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Donato D'Urso - Pagine sparse-Prefetti nella storia - Scuola ...

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<strong>Donato</strong> D’Urso<br />

<strong>Pagine</strong> <strong>sparse</strong><br />

<strong>Prefetti</strong> <strong>nella</strong> <strong>storia</strong><br />

Roma 2006


Indice<br />

5 L’avventura di Biagio Miraglia<br />

13 Carmelo Agnetta prefetto garibaldino<br />

19 Temistocle Solera non solo questore<br />

23 Giacinto Scelsi<br />

29 Vittorio Zoppi prefetto a Salerno<br />

43 L’omicidio Escoffier fu un delitto politico? No, peggio!<br />

49 Rodolfo D’Afflitto<br />

59 Rapporti istituzionali tra prefetti e sottoprefetti nell’Italia liberale<br />

71 Ottavio Lovera di Maria e l’organizzazione della pubblica sicurezza<br />

87 Achille Basile<br />

101 Una curiosa polemica contro Carlo Astengo<br />

107 Angelo Pesce<br />

115 Alberto Pironti<br />

125 Giovanni Gasti<br />

135 Francesco Crispo Moncada capo della polizia<br />

145 Cesare Mori prefetto di ferro<br />

151 Adalberto Mariano l’eroe del Polo Nord che diventò prefetto<br />

157 <strong>Prefetti</strong> italiani caduti sul campo di battaglia<br />

165 Dante Almansi<br />

173 Enzo Giacchero<br />

203 Bartolomeo Casalis prefetto “Niente paura!”<br />

213 Indice dei nomi


NOTA INTRODUTTIVA<br />

L’opera che qui di seguito si presenta costituisce un evento di grande rilievo.<br />

In generale è da considerarsi il prodotto di una rara sensibilità del Dott. <strong>Donato</strong><br />

D’Urso nei riguardi della memoria storica dell’Amministrazione dell’Interno e<br />

della documentazione che ne consente la ricostruzione. Sotto quest’ultimo profilo,<br />

anzi, questo libro rappresenta un esempio virtuoso: <strong>nella</strong> convinzione, condivisa da<br />

chi l’ha promosso e da chi lo ha realizzato, che l’identità dell’Amministrazione<br />

dell’Interno, e quindi la sua stessa legittimazione culturale in tempi di così rapida<br />

evoluzione costituzionale quali quelli attuali, possa ed anzi debba necessariamente<br />

fondarsi anzitutto sulla piena conoscenza e valorizzazione della sua specifica<br />

tradizione storica.<br />

Rispetto ai precedenti “Quaderni” a carattere storiografico pubblicati dalla SSAI<br />

(Per una <strong>storia</strong> dei <strong>Prefetti</strong>(1994), Studi per la <strong>storia</strong> dell’Amministrazione<br />

pubblica italiana (Il Ministero dell’Interno e i prefetti) (1998), <strong>Pagine</strong> di <strong>storia</strong><br />

del Ministero dell’Interno (1998), I <strong>Prefetti</strong> del Regno nel ventennio fascista<br />

(1999)), la raccolta che qui si presenta ha alcune caratteristiche di novità.<br />

Per la prima volta, infatti, si tenta qui di dar conto di momenti significativi<br />

dell’attività istituzionale di prefetti (e di un questore), ricostruendola attraverso<br />

racconti ampi e significativi nel contesto storico della loro azione. Emerge così, e<br />

diviene elemento sostanziale di ogni segmento biografico, insieme alle<br />

informazioni essenziali sul percorso professionale e culturale e alle notizie sul<br />

ruolo “esterno” (spesso di grande rilievo), anche una inedita documentazione sul<br />

contributo specifico del singolo funzionario.<br />

Emergono da questa ampia rassegna di “frammenti” biografici molti dati<br />

importanti che meritano d’essere segnalati.<br />

Il primo, evidente in quasi tutte le biografie, è la fusione tra l’attività interna al<br />

Ministero dell’Interno e l’espletamento, nelle varie epoche, di rilevanti funzioni<br />

esterne, talvolta altissime strettamente connesse a quell’expertise istituzionale e<br />

amministrativa che, in varie epoche, è stata favorita dalla naturale configurazione<br />

“generalista” degli esponenti della carriera prefettizia. Si può ben dire perciò, sotto<br />

questo primo profilo, che la biografia di gruppo delineata nelle pagine che seguono<br />

appartenga non solo alla specifica <strong>storia</strong> del Ministero dell’Interno, ma più in<br />

generale alla <strong>storia</strong> delle istituzioni e della politica dell’Italia unita.<br />

Un secondo dato: attraverso il prisma delle biografie, non è difficile scorgere in<br />

controluce i tanti mondi della burocrazia post-unitaria e avvertire il peso delle varie<br />

tradizioni amministrative, l’influenza delle “culture dell’amministrazione”. Sotto


questo specifico profilo le biografie appartengono a buon diritto alla <strong>storia</strong><br />

dell’amministrazione italiana, della quale consentono di illuminare aspetti e<br />

problemi spesso non secondari.<br />

Non si potrebbe però licenziare questa sia pur breve presentazione senza prima<br />

avere accennato ai problemi legati allo stato non sempre felice delle fonti.<br />

Al di là della serie dei fascicoli personali, la ricerca ha richiesto approfondimenti in<br />

numerosi archivi e biblioteche. L’Autore ha dovuto ricorrere ad archivi periferici,<br />

ad archivi e carteggi privati, a raccolte documentarie di altre grandi istituzioni ,<br />

esaminare collezioni intere di Annuari e Calendari generali del Regno, dizionari<br />

letterari e politici, passare in rassegna raccolte di saggi, cataloghi di biblioteche,<br />

indici dei nomi di più o meno significative opere storiografiche.<br />

Non sempre invece, nonostante l’impegno dell’Autore, è stato possibile chiarire<br />

sino in fondo certi passaggi della carriera, la natura di certi rapporti interpersonali,<br />

la partecipazione a talune attività esterne. Per questi aspetti, e per altri analoghi che<br />

qui non si menzionano, la ricerca è dunque da considerarsi ancora aperta ed è anzi<br />

ambizione di quest’opera porsi come stimolo e occasione di ulteriori<br />

approfondimenti.


L’avventura di Biagio Miraglia<br />

da Amministrazione civile, febbraio 2004<br />

5


Nel bel tempo antico, quando i prefetti erano anche letterati, poeti, giornalisti,<br />

combattenti e altro ancora, Biagio Miraglia fu un po’ tutto questo.<br />

Calabrese di Strongoli nacque il 3 febbraio 1823. Studiò nei seminari di Crotone e<br />

Cariati dimostrando ingegno vivace e brillante nel commento delle sacre scritture.<br />

Abbandonò l’idea del sacerdozio pare per una passione d’amore e si trasferì a Napoli dove<br />

frequentò come esterno il collegio dei Gesuiti, poi la scuola filosofica del celebre Pasquale<br />

Galluppi. L’inclinazione per le lettere fece di Miraglia un “poeta improvvisatore” di<br />

successo. Insieme con Domenico Mauro, Giuseppe Campagna, Vincenzo Padula diede vita<br />

a un movimento letterario e politico che meritò l’attenzione di Francesco De Sanctis:<br />

«Mentre in Napoli si preparava una scuola, che dirò d’imitazione romantica, c’era in<br />

Calabria una schiera di bravi giovani che sentivano tutte quelle impressioni; ma in modo<br />

vergine e più acconcio alle loro immaginazioni, con più naturalezza. Benché venuto di<br />

fuori, chiameremo questo romanticismo naturale.»<br />

Come tanti coetanei, Miraglia aderì alla Giovine Italia di Mazzini e compì attività<br />

propagandistica anche in abito talare, tanto da destare i sospetti della polizia che finì per<br />

arrestarlo. Fu scarcerato dopo la concessione della Costituzione da parte di Ferdinando II<br />

nel gennaio 1848. Nel teatro di Cosenza, quando comparve nelle vesti di ex-detenuto<br />

politico, i presenti gli dedicarono un’ovazione e, invitato a gran voce, improvvisò dei<br />

versi, una delle cose che sapeva fare meglio. Intanto aveva anche aderito alla massoneria.<br />

Scrisse in un articolo: «Io starò chiuso e osservo tutto. Se vedrò qualcuno che aspiri a<br />

ridicole supremazie, se vedrò in carica uomini che non meritano e non godono la fiducia<br />

pubblica, io smaschererò l’intrigo, si trattasse anche di mio padre, e farò uso del<br />

tremendo potere della stampa.» Era il 1848 e già s’evocava il famoso quarto potere.<br />

Il 15 maggio di quell’anno Miraglia si trovava sulle barricate a Napoli quando le<br />

truppe regie soffocarono <strong>nella</strong> culla il neonato parlamento. Qualche tempo prima Luigi<br />

Settembrini aveva protestato perché si spostavano minerali e libri dall’edificio del Museo<br />

per fare posto alle aule delle nuove Camere, ma l’architetto che dirigeva i lavori, presago<br />

dell’avvenire, aveva risposto sollevando le spalle: «È provvisorio, non dura molto». Le<br />

settimane che avevano preceduto le prime libere elezioni erano state indimenticabili ma<br />

caotiche: «I ministri erano oppressi dalle petulanti e superbe domande di uomini che<br />

parevano ubriachi e volevano essere uditi per forza, pretendevano tutto per forza e<br />

credevano la libertà un banchetto a cui ciascuno dovesse sedere e farsi una scorpacciata»<br />

(così Settembrini nelle sue Ricordanze).<br />

Dopo la sanguinosa repressione avvenuta a Napoli, la Calabria si ribellò. Miraglia<br />

accorse <strong>nella</strong> sua terra e fu scelto per dirigere “L’Italiano delle Calabrie”, giornale del<br />

6


Comitato di salute pubblica di Cosenza nato per difendere la Costituzione. La testata, il<br />

cui ultimo numero uscì il 30 giugno 1848, riportava gli atti del governo e, in una parte<br />

non ufficiale, articoli e proclami. La reazione borbonica uccise la libertà di stampa e<br />

costrinse Miraglia a cercare riparo a Roma sotto le ali della repubblica. Nella Città Eterna<br />

tra i patrioti calabresi c’era anche Giovanni Nicotera, futuro ministro dell’Interno.<br />

Le attitudini letterarie resero Miraglia compilatore del giornale ufficiale capitolino e<br />

collaboratore del periodico “Il Positivo”. Egli era, però, anche uomo di spada e combatté<br />

agli ordini di Garibaldi a Velletri contro le truppe napoletane che attaccavano la<br />

repubblica in alleanza con francesi, spagnoli e austriaci. La vittoria garibaldina fu tale da<br />

indurre un epigrammista a comporre, riferendosi al re Borbone, il famoso: “Venne, vide,<br />

fuggì”.<br />

Miraglia a Roma conobbe e sposò, nel febbraio 1849, Anna Merolli. Dall’unione<br />

nacquero un maschio e due femmine. La capitolazione della Repubblica Romana significò<br />

l’inizio di un esilio durato più di dieci anni, prima in Turchia poi in Piemonte. Il fervore<br />

politico e la malinconia sono evidenti in queste parole di Miraglia: «Ramingo di terra in<br />

terra finché non spunti il sole dei giorni profetizzati, io conto le ore penose dell’esilio,<br />

raccontando all’Italia i suoi fortissimi fatti. Le mie forze sono impari al gran subietto; il<br />

mio ingegno è debolissimo; ma il mio cuore, che anela di morire sopra gli spalti delle tue<br />

mura, questo cuore, o Eterna Roma, è degno di te.»<br />

A Torino il nostro patriota-poeta frequentava la compagnia di letterati più o meno<br />

illustri di lui come Giovanni Prati, Giuseppe Revere, Alessandro D’Ancona e guadagnava<br />

(poco) da vivere scrivendo. Una volta affermò che lo faceva anche «per popolare la tetra<br />

solitudine dell’esilio».<br />

Nel 1855 fu nominato Segretario del Comitato centrale della emigrazione italiana e<br />

nel 1859 Applicato nell’Intendenza generale di Torino. I meriti patriottici e non quelli<br />

poetici gli avevano infine fatto ottenere un impiego pubblico (carmina non dant panem!).<br />

Entrò nelle simpatie di Cavour tanto da essere inviato a Napoli nell’estate 1860 per<br />

preparare il terreno per l’annessione. Vi rimase nel periodo della Dittatura di Garibaldi e<br />

delle varie Luogotenenze. Fu, tra l’altro, nominato direttore del “Giornale officiale” di<br />

Napoli e amministratore della Stamperia nazionale. Ormai pareva predestinato a incarichi<br />

di tal genere.<br />

Nel febbraio 1862, quando era Ufficiale capo di ripartimento nel Dicastero napoletano<br />

dell’interno e polizia, fu comandato a Torino come Direttore Capo extra ordinem della<br />

divisione VI che s’occupava di teatri, scuole di ballo, conservazione dei monumenti<br />

antichi, materie affini ai suoi interessi. Il destino, però, spesso si diverte a far fare agli<br />

7


uomini quello che non vorrebbero e l’anno dopo arrivò la promozione a Direttore Capo<br />

della divisione II che aveva competenze prevalentemente in materia contabile. Non era<br />

l’uomo giusto al posto giusto e alla fine del 1863 passò a dirigere la divisione III che<br />

s’occupava (indovina il lettore?) della Gazzetta Ufficiale nonché del Calendario generale<br />

del Regno, della biblioteca, degli indennizzi ai danneggiati politici.<br />

Dal 1866 al 1868 fu direttore della divisione II presso il Segretariato generale, poi della<br />

divisione VI competente per teatri, feste governative e ufficio per la stampa. L’ultimo<br />

incarico ministeriale di Miraglia fu la dirigenza della divisione V - Servizi generali che<br />

curava anche l’amministrazione degli Archivi di Stato.<br />

L’organizzazione interna del Ministero dell’Interno nel primo periodo unitario fu<br />

soggetta a continui rivolgimenti e riforme. Carlo De Cesare parlò di «rimescolio<br />

continuo, incessante distruzione e creazione di ordinamenti». Restò abbastanza costante e<br />

ridotto il numero degli impiegati con i quali collaboravano volontari senza retribuzione.<br />

Chi oggi frequenta le sparpagliate sedi ministeriali romane fa fatica a immaginare che,<br />

nel 1872, l’organico di tutti gli uffici centrali del Ministero dell’Interno comprendeva solo<br />

222 persone. L’anno dopo il numero era addirittura diminuito a 204! Il dicastero<br />

giustamente considerato “motore dello Stato” s’occupava di sicurezza e enti locali ma<br />

anche di carceri, assistenza e beneficenza, sanità, archivi di Stato, teatri e spettacoli, etc.<br />

Tante competenze e pochi uomini ma Giolitti, profondo conoscitore della macchina<br />

burocratica, alcuni decenni dopo dichiarò in Parlamento: «Ogni volta che c’è un ritardo<br />

nei lavori di un ufficio aggiungere degli impiegati significa favorire l’ozio, perché allora<br />

nessuno lavorerà più quando saprà che, se non lavora lui, il Governo manderà un altro a<br />

fare il lavoro suo. Io credo che se gli impiegati dello Stato lavorassero come lavorano<br />

quelli che sono addetti alle industrie private, il personale degli impiegati dello Stato<br />

sarebbe di una esuberanza straordinaria» (17 marzo 1904). Naturalmente, dopo un secolo<br />

è cambiato tutto.<br />

Leggiamo come Miraglia descriveva nel 1863 il Ministero dell’Interno, con un bel volo<br />

pindarico: «Un magistrato vigilatore e, ne’ limiti della legge, preventivo ed esecutivo, per<br />

tutto ciò che riguarda la sicurezza interna; un magistrato di cassazione e revisione<br />

amministrativa per ciò che riguarda le aziende comunali e provinciali; e infine un<br />

magistrato centrale d’informazione e d’istruzione e per tutti gli altri affari dai quali può<br />

dipendere la prosperità del popolo».<br />

La polemica politica descrisse il nostro poeta-burocrate come legatissimo a Silvio<br />

Spaventa, il patriota napoletano divenuto onnipotente Segretario generale negli anni<br />

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1862-1864. E Miraglia dovette smentire pubblicamente di avere accumulato in quel<br />

periodo un’ingente fortuna economica.<br />

Ritorno ora, non a caso, a parlare di archivi. A quei tempi in molti stati europei la<br />

conservazione dei documenti pubblici era affidata ai ministeri che curavano precipuamente<br />

interessi politico-amministrativi. In Italia dal 1861 al 1870 operò presso il Ministero<br />

dell’Interno una Direzione generale degli Archivi, le competenze passarono poi alla<br />

divisione V. Gli archivi della Toscana, delle province napoletane e del Veneto<br />

continuavano, però, a dipendere del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel marzo<br />

1874, allorché il ministro dell’Interno Cantelli era ad interim anche ministro della<br />

Pubblica Istruzione un decreto attribuì la competenza su tutti gli archivi del Regno al<br />

dicastero dell’Interno. Fu quasi un colpo di mano, criticato da più parti. Curiosamente,<br />

qualcosa di simile è avvenuto un secolo dopo col famoso decreto-legge Spadolini che<br />

istituì il ministero dei Beni Culturali. Chi di spada ferisce…<br />

Quando nel gennaio 1872 divenne operativo l’Archivio di Stato di Roma, Miraglia che<br />

era a capo della divisione V del Ministero dell’Interno, sembrò la persona più adatta a<br />

dirigere la neonata istituzione culturale, con stipendio annuo di 6.000 lire (mantenendo<br />

cioè la retribuzione che percepiva). Fu poi nominato anche Sovrintendente agli archivi<br />

romani conservando gli incarichi sino al giugno 1877. A seguito di una riorganizzazione<br />

delle carriere, la sua nuova qualifica professionale fu quella di Capo archivista. Scrisse<br />

persino dei versi sugli archivi eppure, al declino della vita, lamentò di avere speso i più<br />

cari anni in mezzo a carte polverose. Per motivi di famiglia aspirava a trasferirsi a Firenze,<br />

come responsabile della Biblioteca nazionale o Provveditore agli Studi. In tal senso il<br />

ministro dell’Interno Nicotera, corregionario e vecchio commilitone, lo raccomandò a<br />

Michele Coppino collega della Pubblica Istruzione. E invece capitò a Miraglia qualcosa di<br />

ancor più lusinghiero: la nomina a prefetto di 3ª classe con stipendio di 9.000 lire e<br />

destinazione Pisa dal 1° luglio 1877.<br />

Nella città toscana visse una durissima esperienza. Il cuoco Giovanni Passannante<br />

aveva attentato alla vita di Umberto I a Napoli nel novembre 1878 e, in tutt’Italia, si erano<br />

svolte manifestazioni popolari di omaggio alla monarchia. Anche a Pisa ne fu programmata<br />

una per il 20 novembre, ricorrenza del genetliaco della regina Margherita. Molti cittadini<br />

si radunarono in piazza dei Cavalieri e recatisi in corteo sotto la Prefettura acclamarono la<br />

famiglia reale tra lo sventolio di bandiere. Miraglia s’affacciò pronunziando alate parole e<br />

nessun prefetto avrebbe saputo fare meglio di lui, quando «una fortissima detonazione<br />

gettò lo spavento <strong>nella</strong> moltitudine. Era un’altra bomba all’Orsini […] ma per l’imperizia<br />

di chi la preparò non ferì che due sole persone e non gravemente. Nel corteo si trovavano<br />

9


alcune centinaia di studenti, uno dei quali chiamato Romani, visto lo scellerato che scagliò<br />

la bomba, gli corse addosso e afferratolo e tenutolo fermo, non senza gran lotta, lo<br />

consegnò alle Guardie di pubblica sicurezza e che lo arrestarono e dopo di lui altri<br />

complici, tutti ascritti alla setta dell’Internazionale». L’accusato, tale Pietro Orsolini, fu<br />

condannato a 19 anni di lavori forzati.<br />

A Firenze, un attentato posto in essere con analoghe modalità provocò dei morti. In un<br />

drammatico dibattito parlamentare il ministro dell’Interno Giuseppe Zanardelli fece<br />

un’appassionata difesa del suo operato e della scelta del reprimere, non prevenire (cioè<br />

consentire associazioni e manifestazioni, intervendo solo in caso di violazione della legge).<br />

Quanto agli attentati terroristici affermò: «Il getto di bombe che può essere fatto da una<br />

mano qualsiasi, la quale facilmente nascondesi, come volete prevenirlo anche usando la<br />

massima previdenza?». La Camera tolse, però, la fiducia al governo Cairoli che dovette<br />

dimettersi.<br />

Nell’agosto 1881 Miraglia lasciò l’amata Toscana per andare a Bari. Come riporta<br />

Nico Randeraad nel suo pregevole studio Autorità in cerca di autonomia, fece lì quello che il<br />

governo voleva dai prefetti e, <strong>nella</strong> relazione del secondo semestre 1882, riferì<br />

compiaciuto: «Nelle ultime elezioni politiche si è conseguita vittoria completa. Alla quale,<br />

se da una parte ha contribuito lo spirito liberale delle classi intelligenti e la buona volontà<br />

degli elettori, dall’altro ho procurato, per quanto dipendeva da me, di preparare il buon<br />

successo collo scioglimento di importanti municipi, segnatamente Bari, Adria».<br />

Biagio Miraglia, collocato a disposizione nel novembre 1883, morì a Firenze il 1°<br />

aprile 1885 a 63 anni, dopo una vita che definire movimentata è riduttivo. Collaborò ai<br />

periodici: “Nuova Antologia”, “Il Calabrese”, “Il Pitagora”, “Omnibus Letterario”,<br />

“Politecnico”. Scrisse: Il brigante. Novella calabrese (1844) – I martiri di Cosenza (1848) -<br />

Storia della rivoluzione romana (1850) – La morte di un esule <strong>nella</strong> giornata del 30 aprile in Roma<br />

(1850) - Cinque novelle calabresi, precedute da un discorso intorno alle condizioni attuali della<br />

letteratura italiana (1856) che meritò anche una traduzione in francese – Il Piemonte e la<br />

rivoluzione italiana (1857) – L’eco della Magna Grecia: poesie (1858) - Canti dell’esilio e scene<br />

intime (1860) – De’ tirreni-pelasgi e di un imperio italiano antichissimo: cenno storico (1862) -<br />

Studii sull’ordinamento dell’amministrazione civile e sull’indole della rivoluzione Italiana (1863) –<br />

Introduzione alla scienza della <strong>storia</strong> (1866) – A Firenze. Sonetti (1876) - Dalla Montagna:<br />

sonetti e canti (1886).<br />

Gaspare Finali parlò di lui come di “robusto novelliere calabrese”. Per Angelo De<br />

Gubernatis egli “scrisse versi di squisita fattura, spesso originali, molto superiori alla fama<br />

ch’è loro rimasta”. Tommaseo criticò la verbosità, rammentando che chi condensa le idee<br />

10


aggiunge all’effetto potenza. Per Guido Mazzoni, Miraglia “se non riuscì a eseguire bene,<br />

predicò accortamente”.<br />

A questo poeta-prefetto hanno dedicato una strada le città di Catanzaro e Cosenza.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ALIQUÒ LENZI L. – ALIQUÒ TAVERRITI F., Gli scrittori calabresi, vol. 2°, Reggio<br />

Calabria 1955<br />

CRUPI I ., Il brigantaggio in letteratura: Domenico Mauro, Biagio Miraglia, Vincenzo Padula,<br />

Nicola Misasi, Cosenza 1993<br />

DE GUBERNATIS A., Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879<br />

Dizionario del Risorgimento nazionale, vol. 3°, Milano 1933<br />

DORIA G., Le strade di Napoli, Napoli 1943<br />

Enciclopedia biografia e bibliografica italiana. Il Risorgimento italiano. Gli uomini politici, vol.<br />

2°, Milano 1941<br />

FINALI G., Memorie, Faenza 1955<br />

“La letteratura italiana. Storia e testi., vol. 8° tomo 1°: Il secondo Ottocento. Lo stato<br />

unitario e l’età del positivismo”, Bari 1975<br />

LODOLINI E., La formazione dell’archivio di Stato di Roma, in “Archivio della Società<br />

romana di <strong>storia</strong> patria”, vol. XCIX (1979)<br />

MAJOLO MOLINARI O., La stampa periodica romana dell’Ottocento, Roma 1963<br />

MAZZONI G., L’Ottocento, Milano 1934<br />

RANDERAAD N., I prefetti nell’Italia liberale, Roma 1997<br />

RANDERAAD N., Gli alti funzionari del Ministero dell’Interno durante il periodo 1870-1899,<br />

in “Rivista trimestrale di diritto pubblico” 1989, n. 1<br />

11


Carmelo Agnetta prefetto garibaldino<br />

da Camicia Rossa, febbraio-aprile 2004<br />

13


Carmelo Agnetta fu garibaldino arditissimo ma anche prefetto attaccabrighe.<br />

Egli guidò la cosiddetta “retroguardia dei Mille”, arrivata a Marsala il 1° giugno 1860<br />

ed entrata il 6 a Palermo con un carico prezioso di armi e munizioni. Ricevette il famoso<br />

schiaffo da Bixio e, nell’inevitabile duello atteso più d’un anno, rese invalida la mano che<br />

l’aveva colpito. Voglio però qui ricordare anche la carriera di Agnetta come alto<br />

funzionario dello Stato.<br />

Apparteneva a famiglia siciliana, nato nel 1823 a Caserta dove il genitore, ufficiale di<br />

carriera, si trovava di guarnigione. Compì gli studi a Palermo dopo essere rimasto orfano<br />

del padre. L’educazione sua e dei fratelli fu curata dallo zio Antonio Agnetta, la madre si<br />

risposò ed ebbe altra prole.<br />

Carmelo Agnetta come tanti coetanei partecipò con passione alle vicende politiche del<br />

suo tempo, prima ai moti di Messina del 1° settembre 1847, poi alle vicende<br />

rivoluzionarie siciliane del 1848 rivestendo incarichi militari e civili nel governo<br />

provvisorio. Fu comandante del distretto di Corleone e segretario della delegazione<br />

inviata in missione a Londra e Parigi. Nella capitale inglese, allorché sorse una vertenza<br />

legale col governo borbonico per l’acquisto di navi, Agnetta diede prova del suo carattere<br />

che è eufemistico definire “vivace”: aggredì e fu sul punto d’uccidere tale De Angelis che<br />

rappresentava la controparte.<br />

Quando nel 1849 le sorti della Sicilia volsero al peggio, Agnetta partì per l’esilio,<br />

diretto prima a Malta, poi a Parigi e Londra dove frequentò Francesco Crispi. Quella vita<br />

raminga lo portò in Egitto e nuovamente a Parigi. Un decreto del governo napoletano gli<br />

vietò di tornare in patria. Scoppiata la seconda guerra d’indipendenza, corse ad arruolarsi<br />

nell’esercito toscano. L’anno dopo, <strong>nella</strong> notte dal 25 al 26 maggio 1860 s’imbarcò a<br />

Genova su un vecchio rimorchiatore che portava il nome “Utile”, insieme con una<br />

sessantina di compagni e un carico di più di mille fucili e 100.000 cartucce per Garibaldi.<br />

Il livornese Francesco Lavarello comandava il trabiccolo. La maggior parte dei volontari<br />

era formata da siciliani e genovesi ma c’erano giovani di tutte le regioni e anche due<br />

ungheresi e un polacco. Il varesino Giulio Adamoli, che faceva parte del gruppo, in un bel<br />

libro di ricordi (Da San Martino a Mentana) descrisse Agnetta “siciliano bruno, vivace,<br />

intelligente” che portava sempre il fez, evidente souvenir del soggiorno egiziano.<br />

La spedizione, grazie anche alla tenacia e decisione di Agnetta, riuscì a sbarcare a<br />

Marsala senza danni. Certamente, il rimorchiatore “Utile” non avrebbe potuto sostenere<br />

uno scontro navale.<br />

14


Garibaldi, appena avvisato, mandò questo messaggio ad Agnetta: «Caro Comandante,<br />

vi felicito dell’arrivo vostro e dei vostri bravi compagni. Marciate con sollecitudine verso<br />

Palermo seguendo le strade Salemi, Calatafimi, Alcamo, Partinico, Monreale. Spero di<br />

stringervi presto la mano.». Giuseppe Bandi, che ad Alcamo s’aggregò alla compagnia,<br />

ricordò con queste parole il passaggio per Partinico: «La città che, dopo le batoste toccate<br />

ai regi a Calatafimi, aveva dato loro il resto del carlino mentre passavano per tornarsene,<br />

era tutte in arme. Nell’entrare la strada asserragliata aveva per sentinelle due frati<br />

cappuccini, con un gran berretto rosso in capo, colla tonaca rimboccata intorno alla vita e<br />

colla sciabola al fianco e il moschetto sulla spalla».<br />

L’episodio dello schiaffo dato da Bixio a Palermo è rievocato così da Adamoli che ne fu<br />

testimone: «Ci si condusse <strong>nella</strong> chiesa di san Giuseppe dei Teatini, sui Quattro Canti,<br />

aperta la volta da una bomba, e già occupata dai garibaldini. Schierati <strong>nella</strong> navata sinistra,<br />

attendevamo già la visita di Garibaldi, impazienti di vederlo e di udirlo: l’Agnetta era già<br />

pronto a presentargli il suo piccolo drappello, quando entrarono due ufficiali in giubba di<br />

tela. Quegli che aveva l’aria di maggior grado, venne difilato a noi, e domandò – Chi<br />

comanda qui? L’Agnetta si fece innanzi, e l’altro, senza aspettar risposta – Vada coi suoi<br />

uomini ad accompagnare ai funerali la salma del colonnello Tuköry. L’Agnetta, ritto sul guard’a<br />

voi, chiede: - Ma scusi, chi è lei? - Io sono Bixio, grida e gli lascia cadere in viso un<br />

manrovescio… Ne nasce un parapiglia infernale. L’Agnetta mette mano alla sciabola e i<br />

nostri si vogliono scagliar sul Bixio per vendicare il loro comandante. Giuseppe Dezza, il<br />

compagno di Bixio, ed altri ci si buttano di mezzo per trattenere i contendenti. A gran<br />

fatica le cose si acquietano. L’Agnetta voleva aver subito, e con ragione, una soddisfazione<br />

per le armi. Ma Garibaldi, a più buon diritto, proibì il duello: i tempi non permettevano a<br />

lui di dare a un Bixio il lusso di giocarsi la vita».<br />

Un giurì d’onore rimandò la soluzione della vertenza alla fine della campagna militare.<br />

Agnetta, che intanto aveva raggiunto il grado di maggiore, lasciò l’esercito nel febbraio<br />

1861 non volendo battersi con un suo superiore di grado. Finalmente, il 17 novembre<br />

successivo, avvenne il duello a Brissago luogo di confine tra Italia e Svizzera. I contendenti<br />

furono posti dai padrini a distanza di trenta passi, armati di pistola, con facoltà di avanzare<br />

e sparare a volontà. Al primo colpo Agnetta attinse Bixio alla mano. La ferita era seria,<br />

provocò molte sofferenze e fece perdere la piena funzionalità dell’arto. Si attribuisce a<br />

Bixio la frase: «Sono punito <strong>nella</strong> mano che ha peccato» e, come riferisce Gualtiero<br />

Castellini, «tenne poi sempre l’Agnetta in conto di amico, come uomo che faceva parte<br />

per dir così, della tribù dei violenti buoni cui egli apparteneva». E lo aiutò a essere assunto<br />

nell’amministrazione dell’Interno.<br />

15


«Agnetta portò negli uffici che ebbe, di consigliere di prefettura e di sottoprefetto, le<br />

sue abitudini di violenza, una volontà indocile e intransigente, l’abitudine di farsi ragione<br />

con le sue mani.». Così scrisse Matteo Mazziotti e, infatti, i ventisette anni di carriera<br />

furono per Agnetta un susseguirsi di episodi movimentati.<br />

L’incarico iniziale fu di Consigliere di prefettura a Palermo. Nel 1864 era in servizio a<br />

Rocca San Casciano allorché dal carcere militare di Forlì evasero 16 soldati: Agnetta ne<br />

catturò buona parte guidando personalmente la colonna mobile. Successivamente, come<br />

padrino di un collega d’ufficio recò una sfida a duello che, vietato dalla legge, si svolse nel<br />

territorio di San Marino. Per questa condotta, riprovevole per un pubblico funzionario,<br />

Agnetta subì un severo richiamo dal ministero e il trasferimento a Cesena. Lì, da<br />

sottoprefetto, affrontò nel foyer del teatro un “guappo” locale e con maniere brusche lo<br />

trascinò fuori minacciandolo di più duro trattamento. In breve tempo fu traslocato prima<br />

a Ravenna poi a Borgotaro. In un’altra occasione, affrontò in strada dei manifestanti<br />

scalmanati, arrestò il capo e lo consegnò ai carabinieri.<br />

Allo scoppio della terza guerra d’indipendenza chiese di potersi arruolare ma non gli fu<br />

concesso. Inviato in Campania, come sottoprefetto di Vallo s’impegnò personalmente<br />

<strong>nella</strong> lotta al brigantaggio e, armato di fucile, organizzò e diresse personalmente le<br />

perlustrazioni a caccia dei latitanti. Lo stesso fece poi a Isernia.<br />

Nel 1870 dopo il 20 settembre svolse una missione presso la Luogotenenza del re a<br />

Roma. L’anno dopo, quando era Sottoprefetto a Termini Imerese, fu retrocesso <strong>nella</strong><br />

carriera e trasferito a causa di un arresto arbitrario che aveva ordinato. Nelle note<br />

personali è scritto: «Poca pratica amministrativa, ma molta energia, indole pronta,<br />

svegliata, carattere leale, coraggioso ma troppo impetuoso, facile ad avere contrasti».<br />

Dopo essere stato nelle prefetture di Bergamo e Caserta, ottenne nel giugno 1877<br />

l’agognata nomina a prefetto, allorché Ministro dell’Interno era Giovanni Nicotera e<br />

Segretario generale Pietro Lacava (due ex-garibaldini come lui). Fu destinato alla<br />

provincia di Massa e Carrara dove, tanto per cambiare, si scontrò col Presidente del<br />

Tribunale e molti altri. Si mostrò sempre assertore intransigente dell’autorità dello Stato<br />

contro gli oppositori “rossi” e “neri”, cioè della sinistra estrema e della destra clericale.<br />

Tra i lavoratori del marmo era forte la presenza di anarchici e internazionalisti. Un<br />

giorno Agnetta fece chiamare nel suo ufficio un personaggio che pare avesse proferito<br />

minacce nei suoi riguardi e gli disse con aria di sfida: «Qui siamo soli, petto a petto, ho<br />

mandato altrove tutto il personale», ma non s’arrivò alla scazzottata per rinunzia dell’altro<br />

contendente.<br />

16


Il prefetto accusò poi un tal Biglioli di oltraggio e aggressione ma il Tribunale assolse<br />

l’accusato ed espresse invece critiche al funzionario. Alla Camera l’on. Cavallotti accusò<br />

Agnetta d’avere compiuto lui un vero e proprio agguato ma Depretis, Presidente del<br />

Consiglio e Ministro dell’Interno, rispose così: «Si può credere bensì che il<br />

commendatore Agnetta non sia uomo interamente calmo, interamente senza difetti; ma<br />

accusarlo di un agguato! Non è della sua indole; molti degli onorevoli deputati lo<br />

conoscono e saranno in ciò d’accordo con me. Le parole che l’on. Cavallotti ha<br />

pronunziate, lo creda pure, sono troppo gravi, trattandosi di un funzionario che è un<br />

patriota e ha reso distinti servigi al paese» (seduta del 16 maggio 1883). L’on. Bonghi<br />

affermò: «Se nell’amministrazione pubblica vi fossero molti tipi come l’Agnetta, sarebbe<br />

un affare serio; ma se non ve ne fosse alcuno sarebbe un vero danno».<br />

Il prefetto più volte aveva manifestato il desiderio di cambiare sede ma s’ammalò e<br />

morì a Massa il 4 aprile 1889, assistito dalla moglie Emilia Sauvet.<br />

Molti rimpiansero la generosità che lo portava a elargire denaro anche al di là delle sue<br />

possibilità, tanto da dovere poi egli stesso chiedere prestiti. Questo aspetto caratteriale è<br />

bene espresso da un famoso aneddoto. Il re Vittorio Emanuele gli aveva regalato un<br />

prezioso orologio e, tempo dopo, incontrando Agnetta gli chiese: «Come va l’orologio?».<br />

Si sentì rispondere: «Benissimo ma ha un difetto. Vi sono incise le cifre reali e non posso<br />

impegnarlo»”.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ABBA G. C., Ricordi e meditazioni, Biella 1911<br />

ADAMOLI G., Da San Martino a Mentana, Milano 1892<br />

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17


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Sicilia nel Risorgimento italiano”, a. III luglio-dicembre 1933<br />

MANFREDI M., Carrara dall’Unità al nuovo secolo: economia del marmo e aspirazioni libertarie,<br />

in “Rassegna storica toscana”, gennaio-giugno 2003<br />

MISSORI M., Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del regno d’Italia, Roma<br />

1989<br />

18


Temistocle Solera non solo questore<br />

da Polizia moderna, aprile 1997<br />

19


Nel 1848 venne istituita nel regno di Sardegna un’Amministrazione di sicurezza<br />

pubblica alle dipendenze del ministro segretario di Stato per l’Interno. Nelle città più<br />

importanti i servizi erano diretti da un questore, scelto tra i magistrati a migliore garanzia<br />

delle recenti libertà statutarie.<br />

Dopo l’Unità il ruolo organico della polizia italiana naturalmente s’accrebbe, così da<br />

comprendere dieci questori – con stipendio di 5.000 lire annue – nelle città con almeno<br />

60.000 abitanti. Le esigenze contingenti resero le assunzioni affrettate e sommarie. Nel<br />

1865 tra gli ufficiali di P.S. solo il 37% aveva alle spalle esperienza nelle polizie degli stati<br />

pre-unitari, in maggioranza in Piemonte; consistente la percentuale dei funzionari toscani<br />

e lombardi mantenuti in servizio; bassissima quella dei meridionali.<br />

Un esempio eloquente di poliziotto “improvvisato” è Temistocle Solera. Nato a Ferrara<br />

nel 1815 in una famiglia di patrioti (il padre Antonio fu compagno di pena di Silvio Pellico<br />

allo Spielberg), Temistocle fuggì giovanetto dal collegio viennese dove studiava per<br />

munificenza dell’imperatore d’Austria. Dedicatosi all’attività letteraria, pubblicò raccolte<br />

di versi e un romanzo ma acquistò notorietà come librettista di melodrammi. Compose<br />

egli stesso musica, senza molta fortuna. Scrisse per Giuseppe Verdi i libretti delle opere<br />

“Oberto conte di San Bonifacio”, “Nabucco”, “I lombardi alla prima crociata”, “Giovanna<br />

d’Arco”, “Attila”. Il rapporto col maestro di Busseto si interruppe per la refrattarietà di<br />

Solera al lavoro costante e ordinato.<br />

Recatosi in Spagna come direttore d’orchestra insieme con la moglie, la cantante<br />

Teresa Rossini, s’affermò presto come impresario. A Madrid lavorò al Teatro Reale,<br />

conobbe e divenne consigliere segreto della regina Isabella. I biografi riferiscono di un<br />

legame anche d’amore. Rientrato in Italia, scrisse ancora libretti d’opera per musicisti<br />

diversi da Verdi e fu direttore del Conservatorio di Milano.<br />

Nel 1859, quando maturarono importanti avvenimenti politici, sfruttò le sue<br />

conoscenze per diventare corriere segreto di Napoleone III e Cavour. Smanioso sempre di<br />

nuove avventure, Solera decise di cambiare vita, ottenne un posto <strong>nella</strong> Pubblica Sicurezza<br />

e venne inviato come delegato in Basilicata. Era il periodo del grande brigantaggio e quel<br />

poeta-musicista-impresario acquistò nuova fama per avere sgominato la banda Serravalle.<br />

Le cronache narrano che il capobrigante attendeva contatti con ufficiali legittimisti<br />

spagnoli, inviati dai Borboni per fomentare la rivolta in armi. Solera, utilizzando la<br />

conoscenza della lingua spagnola, si presentò audacemente nel rifugio della banda<br />

spacciandosi per straniero, sfruttò la sorpresa e, in un corpo a corpo, uccise Serravalle. A<br />

quel punto decapitò il brigante e ne fece portare in giro la testa infilata <strong>nella</strong> canna di un<br />

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fucile. Per il suo valore fu promosso questore ma qualche studioso parla apertamente di<br />

racconto “romanzato”, messo in giro ad arte dallo stesso Solera.<br />

A cavallo dei quarant’anni il Nostro diresse le questure di Palermo, Firenze, Bologna,<br />

Venezia. Nel capoluogo siciliano una sera riuscì a placare la folla che tumultuava,<br />

ricorrendo a un lirico discorso che commosse i presenti. In Firenze capitale Vittorio<br />

Emanuele II amava discorrere col questore Solera di avventure e musica. A Bologna riuscì<br />

a sgominare una pericolosa associazione di malfattori. Nel 1867 compì delicate missioni<br />

come “agente segreto” per incarico del capo del governo Rattazzi e si recò in incognito<br />

<strong>nella</strong> Roma papalina per valutare le possibilità di un’insurrezione. Scrisse nel rapporto:<br />

«Non mi son dato tregua un solo momento, visitando ed investigando uomini e cose, non<br />

risparmiando né officine, né taverne, né postriboli, dove più che in ogni altro luogo la<br />

gioventù espande l’anima e perde facilmente ogni prudenza». E riferendosi alle violenze<br />

tentate da estremisti contro Rattazzi, così scriveva all’uomo politico da vero librettista di<br />

melodrammi: «Per giungere a Lei dovranno passare sul mio corpo».<br />

Lo spirito d’avventura lo portò ad arruolare un corpo di polizia europea al servizio<br />

delle autorità egiziane. Di fronte, però, alle proteste delle potenze straniere, quella strana<br />

legione fu costretta a rientrare in Italia, con una buonuscita di 800 lire pro-capite.<br />

Lasciati gli abiti del questore e dell’agente segreto, Solera si dedicò al commercio<br />

come antiquario ma con scarsa fortuna, tanto da rovinarsi economicamente. Dopo una<br />

parentesi parigina, tornò in Italia spostandosi di città in città. Finì per stabilirsi a Milano,<br />

vivendo ormai dimenticato. Morì, quasi in miseria, nell’aprile 1878 a 63 anni.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

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MIRAGOLI L., Il melodramma italiano dell’Ottocento, Roma 1925<br />

REGLI F., Dizionario biografico, Torino 1860<br />

22


Giacinto Scelsi<br />

da Camicia Rossa, gennaio/marzo 2006<br />

23


Siciliano di Collesano, era nato il 30 luglio 1825 in una famiglia di artigiani e piccoli<br />

proprietari. Laureatosi in Giurisprudenza all’Università di Palermo, partecipò alla<br />

rivoluzione del 1848 e fondò “La forbice” giornale satirico e di costume, rimasto in vita<br />

sino alla restaurazione borbonica dell’anno successivo. Con la libertà di stampa i giornali<br />

siciliani erano rapidamente cresciuti di numero e se ne pubblicavano ben 123,<br />

naturalmente di diversa autorevolezza, alcuni durati poche settimane, altri un giorno<br />

soltanto. A Scelsi è attribuita la trovata di soprannominare Ferdinando II “re bomba”,<br />

dopo il bombardamento di Messina del settembre 1848.<br />

Quando la minaccia militare da Napoli si fece più assillante, fu incaricato di reclutare<br />

soldati <strong>nella</strong> zona delle Madonie e lungo la costa settentrionale della Sicilia. Costretto<br />

all’esilio dopo la sconfitta delle forze indipendentiste, s’imbarcò con Francesco Crispi ed<br />

altri per Marsiglia. Dalla Francia passò poi nel Regno di Sardegna, a Genova e infine a<br />

Torino dove si guadagnò da vivere scrivendo e insegnando discipline economiche presso<br />

l’Istituto di Commercio. Pubblicò una traduzione dal latino del classico Iuris criminalis<br />

elementa di Giovanni Carmignani, un’opera dal titolo La pace e la guerra: scene fantastiche<br />

scritte pel Teatro Nazionale di Torino, la Storia della Riforma in Italia. Collaborò all’opera<br />

miscellanea Pantheon dei martiri della libertà italiana e partecipò alla fondazione del<br />

quotidiano “Il Diritto” affiancando Agostino Depretis, Cesare Correnti, Lorenzo Valerio.<br />

A Torino frequentava altri esuli siciliani e democratici progressisti ma, a partire<br />

dal 1858, sul periodico “Unione” espresse posizioni vicine alla soluzione nazionale<br />

propugnata da Cavour. Fu accolto volentieri nel salotto di Giuditta Sidoli, la donna amata<br />

da Mazzini che, dopo tanto peregrinare, era alfine approdata ai lidi sicuri del Piemonte.<br />

Donna di vasta cultura, parlava un purissimo italiano (lo stesso Cavour si esprimeva con<br />

difficoltà <strong>nella</strong> lingua di Dante e parlava assai meglio il francese). Sebbene non più giovane<br />

e non straordinariamente bella, emanava un notevole fascino e i visitatori erano come<br />

incantati al cospetto di quella figura femminile sempre vestita di nero. Quando le venne<br />

chiesto il motivo di quel lutto perenne, Giuditta Sidoli rispose che lo portava per Roma e<br />

Venezia non ancora congiunte all’Italia. Ella riceveva in un salottino severo con accanto le<br />

figlie, tutte occupate nei lavori di ricamo.<br />

Giuditta Bellerio era nata a Milano in una famiglia nobile. A sedici anni aveva<br />

sposato Giovanni Sidoli di Montecchio, da cui aveva avuto quattro bambini: Maria, Elvira,<br />

Corinna, Achille. Il marito era un patriota perseguitato per motivi politici e costretto<br />

all’esilio. La moglie ne seguì il destino, visse lontano dalla patria e patì il carcere perché<br />

sospettata di cospirazione mazziniana. La lontananza dai figli, affidati a parenti o chiusi in<br />

collegio, fu particolarmente dolorosa (persino gli sporadici e brevi incontri erano<br />

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autorizzati e vigilati dalla polizia). Corinna fu la figlia che le rimase vicino più a lungo.<br />

L’esule siciliano Giacinto Scelsi cominciò a corteggiarla e nel 1862 Corinna acconsentì a<br />

sposarlo sebbene ella avesse un’età (40 anni) da zitella per quei tempi e, oltretutto, fosse<br />

più anziana di tre anni. Anche dopo il matrimonio Corinna Sidoli si tratteneva volentieri a<br />

Torino con la madre mentre il marito, secondo la regola vissuta dai funzionari del tempo,<br />

era costretto a girare l’Italia. Ma bisogna ora fare un passo indietro.<br />

Nel maggio 1860, avuta notizia dello sbarco di Garibaldi a Marsala, Scelsi fu<br />

incaricato di recarsi in incognito a Messina per fomentare la rivolta contro il governo<br />

napoletano. L’obiettivo finale non era però, come nel 1848, uno stato indipendente, ma<br />

l’unione della Sicilia al Piemonte sotto il regno di Vittorio Emanuele. Per sfuggire ai<br />

controlli della polizia borbonica, l’esule Scelsi ricorse ad un espediente: con la complicità<br />

di un ufficiale inglese, John William Dunne, intrepido combattente per la libertà dei<br />

popoli, si fece registrare come domestico sul passaporto del cittadino inglese e, per<br />

rendere più verosimile la trovata, si tagliò la barba e si vestì con abbigliamento consono al<br />

ruolo di servitore. L’arrivo in nave a Messina avvenne senza inconvenienti. I due<br />

viaggiatori presero contatto col console inglese e con quello sardo, ma quando la polizia<br />

borbonica cominciò a manifestare un interesse preoccupante, dovettero organizzare la<br />

fuga su una barca di contrabbandieri al calar della notte, come nei migliori romanzi<br />

d’avventura. Raccontò anni dopo Scelsi: «All’alba eravamo fuori dello stretto e, verso le 4<br />

pomeridiane, sbarcammo a S. Stefano dove, riconosciuto dai maggiorenti del paese, ebbi<br />

accoglienze festosissime e cordiali. Di là, seguiti da una ventina di bravi giovani, ci<br />

recammo la sera stessa a Mistretta, capoluogo di circondario; ed anche là la popolazione si<br />

mostrò amica e plaudente. La bandiera della libertà da noi inalberata operava miracoli! Da<br />

Mistretta a Reitano, a Cefalù, a Termini Imerese, a Bagheria, a Palermo la nostra marcia<br />

fu può dirsi trionfale; il nostro piccolo esercito cammin facendo s’ingrossava come<br />

valanga». Scelsi arringava gli accorsi presentandosi come emissario garibaldino e,<br />

approfittando della compagnia dell’inglese, dichiarava che la potente nazione straniera era<br />

vicina ai siciliani <strong>nella</strong> loro lotta.<br />

Scelsi e Dunne arrivarono infine a Palermo e si unirono alle schiere di Garibaldi.<br />

Scelsi fu incaricato di assumere incarichi di governo a Cefalù, mentre l’inglese, seguendo<br />

le sua indole, prese parte alla campagna militare alla testa di un battaglione composto da<br />

connazionali e picciotti, rimase ferito a Milazzo e sul fiume Volturno meritando la<br />

riconoscenza e l’elogio di Garibaldi.<br />

Quando Scelsi era a Cefalù solo da pochi giorni, vennero a galla grossi problemi a causa<br />

dell’introduzione della leva militare, dalla quale i siciliani sino ad allora erano stati<br />

25


esentati. Scelsi scrisse a Crispi: «La legge sulla leva è venuta d’un colpo, il paese non vi era<br />

preparato e perciò ha prodotto una dolorosa impressione. Si crede troppo il numero di<br />

due uomini per ogni cento abitanti; si desidera la facoltà di dare il cambio; si vorrebbero<br />

esclusi gli unigeniti». Crispi nel rispondere che alcune richieste erano accoglibili<br />

aggiungeva: «Il paese non può volere la sua morte. Ora opporsi al solo mezzo di avere un<br />

esercito, che dovrà difendere le nostre libertà, è lo stesso che voler la morte. Il popolo<br />

deve appoggiarsi sopra se stesso, deve difendere colle sue stesse mani le sue istituzioni».<br />

Dopo Cefalù, Scelsi fu inviato a Noto nell’agosto 1860, a Girgenti nel marzo 1861.<br />

Entrò stabilmente nei ruoli dell’amministrazione dell’Interno dal vertice, cioè<br />

direttamente col grado di prefetto, sebbene fosse assai giovane ed avesse una limitata<br />

esperienza amministrativa. A Girgenti (l’odierna Agrigento) entrò in contrasto con il<br />

Municipio con echi sfavorevoli sulla stampa e dimostrazioni popolari ostili. Nel giugno<br />

1862 fu trasferito ad Ascoli Piceno dove subì richiami per avere avviato un’indagine<br />

conoscitiva sui dipendenti di altre amministrazioni e per la evasione di un pericoloso<br />

detenuto (ricordo che allora le carceri dipendevano dal ministero dell’Interno).<br />

La sua carriera si svolse nell’arco di oltre un trentennio in molte provincie del Regno,<br />

al nord, al centro, al sud. Per alcune regioni, le amministrazioni centrali avevano elementi<br />

di conoscenza incompleti e persino approssimativi. Come scrisse Scelsi, «il bisogno primo<br />

che sente il funzionario cui è commesso l’arduo ufficio di reggere una provincia è<br />

conoscere le condizioni dell’istruzione, delle forze di lavoro, della produzione, del<br />

catasto, delle forze sociali». Perciò egli promosse, in sette delle provincie dove prestò<br />

servizio, importanti studi statistici, raccogliendo e pubblicando in pochi mesi una messe di<br />

informazioni riferite ai campi più diversi. A distanza di oltre un secolo, quelle statistiche<br />

hanno ancora oggi contenuti di interesse per gli studiosi di <strong>storia</strong> economica e di<br />

sociologia. Il Ministero dell’Agricoltura, a cui facevano capo le competenze in materia di<br />

statistica, riconobbe i suoi meriti conferendogli una medaglia d’argento.<br />

Dopo essere stato a Sondrio, a Foggia, a Como, Scelsi nel 1868, con suo rammarico, fu<br />

destinato a Reggio Emilia. Lì ebbe ad urtarsi col Comandante del Presidio per ragioni di<br />

etichetta e, soprattutto, dovette affrontare la rivolta contro la tassa sul macinato. In Emilia<br />

furono molti i morti tra i contadini esasperati che gridavano “Viva il Papa”, “Viva<br />

l’Austria”, “Viva la repubblica”. Il governo Menabrea, gravemente preoccupato per lo<br />

svilupparsi degli eventi, affidò al gen. Raffaele Cadorna il compito ingrato della<br />

repressione delle proteste, atteso che le forze ordinarie di polizia erano esigue e la<br />

Guardia Nazionale quasi ovunque si lasciò disarmare senza opporre resistenza o si schierò<br />

addirittura dalla parte delle folle in tumulto. Cadorna, che aveva vissuto l’esperienza della<br />

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ivolta palermitana del settembre 1866, fu investito della facoltà di adottare tutti i<br />

provvedimenti ritenuti necessari e portò a termine il suo compito in poche settimane ma a<br />

caro prezzo. I morti in tutt’Italia furono oltre 250, la maggior parte in Val Padana. In<br />

provincia di Reggio Emilia furono avviati 32 processi collettivi con 520 imputati.<br />

Anche a Messina il prefetto Scelsi passò dei guai per contrasti con alcuni deputati locali<br />

e accuse di debolezza nell’affrontare i problemi della sicurezza pubblica. Dopo Ferrara,<br />

Mantova, Pesaro, Brescia andò a Livorno dove visse un altro momento difficile, per ironia<br />

della sorte a causa della morte dell’amato Garibaldi. La città labronica da sempre era<br />

agitata da garibaldini e mazziniani e si verificarono disordini durante le commemorazioni<br />

del generale. Il governo imputò al prefetto di non avere mostrato adeguata energia,<br />

cosicché lo mise a disposizione lasciandolo senza incarichi per oltre un anno.<br />

Successivamente una lunga e penosa malattia, che aveva intaccato la sua salute mentale,<br />

tenne Scelsi lontano dagli uffici per quasi un biennio e fu solo l’ascesa al governo dell’exgaribaldino<br />

Francesco Crispi a consentirgli di rientrare in carriera nel maggio 1887,<br />

ottenendo anche l’ambita nomina a senatore che era il coronamento dell’onorata vita di<br />

un patriota.<br />

Quando era prefetto di Bologna, Scelsi fu collocato a riposo per decisione di Rudinì,<br />

succeduto e ostile a Crispi. Riammesso in servizio ancora per aiuto di Crispi ed assegnato<br />

nel febbraio 1895 alla prefettura di Firenze, allorché subentrò nuovamente Rudinì arrivò<br />

la fine della carriera, il 1° aprile 1896 all’età di 71 anni.<br />

Il senatore Scelsi partecipò con assiduità ai lavori della Camera Alta, avendo stabilito a<br />

Roma il suo domicilio. Aveva delle proprietà <strong>nella</strong> zona di Paliano e proprio sulle sue<br />

terre lavorarono come mezzadri i Goretti e i Serenelli. La tragedia che ebbe per vittima la<br />

futura santa Maria Goretti e per carnefice Alessandro Serenelli si compì però dopo che i<br />

nuclei familiari s’erano trasferiti altrove, pare a causa di contrasti col vecchio proprietario.<br />

Molti anni prima, nel 1867, Corinna Sidoli era morta quando Scelsi era prefetto a<br />

Foggia. La poveretta spirò tra le braccia della madre Giuditta accorsa da Torino in<br />

Capitanata, dopo una malattia contro la quale nulla poterono le arti mediche del tempo.<br />

Dal matrimonio tra Corinna e Giacinto era nata una bambina che la nonna materna<br />

condusse con sé e allevò, ma dopo pochi anni anche Giuditta Sidoli passò a miglior vita.<br />

Giacinto Scelsi si risposò con una giovane donna di Milano, Gina Guicciardi.<br />

Scelsi, scrivendo nel 1881 a John William Dunne, l’antico compagno dell’avventura<br />

garibaldina, affermò di avere contribuito con un sassolino alla grande opera dell’unità<br />

italiana e nutrendo quel legittimo orgoglio si spense a Roma il 6 maggio 1902.<br />

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GAMBI L., Le statistiche di un prefetto del regno, in “Quaderni storici”, n. 45 dicembre 1980<br />

GIURIATI D., Memorie d’emigrazione, Milano 1897<br />

MARINI G., Nuovi documenti su Giuditta Sidoli, Pisa 1957<br />

MELIS G., <strong>Prefetti</strong>, ecco la <strong>storia</strong>, in “Amministrazione civile”, febbraio 2002<br />

MISSORI M., Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del regno d’Italia, Roma<br />

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Nuovi contributi all’epopea garibaldina, in “Le opere e i giorni” 1° agosto 1932<br />

PEZZINO P., Il paradiso abitato dai diavoli, Milano 1992<br />

SARTI T., Il Parlamento italiano nel cinquantenario dello statuto, Roma 1898<br />

Sulla <strong>storia</strong> dei prefetti, <strong>Scuola</strong> Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, s.l. s.d.<br />

28


Vittorio Zoppi prefetto a Salerno<br />

da Bollettino storico di Salerno e Principato Citra, 1999<br />

29


L’8 maggio 1861 il ministro dell’Interno Minghetti scrisse a Vittorio Zoppi, allora Vice<br />

Governatore a Brescia, questa lettera “confidenziale”:<br />

«Il Ministro sottoscritto nell’intendimento di organizzare la Pubblica Amministrazione<br />

<strong>nella</strong> parte meridionale del Regno, ha determinato di affidare alla S.V. il governo di una di<br />

quelle Provincie, epperciò ne la rendo avvertito onde disponga ogni cosa per esser pronta<br />

al primo avviso che le verrà dato. Confida lo scrivente che Ella non mancherà di<br />

corrispondere col fatto alla fiducia che il Governo ha posto in Lei, non senza avvertirla che<br />

questa comunicazione debba essere ancora un segreto, epperciò non è conveniente di<br />

farne parola con alcuno. P.S. Aggiungerò che spero di poterla collocare a Salerno 1 .»<br />

Due mesi dopo, a firma di Guido Borromeo, Segretario generale del ministero<br />

dell’Interno, 2 arrivò la comunicazione della nomina a Governatore della Provincia di<br />

Principato Citeriore, dal 16 luglio 1861.<br />

Ripercorro brevemente le tappe della carriera di Vittorio Zoppi. Nato a Cassine nel<br />

1819, secondo di dieci figli, apparteneva ad una delle più antiche famiglie del contado di<br />

Alessandria. Una sorella, Clementina, sposò Raffaele Cadorna allora maggiore del Genio<br />

Lombardo. Un fratello, Ottavio, fu Elemosiniere di re Carlo Alberto. Un altro fratello,<br />

Enrico, raggiunse nell’esercito il grado di tenente generale.<br />

Laureato in diritto civile ed ecclesiastico, il futuro Governatore di Salerno entrò nel<br />

1841 come volontario non retribuito nell’Amministrazione Provinciale dell’Interno.<br />

Immesso in carriera tre anni dopo, prestò servizio a Mortara, Annecy, Novara,<br />

Alessandria. Nel settembre 1848 venne promosso Intendente di 2ª classe e destinato ad<br />

Alghero, da lì passò a Bonneville poi a Mondovì. Nel 1858 era Capo divisione al<br />

ministero, l’anno dopo Intendente generale a Bergamo, appena liberata dagli austriaci.<br />

Poi fu Vice Governatore a Pavia, a Milano con Massimo d’Azeglio, a Brescia. Dal 1861 fu<br />

Governatore e poi Prefetto a Salerno, Messina, Brescia, Novara; infine, a Torino sino<br />

all’aprile 1876, quando lasciò il servizio all’avvento della Sinistra. Aveva ricevuto il<br />

laticlavio nel novembre 1871. Morì in tarda età nel 1907, dopo avere ricoperto in<br />

Alessandria importanti cariche amministrative.<br />

Del primo periodo salernitano è questa lettera al padre Giovanni Antonio, datata 8<br />

settembre 1861:<br />

1 Salvo diversa indicazione, i documenti riprodotti fanno parte dell’archivio privato degli<br />

eredi Zoppi, che ringrazio per la squisita cortesia con la quale li hanno messi a mia<br />

disposizione.<br />

2 D’URSO D., I Segretari generali del Ministero dell’Interno, Alessandria 1997, pp. 27-31.<br />

30


«Tra il Consiglio Prov.le e la venuta del Ministro dei lavori pubblici 3 in Salerno fui<br />

all’opera tutta la scorsa settimana. Ed anche Maria 4 fu per tre giorni fuori dello stato suo<br />

normale avendo dovuto fare gli onori di casa al Ministro colla sua moglie e seguito. Da ciò<br />

ella deve riputare il nostro silenzio[…] Qui le cose nostre vanno un tantino meglio e se si<br />

volesse il miglioramento potrebbe progredire più rapidamente; ma colle confusioni e<br />

l’anarchia negli ordini non si può sperare gran fatto. Ora vedremo Ricasoli cosa saprà fare.<br />

Dicesi che sopprimerà la luogotenenza, e se mette in atto quest’idea, Iddio ne lo<br />

rimunererà ed il paese lo benedirà. La luogotenenza fu, è e sarà sempre la causa di tutti i<br />

mali 5 . I briganti vanno scomparendo ed io credo che in settembre ne saremo quasi liberi<br />

interamente. Allorquando qui venne il Ministro dei lavori pubblici, ho ben pensato a<br />

maman 6 . S’immagini che fui prevenuto del suo arrivo per le quattro, alle due e mezzo<br />

pomeridiane. Pensando che fosse solo col suo segretario ho fatto preparare da pranzo per<br />

sei solamente, la fretta non permettendomi di fare inviti. Vado ad attenderlo alla strada<br />

ferrata nel mentre che mi si dice il Ministro arriverebbe in vettura veggo il vagone pieno<br />

di gente. Erano vari ingegneri, la moglie del Ministro 7 , il Consigliere di Stato Correnti<br />

mio amico con sua moglie; in tutto una ventina di persone. Indi a poco giunse il Ministro<br />

e c’incamminammo tutti verso la mia casa. Come sfamare tanta gente! Quando Dio volle,<br />

otto degli arrivati ripartirono subito, rimasero 12, ed a questi 12 ho dovuto dare da<br />

pranzo. Non mai ebbi ad apprezzare il valore di un buon cuoco come questa volta. Alle 7,<br />

ora fissata dal Ministro andammo a pranzo, ed eccellente fu il servizio. Il domani il<br />

Ministro partì, ed io con Maria accompagnai la sua signora sino a Castellammare<br />

contornando il promontorio di Amalfi sopra un vapore dello Stato[…] Maria sta<br />

benissimo ed è sempre la buona ragazza dei primi giorni; Potevo prendere maggior dote,<br />

3<br />

Il toscano Ubaldino Peruzzi, ministro nel governo Ricasoli, compì tra settembre e ottobre<br />

1861 un lungo viaggio nelle provincie meridionali. Presso Eboli il suo servitore venne<br />

svaligiato di tutti gli effetti appartenenti all’uomo politico.<br />

4<br />

Vittorio Zoppi, all’età di 42 anni, aveva sposato a Firenze il 23 luglio 1861 la sedicenne<br />

Maria Roissard de Bellet, di famiglia nizzarda (il padre Leonardo fu Comandante generale<br />

dei Carabinieri nonché Senatore).<br />

5<br />

La Luogotenenza Generale delle Provincie Napoletane venne soppressa con decreto reale<br />

del 9 ottobre 1861.<br />

6<br />

Matilde Calcamuggi de’ Ferrufini, madre di Vittorio Zoppi, era figlia di Ottaviano<br />

ultimo conte di Cascinagrossa e di Onorata Baronis dei conti di Donnaz. Aveva sposato<br />

Giovanni Antonio Zoppi nel 1816.<br />

7<br />

Ubaldino Peruzzi aveva sposato nel 1850 Emilia Toscanelli (1820-1900), che tenne in<br />

Firenze capitale un famoso salotto letterario, in competizione con quello di madame<br />

Rattazzi.<br />

31


ma non certo una migliore e più cara persona. Procuro di mantenerla in quella verginità di<br />

idee in cui l’ho trovata e credo di fare il suo bene. Io non credo che una donna faccia<br />

cattive figure in società ignorando la depravazione sociale. Tutti l’ammirano pel suo<br />

candore. Il Ministro e sua moglie come anche il comm.re Correnti ne furono<br />

entusiasmati, per le sue buone maniere, pel suo spirito, e la sua ingenuità.»<br />

Nell’archivio Zoppi vi sono le minute di relazioni inviate al governo di Torino nel<br />

corso del 1862. Una di aprile conteneva amare considerazioni:<br />

«Vorrebbe la popolazione che si adottassero misure eccezionali, massime verso quelli<br />

più noti per le loro opinioni in favore del passato governo, e che maggiormente<br />

parteciparono agli atti suoi, ma se queste aspirazioni non possono realizzarsi, valgono<br />

almeno a provare l’attaccamento di questi abitanti all’attuale ordine di cose. Avvezzi<br />

all’arbitrio, vittime dell’arbitrio, le molte volte essi stessi, vorrebbero ora che gli abusi di<br />

potere che ebbero a soffrire s’impiegassero contro quelli che o parteciparono ad essi o vi<br />

applaudirono. L’idea della legalità non è ancora siffattamente radicata in essi, da<br />

dimostrar loro che l’arbitrio è sempre arbitrio[…] Vi furono alcuni tentativi di mene<br />

murattiane, la reazione cercò anche di promuovere diserzioni nell’esercito e di assoldare<br />

briganti, ma queste mene e questi tentativi non solo non trovarono simpatie <strong>nella</strong><br />

popolazione, ma invece una assoluta avversione. Non è però che non vi siano lagni, e che<br />

certi miglioramenti aspettati si sollecitino con quella vivacità che è naturale in chi dopo<br />

aver lungamente sofferto vorrebbe tutto a un tratto che le aspirazioni sue si traducessero<br />

in fatti, con la rapidità del desiderio stesso; ma nel tempo stesso che si insiste si<br />

comprende pure che a molte cose, malgrado la migliore volontà del Governo, non è<br />

possibile provvedere immediatamente nelle attuali circostanze. Sarebbe però ottima<br />

politica come già osservai altra volta che a costo anche di gravi sacrifizi s’imprendessero<br />

considerevoli lavori per opere buone e comode comunicazioni e per sviluppare la<br />

istruzione popolare. Le popolazioni vivendo di confronti è d’uopo che ne possano fare di<br />

spesso e che la conseguenza di essi riesca sempre a vantaggio del presente ed a scapito del<br />

passato. Le arti dei nemici e le promesse che si fanno dal Principe spodestato per<br />

commuovere questi paesi sono molte; l’unico modo di combatterle è di opporre i fatti alle<br />

promesse. La certezza di veder in breve S.M. onorare di sua presenza questa provincia,<br />

fece ottima impressione, e si spera che vorrà degnarci di visitare almeno i maggiori centri<br />

di popolazione 8 . […] È d’uopo che l’autorità faccia convinte le popolazioni che adempie<br />

8 Nel maggio 1862 Vittorio Emanuele II compì un viaggio nel Meridione, accompagnato dal<br />

Presidente del Consiglio Rattazzi. Visitò anche Vietri, Salerno, Battipaglia, Eboli e la tenuta<br />

di Persano. Avendogli chiesto il Sindaco di Salerno: «Sire, andremo a Roma?», rispose:<br />

32


strettamente all’obbligo suo di vigilare e che questa vigilanza è bastevole ad assicurare al<br />

paese la sicurezza e la tranquillità cui aspira e che è uno dei suoi più sentiti bisogni. Ed è<br />

appunto a radicare questa convinzione, a inculcare questi principi di legalità ed a<br />

condurre le popolazioni a confidare nelle proprie forze che pongo ogni mio studio. Alcune<br />

nomine come era a prevedersi furono anche criticate e persino i dispensati trovarono i<br />

loro difensori. Questo non poteva né doveva far sorpresa, e sarebbe stato anzi<br />

sorprendente se non vi fosse stato qualche malcontento. Ciò che è certo però gli è che<br />

l’ordinamento attuale massime per la giustizia penale riscuote la simpatia del paese il quale<br />

vede <strong>nella</strong> istituzione dei giurati non tanto una garanzia per gli imputati, quanto un mezzo<br />

di maggiore repressione dei reati. Non manca certo chi dubita della buona riuscita di<br />

questa istituzione, diffidando della indipendenza dei giurati, ma le buone prove fatte<br />

altrove ispirano piena fiducia alla maggioranza, non troppo soddisfatta delle corti criminali<br />

per l’estrema loro indulgenza. La statistica dei delitti pure mostrasi sempre con qualche<br />

miglioramento <strong>nella</strong> sicurezza pubblica, e se fosse possibile di ottenere leggi più severe<br />

per liberarci dalla camorra le cose rientrerebbero subito nel loro stato normale.»<br />

Un altro rapporto, datato 16 giugno 1862, affrontava più diffusamente la questione dei<br />

partiti “estremi” e la piaga del brigantaggio, naturalmente nell’ottica di un funzionario<br />

governativo, di origine e cultura piemontese, che si sforzava di analizzare e capire una<br />

parte d’Italia tanto diversa e lontana dalla sua.<br />

«Un malumore innegabile si svegliò in questa quindicina nelle popolazioni della<br />

Provincia. Causa primaria ne fu la legge sulla tassa del registro e bollo, mal interpretata,<br />

poco conosciuta, e portata a notizia delle popolazioni con mille esagerazioni dai mestatori<br />

di ogni partito. Conviene però dire che il maggior malcontento si rivela nelle classi più<br />

agiate, le quali vorrebbero avere tutti i vantaggi di un governo di progresso e della<br />

civilizzazione, ma non sono per nulla disposti ad accettare i carichi. E ciò che più<br />

sorprende egli è che mentre si grida contro la legge sulle tasse e contro ogni possibile<br />

aumento d’imposte, si chiedono da tutte le parti con maggior insistenza impieghi,<br />

pensioni e sovvenzioni per opere pubbliche al Governo. Anche qui come altrove i due<br />

partiti estremi si sono dati la mano, ed entrambi d’accordo stanno a capo di questa<br />

opposizione e cercano di suscitare malumori accreditando le più assurde voci. Contro<br />

costoro si sta agendo per accertare i fatti e denunziarli ai tribunali ma non si sa poi<br />

comprendere come l’autorità giudiziaria, sotto gli occhi della quale nelle stesse aule del<br />

Tribunale avvennero rumori tali da ledere la dignità del luogo e del magistrato, non siasi<br />

«Sì, ci andremo. Se voi desiderate di andarvi, io ci debbo andare perché ne ho dato<br />

giuramento!».<br />

33


fatta immediatamente a provvedere contro questi perturbatori, siasi invece preferito di<br />

richiedere a quest’ufficio di far sorvegliare le sale dagli agenti della P.S. onde mantenere<br />

l’ordine. Dopo d’allora nulla più avvenne, ma intanto non si è provveduto e le cause non<br />

si fanno per l’opposizione degli Avvocati.[…] Vi sono taluni è vero che al loro desiderio<br />

del bene accoppiano in buona fede una impazienza irragionevole, ma anche qui troviamo<br />

la mano dei partiti i quali nulla lasciano di intentato per sovvertire lo spirito pubblico. Ed<br />

in questi ultimi tempi l’azione dei partiti si è fatta abbastanza insistente, ma l’attitudine<br />

dimostrata dal Governo pare ora abbia calmato gli animi. Né si trascura per certo di<br />

illuminare le popolazioni e far loro comprendere come debbano diffidare di certi falsi<br />

amici i quali cercano di sfruttare la loro buona fede non per l’interesse loro, ma per<br />

secondi fini che non sono certo consoni agli interessi delle popolazioni. Si tentò<br />

l’organizzazione in vari punti di circoli popolari, ma fortunatamente l’idea era capitanata<br />

da uomini conosciuti ovunque per le loro tristizie sicché nulla o quasi nulla si poté<br />

ottenere. Il risvegliarsi del brigantaggio sovra taluni punti della Provincia (Penisola<br />

d’Amalfi) ha sparso un tantino di timore che però fu acquietato, sapendo quali disposizioni<br />

fossero state prese d’accordo fra l’autorità civile e la militare per distruggerlo. Se invece<br />

di aver a che fare con popolazioni timide e che non osano muoversi e che si ricusano<br />

assolutamente di coadiuvare la truppa, avessimo la fortuna di trovare maggior coraggio, la<br />

piaga del brigantaggio sarebbe da lunga pezza sanata. Si è voluto far credere che a<br />

rinforzare la piccola comitiva che infestava quei monti fossero giunti dal di fuori sbarcando<br />

a Positano alcuni malviventi, ma ciò ho motivo di credere che sia una favola. I rinforzi<br />

vennero dai comuni di Agerola, Lettere e Gragnano, alquanti da Minori e da S. Egidio,<br />

gente tutta tristissima e il cui mestiere fu sempre il ladroneccio. Nessuna località fu mai<br />

così guardata, a tutti gli sbocchi verso i monti vi sono truppe che fanno un ottimo<br />

servizio, quindi uno sbarco era impossibile. Le disposizioni prese lasciano però credere<br />

che anche di questa banda si farà pronta giustizia. In vari punti della Provincia si<br />

manifestarono alcune piccole bande composte di cinque o sei persone tutte del paese cui<br />

vennero ad aggiungersi alcuni disertori. Una di queste fu distrutta, altre in parte prese, e<br />

si sta attivamente lavorando per distruggerle completamente. Ma lo scopo non sarà<br />

raggiunto, se non si possono completare le Stazioni dei Carabinieri. Dovunque questa<br />

benemerita arma esiste, non vi sono bande, e quelle che si formarono vennero tosto<br />

disfatte. Sarebbe bene che il Ministero come già ne feci richiesta vedesse modo di<br />

sollecitare l’invio di nuovi carabinieri. Qui mancano ancora 26 stazioni, e questa mancanza<br />

che raggiunge quasi la metà delle stazioni che devono qui esistere, produce gravi<br />

inconvenienti. L’arma dei carabinieri ha un gran prestigio presso le popolazioni: la<br />

34


temono e la rispettano, e questo è un gran vantaggio. Tutto porta a credere che i raccolti<br />

saranno abbondanti, e questa abbondanza tranquillizza assai tutti. Ciò è una vera fortuna<br />

nei tempi che corrono massime per questi paesi. I lavori agricoli e le numerose opere<br />

pubbliche prov.li e governative non che le comunali, assicurano la pubblica esistenza e<br />

quindi la quiete pubblica. L’aumento dei salari che va verificandosi su tutti i punti a causa<br />

della grande ricerca di operai fa ottima impressione sulle basse popolazioni, prima<br />

malissimamente retribuite. Ma la vera piaga del paese sta <strong>nella</strong> camorra, per la quale le<br />

leggi attuali sono impotenti. Senza leggi e disposizioni eccezionali questa schifosa piaga<br />

non si toglierà di certo. La stampa napoletana pure concorda su questa quistione ed in ciò<br />

credo di poter dire che rappresenta l’opinione pubblica. Qualunque mezzo che abbia per<br />

iscopo di liberare il paese da questa scellerata associazione sarà non ne dubito accolto. La<br />

deportazione è sulla bocca e nei desideri di tutti 9 .»<br />

Anche se il brigantaggio non assunse mai nel Salernitano le dimensioni di quello lucano<br />

o della Capitanata dove folte bande a cavallo scorrazzavano per le campagne, la presenza<br />

di numerose comitive stazionanti soprattutto nelle zone più impervie e, dunque, più<br />

sicure 10 , fa apparire un po’ troppo ottimistico il resoconto di Zoppi il quale, oltretutto,<br />

non mancò pure lui di farsi tentare dalla soluzione delle “maniere forti”. In una lettera del<br />

30 aprile 1862 indirizzata al generale La Marmora, a cui facevano capo tutte le forze<br />

militari per la repressione del brigantaggio, il prefetto espresse il parere che «coi mezzi<br />

9 Il domicilio coatto comune venne formalmente introdotto nell’agosto 1863 dalla legge<br />

Pica per la repressione del brigantaggio. Poteva essere disposto nei confronti di oziosi,<br />

vagabondi, sospetti manutengoli e camorristi, su parere di una giunta composta da prefetto,<br />

presidente del tribunale, procuratore del re e due consiglieri provinciali. Questa misura di<br />

prevenzione fece poi il suo ingresso <strong>nella</strong> legislazione ordinaria con la legge di pubblica<br />

sicurezza del 1865.<br />

Il domicilio coatto politico venne istituito come misura temporanea, anche in previsione<br />

della guerra contro l’Austria, dalla legge 17 maggio 1866, n. 2907. L’art. 3 dava facoltà al<br />

governo di assegnare al domicilio coatto «persone per cui ci sia fondato motivo di giudicare<br />

che si adoprino per restituire l’antico stato di cose, o per nuocere in qualunque modo<br />

all’unità d’Italia e alle sue libere istituzioni». In ogni capoluogo di provincia operò una<br />

giunta consultiva composta da prefetto, due magistrati e due consiglieri provinciali scelti<br />

dai primi tre membri. Sulla base del parere espresso, soggetto a revisione da parte di una<br />

giunta centrale, il ministro dell’Interno disponeva l’assegnazione al domicilio coatto.<br />

10 D’URSO D., Storia di un brigante. Gaetano Manzo di Acerno, Giffoni Valle Piana 1979.<br />

Subito dopo la promulgazione della legge Pica, con decreto reale del 20 agosto 1863<br />

vennero designate le provincie infestate dal brigantaggio: erano undici e ben quattro in<br />

Campania, tra cui Principato Citeriore.<br />

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legali non si otterrà mai nulla; vi è troppa corruzione nelle masse, vi è troppa fiacchezza<br />

nei tribunali e troppa paura» 11 .<br />

Dalle carte d’archivio emergono molte situazioni particolari. In una missiva del<br />

gennaio 1862, diretta ad un “Onorevole Signore” non meglio identificato, Zoppi scriveva:<br />

«Il prete Salzano fu arrestato in San Lorenzo comune di Corbara non già per essere<br />

stato veduto in abito di campagna attendere ai lavori di un suo podere, ma perché ebbe a<br />

riconoscersi che si trovava in relazione col capo brigante Varone con cui ebbe frequenti<br />

colloqui ed al quale consegnò non dispregievole somma stando alle relazioni dei briganti<br />

stessi contemporaneamente arrestati. Il Salzano non era in un podere suo ma in casa di tal<br />

Ferraioli sospetto egli pure. Ho interrogato io stesso il Salzano quando venne condotto in<br />

Salerno, e senza voler prevenire il giudizio che saranno per pronunciare i tribunali, io<br />

posso assicurare V.S. che dal suo contegno che dalle sue risposte ho dovuto formarmi una<br />

idea ben contraria alla sua innocenza, come si vuol asserire. Non dubito che abbia potuto<br />

rendere qualche servizio alla polizia ma porto opinione che svelasse il poco per nascondere<br />

il molto. Comunque sia, io ho già ordinato all’Ufficio di Sicurezza pubblica di metterlo a<br />

disposizione della autorità giudiziaria e converrà quindi attendere che emani la sentenza.»<br />

Sono qui necessarie alcune osservazioni a chiarimento. La legge piemontese del 13<br />

novembre 1859, n. 3720 affidava l’amministrazione di pubblica sicurezza al ministro<br />

dell’Interno e, gerarchicamente subordinati, ai Governatori, agli Intendenti, ai Questori.<br />

La coeva legge comunale e provinciale tra le attribuzioni del Governatore (divenuto<br />

Prefetto nel 1861 per volontà di Ricasoli) indicava: «Sopraintende alla pubblica sicurezza,<br />

ha diritto di disporre della forza pubblica e di richiedere la forza armata». Analoghe<br />

formulazioni vennero inserite nelle leggi di unificazione del 1865. Su queste basi<br />

giuridiche i prefetti sospendevano i giornali, scioglievano associazioni, vietavano riunioni,<br />

ordinavano perquisizioni e arresti. All’epoca, la consuetudine attribuiva ai prefetti anche<br />

la potestà di “empara”, di triste memoria borbonica: in sostanza, per motivi di sicurezza,<br />

le persone prosciolte dall’autorità giudiziaria potevano essere trattenute in carcere a<br />

disposizione della polizia, senza accuse specifiche. La fonte di questi poteri prefettizi era<br />

la consuetudine, che Antonio Salandra - nelle sue Lezioni - definiva «l’osservanza<br />

continua per un lungo periodo di tempo di certe norme di amministrazione da parte della<br />

pubblica autorità nelle sue facoltà discrezionali. Da questa osservanza deriva una<br />

consuetudine, e l’amministrazione è ad essa tenuta» 12 . In Parlamento venne discussa più<br />

volte la questione della fonte giuridica dei provvedimenti prefettizi, di fatto limitativi delle<br />

11 Cit. in ROSSI L., Una provincia meridionale nell’età liberale, Salerno 1986, p. 46.<br />

12 SALANDRA A., Lezioni di diritto amministrativo, Roma 1910, p. 183.<br />

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libertà statutarie. I ministri dell’Interno, non potendo richiamare alcuna espressa<br />

disposizione di legge, invocavano il “criterio dell’ordine pubblico”, cioè, dinanzi al<br />

pericolo astratto o concreto di turbative di qualsiasi genere, il prefetto, responsabile della<br />

sicurezza pubblica <strong>nella</strong> provincia, aveva potestà di adottare tutti i provvedimenti ritenuti<br />

necessari. Secondo i costituzionalisti del tempo e la stessa Corte di Cassazione, non una<br />

legge scritta ma la suprema legge della salute della patria, ossia la necessità di governo<br />

giustificava tutto ciò. Questa situazione rimase invariata per parecchi decenni.<br />

È altresì opportuno precisare che, a livello periferico, l’amministrazione della pubblica<br />

sicurezza era organizzata in uffici provinciali e circondariali, parte integrante delle<br />

prefetture e sottoprefetture. Nei capoluoghi più importanti all’ufficio provinciale di p.s.<br />

era preposto un questore, in ogni mandamento aveva sede una delegazione di p.s.<br />

(divenne allora mitica la figura del delegato), mentre nei comuni formalmente tutto faceva<br />

capo al sindaco, il quale era di nomina governativa ed ufficiale di governo 13 .<br />

Il ceto benestante aveva di che temere per lo stato della sicurezza pubblica e ne è<br />

eloquente testimonianza questa missiva indirizzata a Zoppi il 27 giugno 1862 da un tale<br />

Francesco Reale di Ravello, a dir poco allarmato:<br />

«È con molto dispiacere che mi vedo <strong>nella</strong> necessità di tediarla di nuovo con una mia<br />

lettera. Come Ella deve ben sapere mercoledì giunse l’ordine al distaccamento di Guardia<br />

Mobile di rientrare a Salerno, ma forse Ella non sa che quel distaccamento non venne<br />

rimpiazzato da altra forza. Per quella sera il Maggiore degli Ungheresi 14 Reifeld mi diede<br />

una guardia a casa mia, e ieri sulle mie istanze mi fece il favore di far venire a Ravello il<br />

distaccamento di Scala di 21 uomini, i quali ora sono al monastero di S. Antonio. Il<br />

Maggiore mi scrive che forse gli Ungheresi non saranno lasciati alla costiera che pochi<br />

altri giorni, di modo che non ci sarebbe nessuna forza in questi contorni, mi scrive in<br />

inglese dicendomi «che avrebbe molto piacere di tenere a Ravello un distaccamento in<br />

permanenza e che preferisce di tenere i suoi soldati in servizio anziché tenerli a Nocera,<br />

ma che dovea indirizzarmi a Lei acciocché desse gli ordini necessari». Spero che Ella mi<br />

farà di nuovo il favore (se sia possibile) di dare quest’ordine e che possiamo aver i mezzi di<br />

restare qua in pace almeno sino alla fine di settembre. Benché pare che non ci sia più la<br />

banda di Pilone in queste montagne, da notizie certe so che ci sia sempre l’antica banda<br />

alquanto ingrossata. Se Ella si trovasse costretto di negarmi la protezione che chiedo, La<br />

13 D’URSO D., I direttori generali della pubblica sicurezza, Alessandria 1994.<br />

14 La Legione Ungherese, costituita da esuli, venne impiegata <strong>nella</strong> sanguinosa repressione<br />

del brigantaggio meridionale (VIGEVANO A., La Legione Ungherese in Italia, Roma 1924).<br />

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prego pure di dirmelo francamente, acciocché possa andare col mio comodo di cercare<br />

casa altrove, perché non sarei sicuro a Ravello per 24 ore dopo la partenza dei soldati.»<br />

Circa poi i problemi dell’amministrazione della giustizia, è da rilevare che « la fase del<br />

trasferimento dei poteri a Napoli era stata notevolmente complessa, passando prima per la<br />

dittatura garibaldina e poi per le varie luogotenenze che, con politica oscillante, si erano<br />

talvolta avvicinate agli elementi democratici, talaltra avevano, al contrario, cercato<br />

l’appoggio degli ambienti più legati alla vecchia dinastia borbonica. Ciò naturalmente<br />

aveva complicato, e non poco il processo di riordinamento del personale giudiziario» 15 .<br />

Nell’archivio Zoppi è conservata questa relazione “riservatissima” del Sotto Prefetto di<br />

Sala 16 : «Qualunque siane cagione, è indubitato che finora questo Tribunale correzionale è<br />

affatto inerte. Tranne le istruzioni penali, nulla si fa in disimpegno della giustizia.<br />

Versatomi a perpetrarne le cagioni, molte cose si adducono, tra cui mancanza di registri,<br />

di impiegati, di locale. Non mi accingo ad approfondire su tali assertive, […] ma su<br />

l’assenza del Presidente da qui da circa un mese, e la discordanza sull’applicazione della<br />

nuova procedura tra i meridionali e settentrionali. Magistrati fanno veder chiaramente mal<br />

disposizione all’attuazione di così importante bisogno, cioè l’amministrazione della<br />

giustizia. Intanto questa inerzia mena censura e malcontento fra i buoni, ed insidie tra<br />

mestatori retrivi; a prescindere del danno dei privati negli interessi e <strong>nella</strong> libertà, e del<br />

pubblico erario, che per le prescrittibili azioni penali andrà a soccombere con<br />

l’anticipazione delle spese occorse. E di queste azioni penali sono informato esserne già<br />

pendenti un circa cinquanta. A svegliare la necessaria inerzia in una istituzione novella,<br />

come questa, ed a spingere un concorde modo di applicare la procedura, io credo che,<br />

oltre alle opportune provvidenze che potrà pensare V.S.I., sia indispensabile qui un<br />

Procuratore Regio delle antiche provincie.»<br />

Insieme a tante preoccupazioni Zoppi ebbe, però, anche belle soddisfazioni. Il<br />

Consiglio Comunale di Pellezzano deliberò il 28 aprile 1862 di conferirgli la cittadinanza<br />

onoraria, quale riconoscimento a «uno dei più solerti ed energici funzionari del tempo»,<br />

15 I magistrati italiani dall’Unità al fascismo, a cura di Pietro Saraceno, Roma 1988, p. 47.<br />

L’ordinamento giudiziario risalente alla legge 13 novembre 1859, n. 3781 entrò in vigore<br />

nelle provincie napoletane il 1° maggio 1862 ed il trasferimento dei primi magistrati<br />

settentrionali ad Sud avvenne solo in quei mesi. Se è vero che gli ambienti politici e<br />

giudiziari meridionali erano poco ben disposti verso i nuovi arrivati, è anche vero che i<br />

magistrati “subalpini” accettavano di mala voglia il trasferimento.<br />

16 Nella provincia di Salerno le Sotto-Prefetture avevano sede a Campagna, Sala, Vallo.<br />

Dal punto di vista della pianta organica degli uffici, la Prefettura di Salerno era considerata<br />

molto importante, al livello di Firenze, Genova, Palermo.<br />

38


che faceva di tutto «per dar lustro e splendore alla Provincia di suo Governo». Un po’ più<br />

difficili erano i rapporti con l’amministrazione comunale di Salerno, tanto che il 2 luglio il<br />

Segretario generale del ministero dell’Interno Vincenzo Capriolo 17 , fedelissimo del<br />

Presidente del Consiglio Rattazzi, scrisse al prefetto:<br />

«Quantunque la condotta del Sindaco di Salerno sia per ogni riguardo riprovevole e<br />

non senza ragione possa ritenersi fomentata o quanto meno appoggiata dal Consiglio<br />

Comunale; tuttavia prima di promuovere la destituzione del primo e lo scioglimento del<br />

secondo, importa assicurarsi con modi accorti e sicuri se il signor Enrico Moscati sarebbe<br />

disposto ad accettare la carica, e in caso di rifiuto, se lo scioglimento sarebbe male accolto<br />

in paese o a temersi che colle nuove elezioni ritornino i medesimi Consiglieri. Nel qual<br />

caso lo sfregio sarebbe del Governo e la sua autorità ne patirebbe. E a prevenire questo<br />

pericolo che vogliono essere dirette le indagini del Sig. Prefetto il quale potrebbe per<br />

intanto limitarsi a sospendere il Sindaco, salvo a destituirlo o sciogliere il Consiglio<br />

secondo le convenienze che risulterebbero dai dati che si fossero raccolti.»<br />

Ubaldino Peruzzi, non più ministro, scrisse a Zoppi il 18 luglio su una questione<br />

molto delicata: «Mia moglie ebbe per incarico della sua signora suocera dalla mia cugina<br />

Moggi la grata notizia del felice parto della gentile sua signora consorte; ed io sono lieto di<br />

congratularmi con loro ben cordialmente per questo felice avvenimento 18 . In<br />

quest’occasione mi permetto altresì di indirizzarmi alla di Lei cortesia per un affare che,<br />

da quanto mi disse il detto suo suocero, interesserebbe Lei non meno che il mio cognato<br />

Finocchietti 19 marito di una sorella di mia moglie. Ella avrà già inteso probabilmente che<br />

io intendo parlare del cambio della Prefettura di Salerno e di Pavia fra Lei ed il detto mio<br />

cognato; cambio che i giornali avevano già annunziato, e che ora al Ministero dell’Interno<br />

dicono sospeso per adesso a motivo di alcuni fatti che sarebbero accaduti costà. Il di Lei<br />

sig. suocero mi assicura che un tal cambiamento sarebbe da Lei molto desiderato; laonde<br />

io credo farle cosa gradita assicurandola che anche al mio cognato sarebbe graditissimo per<br />

motivi del clima che sarebbe più propizio a Salerno che a Pavia per la salute assai debole<br />

della di lui famiglia. Perciò qualora Ella avesse mezzi da adoperare per conseguire dal<br />

Ministero dell’Interno questo cambio, si adopererebbe probabilmente con maggiore<br />

17 D’URSO D., I Segretari generali cit., pp. 33-37.<br />

18 Il 9 giugno 1862 era nata la primogenita Matilde. Seguirono Giovanni Antonio,<br />

Clementina, Angelica, Ottavio ed Enrico.<br />

19 Il conte Francesco Finocchietti di Pisa (1815-1899), dopo essere stato prefetto di Siena,<br />

dal novembre 1861 ricopriva la sede di Pavia. Il 21 agosto 1862 venne collocato a riposo, a<br />

domanda, per motivi di salute.<br />

39


energia quando sapesse, come per questa mia l’assicuro, di incontrare un pieno concorso<br />

per l’altra parte a ciò interessata.»<br />

E arrivarono le calde giornate dell’agosto 1862, con tutta l’Italia in subbuglio, pro o<br />

contro Garibaldi deciso ad andare a Roma. Rattazzi aveva scelto un garibaldino, Giuseppe<br />

Guerzoni, come suo segretario particolare e Garibaldi, interrogato per quale ragione<br />

appoggiasse il politico alessandrino, rispose: «L’appoggio perché con lui si può sempre<br />

tentare qualcosa». Rattazzi, disse Francesco Crispi, desiderava essere un cospiratore, ma<br />

non ne aveva né l’audacia né il coraggio.<br />

Il 3 agosto 1862 Vittorio Emanuele II aveva in un proclama invitato al rispetto<br />

dell’autorità dello Stato, minacciando per i ribelli i rigori della legge. Tre giorni prima,<br />

il gen. La Marmora aveva chiesto la proclamazione dello stato d’assedio nelle provincie<br />

meridionali 20 . Accadde allora un fatto inquietante: alcuni reparti della Legione Ungherese<br />

lasciarono i luoghi dove erano stanziati per concentrarsi a Nocera.<br />

«Non è chiaro se questi movimenti rispondessero a piani insurrezionali, oppure fossero<br />

soltanto la manifestazione spontanea di un profondo malcontento serpeggiante tra gli esuli<br />

ungheresi, adibiti alla ingrata opera della repressione del brigantaggio e circondati<br />

dall’ostilità delle popolazioni meridionali, malcontento che poté essere indirizzato da<br />

agitatori democratici verso un appoggio – comunque prematuro – all’impresa garibaldina.<br />

Sta il fatto che, bloccati e disarmati senza che opponessero resistenza, gli ungheresi<br />

vennero imbarcati a Salerno il 13 agosto, dietro ordine di La Marmora, e trasportati in<br />

Piemonte; di essi, circa 150 riuscirono a darsi alla macchia al momento della partenza, con<br />

lo scopo di raggiungere Garibaldi 21 .»<br />

La Marmora poche settimane prima, scrivendo al ministro della Guerra Agostino<br />

Petitti Bagliani di Roreto, aveva criticato il prefetto Zoppi per essersi opposto<br />

all’occupazione di un convento da parte delle truppe 22 . Ora lo incitò a far arrestare i capi<br />

delle agitazioni pro-Garibaldi. In effetti, proprio a Salerno avvennero episodi gravi, con<br />

minacce a mano armata verso i rappresentanti del governo. Zoppi così telegrafò a Rattazzi<br />

20 In Italia, dal 1861 al 1922 lo stato d’assedio fu dichiarato dieci volte. Inizialmente, la<br />

proclamazione fu presentata quasi come esercizio di un potere ordinario dell’esecutivo.<br />

Successivamente, si cercò un fondamento negli articoli 243 e 246 del codice penale militare<br />

relativo allo stato di guerra. I commissari straordinari emanavano bandi e potevano istituire<br />

tribunali militari, che sentenziavano senza appello (VIOLANTE L., La repressione del dissenso<br />

politico nell’Italia liberale, in «Rivista di <strong>storia</strong> contemporanea», 1976, pp. 481-524).<br />

21 MOLFESE F., Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano 1974, p. 162.<br />

22 Cfr. Le carte di Alfonso Ferrero della Marmora, a cura di Maurizio Cassetti, Torino 1979, p.<br />

141.<br />

40


il 9 agosto alle ore 1 pom. Il messaggio era drammatico, al di là della ovvia intenzione di<br />

rassicurare Torino e dare la migliore immagine di sé: «La tranquillità è ristabilita e si<br />

compone processo. Mi sono riso delle minacce di morte fattemi fare stamane per<br />

obbligarmi alla partenza. Resto ad ogni costo al posto, ugual cosa mi consigliano i<br />

Consiglieri di Prefettura 23 . Il Delegato della provincia questa notte costretto colle armi<br />

alla partenza 24 . Richiamato. Ufficiali della Guardia Nazionale promessa efficace<br />

cooperazione 25 .»<br />

Rattazzi di rimando: «Mantenga il divieto d’ogni dimostrazione e non si lasci<br />

sgomentare, usando di tutti i mezzi che la legge concede». Sappiamo come finì il<br />

tentativo garibaldino.<br />

Le vicende professionali di Zoppi si incrociarono allora con quelle del collega di<br />

Messina Antonio Mathieu. Il 28 agosto 1862 il Presidente del Consiglio chiese un<br />

rapporto al generale Cialdini, inviato in Sicilia con poteri straordinari. Mathieu aveva<br />

ordinato la scarcerazione di alcuni arrestati, pare su pressione della folla,<br />

compromettendo così «la dignità e la forza del Governo». Il generale confermò i fatti e<br />

concluse: «Parmi indispensabile di cambiare il Prefetto» 26 .<br />

L’11 settembre 1862 Vittorio Zoppi andò a sostituire il collega di Messina,<br />

concludendo l’esperienza salernitana durata quattordici mesi.<br />

23 Erano Giuseppe Goria e Gennaro Nola.<br />

24 Il funzionario di polizia era probabilmente Gennaro Passaretti.<br />

25 LUZIO A., Aspromonte e Mentana, Firenze 1935, p. 193.<br />

26 Ivi, pp. 269-70 e 275.<br />

41


L’omicidio Escoffier fu un delitto politico?<br />

No, peggio!<br />

da Amministrazione civile, giugno 2005<br />

43


Ravenna, 19 marzo 1870. La mattina in città trascorse tranquilla sino a quando,<br />

intorno a mezzogiorno, Federico Fabbri capo di gabinetto della prefettura corse in strada a<br />

cercare un medico, ma l’opera del dottor Fusconi si rivelò inutile: il prefetto-generale<br />

Carlo Escoffier, raggiunto da colpi d’arma da fuoco al suo tavolo da lavoro, spirò all’età di<br />

44 anni tra le braccia dei soccorritori.<br />

La drammatica notizia percorse in un lampo Ravenna. La moglie del prefetto la<br />

ricevette in chiesa mentre assisteva alla messa <strong>nella</strong> ricorrenza di San Giuseppe. Si temette<br />

che la povera donna uscisse di senno per il dolore. I solenni funerali del prefetto si<br />

svolsero a spese del governo, con grande concorso di cittadini.<br />

Era stato un delitto politico? No, ma quanto avvenuto forse era ancora peggio:<br />

Escoffier era stato ucciso dall’ispettore Cattaneo, il più alto funzionario di polizia in<br />

servizio in città.<br />

Innanzitutto, è necessario precisare che i questori, “preferibilmente” laureati in legge,<br />

all’epoca erano presenti soltanto nei capoluoghi di provincia con almeno 60.000 abitanti.<br />

Nella scala gerarchica dopo i questori (in numero di 10) c’erano gli ispettori (86), i<br />

delegati (884), gli applicati (720). Gli uffici di pubblica sicurezza, in base alla legge di<br />

unificazione amministrativa del 20 marzo 1865, non avevano autonomia organizzativa ma<br />

erano incardinati nelle prefetture e sottoprefetture. Dunque, a Ravenna l’ispettore<br />

Cattaneo dirigeva l’ufficio provinciale di pubblica sicurezza alle dirette dipendenze del<br />

prefetto.<br />

Nei primi anni dopo l’Unità solo una minoranza dei funzionari di polizia aveva alle<br />

spalle una specifica esperienza professionale e le nuove leve, frettolosamente assunte dopo<br />

l’epurazione compiuta nei ranghi delle vecchie polizie, lasciavano spesso a desiderare,<br />

poiché nelle assunzioni si volle privilegiare chi aveva acquisito meriti patriottici nel<br />

periodo risorgimentale. Un esempio significativo è quello di Temistocle Solera che, prima<br />

di fare il poliziotto, era stato impresario teatrale, romanziere, musicista e librettista di<br />

Giuseppe Verdi (a lui si devono i versi del “Nabucco”).<br />

La carriera in polizia fu a lungo mal considerata e mal pagata. Per il politologo Gaetano<br />

Mosca «la causa principale di questa incapacità generale degli agenti di polizia sta<br />

principalmente nelle ripugnanza che hanno i buoni elementi ad entrare in questa carriera».<br />

La condizione di evidente difficoltà dell’istituzione ne fece uno dei rami più criticati<br />

dell’amministrazione statale durante il periodo liberale. Le critiche venivano dall’esterno<br />

ma era forte anche il disagio all’interno. Nel “Manuale del funzionario di sicurezza<br />

pubblica” si legge: «Vi si comunica un telegramma conciso ed imperativo col quale vi si<br />

comanda di raggiungere la nuova residenza, entro tanti giorni, e voi mai saprete il vero<br />

44


motivo del vostro trasferimento». E proprio a causa di un trasferimento indesiderato<br />

l’ispettore Cattaneo aveva ucciso il prefetto Escoffier.<br />

Dal punto di vista dell’ordine e sicurezza pubblica la provincia di Ravenna era una delle<br />

più “calde” d’Italia, soprattutto per la forte presenza di repubblicani e garibaldini. La<br />

Romagna aveva dato grattacapi già alle autorità papaline, perché vi operavano gruppi di<br />

cospiratori o sette che non rifuggivano dall’uso della violenza. Sottolineò il prefetto<br />

Nasalli Rocca nelle sue memorie: «Fino a che vi fu un governo pontificio da combattere e<br />

l’unità italiana da raggiungere, tutto l’operato più o meno encomiabile ed anche<br />

biasimevole delle uccisioni, delle vendette e violenze diverse, passò coperto dal gran<br />

tricolore», ma poiché le sette osteggiavano qualsiasi autorità costituita, esse non si<br />

sciolsero dopo la fine del potere pontificio ma continuarono a operare anche sotto il<br />

nuovo governo. Cosicché, scrisse ancora Nasalli Rocca, «essere destinato in Romagna<br />

significava per un funzionario dello Stato vivere in quotidiano rischio della vita». Il cav.<br />

Fossati, sottoprefetto di Imola, girava armato e andava dicendo che «per farlo andare<br />

all’altro mondo bisognava essere disposto ad andarvi insieme con lui». Anni prima, nel<br />

marzo 1864, il collega Murgia era stato ucciso proditoriamente mentre passeggiava con un<br />

magistrato. Per quell’omicidio furono arrestati una ventina di appartenenti alla setta<br />

imolese detta “Squadraccia”.<br />

A Ravenna dall’agosto 1863 al giugno 1865 fu prefetto l’alessandrino Giuseppe<br />

Cornero (per la sua biografia mi permetto di rinviare al mio libro Storie di prefetti del<br />

1991). In una lettera di Cornero a Giovanni Lanza, suo amico e all’epoca ministro<br />

dell’Interno, leggiamo: «Qui in tutti i paesi i mazziniani e i garibaldini cospirano e sono<br />

organizzati. La popolazione intera poi non farebbe una denuncia o una rivelazione per<br />

tutto l’oro del mondo. Qui non v’è altro che stare attenti, coll’armi al braccio, non tanto<br />

per prevenire (cosa difficilissima) ma per intimorire o per reprimere quando un moto<br />

scoppia. A ogni modo sta certo che io non mi sgomento né dormo e che faccio e farò<br />

quanto starà in me, e cogli elementi che ho, per secondare le vostre intenzioni». Non era<br />

casuale in quella missiva il riferimento alle risorse umane disponibili, tenuto conto che<br />

Cornero chiedeva di mandare carabinieri e di allontanare un funzionario di prefettura che<br />

dava scandalo vivendo more uxorio con la “serva”.<br />

Nel 1865 era stata costituita a Ravenna una Società di mutuo soccorso che degenerò<br />

<strong>nella</strong> famigerata “setta degli accoltellatori”, resasi colpevole in pochi anni di una lunga<br />

serie di delitti. Si attentò senza un chiaro movente alla vita di personaggi locali, che<br />

ebbero la buona sorte di sopravvivere all’aggressione, come il direttore di banca<br />

Monghini, il presidente della Camera di commercio Ghezzo, il medico Fusconi che ho<br />

45


citato all’inizio. La setta voleva diffondere il terrore e, disse qualcuno, «eliminare gli<br />

affamatori del popolo». La scia di sangue si allungò con l’omicidio di presunti delatori e<br />

traditori della organizzazione criminale.<br />

Riuscì l’attentato al Procuratore del re Cesare Cappa, di famiglia canavesana, che stava<br />

indagando su quei misfatti (alla fine se ne contarono oltre cento con una decina di morti).<br />

Quando il magistrato fu assassinato (1° giugno 1868) era prefetto di Ravenna Benedetto<br />

Maramotti, che non solo ricevette lui stesso minacce di morte ma dovette subire le<br />

critiche dell’opinione pubblica e della stampa e vide sconfessato il suo operato col rilascio<br />

dei sospettati che aveva fatto arrestare. Il clima omertoso che si viveva a Ravenna fece dire<br />

a Giuseppe Pasolini, illustre politico e prefetto: «Non si denunzia, sarebbe un eroismo, è<br />

impossibile. Corre maggior pericolo di vita chi depone che non il reo». In un acceso<br />

dibattito alla Camera qualche deputato invocò leggi eccezionali, Crispi invece affermò che<br />

invocare leggi speciali era confessione di incapacità, perché bastavano le leggi vigenti e<br />

funzionari intelligenti. Quando si leggono le cronache parlamentari si corre sempre il<br />

rischio di confondere passato e presente.<br />

La situazione dell’ordine e sicurezza pubblica a Ravenna indusse il governo del<br />

generale Menabrea a sacrificare il prefetto (come avveniva spesso in casi simili) e<br />

Maramotti fu trasferito a Perugia, dove trovò invece un clima tanto favorevole da<br />

rimanervi per 21 anni ininterrottamente.<br />

A quel punto da Firenze, allora capitale, si volle dare un segnale forte e nel settembre<br />

1868 la provincia di Ravenna fu affidata nelle mani del generale Carlo Escoffier che vi<br />

andò per esercitarvi poteri civili e militari. L’alto ufficiale aveva alle spalle una brillante<br />

carriera. Era nato nel 1826 a Nizza Marittima quando la città faceva parte del regno di<br />

Sardegna, sottotenente nel 1846, partecipò a tutte le guerre d’indipendenza e alla<br />

spedizione in Crimea. Meritò la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia e la<br />

medaglia d’argento al valor militare. Colonnello nel 1861, direttore della <strong>Scuola</strong><br />

d’applicazione di Stato Maggiore, a soli 40 anni maggiore generale, incaricato del<br />

comando della brigata Forlì.<br />

Già altre volte un militare aveva occupato un posto di prefetto ed era recente<br />

l’esempio del generale La Marmora a Napoli. Certamente, la scelta rimaneva anomala e<br />

Raimondo Maccia polemizzando sui generali-prefetti affermò con forza che così «venne<br />

recata villania all’intero corpo dell’amministrazione provinciale, equivalendo ciò al<br />

proclamare che niun prefetto dell’ordine civile vi abbia capace di amministrare perbene<br />

una frazione di paese, teatro di fatti deplorabilissimi. Da banda i generali-prefetti. Soldati<br />

e generali al loro posto. E gli uomini politici, gli avvocati e i magistrati al loro».<br />

46


Ho detto che il movente del delitto commesso dall’ispettore Cattaneo era un<br />

trasferimento non desiderato. Certamente esso aveva carattere punitivo ma per che cosa?<br />

Inadeguatezza ai compiti affidati, scarso spirito collaborativo, relazioni private poco<br />

commendevoli? Qualcuno affermò che il prefetto-generale s’era mostrato eccessivamente<br />

severo verso i dipendenti tanto da provocare risentimenti e odi. Si vociferò persino che la<br />

notte dopo l’omicidio in casa di un delegato di polizia si ballò per festeggiare<br />

l’avvenimento!<br />

Nessuno era stato testimone diretto del delitto. Cattaneo riferì che quando il prefetto<br />

gli comunicò l’ordine ministeriale di trasferimento egli rispose che non sarebbe partito. Il<br />

generale replicò che l’avrebbe allontanato con la forza e allora l’ispettore diede del<br />

“buffone” al prefetto. Escoffier indignato mostrò di volerlo schiaffeggiare e Cattaneo a<br />

quel punto estrasse la pistola e sparò. Esatta o meno questa versione dei fatti, l’assassino,<br />

consapevole della enormità della propria colpa, uscito dal palazzo della prefettura si recò<br />

direttamente al carcere per costituirsi. Al processo fu difeso dall’avv. Tommaso Villa,<br />

destinato a un’importante carriera anche politica. La condanna fu a venti anni di carcere e<br />

Cattaneo morì in prigione. In questa triste <strong>storia</strong> forse è il particolare che segna la<br />

differenza tra ieri e oggi.<br />

Il governo presieduto da Lanza, che era anche ministro dell’Interno, decise di mandare<br />

al posto di Escoffier un altro generale, Carlo Felice Nicolis di Robilant, per dimostrare<br />

evidentemente la sua risolutezza. Anche il nuovo prescelto era certamente un uomo di<br />

qualità, tanto da diventare in seguito ambasciatore a Vienna e ministro degli Esteri. Poi,<br />

dopo qualche mese, si tornò alla normalità con la nomina di Andrea Calenda di Tavani,<br />

originario di Nocera Inferiore, prefetto di carriera entrato in amministrazione sotto il<br />

governo borbonico.<br />

È curioso che Lanza abbia scelto proprio Calenda di Tavani. In un libro di ricordi<br />

quest’ultimo narrò un episodio avvenuto anni prima a Torino: il funzionario, già prefetto,<br />

aveva scambiato un bacio - a suo dire innocente - con una “totina” venditrice di giornali<br />

all’ingresso del ministero. «Alzando lo sguardo vidi Lanza a capo della scala che si<br />

accingeva a discendere. La giovinetta si divincolò e fuggì, io restai lì intontito, come un<br />

seminarista colto dal vescovo sul colpo, a guardare il ministro che serio, impettito come<br />

se niente avesse visto, scendeva le scale. Passandomi di lato chinò profondamente il capo<br />

al mio saluto, e vidi errare sulle labbra un sogghigno che vorrei qui dire indefinibile, ma in<br />

verità era proprio canzonatorio “Come, sotto gli occhi del ministro?”. Io a capo basso<br />

ascesi le scale mormorando: Oh, bel concetto si formerà egli dei napoletani e di me già<br />

governatore di provincia!»<br />

47


Il funzionario che prese il posto di Cattaneo fu ucciso dalla setta, ma finalmente nel<br />

1871 le indagini condotte dal nuovo dirigente della polizia Serafini portarono a sgominare<br />

la banda criminale degli accoltellatori, con molti arresti e undici condanne al carcere a<br />

vita.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

CILIBRIZZI S., Storia parlamentare politica e diplomatica d’Italia, Milano 1925<br />

COMANDINI A. – MONTI A., L’Italia nei cento anni del secolo XIX, vol. 4° 1861-1870<br />

Dizionario del risorgimento nazionale, vol. 3°, Milano 1933<br />

Enciclopedia biografia e bibliografica italiana. I combattenti, Milano 1943<br />

Enciclopedia militare, vol. 3°, Milano 1929<br />

MACCIA R., I generali-prefetti, Torino 1868<br />

MISSORI M., Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del regno d’Italia,<br />

Roma 1989<br />

PASOLINI G., Memorie, vol. II, Torino 1915<br />

ROGIER F. L., La Regia Accademia militare di Torino, Torino 1916<br />

ROMANELLI R., Il comando impossibile, Bologna 1988<br />

RONCHI F., La vita travagliata del terzo ministero Menabrea, in “Rassegna storica del<br />

Risorgimento” aprile-giugno 1986<br />

48


Rodolfo D’Afflitto<br />

da Notiziario Anfaci, anno III n. 3, novembre 1991<br />

49


Quando Rodolfo D’Afflitto morì, un contemporaneo disse che si era «logorato in<br />

misere lotte municipali». Questo è sicuramente vero ma è solo una parte della verità.<br />

Era nato nel 1809 ad Ariano di Puglia, oggi Ariano Irpino, da Pantaleone dei marchesi<br />

di Montefalcone e da Luisa D’Evoli dei duchi di Castropignano. A venticinque anni,<br />

completati gli studi giuridici, entrò <strong>nella</strong> Consulta di Stato come relatore. Fu poi<br />

Sottointendente a Cefalù e Bovino. Quando, dopo il 1848, si scatenò la reazione<br />

borbonica contro i liberali, anche D’Afflitto che pure non era un rivoluzionario ne patì le<br />

conseguenze, ebbe troncata la carriera e dovette risiedere a Foggia in una sorta di<br />

soggiorno obbligato. Tornato a Napoli, cominciò a frequentare il Comitato dell’Ordine<br />

nel quale l’alta borghesia e il patriziato liberale sostenevano le posizioni di Cavour,<br />

temendo l’estremismo mazziniano e garibaldino.<br />

Nell’ottobre 1859, in un sussulto della repressione borbonica, D’Afflitto fu arrestato<br />

ma presto rilasciato. Costituitosi a Napoli il governo costituzionale di Antonio Spinelli, fu<br />

nominato Consultore di Stato e chiamato <strong>nella</strong> commissione che doveva elaborare la<br />

nuova legge elettorale. Nell’epilogo del regno di Francesco II avvennero fatti incredibili. Il<br />

prefetto di polizia Liborio Romano smantellò il vecchio apparato e affidò ai capi della<br />

camorra il compito di mantenere l’ordine. Quasi alla luce del sole emissari piemontesi<br />

sbarcavano armi e munizioni in quello che, almeno sulla carta, era ancora uno stato<br />

indipendente e sovrano. In una caserma, ufficiali discussero con D’Afflitto e altri su un<br />

eventuale pronunciamento militare. Tutti temevano tutti. Ha scritto Raffaele De Cesare:<br />

«I reazionari temevano i liberali; i liberali i reazionari; gli unitari cavouriani temevano i<br />

garibaldini e i mazziniani; questi, come quelli; i militari temevano i borghesi, e questi i<br />

militari; e il governo temeva tutti, senza essere temuto da alcuno».<br />

Quando Garibaldi arrivò a Napoli, in treno e senza scorta, nominò un ministero nel<br />

quale D’Afflitto fu incaricato dei Lavori pubblici. Poi, col Luogotenente Farini passò agli<br />

Interni, mentre Napoli viveva il traumatico passaggio da capitale a capoluogo di provincia.<br />

D’Afflitto fu tra gli esponenti politici meridionali più legati e fedeli alla politica di<br />

Cavour. Nel gennaio 1861 fu eletto deputato di Bovino ma rinunziò in quanto nominato<br />

senatore per la 21ª categoria, quella di chi pagava da almeno tre anni più di 3.000 lire di<br />

imposte dirette. Da poco più di un centinaio, quanti erano nel 1848, i senatori erano<br />

aumentati a 270. Si erano anche laicizzati poiché i vescovi-senatori, in segno di protesta<br />

per l’attacco portato allo Stato pontificio, non partecipavano più ai lavori. Erano entrati<br />

nel consesso i lombardi tra cui Alessandro Manzoni, gli emiliani, i toscani, i marchigiani,<br />

gli umbri, i meridionali. Presidente era stato eletto il siciliano Ruggero Settimo. Negli<br />

anni successivi D’Afflitto fu più volte vicepresidente del Senato.<br />

50


Nell’aprile 1861 il governo lo nominò prefetto di Napoli ma già alla fine di luglio egli<br />

si dimise, a causa di contrasti col generale Cialdini, Luogotenente del re. In quei mesi<br />

avvennero i primi scioperi e manifestazioni di matrice operaia. Spesso le invettive contro<br />

le autorità e la forza pubblica si mescolavano alle invocazioni a Garibaldi. Il 7 luglio 1861<br />

la polizia arrestò ottanta scioperanti e li spedì a Ponza tacciandoli di camorristi, ma dopo<br />

qualche settimana essi furono rilasciati per intervento della magistratura.<br />

Nel novembre 1861 D’Afflitto andò prefetto a Genova (intanto aveva sposato una<br />

vedova, Giulia Pandola). Nel capoluogo ligure rimase poco più di un anno sino al gennaio<br />

1863. Visse da vicino la crisi di Aspromonte poiché Genova era punto di ritrovo per i<br />

volontari garibaldini. Il 9 agosto 1862 egli preannunziò telegraficamente al ministro<br />

Rattazzi una manifestazione pro-Garibaldi e da Torino ricevette queste istruzioni: «In<br />

questi momenti non si può tollerare alcuna dimostrazione: la impedisca valendosi della<br />

legge anche prima che si renda minacciosa». La truppa disperse la folla in piazza Carlo<br />

Felice, dopo le rituali intimazioni. Qualche giorno dopo fu disposto lo scioglimento delle<br />

associazioni “Emancipatrice”, “Unitaria” e “Consociazione Operai”. Il prefetto ordinò<br />

anche attenta sorveglianza <strong>nella</strong> zona di Sestri Ponente dove era stato segnalato Mazzini.<br />

Negli ultimi giorni di agosto, quando la crisi raggiunse il suo acme, Rattazzi impartì ordini<br />

perentori a D’Afflitto: «Mi vo tosto a concertare col Ministro della Guerra per<br />

l’immediato invio di maggior forza. Non esiti ad ordinare l’arresto di tutti i provocatori,<br />

non esclusi i deputati.»<br />

Lasciata Genova, dal gennaio 1863 all’ottobre 1864 D’Afflitto fu per la seconda volta<br />

prefetto di Napoli. Le provincie meridionali uscivano dallo stato d’assedio, durato da<br />

agosto a novembre 1862. In quei mesi le autorità civili erano state di fatto esautorate e il<br />

generale La Marmora aveva concentrato in sé un potere enorme, essendo insieme<br />

comandante militare e prefetto di Napoli. Con non poca fatica il ministro Peruzzi e<br />

Spaventa Segretario generale del ministero dell’Interno riuscirono, con la nomina di<br />

D’Afflitto, a ottenere la separazione dei poteri civili da quelli militari. Si comprendono le<br />

ragioni del contrasto considerando anche la forte personalità e l’origine regionale dei<br />

protagonisti. Spaventa aveva allontanato dal ministero, col consenso del toscano Peruzzi,<br />

molti funzionari piemontesi che definiva “camorra subalpina”, sostituendoli con elementi<br />

meridionali o di altre regioni. La Marmora privatamente scriveva: «È incredibile il lavoro<br />

che fa la truppa e quel canaglia di Spaventa cerca ogni mezzo per rubarci il merito e<br />

denigrare me». D’Afflitto scrivendo a Spaventa si vantava che la “camorra militare” era<br />

isolata. Ha scritto lo storico Molfese «I prefetti delle provincie meridionali, con il<br />

D’Afflitto alla testa, rivendicavano maggiori se non addirittura esclusive responsabilità<br />

51


<strong>nella</strong> persecuzione del “piccolo brigantaggio” <strong>nella</strong> quale, effettivamente, prevaleva<br />

l’azione poliziesca e amministrativa. La Marmora, per parte sua, non tollerava ingerenze.»<br />

Si può immaginare cosa poté accadere a Napoli e nel Mezzogiorno perché i poteri,<br />

praticamente illimitati, concessi <strong>nella</strong> lotta al brigantaggio furono talvolta usati contro<br />

avversari politici e personali. Tutti arrestavano tutti. In quel gioco al massacro finirono in<br />

carcere, tra gli altri, 34 sindaci, 61 magistrati e 80 ufficiali della guardia nazionale. Anche<br />

chi veniva prosciolto nei processi rimaneva a disposizione dell’autorità politica e poteva<br />

subire provvedimenti amministrativi. Presto furono migliaia le persone al domicilio coatto<br />

nelle isole per decisione di commissioni provinciali presiedute dai prefetti. A Napoli<br />

furono colpiti anche giornalisti «perché colla stampa tenevano agitato il paese e quindi<br />

indirettamente cooperavano al brigantaggio». Il governo considerò la possibilità di<br />

deportare gli indesiderabili in Oceania e fu approntata una nave destinata a portarsi nei<br />

mari dell’Australia per studiarvi l’impianto di una colonia penale.<br />

D’Afflitto per suo conto s’interessò del progetto per rapire l’ex-re Francesco II e<br />

infiltrare nello Stato pontificio bande di filo-italiani da contrapporre a quelle filoborboniche<br />

(una sorta di controguerriglia). E non stupisca ciò, tenuto conto che agenti<br />

pagati dal governo italiano avevano gettato bombe nei ritrovi degli esuli napoletani a<br />

Roma. D’Afflitto oltre che di briganti, borbonici, murattiani, mazziniani, aveva da<br />

combattere anche i garibaldini. Scrisse nel dicembre 1863 al ministro Peruzzi, a proposito<br />

dell’ennesima candidatura elettorale di Garibaldi, vera ossessione per i prefetti del tempo:<br />

«Intendo al pari di lei che quanto più invincibile è la difficoltà di escludere Garibaldi dalla<br />

rielezione, altrettanto più splendido sarebbe il riuscirvi. Io non confido ma neppure<br />

dispero e credo superfluo di assicurarla che non perdonerò a cuore e a fatiche per<br />

raggiungere l’intento. Le liste elettorali politiche del collegio di Garibaldi non sono state<br />

per anco esaminate. Sono pienamente d’accordo per rettificare quelle liste come<br />

conviene. Per la elezione manovrerò come meglio potrò.» In un’altra occasione affermò:<br />

«Il nostro partito non ha un’organizzazione propria, come tutti i partiti governativi i quali<br />

riconoscono che la loro organizzazione risiede nel governo stesso.»<br />

Nel settore degli scioperi, il biennio 1863-64 fu agitato per i lavoratori del telegrafo,<br />

del lotto, delle ferrovie, persino delle carrozze di piazza. Nell’agosto 1863 i bersaglieri<br />

repressero nel sangue una protesta operaia a Pietrarsa, con nove morti e decine di feriti.<br />

In settembre, lo sciopero dei lavoratori addetti alla costruzione del gasometro si risolse<br />

pacificamente per l’intelligente opera di mediazione svolta da un delegato di pubblica<br />

sicurezza. In ottobre, l’autorità di polizia reagì alla protesta dei raffinatori di pelli<br />

sciogliendo la società operaia ed arrestando una ventina di aderenti.<br />

52


L’indispensabile epurazione nelle file inquinate della pubblica sicurezza fu condotta dal<br />

questore Nicola Amore, poi deputato, direttore della pubblica sicurezza, sindaco di<br />

Napoli, senatore oltre che famoso avvocato. Più di 400 tra funzionari e agenti, sospettati<br />

di collusione con la camorra o camorristi essi stessi, furono mandati al domicilio coatto a<br />

Fenestrelle.<br />

Quando nel settembre 1864 il generale La Marmora divenne Presidente del Consiglio,<br />

arrivò la sua vendetta con la rimozione di D’Afflitto dalla Prefettura di Napoli. In seguito<br />

saltò anche la nomina per la sede di Torino.<br />

Entrato nel Consiglio Comunale partenopeo, D’Afflitto fu eletto assessore ma non<br />

riuscì a ottenere dal governo la nomina a sindaco. Da luglio a dicembre 1866 fu<br />

Commissario del re a Treviso, una delle provincie annesse a seguito della 3ª guerra<br />

d’indipendenza. Nell’ottobre 1869 D’Afflitto per la terza volta, caso più unico che raro,<br />

fu destinato alla prefettura di Napoli. Vi rimase sino alla morte in un crescendo di<br />

contrasti e lotte che minarono irrimediabilmente la sua salute.<br />

All’epoca il controllo sulle deliberazioni comunali competeva alla Deputazione<br />

Provinciale, che era un organo elettivo ma presieduto dal prefetto. D’Afflitto spesso si<br />

trovò messo in minoranza dai suoi irriducibili avversari soprattutto “nicoterini”, quelli<br />

cioè che facevano capo a Giovanni Nicotera. Il suffragio amministrativo era più esteso di<br />

quello politico poiché era più basso il censo richiesto e se a ciò si aggiunge l’alto numero<br />

dei consiglieri comunali assegnati, si comprende bene quanto fosse complicato anche per<br />

D’Afflitto influire con efficacia sulla formazione del consenso e delle maggioranze. Più in<br />

generale, una delle ragioni dell’insoddisfacente funzionamento delle amministrazioni<br />

locali era nel difetto della legge che, come scrisse Cesare Bardesono di Rigras all’epoca<br />

prefetto di Bologna, «dà la stessa organizzazione e attribuisce gli stessi pesi alle grandi<br />

città come Napoli e Torino e agl’infimi villaggi delle Alpi e dell’Appennino». Da ciò la<br />

spinta a studiare leggi speciali meglio confacenti alle realtà particolari e proprio Napoli<br />

può essere portata ad esempio di questo assunto.<br />

Giovanni Lanza, Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno, sapeva bene quanto<br />

fosse arduo il compito affidato al prefetto di Napoli e lo incoraggiò con queste parole:<br />

«Napoli e la sua provincia ha più di ogni altra parte del regno bisogno di tutte le cure del<br />

Governo per ricostituire e rafforzare il partito nazionale monarchico costituzionale<br />

attirando al suo grembo tutti gli uomini francamente liberali ed amici dell’ordine, onde<br />

potere con successo combattere i partiti estremi ed extra legali. Mi rimetto interamente<br />

<strong>nella</strong> sua accortezza e prudenza». Già qualche mese dopo D’Afflitto, lamentando che il<br />

governo non gli dimostrava “intera fiducia ed appoggio ampio e sincero” chiese di poter<br />

53


lasciare l’incarico. Non fu accontentato né allora né dopo, forse perché mancavano<br />

alternative.<br />

Molti erano i motivi di turbamento della realtà napoletana. Con grande scandalo il<br />

conte Giuseppe Ricciardi organizzò nel 1869 un anticoncilio durante lo svolgimento di<br />

quello vaticano. «Presero parte frammassoni, miscredenti, repubblicani, emigrati romani<br />

e teste sconclusionate in politica e in religione. L’Anticoncilio, presieduto dallo stesso<br />

conte, finì alla seconda seduta, essendo stato proibito dall’autorità politica, la quale notò<br />

come dal campo filosofico si era subito scivolati in quello delle questioni socialistiche e<br />

politiche e si erano fatti voti per la distruzione del presente ordine di cose». Questo il<br />

racconto di Raffaele De Cesare.<br />

Nella penisola sorrentina e <strong>nella</strong> zona vesuviana persistevano strascichi di brigantaggio.<br />

A Boscotrecase nel giugno 1870 fu assassinato un vicebrigadiere dei Carabinieri. Più tardi<br />

il famigerato capobanda Pilone, al secolo Antonio Cozzolino, fu ucciso da una guardia di<br />

pubblica sicurezza nei pressi dell’orto botanico di Napoli e le giocate al lotto portarono tre<br />

milioni di vincite.<br />

Nei confronti del movimento internazionalista D’Afflitto non usò mezze misure,<br />

ricorrendo anche ad infiltrati e agenti provocatori. Alla fine la sezione napoletana fu<br />

sciolta. Quanto ai repubblicani, vennero duramente represse le manifestazioni<br />

studentesche del maggio 1870, ma in agosto fu mancato il gran colpo dell’arresto del<br />

latitante Mazzini. Questi, diretto a Palermo, s’era imbarcato a Napoli sotto falso nome e<br />

con passaporto inglese. I funzionari di pubblica sicurezza incaricati «non avendolo ben<br />

riconosciuto esitarono e lo lasciarono partire». Rimase il sospetto che a Napoli avessero<br />

volutamente mancato di bloccare Mazzini, che poi fu arrestato senza difficoltà a Palermo e<br />

da lì tradotto <strong>nella</strong> fortezza di Gaeta.<br />

Nei primi cinque mesi del 1870 gli arrestati per reati comuni furono, nell’intera<br />

provincia, oltre duemila; da ciò l’accusa che nel mucchio finissero anche oppositori<br />

politici. Scrissero a Lanza che «a Napoli il prefetto ed il questore arrestano con deplorabile<br />

leggerezza, per non dir peggio, le persone che credono ostili al partito governativo». Il<br />

questore era Vincenzo Colmayer, proveniente dalla magistratura, il quale fu anche<br />

inquisito ma assolto per presunti abusi commessi a danno di giornalisti. Passò questore a<br />

Livorno, sottoprefetto a Pallanza, Viterbo e Sciacca, prefetto a Belluno, Lecce, Catanzaro,<br />

Catania, Venezia, Palermo, Bari, Roma.<br />

Rimanevano insoddisfacenti le condizioni delle forze di polizia. Rilevò anni dopo il<br />

sottoprefetto Pacini, reggente la questura: «Taluni uffici mandano risposte vaghe,<br />

indeterminate, nonché inconcludenti, quando non sono addirittura in contraddizione con<br />

54


le risultanze degli atti. I verbali ed anche i rapporti speciali di alcuni uffizi sembrano<br />

trascritti da un modulo. Nessuna impronta viva, nessuna immagine parlante vi si riscontra<br />

che tragga al vero la fisionomia speciale che ogni fatto ha per se stesso, a causa della<br />

diversità infinità delle circostanze che l’accompagnano. E poi si lamenta che l’autorità<br />

giudiziaria non seconda! E poi si dice che non vuole ammonire!».<br />

Tornando ai problemi più strettamente politici, nell’imminenza delle elezioni<br />

comunali (Sindaco uscente era Guglielmo Capitelli) la stampa di opposizione accusò il<br />

marchese D’Afflitto di non aver pagato una certa tassa di successione e, a sua volta, il<br />

prefetto cercò di favorire l’acquisto da parte di persone amiche del giornale “La Patria”,<br />

poi di fare incriminare i responsabili dell’ostile “Roma”. L’opposizione vinse non solo le<br />

elezioni amministrative ma anche quelle politiche del novembre 1870: su 11 collegi<br />

napoletani unico candidato governativo eletto fu Ferdinando Pandola, cognato di<br />

D’Afflitto. Quest’ultimo, rispondendo alle accuse di indebite interferenze e pressioni,<br />

scrisse che «nelle elezioni non ho cercato di aiutare la parte governativa che negli stretti<br />

limiti compatiti dalla legge e dal mio carattere di gentiluomo». A suo dire, il Consiglio<br />

Provinciale era «opificio di reclami ed inchieste. Par proprio che la mia persona più che<br />

ogni altra stimoli i nervi ai signori della Sinistra e debbo confessare che ciò mi lusinga che<br />

io compia abbastanza bene il mio dovere di contrastare loro il terreno il più che si possa».<br />

Nel febbraio 1871 il prefetto chiese a Lanza lo scioglimento del Consiglio Comunale di<br />

Napoli ma ebbe come risposta: «Mi riserbo prendere risoluzioni. Gravità provvedimenti<br />

consigliano maggiori precauzioni». Si oppose, inutilmente, alla concessione di un<br />

importante prestito del Banco di Napoli al Comune e, non sentendosi sufficientemente<br />

sostenuto dal governo, ripresentò le dimissioni. Tra l’altro, continuava a lamentare<br />

l’inadeguatezza del fondo di rappresentanza: «Devo rifondere parecchie migliaia di lire<br />

dalla mia particolare saccoccia». Il reiterare le dimissioni era un espediente per vedersi<br />

confermata la fiducia? Non sappiamo. Certo è che Lanza gli chiedeva sempre di rimanere.<br />

D’Afflitto aveva pochi amici anche nel partito governativo. La Marmora (Luogotenente<br />

del re a Roma dopo l’annessione del 1870) quando Lanza propose il marchese come<br />

prefetto della capitale bocciò subito la candidatura: «Io credo che non faccia bene a<br />

Napoli, prove ne sono le elezioni riuscite pessime perché lui se ne volle mischiare; qui<br />

credo che farebbe peggio». Paolo Onorato Vigliani ministro di Grazia e Giustizia definì<br />

D’Afflitto «soggetto di carattere molto spregevole per la sua insigne falsità». Un<br />

esponente del partito liberale scrisse a Lanza: «È necessario che il marchese D’Afflitto<br />

lasci subito la Prefettura di Napoli, altrimenti qui andranno a succedere guai». Anche le<br />

55


elezioni comunali parziali del luglio 1871 furono vinte dalla Sinistra che conquistò tutti i<br />

26 seggi in palio.<br />

L’ultima occasione di contrasto politico fu davvero curiosa. La sera del 22 maggio<br />

1872 al teatro San Carlo il sindaco Nolli ordinò la sospensione di uno spettacolo in seguito<br />

alle proteste del pubblico. L’impresario s’oppose e nel battibecco insultò il sindaco.<br />

Questi ordinò di arrestarlo agli agenti di pubblica sicurezza presenti i quali, consultatisi col<br />

questore, si rifiutarono. Il giorno dopo il Consiglio Comunale deplorò la “condotta<br />

inqualificabile dell’autorità di P.S.”. Nolli chiese al prefetto, inutilmente, di adottare<br />

provvedimenti. Il ministro Lanza riconobbe in torto sia l’autorità di polizia che il sindaco e<br />

dette a D’Afflitto parere favorevole all’annullamento della deliberazione del Consiglio. Il<br />

sindaco si dimise per protesta e, alla fine della <strong>storia</strong>, il Consiglio Comunale di Napoli fu<br />

sciolto.<br />

Proprio quando D’Afflitto aveva raggiunto lo scopo che da tempo si prefiggeva venne<br />

la fine. Già il 30 maggio era sofferente tanto da non potere scrivere. Rinnovò la richiesta<br />

di lasciare quella “diabolica prefettura”, amareggiato anche per l’accusa di avere tentato un<br />

accordo elettorale con i clericali. Il 14 luglio Lanza gli comunicò che acconsentiva a<br />

sostituirlo ma gli chiese di rimanere al suo posto ancora qualche giorno. Il 26 luglio 1872<br />

il marchese Rodolfo D’Afflitto morì di un colpo apoplettico a 63 anni. La sera prima era<br />

giunto in prefettura il decreto reale di accettazione delle dimissioni.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

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Le carte di Giovanni Lanza, a cura di C. M. De Vecchi, Torino 1935-1943<br />

Dizionario biografico degli italiani, vol. 31, voce curata da Silvio De Majo, vol. 31, Roma<br />

1985<br />

56


Dizionario del Risorgimento nazionale, vol. 2°, Milano 1930<br />

Enciclopedia biografia e bibliografica italiana. Ministri deputati e senatori dal 1848 al 1922,<br />

vol. 1°, Milano 1940<br />

MISSORI M., Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del regno d’Italia,<br />

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PERLA L., Contributo alla <strong>storia</strong> del Senato del Regno, in “Rassegna storica del<br />

Risorgimento”, 1962 n. 3<br />

Raccolta di scritti pubblicati in memoria di Rodolfo D’Afflitto, Napoli 1872<br />

RAGIONIERI E., Politica e amministrazione <strong>nella</strong> <strong>storia</strong> dell’Italia unita, Roma 1979<br />

ROMANO P. (Paolo Alatri), Silvio Spaventa, Bari 1942<br />

SARTI T., Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890<br />

SCIROCCO A., Governo e paese nel Mezzogiorno <strong>nella</strong> crisi dell’unificazione, Milano 1963<br />

SEPE S., Amministrazione e <strong>storia</strong>, Rimini 1995<br />

57


Rapporti istituzionali tra prefetti<br />

e sottoprefetti nell’Italia liberale<br />

da Rassegna storica del Risorgimento, ottobre/dicembre 2002<br />

59


La legge Rattazzi del 23 ottobre 1859, n. 3702 aveva diviso il regno di Sardegna in<br />

Provincie, Circondari, Mandamenti e Comuni, abbandonando la vecchia ripartizione in<br />

Divisioni amministrative. La legge di unificazione del 20 marzo 1865, n. 2248 - allegato<br />

A, proposta dal Ministro dell’interno Lanza, delineò in maniera nuova lo status dei<br />

Circondari che furono ridotti a semplici circoscrizioni amministrative senza personalità<br />

giuridica, dunque entità di mero decentramento burocratico.<br />

L’art. 7 dell’allegato A stabiliva: In ogni Circondario vi è un Sottoprefetto che compie, sotto<br />

la direzione del Prefetto, le incombenze che gli sono commesse dalle leggi, eseguisce gli ordini del<br />

Prefetto, e provvede nei casi di urgenza riferendone immediatamente al medesimo. I sottoprefetti,<br />

nominati con decreto reale tra i funzionari dell’Amministrazione provinciale del Ministero<br />

dell’interno, appartenevano al ruolo dei Consiglieri di prefettura. Nel Circondario il cui<br />

capoluogo era al tempo stesso capoluogo della Provincia non vi era sottoprefetto, stante la<br />

presenza <strong>nella</strong> sede del prefetto. Lo stesso dicasi per le Provincie non suddivise in<br />

Circondari. In Veneto ed a Mantova, dopo il 1866, rimasero a lungo in funzione i<br />

Distretti, con a capo un Commissario distrettuale.<br />

Le attribuzioni del sottoprefetto consistevano essenzialmente in compiti di istruttoria<br />

ed esecuzione ma non mancavano competenze proprie, quali la presidenza delle<br />

operazioni di leva, 1 la vigilanza sull’andamento dei Comuni e dei corpi morali, la<br />

responsabilità delle carceri 2 , la tutela dell’igiene e della sanità pubblica, 3 altre minori in<br />

materia di occupazioni d’urgenza ed aste pubbliche. Il prefetto poteva delegare al<br />

sottoprefetto altri compiti, quando non era necessario l’intervento di un organo collegiale<br />

deliberativo o consultivo, poiché presso le sottoprefetture non ve ne erano.<br />

I sostenitori dell’aureo principio Si governa da lontano, ma si amministra da vicino<br />

sottolineavano l’utilità di decentrare (o, come si usava dire allora, “discentrare”) l’attività<br />

amministrativa, avvicinando così maggiormente il potere di governo alla periferia. La<br />

migliore conoscenza di uomini e cose, la maggiore facilità di acquisire informazioni sul<br />

1 Significativa la testimonianza di Amedeo Nasalli Rocca sull’esperienza vissuta a<br />

Dorgali in Sardegna (da Memorie di un prefetto, a cura di Carlo Trionfi, Roma 1946, citato in<br />

“Instrumenta”, gennaio/aprile 1999, pp. 366-377).<br />

2 Con R.D. 31 dicembre 1922, n. 1718 l’amministrazione delle carceri fu trasferita al<br />

ministero di Grazia e Giustizia che a sua volta, nel 1932, passò all’Interno gli affari di<br />

culto.<br />

3 Solo nel 1945 fu istituito un Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità pubblica alle<br />

dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri.<br />

60


posto agevolava l’azione dell’esecutivo, limitava gli errori, consentiva una più precisa<br />

valutazione degli interessi e dei bisogni delle comunità locali.<br />

La funzione di organo di collegamento era, però, considerata insufficiente da molti<br />

osservatori. Inoltre, secondo i detrattori, le sottoprefetture gravavano troppo sulle finanze<br />

dello Stato e, nel compiere le funzioni istruttorie finivano per ritardare il disbrigo degli<br />

affari, costringevano insomma le pratiche ad una fermata in più. Era persino dannoso,<br />

sostenevano, conservare uffici che potevano essere in disarmonia con l’organo<br />

sovraordinato, causando intralci e confusione.<br />

Discorso a parte si faceva per i servizi di polizia. Secondo le parole di Gaetano Mosca:<br />

«Il prefetto risponde anche dell’ordine pubblico, ha quindi sotto i suoi poteri la polizia». 4<br />

Nei capoluoghi di provincia operava - presso la prefettura - un Ufficio provinciale di<br />

pubblica sicurezza, nei capoluoghi di circondario - presso la sottoprefettura - un Ufficio<br />

circondariale. Antonio Salandra nelle sue Lezioni di diritto amministrativo affermava che i<br />

sottoprefetti erano «più che altro organi di pubblica sicurezza: non potendo informarsi<br />

delle varie condizioni di una provincia con vasto territorio, si è cercato di rimediare<br />

istituendo questo ufficio; però la necessità che la Prefettura sia coadiuvata nelle funzioni di<br />

pubblica sicurezza da un altro organo non giustifica l’esistenza della Sottoprefettura:<br />

basterebbe tenere a capo di ogni circondario un funzionario di pubblica sicurezza, magari<br />

di alto grado». 5<br />

I compiti assegnati dalla legge a prefetti e sottoprefetti in materia di pubblica sicurezza<br />

generavano discussioni e critiche. «Nessuno negherà al prefetto l’alta cultura giuridica, il<br />

senno politico e la funzione direttiva ed ispettiva; ma via, che possa e debba anche essere<br />

competente <strong>nella</strong> peculiarità degli appiattamenti, per esempio, e in tutte quelle operazioni<br />

che della polizia formano il lato pratico e tecnico, è permesso dubitarne – a meno che non<br />

provenga dal mestiere – ed infatti i migliori prefetti furono appunto quelli che fecero<br />

anche carriera di pubblica sicurezza. Quello che abbiamo detto dei prefetti va, e con<br />

maggiore fondamento attribuito ai sottoprefetti, i più dei quali, già segretari, appena<br />

promossi consiglieri, si trovano investiti della direzione della polizia in un circondario e,<br />

in piena buona fede, credono di poterla sapere più lunga di un delegato che ha fatto il<br />

mestiere per parecchi lustri» 6 .<br />

4 MOSCA G., Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare, Studi storici e sociali, Torino<br />

1884 (ristampato in Scritti politici, Torino 1982, p. 410).<br />

5 SALANDRA A., Lezioni di diritto amministrativo, Roma 1910, p. 529.<br />

6 ALONGI G., L’organizzazione della polizia in Italia, in “Nuova Antologia”, 16 maggio<br />

1897, p. 262.<br />

61


L’importanza dei sottoprefetti veniva esaltata al tempo delle elezioni. Sono note le<br />

testimonianze di Luigi Zini 7 e Gaetano Salvemini 8 , meno quella di Salvatore Barzilai che<br />

alla Camera accusò il sottoprefetto Marchesiello di Frosinone di avere offerto al<br />

magistrato Gui 20.000 lire affinché ritirasse la sua candidatura per favorire l’elezione di<br />

Pinelli, Capo gabinetto di Crispi. 9 Ma accadeva di tutto: «Si è visto nei piccoli paesi far<br />

dipendere la scelta del sindaco e la repressione di abusi nell’amministrazione comunale da<br />

manovre elettorali; si è visto, ancor peggio, mercanteggiare per simili motivi sulle<br />

punizioni colle quali la legge punisce i facinorosi, e farsi, alle volte, sostegno di ribaldi<br />

quell’autorità che non dovrebbe esistere che per il loro spavento e per la punizione dei<br />

loro misfatti». 10<br />

Francesco De Sanctis nel gennaio 1864 scrisse che «I sottoprefetti sono come le unghie<br />

del corpo amministrativo, l’ultima e più trascurata parte: et de minimis non curat praetor». 11<br />

Invece, Depretis sostenne (1882) che «finché non sia mutato tutto il sistema delle<br />

circoscrizioni del regno, il sottoprefetto sarà un organo efficace dell’amministrazione<br />

provinciale». Per Crispi (1888) «fino a che i Comuni non avranno capito quello che sia<br />

autonomia ed indipendenza propria e non abbiano l’istinto di questa indipendenza, è<br />

impossibile che si sopprimano codeste autorità locali».<br />

La pubblicistica coeva è ricca di interventi sul tema. 12 Prevalevano le opinioni negative<br />

sulle sottoprefetture: “ruota per lo meno superflua”, “passacarte”, “inutile organismo”,<br />

“prevaricatore negli affari dei Comuni”. E come non pensare, a sostegno dell’abolizione,<br />

«all’economia notevole di spesa che conseguirebbero lo Stato e le Provincie? ».<br />

7 ZINI L., Dei criteri e dei modi di governo nel Regno d’Italia, Bologna 1876 e Dei criteri e dei<br />

modi di governo della Sinistra nel Regno d’Italia, Bologna 1880.<br />

8 SALVEMINI G., Il ministro della malavita e altri scritti sull’Italia giolittiana, Milano 1962.<br />

9 BARZILAI S., Vita parlamentare, (discorso del 26 novembre 1895), Roma 1912, pp. 214-<br />

215.<br />

10 MOSCA G., Teorica dei governi cit., p. 415.<br />

11 L’articolo fu pubblicato sul giornale dell’Associazione Unitaria Costituzionale (v.<br />

MARENGHI E. M., Sottoprefetti e governo locale intermedio in uno scritto di Francesco De<br />

Sanctis, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1979, pp. 568-579).<br />

12 La soppressione delle sottoprefetture. Riflessioni di un sottoprefetto, Biella, 1866; BALLADORE<br />

C., Prefetture e Sottoprefetture. Considerazioni di un ex Sottoprefetto, Belluno, 1889;<br />

L’Illustrazione Italiana, 28 maggio 1876, p. 486. Anche la stampa locale intervenne nel<br />

dibattito: v. l’articolo Le Sottoprefetture, pubblicato sul periodico alessandrino “Fra<br />

Tranquillo” del 20 novembre 1904.<br />

62


La dottrina moderna non ha mancato, invece, di sottolineare che prefetti e<br />

sottoprefetti furono spesso tutori del pubblico interesse leso da gruppi di potere locali,<br />

difensori dei valori unitari contro le spinte municipalistiche, apportatori di idee liberali in<br />

comunità chiuse ed arretrate. 13<br />

L’odio-amore verso le sottoprefetture lo visse anche il governo fascista che dapprima,<br />

col R.D. 30 dicembre 1923, n. 2839, tese a potenziarne le attribuzioni poi, prevalendo<br />

decisamente la politica di accentramento autoritario, dispose l’abolizione di 94 circondari<br />

di minore importanza (R.D. 21 ottobre 1926, n. 1890) e, subito dopo, di tutte<br />

indistintamente le sottoprefetture (R.D.L. 2 gennaio 1927, n. 1). 14<br />

Dopo questa premessa, vengo a narrare, sulla base di documenti inediti, una vicenda<br />

accaduta nel 1881. Innanzitutto, qualche notizia sui protagonisti: il prefetto Veglio di<br />

Castelletto ed i sottoprefetti Ferrari e Puozzo. Il primo era nato a Cherasco nel 1829.<br />

Avviatosi ad una brillante carriera nell’Amministrazione dell’interno, nell’ottobre 1860<br />

seguì al Sud il re Vittorio Emanuele ed il ministro Farini. Negli anni successivi fu stretto<br />

collaboratore di Peruzzi e Spaventa. 15 A 34 anni 16 fu nominato prefetto della provincia di<br />

Basilicata, all’epoca del grande brigantaggio e dopo la clamorosa vicenda della mancata<br />

costituzione del capobanda Crocco che costò il posto al prefetto Bruni Grimaldi. 17 Rimase<br />

13 CASSESE S., Il prefetto <strong>nella</strong> <strong>storia</strong> amministrativa, in “Rivista trimestrale di diritto<br />

pubblico”, 1983 n. 4; AIMO P., Stato e autonomie locali: il ruolo dei prefetti, in “Passato e<br />

Presente”, 1987 n. 14-15. Per la bibliografia v. FREZZINI L. , Prefetto e Sottoprefetto, in<br />

“Digesto italiano”, vol. XIX, Torino 1909; più recenti GUSTAPANE E., Le fonti per la<br />

storiografia dei prefetti, “Annale ISAP”, n. 1/1993; “Confronti”, luglio-ottobre 1995 n. 4-5,<br />

pp. 34-38; Il Ministero dell’Interno e i <strong>Prefetti</strong>, Quaderni della <strong>Scuola</strong> Superiore<br />

dell’Amministrazione dell’Interno, Roma 1998; LUCCHETTI P. A., Tra politica e<br />

amministrazione: l’istituto prefettizio in Italia dall’Unità all’attuazione dell’ordinamento regionale,<br />

in “Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza”, 1° giugno 1999 n. 11.<br />

14 Cfr. PONTA P. G., Circondario e Sottoprefettura: <strong>storia</strong>, funzioni e prospettive, <strong>Scuola</strong><br />

Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, a. a. 1989-90.<br />

15 Cfr. DE CESARE R., La fine di un Regno, II, ed. Roma 1975, p. 374; ROMANO P.,<br />

Silvio Spaventa, Bari, 1942, p. 112.<br />

16 Altri personaggi divennero prefetti in età ancor più giovane di Veglio: Rudinì a 27 anni,<br />

Cesare Bardesono a 28, Andrea Calenda di Tavani a 30. Nel Novecento fu la volta di<br />

Marcello Vaccari a 29 anni, Agostino Podestà a 31, Giovanni Battista Marziali a 32.<br />

17 D’URSO D., 1863: la lotta al brigantaggio in Basilicata, in “Nuova Antologia” aprilegiugno<br />

2000, n. 2214, pp. 258-268. Comandante delle truppe incaricate della repressione<br />

era il generale Paolo Franzini Tibaldeo, che aveva sposato Luisa Veglio cugina del prefetto.<br />

63


a Potenza quattro anni, dimostrando attivismo in molti campi, anche se non mancarono le<br />

critiche: «Manda ordini sopra ordini ai sindaci che trovandoli il più delle volte inattuabili<br />

non ne fanno caso e così i cittadini si abituano a non dare retta al governo». 18 Ebbe il<br />

merito di ottenere da Torino lo stanziamento di forti somme per opere stradali.<br />

Successive sedi di servizio di Veglio furono Bari, Parma e Brescia. Dall’aprile 1876 era<br />

prefetto di Alessandria e si distinse in occasione della disastrosa alluvione del maggio<br />

1879, meritando la medaglia d'argento al valor civile. 19 Agì con prudenza ed accortezza in<br />

occasione del viaggio di Garibaldi al paese di Francesca Armosino 20 . Si fece anche<br />

benemerito promotore della raccolta dei beni storici costituenti il primo nucleo del museo<br />

di Alessandria.<br />

Bernardo Carlo Ferrari (1837-1928), originario di Sanremo, al tempo della<br />

Luogotenenza delle provincie napoletane fu collaboratore di Nigra, Ponza di San Martino<br />

e Cantelli. Prestò servizio come Consigliere di prefettura a Cosenza, Ancona, Ascoli<br />

Piceno, Aquila, Girgenti, Bergamo e Verona. Dopo essere stato sottoprefetto ad Ariano di<br />

Puglia, dal settembre 1878 ricopriva analogo incarico a Casale Monferrato. Allorché<br />

l’anno dopo il Ministero dell’interno dispose il suo trasferimento a Lecco, Ferrari obiettò<br />

che ciò «equivaleva a cambiare un Circondario di 150 mila abitanti con uno di 120, una<br />

città con un paese. Nessuno avrebbe ammesso che Lecco equivaleva alla antica sede dei<br />

duchi del Monferrato e d’una Corte d’Appello. Il disdecoro era manifesto». 21 Ferrari<br />

riuscì ad evitare il trasferimento ed a Lecco andò solo temporaneamente in missione.<br />

Il prefetto Veglio lo giudicava «troppo ambizioso, poco prudente e sincero, troppo<br />

legato alle persone che potevano aiutarlo <strong>nella</strong> carriera». In più occasioni criticò il suo<br />

operato sino ad invitarlo a «leggere più attentamente le carte dirette alla Prefettura prima<br />

di farne la trasmissione». Ed ogni volta Ferrari accettava di malagrazia i rilievi: «Noi siamo<br />

sempre Sottoprefetti, e i <strong>Prefetti</strong> sono sempre al disopra di noi, che vuol dire nostri<br />

superiori (…) Tutti sanno che io sono studioso di leggi e di regolamenti, tanto che un<br />

prefetto poeta, il comm. Bosi, ebbe a definirmi, non di lai, ma… trovator d’articoli maestro».<br />

Angelo Puozzo era sottoprefetto di Tortona dal maggio 1880. Nato cinquant’anni<br />

prima a San Siro, nel Padovano, aveva sin lì percorso una carriera non esaltante.<br />

18 Lettera di Francesco Spinola a Giuseppe Massari, citata in GRECO L., Piemontisi<br />

briganti e maccaroni, Napoli 1975, p. 236.<br />

19 Archivio di Stato di Alessandria, fondo Ascal, serie IV, b. 3719, deliberazione Giunta<br />

Municipale di Alessandria del 4 aprile 1880.<br />

20 D’ URSO D., Un viaggio al paese di Francesca, in “Camicia Rossa”, febbraio-aprile 1998.<br />

21 Archivio di Stato di Alessandria, fondo Gabinetto Prefettura, bb. 7 e 18.<br />

64


Nell’amministrazione del Lombardo Veneto era stato addetto al Commissariato<br />

distrettuale di Padova, poi alla Delegazione provinciale di Treviso. Aveva successivamente<br />

prestato servizio a Lendinara e Conselice, ancora negli anni del governo austriaco. Passato<br />

nei ruoli del regno d’Italia, aveva iniziato la trafila dei trasferimenti, da Teramo a Revere,<br />

da Avellino a Cento, da Casalmaggiore a Tortona.<br />

Ed ora i fatti.<br />

Le relazioni dell’Italia con la Francia si erano guastate <strong>nella</strong> primavera del 1881 quando<br />

la Tunisia era divenuta di fatto un protettorato francese. Le deluse ambizioni nostrane su<br />

quel territorio provocarono uno stato di altissima tensione. Quando, in giugno, a<br />

Marsiglia si arrivò ad atti di violenza a danno di italiani, l’orgoglio nazionale ferito provocò<br />

accese dimostrazioni in molte città. Il governo Depretis, temendo complicazioni<br />

internazionali, emanò ordini severi perché non fosse turbato l’ordine pubblico.<br />

«Il Ministero ha già invitato i signori <strong>Prefetti</strong> a studiare modo di metter fine senza<br />

altro alle pericolose dimostrazioni che da qualche tempo agitano il paese, le istruzioni date<br />

furono categoriche e certo i signori <strong>Prefetti</strong> le hanno notificate ai loro dipendenti<br />

ispirandosi agli interessi del Governo e alla gravità della situazione. La maggior parte dei<br />

capi di Provincia hanno corrisposto alle viste del Ministero procedendo con fermezza e<br />

senza esitazione informando la loro condotta alla stretta osservanza delle leggi senza inutili<br />

rigori e rispettando la convenienza dei modi che gli agenti della forza pubblica non devono<br />

mai scordare. In diverse località tuttavia avvennero inconvenienti perché gli ordini del<br />

Ministero non vennero eseguiti, perché invece di sciogliere le dimostrazioni al momento<br />

stesso che si venivano formando aspettarono che si facessero numerose, che scorressero le<br />

città, intervenendo sol quando l’ordine pubblico e la pace cittadina era turbata.<br />

Il Ministero intende fermamente che si faccia cessare questa agitazione in qualunque<br />

punto della Provincia, che la S.V. adoperi a tale scopo tutta la sua influenza e quella dei<br />

Sindaci ove convenga che si rischiari e si illumini l’opinione pubblica a mezzo della stampa<br />

o come sarà più opportuno, che appena si abbia indizio di dimostrazione l’autorità<br />

intervenga, faccia le intimazioni legali di sciogliere a secondo articolo 29 della legge di<br />

P.S., che si segnalino tutti i funzionari di qualunque grado siano e tutti gli agenti che in<br />

qualunque modo si scostassero dall’adempimento del loro dovere per le necessarie misure<br />

di repressione.» 22<br />

Il 23 giugno 1881 si svolse a Casale Monferrato una manifestazione per i fatti di<br />

Marsiglia. Riferì il sottoprefetto Ferrari:<br />

22 Salva diversa indicazione i documenti riprodotti sono in Archivio di Stato di Alessandria,<br />

fondo Gabinetto Prefettura, b. 64.<br />

65


«La dimostrazione patriottica fu qui altrettanto imponente quanto ordinata e dignitosa.<br />

Verso le ore 9, dopo la suonata d’introduzione di questo concerto musicale <strong>nella</strong> maggior<br />

piazza, fu chiesta la Marcia Reale ed accolta con battimani, viva frenetici, sventolare di<br />

fazzoletti e di cappelli. Ripetuta quindi la marcia ed alternata con altri inni patriottici, la<br />

folla che era andata ognor più crescendo, mosse al Municipio e di lì a questa<br />

Sottoprefettura dove, fatta issare la bandiera a richiesta generale, non avendo stimato<br />

conveniente non assecondare un tale innocente desiderio, rivolsi le seguenti parole state<br />

calorosamente applaudite.»<br />

La breve orazione di Ferrari inneggiò al re ad alla dinastia, invitò alla calma e ad avere<br />

fiducia nel governo. La manifestazione popolare si sciolse pacificamente dopo un’ulteriore<br />

sosta dinanzi al Municipio «senza che per un momento solo e per quanto vi fosse<br />

amalgama di persone d’ogni classe e condizione, si trascendesse a grida o parole<br />

incomposte o compromettenti». Così Ferrari concludeva il rapporto al prefetto Veglio:<br />

«Se pure fra le migliaia di voci plaudenti al Re e all’Italia un qualche grido di diversa<br />

specie fosse stato emesso, questo andò perduto e non inteso. In sostanza può dirsi che, più<br />

che una dimostrazione, fu una vera festa alla quale questa popolazione, seria per natura,<br />

prese parte con slancio siccome quella che ne esprimeva i veri sentimenti, e che per<br />

conseguenza offriva la migliore delle garanzie contro intemperanze di qualsiasi genere. È<br />

soverchio aggiungere che ad ogni modo erano state prese le occorrenti misure, tenendo ad<br />

ogni buon fine consegnata anche una compagnia di truppa, e che tanto io, come gli ufficiali<br />

di p. s. e gli agenti della forza pubblica fummo in ogni punto per esser pronti a quei<br />

provvedimenti ed azione che fossero del caso.»<br />

Il prefetto rispose: «Sebbene io abbia rilevato con piacere come la dimostrazione<br />

ch’ebbe luogo in codesta città non sia stata seguita da disordini, pure avrei desiderato che<br />

la S.V. si fosse adoperato per evitarla, giuste le istruzioni impartite con mia nota del 21<br />

andante. Avendo poi la S. V ., con lodevole precauzione, ritenuto conveniente che fosse<br />

consegnata una compagnia di truppa, avrebbe dovuto darmene avviso con telegramma,<br />

come si deve sempre praticare in simili emergenze».<br />

Veglio doverosamente informò il Ministro dell’interno precisando che «in nessun’altra<br />

città della provincia vennero fatte simili dimostrazioni per protestare contro i fatti di<br />

Marsiglia; ed io ritengo che mercé le date disposizioni non se ne tenterà alcun’altra. Ad<br />

ogni modo, in conformità delle istruzioni impartite dall’E.V. con ripetuti telegrammi, ho<br />

tutto disposto perché all’evenienza non abbiano a accadere disordini».<br />

66


Come una doccia fredda arrivò da Roma questa nota riservata: «Prego la S.V. di far<br />

sentire al Sottoprefetto di Casale che questo Ministero deve disapprovare che le autorità<br />

politiche si prestino ad innalzare la bandiera nazionale sulla domanda dei dimostranti,<br />

costituendo ciò un atto di adesione che assolutamente non deve ripetersi».<br />

Ferrari, prima ancora di venire a conoscenza della disapprovazione ministeriale, aveva<br />

preso l’iniziativa di rispondere a Veglio con una nota stizzita, <strong>nella</strong> quale rivendicava<br />

autonomia decisionale:<br />

«Non posso tacerle come mi abbia recato dispiacere il contesto della di Lei nota,<br />

particolarmente <strong>nella</strong> parte in cui accenna che per quanto l’avvenuta dimostrazione non<br />

fosse seguita da disordini, pure le sarebbe stato desiderabile mi fossi adoperato ad evitarla<br />

giusta la di Lei precedente lettera del 21 and. Anzitutto mi permetto osservare che detta<br />

nota del 21 non mi pervenne che la mattina del giorno 23 stesso, <strong>nella</strong> cui sera accadde la<br />

dimostrazione, e che mancava quindi il tempo sufficiente per trovare e affiatarmi colle<br />

persone sulle quali potessi contare, tanto più che del progetto di tale dimostrazione non si<br />

ebbe il menomo sentore nei giorni precedenti, ed io poi, tenendomi sull’avviso, ero stato<br />

assicurato che qui difficilmente avrebbero trovata eco le dimostrazioni d’altre città.<br />

Tuttavia ricevuta la nota sudd. del 21, e corsa qualche voce della dimostrazione in parola<br />

soltanto nelle prime ore pomeridiane del 23, feci quelle pratiche che eran possibili e che la<br />

circostanza richiedeva perché non avvenisse, e fra l’altro <strong>nella</strong> supposizione che se ne<br />

prendesse occasione dal concerto musicale della sera sulla piazza Carlo Alberto, presi<br />

parola col Municipio onde vedesse se fosse il caso di sospendere il concerto. Mi fu<br />

osservato, e forse non senza fondamento, che il sospendere un trattenimento allora<br />

pressoché unico pei Casalesi, e consacrato da lunga consuetudine, avrebbe forse riuscito<br />

ad un effetto contrario, e che se la dimostrazione doveva farsi, quel divieto insolito non<br />

avrebbe forse fatto che darvi proporzioni più gravi. Allo stato delle cose non mi parve<br />

conveniente assumere la responsabilità di un tale divieto. D’altra parte la di Lei nota del<br />

21 alludeva a dimostrazioni aventi carattere ostile alla Francia ed ai Francesi; e qui, dove<br />

non esiste console francese, né verun suddito di quella nazione, e neppure una iscrizione<br />

in quella lingua, non era possibile che una pura manifestazione d’affetto al Re e alla patria<br />

nostra, come infatti fu. Anzi in questo argomento, siccome tutte le istruzioni anche<br />

successive per lettera o telegramma, persistono ad indicare l’obbligo d’impedire e di<br />

sciogliere le dimostrazioni di carattere antifrancese, così mi è indispensabile conoscere<br />

qual contegno io debba tenere quando al Politeama testé apertosi, od in occasione di<br />

concerti musicali o simili si insista a chiedere la Marcia Reale, e la gente si limiti<br />

unicamente ad ovazioni al Re e all’Italia; al che opponendosi l’autorità potrebbero<br />

67


derivarne più seri imbarazzi. Quanto all’ultima parte della contraddistinta nota riflettente<br />

la consegna della truppa, conosco bensì la disposizione che obbliga riferirne quando si<br />

tratta di chiedere un distaccamento per servizio di p.s., ma ignoro affatto che tale obbligo<br />

sussista quando per semplice misura di precauzione si richieda, o meglio di concordi col<br />

comando militare la consegna di parte della truppa di presidio, nel riflesso che può<br />

occorrere alla autorità di p.s. di recarsi al comando stesso, senza preventivo avviso, per<br />

richiedere sul momento un contingente di truppa per ordine pubblico. Le sarò pertanto<br />

grato se volesse comunicarmi una copia di tale disposizione, affine di prenderne norma pei<br />

casi avvenire.»<br />

Il prefetto prima replicò a mezzo telegrafo («Si attenga a quanto è detto nei miei<br />

telegrammi. Le ripeto l’istruzione di avvertire la Prefettura quando Ella richieda truppa<br />

consegnata»), poi con lettera («Le osservazioni da me fattele sulla dimostrazione vennero<br />

esplicitamente confermate dal Ministero dell’Interno»). Veglio non mancò poi di<br />

informare Roma: «Non appena ricevuto dal S. Prefetto di Casale il rapporto della<br />

dimostrazione colà seguita per i fatti di Marsiglia, gli rivolsi la nota qui unita con la quale<br />

manifestai la convenienza ch’egli si fosse maggiormente adoperato per evitarla. Anziché<br />

acquetarsi alle mie buone ragioni, il sig. S. Prefetto volle insistere per giustificare il suo<br />

operato, dirigendomi la nota che pur mi pregio di rassegnare in copia all’E.V. perché<br />

possa formarsi un giusto concetto del contegno di tale funzionario nei rapporti con<br />

quest’ufficio, su di che ebbi replicatamente a chiamare l’attenzione dell’E.V.» 23<br />

Veglio morì l’anno dopo. 24 Ferrari non solo non venne censurato ma ottenne la<br />

nomina a Consigliere delegato, tappa di avvicinamento alla promozione a Prefetto che<br />

arrivò nel 1891 e lo portò prima a Pesaro, poi a Bari, Perugia, Ascoli Piceno, Chieti,<br />

Bologna e, infine, Venezia.<br />

Vediamo ora cosa accadde a Tortona.<br />

Il 29 giugno 1881 una manifestazione popolare fu contrastata con decisione dalla forza<br />

pubblica, provocando reazioni negative <strong>nella</strong> municipalità e <strong>nella</strong> stampa locale. Scrisse il<br />

Sindaco al prefetto:<br />

«Pochissimi presero parte alla dimostrazione e tutti erano giovanissimi mancanti<br />

d’istruzione ed inesperti né sapevano che cosa volessero. Naturalmente ai pochi gridatori<br />

23 A questo punto seguivano le parole, poi cancellate, senza che i provvedimenti da me invocati<br />

siano stati accolti”.<br />

24 Emilio Veglio di Castelletto fu commemorato in Consiglio provinciale dal senatore<br />

Saracco che parlò di lui come di un “gentiluomo compitissimo” e ne esaltò la “schiettezza<br />

del carattere” e la “prudenza politica”; v. anche “L’Illustrazione Italiana”, 26 marzo 1882, p.<br />

233.<br />

68


si aggiunsero dei curiosi, ciò che dava maggior apparenza alla dimostrazione. In questa<br />

città poi non vi è neppur uno di nazionalità francese, dimodoché quand’anche in alcuni vi<br />

fosse l’idea di fare una dimostrazione antifrancese (ciò che non vi è nemmeno luogo a<br />

credere) nessun conflitto poteva sorgere. L’Autorità politica usò tutta l’energia per<br />

sciogliere l’assembramento, impiegando la poca forza pubblica qui stanziata. Fu questa<br />

misura di precauzione che il sott. è ben lontano dal censurare. Ma è generale opinione nel<br />

paese che la riunione si sarebbe disciolta pacificamente e senza disordine anche non fosse<br />

comparsa la forza pubblica.»<br />

Sul numero del 3 luglio 1881 “L’Asino - giornale bestiale che esce dalla stalla quando<br />

vuole e come vuole”, fece una cronaca a tinte forti. Descrisse così quanto era avvenuto<br />

dopo l’esposizione del tricolore al balcone del Circolo del Commercio:<br />

«Si prese allora la bandiera, si portò sulla piazza del Duomo. Alla vista del glorioso<br />

vessillo tutta la popolazione le si fece d’attorno e tutti, fra gli “Evviva l’Italia” chiesero che<br />

si suonasse la marcia Reale. E venne suonata fra il delirio della popolazione plaudente.<br />

Com’era naturale non bastava che si suonasse una volta sola la marcia reale, per cui venne<br />

tosto chiamata la replica; allora il nostro bravo e troppo zelante ill. sig. S. Prefetto ordinò<br />

tosto che si tenessero in pronto i soldati e che si cessasse dal suonare; ma i Tortonesi sono<br />

abbastanza calmi e prudenti da non aver bisogno che le truppe vengano a mettere ordine.<br />

Invece a complicare le cose giunse la prefata autorità politica col delegato di P.S. e due<br />

carabinieri, che non solo ordinarono che si ritirasse la bandiera e che si sciogliesse<br />

l’assembramento, ma tentarono perfino di strapparla dalle mani dei dimostranti, atto<br />

inconsulto e che a nulla è riuscito. Visto che non si poteva più ottenere la replica della<br />

marcia reale, avendola il sotto-prefetto proibita, la folla fra gli “evviva” si recò sotto il<br />

balcone della sotto-prefettura e chiese ripetutamente che venisse esposta la bandiera. Il<br />

sotto-prefetto, contrariamente a quanto han fatto tutti gli altri sotto-prefetti che si<br />

trovarono <strong>nella</strong> stessa condizione, non volle dare questa soddisfazione al popolo, e questa<br />

fu la causa che irritò il popolo stesso, il quale fischiò il sotto-prefetto. Allora i dimostranti<br />

si diressero verso porta Serravalle ma qual fu la sorpresa vedendosi sbarrata la strada<br />

all’angolo della piazza da un cordone di truppa? Facile sarebbe stato ai dimostranti il<br />

rompere il cordone suddetto, ma sono troppo prudenti i Tortonesi per trascendere a<br />

simili atti per cui nel mentre venivano dalle truppe respinti gridavano viva l’esercito, viva il<br />

Re (…) Giunta la dimostrazione ad un certo punto della via Emilia si sciolse pacificamente<br />

69


mediante la parola influente dei due egregi patrioti generale Ferrari 25 ed avvocato<br />

Romagnoli 26 .<br />

Come si vede, il sottoprefetto Puozzo aveva tenuto a Tortona una condotta ben diversa<br />

dal collega Ferrari a Casale Monferrato. Nonostante ciò, ricevette questo telegramma dal<br />

Prefetto: «Dia immediatamente sue giustificazioni perché a fronte esplicite mie istruzioni<br />

non abbia prevenuto dimostrazione ieri sera e proponga provvedimenti contro chiunque<br />

abbia mancato proprio dovere». Non sappiamo se e a quale cireneo venne addossata la<br />

croce ma queste vicende meritano una considerazione finale.<br />

Lo svolgersi dei fatti e la condotta delle “autorità politiche” locali portava acqua al<br />

mulino di chi voleva l’abolizione delle sottoprefetture. La responsabilità dell’ordine<br />

pubblico era troppo importante e troppo sentita dai prefetti perché lasciassero fare ad<br />

altri. Gli avvenimenti perturbatori, insieme con gli “incidenti” elettorali erano la causa più<br />

frequente di richiami e rimozioni dei funzionari. In questa ottica i sottoprefetti perdevano<br />

ogni autonomia decisionale. Altro che essere valorizzata la loro azione dalla migliore<br />

conoscenza che avevano delle persone e dell’ambiente! Svuotati del potere di iniziativa,<br />

mantenevano solo la responsabilità, parafulmini del superiore di turno.<br />

Curioso poi il destino professionale di Ferrari che, quando era prefetto di Venezia, fu<br />

costretto alle dimissioni da Giolitti perché, in occasione dello sciopero generale del<br />

settembre 1904, esitò ad usare la forza pubblica nelle strade. 27<br />

25 Il generale Antonio Ferrari (1816-1886) - originario di Tortona - aveva combattuto<br />

valorosamente nelle guerre d’indipendenza meritando la medaglia d’oro.<br />

26 Michele Romagnoli nato in Alessandria nel 1826, in gioventù era stato deportato<br />

nell’America del Nord in quanto mazziniano. Nel 1859 combatté nei Cacciatori delle Alpi<br />

e l’anno dopo fu in Sicilia con i garibaldini. Nel 1866 venne eletto deputato di Tortona.<br />

Poi, per un ventennio, ricoprì la carica di Consigliere provinciale. Morì nel 1910.<br />

27 ORSOLINI E., Bernardo Carlo Ferrari, in Dizionario biografico degli italiani, 46, Roma<br />

1996, pp. 526-528. Questo personaggio non è da confondere con Carlo Ferrari (1837-<br />

1910) che fu anch’egli prefetto.<br />

70


Ottavio Lovera di Maria e l’organizzazione della<br />

Pubblica Sicurezza<br />

da Rassegna storica del Risorgimento, luglio/settembre 2002<br />

71


Il padre Federico Costanzo discendeva da un’antichissima famiglia di Cuneo, partecipò<br />

alle campagne del 1815 e 1821, raggiunse il grado di generale, comandò i Carabinieri<br />

Reali dal 1849 al 1867 e fu Senatore del Regno d’Italia. La madre, Ottavia Renaud de<br />

Falicon, apparteneva all’aristocrazia nizzarda. Dal loro matrimonio nacquero Ottavio, che<br />

compì una brillante carriera amministrativa e Giuseppe, che si avviò alla carriera militare e<br />

raggiunse il grado di Vice ammiraglio 1 .<br />

Ottavio Lovera di Maria venne alla luce a Torino il 2 luglio 1833. Studiò presso i<br />

Gesuiti nel collegio del Carmine e, dopo la laurea in legge, il 1° agosto 1853 entrò <strong>nella</strong><br />

carriera superiore amministrativa. Probabilmente, la scelta fu influenzata dal fatto che il<br />

nonno materno era stato un alto funzionario ricoprendo l’incarico di Intendente generale.<br />

Dopo essere stato a Bonneville in Savoia, nel 1855 fu nominato volontario effettivo a<br />

Saluzzo e lo stesso anno passò di ruolo. Svolse poi l’incarico di Sostituto procuratore regio<br />

ad Alessandria e nel 1859 prestò servizio con Farini presso i governi provvisori<br />

dell’Emilia. Il Gabinetto particolare del Governatore era costituito da un gruppo di validi<br />

giovani, che ricoprirono in seguito cariche importanti, politiche (Emilio Visconti Venosta,<br />

Gaspare Finali) o amministrative (Cesare Bardesono 2 , Luigi Sormani Moretti, Agostino<br />

Soragni, tutti futuri prefetti). Nel 1860 Lovera di Maria fu nominato Consigliere di<br />

governo a Cuneo, da dove partì per una importante missione al seguito del re e<br />

dell’esercito entrati negli stati pontifici. 3 Anche allora, chi era prescelto per “missioni<br />

speciali” diventava inevitabilmente oggetto di critiche e Francesco Guglianetti, Segretario<br />

generale del Ministero dell’Interno, si sentì in dovere di segnalare al ministro Farini che<br />

«tali chiamate non sempre sono dettate dall’interesse del servizio pubblico, ma piuttosto<br />

1 Giuseppe Lovera di Maria, ufficiale della marina sarda, ebbe un ruolo di rilievo al tempo<br />

della spedizione garibaldina nel Meridione.<br />

Sulla famiglia v. LOVERA DI CASTIGLIONE C., Indagini storiche e cronologiche sulla<br />

famiglia Lovera di Maria, Cuneo 1914; SPRETI V., Enciclopedia storico nobiliare italiana, vol.<br />

IV, Milano 1931, ad vocem; ZUCCHI M., Famiglie nobili e notabili del Piemonte, vol. II,<br />

Torino 1955, ad vocem.<br />

2 D’URSO D., <strong>Prefetti</strong> di altri tempi, Alessandria 1990.<br />

3 Fra i borghesi, cavalcavano al seguito di Vittorio Emanuele il ministro Farini con uno<br />

strano berretto militare ed Emilio Visconti Venosta incaricato di redigere i proclami.<br />

Seguivano in carrozza due Consiglieri di governo, Ottavio Lovera di Maria ed Emilio Veglio<br />

di Castelletto. Un altro personaggio faceva parte del gruppo: Rosa Vercellana.<br />

72


da simpatie ed interessi particolari», col rischio anche «di guastare ciò che v’ha di buono<br />

ed ordinato in un luogo, per rimediare a disordini altrove lamentati». 4<br />

Dopo la riforma ricasoliana dell’ottobre 1861, Lovera di Maria fu nominato<br />

Sottoprefetto del circondario di Novi. Ricoprì in seguito le funzioni di Caposezione al<br />

ministero e, nel 1864, di Capo di gabinetto del prefetto di Napoli, Paolo Onorato<br />

Vigliani. Nel 1866 venne nuovamente assegnato all’Amministrazione provinciale (allora vi<br />

era distinzione tra i ruoli centrali e quelli periferici) come Sottoprefetto di Salò, dove<br />

meritò il ringraziamento di Garibaldi per gli aiuti prestati ai volontari durante la guerra di<br />

quell’anno.<br />

Il 29 dicembre 1866 contrasse matrimonio con Clementina Cusani dei marchesi di<br />

Sagliano e San Giuliano: aveva 33 anni, la moglie 19. Dall’unione nacquero cinque figli:<br />

Federico, Paola ed Enrico morirono in tenera età, Lydia sposò il conte Paolo Gazzelli ed<br />

Amelia il nobile Ottavio Rolandi Ricci.<br />

Dopo essere stato per sei anni Sottoprefetto a Lodi, nell’ottobre 1873 a quarant’anni<br />

Lovera di Maria fu nominato Prefetto e destinato a Belluno, dove rimase sino al dicembre<br />

1875 quando andò a Catania. Nell’ottobre 1877 nuovo trasferimento, questa volta a<br />

Verona, ma già nel luglio successivo il governo lo spostò ad Ancona. Lì rimase tre anni<br />

sino a quando, avendo rifiutato la sede di Cagliari, fu collocato a disposizione. Richiamato<br />

in servizio, nell'agosto del 1882 fu mandato a Livorno, all’epoca città “calda” e pericolosa<br />

per la carriera prefettizia. V’era infatti una forte ed agitata presenza di garibaldini e<br />

repubblicani specie tra i ceti popolari e non pochi rischi personali correvano coloro che<br />

professavano idee diverse. Le manifestazioni anticlericali avevano toccato punte di vera<br />

criminalità con il lancio di una bomba in cattedrale durante la messa pontificale del nuovo<br />

vescovo e in città si pubblicava un giornale, L’Ateo, che aveva per motto “Dio è il male”.<br />

Era stato fischiato e insultato anche Nicotera, cui evidentemente i livornesi<br />

rimproveravano il tradimento dei vecchi ideali. Persino le rappresentazioni teatrali erano<br />

occasione di disordini e, dopo i fatti di Marsiglia, nel luglio 1881 vi fu un assalto alla sede<br />

del consolato francese. Si arrivò infine al delitto: un giornalista, Giovanni Gino Ferenzona,<br />

autore di articoli apologetici della monarchia e critici verso Garibaldi, fu assassinato in una<br />

4 CRENNA M., Come fare la patria degli italiani? Dal carteggio 1848-1872 di Francesco<br />

Guglianetti, in “Bollettino storico per la provincia di Novara”, 1997 n. 2, p. 566<br />

73


via del centro, dopo che la polizia, impotente a proteggerlo, gli aveva consigliato di<br />

allontanarsi dalla città 5 .<br />

L’opera a Livorno del nuovo prefetto ottenne dei buoni risultati e la situazione<br />

temporaneamente migliorò. Pur mantenendo la titolarità di quella sede, Lovera di Maria<br />

nel dicembre 1883 fu chiamato in missione al Ministero dell’interno. Il Segretario<br />

generale Lovito si era dimesso dopo lo scandaloso episodio del duello con Nicotera e il<br />

direttore dei servizi di pubblica sicurezza Bolis aveva dovuto lasciare l’incarico per motivi<br />

di salute. Lovera di Maria sostituì entrambi i dimissionari. 6<br />

La scelta di un “prefettizio” per i vertici della pubblica sicurezza non era nuova, ma sin<br />

d’allora e fino ai giorni nostri fatti simili sono sempre stati oggetto di critiche e discussioni<br />

anche vivaci. Le due tesi in contrasto sono note: è più adatto a ricoprire il ruolo chi abbia<br />

tatto politico e visione generale delle questioni ovvero un tecnico puro uscito dai ranghi<br />

della polizia? 7 . Nel 1897 Giuseppe Alongi, valente funzionario che avrebbe raggiunto il<br />

grado di questore, affermava senza mezzi termini che <strong>nella</strong> Direzione generale della P. S.<br />

lavoravano persone egregie ma incompetenti, che provenivano ed erano destinate ad altri<br />

incarichi <strong>nella</strong> logica della carriera, cosicché all’incompetenza si accompagnava anche<br />

l’incostanza. «È vero che talvolta tre o quattro funzionari superiori di pubblica sicurezza<br />

furono comandati alla Direzione generale, ma è pur vero che quasi sempre comandati è<br />

sinonimo di tollerati» 8 .<br />

Certamente colpisce che Lovera di Maria, per tutto il tempo che guidò la P.S.,<br />

mantenne la titolarità della sede prefettizia di Livorno, come a sottolineare il carattere di<br />

precarietà e provvisorietà dell’incarico ministeriale.<br />

Altro problema irrisolto (allora non meno di oggi) era quello del coordinamento delle<br />

forze di polizia. Dal punto di vista normativo, tutto appariva definito: il servizio di<br />

pubblica sicurezza dipendeva dal Ministero dell’interno e, subordinatamente, dai prefetti<br />

e dai sottoprefetti ed era eseguito, sotto la loro direzione, dagli ufficiali e dagli agenti di<br />

pubblica sicurezza. Cosa invece avveniva <strong>nella</strong> pratica? «L’azione del centro è sentita più o<br />

meno intensamente dalle sole prefetture, perché le unità inferiori sfuggono agli impulsi<br />

5 Qualche anno dopo a Livorno fu ucciso anche l’ex garibaldino Giuseppe Bandi, pugnalato<br />

a morte dall’anarchico Lucchesi (v. MASINI P. C., Storia degli anarchici italiani nell’epoca<br />

degli attentati, Milano 1981, pp. 52-54).<br />

6<br />

Nel luglio 1884 fu nominato il nuovo Segretario generale titolare, il siciliano Giovanni<br />

Battista Morana.<br />

7<br />

CORSO G., L’ordine pubblico, Bologna 1979, p. 47.<br />

8<br />

ALONGI G., L’organizzazione della polizia in Italia, in “Nuova Antologia”, 16 maggio<br />

1897, p. 253.<br />

74


direttivi, i carabinieri obbediscono ad un loro ordinamento autonomo ed inflessibile e le<br />

polizie municipali … a nessuno». 9 Scrisse Gaetano Mosca: «Non si deve dimenticare che<br />

una delle tante cause della inefficacia della nostra polizia consiste nel dualismo che vi è tra<br />

la polizia propriamente detta e l’arma dei reali Carabinieri, che per molti riguardi<br />

giustifica l’appellativo di benemerita, che le si vuole affibbiare, ma che veramente crediamo<br />

poi disadatta a fare una vera e propria polizia». 10<br />

Qui è necessario aprire una parentesi, per una breve ricostruzione delle vicende<br />

ordinamentali dei servizi di pubblica sicurezza presso il Ministero dell’interno.<br />

La Direzione generale della pubblica sicurezza fu istituita, in via definitiva, solo il 3<br />

luglio 1887 con il R.D. n. 4707, per volontà di Francesco Crispi. Sino ad allora<br />

l’organizzazione degli uffici centrali era stata caratterizzata da continui rivolgimenti. Nel<br />

marzo 1861, alla nascita del Regno d’Italia, presso il Ministero dell’interno a Torino c’era<br />

un’unica divisione, ma già nell’ottobre successivo 11 Ricasoli volle costituire una direzione<br />

generale, con due divisioni, affidandola ad Edoardo Fontana. Cambiato il governo, la<br />

direzione generale venne soppressa nel gennaio 1863 12 e le due divisioni furono poste alle<br />

dipendenze del Segretario generale Silvio Spaventa.<br />

Nell’ottobre 1864 nuovo governo e altro mutamento: ripristinata la Direzione<br />

generale della sicurezza pubblica con le solite due divisioni e il Segretario generale f.f. di<br />

direttore generale. 13 Un’ennesima riforma intervenne nel luglio 1866: istituita una<br />

Direzione superiore della sicurezza pubblica, 14 affidata prima a Nicola Amore, 15 poi a<br />

Giuseppe De Ferrari. Si era pensato così di risolvere il latente conflitto tra Segretario<br />

generale e Direttori generali, riducendo questi ultimi a “Superiori”. Differenza non solo<br />

nominalistica: declassando i Direttori generali si rendeva vana la loro pretesa di stare alla<br />

pari del Segretario generale. Per lenire la loro pena, però, l’appannaggio economico fu<br />

confermato.<br />

9<br />

ALONGI G., L’organizzazione della polizia cit., p. 252.<br />

10<br />

MOSCA G., Sulla teorica dei governi e del governo parlamentare. Studi storici e sociali, Torino<br />

1884 (ed. Torino 1982, a cura di Giorgio Sola, p. 419). Cfr. anche PACIFICI V.,<br />

L’ordinamento dei carabinieri in una relazione inedita del loro primo comandante generale (1887),<br />

in “Clio”, 1992 n. 3, pp. 454-460; HUGHES S. C., Poliziotti, Carabinieri e “Policemens”: il<br />

“bobby” inglese <strong>nella</strong> polizia italiana, in “Le carte e la <strong>storia</strong>” 1996 n. 2, pp. 22-31.<br />

11<br />

R.D. 9 ottobre 1861, n. 255.<br />

12<br />

R.D. 4 gennaio 1863, n. 1194<br />

13<br />

R.D. 30 ottobre 1864, n. 1980.<br />

14<br />

R.D. 17 luglio 1866, n. 3071.<br />

15<br />

Sulla polizia di quegli anni v. LIMONCELLI M., Nicola Amore. Notizie della sua vita e della<br />

sua arte, Roma 1914.<br />

75


Anche questa novità durò poco e la Direzione superiore scomparve nell’aprile 1868 16 .<br />

Gli affari della pubblica sicurezza, come nel 1861, tornarono ad essere trattati da un’unica<br />

divisione, affidata prima al magistrato Francesco Gloria e, successivamente, a Giuseppe<br />

Sensales 17 , Onofrio Galletti 18 , Ferdinando Ramognini, Giuseppe Rossi 19 , Luigi Berti,<br />

ancora Ferdinando Ramognini, Giovanni Bolis. 20<br />

16 R.D. 23 aprile 1868, n. 4551.<br />

17 Su Giuseppe Sensales, Ferdinando Ramognini e Luigi Berti v. D. D’URSO, I direttori<br />

generali della pubblica sicurezza, Alessandria 1994.<br />

18 Onofrio Galletti, nato a Bologna nel 1827, fu ufficiale nei Carabinieri della Repubblica<br />

Romana. Laureato in legge, emigrò nel regno di Sardegna dove esercitò l’avvocatura. Nel<br />

1861 entrò in magistratura, rimanendo in servizio per dodici anni. Era Sostituto<br />

procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma quando, nel dicembre 1873, fu<br />

chiamato a dirigere la divisione di p.s. presso il Ministero dell’Interno. Lasciò l’incarico<br />

nell’aprile 1876 allorché fu nominato prefetto di Cremona. Da lì passò successivamente a<br />

Massa e Carrara, Benevento Arezzo, Chieti, Macerata e Salerno. Nel 1882 fu nominato<br />

Consigliere di Stato. Si candidò alla Camera in un collegio di Cagliari ma non venne eletto.<br />

Morì a Roma nel 1889.<br />

19 Giuseppe Rossi era nato a Marsico Nuovo (Potenza) nel 1825, laureato in legge a<br />

ventuno anni, avvocato. Nel 1860 entrò in servizio come Consigliere di governo, poi fu<br />

Sottoprefetto in diverse sedi del Meridione. Alla fine del 1873 fu chiamato al ministero<br />

dell’Interno per dirigere la divisione della Sanità pubblica, allora incardinata presso il<br />

Segretariato generale. Un anno dopo fu nominato Prefetto e destinato, in successione, ad<br />

Agrigento, Catanzaro e Rovigo, ma non occupò quest’ultima sede perché chiamato in<br />

missione a Palazzo Braschi nell’ottobre 1876, per ricoprire l’incarico di Capo della<br />

divisione di p.s. Morì nel settembre 1877.<br />

20 Giovanni Bolis era nato nel Bergamasco nel 1831 da modesta famiglia. Compiuti gli studi<br />

legali, entrò giovanissimo in magistratura e ricoprì incarichi in Lombardia e Veneto, ancora<br />

facenti parte dell’impero asburgico. Nel 1859 entrò nei ruoli della P.S. del Regno sardo.<br />

Prestò servizio a Lovere, Cremona, Torino. Nel 1862 fu mandato a reggere la questura di<br />

Palermo, all’età di 31 anni. Pare che il suo operato destasse del malcontento, tanto che nel<br />

giugno 1863 si organizzò una dimostrazione contro di lui, vituperato come “austriaco” e<br />

accusato di presunti abusi. Trasferito da Palermo, sino al 1865 fu impegnato contro il<br />

brigantaggio in Campania e Basilicata, poi andò come questore a Bologna, Livorno e, dal<br />

1872, a Roma. Promosso prefetto e destinato a Belluno non raggiunse mai la sede,<br />

mantenendo l’incarico alla questura di Roma. Nel novembre 1879 fu chiamato a dirigere la<br />

divisione di P.S. e - dopo la riforma del 1880 - la direzione di tutti i servizi di pubblica<br />

sicurezza. Sebbene nominato successivamente prefetto di Cremona (aprile 1881) e di<br />

Como (settembre 1882) non si allontanò mai dal ministero. Già come questore s’era<br />

convinto dell’assunto che, per avere la pubblica opinione a favore, bisognava avere la<br />

stampa amica e così aprì a Palazzo Braschi una sala stampa e fece in modo che divenissero<br />

istituzionali i rapporti tra i giornalisti e gli uffici di polizia. Le cronache riferiscono che<br />

l’attività di Bolis era febbrile e spossante A seguito di gravi problemi di salute dovette<br />

76


Per curiosità del lettore, ricordo che nel 1872 l’organico di tutti gli uffici centrali del<br />

Ministero dell’interno comprendeva, complessivamente, solo 222 dipendenti, ripartiti in<br />

impiegati di I, II e III categoria. 21 L’anno dopo erano diminuiti a 204, 22 nel 1876 salirono a<br />

245, 23 l’anno dopo scesero a 223. 24<br />

Nel settembre 1880 altro cambiamento nell’organizzazione ministeriale: gli affari di<br />

polizia furono ripartiti tra un ufficio politico (novità assoluta) e due divisioni, dipendenti<br />

da un prefetto-direttore. Ricoprirono quell’incarico, in successione, Giovanni Bolis sino al<br />

30 dicembre 1883, Ottavio Lovera di Maria sino al 1° novembre 1885, Bartolomeo<br />

Casalis sino al 16 aprile 1887 25 .<br />

Nel novembre 1878 Giovanni Passannante aveva attentato alla vita di Umberto I. Da<br />

ciò derivò un complessivo riesame degli apparati di sicurezza e l’esigenza di creare un<br />

organismo specializzato, che fu l’Ufficio politico - affidato a Francesco Leonardi 26 - che si<br />

lasciare il servizio attivo e morì a Bergamo nel novembre 1884. Scrisse saggi, redasse il<br />

Regolamento delle Guardie di Pubblica Sicurezza della città di Bologna e, nel 1871, un noto libro<br />

intitolato La polizia in Italia e in altri stati d’Europa e le classi pericolose della società, in cui<br />

espresse bene il suo pensiero: «Il termometro più sicuro per giudicare del buon governo di<br />

uno Stato è il grado di sicurezza pubblica e privata che vi godono i cittadini. Se la polizia<br />

non funziona regolarmente, anche gli altri servizi ben presto languiscono. Non può aversi<br />

buona giustizia se non havvi buona polizia; il commercio è malsicuro; la fiducia scompare e<br />

la prosperità nazionale necessariamente declina».<br />

21<br />

R.D. 4 gennaio 1872, n. 650.<br />

22<br />

R.D. 4 dicembre 1873, n. 1744.<br />

23<br />

R.D. 31 dicembre 1876, p. 3617.<br />

24<br />

R.D. 25 giugno 1877, n. 3925.<br />

25<br />

Su Bartolomeo Casalis v. il capitolo a lui dedicato in questo volume.<br />

26<br />

Francesco Leonardi era nato in Trentino nel 1840. Si laureò in legge a Bologna nel 1864<br />

ed esercitò l’avvocatura prima di entrare nell’amministrazione come volontario presso la<br />

questura di Bologna. Nel 1870 entrò in ruolo e dopo vari incarichi, tra cui una missione<br />

straordinaria a Vienna nel 1873, fu promosso sottosegretario di II classe. Anche se<br />

appartenente ai ruolo dell’Amministrazione provinciale, la sua carriera si svolse quasi<br />

sempre al ministero, negli uffici che trattavano gli affari di polizia. Dal 1880, per dieci anni,<br />

diresse il famoso “Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria”,<br />

fondato da Carlo Astengo, vero vademecum per gli operatori di polizia. Dopo essere stato a<br />

lungo a capo dell’Ufficio politico, nel 1893 fu messo a dirigere la divisione della polizia<br />

giudiziaria e amministrativa e cinque anni dopo fu nominato direttore generale, al tempo<br />

del governo Pelloux. Si fece apprezzare per intuito, diligenza e modestia ma anche per una<br />

formidabile memoria, qualità questa che fu anche del più famoso Arturo Bocchini a lungo<br />

Capo della polizia con Mussolini. Nel 1903 Leonardi fu nominato Consigliere di Stato e nel<br />

1911 Senatore. Si meritò la piena fiducia di Giolitti e tenne l’incarico di direttore generale<br />

per tredici anni, sino alla morte avvenuta il 24 febbraio 1911.<br />

77


occupava di affari riservati, prevenzione e repressione dei reati politici, controllo delle<br />

associazioni e della stampa, sorveglianza delle persone sospette e degli stranieri, tutela<br />

dell’ordine pubblico. 27<br />

Delle due divisioni ministeriali quella di polizia giudiziaria e amministrativa era affidata<br />

a Edoardo Mazzucchelli, quella del personale a Michelangelo Tancredi 28 , al quale subentrò<br />

poi Felice Visconti 29 .<br />

Col regio decreto del 3 luglio 1887 n. 4707, come ho già ricordato, Crispi ricostituì (e<br />

dopo di allora non vi furono più ripensamenti) la Direzione generale della pubblica<br />

sicurezza. Egli fece del Ministero dell’interno il punto di forza dell’apparato statale e se in<br />

passato aveva avversato la nascita delle direzioni generali perché preoccupato<br />

dall’aumento della burocrazia e dei costi, ora si era convinto della necessità di ricorrere a<br />

quella struttura, per rendere più efficaci le funzioni governative di direzione e controllo. Il<br />

primo a ricoprire il nuovo incarico di Direttore generale fu Luigi Berti, che anni prima<br />

aveva diretto l’unica divisione allora esistente.<br />

Da questo excursus si rileva che non è facile dire chi sia stato davvero il primo Capo della<br />

polizia in senso stretto, anche se appare abbastanza corretto fare riferimento a Luigi Berti<br />

in relazione all’incarico ricevuto nel 1887, perché solo da allora la Direzione generale<br />

della P.S. ebbe effettivamente continuità.<br />

Nei due anni che Lovera di Maria fu prefetto-direttore dei servizi di polizia, dal 31<br />

dicembre 1883 al 1° novembre 1885, si avvicendarono tre governi con Agostino Depretis<br />

27 Su un aspetto particolare ma importante v. TOSATTI G., L’anagrafe dei sovversivi italiani:<br />

origini e <strong>storia</strong> del casellario politico centrale, in “Le carte e la <strong>storia</strong>”, 1997 n. 2, pp. 133-150.<br />

28 Michelangelo Tancredi, nato a Napoli nel 1822, compì studi letterari, di filosofia e di<br />

architettura, insegnò letteratura, fu paroliere di canzoni e anche segretario del consolato di<br />

Spagna. Fu tra le principali “penne” del foglio teatrale e umoristico “Verità e Bugie” e<br />

condirettore del periodico “Serate di famiglia”. Nel 1857 ideò una beffa leggendaria,<br />

facendo affiggere alle cantonate di Napoli un decreto sovrano, apocrifo, che ripristinava le<br />

libertà costituzionali. Fu assunto nel 1860 per meriti patriottici, poi da Napoli chiamato in<br />

servizio a Torino. Immesso <strong>nella</strong> pianta organica, raggiunse il grado di Capo divisione nel<br />

1881, in seguito ricoprì incarichi di Ispettore generale e Consigliere delegato. Collocato a<br />

riposo nel 1890, morì nel 1914. Nel 1877 aveva pubblicato la raccolta di poesie Vierze<br />

stampate e no stampate, nel 1899 alcune novelle sotto il titolo Baci.<br />

29 Felice Visconti, nato a Palermo nel 1841, aveva studiato lingue, filosofia, scienze<br />

naturali. Anche lui entrò in servizio nel fatale 1860, presso la Segreteria di Stato della<br />

sicurezza pubblica siciliana. Immesso nei ruoli dell’Amministrazione provinciale, lavorò a<br />

Caltagirone prima di essere chiamato al Ministero dell’interno nel 1870, raggiungendo nel<br />

1885 il grado di Capo divisione. Nel 1890 fu nominato Prefetto di Siena dove morì nel<br />

marzo 1893.<br />

78


presidente del Consiglio e ministro dell’interno, 30 mentre Segretario generale era il già<br />

ricordato Morana 31 .<br />

Avvenimenti rilevanti del periodo in cui Lovera di Maria fu ai vertici della pubblica<br />

sicurezza furono il movimento contadino de La boje 32 e una nuova terribile epidemia di<br />

colera.<br />

Le grandi agitazioni agrarie verificatesi tra il 1884 e il 1885 nel Polesine e poi nel<br />

Mantovano nascevano da gravi problemi economici. «L’elemento che porta uno<br />

scombussolamento è dato dalla invasione di grano americano sul mercato italiano, dal<br />

1880, favorito dalla politica relativamente liberistica del governo in campo agricolo; in<br />

seguito si lamenta il crollo del prezzo del riso per l’apertura del canale di Suez. I<br />

proprietari resistono in tutti i modi contro una diminuzione degli affitti e tutti i conduttori<br />

di fondi cercano con intransigenza di non concedere alcun aumento salariale ai lavoratori<br />

dei campi». 33 Le agitazioni, nate in modo spontaneo, furono in seguito organizzate e<br />

dirette da esponenti socialisti e repubblicani. Si distinsero la Società di mutuo soccorso<br />

guidata dal radicale Sartori e l’Associazione generale dei contadini italiani diretta dal<br />

garibaldino Siliprandi e dall’operaio Barbiani. Il movimento fu soffocato nel marzo 1885<br />

30 Nel 1897, durante una discussione parlamentare Cavallotti raccontò: «Eravamo al tempo<br />

del Depretis, verso il 1883 o 1884, il tempo del trasformismo: Un giorno mi arriva un<br />

telegramma del generale Canzio il quale mi denunzia, con termini vibratissimi, il fatto che<br />

l’amico Gattorno, ora deputato (…) avendo richiamato al dovere un funzionario di<br />

pubblica sicurezza, fu brutalmente, per rappresaglia, portato in guardina, e là denudato e,<br />

sempre per rappresaglia, dall’arrestante e dai compagni suoi percosso nel modo più brutale.<br />

Io mi recai (e fu l’unica volta che salii le scale di via Nazionale) a portare il telegramma<br />

dell’amico generale Canzio al presidente del Consiglio. L’onorevole Depretis, flemmatico,<br />

lisciandosi la barba, dopo averlo letto mi presentò un telegramma della questura di Genova<br />

la quale, antivedendo l’accusa, protestava che niente era vero delle percosse denunziate. E<br />

il vecchio ministro, mi par di vederlo come oggi, dopo avermi fatto leggere il telegramma<br />

mi disse queste precise parole che posso ripetere, poiché l’avello ricopre la sua memoria,<br />

senza tema di essere indiscreto: - Sentite, Cavallotti, io vi parlo qui come Depretis e non<br />

come ministro. E come Depretis, poiché vi so avversario ma vi so gentiluomo, vi dico che<br />

credo al telegramma di Canzio più che alla denunzia della questura. Però vi domando una<br />

cosa sola: che cosa volete fare? Volete fare un’interpellanza o volete rimettervi a me? Se<br />

fate un’interpellanza, io devo proteggere il principio di autorità: se volete rimettervi a me,<br />

vi do parola che i colpevoli saranno puniti» (citato in FELISATTI M., Un delitto della<br />

polizia?, Milano 1975, pp. 87-88).<br />

31 D’URSO D., I Segretari generali del Ministero dell’interno, Alessandria 1997, ad vocem.<br />

32 L’espressione completa “La boje, la boje e de boto la va fora”, cioè “Bolle, bolle e di<br />

colpo trabocca” nacque nelle campagne del Polesine e si diffuse nelle provincie contermini.<br />

33 SALVADORI R., La boje!, Milano 1962, pp. 8-9.<br />

79


con l’arresto di 168 scioperanti, dei quali 22 deferiti all’autorità giudiziaria per attentato<br />

alla sicurezza dello Stato ma l’anno dopo gli imputati furono assolti dalla Corte d’Assise di<br />

Venezia. La sentenza ebbe ampia risonanza, poiché implicitamente riconosceva i diritti di<br />

associazione e di sciopero. 34<br />

L’epidemia di colera ebbe gravi riflessi sull’ordine pubblico. In Sicilia le agitazioni<br />

popolari miravano ad ottenere misure di quarantena per chi arrivava dal Napoletano. I<br />

siciliani, per paura del contagio, volevano che la loro isola restasse tale, sfruttando al<br />

meglio la sua posizione geografica. Oltretutto le condizioni economiche e la scarsa<br />

industrializzazione non facevano temere gravi riflessi negativi a causa del temporaneo<br />

isolamento. Per considerazioni soprattutto politiche, il Ministero dell’interno (allora si<br />

occupava anche della sanità), acconsentì a imporre le quarantene. Quando, però,<br />

l’epidemia dilagò anche in Sicilia, fu la volta dei napoletani a chiedere analoga misura<br />

cautelativa.<br />

Come fu ammesso in una relazione ufficiale, quando ogni sforzo persuasivo falliva e<br />

non rimaneva come alternativa che l’uso della forza, il ministero accedeva alle richieste<br />

delle popolazioni per evitare rivolte e conflitti di piazza. Ovunque si costituivano comitati<br />

spontanei di salute pubblica e posti di blocco con cittadini armati controllavano gli accessi<br />

ai centri abitati. Le comunità locali imponevano limitazioni alla circolazione anche delle<br />

merci e della posta. Il ministero ordinava la cessazione degli abusi man mano che ne veniva<br />

a conoscenza e minacciava severe misure. Atti di violenza furono compiuti contro treni e<br />

navi e non mancarono aggressioni contro agenti della forza pubblica. Il governo inviò<br />

truppe per ristabilire l’ordine ma le autorizzò a usare le armi solo se attaccate. La<br />

gravissima emergenza, che fu insieme sanitaria e di ordine pubblico, si protrasse a fasi<br />

alterne dal 1884 al 1887, causando circa trentamila morti. 35<br />

34 NEPPI MODONA G., Sciopero, potere politico e magistratura 1870-1922, Bari 1979.<br />

35 SORCINELLI P., Nuove epidemie e antiche paure. Uomini e colera nell’Ottocento, Milano<br />

1986. Cfr. l’articolo, firmato “un ex-funzionario di sanità”, La politica sanitaria nelle<br />

epidemie coleriche del 1884-85, in “Nuova Antologia” 16 dicembre 1885.<br />

All’epoca la materia della sanità pubblica e dei sifilocomi era trattata, insieme con le opere<br />

pie, nell’ambito del Segretariato generale. Con il DM 31 luglio 1887 Crispi attribuì alla<br />

Direzione della sanità pubblica le competenze relative alle professioni sanitarie, alle<br />

vaccinazioni, agli stabilimenti ospedalieri e termali, alle misure contro le epidemie,<br />

all’edilizia sanitaria, alla polizia mortuaria, al risanamento dei terreni malarici, alla<br />

protezione del lavoro delle donne e dei fanciulli, agli asili notturni, alla sanità marittima e<br />

di confine, etc. Non fu casuale la scelta di chiamare semplicemente “Direzione” e non<br />

“Direzione generale” quell’ufficio ministeriale. Secondo la volontà di Crispi, esso doveva<br />

essere un organismo non burocratico ma spiccatamente tecnico, tanto che si riprometteva<br />

80


Naturalmente, anche fatti meno gravi impegnavano le forze di polizia. Nel febbraio<br />

1884 la polizia sequestrò per la terza volta il foglio anarchico “La questione sociale” e<br />

arrestò il redattore Pilade Cecchi, condannato poi a quattro anni di carcere. A Torino, in<br />

dicembre, dopo il divieto di un comizio operaio, avvennero tumulti di piazza, con il<br />

danneggiamento di vetture tranviarie e l’accoltellamento di un carabiniere. Clamorosi i<br />

disordini studenteschi torinesi del marzo 1885: la polizia impedì una commemorazione di<br />

Mazzini arrestando alcuni dimostranti; il mattino dopo fu disselciato il cortile dell’Ateneo<br />

e si accesero scontri durissimi tra gli universitari e la forza pubblica; alla Camera Depretis<br />

difese l’operato del prefetto Casalis e, nonostante le proteste generali, fece approvare un<br />

regolamento che vietava agli studenti di associarsi, anche fuori dell’università. 36<br />

Nel campo ordinamentale il biennio di direzione di Lovera di Maria fu caratterizzato<br />

dall’approvazione del nuovo ordinamento del personale di P.S. (novembre 1884) e del<br />

nuovo ruolo organico (marzo 1885).<br />

I funzionari erano distinti in due categorie. La prima comprendeva questori, ispettori e<br />

vice ispettori, la seconda i delegati. La gerarchia era determinata dal grado, nello stesso<br />

grado dalla classe, a parità di grado e di classe dall’anzianità. Come in passato, fu ammesso<br />

il passaggio dall’Amministrazione di pubblica sicurezza all’Amministrazione provinciale e<br />

viceversa, quando gli interessi del servizio lo richiedessero e gli impiegati avessero titoli e<br />

requisiti necessari. Per i concorsi di accesso alla prima categoria occorreva la laurea in<br />

giurisprudenza, per la seconda categoria la licenza di liceo o di istituto tecnico. Chi<br />

otteneva l’idoneità agli esami era nominato Alunno, seguiva un tirocinio di sei mesi (senza<br />

essere retribuito) al termine del quale, se valutato positivamente, sosteneva un ulteriore<br />

esame scritto. Ottenuta la definitiva idoneità, gli Alunni erano nominati ai posti retribuiti.<br />

La promozione a questore era decisa, a discrezione del ministro, fra gli ispettori di<br />

prima classe. I questori erano 13, divisi in due classi in relazione all’importanza delle sedi:<br />

Bologna, Catania, Firenze, Genova, Livorno, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Roma,<br />

Torino, Venezia, Verona. La retribuzione annuale arrivava a £ 7.000.<br />

di affidarne la responsabilità ad un "valoroso igienista". Il prof. Luigi Pagliani fu il primo<br />

direttore. Nato a Genola (Cuneo) nel 1847, si era laureato in medicina e specializzato in<br />

igiene. Insegnava all’Università di Torino ed era autore di numerose pubblicazioni.<br />

36 Per la cronaca del tempo v. VIGO P., Annali d’Italia. Storia degli ultimi trent’anni del secolo<br />

XIX, vol. IV (1883-1886), Milano 1910; COMANDINI A.- MONTI A., L’Italia nei cento<br />

anni del secolo XIX, vol. V (1871-1900), Milano 1942; Diario d’Italia 1815-1994, Novara<br />

1994.<br />

81


Gli ispettori, divisi in due classi, erano complessivamente 150 e ricevevano sino a £<br />

5.000 all’anno. I vice ispettori, divisi in tre classi, erano 190 e ricevevano sino a £ 3.000. I<br />

delegati, divisi in quattro classi, erano 1.300 e ricevevano sino a £ 3.000.<br />

In proporzione, era piuttosto ridotta la consistenza delle guardie di pubblica sicurezza,<br />

la cui presenza si concentrava nelle città sedi di questura (530 a Roma, 700 a Napoli, 294<br />

a Palermo, 252 a Torino, 170 a Firenze e Bologna, 160 a Venezia, ecc.). Piccoli<br />

contingenti erano presenti nelle altre città capoluogo di provincia o sede dei più<br />

importanti mandamenti e negli uffici di confine. Era, dunque, molto più accentuata di<br />

oggi la differenza tra Polizia e Carabinieri per quanto riguarda la presenza sul territorio. 37<br />

I Carabinieri erano nati nel 1814 con un organico di 803 unità, la Pubblica Sicurezza<br />

nel 1852 con 300 uomini. Nel 1861 la forza numerica era aumentata- rispettivamente- a<br />

18.461 (di cui 503 ufficiali) e a 4.892 (compresi i funzionari civili). Le esigenze di bilancio<br />

non consentirono a lungo di adeguare gli organici. In particolare - nell’arco di un<br />

37 Il quadro d’insieme è sufficientemente delineato da RENATO G., Gli ordinamenti della<br />

Pubblica Sicurezza, in “Amministrazione civile”, aprile-agosto 1961, numero speciale Cento<br />

anni di amministrazione pubblica, pp. 331-370. Più recenti CANOSA R., La polizia in Italia<br />

dal 1945 ad oggi, Bologna 1976, cap. “L’Italia postunitaria”; BRAVO A., voce Polizia, in<br />

Storia d’Italia, vol. II, Firenze 1978; L’amministrazione centrale dall’Unità alla Repubblica. Le<br />

strutture e i dirigenti, a cura di Guido Melis, Il Ministero dell’interno, a cura di Giovanna<br />

Tosatti, Bologna 1992; TOSATTI G., La repressione del dissenso politico tra l’età liberale e il<br />

fascismo. L’organizzazione della polizia, in “Studi Storici” 1997 n. 1, pp. 217-255.<br />

Nel ventennio dal 1885 al 1905, anche sulla scia delle riforme crispine, furono pubblicati<br />

numerosi contributi di politici o operatori su quella che era chiamata “la questione della<br />

pubblica sicurezza in Italia”. Ricordo ALONGI G., Polizia e delinquenza in Italia, Roma<br />

1887; articolo firmato “Un ex Ministro dell’interno” La polizia in Italia e la sua unificazione,<br />

in “Nuova Antologia”, 16 febbraio 1890; GUASTALLA F., Osservazioni e proposte sul servizio<br />

e sull’amministrazione di P.S. in Italia, Torino 1893; CODRONCHI ARGELI G, Sul<br />

riordinamento della pubblica sicurezza in Italia, in “Nuova Antologia” 16 settembre 1895;<br />

MARIUS, La pubblica sicurezza in Italia, Milano 1896; ALONGI G., L’organizzazione della<br />

polizia cit.; ROSSI V., Polizia empirica e polizia scientifica, L’Aquila 1898; SENSALES G.,<br />

L’anagrafe di polizia, in “Nuova Antologia” 16 maggio 1901; ALONGI G., Progetto di legge e<br />

regolamento della Pubblica Sicurezza, Roma 1901; AMATORI T., Studio critico sull’ordinamento<br />

della polizia italiana, Como 1902; TRINGALI S., Dizionario politico e di pubblica sicurezza,<br />

Milano 1903; RAVASIO G. La Forza pubblica e i suoi agenti, Milano 1904; SCIACCA G.,<br />

Organici e servizi di polizia, in “Nuova Antologia”, 16 gennaio 1905; OTTOLENGHI S., La<br />

nuova cartella biografica dei pregiudicati, in “Atti della Società romana di antropologia”, 1905,<br />

vol. XI.<br />

Di tutt’altro genere ma ricca di interessanti annotazioni la parte dedicata alla pubblica<br />

sicurezza nel libro di GIARELLI F., Vent’anni di giornalismo, Codogno 1896, pp. 246-251.<br />

82


quindicennio - le guardie di p. s. addirittura diminuirono da 4.451 38 a 4.007 39 , i<br />

funzionari delle diverse qualifiche da 1.700 40 a 1.594 41 . Crispi ottenne dal Parlamento un<br />

incremento delle spese e il Corpo delle guardie di Pubblica Sicurezza nel 1887 arrivò a<br />

5.000 uomini. Nel 1890 nacquero le Guardie di città ma per vedere aumentate le forze in<br />

campo si dovette attendere più di un decennio: nel 1901 c’erano 47 ufficiali e 7.555<br />

guardie, 42 nel 1906, rispettivamente, 70 e 10.855. 43<br />

Se si faceva poi un confronto con i paesi più sviluppati, la situazione italiana appariva<br />

francamente precaria: «In Francia ed in Inghilterra, ove la popolazione checché se ne dica,<br />

ha più largo senso morale e coadiuva lo Stato <strong>nella</strong> lotta contro il delitto, la proporzione<br />

del personale di polizia in rapporto alla popolazione è del quattro per mille». 44<br />

Mancava poi in Italia una figura intermedia tra il funzionario e la guardia, l’impiegato<br />

d’ordine «da adibirsi ai lavori di scritturazione ed alla tenuta degli archivi e dei registri (…)<br />

e non avverrebbe quello che avviene oggi, cioè che i funzionari adibiti ai servizi<br />

burocratici si credono lesi <strong>nella</strong> carriera e, quando non possono altrimenti sottrarvisi,<br />

disordinano gli archivi ed i registri e, col servizio, danneggiano se stessi». 45<br />

Dopo il 1860 erano stati assunti <strong>nella</strong> pubblica amministrazione ed anche in polizia<br />

molti patrioti e benemeriti della “causa nazionale”. Come ha scritto Amedeo Nasalli<br />

Rocca, in quello che è forse il più bel libro di ricordi scritto da un prefetto, 46 “la disciplina<br />

dell’ammissione agli impieghi era, negli esordi dello Stato italiano, alquanto confusa:<br />

c’erano una infinità di patrioti benemeriti della “causa”, di “vittime” di cessati governi, più<br />

o meno autentici, da ricompensare, da sistemare, da contentare; alcuni veramente degni<br />

di rispetto e di considerazione, altri no, ma sostenuti da più o meno confessabili<br />

protezioni settarie; alcuni uomini di valore, altri inetti ed ignorantissimi. Tutti i ministeri<br />

erano pieni di patrioti; specialmente quello degli interni, negli uffici di polizia, delle<br />

38 R.D. 21 novembre 1865, n. 2652.<br />

39 R.D. 25 dicembre 1880, n. 5824.<br />

40 R.D. 24 agosto 1865, n. 2487.<br />

41 R.D. 30 dicembre 1881, n. 576.<br />

42 Legge 30 giugno 1901, n. 269.<br />

43 Legge 8 luglio 1906, n. 318. Cfr. FIORENTINO F., Ordine pubblico nell’Italia giolittiana,<br />

Roma 1978, pp. 23-41<br />

44 CODRONCHI ARGELI G., Sul riordinamento cit., p. 217.<br />

45 ALONGI G., L’organizzazione della polizia cit., p. 257. Il problema fu poi risolto negli<br />

anni di Giolitti (v. R.D. 31 agosto 1907, n. 690).<br />

46 NASALLI ROCCA A., Memorie di un prefetto, Roma 1946. Interessante HUGHES S. C.,<br />

La continuità del personale di polizia negli anni dell’unificazione nazionale italiana, in “Clio” 1990<br />

n. 2, pp. 337-364.<br />

83


carceri e delle prefetture, e quello della Pubblica Istruzione che aveva fornito cattedre a<br />

tutti i preti e frati stonacati.”<br />

Nel 1872 Lanza, scrivendo al prefetto di Palermo generale Medici aveva usato parole<br />

dure parlando del personale di polizia: «Comprendo bene che questo compito sarebbe<br />

molto agevolato dall’opera di buoni ufficiali ed agenti di P.S. La difficoltà sta di trovarli,<br />

essendo assai difficile di reclutarli, sia per la natura odiosa dell’ufficio, sia per difetto di<br />

buoni elementi in quella classe di persone dove provengono». 47 Molti anni dopo il<br />

problema del reclutamento era ancora irrisolto e si continuava ad affidare le funzioni di<br />

polizia a “persone di corto intelletto e di scarsa cultura giuridica” 48 .<br />

Scrisse Gaetano Mosca: «Si può dire senza tema di errare che il valore medio di tutti gli<br />

agenti polizieschi, dal grado più basso al più alto, dalla guardia al questore, è sempre<br />

inferiore alla posizione che occupano. La causa principale di questa incapacità generale<br />

degli agenti di polizia sta principalmente <strong>nella</strong> ripugnanza che hanno i buoni elementi ad<br />

entrare in questa carriera. Pure mal si appone chi crede che questa ripugnanza, che è<br />

tradizionale, sia invincibile, ché anzi, come tante altre abitudini potrebbe esser tolta, se<br />

cessassero le cause che l’hanno fatta nascere. Prima di tutto bisognerebbe smettere<br />

assolutamente il vezzo, che in Italia in parte si conserva ancora, di accogliere nelle file<br />

della polizia dei cattivi soggetti e opporre così la canaglia organizzata e in divisa alla<br />

canaglia disorganizzata e in borghese. Ancora di un mascalzone, che dovrebbe essere<br />

ammonito, si fa alle volte un questurino; uno sfaccendato vizioso che ha qualche tintura<br />

d’istruzione può, se trova un protettore influente, diventare un delegato di pubblica<br />

sicurezza». 49<br />

Dunque, i problemi era tanti e gravi. Oltretutto, come ho già sottolineato, Lovera di<br />

Maria lavorò a Roma in missione ma senza dubbio l’incarico ministeriale favorì la sua<br />

nomina a Senatore arrivata nel novembre 1884. Egli partecipò abbastanza assiduamente ai<br />

lavori della Camera Alta.<br />

Il 1° novembre 1885, cessando dalle funzioni di direttore dei servizi di pubblica<br />

sicurezza, fu trasferito dalla prefettura di Livorno a quella di Torino, scambiando sede e<br />

funzioni con Bartolomeo Casalis, destinato a Roma alla Pubblica Sicurezza.<br />

47 Le carte di Giovanni Lanza, a cura Cesare Maria De Vecchi, vol. 8°, Torino 1939, p. 357.<br />

48 ALONGI G., L’organizzazione della polizia cit., p. 256. Giolitti anni dopo affermò alla<br />

Camera che non vi era «altra classe di funzionari pubblici superiore al complesso del<br />

personale della Pubblica Sicurezza per correttezza, per buona volontà e per intelligenza».<br />

49 MOSCA G., Sulla teorica dei governi cit. pp. 417-418.<br />

84


Lovera di Maria mantenne per quasi sei anni l’incarico di prefetto nell’ex capitale 50 ,<br />

sino al marzo 1891 quando si ritirò a vita privata, a 58 anni, «essendo sorte forte<br />

divergenze di idee tra lui ed il ministero, preferendo assai alla carriera il conservare<br />

quell’integrità di carattere che lo fece sempre e molto apprezzare» 51 . Pubblicò studi su<br />

questioni amministrative <strong>nella</strong> Rivista dei Comuni Italiani.<br />

Il sovrano con motu proprio del 22 dicembre 1895 gli concesse il titolo comitale. Morì a<br />

Torino il 5 febbraio 1900. 52<br />

50<br />

ROMANELLI R., Il comando impossibile, Bologna 1988, p. 233.<br />

51<br />

LOVERA DI CASTIGLIONE C., Indagini storiche, cit., p. 31. All’epoca ministro<br />

dell’Interno era Giovanni Nicotera.<br />

52 Notizie <strong>sparse</strong> su Ottavio Lovera di Maria sono in: Calendario del Regno d’Italia, 1862,<br />

parte VI, p. 141; “L’Illustrazione Italiana”, 2° semestre 1884, p. 400; STOPITI G., Ottavio<br />

Lovera di Maria senatore del Regno, Roma 1884; Annuario biografico universale 1884-1885 ( a<br />

cura di Attilio Brunialti), p. 375; DE GUBERNATIS A., Piccolo dizionario dei contemporanei<br />

italiani, Roma 1895, ad vocem; SARTI T, Il parlamento italiano nel cinquantenario dello Statuto,<br />

Roma 1898, ad vocem; DE CESARE R., La fine di un Regno, Città di Castello 1909 (nuova<br />

ed. 1975 p. 374); Enciclopedia biografica e bibliografica italiana. Ministri deputati senatori ( a<br />

cura di Alberto Malatesta), serie XLIII, vol. II, Milano 1941, p. 114; Gli archivi dei governi<br />

provvisori e straordinari 1859-1861, vol. II Romagne, provincie dell’Emilia, Roma 1961, p.<br />

174; GUSTAPANE E. I prefetti dell’unificazione amministrativa nelle biografie dell’archivio di<br />

Francesco Crispi, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1984 n. 4, p. 1068;<br />

RANDERAAD N., Gli alti funzionari del Ministero dell’interno durante il periodo 1870-1899, in<br />

“Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1989 n. 1, p. 253.<br />

85


Achille Basile<br />

87


La famiglia Basile era iscritta nell’elenco ufficiale della nobiltà e al ramo messinese di S.<br />

Angelo di Brolo appartennero illustri prelati e uomini di legge. 1<br />

Achille Basile nacque il 28 ottobre 1832. Partecipò giovanissimo alla rivoluzione<br />

siciliana del 1848 ed ebbe inizialmente simpatie repubblicane «mostrandosi fra i liberali<br />

più risoluti alle opere, ai cimenti, allo sbaraglio» 2 . Prima del 1860 visse a Palermo dando<br />

lezioni private di letteratura e filosofia e traducendo romanzi francesi. 3 Un<br />

contemporaneo scrisse che «dei piccoli delitti di gioventù riferentisi a galanteria, nessun<br />

biografo serio deve occuparsi». 4 Basile non godeva in gioventù di uno status sociale<br />

particolarmente elevato, tanto che fu definito «uomo che dal nulla sa crearsi una posizione<br />

alta, rispettabile e temuta». 5<br />

Ancora negli anni del governo borbonico si dedicò al giornalismo collaborando ai fogli<br />

“L’interprete” e la “Favilla” con Giuseppe Sensales ed altri. 6 Erano più che altro<br />

esercitazioni letterarie poiché la cronaca e a maggior ragione i commenti politici erano<br />

banditi dai giornali siciliani dell’epoca. Dopo lo sbarco dei Mille entrò nelle file<br />

garibaldine e combatté a Milazzo. 7 Abbandonati gli ideali repubblicani aderì senz’altro alle<br />

forze che sostenevano la soluzione unitaria sotto Casa Savoia.<br />

All’inizio del 1861 fu ammesso <strong>nella</strong> pubblica amministrazione come Intendente di<br />

Nicosia, con uno stipendio annuo di 4.000 lire. Basile si laureò in legge e non ancora<br />

trentenne ricoprì l’incarico di questore di Palermo rischiando anche la vita durante un<br />

tumultuoso sciopero di vetturini. Per la sua opera ricevette le lodi dei generali Pettinengo<br />

e Della Rovere. Dopo essere stato Sottoprefetto a Castelnuovo di Garfagnana, Gerace,<br />

Sciacca, Castroreale e Noto, nel settembre 1866 era in servizio a Palermo come<br />

1<br />

Enciclopedia storico-nobiliare italiana, ad vocem, vol. 1°, Milano 1929, pp. 301-302.<br />

2<br />

Dizionario del Risorgimento Nazionale, ad vocem, vol. II, Milano 1930, p. 197.<br />

3<br />

Rimase sempre in Basile la passione per le belle lettere e da prefetto nei discorsi fece<br />

spesso sfoggio di cultura. Tra l’altro, pubblicò i profili biografici di eminenti scrittori<br />

siciliani.<br />

4<br />

DE GREGORIO P, Appendice all’opera “Parlamento subalpino e nazionale” di Telesforo Sarti,<br />

Terni 1893, p. 993.<br />

5<br />

Ibidem.<br />

6<br />

Giuseppe Sensales, entrato nell’amministrazione dell’Interno, compì una brillante<br />

carriera, tanto da ricoprire il ruolo di Direttore generale della P.S. dall’ottobre 1893<br />

all’aprile 1896. Era il primo meridionale a raggiungere i vertici della polizia. Alla morte<br />

lasciò in beneficenza un patrimonio di 1.200.000 lire del tempo (v. D’URSO D., I<br />

Direttori generali della pubblica sicurezza, Alessandria 1994, pp. 45-59).<br />

7<br />

DE CESARE R., La fine di un Regno, vol. II, Roma 1975, p. 297.<br />

88


Consigliere delegato (l’odierno Viceprefetto vicario), quando esplose la rivolta che costò<br />

tanti lutti. La sommossa colse di sorpresa le autorità a cominciare dal prefetto Torelli che,<br />

da buon lombardo, aveva ordinato di distruggere le lettere anonime senza neanche<br />

leggerle, «sistema pazzesco in un paese come la Sicilia dove, essendo le lettere anonime<br />

un’istituzione, ignorarle significava tagliarsi una fonte preziosa d’informazioni, e sia pure<br />

di informazioni da controllare di volta in volta» 8 .<br />

Torelli in aprile aveva sostituito Filippo Antonio Gualterio 9 mentre la questura era<br />

affidata a Felice Pinna, arrivato un anno prima da Bologna con fama di uomo energico e<br />

abile. L’ottimismo del questore «si manifestò improvviso proprio nei mesi<br />

immediatamente precedenti l’effettivo scoppio della rivolta e contrastava con la<br />

precedente tendenza a credere a tutte le voci, a prendere per buoni tutti gli allarmi, ad<br />

arrestare tutti i sospetti, anche a rischio di esporsi al discredito che poteva derivargli dalle<br />

successive sentenze assolutorie dell’autorità giudiziaria» 10 . Il “sette e mezzo” (le giornate<br />

della sommossa) di Palermo non ebbe connotazioni precise e si imputò indifferentemente<br />

a filo-borbonici, clericali, mazziniani. 11 Forse c’era tutto questo ma soprattutto un<br />

profondo malessere per le condizioni dell’isola in quei primi anni dopo l’Unità, con uno<br />

stato centrale ossessionato dal timore della disgregazione. 12<br />

I rivoltosi palermitani nel settembre 1866 occuparono la città con esclusione delle<br />

carceri e di pochi altri edifici pubblici. Le autorità si asserragliarono nel Palazzo reale<br />

guidate dal prefetto Torelli e dal sindaco marchese di Rudinì la cui casa fu saccheggiata. La<br />

situazione parve a tal punto disperata che i comandanti militari, generali Carderina e<br />

Righini, che intanto avevano indossato abiti borghesi, espressero l’avviso che un’ulteriore<br />

resistenza non fosse possibile. 13 A salvare la situazione arrivò via mare una spedizione<br />

8 ALATRI P., Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra, Torino 1954, p. 121.<br />

9 NADA N.- PACIFICI V.- UGOLINI R., Filippo Antonio Gualterio, Perugia 1999, pp. 102-<br />

107; GALLO CARRABBA A., Storia di <strong>Prefetti</strong>: il primo decennio unitario a Palermo, in<br />

“Instrumenta” n. 13, gennaio – aprile 2001, pp. 361-377.<br />

10 ALATRI P., Lotte politiche, cit., p. 122.<br />

11 I moti di Palermo del 1866. Verbali della Commissione parlamentare di inchiesta, Roma 1981.<br />

12 Rimase famosa la campagna condotta contro renitenti e disertori dal generale Govone il<br />

quale assediò paesi, tagliò rifornimenti idrici, fece arrestare familiari e parenti dei ricercati.<br />

A Gangi un ufficiale, non avendo trovato un renitente, arrestò la moglie che abortì mentre<br />

due figlioletti, troppo piccoli per seguire la madre, furono abbandonati <strong>nella</strong> casa chiusa a<br />

chiave. Ancora più scandaloso e quasi incredibile quanto capitato al sordomuto Antonio<br />

Cappello che, arrestato come renitente, fu torturato perché non rispondeva alle domande!<br />

13 Molti particolari si leggono nel volume di MONTI A., Il conte Luigi Torelli, Milano 1931.<br />

Luigi Torelli a Palermo dava udienza settimanale nello stesso giorno e <strong>nella</strong> stessa saletta già<br />

89


guidata dal generale Raffaele Cadorna. Ha scritto Alfredo Oriani: «Perirono <strong>nella</strong> mischia<br />

quasi cento soldati e trecento furono feriti, degli altri non si volle fare il conto perché<br />

sarebbe stato troppo difficile e vergognoso». 14 Cadorna assunse la carica di Regio<br />

commissario per la città e provincia di Palermo. Fu proclamato lo stato d’assedio ed<br />

entrarono in funzione i tribunali militari. 15 L’arrivo di Cadorna rese superflua la presenza<br />

di Torelli che lasciò Palermo lasciando le consegne a Basile che esercitò in prefettura le<br />

poche funzioni che Cadorna non volle riservare a sé. Quando un anno dopo furono<br />

distribuite le ricompense, Torelli e Rudinì ebbero la medaglia d’oro, Basile ed altri<br />

ventisette la medaglia d’argento.<br />

A soli 34 anni arrivò per Achille Basile la promozione a prefetto di terza classe con<br />

destinazione Girgenti (l’odierna Agrigento). Lì si distinse come «persecutore del<br />

malandrinaggio, non arrestandosi alle persone sedenti in alto», 16 ma l’autorità giudiziaria<br />

lamentò un’invadenza da parte sua e, anche per le lagnanze di notabili locali, nel giugno<br />

1870 fu trasferito a Siracusa. Alcuni mesi dopo egli s’espresse così, dopo un colloquio con<br />

Lanza, Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno: «V.E. avrà potuto rilevare come<br />

io ero dominato da una viva emozione. Io temevo di non essere accetto e, d’altra parte,<br />

avevo paura di recarle fastidio con la lunga narrazione de’ dolorosi motivi, che mi fecero<br />

segno ad accuse immeritate. È sottotali impressioni ch’io dovevo parlare e son dolente di<br />

non averlo fatto con quella calma e con quell’ordinato sviluppo che la gravità<br />

dell’argomento avrebbe richiesto[...] Non potrei darmi pace, sino a quando Ella potesse<br />

credermi menomamente in colpa. Questo solo dubbio mi farebbe parer nulla il<br />

dimettermi anche immediatamente. Non è soltanto col Ministro ch’io voglio giustificarmi,<br />

mi preme anzi di più convincere V.E. personalmente della irreprensibilità della mia<br />

condotta. Orbene, io sento in me che iersera non sono stato buono a difendermi come<br />

andava fatto. In preda ad una invincibile trepidazione, contati come dovevano essere i miei<br />

minuti, con lo schianto di un’anima dilaniata dalle turpi insinuazioni della calunnia, io non<br />

trovavo più la parola adatta a rendere i miei concetti, e mi sfuggiva anche di mente di<br />

adibita a quell’uso dal vicerè, solennemente seduto – come i suoi predecessori d’Ancien<br />

Régime – sul tronetto dorato. Egli avrebbe voluto abolire quell’usanza, ma “unanimi quelli<br />

del luogo mi dissero che pessimo sarebbe stato l’effetto, che avessi pazienza e sopportassi,<br />

perché sopprimerla così d’un colpo era pericoloso» (RANDERAAD N., Autorità in cerca di<br />

autonomia, Roma 1997, p. 55).<br />

14<br />

ORIANI A., La lotta politica in Italia, vol. III, Firenze 1921, p. 214.<br />

15<br />

RIALL L., Legge marziale a Palermo: protesta popolare e rivolta nel 1866, in “Meridiana” n.<br />

24, settembre 1995, pp. 65-94.<br />

16<br />

DE GREGORIO P., Appendice, cit., p. 993.<br />

90


ichiamare l’attenzione della E.V. sugli altri attacchi ai quali, conniventi alcuni funzionari<br />

dell’ordine giudiziario, sono stato pur fatto segno, attacchi promossimi in nome di un<br />

Antinoro e di un Macaluso, e che poterono trovare eco perfino <strong>nella</strong> Camera, vero è che<br />

ne fu interprete l’onorevole Morelli Salvatore! 17 Tacqui pure di recenti interpellanze<br />

rivoltemi dal Presidente della Corte di Assise di Palermo, che appunto a me chiede notizie<br />

su addebiti reciprocamente fattisi da magistrati di Girgenti, e non mi perito a dire che non<br />

ho risposto né risponderò mai a tali interpellanze, avendo pur troppo imparato a mie<br />

spese cosa costi in certi casi il parlar chiaro [...] Non abituato a trattare da vicino con<br />

eminenti uomini di Stato, uscito appena qualche volta dal romitaggio della vita di<br />

provincia, geloso in grado superlativo del mio onore e della mia reputazione di onesto<br />

funzionario, al cospetto della E.V. a cui credevo di presentarmi quasi in aria di colpevole,<br />

la emozione l’ha vinta sulla ordinaria tranquillità dell’animo mio.» 18<br />

Nel 1867 un’epidemia di colera colpì molte parti d’Italia compresa la Sicilia. Edmondo<br />

De Amicis, allora ufficiale dell’esercito, raccontò quegli avvenimenti con accenti toccanti<br />

parlando della superstizione, della paura e della miseria delle plebi:<br />

«Per colmo di sventura si propagava ogni dì di più e metteva radici profonde nel<br />

popolo l’antica superstizione che il colera fosse effetto di veleni sparsi per ordine del<br />

governo, che il volgo di gran parte dei paesi del mezzogiorno, per uso contratto sotto<br />

l’oppressione del governo cessato, tiene in conto d’un nemico continuamente e<br />

nascostamente inteso a fargli danno per necessità di sua conservazione […] Gli ospedali, le<br />

disinfezioni, le visite dei pubblici officiali, tutto era oggetto di diffidenza, di paura, di<br />

aborrimento. I poveri non si risolvevano a lasciarsi trasportare negli ospedali che nei<br />

momenti estremi, quando ogni cura riusciva inefficace. Morivano la più parte, e per ciò<br />

appunto si credeva più fermamente dal volgo che le medicine fossero veleni, e i medici<br />

assassini. Preferivano morire abbandonati, senza soccorsi, senza conforti. Occultavano i<br />

cadaveri per non esser posti in isolamento, o perché ripugnavano dal vederli seppelliti nei<br />

campisanti, invece che nelle chiese, come è uso di molti di quei paesi; o per la stolta<br />

opinione che sovente gli attaccati dal colera paiano, ma non siano morti davvero, e<br />

rinvengano dopo qualche tempo. Si poneva ogni cura a eludere le ricerche delle Autorità<br />

[…] Intere famiglie, accusate di veneficio, venivano improvvisamente aggredite di notte<br />

da turbe di popolani, e vecchi, donne, bambini cadevano sgozzati gli uni ai piedi degli altri<br />

17 Questo parlamentare meridionale è ricordato come antesignano dei diritti delle donne e<br />

fautore del divorzio. Le sue idee fortemente innovatrici provocarono roventi polemiche<br />

soprattutto negli ambienti clericali (v. “Il Pensiero Mazziniano”, 1970 n. 6).<br />

91


senza aver tempo di scolparsi o di supplicare; e si ardevano le case e si disperdevano le<br />

rovine […] Nelle città cessata ogni frequenza di popolo, deserto ogni luogo di ritrovo<br />

pubblico, spento in ogni parte lo strepito allegro della vita operaia, le strade quasi deserte,<br />

le porte e le finestre in lunghissimi tratti sbarrate, l’aria impregnata del puzzo<br />

nauseabondo delle materie disinfettanti di cui le strade erano <strong>sparse</strong>. Il generale terrore<br />

veniva accresciuto dal ricordo delle grandi sventure patite negli anni andati; se ne<br />

predicevano, come sempre accade, delle peggiori; in ciascuna provincia si esageravano<br />

favolosamente le stragi delle altre; in campagna si narravano orrori della moria delle città,<br />

in città altrettanto della campagna.» 19<br />

Basile «combattette gli antichi, terribili pregiudizi di quelle popolazioni». 20 Quando<br />

era a Siracusa subì un richiamo per una lettera indirizzata al Ministero di Agricoltura e<br />

Commercio «giudicata poco conveniente <strong>nella</strong> forma e poco dignitosa <strong>nella</strong> sostanza». 21<br />

Quando si conobbe la notizia del suo trasferimento, rappresentanze di enti locali e<br />

associazioni chiesero inutilmente che rimanesse. In Sicilia la vita dei funzionari governativi<br />

e, in particolare, dei prefetti non era facile, come denunziò Leopoldo Franchetti nel<br />

saggio Condizioni politiche e amministrative della Sicilia:<br />

«Tutti coloro cui l’applicazione della legge toglie un guadagno illecito, un mezzo<br />

d’influenza, o scema per poco la reputazione d’onnipotenza e d’infallibilità, e con loro<br />

tutti i loro parenti, amici o aderenti, principiano un coro di lamenti e di recriminazioni;<br />

s’ordisce una congiura di accuse, al bisogno di calunnie, senza posa. Si cerca l’aiuto di<br />

persone influenti a Roma, si reclama l’alleanza del deputato del collegio, quando si sia<br />

contribuito alla sua elezione; s’invoca la protezione del senatore più vicino. Il funzionario<br />

vede nascere, crescere ed ingigantire intorno a sé la bufera. A meno che sia dotato di una<br />

energia sovrumana, cerca istintivamente un sostegno. Se vi ha in paese un partito opposto<br />

alle persone che hanno avuti lesi i loro interessi, l’appoggio è bell’e trovato: non occorre<br />

cercarlo, si presenta da sé. E sarebbe chieder troppo ad un impiegato il volere che, assalito<br />

con tanto accanimento, mal sicuro dell’appoggio dei suoi superiori, egli non si abbandoni<br />

nelle braccia che si porgono con tanta cordialità, e non accetti l’alleanza offertagli. Da<br />

quel momento in poi, per un processo naturale dell’animo umano, qualunque pensiero,<br />

18 Le carte di Giovanni Lanza, a cura di Cesare Maria De Vecchi, vol. 7°, Torino 1939, pp.<br />

58-60.<br />

19 DE AMICIS E., L’Esercito Italiano durante il colera del 1867, in <strong>Pagine</strong> militari, Roma<br />

1988, pp. 95-98.<br />

20 AMATO D., Cenni biografici degli illustri uomini politici, Napoli 1891, p. 436.<br />

21 GUSTAPANE E., I prefetti dell’unificazione amministrativa nelle biografie dell’archivio di<br />

Francesco Crispi, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1984 n. 4, p. 1065.<br />

92


per quanto fosse prima dominante <strong>nella</strong> mente di quel funzionario, ne sparisce a poco a<br />

poco per dar luogo alla cura immediata della sua difesa: ed il successo di questa dipende<br />

dall’aiuto dei nuovi alleati. Poco a poco è trascinato a fare tutte quelle concessioni che<br />

devono assicurargli questo aiuto, e di concessione in concessione, arriva a tollerare, a<br />

favorire, a vantaggio di quelle, le stesse illegalità, per impedire le quali egli ha sollevato<br />

contro di sé la tempesta. Da allora in poi egli diventa l’istrumento del partito o della<br />

camarilla, che l’ha preso a proteggere. Questa lo porta attorno come un trofeo della sua<br />

potenza, ne fa un’arme per i suoi soprusi, e se prima aveva da combattere aspramente<br />

ogni giorno per guadagnare e conservare una preponderanza mal sicura, adesso trionfa<br />

addirittura e s’impone senza contrasto per mezzo di lui.» 22<br />

Dal luglio 1871 nuova sede di servizio di Basile fu Ravenna, provincia notoriamente<br />

“calda” per la forte presenza di internazionalisti e repubblicani. Solo l’anno prima era stato<br />

ucciso il prefetto-generale Carlo Escoffier, anche se nel drammatico fatto mancarono<br />

connotazioni politiche. 23 A Ravenna maturò un forte contrasto tra Basile e il questore<br />

Serafini tanto da indurre il primo a chiedere d’essere trasferito. Il prefetto di Bologna,<br />

Cesare Bardesono, l’8 giugno 1872 scrisse riservatamente a Lanza: «La notorietà del<br />

disaccordo fra (Basile) e il questore Serafini e la posizione fatta a quest’ultimo col suo<br />

ritorno a Ravenna hanno esautorato interamente il Prefetto e offrono in quella Provincia<br />

un singolare spettacolo di debolezza governativa[...] Credo che uno dei due debba<br />

ritirarsi da Ravenna prima che il Governo sia <strong>nella</strong> necessità di misurare le sue forze col<br />

partito sovversivo. Il Prefetto Basile divide questa mia convinzione e riconobbe meco<br />

lealmente che nell’intento suo e del Governo il partito migliore era la sua propria<br />

traslocazione perché col prestigio di cui gode oggi il Questore Serafini a Ravenna, se il<br />

Governo lo richiamasse desterebbe una riprovazione generale e farebbe al Prefetto una<br />

posizione intollerabile [...] Basile veniva a dirmi che egli non aveva alcun mezzo di far<br />

prevalere le sue idee e la sua autorità.» 24<br />

Lanza nel luglio 1872 mandò Basile a Salerno, da dove aveva allontanato il prefetto<br />

Belli travolto dalle polemiche per il sequestro del possidente Mancusi da parte della banda<br />

di Gaetano Manzo, già famoso per analoghi ricatti a danno di cittadini inglesi e svizzeri. La<br />

caccia alla banda continuò accanitamente per mesi ma senza risultati. In un manifesto del<br />

30 dicembre 1872 Basile promise un premio di 10.000 lire per la cattura del capo: la<br />

22 FRANCHETTI L.- SONNINO S., Inchiesta in Sicilia, Firenze 1974, pp. 50-51.<br />

23<br />

D’URSO D., L’omicidio Escoffier fu un delitto politico? No, peggio!, in “Amministrazione<br />

civile”, giugno 2005, pp. 46-48.<br />

24<br />

Le carte di Giovanni Lanza, cit., vol. 8°, Torino 1939, pp. 176-177.<br />

93


somma sarebbe stata consegnata personalmente «<strong>nella</strong> sede di quest’ufficio di Prefettura<br />

nel termine di 24 ore a decorrere dal momento in cui il relativo servizio sarà stato reso»”.<br />

A quel periodo risale una strana lettera indirizzata a Lanza dal ministro di Grazia e<br />

Giustizia: «Latore di questa è il Procuratore regio di Salerno. Sentirete da lui cose<br />

gravissime e che in verità sembrano incredibili». La banda Manzo sembrava inafferrabile<br />

ma quando passò dalla provincia di Salerno a quella di Avellino con lo scopo di<br />

sequestrare il deputato Grella cadde in una trappola mortale predisposta dal prefetto<br />

Casalis e fu distrutta. 25<br />

Basile ebbe a Salerno forti contrasti col sindaco Matteo Luciani e le sue interferenze<br />

nelle elezioni furono pesanti. 26 Nel marzo 1874 passò alla sede di Arezzo dove rimase sino<br />

al marzo 1876, poi andò per pochi mesi a Reggio Calabria, successivamente a Parma dove<br />

morì la moglie baronessa Adelaide Rivas di Messina, madre di numerosa prole. Trasferito<br />

a Catania vi rimase sino al febbraio 1880. Dalle note riservate risulta che il Ministero gli<br />

addebitò leggerezza nei rapporti col questore.<br />

In quattordici anni Basile aveva cambiato ben sette sedi. A Milano, dove arrivò da<br />

Catania, rimase invece due lustri sino al 1890 e «l’opera sua fu accetta ad amici ed<br />

avversari, locché significa molto» 27 . Leggiamo ancora le note riservate: «È abile e capace,<br />

anche se non sempre ottiene risultati positivi nelle operazioni di polizia ed in quelle<br />

elettorali. I tratti salienti del carattere sono l’ambizione e una certa dose di presunzione,<br />

che lo rendono poco amato dai suoi sottoposti, perché egli ritiene di far tutto da sé. Non<br />

sa far nulla senza chiasso, e le cose le più semplici e le più naturali sono da lui gonfiate in<br />

modo da prendere delle proporzioni esagerate e teatrali. È accorto ed abbastanza destro<br />

da tenersi in piedi bene e mantenersi in una certa reputazione dinanzi al pubblico, di cui<br />

ama gli applausi.» 28<br />

Il giornalista Francesco Giarelli scrisse: «Riveggo la barba fulvo-dorata di Achille Basile<br />

che entrato con affettuoso entusiasmo <strong>nella</strong> vita militante di Milano, segnava ogni altra<br />

settimana di carriera con una nuova opera di beneficenza a pro di questo o di quell’istituto<br />

di carità o di istruzione popolare; e, amico dell’arte, dopo una faticosa giornata di lavoro<br />

25 D’URSO D., Il brigantaggio ad Acerno. Protagonisti e vicende, Salerno 2001, pp. 10-18.<br />

26 LUCIANI M., I casi municipali di Salerno, Napoli 1874; SERIO M., Matteo Luciani, in<br />

“Rassegna storica salernitana”, gennaio-marzo 1938; MOSCATI A., Matteo Luciani, Salerno<br />

1945; CESTARO A., Rapporti tra autorità civili e autorità ecclesiastiche a Salerno dal 1860 al<br />

1872, in “Rassegna di politica e di <strong>storia</strong>”, (IX) dicembre 1963, pp. 13-14; ROSSI L., Una<br />

provincia meridionale nell’età liberale, Salerno 1987, p. 131.<br />

27 DE GREGORIO P., Appendice, cit., p. 994.<br />

28 GUSTAPANE E., I prefetti dell’unificazione, cit., p. 1065.<br />

94


aridamente burocratico, finiva la serata nel suo palchetto al teatro Manzoni, dove<br />

irresistibilmente lo traeva il fascino della buona commedia.» 29 Per un altro<br />

contemporaneo: «Basile è ancora giovine, ha simpatico aspetto, i suoi capelli sono rossi, i<br />

suoi occhi brillano ed hanno, nel tempo stesso, qualche cosa di vellutato ed una dolcezza<br />

inesprimibile. La sua anima è tutta intera nei suoi occhi.» 30 Tutti concordano<br />

sull’imponenza della figura e sull’eleganza dell’abbigliamento definita “diplomatica”.<br />

Gli anni di Basile a Milano furono segnati da pochi scioglimenti di consigli comunali e<br />

rari annullamenti di elezioni. Ciò da un lato indica che l’amministrazione locale era<br />

condotta in modo regolare, dall’altro che a Milano il prefetto si serviva piuttosto degli<br />

interventi non ufficiali per tenere sotto controllo il quadro politico. 31 Nel capoluogo i<br />

gruppi moderati facevano capo al banchiere Giulio Belinzaghi sindaco dal 1868 al 1884<br />

ed erano chiusi «entro schemi austeri e dottrinari di intransigentismo conservatore» 32 .<br />

Dopo Belinzaghi emerse la figura di Gaetano Negri “sindaco di ferro” dal 1885 al 1889.<br />

Le elezioni politiche svoltesi in quel decennio non ebbero sempre l’esito auspicato da<br />

Basile. Da un lato c’era quella destra conservatrice fortemente ostile a Depretis e Crispi,<br />

dall’altro forze radicali e democratiche in crescita di consensi. Basile fu “mortificato e<br />

impaurito” per i risultati del 1882 e temette la rimozione. 33 Quattro anni dopo Milano<br />

mandò in Parlamento ben quattro deputati radicali (Cavallotti, Mussi, Maffi e Marcora) e<br />

solo nelle campagne continuarono a prevalere i candidati cosiddetti costituzionali. Nel<br />

1890 furono eletti Cavallotti e Mussi, un moderato anticrispino (Colombo) e solo due<br />

sostenitori del governo, Ponti e Beltrami.<br />

In una lettera indirizzata a Crispi da “Urbanino” Rattazzi il 5.10.1889 si legge che<br />

l’opera di Basile contro le forze anti-governative era «in gran parte paralizzata dall’inerzia<br />

del procuratore generale alla Corte d’Appello comm. Celli, il quale, esagerando forse<br />

anche per naturale inerzia le istruzioni del suo ministro di procedere con molta<br />

circospezione e ponderatezza nelle cause che hanno titolo o carattere politico, lascia che<br />

queste dormano, frustrando così l’azione dell’autorità politica». 34<br />

29 GIARELLI F., Vent’anni di giornalismo, Codogno 1896, p. 425.<br />

30 GALATI D., Gli uomini del mio tempo, Bologna 1882, p. 365.<br />

31 Uno studio di Anna Rita Ostinelli sull’attività della prefettura di Milano nel decennio di<br />

Basile è nel volume miscellaneo Le riforme crispine, Archivio ISAP n. s. 6, Milano 1990.<br />

32 CASTRONOVO V., La stampa italiana dall’Unità al fascismo, Bari 1976, p. 116.<br />

33 CAROCCI G., Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino<br />

1956, p. 291; v. anche BARTOLI D., L’Italia burocratica, Milano 1965, p. 68.<br />

34 FONZI F., Crispi e lo «Stato di Milano», Milano 1965, p. 11.<br />

95


Invece, le convenienze politiche del momento avevano spinto Crispi, nel gennaio<br />

1888, a telegrafare così a Basile: «Vedete di salvare Cavallotti da una sentenza che tocchi<br />

la sua reputazione». Il prefetto riferì al Presidente del Consiglio l’esito parzialmente<br />

positivo del suo interessamento presso i magistrati: «Di più non è stato possibile<br />

ottenere». 35 La campagna contro Crispi del foglio progressista “Il Secolo” divenne<br />

violentissima 36 e le dure critiche dell’opposizione alla politica governativa colpirono anche<br />

i rappresentanti locali del potere centrale. 37<br />

Nel luglio 1881 la Confederazione operaia lombarda tenne a Milano il suo primo<br />

congresso. Inutilmente Depretis «spinto dagli affaristi interessati ma preoccupato<br />

soprattutto di creare in tal modo un diversivo al movimento operaio locale, faceva<br />

pressioni in favore della rapida riuscita delle trattative per dare inizio al rinnovamento<br />

edilizio di Milano». 38 Nel settembre 1885 fu celebrato il 25° anniversario<br />

dell’Associazione generale degli operai e il prefetto diede la sua adesione: era «la parte<br />

della classe lavoratrice che ancora viveva nell’ambito degli interessi dei moderati». 39 Lo<br />

stesso anno il Partito Operaio Italiano tenne il primo congresso nazionale. Secondo il<br />

prefetto, quel partito era «diretto ad organizzare, arte per arte, le falangi del proletariato,<br />

ed affratellarle in nome di un comune diritto, il diritto all’assistenza in nome di un<br />

comune metodo di lotta, la resistenza al capitale». 40 Il foglio di propaganda “Fascio<br />

Operaio” subì ripetuti sequestri e nel giugno 1886 il P.O.I. fu sciolto. «Un bel giorno, o<br />

piuttosto una brutta notte, lanciatogli contro l’interdetto, la sede del partito a Milano,<br />

insieme a parecchie sezioni in provincia, furono perquisite, i capi arrestati e gettati in<br />

carcere, e le chiavi delle sedi portate via dalla polizia». 41 Al processo «gli imputati e i loro<br />

difensori propugnarono apertamente le teorie socialiste e il procuratore del re Municchi 42<br />

ne chiese la condanna quando provocano all’azione. Il 31 gennaio 1887 uscì il verdetto dei<br />

giurati che ammise per tutti la provocazione agli scioperi e per uno anche la provocazione<br />

35<br />

Idem, p. 181.<br />

36<br />

BARILE L., Il Secolo, Torino 1980, p. 183.<br />

37<br />

FONZI F., cit., p. 176.<br />

38<br />

CAROCCI G., cit,, p. 492.<br />

39<br />

Storia di Milano, vol. XV, Roma 1962, p. 232.<br />

40<br />

Idem, p. 505.<br />

41<br />

MERLINO F. S., L’Italia qual è, Milano 1974, p. 218.<br />

42<br />

Carlo Municchi, lasciata la magistratura, fu prefetto di importanti provincie tra cui<br />

Milano.<br />

96


alla guerra civile […] Il risultato importante del processo è che il Partito operaio è sciolto<br />

definitivamente. I giudici popolari hanno confermato il decreto della Prefettura.» 43<br />

Filippo Turati fondò la Lega socialista milanese e nel 1888 un gruppo di scrittori legati<br />

alla Scapigliatura pubblicò il libro Il ventre di Milano. Fisiologia della capitale morale, spietata<br />

analisi delle condizioni di vita delle classi più povere.<br />

Nel 1889 Basile autorizzò la manifestazione per la pace e la fratellanza fra i popoli ma il<br />

1° maggio 1890 il tentativo operaio di celebrare la festa dei lavoratori fu represso.<br />

Scrissero i giornali: «La distribuzione delle truppe era stata fatta con criteri strategici, per<br />

cui in pochissimi minuti la forza poteva accorrere in qualunque punto della città venisse<br />

dato l’allarme. I soldati e agenti dell’ordine occupavano tutti quegli edifici comunali e<br />

governativi che per la loro ubicazione erano stati riconosciuti come opportuni centri di<br />

sorveglianza.» Pare che per le strade di Milano quel giorno ci fossero soprattutto passanti<br />

e curiosi, pochi gli operai manifestanti consapevoli. Gli scrosci di pioggia indusse molta<br />

gente a ripararsi in Galleria e quando fu dato l’ordine di sgomberare avvennero scene<br />

quasi comiche, secondo i cronisti: «Chi veniva sbattuto fuori da una parte rientrava<br />

sghignazzando dall’altra, in una sorta di rimpiattino grottesco; fino a che alla buon’ora la<br />

Galleria non fu vuota, ma tutti i curiosi, al colmo del divertimento, si erano addensati<br />

sotto i portici. Alla fine gli ispettori di P.S., preso atto dell’inutilità dei loro sforzi, oltre<br />

che della comica figura a cui furono costretti, conclusero che, non essendovi più operai tra<br />

la folla, la loro missione poteva dirsi felicemente conclusa e ritirarono le truppe. Bilancio<br />

finale della sceneggiata: cinquanta arresti.» 44<br />

Basile «combatté fieramente la pellagra, 45 compì reclamate ed utili inchieste igienicosociali<br />

sulle condizioni dei contadini, con generose proprie elargizioni, con la sua influenza<br />

e magnanimità istituì forni economici, diede sussidi ad opere intellettuali e persino stabilì<br />

in proprio nome dei premi in parecchie scuole popolari e professionali». 46<br />

Per quanto riguarda la cronaca nera, fra il 1881 e il 1883 il quartiere meneghino di<br />

Porta Genova fu turbato dalle gesta di una banda che fu chiamata Seconda compagnia della<br />

43 “L’Illustrazione Italiana”, 6 febbraio 1887, p. 117.<br />

44 “La Marti<strong>nella</strong> di Milano”, maggio 1985, 9. Sui fatti del 1° maggio 1890 v. anche<br />

BARILE L., cit., pp. 183-184; “L’Illustrazione Italiana”, 4 maggio 1890, p. 307 e 11<br />

maggio 1890, p. 323; Il 1° maggio nel Parlamento italiano, in Il Parlamento italiano, vol. 6°<br />

(1888-1901), Milano 1989, pp. 108-110.<br />

45 Le condizioni sanitarie della provincia di Milano: atti della commissione di inchiesta nominata dal<br />

prefetto di Milano comm. Achille Basile per le indagini sulla pellagra, Milano 1885.<br />

46 AMATO D., cit., p. 435<br />

97


teppa. 47 «La Milano degli anni 1880-1890 somiglia di notte alla Parigi di Zola e di Lautrec:<br />

strade strette e buie, osterie sotto il livello del marciapiede, selciati a grosse pietre su cui<br />

risuonano i tacchi delle ronde, ubriachi vagolanti e, sotto la luce azzurrina dei fanali a gas,<br />

bravacci vestiti come gigolo, coi pantaloni attillati, di velluto a coste, il berretto a visiera e<br />

una fascia in vita che cela il maresciall, il coltello ricurvo. È il costume del fort, cioè del<br />

duro, e spesso del magnaccia». 48<br />

La prostituzione era diffusa. La legge voluta da Crispi nel 1888 «eliminava il controllo<br />

ad personam sulle meretrici e concedeva alla polizia esclusivamente il diritto di vigilare sulle<br />

case di tolleranza per impedire che vi avvenissero dei disordini; aboliva gli uffici sanitari ed<br />

i sifilocomi, sostituendo gli uni e gli altri rispettivamente con dispensari celtici aperti a<br />

tutta la popolazione e con speciali sezioni dermosifilopatiche da istituire negli ospedali<br />

civili; vietava ai tenutari dei postriboli di impiegare nei propri esercizi ragazze aventi<br />

meno di 21 anni». 49<br />

La polizia milanese del tempo è stata magnificamente descritta da Francesco Giarelli. 50<br />

C’era il questore Micaelis, più letterato che poliziotto, che si compiaceva non tanto dei<br />

successi professionali ma dei suoi studi su Orazio. Amour era invece «funzionario chiuso,<br />

rigido, severo che vedeva forse troppo nero dappertutto». Santagostino era mite di<br />

carattere e sempre con forme di gentiluomo, proveniva dalla magistratura e Basile che lo<br />

conosceva lo volle con sé a Milano. L’ispettore Barosi vedeva i giornalisti come il fumo<br />

negli occhi «ond’è che quei signori costretti a ricorrere a lui lo facevano coll’entusiasmo di<br />

chi deve ingoiare un’oncia di ricino». Il più originale era però il maggiore delle guardie<br />

Domenico Cappa, imparentato con Rosa Vercellana, il quale a Torino era stato addetto<br />

alla sicurezza del conte di Cavour e in libri di memorie non mancò di riferire sulla vita<br />

privatissima dello statista. Vestiva raramente la divisa preferendo «calzoni neri, stiffelius a<br />

lunghe falde, cravatta nera al collo, alto cappello a cilindro in testa, grossa canna fra le<br />

mani: figura pacificamente tranquilla di magistrato in ritiro». Vestito in quel modo Cappa<br />

interveniva in tutte le emergenze e i pericoli. Il suo coraggio era leggendario e così la sua<br />

religiosità: prima di ogni azione non mancava di pregare <strong>nella</strong> chiesa di S. Fedele o davanti<br />

47 L’Illustrazione Italiana, 2 dicembre 1883, p. 360; DE CRISTOFARO A., Una pagina<br />

storica di cronaca nera milanese: il processo alla seconda Compagnia della Teppa, in “Storia in<br />

Lombardia”, 1992, n. 1.<br />

48 CASTELLANETA C., Storia del costume: malavita a Milano nell’800, in “Storia Illustrata”,<br />

novembre 1959, p. 128.<br />

49 DE CRISTOFARO A., Il problema della prostituzione <strong>nella</strong> Milano postunitaria, in “Storia in<br />

Lombardia”, 1992 n. 2, p. 34.<br />

50 Vent’anni di giornalismo, cit., pp. 246-252.<br />

98


una cappelletta della Vergine. L’uso ancora diffuso del dialetto faceva della questura di<br />

Milano una piccola babele con prevalenza degli idiomi lombardi, piemontesi e liguri.<br />

Achille Basile a 51 anni sposò in seconde nozze Carlotta Bossi vedova dell’architetto<br />

Mengoni, progettista della Galleria morto cadendo da un ponteggio. Col nuovo<br />

matrimonio Basile «s’imparentò con patrizie e stimate famiglie della Provincia<br />

lombarda». 51 Alessandro Casati poeta d’occasione scrisse un’ode per le nozze celebrate nel<br />

novembre 1883. 52<br />

“L’Illustrazione Italiana” del 17 agosto 1890 commentò così la partenza del prefetto<br />

Basile per Napoli: «Dopo dieci anni ci eravamo avvezzati a crederlo inamovibile.<br />

Bell’uomo, ben piantato, pieno di garbo, magniloquente alle sue ore. Aveva belle parole e<br />

sorrisi per tutti: s’occupò poco di politica, salvo nei momenti topici; nell’amministrazione<br />

lasciò fare, comprendendo che questa è la sola città d’Italia che ama e sa governarsi da sé.<br />

Si appassionò per alcune cose utili: le cucine economiche, la cura dei pellagrosi. Coltivò<br />

così l’amicizia di tutti ed ora che sta per lasciarci non ha che i complimenti di tutti e gode<br />

il rammarico generale. È con vivo dispiacere ch’egli lascia Milano ed è con vivo dispiacere<br />

che i milanesi lo vedono partire».<br />

Secondo un cronista un po’ untuoso «la bella notizia della sua meritata nomina ha<br />

riempito di gioia i cuori dei napoletani, che avranno in lui un intelligente, operosissimo,<br />

zelante funzionario che ha lasciato un bel nome e un grato ricordo di sé <strong>nella</strong> provincia<br />

lombarda.» 53 Basile di lì a poco ottenne il laticlavio. La nomina a senatore era tra le<br />

massime aspirazioni di un prefetto di sede importante, anche se non portava benefici<br />

economici. Durante il soggiorno partenopeo Basile ebbe una particolarissima incombenza:<br />

tenere d'occhio l’erede al trono Vittorio Emanuele nelle sue avventure d’alcova con<br />

ballerine e frequentatrici «di certi salotti e salottini che di rispettabile avevano solo la<br />

51 AMATO D., cit., p. 435.<br />

52 Figli di secondo letto furono Carlo Emanuele, Ferdinando,Umberto,Valentina. Il<br />

primogenito, nato a Milano nel 1885, laureato in legge, fu volontario di guerra decorato di<br />

due medaglie di bronzo al valor militare, Sindaco e Podestà di Stresa per molti anni,<br />

componente del direttorio del P.N.F., deputato, durante la R.S.I. Capo della provincia di<br />

Genova e per questo imputato in clamorosi processi nel secondo dopoguerra, morto nel<br />

1972. Il secondogenito Ferdinando, nato a Milano nel 1887, laureato in legge, fu decorato<br />

di medaglia d’argento al valor militare. Umberto nato a Stresa nel 1888, ufficiale dei<br />

Lancieri di Novara, decorato di due medaglie d’argento al valor militare, morì nel primo<br />

conflitto mondiale.<br />

53 AMATO D., cit., p. 436.<br />

99


facciata.» 54 Pare che le relazioni riservate del prefetto mettessero di buon umore i reali<br />

genitori.<br />

Basile non ebbe a Napoli vita facile e per altri motivi:«Napoli era un terreno pericoloso<br />

al quale lo si chiamava; gli scogli erano pur troppo forti e duri assai, e non diciamo che vi<br />

avesse dato di capo; ma forse dovette capitolare. I partiti di Napoli con Nicotera al<br />

potere 55 ingagliardiscono sempre maggiormente e diventano indomabili”. 56<br />

Dopo neanche due anni fu trasferito a Venezia, sede prestigiosa ma non quanto le<br />

precedenti. Morì <strong>nella</strong> città lagunare il 20 febbraio 1893 a 61 anni 57 . “L’Illustrazione<br />

Italiana” lo ricordò come un prefetto simpatico e popolare:<br />

«Il sen. Basile, pur non scontento del soggiorno materiale di Venezia, venne qui a<br />

malincuore. Dopo aver retto Prefetture dell’importanza di Milano e Napoli, il trasloco a<br />

Venezia non poteva non sembrargli una diminuzione d’autorità, un procedere a rovescio<br />

<strong>nella</strong> carriera. Uomo di fegato, di battaglia, funzionario specialmente politico, il Basile qui<br />

si trovò fuori di posto. Il Pasolini 58 soleva dire, la Prefettura di Venezia equivale<br />

all’anticamera del riposo, della quiescenza. In mancanza di meglio, e perché carico di<br />

famiglia senz’essere ricco, il comm. Basile accettò, lo scorso luglio, la destinazione fra le<br />

lagune, ma a patto di rimanervi solo in via transitoria; ambiva ritornare a Milano, e pare<br />

anche avesse avuto degli affidamenti in tutta confidenza. Fatto sta che la nomina del<br />

Winspeare 59 in luogo del Codronchi 60 lo accorò fuor di misura. Tre giorni addietro ebbe<br />

un grande travaso di bile e oggi (20 febbraio) morì, senza che una malattia fisica si<br />

determinasse con tanta violenza da uccidere un uomo ancora rigoglioso com’egli era.» 61<br />

54 MONTANELLI I. – CERVI M., L’Italia del Novecento, Milano 1999, p. 10.<br />

55 Il focoso Nicotera, dopo essere stato ministro dell’Interno con Depretis negli anni 1876-<br />

1877, lo fu anche con Rudinì nel 1891-1892.<br />

56 DE GREGORIO P., Appendice, cit., p. 994.<br />

57 Poche notizie biografiche su Achille Basile si trovano in Enciclopedia biografica e<br />

bibliografica italiana. Ministri deputati, senatori dal 1848 al 1922, a cura di Alberto Malatesta,<br />

vol. 1°, Milano 1940, p. 85; Il Risorgimento italiano. Gli uomini politici, a cura di Pietro<br />

Fedele, vol. 1°, Milano 1941, p. 113; Dizionario dei siciliani illustri, Palermo 1939 p. 59;<br />

RANDERAAD N., Autorità in cerca di autonomia, cit., p. 290; La prefettura di Roma, a cura di<br />

Marco De Nicolò, Bologna 1998, pp. 44-45.<br />

58 Giuseppe Pasolini (1815-1876) fu importante uomo politico, prefetto di Milano,<br />

Torino, Venezia, presidente del Senato.<br />

59 Su Antonio Winspeare, prefetto di Milano dal febbraio 1893 al maggio 1898, v. RIZZO<br />

M. M., Per una <strong>storia</strong> dei ceti dirigenti tra Otto e Novecento, Lecce 2000.<br />

60 Giovanni Codronchi Argeli era stato prefetto di Milano, succedendo a Basile, dall’agosto<br />

1890 al febbraio 1893.<br />

61 “L’Illustrazione Italiana”, 26 febbraio 1893, p. 146.<br />

100


101


Una curiosa polemica contro Carlo Astengo<br />

da Amministrazione civile, ottobre/novembre 2003<br />

101


Carlo Astengo è figura molto nota dell’Amministrazione Civile e non a caso la <strong>Scuola</strong><br />

Superiore dell’Amministrazione dell’Interno ha voluto dedicargli un’aula. 1<br />

La Direzione generale dell’Amministrazione Civile tra fine Ottocento e inizio<br />

Novecento era il cuore del Ministero dell’Interno. S’incardinava su tre divisioni: I<br />

(Personale), II (Amministrazione dei Comuni e delle province), III (Beneficenza<br />

pubblica). Il vertice della Direzione generale fu occupato negli anni da personaggi del<br />

calibro di Pietro Bertarelli, Carlo Schanzer, Alberto Pironti, Giuseppe Giovenco.<br />

I dati biografici di Carlo Astengo sono noti. Nacque a Savona nel 1837, figlio<br />

dell’illustre avvocato senatore Giacomo che collaborò alla codificazione del 1865, in<br />

particolare per le leggi civili. 2 Carlo Astengo non conseguì lauree ma si limitò a seguire<br />

un corso di filosofia. Dopo un’esperienza fatta <strong>nella</strong> nativa Savona come “volontario” non<br />

retribuito, negli anni 1857-1859 lavorò come Segretario comunale. Nel 1860 entrò<br />

nell’amministrazione statale con qualifica di semplice Applicato e da allora prestò servizio<br />

quasi esclusivamente in uffici ministeriali. Cominciò a bruciare le tappe di una carriera<br />

che lo portò a essere Ispettore centrale nel 1876, Capo divisione del personale nel 1880,<br />

Ispettore generale, Regio delegato straordinario nei comuni di Genova, 3 Bari, 4 Venezia, 5<br />

prefetto di Siracusa (1884), di Caserta (1885), Consigliere di Stato (1886), 6 Direttore<br />

generale dell’Amministrazione Civile (1896), Senatore del regno (1896). Morì a Roma<br />

nel 1917. 7 La sua fama rimane legata a una serie di manuali che divennero preziosi e<br />

affidabili strumenti di lavoro per intere generazioni di funzionari: Manuale degli<br />

amministratori comunali e provinciali (in collaborazione con Emilio Bedendo e Cesare<br />

Salvarezza); Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria (con l’avv.<br />

Luigi Gatti); Giornale dei Notai (con Vincenzo Conti); Guida amministrativa ossia commentario<br />

alla legge comunale e provinciale (con Giovanni Battista Bisio e Paolo Boselli); Dizionario<br />

amministrativo (con Emilio Bedendo e Carlo Chiaro).<br />

1 Sulla <strong>storia</strong> dei prefetti, <strong>Scuola</strong> Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, 1994.<br />

2 Su Giacomo Astengo v. Dizionario biografico degli italiani, vol. 4, Roma 1962.<br />

3 Atti della Società Ligure di Storia Patria, XVII (1977).<br />

4 Relazione del R. Delegato Straordinario comm. Carlo Astengo al Consiglio Comunale di Bari letta<br />

<strong>nella</strong> seduta d’insediamento dell’11 ottobre 1882, Bari 1882.<br />

5 RANDERAAD N., Autorità in cerca di autonomia. I prefetti nell’Italia liberale, Roma, 1997.<br />

6 ZOLI C., Cenni biografici dei componenti la magistratura del Consiglio di Stato (1831-1931),<br />

in Il Consiglio di Stato. Studi in occasione del centenario, vol. 3°, Roma 1932.<br />

7 Dizionario biografico dei liguri, Genova 1992, ad vocem; Studi per la <strong>storia</strong> dell’amministrazione<br />

pubblica italiana, <strong>Scuola</strong> Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, Roma 1998.<br />

102


Importanti i commenti di Astengo alla nuova legge di pubblica sicurezza del 1889 (in<br />

collaborazione con Giorgio Sandri), alle disposizioni sulle opere pie (con Gaspare Bolla),<br />

ai dazi ed imposte comunali (con Edoardo Martino). 8 Come ha scritto Guido Melis, le<br />

opere di Astengo sono «essenzialmente caratterizzate da intenti di divulgazione giuridica,<br />

nell’ambito di un progetto culturale di forte taglio pedagogico, soprattutto rivolte<br />

all’orientamento dei quadri burocratici intermedi e periferici dello stato e delle<br />

amministrazioni locali». 9 Una rivista scrisse nel 1896: «Tutti i segretari comunali d’Italia<br />

conoscono il suo manuale indispensabile per sostenere gli esami in quell’ufficio».<br />

Per i suoi innumerevoli lavori Astengo (“pubblicista assai prolifico” secondo<br />

l’espressione di Raffaele Romanelli 10 ) ebbe molti collaboratori e questo mi dà lo spunto<br />

per ricordare una polemica di cui a suo tempo fu bersaglio. Detto in parole povere: la sua<br />

fama scientifica era del tutto meritata? Naturalmente, se Astengo si fosse servito di<br />

famuli non avrebbe inventato nulla. Da che mondo è mondo c’è chi sfrutta il lavoro altrui.<br />

Quanti docenti universitari utilizzano a loro vantaggio il lavoro dei laureandi? Quanti che<br />

hanno un nome lo “prestano” per la copertina di un libro di semi-sconosciuti che<br />

troverebbero altrimenti chiuse le porte editoriali?<br />

Ma torniamo a Carlo Astengo. Una pubblicazione del 1898 gli attribuiva<br />

un’inesistente laurea in legge e, giustamente, una “mente acuta e chiara”. Lavoratore<br />

instancabile «non ha potuto sempre evitare antipatie e rancori scatenatiglisi contro per<br />

opera dei colpiti o censurati nelle sue ispezioni, ma la sua rigida integrità nessuno l’ha mai<br />

potuta attaccare o sospettare. Tentò di diventar deputato, ma soccombette <strong>nella</strong> prova e<br />

allora tornò più che mai a consacrarsi con zelo ed assiduità agli affari amministrativi e<br />

s’accinse a scrivere e compilare trattati che gli studiosi hanno giudicati utilissimi». 11<br />

Veniamo ora ai giudizi meno encomiastici. Pietro De Gregorio tracciò questo ritratto<br />

di Carlo Astengo: «È entrato negli uffici pubblici per la porta piccola, come applicato di<br />

pubblica sicurezza. Dotato di una volontà ferrea ha supplito con questa alla mancanza di<br />

istruzione. Per lunghissimi anni non si è mosso dal Ministero dove si è dedicato alla<br />

compilazione dei suoi Manuali, giovandosi della collaborazione dei giovani colleghi che<br />

meglio ravvisava adatti, monopolizzando l’ingente mole di materiali di ufficio che aveva<br />

8 Un elenco delle sue pubblicazioni si trova nel saggio di Nico Randeraad, Gli alti funzionari<br />

del Ministero dell’Interno durante il periodo 1870-1899, in “Rivista trimestrale di diritto<br />

pubblico”, n. 1/1989.<br />

9 MELIS G., La burocrazia e le riviste: per una <strong>storia</strong> della cultura dell’amministrazione, in<br />

“Quaderni fiorentini per la <strong>storia</strong> del pensiero giuridico moderno”, n. 16/1997.<br />

10 ROMANELLI R., Sulle carte interminate, Bologna 1989.<br />

11 SARTI T., Il Parlamento italiano nel cinquantenario dello Statuto, Roma 1898.<br />

103


sottomano, così da ricavarne utile grandissimo, tanto da permettersi il lusso della pariglia,<br />

fortuna ignota per la maggioranza dei funzionari anche più altolocati. Nella giberna<br />

dell’applicatuzzo di 4ª classe era il bastone da maresciallo. L’opera come pubblico<br />

funzionario è stata sempre rumorosa per la sua non invidiata qualità di inquisitore e<br />

manipolatore di inchieste. Come prefetto ha lasciato qua e là strascichi non dimenticati<br />

ancora, specie in provincia di Caserta. Un biografo lo dice nepotista e non ci sembra che il<br />

giudizio sia avventato». 12 Come si vede, si sono osservazioni poco commendevoli ma<br />

molto di più e peggio scrisse di Astengo il professor Pietro Sbarbaro.<br />

Sbarbaro era un docente universitario di economia politica, di grande cultura ma un<br />

po’ mattoide, che condusse una serie di battaglie alla Don Chisciotte contro l’establishment<br />

del tempo. Se la prese e le prese da Depretis e da vari ministri a cominciare da quello<br />

dell’istruzione Guido Baccelli che lo destituì dall’impiego. Fondò, diresse e scrisse tutto<br />

da solo un foglio, le “Forche Caudine” che negli anni 1884 e 1885 incontrò uno<br />

straordinario successo di pubblico, arrivando a 150.000 copie di tiratura. 13 Su quel<br />

giornale attaccò e insultò con un linguaggio coloritissimo politici come Pasquale Stanislao<br />

Mancini e Agostino Magliani e anche mogli, figlie e generi. Vituperò professori, prefetti,<br />

sindaci, ecc. «La critica al sistema depretisiano – quantunque muovesse inizialmente da<br />

istanze di sinistra democratica – sfociava presto in un’opposizione indiscriminata che,<br />

investendo uomini e istituzioni, doveva confluire più immediatamente su un terreno di<br />

esasperato moralismo piccolo-borghese e di individualismo grossolano e retrivo». 14 Presto<br />

arrivarono le querele e le denunzie, i mandati di cattura, i sequestri del giornale. Sfuggito<br />

inizialmente all’arresto, Sbarbaro continuò a scrivere dalla latitanza mentre la polizia gli<br />

dava la caccia e pedinava tipografi e strilloni. Finito in gattabuia a seguito di una delazione,<br />

Sbarbaro fu condannato a parecchi anni di carcere. Eletto deputato visse ancora una<br />

parentesi di notorietà per morire poi dimenticato e in miseria nel 1893.<br />

Nelle “Forche Caudine” del 6 luglio 1884 questo professore grafomane pubblicò<br />

l’articolo Il prefetto di Siracusa, che riporto di seguito nelle parti essenziali.<br />

«Dopo la nomina di un Giuseppe Saredo a Consigliere di Stato, l’Italia di Agostino<br />

Delli Preti 15 doveva inghiottirsi anche quella di un Carlo Astengo a Prefetto della città di<br />

Archimede! Il rispetto che il Governo del Re, divenuto ormai una Agenzia di affari,<br />

professa per i grandi Corpi dello Stato è pari a quello che dimostra per i più gloriosi<br />

12<br />

DE GREGORIO P., Appendice all’opera “Parlamento subalpino e nazionale”, Terni 1893.<br />

13<br />

MAJOLO MOLINARI O., La stampa periodica romana dell’Ottocento, Roma 1963, ad<br />

vocem.<br />

14<br />

CASTRONOVO V., La stampa italiana dall’Unità al fascismo, Bari 1976.<br />

104


Municipi e per le Provincie più illustri del Regno. Il Prefetto nuovo di Siracusa non ha né<br />

meno uno straccio di laurea d’avvocato. Non conosce né meno i primi elementi del<br />

diritto. Non ha mai posto piede in una Università. Compilò Manuali e Guide col soccorso<br />

e col concorso di studiosi e di dotti. Non seppe mai fare né meno la Prefazione leggibile di<br />

un suo lavoro di compilazione. E fuori delle materie amministrative empiricamente<br />

saggiate in tanti anni di carriera, è un vero e proprio analfabeta civile. Con tutto ciò si è<br />

trovato un Ministero moralmente capace di farne un Prefetto, che vuol dire la<br />

personificazione dell’ente governo in cospetto della terra più gloriosa, per antica civiltà, di<br />

tutto il mezzogiorno d’Italia!<br />

Mi si dirà che cotestui ha pratica di amministrazione e molta esperienza di negozi, che<br />

era il Regio Commissario in permanenza per tutti Municipi in disordine e la scopa<br />

perpetua di abusi nelle Opere pie. Sarebbe un provare ciò che è in discussione con un<br />

argomento assai discutibile. Perché la frequenza degli atti di fiducia per parte del Governo<br />

del Re nel mio concittadino dimostra meglio la decadenza morale del governo che il<br />

merito straordinario di Carlo Astengo. L’idea di trovare stoffa di un Prefetto nel comm.<br />

Astengo non poteva sbocciare che nell’anima di un Saredo 16 , che la comunicò al Depretis,<br />

ricettacolo degno di tutte le idee che hanno per uffizio di abbassare il livello morale della<br />

nazione e scalzare nel sentimento pubblico il rispetto dell’Autorità. Siamo in piena<br />

vulgocrazia!<br />

Nel prefetto di Siracusa tutto è basso e oscuro e volgare: la faccia, la cultura, il<br />

carattere e perfino la maniera di esprimersi. Non conobbi mai burocratico più sguarnito di<br />

idealità, più ignorante di ogni geniale dottrina, di ogni elevata ispirazione più mendico. Ha<br />

l’aria, il colore e l’occhio di un carnefice libidinoso. E basta parlargli una mezz’ora per<br />

sentire il lezzo di una ignorantezza, come dicono i Marchigiani, quasi fenomenale. Lo<br />

conosco da circa 40 anni. Siamo nati nell’istesso paese, 17 battezzati <strong>nella</strong> stessa parrocchia<br />

di San Pietro: sua moglie fu tenuta a battesimo da mio padre; figuratevi se lo conosco!<br />

Io ne avrei fatto, al più, un direttore di ergastolo o un Ispettore Centrale delle<br />

prigioni, 18 perché ha solerzia, operosità somma e preclara diligenza nell’eseguire<br />

puntualmente ordini scesi dall’alto. E chiunque l’abbia conosciuto un po’ bene, penserà<br />

come me, ma nessuno avrà la mia franchezza nell’esprimere l’indignazione di quella<br />

nomina. L’Astengo è la servilità scriniocratica verso il Potere fatta Prefetto! Suo cognato,<br />

15 È volutamente storpiato il nome di Agostino Depretis, Presidente del Consiglio.<br />

16 Giuseppe Saredo (1832-1902), altro savonese, fu Presidente del Consiglio di Stato.<br />

17 Ricordo che anche Pietro Sbarbaro era di Savona.<br />

18 All’epoca l’amministrazione delle carceri dipendeva dal Ministero dell’Interno.<br />

105


il compianto cav. Carlo Salvarezza, che fu Segretario del Vigliani 19 a Napoli e lasciò un<br />

vuoto indelebile nelle nostre scriniocratiche sfere, non ne parlava mai che con parole di<br />

ribrezzo gentile. Quello era il modello del gentiluomo amministrante!<br />

Il comm. Astengo, mezzo idiota nel fatto della <strong>storia</strong> civile, in mezzo alle memorie,<br />

ai monumenti, alle ombre di quella Siracusa, ove ogni sasso sveglia l’immagine di una<br />

civiltà tramontata, mi reca l’impressione di un giumento gallonato in mezzo ad una<br />

pinacoteca.<br />

È onesto? Certo, che io mi sappia, non ha mai fabbricato cambiali false, né rubato il<br />

portamonete a nessun deputato. È un uomo sulla cui bandiera sta scritto: salire. Egli,<br />

come il Saredo, ha fatto quattrini colle Guide, coi Manuali.<br />

Carlo Astengo, Prefetto integro e splendida incarnazione dell’ignobile ideale che il<br />

Depretis viene colorendo sotto gli auspizi profanati del Re. I Siciliani guardino in faccia il<br />

mio concittadino e si preparino a vederlo un giorno Consigliere di Stato come un V.<br />

Errante 20 e un G. Lafarina 21 ! Tutto è possibile in Italia! 22 ».<br />

Su Pietro Sbarbaro (definito dalla regina Margherita chenapan) lascio il giudizio ad<br />

Alessandro Guiccioli che fu prefetto di Firenze, Roma e Torino: «Certo è un pazzo, ma il<br />

60% di ciò che dice è vero, l’altro 40% esagerato, ma non falso». 23<br />

Resta la curiosità per quella polemica tanto astiosa contro la nomina prefettizia di<br />

Carlo Astengo.<br />

19 Paolo Onorato Vigliani, più volte ministro, fu prefetto di Napoli negli anni 1864-1865.<br />

20 Vincenzo Errante (1813-1891), uomo politico e scrittore.<br />

21 Giuseppe Lafarina (1815-1863), patriota siciliano e deputato.<br />

22 In effetti, la previsione di Sbarbaro s’avverò due anni dopo.<br />

23 Su Pietro Sbarbaro furono espressi giudizi più sereni dopo la morte (v. “L’Illustrazione<br />

Italiana” del 10 dicembre 1893; CROCE B., La letteratura della nuova Italia, vol. 3°, Bari<br />

1967, ad vocem).<br />

106


Angelo Pesce<br />

da Rassegna storica salernitana, n. 39 giugno 2003<br />

107


Angelo Pesce era originario di Laurino (Salerno) dove nacque il 31 dicembre 1864. Il<br />

padre Gherardo, imparentato con Agostino Magliani famoso o famigerato ministro delle<br />

Finanze al tempo di Depretis, era un possidente di sentimenti liberali che fu a lungo<br />

Sindaco del paese.<br />

Compì a Napoli gli studi di diritto laureandosi a 22 anni con una tesi sulla condizione<br />

della donna nell’antico diritto indiano. 1 I suoi interessi culturali andavano oltre le<br />

pandette, conseguì anche un diploma per la lingua araba e quella indostana presso<br />

l’eccellente Istituto Orientale nonché l’abilitazione all’insegnamento della letteratura<br />

italiana nei licei e negli istituti tecnici. 2 Nel settembre 1887 entrò per concorso <strong>nella</strong><br />

prestigiosa Amministrazione dell’Interno continuando a coltivare per alcuni anni l’amore<br />

per il giornalismo e le lettere. Teodoro Rovito nel 1922 lo definì “egregio e colto<br />

scrittore” ricordando la sua collaborazione alla “Gazzetta Letteraria”, al “Fanfulla della<br />

Domenica”, a “Scena Illustrata” 3 e la direzione di “Cronaca Partenopea”. Angelo Pesce<br />

pubblicò: La Protesta del popolo delle Due Sicilie di Luigi Settembrini (Napoli 1884); Heroides.<br />

Tipi femminili in India e in Grecia (Torino 1890); Medea e Fedra; Per la festa degli alberi; Pro<br />

infantia. Diede alle stampe anche un burocratico “Codice elettorale politico ed amministrativo”<br />

(Napoli 1896).<br />

Gli assillanti impegni di lavoro lo allontanarono poi dalla letteratura. Le prime sedi di<br />

servizio furono Napoli e Crotone, 4 nel 1896 fu collaboratore di Codronchi-Argeli<br />

commissario civile in Sicilia. 5 Contrasse matrimonio con Teresa Salimbeni di nobile<br />

famiglia laziale e si trasferì a Roma.<br />

Per qualche tempo svolse prevalentemente incarichi ispettivi e di regio commissario<br />

nei Comuni. Quando una commissione presieduta dal senatore Giuseppe Saredo,<br />

presidente del Consiglio di Stato, fu incaricata di un’inchiesta sull’amministrazione locale<br />

di Napoli, Angelo Pesce ne fu nominato Segretario. La relazione finale denunziò intrecci<br />

scandalosi tra politica e affari, diffuso malcostume <strong>nella</strong> gestione della cosa pubblica,<br />

infiltrazioni della camorra negli appalti. Come ricordò lo stesso Pesce: «L’inchiesta Saredo<br />

1 PADULO G., Un prefetto conservatore (1909-1925), in “Annali dell’Istituto italiano per gli<br />

studi storici”, VI, 1979/1980, p. 306.<br />

2 BIAGI G., Chi è?, Roma,1908, p. 198.<br />

3 ROVITO T., Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Napoli 1922, p. 308.<br />

4 CIFELLI A., I prefetti del Regno nel ventennio fascista, Roma 1999, p. 214.<br />

5 D’URSO D., Storie di prefetti, Alessandria 1991, cap. dedicato a Codronchi-Argeli.<br />

108


fu un colpo d’ariete contro quella muraglia di corrotti corruttori e procaccianti, e se non<br />

valse ad atterrarla vi aprì una breccia formidabile». 6<br />

Il delicato incarico svolto a Napoli valse a Pesce un’onorificenza dell’Ordine dei SS.<br />

Maurizio e Lazzaro. Successivamente fu regio commissario al comune di Bari,<br />

componente della commissione mista per la revisione del confine italo-svizzero,<br />

consulente presso il comando militare durante i soccorsi per il terremoto di Messina e<br />

Reggio Calabria del dicembre 1908 meritando anche una medaglia d’oro.<br />

Nel febbraio 1909 arrivò la promozione a prefetto di Reggio Calabria. Visitò in lungo e<br />

in largo la provincia, anche a dorso di mulo, lasciando di sé un ottimo ricordo. «In<br />

provincia di Reggio Calabria, dove le vie di comunicazione erano cattive e molti comuni<br />

erano difficilmente raggiungibili, le ispezioni sembravano un sine qua non per una regolare<br />

amministrazione. Per la popolazione rurale, che era abituata ad agire esclusivamente<br />

attraverso canali personali, la presenza del prefetto era essenziale per l’accettazione<br />

dell’autorità dello Stato». 7<br />

Trasferito a Porto Maurizio (che poi costituì con Oneglia l’odierna Imperia) vi rimase<br />

dall’agosto 1912 all’aprile 1915 per poi andare a Bari alla vigilia della prima guerra<br />

mondiale. Lì si distinse per un’alacre attività nel campo dell’assistenza alle famiglie dei<br />

richiamati, alle vedove e agli orfani, <strong>nella</strong> propaganda dei prestiti per la vittoria,<br />

nell’organizzazione degli approvvigionamenti alimentari promuovendo l’istituzione della<br />

“tessera”. 8 Volle che nei comuni agissero i “Vigili della resistenza interna” incaricati della<br />

propaganda patriottica e anti-disfattista.<br />

Nel marzo 1919 il ministro Orlando, al quale sollecitava da tempo il passaggio «ad una<br />

delle massime prefetture», lo destinò a Milano. Il tormentato dopoguerra conobbe nel<br />

capoluogo lombardo alcune delle sue pagine più drammatiche: le spinte massimaliste in<br />

seno ai socialisti spiazzarono le tendenze più conciliative lasciando la piazza in mano agli<br />

estremisti. La fondazione dei Fasci di combattimento portò ad una radicalizzazione della<br />

lotta politica e scontri, attentati, assalti sanguinosi riempirono la cronaca quotidiana della<br />

“capitale morale”.<br />

6<br />

PADULO G., cit., p. 308. Sull’inchiesta v. Regia Commissione d’inchiesta per Napoli,<br />

Roma 1901; Il saccheggio di Napoli, in “Rivista popolare”, a. VII (1901), p. 382; RUSSO<br />

G., Napoli e l’inchiesta Saredo, in “Archivio storico per le province napoletane”, LXXXIX<br />

(1971).<br />

7<br />

RANDERAAD N., Autorità in cerca di autonomia. I prefetti nell’Italia liberale, Roma 1997,<br />

p. 159.<br />

8<br />

Un accenno a Pesce quand’era a Bari è in DENTONI M. C., Le carte prefettizie: una fonte<br />

per lo studio della <strong>storia</strong> sociale contemporanea, in “Le carte e la <strong>storia</strong>”, 1999 n. 2, p. 197.<br />

109


Filippo Turati (ricordo che era figlio di un prefetto) scrisse da Roma all’amica Anna<br />

Kuliscioff il 4 marzo 1919: «Ho visto qui e salutato il nuovo prefetto di Milano: dicono sia<br />

un brav’uomo (me lo disse un giolittiano di Bari, quindi sarebbe un brav’uomo nel senso<br />

giolittiano)». 9<br />

Angelo Pesce arrivò a Milano l’11 marzo 1919 e salutò le autorità con queste parole:<br />

«Assumo la rappresentanza del Governo del Re <strong>nella</strong> patriottica provincia di Milano –<br />

emporio di bellezza, d’arti e d’industrie – che rievoca la primavera delle libertà comunali<br />

insieme con i fastigi del genio italico e m’inspira riverenza ed ammirazione. In questi<br />

sentimenti attingerò lena e fervore per potere compiere degnamente i doveri del mio<br />

ufficio, resi più gravi dai complessi problemi che i recenti gloriosi eventi ed i nuovi<br />

orizzonti economico-sociali additano ai pubblici poteri». 10<br />

Nel capoluogo lombardo il 13 aprile 1919 l’intervento della polizia durante un comizio<br />

socialista provocò un morto e alcuni feriti. In occasione dello sciopero generale di protesta<br />

del giorno 15, dopo un comizio all’Arena una parte della folla si diresse in centro dove fu<br />

attaccata da alcune centinaia di arditi, futuristi, studenti del Politecnico e fascisti. Nella<br />

battaglia di strada morirono tre persone e nel successivo assalto alla sede milanese<br />

dell’Avanti! rimase ucciso un soldato e i locali furono devastati. 11<br />

La “scioperomania” conobbe aspetti paradossali e parossistici a cominciare dalla<br />

protesta nelle fabbriche contro l’ora legale. Qualcuno affermò che gli scioperi erano “la<br />

ginnastica della rivoluzione”: i ferrovieri si rifiutavano di trasportare soldati e carabinieri,<br />

gli agenti penitenziari minacciarono di liberare i detenuti se non fossero state accolte le<br />

loro richieste economiche. Nel luglio 1919 scoppiò anche a Milano la protesta per il caroviveri.<br />

«La polizia aveva raccolto forze sufficienti per controllare l’uragano e operò 2.200<br />

arresti tra i bassifondi cittadini». 12 Durante la campagna elettorale di novembre il fascio<br />

milanese armò squadre d’azione con la paga di 30 lire al giorno. La lista capitanata da<br />

Mussolini, <strong>nella</strong> quale si candidarono anche il maestro Toscanini e il poeta Martinetti fu<br />

sconfitta. A Milano un estremista lanciò un ordigno contro un corteo di socialisti che<br />

festeggiavano la vittoria, in Galleria si scontrarono gruppi contrapposti e la polizia<br />

intervenne sparando. Dopo che <strong>nella</strong> sede del comitato elettorale fascista furono<br />

sequestrate bombe a mano e rivoltelle la questura arrestò Mussolini e altri dirigenti ma il<br />

governo non sostenne l’azione delle autorità locali. Commentò il “Corriere della Sera”:<br />

9<br />

TURATI F. – KULISCIOFF A., Carteggio, vol. V, Dopoguerra e fascismo, Torino 1953, p.<br />

31.<br />

10<br />

Corriere della Sera, 11 marzo 1919, p. 3.<br />

11<br />

SALVEMINI G. Le origini del fascismo in Italia, Milano 1975, p. 181.<br />

110


«Quando Mussolini era in auge non si osava toccarlo: oggi lo si arresta perché pare meno<br />

forte. Non possiamo approvare una politica simile ispirata non dal rispetto della legge ma<br />

dall’opportunismo». 13<br />

Il 1° dicembre 1919 all’apertura della Camera avvennero incidenti dentro e fuori<br />

Montecitorio. A Milano, durante l’ennesimo sciopero generale di protesta, i socialisti<br />

pretesero che fosse ritirata dal Municipio la bandiera tricolore, ufficiali in divisa furono<br />

aggrediti per le strade e due colonnelli si difesero sparando. Per due giorni la polizia faticò<br />

a controllare la situazione e in certi momenti fu impotente ad arginare la violenza della<br />

piazza.<br />

Per il prefetto Pesce l’anno 1920 fu ancora più drammatico. A Milano s’aprì con lancio<br />

di bombe contro una caserma e uno stillicidio di bastonature ed aggressioni. Chi portava<br />

un distintivo di partito rischiava una revolverata, deputati socialisti vennero alle mani con<br />

alcuni ufficiali, un conflitto in piazza Missori provocò due morti e sei feriti. In febbraio<br />

Pesce decretò l’istituzione di un corpo di volontari dell’ordine che dovevano collaborare<br />

con le forze di polizia <strong>nella</strong> prevenzione e repressione dei reati. Era un’iniziativa piuttosto<br />

audace e forse anche imprevidente che suscitò una valanga di polemiche tanto che il<br />

prefetto finì per ritirare il provvedimento. Furono vivaci soprattutto le reazioni dei<br />

socialisti che ventilarono si volesse istituire una sorta di “guardia bianca”. 14<br />

Il 14 marzo 1920 si festeggiava la nascita di Vittorio Emanuele II ma l’amministrazione<br />

socialista di Milano, guidata dal sindaco Caldara, non espose la bandiera nazionale a<br />

Palazzo Marino e gruppi di nazionalisti protestarono compiendo atti di violenza. Pesce<br />

intervenne decisamente e infine il tricolore comparve al balcone del Municipio. Il Sindaco<br />

si dimise per protestare, come scrisse il quotidiano socialista “Avanti!”, contro la<br />

«violenta sopraffazione del prefetto». Caldara scrisse all’Assessore anziano: «Io dichiaro<br />

lealmente che ho accettato l’invito del prefetto solo perché non ho voluto assumermi la<br />

responsabilità di eventuali conflitti. Chi ha vissuto e sofferto il ’98 ha sempre questa<br />

sensibilità – che può essere una debolezza – in fondo alla sua psiche. Se l’imposizione<br />

prefettizia fosse venuta per tutt’altro oggetto che non involgesse pericoli di conflitti, avrei<br />

resistito a qualunque costo, né in alcun modo avrebbe influito la mia condizione di<br />

ufficiale del Governo. Sento quindi che nel caso concreto io posso aver mancato al dovere<br />

12<br />

SALVEMINI G., cit., p. 221.<br />

13<br />

Per la ricostruzione della vicenda v. DE FELICE R., Mussolini il rivoluzionario, Torino<br />

1965, pp. 573-577.<br />

14<br />

PADULO G., cit., p. 302.<br />

111


igoroso della resistenza comunale contro i poteri dello Stato, e rassegno a te, quale<br />

Assessore anziano, le mie dimissioni da sindaco». 15<br />

Anna Kuliscioff scrisse a Turati: «In fondo Caldara non seppe resistere alle imposizioni<br />

del prefetto, perché temeva di provocare conflitti sanguinosi, onde preferì la prevalenza<br />

del sentimento alla logica dei principî […] Non vi possono essere che due soluzioni: o si<br />

destituisce il prefetto, ciò che è molto dubbio, e Caldara ritorna al suo posto; oppure, se<br />

non sarà fatta questa riparazione, si dimette tutta la Giunta». 16 Lo stesso giorno (15<br />

marzo) Turati confidò all’amica che Nitti, Presidente del Consiglio e ministro<br />

dell’Interno, aveva deciso di trasferire il prefetto Pesce sostituendolo con Enrico Flores<br />

suo capo di Gabinetto. Ciò infatti avvenne. Scrisse il “Corriere della Sera” il 7 aprile 1920<br />

sotto il titolo Concessioni deplorevoli: «Salutiamo con simpatia il funzionario che è colpito,<br />

sebbene gli si sia voluto fare l’onore – per mitigare la portata e il significato del trasloco –<br />

di trasferirlo ad altra importantissima sede. Egli ha cercato di compiere il suo dovere. Non<br />

vogliamo difendere ogni suo atto, ogni suo gesto: ma diciamo che è pessima politica<br />

amministrativa questa di considerare i prefetti come capri espiatori di qualsiasi incidente<br />

che turbi la tranquillità del ministro dell’interno. Una volta i prefetti a Milano si<br />

reggevano per qualche anno, ora solo per qualche mese. Di questo passo dove si andrà a<br />

finire? E quale persona rispettabile per intelligenza e dignità vorrà in Italia avventurarsi<br />

<strong>nella</strong> carriera delle prefetture?».<br />

Pesce fu destinato a Palermo ma vi rimase pochi mesi sino all’agosto 1920 (allora, si<br />

disse, i prefetti si cambiavano come le cravatte) e dovette amaramente constatare che l’isola<br />

non aveva fatto molti progressi dall’epoca del suo precedente incarico più di venti anni<br />

prima. Giolitti succeduto a Nitti lo destinò a Napoli <strong>nella</strong> fase in cui il fascismo<br />

conquistava terreno anche nel Mezzogiorno. Scontri di piazza avvennero nel gennaio<br />

1921 a Castellammare con otto morti e decine di feriti, il mese dopo a Torre Annunziata.<br />

Gli studenti universitari protestarono contro il caro-libri in maniera assai vivace sino<br />

all’assalto e all’incendio delle librerie tanto che dovette intervenire la cavalleria in piazza<br />

della Borsa. Il 1° maggio 1921 altro sangue scorse in piazza Mercato e tuttavia Pesce<br />

annotò anni dopo nelle sue Memorie: «Quanta diversità con le agitazioni e gli scioperi<br />

milanesi! Gli operai napoletani erano più buoni, più docili, più arrendevoli […]<br />

s’inginocchiavano quando passava il Santissimo e si levavano il cappello innanzi al generale<br />

o all’ammiraglio». 17<br />

15 “Corriere della Sera”, 16 marzo 1920, p. 3.<br />

16 TURATI F. – KULISCIOFF A., cit., pp. 284-285.<br />

17 PADULO G., cit., p. 313.<br />

112


Prima della grande adunata fascista dell’ottobre 1922 s’infittirono nel Napoletano gli<br />

atti di violenza delle squadre fasciste mentre l’autorità dello Stato appariva ogni giorno<br />

indebolita. La manifestazione del 24 ottobre si svolse con meno morti del temuto, grazie<br />

anche alle eccezionali misure di sicurezza predisposte: tutte le sedi dei partiti erano<br />

presidiate dalla forza pubblica e così le abitazioni degli onorevoli Nitti e Labriola. Quasi<br />

tutto bene, senonché Mussolini in piazza Plebiscito aveva gridato alla folla: «Se il governo<br />

non sarà dato ai fascisti, il fascismo lo prenderà con la forza». 18<br />

Il prefetto Pesce non aveva particolare simpatia per il duce 19 e tutti ricordavano gli<br />

arresti del novembre 1919 a Milano. Fu allontanato da Napoli pare per intervento del ras<br />

locale Aurelio Padovani dopo i fatti del 2 novembre 1922: «Una banda armata di<br />

cosiddetti “cavalieri del re”, facinorosi della peggiore specie, elettrizzati dalle circostanze,<br />

irrompe sparando al Vasto, devasta il circolo dei ferrovieri e poi quello socialista ai<br />

Vergini, penetra nel duomo e cerca di forzare il tesoro di S. Gennaro, mette a sacco i<br />

locali della Camera del Lavoro, scende finalmente per via Roma rapinando i negozi e<br />

soltanto a piazza Carità, dopo ore di devastazione, è affrontata e dispersa dalla guardia<br />

regia. Il prefetto Pesce, già condannato per il suo zelo giolittiano, trova in questa giornata<br />

la sua rovina». 20<br />

La nuova destinazione (Pavia) nuoceva certamente alla carriera e all’aspirazione di<br />

Pesce al laticlavio. Gli scrisse il collega Zoccoletti: «Altri al tuo posto si sarebbe lasciato<br />

andare a proteste più o meno clamorose ed opportune e magari a qualche bel gesto».<br />

Seguirono altri trasferimenti: a Venezia nel novembre 1923 e dal 1° gennaio 1925 a<br />

Roma. «Ancora una volta la scelta di un uomo dell’amministrazione in un momento di<br />

crisi profonda e per una sede di indubbio prestigio e di grande complessità quale era dal<br />

lato istituzionale, allora, ancora Roma prima della creazione del Governatorato, se da un<br />

lato conferma l’ambiguità dell’operazione della cosiddetta fascistizzazione dei prefetti più<br />

volte evocata dalla storiografia, dall’altro induce a riflettere su uno dei caratteri distintivi<br />

18 REPACI A., La marcia su Roma, Milano 1972, p. 795, telegramma di Pesce al Presidente<br />

del Consiglio Luigi Facta alle ore 19.15 del 24.10.1922. Per gli avvenimenti successivi v.<br />

CHIURCO G. A., Concentramento delle forze fasciste in Campania, in Storia della rivoluzione<br />

fascista, vol. 2°, ed. Milano 1973, pp. 282-284.<br />

19 VENÈ G. F., La lunga notte del 28 ottobre 1922, Milano 1972, p. 28.<br />

20 COLAPIETRA R., Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano 1962, p. 211.<br />

113


del corpo prefettizio, e cioè sulla capacità di adesione di gran parte di esso a realtà<br />

politico-istituzionali radicalmente difformi». 21<br />

Dopo poche settimane, al ritorno da un incontro col ministro dell’Interno, Pesce ebbe<br />

un mortale malessere e morì il 7 febbraio 1925.<br />

Lo storico Raffaele Colapietra lo ha giudicato “eccellente funzionario” 22 . Scrisse un<br />

giornale commemorandolo: «Era il decano di prefetti. Di pronto ingegno e di tatto non<br />

comune, affinato <strong>nella</strong> lunga carriera». 23 Il ministro dell’Interno Federzoni ai funerali<br />

parlò di lui come di “perfetto servitore dello Stato”.<br />

21 GIANNETTO M., I prefetti di Roma negli anni 1919-1929, in La Prefettura di Roma,<br />

Bologna 1998, p. 593. Sulle vicende di un collega e conterraneo di Pesce v. D’URSO D.,<br />

Alberto Pironti, in “Rassegna storica salernitana”, n. 37, giugno 2002.<br />

22 COLAPIETRA R., cit., p. 122.<br />

23 “L’Illustrazione Italiana”, 15 febbraio 1925, p. 133.<br />

114


Alberto Pironti<br />

da Amministrazione Pubblica, n. 25 maggio/giugno 2002<br />

115


«La piccola e media borghesia meridionale laureata in giurisprudenza (spesso proprio<br />

nel grande ateneo napoletano, che fu la vera fucina di questa nuova leva burocratica),<br />

imboccava ormai la carriera degli uffici di Stato come l’unico obiettivo professionale (a<br />

parte, naturalmente, l’avvocatura) che le fosse consentito raggiungere.» 1<br />

Alberto Pironti era nato a Valle della Lucania (Salerno) il 24 novembre 1867. Nel<br />

capoluogo provinciale frequentò il prestigioso liceo Tasso con l’annesso Convitto<br />

Nazionale avendo tra gli insegnanti i gemelli canonici Francesco e Alfonso Linguiti<br />

letterati di fama. Gli alunni interni vestivano una divisa scura con berretto a visiera e<br />

avevano istitutori chiamati <strong>Prefetti</strong> (il destino di Pironti era segnato!). Quando, a titolo di<br />

esperimento, alcuni convitti furono “militarizzati” agli istitutori borghesi subentrarono<br />

ufficiali dell’esercito e i giovani furono divisi per compagnie e plotoni e armati di fucile.<br />

Oltre alle materie di studio ordinarie erano impartite lezioni di scherma, ballo, disegno,<br />

canto corale ma «trattandosi di corsi i cui risultati non avevano nessun peso sulle<br />

promozioni da classe a classe, erano seguiti dagli alunni, come si suol dire …alla diavola». 2<br />

Dopo la laurea Alberto Pironti entrò nell’Amministrazione dell’Interno come Alunno<br />

di prima categoria risultando fra i primi nel concorso del 1889. Prestò servizio a Palermo,<br />

Velletri e Catanzaro prima di essere assegnato a Palazzo Braschi sede del ministero. Lì<br />

percorse tutti i gradi della carriera: addetto alla segreteria della Presidenza del Consiglio<br />

dei Ministri nel 1901, Capo sezione l’anno dopo, Segretario capo del Consiglio superiore<br />

di assistenza e beneficenza nel 1905, a quarant’anni Direttore generale<br />

dell’Amministrazione Civile. Era giunto al vertice del più importante ufficio ministeriale,<br />

che trattava gli affari dei comuni e delle province, il servizio elettorale, le opere pie, la<br />

beneficenza pubblica, la finanza locale, gli archivi di Stato. Non c’è bisogno di ricordare<br />

cosa significasse il controllo degli enti locali nell’epoca giolittiana tanto esecrata da<br />

Gaetano Salvemini a causa delle ingerenze e prepotenze governative. 3<br />

1 MELIS G., Storia dell’amministrazione italiana 1861-1993, Bologna 1996, p. 185. Nei<br />

ministeri non mancò, sin dall’inizio, neanche la tendenza alla formazione di veri e propri<br />

clans regionali, spesso in collegamento con parlamentari di uguale estrazione.<br />

2 MOSCATI A., Salerno e salernitani dell’ultimo Ottocento, Salerno 1996, pp. 113-114.<br />

3 «Naturalmente i prefetti sono buoni o cattivi e fanno bene o male secondo i governi da<br />

cui dipendono. Un ministro dell’interno onesto ha risultati diversi nell’opera dei prefetti<br />

che non un ministro senza scrupoli. Vi furono ministri che richiedevano ai prefetti che si<br />

occupassero di elezioni e di intrighi» (discorso di Francesco Saverio Nitti del 6 giugno 1947<br />

all’Assemblea Costituente).<br />

116


Giolitti «tecnico dell’amministrazione, trovò nel Ministero dell’Interno lo strumento<br />

ideale, quale lo avevano creato e voluto i suoi predecessori, con la differenza che essi non<br />

avevano avuto la sua diretta e personale esperienza del meccanismo della burocrazia<br />

statale». 4 Uno studioso ha parlato del giolittismo come «progetto burocratico di<br />

governo» 5 e gli alti funzionari erano contenti di avere un capo come Giolitti che conosceva<br />

le leggi, i metodi e i problemi degli uffici e dava ordini con piena consapevolezza. «È vero<br />

che senza le sue grandi doti politiche la sua conoscenza dell’amministrazione sarebbe<br />

rimasta in gran parte sterile; ma viceversa senza la padronanza che aveva delle procedure e<br />

dei meccanismi burocratici, la sua politica non avrebbe potuto scendere così<br />

profondamente <strong>nella</strong> pratica». 6 I Direttori generali acquistarono rinnovato prestigio anche<br />

perché il ministro riteneva utile stringere con i più diretti collaboratori solidi rapporti<br />

personali. 7<br />

In quegli anni crebbe il numero dei servizi resi dall’amministrazione pubblica e le sue<br />

dimensioni raggiunsero proporzioni prima sconosciute: il sistema amministrativo si<br />

accollava il peso della nuova domanda sociale. 8 Cominciò anche la sindacalizzazione dei<br />

pubblici dipendenti e, quanto allo stato giuridico, i governi «non volevano scontentare gli<br />

impiegati con l’introduzione di norme troppo severe ed, allo stesso tempo, temevano i<br />

freni che all’azione del Governo sarebbero derivati dalla approvazione di norme poste a<br />

tutela dei dipendenti». 9 La legge organica del 1908 affermò il principio del merito sia per<br />

l’accesso tramite concorso che per le promozioni.<br />

4 GUÊZE R., Lineamenti storici del Ministero degli interni, in “Amministrazione Civile” -<br />

numero speciale dedicato a Cento anni di amministrazione pubblica in Italia - 1961, p.<br />

203.<br />

5 FARNETI P., Sistema politico e società civile. Saggi di teoria e ricerca politica, Torino, 1971,<br />

pp. 187-189; MOLA A. A., Giovanni Giolitti. Grandezza e decadenza dello Stato liberale,<br />

Cuneo 1978; Governo e amministrazione nell’età giolittiana, in Istituzioni e metodi politici dell’età<br />

giolittiana, Torino 1979.<br />

6 BARTOLI D., L’Italia burocratica, Milano 1965, p. 92.<br />

7 MELIS G., La cultura e il mondo degli impiegati, in Storia della società italiana dall’Unità a<br />

oggi. L’amministrazione centrale, Torino 1984, p. 362.<br />

8 TARADEL A., Gli organici delle amministrazioni centrali dal 1904 al 1914, in “Quaderni<br />

storici”, n. 18/1971, pp. 885-942; CASSESE S., Giolittismo e burocrazia <strong>nella</strong> “cultura delle<br />

riviste”, in Storia d’Italia. Annali 4. Intellettuali e potere, Torino 1981, p. 477; ROTELLI E.<br />

Costituzione e amministrazione dell’Italia unita, Bologna 1981, pp. 98-100.<br />

9 GUSTAPANE E. L’introduzione nell’ordinamento amministrativo italiano del principio del<br />

merito per l’accesso agli impieghi pubblici: il caso del Ministero dell’interno, in “Rivista trimestrale<br />

di diritto pubblico”, n. 2/1987, pp. 465-466.<br />

117


L’età giolittiana vide esaurirsi il fenomeno di osmosi tra politica e amministrazione e<br />

alla politica ebbero meno accesso gli alti funzionari ma essi, anche se non apparivano o<br />

apparivano poco alla ribalta, non furono meno potenti rispetto al passato. Scrisse Gaetano<br />

Salvemini: «I grossi burocrati hanno accentrato nelle loro mani i poteri dello Stato e in<br />

compenso di miserabili favori personali i deputati di tutti i partiti, compresi i partiti che<br />

vogliono farsi credere rivoluzionari, hanno rinunciato di fatto a un serio controllo<br />

sull’opera dei burocrati». 10<br />

Pironti si segnalò «per competenza ed abilità amministrativa meritandosi la piena<br />

fiducia di Giolitti». 11 Ricoprì la carica di Direttore generale dell’Amministrazione Civile<br />

per 17 anni e pur avendo conseguito nel 1914 la nomina a prefetto di 2ª classe e due anni<br />

dopo a prefetto di 1ª fu mantenuto a disposizione presso il ministero. Per quattro volte<br />

ebbe assegnata una sede (a Caserta, Messina, Catania, Sassari) ma ai singoli provvedimenti<br />

non venne mai dato corso.<br />

Tra i suoi più stretti collaboratori di quegli anni ricordo i funzionari a capo delle due<br />

divisioni della Direzione generale. La divisione II (Amministrazione dei comuni e delle<br />

province e archivi di Stato) fu diretta da Riccardo Zoccoletti, Carlo Vittorio Luzzatto,<br />

Carlo Olivieri, Camillo De Fabritiis, Enrico Flores, Sante Franzé, Leonida Ragnisco,<br />

Giovanni Battista Bianchetti, quasi tutti destinati a brillante carriera prefettizia; la III<br />

(Beneficenza pubblica) da Lorenzo Ambrosino, Orazio Giuffrida, Michele Bertone, Pietro<br />

Carpani, Costantino Cellario, Enrico Cavalieri, Osvaldo Nobile. 12<br />

La mancata concessione di reale autonomia agli enti locali fu compensata nel periodo<br />

giolittiano dagli interventi straordinari soprattutto nel Mezzogiorno e l’ufficio diretto con<br />

tanta autorevolezza e prestigio da Pironti ebbe il compito di applicare la legislazione<br />

speciale: legge per Napoli nel 1904, per la Basilicata ugualmente nel 1904, provvedimenti<br />

per la Sardegna nel 1907, per la Calabria nel 1908. 13 Alla Direzione generale<br />

dell’Amministrazione Civile furono affidati importanti compiti per la ricostruzione delle<br />

zone devastate da disastrosi terremoti nonché la municipalizzazione dei pubblici servizi. In<br />

conseguenza della guerra mondiale si aggiunsero importanti competenze collegate alla<br />

10 SALVEMINI G., L’elefantiasi burocratica, ora in Il ministro della malavita e altri scritti<br />

sull’Italia giolittiana, Milano 1962, p. 319.<br />

11 GUÊZE R., Lineamenti storici, cit., p. 204.<br />

12 Il Ministero dell’Interno, a cura di Giovanna Tosatti, in L’amministrazione centrale dall’Unità<br />

alla Repubblica. Le strutture e i dirigenti, Bologna 1992.<br />

13 RUFFILLI R. La questione regionale dall’unificazione alla dittatura (1862-1942), Milano<br />

1971; CASSESE S. – MELIS G., Lo sviluppo dell’amministrazione italiana (1880-1920), in<br />

“Rivista trimestrale di diritto pubblico”, n. 2/1990.<br />

118


ealtà delle terre “liberate e redente” e all’assistenza di profughi, orfani e invalidi di<br />

guerra.<br />

In tutto questo Pironti dimostrò di essere “fine giurista e suggeritore intelligente”, 14<br />

“dotato di grande cultura classica, profondo conoscitore delle discipline amministrative,<br />

lavoratore indefesso, oratore facile e scrittore chiaro ed elegante”. 15 Diresse la redazione<br />

del commento teorico-pratico alla legge 17 luglio 1890, n. 6972 sulle opere pie<br />

elaborando personalmente il primo dei quattro volumi dell’opera: Le riforme<br />

nell’amministrazione e le mutazioni nel fine delle istituzioni pubbliche di beneficenza (Roma,<br />

1906). Le relazioni ministeriali sui servizi di beneficenza presentate annualmente al<br />

Parlamento costituivano vere e proprie monografie dottrinali e pratiche. In materia di<br />

assistenza s’assisteva al passaggio epocale dall’antico sistema caritativo a quello moderno di<br />

solidarietà sociale. L’obiettivo era di dare alla beneficenza una direzione statale<br />

comprimendo altresì le spese improduttive delle opere pie. Gli uffici dipendenti da<br />

Pironti eseguirono importanti indagini statistiche sull’infanzia abbandonata, sugli inabili al<br />

lavoro, sugli ospedali. Fu modificata la struttura dei servizi nelle Prefetture e avviato un<br />

più attento controllo sulla contabilità degli enti assistenziali. 16<br />

Pironti fu coautore di importanti testi giuridici: Codice elettorale italiano. Elettorato<br />

politico, Torino 1913; Le operazioni elettorali secondo la nuova legge con note e istruzioni,<br />

Torino 1919; Codice dell’assistenza e della beneficenza pubblica, Firenze 1925. Collaborò alla<br />

stesura della legge sullo stato giuridico degli impiegati civili (1908), del regolamento della<br />

legge comunale e provinciale (1911) e del testo unico del 1915.<br />

Di grande rilievo furono le riforme elettorali di quegli anni. Nel 1912 fu approvato il<br />

“quasi” suffragio universale maschile, riconoscendo il diritto di voto a tutti i gli uomini<br />

aventi almeno 30 anni d’età e, a certe condizioni, anche a quelli dai 21 ai 30 anni. Per<br />

votare l’elettore doveva esibire un apposito certificato ed essere identificato; la scheda<br />

elettorale che restava “libera” andava chiusa in una “busta di Stato” per garantire la<br />

segretezza del voto; l’ufficio di sezione era precostituito mentre prima lo sceglievano<br />

direttamente gli elettori (causa questa non ultima di errori e brogli). Dopo la prima guerra<br />

mondiale con il governo Nitti il sistema uninominale maggioritario fu sostituito dal<br />

sistema proporzionale a scrutinio di lista e per la prima volta fu stampata la scheda con i<br />

contrassegni. Tutte quelle novelle legislative furono elaborate dagli uffici di Pironti.<br />

14<br />

MELIS G., Uomini e culture, in Studi per la <strong>storia</strong> dell’amministrazione pubblica italiana,<br />

Roma 1998, p. 92.<br />

15<br />

“Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia”, 1937, p. 49.<br />

119


Nel 1913, quando fu edito il nuovo codice elettorale, il Sottosegretario Alfredo<br />

Falcioni scrisse così al Direttore generale Pironti: «Io che ho seguito, passo passo,<br />

l’assiduo lavoro di preparazione, di coordinamento e di esplicazione della legge elettorale<br />

politica, che Ella, coadiuvata dagli ottimi funzionari del Ministero, fra i quali il valoroso<br />

cav. Spano, 17 ha condotto felicemente a termine sotto la sapiente direttiva del Presidente<br />

del Consiglio, mi compiaccio cordialmente dell’importante pubblicazione. Me ne<br />

compiaccio sovratutto perché ho avvertito subito il valore dell’opera, che costituirà<br />

indubbiamente una preziosa – direi quasi autentica – illustrazione della grande legge,<br />

elargita dal Governo e dalle Assemblee Legislative al popolo italiano.»<br />

Nel settembre 1919 Pironti fu chiamato a far parte della Commissione centrale per la<br />

riforma dei servizi pubblici, istituita presso il Ministero del Tesoro per coordinare e<br />

dirigere l’attività delle commissioni speciali create nei singoli ministeri per studiare<br />

ipotesi di riduzione del personale e semplificazione dei servizi. Nel primo dopoguerra le<br />

riforme burocratiche furono gestite dal Ministero del Tesoro in quanto finalizzate al taglio<br />

delle spese, nel momento in cui il bilancio statale era gravato da un enorme debito. Le<br />

parole d’ordine erano: «sopprimere, ridurre, semplificare tutti gli organi e gli uffici<br />

superflui». 18 Nelle relazioni del tempo troviamo ricorrenti le parole decentramento e<br />

semplificazione (già allora!). Alle commissioni fu concesso inizialmente un termine di tre<br />

mesi, ripetutamente prorogato ma non risulta che qualcuna di esse abbia concluso i suoi<br />

lavori. 19<br />

La crisi dello Stato liberale e l’avvento del fascismo furono vissuti dalla burocrazia<br />

senza eccessivi traumi perché essa era «una forza nelle cui mani davvero si trovavano<br />

alcune fra le chiavi più preziose della cosa pubblica». 20 Mussolini non provocò immediati<br />

scossoni e la fascistizzazione procedette con estrema lentezza e non senza evidenti battute<br />

d’arresto; si può parlare di “sostanziale immunità” dell’alta burocrazia che anzi il duce in<br />

più occasioni blandì con apprezzamenti pubblici e attestazioni di stima.<br />

«Nel complesso, comunque, la fascistizzazione della burocrazia statale avvenne non<br />

tanto in virtù dell’immissione nei suoi ranghi di elementi schiettamente fascisti<br />

16<br />

SEPE S., Per una <strong>storia</strong> dell’attività dell’amministrazione statale nel settore dell’assistenza, in<br />

Istituzioni e borghesie locali nell’Italia liberale, Milano, 1986 p. 139.<br />

17<br />

Giuseppe Spano (Catanzaro 1876 – Roma 1953) fu nominato prefetto nel 1920.<br />

18<br />

Circolare del 21 luglio 1919 del Presidente del Consiglio Nitti.<br />

19<br />

MOZZARELLI C. – NESPOR S., Il personale e le strutture amministrative, in Storia della<br />

società italiana, cit., p. 255.<br />

20<br />

CARACCIOLO A, Crescita e potere della burocrazia dopo l’unificazione, in L’amministrazione<br />

pubblica in Italia, Bologna 1974, p. 62.<br />

120


provenienti dalle schiere dirigenti del partito e dello squadrismo, quanto mediante la<br />

graduale e tutt’altro che entusiastica adesione al regime di quanti già vi appartenevano.» 21<br />

Mussolini non sbagliava a fare affidamento <strong>nella</strong> burocrazia: essa con il suo<br />

tradizionalismo e la sua concezione dello Stato come entità al di sopra dei partiti costituiva<br />

per il governo la migliore garanzia di una fedele attuazione delle sue direttive. 22 «Da<br />

politico puro qual era sempre rimasto, il capo del fascismo aveva scarsa conoscenza di<br />

amministrazione, di leggi, di tecnica economica e burocratica, e perciò consentiva a chi se<br />

ne intendeva di agire con una libertà di movimento che a Giolitti, per esempio, sarebbe<br />

sembrata eccessiva [...] Il burocrate, che gustava la pienezza del potere nelle questioni di<br />

ogni giorno, si trovava impotente al momento delle grandi decisioni, quando non poteva<br />

esercitare con efficacia nemmeno il suo legittimo compito di consigliere imparziale del<br />

governo». 23<br />

Alberto Pironti mantenne a lungo l’incarico con governi e ministri di assai diversa<br />

estrazione grazie, evidentemente, alla sua riconosciuta “professionalità”. Egli s’era<br />

mostrato «capace di risolvere, grazie ad una perfetta padronanza del diritto e delle sue<br />

tecniche, i problemi nuovi di uno Stato in espansione alle prese con la realtà<br />

dell’economico e del sociale». 24<br />

Alla fine del 1923 quando i grands-commis si recarono al Viminale per i rituali auguri<br />

di Capodanno al Presidente del Consiglio Mussolini, spettò a Pironti parlare a nome di<br />

tutti: «Ricordo che quando Ella ci ricevette per la prima volta al Palazzo del Viminale,<br />

appena assunto il potere, ci disse che esigeva da noi una dedizione assoluta ai supremi<br />

interessi della Patria e ripeté: “Dedizione assoluta”. Dopo poco più di un anno da quella<br />

data memorabile il nostro più ambito premio è l’autorevole riconoscimento di non essere<br />

stati impari alla grande opera di rinnovamento intrapresa dal Governo Nazionale.»<br />

Il 13 novembre 1924 Pironti fu nominato Presidente di Sezione del Consiglio di<br />

Stato. 25 Al tempo dell’ultimo governo Facta era entrato a far parte del Senato del Regno<br />

(16 ottobre 1922). Lasciava così il suo incarico al Ministero dell’Interno.<br />

21 AQUARONE A, L’organizzazione dello stato totalitario, Torino, 1965 p. 74.<br />

22 DE FELICE R. Mussolini il duce. Lo stato totalitario, Torino 1981, pp. 61-62.<br />

23 BARTOLI D., L’Italia burocratica, cit., pp. 115-116.<br />

24 MELIS G., Storia dell’amministrazione, cit., p. 188. «Una buona burocrazia può essere un<br />

importantissimo coefficiente di progresso sociale, come una cattiva burocrazia può essere<br />

causa di gravi perturbamenti e di danni sociali ed economici» (SCHANZER C., Il problema<br />

della burocrazia, in “Nuova Antologia”, 1916, n. 1056, p. 202).<br />

25 ZOLI C., Cenni biografici dei componenti la magistratura del Consiglio di Stato (1831-1931),<br />

in Il Consiglio di Stato. Studi in occasione del centenario, vol. 3°, Roma 1932, p. 149.<br />

121


Nel Consiglio di Stato prevaleva una generazione di giudici di vecchia formazione:<br />

«Noi abbiamo alti burocrati che hanno 70 e anche 75 anni d’età e 50 di servizio. Ora,<br />

quando si ha una canizie così veneranda, accompagnata molto spesso da molti così<br />

venerabili ricordi, non si può gioiosamente cantare Giovinezza». 26 Negli anni del fascismo,<br />

poiché la funzione legislativa era in sostanza delegata al potere esecutivo, fu esaltata la<br />

competenza del Consiglio di Stato come massimo organo di consulenza del governo. 27<br />

La nomina di Pironti a Senatore fu disposta a norma dell’articolo 33 dello Statuto per<br />

l’appartenenza alla 17ª categoria, quella degli Intendenti generali (poi denominati <strong>Prefetti</strong>)<br />

dopo sette anni di servizio. 28 Il Senato regio «non era una compagine di aristocratici<br />

(secondo il modello inglese), né un organo elettivo (secondo il modello contemporaneo).<br />

Piuttosto, esso raccoglieva personalità eminenti, che in larga parte provenivano dalle<br />

categorie più forti nell’ambito della organizzazione statuale: i “notabili della nazione”». 29<br />

Gli alti burocrati rappresentavano un elemento di continuità e anche se numericamente<br />

non maggioritari in Senato (erano circa un terzo del totale) ebbero sempre una notevole<br />

influenza, anche perché parecchi senatori-funzionari svolgevano attività legislativa mentre<br />

si trovavano ai vertici delle rispettive carriere e il laticlavio rappresentò l’agognato<br />

coronamento di una vita dedita ai pubblici uffici. I senatori-funzionari assicuravano una<br />

forte presenza nel “piccolo Senato” formato dai più attivi e presenti che avevano un ruolo<br />

determinante rispetto alla generalità dei senatori che formavano il “grande Senato” e<br />

intervenivano solo nelle occasioni solenni. 30<br />

L’attività del senatore Pironti è testimoniata dalle numerose relazioni parlamentari<br />

sulle attribuzioni dei prefetti, sul servizio ispettivo, sulla riforma delle leggi sanitarie, sullo<br />

stato giuridico dei segretari comunali. Di lui scrisse un contemporaneo: «Funzionario di<br />

larga dottrina, rappresenta nel Senato quella sana burocrazia che forma la salda intelaiatura<br />

della poderosa macchina statale; quella burocrazia che compie opera molte volte oscura,<br />

ma fattiva e restauratrice, quando sia spronata da un senso profondamente radicato del<br />

proprio dovere e della propria responsabilità». 31<br />

26<br />

Intervento alla Camera dell’on. Aldo Lusignoli <strong>nella</strong> seduta del 14 giugno 1929.<br />

27<br />

MELIS G., Il Consiglio di Stato, in Storia d’Italia. Annali 14. Legge diritto giustizia, Torino<br />

1998.<br />

28<br />

Ministri deputati, senatori dal 1848 al 1922, a cura di Alberto Malatesta, in Enciclopedia<br />

biografica e bibliografica italiana, vol. 3°, Roma 1941, p. 11.<br />

29<br />

MENICONI A., I burocrati nel Senato regio, in “Le carte e la <strong>storia</strong>”, n. 2/1998, p. 71.<br />

30<br />

ANTONETTI N., Gli invalidi della costituzione. Il Senato del Regno 1848-1924, Bari 1992;<br />

PEZZANA A., Gli uomini del Re. Il Senato durante e dopo il fascismo, Foggia 2001.<br />

31<br />

SAVINO E., La nazione operante, Novara 1934, p. 317.<br />

122


Pironti fu anche per breve tempo delegato effettivo presso la Società delle Nazioni,<br />

collaborò alla riforma della giustizia amministrativa, partecipò in maniera determinante<br />

all’elaborazione dei testi normativi in materia di protezione e assistenza della maternità e<br />

infanzia. Nel 1928 fu nominato presidente della commissione incaricata di elaborare la<br />

riforma della finanza locale e Mussolini, passato un anno, dichiarò: «I tributi locali sono<br />

studiati da una commissione la quale, come tutte le commissioni di questo mondo,<br />

procede molto lentamente. A un certo momento penserò a svegliarla.» 32 La relazione<br />

conclusiva presentata di lì a poco fu tradotta in un disegno di legge approvato dalle<br />

Camere e la commissione Pironti redasse il testo unico entrato in vigore il 1° gennaio<br />

1932. 33 Un’altra commissione da lui presieduta predispose il testo unico della legge<br />

comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383 durato sino all’anno 2000.<br />

Alberto Pironti morì a Roma il 4 dicembre 1936 dopo breve malattia. Il Presidente del<br />

Senato Federzoni, che era stato Ministro dell’Interno, lo commemorò parlando di lui<br />

come di funzionario di somma capacità, vero maestro di più generazioni del personale<br />

dell’amministrazione civile. «Portò in quest’aula il concorso della sua grande dottrina<br />

giuridica e della incomparabile pratica conoscenza, che egli possedeva, di ogni congegno<br />

del nostro sistema burocratico». Alle parole di Federzoni si associò Thaon di Revel,<br />

Ministro delle Finanze. 34 La <strong>Scuola</strong> Superiore dell’Amministrazione dell’Interno ha<br />

dedicato a Pironti un’aula. 35<br />

32 “Rivista Amministrativa”, 1930, p. 14.<br />

33 PORRO A., Il fascismo di fronte a un problema istituzionale dello Stato liberale europeo: le<br />

autonomie locali, in Il fascismo e le autonomie locali, Bologna 1973, pp. 118-119.<br />

34 Atti Parlamentari, legislatura XXIX, seduta del 15 dicembre 1936, p. 2325.<br />

35 Sulla <strong>storia</strong> dei <strong>Prefetti</strong>, Quaderni SSAI, prima serie, Roma 1994, p. 29; <strong>Pagine</strong> di <strong>storia</strong> del<br />

Ministero dell’Interno, Quaderni SSAI, seconda serie, Roma 1998, p. 291; CIFELLI A., I<br />

<strong>Prefetti</strong> del Regno nel ventennio fascista, Quaderni SSAI, seconda serie, Roma 1999, pp. 220-<br />

221.<br />

123


124


Giovanni Gasti<br />

da Storia in network, n. 113 giugno 2006<br />

125


«Buon piemontese ligio al dovere». Così un contemporaneo definì Giovanni Gasti<br />

(ROSSI, Mussolini com’era).<br />

Era nato il 30 gennaio 1869 nel paese di Castellazzo Bormida a due passi da<br />

Alessandria, battezzato anche con i nomi di Giuseppe e Aurelio, figlio del cav. Giuseppe<br />

Gaspare (capitano dei Reali Carabinieri, medaglia d’argento al V.M., giudice conciliatore<br />

e sindaco del Comune) e di Clara Pettoleti. Intrapresi studi regolari e laureatosi in<br />

giurisprudenza, a 25 anni sposò la concittadina Maria Melania Grillo che, si legge sulla<br />

pietra tombale, «adorò il marito e ne fu ricambiata, fu felice e rese felice».<br />

Giovanni Gasti apparteneva alla generazione post-risorgimentale e non poteva dunque<br />

vantare meriti patriottici, come molti di quelli che dopo l’Unità erano stati assunti senza<br />

selezione, ma possedeva un titolo di studio universitario (si pensi che il famoso prefetto<br />

Mori ricevette la laurea honoris causa l’anno della nomina a senatore, poco prima del<br />

collocamento a riposo). Nel ministero dell'Interno nell’Ottocento c’era una forte<br />

presenza di settentrionali e, per capire le ragioni della scelta di Gasti di entrare in polizia,<br />

possiamo riferirci all’ambiente ma anche ad una personale disposizione. «I poliziotti<br />

nascono tali come i poeti» è stato scritto.<br />

Alla fine del secolo XIX tra i funzionari di Pubblica Sicurezza il grado iniziale era allora<br />

quello di Delegato, figura nata con la legge Rattazzi del 1859, si passava poi a Vicecommissario,<br />

Commissario, Vice-questore, Questore, Ispettore generale. Entrato in<br />

ruolo nel 1893, cinque anni dopo Gasti era Vice-commissario a Roma, dopo altri otto<br />

anni arrivò la promozione a Commissario. La sua grande chance fu la polizia scientifica. Il<br />

francese Bertillon aveva elaborato un sistema di misurazione antropometrica applicato<br />

dopo il 1882 e basato su undici misurazioni del corpo umano. I primi studi sulle impronte<br />

digitali erano precedenti ma compiuti da un punto di vista unicamente anatomico.<br />

Herschell, responsabile della polizia del Bengala, applicando un’usanza orientale di firmare<br />

con l’impronta del pollice, riuscì a dimostrare l’unicità e invariabilità delle impronte nello<br />

stesso individuo. L’idea fu ripresa dall’inglese Francis Galton (cugino di Charles Darwin) e<br />

in Argentina da Juan Vucetich. Giovanni Gasti s’appassionò ai nuovi metodi di ricerca<br />

investigativa, tanto da divenire assai presto una vera autorità nel settore. Elaborò e da lui<br />

prese il nome una classifica delle impronte digitali – identificazione decadattiloscopica -<br />

adottata anche da polizie estere, compresa quella di Chicago. Il metodo venne presentato<br />

al Congresso internazionale di antropologia criminale del 1906, consacrando la fama di<br />

Gasti «straordinaria figura di funzionario, ricercatore e studioso, universalmente<br />

ammirato, in Italia e all’estero, per le non comuni doti umane e per la vasta e profonda<br />

cultura giuridica e scientifica» (BUZZANCA, La <strong>Scuola</strong> superiore di polizia). Furono<br />

126


organizzati corsi regolari presso la <strong>Scuola</strong> di polizia scientifica di Roma, nata nel 1902 e<br />

diretta per molti anni dal medico antropologo Salvatore Ottolenghi. Presso le principali<br />

questure furono costituiti gabinetti di polizia scientifica. Incoraggiarono e assecondarono<br />

tutto ciò il ministro dell’Interno Giolitti e Francesco Leonardi, direttore generale della<br />

P.S. dal 1898 al 1911.<br />

Giovanni Gasti venne nominato direttore del Servizio identificazione, meritato<br />

riconoscimento per chi aveva saputo cogliere, meglio di altri, l’importanza delle nuove<br />

metodiche. Certamente fu istruttivo per lui un periodo trascorso all’estero per studiare<br />

l’organizzazione della polizia nei paesi più evoluti. Insieme con Gasti, si misero allora in<br />

luce anche Adriano Zaiotti, Umberto Ellero, Emilio Saracini, Edoardo Di Domenico. La<br />

polizia scientifica italiana conquistò allora un posto di assoluto rilievo internazionale.<br />

Nel 1915 arrivò per Gasti la promozione a Vice-questore ed anche la Grande Guerra,<br />

che gli offrì un’altra straordinaria opportunità. Dal settembre 1916, dopo un segreto<br />

periodo di preparazione, cominciò ad operare una struttura civile di controspionaggio,<br />

alle dirette dipendenze del direttore generale della P.S. Giacomo Vigliani. Nell’ottobre<br />

1917 un decreto ufficializzò l’esistenza dell’Ufficio Centrale di Investigazione, la cui<br />

direzione venne affidata al funzionario nativo di Castellazzo Bormida. La struttura, s<strong>nella</strong><br />

ma solida, era articolata in quattro sezioni, che si occupavano di anagrafe e vigilanza sugli<br />

stranieri, informazioni politiche, repressione dello spionaggio commesso da civili,<br />

indagini su reati previsti dalla legislazione eccezionale di guerra. Essenziale era poi la<br />

«revisione postale, telegrafica e telefonica» che non ha bisogno di spiegazioni. L’ufficio si<br />

avvaleva di un’estesa rete di fiduciari in Italia ed all’estero, a cominciare dalla neutrale<br />

Svizzera.<br />

Si comprende bene quali possibilità ma anche rischi attendessero Gasti, quale direttore<br />

di un servizio segreto. Il ministro Orlando gli diede di fatto carta bianca. Il funzionario<br />

«consacratosi alla ragion di Stato sguinzagliò le sue spie in ogni campo: politica, religione,<br />

cultura, affari e, perfino, abitudini sessuali» (PALOSCIA, I segreti del Viminale).<br />

L’attenzione maggiore la rivolse ai socialisti, ai repubblicani ed alla Santa Sede. I suoi<br />

agenti scoprirono che un prelato, Rodolfo Gerlach, appartenente all’ entourage del Papa,<br />

svolgeva attività spionistica. Venne processato e condannato all’ergastolo ma in<br />

contumacia. Altre investigazioni riguardarono un grosso movimento di denaro tra<br />

Germania, Svizzera e Vaticano. Il sospetto era che si volesse alimentare in Italia una<br />

campagna disfattista. Qualcosa di più concreto fu scoperto sull’ex-deputato Filippo<br />

Cavallini ed il faccendiere francese Bolo Pascià: il primo aveva tenuto contatti con agenti<br />

tedeschi allo scopo di fondare un quotidiano, il secondo aveva cercato di vendere al<br />

127


governo italiano carbone e bovini americani servendosi delle referenze del senatore<br />

Annaratone, prefetto a riposo. Questi affari non andarono in porto e misero nei guai i due<br />

personaggi che finirono sotto processo (AUGIAS, Giornali e spie).<br />

Sul versante politico vennero arrestati il segretario ed il vice-segretario del partito<br />

socialista, Costantino Lazzari e Nicola Bombacci, accusati di disfattismo ed attività<br />

sovversiva. Finì in carcere anche il direttore dell’ Avanti! Giacinto Menotti Serrati, sotto<br />

accusa per la rivolta popolare scoppiata a Torino nell’agosto 1917 (SPRIANO, Torino<br />

operaia <strong>nella</strong> grande guerra).<br />

Gasti dovette sostenere la concorrenza, oltre che dei servizi segreti militari, anche di<br />

una struttura civile extra ordinem: il ministro del Tesoro Nitti aveva infatti «organizzato<br />

presso di sé un gabinetto nero per indagini e denunzie contro i sabotatori della guerra»<br />

(CRESPI, Alla difesa dell’Italia in guerra e a Versailles). In Italia, nel campo dei servizi<br />

segreti, c’è sempre stata concorrenza e un po’ di confusione…<br />

A Gasti venne affidata anche la direzione del “Bollettino delle ricerche”, pubblicato<br />

dal 1913 con cadenza settimanale. «Uno dei migliori e più intelligenti funzionari di P.S.<br />

di questo periodo» (giudizio dello storico De Felice) raggiunse - cinquantenne - i vertici<br />

della carriera lui che, secondo Corrado Augias era un “poliziotto inusuale”.<br />

Nel drammatico dopoguerra, Gasti venne inviato a Milano per reggere la questura,<br />

dopo l’esonero del questore Eula «vecchio ed abilissimo funzionario». Compilò allora un<br />

rapporto, storicamente importante, su Benito Mussolini, che il 23 marzo 1919 aveva<br />

fondato i Fasci di Combattimento.<br />

Gli anni trascorsi <strong>nella</strong> capitale lombarda dal 1919 al 1922 furono i più agitati della<br />

carriera di Gasti, contrassegnati da straordinarie tensioni di piazza, sanguinosi attentati con<br />

bombe, violenze politiche quotidiane, vera guerra civile.<br />

Eula era stato esonerato dopo i tragici avvenimenti dell’aprile 1919. 1 Gasti alla fine di<br />

agosto 1919 fu nominato “de iure” questore di Milano ma, come ho detto, reggeva<br />

quell’ufficio sin da aprile. Aveva a disposizione per il mantenimento dell’ordine pubblico<br />

forze abbastanza numerose ma comunque insufficienti. I Carabinieri in tutta Italia erano<br />

ridotti a 28.000 anche a causa delle perdite in guerra e l’utilizzazione dei reparti<br />

dell’esercito era frenata dal timore che fraternizzassero con i dimostranti, come in effetti<br />

qui e là avvenne. Un documento riservato del 25 aprile 1920 diretto ai prefetti dal capo<br />

della polizia Vincenzo Quaranta affermava: «Si ha motivo di ritenere che in qualche<br />

reparto di truppa sia stata accolta idea di privare fucili delle pallottole quando vengano<br />

chiamati in servizio ordine pubblico. Nelle località dove si trovino tali reparti la sicurezza<br />

1 v. in questo volume il capitolo dedicato ad Angelo Pesce.<br />

128


della innocuità delle armi diffusa nelle masse le renderebbe audaci e distruggerebbe<br />

possibilità resistenza. Pregasi pertanto disporre d’accordo con la autorità militare vigilanza<br />

e verifiche di sorpresa nel momento più opportuno». Pochi mesi dopo, in un altro<br />

telegramma riservato il sottosegretario Corradini scriveva: «Condizioni generali presenti e<br />

ragioni disciplina impongono che concorso truppa in servizio pubblica sicurezza sia<br />

richiesto soltanto in via eccezionale e quando necessità assolutamente ne sia evidente per<br />

motivi gravi e forze di polizia siano riconosciute insufficienti. In ogni caso dovrà evitarsi<br />

sempre richiesta invio piccoli distaccamenti e impiego militari isolati».<br />

Nitti, succeduto ad Orlando come Presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, di<br />

fronte al deterioramento della situazione ritenne necessario adottare provvedimenti<br />

urgenti di riorganizzazione della polizia e li attuò in pochi mesi, valendosi della<br />

professionalità dei prefetti Quaranta e Flores. Nacque un corpo di agenti di investigazione<br />

addetti alla polizia criminale e un corpo militare, la “Regia guardia per la pubblica<br />

sicurezza”, destinata ad operare nei centri urbani con un organico che arrivò a 40.000<br />

uomini. 2 Mai la polizia italiana era stata tanto numerosa (D’URSO, Polizia italiana, in<br />

Storia in network n. 103/maggio 2005).<br />

A Milano, Gasti ebbe a disposizione per le esigenze di ordine pubblico oltre 2.800<br />

guardie e due battaglioni mobili di carabinieri con circa 1.500 uomini. L’importanza<br />

assunta dalla Regia guardia per la repressione dei disordini di piazza fece concentrare su di<br />

essa l’ostilità delle masse, che la vedevano esclusivamente come strumento della classe<br />

dominante. «Diamo dell’odio alle Guardie regie in cambio del piombo che ci danno”<br />

divenne una frase tristemente famosa. E Gramsci parlò di “corpo armato mercenario<br />

creato dallo Stato borghese».<br />

Nel “biennio rosso” (1919/1920) si scavò un solco incolmabile tra le forze socialiste e<br />

quelle anti-socialiste, tra le quali divenne dominante la componente fascista. In sintesi,<br />

ricordo i fatti più gravi che in quegli anni turbarono l’ordine pubblico a Milano.<br />

L’estate milanese del 1919 fu turbata da una serie di attentati, tutti o quasi dovuti<br />

all’iniziativa del giovane anarchico Bruno Filippi. Dapprima egli fece scoppiare una<br />

bomba in piazza Fontana negli uffici della Corte d’Assise, poche settimane dopo lanciò una<br />

fiala di vetriolo sull’industriale Breda e, deluso per il risultato, la sera stessa piazzò un<br />

ordigno contro la villa dell’uomo. Un’altra bomba, fortunatamente inesplosa, fu rinvenuta<br />

alla stazione centrale di Milano, seguì un attentato al palazzo del marchese e senatore<br />

Ponti. Gli obiettivi principali di Filippi erano i ricconi milanesi e, in particolare, secondo<br />

le sue stesse parole, i “pescecani” che se la spassavano nei locali alla moda. Il 7 settembre<br />

2 DONATI L., La Guardia regia, in “Storia contemporanea”, n. 3/1977, pp. 441-487.<br />

129


1919 Filippi progettò un attentato in Galleria. Il pianterreno era occupato dal caffèristorante<br />

Biffi mentre al piano nobile c’era il Club dei Nobili. Lo scoppio del potente<br />

ordigno trasportato da Filippi avvenne prematuramente sul pianerottolo dell’ammezzato e<br />

dilaniò l’anarchico. Tra la montagna di detriti si rinvenne solo un piede di Filippi e il<br />

riconoscimento avvenne grazie alla scarpa (www.anarcotico.net).<br />

Durante la campagna elettorale del novembre 1919 (per la prima volta si votava alla<br />

Camera col sistema proporzionale e fu eclatante il successo di socialisti e popolari) a Lodi,<br />

per rappresaglia contro i massimalisti che avevano interrotto un comizio, i fascisti<br />

spararono in un teatro uccidendo tre persone e ferendone otto. I risultati delle urne<br />

furono però deludenti per Mussolini. La questura, dopo che <strong>nella</strong> sede del comitato<br />

elettorale fascista furono sequestrate bombe a mano, pugnali e rivoltelle, arrestò<br />

Mussolini, Marinetti e altri dirigenti. Gasti non ebbe il sostegno del governo e il futuro<br />

Duce e gli altri tornarono in libertà (DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario).<br />

Dopo i gravi fatti avvenuti a Roma il 1° dicembre 1919 all’apertura della Camera, le<br />

centrali sindacali proclamarono uno sciopero generale di protesta. A Milano durante<br />

gravissimi tumulti di piazza rimasero uccisi tre operai e il carabiniere Cordola.<br />

Per tutto il 1920 la violenza politica imperversò. In giugno barricate e saccheggi di<br />

negozi con cinque morti e <strong>nella</strong> città quasi in stato d’assedio la questura impiegò le<br />

autoblindo per sedare i disordini. Durante uno dei più selvaggi episodi di violenza fu<br />

letteralmente linciato un vice-brigadiere dei Carabinieri che aveva rifiutato di cedere le<br />

armi. Gettata una bomba contro il ristorante Cova, un altro ordine scagliato da un’auto in<br />

corsa uccise un capitano dell’esercito. Un ufficiale in pieno centro fece del tiro a segno<br />

contro una bandiera rossa esposta a una finestra. In settembre occupazione delle fabbriche<br />

e morte di un operaio dilaniato da una bomba all’interno dello stabilimento Breda.<br />

Sotto l’aspetto morale la polizia mostrava sempre più simpatia per i fascisti, contro i<br />

comuni nemici sovversivi, sino ad arrivare all’aperta connivenza. Gaetano Salvemini ha<br />

parlato di “antibolscevismo” delle forze dell’ordine «costrette a correre da ogni parte per<br />

far cessare i disordini, insultate dai giornali e nei comizi rivoluzionari, esposte in<br />

continuazione al pericolo di essere ferite e uccise, esasperate per il frequente uso delle<br />

armi, al quale erano realmente costrette contro le folle in tumulto».<br />

Il questore Gasti, giudicato dal più stretto collaboratore di Nitti «tra i migliori<br />

funzionari dell’amministrazione di pubblica sicurezza» (FLORES, Eredità di guerra) ebbe il<br />

merito di salvare la propria dignità e il decoro delle forze ai suoi ordini, tenendo una<br />

condotta che, proprio per essere stata criticata dalle opposte fazioni, era evidentemente di<br />

sostanziale imparzialità. “Il Popolo d’Italia” parlò di «zelo sfacciatamente partigiano del<br />

130


signor Gasti al quale così male è affidata la sicurezza dei cittadini milanesi». Il segretario<br />

dell’associazione arditi accusava: «Perseguitare e disarmare gli arditi e lasciare che i<br />

sovversivi apprestino le armi per i loro truci scopi, per un questore è una colpa<br />

gravissima, signor Gasti nonché grande ufficiale. Socialisti poliziotti ne abbiamo conosciuti<br />

già e sono stati messi a posto». Ancora nel maggio 1922 il quotidiano fascista arrivò a<br />

definire Gasti “costituzionale codino con una chiara tendenza al riformismo socialista”,<br />

funzionario dal temperamento “esclusivamente giuridico”, attento solo alla obiettività<br />

formale ed alla legalità esteriore”. Il fascista Marinelli, con tono scandalizzato, scrisse:<br />

«Gasti ritiene che il fascio non rappresenti alcun valore». Cosicché il questore di Milano<br />

era vilipeso dai fascisti che non dimenticavano l’arresto di Mussolini nel 1919 ma era<br />

anche attaccato dai socialisti che gli rimproveravano mancanza di fermezza nel contrastare<br />

lo squadrismo. E se era odiato da anarchici e comunisti che si ritenevano particolarmente<br />

perseguitati, veniva biasimato dai benpensanti per non sapere difendere Milano dalla<br />

violenza degli estremisti. Fatto sta che Gasti rimase al suo posto, mentre cambiavano<br />

ministri (Orlando, Nitti, Giolitti, Bonomi, Facta, Taddei) e prefetti (Pesce, Flores,<br />

Lusignoli). Evidentemente qualche merito doveva pure averlo.<br />

La sera del 23 marzo 1921 il teatro Diana di Milano fu devastato da un attentato: 21<br />

morti e oltre 200 feriti, molti dei quali con gravissime mutilazioni. Era la disperata<br />

protesta degli anarchici per la detenzione del loro leader Malatesta ma anche il tentativo di<br />

uccidere Gasti che alloggiava nello stesso corpo di fabbrica del teatro. Come scrisse<br />

Giuseppe Mariani nelle sue memorie, era stata presa in considerazione un’azione da<br />

kamikaze: uno degli anarchici doveva recarsi nell’ufficio del questore con un pacco<br />

esplosivo. Quel piano non fu attuato e la scelta del Diana fu determinata dalla volontà di<br />

colpire anche eventuali ospiti occasionali nell’abitazione del questore. Dopo il terribile<br />

attentato, la città conobbe la reazione dei fascisti e Gasti intervenne su Mussolini “per<br />

indurlo a esercitare azione moderatrice” (DE FELICE, Mussolini il fascista).<br />

Evidentemente, le autorità di polizia a quel punto non erano più in grado di imporre ai<br />

violenti il rispetto della legge. Le indagini sulla strage, coordinate personalmente da Gasti,<br />

portarono a risultati concreti: gli autori materiali, rei confessi, furono arrestati e<br />

condannati.<br />

Nel maggio 1921 si svolsero nuove elezioni politiche in un clima di crescente violenza.<br />

Durante disordini di piazza una guardia regia ventenne fu disarmata e uccisa. “Il Popolo<br />

d’Italia” pubblicò l’ordine agli squadristi di perseguitare in ogni modo gli avversari. «In<br />

questo clima per un momento anche il questore Gasti perdette il controllo dei nervi,<br />

131


ischiando una ripetizione della farsa post-elettorale del ‘19». Fece nuovamente arrestare<br />

importanti dirigenti fascisti ma anche quella volta il governo non lo sostenne.<br />

Nel fatale 1922 i fascisti assunsero sempre più il controllo della situazione. In agosto<br />

durante il cosiddetto “sciopero legalitario” indetto dall’Alleanza del lavoro squadre armate<br />

affluirono a Milano dalla Lomellina e da Cremona. La forza pubblica aveva avuto l’ordine<br />

di usare le armi solo per rispondere al fuoco e quando i fascisti diedero l’assalto a palazzo<br />

Marino, sede del Comune, le guardie schierate a difesa furono facilmente travolte senza<br />

spargimento di sangue. Quella facile vittoria esaltò gli squadristi che si diressero con<br />

pessime intenzioni alla sede del quotidiano socialista. Superata la debole resistenza degli<br />

agenti di guardia, affrontarono i difensori del giornale che si erano barricati difesi da un<br />

reticolato. I morti nell’assalto furono quattro. Gasti, per evitare il peggio, contattò i capi<br />

fascisti per ottenere il rimpatrio delle squadre affluite da fuori Milano. Riferendosi ai<br />

fascisti scrisse che «la loro fiducia e baldanza è anche nutrita dal convincimento che le<br />

truppe e le forze statali per simpatia verso di essi e delle loro idealità non condurranno<br />

mai un’azione a fondo e risolutiva per mezzo delle armi». La soluzione era solo <strong>nella</strong> forza<br />

e la partita per lo Stato appariva ormai perduta, nonostante le buone intenzioni del<br />

ministro dell’Interno Paolino Taddei.<br />

I giorni della marcia su Roma furono vissuti a Milano in un’atmosfera particolare, non<br />

solo perché la città era la culla del movimento fascista e il luogo da dove Mussolini<br />

manovrò ma anche perché a Milano i fascisti non riuscirono affatto a impadronirsi dei<br />

punti nevralgici, diversamente da quanto avvenne altrove.<br />

Gasti aveva predisposto un formidabile apparato di sicurezza e all’inizio giungevano da<br />

Roma notizie di un governo deciso finalmente a fare sul serio, anche ricorrendo allo stato<br />

d’assedio. Mentre il quotidiano comunista “L’Ordine Nuovo” parlava di eccezionali<br />

misure di sicurezza e non segnalava nelle prime ore nessun incidente di rilievo, “Il Popolo<br />

d’Italia” ricorse al dileggio nei confronti di Gasti: «La Questura adottò le misure più<br />

rivelatrici di fifa. Per un raggio di trecento metri intorno a S. Fedele furono bloccate le vie<br />

e le piazze. Fifa del comm. Gasti il quale ha posto a difesa della sua propria pelle una<br />

ventina di mitragliatrici, centinaia di uomini scaglionati su una zona di più di un<br />

chilometro quadrato tutto attorno la sua residenza». Quando gruppi armati di fascisti si<br />

presentarono ancora una volta dinanzi alla sede del quotidiano socialista, furono accolti<br />

dal fuoco delle guardie regie e lasciarono sul terreno morti e feriti. Tutto ciò dimostrava<br />

che gli squadristi erano invincibili solo quando li si lasciava vincere. In quelle ore<br />

drammatiche poco mancò che Mussolini finisse ammazzato da uno dei suoi troppo<br />

nervoso, a cui sfuggì un colpo di fucile. Un battaglione di guardie regie con autoblindo fu<br />

132


sul punto di dare l’assalto alla sede del quotidiano fascista: forse sarebbe stata la fine della<br />

rivoluzione. Poi da Roma arrivò la notizia che il Re non aveva firmato il decreto sullo<br />

stato d’assedio e i rivoltosi da annientare divennero a un tratto i nuovi governanti ai quali<br />

obbedire.<br />

Mussolini, nuovo capo del Governo e ministro dell’Interno, nel primo Consiglio dei<br />

Ministri propose la nomina a prefetto di due questori: Wenzel di Cremona e Gasti.<br />

Riconoscimento di quanto da essi fatto o non fatto nei confronti del fascismo? In<br />

Castellazzo Bormida, l’iscrizione sulla tomba definisce Gasti “Prefetto del Regno, primo<br />

dell’era fascista”. In verità, «non si è potuto mai chiarire se i sentimenti di Gasti fossero o<br />

no favorevoli al fascismo. Esiste un suo rapporto nel quale ne parla bene; però, al tempo<br />

della marcia su Roma, fu l’unica autorità, a Milano, che si batté per la resistenza alla<br />

ribellione fascista» (FUCCI, Le polizie di Mussolini).<br />

Dopo aver fatto parte della commissione d’inchiesta inviata a Torino per indagare sui<br />

gravissimi fatti del dicembre 1922 con il massacro di numerosi antifascisti (CARCANO,<br />

Strage a Torino), il neo-prefetto nel febbraio 1923 fu destinato a Palermo. In un rapporto<br />

riservato Gasti affermò che «elementi della mafia cercarono di infiltrarsi nelle sezioni<br />

fasciste sia anche per poter esercitare qualche influenza sulle direttive del movimento, in<br />

specie nei centri rurali ed in ogni caso per essere preventivamente e tempestivamente<br />

informati dei propositi del partito e del Governo in rapporto alla mafia». Poi, nell’arco di<br />

due anni, traslocò a Novara, Ferrara, Trieste. Durante il periodo novarese si attirò le ire<br />

di Mussolini per avere consentito che il dissidente fascista Cesare Forni tenesse un comizio<br />

antigovernativo. Anche nel capoluogo giuliano diede prove di moderazione in una<br />

situazione di tensione e insicurezza, tanto che la stampa della minoranza slovena non<br />

mancò di rilevare che «per la prima volta in questa regione un rappresentante dello stato<br />

assume una posizione giusta, corretta e logica verso la nostra gente».<br />

Nel dicembre 1926 arrivò prematuramente per Gasti il collocamento a disposizione,<br />

l’anno successivo a riposo a soli 58 anni. Il telegramma a firma del Sottosegretario Suardo<br />

recava la data del 1° settembre 1927: «Con decreto in corso V. S. è stata collocata a<br />

riposo per ragioni di servizio a decorrere dal giorno 16 settembre. D’ordine di S. E. Capo<br />

Governo Ministro dell’Interno La ringrazio dei lunghi e buoni servizi resi<br />

all’Amministrazione e che hanno reso la S. V. benemerita del paese».<br />

Gasti si rifugiò negli affetti familiari e curò l’edificazione della tomba di famiglia. Detto<br />

lui stesso le epigrafi, esemplari della retorica del tempo. Su quella della madre è scritto<br />

curiosamente: “Devota al marito, sviscerata al figlio”.<br />

La morte lo raggiunse nel 1939, all’età di 70 anni.<br />

133


BIBLIOGRAFIA<br />

L’attentato al Diana. Processo agli anarchici nell’Assise di Milano, Roma 1973<br />

CHIURCO G. A., Storia della rivoluzione fascista, Milano 1973<br />

COLETTI A., Anarchici e questori, Padova 1971<br />

DE FELICE R., Mussolini il rivoluzionario, Torino 1965<br />

DE FELICE R., Mussolini il fascista, Torino 1966<br />

FUCCI F., Le polizie di Mussolini, Milano 1985<br />

MARIANI G., Memorie di un ex-terrorista, Torino 1953<br />

MISSORI M., Governi, alte cariche dello stato, alti magistrati e prefetti del regno d’Italia,<br />

Archivi di Stato, Roma 1989<br />

RIZZO G., I segreti della polizia, Milano 1953<br />

SALVEMINI G., Le origini del fascismo in Italia, Milano 1975<br />

La testimonianza resa dal Grand’Uff. Giovanni Gasti questore di Milano nel processo per<br />

l’eccidio al Teatro Diana, Milano 1922<br />

TOSATTI G., Il Ministero degli Interni: le origini del casellario politico centrale, in Le riforme<br />

crispine, Milano 1990<br />

ZAVOLI S., Nascita di una dittatura, Milano 1983<br />

134


135


Francesco Crispo Moncada<br />

capo della polizia<br />

da Archivio storico siciliano, 2001 fasc. 1<br />

135


Francesco Crispo Moncada fu capo della polizia dal giugno 1924 al settembre 1926 (il<br />

Direttore generale della P.S. era diventato Intendente generale di polizia col r.d. 11<br />

novembre 1923, n. 2395 e poi Capo della polizia col r.d. 20 dicembre 1923, n. 2908).<br />

Dopo il delitto Matteotti, Mussolini – con abile mossa – lasciò al nazionalista Luigi<br />

Federzoni la guida del Ministero dell’Interno e sacrificò alcuni stretti collaboratori:<br />

vennero “dimissionati” Aldo Finzi sottosegretario all’Interno, 1 il generale Emilio De Bono<br />

capo della polizia, 2 Cesare Rossi capo ufficio stampa, 3 Cesare Bertini questore di Roma.<br />

Per rimpiazzare De Bono – militare ma anche “Quadrumviro della Rivoluzione” – si<br />

pensò ad un personaggio non politico e cioè ad un alto funzionario della carriera<br />

1 Aldo Finzi, nato 1891 e laureato in giurisprudenza, fu valoroso combattente <strong>nella</strong> Grande<br />

Guerra e partecipò con D’Annunzio al celebre volo su Vienna. Eletto deputato nel 1921, fu<br />

tra i protagonisti alla Camera dell’aggressione all’onorevole comunista Misiano che era<br />

stato disertore. Nell’agosto 1922, insieme con Cesare Rossi, guidò l’occupazione di palazzo<br />

Marino a Milano defenestrando gli amministratori socialisti. Di famiglia ebrea, si convertì al<br />

cattolicesimo per potere sposare la nipote del cardinale Vannutelli. Dopo la marcia su<br />

Roma, Finzi scelse una posizione moderata, invisa ai fascisti più intransigenti. Come<br />

sottosegretario usò largamente fondi segreti per sovvenzionare la stampa “amica”. Dopo il<br />

delitto Matteotti, sebbene si dicesse fiero di essersi sacrificato per fedeltà a Mussolini,<br />

scrisse un memoriale che lasciava intendere scabrose verità. Emarginato anche per accuse di<br />

affarismo, visse a lungo nell’ombra e finì per essere espulso dal Partito a causa delle sue<br />

critiche alle leggi razziali. Arrestato dai tedeschi dopo l’8 settembre, fu ucciso il 24 marzo<br />

1944 <strong>nella</strong> rappresaglia delle Fosse Ardeatine.<br />

2 Emilio De Bono, il più anziano dei quadrumviri della marcia su Roma, era nato a Cassano<br />

d’Adda nel 1866. Militare di carriera, aveva partecipato alle campagne d’Africa di fine<br />

Ottocento ed alla prima guerra mondiale. Scrisse le parole della canzone “Montegrappa tu<br />

sei la mia patria”. Dopo il delitto Matteotti subì un procedimento d’accusa innanzi al<br />

Senato costituito in Alta Corte ma ne uscì indenne. Successivamente, ricoprì le cariche di<br />

governatore della Tripolitania e ministro delle Colonie. Il 25 luglio 1943 votò a favore<br />

dell’o.d.g. Grandi e per questo fu processato a Verona, condannato a morte e fucilato nel<br />

gennaio 1944.<br />

3 Cesare Rossi, nato a Pescia nel 1887, redattore del “Popolo d’Italia”, fu all’inizio uno degli<br />

esponenti più autorevoli dell’entourage di Mussolini alla Presidenza del Consiglio. Nel<br />

giugno 1924, ritenendo di essere stato ingiustamente “scaricato”, scrisse un memoriale in<br />

cui accusò Mussolini di avere ispirato tutte le più gravi azioni squadristiche contro gli<br />

avversari politici. Lasciò l’Italia nel timore di rappresaglie, rifugiandosi in Francia. Attirato<br />

con un tranello a Campione d’Italia, fu arrestato e condannato a 30 anni di carcere dal<br />

Tribunale speciale. Nel dopoguerra scrisse interessanti libri di memorie. È morto a Roma<br />

nel 1967.<br />

136


prefettizia, “un tecnico di polizia e di reggimento interno”, che desse il senso della<br />

normalizzazione.<br />

Crispo Moncada era nato a Palermo nel 1867 da Pietro Crispo magistrato e da Elena<br />

Moncada appartenente ad una famiglia di alto lignaggio. Entrato nel 1891<br />

nell’amministrazione dell’Interno, percorse una brillante carriera a Palermo, Roma,<br />

Ferrara, Messina, Ancona. Durante la prima guerra mondiale lavorò presso il Comando<br />

Supremo, nel 1919 venne assegnato al Commissariato generale civile per la Venezia Giulia<br />

con sede a Trieste, collaborando con Augusto Ciuffelli e Antonio Mosconi.<br />

Nell’aprile 1920, allorché ministro dell’Interno era Nitti, Crispo Moncada fu<br />

promosso prefetto ma, tranne una brevissima parentesi a Treviso nell’estate 1921, rimase<br />

a Trieste sino al giugno 1924 in quanto, dopo la soppressione del Commissariato generale<br />

civile, fu nominato prefetto per la Venezia Giulia, poi della provincia di Trieste.<br />

Erano anni non facili per le emergenze di ordine pubblico. Le tensioni etniche tra<br />

italiani e slavi in Venezia Giulia erano rese drammatiche dalle azioni di nazionalisti e<br />

fascisti. Il 13 luglio 1920 essi diedero assalto al “Narodni dom”, sede triestina delle<br />

organizzazioni slave. Lo scontro si svolse a colpi di fucile e bombe a mano e provocò due<br />

morti e numerosi feriti. L’edificio fu dato alle fiamme con gravissimi danni materiali.<br />

Sempre a Trieste, nel febbraio 1921, dopo l’uccisione di un carabiniere, squadre<br />

fasciste attaccarono la sede del giornale “Il Lavoratore” e si lottò persino sui tetti, con un<br />

bilancio di numerosi feriti e la devastazione dell’edificio. I fatti di violenza politica si<br />

moltiplicarono: il dirigente cattolico Zustovich fu ucciso da una bomba, un sacerdote<br />

aggredito mentre predicava in sloveno.<br />

Nei giorni della marcia su Roma, anche a Trieste fu occupato il Palazzo del governo<br />

senza che fosse opposta valida resistenza da parte delle forze dell’ordine, né peraltro<br />

fecero di più i militari quando le autorità civili trasmisero ad esse tutti i poteri. I capi<br />

fascisti Giunta e Giuriati avevano partecipato ad un banchetto in onore di Mosconi che<br />

stava per lasciare l’incarico di Commissario generale civile e, con faccia tosta, brindarono<br />

alla salute del moribondo governo Facta! Allorché Giunta, alla testa dei suoi, si presentò<br />

in prefettura, pare che Crispo Moncada “con le lacrime agli occhi” si limitasse ad esortarlo<br />

a pensare soprattutto all’Italia. Il comandante militare generale Sanna minacciò: «Ora vi<br />

faccio fucilare tutti» e Giunta rispose: «Faccia pure, Eccellenza, ma non le basterà un<br />

plotone di esecuzione». E l’esercito rimase a guardare. 4<br />

4 Quando nel 1926 fu istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, il generale<br />

Carlo Sanna ne fu il primo Presidente.<br />

137


Una pubblicazione degli anni Trenta scrisse che Crispo Moncada a Trieste «aveva<br />

esplicato i mandati a lui affidati con prontezza e fede patriottica, agevolando il sorgere e<br />

l’affermarsi delle prime idee fasciste. Un impulso notevole diede a tutte le più sane<br />

istituzioni locali ed aiutò a promuovere importanti opere pubbliche» 5 .<br />

La nomina a Capo della polizia nel giugno 1924 pare sorprendesse lo stesso prescelto.<br />

Di lui si parlò come di “un gentiluomo di vecchio stampo, dal tratto assai signorile” e di<br />

“funzionario all’antica”, fedele monarchico e vicino alle posizioni del nuovo ministro<br />

Federzoni. L’obiettivo di entrambi era di emarginare l’estremismo squadrista, limitare<br />

l’influenza dei “ras” locali, accrescere l’autorità dei prefetti in periferia. Federzoni ha<br />

scritto in un libro di memorie: «I prefetti che erano stati difesi molte volte da me contro<br />

le sconsigliate ingerenze del Partito diedero prova quasi tutti di esemplare fedeltà e<br />

scrupoloso senso del dovere. Funzionari ed agenti erano pubblicamente lodati come<br />

“fascisti” o vituperati come “antifascisti” a seconda del loro atteggiamento ligio piuttosto al<br />

Partito che al Ministero o viceversa». Mussolini, per evidenti ragioni tattiche, sostenne in<br />

quel momento le posizioni di Federzoni e il prefetto finì per essere consacrato come “la<br />

più alta autorità dello Stato <strong>nella</strong> provincia”. Anche il Capo della Polizia ribadì in più<br />

occasioni che lo Stato non poteva delegare ad altri le sue prerogative in materia di ordine<br />

pubblico ed invitò i prefetti ad intervenire efficacemente in tal senso presso i dirigenti<br />

locali dei fasci. Ma non furono evitati fatti sanguinosi.<br />

Il 5 settembre 1924 Piero Gobetti fu vittima di una bastonatura in una strada di<br />

Torino. 6 Una settimana dopo fu assassinato a Roma un deputato fascista moderato,<br />

Armando Casalini. Don Luigi Sturzo ebbe l’abitazione devastata e l’ultimo giorno<br />

dell’anno, a Firenze, gli squadristi assalirono la sede di un giornale, due logge massoniche<br />

e studi di professionisti. Nel luglio 1925 toccò a Giovanni Amendola subire una violenta<br />

aggressione. 7 Il mese successivo Gaetano Salvemini, sfuggendo alla sorveglianza della<br />

5 SAVINO E., La nazione operante, Milano 1937<br />

6 Dopo quel fatto Gobetti accusò disturbi cardiaci che lo portarono a morte a Parigi nel<br />

febbraio 1926. Da poche settimane aveva lasciato l’Italia.<br />

7 Amendola che già nel dicembre 1923 era stato aggredito a Roma, il 20 luglio 1925 si<br />

trovava a Montecatini per una cura termale. Lì fu assediato in albergo e minacciato di<br />

morte. Quando fu chiesto un rinforzo di agenti, la questura di Lucca fece sapere che li<br />

avrebbe potuti inviare solo il giorno dopo. Il fascista Carlo Scorza – che nel 1943 fu<br />

l’ultimo segretario del P.N.F. – convinse il deputato a partire in auto per Pistoia con al<br />

seguito un camion di carabinieri (dirà poi Amendola al figlio Giorgio che “la vergogna era<br />

durata abbastanza e nell’albergo vi erano molte signore e stranieri ed egli non poteva<br />

accettare di essere motivo involontario di tanto fastidio”). Fuori Montecatini l’automobile,<br />

guidata da un fedele di Scorza che aveva fatto salire sul mezzo due compari come “scorta”,<br />

138


polizia, riuscì a espatriare in Francia. 8 A Firenze, in ottobre, dopo l’uccisione del fascista<br />

Luporini, bande armate scorrazzarono per la città e assalirono abitazioni di antifascisti,<br />

uccidendo a freddo l’ex-deputato socialista Pilati e l’avvocato Consolo. 9 In dicembre, il<br />

funerale della compagna di Turati, Anna Kuliscioff, fu disturbato da provocatori. 10 Anche<br />

Sandro Pertini fu minacciato e più volte aggredito; dopo la bastonatura del 1° maggio<br />

1926 gli venne mosso il rimprovero di essere uscito con la cravatta rossa e quando un<br />

commissario di polizia denunziò il responsabile di un’ulteriore aggressione, arrivò per il<br />

funzionario il trasferimento in Sardegna.<br />

Durante la gestione di Crispo Moncada mutò l’orientamento di ridurre gli organici e<br />

semplificare i servizi di polizia.<br />

Il 31 dicembre 1922, al tempo di De Bono,con un drastico e repentino provvedimento<br />

era stata abolita la Regia guardia per la pubblica sicurezza. Venne sciolto anche il Corpo<br />

degli agenti d’investigazione che contava 6.000 effettivi. L’Arma dei Carabinieri rimase<br />

così, temporaneamente, l’unica forza di polizia italiana, con un organico di 75.000<br />

uomini. Conati di ribellione di guardie regie avvennero a Torino, Napoli, Genova e<br />

altrove. Passarono più di due anni ed il governo avvertì l’esigenza di avere a disposizione<br />

uno strumento di polizia più malleabile dei Carabinieri (dei quali disturbava sia la<br />

dipendenza dal ministero della Guerra sia la incondizionata fedeltà alla Corona) e nacque<br />

così, col r.d. 2 aprile 1925, il Corpo degli agenti di Pubblica Sicurezza, alle strette<br />

dipendenze del Ministero dell’Interno, proprio come la disciolta Regia guardia. Vi<br />

distaccò facilmente il lento mezzo militare e imboccò una strada secondaria, che era<br />

ostruita in un punto determinato. Sbucarono dal buio uomini armati che picchiarono<br />

selvaggiamente il deputato. Amendola, ferito gravemente, morì l’anno dopo in Francia.<br />

8 Salvemini ricorda che, prima che decidesse di tentare l’espatrio, aveva quasi<br />

amichevolmente “convissuto” con gli agenti che lo sorvegliavano: «A Roma feci lo stesso<br />

contratto con i due nuovi angeli custodi: io mi impegnavo a non squagliarmi, e loro si<br />

godessero la vita. Quando partii da Roma per Santa Margherita Ligure due nuovi angeli<br />

custodi mi presero in consegna. Anche con questi feci amicizia, ai soliti patti».<br />

9 Era stata compilata una lista di dieci persone da sopprimere, ma il caso volle che otto di<br />

esse fossero irreperibili. Mentre Firenze era piena di turisti, fra cui un ministro inglese ed il<br />

sindaco di Parigi, gli squadristi percorsero le vie del centro facendo chiudere i locali<br />

pubblici e picchiando anche cittadini stranieri. Lo scandalo fu enorme. Prefetto e questore<br />

furono sostituiti ed un’inchiesta affidata a Italo Balbo li accusò di essere rimasti passivi per<br />

timore degli esponenti fascisti locali. Una cinquantina di squadristi, parecchi con precedenti<br />

penali, furono espulsi dal partito.<br />

10 Il 1925 fu anche, però, un Anno Santo, che si svolse senza inconvenienti sotto l’aspetto<br />

dell’ordine pubblico. I pellegrini arrivati a Roma furono circa 600.000.<br />

139


confluirono i servizi di investigazione e di indagine tecnica già facenti parte dell’Arma dei<br />

Carabinieri. Si consentì, per straordinarie esigenze di servizio, che fossero conferite le<br />

funzioni di Questore a persone estranee all’amministrazione di pubblica sicurezza e affidati<br />

a chiunque incarichi speciali per indagini riservate, secondo valutazioni discrezionali del<br />

Direttore generale della P.S. che fissava anche il compenso.<br />

Nel luglio 1924 furono emanate nuove disposizioni sulla stampa che attribuivano ai<br />

prefetti ampia facoltà di sequestro dei giornali e dopo il noto discorso mussoliniano del 3<br />

gennaio 1925 la polizia operò un giro di vite nei confronti delle opposizioni soprattutto di<br />

sinistra: furono chiusi circoli, sciolte organizzazioni, sequestrati giornali. Dal 3 al 16<br />

gennaio L’Unità fu sequestrata undici volte. Il 26 febbraio 1925 fu arrestato anche Palmiro<br />

Togliatti, accusato di organizzazione sovversiva “per far sorgere in armi gli abitanti del<br />

regno contro i poteri dello Stato”. 11<br />

Una legge molto restrittiva disciplinò la vita delle associazioni, un’altra previde la<br />

dispensa dal servizio per gli impiegati dello Stato che si ponessero “in condizioni di<br />

incompatibilità con le generali direttive politiche del governo”. Fu stabilita per i fuorusciti<br />

la perdita della cittadinanza e persino la confisca dei beni.<br />

Con circolare del 4 agosto 1925 venne chiesto ai prefetti, per un migliore controllo<br />

della vita sociale, di organizzare un servizio di informatori fiduciari, accuratamente<br />

selezionati, per seguire “gli atteggiamenti e i propositi dei partiti sovversivi”. Nello stesso<br />

tempo si pensò al potenziamento del Servizio speciale riservato per il controllo delle<br />

comunicazioni telefoniche. Al Viminale le apparecchiature di intercettazione furono<br />

provvisoriamente sistemate in locali al primo piano, fuori dalla vista di estranei. Diresse<br />

in quegli anni il servizio il Vice questore Michele Di Guglielmo, poi il pari grado Salvatore<br />

Introna. 12 Erano controllati ex Presidenti del Consiglio, alti prelati vaticani, generali ed<br />

ammiragli, giornalisti, avvocati, letterati. Erano ascoltate e stenografate anche le<br />

telefonate di Mussolini.<br />

Mussolini riconobbe che la provata fede fascista non bastava a creare “un occhio magico<br />

che tenga sotto controllo tutti gli italiani”. La sorveglianza della polizia era rapportata<br />

11 Togliatti rimase detenuto a Regina Coeli sino al 29 luglio 1925 e fece da scrivano per i<br />

detenuti comuni. Uscì grazie ad un’amnistia per i venticinque anni di regno di Vittorio<br />

Emanuele III ma prima dovette sottoporsi all’operazione dello “specchietto”: essere<br />

mostrato agli agenti della polizia politica affinché potessero fissare bene in mente i suoi<br />

connotati.<br />

12 Salvatore Introna, nato a Bari nel 1878, dopo l’ampliamento del servizio di<br />

intercettazioni voluto da Arturo Bocchini fu promosso questore e poi prefetto. Nel 1933 fu<br />

destinato alla prefettura di Gorizia e due anni dopo a quella di Pesaro e Urbino.<br />

140


all’importanza del soggetto e, come precisò Crispo Moncada in una circolare, si poteva<br />

andare dalla semplice segnalazione di spostamenti e rapporti di lavoro, alla stretta<br />

sorveglianza di ogni attività anche dei familiari, fino ad arrivare al piantonamento fisso.<br />

Antonio Gramsci, quando fu processato dal Tribunale speciale, dichiarò: «Non ho svolto<br />

attività clandestina di sorta perché, ove avessi voluto, questo mi sarebbe stato impossibile.<br />

Già da anni ho sempre avuto vicino sei agenti, con il compito dichiarato di accompagnarmi<br />

fuori o di sostare in casa mia».<br />

Crispo Moncada preferiva servirsi di persone che, durante la Grande Guerra, avevano<br />

fatto parte dei numerosi servizi di polizia militare e controspionaggio. Ai migliori spettava<br />

poi di sorvegliare i dirigenti fascisti meno affidabili. Il Capo della polizia avviò la<br />

riorganizzazione della Direzione generale della Pubblica Sicurezza ed ebbe come vice<br />

Elfrido Ramaccini, “un pepatissimo toscano dallo spirito mordace”, che ottenne<br />

successivamente la nomina a prefetto.<br />

Già negli anni della guerra aveva operato un servizio speciale di investigazione,<br />

affidato a Giovanni Gasti. 13 Crispo Moncada in qualche modo lo riesumò servendosi<br />

dell’Ispettore generale Battioni, tecnico di vasta esperienza. 14<br />

In quegli anni, la Divisione affari generali e riservati del Ministero dell’Interno, affidata<br />

prima a Filippo Ravenna e poi a Giuseppe Marzano, era organizzata in tre sezioni: I Ufficio<br />

riservato speciale per il movimento sovversivo, la stampa sovversiva, le associazioni<br />

sovversive – II Ordine pubblico, stampa non sovversiva, associazioni in genere, viaggi dei<br />

sovrani ed alti personaggi, revisione cinematografica – III Stranieri, cittadinanza, affari<br />

vari. Il Casellario politico centrale intensificò la sua attività: nel 1925 furono aperti 2.600<br />

nuovi fascicoli, l’anno dopo 3.600. Non venivano controllati soltanto i politici, ma anche<br />

gli stranieri, gli allogeni, i parroci.<br />

Si cominciò ad operare anche all’estero, appoggiandosi alle ambasciate e ai consolati. Il<br />

commissario Signori agiva a Berna, Sabbatini a Parigi, Spetia a Nizza, Caradossi a<br />

Marsiglia. Un funzionario, Francesco Lapolla, inviato a Parigi sotto falsa identità per<br />

infiltrarsi negli ambienti dei fuorusciti, fu scoperto dalla polizia francese e riuscì a<br />

cavarsela solo grazie ad un intervento diretto di Crispo Moncada sul capo della polizia<br />

parigina.<br />

C’era poi la Divisione personale di pubblica sicurezza diretta da Riccardo Motta e poi da<br />

Simone Cacciola.<br />

13 Su Gasti v. in questo volume il capitolo a lui dedicato.<br />

14 Arturo Bocchini organizzò in seguito gli “Ispettorati speciali”, divenuti OVRA con scoop<br />

giornalistico dovuto a Mussolini stesso.<br />

141


La Divisione polizia operava con tre sezioni: I Polizia giudiziaria – II Polizia di frontiera<br />

ferroviaria e falsi valori – III Polizia amministrativa e sociale. Fu costituito anche un<br />

Ufficio centrale per la repressione della tratta delle donne e dei fanciulli. Diressero in<br />

quegli anni la divisione Celso Tassoni e Luigi Miranda.<br />

La Divisione gestione contratti e forniture era diretta da Mario Rizzo. 15<br />

Come ben si comprende, la Divisione affari generali e riservati era di gran lunga la più<br />

importante e lo divenne sempre di più. Le spese per la sicurezza pubblica che sino al 1926<br />

si erano mantenute stabili, nei successivi quattro anni passarono da 134 milioni a più di un<br />

miliardo di lire del tempo. Più che rapine ed omicidi alla Direzione generale della P.S.<br />

destavano allarme e preoccupazione le offese al duce, le emigrazioni clandestine o una<br />

qualsiasi attività antifascista. In questi casi, arrivavano gratifiche e promozioni per i<br />

funzionari diligenti ovvero punizioni e trasferimenti per gli indolenti. Ma la polizia evitò<br />

sempre la fascistizzazione, come dimostrarono poi gli avvenimenti del luglio 1943.<br />

Nonostante le attente misure adottate per la sicurezza di Mussolini, tre tentativi di<br />

ucciderlo furono attuati in meno di un anno. 16<br />

Il 4 novembre 1925 fu arrestato l’ex-deputato socialista Tito Zaniboni, tradito da un<br />

infiltrato prima che potesse mettere in atto il piano di sparare con un fucile a Mussolini, da<br />

una finestra dell’albergo Dragoni prospiciente palazzo Chigi allora sede del Ministero<br />

degli Esteri. Mussolini doveva quel giorno assistere alla sfilata degli ex-combattenti,<br />

nell’anniversario della Vittoria. Zaniboni arrivò in albergo sotto falso nome <strong>nella</strong> sua<br />

divisa di ufficiale degli alpini pluridecorato. Quando la polizia intervenne trovò in un<br />

armadio un fucile munito di cannocchiale. Partecipe del piano, soprattutto sotto l’aspetto<br />

del finanziamento, era stato il generale Luigi Capello, uno dei migliori comandanti <strong>nella</strong><br />

Grande Guerra ed esponente della Massoneria di Palazzo Giustiniani. Il Ministero<br />

15 Quando Bocchini, successore di Crispo Moncada, rivide l’organizzazione dei servizi di<br />

polizia nel gennaio 1927, volle costituire la Segreteria del Capo della polizia (curava in<br />

particolare la corrispondenza particolare, l’apertura e lo smistamento del corriere) e la<br />

Divisione polizia politica (si occupava di polizia segreta, servizio fiduciario, investigazione<br />

politica, spese di pubblica sicurezza e confidenziali).<br />

16 Col tempo, fu sempre più rafforzato il servizio protettivo. Ha scritto Paolo Monelli:<br />

«Anche quando Mussolini credeva di trovarsi in mezzo al popolo o fra contadini o sportivi,<br />

una buona parte di quei frenetici ammiratori erano poliziotti travestiti, secondo il bisogno,<br />

da minatori o da mietitori o da villani, e magari da ammalati negli ospedali». Quegli agenti<br />

formavano la squadra “presidenziale”.<br />

142


dell’Interno ordinò severissime misure nei confronti delle logge 17 e durante le<br />

perquisizioni fu rinvenuto dalla polizia il registro generale di tutti gli affiliati. Il questore<br />

Adolfo Perilli si affrettò a recarlo a Crispo Moncada, il quale ritenne suo dovere<br />

consegnarlo al ministro Federzoni. Da allora del registro non si seppe più nulla e ci fu chi<br />

sostenne che qualcuno se ne servisse a scopi ricattatori.<br />

Il 7 aprile 1926 Violet Gibson, una matura signorina appartenente ad una aristocratica<br />

e ricca famiglia irlandese, sorella di lord Ashbourne e figlia di un cancelliere, ferì al naso<br />

con una pistolettata il Capo del governo che usciva dal Campidoglio. 18 Fu senz’altro il più<br />

grave e il più imprevedibile degli attentati. La donna aveva dato da giovane segni di<br />

squilibrio mentale dopo la morte del promesso sposo. Nei giorni dell’attentato a<br />

Mussolini alloggiava a Roma presso una comunità di suore e aveva inutilmente chiesto in<br />

Vaticano un’udienza privata col Papa. Pare che quel 7 aprile fosse uscita armata con<br />

l’intenzione di attentare alla vita del Pontefice e solo per curiosità si fosse avvicinata al<br />

Campidoglio. Sparò due colpi da distanza ravvicinata contro Mussolini che, avendo appena<br />

lasciato i partecipanti ad un congresso internazionale di chirurgia, ebbe la fortuna di essere<br />

assistito al meglio. Gli agenti, guidati dal questore Benedetto Bodini responsabile della<br />

sicurezza personale di Mussolini, sottrassero a fatica l’attentatrice alla violenza della folla.<br />

Violet Gibson, dichiarata non sana di mente, fu rimandata al paese di origine e l’opinione<br />

pubblica inglese rimase molto soddisfatta della benevolenza delle autorità italiane. 19<br />

Ancora a Roma, l’11 settembre 1926 l’anarchico carrarese ventiseienne Gino Lucetti,<br />

già noto alla polizia ed emigrato in Francia per motivi politici, lanciò una bomba a<br />

frammentazione contro l’automobile di Mussolini che transitava a Porta Pia. L’ordigno<br />

rimbalzò sulla carrozzeria ed esplose a distanza ferendo otto passanti. Lucetti per più<br />

giorni s’era appostato lungo il percorso che la Lancia presidenziale compiva da villa<br />

Torlonia a palazzo Chigi dove Mussolini aveva il suo ufficio. L’attentatore lanciò anche<br />

una seconda bomba, che non esplose, contro chi lo inseguiva ma non usò la pistola che<br />

17 Il processo, svoltosi nel 1927, si concluse con la condanna a 30 anni di carcere dei due<br />

imputati principali. Tito Zaniboni rimase in carcere e al confino sino al 1943. L’anno dopo<br />

fu nominato Alto Commissario per l’epurazione. Finita la guerra tornò alla vita politica, tra<br />

i socialdemocratici. È morto nel 1960.<br />

Il generale Capello, dopo essere stato scarcerato per motivi di salute, morì nel 1941.<br />

18 Una legge del dicembre 1925 aveva sostituito il titolo di “Presidente del Consiglio” con<br />

quello di “Capo del Governo” attribuendo al medesimo una serie di importanti prerogative.<br />

19 Il fratello dell’attentatrice s’era affrettato a spedire questo telegramma a Mussolini: «La<br />

famiglia di Violet Gibson è addolorata dell’incidente ed esprime i sensi della propria<br />

simpatia».<br />

143


aveva con sé. La polizia, che cercò invano le prove di un complotto, arrestò la madre, il<br />

fratello e la sorella di Lucetti, vecchi amici carraresi e anche chi aveva alloggiato con lui in<br />

albergo. 20<br />

Dopo questa serie di attentati la posizione di Federzoni e di Crispo Moncada divenne<br />

insostenibile. Mussolini si riprese il ministero dell’Interno e come nuovo Capo della<br />

polizia arrivò il prefetto di Genova Arturo Bocchini, uomo pratico ed astuto, “tecnico” per<br />

eccellenza, apprezzato anche da Augusto Turati, all’epoca segretario del P.N.F., per<br />

l’opera prestata alla prefettura di Brescia. 21<br />

Crispo Moncada, che nel 1925 aveva ricevuto la nomina a Consigliere di Stato, uscì<br />

bruscamente di scena. Ottenne nel 1928 il laticlavio ma negli anni successivi, secondo<br />

rapporti riservati di polizia (anche lui non era esente da controlli), manifestò un<br />

atteggiamento critico verso la guerra d’Etiopia e l’operato delle autorità in Venezia Giulia.<br />

In Senato non fu assiduo e si estraniò sempre di più dalla vita pubblica.<br />

Morì a Roma nel luglio 1952, a 85 anni.<br />

20 Lucetti fu condannato dal Tribunale speciale a 30 anni di reclusione. Liberato dalle<br />

truppe alleate nel 1943, morì di lì a poco vittima di un bombardamento.<br />

21 D’URSO D., Il prefetto nell’emergenza della sicurezza e dell’ordine pubblico, Alessandria<br />

1989, cap. “Il Viceduce”. A chi gli aveva chiesto se fosse fascista, Bocchini rispose: «Sono<br />

fascista fin dalle fasce»”.<br />

144


Cesare Mori<br />

il prefetto di ferro<br />

da Notiziario Anfaci, anno II n. 4, ottobre 1990<br />

145


Cesare Mori è ricordato come il “Prefetto di ferro” per la lotta condotta alla mafia in<br />

Sicilia, ma la sua biografia presenta molti altri aspetti interessanti.<br />

Abbandonato alla nascita all’orfanotrofio di Pavia, a sette anni fu riconosciuto come<br />

figlio dall’ing. Felice Mori. Ufficiale di carriera, abbandonò l’esercito perché i rigidi<br />

regolamenti del tempo sulla cosiddetta “dote militare” impedivano il suo matrimonio con<br />

la giovane che amava. Entrò allora nell’amministrazione della pubblica sicurezza e prima<br />

della Grande Guerra fu in servizio <strong>nella</strong> calda Romagna e in Sicilia. Andò questore a<br />

Torino dopo i disordini dell’agosto 1917. A Roma nel 1920 fu rimosso e incriminato dopo<br />

i fatti del 24 maggio, con morti per le strade ed arresti indiscriminati di giuliani e dalmati.<br />

Nel febbraio 1921 fu inviato come prefetto a Bologna.<br />

Mori, “uno dei prefetti più preparati di cui disponesse l’amministrazione” così<br />

telegrafava nell’aprile 1921, riguardo la repressione delle violenze fasciste:<br />

«Effettivamente anche qui in confronto violenze fasciste forza pubblica non corrisponde<br />

sempre e interamente a mie precise direttive ed a mie ripetute raccomandazioni e richiami<br />

verbali e scritti. Ieri locale questore mi riferiva che concordemente funzionari PS<br />

dichiarano sentirsi isolati e non secondati da forza pubblica quando trattasi agire contro<br />

fascisti». Nel novembre 1921 il governo Bonomi dispose che i servizi di pubblica sicurezza<br />

di undici province fossero posti alle dipendenze di Mori, che si trovò così a disporre di<br />

quasi 12.000 tra carabinieri e guardie regie. Presto la politica di fermezza adottata da Mori<br />

generò uno stato di tensione – che andò sempre più aggravandosi – con i fascisti locali.<br />

Negli ultimi giorni del maggio 1922 si concentrarono a Bologna migliaia di squadristi<br />

per chiedere la destituzione dell’inviso prefetto. Scrisse il “Corriere della Sera”: «Si vuol<br />

far paura al governo, perché obbedisca. Ora, il governo non può obbedire. Finché decine<br />

di migliaia di fascisti sono accampati in Bologna con atteggiamento di minaccioso<br />

antagonismo ai poteri dello Stato, il governo non può prendere deliberazione che quella di<br />

ristabilire l’ordine e di ricondurre la calma negli animi». Cosa avvenne? «Il governo<br />

credette di rimediare vietando dovunque cortei e comizi, mandò a Bologna il direttore<br />

generale della pubblica sicurezza, fece sbarrare le vie di accesso alla città e finì per affidare<br />

i poteri all’autorità militare. Il generale comandante il Corpo d’Armata credette bene<br />

parlamentare con Italo Balbo, comandante dei fascisti, e prese con lui accordi per una<br />

tregua d’armi fra le forze avversarie. Il giorno dopo i fascisti, avuta assicurazione che il<br />

prefetto sarebbe stato allontanato, cominciarono a smobilitare». Un’inchiesta ministeriale<br />

accertò che «la Prefettura manca della possibilità di esercitare la sua funzione politica che<br />

146


ne è l’essenza, poiché il Fascio e tutti i simpatizzanti con esso, quindi la maggior parte<br />

della cittadinanza, ha tagliati i ponti con la Prefettura, la quale in questi momenti si trova<br />

<strong>nella</strong> impossibilità di adempiere alle istruzioni governative». Alla fine, il 26 agosto 1922 il<br />

governo Facta decise il trasferimento del prefetto Mori a Bari. «I fascisti pugliesi accolsero<br />

il funzionario con malumore e dichiararono il loro sprezzo verso un simile regalo,<br />

promettendo di sbarazzarsene presto».<br />

Il 22 novembre 1922 il governo Mussolini, da poco insediato, collocò Mori a<br />

disposizione, poi le innegabili qualità dell’uomo ne imposero il richiamo per affrontare il<br />

problema della mafia in Sicilia. Nel giugno 1924 Cesare Mori fu destinato come prefetto a<br />

Trapani, l’anno successivo a Palermo con «facoltà di emettere ordinanze di polizia<br />

eseguibili senza ulteriori formalità in tutte le province della Sicilia».<br />

Divenne presto famoso, in Italia e all’estero, anche grazie alla stampa. «Percorse la<br />

campagna siciliana non solo per arrestare i banditi ma anche per farsi conoscere dai<br />

proprietari e dai contadini, nelle loro terre e nelle loro case, convincerli della forza<br />

difensiva che è in loro e che li pone in grado di reagire immediatamente contro i soprusi di<br />

chi tentasse di opprimerli, credendoli deboli o pavidi». Mori s’impegnò in una campagna<br />

che definì “educatrice e sociale”. Incitò i siciliani ad usare le armi contro i malviventi:<br />

«Reagire alla malvivenza direttamente con ogni mezzo, comprese le armi; considerare la<br />

reazione alla malvivenza in atto e al delitto in corso contro la vita e gli averi dei cittadini,<br />

non solo come un diritto ma soprattutto come un dovere in quanto la vita del cittadino è<br />

votata alla Patria e la proprietà è elemento della ricchezza nazionale che tutti dobbiamo<br />

garantire».<br />

Poiché molti proprietari erano costretti a dare i propri fondi a gabella a esponenti della<br />

mafia, Mori con una sua ordinanza stabilì che questi contratti potevano essere rescissi dalla<br />

parte che si considerava danneggiata. «Il Tribunale di Palermo, chiamato a giudicare la<br />

validità del decreto prefettizio, lo dichiara illegittimo, ma la Corte d’Appello non tarda a<br />

definirlo del tutto regolare. Ai proprietari terrieri spalanca prospettive a lungo sognate. In<br />

breve tempo, centinaia di contratti sono rescissi. Per ottenere l’annullamento dell’atto<br />

basta rivolgersi alla commissione presieduta dal prefetto e dimostrare che il contratto in<br />

questione è stato sottoscritto sotto l’imposizione mafiosa». Mori giunse al punto di<br />

indicare quali dovessero essere i libri per le letture in classe e dettò lui stesso un buon<br />

numero di temi per i componimenti di italiano da assegnare agli alunni. Bandì un concorso<br />

per un libro che servisse a sfatare le leggende della mafia, ma nessuna delle trecento opere<br />

pervenute fu premiata.<br />

147


Nel dicembre 1925, alla testa di 800 uomini a cavallo, il “<strong>Prefetti</strong>ssimo” pose l’assedio<br />

a Ganci roccaforte dei banditi delle Madonie. Dopo dieci giorni di isolamento assoluto il<br />

paese fu rastrellato casa per casa. Una squadra speciale sondò muri e pavimenti per<br />

individuare nascondigli. Morì ordinò il sequestro dei beni appartenenti ai banditi e i vitelli<br />

più grassi vennero macellati e la carne distribuita gratuitamente. Fece sapere al capobanda<br />

Ferrarello, il “re delle Madonie”, che era pronto ad affrontarlo da solo e col fucile:<br />

«Stasera alle sei l’aspetterò nel fondo Sant’Andrea. Se è un uomo verrà». Indusse il<br />

questore Crimi a sfidare, inutilmente, un altro bandito. Alla fine ogni resistenza fu<br />

stroncata. A Mori è attribuita la frase: «Se i siciliani hanno paura dei mafiosi, li convincerò<br />

che io sono il mafioso più forte di tutti».<br />

Nei paesi liberati dalla delinquenza venivano organizzati festeggiamenti in onore del<br />

prefetto. «Mori arriva su un cavallo bianco, saluta romanamente, sorride paterno alle<br />

donnette che mormorano “Iddu è! Iddu è! (È lui! È lui!) facendosi il segno della croce; poi<br />

pronuncia vibranti discorsi, secondo lo stile dell’epoca, non dimenticando mai di<br />

ricordare l’operosa assistenza del duce». Quando l’Università di Palermo gli offrì la laurea<br />

in legge honoris causa Mori chiese e ottenne da Mussolini il permesso di accettarla ma<br />

allorché possidenti siciliani manifestarono l’intenzione di donare un villino, il Capo del<br />

Governo telegrafò: «Accettare il dono sarebbe inopportuno». La somma che era stata<br />

raccolta per quello scopo fu devoluta alle opere di beneficenza in favore dei figli dei<br />

carcerati.<br />

Nel 1928 arrivò per il prefetto Mori la nomina a senatore, l’anno dopo il collocamento<br />

a riposo, come per altri prefetti con 35 anni di servizio. «Il licenziamento in tronco dal<br />

servizio gli arriva dunque come un fulmine a ciel sereno. A Bari, nel novembre 1922, per<br />

lo meno aveva buone ragioni per aspettarselo. Ora, invece, tutto è accaduto a sua<br />

insaputa, proprio quando lui è più che mai convinto di essere potente e inattaccabile. A<br />

parte le belle parole, Mori è licenziato per una precisa volontà politica. L’uomo ormai è<br />

scomodo, imprevedibile e pericoloso. Se non è stato liquidato prima è perché il governo si<br />

è trovato con le mani legate. Mori è diventato troppo forte e troppo famoso per essere<br />

disinvoltamente messo da parte senza correre il rischio di sollevare uno scandalo di portata<br />

internazionale. D’altra parte, questa sua popolarità, indubbiamente alimentata anche dalla<br />

sua sorgente megalomania (in tutte le scuole siciliane il prefetto ha fatto appendere il suo<br />

ritratto accanto a quello del re e del duce), non può non dare fastidio a Mussolini. Ma ciò<br />

che più conta è che Mori ha esaurito il suo compito da molto tempo. Ossia da quando,<br />

riempite le galere di malviventi di poco conto, ha procurato al regime una comoda facciata<br />

di perbenismo e di rispettabilità di cui a Roma si avvertiva l’urgente bisogno. A quel<br />

148


punto, per proseguire senza intoppi la sua carriera, avrebbe dovuto smettere o,<br />

comunque, mostrarsi più accomodante, Invece è andato avanti a testa bassa com’è suo<br />

stile, colpendo senza pietà galantuomini e gerarchi».<br />

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TESSITORE G., Cesare Mori: la grande occasione perduta dall’antimafia, Cosenza 1994<br />

149


150


Adalberto Mariano<br />

l’eroe del Polo Nord che diventò prefetto<br />

da Amministrazione civile, novembre/dicembre 2004<br />

151


Nell’aprile 1928 partì da Milano - diretto al Polo Nord - il dirigibile Italia comandato<br />

da Umberto Nobile il quale voleva ripetere l’impresa già compiuta con Amundsen e il<br />

Norge. Dopo un non facile viaggio di trasferimento, il 6 maggio l’aerostato s’ancorò alla<br />

Baia del Re nell’arcipelago delle Svalbard. Lì arrivò anche la nave appoggio Città di Milano.<br />

Dopo due voli di ricognizione, il 23 maggio l’Italia iniziò la trasvolata decisiva verso il<br />

Polo. A bordo erano in 16: Nobile, gli scienziati Pontremoli, Malmgren e Behounek, il<br />

giornalista Lago, i tecnici Trojani, Cecioni, Arduino, Pomella, Caratti, Ciocca,<br />

Alessandrini, il radiotelegrafista Biagi, gli ufficiali di marina Mariano, Zappi e Viglieri.<br />

Il generale Nobile al momento di scegliere ufficiali dirigibilisti non ricevette molta<br />

collaborazione dall’Aeronautica e si rivolse perciò alla Marina che gli segnalò alcuni<br />

volontari. Tra di essi il solo che avesse il brevetto di dirigibilista era Filippo Zappi meno<br />

anziano, però, di Adalberto Mariano. Raccontò Nobile: «Non potevo mettere questi alla<br />

sua dipendenza. Per evitare difficoltà, decisi di non avere formalmente un comandante in<br />

seconda, e nominai Mariano primo ufficiale di bordo». Secondo un altro membro della<br />

spedizione, Felice Trojani, «Mariano appariva molle, liscio, sorridente, cortese, di una<br />

costante, melliflua cortesia che a me sembrava troppa. Era di casa <strong>nella</strong> famiglia del duca<br />

d’Aosta. Credo che fosse costume della R. Marina appaiare ai reali rampolli che entravano<br />

nell’Accademia uno dei migliori allievi, e così Mariano era stato addetto alla persona del<br />

duca di Spoleto, non so esattamente in qualità di che: se di paggio, d’amico, d’aiutante, o<br />

d’ufficiale d’ordinanza».<br />

L’Italia raggiunse il Polo Nord venti minuti dopo la mezzanotte del 24 maggio 1928 ma<br />

le condizioni meteorologiche non consentirono di ancorare il dirigibile al pack per<br />

effettuare lo sbarco. Furono lasciate cadere una bandiera italiana e la croce donata dal papa<br />

Pio XI e due ore dopo iniziò il viaggio di ritorno. Alle ore 10.33 del 25 maggio la<br />

tragedia: l’aeronave divenne incontrollabile e precipitò. Il risucchio portò via quel che<br />

restava del dirigibile insieme con sei occupanti: Pontremoli, Lago, Arduino, Caratti,<br />

Ciocca, Alessandrini, dei quali non si seppe più nulla.<br />

Sulla desolata distesa di ghiaccio si ritrovarono Nobile, Cecioni, Mariano, Zappi,<br />

Viglieri, Malmgren, Behounek, Trojani, Biagi, i primi due feriti piuttosto seriamente.<br />

Nello schianto era rimasto ucciso Pomella. Furono recuperati un po’ di viveri e la radio<br />

che Biagi riuscì a rimettere in sesto cominciando a trasmettere richieste di soccorso. Sotto<br />

una tenda rossa nove uomini iniziarono un’attesa angosciosa.<br />

La comparsa di un orso, ucciso dallo svedese Malmgren a colpi di pistola, risollevò un<br />

po’ il morale perché assicurò una riserva di carne. Giudicando comunque disperata la<br />

152


situazione, gli ufficiali di marina Mariano e Zappi proposero di mettersi in marcia per<br />

raggiungere la terra ferma: il lastrone dove i superstiti si trovavano era spinto alla deriva e<br />

dalla radio non giungevano segnali dai soccorritori. La presenza dei feriti impediva, però,<br />

che si muovessero tutti: il 30 maggio 1928 partirono solo Mariano, Zappi e Malmgren ma<br />

le speranze di salvezza erano poche per tutti. Uno di quelli che rimanevano affermò<br />

sconsolato: «La nostra è un’agonia statica, la vostra sarà un’agonia dinamica».<br />

Invece, il 3 giugno il debole segnale radio proveniente dal pack fu raccolto da un<br />

radioamatore russo. Governi e privati si mobilitarono in Italia, Norvegia, Russia, Svezia,<br />

in una stupenda gara di generosità. Finalmente, il 20 giugno un aereo arrivato dall’Italia e<br />

pilotato da Umberto Maddalena avvistò la Tenda Rossa e lanciò i primi rifornimenti. Poi,<br />

l’aviatore svedese Lundborg con un’ardita manovra riuscì ad atterrare sulla distesa di<br />

ghiaccio e portò in salvo Nobile e la cagnolina Titina: era il 24 giugno. Tra i valorosi<br />

impegnatisi nelle ricerche dei naufraghi dell’Italia c’era anche Amundsen che scomparve<br />

col suo aereo <strong>nella</strong> distesa artica.<br />

Risolutivo fu l’intervento del rompighiaccio russo Krassin: il 12 luglio rintracciò<br />

Mariano e Zappi, ancora vivi dopo 44 giorni. La stessa nave salvò i superstiti della Tenda<br />

Rossa. Il racconto dei sopravvissuti fece presto il giro del mondo.<br />

Il terzetto che aveva tentato inutilmente di raggiungere la terra ferma soffrì una serie di<br />

terribili vicissitudini. Malmgren, che pure era il più esperto del gruppo, cominciò presto a<br />

smaniare. Mariano mal sopportò le fatiche della marcia nell’Artide e fu colto da<br />

un’oftalmia da neve che lo rese temporaneamente cieco. Dopo parecchi giorni di inutile<br />

girovagare tra i ghiacci Malmgren, stremato e disperato, si rifiutò di proseguire chiedendo<br />

ai compagni che lo lasciassero morire. Il distacco fu terribile e tragica sorte pareva dover<br />

toccare più tardi anche a Mariano che ormai delirava per una febbre violenta e, sentendo<br />

prossima la fine, autorizzò Zappi a disporre del suo cadavere per tentare, almeno lui, di<br />

sopravvivere. Ciò fece nascere la diceria che un’orrenda pratica di cannibalismo fosse<br />

avvenuta col corpo di Malmgren mai ritrovato.<br />

Quando arrivarono i soccorritori russi, Mariano era in imminente pericolo di vita. Lo<br />

scienziato Samoilovic ricordò che l’ufficiale italiano portava sul petto un lembo di stoffa<br />

blu con l’iscrizione Ubi nec aquila e, non riuscendo a parlare, «stringeva con la mano<br />

sinistra la mia gamba, quasi a volermi esprimere almeno in quel modo la sua gratitudine».<br />

A Mariano fu necessario amputare un piede ormai in necrosi. Risoltasi anche la<br />

temporanea cecità, egli riuscì a superare la fase critica e venne trasportato in un ospedale<br />

di Stoccolma, dove ricevette la commovente visita della madre di Malmgren. Mariano<br />

153


volle dare a un figlio, morto poi a soli 29 anni, il nome di Finn in ricordo dello sfortunato<br />

compagno Finn Malmgren.<br />

Dopo che i sopravvissuti furono rientrati in Italia, le polemiche che la stampa di tutto il<br />

mondo alimentò su alcuni aspetti della spedizione indussero il governo italiano a<br />

promuovere un’inchiesta, che censurò la condotta di Nobile e assolse quella di Mariano e<br />

Zappi definita “degna di lode”. Forse, ebbe qualche influenza il ricordato, stretto legame<br />

di Mariano con Casa Aosta. L’ufficiale ricevette per l’amputazione del piede un<br />

indennizzo di 75.000 lire ma l’invalidità non gli permise di continuare il servizio attivo in<br />

Marina.<br />

Il 22 giugno 1969 Umberto Nobile e Adalberto Mariano, ormai anziani, convennero<br />

nel Parco del popolo a Tromso, <strong>nella</strong> Norvegia settentrionale, per l’inaugurazione del<br />

monumento ai caduti della spedizione dell’Italia e ai generosi soccorritori sacrificatisi. Il<br />

monumento consiste in due ali, una rivolta al nord, l’altra al sud. L’epigrafe è del poeta<br />

Alfonso Gatto: “Scritti su questa pietra i nomi di quelli che perirono nel naufragio dell’Italia sono<br />

vicini ai nomi dei loro soccorritori, nel ricordare un’impresa che fu gloria degli uomini, oggi<br />

testimonianza e memoria della loro comune civiltà”.<br />

Perché in questa sede ho ricordato lo sfortunato viaggio dell’Italia al Polo Nord?<br />

Perché Adalberto Mariano, dopo quella drammatica avventura, fu nominato prefetto.<br />

Era nato a Rivarolo Canavese in provincia di Torino il 6 giugno 1898, figlio del<br />

generale Giuseppe. Diplomatosi all’Accademia Navale di Livorno, al tempo<br />

dell’avventura polare rivestiva il grado di capitano di corvetta. Il ministro della Marina<br />

ammiraglio Sirianni, dopo la conclusione dell’inchiesta amministrativa voluta dal<br />

governo, propose che Mariano e Zappi ottenessero un riconoscimento: il secondo fu<br />

ammesso <strong>nella</strong> carriera diplomatica dove raggiunse il grado di Ambasciatore morendo in<br />

servizio nel 1961, Mariano nel febbraio 1931 entrò <strong>nella</strong> carriera prefettizia partendo dal<br />

vertice. Dopo un breve incarico con funzioni ispettive (febbraio-agosto 1931), fu<br />

destinato come prefetto a Cuneo dove rimase sino al luglio 1935. Tra gli eventi<br />

significativi di quel periodo vi fu la visita di Mussolini, in coincidenza con le grandi<br />

manovre militari svoltesi nel cuneese. «Notabili, clero e popolazione gli riservarono<br />

un’accoglienza affollata, entusiastica, insolitamente chiassosa». Anche <strong>nella</strong> Provincia<br />

Granda era attentissima la vigilanza nei confronti degli antifascisti: furono deferiti al<br />

Tribunale Speciale comunisti che avevano svolto attività organizzativa e di propaganda e<br />

venne colpito anche un nucleo di “Giustizia e Libertà” (fece scalpore l’arresto di Giannotto<br />

Perelli ragioniere capo della R. Prefettura).<br />

154


Dopo Cuneo, furono assegnate a Mariano sedi “marittime”, a cominciare da La Spezia<br />

(luglio 1935 - agosto 1939). Il Tribunale Speciale processò parecchi militanti comunisti<br />

specialmente di Arcola e Sarzana, con condanne sino a 12 anni di carcere per<br />

ricostituzione e appartenenza al PCI. In un altro processo le condanne furono ancora più<br />

dure.<br />

Successive sedi di servizio furono Taranto (agosto 1939 - giugno 1941) e Palermo<br />

(giugno 1941 - giugno 1943).<br />

Dopo lo scoppio della guerra l’attività delle prefetture si concentrò su controlli,<br />

verifiche, ispezioni: tutto era funzionale alla tenuta del fronte interno che conta almeno se<br />

non di più di quello di battaglia. Ad esempio, le Commissioni provinciali di censura<br />

dipendevano dai prefetti ed erano presiedute da funzionari dell’Amministrazione<br />

dell’Interno. I componenti civili erano scelti «tra i cittadini italiani in possesso di ottimi<br />

requisiti morali e politici ed iscritti al P.N.F.». I censori non potevano essere originari,<br />

residenti o avere interessi preminenti <strong>nella</strong> provincia dove operavano ed erano tenuti<br />

all’assoluto segreto (per questo era fatto divieto di impiegare donne?).<br />

C’era anche il cosiddetto “servizio statistica” curato dalle questure, che intercettavano<br />

la corrispondenza diretta a nominativi già segnalati ovvero prelevata col sistema della<br />

“pesca” prima che le lettere giungessero alle Commissioni provinciali di censura. Queste<br />

ultime apponevano sulle buste il timbro “verificato per censura”, le questure naturalmente<br />

no.<br />

Durante la guerra, le città sedi di installazioni militari soffrirono molti bombardamenti<br />

aerei. A Taranto fu organizzato un efficiente sistema di soccorso e protezione civile. Lì<br />

operava il 40° Corpo provinciale dei Vigili del fuoco (motto Igni fortiores) con sede in<br />

Porta Napoli <strong>nella</strong> città vecchia, ma c’erano distaccamenti e presidi anche in provincia, ad<br />

esempio a Manduria perché, oltre alla base navale, bisognava proteggere aeroporti,<br />

accasermamenti, importanti industrie. Fu potenziata la difesa antincendio dell’area<br />

portuale di Taranto con mezzi terrestri e nautici e costituito un nucleo sommozzatori. La<br />

prefettura coordinava anche l’attività dell’U.N.P.A. (Unione nazionale protezione<br />

antiaerea).<br />

A Palermo, soprattutto a partire dalla fine del 1942, l’aviazione alleata effettuò<br />

devastanti incursioni per danneggiare le linee di rifornimento dell’Asse per il Nord-Africa.<br />

Il 7 gennaio 1943 nell’attacco più grave dall’inizio della guerra, morirono almeno 139<br />

palermitani. Oltre duecento furono le vittime del bombardamento del 15 febbraio e altri<br />

morti soffrì la città il 20, 22, 28 febbraio, il 2, 9, 12, 22 marzo, il 4, 5, 7, 15, 16, 17, 18<br />

aprile. Il 9 maggio bombardarono Palermo oltre 200 aerei, 50 dei quali rimasero colpiti in<br />

155


una drammatica battaglia con i caccia della difesa. Ancora centinaia i morti sotto le bombe<br />

nel giugno 1943: devastati l’ospedale, l’università, centinaia di abitazioni: tra gli edifici<br />

distrutti, il palazzo Lampedusa appartenente al principe Giuseppe Tomasi divenuto poi<br />

famoso come autore de Il Gattopardo.<br />

Mariano, lasciato l’incarico di prefetto di Palermo e dopo un periodo a disposizione,<br />

nel febbraio 1944 fu richiamato in servizio <strong>nella</strong> Marina Militare come 1° Aiutante di<br />

campo di Aimone, già duca di Spoleto divenuto duca d’Aosta dopo la morte in prigionia<br />

del fratello Amedeo. Aimone ricopriva un importante comando nel Regno del Sud ma, a<br />

causa di un’improvvida intervista rilasciata a una giornalista inglese, fu bruscamente<br />

esonerato.<br />

A sua volta, Mariano fu deferito alla Commissione per l’epurazione ma prosciolto da<br />

ogni addebito nel dicembre 1944. Di fatto rimase a disposizione sino al collocamento a<br />

riposo nell’ottobre 1949.<br />

Oltre che Grand’Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, era Commendatore<br />

dell’Ordine Mauriziano, Cavaliere dell’Ordine della Corona Belga, Ufficiale dell’Ordine<br />

del Nilo Egiziano, nonché insignito del Merito Militare Spagnolo e dell’Onorificenza del II<br />

Ordine del Chukvo del Governo Mancese. Nel dopoguerra assunse la presidenza di una<br />

compagnia commerciale e dell’Unione Monarchica Italiana. Umberto di Savoia dall’esilio<br />

di Cascais volle conferirgli nel 1961 il titolo di conte.<br />

Adalberto Mariano è morto a Roma nel 1972.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

BONACINA G., Obiettivo Italia, Milano 1970<br />

CROSS W., Disastro al Polo, Milano 2000<br />

MOLA A. A., Storia di Cuneo, Savigliano 2001<br />

NOBILE U., La tenda rossa, Milano 1970<br />

PEZZANA A., Gli uomini del Re: il Senato durante e dopo il fascismo, Foggia 2001<br />

SAMOILOVIC R., S.O.S. nel mare Artico: la spedizione di soccorso del Krassin, Firenze 1930<br />

TROJANI F., La coda di Minosse, Milano 1964<br />

156


<strong>Prefetti</strong> italiani<br />

caduti sul campo di battaglia<br />

da Amministrazione civile, gennaio 2006<br />

157


L’Italia aveva dichiarato guerra all’Austria da poche settimane quando, all’inizio di<br />

luglio del 1915, un uomo di 59 anni arrivò sul fronte dell’Isonzo, inquadrato nel 73°<br />

Reggimento fanteria della Brigata Lombardia. Era un combattente volontario. Raccontò<br />

un commilitone: «I modi distinti, l’aspetto signorile, lo sguardo autoritario di questa<br />

nuova recluta che arrivava tra noi grondante di sudore, curvo, sotto il peso dello zaino<br />

affardellato, chiaramente dimostravano che, sotto la divisa del semplice soldato, si celava<br />

qualche distinta persona, desiderosa di compiere in prima linea un sacro dovere».<br />

Gli ufficiali del reparto ammisero alla loro mensa quel signore maturo e lo trattarono<br />

con ogni riguardo. Il 7 luglio 1915 la 1ª Compagnia del 73° Reggimento si diresse in<br />

prima linea alle pendici del monte Peuma presso Gorizia. Cinque giorni dopo quel soldato<br />

dall’aspetto signorile morì in combattimento: si chiamava Luigi Guicciardi ed era un<br />

prefetto a riposo. Tre anni dopo il figlio Giulio, diciottenne, ottenne di militare <strong>nella</strong><br />

stessa Compagnia del padre, rimase gravemente ferito in battaglia ma sopravvisse.<br />

Il 24 maggio 1927 si svolse a Pavia una solenne cerimonia presenti l’on. Giacomo<br />

Suardo sottosegretario al ministero dell’Interno e l’on. Tommaso Bisi sottosegretario al<br />

ministero dell’Economia Nazionale. In Piazza d’Italia convenne una grande folla in un<br />

tripudio di bandiere. Sul palco al posto d’onore c’erano Giuseppina Carbonara vedova di<br />

Luigi Guicciardi e i figli Diego tenente di vascello, Giulio decorato di medaglia d’argento<br />

al valor militare, Maria, Guiscardo studente di ingegneria. Quel giorno fu scoperta una<br />

lapide con l’effigie del caduto, opera dello scultore pavese Alfonso Marabelli. Questa<br />

l’epigrafe:<br />

Quando la giovinezza d’Italia impose<br />

dignità coscienza audacia per<br />

glorie antiche e nuove della stirpe<br />

LUIGI GUICCIARDI<br />

patrizio valtellinese rimosso nel<br />

1913 da prefetto di Pavia per averne<br />

condivisa la passione redentrice<br />

fu con essa soldato e artefice della<br />

vittoria donando alla patria la<br />

nobile vita sul Peuma il 12 luglio 1915.<br />

Il Consiglio Provinciale qui ne<br />

ricorda e onora in perpetuo<br />

il nome la fede il sacrificio.<br />

158


Il sottosegretario Suardo nell’orazione ufficiale non fece risparmio di retorica e, con<br />

evidente strumentalizzazione, volle chiamare Luigi Guicciardi “Prefetto Fascista”,<br />

precursore del funzionario nuovo «non stracco annotatore di pratiche, apatico e passivo,<br />

servo di tutti i padroni o legato a qualche congrega, sebbene forza viva ed operante che<br />

sente l’alta importanza e la nobiltà del proprio ufficio, che offre col suo lavoro il meglio di<br />

sé non alle persone ma all’Idea». Suardo colse l’occasione per elogiare i funzionari statali<br />

«famiglia numerosa e disciplinata che troppe volte è considerata al di sotto del suo valore e<br />

del suo rendimento e che nel quotidiano contatto, che dura da tre anni oramai, io ho<br />

imparato ad apprezzare, ad amare».<br />

A questo punto è necessario dare qualche notizia biografica di Luigi Guicciardi. Era<br />

nato a Sondrio da nobile famiglia nell’aprile 1856. Avviatosi alla carriera superiore<br />

amministrativa, come si chiamava allora la carriera prefettizia, prestò servizio in molte<br />

sedi. A Mantova ed Alessandria andò come Consigliere delegato (l’odierno Viceprefetto<br />

vicario) finché, nel novembre 1907, fu promosso prefetto con destinazione Ferrara. Vi<br />

rimase sino al gennaio 1910. Dopo un “incidente di percorso” che gli costò un’aspettativa<br />

durata più d’un anno, nel maggio 1911 rientrò in servizio a Rovigo e da lì passò a Pavia nel<br />

gennaio 1912.<br />

Luigi Guicciardi aveva studiato proprio a Pavia ed anche per questo dimostrava<br />

particolare simpatia per i frequentatori di quell’Università. Così è stato ricostruito<br />

l’episodio che provocò la rimozione del prefetto <strong>nella</strong> primavera del 1913, con Giolitti<br />

ministro dell’Interno:<br />

«Lo studente triestino Mario Sterle era stato arrestato sotto l’accusa di propaganda<br />

sovversiva per aver distribuito degli scritti mazziniani che ricordavano il vecchio rapporto<br />

fra gli italiani e gli austriaci, non proprio lusinghiero […] A Pavia gli studenti universitari<br />

scesero in Strada Nuova formando un corteo rumoroso e disordinato. Passarono di fronte<br />

alla Prefettura (allora in Piazza d’Italia) e in segno di disprezzo per la posizione<br />

governativa e come bravata rovesciarono la bandiera italiana dirigendosi poi verso il<br />

monumento di Garibaldi per invitarlo a riprendere la lotta. Il comizio che lì vi si tenne fu<br />

ancora più eccitato e violento contro le autorità, il Governo e l’Austria e raggiunse il suo<br />

colmo quando apparvero una effigie di Francesco Giuseppe ed una bandiera d’Austria che<br />

fra applausi e gazzarra generale furono dati alle fiamme. La polizia intervenne, vi furono<br />

alcuni fermi, tafferugli, lotte, cortei. Una commissione studentesca si recò subito dal<br />

prefetto Guicciardi per chiedere il rilascio dei fermati. Il prefetto cercò di convincerli<br />

della necessità del suo agire poiché, anche se comprensivo delle aspirazioni dei giovani,<br />

non poteva dimenticare di essere un prefetto, cioè rappresentante di un governo che in<br />

159


quel momento era amico dell’Austria in quanto legato dal patto della Triplice Alleanza. –<br />

Vi sono leggi da rispettare anche se il loro linguaggio è duro e voi studenti ricordate, disse<br />

con voce pacata per mitigare la durezza della osservazione che prima aveva dovuto fare,<br />

che il giorno in cui vi sarà la guerra all’Austria, io sarò il primo a partire!».<br />

L’Austria presentò una nota diplomatica di protesta e Giolitti decise di sacrificare alla<br />

“ragion di Stato” il prefetto, collocato in aspettativa e poi a riposo. Quando Guicciardi<br />

partì da Pavia, una delegazione di studenti andò a salutarlo. Egli si accomiatò commosso<br />

con le parole: «Avete fatto bene».<br />

Innocenzo Cappa, politico di formazione repubblicana, rievocò nelle Confessioni di un<br />

parlatore la lontana vicenda di una sua elezione nel collegio di Pavia, invano ostacolata da<br />

Guicciardi che obbediva a direttive governative. Nel ricordo di Cappa, pur <strong>nella</strong><br />

consapevolezza degli antichi contrasti, la figura del prefetto caduto in guerra è<br />

trasfigurata: «Egli aveva voluto dimostrare silenziosamente che meritava di essere<br />

collocato in riposo, ma che sceglieva il riposo tra i caduti per la Patria».<br />

Anche <strong>nella</strong> seconda guerra mondiale alcuni prefetti caddero sul campo. Uno di essi fu<br />

Vezio Orazi nato a Roma il 1° novembre 1904 e morto a 38 anni. Iscritto al partito<br />

fascista dall’aprile 1922, fu tra gli organizzatori delle formazioni giovanili della capitale.<br />

Rimase ferito in azioni di piazza e partecipò alla marcia su Roma. Laureato in<br />

Giurisprudenza e fiduciario nazionale dell’Associazione degli assistenti universitari, nel<br />

1927 si occupò dello svolgimento del primo Congresso universitario e dei Giochi<br />

universitari internazionali dello sport. Gli venne poi affidata la direzione dell’Ufficio esteri<br />

e la vice-segreteria nazionale dei GUF (Gruppi Universitari Fascisti).<br />

Console della MVSN, nel novembre 1933 fu nominato Segretario federale dell’Urbe.<br />

Partecipò volontario alla guerra d’Etiopia come tenente dei bersaglieri, il 9 maggio 1936<br />

fondò il fascio di Addis Abeba e diresse poi un giornale <strong>nella</strong> capitale dell’impero.<br />

Rientrato in Italia, nel novembre 1936, a 32 anni, fu nominato prefetto di 2ª classe e<br />

destinato a Cuneo.<br />

Lo storico Alberto Aquarone, rievocando questi ingressi di esponenti politici<br />

nell’amministrazione pubblica, ha scritto: «L’anno in cui si ebbero le maggiori immissioni<br />

fu il ’28 tanto che, per designare i nuovi elementi fascisti entrati nell’amministrazione<br />

dello Stato, fu coniato, nel linguaggio corrente, persino un termine ad hoc: i “ventottisti”<br />

[…] Detto questo va altresì detto che l’immissione non diede nel complesso risultati<br />

soddisfacenti (molti dei nuovi elementi fascisti si dimostrarono infatti inadatti o<br />

scarsamente preparati alle nuove mansioni)». Ha scritto Guido Melis: «I prefetti-chiave<br />

160


del ventennio, cioè quelli nominati nelle situazioni più rilevanti e di prestigio,<br />

continuarono ad essere essenzialmente uomini dell’amministrazione». Secondo Renzo De<br />

Felice, «Mussolini non aveva mai pensato a una fascistizzazione effettiva, totale, coattiva e<br />

su tempi brevi, della burocrazia. Il “vero” fascismo non era, salvo casi quantitativamente<br />

non significativi, in grado di esprimere una burocrazia all’altezza delle necessità e della<br />

preparazione tecnica di quella che avrebbe dovuto sostituire. Di qui la sua scelta di<br />

puntare sul tempo e cioè sul progressivo (e non traumatico) apporto delle nuove<br />

generazioni fasciste».<br />

Vezio Orazi apparteneva, dunque, al gruppo dei fascisti-prefetti, meno numeroso dei<br />

prefetti-fascisti. Nel maggio 1937 passò alla prefettura di Gorizia, dove rimase sino al marzo<br />

1939 quando fu nominato Direttore generale per la Cinematografia presso il ministero<br />

della Cultura popolare. Fu anche presidente dell’Ente Nazionale Industria<br />

Cinematografica. Erano anni di espansione del cinema: a Venezia, assoluta novità, si<br />

svolgeva una mostra internazionale, a Roma era stata inaugurata Cinecittà. Quegli<br />

incarichi in campo cinematografico erano prestigiosi ma poco confacenti al carattere di<br />

Vezio Orazi e si può dire che quello fu per lui un periodo di “parcheggio”. Scoppiata il<br />

secondo conflitto mondiale, il prefetto Orazi partecipò come volontario alla guerra di<br />

Grecia, poi rimase a disposizione del Ministero dell’Interno con funzioni ispettive.<br />

Nell’ottobre 1941 fu destinato alla prefettura di Zara, sostituendo Manlio Binna. Ricordo<br />

che, a seguito della prima guerra mondiale e del trattato di Rapallo, nel gennaio 1923 era<br />

stata istituita la nuova provincia di Zara e, nel 1941, i territori dalmati occupati dall’Italia<br />

dopo la sconfitta della Jugoslavia costituirono il Governatorato della Dalmazia che<br />

comprendeva, in aggiunta a Zara, le province di Spalato e Cattaro.<br />

Vezio Orazi morì tragicamente il 26 maggio 1942. Scrisse “Il Legionario” del 1° giugno<br />

successivo, nello stile retorico del tempo: «Presente ovunque con la parola e con<br />

l’esempio, tempestivo e preciso nelle decisioni, animatore e potenziatore instancabile di<br />

tutte le energie, la vigorosa figura del prefetto Orazi era diventata familiare a tutte le<br />

genti, anche dei più modesti villaggi sia delle isole che del retroterra zaratino. Nessuna<br />

necessità del popolo lavoratore come degli agricoltori e degli artigiani che costituiscono il<br />

nerbo demografico ed economico della provincia, era ignota al Prefetto, sollecito a<br />

provvedervi con fascistico senso di responsabilità e con l’innato amore verso il popolo a<br />

cui andava non metaforicamente ma con la persona e l’animo proteso al bene e<br />

all’elevazione spirituale e materiale delle popolazioni».<br />

161


Questa prosa, sebbene ampollosa, rende abbastanza l’idea della dinamicità e della<br />

“voglia di fare” dell’uomo, più d’azione che burocrate. Nel primo anniversario della morte<br />

di Orazi un quotidiano pubblicò questo ricordo: «Per la sua esuberanza giovanile, per il<br />

suo entusiasmo, per il suo spirito di sacrificio era veramente un uomo degno dei tempi<br />

nostri: era soprattutto un combattente. Sapeva di essere stato preso particolarmente di<br />

mira dalle bande di ribelli. Tuttavia continuava imperterrito <strong>nella</strong> sua attività senza alcuna<br />

preoccupazione per il pericolo che correva. Noncurante della propria incolumità, il<br />

prefetto Orazi si era unito alle Camicie Nere zaratine e ai soldati nelle azioni repressive,<br />

partecipando ai combattimenti con quell’entusiasmo e con quella decisione che<br />

costituivano la prerogativa della sua giovinezza rivoluzionaria. Egli era un prefetto. Ma<br />

questa sua mansione non la poteva concepire disunita dall’orgoglio di sentirsi un soldato.<br />

Mai durante la sua brillante carriera politica Vezio Orazi ebbe a manifestare palesemente<br />

la sua soddisfazione per gli alti incarichi affidatigli e per i posti importanti ricoperti ma<br />

quando, mentre era prefetto a Cuneo, gli venne comunicata la promozione a capitano dei<br />

bersaglieri, il suo sguardo si illuminò di viva luce».<br />

E veniamo ai fatti del maggio 1942. Già il giorno 13 Orazi si era unito ad un reparto<br />

militare che eseguiva un rastrellamento e aveva partecipato ad uno scontro a fuoco con i<br />

partigiani che si rafforzavano sempre più nelle zone interne e montagnose. Il mattino del<br />

26 maggio il prefetto, senza rivelare neanche alla moglie Renata dove fosse diretto, partì<br />

da Zara sull’auto di servizio guidata dal brig. di P.S. Pietro Bardelloni, in compagnia del<br />

segretario dr. Franco Dell’Arte, del comandante dei Carabinieri capitano Umberto<br />

Bonassisi e del comandante della tenenza di Chistagne tenente Giannetto Rogani. Un<br />

colonnello dell’esercito che incontrò Orazi quel mattino consigliò inutilmente di non<br />

proseguire, poiché le zone interne della provincia non erano sicure e dispose che un<br />

reparto autocarrato accompagnasse per un tratto la vettura del prefetto. Orazi, alla fine<br />

della mattinata, decise di rientrare a Zara lungo la strada Zegar-Obrovazzo. Due<br />

automezzi militari al comando del tenente Giacinto Trupiano, anch’essi diretti al<br />

capoluogo, si incolonnarono dietro l’automobile ma, poco dopo la partenza, il mezzo del<br />

prefetto distanziò i due autocarri a causa di un’imprevista sosta degli stessi. In località<br />

“Pozzo nero” la strada, larga poco più di quattro metri, correva in mezzo a due alti muri a<br />

secco che limitavano il bosco. L’automobile fu attaccata dai partigiani con bombe a mano<br />

e fucili mitragliatori. L’autista Bardelloni rimase ucciso immediatamente. La vettura si<br />

bloccò e Orazi, Bonassisi, Rogani e Dell’Arte scesero tentando di rispondere al fuoco.<br />

Furono tutti colpiti più o meno gravemente e fu attaccato anche uno dei due autocarri<br />

militari nel frattempo sopraggiunto. L’azione partigiana durò pochi minuti e gli assalitori<br />

162


si dispersero nei boschi senza subire perdite. Il prefetto spirò sul posto dopo una breve<br />

agonia. Rimasero uccisi anche il capitano Bonassisi, il tenente Trupiano e tre soldati. Il<br />

sopraggiungere di rinforzi italiani impedì che fossero compiuti atti di sevizie e mutilazioni<br />

su feriti e cadaveri, come avveniva sovente in quella guerra spietata.<br />

Egidio Ortona, che nel secondo dopoguerra arrivò ai vertici della carriera diplomatica,<br />

nel 1942 era giovane collaboratore del Governatore Bastianini. Annotò nel suo diario:<br />

«26 maggio. Ho portato io la notizia al Governatore. Mai avrei immaginato tanto<br />

accoramento e tanto dolore in Bastianini per questa morte. La città è turbata. Abbiamo<br />

visitato <strong>nella</strong> notte lunare le salme allineate all’ospedale militare e composte <strong>nella</strong> morte.<br />

Spettacolo tragico e indimenticabile. 28 maggio. Oggi i funerali di Orazi. Imponenti,<br />

commoventi, una città intera per le strade, il popolo piangente. Zara ha ritrovato la sua<br />

atmosfera di olocausto».<br />

Nella cattedrale zaratina officiò l’arcivescovo Munzani. Dopo una tumulazione<br />

provvisoria, la salma di Vezio Orazi fu trasportata in Italia su una nave da guerra. A Roma<br />

fu Giuseppe Bottai a commemorare il prefetto caduto.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

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“Il Popolo. La provincia pavese”, 25 maggio 1927<br />

“Il Popolo d’Italia”, 26 maggio 1943<br />

163


164


Dante Almansi<br />

da Amministrazione civile, giugno 2006<br />

165


Domenica 26 settembre 1943 Gennaro Cappa, dirigente del Servizio Razza della<br />

Questura di Roma, informò Dante Almansi presidente dell’Unione delle Comunità<br />

Israelitiche Italiane e Ugo Foà presidente della Comunità Israelitica di Roma che il magg.<br />

Herbert Kappler li attendeva per importanti comunicazioni. Era un invito assai poco<br />

gradito. Dopo l’8 settembre gli ebrei romani non erano stati oggetto di misure<br />

persecutorie, ma quell’incontro non prometteva nulla di buono. Dopo alcuni convenevoli<br />

l’ufficiale tedesco chiese brutalmente di consegnare 50 chilogrammi di oro, entro 36 ore,<br />

altrimenti 200 ebrei romani sarebbero stati deportati. Almansi e Foà protestarono<br />

inutilmente e si sentirono rispondere: «Tutti coloro nelle cui vene scorre una goccia di<br />

sangue ebraico sono per me uguali. Sono tutti nemici».<br />

Le autorità italiane (Ministero dell’Interno e Questura) fecero sapere che non avevano<br />

alcuna possibilità di interferire in quella decisione dei tedeschi. Non restava agli ebrei che<br />

mobilitarsi per raccogliere l’oro. Anche non ebrei contribuirono generosamente e la stessa<br />

Santa Sede fece sapere in via riservata che avrebbe fornito l’oro eventualmente mancante.<br />

Prima che scadesse il termine fissato da Kappler ne era stata messa insieme una quantità<br />

largamente superiore alle necessità, tanto che la parte superflua fu destinata nel<br />

dopoguerra a finanziare la nascita dello Stato di Israele.<br />

Il 28 settembre Almansi e Foà si recarono con una scorta della polizia italiana in via<br />

Tasso, dove Kappler aveva i suoi uffici in un palazzo di civili abitazioni che presto divenne<br />

triste luogo di detenzione e tortura, oggi museo. Il cap. Schutz, incaricato dal superiore,<br />

dopo una surreale discussione sul numero delle pesate effettuate in sua presenza, alla fine<br />

prese in consegna il prezioso carico ma non rilasciò ricevuta, nonostante la chiedessero,<br />

un po’ ingenuamente, i due esponenti ebrei.<br />

Il pericolo di persecuzioni sembrava per il momento scongiurato e comunque si<br />

sperava di avere guadagnato un po’ di tempo, ma già il giorno successivo militari tedeschi<br />

perquisirono minuziosamente i locali della Comunità Israelitica asportando denaro e<br />

documenti. Successivamente furono portati via una grande quantità di libri preziosi,<br />

caricati su due vagoni ferroviari con destinazione Monaco di Baviera. Almansi cercò<br />

inutilmente di evitare il sequestro di quel ricco patrimonio di fede e di cultura<br />

rivolgendosi al Ministero dell’Interno e a quello della Educazione Nazionale, che erano<br />

però impotenti di fronte alle prepotenze tedesche. Ma il peggio doveva ancora accadere.<br />

Tra gli ebrei romani non c’era unanimità di vedute. Il rabbino capo Zolli (di origine<br />

polacca e protagonista poi di una straordinaria conversione al cattolicesimo) appariva<br />

maggiormente preoccupato, mentre Almansi e Foà, prima di quegli ultimi avvenimenti,<br />

166


s’erano mostrati più fiduciosi. Certamente anche la presenza del Vaticano sembrava<br />

indirettamente garantire un minimo di protezione da violenze generalizzate. Sabato 16<br />

ottobre 1943 si compì invece la crudele razzia e deportazione di oltre mille ebrei romani,<br />

quasi tutti morti nei campi di sterminio. Almansi con alcuni familiari scampò<br />

fortunosamente alla cattura ricevendo ricovero presso amici non ebrei. Riuscì nei mesi<br />

successivi a mantenere contatti con altri esponenti dell’ebraismo, impegnati nel soccorso<br />

ai correligionari in difficoltà. Ricordò Almansi: «A tarda sera, in punti diversi della città<br />

venivano tenute riunioni che in seguito si svolsero nelle case dove mi ero rifugiato e<br />

nascosto». A quell’opera umanitaria di soccorso diedero sostegno il Vaticano e molti<br />

cattolici, la Croce Rossa Internazionale e i partiti facenti capo al Comitato di Liberazione<br />

Nazionale (CLN).<br />

Dopo la liberazione di Roma (giugno 1944), s’aprì una stagione di accuse e<br />

rivendicazioni, che coinvolse i superstiti di quella tragedia. Almansi, accusato di essersi<br />

compromesso col fascismo, fu costretto dal governo militare alleato a lasciare il suo<br />

incarico, sostituito da Giuseppe Nathan. Morì dopo avere sempre rivendicato<br />

orgogliosamente la giustezza del suo operato. Da dove nascevano le accuse a lui rivolte?<br />

Dalla sua carriera come funzionario del ministero dell’Interno e prefetto.<br />

Dante Almansi era nato a Parma il 15 settembre 1877 da Abramo e Gemma<br />

Formiggini in una famiglia di piccoli proprietari terrieri, ebrei rispettosi della tradizione<br />

ma non rigidamente ortodossi. Dopo la laurea in legge si impiegò presto in Prefettura, per<br />

aiutare finanziariamente la famiglia venutasi a trovare in difficoltà economiche. Lavorò a<br />

Mantova, Parma, Livorno, Carrara (come Regio commissario), Ariano Irpino, Terni. A<br />

32 anni era Capo Sezione al Ministero dell’Interno presso la Direzione generale della P.S.<br />

poi, con la qualifica di viceprefetto, diresse la Divisione Gabinetto e l’Ufficio Affari<br />

generali e riservati, collaborando strettamente con i governi liberali del tempo (Nitti,<br />

Giolitti, Bonomi, Facta).<br />

Come ha scritto Arnaldo Momigliano in <strong>Pagine</strong> ebraiche: «Ciò che forse è più tipico<br />

degli ebrei italiani è che durante il XX secolo essi sono arrivati ad avere un ruolo molto<br />

importante nell'amministrazione statale come funzionari, giudici, e soprattutto soldati.»<br />

All’avvento del fascismo il gen. De Bono, scelto da Mussolini come Capo della polizia,<br />

mantenne Almansi negli incarichi che ricopriva. Nel febbraio 1923 arrivò per il<br />

funzionario, a 46 anni, la nomina a prefetto con destinazione Caltanissetta. Iscrittosi al<br />

partito fascista, nel febbraio 1924 Almansi tornò al ministero come coadiutore e,<br />

all’occorrenza, supplente del Direttore generale della P.S., nonché reggente dell’Ufficio<br />

Affari generali e riservati. Mantenne tali incarichi da febbraio a ottobre del 1924, prima<br />

167


col gen. De Bono, poi con Crispo Moncada. Successivamente andò come prefetto ad<br />

Avellino, nel febbraio 1926 a Reggio Emilia, nell’ottobre 1926 a Macerata.<br />

Nel dicembre 1927 fu nominato Regio commissario al Comune di Napoli. Furono due<br />

anni di intenso lavoro: migliorata l’esazione delle tasse, adeguati i servizi pubblici di<br />

trasporto e della nettezza urbana, incrementata la costruzione di case popolari con<br />

chiusura di centinaia di “bassi”. Il Regio commissario tentò anche di moralizzare il servizio<br />

delle pompe funebri per reprimere le speculazioni che – allora – vigevano nel settore.<br />

Eppure Almansi fu ricordato e quasi sbeffeggiato dai napoletani per l’ordinanza con la<br />

quale pretendeva di imporre ai pedoni di camminare tutti a sinistra, a senso unico, per<br />

dare ordine alla circolazione stradale ed evitare gli ingorghi(!). Accadde qualcosa di<br />

analogo <strong>nella</strong> guerra alle mosche, tipica di quei tempi: vinsero le mosche.<br />

Almansi, prefetto di 1ª classe dall’agosto 1928, dovette lasciare il prestigioso e gravoso<br />

incarico <strong>nella</strong> capitale del Mezzogiorno perché, essendo state annunciate le nozze del<br />

principe ereditario Umberto, si volle che fosse un esponente della nobiltà meridionale<br />

(Giovanni De Riseis duca di Bovino) a rappresentare la municipalità napoletana nelle<br />

cerimonie ufficiali. Il figlio Renato ha scritto: «Avrebbe potuto ottenere facilmente una<br />

prefettura importante come Roma o Milano, preferì invece un posto tranquillo, lontano<br />

dalla politica e dalla vita pubblica».<br />

Nel marzo 1930 arrivò la nomina a Consigliere della Corte dei Conti. In quella veste<br />

Almansi fu Capo gabinetto del ministro delle Finanze, Guido Jung, anche lui ebreo, assai<br />

introdotto nel mondo economico-finanziario anche internazionale (pare che Mussolini<br />

abbia detto che un ebreo era quello che ci voleva alle finanze). L’esperienza di Almansi<br />

con Jung durò dal luglio 1932 al gennaio 1935. La parola d’ordine del Duce era stata:<br />

“Difesa della lira ad ogni costo”. Cosicché il disavanzo dello Stato fu limitato ricorrendo,<br />

more solito, sia ad inasprimenti fiscali riguardanti tassa sugli scambi, imposta di bollo, tassa<br />

di successione, tassa sul celibato, sia a tagli delle spese anche militari. L’Italia e il mondo<br />

intero risentivano ancora gli effetti della grande crisi del 1929. Si procedette ad abbassare<br />

il costo del denaro e a convertire il debito consolidato. Nel gennaio 1933 fu costituito<br />

l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) che segnò l’inizio di una politica di più<br />

deciso intervento dello Stato <strong>nella</strong> vita economica.<br />

Dante Almansi fu insignito delle onorificenze di Grand’Ufficiale della Corona d’Italia e<br />

Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro.<br />

Nel 1938 arrivarono le leggi razziali ed ebbe termine la carriera di Almansi, a 61 anni.<br />

Ottenne però, per i suoi meriti, la cosiddetta “discriminazione”. Era data facoltà al<br />

ministro dell'Interno, su istanza degli interessati, di dichiarare non applicabili le<br />

168


disposizioni antisemite ad alcune categorie speciali (art. 14 del R.D.L. n. 1728 del 1938),<br />

compreso chi aveva acquisito "eccezionali benemerenze". Si esprimeva in proposito<br />

un’apposita commissione presieduta dal Sottosegretario di Stato per l'Interno e composta<br />

dal Capo di Stato maggiore della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.)<br />

e da un rappresentante del Partito Nazionale Fascista.<br />

Nel 1939 si produsse una grave crisi nell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane,<br />

poiché alcuni membri erano accusati di mantenere troppo cordiali rapporti con esponenti<br />

del regime fascista, pur dopo l’emanazione delle leggi razziali. In sostanza quei rapporti,<br />

se consentivano di far conoscere riservatamente ai governanti le opinioni degli ebrei,<br />

ottenendo talvolta qualche mitigamento delle disposizioni, non consentivano peraltro<br />

all’Unione di assumere atteggiamenti più fermi e trasparenti. Dalla crisi interna<br />

derivarono le dimissioni del presidente dell’Unione Federico Jarach e di altri esponenti di<br />

primo piano. Come ha scritto lo storico De Felice, la parte più sana della vecchia classe<br />

dirigente ebraica cercò un collegamento con esponenti antifascisti sino ad allora<br />

emarginati nell’ebraismo italiano. «Deciso il “colpo di Stato” occorreva però trovare<br />

l’uomo che potesse assumere la presidenza dell’Unione senza destare diffidenze negli<br />

ambienti governativi e fascisti in genere e avesse, anzi, la loro fiducia. Dopo una serie di<br />

frenetiche ricerche e trattative l’uomo fu alfine trovato <strong>nella</strong> persona dell’ex prefetto e ex<br />

consigliere della Corte dei Conti Dante Almansi. Un anziano signore, piccolo di statura e<br />

quasi insignificante, che sino a quel momento mai aveva avuto a che fare con la vita<br />

amministrativa e morale dell’ebraismo italiano, e alla cui fermezza e sagacia quello stesso<br />

ebraismo dovette se dalla fine del 1939 sino alla liberazione di Roma l’Unione tornò ad<br />

essere il suo motore, gli ebrei italiani tutti ebbero una rappresentanza fiera, dignitosa e<br />

fattiva e migliaia di ebrei stranieri poterono essere concretamente aiutati a vivere in Italia<br />

e a emigrare all’estero”.»<br />

Un indubbio successo per Almansi fu, dopo la soppressione del Comitato assistenza<br />

ebrei in Italia, di potere costituire la Delegazione assistenza emigranti ebrei (DELASEM),<br />

che compì per alcuni anni opera assai meritoria. Ne prese la direzione il vice di Almansi,<br />

l’avv. Lelio Vittorio Valobra che operava a Genova, dove risiedeva un folto gruppo di<br />

profughi stranieri e dal cui porto si effettuavano prevalentemente le partenze per l’estero.<br />

Notevole fu anche l’impegno nel campo dell’istruzione dei giovani, per sopperire almeno<br />

in parte alle conseguenze dell’espulsione degli studenti ebrei dalle scuole pubbliche. Con<br />

la chiamata da Livorno del rabbino Elio Toaff fu possibile ripristinare l’insegnamento,<br />

sebbene saltuario, nel collegio di Roma. Un grande benefattore dell’Unione delle<br />

169


Comunità Israelitiche Italiane fu Giuseppe Muggia, imparentato con Almansi, che donò<br />

denaro e titoli per quasi mezzo milione di lire del tempo.<br />

«Le manifestazioni di “patriottismo” e di fascismo furono ridotte al minimo<br />

indispensabile», tanto che i fascisti più intransigenti scrissero che l’Unione era diventato<br />

un covo di avversari del regime. Almansi fu accusato di essere un “falso fascista”, un<br />

“paravento” venuto su con i voti della “combriccola sionista”, che spandeva ovunque<br />

parole mielate e si valeva “bluffisticamente del suo passato di funzionario”. È assai<br />

probabile che egli cercasse di avvalersi, a fin di bene, delle conoscenze che aveva negli<br />

apparati statali. Almansi scrisse anni dopo, in una relazione ad memoriam: «Mi venne<br />

offerta la presidenza in considerazione, così devo ritenere, più che dei modesti miei meriti<br />

personali, per il fatto che, avendo occupato importanti cariche nell’Amministrazione<br />

statale, potevo offrire la possibilità di un utile intervento a favore dei miei correligionari, e<br />

perché essendo sempre vissuto al di fuori delle contese nel campo ebraico, davo la<br />

garanzia di una rigida imparzialità. Ritenni essere mio preciso dovere di accettare l’invito<br />

e fu così che il 13 novembre 1939 assunsi la carica di Presidente dell’Unione. Ma fino<br />

dalla prima seduta avvertivo che, <strong>nella</strong> situazione creatasi, ben poco di costruttivo sarebbe<br />

stato possibile compiere, mentre la sola cosa che si doveva tentare era quella di salvare il<br />

salvabile».<br />

Almansi abitava a Roma con la moglie Ada Torre e la figlia Elena, mentre il figlio<br />

Renato medico chirurgo, invalido della guerra d’Etiopia, era emigrato in America.<br />

Un sincero antifascista ebreo come Raffaele Cantoni, alla morte di Almansi scrisse che<br />

la sua condotta «fu così ammirevole, che tutti risentimmo come offesa e come ingiustizia il<br />

fatto che gli alleati liberatori non lo lasciarono al suo posto dopo l’occupazione di Roma».<br />

Pesò su di lui innanzitutto il pregiudizio per essere stato il vice del gen. De Bono <strong>nella</strong><br />

Direzione generale della P.S., oltretutto nei mesi della crisi Matteotti.<br />

L’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane volle intestare alla memoria di Dante<br />

Almansi, morto a Roma il 4 gennaio 1949, un’ambulanza donata allo Stato di Israele,<br />

cosicché il suo ricordò si perpetuò oltremare tra gli ebrei di origine italiana e tra quelli<br />

che, avendo vissuto in Italia negli anni della guerra, ebbero occasione di conoscerlo o di<br />

sentirne parlare.<br />

170


BIBLIOGRAFIA<br />

ALMANSI R. J., Mio padre Dante Almansi, in “La rassegna mensile di Israel”, maggio-giugno<br />

1976<br />

ASCARELLI A., Le fosse ardeatine, Roma 1965<br />

CANTONI R., Dante Almansi, in “Israel” 13.1.1949<br />

CIFELLI A., I prefetti del regno nel ventennio fascista, Roma 1999<br />

DE ANTONELLIS G., Napoli sotto il regime, Milano 1972<br />

DE FELICE R., Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino 1961<br />

MISSORI M., Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del regno d’Italia, Roma<br />

1989<br />

ROSSINI G., Il delitto Matteotti tra il Viminale e l’Aventino, Bologna 1966<br />

171


172


Enzo Giacchero<br />

Sunto della tesi del Master in<br />

Cittadinanza europea e amministrazioni pubbliche<br />

173


Enzo Giacchero era nato a Torino il 25 febbraio 1912, in una famiglia di salde<br />

tradizioni cattoliche originaria dell’Astigiano. Il nonno Vincenzo era farmacista, il padre<br />

Silvio ingegnere e professore del Politecnico di Torino. Il genitore fu anche consigliere<br />

comunale di Asti e consigliere provinciale di Alessandria. La madre si chiamava Elvira<br />

Amerio. 1<br />

Gli anni degli studi furono fondamentali per Giacchero che frequentò a Torino,<br />

insieme col fratello Remo, il prestigioso liceo classico d’Azeglio. Lì ebbe tra gli insegnanti<br />

il letterato Augusto Monti 2 e molti anni dopo ricordò pubblicamente: «Ciascuno di noi<br />

pensa, e sovente io ho pensato, a quale influenza i professori del ginnasio e del liceo hanno<br />

esercitato <strong>nella</strong> nostra formazione.» 3 Furono allievi di Monti anche Giulio Einaudi,<br />

Vittorio Foa, Valdo Fusi, Massimo Mila, Gian Carlo Pajetta, Cesare Pavese, Tullio Pinelli,<br />

Salvatore Luria, Renato Gualino. I giovani del d’Azeglio frequentavano privatamente la<br />

casa del docente, ma amavano ritrovarsi fuori dalla scuola anche in allegra brigata. Davide<br />

Lajolo ha scritto che «in casa Bobbio, Giacchero cantava, accompagnandosi al pianoforte,<br />

le canzonette allora in voga». 4 Il gruppo costituì poi la «confraternita» degli ex-allievi e<br />

all’Università cooptò altri amici. Era una «élite» sociale e intellettuale destinata a<br />

diventare futura classe dirigente. Vicende tragiche e immense, come la persecuzione<br />

antiebraica e la guerra, disgregarono la compagnia: alcuni del gruppo morirono<br />

combattendo, altri furono costretti a emigrare, l’adesione a questo o quel partito rese gli<br />

ex-compagni talvolta avversari politici. Restò indelebile il segno di quella formazione<br />

culturale e umana avvenuta nelle aule torinesi.<br />

Giacchero si iscrisse al Politecnico e nel 1934 si laureò in Ingegneria civile. Il prof.<br />

Gustavo Colonnetti 5 lo volle suo assistente alla cattedra di Scienza delle costruzioni.<br />

1<br />

Devo queste ed altre notizie familiari alla cortesia della vedova di Enzo Giacchero, sig.ra<br />

Maria Teresa Ferrari.<br />

2<br />

Augusto Monti (1881-1966), volontario <strong>nella</strong> Grande Guerra, nel 1934 fu arrestato con<br />

altri aderenti a «Giustizia e Libertà» e condannato dal Tribunale Speciale a 5 anni e 1 mese<br />

di carcere per attività antifascista. Nel secondo dopoguerra partecipò al movimento<br />

federalista da posizioni vicine al Partito d’Azione. Nella sua visione politica l’Unione<br />

Sovietica e gli altri paesi del blocco comunista non dovevano rimanere esclusi dal processo<br />

di integrazione europea. Ciò lo pose in contrasto con altri federalisti italiani.<br />

3<br />

GIACCHERO E., La Comunità e l’unificazione europea, in La Comunità Europea del Carbone e<br />

dell’Acciaio. Origini, scopi, risultati, presenza italiana, Roma 1955, p. 90.<br />

4<br />

LAJOLO D., Il “vizio assurdo”. Storia di Cesare Pavese, Milano 1964, p. 98.<br />

5<br />

Gustavo Colonnetti (1886 – 1968) fu scienziato di prestigio internazionale ed esponente<br />

politico cattolico. Iscritto al Partito Popolare di don Sturzo sin dalla fondazione, fu eletto<br />

174


Giacchero lavorò al laboratorio prove materiali, diede alle stampe alcune pubblicazioni, 6<br />

collaborò all’Enciclopedia di Ingegneria edita da Bompiani.<br />

C’erano tutti i presupposti perché Giacchero compisse una brillante carriera di<br />

docente universitario ma lo scoppio della seconda guerra mondiale sconvolse ogni<br />

progetto e indirizzò in maniera diversa la sua vita. Prima il servizio in Albania e Jugoslavia<br />

nel Genio ferrovieri, poi nel 1942 il conseguimento del brevetto di paracadutismo. 7 La<br />

divisione «Folgore» nel giugno 1942 fu trasferita in Puglia, per completare<br />

l’addestramento in vista del progettato attacco all’isola di Malta. Nella seconda quindicina<br />

di luglio l’unità ricevette, invece, l’ordine di trasferirsi in Africa Settentrionale.<br />

Giacchero era inquadrato come ufficiale comandante di compagnia nel 185°<br />

reggimento. Poche settimane dopo l’arrivo <strong>nella</strong> zona di El Alamein egli fu ferito in<br />

combattimento, tanto gravemente da dovere subire l’amputazione di una gamba. Egli<br />

ricordò sempre con gratitudine ed orgoglio quanto avevano fatto i suoi paracadutisti:<br />

vedendolo a terra sanguinante, alcuni di essi, mettendo a gravissimo rischio la loro vita<br />

sotto il fuoco nemico, lo avevano coraggiosamente portato in salvo al di qua delle linee<br />

italiane. Giacchero fu decorato sul campo con medaglia d’argento al valor militare.<br />

In un ospedale da campo si trovò insieme con un prigioniero inglese cui erano stati<br />

amputati i piedi. I due mutilati istintivamente cercarono di confortarsi a vicenda. «Quel<br />

giorno in cui ebbi una grande disgrazia, ringraziai il cielo che mi aveva dato questa grande<br />

luce di verità di comprendere che quell’uomo, che poche ore prima credevo un nemico,<br />

consigliere nazionale e membro della direzione del partito nell’ambito del quale sostenne<br />

posizioni moderate. Insegnante del Politecnico di Torino dal 1920 e Rettore tentò una<br />

gestione liberale della riforma Gentile ma gli attacchi a lui rivolti dagli ambienti fascisti lo<br />

indussero a dimettersi dalla carica. Presidente della Giunta diocesana dell’Azione cattolica,<br />

accademico pontificio, dopo l’8 settembre 1943 riparò in Svizzera. Rientrato nell’Italia<br />

liberata, dal 1944 al 1956 fu presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Fece parte<br />

della Consulta Nazionale e poi dell’Assemblea Costituente in rappresentanza della<br />

Democrazia Cristiana.<br />

6 GIACCHERO E., Conferme sperimentali della teoria di Colonnetti su l’equilibrio elasto-plastico,<br />

Roma 1939; Id. Su la possibilità di un razionale impiego delle leghe leggere <strong>nella</strong> nuova tecnica del<br />

cemento armato, Roma 1942.<br />

7 Negli anni Giacchero conservò la passione per la specialità e nel dopoguerra fondò<br />

insieme con altri la Fipcs (Federazione Italiana Paracadutismo Civile Sportivo) e ne fu anche<br />

presidente. Non era un’associazione d’arma e aveva per scopo principale di avviare il<br />

paracadutismo civile verso un indirizzo prevalentemente sportivo. La Fipcs ebbe, però, vita<br />

breve.<br />

175


ora lo ritrovavo fratello per sempre». Da allora Giacchero si convinse che gli europei,<br />

«nati e cresciuti nello spirito cristiano», potevano unirsi e vivere stabilmente in pace.» 8<br />

Rimpatriato e congedato, dopo l’8 settembre scelse di partecipare alla Resistenza<br />

militando nelle formazioni autonome piemontesi. Trent’anni dopo egli affermò che lo<br />

aveva fatto «per fedeltà a un giuramento e per opporsi alle prevaricazioni d’uno straniero<br />

che s’accampava come occupante». 9 Nel 1955, decimo anniversario della Liberazione, il<br />

giornale della Dc, in un articolo scritto da Silvio Geuna, citò Giacchero tra «i primissimi<br />

artefici ed organizzatori delle schiere di nostri giovani». 10<br />

Quella che divenne la 6ª divisione autonoma alpina Asti, operante sulla riva sinistra del<br />

fiume Tanaro, era comandata dal tenente colonnello Giovanni Battista Toselli (nome di<br />

battaglia «Otello») e aveva come vice comandanti Francesco Bellero (nome di battaglia<br />

«Gris») capitano di complemento dell’artiglieria alpina e Giacchero (nome di battaglia<br />

«Yanez»). La divisione fu attiva nelle zone di San Damiano, Govone e nel Roero con una<br />

forza di circa 430 uomini ripartiti in tre brigate. Sino all’aprile 1945 contò 29 morti e<br />

187 feriti. 11<br />

La principale base partigiana era a Cisterna d’Asti. Lì nel castello avevano sede il<br />

comando militare e il comando politico e si provvedeva all’organizzazione amministrativa<br />

delle zone liberate. Un giorno vi arrivò in bicicletta, da Asti, il dottor Gilberto Barbero<br />

(nome di battaglia «Benedetto»), del partito liberale, presidente del Cln provinciale. Per<br />

evitare d’essere riconosciuto s’era fasciata la testa come se fosse seriamente ferito. A<br />

Cisterna d’Asti ritrovò Giacchero che aveva conosciuto all’ospedale milanese di Baggio<br />

dove erano stati entrambi ricoverati, reduci dall’Africa settentrionale. La figlia del<br />

comandante «Otello» fu testimone diretta di quegli avvenimenti: «Yanez, ufficiale della<br />

Folgore, aveva perduto una gamba in combattimento, e l’arto artificiale gli serve ora,<br />

quale scrigno prezioso, per i documenti della lotta partigiana. Precedenti scambi di idee<br />

sul comportamento decisamente avverso alla Repubblica Sociale Italiana, avevano<br />

consolidato amicizia e collaborazione. Yanez gira in bicicletta attraverso la grande zona e<br />

Benedetto, ancora in servizio, si eclissa, nessuno lo cerca, vive indisturbato in Asti, dove<br />

riesce persino a divenire medico curante del Prefetto. Così colloca in Prefettura due<br />

ufficiali di Marina sbandati che gli servono da informatori. L’amicizia Barbero-Giacchero<br />

darà alla nostra Divisione l’opportunità di entrare per prima in Asti, quasi all’alba del 25<br />

8 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, 4 dicembre 1948, pp. 5109-5110.<br />

9 I motivi di una scelta, in «Democrazia Nazionale», n. 1, 17 aprile 1977, p. 6.<br />

10 «Il Popolo», 24 aprile 1955.<br />

176


Aprile. Infatti l’informazione della ritirata nazi-fascista scatterà fulminea e già durante la<br />

notte del 24 il Cln farà stampare ed affiggere i manifesti esultanti della Liberazione. 12<br />

Nella primavera del 1945, in previsione della prossima liberazione di Asti, fu costituito<br />

un Comando Piazza col compito di coordinare le azioni militari delle varie formazioni: ne<br />

fecero parte come comandante il colonnello Giacinto Valerio (nome di battaglia<br />

«Cordero») e come commissario Giacchero. Il 12 aprile 1945 fu concordato con la<br />

missione militare inglese il piano operativo di occupazione di Asti, che si svolse senza<br />

scontri particolarmente sanguinosi, stante il ripiegamento delle forze avversarie.<br />

Nell’ambito del Comitato di Liberazione Nazionale già era stato definito l’accordo per<br />

l’assegnazione degli incarichi politico-amministrativi cosicché, mentre Asti era percorsa<br />

dalle prime formazioni partigiane, il Cln installatosi a Palazzo Ottolenghi, sede della<br />

Prefettura, fu subito in grado di nominare prefetto Enzo Giacchero, viceprefetti<br />

Guglielmo Borgoglio (Partito d’Azione) e Domenico Berruti (Pci), questore l’avv.<br />

Giacomo Pastorino (Partito d’Azione), vicequestore il dott. Vittorio Rainero, presidente<br />

della Provincia l’avv. Giovanni Torta (Psi), sindaco l’avv. Felice Platone (Pci), vicesindaco<br />

Severo Alocco (Psi). 13<br />

Nel Nord, i prefetti non vennero nominati dal Governo centrale, bensì proposti da<br />

uno dei partiti della Resistenza, accettati dal Cln provinciale e nominati dal Governatore<br />

militare alleato della provincia. I prefetti del Nord, quindi, non erano i rappresentanti del<br />

Governo di Roma, ma del Comitato di Liberazione Nazionale che li aveva proposti. Il<br />

Governo di Roma, di conseguenza, non aveva un controllo diretto sulle province del<br />

Nord, se non per il tramite dei governatori provinciali e regionali del Governo militare<br />

alleato. 14 Come ha scritto Italo De Curtis, in quel momento sembrò crollare il mito della<br />

competenza poiché si contestava la necessità di possedere una solida esperienza<br />

11 Notizie circostanziate sono in AMEDEO R., Storia partigiana della 6ª Divisione Autonoma<br />

Alpina “Asti-magg.Hope”, Torino 1982.<br />

12 CORRADINI TOSELLI W., Ricordo della Resistenza nelle vallate del Cuneese e dell’Astigiano,<br />

in «Il Platano», marzo-aprile 1979, n. 2, p. 26. Presso i comandi partigiani più importanti<br />

operavano missioni militari alleate. Nel territorio astigiano fu paracadutato il magg. Hope,<br />

sudafricano, accompagnato dal cap. Roccia, italiano. Hope <strong>nella</strong> vita civile era professore di<br />

lettere e filosofia e a Cisterna d’Asti - straordinari casi della vita – riconobbe nel partigiano<br />

«Yanez» l’ufficiale italiano Giacchero incontrato in Nord Africa nel 1942. Dopo un<br />

comprensibile stupore, i due fraternamente si abbracciarono.<br />

13 MAIOGLIO P. – GAMBA A., Il movimento partigiano <strong>nella</strong> provincia di Asti, Asti s.d.<br />

14 FRIED R. C., Il prefetto in Italia, Milano 1967, p. 192.<br />

177


amministrativa per gestire la cosa pubblica. Si pose allora in primo piano l’autogoverno<br />

come espressione autentica del sistema democratico. 15<br />

L’esigenza di «fare giustizia» fu uno dei problemi più drammatici del dopo-<br />

Liberazione. Anche ad Asti fu costituito subito un Tribunale militare straordinario di<br />

guerra. Lo presiedeva Francesco Bellero della 6ª divisione autonoma alpina “Asti – magg.<br />

Hope”; pubblico ministero era Giovanni Rocca della 9ª divisione d’assalto Garibaldi. In<br />

soli otto giorni pronunziò 57 sentenze, di cui 24 alla fucilazione in buona parte eseguite.<br />

Operò poi brevemente una Commissione di Giustizia di cui faceva parte un magistrato,<br />

poi fu costituita la Corte straordinaria di Assise, che, in base al D. Lvo. Lgt. 22 aprile<br />

1945, n. 142, doveva giudicare i reati di collaborazionismo. 16 In un documento della 10ª<br />

divisione Giustizia e Libertà si legge: «La costituzione del tribunale popolare trova non<br />

pochi intralci. Molte delle persone capaci di questa alta funzione si tirano indietro con la<br />

frase – “Capirete, io sono di Asti, ecc.”. Domani daremo una sistemazione alla cosa, a<br />

costo di contravvenire alle superiori disposizioni che prescrivono la presenza di<br />

rappresentanti del popolo. Vogliamo fare giustizia decisamente prima dell’arrivo degli<br />

amici alleati.» 17<br />

Non vi sono dati certi sulle vittime della «violenza insurrezionale» e della «violenza<br />

inerziale». 18 Il ricercatore Mirco Dondi ha indicato, per la provincia di Asti, le cifre di<br />

196 uccisi e 20 scomparsi per il periodo dalla fine della guerra all’ottobre 1946. 19<br />

Il 30 aprile 1945 giunsero in Asti le prime truppe alleate. Il giorno dopo si svolse un<br />

imponente corteo che confluì in piazza San Secondo dove parlarono il presidente del Cln<br />

Barbero, Giacchero, il sindaco Platone. I problemi che le nuove autorità amministrative<br />

dovettero affrontare non differivano molto da quelli vissuti da chi era stato appena<br />

15<br />

DE CURTIS I., Il prefetto <strong>nella</strong> Costituente e <strong>nella</strong> Costituzione, in «Civitas», a. XLIV,<br />

aprile-giugno 1993, p. 25.<br />

16<br />

La Corte straordinaria d’Assise di Asti, inventario a cura di Maurizio Cassetti, Santhià 2001.<br />

Notizie sui processi sono anche in GHIGLIA M., Resistenza e ricostruzione nell’Astigiano:<br />

problemi politici ed economici, tesi di laurea, Università di Torino, Facoltà di Magistero, a.a.<br />

1977-78 e BERNARDI L. – NEPPI MODONA G.- TESTORI S., Giustizia penale e guerra<br />

di liberazione, Milano 1984.<br />

17<br />

DE LUNA G. - CAMILLA P. - CAPPELLI D. - VITALI S. (a cura di), Le formazioni<br />

Giustizia e Libertà <strong>nella</strong> Resistenza. Documenti, Milano 1985, pp. 382-384. Quando la «resa<br />

dei conti» assunse forme più o meno legali, le fucilazioni avvenivano presso il poligono di<br />

tiro di Asti, alle prime luci del giorno, utilizzando come esecutori di giustizia i componenti<br />

del battaglione ausiliario di P.S.<br />

18<br />

DONDI M., La lunga liberazione, Roma 1999.<br />

19 DONDI M., ivi, p. 97.<br />

178


esautorato: approvvigionamento dei beni di prima necessità, assistenza degli sfollati,<br />

ripristino dei trasporti e degli altri servizi pubblici, repressione del mercato nero. Ad<br />

esempio, continuava ad essere sistematicamente eluso dai contadini l’obbligo di conferire<br />

il grano all’ammasso: 30.000 erano i quintali consegnati contro i 150.000 del fabbisogno<br />

provinciale. Ciò era coerente con le diffuse tradizioni antistataliste delle campagne e fu<br />

necessario costituire per la vigilanza una polizia economica. Delle istanze e degli interessi<br />

della popolazione delle campagne si fece portavoce il Partito dei Contadini che riscosse<br />

parecchi consensi, tanto da riuscire a portare in parlamento un suo rappresentante.<br />

Giacchero e altri esponenti della neonata Democrazia Cristiana promossero allora la<br />

costituzione della Federazione dei Coltivatori Diretti, compiendo un’azione politica<br />

lungimirante che tolse ossigeno al partito concorrente. 20<br />

I danni all’apparato industriale non erano stati particolarmente gravi ma la ripresa<br />

dell’attività produttiva faticava a causa della scarsezza di combustibile, materie prime,<br />

semilavorati, mezzi di trasporto. Durante il periodo in cui Giacchero occupò la carica di<br />

prefetto non ci furono situazioni di grave emergenza e, in una relazione inviata al<br />

Ministero dell’interno nel gennaio 1946, Giacchero giudicò Asti una delle province più<br />

sicure, tranquille e disciplinate sotto l’aspetto dell’ordine pubblico. Soprattutto nelle<br />

campagne l’influenza del clero era forte su una popolazione dalle chiare tendenze<br />

moderate e l’attaccamento alla monarchia fu dimostrato dai risultati del referendum del 2<br />

giugno 1946. 21<br />

Dal punto di vista degli equilibri politici «in modo lento ma inesorabile l’alleanza<br />

antifascista si incrina, fino a spezzarsi definitivamente: la distanza tra i differenti modi di<br />

intendere e concepire la società così come la vita quotidiana, è tanto grande da apparire<br />

subito incolmabile, a prescindere da volontà mediatrici e dalla condivisione<br />

dell’esperienza partigiana.» 22 Nel luglio 1945 Giacchero, parlando sul tema del nuovo<br />

ordine internazionale, affermò senza mezzi termini: «Noi democristiani abbiamo il<br />

massimo rispetto per le masse ma non facciamo, per carità, degli sforzi giganteschi per<br />

20<br />

MONTANARO P., Uomini e vicende del gruppo dirigente della Col diretti astigiana dal 1945<br />

al 1951, in Dalla Liberazione alla Repubblica: i nuovi ceti dirigenti in Piemonte, Milano 1987,<br />

pp. 127-135.<br />

21<br />

FORNO M., L’egemonia dei moderati. Baracco, Armosino e la destra democristiana, in Asti<br />

contemporanea, n. 8/giugno 2002, p. 13.<br />

22<br />

RENOSIO M., Colline partigiane. Resistenza e comunità contadina nell’Astigiano, Milano<br />

1994, p. 133.<br />

179


portare le masse, come tali, a protagoniste della <strong>storia</strong>. Tutte le volte che le masse sono<br />

state protagoniste della <strong>storia</strong> la <strong>storia</strong> si è macchiata di sangue.» 23<br />

Nella primavera 1946 si svolsero le prime libere elezioni amministrative dopo più di<br />

venti anni. Il prefetto Giacchero all’inizio di febbraio riunì i rappresentanti dei partiti<br />

locali rivolgendo «un caldo invito ai presenti affinché vogliano insistere con seria<br />

propaganda sulla necessità che le prossime elezioni avvengano nei vari Comuni della<br />

Provincia con la più ampia libertà. Ciò affinché la rappresentanza locale del partito che<br />

risulterà vincente, sia davvero il frutto dell’espressione popolare nel senso più<br />

democratico della parola. Si chiarisca ancora agli elettori che, se il partito a cui essi<br />

daranno il voto non uscirà vincente, non sarà la Patria sconfitta ma solamente un gruppo<br />

più o meno numeroso di suoi cittadini, i quali dovranno continuare a collaborare con le<br />

migliori forze del loro partito con quello vincente nell’interesse primo e massimo della<br />

Patria.» 24<br />

Dopo pochi giorni, la decisione del governo De Gasperi di sostituire i prefetti della<br />

Liberazione con funzionari di carriera riguardò anche la sede di Asti, dove Giacchero<br />

dovette lasciare il posto a Gaspero Emilio Marconcini, di anni 58, proveniente dalla<br />

Prefettura di Torino, «funzionario di carriera non compromesso nel passato regime». 25<br />

L’esperienza di Giacchero come prefetto si concluse il 28 febbraio 1946. Esperienza<br />

intensa ma breve, come quelle del magistrato Carlo Galante Garrone ad Alessandria, del<br />

professore di diritto internazionale Alessandro Passerin d’Entrèves ad Aosta, del rag. Pier<br />

Luigi Passoni a Torino, dell’ing. Riccardo Lombardi a Milano. La richiesta di sostituire in<br />

blocco i prefetti politici era stata sostenuta innanzitutto dai liberali. La decisione divenne<br />

merce di scambio con le sinistre che miravano alla Costituente e alla Repubblica.<br />

Giuseppe Romita, socialista, all’epoca ministro dell’Interno, ha scritto: «Rilanciare la<br />

funzione del prefetto mi sembrava estremamente importante. D’altra parte in quel<br />

momento, se volevo davvero riportare il paese <strong>nella</strong> normalità non potevo fare<br />

altrimenti.» 26 La scelta di ricorrere a funzionari di carriera voleva dire «continuità dello<br />

Stato, normalità», 27 ma l’operazione, secondo alcuni, «va valutata anche in rapporto al<br />

poco di straordinario che i prefetti rimossi erano riusciti a fare». 28 Secondo lo studioso<br />

Fried, «in molte aree del nord i prefetti del C.L.N. sembravano inadatti o non desiderosi<br />

23<br />

GIACCHERO E., Il nuovo ordine internazionale, Asti 1945.<br />

24<br />

«Gazzetta d’Asti», 8 febbraio 1946.<br />

25<br />

«Gazzetta d’Asti», 22 febbraio 1946. Marconcini rimase ad Asti sino all’ottobre 1949.<br />

26<br />

ROMITA G., Dalla monarchia alla repubblica, Milano 1966, p. 29<br />

27<br />

ROMITA G., ivi, p. 61.<br />

28<br />

PAVONE C., La continuità dello Stato, Torino 1974, p. 282.<br />

180


di prendere energiche misure contro i disordini promossi dalle sinistre e dal terrorismo<br />

vero e proprio. I prefetti politici, si sosteneva, non potevano agire contro le forze<br />

responsabili della loro nomina.» 29<br />

Così un giornale astigiano salutò il prefetto Giacchero: «Lascia il suo posto che Asti<br />

liberata aveva a lui, combattente mutilato e partigiano, affidato. Dopo le svariate e – nere<br />

– successioni di prefetti a Palazzo Ottolenghi l’averne avuto uno che fosse dei nostri e<br />

soprattutto “nostro” è stato per tutti gli astigiani di grande consolazione. Non possiamo a<br />

sentore di tutta la popolazione che congratularci per il suo governo, per la sua bontà e<br />

soprattutto per l’elevato e signorile suo atteggiamento di imparzialità […] Yanez lo<br />

ebbimo, per volere di popolo, Prefetto saggio ed onesto. Ce lo tenemmo caro a<br />

cominciare dal 25 aprile 1945 questo Prefetto (il primo che capisse il nostro dialetto e i<br />

nostri bisogni) e credevamo non dovesse più andar via. Disposizioni superiori il 28.2.1946<br />

ce l’hanno tolto, non dal cuore e non dal ricordo. Chi fa del bene non si può<br />

dimenticare.» 30<br />

Era naturale che un personaggio come Giacchero, così benvisto negli ambienti<br />

cattolici, fosse invitato a candidarsi per la Democrazia Cristiana nelle elezioni<br />

dell’Assemblea Costituente, fissate per il 2 giugno 1946, contemporaneamente al<br />

referendum istituzionale.<br />

La provincia di Asti diede la vittoria alla Monarchia sulla Repubblica con 73.548 voti<br />

contro 71.931, mentre nell’intero collegio Cuneo-Alessandria-Asti la Repubblica prevalse<br />

con 412.313 voti contro 380.770. 31 I democristiani astigiani, per bocca di Giacchero,<br />

29<br />

FRIED R. C., Il prefetto in Italia, cit., pp. 193-194. De Gasperi, per ammorbidire i<br />

contrasti, propose che fosse concesso, ai prefetti-politici che lo avessero chiesto, di essere<br />

immessi in ruolo. La gran parte tornò alle proprie occupazioni e pochissimi accettarono.<br />

Scrisse Carlo Galante Garrone, con evidente sarcasmo: «Sì: anche il prefetto politico<br />

muore. Muoiono tutti insieme, i prefetti politici: allo stesso giorno, alla stessa ora. Non di<br />

morte improvvisa, ma dopo una lenta agonia, con tracollo finale. Una malattia collettiva,<br />

una vera epidemia. I primi sintomi a novembre 1945: l’attacco a fondo dei liberali, nel loro<br />

sapiente decalogo, ai prefetti politici, a questi usurpatori incompetenti e faziosi, che tanto<br />

fanno rimpiangere i competenti e imparziali funzionari dell’era fascista […] I parenti, i<br />

malati stessi non si fanno illusioni; consulti continui al Viminale: medico curante è divenuto<br />

Romita, socialista. Partito di sinistra: forse c’è ancora una speranza di salvezza? I prefetti<br />

della liberazione, i prefetti della resistenza, i prefetti del C.L.N. Che debba essere proprio<br />

un socialista a seppellirli?» (GALANTE GARRONE C., Vita, morte e miracoli di un prefetto<br />

politico, in «Il Ponte», ottobre 1946, pp. 873-874).<br />

30<br />

«Gazzetta d’Asti », 22 febbraio 1946 e 21 giugno 1946<br />

31<br />

Nell’ Italia settentrionale la scelta monarchica fu maggioritaria solo nelle provincie di<br />

Asti, Cuneo e Bergamo.<br />

181


ivendicarono le loro ragioni: «I cristiani democratici, in maggioranza monarchici, della<br />

provincia di Asti hanno accettato i risultati del referendum con un rispetto che molto<br />

probabilmente non avremmo potuto constatare nei repubblicani se la soluzione nazionale<br />

fosse stata monarchica. E questo è per noi titolo d’onore e non di vergogna, perché<br />

dimostra che prima di essere uomini di parte siamo ostinatamente, tenacemente,<br />

disperatamente Italiani!» 32<br />

All’Assemblea Costituente gli eletti astigiani furono Enzo Giacchero (con 21.687 voti<br />

di preferenza) 33 e Leopoldo Baracco per la Dc, Felice Platone per il Pci, Umberto Grilli<br />

per il Psiup, Alessandro Scotti per il Partito dei Contadini.<br />

Come ho già accennato, <strong>nella</strong> provincia di Asti era evidente il collateralismo tra Dc e<br />

Federazione dei Coltivatori Diretti, il che rendeva il partito cattolico fortemente<br />

antagonista al Partito dei Contadini. Tre su quattro candidati democristiani all’Assemblea<br />

Costituente appartenevano all’area dei coltivatori diretti e, non a caso, lo stesso Giacchero<br />

era stato tra gli artefici della nascita della locale federazione. Quella che è stata definita la<br />

scelta «ruralista» della Dc si rivelò vincente. L’affermazione elettorale della Democrazia<br />

Cristiana fu dovuta anche al ruolo svolto dalla Chiesa. Con la mediazione del clero il<br />

partito fornì al mondo contadino un apprezzato supporto in campo sindacale,<br />

cooperativistico, assistenziale e ne ebbe un ritorno in consensi elettorali. I piccoli<br />

proprietari preferivano fare riferimento alla Chiesa piuttosto che allo Stato.<br />

«L’intreccio operativo tra Azione cattolica, Chiesa, federazione Coltivatori diretti,<br />

associazioni di donne, di giovani e di singole professioni (privilegiati gli insegnanti e i<br />

medici), consente alla Dc di radicarsi con grande successo <strong>nella</strong> società contadina e in<br />

quella cittadina, con un complesso di relazioni interpersonali, alleanze sociali, interessi<br />

efficacemente rappresentati nei diversi livelli istituzionali.» 34<br />

Il periodico diocesano di Asti definì Giacchero «uno dei giovani più degni di<br />

rappresentare alla Costituente l’idea cristiana». 35 Un altro scrisse: «Egli appartiene a<br />

famiglia astigiana di profonda e convinta fede e vita cristiana, ha dimostrato dovunque<br />

chiare doti di ingegno, di pratica abilità e di somma padronanza di se stesso.» 36<br />

Nell’Assemblea Costituente la Democrazia Cristiana era forte del 35,2% dei voti e 207<br />

deputati, ma gli equilibri politici non le consentirono di sostenere la prospettiva di uno<br />

«Stato cristiano» ma solo di auspicare l’ispirazione cristiana dello Stato. De Gasperi<br />

32 GIACCHERO E., Le strane domande, in «Il Popolo Astigiano», 22 giugno 1946.<br />

33 I 556 deputati alla Costituente, Roma 1987, p. 383.<br />

34 LAJOLO L., I ribelli di Santa Libera, Torino 1995, pp. 132-133.<br />

35 «Il Cittadino», 19 giugno 1946.<br />

182


affermò che i cattolici dovevano cercare una via di mezzo tra quelle che potevano essere le<br />

loro aspirazioni di principio e le possibilità concrete di azione. I valori che essi sostennero<br />

erano quelli della famiglia, della funzione sociale della proprietà, della collaborazione tra<br />

capitale e lavoro, della libertà di religione e d’insegnamento, dell’armonia nei rapporti tra<br />

Stato e Chiesa, del personalismo 37 , della socialità 38 , della sussidiarietà 39 .<br />

Giacchero nell’Assemblea Costituente era uno dei 105 deputati ex-partigiani (20 dei<br />

quali democristiani), ma fu l’unico Dc che votò contro l’articolo della Costituzione che<br />

non ammette la possibilità di rivedere la forma repubblicana dello Stato. 40<br />

L’impegno di Giacchero era diviso tra Roma e il Piemonte e quegli anni tumultuosi<br />

non lasciavano molto tempo al riposo e alle meditazioni. L’estate astigiana del 1946 fu<br />

caratterizzata dalla clamorosa ribellione di Santa Libera: gruppi di partigiani tornarono sui<br />

monti per protestare contro atti che giudicavano contrari allo spirito della Resistenza:<br />

l’amnistia ai fascisti, lo spazio politico concesso all’Uomo Qualunque di Guglielmo<br />

Giannini, l’allontanamento di partigiani dai ranghi della polizia, etc. Si recarono a<br />

parlamentare con i ribelli di Santa Libera il sindaco di Asti avv. Platone e altri esponenti<br />

politici tra cui Giacchero, ma quest’ultimo non fu bene accolto in quanto considerato<br />

avversario politico. Il partito comunista, pur appoggiando in generale le richieste dei<br />

partigiani non incoraggiò apertamente la protesta. Fece opera di mediazione anche<br />

Davide Lajolo che era stato comandante partigiano nell’Astigiano. I «ribelli» appartenenti<br />

36 «Gazzetta d’Asti», 21 giugno 1946.<br />

37 Il personalismo come corrente di pensiero cattolico s’opponeva alle dottrine liberali e<br />

marxiste. Era portatore dell’idea di dignità della persona umana e della necessità della sua<br />

valorizzazione, delle libertà dell’uomo prima ancora di quelle del cittadino, della non<br />

riducibilità dell’uomo alla sola dimensione materiale, in polemica contro l’individualismo<br />

da un lato e il collettivismo dall’altro: la società come insieme di persone la cui dignità è<br />

anteriore alla società stessa.<br />

38 La socialità è il riconoscimento che l’uomo tende naturalmente alla comunità, a stare in<br />

società e la persona è portata ad essere rivolta verso gli altri ed essere solidale.<br />

39 La sussidiarietà è il principio per cui un soggetto più forte interviene solo se e quando il<br />

soggetto cui spetterebbe di decidere non lo fa o non lo può fare. La dottrina era stata<br />

enunciata da Pio XI nell’enciclica «Quadragesimo anno» del 1931. Naturalmente, toccava<br />

innanzitutto l’intervento dello Stato rispetto alle decisioni della famiglia e delle<br />

aggregazioni sociali e affermava il primato della persona e dei corpi intermedi.<br />

40 Al termine di un’accesa discussione, sfociata quasi in rissa, s’era deciso di votare a<br />

scrutinio segreto. L’articolo fu approvato con 274 voti favorevoli e 77 contrari. Gli atti<br />

parlamentari riportano anche un intervento di Giacchero per sostenere il divieto per i<br />

militari di iscriversi a partiti politici.<br />

183


alla polizia ausiliaria rientrarono nei ranghi dopo la promessa che non avrebbero patito<br />

sanzioni.<br />

L’allarme negli ambienti moderati fu grande anche perché la presenza in giro di tante<br />

armi confermava che, a suo tempo, non tutti i partigiani le avevano consegnate. Il<br />

vicepresidente del Consiglio Nenni accettò di ricevere una delegazione formata da<br />

rappresentanti dei partigiani di Santa Libera, dall’Anpi e dai partiti. La tensione si<br />

stemperò. L’esponente socialista così giustificò la sua decisione: «Io non credo che ci sia<br />

stata in questa occasione né umiliazione dell’autorità dello Stato né diminuzione del<br />

prestigio del governo. C’è stato un governo che è andato fraternamente incontro a coloro<br />

che stavano per commettere un grave errore e che ha impedito loro di compierlo non<br />

ricorrendo alla forza della legge, ma ricorrendo alla persuasione.»<br />

Gli esponenti delle formazioni partigiane autonome condannarono il movimento e i<br />

giornali ospitarono una durissima polemica tra Giacchero e Armando Valpreda che aveva<br />

capitanato i ribelli. In apertura dell’editoriale intitolato «Contro la democrazia?» (dove il<br />

punto interrogativo appare una concessione retorica), Giacchero sottolinea l’investitura<br />

popolare degli uomini di governo attraverso le libere elezioni democratiche e quindi<br />

afferma perentoriamente: «Ne nasce di conseguenza che chiunque si pone oggi contro<br />

l’autorità del governo, è fuori legge ed agisce contro la sovranità del popolo» e definisce i<br />

partigiani di Santa Libera ribelli senza alcuna giustificazione morale o politica. Nel<br />

momento in cui l’insurrezione si è risolta del tutto pacificamente, Giacchero lascia da<br />

parte le cautele dei giorni della trattativa ed esplicita la propria posizione più intransigente<br />

di quella della stessa Dc nazionale e di De Gasperi […] L’esponente democristiano si<br />

chiede se, seguendo questo esempio, il governo non corra il rischio di trovarsi in una<br />

situazione di totale illegalità, se vi fossero gruppi meglio armati e organizzati. Dai fatti di<br />

Santa Libera si può ipotizzare una debolezza del governo, che consenta un rivolgimento<br />

antidemocratico? […] Il fantasma che viene agitato, dunque, è quello di una rivoluzione<br />

capeggiata dal partito comunista. 41<br />

Naturalmente, dopo gli avvenimenti dell’estate 1946 si fecero ancora più ostili i<br />

rapporti tra i partiti della sinistra e Giacchero. Tale contrapposizione si riprodusse per<br />

tutti gli anni seguenti, in tutte le sedi e circostanze.<br />

Alle elezioni del 18 aprile 1948 la Democrazia Cristiana trionfò e <strong>nella</strong> circoscrizione<br />

Cuneo-Alessandria–Asti per la Dc risultarono eletti Giacchero con 39.395 preferenze e<br />

Armosino. I dibattiti interni al partito e quelli in Parlamento videro Giacchero<br />

decisamente schierato sulle posizioni degasperiane, di adesione prima al Piano Marshall e<br />

41 LAJOLO L., I ribelli di Santa Libera, cit., p. 117.<br />

184


poi al Patto Atlantico. La chiave per comprendere le posizioni di Giacchero è<br />

l'anticomunismo: la minaccia per l’Italia e la civiltà occidentale veniva da Est e dai<br />

sostenitori interni delle ideologie collettivistiche. Non vi potevano essere compromessi<br />

con chi sosteneva l’ateismo e l’Unione Sovietica. Le sue posizioni tra i democristiani non<br />

erano affatto minoritarie.<br />

Anche l’adesione di Giacchero al Movimento Federalista Europeo è legata, per i tempi,<br />

alle posizioni politiche che ho sopra descritto. Il Mfe per sua natura aveva avuto all’inizio<br />

carattere trasversale con dirigenti e iscritti appartenenti a due categorie: da un lato i<br />

federalisti «doc» senza legami o con legami meramente strumentali con i partiti, dall’altro<br />

esponenti politici e sindacali con doppio ruolo e impegno. Causa della rottura tra le<br />

diverse anime del Mfe, col sostanziale distacco della componente socialcomunista, fu la<br />

scelta consapevole per l’unificazione federale dei paesi democratici europei, l’accettazione<br />

del Piano Marshall, la convocazione di un’Assemblea Costituente Europea.<br />

All’allontanamento volontario da parte della componente di sinistra, fece riscontro una<br />

accresciuta presenza di aderenti all’area di centro, in particolare democristiani.<br />

La lettura dei dibattiti parlamentari ci mostra il deputato Giacchero combattivo e<br />

mordace, pronto alla battuta caustica e all’interruzione impertinente. Ricordo alcuni<br />

episodi. Durante l’infuocata discussione alla Camera per l’adesione al Patto Atlantico, il<br />

socialista Nenni affermò che gli oppositori al trattato avrebbero usato tutti i mezzi…,<br />

prontamente Giacchero ribatté «Quali?» e Nenni dovette precisare «quelli che la<br />

Costituzione pone a nostra disposizione». 42 A proposito di un’affermazione del comunista<br />

Pajetta che i Comitati della pace, patrocinati dalla sinistra, avrebbero d’ora in poi avuto<br />

funzioni «esecutive», Giacchero esclamò tra le proteste degli avversari: «Forse allude alle<br />

esecuzioni che farebbero». 43 E ancora, avendo Nenni affermato che ogni epoca ha le sue<br />

potenze demoniache, Giacchero lo interruppe: «Noi abbiamo Pietro Nenni!» provocando<br />

una generale risata. 44 Anche Togliatti meritò l’attenzione del deputato di Asti: quando il<br />

capo comunista pose la domanda: «Come vanno a finire quei regimi nei quali la fiducia<br />

deve essere sempre palese?», Giacchero prontamente interloquì con la battuta «Ce lo dica<br />

lei che viene dalla Russia!». 45<br />

42<br />

NENNI P., Discorsi parlamentari, Roma 1983, p. 144.<br />

43<br />

DE GASPERI A., Discorsi parlamentari, Roma 1973, vol. 2°, p. 893 (seduta dell’11 luglio<br />

1950).<br />

44<br />

Ivi, p. 897 (seduta dell’11 luglio 1950).<br />

45<br />

ANDREOTTI G., Onorevole, stia zitto, Milano 1990, p. 66.<br />

185


Il deputato astigiano meritò più volte i pubblici elogi di De Gasperi. 46<br />

Giacchero sostenne il Piano Marshall «inteso non solo come strumento di ricostruzione<br />

economica, bensì come piattaforma di lancio dell’unificazione europea» 47 . Fu l’ennesima<br />

occasione di polemica con la componente social-comunista decisamente contraria. Sandro<br />

Pertini affermò: «Gli organismi derivanti dal Piano Marshall non sono l’espressione<br />

spontanea della volontà e delle esigenze dei popoli europei, bensì sono stati<br />

artificiosamente creati con lo scopo politico di fare d’un gruppo di nazioni europee uno<br />

schieramento in funzione antisovietica, e con lo scopo economico di fare dell’Europa<br />

occidentale un campo di sfruttamento della finanza americana.» 48<br />

La scelta di aggregarsi fatta dalle democrazie europee occidentali fu bene accetta da<br />

Giacchero e altri perché significava rottura con i comunisti e la maggioranza dei socialisti<br />

che giudicavano l’unità europeo-occidentale causa di approfondimento della divisione<br />

dell’Europa e di aggravamento delle tensioni internazionali. Giacchero era convinto che la<br />

scelta di campo occidentale fosse obbligata e irreversibile, in un contesto caratterizzato<br />

dalla presa del potere dei comunisti nei paesi dell’Europa orientale, dal blocco di Berlino,<br />

dallo scoppio della guerra in Corea. Cosicché la lotta al comunismo diventava per un<br />

cattolico come Giacchero un dogma quasi religioso, tenuto anche conto della condanna<br />

pronunziata dal Santo Uffizio.<br />

Il 1949 fu l’anno dell’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, altra occasione di<br />

durissimo scontro tra governo e opposizione. La scelta atlantica fu presentata dai<br />

46 DE GASPERI A., ivi, vol. 3°, p. 1124 (seduta del 10 ottobre 1951), p. 1201 (seduta del<br />

7 febbraio 1952). Almeno in un’occasione, però, Giacchero si dissociò dalle posizioni del<br />

vertice del partito, allorché si discusse della riforma agraria. Insieme con una settantina di<br />

altri parlamentari, tra cui molti esponenti meridionali della destra Dc e il conterraneo<br />

Armosino, sottoscrisse un documento dal titolo «Problemi dell’ora e azione di governo»,<br />

che qualificava il riformismo di governo come «assurdo slittamento su posizioni che<br />

snaturano la essenza stessa della democrazia cristiana».<br />

47 PISTONE S. La lotta per l’unità europea, in Europeismo e federalismo in Piemonte tra le due<br />

guerre mondiali, la Resistenza e i Trattati di Roma, Firenze 1999, p. 59.<br />

48 PERTINI S., Scritti e discorsi, vol. I 1926-1978, Roma, Presidenza del Consiglio, 1991, p.<br />

214. «L’Erp (European Recovery Program) rappresentava un primo strumento concreto di<br />

attuazione della dottrina Truman che assicurava il sostegno degli Stati Uniti a tutti i paesi<br />

minacciati dall’interno o dall’esterno dal comunismo. Il sostegno alla rinascita economica<br />

dell’Europa doveva aiutare a risolvere i problemi sociali, togliendo argomenti alla<br />

propaganda comunista. Gli Stati Uniti non erano ancora pronti, nel 1947, ad un impegno<br />

militare a difesa dell’Europa occidentale, e per “contenere” l’URSS usavano l’arma<br />

economica.» (DE LEONARDIS M., Il Tricolore in Europa, in Capisaldi Tricolore, s.l. s.d. –<br />

www.istrid.difesa.it).<br />

186


favorevoli come collegata a quella europeista, tanto che si è parlato di un «europeismo<br />

atlantista». Giacchero affermò che l’alleanza era «elemento di catalizzazione per<br />

l’Europa», 49 in altre parole uno strumento complementare per la costruzione di una<br />

comunità di popoli occidentali <strong>nella</strong> quale l’Italia era naturalmente inserita. L’adesione alla<br />

Nato poneva oltretutto l’Italia, uscita sconfitta dalla guerra, in una posizione di parità con<br />

le nazioni vincitrici e questo era un successo importante per il nostro governo il quale<br />

insistette, da allora in avanti, a indicare nell’europeismo e nell’atlantismo i cardini della<br />

politica estera italiana.<br />

Tra i cattolici e anche nel gruppo parlamentare democratico cristiano l’adesione al<br />

Patto Atlantico non fu del tutto condivisa e pacifica, anche se alla stretta finale del<br />

dibattito il dissenso fu limitato e scarsamente influente. Giacchero giudicava positivamente<br />

anche l’ombrello nucleare americano. Parlando all’Assemblea del Consiglio d’Europa di<br />

Strasburgo egli affermò: «All’organizzazione scientifica di una grande nazione<br />

extraeuropea noi esprimiamo la nostra gratitudine perché abbiamo sicurezza e pace e ci<br />

permette di essere una libera e democratica assemblea».<br />

L’azione politica di Giacchero si proiettava sempre più oltre i confini nazionali, verso<br />

l’Europa, cosicché la sua presenza sulla scena astigiana divenne meno attiva e, di fatto, egli<br />

si allontanò dalle contese locali.<br />

Nel novembre 1946 Giacchero ricevette, come gli altri deputati delle assemblee<br />

elettive dell’Europa Occidentale, una lettera circolare di Richard de Coudenhove-<br />

Kalergi 50 , il quale chiedeva a ciascuno di esprimersi a proposito della federazione<br />

europea. Il quesito era: «Siete in favore della costituzione di una federazione europea<br />

nell’ambito delle Nazioni Unite?». Furono alla fine ben 342 le risposte positive arrivate<br />

dall’Italia, corrispondenti al 64% dei componenti l’Assemblea Costituente, il che pose il<br />

nostro paese al primo posto in questa graduatoria di buoni sentimenti (in effetti, gli italiani<br />

49<br />

FORMIGONI G., La Democrazia Cristiana e l’alleanza occidentale (1943-1953), Bologna<br />

1996, 324.<br />

50<br />

Straordinario personaggio di un mondo che non c’è più, Richard de Coudenhove-Kalergi<br />

crebbe in un clima cosmopolita. Figlio di un diplomatico austro-ungarico e di madre<br />

giapponese, nacque a Tokio nel 1894. Si laureò in filosofia a Vienna, nel 1919 adottò la<br />

cittadinanza ceca e nel 1939 quella francese. Durante la seconda guerra mondiale insegnò<br />

presso la New York University e si stabilì poi in Svizzera. Negli anni Venti aveva pubblicato<br />

il libro-manifesto intitolato Pan-Europa e lanciato un movimento di integrazione europea<br />

che contrastava le dominanti spinte nazionalistiche. Propose anche come inno europeo<br />

l’«Inno alla gioia» dalla IX sinfonia di Beethoven nonché la celebrazione annuale di una<br />

giornata dell’Europa.<br />

187


hanno sempre manifestato opinioni generalmente favorevoli alle idee europeiste) e lo<br />

stesso Giacchero commentò «O siamo i più incoscienti o siamo i più entusiasti».<br />

Il deputato di Asti non si limitò però a dare a Coudenhove-Kalergi risposta affermativa<br />

al questionario ma chiese all’interlocutore cosa potesse fare per favorire la realizzazione<br />

dell’idea. L’altro lo invitò a costituire anche in Italia un Comitato parlamentare. Il 29<br />

maggio 1947 nacque, su iniziativa di Giacchero, il Comitato Parlamentare Italiano per<br />

l’Unione Europea, con appartenenti a tutti i partiti eccetto il Pci. Alla presidenza del<br />

Comitato fu designato Giacchero che raccolse l’adesione di un centinaio di parlamentari<br />

democristiani, liberali, socialdemocratici, demolaburisti, azionisti, qualunquisti.<br />

A Gstaad, in Svizzera, si tenne una riunione di tutti comitati nazionali. Il gruppo<br />

italiano era guidato da Giacchero. Fu deciso di costituire l’Unione Parlamentare Europea,<br />

articolata in comitati nazionali indipendenti da qualsiasi organizzazione extraparlamentare.<br />

I presidenti dei comitati nazionali avrebbero formato il Consiglio esecutivo che avrebbe<br />

eletto un Segretario generale. Il primo a ricoprire questo incarico fu Coudenhove-Kalergi.<br />

Giacchero entrò a far parte del Consiglio esecutivo e della commissione incaricata di<br />

redigere una Carta europea. Nel discorso di saluto al congresso Giacchero rilevò<br />

compiaciuto che quella era una delle prime occasioni in cui l’Italia sconfitta sedeva con<br />

pari dignità in un’assise internazionale.<br />

Al rientro in Italia, Giacchero ritenne necessario precisare che il progettato Parlamento<br />

europeo non poteva che nascere dall’iniziativa di assemblee liberamente elette e quindi<br />

rimanevano esclusi quei paesi dove non erano assicurate garanzie democratiche, come gli<br />

stati dell’Europa orientale e la Spagna franchista.<br />

Al Comitato Parlamentare Italiano per l’Unione Europea pervennero via via nuove<br />

adesioni (complessivamente oltre duecento), in maggioranza di esponenti democristiani.<br />

Giacchero guidò la delegazione italiana al primo congresso dell’Upe, tenutosi a Gstaad<br />

dall’8 al 10 settembre 1947. Partirono con lui 33 deputati tra cui Gustavo Colonnetti<br />

(l’allievo aveva superato il maestro!), il qualunquista Giannini, il liberale Badini<br />

Confalonieri, il gen. Umberto Nobile eletto come indipendente nelle liste del Pci.<br />

Mancavano deputati socialisti e comunisti.<br />

Di fronte a rappresentanti di dodici paesi Giacchero tenne un alto discorso: «Noi<br />

Italiani abbiamo nel sangue il senso dell’Universale. Nell’Italia ebbero radice e dall’Italia<br />

trassero forza le due grandi attuazioni dell’unità europea, che sole si realizzarono <strong>nella</strong><br />

<strong>storia</strong> di questo vecchio mondo: l’impero romano che di fatto fu una federazione di stati e<br />

il Cristianesimo, che ancora oggi è l’unico cemento spirituale dell’Europa.»<br />

188


Al termine dei lavori fu approvata una risoluzione che auspicava la convocazione di<br />

un’assemblea costituente europea, premessa degli Stati Uniti d’Europa, eletta a suffragio<br />

diretto o dai parlamenti nazionali. Giacchero fu uno dei vicepresidenti dell’Upe. Si<br />

riaccese la polemica sulla vera o presunta connotazione anticomunista dell’Unione. Poiché<br />

non erano state invitati parlamentari dell’Europa orientale Giacchero ritenne opportuno<br />

ribadire che s’era trattato di auto-esclusioni da parte di paesi che per l’ideologia<br />

dominante erano ben lontani dagli ideali europeisti. 51<br />

Giacchero presentò in Assemblea Costituente un’interpellanza firmata da altri 32<br />

parlamentari con la quale s’invitava il governo a dare attuazione ai voti formulati a Gstaad<br />

per la costituzione di una forma federale di unione europea. Nei giorni successivi,<br />

parlando al congresso nazionale della Dc a Napoli, chiese che tra gli obiettivi immediati<br />

della politica estera italiana vi fosse la realizzazione dell’Unione europea. Un’altra<br />

iniziativa assunta da Giacchero fu di proporre al ministero italiano delle Poste l’emissione<br />

di un francobollo sull’Unione europea, ma solo dieci anni dopo fu realizzata l’idea di un<br />

francobollo emesso in più paesi con lo stesso soggetto.<br />

Nel gennaio 1948 la Commissione trattati internazionali dell’Assemblea Costituente,<br />

ancora per iniziativa di Giacchero, discusse un ordine del giorno a favore della creazione<br />

degli Stati Uniti d’Europa, al quale aderì per il governo il ministro degli Esteri Sforza.<br />

Giacchero sostenne che l’intesa tra i parlamenti dei vari paesi aveva migliori prospettive<br />

rispetto alle tradizionali trattative diplomatiche e certamente pregio di maggiore<br />

democraticità perché i parlamenti erano espressione della volontà popolare. «Creiamo<br />

attraverso gli uomini parlamentari, e rappresentanti diretti dei popoli, le vie d’intese<br />

rapide e sicure fra i popoli d’Europa. Lavoriamo con fede su questa via. Non si tratta di<br />

utopia. Si tratta di volontà. Se questa volontà sarà in noi, sarà anche negli altri ed il frutto<br />

di questa volontà comune sarà la sicurezza, la pace, la prosperità dell’Europa e dell’Italia.»<br />

In occasione delle elezioni del 18 aprile 1948 il Movimento Federalista Europeo chiese<br />

a tutti i candidati di sottoscrivere un impegno per favorire la convocazione di una<br />

conferenza parlamentare internazionale che concordasse modi e procedure per la<br />

convocazione di un’Assemblea costituente degli Stati Uniti d’Europa. Ben 630 candidati,<br />

appartenenti a tutti gli schieramenti, risposero positivamente all’appello. Dopo le<br />

elezioni, Giacchero fu eletto vice-presidente del gruppo parlamentare Dc e segretario<br />

della Commissione esteri. Alla fine di luglio fu costituito il Gruppo Parlamentare Italiano<br />

per l’Unione Europea, composto da 104 senatori e 169 deputati. La sezione del Senato<br />

51 GIACCHERO E., Sul convegno di Gstaad, in «Il Mondo europeo», 15 ottobre 1947<br />

189


scelse per presidente Ferruccio Parri, quella della Camera Giacchero. Era un periodo di<br />

grande fervore e grandi idee.<br />

All’Aja, su iniziativa dell’Uef (Unione Europea dei Federalisti) 52 e di altri movimenti<br />

si riunì dal 7 al 10 maggio 1948 un «Congrès de l’Europe», dove quasi mille delegati<br />

(duecento dei quali parlamentari) appartenenti a 17 nazioni discussero sotto la presidenza<br />

di Winston Churchill. Lo statista inglese era allora il personaggio di punta<br />

dell’europeismo ufficiale. In Italia l’attenzione era ancora concentrata sui risultati delle<br />

elezioni del 18 aprile 1948, cosicché la delegazione italiana sebbene numerosa era<br />

composta prevalentemente da intellettuali, giornalisti, esponenti del mondo accademico,<br />

tra cui Spinelli, Giacchero, Leone Cattani, Adriano Olivetti, Salvatore Quasimodo,<br />

Giuseppe Ungaretti, Ignazio Silone, Ernesto Rossi, Aldo Garosci.<br />

Nella città olandese si contrapposero quelli che sollecitavano la convocazione di<br />

un’assemblea costituente e chi, in prima linea gli inglesi, s’opponeva. Prevalse una linea di<br />

compromesso e il congresso portò solo alla creazione del Consiglio d’Europa o meglio<br />

dell’«Assemblée consultative du Conseil de l’Europe», scelta dai parlamenti.<br />

Il «Joint International Committee» che aveva promosso il congresso dell’Aja,<br />

nell’ottobre 1948 assunse il nome di Movimento Europeo. In diversi paesi furono<br />

costituiti consigli nazionali. Il Consiglio Italiano del Movimento Europeo (Cime) era<br />

composto di deputati, senatori e personalità federaliste. Nel Comitato esecutivo<br />

entrarono Giacchero, Parri, Spinelli. Giacchero fu chiamato a far parte anche del<br />

Consiglio Internazionale del Movimento Europeo.<br />

Il Movimento Europeo associava partiti e sindacati europei alle organizzazioni<br />

federaliste ed europeiste, nel comune obiettivo della realizzazione dell’unità politica<br />

dell’Europa. Con grande lungimiranza, chiedeva la creazione di un’assemblea europea<br />

rappresentativa, di un Consiglio dei ministri europeo, di una Corte europea, la stesura di<br />

una Carta dei diritti umani, la libera circolazione di manodopera e capitali, l’eliminazione<br />

delle barriere doganali e commerciali, la creazione di un’unione monetaria europea.<br />

Alla fine del 1948 si tenne alla Camera italiana un importante dibattito sulla politica<br />

estera. Nenni presentò una mozione fortemente critica verso il governo, a cui si<br />

contrappose un documento di Giacchero di sostegno incondizionato a De Gasperi, che<br />

invitava il governo a dare applicazione all’art. 11 della Costituzione favorendo un’Europa<br />

federale, con il superamento del nazionalismo e la partecipazione dei paesi dell’Europa<br />

occidentale, in quanto retti da regimi democratici e fin da allora disponibili. Polemizzando<br />

con comunisti e socialisti Giacchero affermò: «Voi dite che state costruendo un mondo<br />

52 L’«Union Européenne des Fédéralistes» nacque nel dicembre 1946.<br />

190


nuovo e la neutralità che state proponendo sarebbe un mattone di quella costruzione; può<br />

darsi! Noi preferiamo questo mondo, però, dove una preferenza può essere ancora<br />

espressa e sostenuta: il mondo europeo, in cui non vi è né volontà, né possibilità di<br />

aggressione, ma serena e chiara consapevolezza della nostra responsabilità di aumentare la<br />

collaborazione con gli altri popoli democratici, di aumentare la possibilità di vita dei<br />

popoli europei, di difendere, in fondo, quel complesso di valori che il 18 aprile il popolo<br />

italiano ha inteso di difendere.» 53<br />

Molte aspettative tra gli esponenti del Movimento Europeo andarono presto deluse: il<br />

Consiglio d’Europa divenne di fatto solo un organo di collaborazione tra i governi. Di<br />

fronte alle rinnovate critiche della sinistra sull’esclusione di comunisti e socialisti dalla<br />

rappresentanza italiana, Giacchero rispose che non era possibile costruire la casa comune<br />

europea con chi avrebbe portato via i mattoni. 54 Continuò la sua azione anche in seno alla<br />

Camera dei Deputati con discorsi, interpellanze, mozioni. «Noi dobbiamo superare la<br />

fase della diplomazia, perché la diplomazia, per abile che sia, per quanto sia fatta da<br />

uomini personalmente in buona fede, non può che essere il battistrada dei carri armati. È<br />

sempre stato così, perché soltanto la legge può riportare la pace e la giustizia fra i popoli e<br />

fra le nazioni, una legge che si crei con la rinuncia di una parte di sovranità delle singole<br />

nazioni, dei singoli paesi.» 55<br />

Nel 1950 l’Unione Europea dei Federalisti promosse una petizione popolare in favore<br />

di un patto di unione federale, facendo propria una proposta del Movimento Federalista<br />

Europeo. Per la prima volta l’Uef decideva di intraprendere un’azione comune in tutte le<br />

nazioni. Tra i membri italiani del comitato promotore internazionale c’erano Piero<br />

Calamandrei, Benedetto Croce, Ugo La Malfa, Guido Go<strong>nella</strong>, Carlo Levi, Maria<br />

Montessori, Alberto Moravia, Ferruccio Parri, Giuseppe Romita, Gaetano Salvemini, don<br />

Luigi Sturzo, Ignazio Silone, Elio Vittorini, Arturo Carlo Jemolo, Giacchero e altri. In<br />

Italia la campagna ebbe un notevole successo e la petizione fu sottoscritta da oltre 520.000<br />

persone. La «mozione Giacchero» approvata a Montecitorio indicava quale primo<br />

obiettivo della politica estera italiana la creazione di vincoli federativi, con esercito,<br />

parlamento e governo comuni<br />

L’impegno di Giacchero nel parlamento italiano continuò tenace sino al 1952. I suoi<br />

interventi erano imperniati su alcuni concetti di fondo: un’autorità politica europea<br />

poteva nascere solo da una assemblea costituente europea, per impedire guerre future<br />

53 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, 30 novembre 1948, p. 4936.<br />

54 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, 12 luglio 1949, p. 10271.<br />

55 Atti Parlamentari. Camera dei Deputati, 27 settembre 1948, p. 2511.<br />

191


isognava limitare la sovranità assoluta degli Stati, il pericolo per l’unità europea veniva da<br />

Est perché era interesse dell’Unione Sovietica tenere l’Europa divisa.<br />

Il 9 maggio 1950 il ministro degli Esteri francese Robert Schuman lanciò la proposta di<br />

un patto tra Francia e Germania, aperto agli altri paesi, per mettere sotto una Alta<br />

Autorità la produzione del carbone e dell’acciaio, affermando che ciò avrebbe costituito il<br />

primo nucleo di una federazione europea indispensabile al mantenimento della pace.<br />

«L’idea ispiratrice era assolutamente elementare: eliminare i potenziali conflitti<br />

soprattutto tra Francia e Germania per il possesso e lo sfruttamento delle risorse<br />

concentrate nel territorio a cavallo tra i due paesi, creando una struttura<br />

sovranazionale.» 56<br />

L’Europa che cominciò a prendere forma con la nascita della Comunità Europea del<br />

Carbone e dell’Acciaio non era la «terza forza» tra Usa e Urss invocata da molti, ma il<br />

modo specifico in cui alcuni paesi caratterizzarono la loro presenza all’interno<br />

dell’aggregazione occidentale e atlantica. 57 Al Piano Schuman aderirono Germania, Italia,<br />

Belgio, Olanda e Lussemburgo. Secondo le parole di Giacchero, «non è stata la<br />

concordanza degli interessi siderurgici e carboniferi dei sei Paesi, non sono state<br />

certamente le industrie e gli industriali dei sei Paesi, che si sono messi attorno a un tavolo,<br />

un bel giorno, per dirsi – Oh, che bella festa. Facciamo la Comunità del Carbone e<br />

dell’Acciaio - Sono stati degli uomini politici responsabili, i quali si sono accorti che in un<br />

particolare momento storico bisognava fondere insieme quel poco che ci era rimasto per<br />

poterlo salvare.» 58<br />

Con una felice espressione si è parlato di «trapianto europeo» della classe dirigente<br />

italiana. 59 La partecipazione del nostro paese fu percepita come un rinnovato successo<br />

diplomatico: ancora una volta la scelta europeista offriva all’Italia un ruolo tra le potenze<br />

occidentali, confermata dall’attribuzione nell’Assemblea Ceca di tanti seggi come alla<br />

Francia e alla Germania.<br />

Ogni iniziativa in Europa e in Italia vedeva Giacchero promotore o sostenitore eppure<br />

la sua figura è rimasta <strong>nella</strong> storiografia in penombra, anche con riguardo solo alle vicende<br />

della Democrazia Cristiana.<br />

56 GUIZZI V.,Manuale di diritto e politica dell’Unione Europea, Napoli 1995, p. 5.<br />

57 RAPONE L.,Storia dell’integrazione europea, Roma, Carocci, 2002; La Comunità europea del<br />

carbone e dell’acciaio 1952-2002: gli esiti del trattato in Europa e in Italia, a cura di Ruggero<br />

Ranieri e Luciano Tosi, Padova 2004.<br />

58 GIACCHERO E., La Comunità e l’unificazione europea, cit., p. 85.<br />

59 PEDINI M., Rapporto sull’Europa, Milano 1979, p. 11.<br />

192


Europeisti in un momento in cui l’attenzione del partito era monopolizzata da altri e<br />

più urgenti problemi, uomini come Enzo Giacchero, Celeste Bastianetto, Lodovico<br />

Montini 60 o Lodovico Benvenuti 61 non ebbero l’ascolto che avrebbero meritato e<br />

restarono spesso ai margini dei luoghi in cui si maturavano le decisioni più importanti di<br />

politica estera. Quando poi De Gasperi si decise ad intraprendere con coraggio la strada<br />

dell’integrazione europea, la sua personalità mise in ombra coloro che nel partito erano<br />

stati i precursori dell’europeismo. 62<br />

Il trattato Ceca entrò in vigore il 23 luglio 1952. La «piccola Europa» era nata e<br />

contava 160 milioni di abitanti. Quale rappresentante italiano nell’Alta Autorità della<br />

Ceca il ministro dell’Industria Togni avrebbe voluto nominare Oscar Sinigaglia che<br />

rappresentava gli interessi delle imprese siderurgiche italiane. Esse, tecnologicamente<br />

arretrate rispetto ai concorrenti stranieri, s’opponevano a un mercato non protetto e<br />

riuscirono a ottenere una parziale e temporanea protezione. Ugo La Malfa propendeva per<br />

nominare Taviani ma De Gasperi impose il nome di Giacchero come rappresentante<br />

dell’Italia. Oscar Luigi Scalfaro nel 2001 ricordò: «Avevamo ancora <strong>nella</strong> mente lo studio<br />

delle guerre proprio per il carbone e per l’acciaio, per l’Alsazia e la Lorena e la prima<br />

realizzazione di pace sorgeva su quelle tremende fonti di guerra. Il mio partito della<br />

Democrazia Cristiana designò un parlamentare piemontese, on. Enzo Giacchero, tornato<br />

dal fronte, gravemente mutilato: era la presenza delle dolorose stigmate del conflitto, che<br />

annunciavano il sorgere concreto dei segni della pace!» 63<br />

L’Alta Autorità, che ebbe come primo presidente il francese Jean Monnet, deteneva le<br />

principali competenze della Ceca. Monnet scrisse così di Giacchero: «Discreto, ma per<br />

gusto e quasi per disprezzo dell’azione, l’italiano Enzo Giacchero dimostrava brillanti doti<br />

di analisi e di oratoria. Era stato gravemente ferito in guerra, il che non gli aveva impedito<br />

di combattere <strong>nella</strong> Resistenza. Tutta la sua capacità di entusiasmo era rivolta all’idea<br />

federalista. Considerava il resto con un sorriso disincantato.» 64<br />

Riguardo il ruolo svolto da Giacchero nell’Alta Autorità ricordo che, in una<br />

corrispondenza a me indirizzata, il dr. Mario Berri, Primo Presidente emerito della Corte<br />

Suprema di Cassazione, riferendo di avere avuto Giacchero come suo «superiore» a<br />

60 Lodovico Montini (1896-1990) fratello del futuro papa Paolo VI.<br />

61 Lodovico Benvenuti (1899-1966) combattente <strong>nella</strong> Resistenza lombarda, deputato alla<br />

Costituente.<br />

62 CANAVERO A., Enzo Giacchero dall’Europeismo al federalismo, in Europeismo e federalismo in<br />

Piemonte, cit., p. 175.<br />

63 www.anpi.it (XIII congresso nazionale dell’ANPI, 29-31 marzo 2001).<br />

64 MONNET J., Cittadino d’Europa, Milano 1988, p.281<br />

193


Lussemburgo, lo indicava «tra i costruttori originari dell’Europa comunitaria». Secondo<br />

lo studioso Alfredo Canavero, «<strong>nella</strong> sua nuova veste, Giacchero mostrò ancora una volta<br />

le sue doti. Provenendo da un europeismo innato, Giacchero si era accostato poco per<br />

volta al federalismo, dapprima grazie a Coudenhove-Kalergi, poi a Spinelli. Ne divenne<br />

uno dei maggiori fautori e propagandisti nelle diverse situazioni in cui si venne a trovare.<br />

Non fu certamente un teorico dell’europeismo, ma un grande e capace organizzatore, che<br />

dette un fondamentale contributo alla diffusione del federalismo europeo nel nostro<br />

paese. 65<br />

Nell’aprile 1954 Monnet e Giacchero si recarono negli Stati Uniti per negoziare un<br />

prestito di cento milioni di dollari. Per la prima volta gli Usa trattarono con<br />

un’organizzazione che rappresentava più nazioni: era un fatto nuovo e di assoluto rilievo.<br />

Oltreoceano le iniziative europeiste non erano malviste, nell’ottica di ancorare l’Europa<br />

occidentale a un sistema economicamente capitalistico, politicamente legato agli Usa e<br />

militarmente inquadrato nell’Alleanza Atlantica. Non a caso, quando il generale<br />

Eisenhower lasciò il comando Nato in Europa, l’unica sede di partito che visitò in Italia fu<br />

la sezione romana del Movimento Federalista Europeo accolto da Spinelli, Giacchero e<br />

altri. Documenti provenienti dagli archivi americani, recentemente venuti alla luce, hanno<br />

rivelato che l’interesse americano arrivò al punto di finanziare il Movimento Europeo.<br />

Sul viaggio di Monnet e Giacchero negli Usa del 1954 abbiamo l’interessante<br />

testimonianza del diplomatico Egidio Ortona, in servizio presso la nostra ambasciata di<br />

Washington: «Già allora Monnet poteva essere considerato come appartenente a buon<br />

diritto alla schiera dei grandi costruttori di <strong>storia</strong>. Anzi, per adoperare un’espressione da<br />

lui usata nelle sue memorie, parlando di se stesso e dell’eletto gruppo di collaboratori che<br />

avevano gettato le fondamenta delle organizzazioni europee, egli aveva “busculé<br />

l’histoire”. Giunse accompagnato dall’on. Giacchero, federalista accanito, ex deputato<br />

democristiano da lui molto stimato e che, come Monnet scrisse, aveva abbandonato la<br />

politica per un fenomeno di rigetto verso quel tipo di attività che egli considerava<br />

“umiliante, bassa e dominata dalla partitocrazia”.» 66<br />

A partire dal 1947 e sino alla fine degli anni Cinquanta Enzo Giacchero fu partecipe<br />

delle più significative iniziative promosse sui temi dell’integrazione europea e il suo nome<br />

compare ovunque in posizione di rilievo. Affiancò personaggi entrati giustamente <strong>nella</strong><br />

65 CANAVERO A., Enzo Giacchero dall’Europeismo al federalismo, cit., p. 193.<br />

66 ORTONA E., Anni d’America. La diplomazia 1953-1961, Bologna 1986, p. 93. A<br />

proposito dell’eventualità di stabilire una rappresentanza permanente dell’Alta Autorità a<br />

194


<strong>storia</strong> (De Gasperi, Monnet, Adenauer), eppure la sua figura è in gran parte ignorata o<br />

giudicata assolutamente minore. Dino Del Bo, a proposito della sua personale esperienza<br />

come presidente dell’Alta Autorità della Ceca, parlò di «ritiro in Europa», a voler<br />

intendere un distacco dalla realtà italiana, forse non molto gradito. Le stesse vicende di<br />

Giuseppe Pella, Piero Malvestiti, Franco Maria Malfatti (per non dire di De Gasperi che<br />

ottenne la presidenza dell’Assemblea Ceca dopo essere stato messo da parte nel gioco<br />

politico italiano e persino nel suo stesso partito) lasciano quasi intendere che gli incarichi<br />

europei siano stati giudicati, almeno in Italia, un ripiego, un «contentino» in mancanza e<br />

in attesa di più lusinghieri riconoscimenti in patria. Se questo è vero, o in gran parte vero,<br />

i tanti anni trascorsi da Giacchero lontano dall’Italia lo esclusero inevitabilmente dal giro<br />

delle poltrone che contano. La circostanza (o scelta volontaria secondo la testimonianza di<br />

Monnet) d’essere rimasto fuori dai «giochi» italiani di partito e di governo, hanno reso<br />

Giacchero personaggio secondario delle cronache politiche e inutilmente si cercherebbe il<br />

suo nome – come il sottoscritto ha fatto - in testi anche autorevoli e documentati.<br />

Può darsi anche che la scelta fatta da Giacchero, nel prosieguo del suo percorso umano<br />

e intellettuale, di aderire a formazioni di destra abbia in qualche modo creato una specie di<br />

cordone sanitario intorno a lui, cosicché è riuscito increscioso o fastidioso ai più<br />

ricordarne la figura e l’opera. Non appare casuale, ad esempio, che i racconti della <strong>storia</strong><br />

della resistenza in Piemonte facciano di lui cenni sommari e sfuggenti, non potendo<br />

peraltro ignorarne del tutto l’esistenza come vice-comandante di una divisione partigiana<br />

e prefetto della Liberazione.<br />

Il suo nome non compare negli studi che ricostruiscono, sin nei dettagli più minuti, la<br />

<strong>storia</strong> della Democrazia Cristiana, eppure egli ricoprì incarichi di rilievo a livello<br />

parlamentare. Enti e associazioni a cui mi sono rivolto per acquisire notizie utili per<br />

l’elaborazione della presente tesi, ricordano o hanno detto di ricordare assai poco di lui.<br />

Ho rievocato in precedenza le parole di Mario Berri, Jean Monnet e Oscar Luigi<br />

Scalfaro. Esse, sia pure significative e disinteressate, non rendono però piena giustizia a<br />

Enzo Giacchero.<br />

Giacchero rimase componente dell’Alta Autorità della Ceca sino al 1959. A<br />

Lussemburgo il 29 ottobre 1952 sposò Maria Teresa Ferrari, figlia di Francesco Luigi<br />

importante esponente del Partito Popolare. 67 Dall’unione nacquero quattro figli.<br />

Washington, Monnet affermò premonitore: «Fino a quando l’Europa non sarà un’entità<br />

politica, non si avrà statura sufficiente per imporsi agli americani».<br />

67 Francesco Luigi Ferrari era nato a Modena nel 1889 in una famiglia di profonde<br />

convinzioni religiose. Avviatosi a una brillante carriera di avvocato, combatté<br />

195


Sappiamo che, fuori dagli impegni pubblici, Giacchero coltivava molteplici interessi, in<br />

particolare la poesia e la musica. Compose liriche usando anche la lingua dialettale e<br />

improvvisò canzoni sulla tastiera dell’amato pianoforte domestico.<br />

Quando era ancora impegnato a Lussemburgo, Giacchero ricoprì dal 1955 al 1957<br />

l’incarico di Presidente onorario e, dal 1957 al 1960, di Presidente effettivo dell’Unione<br />

Europea dei Federalisti e del Centro Internazionale di Formazione Europea (Cife). 68<br />

Quest’ultimo era <strong>nella</strong> sostanza una costola dell’Uef: avevano la medesima sede, lo stesso<br />

Segretario generale (l’italiano Guglielmo Usellini), persino un unico tesoriere. Col tempo<br />

il Cife divenne un’entità indipendente. Nacque come luogo di studio dei problemi<br />

dell’integrazione europea e di alta formazione dei futuri quadri dirigenti.<br />

A Torino nel 1959 Giacchero fu invitato a tenere la prolusione all’anno accademico<br />

dell’Università Popolare Don Orione e parlò sul tema «Il primo esperimento europeo».<br />

Negli anni Sessanta accettò la presidenza dell’Institut Européen des Hautes Études<br />

Internationales (Iehei). Era un’istituzione privata nata nel 1964 per iniziativa del Cife,<br />

della Municipalità di Nizza e della Commissione Europea. Il corpo docente e gli studenti<br />

provenivano da molti paesi.<br />

Giacchero, «tornato in Italia da Lussemburgo preferì, anche a seguito di divergenze<br />

sulla linea politica della DC, dedicarsi alla professione di ingegnere» 69 e, di fatto, per un<br />

quindicennio non ricoprì cariche politiche ma non rimase certamente inattivo.<br />

Certamente, non vide con favore la ricerca di un’intesa con i socialisti, che poi sfociò<br />

nei governi di centro-sinistra. Nel maggio 1960 significativamente partecipò a Roma a un<br />

convegno organizzato del Centro Luigi Sturzo sul tema «La liberazione dal<br />

socialcomunismo». Presiedeva Luigi Gedda, presenti tra gli altri Oscar Luigi Scalfaro<br />

(all’epoca Sottosegretario al Ministero dell’interno nel governo Tambroni), Randolfo<br />

Pacciardi, don Gianni Baget Bozzo, Giuseppe Pella, Roberto Lucifredi, Guglielmo<br />

Giannini nonché esponenti della destra missina, tra cui Pino Romualdi, Giulio Caradonna,<br />

Mario Tedeschi.<br />

valorosamente <strong>nella</strong> Grande Guerra. Assai attivo all’interno del Partito Popolare di don<br />

Sturzo, per le sue decise posizioni antifasciste fu vittima di ripetute aggressioni, emigrò<br />

infine con la famiglia in Francia dove continuò l’attività di giornalista. Morì<br />

prematuramente nel 1933. Il suo archivio privato è stato donato dalla famiglia all’Istituto<br />

Sturzo di Roma.<br />

68 Già in precedenza s’era avvertita l’esigenza di dare vita a centri di cultura europea e tra i<br />

primi erano sorti il «Collège d’Europe» a Bruges e nel 1952 l’Istituto Universitario di Studi<br />

Europei di Torino.<br />

196


Un impegno di tutt’altro genere fu per Giacchero quello legato alle celebrazioni del<br />

centenario dell’Unità d’Italia. Nel 1961 Torino organizzò grandiose manifestazioni cui<br />

parteciparono tutte le regioni d’Italia, ventuno nazioni e organismi internazionali. Il<br />

Comitato nazionale fece propria la sigla di “Italia 61” e s’insediò il 21 luglio 1960 sotto la<br />

presidenza di Giuseppe Pella e con Enzo Giacchero come Segretario generale. Sono<br />

interessanti queste annotazioni pubblicate nel «Notiziario Italia 61» dell’ottobre 1962:<br />

«Per evitare confusione di idee, cominciamo col definire che cos’è un Segretario<br />

generale. È colui il quale sa tutto (anche i segreti) di una grande azienda o di un<br />

personaggio importante, ne coordina i movimenti e ne esegue gli ordini. Il Segretario<br />

Generale di Italia 61 è tutta un’altra cosa. Non rientra <strong>nella</strong> definizione generale. Italia 61<br />

nacque con un Comitato Centrale, organo collegiale di 40 membri, le cui decisioni<br />

dovevano passare alla Giunta Esecutiva per diventare… esecutive. Toccava poi al<br />

Segretario generale, coadiuvato dai suoi, l’attuarle. La complessità dei lavori da compiere,<br />

la loro urgenza, il poco tempo disponibile, hanno spesso invertito quest’ordine: e cioè il<br />

Segretario generale è stato costretto a prendere iniziative rischiose, in attesa di più alte<br />

delibere. Il che gli procurò qualche noia.<br />

- Se lei, on Giacchero, si trovasse di nuovo di fronte a una stessa impresa<br />

l’accetterebbe?<br />

- Se per amor di patria, sì. Come lavoro, no.<br />

L’amor di patria è un’altra delle belle cose all’antica. Per esso, l’on Giacchero ha<br />

perduto una gamba, lui che “amava molto lo sport, soprattutto la corsa veloce e il salto in<br />

lungo”.»<br />

Enzo Giacchero dopo l’impegnative esperienza di «Italia 61» fu Direttore generale<br />

della Società per l’autostrada Torino-Piacenza (Satap) dal 1963 al 1968. L’esigenza di<br />

un’autostrada tra Torino e Piacenza, attraverso le province di Asti, Alessandria e Pavia,<br />

cominciò a farsi sentire alla fine degli anni Cinquanta. Il 26 luglio 1960 venne perciò<br />

costituita la Satap per iniziativa delle province di Torino e Piacenza, del comune di Torino<br />

e di altri enti. Dopo che l’Anas ebbe rilasciata la necessaria concessione, il 30 gennaio<br />

1964 iniziarono i lavori nel tratto Santena-Villanova d’Asti. Un primo tratto autostradale<br />

fu aperto nel dicembre 1968 e un anno dopo era operativo l’intero tracciato lungo 165<br />

km, comprendente 35 ponti e viadotti, 153 sovrappassi.<br />

Giacchero, partecipando nel 1969 a una tavola rotonda, si espresse in questi termini<br />

sul problema autostrade: «Io personalmente sono sempre stato dell’avviso del nostro<br />

69<br />

CANAVERO A., Enzo Giacchero, in I deputati piemontesi all’Assemblea Costituente, Milano<br />

1999, p. 209.<br />

197


grande Presidente Einaudi che tutti i monopoli siano da eliminare, compresi quelli che<br />

esistono, sia pubblici che privati, ed a più forte ragione in campo autostradale. Più<br />

autostrade ci sono, meglio è per tutti, semprechè le autostrade non si costruiscano per<br />

ragioni clientelari o per sballati indirizzi politici, ma siano costruite seguendo criteri<br />

economici sani e necessità veramente sentite. Le autostrade dei nostri giorni non sono<br />

oggetto di lusso, ma sono semplicemente le strade del nostro tempo e quindi se ne<br />

devono fare tante quante sono necessarie per costituire la rete indispensabile al nostro<br />

tempo. 70<br />

Dal 1965 per undici anni Enzo Giacchero fu Presidente del consiglio di<br />

amministrazione dell’Ospedale «Santa Croce» di Moncalieri. Al nosocomio furono<br />

apportate significative migliorie, con ristrutturazioni e ampliamenti riguardanti diversi<br />

reparti. Dal 1971 al 1974 Giacchero ricoprì la carica di Presidente dell’Unione Industriale<br />

della provincia di Asti. 71<br />

Non possiamo considerare un impegno di tipo politico l’adesione di Giacchero<br />

all’Associazione ex-parlamentari della Repubblica, costituita nel 1968 per occuparsi degli<br />

interessi materiali e morali degli ex-deputati e ex-senatori e dei loro familiari.<br />

L’associazione promuoveva anche visite e incontri con consorelle estere e seminari su<br />

temi istituzionali. La partecipazione era assolutamente trasversale, aperta a tutte le forze<br />

politiche.<br />

Di ben diverso spessore fu l’avvicinamento di Giacchero agli ambienti della destra<br />

politica che lo portò ad essere presidente della Costituente di Destra voluta da Giorgio<br />

Almirante e dall’«establishment» del Msi – Destra Nazionale «per uscire dal vicolo cieco<br />

di un partito ormai rinchiuso in un ghetto politico». 72 Il 22 novembre 1975, riunendosi a<br />

Roma per la prima volta, la Costituente di Destra radunò oltre mille persone, di ogni ceto<br />

e provenienza: docenti universitari, professionisti, operatori economici, alti ufficiali,<br />

esponenti della cultura. Ricordò poi Gianni Roberti: «Noi dirigenti di partito avemmo<br />

cura di tenerci in disparte, per rendere quanto più possibile innovativa la<br />

manifestazione». 73 Insieme con personaggi come Mario Tedeschi direttore del settimanale<br />

70<br />

Anche questo scritto mi è stato segnalato dalla sig.ra Ferrari, preziosa custode delle<br />

memorie familiari.<br />

71<br />

L’Unione Industriale di Asti non è stata in grado di fornire alcun contributo utile. Di<br />

Giacchero è stato a suo tempo pubblicato solamente un breve profilo nel volume Industriali<br />

ad Asti (1935-1995).<br />

72<br />

ROBERTI G., L’opposizione di destra in Italia, Napoli 1988, p. 321.<br />

73 Ivi, p. 322.<br />

198


«Il Borghese», Armando Plebe, esponenti monarchici come Alfredo Covelli,<br />

presenziarono gli ex-deputati Dc Greggi e Giacchero.<br />

Giacchero e Greggi furono nominati rispettivamente presidente e segretario della<br />

formazione politica, che dichiarò di voler raggruppare «al di là dello spirito di parte e in<br />

nome della riconciliazione nazionale» italiani legati dal comune denominatore<br />

dell’anticomunismo e della volontà di reagire alla situazione di crisi generale, causata<br />

principalmente dal progressivo slittamento a sinistra della politica italiana. La Costituente<br />

di Destra era strutturata in circoli locali, collaterali al Msi – Dn, tanto che alle elezioni del<br />

1976 ci fu la presentazione di liste comuni: il partito storico mise a disposizione le risorse<br />

anche economiche e la Costituente di Destra essenzialmente il suo nome. La nascita della<br />

«Costituente di Destra» non fu del tutto indolore, perché una frangia collocata alla sinistra<br />

del Msi dissentì con forza. Molto peggio avvenne, però, alla fine del 1976 quando il<br />

partito patì una pesante scissione, che portò alla nascita di «Democrazia Nazionale».<br />

Quest’ultimo è stato definito «un partito nuovo nato vecchio» 74 e tuttavia con molte<br />

ambizioni. Sebbene annoverasse «tra i suoi protagonisti personaggi esperti di ogni gioco<br />

politico e di ogni manovra parlamentare, la sensazione che si ricava analizzando le prime<br />

reazioni dell’ambiente politico di fronte alla scissione e le titubanze degli scissionisti stessi<br />

è che un passo tanto delicato sia stato fatto senza costruire chiare solidarietà esterne, della<br />

destra che su precise garanzie politiche.» 75<br />

Fu Giacchero come presidente e legale rappresentante della Costituente di Destra a<br />

compiere gli atti formali che legittimarono la costituzione di gruppi parlamentari<br />

autonomi di Democrazia Nazionale alla Camera e al Senato, nonostante la strenua<br />

opposizione, anche in sede legale, del Msi – Dn. Peraltro non tutta la dirigenza della<br />

Costituente di Destra concordò: Giacchero e altri furono accusati di avere fatto un uso<br />

abnorme dei poteri statutari.<br />

Il simbolo scelto per Democrazia Nazionale fu il tricolore iscritto nelle dodici stelle<br />

dell’Europa unita. Piace pensare che Giacchero abbia contribuito a determinare quella<br />

scelta. Egli spiegò così la sua scelta di campo:<br />

«Ho avuto più volte l’occasione di lamentare l’assenza d’una forza politica che <strong>nella</strong><br />

presente situazione italiana si assumesse il compito di indicare ai cittadini la via da seguire<br />

per evitare i due maggiori pericoli che incombono sul nostro Paese: la massificazione delle<br />

coscienze e la perdita della libertà. Questa componente la identificavo e la identifico in<br />

74 BERTAZZOLI G., La destra effimera: la parabola di Democrazia Nazionale, in «Storia<br />

contemporanea», 1990, 721.<br />

75 Ivi<br />

199


una organizzazione di Destra democratica che, di là dall’uso nominalistico dell’etichetta, si<br />

richiami costantemente al presente ed ai compiti che nel presente pone una società<br />

organizzata intorno al consenso popolare, per guardare al futuro e, nel futuro, alla<br />

costruzione di un’Italia diversa da quella che vediamo: così ridotta dalle opposte<br />

demagogie della DC e della sinistra marxista […] Gli uomini che hanno costituito il<br />

partito della Destra democratica, non provengono tutti dalle medesime esperienze e non<br />

hanno alle spalle la stessa <strong>storia</strong>. Nel passato, hanno camminato lungo strade diverse,<br />

seguendo ispirazioni e influenze culturali dissimili, come è naturale che accada quando le<br />

circostanze impongono scelte individuali dettate soprattutto dalla consapevolezza ad<br />

essere comunque presenti, per affermare con la presenza una responsabilità morale e<br />

civile. Così, “Costituente di Destra – Democrazia Nazionale” vede affiancati ex-fascisti ed<br />

ex antifascisti, liberali d’estrazione crociana, cattolici intransigenti e cristiani soltanto<br />

perché battezzati, monarchici per fedeltà all’istituto o per maturata convinzione filosofica,<br />

gente che ha partecipato alla resistenza e gente che ha militato <strong>nella</strong> RSI. […] Chi scrive<br />

non dice queste cose da oggi. Chi scrive ha vissuto sulla propria pelle e nel profondo della<br />

propria coscienza il dramma della guerra, combattuta con lealtà e in ispirito di servizio da<br />

rendere alla patria; e il dramma ancora più lacerante della guerra civile, affrontata per<br />

fedeltà a un giuramento e per opporsi alle prevaricazioni d’uno straniero che s’accampava<br />

come occupante. Ma l’essere stato buon soldato in guerra, buon partigiano <strong>nella</strong><br />

resistenza, era, per chi scrive, unicamente un modo, e sia pure un modo purtroppo<br />

traumatico di affermare il principio che ogni scelta è scelta di libertà soltanto se costa<br />

sacrificio interiore e se si pone come conquista morale. […] Come stupire che uomini<br />

come il sottoscritto abbiano sentito e sentano il dovere di mettere la propria esperienza e<br />

la propria buona fede al servizio d’una componente politica, la cui assenza ha<br />

disgraziatamente pesato in termini negativi sulla situazione italiana? Che il Paese abbia<br />

bisogno d’una Destra moderna, culturalmente aggiornata, sicuramente democratica ma<br />

altrettanto sicuramente non infeudata agli utopismi della massificazione, alla cui<br />

suggestione sacrificano ormai tutti i partiti, compreso il liberale, a me sembra indubbio<br />

[…] Perciò, è necessario risvegliare gli animi e chiamare a raccolta tutte le energie. Perciò<br />

è nata «Costituente di Destra – Democrazia Nazionale». Un grande compito ci attende.<br />

Riusciremo a compierlo soltanto se sapremo parlare con umiltà e con chiarezza a tutti gli<br />

italiani che intendono continuare ad essere cittadini di un Paese libero, in un’Europa<br />

libera» («Democrazia Nazionale», n. 1 del 17 aprile 1977).<br />

Il nuovo partito voleva presentarsi come forza di riserva per una maggioranza<br />

alternativa al compromesso storico. Al di là dei numeri, Democrazia Nazionale riuscì ad<br />

200


ottenere poco credito dagli altri partiti e nessun consenso significativo da parte degli<br />

elettori. Come ha scritto Piero Ignazi, poteva una «leadership certo prestigiosa per<br />

capacità politica e per antiche battaglie, ma lontana dalla piazza, più ascoltata in<br />

Parlamento dagli avversari che in sezione dalla base, candidarsi a gestire un partito che le è<br />

in larga parte ignoto ed ostile?». 76<br />

Secondo l’onorevole Gianni Roberti, «fu soprattutto in campo internazionale che<br />

potemmo avvertire un vero e proprio salto di qualità: per la prima volta ci fu possibile<br />

presentare negli organismi internazionali, ufficialmente e non più sotto il profilo di private<br />

amicizie o relazioni personali, un partito che rappresentava la destra politica italiana, ed<br />

affiancarlo autonomamente, come tale, alle altre analoghe formazioni politiche dei paesi<br />

occidentali.» 77<br />

Giacchero ricopriva la carica di presidente d’onore del partito e scrisse sul periodico<br />

«Democrazia Nazionale» molti articoli di commento politico, caratterizzati dal<br />

tradizionale anticomunismo e da «vis» polemica verso gli avversari con toni sarcastici<br />

sino al dileggio personale. Qualche suo giudizio esplicito: «calamità naturale, eccellente<br />

tribuno ma pessimo politico» (Pietro Nenni), «è tutt’altro che un’aquila» (Pierluigi<br />

Romita), «inesistente, utilizzato solamente quando la Dc deve dire domenicali<br />

sciocchezze» (Benigno Zaccagnini), «teorizzatore e realizzatore dell’infausto<br />

centrosinistra» (Aldo Moro), «piccolo ducetto» (Amintore Fanfani), «pazzarellone, se è<br />

vero quello che molti vanno dicendo, che l’Italia sta diventando un manicomio, la<br />

Repubblica non potrebbe avere un rappresentante più qualificato» (Ugo La Malfa). 78<br />

Il primo congresso nazionale di Democrazia Nazionale fu indetto per i giorni 20-22<br />

aprile 1979 ma l’anticipato scioglimento delle Camere bloccò tale iniziativa e impose al<br />

raggruppamento di affrontare un difficilissima prova elettorale quando era ancora in fase<br />

di organizzazione embrionale.<br />

Nelle elezioni politiche anticipate e nelle prime elezioni dirette del Parlamento<br />

Europeo, Democrazia Nazionale ottenne risultati assai deludenti. Le regioni col miglior<br />

risultato furono la Sicilia (1,08%) e la Campania (0,99%). Giacchero si candidò ma fu<br />

travolto dal disastro generale: nel collegio senatoriale di Cuneo-Saluzzo ottenne 614 voti<br />

(0,6%), in quello di Asti 916 (0,7%), a Pinerolo 1505 (0,7%), a Torino 614 (0,6%).<br />

76 IGNAZI P., Il polo escluso, Bologna 1989, p. 178<br />

77 ROBERTI G., L’opposizione di destra in Italia, cit, p. 349. Ciò poté avvenire nel<br />

Parlamento Europeo, nel Consiglio d’Europa, nell’Unione Europea Occidentale, ma la<br />

battaglia decisiva Democrazia Nazionale la perse in Italia, nelle migliaia di piccoli e grandi<br />

comuni, dove invece era assolutamente carente la sua azione.<br />

78 «Democrazia Nazionale», 22 gennaio 1978, 2 aprile 1978.<br />

201


La scelta scissionistica del 1976 si era rivelata verticistica e perdente e la conseguenza<br />

del disastro elettorale del 1979 non poteva che essere la fine ingloriosa di Democrazia<br />

Nazionale. Nel momento della disfatta tutto sembrò dare ragione ai detrattori del<br />

movimento. L’ultimo segretario generale, Pietro Cerullo, arrivò a scrivere che<br />

Democrazia Nazionale aveva perso perché «affollata e soverchiata da vecchi tromboni». 79<br />

Esauritasi l’esperienza di Democrazia Nazionale, Giacchero si ritirò dall’agone politico.<br />

È morto il 26 marzo 2000.<br />

79 BERTAZZOLI G., La destra effimera, cit, p. 725. Secondo l’on. Raffaele Delfino, che fu<br />

uno dei massimi esponenti del partito, l’obiettivo era di «fornire agli elettori moderati uno<br />

strumento politico nuovo, rispondendo alle esigenze di quanti non tolleravano l’intesa tra<br />

democristiani e comunisti, ma al tempo stesso volevano disporre di un soggetto politico<br />

interamente presente <strong>nella</strong> scena nazionale e capace di schierarsi, accettato liberamente<br />

dalle altre formazioni». Sull’esperienza di Democrazia Nazionale v. DELFINO R., Prima di<br />

Fini, intervista a cura di Marco Bertoncini, Foggia 2004.<br />

202


Bartolomeo Casalis<br />

il prefetto “Niente paura!”<br />

203


Bartolomeo Casalis fu ardente patriota e “prefetto di combattimento”.<br />

Nato in Piemonte a Carmagnola il 12 novembre 1825, fu allievo del Collegio delle<br />

Province di Torino ed ebbe per compagni Quintino Sella, Giovan Battista Bottero,<br />

Costantino Nigra, Domenico Carbone, Michele Lessona. 1 All’Università «era assiduo alle<br />

lezioni di P. A. Paravia, e specialmente a quella riunione settimanale in cui i più eletti<br />

ingegni delle diverse facoltà leggevano prose e poesie ispirate a sentimenti italiani e<br />

all’odio contro la tirannide; frequentava i convegni che i più liberali tra gli studenti<br />

tenevano nelle case ora dell’uno ora dell’altro per leggere segretamente le opere del<br />

Mazzini, del Guerrazzi, del d’Azeglio, e nei caffè per vedere i giornali e discutere<br />

dell’avvenire della patria». 2 Ancora studente partecipò alle ardenti manifestazioni del<br />

1847-48 con le quali si invocarono in Piemonte riforme politiche e sociali. Si guadagnò<br />

fama di agitatore anche per una caratteristica somatica: «Era il più lungo degli studenti di<br />

tutta l’università. In qualunque folla, al di sopra del livello comune s’ergeva la sua testa<br />

rotonda, bruna, riccioluta, vivace, illuminata da due occhi neri come carbone, ornato il<br />

mento d’una barbetta crespa, piena di risoluzione e di forza». 3<br />

Allo scoppio della prima guerra d’indipendenza si arruolò <strong>nella</strong> compagnia dei<br />

bersaglieri studenti, insieme con Nigra e Carbone, quest’ultimo autore della notissima<br />

satira Re Tentenna. Dopo la sfortunata conclusione del conflitto, completò gli studi di<br />

giurisprudenza ed iniziò ad esercitare l’avvocatura, non trascurando l’attività di pubblicista<br />

sulla “Gazzetta del Popolo”, fondata nel giugno 1848 dall’amico Bottero 4 . Casalis sostenne<br />

le più significative battaglie del giornale, per la liberazione di Garibaldi arrestato a<br />

Chiavari, l’abolizione del foro ecclesiastico e l’erezione di un obelisco a ricordo della<br />

legge Siccardi dell’8 aprile 1850, la sottoscrizione di “Cento cannoni per Alessandria”.<br />

Nel 1858 fu eletto deputato di Caselle. 5 L’anno successivo organizzò il comitato di<br />

soccorso dei volontari della seconda guerra d’indipendenza, poi ebbe incarico in Emilia di<br />

Consigliere di governo con Luigi Carlo Farini. Nell’estate 1860 era in Sicilia, col prodittatore<br />

Depretis impegnato in un compito di straordinaria delicatezza e difficoltà e cioè<br />

1 Bottero e Carbone erano studenti di medicina, Nigra e Casalis di legge (v. AMICUCCI<br />

E., G. B. Bottero giornalista del Risorgimento, Torino 1935; BORELLI P., Costantino Nigra,<br />

Cavallermaggiore 1992).<br />

2 MANTELLINO G., La scuola primaria e secondaria in Piemonte e particolarmente in<br />

Carmagnola, Carmagnola 1909, p. 241.<br />

3 BERSEZIO V., I miei tempi, Torino 1931, p. 150-151.<br />

4 Allora i giornali erano destinati ad un pubblico colto e perciò ristretto. Con una tiratura di<br />

ventimila copie la “Gazzetta del Popolo” fu, per parecchi anni, il più diffuso quotidiano<br />

italiano oltre che di Torino dove, dopo l’Unità, il lettore poteva scegliere tra 23 quotidiani.<br />

204


affrettare l’annessione dell’isola al Regno di Sardegna, secondo il progetto cavouriano. 6<br />

Nell’ottobre 1860 Casalis fu incaricato di precedere il re Vittorio Emanuele che alla testa<br />

dell’esercito si dirigeva al Sud, compiendo una solitaria e pericolosa escursione con<br />

destinazione Napoli. Preziose le informazioni raccolte sulle condizioni delle zone<br />

attraversate. Come gli altri piemontesi arrivati nel Mezzogiorno, ne ricevette<br />

un’impressione non favorevole: «In mezzo all’apatia generale credo che in niun paese si<br />

giuochi l’intrigo con maggiore finezza. In nessun paese più che in questo il bene e il male,<br />

il patriottismo e l’egoismo, la franchezza e l’ipocrisia trovano modo di abbarbicarsi alla<br />

stessa pianta, in guisa che riesce difficile distinguerli».<br />

Farini, Nigra ed Eugenio di Savoia-Carignano lo vollero come collaboratore durante il<br />

loro travagliato soggiorno napoletano. Le sue doti di coraggio risaltarono prima in<br />

provincia di Avellino contro elementi filo-borbonici, poi quale Commissario straordinario<br />

negli Abruzzi. Gli strapazzi di quei mesi lo fecero ammalare gravemente e fu sul punto di<br />

morire.<br />

Nel giugno 1861 fu nominato Intendente di Pontremoli ed entrò così nell’organico del<br />

Ministero dell’Interno. Fu poi a Cesena e, dal 1862 al 1867, Sottoprefetto ad Asti. Nel<br />

novembre 1867 fu incaricato di reggere in sede vacante la prefettura di Catania. Era ormai<br />

matura la promozione a prefetto ma avvenne un fatto che al momento la compromise.<br />

Casalis si lagnò vivamente col ministero di non essere stato avvertito tempestivamente<br />

dell’arrivo di un alto personaggio della famiglia reale. Da Firenze lo ammonirono ad<br />

essere «più misurato» nelle sue comunicazioni, ma lui ribatté chiedendo di essere<br />

sostituito da uno che «meritasse meglio la confidenza del Governo». Il ministro Carlo<br />

Cadorna, irritato, decise il suo trasferimento alla Sottoprefettura di Treviglio ma Casalis<br />

rifiutò ritenendo di essere oggetto di «degradazione e biasimo». Nelle note personali si<br />

legge che «ottenne di essere rimosso ed indi dichiarato dimissionario». Per quasi due anni<br />

rimase senza incarichi. Per sua fortuna, aveva una rendita fondiaria di oltre 20.000 lire<br />

annue (lo stipendio di un prefetto di terza classe era di 9.000 lire). Se così non fosse stato<br />

avrebbe avuto seri problemi a mantenere la moglie Caterina Orsi ed i sette figli di cui<br />

quattro femmine. 7<br />

5 Ottenne 205 voti contro i 48 dell’avversario avv. Luigi Rubeo.<br />

6 MACK SMITH D., Cavour e Garibaldi nel 1860, Torino 1958.<br />

7 Caterina Orsi era nata nel 1843 e all’epoca del matrimonio aveva solo 16 anni. La figlia<br />

Gina sposò Giulio Douhet autore de Il dominio dell’aria, classico del pensiero militare<br />

moderno.<br />

205


Alla fine del 1869 fu incaricato dal ministro Lanza di reggere la prefettura di<br />

Catanzaro. Qualche mese dopo arrivò, finalmente, la nomina a prefetto con la conferma<br />

in quella sede. Aveva quarantacinque anni, più di altri prefetti coevi.<br />

A Catanzaro, Casalis «fu subito sul piede di guerra contro la cattiva tenuta della<br />

contabilità della prefettura, contro la piaga del brigantaggio, contro la corruzione degli<br />

organi locali sottoposti al suo controllo, contro le supposte mene repubblicane». In<br />

effetti, <strong>nella</strong> primavera 1870 moti insurrezionali avvennero a Pavia e altrove. Nel<br />

Catanzarese un gruppo di rivoltosi si scontrò con la forza pubblica e solo dopo lo sbarco di<br />

truppe di rinforzo il moto venne represso. 8 Risale a quell’epoca l’attribuzione a Casalis del<br />

titolo di “Prefetto Niente Paura” per avere pubblicato un manifesto che terminava con la<br />

frase: «Coraggio, dunque, e niente paura». Ciò diede origine al soprannome, dapprima<br />

usato in senso ironico dagli avversari poi divenuto elogiativo.<br />

Nell’estate di quello stesso anno scoppiò un grave contrasto tra il prefetto e il generale<br />

Sacchi, comandante la divisione territoriale di Catanzaro. In sostanza, mentre Casalis<br />

riteneva probabile un “movimento” garibaldino, il generale lo escludeva e non intendeva,<br />

di conseguenza, adottare misure straordinarie. In agosto avvenne un tempestoso<br />

colloquio, così narrato da Casalis in una lettera a Giovanni Lanza: «Il generale cominciò a<br />

perdere la pazienza ed a dirmi che nel mio ufficio avevo nulla di buono e che in quello di<br />

P.S. erano sciocchi che non mi fornivano giuste informazioni e che non conoscevo il<br />

paese. Risposi che non pretendevo l’infallibilità, ma il responsabile dell’ordine della<br />

provincia era il Prefetto e non accettavo i di lui apprezzamenti sul personale della<br />

Prefettura. Egli sempre più irritato mi disse che io potevo ben richiedere ma che lui<br />

avrebbe giudicato se fosse il caso il caso di aderire e che, quando l’avesse creduto, non<br />

avrebbe ottemperato alle mie richieste. A questo punto anch’io perdei la pazienza e gli<br />

dissi che chi rappresentava il Governo <strong>nella</strong> provincia, che io sapessi, era il Prefetto, che la<br />

sua responsabilità era grande e che io avevo il coraggio di assumerla interamente e in date<br />

circostanze avrei assunto quella di prendere misure anche contro i generali. Mi rispose che<br />

non mi avrebbe dato tempo». Casalis concludeva così: «Al Governo converrà di lasciare<br />

in questa provincia il gen. Sacchi o me, secondo il sistema politico che intende di<br />

mantenere in questi tempi». Alla fine il militare lasciò Catanzaro e il prefetto commentò<br />

8<br />

PAVONE C., Le bande insurrezionali della primavera del 1870, in “Movimento operaio”,<br />

1956.<br />

206


un po’ crudamente: «Sacchi è un generale che non si farà mai ammazzare per la<br />

monarchia». 9<br />

A Catanzaro sorsero attriti anche con i rappresentati del Comune e della Provincia.<br />

Casalis mirava a reprimere abusi ma difettava di modi concilianti. Il ministro dell’Interno<br />

in omaggio al principio di autorità lo sostenne nonostante l’opposizione vivacissima cui era<br />

fatto segno. All’inizio del 1872 venne il trasferimento ad Avellino e Casalis scrisse a<br />

Lanza: «Sono qua con tutta la famiglia, il che vuol dire senza altra preoccupazione<br />

maggiore del pubblico servizio. Non dimenticherò mai che Lei mi ha richiamato alla<br />

carriera, e che colla sua giustizia mi ha difeso contro gli intrighi di mezzo mondo». 10<br />

Presto anche ad Avellino iniziarono le ostilità con le autorità locali. Crudo il giudizio di<br />

Francesco De Sanctis sul piemontese Casalis: «Un gran brav’uomo quello, e che aveva le<br />

intenzioni giuste, ma ricordatevi quella sua fronte piccola e stretta e quegli occhi rigidi,<br />

come presi dal tetano, e ditemi se c’era lì dentro altro cervello che scarso di fosforo e a idee<br />

fisse, rigido come quegli occhi. La quale rigidità chiamano carattere, ed è monomania. E di<br />

là veniva quella sua volontà di granito, pari alla sua alpe. Quella testa alpina andò a cozzare<br />

contro la testa irpina, dura non meno, dura come quei macigni che incontri in certe strade<br />

dei nostri paesi e fanno gridare i piedi.» 11<br />

Casalis ottenne invece eclatanti successi <strong>nella</strong> tutela della sicurezza pubblica con la<br />

distruzione delle ultime bande brigantesche. Importante soprattutto l’uccisione di<br />

Gaetano Manzo, figura divenuta leggendaria. 12 Eppure anche in quell’occasione fortunata<br />

Casalis ebbe modo di litigare col comandante militare gen. Pallavicini: «Voleva che io<br />

usassi le sue truppe e non i carabinieri; per me preferivo i carabinieri, perché volevo<br />

dimostrare al Governo ed a Pallavicini che facevo il servizio con mezzi ordinari di polizia».<br />

Leggiamo il rapporto ufficiale dei Carabinieri di Avellino datato 23 agosto 1873. 13<br />

«Il Sig. Commendatore Casalis nel giorno 19 fu avvisato che <strong>nella</strong> notte la banda<br />

Manzo avrebbe occupato la Casina Migliano in tenimento di Frigento, e perciò ne fece<br />

9 Il carteggio tra Casalis e Lanza è pubblicato ne Le carte di Giovanni Lanza,a cura di Cesare<br />

Maria De Vecchi, vol. 5°, Torino 1937.<br />

10 Le carte di Giovanni Lanza, cit., vol. 8°, Torino 1939.<br />

11 BARRA F., Il “Re Michele” desanctisiano. Michele Capozzi e la vita politica irpina nell’età della<br />

Destra, in Miscellanea in onore di Ruggero Moscati, Napoli 1995, pp. 639-640. Un giudizio<br />

positivo sull’attività di Casalis in Irpinia è in ZIGARELLI G., Storia civile della città di<br />

Avellino, Napoli 1889.<br />

12 D’URSO D., Il brigantaggio ad Acerno. Protagonisti e vicende, Salerno 2002.<br />

13 Il rapporto fu da me pubblicato sulla rivista “Il Carabiniere” nel marzo 1979.<br />

207


comunicazione al Sig. Pecchioli 14 precisandogli l’ora delle 5 antimeridiane del 20 per<br />

quella dell’assalto. Ai punti designati di riunione trovossi egli con un nucleo di sessanta<br />

Carabinieri, n. 30 Soldati del 50° Fanteria comandati dal Tenente Benvenuti Sig.<br />

Melchiorre, e quindici Bersaglieri del Presidio di Montella comandati dal Sottotenente<br />

Berti sig. Bartolomeo ma l’assalto alla cennata Casina quantunque eseguito a puntino<br />

risultò senza frutto, perché i briganti che realmente eravisi recati <strong>nella</strong> notte, avvisati dal<br />

figlio del colono che nel susseguente giorno vi si sarebbe condotto il padrone, sloggiarono<br />

tosto portandosi altrove. Intanto il Sig. Prefetto a circa le ore 11 pom. del 19 muoveva da<br />

qui col Capitano Sig. Pistis, pochi Carabinieri e Guardie di P.S., e giungeva sul posto<br />

appena il Tenente Pecchioli compiva la sua operazione, rimanendo tutti addolorati dallo<br />

sconforto che il colpo era venuto fallito. L’intelligenza del prefetto, la sicurezza in lui<br />

della bene ordita rete risvegliò in tutti il nobile ardire, ed infatti dopo alquanti minuti<br />

ebbe delle nuove tracce e dopo qualche ora la certezza che il Manzi con tutta la banda<br />

trovavasi rinchiuso nel Casino Grella. Ripiegarono tutti su Frigento dove il Capitano Pistis<br />

preso egli il comando superiore divise le forze in tre colonne, cioè: quella del centro<br />

comandata da lui avendo a dipendenza il Tenente di fanteria, quella della sinistra dal<br />

Tenente Pecchioli e l’altra destra dal Sottotenente dei Bersaglieri. Questo avveniva alle<br />

ore 3 pom.; e messesi le colonne in marcia ciascuna per la sua direzione giungevano sul<br />

posto quasicché contemporaneamente le due colonne quella del capitano che presentavasi<br />

per la prima di fronte alla porta d’ingresso del Casino, e quella del Tenente Pecchioli su di<br />

un fianco; dopo circa un dieci minuti quella dei Bersaglieri forse per maggiore ostacoli<br />

incontrati <strong>nella</strong> marcia. I briganti all’apparire della Forza l’accolsero con una grandinata<br />

di palle che partivano dalle molte feritoie della Casina, ed appena il Capitano Pistis<br />

apparve alla testa di soli cinque suoi Carabinieri, e pel primo spiccossi all’attacco fu tosto<br />

ferito al terzo medio della coscia sinistra con una palla da fucile, che credesi esplosagli<br />

proprio dal capobanda, corrispondendone il calibro alla carabina dello stesso, e che<br />

quantunque siasi internata <strong>nella</strong> parte carnea, pure per ora è stata giudicata guaribile fra 40<br />

giorni salvo conseguenze: e perciò messo fuori combattimento, e nello stesso mentre dal<br />

lato opposto a quello della porta d’ingresso ove eravi una finestra con cancello di ferro<br />

partiva un colpo che uccideva all’istante il carabiniere a piedi Caccia Carlo della Stazione<br />

di Vallata. Il Sig. Tenente Pecchioli visto il Capitano impossibilitato a reggersi in piedi<br />

assunse lui il comando delle forze e la direzione del servizio, e fatta saltare a via di fucilate<br />

la toppa della porta della Casina la dischiuse e quindi, dando l’esempio, insieme al<br />

Maresciallo d’alloggio a cavallo Gambinossi Dante comandante la Stazione di Avellino,<br />

14 Ufficiale dei Reali Carabinieri.<br />

208


Bianchi Giovanmaria Brigadiere a piedi comandante la Stazione di Vallata furono i primi<br />

ad affrontare quegli assassini che ne avvenne un combattimento corpo a corpo.»<br />

In una cronaca coeva è narrato qualche altro particolare: «I masnadieri chiesero<br />

arrendersi ma appena entrati i Carabinieri erano accolti da una scarica di revolvers, e poi<br />

attaccati coi pugnali: fortunatamente le cariche dei revolvers avevano la polvere guasta e<br />

non fecero danno ed i Carabinieri risposero colla baionetta così bene che dopo cinque<br />

minuti solo tre briganti non erano resi cadaveri. Sopraggiunto allora il Prefetto, ordinò<br />

che fosse cessata la strage ed i tre semivivi erano assicurati alla giustizia.» 15<br />

Dopo Avellino, Casalis fu prefetto di Macerata dal marzo 1874 all’aprile 1876. Lì si<br />

sentiva «confinato in una provincia di soli cinque collegi elettorali». Purtuttavia assicurava<br />

Lanza, non più al governo, che teneva un collegio a disposizione per lui. 16<br />

Quando nel marzo 1876 cadde la Destra storica, Cesare Correnti si rivolse così a<br />

Depretis, nuovo Presidente del Consiglio: «Per carità, non mandar Casalis ove ci sia<br />

importanza d’amministrazione e necessità di prudenza» 17 . E invece Casalis fu mandato a<br />

Genova a combattere la coalizione “clericale consortesca”. Nel capoluogo ligure il mondo<br />

cattolico faceva sentire la propria presenza, 18 così gli internazionalisti ma erano soprattutto<br />

i repubblicani a destare preoccupazioni, vieppiù dopo la morte di Mazzini e la tumulazione<br />

della salma a Staglieno, meta di continui pellegrinaggi. 19<br />

Nel febbraio 1880 Casalis fu destinato a Torino e contemporaneamente arrivò per lui<br />

l’ambita nomina a Senatore. Al prefetto non riuscì di convincere il vecchio amico Bottero<br />

ad accettare anch’egli il seggio senatoriale offertogli da Depretis.<br />

Anni travagliati quelli torinesi di Casalis. Le agitazioni anticlericali sfociarono in una<br />

clamorosa contestazione al nuovo arcivescovo Alimonda cosicché Sindaco e Giunta<br />

dovettero rinunziare a riceverlo in forma ufficiale, per evitare gravi disordini. Si<br />

rafforzavano le organizzazioni operaie e quando, nel dicembre 1884, fu proibito un<br />

15<br />

CARUSO V., Cronache di brigantaggio nel Circondario di Ariano Irpino, in “Vicum”, II<br />

(1984), fasc. 2-3, p. 61.<br />

16<br />

Le carte di Giovanni Lanza, cit., vol. 9°, Torino 1940.<br />

17 CAROCCI G., Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino<br />

1956, p. 73.<br />

18<br />

La duchessa di Galliera offrì al Papa un milione di lire in ricordo del defunto consorte<br />

Raffaele De Ferrari.<br />

19<br />

Ad esempio, il 10 marzo 1879 durante una manifestazione commemorativa furono esibiti<br />

stendardi anticristiani compresa l’effige di Lucifero. Un vessillo portato dai repubblicani di<br />

Livorno sembrò alle autorità offensivo per le istituzioni ma l’intervento di polizia e<br />

carabinieri provocò una durissima reazione e solo una compagnia di fanteria riuscì infine a<br />

riportare l’ordine.<br />

209


comizio ne derivarono tumulti, nonostante una delegazione fosse stata ricevuta dal<br />

prefetto: furono fracassati lampioni, danneggiate vetture tranviarie, accoltellato un<br />

carabiniere.<br />

Ancora più clamorosi i disordini universitari del marzo 1885, anche per le<br />

ripercussioni che ebbero in altre città. Gli studenti volevano tenere una commemorazione<br />

di Mazzini, ma Casalis vietò che fosse fatta di sera. La forza pubblica, intervenuta per<br />

impedire la riunione, arrestò alcuni dimostranti. Il mattino successivo si formò un corteo<br />

di protesta e, dopo un insoddisfacente incontro col prefetto, i disordini dilagarono. Gli<br />

studenti disselciarono il cortile dell’Ateneo per fornirsi di sassi. La forza pubblica li<br />

respinse da piazza Castello e sequestrò la bandiera universitaria. Seguirono scontri<br />

durissimi. L’università fu chiusa d’autorità. Il corpo accademico indirizzò una protesta al<br />

Governo. Dimostrazioni di solidarietà avvennero un po’ in tutt’Italia. 20 Alla Camera<br />

Depretis difese l’operato del prefetto di Torino e, alla fine dell’anno, fu approvato un<br />

regolamento che vietava agli studenti di associarsi, anche fuori dell’università.<br />

Un altro avvenimento clamoroso che caratterizzò la permanenza di Casalis a Torino fu<br />

il contrasto con Clemente Corte prefetto di Firenze. Nell’ambito di un processo a un<br />

faccendiere di nome Strigelli, Casalis in sostanza accusò Corte di avere volutamente<br />

lasciato in libertà due lestofanti. La polemica fu durissima ed arrivò presto sui giornali. I<br />

due litiganti furono collocati a disposizione, ma una commissione d’inchiesta dette – tra le<br />

righe – piuttosto ragione a Casalis, che fu reintegrato nell’incarico. 21 Casalis entrò in rotta<br />

di collisione con molte persone e col giornalista Roux si arrivò alle soglie del duello,<br />

occasione ghiotta per commenti sarcastici. 22<br />

20 LANARO S., Alle origini del movimento studentesco italiano, in Ideologie, VII (1969).<br />

21 DEPRETIS A., Discorsi parlamentari, vol. 8°, Roma 1892, pp. 475-479.<br />

22 «Un prefetto che sfida a duello. Il fatto annunziato così, semplicemente, senz’altro, è tale da<br />

muovere a riso e sdegno ad un tempo. Il rappresentante della legge che viola la legge, e<br />

provoca a violarla. S’è mai visto una cosa simile? È vero che ha mandato le sue dimissioni;<br />

ma non erano ancora accettate e non erano definitive. Un bel soggetto per un’operetta: il<br />

prefetto si alza la domenica, manda le guardie ad arrestare quelli che vogliono battersi,<br />

denunzia la Procuratore del re due che si sono battuti. Il lunedì, il prefetto vuol battersi lui;<br />

si cava l’abito gallonato, e dice: non sono più prefetto, e vado a violare tutta la sezione VII<br />

del Codice penale. Il martedì, poi, torna prefetto, e fa il processo a tutti, fuorché a se<br />

stesso. Il governo chiude gli occhi. E il pubblico fischia» (“L’Illustrazione italiana”, 2<br />

settembre 1883, p. 147).<br />

210


Nel novembre 1885 l’amico Depretis chiamò Casalis a Roma come direttore dei<br />

servizi di pubblica sicurezza, una sorta di capo della polizia o poco meno. 23 Un avversario<br />

politico come Alessandro Guiccioli commentò: «Se Depretis e Casalis si mettono insieme,<br />

a fare le elezioni, è poco probabile che i galantuomini possano sperare qualche cosa.<br />

Bisognerà rassegnarsi a questo governo di canagliocrazia». 24 Nel periodo in cui Casalis fu<br />

direttore dei servizi di pubblica sicurezza (sino all’aprile 1887) rimase severa la<br />

repressione degli scioperi, che proprio allora s’intensificavano. 25<br />

Dopo il collocamento a disposizione e poi in aspettativa – intanto era morto Depretis –<br />

Casalis lasciò definitivamente il servizio nel 1891 a 66 anni. Si dedicò all’enologia con<br />

passione e successo gestendo la tenuta di Monte Coriolano, a Potenza Picena in provincia<br />

di Macerata.<br />

Fu anche per parecchi anni Consigliere provinciale e Sindaco di Carmagnola. Quando<br />

morì il 13 maggio 1903 il periodico “L’Illustrazione Italiana” lo ricordò con queste parole:<br />

«Uomo di combattimento e di azione, Casalis ebbe qualche volta – come si suol dire – i<br />

difetti delle proprie qualità, ma nessuno potrà contestare all’uomo che ora si è spento la<br />

saldezza dei propositi e del carattere e lo schietto spirito di patriottismo che sempre lo<br />

animò e lo guidò».<br />

Per iniziativa della civica amministrazione e dei cittadini di Carmagnola, qualche anno<br />

dopo la morte fu inaugurata nel palazzo municipale una lapide con questa epigrafe:<br />

A Bartolomeo Casalis – che consacrata la vita alla causa d’Italia – combatté <strong>nella</strong> Legione<br />

Universitaria (1848) – forte della fiducia di Cavour dell’amicizia di Garibaldi – della stima di re<br />

Vittorio Emanuele II – coadiuvò l’epopea garibaldina – in Sicilia ed a Napoli – Amministratore<br />

Legislatore Prefetto – godé sempre la pubblica estimazione – non ebbe paure non conobbe pericoli. 26<br />

23 D’URSO D., Ottavio Lovera di Maria e l’organizzazione della pubblica sicurezza, in<br />

“Rassegna storica del Risorgimento”, luglio-settembre 2002.<br />

24 GUICCIOLI A., Diario di un conservatore, Milano 1973, p. 131.<br />

25 NEPPI MODONA G., Sciopero, potere politico e magistratura 1870-1922, Bari 1973.<br />

26 Notizie biografiche su Bartolomeo Casalis sono in: LOCOROTONDO G., Casalis<br />

Bartolomeo, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 21°, Roma 1978; GUSTAPANE E., I<br />

prefetti dell’unificazione amministrativa nelle biografie dell’archivio di Francesco Crispi, in “Rivista<br />

trimestrale di diritto pubblico”, 1984 n. 4, pp. 1066-1067; SARTI T., Il Parlamento italiano<br />

nel cinquantenario dello Statuto, Roma 1898; RANDERAAD N., Gli alti funzionari del<br />

Ministero dell’Interno durante il periodo 1870-1899, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”,<br />

1989 n. 1, p. 246; FARINI D., Diario di fine secolo, Roma 1961-1962, ad vocem; D’URSO<br />

D., I prefetti e la Chiesa, Alessandria 1995, ad vocem; RAPONI N., Tra Stato e società. I prefetti<br />

della provincia di Macerata dall’Unità alla riforma Crispi (1860-1889), in Il prefetto <strong>nella</strong> <strong>storia</strong> e<br />

nelle istituzioni, Macerata 2003, pp. 110-111; MOLA A. A., Storia della massoneria italiana,<br />

211


E così il “Prefetto Niente Paura” ebbe la sua consacrazione definitiva.<br />

Milano 1994; Il Ministero dell’Interno, a cura di Giovanna Tosatti, in L’amministrazione<br />

centrale dall’Unità alla Repubblica, Bologna 1992, ad vocem.<br />

212


Indice dei nomi<br />

213


Abba Giuseppe Cesare, 17<br />

Adamoli Giulio, 14-15, 17<br />

Adenauer Konrad, 194<br />

Agnetta Antonio, 14<br />

Agnetta Carmelo, 14-17<br />

Aimo Piero, 63<br />

Aimone di Aosta, 152, 156<br />

Alatri Paolo, 57, 63, 89<br />

Alessandrini Renato, 152<br />

Alimonda Gaetano, 209<br />

Aliquò Lenzi Luigi, 11<br />

Aliquò Taverriti Filippo, 11<br />

Almansi Abramo, 167<br />

Almansi Dante, 166-171<br />

Almansi Elena, 170<br />

Almansi Renato, 168, 170-171<br />

Almirante Giorgio, 198<br />

Alocco Severo, 177<br />

Alongi Giuseppe, 61, 74-75, 82-84<br />

Amato Domenico, 92, 97, 99<br />

Amatori Torello, 82<br />

Ambrosino Lorenzo, 118<br />

Amedeo di Aosta, 156<br />

Amedeo Renzo, 176<br />

Amendola Giorgio, 138<br />

Amendola Giovanni, 138-139<br />

Amerio Elvira, 174<br />

Amicucci Ermanno, 204<br />

Amore Nicola, 53, 75<br />

Amour, 98<br />

Amundsen Roald, 152-153<br />

Andreotti Giulio, 185<br />

Annaratone Angelo, 128<br />

Antinoro, 91<br />

Antonetti Nicola, 56, 122<br />

Aquarone Alberto, 121, 160<br />

Arduino Ettore, 152<br />

Armosino Francesca, 64<br />

Armosino Giuseppe, 179, 184-185<br />

Ascarelli Attilio, 171<br />

Astengo Carlo, 77, 102-106<br />

Astengo Giacomo, 102<br />

Augias Corrado, 128<br />

Azeglio (d’) Massimo, 30, 204<br />

Baccelli Guido, 104<br />

Badini Confalonieri Vittorio, 188<br />

Baget Bozzo Gianni, 196<br />

Balbo Italo, 139, 146<br />

Balladore Cesare, 62<br />

Bandi Giuseppe, 15, 17, 74<br />

Baracco Leopoldo, 179, 182<br />

Barbero Gilberto, 176, 178<br />

Barbiani Giuseppe, 79<br />

Barbiera Raffaello, 21<br />

Bardelloni Pietro, 162<br />

Bardesono Cesare, 53, 63, 72, 93<br />

Barile Laura, 96-97<br />

Baronis Onorata, 31<br />

Barosi, 98<br />

Barra Francesco, 207<br />

Bartoli Domenico, 95, 117, 121<br />

Barzilai Salvatore, 62<br />

Basile Achille, 88, 90, 92-95, 97-100<br />

Basile Carlo Emanuele, 99<br />

Basile Ferdinando, 99<br />

Basile Umberto, 99<br />

Basile Valentina, 99<br />

Bastianetto Celeste, 192<br />

Bastianini Giuseppe, 163<br />

Battioni, 141<br />

Bedendo Emilio, 102<br />

Beethoven Ludwig van, 187<br />

Behounek Frantisek, 152<br />

Belinzaghi Giulio, 95<br />

Bellerio Giuditta v. Sidoli Giuditta<br />

Bellero Francesco, 176, 178<br />

Belli Giuseppe, 93<br />

Beltrami, 95<br />

Benvenuti Lodovico, 192<br />

Benvenuti Melchiorre, 208<br />

Bernardi Luigi, 178<br />

Berri Mario, 193, 195<br />

Berruti Domenico, 177<br />

Bersezio Vittorio, 204<br />

Bertarelli Pietro, 102<br />

Bertazzoli Gianluca, 199, 202<br />

Berti Bartolomeo, 208<br />

Berti Luigi, 76, 78<br />

214


Bertillon Alphonse, 126<br />

Bertini Cesare, 136<br />

Bertoncini Marco, 202<br />

Bertone Michele, 118<br />

Biagi Giuseppe, 152<br />

Biagi Guido, 108<br />

Bianchetti Giovanni Battista, 118<br />

Bianchi Giovanmaria, 209<br />

Biglioli, 17<br />

Binna Manlio, 161<br />

Bisi Tommaso, 158<br />

Bisio Giovanni Battista, 102<br />

Bixio Nino, 14-15, 17-18<br />

Bocchini Arturo, 77, 141-142, 144<br />

Bodini Benedetto, 143<br />

Bolis Giovanni, 74, 76-77<br />

Bolla Gaspare, 103<br />

Bolo Pascià, 127<br />

Bolognesi Roberto, 28<br />

Bombacci Nicola, 128<br />

Bonacina Giorgio, 156<br />

Bonassisi Umberto, 162-163<br />

Bonghi Ruggero, 17<br />

Bonomi Ivanoe, 131, 146, 167<br />

Borelli Pierfelice, 204<br />

Borgoglio Guglielmo, 177<br />

Borromeo Guido, 30<br />

Boselli Paolo, 102<br />

Bosi Carlo, 64<br />

Bossi Carlotta, 98<br />

Bottai Giuseppe, 163<br />

Bottero Giovan Battista, 204, 209<br />

Brancato Francesco, 18<br />

Bravo Anna, 82<br />

Breda Giovanni, 129<br />

Brunetta Gian Piero, 163<br />

Bruni Grimaldi Nicola, 63<br />

Brunialti Attilio, 85<br />

Buzzanca Salvatore, 126<br />

Caccia Carlo, 208<br />

Cacciola Simone, 141<br />

Cadorna Carlo, 205<br />

Cadorna Raffaele, 26, 30, 90<br />

Cairoli Benedetto, 10<br />

Calamandrei Piero, 191<br />

Calani Aristide, 56<br />

Calcamuggi Matilde, 31<br />

Calcamuggi Ottaviano, 31<br />

Caldara Emilio, 111-112<br />

Calenda di Tavani Andrea, 47, 63, 85<br />

Camerani Silvio, 21<br />

Camilla Piero, 178<br />

Campagna Giuseppe, 6<br />

Canavero Alfredo, 193, 196<br />

Canosa Romano, 82<br />

Cantelli Girolamo, 9, 64<br />

Cantoni Raffaele, 170-171<br />

Canzio Stefano, 79<br />

Capello Luigi, 142-143<br />

Capitelli Guglielmo, 55<br />

Capone Alfredo, 56<br />

Capozzi Michele, 207<br />

Cappa Cesare, 46<br />

Cappa Domenico, 98<br />

Cappa Gennaro, 166<br />

Cappa Innocenzo, 160, 163<br />

Cappelli Danilo, 178<br />

Cappello Antonio, 89<br />

Capriolo Vincenzo, 39<br />

Caracciolo Alberto, 120<br />

Caradonna Giulio, 196<br />

Caradossi, 141<br />

Caratti Attilio, 152<br />

Carbonara Giuseppina, 158<br />

Carbone Domenico, 204<br />

Carcano Giancarlo, 133<br />

Carderina Giacomo, 89<br />

Carlo Alberto, 30<br />

Carmignani Giovanni, 24<br />

Carocci Giampiero, 95-96, 209<br />

Carpani Pietro, 118<br />

Caruso Vittorio, 209<br />

Casalini Armando, 138<br />

Casalis Bartolomeo, 77, 81, 84, 94,<br />

204-211<br />

Casalis Gina, 205<br />

Casati Alessandro, 99<br />

215


Cassese Sabino, 28, 63, 117-118<br />

Cassetti Maurizio, 40, 178<br />

Castellaneta Carlo, 98<br />

Castellini Gualtiero, 15, 17<br />

Castronovo Valerio, 96, 104<br />

Cattanei Luigi, 17<br />

Cattaneo Pio, 44-45, 47-48<br />

Cattani Leone, 190<br />

Cavalieri Enrico, 118<br />

Cavallini Filippo, 127<br />

Cavallotti Felice, 17, 79, 95<br />

Cavour Camillo Benso, conte di, 7, 20,<br />

24, 50, 98, 205, 211<br />

Cecchi Eugenio, 21<br />

Cecchi Pilade, 81<br />

Cecioni Natale, 152<br />

Cellario Costantino, 118<br />

Celli Gennaro, 95<br />

Cerullo Pietro, 202<br />

Cervi Mario, 99<br />

Cesari Piero, 149<br />

Cestaro Antonio, 94<br />

Chiaro Carlo, 102<br />

Chiurco Giorgio Alberto, 113, 134<br />

Churchill Winston, 189<br />

Cialdini Enrico, 41, 51<br />

Cifelli Alberto, 108, 123, 149, 163, 171<br />

Cilibrizzi Saverio, 48<br />

Ciocca Calisto, 152<br />

Ciuffelli Augusto, 137<br />

Codronchi Argeli Giovanni, 82-83, 100,<br />

108<br />

Colapietra Raffaele, 113-114<br />

Coletti Alessandro, 134<br />

Colmayer Vincenzo, 54<br />

Colocci Adriano, 17<br />

Colombo Giuseppe, 95<br />

Colonnetti Gustavo, 174-175, 188<br />

Comandini Alfredo, 48, 81<br />

Consolo Gaetano, 139<br />

Conti Vincenzo, 102<br />

Coppino Michele, 9<br />

Cordola Luigi, 130<br />

Cornero Giuseppe, 45<br />

Corradini Camillo, 129<br />

Corradini Toselli Wally, 177<br />

Correnti Cesare, 24, 31-32, 209<br />

Corte Clemente, 210<br />

Corso Guido, 74<br />

Costa Cardol Mario, 21<br />

Coudenhove-Kalergi Richard, 187-188,<br />

193<br />

Covelli Alfredo, 198<br />

Cozzolino Antonio, 37, 54<br />

Crenna Mario, 73<br />

Crespi Silvio, 128<br />

Crimi, 148<br />

Crispi Francesco, 14, 18, 24, 26-28, 40,<br />

46, 62, 75, 78, 80, 83, 92, 95-96, 98,<br />

211<br />

Crispo Pietro, 137<br />

Crispo Moncada Francesco, 136-139,<br />

141-144, 168<br />

Crocco Carmine, 63<br />

Croce Benedetto, 106, 191<br />

Cross Wilbur, 156<br />

Crupi Isodiana, 11<br />

Cusani Clementina, 73<br />

D’Afflitto Rodolfo, 50-57<br />

D’Ancona Alessandro, 7<br />

D’Annunzio Gabriele, 136<br />

Darwin Charles, 126<br />

De Amicis Edmondo, 91-92<br />

De Angelis, 14<br />

De Antonellis Giacomo, 149, 171<br />

De Bono Emilio, 136, 139, 167-168,<br />

170<br />

De Cesare Carlo, 8<br />

De Cesare Raffaele, 50, 54, 63, 85, 88<br />

De Cristofaro Alberto, 97-98<br />

De Curtis Italo, 177<br />

De Fabritiis Camillo, 118<br />

De Felice Renzo, 111, 121, 128, 130-<br />

131, 134, 149, 161, 169, 171<br />

De Ferrari Giuseppe, 75<br />

De Ferrari Raffaele, 209<br />

216


De Gasperi Alcide, 180, 182, 184-185,<br />

190, 192-194<br />

De Giorgio Giovanni, 28<br />

De Gregorio Pietro, 88, 90, 94, 100,<br />

103<br />

De Gubernatis Angelo, 11, 85<br />

De Leonardis Massimo, 186<br />

De Luna Giovanni, 178<br />

De Majo Silvio, 56<br />

De Nicolò Marco, 100<br />

De Riseis Giovanni, 168<br />

De Sanctis Francesco, 6, 62, 207<br />

De Vecchi Cesare Maria, 56, 84, 91,<br />

207<br />

Del Bo Dino, 194<br />

Del Cerro Emilio, 28<br />

Delfino Raffaele, 202<br />

Dell’Arte Franco, 162<br />

Della Rovere Alessandro, 88<br />

Dentoni Maria Concetta, 109<br />

Depretis Agostino, 17-18, 24, 62, 65,<br />

78, 81, 95-96, 100, 104-106, 108, 205,<br />

209-211<br />

Dezza Giuseppe, 15<br />

Di Domenico Edoardo, 127<br />

Di Guglielmo Michele, 140<br />

Donati Lorenzo, 129<br />

Dondi Mirco, 178<br />

Doria Gino, 11<br />

Douhet Giulio, 205<br />

Duggan Christopher, 149<br />

Dunne John William, 25, 27<br />

D’Urso <strong>Donato</strong>, 30, 36-37, 39, 63-64,<br />

72, 76-77, 79, 88, 93-94, 108, 110,<br />

114, 129, 144, 207, 211<br />

Einaudi Giulio, 174<br />

Einaudi Luigi, 197<br />

Eisenhower Dwight, 194<br />

Ellero Umberto, 127<br />

Errante Vincenzo, 106<br />

Escoffier Carlo, 44-47, 93<br />

Eugenio di Savoia-Carignano, 205<br />

Eula, 128<br />

Fabbri Federico, 44<br />

Fabbricotti Carlo Bernardo, 22<br />

Facta Luigi, 113, 121, 131, 137, 147,<br />

167<br />

Falcioni Alfredo, 120<br />

Fanfani Amintore, 201<br />

Farini Domenico, 211<br />

Farini Luigi Carlo, 50, 63, 72, 205<br />

Farneti Paolo, 117<br />

Fedele Pietro, 100<br />

Federzoni Luigi, 114, 123, 136, 138,<br />

143-144<br />

Felisatti Massimo, 79<br />

Ferdinando II, 6, 18, 24<br />

Ferenzona Giovanni Gino, 73<br />

Ferraioli, 36<br />

Ferrarello Gaetano, 148<br />

Ferrari Antonio, 70<br />

Ferrari Bernardo Carlo, 63-68, 64, 70<br />

Ferrari Carlo, 70<br />

Ferrari Francesco Luigi, 195<br />

Ferrari Maria Teresa, 174, 195, 198<br />

Filippi Bruno, 129-130<br />

Finali Gaspare, 11, 72<br />

Fini Gianfranco, 202<br />

Finocchietti Francesco, 40<br />

Finzi Aldo, 136<br />

Fiorentino Fiorenza, 83<br />

Flores Enrico, 112, 118, 129, 131, 149<br />

Foà Ugo, 166<br />

Foa Vittorio, 174<br />

Fontana Edoardo, 75<br />

Fonzi Fausto, 95-96<br />

Formiggini Gemma, 167<br />

Formigoni Guido, 186<br />

Forni Cesare, 133<br />

Forno Mauro, 179<br />

Fossati, 45<br />

Francesco II di Borbone, 50, 52<br />

Francesco Giuseppe d’Austria, 159<br />

Franchetti Leopoldo, 93<br />

Franzé Sante, 118<br />

Franzini Tibaldeo Paolo, 63<br />

Frezzini Luigi, 63<br />

217


Fried Robert C., 177, 180<br />

Fucci Franco, 133-134<br />

Fusconi Sebastiano, 44-45<br />

Fusi Valdo, 174<br />

Galante Garrone Carlo, 180-181<br />

Galati Domenico, 95<br />

Galletti Onofrio, 76<br />

Gallo Carrabba Angelo, 89<br />

Galluppi Pasquale, 6<br />

Galton Francis, 126<br />

Gamba Aldo, 177<br />

Gambi Lucio, 28<br />

Gambinossi Dante, 208<br />

Garibaldi Giuseppe, 7, 15, 25, 27, 40,<br />

50-52, 64, 73, 159, 204-205, 211<br />

Garosci Aldo, 190<br />

Gasti Giovanni, 126-134, 141<br />

Gasti Giuseppe Gaspare, 126<br />

Gatti Luigi, 102<br />

Gatto Alfonso, 154<br />

Gattorno Federico, 79<br />

Gazzelli Paolo, 73<br />

Gedda Luigi, 196<br />

Gentile Giovanni, 175<br />

Gerlach Rodolfo, 127<br />

Geuna Silvio, 176<br />

Ghezzo Emilio, 45<br />

Ghiglia Mariangela, 178<br />

Giacchero Enzo, 174-199, 201<br />

Giacchero Remo, 174<br />

Giacchero Silvio, 174<br />

Giacchero Vincenzo, 174<br />

Giannetto Marina, 114<br />

Giannini Guglielmo, 183, 188, 196<br />

Giarelli Francesco, 82, 95, 98<br />

Gibson Violet, 143<br />

Giolitti Giovanni, 8, 70, 77, 83-84, 112,<br />

117-118, 121, 127, 131, 159-160, 167<br />

Giovenco Giuseppe, 102<br />

Giuffrida Orazio, 118<br />

Giunta Francesco, 137<br />

Giuriati Domenico, 28<br />

Giuriati Giovanni, 137<br />

Gloria Francesco, 76<br />

Gobetti Piero, 138<br />

Go<strong>nella</strong> Guido, 191<br />

Goretti Maria, 27<br />

Goria Giuseppe, 41<br />

Govone Giuseppe, 89<br />

Gramsci Antonio, 129, 141<br />

Grandi Dino, 136<br />

Greco Ludovico, 64<br />

Greggi Agostino, 198<br />

Grella Edoardo, 94<br />

Grilli Umberto, 182<br />

Grillo Maria Melania, 126<br />

Griscelli Giacomo, 17<br />

Gualino Renato, 174<br />

Gualterio Filippo Antonio, 89<br />

Guastalla Ferruccio, 82<br />

Guerrazzi Francesco Domenico, 204<br />

Guerzoni Giuseppe, 40<br />

Guêze Raoul, 117-118<br />

Guglianetti Francesco, 72-73<br />

Gui, 62<br />

Guicciardi Diego, 158<br />

Guicciardi Gina, 27<br />

Guicciardi Giulio, 158<br />

Guicciardi Guiscardo, 158<br />

Guicciardi Luigi, 158-160<br />

Guicciardi Maria, 158<br />

Guiccioli Alessandro, 106, 211<br />

Guizzi Vincenzo, 192<br />

Gustapane Enrico, 18, 63, 85, 92, 94,<br />

117, 211<br />

Herschell William, 126<br />

Hope Adrian, 177<br />

Hughes Steven C., 75, 83<br />

Ignazi Piero, 200<br />

Infranca Antonino, 149<br />

Introna Salvatore, 140<br />

Inzaghi Virginio, 163<br />

Isabella di Spagna, 20<br />

Jarach Federico, 169<br />

218


Jemolo Arturo Carlo, 191<br />

Jung Guido, 168<br />

Kappler Herbert, 166<br />

Kuliscioff Anna, 110, 112, 139<br />

Labriola Arturo, 113<br />

Lacava Pietro, 16<br />

Lafarina Giuseppe, 106<br />

Lago Ugo, 152<br />

Lajolo Davide, 174, 183<br />

Lajolo Laurana, 182, 184<br />

La Malfa Ugo, 191, 193, 201<br />

La Marmora Alfonso, 35, 40, 46, 51-53,<br />

55<br />

Lanaro Silvio, 210<br />

Lanza Giovanni, 45, 47, 53-56, 60, 84,<br />

90, 93, 206-207, 209<br />

Lapolla Francesco, 141<br />

Lavarello Francesco, 14<br />

Lazzari Costantino, 128<br />

Leonardi Francesco, 77, 127<br />

Lessona Michele, 204<br />

Levi Carlo, 191<br />

Librino Emanuele, 18<br />

Limoncelli Mattia, 75<br />

Linguiti Alfonso, 116<br />

Linguiti Francesco, 116<br />

Locorotondo Giuseppe, 211<br />

Lodolini Elio, 11<br />

Lombardi Riccardo, 180<br />

Lo Presti Giorgio, 163<br />

Lovera di Castiglione Carlo, 72, 85<br />

Lovera di Maria Amelia, 73<br />

Lovera di Maria Enrico, 73<br />

Lovera di Maria Federico, 73<br />

Lovera di Maria Federico Costanzo, 72<br />

Lovera di Maria Giuseppe, 72<br />

Lovera di Maria Lydia, 73<br />

Lovera di Maria Ottavio, 72-74, 77, 79,<br />

81, 84-85, 211<br />

Lovera di Maria Paola, 73<br />

Lovisolo Giacomo, 163<br />

Lovito Francesco, 74<br />

Lucchesi Oreste, 74<br />

Lucchetti Pietro Alberto, 63<br />

Lucetti Gino, 143-144<br />

Luciani Matteo, 94<br />

Lucifredi Roberto, 196<br />

Lundborg Einard, 153<br />

Luporini Giovanni, 139<br />

Luria Salvatore, 174<br />

Lusignoli Aldo, 122<br />

Lusignoli Alfredo, 131<br />

Luzio Alessandro, 22, 41<br />

Luzzatto Carlo Vittorio, 118<br />

Macaluso, 91<br />

Maccia Raimondo, 46, 48<br />

Mack Smith Denis, 205<br />

Maddalena Umberto, 153<br />

Maffi Antonio, 95<br />

Magliani Agostino, 104, 108<br />

Maioglio Primo, 177<br />

Majolo Molinari Olga, 11, 104<br />

Malatesta Alberto, 85, 100, 122<br />

Malatesta Errico, 131<br />

Malfatti Franco Maria, 194<br />

Malmgren Finn, 152-154<br />

Malvestiti Piero, 194<br />

Mancini Pasquale Stanislao, 104<br />

Mancusi Giuseppe, 93<br />

Manfredi Marco, 18<br />

Mantellino Giacomo, 204<br />

Manzo Gaetano, 36, 93-94, 207-208<br />

Manzoni Alessandro, 50<br />

Marabelli Alfonso, 158<br />

Maramotti Benedetto, 46<br />

Marchesiello Carlo, 62<br />

Marconcini Gaspero Emilio, 180<br />

Marcora Giuseppe, 95<br />

Marenghi Enzo Maria, 62<br />

Margherita di Savoia, 9, 106<br />

Mariani Giuseppe, 131, 134<br />

Mariano Adalberto, 152-156<br />

Mariano Giuseppe, 154<br />

Marinelli Giovanni, 131<br />

Marinetti Filippo Tommaso, 110, 130<br />

219


Marini Gabriella, 28<br />

Marius, 82<br />

Marshall George, 184-186<br />

Martino Edoardo, 103<br />

Marzano Giuseppe, 141<br />

Marziali Giovanni Battista, 63<br />

Masini Pier Carlo, 74<br />

Massari Giuseppe, 64<br />

Mathieu Antonio, 41<br />

Matteotti Giacomo, 136, 170-171<br />

Mauro Domenico, 6, 11<br />

Mazzini Giuseppe, 6, 24, 28, 51, 54, 81,<br />

204, 209-210<br />

Mazziotti Matteo, 16<br />

Mazzoni Guido, 11<br />

Mazzucchelli Edoardo, 78<br />

Medici Giacomo, 84<br />

Melis Guido, 28, 82, 103, 116-119,<br />

121-122, 149, 160<br />

Menabrea Luigi Federico, 26, 46, 48<br />

Mengoni Giuseppe, 98<br />

Meniconi Anto<strong>nella</strong>, 122<br />

Merlino Francesco Saverio, 96<br />

Merolli Anna, 7<br />

Micaelis, 98<br />

Mila Massimo, 174<br />

Minghetti Marco, 30<br />

Mira Giovanni, 149<br />

Miraglia Biagio, 6-11<br />

Miragoli Livia, 22<br />

Miranda Luigi, 142<br />

Misasi Nicola, 11<br />

Misiano Francesco, 136<br />

Missori Mario, 18, 28, 48, 57, 134, 171<br />

Moggi, 39<br />

Mola Aldo Alessandro, 117, 156, 211<br />

Molfese Franco, 40, 51<br />

Momigliano Arnaldo, 167<br />

Moncada Elena, 137<br />

Monelli Paolo, 142<br />

Monghini Antonio, 45<br />

Monnet Jean, 193-195<br />

Montanaro Piero, 179<br />

Montanelli Indro, 99<br />

Montessori Maria, 191<br />

Monti Antonio, 48, 81, 89<br />

Monti Augusto, 174<br />

Montini Lodovico, 192<br />

Morana Giovanni Battista, 74, 79<br />

Moravia Alberto, 191<br />

Morelli Emilia, 18<br />

Morelli Salvatore, 91<br />

Mori Cesare, 126, 146-149<br />

Mori Felice, 146<br />

Moro Aldo, 201<br />

Mosca Gaetano, 44, 61-62, 75, 84<br />

Moscati Amedeo, 94, 116<br />

Moscati Enrico, 39<br />

Moscati Ruggero, 207<br />

Mosconi Antonio, 137<br />

Motta Riccardo, 141<br />

Mozzarelli Cesare, 120<br />

Muggia Giuseppe, 170<br />

Municchi Carlo, 96<br />

Munzani Pietro Doimo, 163<br />

Murgia Giambattista, 45<br />

Mussi Giuseppe, 95<br />

Mussolini Benito, 77, 110, 113, 120-<br />

121, 123, 128, 130-134, 136, 138, 141-<br />

144, 147-149, 154, 161, 167-168<br />

Nada Narciso, 89<br />

Napoleone III, 20<br />

Nasalli Rocca Amedeo, 45, 60, 83<br />

Nathan Giuseppe, 167<br />

Negri Gaetano, 95<br />

Nenni Pietro, 183, 185, 190, 201<br />

Neppi Modona Guido, 80, 178, 211<br />

Nespor Stefano, 120<br />

Nicolis di Robilant Carlo Felice, 47<br />

Nicotera Giovanni, 7, 9, 16, 74, 100<br />

Nigra Costantino, 64, 204-205<br />

Nitti Francesco Saverio, 112-113, 116,<br />

119-120, 128-129, 131, 137, 167<br />

Nobile Osvaldo, 118<br />

Nobile Umberto, 152-154, 156, 188<br />

Nola Gennaro, 41<br />

Nolli Rodrigo, 56<br />

220


Olivetti Adriano, 190<br />

Olivieri Carlo, 118<br />

Orazi Renata, 162<br />

Orazi Vezio, 160-163<br />

Orazio Flacco Quinto, 98<br />

Oriani Alfredo, 90<br />

Orlando Vittorio Emanuele, 109, 127,<br />

129, 131<br />

Orsi Caterina, 205<br />

Orsini Felice, 9<br />

Orsolini Elisabetta, 70<br />

Orsolini Pietro, 10<br />

Ortona Egidio, 163, 194<br />

Ostinelli Anna Rita, 95<br />

Ottolenghi Salvatore, 82, 127<br />

Pacciardi Randolfo, 196<br />

Pacifici Vincenzo, 75, 89<br />

Pacini, 54<br />

Padovani Aurelio, 113<br />

Padula Vincenzo, 6, 11<br />

Padulo Gerardo, 108-109, 111-112<br />

Pagliani Luigi, 81<br />

Pajetta Gian Carlo, 174, 185<br />

Pallavicini di Priola Emilio, 207<br />

Paloscia Annibale, 127<br />

Pandola Ferdinando, 55<br />

Pandola Giulia, 51<br />

Paolella Roberto, 163<br />

Paravia Pier Alessandro, 204<br />

Parri Ferruccio, 189-191<br />

Pasolini Giuseppe, 46, 48, 100<br />

Passannante Giovanni, 9, 77<br />

Passaretti Gennaro, 41<br />

Passerin d’Entrèves Alessandro, 180<br />

Passoni Luigi, 180<br />

Pastorino Giacomo, 177<br />

Pavese Cesare, 174<br />

Pavone Claudio, 180, 206<br />

Pecchioli Virginio, 208<br />

Pedini Mario, 192<br />

Pella Giuseppe, 194, 196<br />

Pellico Silvio, 20<br />

Pelloux Luigi, 77<br />

Perelli Giannotto, 154<br />

Perilli Adolfo, 143<br />

Perla Luigi, 57<br />

Pertini Sandro, 139, 186<br />

Peruzzi Ubaldino, 31, 39, 51-52, 63<br />

Pesce Angelo, 108-114, 128, 131<br />

Pesce Gherardo, 108<br />

Petacco Arrigo, 149<br />

Petitti Bagliani di Roreto Agostino, 40<br />

Pettinengo Ignazio, 88<br />

Pettoleti Clara, 126<br />

Pezzana Aldo, 122, 156<br />

Pezzino Paolo, 28<br />

Pica Giuseppe, 35<br />

Pilati Gaetano, 139<br />

Pilone v. Cozzolino Antonio<br />

Pinelli Giuseppe, 62<br />

Pinelli Tullio, 174<br />

Pinna Felice, 89<br />

Pio XI, 152, 183<br />

Pironti Alberto, 102, 114, 116, 118-123<br />

Pistis Raimondo, 208<br />

Pistone Sergio, 186<br />

Platone Felice, 177-178, 182-183<br />

Plebe Armando, 198<br />

Podestà Agostino, 63<br />

Pomella Vincenzo, 152<br />

Ponta Paolo Giuseppe, 63<br />

Ponti Ettore, 95, 129<br />

Pontremoli Aldo, 152<br />

Ponza di San Martino Gustavo, 64<br />

Porro Angelo, 123<br />

Porto Salvatore, 149<br />

Prati Giovanni, 7<br />

Puozzo Angelo, 63-64, 70<br />

Quaranta Vincenzo, 129<br />

Quasimodo Salvatore, 190<br />

Ragionieri Ernesto, 57<br />

Ragnisco Leonida, 118<br />

Rainero Vittorio, 177<br />

Ramaccini Elfrido, 141<br />

Ramognini Ferdinando, 76<br />

221


Randeraad Nico, 10-11, 85, 90, 100,<br />

102-103, 109, 211<br />

Ranieri Ruggero, 192<br />

Rapone Leonardo, 192<br />

Raponi Nicola, 211<br />

Rattazzi Maria Letizia, 31<br />

Rattazzi Urbano, 21, 33, 39-41, 51, 60,<br />

126<br />

Rattazzi Urbano jr., 95<br />

Ravasio Giuseppe, 82<br />

Ravenna Filippo, 141<br />

Reale Francesco, 37<br />

Regli Francesco, 22<br />

Reifeld, 37<br />

Renato Giuseppe, 82<br />

Renaud de Falicon Ottavia, 72<br />

Renosio Mario, 179<br />

Repaci Antonino, 113<br />

Revere Giuseppe, 7<br />

Ricasoli Bettino, 31, 36, 75<br />

Ricciardi Giuseppe, 54<br />

Righini, 89<br />

Rivas Adelaide, 94<br />

Rizzo Giovanni, 134<br />

Rizzo Maria Marcella, 100<br />

Rizzo Mario, 142<br />

Roberti Gianni, 198, 201<br />

Rocca Giovanni, 178<br />

Roccia, 177<br />

Rogani Giannetto, 162<br />

Rogier Francesco Luigi, 48<br />

Roissard de Bellet Leonardo, 31<br />

Roissard de Bellet Maria, 31<br />

Rolandi Ricci Ottavio, 73<br />

Romagnoli Michele, 70<br />

Romanelli Raffaele, 48, 85, 103<br />

Romani, 10<br />

Romano Liborio, 50<br />

Romano Paolo v. Alatri Paolo<br />

Romita Giuseppe, 180-181, 191<br />

Romita Pierluigi, 201<br />

Romualdi Pino, 196<br />

Ronchi Filippo, 48<br />

Rossi Cesare, 126, 136<br />

Rossi Ernesto, 190<br />

Rossi Giuseppe, 76<br />

Rossi Luigi, 36, 94<br />

Rossi Virgilio, 82<br />

Rossini Giuseppe, 171<br />

Rossini Teresa, 20<br />

Rotelli Ettore, 117<br />

Roux Luigi, 210<br />

Rovito Teodoro, 108<br />

Rubeo Luigi, 204<br />

Rudinì Antonio Starabba, marchese di,<br />

27, 63, 89, 100<br />

Ruffilli Roberto, 118<br />

Russo Giovanni, 109<br />

Riall Lucy, 90<br />

Sabbatini, 141<br />

Sacchi Gaetano, 206-207<br />

Saija Marcello, 149<br />

Salandra Antonio, 36, 61<br />

Salimbeni Teresa, 108<br />

Salvadori Rinaldo, 79<br />

Salvarezza Carlo, 106<br />

Salvarezza Cesare, 102<br />

Salvatorelli Luigi, 149<br />

Salvemini Gaetano, 62, 110, 118, 130,<br />

134, 138-139, 191<br />

Salzano, 36<br />

Samoilovic, 153, 156<br />

Sandri Giorgio, 103<br />

Sanna Carlo, 137<br />

Santagostino Antonio, 98<br />

Saracco Giuseppe, 68<br />

Saraceno Pietro, 38<br />

Saracini Emilio, 127<br />

Saredo Giuseppe, 105-106, 108-109<br />

Sarti Telesforo, 28, 57, 85, 88, 103,<br />

211<br />

Sartori Eugenio, 79<br />

Sauvet Emilia, 17<br />

Savino Edoardo, 122, 138, 149<br />

Sbarbaro Pietro, 104-106<br />

Scalfaro Oscar Luigi, 193, 195-196<br />

Scelsi Giacinto, 24-28<br />

222


Schanzer Carlo, 102, 121<br />

Schuman Robert, 191<br />

Schutz Kurt, 166<br />

Sciacca Gaetano, 82<br />

Scirocco Alfonso, 57<br />

Scorza Carlo, 138<br />

Scotti Alessandro, 182<br />

Sella Quintino, 204<br />

Sensales Giuseppe, 76, 82, 88<br />

Sepe Stefano, 57, 119<br />

Serafini Luigi, 48, 93<br />

Serenelli Alessandro, 27<br />

Serio Mario, 94<br />

Serrati Giacinto Menotti, 128<br />

Serravalle Paolo, 20<br />

Settembrini Luigi, 6, 108<br />

Settimo Ruggero, 50<br />

Sforza Carlo, 189<br />

Siccardi Giuseppe, 204<br />

Sidoli Achille, 24<br />

Sidoli Corinna, 24-25, 27<br />

Sidoli Elvira, 24<br />

Sidoli Giovanni, 24<br />

Sidoli Giuditta, 24, 27-28<br />

Sidoli Maria, 24<br />

Signori, 141<br />

Siliprandi Francesco, 79<br />

Silone Ignazio, 190-191<br />

Sinigaglia Oscar, 193<br />

Sirianni Giuseppe, 154<br />

Sola Giorgio, 75<br />

Solera Antonio, 20<br />

Solera Temistocle, 20-22, 44<br />

Sonnino Sidney, 93<br />

Soragni Agostino, 72<br />

Sorcinelli Paolo, 80<br />

Sormani Moretti Luigi, 72<br />

Spadolini Giovanni, 9<br />

Spanò Aristide, 149<br />

Spano Giuseppe, 120<br />

Spaventa Silvio, 8, 51, 57, 63, 75<br />

Spetia, 141<br />

Spinelli Altiero, 190, 194<br />

Spinelli Antonio, 50<br />

Spinola Francesco, 64<br />

Spreti Vittorio, 72<br />

Spriano Paolo, 128<br />

Sterle Mario, 159<br />

Stopiti Giuseppe, 85<br />

Strigelli Eugenio, 210<br />

Sturzo Luigi, 138, 174, 191, 195<br />

Suardo Giacomo, 133, 159<br />

Taddei Paolino, 131-132<br />

Tambroni Fernando, 196<br />

Tancredi Michelangelo, 78<br />

Taradel Alessandro, 117<br />

Tassoni Celso, 142<br />

Taviani Paolo Emilio, 193<br />

Tedeschi Mario, 196, 198<br />

Tessitore Giovanni, 149<br />

Testori Silvana, 178<br />

Thaon di Revel Paolo, 123<br />

Toaff Elio, 169<br />

Togliatti Palmiro, 140, 185<br />

Togni Giuseppe, 193<br />

Tomasi di Lampedusa Giuseppe, 156<br />

Tommaseo Niccolò, 10<br />

Torelli Luigi, 89-90<br />

Torre Ada, 170<br />

Torta Giovanni, 177<br />

Tosatti Giovanna, 78, 82, 118, 134, 212<br />

Toscanelli Peruzzi Emilia, 31<br />

Toscanini Arturo, 110<br />

Toselli Giovanni Battista, 176<br />

Tosi Luciano, 192<br />

Toulouse-Lautrec Henry de, 97<br />

Tringali Sebastiano, 82<br />

Trionfi Carlo, 60<br />

Trojani Felice, 152, 156<br />

Truman Harry Spencer, 186<br />

Trupiano Giacinto, 162-163<br />

Tuköry Luigi, 15<br />

Turati Augusto, 144<br />

Turati Filippo, 97, 110, 112, 139<br />

Ugolini Romano, 89<br />

Umberto I, 9, 77<br />

223


Umberto II, 156, 168<br />

Ungaretti Giuseppe, 190<br />

Usellini Guglielmo, 196<br />

Vaccari Marcello, 63<br />

Valerio Giacinto, 177<br />

Valerio Lorenzo, 24<br />

Valobra Lelio Vittorio, 169<br />

Valpreda Armando, 184<br />

Vannutelli Vincenzo, 136<br />

Varone, 36<br />

Veglio di Castelletto Emilio, 63-64, 66-<br />

68, 72<br />

Veglio Luisa, 63<br />

Venè Gian Franco, 113<br />

Vercellana Rosa, 72, 98<br />

Verdi Giuseppe, 20-21, 44<br />

Vigevano Attilio, 37<br />

Vigliani Giacomo, 127<br />

Vigliani Paolo Onorato, 55, 73, 106<br />

Viglieri Alfredo, 152<br />

Vigo Pietro, 81<br />

Villa Tommaso, 47<br />

Violante Luciano, 40<br />

Visconti Felice, 78<br />

Visconti Venosta Emilio, 72<br />

Vitali Stefano, 178<br />

Vittorini Elio, 191<br />

Vittorio Emanuele II, 17, 21, 25, 33,<br />

40, 63, 72, 111, 205, 211<br />

Vittorio Emanuele III, 99, 140<br />

Vucetich Juan, 126<br />

Wenzel Umberto, 133<br />

Winspeare Antonio, 100<br />

Zaccagnini Benigno, 201<br />

Zaiotti Adriano, 127<br />

Zanardelli Giuseppe, 10<br />

Zaniboni Tito, 142-143<br />

Zappi Filippo, 152-154<br />

Zavoli Sergio, 134<br />

Zigarelli Giuseppe, 207<br />

Zini Luigi, 62<br />

Zoccoletti Riccardo, 113<br />

Zola Émile, 97<br />

Zoli Corrado, 102, 122<br />

Zolli Israel, 166<br />

Zoppi Angelica, 40<br />

Zoppi Clementina, 30<br />

Zoppi Clementina jr., 40<br />

Zoppi Enrico, 30<br />

Zoppi Enrico jr. 40<br />

Zoppi Giovanni Antonio, 31<br />

Zoppi Giovanni Antonio jr., 40<br />

Zoppi Matilde, 40<br />

Zoppi Ottavio, 30<br />

Zoppi Ottavio jr., 40<br />

Zoppi Vittorio, 30-32, 35-41<br />

Zucchi Mario, 72<br />

Zustovich, 137<br />

224

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