Num. 37 - Febbraio 2010 - Infodiabetes.it
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Diabetes<br />
THE JOURNAL OF CLINICAL AND APPLIED RESEARCH AND EDUCATION<br />
Care<br />
Spedisce: Officina Grafica srl - Via Matteotti, 4 - 89018 Villa San Giovanni (RC) - Tariffa pagata - Pieghi di libri - Tariffa ridotta ed<strong>it</strong>oriale<br />
Autorizzazione DCO/DC RC/179/2002 valida dal 05.03.2002 - Spedizione senza materiale affrancatura - L. 662/92 art. 2 comma 20 lett. a.<br />
In caso di mancato recap<strong>it</strong>o inviare al CMP/CPO di Reggio Calabria per la rest<strong>it</strong>uzione al m<strong>it</strong>tente previo pagamento resi.<br />
NUMERO TRENTASETTE FEBBRAIO <strong>2010</strong><br />
EDIZIONE ITALIANA A CURA DELL’ASSOCIAZIONE MEDICI DIABETOLOGI<br />
Selezione di articoli da Diabetes Care
Diabetes Care
Antimo Aiello<br />
(Campobasso)<br />
F.M. Gentile<br />
(Mola di Bari)<br />
M.F. Mulas<br />
(Oristano)<br />
Consiglio Direttivo<br />
Presidente:<br />
Sandro Gentile (Napoli)<br />
Vice Presidente:<br />
Carlo Bruno Giorda (Torino)<br />
Consiglieri<br />
G. Armentano<br />
(Rossano Calabro)<br />
V. Manicardi<br />
(Montecchio)<br />
V. Paciotti<br />
(Avezzano)<br />
Segretario: Alessandro Sergi (Pistoia)<br />
Tesoriere: Paolo Foglini (Ascoli Piceno)<br />
A. Di Benedetto<br />
(Messina)<br />
G. Marelli<br />
(Desio)<br />
C. Suraci<br />
(Roma)<br />
Revisori dei conti: Pasqualino Calatola (Salerno);<br />
Agatina Chiavetta (Catania)<br />
AFFILIATA I.D.F. - International Diabetes Federation<br />
Diabetes Care<br />
EDIZIONE ITALIANA<br />
Direttore Scientifico e Ed<strong>it</strong>oriale<br />
Domenico Cucinotta<br />
Com<strong>it</strong>ato Scientifico<br />
Marco Comaschi<br />
Domenico Cucinotta<br />
Sandro Gentile<br />
Segreteria Scientifica Diabetes Care<br />
Dipartimento di Medicina Interna - Policlinico Univers<strong>it</strong>ario<br />
Via C. Valeria 98100 Messina<br />
Tel. 090.2212390-2212430/Fax 090.2921554<br />
E-mail: domenico.cucinotta@unime.<strong>it</strong><br />
Segreteria Amministrativa AMD<br />
Viale delle Milizie, 96 - 00192 Roma<br />
Tel. +39067000599 - Fax +39067000499<br />
E-mail: segreteria@aemmedi.<strong>it</strong><br />
7
INDICE<br />
Prognosi a lungo termine in pazienti diabetici con ischemia<br />
cr<strong>it</strong>ica degli arti inferiori pag. 11<br />
Aumento del rischio di pancreat<strong>it</strong>e acuta e di patologia biliare in<br />
pazienti con diabete di tipo 2 pag. 17<br />
Documento di consenso dell’Association of Clinical Endocrinologists e<br />
dell’American Diabetes Association<br />
sul controllo glicemico nei pazienti ricoverati pag. 22<br />
Confronto tra analoghi dell’insulina e insulina umana nel trattamento dei<br />
pazienti con chetoacidosi diabetica pag. 35<br />
Rapporto dell’International Expert Comm<strong>it</strong>tee sul ruolo del test<br />
dell’HbA1c nella diagnosi di diabete pag. 41<br />
Crisi iperglicemiche in pazienti diabetici adulti pag. 49<br />
Effetti del mon<strong>it</strong>oraggio continuo della glicemia nel diabete di tipo 1<br />
ben controllato pag. 58<br />
Uno scarso controllo glicemico cost<strong>it</strong>uisce un fattore di rischio indipendente<br />
di bassi livelli di colesterolo-HDL in pazienti con diabete di tipo 2 pag. 64<br />
Progressi nel trattamento della retinopatia diabetica pag. 67<br />
9
Prognosi a lungo termine in pazienti<br />
diabetici con ischemia cr<strong>it</strong>ica degli arti<br />
inferiori<br />
Studio di coorte basato sulla popolazione<br />
EZIO FAGLIA, MD 1 MAURIZIO CAMINITI, MD 1<br />
GIACOMO CLERICI, MD 1 VINCENZO CURCI, MD 1<br />
JACQUES CLERISSI, MD 2 ANTONELLA QUARANTIELLO, MD 1<br />
LIVIO GABRIELLI, MD 3 TOMMASO LUPPATTELLI, MD 2<br />
SERGIO LOSA, MD 3 LBERTO MORABITO, PHD 4<br />
MANUELA MANTERO, MD 1<br />
OBIETTIVO – Valutare la prognosi a lungo termine della ischemia cr<strong>it</strong>ica degli arti<br />
inferiori (CLI) nei pazienti diabetici.<br />
DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – 564 pazienti diabetici consecutivi<br />
venivano ricoverati per CLI nel periodo dal gennaio 1999 al dicembre 2003; 554 di<br />
questi venivano segu<strong>it</strong>i fino al dicembre 2007.<br />
RISULTATI – Il follow-up medio era 5.93 ± 1.28 anni. Interventi di angioplastica<br />
periferica (PTA) sono stati esegu<strong>it</strong>i in 420 pazienti (74.5%) e l’innesto di un by-pass<br />
(BPG) in 117 (20.6%) pazienti. Non è stato possibile effettuare PTA o BPG in 27 (4.9%)<br />
pazienti. In 74 pazienti (13.4%) si sono dovute effettuare amputazioni maggiori: 34<br />
(8.2%) in PTA, 24 (21.1%) in BPG e 16 (59.2%) in un gruppo in cui non si erano effettuate<br />
procedure di rivascolarizzazione. In 94 pazienti si aveva restenosi, in 36 il by-pass si<br />
occludeva e vi erano ulcere ricorrenti in 71 pazienti. La CLI si riscontrava nell’ arto<br />
controlaterale di 225 (39.9%) pazienti; per 15 di questi (6.7%) erano necessarie<br />
amputazioni maggiori (valore di P = 0.007 per la frequenza nel controlaterale, rispetto<br />
all’arto iniziale). In totale i pazienti deceduti erano 276 (49.82%). Il modello di Cox<br />
evidenziava hazard ratios (HRs) significativi di mortal<strong>it</strong>à per l’età (1.05 per 1 anno [95%<br />
CI 1.03–1.07]), rivascolarizzazione non effettuabile (3.06 [1.40–6.70]), dialisi (3.00<br />
[1.63–5.53]), anamnesi di patologie cardiache (1.<strong>37</strong> [1.05–1.79]) e frazione di eiezione<br />
compromessa (1.08 per un punto percentuale [1.05–1.09]).<br />
CONCLUSIONI – Nei pazienti diabetici con CLI vi sono alti rischi di amputazione<br />
e decesso. In un centro specializzato nella cura del piede diabetico amputazioni<br />
maggiori, ulcere ricorrenti e amputazioni maggiori dell’arto controlaterale erano<br />
meno frequenti. La malattia coronarica (CAD) è la principale causa di decesso, e nei<br />
pazienti con anamnesi di CAD una frazione di eiezione compromessa rappresenta il<br />
principale fattore prognostico indipendente.<br />
Gli es<strong>it</strong>i della malattia arteriosa periferica<br />
(PAD) nei soggetti diabetici sono<br />
stati ampiamente trattati in letteratura<br />
(1–3). Non siamo tuttavia a conoscenza<br />
di studi prospettici effettuati su una<br />
Diabetes Care 32: 822-827, 2009<br />
popolazione diabetica con ischemia cr<strong>it</strong>ica<br />
degli arti inferiori (CLI). L’obiettivo di<br />
questo studio prospettico è stato quello<br />
di valutare l’impatto prognostico in pazienti<br />
diabetici della diagnosi di CLI, po-<br />
1 Diabetology Center, Diabetic Foot Center, Ist<strong>it</strong>uto Di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico<br />
(IRCCS) Multimedica, Sesto San Giovanni, Milano, Italy; 2 Interventional Radiology Laboratory,<br />
IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni, Milano, Italy; 3 Vascular Surgery Un<strong>it</strong>, Univers<strong>it</strong>y of Milan,<br />
Milan, Italy; 4 Medical Statistics Un<strong>it</strong>, Univers<strong>it</strong>y of Milan, Milan, Italy.<br />
Corresponding author: Giacomo Clerici, giacomo.clerici@multimedica.<strong>it</strong><br />
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
sta secondo i cr<strong>it</strong>eri proposti dal Transatlantic<br />
Inter-Society Consensus (TASC)<br />
nel 2000 (4).<br />
DISEGNO DELLA RICERCA E<br />
METODI<br />
Tra il 1 gennaio 1999 ed il 31 dicembre<br />
2003, 564 pazienti diabetici venivano ricoverati<br />
presso il nostro centro di cura del<br />
piede diabetico per CLI. Durante il loro ricovero<br />
i pazienti e le loro famiglie venivano<br />
istru<strong>it</strong>i sulla gestione dei piedi, con o<br />
senza ulcere. L’importanza di recarsi prontamente<br />
presso il nostro centro, a prescindere<br />
dagli appuntamenti già programmati<br />
era enfatizzata in caso di insorgenza di dolori<br />
ischemici a riposo o ulcere, anche se<br />
apparentemente minime. A tutti pazienti<br />
sottoposti a rivascolarizzazione periferica<br />
venivano prescr<strong>it</strong>ti ticlopidina (250<br />
mg/die) in associazione a 100 mg/die di<br />
acido salicilico o 500 mg/die di ticlopidina.<br />
Diagnosi di CLI<br />
Tutti i pazienti diabetici inviati al nostro<br />
centro di cura del piede diabetico per<br />
dolore ischemico a riposo e/o ulcera o<br />
cancrena al piede venivano esaminati per<br />
verificare la presenza di neuropatia sensoriale<br />
motoria, infezioni e CLI. La neuropatia<br />
sensoriale motoria veniva diagnosticata<br />
in base alla presenza di una soglia di percezione<br />
vibratoria >25 V alla biotesiometria,<br />
insensibil<strong>it</strong>à tattile al monofilamento<br />
di Semmes-Weinstein da 10g in >5 su 9<br />
aree del piede e assenza del riflesso del<br />
tendine di Achille. Nei pazienti con ulcere<br />
al piede, la presenza di un’infezione era<br />
indicata da cellul<strong>it</strong>e locale, er<strong>it</strong>ema, o purulenza<br />
con tampone pos<strong>it</strong>ivo. La CLI veniva<br />
diagnosticata nei pazienti con pressione<br />
alla caviglia, ove misurabile,
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
procedura di rivascolarizzazione (gruppo<br />
PTA) (5). Gli interventi di PTA venivano<br />
effettuati frequentemente: nessuna stenosi<br />
o occlusione erano considerate a priori<br />
non adatte alla ricanalizzazione mediante<br />
PTA. Stenosi o occlusioni di lunghezza<br />
>10 cm e stenosi multiple consecutive (tipi<br />
C e D delle stratificazioni morfologiche<br />
delle ostruzioni defin<strong>it</strong>e dal TASC - Transatlantic<br />
Inter-Society Consensus) erano<br />
trattate, ove possibile, mediante PTA; non<br />
era possibile effettuare la PTA quando il<br />
passaggio del catetere a palloncino non<br />
era consent<strong>it</strong>o da occlusioni calcificate. La<br />
ricanalizzazione arteriosa era considerata<br />
riusc<strong>it</strong>a quando si otteneva un flusso diretto<br />
che raggiungeva il piede in almeno una<br />
arteria, senza che vi fossero stenosi residue<br />
significative lungo l’intera arteria.<br />
Nel caso in cui la PTA non si poteva effettuare,<br />
l’innesto di un bypass (BPG) veniva<br />
preso in considerazione (gruppo<br />
BPG). Il BPG veniva effettuato mediante<br />
clamp intraluminale e tecnica microchirurgica.<br />
Se presente ed in buone condizioni,<br />
la vena safena autogena veniva utilizzata<br />
per l’innesto. Nel caso in cui non fosse disponibile,<br />
si adottavano protesi alloplastiche<br />
(in pol<strong>it</strong>etrafluoroetilene [PTFE]) e l’anastomosi<br />
periferica consisteva in un cuff<br />
venoso. Pertanto la mancanza di una vena<br />
safena disponibile e run off dello score angiografico<br />
>7 punti sulla scala Rutherford<br />
(6) non precludevano ai pazienti la possibil<strong>it</strong>à<br />
di rivascolarizzazione distale; diversamente,<br />
per tali pazienti l’unica possibil<strong>it</strong>à<br />
sarebbe stata quella di ricorrere a<br />
un’amputazione maggiore. Quando non<br />
era possibile effettuare né PTA né BPG, ai<br />
pazienti veniva prescr<strong>it</strong>ta terapia con prostanoidi<br />
(60–120 µg/die alprostadil-α-ciclodestrina)<br />
per un periodo di 5 giorni<br />
successivi all’angiografia.<br />
Miglioramenti emodinamici<br />
I valori di TcPO 2 venivano ricontrollati<br />
5–10 giorni dopo PTA, BPG, o infusione<br />
di prostanoidi.<br />
End point<br />
Gli end-point registrati erano: amputazione<br />
al di sopra della caviglia, ulcera ricorrente,<br />
restenosi clinica in segu<strong>it</strong>o a PTA,<br />
BPG non riusc<strong>it</strong>o, CLI, amputazione maggiore<br />
dell’arto controlaterale e sopravvivenza.<br />
Amputazioni<br />
Il salvataggio dell’arto veniva considerato<br />
riusc<strong>it</strong>o quando la posizione plantare<br />
veniva mantenuta, anche se mediante amputazione<br />
dell’avampiede alla linea tarsometatarsale<br />
(7). Al contrario, qualsiasi amputazione<br />
al di sopra della caviglia era<br />
considerata amputazione maggiore, ed era<br />
considerata un fallimento. Essa veniva effettuata<br />
quando le terapie non alleviavano<br />
12<br />
il dolore a riposo nei pazienti o quando la<br />
cancrena si era estesa oltre l’articolazione<br />
di Chopart.<br />
Restenosi in segu<strong>it</strong>o a PTA<br />
Vi era il sospetto di restenosi alla ricomparsa<br />
di dolore ischemico a riposo, o<br />
al peggioramento o alla mancata guarigione<br />
di una lesione. In tali s<strong>it</strong>uazioni si ricontrollavano<br />
pressione alla caviglia e Tc-<br />
PO 2 e veniva esegu<strong>it</strong>o un duplex scanning<br />
(8). Se pressione alla caviglia e TcPO 2 evidenziavano<br />
nuovamente valori diagnostici<br />
di CLI e se risultavano significativamente<br />
peggiorati (50% del<br />
diametro dell’arteria s<strong>it</strong>uate esclusivamente<br />
nell’asse iliaco-femoro-popl<strong>it</strong>eo in 28 pazienti<br />
(6.8%) e s<strong>it</strong>uate esclusivamente nell’asse<br />
infrapopl<strong>it</strong>eo in 1<strong>37</strong> soggetti (32.2%).<br />
Le ostruzioni si trovavano sia nell’asse ilia-<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
Tabella 1 – Caratteristiche demografiche e cliniche della popolazione (n = 554) all’ingresso nello studio nei pazienti non rivascolarizzati<br />
e rivascolarizzati con PTA o BPG<br />
Variabili Gruppo Gruppo P Gruppo Gruppo non P<br />
PTA BPG rivascolarizzato rivascolarizzato<br />
n 413 114 527 27<br />
Età (anni) 69.7 ± 9.5 69.9 ± 9.4 0.910 69.8 ± 9.5 76.7 ± 10.4 0.001<br />
Donne 146 (35.4) 35 (30.7) 0.7<strong>37</strong> 181 (34.3) 13 (48.1) 0.152<br />
Terapia insulinica 254 (61.5) 73 (64.0) 0.664 327 (62.2) 14 (51.9) 0.314<br />
Durata del diabete (anni) 17.7 ± 11.4 14.9 ± 9.9 0.020 17.1 ± 11.1 13.4 ± 10.0 0.013<br />
Glicemia (a inizio studio) (mg/dl) 177.9 ± 72.9 187.6 ± 9.7 0.187 180.7 ± 71.8 177.7 ± 52.3 0.147<br />
Glicemia (al termine dello studio) (mg/dl) 139.6 ± 47.3 134.2 ± 43.7 0.082 138.1 ± 45.5 138.2 ± 63.1 1.126<br />
HbA1c (%) 7.6 ± 1.7 7.8 ± 1.5 0.625 7.7 ± 1.6 7.5 ± 1.1 0.579<br />
Neuropatia motoria sensoriale 340 (82.3) 92 (80.7) 0.681 441 (82.1) 24 (88.9) 0.599<br />
Escrezione di albumina (mg/l) (n = 522) 259.8 ± 529.7 283.9 ± 721.3 0.832 264 ± 559.9 251.6 ± 363.6 0.932<br />
Creatinina (mg/dl) (n = 522) 1.29 ± 0.5 1.25 ± 0.4 0.470 1.28 ± 0.5 1.15 ± 0.36 0.208<br />
Dialisi 24 (5.7) 8 (7.0) 0.650 32 (6.0) – –<br />
Terapia anti-ipertensiva 298 (72.2) 72 (63.2) 0.065 <strong>37</strong>0 (70.2) 20 (74.1) 0.830<br />
Anamnesi di malattia cardiaca 225 (54.8) 64 (59.0) 0.566 289 (53.8) 24 (88.9) 0.003<br />
Frazione di eiezione (n = 313) 49.1 ± 10.8 49.6 ± 10.1 0.700 49.2 ± 10.5 38.34 ± 8.4 0.001<br />
Anamnesi di ictus 53 (18.8) 18 (15.8) 0.439 71 (13.8) 9 (33.3) 0.009<br />
Fumatori 61 (14.8) 19 (16.7) – – –<br />
Colesterolo totale (mg/dl) 181.2 ± 43.6 188.0 ± 42.6 0.943 183.0 ± 43.1 186.7 ± 41.8 0.992<br />
Colesterolo HDL (mg/dl) 42.1 ± 13.6 43.7 ± 11.2 0.978 42.6 ± 13.1 48.6 ± 19.8 0.070<br />
Trigliceridi (mg/dl) 143.6 ± 87.6 1<strong>37</strong>.6 ± 61.9 0.838 142.7 ± 81.1 149.4 ± 175.1 0.762<br />
Grado Wagner 0 62 (16.0) 16 (14.0) 0.882 78 (14.8) 3 (11.0) 0.783<br />
Grado Wagner 1 63 (15.3) 14 (12.3) 0.549 77 (14.6) 5 (18.5) 0.578<br />
Grado Wagner 2 59 (14.3) 14 (12.3) 0.648 73 (13.9) 5 (18.5) 0.567<br />
Grado Wagner 3 41 (9.9) 11 (9.6) 1.000 52 (9.9) 3 (11.1) 0.743<br />
Grado Wagner 4 188 (45.6) 59 (51.8) 0.245 247 (46.9) 11 (40.7) 0.560<br />
Ulcera infetta 268 (64.9) 72 (63.2) 0.741 340 (64.5) 17 (63.0) 0.892<br />
Dolore ischemico a riposo 309 (74.8) 92 (80.7) 0.216 401 (76.1) 25 (92.6) 0.059<br />
I dati sono medie ± SD o n (%).<br />
co-femoro-popl<strong>it</strong>eo che nell’asse infrapopl<strong>it</strong>eo<br />
in 248 pazienti (60.0%). Prima dell’intervento<br />
di PTA i valori medi di TcPO 2<br />
erano 15.3 ± 11.9 mmHg e dopo l’intervento<br />
44.9 ± 12.1 mmHg (P < 0.001). Gli interventi<br />
di BPG sono stati effettuati su 114<br />
(20.6%) pazienti. Secondo la scala di<br />
Rutherford il runoff era 6.4 ± 2.6. Il BPG era<br />
axillo-femorale in un paziente, femoro-popl<strong>it</strong>eo<br />
(15 PTFE, 44 innesto venoso) in 58<br />
pazienti, e femoro-infrapopl<strong>it</strong>eo (16 PTFE,<br />
39 innesto venoso) in 55 pazienti. Prima<br />
dell’intervento di BPG i livelli medi di Tc-<br />
PO 2 erano 10.2 ± 10.3 mmHg, dopo l’intervento<br />
38.8 ± 11.9 mmHg (P < 0.001).<br />
Non era possibile effettuare un PTA o<br />
un BPG in 27 (4.8%) pazienti, per via dell’alto<br />
rischio chirurgico (7 pazienti) o per<br />
mancato deflusso (20 pazienti). Questi<br />
pazienti ricevevano trattamento con prostanoidi<br />
per 5 giorni durante il ricovero<br />
in ospedale, dopo l’angiografia. Prima<br />
del trattamento con prostanoidi i valori<br />
medi di TcPO 2 erano 7.0 ± 8.1 mmHg e<br />
dopo il trattamento 11.4 ± 8.6 mmHg (P =<br />
0.055). Dopo la rivascolarizzazione non<br />
si osservava alcuna differenza significativa<br />
nei valori di TcPO 2 tra i gruppi PTA e<br />
BPG (P = 0.690). Al contrario, si osserva-<br />
va una differenza significativa tra i pazienti<br />
rivascolarizzati e quelli non rivascolarizzati<br />
(P < 0.001).<br />
Amputazioni minori<br />
Per 440 pazienti rivascolarizzati con<br />
lesioni al piede vi era una completa guarigione<br />
delle lesioni: in 93 pazienti non si<br />
sono effettuate amputazioni minori (medicazione<br />
al piede per 35 pazienti, 12 rimozioni<br />
ossee, 16 ulcerectomie e 30 innesti<br />
cutanei). 93 pazienti subivano amputazione<br />
delle d<strong>it</strong>a dei piedi o del raggio e<br />
254 pazienti subivano amputazioni alla<br />
linea tarso-metatarsiale. Su 13 pazienti<br />
non rivascolarizzati che non subivano<br />
amputazioni maggiori, 10 avevano ulcere<br />
al piede. Per 2 di questi vi era una<br />
guarigione completa con la medicazione,<br />
mentre 8 pazienti non mostravano né<br />
guarigione né peggioramento. Per tutti e<br />
13 i pazienti non rivascolarizzati il dolore<br />
diminuiva ma persisteva e la somministrazione<br />
di farmaci analgesici veniva diminu<strong>it</strong>a<br />
ma non interrotta.<br />
Amputazioni maggiori<br />
Si sono effettuate amputazioni maggiori<br />
su un totale di 74 (13.4%) pazienti, 23 in<br />
fase precoce e 51 durante il follow-up (incidenza<br />
totale annua: 3.72%).<br />
In segu<strong>it</strong>o all’intervento di PTA, 6 amputazioni<br />
maggiori si sono rese necessarie<br />
entro 30 giorni e 28 sono state esegu<strong>it</strong>e durante<br />
il follow-up, con un’incidenza annua<br />
del 2.3%. Successivamente all’intervento di<br />
BPG, 3 amputazioni maggiori si sono rese<br />
necessarie entro 30 giorni e 21 sono state<br />
esegu<strong>it</strong>e durante il follow-up, con un’incidenza<br />
annua del 5.4%. Nei pazienti che<br />
non sono stati rivascolarizzati sono state<br />
necessarie 14 amputazioni maggiori entro<br />
30 giorni e 2 durante il follow-up, con<br />
un’incidenza annua del 34.3%.<br />
A 30 giorni non vi erano differenze significative<br />
riguardo alle amputazioni maggiori<br />
tra i gruppi PTA e BPG (P = 0.414), ma<br />
durante il follow-up la differenza risultava<br />
significativa (P < 0.001). Vi erano differenze<br />
fortemente significative riguardo alle amputazioni<br />
maggiori tra i due gruppi (rivascolarizzati<br />
e non rivascolarizzati), sia in fase<br />
precoce (χ 2 = 162.6054, P < 0.001) che durante<br />
il follow-up (χ 2 = 64.3614, P < 0.001).<br />
L’analisi multivariata confermava i<br />
ruoli indipendenti della non rivascolarizzazione<br />
(odds ratio 35.9 [95% CI<br />
12.9–99.7], P < 0.001), dell’occlusione di cia-<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 13
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
scuna delle arterie crurali (8.20 [1.35–49.6],<br />
P= 0.022), della dialisi (4.7 [1.9–11.7], P =<br />
0.001) e delle infezioni (2.1 [1.3–3.6], P =<br />
0.004). L’analisi mostra che un alto valore<br />
di TcPO 2 dopo il trattamento ha un effetto<br />
protettivo (0.8 [0.74–0.87], P < 0.001).<br />
Restenosi post PTA<br />
Successivamente all’intervento di PTA,<br />
vi era un totale di 127 casi di restenosi cliniche<br />
in 94 pazienti (incidenza annua:<br />
6.4%). La restenosi era diagnosticata in 100<br />
dei soggetti inser<strong>it</strong>i nello studio sulla base<br />
della mancata guarigione, in presenza o assenza<br />
di dolore ed in 27 soggetti per nuovo<br />
insorgere del dolore a riposo senza una lesione<br />
al piede. L’arto ischemico veniva rivascolarizzato<br />
ancora una volta in 81 pazienti;<br />
72 pazienti venivano sottoposti ad<br />
un ulteriore intervento di PTA e 9 a BPG.<br />
Questi interventi non erano effettuabili nei<br />
13 pazienti rimanenti; era dunque necessaria<br />
un’amputazione maggiore. In segu<strong>it</strong>o al<br />
secondo intervento di PTA, in 29 pazienti<br />
era necessario un ulteriore intervento per<br />
diastasi della fer<strong>it</strong>a chirurgica.<br />
BPG non riusc<strong>it</strong>o<br />
Il numero totale di interventi di BPG<br />
non riusc<strong>it</strong>i ammontava a 36 (incidenza annua:<br />
8.8%). In 15 di questi si effettuava un<br />
ulteriore intervento di PTA o BPG. In 21<br />
pazienti non in grado di sostenere un’ulteriore<br />
rivascolarizzazione dopo PTA o BPG<br />
era necessaria un’amputazione maggiore.<br />
In tutti i suddetti 21 pazienti l’amputazione<br />
maggiore veniva effettuata per il nuovo<br />
insorgere di dolore ischemico a riposo, in<br />
presenza o assenza di ulcere. Dopo la ricanalizzazione<br />
dell’innesto in 2 pazienti era<br />
necessario un ulteriore intervento per diastasi<br />
della fer<strong>it</strong>a chirurgica.<br />
Ricorrenza di ulcere<br />
In totale 71 pazienti venivano nuovamente<br />
ricoverati presso il nostro ospedale<br />
per la insorgenza di nuova ulcera senza<br />
evidenza di CLI (incidenza annua: 4.3%).<br />
Secondo la scala di Wagner, queste ulcere<br />
erano di grado 1 in 57 pazienti, 2 in 11 pazienti<br />
e 4 in 3 pazienti. Tutte le lesioni guarivano<br />
senza bisogno di una amputazione<br />
maggiore; per 7 pazienti si rendeva necessaria<br />
l’amputazione delle d<strong>it</strong>a dei piedi e<br />
per 64 pazienti non erano necessarie amputazioni<br />
minori. Non si osservavano ulcere<br />
ricorrenti nei pazienti che avevano restenosi<br />
post-PTA o interventi di BPG non riusc<strong>it</strong>i<br />
durante il follow-up.<br />
Incidenza di CLI e amputazione dell’arto<br />
controlaterale<br />
La CLI nell’arto controlaterale si osservava<br />
in 225 (40.6%) pazienti (incidenza annua:<br />
14,76%). Un’amputazione maggiore<br />
nell’arto controlaterale è stata effettuata su<br />
15 (6.7%) pazienti. La frequenza delle am-<br />
14<br />
Tabella 2 – Cause di decesso nella popolazione<br />
studiata (n = 554)<br />
Causa di decesso<br />
n 276<br />
Malattia cardiaca 179 (64.9)<br />
Ictus 35 (12.7)<br />
Cancro 28 (10.1)<br />
Embolia polmonare 4 (1.4)<br />
Aneurisma 2 (0.7)<br />
Insufficienza renale 6 (2.2)<br />
Malattie gastroenteriche 4 (1.4)<br />
Cirrosi 5 (1.8)<br />
Polmon<strong>it</strong>e 4 (1.4)<br />
Deperimento senile 7 (2.5)<br />
Shock settico 1 (0.4)<br />
Suicidio 1 (0.4)<br />
I dati sono n. (%).<br />
putazioni era significativamente più bassa<br />
per l’arto controlaterale rispetto all’arto<br />
originariamente affetto da CLI (_ 2 = 7.3, P<br />
= 0.007).<br />
Sopravvivenza<br />
I pazienti deceduti ammontavano a<br />
276 (49.8%), 4 a 30 giorni e 272 durante il<br />
follow-up, con un’incidenza annua del<br />
12.53%. Nella Tabella 2 sono riportate le<br />
cause del decesso.<br />
L’incidenza annuale dei decessi non<br />
differiva tra i pazienti che erano stati sottoposti<br />
a PTA (n = 202; 48.9%) e quelli sottoposti<br />
a BPG (n = 51, 44.7%; _ 2 0.74, P =<br />
0.391). La Figura 1 riporta le stime di amputazione<br />
e sopravvivenza calcolate col<br />
metodo Kaplan-Meier per i pazienti sottoposti<br />
a PTA, BPG, o non rivascolarizzati.<br />
La malattia cardiaca era la principale causa<br />
di decesso, con un’incidenza annua<br />
dell‘8.1%. La malattia cardiaca era dovuta<br />
a infarto acuto del miocardio in 89 (49.7%),<br />
collasso cardiaco in 72 (40.0%), e morte improvvisa<br />
in 18 (10.1%) pazienti.<br />
L’analisi multivariata delle variabili che<br />
risultavano associate nell’analisi univariata<br />
ha confermato i ruoli indipendenti di età<br />
(hazard ratio 1.05 per 1 anno, P < 0.001,<br />
95% CI 1.03–1.07), rivascolarizzazione periferica<br />
non effettuabile (3.06, P < 0.005,<br />
1.40–6.70), dialisi (3.00, P < 0.001, 1.63–5.53)<br />
e anamnesi di malattia cardiaca (1.<strong>37</strong>,<br />
1.05–1.79). Nei pazienti con anamnesi di<br />
malattia cardiaca la frazione di eiezione<br />
compromessa era indipendentemente associata<br />
al decesso (1.08 per un punto percentuale,<br />
P < 0.001, 1.05–1.09).<br />
CONCLUSIONI<br />
La PAD è una complicanze del diabete<br />
sottostimata (12). La CLI è una complicanza<br />
ancora più sottostimata (13,14). Per i pazienti<br />
diabetici l’insorgenza della CLI costi-<br />
tuisce un evento drammatico; il rischio di<br />
amputazioni maggiori e di decesso è notevole.<br />
Un’adeguata gestione della CLI potrebbe<br />
migliorare le cose. Rispetto ai dati<br />
riportati in letteratura, la frequenza delle<br />
amputazioni maggiori era decisamente minore<br />
nei nostri pazienti rivascolarizzati, sia<br />
nelle fasi iniziale che durante il follow-up<br />
(15). Ciò è molto probabilmente dovuto alla<br />
capac<strong>it</strong>à del nostro centro di cura del<br />
piede di eseguire tecniche di rivascolarizzazione<br />
sia endoluminali che chirurgiche e<br />
di applicarle su > 95% dei pazienti. La frequenza<br />
delle amputazioni era notevolmente<br />
più bassa nei pazienti rivascolarizzati rispetto<br />
a quelli che non potevano essere<br />
sottoposti a rivascolarizzazione (16). Inoltre,<br />
la frequenza delle amputazioni sarebbe<br />
stata certamente più alta se in quest’ultimo<br />
gruppo di pazienti non vi fosse stata una<br />
elevata mortal<strong>it</strong>à. Nonostante i livelli ottimali<br />
di rivascolarizzazione del nostro centro,<br />
è ancora necessario diminuire la frequenza<br />
delle amputazioni maggiori. È anche<br />
necessaria un’eccellente capac<strong>it</strong>à diagnostica<br />
e un programma adeguato per la<br />
gestione delle ulcere dopo la rivascolarizzazione<br />
(17).<br />
Nella recente letteratura, particolarmente<br />
nell’ultima relazione Cochrane, è<br />
stato evidenziato che le rivascolarizzazione<br />
chirurgiche ed endoluminali avevano es<strong>it</strong>i<br />
simili in termini di mortal<strong>it</strong>à e amputazioni<br />
maggiori (18,19). Anche noi abbiamo riscontrato<br />
frequenze simili per le amputazioni<br />
con le due procedure nella fase iniziale,<br />
ma durante il follow-up le amputazioni<br />
erano più frequenti del gruppo BPG<br />
rispetto al gruppo PTA. Tale differenza era<br />
evidenziata dalle curve di Kaplan-Meier<br />
nella fase finale del follow-up. Al momento<br />
dell’inserimento nello studio, tra i due<br />
gruppi l’unico parametro significativamente<br />
diverso era il livello di TcPO 2 . Nel<br />
nostro protocollo, tuttavia, l’intervento di<br />
BPG veniva effettuato soltanto quando la<br />
PTA era impossibile; è stata quindi effettuata<br />
una selezione dei pazienti con arteriopatia<br />
più severa. Comunque, il messaggio<br />
più importante emerso da questo studio<br />
riguardo al trattamento dei pazienti<br />
diabetici con CLI era nell’enorme differenza<br />
nel numero di amputazioni tra i pazienti<br />
rivascolarizzati e non; tale differenza era<br />
evidente sia nella fase iniziale che durante<br />
tutto il follow-up. Si è dunque riscontrato<br />
che la riusc<strong>it</strong>a di una rivascolarizzazione<br />
era più importante della tipologia di rivascolarizzazione<br />
adottata.<br />
Un nuovo ricovero si verificava frequentemente,<br />
a causa di un fallimento tardivo<br />
della rivascolarizzazione (per restenosi<br />
post-PTA o per BPG non riusc<strong>it</strong>o). Abbiamo<br />
riscontrato che la terapia antipiastrinica<br />
giocava un ruolo importante sia nella<br />
restenosi post PTA che nel BPG non riusc<strong>it</strong>o<br />
(abbiamo cioè osservato che spesso ai<br />
pazienti erano state prescr<strong>it</strong>te dosi di ticlo-<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
Figura 1 – Stime effettuate col metodo Kaplan-Meier per amputazione maggiore (A) è sopravvivenza<br />
(B) in pazienti non rivascolarizzati (NO REV) o rivascolarizzati con PTA o BPG.<br />
pidina insufficienti). Molti pazienti, tuttavia,<br />
in particolare coloro nei quali si verificava<br />
restenosi post-PTA, venivano sottoposti<br />
a ulteriore rivascolarizzazione, scongiurando<br />
così l’amputazione. Questi eventi<br />
hanno influ<strong>it</strong>o sull’alto numero di ricoveri<br />
in ospedale necessari per minimizzare la<br />
frequenza delle amputazioni maggiori. I<br />
nostri dati coincidono interamente con<br />
quelli di altri autori che hanno anche riscontrato<br />
che per la suddetta popolazione<br />
erano necessarie molteplici procedure e ricoveri<br />
(20).<br />
L’incidenza delle ulcere ricorrenti era<br />
bassa (~13% in un periodo di 6 anni) in<br />
questo studio, rispetto a quanto riportato<br />
in letteratura (stimata al 50% in un periodo<br />
di 2–5 anni) (21). R<strong>it</strong>eniamo che tale minore<br />
ricorrenza si sia ottenuta grazie alle<br />
istruzioni date ai pazienti, al rapporto instauratosi<br />
tra medici e pazienti e alla protezione<br />
data dalle calzature terapeutiche<br />
(22).<br />
In quasi la metà della popolazione del<br />
nostro studio la CLI insorgeva nell’arto<br />
controlaterale in un periodo di ~6 anni. Vi<br />
sono pochi dati in letteratura riguardanti il<br />
destino dell’arto controlaterale in una popolazione<br />
diabetica con precedente CLI in<br />
un arto. Dati pubblicati nei primi anni del<br />
nuovo millennio riportavano indagini riguardanti<br />
gli arti controlaterali in pazienti<br />
selezionati per amputazioni maggiori dell’arto<br />
inizialmente affetto, pazienti con lesioni<br />
miste o pazienti con neuropatia o<br />
ischemia (23). A parte la rilevanza epidemiologica<br />
dei nostri dati sull’incidenza della<br />
CLI, abbiamo riscontrato che le amputa-<br />
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
zioni negli arti controlaterali al di sopra<br />
della caviglia risultavano significativamente<br />
diminu<strong>it</strong>e rispetto a quelle negli arti inizialmente<br />
colp<strong>it</strong>i, col conseguente impatto<br />
pos<strong>it</strong>ivo sulla gestione della CLI nei pazienti<br />
diabetici. Tale risultato dimostra che<br />
riconoscendo per tempo la patologia e indirizzando<br />
prontamente i pazienti presso il<br />
nostro centro di cura del piede si è potuto<br />
dare inizio al trattamento in condizioni più<br />
favorevoli per contrastare la CLI. La prognosi<br />
riguardante l’arto controlaterale risultava<br />
dunque più promettente di quella<br />
per l’arto inizialmente affetto.<br />
È un fatto noto che il decesso associato<br />
alla malattia cardiaca si verifichi molto più<br />
frequentemente dell’amputazione nei pazienti<br />
diabetici e non diabetici affetti da<br />
PAD. È anche noto che l’aspettativa di v<strong>it</strong>a<br />
è correlata negativamente alla sever<strong>it</strong>à dell’arteriopatia<br />
(24). Dunque, considerata la<br />
tardiva insorgenza della CLI, il fatto che in<br />
questo studio l’età avesse un valore prognostico<br />
indipendente riguardo all’aspettativa<br />
di v<strong>it</strong>a non deve sorprendere (25). Forse<br />
sarebbe stato possibile aumentare il livello<br />
di sopravvivenza in questi pazienti<br />
se, durante il ricovero in ospedale per la<br />
CLI, avessimo considerato l’opzione di<br />
trattare con maggiore attenzione la malattia<br />
arteriosa coronarica (CAD) esistente, o<br />
avessimo valutato la possibil<strong>it</strong>à di un’ischemia<br />
silente in pazienti senza un’anamnesi<br />
di malattia cardiaca. In futuro saranno<br />
necessari studi ad hoc per esaminare tale<br />
questione.<br />
I dati qui riportati suggeriscono che un<br />
trattamento aggressivo della CLI nei pazienti<br />
diabetici, come quello praticato presso<br />
il nostro centro di cura del piede diabetico,<br />
ha reso possibile la diminuzione delle<br />
amputazioni maggiori nell’arto inizialmente<br />
affetto, con una diminuzione ancora<br />
maggiore per l’arto controlaterale. La CAD<br />
ha rappresentato la maggiore causa di decesso<br />
e nei pazienti con anamnesi di CAD<br />
le frazione di eiezione compromessa rappresentava<br />
il principale fattore prognostico<br />
indipendente.<br />
Bibliografia<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 15
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
16<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
Aumento del rischio di pancreat<strong>it</strong>e acuta<br />
e di patologia biliare in pazienti con<br />
diabete di tipo 2<br />
Studio retrospettivo di coorte<br />
REBECCA A. NOEL, DRPH, MSPH 1 RUTH E. PATTERSON, PHD 2<br />
DANIEL K. BRAUN, MD, PHD 1 GARY L. BLOOMGREN, MD, MBA 2<br />
OBIETTIVO – L’obiettivo di questo studio era di valutare il rischio di pancreat<strong>it</strong>e<br />
acuta nei pazienti con diabete di tipo 2 rispetto a pazienti non diabetici. Abbiamo<br />
anche esaminato il rischio di malattie biliari (defin<strong>it</strong>e come verificarsi di colel<strong>it</strong>iasi,<br />
colecist<strong>it</strong>e acuta o colecistectomia), che è una delle principali cause di pancreat<strong>it</strong>e.<br />
DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – Abbiamo condotto uno studio<br />
retrospettivo di coorte utilizzando un database contenente certificazioni per richieste<br />
di assistenza medica emesse in diverse aree geografiche degli Stati Un<strong>it</strong>i. I pazienti<br />
eleggibili (≥ 18 anni) erano arruolati nello studio per un periodo di almeno 12 mesi<br />
consecutivi (1999-2005), senza eventi incidenti di pancreat<strong>it</strong>e o malattia biliare durante<br />
il periodo basale di un anno. Per identificare i pazienti con diabete di tipo 2 si sono<br />
utilizzati i codici ICD -9 e le registrazioni delle prescrizioni; si sono utilizzati i codici<br />
ICD-9 anche per identificare i casi di pancreat<strong>it</strong>e e malattia biliare. 3<strong>37</strong>.067 pazienti<br />
diabetici di tipo 2 sono stati appaiati per età e sesso con 3<strong>37</strong>.067 pazienti non diabetici.<br />
Incidenza della malattia e 95% CI sono stati calcolati per 100.000 persone-anno di<br />
esposizione.<br />
RISULTATI – La coorte formata da soggetti con diabete di tipo 2 aveva un rischio di<br />
pancreat<strong>it</strong>e 2,83 volte maggiore (95% CI 2.61–3.06) e 1,91 volte maggiore di malattia<br />
biliare (1.84–1.99) rispetto alla coorte formata dai soggetti non diabetici.<br />
Relativamente ai pazienti non diabetici di età corrispondente, i pazienti con diabete di<br />
tipo 2 di più giovane età avevano il più alto rischio di pancreat<strong>it</strong>e (
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
Tabella 1 – Cr<strong>it</strong>eri di selezione dei pazienti per uno studio retrospettico sulle richieste di prestazioni mediche per il diabete contenute<br />
in un database, per verificare il rischio di pancreat<strong>it</strong>e o malattia biliare associate al diabete di tipo 2<br />
come la data alla quale il paziente accumulava<br />
un anno continuato di inclusione<br />
nello studio (periodo basale).<br />
La Tabella 1 mostra la procedura di selezione<br />
dei pazienti. I pazienti venivano<br />
assegnati alla coorte non diabetica se, durante<br />
il periodo di studio, non vi erano<br />
certificazioni di diabete a loro nome (codice<br />
ICD-9 250.xx), nessuna richiesta di farmaci<br />
antidiabetici, né una richiesta di prestazione<br />
medica specifica (n = 6.947.299). I<br />
pazienti venivano assegnati alla coorte<br />
diabetica di tipo 2 se, durante il periodo<br />
dello studio, vi era una richiesta di prestazione<br />
medica per il diabete di tipo 2 a loro<br />
nome (250.x0 o 250.x2) ed una prescrizione<br />
medica emessa per farmaci antidiabetici<br />
(n = 386.369). I farmaci antidiabetici erano<br />
defin<strong>it</strong>i come biguanidi, sulfoniluree,<br />
tiazolidinedioni, inib<strong>it</strong>ori dell’α-glucosidasi,<br />
megl<strong>it</strong>inidi, derivati della d-fenilalanina,<br />
pramlintide, exenatide o insulina. I pazienti<br />
certificati con diabete di tipo 1 a cui<br />
era prescr<strong>it</strong>ta la sola terapia insulinica<br />
(250.x1 o 250.x3) erano esclusi dallo studio<br />
(n = 352.633 pazienti rimanenti).<br />
Soltanto i pazienti il cui sesso era noto<br />
sono stati inclusi nell’una o nell’altra coorte.<br />
Le coorti erano appaiate 1:1 per sesso<br />
ed età (n = 352.569). Sono state utilizzate<br />
per quest’analisi le coppie i cui dati riguardanti<br />
le richieste di assistenza erano disponibili<br />
dopo l’appaiamento (n =<br />
3<strong>37</strong>.067).<br />
18<br />
I pazienti con pancreat<strong>it</strong>e acuta (codice<br />
ICD-9 577.0), colel<strong>it</strong>iasi (574.2x, 574.5x,<br />
574.9x, 576.1x e 576.2x), colecist<strong>it</strong>e acuta<br />
(574.0x, 574.3x, 574.6x, 574.8x, 575.0 e<br />
575.12) e colecistectomia (51.2x) venivano<br />
identificati del relativo codice di diagnosi<br />
apportato su ogni richiesta medica. Per far<br />
sì che questo studio restasse focalizzato<br />
soltanto sull’incidenza della malattia, i pazienti<br />
venivano esclusi se si verificava l’insorgenza<br />
della malattia durante l’anno del<br />
periodo basale. In particolar modo, relativamente<br />
all’analisi della pancreat<strong>it</strong>e, i pazienti<br />
venivano esclusi se vi era un qualsiasi<br />
riferimento a pancreat<strong>it</strong>e acuta o cronica<br />
nel corso dell’anno precedente all’inclusione<br />
nello studio. Relativamente all’analisi<br />
per patologia, i pazienti venivano<br />
esclusi in presenza di qualsiasi riferimento<br />
a colel<strong>it</strong>iasi, colecist<strong>it</strong>e acuta o colecistectomia<br />
nel corso dell’anno precedente all’inclusione<br />
nello studio. Richieste di assistenza<br />
per prestazioni radiologiche o di laboratorio<br />
o per altre patologie non venivano<br />
utilizzate per identificare l’insorgenza della<br />
malattia.<br />
Il tempo totale di rischio aveva inizio<br />
alla data indice e terminava alla data della<br />
prima insorgenza, o alla data di esclusione<br />
dallo studio o alla data del termine dello<br />
studio, quale che fosse il primo di tali<br />
eventi a verificarsi. Per ciascuna coorte,<br />
l’incidenza aggiustata per esposizione (per<br />
100.000 pazienti-anno di esposizione) e<br />
Pazienti rimanenti Pazienti esclusi<br />
Inclusi nello studio in un periodo compreso tra il 29,332,477 –<br />
1 gennaio 1999 e il 31 dicembre 2005<br />
Popolazione totale di età ≥ 18 anni al 1 gennaio 2000, inclusione continua per ≥ 1 anno 12,210,809 17,121,668<br />
a partire dal 1 gennaio 1999 fino al 31 dicembre 2005<br />
Almeno 30 giorni di inclusione continua dal termine del primo anno di inclusione 9,249,211 2,961,598<br />
Coorte di controllo: pazienti non diabetici<br />
Nessuna certificazione medica di diabete (250.xx) durante il periodo dello studio 8,579,024 670,187<br />
Nessuna assunzione di farmaci antidiabetici durante il periodo dello studio 8,521,490 57,534<br />
Sesso sconosciuto 8,519,558 1,932<br />
Qualsiasi condizione medica durante il periodo dello studio 6,947,299 1,572,259<br />
Coorte dello studio: diabete di tipo 2<br />
Diabete di tipo 2 o assunzione di farmaci antidiabetici in un periodo compreso 1,3<strong>37</strong>,081 –<br />
tra il 1 Gennaio 1999 ed il 31 Dicembre 2005<br />
Diabete di tipo 2 o assunzione di farmaci antidiabetici durante il periodo di 640,504 696,577<br />
inserimento nello studio<br />
Diabete di tipo 2 (250.x0 o 250.x2) durante il periodo di inserimento nello studio 563,827 76,677<br />
Assunzione di farmaci antidiabetici durante il periodo di inserimento nello studio 463,046 100,781<br />
Diabete di tipo 2 (250.x0 o 250.x2) e assunzione di farmaci antidiabetici in un 386,369 76,677<br />
periodo compreso tra il 1 Gennaio 1999 ed il 31 Dicembre 2005<br />
Pazienti esclusi dallo studio con sola terapia insulinica e 352,633 33,736<br />
diabete di tipo 1 (250.x1 o 250.x3)<br />
Sesso noto 352,569 64<br />
Abbinamenti<br />
Coppie abbinate 1:1 categoria per sesso ed età 352,569 –<br />
Coppie con dati dichiarati disponibili 3<strong>37</strong>,067 15,502<br />
95% CI sono stati calcolati col metodo di<br />
Wald (15) per l’intera coorte, stratificata<br />
per età e sesso. Si sono anche calcolati gli<br />
incidence rate ratios (IRRs) aggiustati per<br />
esposizione e i relativi 95% CI tra i due<br />
gruppi e all’interno di ciascuno strato (16).<br />
I pazienti codificati per pancreat<strong>it</strong>e acuta,<br />
colel<strong>it</strong>iasi, colecist<strong>it</strong>e acuta, o colecistectomia<br />
fungevano da numeratori per calcolare<br />
l’incidenza. Tutti i pazienti-anni entro<br />
ciascuna coorte servivano da denominatori.<br />
RISULTATI<br />
L’incidenza per la pancreat<strong>it</strong>e nella<br />
corte con diabete di tipo 2 era 422 casi<br />
per 100.000 pazienti-anni, rispetto a 149<br />
casi per 100.000 pazienti-anni nella corte<br />
non diabetica. Nella corte diabetica l’incidenza<br />
era relativamente costante attraverso<br />
i gruppi catalogati per età rispetto<br />
alla corte non diabetica, dove l’età era<br />
correlata pos<strong>it</strong>ivamente all’incidenza della<br />
pancreat<strong>it</strong>e (Tabella 2).<br />
Complessivamente, per la coorte formata<br />
da pazienti con diabete di tipo 2 vi<br />
era un rischio di pancreat<strong>it</strong>e 2,83 volte<br />
maggiore (95% CI 2.61–3.06) rispetto alla<br />
coorte non diabetica. Per i pazienti non<br />
diabetici di età corrispondente, il gruppo<br />
di più giovane età affetto da diabete di tipo<br />
2 (18–30 anni) aveva l’IRR più alto di<br />
pancreat<strong>it</strong>e acuta (7.75 [95% CI<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
Tabella 2 – Incidenza della pancreat<strong>it</strong>e acuta associata al diabete di tipo 2 stratificata per età e sesso, derivata dallo studio retrospettivo di un database contenente<br />
richieste di prestazioni mediche nel periodo 2000-2005.<br />
Coorte non diabetica Coorte con diabete di tipo 2<br />
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– IRR. Coorte<br />
n ° Casi Persone-anni Incidenza per n° Casi Persone-anni Incidenza per con diabete<br />
incidenti di folloup 100.000 persone- incidenti di followup 100.000 persone- di tipo 2 vs. coorte non<br />
anni (95% CI) anni (95% CI) diabetica (95% CI)<br />
Età complessivae 336,410 827 553,959.28 149.29 (139.11–159.46) 334,930 2,551 604,684.35 421.87 (405.50–438.24) 2.83 (2.61–3.06)<br />
18–30 anni 13,628 9 17,029.62 52.85 (18.32–87.38) 13,553 81 19,780.12 409.50 (320.32–498.68) 7.75 (3.89–15.43)<br />
31–44 anni 78,518 105 120,783.10 86.93 (70.30–103.56) 78,051 584 132,996.11 439.11 (403.50–474.72) 5.05 (4.10–6.22)<br />
45–54 anni 120,354 272 200,359.38 135.76 (119.62–151.89) 119,823 862 217,352.86 396.59 (<strong>37</strong>0.11–423.07) 2.92 (2.55–3.35)<br />
55–64 anni 91,859 273 154,084.70 177.18 (156.16–198.19) 91,526 723 167,069.73 432.75 (401.21–464.30) 2.44 (2.13–2.81)<br />
≥ 65 anno 32,051 168 61,702.48 272.27 (231.10–313.45) 31,977 301 67,485.52 446.02 (395.63–496.41) 1.64 (1.36–1.98)<br />
Sesso<br />
Femmine 148,868 <strong>37</strong>0 242,728.54 152.43 (136.90–167.97) 148,288 1058 267,658.93 395.28 (<strong>37</strong>1.46–419.10) 2.59 (2.30–2.92)<br />
Maschi 187,542 457 311,230.74 146.84 (133.<strong>37</strong>–160.30) 186,642 1493 3<strong>37</strong>,025.42 442.99 (420.52–465.46) 3.02 (2.72–3.35)<br />
*Pazienti con eventi di pancreat<strong>it</strong>e acuta (n = 594 dalla coorte non diabetica e n = 1.883 dalla corte di pazienti con diabete di tipo 2) o pancreat<strong>it</strong>e cronica (n = 162 dalla<br />
coorte non diabetica e n = 656 dalla corte di pazienti con diabete di tipo 2) durante il periodo basale di un anno venivano esclusi dal numeratore e dal denominatore.<br />
Inoltre i pazienti con pancreat<strong>it</strong>e cronica durante il follow-up erano esclusi (n = 26 dalla coorte non diabetica e n = 161 dalla coorte di pazienti con diabete di tipo 2). Va<br />
puntualizzato che per alcuni pazienti potrebbe esservi stato più di un evento causa di esclusione.<br />
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
3.89–15.43]), mentre i pazienti di età ≥ 65<br />
anni con diabete di tipo 2 avevano l’IRR<br />
più basso (1.64 [1.36–1.98]). Poiché il diabete<br />
di tipo 2 normalmente insorge nei<br />
pazienti di età ≥ 45 anni, gli IRR per la<br />
pancreat<strong>it</strong>e acuta sono stati calcolati tra i<br />
soggetti al di sopra e al di sotto dei 45<br />
anni. I risultati indicavano che per i pazienti<br />
con diabete di tipo 2 tra i 18 e i 44<br />
anni di età vi era un rischio di incidenza<br />
di pancreat<strong>it</strong>e 5,26 volte maggiore (95%<br />
CI 4.31–6.42) e per i pazienti di età ≥ 45<br />
anni il rischio di incidenza di pancreat<strong>it</strong>e<br />
risultava 2,44 volte maggiore (2.23–2.66)<br />
rispetto ai soggetti non diabetici della<br />
stessa fascia di età. Per la pancreat<strong>it</strong>e<br />
acuta gli IRR risultavano simili tra i due<br />
sessi nelle due coorti.<br />
L’incidenza della malattia biliare nella<br />
coorte dei soggetti con diabete di tipo<br />
2 era di 1.411 casi per 100.000 pazientianni,<br />
rispetto ai 7<strong>37</strong> casi per 100.000 pazienti-anni<br />
della coorte non diabetica.<br />
Nella coorte diabetica l’incidenza era<br />
maggiore tra i più giovani (18–30 anni) e<br />
i più anziani (≥ 65 anni) rispetto alla<br />
coorte non diabetica in cui l’età era correlata<br />
pos<strong>it</strong>ivamente con l’incidenza della<br />
pancreat<strong>it</strong>e (Tabella 3). In entrambe le<br />
coorti, l’incidenza della malattia biliare<br />
risultava notevolmente più alta nelle<br />
donne rispetto agli uomini, sebbene gli<br />
IRR risultassero simili tra i due sessi nelle<br />
due coorti.<br />
Complessivamente, per la coorte con<br />
diabete di tipo 2 vi era un rischio di malattia<br />
biliare 1,91 volte maggiore (95% CI<br />
1.84–1.99) rispetto alla coorte dei soggetti<br />
non diabetici. Nei pazienti non diabetici<br />
di età corrispondente, per il gruppo della<br />
fascia di età più giovane con diabete di<br />
tipo 2 (18–30 anni) vi era il più alto IRR<br />
di malattia biliare (3.77 [95% CI<br />
2.92–4.87]), mentre i pazienti di età ≥ 65<br />
anni con diabete di tipo 2 avevano il più<br />
basso IRR (1.50 [1.<strong>37</strong>–1.65]).<br />
L’analisi dei sottogruppi della malattia<br />
biliare ha rivelato che la colel<strong>it</strong>iasi ha<br />
inciso su ~50% del totale dei casi in entrambe<br />
le coorti e la sua incidenza nei<br />
pazienti con diabete di tipo 2 era notevolmente<br />
più alta (1.229 casi per 100.000<br />
pazienti-anni) rispetto ai pazienti non<br />
diabetici (647 casi per 100.000 pazientianni)<br />
(dati non riportati).<br />
CONCLUSIONI<br />
Questo studio suggerisce che i pazienti<br />
con diabete di tipo 2 hanno un rischio<br />
di pancreat<strong>it</strong>e quasi tre volte più alto<br />
e un rischio di malattia biliare due volte<br />
più alto rispetto ai pazienti non diabetici.<br />
L’alto rischio di pancreat<strong>it</strong>e tra i pazienti<br />
più giovani con diabete di tipo 2<br />
rispetto alla loro controparte non diabetica<br />
è particolarmente notevole, sebbene il<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 19
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
Tabella 3 – Incidenza della malattia biliare associata al diabete di tipo 2 stratificata per età e sesso, derivata dallo studio retrospettivo di un database contenente richieste<br />
di prestazioni mediche nel periodo 2000–2005<br />
20<br />
Coorte non diabetica Coorte con diabete di tipo 2<br />
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– IRR. Coorte<br />
n ° Casi Persone-anni Incidenza per n° Casi Persone-anni Incidenza per con diabete<br />
incidenti di folloup 100.000 persone- incidenti di followup 100.000 persone- di tipo 2 vs. coorte non<br />
anni (95% CI) anni (95% CI) diabetica (95% CI)<br />
Età complessiva 333,529 4,019 545,088.58 7<strong>37</strong>.31 (714.52–760.11) 330,742 8,322 589,693.44 1,411.24 (1,380.92–1,441.56) 1.91 (1.84–1.99)<br />
18–30 anni 13,557 72 16,884.62 426.42 (327.92–524.92) 13,354 309 19,217.66 1,607.90 (1,428.61–1,787.18) 3.77 (2.92–4.87)<br />
31–44 anni 78,030 599 119,453.07 501.45 (461.29–541.61) 77,222 1,574 130,181.10 1,209.08 (1,149.35–1,268.82) 2.41 (2.19–2.65)<br />
45–54 anni 119,356 1,300 197,277.31 658.97 (623.15–694.79) 118,355 2,839 212,090.87 1,338.58 (1,289.34–1,387.82) 2.03 (1.90–2.17)<br />
55–64 anni 90,942 1,286 151,221.24 850.41 (803.93–896.89) 90,335 2,357 162,847.33 1,447.<strong>37</strong> (1,388.94–1,505.80) 1.70 (1.59–1.82)<br />
≥ 65 anni 31,644 762 60,252.34 1,264.68 (1,174.88–1,354.48) 31,476 1,243 65,356.48 1,901.88 (1,796.15–2,007.61) 1.50 (1.<strong>37</strong>–1.65)<br />
Sesso<br />
Femmine 147,073 2,179 2<strong>37</strong>,325.48 918.15 (879.60–956.70) 145,557 4,387 258,394.28 1,697.79 (1,647.55–1,748.03) 1.85 (1.76–1.95)<br />
Maschi 186,456 1,840 307,763.11 597.86 (570.54–625.18) 185,185 3,935 331,299.16 1,187.75 (1,150.64–1,224.86) 1.99 (1.88–2.10)<br />
*La malattia biliare era defin<strong>it</strong>a come insiorgenza di colel<strong>it</strong>iasi, colecist<strong>it</strong>e acuta, o colecistectomia. I pazienti con malattia biliare (n = 2.911 dalla coorte non diabetica e n =<br />
5.173 dalla coorte con diabete di tipo 2) o colecist<strong>it</strong>e cronica (n = 452 dalla coorte non diabetica e n = 890 dalla coorte con diabete di tipo 2) durante il periodo basale di un<br />
anno erano esclusi dal numeratore e dal denominatore. Va puntualizzato che per alcuni pazienti potrebbe esservi stato più di un evento causa di esclusione.<br />
significato clinico di tale dato debba ancora<br />
essere chiar<strong>it</strong>o.<br />
Questo studio era lim<strong>it</strong>ato dalle informazioni<br />
disponibili in un database contenente<br />
richieste di prestazioni san<strong>it</strong>arie,<br />
informazioni raccolte ai fini del pagamento<br />
e non a scopo di ricerca. Non si<br />
sono potute evincere la compliance dei<br />
pazienti riguardo all’assunzione dei farmaci<br />
prescr<strong>it</strong>ti, né informazioni riguardanti<br />
il personale san<strong>it</strong>ario. Inoltre non<br />
erano disponibili dati riguardanti altri<br />
possibili fattori di rischio di pancreat<strong>it</strong>e<br />
(come abuso di alcol, obes<strong>it</strong>à, perd<strong>it</strong>a di<br />
peso corporeo e farmaci). Un altro potenziale<br />
lim<strong>it</strong>e è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da errori nella<br />
diagnosi della malattia, dato che i codici<br />
potrebbero essere stati trascr<strong>it</strong>ti in maniera<br />
errata o inclusi come cr<strong>it</strong>eri di<br />
esclusione al posto dell’effettiva malattia.<br />
Ad esempio, sebbene sia stato utilizzato<br />
un algor<strong>it</strong>mo conservativo per identificare<br />
i pazienti con diabete di tipo 2 (codice<br />
ICD-9 ed utilizzo di un agente antidiabetico),<br />
alcuni pazienti con diabete di tipo<br />
1 sono stati probabilmente inclusi nelle<br />
coorti, particolarmente nei gruppi appartenenti<br />
alla fascia d’età più bassa. È<br />
anche importante notare che l’incidenza<br />
della pancreat<strong>it</strong>e nella coorte non diabetica<br />
riportata in questo studio epidemiologico<br />
è circa tre volte più alta rispetto alle<br />
stime pubblicate per la popolazione<br />
generale (1,4). La più alta incidenza della<br />
pancreat<strong>it</strong>e riscontrata in questo studio<br />
può essere rappresentativa di un aumento<br />
della pancreat<strong>it</strong>e, di richieste di assistenza<br />
erroneamente codificate per pancreat<strong>it</strong>e,<br />
di differenze nella popolazione o<br />
dal metodo di refertazione. Uno studio<br />
atto a verificare l’accuratezza dei codici<br />
ICD-9 condotto in un’ampia popolazione<br />
dello Stato della Virginia riportava un’eccellente<br />
sensibil<strong>it</strong>à (93%) ma una bassa<br />
specific<strong>it</strong>à (79%) per la pancreat<strong>it</strong>e acuta<br />
(17); è dunque probabile che dei referti<br />
falso-pos<strong>it</strong>ivi di pancreat<strong>it</strong>e siano stati inclusi<br />
in questo studio. Sebbene sia sconosciuto<br />
il motivo della maggiore incidenza<br />
della pancreat<strong>it</strong>e osservata in questo studio,<br />
è probabile che questa non sia differente<br />
tra le due coorti e che l’aumentato<br />
rischio di pancreat<strong>it</strong>e osservato nei pazienti<br />
con diabete di tipo 2 sia reale.<br />
Uno dei punti di forza di questo studio<br />
è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dall’ampiezza del campione<br />
utilizzato, fattore necessario dato che la<br />
pancreat<strong>it</strong>e è un evento raro. Questi dati<br />
permettono anche l’analisi di determinate<br />
condizioni mediche nel “mondo reale” con<br />
un campione a livello nazionale di pazienti<br />
con anamnesi diverse. Ciononostante, i dati<br />
utilizzati per questo studio provengono<br />
da una popolazione che usufruisce di assistenza<br />
medica, e i risultati sono principalmente<br />
applicabili ad amb<strong>it</strong>i assistenziali.<br />
Le deviazioni dovute a età e sesso erano<br />
controllate dagli appaiamenti. I risultati,<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
infine, consigliano cautela, poiché nella<br />
coorte dei non diabetici potrebbero essere<br />
stati inclusi soggetti con diabete non diagnosticato,<br />
un problema non infrequente<br />
nell’amb<strong>it</strong>o delle richieste di assistenza.<br />
In conclusione, il rischio quasi tre volte<br />
maggiore di pancreat<strong>it</strong>e nei pazienti con<br />
diabete di tipo 2 qui riportato, combinato<br />
con la crescente prevalenza del diabete e<br />
dei fattori di rischio ad esso associati, potrebbe<br />
contribuire ad un’incidenza significativamente<br />
aumentata di pancreat<strong>it</strong>e acuta<br />
negli USA. Sono necessari ulteriori studi<br />
per confermare quanto riscontrato e per<br />
identificare le cause che possono spiegare<br />
l’aumentato rischio di pancreat<strong>it</strong>e in associazione<br />
al diabete qui osservato.<br />
Bibliografia<br />
DIABETES CARE, MAY 2009<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 21
DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
Documento di consenso dell’American<br />
Association of Clinical Endocrinologists e<br />
dell’American Diabetes Association sul<br />
controllo glicemico nei pazienti ricoverati<br />
ETIE S. MOGHISSI, MD, FACP, FACE 1 IRL B. HIRSCH, MD 6<br />
MARY T. KORYTKOWSKI, MD 2 SILVIO E. INZUCCHI, MD 7<br />
MONICA DINARDO, MSN, CRNP, CDE 3 FARAMARZ ISMAIL-BEIGI, MD, PHD 8<br />
DANIEL EINHORN, MD, FACP, FACE 4 M. SUE KIRKMAN, MD 9<br />
RICHARD HELLMAN, MD, FACP, FACE 5 GUILLERMO E. UMPIERREZ, MD, FACP, FACE 10<br />
Rispetto ai soggetti non diabetici, per i<br />
diabetici vi è una maggiore probabil<strong>it</strong>à<br />
di ricovero in ospedale, e tale ricovero<br />
sarà mediamente più lungo. Da<br />
una recente indagine negli USA è risultato<br />
che il 22% del totale dei giorni di degenza<br />
negli ospedali viene trascorso da<br />
pazienti diabetici, e che i costi delle cure<br />
ospedaliere corrispondono alla metà dei<br />
174 miliardi di dollari USA spesi in questo<br />
paese per questa malattia (1). Ciò è in<br />
parte dovuto alla continua espansione a<br />
livello mondiale del diabete di tipo 2.<br />
Nei soli Usa vi sono ~1.6 milioni di nuovi<br />
casi di diabete ogni anno, con una prevalenza<br />
complessiva di 23.6 milioni di<br />
soggetti (7.8% della popolazione, con un<br />
quarto dei casi non diagnosticati). Vi sono<br />
inoltre 57 milioni di americani adulti<br />
ad alto rischio di diabete di tipo 2 (2).<br />
Sebbene non si conoscano i costi relativi<br />
all’iperglicemia da stress collegata alla<br />
malattia, è probabile che siano alti, considerata<br />
la scarsa prognosi per questi pazienti<br />
(3-6).<br />
È obiettivamente evidente che vi è un<br />
collegamento tra i livelli di iperglicemia<br />
dei pazienti ricoverati (diabetici o non<br />
diabetici) e gli es<strong>it</strong>i clinici. Da alcuni stu-<br />
1 Department of Medicine, Univers<strong>it</strong>y of California, Los Angeles, Los Angeles, California; 2 Department<br />
of Medicine, Division of Endocrinology and Metabolism, Univers<strong>it</strong>y of P<strong>it</strong>tsburgh, P<strong>it</strong>tsburgh,<br />
Pennsylvania; 3 Division of Endocrinology and Metabolism, Veterans Affairs P<strong>it</strong>tsburgh Health Center<br />
and Univers<strong>it</strong>y of P<strong>it</strong>tsburgh School of Nursing, P<strong>it</strong>tsburgh, Pennsylvania; 4 Scripps Wh<strong>it</strong>tier Diabetes<br />
Inst<strong>it</strong>ute, La Jolla, California, Univers<strong>it</strong>y of California San Diego School of Medicine, San Diego,<br />
California, and Diabetes and Endocrine Associates, La Jolla, California; 5 Department of Medicine,<br />
Univers<strong>it</strong>y of Missouri-Kansas C<strong>it</strong>y School of Medicine, and Hellman and Rosen Endocrine Associates,<br />
North Kansas C<strong>it</strong>y, Missouri; 6 Department of Medicine, Univers<strong>it</strong>y of Washington School<br />
of Medicine, Seattle, Washington; 7 Department of Medicine, Section of Endocrinology, Yale Univers<strong>it</strong>y<br />
School of Medicine, and the Yale Diabetes Center, Yale-New Haven Hosp<strong>it</strong>al, New Haven, Connecticut;<br />
8 Department of Medicine, Physiology and Biophysics, Division of Clinical and Molecular<br />
Endocrinology, Case Western Reserve Univers<strong>it</strong>y, Cleveland, Ohio; 9 Clinical Affairs, American Diabetes<br />
Association, Alexandria, Virginia, 10 Department of Medicine/Endocrinology, Emory Univers<strong>it</strong>y,<br />
Atlanta, Georgia. Corresponding author: Dr. Etie S. Moghissi, emoghissi@pol.net.<br />
22<br />
di di coorte, così come in alcuni trial controllati<br />
randomizzati (RCTs), si è osservato<br />
che il trattamento intensivo dell’iperglicemia<br />
migliora gli es<strong>it</strong>i clinici (5-8).<br />
Nel 2004 tale evidenza ha portato l’American<br />
College of Endocrinology (ACE) e<br />
l’American Association of Clinical Endocrinologists<br />
(AACE), in collaborazione<br />
con l’American Diabetes Association<br />
(ADA) ed altre organizzazioni mediche,<br />
a effettuare la stesura di una serie di raccomandazioni<br />
per il trattamento dell’iperglicemia<br />
nei pazienti ricoverati (9).<br />
Nel 2005, l’ADA ha aggiunto alle proprie<br />
linee guida (Standards of Medical Care)<br />
(10) una serie di raccomandazioni per il<br />
trattamento dell’iperglicemia nei luoghi<br />
di cura. Le raccomandazioni dell’ACE e<br />
dell’ADA normalmente sostenevano un<br />
rigido controllo glicemico nelle un<strong>it</strong>à ded<strong>it</strong>e<br />
alla cura dei pazienti in condizioni<br />
cr<strong>it</strong>iche. Per i pazienti nei reparti chirurgici<br />
o di medicina generale, ove non vi<br />
era evidenza data dagli RCT riguardo ai<br />
target del trattamento, si indicavano<br />
obiettivi glicemici simili a quelli consigliati<br />
per i pazienti ambulatoriali (9,10).<br />
Nel 2006 l’ACE e l’ADA hanno sottolineato<br />
l’importanza del controllo glicemi-<br />
co nei pazienti ricoverati, individuando<br />
numerose barriere alla sua implementazione<br />
negli ospedali (11). Ciò ha contribu<strong>it</strong>o<br />
alla creazione di un movimento nazionale<br />
in continua espansione, per il<br />
quale la gestione dei livelli di iperglicemia<br />
dei pazienti ricoverati cost<strong>it</strong>uisce un<br />
fattore di qual<strong>it</strong>à della cura.<br />
Sebbene l’iperglicemia sia associata<br />
ad eventi indesiderati, gli interventi effettuati<br />
per normalizzare i livelli glicemici<br />
non hanno dato risultati consistenti.<br />
Infatti i trial recentemente effettuati su<br />
pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche non hanno<br />
portato a un significativo miglioramento<br />
dei livelli di mortal<strong>it</strong>à con un controllo<br />
glicemico intensivo (12,13), mostrando<br />
addir<strong>it</strong>tura un rischio aumentato di mortal<strong>it</strong>à<br />
(14). I suddetti recenti RCT, inoltre,<br />
hanno avuto come conseguenza un aumento<br />
del rischio di ipoglicemia severa<br />
(12-17). Questi risultati hanno creato ulteriore<br />
incertezza riguardo ai target glicemici<br />
specifici per i pazienti in condizioni<br />
cr<strong>it</strong>iche e non, ed alle modal<strong>it</strong>à per raggiungerli.<br />
Considerando l’importanza del controllo<br />
glicemico nel continuum dell’assistenza<br />
medica, l’AACE e l’ADA si sono<br />
un<strong>it</strong>e per elaborare questo documento di<br />
consenso aggiornato sulla gestione dei livelli<br />
glicemici dei pazienti ricoverati. Gli<br />
obiettivi principali erano di identificare<br />
ragionevoli, raggiungibili e sicuri target<br />
glicemici e descrivere protocolli, procedure<br />
e i miglioramenti da apportare ai sistemi,<br />
onde facil<strong>it</strong>arne l’implementazione.<br />
Questo documento è indirizzato ai<br />
medici, ai loro collaboratori, agli amministratori<br />
degli ospedali e a tutti coloro<br />
che si impegnano a migliorare la gestione<br />
dei livelli di iperglicemia dei pazienti<br />
ricoverati presso i luoghi di cura. I partecipanti<br />
alla stesura di questo consenso<br />
hanno preso in esame la recente letteratura<br />
ed hanno formulato le seguenti domande:<br />
1. Migliorare il controllo glicemico migliora<br />
gli es<strong>it</strong>i clinici dei pazienti con<br />
iperglicemia?<br />
2. Quali target glicemici si possono raccomandare<br />
per le diverse popolazioni<br />
di pazienti?<br />
3. Quali sono le opzioni di trattamento<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
disponibili per il raggiungimento sicuro<br />
ed efficace di target glicemici ottimali<br />
in specifiche s<strong>it</strong>uazioni cliniche?<br />
4. La gestione dell’iperglicemia dei pazienti<br />
ricoverati è una questione di sicurezza?<br />
5. Quali sistemi sono necessari per soddisfare<br />
le suddette raccomandazioni?<br />
6. Il trattamento dell’iperglicemia nei<br />
pazienti ricoverati è efficiente in termini<br />
di costo?<br />
7. Quali sono le strategie ottimali per il<br />
passaggio alle cure ambulatoriali?<br />
8. Quali sono le future aree di ricerca?<br />
DOMANDA N. 1:<br />
MIGLIORARE IL CONTROLLO<br />
GLICEMICO MIGLIORA GLI<br />
ESITI CLINICI DEI PAZIENTI<br />
CON IPERGLICEMIA?<br />
Nei pazienti ricoverati l’iperglicemia,<br />
a prescindere dalla causa che l’ha provocata,<br />
è inequivocabilmente associata ad<br />
eventi indesiderati (5,6,18-25). L’iperglicemia<br />
insorge nei pazienti diabetici o con<br />
diabete non diagnosticato, o si verifica<br />
durante la fase acuta di una malattia in<br />
individui con precedente normale tolleranza<br />
glucidica (tale condizione è defin<strong>it</strong>a<br />
come “iperglicemia da stress”) (8,26).<br />
Gli interventi mirati a ridurre i livelli<br />
di glicemia plasmatica (BG) hanno portato<br />
a miglioramenti in alcuni studi, ma<br />
non in tutti (5,18-25). Alcuni trial clinici<br />
recentemente effettuati su pazienti in<br />
condizioni cr<strong>it</strong>iche non hanno ridotto la<br />
mortal<strong>it</strong>à con un trattamento intensivo<br />
che mirava a una quasi-euglicemia, rispetto<br />
ai livelli convenzionali di BG
DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
AMI. L’ipoglicemia noniatrogenica è anche<br />
associata ad eventi indesiderati ed è<br />
un fattore pred<strong>it</strong>tivo di più frequenza<br />
mortal<strong>it</strong>à (7,42,43).<br />
In parecchi studi si è tentato di riprodurre<br />
gli es<strong>it</strong>i favorevoli osservati con la<br />
implementazione della terapia insulinica<br />
riportati nel trial Diabetes and Insulin-<br />
Glucose Infusion in Acute Myocardial<br />
Infarction (DIGAMI) (33). Il DIGAMI 2,<br />
un RCT multicentrico effettuato su 1253<br />
pazienti con AMI e diabete, non è riusc<strong>it</strong>o<br />
a dimostrare una diminuzione della<br />
mortal<strong>it</strong>à data da tale intervento (34). Lo<br />
studio Hyperglycemia Intensive Insulin<br />
Infusion in Infarction (HI-5) ha assegnato<br />
a random ad alcuni pazienti con AMI infusioni<br />
di insulina più glucosio per 24 h<br />
(target di BG
Data desunti da pazienti sottoposti a<br />
trapianto<br />
Il diabete che insorge in pazienti precedentemente<br />
sottoposti a trapianto ha<br />
molte caratteristiche in comune col diabete<br />
di tipo 2 ed è fortemente associato a<br />
malattia cardiovascolare e a decesso (60).<br />
Fuji et al. (61) hanno esaminato gli effetti<br />
dell’iperglicemia durante periodi neutropenici<br />
in 112 pazienti sottoposti a trapianto<br />
di cellule staminali. L’iperglicemia<br />
era associata a rischio di perd<strong>it</strong>a dell’organo,<br />
malattia dell’innesto-contro-osp<strong>it</strong>e<br />
e mortal<strong>it</strong>à non correlata alla ricaduta,<br />
ma non a infezione o febbre. Un simile<br />
studio effettuato su 382 pazienti riportava<br />
che nei pazienti non trattati con glucocorticoidi<br />
durante la neutropenia, ogni<br />
aumento della BG di 10 mg/dl (0.6<br />
mmol/l) era associato ad un aumento<br />
pari ad 1,15 volte delle odds ratio per<br />
batteremia (62). Hammer et al. (63) hanno<br />
analizzato i livelli di BG in un totale<br />
di 1175 pazienti adulti nei quali era stato<br />
effettuato un trapianto allogenico di cellule<br />
ematopoietiche. Iperglicemia, ipoglicemia<br />
e variabil<strong>it</strong>à glicemica erano tutte<br />
correlate con mortal<strong>it</strong>à non legata alla ricaduta<br />
entro i 200 giorni successivi al trapianto.<br />
Data desunti da studi sul controllo<br />
glicemico intraoperatorio<br />
In un RCT in doppio cieco, controllato<br />
con placebo su 82 pazienti adulti, l’infusione<br />
per via endovenosa di una miscela<br />
glucosio-insulina-potassio durante<br />
una procedura di innesto di un bypass<br />
coronarico non riduceva la frequenza di<br />
danno miocardico, mortal<strong>it</strong>à, o durata<br />
del ricovero (64). In uno studio effettuato<br />
su 399 pazienti sottoposti a interventi<br />
chirurgici cardiaci la terapia insulinica<br />
intensiva (target BG, 80–100 mg/dl<br />
[4.4–5.6 mmol/l]) intraoperatoria non<br />
apportava differenze riguardo agli es<strong>it</strong>i<br />
clinici dei pazienti; nella fase postoperatoria,<br />
tuttavia, entrambi i gruppi trattati<br />
avevano target glicemici simili (36).<br />
Data desunti da ICU pediatriche<br />
Sebbene ciò esuli dallo scopo di questa<br />
dichiarazione di consenso, è bene notare<br />
che l’iperglicemia (senza diabete) e<br />
anche comune tra i pazienti di età pediatrica<br />
in condizioni di malattia cr<strong>it</strong>iche<br />
(65-70), ed è correlata con la mortal<strong>it</strong>à<br />
(70). Un RCT internazionale, multicentrico,<br />
che ha testato l’efficacia di un controllo<br />
glicemico intensivo in neonati fortemente<br />
sotto peso alla nasc<strong>it</strong>a, ha riscontrato<br />
alti indici di ipoglicemia severa senza<br />
significative differenze in mortal<strong>it</strong>à e<br />
comorbid<strong>it</strong>à (71). Invece, un altro trial<br />
randomizzato condotto su circa 700 soggetti<br />
in età pediatrica, tra cui neonati (n =<br />
317) e bambini (n = 383) riportava una<br />
diminuzione della mortal<strong>it</strong>à con l’utilizzo<br />
di terapia insulinica intensiva, nonostante<br />
una maggiore frequenza di ipoglicemia<br />
severa (25 vs. 5%) (72).<br />
Iperglicemia in pazienti in reparti<br />
medici e chirurgici in terapia non<br />
intensiva<br />
Nessun RCT ha esaminato l’effetto di<br />
un controllo glicemico intensivo sugli<br />
es<strong>it</strong>i dei pazienti ricoverati in reparti non<br />
ICU. Parecchi studi di osservazione tuttavia,<br />
indicano una forte associazione tra<br />
iperglicemia e peggiori es<strong>it</strong>i clinici, quali<br />
degenza prolungata, infezione, disabil<strong>it</strong>à<br />
dopo la dimissione dall’ospedale e decesso<br />
(4,7, 35,73-81).<br />
Parecchi studi hanno riscontrato che<br />
la variabil<strong>it</strong>à glicemica cost<strong>it</strong>uisce un fattore<br />
pred<strong>it</strong>tivo indipendente di mortal<strong>it</strong>à<br />
nei pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />
(63,66,82). Resta ancora da chiarire se<br />
l’intervento mirato a controllare la variabil<strong>it</strong>à<br />
glicemica possa di per sé migliorare<br />
gli es<strong>it</strong>i clinici (83).<br />
Riassunto dei trial clinici esaminati per<br />
la domanda n. 1<br />
Nel complesso, sebbene un target glicemico<br />
molto rigido (80–110 mg/dl<br />
[4.4–6.1 mmol/l]) risultasse benefico in<br />
una popolazione ICU sottoposta a intervento<br />
chirurgico (5), questo target è stato<br />
difficile da raggiungere in studi successivi,<br />
tra cui lo studio pubblicato recentemente<br />
NICE-SUGAR (14), senza aumentare<br />
il rischio di ipoglicemia severa<br />
(12,13,16,27,28). Inoltre non vi è stata una<br />
consistente riduzione della mortal<strong>it</strong>à con<br />
un controllo intensivo della glicemia<br />
(12,17), anzi un’aumentata mortal<strong>it</strong>à si è<br />
osservata nel più esteso studio fino ad<br />
oggi pubblicato (14). I motivi di questa<br />
inconsistenza non sono del tutto chiari. È<br />
possibile che i risultati pos<strong>it</strong>ivi rifer<strong>it</strong>i negli<br />
studi iniziali fossero attribuibili a differenze<br />
riguardanti misurazioni e trascrizioni<br />
dei valori di BG, selezione dei partecipanti,<br />
variabil<strong>it</strong>à glicemica o apporto<br />
nutr<strong>it</strong>ivo (12,17,84). Nonostante ciò, i recenti<br />
tentativi di raggiungere livelli ottimali<br />
di controllo glicemico non hanno né<br />
ridotto né aumentato la mortal<strong>it</strong>à nei<br />
trial multicentrici ed hanno chiaramente<br />
portato a rischio aumentato di ipoglicemia<br />
(13, 14,16).<br />
Nonostante tali inconsistenze, sarebbe<br />
un grave errore concludere che un<br />
giudizioso controllo dei livelli glicemici<br />
in pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche, ed in<br />
pazienti non ICU in generale, non sia<br />
giustificato. In primo luogo, sulla base di<br />
un ampio numero di studi in una varietà<br />
di luoghi di cura, l’iperglicemia non controllata<br />
è chiaramente associata a scarsi<br />
es<strong>it</strong>i clinici. In secondo luogo, sebbene gli<br />
eventi di ipoglicemia severa si osservino<br />
DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
in un numero fin troppo alto di pazienti<br />
sottoposti a terapia insulinica con protocolli<br />
mirati a livelli di BG di 80–110<br />
mg/dl (4.4–6.1 mmol/l) (12), tale rischio<br />
si può probabilmente minimizzare con<br />
una minore rigid<strong>it</strong>à nei confronti dei target,<br />
con miglioramenti e standardizzazione<br />
dei protocolli e la loro attenta implementazione.<br />
In terzo luogo, è possibile<br />
che si possano ottenere effetti maggiormente<br />
benefici con un target glicemico<br />
più alto di quello di 80–110 mg/dl rispetto<br />
all’iperglicemia non controllata.<br />
Infine, finché non vi saranno ulteriori<br />
informazioni, sarà prudente continuare<br />
ad enfatizzare l’importanza del controllo<br />
glicemico nei pazienti ricoverati in condizioni<br />
cr<strong>it</strong>iche e non, pur mirando a target<br />
meno ambiziosi di 80–110 mg/dl<br />
(4.4–6.1 mmol/l), un argomento discusso<br />
dettagliatamente qui di segu<strong>it</strong>o.<br />
DOMANDA N. 2: QUALI<br />
TARGET GLICEMICI SI<br />
POSSONO RACCOMANDARE<br />
PER LE DIVERSE<br />
POPOLAZIONI DI PAZIENTI?<br />
Il trattamento dell’iperglicemia in<br />
ospedale presenta problemi particolari<br />
che riguardano lo stato nutrizionale del<br />
paziente e il livello di conoscenza, i lim<strong>it</strong>i<br />
pratici di un mon<strong>it</strong>oraggio glicemico interm<strong>it</strong>tente<br />
e la massima importanza della<br />
sicurezza del paziente. Di conseguenza,<br />
target glicemici ragionevoli in ambienti<br />
ospedalieri sono solo lievemente<br />
più alti di quelli normalmente consigliati<br />
per i pazienti diabetici di al di fuori dei<br />
luoghi di cura (85, 86).<br />
Definizione di anomalie glicemiche<br />
In questa relazione, l’iperglicemia è<br />
defin<strong>it</strong>a come qualsiasi valore di BG<br />
>140 mg/dl (>7.8 mmol/l). Valori significativamente<br />
e costantemente al di sopra<br />
dei suddetti livelli possono richiedere il<br />
trattamento nei pazienti ricoverati. Nei<br />
pazienti senza una precedente diagnosi<br />
di diabete, concentrazioni elevate di BG<br />
possono essere dovute a iperglicemia da<br />
stress, una condizione che può essere accertata<br />
riesaminando le precedenti documentazioni<br />
mediche o le misurazioni dei<br />
valori di HbA1c. Valori di HbA1c<br />
>6.5–7.0% suggeriscono la presenza di<br />
diabete precedente al ricovero in ospedale<br />
(87).<br />
L’ipoglicemia è defin<strong>it</strong>a come qualsiasi<br />
livello di BG
DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
più basso del livello, corrispondente approssimativamente<br />
a 50 mg/dl (2.8<br />
mmol/l), in cui negli individui normali<br />
la funzione cogn<strong>it</strong>iva comincia ad essere<br />
compromessa (89-91). Come l’iperglicemia,<br />
l’ipoglicemia tra i pazienti ricoverati<br />
è associata ad eventi indesiderati a breve<br />
e a lungo termine. Un pronto riconoscimento<br />
e trattamento di eventi ipoglicemici<br />
che vanno da lievi a moderati (rispettivamente<br />
40 e 69 mg/dl [2.2 and 3.8<br />
mmol/l]) possono prevenire la degenerazione<br />
in un episodio più severo con potenziali<br />
conseguenze avverse (91,92).<br />
Trattamento dell’iperglicemia in<br />
pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />
Sulla base dell’evidenza disponibile, la<br />
somministrazione di insulina andrebbe effettuata<br />
per controllare l’iperglicemia in<br />
gran parte dei pazienti ICU in condizioni<br />
cr<strong>it</strong>iche, con una soglia di inizio non più<br />
alta di 180 mg/dl (10.0 mmol/l). Una volta<br />
iniziata la terapia con insulina per via<br />
endovenosa, si dovrebbero mantenere livelli<br />
glicemici fra 140 e 180 mg/dl (7.8 and<br />
10.0 mmol/l). Mantenendosi sui valori minimi<br />
del suddetto range si potrebbero ottenere<br />
i migliori benefici. Sebbene non si<br />
abbia evidenza ben defin<strong>it</strong>a, in determinati<br />
pazienti target glicemici lievemente più<br />
bassi potrebbero rivelarsi appropriati. Si<br />
raccomanda l’utilizzo di protocolli per la<br />
somministrazione di insulina di dimostrata<br />
sicurezza ed efficacia, che comportino<br />
una bassa frequenza di eventi di ipoglicemia.<br />
Trattamento dell’iperglicemia in<br />
pazienti non in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />
In mancanza di dati prospettici ricavati<br />
da RCT che stabiliscano specifiche linee<br />
guida per pazienti non in condizioni<br />
cr<strong>it</strong>iche, le nostre raccomandazioni si basano<br />
sull’esperienza clinica e sul giudizio.<br />
Per gran parte dei pazienti non in<br />
condizioni cr<strong>it</strong>iche trattati con insulina i<br />
target glicemici prima dei pasti dovrebbero<br />
generalmente essere
zioni, non si è ancora defin<strong>it</strong>o un regime<br />
sicuro ed efficace per la suddetta transizione.<br />
Somministrazioni di insulina per via<br />
sottocutanea<br />
La somministrazione programmata<br />
di insulina per via sottocutanea cost<strong>it</strong>uisce<br />
il metodo prefer<strong>it</strong>o per raggiungere e<br />
mantenere il controllo glicemico in pazienti<br />
non ICU con diabete o iperglicemia<br />
da stress. I componenti dei regimi di<br />
somministrazione di insulina per via sottocutanea<br />
per i pazienti ricoverati sono<br />
quelli basale, nutrizionale ed un elemento<br />
supplementare (di correzione) (8,103).<br />
<strong>Num</strong>erosi preparati insulinici possono<br />
essere utilizzati per ciascun componente,<br />
secondo la s<strong>it</strong>uazione del centro di cura.<br />
I lettori potranno consultare altrove lavori<br />
recenti sui preparati insulinici e i relativi<br />
protocolli (101-106).<br />
Un argomento al quale va dedicata<br />
particolare attenzione è il persistente<br />
abuso di quello che è stato etichettato come<br />
regime “sliding scale” (SSI) per la gestione<br />
dell’iperglicemia. Il termine “insulina<br />
di correzione”, rifer<strong>it</strong>o alla somministrazione<br />
di un bolo aggiuntivo di insulina<br />
ad azione rapida, associata alla terapia<br />
già programmata, per portare i livelli<br />
di BG ai valori desiderati, viene prefer<strong>it</strong>o<br />
(8). Una terapia prolungata con la SSI come<br />
regime unico risulta inefficace in<br />
gran parte dei pazienti (potenzialmente<br />
pericolosa nei pazienti con diabete di tipo<br />
1) (106-112).<br />
Agenti non insulinici<br />
Gli agenti non insulinici non sono<br />
adatti nella gran parte dei pazienti ricoverati.<br />
Un utilizzo continuato di tali<br />
agenti può però essere appropriato per<br />
quei pazienti le cui condizioni siano stabili<br />
e che consumino i propri pasti a regolari<br />
intervalli. La somministrazione<br />
della metformina va effettuata con cautela<br />
a causa della potenziale insorgenza di<br />
controindicazioni durante la degenza,<br />
come insufficienza renale, condizioni<br />
emodinamiche instabili o la necess<strong>it</strong>à di<br />
effettuare radiografie con mezzi di contrasto<br />
(8,113). La terapia iniettiva con farmaci<br />
non insulinici come exenatide o<br />
pramlintide hanno lim<strong>it</strong>i simili a quelli<br />
dati dagli agenti somministrati per via<br />
orale in amb<strong>it</strong>o ospedaliero.<br />
Specifiche s<strong>it</strong>uazioni cliniche<br />
Pazienti che utilizzano un microinfusore.<br />
I pazienti a cui viene somministrata<br />
insulina mediante microinfusione<br />
possono essere candidati per l’auto-gestione<br />
del diabete in ospedale, purché<br />
siano mentalmente e fisicamente in grado<br />
di farlo (8,103, 114,115). È importante<br />
che il personale dell’ospedale documenti<br />
regolarmente i dosaggi basali e i boli di<br />
correzione (almeno quotidianamente). La<br />
disponibil<strong>it</strong>à di personale ospedaliero<br />
con provata pratica di somministrazione<br />
continua di insulina per via sottocutanea<br />
è di importanza essenziale (115).<br />
Pazienti nutr<strong>it</strong>i per via enterale. L’iperglicemia<br />
è un comune effetto collaterale<br />
causato dalla terapia nutrizionale<br />
per via enterale (116,117). In un recente<br />
studio, in cui si utilizzava insulina basale<br />
in combinazione con un bolo di correzione,<br />
si è raggiunto un valore glicemico<br />
medio di 160 mg/dl (8.9 mmol/l). Risultati<br />
simili si sono ottenuti nel gruppo<br />
randomizzato trattato solo con SSI; tuttavia<br />
per il 48% dei pazienti era necessaria<br />
l’aggiunta di insulina basale per raggiungere<br />
i target glicemici desiderati (109).<br />
Pazienti nutr<strong>it</strong>i per via parenterale.<br />
L’alto carico di glucosio presente nelle<br />
somministrazioni nutr<strong>it</strong>ive standard per<br />
via parenterale provoca frequentemente<br />
iperglicemia, associata a una maggiore<br />
incidenza di complicanze e mortal<strong>it</strong>à nei<br />
pazienti in ICU in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />
(118). Si raccomanda vivamente la terapia<br />
con insulina, coi target glicemici precedentemente<br />
defin<strong>it</strong>i in base alla grav<strong>it</strong>à<br />
della malattia.<br />
Pazienti trattati con glucocorticoidi.<br />
L’iperglicemia è una comune complicanza<br />
della terapia con corticosteroidi (93).<br />
Sono stati proposti parecchi approcci per<br />
il trattamento di questa condizione, ma<br />
nessun protocollo o studio pubblicato ha<br />
effettuato ricerche sull’efficacia dei suddetti<br />
approcci. Un ragionevole approccio<br />
consiste nell’effettuare il mon<strong>it</strong>oraggio<br />
glicemico per almeno 48 ore in tutti i pazienti<br />
a cui vengono somministrate alte<br />
dosi di glucocorticoidi e nel somministrare<br />
la terapia con insulina ove sia appropriato<br />
(94). Nei pazienti già trattati<br />
per l’iperglicemia si raccomanda di effettuare<br />
gli aggiustamenti dei dosaggi di insulina<br />
(119). È importante puntualizzare<br />
che durante la terapia con corticosteroidi<br />
andrebbe effettuato un aggiustamento<br />
proattivo dei dosaggi di insulina, per<br />
ev<strong>it</strong>are eventi di ipoglicemia.<br />
DOMANDA N. 4: LA<br />
GESTIONE<br />
DELL’IPERGLICEMIA DEI<br />
PAZIENTI RICOVERATI È UNA<br />
QUESTIONE DI SICUREZZA?<br />
Sovratrattamento e sottotrattamento<br />
dell’iperglicemia rappresentano questioni<br />
di sicurezza della massima importanza<br />
nei pazienti, diabetici e non, ricoverati<br />
in oespedale (90,120,121). Timore dell’ipoglicemia,<br />
inerzia clinica ed errori medici<br />
sono gli ostacoli ad un controllo glicemico<br />
ottimale (90,122-131). In gran parte<br />
delle s<strong>it</strong>uazioni cliniche, un controllo<br />
DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
glicemico sicuro e ragionevole può essere<br />
raggiunto mediante un’adeguata somministrazione<br />
di insulina, aggiustata secondo<br />
i risultati dell’osservazione del<br />
trend glicemico del paziente<br />
(102,106,109).<br />
Le s<strong>it</strong>uazioni cliniche che aumentano<br />
il rischio di ipoglicemia e iperglicemia<br />
durante un ricovero sono:<br />
1. Variazioni dell’assunzione di calorie<br />
o carboidrati (nessuna assunzione di<br />
cibo, nutrizione per via enterale o per<br />
via parenterale) (94,128)<br />
2. Variazioni della condizione clinica o<br />
dei farmaci (ad esempio, corticosteroidi<br />
o vasocostr<strong>it</strong>tori) (93,98)<br />
3. Mancato aggiustamento da parte del<br />
medico della terapia in base ai trend<br />
quotidiani dei valori di BG (102,128)<br />
4. Utilizzo prolungato di SSI come monoterapia<br />
(107,108)<br />
5. Scarsa coordinazione dei test della<br />
BG e della somministrazione di insulina<br />
rispetto ai pasti (121,129)<br />
6. Scarsa comunicazione tra paziente e<br />
medici nei trasferimenti da un’un<strong>it</strong>à<br />
di cura all’altra (120,121)<br />
7. Utilizzo di sulfoniluree a lento rilascio<br />
in pazienti anziani o in pazienti<br />
con insufficienza renale o epatica<br />
8. Errori di prescrizione e di trascrizione<br />
(102,120)<br />
L’ipoglicemia cost<strong>it</strong>uisce uno dei<br />
principali motivi di preoccupazione<br />
quando si somministrano insulina e secretagoghi<br />
dell’insulina. L’ipoglicemia<br />
può verificarsi spontaneamente nei pazienti<br />
con sepsi (130) o nei pazienti trattati<br />
con determinati farmaci, tra cui antibiotici<br />
chinolonici o agonisti β-adrenergici.<br />
Sebbene non si possano ev<strong>it</strong>are tutti<br />
gli episodi di ipoglicemia, l’utilizzo di<br />
protocolli di trattamento dell’ipoglicemia<br />
da parte del personale san<strong>it</strong>ario, che intervenga<br />
prontamente ogni qualvolta i livelli<br />
di BG sono
DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
ti ricoverati con diagnosi primaria diversa<br />
dal diabete (128). Tale inazione può<br />
essere in parte dovuta a scarsa conoscenza<br />
o fiducia nella gestione del diabete<br />
(123,133). Le cure apportate possono essere<br />
migliorate con continui corsi di addestramento<br />
e aggiornamento (134,135).<br />
Possibili errori legati all’insulina<br />
L’insulina è un farmaco da utilizzare<br />
con la massima attenzione per via del rischio<br />
derivante da errori nella sua prescrizione,<br />
trascrizione o dosaggio (136).<br />
La vera frequenza di tali errori non è nota,<br />
poiché i dati disponibili dipendono<br />
dalla volontaria comunicazione di tali errori<br />
(102,1<strong>37</strong>), e i meccanismi per un’analisi<br />
in tempo reale delle cause di tali errori<br />
non sono disponibili in gran parte degli<br />
ospedali.<br />
Mon<strong>it</strong>oraggio glicemico<br />
Il mon<strong>it</strong>oraggio della BG dei pazienti<br />
ricoverati viene effettuato mediante glucometri<br />
“point of care” (POC) prima dei<br />
pasti e la sera. È importante ev<strong>it</strong>are l’utilizzo<br />
routinario serale di boli di correzione<br />
di insulina. Nei pazienti sottoposti a<br />
nutrizione continua per via parenterale il<br />
mon<strong>it</strong>oraggio glicemico viene effettuato<br />
a livello ottimale ogni 4-6 ore. Nei pazienti<br />
che ricevono nutrizione per via enterale<br />
a cicli o nutrizione per via parenterale<br />
le tabelle orarie di mon<strong>it</strong>oraggio potranno<br />
essere personalizzate, ma dovranno<br />
essere sufficientemente frequenti per<br />
individuare gli eventi di iperglicemia durante<br />
la nutrizione e il rischio di ipoglicemia<br />
quando la nutrizione sarà interrotta<br />
(109,112). Analisi più frequenti della BG,<br />
effettuate con una frequenza che va da 30<br />
minuti a 2 ore, saranno necessarie per i<br />
pazienti sottoposti a somministrazione di<br />
insulina per via endovenosa.<br />
Misuratori della glicemia<br />
Un controllo glicemico sicuro e razionale<br />
fa affidamento sull’accuratezza delle<br />
misurazioni di BG esegu<strong>it</strong>e mediante<br />
glucometri POC, che hanno parecchie<br />
importanti lim<strong>it</strong>azioni. Sebbene la U.S.<br />
Food and Drug Administration calcoli<br />
un margine di errore del 20% per i glucometri,<br />
l’adeguatezza di tali cr<strong>it</strong>eri è stata<br />
messa in discussione (138). Le misurazioni<br />
glicemiche differiscono in modo significativo<br />
tra plasma e sangue, termini<br />
spesso utilizzati interscambievolmente e<br />
che possono essere facilmente equivocati.<br />
La maggior parte dei glucometri in<br />
commercio utilizza un fattore di correzione<br />
corrispondente a ~1.12 per dare un<br />
valore “plasma-aggiustato” (139).<br />
Discrepanze significative tra campioni<br />
plasmatici capillari, venosi e arteriosi<br />
sono state riscontrate in pazienti con basse<br />
o alte concentrazioni di emoglobina,<br />
28<br />
ipoperfusione o presenza di sostanze che<br />
causavano interferenze (139,140). La variabil<strong>it</strong>à<br />
anal<strong>it</strong>ica è stata descr<strong>it</strong>ta con parecchi<br />
glucometri POC (141). Qualsiasi<br />
risultato glicemico che non sia in correlazione<br />
con la condizione clinica del paziente<br />
andrebbe confermato mediante<br />
l’analisi convenzionale della glicemia<br />
plasmatica effettuata in laboratorio.<br />
Sebbene interferenze e variabil<strong>it</strong>à nella<br />
misurazione della glicemia plasmatica<br />
in laboratorio siano minori, l’effettuazione<br />
di prelievi venosi quotidiani multipli<br />
non è agevole. L’utilizzo, inoltre, di linee<br />
permanenti come fonte di campionamento<br />
presenta rischi di infezione. Gli studi<br />
esegu<strong>it</strong>i mediante l’uso di sistemi di mon<strong>it</strong>oraggio<br />
glicemico interstiziale continuo<br />
nei centri di cura (142,143) sono attualmente<br />
lim<strong>it</strong>ati, a causa dei loro costi<br />
e della non affidabil<strong>it</strong>à delle misurazioni<br />
di BG nel range ipoglicemico.<br />
DOMANDA N. 5: QUALI<br />
SISTEMI SONO NECESSARI<br />
PER SODDISFARE LE<br />
SUDDETTE<br />
RACCOMANDAZIONI?<br />
La compless<strong>it</strong>à del controllo glicemico<br />
dei pazienti ricoverati necess<strong>it</strong>a di un<br />
approccio sistematico che consenta una<br />
pratica sicura e riduca il rischio di errore<br />
(120,121). È essenziale che vi siano sistemi<br />
che utilizzino appropriatamente gli<br />
schemi di terapia terapia insulinica, con<br />
formazione a livello ist<strong>it</strong>uzionale di personale<br />
esperto nella gestione dei livelli<br />
glicemici, per ottenere livelli di controllo<br />
glicemico ragionevolmente sicuri nei pazienti<br />
ricoverati. I lettori potranno leggere<br />
la dichiarazione di consenso<br />
ACE/ADA del 2006, che illustra i sistemi<br />
necessari per promuovere un’efficace<br />
controllo della glicemia nei centri di cura<br />
(11). Alcune delle suddette raccomandazioni<br />
sono brevemente rivedute nei paragrafi<br />
seguenti.<br />
Il successo di qualsiasi programma di<br />
gestione della glicemia dipende dalla capac<strong>it</strong>à<br />
degli amministratori dei centri<br />
ospedalieri di fornire sostegni finanziari,<br />
con la consapevolezza dei tagli dei costi<br />
derivanti dalla riduzione di morbid<strong>it</strong>à,<br />
durata della degenza e nuovi ricoveri.<br />
Tale sostegno è necessario per coprire i<br />
costi inerenti all’aggiornamento, alle dotazioni<br />
e all’impiego di personale necessari<br />
per un programma di gestione del<br />
diabete dei degenti (144).<br />
La creazione di una commissione<br />
multidisciplinare guidata da esperti locali<br />
nel campo del diabete può stabilire<br />
obiettivi di gestione della glicemia ragionevoli<br />
e raggiungibili mediante l’utilizzo<br />
di protocolli e regole codificate (90). Li-<br />
nee guida prestampate o computerizzate,<br />
accompagnate da un adeguato sostegno<br />
tecnico, saranno strumenti utili per una<br />
corretta terapia (8,11,145). Tali strumenti<br />
potranno aiutare a prevenire determinate<br />
contingenze inerenti alla sicurezza del<br />
paziente, come la non somministrazione<br />
della dose prandiale di insulina se il paziente<br />
non mangia (102). I protocolli dovranno<br />
essere periodicamente riveduti e<br />
corretti secondo l’evidenza a disposizione.<br />
La conoscenza da parte del personale<br />
medico riguardo molti aspetti inerenti la<br />
cura dei pazienti diabetici ricoverati è<br />
spesso insufficiente (133). L’istruzione<br />
del personale è pertanto essenziale, in<br />
particolare durante la prima fase di implementazione<br />
(101,127). La comunicazione<br />
formale tra le varie discipline e servizi<br />
contribuisce all’attivazione da parte<br />
del personale ospedaliero di nuove pratiche<br />
e protocolli, oltre a fornire una sede<br />
appropriata ove sarà possibile individuare<br />
cr<strong>it</strong>ic<strong>it</strong>à di rilievo.<br />
Per molti centri di cura vi è la difficoltà<br />
di coordinare la distribuzione dei<br />
pasti con la somministrazione prandiale<br />
di insulina (130), oltre alla variabil<strong>it</strong>à inerente<br />
al conteggio dei carboidrati nei pasti<br />
(94). È dunque necessario coordinare<br />
un’appropriata somministrazione dell’insulina<br />
rispetto ai pasti, che tenga conto<br />
delle variazioni presenti nei pasti distribu<strong>it</strong>i<br />
(122). Un altro approccio può essere<br />
quello di promuovere la coordinazione<br />
del mon<strong>it</strong>oraggio glicemico con la<br />
somministrazione di insulina e la distribuzione<br />
dei pasti, particolarmente durante<br />
i cambi di turno e gli orari di trasferimento<br />
dei pazienti (121,122).<br />
Sistemi che adottino cartelle cliniche<br />
computerizzate, con informazioni immesse<br />
telematicamente dal personale<br />
medico possono migliorare la diffusione<br />
delle informazioni, inclusi i risultati riportati<br />
dai glucometri POC e le somministrazioni<br />
effettuate, fattori tutti che<br />
possono contribuire a ridurre gli errori<br />
da parte del personale medico. Tali sistemi<br />
possono anche fornire l’accesso ad algor<strong>it</strong>mi,<br />
protocolli e mezzi che contribuiscono<br />
ad effettuare le giuste scelte terapeutiche<br />
(146,147).<br />
DOMANDA N. 6: IL<br />
TRATTAMENTO<br />
DELL’IPERGLICEMIA NEI<br />
PAZIENTI RICOVERATI È<br />
EFFICIENTE IN TERMINI DI<br />
COSTO?<br />
Un programma di controllo glicemico<br />
dei pazienti ricoverati con obiettivi predeterminati<br />
avrà costi associati, dovuti a<br />
un aumento dell’impegno orario di me-<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
dici, infermieri, farmacisti e ai costi di altri<br />
servizi. Tali costi vanno considerati<br />
come investimenti a breve termine che si<br />
tramuteranno in risparmio a lungo termine<br />
grazie ai migliorati es<strong>it</strong>i clinici con<br />
diminuzioni di LOS, complicanze per i<br />
pazienti e necess<strong>it</strong>à di nuovi ricoveri<br />
(148-155).<br />
Si sono effettuate analisi farmaco-economiche<br />
che hanno esaminato il rapporto<br />
costo-efficacia del miglioramento del controllo<br />
glicemico nei centri di cura<br />
(148,149). Nel Portland Diabetic Project,<br />
uno studio prospettico non randomizzato<br />
della durata di 17 anni su 4864 pazienti<br />
diabetici sottoposti ad intervento chirurgico<br />
a cuore aperto, la somministrazione di<br />
una terapia insulinica continua per via endovenosa,<br />
mirata a raggiungere livelli target<br />
di BG predeterminati, ha ridotto del<br />
66% l’incidenza di infezioni delle fer<strong>it</strong>e<br />
sternali profonde, risultando in un risparmio<br />
netto totale per l’ente ospedaliero di<br />
USD 4.638,00 a paziente (148). In un altro<br />
studio il controllo glicemico intensivo effettuato<br />
su 1600 pazienti trattati in ICU<br />
medica era associato ad un risparmio totale<br />
di USD 1.580,00 a paziente (149). Van<br />
den Berghe et al. hanno rifer<strong>it</strong>o un risparmio<br />
di USD 3.476,00 a paziente ottenuto<br />
mediante uno stretto controllo dei livelli<br />
di BG, in un’analisi post hoc delle risorse<br />
utilizzate per i propri pazienti ICU sottoposti<br />
a intervento chirurgico e ventilati<br />
meccanicamente. In un’analisi retrospettiva<br />
di pazienti sottoposti ad intervento di<br />
innesto di bypass coronarico, ad ogni aumento<br />
di 50 mg/dl (2.8 mmol/l) dei valori<br />
di BG verificatosi a partire dal giorno<br />
dell’intervento corrispondeva un costo<br />
per l’ospedale di USD 1.769,00 ed un aumento<br />
in termini di durata della degenza<br />
di 0,76 giorni (151). In un centro di cura<br />
terziario l’implementazione di un programma<br />
di gestione del diabete per ridurre<br />
il livello medio di BG di 26 mg/dl (1.4<br />
mmol/l) (177–151 mg/dl [9.8–8.4<br />
mmol/l]) ha apportato riduzioni significative<br />
della LOS (0,26 giorni), oltre ad un<br />
risparmio di cure in ospedale stimato in<br />
più di USD 2.000.000,00 l’anno (152). In<br />
un altro studio, l’implementazione di un<br />
protocollo di somministrazione di insulina<br />
per via sottocutanea per il trattamento<br />
di pazienti con iperglicemia ricoverati<br />
d’urgenza ha dato come risultato una riduzione<br />
della degenza in ospedale di 1,5<br />
giorni (153).<br />
DOMANDA N. 7: QUALI<br />
SONO LE STRATEGIE<br />
OTTIMALI PER IL PASSAGGIO<br />
ALLE CURE AMBULATORIALI?<br />
La preparazione al passaggio alle cure<br />
ambulatoriali rappresenta un obiettivo<br />
importante per la gestione dei degenti<br />
diabetici, che ha inizio con il loro ricovero<br />
in ospedale. Ciò implica un fondamentale<br />
passaggio di responsabil<strong>it</strong>à, da<br />
una s<strong>it</strong>uazione in cui lo staff dell’ospedale<br />
fornisce le cure diabetiche, fino al momento<br />
in cui il paziente è capace di autogestirsi.<br />
Perché tale transizione abbia<br />
successo è necessaria la coordinazione di<br />
un team che comprende medici, infermieri,<br />
dietisti, esperti e assistenti sociali<br />
(8). I centri di cura dotati di educatori al<br />
diabete di comprovata esperienza potranno<br />
avvalersi delle loro capac<strong>it</strong>à<br />
quando il paziente verrà dimesso.<br />
Dall’esame effettuato al momento del<br />
ricovero si ottengono informazioni riguardanti<br />
la precedente storia di diabete<br />
o iperglicemia, la sua gestione e il livello<br />
di controllo glicemico. Una pronta valutazione<br />
del paziente, riguardante capac<strong>it</strong>à<br />
cogn<strong>it</strong>ive, livello di istruzione, acutezza<br />
visiva, destrezza, livello culturale e<br />
condizioni economiche necessarie per acquisire<br />
farmaci e strumenti per la cura<br />
del diabete a casa, farà sì che il tempo necessario<br />
per preparare il paziente a gestire<br />
i problemi inerenti al suo caso sia sufficiente.<br />
Il ricovero in ospedale fornisce<br />
un’opportun<strong>it</strong>à unica per educare il paziente<br />
all’autogestione del diabete (3).<br />
Poiché la LOS media in un centro di cura<br />
è sol<strong>it</strong>amente < 5 giorni (2) e la capac<strong>it</strong>à<br />
di apprendere nuove informazioni può<br />
essere lim<strong>it</strong>ata durante la fase acuta della<br />
malattia, l’istruzione riguardante il diabete<br />
si lim<strong>it</strong>a frequentemente ad un inventario<br />
di “norme di sopravvivenza”<br />
fondamentali.<br />
Si raccomanda di rivedere i seguenti<br />
punti insieme al paziente prima che venga<br />
dimesso (8):<br />
• Grado di comprensione riguardo alla<br />
diagnosi di diabete<br />
• Automon<strong>it</strong>oraggio della BG e spiegazione<br />
degli obiettivi di BG da raggiungere<br />
a casa<br />
• Definizione, riconoscimento, trattamento<br />
e prevenzione di iperglicemia<br />
ed ipoglicemia<br />
• Identificazione del medico che avrà<br />
in cura il paziente diabetico dopo la<br />
sua dimissione<br />
• Informazioni sulle ab<strong>it</strong>udini alimentari<br />
• Quando e come assumere farmaci<br />
per abbassare i livelli di BG, compresa<br />
la somministrazione di insulina (se<br />
al paziente verrà somministrata insulina<br />
per la gestione a casa)<br />
• La gestione di una malattia intercorrente<br />
• Adeguato utilizzo e smaltimento di<br />
aghi e siringhe<br />
DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
Errori di prescrizione ed eventi indesiderati<br />
causati dai farmaci sono stati attribu<strong>it</strong>i<br />
alle scarse istruzioni impart<strong>it</strong>e al<br />
paziente al momento della sua dimissione<br />
(156,157). Ciò vale particolarmente<br />
per i regimi di trattamento con insulina,<br />
maggiormente complessi. Poiché è possibile<br />
che il paziente non rammenti le<br />
istruzioni che gli verranno date il giorno<br />
in cui verrà dimesso (158), sarà bene che<br />
gli vengano date chiare istruzioni in forma<br />
scr<strong>it</strong>ta, che saranno per lui e per il<br />
suo medico un punto di riferimento e cost<strong>it</strong>uiranno<br />
un elemento fondamentale<br />
per la transizione dall’ospedale alla autogestione.<br />
In un recente studio si è osservato<br />
che uno specifico modulo contenente<br />
istruzioni dettagliate riguardanti la<br />
somministrazione di insulina dopo la dimissione<br />
risultava più chiaro e più esauriente,<br />
in mer<strong>it</strong>o ai dosaggi dell’insulina<br />
e all’auto mon<strong>it</strong>oraggio della BG, rispetto<br />
ad un generico foglio ospedaliero di dimissioni<br />
(159).<br />
Si consiglia di effettuare in ospedale<br />
una vis<strong>it</strong>a di follow-up in presenza del<br />
san<strong>it</strong>ario che avrà in cura il paziente entro<br />
un mese dalle dimissioni, soprattutto<br />
in quei pazienti che hanno avuto eventi<br />
di iperglicemia durante il ricovero in<br />
ospedale (8). Una chiara comunicazione,<br />
diretta o scr<strong>it</strong>ta, con colui che seguirà il<br />
paziente renderà più facile a quest’ultimo<br />
la transizione alla fase successiva alle<br />
dimissioni. Le informazioni riguardanti<br />
la causa o il piano per determinare la<br />
causa dell’iperglicemia, delle complicanze<br />
e comorbid<strong>it</strong>à correlate, e i trattamenti<br />
raccomandati potranno essere di aiuto a<br />
coloro che avranno in cura i pazienti diabetici<br />
ambulatoriali.<br />
DOMANDA N. 8: QUALI<br />
SONO LE FUTURE AREE DI<br />
RICERCA?<br />
I seguenti punti sono gli argomenti di<br />
ricerca e le domande proposte per migliorare<br />
la gestione dei pazienti con iperglicemia<br />
durante la degenza in un centro<br />
di cura.<br />
Iperglicemia da stress<br />
• Quali sono i meccanismi soggiacenti?<br />
• Quali anormal<strong>it</strong>à hanno portato alla<br />
variabil<strong>it</strong>à dell’insulinoresistenza osservata<br />
in alcuni pazienti in condizioni<br />
cr<strong>it</strong>iche?<br />
• Quali modal<strong>it</strong>à terapeutiche, in aggiunta<br />
al controllo glicemico, migliorano<br />
la prognosi dei pazienti in condizioni<br />
cr<strong>it</strong>iche con iperglicemia?<br />
• Vi sono target glicemici ottimali e sicuri,<br />
specifici per determinate popolazioni<br />
di pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche?<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 29
DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
Ipoglicemia severa<br />
• Qual è il profilo dei degenti a più alto<br />
rischio di ipoglicemia severa?<br />
• Quali sono gli es<strong>it</strong>i a breve e a lungo<br />
termine dei pazienti che hanno episodi<br />
di ipoglicemia severa?<br />
• Quali sono i costi effettivi dell’ipoglicemia<br />
nei degenti?<br />
Target glicemici nei reparti di medicina<br />
e chirurgia generale<br />
• Quali sono i target glicemici ottimali<br />
e sicuri dei pazienti ricoverati non in<br />
condizioni cr<strong>it</strong>iche? Tra gli end point<br />
raccomandati per un RCT vi sono frequenza<br />
di ipoglicemia, infezioni contratte<br />
durante il ricovero, altre complicanze<br />
verificatesi durante il ricovero,<br />
LOS e nuovo ricovero.<br />
Variabil<strong>it</strong>à glicemica<br />
• Qual è l’effetto della variabil<strong>it</strong>à glicemica<br />
e la portata della variazione della<br />
glicemia sugli es<strong>it</strong>i a breve e a lungo<br />
termine, in condizioni di ICU e<br />
non ICU?<br />
Sistemi ospedalieri e sicurezza<br />
• Quali sistemi ospedalieri e misure di<br />
sicurezza sono importanti per migliorare<br />
il controllo glicemico e gli es<strong>it</strong>i<br />
clinici dei pazienti?<br />
• Quali team e sistemi di sostegno sono<br />
richiesti per una transizione sicura ed<br />
efficace dei pazienti dal ricovero alla<br />
domiciliarizzazione?<br />
Trattamento insulinico e strumenti di<br />
mon<strong>it</strong>oraggio<br />
• Quali sono le strategie sicure ed efficaci<br />
per il trattamento con insulina e<br />
analoghi dell’insulina dei pazienti ricoverati?<br />
• Qual è il ruolo dei sistemi di mon<strong>it</strong>oraggio<br />
glicemico continuo nei centri<br />
di cura?<br />
Pazienti ricoverati in età pediatrica<br />
• Quali sono i target glicemici ottimali<br />
e sicuri per i soggetti in età pediatrica<br />
ricoverati ma non in condizioni cr<strong>it</strong>iche?<br />
SOMMARIO DELLE<br />
RACCOMANDAZIONI<br />
I. Pazienti in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />
• La terapia con insulina andrebbe avviata<br />
per il trattamento di una iperglicemia<br />
persistente, iniziando per<br />
valori non più alti di180 mg/dl (10.0<br />
mmol/l).<br />
• Una volta iniziata la terapia con insu-<br />
30<br />
lina, si raccomanda un obiettivo glicemico<br />
di 140–180 mg/dl (7.8–10.0<br />
mmol/l) nella maggior parte dei pazienti<br />
in condizioni cr<strong>it</strong>iche.<br />
• La somministrazione di insulina per<br />
via endovenosa è il metodo prefer<strong>it</strong>o<br />
per raggiungere e mantenere il controllo<br />
glicemico dei pazienti in condizioni<br />
cr<strong>it</strong>iche.<br />
• Si raccomanda l’uso di protocolli collaudati,<br />
di dimostrata sicurezza ed efficacia,<br />
con basso rischio di ipoglicemia.<br />
• Col trattamento con insulina somministrata<br />
per via endovenosa è essenziale<br />
che vi sia un frequente mon<strong>it</strong>oraggio<br />
glicemico, per minimizzare i<br />
rischi di ipoglicemia e per raggiungere<br />
un controllo glicemico ottimale.<br />
II. Pazienti non in condizioni cr<strong>it</strong>iche<br />
• Nella maggior parte dei pazienti trattati<br />
con insulina non in condizioni<br />
cr<strong>it</strong>iche, i livelli target di BG prima<br />
dei pasti dovrebbero generalmente<br />
essere
DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 31
DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
32<br />
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DIABETES CARE, JUNE 2009<br />
34<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
Confronto tra analoghi dell’insulina e<br />
insulina umana nel trattamento dei<br />
pazienti con chetoacidosi diabetica<br />
Un trial randomizzato controllato<br />
GUILLERMO E. UMPIERREZ, MD 1 CRISPIN SEMAKULA, MD 2<br />
SIDNEY JONES, MD 2 DENISE UMPIERREZ, BA 1<br />
DAWN SMILEY, MD 1 LIMIN PENG, PHD 3<br />
PATRICK MULLIGAN, BA 1 MIGUEL CERÓN, MD 1<br />
TREVOR KEYLER 2 GONZALO ROBALINO, MD 1<br />
ANGEL TEMPONI, MD 1<br />
OBIETTIVO – Confrontare sicurezza ed efficacia degli analoghi dell’insulina e<br />
insulina umana sia durante il trattamento acuto per via endovenosa che durante la<br />
transizione alla somministrazione di insulina per via sottocutanea in pazienti con<br />
chetoacidosi diabetica (DKA).<br />
DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – In uno studio open-label<br />
multicentrico controllato, pazienti con DKA sono stati assegnati random per ricevere<br />
trattamento con insulina regolare o glulisina per via endovenosa fino alla scomparsa<br />
della DKA. Dopo aver risolto la chetoacidosi, i pazienti trattati con insulina regolare<br />
per via endovenosa effettuavano la transizione ad insulina NPH ed insulina regolare<br />
sottocute due volte al giorno (n = 34). I pazienti trattati con insulina glulisina per via<br />
endovenosa passavano ad insulina glargina una volta al giorno e glulisina prima dei<br />
pasti per via sottocutanea (n = 34).<br />
RISULTATI – Non vi erano differenze nella durata media del trattamento o della<br />
quant<strong>it</strong>à di insulina somministrata fino alla risoluzione della DKA tra i trattamenti<br />
con insulina regolare e glulisina per via endovenosa. Dopo la transizione all’insulina<br />
per via sottocutanea, non vi erano differenze nei livelli medi giornalieri di glucosio,<br />
ma nei pazienti trattati con NPH ed insulina regolare vi era una maggiore frequenza<br />
di ipoglicemia (livelli di glucosio
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
tamento tra insulina regolare e analoghi<br />
dell’insulina ad azione rapida durante il<br />
trattamento acuto per via endovenosa<br />
della DKA e 2) determinare le differenze<br />
tra il trattamento con glargina associata a<br />
glulisina ed un regime “spl<strong>it</strong>-mixed” di<br />
insulina NPH associata ad insulina regolare<br />
dopo la transizione all’insulina per<br />
via sottocutanea in segu<strong>it</strong>o alla risoluzione<br />
della DKA.<br />
DISEGNO DELLA RICERCA E<br />
METODI<br />
74 pazienti con DKA sono stati assegnati<br />
a random a questo studio. Di questi,<br />
sei venivano esclusi; quattro r<strong>it</strong>iravano il<br />
proprio consenso prima o poco dopo l’inizio<br />
della terapia insulinica, un paziente riceveva<br />
insulina glargina prima della risoluzione<br />
della DKA ed un paziente era trattato<br />
con insulina aspart per via endovenosa<br />
invece di insulina regolare. I rimanenti<br />
68 pazienti cost<strong>it</strong>uivano la popolazione<br />
dello studio. La diagnosi di DKA era formulata<br />
secondo cr<strong>it</strong>eri standard (8). Sono<br />
stati esclusi pazienti con pressione sistolica<br />
Tabella – Caratteristiche dei pazienti al loro ingresso nello studio<br />
± 2.2 giorni) e tra quelli trattati con NPH<br />
e insulina regolare (3.3 ± 2.2 giorni) (NS).<br />
I parametri biochimici al momento<br />
dell’ingresso in studio e durante il trattamento<br />
risultavano simili nei pazienti<br />
Analoghi dell’insulina Insulina umana<br />
(glulisina/glargina) (NPH/regolare)<br />
n 34 34<br />
Età (anni) 39 ± 12 38 ± 12<br />
Sesso (maschile/femminile) 22/12 23/11<br />
Razza<br />
Afro-americana 29 27<br />
Caucasica 4 6<br />
Altro 1<br />
BMI (kg/m 2 ) 29 ± 9 27 ± 7<br />
Causa precip<strong>it</strong>ante la DKA<br />
Scarsa compliance 20 (59) 27 (79)<br />
Diabete di nuova insorgenza 6 (18)<br />
Altre malattie 8 (23) 7 (21)<br />
Glucosio (mg/dl) 529 ± 173 564 ± 164<br />
Bicarbonato (mEq/l) 12.8 ± 4.5 12.5 ± 5.0<br />
pH venoso 7.2 ± 0.1 7.1 ± 0.2<br />
Gap anionico (mEq/l) 22 ± 6 22 ± 6<br />
β-idrossibutirrato (mmol/l) 8.0 ± 3.4 7.4 ± 3.3<br />
HbA1c (%) 11.7 ± 2.2 11.7 ± 2.9<br />
I dati sono medie ± SD o n (%).<br />
Glicemia (mg/dL)<br />
Bicabornati (mE/qL)<br />
Durata del trattamento (ore)<br />
trattati con glulisina e insulina regolare<br />
per via endovenosa (NS). Le variazioni<br />
dei livelli di glucosio e dei parametri di<br />
acidosi durante il trattamento sono riportati<br />
in Fig. 1. Come sugger<strong>it</strong>o dall’a-<br />
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
nalisi per misurazioni ripetute, la diminuzione<br />
delle concentrazioni di glucosio<br />
e le variazioni dei parametri di acidosi<br />
durante il trattamento non differivano significativamente<br />
tra i gruppi, dopo aggiustamenti<br />
per età, sesso, razza e BMI<br />
(NS). La durata media del trattamento fino<br />
alla soluzione della chetoacidosi non<br />
era statisticamente differente tra il gruppo<br />
trattato con glulisina (8.9 ± 4.7 h) e il<br />
gruppo trattato con insulina regolare<br />
(10.5 ± 6.3 h) (NS). Alla risoluzione della<br />
DKA, le concentrazioni medie di glucosio<br />
e dei parametri di acidosi nei pazienti<br />
trattati con glulisina (glucosio 153 ± 61<br />
mg/dl, bicarbonato 20 ± 3 mmol/l, pH<br />
7.33 ± 0.04 e gap anionico 8.3 ± 2.1<br />
mEq/l) risultavano simili a quelle dei<br />
pazienti trattati con insulina regolare per<br />
via endovenosa (glucosio 185 ± 58<br />
mg/dl, bicarbonato 19.5 ± 3.7 mEq/l, pH<br />
7.32 ± 0.04 e gap anionico 9 ± 3 mEq/l).<br />
Durante la somministrazione di insulina,<br />
sei pazienti trattati con glulisina e quattro<br />
trattati con insulina regolare avevano<br />
valori glicemici
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
Tabella 2 – Eventi ipoglicemici durante il trattamento con insulina per via endovenosa<br />
e sottocutanea<br />
Terapia insulinica per via endovenosa Glulisina Regolare<br />
Pazienti con BG
tuati in pazienti con DKA erano incentrati<br />
sulla quant<strong>it</strong>à e sulle modal<strong>it</strong>à della somministrazione<br />
di insulina durante il trattamento<br />
della fase acuta della chetoacidosi<br />
(2,3). Pochi studi invece hanno esaminato<br />
il periodo di transizione all’insulina per<br />
via sottocutanea. Pertanto, il nostro scopo<br />
in questo studio era anche di confrontare<br />
le differenze di trattamento tra gli analoghi<br />
dell’insulina in regime basale-bolo e<br />
insulina NPH ed insulina regolare dopo<br />
la risoluzione della DKA. Non si sono riscontrate<br />
differenze nelle concentrazioni<br />
glicemiche medie tra i gruppi; tuttavia, gli<br />
eventi ipoglicemici erano più frequenti<br />
nei pazienti trattati con NPH ed insulina<br />
regolare (41%) rispetto ai soggetti trattati<br />
con insulina in regime basale-bolo (15%)<br />
(P < 0.03). La frequenza degli eventi ipoglicemici<br />
in questo studio è analoga a<br />
quella precedentemente riportata riguardante<br />
l’adozione di NPH e insulina regolare<br />
dopo l’interruzione della terapia per<br />
via endovenosa (3,9). La maggiore frequenza<br />
di ipoglicemie con insulina umana<br />
è dovuta alle caratteristiche farmacologiche<br />
e alla durata del picco di attiv<strong>it</strong>à di<br />
NPH e insulina regolare (10), così come<br />
alla variabil<strong>it</strong>à di assorbimento da un<br />
giorno all’altro (11). La NPH inizia la propria<br />
azione in un periodo che varia tra le<br />
2 e le 4 h, ha un picco di concentrazione a<br />
~6–8 h, e una durata d’azione fino a 20 h<br />
(19). L’insulina umana regolare inizia la<br />
propria azione in 30 min, raggiunge il picco<br />
in 2–3 h per via sottocutanea, e la sua<br />
durata d’azione è di 6–8 h (19). La combinazione<br />
di analoghi dell’insulina basale e<br />
a rapida azione rappresenta un approccio<br />
maggiormente fisiologico verso il controllo<br />
glicemico in ospedale. La glargina è<br />
un’insulina basale, a lento rilascio, senza<br />
attiv<strong>it</strong>à di picco, che inizia la propria azione<br />
dopo ~2 h, ha un plateau di azione biologica<br />
a 4-6 h e durata d’azione fino a 24 h<br />
(20). La glulisina inizia la propria azione<br />
in tempi più rapidi e, iniettata per via sottocutanea,<br />
ha una durata d’azione più<br />
breve rispetto all’insulina regolare (21,22).<br />
In sintonia con questi risultati abbiamo recentemente<br />
riportato che un algor<strong>it</strong>mo basale-bolo<br />
con glargina e glulisina rappresenta<br />
un intervento efficace per il controllo<br />
glicemico con una bassa frequenza di<br />
eventi ipoglicemici (3%) nei pazienti ricoverati<br />
con diabete di tipo 2 (14). Più di recente,<br />
abbiamo riportato che nel 38% dei<br />
pazienti ricoverati, trattati con una combinazione<br />
di NPH e insulina regolare, vi<br />
erano uno o più episodi di glicemia
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
40<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
Rapporto dell’International<br />
Expert Comm<strong>it</strong>tee sul ruolo del test<br />
dell’HbA1c nella diagnosi di diabete<br />
THE INTERNATIONAL EXPERT COMMITTEE*<br />
L’International Expert Comm<strong>it</strong>tee, con<br />
membri nominati dall’American Diabetes<br />
Association, l’European Association for the<br />
Study of Diabetes e l’International Diabetes<br />
Federation, si è riun<strong>it</strong>a nel 2008 per valutare<br />
i mezzi per la diagnosi del diabete attuali e<br />
futuri in persone non in gravidanza. La relazione<br />
dell’International Comm<strong>it</strong>tee rappresenta<br />
il punto di vista dei propri membri e<br />
non necessariamente il punto di vista delle<br />
organizzazioni che li hanno nominati. L’International<br />
Expert Comm<strong>it</strong>tee spera che la<br />
propria relazione servirà come stimolo per la<br />
comun<strong>it</strong>à internazionale e le organizzazioni<br />
professionali a prendere in considerazione<br />
l’uso del test dell’HbA1c per la diagnosi del<br />
diabete.<br />
Il diabete è una malattia caratterizzata<br />
da anomalie del metabolismo, in modo<br />
particolare l’iperglicemia, associate ad<br />
un elevato rischio di complicanze a lungo<br />
termine relativamente specifiche, che<br />
possono interessare occhi, reni e sistema<br />
nervoso. Sebbene il diabete aumenti notevolmente<br />
anche il rischio di malattie<br />
cardiovascolari, queste non sono specifiche<br />
del diabete e il loro rischio non è stato<br />
incluso in precedenti definizioni o<br />
classificazioni di diabete o di iperglicemia<br />
subdiabetica.<br />
Premessa<br />
Diagnosi di diabete basata sulla<br />
distribuzione dei livelli glicemici<br />
La misurazione della glicemia è il<br />
mezzo storicamente utilizzato per diagnosticare<br />
il diabete. Il diabete di tipo 1<br />
ha esordio clinico sufficientemente caratteristico,<br />
con un aumento netto, relativamente<br />
acuto, della concentrazione di glucosio<br />
accompagnato da sintomi tali, nella<br />
maggior parte dei casi, da non richiedere<br />
cut point glicemici specifici per la diagnosi.<br />
Invece il diabete di tipo 2 ha un<br />
esordio più graduale, con livelli glicemici<br />
che aumentano nel tempo e la sua diagnosi<br />
richiede specifici valori di glicemia<br />
Corresponding author: David M. Nathan, dnathan@partners.org.<br />
per distinguere concentrazioni patologiche<br />
di glucosio nel sangue dalla distribuzione<br />
della glicemia nella popolazione<br />
non diabetica. Praticamente ogni sistema<br />
di classificazione e diagnosi del diabete<br />
si basa attualmente sulla misurazione dei<br />
livelli glicemici in campioni di plasma (o<br />
sangue o siero) prelevati in tempi specifici,<br />
ad es. a digiuno, o a random, indipendentemente<br />
dall’assunzione di cibo, o<br />
dopo prova da carico standardizzata, come<br />
il test orale di tolleranza dopo assunzione<br />
di 75g di glucosio (OGTT).<br />
I primi tentativi di uniformare la definizione<br />
del diabete si basavano sull’OGTT,<br />
ma l’affidabil<strong>it</strong>à e l’interpretazione<br />
del test non davano sempre la massima<br />
certezza e il numero dei soggetti<br />
studiati era troppo basso per definire i<br />
valori anomali (1-6). Studi su popolazioni<br />
ad alto rischio come gli indiani Pima,<br />
che mostrano una distribuzione bimodale<br />
dei livelli di glucosio in segu<strong>it</strong>o a<br />
OGTT (7,8), hanno contribu<strong>it</strong>o a confermare<br />
il valore a 2 ore come soglia diagnostica,<br />
anche se la maggior parte delle<br />
popolazioni ha una distribuzione dei livelli<br />
glicemici unimodale (9). È da notare<br />
che si è osservata una distribuzione bimodale<br />
anche dei valori glicemici a digiuno<br />
nei Pima e in altre popolazioni ad<br />
alto rischio (10,11). Restava tuttavia difficile<br />
individuare un preciso livello di glicemia<br />
plasmatica a digiuno (FPG) o dopo<br />
2 ore dall’assunzione di glucosio<br />
(2HPG) che separasse la distribuzione bimodale<br />
nei Pima, con potenziali cut<br />
point di FPG e 2HPG che variavano rispettivamente<br />
da 120 a 160 mg/dl (6,7-<br />
8,9 mmol/l) e da 200 a 250 mg/dl (11.1-<br />
13.9 mmol/l).<br />
Nel 1979 il National Diabetes Data<br />
Group (NDDG) ha stabil<strong>it</strong>o i cr<strong>it</strong>eri di<br />
diagnosi che sarebbero stati adottati come<br />
riferimento per quasi due decenni<br />
(12). Questi cr<strong>it</strong>eri si basavano sulla distribuzione<br />
dei livelli glicemici, piuttosto<br />
che sul rapporto tra glicemia e complicanze,<br />
per diagnosticare il diabete, nono-<br />
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
stante risultasse già evidente che le complicanze<br />
microvascolari del diabete fossero<br />
associate ad una fascia di valori di<br />
FPG e OGTT più alta (11,13-15). I valori<br />
glicemici diagnostici scelti si basavano<br />
sulla loro associazione con lo scompenso<br />
“palese” o sintomatico del diabete.<br />
Nel selezionare i valori glicemici soglia,<br />
il NDDG riconobbe che “non vi è<br />
una netta divisione tra soggetti diabetici<br />
e nondiabetici nelle concentrazioni di<br />
FPG o nella loro risposta ad un carico<br />
orale di glucosio” e, di conseguenza, “si<br />
sono decisi arb<strong>it</strong>rariamente i livelli glicemici<br />
necessari per porre diagnosi di diabete”.<br />
La diagnosi di diabete era formulata<br />
quando 1) erano presenti sintomi caratteristici,<br />
2) la FPG venosa era ≥ 140<br />
mg/dl (≥ 7,8 mmol/l); o 3) dopo un carico<br />
di 75g di glucosio, i livelli di 2HPG e<br />
di un campione prelevato prima delle 2<br />
ore erano ≥ 200 mg/dl (≥ 11,1 mmol/l).<br />
Al livello intermedio venne inoltre data<br />
la definizione di “alterata tolleranza glucidica”<br />
(IGT), con FPG
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
diagnosi del diabete. La commissione<br />
esaminò i dati di tre studi epidemiologici<br />
trasversali che includevano popolazioni<br />
di Egiziani (n = 1018), Indiani Pima (n =<br />
960), e la popolazione Americana del National<br />
Health and Nutr<strong>it</strong>ion Examination<br />
Survey (NHANES) (n = 2821). La retinopatia<br />
era valutata in ciascuno dei suddetti<br />
studi tram<strong>it</strong>e fotografia del fundus od<br />
oftalmoscopia diretta e i livelli glicemici<br />
misurati come FPG, 2HPG e HbA1c.<br />
Questi studi dimostrarono che esistevano<br />
valori glicemici al di sotto dei quali vi<br />
era una scarsa prevalenza di retinopatia<br />
e al di sopra dei quali la prevalenza aumentava<br />
in maniera apparentemente lineare<br />
(Fig. 1). Quando gli indici di prevalenza<br />
della retinopatia erano espressi in<br />
decili di glicemia per ognuna delle tre<br />
misurazioni, i livelli glicemici in cui la retinopatia<br />
iniziava ad aumentare risultarono<br />
gli stessi per ciascuna misura all’interno<br />
di ogni popolazione. Inoltre, i valori<br />
della glicemia al di sopra dei quali la<br />
retinopatia aumentava erano analoghi<br />
tra le popolazioni. Questi dati mostravano<br />
una chiara relazione tra glicemia e rischio<br />
di retinopatia, destinata a soppiantare<br />
il precedente concetto di rischio di<br />
progressione verso un diabete palese e<br />
sintomatico come base per la diagnosi.<br />
Confrontando la relazione tra valori<br />
di FPG e 2HPG e la retinopatia, appariva<br />
evidente che il precedente cut point di<br />
FPG ≥ 140 mg/dl (7,8 mmol/l) era sostanzialmente<br />
al di sopra dei livelli glicemici<br />
in cui si verificava l’aumento della<br />
prevalenza di retinopatia. Di conseguenza,<br />
la commissione decise che il cut point<br />
di FPG dovesse essere abbassato a ≥ 126<br />
mg/dl (7,0 mmol/l), in modo da rappresentare<br />
un livello di iperglicemia “simile”<br />
al valore di 2HPG, e in modo che la<br />
diagnosi basata sull’una o sull’altra misurazione<br />
desse come risultato una simile<br />
prevalenza di diabete nella popolazione.<br />
La relazione della commissione del<br />
1997 riconobbe che, anche ad un più basso<br />
cut point della FPG, i livelli di questa<br />
e dell’OGTT (2HPG) non coincidevano<br />
perfettamente. Un soggetto poteva dunque<br />
risultare diabetico sulla base di un<br />
test ma non dell’altro. Questa discrepanza<br />
è stata confermata in numerose successive<br />
pubblicazioni e può essere dovuta,<br />
in parte, al fatto che, sebbene entrambi<br />
i test effettuino misurazioni della glicemia,<br />
essi riflettono misurazioni fisiologiche<br />
differenti del metabolismo del glucosio<br />
(18). Il dibatt<strong>it</strong>o in mer<strong>it</strong>o ai ruoli<br />
rispettivamente giocati da FPG e 2HPG<br />
nella diagnosi del diabete in adulti non<br />
in gravidanza è continuato (19-21).<br />
La relazione del 1997 raccomandava<br />
inoltre che il livello di FPG, anziché quello<br />
2HPG, fosse il test da preferire per la<br />
diagnosi del diabete in quanto più prati-<br />
42<br />
Figura 1 – Prevalenza di retinopatia espressa in decili della distribuzione di FPG, 2HPG e<br />
HbA1c nelle popolazioni di indiani Pima (A), Egiziani(B) e individui tra i 40 e i 74 anni di età<br />
inclusi nel NHANES III (C). Adattato con l’autorizzazione del ref. 17.<br />
co per i pazienti, più rapido e meno costoso<br />
e con una riproducibil<strong>it</strong>à superiore<br />
(17). Inoltre, la commissione introdusse<br />
la definizione di “alterata glicemia a digiuno”<br />
(IFG) per differenziare lo stato<br />
metabolico tra normal<strong>it</strong>à (FPG
altrimenti, avrebbe potuto non risultare<br />
evidente, e che l’OGTT dovesse continuare<br />
a rappresentare lo standard di “eccellenza”.<br />
In uno studio di follow-up del<br />
2003, la commissione di esperti ha nuovamente<br />
rettificato il range di glicemia a<br />
digiuno per l’IFG da ≥ 110 ma
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
Figura 2 – Prevalenza della retinopatia ad intervalli di 0.5% e grav<strong>it</strong>à della retinopatia in soggetti di età tra 20 e 79 anni. NPDR, retinopatia<br />
diabetica non proliferante (S. Colagiuri, comunicazione personale).<br />
lori di HbA1c
ed è prematuro stabilire valori diagnostici<br />
specifici per le singole razze. Infine, vi sono<br />
rare condizioni cliniche, come il diabete<br />
di tipo 1 ad evoluzione rapida, dove il<br />
livello di HbA1c non ha avuto il tempo di<br />
“stare al passo” con l’aumento acuto della<br />
glicemia, ma in questi casi, molto rari, il<br />
diabete dovrebbe essere diagnosticabile<br />
dal riscontro dei sintomi tipici e da misurazioni<br />
dei livelli glicemici in orari non<br />
predeterminati che mostrano livelli >200<br />
mg/dl (11,1 mmol/l), nonostante un valore<br />
di HbA1c non diagnostico.<br />
Nonostante le lim<strong>it</strong>azioni cui si è appena<br />
accennato, il test HbA1c presenta<br />
numerosi importanti vantaggi rispetto alle<br />
misurazioni di laboratorio della glicemia<br />
attualmente in uso (Tabella 1). La prevalenza<br />
di diabete in alcune popolazioni<br />
può non essere la stessa, quando la diagnosi<br />
è basata sull’esame dell’HbA1c<br />
piuttosto che sulle misurazioni dei livelli<br />
glicemici, e un metodo può differire nell’identificare<br />
determinati soggetti rispetto<br />
ad altri. Dato che le misurazioni della glicemia<br />
e quelle dell’HbA1c rispecchiano<br />
diversi aspetti del metabolismo del glucosio,<br />
ciò è prevedibile. Tuttavia, stabilire<br />
identiche prevalenze non dovrebbe essere<br />
l’obiettivo della definizione di un nuovo<br />
strumento di diagnosi del diabete. L’obiettivo<br />
ultimo è quello di identificare le<br />
persone a rischio di complicanze del diabete<br />
in modo che possano essere curate. Il<br />
livello diagnostico di HbA1c pari al 6,5%<br />
raggiunge questo obiettivo.<br />
La misurazione dell’HbA1c<br />
può definire uno specifico<br />
stato subdiabetico ad “alto<br />
rischio”?<br />
La relazione del 2003 dell’International<br />
Expert Comm<strong>it</strong>tee ha abbassato il lim<strong>it</strong>e<br />
inferiore di IFG da 110 mg/dl (6,1<br />
mmol/l) a 100 mg/dl (5,6 mmol/l) per il<br />
fatto che questi livelli più bassi ottimizzano<br />
sensibil<strong>it</strong>à e specific<strong>it</strong>à nella predizione<br />
dell’insorgenza del diabete e aumentano<br />
il numero dei soggetti con IGT che possono<br />
essere identificati con il test della FPG<br />
(21). Mentre studi precedenti avevano dimostrato<br />
una notevole efficacia pred<strong>it</strong>tiva<br />
di IFG e/o IGT sul successivo sviluppo di<br />
diabete diagnosticato tram<strong>it</strong>e i valori glicemici<br />
(52-54), relazioni più recenti hanno<br />
dimostrato un certo grado di rischio di<br />
diabete anche a livelli glicemici ben al di<br />
sotto di ciò che era stato precedentemente<br />
considerato “normale”, vale a dire<br />
FPG
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
Tabella 2 – Recommendazioni dell’International Expert Comm<strong>it</strong>tee<br />
Per la diagnosi di diabete:<br />
• L’HbA1c è una misurazione accurata e precisa dei livelli glicemici cronici ed è ben<br />
correlata col rischio di complicanze del diabete.<br />
• Il test dell’HbA1c presenta diversi vantaggi rispetto alle misurazioni di laboratorio<br />
della glicemia.<br />
• Si dovrebbe porre diagnosi di diabete quando l’HbA1c è ≥ 6,5%. La diagnosi dovrebbe<br />
essere confermata con un ulteriore dosaggio dell’HbA1c. La conferma non<br />
è necessaria nei soggetti sintomatici con glicemia plasmatica >200 mg/dl (>11.1<br />
mmol/l).<br />
• Se il test dell’HbA1c non è eseguibile, sono accettabili i metodi diagnostici precedentemente<br />
raccomandati (FPG o 2HPG, con conferma).<br />
• Il test dell’HbA1c è indicato nei bambini in cui si sospetta diabete ma non sono<br />
presenti né i classici sintomi né una glicemia casuale plasmatica >200 mg/dl (>11.1<br />
mmol/l).<br />
Per l’identificazione dei soggetti ad alto rischio di diabete:<br />
• Il rischio di diabete basato sulla glicemia è un continuum; non esiste dunque alcuna<br />
soglia di glicemia che definisca chiaramente l’inizio della zona di rischio.<br />
• Gli stati clinici catalogati come prediabete, IFG e IGT non riescono a definire il<br />
continuum di rischio e saranno utilizzati sempre meno col maggior utilizzo del test<br />
dell’HbA1c in sost<strong>it</strong>uzione delle altre misurazioni glicemiche di laboratorio.<br />
• Come per la diagnosi del diabete, l’esame dell’HbA1c presenta molti vantaggi rispetto<br />
alle misurazioni di laboratorio della glicemia nell’identificare i soggetti ad<br />
alto rischio di diabete.<br />
• Coloro che hanno livelli di HbA1c al di sotto della soglia di diabete ma ≥ 6.0% devono<br />
essere sottoposti a inteventi preventivi efficaci. I soggetti con livelli inferiori<br />
a questo range possono essere ancora a rischio e, secondo la presenza o meno di<br />
altri fattori di rischio per il diabete, potrebbero ugualmente trarre beneficio da interventi<br />
preventivi.<br />
• I livelli di HbA1c a cui iniziare gli interventi di prevenzione basati sulla popolazione<br />
dovrebbero fondarsi sulla natura degli interventi, le risorse disponibili e le dimensioni<br />
della popolazione interessata.<br />
ne cronica al glucosio è più probabile<br />
che dia informazioni sulla presenza di<br />
diabete rispetto ad una sola misurazione<br />
glicemica.<br />
• Il test dell’HbA1c fornisce una misurazione<br />
affidabile della glicemia cronica<br />
ed è correlato col rischio di complicanze<br />
a lungo termine del diabete.<br />
• Il test dell’HbA1c (uniformato e allineato<br />
con l’analisi del Diabetes Control<br />
and Complications Trial/UK Prospective<br />
Diabetes Study) presenta diversi<br />
vantaggi tecnici, di tipo preanal<strong>it</strong>ico<br />
e anal<strong>it</strong>ico, rispetto alle misurazioni<br />
glicemiche attualmente effettuate in<br />
laboratorio.<br />
• Per i motivi sopra esposti, il test dell’HbA1c<br />
può essere un mezzo migliore<br />
di diagnosi del diabete rispetto alle misurazioni<br />
dei livelli glicemici.<br />
• La diagnosi di diabete viene posta se<br />
l’HbA1c è ≥ 6,5%. La diagnosi andrebbe<br />
confermata con un ulteriore test<br />
dell’HbA1c a meno che non sussistono<br />
sintomi clinici e livelli glicemici >200<br />
mg/dl (>11,1 mmol/l).<br />
• Se il test dell’HbA1c non è eseguibile a<br />
causa della presenza nel paziente di<br />
fattori che ne precludono l’interpretazione<br />
(ad esempio emoglobinopatie o<br />
un turnover anormale degli er<strong>it</strong>roc<strong>it</strong>i),<br />
o per indisponibil<strong>it</strong>à del test, si do-<br />
46<br />
vrebbero utilizzare i test (cioè FPG e<br />
2HPG) ed i cr<strong>it</strong>eri diagnostici precedentemente<br />
raccomandati. Sarebbe bene<br />
ev<strong>it</strong>are la combinazione di diversi<br />
metodi di diagnosi del diabete.<br />
• Nei bambini e negli adolescenti, il test<br />
dell’HbA1c è indicato quando vi è sospetto<br />
di diabete in assenza dei classici<br />
sintomi o di una glicemia plasmatica<br />
>200 mg/dl (>11,1 mmol/l).<br />
• Per la diagnosi di diabete durante la<br />
gravidanza, quando il cambiamento<br />
del turnover dei globuli rossi rende<br />
problematico il test dell’HbA1c, sarà<br />
necessario effettuare le misurazioni<br />
della glicemia.<br />
Per l’identificazione dei soggetti ad alto<br />
rischio di diabete<br />
• I soggetti con livelli di HbA1c≥ 6%, ma<br />
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 47
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
48<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
Posizione di Consenso<br />
Crisi iperglicemiche in pazienti<br />
diabetici adulti<br />
ABBAS E. KITABCHI, PHD, MD 1 JOHN M. MILES, MD 3<br />
GUILLERMO E. UMPIERREZ, MD 2 JOSEPH N. FISHER, MD 1<br />
La chetoacidosi diabetica (DKA) e la<br />
sindrome iperglicemica iperosmolare<br />
(HHS) sono le due più gravi complicanze<br />
metaboliche acute del diabete. Alla<br />
DKA si devono più di 500.000 giorni di<br />
degenza annui (1,2) ad un costo medico<br />
stimato diretto e indiretto di USD 2,4 miliardi<br />
(2,3). La Tabella 1 riporta i cr<strong>it</strong>eri<br />
diagnostici per DKA e HHS. La triade di<br />
iperglicemia incontrollata, acidosi metabolica<br />
ed aumentata concentrazione totale<br />
di corpi chetonici nel sangue caratterizza<br />
la DKA. La HHS è caratterizzata da<br />
iperglicemia severa, iperosmolal<strong>it</strong>à e disidratazione<br />
in assenza di chetoacidosi<br />
significativa. Tali alterazioni metaboliche<br />
risultano dalla combinazione di carenza<br />
assoluta o relativa di insulina e da<br />
un aumento degli ormoni controregolatori<br />
(glucagone, catecolamine, cortisolo e<br />
ormone della cresc<strong>it</strong>a). Gran parte dei<br />
pazienti con DKA hanno diabete di tipo<br />
1 autoimmune; tuttavia, i pazienti con<br />
diabete di tipo 2 sono anche a rischio durante<br />
lo stress catabolico di condizioni<br />
acute come traumi, interventi chirurgici<br />
o infezioni. Questa dichiarazione di consenso<br />
delineerà i fattori precip<strong>it</strong>anti e le<br />
raccomandazioni per diagnosi, trattamento,<br />
e prevenzione di DKA e HHS nei<br />
soggetti adulti. Essa si basa su una precedente<br />
relazione tecnica (4) e su una serie<br />
di articoli pubblicati più recentemente a<br />
partire dal 2001, consultabili per ulteriori<br />
informazioni.<br />
EPIDEMIOLOGIA<br />
Recenti studi epidemiologici indicano<br />
che i ricoveri dovuti a DKA negli<br />
U.S.A. sono in aumento. Nel decennio<br />
dal 1996 al 2006, vi è stato un aumento<br />
del 35% del numero di casi, con un totale<br />
di 136.510 casi con una diagnosi primaria<br />
di DKA nel 2006— un aumento forse più<br />
rapido rispetto all’aumento verificatosi<br />
per le diagnosi di diabete (1). La maggior<br />
parte dei pazienti con DKA era tra i 18<br />
ed i 44 anni di età (56%) e tra i 45 ed i 65<br />
anni (24%), con solo il 18% dei pazienti<br />
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
Tabella 1 – Cr<strong>it</strong>eri diagnostici per DKA e HHS<br />
50<br />
DKA HHS<br />
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––<br />
Lieve Moderata Severa Glicemia<br />
(glicemia plasmatica (glicemia plasmatica (glicemia plasmatica plasmatica<br />
>250 mg/dl) >250 mg/dl) >250 mg/dl) >600 mg/dl<br />
pH arterioso 7.25–7.30 da 7.00 a 10 >12 >12 Variable<br />
Stato mentale Vigile Vigile/sonnolento Torpore/coma Torpore/coma<br />
*Metodo di reazione con n<strong>it</strong>roprussiato †Osmolal<strong>it</strong>à sierica effettiva: 2[Na + misurato (mEq/l)] + glucosio (mg/dl)/18. ‡Gap anionico:<br />
(Na + ) –0 [(Cl – + HCO 3 – (mEq/l)]. (Dati adattati dal rif. 13.)<br />
fattori che possono portare alla mancata<br />
somministrazione di insulina nei pazienti<br />
giovani sono la paura dell’aumento di<br />
peso come conseguenza di un migliorato<br />
controllo metabolico, la paura dell’ipoglicemia,<br />
un senso di ribellione nei confronti<br />
dell’autor<strong>it</strong>à e stress da malattia<br />
cronica.<br />
Prima del 1993, l’utilizzo di apparecchi<br />
per la infusione continua di insulina<br />
per via sottocutanea era stato associato<br />
ad un’aumentata frequenza della DKA<br />
(23); tuttavia, grazie ai miglioramenti tecnologici<br />
e ad una migliore informazione<br />
dei pazienti, l’incidenza della DKA nei<br />
pazienti che utilizzano microinfusori<br />
sembra essersi ridotta. Sono tuttavia necessari<br />
ulteriori studi prospettici per confermare<br />
tutto ciò (24).<br />
È probabile che malattie intercorrenti<br />
Carenza insulica<br />
assoluta<br />
Lipoliposi<br />
FFA al fegato<br />
che provocano il rilascio di ormoni controregolatori<br />
o che impediscano l’accesso<br />
all’acqua risultino in severa disidratazione<br />
e HHS. In gran parte dei pazienti con<br />
HHS, la diminu<strong>it</strong>a assunzione di acqua è<br />
dovuta alla condizione di confinamento<br />
a letto ed è esacerbata dalla scarsa risposta<br />
alla sete degli anziani. Poiché per il<br />
20% di questi pazienti non vi è una precedente<br />
storia di diabete, è possibile che<br />
un tardo riconoscimento dei sintomi dell’iperglicemia<br />
porti a disidratazione severa.<br />
I soggetti anziani con diabete di<br />
nuova insorgenza (in particolare coloro<br />
che risiedono in casa di cura) o i soggetti<br />
con diabete conclamato che diventano<br />
iperglicemici senza esserne consapevoli<br />
o che non sono in grado di assumere liquidi<br />
quando è necessario sono a rischio<br />
di HHS (10,25).<br />
Sintesi proteica Proteolisi<br />
Substrati gluconeogenici<br />
Chetogenesi<br />
Utilizzo di glucosio Glicogenolisi<br />
Riserva alcalina<br />
Iperglicemia<br />
Chetoacidosi<br />
Triacilglicerolo<br />
Iperlipidemia<br />
DKA<br />
Ormoni<br />
controregolatori<br />
Glicosuria (diuresi osmotica)<br />
Perd<strong>it</strong>a di acqua ed elettrol<strong>it</strong>i<br />
Diminu<strong>it</strong>a assunzione<br />
Disidratazione di liquidi<br />
Compromessa funzione reanele<br />
Gluconeogenesi<br />
HHS<br />
Carenza insulica<br />
relativa<br />
Chetogenesi<br />
assente o minima<br />
Iperosmolar<strong>it</strong>à<br />
Figura 1 – Patogenesi di DKA e HHS: stress, infezioni o carenza di insulina. FFA, acidi grassi<br />
liberi.<br />
Farmaci che influenzano il metabolismo<br />
dei carboidrati, come corticosteroidi,<br />
diuretici, tiazidi o agenti simpaticomimetici<br />
e pentamidina, possono precip<strong>it</strong>are<br />
l’insorgenza di HHS o DKA (4). In alcune<br />
casistiche pubblicate recentemente i<br />
farmaci antipsicotici convenzionali e atipici<br />
sono indicati come possibili fattori<br />
scatenanti eventi iperglicemici, fino a<br />
DKA o HHS (26,27). Tra i possibili meccanismi<br />
vi sono l’induzione di insulinoresistenza<br />
periferica, l’influenza diretta<br />
sulla funzione delle β-cellule pancreatiche<br />
da parte di antagonisti dei recettori<br />
5-HT1A/2A/2C, o effetti tossici (28).<br />
Un crescente numero di casi di DKA<br />
in assenza di fattori precip<strong>it</strong>anti è stato<br />
rifer<strong>it</strong>o in bambini, adolescenti ed adulti<br />
con diabete di tipo 2. Studi prospettici e<br />
studi di osservazione indicano che oltre<br />
la metà dei soggetti adulti afroamericani<br />
ed ispanici con diabete di nuova diagnosi<br />
e con DKA non attribuibile a fattori<br />
scatenanti hanno il diabete di tipo 2<br />
(28–32). Tali casi si presentano come clinicamente<br />
acuti (come nei classici casi di<br />
diabete di tipo 1); tuttavia, dopo una terapia<br />
insulinica di breve durata, è spesso<br />
possibile che vi sia un periodo prolungato<br />
di remissione, con interruzione della<br />
somministrazione di insulina e mantenendo<br />
il controllo glicemico mediante<br />
dieta o agenti ipoglicemizzanti orali. In<br />
tali pazienti, tra le caratteristiche cliniche<br />
e metaboliche del diabete di tipo 2 vi sono<br />
un alto indice di obes<strong>it</strong>à, una forte<br />
anamnesi familiare di diabete, una lim<strong>it</strong>ata<br />
riserva di insulina pancreatica, una<br />
bassa prevalenza di marker autoimmuni<br />
di distruzione delle β-cellule e la possibil<strong>it</strong>à<br />
di interrompere la terapia con insulina<br />
durante il follow-up (28, 31,32). Questo<br />
particolare profilo, con la necess<strong>it</strong>à di<br />
un trattamento insulinico trans<strong>it</strong>orio dopo<br />
l’insorgenza di DKA, è riscontrabile<br />
principalmente nei soggetti di colore e<br />
negli ispanici, ma sono stati rifer<strong>it</strong>i anche<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
Tabella 2 – Dati biochimici all’inclusione nello studio in patienti con HHS o DKA<br />
HHS DKA<br />
Glucosio (mg/dl) 930 ± 83 616 ± 36<br />
Na + (mEq/l) 149 ± 3.2 134 ± 1.0<br />
K + (mEq/l) 3.9 ± 0.2 4.5 ± 0.13<br />
BUN (mg/dl) 61 ± 11 32 ± 3<br />
Creatinina (mg/dl) 1.4 ± 0.1 1.1 ± 0.1<br />
pH 7.3 ± 0.03 7.12 ± 0.04<br />
Bicarbonato (mEq/l) 18 ± 1.1 9.4 ± 1.4<br />
3-β-idrossibutirrato (mmol/l) 1.0 ± 0.2 9.1 ± 0.85<br />
Osmolal<strong>it</strong>à totale * 380 ± 5.7 323 ± 2.5<br />
IRI (nmol/l) 0.08 ± 0.01 0.07 ± 0.01<br />
C-peptide (nmol/l) 1.14 ± 0.1 0.21 ± 0.03<br />
Acidi grassi liberi (nmol/l) 1.5 ± 0.19 1.6 ± 0.16<br />
Ormone della cresc<strong>it</strong>a (ng/ml) 1.9 ± 0.2 6.1 ± 1.2<br />
Cortisolo (ng/ml) 570 ± 49 500 ± 61<br />
IRI (nmol/l) † 0.27 ± 0.05 0.09 ± 0.01<br />
C-peptide (nmol/l) † 1.75 ± 0.23 0.25 ± 0.05<br />
Glucagone (ng/ml) 689 ± 215 580 ± 147<br />
Catecolamine (ng/ml) 0.28 ± 0.09 1.78 ± 0.4<br />
Ormone della cresc<strong>it</strong>a (ng/ml) 1.1 7.9<br />
∆Gap: gap anionico – 12 (mEq/l) 11 17<br />
*Secondo la formula 2(Na + K) + urea (mmol/l) + glucosio (mmol/l). †Valori successive<br />
alla somministrazione endovenosa di tolbutamide. IRI, insulina immunoreattiva.<br />
(Adattato dal rif. 4.)<br />
casi di soggetti nativi americani, asiatici<br />
e di razza bianca (32). Questa variante<br />
del diabete è stata defin<strong>it</strong>a in letteratura<br />
come diabete di tipo 1 idiopatico, diabete<br />
atipico, diabete “Flatbush”, diabete di tipo<br />
1.5 e, più di recente, diabete di tipo 2<br />
con tendenza alla chetosi. Alcune ricerche<br />
sperimentali hanno dato una spiegazione<br />
meccanicistica della patogenesi del<br />
diabete di tipo 2 con tendenza alla chetosi.<br />
Alla presentazione la secrezione e l’azione<br />
dell’insulina sono marcatamente<br />
compromesse, ma un trattamento aggressivo<br />
con l’insulina migliora secrezione<br />
e azione dell’insulina a livelli analoghi<br />
a quelli dei pazienti con diabete di tipo<br />
2 senza DKA (28,31,32). Recentemente<br />
è stato rifer<strong>it</strong>o che la remissione quasinormoglicemica<br />
è associata a una ripresa<br />
delle secrezione di insulina basale e stimolata<br />
e che 10 anni dopo l’insorgenza<br />
del diabete il 40% dei pazienti continua a<br />
essere non insulino-dipendente (31). Livelli<br />
di C-peptide a digiuno>1.0 ng/dl<br />
(0.33 nmol/l) e livelli di C-peptide stimolati<br />
>1.5 ng/dl (0.5 nmol/l) sono pred<strong>it</strong>tivi<br />
di una remissione normoglicemica a<br />
lungo termine nei pazienti con anamnesi<br />
di DKA (28,32).<br />
DIAGNOSI<br />
Anamnesi ed esame obiettivo<br />
La HHS si sviluppa in genere in un<br />
periodo che va da parecchi giorni a settimane,<br />
mentre l’insorgenza di DKA nel<br />
diabete di tipo 1 o anche nel diabete di tipo<br />
2 tende essere molto più breve. Sebbene<br />
i sintomi di diabete mal controllato<br />
possono presentarsi da parecchi giorni,<br />
le alterazioni metaboliche tipiche della<br />
chetoacidosi si manifestano generalmente<br />
entro un breve arco di tempo (normalmente<br />
50%)<br />
ma non sono comuni della HHS (33). È<br />
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
necessaria cautela coi pazienti che lamentano<br />
dolore addominale alla presentazione<br />
perché i sintomi potrebbero essere<br />
conseguenza della DKA, o essere indicativi<br />
di un fattore di precip<strong>it</strong>azione della<br />
DKA, particolarmente nel caso di pazienti<br />
più giovani o in assenza di acidosi metabolica<br />
severa (34,35). Sono necessari ulteriori<br />
approfondimenti se non si riesce a<br />
porre rimedio a questo problema risolvendo<br />
la disidratazione e l’acidosi metabolica.<br />
Risultati di laboratorio<br />
I cr<strong>it</strong>eri diagnostici per DKA e HHS<br />
sono riportati in Tabella 1. La valutazione<br />
iniziale di laboratorio dei pazienti<br />
comprende la determinazione di glicemia<br />
plasmatica, azotomia, creatinina,<br />
elettrol<strong>it</strong>i (con gap anionico calcolato),<br />
osmolal<strong>it</strong>à, chetoni sierici e urinari e analisi<br />
dell’urina, oltre all’emogas analisi arteriosa<br />
e un esame emocromoc<strong>it</strong>ometrico.<br />
Si dovrebbero anche effettuare elettrocardiogramma,<br />
radiografia del torace<br />
ed analisi colturale di urina, sangue ed<br />
espettorato.<br />
La sever<strong>it</strong>à della DKA è classificata<br />
come lieve, moderata, o severa in base<br />
alla ent<strong>it</strong>à dell’acidosi metabolica (pH<br />
ematico, bicarbonati e chetoni) e alla presenza<br />
di un alterato stato mentale (4). Si<br />
è osservata una significativa sovrapposizione<br />
tra DKA e HHS in più di un terzo<br />
dei pazienti (36). Sebbene la maggior<br />
parte dei pazienti con HHS abbia al momento<br />
del ricovero un valore di pH >7.30<br />
e livelli di bicarbonati >18 mEq/l, è possibile<br />
che sia presente una lieve chetonemia<br />
(4,10).<br />
Iperglicemia severa e disidratazione<br />
con stato mentale alterato in assenza di<br />
significativi livelli di acidosi caratterizzano<br />
la HHS, che si presenta clinicamente<br />
con minore chetosi e maggiore iperglicemia<br />
rispetto alla DKA. Ciò può risultare<br />
da una concentrazione di insulina plasmatica<br />
(determinata dal C-peptide basale<br />
e stimolato [Tabella 2]) adeguata per<br />
prevenire la lipolisi eccessiva e la conseguente<br />
chetogenesi, ma non la iperglicemia<br />
(4).<br />
La caratteristica diagnostica chiave<br />
della DKA consiste nell’incremento della<br />
concentrazione totale di chetoni ematici.<br />
La valutazione della chetonemia viene<br />
sol<strong>it</strong>amente esegu<strong>it</strong>a mediante la reazione<br />
al n<strong>it</strong>roprussiato, che fornisce una stima<br />
semiquant<strong>it</strong>ativa dei livelli di acetoacetato<br />
e acetone. Sebbene il test con il n<strong>it</strong>roprussiato<br />
(sia nell’urina che nel siero)<br />
sia altamente sensibile, è possibile che<br />
non riesca valutare appieno la sever<strong>it</strong>à<br />
della chetoacidosi, poiché esso non riconosce<br />
la presenza di β-idrossibutirrato, il<br />
principale prodotto metabolico della chetoacidosi<br />
(4,12). Se è effettuabile, la misu-<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 51
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
razione del β-idrossibutirrato sierico potrebbe<br />
essere utile per la diagnosi (<strong>37</strong>).<br />
L’accumulo di chetoacidi porta ad acidosi<br />
metabolica con un aumentato gap<br />
anionico. Il gap anionico si calcola sottraendo<br />
la somma della concentrazione<br />
di cloro e bicarbonato dalla concentrazione<br />
di sodio: [Na – (Cl + HCO 3 )]. Un normale<br />
gap anionico è tra 7 e 9 mEq/l e un<br />
gap anionico >10–12 mEq/l indica la<br />
presenza di acidosi metabolica con aumentato<br />
gap anionico (4).<br />
L’iperglicemia cost<strong>it</strong>uisce un cr<strong>it</strong>erio<br />
diagnostico chiave per la DKA; tuttavia,<br />
un’ampia gamma di valori di glicemia<br />
plasmatica può presentarsi al momento<br />
del ricovero. Studi eleganti sulla produzione<br />
epatica di glucosio hanno riportato<br />
valori che andavano da normali o quasi<br />
normali (38) a elevati (12,15), il che spiega<br />
l’ampio range di livelli di glicemia<br />
plasmatica nella DKA, non dipendenti<br />
dalla sever<strong>it</strong>à della chetoacidosi (<strong>37</strong>). Approssimativamente<br />
il 10% della popolazione<br />
con DKA presenta la cosiddetta<br />
“DKA euglicemica”, vale a dire livelli<br />
glicemici ≤250 mg/dl (38). Ciò potrebbe<br />
essere dovuto ad una combinazione di<br />
fattori, tra cui la somministrazione di insulina<br />
esogena iniettata poco prima di<br />
recarsi all’ospedale, un’antecedente restrizione<br />
alimentare (39, 40) e l’inibizione<br />
della gluconeogenesi.<br />
Al momento del ricovero, una leucoc<strong>it</strong>osi<br />
nel range 10.000–15.000mm 3 è nella<br />
norma nella DKA, e può non indicare un<br />
processo infettivo. Tuttavia, unaa leucoc<strong>it</strong>osi<br />
>25,000 mm 3 può indicare infezione<br />
e richiedere ulteriori valutazioni (41).<br />
Nella chetoacidosi, la leucoc<strong>it</strong>osi è attribu<strong>it</strong>a<br />
a stress ed è forse correlata ad elevati<br />
livelli di cortisolo e norepinefrina<br />
(42). Il sodio sierico al ricovero è generalmente<br />
basso per via del flusso osmotico<br />
di acqua dallo spazio intracellulare allo<br />
spazio extracellulare in presenza di iperglicemia.<br />
Una concentrazione aumentata<br />
o persino normale di sodio sierico in presenza<br />
di iperglicemia indica una perd<strong>it</strong>a<br />
piuttosto elevata di acqua libera. Per valutare<br />
la sever<strong>it</strong>à della carenza di sodio e<br />
di acqua, si può correggere il sodio sierico<br />
aggiungendo 1.6 mg/dl al valore misurato<br />
per ogni 100 mg/dl di glucosio al<br />
di sopra di 100 mg/dl (4,12).<br />
Alcuni studi effettuati su osmolal<strong>it</strong>à<br />
sierica ed alterazione mentale hanno individuato<br />
un relazione lineare pos<strong>it</strong>iva<br />
tra osmolal<strong>it</strong>à e torpore (9,36). Il verificarsi<br />
di torpore o coma in un paziente<br />
diabetico in assenza di osmolal<strong>it</strong>à effettivamente<br />
aumentata (≥ 320 mOsm/kg) richiede<br />
l’immediata considerazione di altre<br />
cause a cui attribuire tale variazione.<br />
Nel calcolo della osmolal<strong>it</strong>à effettiva, [sodio<br />
(mEq/l) x 2 + glucosio (mg/dl)/18],<br />
la concentrazione di urea non viene pre-<br />
52<br />
sa in considerazione perché è liberamente<br />
permeabile e il suo accumulo non induce<br />
variazioni importanti del volume<br />
intracellulare o del gradiente osmotico<br />
(4).<br />
Le concentrazioni di potassio sierico<br />
potrebbero essere elevate per via di uno<br />
spostamento extracellulare del potassio<br />
causato da carenza insulinica, ipertonic<strong>it</strong>à<br />
e acidemia (43). I pazienti con concentrazioni<br />
normali-basse o basse al momento<br />
del ricovero hanno una severa carenza<br />
di potassio e richiedono interventi<br />
immediati per riportarlo a livelli normali,<br />
poiché il trattamento abbasserà ulteriormente<br />
i livelli di potassio, con la possibil<strong>it</strong>à<br />
di provocare ar<strong>it</strong>mie cardiache. Si<br />
possono osservare pseudonormoglicemia<br />
(44) e pseudoiponatremia (45) nella<br />
DKA in presenza di chilomicronemia severa.<br />
Il livello di fosfato sierico al momento<br />
del ricovero nei pazienti con DKA, così<br />
come quello del potassio sierico, è generalmente<br />
elevato e non riflette l’effettiva<br />
carenza che in genere è presente per via<br />
del passaggio del fosfato intracellulare<br />
verso lo spazio extracellulare (12, 46,47).<br />
Carenza insulinica, ipertonic<strong>it</strong>à e catabolismo<br />
aumentato contribuiscono tutti al<br />
movimento del fosfato fuori dalle cellule.<br />
Riscontri di iperamilasemia sono stati<br />
riportati nel 21–79% dei pazienti con<br />
DKA (48); vi è tuttavia una scarsa correlazione<br />
tra presenza, grado o tipo isoenzimatico<br />
di iperamilasemia e la presenza<br />
di sintomi gastrointestinali (nausea, vom<strong>it</strong>o<br />
e dolori addominali) o dati di imaging<br />
pancreatico (48). La determinazione<br />
della lipasi sierica può contribuire alla<br />
diagnosi differenziale della pancreat<strong>it</strong>e;<br />
tuttavia, la lipasi potrebbe anche essere<br />
elevata nella DKA in assenza di pancreat<strong>it</strong>e<br />
(48).<br />
Diagnosi differenziale<br />
Non tutti pazienti con chetoacidosi<br />
hanno DKA. La chetosi da digiuno e la<br />
chetoacidosi alcolica si distinguono per<br />
la storia clinica e per le concentrazioni di<br />
glicemia plasmatica, che vanno da lievemente<br />
elevate (raramente >200 mg/dl) a<br />
ipoglicemia (49). Inoltre, sebbene la chetoacidosi<br />
alcolica possa risultare in una<br />
profonda acidosi, le concentrazioni di bicarbonato<br />
sierico nella chetosi da digiuno<br />
di sol<strong>it</strong>o non sono
grazione dei liquidi dovrebbe aggiustare<br />
le carenze stimate entro le prime 24 h.<br />
Nei pazienti con compromissione renale<br />
o cardiaca, il mon<strong>it</strong>oraggio dell’osmolal<strong>it</strong>à<br />
sierica e frequenti valutazioni della<br />
funzione cardiaca, renale e mentale vanno<br />
effettuati durante la infusione di liquidi<br />
onde ev<strong>it</strong>are un sovraccarico iatrogeno<br />
(4,10, 15,53). Si è riscontrato che un<br />
trattamento aggressivo di reidratazione<br />
con una successiva correzione dello stato<br />
iperosmolare può ottenere una risposta<br />
migliore della terapia con insulina a basso<br />
dosaggio (54).<br />
Durante il trattamento della DKA,<br />
l’iperglicemia viene corretta più velocemente<br />
della chetoacidosi. La durata media<br />
del trattamento finché non si raggiungono<br />
livelli glicemici 7.30; bicarbonato<br />
>18 mmol/l) r<strong>it</strong>orna a livelli normali è<br />
tra le 6 e le 12 h (9,55). Una volta che il<br />
glucosio plasmatico raggiunge un livello<br />
di ~ 200 mg/dl, una soluzione di destro-<br />
sio al 5% andrebbe aggiunta ai liquidi<br />
somministrati per poter continuare la<br />
somministrazione dell’insulina finché la<br />
chetonemia non sia controllata, ev<strong>it</strong>ando<br />
allo stesso tempo il verificarsi di crisi<br />
ipoglicemiche.<br />
Terapia insulinica<br />
Il trattamento base della DKA prevede<br />
la somministrazione continua di insulina<br />
regolare per via endovenosa o mediante<br />
frequenti iniezioni intramuscolari<br />
o sottocutanee (4,56,57). Studi controllati<br />
randomizzati effettuati su pazienti con<br />
DKA hanno evidenziato che la terapia<br />
insulinica è efficace, a prescindere dal<br />
metodo di somministrazione (47). La via<br />
prefer<strong>it</strong>a è quella endovenosa continua<br />
con insulina regolare per la sua breve<br />
emiv<strong>it</strong>a e la facile t<strong>it</strong>olazione, rispetto al<br />
r<strong>it</strong>ardato inizio dell’azione e all’emiv<strong>it</strong>a<br />
prolungata dell’insulina regolare per via<br />
sottocutanea (36,47,58).<br />
Parecchi studi prospettici randomiz-<br />
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
Completare la valutazione iniziale. Controllare la glicemia capillare e i corpi chetonici su siero/urina per confermare<br />
iperglicemia e chetonemia/chetonuria. Effettuare un prelievo del sangue per ottenere un profilo metabolico.<br />
Iniziare terapia con liquidi per via endovenosa: 1 L di 0.9% NaCl ogni ora.<br />
Liquidi per via<br />
endovenosa<br />
Determinare stato di idratazione<br />
Ipovolemia<br />
severa<br />
Somministrare<br />
0.9 % NaCl<br />
(1.0 L/hr)<br />
Siero<br />
Na + alto<br />
0.45% NaCl<br />
(250-500 ml/hr<br />
secondo lo stato di<br />
idratazione)<br />
Shock<br />
cardiogeno<br />
Lieve<br />
disidratazione<br />
Mon<strong>it</strong>oraggio<br />
emodinamico/<br />
pressorio<br />
Valutare i liveli corretti di Na+‡<br />
Siero<br />
Na + normale<br />
Siero<br />
Na + basso<br />
0.9% NaCl<br />
(250-500 ml/hr<br />
secondo lo stato di<br />
idratazione)<br />
Quando la glicemia sierica<br />
raggiunge 200 mg/dl (DKA) o<br />
300 mg/dl (HHS), passare a 5%<br />
destrosio con 0.45 NaCl a<br />
150-250 ml/hr<br />
Bicarbonati Insulina: Regolare Potassio<br />
pH ≥ 6.9 pH < 6.9<br />
No<br />
HCO 3<br />
100mmol in<br />
400ml di H 2 O +<br />
20mEq di KCL,<br />
somministrare<br />
due volte a distanza<br />
di 2 ore<br />
Ripetere ogni<br />
2 ore finché il<br />
pH non sarà ≥<br />
7. Mon<strong>it</strong>orare i<br />
livelli di K +<br />
sierico ogni<br />
2 ore<br />
Via endovenosa<br />
(DKA e HHS)<br />
0.1 U/kg/peso<br />
corporeo in bolo<br />
endovenoso<br />
0.1 U/kg/hr di<br />
infusione continua<br />
di insulina per via<br />
endovenosa<br />
DKA HHS<br />
Quando il glucosio sierico<br />
raggiunge 200 mg/dl, ridurre la<br />
somministrazione di insulina<br />
regolare a 0.02 – 0.05 U/kg per via<br />
endovenosa, o somministrare<br />
insulina ad azione rapida<br />
0.1 U/kg per via sottocutanea<br />
ogni 2 h. Mantenere i livelli di<br />
glucosio sierico tra 150 e 200<br />
mg/dl fino alla soluzione della<br />
DKA.<br />
Via endovenosa<br />
(DKA e HHS)<br />
0.14 U/kg peso<br />
corporeo/hr in<br />
infusione continua di<br />
insulina per via<br />
endovenosa<br />
Se i livelli di glucosio sierico non<br />
diminuiscono di almeno il 10% nella<br />
prima ora, somministrare 0.14 U/kg<br />
come bolo per via endovenosa, poi<br />
continuare precedente Rx<br />
Quando il glucosio sierico<br />
raggiunge 300 mg/dl, ridurre<br />
la somministrazione di insulina<br />
regolare a 0.02 – 0.05 U/kg per via<br />
endovenosa. Mantenere i livelli di<br />
glucosio sierico tra 200 e 300<br />
mg/dl finché il paziente non sarà<br />
mentalmente vigile.<br />
Mantenere insulina e<br />
somministrare 20 – 30 mEq<br />
/hr finché K + >3.3 mEq/L<br />
Controllare elettrol<strong>it</strong>i, BUN, pH venoso, creatinina e glucosio ogni 2 – 4 h finché non saranno stabili.<br />
Dopo la risoluzione di DKA o HHS e quando il paziente sarà in grado di mangiare, dare inizio alla<br />
terapia multiniettiva per via sottocutanea. Per effettuare la transizione dall’infusione per via<br />
endovenosa a quella sottocutanea, continuare l’infusione per via endovenosa per 1 – 2 h dopo<br />
aver iniziato la terapia per via sottocutanea, per avere livelli di insulina plasmatici adeguati.<br />
In pazienti che non praticavano insulina, iniziare con dosi da 0.5 U/kg a 0.8 U/kg peso<br />
corporeo/die ed effettuare aggiustamenti secondo il caso. Individuare eventuali fattori precip<strong>it</strong>anti.<br />
Stabilire adeguata<br />
funzione renale<br />
(escrezione di<br />
urina – 50 ml/hr)<br />
K + 5.2 mEq/L<br />
K + = 3.3-5.2 mEq/L<br />
Non somministrare<br />
K + , ma controllare<br />
livelli di K + sierico<br />
ogni 2 h.<br />
Somministrare 20 – 30 mEq/L di<br />
K + per ciascun l<strong>it</strong>ro di soluzione<br />
per via endovenosa per<br />
mantenere i livelli di K + sierico<br />
tra 4-5 mEq/L<br />
Figura 2 – Protocollo per la gestione dei pazienti adulti con DKA o HHS. Cr<strong>it</strong>eri diagnostici della DKA: glicemia >250 mg/dl, pH arterioso 7.3, bicarbonato<br />
sierico >15 mEq/l, e chetonuria o chetonemia minime. †15–20 ml/kg/h; ‡L’Na sierico andrebbe aggiustato per l’iperglicemia (per ogni 100<br />
mg/dl di glucosio, aggiungere 1.6 mEq al valore di sodio). (Adattato da rif. 13.) Bwt, peso corporeo; IV, endovenoso; SC, sottocutaneo.<br />
zati hanno dimostrato che l’utilizzo di<br />
insulina regolare a basso dosaggio, somministrata<br />
per via endovenosa, è sufficiente<br />
per ottenere la completa risoluzione<br />
della DKA. Fino a tempi recenti, gli<br />
algor<strong>it</strong>mi di trattamento raccomandavano<br />
la somministrazione di un bolo iniziale<br />
per via endovenosa di insulina regolare<br />
(0.1 un<strong>it</strong>à/kg), segu<strong>it</strong>o dalla somministrazione<br />
di 0.1 un<strong>it</strong>à · kg –1 · h –1 (Fig. 2).<br />
Un recente studio prospettico randomizzato<br />
ha evidenziato che il bolo non è necessario<br />
se i pazienti ricevono un’infusione<br />
di insulina di 0.14 un<strong>it</strong>à/kg peso corporeo/ora<br />
(equivalente a 10 un<strong>it</strong>à/h in<br />
un paziente del peso di 70-kg) (59). In assenza<br />
del bolo iniziale, tuttavia, dosi
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
saggi di insulina diminuiscono la concentrazione<br />
di glicemia plasmatica di<br />
50–75 mg · dl –1 · h –1 . Se la glicemia plasmatica<br />
non diminuirà entro la prima ora<br />
di 50–75 mg dal valore iniziale, la dose di<br />
insulina andrà aumentata ogni ora finché<br />
non si raggiungerà una stabile diminuzione<br />
dei livelli glicemici (Fig. 2). Quando<br />
il glucosio plasmatico raggiungerà<br />
200 mg/dl in DKA or 300 mg/dl in HHS,<br />
si potrà diminuire la dose somministrata<br />
a 0.02– 0.05 un<strong>it</strong>à · kg –1 · h –1 , fase in cui si<br />
potrà aggiungere il destrosio alla soluzione<br />
infusa (Fig. 2). Dopo tale fase, potrà<br />
essere necessario aggiustare la quant<strong>it</strong>à<br />
di insulina somministrata o la concentrazione<br />
di destrosio per mantenere i<br />
valori glicemici fra 150 e 200 mg/dl nella<br />
DKA o 250 e 300 mg/dl nella HHS, fino<br />
alla risoluzione dell’evento.<br />
Si è osservato che il trattamento con<br />
analoghi dell’insulina ad azione rapida<br />
per via sottocutanea (lispro e aspart) rappresenta<br />
un’efficace alternativa all’uso di<br />
insulina regolare per via endovenosa nel<br />
trattamento della DKA. Si è riscontrato<br />
che il trattamento di pazienti con DKA<br />
lieve e moderata con analoghi dell’insulina<br />
ad azione rapida per via sottocutanea<br />
ogni 1 o 2 h in un<strong>it</strong>à di cura non intensive<br />
(ICU) è sicuro ed efficace quanto il<br />
trattamento con insulina regolare per via<br />
endovenosa nella ICU (60,61). La veloc<strong>it</strong>à<br />
di riduzione della concentrazione di glucosio<br />
plasmatico e la durata media del<br />
trattamento fino alla correzione della<br />
chetoacidosi risultavano simili nei pazienti<br />
trattati con analoghi dell’insulina<br />
per via sottocutanea ogni 1 o 2 h o con<br />
insulina regolare per via endovenosa.<br />
Finché, tuttavia, questi studi non verranno<br />
confermati al di fuori dell’amb<strong>it</strong>o della<br />
ricerca, nelle ICU i pazienti con DKA<br />
severa, ipotensione, anasarca, o altre gravi<br />
malattie in fase cr<strong>it</strong>ica dovrebbero essere<br />
trattati con insulina regolare per via<br />
endovenosa.<br />
Potassio<br />
Nonostante la deplezione del potassio<br />
corporeo, l’iperkalemia da lieve a moderata<br />
è comune nei pazienti soggetti a<br />
crisi iperglicemiche. Terapia insulinica,<br />
correzione dell’acidosi ed espansione del<br />
volume diminuiscono la concentrazione<br />
di potassio sierico. Per prevenire l’ipokalemia,<br />
la reintegrazione di potassio viene<br />
iniziata dopo che i livelli sierici scendono<br />
al di sotto del valore superiore del range<br />
di normal<strong>it</strong>à del laboratorio (5.0–5.2<br />
mEq/l). L’obiettivo del trattamento è di<br />
mantenere i livelli di potassio sierico entro<br />
il normale range di 4–5 mEq/l. In genere,<br />
20–30 mEq di potassio per ogni l<strong>it</strong>ro<br />
di soluzione da somministrare sono<br />
sufficienti per mantenere una concentrazione<br />
di potassio sierico entro il normale<br />
54<br />
range. Raramente i pazienti affetti da<br />
DKA presentano livelli significativi di<br />
ipokalemia. In tali casi, la reintegrazione<br />
di potassio dovrebbe essere esegu<strong>it</strong>a assieme<br />
alla terapia idratante, e il trattamento<br />
con insulina dovrebbe essere posticipato<br />
finché la concentrazione di potassio<br />
non sarà riportata a >3.3 mEq/l,<br />
onde ev<strong>it</strong>are ar<strong>it</strong>mie potenzialmente fatali<br />
e insufficienza dei muscoli respiratori<br />
(4,13).<br />
Terapia con bicarbonati<br />
L’utilizzo di bicarbonati nella DKA è<br />
oggetto di discussione (62) poiché la<br />
maggior parte degli esperti r<strong>it</strong>engono<br />
che, durante il trattamento, con la diminuzione<br />
dei corpi chetonici i livelli di bicarbonati<br />
torneranno adeguati, tranne<br />
che nei pazienti con acidosi più severa.<br />
Una severa acidosi metabolica può essere<br />
causa di compromessa contrattil<strong>it</strong>à del<br />
miocardio, vasodilatazione cerebrale e<br />
coma, oltre a complicanze gastrointestinali<br />
(63). Uno studio prospettico randomizzato<br />
effettuato su 21 pazienti non è<br />
riusc<strong>it</strong>o a dimostrare variazioni né benefiche<br />
né negative riguardo a morbid<strong>it</strong>à o<br />
mortal<strong>it</strong>à a segu<strong>it</strong>o della terapia a base di<br />
bicarbonati, in pazienti affetti da DKA<br />
con un valore di pH arterioso al momento<br />
del ricovero tra 6.9 e 7.1 (64). Nove<br />
piccoli studi effettuati su un totale di 434<br />
pazienti con chetoacidosi diabetica (217<br />
pazienti trattati con bicarbonato,178 senza<br />
[(62)]) sostengono che la terapia con<br />
bicarbonati nella DKA non apporta alcun<br />
miglioramento delle funzioni cardiache o<br />
neurologiche, né aumenta le possibil<strong>it</strong>à<br />
di guarigione di iperglicemia e chetoacidosi.<br />
Inoltre, sono stati riportati parecchi<br />
effetti negativi causati dalla terapia a base<br />
di bicarbonati, come rischio aumentato<br />
di ipokalemia, diminu<strong>it</strong>a cessione di<br />
ossigeno dei tessuti (65), edema cerebrale<br />
(65) e insorgenza di acidosi paradossa.<br />
Non è stato pubblicato alcuno studio<br />
prospettico randomizzato riguardante<br />
l’utilizzo di bicarbonati in pazienti con<br />
DKA con valori di pH
o glulisina) ai pasti. Un trial prospettico<br />
randomizzato ha messo a confronto un<br />
trattamento con regime basale-bolo, con<br />
glargina una volta al giorno e glulisina<br />
prima dei pasti, con un regime “spl<strong>it</strong>mixed”<br />
di insulina NPH più insulina regolare<br />
due volte al giorno, dopo la risoluzione<br />
della DKA. La transizione alla<br />
glargina e alla glulisina per via sottocutanea<br />
ha dato come risultato un controllo<br />
glicemico simile a quello dato da insulina<br />
NPH e insulina regolare; tuttavia, il<br />
trattamento col regime basale-bolo era<br />
associato a una minore frequenza di<br />
eventi ipoglicemici (15%) rispetto ai pazienti<br />
trattati con insulina NPH e insulina<br />
regolare (41%) (55).<br />
Complicanze<br />
Ipoglicemia e ipokalemia sono le due<br />
comuni complicanze derivanti da un<br />
trattamento aggressivo della DKA, rispettivamente<br />
con insulina e bicarbonato,<br />
ma tali complicanze si verificavano<br />
meno frequentemente con la terapia insulinica<br />
a basso dosaggio (4,56,57). Un<br />
frequente mon<strong>it</strong>oraggio dei livelli glicemici<br />
(ogni 1–2 h) è indispensabile per riconoscere<br />
eventi di ipoglicemia, poiché<br />
in molti pazienti con DKA in cui si manifestano<br />
crisi ipoglicemiche durante il<br />
trattamento non vi sono manifestazioni<br />
adrenergiche come sudore, nervosismo,<br />
spossatezza, forte appet<strong>it</strong>o e tachicardia.<br />
L’acidosi ipercloremica senza gap anionico,<br />
riscontrata durante la fase di guarigione<br />
dalla DKA, è autolim<strong>it</strong>ata e con<br />
poche conseguenze cliniche (43). Può essere<br />
causata dalla perd<strong>it</strong>a di chetoanioni,<br />
che vengono metabolizzati in bicarbonato<br />
durante l’evoluzione della DKA e da<br />
un’eccessiva infusione di liquidi a base<br />
di cloruro durante il trattamento (4).<br />
L’edema cerebrale, che si verifica in<br />
~0.3–1.0% degli episodi di DKA nei bambini,<br />
è estremamente raro nei pazienti<br />
adulti durante il trattamento per DKA .<br />
L’edema cerebrale è associato ad una<br />
mortal<strong>it</strong>à del 20–40% (5) e incide sul<br />
57–87% di tutti i decessi dei soggetti in<br />
età pediatrica dovuti a DKA (70,71). I<br />
sintomi e i segni dell’edema cerebrale sono<br />
variabili e comprendono insorgenza<br />
di mal di testa, graduale deterioramento<br />
del livello di coscienza, incontinenza<br />
sfinterica, variazioni pupillari, papilledema,<br />
bradicardia, aumento della pressione<br />
arteriosa e arresto respiratorio (71). Sono<br />
stati proposti numerosi meccanismi scatenanti,<br />
tra cui il ruolo dell’ischemia/ipossia<br />
cerebrale, la generazione di<br />
vari mediatori dei processi infiammatori<br />
(72), un aumentato afflusso di sangue al<br />
cervello, inibizione del trasporto ionico<br />
trans membrana, e una brusca variazione<br />
dei fluidi extracellulari ed intracellulari<br />
che risulta in un’alterata osmolal<strong>it</strong>à. Per<br />
prevenirlo si dovrebbe ev<strong>it</strong>are una idratazione<br />
eccessiva e una rapida riduzione<br />
dell’osmolar<strong>it</strong>à plasmatica e ottenere invece<br />
una graduale diminuzione del glucosio<br />
sierico, mantenendone i livelli tra<br />
250–300 mg/dl finché l’osmolal<strong>it</strong>à del<br />
paziente non si sarà normalizzata e lo<br />
stato mentale non sia migliorato. Si consigliano<br />
infusione di mann<strong>it</strong>olo e ventilazione<br />
meccanica per il trattamento dell’edema<br />
cerebrale (73).<br />
PREVENZIONE<br />
È possibile prevenire molti casi di<br />
DKA e HHS con un miglior accesso all’assistenza<br />
medica, adeguata istruzione del<br />
paziente ed efficace comunicazione con il<br />
medico curante nel corso della malattia.<br />
L’importanza di una adeguata preparazione<br />
del paziente nella gestione quotidiana<br />
della malattia è fondamentale e comprende<br />
quanto segue:<br />
1. Stabilire un contatto col medico sin<br />
dall’esordio dei primi sintomi.<br />
2. Sottolineare l’importanza dell’insulina<br />
durante una malattia intercorrente e<br />
spiegare i motivi per cui non si deve<br />
interromperne la sua somministrazione<br />
senza consultarsi col medico.<br />
3. Rivedere gli obiettivi glicemici e la<br />
somministrazione di dosi aggiuntive<br />
di insulina ad azione rapida.<br />
4. Avere a portata di mano farmaci antipiretici<br />
e per infezioni.<br />
5. Se si ha nausea, iniziare una dieta liquida<br />
facilmente digeribile, contenente<br />
sale e carboidrati.<br />
6. Educare i familiari riguardo alla gestione<br />
quotidiana della malattia e a tenere<br />
una dettagliata documentazione<br />
e annotazioni riguardo temperatura,<br />
glicemia, urine e corpi chetonici; somministrazione<br />
di insulina; diario alimentare<br />
e peso. Analogamente, anche<br />
in strutture ambulatoriali un’adeguata<br />
supervisione e preparazione dello<br />
staff potrà contribuire a prevenire<br />
molti ricoveri per HHS dovuti a disidratazione,<br />
in particolare tra gli anziani,<br />
non in grado di riconoscere o trattare<br />
l’evolversi di questa condizione.<br />
L’uso di strumenti di automon<strong>it</strong>oraggio<br />
del glucosio e dei chetoni può permettere<br />
di riconoscere prontamente una<br />
chetoacidosi incombente, il che potrebbe<br />
essere di aiuto per coordinare la terapia<br />
insulinica a casa, e possibilmente prevenire<br />
il ricovero per DKA. Inoltre, è adesso<br />
in commercio uno strumento che permette<br />
l’automon<strong>it</strong>oraggio dei corpi chetonici,<br />
misurando il livelli di β-idrossibutirrato<br />
su sangue capillare mediante strisce<br />
reattive (<strong>37</strong>).<br />
Le spese di degenza incidono significativamente<br />
sulle risorse economiche. Negli<br />
USA gli eventi di DKA rappresentano<br />
>1 su ogni 4 USD spesi per l’assistenza<br />
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
medica diretta dei pazienti adulti con diabete<br />
di tipo 1 ed 1 su ogni 2 USD nei pazienti<br />
che riferiscono molteplici episodi<br />
(77). Sulla base di una media annua di<br />
135.000 ricoveri per DKA negli USA, con<br />
un costo medio di 17.500 USD per paziente,<br />
le spese san<strong>it</strong>arie annuali per i pazienti<br />
con DKA possono superare i 2,4 miliardi<br />
di USD l’anno (3). Un recente studio (2)<br />
ha rifer<strong>it</strong>o che i costi dei ricoveri ev<strong>it</strong>abili<br />
dovuti a s<strong>it</strong>uazioni di diabete non controllato<br />
a breve termine, comprendenti casi di<br />
DKA, sono notevoli (2,8 miliardi di USD).<br />
Tuttavia, l’impatto a lungo termine del<br />
diabete non controllato ed il suo peso economico<br />
potrebbero essere ancor più significativi<br />
perché tale s<strong>it</strong>uazione può portare<br />
a varie complicanze. Poiché la maggior<br />
parte dei casi si verificano in pazienti con<br />
diabete conclamato e con precedente<br />
DKA, le risorse dovrebbero essere indirizzate<br />
verso la prevenzione facil<strong>it</strong>ando l’accesso<br />
all’assistenza e a programmi di<br />
istruzione maggiormente personalizzati,<br />
inserendo anche elementi specifici per alcune<br />
etnie e di convinzioni etiche riguardanti<br />
la cura per i diversi credi religiosi.<br />
Le risorse dovrebbero essere inoltre indirizzate<br />
all’istruzione del personale dei<br />
centri medici e scolastici, in modo da potere<br />
identificare prontamente segni e sintomi<br />
del diabete non controllato, e in modo<br />
che il diabete di nuova insorgenza possa<br />
essere diagnosticato con maggiore anticipo.<br />
Recenti studi suggeriscono che l’istruzione<br />
in campo nutrizionale porta a<br />
una diminuzione dei ricoveri (78) e, nelle<br />
linee guida per l’istruzione all’autogestione<br />
del diabete recentemente elaborate da<br />
un team appos<strong>it</strong>o, sono state identificate<br />
dieci regole standard, esposte dettagliatamente,<br />
per l’istruzione all’autogestione<br />
del diabete (79).<br />
Bibliogafia<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 55
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
56<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
DIABETES CARE, JULY 2009<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 57
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
Effetti del mon<strong>it</strong>oraggio continuo<br />
della glicemia nel diabete di tipo 1<br />
ben controllato<br />
JUVENILE DIABETES RESEARCH FOUNDATION<br />
58<br />
CONTINUOUS GLUCOSE MONITORING<br />
STUDY GROUP*<br />
OBIETTIVO – Esaminare i potenziali effetti del mon<strong>it</strong>oraggio glicemico continuo<br />
(CGM) nella gestione di adulti e bambini con diabete di tipo 1 ben controllato,<br />
indagine finora non effettuata.<br />
DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – 129 adulti e bambini con diabete<br />
di tipo 1 trattato con terapia insulinica intensiva (di età fra 8 e 69 anni) e HbA1c 180 mg/dl) era significativamente minore nel<br />
gruppo CGM rispetto al gruppo di controllo (<strong>37</strong>7 vs. 491 min/die, P = 0.003). Vi era<br />
una significativa differenza a favore del gruppo CGM nei valori medi di HbA1c alla<br />
26a settimana, dopo l’aggiustamento per il basale (P < 0.001). Uno o più eventi di<br />
ipoglicemia severa si verificano rispettivamente nel 10 e 11% dei due gruppi in (P =<br />
1.0). Quattro misure di risultato che combinavano i dati riguardanti HbA1c ed<br />
ipoglicemia erano a favore del gruppo CGM rispetto al gruppo di controllo (P < 0.001,<br />
0.007, 0.005, and 0.003).<br />
CONCLUSIONI – Gran parte dei risultati, compresa la valutazione combinata di<br />
HbA1c e ipoglicemia, erano a favore del gruppo CGM. L’evidenza ottenuta suggerisce<br />
che il CGM è vantaggioso anche nei pazienti con diabete di tipo 1 che hanno già un<br />
eccellente controllo, con i livelli di HbA1c
croinfusore o la somministrazione di almeno<br />
tre iniezioni di insulina al giorno, e<br />
livelli basali di HbA1c
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
controllo basale e alla 26ª settimana venivano<br />
analizzati in maniera analoga. Le<br />
differenze tra i gruppi di trattamento riguardanti<br />
la frequenza di eventi ipoglicemici<br />
riportati dai CGM, defin<strong>it</strong>i come ≥<br />
20 min con valori glicemici
I dati sono medie (range interquartile). I dati relativi al glucosio per il gruppo CGM sono stati ottenuti dopo aver completato le vis<strong>it</strong>e alla 13a e 26a settimana, col gruppo<br />
CGM che utilizzava un dispos<strong>it</strong>ivo con dati leggibili e il gruppo di controllo che utilizzava il dispos<strong>it</strong>ivo in cieco. *I valori di P sono derivati dai tre metodi descr<strong>it</strong>ti in Disegno<br />
della Ricerca e Metodi: modello ANCOVA basato sugli score di van der Waerden, modello ANCOVA con valori periferici troncati, e modello ANCOVA con trasformazione<br />
effettuata mediante radice quadrata. †In un soggetto del gruppo CGM mancavano i dati rilevati dai sensori. ‡Due soggetti del gruppo di controllo si r<strong>it</strong>iravano<br />
prima della vis<strong>it</strong>a alla 26a settimana. MAGE, ampiezza media delle escursioni glicemiche.<br />
n 67 67 66 62 58 60<br />
Livelli glicemici<br />
(min/die)<br />
≤ 70 mg/dl 91 (40–147) 61 (24–118) 54 (28–108) 96 (<strong>37</strong>–225) 89 (33–198) 91 (27–188) 0.16/0.04/0.06 0.05/0.03/0.03<br />
≤ 60 mg/dl 40 (9–73) 21 (3–52) 18 (5–40) 40 (9–130) <strong>37</strong> (12–100) 35 (7–116) 0.05/0.02/0.02 0.01/0.007/0.008<br />
≤ 50 mg/dl 7 (0–38) 3 (0–18) 4 (0–15) 9 (0–45) 7 (0–51) 8 (0–55) 0.12/0.05/0.04 0.05/0.03/0.01<br />
71-180 mg/dl 1,063 (921–1,174) 1,092 (947–1,200) 1,063 (948–1,185) 972 (809–1,089) 951 (778–1,079) 949 (784–1,106) 0.003/0.002/0.004 250 mg/dl 40 (10–101) 42 (8–77) 48 (11–103) 63 (27–118) 76 (29–173) 82 (22–149) 0.12/0.05/0.10 0.005/0.003/0.006<br />
Area sotto la curva 0.64 (0.19–1.24) 0.32 (0.09–0.80) 0.26 (0.11–0.64) 0.60 (0.18–1.88) 0.48 (0.17–1.80) 0.49 (0.13–1.73) 0.09/0.02/0.02 0.03/0.01/0.008<br />
(70 mg/dl)<br />
SD dei valori 48 (42–58) 49 (40–58) 50 (41–63) 56 (48–67) 58 (48–69) 60 (46–67) 0.17/0.13/0.21 0.008/0.02/0.03<br />
MAGE 93 (80–110) 95 (82–111) 96 (84–113) 106 (84–130) 103 (90–129) 108 (86–126) 0.77/0.78/0.87 0.26/0.27/0.31<br />
Variazioni assolute 0.60 (0.50–0.71) 0.65 (0.50–0.73) 0.66 (0.53–0.76) 0.65 (0.56–0.80) 0.63 (0.54–0.79) 0.66 (0.54–0.87) 0.35/0.51/0.51 0.39/0.63/0.57<br />
(mg/dl per min)<br />
Tabella 2 – Es<strong>it</strong>i per gruppi di trattamento misurati dai CGM<br />
Gruppo CGM Gruppo di controllo P *<br />
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––– –––––––––––––––––––<br />
Basale 13 26 Basale 13 26 26 Es<strong>it</strong>i combinati<br />
settimane settimane † settimane settimane ‡ (13 e 26 settimane)<br />
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
area sotto la curva per 70 mg/dl) e quando<br />
i dati riportati dai CGM alle vis<strong>it</strong>e alla<br />
13 a e 26ª settimana venivano messi insieme<br />
per avere migliori indicazioni sul<br />
controllo glicemico nell’arco dei sei mesi<br />
anziché alle singole date (vedi supplemento<br />
in figura Fig. A2, disponibile in<br />
appendice online). Un’indicazione più<br />
dettagliata riguardante le differenze fra i<br />
gruppi è riscontrabile nelle curve di distribuzione<br />
cumulative (vedi Fig. A3 e<br />
A4, disponibili in appendice online). La<br />
frequenza di eventi di ipoglicemia dati<br />
dai CGM (≥ 20 min con livelli di glucosio<br />
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
Tabella 3 – HbA1c alla 26 a settimana per gruppo di trattamento<br />
trollo, vi era una diminuzione dei livelli<br />
di HbA1c di ≥ 0.3% senza un evento di<br />
ipoglicemia severa (28 vs. 5%, P < 0.001).<br />
Come riportato in Fig. 1 (vedi anche supplemento<br />
in Fig. A4, disponibile in appendice<br />
online), in un più alto numero di<br />
soggetti del gruppo CGM rispetto al<br />
gruppo di controllo vi era anche una diminuzione<br />
dei livelli di HbA1c ≥ 0.3%<br />
senza un aumento ≥ 43 min/die (3% della<br />
giornata) dei livelli di glucosio misurati<br />
dai CGM ≤70 mg/dl (18 vs. 2%, P =<br />
0.007) e in un maggior numero di soggetti<br />
si verificava una diminuzione ≥ 43<br />
min/die del tempo giornaliero con livelli<br />
di glucosio ≤70 mg/dl senza aumento<br />
della HbA1c ≥ 0.3% (29 vs. 15%, P =<br />
0.005).<br />
Frequenza dell’utilizzo di sensori nel<br />
gruppo CGM<br />
Nel gruppo CGM group, tutti soggetti<br />
utilizzavano i CGM al termine della<br />
26ª settimana dello studio. Vi era una lieve<br />
flessione nell’utilizzo dei CGM durante<br />
le 26 settimane dello studio (P < 0.001)<br />
ma la percentuale di utilizzo restava ancora<br />
molto alta dopo la 26ª settimana.<br />
Durante le prime 13 settimane dello studio,<br />
il 78% dei soggetti totalizzava almeno<br />
6 giorni /settimana di utilizzo di<br />
CGM rispetto al 67% durante le ultime 4<br />
settimane. Soltanto il 13% dei soggetti totalizzava<br />
del CGM sulla riduzione dei livelli di<br />
HbA1c era maggiore negli adulti rispetto<br />
ai bambini (3).<br />
In conclusione quasi tutte le analisi,<br />
ma non il metodo preselezionato per l’analisi<br />
primaria, inclusi il tempo giornaliero<br />
≤60 mg/dl, il tempo giornaliero tra<br />
71 e 180 mg/dl e l’analisi combinata di<br />
HbA1c e ipoglicemia, erano a favore del<br />
gruppo CGM rispetto al gruppo di controllo.<br />
Sulla base di tale evidenza, il<br />
CGM risulta utile anche in adulti e bambini<br />
con diabete di tipo 1 che hanno già<br />
raggiunto un eccellente controllo glicemico<br />
con l’automon<strong>it</strong>oraggio glicemico<br />
domiciliare.<br />
Bibliografia<br />
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 63
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
Uno scarso controllo glicemico cost<strong>it</strong>uisce<br />
un fattore di rischio indipendente di bassi<br />
livelli di colesterolo-HDL in pazienti con<br />
diabete di tipo 2<br />
ALESSANDRA GATTI, MD 1 ELISABETTA MANDOSI, MD 1<br />
MARIANNA MARANGHI, MD 1 MARA FALLARINO, MD 1<br />
SIMONETTA BACCI, MD 2 SUSANNA MORANO, MD 1<br />
CLAUDIO CARALLO, MD 3 VINCENZO TRISCHITTA, MD 4 , 5 , 6<br />
AGOSTINO GNASSO, MD 3 SEBASTIANO FILETTI, MD 1<br />
OBIETTIVO – Determinare se l’associazione osservata tra scarso controllo<br />
glicemico e bassi livelli di colesterolo HDL nel diabete di tipo 2 dipenda da obes<strong>it</strong>à<br />
e/o ipertrigliceridemia.<br />
DISEGNO DELLA RICERCA E METODI – È stato effettuato uno studio<br />
cross-sezionale su 1.819 da pazienti con diabete di tipo 2 e trigliceridi
Tabella 1 – Caratteristiche cliniche delle popolazioni dello studio<br />
ni. Le analisi sono state effettuate mediante<br />
software SPSS, versione n. 15 (SPSS,<br />
Chicago, IL); un valore P di
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
66<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
RASSEGNA<br />
Progressi nel trattamento della<br />
retinopatia diabetica<br />
RAFAEL SIMÓ, MD, PHD<br />
CRISTINA HERNÁNDEZ, MD, PHD<br />
La retinopatia diabetica proliferante<br />
(PDR) è la principale causa di cec<strong>it</strong>à<br />
tra gli individui in età lavorativa nei<br />
paesi industrializzati (1). L’edema maculare<br />
diabetico (DME), un altro importante<br />
evento che si verifica nella retinopatia<br />
diabetica, è maggiormente frequente nel<br />
diabete di tipo 2 rispetto al diabete di tipo<br />
1 (2). Mentre la PDR rappresenta nel<br />
diabete di tipo 1 la più comune lesione<br />
che mette a rischio la vista, la DME è la<br />
principale causa di ridotta acu<strong>it</strong>à visiva<br />
nel diabete di tipo 2. Considerata l’alta<br />
prevalenza del diabete di tipo 2, la DME<br />
rappresenta la principale causa di deterioramento<br />
della vista nei pazienti diabetici<br />
(2). Inoltre, la DME è quasi sempre<br />
presente quando la PDR viene individuata<br />
nel diabete di tipo 2 (3). La neovascolarizzazione<br />
causata da ipossia severa<br />
è il segno distintivo della PDR, mentre il<br />
danno vascolare causato dalla rottura<br />
della barriera ematica retinica (BRB) è il<br />
principale agente nella patogenesi della<br />
DME (4,5).<br />
TRATTAMENTO STANDARD<br />
Sebbene un attento controllo sia dei<br />
livelli glicemici che dell’ipertensione è<br />
essenziale per prevenire o arrestare l’evolversi<br />
della malattia, gli obiettivi raccomandati<br />
sono difficili da raggiungere<br />
per molti pazienti e, di conseguenza, la<br />
retinopatia diabetica si evolve con l’evolversi<br />
della malattia. . Quando PDR o<br />
DME significativa insorgono, il trattamente<br />
attualmente indicato è la fotocoagulazione<br />
argon laser, la cui efficacia è<br />
stata ampiamente dimostrata (6). Tuttavia,<br />
spesso il periodo ottimale per il trattamento<br />
laser in molti pazienti è trascorso;<br />
inoltre, non sempre esso riesce ad arrestare<br />
il deterioramento della vista. Oltre<br />
a ciò, la fotocoagulazione argon laser<br />
è associata a moderata perd<strong>it</strong>a della vista,<br />
diminuzione del campo visivo, di-<br />
scromatopsia e ridotta sensibil<strong>it</strong>à al contrasto.<br />
La presenza di questi disturbi ha<br />
portato all’opinione prevalente che il<br />
trattamento con chirurgia laser può prevenire<br />
la perd<strong>it</strong>a della vista, ma raramente<br />
contribuisce a un suo miglioramento.<br />
I corticosteroidi intrav<strong>it</strong>reali sono stati<br />
adottati con successo in pazienti con<br />
DME persistente e perd<strong>it</strong>a della vista dopo<br />
fallimento del trattamento convenzionale<br />
(vale a dire trattamento laser focale<br />
e correzione dei fattori sistemici di rischio).<br />
Tuttavia ripetute iniezioni sono<br />
spesso necessarie e vi sono notevoli effetti<br />
indesiderati come infezioni, glaucoma<br />
e formazione di cataratta (6). Oltre a ciò,<br />
recenti studi hanno mostrato una maggiore<br />
efficacia della fotocoagulazione focale/griglia,<br />
con meno effetti collaterali<br />
rispetto al triamcinolone intrav<strong>it</strong>reale<br />
nella DME (7,8).<br />
La chirurgia v<strong>it</strong>reo-retinica è un trattamento<br />
costoso e complicato, che andrebbe<br />
effettuato soltanto da specialisti<br />
molto esperti in questa procedura, e di<br />
norma è riservato soltanto per i casi di<br />
PDR a rischio di cec<strong>it</strong>à, come emorragia<br />
v<strong>it</strong>reale severa e distacco di retina secondario.<br />
Per tali motivi sono necessari nuovi<br />
trattamenti farmacologici, elaborati in<br />
base alla comprensione dei meccanismi<br />
fisiopatologici della retinopatia diabetica.<br />
La scars<strong>it</strong>à di studi clinici rilevanti<br />
mirati a valutare nuovi farmaci nella retinopatia<br />
diabetica, è dovuta, in parte, alla<br />
necess<strong>it</strong>à di effettuare studi a lungo termine<br />
su grandi coorti di pazienti diabetici,<br />
valutati mediante una classificazione<br />
standardizzata di fotografie della retina.<br />
Sebbene non vi siano delle regole fisse, la<br />
durata di un trial va commisurata alla<br />
storia naturale della retinopatia diabetica,<br />
e, di conseguenza, sembrano necessari<br />
almeno 5 anni per distinguere il comportamento<br />
della retinopatia tra un<br />
gruppo di intervento e uno di controllo.<br />
Inoltre, la maggior parte dei trial clinici<br />
From the CIBER de Diabetes y Enfermedades Metabólicas Asociadas (CIBERDEM), Inst<strong>it</strong>uto de<br />
Salud Carlos III, Madrid, Spain, and the Diabetes and Metabolism Research Un<strong>it</strong>, Inst<strong>it</strong>ut de Recerca<br />
Hosp<strong>it</strong>al Univers<strong>it</strong>ari Vall d’Hebron, Barcelona, Spain.<br />
Corresponding author: Rafael Simó, rsimo@ir.vhebron.net.<br />
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
si è sempre concentrata sull’evoluzione<br />
della retinopatia diabetica e vi sono stati<br />
pochi studi incentrati sulla prevenzione.<br />
Tutte le suddette premesse andrebbero<br />
tenute in conto quando si analizzano i<br />
trial clinici riguardanti la retinopatia diabetica,<br />
perché possono contribuire significativamente<br />
a risultati falso-negativi.<br />
La presenza della retinopatia diabetica in<br />
soggetti non diabetici rappresenta un’altra<br />
sfida. Wong et al. (9), in uno studio<br />
che includeva più di 11.000 partecipanti<br />
provenienti da tre coorti di popolazione,<br />
hanno evidenziato che con l’attuale cutoff<br />
del glucosio plasmatico a digiuno di<br />
7.0 mmol/l utilizzato per diagnosticare il<br />
diabete, il 7.4–13.4% dei pazienti non<br />
diabetici aveva una retinopatia diabetica.<br />
Tale riscontro, oltre a mettere in discussione<br />
gli attuali cr<strong>it</strong>eri diagnostici del<br />
diabete, suggerisce un potenziale lim<strong>it</strong>e<br />
alla riduzione del rischio di retinopatia<br />
diabetica che andrebbe preso in considerazione<br />
quando si interpretano i risultati<br />
di trial clinici.<br />
Recentemente sono stati pubblicati<br />
due studi di importanza cruciale riguardanti<br />
gli effetti benefici di due differenti<br />
farmaci (fenofibrato e candesartan) sulla<br />
retinopatia diabetica (10–12). Questi studi<br />
soddisfano tutte le premesse per l’ottenimento<br />
di un valido risultato: followup<br />
a lungo termine (~5 anni), un’ampia<br />
coorte di pazienti diabetici, retinopatia<br />
valutata con metodologie standardizzate,<br />
e un significativo numero di pazienti<br />
senza retinopatia diabetica all’ingresso<br />
nello studio, consentendo così di valutarne<br />
l’efficacia anche in prevenzione. In<br />
stadi avanzati di retinopatia diabetica,<br />
tra i nuovi trattamenti sono emersi agenti<br />
intrav<strong>it</strong>reali che inibiscono il fattore di<br />
cresc<strong>it</strong>a dell’endotelio vascolare (VEGF).<br />
Questi farmaci non sono ancora approvati<br />
per il trattamento della retinopatia<br />
diabetica, ma sono attualmente utilizzati<br />
dagli oftalmologi in determinati casi di<br />
PDR e DME (13,14). Questo articolo descrive<br />
l’attuale livello di conoscenza riguardo<br />
a questi nuovi farmaci per il trattamento<br />
della retinopatia diabetica, evidenziando<br />
i punti che richiedono ulteriori<br />
studi.<br />
FENOFIBRATO<br />
Il fenofibrato è un agonista dei recettori<br />
– attivanti la proliferazione perossisomiale<br />
(PPAR-α), indicato per il tratta-<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 67
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
mento di ipertrigliceridemia e dislipidemia<br />
mista. La sua principale azione è<br />
quella di abbassare i livelli dei trigliceridi<br />
plasmatici, ma esso riduce anche colesterolo<br />
totale e colesterolo LDL, aumenta il<br />
colesterolo HDL e diminuisce la concentrazione<br />
delle piccole particelle di colesterolo<br />
LDL e dell’apolipoproteina B<br />
(15). Di recente, Keech et al. (10) hanno<br />
riportato i risultati riguardanti il trattamento<br />
laser della retinopatia diabetica<br />
ottenuti nello studio FIELD (Fenofibrate<br />
Intervention and Event Lowering in Diabetes).<br />
Il principale obiettivo di questo<br />
trial randomizzato controllato era di valutare<br />
se una terapia ipolipemizzante a<br />
lungo termine a base di fenofibrato potesse<br />
ridurre la necess<strong>it</strong>à di utilizzare il<br />
trattamento laser in una grande coorte (n<br />
= 9,795) di pazienti con diabete di tipo 2.<br />
La durata media del follow-up era 5 anni<br />
e l’end point era cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dalla necess<strong>it</strong>à<br />
del trattamento col laser (un end point<br />
terziario dello studio principale). In un’analisi<br />
“intention-to-treat” (ITT), il fenofibrato<br />
(200 mg una volta al giorno) riduceva<br />
la frequenza del trattamento con laser<br />
per edema maculare del 31% e per retinopatia<br />
proliferativa del 30%. Inoltre, in<br />
un sotto-studio esegu<strong>it</strong>o su pazienti la<br />
cui condizione retinica era stata valutata<br />
mediante fotografia del fundus, il fenofibrato<br />
rallentava l’evoluzione della retinopatia<br />
preesistente. Sebbene vi fossero<br />
dei fattori lim<strong>it</strong>anti in questo studio<br />
(16,17), i benefici sostanziali derivanti<br />
dall’avere scongiurato la necess<strong>it</strong>à del<br />
trattamento col laser inducono a prendere<br />
in considerazione l’utilizzo del fenofibrato<br />
nella terapia per la retinopatia diabetica.<br />
Tuttavia, la nostra lim<strong>it</strong>ata conoscenza<br />
dei meccanismi che producono i<br />
benefici nella retinopatia diabetica potrebbe<br />
lim<strong>it</strong>arne il potenziale impatto<br />
sulla pratica clinica. In teoria, anche altri<br />
PPAR-α oltre al fenofibrato potrebbero<br />
risultare benefici per la retinopatia diabetica;<br />
attualmente, tuttavia, ciò è stato dimostrato<br />
soltanto col fenofibrato.<br />
La logica alla base del FIELD era che<br />
elevati livelli lipidici nel circolo sistemico<br />
cost<strong>it</strong>uiscono un fattore di rischio per retinopatia<br />
diabetica; pertanto, una terapia<br />
a lungo termine mirata ad abbassare i livelli<br />
di lipidi a base di fenofibrato poteva<br />
ridurre la progressione della retinopatia<br />
diabetica e la necess<strong>it</strong>à di effettuare trattamento<br />
laser nei pazienti con diabete di<br />
tipo 2. Tuttavia, non si è individuata alcuna<br />
relazione tra lipidi sierici e l’insorgenza<br />
o l’evoluzione della retinopatia<br />
diabetica. Ciò coincide con altri studi<br />
prospettici che dimostrano che i lipidi<br />
sierici non sono correlati con la progressione<br />
della retinopatia diabetica o l’evolversi<br />
della PDR (18,19). Inoltre, il Collaborative<br />
Atorvastatin Diabetes Study<br />
68<br />
(CARDS), un trial randomizzato controllato<br />
su 2.830 pazienti con diabete di tipo<br />
2, non ha riscontrato alcuna efficacia dell’atorvastatina<br />
nel ridurre la progressione<br />
della retinopatia diabetica (20). Questo<br />
studio era tuttavia lim<strong>it</strong>ato da una<br />
notevole quant<strong>it</strong>à di dati mancanti (soltanto<br />
nel 65% nei pazienti la retinopatia<br />
era stata valutata durante il controllo basale)<br />
e dalla mancanza di una classificazione<br />
fotografica della retinopatia diabetica.<br />
Un altro trial randomizzato, lo studio<br />
ACCORD-EYE, attualmente in corso,<br />
potrebbe far luce sulla questione (21). In<br />
questo studio si stanno valutando gli effetti<br />
del controllo lipidico (statina vs. fenofibrato<br />
aggiunto a statina) sull’evoluzione<br />
della retinopatia diabetica. 4.065<br />
partecipanti sono stati e valutati tram<strong>it</strong>e<br />
fotografie del fundus a 4 mesi dalla randomizzazione,<br />
e di nuovo 4 anni più tardi.<br />
Sebbene nello studio FIELD non vi<br />
fosse alcuna relazione tra i livelli di lipidi<br />
sierici e la retinopatia diabetica, non è<br />
chiaro se l’efficacia del fenofibrato nel<br />
modulare le proprietà qual<strong>it</strong>ative delle lipoproteine<br />
(vale a dire nel ridurre le particelle<br />
di colesterolo LDL piccole e dense)<br />
possa contribuire ai suoi effetti benefici.<br />
È anche possibile che siano più importanti<br />
i meccanismi che regolano il trasporto<br />
intraretinico dei lipidi, piuttosto<br />
che i livelli sierici, nella patogenesi della<br />
retinopatia diabetica. A tal propos<strong>it</strong>o, abbiamo<br />
recentemente evidenziato una sovraespressione<br />
dell’apolipoproteina A1<br />
(apo-A1) nella retina dei pazienti diabetici<br />
(22). L’Apo-A1 rappresenta un componente<br />
chiave del trasporto intraretinico<br />
dei lipidi, che previene la formazione di<br />
depos<strong>it</strong>i lipidici e la lipotossic<strong>it</strong>à, oltre a<br />
fagoc<strong>it</strong>are le specie reattive dell’ossigeno.<br />
Pertanto, l’apo-A1 potrebbe giocare un<br />
ruolo importante nel proteggere la retina<br />
dallo stress ossidativo. Questi risultati ci<br />
hanno portato a ipotizzare che nella retina<br />
dei pazienti diabetici vi è un maggiore<br />
presenza di apo-A1 come meccanismo<br />
di protezione; di conseguenza, nei pazienti<br />
con minore capac<strong>it</strong>à di produzione<br />
di apo-A1 da parte della retina sarà più<br />
frequente la formazione di depos<strong>it</strong>i lipidici<br />
(essudati duri) e di danno retinico<br />
indotto da stress ossidativo. Si è osservato<br />
che l’acido fenofibrico migliora la trasmissione<br />
del gene dell’apo-A1 nel fegato<br />
(23), nei macrofagi e nei fibroblasti<br />
(24), ma se ciò avvenga anche a livello retinico<br />
resta da chiarire.<br />
Altri meccanismi non lipidici grazie<br />
ai quali il fenofibrato potrebbe essere efficace<br />
nel prevenire o arrestare la retinopatia<br />
diabetica potrebbero essere i seguenti:<br />
1) Il PPAR-α è presente nelle cellule endoteliali<br />
(25) e si è recentemente ri-<br />
scontrato che la sua attivazione per<br />
mezzo di agonisti PPAR-α inibisce<br />
l’espressione del recettore 2 del VEGF<br />
(VEGFR2) e la neovascolarizzazione<br />
in cellule endoteliali umane derivate<br />
dalla vena umbilicale (26). Varet et al.<br />
(27) hanno dimostrato che il fenofibrato<br />
inibisce l’angiogenesi in v<strong>it</strong>ro e<br />
in vivo, oltre all’angiogenesi in vivo<br />
indotta dal fattore di cresc<strong>it</strong>a dei fibroblasti.<br />
Inoltre, in cellule cancerogene<br />
umane derivate dalle ovaie, l’acido<br />
clofibrico (agonista dei PPAR-α)<br />
opera una sotto-regolazione dell’espressione<br />
di VEGF (28). Oltre ai suoi<br />
effetti antiproliferativi, il fenofibrato<br />
inibisce l’apoptosi indotta dalle alte<br />
concentrazioni glicemiche in cellule<br />
endoteliali umane derivate dalla vena<br />
ombelicale (29). È stato inoltre dimostrato<br />
che il fenofibrato previene<br />
l’apoptosi delle cellule endoteliali<br />
umane della retina indotta dalla privazione<br />
di siero attraverso una via indipendente<br />
da agonisti del PPAR-α,<br />
ma dipendente dalla proteinchinasi<br />
attivata dall’AMP (30). Tale attivazione<br />
nelle cellule endoteliali potrebbe<br />
portare a un aumento della fosforilazione<br />
dell’ossido n<strong>it</strong>rico sintasi endoteliale<br />
e della produzione di ossido<br />
n<strong>it</strong>rico, risultando così benefica per la<br />
funzione endoteliale (31).<br />
2) Il PPAR-α è associato ad attiv<strong>it</strong>à antinfiammatoria<br />
e antiossidante(32). È<br />
stato riportato che l’attivazione del<br />
PPAR-α induce l’espressione e l’attivazione<br />
di enzimi antiossidanti, come<br />
la superossido dismutasi e la glutatione<br />
perossidasi (33), è che l’attivazione<br />
del PPAR-α induce l’apoptosi<br />
dei macrofagi derivati da monoc<strong>it</strong>i<br />
umani (34). Gli attivatori del PPAR-α<br />
inibiscono inoltre l’espressione delle<br />
molecole di adesione nelle cellule vascolari<br />
endoteliali (35). Tale effetto<br />
potrebbe contribuire alla prevenzione<br />
della leucostasi (l’inappropriata adesione<br />
dei leucoc<strong>it</strong>i all’endotelio), essenziale<br />
nella patogenesi del PDR.<br />
3) L’attivazione del PPAR-α ha inoltre<br />
un effetto neuroprotettivo (33,36). Ciò<br />
potrebbe essere importante nel prevenire<br />
la degenerazione della neuroretina,<br />
un evento cruciale che insorge<br />
precocemente nella retinopatia diabetica,<br />
prima ancora che si possano individuare<br />
anormal<strong>it</strong>à vascolari (<strong>37</strong>).<br />
4) La rottura della BRB, causata dalla<br />
distruzione delle giunture strette e<br />
dalla conseguente perd<strong>it</strong>a di proteine,<br />
è la principale causa della DME<br />
(6). In virtù della efficacia del fenofibrato<br />
nel prevenire l’evolversi della<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
DME, sarebbe bene verificare se il fenofibrato<br />
sia in grado di ridurre l’aumentata<br />
permeabil<strong>it</strong>à esistente nella<br />
retinopatia diabetica.<br />
Ulteriori ricerche sui potenziali effetti<br />
del fenofibrato su tutti i suddetti aspetti<br />
saranno essenziali per capirne gli effetti<br />
benefici sulla retinopatia diabetica, e saranno<br />
inoltre di cruciale importanza per<br />
poter utilizzare questo farmaco, in aggiunta<br />
a quelli esistenti, nella terapia della<br />
retinopatia diabetica.<br />
BLOCCARE IL SISTEMA<br />
RENINA-ANGIOTENSINA<br />
Trial di osservazione e clinici hanno<br />
mostrato che la pressione arteriosa rappresenta<br />
un importante fattore di rischio<br />
modificabile per la retinopatia diabetica,<br />
e che ridurre alti livelli di pressione arteriosa<br />
riduce significativamente lo sviluppo<br />
e la progressione della retinopatia nei<br />
pazienti diabetici sia di tipo 1 che di tipo<br />
2 (38,39). Il blocco del sistema renina-angiotensina<br />
(RAS) con un ACE inib<strong>it</strong>ore o<br />
utilizzando un antagonista del recettore<br />
di tipo 1 dell’angiotensina II (AT1-R) rappresenta<br />
una delle più comuni strategie<br />
per il trattamento dell’ipertensione nei<br />
pazienti diabetici. Oltre che nei reni, il sistema<br />
RAS è espresso a livello oftalmico<br />
(40). Inoltre, acquista evidenza sempre<br />
maggiore il fatto che l’attivazione del<br />
RAS nell’occhio gioca un ruolo importante<br />
nella patogenesi della retinopatia<br />
diabetica (40). Pertanto, oltre a ridurre i<br />
livelli di pressione arteriosa, il blocco del<br />
RAS potrebbe risultare benefico di per sé<br />
nel ridurre l’evoluzione e la progressione<br />
della retinopatia diabetica.<br />
I principali fattori componenti del<br />
RAS sono stati identificati nei tessuti<br />
oculari e sono sovraespressi nella retina<br />
diabetica. L’angiotensina II (AT) si lega e<br />
attiva due recettori primari, l’AT1-R e<br />
l’AT2-R. Negli esseri umani adulti, l’ativazione<br />
dell’AT1-R espressa nelle cellule<br />
endoteliali e nei peric<strong>it</strong>i è prevalente in<br />
condizioni patologiche (40). L’attivazione<br />
dell’AT1-R da parte dell’AT prodotta dalla<br />
retina stimola parecchie vie coinvolte<br />
nella patogenesi della retinopatia diabetica<br />
come infiammazione, stress ossidativo,<br />
proliferazione cellulare, migrazione<br />
di peric<strong>it</strong>i, rimodellamento della matrice<br />
extracellulare mediante aumento della<br />
metalloproteinasi di matrice, angiogenesi<br />
e fibrosi (40). Il RAS è sovraregolato in<br />
concom<strong>it</strong>anza con l’angiogenesi retinica<br />
indotta da ipossia ed è collegato all’induzione<br />
di mediatori infiammatori e fattori<br />
di cresc<strong>it</strong>a mediati dall’AT, tra cui il<br />
VEGF e il fattore di cresc<strong>it</strong>a di derivazione<br />
piastrinica (40,41). Inoltre, l’attivazione<br />
dell’AT1-R da parte dell’AT promuove<br />
leucostasi e degenerazione (40), due<br />
fattori chiave nella patogenesi della retinopatia<br />
diabetica. Gran parte di questi<br />
meccanismi vengono inib<strong>it</strong>i o attenuati<br />
dal blocco farmacologico del RAS o a livello<br />
di ACE o dei recettori dell’AT e sono<br />
accompagnati da una sotto-regolazione<br />
del VEGF e del VEGFR-2 (40). Di recente,<br />
Kim et al. (42) hanno riscontrato<br />
che il perindopril (un ACE inib<strong>it</strong>ore) attenua<br />
la rottura della BRB mediata dal<br />
VEGF nei ratti con diabete indotto da<br />
streptozotocina. È importante, inoltre,<br />
menzionare il fatto che il candesartan ha<br />
inib<strong>it</strong>o l’accumulo nella retina di pentosidina,<br />
prodotto finale di glicosilazione<br />
avanzata nei ratti di specie Torii con diabete<br />
spontaneo (43). Oltre a ridurre la<br />
malattia microvascolare, risulta sempre<br />
più evidente il ruolo della neuroprotezione<br />
come artefice degli effetti benefici dati<br />
dagli antagonisti dei recettori dell’angiotensina<br />
nella retinopatia diabetica<br />
(44–46).<br />
Su tali basi sperimentali, è ragionevole<br />
postulare che il blocco del RAS può risultare<br />
più efficace nella retinopatia diabetica<br />
rispetto ad altri agenti antipertensivi.<br />
Tuttavia, studi effettuati su pazienti<br />
ipertesi con diabete di tipo 2 suggeriscono<br />
che ACE inib<strong>it</strong>ori e antagonisti dei recettori<br />
dell’angiotensina non sono superiori<br />
nel prevenire o arrestare la retinopatia<br />
diabetica rispetto ad altri farmaci,<br />
ugualmente efficaci nel ridurre la pressione<br />
arteriosa, come il β-bloccante atenololo<br />
(47) o la nisoldipina, che blocca i<br />
canali del calcio (48). Questi studi prospettici<br />
randomizzati suggeriscono che<br />
ridurre la pressione arteriosa sembri<br />
molto più importante del potenziale effetto<br />
di blocco del RAS nell’occhio diabetico.<br />
Resta tuttavia da chiarire la questione<br />
riguardante il potenziale effetto del<br />
blocco del RAS nei pazienti diabetici normotesi.<br />
L’EURODIAB Controlled Trial of<br />
Lisinopril in Insulin-Dependent Diabetes<br />
Mell<strong>it</strong>us (EUCLID), ha riportato che in<br />
pazienti normotesi (pressione arteriosa<br />
≤140/90 mmHg), normoalbuminurici<br />
(85% dei pazienti) o microalbuminurici,<br />
il lisinopril (ACE inib<strong>it</strong>ore) non riduceva<br />
l’incidenza della retinopatia diabetica ma<br />
ne diminuiva l’evolversi di due o più<br />
gradi e rallentava la progressione verso<br />
la PDR (49). Tuttavia, questi risultati sono<br />
stati oggetto di cr<strong>it</strong>iche, perché il<br />
gruppo placebo aveva livelli medi di<br />
HbA1c significativamente più alti rispetto<br />
al gruppo di trattamento. Dopo aver<br />
effettuato gli aggiustamenti per la<br />
HbA1c, infatti, le differenze osservate<br />
nella progressione di due livelli verso la<br />
PDR non erano più significative e soltanto<br />
il progresso di un livello rimaneva significativo.<br />
Altri fattori che lim<strong>it</strong>avano<br />
questo studio erano il breve periodo di<br />
follow-up (2 anni) e il fatto che la retino-<br />
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
patia diabetica non cost<strong>it</strong>uisse l’end<br />
point primario dello studio. Pertanto,<br />
sebbene lo studio EUCLID indicasse ulteriori<br />
benefici apportati dagli ACE inib<strong>it</strong>ori<br />
sull’evolversi della retinopatia diabetica,<br />
esso era sottopotenziato per valutare<br />
gli es<strong>it</strong>i oftalmici. Inoltre, nei pazienti<br />
normotesi con diabete di tipo 2 dello studio<br />
Appropriate Blood Pressure Control<br />
in Diabetes (ABC), Schrier et al. (50) hanno<br />
mostrato che un controllo intensivo<br />
della pressione arteriosa rallentava l’evolversi<br />
della retinopatia diabetica. Tuttavia<br />
i risultati erano analoghi, sia con la<br />
somministrazione di enalapril che di nisoldipina<br />
come agente antipertensivo<br />
iniziale. Anziché, dunque, stabilire quale<br />
farmaco antipertensivo abbia maggiore<br />
efficacia, sembra più importante riuscire<br />
a ridurre i livelli di pressione arteriosa.<br />
Il programma Diabetic Retinopathy<br />
Candesartan Trials (DIRECT) era stato<br />
progettato per verificare se il blocco del<br />
RAS col candesartan, antagonista dell’AT1-R,<br />
potesse prevenire l’incidenza e<br />
l’evoluzione della retinopatia nel diabete<br />
di tipo 1 e di tipo 2 independentemente<br />
dall’abbassamento della pressione arteriosa<br />
(11,12). Questo programma consisteva<br />
in tre studi di gruppi paralleli, randomizzati,<br />
in doppio cieco e controllati<br />
con placebo: 1) uno studio di prevenzione<br />
primaria in 1241 pazienti con diabete<br />
di tipo 1 senza retinopatia diabetica (DI-<br />
RECT-Prevent 1), 2) uno studio di prevenzione<br />
secondario in 1.905 pazienti<br />
con diabete di tipo 1 affetti da retinopatia<br />
diabetica (DIRECT-Protect 1), e 3) uno<br />
studio di prevenzione secondario in<br />
1.905 pazienti con diabete di tipo 2 affetti<br />
da retinopatia diabetica (DIRECT-Protect<br />
2). In ciascun trial, ai pazienti randomizzati<br />
veniva somministrato candesartan<br />
(16–32 mg/die) o placebo e il follow-up<br />
medio era 4.7 anni. I pazienti con diabete<br />
di tipo 1 erano eleggibili per l’inclusione<br />
nello studio se erano normoalbuminurici<br />
e normotesi (pressione arteriosa ≤130/85<br />
mmHg). Per i pazienti con diabete di tipo<br />
2, i cr<strong>it</strong>eri di inclusione erano normoalbuminuria<br />
e pressione arteriosa<br />
normale senza terapia antipertensiva o<br />
pressione arteriosa ≤160/90 mmHg durante<br />
il trattamento. L’end point primario<br />
era l’incidenza della retinopatia diabetica<br />
nello studio di prevenzione primaria<br />
e l’evolversi della retinopatia diabetica<br />
negli studi di prevenzione secondaria.<br />
Nello studio DIRECT-Prevent 1, si osservava<br />
una riduzione non significativa (riduzione<br />
del rischio relativo del 18%; P =<br />
0.051) del rischio di incidenza di retinopatia<br />
diabetica. Tuttavia, in un’analisi<br />
post hoc in cui l’end point primario veniva<br />
modificato da un aumento di due gradi<br />
ad un aumento di almeno tre gradi<br />
nella scala ETDRS, si riscontrava una dif-<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 69
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
ferenza significativa (riduzione del rischio<br />
relativo del 35%; P = 0.003). Tale effetto<br />
benefico veniva attenuato ma era<br />
ancora significativo dopo che i dati venivano<br />
aggiustati per durata del diabete,<br />
HbA1c e pressione sistolica (riduzione di<br />
rischio relativo del 26%; P = 0.046) (11).<br />
Nel DIRECT-Protect 1, si riscontrava<br />
un’identica evoluzione della retinopatia<br />
diabetica nel gruppo placebo e nel gruppo<br />
trattato con candesartan, il che indicherebbe<br />
che il candesartan non avrebbe<br />
efficacia nel prevenire l’evoluzione della<br />
retinopatia diabetica (11). Il DIRECT-Protect<br />
2 mostrava una riduzione non significativa<br />
nell’evoluzione della retinopatia<br />
diabetica (rischio relativo del 13%; P =<br />
0.20). Si osservava tuttavia un significativo<br />
aumento della regressione della retinopatia<br />
diabetica (34%, P = 0.009) e tale<br />
effetto era maggiormente evidente nei<br />
pazienti con retinopatia lieve (12). Sebbene<br />
l’end point primario predeterminato<br />
nel programma DIRECT non sia stato<br />
raggiunto, le analisi dei dati indicano un<br />
complessivo effetto benefico del candesartan<br />
nella retinopatia diabetica.<br />
I risultati del DIRECT andrebbero<br />
confrontati con quelli dello studio Action<br />
in Diabetes and Vascular Disease (AD-<br />
VANCE), che comprendeva 11.140 pazienti<br />
con diabete di tipo 2 (51). In questo<br />
studio, pazienti randomizzati a un controllo<br />
glicemico intensivo con glicazide<br />
(a rilascio modificato), oltre ad altri farmaci<br />
necessari per raggiungere livelli di<br />
HbA1c ≤6.5% e un ACE inib<strong>it</strong>ore associato<br />
a un diuretico (perindopril-indapamide),<br />
presentavano la stessa incidenza o<br />
evoluzione della retinopatia diabetica rispetto<br />
al gruppo placebo nell’arco di 4<br />
anni. Questi risultati indicherebbero che<br />
il candesartan, ma non gli ACE inib<strong>it</strong>ori,<br />
può avere effetti benefici sulla retinopatia<br />
diabetica. Andrebbe tuttavia precisato<br />
che a differenza del DIRECT, l’ADVAN-<br />
CE non utilizzava fotografie retiniche<br />
standardizzate e vi era una minore evoluzione<br />
della retinopatia diabetica, lim<strong>it</strong>ando<br />
in tal modo la capac<strong>it</strong>à dello studio<br />
di individuare qualsiasi effetto moderato<br />
sulla malattia oculare microvascolare.<br />
AGENTI ANTI-VEGF PER VIA<br />
INTRAVITREALE<br />
È stato appurato il ruolo fondamentale<br />
del VEGF nella genesi della retinopatia<br />
diabetica e i suoi livelli sono aumentati<br />
negli animali con diabete indotto e nell’umor<br />
v<strong>it</strong>reo di pazienti con retinopatia<br />
diabetica. La somministrazione di VEGF<br />
per via intrav<strong>it</strong>reale in animali in laboratorio<br />
riproduce molte caratteristiche della<br />
retinopatia diabetica. Dunque, i farmaci<br />
che attenuano l’azione del VEGF sono<br />
70<br />
molto interessanti, poiché sono in grado<br />
di ridurre permeabil<strong>it</strong>à e neovascolarizzazione,<br />
caratteri distintivi rispettivamente<br />
di DME e PDR (4,52).<br />
In generale, i farmaci somministrati<br />
in maniera sistemica raggiungono il tessuto<br />
retinocoroidale atraverso la circolazione<br />
del sangue. Poiché, tuttavia, la BRB<br />
lim<strong>it</strong>a il flusso di farmaci nella retina, è<br />
necessario somministrare ingenti quant<strong>it</strong>à<br />
di farmaci per ottenere concentrazioni<br />
terapeutiche t. Per quanto concerne gli<br />
agenti anti-VEGF, ciò porterebbe ad una<br />
sistemica inibizione dell’angiogenesi che<br />
comprometterebbe la risposta vascolare,<br />
cruciale negli eventi ischemici di pazienti<br />
diabetici con malattia cardiovascolare,<br />
cerebrovascolare o vascolare periferica.<br />
Inoltre, ipertensione e proteinuria (due<br />
marker surrogati dell’inibizione sistemica<br />
del VEGF), oltre ad una compromessa<br />
guarigione della lesione, cost<strong>it</strong>uiscono altre<br />
potenziali conseguenze del blocco del<br />
VEGF e cost<strong>it</strong>uirebbero motivo di particolare<br />
preoccupazione per la popolazione<br />
diabetica (14). D’altra parte, la somministrazione<br />
locale di agenti anti-VEGF<br />
nell’occhio mediante iniezioni per via intrav<strong>it</strong>reale<br />
ev<strong>it</strong>erebbe effetti indesiderati<br />
sistemici. Tale procedura è tuttavia invasiva,<br />
ed è necessario l’intervento di uno<br />
specialista di comprovata abil<strong>it</strong>à. Per potere,<br />
inoltre, mantenere livelli di efficacia,<br />
sono necessarie iniezioni ripetute frequentemente,<br />
aumentando così l’insorgere<br />
di complicanze locali come endoftalm<strong>it</strong>e,<br />
emorragia v<strong>it</strong>reale, distacco della<br />
retina e cataratta traumatica. E ancora,<br />
sebbene il sistema oculare sia considerato<br />
chiuso e delim<strong>it</strong>ato, i farmaci anti-<br />
VEGF iniettati nella cav<strong>it</strong>à v<strong>it</strong>reale passano<br />
nella circolazione sistemica a livelli<br />
che possono variare e potrebbero potenzialmente<br />
causare gli effetti indesiderati<br />
sistemici sopra menzionati (14,52). Attualmente<br />
vi sono quattro anti-VEGF disponibili:<br />
pegaptamib sodio (Macugen;<br />
Pfizer), ranibizumab (Lucentis; Genentech/Novartis),<br />
bevacizumab (Avastin; Genentech)<br />
e aflibercept (Regeneron Pharmaceuticals/Sanofi-Aventis).<br />
Il Pegaptanib è un aptamero RNA peghilato<br />
(vale a dire, coniugato con polietilene<br />
glicolico) neutralizzante, con un’altissima<br />
affin<strong>it</strong>à verso l’isoforma 165 del<br />
VEGF (VEGF 165 ), che partecipa alla neovascolarizzazione<br />
patologica ma non fisiologica<br />
(53). Gli aptameri sono nucleotidi<br />
modificati composti da acidi nucleici<br />
con un singolo filamento, che adottano<br />
una specifica conformazione tridimensionale,<br />
che ne permette il legame ad alta<br />
specific<strong>it</strong>à e affin<strong>it</strong>à a target molecolari,<br />
in maniera simile agli anticorpi monoclonali.<br />
Un’importante caratteristica degli<br />
aptameri è il fatto che essi non mostrano<br />
immunogenic<strong>it</strong>à. Il pegaptamib è stato<br />
approvato dalla U.S. Food and Drug Administration<br />
(FDA) per il trattamento<br />
della degenerazione essudativa (umida o<br />
neovascolare) correlata all’età (AMD) nel<br />
dicembre 2004.<br />
Il ranibimizumab è un anticorpo monoclonale<br />
completo, antagonista del<br />
VEGF. A differenza del pegaptamib, il ranimizumab<br />
inibisce l’attiv<strong>it</strong>à biologica di<br />
tutte le isoforme del VEGF umano e potrebbe<br />
essere immunogenico. La FDA ha<br />
aprovato il ranibizumab per la AMD<br />
umida a giugno del 2006.<br />
Il bevacizumab è un agente anti-<br />
VEGF simile al ranibizumab ed è stato<br />
approvato dalla FDA a febbraio del 2004<br />
per il trattamento del cancro disseminato<br />
colorettale, ma non per l’adozione a livello<br />
intraoculare. Ciononostante, la terapia<br />
iniettiva per via intrav<strong>it</strong>reale con bevacizumab<br />
è un trattamento di routine<br />
effettuato dagli oftalmologi per la AMD<br />
neovascolare, perché pur avendo la stessa<br />
efficacia di pegaptamib o ranimizumab,<br />
ha un costo notevolmente inferiore.<br />
L’aflibercept, anche noto come “Trap-<br />
Eye” del VEGF per via della sua capac<strong>it</strong>à<br />
di bloccare tutte e sei le proteine del<br />
VEGF (dalla VEGF-A alla VEGF-E, oltre<br />
al fattore di cresc<strong>it</strong>a placentare), è una<br />
proteina di fusione comprendente segmenti<br />
dei domini extracellulari dei recettori<br />
umani VEGF 1 (VEGFR1) e 2 (VEG-<br />
FR2), fusi alla regione costante (Fc) dell’IgG<br />
umano. L’afilbercept è attualmente<br />
utilizzato in trial clinici sia per AMD che<br />
DME umide. L’aflibercept ha una maggiore<br />
affin<strong>it</strong>à di legame rispetto ad altri<br />
agenti anti-VEGF. Questa maggiore affin<strong>it</strong>à<br />
di legami si traduce in una maggiore<br />
attiv<strong>it</strong>à a livelli biologici più bassi e, di<br />
conseguenza, in una maggiore durata<br />
d’azione.<br />
I risultati dei trial clinici prospettici<br />
che hanno utilizzato pegaptanib e ranibizumab<br />
in i pazienti con AMD sono stati<br />
davvero notevoli e hanno portato alla<br />
progettazione di trial specifici per DME e<br />
PDR. Attualmente soltanto un trial prospettico,<br />
multicentrico, in doppio cieco,<br />
con range di dosaggio controllato, è stato<br />
effettuato su pazienti diabetici (54). In<br />
questo studio erano inclusi 172 pazienti<br />
con DME, i pazienti randomizzati per ricevere<br />
ripetute iniezioni di pegaptamib<br />
via intrav<strong>it</strong>reale avevano risultati visivi<br />
migliori (P = 0.03), maggiori probabil<strong>it</strong>à<br />
di riduzione dello spessore retinico (P =<br />
0.02), con minore necess<strong>it</strong>à di ulteriori intervento<br />
col laser focale (P = 0.04) al follow-up<br />
(36 weeks) rispetto ai soggetti<br />
che ricevevano iniezioni di placebo per<br />
via intrav<strong>it</strong>reale. L’analisi retrospettiva<br />
dei dati oftalmici di 16 pazienti con PDR<br />
mostrava anche una regressione della<br />
neovascolarizzazione (55).<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
Studi non controllati che utilizzavano<br />
ranibizumab e bevacizumab hanno inoltre<br />
riscontrato una rapida regressione<br />
della neovascolarizzazione retinica, miglioramento<br />
dell’acutezza visiva e diminuzione<br />
dello spessore retinico nella<br />
DME, anche in coloro che non rispondevano<br />
al trattamento convenzionale<br />
(14,56). Tuttavia, la risposta al trattamento<br />
della DME mediante blocco del VEGF<br />
non è prolungata ed è soggetta a significativa<br />
variabil<strong>it</strong>à. Ciò è in netto contrasto<br />
con la risposta rapida con neovascolarizzazione<br />
sia dell’iride che della retina in<br />
presenza di PDR e di neovascolarizzazione<br />
coroidale in caso di AMD umida (57).<br />
È interessante notare che quando si sono<br />
messi a confronto i risultati del trattamento<br />
della DME con bevacizumab per<br />
via intrav<strong>it</strong>reale con quelli del cortisone<br />
intrav<strong>it</strong>reale (acetonide triamcinolone), i<br />
risultati migliori riscontrati in termini di<br />
riduzione dello spessore foveale e migliore<br />
visione erano da attribuire al<br />
triamcinolone (58). In trial clinici prospettici<br />
si sta attualmente tentando di appurare<br />
quanto il blocco del VEGF risulti<br />
benefico per la DME. Oltre alla loro potenzial<strong>it</strong>à<br />
come trattamenti isolati per<br />
PDR e DME, si è osservato che gli agenti<br />
anti-VEGF per via intrav<strong>it</strong>reale, in particolare<br />
il bevacizumab, contribuiscono ad<br />
aumentare la risposta a breve termine alla<br />
fotocoagulazione panretinica nella<br />
PDR ad alto rischio, e sembrano inoltre<br />
efficaci e sicuri come trattamento coadiuvante<br />
per la v<strong>it</strong>rectomia in casi di PDR<br />
severa o emorragia v<strong>it</strong>reale (56). Ciò è<br />
spiegato dal fatto che gli agenti anti-<br />
VEGF intrav<strong>it</strong>reali riducono neovascolarizzazione<br />
attiva ed emorragia v<strong>it</strong>reale,<br />
permettendo così una sicura ed efficiente<br />
fotocoagulazione panretinica o v<strong>it</strong>rectomia<br />
via pars plana, minimizzando allo<br />
stesso tempo i rischi di complicanze. L’aflibercept<br />
è stato recentemente testato in<br />
uno studio esplorativo esegu<strong>it</strong>o su cinque<br />
pazienti con DME (59). In questo<br />
studio, somministrando una singola iniezione<br />
per via intrav<strong>it</strong>reale, il Trap-Eye<br />
era ben tollerato e si osservava una preliminare<br />
evidenza di bioattiv<strong>it</strong>à. Considerati<br />
nel complesso, tali promettenti risultati<br />
propongono un nuovo scenario per<br />
la gestione della retinopatia diabetica.<br />
Sono tuttavia necessari studi più estesi<br />
non solo sull’efficacia, ma anche sugli effetti<br />
indesiderati sistemici dei suddetti<br />
agenti sulla popolazione diabetica.<br />
È possibile che un farmaco con una<br />
più estesa e non specifica attiv<strong>it</strong>à anti-<br />
VEGF, come gli inib<strong>it</strong>ori pan-VEGF (ranibizumab,<br />
bevacizumab e aflibercept),<br />
possa avere maggiore efficacia rispetto a<br />
un farmaco come il pegaptamib, che ha<br />
target specifici come il VEGF 165 . A tal<br />
propos<strong>it</strong>o, il pegaptamib è notevolmente<br />
meno efficace del ranibizumab nel trattamento<br />
della AMD. D’altra parte, dato<br />
che il VEGF 165 gioca un ruolo essenziale<br />
nella neovascolarizzazione patologica<br />
ma non fisiologica, il pegaptanib potrebbe<br />
rappresentare l’opzione migliore per<br />
ev<strong>it</strong>are effetti indesiderati sistemici in pazienti<br />
diabetici. A lungo andare, inoltre,<br />
le iniezioni di inib<strong>it</strong>ori pan-VEGF per via<br />
intrav<strong>it</strong>reale potrebbero portare a neurodegenerazione<br />
retinica e ad un aumentato<br />
rischio di anomalie di circolo a livello<br />
coriocapillare (60). Resta ancora da dimostrare,<br />
da parte di specifici trial clinici,<br />
il vantaggio teorico del blocco selettivo<br />
del VEGF 165 da parte del pegaptamib<br />
in termini di effetti collaterali sia sistemici<br />
che locali.<br />
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE<br />
E FUTURE RICERCHE<br />
Un attento controllo dei livelli glicemici<br />
e dell’ipertensione rimane l’elemento<br />
chiave per prevenire o arrestare la retinopatia<br />
diabetica. Tuttavia due farmaci (fenofibrato<br />
e candesartan), originariamente<br />
non disegnati per il trattamento della retinopatia<br />
diabetica, possono avere un ruolo<br />
nella sua gestione. Le informazioni tratte<br />
dai trial clinici indicano che nei pazienti<br />
diabetici normotesi il candesartan riduce<br />
l’incidenza della retinopatia diabetica in<br />
quelli con diabete di tipo 1 e favorisce la<br />
regressione della retinopatia diabetica solo<br />
in quelli con diabete di tipo 2 con retinopatia<br />
lieve. Il fenofibrato, invece, testato<br />
soltanto nel diabete di tipo 2, non modifica<br />
l’incidenza della retinopatia diabetica,<br />
ma rallenta la sua evoluzione, diminuendo<br />
in tal modo la necess<strong>it</strong>à di trattamento<br />
laser sia nella DME che nella PDR.<br />
Tale effetto benefico non è correlato a variazioni<br />
dei livelli di lipidi sierici. Sarebbe<br />
dunque ragionevole raccomandare il candesartan<br />
per i pazienti con diabete di tipo<br />
1 (con o senza ipertensione) ad alto rischio<br />
di retinopatia diabetica e per i pazienti<br />
con diabete di tipo 2 con retinopatia<br />
lieve, mentre il fenofibrato sembra rappresentare<br />
una valida opzione per i pazienti<br />
con diabete di tipo 2 (con o senza<br />
dislipidemia) con retinopatia diabetica a<br />
vari stadi (da retinopatia diabetica lieve a<br />
retinopatia severa non proliferativa). Inoltre,<br />
i benefici mostrati dal fenofibrato e<br />
dal candesartan sulla retinopatia diabetica<br />
potrebbero essere considerati come un valore<br />
aggiunto nel trattamento di dislipidemia<br />
e ipertensione in pazienti diabetici.<br />
Nonostante ciò, i meccanismi mediante i<br />
quali il candesartan e, modo particolare, il<br />
fenofibrato eserc<strong>it</strong>ano la loro azione benefica<br />
vanno ancora chiar<strong>it</strong>i prima di poter<br />
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
lanciare questi farmaci (da soli o in combinazione)<br />
come nuovi strumenti per il<br />
trattamento della retinopatia diabetica.<br />
Un’altra questione da chiarire, e per la<br />
quale saranno necessarie ulteriori ricerche,<br />
è se tali trattamenti possano essere<br />
somministrati in maniera topica, cioè direttamente<br />
nell’occhio, per poterne aumentare<br />
i benefici sulla retinopatia diabetica.<br />
In fasi avanzate della retinopatia diabetica,<br />
la somministrazione per via intrav<strong>it</strong>reale<br />
di agenti anti-VEGF è attualmente<br />
effettuata da molti oftalmologi, nonostante<br />
non sia stata ancora ultimata la fase<br />
3 per dimostrarne efficacia e sicurezza.<br />
Ciò si deve ai notevoli risultati ottenuti<br />
sull’AMD umida e dei promettenti dati<br />
preliminari relativi alla retinopatia diabetica.<br />
L’iniezione per via intrav<strong>it</strong>reale permette<br />
ai farmaci angiogenici di raggiungere<br />
efficacemente la retina, superando<br />
in teoria il problema del blocco sistemico<br />
dell’angiogenesi. Si tratta tuttatvia di un<br />
procedimento invasivo che può portare a<br />
complicanze come endoftalm<strong>it</strong>e e distacco<br />
della retina, e che potrebbe avere effetti<br />
deleteri sulla parte di retina ancora<br />
sana. Ciò è di particolare importanza nei<br />
pazienti diabetici per i quali si ipotizza<br />
una somministrazione a lungo termine.<br />
A parte gli effetti indesiderati a livello locale,<br />
gli agenti anti-VEGF potrebbero<br />
produrre anche complicanze generalizzate<br />
per via della loro capac<strong>it</strong>à di entrare<br />
nella circolazione sistemica. In alcuni<br />
trial clinici si sta valutando l’efficacia e la<br />
sicurezza degli agenti anti-VEGF per via<br />
intrav<strong>it</strong>reale. Nel frattempo, onde minimizzare<br />
gli effetti sistemici indesiderati,<br />
sembra ragionevole ev<strong>it</strong>are il trattamento<br />
a lungo termine con agenti anti-VEGF<br />
nei pazienti con ipertensione, proteinuria,<br />
insufficienza renale, malattia cardiovascolare<br />
e lesioni ai piedi con difficoltà<br />
di guarigione.<br />
In un futuro scenario sarà possibile<br />
utilizzare una combinazione di agenti<br />
anti-VEGF e fotocoagulazione laser, o<br />
una combinazione di agenti antiangiogenici<br />
mirati a fasi differenti della cascata<br />
angiogenica. Tale procedura avrebbe<br />
probabilmente maggiore successo rispetto<br />
ad un approccio specifico per singola<br />
molecola, permetterebbe una diminuzione<br />
della frequenza dei dosaggi e ridurrebbe<br />
gli effetti indesiderati. Sebbene sia<br />
prematuro in questa fase suggerire tali<br />
trattamenti, sarà bene studiarli attentamente,<br />
perché potrebbero portare a nuove,<br />
migliori strategie per il trattamento<br />
della retinopatia diabetica. Va tuttavia<br />
sottolineato che, attualmente, le pietre<br />
miliari nel trattamento della retinopatia<br />
diabetica sono ottimizzazione dei livelli<br />
glicemici, abbassamento della pressione,<br />
e regolare screening del fundus.<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 71
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
In conclusione, fenofibrato, candesartan<br />
e agenti anti-VEGF appartengono alla<br />
schiera dei farmaci utilizzati nel trattamento<br />
della retinopatia diabetica. Oftalmologi<br />
e medici che hanno in cura pazienti<br />
diabetici dovrebbero tener conto<br />
della potenziale util<strong>it</strong>à di questi farmaci,<br />
e contribuire non solo a future ricerche,<br />
ma anche a stabilire delle linee guida che<br />
possano prevedere l’utilizzo di questi<br />
trattamenti per la retinopatia diabetica. È<br />
necessaria un’azione coordinata, con<br />
competenze diverse, per ridurre la grav<strong>it</strong>à<br />
e migliorare gli es<strong>it</strong>i clinici di questa<br />
devastante complicanza del diabete.<br />
Bibliografia<br />
72<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong>
DIABETES CARE, AUGUST 2009<br />
DIABETES CARE ED. ITALIANA - NUMERO <strong>37</strong> - GENNAIO <strong>2010</strong> 73
Diabetes Care<br />
edizione <strong>it</strong>aliana<br />
DIRETTORE SCIENTIFICO ED EDITORIALE<br />
Prof. Domenico Cucinotta<br />
DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO DI MEDICINA INTERNA - UNIVERSITÀ DI MESSINA<br />
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In redazione: Barbara Labate e Luigi Fedele<br />
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DIABETES CARE, AUGUST 2009 2008<br />
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Rino Labate<br />
e d i t o r e<br />
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