strong>Rosalba</strong> notiamo che alcune volte ella specifica che le sue opere sono fatte in<br />

miniatura, altre a pastello, altre volte ancora, la maggioranza dei casi, non dà in<strong>di</strong>cazioni.<br />

In particolare, può esserci utile al riguardo quanto essa scrive domenica 29 <strong>di</strong>cembre 1720: "Fui<br />

introdotta nel gabinetto del Re, perché vedessi dove potea attaccarsi il <strong>di</strong> lui ritratto in pastello;<br />

il quale ritratto si portò a Palazzo solo in tal dì con gran cornice... Per parte sua il Malamani (p.<br />

148), così trascrive: "Stata introdotta nel gabineto del Re perchè vedessi dove si potea attacar il<br />

ritratto <strong>di</strong> pastello dello stesso Re, che fu portato sol in quel giorno con gran soaza".


Ovviamente, riferendosi a un'opera la cui localizzazione richiedeva o almeno consigliava<br />

ad<strong>di</strong>rittura la supervisione dell'autore ed era racchiusa in una cornice <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni, non<br />

poteva trattarsi <strong>di</strong> una miniatura, altro "genere" abituale per <strong>Rosalba</strong>; sicché lo specificare che si<br />

trattava <strong>di</strong> un pastello lascia supporre che ella, forse, si misurasse anche con l'olio (e<br />

quest'ultima tecnica sarebbe stata probabilmente più adeguata per l'opera in questione), anche<br />

se, <strong>di</strong> certo, la prima sarà stata quella che più le veniva richiesta, in cui più si esercitavano<br />

leggerezza e finezza <strong>di</strong> esecuzione.<br />

Poiché ho più sopra considerato l'aspetto fisico <strong>di</strong> Giandomenico, a quanto appare dai ritratti in<br />

nostro possesso così simile al più giovane fratello Lorenzo, occorrerà spendere alcune parole per<br />

richiamare l'attenzione su un'attribuzione non per tutti pacifica. Mi riferisco all'ormai famoso<br />

Ridotto, visto nella mostra Fanti e Denari a Palazzo Loredan Vendramin Calergi nel 1989,<br />

attribuito a Lorenzo Tiepolo per il quale il Pavanello dà invece per certa un'ascrizione al Tichbein<br />

per confronto con l'analogo soggetto del tedesco. E' possibile che una per vero stretta<br />

derivazione formale e iconografica abbia indotto in un errore <strong>di</strong> valutazione critica, ma non è<br />

necessario un esame particolarmente approfon<strong>di</strong>to per riscontrare l'evidente <strong>di</strong>pendenza, a<br />

livello <strong>di</strong> copia, dell'opera del modesto Tischbein: sgraziata, statica, pacchiana in ogni sua<br />

componente, sgradevole volgarizzazione, per incapacità <strong>di</strong> far <strong>di</strong> meglio, nella sua Mascherata<br />

della Gemäldegalerie <strong>di</strong> Kassel (chissà poi perché questo titolo, quando è evidente che si tratta<br />

<strong>di</strong> una partita a carte e che l'unica maschera - intesa come oggetto: è una moretta - è in mano<br />

<strong>di</strong> quella che a Venezia sarebbe stata una simpatica damina - com'è nel Ridotto <strong>di</strong> Lorenzo<br />

Tiepolo - e che, invece, per la grossolanità del pittore, qui particolarmente manifesta, ha<br />

l'aspetto <strong>di</strong> uno stereotipato manichino vestito, una lignea e colorata piàvola de Franza). Nel<br />

<strong>di</strong>pinto veneziano tutto ha verve, profumo <strong>di</strong> cipria, grazia, eleganza e, soprattutto,<br />

imme<strong>di</strong>atezza, quanto, invece, rimasticato e pesante appare quell'altro ed è chiarificatore il<br />

confronto <strong>di</strong> ogni personaggio col suo ornologo teutonico per essere certi della derivazione, della<br />

poco riuscita esercitazione <strong>di</strong> copiatura, del vero Tischbein dal vero Lorenzo Tiepolo, per cui,<br />

almeno fino a più convincente prova contraria, sarà opportuno mantenere l'attribuzione al più<br />

giovane dei figli <strong>di</strong> Giambattista. Mi sono occupato, in questo intervento, con una certa<br />

insistenza della fase giovanile del Tiepolo; mi permetterò ancora <strong>di</strong> spendere alcune parole sulla


proposta, degli stessi vali<strong>di</strong> Autori più sopra richiamati, <strong>di</strong> riconoscere la mano <strong>di</strong> un precoce<br />

Giambattista in un piccolo soffitto affrescato nella sacrestia della chiesa <strong>di</strong> San Giovanni<br />

Crisostomo a Venezia.<br />

Innanzitutto, l'affresco raffigura non già "San Gerolamo in veste car<strong>di</strong>nalizia" come essi<br />

in<strong>di</strong>cano, ma in realtà un patriarca (senza aureola, quin<strong>di</strong> certamente non santo) come<br />

<strong>di</strong>mostrano anche le insegne che si trovano nelle due piccole porzioni decorative sui due lati<br />

corti della decorazione (non riprodotte dagli Autori). Non è oziosa la precisazione, anzitutto<br />

perché è comunque interessante partire da una corretta identificazione, poi perché attraverso <strong>di</strong><br />

essa si può più facilmente giungere alla datazione dell'opera e alla definizione dell'iconografia.<br />

Qualora non faccia riferimento alla figura allegorica <strong>di</strong> un metropolita della chiesa veneziana,<br />

potrebbe trattarsi, a mio avviso, <strong>di</strong> San Gregorio Barbarigo, come sembra confermare il<br />

confronto con la statua de<strong>di</strong>catagli in Santa Maria della Salute. Il <strong>di</strong> lui "processo <strong>di</strong><br />

beatificazione" inizia nel 1724 e la proclamazione a beato è del 1761: l'esecuzione del <strong>di</strong>pinto<br />

dovrebbe verosimilmente porsi in prossimità della prima <strong>di</strong> queste date. Alla specifica attività del<br />

Barbarigo <strong>di</strong> istruzione religiosa ai fedeli e <strong>di</strong> formazione del clero, dal quale pretendeva<br />

perfezione evangelica, fa riferimento l'in<strong>di</strong>cazione della croce alle sue spalle: "Il libro che voi,<br />

miei carissimi, dovete stu<strong>di</strong>are sempre è il Crocifisso".<br />

2a. Giambattista Tiepolo, Ritratto ideale del doge Marco Cornaro, particolare. Venezia,<br />

collezione Scarpa.


2b. Giambattista Tiepolo, Ritratto ideale del doge Marco Cornaro, particolare. Venezia,<br />

collezione Scarpa<br />

Per molti anni anch'io, spinto dall'abitare nei pressi <strong>di</strong> quella chiesa, mi sono sovente fermato a<br />

interrogare quel minuscolo e particolarmente malandato soffitto, compresso in un ambiente<br />

troppo basso e troppo stretto e gli ho, sul terreno attribuzionistico, girato attorno, attratto dalla<br />

notevole forza dell'abito rosso e da quella mano destra, così apparentemente vicina a quella del<br />

doge Marco Cornaro (ma solo apparentemente, ahimé!) che è uno dei primi capolavori <strong>di</strong><br />

Giambattista e dal tiepolismo della figura in giallo <strong>di</strong> fondo; sempre respinto, però, oltre che<br />

dalla obbiettiva "povertà" pittorica dello stortignàccolo vescovo, dall'innaturale sott'insù della<br />

sua testa, incassata in un "petto in fuori, braccia in<strong>di</strong>etro", testa che dovrebbe non essere<br />

attaccata al collo per potersi torcere in tal modo all'ingiù. Per questo ho sempre ripiegato su<br />

posizioni più pacifiche, finendo per <strong>di</strong>rigermi, come faccio tuttora, ... dalle parti <strong>di</strong> Giambattista<br />

Mariotti, egli pure grande manipolatore <strong>di</strong> rossi, come <strong>di</strong>mostra il notevole <strong>di</strong>pinto delle Gallerie<br />

dell'Accademia Sant'Ignazio <strong>di</strong> Loyola davanti al pontefice.<br />

In realtà, delle figure sullo sfondo, quella femminile in giallo, peraltro quasi completamente<br />

rifatta (non certo i due giovani sulla sinistra che nulla hanno <strong>di</strong> tiepolesco e che, con il loro<br />

aspetto <strong>di</strong> men<strong>di</strong>canti, possono far riferimento all'azione del Barbarigo presso i poveri e gli<br />

appestati <strong>di</strong> Trastevere) sembra nei mo<strong>di</strong> e, soprattutto, del tempo <strong>di</strong> Giandomenico, che<br />

potrebbe essere il ... responsabile <strong>di</strong> una tarda - forse in concomitanza con la beatificazione, nel<br />

1761? -, incongruente e sgradevole aggiunta, tale da trarre in inganno l'inesperto osservatore<br />

superficiale e perfino i vali<strong>di</strong> Autori citati.


<strong>Rosalba</strong> da giovane 1715 Galleria degli Uffizi L’inverno <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong><br />

Originariamente <strong>Rosalba</strong> iniziò a <strong>di</strong>pingere su scatoline del tabacco da fiuto: troviamo delle<br />

annotazioni che ne attestano la veri<strong>di</strong>cità tra le sue lettere ricevute e tra quelle inviate, <strong>di</strong> cui lei<br />

ne faceva sempre una copia. Quin<strong>di</strong> siamo certi che nel 1700 <strong>Rosalba</strong> <strong>di</strong>pingeva su scatoline<br />

d’avorio per i turisti.<br />

Ben presto si fece conoscere tra i veneziani e iniziò a ritrarre personaggi eminenti anche<br />

stranieri. <strong>Rosalba</strong> fece rinascere la pittura a pastello decaduta da molto tempo e ormai<br />

<strong>di</strong>menticata. A Venezia fece il ritratto <strong>di</strong> Federico III <strong>di</strong> Danimarca, <strong>di</strong> Federico Augusto III, del<br />

duca Carlo <strong>di</strong> Baviera, del principe <strong>di</strong> Mecklemburgo e altri illustri personaggi, che non<br />

sdegnavano <strong>di</strong> recarsi presso il suo modesto stu<strong>di</strong>o per ammirare i suoi capolavori. Nel 1720, un<br />

anno dopo la morte del padre, si recò a Parigi con la madre, le sorelle e il cognato Antonio<br />

Pellegrini ( pittore ). A Parigi fece i ritratti a tutta la famiglia reale e a <strong>di</strong>versi personaggi <strong>di</strong><br />

grande fama. Nel suo <strong>di</strong>ario, in data giovedì 1 Agosto 1720, si legge “Ebbi or<strong>di</strong>ne da parte del Re<br />

<strong>di</strong> fare in piccolo il ritratto della Duchessa Vantadour: ed in questo giorno ne cominciai uno piccolo<br />

dello stesso Re”.<br />

<strong>Rosalba</strong> iniziò a fare la doppia riproduzione dei suoi quadri: il Re fu il primo, poi seguirono il figlio<br />

<strong>di</strong> Law e Filippo II d’ Orleans. Questa grande artista ebbe l’insigne onore d’essere eletta membro<br />

dell’Accademia reale <strong>di</strong> pittura( oggi delle Belle arti, una delle cinque <strong>di</strong> Francia) dove fu accolta<br />

con la maggior cortesia.<br />

Nel suo <strong>di</strong>ario lei scrive” 26 ottobre- Mi fu data la lettera dell’Accademia, e la nuova <strong>di</strong> essere<br />

stata ricevuta a piene voci senza essere stata ballottata”.Ed ancora “9 novembre - Andata la<br />

prima volta all’Accademia dove M.r Coypel ( primo pittore del Re) fece un breve ringraziamento<br />

agli Accademici, li quali mi accolsero colla maggior cortesia”.<br />

Con i suoi duplicati aveva formato una piccola galleria ( aggiungendovi molti medaglioni <strong>di</strong> figure<br />

storiate, <strong>di</strong> sua mano), che Augusto III re <strong>di</strong> Polonia volle acquistare a qualunque prezzo, per la<br />

ricchissima pinacoteca del regio palazzo <strong>di</strong> Dresda, che non ha eguali in tutto il mondo.


Presso L’accademia delle belle atri <strong>di</strong> Venezia ci sono due dei suoi <strong>di</strong>pinti per dono generoso <strong>di</strong><br />

Girolamo Ascanio Molin .<br />

Molti scrissero <strong>di</strong> questa famosa pittrice e il Ferri nella sua “ Biblioteca femminile “, registra oltre<br />

al suo Diario, anche le lettere al signor Mariette (Raccolta <strong>di</strong> lettere sulla pittura scultura<br />

architettura….1822).<br />

Nel 1838, il critico d’arte, Tommaso Locatelli, lesse un “Elogio” nei riguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong>,<br />

all’Accademia delle Belle Arti <strong>di</strong> Venezia: “Questa maniera <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere, fra gli altri suoi pregi, ha<br />

singolarmente quella della morbidezza nella carnagione in modo che i nu<strong>di</strong> così <strong>di</strong>pinti riescono<br />

appunto a chi li vede come se fossero carne vera, e vive forme impastate dalla mano stessa della<br />

natura. Lavoro in vero <strong>di</strong>fficilissimo, ma condotto dalle maestre <strong>di</strong>ta della valente <strong>Rosalba</strong> al<br />

sommo grado <strong>di</strong> perfezione.<br />

All’Accademia nel1879 si catalogavano 2 suoi quadri, 1 nella Sacrestia della chiesa <strong>di</strong> Gervasio e<br />

Protasio.<br />

Nei suoi ritratti femminili le pose sono delicate e i drappeggi degli abiti le perle e i merletti,<br />

vengono sempre messi in risalto da una luce viva e particolre. Si nota una grande sensibilità nel<br />

riprodurre i tessuti e le trine, forse una sensibilità nata nell’osservare la madre mentre realizzava<br />

quei capolavori <strong>di</strong> filo! Per non <strong>di</strong>menticare che iniziò la sua carriera artistica proprio con i <strong>di</strong>segni<br />

per i merletti.<br />

Giovane donna con pappagallo, 1730 Ritratto <strong>di</strong> bambina con la ciambella, 1730<br />

Galleria dell’Accademia –Venezia Helen Regenstein Collection, 1985


Ritratto <strong>di</strong> Felicita Sartori (pittrice), Faustina Hasse Bordoni, cantante<br />

Uffizi Firenze ( Dal 1890 ) stanza 45<br />

<strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong>, in uno dei suoi splen<strong>di</strong><strong>di</strong> pastelli pieni <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> grazia incantevole, ci ritrasse<br />

Faustina negli anni della gloria. Si narra come Faustina stessa prescrivesse alla pittrice <strong>di</strong><br />

acconciarla a guisa <strong>di</strong> una dea, trasportata in terra ai tempi del rococò. Quella figura a mezzo<br />

busto è <strong>di</strong> uno splendore che ammalia; can<strong>di</strong><strong>di</strong>ssimo è il collo e frescamente rosee le guance, i<br />

vivissimi gli occhi celesti, e dalla bocca giovanilmente vermiglia, spira un’aura <strong>di</strong> voluttà e <strong>di</strong><br />

dolcezza. La chioma bruna, che fa evidenziare ancor più tutto il morbido fiore della sua bellezza,<br />

è, con infinita grazia, recinta da fronde <strong>di</strong> lauro e da fili <strong>di</strong> perle. Il busto in seta trattiene a mula<br />

pena il petto procace, coperto in parte da una mantellina azzurra. Di questo e <strong>di</strong> altro ritratto <strong>di</strong><br />

Faustina dobbiamo la notizia al prof. Dott. Carlo Woermann, Direttore della Galleria Teatrale <strong>di</strong><br />

Dresda. Egli ci scriveva nel 13 <strong>di</strong>cembre 1889: “Il nostro ritratto della Faustina Hasse, nata<br />

Bordoni, eseguito a pastello dalla <strong>Rosalba</strong>, mostra il busto soltanto della celebre cantatrice, preso<br />

<strong>di</strong> fronte. Ha occhi chiari, capelli bruni, acconciati con perle e fronde <strong>di</strong> lauro, con merletti, e<br />

mantellina turchina. Pare che un altro ritratto della Faustina, eseguito dalla <strong>Rosalba</strong> esisteva in<br />

casa Hasse, e trovasi citato nel testamento <strong>di</strong> Johann Adolf Hasse. Il ritratto <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> è<br />

conservato oggi presso il Museo <strong>di</strong> Ca’ Rezzonico a Venezia (Palazzo de<strong>di</strong>cato al Settecento)


Alcune fonti ricordano essere stata allieva prima <strong>di</strong> Antonio Lazari, pittore <strong>di</strong>lettante, poi <strong>di</strong><br />

Giuseppe Diamantini, in seguito <strong>di</strong> Antonio Balestra. Buona appren<strong>di</strong>sta <strong>di</strong> tutti costoro e altri<br />

ancora, <strong>Rosalba</strong> si <strong>di</strong>stinse subito nell’arte <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere miniature, dove si caratterizzò per il fatto<br />

<strong>di</strong> adoperare l’avorio per dare lucentezza e splendore all’insieme. <strong>Carriera</strong> trascorreva così le<br />

giornate della sua giovinezza, spesso insieme alla sorella Giovanna, anch’essa pittrice, decorando<br />

tabacchiere, scatoline <strong>di</strong> tabacco da fiuto piene <strong>di</strong> damine, <strong>di</strong> donne con eleganti vestiti.<br />

Ben presto si orientò verso i ritratti, ritratti <strong>di</strong> personaggi quali Cristiano <strong>di</strong> Meclemburgo, del duca<br />

Carlo <strong>di</strong> Baviera e tantissimi altri. E tale fu la sua fama che il re <strong>di</strong> Francia Luigi XV la invitò a<br />

corte a raffigurare la sua famiglia, entrando perfino a far parte dell’Accademia Reale <strong>di</strong> pittura, a<br />

Parigi, un onore con<strong>di</strong>viso da poche. La medesima cosa in Italia, dove le Accademie <strong>di</strong> Roma,<br />

Bologna e Firenze la acclamavano membro a vita. Colpita da una malattia agli occhi, perdendo la<br />

vista, non <strong>di</strong>pingerà gli ultimi 10 anni della vita. Tar<strong>di</strong> giunse il re <strong>di</strong> Polonia, che, meravigliato<br />

dalla sua aggraziata arte, volle comprare a tutti i costi alcuni dei duplicati che la <strong>Carriera</strong><br />

usualmente faceva.<br />

Ritratto <strong>di</strong> Lord Boyne, 1730-31<br />

Nell’atelier <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong>, a parte che la sorella Giovanna, lavorava<br />

anche l’altra sorella Angela, oltre a Felicita Sartori e Marianna<br />

Carlevarijs, tutte sapientemente consacrate a <strong>di</strong>segnare con i pastelli,<br />

pastelli che la nostra artista porterà alla fama e alla gloria.<br />

Ed eccola a pitturare, dunque, gente famosa e meno famosa, da<br />

Clemente Augusto <strong>di</strong> Baviera, principe elettore <strong>di</strong> Colonia, a Lord Boyne, irlandese, alla sua amata<br />

sorella Giovanna, dalla pittrice Felicita Sartori alla cantante Faustina Hasse Bordoni, da un ritratto<br />

<strong>di</strong> Bambina con ciambella a Giovane donna con pappagallo, per non <strong>di</strong>menticare una graziosa<br />

Madonna con le mani intrecciate sul cuore e un Cristo dal volto gentile.<br />

Cosa la <strong>di</strong>stingueva dagli altri pittori? Innanzi tutto la semplicità, poi le pose eleganti e soavi delle<br />

sue figure, nonché i drappeggi degli abiti pieni <strong>di</strong> merletti e particolari. Aveva una facilità innata<br />

nel raffigurare i sentimenti <strong>di</strong> colei o colui che ritraeva, lo stato d’animo del momento che riusciva<br />

a immortalare in un colore, il carattere che evidenziava nell’insieme del <strong>di</strong>pinto, i pensieri che


fermava in una ben precisa pennellata. Ancor più accadeva nei suoi autoritratti, dai primi, uno <strong>di</strong><br />

questi dove si <strong>di</strong>pingeva mentre riproduceva la sorella, sino agli ultimi, quelli in cui, con problemi<br />

agli occhi, possiamo notare toni tristi, cupi, inquieti. La pelle, la carnagione delle sue dame, dei<br />

suoi uomini è viva, reale, perfetta, quasi tangibile, segno <strong>di</strong> un lavoro che rasenta la perfezione, e<br />

nello stesso tempo vibra come se volesse comunicare qualcosa.<br />

Caterina Sagredo Barbarigo, prima del 1741<br />

Il tocco femminile dell’artista, artista che sembra essere nata già<br />

matura, si palesa in tutte le sue potenzialità, che la <strong>di</strong>fferenzia dai<br />

suoi colleghi francesi troppo materiali, fotografici, cru<strong>di</strong>. <strong>Rosalba</strong><br />

risalta per la delicata e soave eleganza che caratterizza tutta la sua<br />

opera, eleganza che seppe ben manifestare nell’epoca del rococò<br />

veneziano.<br />

Omaggiata, osannata, vezzeggiata in tutte le corti d’Europa. <strong>Rosalba</strong><br />

detta mode e gusto nell’affollato universo pittorico settecentesco, il<br />

suo successo è precoce e internazionale: “non c’è straniero <strong>di</strong> rango,<br />

inglese francese o tedesco che, <strong>di</strong> passaggio a Venezia non ambisca<br />

farsi ritrarre da <strong>Rosalba</strong>, o non acquisti qualche sua miniatura”<br />

scrive lo storico dell’arte Adriano Mariuz. Detentrice <strong>di</strong> una tecnica<br />

che porterà ad estreme conseguenze <strong>di</strong> raffinatezza, il pastello,<br />

<strong>Rosalba</strong> eccelle nel versante della ritrattistica. Una mostra la<br />

celebra, a Palazzo Cini a San Vio (vicino alla piccola casa a fianco<br />

della Guggenheim dove visse con la famiglia fino alla fine). A cura <strong>di</strong><br />

Giuseppe Pavanello “<strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> prima pittrice de l’Europa” (dal 1 settembre al 28 ottobre)<br />

così la apostrofa in una lettera del 1705 l’inglese Christian Cole, uno fra i primi ad intuirne la<br />

genialità. Cinquanta ritratti provenienti da musei e collezioni private, alcuni esposti per la prima<br />

volta. Il primo autoritratto un pastello su carta, nel vestibolo del piano nobile, svela <strong>Rosalba</strong>


nell’attitu<strong>di</strong>ne “programmatica” <strong>di</strong> rifinire un piccolo ritratto del volto della sorella Giovanna,<br />

poetessa e pittrice, sua aiutante insieme alla sorella minore Angela. Il volto <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong>, chiaro e<br />

deciso, gli occhi buoni ed aperti concede molto poco alla femminilità. Ingentilisce un po’ la rosa<br />

Alba appuntata ai boccoli argentei. Tantissimi saranno gli autoritratti in cui <strong>Rosalba</strong> informa <strong>di</strong><br />

ogni minimo mutare nei lineamenti e nell’espressione. Celeberrimo e tragico l’ultimo, quasi<br />

sommersa da cecità. Dalla famiglia d’origine trae i primi insegnamenti, appuntati con precisione<br />

nelle sue Memorie del 1775: il padre “era molto inclinato al <strong>di</strong>segnare” e <strong>Rosalba</strong>, a quattor<strong>di</strong>ci<br />

anni, prende la penna e comincia a <strong>di</strong>segnare: “anche la madre e le due sorelle sono intendenti <strong>di</strong><br />

Pittura, tuttoché <strong>di</strong> rado l’abbiano esercitata”. Giambattista Recanati Zucconi, patrizio e amico <strong>di</strong><br />

famiglia in una missiva alla famiglia <strong>Carriera</strong> augura ad Alba <strong>di</strong> avere “perfetta salute, abbondante<br />

cioccolata, facilità <strong>di</strong> ritrovare moneta, libri curiosi da <strong>di</strong>vorare- e, per <strong>di</strong>pingere-buone pastelle,<br />

cassette pronte, cristalli tersi…”. Nell’arte del pastello, si <strong>di</strong>ceva, <strong>Rosalba</strong> non ha eguali. Compila<br />

ad<strong>di</strong>rittura una rara raccolta dei segreti per i colori, contenuta nelle sue Memorie e uscita <strong>di</strong><br />

recente per i tipi Abscon<strong>di</strong>ta; dalla “maniera per fare alcuni inchiostri” <strong>Rosalba</strong> spazia alle<br />

“gradazioni <strong>di</strong> colori <strong>di</strong> carne” <strong>di</strong> cui danno variegata testimonianza gli incarnati palpabili dei suoi<br />

ritratti: “la carnagione tenera si fa macinando una piccola punta <strong>di</strong> cinabro nella biacca. La tinta <strong>di</strong><br />

carnagioni <strong>di</strong> donne, e <strong>di</strong> bambini, si ottiene con un ottavo <strong>di</strong> giallolino” e <strong>di</strong> seguito minuziosi<br />

dosaggi per ottenere occhi azzurri o bruni, capelli “castagni”, uve nere o bianche, tronchi<br />

d’albero, cielo fermo, alberi in lontananza, orizzonte. L’ evento centrale della sua vita sarà il<br />

rapido soggiorno a Parigi del 1720, ospite del munifico banchiere Crozat, già protettore <strong>di</strong><br />

Watteau del quale gli commissiona subito un ritratto. Questo con il pittore ancien régime sarà un<br />

vero incontro che si tramuta ben presto in amicizia. È un trionfo conclamato. Tutti accorrono ad<br />

omaggiarla e fanno a gara per essere ritratti (secondo il suo Diario sono una cinquantina quelli<br />

fatti a Parigi). Anche nell’arte della miniatura <strong>Rosalba</strong> non è da ultima. Ce ne sono alcune<br />

strepitose in mostra. Restaurate con molta cura. Microcosmi vaporosi dove tutto è definito nel<br />

dettaglio e sembra esalare. Verso la fine della sua vita <strong>Rosalba</strong> verrà afflitta da cecità, non per<br />

questo i suoi tratti svigoriscono o perdono <strong>di</strong> brillantezza, anzi acquista in profon<strong>di</strong>tà e senso del<br />

cupo. Le ultime notizie che la riguardano risalgono all’agosto1749. Sappiamo che, grazie ad<br />

un’operazione, l’artista settantenne ha recuperato la vista.


<strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> prima pittrice de l’Europa<br />

La fama <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong>, <strong>di</strong> fatto l’artista d’Italia più<br />

celebre in Europa nel Settecento, non ebbe confini. Sulla sua<br />

eccellenza nei ritratti si trovarono d’accordo tutti. Fu forse<br />

l’unica a trovare consensi unanimi tanto fra i sofisticati<br />

conoscitori del bel mondo internazionale quanto fra la<br />

tra<strong>di</strong>zionale e conservatrice aristocrazia veneziana.<br />

Per quasi mezzo secolo le corti d’Europa cercarono <strong>di</strong><br />

accaparrarsi i suoi servigi, eppure, nonostante i frequenti<br />

inviti e le generose proposte, salvo tre soggiorni alla corte del<br />

Re <strong>di</strong> Francia, del duca <strong>di</strong> Modena e a quella dell’Imperatore a<br />

Vienna, preferì rimanere a Venezia dove lavorò<br />

incessantemente per tutta la vita.<br />

A lei spetta il più acuto ritratto dei personaggi della società<br />

veneziana ed europea del Settecento. Fondamentale, inoltre, è il suo apporto alla stessa<br />

ritrattistica francese: interpretò in modo impareggiabile <strong>di</strong> ideali <strong>di</strong> grazia e <strong>di</strong> eleganza <strong>di</strong><br />

un’epoca quella “vita felice” entrata nell’immaginario collettivo che l’ha identificata nell’ancien<br />

régime.<br />

Ritratto <strong>di</strong> Enrichetta Anna Sofia d’Este.<br />

Treviso, Museo Civico, pastello su carta Firenze,<br />

Nel campo della miniatura, l’esposizione avrà modo <strong>di</strong><br />

presentare per la prima volta al pubblico una straor<strong>di</strong>naria<br />

selezione <strong>di</strong> immagini <strong>di</strong> grande qualità, tra i quali il morceau<br />

de réception inviato all’Accademia <strong>di</strong> San Luca a Roma.<br />

Tuttavia, il nome della pittrice anche presso il grande<br />

pubblico è oggi legato ai suoi pastelli. La nuova tecnica<br />

consente un’esecuzione rapida, che risparmia la noia delle<br />

lunghe sedute <strong>di</strong> posa: a tutto vantaggio, beninteso, della<br />

naturalezza. Ma attraverso quel mezzo - polvere colorata, cui<br />

basterebbe un soffio per <strong>di</strong>ssolversi - la pittrice coglie,<br />

assieme alla grazia che lo sfiora, anche la transitorietà del sembiante: nel modo più leggero,<br />

<strong>Rosalba</strong> suggerisce che la realtà <strong>di</strong> ogni in<strong>di</strong>viduo, la verità <strong>di</strong> ogni volto sono effimere.


Le opere<br />

Interprete raffinata e squisita degli ideali <strong>di</strong> grazia della mondana società settecentesca artista<br />

che, come scrisse Roberto Longhi, “seppe esprimere con forza impareggiabile la svaporata<br />

delicatezza dell’epoca”, protagonista della stagione rococò veneziana, <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> fu<br />

autrice <strong>di</strong> una copiosa produzione artistica, a pastello e ad olio, opere spesso <strong>di</strong>sperse,<br />

testimonianza della sua prolificità, soggetti mitologici, scene allegoriche e temi religiosi, galleria <strong>di</strong><br />

volti del suo tempo, uomini <strong>di</strong> potere, aristocratici, esponenti della galante vita settecentesca,<br />

soggetti <strong>di</strong> genere, in cui raffigurò la vita quoti<strong>di</strong>ana delle donne, ritratti femminili dai rosei<br />

incarnati ,“raccontati” con passo leggero, misura, <strong>di</strong>stacco, garbo, eleganza e leggerezza, anche<br />

con una soffusa vena malinconica, senza enfasi, in <strong>di</strong>sincanto, senza mai veramente credere in un<br />

ideale <strong>di</strong> bellezza così precario e malcerto.<br />

Nonostante sia considerata un’esponente tipica <strong>di</strong> quel gusto rococò dall’eleganza sofisticata e<br />

fragile (non a caso suo emblema si può considerare la porcellana, preziosa ma effimera), <strong>Rosalba</strong><br />

<strong>Carriera</strong> non cadde mai nella leziosità gratuita; eclettica e duttile, basò la sua pittura su una<br />

consistente ed equilibrata base <strong>di</strong>segnativa, e su una consistenza delle paste colorate, sì da offrire<br />

corpo e qualità non effimera alle figure.<br />

Pur non essendo la prima ad usare in modo espressivo la tecnica del pastello, pre<strong>di</strong>letto anche da<br />

gran<strong>di</strong> maestri come La Tour, Largillière, Nattier, Mengs,dal ginevrino Liotard, per la capacità <strong>di</strong><br />

offrire speciali effetti <strong>di</strong> splendore, fragilità e trasparenza (come riconosciuto anche<br />

dall’Encyclopé<strong>di</strong>e del tempo)fu lei ad offrirne le infinite possibilità creative, specializzandosi ben<br />

presto nell’ utilizzo <strong>di</strong> una sua tecnica non leziosa, soffice e luminosa, intrisa <strong>di</strong> luce, stendendo<br />

rapi<strong>di</strong> tocchi <strong>di</strong> bianco sopra gli altri colori per ottenere effetti <strong>di</strong> luce a forte carattere<br />

atmosferico, memore della lezione tizianesca (gli “sfregazzi”) ed anticipatrice <strong>di</strong> un modo tipico<br />

degli Impressionisti, in un uso del bianco assai simile a quello della biaccatura, in cui eccellente<br />

interprete fu Watteau, alla cui arte indubbiamente la pittrice fece riferimento.


R. <strong>Carriera</strong>, Allegoria dell’aria<br />

Fra il 1744 e il 1746, concepita per Augusto III, <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> eseguì la serie delle Allegorie<br />

degli Elementi(Aria, Acqua, Terra, Fuoco), considerata uno dei capolavori della maturità per la<br />

grazia e per la padronanza tecnica.<br />

Di particolare interesse l’Allegoria dell’Aria, per il cui volto allegorico la pittrice scelse non una<br />

bella dama del tempo, ma una popolana dalle fattezze ben caratterizzate. Eppure l’incarnato<br />

bianchissimo del volto, lo sguardo che segue il leggiadro uccellino in volo, quasi refolo <strong>di</strong> vento<br />

materializzato, la lieve smorfia delle labbra che s’incrociano col gesto della mano sinistra, il<br />

morbido panneggio delle vesti, avvolge <strong>di</strong> leggerezza e<br />

trasparenza la scena, contribuendo a rendere la<br />

rappresentazione palpitante <strong>di</strong> grazia e d amabile sensualità.<br />

R. <strong>Carriera</strong>, Ritratto <strong>di</strong> Caterina Barbarigo<br />

Caterina Barbarigo apparteneva ad una delle più celebri<br />

famiglie veneziane ed era famosa per la sua bellezza.<br />

<strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong> la ritrasse in lieve inclinazione del capo,<br />

sorriso appena accennato, in palese consapevolezza<br />

dell’elevata status sociale <strong>di</strong> appartenenza e dell’in<strong>di</strong>scussa<br />

avvenenza. La luminosità delle perle, in contrasto coi toni<br />

scuri del copricapo e delle vesti, contro il pallore<br />

dell’incarnato, contribuiscono ad accrescerne ed esaltarne il fascino.


appunto,<strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong>.<br />

Ritratto <strong>di</strong> Augusto III<br />

Augusto III, elettore <strong>di</strong> Sassonia e re <strong>di</strong> Polonia dal 1733, figlio<br />

<strong>di</strong> Augusto II,che nel 1722 in una grande pinacoteca a Dresda<br />

aveva già raccolto circa duemila opere, fu uno dei più fedeli e<br />

appassionati committenti <strong>di</strong> <strong>Rosalba</strong> <strong>Carriera</strong>, amante in<br />

genere dell’arte italiana. Continuatore del tra<strong>di</strong>zionale<br />

mecenatismo della sua famiglia, incrementò ulteriormente le<br />

collezioni <strong>di</strong> Dresda, acquistando molte opere della pittrice<br />

veneziana, tanto che nel 1765 il catalogo della sua galleria<br />

annoverava ben 103 <strong>di</strong>pinti. Coa<strong>di</strong>uvato dal primo ministro, il<br />

Conte Bruhl, inviò in giro una rete <strong>di</strong> <strong>di</strong>plomatici ed esperti<br />

d’arte per commissionare nuovi lavori a molti artisti, tra i quali,<br />

Ritratto <strong>di</strong> dama. Ritratto <strong>di</strong> Dionisio Leblond.<br />

Galleria degli Uffizi, pastello su carta Venezia, Gallerie dell’Accademia, pastello su carta.<br />

Ritratto <strong>di</strong> Antoine Watteau. Ritratto <strong>di</strong> Lewis conte <strong>di</strong> Rockingham.<br />

Treviso, Museo Civico, pastello su carta. Northampton, Northampton Museum<br />

and Art Gallery, pastello su carta.

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