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Il Brentella - Consorzio di Bonifica Piave

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<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong><br />

Perio<strong>di</strong>co d’Informazione del <strong>Consorzio</strong> <strong>di</strong> <strong>Bonifica</strong> “Pedemontano <strong>Brentella</strong> <strong>di</strong> Pederobba”<br />

SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE<br />

art. 2 comma 20/c L. 662/96 filiale <strong>di</strong> Treviso<br />

Anno 4 n. 2 Dicembre 2001<br />

L’ACQUA,<br />

MOTORE DELLA STORIA<br />

Dalle terme alle risaie,<br />

dai mulini ai canali irrigui,<br />

alla riscoperta<br />

degli usi dell’acqua<br />

nell’Alto Trevigiano<br />

Siamo su Internet: www.brentella.it


<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 2<br />

CONSORZIO<br />

DI BONIFICA<br />

“PEDEMONTANO<br />

BRENTELLA<br />

DI PEDEROBBA”<br />

<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong><br />

Perio<strong>di</strong>co <strong>di</strong> Informazione del <strong>Consorzio</strong> <strong>Brentella</strong><br />

E<strong>di</strong>tore<br />

<strong>Consorzio</strong> <strong>di</strong> bonifica “Pedemontano <strong>Brentella</strong> <strong>di</strong> Pederobba”<br />

31044 MONTEBELLUNA - Via Santa Maria in Colle, 2<br />

Presidente Giuseppe Romano<br />

Direttore responsabile Gianlorenzo Mocellin<br />

Coor<strong>di</strong>namento e<strong>di</strong>toriale Giustino Martignago<br />

Redazione<br />

Paolo Pellizzari, Gianni Bernar<strong>di</strong>, Tiziana Favero,<br />

Enzo Frassetto, Paolo Meotti, Antonio Zannin<br />

Foto Stefania Serena<br />

La riproduzione delle immagini e dei testi è autorizzata solo citando la fonte<br />

Sped. in abb. post. art. 2 comma 20/c L. 662/96 Filiale <strong>di</strong> Treviso<br />

Autorizzazione del Tribunale <strong>di</strong> Treviso n. 1044 del 13 ottobre 1997<br />

Stampa Tipografia Asolana - Asolo<br />

Tiratura 5.000 copie<br />

NOVEMBRE IMBACUCCATO, RACCOLTO E SEMINATO<br />

Orario <strong>di</strong> apertura Uffici Consorziali<br />

Montebelluna - Via S. Maria in Colle, 2<br />

dalle ore 8.30 alle ore 12.30 tutte le mattine<br />

escluso il sabato<br />

<strong>Il</strong> Presidente riceve su appuntamento<br />

■ IN QUESTO NUMERO<br />

Imparare dal passato<br />

per progettare il futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3<br />

Quando sul Sile spuntò il riso . . . . . . . . . . . . . . . . . 4<br />

I mulini della <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6<br />

Quell’incrocio pericoloso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8<br />

Palù, archeologia rurale da salvare . . . . . . . . . . . . 10<br />

Una storia scritta nell’acqua . . . . . . . . . . . . . . . . . 12<br />

Alle acque <strong>di</strong> San Zenone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14<br />

PRONTO CONSORZIO? E-mail<br />

@<br />

■ I NUMERI UTILI DI UFFICI E SERVIZI<br />

Centralino. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 0423 2917<br />

Settore Lavori<br />

PROGETTAZIONE OPERE PUBBLICHE DI IRRIGAZIONE E BONIFICA, DIREZIONE LAVORI, SERVITÙ<br />

Settore Catasto<br />

CONTRIBUENZA, GESTIONE CATASTO, ORARI IRRIGUI, CONCESSIONI, ELEZIONI, RELAZIONI PUBBLICHE<br />

Settore Gestione<br />

GESTIONE, MANUTENZIONE OPERE E IMPIANTI, SERVIZIO VIGILANZA E TUTELA DEL TERRITORIO<br />

Settore Amministrativo<br />

SEGRETERIA, PROTOCOLLO, BILANCIO, PERSONALE, GESTIONE APPALTI E CONTRATTI<br />

Fax . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 0423 601446<br />

■ NUMERO DI EMERGENZA<br />

335 6906178<br />

ATTIVO 24 ORE SU 24<br />

solo per segnalare situazioni <strong>di</strong> pericolo per persone e cose<br />

brentella@brentella.it<br />

Per comunicazioni <strong>di</strong>rette<br />

Direzione<br />

<strong>di</strong>rezione@brentella.it<br />

Settore tecnico<br />

settore.tecnico@brentella.it<br />

Settore amministrativo<br />

settore.amministrat@brentella.it<br />

Settore catasto<br />

settore.catasto@brentella.it<br />

Punto <strong>Consorzio</strong><br />

puntoconsorzio@brentella.it<br />

Internet<br />

www.brentella.it<br />

In copertina e in retro<br />

<strong>di</strong> copertina:<br />

due particolari della<br />

mappa del Lastego<br />

redatta in occasione<br />

delle esondazioni<br />

del 1735 (Archivio del<br />

Museo Civico <strong>di</strong> Asolo,<br />

foto <strong>di</strong> Andrea Barzan)


ALLE TRE BRINATE, ACQUA E NEVE ASPETTATE<br />

<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 3<br />

UN NUMERO MONOGRAFICO DI CARATTERE STORICO PER PROMUOVERE UNA PIÙ RESPONSABILE CULTURA DELL'ACQUA<br />

IMPARARE dal PASSATO<br />

per PROGETTARE IL FUTURO<br />

Dalle acque minerali <strong>di</strong> San Zenone, Fonte, Crespano e Castelcucco alle risaie <strong>di</strong> Cavasagra, Resana e Casacorba, ai<br />

Palù <strong>di</strong> Sernaglia della Battaglia: ripercorriamo alcune importanti pagine del rapporto tra uomo e acqua per riprendere<br />

il filo con cui è stata tessuta la storia del nostra zona. Una storia alla quale ha dato un importante contributo il<br />

<strong>Consorzio</strong> <strong>Brentella</strong>, che in sei secoli <strong>di</strong> attività ha svolto un'attività determinante per lo sviluppo dell'area tra <strong>Piave</strong>,<br />

Muson e Sile, dando prova nel tempo <strong>di</strong> saper rinnovare e rilanciare il suo ruolo, allargando i propri compiti dalla<br />

bonifica all'irrigazione, alla sicurezza idraulica, alla tutela del territorio e all'educazione ambientale.<br />

È<br />

un numero speciale de <strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong><br />

questo che il <strong>Consorzio</strong> ha<br />

deciso <strong>di</strong> pubblicare per fine anno.<br />

Nelle pagine interne non troverete articoli<br />

sull'attività del <strong>Consorzio</strong>, e<br />

non per mancanza <strong>di</strong> notizie, anzi: le<br />

novità non mancano. Della più importante,<br />

il nuovo Piano <strong>di</strong> Classifica<br />

approvato proprio in questi giorni<br />

e con il quale verranno rivisti i criteri<br />

<strong>di</strong> imposizione dei contributi a carico<br />

dei consorziati, riferiremo ampiamente<br />

nel prossimo numero. Ma per<br />

una volta si è voluto mettere da parte<br />

l'attualità. Invece <strong>di</strong> aggiornarvi sugli<br />

sviluppi del problema sempre<br />

aperto dei limiti alle derivazioni dal<br />

<strong>Piave</strong>, o sull'avanzamento dei progetti<br />

<strong>di</strong> opere per la sicurezza idraulica,<br />

come le casse <strong>di</strong> espansione, abbiamo<br />

deciso <strong>di</strong> riportare d'attualità<br />

il passato.<br />

Lo avevamo già fatto, in alcuni numeri<br />

precedenti, ma nei limiti dello<br />

Un mulino in un’incisione del 1607 <strong>di</strong> V. Zonca<br />

(Biblioteca <strong>di</strong> Treviso)<br />

spazio <strong>di</strong> una rubrica. Questa volta, invece, abbiamo voluto<br />

utilizzare tutte le pagine <strong>di</strong>sponibili per ripercorrere all'in<strong>di</strong>etro<br />

nel tempo il profondo rapporto che ha sempre legato<br />

l'acqua al nostro territorio, convinti che l'acqua, risorsa<br />

in<strong>di</strong>spensabile per la nascita e la crescita <strong>di</strong> ogni civiltà,<br />

sia il filo conduttore lungo il quale corre la nostra storia.<br />

Riscoprire i mo<strong>di</strong> nei quali è stata utilizzata nei secoli<br />

significa risalire alla fonte del nostro sviluppo, ritrovare la<br />

memoria del passato, che porta sempre con sé insegnamenti<br />

preziosi per progettare il futuro.<br />

Ci siamo così rivolti ad alcuni tra i massimi conoscitori della<br />

storia locale, dell'area <strong>di</strong> competenza del <strong>Consorzio</strong> <strong>Brentella</strong>,<br />

ai quali abbiamo chiesto <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re i ruoli e gli<br />

impieghi dell'acqua in <strong>di</strong>verse zone e perio<strong>di</strong>. Ne sono uscite<br />

pagine <strong>di</strong> storia appassionanti, ricche <strong>di</strong> notizie. Probabilmente<br />

sono in pochi a sapere, per esempio, che San Zenone,<br />

Fonte, Crespano e Castelcucco sono state nella seconda<br />

metà dell'800 località termali <strong>di</strong> richiamo. E sicuramente<br />

molti ignorano che tra il XVI e il XVIII secolo tra Resana,<br />

Casacorba e Cavasagra fiorì la coltivazione<br />

del riso, favorita dalle numerose<br />

risorgive. Alcuni invece avranno<br />

già visitato i Palù del Quartier del<br />

<strong>Piave</strong>, una zona umida bonificata<br />

già in tempi lontani e trasformata in<br />

un sistema <strong>di</strong> prati chiusi, splen<strong>di</strong>do<br />

esempio <strong>di</strong> uso razionale del territorio<br />

in sintonia con l'ambiente naturale.<br />

Sono tre esempi che ben <strong>di</strong>mostrano<br />

come la presenza dell'acqua abbia<br />

con<strong>di</strong>zionato il paesaggio e l'utilizzo<br />

del suolo. A questi si aggiunge quello<br />

illuminante del Canale <strong>Brentella</strong> e<br />

delle rogge derivate dal Brenta. Come<br />

potrete leggere negli articoli interni,<br />

fin dalla metà del ‘400 il <strong>Brentella</strong><br />

ha contribuito a determinare lo sviluppo<br />

agricolo e artigianale <strong>di</strong> tutta<br />

l'area della pianura compresa tra i<br />

fiumi <strong>Piave</strong>, Muson e Sile, derivando,<br />

canalizzando e <strong>di</strong>stribuendo capillarmente<br />

su tutto il territorio l'acqua<br />

per l'irrigazione, per la produzione<br />

<strong>di</strong> energia e, fino a pochi anni fa, anche a fini potabili.<br />

Tale bonifica della pianura a sud della fascia Pedemontana<br />

ha portato al graduale spopolamento delle colline dell'Asolano,<br />

in passato molto più abitate della campagna e dove<br />

fino all'800 funzionavano decine <strong>di</strong> mulini, magli e “macchine”<br />

utilizzati per la lavorazione della lana.<br />

Con il declino dell'industria laniera tutto il sistema <strong>di</strong> utilizzo<br />

e raccolta delle acque nel bacino del Muson è stato abbandonato;<br />

il Canale <strong>Brentella</strong> ha invece continuato a<br />

svolgere un ruolo <strong>di</strong> primo piano, garantendo l'acqua per<br />

l'agricoltura ma anche la produzione <strong>di</strong> energia, la sicurezza<br />

idraulica e il mantenimento dei delicati equilibri dell’ambiente<br />

naturale.<br />

Sono i compiti che il <strong>Consorzio</strong>, gestore del Canale, ha assunto<br />

nel tempo e svolge per tutto il territorio <strong>di</strong> propria<br />

competenza, facendo tesoro della lezione del passato per progettare<br />

al meglio il futuro.<br />

Giuseppe Romano<br />

Presidente del <strong>Consorzio</strong><br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001


<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 4<br />

Nella bassa pianura trevigiana il fenomeno<br />

delle risorgive determina,<br />

o per meglio <strong>di</strong>re, determinava (considerato<br />

che da anni le risorgive sono<br />

quasi del tutto scomparse) una con<strong>di</strong>zione<br />

ambientale del tutto particolare e<br />

del tutto opposta a quella registrabile<br />

nelle terre situate a nord della strada<br />

provinciale Quinto <strong>di</strong> Treviso-Salvatronda,<br />

caratterizzata da terreni sabbioso-argillosi<br />

ad elevata impermeabilità<br />

nella fascia meri<strong>di</strong>onale dei territori <strong>di</strong><br />

Albaredo, Casacorba e Cavasagra, con<br />

acque ferme in superficie e <strong>di</strong>ffuso impaludamento.<br />

Così, se fin dalla metà del secolo XV,<br />

grazie alla rete irrigua del <strong>Brentella</strong>,<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001<br />

IL MESE DI BRUMA DINANZI TI SCALDA E DIETRO TI CONSUMA<br />

GLI ESPERIMENTI DI RISICOLTURA NELLE PALUDI DI CAVASAGRA ALL’INIZIO DEL ’700<br />

Quando dal SILE<br />

spuntò il RISO<br />

<strong>Il</strong> basso trevigiano come il mantovano e il vercellese: tra il XVI e il XVIII secolo, nella zona delle risorgive intorno a<br />

Resana, l’abbondante e costante <strong>di</strong>sponibilità d’acqua indusse alcuni patrizi veneziani a convertire parte delle loro<br />

proprietà terriere alla coltivazione del riso. Tentativi che non ebbero molta fortuna, anche per la bassa temperatura<br />

dell’acqua e per la maggior competitività degli altri cereali. Ma dei quali restano alcune storiche testimonianze, dalle<br />

antiche mappe alle “pile”, gli impianti per la pulitura dei chicchi.<br />

A destra: una “pila <strong>di</strong> riso” utilizzata per la<br />

pulitura dei chicchi (Ed. La Scuola). Sotto: le<br />

risaie Corner in una mappa <strong>di</strong> inizio ‘700 a cura<br />

<strong>di</strong> Alvise Tempesta, conservata nella Biblioteca<br />

Comunale <strong>di</strong> Castelfranco Veneto<br />

l’acqua ha fatto da moltiplicatore <strong>di</strong><br />

produttività agricola nelle campagne<br />

ghiaiose del Trevigiano occidentale,<br />

nella zona delle risorgive ha invece<br />

con<strong>di</strong>zionato fortemente, sino a qualche<br />

decennio fa, il paesaggio e l’utilizzo<br />

del suolo.<br />

Le mappe antiche, dal secolo XVI al secolo<br />

XVIIII, come pure la cartografia<br />

‘esatta’ del Catasto napoleonico, del<br />

Catasto austriaco e dell’Istituto geografico<br />

militare, tra l’inizio del secolo XIX e<br />

la prima metà del XX, documentano<br />

l’ampia <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> polle d’acqua risorgiva<br />

tra Brusaporco (ora Castelminio)<br />

e Cavasagra, dalle quali originano,<br />

in siti e con modalità <strong>di</strong>versificati dal<br />

passato, i fiumi Dese, Zero, Corbetta e<br />

Sile. Dunque, sino alle gran<strong>di</strong> bonifiche<br />

delle metà del secolo scorso, acqua<br />

ovunque: corrente nel reticolo <strong>di</strong> corsi<br />

d’acqua dal regime idrico assai regolare<br />

e nel fitto reticolo <strong>di</strong> canali <strong>di</strong> scolo; <strong>di</strong>f-<br />

fusa in palu<strong>di</strong> e marenzane su tutta la<br />

residua superficie <strong>di</strong> territorio.<br />

In queste terre <strong>di</strong> ardua praticabilità<br />

per uomini, animali e mezzi <strong>di</strong> traspor-


Campi destinati<br />

a risaia<br />

300<br />

22<br />

alla fine del XVI secolo,<br />

in territorio <strong>di</strong> Resana<br />

all’inizio del XVIII secolo,<br />

in territorio <strong>di</strong> Cavasagra<br />

to, l’acqua si utilizza, sin dalla fine del<br />

secolo XV, come forza motrice <strong>di</strong> due<br />

mulini: quello attestato nella proprietà<br />

dei patrizi veneziani Soranzo, sul Sile a<br />

Casacorba, meglio noto come “il Munaron”<br />

(operante sino al secondo dopoguerra),<br />

e il mulino Badoer nella località<br />

<strong>di</strong> Badoere. Per il resto, non si andava<br />

oltre agli sfalci dei prati delle “prese”,<br />

o campi chiusi, e al taglio delle erbe palustri<br />

che, seccate, venivano impiegate<br />

nei tetti dei “casoni” o nella fabbricazione<br />

<strong>di</strong> se<strong>di</strong>e ed altri utensili domestici.<br />

In questo quadro ambientale e paesaggistico<br />

si fa largo fin dal secolo XVI una<br />

prospettiva <strong>di</strong> sfruttamento delle negatività<br />

indotte dall’abbondanza e dalla<br />

costante <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> acqua: la coltivazione<br />

del riso.<br />

La risicoltura, per propria natura, richiedeva<br />

ingenti investimenti, e pertanto<br />

era sostenibile solo da gran<strong>di</strong><br />

proprietari terrieri, come in effetti erano<br />

i patrizi veneziani presenti con vasti<br />

latifon<strong>di</strong> nella fascia tra Resana e Cavasagra,<br />

in grado <strong>di</strong> sopportare i pesanti<br />

oneri <strong>di</strong> realizzazione <strong>di</strong> argini, canali,<br />

chiuse, sostegni e “pile”, ovvero gli impianti<br />

<strong>di</strong> pulitura dei chicchi <strong>di</strong> riso.<br />

Tutto, in questa zona, sembrava favorire<br />

la coltura del riso: un terreno morbido,<br />

facilmente lavorabile; acqua sempre<br />

<strong>di</strong>sponibile e regolabile negli afflussi<br />

e nei deflussi, me<strong>di</strong>ante canali,<br />

chiuse e sostegni.<br />

<strong>Il</strong> primo esperimento noto <strong>di</strong> coltivazione<br />

del riso nella fascia <strong>di</strong> risorgiva considerata<br />

è documentato in territorio <strong>di</strong> Resana,<br />

alla fine del secolo XVI, per iniziativa<br />

del patrizio veneziano Lorenzo Barozzi,<br />

che riconverte in risaia, nei pressi del<br />

fiume Marzenego, 300 campi trevigiani <strong>di</strong><br />

sue “possessioni precedentemente arate, piantate<br />

et videgade et parte prative”. Si tratta, per<br />

quanto sin qui noto, <strong>di</strong> un episo<strong>di</strong>o isolato<br />

e privo <strong>di</strong> sviluppi in qualche forma<br />

documentabili.<br />

Sorprende, dunque, che, nei primi decenni<br />

del secolo XVIII, una pur più ridotta<br />

estensione <strong>di</strong> “paludo”, pari a circa 22<br />

campi trevigiani, posti sulla sinistra idrografica<br />

del Sile in territorio <strong>di</strong> Cavasagra,<br />

fossero trasformati da “prese” a “risara” per<br />

L’OLIVA TANTO PIU’ PENDE TANTO PIU’ RENDE<br />

iniziativa dei veneziani Corner, proprietari<br />

della villa Corner e <strong>di</strong> vaste estensioni<br />

<strong>di</strong> terra nella stessa Cavasagra.<br />

Le risaie Corner sono attestate da due<br />

mappe, entrambe del perito pubblico<br />

Alvise Tempesta, rispettivamente, del<br />

1721 e del 1730, conservate nella Biblioteca<br />

Comunale <strong>di</strong> Castelfranco Veneto.<br />

In quella del 1721, sono rappresentate<br />

40 “prese” <strong>di</strong> “palu<strong>di</strong>”, estese su<br />

circa 45 campi trevigiani. Di queste prese,<br />

17, per complessivi 22 campi e un<br />

quarto (11 ettari circa), sono “ridotte a risara”.<br />

Nella mappa del 1730, le risaie si<br />

estendono lungo l’antico corso del Sile,<br />

dall’o<strong>di</strong>erna via Munaron sino al mulino<br />

Badoer. Nel bel mezzo dalla risaia, si<br />

innalza un e<strong>di</strong>ficio con funzioni <strong>di</strong> “pila<br />

da riso” (forse coincidente con il sito<br />

d’impianto <strong>di</strong> casa Ballao in territorio<br />

<strong>di</strong> Cavasagra).<br />

<strong>Il</strong> solo autore d’agronomia a riferire<br />

qualche informazione sulle risaie <strong>di</strong> Cavasagra<br />

è Agostino Fapanni, nato ad Albaredo<br />

e figlio del fattore dei Morosini-<br />

Gatterburg, che nel saggio “Dell’agricol-<br />

Troppo fredda<br />

per germinare<br />

12/13 °C<br />

temperatura<br />

minima<br />

alla quale il riso germina<br />

temperatura<br />

ottimale<br />

per la coltivazione del riso<br />

6/17 °C<br />

25/30 °C<br />

temperature minima e massima<br />

dell’alto corso del Sile<br />

<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 5<br />

Una sezione dell’opificio Furlan (ora De Lotto) a Venegazzù, che aveva annessa una pila da riso (1860)<br />

tura trivigiana. Secondo saggio storico” incluso<br />

nel volume secondo delle “Memorie<br />

scientifiche e letterarie dell’Ateneo <strong>di</strong> Treviso”,<br />

stampato a Venezia nel 1819, riferisce<br />

che “un veneziano patrizio, il N.U. Cornario<br />

Piscopia, esperimentò per vari anni la coltivazione<br />

del riso in alcuni acquidosi suoi fon<strong>di</strong> contigui<br />

alle sorgenti del Sile nelle pertinenze <strong>di</strong><br />

Casacorba e <strong>di</strong> Cavasagra”. L’investimento<br />

dei Corner, analogamente a quello dei<br />

Barozzi a Resana, non ebbe successo.<br />

Le ragioni? Questa l’opinione del Fapanni:<br />

“ma sia che la natura del suolo non<br />

fosse conveniente a tal sorta <strong>di</strong> grano, ossia che<br />

le acque irrigatrici fossero frigide, e crude, non<br />

corrispose l’esito alle speranze del coltivatore, e<br />

quin<strong>di</strong> pensò <strong>di</strong> <strong>di</strong>metterla”.<br />

L’acqua del Sile nel suo alto corso registra<br />

una temperatura compresa tra un<br />

minimo me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 6° C (misurata nel<br />

mese <strong>di</strong> gennaio) ed un massimo estivo<br />

<strong>di</strong> 16/17° C: se è vero che il riso germina<br />

a una temperatura minima <strong>di</strong> +12/13<br />

°C, con un optimum termico a +25/30<br />

°C, sembra quin<strong>di</strong> assai improbabile<br />

che le acque <strong>di</strong> risorgiva fossero le più<br />

in<strong>di</strong>cate alla risicoltura. Se si aggiunge<br />

poi che la <strong>di</strong>ffusione del riso era fortemente<br />

osteggiata per i pesanti riflessi<br />

igienico-sanitari che ne derivavano a<br />

carico degli addetti alle coltivazioni, afflitti<br />

dalla malaria contratta nei lunghi<br />

mesi <strong>di</strong> lavoro a contatto con l’acqua<br />

stagnante, pullulante <strong>di</strong> zanzare e pestiferi<br />

insetti, e che i cereali dominanti<br />

nei canoni <strong>di</strong> locazione e nelle <strong>di</strong>ete alimentari,<br />

come il frumento, la segale, il<br />

miglio, e, dall’inizio del secolo XVII, il<br />

mais, erano molto più competitivi sui<br />

mercati, si spiega ancor meglio il rapido<br />

declinare delle risaie Corner, delle<br />

quali nessuno e pressochè nulla reca<br />

oggi memoria.<br />

Giacinto Cecchetto<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001


<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 6<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001<br />

SE LA CANNA FA IL PENNACCHIO, MOLTA NEVE E GHIACCIO<br />

ENERGIA DALL’ACQUA: CINQUE SECOLI DI CONTESE<br />

I MULINI della DISCORDIA<br />

<strong>Il</strong> conflitto tra i <strong>di</strong>versi usi dell’acqua ha accompagnato fin dall’inizio la storia del Canale <strong>Brentella</strong>: già dal ‘400<br />

venne infatti usato per ricavarne forza motrice, anche se lo scopo prevalente per il quale era stato costruito era quello<br />

<strong>di</strong> irrigare e rendere fertile la campagna dell’alto trevigiano. Ma sin da subito risultò evidente che la soluzione del<br />

problema stava nel trovare strumenti e sistemi per conciliare entrambi gli utilizzi, perché la domanda <strong>di</strong> acqua per<br />

energia e per le coltivazioni crebbero <strong>di</strong> pari passo. E a far da motore allo sviluppo agrario, commerciale e poi<br />

industriale della zona furono anche le ruote dei mulini.<br />

“Et questo al giu<strong>di</strong>cio mio bastaria quanto<br />

ai molini per non dar impe<strong>di</strong>mento a l’acqua<br />

che non la possi fare gli effecti al fine de<br />

li quali fu or<strong>di</strong>nata; ma quando li <strong>di</strong>cti molini<br />

non ge fossero seria anchora meglio”.<br />

Così Fra’ Giocondo terminava la sua<br />

relazione del 1507. <strong>Il</strong> problema che<br />

il celebre frate ingegnere era stato<br />

chiamato a risolvere riguardava la possibilità<br />

<strong>di</strong> conciliare la presenza dei<br />

mulini con la necessità <strong>di</strong> assicurare il<br />

regolare funzionamento del corso del<br />

Canale <strong>Brentella</strong>. I mulini infatti rallentavano<br />

l’acqua, ne aumentavano la <strong>di</strong>spersione<br />

e impe<strong>di</strong>vano l’eventuale navigazione.<br />

Va però ricordato che il Canale,<br />

realizzato nel ‘400 anzitutto a scopi<br />

irrigui, si trovò a dover far fronte con<br />

la sua modesta portata anche alle crescenti<br />

richieste <strong>di</strong> acqua per l’alimentazione<br />

umana e animale e per la produzione<br />

<strong>di</strong> energia. D’altronde, in quei<br />

primi decenni <strong>di</strong> vita dell’opera, la funzione<br />

irrigua sembrava essere la prevalente,<br />

se non altro per il ruolo miracoloso<br />

e decisivo che il Canale stava<br />

avendo per la plaga, prima sterile, dell’Alto<br />

Trevigiano, detto allora Campagna<br />

(<strong>di</strong> sopra e <strong>di</strong> sotto). Non deve sorprendere,<br />

quin<strong>di</strong>, che la scarsa efficienza<br />

del servizio <strong>di</strong> fronte all’aumento<br />

della domanda venisse superata scaricando<br />

sui mulini la responsabilità. Se<br />

essi non ci fossero stati, come concludeva<br />

Fra’ Giocondo, il problema sarebbe<br />

risolto da sé.<br />

In effetti, qualche decennio prima, nel<br />

1461, il Senato Veneto aveva or<strong>di</strong>nato<br />

la demolizione degli impianti sorti anni<br />

prima sul Canale <strong>di</strong> Caerano e del<br />

Montello. Si trattava <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci opifici,<br />

sette mulini, due seghe e due magli. In<br />

seguito alle insistenti proteste degli<br />

uomini della Comunità Montebellunese,<br />

gli e<strong>di</strong>fici nel 1475 vennero ricostruiti.<br />

Risale quin<strong>di</strong> alle origini del<br />

<strong>Brentella</strong> il conflitto tra i <strong>di</strong>versi usi<br />

dell’acqua che avrebbe accompagnato<br />

Due scorci d’interno del maglio Zanotto a Cavaso: sopra, le mole; sotto, il maglio<br />

la storia del Canale sino all’altro ieri<br />

storico. E ciò che risultò subito evidente<br />

era che la soluzione del problema<br />

stava nel rintracciare gli strumenti <strong>di</strong><br />

una convivenza necessaria tra gli usi irrigui<br />

e quelli energetici.<br />

L’interesse economico del notabilato<br />

urbano, trevigiano prima e veneziano<br />

poi (a partire dal primo ‘500), non poteva<br />

che andare in questa <strong>di</strong>rezione:<br />

proprietari fon<strong>di</strong>ari e proprietari <strong>di</strong> impianti<br />

per la produzione <strong>di</strong> energia coincidevano<br />

infatti in maniera pressochè<br />

totale con le stesse persone.<br />

<strong>Il</strong> forte sviluppo agrario e demografico<br />

apportato dalla canalizzazione, l’interesse<br />

suscitato dalla classe <strong>di</strong>rigente<br />

veneta e il <strong>di</strong>namismo delle istituzioni<br />

locali focalizzato attorno al polo commerciale<br />

del mercato, resero il montebellunese<br />

un’area ad alta intensità


energetica. Del resto, il Trevigiano nel<br />

suo insieme macinava con le sue oltre<br />

400 ruote tutto il grano che serviva a<br />

Venezia. E una volta risolte, seppur<br />

parzialmente, le problematiche tecniche<br />

che avevano provocato i rallentamenti<br />

e la <strong>di</strong>spersione dell’acqua, nessuno<br />

più mise in <strong>di</strong>scussione la presenza<br />

degli impianti molitori.<br />

La conflittualità tuttavia rimase, e le<br />

occasioni che la determinarono furono<br />

svariate, anche se la più frequente era<br />

l’aumento del salto d’acqua da parte<br />

del gestore del mulino, attraverso<br />

sbarramenti irregolari che sottraevano<br />

acqua ai terreni e, in qualche caso, agli<br />

opifici a monte. I numerosi contenziosi<br />

salivano naturalmente <strong>di</strong> tono d’estate,<br />

quando l’acqua scarseggiava e l’attività<br />

molitoria aumentava.<br />

In mezzo a tante <strong>di</strong>fficoltà, il numero<br />

ANNO NEBBIOSO ANNO FRUTTUOSO<br />

A sinistra, Villa Cicogna, a Posmon <strong>di</strong><br />

Montebelluna: la struttura del suo mulino, attivo<br />

fino all’800 (in<strong>di</strong>cato qui sotto nella mappa del<br />

1782) si è conservata integra fino ad oggi<br />

delle ruote del Canale crebbe con l’aumentare<br />

della popolazione. Ciò si tradusse<br />

in un forte incremento nel ‘500,<br />

in un evidente rallentamento nel ‘600,<br />

secolo <strong>di</strong>fficile, zeppo <strong>di</strong> carestie e climaticamente<br />

infelice, e in una ripresa,<br />

ancorchè timida, nel ‘700.<br />

L’area dell’antica Pieve montebellunese<br />

passò dai 5 opifici del 1460 (4 mulini<br />

e un maglio) ai 16 del 1763 (11 muli-<br />

ni, 4 fucine e un filatoio da seta), mentre,<br />

per quanto riguarda il totale del<br />

territorio interessato dal Canale <strong>Brentella</strong>,<br />

agli impianti quattrocenteschi se<br />

ne aggiunsero altri venti, fino ad arrivare<br />

a 31.<br />

1460<br />

<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 7<br />

LE RUOTE DELLO SVILUPPO<br />

1763<br />

Gli opifici nell’antica Pieve<br />

Montebellunese.....<br />

4 mulini<br />

e 1 maglio<br />

11 mulini, 4 fucine<br />

e 1 filatoio da seta<br />

Ciò finì anche per con<strong>di</strong>zionare e, in alcuni<br />

casi e momenti, limitare l’uso alimentare<br />

e irriguo. <strong>Il</strong> problema è sempre<br />

stato chiaramente presente nella<br />

gestione del <strong>Consorzio</strong> <strong>Brentella</strong>, al<br />

punto che già nella sentenza salomona<br />

del 1503 si caldeggiava l’opportunità <strong>di</strong><br />

collocare la ruota su un canale secondario<br />

che avrebbe così convogliato, per<br />

un breve tratto, parte dell’acqua del ramo<br />

principale, al quale sarebbe poi ritornato.<br />

<strong>Il</strong> canale principale avrebbe<br />

così potuto restare libero da ostacoli.<br />

Si trattava del cosiddetto sistema a<br />

“bova bastarda”, nettamente preferito<br />

a quello or<strong>di</strong>nario, destinato alla<br />

scomparsa.<br />

Ciononostante, ancora in<br />

pieno ‘800, il celebre mulino<br />

Cicogna Mora, la cui struttura<br />

ci è fortunatamente pervenuta,<br />

continuava, imperterrito e<br />

sordo ad ogni intimazione,<br />

ad utilizzare il <strong>di</strong>spersivo sistema<br />

a “bova or<strong>di</strong>naria”, facendo<br />

girare la ruota nel corso<br />

principale del Canale. Ma<br />

<strong>di</strong> lì a pochissimo, l’arrivo<br />

delle turbine e delle centrali<br />

avrebbe prodotto la modernità:<br />

la <strong>di</strong>mensione tecnologica<br />

degli antichi mulini avrebbe<br />

sempre più inesorabilmente<br />

assunto la tinta del romanticismo<br />

un po’ patinato delle<br />

rievocazioni nostalgiche. Ciò<br />

che invece resta attualissima<br />

è la fertilità del percorso con<br />

il quale si continua a ricavare<br />

energia dall’acqua, un percorso<br />

che non si è mai interrotto<br />

ma invece ha continuato a rinnovarsi<br />

e a svilupparsi ad ogni evoluzione<br />

produttiva e ad ogni innovazione tecnologica,<br />

<strong>di</strong>mostrando la straor<strong>di</strong>naria<br />

duttilità dell’acqua a fini energetici.<br />

Lucio De Bortoli<br />

e nell’intero territorio<br />

del <strong>Consorzio</strong> <strong>Brentella</strong><br />

7 mulini, 2 seghe<br />

e 2 magli<br />

31 impianti<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001


<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong><br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001<br />

8<br />

Partiamo da una cavalcata fatta dai<br />

tre Presidenti all’Officio alle Acque<br />

<strong>di</strong> Treviso, antecedente istituzionale del<br />

<strong>Consorzio</strong> <strong>Brentella</strong> <strong>di</strong> Pederobba, accompagnati<br />

dal podestà <strong>di</strong> Treviso Marco<br />

Giustinian, cavalcata raccontata in<br />

una gustosa cronaca dal fisico-accademico<br />

trevigiano Bartolomeo Burchiellati:<br />

siamo nell’ottobre del 1615, il Curogna,<br />

in una delle sue frequenti escrescenze<br />

nel suo confluire nel Canale<br />

<strong>Brentella</strong>, ha rovinato gli argini del Canale<br />

e necessita <strong>di</strong> interventi urgenti;<br />

tutto il sistema si regge attraverso un sistema<br />

<strong>di</strong> porte, le prime, all’imbocco, le<br />

seconde a circa 450 metri e le terze a<br />

Onigo, poco dopo l’incrocio<br />

tra il Curogna e<br />

il <strong>Brentella</strong> stesso.<br />

<strong>Il</strong> podestà, alla vista<br />

delle due barche, “scattole”<br />

le definisce il nostro<br />

me<strong>di</strong>co, non può<br />

trattenere, da buon veneziano,<br />

il suo istinto<br />

“marinaresco”, e decide<br />

<strong>di</strong> saltarvi su, con meraviglia<br />

e preoccupazione<br />

<strong>di</strong> tutto il seguito.<br />

Giunge quasi vicino<br />

al Curogna ed esclama<br />

alla vista dei danni: “ O<br />

Curogna mala Curogna.<br />

Dunque tu tratti a questo<br />

partito la tua sorella”.<br />

L’episo<strong>di</strong>o, al<strong>di</strong>là del<br />

colore, ci dà la situazione<br />

<strong>di</strong> fatto, a quella data,<br />

del sistema <strong>di</strong> regolazione<br />

dell’entrata dell’acqua del <strong>Piave</strong><br />

nel ramo principale della <strong>Brentella</strong>. <strong>Il</strong><br />

problema <strong>di</strong> regolare l’afflusso dell’acqua<br />

nel Canale si era posto subito, già a<br />

partire dal 1437, poco prima della costituzione<br />

dell’Ufficio alle Acque <strong>di</strong> Treviso.<br />

Le porte si rendevano necessarie per<br />

CALDARROSTE A SAN MARTINO INNAFFIATE COL NUOVO VINO<br />

PER “INCAMINAR” L’ACQUA DELLA PIAVE “RAPIDA ET CAPRITIOSA”: LE TERZE PORTE DI ONIGO<br />

QUELL’INCROCIO<br />

PERICOLOSO<br />

La confluenza del torrente Curogna con il Canale <strong>Brentella</strong> ha costituito per quattrocento anni un <strong>di</strong>fficile problema,<br />

che ha impegnato i maggiori esperti <strong>di</strong> tecnica idraulica: da Fra’ Giocondo agli ingegneri Monterumici e Turazza,<br />

ecco la storia avvincente delle soluzioni ideate per risolverlo, dalle prime chiuse al definitivo Ponte Canale costruito<br />

all’inizio del ‘900. Una vicenda secolare che potrà essere presto raccontata e illustrata proprio in quell’opera <strong>di</strong><br />

derivazione che ne condensa maggiormente la memoria, da poco restaurata dal <strong>Consorzio</strong>.<br />

più motivi: essenzialmente per regolare<br />

il flusso nei frequenti momenti <strong>di</strong> escrescenza<br />

e piena della <strong>Piave</strong>, per evitare<br />

che l’innalzamento naturale dell’alveo<br />

del fiume potesse introdurre ghiaia e<br />

detriti nel canale e per permettere lavori<br />

<strong>di</strong> costruzione e <strong>di</strong> manutenzione dei<br />

numerosi opifici a valle; alle singole comunità<br />

spettava poi l’onere <strong>di</strong> manutenzione<br />

dell’alveo stesso. Numerosi<br />

perciò sono stati nel tempo gli interventi<br />

destinati a migliorare questo tratto<br />

importante <strong>di</strong> canale.<br />

Già nel 1451 c’è un primo accordo con<br />

la comunità <strong>di</strong> Visnà <strong>di</strong> Pederobba, incaricata<br />

della conduzione <strong>di</strong> tutte le pie-<br />

<strong>Il</strong> manufatto delle Terze Porte <strong>di</strong> Onigo, dopo il restauro effettuato dal <strong>Consorzio</strong><br />

tre e il “sabbion” necessario alla costruzione<br />

delle nuove porte <strong>di</strong> ingresso. Nel<br />

corso degli anni è un continuo trafficare,<br />

con consulti, pareri, progetti, sopralluoghi,<br />

il tutto per migliorare e rendere<br />

costante e sicura la quantità <strong>di</strong> acque in<br />

entrata; le porte giocavano a questo<br />

proposito un ruolo importante.<br />

Nel 1496, il podestà <strong>di</strong> Treviso Tomaso<br />

Mocenigo <strong>di</strong>spone la costruzione <strong>di</strong> una<br />

rosta sul Curogna, dotando il canale <strong>di</strong><br />

una porta per permettere l’alimentazione<br />

<strong>di</strong> una roggia che azionava tutti i mulini<br />

posti a valle del canale stesso, verso<br />

Rovigo. Fino al 1503 sono solo due le<br />

porte sul <strong>Brentella</strong>; la terza è collocata a<br />

regolare il regime del Curogna stesso<br />

nel punto dove incrocia il <strong>Brentella</strong> e a<br />

questa data il Canale sembra passare a<br />

livello sul Curogna. Nel 1557 si ha notizia<br />

<strong>di</strong> un primo intervento <strong>di</strong> restauro<br />

delle porte ad Onigo e nel 1561 viene<br />

imposto <strong>di</strong> allargare il foro della porta<br />

che permette l’alimentazione<br />

della roggia dei<br />

mulini, poi chiamata<br />

“Roggia Uliana”. È solo<br />

però nel 1577 che viene<br />

affidato al mastro Francesco<br />

da Lugan, muraro<br />

in Lova<strong>di</strong>na, il compito<br />

<strong>di</strong> costruire le terze<br />

porte <strong>di</strong> Onigo, con<br />

rispettivo “sborador” e la<br />

rosta per “<strong>di</strong>vertire” le<br />

acque dentro al Canale<br />

stesso: un’opera complessa<br />

e costosa, 400<br />

ducati.<br />

Antonio Calligaris, perito-agrimensore<br />

<strong>di</strong><br />

Spilimbergo, nel 1679<br />

produce un suggestivo<br />

<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> tutto il primo<br />

tratto del <strong>Brentella</strong>,<br />

nel quale risulta anche<br />

la terza porta, a valle, in testa alla<br />

<strong>di</strong>ga a gradoni che regola il flusso del<br />

Curogna, alimentando il canale stesso<br />

e, attraverso lo “sborador”, la roggia dei<br />

mulini <strong>di</strong> Rovigo. Ma è Angelo Prati, nel<br />

1763, nel suo “General <strong>di</strong>ssegno”, a fornirci<br />

una dettagliata descrizione, accompa-


gnata da stupen<strong>di</strong> <strong>di</strong>segni, <strong>di</strong> tutto il sistema<br />

<strong>di</strong> chiuse e porte che regolano il<br />

corso della <strong>Brentella</strong> soprattutto in quel<br />

punto delicato e critico e fragile ad Onigo,<br />

ove risulta esserci un ponte canale<br />

in legno, lungo sei metri circa, fabbricato<br />

a metà ‘700, appoggiato ad una scalinata,<br />

lunga 16 metri “…sotto del qual ponte<br />

canale passa la <strong>Brentella</strong> e al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> quello<br />

l’acque della detta Curogna”.<br />

Sembra la soluzione definitiva. Ma nella<br />

seconda metà dell’800 fervono progetti<br />

e idee sia per aumentare la portata del<br />

canale, sia per dare sicurezza ad Onigo,<br />

dove il Curogna crea sempre qualche<br />

problema. Nel 1871 viene realizzata una<br />

parte del grande progetto elaborato dagli<br />

ingeneri Monterumici, Saccardo e<br />

Borea nel 1864 e che prevedeva gran<strong>di</strong><br />

interventi per aumentare la portata del<br />

canale, progetto però bocciato dalla Deputazione<br />

provinciale. In sintesi: all’altezza<br />

della grande curva a gomito presso<br />

la chiesa <strong>di</strong> Onigo viene tracciato un<br />

nuovo tratto <strong>di</strong> canale che unisce le due<br />

punte della U costruendo un ar<strong>di</strong>to<br />

ponte canale a tre luci, progettato da<br />

Monterumici e Turazza, sopra il nuovo<br />

ramo del Curogna che dalla <strong>di</strong>ga prosegue<br />

<strong>di</strong>ritto verso la <strong>Piave</strong>. La vecchia <strong>di</strong>ga<br />

viene demolita e le Terze Porte vengono<br />

abbandonate e usate come magazzino,<br />

come vengono abbandonati gli<br />

alvei e del Curogna e della <strong>Brentella</strong>.<br />

Ma la sera del 22 giugno 1898, un tremendo<br />

nubifragio si scatena: la piena<br />

che scende dal Curogna è talmente violenta<br />

che travolge il ponte canale. È un<br />

<strong>di</strong>sastro: il Canapifico Veneto <strong>di</strong> Cornuda<br />

deve sospendere gli oltre 800 operai,<br />

da Roma Pietro Bertolini telegrafa<br />

preoccupato. Bisogna comunque reintrodurre<br />

l’acqua in canale, la stagione<br />

“Che si faccia 4 porte de largezza de<br />

pie 4 l’una in luse (circa m.1,38) con<br />

tre pilastroni de pria viva in grossezza<br />

<strong>di</strong> piè do l’uno che siano in tutto piè n.<br />

22 <strong>di</strong> largezza con li suoi spironi da<br />

partir l’acqua come le altre porte;<br />

Che sia salezzado l’alveo de <strong>di</strong>tte<br />

porte per piè 30 de longezza compreso<br />

le porte de laste de piera viva;<br />

Che sia obligato a voltar le porte et il<br />

ponte <strong>di</strong> pietra viva et far la casella<br />

sopra esso ponte alta piè sie et mezzo…con<br />

il coperto de boni legnami<br />

intavelada cuerta de copi con le sue<br />

finestre et porte che vi andranno et il<br />

locho <strong>di</strong> mulinelli <strong>di</strong> pietra viva…”.<br />

Dal capitolato per la realizzazione<br />

delle Terze Porte, 1577<br />

CIELO CHE LUCE, MAL TEMPO ADDUCE<br />

Sopra, un particolare delle Terze Porte tratto dal<br />

“General Dissegno” redatto da Angelo Prati nel<br />

1763. Sotto, il percorso del Canale <strong>Brentella</strong> in<br />

prossimità delle Terze Porte, nella mappa <strong>di</strong> A.<br />

Calligaris del 1679, custo<strong>di</strong>ta presso la<br />

Biblioteca <strong>di</strong> Treviso<br />

<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 9<br />

estiva si avvicina. Detto fatto: impiegando<br />

400 operai, si rimette in sesto l’antico<br />

alveo interrato, asportando 5.000<br />

metri cubi <strong>di</strong> materiale, trasportato a<br />

rinforzare l’argine del Curogna, viene ricostruita<br />

la <strong>di</strong>ga e vengono rifatte exnovo<br />

le paratoie con annessi meccanismi:<br />

il 18 luglio, dopo soli 20 giorni, si<br />

poté inaugurare il “nuovo canale”.<br />

Si riaccese il <strong>di</strong>battito sulle cause del<br />

<strong>di</strong>sastro e sulle possibili soluzioni; l’avvento<br />

del cemento-armato rafforzò l’ipotesi<br />

<strong>di</strong> tornare al ponte canale, e la<br />

<strong>di</strong>tta Odorico <strong>di</strong> Milano, specializzata in<br />

lavori in Beton, si <strong>di</strong>chiarò pronta ad<br />

eseguire l’opera, ad una sola campata.<br />

Nel 1903 si ritorna così a far scorrere<br />

l’acqua sul nuovo ponte canale. La <strong>di</strong>ga,<br />

le Terze Porte vengono abbandonate,<br />

mentre la Roggia Uliana viene alimentata<br />

con parte dell’acqua prelevata a<br />

valle ad un livello più alto, che quin<strong>di</strong><br />

può ritornare “in<strong>di</strong>etro”.<br />

<strong>Il</strong> restauro appena concluso dell’antico<br />

manufatto delle Terze Porte rende ragione<br />

alle secolari fatiche e ai reiterati<br />

ingegnosi tentativi <strong>di</strong> piegare la forza<br />

delle acque ai bisogni civili: tutte queste<br />

vicende e altre potranno essere raccontate<br />

ed illustrate proprio in quest’e<strong>di</strong>ficio<br />

che condensa una parte importante<br />

della memoria <strong>di</strong> questa storia secolare.<br />

Danilo Gasparini<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001


<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 10<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001<br />

SE LA COLLINA METTE IL CAPPELLO, COMPRA IL MANTELLO<br />

NEL QUARTIER DEL PIAVE, UNA PREZIOSA ZONA UMIDA CHE RISCHIA DI SCOMPARIRE<br />

PALÙ, archeologia rurale<br />

DA SALVARE<br />

Tra il corso del <strong>Piave</strong> a sud, quello del Soligo a est e la fascia collinare che a nord va da Colbertaldo a Farra <strong>di</strong> Soligo,<br />

si estende un’ampia depressione, in origine paludosa ma già dal Basso Me<strong>di</strong>oevo bonificata e abitata dall’uomo, che<br />

ne seppe ricavare un originale sistema <strong>di</strong> prati coltivati, chiusi da siepi alberate, dai quali derivava tutto quanto<br />

serviva al proprio sostentamento. Un raro esempio <strong>di</strong> uso razionale del territorio in sintonia con l’ambiente naturale,<br />

che sopravvive a fatica, lasciato a se stesso e aggre<strong>di</strong>to dalle coltivazioni intensive, ma che merita <strong>di</strong> essere tutelato.<br />

Ampi prati (sopra) delimitati da siepi alberate formate da salici, ontani, farnie e pioppi (nella pagina a fianco): così si presenta il Palù, che visto dall’alto<br />

pare un labirinto verde percorso da una fitta rete <strong>di</strong> fossati e strutturato come una maglia <strong>di</strong> appezzamenti <strong>di</strong> varie forme e misure<br />

Sul suolo dell’alta pianura trevigiana,<br />

l’acqua è materia evanescente,<br />

sfuggevole. Perciò il Palù del Quartier<br />

del <strong>Piave</strong> rappresenta un caso insolito<br />

<strong>di</strong> zona umida nel cuore <strong>di</strong> una piana<br />

permeabile e asciutta, dove l’acqua è figura<br />

capillare e perenne, e insieme proposizione,<br />

reale e simbolica, <strong>di</strong> un universo<br />

antropologico.<br />

Esteso in quell’ampia depressione delimitata<br />

a sud dal <strong>Piave</strong> e a est dal Soli-<br />

go, e dalla forma <strong>di</strong> triangolo rovesciato,<br />

con la base parallela alla cordonata<br />

collinare che va da Colbertaldo a Farra<br />

<strong>di</strong> Soligo e il vertice alla confluenza fra i<br />

torrenti Raboso e Rosper, presso Sernaglia<br />

della Battaglia, il Palù, come suggerisce<br />

il nome stesso, si presentava in<br />

origine come una vasta palude, formata<br />

dal ristagno dell’acqua su suoli bassi e<br />

molto impermeabili: al margine settentrionale<br />

la falda pedecollinare affiora<br />

Foraggio, legna, caccia,<br />

pesca, frutti, erbe<br />

alimentari e officinali,<br />

materie prime artigianali,<br />

energia idraulica: la<br />

civiltà conta<strong>di</strong>na<br />

preindustriale ne faceva<br />

un uso integrale.


con una serie <strong>di</strong> fontanili, mentre i due<br />

torrenti principali sottoponevano l’area<br />

a ricorrenti inondazioni.<br />

Fin da tempi molto lontani, però, l’ambiente<br />

naturale primigenio del Palù è<br />

stato profondamente trasformato dall’azione<br />

dell’uomo. La cronologia <strong>di</strong><br />

questa trasformazione è controversa:<br />

sulla base <strong>di</strong> in<strong>di</strong>zi topografici e toponomastici,<br />

alcuni ne hanno ipotizzato<br />

un avvio assai precoce, già nella tarda<br />

Età del Bronzo, e una seconda fase in<br />

epoca romana. È comunque assolutamente<br />

certo che risale al basso Me<strong>di</strong>oevo<br />

e alla prima età moderna la costruzione<br />

<strong>di</strong> un paesaggio agrario che<br />

per continuità, organicità e omogeneità<br />

strutturali e morfologiche, si presenta<br />

PER SAN CLEMENTE, L’INVERNO METTE UN DENTE<br />

con caratteristiche coerenti e originali<br />

<strong>di</strong> sistema.<br />

Con la bonifica si è provveduto al prosciugamento<br />

dell’area e alla regolazione<br />

delle acque tramite una fitta rete <strong>di</strong><br />

fossati <strong>di</strong> scolo. <strong>Il</strong> territorio è stato<br />

strutturato come una grande maglia <strong>di</strong><br />

appezzamenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni e forme<br />

varie e irregolari, e questo perché la colonizzazione<br />

del Palù ha avuto carattere<br />

in<strong>di</strong>viduale, è nata da una lunga serie<br />

<strong>di</strong> interventi <strong>di</strong> singoli attori; del resto,<br />

la privatizzazione dell’area era stata<br />

precoce. Però le opere sui collettori<br />

principali, Rosper a sud e Roboso-Ruio<br />

Castelet a est, implicano un piano e<br />

forme comuni e coor<strong>di</strong>nate <strong>di</strong> intervento:<br />

un ruolo importante in proposito<br />

<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 11<br />

DAL TURISMO NATURALISTICO<br />

UNA SPERANZA<br />

PER IL FUTURO DELL’AREA<br />

potrebbe averlo giocato l’abbazia <strong>di</strong><br />

Santa Bona <strong>di</strong> Vidor, proprietaria <strong>di</strong> terreni<br />

nel Palù; la bonifica fu infatti un filone<br />

importante dell’azione economica<br />

benedettina.<br />

L’unitarietà delle strutture territoriali<br />

dell’area deriva dall’unicità e stabilità<br />

del modello produttivo. <strong>Il</strong> Palù si presenta<br />

con una sua peculiare tipologia<br />

agraria, configurandosi come un sistema<br />

<strong>di</strong> prati chiusi da recinzioni vive <strong>di</strong><br />

siepi alberate, formate da salici, ontani,<br />

farnie e pioppi. Visto a volo d’uccello,<br />

pare un bosco rado, un verde labirinto<br />

<strong>di</strong> alberate fra lame argentee <strong>di</strong> fossi.<br />

<strong>Il</strong> Palù è un raro esempio <strong>di</strong> paesaggio<br />

umanizzato in sintonia con l’ambiente<br />

naturale, e <strong>di</strong> uso razionale del territorio,<br />

che <strong>di</strong>mostra che anche un’agricoltura<br />

<strong>di</strong> sussistenza consente un uso<br />

flessibile e articolato del territorio, corrispondente<br />

alla pluralità <strong>di</strong> obiettivi e<br />

bisogni della comunità sociale: il sistema<br />

dei prati chiusi integra l’aridocoltura<br />

della piana vicina, basata sulla coltivazione<br />

<strong>di</strong> viti e cereali, fornendo la<br />

scorta <strong>di</strong> foraggio in<strong>di</strong>spensabile per il<br />

mantenimento del bestiame. La coltura<br />

conta<strong>di</strong>na ne fa poi un uso integrale:<br />

foraggi e legna, caccia e pesca, frutti ed<br />

erbe alimentari e officinali, materie prime<br />

artigianali, energia idraulica.<br />

La società rurale preindustriale ha<br />

creato il Palù su sua misura; per questo<br />

è durato. Oggi sopravvive, ma è malato<br />

e rischia <strong>di</strong> scadere a relitto. Per la moderna<br />

economia <strong>di</strong> mercato, infatti, è<br />

inutile. La malattia viene dall’abbandono,<br />

dalla fine degli usi boschivi e dai<br />

<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni nella rete scolante, che favoriscono<br />

l’inselvatichirsi della vegetazione<br />

e i rimpaludamenti; ad aggravare le<br />

conseguenze <strong>di</strong> questo indebolimento<br />

si aggiunge l’aggressione delle colture<br />

<strong>di</strong> mais che lo stanno inghiottendo pezzo<br />

a pezzo.<br />

La “miracolosa cristallizzazione” del Palù<br />

non è quin<strong>di</strong> uno stato vitale, ma denota<br />

invece un organismo mummificato,<br />

fragile e precario. Un futuro per l’area<br />

può venire solo dalla sua rivalorizzazione<br />

economica: e il turismo naturalistico<br />

potrebbe essere una via.<br />

Clau<strong>di</strong>o Pasqual<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001


<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 12<br />

a storia civile ed economica <strong>di</strong> tutta<br />

l’area compresa tra Brenta e <strong>Piave</strong><br />

è legata all’acqua, sia come forza motrice<br />

per lavorare la lana e per altri usi<br />

(magli, mulini, filande, ecc.), sia come<br />

fonte prima per irrigare la pianura a<br />

monte delle risorgive, dove la presenza<br />

dei corsi d’acqua è limitata. Gli unici<br />

corsi d’acqua che siano più <strong>di</strong> un ruscello,<br />

ma a carattere torrentizio, sono il Lastego<br />

e il Muson, accompagnati da una<br />

lunga serie <strong>di</strong> piccoli ruscelli <strong>di</strong> portata<br />

limitata, tutti usati per irrigare la parte<br />

<strong>di</strong> campagna piana, che è un grande<br />

materasso alluvionale arido e sopra il<br />

quale sono state portate poche acque<br />

superificiali, con uno sforzo immane,<br />

cominciato intorno al secolo X, ancora<br />

visibile nel sistema <strong>di</strong> condotte forzate<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001<br />

ACQUA CHE CORRE NON PORTA VELENO<br />

PER ASOLO E TUTTO IL SUO TERRITORIO, È STATA FONTE PREZIOSA DI SVILUPPO AGRICOLO E INDUSTRIALE<br />

Una STORIA<br />

scritta nell’ACQUA<br />

Risorsa primaria per irrigare i campi, forza motrice in<strong>di</strong>spensabile per lavorare la lana: il passato dell’Asolano è stato<br />

tessuto con la trama delle condotte che hanno consentito la nascita e la crescita dell’industria laniera nelle colline a<br />

nord, e dell’agricoltura nelle campagne a sud, facendo del <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong> Asolo uno dei più rigogliosi della provincia <strong>di</strong><br />

Treviso fino alla fine del ‘700. Mentre però il Canale <strong>Brentella</strong> ha continuato a svolgere la sua funzione vitale, il<br />

patrimonio <strong>di</strong> impianti per la raccolta delle acque perenni e piovane del settore occidentale è stato abbandonato.<br />

L<br />

che si sviluppa da Romano a San Zenone.<br />

A oriente, invece, dal secolo XV<br />

scorre il Canale della <strong>Brentella</strong>, che ha<br />

sostituito in modo più cospicuo il sistema<br />

preesistente.<br />

Collegati all’acqua erano molte decine<br />

<strong>di</strong> mulini, folli da panni, magli, seghe,<br />

nella zona pedemontana: nei comuni <strong>di</strong><br />

Mussolente, Fonte, Asolo, Crespano,<br />

Castelcucco e Cavaso, si sviluppò infatti<br />

una forte produzione laniera. La lana <strong>di</strong><br />

Cavaso era famosa in tutta Europa: i<br />

panni cavasotti erano <strong>di</strong> bassa qualità,<br />

ma <strong>di</strong> larghissimo consumo perché concorrenziali;<br />

potremmo <strong>di</strong>re, in modo irriverenziale,<br />

che Cavaso assolveva la funzione<br />

che hanno oggi Taiwan e la Corea<br />

per i prodotti elettronici, con la sola <strong>di</strong>f-<br />

ferenza che qui il fenomeno è durato secoli.<br />

Basta scorrere le carte processuali<br />

del ‘500 e ‘600 nei vari archivi <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong><br />

Padova, Vicenza, Verona ed anche fuori<br />

del Veneto, per rendersene conto.<br />

Proprio per effetto della <strong>di</strong>ffusione dell’industria<br />

laniera, all’inizio del XVI secolo<br />

i paesi <strong>di</strong> questa fascia pedemontana<br />

dell’Asolano erano, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

oggi, molto popolati, e i comuni numerosi:<br />

Romano, Semonzo, Borso, Santa<br />

<strong>Il</strong>aria, Crespano, Paderno, Fietta, Possagno,<br />

Cavaso e Pederobba. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong><br />

Asolo era il più rigoglioso <strong>di</strong> quelli della<br />

provincia <strong>di</strong> Treviso, ed è per questo che<br />

Caterina Cornaro lo ricevette in dono.<br />

Le aree <strong>di</strong> pianura, da Romano a Cornuda,<br />

erano invece scarsamente popolate,<br />

Una veduta panoramica della Valcavasia, fino al ‘700 importante <strong>di</strong>stretto laniero conosciuto in tutta Europa, come testimonia ancora il grande e<strong>di</strong>ficio della<br />

Filanda, tutt’ora esistente (in basso a sinistra), anche se in stato <strong>di</strong> abbandono


a sud dell’attuale strada statale Marosticana<br />

Schiavonesca c’erano solo qualche<br />

borgo sparso o case isolate. Bisognava<br />

arrivare in territorio del comune <strong>di</strong> Asolo<br />

per trovare piccoli borghi come ai Pradazzi,<br />

a Villa Raspa. I tre comuni <strong>di</strong> San<br />

Vito, Altivole e Caselle non arrivavano<br />

insieme nemmeno a 800 abitanti complessivi,<br />

e la campagna aperta continuava<br />

per i comuni <strong>di</strong> Crespignaga, Coste e<br />

Maser, mentre a Nogaredo si era sviluppato<br />

qualche centro viario.<br />

A creare le con<strong>di</strong>zioni essenziali per lo<br />

sviluppo delle campagne fu la costruzione<br />

del Canale <strong>Brentella</strong>, al quale è legata<br />

anche la storia del Barco <strong>di</strong> Caterina<br />

Cornaro, sorto dopo il Canale e posto<br />

nei pressi della <strong>di</strong>ramazione del Brentel-<br />

<strong>Il</strong> <strong>di</strong>stretto<br />

asolano<br />

della lana<br />

nel ´700<br />

650<br />

122<br />

SE 'L GALO CANTA FOR DE ORA, EL TEMPO VA IN MALORA<br />

unità<br />

produttive<br />

11<br />

tintorie<br />

ruote<br />

<strong>di</strong> mulino<br />

la per Altivole: fu la Cornaro, <strong>di</strong>venuta<br />

padrona del Barco, a far ampliare il palazzo<br />

con la bella loggia e l’oratorio.<br />

Ma a dare grande impulso alla crescita<br />

della popolazione nella fascia meri<strong>di</strong>onale<br />

e pianeggiante dell’Asolano fu la<br />

massiccia ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> beni comunali decisa<br />

dalla Repubblica <strong>di</strong> Venezia, specie<br />

a partire dal 1646, con la guerra <strong>di</strong> Can<strong>di</strong>a.<br />

I più ricchi nobili veneziani, trevigiani<br />

e asolani poterono acquistare a basso<br />

prezzo notevoli lotti <strong>di</strong> terre comunali,<br />

che affidarono alla cura <strong>di</strong> mani forti<br />

provenienti dai paesi della pedemontana,<br />

allora considerati sovra<strong>di</strong>mensionati:<br />

così molte famiglie <strong>di</strong> Possagno e Cavaso,<br />

ma anche <strong>di</strong> Crespano e <strong>di</strong> Borso,<br />

e altre provenienti ad<strong>di</strong>rittura dal Feltrino,<br />

dal Bellunese e dal Vicentino, andarono<br />

a stabilirsi in queste nuove terre,<br />

rese fertili dalla <strong>di</strong>sponibilità d’acqua<br />

per l’irrigazione. Sembra una favola, ma<br />

basta scorrere le pagine degli elenchi telefonici<br />

<strong>di</strong> oggi per avere la confema <strong>di</strong><br />

questi importanti movimenti migratori:<br />

non è un caso se nei comuni <strong>di</strong> pianura<br />

vaso), Borsato (da Borso) e Crespan o<br />

Grespan (da Crespano).<br />

Mentre l’agricoltura prese piede in pianura,<br />

l’industria della lana continuò a<br />

trainare la Pedemontana fin quasi alla fine<br />

del ‘700, nonostante il terremoto e<br />

l’alluvione che si abbatterono sulla Valcavasia<br />

nel 1695, provocando forti danni<br />

e numerose vittime. Così alle anagrafi<br />

veneziane del 1766-1770 il <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong><br />

Asolo risulta ben più popoloso <strong>di</strong> quello<br />

del Castellano, con 27.657 abitanti contro<br />

18.652 (su un totale <strong>di</strong> 233.796 nell’intero<br />

Trevigiano) e le unità produttive<br />

del settore tessile sono 650, 11 le tintorie,<br />

122 le ruote <strong>di</strong> mulino. Asolo conta<br />

26 ruote e Pagnano 5, a Fonte sono 14<br />

<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 13<br />

Sopra, una porzione della mappa del Lastego realizzata all’epoca delle esondazioni del 1735 e custo<strong>di</strong>ta<br />

presso l’Archivio del Museo Civico <strong>di</strong> Asolo. Sotto, la mappa del primo Quartiere Asolano, <strong>di</strong> Girolamo<br />

Tomasoni (1712-1717). Foto <strong>di</strong> Andrea Barzan<br />

come a Castelcucco, 10 a Crespano e 8 a<br />

Cavaso. Luigi Melchiori ha ben descritto<br />

il fenomeno nel suo libro “L’arte della lana”,<br />

dove sostiene, a ragion veduta, che<br />

gli impiegati nell’arte tessile erano oltre<br />

la metà della popolazione, anche se per<br />

molti si trattava <strong>di</strong> un secondo lavoro in<br />

aggiunta a quello nei campi.<br />

Nella Valcavasia i comuni, che erano almeno<br />

17 nel 1314, sono ancora più <strong>di</strong> 15<br />

nel 1797 (contro i tre <strong>di</strong> oggi), e questo è<br />

un importante in<strong>di</strong>catore dell’intensissima<br />

vita artigianale che si sviluppò e sopravvisse<br />

fino all’arrivo <strong>di</strong> Napoleone e<br />

dell’Austria.<br />

si scoprono numerosi Cavasotto (da Ca- segue a pag. 14 ▼<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001


<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 14<br />

da pag. 13<br />

▼ Una STORIA...<br />

La fine della Serenissima del 1797 portò<br />

nell’Asolano e nella Valcavasia il regalo<br />

delle requisizioni militari. Prima la Francia,<br />

poi l’Austria dal 1798 al 1805, quin<strong>di</strong><br />

ancora la Francia sino al 1813. Un dominio<br />

duro che provocò una grave crisi: la<br />

documentazione archivistica del 1814<br />

conferma che in poco più <strong>di</strong> tre lustri la<br />

povertà crebbe enormemente.<br />

A poco servì anche il nuovo adeguamento<br />

delle filande <strong>di</strong> Crespano, <strong>di</strong> Cavaso e<br />

<strong>di</strong> Asolo, ancora esistenti nel 1815: il dominio<br />

austriaco sull’Asolano (1813-<br />

1866), la crescita <strong>di</strong> Bassano, <strong>di</strong> Castelfranco<br />

e <strong>di</strong> Montebelluna, impe<strong>di</strong>rono la<br />

ripresa dei lanaioli, che numerosi finirono<br />

col trovar lavoro nell’area <strong>di</strong> Schio,<br />

come documentano i ruoli della popolazione<br />

del tempo.<br />

Così, quelle che erano le zone d’oro della<br />

lana sono state lasciate cadere in <strong>di</strong>suso.<br />

Non esiste più alcun mulino, l’unico rimasto<br />

oggi in tutto l’Asolano funziona<br />

ad energia elettrica. <strong>Il</strong> bel tratto d’acqua<br />

della Caniezza a Cavaso è scomparso,<br />

perché al suo posto c’è una piazza. Nel<br />

tratto Castelcucco-Pagnano-Asolo è ancora<br />

evidente il tracciato delle rogge, ma<br />

rimane solo, come elemento museale, il<br />

maglio <strong>di</strong> Pagnano, che è stato nel tem-<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001<br />

L’ACQUA SI CHIEDE E IL VINO SI OFFRE<br />

LE FONTI MINERALI DELLA PEDEMONTANA: UNA BREVE STAGIONE<br />

Alle ACQUE <strong>di</strong> SAN ZENONE<br />

Oné <strong>di</strong> Fonte, Crespano, Castelcucco come Abano o Montegrotto: nella<br />

seconda metà dell’Ottocento, grazie alla scoperta <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse fonti curative,<br />

queste località della Pedemontana Trevigiana <strong>di</strong>ventarono località termali <strong>di</strong><br />

richiamo, frequentate da ospiti illustri. Fu un periodo florido, che però si<br />

concluse già all’inizio del secolo scorso con l’esaurimento delle sorgenti e<br />

l’avvento del turismo balneare. Ma ancora oggi se ne possono ritrovare i segni.<br />

La fede nelle virtù me<strong>di</strong>camentose e<br />

guaritrici <strong>di</strong> certe fonti è cosa che si<br />

perde nelle nebbie della preistoria. Tra<br />

le più antiche, famose sono le sorgenti<br />

termali dei Colli Euganei ad Abano e<br />

Montegrotto e i reperti <strong>di</strong> stipe votive<br />

Lagole nel Cadore. Una maggiore <strong>di</strong>ffusione<br />

dell’utilizzazione me<strong>di</strong>camentosa<br />

<strong>di</strong> acque si ebbe più tar<strong>di</strong>, presso i Romani,<br />

ma si assopì nel Me<strong>di</strong>oevo, riprendendosi<br />

poco a poco. È nel ‘700<br />

che si verifica una decisa svolta. Le sta-<br />

po mulino, follo da<br />

panni e maglio <strong>di</strong> ferro.<br />

Tutto quel grande patrimonio<br />

costituito<br />

dal sistema <strong>di</strong> raccolta<br />

<strong>di</strong> acque perenni e<br />

piovane del settore<br />

occidentale dell’Asolano<br />

è ora <strong>di</strong> fatto abbandonato,<br />

e solo <strong>di</strong><br />

recente il rapporto<br />

con l’acqua, per lungo<br />

tempo abbandonato,<br />

sta pian piano<br />

riprendendo, anche<br />

se con atteggiamenti<br />

<strong>di</strong>versi, come testimonia<br />

la pulizia dei<br />

corsi d’acqua a occidente<br />

del Muson, per<br />

prevenire il ripetersi<br />

<strong>di</strong> allagamenti.<br />

Nella zona orientale,<br />

invece, il Canale<br />

<strong>Brentella</strong> non ha mai<br />

smesso <strong>di</strong> svolgere la<br />

sua funzione <strong>di</strong> linfa<br />

vitale per la produzione<br />

agricola della<br />

pianura.<br />

Gabriele Farronato<br />

<strong>Il</strong> “Mulino della Serra” a Cavaso<br />

zioni termali prendono ad essere considerate,<br />

oltre che luoghi <strong>di</strong> cura, anche<br />

luoghi <strong>di</strong> villeggiatura, e cominciano ad<br />

essere frequentate non solo da ammalati,<br />

ma anche da gente, soprattutto nobile<br />

e ricca, in cerca <strong>di</strong> riposo, <strong>di</strong> svago<br />

e <strong>di</strong> vita mondana. Ma è solo nell’800<br />

che questa voga esplode in tutta Europa.<br />

E in questo contesto si inserisce la<br />

storia singolare delle acque minerali <strong>di</strong><br />

San Zenone, Fonte, Crespano e Castelcucco.<br />

Nella Pedemontana trevigiana, infatti,<br />

non mancarono le “scoperte” <strong>di</strong> fonti<br />

curative nel corso della prima metà<br />

dell’800: tra il 1825 e il 1855 se ne trovarono<br />

a Castelcucco, a San Zenone, a<br />

Onè <strong>di</strong> Fonte, a Crespano. Si trattava <strong>di</strong><br />

acque minerali fredde, del tipo bicarbonato<br />

ferruginoso, più o meno simili tra<br />

loro. Se ne tentò lo sfruttamento raccogliendole<br />

con apposite canalizzazioni,<br />

corredandole <strong>di</strong> credenziali me<strong>di</strong>co<br />

scientifiche e dotandole <strong>di</strong> attrezzature<br />

per la <strong>di</strong>stribuzione e per l’alloggio dei<br />

villeggianti. Un certo successo non<br />

mancò, specialmente alle sorgenti <strong>di</strong> S.<br />

Zenone e, soprattutto, <strong>di</strong> Crespano, che<br />

furono frequentate da una clientela <strong>di</strong><br />

riguardo e perfino da qualche illustre<br />

personaggio.<br />

Tuttavia la festa fu breve.


La sorgente <strong>di</strong> Crespano, ultima scoperta<br />

in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tempo, fu anche la<br />

prima a chiudere bottega. Verso il 1880<br />

la vena d’acqua ferruginosa si perse e<br />

nel 1885 l’Albergo Canova, che gestiva<br />

la fonte, ormai a corto <strong>di</strong> clientela, fu<br />

chiuso e ceduto alle suore che lo trasformarono<br />

nel noto collegio femminile<br />

attivo per oltre cent’anni. Di questo<br />

e<strong>di</strong>ficio si conserva la primitiva mappa<br />

per le acque minerali.<br />

Le due sorgenti <strong>di</strong> Onè e <strong>di</strong> S. Zenone<br />

restarono aperte più a lungo ed ebbero<br />

un effetto più consistente nel territorio<br />

fino alla prima metà del ‘900. Osservando<br />

la strada che da Onè conduce “Alle<br />

Acque” si possono rilevare numerosi<br />

e<strong>di</strong>fici, purtroppo in situazione <strong>di</strong> degrado<br />

e abbandono: erano botteghe e<br />

strutture che facevano da contorno allo<br />

sfruttamento delle acque minerali. Come<br />

racconta Gabriele Farronato nella<br />

sua storia <strong>di</strong> Fonte, per favorire la presenza<br />

<strong>di</strong> chi frequentava la stazione termale<br />

alle cerimonie religiose domenicali,<br />

mons. Giovanni Battista Mander<br />

era riuscito a convincere la gente <strong>di</strong><br />

Onè ad ampliare la chiesetta esistente<br />

ricavandone un’altra più grande, l’attuale<br />

parrocchiale <strong>di</strong> Onè <strong>di</strong> Fonte. Penetrati<br />

nel cuore delle Acque <strong>di</strong> San Ze-<br />

DI OLIVE O FORTUNA, O MOLTE O NESSUNA<br />

A Oné ci sono ancora<br />

gli e<strong>di</strong>fici che<br />

ospitavano botteghe e<br />

strutture ricettive sorte<br />

a contorno della<br />

stazione delle acque<br />

minerali.<br />

E l’attuale chiesa<br />

parrocchiale venne<br />

costruita ampliando<br />

quella precedente proprio<br />

per poter accogliere<br />

anche i numerosi ospiti<br />

delle “Acque”.<br />

none, al confine con Oné, si possono<br />

ancora ritrovare i segni <strong>di</strong> quel florido<br />

passato, in un e<strong>di</strong>ficio oggi parzialmente<br />

recuperato e riconvertito a locale<br />

pubblico <strong>di</strong> ristoro.<br />

La sorgente <strong>di</strong> Castelcucco, invece, detta<br />

“Sorgente del Bodeac”, scoperta ver-<br />

<strong>Il</strong> <strong>Brentella</strong> 15<br />

so il 1824, fu usata per una trentina<br />

d’anni come acqua curativa dagli abitanti<br />

del luogo, finché nel 1851, su segnalazione<br />

<strong>di</strong> alcuni me<strong>di</strong>ci locali, fu<br />

fatta analizzare. Le analisi risultarono<br />

favorevoli e le prospettive erano buone;<br />

si reclamizzò così la nuova fonte <strong>di</strong>ffondendo<br />

un opuscolo, a cura della deputazione<br />

comunale, contenente alcune<br />

storie cliniche <strong>di</strong> guarigioni ottenute<br />

con l’acqua del Bodeac. Purtroppo, però,<br />

anche a causa dei ritrovamenti <strong>di</strong><br />

acque nei paesi vicini, con caratteristiche<br />

curative migliori (soprattutto più<br />

ricche <strong>di</strong> ferro), il lancio non riuscì, e la<br />

fonte restò, per qualche tempo, <strong>di</strong> uso<br />

locale.<br />

Con l’inizio del ‘900, la nuova moda<br />

delle spiagge marine e lo sviluppo della<br />

balneazione prima, la prima guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale poi, <strong>di</strong>edero il colpo <strong>di</strong> grazia<br />

e le fonti della Pedemontana trevigiana,<br />

abbandonate per anni e trasformate<br />

in rovine e pozzanghere, caddero nel<br />

completo oblio.<br />

Lorenzo Rigo<br />

L’e<strong>di</strong>ficio del vecchio albergo “Alle Acque”, in<br />

località “Acque” tra Fonte e San Zenone<br />

NUMERO 2 • DICEMBRE 2001


Le conosco le vostre case. Ignorano che la<br />

relazione tra l’acqua e l’uomo è <strong>di</strong> madre<br />

a figlio, che lo spreco sprezzante d’acqua<br />

è una delle forme sottili del parrici<strong>di</strong>o.<br />

Apri il rubinetto e giù acqua...<br />

E’ la male<strong>di</strong>zione della facilità...<br />

Andare a prenderla con un secchio<br />

e una bottiglia, quando c’è un guasto,<br />

subito ti ricorda che l’acqua è preziosa,<br />

che la vita è sforzo.<br />

Versarla da una brocca<br />

è un gesto che educa:<br />

“Dopo il pe<strong>di</strong>luvio, me ne resta ancora un po’<br />

<strong>di</strong> tiepida per la barba”.<br />

“Dopo la barba me ne resta ancora<br />

abbastanza per farmi un uovo in camicia”.<br />

“Dopo cotto l’uovo, nell’acqua raffreddata<br />

metto a bagno la dentiera”.<br />

Questa è civiltà.<br />

Parole<br />

d’acqua<br />

Guido Ceronetti

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