16.04.2013 Views

Il caposaldo Ho ancora nel naso l'odore che faceva il grasso sul ...

Il caposaldo Ho ancora nel naso l'odore che faceva il grasso sul ...

Il caposaldo Ho ancora nel naso l'odore che faceva il grasso sul ...

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

un sasso rotolato dal torrente. Piú niente mi <strong>faceva</strong> impressione; piú niente mi commoveva. Se fosse<br />

accaduto di combattere <strong>ancora</strong> sarei andato avanti, ma per conto mio; senza curarmi di quelli <strong>che</strong> mi<br />

avrebbero seguito o sorpassato. Avrei fatta la battaglia per mio conto; personalmente; isolato; da<br />

isba a isba, da orto a orto; senza ascoltare comandi, senza darne, libero di tutto, come per una caccia<br />

in montagna; da solo. Avevo <strong>ancora</strong> dodici colpi per <strong>il</strong> mos<strong>che</strong>tto e tre bombe a mano. Ve n’erano<br />

pochi, forse, in tutta la colonna <strong>che</strong> avevano tante munizioni quante ne avevo io. Ecco, ora è finita<br />

la storia della sacca, ma della sacca soltanto. Tanti giorni poi abbiamo <strong>ancora</strong> camminato.<br />

Dall’Ucraina ai confini della Polonia, in Russia Bianca. I russi continuavano ad avanzare. Qual<strong>che</strong><br />

volta si <strong>faceva</strong>no delle lunghe marce an<strong>che</strong> di notte. Un giorno, quasi perdetti le mani per<br />

congelamento perché mi ero aggrappato a un camion ed ero senza guanti. Vi furono <strong>ancora</strong><br />

tormente di neve e freddo. Si camminava reparto per reparto e a gruppetti. Alla sera ci fermavamo<br />

<strong>nel</strong>le isbe per dormire e mangiare. Tante cose ci sarebbero <strong>ancora</strong> da dire, ma questa è un’altra<br />

storia.<br />

Un giorno mi accorsi <strong>che</strong> era arrivata la primavera. Si camminava da tanti giorni; era <strong>il</strong> nostro<br />

destino camminare. E mi accorsi <strong>che</strong> la neve sgelava, <strong>che</strong> nei pae si attraverso i quali si passava<br />

c’erano delle pozzanghere. <strong>Il</strong> sole scaldava e sentii cantare una calandra. Una calandrella <strong>che</strong><br />

cantava primavera. Desiderai l’erba verde, sdraiarmi <strong>sul</strong>l’erba verde e sentire <strong>il</strong> vento tra i rami<br />

degli abeti. E l’acqua tra i sassi. Si era in attesa del treno <strong>che</strong> ci doveva portare in Italia; eravamo<br />

<strong>nel</strong>la Russia Bianca nei dintorni di Gomel. La nostra compagnia, pochi ormai, era in un v<strong>il</strong>laggio<br />

vicino alla foresta. Per arrivarci dovemmo camminare parecchie ore attraverso i campi <strong>che</strong><br />

sgelavano. Quel luogo era famoso per i partigiani; nemmeno i tedeschi si fidavano ad andarci.<br />

Mandarono noi. Lo starosta del v<strong>il</strong>laggio ci disse <strong>che</strong> doveva metterci uno o due per famiglia per<br />

non gravare <strong>sul</strong>la popolazione. L’isba dove mi accettarono era spaziosa e pulita, e abitata da una<br />

famiglia di gente giovane e semplice. Mi preparai in un angolo sotto la finestra la cuccia per<br />

dormire. Passai sdraiato su un po’ di paglia tutto <strong>il</strong> tempo <strong>che</strong> rimasi in quella capanna; sempre lí,<br />

sdraiato per ore e ore a guardare <strong>il</strong> soffitto. Nel pomeriggio c’erano <strong>nel</strong>l’isba solo una ragazza e un<br />

neonato. La ragazza si sedeva vicino alla culla. La culla era appesa al soffitto con delle funi e<br />

dondolava come una barca ogni volta <strong>che</strong> <strong>il</strong> bambino si muoveva. La ragazza si sedeva lí vicino, e<br />

per tutto <strong>il</strong> pomeriggio f<strong>il</strong>ava la canapa con <strong>il</strong> muli<strong>nel</strong>lo a pedale. Io guardavo <strong>il</strong> soffitto e <strong>il</strong> rumore<br />

del muli<strong>nel</strong>lo riempiva <strong>il</strong> mio essere come <strong>il</strong> rumore di una cascata gigantesca. Qual<strong>che</strong> volta la<br />

osservavo e <strong>il</strong> sole di marzo, <strong>che</strong> entrava tra le tendine, <strong>faceva</strong> sembrare oro la canapa e la ruota<br />

mandava m<strong>il</strong>le bagliori.<br />

Ogni tanto <strong>il</strong> bambino piangeva e allora la ragazza spingeva dolcemente la culla e cantava. Io<br />

ascoltavo e non dicevo mai una parola. Qual<strong>che</strong> pomeriggio venivano le sue ami<strong>che</strong> delle case<br />

vicine. Portavano <strong>il</strong> loro muli<strong>nel</strong>lo e f<strong>il</strong>avano con lei. Parlavano tra loro dolcemente e sottovoce,<br />

come se avessero timore di disturbarmi. Parlavano armoniosamente tra loro e le ruote dei muli<strong>nel</strong>li<br />

rendevano piú dolci le voci. Questa è stata la medicina. Cantavano an<strong>che</strong>. Erano le loro vecchie<br />

canzoni di sempre: Stienka Rasin, Natalka Poltawka e i loro antichi motivi di balli. Guardavo per<br />

ore e ore <strong>il</strong> soffitto e ascoltavo. Alla sera mi chiamavano per mangiare con loro. Mangiavamo tutti

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!