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Num. 37 - Febbraio 2010 - Infodiabetes.it

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Diabetes<br />

THE JOURNAL OF CLINICAL AND APPLIED RESEARCH AND EDUCATION<br />

Care<br />

Spedisce: Officina Grafica srl - Via Matteotti, 4 - 89018 Villa San Giovanni (RC) - Tariffa pagata - Pieghi di libri - Tariffa ridotta ed<strong>it</strong>oriale<br />

Autorizzazione DCO/DC RC/179/2002 valida dal 05.03.2002 - Spedizione senza materiale affrancatura - L. 662/92 art. 2 comma 20 lett. a.<br />

In caso di mancato recap<strong>it</strong>o inviare al CMP/CPO di Reggio Calabria per la rest<strong>it</strong>uzione al m<strong>it</strong>tente previo pagamento resi.<br />

NUMERO TRENTASETTE FEBBRAIO <strong>2010</strong><br />

EDIZIONE ITALIANA A CURA DELL’ASSOCIAZIONE MEDICI DIABETOLOGI<br />

Selezione di articoli da Diabetes Care


Diabetes Care


Antimo Aiello<br />

(Campobasso)<br />

F.M. Gentile<br />

(Mola di Bari)<br />

M.F. Mulas<br />

(Oristano)<br />

Consiglio Direttivo<br />

Presidente:<br />

Sandro Gentile (Napoli)<br />

Vice Presidente:<br />

Carlo Bruno Giorda (Torino)<br />

Consiglieri<br />

G. Armentano<br />

(Rossano Calabro)<br />

V. Manicardi<br />

(Montecchio)<br />

V. Paciotti<br />

(Avezzano)<br />

Segretario: Alessandro Sergi (Pistoia)<br />

Tesoriere: Paolo Foglini (Ascoli Piceno)<br />

A. Di Benedetto<br />

(Messina)<br />

G. Marelli<br />

(Desio)<br />

C. Suraci<br />

(Roma)<br />

Revisori dei conti: Pasqualino Calatola (Salerno);<br />

Agatina Chiavetta (Catania)<br />

AFFILIATA I.D.F. - International Diabetes Federation<br />

Diabetes Care<br />

EDIZIONE ITALIANA<br />

Direttore Scientifico e Ed<strong>it</strong>oriale<br />

Domenico Cucinotta<br />

Com<strong>it</strong>ato Scientifico<br />

Marco Comaschi<br />

Domenico Cucinotta<br />

Sandro Gentile<br />

Segreteria Scientifica Diabetes Care<br />

Dipartimento di Medicina Interna - Policlinico Univers<strong>it</strong>ario<br />

Via C. Valeria 98100 Messina<br />

Tel. 090.2212390-2212430/Fax 090.2921554<br />

E-mail: domenico.cucinotta@unime.<strong>it</strong><br />

Segreteria Amministrativa AMD<br />

Viale delle Milizie, 96 - 00192 Roma<br />

Tel. +39067000599 - Fax +39067000499<br />

E-mail: segreteria@aemmedi.<strong>it</strong><br />

7


INDICE<br />

Prognosi a lungo termine in pazienti diabetici con ischemia<br />

cr<strong>it</strong>ica degli arti inferiori pag. 11<br />

Aumento del rischio di pancreat<strong>it</strong>e acuta e di patologia biliare in<br />

pazienti con diabete di tipo 2 pag. 17<br />

Documento di consenso dell’Association of Clinical Endocrinologists e<br />

dell’American Diabetes Association<br />

sul controllo glicemico nei pazienti ricoverati pag. 22<br />

Confronto tra analoghi dell’insulina e insulina umana nel trattamento dei<br />

pazienti con chetoacidosi diabetica pag. 35<br />

Rapporto dell’International Expert Comm<strong>it</strong>tee sul ruolo del test<br />

dell’HbA1c nella diagnosi di diabete pag. 41<br />

Crisi iperglicemiche in pazienti diabetici adulti pag. 49<br />

Effetti del mon<strong>it</strong>oraggio continuo della glicemia nel diabete di tipo 1<br />

ben controllato pag. 58<br />

Uno scarso controllo glicemico cost<strong>it</strong>uisce un fattore di rischio indipendente<br />

di bassi livelli di colesterolo-HDL in pazienti con diabete di tipo 2 pag. 64<br />

Progressi nel trattamento della retinopatia diabetica pag. 67<br />

9


Prognosi a lungo termine in pazienti<br />

diabetici con ischemia cr<strong>it</strong>ica degli arti<br />

inferiori<br />

Studio di coorte basato sulla popolazione<br />

EZIO FAGLIA, MD 1 MAURIZIO CAMINITI, MD 1<br />

GIACOMO CLERICI, MD 1 VINCENZO CURCI, MD 1<br />

JACQUES CLERISSI, MD 2 ANTONELLA QUARANTIELLO, MD 1<br />

LIVIO GABRIELLI, MD 3 TOMMASO LUPPATTELLI, MD 2<br />

SERGIO LOSA, MD 3 LBERTO MORABITO, PHD 4<br />

MANUELA MANTERO, MD 1<br />

OBIETTIVO – Valutare la prognosi a lungo termine della ischemia cr<strong>it</strong>ica degli arti<br />

inferiori (CLI) nei pazienti diabetici.<br />

DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – 564 pazienti diabetici consecutivi<br />

venivano ricoverati per CLI nel periodo dal gennaio 1999 al dicembre 2003; 554 di<br />

questi venivano segu<strong>it</strong>i fino al dicembre 2007.<br />

RISULTATI – Il follow-up medio era 5.93 ± 1.28 anni. Interventi di angioplastica<br />

periferica (PTA) sono stati esegu<strong>it</strong>i in 420 pazienti (74.5%) e l’innesto di un by-pass<br />

(BPG) in 117 (20.6%) pazienti. Non è stato possibile effettuare PTA o BPG in 27 (4.9%)<br />

pazienti. In 74 pazienti (13.4%) si sono dovute effettuare amputazioni maggiori: 34<br />

(8.2%) in PTA, 24 (21.1%) in BPG e 16 (59.2%) in un gruppo in cui non si erano effettuate<br />

procedure di rivascolarizzazione. In 94 pazienti si aveva restenosi, in 36 il by-pass si<br />

occludeva e vi erano ulcere ricorrenti in 71 pazienti. La CLI si riscontrava nell’ arto<br />

controlaterale di 225 (39.9%) pazienti; per 15 di questi (6.7%) erano necessarie<br />

amputazioni maggiori (valore di P = 0.007 per la frequenza nel controlaterale, rispetto<br />

all’arto iniziale). In totale i pazienti deceduti erano 276 (49.82%). Il modello di Cox<br />

evidenziava hazard ratios (HRs) significativi di mortal<strong>it</strong>à per l’età (1.05 per 1 anno [95%<br />

CI 1.03–1.07]), rivascolarizzazione non effettuabile (3.06 [1.40–6.70]), dialisi (3.00<br />

[1.63–5.53]), anamnesi di patologie cardiache (1.<strong>37</strong> [1.05–1.79]) e frazione di eiezione<br />

compromessa (1.08 per un punto percentuale [1.05–1.09]).<br />

CONCLUSIONI – Nei pazienti diabetici con CLI vi sono alti rischi di amputazione<br />

e decesso. In un centro specializzato nella cura del piede diabetico amputazioni<br />

maggiori, ulcere ricorrenti e amputazioni maggiori dell’arto controlaterale erano<br />

meno frequenti. La malattia coronarica (CAD) è la principale causa di decesso, e nei<br />

pazienti con anamnesi di CAD una frazione di eiezione compromessa rappresenta il<br />

principale fattore prognostico indipendente.<br />

Gli es<strong>it</strong>i della malattia arteriosa periferica<br />

(PAD) nei soggetti diabetici sono<br />

stati ampiamente trattati in letteratura<br />

(1–3). Non siamo tuttavia a conoscenza<br />

di studi prospettici effettuati su una<br />

Diabetes Care 32: 822-827, 2009<br />

popolazione diabetica con ischemia cr<strong>it</strong>ica<br />

degli arti inferiori (CLI). L’obiettivo di<br />

questo studio prospettico è stato quello<br />

di valutare l’impatto prognostico in pazienti<br />

diabetici della diagnosi di CLI, po-<br />

1 Diabetology Center, Diabetic Foot Center, Ist<strong>it</strong>uto Di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico<br />

(IRCCS) Multimedica, Sesto San Giovanni, Milano, Italy; 2 Interventional Radiology Laboratory,<br />

IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni, Milano, Italy; 3 Vascular Surgery Un<strong>it</strong>, Univers<strong>it</strong>y of Milan,<br />

Milan, Italy; 4 Medical Statistics Un<strong>it</strong>, Univers<strong>it</strong>y of Milan, Milan, Italy.<br />

Corresponding author: Giacomo Clerici, giacomo.clerici@multimedica.<strong>it</strong><br />

DIABETES CARE, MAY 2009<br />

sta secondo i cr<strong>it</strong>eri proposti dal Transatlantic<br />

Inter-Society Consensus (TASC)<br />

nel 2000 (4).<br />

DISEGNO DELLA RICERCA E<br />

METODI<br />

Tra il 1 gennaio 1999 ed il 31 dicembre<br />

2003, 564 pazienti diabetici venivano ricoverati<br />

presso il nostro centro di cura del<br />

piede diabetico per CLI. Durante il loro ricovero<br />

i pazienti e le loro famiglie venivano<br />

istru<strong>it</strong>i sulla gestione dei piedi, con o<br />

senza ulcere. L’importanza di recarsi prontamente<br />

presso il nostro centro, a prescindere<br />

dagli appuntamenti già programmati<br />

era enfatizzata in caso di insorgenza di dolori<br />

ischemici a riposo o ulcere, anche se<br />

apparentemente minime. A tutti pazienti<br />

sottoposti a rivascolarizzazione periferica<br />

venivano prescr<strong>it</strong>ti ticlopidina (250<br />

mg/die) in associazione a 100 mg/die di<br />

acido salicilico o 500 mg/die di ticlopidina.<br />

Diagnosi di CLI<br />

Tutti i pazienti diabetici inviati al nostro<br />

centro di cura del piede diabetico per<br />

dolore ischemico a riposo e/o ulcera o<br />

cancrena al piede venivano esaminati per<br />

verificare la presenza di neuropatia sensoriale<br />

motoria, infezioni e CLI. La neuropatia<br />

sensoriale motoria veniva diagnosticata<br />

in base alla presenza di una soglia di percezione<br />

vibratoria >25 V alla biotesiometria,<br />

insensibil<strong>it</strong>à tattile al monofilamento<br />

di Semmes-Weinstein da 10g in >5 su 9<br />

aree del piede e assenza del riflesso del<br />

tendine di Achille. Nei pazienti con ulcere<br />

al piede, la presenza di un’infezione era<br />

indicata da cellul<strong>it</strong>e locale, er<strong>it</strong>ema, o purulenza<br />

con tampone pos<strong>it</strong>ivo. La CLI veniva<br />

diagnosticata nei pazienti con pressione<br />

alla caviglia, ove misurabile,


DIABETES CARE, MAY 2009<br />

procedura di rivascolarizzazione (gruppo<br />

PTA) (5). Gli interventi di PTA venivano<br />

effettuati frequentemente: nessuna stenosi<br />

o occlusione erano considerate a priori<br />

non adatte alla ricanalizzazione mediante<br />

PTA. Stenosi o occlusioni di lunghezza<br />

>10 cm e stenosi multiple consecutive (tipi<br />

C e D delle stratificazioni morfologiche<br />

delle ostruzioni defin<strong>it</strong>e dal TASC - Transatlantic<br />

Inter-Society Consensus) erano<br />

trattate, ove possibile, mediante PTA; non<br />

era possibile effettuare la PTA quando il<br />

passaggio del catetere a palloncino non<br />

era consent<strong>it</strong>o da occlusioni calcificate. La<br />

ricanalizzazione arteriosa era considerata<br />

riusc<strong>it</strong>a quando si otteneva un flusso diretto<br />

che raggiungeva il piede in almeno una<br />

arteria, senza che vi fossero stenosi residue<br />

significative lungo l’intera arteria.<br />

Nel caso in cui la PTA non si poteva effettuare,<br />

l’innesto di un bypass (BPG) veniva<br />

preso in considerazione (gruppo<br />

BPG). Il BPG veniva effettuato mediante<br />

clamp intraluminale e tecnica microchirurgica.<br />

Se presente ed in buone condizioni,<br />

la vena safena autogena veniva utilizzata<br />

per l’innesto. Nel caso in cui non fosse disponibile,<br />

si adottavano protesi alloplastiche<br />

(in pol<strong>it</strong>etrafluoroetilene [PTFE]) e l’anastomosi<br />

periferica consisteva in un cuff<br />

venoso. Pertanto la mancanza di una vena<br />

safena disponibile e run off dello score angiografico<br />

>7 punti sulla scala Rutherford<br />

(6) non precludevano ai pazienti la possibil<strong>it</strong>à<br />

di rivascolarizzazione distale; diversamente,<br />

per tali pazienti l’unica possibil<strong>it</strong>à<br />

sarebbe stata quella di ricorrere a<br />

un’amputazione maggiore. Quando non<br />

era possibile effettuare né PTA né BPG, ai<br />

pazienti veniva prescr<strong>it</strong>ta terapia con prostanoidi<br />

(60–120 µg/die alprostadil-α-ciclodestrina)<br />

per un periodo di 5 giorni<br />

successivi all’angiografia.<br />

Miglioramenti emodinamici<br />

I valori di TcPO 2 venivano ricontrollati<br />

5–10 giorni dopo PTA, BPG, o infusione<br />

di prostanoidi.<br />

End point<br />

Gli end-point registrati erano: amputazione<br />

al di sopra della caviglia, ulcera ricorrente,<br />

restenosi clinica in segu<strong>it</strong>o a PTA,<br />

BPG non riusc<strong>it</strong>o, CLI, amputazione maggiore<br />

dell’arto controlaterale e sopravvivenza.<br />

Amputazioni<br />

Il salvataggio dell’arto veniva considerato<br />

riusc<strong>it</strong>o quando la posizione plantare<br />

veniva mantenuta, anche se mediante amputazione<br />

dell’avampiede alla linea tarsometatarsale<br />

(7). Al contrario, qualsiasi amputazione<br />

al di sopra della caviglia era<br />

considerata amputazione maggiore, ed era<br />

considerata un fallimento. Essa veniva effettuata<br />

quando le terapie non alleviavano<br />

12<br />

il dolore a riposo nei pazienti o quando la<br />

cancrena si era estesa oltre l’articolazione<br />

di Chopart.<br />

Restenosi in segu<strong>it</strong>o a PTA<br />

Vi era il sospetto di restenosi alla ricomparsa<br />

di dolore ischemico a riposo, o<br />

al peggioramento o alla mancata guarigione<br />

di una lesione. In tali s<strong>it</strong>uazioni si ricontrollavano<br />

pressione alla caviglia e Tc-<br />

PO 2 e veniva esegu<strong>it</strong>o un duplex scanning<br />

(8). Se pressione alla caviglia e TcPO 2 evidenziavano<br />

nuovamente valori diagnostici<br />

di CLI e se risultavano significativamente<br />

peggiorati (50% del<br />

diametro dell’arteria s<strong>it</strong>uate esclusivamente<br />

nell’asse iliaco-femoro-popl<strong>it</strong>eo in 28 pazienti<br />

(6.8%) e s<strong>it</strong>uate esclusivamente nell’asse<br />

infrapopl<strong>it</strong>eo in 1<strong>37</strong> soggetti (32.2%).<br />

Le ostruzioni si trovavano sia nell’asse ilia-<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


DIABETES CARE, MAY 2009<br />

Tabella 1 – Caratteristiche demografiche e cliniche della popolazione (n = 554) all’ingresso nello studio nei pazienti non rivascolarizzati<br />

e rivascolarizzati con PTA o BPG<br />

Variabili Gruppo Gruppo P Gruppo Gruppo non P<br />

PTA BPG rivascolarizzato rivascolarizzato<br />

n 413 114 527 27<br />

Età (anni) 69.7 ± 9.5 69.9 ± 9.4 0.910 69.8 ± 9.5 76.7 ± 10.4 0.001<br />

Donne 146 (35.4) 35 (30.7) 0.7<strong>37</strong> 181 (34.3) 13 (48.1) 0.152<br />

Terapia insulinica 254 (61.5) 73 (64.0) 0.664 327 (62.2) 14 (51.9) 0.314<br />

Durata del diabete (anni) 17.7 ± 11.4 14.9 ± 9.9 0.020 17.1 ± 11.1 13.4 ± 10.0 0.013<br />

Glicemia (a inizio studio) (mg/dl) 177.9 ± 72.9 187.6 ± 9.7 0.187 180.7 ± 71.8 177.7 ± 52.3 0.147<br />

Glicemia (al termine dello studio) (mg/dl) 139.6 ± 47.3 134.2 ± 43.7 0.082 138.1 ± 45.5 138.2 ± 63.1 1.126<br />

HbA1c (%) 7.6 ± 1.7 7.8 ± 1.5 0.625 7.7 ± 1.6 7.5 ± 1.1 0.579<br />

Neuropatia motoria sensoriale 340 (82.3) 92 (80.7) 0.681 441 (82.1) 24 (88.9) 0.599<br />

Escrezione di albumina (mg/l) (n = 522) 259.8 ± 529.7 283.9 ± 721.3 0.832 264 ± 559.9 251.6 ± 363.6 0.932<br />

Creatinina (mg/dl) (n = 522) 1.29 ± 0.5 1.25 ± 0.4 0.470 1.28 ± 0.5 1.15 ± 0.36 0.208<br />

Dialisi 24 (5.7) 8 (7.0) 0.650 32 (6.0) – –<br />

Terapia anti-ipertensiva 298 (72.2) 72 (63.2) 0.065 <strong>37</strong>0 (70.2) 20 (74.1) 0.830<br />

Anamnesi di malattia cardiaca 225 (54.8) 64 (59.0) 0.566 289 (53.8) 24 (88.9) 0.003<br />

Frazione di eiezione (n = 313) 49.1 ± 10.8 49.6 ± 10.1 0.700 49.2 ± 10.5 38.34 ± 8.4 0.001<br />

Anamnesi di ictus 53 (18.8) 18 (15.8) 0.439 71 (13.8) 9 (33.3) 0.009<br />

Fumatori 61 (14.8) 19 (16.7) – – –<br />

Colesterolo totale (mg/dl) 181.2 ± 43.6 188.0 ± 42.6 0.943 183.0 ± 43.1 186.7 ± 41.8 0.992<br />

Colesterolo HDL (mg/dl) 42.1 ± 13.6 43.7 ± 11.2 0.978 42.6 ± 13.1 48.6 ± 19.8 0.070<br />

Trigliceridi (mg/dl) 143.6 ± 87.6 1<strong>37</strong>.6 ± 61.9 0.838 142.7 ± 81.1 149.4 ± 175.1 0.762<br />

Grado Wagner 0 62 (16.0) 16 (14.0) 0.882 78 (14.8) 3 (11.0) 0.783<br />

Grado Wagner 1 63 (15.3) 14 (12.3) 0.549 77 (14.6) 5 (18.5) 0.578<br />

Grado Wagner 2 59 (14.3) 14 (12.3) 0.648 73 (13.9) 5 (18.5) 0.567<br />

Grado Wagner 3 41 (9.9) 11 (9.6) 1.000 52 (9.9) 3 (11.1) 0.743<br />

Grado Wagner 4 188 (45.6) 59 (51.8) 0.245 247 (46.9) 11 (40.7) 0.560<br />

Ulcera infetta 268 (64.9) 72 (63.2) 0.741 340 (64.5) 17 (63.0) 0.892<br />

Dolore ischemico a riposo 309 (74.8) 92 (80.7) 0.216 401 (76.1) 25 (92.6) 0.059<br />

I dati sono medie ± SD o n (%).<br />

co-femoro-popl<strong>it</strong>eo che nell’asse infrapopl<strong>it</strong>eo<br />

in 248 pazienti (60.0%). Prima dell’intervento<br />

di PTA i valori medi di TcPO 2<br />

erano 15.3 ± 11.9 mmHg e dopo l’intervento<br />

44.9 ± 12.1 mmHg (P < 0.001). Gli interventi<br />

di BPG sono stati effettuati su 114<br />

(20.6%) pazienti. Secondo la scala di<br />

Rutherford il runoff era 6.4 ± 2.6. Il BPG era<br />

axillo-femorale in un paziente, femoro-popl<strong>it</strong>eo<br />

(15 PTFE, 44 innesto venoso) in 58<br />

pazienti, e femoro-infrapopl<strong>it</strong>eo (16 PTFE,<br />

39 innesto venoso) in 55 pazienti. Prima<br />

dell’intervento di BPG i livelli medi di Tc-<br />

PO 2 erano 10.2 ± 10.3 mmHg, dopo l’intervento<br />

38.8 ± 11.9 mmHg (P < 0.001).<br />

Non era possibile effettuare un PTA o<br />

un BPG in 27 (4.8%) pazienti, per via dell’alto<br />

rischio chirurgico (7 pazienti) o per<br />

mancato deflusso (20 pazienti). Questi<br />

pazienti ricevevano trattamento con prostanoidi<br />

per 5 giorni durante il ricovero<br />

in ospedale, dopo l’angiografia. Prima<br />

del trattamento con prostanoidi i valori<br />

medi di TcPO 2 erano 7.0 ± 8.1 mmHg e<br />

dopo il trattamento 11.4 ± 8.6 mmHg (P =<br />

0.055). Dopo la rivascolarizzazione non<br />

si osservava alcuna differenza significativa<br />

nei valori di TcPO 2 tra i gruppi PTA e<br />

BPG (P = 0.690). Al contrario, si osserva-<br />

va una differenza significativa tra i pazienti<br />

rivascolarizzati e quelli non rivascolarizzati<br />

(P < 0.001).<br />

Amputazioni minori<br />

Per 440 pazienti rivascolarizzati con<br />

lesioni al piede vi era una completa guarigione<br />

delle lesioni: in 93 pazienti non si<br />

sono effettuate amputazioni minori (medicazione<br />

al piede per 35 pazienti, 12 rimozioni<br />

ossee, 16 ulcerectomie e 30 innesti<br />

cutanei). 93 pazienti subivano amputazione<br />

delle d<strong>it</strong>a dei piedi o del raggio e<br />

254 pazienti subivano amputazioni alla<br />

linea tarso-metatarsiale. Su 13 pazienti<br />

non rivascolarizzati che non subivano<br />

amputazioni maggiori, 10 avevano ulcere<br />

al piede. Per 2 di questi vi era una<br />

guarigione completa con la medicazione,<br />

mentre 8 pazienti non mostravano né<br />

guarigione né peggioramento. Per tutti e<br />

13 i pazienti non rivascolarizzati il dolore<br />

diminuiva ma persisteva e la somministrazione<br />

di farmaci analgesici veniva diminu<strong>it</strong>a<br />

ma non interrotta.<br />

Amputazioni maggiori<br />

Si sono effettuate amputazioni maggiori<br />

su un totale di 74 (13.4%) pazienti, 23 in<br />

fase precoce e 51 durante il follow-up (incidenza<br />

totale annua: 3.72%).<br />

In segu<strong>it</strong>o all’intervento di PTA, 6 amputazioni<br />

maggiori si sono rese necessarie<br />

entro 30 giorni e 28 sono state esegu<strong>it</strong>e durante<br />

il follow-up, con un’incidenza annua<br />

del 2.3%. Successivamente all’intervento di<br />

BPG, 3 amputazioni maggiori si sono rese<br />

necessarie entro 30 giorni e 21 sono state<br />

esegu<strong>it</strong>e durante il follow-up, con un’incidenza<br />

annua del 5.4%. Nei pazienti che<br />

non sono stati rivascolarizzati sono state<br />

necessarie 14 amputazioni maggiori entro<br />

30 giorni e 2 durante il follow-up, con<br />

un’incidenza annua del 34.3%.<br />

A 30 giorni non vi erano differenze significative<br />

riguardo alle amputazioni maggiori<br />

tra i gruppi PTA e BPG (P = 0.414), ma<br />

durante il follow-up la differenza risultava<br />

significativa (P < 0.001). Vi erano differenze<br />

fortemente significative riguardo alle amputazioni<br />

maggiori tra i due gruppi (rivascolarizzati<br />

e non rivascolarizzati), sia in fase<br />

precoce (χ 2 = 162.6054, P < 0.001) che durante<br />

il follow-up (χ 2 = 64.3614, P < 0.001).<br />

L’analisi multivariata confermava i<br />

ruoli indipendenti della non rivascolarizzazione<br />

(odds ratio 35.9 [95% CI<br />

12.9–99.7], P < 0.001), dell’occlusione di cia-<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 13


DIABETES CARE, MAY 2009<br />

scuna delle arterie crurali (8.20 [1.35–49.6],<br />

P= 0.022), della dialisi (4.7 [1.9–11.7], P =<br />

0.001) e delle infezioni (2.1 [1.3–3.6], P =<br />

0.004). L’analisi mostra che un alto valore<br />

di TcPO 2 dopo il trattamento ha un effetto<br />

protettivo (0.8 [0.74–0.87], P < 0.001).<br />

Restenosi post PTA<br />

Successivamente all’intervento di PTA,<br />

vi era un totale di 127 casi di restenosi cliniche<br />

in 94 pazienti (incidenza annua:<br />

6.4%). La restenosi era diagnosticata in 100<br />

dei soggetti inser<strong>it</strong>i nello studio sulla base<br />

della mancata guarigione, in presenza o assenza<br />

di dolore ed in 27 soggetti per nuovo<br />

insorgere del dolore a riposo senza una lesione<br />

al piede. L’arto ischemico veniva rivascolarizzato<br />

ancora una volta in 81 pazienti;<br />

72 pazienti venivano sottoposti ad<br />

un ulteriore intervento di PTA e 9 a BPG.<br />

Questi interventi non erano effettuabili nei<br />

13 pazienti rimanenti; era dunque necessaria<br />

un’amputazione maggiore. In segu<strong>it</strong>o al<br />

secondo intervento di PTA, in 29 pazienti<br />

era necessario un ulteriore intervento per<br />

diastasi della fer<strong>it</strong>a chirurgica.<br />

BPG non riusc<strong>it</strong>o<br />

Il numero totale di interventi di BPG<br />

non riusc<strong>it</strong>i ammontava a 36 (incidenza annua:<br />

8.8%). In 15 di questi si effettuava un<br />

ulteriore intervento di PTA o BPG. In 21<br />

pazienti non in grado di sostenere un’ulteriore<br />

rivascolarizzazione dopo PTA o BPG<br />

era necessaria un’amputazione maggiore.<br />

In tutti i suddetti 21 pazienti l’amputazione<br />

maggiore veniva effettuata per il nuovo<br />

insorgere di dolore ischemico a riposo, in<br />

presenza o assenza di ulcere. Dopo la ricanalizzazione<br />

dell’innesto in 2 pazienti era<br />

necessario un ulteriore intervento per diastasi<br />

della fer<strong>it</strong>a chirurgica.<br />

Ricorrenza di ulcere<br />

In totale 71 pazienti venivano nuovamente<br />

ricoverati presso il nostro ospedale<br />

per la insorgenza di nuova ulcera senza<br />

evidenza di CLI (incidenza annua: 4.3%).<br />

Secondo la scala di Wagner, queste ulcere<br />

erano di grado 1 in 57 pazienti, 2 in 11 pazienti<br />

e 4 in 3 pazienti. Tutte le lesioni guarivano<br />

senza bisogno di una amputazione<br />

maggiore; per 7 pazienti si rendeva necessaria<br />

l’amputazione delle d<strong>it</strong>a dei piedi e<br />

per 64 pazienti non erano necessarie amputazioni<br />

minori. Non si osservavano ulcere<br />

ricorrenti nei pazienti che avevano restenosi<br />

post-PTA o interventi di BPG non riusc<strong>it</strong>i<br />

durante il follow-up.<br />

Incidenza di CLI e amputazione dell’arto<br />

controlaterale<br />

La CLI nell’arto controlaterale si osservava<br />

in 225 (40.6%) pazienti (incidenza annua:<br />

14,76%). Un’amputazione maggiore<br />

nell’arto controlaterale è stata effettuata su<br />

15 (6.7%) pazienti. La frequenza delle am-<br />

14<br />

Tabella 2 – Cause di decesso nella popolazione<br />

studiata (n = 554)<br />

Causa di decesso<br />

n 276<br />

Malattia cardiaca 179 (64.9)<br />

Ictus 35 (12.7)<br />

Cancro 28 (10.1)<br />

Embolia polmonare 4 (1.4)<br />

Aneurisma 2 (0.7)<br />

Insufficienza renale 6 (2.2)<br />

Malattie gastroenteriche 4 (1.4)<br />

Cirrosi 5 (1.8)<br />

Polmon<strong>it</strong>e 4 (1.4)<br />

Deperimento senile 7 (2.5)<br />

Shock settico 1 (0.4)<br />

Suicidio 1 (0.4)<br />

I dati sono n. (%).<br />

putazioni era significativamente più bassa<br />

per l’arto controlaterale rispetto all’arto<br />

originariamente affetto da CLI (_ 2 = 7.3, P<br />

= 0.007).<br />

Sopravvivenza<br />

I pazienti deceduti ammontavano a<br />

276 (49.8%), 4 a 30 giorni e 272 durante il<br />

follow-up, con un’incidenza annua del<br />

12.53%. Nella Tabella 2 sono riportate le<br />

cause del decesso.<br />

L’incidenza annuale dei decessi non<br />

differiva tra i pazienti che erano stati sottoposti<br />

a PTA (n = 202; 48.9%) e quelli sottoposti<br />

a BPG (n = 51, 44.7%; _ 2 0.74, P =<br />

0.391). La Figura 1 riporta le stime di amputazione<br />

e sopravvivenza calcolate col<br />

metodo Kaplan-Meier per i pazienti sottoposti<br />

a PTA, BPG, o non rivascolarizzati.<br />

La malattia cardiaca era la principale causa<br />

di decesso, con un’incidenza annua<br />

dell‘8.1%. La malattia cardiaca era dovuta<br />

a infarto acuto del miocardio in 89 (49.7%),<br />

collasso cardiaco in 72 (40.0%), e morte improvvisa<br />

in 18 (10.1%) pazienti.<br />

L’analisi multivariata delle variabili che<br />

risultavano associate nell’analisi univariata<br />

ha confermato i ruoli indipendenti di età<br />

(hazard ratio 1.05 per 1 anno, P < 0.001,<br />

95% CI 1.03–1.07), rivascolarizzazione periferica<br />

non effettuabile (3.06, P < 0.005,<br />

1.40–6.70), dialisi (3.00, P < 0.001, 1.63–5.53)<br />

e anamnesi di malattia cardiaca (1.<strong>37</strong>,<br />

1.05–1.79). Nei pazienti con anamnesi di<br />

malattia cardiaca la frazione di eiezione<br />

compromessa era indipendentemente associata<br />

al decesso (1.08 per un punto percentuale,<br />

P < 0.001, 1.05–1.09).<br />

CONCLUSIONI<br />

La PAD è una complicanze del diabete<br />

sottostimata (12). La CLI è una complicanza<br />

ancora più sottostimata (13,14). Per i pazienti<br />

diabetici l’insorgenza della CLI costi-<br />

tuisce un evento drammatico; il rischio di<br />

amputazioni maggiori e di decesso è notevole.<br />

Un’adeguata gestione della CLI potrebbe<br />

migliorare le cose. Rispetto ai dati<br />

riportati in letteratura, la frequenza delle<br />

amputazioni maggiori era decisamente minore<br />

nei nostri pazienti rivascolarizzati, sia<br />

nelle fasi iniziale che durante il follow-up<br />

(15). Ciò è molto probabilmente dovuto alla<br />

capac<strong>it</strong>à del nostro centro di cura del<br />

piede di eseguire tecniche di rivascolarizzazione<br />

sia endoluminali che chirurgiche e<br />

di applicarle su > 95% dei pazienti. La frequenza<br />

delle amputazioni era notevolmente<br />

più bassa nei pazienti rivascolarizzati rispetto<br />

a quelli che non potevano essere<br />

sottoposti a rivascolarizzazione (16). Inoltre,<br />

la frequenza delle amputazioni sarebbe<br />

stata certamente più alta se in quest’ultimo<br />

gruppo di pazienti non vi fosse stata una<br />

elevata mortal<strong>it</strong>à. Nonostante i livelli ottimali<br />

di rivascolarizzazione del nostro centro,<br />

è ancora necessario diminuire la frequenza<br />

delle amputazioni maggiori. È anche<br />

necessaria un’eccellente capac<strong>it</strong>à diagnostica<br />

e un programma adeguato per la<br />

gestione delle ulcere dopo la rivascolarizzazione<br />

(17).<br />

Nella recente letteratura, particolarmente<br />

nell’ultima relazione Cochrane, è<br />

stato evidenziato che le rivascolarizzazione<br />

chirurgiche ed endoluminali avevano es<strong>it</strong>i<br />

simili in termini di mortal<strong>it</strong>à e amputazioni<br />

maggiori (18,19). Anche noi abbiamo riscontrato<br />

frequenze simili per le amputazioni<br />

con le due procedure nella fase iniziale,<br />

ma durante il follow-up le amputazioni<br />

erano più frequenti del gruppo BPG<br />

rispetto al gruppo PTA. Tale differenza era<br />

evidenziata dalle curve di Kaplan-Meier<br />

nella fase finale del follow-up. Al momento<br />

dell’inserimento nello studio, tra i due<br />

gruppi l’unico parametro significativamente<br />

diverso era il livello di TcPO 2 . Nel<br />

nostro protocollo, tuttavia, l’intervento di<br />

BPG veniva effettuato soltanto quando la<br />

PTA era impossibile; è stata quindi effettuata<br />

una selezione dei pazienti con arteriopatia<br />

più severa. Comunque, il messaggio<br />

più importante emerso da questo studio<br />

riguardo al trattamento dei pazienti<br />

diabetici con CLI era nell’enorme differenza<br />

nel numero di amputazioni tra i pazienti<br />

rivascolarizzati e non; tale differenza era<br />

evidente sia nella fase iniziale che durante<br />

tutto il follow-up. Si è dunque riscontrato<br />

che la riusc<strong>it</strong>a di una rivascolarizzazione<br />

era più importante della tipologia di rivascolarizzazione<br />

adottata.<br />

Un nuovo ricovero si verificava frequentemente,<br />

a causa di un fallimento tardivo<br />

della rivascolarizzazione (per restenosi<br />

post-PTA o per BPG non riusc<strong>it</strong>o). Abbiamo<br />

riscontrato che la terapia antipiastrinica<br />

giocava un ruolo importante sia nella<br />

restenosi post PTA che nel BPG non riusc<strong>it</strong>o<br />

(abbiamo cioè osservato che spesso ai<br />

pazienti erano state prescr<strong>it</strong>te dosi di ticlo-<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


Figura 1 – Stime effettuate col metodo Kaplan-Meier per amputazione maggiore (A) è sopravvivenza<br />

(B) in pazienti non rivascolarizzati (NO REV) o rivascolarizzati con PTA o BPG.<br />

pidina insufficienti). Molti pazienti, tuttavia,<br />

in particolare coloro nei quali si verificava<br />

restenosi post-PTA, venivano sottoposti<br />

a ulteriore rivascolarizzazione, scongiurando<br />

così l’amputazione. Questi eventi<br />

hanno influ<strong>it</strong>o sull’alto numero di ricoveri<br />

in ospedale necessari per minimizzare la<br />

frequenza delle amputazioni maggiori. I<br />

nostri dati coincidono interamente con<br />

quelli di altri autori che hanno anche riscontrato<br />

che per la suddetta popolazione<br />

erano necessarie molteplici procedure e ricoveri<br />

(20).<br />

L’incidenza delle ulcere ricorrenti era<br />

bassa (~13% in un periodo di 6 anni) in<br />

questo studio, rispetto a quanto riportato<br />

in letteratura (stimata al 50% in un periodo<br />

di 2–5 anni) (21). R<strong>it</strong>eniamo che tale minore<br />

ricorrenza si sia ottenuta grazie alle<br />

istruzioni date ai pazienti, al rapporto instauratosi<br />

tra medici e pazienti e alla protezione<br />

data dalle calzature terapeutiche<br />

(22).<br />

In quasi la metà della popolazione del<br />

nostro studio la CLI insorgeva nell’arto<br />

controlaterale in un periodo di ~6 anni. Vi<br />

sono pochi dati in letteratura riguardanti il<br />

destino dell’arto controlaterale in una popolazione<br />

diabetica con precedente CLI in<br />

un arto. Dati pubblicati nei primi anni del<br />

nuovo millennio riportavano indagini riguardanti<br />

gli arti controlaterali in pazienti<br />

selezionati per amputazioni maggiori dell’arto<br />

inizialmente affetto, pazienti con lesioni<br />

miste o pazienti con neuropatia o<br />

ischemia (23). A parte la rilevanza epidemiologica<br />

dei nostri dati sull’incidenza della<br />

CLI, abbiamo riscontrato che le amputa-<br />

DIABETES CARE, MAY 2009<br />

zioni negli arti controlaterali al di sopra<br />

della caviglia risultavano significativamente<br />

diminu<strong>it</strong>e rispetto a quelle negli arti inizialmente<br />

colp<strong>it</strong>i, col conseguente impatto<br />

pos<strong>it</strong>ivo sulla gestione della CLI nei pazienti<br />

diabetici. Tale risultato dimostra che<br />

riconoscendo per tempo la patologia e indirizzando<br />

prontamente i pazienti presso il<br />

nostro centro di cura del piede si è potuto<br />

dare inizio al trattamento in condizioni più<br />

favorevoli per contrastare la CLI. La prognosi<br />

riguardante l’arto controlaterale risultava<br />

dunque più promettente di quella<br />

per l’arto inizialmente affetto.<br />

È un fatto noto che il decesso associato<br />

alla malattia cardiaca si verifichi molto più<br />

frequentemente dell’amputazione nei pazienti<br />

diabetici e non diabetici affetti da<br />

PAD. È anche noto che l’aspettativa di v<strong>it</strong>a<br />

è correlata negativamente alla sever<strong>it</strong>à dell’arteriopatia<br />

(24). Dunque, considerata la<br />

tardiva insorgenza della CLI, il fatto che in<br />

questo studio l’età avesse un valore prognostico<br />

indipendente riguardo all’aspettativa<br />

di v<strong>it</strong>a non deve sorprendere (25). Forse<br />

sarebbe stato possibile aumentare il livello<br />

di sopravvivenza in questi pazienti<br />

se, durante il ricovero in ospedale per la<br />

CLI, avessimo considerato l’opzione di<br />

trattare con maggiore attenzione la malattia<br />

arteriosa coronarica (CAD) esistente, o<br />

avessimo valutato la possibil<strong>it</strong>à di un’ischemia<br />

silente in pazienti senza un’anamnesi<br />

di malattia cardiaca. In futuro saranno<br />

necessari studi ad hoc per esaminare tale<br />

questione.<br />

I dati qui riportati suggeriscono che un<br />

trattamento aggressivo della CLI nei pazienti<br />

diabetici, come quello praticato presso<br />

il nostro centro di cura del piede diabetico,<br />

ha reso possibile la diminuzione delle<br />

amputazioni maggiori nell’arto inizialmente<br />

affetto, con una diminuzione ancora<br />

maggiore per l’arto controlaterale. La CAD<br />

ha rappresentato la maggiore causa di decesso<br />

e nei pazienti con anamnesi di CAD<br />

le frazione di eiezione compromessa rappresentava<br />

il principale fattore prognostico<br />

indipendente.<br />

Bibliografia<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 15


DIABETES CARE, MAY 2009<br />

16<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


DIABETES CARE, MAY 2009<br />

Aumento del rischio di pancreat<strong>it</strong>e acuta<br />

e di patologia biliare in pazienti con<br />

diabete di tipo 2<br />

Studio retrospettivo di coorte<br />

REBECCA A. NOEL, DRPH, MSPH 1 RUTH E. PATTERSON, PHD 2<br />

DANIEL K. BRAUN, MD, PHD 1 GARY L. BLOOMGREN, MD, MBA 2<br />

OBIETTIVO – L’obiettivo di questo studio era di valutare il rischio di pancreat<strong>it</strong>e<br />

acuta nei pazienti con diabete di tipo 2 rispetto a pazienti non diabetici. Abbiamo<br />

anche esaminato il rischio di malattie biliari (defin<strong>it</strong>e come verificarsi di colel<strong>it</strong>iasi,<br />

colecist<strong>it</strong>e acuta o colecistectomia), che è una delle principali cause di pancreat<strong>it</strong>e.<br />

DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – Abbiamo condotto uno studio<br />

retrospettivo di coorte utilizzando un database contenente certificazioni per richieste<br />

di assistenza medica emesse in diverse aree geografiche degli Stati Un<strong>it</strong>i. I pazienti<br />

eleggibili (≥ 18 anni) erano arruolati nello studio per un periodo di almeno 12 mesi<br />

consecutivi (1999-2005), senza eventi incidenti di pancreat<strong>it</strong>e o malattia biliare durante<br />

il periodo basale di un anno. Per identificare i pazienti con diabete di tipo 2 si sono<br />

utilizzati i codici ICD -9 e le registrazioni delle prescrizioni; si sono utilizzati i codici<br />

ICD-9 anche per identificare i casi di pancreat<strong>it</strong>e e malattia biliare. 3<strong>37</strong>.067 pazienti<br />

diabetici di tipo 2 sono stati appaiati per età e sesso con 3<strong>37</strong>.067 pazienti non diabetici.<br />

Incidenza della malattia e 95% CI sono stati calcolati per 100.000 persone-anno di<br />

esposizione.<br />

RISULTATI – La coorte formata da soggetti con diabete di tipo 2 aveva un rischio di<br />

pancreat<strong>it</strong>e 2,83 volte maggiore (95% CI 2.61–3.06) e 1,91 volte maggiore di malattia<br />

biliare (1.84–1.99) rispetto alla coorte formata dai soggetti non diabetici.<br />

Relativamente ai pazienti non diabetici di età corrispondente, i pazienti con diabete di<br />

tipo 2 di più giovane età avevano il più alto rischio di pancreat<strong>it</strong>e (


DIABETES CARE, MAY 2009<br />

Tabella 1 – Cr<strong>it</strong>eri di selezione dei pazienti per uno studio retrospettico sulle richieste di prestazioni mediche per il diabete contenute<br />

in un database, per verificare il rischio di pancreat<strong>it</strong>e o malattia biliare associate al diabete di tipo 2<br />

come la data alla quale il paziente accumulava<br />

un anno continuato di inclusione<br />

nello studio (periodo basale).<br />

La Tabella 1 mostra la procedura di selezione<br />

dei pazienti. I pazienti venivano<br />

assegnati alla coorte non diabetica se, durante<br />

il periodo di studio, non vi erano<br />

certificazioni di diabete a loro nome (codice<br />

ICD-9 250.xx), nessuna richiesta di farmaci<br />

antidiabetici, né una richiesta di prestazione<br />

medica specifica (n = 6.947.299). I<br />

pazienti venivano assegnati alla coorte<br />

diabetica di tipo 2 se, durante il periodo<br />

dello studio, vi era una richiesta di prestazione<br />

medica per il diabete di tipo 2 a loro<br />

nome (250.x0 o 250.x2) ed una prescrizione<br />

medica emessa per farmaci antidiabetici<br />

(n = 386.369). I farmaci antidiabetici erano<br />

defin<strong>it</strong>i come biguanidi, sulfoniluree,<br />

tiazolidinedioni, inib<strong>it</strong>ori dell’α-glucosidasi,<br />

megl<strong>it</strong>inidi, derivati della d-fenilalanina,<br />

pramlintide, exenatide o insulina. I pazienti<br />

certificati con diabete di tipo 1 a cui<br />

era prescr<strong>it</strong>ta la sola terapia insulinica<br />

(250.x1 o 250.x3) erano esclusi dallo studio<br />

(n = 352.633 pazienti rimanenti).<br />

Soltanto i pazienti il cui sesso era noto<br />

sono stati inclusi nell’una o nell’altra coorte.<br />

Le coorti erano appaiate 1:1 per sesso<br />

ed età (n = 352.569). Sono state utilizzate<br />

per quest’analisi le coppie i cui dati riguardanti<br />

le richieste di assistenza erano disponibili<br />

dopo l’appaiamento (n =<br />

3<strong>37</strong>.067).<br />

18<br />

I pazienti con pancreat<strong>it</strong>e acuta (codice<br />

ICD-9 577.0), colel<strong>it</strong>iasi (574.2x, 574.5x,<br />

574.9x, 576.1x e 576.2x), colecist<strong>it</strong>e acuta<br />

(574.0x, 574.3x, 574.6x, 574.8x, 575.0 e<br />

575.12) e colecistectomia (51.2x) venivano<br />

identificati del relativo codice di diagnosi<br />

apportato su ogni richiesta medica. Per far<br />

sì che questo studio restasse focalizzato<br />

soltanto sull’incidenza della malattia, i pazienti<br />

venivano esclusi se si verificava l’insorgenza<br />

della malattia durante l’anno del<br />

periodo basale. In particolar modo, relativamente<br />

all’analisi della pancreat<strong>it</strong>e, i pazienti<br />

venivano esclusi se vi era un qualsiasi<br />

riferimento a pancreat<strong>it</strong>e acuta o cronica<br />

nel corso dell’anno precedente all’inclusione<br />

nello studio. Relativamente all’analisi<br />

per patologia, i pazienti venivano<br />

esclusi in presenza di qualsiasi riferimento<br />

a colel<strong>it</strong>iasi, colecist<strong>it</strong>e acuta o colecistectomia<br />

nel corso dell’anno precedente all’inclusione<br />

nello studio. Richieste di assistenza<br />

per prestazioni radiologiche o di laboratorio<br />

o per altre patologie non venivano<br />

utilizzate per identificare l’insorgenza della<br />

malattia.<br />

Il tempo totale di rischio aveva inizio<br />

alla data indice e terminava alla data della<br />

prima insorgenza, o alla data di esclusione<br />

dallo studio o alla data del termine dello<br />

studio, quale che fosse il primo di tali<br />

eventi a verificarsi. Per ciascuna coorte,<br />

l’incidenza aggiustata per esposizione (per<br />

100.000 pazienti-anno di esposizione) e<br />

Pazienti rimanenti Pazienti esclusi<br />

Inclusi nello studio in un periodo compreso tra il 29,332,477 –<br />

1 gennaio 1999 e il 31 dicembre 2005<br />

Popolazione totale di età ≥ 18 anni al 1 gennaio 2000, inclusione continua per ≥ 1 anno 12,210,809 17,121,668<br />

a partire dal 1 gennaio 1999 fino al 31 dicembre 2005<br />

Almeno 30 giorni di inclusione continua dal termine del primo anno di inclusione 9,249,211 2,961,598<br />

Coorte di controllo: pazienti non diabetici<br />

Nessuna certificazione medica di diabete (250.xx) durante il periodo dello studio 8,579,024 670,187<br />

Nessuna assunzione di farmaci antidiabetici durante il periodo dello studio 8,521,490 57,534<br />

Sesso sconosciuto 8,519,558 1,932<br />

Qualsiasi condizione medica durante il periodo dello studio 6,947,299 1,572,259<br />

Coorte dello studio: diabete di tipo 2<br />

Diabete di tipo 2 o assunzione di farmaci antidiabetici in un periodo compreso 1,3<strong>37</strong>,081 –<br />

tra il 1 Gennaio 1999 ed il 31 Dicembre 2005<br />

Diabete di tipo 2 o assunzione di farmaci antidiabetici durante il periodo di 640,504 696,577<br />

inserimento nello studio<br />

Diabete di tipo 2 (250.x0 o 250.x2) durante il periodo di inserimento nello studio 563,827 76,677<br />

Assunzione di farmaci antidiabetici durante il periodo di inserimento nello studio 463,046 100,781<br />

Diabete di tipo 2 (250.x0 o 250.x2) e assunzione di farmaci antidiabetici in un 386,369 76,677<br />

periodo compreso tra il 1 Gennaio 1999 ed il 31 Dicembre 2005<br />

Pazienti esclusi dallo studio con sola terapia insulinica e 352,633 33,736<br />

diabete di tipo 1 (250.x1 o 250.x3)<br />

Sesso noto 352,569 64<br />

Abbinamenti<br />

Coppie abbinate 1:1 categoria per sesso ed età 352,569 –<br />

Coppie con dati dichiarati disponibili 3<strong>37</strong>,067 15,502<br />

95% CI sono stati calcolati col metodo di<br />

Wald (15) per l’intera coorte, stratificata<br />

per età e sesso. Si sono anche calcolati gli<br />

incidence rate ratios (IRRs) aggiustati per<br />

esposizione e i relativi 95% CI tra i due<br />

gruppi e all’interno di ciascuno strato (16).<br />

I pazienti codificati per pancreat<strong>it</strong>e acuta,<br />

colel<strong>it</strong>iasi, colecist<strong>it</strong>e acuta, o colecistectomia<br />

fungevano da numeratori per calcolare<br />

l’incidenza. Tutti i pazienti-anni entro<br />

ciascuna coorte servivano da denominatori.<br />

RISULTATI<br />

L’incidenza per la pancreat<strong>it</strong>e nella<br />

corte con diabete di tipo 2 era 422 casi<br />

per 100.000 pazienti-anni, rispetto a 149<br />

casi per 100.000 pazienti-anni nella corte<br />

non diabetica. Nella corte diabetica l’incidenza<br />

era relativamente costante attraverso<br />

i gruppi catalogati per età rispetto<br />

alla corte non diabetica, dove l’età era<br />

correlata pos<strong>it</strong>ivamente all’incidenza della<br />

pancreat<strong>it</strong>e (Tabella 2).<br />

Complessivamente, per la coorte formata<br />

da pazienti con diabete di tipo 2 vi<br />

era un rischio di pancreat<strong>it</strong>e 2,83 volte<br />

maggiore (95% CI 2.61–3.06) rispetto alla<br />

coorte non diabetica. Per i pazienti non<br />

diabetici di età corrispondente, il gruppo<br />

di più giovane età affetto da diabete di tipo<br />

2 (18–30 anni) aveva l’IRR più alto di<br />

pancreat<strong>it</strong>e acuta (7.75 [95% CI<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


Tabella 2 – Incidenza della pancreat<strong>it</strong>e acuta associata al diabete di tipo 2 stratificata per età e sesso, derivata dallo studio retrospettivo di un database contenente<br />

richieste di prestazioni mediche nel periodo 2000-2005.<br />

Coorte non diabetica Coorte con diabete di tipo 2<br />

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– IRR. Coorte<br />

n ° Casi Persone-anni Incidenza per n° Casi Persone-anni Incidenza per con diabete<br />

incidenti di folloup 100.000 persone- incidenti di followup 100.000 persone- di tipo 2 vs. coorte non<br />

anni (95% CI) anni (95% CI) diabetica (95% CI)<br />

Età complessivae 336,410 827 553,959.28 149.29 (139.11–159.46) 334,930 2,551 604,684.35 421.87 (405.50–438.24) 2.83 (2.61–3.06)<br />

18–30 anni 13,628 9 17,029.62 52.85 (18.32–87.38) 13,553 81 19,780.12 409.50 (320.32–498.68) 7.75 (3.89–15.43)<br />

31–44 anni 78,518 105 120,783.10 86.93 (70.30–103.56) 78,051 584 132,996.11 439.11 (403.50–474.72) 5.05 (4.10–6.22)<br />

45–54 anni 120,354 272 200,359.38 135.76 (119.62–151.89) 119,823 862 217,352.86 396.59 (<strong>37</strong>0.11–423.07) 2.92 (2.55–3.35)<br />

55–64 anni 91,859 273 154,084.70 177.18 (156.16–198.19) 91,526 723 167,069.73 432.75 (401.21–464.30) 2.44 (2.13–2.81)<br />

≥ 65 anno 32,051 168 61,702.48 272.27 (231.10–313.45) 31,977 301 67,485.52 446.02 (395.63–496.41) 1.64 (1.36–1.98)<br />

Sesso<br />

Femmine 148,868 <strong>37</strong>0 242,728.54 152.43 (136.90–167.97) 148,288 1058 267,658.93 395.28 (<strong>37</strong>1.46–419.10) 2.59 (2.30–2.92)<br />

Maschi 187,542 457 311,230.74 146.84 (133.<strong>37</strong>–160.30) 186,642 1493 3<strong>37</strong>,025.42 442.99 (420.52–465.46) 3.02 (2.72–3.35)<br />

*Pazienti con eventi di pancreat<strong>it</strong>e acuta (n = 594 dalla coorte non diabetica e n = 1.883 dalla corte di pazienti con diabete di tipo 2) o pancreat<strong>it</strong>e cronica (n = 162 dalla<br />

coorte non diabetica e n = 656 dalla corte di pazienti con diabete di tipo 2) durante il periodo basale di un anno venivano esclusi dal numeratore e dal denominatore.<br />

Inoltre i pazienti con pancreat<strong>it</strong>e cronica durante il follow-up erano esclusi (n = 26 dalla coorte non diabetica e n = 161 dalla coorte di pazienti con diabete di tipo 2). Va<br />

puntualizzato che per alcuni pazienti potrebbe esservi stato più di un evento causa di esclusione.<br />

DIABETES CARE, MAY 2009<br />

3.89–15.43]), mentre i pazienti di età ≥ 65<br />

anni con diabete di tipo 2 avevano l’IRR<br />

più basso (1.64 [1.36–1.98]). Poiché il diabete<br />

di tipo 2 normalmente insorge nei<br />

pazienti di età ≥ 45 anni, gli IRR per la<br />

pancreat<strong>it</strong>e acuta sono stati calcolati tra i<br />

soggetti al di sopra e al di sotto dei 45<br />

anni. I risultati indicavano che per i pazienti<br />

con diabete di tipo 2 tra i 18 e i 44<br />

anni di età vi era un rischio di incidenza<br />

di pancreat<strong>it</strong>e 5,26 volte maggiore (95%<br />

CI 4.31–6.42) e per i pazienti di età ≥ 45<br />

anni il rischio di incidenza di pancreat<strong>it</strong>e<br />

risultava 2,44 volte maggiore (2.23–2.66)<br />

rispetto ai soggetti non diabetici della<br />

stessa fascia di età. Per la pancreat<strong>it</strong>e<br />

acuta gli IRR risultavano simili tra i due<br />

sessi nelle due coorti.<br />

L’incidenza della malattia biliare nella<br />

coorte dei soggetti con diabete di tipo<br />

2 era di 1.411 casi per 100.000 pazientianni,<br />

rispetto ai 7<strong>37</strong> casi per 100.000 pazienti-anni<br />

della coorte non diabetica.<br />

Nella coorte diabetica l’incidenza era<br />

maggiore tra i più giovani (18–30 anni) e<br />

i più anziani (≥ 65 anni) rispetto alla<br />

coorte non diabetica in cui l’età era correlata<br />

pos<strong>it</strong>ivamente con l’incidenza della<br />

pancreat<strong>it</strong>e (Tabella 3). In entrambe le<br />

coorti, l’incidenza della malattia biliare<br />

risultava notevolmente più alta nelle<br />

donne rispetto agli uomini, sebbene gli<br />

IRR risultassero simili tra i due sessi nelle<br />

due coorti.<br />

Complessivamente, per la coorte con<br />

diabete di tipo 2 vi era un rischio di malattia<br />

biliare 1,91 volte maggiore (95% CI<br />

1.84–1.99) rispetto alla coorte dei soggetti<br />

non diabetici. Nei pazienti non diabetici<br />

di età corrispondente, per il gruppo della<br />

fascia di età più giovane con diabete di<br />

tipo 2 (18–30 anni) vi era il più alto IRR<br />

di malattia biliare (3.77 [95% CI<br />

2.92–4.87]), mentre i pazienti di età ≥ 65<br />

anni con diabete di tipo 2 avevano il più<br />

basso IRR (1.50 [1.<strong>37</strong>–1.65]).<br />

L’analisi dei sottogruppi della malattia<br />

biliare ha rivelato che la colel<strong>it</strong>iasi ha<br />

inciso su ~50% del totale dei casi in entrambe<br />

le coorti e la sua incidenza nei<br />

pazienti con diabete di tipo 2 era notevolmente<br />

più alta (1.229 casi per 100.000<br />

pazienti-anni) rispetto ai pazienti non<br />

diabetici (647 casi per 100.000 pazientianni)<br />

(dati non riportati).<br />

CONCLUSIONI<br />

Questo studio suggerisce che i pazienti<br />

con diabete di tipo 2 hanno un rischio<br />

di pancreat<strong>it</strong>e quasi tre volte più alto<br />

e un rischio di malattia biliare due volte<br />

più alto rispetto ai pazienti non diabetici.<br />

L’alto rischio di pancreat<strong>it</strong>e tra i pazienti<br />

più giovani con diabete di tipo 2<br />

rispetto alla loro controparte non diabetica<br />

è particolarmente notevole, sebbene il<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 19


DIABETES CARE, MAY 2009<br />

Tabella 3 – Incidenza della malattia biliare associata al diabete di tipo 2 stratificata per età e sesso, derivata dallo studio retrospettivo di un database contenente richieste<br />

di prestazioni mediche nel periodo 2000–2005<br />

20<br />

Coorte non diabetica Coorte con diabete di tipo 2<br />

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– IRR. Coorte<br />

n ° Casi Persone-anni Incidenza per n° Casi Persone-anni Incidenza per con diabete<br />

incidenti di folloup 100.000 persone- incidenti di followup 100.000 persone- di tipo 2 vs. coorte non<br />

anni (95% CI) anni (95% CI) diabetica (95% CI)<br />

Età complessiva 333,529 4,019 545,088.58 7<strong>37</strong>.31 (714.52–760.11) 330,742 8,322 589,693.44 1,411.24 (1,380.92–1,441.56) 1.91 (1.84–1.99)<br />

18–30 anni 13,557 72 16,884.62 426.42 (327.92–524.92) 13,354 309 19,217.66 1,607.90 (1,428.61–1,787.18) 3.77 (2.92–4.87)<br />

31–44 anni 78,030 599 119,453.07 501.45 (461.29–541.61) 77,222 1,574 130,181.10 1,209.08 (1,149.35–1,268.82) 2.41 (2.19–2.65)<br />

45–54 anni 119,356 1,300 197,277.31 658.97 (623.15–694.79) 118,355 2,839 212,090.87 1,338.58 (1,289.34–1,387.82) 2.03 (1.90–2.17)<br />

55–64 anni 90,942 1,286 151,221.24 850.41 (803.93–896.89) 90,335 2,357 162,847.33 1,447.<strong>37</strong> (1,388.94–1,505.80) 1.70 (1.59–1.82)<br />

≥ 65 anni 31,644 762 60,252.34 1,264.68 (1,174.88–1,354.48) 31,476 1,243 65,356.48 1,901.88 (1,796.15–2,007.61) 1.50 (1.<strong>37</strong>–1.65)<br />

Sesso<br />

Femmine 147,073 2,179 2<strong>37</strong>,325.48 918.15 (879.60–956.70) 145,557 4,387 258,394.28 1,697.79 (1,647.55–1,748.03) 1.85 (1.76–1.95)<br />

Maschi 186,456 1,840 307,763.11 597.86 (570.54–625.18) 185,185 3,935 331,299.16 1,187.75 (1,150.64–1,224.86) 1.99 (1.88–2.10)<br />

*La malattia biliare era defin<strong>it</strong>a come insiorgenza di colel<strong>it</strong>iasi, colecist<strong>it</strong>e acuta, o colecistectomia. I pazienti con malattia biliare (n = 2.911 dalla coorte non diabetica e n =<br />

5.173 dalla coorte con diabete di tipo 2) o colecist<strong>it</strong>e cronica (n = 452 dalla coorte non diabetica e n = 890 dalla coorte con diabete di tipo 2) durante il periodo basale di un<br />

anno erano esclusi dal numeratore e dal denominatore. Va puntualizzato che per alcuni pazienti potrebbe esservi stato più di un evento causa di esclusione.<br />

significato clinico di tale dato debba ancora<br />

essere chiar<strong>it</strong>o.<br />

Questo studio era lim<strong>it</strong>ato dalle informazioni<br />

disponibili in un database contenente<br />

richieste di prestazioni san<strong>it</strong>arie,<br />

informazioni raccolte ai fini del pagamento<br />

e non a scopo di ricerca. Non si<br />

sono potute evincere la compliance dei<br />

pazienti riguardo all’assunzione dei farmaci<br />

prescr<strong>it</strong>ti, né informazioni riguardanti<br />

il personale san<strong>it</strong>ario. Inoltre non<br />

erano disponibili dati riguardanti altri<br />

possibili fattori di rischio di pancreat<strong>it</strong>e<br />

(come abuso di alcol, obes<strong>it</strong>à, perd<strong>it</strong>a di<br />

peso corporeo e farmaci). Un altro potenziale<br />

lim<strong>it</strong>e è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da errori nella<br />

diagnosi della malattia, dato che i codici<br />

potrebbero essere stati trascr<strong>it</strong>ti in maniera<br />

errata o inclusi come cr<strong>it</strong>eri di<br />

esclusione al posto dell’effettiva malattia.<br />

Ad esempio, sebbene sia stato utilizzato<br />

un algor<strong>it</strong>mo conservativo per identificare<br />

i pazienti con diabete di tipo 2 (codice<br />

ICD-9 ed utilizzo di un agente antidiabetico),<br />

alcuni pazienti con diabete di tipo<br />

1 sono stati probabilmente inclusi nelle<br />

coorti, particolarmente nei gruppi appartenenti<br />

alla fascia d’età più bassa. È<br />

anche importante notare che l’incidenza<br />

della pancreat<strong>it</strong>e nella coorte non diabetica<br />

riportata in questo studio epidemiologico<br />

è circa tre volte più alta rispetto alle<br />

stime pubblicate per la popolazione<br />

generale (1,4). La più alta incidenza della<br />

pancreat<strong>it</strong>e riscontrata in questo studio<br />

può essere rappresentativa di un aumento<br />

della pancreat<strong>it</strong>e, di richieste di assistenza<br />

erroneamente codificate per pancreat<strong>it</strong>e,<br />

di differenze nella popolazione o<br />

dal metodo di refertazione. Uno studio<br />

atto a verificare l’accuratezza dei codici<br />

ICD-9 condotto in un’ampia popolazione<br />

dello Stato della Virginia riportava un’eccellente<br />

sensibil<strong>it</strong>à (93%) ma una bassa<br />

specific<strong>it</strong>à (79%) per la pancreat<strong>it</strong>e acuta<br />

(17); è dunque probabile che dei referti<br />

falso-pos<strong>it</strong>ivi di pancreat<strong>it</strong>e siano stati inclusi<br />

in questo studio. Sebbene sia sconosciuto<br />

il motivo della maggiore incidenza<br />

della pancreat<strong>it</strong>e osservata in questo studio,<br />

è probabile che questa non sia differente<br />

tra le due coorti e che l’aumentato<br />

rischio di pancreat<strong>it</strong>e osservato nei pazienti<br />

con diabete di tipo 2 sia reale.<br />

Uno dei punti di forza di questo studio<br />

è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dall’ampiezza del campione<br />

utilizzato, fattore necessario dato che la<br />

pancreat<strong>it</strong>e è un evento raro. Questi dati<br />

permettono anche l’analisi di determinate<br />

condizioni mediche nel “mondo reale” con<br />

un campione a livello nazionale di pazienti<br />

con anamnesi diverse. Ciononostante, i dati<br />

utilizzati per questo studio provengono<br />

da una popolazione che usufruisce di assistenza<br />

medica, e i risultati sono principalmente<br />

applicabili ad amb<strong>it</strong>i assistenziali.<br />

Le deviazioni dovute a età e sesso erano<br />

controllate dagli appaiamenti. I risultati,<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


infine, consigliano cautela, poiché nella<br />

coorte dei non diabetici potrebbero essere<br />

stati inclusi soggetti con diabete non diagnosticato,<br />

un problema non infrequente<br />

nell’amb<strong>it</strong>o delle richieste di assistenza.<br />

In conclusione, il rischio quasi tre volte<br />

maggiore di pancreat<strong>it</strong>e nei pazienti con<br />

diabete di tipo 2 qui riportato, combinato<br />

con la crescente prevalenza del diabete e<br />

dei fattori di rischio ad esso associati, potrebbe<br />

contribuire ad un’incidenza significativamente<br />

aumentata di pancreat<strong>it</strong>e acuta<br />

negli USA. Sono necessari ulteriori studi<br />

per confermare quanto riscontrato e per<br />

identificare le cause che possono spiegare<br />

l’aumentato rischio di pancreat<strong>it</strong>e in associazione<br />

al diabete qui osservato.<br />

Bibliografia<br />

DIABETES CARE, MAY 2009<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 21


DIABETES CARE, JUNE 2009<br />

Documento di consenso dell’American<br />

Association of Clinical Endocrinologists e<br />

dell’American Diabetes Association sul<br />

controllo glicemico nei pazienti ricoverati<br />

ETIE S. MOGHISSI, MD, FACP, FACE 1 IRL B. HIRSCH, MD 6<br />

MARY T. KORYTKOWSKI, MD 2 SILVIO E. INZUCCHI, MD 7<br />

MONICA DINARDO, MSN, CRNP, CDE 3 FARAMARZ ISMAIL-BEIGI, MD, PHD 8<br />

DANIEL EINHORN, MD, FACP, FACE 4 M. SUE KIRKMAN, MD 9<br />

RICHARD HELLMAN, MD, FACP, FACE 5 GUILLERMO E. UMPIERREZ, MD, FACP, FACE 10<br />

Rispetto ai soggetti non diabetici, per i<br />

diabetici vi è una maggiore probabil<strong>it</strong>à<br />

di ricovero in ospedale, e tale ricovero<br />

sarà mediamente più lungo. Da<br />

una recente indagine negli USA è risultato<br />

che il 22% del totale dei giorni di degenza<br />

negli ospedali viene trascorso da<br />

pazienti diabetici, e che i costi delle cure<br />

ospedaliere corrispondono alla metà dei<br />

174 miliardi di dollari USA spesi in questo<br />

paese per questa malattia (1). Ciò è in<br />

parte dovuto alla continua espansione a<br />

livello mondiale del diabete di tipo 2.<br />

Nei soli Usa vi sono ~1.6 milioni di nuovi<br />

casi di diabete ogni anno, con una prevalenza<br />

complessiva di 23.6 milioni di<br />

soggetti (7.8% della popolazione, con un<br />

quarto dei casi non diagnosticati). Vi sono<br />

inoltre 57 milioni di americani adulti<br />

ad alto rischio di diabete di tipo 2 (2).<br />

Sebbene non si conoscano i costi relativi<br />

all’iperglicemia da stress collegata alla<br />

malattia, è probabile che siano alti, considerata<br />

la scarsa prognosi per questi pazienti<br />

(3-6).<br />

È obiettivamente evidente che vi è un<br />

collegamento tra i livelli di iperglicemia<br />

dei pazienti ricoverati (diabetici o non<br />

diabetici) e gli es<strong>it</strong>i clinici. Da alcuni stu-<br />

1 Department of Medicine, Univers<strong>it</strong>y of California, Los Angeles, Los Angeles, California; 2 Department<br />

of Medicine, Division of Endocrinology and Metabolism, Univers<strong>it</strong>y of P<strong>it</strong>tsburgh, P<strong>it</strong>tsburgh,<br />

Pennsylvania; 3 Division of Endocrinology and Metabolism, Veterans Affairs P<strong>it</strong>tsburgh Health Center<br />

and Univers<strong>it</strong>y of P<strong>it</strong>tsburgh School of Nursing, P<strong>it</strong>tsburgh, Pennsylvania; 4 Scripps Wh<strong>it</strong>tier Diabetes<br />

Inst<strong>it</strong>ute, La Jolla, California, Univers<strong>it</strong>y of California San Diego School of Medicine, San Diego,<br />

California, and Diabetes and Endocrine Associates, La Jolla, California; 5 Department of Medicine,<br />

Univers<strong>it</strong>y of Missouri-Kansas C<strong>it</strong>y School of Medicine, and Hellman and Rosen Endocrine Associates,<br />

North Kansas C<strong>it</strong>y, Missouri; 6 Department of Medicine, Univers<strong>it</strong>y of Washington School<br />

of Medicine, Seattle, Washington; 7 Department of Medicine, Section of Endocrinology, Yale Univers<strong>it</strong>y<br />

School of Medicine, and the Yale Diabetes Center, Yale-New Haven Hosp<strong>it</strong>al, New Haven, Connecticut;<br />

8 Department of Medicine, Physiology and Biophysics, Division of Clinical and Molecular<br />

Endocrinology, Case Western Reserve Univers<strong>it</strong>y, Cleveland, Ohio; 9 Clinical Affairs, American Diabetes<br />

Association, Alexandria, Virginia, 10 Department of Medicine/Endocrinology, Emory Univers<strong>it</strong>y,<br />

Atlanta, Georgia. Corresponding author: Dr. Etie S. Moghissi, emoghissi@pol.net.<br />

22<br />

di di coorte, così come in alcuni trial controllati<br />

randomizzati (RCTs), si è osservato<br />

che il trattamento intensivo dell’iperglicemia<br />

migliora gli es<strong>it</strong>i clinici (5-8).<br />

Nel 2004 tale evidenza ha portato l’American<br />

College of Endocrinology (ACE) e<br />

l’American Association of Clinical Endocrinologists<br />

(AACE), in collaborazione<br />

con l’American Diabetes Association<br />

(ADA) ed altre organizzazioni mediche,<br />

a effettuare la stesura di una serie di raccomandazioni<br />

per il trattamento dell’iperglicemia<br />

nei pazienti ricoverati (9).<br />

Nel 2005, l’ADA ha aggiunto alle proprie<br />

linee guida (Standards of Medical Care)<br />

(10) una serie di raccomandazioni per il<br />

trattamento dell’iperglicemia nei luoghi<br />

di cura. Le raccomandazioni dell’ACE e<br />

dell’ADA normalmente sostenevano un<br />

rigido controllo glicemico nelle un<strong>it</strong>à ded<strong>it</strong>e<br />

alla cura dei pazienti in condizioni<br />

cr<strong>it</strong>iche. Per i pazienti nei reparti chirurgici<br />

o di medicina generale, ove non vi<br />

era evidenza data dagli RCT riguardo ai<br />

target del trattamento, si indicavano<br />

obiettivi glicemici simili a quelli consigliati<br />

per i pazienti ambulatoriali (9,10).<br />

Nel 2006 l’ACE e l’ADA hanno sottolineato<br />

l’importanza del controllo glicemi-<br />

co nei pazienti ricoverati, individuando<br />

numerose barriere alla sua implementazione<br />

negli ospedali (11). Ciò ha contribu<strong>it</strong>o<br />

alla creazione di un movimento nazionale<br />

in continua espansione, per il<br />

quale la gestione dei livelli di iperglicemia<br />

dei pazienti ricoverati cost<strong>it</strong>uisce un<br />

fattore di qual<strong>it</strong>à della cura.<br />

Sebbene l’iperglicemia sia associata<br />

ad eventi indesiderati, gli interventi effettuati<br />

per normalizzare i livelli glicemici<br />

non hanno dato risultati consistenti.<br />

Infatti i trial recentemente effettuati su<br />

pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche non hanno<br />

portato a un significativo miglioramento<br />

dei livelli di mortal<strong>it</strong>à con un controllo<br />

glicemico intensivo (12,13), mostrando<br />

addir<strong>it</strong>tura un rischio aumentato di mortal<strong>it</strong>à<br />

(14). I suddetti recenti RCT, inoltre,<br />

hanno avuto come conseguenza un aumento<br />

del rischio di ipoglicemia severa<br />

(12-17). Questi risultati hanno creato ulteriore<br />

incertezza riguardo ai target glicemici<br />

specifici per i pazienti in condizioni<br />

cr<strong>it</strong>iche e non, ed alle modal<strong>it</strong>à per raggiungerli.<br />

Considerando l’importanza del controllo<br />

glicemico nel continuum dell’assistenza<br />

medica, l’AACE e l’ADA si sono<br />

un<strong>it</strong>e per elaborare questo documento di<br />

consenso aggiornato sulla gestione dei livelli<br />

glicemici dei pazienti ricoverati. Gli<br />

obiettivi principali erano di identificare<br />

ragionevoli, raggiungibili e sicuri target<br />

glicemici e descrivere protocolli, procedure<br />

e i miglioramenti da apportare ai sistemi,<br />

onde facil<strong>it</strong>arne l’implementazione.<br />

Questo documento è indirizzato ai<br />

medici, ai loro collaboratori, agli amministratori<br />

degli ospedali e a tutti coloro<br />

che si impegnano a migliorare la gestione<br />

dei livelli di iperglicemia dei pazienti<br />

ricoverati presso i luoghi di cura. I partecipanti<br />

alla stesura di questo consenso<br />

hanno preso in esame la recente letteratura<br />

ed hanno formulato le seguenti domande:<br />

1. Migliorare il controllo glicemico migliora<br />

gli es<strong>it</strong>i clinici dei pazienti con<br />

iperglicemia?<br />

2. Quali target glicemici si possono raccomandare<br />

per le diverse popolazioni<br />

di pazienti?<br />

3. Quali sono le opzioni di trattamento<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


disponibili per il raggiungimento sicuro<br />

ed efficace di target glicemici ottimali<br />

in specifiche s<strong>it</strong>uazioni cliniche?<br />

4. La gestione dell’iperglicemia dei pazienti<br />

ricoverati è una questione di sicurezza?<br />

5. Quali sistemi sono necessari per soddisfare<br />

le suddette raccomandazioni?<br />

6. Il trattamento dell’iperglicemia nei<br />

pazienti ricoverati è efficiente in termini<br />

di costo?<br />

7. Quali sono le strategie ottimali per il<br />

passaggio alle cure ambulatoriali?<br />

8. Quali sono le future aree di ricerca?<br />

DOMANDA N. 1:<br />

MIGLIORARE IL CONTROLLO<br />

GLICEMICO MIGLIORA GLI<br />

ESITI CLINICI DEI PAZIENTI<br />

CON IPERGLICEMIA?<br />

Nei pazienti ricoverati l’iperglicemia,<br />

a prescindere dalla causa che l’ha provocata,<br />

è inequivocabilmente associata ad<br />

eventi indesiderati (5,6,18-25). L’iperglicemia<br />

insorge nei pazienti diabetici o con<br />

diabete non diagnosticato, o si verifica<br />

durante la fase acuta di una malattia in<br />

individui con precedente normale tolleranza<br />

glucidica (tale condizione è defin<strong>it</strong>a<br />

come “iperglicemia da stress”) (8,26).<br />

Gli interventi mirati a ridurre i livelli<br />

di glicemia plasmatica (BG) hanno portato<br />

a miglioramenti in alcuni studi, ma<br />

non in tutti (5,18-25). Alcuni trial clinici<br />

recentemente effettuati su pazienti in<br />

condizioni cr<strong>it</strong>iche non hanno ridotto la<br />

mortal<strong>it</strong>à con un trattamento intensivo<br />

che mirava a una quasi-euglicemia, rispetto<br />

ai livelli convenzionali di BG


DIABETES CARE, JUNE 2009<br />

AMI. L’ipoglicemia noniatrogenica è anche<br />

associata ad eventi indesiderati ed è<br />

un fattore pred<strong>it</strong>tivo di più frequenza<br />

mortal<strong>it</strong>à (7,42,43).<br />

In parecchi studi si è tentato di riprodurre<br />

gli es<strong>it</strong>i favorevoli osservati con la<br />

implementazione della terapia insulinica<br />

riportati nel trial Diabetes and Insulin-<br />

Glucose Infusion in Acute Myocardial<br />

Infarction (DIGAMI) (33). Il DIGAMI 2,<br />

un RCT multicentrico effettuato su 1253<br />

pazienti con AMI e diabete, non è riusc<strong>it</strong>o<br />

a dimostrare una diminuzione della<br />

mortal<strong>it</strong>à data da tale intervento (34). Lo<br />

studio Hyperglycemia Intensive Insulin<br />

Infusion in Infarction (HI-5) ha assegnato<br />

a random ad alcuni pazienti con AMI infusioni<br />

di insulina più glucosio per 24 h<br />

(target di BG


Data desunti da pazienti sottoposti a<br />

trapianto<br />

Il diabete che insorge in pazienti precedentemente<br />

sottoposti a trapianto ha<br />

molte caratteristiche in comune col diabete<br />

di tipo 2 ed è fortemente associato a<br />

malattia cardiovascolare e a decesso (60).<br />

Fuji et al. (61) hanno esaminato gli effetti<br />

dell’iperglicemia durante periodi neutropenici<br />

in 112 pazienti sottoposti a trapianto<br />

di cellule staminali. L’iperglicemia<br />

era associata a rischio di perd<strong>it</strong>a dell’organo,<br />

malattia dell’innesto-contro-osp<strong>it</strong>e<br />

e mortal<strong>it</strong>à non correlata alla ricaduta,<br />

ma non a infezione o febbre. Un simile<br />

studio effettuato su 382 pazienti riportava<br />

che nei pazienti non trattati con glucocorticoidi<br />

durante la neutropenia, ogni<br />

aumento della BG di 10 mg/dl (0.6<br />

mmol/l) era associato ad un aumento<br />

pari ad 1,15 volte delle odds ratio per<br />

batteremia (62). Hammer et al. (63) hanno<br />

analizzato i livelli di BG in un totale<br />

di 1175 pazienti adulti nei quali era stato<br />

effettuato un trapianto allogenico di cellule<br />

ematopoietiche. Iperglicemia, ipoglicemia<br />

e variabil<strong>it</strong>à glicemica erano tutte<br />

correlate con mortal<strong>it</strong>à non legata alla ricaduta<br />

entro i 200 giorni successivi al trapianto.<br />

Data desunti da studi sul controllo<br />

glicemico intraoperatorio<br />

In un RCT in doppio cieco, controllato<br />

con placebo su 82 pazienti adulti, l’infusione<br />

per via endovenosa di una miscela<br />

glucosio-insulina-potassio durante<br />

una procedura di innesto di un bypass<br />

coronarico non riduceva la frequenza di<br />

danno miocardico, mortal<strong>it</strong>à, o durata<br />

del ricovero (64). In uno studio effettuato<br />

su 399 pazienti sottoposti a interventi<br />

chirurgici cardiaci la terapia insulinica<br />

intensiva (target BG, 80–100 mg/dl<br />

[4.4–5.6 mmol/l]) intraoperatoria non<br />

apportava differenze riguardo agli es<strong>it</strong>i<br />

clinici dei pazienti; nella fase postoperatoria,<br />

tuttavia, entrambi i gruppi trattati<br />

avevano target glicemici simili (36).<br />

Data desunti da ICU pediatriche<br />

Sebbene ciò esuli dallo scopo di questa<br />

dichiarazione di consenso, è bene notare<br />

che l’iperglicemia (senza diabete) e<br />

anche comune tra i pazienti di età pediatrica<br />

in condizioni di malattia cr<strong>it</strong>iche<br />

(65-70), ed è correlata con la mortal<strong>it</strong>à<br />

(70). Un RCT internazionale, multicentrico,<br />

che ha testato l’efficacia di un controllo<br />

glicemico intensivo in neonati fortemente<br />

sotto peso alla nasc<strong>it</strong>a, ha riscontrato<br />

alti indici di ipoglicemia severa senza<br />

significative differenze in mortal<strong>it</strong>à e<br />

comorbid<strong>it</strong>à (71). Invece, un altro trial<br />

randomizzato condotto su circa 700 soggetti<br />

in età pediatrica, tra cui neonati (n =<br />

317) e bambini (n = 383) riportava una<br />

diminuzione della mortal<strong>it</strong>à con l’utilizzo<br />

di terapia insulinica intensiva, nonostante<br />

una maggiore frequenza di ipoglicemia<br />

severa (25 vs. 5%) (72).<br />

Iperglicemia in pazienti in reparti<br />

medici e chirurgici in terapia non<br />

intensiva<br />

Nessun RCT ha esaminato l’effetto di<br />

un controllo glicemico intensivo sugli<br />

es<strong>it</strong>i dei pazienti ricoverati in reparti non<br />

ICU. Parecchi studi di osservazione tuttavia,<br />

indicano una forte associazione tra<br />

iperglicemia e peggiori es<strong>it</strong>i clinici, quali<br />

degenza prolungata, infezione, disabil<strong>it</strong>à<br />

dopo la dimissione dall’ospedale e decesso<br />

(4,7, 35,73-81).<br />

Parecchi studi hanno riscontrato che<br />

la variabil<strong>it</strong>à glicemica cost<strong>it</strong>uisce un fattore<br />

pred<strong>it</strong>tivo indipendente di mortal<strong>it</strong>à<br />

nei pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />

(63,66,82). Resta ancora da chiarire se<br />

l’intervento mirato a controllare la variabil<strong>it</strong>à<br />

glicemica possa di per sé migliorare<br />

gli es<strong>it</strong>i clinici (83).<br />

Riassunto dei trial clinici esaminati per<br />

la domanda n. 1<br />

Nel complesso, sebbene un target glicemico<br />

molto rigido (80–110 mg/dl<br />

[4.4–6.1 mmol/l]) risultasse benefico in<br />

una popolazione ICU sottoposta a intervento<br />

chirurgico (5), questo target è stato<br />

difficile da raggiungere in studi successivi,<br />

tra cui lo studio pubblicato recentemente<br />

NICE-SUGAR (14), senza aumentare<br />

il rischio di ipoglicemia severa<br />

(12,13,16,27,28). Inoltre non vi è stata una<br />

consistente riduzione della mortal<strong>it</strong>à con<br />

un controllo intensivo della glicemia<br />

(12,17), anzi un’aumentata mortal<strong>it</strong>à si è<br />

osservata nel più esteso studio fino ad<br />

oggi pubblicato (14). I motivi di questa<br />

inconsistenza non sono del tutto chiari. È<br />

possibile che i risultati pos<strong>it</strong>ivi rifer<strong>it</strong>i negli<br />

studi iniziali fossero attribuibili a differenze<br />

riguardanti misurazioni e trascrizioni<br />

dei valori di BG, selezione dei partecipanti,<br />

variabil<strong>it</strong>à glicemica o apporto<br />

nutr<strong>it</strong>ivo (12,17,84). Nonostante ciò, i recenti<br />

tentativi di raggiungere livelli ottimali<br />

di controllo glicemico non hanno né<br />

ridotto né aumentato la mortal<strong>it</strong>à nei<br />

trial multicentrici ed hanno chiaramente<br />

portato a rischio aumentato di ipoglicemia<br />

(13, 14,16).<br />

Nonostante tali inconsistenze, sarebbe<br />

un grave errore concludere che un<br />

giudizioso controllo dei livelli glicemici<br />

in pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche, ed in<br />

pazienti non ICU in generale, non sia<br />

giustificato. In primo luogo, sulla base di<br />

un ampio numero di studi in una varietà<br />

di luoghi di cura, l’iperglicemia non controllata<br />

è chiaramente associata a scarsi<br />

es<strong>it</strong>i clinici. In secondo luogo, sebbene gli<br />

eventi di ipoglicemia severa si osservino<br />

DIABETES CARE, JUNE 2009<br />

in un numero fin troppo alto di pazienti<br />

sottoposti a terapia insulinica con protocolli<br />

mirati a livelli di BG di 80–110<br />

mg/dl (4.4–6.1 mmol/l) (12), tale rischio<br />

si può probabilmente minimizzare con<br />

una minore rigid<strong>it</strong>à nei confronti dei target,<br />

con miglioramenti e standardizzazione<br />

dei protocolli e la loro attenta implementazione.<br />

In terzo luogo, è possibile<br />

che si possano ottenere effetti maggiormente<br />

benefici con un target glicemico<br />

più alto di quello di 80–110 mg/dl rispetto<br />

all’iperglicemia non controllata.<br />

Infine, finché non vi saranno ulteriori<br />

informazioni, sarà prudente continuare<br />

ad enfatizzare l’importanza del controllo<br />

glicemico nei pazienti ricoverati in condizioni<br />

cr<strong>it</strong>iche e non, pur mirando a target<br />

meno ambiziosi di 80–110 mg/dl<br />

(4.4–6.1 mmol/l), un argomento discusso<br />

dettagliatamente qui di segu<strong>it</strong>o.<br />

DOMANDA N. 2: QUALI<br />

TARGET GLICEMICI SI<br />

POSSONO RACCOMANDARE<br />

PER LE DIVERSE<br />

POPOLAZIONI DI PAZIENTI?<br />

Il trattamento dell’iperglicemia in<br />

ospedale presenta problemi particolari<br />

che riguardano lo stato nutrizionale del<br />

paziente e il livello di conoscenza, i lim<strong>it</strong>i<br />

pratici di un mon<strong>it</strong>oraggio glicemico interm<strong>it</strong>tente<br />

e la massima importanza della<br />

sicurezza del paziente. Di conseguenza,<br />

target glicemici ragionevoli in ambienti<br />

ospedalieri sono solo lievemente<br />

più alti di quelli normalmente consigliati<br />

per i pazienti diabetici di al di fuori dei<br />

luoghi di cura (85, 86).<br />

Definizione di anomalie glicemiche<br />

In questa relazione, l’iperglicemia è<br />

defin<strong>it</strong>a come qualsiasi valore di BG<br />

>140 mg/dl (>7.8 mmol/l). Valori significativamente<br />

e costantemente al di sopra<br />

dei suddetti livelli possono richiedere il<br />

trattamento nei pazienti ricoverati. Nei<br />

pazienti senza una precedente diagnosi<br />

di diabete, concentrazioni elevate di BG<br />

possono essere dovute a iperglicemia da<br />

stress, una condizione che può essere accertata<br />

riesaminando le precedenti documentazioni<br />

mediche o le misurazioni dei<br />

valori di HbA1c. Valori di HbA1c<br />

>6.5–7.0% suggeriscono la presenza di<br />

diabete precedente al ricovero in ospedale<br />

(87).<br />

L’ipoglicemia è defin<strong>it</strong>a come qualsiasi<br />

livello di BG


DIABETES CARE, JUNE 2009<br />

più basso del livello, corrispondente approssimativamente<br />

a 50 mg/dl (2.8<br />

mmol/l), in cui negli individui normali<br />

la funzione cogn<strong>it</strong>iva comincia ad essere<br />

compromessa (89-91). Come l’iperglicemia,<br />

l’ipoglicemia tra i pazienti ricoverati<br />

è associata ad eventi indesiderati a breve<br />

e a lungo termine. Un pronto riconoscimento<br />

e trattamento di eventi ipoglicemici<br />

che vanno da lievi a moderati (rispettivamente<br />

40 e 69 mg/dl [2.2 and 3.8<br />

mmol/l]) possono prevenire la degenerazione<br />

in un episodio più severo con potenziali<br />

conseguenze avverse (91,92).<br />

Trattamento dell’iperglicemia in<br />

pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />

Sulla base dell’evidenza disponibile, la<br />

somministrazione di insulina andrebbe effettuata<br />

per controllare l’iperglicemia in<br />

gran parte dei pazienti ICU in condizioni<br />

cr<strong>it</strong>iche, con una soglia di inizio non più<br />

alta di 180 mg/dl (10.0 mmol/l). Una volta<br />

iniziata la terapia con insulina per via<br />

endovenosa, si dovrebbero mantenere livelli<br />

glicemici fra 140 e 180 mg/dl (7.8 and<br />

10.0 mmol/l). Mantenendosi sui valori minimi<br />

del suddetto range si potrebbero ottenere<br />

i migliori benefici. Sebbene non si<br />

abbia evidenza ben defin<strong>it</strong>a, in determinati<br />

pazienti target glicemici lievemente più<br />

bassi potrebbero rivelarsi appropriati. Si<br />

raccomanda l’utilizzo di protocolli per la<br />

somministrazione di insulina di dimostrata<br />

sicurezza ed efficacia, che comportino<br />

una bassa frequenza di eventi di ipoglicemia.<br />

Trattamento dell’iperglicemia in<br />

pazienti non in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />

In mancanza di dati prospettici ricavati<br />

da RCT che stabiliscano specifiche linee<br />

guida per pazienti non in condizioni<br />

cr<strong>it</strong>iche, le nostre raccomandazioni si basano<br />

sull’esperienza clinica e sul giudizio.<br />

Per gran parte dei pazienti non in<br />

condizioni cr<strong>it</strong>iche trattati con insulina i<br />

target glicemici prima dei pasti dovrebbero<br />

generalmente essere


zioni, non si è ancora defin<strong>it</strong>o un regime<br />

sicuro ed efficace per la suddetta transizione.<br />

Somministrazioni di insulina per via<br />

sottocutanea<br />

La somministrazione programmata<br />

di insulina per via sottocutanea cost<strong>it</strong>uisce<br />

il metodo prefer<strong>it</strong>o per raggiungere e<br />

mantenere il controllo glicemico in pazienti<br />

non ICU con diabete o iperglicemia<br />

da stress. I componenti dei regimi di<br />

somministrazione di insulina per via sottocutanea<br />

per i pazienti ricoverati sono<br />

quelli basale, nutrizionale ed un elemento<br />

supplementare (di correzione) (8,103).<br />

<strong>Num</strong>erosi preparati insulinici possono<br />

essere utilizzati per ciascun componente,<br />

secondo la s<strong>it</strong>uazione del centro di cura.<br />

I lettori potranno consultare altrove lavori<br />

recenti sui preparati insulinici e i relativi<br />

protocolli (101-106).<br />

Un argomento al quale va dedicata<br />

particolare attenzione è il persistente<br />

abuso di quello che è stato etichettato come<br />

regime “sliding scale” (SSI) per la gestione<br />

dell’iperglicemia. Il termine “insulina<br />

di correzione”, rifer<strong>it</strong>o alla somministrazione<br />

di un bolo aggiuntivo di insulina<br />

ad azione rapida, associata alla terapia<br />

già programmata, per portare i livelli<br />

di BG ai valori desiderati, viene prefer<strong>it</strong>o<br />

(8). Una terapia prolungata con la SSI come<br />

regime unico risulta inefficace in<br />

gran parte dei pazienti (potenzialmente<br />

pericolosa nei pazienti con diabete di tipo<br />

1) (106-112).<br />

Agenti non insulinici<br />

Gli agenti non insulinici non sono<br />

adatti nella gran parte dei pazienti ricoverati.<br />

Un utilizzo continuato di tali<br />

agenti può però essere appropriato per<br />

quei pazienti le cui condizioni siano stabili<br />

e che consumino i propri pasti a regolari<br />

intervalli. La somministrazione<br />

della metformina va effettuata con cautela<br />

a causa della potenziale insorgenza di<br />

controindicazioni durante la degenza,<br />

come insufficienza renale, condizioni<br />

emodinamiche instabili o la necess<strong>it</strong>à di<br />

effettuare radiografie con mezzi di contrasto<br />

(8,113). La terapia iniettiva con farmaci<br />

non insulinici come exenatide o<br />

pramlintide hanno lim<strong>it</strong>i simili a quelli<br />

dati dagli agenti somministrati per via<br />

orale in amb<strong>it</strong>o ospedaliero.<br />

Specifiche s<strong>it</strong>uazioni cliniche<br />

Pazienti che utilizzano un microinfusore.<br />

I pazienti a cui viene somministrata<br />

insulina mediante microinfusione<br />

possono essere candidati per l’auto-gestione<br />

del diabete in ospedale, purché<br />

siano mentalmente e fisicamente in grado<br />

di farlo (8,103, 114,115). È importante<br />

che il personale dell’ospedale documenti<br />

regolarmente i dosaggi basali e i boli di<br />

correzione (almeno quotidianamente). La<br />

disponibil<strong>it</strong>à di personale ospedaliero<br />

con provata pratica di somministrazione<br />

continua di insulina per via sottocutanea<br />

è di importanza essenziale (115).<br />

Pazienti nutr<strong>it</strong>i per via enterale. L’iperglicemia<br />

è un comune effetto collaterale<br />

causato dalla terapia nutrizionale<br />

per via enterale (116,117). In un recente<br />

studio, in cui si utilizzava insulina basale<br />

in combinazione con un bolo di correzione,<br />

si è raggiunto un valore glicemico<br />

medio di 160 mg/dl (8.9 mmol/l). Risultati<br />

simili si sono ottenuti nel gruppo<br />

randomizzato trattato solo con SSI; tuttavia<br />

per il 48% dei pazienti era necessaria<br />

l’aggiunta di insulina basale per raggiungere<br />

i target glicemici desiderati (109).<br />

Pazienti nutr<strong>it</strong>i per via parenterale.<br />

L’alto carico di glucosio presente nelle<br />

somministrazioni nutr<strong>it</strong>ive standard per<br />

via parenterale provoca frequentemente<br />

iperglicemia, associata a una maggiore<br />

incidenza di complicanze e mortal<strong>it</strong>à nei<br />

pazienti in ICU in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />

(118). Si raccomanda vivamente la terapia<br />

con insulina, coi target glicemici precedentemente<br />

defin<strong>it</strong>i in base alla grav<strong>it</strong>à<br />

della malattia.<br />

Pazienti trattati con glucocorticoidi.<br />

L’iperglicemia è una comune complicanza<br />

della terapia con corticosteroidi (93).<br />

Sono stati proposti parecchi approcci per<br />

il trattamento di questa condizione, ma<br />

nessun protocollo o studio pubblicato ha<br />

effettuato ricerche sull’efficacia dei suddetti<br />

approcci. Un ragionevole approccio<br />

consiste nell’effettuare il mon<strong>it</strong>oraggio<br />

glicemico per almeno 48 ore in tutti i pazienti<br />

a cui vengono somministrate alte<br />

dosi di glucocorticoidi e nel somministrare<br />

la terapia con insulina ove sia appropriato<br />

(94). Nei pazienti già trattati<br />

per l’iperglicemia si raccomanda di effettuare<br />

gli aggiustamenti dei dosaggi di insulina<br />

(119). È importante puntualizzare<br />

che durante la terapia con corticosteroidi<br />

andrebbe effettuato un aggiustamento<br />

proattivo dei dosaggi di insulina, per<br />

ev<strong>it</strong>are eventi di ipoglicemia.<br />

DOMANDA N. 4: LA<br />

GESTIONE<br />

DELL’IPERGLICEMIA DEI<br />

PAZIENTI RICOVERATI È UNA<br />

QUESTIONE DI SICUREZZA?<br />

Sovratrattamento e sottotrattamento<br />

dell’iperglicemia rappresentano questioni<br />

di sicurezza della massima importanza<br />

nei pazienti, diabetici e non, ricoverati<br />

in oespedale (90,120,121). Timore dell’ipoglicemia,<br />

inerzia clinica ed errori medici<br />

sono gli ostacoli ad un controllo glicemico<br />

ottimale (90,122-131). In gran parte<br />

delle s<strong>it</strong>uazioni cliniche, un controllo<br />

DIABETES CARE, JUNE 2009<br />

glicemico sicuro e ragionevole può essere<br />

raggiunto mediante un’adeguata somministrazione<br />

di insulina, aggiustata secondo<br />

i risultati dell’osservazione del<br />

trend glicemico del paziente<br />

(102,106,109).<br />

Le s<strong>it</strong>uazioni cliniche che aumentano<br />

il rischio di ipoglicemia e iperglicemia<br />

durante un ricovero sono:<br />

1. Variazioni dell’assunzione di calorie<br />

o carboidrati (nessuna assunzione di<br />

cibo, nutrizione per via enterale o per<br />

via parenterale) (94,128)<br />

2. Variazioni della condizione clinica o<br />

dei farmaci (ad esempio, corticosteroidi<br />

o vasocostr<strong>it</strong>tori) (93,98)<br />

3. Mancato aggiustamento da parte del<br />

medico della terapia in base ai trend<br />

quotidiani dei valori di BG (102,128)<br />

4. Utilizzo prolungato di SSI come monoterapia<br />

(107,108)<br />

5. Scarsa coordinazione dei test della<br />

BG e della somministrazione di insulina<br />

rispetto ai pasti (121,129)<br />

6. Scarsa comunicazione tra paziente e<br />

medici nei trasferimenti da un’un<strong>it</strong>à<br />

di cura all’altra (120,121)<br />

7. Utilizzo di sulfoniluree a lento rilascio<br />

in pazienti anziani o in pazienti<br />

con insufficienza renale o epatica<br />

8. Errori di prescrizione e di trascrizione<br />

(102,120)<br />

L’ipoglicemia cost<strong>it</strong>uisce uno dei<br />

principali motivi di preoccupazione<br />

quando si somministrano insulina e secretagoghi<br />

dell’insulina. L’ipoglicemia<br />

può verificarsi spontaneamente nei pazienti<br />

con sepsi (130) o nei pazienti trattati<br />

con determinati farmaci, tra cui antibiotici<br />

chinolonici o agonisti β-adrenergici.<br />

Sebbene non si possano ev<strong>it</strong>are tutti<br />

gli episodi di ipoglicemia, l’utilizzo di<br />

protocolli di trattamento dell’ipoglicemia<br />

da parte del personale san<strong>it</strong>ario, che intervenga<br />

prontamente ogni qualvolta i livelli<br />

di BG sono


DIABETES CARE, JUNE 2009<br />

ti ricoverati con diagnosi primaria diversa<br />

dal diabete (128). Tale inazione può<br />

essere in parte dovuta a scarsa conoscenza<br />

o fiducia nella gestione del diabete<br />

(123,133). Le cure apportate possono essere<br />

migliorate con continui corsi di addestramento<br />

e aggiornamento (134,135).<br />

Possibili errori legati all’insulina<br />

L’insulina è un farmaco da utilizzare<br />

con la massima attenzione per via del rischio<br />

derivante da errori nella sua prescrizione,<br />

trascrizione o dosaggio (136).<br />

La vera frequenza di tali errori non è nota,<br />

poiché i dati disponibili dipendono<br />

dalla volontaria comunicazione di tali errori<br />

(102,1<strong>37</strong>), e i meccanismi per un’analisi<br />

in tempo reale delle cause di tali errori<br />

non sono disponibili in gran parte degli<br />

ospedali.<br />

Mon<strong>it</strong>oraggio glicemico<br />

Il mon<strong>it</strong>oraggio della BG dei pazienti<br />

ricoverati viene effettuato mediante glucometri<br />

“point of care” (POC) prima dei<br />

pasti e la sera. È importante ev<strong>it</strong>are l’utilizzo<br />

routinario serale di boli di correzione<br />

di insulina. Nei pazienti sottoposti a<br />

nutrizione continua per via parenterale il<br />

mon<strong>it</strong>oraggio glicemico viene effettuato<br />

a livello ottimale ogni 4-6 ore. Nei pazienti<br />

che ricevono nutrizione per via enterale<br />

a cicli o nutrizione per via parenterale<br />

le tabelle orarie di mon<strong>it</strong>oraggio potranno<br />

essere personalizzate, ma dovranno<br />

essere sufficientemente frequenti per<br />

individuare gli eventi di iperglicemia durante<br />

la nutrizione e il rischio di ipoglicemia<br />

quando la nutrizione sarà interrotta<br />

(109,112). Analisi più frequenti della BG,<br />

effettuate con una frequenza che va da 30<br />

minuti a 2 ore, saranno necessarie per i<br />

pazienti sottoposti a somministrazione di<br />

insulina per via endovenosa.<br />

Misuratori della glicemia<br />

Un controllo glicemico sicuro e razionale<br />

fa affidamento sull’accuratezza delle<br />

misurazioni di BG esegu<strong>it</strong>e mediante<br />

glucometri POC, che hanno parecchie<br />

importanti lim<strong>it</strong>azioni. Sebbene la U.S.<br />

Food and Drug Administration calcoli<br />

un margine di errore del 20% per i glucometri,<br />

l’adeguatezza di tali cr<strong>it</strong>eri è stata<br />

messa in discussione (138). Le misurazioni<br />

glicemiche differiscono in modo significativo<br />

tra plasma e sangue, termini<br />

spesso utilizzati interscambievolmente e<br />

che possono essere facilmente equivocati.<br />

La maggior parte dei glucometri in<br />

commercio utilizza un fattore di correzione<br />

corrispondente a ~1.12 per dare un<br />

valore “plasma-aggiustato” (139).<br />

Discrepanze significative tra campioni<br />

plasmatici capillari, venosi e arteriosi<br />

sono state riscontrate in pazienti con basse<br />

o alte concentrazioni di emoglobina,<br />

28<br />

ipoperfusione o presenza di sostanze che<br />

causavano interferenze (139,140). La variabil<strong>it</strong>à<br />

anal<strong>it</strong>ica è stata descr<strong>it</strong>ta con parecchi<br />

glucometri POC (141). Qualsiasi<br />

risultato glicemico che non sia in correlazione<br />

con la condizione clinica del paziente<br />

andrebbe confermato mediante<br />

l’analisi convenzionale della glicemia<br />

plasmatica effettuata in laboratorio.<br />

Sebbene interferenze e variabil<strong>it</strong>à nella<br />

misurazione della glicemia plasmatica<br />

in laboratorio siano minori, l’effettuazione<br />

di prelievi venosi quotidiani multipli<br />

non è agevole. L’utilizzo, inoltre, di linee<br />

permanenti come fonte di campionamento<br />

presenta rischi di infezione. Gli studi<br />

esegu<strong>it</strong>i mediante l’uso di sistemi di mon<strong>it</strong>oraggio<br />

glicemico interstiziale continuo<br />

nei centri di cura (142,143) sono attualmente<br />

lim<strong>it</strong>ati, a causa dei loro costi<br />

e della non affidabil<strong>it</strong>à delle misurazioni<br />

di BG nel range ipoglicemico.<br />

DOMANDA N. 5: QUALI<br />

SISTEMI SONO NECESSARI<br />

PER SODDISFARE LE<br />

SUDDETTE<br />

RACCOMANDAZIONI?<br />

La compless<strong>it</strong>à del controllo glicemico<br />

dei pazienti ricoverati necess<strong>it</strong>a di un<br />

approccio sistematico che consenta una<br />

pratica sicura e riduca il rischio di errore<br />

(120,121). È essenziale che vi siano sistemi<br />

che utilizzino appropriatamente gli<br />

schemi di terapia terapia insulinica, con<br />

formazione a livello ist<strong>it</strong>uzionale di personale<br />

esperto nella gestione dei livelli<br />

glicemici, per ottenere livelli di controllo<br />

glicemico ragionevolmente sicuri nei pazienti<br />

ricoverati. I lettori potranno leggere<br />

la dichiarazione di consenso<br />

ACE/ADA del 2006, che illustra i sistemi<br />

necessari per promuovere un’efficace<br />

controllo della glicemia nei centri di cura<br />

(11). Alcune delle suddette raccomandazioni<br />

sono brevemente rivedute nei paragrafi<br />

seguenti.<br />

Il successo di qualsiasi programma di<br />

gestione della glicemia dipende dalla capac<strong>it</strong>à<br />

degli amministratori dei centri<br />

ospedalieri di fornire sostegni finanziari,<br />

con la consapevolezza dei tagli dei costi<br />

derivanti dalla riduzione di morbid<strong>it</strong>à,<br />

durata della degenza e nuovi ricoveri.<br />

Tale sostegno è necessario per coprire i<br />

costi inerenti all’aggiornamento, alle dotazioni<br />

e all’impiego di personale necessari<br />

per un programma di gestione del<br />

diabete dei degenti (144).<br />

La creazione di una commissione<br />

multidisciplinare guidata da esperti locali<br />

nel campo del diabete può stabilire<br />

obiettivi di gestione della glicemia ragionevoli<br />

e raggiungibili mediante l’utilizzo<br />

di protocolli e regole codificate (90). Li-<br />

nee guida prestampate o computerizzate,<br />

accompagnate da un adeguato sostegno<br />

tecnico, saranno strumenti utili per una<br />

corretta terapia (8,11,145). Tali strumenti<br />

potranno aiutare a prevenire determinate<br />

contingenze inerenti alla sicurezza del<br />

paziente, come la non somministrazione<br />

della dose prandiale di insulina se il paziente<br />

non mangia (102). I protocolli dovranno<br />

essere periodicamente riveduti e<br />

corretti secondo l’evidenza a disposizione.<br />

La conoscenza da parte del personale<br />

medico riguardo molti aspetti inerenti la<br />

cura dei pazienti diabetici ricoverati è<br />

spesso insufficiente (133). L’istruzione<br />

del personale è pertanto essenziale, in<br />

particolare durante la prima fase di implementazione<br />

(101,127). La comunicazione<br />

formale tra le varie discipline e servizi<br />

contribuisce all’attivazione da parte<br />

del personale ospedaliero di nuove pratiche<br />

e protocolli, oltre a fornire una sede<br />

appropriata ove sarà possibile individuare<br />

cr<strong>it</strong>ic<strong>it</strong>à di rilievo.<br />

Per molti centri di cura vi è la difficoltà<br />

di coordinare la distribuzione dei<br />

pasti con la somministrazione prandiale<br />

di insulina (130), oltre alla variabil<strong>it</strong>à inerente<br />

al conteggio dei carboidrati nei pasti<br />

(94). È dunque necessario coordinare<br />

un’appropriata somministrazione dell’insulina<br />

rispetto ai pasti, che tenga conto<br />

delle variazioni presenti nei pasti distribu<strong>it</strong>i<br />

(122). Un altro approccio può essere<br />

quello di promuovere la coordinazione<br />

del mon<strong>it</strong>oraggio glicemico con la<br />

somministrazione di insulina e la distribuzione<br />

dei pasti, particolarmente durante<br />

i cambi di turno e gli orari di trasferimento<br />

dei pazienti (121,122).<br />

Sistemi che adottino cartelle cliniche<br />

computerizzate, con informazioni immesse<br />

telematicamente dal personale<br />

medico possono migliorare la diffusione<br />

delle informazioni, inclusi i risultati riportati<br />

dai glucometri POC e le somministrazioni<br />

effettuate, fattori tutti che<br />

possono contribuire a ridurre gli errori<br />

da parte del personale medico. Tali sistemi<br />

possono anche fornire l’accesso ad algor<strong>it</strong>mi,<br />

protocolli e mezzi che contribuiscono<br />

ad effettuare le giuste scelte terapeutiche<br />

(146,147).<br />

DOMANDA N. 6: IL<br />

TRATTAMENTO<br />

DELL’IPERGLICEMIA NEI<br />

PAZIENTI RICOVERATI È<br />

EFFICIENTE IN TERMINI DI<br />

COSTO?<br />

Un programma di controllo glicemico<br />

dei pazienti ricoverati con obiettivi predeterminati<br />

avrà costi associati, dovuti a<br />

un aumento dell’impegno orario di me-<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


dici, infermieri, farmacisti e ai costi di altri<br />

servizi. Tali costi vanno considerati<br />

come investimenti a breve termine che si<br />

tramuteranno in risparmio a lungo termine<br />

grazie ai migliorati es<strong>it</strong>i clinici con<br />

diminuzioni di LOS, complicanze per i<br />

pazienti e necess<strong>it</strong>à di nuovi ricoveri<br />

(148-155).<br />

Si sono effettuate analisi farmaco-economiche<br />

che hanno esaminato il rapporto<br />

costo-efficacia del miglioramento del controllo<br />

glicemico nei centri di cura<br />

(148,149). Nel Portland Diabetic Project,<br />

uno studio prospettico non randomizzato<br />

della durata di 17 anni su 4864 pazienti<br />

diabetici sottoposti ad intervento chirurgico<br />

a cuore aperto, la somministrazione di<br />

una terapia insulinica continua per via endovenosa,<br />

mirata a raggiungere livelli target<br />

di BG predeterminati, ha ridotto del<br />

66% l’incidenza di infezioni delle fer<strong>it</strong>e<br />

sternali profonde, risultando in un risparmio<br />

netto totale per l’ente ospedaliero di<br />

USD 4.638,00 a paziente (148). In un altro<br />

studio il controllo glicemico intensivo effettuato<br />

su 1600 pazienti trattati in ICU<br />

medica era associato ad un risparmio totale<br />

di USD 1.580,00 a paziente (149). Van<br />

den Berghe et al. hanno rifer<strong>it</strong>o un risparmio<br />

di USD 3.476,00 a paziente ottenuto<br />

mediante uno stretto controllo dei livelli<br />

di BG, in un’analisi post hoc delle risorse<br />

utilizzate per i propri pazienti ICU sottoposti<br />

a intervento chirurgico e ventilati<br />

meccanicamente. In un’analisi retrospettiva<br />

di pazienti sottoposti ad intervento di<br />

innesto di bypass coronarico, ad ogni aumento<br />

di 50 mg/dl (2.8 mmol/l) dei valori<br />

di BG verificatosi a partire dal giorno<br />

dell’intervento corrispondeva un costo<br />

per l’ospedale di USD 1.769,00 ed un aumento<br />

in termini di durata della degenza<br />

di 0,76 giorni (151). In un centro di cura<br />

terziario l’implementazione di un programma<br />

di gestione del diabete per ridurre<br />

il livello medio di BG di 26 mg/dl (1.4<br />

mmol/l) (177–151 mg/dl [9.8–8.4<br />

mmol/l]) ha apportato riduzioni significative<br />

della LOS (0,26 giorni), oltre ad un<br />

risparmio di cure in ospedale stimato in<br />

più di USD 2.000.000,00 l’anno (152). In<br />

un altro studio, l’implementazione di un<br />

protocollo di somministrazione di insulina<br />

per via sottocutanea per il trattamento<br />

di pazienti con iperglicemia ricoverati<br />

d’urgenza ha dato come risultato una riduzione<br />

della degenza in ospedale di 1,5<br />

giorni (153).<br />

DOMANDA N. 7: QUALI<br />

SONO LE STRATEGIE<br />

OTTIMALI PER IL PASSAGGIO<br />

ALLE CURE AMBULATORIALI?<br />

La preparazione al passaggio alle cure<br />

ambulatoriali rappresenta un obiettivo<br />

importante per la gestione dei degenti<br />

diabetici, che ha inizio con il loro ricovero<br />

in ospedale. Ciò implica un fondamentale<br />

passaggio di responsabil<strong>it</strong>à, da<br />

una s<strong>it</strong>uazione in cui lo staff dell’ospedale<br />

fornisce le cure diabetiche, fino al momento<br />

in cui il paziente è capace di autogestirsi.<br />

Perché tale transizione abbia<br />

successo è necessaria la coordinazione di<br />

un team che comprende medici, infermieri,<br />

dietisti, esperti e assistenti sociali<br />

(8). I centri di cura dotati di educatori al<br />

diabete di comprovata esperienza potranno<br />

avvalersi delle loro capac<strong>it</strong>à<br />

quando il paziente verrà dimesso.<br />

Dall’esame effettuato al momento del<br />

ricovero si ottengono informazioni riguardanti<br />

la precedente storia di diabete<br />

o iperglicemia, la sua gestione e il livello<br />

di controllo glicemico. Una pronta valutazione<br />

del paziente, riguardante capac<strong>it</strong>à<br />

cogn<strong>it</strong>ive, livello di istruzione, acutezza<br />

visiva, destrezza, livello culturale e<br />

condizioni economiche necessarie per acquisire<br />

farmaci e strumenti per la cura<br />

del diabete a casa, farà sì che il tempo necessario<br />

per preparare il paziente a gestire<br />

i problemi inerenti al suo caso sia sufficiente.<br />

Il ricovero in ospedale fornisce<br />

un’opportun<strong>it</strong>à unica per educare il paziente<br />

all’autogestione del diabete (3).<br />

Poiché la LOS media in un centro di cura<br />

è sol<strong>it</strong>amente < 5 giorni (2) e la capac<strong>it</strong>à<br />

di apprendere nuove informazioni può<br />

essere lim<strong>it</strong>ata durante la fase acuta della<br />

malattia, l’istruzione riguardante il diabete<br />

si lim<strong>it</strong>a frequentemente ad un inventario<br />

di “norme di sopravvivenza”<br />

fondamentali.<br />

Si raccomanda di rivedere i seguenti<br />

punti insieme al paziente prima che venga<br />

dimesso (8):<br />

• Grado di comprensione riguardo alla<br />

diagnosi di diabete<br />

• Automon<strong>it</strong>oraggio della BG e spiegazione<br />

degli obiettivi di BG da raggiungere<br />

a casa<br />

• Definizione, riconoscimento, trattamento<br />

e prevenzione di iperglicemia<br />

ed ipoglicemia<br />

• Identificazione del medico che avrà<br />

in cura il paziente diabetico dopo la<br />

sua dimissione<br />

• Informazioni sulle ab<strong>it</strong>udini alimentari<br />

• Quando e come assumere farmaci<br />

per abbassare i livelli di BG, compresa<br />

la somministrazione di insulina (se<br />

al paziente verrà somministrata insulina<br />

per la gestione a casa)<br />

• La gestione di una malattia intercorrente<br />

• Adeguato utilizzo e smaltimento di<br />

aghi e siringhe<br />

DIABETES CARE, JUNE 2009<br />

Errori di prescrizione ed eventi indesiderati<br />

causati dai farmaci sono stati attribu<strong>it</strong>i<br />

alle scarse istruzioni impart<strong>it</strong>e al<br />

paziente al momento della sua dimissione<br />

(156,157). Ciò vale particolarmente<br />

per i regimi di trattamento con insulina,<br />

maggiormente complessi. Poiché è possibile<br />

che il paziente non rammenti le<br />

istruzioni che gli verranno date il giorno<br />

in cui verrà dimesso (158), sarà bene che<br />

gli vengano date chiare istruzioni in forma<br />

scr<strong>it</strong>ta, che saranno per lui e per il<br />

suo medico un punto di riferimento e cost<strong>it</strong>uiranno<br />

un elemento fondamentale<br />

per la transizione dall’ospedale alla autogestione.<br />

In un recente studio si è osservato<br />

che uno specifico modulo contenente<br />

istruzioni dettagliate riguardanti la<br />

somministrazione di insulina dopo la dimissione<br />

risultava più chiaro e più esauriente,<br />

in mer<strong>it</strong>o ai dosaggi dell’insulina<br />

e all’auto mon<strong>it</strong>oraggio della BG, rispetto<br />

ad un generico foglio ospedaliero di dimissioni<br />

(159).<br />

Si consiglia di effettuare in ospedale<br />

una vis<strong>it</strong>a di follow-up in presenza del<br />

san<strong>it</strong>ario che avrà in cura il paziente entro<br />

un mese dalle dimissioni, soprattutto<br />

in quei pazienti che hanno avuto eventi<br />

di iperglicemia durante il ricovero in<br />

ospedale (8). Una chiara comunicazione,<br />

diretta o scr<strong>it</strong>ta, con colui che seguirà il<br />

paziente renderà più facile a quest’ultimo<br />

la transizione alla fase successiva alle<br />

dimissioni. Le informazioni riguardanti<br />

la causa o il piano per determinare la<br />

causa dell’iperglicemia, delle complicanze<br />

e comorbid<strong>it</strong>à correlate, e i trattamenti<br />

raccomandati potranno essere di aiuto a<br />

coloro che avranno in cura i pazienti diabetici<br />

ambulatoriali.<br />

DOMANDA N. 8: QUALI<br />

SONO LE FUTURE AREE DI<br />

RICERCA?<br />

I seguenti punti sono gli argomenti di<br />

ricerca e le domande proposte per migliorare<br />

la gestione dei pazienti con iperglicemia<br />

durante la degenza in un centro<br />

di cura.<br />

Iperglicemia da stress<br />

• Quali sono i meccanismi soggiacenti?<br />

• Quali anormal<strong>it</strong>à hanno portato alla<br />

variabil<strong>it</strong>à dell’insulinoresistenza osservata<br />

in alcuni pazienti in condizioni<br />

cr<strong>it</strong>iche?<br />

• Quali modal<strong>it</strong>à terapeutiche, in aggiunta<br />

al controllo glicemico, migliorano<br />

la prognosi dei pazienti in condizioni<br />

cr<strong>it</strong>iche con iperglicemia?<br />

• Vi sono target glicemici ottimali e sicuri,<br />

specifici per determinate popolazioni<br />

di pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche?<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 29


DIABETES CARE, JUNE 2009<br />

Ipoglicemia severa<br />

• Qual è il profilo dei degenti a più alto<br />

rischio di ipoglicemia severa?<br />

• Quali sono gli es<strong>it</strong>i a breve e a lungo<br />

termine dei pazienti che hanno episodi<br />

di ipoglicemia severa?<br />

• Quali sono i costi effettivi dell’ipoglicemia<br />

nei degenti?<br />

Target glicemici nei reparti di medicina<br />

e chirurgia generale<br />

• Quali sono i target glicemici ottimali<br />

e sicuri dei pazienti ricoverati non in<br />

condizioni cr<strong>it</strong>iche? Tra gli end point<br />

raccomandati per un RCT vi sono frequenza<br />

di ipoglicemia, infezioni contratte<br />

durante il ricovero, altre complicanze<br />

verificatesi durante il ricovero,<br />

LOS e nuovo ricovero.<br />

Variabil<strong>it</strong>à glicemica<br />

• Qual è l’effetto della variabil<strong>it</strong>à glicemica<br />

e la portata della variazione della<br />

glicemia sugli es<strong>it</strong>i a breve e a lungo<br />

termine, in condizioni di ICU e<br />

non ICU?<br />

Sistemi ospedalieri e sicurezza<br />

• Quali sistemi ospedalieri e misure di<br />

sicurezza sono importanti per migliorare<br />

il controllo glicemico e gli es<strong>it</strong>i<br />

clinici dei pazienti?<br />

• Quali team e sistemi di sostegno sono<br />

richiesti per una transizione sicura ed<br />

efficace dei pazienti dal ricovero alla<br />

domiciliarizzazione?<br />

Trattamento insulinico e strumenti di<br />

mon<strong>it</strong>oraggio<br />

• Quali sono le strategie sicure ed efficaci<br />

per il trattamento con insulina e<br />

analoghi dell’insulina dei pazienti ricoverati?<br />

• Qual è il ruolo dei sistemi di mon<strong>it</strong>oraggio<br />

glicemico continuo nei centri<br />

di cura?<br />

Pazienti ricoverati in età pediatrica<br />

• Quali sono i target glicemici ottimali<br />

e sicuri per i soggetti in età pediatrica<br />

ricoverati ma non in condizioni cr<strong>it</strong>iche?<br />

SOMMARIO DELLE<br />

RACCOMANDAZIONI<br />

I. Pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />

• La terapia con insulina andrebbe avviata<br />

per il trattamento di una iperglicemia<br />

persistente, iniziando per<br />

valori non più alti di180 mg/dl (10.0<br />

mmol/l).<br />

• Una volta iniziata la terapia con insu-<br />

30<br />

lina, si raccomanda un obiettivo glicemico<br />

di 140–180 mg/dl (7.8–10.0<br />

mmol/l) nella maggior parte dei pazienti<br />

in condizioni cr<strong>it</strong>iche.<br />

• La somministrazione di insulina per<br />

via endovenosa è il metodo prefer<strong>it</strong>o<br />

per raggiungere e mantenere il controllo<br />

glicemico dei pazienti in condizioni<br />

cr<strong>it</strong>iche.<br />

• Si raccomanda l’uso di protocolli collaudati,<br />

di dimostrata sicurezza ed efficacia,<br />

con basso rischio di ipoglicemia.<br />

• Col trattamento con insulina somministrata<br />

per via endovenosa è essenziale<br />

che vi sia un frequente mon<strong>it</strong>oraggio<br />

glicemico, per minimizzare i<br />

rischi di ipoglicemia e per raggiungere<br />

un controllo glicemico ottimale.<br />

II. Pazienti non in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />

• Nella maggior parte dei pazienti trattati<br />

con insulina non in condizioni<br />

cr<strong>it</strong>iche, i livelli target di BG prima<br />

dei pasti dovrebbero generalmente<br />

essere


DIABETES CARE, JUNE 2009<br />

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34<br />

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Confronto tra analoghi dell’insulina e<br />

insulina umana nel trattamento dei<br />

pazienti con chetoacidosi diabetica<br />

Un trial randomizzato controllato<br />

GUILLERMO E. UMPIERREZ, MD 1 CRISPIN SEMAKULA, MD 2<br />

SIDNEY JONES, MD 2 DENISE UMPIERREZ, BA 1<br />

DAWN SMILEY, MD 1 LIMIN PENG, PHD 3<br />

PATRICK MULLIGAN, BA 1 MIGUEL CERÓN, MD 1<br />

TREVOR KEYLER 2 GONZALO ROBALINO, MD 1<br />

ANGEL TEMPONI, MD 1<br />

OBIETTIVO – Confrontare sicurezza ed efficacia degli analoghi dell’insulina e<br />

insulina umana sia durante il trattamento acuto per via endovenosa che durante la<br />

transizione alla somministrazione di insulina per via sottocutanea in pazienti con<br />

chetoacidosi diabetica (DKA).<br />

DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – In uno studio open-label<br />

multicentrico controllato, pazienti con DKA sono stati assegnati random per ricevere<br />

trattamento con insulina regolare o glulisina per via endovenosa fino alla scomparsa<br />

della DKA. Dopo aver risolto la chetoacidosi, i pazienti trattati con insulina regolare<br />

per via endovenosa effettuavano la transizione ad insulina NPH ed insulina regolare<br />

sottocute due volte al giorno (n = 34). I pazienti trattati con insulina glulisina per via<br />

endovenosa passavano ad insulina glargina una volta al giorno e glulisina prima dei<br />

pasti per via sottocutanea (n = 34).<br />

RISULTATI – Non vi erano differenze nella durata media del trattamento o della<br />

quant<strong>it</strong>à di insulina somministrata fino alla risoluzione della DKA tra i trattamenti<br />

con insulina regolare e glulisina per via endovenosa. Dopo la transizione all’insulina<br />

per via sottocutanea, non vi erano differenze nei livelli medi giornalieri di glucosio,<br />

ma nei pazienti trattati con NPH ed insulina regolare vi era una maggiore frequenza<br />

di ipoglicemia (livelli di glucosio


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

tamento tra insulina regolare e analoghi<br />

dell’insulina ad azione rapida durante il<br />

trattamento acuto per via endovenosa<br />

della DKA e 2) determinare le differenze<br />

tra il trattamento con glargina associata a<br />

glulisina ed un regime “spl<strong>it</strong>-mixed” di<br />

insulina NPH associata ad insulina regolare<br />

dopo la transizione all’insulina per<br />

via sottocutanea in segu<strong>it</strong>o alla risoluzione<br />

della DKA.<br />

DISEGNO DELLA RICERCA E<br />

METODI<br />

74 pazienti con DKA sono stati assegnati<br />

a random a questo studio. Di questi,<br />

sei venivano esclusi; quattro r<strong>it</strong>iravano il<br />

proprio consenso prima o poco dopo l’inizio<br />

della terapia insulinica, un paziente riceveva<br />

insulina glargina prima della risoluzione<br />

della DKA ed un paziente era trattato<br />

con insulina aspart per via endovenosa<br />

invece di insulina regolare. I rimanenti<br />

68 pazienti cost<strong>it</strong>uivano la popolazione<br />

dello studio. La diagnosi di DKA era formulata<br />

secondo cr<strong>it</strong>eri standard (8). Sono<br />

stati esclusi pazienti con pressione sistolica<br />


Tabella – Caratteristiche dei pazienti al loro ingresso nello studio<br />

± 2.2 giorni) e tra quelli trattati con NPH<br />

e insulina regolare (3.3 ± 2.2 giorni) (NS).<br />

I parametri biochimici al momento<br />

dell’ingresso in studio e durante il trattamento<br />

risultavano simili nei pazienti<br />

Analoghi dell’insulina Insulina umana<br />

(glulisina/glargina) (NPH/regolare)<br />

n 34 34<br />

Età (anni) 39 ± 12 38 ± 12<br />

Sesso (maschile/femminile) 22/12 23/11<br />

Razza<br />

Afro-americana 29 27<br />

Caucasica 4 6<br />

Altro 1<br />

BMI (kg/m 2 ) 29 ± 9 27 ± 7<br />

Causa precip<strong>it</strong>ante la DKA<br />

Scarsa compliance 20 (59) 27 (79)<br />

Diabete di nuova insorgenza 6 (18)<br />

Altre malattie 8 (23) 7 (21)<br />

Glucosio (mg/dl) 529 ± 173 564 ± 164<br />

Bicarbonato (mEq/l) 12.8 ± 4.5 12.5 ± 5.0<br />

pH venoso 7.2 ± 0.1 7.1 ± 0.2<br />

Gap anionico (mEq/l) 22 ± 6 22 ± 6<br />

β-idrossibutirrato (mmol/l) 8.0 ± 3.4 7.4 ± 3.3<br />

HbA1c (%) 11.7 ± 2.2 11.7 ± 2.9<br />

I dati sono medie ± SD o n (%).<br />

Glicemia (mg/dL)<br />

Bicabornati (mE/qL)<br />

Durata del trattamento (ore)<br />

trattati con glulisina e insulina regolare<br />

per via endovenosa (NS). Le variazioni<br />

dei livelli di glucosio e dei parametri di<br />

acidosi durante il trattamento sono riportati<br />

in Fig. 1. Come sugger<strong>it</strong>o dall’a-<br />

DIABETES CARE, JULY 2009<br />

nalisi per misurazioni ripetute, la diminuzione<br />

delle concentrazioni di glucosio<br />

e le variazioni dei parametri di acidosi<br />

durante il trattamento non differivano significativamente<br />

tra i gruppi, dopo aggiustamenti<br />

per età, sesso, razza e BMI<br />

(NS). La durata media del trattamento fino<br />

alla soluzione della chetoacidosi non<br />

era statisticamente differente tra il gruppo<br />

trattato con glulisina (8.9 ± 4.7 h) e il<br />

gruppo trattato con insulina regolare<br />

(10.5 ± 6.3 h) (NS). Alla risoluzione della<br />

DKA, le concentrazioni medie di glucosio<br />

e dei parametri di acidosi nei pazienti<br />

trattati con glulisina (glucosio 153 ± 61<br />

mg/dl, bicarbonato 20 ± 3 mmol/l, pH<br />

7.33 ± 0.04 e gap anionico 8.3 ± 2.1<br />

mEq/l) risultavano simili a quelle dei<br />

pazienti trattati con insulina regolare per<br />

via endovenosa (glucosio 185 ± 58<br />

mg/dl, bicarbonato 19.5 ± 3.7 mEq/l, pH<br />

7.32 ± 0.04 e gap anionico 9 ± 3 mEq/l).<br />

Durante la somministrazione di insulina,<br />

sei pazienti trattati con glulisina e quattro<br />

trattati con insulina regolare avevano<br />

valori glicemici


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

Tabella 2 – Eventi ipoglicemici durante il trattamento con insulina per via endovenosa<br />

e sottocutanea<br />

Terapia insulinica per via endovenosa Glulisina Regolare<br />

Pazienti con BG


tuati in pazienti con DKA erano incentrati<br />

sulla quant<strong>it</strong>à e sulle modal<strong>it</strong>à della somministrazione<br />

di insulina durante il trattamento<br />

della fase acuta della chetoacidosi<br />

(2,3). Pochi studi invece hanno esaminato<br />

il periodo di transizione all’insulina per<br />

via sottocutanea. Pertanto, il nostro scopo<br />

in questo studio era anche di confrontare<br />

le differenze di trattamento tra gli analoghi<br />

dell’insulina in regime basale-bolo e<br />

insulina NPH ed insulina regolare dopo<br />

la risoluzione della DKA. Non si sono riscontrate<br />

differenze nelle concentrazioni<br />

glicemiche medie tra i gruppi; tuttavia, gli<br />

eventi ipoglicemici erano più frequenti<br />

nei pazienti trattati con NPH ed insulina<br />

regolare (41%) rispetto ai soggetti trattati<br />

con insulina in regime basale-bolo (15%)<br />

(P < 0.03). La frequenza degli eventi ipoglicemici<br />

in questo studio è analoga a<br />

quella precedentemente riportata riguardante<br />

l’adozione di NPH e insulina regolare<br />

dopo l’interruzione della terapia per<br />

via endovenosa (3,9). La maggiore frequenza<br />

di ipoglicemie con insulina umana<br />

è dovuta alle caratteristiche farmacologiche<br />

e alla durata del picco di attiv<strong>it</strong>à di<br />

NPH e insulina regolare (10), così come<br />

alla variabil<strong>it</strong>à di assorbimento da un<br />

giorno all’altro (11). La NPH inizia la propria<br />

azione in un periodo che varia tra le<br />

2 e le 4 h, ha un picco di concentrazione a<br />

~6–8 h, e una durata d’azione fino a 20 h<br />

(19). L’insulina umana regolare inizia la<br />

propria azione in 30 min, raggiunge il picco<br />

in 2–3 h per via sottocutanea, e la sua<br />

durata d’azione è di 6–8 h (19). La combinazione<br />

di analoghi dell’insulina basale e<br />

a rapida azione rappresenta un approccio<br />

maggiormente fisiologico verso il controllo<br />

glicemico in ospedale. La glargina è<br />

un’insulina basale, a lento rilascio, senza<br />

attiv<strong>it</strong>à di picco, che inizia la propria azione<br />

dopo ~2 h, ha un plateau di azione biologica<br />

a 4-6 h e durata d’azione fino a 24 h<br />

(20). La glulisina inizia la propria azione<br />

in tempi più rapidi e, iniettata per via sottocutanea,<br />

ha una durata d’azione più<br />

breve rispetto all’insulina regolare (21,22).<br />

In sintonia con questi risultati abbiamo recentemente<br />

riportato che un algor<strong>it</strong>mo basale-bolo<br />

con glargina e glulisina rappresenta<br />

un intervento efficace per il controllo<br />

glicemico con una bassa frequenza di<br />

eventi ipoglicemici (3%) nei pazienti ricoverati<br />

con diabete di tipo 2 (14). Più di recente,<br />

abbiamo riportato che nel 38% dei<br />

pazienti ricoverati, trattati con una combinazione<br />

di NPH e insulina regolare, vi<br />

erano uno o più episodi di glicemia


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

40<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


Rapporto dell’International<br />

Expert Comm<strong>it</strong>tee sul ruolo del test<br />

dell’HbA1c nella diagnosi di diabete<br />

THE INTERNATIONAL EXPERT COMMITTEE*<br />

L’International Expert Comm<strong>it</strong>tee, con<br />

membri nominati dall’American Diabetes<br />

Association, l’European Association for the<br />

Study of Diabetes e l’International Diabetes<br />

Federation, si è riun<strong>it</strong>a nel 2008 per valutare<br />

i mezzi per la diagnosi del diabete attuali e<br />

futuri in persone non in gravidanza. La relazione<br />

dell’International Comm<strong>it</strong>tee rappresenta<br />

il punto di vista dei propri membri e<br />

non necessariamente il punto di vista delle<br />

organizzazioni che li hanno nominati. L’International<br />

Expert Comm<strong>it</strong>tee spera che la<br />

propria relazione servirà come stimolo per la<br />

comun<strong>it</strong>à internazionale e le organizzazioni<br />

professionali a prendere in considerazione<br />

l’uso del test dell’HbA1c per la diagnosi del<br />

diabete.<br />

Il diabete è una malattia caratterizzata<br />

da anomalie del metabolismo, in modo<br />

particolare l’iperglicemia, associate ad<br />

un elevato rischio di complicanze a lungo<br />

termine relativamente specifiche, che<br />

possono interessare occhi, reni e sistema<br />

nervoso. Sebbene il diabete aumenti notevolmente<br />

anche il rischio di malattie<br />

cardiovascolari, queste non sono specifiche<br />

del diabete e il loro rischio non è stato<br />

incluso in precedenti definizioni o<br />

classificazioni di diabete o di iperglicemia<br />

subdiabetica.<br />

Premessa<br />

Diagnosi di diabete basata sulla<br />

distribuzione dei livelli glicemici<br />

La misurazione della glicemia è il<br />

mezzo storicamente utilizzato per diagnosticare<br />

il diabete. Il diabete di tipo 1<br />

ha esordio clinico sufficientemente caratteristico,<br />

con un aumento netto, relativamente<br />

acuto, della concentrazione di glucosio<br />

accompagnato da sintomi tali, nella<br />

maggior parte dei casi, da non richiedere<br />

cut point glicemici specifici per la diagnosi.<br />

Invece il diabete di tipo 2 ha un<br />

esordio più graduale, con livelli glicemici<br />

che aumentano nel tempo e la sua diagnosi<br />

richiede specifici valori di glicemia<br />

Corresponding author: David M. Nathan, dnathan@partners.org.<br />

per distinguere concentrazioni patologiche<br />

di glucosio nel sangue dalla distribuzione<br />

della glicemia nella popolazione<br />

non diabetica. Praticamente ogni sistema<br />

di classificazione e diagnosi del diabete<br />

si basa attualmente sulla misurazione dei<br />

livelli glicemici in campioni di plasma (o<br />

sangue o siero) prelevati in tempi specifici,<br />

ad es. a digiuno, o a random, indipendentemente<br />

dall’assunzione di cibo, o<br />

dopo prova da carico standardizzata, come<br />

il test orale di tolleranza dopo assunzione<br />

di 75g di glucosio (OGTT).<br />

I primi tentativi di uniformare la definizione<br />

del diabete si basavano sull’OGTT,<br />

ma l’affidabil<strong>it</strong>à e l’interpretazione<br />

del test non davano sempre la massima<br />

certezza e il numero dei soggetti<br />

studiati era troppo basso per definire i<br />

valori anomali (1-6). Studi su popolazioni<br />

ad alto rischio come gli indiani Pima,<br />

che mostrano una distribuzione bimodale<br />

dei livelli di glucosio in segu<strong>it</strong>o a<br />

OGTT (7,8), hanno contribu<strong>it</strong>o a confermare<br />

il valore a 2 ore come soglia diagnostica,<br />

anche se la maggior parte delle<br />

popolazioni ha una distribuzione dei livelli<br />

glicemici unimodale (9). È da notare<br />

che si è osservata una distribuzione bimodale<br />

anche dei valori glicemici a digiuno<br />

nei Pima e in altre popolazioni ad<br />

alto rischio (10,11). Restava tuttavia difficile<br />

individuare un preciso livello di glicemia<br />

plasmatica a digiuno (FPG) o dopo<br />

2 ore dall’assunzione di glucosio<br />

(2HPG) che separasse la distribuzione bimodale<br />

nei Pima, con potenziali cut<br />

point di FPG e 2HPG che variavano rispettivamente<br />

da 120 a 160 mg/dl (6,7-<br />

8,9 mmol/l) e da 200 a 250 mg/dl (11.1-<br />

13.9 mmol/l).<br />

Nel 1979 il National Diabetes Data<br />

Group (NDDG) ha stabil<strong>it</strong>o i cr<strong>it</strong>eri di<br />

diagnosi che sarebbero stati adottati come<br />

riferimento per quasi due decenni<br />

(12). Questi cr<strong>it</strong>eri si basavano sulla distribuzione<br />

dei livelli glicemici, piuttosto<br />

che sul rapporto tra glicemia e complicanze,<br />

per diagnosticare il diabete, nono-<br />

DIABETES CARE, JULY 2009<br />

stante risultasse già evidente che le complicanze<br />

microvascolari del diabete fossero<br />

associate ad una fascia di valori di<br />

FPG e OGTT più alta (11,13-15). I valori<br />

glicemici diagnostici scelti si basavano<br />

sulla loro associazione con lo scompenso<br />

“palese” o sintomatico del diabete.<br />

Nel selezionare i valori glicemici soglia,<br />

il NDDG riconobbe che “non vi è<br />

una netta divisione tra soggetti diabetici<br />

e nondiabetici nelle concentrazioni di<br />

FPG o nella loro risposta ad un carico<br />

orale di glucosio” e, di conseguenza, “si<br />

sono decisi arb<strong>it</strong>rariamente i livelli glicemici<br />

necessari per porre diagnosi di diabete”.<br />

La diagnosi di diabete era formulata<br />

quando 1) erano presenti sintomi caratteristici,<br />

2) la FPG venosa era ≥ 140<br />

mg/dl (≥ 7,8 mmol/l); o 3) dopo un carico<br />

di 75g di glucosio, i livelli di 2HPG e<br />

di un campione prelevato prima delle 2<br />

ore erano ≥ 200 mg/dl (≥ 11,1 mmol/l).<br />

Al livello intermedio venne inoltre data<br />

la definizione di “alterata tolleranza glucidica”<br />

(IGT), con FPG


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

diagnosi del diabete. La commissione<br />

esaminò i dati di tre studi epidemiologici<br />

trasversali che includevano popolazioni<br />

di Egiziani (n = 1018), Indiani Pima (n =<br />

960), e la popolazione Americana del National<br />

Health and Nutr<strong>it</strong>ion Examination<br />

Survey (NHANES) (n = 2821). La retinopatia<br />

era valutata in ciascuno dei suddetti<br />

studi tram<strong>it</strong>e fotografia del fundus od<br />

oftalmoscopia diretta e i livelli glicemici<br />

misurati come FPG, 2HPG e HbA1c.<br />

Questi studi dimostrarono che esistevano<br />

valori glicemici al di sotto dei quali vi<br />

era una scarsa prevalenza di retinopatia<br />

e al di sopra dei quali la prevalenza aumentava<br />

in maniera apparentemente lineare<br />

(Fig. 1). Quando gli indici di prevalenza<br />

della retinopatia erano espressi in<br />

decili di glicemia per ognuna delle tre<br />

misurazioni, i livelli glicemici in cui la retinopatia<br />

iniziava ad aumentare risultarono<br />

gli stessi per ciascuna misura all’interno<br />

di ogni popolazione. Inoltre, i valori<br />

della glicemia al di sopra dei quali la<br />

retinopatia aumentava erano analoghi<br />

tra le popolazioni. Questi dati mostravano<br />

una chiara relazione tra glicemia e rischio<br />

di retinopatia, destinata a soppiantare<br />

il precedente concetto di rischio di<br />

progressione verso un diabete palese e<br />

sintomatico come base per la diagnosi.<br />

Confrontando la relazione tra valori<br />

di FPG e 2HPG e la retinopatia, appariva<br />

evidente che il precedente cut point di<br />

FPG ≥ 140 mg/dl (7,8 mmol/l) era sostanzialmente<br />

al di sopra dei livelli glicemici<br />

in cui si verificava l’aumento della<br />

prevalenza di retinopatia. Di conseguenza,<br />

la commissione decise che il cut point<br />

di FPG dovesse essere abbassato a ≥ 126<br />

mg/dl (7,0 mmol/l), in modo da rappresentare<br />

un livello di iperglicemia “simile”<br />

al valore di 2HPG, e in modo che la<br />

diagnosi basata sull’una o sull’altra misurazione<br />

desse come risultato una simile<br />

prevalenza di diabete nella popolazione.<br />

La relazione della commissione del<br />

1997 riconobbe che, anche ad un più basso<br />

cut point della FPG, i livelli di questa<br />

e dell’OGTT (2HPG) non coincidevano<br />

perfettamente. Un soggetto poteva dunque<br />

risultare diabetico sulla base di un<br />

test ma non dell’altro. Questa discrepanza<br />

è stata confermata in numerose successive<br />

pubblicazioni e può essere dovuta,<br />

in parte, al fatto che, sebbene entrambi<br />

i test effettuino misurazioni della glicemia,<br />

essi riflettono misurazioni fisiologiche<br />

differenti del metabolismo del glucosio<br />

(18). Il dibatt<strong>it</strong>o in mer<strong>it</strong>o ai ruoli<br />

rispettivamente giocati da FPG e 2HPG<br />

nella diagnosi del diabete in adulti non<br />

in gravidanza è continuato (19-21).<br />

La relazione del 1997 raccomandava<br />

inoltre che il livello di FPG, anziché quello<br />

2HPG, fosse il test da preferire per la<br />

diagnosi del diabete in quanto più prati-<br />

42<br />

Figura 1 – Prevalenza di retinopatia espressa in decili della distribuzione di FPG, 2HPG e<br />

HbA1c nelle popolazioni di indiani Pima (A), Egiziani(B) e individui tra i 40 e i 74 anni di età<br />

inclusi nel NHANES III (C). Adattato con l’autorizzazione del ref. 17.<br />

co per i pazienti, più rapido e meno costoso<br />

e con una riproducibil<strong>it</strong>à superiore<br />

(17). Inoltre, la commissione introdusse<br />

la definizione di “alterata glicemia a digiuno”<br />

(IFG) per differenziare lo stato<br />

metabolico tra normal<strong>it</strong>à (FPG


altrimenti, avrebbe potuto non risultare<br />

evidente, e che l’OGTT dovesse continuare<br />

a rappresentare lo standard di “eccellenza”.<br />

In uno studio di follow-up del<br />

2003, la commissione di esperti ha nuovamente<br />

rettificato il range di glicemia a<br />

digiuno per l’IFG da ≥ 110 ma


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

Figura 2 – Prevalenza della retinopatia ad intervalli di 0.5% e grav<strong>it</strong>à della retinopatia in soggetti di età tra 20 e 79 anni. NPDR, retinopatia<br />

diabetica non proliferante (S. Colagiuri, comunicazione personale).<br />

lori di HbA1c


ed è prematuro stabilire valori diagnostici<br />

specifici per le singole razze. Infine, vi sono<br />

rare condizioni cliniche, come il diabete<br />

di tipo 1 ad evoluzione rapida, dove il<br />

livello di HbA1c non ha avuto il tempo di<br />

“stare al passo” con l’aumento acuto della<br />

glicemia, ma in questi casi, molto rari, il<br />

diabete dovrebbe essere diagnosticabile<br />

dal riscontro dei sintomi tipici e da misurazioni<br />

dei livelli glicemici in orari non<br />

predeterminati che mostrano livelli >200<br />

mg/dl (11,1 mmol/l), nonostante un valore<br />

di HbA1c non diagnostico.<br />

Nonostante le lim<strong>it</strong>azioni cui si è appena<br />

accennato, il test HbA1c presenta<br />

numerosi importanti vantaggi rispetto alle<br />

misurazioni di laboratorio della glicemia<br />

attualmente in uso (Tabella 1). La prevalenza<br />

di diabete in alcune popolazioni<br />

può non essere la stessa, quando la diagnosi<br />

è basata sull’esame dell’HbA1c<br />

piuttosto che sulle misurazioni dei livelli<br />

glicemici, e un metodo può differire nell’identificare<br />

determinati soggetti rispetto<br />

ad altri. Dato che le misurazioni della glicemia<br />

e quelle dell’HbA1c rispecchiano<br />

diversi aspetti del metabolismo del glucosio,<br />

ciò è prevedibile. Tuttavia, stabilire<br />

identiche prevalenze non dovrebbe essere<br />

l’obiettivo della definizione di un nuovo<br />

strumento di diagnosi del diabete. L’obiettivo<br />

ultimo è quello di identificare le<br />

persone a rischio di complicanze del diabete<br />

in modo che possano essere curate. Il<br />

livello diagnostico di HbA1c pari al 6,5%<br />

raggiunge questo obiettivo.<br />

La misurazione dell’HbA1c<br />

può definire uno specifico<br />

stato subdiabetico ad “alto<br />

rischio”?<br />

La relazione del 2003 dell’International<br />

Expert Comm<strong>it</strong>tee ha abbassato il lim<strong>it</strong>e<br />

inferiore di IFG da 110 mg/dl (6,1<br />

mmol/l) a 100 mg/dl (5,6 mmol/l) per il<br />

fatto che questi livelli più bassi ottimizzano<br />

sensibil<strong>it</strong>à e specific<strong>it</strong>à nella predizione<br />

dell’insorgenza del diabete e aumentano<br />

il numero dei soggetti con IGT che possono<br />

essere identificati con il test della FPG<br />

(21). Mentre studi precedenti avevano dimostrato<br />

una notevole efficacia pred<strong>it</strong>tiva<br />

di IFG e/o IGT sul successivo sviluppo di<br />

diabete diagnosticato tram<strong>it</strong>e i valori glicemici<br />

(52-54), relazioni più recenti hanno<br />

dimostrato un certo grado di rischio di<br />

diabete anche a livelli glicemici ben al di<br />

sotto di ciò che era stato precedentemente<br />

considerato “normale”, vale a dire<br />

FPG


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

Tabella 2 – Recommendazioni dell’International Expert Comm<strong>it</strong>tee<br />

Per la diagnosi di diabete:<br />

• L’HbA1c è una misurazione accurata e precisa dei livelli glicemici cronici ed è ben<br />

correlata col rischio di complicanze del diabete.<br />

• Il test dell’HbA1c presenta diversi vantaggi rispetto alle misurazioni di laboratorio<br />

della glicemia.<br />

• Si dovrebbe porre diagnosi di diabete quando l’HbA1c è ≥ 6,5%. La diagnosi dovrebbe<br />

essere confermata con un ulteriore dosaggio dell’HbA1c. La conferma non<br />

è necessaria nei soggetti sintomatici con glicemia plasmatica >200 mg/dl (>11.1<br />

mmol/l).<br />

• Se il test dell’HbA1c non è eseguibile, sono accettabili i metodi diagnostici precedentemente<br />

raccomandati (FPG o 2HPG, con conferma).<br />

• Il test dell’HbA1c è indicato nei bambini in cui si sospetta diabete ma non sono<br />

presenti né i classici sintomi né una glicemia casuale plasmatica >200 mg/dl (>11.1<br />

mmol/l).<br />

Per l’identificazione dei soggetti ad alto rischio di diabete:<br />

• Il rischio di diabete basato sulla glicemia è un continuum; non esiste dunque alcuna<br />

soglia di glicemia che definisca chiaramente l’inizio della zona di rischio.<br />

• Gli stati clinici catalogati come prediabete, IFG e IGT non riescono a definire il<br />

continuum di rischio e saranno utilizzati sempre meno col maggior utilizzo del test<br />

dell’HbA1c in sost<strong>it</strong>uzione delle altre misurazioni glicemiche di laboratorio.<br />

• Come per la diagnosi del diabete, l’esame dell’HbA1c presenta molti vantaggi rispetto<br />

alle misurazioni di laboratorio della glicemia nell’identificare i soggetti ad<br />

alto rischio di diabete.<br />

• Coloro che hanno livelli di HbA1c al di sotto della soglia di diabete ma ≥ 6.0% devono<br />

essere sottoposti a inteventi preventivi efficaci. I soggetti con livelli inferiori<br />

a questo range possono essere ancora a rischio e, secondo la presenza o meno di<br />

altri fattori di rischio per il diabete, potrebbero ugualmente trarre beneficio da interventi<br />

preventivi.<br />

• I livelli di HbA1c a cui iniziare gli interventi di prevenzione basati sulla popolazione<br />

dovrebbero fondarsi sulla natura degli interventi, le risorse disponibili e le dimensioni<br />

della popolazione interessata.<br />

ne cronica al glucosio è più probabile<br />

che dia informazioni sulla presenza di<br />

diabete rispetto ad una sola misurazione<br />

glicemica.<br />

• Il test dell’HbA1c fornisce una misurazione<br />

affidabile della glicemia cronica<br />

ed è correlato col rischio di complicanze<br />

a lungo termine del diabete.<br />

• Il test dell’HbA1c (uniformato e allineato<br />

con l’analisi del Diabetes Control<br />

and Complications Trial/UK Prospective<br />

Diabetes Study) presenta diversi<br />

vantaggi tecnici, di tipo preanal<strong>it</strong>ico<br />

e anal<strong>it</strong>ico, rispetto alle misurazioni<br />

glicemiche attualmente effettuate in<br />

laboratorio.<br />

• Per i motivi sopra esposti, il test dell’HbA1c<br />

può essere un mezzo migliore<br />

di diagnosi del diabete rispetto alle misurazioni<br />

dei livelli glicemici.<br />

• La diagnosi di diabete viene posta se<br />

l’HbA1c è ≥ 6,5%. La diagnosi andrebbe<br />

confermata con un ulteriore test<br />

dell’HbA1c a meno che non sussistono<br />

sintomi clinici e livelli glicemici >200<br />

mg/dl (>11,1 mmol/l).<br />

• Se il test dell’HbA1c non è eseguibile a<br />

causa della presenza nel paziente di<br />

fattori che ne precludono l’interpretazione<br />

(ad esempio emoglobinopatie o<br />

un turnover anormale degli er<strong>it</strong>roc<strong>it</strong>i),<br />

o per indisponibil<strong>it</strong>à del test, si do-<br />

46<br />

vrebbero utilizzare i test (cioè FPG e<br />

2HPG) ed i cr<strong>it</strong>eri diagnostici precedentemente<br />

raccomandati. Sarebbe bene<br />

ev<strong>it</strong>are la combinazione di diversi<br />

metodi di diagnosi del diabete.<br />

• Nei bambini e negli adolescenti, il test<br />

dell’HbA1c è indicato quando vi è sospetto<br />

di diabete in assenza dei classici<br />

sintomi o di una glicemia plasmatica<br />

>200 mg/dl (>11,1 mmol/l).<br />

• Per la diagnosi di diabete durante la<br />

gravidanza, quando il cambiamento<br />

del turnover dei globuli rossi rende<br />

problematico il test dell’HbA1c, sarà<br />

necessario effettuare le misurazioni<br />

della glicemia.<br />

Per l’identificazione dei soggetti ad alto<br />

rischio di diabete<br />

• I soggetti con livelli di HbA1c≥ 6%, ma<br />


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 47


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

48<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


Posizione di Consenso<br />

Crisi iperglicemiche in pazienti<br />

diabetici adulti<br />

ABBAS E. KITABCHI, PHD, MD 1 JOHN M. MILES, MD 3<br />

GUILLERMO E. UMPIERREZ, MD 2 JOSEPH N. FISHER, MD 1<br />

La chetoacidosi diabetica (DKA) e la<br />

sindrome iperglicemica iperosmolare<br />

(HHS) sono le due più gravi complicanze<br />

metaboliche acute del diabete. Alla<br />

DKA si devono più di 500.000 giorni di<br />

degenza annui (1,2) ad un costo medico<br />

stimato diretto e indiretto di USD 2,4 miliardi<br />

(2,3). La Tabella 1 riporta i cr<strong>it</strong>eri<br />

diagnostici per DKA e HHS. La triade di<br />

iperglicemia incontrollata, acidosi metabolica<br />

ed aumentata concentrazione totale<br />

di corpi chetonici nel sangue caratterizza<br />

la DKA. La HHS è caratterizzata da<br />

iperglicemia severa, iperosmolal<strong>it</strong>à e disidratazione<br />

in assenza di chetoacidosi<br />

significativa. Tali alterazioni metaboliche<br />

risultano dalla combinazione di carenza<br />

assoluta o relativa di insulina e da<br />

un aumento degli ormoni controregolatori<br />

(glucagone, catecolamine, cortisolo e<br />

ormone della cresc<strong>it</strong>a). Gran parte dei<br />

pazienti con DKA hanno diabete di tipo<br />

1 autoimmune; tuttavia, i pazienti con<br />

diabete di tipo 2 sono anche a rischio durante<br />

lo stress catabolico di condizioni<br />

acute come traumi, interventi chirurgici<br />

o infezioni. Questa dichiarazione di consenso<br />

delineerà i fattori precip<strong>it</strong>anti e le<br />

raccomandazioni per diagnosi, trattamento,<br />

e prevenzione di DKA e HHS nei<br />

soggetti adulti. Essa si basa su una precedente<br />

relazione tecnica (4) e su una serie<br />

di articoli pubblicati più recentemente a<br />

partire dal 2001, consultabili per ulteriori<br />

informazioni.<br />

EPIDEMIOLOGIA<br />

Recenti studi epidemiologici indicano<br />

che i ricoveri dovuti a DKA negli<br />

U.S.A. sono in aumento. Nel decennio<br />

dal 1996 al 2006, vi è stato un aumento<br />

del 35% del numero di casi, con un totale<br />

di 136.510 casi con una diagnosi primaria<br />

di DKA nel 2006— un aumento forse più<br />

rapido rispetto all’aumento verificatosi<br />

per le diagnosi di diabete (1). La maggior<br />

parte dei pazienti con DKA era tra i 18<br />

ed i 44 anni di età (56%) e tra i 45 ed i 65<br />

anni (24%), con solo il 18% dei pazienti<br />


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

Tabella 1 – Cr<strong>it</strong>eri diagnostici per DKA e HHS<br />

50<br />

DKA HHS<br />

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––<br />

Lieve Moderata Severa Glicemia<br />

(glicemia plasmatica (glicemia plasmatica (glicemia plasmatica plasmatica<br />

>250 mg/dl) >250 mg/dl) >250 mg/dl) >600 mg/dl<br />

pH arterioso 7.25–7.30 da 7.00 a 10 >12 >12 Variable<br />

Stato mentale Vigile Vigile/sonnolento Torpore/coma Torpore/coma<br />

*Metodo di reazione con n<strong>it</strong>roprussiato †Osmolal<strong>it</strong>à sierica effettiva: 2[Na + misurato (mEq/l)] + glucosio (mg/dl)/18. ‡Gap anionico:<br />

(Na + ) –0 [(Cl – + HCO 3 – (mEq/l)]. (Dati adattati dal rif. 13.)<br />

fattori che possono portare alla mancata<br />

somministrazione di insulina nei pazienti<br />

giovani sono la paura dell’aumento di<br />

peso come conseguenza di un migliorato<br />

controllo metabolico, la paura dell’ipoglicemia,<br />

un senso di ribellione nei confronti<br />

dell’autor<strong>it</strong>à e stress da malattia<br />

cronica.<br />

Prima del 1993, l’utilizzo di apparecchi<br />

per la infusione continua di insulina<br />

per via sottocutanea era stato associato<br />

ad un’aumentata frequenza della DKA<br />

(23); tuttavia, grazie ai miglioramenti tecnologici<br />

e ad una migliore informazione<br />

dei pazienti, l’incidenza della DKA nei<br />

pazienti che utilizzano microinfusori<br />

sembra essersi ridotta. Sono tuttavia necessari<br />

ulteriori studi prospettici per confermare<br />

tutto ciò (24).<br />

È probabile che malattie intercorrenti<br />

Carenza insulica<br />

assoluta<br />

Lipoliposi<br />

FFA al fegato<br />

che provocano il rilascio di ormoni controregolatori<br />

o che impediscano l’accesso<br />

all’acqua risultino in severa disidratazione<br />

e HHS. In gran parte dei pazienti con<br />

HHS, la diminu<strong>it</strong>a assunzione di acqua è<br />

dovuta alla condizione di confinamento<br />

a letto ed è esacerbata dalla scarsa risposta<br />

alla sete degli anziani. Poiché per il<br />

20% di questi pazienti non vi è una precedente<br />

storia di diabete, è possibile che<br />

un tardo riconoscimento dei sintomi dell’iperglicemia<br />

porti a disidratazione severa.<br />

I soggetti anziani con diabete di<br />

nuova insorgenza (in particolare coloro<br />

che risiedono in casa di cura) o i soggetti<br />

con diabete conclamato che diventano<br />

iperglicemici senza esserne consapevoli<br />

o che non sono in grado di assumere liquidi<br />

quando è necessario sono a rischio<br />

di HHS (10,25).<br />

Sintesi proteica Proteolisi<br />

Substrati gluconeogenici<br />

Chetogenesi<br />

Utilizzo di glucosio Glicogenolisi<br />

Riserva alcalina<br />

Iperglicemia<br />

Chetoacidosi<br />

Triacilglicerolo<br />

Iperlipidemia<br />

DKA<br />

Ormoni<br />

controregolatori<br />

Glicosuria (diuresi osmotica)<br />

Perd<strong>it</strong>a di acqua ed elettrol<strong>it</strong>i<br />

Diminu<strong>it</strong>a assunzione<br />

Disidratazione di liquidi<br />

Compromessa funzione reanele<br />

Gluconeogenesi<br />

HHS<br />

Carenza insulica<br />

relativa<br />

Chetogenesi<br />

assente o minima<br />

Iperosmolar<strong>it</strong>à<br />

Figura 1 – Patogenesi di DKA e HHS: stress, infezioni o carenza di insulina. FFA, acidi grassi<br />

liberi.<br />

Farmaci che influenzano il metabolismo<br />

dei carboidrati, come corticosteroidi,<br />

diuretici, tiazidi o agenti simpaticomimetici<br />

e pentamidina, possono precip<strong>it</strong>are<br />

l’insorgenza di HHS o DKA (4). In alcune<br />

casistiche pubblicate recentemente i<br />

farmaci antipsicotici convenzionali e atipici<br />

sono indicati come possibili fattori<br />

scatenanti eventi iperglicemici, fino a<br />

DKA o HHS (26,27). Tra i possibili meccanismi<br />

vi sono l’induzione di insulinoresistenza<br />

periferica, l’influenza diretta<br />

sulla funzione delle β-cellule pancreatiche<br />

da parte di antagonisti dei recettori<br />

5-HT1A/2A/2C, o effetti tossici (28).<br />

Un crescente numero di casi di DKA<br />

in assenza di fattori precip<strong>it</strong>anti è stato<br />

rifer<strong>it</strong>o in bambini, adolescenti ed adulti<br />

con diabete di tipo 2. Studi prospettici e<br />

studi di osservazione indicano che oltre<br />

la metà dei soggetti adulti afroamericani<br />

ed ispanici con diabete di nuova diagnosi<br />

e con DKA non attribuibile a fattori<br />

scatenanti hanno il diabete di tipo 2<br />

(28–32). Tali casi si presentano come clinicamente<br />

acuti (come nei classici casi di<br />

diabete di tipo 1); tuttavia, dopo una terapia<br />

insulinica di breve durata, è spesso<br />

possibile che vi sia un periodo prolungato<br />

di remissione, con interruzione della<br />

somministrazione di insulina e mantenendo<br />

il controllo glicemico mediante<br />

dieta o agenti ipoglicemizzanti orali. In<br />

tali pazienti, tra le caratteristiche cliniche<br />

e metaboliche del diabete di tipo 2 vi sono<br />

un alto indice di obes<strong>it</strong>à, una forte<br />

anamnesi familiare di diabete, una lim<strong>it</strong>ata<br />

riserva di insulina pancreatica, una<br />

bassa prevalenza di marker autoimmuni<br />

di distruzione delle β-cellule e la possibil<strong>it</strong>à<br />

di interrompere la terapia con insulina<br />

durante il follow-up (28, 31,32). Questo<br />

particolare profilo, con la necess<strong>it</strong>à di<br />

un trattamento insulinico trans<strong>it</strong>orio dopo<br />

l’insorgenza di DKA, è riscontrabile<br />

principalmente nei soggetti di colore e<br />

negli ispanici, ma sono stati rifer<strong>it</strong>i anche<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


Tabella 2 – Dati biochimici all’inclusione nello studio in patienti con HHS o DKA<br />

HHS DKA<br />

Glucosio (mg/dl) 930 ± 83 616 ± 36<br />

Na + (mEq/l) 149 ± 3.2 134 ± 1.0<br />

K + (mEq/l) 3.9 ± 0.2 4.5 ± 0.13<br />

BUN (mg/dl) 61 ± 11 32 ± 3<br />

Creatinina (mg/dl) 1.4 ± 0.1 1.1 ± 0.1<br />

pH 7.3 ± 0.03 7.12 ± 0.04<br />

Bicarbonato (mEq/l) 18 ± 1.1 9.4 ± 1.4<br />

3-β-idrossibutirrato (mmol/l) 1.0 ± 0.2 9.1 ± 0.85<br />

Osmolal<strong>it</strong>à totale * 380 ± 5.7 323 ± 2.5<br />

IRI (nmol/l) 0.08 ± 0.01 0.07 ± 0.01<br />

C-peptide (nmol/l) 1.14 ± 0.1 0.21 ± 0.03<br />

Acidi grassi liberi (nmol/l) 1.5 ± 0.19 1.6 ± 0.16<br />

Ormone della cresc<strong>it</strong>a (ng/ml) 1.9 ± 0.2 6.1 ± 1.2<br />

Cortisolo (ng/ml) 570 ± 49 500 ± 61<br />

IRI (nmol/l) † 0.27 ± 0.05 0.09 ± 0.01<br />

C-peptide (nmol/l) † 1.75 ± 0.23 0.25 ± 0.05<br />

Glucagone (ng/ml) 689 ± 215 580 ± 147<br />

Catecolamine (ng/ml) 0.28 ± 0.09 1.78 ± 0.4<br />

Ormone della cresc<strong>it</strong>a (ng/ml) 1.1 7.9<br />

∆Gap: gap anionico – 12 (mEq/l) 11 17<br />

*Secondo la formula 2(Na + K) + urea (mmol/l) + glucosio (mmol/l). †Valori successive<br />

alla somministrazione endovenosa di tolbutamide. IRI, insulina immunoreattiva.<br />

(Adattato dal rif. 4.)<br />

casi di soggetti nativi americani, asiatici<br />

e di razza bianca (32). Questa variante<br />

del diabete è stata defin<strong>it</strong>a in letteratura<br />

come diabete di tipo 1 idiopatico, diabete<br />

atipico, diabete “Flatbush”, diabete di tipo<br />

1.5 e, più di recente, diabete di tipo 2<br />

con tendenza alla chetosi. Alcune ricerche<br />

sperimentali hanno dato una spiegazione<br />

meccanicistica della patogenesi del<br />

diabete di tipo 2 con tendenza alla chetosi.<br />

Alla presentazione la secrezione e l’azione<br />

dell’insulina sono marcatamente<br />

compromesse, ma un trattamento aggressivo<br />

con l’insulina migliora secrezione<br />

e azione dell’insulina a livelli analoghi<br />

a quelli dei pazienti con diabete di tipo<br />

2 senza DKA (28,31,32). Recentemente<br />

è stato rifer<strong>it</strong>o che la remissione quasinormoglicemica<br />

è associata a una ripresa<br />

delle secrezione di insulina basale e stimolata<br />

e che 10 anni dopo l’insorgenza<br />

del diabete il 40% dei pazienti continua a<br />

essere non insulino-dipendente (31). Livelli<br />

di C-peptide a digiuno>1.0 ng/dl<br />

(0.33 nmol/l) e livelli di C-peptide stimolati<br />

>1.5 ng/dl (0.5 nmol/l) sono pred<strong>it</strong>tivi<br />

di una remissione normoglicemica a<br />

lungo termine nei pazienti con anamnesi<br />

di DKA (28,32).<br />

DIAGNOSI<br />

Anamnesi ed esame obiettivo<br />

La HHS si sviluppa in genere in un<br />

periodo che va da parecchi giorni a settimane,<br />

mentre l’insorgenza di DKA nel<br />

diabete di tipo 1 o anche nel diabete di tipo<br />

2 tende essere molto più breve. Sebbene<br />

i sintomi di diabete mal controllato<br />

possono presentarsi da parecchi giorni,<br />

le alterazioni metaboliche tipiche della<br />

chetoacidosi si manifestano generalmente<br />

entro un breve arco di tempo (normalmente<br />

50%)<br />

ma non sono comuni della HHS (33). È<br />

DIABETES CARE, JULY 2009<br />

necessaria cautela coi pazienti che lamentano<br />

dolore addominale alla presentazione<br />

perché i sintomi potrebbero essere<br />

conseguenza della DKA, o essere indicativi<br />

di un fattore di precip<strong>it</strong>azione della<br />

DKA, particolarmente nel caso di pazienti<br />

più giovani o in assenza di acidosi metabolica<br />

severa (34,35). Sono necessari ulteriori<br />

approfondimenti se non si riesce a<br />

porre rimedio a questo problema risolvendo<br />

la disidratazione e l’acidosi metabolica.<br />

Risultati di laboratorio<br />

I cr<strong>it</strong>eri diagnostici per DKA e HHS<br />

sono riportati in Tabella 1. La valutazione<br />

iniziale di laboratorio dei pazienti<br />

comprende la determinazione di glicemia<br />

plasmatica, azotomia, creatinina,<br />

elettrol<strong>it</strong>i (con gap anionico calcolato),<br />

osmolal<strong>it</strong>à, chetoni sierici e urinari e analisi<br />

dell’urina, oltre all’emogas analisi arteriosa<br />

e un esame emocromoc<strong>it</strong>ometrico.<br />

Si dovrebbero anche effettuare elettrocardiogramma,<br />

radiografia del torace<br />

ed analisi colturale di urina, sangue ed<br />

espettorato.<br />

La sever<strong>it</strong>à della DKA è classificata<br />

come lieve, moderata, o severa in base<br />

alla ent<strong>it</strong>à dell’acidosi metabolica (pH<br />

ematico, bicarbonati e chetoni) e alla presenza<br />

di un alterato stato mentale (4). Si<br />

è osservata una significativa sovrapposizione<br />

tra DKA e HHS in più di un terzo<br />

dei pazienti (36). Sebbene la maggior<br />

parte dei pazienti con HHS abbia al momento<br />

del ricovero un valore di pH >7.30<br />

e livelli di bicarbonati >18 mEq/l, è possibile<br />

che sia presente una lieve chetonemia<br />

(4,10).<br />

Iperglicemia severa e disidratazione<br />

con stato mentale alterato in assenza di<br />

significativi livelli di acidosi caratterizzano<br />

la HHS, che si presenta clinicamente<br />

con minore chetosi e maggiore iperglicemia<br />

rispetto alla DKA. Ciò può risultare<br />

da una concentrazione di insulina plasmatica<br />

(determinata dal C-peptide basale<br />

e stimolato [Tabella 2]) adeguata per<br />

prevenire la lipolisi eccessiva e la conseguente<br />

chetogenesi, ma non la iperglicemia<br />

(4).<br />

La caratteristica diagnostica chiave<br />

della DKA consiste nell’incremento della<br />

concentrazione totale di chetoni ematici.<br />

La valutazione della chetonemia viene<br />

sol<strong>it</strong>amente esegu<strong>it</strong>a mediante la reazione<br />

al n<strong>it</strong>roprussiato, che fornisce una stima<br />

semiquant<strong>it</strong>ativa dei livelli di acetoacetato<br />

e acetone. Sebbene il test con il n<strong>it</strong>roprussiato<br />

(sia nell’urina che nel siero)<br />

sia altamente sensibile, è possibile che<br />

non riesca valutare appieno la sever<strong>it</strong>à<br />

della chetoacidosi, poiché esso non riconosce<br />

la presenza di β-idrossibutirrato, il<br />

principale prodotto metabolico della chetoacidosi<br />

(4,12). Se è effettuabile, la misu-<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 51


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

razione del β-idrossibutirrato sierico potrebbe<br />

essere utile per la diagnosi (<strong>37</strong>).<br />

L’accumulo di chetoacidi porta ad acidosi<br />

metabolica con un aumentato gap<br />

anionico. Il gap anionico si calcola sottraendo<br />

la somma della concentrazione<br />

di cloro e bicarbonato dalla concentrazione<br />

di sodio: [Na – (Cl + HCO 3 )]. Un normale<br />

gap anionico è tra 7 e 9 mEq/l e un<br />

gap anionico >10–12 mEq/l indica la<br />

presenza di acidosi metabolica con aumentato<br />

gap anionico (4).<br />

L’iperglicemia cost<strong>it</strong>uisce un cr<strong>it</strong>erio<br />

diagnostico chiave per la DKA; tuttavia,<br />

un’ampia gamma di valori di glicemia<br />

plasmatica può presentarsi al momento<br />

del ricovero. Studi eleganti sulla produzione<br />

epatica di glucosio hanno riportato<br />

valori che andavano da normali o quasi<br />

normali (38) a elevati (12,15), il che spiega<br />

l’ampio range di livelli di glicemia<br />

plasmatica nella DKA, non dipendenti<br />

dalla sever<strong>it</strong>à della chetoacidosi (<strong>37</strong>). Approssimativamente<br />

il 10% della popolazione<br />

con DKA presenta la cosiddetta<br />

“DKA euglicemica”, vale a dire livelli<br />

glicemici ≤250 mg/dl (38). Ciò potrebbe<br />

essere dovuto ad una combinazione di<br />

fattori, tra cui la somministrazione di insulina<br />

esogena iniettata poco prima di<br />

recarsi all’ospedale, un’antecedente restrizione<br />

alimentare (39, 40) e l’inibizione<br />

della gluconeogenesi.<br />

Al momento del ricovero, una leucoc<strong>it</strong>osi<br />

nel range 10.000–15.000mm 3 è nella<br />

norma nella DKA, e può non indicare un<br />

processo infettivo. Tuttavia, unaa leucoc<strong>it</strong>osi<br />

>25,000 mm 3 può indicare infezione<br />

e richiedere ulteriori valutazioni (41).<br />

Nella chetoacidosi, la leucoc<strong>it</strong>osi è attribu<strong>it</strong>a<br />

a stress ed è forse correlata ad elevati<br />

livelli di cortisolo e norepinefrina<br />

(42). Il sodio sierico al ricovero è generalmente<br />

basso per via del flusso osmotico<br />

di acqua dallo spazio intracellulare allo<br />

spazio extracellulare in presenza di iperglicemia.<br />

Una concentrazione aumentata<br />

o persino normale di sodio sierico in presenza<br />

di iperglicemia indica una perd<strong>it</strong>a<br />

piuttosto elevata di acqua libera. Per valutare<br />

la sever<strong>it</strong>à della carenza di sodio e<br />

di acqua, si può correggere il sodio sierico<br />

aggiungendo 1.6 mg/dl al valore misurato<br />

per ogni 100 mg/dl di glucosio al<br />

di sopra di 100 mg/dl (4,12).<br />

Alcuni studi effettuati su osmolal<strong>it</strong>à<br />

sierica ed alterazione mentale hanno individuato<br />

un relazione lineare pos<strong>it</strong>iva<br />

tra osmolal<strong>it</strong>à e torpore (9,36). Il verificarsi<br />

di torpore o coma in un paziente<br />

diabetico in assenza di osmolal<strong>it</strong>à effettivamente<br />

aumentata (≥ 320 mOsm/kg) richiede<br />

l’immediata considerazione di altre<br />

cause a cui attribuire tale variazione.<br />

Nel calcolo della osmolal<strong>it</strong>à effettiva, [sodio<br />

(mEq/l) x 2 + glucosio (mg/dl)/18],<br />

la concentrazione di urea non viene pre-<br />

52<br />

sa in considerazione perché è liberamente<br />

permeabile e il suo accumulo non induce<br />

variazioni importanti del volume<br />

intracellulare o del gradiente osmotico<br />

(4).<br />

Le concentrazioni di potassio sierico<br />

potrebbero essere elevate per via di uno<br />

spostamento extracellulare del potassio<br />

causato da carenza insulinica, ipertonic<strong>it</strong>à<br />

e acidemia (43). I pazienti con concentrazioni<br />

normali-basse o basse al momento<br />

del ricovero hanno una severa carenza<br />

di potassio e richiedono interventi<br />

immediati per riportarlo a livelli normali,<br />

poiché il trattamento abbasserà ulteriormente<br />

i livelli di potassio, con la possibil<strong>it</strong>à<br />

di provocare ar<strong>it</strong>mie cardiache. Si<br />

possono osservare pseudonormoglicemia<br />

(44) e pseudoiponatremia (45) nella<br />

DKA in presenza di chilomicronemia severa.<br />

Il livello di fosfato sierico al momento<br />

del ricovero nei pazienti con DKA, così<br />

come quello del potassio sierico, è generalmente<br />

elevato e non riflette l’effettiva<br />

carenza che in genere è presente per via<br />

del passaggio del fosfato intracellulare<br />

verso lo spazio extracellulare (12, 46,47).<br />

Carenza insulinica, ipertonic<strong>it</strong>à e catabolismo<br />

aumentato contribuiscono tutti al<br />

movimento del fosfato fuori dalle cellule.<br />

Riscontri di iperamilasemia sono stati<br />

riportati nel 21–79% dei pazienti con<br />

DKA (48); vi è tuttavia una scarsa correlazione<br />

tra presenza, grado o tipo isoenzimatico<br />

di iperamilasemia e la presenza<br />

di sintomi gastrointestinali (nausea, vom<strong>it</strong>o<br />

e dolori addominali) o dati di imaging<br />

pancreatico (48). La determinazione<br />

della lipasi sierica può contribuire alla<br />

diagnosi differenziale della pancreat<strong>it</strong>e;<br />

tuttavia, la lipasi potrebbe anche essere<br />

elevata nella DKA in assenza di pancreat<strong>it</strong>e<br />

(48).<br />

Diagnosi differenziale<br />

Non tutti pazienti con chetoacidosi<br />

hanno DKA. La chetosi da digiuno e la<br />

chetoacidosi alcolica si distinguono per<br />

la storia clinica e per le concentrazioni di<br />

glicemia plasmatica, che vanno da lievemente<br />

elevate (raramente >200 mg/dl) a<br />

ipoglicemia (49). Inoltre, sebbene la chetoacidosi<br />

alcolica possa risultare in una<br />

profonda acidosi, le concentrazioni di bicarbonato<br />

sierico nella chetosi da digiuno<br />

di sol<strong>it</strong>o non sono


grazione dei liquidi dovrebbe aggiustare<br />

le carenze stimate entro le prime 24 h.<br />

Nei pazienti con compromissione renale<br />

o cardiaca, il mon<strong>it</strong>oraggio dell’osmolal<strong>it</strong>à<br />

sierica e frequenti valutazioni della<br />

funzione cardiaca, renale e mentale vanno<br />

effettuati durante la infusione di liquidi<br />

onde ev<strong>it</strong>are un sovraccarico iatrogeno<br />

(4,10, 15,53). Si è riscontrato che un<br />

trattamento aggressivo di reidratazione<br />

con una successiva correzione dello stato<br />

iperosmolare può ottenere una risposta<br />

migliore della terapia con insulina a basso<br />

dosaggio (54).<br />

Durante il trattamento della DKA,<br />

l’iperglicemia viene corretta più velocemente<br />

della chetoacidosi. La durata media<br />

del trattamento finché non si raggiungono<br />

livelli glicemici 7.30; bicarbonato<br />

>18 mmol/l) r<strong>it</strong>orna a livelli normali è<br />

tra le 6 e le 12 h (9,55). Una volta che il<br />

glucosio plasmatico raggiunge un livello<br />

di ~ 200 mg/dl, una soluzione di destro-<br />

sio al 5% andrebbe aggiunta ai liquidi<br />

somministrati per poter continuare la<br />

somministrazione dell’insulina finché la<br />

chetonemia non sia controllata, ev<strong>it</strong>ando<br />

allo stesso tempo il verificarsi di crisi<br />

ipoglicemiche.<br />

Terapia insulinica<br />

Il trattamento base della DKA prevede<br />

la somministrazione continua di insulina<br />

regolare per via endovenosa o mediante<br />

frequenti iniezioni intramuscolari<br />

o sottocutanee (4,56,57). Studi controllati<br />

randomizzati effettuati su pazienti con<br />

DKA hanno evidenziato che la terapia<br />

insulinica è efficace, a prescindere dal<br />

metodo di somministrazione (47). La via<br />

prefer<strong>it</strong>a è quella endovenosa continua<br />

con insulina regolare per la sua breve<br />

emiv<strong>it</strong>a e la facile t<strong>it</strong>olazione, rispetto al<br />

r<strong>it</strong>ardato inizio dell’azione e all’emiv<strong>it</strong>a<br />

prolungata dell’insulina regolare per via<br />

sottocutanea (36,47,58).<br />

Parecchi studi prospettici randomiz-<br />

DIABETES CARE, JULY 2009<br />

Completare la valutazione iniziale. Controllare la glicemia capillare e i corpi chetonici su siero/urina per confermare<br />

iperglicemia e chetonemia/chetonuria. Effettuare un prelievo del sangue per ottenere un profilo metabolico.<br />

Iniziare terapia con liquidi per via endovenosa: 1 L di 0.9% NaCl ogni ora.<br />

Liquidi per via<br />

endovenosa<br />

Determinare stato di idratazione<br />

Ipovolemia<br />

severa<br />

Somministrare<br />

0.9 % NaCl<br />

(1.0 L/hr)<br />

Siero<br />

Na + alto<br />

0.45% NaCl<br />

(250-500 ml/hr<br />

secondo lo stato di<br />

idratazione)<br />

Shock<br />

cardiogeno<br />

Lieve<br />

disidratazione<br />

Mon<strong>it</strong>oraggio<br />

emodinamico/<br />

pressorio<br />

Valutare i liveli corretti di Na+‡<br />

Siero<br />

Na + normale<br />

Siero<br />

Na + basso<br />

0.9% NaCl<br />

(250-500 ml/hr<br />

secondo lo stato di<br />

idratazione)<br />

Quando la glicemia sierica<br />

raggiunge 200 mg/dl (DKA) o<br />

300 mg/dl (HHS), passare a 5%<br />

destrosio con 0.45 NaCl a<br />

150-250 ml/hr<br />

Bicarbonati Insulina: Regolare Potassio<br />

pH ≥ 6.9 pH < 6.9<br />

No<br />

HCO 3<br />

100mmol in<br />

400ml di H 2 O +<br />

20mEq di KCL,<br />

somministrare<br />

due volte a distanza<br />

di 2 ore<br />

Ripetere ogni<br />

2 ore finché il<br />

pH non sarà ≥<br />

7. Mon<strong>it</strong>orare i<br />

livelli di K +<br />

sierico ogni<br />

2 ore<br />

Via endovenosa<br />

(DKA e HHS)<br />

0.1 U/kg/peso<br />

corporeo in bolo<br />

endovenoso<br />

0.1 U/kg/hr di<br />

infusione continua<br />

di insulina per via<br />

endovenosa<br />

DKA HHS<br />

Quando il glucosio sierico<br />

raggiunge 200 mg/dl, ridurre la<br />

somministrazione di insulina<br />

regolare a 0.02 – 0.05 U/kg per via<br />

endovenosa, o somministrare<br />

insulina ad azione rapida<br />

0.1 U/kg per via sottocutanea<br />

ogni 2 h. Mantenere i livelli di<br />

glucosio sierico tra 150 e 200<br />

mg/dl fino alla soluzione della<br />

DKA.<br />

Via endovenosa<br />

(DKA e HHS)<br />

0.14 U/kg peso<br />

corporeo/hr in<br />

infusione continua di<br />

insulina per via<br />

endovenosa<br />

Se i livelli di glucosio sierico non<br />

diminuiscono di almeno il 10% nella<br />

prima ora, somministrare 0.14 U/kg<br />

come bolo per via endovenosa, poi<br />

continuare precedente Rx<br />

Quando il glucosio sierico<br />

raggiunge 300 mg/dl, ridurre<br />

la somministrazione di insulina<br />

regolare a 0.02 – 0.05 U/kg per via<br />

endovenosa. Mantenere i livelli di<br />

glucosio sierico tra 200 e 300<br />

mg/dl finché il paziente non sarà<br />

mentalmente vigile.<br />

Mantenere insulina e<br />

somministrare 20 – 30 mEq<br />

/hr finché K + >3.3 mEq/L<br />

Controllare elettrol<strong>it</strong>i, BUN, pH venoso, creatinina e glucosio ogni 2 – 4 h finché non saranno stabili.<br />

Dopo la risoluzione di DKA o HHS e quando il paziente sarà in grado di mangiare, dare inizio alla<br />

terapia multiniettiva per via sottocutanea. Per effettuare la transizione dall’infusione per via<br />

endovenosa a quella sottocutanea, continuare l’infusione per via endovenosa per 1 – 2 h dopo<br />

aver iniziato la terapia per via sottocutanea, per avere livelli di insulina plasmatici adeguati.<br />

In pazienti che non praticavano insulina, iniziare con dosi da 0.5 U/kg a 0.8 U/kg peso<br />

corporeo/die ed effettuare aggiustamenti secondo il caso. Individuare eventuali fattori precip<strong>it</strong>anti.<br />

Stabilire adeguata<br />

funzione renale<br />

(escrezione di<br />

urina – 50 ml/hr)<br />

K + 5.2 mEq/L<br />

K + = 3.3-5.2 mEq/L<br />

Non somministrare<br />

K + , ma controllare<br />

livelli di K + sierico<br />

ogni 2 h.<br />

Somministrare 20 – 30 mEq/L di<br />

K + per ciascun l<strong>it</strong>ro di soluzione<br />

per via endovenosa per<br />

mantenere i livelli di K + sierico<br />

tra 4-5 mEq/L<br />

Figura 2 – Protocollo per la gestione dei pazienti adulti con DKA o HHS. Cr<strong>it</strong>eri diagnostici della DKA: glicemia >250 mg/dl, pH arterioso 7.3, bicarbonato<br />

sierico >15 mEq/l, e chetonuria o chetonemia minime. †15–20 ml/kg/h; ‡L’Na sierico andrebbe aggiustato per l’iperglicemia (per ogni 100<br />

mg/dl di glucosio, aggiungere 1.6 mEq al valore di sodio). (Adattato da rif. 13.) Bwt, peso corporeo; IV, endovenoso; SC, sottocutaneo.<br />

zati hanno dimostrato che l’utilizzo di<br />

insulina regolare a basso dosaggio, somministrata<br />

per via endovenosa, è sufficiente<br />

per ottenere la completa risoluzione<br />

della DKA. Fino a tempi recenti, gli<br />

algor<strong>it</strong>mi di trattamento raccomandavano<br />

la somministrazione di un bolo iniziale<br />

per via endovenosa di insulina regolare<br />

(0.1 un<strong>it</strong>à/kg), segu<strong>it</strong>o dalla somministrazione<br />

di 0.1 un<strong>it</strong>à · kg –1 · h –1 (Fig. 2).<br />

Un recente studio prospettico randomizzato<br />

ha evidenziato che il bolo non è necessario<br />

se i pazienti ricevono un’infusione<br />

di insulina di 0.14 un<strong>it</strong>à/kg peso corporeo/ora<br />

(equivalente a 10 un<strong>it</strong>à/h in<br />

un paziente del peso di 70-kg) (59). In assenza<br />

del bolo iniziale, tuttavia, dosi


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

saggi di insulina diminuiscono la concentrazione<br />

di glicemia plasmatica di<br />

50–75 mg · dl –1 · h –1 . Se la glicemia plasmatica<br />

non diminuirà entro la prima ora<br />

di 50–75 mg dal valore iniziale, la dose di<br />

insulina andrà aumentata ogni ora finché<br />

non si raggiungerà una stabile diminuzione<br />

dei livelli glicemici (Fig. 2). Quando<br />

il glucosio plasmatico raggiungerà<br />

200 mg/dl in DKA or 300 mg/dl in HHS,<br />

si potrà diminuire la dose somministrata<br />

a 0.02– 0.05 un<strong>it</strong>à · kg –1 · h –1 , fase in cui si<br />

potrà aggiungere il destrosio alla soluzione<br />

infusa (Fig. 2). Dopo tale fase, potrà<br />

essere necessario aggiustare la quant<strong>it</strong>à<br />

di insulina somministrata o la concentrazione<br />

di destrosio per mantenere i<br />

valori glicemici fra 150 e 200 mg/dl nella<br />

DKA o 250 e 300 mg/dl nella HHS, fino<br />

alla risoluzione dell’evento.<br />

Si è osservato che il trattamento con<br />

analoghi dell’insulina ad azione rapida<br />

per via sottocutanea (lispro e aspart) rappresenta<br />

un’efficace alternativa all’uso di<br />

insulina regolare per via endovenosa nel<br />

trattamento della DKA. Si è riscontrato<br />

che il trattamento di pazienti con DKA<br />

lieve e moderata con analoghi dell’insulina<br />

ad azione rapida per via sottocutanea<br />

ogni 1 o 2 h in un<strong>it</strong>à di cura non intensive<br />

(ICU) è sicuro ed efficace quanto il<br />

trattamento con insulina regolare per via<br />

endovenosa nella ICU (60,61). La veloc<strong>it</strong>à<br />

di riduzione della concentrazione di glucosio<br />

plasmatico e la durata media del<br />

trattamento fino alla correzione della<br />

chetoacidosi risultavano simili nei pazienti<br />

trattati con analoghi dell’insulina<br />

per via sottocutanea ogni 1 o 2 h o con<br />

insulina regolare per via endovenosa.<br />

Finché, tuttavia, questi studi non verranno<br />

confermati al di fuori dell’amb<strong>it</strong>o della<br />

ricerca, nelle ICU i pazienti con DKA<br />

severa, ipotensione, anasarca, o altre gravi<br />

malattie in fase cr<strong>it</strong>ica dovrebbero essere<br />

trattati con insulina regolare per via<br />

endovenosa.<br />

Potassio<br />

Nonostante la deplezione del potassio<br />

corporeo, l’iperkalemia da lieve a moderata<br />

è comune nei pazienti soggetti a<br />

crisi iperglicemiche. Terapia insulinica,<br />

correzione dell’acidosi ed espansione del<br />

volume diminuiscono la concentrazione<br />

di potassio sierico. Per prevenire l’ipokalemia,<br />

la reintegrazione di potassio viene<br />

iniziata dopo che i livelli sierici scendono<br />

al di sotto del valore superiore del range<br />

di normal<strong>it</strong>à del laboratorio (5.0–5.2<br />

mEq/l). L’obiettivo del trattamento è di<br />

mantenere i livelli di potassio sierico entro<br />

il normale range di 4–5 mEq/l. In genere,<br />

20–30 mEq di potassio per ogni l<strong>it</strong>ro<br />

di soluzione da somministrare sono<br />

sufficienti per mantenere una concentrazione<br />

di potassio sierico entro il normale<br />

54<br />

range. Raramente i pazienti affetti da<br />

DKA presentano livelli significativi di<br />

ipokalemia. In tali casi, la reintegrazione<br />

di potassio dovrebbe essere esegu<strong>it</strong>a assieme<br />

alla terapia idratante, e il trattamento<br />

con insulina dovrebbe essere posticipato<br />

finché la concentrazione di potassio<br />

non sarà riportata a >3.3 mEq/l,<br />

onde ev<strong>it</strong>are ar<strong>it</strong>mie potenzialmente fatali<br />

e insufficienza dei muscoli respiratori<br />

(4,13).<br />

Terapia con bicarbonati<br />

L’utilizzo di bicarbonati nella DKA è<br />

oggetto di discussione (62) poiché la<br />

maggior parte degli esperti r<strong>it</strong>engono<br />

che, durante il trattamento, con la diminuzione<br />

dei corpi chetonici i livelli di bicarbonati<br />

torneranno adeguati, tranne<br />

che nei pazienti con acidosi più severa.<br />

Una severa acidosi metabolica può essere<br />

causa di compromessa contrattil<strong>it</strong>à del<br />

miocardio, vasodilatazione cerebrale e<br />

coma, oltre a complicanze gastrointestinali<br />

(63). Uno studio prospettico randomizzato<br />

effettuato su 21 pazienti non è<br />

riusc<strong>it</strong>o a dimostrare variazioni né benefiche<br />

né negative riguardo a morbid<strong>it</strong>à o<br />

mortal<strong>it</strong>à a segu<strong>it</strong>o della terapia a base di<br />

bicarbonati, in pazienti affetti da DKA<br />

con un valore di pH arterioso al momento<br />

del ricovero tra 6.9 e 7.1 (64). Nove<br />

piccoli studi effettuati su un totale di 434<br />

pazienti con chetoacidosi diabetica (217<br />

pazienti trattati con bicarbonato,178 senza<br />

[(62)]) sostengono che la terapia con<br />

bicarbonati nella DKA non apporta alcun<br />

miglioramento delle funzioni cardiache o<br />

neurologiche, né aumenta le possibil<strong>it</strong>à<br />

di guarigione di iperglicemia e chetoacidosi.<br />

Inoltre, sono stati riportati parecchi<br />

effetti negativi causati dalla terapia a base<br />

di bicarbonati, come rischio aumentato<br />

di ipokalemia, diminu<strong>it</strong>a cessione di<br />

ossigeno dei tessuti (65), edema cerebrale<br />

(65) e insorgenza di acidosi paradossa.<br />

Non è stato pubblicato alcuno studio<br />

prospettico randomizzato riguardante<br />

l’utilizzo di bicarbonati in pazienti con<br />

DKA con valori di pH


o glulisina) ai pasti. Un trial prospettico<br />

randomizzato ha messo a confronto un<br />

trattamento con regime basale-bolo, con<br />

glargina una volta al giorno e glulisina<br />

prima dei pasti, con un regime “spl<strong>it</strong>mixed”<br />

di insulina NPH più insulina regolare<br />

due volte al giorno, dopo la risoluzione<br />

della DKA. La transizione alla<br />

glargina e alla glulisina per via sottocutanea<br />

ha dato come risultato un controllo<br />

glicemico simile a quello dato da insulina<br />

NPH e insulina regolare; tuttavia, il<br />

trattamento col regime basale-bolo era<br />

associato a una minore frequenza di<br />

eventi ipoglicemici (15%) rispetto ai pazienti<br />

trattati con insulina NPH e insulina<br />

regolare (41%) (55).<br />

Complicanze<br />

Ipoglicemia e ipokalemia sono le due<br />

comuni complicanze derivanti da un<br />

trattamento aggressivo della DKA, rispettivamente<br />

con insulina e bicarbonato,<br />

ma tali complicanze si verificavano<br />

meno frequentemente con la terapia insulinica<br />

a basso dosaggio (4,56,57). Un<br />

frequente mon<strong>it</strong>oraggio dei livelli glicemici<br />

(ogni 1–2 h) è indispensabile per riconoscere<br />

eventi di ipoglicemia, poiché<br />

in molti pazienti con DKA in cui si manifestano<br />

crisi ipoglicemiche durante il<br />

trattamento non vi sono manifestazioni<br />

adrenergiche come sudore, nervosismo,<br />

spossatezza, forte appet<strong>it</strong>o e tachicardia.<br />

L’acidosi ipercloremica senza gap anionico,<br />

riscontrata durante la fase di guarigione<br />

dalla DKA, è autolim<strong>it</strong>ata e con<br />

poche conseguenze cliniche (43). Può essere<br />

causata dalla perd<strong>it</strong>a di chetoanioni,<br />

che vengono metabolizzati in bicarbonato<br />

durante l’evoluzione della DKA e da<br />

un’eccessiva infusione di liquidi a base<br />

di cloruro durante il trattamento (4).<br />

L’edema cerebrale, che si verifica in<br />

~0.3–1.0% degli episodi di DKA nei bambini,<br />

è estremamente raro nei pazienti<br />

adulti durante il trattamento per DKA .<br />

L’edema cerebrale è associato ad una<br />

mortal<strong>it</strong>à del 20–40% (5) e incide sul<br />

57–87% di tutti i decessi dei soggetti in<br />

età pediatrica dovuti a DKA (70,71). I<br />

sintomi e i segni dell’edema cerebrale sono<br />

variabili e comprendono insorgenza<br />

di mal di testa, graduale deterioramento<br />

del livello di coscienza, incontinenza<br />

sfinterica, variazioni pupillari, papilledema,<br />

bradicardia, aumento della pressione<br />

arteriosa e arresto respiratorio (71). Sono<br />

stati proposti numerosi meccanismi scatenanti,<br />

tra cui il ruolo dell’ischemia/ipossia<br />

cerebrale, la generazione di<br />

vari mediatori dei processi infiammatori<br />

(72), un aumentato afflusso di sangue al<br />

cervello, inibizione del trasporto ionico<br />

trans membrana, e una brusca variazione<br />

dei fluidi extracellulari ed intracellulari<br />

che risulta in un’alterata osmolal<strong>it</strong>à. Per<br />

prevenirlo si dovrebbe ev<strong>it</strong>are una idratazione<br />

eccessiva e una rapida riduzione<br />

dell’osmolar<strong>it</strong>à plasmatica e ottenere invece<br />

una graduale diminuzione del glucosio<br />

sierico, mantenendone i livelli tra<br />

250–300 mg/dl finché l’osmolal<strong>it</strong>à del<br />

paziente non si sarà normalizzata e lo<br />

stato mentale non sia migliorato. Si consigliano<br />

infusione di mann<strong>it</strong>olo e ventilazione<br />

meccanica per il trattamento dell’edema<br />

cerebrale (73).<br />

PREVENZIONE<br />

È possibile prevenire molti casi di<br />

DKA e HHS con un miglior accesso all’assistenza<br />

medica, adeguata istruzione del<br />

paziente ed efficace comunicazione con il<br />

medico curante nel corso della malattia.<br />

L’importanza di una adeguata preparazione<br />

del paziente nella gestione quotidiana<br />

della malattia è fondamentale e comprende<br />

quanto segue:<br />

1. Stabilire un contatto col medico sin<br />

dall’esordio dei primi sintomi.<br />

2. Sottolineare l’importanza dell’insulina<br />

durante una malattia intercorrente e<br />

spiegare i motivi per cui non si deve<br />

interromperne la sua somministrazione<br />

senza consultarsi col medico.<br />

3. Rivedere gli obiettivi glicemici e la<br />

somministrazione di dosi aggiuntive<br />

di insulina ad azione rapida.<br />

4. Avere a portata di mano farmaci antipiretici<br />

e per infezioni.<br />

5. Se si ha nausea, iniziare una dieta liquida<br />

facilmente digeribile, contenente<br />

sale e carboidrati.<br />

6. Educare i familiari riguardo alla gestione<br />

quotidiana della malattia e a tenere<br />

una dettagliata documentazione<br />

e annotazioni riguardo temperatura,<br />

glicemia, urine e corpi chetonici; somministrazione<br />

di insulina; diario alimentare<br />

e peso. Analogamente, anche<br />

in strutture ambulatoriali un’adeguata<br />

supervisione e preparazione dello<br />

staff potrà contribuire a prevenire<br />

molti ricoveri per HHS dovuti a disidratazione,<br />

in particolare tra gli anziani,<br />

non in grado di riconoscere o trattare<br />

l’evolversi di questa condizione.<br />

L’uso di strumenti di automon<strong>it</strong>oraggio<br />

del glucosio e dei chetoni può permettere<br />

di riconoscere prontamente una<br />

chetoacidosi incombente, il che potrebbe<br />

essere di aiuto per coordinare la terapia<br />

insulinica a casa, e possibilmente prevenire<br />

il ricovero per DKA. Inoltre, è adesso<br />

in commercio uno strumento che permette<br />

l’automon<strong>it</strong>oraggio dei corpi chetonici,<br />

misurando il livelli di β-idrossibutirrato<br />

su sangue capillare mediante strisce<br />

reattive (<strong>37</strong>).<br />

Le spese di degenza incidono significativamente<br />

sulle risorse economiche. Negli<br />

USA gli eventi di DKA rappresentano<br />

>1 su ogni 4 USD spesi per l’assistenza<br />

DIABETES CARE, JULY 2009<br />

medica diretta dei pazienti adulti con diabete<br />

di tipo 1 ed 1 su ogni 2 USD nei pazienti<br />

che riferiscono molteplici episodi<br />

(77). Sulla base di una media annua di<br />

135.000 ricoveri per DKA negli USA, con<br />

un costo medio di 17.500 USD per paziente,<br />

le spese san<strong>it</strong>arie annuali per i pazienti<br />

con DKA possono superare i 2,4 miliardi<br />

di USD l’anno (3). Un recente studio (2)<br />

ha rifer<strong>it</strong>o che i costi dei ricoveri ev<strong>it</strong>abili<br />

dovuti a s<strong>it</strong>uazioni di diabete non controllato<br />

a breve termine, comprendenti casi di<br />

DKA, sono notevoli (2,8 miliardi di USD).<br />

Tuttavia, l’impatto a lungo termine del<br />

diabete non controllato ed il suo peso economico<br />

potrebbero essere ancor più significativi<br />

perché tale s<strong>it</strong>uazione può portare<br />

a varie complicanze. Poiché la maggior<br />

parte dei casi si verificano in pazienti con<br />

diabete conclamato e con precedente<br />

DKA, le risorse dovrebbero essere indirizzate<br />

verso la prevenzione facil<strong>it</strong>ando l’accesso<br />

all’assistenza e a programmi di<br />

istruzione maggiormente personalizzati,<br />

inserendo anche elementi specifici per alcune<br />

etnie e di convinzioni etiche riguardanti<br />

la cura per i diversi credi religiosi.<br />

Le risorse dovrebbero essere inoltre indirizzate<br />

all’istruzione del personale dei<br />

centri medici e scolastici, in modo da potere<br />

identificare prontamente segni e sintomi<br />

del diabete non controllato, e in modo<br />

che il diabete di nuova insorgenza possa<br />

essere diagnosticato con maggiore anticipo.<br />

Recenti studi suggeriscono che l’istruzione<br />

in campo nutrizionale porta a<br />

una diminuzione dei ricoveri (78) e, nelle<br />

linee guida per l’istruzione all’autogestione<br />

del diabete recentemente elaborate da<br />

un team appos<strong>it</strong>o, sono state identificate<br />

dieci regole standard, esposte dettagliatamente,<br />

per l’istruzione all’autogestione<br />

del diabete (79).<br />

Bibliogafia<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 55


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

56<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


DIABETES CARE, JULY 2009<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 57


DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

Effetti del mon<strong>it</strong>oraggio continuo<br />

della glicemia nel diabete di tipo 1<br />

ben controllato<br />

JUVENILE DIABETES RESEARCH FOUNDATION<br />

58<br />

CONTINUOUS GLUCOSE MONITORING<br />

STUDY GROUP*<br />

OBIETTIVO – Esaminare i potenziali effetti del mon<strong>it</strong>oraggio glicemico continuo<br />

(CGM) nella gestione di adulti e bambini con diabete di tipo 1 ben controllato,<br />

indagine finora non effettuata.<br />

DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – 129 adulti e bambini con diabete<br />

di tipo 1 trattato con terapia insulinica intensiva (di età fra 8 e 69 anni) e HbA1c 180 mg/dl) era significativamente minore nel<br />

gruppo CGM rispetto al gruppo di controllo (<strong>37</strong>7 vs. 491 min/die, P = 0.003). Vi era<br />

una significativa differenza a favore del gruppo CGM nei valori medi di HbA1c alla<br />

26a settimana, dopo l’aggiustamento per il basale (P < 0.001). Uno o più eventi di<br />

ipoglicemia severa si verificano rispettivamente nel 10 e 11% dei due gruppi in (P =<br />

1.0). Quattro misure di risultato che combinavano i dati riguardanti HbA1c ed<br />

ipoglicemia erano a favore del gruppo CGM rispetto al gruppo di controllo (P < 0.001,<br />

0.007, 0.005, and 0.003).<br />

CONCLUSIONI – Gran parte dei risultati, compresa la valutazione combinata di<br />

HbA1c e ipoglicemia, erano a favore del gruppo CGM. L’evidenza ottenuta suggerisce<br />

che il CGM è vantaggioso anche nei pazienti con diabete di tipo 1 che hanno già un<br />

eccellente controllo, con i livelli di HbA1c


croinfusore o la somministrazione di almeno<br />

tre iniezioni di insulina al giorno, e<br />

livelli basali di HbA1c


DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

controllo basale e alla 26ª settimana venivano<br />

analizzati in maniera analoga. Le<br />

differenze tra i gruppi di trattamento riguardanti<br />

la frequenza di eventi ipoglicemici<br />

riportati dai CGM, defin<strong>it</strong>i come ≥<br />

20 min con valori glicemici


I dati sono medie (range interquartile). I dati relativi al glucosio per il gruppo CGM sono stati ottenuti dopo aver completato le vis<strong>it</strong>e alla 13a e 26a settimana, col gruppo<br />

CGM che utilizzava un dispos<strong>it</strong>ivo con dati leggibili e il gruppo di controllo che utilizzava il dispos<strong>it</strong>ivo in cieco. *I valori di P sono derivati dai tre metodi descr<strong>it</strong>ti in Disegno<br />

della Ricerca e Metodi: modello ANCOVA basato sugli score di van der Waerden, modello ANCOVA con valori periferici troncati, e modello ANCOVA con trasformazione<br />

effettuata mediante radice quadrata. †In un soggetto del gruppo CGM mancavano i dati rilevati dai sensori. ‡Due soggetti del gruppo di controllo si r<strong>it</strong>iravano<br />

prima della vis<strong>it</strong>a alla 26a settimana. MAGE, ampiezza media delle escursioni glicemiche.<br />

n 67 67 66 62 58 60<br />

Livelli glicemici<br />

(min/die)<br />

≤ 70 mg/dl 91 (40–147) 61 (24–118) 54 (28–108) 96 (<strong>37</strong>–225) 89 (33–198) 91 (27–188) 0.16/0.04/0.06 0.05/0.03/0.03<br />

≤ 60 mg/dl 40 (9–73) 21 (3–52) 18 (5–40) 40 (9–130) <strong>37</strong> (12–100) 35 (7–116) 0.05/0.02/0.02 0.01/0.007/0.008<br />

≤ 50 mg/dl 7 (0–38) 3 (0–18) 4 (0–15) 9 (0–45) 7 (0–51) 8 (0–55) 0.12/0.05/0.04 0.05/0.03/0.01<br />

71-180 mg/dl 1,063 (921–1,174) 1,092 (947–1,200) 1,063 (948–1,185) 972 (809–1,089) 951 (778–1,079) 949 (784–1,106) 0.003/0.002/0.004 250 mg/dl 40 (10–101) 42 (8–77) 48 (11–103) 63 (27–118) 76 (29–173) 82 (22–149) 0.12/0.05/0.10 0.005/0.003/0.006<br />

Area sotto la curva 0.64 (0.19–1.24) 0.32 (0.09–0.80) 0.26 (0.11–0.64) 0.60 (0.18–1.88) 0.48 (0.17–1.80) 0.49 (0.13–1.73) 0.09/0.02/0.02 0.03/0.01/0.008<br />

(70 mg/dl)<br />

SD dei valori 48 (42–58) 49 (40–58) 50 (41–63) 56 (48–67) 58 (48–69) 60 (46–67) 0.17/0.13/0.21 0.008/0.02/0.03<br />

MAGE 93 (80–110) 95 (82–111) 96 (84–113) 106 (84–130) 103 (90–129) 108 (86–126) 0.77/0.78/0.87 0.26/0.27/0.31<br />

Variazioni assolute 0.60 (0.50–0.71) 0.65 (0.50–0.73) 0.66 (0.53–0.76) 0.65 (0.56–0.80) 0.63 (0.54–0.79) 0.66 (0.54–0.87) 0.35/0.51/0.51 0.39/0.63/0.57<br />

(mg/dl per min)<br />

Tabella 2 – Es<strong>it</strong>i per gruppi di trattamento misurati dai CGM<br />

Gruppo CGM Gruppo di controllo P *<br />

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––– –––––––––––––––––––<br />

Basale 13 26 Basale 13 26 26 Es<strong>it</strong>i combinati<br />

settimane settimane † settimane settimane ‡ (13 e 26 settimane)<br />

DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

area sotto la curva per 70 mg/dl) e quando<br />

i dati riportati dai CGM alle vis<strong>it</strong>e alla<br />

13 a e 26ª settimana venivano messi insieme<br />

per avere migliori indicazioni sul<br />

controllo glicemico nell’arco dei sei mesi<br />

anziché alle singole date (vedi supplemento<br />

in figura Fig. A2, disponibile in<br />

appendice online). Un’indicazione più<br />

dettagliata riguardante le differenze fra i<br />

gruppi è riscontrabile nelle curve di distribuzione<br />

cumulative (vedi Fig. A3 e<br />

A4, disponibili in appendice online). La<br />

frequenza di eventi di ipoglicemia dati<br />

dai CGM (≥ 20 min con livelli di glucosio<br />


DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

Tabella 3 – HbA1c alla 26 a settimana per gruppo di trattamento<br />

trollo, vi era una diminuzione dei livelli<br />

di HbA1c di ≥ 0.3% senza un evento di<br />

ipoglicemia severa (28 vs. 5%, P < 0.001).<br />

Come riportato in Fig. 1 (vedi anche supplemento<br />

in Fig. A4, disponibile in appendice<br />

online), in un più alto numero di<br />

soggetti del gruppo CGM rispetto al<br />

gruppo di controllo vi era anche una diminuzione<br />

dei livelli di HbA1c ≥ 0.3%<br />

senza un aumento ≥ 43 min/die (3% della<br />

giornata) dei livelli di glucosio misurati<br />

dai CGM ≤70 mg/dl (18 vs. 2%, P =<br />

0.007) e in un maggior numero di soggetti<br />

si verificava una diminuzione ≥ 43<br />

min/die del tempo giornaliero con livelli<br />

di glucosio ≤70 mg/dl senza aumento<br />

della HbA1c ≥ 0.3% (29 vs. 15%, P =<br />

0.005).<br />

Frequenza dell’utilizzo di sensori nel<br />

gruppo CGM<br />

Nel gruppo CGM group, tutti soggetti<br />

utilizzavano i CGM al termine della<br />

26ª settimana dello studio. Vi era una lieve<br />

flessione nell’utilizzo dei CGM durante<br />

le 26 settimane dello studio (P < 0.001)<br />

ma la percentuale di utilizzo restava ancora<br />

molto alta dopo la 26ª settimana.<br />

Durante le prime 13 settimane dello studio,<br />

il 78% dei soggetti totalizzava almeno<br />

6 giorni /settimana di utilizzo di<br />

CGM rispetto al 67% durante le ultime 4<br />

settimane. Soltanto il 13% dei soggetti totalizzava<br />


del CGM sulla riduzione dei livelli di<br />

HbA1c era maggiore negli adulti rispetto<br />

ai bambini (3).<br />

In conclusione quasi tutte le analisi,<br />

ma non il metodo preselezionato per l’analisi<br />

primaria, inclusi il tempo giornaliero<br />

≤60 mg/dl, il tempo giornaliero tra<br />

71 e 180 mg/dl e l’analisi combinata di<br />

HbA1c e ipoglicemia, erano a favore del<br />

gruppo CGM rispetto al gruppo di controllo.<br />

Sulla base di tale evidenza, il<br />

CGM risulta utile anche in adulti e bambini<br />

con diabete di tipo 1 che hanno già<br />

raggiunto un eccellente controllo glicemico<br />

con l’automon<strong>it</strong>oraggio glicemico<br />

domiciliare.<br />

Bibliografia<br />

DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 63


DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

Uno scarso controllo glicemico cost<strong>it</strong>uisce<br />

un fattore di rischio indipendente di bassi<br />

livelli di colesterolo-HDL in pazienti con<br />

diabete di tipo 2<br />

ALESSANDRA GATTI, MD 1 ELISABETTA MANDOSI, MD 1<br />

MARIANNA MARANGHI, MD 1 MARA FALLARINO, MD 1<br />

SIMONETTA BACCI, MD 2 SUSANNA MORANO, MD 1<br />

CLAUDIO CARALLO, MD 3 VINCENZO TRISCHITTA, MD 4 , 5 , 6<br />

AGOSTINO GNASSO, MD 3 SEBASTIANO FILETTI, MD 1<br />

OBIETTIVO – Determinare se l’associazione osservata tra scarso controllo<br />

glicemico e bassi livelli di colesterolo HDL nel diabete di tipo 2 dipenda da obes<strong>it</strong>à<br />

e/o ipertrigliceridemia.<br />

DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – È stato effettuato uno studio<br />

cross-sezionale su 1.819 da pazienti con diabete di tipo 2 e trigliceridi


Tabella 1 – Caratteristiche cliniche delle popolazioni dello studio<br />

ni. Le analisi sono state effettuate mediante<br />

software SPSS, versione n. 15 (SPSS,<br />

Chicago, IL); un valore P di


DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

66<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


RASSEGNA<br />

Progressi nel trattamento della<br />

retinopatia diabetica<br />

RAFAEL SIMÓ, MD, PHD<br />

CRISTINA HERNÁNDEZ, MD, PHD<br />

La retinopatia diabetica proliferante<br />

(PDR) è la principale causa di cec<strong>it</strong>à<br />

tra gli individui in età lavorativa nei<br />

paesi industrializzati (1). L’edema maculare<br />

diabetico (DME), un altro importante<br />

evento che si verifica nella retinopatia<br />

diabetica, è maggiormente frequente nel<br />

diabete di tipo 2 rispetto al diabete di tipo<br />

1 (2). Mentre la PDR rappresenta nel<br />

diabete di tipo 1 la più comune lesione<br />

che mette a rischio la vista, la DME è la<br />

principale causa di ridotta acu<strong>it</strong>à visiva<br />

nel diabete di tipo 2. Considerata l’alta<br />

prevalenza del diabete di tipo 2, la DME<br />

rappresenta la principale causa di deterioramento<br />

della vista nei pazienti diabetici<br />

(2). Inoltre, la DME è quasi sempre<br />

presente quando la PDR viene individuata<br />

nel diabete di tipo 2 (3). La neovascolarizzazione<br />

causata da ipossia severa<br />

è il segno distintivo della PDR, mentre il<br />

danno vascolare causato dalla rottura<br />

della barriera ematica retinica (BRB) è il<br />

principale agente nella patogenesi della<br />

DME (4,5).<br />

TRATTAMENTO STANDARD<br />

Sebbene un attento controllo sia dei<br />

livelli glicemici che dell’ipertensione è<br />

essenziale per prevenire o arrestare l’evolversi<br />

della malattia, gli obiettivi raccomandati<br />

sono difficili da raggiungere<br />

per molti pazienti e, di conseguenza, la<br />

retinopatia diabetica si evolve con l’evolversi<br />

della malattia. . Quando PDR o<br />

DME significativa insorgono, il trattamente<br />

attualmente indicato è la fotocoagulazione<br />

argon laser, la cui efficacia è<br />

stata ampiamente dimostrata (6). Tuttavia,<br />

spesso il periodo ottimale per il trattamento<br />

laser in molti pazienti è trascorso;<br />

inoltre, non sempre esso riesce ad arrestare<br />

il deterioramento della vista. Oltre<br />

a ciò, la fotocoagulazione argon laser<br />

è associata a moderata perd<strong>it</strong>a della vista,<br />

diminuzione del campo visivo, di-<br />

scromatopsia e ridotta sensibil<strong>it</strong>à al contrasto.<br />

La presenza di questi disturbi ha<br />

portato all’opinione prevalente che il<br />

trattamento con chirurgia laser può prevenire<br />

la perd<strong>it</strong>a della vista, ma raramente<br />

contribuisce a un suo miglioramento.<br />

I corticosteroidi intrav<strong>it</strong>reali sono stati<br />

adottati con successo in pazienti con<br />

DME persistente e perd<strong>it</strong>a della vista dopo<br />

fallimento del trattamento convenzionale<br />

(vale a dire trattamento laser focale<br />

e correzione dei fattori sistemici di rischio).<br />

Tuttavia ripetute iniezioni sono<br />

spesso necessarie e vi sono notevoli effetti<br />

indesiderati come infezioni, glaucoma<br />

e formazione di cataratta (6). Oltre a ciò,<br />

recenti studi hanno mostrato una maggiore<br />

efficacia della fotocoagulazione focale/griglia,<br />

con meno effetti collaterali<br />

rispetto al triamcinolone intrav<strong>it</strong>reale<br />

nella DME (7,8).<br />

La chirurgia v<strong>it</strong>reo-retinica è un trattamento<br />

costoso e complicato, che andrebbe<br />

effettuato soltanto da specialisti<br />

molto esperti in questa procedura, e di<br />

norma è riservato soltanto per i casi di<br />

PDR a rischio di cec<strong>it</strong>à, come emorragia<br />

v<strong>it</strong>reale severa e distacco di retina secondario.<br />

Per tali motivi sono necessari nuovi<br />

trattamenti farmacologici, elaborati in<br />

base alla comprensione dei meccanismi<br />

fisiopatologici della retinopatia diabetica.<br />

La scars<strong>it</strong>à di studi clinici rilevanti<br />

mirati a valutare nuovi farmaci nella retinopatia<br />

diabetica, è dovuta, in parte, alla<br />

necess<strong>it</strong>à di effettuare studi a lungo termine<br />

su grandi coorti di pazienti diabetici,<br />

valutati mediante una classificazione<br />

standardizzata di fotografie della retina.<br />

Sebbene non vi siano delle regole fisse, la<br />

durata di un trial va commisurata alla<br />

storia naturale della retinopatia diabetica,<br />

e, di conseguenza, sembrano necessari<br />

almeno 5 anni per distinguere il comportamento<br />

della retinopatia tra un<br />

gruppo di intervento e uno di controllo.<br />

Inoltre, la maggior parte dei trial clinici<br />

From the CIBER de Diabetes y Enfermedades Metabólicas Asociadas (CIBERDEM), Inst<strong>it</strong>uto de<br />

Salud Carlos III, Madrid, Spain, and the Diabetes and Metabolism Research Un<strong>it</strong>, Inst<strong>it</strong>ut de Recerca<br />

Hosp<strong>it</strong>al Univers<strong>it</strong>ari Vall d’Hebron, Barcelona, Spain.<br />

Corresponding author: Rafael Simó, rsimo@ir.vhebron.net.<br />

DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

si è sempre concentrata sull’evoluzione<br />

della retinopatia diabetica e vi sono stati<br />

pochi studi incentrati sulla prevenzione.<br />

Tutte le suddette premesse andrebbero<br />

tenute in conto quando si analizzano i<br />

trial clinici riguardanti la retinopatia diabetica,<br />

perché possono contribuire significativamente<br />

a risultati falso-negativi.<br />

La presenza della retinopatia diabetica in<br />

soggetti non diabetici rappresenta un’altra<br />

sfida. Wong et al. (9), in uno studio<br />

che includeva più di 11.000 partecipanti<br />

provenienti da tre coorti di popolazione,<br />

hanno evidenziato che con l’attuale cutoff<br />

del glucosio plasmatico a digiuno di<br />

7.0 mmol/l utilizzato per diagnosticare il<br />

diabete, il 7.4–13.4% dei pazienti non<br />

diabetici aveva una retinopatia diabetica.<br />

Tale riscontro, oltre a mettere in discussione<br />

gli attuali cr<strong>it</strong>eri diagnostici del<br />

diabete, suggerisce un potenziale lim<strong>it</strong>e<br />

alla riduzione del rischio di retinopatia<br />

diabetica che andrebbe preso in considerazione<br />

quando si interpretano i risultati<br />

di trial clinici.<br />

Recentemente sono stati pubblicati<br />

due studi di importanza cruciale riguardanti<br />

gli effetti benefici di due differenti<br />

farmaci (fenofibrato e candesartan) sulla<br />

retinopatia diabetica (10–12). Questi studi<br />

soddisfano tutte le premesse per l’ottenimento<br />

di un valido risultato: followup<br />

a lungo termine (~5 anni), un’ampia<br />

coorte di pazienti diabetici, retinopatia<br />

valutata con metodologie standardizzate,<br />

e un significativo numero di pazienti<br />

senza retinopatia diabetica all’ingresso<br />

nello studio, consentendo così di valutarne<br />

l’efficacia anche in prevenzione. In<br />

stadi avanzati di retinopatia diabetica,<br />

tra i nuovi trattamenti sono emersi agenti<br />

intrav<strong>it</strong>reali che inibiscono il fattore di<br />

cresc<strong>it</strong>a dell’endotelio vascolare (VEGF).<br />

Questi farmaci non sono ancora approvati<br />

per il trattamento della retinopatia<br />

diabetica, ma sono attualmente utilizzati<br />

dagli oftalmologi in determinati casi di<br />

PDR e DME (13,14). Questo articolo descrive<br />

l’attuale livello di conoscenza riguardo<br />

a questi nuovi farmaci per il trattamento<br />

della retinopatia diabetica, evidenziando<br />

i punti che richiedono ulteriori<br />

studi.<br />

FENOFIBRATO<br />

Il fenofibrato è un agonista dei recettori<br />

– attivanti la proliferazione perossisomiale<br />

(PPAR-α), indicato per il tratta-<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 67


DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

mento di ipertrigliceridemia e dislipidemia<br />

mista. La sua principale azione è<br />

quella di abbassare i livelli dei trigliceridi<br />

plasmatici, ma esso riduce anche colesterolo<br />

totale e colesterolo LDL, aumenta il<br />

colesterolo HDL e diminuisce la concentrazione<br />

delle piccole particelle di colesterolo<br />

LDL e dell’apolipoproteina B<br />

(15). Di recente, Keech et al. (10) hanno<br />

riportato i risultati riguardanti il trattamento<br />

laser della retinopatia diabetica<br />

ottenuti nello studio FIELD (Fenofibrate<br />

Intervention and Event Lowering in Diabetes).<br />

Il principale obiettivo di questo<br />

trial randomizzato controllato era di valutare<br />

se una terapia ipolipemizzante a<br />

lungo termine a base di fenofibrato potesse<br />

ridurre la necess<strong>it</strong>à di utilizzare il<br />

trattamento laser in una grande coorte (n<br />

= 9,795) di pazienti con diabete di tipo 2.<br />

La durata media del follow-up era 5 anni<br />

e l’end point era cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dalla necess<strong>it</strong>à<br />

del trattamento col laser (un end point<br />

terziario dello studio principale). In un’analisi<br />

“intention-to-treat” (ITT), il fenofibrato<br />

(200 mg una volta al giorno) riduceva<br />

la frequenza del trattamento con laser<br />

per edema maculare del 31% e per retinopatia<br />

proliferativa del 30%. Inoltre, in<br />

un sotto-studio esegu<strong>it</strong>o su pazienti la<br />

cui condizione retinica era stata valutata<br />

mediante fotografia del fundus, il fenofibrato<br />

rallentava l’evoluzione della retinopatia<br />

preesistente. Sebbene vi fossero<br />

dei fattori lim<strong>it</strong>anti in questo studio<br />

(16,17), i benefici sostanziali derivanti<br />

dall’avere scongiurato la necess<strong>it</strong>à del<br />

trattamento col laser inducono a prendere<br />

in considerazione l’utilizzo del fenofibrato<br />

nella terapia per la retinopatia diabetica.<br />

Tuttavia, la nostra lim<strong>it</strong>ata conoscenza<br />

dei meccanismi che producono i<br />

benefici nella retinopatia diabetica potrebbe<br />

lim<strong>it</strong>arne il potenziale impatto<br />

sulla pratica clinica. In teoria, anche altri<br />

PPAR-α oltre al fenofibrato potrebbero<br />

risultare benefici per la retinopatia diabetica;<br />

attualmente, tuttavia, ciò è stato dimostrato<br />

soltanto col fenofibrato.<br />

La logica alla base del FIELD era che<br />

elevati livelli lipidici nel circolo sistemico<br />

cost<strong>it</strong>uiscono un fattore di rischio per retinopatia<br />

diabetica; pertanto, una terapia<br />

a lungo termine mirata ad abbassare i livelli<br />

di lipidi a base di fenofibrato poteva<br />

ridurre la progressione della retinopatia<br />

diabetica e la necess<strong>it</strong>à di effettuare trattamento<br />

laser nei pazienti con diabete di<br />

tipo 2. Tuttavia, non si è individuata alcuna<br />

relazione tra lipidi sierici e l’insorgenza<br />

o l’evoluzione della retinopatia<br />

diabetica. Ciò coincide con altri studi<br />

prospettici che dimostrano che i lipidi<br />

sierici non sono correlati con la progressione<br />

della retinopatia diabetica o l’evolversi<br />

della PDR (18,19). Inoltre, il Collaborative<br />

Atorvastatin Diabetes Study<br />

68<br />

(CARDS), un trial randomizzato controllato<br />

su 2.830 pazienti con diabete di tipo<br />

2, non ha riscontrato alcuna efficacia dell’atorvastatina<br />

nel ridurre la progressione<br />

della retinopatia diabetica (20). Questo<br />

studio era tuttavia lim<strong>it</strong>ato da una<br />

notevole quant<strong>it</strong>à di dati mancanti (soltanto<br />

nel 65% nei pazienti la retinopatia<br />

era stata valutata durante il controllo basale)<br />

e dalla mancanza di una classificazione<br />

fotografica della retinopatia diabetica.<br />

Un altro trial randomizzato, lo studio<br />

ACCORD-EYE, attualmente in corso,<br />

potrebbe far luce sulla questione (21). In<br />

questo studio si stanno valutando gli effetti<br />

del controllo lipidico (statina vs. fenofibrato<br />

aggiunto a statina) sull’evoluzione<br />

della retinopatia diabetica. 4.065<br />

partecipanti sono stati e valutati tram<strong>it</strong>e<br />

fotografie del fundus a 4 mesi dalla randomizzazione,<br />

e di nuovo 4 anni più tardi.<br />

Sebbene nello studio FIELD non vi<br />

fosse alcuna relazione tra i livelli di lipidi<br />

sierici e la retinopatia diabetica, non è<br />

chiaro se l’efficacia del fenofibrato nel<br />

modulare le proprietà qual<strong>it</strong>ative delle lipoproteine<br />

(vale a dire nel ridurre le particelle<br />

di colesterolo LDL piccole e dense)<br />

possa contribuire ai suoi effetti benefici.<br />

È anche possibile che siano più importanti<br />

i meccanismi che regolano il trasporto<br />

intraretinico dei lipidi, piuttosto<br />

che i livelli sierici, nella patogenesi della<br />

retinopatia diabetica. A tal propos<strong>it</strong>o, abbiamo<br />

recentemente evidenziato una sovraespressione<br />

dell’apolipoproteina A1<br />

(apo-A1) nella retina dei pazienti diabetici<br />

(22). L’Apo-A1 rappresenta un componente<br />

chiave del trasporto intraretinico<br />

dei lipidi, che previene la formazione di<br />

depos<strong>it</strong>i lipidici e la lipotossic<strong>it</strong>à, oltre a<br />

fagoc<strong>it</strong>are le specie reattive dell’ossigeno.<br />

Pertanto, l’apo-A1 potrebbe giocare un<br />

ruolo importante nel proteggere la retina<br />

dallo stress ossidativo. Questi risultati ci<br />

hanno portato a ipotizzare che nella retina<br />

dei pazienti diabetici vi è un maggiore<br />

presenza di apo-A1 come meccanismo<br />

di protezione; di conseguenza, nei pazienti<br />

con minore capac<strong>it</strong>à di produzione<br />

di apo-A1 da parte della retina sarà più<br />

frequente la formazione di depos<strong>it</strong>i lipidici<br />

(essudati duri) e di danno retinico<br />

indotto da stress ossidativo. Si è osservato<br />

che l’acido fenofibrico migliora la trasmissione<br />

del gene dell’apo-A1 nel fegato<br />

(23), nei macrofagi e nei fibroblasti<br />

(24), ma se ciò avvenga anche a livello retinico<br />

resta da chiarire.<br />

Altri meccanismi non lipidici grazie<br />

ai quali il fenofibrato potrebbe essere efficace<br />

nel prevenire o arrestare la retinopatia<br />

diabetica potrebbero essere i seguenti:<br />

1) Il PPAR-α è presente nelle cellule endoteliali<br />

(25) e si è recentemente ri-<br />

scontrato che la sua attivazione per<br />

mezzo di agonisti PPAR-α inibisce<br />

l’espressione del recettore 2 del VEGF<br />

(VEGFR2) e la neovascolarizzazione<br />

in cellule endoteliali umane derivate<br />

dalla vena umbilicale (26). Varet et al.<br />

(27) hanno dimostrato che il fenofibrato<br />

inibisce l’angiogenesi in v<strong>it</strong>ro e<br />

in vivo, oltre all’angiogenesi in vivo<br />

indotta dal fattore di cresc<strong>it</strong>a dei fibroblasti.<br />

Inoltre, in cellule cancerogene<br />

umane derivate dalle ovaie, l’acido<br />

clofibrico (agonista dei PPAR-α)<br />

opera una sotto-regolazione dell’espressione<br />

di VEGF (28). Oltre ai suoi<br />

effetti antiproliferativi, il fenofibrato<br />

inibisce l’apoptosi indotta dalle alte<br />

concentrazioni glicemiche in cellule<br />

endoteliali umane derivate dalla vena<br />

ombelicale (29). È stato inoltre dimostrato<br />

che il fenofibrato previene<br />

l’apoptosi delle cellule endoteliali<br />

umane della retina indotta dalla privazione<br />

di siero attraverso una via indipendente<br />

da agonisti del PPAR-α,<br />

ma dipendente dalla proteinchinasi<br />

attivata dall’AMP (30). Tale attivazione<br />

nelle cellule endoteliali potrebbe<br />

portare a un aumento della fosforilazione<br />

dell’ossido n<strong>it</strong>rico sintasi endoteliale<br />

e della produzione di ossido<br />

n<strong>it</strong>rico, risultando così benefica per la<br />

funzione endoteliale (31).<br />

2) Il PPAR-α è associato ad attiv<strong>it</strong>à antinfiammatoria<br />

e antiossidante(32). È<br />

stato riportato che l’attivazione del<br />

PPAR-α induce l’espressione e l’attivazione<br />

di enzimi antiossidanti, come<br />

la superossido dismutasi e la glutatione<br />

perossidasi (33), è che l’attivazione<br />

del PPAR-α induce l’apoptosi<br />

dei macrofagi derivati da monoc<strong>it</strong>i<br />

umani (34). Gli attivatori del PPAR-α<br />

inibiscono inoltre l’espressione delle<br />

molecole di adesione nelle cellule vascolari<br />

endoteliali (35). Tale effetto<br />

potrebbe contribuire alla prevenzione<br />

della leucostasi (l’inappropriata adesione<br />

dei leucoc<strong>it</strong>i all’endotelio), essenziale<br />

nella patogenesi del PDR.<br />

3) L’attivazione del PPAR-α ha inoltre<br />

un effetto neuroprotettivo (33,36). Ciò<br />

potrebbe essere importante nel prevenire<br />

la degenerazione della neuroretina,<br />

un evento cruciale che insorge<br />

precocemente nella retinopatia diabetica,<br />

prima ancora che si possano individuare<br />

anormal<strong>it</strong>à vascolari (<strong>37</strong>).<br />

4) La rottura della BRB, causata dalla<br />

distruzione delle giunture strette e<br />

dalla conseguente perd<strong>it</strong>a di proteine,<br />

è la principale causa della DME<br />

(6). In virtù della efficacia del fenofibrato<br />

nel prevenire l’evolversi della<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


DME, sarebbe bene verificare se il fenofibrato<br />

sia in grado di ridurre l’aumentata<br />

permeabil<strong>it</strong>à esistente nella<br />

retinopatia diabetica.<br />

Ulteriori ricerche sui potenziali effetti<br />

del fenofibrato su tutti i suddetti aspetti<br />

saranno essenziali per capirne gli effetti<br />

benefici sulla retinopatia diabetica, e saranno<br />

inoltre di cruciale importanza per<br />

poter utilizzare questo farmaco, in aggiunta<br />

a quelli esistenti, nella terapia della<br />

retinopatia diabetica.<br />

BLOCCARE IL SISTEMA<br />

RENINA-ANGIOTENSINA<br />

Trial di osservazione e clinici hanno<br />

mostrato che la pressione arteriosa rappresenta<br />

un importante fattore di rischio<br />

modificabile per la retinopatia diabetica,<br />

e che ridurre alti livelli di pressione arteriosa<br />

riduce significativamente lo sviluppo<br />

e la progressione della retinopatia nei<br />

pazienti diabetici sia di tipo 1 che di tipo<br />

2 (38,39). Il blocco del sistema renina-angiotensina<br />

(RAS) con un ACE inib<strong>it</strong>ore o<br />

utilizzando un antagonista del recettore<br />

di tipo 1 dell’angiotensina II (AT1-R) rappresenta<br />

una delle più comuni strategie<br />

per il trattamento dell’ipertensione nei<br />

pazienti diabetici. Oltre che nei reni, il sistema<br />

RAS è espresso a livello oftalmico<br />

(40). Inoltre, acquista evidenza sempre<br />

maggiore il fatto che l’attivazione del<br />

RAS nell’occhio gioca un ruolo importante<br />

nella patogenesi della retinopatia<br />

diabetica (40). Pertanto, oltre a ridurre i<br />

livelli di pressione arteriosa, il blocco del<br />

RAS potrebbe risultare benefico di per sé<br />

nel ridurre l’evoluzione e la progressione<br />

della retinopatia diabetica.<br />

I principali fattori componenti del<br />

RAS sono stati identificati nei tessuti<br />

oculari e sono sovraespressi nella retina<br />

diabetica. L’angiotensina II (AT) si lega e<br />

attiva due recettori primari, l’AT1-R e<br />

l’AT2-R. Negli esseri umani adulti, l’ativazione<br />

dell’AT1-R espressa nelle cellule<br />

endoteliali e nei peric<strong>it</strong>i è prevalente in<br />

condizioni patologiche (40). L’attivazione<br />

dell’AT1-R da parte dell’AT prodotta dalla<br />

retina stimola parecchie vie coinvolte<br />

nella patogenesi della retinopatia diabetica<br />

come infiammazione, stress ossidativo,<br />

proliferazione cellulare, migrazione<br />

di peric<strong>it</strong>i, rimodellamento della matrice<br />

extracellulare mediante aumento della<br />

metalloproteinasi di matrice, angiogenesi<br />

e fibrosi (40). Il RAS è sovraregolato in<br />

concom<strong>it</strong>anza con l’angiogenesi retinica<br />

indotta da ipossia ed è collegato all’induzione<br />

di mediatori infiammatori e fattori<br />

di cresc<strong>it</strong>a mediati dall’AT, tra cui il<br />

VEGF e il fattore di cresc<strong>it</strong>a di derivazione<br />

piastrinica (40,41). Inoltre, l’attivazione<br />

dell’AT1-R da parte dell’AT promuove<br />

leucostasi e degenerazione (40), due<br />

fattori chiave nella patogenesi della retinopatia<br />

diabetica. Gran parte di questi<br />

meccanismi vengono inib<strong>it</strong>i o attenuati<br />

dal blocco farmacologico del RAS o a livello<br />

di ACE o dei recettori dell’AT e sono<br />

accompagnati da una sotto-regolazione<br />

del VEGF e del VEGFR-2 (40). Di recente,<br />

Kim et al. (42) hanno riscontrato<br />

che il perindopril (un ACE inib<strong>it</strong>ore) attenua<br />

la rottura della BRB mediata dal<br />

VEGF nei ratti con diabete indotto da<br />

streptozotocina. È importante, inoltre,<br />

menzionare il fatto che il candesartan ha<br />

inib<strong>it</strong>o l’accumulo nella retina di pentosidina,<br />

prodotto finale di glicosilazione<br />

avanzata nei ratti di specie Torii con diabete<br />

spontaneo (43). Oltre a ridurre la<br />

malattia microvascolare, risulta sempre<br />

più evidente il ruolo della neuroprotezione<br />

come artefice degli effetti benefici dati<br />

dagli antagonisti dei recettori dell’angiotensina<br />

nella retinopatia diabetica<br />

(44–46).<br />

Su tali basi sperimentali, è ragionevole<br />

postulare che il blocco del RAS può risultare<br />

più efficace nella retinopatia diabetica<br />

rispetto ad altri agenti antipertensivi.<br />

Tuttavia, studi effettuati su pazienti<br />

ipertesi con diabete di tipo 2 suggeriscono<br />

che ACE inib<strong>it</strong>ori e antagonisti dei recettori<br />

dell’angiotensina non sono superiori<br />

nel prevenire o arrestare la retinopatia<br />

diabetica rispetto ad altri farmaci,<br />

ugualmente efficaci nel ridurre la pressione<br />

arteriosa, come il β-bloccante atenololo<br />

(47) o la nisoldipina, che blocca i<br />

canali del calcio (48). Questi studi prospettici<br />

randomizzati suggeriscono che<br />

ridurre la pressione arteriosa sembri<br />

molto più importante del potenziale effetto<br />

di blocco del RAS nell’occhio diabetico.<br />

Resta tuttavia da chiarire la questione<br />

riguardante il potenziale effetto del<br />

blocco del RAS nei pazienti diabetici normotesi.<br />

L’EURODIAB Controlled Trial of<br />

Lisinopril in Insulin-Dependent Diabetes<br />

Mell<strong>it</strong>us (EUCLID), ha riportato che in<br />

pazienti normotesi (pressione arteriosa<br />

≤140/90 mmHg), normoalbuminurici<br />

(85% dei pazienti) o microalbuminurici,<br />

il lisinopril (ACE inib<strong>it</strong>ore) non riduceva<br />

l’incidenza della retinopatia diabetica ma<br />

ne diminuiva l’evolversi di due o più<br />

gradi e rallentava la progressione verso<br />

la PDR (49). Tuttavia, questi risultati sono<br />

stati oggetto di cr<strong>it</strong>iche, perché il<br />

gruppo placebo aveva livelli medi di<br />

HbA1c significativamente più alti rispetto<br />

al gruppo di trattamento. Dopo aver<br />

effettuato gli aggiustamenti per la<br />

HbA1c, infatti, le differenze osservate<br />

nella progressione di due livelli verso la<br />

PDR non erano più significative e soltanto<br />

il progresso di un livello rimaneva significativo.<br />

Altri fattori che lim<strong>it</strong>avano<br />

questo studio erano il breve periodo di<br />

follow-up (2 anni) e il fatto che la retino-<br />

DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

patia diabetica non cost<strong>it</strong>uisse l’end<br />

point primario dello studio. Pertanto,<br />

sebbene lo studio EUCLID indicasse ulteriori<br />

benefici apportati dagli ACE inib<strong>it</strong>ori<br />

sull’evolversi della retinopatia diabetica,<br />

esso era sottopotenziato per valutare<br />

gli es<strong>it</strong>i oftalmici. Inoltre, nei pazienti<br />

normotesi con diabete di tipo 2 dello studio<br />

Appropriate Blood Pressure Control<br />

in Diabetes (ABC), Schrier et al. (50) hanno<br />

mostrato che un controllo intensivo<br />

della pressione arteriosa rallentava l’evolversi<br />

della retinopatia diabetica. Tuttavia<br />

i risultati erano analoghi, sia con la<br />

somministrazione di enalapril che di nisoldipina<br />

come agente antipertensivo<br />

iniziale. Anziché, dunque, stabilire quale<br />

farmaco antipertensivo abbia maggiore<br />

efficacia, sembra più importante riuscire<br />

a ridurre i livelli di pressione arteriosa.<br />

Il programma Diabetic Retinopathy<br />

Candesartan Trials (DIRECT) era stato<br />

progettato per verificare se il blocco del<br />

RAS col candesartan, antagonista dell’AT1-R,<br />

potesse prevenire l’incidenza e<br />

l’evoluzione della retinopatia nel diabete<br />

di tipo 1 e di tipo 2 independentemente<br />

dall’abbassamento della pressione arteriosa<br />

(11,12). Questo programma consisteva<br />

in tre studi di gruppi paralleli, randomizzati,<br />

in doppio cieco e controllati<br />

con placebo: 1) uno studio di prevenzione<br />

primaria in 1241 pazienti con diabete<br />

di tipo 1 senza retinopatia diabetica (DI-<br />

RECT-Prevent 1), 2) uno studio di prevenzione<br />

secondario in 1.905 pazienti<br />

con diabete di tipo 1 affetti da retinopatia<br />

diabetica (DIRECT-Protect 1), e 3) uno<br />

studio di prevenzione secondario in<br />

1.905 pazienti con diabete di tipo 2 affetti<br />

da retinopatia diabetica (DIRECT-Protect<br />

2). In ciascun trial, ai pazienti randomizzati<br />

veniva somministrato candesartan<br />

(16–32 mg/die) o placebo e il follow-up<br />

medio era 4.7 anni. I pazienti con diabete<br />

di tipo 1 erano eleggibili per l’inclusione<br />

nello studio se erano normoalbuminurici<br />

e normotesi (pressione arteriosa ≤130/85<br />

mmHg). Per i pazienti con diabete di tipo<br />

2, i cr<strong>it</strong>eri di inclusione erano normoalbuminuria<br />

e pressione arteriosa<br />

normale senza terapia antipertensiva o<br />

pressione arteriosa ≤160/90 mmHg durante<br />

il trattamento. L’end point primario<br />

era l’incidenza della retinopatia diabetica<br />

nello studio di prevenzione primaria<br />

e l’evolversi della retinopatia diabetica<br />

negli studi di prevenzione secondaria.<br />

Nello studio DIRECT-Prevent 1, si osservava<br />

una riduzione non significativa (riduzione<br />

del rischio relativo del 18%; P =<br />

0.051) del rischio di incidenza di retinopatia<br />

diabetica. Tuttavia, in un’analisi<br />

post hoc in cui l’end point primario veniva<br />

modificato da un aumento di due gradi<br />

ad un aumento di almeno tre gradi<br />

nella scala ETDRS, si riscontrava una dif-<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 69


DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

ferenza significativa (riduzione del rischio<br />

relativo del 35%; P = 0.003). Tale effetto<br />

benefico veniva attenuato ma era<br />

ancora significativo dopo che i dati venivano<br />

aggiustati per durata del diabete,<br />

HbA1c e pressione sistolica (riduzione di<br />

rischio relativo del 26%; P = 0.046) (11).<br />

Nel DIRECT-Protect 1, si riscontrava<br />

un’identica evoluzione della retinopatia<br />

diabetica nel gruppo placebo e nel gruppo<br />

trattato con candesartan, il che indicherebbe<br />

che il candesartan non avrebbe<br />

efficacia nel prevenire l’evoluzione della<br />

retinopatia diabetica (11). Il DIRECT-Protect<br />

2 mostrava una riduzione non significativa<br />

nell’evoluzione della retinopatia<br />

diabetica (rischio relativo del 13%; P =<br />

0.20). Si osservava tuttavia un significativo<br />

aumento della regressione della retinopatia<br />

diabetica (34%, P = 0.009) e tale<br />

effetto era maggiormente evidente nei<br />

pazienti con retinopatia lieve (12). Sebbene<br />

l’end point primario predeterminato<br />

nel programma DIRECT non sia stato<br />

raggiunto, le analisi dei dati indicano un<br />

complessivo effetto benefico del candesartan<br />

nella retinopatia diabetica.<br />

I risultati del DIRECT andrebbero<br />

confrontati con quelli dello studio Action<br />

in Diabetes and Vascular Disease (AD-<br />

VANCE), che comprendeva 11.140 pazienti<br />

con diabete di tipo 2 (51). In questo<br />

studio, pazienti randomizzati a un controllo<br />

glicemico intensivo con glicazide<br />

(a rilascio modificato), oltre ad altri farmaci<br />

necessari per raggiungere livelli di<br />

HbA1c ≤6.5% e un ACE inib<strong>it</strong>ore associato<br />

a un diuretico (perindopril-indapamide),<br />

presentavano la stessa incidenza o<br />

evoluzione della retinopatia diabetica rispetto<br />

al gruppo placebo nell’arco di 4<br />

anni. Questi risultati indicherebbero che<br />

il candesartan, ma non gli ACE inib<strong>it</strong>ori,<br />

può avere effetti benefici sulla retinopatia<br />

diabetica. Andrebbe tuttavia precisato<br />

che a differenza del DIRECT, l’ADVAN-<br />

CE non utilizzava fotografie retiniche<br />

standardizzate e vi era una minore evoluzione<br />

della retinopatia diabetica, lim<strong>it</strong>ando<br />

in tal modo la capac<strong>it</strong>à dello studio<br />

di individuare qualsiasi effetto moderato<br />

sulla malattia oculare microvascolare.<br />

AGENTI ANTI-VEGF PER VIA<br />

INTRAVITREALE<br />

È stato appurato il ruolo fondamentale<br />

del VEGF nella genesi della retinopatia<br />

diabetica e i suoi livelli sono aumentati<br />

negli animali con diabete indotto e nell’umor<br />

v<strong>it</strong>reo di pazienti con retinopatia<br />

diabetica. La somministrazione di VEGF<br />

per via intrav<strong>it</strong>reale in animali in laboratorio<br />

riproduce molte caratteristiche della<br />

retinopatia diabetica. Dunque, i farmaci<br />

che attenuano l’azione del VEGF sono<br />

70<br />

molto interessanti, poiché sono in grado<br />

di ridurre permeabil<strong>it</strong>à e neovascolarizzazione,<br />

caratteri distintivi rispettivamente<br />

di DME e PDR (4,52).<br />

In generale, i farmaci somministrati<br />

in maniera sistemica raggiungono il tessuto<br />

retinocoroidale atraverso la circolazione<br />

del sangue. Poiché, tuttavia, la BRB<br />

lim<strong>it</strong>a il flusso di farmaci nella retina, è<br />

necessario somministrare ingenti quant<strong>it</strong>à<br />

di farmaci per ottenere concentrazioni<br />

terapeutiche t. Per quanto concerne gli<br />

agenti anti-VEGF, ciò porterebbe ad una<br />

sistemica inibizione dell’angiogenesi che<br />

comprometterebbe la risposta vascolare,<br />

cruciale negli eventi ischemici di pazienti<br />

diabetici con malattia cardiovascolare,<br />

cerebrovascolare o vascolare periferica.<br />

Inoltre, ipertensione e proteinuria (due<br />

marker surrogati dell’inibizione sistemica<br />

del VEGF), oltre ad una compromessa<br />

guarigione della lesione, cost<strong>it</strong>uiscono altre<br />

potenziali conseguenze del blocco del<br />

VEGF e cost<strong>it</strong>uirebbero motivo di particolare<br />

preoccupazione per la popolazione<br />

diabetica (14). D’altra parte, la somministrazione<br />

locale di agenti anti-VEGF<br />

nell’occhio mediante iniezioni per via intrav<strong>it</strong>reale<br />

ev<strong>it</strong>erebbe effetti indesiderati<br />

sistemici. Tale procedura è tuttavia invasiva,<br />

ed è necessario l’intervento di uno<br />

specialista di comprovata abil<strong>it</strong>à. Per potere,<br />

inoltre, mantenere livelli di efficacia,<br />

sono necessarie iniezioni ripetute frequentemente,<br />

aumentando così l’insorgere<br />

di complicanze locali come endoftalm<strong>it</strong>e,<br />

emorragia v<strong>it</strong>reale, distacco della<br />

retina e cataratta traumatica. E ancora,<br />

sebbene il sistema oculare sia considerato<br />

chiuso e delim<strong>it</strong>ato, i farmaci anti-<br />

VEGF iniettati nella cav<strong>it</strong>à v<strong>it</strong>reale passano<br />

nella circolazione sistemica a livelli<br />

che possono variare e potrebbero potenzialmente<br />

causare gli effetti indesiderati<br />

sistemici sopra menzionati (14,52). Attualmente<br />

vi sono quattro anti-VEGF disponibili:<br />

pegaptamib sodio (Macugen;<br />

Pfizer), ranibizumab (Lucentis; Genentech/Novartis),<br />

bevacizumab (Avastin; Genentech)<br />

e aflibercept (Regeneron Pharmaceuticals/Sanofi-Aventis).<br />

Il Pegaptanib è un aptamero RNA peghilato<br />

(vale a dire, coniugato con polietilene<br />

glicolico) neutralizzante, con un’altissima<br />

affin<strong>it</strong>à verso l’isoforma 165 del<br />

VEGF (VEGF 165 ), che partecipa alla neovascolarizzazione<br />

patologica ma non fisiologica<br />

(53). Gli aptameri sono nucleotidi<br />

modificati composti da acidi nucleici<br />

con un singolo filamento, che adottano<br />

una specifica conformazione tridimensionale,<br />

che ne permette il legame ad alta<br />

specific<strong>it</strong>à e affin<strong>it</strong>à a target molecolari,<br />

in maniera simile agli anticorpi monoclonali.<br />

Un’importante caratteristica degli<br />

aptameri è il fatto che essi non mostrano<br />

immunogenic<strong>it</strong>à. Il pegaptamib è stato<br />

approvato dalla U.S. Food and Drug Administration<br />

(FDA) per il trattamento<br />

della degenerazione essudativa (umida o<br />

neovascolare) correlata all’età (AMD) nel<br />

dicembre 2004.<br />

Il ranibimizumab è un anticorpo monoclonale<br />

completo, antagonista del<br />

VEGF. A differenza del pegaptamib, il ranimizumab<br />

inibisce l’attiv<strong>it</strong>à biologica di<br />

tutte le isoforme del VEGF umano e potrebbe<br />

essere immunogenico. La FDA ha<br />

aprovato il ranibizumab per la AMD<br />

umida a giugno del 2006.<br />

Il bevacizumab è un agente anti-<br />

VEGF simile al ranibizumab ed è stato<br />

approvato dalla FDA a febbraio del 2004<br />

per il trattamento del cancro disseminato<br />

colorettale, ma non per l’adozione a livello<br />

intraoculare. Ciononostante, la terapia<br />

iniettiva per via intrav<strong>it</strong>reale con bevacizumab<br />

è un trattamento di routine<br />

effettuato dagli oftalmologi per la AMD<br />

neovascolare, perché pur avendo la stessa<br />

efficacia di pegaptamib o ranimizumab,<br />

ha un costo notevolmente inferiore.<br />

L’aflibercept, anche noto come “Trap-<br />

Eye” del VEGF per via della sua capac<strong>it</strong>à<br />

di bloccare tutte e sei le proteine del<br />

VEGF (dalla VEGF-A alla VEGF-E, oltre<br />

al fattore di cresc<strong>it</strong>a placentare), è una<br />

proteina di fusione comprendente segmenti<br />

dei domini extracellulari dei recettori<br />

umani VEGF 1 (VEGFR1) e 2 (VEG-<br />

FR2), fusi alla regione costante (Fc) dell’IgG<br />

umano. L’afilbercept è attualmente<br />

utilizzato in trial clinici sia per AMD che<br />

DME umide. L’aflibercept ha una maggiore<br />

affin<strong>it</strong>à di legame rispetto ad altri<br />

agenti anti-VEGF. Questa maggiore affin<strong>it</strong>à<br />

di legami si traduce in una maggiore<br />

attiv<strong>it</strong>à a livelli biologici più bassi e, di<br />

conseguenza, in una maggiore durata<br />

d’azione.<br />

I risultati dei trial clinici prospettici<br />

che hanno utilizzato pegaptanib e ranibizumab<br />

in i pazienti con AMD sono stati<br />

davvero notevoli e hanno portato alla<br />

progettazione di trial specifici per DME e<br />

PDR. Attualmente soltanto un trial prospettico,<br />

multicentrico, in doppio cieco,<br />

con range di dosaggio controllato, è stato<br />

effettuato su pazienti diabetici (54). In<br />

questo studio erano inclusi 172 pazienti<br />

con DME, i pazienti randomizzati per ricevere<br />

ripetute iniezioni di pegaptamib<br />

via intrav<strong>it</strong>reale avevano risultati visivi<br />

migliori (P = 0.03), maggiori probabil<strong>it</strong>à<br />

di riduzione dello spessore retinico (P =<br />

0.02), con minore necess<strong>it</strong>à di ulteriori intervento<br />

col laser focale (P = 0.04) al follow-up<br />

(36 weeks) rispetto ai soggetti<br />

che ricevevano iniezioni di placebo per<br />

via intrav<strong>it</strong>reale. L’analisi retrospettiva<br />

dei dati oftalmici di 16 pazienti con PDR<br />

mostrava anche una regressione della<br />

neovascolarizzazione (55).<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


Studi non controllati che utilizzavano<br />

ranibizumab e bevacizumab hanno inoltre<br />

riscontrato una rapida regressione<br />

della neovascolarizzazione retinica, miglioramento<br />

dell’acutezza visiva e diminuzione<br />

dello spessore retinico nella<br />

DME, anche in coloro che non rispondevano<br />

al trattamento convenzionale<br />

(14,56). Tuttavia, la risposta al trattamento<br />

della DME mediante blocco del VEGF<br />

non è prolungata ed è soggetta a significativa<br />

variabil<strong>it</strong>à. Ciò è in netto contrasto<br />

con la risposta rapida con neovascolarizzazione<br />

sia dell’iride che della retina in<br />

presenza di PDR e di neovascolarizzazione<br />

coroidale in caso di AMD umida (57).<br />

È interessante notare che quando si sono<br />

messi a confronto i risultati del trattamento<br />

della DME con bevacizumab per<br />

via intrav<strong>it</strong>reale con quelli del cortisone<br />

intrav<strong>it</strong>reale (acetonide triamcinolone), i<br />

risultati migliori riscontrati in termini di<br />

riduzione dello spessore foveale e migliore<br />

visione erano da attribuire al<br />

triamcinolone (58). In trial clinici prospettici<br />

si sta attualmente tentando di appurare<br />

quanto il blocco del VEGF risulti<br />

benefico per la DME. Oltre alla loro potenzial<strong>it</strong>à<br />

come trattamenti isolati per<br />

PDR e DME, si è osservato che gli agenti<br />

anti-VEGF per via intrav<strong>it</strong>reale, in particolare<br />

il bevacizumab, contribuiscono ad<br />

aumentare la risposta a breve termine alla<br />

fotocoagulazione panretinica nella<br />

PDR ad alto rischio, e sembrano inoltre<br />

efficaci e sicuri come trattamento coadiuvante<br />

per la v<strong>it</strong>rectomia in casi di PDR<br />

severa o emorragia v<strong>it</strong>reale (56). Ciò è<br />

spiegato dal fatto che gli agenti anti-<br />

VEGF intrav<strong>it</strong>reali riducono neovascolarizzazione<br />

attiva ed emorragia v<strong>it</strong>reale,<br />

permettendo così una sicura ed efficiente<br />

fotocoagulazione panretinica o v<strong>it</strong>rectomia<br />

via pars plana, minimizzando allo<br />

stesso tempo i rischi di complicanze. L’aflibercept<br />

è stato recentemente testato in<br />

uno studio esplorativo esegu<strong>it</strong>o su cinque<br />

pazienti con DME (59). In questo<br />

studio, somministrando una singola iniezione<br />

per via intrav<strong>it</strong>reale, il Trap-Eye<br />

era ben tollerato e si osservava una preliminare<br />

evidenza di bioattiv<strong>it</strong>à. Considerati<br />

nel complesso, tali promettenti risultati<br />

propongono un nuovo scenario per<br />

la gestione della retinopatia diabetica.<br />

Sono tuttavia necessari studi più estesi<br />

non solo sull’efficacia, ma anche sugli effetti<br />

indesiderati sistemici dei suddetti<br />

agenti sulla popolazione diabetica.<br />

È possibile che un farmaco con una<br />

più estesa e non specifica attiv<strong>it</strong>à anti-<br />

VEGF, come gli inib<strong>it</strong>ori pan-VEGF (ranibizumab,<br />

bevacizumab e aflibercept),<br />

possa avere maggiore efficacia rispetto a<br />

un farmaco come il pegaptamib, che ha<br />

target specifici come il VEGF 165 . A tal<br />

propos<strong>it</strong>o, il pegaptamib è notevolmente<br />

meno efficace del ranibizumab nel trattamento<br />

della AMD. D’altra parte, dato<br />

che il VEGF 165 gioca un ruolo essenziale<br />

nella neovascolarizzazione patologica<br />

ma non fisiologica, il pegaptanib potrebbe<br />

rappresentare l’opzione migliore per<br />

ev<strong>it</strong>are effetti indesiderati sistemici in pazienti<br />

diabetici. A lungo andare, inoltre,<br />

le iniezioni di inib<strong>it</strong>ori pan-VEGF per via<br />

intrav<strong>it</strong>reale potrebbero portare a neurodegenerazione<br />

retinica e ad un aumentato<br />

rischio di anomalie di circolo a livello<br />

coriocapillare (60). Resta ancora da dimostrare,<br />

da parte di specifici trial clinici,<br />

il vantaggio teorico del blocco selettivo<br />

del VEGF 165 da parte del pegaptamib<br />

in termini di effetti collaterali sia sistemici<br />

che locali.<br />

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE<br />

E FUTURE RICERCHE<br />

Un attento controllo dei livelli glicemici<br />

e dell’ipertensione rimane l’elemento<br />

chiave per prevenire o arrestare la retinopatia<br />

diabetica. Tuttavia due farmaci (fenofibrato<br />

e candesartan), originariamente<br />

non disegnati per il trattamento della retinopatia<br />

diabetica, possono avere un ruolo<br />

nella sua gestione. Le informazioni tratte<br />

dai trial clinici indicano che nei pazienti<br />

diabetici normotesi il candesartan riduce<br />

l’incidenza della retinopatia diabetica in<br />

quelli con diabete di tipo 1 e favorisce la<br />

regressione della retinopatia diabetica solo<br />

in quelli con diabete di tipo 2 con retinopatia<br />

lieve. Il fenofibrato, invece, testato<br />

soltanto nel diabete di tipo 2, non modifica<br />

l’incidenza della retinopatia diabetica,<br />

ma rallenta la sua evoluzione, diminuendo<br />

in tal modo la necess<strong>it</strong>à di trattamento<br />

laser sia nella DME che nella PDR.<br />

Tale effetto benefico non è correlato a variazioni<br />

dei livelli di lipidi sierici. Sarebbe<br />

dunque ragionevole raccomandare il candesartan<br />

per i pazienti con diabete di tipo<br />

1 (con o senza ipertensione) ad alto rischio<br />

di retinopatia diabetica e per i pazienti<br />

con diabete di tipo 2 con retinopatia<br />

lieve, mentre il fenofibrato sembra rappresentare<br />

una valida opzione per i pazienti<br />

con diabete di tipo 2 (con o senza<br />

dislipidemia) con retinopatia diabetica a<br />

vari stadi (da retinopatia diabetica lieve a<br />

retinopatia severa non proliferativa). Inoltre,<br />

i benefici mostrati dal fenofibrato e<br />

dal candesartan sulla retinopatia diabetica<br />

potrebbero essere considerati come un valore<br />

aggiunto nel trattamento di dislipidemia<br />

e ipertensione in pazienti diabetici.<br />

Nonostante ciò, i meccanismi mediante i<br />

quali il candesartan e, modo particolare, il<br />

fenofibrato eserc<strong>it</strong>ano la loro azione benefica<br />

vanno ancora chiar<strong>it</strong>i prima di poter<br />

DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

lanciare questi farmaci (da soli o in combinazione)<br />

come nuovi strumenti per il<br />

trattamento della retinopatia diabetica.<br />

Un’altra questione da chiarire, e per la<br />

quale saranno necessarie ulteriori ricerche,<br />

è se tali trattamenti possano essere<br />

somministrati in maniera topica, cioè direttamente<br />

nell’occhio, per poterne aumentare<br />

i benefici sulla retinopatia diabetica.<br />

In fasi avanzate della retinopatia diabetica,<br />

la somministrazione per via intrav<strong>it</strong>reale<br />

di agenti anti-VEGF è attualmente<br />

effettuata da molti oftalmologi, nonostante<br />

non sia stata ancora ultimata la fase<br />

3 per dimostrarne efficacia e sicurezza.<br />

Ciò si deve ai notevoli risultati ottenuti<br />

sull’AMD umida e dei promettenti dati<br />

preliminari relativi alla retinopatia diabetica.<br />

L’iniezione per via intrav<strong>it</strong>reale permette<br />

ai farmaci angiogenici di raggiungere<br />

efficacemente la retina, superando<br />

in teoria il problema del blocco sistemico<br />

dell’angiogenesi. Si tratta tuttatvia di un<br />

procedimento invasivo che può portare a<br />

complicanze come endoftalm<strong>it</strong>e e distacco<br />

della retina, e che potrebbe avere effetti<br />

deleteri sulla parte di retina ancora<br />

sana. Ciò è di particolare importanza nei<br />

pazienti diabetici per i quali si ipotizza<br />

una somministrazione a lungo termine.<br />

A parte gli effetti indesiderati a livello locale,<br />

gli agenti anti-VEGF potrebbero<br />

produrre anche complicanze generalizzate<br />

per via della loro capac<strong>it</strong>à di entrare<br />

nella circolazione sistemica. In alcuni<br />

trial clinici si sta valutando l’efficacia e la<br />

sicurezza degli agenti anti-VEGF per via<br />

intrav<strong>it</strong>reale. Nel frattempo, onde minimizzare<br />

gli effetti sistemici indesiderati,<br />

sembra ragionevole ev<strong>it</strong>are il trattamento<br />

a lungo termine con agenti anti-VEGF<br />

nei pazienti con ipertensione, proteinuria,<br />

insufficienza renale, malattia cardiovascolare<br />

e lesioni ai piedi con difficoltà<br />

di guarigione.<br />

In un futuro scenario sarà possibile<br />

utilizzare una combinazione di agenti<br />

anti-VEGF e fotocoagulazione laser, o<br />

una combinazione di agenti antiangiogenici<br />

mirati a fasi differenti della cascata<br />

angiogenica. Tale procedura avrebbe<br />

probabilmente maggiore successo rispetto<br />

ad un approccio specifico per singola<br />

molecola, permetterebbe una diminuzione<br />

della frequenza dei dosaggi e ridurrebbe<br />

gli effetti indesiderati. Sebbene sia<br />

prematuro in questa fase suggerire tali<br />

trattamenti, sarà bene studiarli attentamente,<br />

perché potrebbero portare a nuove,<br />

migliori strategie per il trattamento<br />

della retinopatia diabetica. Va tuttavia<br />

sottolineato che, attualmente, le pietre<br />

miliari nel trattamento della retinopatia<br />

diabetica sono ottimizzazione dei livelli<br />

glicemici, abbassamento della pressione,<br />

e regolare screening del fundus.<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 71


DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

In conclusione, fenofibrato, candesartan<br />

e agenti anti-VEGF appartengono alla<br />

schiera dei farmaci utilizzati nel trattamento<br />

della retinopatia diabetica. Oftalmologi<br />

e medici che hanno in cura pazienti<br />

diabetici dovrebbero tener conto<br />

della potenziale util<strong>it</strong>à di questi farmaci,<br />

e contribuire non solo a future ricerche,<br />

ma anche a stabilire delle linee guida che<br />

possano prevedere l’utilizzo di questi<br />

trattamenti per la retinopatia diabetica. È<br />

necessaria un’azione coordinata, con<br />

competenze diverse, per ridurre la grav<strong>it</strong>à<br />

e migliorare gli es<strong>it</strong>i clinici di questa<br />

devastante complicanza del diabete.<br />

Bibliografia<br />

72<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>


DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />

DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 73


Diabetes Care<br />

edizione <strong>it</strong>aliana<br />

DIRETTORE SCIENTIFICO ED EDITORIALE<br />

Prof. Domenico Cucinotta<br />

DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO DI MEDICINA INTERNA - UNIVERSITÀ DI MESSINA<br />

DIRETTORE RESPONSABILE<br />

Riccardo Bonaventura<br />

Registrato Tribunale Milano 28.09.1999 n. 607<br />

Stampato da:<br />

per:<br />

Rino Labate<br />

e d i t o r e<br />

W<strong>it</strong>h permission from Diabetes Care. Copyright © 2002 by American Diabetes Association,<br />

Inc. The American Diabetes Association takes no responsabil<strong>it</strong>y for the accuracy<br />

of the translation from English.<br />

Tutti i dir<strong>it</strong>ti di traduzione, adattamento parziale o totale con qualsiasi mezzo<br />

(compresi microfilm, copie fotostatiche e xerografiche) sono vietati.<br />

Periodico associato all’USPI<br />

Traduzioni: Roberto Ricciardi<br />

In redazione: Barbara Labate e Luigi Fedele<br />

In copertina : Antica pianta di Messina, Urbs Messana , sec. XVIII<br />

(olio su rame con cornice dorata) - Autore ignoto<br />

DIABETES CARE, AUGUST 2009 2008<br />

75


Rino Labate<br />

e d i t o r e<br />

Via Pietro Castelli, pal. ILES - 98122 Messina<br />

corrispondenza: Viale P. Umberto, 101/A<br />

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Stampato nel mese di Gennaio <strong>2010</strong> da:<br />

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89018 Villa San Giovanni (RC)<br />

Tel. 0965.752886 - e-mail: ofgraf@tin.<strong>it</strong><br />

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