Come eravamo - Campo de'fiori
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14<br />
di<br />
M. Cristina Caponi<br />
Per onorare la memoria<br />
di un genio della<br />
cinematografia<br />
moderna come Ingmar<br />
Bergman, morto<br />
lo scorso 30 luglio,<br />
desideriamo analizzare<br />
una delle sue opere<br />
più celebri e più controverse:<br />
Persona.<br />
Per la prima volta nel<br />
1966, il pubblico non<br />
svedese poté finalmente apprezzare un<br />
film di Bergman in versione integrale. Era<br />
Persona. Tale opera non subì il linciaggio<br />
dei censori, come invece era avvenuto al<br />
precedente Il silenzio, implacabilmente<br />
sforbiciato nell’edizione italiana (vedasi a<br />
tal senso la manipolazione dei dialoghi).<br />
In latino, il vocabolo dramatis persona rinvia<br />
ad un significato implicitamente collegato<br />
al mondo teatrale. Infatti, tale termine<br />
era in uso presso gli antichi per designare<br />
la maschera dell’attore, che copriva<br />
tutto il volto dell’interprete e cangiava<br />
secondo i ruoli e i personaggi. Ma, in altra<br />
accezione, denotava altresì l’individuo<br />
umano, il suo carattere e la sua parte. Il<br />
tema della maschera è sempre stato caro<br />
all’autore de Il settimo sigillo, sin dalla sua<br />
prima infanzia. In Persona, Bergman si<br />
giova della polisemia di tale lemma (precedentemente<br />
esaminata) per connotare il<br />
suo film sin dal titolo, essendosi accorto<br />
che il soggetto della sua opera è la<br />
maschera che gli individui indossano quo-<br />
tidianamente 1 . Non stupisca, quindi, che<br />
fra le protagoniste del suo ventiseiesimo<br />
lungometraggio figuri un’attrice dalla fama<br />
internazionale, ovvero Elisabeth Vogler<br />
(Liv Ullmann). È proprio lei a reagire al<br />
mondo esterno, brandendo, come arma, il<br />
suo impenetrabile silenzio. Il tacere è la<br />
sua personale forma di protesta. Invero, la<br />
sua presa di coscienza radicale si manifesta<br />
in un’alienazione mostruosa, che<br />
manda irrimediabilmente in frantumi qualsiasi<br />
forma di speranza e illusione.<br />
Elisabeth perviene alla soglia di un egoistico<br />
nichilismo, esattamente nel momento<br />
in cui calca le assi del palcoscenico nelle<br />
vesti de l’Elettra di Sofocle; in quell’istante,<br />
la commediante interrompe le sue battute<br />
e si guarda intorno con aria spaesata.<br />
Il giorno dopo non si recherà alle prove.<br />
Ma un’altra recita, più intima e ostinata, la<br />
giovane donna continuerà a portare avanti:<br />
la messinscena di un mutismo ostinato<br />
ed intransigente. A costei Bergman oppone,<br />
accomunandone i destini, la disponibile<br />
infermiera Alma (Bibi Andersson).<br />
Quest’ultima, seppur irrimediabilmente<br />
pigra, è sempre disponibile ad evolversi, a<br />
cambiare.<br />
Intorno al tema del silenzio, il desiderio di<br />
<strong>Campo</strong> de’ fiori<br />
comunicare d’Alma si evidenzia in varie<br />
battute del film: in una scena chiave, l’infermiera<br />
sollecita la sua paziente a bofonchiare<br />
qualche parola (“Vorrei che tu parlassi,<br />
non c’è bisogno che tu dica niente di<br />
speciale. Non possiamo parlare alcuni<br />
minuti, oppure solo un minuto?”) perché,<br />
afferma, è snervante rapportarsi con chi è<br />
chiuso nel proprio oblio. Alla fine con un<br />
sussulto d’amarezza, lo spettatore potrà<br />
udire Elisabeth pronunciare un solo, distinto<br />
termine: “Nulla”, a cui fa seguito quel<br />
“Così va bene, così deve essere” detto da<br />
Alma, che chiude il monologo. L’assunto<br />
nichilistico finale è del tutto spiazzante.<br />
La lezione che Bergman impartisce al pubblico<br />
europeo è quella liberazione del dialogo<br />
a vantaggio della rivelazione illimitata<br />
della vita psichica segreta, per cui Alma<br />
parla in prima, seconda e terza persona: è<br />
insieme il soggetto parlante e l’oggetto di<br />
cui si parla. Tutto si riduce a monologo, su<br />
cui giganteggia l’immagine visiva, un’immagine<br />
studiata in maniera esemplare dal<br />
cineasta svedese, che usa con gran maestria<br />
il bianco e il nero come se si trattasse<br />
di un film a colori. Dalla visione della<br />
pellicola si arguisce come fra le due protagoniste<br />
si sviluppi un larvale legame<br />
umano, tanto che Alma giunge addirittura<br />
a confidare all’attrice un orgiastico<br />
amplesso in riva al mare, insieme ad uno<br />
sconosciuto. Da tale peccaminosa passione<br />
ne deriverà la minaccia di un’imprevista<br />
maternità, presto dileguatasi grazie ad un<br />
aborto spontaneo. In seguito a ciò,<br />
entrambe proveranno una reciproca attrazione<br />
l’una verso l’altra, a cui faranno<br />
seguito attimi di violenta repulsione:<br />
Elisabeth giungerà a schiaffeggiare Alma,<br />
mentre costei si graffierà sul braccio e le<br />
farà succhiare il proprio sangue.<br />
Totalmente inutile l’istantaneo rimorso dell’infermiera.<br />
Fra loro, quindi, non s’instau-<br />
Persona<br />
Persona<br />
ra un clima basato sul rispetto reciproco,<br />
piuttosto un latente istinto di sopraffazione,<br />
scatenato dall’incidente della lettera<br />
provocatoria. Nel corso del film, Alma<br />
diverrà la proiezione soggettiva<br />
d’Elisabeth: le loro personalità si sovrapporranno,<br />
fino a fondersi in un unico eidos.<br />
Con Persona, perciò, l’artista svedese<br />
approda ad una cosiddetta drammaturgia<br />
dell’Io, le cui radici risalgono ad autori teatrali<br />
del calibro di Strindberg e Ibsen.<br />
Quello che il regista imprime sulla pellicola<br />
non è altro che lo scontro dialettico fra<br />
due aspetti di una stessa personalità, concretizzatisi<br />
in due differenti personaggi.<br />
Per indicare il rapporto che si sviluppa tra<br />
le due protagoniste del lungometraggio<br />
datato 1966, la critica ha coniato l’espressione:<br />
“Vampirismo intellettualizzato”.<br />
Nella sua lunga carriera di cineasta,<br />
Bergman ha dapprima confezionato prodotti<br />
filmici in cui si alternano i destini di<br />
numerosi soggetti, per poi passare ad<br />
opere con pochissimi characters (l’esempio<br />
più eclatante è Il silenzio), fino a giungere<br />
con Persona ad un unico protagonista;<br />
ad un unico grande volto che fagocita<br />
in sé la parte destra del viso d’Elisabeth e<br />
quella sinistra d’Alma. A tale astratta effigie,<br />
tende invano la mano il bambino del<br />
prologo. Egli è il figlio non amato della<br />
grand’attrice Elisabeth Vogler.<br />
Gli esterni di Persona, insieme ad uno sparuto<br />
gruppo di film quali: <strong>Come</strong> in uno<br />
specchio, L’ora del lupo, La vergogna e<br />
Passione, sono stati tutti girati sull’isola di<br />
Fårö. L’atmosfera selvaggia e solitaria che<br />
questa landa emana si uniforma perfettamente<br />
allo stato mentale e sentimentale<br />
delle due donne; in tal guisa il merito di<br />
Bergman è stato quello di ritagliare uno<br />
spazio scenografico adatto ad amplificare<br />
la loro condizione di profonda solitudine e<br />
irrealtà.<br />
Per concludere, le emozioni che il regista<br />
svedese ci ha trasmesso attraverso i suoi<br />
film rimarranno sempre vive nei nostri<br />
cuori e di ciò lo ringraziamo.