Silvano Bracci - I Frati MInori a Fano - Fondazione Cassa di ...

SAGGI

Silvano Bracci
I Frati Minori a Fano
I - Crediamo utile una esposizione ragionata circa
la tradizione antica raccolta da storici francescani
sul primitivo insediamento dei Frati
Minori nel territorio di Fano, del quale purtroppo
non troviamo adeguato riscontro nelle fonti
documentarie coeve.
Ecco ciò che quegli storici dicono, a cominciare
da Pietro Ridolfi da Tossignano che scrive
nel 1586: «La Custodia ha il convento di Fano,
della cui fondazione non ho niente se non che
l’Imperatore Federico nominò Vicari Imperiali
nelle Marche [...] a Fano i Malatesti. Perciò il
Convento di S. Francesco da questa illustre
Famiglia dei Malatesti fu dotato di considerevoli
benefici» 1 ; così Francesco Gonzaga nella sua opera
edita del 1587: «Poco distante da questa città,
vicino al predetto fiume Metauro e alla sponda
dell’Adriatico, i nostri frati costruirono un conventino
sotto il titolo di Santa Maria al Ponte
nei primi tempi del nostro Serafico Ordine,
con l’approvazione del senato fanese» 2 ; infine
Ilario Altobelli (1560-1637): «Sul convento di S.
Francesco di Fano c’è una tradizione popolare
presso i fanesi che il Serafico Padre abbia a buona
ragione introdotto a Fano il servizio divino
di quei frati nella città di Fano quando era ancora
vivo e ancora c’è una cappella sotto il titolo
di S. Giuliano nell’atrio del convento» 3 . Luca
Wadding, che inizia a pubblicare i suoi Annales
dal 1625, si rifà al Gonzaga e ad una Historia
manuscripta della Provincia delle Marche e parla
del convento di Fano nell’anno 1235 come se
fosse sorto in questo anno 4 .
Sull’argomento, il più citato tra gli storici fanesi
è Pietro Maria Amiani 5 che, a sua volta, si appella
a testi di storici locali tra i quali Vincenzo
Negusanti (1594-1665), appassionato ricercatore
di documenti e tradizioni riguardanti la storia di
Fano 6 , e a documenti di vari archivi tra cui quello
della Curia Generale dei Frati Minori dell’Ara
Coeli a Roma che però ha subito la devastazione
dei soldati francesi nel 1799 e poi la dispersione
a seguito della soppressione degli ordini religiosi
del 1866.
Secondo la tradizione, dunque, San Francesco
stesso in occasione di un suo passaggio in zona
nel 1215 o nel 1219 avrebbe fondato la prima fraternità
francescana nei pressi del fiume Metauro
accanto ad un “ospedale” e ad una chiesetta dedicata
a Maria Santissima, la fraternità era modesta
per numero di componenti come erano i
primi gruppi che il santo lasciava in loco, dopo
aver suscitato ammirazione in chiunque e dopo
la decisione di alcuni giovani di seguirlo. La
tradizione aggiunge che là il Santo aveva ucciso
un drago o grande serpente, di cui per lungo
tempo si era conservata la mascella nella chiesetta
stessa o addirittura nel convento di Santa
Vittoria di Fratterosa, evidente leggenda di cui
non si ha un benché minimo fondamento, semmai
è più verosimile quanto riporta il Tassi senza
citare la fonte: «Capitato il Patriarca dei poveri
in Fano fu pregato da quelle genti a liberarle
da un enorme e venefico coccodrillo, che recava
grandissimi danni nelle paludi all’imboccatura
del Metauro. Il Santo le consolò: la terribile bestia
fu morta, e di essa se ne vede anche oggi lo
scheletro nell’atrio della Chiesa della Madonna
del Ponte a un due chilometri da Fano. Grati i
Fanesi a Francesco gli edificarono sul luogo stesso
un Convento al culto di una miracolosa immagine
di Maria, che da tempo ivi veneravasi in
piccola chiesa» 7 . Anche questi, dunque, conferma
l’esistenza di una chiesetta, ma non fa cenno
ad un vicino ‘ospedale’ attestato con documenti
dall’Amiani 8 e di cui vedremo l’importanza.
Per poter meglio comprendere il dato della tradizione
è opportuno inserirlo nel contesto storico
del movimento francescano iniziale, sorto
quando il giovane Francesco d’Assisi, già dedito
alla vita eremitica, il 24 febbraio 1208 alla
Porziuncola di Assisi aveva ascoltato il vangelo
della missione e, liberatosi di cose esteriori, si dedicò
alla predicazione itinerante per esortare con
parole semplici a conversione e penitenza, caratteristica
che rimarrà presente nei suoi scritti. Il
suo entusiasmo contagiò l’amico Bernardo che si
associò al vecchio compagno di avventure caval-
A fronte
Pietro Perugino, Pala di
Durante, particolare di San
Francesco con il libro in
mano (Fano, Santa Maria
Nuova)
11

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
12
leresche, seguito da Pietro e da Egidio formando
il primo nucleo dell’Ordine francescano che
già dal successivo mese di maggio di quel 1208
Francesco decideva di inviare oltre i confini del
territorio assisiate per predicare la penitenza:
mandò Bernardo e Pietro verso la Toscana, lui
ed Egidio si diressero ad est uscendo da Assisi attraverso
la «porta qua itur in Marchiam», come
dice l’iscrizione del 1199 apposta su di essa, raggiungendo
probabilmente Fabriano, primo di
una serie di suoi viaggi nelle Marche.
Racconta Tommaso da Celano, il primo biografo,
che Francesco «il sesto anno della sua conversione»
(verso il 1211-12) cercò di raggiungere
la Terra Santa via mare salpando - si pensa
- da Ancona, ma il vento contrario gli permise
di raggiungere solo la Dalmazia, da dove ripartì
per Ancona e, «lasciato il mare […] si mise
a percorrere la terra (della Marca) e solcandola
col vomere della parola di Dio vi seminava il
seme di vita […] e subito molti uomini, buoni
e idonei, chierici e laici, fuggendo il mondo […]
abbracciarono la sua vita e il suo programma» 9
approvato da papa Innocenzo III “vivae vocis
oraculo” nella primavera del 1209 quando il
primo manipolo di dodici frati si era presentato
a Roma. I novelli seguaci non costituivano
ancora delle fraternità organizzate, alloggiavano
presso lebbrosari, in eremi o in chiese abbandonate.
Il cardinale Giacomo da Vitry nella lettera
data da Genova nell’ottobre 1216 - e siamo negli
anni che la tradizione fanese considera - scrive:
«Durante il giorno (i frati minori) entrano nelle
città e nei paesi, impegnandosi attivamente per
guadagnare altri al Signore, la notte ritornano
negli eremi o in qualche luogo solitario per attendere
alla contemplazione» 10 . Nella Regola senza
bolla (c. VII), redatta da Francesco nel 1221,
non ci sono riferimenti a strutture abitative di
carattere stabile riservate alle fraternità: «Si guardino
i frati, ovunque saranno, in eremi o in altri
luoghi, di non appropriarsene e non ne difendano
l’appartenenza nei confronti di alcuno», con
un’aggiunta che conferma la precarietà dell’abi-
tazione: «E chiunque verrà ad essi, amico o nemico,
ladro o brigante, sia ricevuto con bontà».
Scrive al riguardo lo studioso di francescanesimo
Raoul Manselli: «Le prime dimore francescane,
ove non intervenissero fattori occasionali
o casuali, […] erano scelte ad una certa distanza
dalla cerchia urbana, tale però che la città stessa
si potesse raggiungere in un non grande percorso,
tra mezz’ora ed un’ora (da due a quattro chilometri
di oggi). Se per qualche ragione ciò non
fosse stato possibile, allora i Minori si insediavano
dove più fitta era la povera gente e più misera
la loro condizione, di solito perciò o nella parte
interna più vicina alle mura, o immediatamente
fuori, dove erano i cosiddetti borghi. V’era in
tutto questo una intenzione precisa e rispettata
a lungo: il desiderio di essere fra le persone più
bisognose dell’assistenza spirituale e dell’aiuto
anche materiale dei frati» 11 , non ultimo nei piccoli
ospedali dove potevano curare i malati ed in
particolare i lebbrosi .
Alcune di quelle presenze precarie furono il primo
nucleo di un “locum”, come era chiamata
l’abitazione che poi sarà denominata convento.
Sorsero allora i primi insediamenti francescani
marchigiani, a cominciare da San Leo nel 1213
e da Ascoli nel cui circondario, secondo qualche
storiografo, vari “luoghi” francescani furono
iniziati da coloro che in seguito alla predicazione
di Francesco nel 1215 abbandonarono tutto
per imitarne la vita in luoghi solitari. Nel 1219 i
frati minori risultano in Ancona a Santa Maria
a Capodimonte che diventerà San Francesco
ad Alto. “Luoghi” a noi più vicini sono: San
Francesco di Rovereto a Saltara che si dice preso
dallo stesso Santo; Mondavio, di cui il beato
Francesco Venimbeni (+ 1322) nella sua Cronaca
dice che la piccola chiesa dell’Annunziata sulla
cima del colle fu presa dal Santo; Fratterosa che
secondo la tradizione vanta un luogo francescano
dei tempi del Santo; riguardo a Fossombrone,
poiché i fanesi nei vari attacchi alla città distrussero
tutti i documenti, si ipotizza un “luogo”
dei tempi del Santo, mentre è attestata una pre-

senza francescana prope arcem nel 1250; Cagli
sembra avere un luogo francescano dai tempi
di San Francesco, sicuramente nel 1233 c’è un
convento a Mercatale; Pesaro dai primi decenni
dell’Ordine ha una dimora francescana extra
muros Pensauri accanto alla piccola Badia di San
Pietro presso Porta fanestre; a Pergola nel 1255
viene dedicata una chiesa a San Francesco dentro
le mura, ma dobbiamo pensare ad una anteriore
presenza francescana più modesta 12 .
Tommaso da Celano alla prima biografia dell’assisiate
allega un abbondante elenco di miracoli
ottenuti per intercessione del santo, elenco pubblicamente
letto nella cerimonia della sua canonizzazione
il 16 luglio 1228. Tra i miracolati
appaioni tre fanesi: un rattrappito “con le tibie
ulcerate ripiegate indietro e appiccicate al corpo”,
un idropico “col corpo paurosamente tumefatto”,
il ragazzo Bonomo “liberato dalla lebbra
e dalla paralisi” 13 . È risaputo che la devozione al
Santo di Assisi si diffuse e si radicò per la presenza
capillare dei suoi seguaci, allora proprio
per quei tre miracolati fanesi è legittimo pensare
che la nostra città abbia avuto un insediamento
francescano prima del 1228, per cui crediamo
di dover accettare la tradizione di una primitiva
dimora (forse sin dal 1219) accanto alla chiesetta
di Santa Maria al Metauro, luogo solitario e
certamente boschivo e adiacente ad un piccolo
ospedale, elementi che attraevano i primi seguaci
di Francesco.
Quando la fraternità cambiò dimora? Fra
Salimbene de Adam nella sua “Cronica” 14 parla
del convento di Fano dove egli sui 15 anni
d’età fu inviato per il noviziato e ciò attorno
al 1236, infatti il Wadding assegna al 1235 il
trasferimento della prima fraternità dalla zona
del Metauro «ad un convento più vicino, più
più confortevole» (ad locum viciniorem, elegantiorem).
Salimbene dice che il convento sorgeva
«fuori la città e vicino al mare» (extra civitatem
et iuxta marem), tanto che egli poteva andare a
passeggiare sulla spiaggia, ma poco dopo i superiori
lo mandarono a continuare il noviziato nel
convento di Iesi perché suo padre, che non era
riuscito a convincere il giovane a tornare a casa,
aveva promesso una lauta ricompensa ai pirati
di Ancona se fossero riusciti a rapire il figlio per
riportarlo a Parma. Salimbene dunque testimonia
un convento fanese con una fraternità francescana
ormai stabile posta fuori le mura della
città, che poteva anche non avere una propria
chiesa, come allora succedeva, poiché i frati ne
frequentavano una interna o esterna alla città.
Doveva comunque essere una vera e propria fraternità
con un lettore e un ripetitore (un docente
e un collaboratore, quali erano rispettivamente
frate Umile da Milano e frate Vitale da Volterra)
per la formazione di novizi, perciò costituita da
almeno dodici persone, anche se sarà la bolla
di Innocenzo IV del 5 aprile 1250 a inaugurare
la distinzione fra chiese conventuali, cioè di
un convento con almeno 12 frati, e chiese non
conventuali a servizio di un romitorio abitato da
uno o più religiosi.
Parliamo ormai di tempi successivi a san
Francesco morto nel 1226 e l’Ordine, che, lui
vivente, aveva conosciuto una forte espansione
per numero di frati e di “luoghi” in tutta
Europa, si stava avviando verso il fenomeno
dell’inurbamento. Per motivi di cura d’anime e
di predicazione e per l’esercizio del questuare i
frati si appoggiavano ad una struttura minima
denominata ospitium all’interno della città, cioè
una stanza che potesse ospitare il predicatore o
il questuante. È questo in alcuni casi il primo
nucleo del convento urbano. Dal 1235 i Frati
Minori disponevano in Fano di un “ospizio”
con annessa cappella dedicata a San Giuliano.
A questo punto sembra opportuno chiederci se
non fosse San Giuliano la chiesa che i frati dimoranti
fuori le mura frequentavano per la loro
preghiera comunitaria e ciò per due motivi: primo
perché la chiesetta, dedicata a San Giuliano
Ospitaliere, aveva accanto un ospedale (probabilmente
una sola stanza come spesso accadeva)
per alloggiare poveri e pellegrini, poi perché dai
frati la chiesetta di cui in qualche modo erano
I FRATI MINORI A FANO
13

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Interno dell’antica chiesa
di Santa Maria del Ponte
Metauro
14
diventati proprietari fu conservata e addirittura
inglobata nella costruzione del convento di San
Francesco 15 .
Il terzo passaggio della fraternità francescana fanese
avvenne nel 1255 con l’inizio della chiesa
dedicata a San Francesco, come già in altre città,
per la quale papa Alessandro IV con bolla data
da Napoli il 27 aprile concesse molte indulgenze
ai fedeli che avessero contribuito alle spese 16 . La
fabbrica fu completata in due anni e ottantuno
anni dopo, nel 1336, veniva benedetta dal vescovo
fanese Giacomo II assistito da sette vescovi
di cui 6 erano francescani 17 , ma fu rifabbricata
nel 1460 dai Malatesta che vollero le proprie sepolture
nelle chiese francescane di Rimini e di
Fano 18 , da cui il pensiero del Tossignano riportato
all’inizio di questo saggio.
Con la costruzione della chiesa, come ipotizza
l’Amiani 19 , non c’entra san Bonaventura ancora
studente a Parigi, eletto all’unanimità Ministro
Generale dell’Ordine nel Capitolo convocato an-
ticipatamente all’Ara Coeli di Roma il 2 febbraio
1257. Frate Bonaventura, pur dichiarando «la
propria insufficienza a portare il peso impostogli,
sia per la malferma salute sia per la pochezza della
propria intelligenza», obbedì alla volontà della
massima assise dell’Ordine e di papa Alessandro
IV ivi presente, disponendosi a servire gli oltre
trentamila confratelli sparsi nel mondo e divisi
dall’interpretazione della Regola della quale fece
il centro del suo servizio di Ministro per tenere
unito l’ormai variegato Ordine. Bonaventura diramò
nel mese di aprile una lettera nella quale
sottolineava i mali dell’Ordine, tra cui la costruzione
di grandi edifici, concludendo con il richiamo
allo zelo e alla devozione per riaccendere
nei frati lo spirito d’orazione, la carità fraterna
e l’amore per la vita povera, ma non si mostrò
contrario alle grandi chiese gotiche che, per onorare
il santo Fondatore a cui venivano dedicate,
sorsero numerose nelle città maggiori e minori,
tra cui Fano.

II - Quanto appena detto ha messo in evidenza
le due interpretazioni della Regola acuitesi dopo
la morte di San Francesco: una considerevole
parte dei frati con il pretesto della predicazione,
in aiuto o in sostituzione del clero locale generalmente
poco colto, propendeva per strutture
dentro le città realizzando monumentali chiese e
grandi complessi conventuali comprensivi di officine
e scantinati adatti ad accantonare derrate
necessarie per una comunità numerosa, di conseguenza
venivano accettati lasciti, donazioni ed
elemosine in danaro; un altro gruppo, per fedeltà
al modello e alla Regola del fondatore, viveva
in piccole comunità al di fuori di centri abitati o
addirittura in romitaggi rigettando ogni genere
di possesso. La contrapposizione tra le due anime
vide qualche repressione verso gli estremisti,
gli “spirituali”, che a loro volta non fecero mancare
polemici giudizi contro chi aveva accettato
interpretazioni accomodanti e dispense pontificie
nella povertà comunitaria. Ciò nonostante
l’Ordine rimase unico.
Attorno a fra Paoluccio dei Trinci di Foligno,
che dal 1368 si era ritirato a Brogliano sul pianoro
di Colfiorito tra Umbria e Marche, fiorì
una comunità di frati, per lo più non sacerdoti,
votati alla contemplazione nella povertà non solo
individuale ma comunitaria. Da questi frati, che
non calzavano scarpe ma portavano zoccoli per
difendersi dalle serpi da cui l’appellativo “zoccolanti”,
si sviluppò il movimento interno all’Ordine
denominato de observantia regulae a cui il
Ministro Generale concesse di accettare novizi
ed aprire altri “luoghi”. Il movimento dell’Osservanza
ebbe una eccezionale espansione dopo
che nel 1402 vi si aggregò Bernardino da Siena,
giovane di grande spiritualità e cultura, che seppe
armonizzare contemplazione e predicazione,
povertà e studio, sostenendo l’usus pauper dei
beni strumentali. I frati della “famiglia” osservante
vivevano in conventi modesti al di fuori
della città ed ottennero dai confratelli della
“comunità” di poter abitare alcuni luoghi cari
a san Francesco, quali l’eremo delle Carceri e la
Porziuncola ad Assisi e il monte della Verna in
Toscana 20 .
La soluzione pratica bernardiniana dell’annosa
questione della povertà e della contrapposizione
fra predicazione e contemplazione richiamò
nella “famiglia” osservante anche frati della
“comunità”, ma soprattutto il senese con la sua
predicazione popolare attrasse elementi dall’ambiente
dotto, tra i quali nel 1415 San Giovanni
da Capestrano e nel 1416 San Giacomo della
Marca che, a loro volta, diventarono animatori
della “famiglia” accogliendovi innumerevoli giovani
affascinati dalla loro predicazione. L’unico
Ordine dei Frati Minori, ormai con due anime
sempre più evidenti e contrapposte, da Leone X
con la bolla Ite vos in vineam meam del 29 maggio
1517 sarà diviso in due rami: Frati Minori
Osservanti e Frati Minori Conventuali.
La ripetuta presenza di frate Giacomo della
Marca a Fano alimentò il desiderio di avere anche
qui i frati dell’Osservanza oltre ai frati minori
del convento di San Francesco dove il santo
alloggiava. È attestata una prima richiesta «per
la gloria di Dio e per la salvezza delle anime»
(ad honorem Dei et salutem animarum) datata
16 ottobre 1446 con la quale il Consiglio e la
Comunità fanese pregavano papa Nicolò V di inviare
il Vicario degli Osservanti con alcuni confratelli
« per scegliere e far costruire un convento
in quella zona che a loro sarebbe apparsa più idonea
e silenziosa» 21 . Il 4 marzo 1455 Sigismondo
Pandolfo Malatesti, «richiesto di scegliere un
luogo conveniente e adatto per la costruzione
di un convento dell’Osservanza dell’Ordine di
San Francesco, dato che in questa sua città erano
state lasciate molte elemosine per l’edificazione
del detto convento» (allo scopo si era avuta quasi
una gara tra le famiglie più in vista, quali i
Marcolini, i Peruzzi, i Palazzi, ecc., ma anche da
parte di gente meno in vista), convocò presso il
suo palazzo il Consiglio con il quale si convenne
che, «pro minori expendio» cioè per non accollarsi
tante spese, sembrava opportuno concedere
«l’oratorio di S. Maria del Metauro con le sue
I FRATI MINORI A FANO
15

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
16
case perché era luogo pio, devoto, con locali già
edificati e posto in luogo congruo», facendo salva
la proprietà che doveva rimanere alla Comunità
di Fano 22 . Nella stessa riunione vennero eletti
quattro consiglieri che insieme al pontiniere e
all’Amicus Comunis (il pubblico funzionario che
sarà denominato Gonfaloniere dal 25 settembre
1463, dopo la partenza di Sigismondo Pandolfo
Malatesti e la concessione della libertas ecclesiastica)
incontrassero il predicatore frate Giacomo
da Ascoli 23 e il suo compagno fra Battista da Iesi
per riferire quanto era stato detto e chiedessero
loro di mettere per iscritto quanto desideravano.
La pratica per l’insediamento dei francescani
dell’Osservanza a Santa Maria al Metauro si
concluse con l’assenso di papa Nicolò V, così il
Consiglio in data 9 marzo 1455 concesse ai frati
dell’Osservanza l’uso della chiesetta con annessa
abitazione, gli orti e una piccola vigna verso la
selva, provvedendo suppellettili liturgiche e mettendo
a loro disposizione una parte delle offerte
in cera e denaro necessaria per officiare la chiesa
e per il sostentamento dei religiosi, inoltre venivano
riconosciuti tutti i lasciti fatti da benefattori
per la costruenda chiesa e relativo convento per il
quale scopo era concesso anche l’uso delle fornaci
del Comune fino al completamento della nuova
fabbrica 24 . Mancava la formalità della consegna
degli immobili che fu fatta nella sala del capitolo
del convento di San Francesco davanti al notaio
Gregorio Damiani il 18 aprile 1455: ma non potendo
gli Osservanti direttamente accettare immobili
secondo la Regola di San Francesco, venne
nominato il “Sindaco Apostolico” nella persona
di Giovanni Vianutii da Casteldurante da parte
di Fra Francesco de Castionibus Vicario (degli
Osservanti marchigiani), di Fra Sante (Boncori
da Penna San Giovanni) Ministro dei Conventi
(cioè Ministro della Provincia marchigiana)
e di Fra Andrea da Saltara Guardiano di San
Francesco, con il consenso dei frati Giacomo di
Giovanni da Ascoli, Giovanni Battista da Iesi
(che sarà guardiano della nuova fraternità) e altri
frati osservanti, così il Comune di Fano con il
consenso di Sigismondo Pandolfo Malatesti assegnò
ai frati dell’Osservanza l’uso dell’oratorio,
della casa e altre case del Ponte 25 .
La Municipalità fanese era soddisfatta della concessione
perché sembrava di aver trovato ottima
soluzione per l’animazione del piccolo santuario
mariano del Metauro dove sostavano pellegrini
diretti o di ritorno da Loreto e verso cui da varie
parti si avviavano devoti e malati, specie i fanesi
e a tale proposito è curiosa la penitenza stabilita
nella riunione della confraternita di San Michele
del 6 giugno 1457 per qualche confratello che
non avesse assistito alla messa e alla predica in
una festività di precetto: “recarsi alla chiesa di
Santa Maria al Metauro frustandosi” 26 . Anche
se non si sentiva urgente la costruzione di un
nuovo convento, sorse ben presto nei frati il desiderio
di trasferirsi altrove per varie cause, tra cui
l’insalubrità del luogo, le dispute col Pontiniere
circa le elemosine della chiesetta, il transito di
soldati che non avevano riguardo nemmeno per
una comunità religiosa. In data 16 novembre
1456 intervenne persino papa Callisto III che,
sollecitato dal vescovo di Fano e dal Malatesti,
obbligava il Vicario Provinciale degli Osservanti
«ad evitanda scandala» a non trasferire la famiglia
religiosa «dall’oratorio o cappella di Santa Maria
del Metauro verso cui il popolo nutre grandissima
devozione per i molti famosi miracoli che ivi
avvengono, come si dice» 27 .
Ma da quando il romano Giordano Orsini,
eletto Pontiniere dell’Ospedale di Santa Maria
al Metauro il 28 settembre 1463 dal cardinale
Nicola di Teano legato apostolico 28 , aveva aperto
davanti alla chiesa una locanda per alloggiare i
pellegrini, i religiosi riaffermarono decisamente
l’intenzione di erigere altrove un nuovo convento
e il Consiglio cittadino non poté non dare parere
favorevole nominando nella seduta del 27
ottobre 1464 tre cittadini che individuassero il
luogo adatto allo scopo 29 .

III - La realizzazione dell’auspicato nuovo convento
poté avvenire dal momento in cui il Comune
cedette ai frati il terreno vicino all’Ospedale dei
santi Cosma e Damiano nella zona destinata a
lazzaretto, ovviamente denominato San Lazzaro.
Papa Sisto IV (fra Francesco Della Rovere, già
Ministro Generale dell’Ordine) con bolla del
22 maggio 1476 autorizzò l’edificazione di «un
nuovo convento non troppo distante dalla nostra
città di Fano e più distante dalla pubblica
via (rispetto al precedente)» 30 . La prima pietra fu
solennemente benedetta il 1° ottobre 1477 dal
vescovo francescano Giovanni De Tonsis fanese,
ma per l’effettiva edificazione si ebbe la difficoltà
maggiore nella scarsità dei mezzi finanziari, nonostante
le somme elargite periodicamente dalla
Comunità il cui Consiglio deliberò di attingere
dalle entrate del Ponte e della chiesa adiacente 31 .
Comunque nell’agosto 1479 alcuni frati abitavano
già l’edificio non ancora completato. Solo
la soluzione di una controversia per disporre
liberamente dei considerevoli beni lasciati dai
fratelli Francesco e Galeotto Marcolini permise
di completare chiesa e convento che furono
denominati “Santa Maria Nuova”, dove i frati
osservanti si trasferirono ufficialmente nel 1480,
anche se continuavano i lavori di rifinitura come
si comprende dalla quietanza di 356 ducati e 18
bolognini rilasciata in data 2 settembre 1485 da
Mastro Antonio fu Bernabeo da Como per i lavori
realizzati fino allora 32 .
Il nuovo convento doveva essere capace di una
comunità di almeno dodici frati, ma la chiesa
oltre che capiente doveva essere bella, perché per
Santa Maria Nuova in San Lazzaro furono realizzate
splendide opere d’arte. Semplici donazioni
di facoltose persone devote dei frati, come
si evince dal testamento del 17 maggio 1485 di
Durante di Giovanni Vianutii e dal testamento
del 12 gennaio 1489 di Pietro Peruzzi 33 , oppure
esplicita richiesta di quei frati che, proprio perché
dell’Osservanza, dovevano attenersi alla povertà
anche comunitaria più dei confratelli conventuali
della chiesa di San Francesco dentro le mura?
Il santo fondatore assisiate, che disprezzava il
danaro e voleva che ugualmente facessero i suoi
frati, ammetteva la sola eccezione per i malati:
«Nessun frate, ovunque sia e dovunque vada,
in nessun modo porti con sé o riceva o permetta
che si ricevino beni o denari [...] se non per
evidente necessità dei frati malati» (Regola senza
bolla, cap. VIII). Ma lo stesso Francesco aveva
scritto nella Lettera a tutti i chierici: «Ovunque il
santissimo corpo del Signore nostro Gesù Cristo
sia stato posto e abbandonato inadeguatamente,
sia rimosso da quel luogo e sia riposto e custodito
in un luogo prezioso», concetto ribadito negli
ultimi giorni di vita: «Voglio che questi santissimi
sacramenti [il corpo e sangue di Cristo]
siano più di ogni altra cosa onorati, venerati e
collocati in luoghi preziosi [...]» (Testamento) 34 .
Sin dai primi anni dell’Ordine i suoi seguaci
non esitarono a dar seguito a tali desideri, non
solo provvedendo alla costruzione e decorazione
della grandiosa basilica eretta in Assisi a gloria di
Dio e ad onore del suo servo Francesco (in verità
sorta per volontà di papa Gregorio IX, già amico
personale del santo), ma anche della chiesetta
della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli
che, oltre a custodire all’interno la grande tavola
di Prete Ilario da Viterbo (1393), proprio i frati
osservanti ne fecero affrescare l’esterno dell’abside
nel 1486 da Pietro Vannucci detto il Perugino
che vi raffigurò la Crocifissione. Dunque povertà
personale e comunitaria, ma cose preziose per
il Creatore e Signore di tutto e ad onore della
Vergine Maria sua Madre e anche del serafico
padre San Francesco.
Così anche i frati osservanti di Fano, per mezzo
di sindaci apostolici o amministratori delle entrate
e uscite del convento approvati dal papa,
quali «Petrus Antonius a Lanceis et Matheus de
Martinotiis de Fano sindici ecclesiae Sanctae
Mariae Novae» 35 , non temettero di sollecitare
finanziamenti da parte di facoltosi benefattori e
affidare committenze ad artisti di grido perché il
tempio di Santa Maria Nuova riflettesse la gloria
celeste e narrasse fatti evangelici alla gente per
I FRATI MINORI A FANO
17

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
18
San Giacomo della Marca e altri Frati Santi a Fano
I conventi francescani fanesi hanno ospitato frati illustri non solo per cultura ma anche per santità, che
vogliamo presentare.
San Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274), eletto Ministro Generale dell’Ordine nel capitolo convocato
anticipatamente all’Ara Coeli di Roma il 2 febbraio 1257, soggiornò nel convento di San
Francesco nel gennaio 1258, sembra in concomitanza con una congiura di ghibellini guidati da Guido
da Carignano scoperta proprio dal santo che ne fece parola con i magistrati guelfi secondo quanto
riferisce l’Amiani 1 .
Di un beato Antonio da Fano (sec. XV) fa cenno Agostino Pellegrini dicendo che «dietro il ciborio
amovibile posto sopra la mensa dell’altare di Sant’Antonio di Padova si trova questa iscrizione: “in
memoria aeterna erit justus / Dominus custodit omnia ossa eorum”» e cita uno scritto dell’agostiniano
Carlo Moretti datato 1675 che ne dà qualche notizia: «[...] con la sua santità e dottrina estinse la pessima
eresia de’ Faniscolari [...] pieno di meriti ed infinita bontà, passò al Signore nel convento dell’Ordine
predetto fuori della città di Fano, nel qual monastero rifabbricato entro le mura fu traslato il di lui
corpo, che tutto intero conservasi nella chiesa di S. Maria Nuova del suo Ordine predetto nell’altare
di S. Antonio» 2 . Di questo venerato frate non abbiamo altre indicazioni biografiche, poiché Vincenzo
Nolfi nel ricordare santi francescani osservanti fanesi si limita a queste parole: «F. Antonio, che l’anno
1430 fu Confessore di Alfonso Rè di Aragona, e di lui Ambasciatore a Papa Martino V» 3 e così pure
il Wadding all’anno 1430: «Erano attivi in questo tempo frate Antonio da Fano Confessore del Re di
Aragona Alfonso e Oratore presso papa Martino per trattare della concordia [...]» 4 , ma l’Amiani allo
stesso anno parla di un beato Antonio agostiniano fanese “detto il Juniore”, rispetto ad un omonimo
agostiniano seniore, nato circa il 1393 che poi fu confessore del re Alfonso d’Aragona, morto verso il
1432 5 . Sta di fatto, come dice il Pellegrini, che dalla chiesa di Santa Maria Nuova in San Lazzaro era
stato trasferito a Santa Maria Nuova in San Salvatore il corpo mummificato del ‘beato’ Antonio da
Fano francescano osservante conservato appunto nell’altare di Sant’Antonio. Ma durante gli interventi
di restauro del 1958-59 si pensò di trasferirlo dato che non ne esisteva venerazione, così in una elencazione
di “lavori eseguiti in economia” relativi al mese di dicembre 1959 si legge tra l’altro: «Per apertura
e chiusura di porte nella Chiesa, chiusura della nicchia del Beato Antonio, [...]» 6 e a suo tempo dalla
viva voce di P. Francesco Talamonti, il Guardiano che promosse e seguì i lavori, abbiamo saputo che
quel corpo “tutto intero” fu tolto e murato verticalmente all’inizio della parete destra della chiesa nel
vano tamponato di un passaggio che immetteva nell’attuale convento. Di questo santo frate fanese, pur
denominato “beato”, non è stato mai promosso un processo per il riconoscimento del culto da parte
dell’autorità ecclesiastica.
Sappiamo che San Giacomo della Marca (1393-1476) fu presente più volte a Fano, alloggiando nel
convento di San Francesco. Nel 1423 fu incaricato da papa Martino V di intervenire contro i Fraticelli
dell’opinione: «Erasi la loro Setta ancora in Fano, e ne’ Stati de’ Malatesti introdotta, onde ad estirparla
inviò in queste parti il Pontefice Commissario Apostolico il P. Giacomo Frate Minore dell’Osservanza
di S. Francesco, oggi su gl’Altari dal Mondo Cattolico venerato» 7 .
Nel 1427 si trovava a Fano per la seconda volta allorché giungeva da Rimini Pandolfo III Malatesti:
«Ormai messo a dura prova da anni di battaglie e di eccessi, ammalatosi all’inizio dell’autunno del
1427, ma indomito e ostinato fino alla fine, progettò di fare un pellegrinaggio a piedi da Rimini fino
al santuario mariano di Loreto. Giunse tuttavia sino a Fano» 8 , al non meno noto santuario mariano di

Ponte Metauro per impetrare la guarigione e poi
ritirarsi nel suo palazzo spossato dalla malattia. Ci
soccorre a questo punto il racconto particolareggiato
di Vincenzo Nolfi: « Fra Giacomo da Monte
Prandone della Marca, quello che hoggi vi è in
somma venerazione appresso i Napolitani, ove si
trova il suo corpo per i frequenti, e singolari miracoli
ch’esperimentano alla giornata, e ch’essi chiamano
il Beato Giacomo della Marca dell’Ordine
de’ Minori Osservanti, huomo, il cui nome, anche
egli vivente, andava sù l’ali della fama con titolo di
gran Santità, predicava all’hora in Fano, ove era la
sua residenza e con tal frutto che si legge haver egli
fatto egli dismetter tutte le pompe di quei tempi
alle Donne, le quali oltre alla ricchezza degli habiti,
e delle gioie, consistevano principalmente in un
tal portamento di capelli, che chiamavano ciorci,
che sù la fronte si alzavano tutti ricci, e nello
strascico smisurato della veste, che dimandavano
codea. Questi dunque sentita la grave infirmità
di Pandolfo, come che era tutta Charità, et havea
ardentissimo desiderio della salute del Prossimo,
andò a visitarlo, e consolarlo più di una volta, e vedutolo spedito, gli annunciò con maniere tutte piene
di discretezza la vicinità della sua partenza da questo Mondo, e lo confortò a ricevere con ogni rassegnazione
questo accidente, commune a tutti quelli che nascono, et a prendere i Santissimi Sacramenti
per trovarsi bene armato contro le insidie dell’inimico: Quel gran Guerriero, che trà l’Anni havea più
volte veduta intrepidamente la faccia della Morte, a questa sì fatta novella si cangiò di colore, tremò,
e se li fece quasi che un deliquio, ma raccolto lo spirito, come, che era guerriero e huomo di singolar
pietà, disse che la Misericordia di Dio l’haveva troppo lungamente felicitato in questo Mondo, e che
però non haveva di chè lagnarsi della sopravenente Morte, mentre egli era vissuto per molti anni, che se
gli dessero pure tutti i Sacramenti, ch’egli voluntariamente gli chiedeva, e volentieri era per prenderli, e
preso per la mano fra’ Giacomo strettamente lo pregò a non abbandonarlo nell’ultimo passo, aiutandolo,
e con salubri ricordi, e con le orationi a ben morire, perché egli molto ben conosceva, che la salute
dovea essere il maggior negotio, che habbia un Christiano in questa vita; tutto promesse il buon Padre,
e tutto eseguì, laonde alli trè di Ottobre Pandolfo nelle di lui braccia spirò l’anima 9 »
Il rapporto di rispetto e stima sorto tra San Giacomo e Pandolfo III continuò con i figli. Il primogenito
Galeotto Roberto ebbe una breve vita, essendo nato il 3 febbraio 1411 e morto il 9 (10) ottobre 1432; il
4 ottobre dell’anno precedente si era associato al Terzo Ordine Francescano. Anche questo fatto e una
condotta da allora improntata ad una intensa vita di preghiera e di carità verso i poveri lo proposero
all’ammirazione di molti e, dopo la morte, alla pubblica venerazione da essere invocato col titolo di
beato. San Giacomo della Marca lo aveva incontrato durante la predicazione quaresimale del 1431 a
Rimini, perciò in più prediche affermava che il “beatus Rubertus de Malatestis” in clima di confidenze
gli aveva confessato di aver trascorso in verginità i suoi diciotto mesi di matrimonio 10 . Il buon rapporto
con il secondogenito Domenico Malatesta Novello, signore di Cesena dove nel marzo 1457 si trovava
San Giacomo della Marca,
tela di ignoto pittore marchigiano,
secc. XVI-XVII
(Biblioteca Francescana di
Falconara Marittima)
19

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
20
frate Giacomo che nel successivo aprile a Ferrara contribuiva con Borso d’Este alla pacificazione di
Sigismondo Pandolfo con Malatesta Novello, è confermato dal dono che costui insieme alla consorte
Violante di Montefeltro gli fece del prezioso codice Papias Vocabularium oggi nella Biblioteca Vaticana
(Ross. Lat. 564) recante l’autografo del frate: «Hunc librum Pappie (sic) donaverunt mihi fratri Iacobo
magnificus Dominus Malatesta et eius devotissima uxor Domina Violans pro animabus eorum et suorum
parentum, quem librum dedi loco Sanctae Mariae de Gratia iuxta opidum (sic) Montisprandonis
or(dinis) mi(norum), manu propria» 11 .
Con Sigismondo Pandolfo ebbe a trattare frate Giacomo della Marca al suo rientro (1439) dalle missioni
apostoliche e diplomatiche in Bosnia e Ungheria. A Fano predicava la quaresima del 1440 durante
la quale biasimò pubblicamente le eccessive spese per l’abbigliamento femminile, come poco sopra
abbiamo letto da Vincenzo Nolfi. In questa occasione il ‘magnifico signore’ avrebbe detto al frate di
soprassedere sull’argomento perché a lui le donne piacevano per lo sfarzo delle vesti, ma accettò che il
predicatore si interponesse in una vicenda di possedimenti raccontata dal Nolfi: «In quest’anno medesimo
il Conte d’Urbino [Guidantonio di Montefeltro] rinovò l’hostilità contro li Stati di Sigismondo,
imperoché portatosi all’improviso sopra il Castello di Tavoleto, quello in fine prese... Grandemente
sdegnato Sigismondo si condusse nel Monte Feltro con quanti più armati poté, et ivi occupò alcune
Castella del Conte. Il Conte all’incontro prevedendo molto difficile la ricuperazione de’ suoi Luoghi
del Monte Feltro occupatoli dal Malatesta, per fare una diversione voltò l’Armi contro le Terre del
Vicariato, che teneva Sigismondo, et avendole travagliate molto, finalmente diede all’improvviso sopra
Rupoli, Castello già della Famiglia de’ nostri Gabuccini, e trovandolo sprovvisto di Gente, con una
facilità se ne rese Padrone, e per incuter timore agli altri, lo diede in potere de’ soldati, da quali fu
saccheggiato, e poco meno, che spianato, e fu nel principio di Marzo, et il medesimo accadde pochi
giorni doppo di Monte Bello... Così vedendosi assai forte [Sigismondo] pensò di risentirsi di questo
nuovo insulto con gire à trovare il Conte, e battersi seco; Ma temendo che il Piccinino Generale del
Duca di Milano dovendo passare per la Romagna non s’impadronisse di qualche suo Luogo in quella
Provincia, si dispose di dar orecchio al Padre Frà Giacomo da Monte Brandone, che ancora stava di
stanza, e predicava in Fano, il quale con ogni suo potere procurava d’unire questi due Signori, e così in
brieve egli ne concluse la Pace con condizione, che fossero da ogni parte restituiti i Luoghi occupati, e
se ne stipulò l’istrumento sotto li 28 di Marzo» 12 .
Nel 1445 era a Fano e fu amorevolmente accanto al suo confratello Giovanni de’ Bertoldi da Serravalle
(oggi castello della Repubblica di San Marino), già ministro provinciale dei Frati Minori delle Marche,
lettore di teologia, commentatore di Dante, vescovo di Fermo dal 1410 e dal 15 dicembre 1418 vescovo
di Fano, il quale ultranovantenne rendeva la sua anima a Dio il 3 febbraio 1445 13 .
Qualche anno più tardi, nel 1454, fu Sigismondo Pandolfo a chiamare frate Giacomo a predicare
contro le spese suntuarie che conducevano molte famiglie al lastrico a causa di prestiti usurari: il 31
dicembre il predicatore e due consiglieri furono incaricati «pro utilitate reipublicae huius civitatis» di
stendere un regolamento che limitasse le spese relative a ornamenti superflui 14 .
Il ricercato predicatore fu a Fano per l’ultima volta nel 1464, quando papa Pio II stava organizzando
la crociata contro l’impero turco inviando molti frati dell’Osservanza francescana a sollecitare arruolamento
di soldati e a raccogliere elemosine, così «il Padre Giacomo da Monte Brandone, detto della
Marca, era stato destinato alla Provincia dell’Umbria, ed in Fano, dove allora predicava, gli fu presentata
la Commissione» 15 .

Il beato Marco da Montegallo (1425-1496), noto fondatore di Monti di Pietà, è l’altro predicatore
francescano che ha lasciato un segno nella società fanese. Egli, ospite del convento di S. Maria al Ponte
Metauro, stava predicando la quaresima del 1471, allorché il gonfaloniere Simone de Buglionibus
«suasus a venerabili viro fratre Marco de Monte Sancta Maria in Gallo, ordinis Seraphici Francisci,
fratrum Observantinorum predicatore» nella seduta consigliare del 23 marzo propose l’erezione del
Monte di Pietà. L’argomento ebbe molta attenzione ma anche qualche opposizione nell’ambito del
Consiglio Generale soprattutto per quanto atteneva alle spese da affrontare, tanto che frate Marco
partecipando alla seduta del Consiglio speciale del 27 marzo uscì nell’esclamazione che il Monte non
poteva essere fatto per intervento dello Spirito Santo (cum fieri non possit ex Spiritu Sancto) ma con
disponibilità pecuniarie concrete. Comunque la cosa andò in porto, frate Marco, insieme ad altri designati
dal Consiglio, redasse gli Statuti che restarono in vigore nel Monte di Pietà di Fano finché questa
istituzione ebbe vita 16 .
Altra presenza di un santo francescano fu quella di San Leonardo da Portomaurizio (1676-1751) che
dal 15 al 29 giugno 1738 predicò una missione nella chiesa di San Francesco, soggiornando nel convento
di Santa Maria Nuova 17 .
(SB)
1. P. M. Amiani, Memorie istoriche della Città di Fano, Fano 1751, I, p. 209.
2. A. Pellegrini, Chiese dei Frati Minori a Fano in Memorie Francescane Fanesi, Fano 1926, p. 105-6.
3. V. Nolfi, Delle notizie historiche della città di Fano, BFF, manoscritti Federici n. 80, Appendice p. 89 (c. 354r).
4. «Florebant hoc tempore frater Antonius de Fano Confessarius Regis Aragonum Alphonsi et Orator apud Martinum Pontificem
concordias ineundae, extincto jam schiumate Peniscollensi…» Wadding, Annales, X, 1430 n 169 XXXVII.
5. P. M. Amiani, op. cit., pp. 363-64.
6. Cartella Spese 1954-1968, Archivio Convento S. Maria Nuova di Fano.
7. P. M. Amiani, op. cit., p. 352.
8. A. Falcioni, La vita di Pandolfo III Malatesti in Redire 1427-2009. Ritorno alla luce, Fano 2009, p. 22.
9. V. Nolfi, Delle notizie historiche della città di Fano, BFF, manoscritti Federici n. 80, pp. 460-62.
10. G. Giovanardi, Vitae duae B. Galeoti Roberti de Malatestis Tertii Ordinis S. Francisci a Fr. Mariano Florentino conscriptae in
“Archivum Franciscanum Historicum” 21/1928, p. 70; M.G. Bistoni Grilli Cicilioni, L’inedito sermone “De religione ad religiosos” di
S. Giacomo della Marca in San Giacomo della Marca nell’Europa del ‘400 a cura di S. Bracci, Padova 1997, pp. 349.
11. A. Gattucci, Frate Giacomo della Marca bibliofilo in Miscellanea Augusto Campana, Padova 1981, p. 341; A. Siliquini, Decorazione
e illustrazione nella biblioteca di s. Giacomo della Marca, Ripatransone 2002, pp. 103-106.
12. V. Nolfi, Historie di Fano, BFF, manoscritti Amiani n. 16, c. 354rv.
13. T. Lombardi, Vita e opere di Giovanni Bertoldi da Serravalle, Bologna 1976, passim.
14. ASP-SASF, ASC, Consigli 31 dicembre 1454, reg. 10, c. 23r; cfr. P. M. Amiani, op. cit., p. 419.
15. P. M. Amiani, op. cit., p. 7.
16. Cfr. Marco da Montegallo, il tempo, la vita, le opere, atti del convegno di studi 1996-1997 a cura di S. Bracci, passim, Padova 1999;
E. Mercatili Indelicato, Vita e opere di Marco dal Monte Santa Maria in Gallo, Ascoli Piceno 2001, pp. 68-78 dove sono analizzati
tutti gli atti dalla proposta alla realizzazione del Monte di Pietà e pp. 324-339 dove sono riportati i Capitoli del Monte di pietà di
Fano.
17. Cfr. R. Paolucci, S. Leonardo da Porto Maurizio a Fano in Memorie Francescane Fanesi, Fano 1926, p. 147-8.
21

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
22
lo più illetterata. Da qui hanno origine il coro
ligneo intarsiato dei fratelli Antonio e Andrea
Barili (1484-1489), la Visitazione di Giovanni
Santi (1484ss), le splendide opere del Perugino,
il quale potrebbe essere stato contattato alla
Porziuncola dove i frati si recavano almeno per
il Perdono d’Assisi del 2 agosto e dove Pietro
Vannucci in quel tempo (come detto sopra) stava
dipingendo la Crocifissione nel retro della venerata
cappella, quindi due anni prima del 1488-89
quando nel convento di San Lazzaro dipinse la
tavola dell’Annunciazione e stipulò il contratto
datato 21 aprile 1488 con cui egli s’impegnava a
«construere unam iconam pro altari magno ipsius
ecclesiae Sanctae Mariae Novae de Fano» 36
cioè la tavola della Madonna in trono col Bambino
e santi destinata all’altare maggiore della chiesa;
infine il portale in pietra di Bernardino di Pietro
da Carona (1498).
Ma la sontuosa chiesa e il convento di Santa
Maria Nuova a San Lazzaro non ebbero lunga
vita, perché i frati non tardarono a evidenziare
disagi provocati dal clima insalubre anche del
nuovo sito e poi dalla penuria di elemosine, ma
soprattutto dal frequente passaggio delle soldatesche
mercenarie. Si era negli anni 1499-1503
in cui il duca Cesare Borgia conduceva le campagne
militari per spazzar via i signorotti della
Romagna e delle Marche e riportare i vicariati,
già concessi dai pontefici romani, sotto la diretta
amministrazione di Alessandro VI suo padre.
Un breve pontificio del 19 novembre 1499 aveva
ordinato alla Comunità di Fano di preparare
vettovaglie e foraggi per una parte dell’esercito
ecclesiastico del Borgia che stava muovendo
dall’Umbria e a fine mese giunsero 6000 fanti
e 2000 cavalli. Nel 1503 ben 22.000 fanti e cavalieri
si accamparono nelle piane del Metauro
e il convento francescano fu ‘visitato’ dai licenziosi
mercenari, tra cui spagnoli o francesi.
Negli anni seguenti alla morte di Alessandro
VI (18 agosto 1503) non minore scompiglio
procurarono ai frati le truppe pontificie del cardinale
Alessandro Farnese inviate con quelle di
Guidubaldo di Montefeltro a sedare le risse tra
famiglie fanesi contrapposte per l’odio o il sostegno
a Cesare Borgia che morirà il 13 marzo
1507 in Navarra 37 .
A causa di questi avvenimenti e di altri, qui non
presi in considerazione, nonché per una pestilenza
che nel 1505 aveva afflitto il contado fanese, il
Consiglio Grande della Città, presenti il Podestà,
i Magnifici Signori Priori e 84 Consiglieri, il 21
gennaio 1509 deliberò all’unanimità: «Acciò che
Dio ce abbia a preservare da grave infortunio per
el presente partito sia riformato che in futurum
nella chiesa de S.ta Maria Nova se habbia a celebrare
la Conceptione de la Madonna cum una
Messa cantando o vero una lumera et cum una
processione solenne de tutto el populo sino a ditta
Chiesa comportandolo el tempo, quando vero
per la cità conveniente pareria a monsignore el
Vescovo» 38 .
IV - Le reiterate richieste dei frati per il trasferimento
dentro le mura cittadine ottennero da
parte del pubblico Consiglio risposte favorevoli
il 3 febbraio e il 15 marzo 1496 e il 6 dicembre
1514, sempre con la clausola che le spese non
gravassero sul pubblico erario e che nella nuova
costruzione si reimpiegassero i materiali provenienti
dall’abbattimento del convento di San
Lazzaro. Secondo un documento del 25 maggio
1517 alcuni frati avevano già trovato alloggio in
una stanza “et l’hospitale vicino alla chiesa et
l’orto” di San Michele, in attesa del completamento
della loro fabbrica a Santa Maria Nova 39 .
Finalmente si arrivò alla individuazione del sito
in cui i frati potevano insediarsi, cioè nella chiesa
di San Salvatore e case adiacenti, così nell’adunanza
consiliare del 28 ottobre 1517, su richiesta
del Ministro Provinciale degli Osservanti che
intendeva fare un sopralluogo per vedere la chiesa
e la zona su cui doveva sorgere il convento,
fu nominata una commissione di quattro persone
composta da Francesco Bertozzi, Camillo
Speranza, Michelangelo a Lanceis e Paolo de
Pilis per seguire l’andamento dei lavori 40 .

L’antica chiesa urbana di San Salvatore era di proprietà
del monastero camaldolese Santa Croce di
Fonteavellana, come attestano atti con cui l’abate
o chi per lui interveniva per riscuotere affitti
di case o terreni ecc. 41 , aveva un chiostro 42 e nella
chiesa erano tre altari: “l’altare magno, l’altare di
S. Baldo (Ubaldo), l’altare di S. Sebastiano” 43 . Il
9 maggio 1443 risulta data in commenda a Don
Giovanni Nicolai da Urbino 44 , successivamente
fu concessa al cardinale Gabriele Gabrielli che
possedeva anche alcune case e orti nello stesso
quartiere. Figlio di Ludovico 45 , Gabriele era nato
a Fano nel 1445; laureato in utroque jure, raffinato
e colto, avviatosi alla carriera ecclesiastica,
a Roma era stato agente del cardinale Giuliano
della Rovere che lo fece segretario personale
dopo che il 1º novembre 1503 venne eletto papa
con il nome di Giulio II; il 27 marzo 1504 dallo
stesso pontefice fu nominato Vescovo di Urbino,
il 1º dicembre 1505 creato cardinale-diacono
di Sant’Agata in Suburra da cui l’appellativo “Il
Cardinal d’Urbino”, l’11 settembre 1507 fu promosso
al grado superiore nella gerarchia del sacro
collegio cioè cardinale-presbitero del titolo di
Santa Prassede; nel 1508 il Gabrielli, nominato
un vicario per la sua diocesi, si trasferì definitivamente
a Roma dove morì tra le braccia del papa
nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1511. Suoi
eredi, essendo già morto senza prole il fratello
Bartolomeo, furono i figli del fratello Andrea:
Ludovico, Pietro e don Galeazzo, canonico della
cattedrale fanese al quale toccarono commenda
e priorato di San Salvatore.
Don Galeazzo Gabrielli acconsentì alle richieste
della Comunità fanese e dei frati Osservanti
con i quali stipulò un compromesso: egli cedeva
l’uso della chiesa e la proprietà di case e orto
con cortile e tre chiuse, dietro cessione dei beni
stabili del convento di San Lazzaro oltre ad un
canone annuo di una libbra di cera da pagarsi il
giorno della Trasfigurazione, titolo ufficiale della
chiesa di San Salvatore; questa, poi, non doveva
essere demolita ma ampliata; inoltre i frati dovevano
riservare al parroco tre stanze oppure prov-
vedergli altro alloggio, mentre don Galeazzo si
riservava il diritto vita natural durante di rimanere
in uno dei fabbricati ceduti. Da parte sua
egli obbligava sé e i successori a cedere ai frati i
legati appartenenti alla chiesa di San Salvatore
e a pagare venti fiorini annui per la costruzione
della casa parrocchiale. Non mancò al compromesso
la necessaria approvazione pontificia con
breve di Leone X del 16 ottobre 1519 con cui si
nominavano commissari apostolici due canonici
della cattedrale di Fano per la stima degli stabili
da commutarsi.
È vero che i frati non erano molto convinti della
necessità di demolire totalmente il complesso
conventuale di San Lazzaro perché bello e veramente
dignitoso (pulchrum et dignissimum)
ed anche nel pubblico Consiglio del 7 maggio
1518 c’era chi sosteneva che quei locali potevano
servire per collocarvi il lazzaretto sotto la direzione
dell’ospedale cittadino Domus Dei, mentre
qualcuno aveva obiettato che non era lecito
alla Comunità appropriarsi di luoghi consacrati
alla Madre di Dio 46 ; nonostante ciò nel 1523
fu fatto l’atto di permuta delle case appartenenti
al priorato di San Salvatore da concedere
ai francescani i quali, a loro volta, cedevano a
don Galeazzo il terreno su cui sorgevano chiesa
e convento in San Lazzaro compreso l’orto, la
sacrestia con la soprastante stanza, il portico, la
cisterna e il pozzo, mentre tutto il resto del fabbricato
sarebbe stato abbattuto e il suo materiale
utilizzato nella nuova costruzione dentro la città.
Alcuni frati dimoravano in una casa di Giacomo
Costanzi in contrada San Salvatore in attesa che
si concludessero i lavori di costruzione del nuovo
convento e dell’ampliamento della chiesa che
conservava il titolo ufficiale di San Salvatore al
quale veniva unito quello della Visitazione della
Vergine Maria a cui era dedicata la chiesa di
San Lazzaro, da qui la denominazione con cui
da allora venne citata: «Santa Maria Nova in
San Salvatore» e, a sua volta, la parrocchia venne
chiamata «San Salvatore in Santa Maria Nova».
La fraternità francescana era numerosa sin dal
I FRATI MINORI A FANO
23

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Lunetta con il busto del
Salvatore, appartenente
alla chiesa preesistente
24
suo insediamento dentro la città, sappiamo da
Francesco Gonzaga che nella seconda metà del
secolo era composta di venti frati 47 .
Nonostante le necessità per il compimento della
fabbrica, il guardiano di Santa Maria Nuova il
28 febbraio 1543 “fornisce un carro di calcina
per fare i pilastri della loggia” del conservatorio
di San Michele 48 , ma poteva contare sulla generosità
della Comunità cittadina che periodicamente
elargiva aiuti: in quello stesso anno,
ad esempio, concesse dodici some di grano per
edificare il porticato davanti alla chiesa, dove
tuttora fa bella mostra di sé il magnifico portale
in pietra di Bernardino di Pietro da Carona
trasferito dalla chiesa di San Lazzaro, sul cui
fastigio è scolpito l’invito: «EIA XICOLE (christicolae)
INTRATE IN CONSPECTU DOMINI
IN DEVOTIONE» (Orsù, cristiani, entrate alla
presenza del Signore con devozione). Fu certamente
un atto intelligente l’aver scampato dalla distruzione,
inserendola sul portale quattrocentesco,
la lunetta marmorea che sovrastava la porta
della precedente chiesetta: dopo il semicerchio
esterno alto cm 24 e dal diametro di cm 232,
ornato da un nastro ad onda di cm 5, è scolpita
una duplice cornice contenente l’iscrizione:
«TEMPLUM S. SALVATORIS» divisa da una
escrescenza della cornice inferiore che forma un
tondo baldacchino per la sottostante scultura;
all’interno della cornice si estende un campo
verdemare trapuntato di stelle d’oro, di cui rimane
qualche traccia, che fa da sfondo al busto
a tutto tondo del Salvatore (cm 70 x 50), scolpito
in pietra di alabastro con finissimi tratti, specie
nella barba e nei ricci capelli, con l’avambraccio
destro alzato e tre dita aperte (Christus docens) e
con la sinistra al petto reggente il globo regale;
alla base della scultura si legge «EGO SUM VIA
VERITAS».
Alcune controversie si ebbero tra monaci e francescani,
che si erano assunti l’obbligo di celebrare
le liturgie in favore dei parrocchiani di San
Salvatore dietro corresponsione di un salario da
parte dei camaldolesi di Monte Corona, ai quali

nel 1523 si era aggregato don Galeazzo Gabrielli
con il nome di fra Pietro da Fano portando in
dote tutti i diritti personali 49 : costoro il 7 dicembre
1537 elessero cappellano di San Salvatore
Don Giovanni del fu Marco de Benedictis
detto Dal Cembalo 50 e il 1 ottobre 1553 don
Alessandro Tomassini che però non fu accettato
dal guardiano di Santa Maria Nuova padre
Battista Amici di ser Berardino da Morrovalle 51 .
Il fanese Vincenzo Negusanti vescovo di Arbe
(oggi Spalato) il 25 aprile 1557 procedeva alla
consacrazione della chiesa ormai completata e,
a ricordo imperituro del fatto, il consanguineo
Pietro Negusanti il 29 ottobre 1607 faceva apporre
una lapide sovrastata dall’insegna araldica
in pietra del presule, che però non hanno trovato
vita imperitura nel sacro edificio da cui furono
rimosse nel restauro del 1959 quando lo stemma
del vescovo venne collocato nell’ingresso laterale
della chiesa e la lapide utilizzata come supporto
di fioriere nel cortile, da cui nell’estate 2009 è
stata rimossa e collocata nel corridoio di accesso
al presbiterio.
A completare il numero delle insigni opere pittoriche
presenti nella chiesa i frati affidarono al
pittore Benedetto Nucci di Gubbio la realizzazione
di una tavola in cui fosse raffigurata l’Immacolata
Concezione, completa di predella con
storie relative al peccato originale, opera firmata
e datata 1568, purtroppo rimossa nel 1850 e in
seguito perduta, salvo la predella conservata nella
cappella-sacrestia (si veda la scheda Il peccato
originale e la redenzione di Benedetto Nucci di
Silvano Bracci).
La fraternità francescana aveva accettato che la
chiesa continuasse ad essere parrocchiale, perciò
un altare era specificatamente assegnato alle
celebrazioni liturgiche del parroco. Dopo che
don Galeazzo Gabrielli era entrato nella congregazione
degli Eremiti Camaldolesi di Monte
Corona, il parroco di San Salvatore era nominato
dal Priore della chiesa di Santa Maria del
Riposo donata ai camaldolesi dal nipote del
Gabrielli, Pietro, che i monaci lasceranno nel
1608 per trasferirsi nell’eremo costruito sulla
collina di Monte Giove 52 . La convivenza con i
frati nella stessa chiesa di un parroco secolare,
che pur godeva di una propria abitazione in una
parte del convento, e il rapporto dei frati con i
monaci camaldolesi non fu sempre lineare a causa
di questioni, quali la fornitura dell’olio della
lampada del SS. Sacramento e delle suppellettili
per la celebrazione della messa parrocchiale.
Don Alessandro Gaggi, parroco dal 1730 al
1750, nei registri precisa spesso: “in questa mia
Chiesa Priorale e Parochiale”, quasi a rivendicare
la primigenia destinazione dell’edificio sacro
rispetto all’uso conventuale. Le difficoltà si risolsero
nel 1759, allorché la congregazione camaldolese
di Monte Corona cedé ogni diritto sulla
parrocchia alla Provincia francescana osservante
marchigiana il cui Ministro avrebbe provveduto
alla nomina del parroco-frate.
A iniziare dal 1706 la chiesa di Santa Maria Nuova
ha subito una radicale ristrutturazione interna secondo
la “moda moderna”, come si legge in un
documento coevo riguardante la temporanea
rimozione della composita pittura del Perugino
dall’altare della Comunità fanese. Il risultato fu
gradevole all’occhio tanto da far dire al conte
Stefano Tomani Amiani: “è il primo tempio della
città per l’accolta elettissima di classici lavori di
pittura, commessa ad artista di egregia fama […]
(e per la) euritmia architettonica dell’intero corpo
della Chiesa” 53 .
Il numero e i titoli degli altari lungo i secoli
hanno subito variazioni documentate anche dai
registri parrocchiali di matrimonio e dei morti,
alcuni però ebbero sempre il medesimo titolo: il
primo a sinistra era dedicato alla Visitazione raffigurata
nella tavola di Giovanni Santi, il secondo
all’Annunciazione che si poteva contemplare nella
tavola del Perugino, il terzo già dedicato a San
Diego - raffigurato in una tela attribuita a Gian
Giacomo Pandolfi 54 - fu poi consacrato all’Immacolata
Concezione la cui immagine dipinta
da Benedetto Nucci fu sostituita nel 1850 da una
I FRATI MINORI A FANO
25

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
26
La parrocchia di San Salvatore in Santa Maria Nuova
Alla stato attuale della ricerca non sappiamo quando sia sorta la parrocchia di San Salvatore. Mons.
Riccardo Paolucci pubblicava la “cronotassi dei parroci” 1 desumendola dai registri di battesimi, cresime
e matrimoni della parrocchia, istituiti su disposizione del Concilio di Trento (1545-1565), che
iniziano dall’anno 1584, depositati il 26 giugno 2004 nell’Archivio Storico Diocesano di Fano. La
serie dei parroci del Paolucci ha perciò inizio in quell’anno per concludersi ovviamente poco prima
della stampa del volume, precisamente nel 1924.
Noi abbiamo creduto opportuno aggiornare l’elenco per due motivi. Ancor prima dell’uso dei registri
parrocchiali esistevano i parroci, tra cui Don Galeazzo Gabrielli che dal 1511 diventò non solo commendatario
ma anche priore cioè parroco di San Salvatore; inoltre il 6 dicembre 1577 fra Basilio da
Rieti, Visitatore generale e Procuratore degli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona nominò Vicario
perpetuo e cappellano della chiesa di San Salvatore don Gaspare Galeazzi di Cerasa 2 .
Il secondo motivo è dato dal fatto che al 31 dicembre 1986 è cessata la parrocchia di San Salvatore in
Santa Maria Nuova per ristrutturazione delle parrocchie del centro storico fanese da parte del vescovo
Mons. Costanzo Micci. Nella Cronaca del convento di Santa Maria Nuova due righe scarne tramandano
ai posteri la notizia: «31 gennaio 1987 - Dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
scompare la Parrocchia del SS.mo Salvatore in S. Maria Nova» 3 .
Ecco dunque la serie dei parroci a noi noti:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
Don Gioacchino ser Francisci 1423 (aprile)
Don Pietro Petrucci da Gubbio 1423 (dicembre) priore di S. Croce di Fonteavellana
D. Giovanni Battista de Milionibus monaco di Fonteavellana
4
D. Tommaso di Vincenzo fanese monaco di Fonteavellana
D. Adriano di Piero Negusanti 1499
D. Galeazzo Gabrielli 1511
D. Daniel camaldolese 1524
D. Giovanni de fu Marco de Benedictis detto Dal Cembalo 1537
D. Alessandro Tomassini 1553
D. Gaspare Galeazzi di Cerasa 1577
D. Ventura Caponi da Fano 1584-1586
D. Pietro Gabucci 1586-1591
D. Piersimone Vagneschi cappellano curato 1591-1605
D. Antonio Ianutii cappellano curato, agosto-novembre 1605
D. Piersimone Vagneschi 1605-1615
D. Agostino Zampetta 1615-1617
D. Giacomo Leoni 1617-1618
D. Eusebio Rossi 1618-1621
D. Francesco Paci 1621-1623
D. Andrea Galvani 1623-1627
D. Tomasso Biancolini 1627-1636
D. Carlo Torelli 1636-1637
D. Giovanni Andrea Sciamanni 1637-1647
D. Ludovico Bassetti 1647-1659
D. Giovanni Andrea Sciamanni da Fano 1659-1679

26.
27.
28.
29.
30.
31.
32.
33.
34.
35.
36.
37.
38.
39.
40.
41.
42.
43.
44.
45.
46.
47.
48.
49.
50.
51.
52.
53.
54.
55.
56.
57.
58.
59.
D. Domenico Guerini viceparroco 1679
D. Carlo Gardaresi 1680-1684
D. Giovanni Alessandro Fiorani da San Marcello 1684-1688
D. Biagio Gardaresi 1689-1697
D. Carlo Gardaresi 1697-1715
D. Domenico Tadei 1715-1729
D. Alessandro Gaggi economo spirituale 1729
D. Domenico Magnini maggio-ottobre 1730
D. Alessandro Gaggi 1730-1750
D. Domenico Pettinari 1750-1755
D. Giuseppe Volpini 1755-1759
D. Ludovico Centauri 1759-1760
Fr. Bernardino da Cartoceto 1760-1780
Fr. Gaetano Palazzi da Fano 1780-1803
Fr. Vincenzo Antonio Olivieri da Candelara 1803-1810
D. (Fr.) Francesco Orazi priore 1810-1812
Fr. Emidio Antonio Pandolfi da Fano economo curato 1814-1815
D. (Fr.) Michele Andreani economo curato 1815
Fr. Marino Antonio da Faetano lector jubilatus et parochus 1815-1848
Fr. Pietro Pandolfini da San Leo parroco 1848-1876
Fr. Raffaele Pettinari da Fano 1876-1887
Fr. Gaetano Ricci da Ripalta di Cartoceto 1887-1907
Fr. Ferdinando Diotallevi da Montemarciano 1907-1909
Fr. Giulio Tarulli viceparroco 1909-1911
Fr. Angelo Marconi 1911-1919
Fr. Amedeo Damiani da Ripatransone 1919-1927
Fr. Guido De Vito da Gàgliole sostituto 1922-1927
Fr. Giovanni Barbalarga da Sassoferrato viceparroco 1923-1924, parroco 1927-1954
Fr. Francesco Candiracci da Acqualagna 1954-1957
Fr. Enrico Bani da Sassoferrato 1957-1960
Fr. Vittorio Foschi da Corropoli 1960-1972
Fr. Claudio Romandini da Monteprandone 1972-1981
Fr. Alvaro Rosatelli da Fratterosa 1981-1984
Fr. Luciano Santoro da Rimini 1984-1986.
Dai registri della parrocchia stralciamo alcune annotazioni:
Al matrimonio celebrato il 14 luglio 1598 è testimone «mastro Ludovico Calzolare alias trenta vittj»
(ASDF, Parr. San Salvatore, vol. 0.3.1 Matrimoniorum, c. 115v).
«Adì 31 Maggio 1627. Io Tomasso Biancolini entrai in questa Cura di San Salvatore essendo Maggiore
il P. fra Alberto da Padua, et il P. fra Egidio Fiamengo Priore di Monte Giove» (ASDF, Parr. San
Salvatore, vol. 0.3.1 Matrimoniorum, c. 115v).
«Adì 27 febraro 1679. Io Giovanni Andrea Sciamanni fui di nuovo eletto Curato di San Salvatore
dalli M.to RR. PP. di Montegiovi essendo Maggiore il P. R.mo D. Angelo da Siena, quale essendo
27

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Frontespizio del registro
dei matrimoni (1584 -
1804) della Parrocchia di
San Salvatore (ASDF, vol.
0.3.1)
28
in visita fu presente al Capitolo della mia elettione;
sotto il Priorato del M.to R. D. Felicissimo
da Gualdo» (ADF-Parr. S. Salvatore, vol. 0.1.1
Baptizatorum, c. 144v).
«Memoria. Adì primo Aprile 1750. Il Sig. D.
Alessandro Gaggia della Villa di Cesario, Curato
di questa Parrocchia di S. Salvatore rinunziò la
sua carica ed ufficio di Curato in mano del P.
Priore dell’eremo di Monte Giove di Fano. Ed
io D. Domenico Pettinari fui eletto e nominato
dal P. Priore e presentato a Mons. Illustrissimo
e Rev.mo Giacomo Beni, mio Superiore di questa
Città f(anese) ed esaminato ed approvato dai
Sigg. Esaminatori Sinodali, mi fu benignamente
da S(ua) S(ignoria) Ill.ma e Rev.ma spedita la
Bolla o Patente di Parrocho, di consenso del M.to
R. P. D. Theobaldo da Monte Alboddo Moderno
Priore del Ven. Eremo di Monte Giove. E perché
il suddetto Ven.le Eremo dà al Curato pro tempore
una soma di grano all’anno di pensione o forse
perché il suddetto Sig. D. Alessandro Gaggi servì
tutto marzo del suddetto anno, fu di parere il R. P. Priore suddetto che della soma di grano ne fossero
dati sei toppi al predetto D. Alessandro e così fu fatto concordemente, ed io ne ho avuto solamente
doi toppi; e le decime del grano e delle cantine o magazeni, perché così f. In fede etc. Ne ho fatto la
presente memoria per ogni bona regola. Ed in oltre perché la Casa Parrocchiale si ritrovava affittata
ed anolata, il predetto D. Alessandro pretese ed ha voluto paoli dieci, provata di un mese e mezzo per
il suddetto affitto a ragione di otto scudi romani all’anno, come costa dal suo ricevuto, al quale etc. e
così ha voluto si faccia il R. P. D. Colombano Poggi Cellerario di detto Eremo; in questa forma dovrò
esser io trattato, in congiuntura di rinunzia. D. Domenico Pettinari Curato di S. Salvatore ma. p.a»
(ASDF, Parr. S.Salvatore, vol. 0.3.1 Matrimoniorum, c. 114r).
«Dal 1760 la casa della Cura di S. Salvatore è affittata a due coniugi; nel 1767 la Casa che fu della
Cura et al presente è del Sig. D. Giuseppe Volpini, è vacante» (ASDF, Parr. S.Salvatore, vol. 0.6.2
Stato d’Anime)
«Al Nome di Dio. Amen. Fano. S. Salvatore
Nota de suppellettili sacri esistenti in Sagrestia, per servizio della Parochia del SS.mo Salvatore appresso
il Curato pro tempore; fatta da me D. Domenico Pettinari curato m° propria.
Prima una pisside grande, d’argento, col piede di rame dorato, ivi notato: Parochia di S. Salv.re: colla
sua vesticola usata [altra mano aggiunge: Rubata dai Francesi]
2 Una pisside piccola per le communioni, cola sua vesticola, che fu pagata paoli 45 l’anno 1751 [altra
mano: Rubata dai Francesi]
3 Un Baldacchino per le communioni, fatto a cassettone ben fornito, e dorato dentro usato, comprato
dalle eredi del S.r Curato di S. Andrea Parochia soppressa in Città, fu pagato paoli cinquanta
4 Un Baldacchino grande di damasco, con quattro aste, ben fornite coi suoi cordoncini per raggiungere
le aste

5 Un ombrella per le Communioni, di damasco, e foderato, etc.
6 Due linternoni per le Communioni su l’asta, e vetri etc.
7 Una croce professionale col suo Xto di rilievi liscio in detta Croce asai usata
8 Una cassa con sua serratura e chiave posta sotto la porticella e loco dell’Oglio Santo della Parochia,
per tener Cere per uso delle Communioni, ombrella etc.
9 Due Chiavi unite che servono per il Battesimo del Domo
10 Una chiave maschia, che serve per il loco dell’Olio Santo
11 La chiavetta del Tabernacolo stà in Sagrestia dei PP. MM. Oss.ti di S. Salvatore
12 Un vasetto d’argento per tenere l’Oglio Santo per la Cura,nel suo loco
13 Un vasetto di legno ben fornito dove stà il sudetto vascolo nel suo loco
14 Un sigillo con l’impronta del SS.mo Salvatore per segnare le fedi etc.
15 Cinque libri, cioè il Battesimo, il presente de Confirmati, Matrimoni, Morti, e Stato dell’Anime
16 Tre libretti lunghi, uno de morti, già terminato, che principia dall’anno 1593. sino all’anno 1736:
l’altro de Confirmati che principia dall’anno 1601. e termina all’anno 1729. Il terzo il libro ove si
notano le messe pro populo di diebus festivis de precepto
17 La filza delle Fedi, spettante a libri Parochiali etc.
Così è. In fede etc. Io D. Domenico Pettinari Parocho di S. Salvatore mano propria
[altra mano] Fu rifatta la Pisside piccola di rame argentato e fu pagata pavoli 25, dal P. Priore di
Monte Giove li 23 Giugno 1803. Così è F. Vincenzo di Candelara Parroco de SS. Salvatore
Fu rifatta anche la Pisside grande con coppa di argento e piede di ottone per uso della Cura. Agosto
1806» (ASDF, Parr. San Salvatore, Confirmandorum, vol. 0.2.1, pp. 201-203).
«Quoniam haec obsoleta charta inepta est ad scribendum, liber renovatur, et hic descriptiones clauduntur
Confirmatorum. Die 25 7bris 1889. Caietanus Parochus» (ASDF, Parr. San Salvatore, vol.
0.2.1 Confirmandorum, c. 103v).
(SB)
1. Memorie Francescane, 1926, pp. 124-25.
2. ASP-SASF, Notarile, Nicolò Zagarelli, Copie d’archivio, c. 212r, citato da G. Boiani Tombari in Immagini dai Piattelletti, a cura
di C. Giardini, Fano 2008, p. 53.
3. ACSMNF, Cronaca, alla data.
4. Il 25 aprile 1459, essendo morto Giovanni Battista “de Milionibus” monaco di Fonteavellana e ultimo rettore della chiesa di San
Salvatore, viene accolto e riceve l’abito bianco dei monaci Tommaso di Vincenzo fanese che è nominato priore di San Salvatore e
amministratore dei suoi beni.
29

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
30
statua lignea, il quarto dedicato a San Francesco
era l’altare della stessa comunità francescana
pur se venne dato in ius patronatus all’orefice
Giambattista Buffi che commissionò al pesarese
Giovanni Maria Luffoli la tela con la Vergine e
il Bambino, Sant’Eligio e Santa Caterina d’Alessandria
sulla quale però i frati fecero aggiungere
da una mano meno felice l’immagine del proprio
santo fondatore. Il primo altare a destra era dedicato
a San Giovanni Battista o al Battesimo di Gesù
con relativa tela di Bartolomeo Giangolini, il secondo
a Sant’Antonio di Padova la cui immagine
su tela “di buona mano [...] incognita” 55 fu sostituita
da una statua lignea (si veda il saggio Le statue
lignee e gli stucchi di Silvano Bracci, sempre in
questo volume) a sua volta rimpiazzata negli anni
1930 da altra in gesso; il quarto a San Giuseppe
di ius patronatus della confraternita dei falegnami
che commissionò una tela raffigurante la Santa
Famiglia a Giacinto Geminiani (1611-1681) che
però da circa il 1740 la confraternita trasferiva
nella chiesa di Sant’Agostino (oggi conservata
nella chiesa parrocchiale della Santa Famiglia),
mentre la tela che sostituiva la precedente, presentata
da Agostino Pellegrini con queste parole: “un
San Giuseppe senza nome e senza valore” 56 , è stata
rimossa nel 1958 dall’allora padre Guardiano
perché rovinata (purtroppo non ne rimane descrizione
né traccia). Poiché secondo le regole liturgiche
i numerosi sacerdoti della fraternità di Santa
Maria Nuova celebravano messa singolarmente
nelle prime ore del giorno, tra gli otto laterali dovevano
essere stati eretti altari minori dedicati alla
Ss. Vergine di Loreto, alla Madonna Addolorata,
a San Giovanni da Capestrano, a San Pasquale
Baylon, a Santa Margherita da Cortona, a San
Giacomo della Marca di cui si sa che Bartolomeo
Giangolini aveva pitturato il quadro 57 , come abbiamo
dedotto dai registri parrocchiali.
V - Il convento a sua volta ha conosciuto ampliamenti
e ristrutturazioni a seconda della destinazione
che i francescani ne facevano, quali l’infermeria
per frati anziani, il noviziato per aspiranti non sa-
cerdoti, lo studio di teologia e di filosofia per frati
incamminati al sacerdozio. Fortunatamente i vari
interventi non hanno stravolto l’architettura del
piano terra che presenta tuttora armoniose linee
cinquecentesche. Più volte nel convento si sono
tenuti anche i Capitoli della Provincia francescana
marchigiana, ai quali partecipavano i guardiani
dei numerosi conventi della regione per il cui
sostentamento furono elargite generose elemosine
in danaro o in natura da parte del Municipio e
delle più abbienti famiglie fanesi, quali Alavolini,
Negusanti, Bertozzi («Il Sig. Cavaliere Francesco
de’ Conti Bertozzi» era Sindaco Apostolico del
convento fanese negli anni 1815-1821 58 ), Almerici,
Boccaccio, Montevecchio, ecc. A tale proposito
riportiamo in nota alcuni elogi di persone che si
leggono nel registro delle sepolture della parrocchia.
59
La fraternità francescana si segnalò spesso nell’ambito
della città non solo nel settore spirituale, ma
anche in quello culturale, per la presenza e l’azione
di religiosi eccellenti. Valga ricordare a tale proposito
padre Ludovico da Viadana musicista (si veda
la scheda Due musicisti a Santa Maria Nuova di
Silvano Bracci) e padre Bartolomeo Cimarelli che
nel 1621 nel convento fanese apriva una biblioteca
per uso pubblico per la quale il Consiglio contribuì
con 50 scudi (si veda il saggio La pubblica
libreria di Massimo Bonifazi, sempre in questo
volume). Nel 1682 il convento fu dichiarato
“Studio generale di teologia”, a tale scopo ospitò
giovani frati studenti e valenti frati docenti che
prestarono la propria opera anche presso l’Università
Nolfi. Dallo Stato d’Anime della parrocchia
di San Salvatore risulta che negli anni 1761-1768
la fraternità dei Frati Minori era composta di 60
persone.
Dovunque andassero i francescani osservanti,
coinvolgendo i laici nel loro entusiasmo per gli
ideali vissuti da san Francesco, istituivano una
Fraternità del Terzo Ordine Francescano. A Fano
i frati di Santa Maria al Metauro ne seguivano
una in città 60 , rimasta sempre vivace e numerosa
lungo i secoli: nel 1792 vi si associava il Vicario

Generale della Diocesi Mons. Francesco Saverio
Castiglioni, in seguito vescovo di Montalto, cardinale
e vescovo di Cesena poi di Frascati, infine
papa col nome di Pio VIII; nel secolo XX vi
aderirono numerosi sacerdoti diocesani, tra cui il
vescovo Vincenzo Del Signore (1881-1967), e il
commendator Egidio Del Vecchio che fu anche
ministro della fraternità T.O.F. e sindaco di Fano
dal 12 febbraio al 5 ottobre 1945. La Fraternità
laica di Santa Maria Nuova aveva anche una
Schola cantorum, come risulta dalle cronache del
Bollettino Diocesano 61 .
Dallo Stato d’Anime apprendiamo che nel 1809 la
fraternità di S. Maria Nuova era costituita da 35
sacerdoti, 8 chierici (studenti di teologia), 7 conversi
(frati non sacerdoti), 7 terziari (frati non professi),
complessivamente 57 persone. Il 16 maggio
1810, per la soppressione degli ordini religiosi da
parte del governo francese, i religiosi furono costretti
a lasciare il convento; la chiesa rimase aperta
perché dichiarata succursale della parrocchia di
Sant’Antonio Abate a cui veniva aggregato parte
del territorio parrocchiale, un’altra parte era aggregata
a quella della Cattedrale. 62 Così il battesimo
del 6 gennaio 1815 fu celebrato nella chiesa
di S. Antonio Abate e quelli dall’11 aprile 1815 al
27 marzo 1850 furono celebrati nella chiesa cattedrale,
ma tutti annotati nel registri della parrocchia
di San Salvatore.
Il 17 marzo 1815 i primi 14 religiosi (di cui 9 sacerdoti,
4 fratelli laici e un oblato terziario) ricostituirono
la comunità francescana, pochi mesi dopo
ritornarono altri frati raggiungendo il numero
complessivo di 26 religiosi, come il padre Emidio
Antonio Pandolfi da Fano, economo curato, scrive
nel registro dello Stato d’anime, aggiungendo:
“Vi sta ancora in convento Giuseppe Ciavattini
già Terziario non ancora rivestito, e dovrà in breve
rivestirsi. Fu trasportato in Convento un Laico
infermo, fra Pietro da Monte Baroccio, che era
all’Ospedale Civile, il quale dopo aver vissuto in
convento otto giorni, finì di vivere il giorno 28
marzo corrente, per questo fu esposto in chiesa
coll’abito da Religioso da noi suoi Confratelli”. Al
loro rientro i frati trovarono il convento in una
condizione davvero pietosa per l’occupazione delle
truppe francesi che, tra l’altro, avevano utilizzato i
chiostri come stalle dei cavalli, così per numerosi
mesi i religiosi dovettero mettere mano al restauro
di tetti e stanze, al rifacimento di porte e finestre,
I FRATI MINORI A FANO
Stemma ligneo dell’Ordine
francescano, opera di
Giuseppe Filippetti (Santa
Maria Nuova, Bussola
d’ingresso)
31

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
La chiesa come appare in
una foto dei primi anni
del secolo XX (Collezione
Giancarlo De Leo) e
(sotto) l’altare maggiore in
una foto del luglio 1947
(ACSMNF)
32
all’installazione di ben 522 vetri, a commissionare
serrature e chiavi, tavoli sedie e sgabelli, ricomprare
padelle piatti bicchieri e posate, lucerne
per corridoi camere refettorio e coro, corde per le
campane, tela per tende e tovaglie, ecc. 63 Ma la
fraternità pian piano crebbe con il ritorno di altri
confratelli e con l’arrivo di giovani frati avviati al
sacerdozio, come attesta un documento del 1847:
“La Famiglia dei Minori Osservanti di S.a Maria
Nuova è composta di Individui n. 54: Sacerdoti
n° 27 di cui Confessori n° 4, Chierici Studenti n°
13, Laici Professi n° 10, Terziari obblati (sic) n°
4” 64 . Nel 1851 fu rimesso lo studio di filosofia e
teologia.
Ma la rinata comunità francescana ebbe soltanto
quarantacinque anni di vita, perché con
il Regno d’Italia vennero soppressi gli Ordini e
le Congregazioni Religiose dietro promulgazione
del Decreto del Regio Commissario Valerio
datato 2 gennaio 1861, trasformato in legge il 7
luglio 1866 a cui fece seguito il Regolamento esecutivo
n. 3070 del 21 luglio 1866. Gli Agenti del
Governo nel mese di febbraio 1861 presero possesso
del convento e la comunità di Santa Maria
Nuova, che contava complessivamente 62 religiosi,
fu nuovamente dispersa; il Comune di Fano
destinò a scuola femminile e ad asilo per l’infanzia
gli edifici conventuali che il Governo italiano
gli aveva assegnato.
Quattordici confratelli avevano trovato alloggio
in case circostanti, certamente ritrovandosi in
chiesa per le funzioni sacre di modo che la comunità
non cessò di esistere, finché rifiorita pian
piano, acquistò nel 1880 una modesta casa che
i frati lasciarono nel 1906 dopo l’acquisto della
casa con un piccolo orto di proprietà di Adamo
Caselli addossata al muro destro della chiesa 65 ,
poi interamente ricostruita anche con il contributo
del Comune di Fano che in cambio aveva avuto
parte dell’area della casa demolita per aprire la
strada che doveva congiungere la nuova Caserma
Paolini con piazza XX Settembre.
La chiesa come sede di parrocchia continuò ad
essere officiata dal frate parroco padre Pietro

Pandolfini in abito di prete secolare. Più volte ne
fu ipotizzata la chiusura previo accorpamento della
parrocchia ad una contigua, ma un esplicito intervento
prefettizio assicurò la continuità dell’ufficiatura
francescana di Santa Maria Nuova:
«Prefettura di Pesaro e Urbino
25 gennaio 1867, prot. 113
Oggetto: Chiesa di S. Maria Nuova
L’Amministrazione del Fondo per il Culto scrive che
la Chiesa di Santa Maria Nuova in codesta Città
avendo annessa cura di anime, debba rimanere
aperta al Culto.
Comunico altrettanto alla S. V. per opportuna di
Lei norma.
Il Prefetto
Al Sindaco di Fano» 66 .
Tra i frati illustri che hanno dimorato nel convento
di Santa Maria Nuova fu padre Niccolò
Betti da Orciano, che si dedicò allo studio di
una “macchina capace al volo”, come si legge
nel suo manoscritto Pterometria conservato nella
Biblioteca Federiciana di Fano, certamente proveniente
dall’archivio del convento francescano
fanese dove il Betti risulta presente dal giugno
1818 al maggio 1822 67 , per cui dobbiamo rimettere
in discussione l’ipotesi che egli sia morto a
Camerino nel 1814 68 .
Vi dimorò pure il padre Luigi Flamini da Loreto
(1779-1857) che a Santa Maria Nuova e all’Università
Nolfi aveva insegnato per oltre due decenni
finché nel 1838 dovette trasferirsi a Roma per
incarichi successivi di Definitore, Procuratore e
I FRATI MINORI A FANO
La chiesa come appare
in una foto degli anni
Sessanta
33

Ritratto di Padre Lodovico
da Viadana (olio su tela,
Viadana, chiesa di Santa
Maria del Castello)
34
Due musicisti a Santa Maria Nuova
Mons. Riccardo Paolucci ha lasciato, tra l’altro, un saggio su
I Frati Minori e la Cappella Musicale di Fano 1 in cui leggiamo
che alcuni frati del convento di S. Maria Nuova prestarono
servizio liturgico-musicale nel Duomo fanese. Andando
alla fonte, possiamo precisarne i nomi: P. Pietro Tomba dal
1804 al 1816 quale ‘Mansionario cantore’ “finché non si fosse
trovato altro sacerdote secolare, abile a tale impiego” 2 ; P.
Elzeario Niccolini da Montebaroccio, chiamato a servire con
lo stesso ufficio nel coro é nell’orchestra essendo “già corista
in Santa Maria Nuova e musico notissimo in questa città”,
dal 1809 fino al 1817 quando fu colto da immatura morte 3 ; P.
Domenico Carletti da Serrungarina, dal 1854 al 1872 quale
Maestro direttore della cappella musicale «organista e professore
di musica di non ignobile nome [...] molto acconcio al
servizio dell’orchestra, sia per la sua nota capacità, sia ancora
per la diligenza con cui l’avrebbe compiuto», come lo presentò
l’Arcidiacono nel Capitolo dei canonici, quindi votato all’unanimità
dai Canonici «per la pochezza dello stipendio di scudi 30 che il Carletti però avrebbe accettato
essendo religioso», il quale «ebbe l’avventura di dirigere la musica in Cattedrale nell’occasione del
passaggio di Pio IX nella nostra città», come scrive il Paolucci.
Due frati di Santa Maria Nuova, però, meritano speciale menzione: il grande maestro e compositore
P. Lodovico da Viadana, di cui parla anche il Paolucci, e, in anni più recenti, il P. Umberto Franca,
organista, direttore di coro e docente di paleografia musicale.
Padre Lodovico da Viadana nacque nel 1560 a Viadana 4 , diocesi di Cremona in provincia di Mantova.
Il suo nome era Tommaso Grossi, ma da quando entrò nell’Ordine dei Frati Minori Osservanti nel
convento San Francesco della città natale diventò “Lodovico da Viadana” e con questo nome è entrato
nella storia della musica 5 . Non si ha di lui una perfetta cronologia, egli stesso però ci informa della
sua innata propensione per la musica nel dedicare a Fulvio Gonzaga il Completorium Romanum octo
vocibus decantandum Liber secundus, Opera XVI, Venetiis apud Iacobum Vincentium, 1606: «Siccome
naturalmente l’uomo è di varii humori, et di varii membri composto, così per natura parimente egli
vuole delle cose nelle quali risplenda qualche bella varietà non poco dilettarsi: Laonde la Musica la
quale è uno degli abiti virtuosi dell’intelletto, et contiene in se unite con soavissime proportioni tutte
quelle differenze, che nel suono si ritrovano; come dell’altre varietà più dilettevole et honorata conviene
che fra esse tenga il principato. Questa ragione fin da miei primi anni mi indusse a darmi tutto
agli studi di questa divina facoltà» 6 .
Fu operoso presso l’Accademia di Padova negli ultimi anni del ‘500, per cui alcuni vorrebbero che sia
stato allievo di Costanzo Porta (1529-1601) frate minore conventuale maestro di cappella al duomo
di Padova e nella Basilica del Santo, da cui anche l’errata assegnazione di Lodovico all’Ordine dei
francescani conventuali. È documentata la presenza del Viadana dal 1593 al 1597 a Mantova quale
maestro di cappella del duomo, a cui potrebbe essere seguito un ipotetico breve soggiorno a Roma;
nei primi anni del ‘600 è Vicario del convento di San Luca a Cremona, dal 1602 è maestro di cappella
nella cattedrale di Reggio Emilia, dal 1608 in quella di Concordia Sagittaria che però dal 1586 era
stata traslata nella chiesa di Sant’Andrea a Portogruaro. Egli si trovava nel convento San Francesco di

questa città allorché i canonici il 13 novembre 1608
«avvertiti dal preposito come optima habeatur relatio
de doctrina in cantu et modulando vitae ac morum
venerabilis presbiteri fratris Lodovici Viadana ordinis
conventualium (sic) e convinti di come modo providendum
sit de novo chori magistero, decidevano unanimi
di attribuire al Viadana un ingaggio triennale
a partire dal 1° novembre appena trascorso e la paga
solita di 100 ducati annui corrisposti in rate trimestrali»
7 . Dopo soli tre mesi di attività del frate, il 30
gennaio 1609 al cancelliere capitolare, al canonico
sacrista e allo stesso Viadana veniva notificato un
ordine del vicario generale diocesano che intimava
l’immediata sospensione di ogni attività musicale e
di onorario perché la nomina del frate a maestro di
cappella era da ritenersi nulla, sembra perché priva
di autorizzazione vescovile: ciononostante furono
corrisposte al padre Lodovico le rate trimestrali dello
stipendio in data 9 febbraio e 1° maggio; lo stesso
compositore francescano l’11 aprile dedicava al decano
e ai canonici il suo Completorium romanum quaternis vocibus decantandus e sotto il 1° giugno
nel frontespizio a stampa di tre composizioni si qualificava “maestro di cappella della cattedrale di
Concordia”. I canonici di Portogruaro nel mese di settembre pagavano altro maestro per il servizio
quadrimestrale prestato «fin tanto che ritornerà padre Viadana», vana speranza perché il frate stava
forse cercando altrove dove impiegare le sue innate qualità e la sua competenza musicale 8 .
Come il Viadana sia arrivato nel Duomo di Fano non ci è dato conoscere allo stato della ricerca,
soltanto leggiamo negli atti del Capitolo dei Canonici in data 16 luglio 1610: «si concesse per gratia
la cotta al P. Viadana maestro nostro di cappella che per morte del s(uddetto) Bartolelli (uno dei canonici)
resta al Capitolo che durante il suo offitio ne abbia l’uso» 9 . Infatti il francescano, a seguito di
rinuncia del predecessore Don Pietro Marzoli liquidato economicamente fino al 15 maggio, vi esercitava
il servizio di maestro di cappella sin dal mese di luglio come deduciamo dalla corresponsione
dello stipendio: «Al Maestro di Cappella Via Dana (sic) ho pagato scudi 20 per 6 mesi in ragione di
40 scudi l’anno» 10 ; il 28 dicembre i canonici deliberavano, e con evidente soddisfazione, la sua conferma:
«Fu mandato il partito a chi pare et piace che il P(ad)re Viadana sia confirmato per M° di Capella
(sic) dia la fava bianca chi nò la negra ottenne omnibus albis» 11 .
Padre Lodovico durante la sua attività fanese dimorava nel convento di Santa Maria Nuova. In questo
tempo pubblicò il volume Sinfonie Musicali a otto voci op. XVIII commode per concertare con ogni
sorta di stromenti, 18 composizioni che chiamò con i nomi di alcune città italiane (editore Giacomo
Vincenti, Venezia 1610) e Salmi a quattro chori per cantare e concertare nelle gran Solennità di tutto
l’Anno, con il Basso continuo per sonar nell’Organo, di Lodovico Viadana Maestro di Capella nel Domo di
Fano. Opera XXVII, Nuovamente composta, et data in luce. Dedicati a Monsignore Reverendissimo Lapis
(Tommaso) Vescovo di Fano (stesso editore, 1612), contenenti i salmi dei vespri della domenica e delle
feste, più un Magnificat Primi toni, una cantata per due tenori e due tromboni Plaudat nunc organis
Maria e altro Magnificat sesti toni, e infine Falsi Bordoni a Quattro cori con il Sicut erat a otto. Et il Te
Frontespizio di un’opera
del Viadana composta
durante la sua permanenza
a Fano
35

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
36
Deum laudamus e Salve Regina a otto. Con il Basso continuo per l’Organo. Di Lodovico Viadana Maestro
di Capella nel Duomo di Fano. Opera XXVIII. Roma 1612. Apud Io. Baptistam Roblectum.
Nella dedica di questa opera a Frate Benedetto Cinquanta, teologo e predicatore della provincia
minoritica milanese, leggiamo: «Datum Romae 13 Kalendas Iunii 1612» (20 maggio 1612), ma il
cronista del Capitolo della cattedrale di Fano il 5 maggio di quell’anno aveva annotato: «Fù detto dal
Sig. Proposto che essendo il P.re Viadana m° di Capella andato a Cap(ito)lo delli P.ri Zoccolanti sua
religione et avendo m° Massimino servito in luogo del d(etto) Viadana, che par conveniente che fin al
ritorno del d(etto) P.re servendo il d(etto) m. Massimino per modo di provvisione se li assegni qualche
recognitione…» 12 . Il Viadana era infatti partito per il Capitolo dei francescani Osservanti della
provincia bolognese. Invano atteso dai Canonici chiaramente contenti del suo servizio, entro la fine
dell’anno il Capitolo fanese persa ogni speranza nominò maestro di cappella «per modum provisionis»
quel Massimino Freduzi o Uffreduzzi che era stato organista e sostituto maestro del frate francescano.
Sappiamo che il padre Lodovico fu poi a Ferrara, Piacenza, Mantova e ancora a Viadana nel 1615.
Nella Congregazione Provinciale 1615 tenutasi a Piacenza era stato eletto per il triennio 1614-1617
definitore (consigliere) della sua provincia religiosa 13 che in quel tempo comprendeva anche Mantova,
nel 1623 era a Busseto.
Il Viadana ha composto musica edita in ventisette libri apparsi tra il 1588 e il 1619, in maggioranza
repertorio vocale destinato alla sacra liturgia (messe, salmi, mottetti e lamentazioni) e due volumi
di canzoni profane (uno a tre ed uno a quattro voci). Le sue prime composizioni appartengono alla
musica rinascimentale scritta in stile polifonico a cappella, ovvero in uno stile vocale semplificato, seguendo
rigorosamente le direttive tridentine che esigevano la massima semplificazione del canto sacro
per una maggior intelligibilità, eliminando quindi ogni virtuosismo polifonico. Fu il primo compositore
ad introdurre la tecnica del basso continuo, una sorta di primo sviluppo dell’accompagnamento
strumentale alle voci che cantano in polifonia: “Il Viadana, nelle prefazioni alle sue musiche, non si
è mai vantato di essere stato inventore del Basso Continuo, come qualcuno ha voluto credere, ma
piuttosto ha voluto dimostrare la praticità, la bontà e la naturalezza del nuovo genere nel complesso
delle sue composizioni; tutto inteso a correggere gli innumerevoli difetti di dizione, di affiatamento
e di incompletezza, frequentissimi in quel tempo nelle esecuzioni di musica polifonica vocale, per la
decadenza delle Cappelle e dei loro relativi cantori [...] Il Basso Continuo, di semplice accompagnamento
nei monodisti fiorentini, si trasforma nelle musiche sacre del Viadana in un vero complesso
sonoro indipendente, affidato all’organo e contrapposto alle voci concertanti” 14 . Questa tecnica segnò
la fine della musica rinascimentale e l’inizio della musica barocca.
Vivente, il Viadana ebbe notorietà in Italia e in altre nazioni, specie in Germania dove per suo merito
il concertato si diffuse e venne sviluppato all’inizio del XVII secolo.
Morì il 2 maggio 1627 nel convento di Sant’Andrea a Gualtieri (soppresso nel 1771), in provincia di
Reggio Emilia, a pochi chilometri dalla sua città natìa.
Padre Umberto Franca nacque il 21 maggio 1914 a Monterinaldo in diocesi di Fermo. Entrato
nell’Ordine dei Frati Minori nel convento di Montebaroccio, il 18 gennaio 1931 iniziò l’anno di noviziato
al termine del quale emetteva la prima professione della Regola francescana e dei voti religiosi
e il 30 maggio 1935 si consacrava definitivamente al Signore con la professione solenne o perpetua.
L’11 luglio 1937 veniva ordinato sacerdote nella cattedrale di Zara dove i frati marchigiani avevano
lo studio teologico.
Iscrittosi il 30 ottobre 1939 al Pontificio Istituto di Musica Sacra, il 13 giugno 1940 conseguiva il

Baccalaureato e il 10 giugno 1941 la Licenza in Canto Gregoriano, il 27 giugno 1942 il Baccalaureato
e il 16 giugno 1943 la Licenza in Composizione sacra, il 16 giugno 1944 il Baccalaureato e il 30 ottobre
1946 la Licenza in Organo, il 16 giugno 1944 il Magistero in Composizione Sacra, il 1 luglio
1947 il Magistero in Canto Gregoriano.
Da una sua lettera del 28 settembre 1949 inviata al Sindaco-Presidente del Comitato del Congresso
Mariano di Montemaggiore al Metauro, che aveva disdetto l’invito a prestare servizio con la Scuola
Polifonica fondata dal Franca a Fano, veniamo a conoscere l’attività che il giovane musicista aveva
svolto nella Capitale: «a San Carlo al Corso dove sono stato organista per 5 anni, a S. Maria
Maggiore dove ho suonato come Organista sostituto per oltre un anno e dove ho rinunciato al posto
di Organista titolare; a Sant’Andrea al Quirinale, a San Luigi dei Francesi, a San Sebastiano, a San
Benedetto in Piscinula, al Quo Vadis dove avevo una Scuola di Canto, dai Padri Mechitarristi dove
ho insegnato canto Gregoriano e pianoforte, all’Ospedale dei Fatebenefratelli dove ho insegnato musica
per 2 anni».
Abitando nel convento di San Sebastiano alle Catacombe, intervenne quale sacerdote all’esumazione
dei corpi delle 335 vittime della ferocia nazista uccisi il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine di Roma,
sui quali fatti egli offrì poi al Politeama di Fano una pubblica testimonianza.
Dall’ottobre 1946 padre Franca è nel convento di Santa Maria Nuova di Fano. Il 28 marzo 1947
pubblica una manifesto con il quale invita giovani non inferiori ai 18 anni a frequentare la “Scuola
Polifonica” che ha lo scopo: “Somministrare ai giovani volonterosi ed entusiasti la conoscenza della
musica per dare un contenuto maggiore alla loro allegria; affinare il senso estetico con l’apprendere
criteri per gustare la musica classica; arricchire la propria cultura con notizie storico-paleografiche per
la musica antica, con discussioni e conferenze sui principali problemi estetici dell’arte in genere e in
P. Umberto Franca (a
sinistra) e P. Francesco
Candiracci (a destra) con i
ragazzi e i giovani del coro
di Santa Maria Nuova (31
luglio 1949)
37

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
38
specie dell’arte musicale”. Al 15 aprile gli iscritti erano 45, elencati nell’apposito registro, “quasi tutti
studenti di Liceo, Magistrali e Commerciali che giornalmente, nelle ore di pomeriggio, frequentano
la sede suonando il pianoforte, mandolini e chitarre, giocando a carte e a dama, leggendo libri, giornali
e riviste” 15 . Al 6 novembre 1947 i giovani erano saliti a 62, annotava il segretario aggiungendo:
“molte iscrizioni sono state riconfermate. Alcuni giovani sono partiti da Fano avendo terminato i loro
studi. Molte iscrizioni sono nuove” 16 .
Il P. Umberto Franca con la collaborazione dei giovani cantori aprì un doposcuola per alunni delle
scuole elementari: “Da questo doposcuola è nata la sezione dei ‘Putti cantori’ che in numero di 16 si
sono aggiunti alla Scuola Polifonica”, scriveva il segretario in data 25 gennaio 1948 17 , da allora il coro
si compose di voci miste. Infatti i ragazzi frequentavano il doposcuola al termine del quale si iniziavano
le prove di canto. Alla data 12 ottobre si legge nel registro che prestava collaborazione la maestra
Giovanna Giustiniani e che fu necessario tenere un corso-bis di doposcuola e prove di canto per i
ragazzi che avevano lezione nel pomeriggio, inoltre che “le spese per il doposcuola erano sostenute dal
convento di Santa Maria Nova per il mesi di ottobre, novembre, dicembre, dal gennaio 1949 penserà
il Centro Italiano Femminile”. I “Putti Cantori” registrati erano saliti a 27 18 .
È di questo tempo la composizione di padre Franca di un O salutaris Ostia per soprano e organo. A
favore dei suoi giovani cantori il maestro si impegnò anche in attività ricreative come leggiamo nel
registro: “Il Direttore ha costruito ex-novo il gioco del Ping-Pong (16 aprile 1948) [...] per iniziativa e
per opera del Direttore è stato costruito un gioco di ‘Palla a volo’ al mare, zona Sassonia su uno spazio
di terra gentilmente concesso dalla Contessa Bracci. Il pallone è stato gentilmente offerto dal Signor
Boldreghini Omero (luglio 1948)”. Non mancavano momenti ricreativi, specie dopo esecuzioni nelle
solennità liturgiche pomeridiane, ma anche una gita in bicicletta fino al santuario del Beato Sante a
Mombaroccio.
Durante la novena dell’Immacolata 1948 “oltre 45 elementi” della Scuola Polifonica cantavano mottetti
vari dalla cantoria in fondo alla chiesa e “rispondeva, verso per verso, un coro di oltre 50 studentesse
dell’Istituto Magistrale istruite in precedenza dal Maestro Direttore” (non c’era da invidiare le
solenni liturgie delle basiliche romane vivacizzate da cori famosi!); l’8 dicembre fu eseguita la Missa
Prima Pontificalis a 3 voci dispari di Lorenzo Perosi, organista Nino Generali, direttore maestro P.
Umberto Franca, che sarà eseguita altre volte, tra cui il 31 luglio 1949 per la Messa solenne del novello
sacerdote fanese Don Vittorio Minardi.
Il padre Franca svolse anche il compito di Direttore del Terzo Ordine Francescano (in sigla T.O.F.) che
a Santa Maria Nuova aveva una fiorente Congregazione tanto da essere distinta in Sezione Maschile
e Sezione Femminile. Verso il Terzo Ordine Francescano egli indirizzò gli animi dei giovani creando
i gruppi di “Gioventù Maschile T.O.F.” e “Gioventù Femminile T.O.F.”, i numerosi giovani che vi
appartennero si riunivano settimanalmente allo scopo di istruzione educativa e religiosa a carattere
francescano. I libri dei verbali dimostrano quanto entusiasmo il frate avesse suscitato, a cominciare
dal Ministro della Congregazione, il commendator Egidio Del Vecchio, fino all’ultimo ragazzo delle
sezioni araldini e araldine.
Ma l’attivo francescano fu dai suoi superiori destinato altrove, così padre Franca il 1 settembre 1950
lasciò Fano per trasferirsi a Sassoferrato quale insegnante di musica e canto al ginnasio dei Frati
Minori marchigiani. La sua attività musicale continuò poi in altri conventi dove venne successivamente
destinato, non ultimo a Roma dove ebbe l’incarico dal 10 maggio 1977 di insegnante gerente
della cattedra di Paleografia gregoriana al Pontificio Istituto di Musica Sacra con Decreto della
Congregazione per l’Educazione Cattolica, prestandosi anche come cantore salmista delle celebrazio-

ni papali nella basilica di S. Pietro in Vaticano fino al 30/11/1982, quando fu messo in quiescenza. Fu
allora che il cardinale Salvatore Pappalardo arcivescovo di Palermo, apprezzandone le doti, lo chiamò
ad insegnare nella scuola di musica sacra di questa città dove rimase fino a tutto il 1992, allorché il
maestro si ritirò nel convento di Monteprandone.
In seguito ad incidente stradale, subito il 24 giugno 1993, padre Umberto Franca decedeva nell’ospedale
di Ancona il successivo 11 luglio.
(SB)
1. Memorie Francescane Fanesi, 1926, pp. 141-144, ripreso ed ampliato nel suo La Cappella musicale del duomo di Fano, appunti per
una storia, in “Note d’archivio”, III/1926, 2-3.
2. ASDF Atti Capitolari 1803-1816, reg. 153, c. 9r.
3. ASDF Atti Capitolari 1852-1869, reg. 175, cc. 26v, 37rv.
4. Devo al prof. Giovanni Battista Columbro, Direttore del Festival Lodoviciano di Viadana, la precisazione dell’anno di nascita
che fino a pochi anni fa era assegnato al 1564: è infatti Lodovico stesso in una lettera da Busseto del 15 giugno 1623, indirizzata al
cardinale Alessandro d’Este, a dichiarare, dopo essere stato “diffinitor provinciale” e lamentandosi della sua situazione in loco, di
avere 63 anni. La lettera è nell’Archivio di Stato di Modena, Regolari, busta 124.
5. U. Franca, Ricerca e riesumazione della produzione musicale francescana in “Studi francescani” anno XXIII (XLVII), 3-4, 1951, p.
169. P. Franca aveva trascritto ed eseguito nel 1952 la sua Missa sine nomine a 4 v.d., manoscritto conservato nell’archivio musicale
francescano di Falconara Marittima
6. P. Luigi Stagni, Memorie degli uomini illustri della nostra Osservante Provincia di Bologna - Fascicolo I, manoscritto 1850 circa,
Archivio storico della Provincia di Cristo Re dei Frati Minori dell’Emilia Romagna (APMnBO) Sez. VI b. 1, n. 1, p. 22.
7. F. Metz, “Per bater la batuda in organo”. Note d’archivio per la storia musicale a Portogruaro nel ‘600 in Antonio Carneo e il suo tempo,
atti della giornata di studio 26 marzo 1993 a cura di G. Bergamini e P. Goi, Portogruaro 1995, p. 75.
8. Ibidem, pp. 75-76.
9. ASDF, Atti Capitolari 1602-1611, reg. 153, c. 113r.
10. ASDF, Entrata-Esito Sagrestia 1605-1611, c. 175rv.
11. ASDF, Atti Capitolari 1611-1630, reg. 154, c. 11v.
12. Ibidem, c. 15v.
13. U. Franca, Ricerca e riesumazione della produzione musicale francescana, cit., p. 171.
14. Ibidem, pp. 173-174.
15. ACSMNF, Registro Scuola Polifonica e Gioventù Maschile T.O.F., p. 5.
16. Ibidem, p. 8.
17. Ibidem, p. 12.
18. Ibidem, alla data, così per le citazioni seguenti.
39

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
Padre Antonio Maria
Pettinari, frate fanese,
arcivescovo di Urbino,
poi Segretario della
Sacra Congregazione
dei Vescovi e Regolari
40
Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori,
adempiuti i quali nel 1850 tornò nel convento
fanese terminandovi i suoi anni il 19 dicembre
1857. Egli, con le offerte ricevute allo
scadere del mandato di Ministro
Generale, nel 1852 volle arricchire
la chiesa di un
nuovo strumento musicale
della ditta Bazzani
di Venezia (si veda il
saggio L’organo di
Claudio Giuseppe
Morosi, in questo
volume); poco
dopo fu decisa la
costruzione del
nuovo campanile.
La nuova torre,
svettante sui tetti
della città di Fano
con i suoi 55 metri
di altezza, fu atterrata
dall’esercito tedesco
la mattina del 20
agosto 1944 (si veda il
saggio I due campanili di
Franco Battistelli e Gianni
Volpe, sempre in questo volume).
Ricordiamo anche padre
Antonio Maria Pettinari da Fano, nato
il 23 febbraio 1818, che insegnò filosofia e teologia
nello ‘studio’ di Santa Maria Nuova di cui
fu prefetto dal 1856 al 1862 e guardiano della
fraternità, poi Ministro Provinciale, Segretario
Generale dell’Ordine dei Frati Minori. Nel 1863
da Pio IX fu eletto vescovo di Nocera Umbra
che poté raggiungere solo nel 1867 per gli eventi
relativi all’unità d’Italia, nel frattempo fu amministratore
apostolico delle diocesi di Viterbo e
di Subiaco; Leone XIII nel 1881 lo promosse arcivescovo
di Urbino e dal 1885 Segretario della
Sacra Congregazione dei vescovi e dei religiosi.
Morì a Roma il 24 maggio 1886, compianto da
confratelli, clero e popolo: «Era giustamente ritenuto
la gloria maggiore della Provincia
per bontà, dottrina, avvedutezza di
governo [...] In mezzo agli onori
non dimenticò di essere
Francescano e visse sempre
come fosse in Convento
continuandone quotidianamente
le usanze
nel vitto parco, nella
meditazione di mattina
e sera [...] Suo
fratello P. Raffaele
parroco in Fano nel
trigesimo giorno
dalla morte celebrò
in S. Maria Nova
solenni funerali ai
quali parteciparono
largamente i concittadini.
Il Canonico
Diambrini recitò una
splendida orazione funebre
e l’Avv. Valenti dettò
epitaffi in latino classico» 69 .
Di lui nel convento di S. Maria
Nuova si conservano una fotografia
e un ritratto ad olio.
I più recenti interventi di ristrutturazione della
chiesa di Santa Maria Nuova risalgono agli
anni 1958-59 ad opera del guardiano padre
Francesco Talamonti (Montefiore dell’Aso 1915 -
Sassoferrato 1995) che fece togliere alcune decorazioni
giudicate superfetazioni, le statue lignee,
il pulpito e la cantoria e per iniziativa del quale
venne costruito il grande organo a canne dalla
ditta Mascioni di Cuvio su progetto del fanese
m° don Igino Tonelli, che dà occasione alla chiesa
di essere auditorium oltre che tempio d’arte.

Note
1. «Habet haec Custodia locum Fano, de cuius fundatione nil
aliud habeo, nisi quia Federicus Imperator construxit Vicarios
Imperiales in Piceno [...] Fani Malatestas. Unde Conventus S.
Francisci ab hac illustris Familia Malatestarum egregiis fuit
beneficiis cumulatus», P. Ridolfi da Tossignano, Historiarum
Seraphicae Religionis libri tres, Custodia Fanensis, Venezia 1586,
pag. 257.
2. «Aliquantulum igitur ab hac civitate, iuxta praefatum flumen
Metaurum, atque Adriaticum littus, fratres nostri conventum
sub titulo sanctae Mariae in Ponte primaevis Seraphicae
Religionis nostrae temporibus, favente sibi Fanensi senatu
aedificarant», F. Gonzaga, De origine Seraphicae Religionis
Franciscanae, Roma 1587, p. 211.
3. «De conventu S. Francisci de Fano vulgata traditio est apud
fanenses quod Seraphicus Pater sanitus Fani introduxit famulatum
Dei eorum fratrum in civitatem Fano dum esset in humanis
et extat nunc edicola sub vocabolo S. Iuliani in Atrio conventus»,
I. Altobelli, Genealogia Seraphica, manoscritto cod. 17
della Biblioteca S. Isidoro di Roma, c. 124.
4. «Circa haec tempora extructum Minorum Coenobium ad
fanum Fortunae, quae agri Piceni urbs est in littore Adriatico
inter Pisaurum et Senogalliam, non longe a Metauro amne
sita, atque a pulcherrimo Fortunae Templo in ea olim erecto
sic dicta. Aliquantulum igitur ab hac civitate, juxta praefatum
fluvium Metaurum, atque Adriaticum Littus, Fratres nostri
Conventulum sub titulo sanctae Mariae in Ponte primaevis
Seraphicae Religionis nostrae temporibus, favente sibi Fanensi
Senatu, aedificarunt» (Annales Minorum, II, ad annum 1235).
5. P. M. Amiani, Memorie istoriche della Città di Fano, Fano
1751, 2 voll., I, pp. 177 e ss.
6. Cfr. M. Belogi, L’eredità di Guido Nolfi da Fano, Fano 2001,
p. 55 e ss.
7. L. (Tassi) da Fabriano, Cenni cronologico-biografici della
Osservante Provincia Picena, Quaracchi 1886, p. 47. Un cenno ad
“un grosso coccodrillo o dragone” si trova in Notizie della Cura
Priorale e Parochiale di San Salvatore di questa Città di Fano…,
raccolta di notizie confuse a volte fantasiose, con poco fondamento
storico, anche se l’autore per san Francesco e il drago e il
primo insediamento francescano a Fano afferma: «Ex Archivo
Nucerinae, Auximi, Fani, Aracoelitano, S.i Constantii in
Sacrario, Vad. Ann (cioè Wadding, Annales), Historiae Negusanti,
BFF, Sala Manoscritti, Manoscritti Amiani 40/4, c. 5.
8. P. M. Amiani, op. cit., I, p. 178.
9. T. da Celano, Vita beati Francisci, nota come 1 a Celano, 55-56.
10. Fonti Francescane, Assisi 1978, p. 1907, n. 2206.
11. R. Manselli, I primi cento anni di storia francescana, ed. postuma
a cura di A. Marini, Cinisello Balsamo 2004, 36-37.
12. Oltre agli autori cinquecenteschi ricordati sopra, cfr.
A. Talamonti, Cronistoria dei Frati Minori della Provincia
Lauretana delle Marche - Monografie dei Conventi, I-VII,
Sassoferrato 1938 e ss; G. Parisciani, I frati minori conventuali
nelle Marche, Ancona 1982, passim; M.G. Dal Fuoco, La provincia
francescana delle Marche, in I Francescani nelle Marche
secoli XIII-XVI, Milano 2000, pp. 24-37.
13. 1 Cel. 131, 141, 146.
14. S. de Adam, Cronica, nuova edizione critica, Bari 1966,
pp. 58 e 147.
15. Cfr. S. Tomani Amiani, Guida di Fano, 1853, c. 64v (BFF,
Sala Manoscritti), edizione Battistelli 1981 p. 173; G. Volpe,
Matteo Nuti architetto dei Malatesta, Venezia 1989, pp. 12-13,
20 n. 17.
16. P. M. Amiani, op. cit., I, p. 207.
17. Cfr. Memorie Francescane Fanesi, 1926, p. 4.
18. Cfr. C. Selvelli, Le arche dei Malatesta di Fano in S. Francesco
in Memorie Francescane Fanesi, op. cit., pp. 10-13.
19. P. M. Amiani, op. cit., I, p. 207.
20. Cfr. M. Sensi, Le osservanze francescane nell’Italia centrale
(secoli XIV-X), Roma 1985; Id., Dal movimento eremitico alla regolare
osservanza: l’opera di Paoluccio Trinci, Roma 1963; S. Da
Campagnola, Il movimento francescano al tempo di san Giacomo
della Marca in San Giacomo della Marca nell’Europa del ‘400,
atti del Convegno internazionale di studi, Monteprandone 7-10
settembre 1994, a cura di S. Bracci, Padova 1997, pp. 220-243.
21. «ad eligendum et fabricari faciendum locum Observantiae
predictum ea in parte que sibi videbitur magis idonea ac devota»
ASP-SASF, ASC, Consigli, reg. 8, cc. 111v.
22. «rogatus ut Dominatio sua elligeret aliquem locum habilem
et idoneum ad costruendum ed aedificandum locum
Observantiae Ordinis Sancti Francisci, quoniam in hac eius civitate
multae elemosinae causa edificandi dictum locum relictae
fuerunt […] videtur sibi forem habilem et idoneum oratorium
Sanctae Mariae de Metauro cum domibus suis, quoniam locus
erat pius, devotus, edificatus et positus in loco congruo» ASP-
SASF, ASC, Consigli 15 maggio 1455, reg. 10, cc. 26r-27r.
23. Non è san Giacomo della Marca, come qualche volta si è creduto
(p. es. P. M. Amiani, op. cit., I, p. 419 e ss; S. Tosti in Fano
Francescana 1926, pp. 130 e 169; P. A. Talamonti Cronistoria dei
frati minori, cit., III, pp. 142-43 e 419-20.422; U. Picciafuoco,
San Giacomo della Marca, Monteprandone 1976, p. 156, che
addirittura fa predicare al santo la quaresima del 1455 a S.
Maria del Ponte Metauro), ma un omonimo predicatore compagno
del santo che lo cita nel manoscritto 4 (c. 1r di guardia
posteriore) della Biblioteca comunale di Monteprandone: «Die
3 iunii 1441, quem librum recepi a fratre Iacobo de Exculo,
predicatore», cfr. M.G. Bistoni Grilli Cicilioni, L’ intervento del
beato Pietro da Mogliano nella costituzione della biblioteca di S.
Giacomo della Marca in Il beato Pietro da Mogliano e l’Osservanza
Francescana, Roma 1993, p. 309 n. 32) ed è il secondo
scriba nella raccolta dei miracoli della Madonna delle Grazie
di Monteprandone dettati dal santo dove al miracolo 30 leggiamo:
«Et ipse maritus dixit coram me fr(atre) Iacobo et me
fratre Iacobo de Esculo» (S. Bracci, I miracoli della Vergine
delle Grazie di Monteprandone e san Giacomo della Marca, dal
manoscritto n. 6 della Biblioteca Comunale di Ascoli Piceno in
“Picenum Seraphicum” XXI/2002, pp. 74-101, qui pp. 92-93
e 100) Nell’atto del notaio Damiani (di cui sotto, nota 24) ne
viene specificata la paternità: “Giacomo di Giovanni”. Anche se
qualche volta il santo era denominato “da Ascoli” (per es. Carlo
Crivelli, nel primo ritratto che si conosca del santo, conservato
al Louvre di Parigi, lo denomina “Beatus Iacobus de Asculo de
la Marca”, si veda M. R. Valazzi, Il ‘San Giacomo della Marca’
di Carlo Crivelli del Louvre e la copia in Vaticano in S. Bracci
(a cura di), Il culto e l’immagine, San Giacomo della Marca
nell’iconografia marchigiana, Milano 1998, pp. 55-56), sappiamo
bene che era figlio di Antonio come egli stesso nel codice 45
c. 140v della Biblioteca comunale di Monteprandone dichiara
I FRATI MINORI A FANO
41

LA CHIESA DI SANTA MARIA NUOVA A FANO
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sottoscrivendo la propria opera Campus Florum: «Hoc opus nomine
Campus florum finitum et expletum est per me fratrem
Iacobum Antonii de Monte Prandono», e dalla bolla 11 ottobre
1426 a lui indirizzata da Martino V: «Dilecto filio Iacobo
Antonii de Monte Brandono»: (cfr. Bullarium Franciscanum,
ed. Eubel, Roma 1904, VII, p. 663; D. Lasić, De Vita et operibus
S. Iacobi de Marchia, Falconara 1974, pp. 46-47, 73, 222,
391; G. Pagnani, La patria e la famiglia di S. Giacomo della
Marca in “Picenum Seraphicum” XIII-1976, pp. 7-134, qui pp.
81-82; S. Loggi, I codici di S. Giacomo della Marca nel Museo
Civico di Monteprandone, Ancona 2000, p. 95).
24. ASP-SASF, ASC, Consigli 9 marzo 1455, reg. 10, cc. 27v-
28rv.
25. ASP-SASF, notaio Gregorio Damiani, vol. A, c. 13 rv.
26. G. Boiani Tombari, La ricostruzione storica dei documenti
d’archivio in Il complesso monumentale di S. Michele a Fano,
Fano 2008, p. 122.
27. «Oratorium seu Cappellam S. Mariae de Metauro Fanensis
Dioecesis, ad quem sicut asseritur, ob multa miracula ibidem
coruscantia, est summa devotio populi», ASP-SASF, ASC,
Decreti, 2, c. 94.
28. ASP-SASF, ASC, Pergamene, XIX.
29. ASP-SASF, ASC, Consigli 15 maggio 1464, reg. 11, cc. 163r
e 185r.
30. «novum locum non tantum a civitate nostra Fanensi distantem
et a publica via magis semotum», ASP-SASF, ASC,
Cancelleria, reg. 3, c. 88v.
31. ASP-SASF, ASC, Consigli 15 maggio 1477, reg. 18, c. 30v, e
23 dicembre 1478, ivi, c. 125v.
32. ASP-SASF, Not. Pier Antonio Galassi, vol. Q, c. 248v. Sulla
questione dell’eredità Marcolini, cfr. P. A. Talamonti, op. cit.,
III, pp. 149-150, e in questo volume il regesto dei documenti di
Giuseppina Boiani Tombari.
33. Cfr. D. Piermattei, Perugino, Giovanni Santi e Raffaello a
Fano, Fano 2009, p. 80.
34. La letteratura francescana, a cura di C. Leonardi, vol. I,
Firenze 2004, rispettivamente pp. 21, 67, 223.
35. ASP-SASF, Not. Pier Domenico Stati, atto 21 aprile 1488,
vol. D, 1487-88, cc.336v.-340r.
36. Ibidem.
37. P. M. Amiani, op. cit., II, pp 79 e ss
38. ASP-SASF, ASC, Consigli, reg. 37, c. 166v.
39. ASP-SASF, Not. Giacomo Roncoli, vol. T, c. 78r, cfr. G.
Boiani Tombari, La ricostruzione storica dai documenti d’archivio,
in G. Volpe (a cura di), Il complesso monumentale di San
Michele a Fano, Fano 2008, p. 137.
40. ASP-SASF, ASC, Consigli, reg. 45, c. 46r.
41. Il 10 aprile 1423 don Gioacchino Ser Francisci affitta un
terreno della chiesa e una casa; il 25 dicembre dello stesso anno
don Pietro Pietrucci nel chiosto di San Salvatore riceve pensione
di una vigna concessa in enfiteusi: gli attori erano monaci
di Fonteavellana (ASP - SASF, Notaio Giuliano Valli, 1423 -
1425, rispettivamente c. 41r e c. 201v)
42. Ivi, Atto del 25 dicembre 1423.
43. ASP-SASF, Notaio Damiano Damiani, atto del 23 ottobre
1489, c. 137r.
44. Devo questa e le notizie precedenti a Giuseppina Boiani
Tombari che sta collazionando documenti relativi alla chiesa
di San Salvatore.
45. Ms. Bertozzi, Famiglie Fanesi, vol. M6, pp. 12.21;
P.C.Borgogelli, Ms. Libro d’oro della Nobiltà Fanese, vol IX,
famiglia Gabrielli, Fano, Biblioteca Federiciana.
46. ASP-SASF, ASC, Consigli, reg. 45, 1518, c. 115r-v.
47. F. Gonzaga, De origine Seraphicae Religionis, cit., p. 211.
48. G. Boiani Tombari, La ricostruzione, cit., p. 137 alla data.
49. Cfr. M. Belogi, Monte Giove, un eremo camaldolese a Fano,
Fano 1996, p. 31.
50. ASP-SASF, Notaio Cornelio Zagarelli, vol. G, c. 227v.
51. ASP-SASF, Notaio Michelangelo Boldrini, vol. C, cc. 246v-
247v.
52. M. Belogi, Monte Giove, cit., p. 45.
53. S. Tomani Amiani, Guida di Fano, manoscritto datato
1853, BFF, sala manoscritti.
54. Cfr. Anonimo, Pitture d’uomini eccellenti nelle chiese di Fano
a cura di Franco Battistelli, Quaderni di “nuovi Studi Fanesi”,
Fano 1995, p. 26-28.
55. Ivi.
56. Cfr. Memorie Francescane Fanesi, cit., p. 115.
57. Cfr. F. Battistelli e G. Boiani Tombari, Notizie su un pittore
fanese allievo di Ludovico Carracci: Bartolomeo Giangolini
(1577-1636) in “Nuovi Studi Fanesi” 19/2005, pp. 87-101, qui
p. 95.
58. ACSMNF, Libro de’ conti, passim.
59. «Adì 25 ottobre 1711 morì l’ill. Sig. Cavalier Giovanni
Giacomo Boccacci nostro Prosindico e più che Padre naturale
de Religiosi per le sue rare qualità e gran carità e fu sepolto
in questa nostra Chiesa nella sua sepoltura in fondo per non
esservi altre casse in quella parte appresso la muraglia sotto li
piedi della B(eata) V(ergine) M(aria) sua Avvocata e Patrona»
ADF, parrocchia S. Salvatore in S. Maria Nuova, Registro dei
morti 0.5.1., c. 31r;
«Adì 2 marzo 1755 a ore 6 della sera del sabato morì la nobile
Sig.ra Diana Azzi Boccaccio Madre più che naturale di tutti
i Religiosi per le sue rare qualità e gran carità, e fu sepolta
in questa nostra chiesa nella sua sepoltura in cornu evangelii
dell’Altare Maggiore» (c. 19r);
«Adì 25 luglio 1768 morì il fu Nob. Sig.re Papirio Alavolini
e fu sepolto in mezzo alla Chiesa in un sepolcro nuovo fatto
aposta secondo che fu ordinato dal medesimo a bocca prima di
morire; e fu compianto da tutta la Città mediante le sue buone
qualità ed ottimo procedere e specialmente da Religiosi per
essere molto affezionato a questi; e fu accompagnato a questa
chiesa dal Rev.mo Capitulo e dal suo respetivo Clero ove fece
la funzione il Nob. Sig.re Canonico Lutrecchi essendoli stato
accordato da Religiosi per favore come fecero e l’iscrizione fu
fatta nella lapide dal Signor Priore Santoni» (c. 52).
60. G. Boiani Tombari, Regesti, sempre in questo volume.
61. Per es.: “In Cattedrale - Novena e festa del Sacro Cuore.
Nel giorno della festa fu cantata la Messa solenne. La Musica
fu eseguita con valentia dalla ‘Schola cantorum’ dei Terziari
Francescani di S. Maria Nuova” (Bollettino della Diocesi di
Fano, 5-6/XX, giugno-luglio 1936, p. 39).
62. A tale proposito si legge nel registro dei battesimi di San
Salvatore: «In Dei Nomine. Amen. 24 Septembris 18quartidecimi.
Si descriptiones Baptismatorum huius Parecie in hoc
libro desint a die 10 Septembris 18decimi usque ad hodiernum
diem, reperientur in Libris Baptizatorum Pareciarum sive S.
Antonimi Abbatis, sive Ecclesiae Cathedralis huius Civitatis.

In fide etc. Ita est. Fr. Emygdius Pandolfi a Fano O. Min. Vice
Economus Curatus S. Salvatoris Manu propria». ADF, parrocchia
S. Salvatore in S. Maria Nova, Reg. Baptizatorum, vol.
0.1.2, c. 40r.
63. ACSMNF, Libro de’ conti dal 1815 sino al 1825 a tutto maggio,
passim. Alcune pagine testimoniano l’attenzione che i frati,
secondo il comando di san Francesco (Regola c. 4), avevano verso
i confratelli infermi a favore dei quali ricorre l’annotazione
di spesa per limoni, mele, fedelini (pasta fina), latte, zucchero
e, una volta, china.
64. ASP-ASDF, ACV, Conventi, Ripristinazione dei Monasteri,
b. 16.
65. Non mancò il necessario permesso papale per l’acquisto
dell’immobile riportato da P. A. Talamonti, Cronistoria, cit.,
III, pp. 431-32. Alcuni particolari delle vicende succedutesi dal
secolo XVIII fino agli inizi del secolo XX si possono leggere ivi,
pp. 165 -180.
66. ASP-SASF, 1868, busta 506, titolo IX.
67. ACSMNF, Libro de’ conti dal 1815 sino al 1825 a tutto maggio,
pp. 103-223.
68. Cfr. A. Mabellini, La macchina per volare del P. Niccolò
Betti in Memorie francescane fanesi 1926, p. 149; F. Diotallevi,
Nella Terra dei Fioretti, memorie biografiche francescane…,
Sassoferrato 1936, p. 151.
69. F. Diotallevi, Nella Terra dei Fioretti, cit., pp. 256, 259 -
260.
I FRATI MINORI A FANO
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