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ciò che è l’evidenza, dunque andavano dimostrati.<br />
Platone non avrebbe potuto sperare di incidere sulla<br />
realtà del suo tempo semplicemente affermando :<br />
“esistono dei principi etici, dunque vanno seguiti”.<br />
Non serve a nulla proporre apertamente a qualcuno<br />
concetti che quel qualcuno non sente come vitali in sé<br />
stesso.<br />
Per questo, comprendendo lo spirito del suo tempo,<br />
Platone optò per la dimostrazione dialogica, tanto più<br />
che oramai da tempo la sofistica, nella sua<br />
metodologia, aveva inciso sul modo di pensare<br />
ateniese, al punto che non v’era più alcun filosofo che<br />
non incentrasse il suo metodo su di una razionalità di<br />
tipo discorsivo, a prescindere poi dal metodo letterario<br />
di esposizione del proprio pensiero.<br />
Con ciò il nostro ateniese operò in maniera realmente<br />
rivoluzionaria: tentare di compiere una rifondazione<br />
etica d’un popolo utilizzando, in modo consono, quei<br />
mezzi (i logoi ed il metodo sofista dei discorsi) che<br />
presso quel popolo avevano preso piede, e che<br />
rappresentavano però, con la loro razionalità<br />
ipercritica e distruttiva, la causa stessa della<br />
scomparsa di un’etica condivisa.<br />
Non è questo un cavalcare la tigre? Uno sfruttare per<br />
scopi ordinatori le stesse forze del disordine?<br />
Il fatto che Platone propose Socrate come principale<br />
personaggio dei suoi dialoghi è significativo.<br />
Come abbiamo visto nella prima parte dell’articolo, il<br />
metodo socratico è, a tutti gli effetti, un metodo di tipo<br />
sofistico, con la sostanziale differenza però che Socrate,<br />
al contrario dei sofisti, aveva come obbiettivo del<br />
discorrere l’accordo delle opinioni circa la verità.<br />
Una verità però che, nei dialoghi platonici, non si<br />
configura più soltanto come concordanza tra i<br />
dialoganti, bensì, attraverso l’arte maieutica, come un<br />
riportare alla luce il “ricordo” di ciò che le anime<br />
hanno visto prima della nascita. Si tratta del condurre<br />
al manifestarsi nel mondo umano di un<br />
qualcosa di celeste.<br />
L’interpretazione dataci dal Trabattoni circa lo<br />
scetticismo di Platone riguardo alla possibilità terrena<br />
di conoscere pienamente le idee, qui ci viene incontro<br />
in maniera entusiasmante.<br />
Se il ricordo delle idee può essere riportato ad emergere<br />
in questa esistenza, significa che, in maniera seppure<br />
imperfetta, le idee possono essere ancora vissute,<br />
nonostante tutto. Soltanto non possono essere<br />
conosciute razionalmente. I logoi risvegliano in noi il<br />
ricordo delle idee, ma non ci danno la possibilità di<br />
definirle con certezza o di conoscerle attraverso<br />
l’intelletto. L’intelletto, che come sua funzione più alta<br />
ha il logos (vedi metafora della linea), riporta a<br />
manifestazione quel qualcosa che in noi portiamo dalla<br />
nascita, un qualcosa che ha dell’innato.<br />
Tentiamo un parallelismo? La metafora della seconda<br />
navigazione ci mostra come, dato che non conosciamo<br />
pienamente le idee, che possono essere vedute solo<br />
nell’al di là, siamo costretti ad ammainare le vele ed<br />
iniziare la seconda navigazione, che consiste nell’uso<br />
del logos, dell’opinare rettamente. Tale metodo ci<br />
conduce a risvegliare in noi il ricordo delle idee. Ma si<br />
tratta di un metodo, di un mezzo, non del risultato!<br />
Platone, riguardo alla teoria della conoscenza ed alla<br />
conoscenza stessa delle idee, non giunge mai, nelle<br />
opere scritte, a definizioni certe e dogmatiche: vengono<br />
dati certo degli indirizzi riguardo alla soluzione<br />
conoscitiva dell’argomento trattato, ma tutto rimane<br />
comunque magnificamente aperto e plausibile di<br />
sviluppi e correzioni ulteriori. Questo non soltanto nei<br />
dialoghi aporetici.<br />
La nostra sensazione è che Platone, attraverso la<br />
maieutica, abbia voluto agire, per usare un<br />
parallelismo certamente improprio quanto<br />
esemplificativo, come colui che, basandosi sulle teorie<br />
di C.G. Jung, volesse risvegliare un archetipo<br />
dormiente per tornare a farlo agire. Certamente si<br />
tratta di dottrine ben differenti. L’esempio mi pare<br />
però efficace. Si potrebbe dire che mentre nella<br />
dottrina di Jung possono essere utilizzati simboli, per<br />
risvegliare archetipi, Platone, come si evince dalla<br />
metafora della linea, utilizza il logos e la maieutica per<br />
far ricordare le idee (tralasceremo volutamente<br />
considerazioni riguardanti l’utilizzo di metodi diversi<br />
dal logos, perché non siamo del tutto convinti di dire<br />
cosa sensata, anche se ci pare esistano).<br />
In breve, se le idee possono esser riportate alla luce<br />
nell’uomo, seppur “filtrate” dall’esperienza terrena, se<br />
vengono insomma “ricordate”, ci si deve introdurre ad<br />
esaminare un livello superiore, ove esse si manifestano<br />
nell’individuo - e dall’individuo - in maniera istintuale,<br />
secondo quella modalità che in un nostro precedente<br />
articolo abbiamo definito “spontaneità creativa”.<br />
Matteo Mazzoni / Platone - seconda parte 43