Introduzione alla poesia "Consalvo". - Biagio Carrubba
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<strong>Introduzione</strong> <strong>alla</strong> <strong>poesia</strong> "Consalvo".<br />
Consalvo è la terza <strong>poesia</strong> del Leopardi, che il poeta scrisse nell’autunno del 1832. La <strong>poesia</strong> nasce<br />
d<strong>alla</strong> pressione e d<strong>alla</strong> passione che la signora Fanny Targioni Tozzetti suscita nel poeta. Era il<br />
momento di maggiore fuoco per il Leopardi, che frequentava spesso la casa della signora nella<br />
speranza di chiederle un bacio, anche se non aveva mai il coraggio di dichiararle il suo amore. Il<br />
Leopardi, rifacendosi al poema di Girolamo Graziani "Il conquisto di Granada", scrisse questa<br />
<strong>poesia</strong>, sublimando in questo modo la sua spinta libidica interiore. Consalvo è il Leopardi stesso che<br />
si autodescrive, che esprime i suoi sentimenti, i suoi laceranti, ma legittimi, desideri affettivi e<br />
sensuali, che lo spingevano a soffrire in silenzio e a sublimare la sua straziante passione. Consalvo è<br />
la <strong>poesia</strong> di maggior pressione e di maggiore intensità amorosa di tutto il ciclo di Aspasia; il<br />
Leopardi era ben conscio che quella occasione era l'ultima nella quale egli poteva essere amato ed<br />
amare una donna, come si deduce anche dalle due lettere che scrisse <strong>alla</strong> signora. Consalvo è l'apice<br />
di un rapporto vivo di vitalità amorosa e, come è stato detto dal Carducci, è una <strong>poesia</strong><br />
melodrammatica e romantica, ma è anche, secondo me, la <strong>poesia</strong> più gaia, più viva e vivace di tutto<br />
il ciclo di Aspasia.<br />
Consalvo è la <strong>poesia</strong> dove il Leopardi esprime il suo abissale bisogno d'essere amato, tanto che per<br />
un bacio sarebbe andato perfino all'inferno; una <strong>poesia</strong> nella quale il Leopardi mostra tutta la sua<br />
meravigliosa forza interiore. Per me questa <strong>poesia</strong> è una tra le più belle del Leopardi, perché<br />
esprime soprattutto amore ed energie e fa emergere la forza di vivere del poeta, al contrario di tante<br />
altre poesie che sono disperatamente dolorose, piene di sconforto esistenziale e soffocate dal suo<br />
dolore perenne. Il Leopardi, come dice Ugo Dotti a pagina 107 del suo bel libro “Giacomo Leopardi<br />
Canti” edizione Feltrinelli, retrocesse la <strong>poesia</strong> al posto numero XVII del suo canzoniere, ma, essa,<br />
secondo me, per i motivi detti di sopra, poteva occupare il numero XXVIII, subito dopo "Amore e<br />
Morte" e prima di "A se stesso". Il Leopardi, benché si trovasse in una situazione perdente tra lui,<br />
Antonio Ranieri e la Targioni Tozzetti, tentò con tutte le sue forze di inserirsi in un gioco amoroso<br />
più forte di lui e quando capii che ogni speranza d'amore era finita allora si rassegnò ad una vita<br />
piatta e vuota priva di amore. Fu allora che scrisse la quarta e la più disperata <strong>poesia</strong> del ciclo di<br />
Aspasia "A se Stesso", dove esprime tutto il suo dolore, tutta la sua delusione verso lo spiraglio<br />
amoroso che lui aveva creduto si fosse aperto e dove esterna tutto il suo disprezzo verso il mondo.<br />
La <strong>poesia</strong> è composta da 151 versi divisi in 8 strofe di varia lunghezza. Ecco la presentazione che fa<br />
della <strong>poesia</strong> Lucio Felici: <br />
(da Giacomo Leopardi – Canti – Newton & Compton Editori – pag. 104)<br />
1
Testo della <strong>poesia</strong> “Consalvo”.<br />
Presso <strong>alla</strong> fin di sua dimora in terra,<br />
giacea Consalvo; disdegnoso un tempo<br />
del suo destino; or già non più, che a mezzo<br />
il quinto lustro, gli pendea sul capo<br />
il sospirato obblio. Qual da gran tempo,<br />
così giacea nel funeral suo giorno<br />
dai più diletti amici in terra al alungo andar nessuno<br />
resta a colui che della terra è schivo.<br />
Pur gli era a fianco, da pietà condotta<br />
a consolare il suo deserto stato,<br />
quella che sola e sempre eragli a mente,<br />
per divina beltà famosa Elvira;<br />
conscia del suo poter,conscia che un guardo<br />
suo lieto,un detto d'alcun dolce asperso,<br />
ben mille volte ripetuto e mille<br />
nel costante pensier, sostegno e cibo<br />
esser solea dell'infelice amante:<br />
benchè nulla d'amor parola udita<br />
avess'ella da lui. Sempre in quell'alma<br />
era del gran desio stato più forte<br />
un sovrano timor. Così l'avea<br />
fatto schiavo e fanciullo il troppo amore.<br />
Ma ruppe alfin la morte il nodo antico<br />
<strong>alla</strong> sua lingua. Poiché certi i segni<br />
sentendo di quel dì che l'uom discioglie,<br />
lei, già mossa a partir, presa per mano,<br />
e quella man bianchissima stringendo,<br />
disse: tu parti, e l'ora omai ti sforza:<br />
Elvira,addio. Non ti vedrò, ch'io creda,<br />
un'altra volta. Or dunque addio. Ti rendo<br />
qual maggior grazia mai delle tue cure<br />
dar possa il labbro mio. Premio daratti<br />
chi può, se premio ai pii dal ciel si rende.<br />
Impallidia la bella, e il petto anelo<br />
udendo le si fea: che sempre stringe<br />
all'uomo il cor dogliosamente, ancora<br />
2
ch'estranio sia, chi si diparte e dice,<br />
addio per sempre. E contraddir voleva,<br />
dissimulando l'appresar del fato,<br />
al moribondo. Ma il suo dir prevenne<br />
quegli, e soggiunse: desiata. E molto,<br />
come sai, ripregata a me discende,<br />
non temuta, la morte; e lieto apparmi<br />
questo feral mio dì. Pesami, è vero,<br />
che te perdo per sempre. Oimè per sempre<br />
parto da te. Mi si divide il core<br />
in questo dir. Più non vedrò quegli occhi,<br />
né la tua voce udrò! Dimmi: ma pria<br />
di lasciarmi in eterno, Elvira, un bacio<br />
non vorrai tu donarmi? Un bacio solo<br />
in tutto il viver mio? Grazia ch'ei chiegga<br />
non si nega a chi muor. Né già vantarmi<br />
potrò del dono, io semispento, a cui<br />
straniera man le labbra oggi fra poco<br />
eternamente chiuderà. Ciò detto<br />
con un sospiro, all'adorata destra<br />
le fredde labbra supplicando affisse.<br />
Stette sospesa e pensierosa in atto<br />
la bellissima donna; e fiso il guardo,<br />
di mille vezzi afavillante, in quello<br />
tenea dell'infelice, ove l'estrema<br />
lacrima rilucea. Nè dielle il core<br />
di sprezzar la dimanda, e il mesto addio<br />
rinacerbir col niego; anzi la vinse<br />
misericordia dei ben noti ardori.<br />
E quel volto celeste, e quella bocca,<br />
già tanto desiata, e per molt'anni<br />
argomento di sogno e di sospiro,<br />
dolcemente appressando al volto afflitto<br />
e scolorato dal mortale affanno,<br />
più baci e più, tutta benigna e in vista<br />
d'alta pietà, su le convulse labbra<br />
del trepido, rapido amante impresse.<br />
Che divenisti allor? Quali appariro<br />
vita, morte, sventura agli occhi tuoi,<br />
fuggitivo Consalvo? Egli la mano,<br />
ch'ancor tenea, della diletta Elvira<br />
postasi al cor, che gli ultimi battea<br />
palpiti della morte e dell'amore,<br />
oh, disse, Elvira, Elvira mia! Ben sono<br />
in su la terra ancor; ben quelle labbra<br />
fur le tue labbra, e la tua mano io stringo!<br />
Ahi vision d'estinto, o sogno, o casa<br />
incredibil mi par. Deh quanto, Elvira,<br />
3
quanto debbo <strong>alla</strong> morte! Ascoso innanzi<br />
non ti fu l'amor mio per alcun tempo;<br />
non a te, non altrui; che non si cela<br />
vero amore <strong>alla</strong> terra. Assai palese<br />
agli atti, al voto sbigottito, agli occhi,<br />
ti fu: ma non ai detti. Ancora e sempre<br />
muto sarebbe l'infinito affetto<br />
che governa il cor mio, se non l'avesse<br />
fatto ardito il morir. Morrò contento<br />
del mio destino ormai, né più mi dolgo<br />
ch'aprii le luci al dì. Non vissi indarno,<br />
poscia che quella bocca <strong>alla</strong> mia bocca<br />
premer fu dato. Anzi felice estimo<br />
la sorte mia. Due cose belle ha il mondo:<br />
amore e morte. All'una il ciel mi guida<br />
in sul fior dell'età; assai<br />
fortunato mi tengo. Ah, se una volta,<br />
solo una volta il lungo amor quieto<br />
e pago avessi tu, fora la terra<br />
fatta quindi per sempre un paradiso<br />
ai cangiati occhi miei. Fin la vecchiezza,<br />
l'abborrita vecchiezza, avrei sofferto<br />
con riposato cor:che a sostenerla<br />
basta sempre il rimembar sarebbe<br />
d'un solo istante, e il dir: felice io fui<br />
sovra tutti i felici. Ahi, ma contanto<br />
esser beato non consente il cielo<br />
a natura terrena. Amat tant'oltre<br />
non è dato con gioia. E ben per patto<br />
in poter del carnefice ai flagelli,<br />
alle ruote, alle faci ito volando<br />
sarei dalle tue braccia; e ben disceso<br />
ne paventato sempiterno scempio.<br />
O Elvira, Elvira, oh lui felice, oh sovra<br />
gl'immortali beato, a cui tu schiuda<br />
il sorriso d'amor! Felice appresso<br />
chi per te sparga con la vita il sangue!<br />
Lice, lice al mortal, non è già sogno<br />
come stimai gran tempo, ahi lice in terra<br />
provar felicità. Ciò seppi il giorno<br />
che fiso io ti mirai. Ben per mia morte<br />
questo m'accadde. E non però quel giorno<br />
con certo cor giammai, fra tante ambasce,<br />
quel fiero giorno biasimar sostenni.<br />
Or tu vivi beata, e il mondo abbella,<br />
Elvira, col tuo sembiante. Alcuno<br />
non l'amerà quant'io l'amai. Non nasce<br />
un altrettale amor. Quanto, deh quanto<br />
4
dal misero Consalvo in si gran tempo<br />
chiamata fosti, e lamentata, e pianta!<br />
Come al nome d'Elvira, in cor gelando,<br />
impallidir; come tremar son uso<br />
all'amaro calcar della tua soglia,<br />
a quella voce angelica, all'aspetto<br />
di quella fronte, io ch'al morir non tremo!<br />
Ma la lena e la vita or vengon meno<br />
agli accenti d'amor. Passato è il tempo,<br />
né questo di rimemorar m'è dato.<br />
Elvira, addio. Con la vital favilla<br />
la tua diletta immagine si parte<br />
dal mio cor finalmente. Addio. Se grave<br />
non ti fu quest'affetto, al mio feretro<br />
dimani all'annottar manda un sospiro.<br />
Tacque: né molto andò, che a lui col suono<br />
mancò lo spirito; e innanzi sera il primo<br />
suo di felicità gli fuggia dal guardo.<br />
Casa Natale di Leopardi a Recanati<br />
5
Fanny Targioni Tozzetti<br />
Parafrasi e costruzione diretta della <strong>poesia</strong> "Consalvo".<br />
I<br />
Consalvo giaceva ormai prossimo <strong>alla</strong> fine della sua vita, della quale un tempo ne era stato<br />
sdegnato, ma ormai non lo era più perché erano passati 22 anni e mezzo e perché la sospirata fine<br />
gli incombeva sul letto di morte.<br />
Consalvo era lì da gran tempo, abbandonato dai suoi amici, perché rimane solo, chi si mostra<br />
disprezzatore della vita.<br />
Accanto a lui venne Elvira, famosa per la sua bellezza, condotta a lui d<strong>alla</strong> pietà e per consolare il<br />
suo stato di solitudine.<br />
Lei era ben consapevole che un suo sguardo, una sua frase d'amore, sarebbe stata ripetuta più volte<br />
dal moribondo e sapeva che lei era motivo di vita per lui, benché lei non aveva mai udito nessuna<br />
parola d'amore da lui. E c’era, in Consalvo, un invincibile timore che aveva prevalso sul suo<br />
desiderio di dichiarare il suo amore verso di lei, così ché il troppo amore lo aveva reso schiavo della<br />
propria fanciullesca timidezza.<br />
II<br />
Ma infine la morte gli fece vincere la timidezza del parlare.<br />
Consalvo, certo dei segni dell'imminente morte, le prese la mano bianchissima e le disse: .<br />
III<br />
La bella donna impallidiva e il suo petto diventava ansimante, dato che il cuore si stringe sempre se<br />
una persona, in punto di morte, anche non conosciuta, dice addio. Lei voleva contraddire il<br />
moribondo, mostrando di non credere all'avvicinarsi della morte. Ma Consalvo la prevenne e le<br />
disse: . Dopo aver detto ciò, con un sospiro<br />
impresse nella mano destra dell'amata le sue fredde labbra, supplicando.<br />
6
IV<br />
La bellissima donna stette esitante e pensierosa e fissò lo sguardo dell'infelice, dove un'ultima<br />
lacrima riluceva. Il cuore non le consentì di respingere la domanda per non rendere ancora più<br />
penoso il triste addio con un diniego; anzi, la misericordia dei suoi ardori, la vinse. Elvira,<br />
abbassando il suo bel volto e la sua bocca, già tanto desiderata e oggetto di fantasie e di desideri<br />
(da parte di Consalvo), e avvicinandosi dolcemente al volto afflitto e pallido per il mortale affanno,<br />
tutta benigna e con una espressione di alta pietà, diede più baci sulle convulse labbra del trepidante<br />
e felice amante.<br />
V<br />
O moribondo Consalvo, che diventasti allora? La vita, la morte l'infelicità come apparvero diversi ai<br />
tuoi occhi? E lui, che ancora teneva la mano della diletta Elvira, se la portò al cuore, che stava<br />
battendo gli ultimi battiti d'amore e di morte, e le disse:
odio quel giorno di innamoramento e non ho la forza di biasimare l'ultimo giorno della mia vita,<br />
anche se passato fra tante agonie.<br />
VII<br />
Ora tu vivi beata, e abbellisci il mondo con la tua bella persona.<br />
Nessuno ti amerà quanto ti amai io perché non potrà mai nascere un amore così grande.<br />
Quanto fosti desiderata, amata e pianta dal povero Consalvo.<br />
Come ero uso impallidire quando sentivo il nome di Elvira, e il cuore mi si congelava;<br />
come ero solito tremare quando varcavo la soglia del tuo palazzo e quando sentivo la tua voce<br />
angelica;<br />
come ero solito tremare quando vedevo la tua fronte, io che non tremo neanche dinanzi al morire!<br />
Ma il fiato e la vita mi vengono meno alle parole d'amore.<br />
Il mio tempo ormai è passato, né potrò ricordare questo giorno.<br />
La tua cara immagine parte insieme <strong>alla</strong> mia fiamma vitale.<br />
Addio. Se questo mio sentimento non ti fu noioso, domani al passaggio del mio feretro,<br />
all'annottare manda un sospiro d'amore e di pietà.<br />
Tacque: né visse ancora per molto tempo, poiché con la parola partì anche lo spirito e prima che<br />
facesse sera il suo primo giorno felice gli sfuggì dal suo sguardo.<br />
VIII<br />
Il congedo di Consalvo preannuncia, descrive ed anticipa la triste morte del poeta così come la<br />
descrive il suo amico sodale Antonio Ranieri che, in una celebre pagina della biografia di Leopardi,<br />
ha scritto:
Il Professore <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>.<br />
9
Carmelo Santaera.<br />
Scritto nel 1998 da <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>;<br />
Riletto e corretto da <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong> e Carmelo Santaera nel 2008.<br />
Modica, 11 aprile 2008.<br />
Ricorretto in modo definitivo da <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong> e Carmelo Santaera<br />
Modica, 05 febbraio 2009.<br />
<strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong> e Carmelo Santaera.<br />
10