Allonsanfàn. Storie da un'altra sinistra - Fondazione Nesi
Allonsanfàn. Storie da un'altra sinistra - Fondazione Nesi
Allonsanfàn. Storie da un'altra sinistra - Fondazione Nesi
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Riccardo Orioles<br />
<strong>Allonsanfàn</strong><br />
storie di <strong>un'altra</strong> <strong>sinistra</strong><br />
1999<br />
mardiponente
mardiponente
Riccardo Orioles<br />
ALLONSANFÀN<br />
storie <strong>da</strong> <strong>un'altra</strong> <strong>sinistra</strong><br />
mardiponente
Riccardo Orioles, <strong>Allonsanfàn</strong><br />
settembre 1999<br />
riccardoorioles@gmail.com
A L L O N S A N F A N<br />
__________________________________________________
INTRODUZIONE<br />
estate 1999<br />
Si è fatto tardi, ed è tempo di cominciare a lasciare qualcosa. Qualcosa a<br />
chi? Mah. Forse a Giorgio di Lovere (in provincia di Bergamo: Giorgio era<br />
un ragazzo dei Siciliani) che è venuto a trovarmi l'altro giorno, tornando<br />
<strong>da</strong>ll'Albania (volontario cattolico) e prima di partire per Tijuana, sempre <strong>da</strong><br />
volontario della pace.<br />
Non credo che Giorgio non dorma la notte pensando alla crisi della<br />
<strong>sinistra</strong> perbene (lui "è" la <strong>sinistra</strong>, quella vera). Ma forse prima o poi avrà<br />
bisogno di sapere come sono an<strong>da</strong>te, nel suo Paese, le cose. Così, queste<br />
storie successe per lo più in Sicilia, nel corso d'un quindici anni, sono in<br />
realtà successe <strong>da</strong>ppertutto: una guerra feroce, senza mezze misure, dei<br />
compiti <strong>da</strong> affrontare, i compagni che crescono, una <strong>sinistra</strong> che a poco a<br />
poco si forma. Una <strong>sinistra</strong> seria, a differenza di altre, perché fin troppo<br />
seria era - nel caso nostro - la situazione.<br />
Una <strong>sinistra</strong> sconfitta, anche, alla fine del ciclo. Come i garibaldini di una<br />
volta, come i partigiani. Sconfitta, ma non perdente: le cose di questo<br />
genere restano vive molto a lungo, è ad esse che si ricorre quando<br />
l'alternativa "realistica" - il Regio Governo dei notabili, la democrazia<br />
cristiana o la "<strong>sinistra</strong>" di mercato d'oggigiorno - termina (di solito,<br />
lasciando il Paese in braghe di tela) il ciclo suo e c'è <strong>da</strong> ricominciare tutto<br />
<strong>da</strong>ccapo. Allora le vecchie carte possono servire.<br />
Così, vale la pena di lasciare qualcosa a Giorgio e agli altri che stanno<br />
crescendo dopo di lui. Verrà il momento in cui per loro sarà fon<strong>da</strong>mentale<br />
sapere che nella storia della <strong>sinistra</strong> non c'era solo quello che dicono i<br />
notabili ma anche - per esempio - cose come quelle che sono successe ai<br />
Siciliani. Se si riesce a lasciargli queste cose, a quei ragazzi, si può avere<br />
tranquillamente fiducia in loro.<br />
E ora basta così, perché faccio una fatica del diavolo a scrivere anche<br />
queste poche righe d'introduzione. E' molto bello perdere insieme con la<br />
propria gente, condividerne la sconfitta senza trucchi e fino in fondo. Ma ti<br />
lascia, come dire, un po' spossato. Comunque caro Giorgio e cari gli altri<br />
che non conosco ma che sicuramente ci siete, comunque fino a qui ci siamo<br />
arrivati. Prima o poi toccherà a voi continuare, anche se ora non lo sapete.<br />
R.O.
I COMPAGNI<br />
Ma uno dopo l'altro, ancora impietriti <strong>da</strong>ll'orrore,<br />
Li risvegliava l'affetto e li faceva parlare<br />
Sapendo, in quella pena, che c'era molto <strong>da</strong> fare<br />
Perchè non fosse inutile Perchè vivesse ancora<br />
Dieci creature sole, senza dei a portar doni<br />
Di genio o d'eroismo nella notte feroce:<br />
E una dopo l'altra prendono la parola<br />
Consigliando i compagni, inghiottendo il dolore,<br />
Decidendo con calma ciò che faranno insieme<br />
Sapendo che lo faranno, fra dieci anni o domani<br />
E che in questo se stessi resta un uomo e il suo dono
UN UOMO<br />
I Siciliani, gennaio 1984<br />
Pippo Fava ha scritto un sacco di libri, e cose di teatro anche. Però Pippo<br />
Fava non è mica uno importante. Per esempio, arriva una centoventiquattro<br />
scassata, <strong>da</strong>lla centoventiquattro esce uno con la faccia <strong>da</strong> saraceno e<br />
un'Esportazione che gli pende <strong>da</strong> un angolo della bocca e ride e quello è<br />
Pippo Fava.<br />
Bene, un giorno a Pippo Fava gli dicono di fare un giornale, è una<br />
faccen<strong>da</strong> strana affi<strong>da</strong>re un giornale a Fava che, dice la gente perbene, è uno<br />
che non si sa mai che scherzi ti combina: comunque il giornale c'è, si<br />
chiama il Giornale del Sud e subito Pippo Fava lo riempie di ragazzi senza<br />
molta carriera ma in compenso mezzi matti come lui. "Tu, come ti chiami?".<br />
"Così e cosà". "E cosa vorresti fare?". "Mah, politica estera...". "Ok, cronaca<br />
nera". La cronaca, al Giornale del Sud, la si fa all'avventura. Non si conosce<br />
nessuno, si parte proprio <strong>da</strong> zero. Ci sono storie divertenti, tipo quella del<br />
povero emarginato napoletano che arriva in re<strong>da</strong>zione e tutti fanno i pezzi<br />
commoventi sul povero emarginato e poi arriva Lizzio <strong>da</strong>lla questura per un<br />
paio di stupri... Si chiude alle tre di notte; non si "buca" una notizia. Con<br />
grande stupore, i catanesi apprendono che a Catania c'è una cosa che si<br />
chiama mafia. E che Catania è divenuta un centro del traffico di droga.<br />
Dopo qualche mese, un attentato: un chilo di tritolo. Ma si va avanti.<br />
La faccen<strong>da</strong> dura un anno. Poi succedono tre cose. La prima è che gli<br />
americani decidono che la Sicilia va bene per coltivarci missili. E questo a<br />
Fava non va bene, e lo scrive. La secon<strong>da</strong> che a Milano acchiappano un<br />
grosso mafioso, Ferlito, parente di un assessore e uomo di molto rispetto; e<br />
anche qua, Fava si comporta piuttosto - come dire - maleducatamente. La<br />
terza è che nella proprietà del giornale arrivano amici nuovi, uno dei quali è<br />
- ok, avvocato, niente nomi - un importante imprenditore catanese coinvolto<br />
nel caso Sindona e un altro un importante politico catanese coinvolto<br />
nell'assessorato all'agricoltura. Telegramma all'illustrissimo dottor Fava:<br />
"Comunichiamo con rincrescimento a vossignoria illustrissima che il<br />
giornale ora ha un altro direttore". I matti, i ragazzi della re<strong>da</strong>zione<br />
vogliamo dire, occupano il giornale. L'occupazione dura una settimana,<br />
durante la quale gli occupanti ricevono la soli<strong>da</strong>rietà di alcuni tipografi, di<br />
una telefonista, di un guardiano notturno e di un ragazzino dell'Ansa (a<br />
pensarci, anche un giornalista ha telefonato, allora). Poi arriva il sin<strong>da</strong>cato<br />
e, molto ragionevolmente, l'occupazione finisce.<br />
Senza Fava finisce anche, e alla svelta, il Giornale del Sud (perché nonleggere<br />
le stesse notizie su un giornale nuovo, se puoi già non-leggerle su
quello vecchio?). Ma Fava nel frattempo non s'è stato con le mani in mano.<br />
Ha raccolto una decina dei "suoi" matti: "Si fa un giornale". Come, quando<br />
e se si farà non lo sa nessuno. Ma intanto si mette su una bella re<strong>da</strong>zione,<br />
con le sue brave "lettera ventidue" scassate.<br />
Chi è disposto a investire qualche centinaio di milioni su due "lettera<br />
ventidue" scassate, dieci matti fra i venti e i venticinque anni e uno di<br />
sessanta? Ovviamente, nessuno. D'altra parte dopo l'esperienza del GdS<br />
Fava e i suoi, a sentir parlare di padroni, si mettono a bestemmiare. Allora si<br />
mette su una bella cooperativa - "Ra<strong>da</strong>r!". "E che vuol dire?". "Suona<br />
bene!" - si disegna un bellissimo stemmino per la cooperativa e si firmano<br />
alcune tonnellate di cambiali. Due mesi dopo arrivano due bellissime<br />
Roland di secon<strong>da</strong> mano, offset bicolori settanta/cento, e Fava se le cova<br />
con lo sguardo che se invece di essere due offset fossero due turiste svedesi<br />
lo denuncerebbero per stupro.<br />
A fine novembre, Pippo Fava arriva in re<strong>da</strong>zione, schiaccia l'Esportazione<br />
nel portacenere e fa: "Ragazzi, si fa il giornale". "Quando?" "Con quali<br />
soldi?" "Io faccio il pezzo sulla Procura!" "Come lo chiamiamo?" "Io ho<br />
un'idea per il pezzo di colore" "Ma i soldi...". La vigilia di Natale, le Roland<br />
sputano una cosa rettangolare con scritto su "I Siciliani". Anno uno, numero<br />
uno, i cavalieri di Catania e la mafia, la donna e l'amore nel sud. Un<br />
tipografo porta il pupo in re<strong>da</strong>zione. "Be', potrebbe anche an<strong>da</strong>re" fa uno dei<br />
re<strong>da</strong>ttori con nonchalanche, e subito dopo si mette a ballare.<br />
Il giornale arriva in edicola alle nove di mattina. A mezzogiorno non ce<br />
n'è più (a piazza della Guardia, dicono, due fanno a cazzotti per l'ultima<br />
copia: ma onestamente non ne abbiamo le prove). Si brin<strong>da</strong> nei bicchieri di<br />
plastica, e si prepara il numero due; nel cassetto i mazzi di cambiali<br />
sembrano meno minacciosi.<br />
Ed è passato un anno. La mafia, a Catania, c'è o non c'è? "Ma no... al<br />
massimo un po' di delinquenza..." (il signor Prefetto). "Cristo se c'è! E<br />
sbrigatevi a fare qualcosa che qui finisce peggio di Napoli" (I Siciliani). E<br />
quel signore, come si chiama quel signore là? "Noto pregiudicato..." (la<br />
stampa per bene). "Santapaola Benedetto, detto Nitto, MAFIOSO!" (I<br />
Siciliani). E i missili, dite un po', vi dispiace se lascio un paio di missili nel<br />
sottoscala? "Ma prego, si figuri, come fosse a casa sua!". "Ahò! Ca quali<br />
méssili e méssili! I cutid<strong>da</strong>ti a' casa vostra, si vvi l'aviti a ddàri!" E i<br />
cavalieri, vediamo un po'; anzi, i Cavalieri? "Ecco dunque cioè nella misura<br />
in cui ma però... AIUTO diffamano Catania!" "I cavalieri catanesi alla<br />
conquista di Palermo con la tolleranza della mafia. Firmato Dalla Chiesa.<br />
Noi stiamo con Dalla Chiesa". Ed è passato un anno.<br />
C'è un ragazzino, a Montepò, che ancora non sa bene se andrà a fare il suo
primo scippo o no. C'è una vecchia, in via della Concordia, che è rimasta<br />
fuori <strong>da</strong>ll'ospe<strong>da</strong>le perché non c'era posto. C'è una tizia, a viale Regione<br />
Siciliana, che costa ventimila lire ed ha quattordici anni. C'è un manovale,<br />
alla zona industriale, che ci ha rimesso una mano e dicono che la colpa è<br />
sua. C'è uno sbirro, in viale Giafaar, che ha una bambina a casa ma va di<br />
pattuglia lo stesso. C'è una bambina, <strong>da</strong> qualche parte allo Zen, che forse<br />
diventerà una puttana e forse una donna felice. E c'è <strong>un'altra</strong> bambina, in un<br />
cortile pieno di sole, e ora Pippo Fava prende in braccio la bambina e la<br />
bambina ride. "Nonno, nonno, ora faccio l'attrice".<br />
"Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, perdìo. Tanto, lo sai<br />
come finisce una volta o l'altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e<br />
quello ti aspetta sotto casa... Beh, te lo prendi un caffé? E l'occhiello, vedi<br />
che dieci righe per un occhiello a una colonna sono troppe".<br />
Forse mezzo milione, forse di più: il tizio, con l'altro tizio e quello che<br />
doveva <strong>da</strong>re il segnale, era là ad aspettare e ha alzato la 7,65 e ha sparato.<br />
Professionale. Certo, in una villa di Catania, s'è brin<strong>da</strong>to, quella notte. Forse<br />
ha avuto il tempo di guar<strong>da</strong>rlo negli occhi. Non pensiamo spaventato. Forse,<br />
impietosito. Sapendo benissimo che il tizio pagato - uscito forse <strong>da</strong> un<br />
miserabile quartiere, uno di quelli che lui non era riuscito a salvare - sparava<br />
anche contro se stesso, contro la propria eventuale speranza. Forse ha<br />
pensato che un giorno o l'altro quelli che venivano dopo di lui ci sarebbero<br />
riusciti a farli smettere di sparare, a... Ma forse non gliene hanno <strong>da</strong>to il<br />
tempo.<br />
* * *<br />
E questo è tutto. Ok, ringraziamo tutti quanti, grazie di cuore a tutti.<br />
Adesso dobbiamo ricominciare a lavorare, c'è ancora un sacco di lavoro <strong>da</strong><br />
fare per i prossimi dieci anni. Mica possiamo tirarci indietro con la scusa<br />
che è morto uno di noi. Se qualcuno vuole <strong>da</strong>re una mano ok, è il<br />
benvenuto, altrimenti facciamo <strong>da</strong> soli, tanto per cambiare.<br />
Va bene così, direttore?<br />
Elena Brancati, Cettina Centamore, Santo Cultrera, Claudio Fava,<br />
Agrippino Gagliano, Miki Gambino, Giovanni Iozzia, Rosario Lanza, Nanni<br />
Maione, Riccardo Orioles, Nello Pappalardo, Tiziana Pizzo, Giovanna<br />
Quasimodo, Antonio Roccuzzo, Fabio Tracuzzi, Lillo Venezia<br />
Ancora una volta la mafia ha colpito un uomo che lottava per il bene di
tutti. Noi non sappiamo ancora quali specifici settori di essa e quali specifici<br />
interessi si siano sentiti più direttamente minacciati <strong>da</strong>l lavoro che Giuseppe<br />
Fava portava avanti alla testa di questo giornale. Sappiamo però quali<br />
argomenti non sono mai mancati <strong>da</strong>lle pagine de "I Siciliani": la crescente e<br />
troppo a lungo sottovalutata potenza delle famiglie mafiose catanesi; il<br />
flusso di denaro pubblico <strong>da</strong>lle casse delle istituzioni siciliane a quelle dei<br />
soggetti equivoci o addirittura mafiosi; il pericolo, non solo di guerra ma<br />
anche di rafforzamento della presenza mafiosa, portato <strong>da</strong>ll'introduzione<br />
delle basi nucleari; la necessità, segnalata a suo tempo <strong>da</strong>l genrale Dalla<br />
Chiesa, di far luce sulle fortune dei principali imprenditori catanesi; le<br />
connessioni, ormai ben più che occasionali, fra mafia e politica. Su tutti<br />
questi argomenti, a nostro avviso, non mancheranno d'investigare i<br />
responsabili delle in<strong>da</strong>gini su questo delitto; quanto a noi, continueremo a<br />
porli al centro del nostro lavoro, che proseguirà regolarmente.<br />
Ringraziamo tutti coloro che hanno voluto esprimere la loro soli<strong>da</strong>rietà in<br />
questo momento; e soprattutto coloro la cui soli<strong>da</strong>rietà vorrà tradursi, nel<br />
tempo a venire, in concreta mobilitazione e lotta contro la mafia. La Sicilia<br />
non attenderà il duemila per abbattere la mafia. La Sicilia dei lavoratori, dei<br />
giovani, delle donne, delle persone oneste combatte già <strong>da</strong> ora la sua<br />
battaglia. Il nostro direttore non ha avuto paura di esserne la voce, di<br />
raccogliere e <strong>da</strong>re espressione a ciò che ogni siciliano sa e troppo spesso<br />
non può dire.<br />
E' una ben esigua minoranza, nel mondo del giornalismo siciliano, quella<br />
che realmente e senza compromessi tiene testa alla mafia: esigua, ma capace<br />
tuttavia di esprimenre i Mauro De Mauro, i Mario Francese, i Peppino<br />
Impastato, i Giuseppe Fava. Su questa minoranza il popolo siciliano potrà<br />
sempre contare, in qualunque circostanza e a qualunque prezzo.<br />
I re<strong>da</strong>ttori de "I Siciliani"
APPUNTI<br />
promemoria interno, gennaio 1984<br />
1) La cosa più difficile è di renderci veramente conto che nulla potrà<br />
essere più come prima, soprattutto non noi. Questo non è più un giornale<br />
(solo un giornale), e noi non siamo più giornalisti (solo giornalisti).<br />
Abbiamo una responsabilità che prima non avevamo; verso altri esseri<br />
umani, non verso un'idea. E siamo cambiati. Ci pare tutto assurdo ed irreale.<br />
Ma è così. (La tentazione più grande sarà quella di illuderci, di "essere come<br />
prima"). Dobbiamo fare scelte molto più grandi di noi; anche non farle<br />
sarebbe una scelta. Affrontare problemi molto più grandi di noi; nessuno<br />
può farlo al nostro posto; e risolverli, altrimenti sarebbe tutto inutile.<br />
2) Soprattutto, imparare a contare sugli altri. Contare "istintivamente" su<br />
Pertini come sullo Spe<strong>da</strong>lieri. Da soli, non ce la faremo mai. Capire di volta<br />
in volta perché e come essi possono - o "debbono"- aiutarci. Essere molto<br />
"superbi", capire fino in fondo che abbiamo il diritto (e il dovere: perché<br />
solo così potremo funzionare) di chiedere; e contemporaneamente non<br />
montarsi la testa, capire che è toccata a noi per caso (non migliori degli altri,<br />
né peggiori). Abbiamo moltissimo <strong>da</strong> imparare per essere all'altezza di<br />
quello che dobbiamo fare, e dobbiamo imparare ad analizzare spietatamente<br />
i nostri punti deboli, l'uno con l'altro e ognuno di noi <strong>da</strong> solo. Ed anche<br />
essere freddi, oggettivi in qualunque circostanza (e ci possono essere ancora<br />
circostanze molto dure) il nostro gruppo deve sempre "ragionare". E poi<br />
decidere speditamente, senza rinviare le decisioni.<br />
Ci saranno cose molto difficili, per ciascuno di noi: per esempio, accettare<br />
che un altro debba rischiare - per ora - più di te. Ma occorrerà accettare<br />
anche questo, se ce ne sarà bisogno: perché non sarà facile arrivare fino in<br />
fondo (ma ci arriveremo).<br />
3) Non dobbiamo molto mischiarci con la "vecchia" politica, e<br />
contemporaneamente dobbiamo saperla sfruttare per quanto si può. Ma<br />
dev'essere chiaro a tutti, e soprattutto a noi, che quello che vogliamo è una<br />
cosa diversa e molto più profon<strong>da</strong>; e chiamarla politica è inadeguato.<br />
Dobbiamo essere, molto semplicemente e profon<strong>da</strong>mente, l'immagine della<br />
"Sicilia onesta". E poi, "molti fatti e poche parole". Questo, possono capirlo<br />
tutti.<br />
4) Rivista più linea editoriale più settimanale: tre cose non separabili, <strong>da</strong><br />
articolare. La rivista deve continuare sulla stessa linea di prima: questo<br />
significa, fra l'altro, tornare già ora su argomenti "duri". Tenere alto il livello<br />
di qualità (due "firme" esterne al mese, molti collaboratori, ecc.); puntare<br />
molto sulla rete degli abbonati, scatanesizzarci; aprire tutto un versante
nuovo di ecologia, vita moderna, ecc.; essere l'organo della cultura militante<br />
siciliana; ma anche mantenere un tono non intellettualistico, "popolare".<br />
Stile concreto, senza grandi parole; al limite "piemontese".<br />
5) Siciliani Editori può diventare anche più "importante" della rivista;<br />
l'Einaudi del Sud. Cominciare <strong>da</strong>i titoli già previsti (già a loro volta<br />
articolati in sezioni...); ma affiancare al più presto una collana "politecnica"<br />
a buon livello, una collana di stampa d'arte ed una, infine di pamphlets<br />
molto scarni ed a bassissimo prezzo (uno strumento tecnico che fa capolino<br />
qua e là nella storia del giornalismo; e mai casualmente...).<br />
6) Il settimanale - il foglio dei Siciliani - dev'essere, probabilmente,<br />
"povero"; comunque, militante (il "partito" della Sicilia onesta: contro la<br />
mafia, i missili, l'incultura; ma anche "per" un modo diverso di vivere,<br />
riscoprire se stessi individualmente e collettivamente, ragionare...). Uno<br />
stile "giovane" (non giovanilistico!), coinvolgente; un giornale di massa,<br />
non solo per lettori "evoluti e coscienti"; battere la stampa dei mafiosi, non<br />
semplicemente ritagliarsi uno spazio!<br />
Ed è possibile. Possiamo, e quindi dobbiamo, mettere in piedi entro<br />
l'autunno una rete articolatissima di collaboratori, corrispondenti, anche<br />
re<strong>da</strong>ttori locali; e partire in autunno con una sottoscrizione popolare <strong>da</strong><br />
mantenere come caratteristica politica del giornale. E spiegare sempre tutto<br />
ai lettori: dire quali sono i problemi, come affrontarli, contare - e dirlo - su<br />
di loro. Forse nessun altro, come noi, può farlo.<br />
7) Intanto, cominciare subito (metà febbraio) con i fogli volanti (giustizia,<br />
banche; ma anche sport, satira) monografici, i tabloid. dei quali, il primo -<br />
ma non paternalistico, né celebrativo: sarà difficilissimo trovare il tono! -<br />
per gli studenti. E dire proprio qui cosa vogliamo fare, e fare esempi<br />
concreti e chiedere (intanto, agli studenti) una serie di interventi specifici.<br />
Se ogni scuola siciliana fosse una sezione del partito-che-non-è-unpartito,<br />
e contemporaneamente un ufficio di corrispondenza dei Siciliani; se<br />
ogni scuola ricevesse le sue copie, e le diffondesse, e curasse la<br />
sottoscrizione, e contattasse il corrispondente <strong>da</strong> noi designato per aiutarlo<br />
nella scelta delle notizie; e se poi cominciasse magari a lavorare (senza<br />
fretta, coi tempi necessari) su un argomento specifico della propria zona - se<br />
tutto questo avvenisse, sarebbe indubbiamente poco "professionale", ma<br />
sarebbe bellissimo. E perché non provarci?<br />
8) E poi, non restare ma più isolati. L'associazione degli amici dei<br />
Siciliani (convegni, organizzazione, finanziamento d'emergenza) ma anche<br />
tante piccole e grandi iniziative "spontanee", "risorgimentali", negli<br />
ambienti più diversi, nelle forme più disparate; tutti insieme, probabilmente,<br />
non siamo in grado di immaginarne la decima parte, ma grazie al cielo non
abbiamo bisogno d'immaginarne solo noi. Essere al centro di mille idee, di<br />
mille iniziative che, magari slegate fra di loro e "occasionali", concorrano<br />
però a formare una trama molto netta e molto forte. E anche questo è<br />
possibile.<br />
9) Contare sulle nostre forze non esclude (anzi richiede) contare anche su<br />
molte altre. Sapere che non siamo all'altezza non esclude (anzi rafforza) la<br />
possibilità di riuscire. E noi siamo determinati e compatti, e molta gente s'è<br />
mossa; molta di più ha cominciato a muoversi, e il nemico è diviso. Se<br />
restiamo uniti - ma basta uno a dividere - e pensiamo in termini di dieci<br />
anni, niente è impossibile; bisogna solo trovare - di volta in volta - come<br />
utilizzare tutte le forze potenziali, e ragionando ci si può certamente<br />
riuscire. Ci sarà <strong>da</strong> stare molto attenti e <strong>da</strong> fare "politica" anche; ma<br />
dovremo sempre ricor<strong>da</strong>re, in ultima analisi, che gli amici sono solo ed<br />
esclusivamente quelli di quella notte. Ed anche i nemici. E non dimenticarlo<br />
mai.
"MILITARMENTE OCCUPATA"<br />
febbraio 1984<br />
Care compagne e compagni, per noi è molto importante che in una<br />
giornata come questa, al di là di tutte le divisioni che ci possono essere e<br />
che noi speriamo vengano superate al più presto, la Sicilia onesta sappia<br />
ritrovarsi insieme, unita e compatta, per lottare contro la mafia. La mafia<br />
non è fatta solo <strong>da</strong> quelli che sparano, <strong>da</strong>i killers mafiosi, ma anche e<br />
soprattutto <strong>da</strong>i boss mafiosi, <strong>da</strong>i politici mafiosi e <strong>da</strong>gli imprenditori<br />
mafiosi. Anche qui a Catania, anche se certa stampa, qui, non ha il coraggio<br />
di parlarne.<br />
Il nostro direttore questo coraggio ce l'ha avuto. Per questo l'hanno<br />
ucciso. Ma il nostro giornale, I Siciliani, vive e continuerà a vivere e<br />
continuerà a lottare, senza fermarsi, contro tutti costoro. Noi non ci tireremo<br />
indietro!<br />
E noi non chiederemo certo aiuto, come non lo abbiamo fatto in passato,<br />
ai vari cavalieri, ai pezzi grossi, ai potenti. Noi fideremo solo ed<br />
esclusivamente nell'aiuto e nella soli<strong>da</strong>rietà concreta dei siciliani onesti, e<br />
dei lavoratori in primo luogo. E questo aiuto e questa soli<strong>da</strong>rietà verremo<br />
fiduciosamente a chiedervi di qui a qualche settimana.<br />
Al Nord alcuni giornali, quelli stessi che gri<strong>da</strong>no al lupo appena vedono<br />
operai, quelli stessi che non esitano a mettersi d'accordo coi Ciancio e coi<br />
Rendo, dicono, in sostanza, che noi siciliani siamo tutti mafiosi. Certo,<br />
qualcuno di più, qualcuno di meno; ma secondo loro, alla fine, è tutta la<br />
Sicilia che è mafiosa.<br />
Questo non è vero, questa è una menzogna. La Sicilia non è mafiosa. La<br />
Sicilia è una terra militarmente occupata <strong>da</strong>lla mafia; come una volta<br />
c'erano i tedeschi, ora ci sono i mafiosi. Ma la grandissima maggioranza dei<br />
siciliani è nemica della mafia, è nemica dei politici mafiosi, e nemica degli<br />
imprenditori mafiosi e di tutti i loro collaborazionisti e servitori.<br />
Anche qui a Catania, la Sicilia antimafiosa si va organizzando. In questi<br />
ultimi mesi ci sono state molte iniziative spontanee di studenti, di operai, di<br />
intellettuali, di donne. Tanta gente ha preso coscienza della situazione; e<br />
alcuni hanno già cominciato a muoversi; ma ognuno nel suo settore, ognuno<br />
per conto suo, separatamente.<br />
Noi, re<strong>da</strong>zione dei Siciliani, pensiamo che è il momento di cominciare a<br />
muoverci tutti insieme, di organizzarci. Una buona idea sarebbe quella di<br />
formare un movimento popolare che abbia come punto di riferimento il<br />
nostro giornale, e che potremmo chiamare, per esempio, Associazione<br />
Amici dei Siciliani. Un'organizzazione aperta, senza etichette e bandiere;
un'organizzazione di cui possano far parte veramente tutti coloro, <strong>da</strong><br />
qualunque parte provengano, che vogliono fare qualche cosa, nelle<br />
fabbriche, nelle scuole, nei quartieri; e, in primo luogo, i lavoratori e i loro<br />
rappresentanti. Un'organizzazione viva, forte e combattiva, che possa<br />
cominciare ad essere, oggi a Catania quello che in altri tempi e in altri<br />
luoghi, ma sempre contro una barbarie come questa, erano i Comitati di<br />
liberazione. Non contro i tedeschi, questa volta, ma contro l'occupante<br />
mafioso, contro i boss mafiosi, contro i politici mafiosi, contro gli<br />
imprenditori mafiosi, contro tutti coloro che stanno ammazzando Catania e<br />
la Sicilia. Oggi come allora, resistenza: per cacciare la mafia, per liberare la<br />
città.
CARO LETTORE<br />
I Siciliani, febbraio 1984<br />
Caro lettore, probabilmente hai già sentito parlare del nostro giornale e sai<br />
che esso è, in questo momento, una delle poche cose che permettono a tutti<br />
noi siciliani di an<strong>da</strong>re a testa alta di fronte a chiunque. Sono in tanti, oggi,<br />
ad accusare la Sicilia di essere mafiosa: noi, che combattiamo la mafia in<br />
prima fila, diciamo invece che essa è una terra ricca di tradizioni, storia,<br />
civiltà e cultura, tiranneggiata <strong>da</strong>lla mafia ma non rassegnata ad essa.<br />
Questo, però, bisogna dimostrarlo con i fatti: è un preciso dovere di tutti noi<br />
siciliani, prima che di chiunque altro; di fronte ad esso noi non ci siamo<br />
tirati indietro.<br />
Se sei siciliano, ti chiediamo francamente di aiutarci, non con le parole<br />
ma coi fatti. Abbiamo bisogno di lettori, di abbonamenti, di soli<strong>da</strong>rietà.<br />
Perciò ti abbiamo man<strong>da</strong>to questa lettera: tu sai che dietro di essa non ci<br />
sono oscure manovre e misteriosi centri di potere, ma semplicemente dei<br />
siciliani che lottano per la loro terra. Se non sei siciliano, siamo del tuo<br />
stesso Paese: la mafia, che oggi attacca noi, domani travolgerà anche te.<br />
Abbiamo bisogno di sostegno, le nostre sole forze non bastano. Perciò<br />
chiediamo la soli<strong>da</strong>rietà di tutti i siciliani onesti e di tutti coloro che<br />
vogliono lottare insieme a loro. Se non l'avremo, andremo avanti lo stesso:<br />
ma sarà tutto più difficile.
ALCUNE RISPOSTE DA TROVARE INSIEME<br />
I Siciliani, settembre 1984<br />
Sono passati sette mesi. Sette mesi senza alibi, per i siciliani onesti e per i<br />
mafiosi. Per i mafiosi, perché adesso non è più questione di "Sicilia<br />
diffamata" e di "campagna per difendere Catania" ma semplicemente di dire<br />
se si è con la mafia o contro. Per noi antimafiosi, perché adesso non<br />
abbiamo più l'alibi della solitudine e del popolo che non ci comprende. Se<br />
una cosa s'è vista, in questi mesi, è che la nuova generazione dei siciliani è<br />
nella sua grande maggioranza nettamente antimafiosa; e che ce n'è una<br />
parte, ancora minoritaria ma già abbastanza numerosa, pronta a tradurre<br />
subito in azione concreta questa prima elementare intuizione.<br />
"Car Siciliani: sono una ragazza di diciassette anni e vi scrivo per dirvi<br />
che anch'io...". "Adesso però vorrei dire un fatto che è successo al mio<br />
paese e che secondo me è pure un fatto mafioso...". "Nella nostra scuola si<br />
sono vendute settantacinque copie comunque non eravamo un granché<br />
organizzati ma la prossima volta...". Ecco: cosa dobbiamo rispondere a<br />
lettere come queste e a interventi come questi, a questi messaggi? Perché ce<br />
ne sono stati tanti, molti di più di quanto avremmo potuto credere - questo,<br />
gli assassini non l'avevano messo nel conto.<br />
Noi non possiamo riman<strong>da</strong>re questi ragazzi con risposte di generica<br />
soli<strong>da</strong>rietà. Noi - noi di questo giornale, intendiamo; ma anche tutti coloro<br />
che in una qualunque maniera si sono schierati su questo fronte - abbiamo<br />
un dovere preciso nei confronti di tutti loro. Ci scrivono fiduciosamente,<br />
avendo finalmente trovato una bandiera; e fiduciosamente lavorano, ogni<br />
volta che gliene si dà l'occasione, a quel poco che osiamo loro affi<strong>da</strong>re. E<br />
questa sarebbe la generazione senza ideali, di quelli che non credono più a<br />
niente, dei ragazzi del riflusso...<br />
Abbiamo attraversato questi mesi sostanzialmente <strong>da</strong> soli. Non nei<br />
confronti - tutt'altro! - dei ragazzi delle scuole, dei magistrati onesti, della<br />
gente "comune", ma rispetto a buona parte delle forze politiche, del mondo<br />
giornalistico, delle categorie istituzionali, di tutti coloro insomma che<br />
avrebbero potuto materialmente aiutarci, qui ed ora, a continuare il nostro<br />
lavoro. Quasi con le nostre sole forze, abbiamo dovuto affrontare difficoltà<br />
e ostacoli che sembravano, ragionevolmente, insuperabili; e ce l'abbiamo<br />
fatta. Al feroce messaggio della mafia, abbiamo risposto con venti articoli<br />
nuovi contro di essa. Tutto quello che hanno potuto ottenere <strong>da</strong> noi, è stato<br />
di fermarci per quattro ore, <strong>da</strong>lle 22,30 del cinque gennaio alle due e mezza<br />
del sei. Un attimo dopo, abbiamo ricominciato. In sette mesi abbiamo<br />
prodotto sei nuovi numeri della rivista mensile e tre del tabloid
sperimentale; neanche una pagina, crediamo, ne è an<strong>da</strong>ta sprecata.<br />
Ma tutto questo non basta. Ci sono cose che non siamo riusciti a fare, ed<br />
altre che non abbiamo nemmeno provato a fare: bisogna ragionare anche su<br />
questo, avere il coraggio di criticarci.<br />
Non siamo riusciti, nella maggior parte dei casi, a contattare<br />
adeguatamente le centinaia di luoghi in cui il nostro giornale non era mai<br />
stato ma aveva già, per sola forza d'immagine, i suoi amici e i suoi lettori;<br />
non siamo riusciti a far partire prima dell'estate tutto il piano editoriale che<br />
avevamo previsto; non siamo riusciti a <strong>da</strong>re a tutti i nostri amici nel mondo<br />
politico e nel sin<strong>da</strong>cato un'immagine del nostro lavoro che li aiutasse a<br />
superare la miopia con cui, non per sua colpa, la democrazia "settentrionale"<br />
tradizionalmente percepisce le lotte del Sud. Queste cose non siamo riusciti<br />
a farle - non era cosa facile, d'altronde - finora, e cercheremo dunque di<br />
riuscirci nei mesi che verranno.<br />
Per altre cose, il discorso è più complesso. Per esempio: abbiamo prodotto<br />
e diffuso un foglio speciale per le scuole, e non l'abbiamo fatto <strong>da</strong> soli ma<br />
con l'aiuto di decine di ragazzi che col giornale, in teoria, non c'entrano per<br />
niente. Questo è ancora "soltanto" un fatto giornalistico, o è già, nel suo<br />
piccolo, qualcosa di più? E se un caso come questo indicasse (e ce ne sono<br />
altri più minuti) che esiste una richiesta crescente, fra i giovani siciliani, non<br />
solo di informazione ma anche, in modo del tutto nuovo, di organizzazione?<br />
Ma: cosa significa parlare di organizzazione nel 1984? E soprattutto: chi<br />
deve parlarne, che deve fare le proposte concrete per <strong>da</strong>re un senso a questa<br />
parola? Noi, i ragazzi che hanno lavorato con noi, i nostri "lettori", tutti<br />
quanti insieme? E ancora: organizzarsi per fare cosa? Solo per diffondere un<br />
giornale, o per qualcosa di più? E "come" organizzarsi? Ha ancora un senso<br />
pensare a un centro che spieghi le cose e una periferia che le esegua, o è già<br />
possibile lavorare insieme in maniera più collettiva? E, in fondo a tutte<br />
queste domande: è <strong>da</strong>vvero possibile sapere già ora cosa vogliamo costruire<br />
e dove arriveremo, o è meglio partire con pochi e concreti obbiettivi per<br />
scoprire insieme, stra<strong>da</strong> facendo, tutti gli altri?<br />
Tutto ciò non ha niente a che vedere, evidentemente, con la "politica" dei<br />
candi<strong>da</strong>ti e dei partiti; forse, con quella più profon<strong>da</strong> e civile - ed anche più<br />
soli<strong>da</strong> e reale - che, nei momenti di crisi, emerge direttamente <strong>da</strong>l crescere<br />
delle esperienze individuali e collettive. Noi attraversiamo, riteniamo, uno<br />
di questi momenti e non possiamo venir meno a nessuno dei nostri compiti<br />
rispetto ad esso, nemmeno a quelli talmente nuovi <strong>da</strong> richiederci uno sforzo<br />
di fantasia già solo per percepirli. Solo in questo quadro, fra l'altro, è<br />
possibile <strong>da</strong>re un senso reale alla nostra stessa funzione "tecnica" e<br />
professionale, che rischia diversamente di diventare una umanissima ma
isolata testimonianza e non uno strumento di effettivo cambiamento della<br />
realtà esistente.<br />
Proposte concrete? Non ancora: piuttosto, due campi di ricerca su cui<br />
bisognerà ragionare, tutti insieme, nei prossimi mesi. Primo: come può<br />
essere un giornale popolare siciliano, chi può mettersi insieme per farlo, che<br />
iniziative concrete possono aggregarsi attorno ad esso? Secondo: come<br />
utilizzare fino in fondo, in questa prospettiva, un luogo d'incontro come<br />
l'Associazione dei Siciliani di cui s'è parlato nei mesi scorsi; come far sì che<br />
a raccogliersi in essa non siano solo gl'intellettuali già impegnati ma<br />
un'intera generazione di siciliani onesti?<br />
Su questi due punti sarebbe utile aprire subito -- e questo vuol esserne<br />
semplicemente un inizio - un dibattito ampio e concreto, non solo fra noi<br />
"addetti ai lavori" ma con tutti i nostri amici e lettori. Di questi tempi, la<br />
cosa più importante per chi vuole <strong>da</strong>vvero cambiare le cose, è sapere<br />
imparare: le cose che non sappiamo ancora sono <strong>da</strong>vvero tante, e non è<br />
detto che debbano sempre essere le "persone importanti" a spiegarcele.
A CAVALLO DELLA TIGRE<br />
I Siciliani, settembre 1984<br />
E' difficile, per coloro che non sono siciliani, rendersi conto dell'aspetto<br />
più propriamente "politico" della mafia. Non parliamo qui, s'intende, dei<br />
legami sempre più stretti che la mafia ha via via potuto stringere con il<br />
mondo politico ufficiale, ma della presenza quotidiana, continua, infine -<br />
per l'appunto - "politica" con cui essa ha pesato in ogni aspetto della vita<br />
associativa siciliana: fino a diventarvi in larga misura egemone,<br />
imponendovi con la violenza un proprio modello di società e dei propri<br />
modelli di comportamento individuali e collettivi. La mafia ha <strong>da</strong>to luogo,<br />
negli ultimi quarant'anni e per la maggior parte dell'Isola, ad una vera e<br />
propria occupazione militare del territorio: con i suoi editti e i suoi bandi, le<br />
sue esecuzioni sommarie, la sua dose quotidiana di prepotenze spicciole;<br />
con i suoi corpi militari, ma anche il suo personale politico, i suoi<br />
amministratori, i suoi kapò. Immaginate una repubblica di Salò che duri per<br />
quarant'anni ed avrete un'idea di che cos'è la mafia, in linguaggio<br />
"milanese".<br />
In queste condizioni storiche, si è verificato in Sicilia un fenomeno non<br />
dissimile <strong>da</strong> quella che in altri tempi e luoghi d'Europa è stata la resistenza<br />
"politica" e clandestina contro i regimi nazifascisti. La nostra Resistenza è<br />
durata quarant'anni; ed ha avuto centinaia di morti. Ogni singolo diritto<br />
civile è stato conquistato - quando si è riusciti a conquistarlo - a prezzo di<br />
sangue. Ogni nostra sconfitta è stata pagata con la decimazione dei resistenti<br />
e la deportazione delle masse. Un quarto della popolazione attiva della<br />
nostra isola vive e lavora all'estero: le grandi on<strong>da</strong>te migratorie seguono la<br />
sconfitta della lotta sui feudi, quella della riforma agraria, quella delle lotte<br />
per l'acqua. Eppure, la Sicilia non si è mai arresa: quarant'anni fa le bandiere<br />
rosse dei braccianti, oggi le assemblee degli studenti, in nessun altro paese<br />
d'Europa tanta ostinazione e tanta disperata fierezza hanno tenuto campo<br />
così a lungo.<br />
E i pochi uomini nostri - generalmente, e non a caso, percepiti altrove più<br />
come capipopolo che come veri dirigenti politici - che hanno saputo<br />
esprimere la coscienza popolare vengono ricor<strong>da</strong>ti in Sicilia, assai più che<br />
nella loro qualificazione ideologica, come capi di questa lotta; i Miraglia, i<br />
Li Causi, i La Torre sono innanzitutto, nella memoria popolare, i nemici<br />
della mafia; la stessa <strong>sinistra</strong> politica e sin<strong>da</strong>cale, nei suoi momenti alti nelle<br />
zone più aspre della Sicilia, è vista anzitutto come organizzazione di lotta<br />
contro il potere mafioso, e solo secon<strong>da</strong>riamente in rapporto alle questioni<br />
"politiche" tradizionali. Interclassismo generico, qualunquismo? Basta
guar<strong>da</strong>re la piazza di un qualunque paesino dell'interno siciliano - la chiesa<br />
e il circolo dei civili su un lato della piazza; il punto di ritrovo dei braccianti<br />
e la lega contadina sull'altro - per comprendere come proprio la questione<br />
mafiosa sia la più profon<strong>da</strong>mente politica che oggi possa <strong>da</strong>rsi nel Paese,<br />
quella che con maggiore verticalità e nettezza separa le classi, i<br />
comportamenti collettivi, i diversi modi di vivere e le diverse visioni del<br />
mondo, la società insomma.
UN VOLANTINO<br />
primavera 1984<br />
Nonostante tutto, il potere della mafia comincia a mostrare le prime crepe.<br />
Sempre più spesso il lavoro dei magistrati onesti ottiene risultati un tempo<br />
impensabili; sempre più chiaramente il cittadino comune prende coscienza<br />
della necessità di far pulizia non solo nella malavita ma anche nel Palazzo.<br />
Adesso, bisogna an<strong>da</strong>re avanti.<br />
Costringere lo Stato a sostenere i suoi uomini non solo coi bei discorsi ma<br />
con mezzi concreti; smascherare gli interessi degli appalti e della droga, a<br />
cominciare <strong>da</strong> quelli indicati <strong>da</strong> Fava, Dalla Chiesa e Chinnici; cacciare<br />
<strong>da</strong>lla politica i compromessi e i corrotti, a partire <strong>da</strong> quelli che dicono che<br />
"qui la mafia non esiste"; cominciare a confiscare sul serio i patrimoni<br />
mafiosi, e affi<strong>da</strong>rne la gestione - emen<strong>da</strong>ndo la legge La Torre - ai lavoratori<br />
ricattati con la disoccupazione: questi sono gli obiettivi che oggi possono<br />
far fare un salto di qualità alla lotta contro la mafia. Perché oggi non si tratta<br />
più solo di far celebrazioni, ma di organizzarsi per vincere. E questo oggi è<br />
possibile.<br />
Noi proponiamo a tutti i militanti e i gruppi impegnati nella nostra stessa<br />
lotta, a Palermo come a Catania come altrove:<br />
1° - di esaminare con noi la possibilità di <strong>da</strong>re vita ad una Associazione<br />
che in maniera unitaria, organizzata e capillare raccolga in tutte le città e i<br />
paesi della Sicilia i militanti antimafiosi e ne coordini la lotta, sia attraverso<br />
momenti di mobilitazione generale su obbiettivi specifici che attraverso una<br />
rete diffusa d'iniziative locali;<br />
2° - di esaminare con noi la possibilità di <strong>da</strong>r vita nei prossimi mesi ad un<br />
settimanale popolare, diffuso <strong>da</strong>ppertutto e sostenuto <strong>da</strong> tutte le forze<br />
antimafiose, che spezzi il monopolio dell'informazione esistente e si ponga<br />
in tutta la Sicilia e fuori come la voce di tutti i siciliani antimafiosi.<br />
I Siciliani
UN VOLANTINO<br />
primavera 1984<br />
Anche se non ti promettiamo ricchi premi e cotillons vale ugualmente la<br />
pena che tu legga questo volantino e per dei motivi, ne converrai, più che<br />
seri: tanto per cominciare è gratis e non è un pretesto per venderti<br />
un'enciclopedia; poi perché è stato fatto per te, e <strong>da</strong> ragazzi uguali a te, più o<br />
meno belli, più o meno intelligenti, più o meno incavolati, insomma gente<br />
come te.<br />
Vogliamo proporti una nuova idea <strong>da</strong> realizzare insieme:<br />
Siciliani/Giovani, un mezzo di espressione libero e moderno a disposizione<br />
di chiunque voglia dire qualcosa, non il primo della classe, né quelli che<br />
salgono sempre in cattedra. Infatti non ci interessa il letterato, l'artista, il<br />
politicante, ma tutti quelli che vogliono scrivere, raccontare, disegnare,<br />
fotografare anche solo partecipare a qualcosa, esserci, sentirsi vivi e<br />
protagonisti, non solo complici della propria vita. E' una possibilità di<br />
opporci a un'esistenza grigia che scorre per inerzia, alla solitudine, alla<br />
rassegnazione inutile (ci dicono di non rompere le scatole e starci zitti, e noi<br />
ci stiamo? No).<br />
Non dormirci su ancora, vieni se hai qualcosa <strong>da</strong> dire, <strong>da</strong> raccontare.<br />
Fabio<br />
Via Reclusorio del Lume (vicino piazza S. Domenico), Facoltà di scienze<br />
politiche, Aula "A" a piano terra.
IL CORAGGIO DI LOTTARE<br />
SicilianiGiovani, 1984<br />
Caro Salvatore (o Antonio o Vincenzo o Roberto, o come diavolo ti<br />
chiami), come vedi, io non so nemmeno il tuo nome (forse ci saremo visti<br />
qualche volta, in un treno di pendolari o in una discoteca, ma naturalmente<br />
senza farci caso) e non so nemmeno che tipo sei, se tipo "ragazzino<br />
perbene" oppure tipo punk (a me personalmente piacerebbe di più così, ma<br />
questo è solo una cosa mia personale). Non so neppure che cosa stai<br />
facendo in questo momento, forse hai trovato il giornale per caso e siccome<br />
ora c'è una lezione noiosa te lo leggi sottobanco tanto per passare il tempo;<br />
o forse sei sull'autobus o forse <strong>da</strong> qualche parte con i tuoi amici (neanche tu<br />
sai granché di me: bene, sono un giornalista dei Siciliani, ho qualche anno<br />
più di te ma non molti, sono triste perché mi hanno ammazzato un amico,<br />
ho anche la paranoia che lo facciano pure a me e ne ho paura perché non<br />
sono particolarmente coraggioso. Non sono affatto un grande giornalista<br />
anzi sono alle prese con problemi molto più grandi di me). L'importante<br />
comunque è che tu capisca che io in questo momento non sto parlando al<br />
Ragazzo Impegnato, non sto facendo il discorso "simbolico" per dire che in<br />
realtà faccio appello a tutti quelli che ecc. ecc. No, io sto parlando proprio a<br />
te personalmente, perché ho bisogno di aiuto e non mi fido delle persone<br />
importanti. Ho bisogno invece della gente "comune", quella come te (e<br />
come me). Parliamoci chiaro: io non credo affatto che tu sia particolarmente<br />
interessato a tutte queste cose. L'altra volta, anzi, quando c'è stata<br />
l'assemblea Contro-La-Mafia (ci sarà stata anche nella tua scuola) tu per un<br />
po' sei stato ad ascoltare tutto quello che dicevano i professori e i tuoi<br />
compagni più "politici" poi, semplicemente, ti sei annoiato e te ne sei<br />
an<strong>da</strong>to. Siccome era una bella giornata, spero che tu te ne sia anche an<strong>da</strong>to<br />
in villa con la tua ragazza. Tutto questo mi va benissimo. Io non credo<br />
molto alle parole, e credo che ognuno debba fare ciò che sente e non quello<br />
che dicono gli altri.<br />
Però. vedi, c'è un trucco. Gli altri - cioè le persone importanti, i<br />
professori, i "politici" - partono <strong>da</strong> un punto di vista, e cioè che loro sanno<br />
tutto mentre tu non sai un cazzo. E che quindi debbono essere loro a dirti<br />
cosa fare. Tanto, tu sei "qualunquista", uno che se ne frega delle Cose Serie,<br />
che pensa solo a farsi la canna e ad an<strong>da</strong>re in discoteca (i giornalisti come<br />
me, invece, sono "i ragazzi di Fava", bravi ragazzi certo, ma un po' troppo<br />
incazzati e un po' coglioni...). Invece non è così. Tu sai un sacco di cose,<br />
solo che non le dici nel loro linguaggio, o non lo dici affatto. Però le sai. Per<br />
esempio sai che la tua vita non è affatto una gran bella vita, che ti annoi:
questo non è affatto qualunquismo, è la tua vita. Non c'è bisogno di parole<br />
difficili per dirlo. E sai pure che non ti va di continuare così e che intanto<br />
devi continuare lo stesso perché non c'è altro <strong>da</strong> fare, Sai che, nonostante<br />
tutte le belle parole, nessuno ti può aiutare a far qualcosa perché in realtà a<br />
nessuno gliene frega veramente molto di te: Sai anche altre cose, per<br />
esempio che fra un paio d'anni resterai disoccupato come il novanta per<br />
cento dei tuoi amici, che fra i tuoi amici ce n'è sicuramente qualcuno che si<br />
buca, che tu ancora sei fra i più fortunati perché sei - probabilmente - uno<br />
studente e non uno scippatore o un marchettaro (e se lo sei, il discorso vale<br />
anche per te). Sai un sacco di cose serie, insomma, ma tu stesso non ti<br />
accorgi nemmeno di saperle (non solo gli altri ti considerano un<br />
"qualunquista": sono riusciti a convincere anche te che lo sei), e perciò non<br />
contano niente, non pesano. E perciò quelli che sanno parlare continuano a<br />
coman<strong>da</strong>re loro, indisturbati: tanto, tu non conti...<br />
Questo è il trucco. Se tu ti rendessi conto di quanto sia importante - e, ma<br />
in una maniera del tutto nuova, anche "politico" - anche an<strong>da</strong>re in villa con<br />
la ragazza, cercare di fare quello che ti piace, vivere la tua vita come<br />
vorresti tu, tutto quanto cambierebbe. C'è stato un onorevole che, poche ore<br />
dopo che hanno ammazzato quel mio amico, è venuto fuori con aria<br />
arrogante - "la mafia non c'è, ha detto in sostanza, fatevi gli affari vostri!" -<br />
a minacciarci. Bene, quell'onorevole in realtà è un debole, è un isolato,<br />
perché non ha nessunissima idea della vita reale, della gente vera: al<br />
massimo, può fare qualche <strong>da</strong>nno ora, per il potere che ha. Noi invece - tu<br />
ed io - siamo molto forti e gli possiamo ridere in faccia perché la vita (la<br />
vita di ogni giorno, quella normale, la nostra) la conosciamo, ci siamo<br />
dentro, sappiamo che cos'è; ci mancano solo le parole, ma le troveremo (e<br />
non saranno mai grandi parole, grandi ideali, faccende <strong>da</strong> politici: ma parole<br />
comuni, normali, quelle della vita di ogni giorno).<br />
Allora, adesso ti faccio la mia proposta. Lasciamo perdere se hai la<br />
cravatta o l'orecchino (io, ripeto, preferirei l'orecchino: ma è questione di<br />
gusti, ognuno ha i suoi). Queste sono cose secon<strong>da</strong>rie. La cosa importante è<br />
che tu vuoi vivere la tua vita, e che ti sei scocciato di quella che ti <strong>da</strong>nno.<br />
Come me. Allora <strong>da</strong>mmi una mano. Parole non me ne servono, mi servono<br />
poche cose <strong>da</strong> fare. Poche, ma <strong>da</strong> farle sul serio, perché noi due - tu, ed io -<br />
siamo gente seria, non politicanti. An<strong>da</strong>re in villa con la ragazza è una cosa<br />
seria, e anche fare questo giornale è una cosa seria. Solo i bei discorsi non<br />
sono una cosa seria.
ALCUNE COSE DA FARE<br />
SicilianiGiovani, 1984<br />
Allora, cosa si può fare per <strong>da</strong>re concretamente una mano a questo<br />
giornale? Facciamo un esempio: l'istituto tecnico industriale di Piazza<br />
Armerina.<br />
Intanto, ci si organizza a scuola in modo tale che ci siano sempre quattrocinque<br />
ragazzi, a turno, che tengano i contatti col giornale e si occupino<br />
della varie cose <strong>da</strong> fare. Dopodiché, le cose <strong>da</strong> fare sono più o meno le<br />
seguenti:<br />
1) Notizie. Ovviamente, il discorso "notizie" in senso stretto è roba <strong>da</strong><br />
professionisti: stiamo mettendo in piedi una rete capillare di corrispondenti,<br />
quindi ci sarà semmai <strong>da</strong> an<strong>da</strong>re <strong>da</strong>l corrispondente di Piazza Armerina e<br />
non direttamente al giornale. Però noi per "notizia" non intendiamo lo<br />
scoop, la novità clamorosa: intendiamo semplicemente sapere come vive la<br />
gente in un determinato posto. Quindi, se per esempio la III C<br />
dell'industriale di Piazza si organizza per fare una ricerca seria, poniamo,<br />
sulla distribuzione dell'acqua ai contadini della zona, questa per noi è una<br />
notizia, e c'interessa. Questo vale anche per le città più grandi, dove ci sono<br />
un sacco di situazioni (la vita nei quartieri periferici, i ragazzi dei ghetti,<br />
ecc. ) di cui nessuno mai parla e che noi non riusciremo mai a seguire con le<br />
nostre forze, perché ci vorrebbero decine di persone. Allora, se invece di<br />
Piazza Armerina si parlasse, poniamo, di Catania, una cosa buona <strong>da</strong> fare<br />
sarebbe di organizzarsi in classe e fare un lavoro di cinque o sei mesi a<br />
Montepò o a Goretti; sarebbe un lavoro utile soprattutto per chi lo fa, perché<br />
ci sarebbero anche <strong>da</strong> imparare moltissime cose che dentro la scuola non<br />
arriverebbero mai (uno studente ha molte cose <strong>da</strong> insegnare a uno<br />
scippatore: ma anche viceversa!).<br />
2) Diffusione del giornale. Per "giornale" non intendiamo la rivista<br />
mensile, ma il settimanale che faremo in autunno e che sarà, grosso modo,<br />
come questo foglio che state leggendo, solo con più pagine e un po' più<br />
curato. Dev'essere il giornale dei Siciliani. Vogliamo diffonderlo per metà in<br />
edicola, e per metà di mano in mano. La "diffusione militante" vorremmo<br />
affi<strong>da</strong>rla prevalentemente agli studenti delle superiori, che sono quelli che si<br />
possono organizzare più facilmente per farlo (non c'è paese che non abbia la<br />
sua scuola). In ogni scuola, dunque, ci dovrà essere almeno uno, a turno, al<br />
quale faremmo arrivare le dieci, venti o cento copie <strong>da</strong> distribuire: abbiamo<br />
tutta la primavera e l'estate per organizzarci.<br />
3) Sottoscrizione. Noi, come forse oramai si è capito, non abbiamo<br />
nessuno alle spalle. Perciò siamo sempre con, diciamo così, qualche
problema finanziario. Non vogliamo an<strong>da</strong>re <strong>da</strong> nessun centro di potere, e<br />
quindi dobbiamo affi<strong>da</strong>rci alle mille lire dell'operaio e dello studente. Non<br />
abbiamo parlato finora di sottoscrizione perché non ci piaceva mischiare<br />
discorsi di soldi a tutto ciò che stiamo vivendo. Ma è un problema serio. E<br />
va affrontato seriamente, in modo organizzato capillare: anche qui, se ne<br />
potrebbe occupare uno, a turno per ogni scuola; anche qui, abbiamo la<br />
primavera e l'estate per organizzarsi bene.<br />
4) In generale, noi pensiamo che sia giusto che gli studenti siciliani -<br />
tranne quelli proprio fighetti o proprio fatti - ci aiutino. Pensiamo però che<br />
sia anche giusto che noi aiutiamo loro, per quanto possiamo col nostro<br />
mestiere, e cercheremo di farlo. Noi non sappiamo quanti presidi<br />
provveditori e professori appoggeranno questa iniziativa e quanti la<br />
boicotteranno; ma, sia chiaro, noi ci stiamo rivolgendo in primo luogo agli<br />
studenti. Stiamo parlando di studenti perché la maggior parte dei ragazzi va<br />
a scuola: ma in effetti stiamo chiedendo - e offrendo - aiuto a tutti i ragazzi<br />
siciliani in generale; la scuola non è un posto più serio degli altri, è<br />
semplicemente un posto dove si sta più insieme.<br />
5) Col mensile, con i libri dei "Siciliani editori" e col settimanale noi<br />
continueremo ovviamente ad occuparci prima di tutto di mafia e di missili,<br />
ma non solo di questo; cercheremo anche di parlare di storie quotidiane, di<br />
ecologia, di natura, di problemi "comuni", di sport, spettacolo e cultura, del<br />
tempo libero e di quello <strong>da</strong> liberare - in una parola, della nostra vita. Noi,<br />
come tutti i giovani siciliani, non siamo solo "contro" qualcosa, siamo anche<br />
"per" qualcos'altro che ancora non sappiamo esattamente cosa sia ma che<br />
sicuramente esiste e che vogliamo trovare a poco a poco, senza idee<br />
preconcette e senza credere d'avere la verità in tasca (di mafia, forse, ne<br />
sappiamo più di altri; ma su tutto il resto, abbiamo moltissimo <strong>da</strong> imparare,<br />
<strong>da</strong> tutti e soprattutto <strong>da</strong> voi altri).<br />
Ci rendiamo conto - infine - che i nostri collegi giornalisti <strong>da</strong>vanti all'idea<br />
di un giornale come questo affi<strong>da</strong>to, praticamente, agli studenti siciliani<br />
storcerano il naso e diranno: ma è pazzesco! Ma non s'è mai fatto! Ma non è<br />
professionale!<br />
Beh, che sia pazzesco non è detto, perché abbiamo visto che in giro, <strong>da</strong> un<br />
anno a questa parte, la volontà di fare qualcosa c'è e forse mancava solo<br />
l'occasione e un minimo di organizzazione. Che qualcosa del genere non sia<br />
mai stata fatta prima è vero, ma qualcuno doveva pur cominciare. Che non<br />
sia "professionale" è, decisamente, sbagliato: <strong>da</strong> oggi in poi, in Italia, c'è<br />
anche quest'altro modo di fare un giornale.
LA MAFIA DI OGNI GIORNO<br />
SicilianiGiovani, 1984<br />
La mafia, per noi, non è un argomento <strong>da</strong> comizio o <strong>da</strong> tavola roton<strong>da</strong>, ma<br />
semplicemente un pezzo della nostra vita quotidiana. Per alcuni di noi, per<br />
esempio quelli che sono costretti a gua<strong>da</strong>gnarsi <strong>da</strong> vivere alla meglio, il<br />
fatto di vivere in una società composta anche <strong>da</strong>lla mafia si fa sentire in<br />
maniera fisica e immediata, per altri in maniera fisica e immediata, per altri<br />
in maniera meno diretta ma in realtà altrettanto decisiva. Perciò abbiamo<br />
voluto mettere al centro di questo nostro primo giornale alcune storie di vita<br />
che a prima vista sembrerebbero non aver molto a che fare con la mafia ma<br />
che in realtà sono frutto di una società "mafiosa" (società mafiosa non vuol<br />
dite che tutti siano mafiosi ma semplicemente che la mafia vi è accettata<br />
come un componente "normale": certo, non la mafia che fa gli attentati ma<br />
quella che fa gli investimenti bancari...). La cosa più importante, infatti, è<br />
sapere dove vanno a finire tutti i discorsi che facciamo su questo e su altri<br />
argomenti, qual'è il loro risultato pratico. Pensiamo a mafiosi come<br />
Santapaola e Ba<strong>da</strong>lamenti: cosa significa, in termini di vite quotidiane di<br />
ragazze qualunque, il fatto che essi abbiano potuto operare indisturbati per<br />
tanti anni? Il ragazzo Antonino, per esempio, che adesso è in carcere per<br />
furto aggravato e spaccio, e la ragazza Primula, che probabilmente non<br />
sopravviverà a un altro anno di eroina, quando esattamente hanno<br />
cominciato ad essere ammazzati <strong>da</strong> Santapaola, Ba<strong>da</strong>lamenti e gli altri? E<br />
qual'è stato, in ciascun singolo caso, per ognuna delle loro vite quotidiane, il<br />
momento che ha deciso tutto. Ba<strong>da</strong>lamenti era stato denunciato molti anni<br />
fa, <strong>da</strong>lla radio di Giuseppe Impastato: <strong>da</strong> tempo si parlava di Santapaola sul<br />
giornale di Pippo Fava. Ma questo non è bastato per salvare Primula e<br />
Antonino: il tempo per rovinare anche loro i mafiosi l'hanno avuto...<br />
L'hanno avuto <strong>da</strong> chi? I giornalisti che hanno coperto Ba<strong>da</strong>lamenti, che<br />
responsabilità hanno, personalmente, rispetto alla sorte del ragazzo<br />
Antonino? E le autorità che "non "sapevano" che Santapaola era un<br />
mafioso, che con<strong>da</strong>nna hanno avuto per aver lasciato distruggere la vita<br />
quotidiana della ragazza Primula?<br />
Tutti parlano, ormai, dei mafiosi che uccidono e che spacciano eroina.<br />
Prima, bisognava parlarne. Adesso, bisogna parlare di coloro che non<br />
uccidono e non spacciano eroina, perché non hanno più bisogno di farlo: i<br />
miliardi se li sono fatti, la loro parte di potere se la sono conquistata, ad<br />
Antonino e a Primula non hanno più nulla <strong>da</strong> portar via. Sono gente perbene<br />
oramai: perché prendersela proprio con loro?
VIVERE CON LA MAFIA O VIVERE PER DAVVERO?<br />
SicilianiGiovani, 1984<br />
Di mafia si continua a morire, e soprattutto si continua a vivere. Non sono<br />
gli otto morti di Palermo che ci spaventano - quelli, in un altro paese,<br />
potrebbero essere un episodio particolarmente feroce di "criminalità", in un<br />
certo senso un'eccezione. E' la vita quotidiana che qui fa paura: il fatto che a<br />
Palermo, alla Kalsa o al Capo, lo spaccio di eroina sia un mestiere<br />
riconosciuto fra i quindicenni; il fatto che a Monte Po, a Catania, la gente<br />
sia costretta a vivere in condizioni identiche a quelle di una città del Terzo<br />
Mondo; il fatto che, tanto a Catania quanto a Palermo, la classe dirigente sia<br />
esattamente la stessa che con la speculazione edilizia ha ghettizzato la<br />
Kalsa, il Capo e Monte Po, e che ora continua a gestire i frutti di questa<br />
ghettizzazione sulla pelle della gente e soprattutto dei giovani. Altro che gli<br />
otto omicidi di un "San Valentino" qualunque! E' un assassinio lento e<br />
quotidiano, di cui nessuno si accorge, la silenziosa strage di migliaia e<br />
migliaia di esseri umani, l'immiserimento della vita di milioni di altri.<br />
Leggete le statistiche delle overdosi a Palermo, della mortalità infantile in<br />
provincia di Agrigento, della criminalità minorile a Catania: il Cile e la<br />
Polonia, in confronto, sono niente.<br />
Questa è la mafia. L'emarginazione dei quartieri, il ricatto della<br />
disoccupazione, l'espulsione dei giovani <strong>da</strong>lla vita sociale, il risorgente<br />
razzismo contro le fasce più povere (meridionali e operai) della<br />
popolazione, il rincrudirsi della violenza materiale e morale sulle donne: su<br />
tutto questo s'accampa la classe dirigente del 1984. Al di sopra di essa, o<br />
accanto ad essa, o tollerata <strong>da</strong> essa, la piovra dei politicanti mafiosi e degli<br />
imprenditori mafiosi. Ciascuno di noi, nella propria vita quotidiana, subisce<br />
le conseguenze di questo stato di cose: per qualcuno la droga, per qualcun<br />
altro il piombo, per tutti la miseria di una società che non è amica.<br />
Questo è tutto. Poiché abbiamo parlato di mafia, non chiudiamo senza<br />
fare nomi: a Catania i Santapaola, i Ferlito e i Ferrera; a Palermo i<br />
Marchese, i Greco, i Vernengo e tutti gli altri. E poi bisogna ricor<strong>da</strong>re anche<br />
i "personaggi importanti", quelli di cui parlavano Fava, Chinnici e Dalla<br />
Chiesa: i Salvo, i Cassina, i Rendo, i Graci, i Costanzo e i Finocchiaro.<br />
A che servono questi nomi, qui sul nostro giornale? A dire dove vogliamo<br />
arrivare. Intanto una Sicilia libera, libera <strong>da</strong> tutta questa gente; ma poi una<br />
Sicilia felice, in cui ciascuno di noi possa vivere allegramente, sviluppando<br />
finalmente tutta la creatività e la fantasia che ha dentro di sé e che è stato<br />
sempre costretto a tenersi dentro. Una Sicilia senza overdosi, senza manette
e senza prediche ipocrite: sarà la nostra Sicilia, degli studenti dello<br />
Spe<strong>da</strong>lieri e dei ragazzi di Monte Po. E intanto, cominciamo a prendere la<br />
parola. Tutti.
GLI INTOCCABILI E GLI SCIPPATORI<br />
SicilianiGiovani, 1984<br />
Ci sono due notizie che ci hanno colpito in queste ultime settimane, e<br />
crediamo che siano due notizie ugualmente importanti. Una, è che a<br />
Palermo Falcone e gli altri giudici antimafiosi hanno sequestrato numerose<br />
proprietà dei boss mafiosi, per un valore di quasi mezzo miliardo. Siccome<br />
non c'è ancora una legge che regoli l'uso dei beni sequestrati ai mafiosi, esse<br />
sono rimaste affi<strong>da</strong>te al custode giudiziario come se fossero due motorini<br />
rubati. Eppure tutte queste proprietà (e tutte quelle ancora <strong>da</strong> sequestrare)<br />
potrebbero servire a <strong>da</strong>re lavoro a un sacco di gente. Perché non i fa una<br />
legge in questo senso? Io penso che la gente - ma soprattutto i giovani<br />
disoccupati, che sarebbero i più interessati - dovrebbe organizzarsi e fare<br />
casino per ottenere una legge così: tra l'altro, questo sarebbe anche un modo<br />
(e molto efficace) di combattere la mafia.<br />
La secon<strong>da</strong> notizia è che a Catania, ai primi di maggio, hanno con<strong>da</strong>nnato<br />
a tre anni e mezzo di carcere - senza condizionale - un giovane scippatore.<br />
Una pena molto dura: proporzionalmente, gli imprenditori mafiosi<br />
dovrebbero stare in galera per almeno cent'anni... mentre invece per loro<br />
spesso si trovano le attenuanti e si fanno le campagne di stampa per<br />
giustificarli. A Catania ricordiamo benissimo come, ai tempi del mafiosocolonnello<br />
Licata, <strong>da</strong> un lato si lasciavano in pace i vari Santapaola, Graci e<br />
Rendo e <strong>da</strong>ll'altro si scatenavano senza pietà i "falchi" contro i piccoli<br />
balordi di quartiere, per lo più giovanissimi e quasi sempre affamati.<br />
I mafiosi sono quelli che ammazzano, quelli che trafficano eroina e<br />
soprattutto quelli che si fanno i miliardi, e la carriera politica, con la mafia e<br />
gli intrallazzi. La lotta alla mafia, chi ha il coraggio di farla, la faccia contro<br />
di loro: senza pietà. Ma per i ragazzi di quartiere non servono le con<strong>da</strong>nne<br />
feroci. Servono aiuto, scuola, comprensione, e soprattutto lavoro: per<br />
esempio, nelle aziende sequestrate agli "insospettabili".
I CENTRI GIOVANILI IN SICILIA<br />
SicilianGiovani, 1985<br />
A Palermo dopo Dalla Chiesa, a Catania dopo Giuseppe Fava, a Trapani<br />
dopo l'attacco a Carlo Palermo, migliaia di giovani siciliani ci siamo<br />
ritrovati nelle strade per manifestare contro la mafia. Non eravamo lì a<br />
manifestare semplice soli<strong>da</strong>rietà ad un magistrato isolato o a dei giornalisti<br />
isolati: eravamo lì <strong>da</strong> protagonisti, coscienti del fatto che ognuno di noi è<br />
costretto a scontrarsi quotidianamente con la mafia, cominciando <strong>da</strong>i<br />
problemi della vita nel proprio quartiere o nella propria scuola.<br />
Ma c'è di più: ci siamo ritrovati nelle strade nelle piazze e nelle piazze<br />
con tanta, tantissima voglia di stare insieme. E a partire <strong>da</strong> questa esigenza<br />
di stare insieme abbiamo cominciato a parlare di centri giovanili: dei posti<br />
tutti nostri per farci tutto quello che vogliamo. Fin qui nulla di nuovo <strong>da</strong>l<br />
numero scorso.<br />
La novità che è venuta fuori <strong>da</strong> questi ultimi mesi è che stiamo scoprendo,<br />
con grande gioia, che l'obiettivo del centro giovanile è sentito non soltanto a<br />
Catania, a Palermo e a Trapani, ma in molte altre città e paesi della Sicilia.<br />
Ogni nuova re<strong>da</strong>zione locale di "Siciliani/giovani" che nasce (e ce n'è già<br />
parecchie) parte subito sparata con iniziative sugli spazi giovanili. Ecco<br />
allora che questo nuovo movimento che nasceva "contro la mafia", si avvia<br />
a diventare, anzi lo è già, un movimento "contro la mafia e per i movimenti<br />
giovanili".<br />
Proponiamo di organizzare in tutta la Sicilia delle bellissime feste per<br />
chiudere in allegria l'anno scolastico e per lanciare ufficialmente la<br />
campagna "Centri giovanili in tutta l'isola", <strong>da</strong>ndoci appuntamento a<br />
settembre. Sarà allora che, ovunque possibile, <strong>da</strong>l più piccolo paesino alla<br />
più grande città, cominceremo a far nostri tutti i luoghi pubblici inutilizzati<br />
(edifici, terreni comunali in abbandono, ecc.) che si possano utilizzare per<br />
farsi i "nostri" centri. Dappertutto.<br />
E per cominciare, nell'immediato: sommergiamo i comuni siciliani sotto<br />
una valanga di cartoline con su scritto: "Voglio un centro giovanile<br />
perché...". Altre idee verranno dopo, man mano che andremo avanti.<br />
Antonio<br />
Chi è interessato all'iniziativa per i centri giovanili a Catania si metta in<br />
contatto con noi telefonando, venendo in re<strong>da</strong>zione o partecipando alle<br />
assemblee di Siciliani/giovani (ogni venerdì alle 17 presso la comunità Ss.<br />
Pietro e Paolo). Telefonateci anche se non siete di Catania e volete<br />
affrontare insieme il problema nel vostro paese.
IL MOMENTO DI FARE<br />
I Siciliani, autunno 1984<br />
Fra la fine di settembre e i primi di ottobre, hanno avuto luogo, a Catania,<br />
le prime riunioni operative del nucleo promotore dell'Associazione dei<br />
Siciliani.<br />
Abbiamo già detto altre volte cosa, nelle nostre intenzioni,<br />
quest'Associazione vuole essere: non certamente un nuovo partito politico<br />
<strong>da</strong> aggiungere a quelli già esistenti, ma nemmeno un ennesimo cenacolo di<br />
intellettuali. Si tratta invece di un progetto organizzativo del tutto nuovo, del<br />
quale non possiamo prevedere che in parte le caratteristiche e la portata, ma<br />
che deve servire - su questo non abbiamo alcun dubbio - ad uno scopo<br />
preciso: <strong>da</strong>rci la possibilità - <strong>da</strong>re a tutti noi, intendiamo: a tutti i siciliani<br />
onesti - la possibilità di intervenire concretamente sulla realtà siciliana e<br />
non solo di denunciarne i mali. Questa realtà è oggi caratterizzata, non solo<br />
a livello di fatti criminali ma nelle sue più profonde strutture di potere, <strong>da</strong>lla<br />
preponderanza della mafia; a Catania come a Palermo, nella grande città<br />
come nel piccolo paese, nella vita "politica" e nella realtà quotidiana. Ma<br />
allora, tutta la Sicilia è mafiosa? No di certo: è una piccola minoranza a<br />
gestire lo sfruttamento degli appalti, il traffico della droga, i delitti; ma<br />
questa minoranza è ferreamente organizzata, mentre noi non lo siamo. E<br />
mentre la mafia ha avuto tutto il tempo, e l'abilità, di aggregare attorno a sé<br />
una rete articolata e complessa di complicità, di fiancheggiatori, di<br />
coinvolgimento d'interessi, tanto più pericolosi quanto meno evidenti, noi -<br />
noi maggioranza, intendiamo: noi siciliani onesti - siamo rimasti sulla<br />
difensiva, ci siamo arroccati in noi stessi, abituati a resistere al male ma non<br />
ad egemonizzare l'intera società. Ora - ora che la mafia subisce i primi<br />
colpi, ora soprattutto che il fronte di battaglia va finalmente avvicinandosi al<br />
"terzo livello" - è il momento di fare un salto di qualità, di passare <strong>da</strong>lla<br />
resistenza all'offensiva. Questo è il problema, ed è, prima di tutto, un<br />
problema di organizzazione.<br />
Ma non ci sono già i partiti? Certo che ci sono, e noi non intendiamo<br />
affatto - e non è tempo di qualunquismi - disconoscere la loro utilità. Ma<br />
oggi ci vuole anche qualcosa di più specifico, qualcosa a cui possano<br />
partecipare tutti coloro - di qualunque militanza politica, di qualunque<br />
classe sociale, di qualunque fede - che sentono il bisogno di schierarsi prima<br />
di tutto su questa lotta; esattamente come, quarant'anni fa, c'era bisogno di<br />
un punto di riferimento che, ferme restando le varie identità politiche<br />
individuali e di gruppo, organizzasse tuttavia in maniera specifica e unitaria<br />
la lotta di liberazione antifascista. Oggi, c'è <strong>da</strong> liberarsi <strong>da</strong>lla mafia e <strong>da</strong>
tutto ciò che le sta dietro, ora o mai più: l'occasione è questa e <strong>un'altra</strong> non<br />
ci sarà. Si tratta dunque di sviluppare, in tutte le città e in tutti i paesi, dei<br />
nuclei di antimafiosi che si raccolgano insieme, discutano, deci<strong>da</strong>no le<br />
prime cose <strong>da</strong> fare; non solo "cose grosse" e non solo su questioni di mafia:<br />
qua può essere la denuncia di una speculazione edilizia, là quella di un<br />
intrallazzo mafioso; qua un'assemblea per difendere una spiaggia<br />
<strong>da</strong>ll'inquinamento, là una manifestazione contro un funzionario infedele;<br />
<strong>da</strong>ppertutto, liberare la fantasia, la creatività e l'orgoglio di tutti coloro che,<br />
giustamente diffidenti della "politica" che coesiste con la mafia, non<br />
vogliono tuttavia rinunciare a dire la loro, e a dirla ben forte. E poi<br />
organizzarsi sempre meglio, coordinarsi con tutte le realtà esistenti, stendere<br />
sulla Sicilia una fitta rete di azione e di libertà; non permettere che la lotta<br />
fra mafiosi e antimafiosi rimanga nei corridoi del palazzo, ma gettarla<br />
apertamente nei fatti quotidiani e nelle piazze.<br />
Questa è la prospettiva che noi oggi indichiamo a tutti coloro che credono<br />
nel nostro lavoro, che non vogliono più accontentarsi della semplice<br />
denuncia; questo è ciò che rispondiamo a chi ci chiede "Ma io, che posso<br />
fare?". Ma abbiamo il diritto noi dei Siciliani di chiedere questo alla gente?<br />
Noi non siamo dei politici, non ne sappiamo più degli altri; perché<br />
dobbiamo essere proprio noi a lanciare questo appello? Proprio perché<br />
siamo gente comune, perché non ne sappiamo più degli altri. Noi non siamo<br />
dei professionisti della politica, non possiamo insegnare niente a nessuno; e<br />
proprio per questo possiamo imparare <strong>da</strong>gli altri, mettere in circolazione<br />
delle idee invece di imporle <strong>da</strong>ll'alto. Possiamo coordinare e raccogliere, ma<br />
non strumentalizzare. Proprio perché siamo deboli, possiamo fare appello<br />
alla forza di tutti. E non è, d'altra parte, un appello solo nostro. Esso<br />
contemporaneamente sorge, con varie parole e coscienza diverse, <strong>da</strong> decine<br />
e decine d'esperienze diverse. Noi pensiamo semplicemente che sia il<br />
momento di <strong>da</strong>re un unico nome a tutto questo, e di cominciare a<br />
considerarlo come un insieme coerente. Un nome, diciamo, e non un<br />
programma, un'ideologia, una "linea": questi debbono sorgere <strong>da</strong>lle vive<br />
realtà, nel progresso del tempo. Sono realtà che nascono <strong>da</strong>lla lotta contro la<br />
mafia, e quindi non possiamo avere che fiducia in esse.<br />
E' interessante notare che, alle riunioni che abbiamo detto, erano presenti<br />
uomini d'origine ben differente: il liberale, il cattolico, il sessantottino, il<br />
comunista: e, più largamente di tutti, antimafiosi senza partito. Ciascuno di<br />
essi ha, più o meno inconsciamente, portato nella discussione qualcosa della<br />
sua precedente formazione, che è come dire di sé stesso; eppure non ne è<br />
derivato alcun inconveniente, e anzi si può dire che ciò che risultava alla<br />
fine serbava come una vaga traccia delle esperienze di ciascuno, e della più
umana parte di esse. Così avviene quando, ad orientare le scelte, sia un<br />
obiettivo concreto, e fermamente voluto <strong>da</strong> tutti.<br />
Adesso, aspettiamo che si mettano in contatto con noi tutti i lettori e gli<br />
amici che vogliono organizzare un nucleo dell'Associazione anche <strong>da</strong>lle<br />
loro parti; entro la fine dell'anno, organizzeremo delle assemblee su questo<br />
argomento in tutte le città in cui saremo chiamati a farlo, a partire <strong>da</strong><br />
Palermo, Messina e Siracusa. E poi andremo avanti anche su questo terreno,<br />
e <strong>da</strong> qualche parte, prima o poi arriveremo.
PROMEMORIA INTERNO<br />
settembre 1984<br />
1) Nella situazione attuale noi possiamo:<br />
- concentrarci sul mensile ed occasionalmente sui libri, migliorarne, anche<br />
con apporti professionali esterni, la qualità e la diffusione e programmare<br />
alcuni anni di "progresso senza avventure";<br />
- o aprire un fronte completamente nuovo (settimanale ed Associazione)<br />
che potrà potarci all'avanguardia di un reale movimento antimafioso ma<br />
potrà anche man<strong>da</strong>rci in rovina nel giro di venti mesi.<br />
Le due scelte non sono compatibili: la prima può essere sostenuta <strong>da</strong>l<br />
nostro gruppo così com'è ora e richiede "soltanto" un progressivo aumento<br />
del nostro grado di professionalità; la secon<strong>da</strong> ha bisogno, oltre a questo,<br />
anche l'assunzione di una serie di compiti in buona parte completamente<br />
nuovi e implica in particolare la capacità di individuare, di contattare e di<br />
coordinare una serie di forze che in gran parte si trovano ancora a uno stato<br />
poco più che potenziale.<br />
L'ipotesi che queste forze siano in realtà l'elemento emergente, e in<br />
prospettiva egemone, della situazione attuale è quella su cui si basano tutti i<br />
progetti contenuti in questo promemoria.<br />
2) Il progetto di settimanale e quello dell'Associazione sono in realtà due<br />
aspetti di un unico problema, infatti:<br />
- <strong>da</strong> solo il settimanale non soltanto non riuscirebbe a trovare la forza di<br />
venire alla luce e di an<strong>da</strong>re avanti, ma non potrebbe nemmeno (nel caso che<br />
si riuscisse nonostante tutto a crearlo) avere il respiro ideale e i contatti<br />
sociali necessari per farne qualcosa di più di un buon giornale; esso ha<br />
quindi bisogno di un punto di riferimento "politico" e di una struttura<br />
"organizzativa" che in questo momento non esistono <strong>da</strong> nessuna parte;<br />
- l'Associazione, <strong>da</strong>l canto suo, <strong>da</strong> sola difficilmente riuscirebbe ad essere<br />
qualcosa di più di un circolo di intellettuali scontenti: il progetto di<br />
settimanale <strong>da</strong> un lato può <strong>da</strong>rle lo strumento operativo per svolgere<br />
un'azione "politica" non velleitaria, <strong>da</strong>ll'altro può essere il punto di<br />
riferimento concreto che permetta di aggregare forze attorno ad un progetto<br />
(e a dei sotto-progetti particolari) specifico e non su un'utopia; sono<br />
d'altronde ampiamente superate le vecchie formule organizzative basate sui<br />
modelli di pura propagan<strong>da</strong> e "di partito", mentre vi è una richiesta<br />
crescente e non casuale di momenti organizzativi basati su iniziative<br />
concrete e autogestite.<br />
3) in questo quadro, è chiaro che i nostri due progetti fon<strong>da</strong>mentali<br />
debbono fin <strong>da</strong>ll'inizio procedere di pari passo ed intrecciarsi a vicen<strong>da</strong>,
appresentando l'uno il momento maggiormente tecnico-prrofessionale,<br />
l'altro il momento maggiormente politico-organizzativo di un disegno che<br />
ha le stesse radici e gli stessi obiettivi. Tuttavia, dev'essere almeno<br />
altrettanto chiaro:<br />
- che il nostro concetto di professionalità è molto diverso <strong>da</strong> quello<br />
tradizionale, ed implica non solo alcune scelte "militanti" in chi lo pratica,<br />
ma anche una disponibilità a confrontarsi con tutto ciò che sta al di fuori di<br />
esso e a ritenere essenziale, ai fini di un pieno sviluppo delle tecniche<br />
professionali, il contributo di soggetti "spontanei" del tutto estranei ad esse;<br />
- che il nostro concetto di politica non ha nulla a che vedere con quello<br />
tradizionale, e si basa (assai più che su rapporti "diplomatici" con forze più<br />
o meno istituzionali) sull'attenzione verso soggetti sociali reali,<br />
individuandone gli effettivi e non ideologici) terreni di scontro e mettendo<br />
al centro di ogni analisi e di ogni iniziativa i comportamenti quotidiani degli<br />
esseri umani: che non sono mai casuali e individuano sempre, di per sé, una<br />
"politica";<br />
- che il nostro concetto di organizzazione non consiste nel tentativo di<br />
creare un'ennesima struttura burocratica fine a se stessa, e in definitiva di<br />
potere, ma semplicemente nel cercare di offrire alla gente comune alcuni<br />
strumenti concreti, elastici ma efficienti, che possano aiutarla a non<br />
disperdere la propria voglia di cambiare.<br />
Tutto questo, in Sicilia, diventa particolarmente evidente in presenza di<br />
una forma di potere - il sistema mafioso - che consente ben poche<br />
mediazioni. Ma forse non è impossibile pensare che il movimento<br />
antimafioso in Sicilia rappresenti oggi, e ancor più possa rappresentare in<br />
futuro, una forma particolarmente avanzata di una tendenza a riappropriarsi<br />
della vita pubblica che <strong>da</strong> alcuni anni ricomincia a farsi stra<strong>da</strong> in settori<br />
consistenti - e spesso ufficialmente "qualunquisti" - del Paese.<br />
In questo senso, se è vero che non siamo (come troppo spesso abbiamo<br />
dimenticato) autosufficienti, è anche vero che non siamo assolutamente<br />
isolati, ed è ragionevole prevedere che ancor meno lo saremo in futuro.
5 GENNAIO<br />
I Siciliani, decembre 1984<br />
Questo giornale si stampa in una città, Catania, che ha due magistrati in<br />
carcere e altri due sotto esame per scan<strong>da</strong>li d'ogni tipo. In una città in cui<br />
quasi tutti gli amministratori degli ultimi cinque anni sono stati incriminati<br />
per un intrallazzo o per l'altro. In una città dove un pomeriggio di pioggia<br />
basta a produrre gli effetti di un bombar<strong>da</strong>mento, e non si osa tuttavia<br />
parlare del dissesto urbano. In una città dove i criminali mafiosi vivono o<br />
liberi o in "libertà provvisoria". In una città dove il principale uomo<br />
politico, Drago, non si vergogna di affermare che "la mafia non esiste". In<br />
una città in cui la legge La Torre sui sequestri ai mafiosi è stata fattivamente<br />
applicata una sola volta, rispetto alle duecentoventuno di Palermo. Nella<br />
città di Santapaola, Ferrera e Ferlito; nella città in cui tuttora operano e<br />
fanno affari i quattro cavalieri - Graci, Rendo, Costanzo e Finocchiaro - su<br />
cui Dalla Chiesa spese le sue ultime parole.<br />
In questa situazione, occorre essere qualcosa di più che un giornale. Avere<br />
qualcosa <strong>da</strong> dire, e dirlo liberamente; informare senza paura, dire le cose<br />
come stanno; fare i nomi, le cifre, i documenti - tutto questo è importante,<br />
ma non basta. Non basta denunciare le ingiustizie, bisogna porvi fine. Non<br />
basta dire che il nemico è feroce, bisogna sapere che è debole. E' debole, in<br />
confronto alla forza d'una intera popolazione: e il problema è dunque di<br />
risvegliare questa forza.<br />
Così, i primi due anni di vita del nostro giornale terminano - e iniziano<br />
insieme i successivi - non solo qui dentro la re<strong>da</strong>zione, ma nelle assemblee e<br />
nelle piazze. Non solo per protestare contro gli amici della mafia ma anche<br />
per cominciare a costituire insieme la Sicilia del dopo-mafia. Una Sicilia<br />
libera <strong>da</strong>i mafiosi, ma anche una Sicilia sorridente; una vita quotidiana<br />
senza minacce e senza paura, ma anche una vita più felice, capace di<br />
liberare la creatività e la fantasia di tutti e di renderci veramente - dentro e<br />
fuori - più umani. Non solo la sconfitta della mafia, ma qualcosa di più.<br />
Non non sappiamo ancora per quali tappe arriveremo - non <strong>da</strong> soli - a<br />
vedere tutto questo. Ma siamo certi che ci arriveremo. E sarà curioso, alla<br />
fine, veder con che diversi e vari contributi si sarà costruito tutto questo.<br />
Senza stupircene del resto: quando i tempi cominciano a cambiare - e questo<br />
sono tempi di grande cambiamento, in Sicilia - le cose più straordinarie<br />
appaiono già normali mentre la vecchia "normale" prepotenza appare<br />
all'improvviso intollerabilmente strana.<br />
Si tratta adesso di <strong>da</strong>re alla lotta contro la mafia una dimensione<br />
realmente regionale e non solo cittadina: non è possibile che mentre a
Palermo si comincia a colpire il terzo livello a Catania non si facciano<br />
nemmeno le in<strong>da</strong>gini bancarie. Si tratta di <strong>da</strong>re una dimensione regionale<br />
anche e soprattutto al movimento di massa antimafioso, finora privo di un<br />
collegamento stabile e organizzato fra le ormai numerose realtà esistenti<br />
nelle varie città della Sicilia. Si tratta anche di cominciare ad individuare<br />
degli obiettivi - a cominciare <strong>da</strong>lla gestione popolare dei beni sequestrati<br />
con la legge La Torre - che consentano di aprire una fase più avanzata, non<br />
più semplicemente difensiva, della lotta contro il potere mafioso e di<br />
mobilitare su di essi tutte le forze della Sicilia civile.<br />
Si tratta infine - e forse soprattutto - di cominciare ad acquisire l'abitudine<br />
mentale alla proposta, all'organizzazione e al progetto, di non fermarsi alla<br />
semplice protesta del momento. Bisogna abituarsi a pensare che c'è <strong>da</strong><br />
mettere insieme, in ogni città e paese dell'isola, ogni energia più giovane e<br />
viva: combattendo la mafia, fare la Sicilia di domani. Questa guerra sarà<br />
ancora molto lunga, ma un giorno finirà: e allora bisognerà ricostruire, nelle<br />
coscienze e nelle cose.<br />
Questa lotta, ma più ancora questa ricostruzione civile, per noi hanno un<br />
nome, ed è quello di Giuseppe Fava. Non è il nome di un simbolo, ma di un<br />
essere umano. Un uomo che ha avuto il coraggio di lottare contro<br />
l'ingiustizia e quello, ancor più difficile, di vivere la propria vita giorno per<br />
giorno, rispettando l'umanità in sé stesso e negli altri, amandola<br />
profon<strong>da</strong>mente nella sua libertà e nella sua completezza. Possano i siciliani<br />
ritrovarsi attorno a questo nome, raccoglierne il coraggio e l'allegria, essere<br />
degni di esso.
UN UOMO E LA SUA LOTTA<br />
I Siciliani, gennaio 1985<br />
Per noi de "I Siciliani", questo è un numero particolare. Esso esce nel<br />
momento in cui finalmente si è cominciato a colpire - non per iniziativa<br />
della magistratura locale - il sistema di potere mafioso catanese. Esce a due<br />
anni <strong>da</strong>l "numero uno" del gennaio '83, che aprì il cammino di cui gli<br />
avvenimenti di questi giorni sono una tappa. Esce un anno esatto dopo il 5<br />
gennaio 1984<br />
La mafia sapeva bene, quando uscì questo giornale, dove esso avrebbe<br />
portato. Sapeva che se qualcuno avesse cominciato la battaglia sarebbe stato<br />
difficile porvi fine. E difatti così è stato. Oggi a Catania i mafiosi<br />
cominciano ad an<strong>da</strong>re in galera, la gente ad esprimersi liberamente, e i<br />
potenti a tremare.. E non è che un inizio.<br />
Ognuno può facilmente comprendere, adesso, perché la mafia avesse<br />
paura di Giuseppe Fava. Il sistema era minato, bastavano poche verità per<br />
farlo franare. Ognuno può comprendere, adesso, quanto diversa sarebbe<br />
stata la storia della nostra città se Giuseppe Fava avesse trovato, in luogo<br />
dell'isolamento e del silenzio, una soli<strong>da</strong>rietà. Un asoli<strong>da</strong>rietà che non c'è<br />
stata perché non poteva esserci: e ognuno può comprendere, dopo i verbali<br />
torinesi, perché. Ma non importa, Giuseppe Fava ha vinto lo stesso. Da solo.<br />
Solo?<br />
Solo, rispetto ai "colleghi" giornalisti e agli uomini del Palazzo. Non certo<br />
rispetto alla gente. Come risuonava chiaro il suo nome, l'altra settimana in<br />
via Etnea! I giovani catanesi non s'erano dimenticati di Giuseppe Fava; non<br />
avevano paura di gri<strong>da</strong>re a tutti le imprese dei cavalieri e dei loro uomini.<br />
C'era un sole gentile, in quella mattinata di dicembre; illuminava allo stesso<br />
modo, in piazza del palazzo di giustizia, il corteo dei ragazzi e le severe<br />
mura. La gioventù che spera e il privilegio che teme, gli sguardi limpidi e i<br />
volti cupi, la libertà di domani e il feroce passato: il nome di Giuseppe Fava<br />
divideva irreparabilmente i due mondi.<br />
E quei ragazzi sfilavano allegri, ma egualmente risoluti; con loro, passava<br />
certamente l'avvenire. L'avvenire di Giuseppe Fava, dell'uomo che i potenti<br />
credevano "solo".<br />
Non basta essere, nella situazione che viviamo, semplicemente un<br />
giornale. Bisogna che cento diverse iniziative, liberamente sostenute e<br />
liberamente gestite <strong>da</strong> tutti, convergano su un unico obiettivo: che è quello<br />
di liberarci <strong>da</strong>lla mafia, <strong>da</strong> tutta la mafia, e di cominciare a costruire una<br />
Sicilia più umana.<br />
Il progetto - ma ormai è soli<strong>da</strong> realtà - dell'Associazione "I Siciliani"
nasce <strong>da</strong> questo bisogno: formare <strong>da</strong>ppertutto gruppi di cittadini che, senza<br />
distinzioni di parte, contribuiscano a questo obbiettivo con le proprie idee e<br />
la propria attività: per lottare contro la mafia, ma anche per costruire il<br />
dopo-mafia; per testimoniare un principio, ma anche per affrontare problemi<br />
concreti di ogni piccola o grande comunità. Combattendo la mafia, fare la<br />
Sicilia di domani. Non solo sequestrare le aziende dei mafiosi, ma <strong>da</strong>rle in<br />
gestione ai lavoratori. Non solo stroncare i trafficanti di droga, ma <strong>da</strong>re ai<br />
ragazzi dove passare allegramente il loro tempo libero. E così via.<br />
L'Associazione verrà ufficialmente formalizzata, per mezzo di una serie di<br />
assemblee, nelle prossime settimane. Ma in realtà nasce già di fatto - nelle<br />
scuole, nei quartieri, nelle università, nelle strade - <strong>da</strong> tutti coloro che hanno<br />
risposto all'appello del cinque gennaio. Appello di soli<strong>da</strong>rietà e di memoria,<br />
ma anche già di lotta.<br />
Meglio di ogni lungo discorso, questa circostanza indica con quale spirito<br />
nasca l'Associazione "I Siciliani" e quale cammino si prefigga. E' il<br />
cammino iniziato <strong>da</strong> Giuseppe Fava: ad esso noi chiamiamo tutti i siciliani<br />
di buona volontà, in ogni città e paese della Sicilia. Non solo un appello<br />
ideale, ma una precisa proposta organizzativa.<br />
Abbiamo <strong>da</strong>to puntualmente conto ai lettori, durante l'anno che è<br />
terminato, dei nostri problemi e delle nostre azioni. Quanto al giornale, i<br />
problemi sono i soliti, e non c'è motivo di nasconderli. Ai circa seicento<br />
milioni di vecchi debiti, che la legge strappata questa estate basta<br />
malamente (o meglio: basterà quando effettivamente verrà eseguita) a<br />
coprire, si aggiungono dunque ogni mese milioni di debiti nuovi: Ma, dirà<br />
qualcuno, le copie vendute del giornale? Aumentano ogni mese, più che<br />
mai. Ma paradossalmente, più se ne vendono, e più cresce il passivo.<br />
Il paradosso, però, è solo apparente: tutti i giornali, infatti, vengono<br />
venduti a un prezzo largamente inferiore alle spese di produzione; la<br />
differenza viene coperta <strong>da</strong>lla pubblicità che rappresenta, generalmente,<br />
almeno il 55-60 per cento del fatturato complessivo. Noi, non per nostra<br />
scelta, praticamente non ne abbiamo e sino ad oggi le uniche entrate del<br />
giornale sono venute <strong>da</strong>lla sua vendita; come ultima carta, siamo a contatto<br />
con un'agenzia pubblicitaria, la Sipra, che potrebbe consentirci di superare<br />
questo boicottaggio (perché di boicottaggio, purtroppo, si è trattato). Se ce<br />
la faremo, avremo risolto il problema; se no, cercheremo di an<strong>da</strong>re avanti<br />
come e finché potremo (e già questo numero è a pagine ridotte, e già sarà<br />
assai difficile aver carta per febbraio. Certo notizie simili non si usa <strong>da</strong>rle<br />
fra parentesi. Ma sono egualmente gravi, per noi e per chi attribuisce<br />
qualche importanza all'esistenza di questo giornale).<br />
Del resto, per quanto starà in noi, continueremo a lavorare con il consueto
impegno. Molte nuove inchieste giornalistiche sono già in cantiere, e non<br />
solo di mafia. Molto più che per il passato, intendiamo impegnarci anche<br />
sugli altri aspetti della vita siciliana: la vita nei quartieri e i problemi delle<br />
città, la tutela ambientale e l'impegno per la pace, il rifiorire culturale e i<br />
nuovi movimenti. Di tutto quell'immenso cantiere che è oggi la Sicilia<br />
sommersa - i cortei dei sedicenni e i preti di quartiere, le lotte degli operai e<br />
le assemblee delle donne, i paesi contro i missili e i magistrati impegnati -<br />
vogliamo essere, ancor più di prima, la puntuale e fedele cronaca, aperta a<br />
tutti e ricca dell'apporto di ogni libera voce.<br />
Questo giornale non sarà mai un giornale di Palazzo: non ci riguar<strong>da</strong> la<br />
cronaca dei corridoi del potere; ma quella, ben altrimenti fecon<strong>da</strong> e viva,<br />
della nostra vita quotidiana. Nostra, di milioni e milioni di siciliani, che<br />
vivono in Sicilia o sono sparsi per il mondo, uomini e donne "comuni",<br />
come si suol dire, con le loro quotidiane umanissime vicende che non<br />
interessano i giornalisti "ufficiali" ma che il nostro direttore ci ha insegnato<br />
a rispettare e a descrivere prima di ogni altra cosa. Di esse noi siamo i<br />
cronisti, non dei pettegolezzi dei potenti. Ed è una lunga stra<strong>da</strong>, <strong>da</strong>i bambini<br />
di Palma di Montechiaro a quelli dell'Albergheria e di Monte Po: ma è<br />
sempre la stra<strong>da</strong> del nostro direttore, esattamente come quella della<br />
denuncia implacabile del potere mafioso di cui questi bambini - allora come<br />
oggi - sono le vittime che nessuno difende.<br />
E' stato un anno lunghissimo, di amara solitudine e di pena. Ma anche un<br />
anno di speranza. Siamo stati soli, quanto non credevamo possibile<br />
potessero esserlo degli esseri umani; ma siamo stati anche uniti, in una<br />
maniera che non si può immaginare, con tanti e tanti altri siciliani come noi.<br />
Grazie, Sabina, Fabio, Antonio, Giusi, Massimo, Pinella, grazie a tutti i<br />
ragazzi di Catania: siete stati anche voi, nel momento in cui altri facevano<br />
terra bruciata attorno a noi, a <strong>da</strong>rci la speranza e la forza di an<strong>da</strong>re avanti.,<br />
voi per primi.<br />
Grazie ai nostri corrispondenti, ai fotografi, ai disegnatori, a tutti coloro<br />
che hanno collaborato a questo giornale. Nessuno di loro ha ricevuto una<br />
lira per il proprio lavoro; ed era un lavoro che stava alla pari, almeno, con<br />
quello per qualunque grande giornale. Senza di loro, questo giornale non si<br />
sarebbe potuto fare.<br />
Grazie ai colleghi famosi, pochi di numero ma non di cuore, che non<br />
hanno avuto timore di compromettersi coi Siciliani. Dei tanti loro articoli,<br />
quelli pubblicati <strong>da</strong> noi non hanno portato loro nessun gua<strong>da</strong>gno materiale;<br />
eppure essi si sono sentiti ugualmente gratificati. Grazie agli uomini di<br />
giustizia, <strong>da</strong>ll'insigne magistrato al brigadiere, che hanno avuto fiducia in<br />
noi; non c'è stata notizia, per quanto in loro potere, che non ci abbiano <strong>da</strong>to,
sapendo benissimo perché ed a chi essi la <strong>da</strong>vano. E' grazie anche a loro, e<br />
alle segnalazioni di decine e decine di onesti - e non anonimi - cittadini che<br />
abbiamo potuto lavorare come abbiamo lavorato; nessuna notizia è stata<br />
pubblicata se non attentamente vagliata; di molte cose ci hanno accusato,<br />
ma mai di imprecisione.<br />
Grazie agli amici coraggiosi, che si sono esposti con noi; alcuni <strong>da</strong> pochi<br />
mesi, altri ormai <strong>da</strong> più anni, con ragionata passione e intelligente<br />
entusiasmo lavorano all'opera comune; e sono indispensabili. Formazioni<br />
culturali diverse, diverse fedi politiche o nessuna; diversissime esperienze<br />
personali; e fra tutti un'idea, combattere la mafia fino in fondo.<br />
Una scarica di mitra può essere il loro premio domani; o la piccola<br />
angheria quotidiana, o anche perdere il pane; non aiuta la carriera, dirsi dei<br />
Siciliani. Eppure sono qui, ogni giorno più saldi e più decisi, con la ragione<br />
e col cuore. Il progetto dell'Associazione è opera loro, e loro la gestione di<br />
questo nuovo fronte di lotta. Il giornale è la voce, loro l'organizzazione:<br />
l'una e l'altra al servizio non d'un qualunque ristretto obiettivo di parte ma di<br />
tutti i siciliani liberi ed onesti. Perché stavolta non si tratta di cambiare in<br />
superficie, si tratta di fare una Sicilia ben differente.<br />
Ringraziamo infine i lettori, i nostri amici lettori, che son qualcosa di<br />
molto diverso <strong>da</strong>i lettori di un giornale comune. Chi legge "I Siciliani" non<br />
lo fa per ingannare il tempo, la fa per sentirsi ed essere partecipe di qualcosa<br />
che vive e può cambiare la sua vita. Pochissimi giornali hanno avuto, nel<br />
tempo, una tale fiducia e una tale responsabilità. Noi facciamo il possibile<br />
per mostrarcene degni; se non sempre ci riusciamo, non è per difetto di<br />
volontà o eccesso di presunzione. Ci siamo trovati a reggere una bandiera<br />
molto più grande di noi; ma nessun altro poteva raccoglierla, fuorché noi.<br />
Così, se non ci ha trovati sempre all'altezza del compito, il lettore dia pure<br />
la colpa alla nostra inadeguatezza; ma se legge in noi qualcosa di non<br />
indegno, dia tutto il merito a chi ci ha insegnato questo mestiere.<br />
Perché di Giuseppe Fava, per quanto di buono esso contiene, è questo<br />
nostro lavoro; perché tuttora suo è questo nostro giornale; e più alta di<br />
prima, sconfiggendo sicari e man<strong>da</strong>nti, parla <strong>da</strong> queste pagine la sua voce.<br />
Certo, ci sarebbero <strong>da</strong> aggiungere molte cose, qui, su quel che è successo<br />
in queste settimane, sui fatti, sulle parole, e sui silenzi. Silenzio sui<br />
Cavalieri: citati <strong>da</strong> Dalla Chiesa quando Santapaola cenava ancora alla Perla<br />
Ionica con Graci o con Costanzo (in non miglior compagnia essendo i<br />
rimanenti, Rendo e Finocchiaro), questi nomi non sono stati fatti, salvo che<br />
<strong>da</strong> pochi giornali, anche ora che Santapaola latita con altri trecento: perché<br />
fare quei nomi voleva dire an<strong>da</strong>re oltre. Silenzio su chi li ha combattuti:<br />
perché fare quel nome voleva dire riconoscere che il male avrebbe potuto
essere stroncato in tempo. E dunque, rimozione: e questo sarebbe il<br />
momento di denunciare questa rimozione, e di combatterla con buoni<br />
argomenti.<br />
Ma tutto sommato, non ne vale la pena. Tutto sommato, non vale la pena<br />
di spendere grandi parole quando la situazione si è fatta ormai così chiara,<br />
che non resta altro che scegliere.<br />
Ed è una scelta semplice: o la Sicilia dei Cavalieri, o la Sicilia di<br />
Giuseppe Fava. Tutto il resto son parole.<br />
Oggi, cinque gennaio, saremo in piazza, i siciliani onesti, per ricor<strong>da</strong>re un<br />
uomo. Un uomo, e la sua lotta: cos'altro si può dire? Tutti sappiamo di che<br />
si tratta. Ritroviamoci dunque tutti insieme; questa sera, e nelle migliaia di<br />
giorni che seguiranno. Perché ci saranno ancora migliaia di giorni, migliaia<br />
di mattinate a Palazzolo, migliaia di dolci sere a Siracusa, migliaia e<br />
migliaia di giorni sulla faccia della terra; e migliaia di speranze, passioni,<br />
entusiasmi, delusioni, amicizie, progetti, ed ancora entusiasmi e delusioni, e<br />
rinnovate speranze ed amore; e in ciascuna di esse ci sarà qualcosa di<br />
Giuseppe Fava, qualche cosa di lui e di tutti gli esseri umani come lui.<br />
E a questo, non potranno sparare.
UN VOLANTINO<br />
dicembre 1984<br />
IN PIAZZA CONTRO LA MAFIA<br />
AL FIANCO DI GIUSEPPE FAVA<br />
Il 5 gennaio i siciliani onesti saranno in piazza a Catania per ricor<strong>da</strong>re un<br />
uomo che ha avuto il coraggio della verità e per dire a tutti che la battaglia<br />
di Giuseppe Fava continuerà finché la Sicilia non sarà libera <strong>da</strong>lla mafia.<br />
Nel momento in cui sempre più decisivo si fa lo scontro e sempre più<br />
vicina appare la possibilità di colpire non solo gli esecutori, ma le menti<br />
politiche e finanziarie - a Palermo come a Catania - della piramide mafiosa,<br />
bisogna che la Sicilia di Giuseppe Fava e di tutti gli altri combattenti<br />
antimafiosi getti in campo tutta la propria forza, che oggi può essere<br />
decisiva.<br />
Bisogna ri<strong>da</strong>re ai cittadini di Catania e di tutta la Sicilia la certezza dei<br />
propri diritti, la possibilità di partecipare alle scelte essenziali per il proprio<br />
destino, la capacità di progredire verso la soddisfazione dei bisogni<br />
fon<strong>da</strong>mentali dei lavoratori, delle donne, dei giovani, di tutti coloro che oggi<br />
vogliono realizzare una convivenza sociale pacifica e rispettosa della<br />
democrazia politica. Tutte queste esigenze sono oggi profon<strong>da</strong>mente<br />
mortificate <strong>da</strong> un blocco di potere politico-economico, espressione dei<br />
grandi gruppi finanziari, de settori dell'apparato statale e del sistema politico<br />
dominante, che per connivenze, compiacenze e insipienze si pone come il<br />
principale nemico delle giuste aspirazioni del popolo siciliano.<br />
In questo spirito, facciamo appello a tutti i cittadini onesti senza<br />
distinzione di parte e a tutte le organizzazioni democratiche e antimafiose,<br />
affinché dimostrino con la loro presenza a Catania il 5 gennaio che la lotta<br />
di Giuseppe Fava è anche la loro lotta.<br />
L'Associazione "I Siciliani"
UNA LAPIDE<br />
5 gennaio 1985<br />
"Qui è stato ucciso<br />
Giuseppe Fava<br />
La mafia ha colpito chi con coraggio<br />
l'ha combattuta, ne ha denunciato le<br />
connivenze col potere politico ed<br />
economico, si è battuto contro<br />
l'installazione dei missili in Sicilia"<br />
Gli studenti di Catania
UN VOLANTINO<br />
marzo 1985<br />
CONTRO LA MAFIA PER L'UNITA'<br />
Le elezioni amministrative del 12 maggio rappresentano una scadenza<br />
molto importante. Esse contribuiranno certamente a indicare la possibilità di<br />
sconfiggere il sistema di potere mafioso che - con precise responsabilità dei<br />
partiti di maggioranza e nell'inerzia di quelli dell'opposizione - ha gettato<br />
nel baratro la nostra città ponendo il "Caso Catania" all'attenzione dell'intero<br />
Paese.<br />
Con questo invito alla riflessione ci rivolgiamo a tutte le forze sociali e<br />
politiche che intendono opporsi a questo sistema di potere, a tutti coloro che<br />
- ciascuno a suo modo - si sono riconosciuti nella grande manifestazione<br />
popolare del 5 gennaio.<br />
Ad essi, e a tutti i cittadini consapevoli della gravità della situazione, noi<br />
diciamo che non è il momento di dividersi. Occorre impedire che false<br />
operazioni di "rinnovamento" servano a legittimare "nuovi" personaggi<br />
politici il cui obiettivo è ancora e solo quello di perpetuare le vecchie<br />
logiche.<br />
Il blocco di potere mafioso, al di là dei contrasti contingenti, è unito<br />
attorno ai propri interessi. Bisogna che anche l'opposizione democratica sia<br />
unita. Bisogna che tutte le espressioni della Catania antimafiosa e<br />
progressista riescano a superare settarismi e diffidenze per concentrare le<br />
forze sull'obiettivo comune: cacciare la mafia, rinnovare la città. Questo<br />
obiettivo passa anche attraverso le istituzioni.<br />
Noi riteniamo quindi che queste elezioni debbano essere affrontate <strong>da</strong>lle<br />
organizzazioni e <strong>da</strong>i partiti antimafiosi in una maniera nuova: con una sola<br />
lista, unitaria, aperta e senza simboli di partito.<br />
Una lista caratterizzata anzitutto <strong>da</strong>lla volontà di tutti coloro che lavorano,<br />
che studiano, che vogliono vivere in una città civile, che non incanalano<br />
necessariamente il proprio impegno nei partiti: <strong>da</strong> tutti coloro che sono<br />
decisi a lottare per il cambiamento.<br />
Una lista nelle cui persone e nei cui programmi possano riconoscersi i<br />
giovani, i lavoratori, le donne, tutti i cittadini che credono nella Catania del<br />
5 gennaio: su questo preciso obiettivo si misurerà l'impegno di ciascuna<br />
forza politica contro il potere mafioso ed occulto, in tutte le sue forme<br />
criminali, imprenditoriali, istituzionali e politiche.<br />
L'Associazione "I Siciliani"
ANTIMAFIA, UNA NUOVA FRONTIERA<br />
I Siciliani, 1985<br />
La cosa, a un dipresso, funziona così: dopo essermi fatto i miei bravi<br />
miliardi con gli appalti e con l'eroina, io mafioso metto su un'azien<strong>da</strong> che<br />
impiega, poniamo, duecento persone. Tu Stato ti poni il problema di<br />
sequestrarmela in base alla legge La Torre. Io rilascio, o faccio rilasciare,<br />
un'intervista in cui minaccio di chiudere tutto e man<strong>da</strong>re tutti a casa. A<br />
questo punto tu sei costretto a fermarti e a pensarci su due volte. Difatti,<br />
oltre che sull'aiuto dei politici, dei giornalisti e dei magistrati che io pago, io<br />
posso contare, contro la Stato, anche sulla soli<strong>da</strong>rietà oggettiva dei miei<br />
duecento dipendenti e delle loro duecento famiglie. Il gioco è facile: appena<br />
uno dei miei magistrati mi avverte che tira brutta aria, io ordino ai miei<br />
giornalisti di scatenare una campagna "per la Sicilia diffamata" e ai miei<br />
amici politici di "difendere l'economia siciliana". Così potrò continuare<br />
tranquillamente a sfruttare i miei duecento operai (che i miei amici non<br />
mancheranno di dissuadere energicamente, per esempio, <strong>da</strong>ll'iscriversi alla<br />
Cgil), a spacciar droga ai miei duecentomila ragazzini e a mantenere la<br />
popolazione delle mie tre regioni - Campania, Calabria e Sicilia -<br />
esattamente ai tre ultimi posti dell'economia nazionale.<br />
Diversamente andrebbero le cose se, il giorno dopo l'uscita della mia<br />
intervista, ai cancelli della mia azien<strong>da</strong> si presentassero il signor sin<strong>da</strong>co o il<br />
signor prefetto, con tanto di fascia tricolore e di decreto di requisizione, e,<br />
convocato il consiglio di fabbrica, comunicassero che <strong>da</strong>lle ore tali del<br />
giorno tale, la gestione dell'azien<strong>da</strong> risulterebbe affi<strong>da</strong>ta all'organo <strong>da</strong> esso<br />
designato. In questo deplorevole caso, non solo mi sarebbe impossibile<br />
usare ancora il ricatto della disoccupazione, ma sarei costretto a mettere una<br />
certa distanza fra me e i miei stessi operai, liberi finalmente di esprimere<br />
apertamente la loro personale opinione sugl'imprenditori mafiosi, e su chi li<br />
protegge.<br />
Quando si comincerà effettivamente ad applicare la legge La Torre in<br />
Sicilia? Sappiamo che buona parte degli enti pubblici che hanno avuto a che<br />
fare con la legge hanno fatto il possibile per sabotarla; fino a questo<br />
momento, del resto, l'utilizzazione concreta della La Torre è stata<br />
abbastanza episodica, legata più alla buona volontà di magistrati locali che a<br />
un piano organico e coordinato.<br />
Si sono avuti casi, al confine fra l'insipienza e ilsabotaggio, che fanno<br />
chieder in quali mani sia an<strong>da</strong>ta a finire, a livello amministrativo,<br />
l'applicazione quotidiana della legge. Senza rian<strong>da</strong>re alle circolari<br />
interpretative, in qualche caso scan<strong>da</strong>lose, a suo tempo emanate <strong>da</strong>i vari
ministeri e <strong>da</strong>i vari assessorati, basti pensare che forniture di macchine <strong>da</strong><br />
scrivere, per una ventina di milioni, effettuate <strong>da</strong>lla Olivetti di Ivrea a un<br />
ente pubblico siciliano sono state bloccate in attesa che si stabilisse se la<br />
Olivetti di Ivrea è una azien<strong>da</strong> mafiosa o meno.<br />
Peggio ancora, si può <strong>da</strong>re benissimo il caso - e in effetti non è detto che<br />
non si sia <strong>da</strong>to - di una cooperativa agricola, composta <strong>da</strong> un duecento<br />
contadini, che abbia bisogno di un mutuo regionale l'acquisto di un trattore<br />
che venga invitata a presentare - a spese della cooperativa - duecento<br />
certificati per attestare come nessuno dei duecento soci abbia mai avuto a<br />
che fare con la mafia. E mentre i duecento contadini, maledicendo la legge<br />
antimafia e chi l'ha inventata, aspettano il loro trattore, i finanzieri mafiosi<br />
continueranno tranquillamente, in assenza di un'applicazione efficiente e<br />
rapi<strong>da</strong> della legge La Torre, a spostare i loro capitali <strong>da</strong> una banca all'altra: a<br />
tutt'oggi, non esiste una banca <strong>da</strong>ti computerizzata, a disposizione della<br />
magistratura, in grado di seguire i movimenti dei capitali sospetti che la<br />
legge La Torre dovrebbe, in teoria, controllare.<br />
Quando poi, grazie all'eccezionale impegno del magistrato e, diciamolo<br />
pure, a un bel po' di fortuna (perché ci vuole anche fortuna per riuscire a<br />
concludere qualcosa con i mezzi che hanno a disposizione i magistrati<br />
siciliani) si riesce a mettere sotto sequestro un'azien<strong>da</strong> mafiosa, si verificano<br />
situazioni paradossali, come nel caso di un'azien<strong>da</strong> agricola - di rispettabili<br />
proporzioni - dei boss mafiosi Greco che, posta sotto sequestro, non si sa<br />
bene a chi affi<strong>da</strong>re per la custodia giudiziaria che, in questo caso, equivale<br />
ad una vera e propria, sia pur provvisoria gestione. Non è facile trovare,<br />
infatti, un professionista del ramo che abbia il coraggio di intromettersi in<br />
un affare dei Greco; d'altra parte, a questo professionista, non si può <strong>da</strong>re<br />
altra remunerazione che le poche migliaia di lire giornaliere previste <strong>da</strong>lla<br />
legge per i custodi giudiziari.<br />
In queste condizioni, può benissimo an<strong>da</strong>re a finire, e non si vede<br />
logicamente perché non dovrebbe, che un'azien<strong>da</strong> del valore di decine di<br />
miliardi venga, in mancanza di meglio, affi<strong>da</strong>ta alla stessa custodia dei due<br />
o tre motorini sequestrati <strong>da</strong>l pretore, il giorno prima, per eccessiva<br />
rumorosità...<br />
Tutto questo, mentre lo scontro fra le forze antimafiose e quelle schierate<br />
- nella politica, nelle istituzioni, nella stessa magistratura, nella stampa - a<br />
difesa degl'interessi mafiosi non solo non è ancora deciso, ma tende a<br />
radicalizzarsi: a parte l'eliminazione fisica degli operatori del diritto più<br />
esposti, una vera e propria campagna d'opinione viene periodicamente<br />
sollevata <strong>da</strong> ambienti ben determinati, con mezzi notevolissimi e precise<br />
scelte di tempo, per isolare i magistrati leali.
Nonostante tutto questo, la posizione della struttura mafiosa è<br />
intrinsecamente, rispetto ai movimenti sociali emergenti, molto meno forte<br />
di quanto non possa sembrare. Nel giro di non più di uno o due anni - la<br />
campagna contro la magistratura antimafiosa è finora infatti sostanzialmente<br />
fallita - le condizioni per una reale gestione della legge molto probabilmente<br />
ci saranno, e a quel punto il problema non sarà più solo di contrastare i<br />
sabotaggi "di principio" di questo o di quel pubblico ufficio, ma di riuscire<br />
ad utilizzare fino in fondo tutte le potenzialità della legge.<br />
Viviamo in una regione che è leader mondiale della produzione di eroina,<br />
esattamente come gli Stati Uniti lo sono per le automobili o il Giappone per<br />
l'elettronica. Questo <strong>da</strong>to elementare, prima ancora di ogni in<strong>da</strong>gine a<br />
carattere penale, ci fa dire che l'economia regionale è "mafiosa": non nel<br />
senso che tutte le sue componenti, o la maggior parte di esse, siano legate<br />
alla mafia, ma nel senso che ciascuna di esse opera in un mercato in cui i<br />
capitali più numerosi e più agili vengono, ragionevolmente, <strong>da</strong>l settore<br />
leader - per avventura, illegale... - dell'economia locale. Non tutti gli<br />
industriali piemontesi sono azionisti della Fiat, ma è indubbio che il sistema<br />
economico di quella regione sia basato sulla Fiat. Da noi, anziché la Fiat, c'è<br />
la mafia.<br />
Il problema non è dunque solo giuridico - individuare le responsabilità<br />
personali nei singoli episodi criminosi - ma anche e soprattutto economico<br />
e, in senso lato, politico; esso consiste nel riconvertire l'economia siciliana<br />
<strong>da</strong>lle attuali strutture segnate <strong>da</strong> questa accumulazione originaria ad altre<br />
legate a forme di accumulazione e a settori produttivi legali (ovviamente, si<br />
tratta di "riconvertire" anche le sovrastrutture politiche che su un tale<br />
sistema economico si sono sviluppate... ). Un'impresa di queste dimensioni<br />
non può essere improvvisata sotto la pressione delle circostanze; dev'essere<br />
programmata nel lungo periodo, preparando per tempo gli strumenti<br />
necessari e programmando la loro efficacia non solo sui casi singoli ma sul<br />
complesso del sistema.<br />
In questa situazione, il problema della gestione delle strutture economiche<br />
- sempre più, presumibilmente numerose e sempre più complesse - che si<br />
riuscirà, mediante la legge penale, a sottrarre al controllo della mafia sarà<br />
non soltanto importante, ma decisivo: sarà l'unica maniera per giungere non<br />
solo a una sconfitta "militare" della mafia, ma allo sradicamento <strong>da</strong>lle sue<br />
basi economiche e quindi politiche nel Paese.<br />
Quale gestione? Non tocca a noi proporre le scelte tecniche <strong>da</strong> adottare:<br />
nelle sedi competenti sarà indubbiamente possibile individuare quelle più<br />
efficienti sul piano gestionale e più garantite sul piano istituzionale. Due<br />
punti ci sembrano tuttavia, indipendentemente <strong>da</strong> ogni questione tecnica, <strong>da</strong>
sottolineare.<br />
In primo luogo, la gestione delle imprese di grosse dimensioni sequestrate<br />
ai mafiosi dovrà avere, per sua natura, un carattere di emergenza, e non<br />
potrà quindi essere assorbita <strong>da</strong>gli attuali carrozzoni "di risanamento" più o<br />
meno assistenziali (non prendiamo nemmeno in considerazione l'idea di un<br />
intervento degli assessorati regionali). Si potrebbe pensare piuttosto, per<br />
esempio, a qualcosa come un secondo commissariato, parallelo a quello per<br />
il coordinamento della lotta antimafia; o, comunque, ad un organo<br />
straordinario e dipendente <strong>da</strong>l governo centrale.<br />
In secondo luogo, la gestione dovrebbe essere in ogni caso coordinata, e<br />
se possibile direttamente affi<strong>da</strong>ta, con gli organismi rappresentativi<br />
azien<strong>da</strong>li esistenti, o <strong>da</strong> istituire, nelle aziende in questione. Ciò al duplice<br />
scopo di coinvolgere concretamente il più gran numero possibile di<br />
lavoratori nel cuore della lotta antimafiosa e di formare progressivamente, a<br />
partire <strong>da</strong>l mondo del lavoro, una nuova classe dirigente siciliana, in<br />
possesso di precise competenze tecniche, di ampi poteri decisionali e di una<br />
ideologia collettiva indissolubilmente legata alla lotta antimafiosa.<br />
Saranno questi gli uomini che potranno <strong>da</strong>re una base di massa alla lotta<br />
contro la mafia, coloro che realmente la vinceranno; a noi - magistrati,<br />
giornalisti, funzionari fedeli, politici d'opposizione - che cerchiamo di fare il<br />
nostro dovere qui ed ora tocca semplicemente di tenere le posizioni fino a<br />
quel momento. Come altre volte nella storia, una minoranza risoluta non<br />
può rovesciare l'oppressione; ma può preparare le condizioni perché siano le<br />
masse a farlo.<br />
Ci piacerebbe se, su questa proposta, altri siciliani volessero intervenire.<br />
Una proposta "giacobina"? Forse. Ma è che la rivoluzione francese, in<br />
Sicilia, non l'abbiamo mai fatta; e il risultato si vede. Sarebbe ora di<br />
cominciare a pensarci.
SICILIANI GIOVANI<br />
settembre 1984<br />
Siciliani/giovani ha una "politica" molto semplice e chiara, e cioè: primo,<br />
schierarsi apertamente contro la mafia; secondo, affrontare liberamente tutti<br />
i problemi dei giovani: Quanto alla politica ufficiale, quella dei partiti, non<br />
siamo né favorevoli né contrari. Semplicemente, non è il nostro campo; chi<br />
vuole affrontarlo, può farlo a titolo personale (del resto ci sembra che in<br />
questo momento la lotta alla mafia e per una migliore condizione di vita dei<br />
giovani siano la cosa fon<strong>da</strong>mentale, senza la quale tutto il resto è poesia.<br />
Ma allora a che serve Siciliani/giovani?<br />
A <strong>da</strong>re la parola alla gente, a fare parlare i ragazzi in prima persona,<br />
direttamente e senza bisogno di nessuno. E quindi a farli contare nella<br />
società. Noi non siamo qualunquisti, non diciamo che tutto è uguale e che<br />
non vale la pena di far niente. Però non siamo nemmeno ideologici,<br />
vogliamo imparare <strong>da</strong>lla realtà e <strong>da</strong>lla gente e non <strong>da</strong>i professionisti della<br />
politica.<br />
In tutto questo cosa c'entrano "I Siciliani"?<br />
"I Siciliani" <strong>da</strong> soli possono riuscire a denunciare la mafia, ma non a<br />
creare una mentalità antimafiosa. Non si tratta solo di distruggere la mafia,<br />
ma anche di costruire qualcos'altro. Questo qualcos'altro non lo possiamo<br />
inventare a freddo, ma deve venire <strong>da</strong>lla gente, e specialmente <strong>da</strong>i giovani,<br />
liberamente e senza prediche inutili. Si tratta di sviluppare al massimo grado<br />
la creatività di ciascuno, perché ciascuno è in grado di contribuire e d'altra<br />
parte nessuno oggi è in grado di costruire qualcosa di buono <strong>da</strong> solo. Si<br />
tratta in sostanza di capire come si può fare a vivere meglio, non nelle<br />
grandi teorie, ma nella realtà di ogni giorno.<br />
Ma questo è un giornale o un'organizzazione?<br />
Non lo sappiamo ancora, probabilmente può diventare l'uno e l'altra. Ma<br />
attenzione: un giornale di tipo nuovo, e cioè assolutamente libero e fatto<br />
<strong>da</strong>lla base; e un'organizzazione di tipo nuovo, senza ideologie fisse e<br />
soprattutto senza professionisti, ideologie e leaderini. Un'organizzazione<br />
tutta <strong>da</strong> inventare.<br />
E come si può fare a mettere in piedi questa organizzazione?<br />
Non ne abbiamo la più palli<strong>da</strong> idea. A questo dobbiamo pensarci tutti,<br />
stra<strong>da</strong> facendo. Finora abbiamo i gruppi di lavoro su argomenti concreti e il<br />
collegamento fra gente di varie scuole. Questo non è venuto fuori perché<br />
qualcuno l'ha detto, ma semplicemente perché erano il modo più semplice di<br />
affrontare le cose <strong>da</strong> fare. Anche quando si tratterà di organizzarsi in<br />
maniera più ampia, bisognerà continuare a seguire questo metodo, e cioé:
prima i problemi concreti: a secondo dei problemi, il tipo di organizzazione,<br />
senza troppe teorie.<br />
Si è parlato pure di manifestazioni.<br />
Una manifestazione seria si potrebbe fare, in tutta la Sicilia, per il cinque<br />
gennaio: purché non sia una semplice manifestazione ma un modo di<br />
ricor<strong>da</strong>re a tutti "tutti" i nostri problemi, <strong>da</strong> quelli della mafia a quelli della<br />
vita quotidiana. Ma anche in questo caso, andiamoci per gradi: prima<br />
bisogna che si sia d'accordo tutti e che si discuta fra tutti per tutto il tempo<br />
che ci vuole. Non bisogna imporre mai niente "<strong>da</strong>ll'alto" a nessuno.<br />
Ma come facciamo a essere certi di non venire strumentalizzati?<br />
Per quanto riguar<strong>da</strong> noi Siciliani, non abbiamo interessi elettorali, quindi<br />
il problema si pone solo fino a un certo punto. Quello che vogliamo fare lo<br />
diciamo apertamente e chiaramente, e non crediamo che possa far paura a<br />
nessuno che abbia un minimo di buonsenso. La parola "Siciliani" appartiene<br />
a tutti, comunque la pensino su tutto il resto, purché siano d'accordo che<br />
bisogna eliminare la mafia. "Siciliani" non è un generale che coman<strong>da</strong>, è<br />
semplicemente una bandiera. Dove portarla, dipende <strong>da</strong> tutti noi.<br />
E gli altri?<br />
Per gli altri, non possiamo farci niente. Ognuno ha il diritto di parlare, e<br />
noi non possiamo censurare nessuno. Sta a noi ragionarci sopra, scegliere<br />
fra le varie proposte e, in caso di contrasti, decidere in assemblea. C'è solo<br />
<strong>da</strong> ricor<strong>da</strong>rci che, in ogni caso, le cose importanti non sono le grandi parole<br />
ma i fatti concreti, anche se si notano poco.
UN VOLANTINO<br />
novembre 1984<br />
L'attuale classe dirigente inefficiente e corrotta ha provocato la gravissima<br />
crisi della città di Catania e di tutta la Sicilia: per questo si leva oggi una<br />
volontà popolare di sopravvivenza e di lotta. Essa si è espressa con la<br />
massima chiarezza nelle giornate catanesi per Giuseppe Fava. Essa non può<br />
aspettare.<br />
L'Associazione "I Siciliani" nasce per raccogliere questa volontà, per<br />
<strong>da</strong>rle corpo e voce, per organizzarsi con tutti coloro che vogliono<br />
apertamente combattere il sistema di potere mafioso e i suoi alleati. non è<br />
un partito politico, non chiede potere né voti. Chiede a ciascun siciliano di<br />
prendere il proprio posto in un movimento democratico che affronti i nodi<br />
centrali della lotta contro la mafia e della questione morale.<br />
L'Associazione "I Siciliani", raccogliendo il messaggio di Giuseppe Fava<br />
e di due anni di lotta del suo giornale, ha lo scopo di promuovere in Sicilia<br />
il libero ed effettivo esercizio della sovranità popolare, a tutti i livelli; di<br />
opporsi ai blocchi di potere mafiosi ed a tutte le forze palesi ed occulte che<br />
di fatto ostacolano l'attuarsi dei principi fon<strong>da</strong>mentali del dettato<br />
costituzionale; di tutelare in tutte le sedi l'esercizio dei diritti civili, eticosociali,<br />
economici e politici.<br />
L'Associazione intende, in particolare, vigilare sul funzionamento<br />
democratico delle istituzioni; chiedere l'applicazione della legge La Torre e<br />
battersi per l'individuazione di sistemi democratici di gestione dei patrimoni<br />
mafiosi sequestrati; lottare contro la diffusione del mercato della droga;<br />
creare le condizioni per la formazione di centri autogestiti per il tempo<br />
libero dei giovani; rompere le barriere dei ghetti <strong>da</strong>ndo voce agli emarginati:<br />
con questo obiettivi e con altre battaglie concrete che scaturiranno <strong>da</strong>i<br />
problemi reali della gente, l'Associazione "I Siciliani" intende contribuire<br />
alla lotta contro la mafia e alla costruzione di ina Sicilia migliore.<br />
Facciamo appello a tutti i cittadini, di ogni orientamento ideale<br />
democratico, affinché aderiscano all'associazione, ne organizzano sedi locali<br />
e ne sviluppino l'iniziativa in ogni città ed in ogni paese della Sicilia.<br />
Associazione I Siciliani
UN VOLANTINO<br />
1985<br />
Gli imprenditori catanesi arrestati <strong>da</strong> Carlo Palermo (miracolosamente<br />
sfuggito, durante le in<strong>da</strong>gini, ad un attentato che ha fatto tre morti) sono<br />
accusati di reati molto gravi: associazione a delinquere e organizzazione di<br />
una colossale truffa in combutta con gruppi mafiosi trapanesi. Quanti<br />
miliardi ha perso la collettività con questa truffa? Quali uomini politici se ne<br />
sono resi complici? E, soprattutto: come venivano riciclate le colossali<br />
somme così gua<strong>da</strong>gnate?<br />
E' questo che adesso bisogna sapere: in questa direzione stanno ora<br />
in<strong>da</strong>gando i giudici trapanesi, e anche alcuni giudici di Catania dove una<br />
truffa analoga ("fatture false") era stata messa in piedi, secondo il giudice<br />
istruttore, <strong>da</strong>gli stessi imprenditori.<br />
Queste in<strong>da</strong>gini sono l'occasione buona per chiarire finalmente l'origine e<br />
i meccanismi di buona parte del potere politico e finanziario della città di<br />
Catania, di cui si sono occupati Carlo Alberto Dalla Chiesa ("Da Catania<br />
alla conquista della Sicilia") e Giuseppe Fava ("I quattro cavalieri<br />
dell'apocalisse mafiosa"). Sarà possibile anche chiarire i rapporti fra i centri<br />
del potere occulto e alcuni imprenditori catanesi (il nome di Rendo è stato<br />
trovato nell'agen<strong>da</strong> personale di Gelli; è ancora oscuro il ruolo di Graci<br />
nell'affare Sindona). E chiarire infine che rapporto c'è fra tutto questo e<br />
l'enorme potenza accumulata in tutt'Italia (vedi blitz di Torino e Milano)<br />
<strong>da</strong>lle Famiglie mafiose catanesi.<br />
Di fronte a in<strong>da</strong>gini così importanti e così decisive, qual'è l'atteggiamento<br />
del potere politico? Per il sin<strong>da</strong>co di Trapani "la mafia a Trapani non c'è";<br />
per l'onorevole Drago "non esiste mafia a Catania"; per il sin<strong>da</strong>co Attaguile<br />
c'è <strong>da</strong> preoccuparsi per l'arresto di questi "imprenditori"; per il presidente<br />
della Regione ci vogliono "dei fatti che giustifichino gli arresti" (quelli che<br />
si sanno evidentemente non bastano); per il presidente del Banco di Sicilia<br />
l'imprenditoria siciliana è "sana" anche se soffre delle malefatte di qualche<br />
"forza marginale"; secondo "La Sicilia" si tratta di "semplici evasioni<br />
fiscali"...<br />
E' un'intera classe dirigente che, dopo averne coperto per decenni le<br />
malefatte, cerca ancora disperatamente di difendere come può<br />
gl'imprenditori sott'accusa. Non si tratta solo di cinismo: è la totale<br />
irresponsabilità e l'assoluta mancanza di ogni senso della realtà in chi<br />
dovrebbe "difendere l'economia" e addirittura "difendere l'occupazione".<br />
L'una e l'altra sono per fortuna in condizioni di essere difese ben<br />
diversamente...
I lavoratori e le forze produttive della città, contrariamente a quanto<br />
scrivono gli articolisti de "La Sicilia", non versano affatto nell'"incertezza<br />
psicologica" e non rimpiangono affatto i cavalieri. I catanesi andranno<br />
avanti senza di loro, e svilupperanno così finalmente tutte quelle energie<br />
produttive che il blocco di potere incriminato <strong>da</strong> Carlo Palermo aveva finora<br />
compresso ed emarginato. La storia di Catania comincia ora.<br />
Associazione I Siciliani
UN VOLANTINO<br />
1985<br />
NOI E "LORO"<br />
C'è un sacco di gente a cui non sta affatto bene che i ragazzi siciliani<br />
stiano allegri, si divertano e cerchino di riprendersi in mano la propria vita.<br />
Proviamo a fare qualche nome:<br />
- i mafiosi come Santapaola, Ferlito e Ferrera, che "mantengono l'ordine"<br />
(assieme ai vari colonnelli Licata) nei quartieri, ammazzando chi si ribella o<br />
si fanno i miliardi con l'eroina;<br />
- i politicanti come Aleppo e Drago, che <strong>da</strong> un alto <strong>da</strong>nno i contributi ai<br />
mafiosi e <strong>da</strong>ll'altro dicono che "la mafia non esiste";<br />
- i padroni come Rendo, Graci, Costanzo o Finocchiaro, che licenziano gli<br />
operai, vanno a braccetto con i mafiosi e poi si incazzano se qualcuno gli<br />
chiede <strong>da</strong> dove vengono tutti quei soldi;<br />
- i giornali come "La Sicilia", che fanno casino quando trovano un<br />
ragazzo con un po' di fumo, ma di fronte a mafiosi e cavalieri se ne stanno<br />
zitti.<br />
La mafia non <strong>da</strong>nneggia le persone importanti, ma va avanti sulla pelle di<br />
tutti noi. Allora, ricordiamo quelli che hanno avuto il coraggio di lottare<br />
contro la mafia, appoggiamo quelli che continuano a lottare ancora ma,<br />
soprattutto, organizziamoci nella nostra vita quotidianamente per non subire<br />
prepotenze <strong>da</strong> nessuno e per vivere come desideriamo noi, non come<br />
vogliono gli altri.<br />
E per cominciare, fra un mese tutti in piazza per il centro giovanile<br />
autogestito.<br />
Siciliani/Giovani
UN VOLANTINO<br />
1985<br />
I CAVALIERI IN GALERA<br />
L'arresto dei cavalieri dimostra la validità della lotta portata avanti <strong>da</strong><br />
Giuseppe Fava, <strong>da</strong>l suo giornale "I Siciliani" e <strong>da</strong> tutti gli antimafiosi di<br />
questa città. E' stato ordinato <strong>da</strong>l giudice Carlo Palermo, che i mafiosi<br />
(anche catanesi) hanno cercato di uccidere poco tempo fa. Dev'essere un<br />
punto di partenza per ricostruire Catania su basi completamente diverse.<br />
Questa città, in mano ai cavalieri e ai loro amici, è diventata il paradiso dei<br />
mafiosi, dei corrotti, dei politicanti disonesti e dei trafficanti di droga. Una<br />
città in cui per i giovani non c'è il minimo spazio e la minima speranza di<br />
vivere bene.<br />
Ora bisogna cominciare a far valere i diritti di noi giovani catanesi.<br />
Vogliamo una città che non ci emargini in continuazione, una città in cui i<br />
giovani contino e possano portare avanti i loro bisogni e le loro idee. A<br />
partire <strong>da</strong>lla conquista di un posto tutto per noi, un centro giovanile<br />
autogestito per discutere e organizzare le cose nuove e per passare il nostro<br />
tempo liberamente e insieme.<br />
Siciliani/Giovani<br />
Questo non è un volantino elettorale
UN VOLANTINO<br />
1985<br />
L'ALTRA SICILIA E LA SUA VOCE<br />
I Siciliani Settimanale: un giornale che, dopo aver lottato per anni contro<br />
il potere mafioso e i suoi complici, vuole "alzare il tiro" diventando la voce<br />
degli studenti, degli intellettuali, dei lavoratori, delle donne, di tutti coloro<br />
che giorno per giorno, nel silenzio della stampa ufficiale, costruiscono le<br />
basi della Sicilia di domani. Il giornale di Giuseppe Fava.<br />
I Siciliani S.p.a.: l'editore collettivo (cinquemila azioni a centomila lire<br />
l'una, cinquemila siciliani combattivi) che porta avanti, senza padroni e<br />
senza padrini, questa civile avventura.<br />
Ne parleremo lunedì 16 dicembre alle ore 17 alla facoltà di Lettere con<br />
Davide Fais, padre Pintacu<strong>da</strong>, Aldo Rizzo, i re<strong>da</strong>ttori dei Siciliani e quelli di<br />
Siciliani/Giovani. Interverranno magistrati, uomini di cultura, esponenti del<br />
movimento studentesco palermitano. E tutti i palermitani che credono in<br />
<strong>un'altra</strong> Sicilia - e vogliono <strong>da</strong>rle una voce.<br />
I Siciliani<br />
Siciliani/Giovani
UN VOLANTINO<br />
1985<br />
Per la prima volta in Italia un movimento giovanile comincia al Sud e si<br />
sviluppa verso il Nord. Il movimento dei ragazzi dell'85, infatti, trova la sua<br />
radice nella mobilitazione antimafiosa degli studenti di Napoli, Palermo e<br />
Catania negli ultimi tre anni. Come mai? Evidentemente, i giovani<br />
meridionali hanno capito prima degli altri che lottare contro le<br />
malformazioni delle strutture scolastiche non basta, se dopo la scuola si è<br />
con<strong>da</strong>nnati a restare senza lavoro; e che lottare contro la disoccupazione<br />
non è sufficiente, se non si aggredisce la struttura di potere e sottopotere<br />
mafioso che, soprattutto al Sud, mortifica lo sviluppo economico e i livelli<br />
occupazionali ed i livelli occupazionali.<br />
Non è un caso che le tre regioni in cui il potere mafioso è più forte siano<br />
quelle che, negli ultimi anni, sono precipitate agli ultimi posti del reddito<br />
nazionale. Non è un caso che in queste regioni decine di migliaia di miliardi<br />
vengano tenuti inutilizzati nelle banche a fornire interessi per gli<br />
speculatori, anziché essere investite per <strong>da</strong>re lavoro ai giovani.<br />
Occorre che il movimento contro la mafia si traduca anche in movimento<br />
per il lavoro. In che modo?<br />
- applicando seriamente e <strong>da</strong>ppertutto la legge La Torre;<br />
- gestendo le imprese sequestrate agli imprenditori mafiosi secondo criteri<br />
sociali, e cioè usandole anche per aumentare l'occupazione giovanile;<br />
- sviluppando, sull'esempio della Campania, una serie di centri sociali in<br />
cui i giovani possano liberamente incontrarsi, di carattere e sviluppare<br />
insieme le iniziative contro la mafia e per il lavoro;<br />
- pretendendo che le risorse finanziarie pubbliche non utilizzate (in Sicilia<br />
sono circa dodicimila miliardi...) vengano destinate ad affrontare non<br />
episodicamente né clientelarmente la pressante richiesta di lavoro dei<br />
giovani nel Sud.
APPUNTI PER SICILIANI/GIOVANI<br />
promemoria interno, 1985<br />
Intanto, sta succedendo qualcosa. Che cosa esattamente, è ancora presto<br />
per dirlo, e probabilmente non ha nemmeno tanta importanza. Di certo c'è<br />
che dopo tanti anni è finita l'epoca del "riflusso" (farsi i cazzi propri e non<br />
pensare al resto) e che molti ragazzi, adesso, ricominciano a prender gusto a<br />
fare le cose insieme, piccole o grandi che siano.<br />
Tutto questo, naturalmente, per i moderati vuol dire "vogliamo studiare e<br />
non fare politica", per il Pci "le masse giovanili bla bla", per gli autonomi<br />
"la rivoluzione bla bla bla", e così via. Per me vuol dire semplicemente che i<br />
giovani, o almeno una buona parte di loro, stanno ricominciando a pensare<br />
con la propria testa e a fare esperienze. Dove andrà a finire tutto questo non<br />
lo so; l'importante, è starci dentro con fiducia e senza ideologie preconcette.<br />
"Un altro sessantotto"? No, e nemmeno "<strong>un'altra</strong> qualsiasi cosa": il bello<br />
del sessantotto, ai suoi tempi, era proprio che era una cosa nuova, non una<br />
ripetizione di altri tempi. E così, se il movimento di adesso durerà, sarà<br />
"questo" movimento, del 1985, non un revival del passato. Poi, fra<br />
vent'anni, magari gli <strong>da</strong>ranno un nome.<br />
I ragazzi di Milano o quelli dei Segnali d'Accelerazione di Napoli hanno<br />
con la "politica" un rapporto, a quel che se ne può capire, molto maturo.<br />
Non sono qualunquisti, ma neppure vanno dietro ai partiti: "moderati" o<br />
"estremisti" a secondo dei casi, non fanatici, difficili <strong>da</strong> strumentalizzare; in<br />
questo, assomigliano molto a Siciliani/giovani nell'84.<br />
Non stanno partendo, del resto, <strong>da</strong>lla "grande politica" ma <strong>da</strong>i problemi<br />
concreti della vita quotidiana: credo che, via via che il movimento andrà<br />
avanti, i "problemi concreti" si allargheranno (studiare con meno tasse, ma<br />
poi dove fare musica, e poi dove passare il tempo, e dove fare l'amore, e<br />
dove lavorare senza raccoman<strong>da</strong>zioni...), e spero che stavolta si riuscirà ad<br />
allargarli senza finire in ideologismi vari.<br />
Ma la novità più grossa, rispetto ai vecchi temi, è che stavolta il<br />
movimento si è visto prima in Sicilia e poi a Milano. Nell'82 sono<br />
cominciati i cortei antimafia nelle scuole di Palermo. Nell'83 la lista di base<br />
allo Spe<strong>da</strong>lieri. Nel gennaio 84 le assemblee per Giuseppe Fava. Nel<br />
maggio il corteo antimafia a Roma. In autunno Sicliani/giovani a Catania, e<br />
poi la manifestazione del 14 dicembre e quella del 5 gennaio. All'inizio<br />
dell'85 le manifestazioni studentesche contro la mafia a Milano, sulla scia di<br />
quelle siciliane. E solo adesso, a Milano e poi in altre città del Centro-nord,<br />
il movimento è partito su altri temi.<br />
L'impressione è quella di una grande voglia di contare che cresce un po'
<strong>da</strong>ppertutto a poco a poco, e che viene alla luce prima nei luoghi in cui i<br />
problemi sono più gravi e si vive peggio - in Sicilia - e poi negli altri. In<br />
Sicilia, cioè, siamo stati costretti ad affrontare prima dei problemi più<br />
grossi.<br />
C'è questo filo fra ciò che sta succedendo a Milano e il nostro movimento<br />
dell'anno scorso, e noi Siciliani abbiamo quindi ancora molte cose <strong>da</strong> dire, a<br />
noi stessi e agli altri. E possiamo avere fiducia nella continuità del<br />
movimento in Sicilia, anche se ora sembra addormentato.<br />
Dell'"addormentato", del resto, la responsabilità è soprattutto nostra. Se si<br />
ferma la Fgci si fermeranno i simpatizzanti comunisti, se si fermano gli<br />
autonomi quelli "estremisti". Ma se ci fermiamo noi, il guaio è più grosso,<br />
perché noi siamo gli unici che possono farsi sentire (non essendo un partito)<br />
<strong>da</strong> tutti gli studenti.<br />
Noi abbiamo cominciato con molti fatti (14 dicembre e 5 gennaio) e<br />
poche parole. poi, pochi fatti e poche parole. Ora, niente fatti e poche<br />
parole.<br />
In realtà, noi abbiamo fatto dei grossi passi avanti nei settori, come il<br />
giornale, che richiedono poche persone "specializzate". Siamo invece<br />
rimasti indietro nelle cose in cui è necessario coinvolgere molti: sei mesi fa<br />
aprivamo nuove sedi, eravamo presenti <strong>da</strong>ppertutto ed intervenivamo su<br />
ogni cosa. Adesso abbiamo perso quasi completamente il contatto con i<br />
ragazzi delle scuole (quelli che ci sono, evidentemente, non trovano spazio<br />
<strong>da</strong> noi perché partecipano poco) e abbiamo perso la nostra componente<br />
"estremista", che era pure importante.<br />
Intanto, bisogna intervenire subito nella scuola a partire <strong>da</strong>l fatto che c'è<br />
aria di movimento. A questo punto, dobbiamo intervenire non tanto sulla<br />
questione delle tasse scolastiche, quanto su un allargamento del dibattito.<br />
Come al solito, per fortuna, non abbiamo ricette miracolose <strong>da</strong> proporre:<br />
possiamo però segnalare quello che succede, <strong>da</strong>re voce, fare circolare le<br />
idee, segnalare i problemi concreti della nostra vita. E poi aspettare con<br />
pazienza.<br />
Come primissima cosa, ci vuole un bel volantino. Non tanto per il<br />
volantino in se stesso, quanto per riabituare la gente a vederci in giro, e<br />
soprattutto per riabituare noi stessi a farci vedere in giro, che è il nostro<br />
compito principale.<br />
Poi, possiamo metterci in contatto direttamente coi ragazzi di Milano -<br />
presso Radio Popolare - e di Napoli - Segnali d'accelerazione,<br />
Coordinamento antimafia - e vedere cos'hanno <strong>da</strong> dirci; proporre uno<br />
scambio di idee, ed eventualmente delle iniziative parallele, a una stessa<br />
scadenza. Rispetto a queste realtà "lontane", noi abbiamo più difficoltà di
collegamento immediato rispetto ai partiti politici, perché ci mancano gli<br />
strumenti tecnici che essi hanno; però, una volta che il collegamento sia<br />
stato stabilito, abbiamo una credibilità molto maggiore, proprio perché noi<br />
non siamo un partito politico ma un'espressione di base. Rispetto a Milano,<br />
a Napoli e a qualunque altra situazione possiamo e dobbiamo presentarci<br />
senza timidezze, per imparare qualcosa <strong>da</strong> loro ma anche per insegnare la<br />
nostra esperienza, che non è <strong>da</strong> sottovalutare.<br />
Più in generale, dobbiamo finalmente abituarci a parlare con tutti senza<br />
timidezze e ritrosie. Secondo me è sbagliato non intervenire - per esempio -<br />
alla festa dell'Unità per paura di "fare politica". In realtà noi, concretamente,<br />
abbiamo fatto e facciamo molta più "politica" (nel senso migliore della<br />
parola) dei partiti tradizionali: abbiamo perciò il diritto, e forse anche il<br />
dovere, di dire quello che sappiamo e che abbiamo sperimentato senza<br />
timori di "strumentalizzazioni" e senza complessi di inferiorità nei riguardi<br />
di nessuno.<br />
Sia per la questione del movimento (volantini ecc.) che per il giornale e il<br />
resto, dobbiamo fare delle scelte organizzative semplici e precise, senza le<br />
quali non andremo molto lontano.<br />
In primo, luogo è assurdo continuare a organizzarci come se un liceale di<br />
diciassette anni e un universitario di ventitrè fossero la stessa cosa. A partire<br />
<strong>da</strong> ora, i ragazzi delle scuole che fanno parte di Siciliani/giovani debbono<br />
cominciare ad organizzarsi <strong>da</strong> soli gli interventi sulle varie scuole e decidere<br />
autonomamente le cose <strong>da</strong> fare; magari faranno degli errori qua e là, ma<br />
almeno non saranno più a rimorchio dei "grandi"; e certamente, con la loro<br />
spontaneità, avranno anche qualcosa <strong>da</strong> insegnare a tutti gli altri. Questo<br />
vuol dire che i "ragazzini" faranno la loro riunione a parte, ogni settimana<br />
(naturalmente continueranno a partecipare anche all'assemblea generale): se<br />
lo vorranno, si faranno aiutare anche <strong>da</strong> qualcun altro, ma sotto la loro<br />
responsabilità.<br />
In secondo luogo, abbiamo perso buona parte dei contatti che avevamo<br />
costruito in Sicilia (e che erano uno dei nostri maggiori successi).<br />
Dobbiamo prendere sistematicamente l'abitudine, quando facciamo una<br />
cosa, di fare un giro di telefonate fuori Catania per comunicarla e invitare a<br />
generalizzare le iniziative anche in altre città.<br />
A Palermo, in particolare, c'è un gruppo di Siciliani/giovani agguerrito ed<br />
efficiente, sotto alcuni aspetti più avanti di noi; eppure, a parte il giornale,<br />
non siamo mai riusciti a farci un'iniziativa in comune. A partire <strong>da</strong>l<br />
prossimo volantino, bisogna intervenire contemporaneamente nelle due<br />
città, tenendosi in contatto quotidiano per telefono e delegando una persona<br />
a questo specifico compito.
Sui centri giovanili abbiamo fatto moltissime parole e ben pochi fatti.<br />
"Fatti" può voler dire: affittare un locale; utilizzare una piazza; fare<br />
occupazioni simboliche alla palermitana. Ciascuna di queste soluzioni ha i<br />
suoi pro e i suoi contro, ma il fatto è che noi in realtà non ne abbiamo<br />
sperimentato nessuna.<br />
A questo punto, proporrei di organizzarci su un'ipotesi precisa:<br />
organizzare per il 10-15 dicembre, una secon<strong>da</strong> festa di Siciliani/giovani<br />
ma stavolta in un locale utilizzabile come centro giovanile, in modo <strong>da</strong> <strong>da</strong>re<br />
un esempio concreto di come il centro potrebbe funzionare. Fare un piccolo<br />
passo, farlo!<br />
Ammettiamo, per esempio, che decidiamo di fare la festa alle ciminiere.<br />
In questo caso:<br />
- per prima cosa, convochiamo una riunione di tutti i gruppi interessati sul<br />
tema preciso "come passare tre giorni alle ciminiere";<br />
- dopo fare doman<strong>da</strong> al comune; se il comune l'accetta, bene; se non<br />
l'accetta saremo sempre in tempo a cambiare obiettivo, ma almeno avremo<br />
impostato un dibattito e avremo cominciato a lavorare con altri su un<br />
obiettivo preciso e non su un'idea in generale.<br />
Come dovrebbe essere la festa? Intanto, dovrebbe essere organizzata<br />
come la precedente, ma meglio. Finanziamento con le sponsorizzazioni;<br />
gruppi musicali meglio scelti; presentazione seria (possibile Minà);<br />
panineria; interventi nostri meglio preparati.<br />
In secondo luogo, non dovrebbe essere solo la nostra festa, ma dovremmo<br />
organizzarla fin <strong>da</strong>l primo momento insieme con la Comunità S. Pietro e<br />
Paolo (ed eventualmente altri "non partitici").<br />
Infine, non dovrebbe essere solo una festa. Tre giorni di musica, ma<br />
attorno alla musica cinque o sei attività <strong>da</strong> centro giovanile, scelte in base<br />
alla partecipazione della gente fra quelle che abbiamo elencate nel paginone<br />
di giugno. Spazi e angoli per attività specifiche, angoli di ritrovo, e così via.<br />
Far vedere insomma come potrebbe essere concretamente un centro<br />
giovanile a Catania. Meglio tre giorni di centro giovanile "vero" che tre<br />
mesi di mini-centro in un appartamento, in una piazza o in un pertuso.<br />
Se avremo un minimo di abilità, e riusciremo a collegare la propagan<strong>da</strong><br />
per la festa e il centro con quella per il movimento (tasse e dibattito su<br />
Milano, ecc.), i partecipanti all'iniziativa, fin <strong>da</strong>l momento organizzativo,<br />
potrebbero essere molti: a condizione, al solito, di non mettersi a fare<br />
ideologia.<br />
A proposito di ideologia: io credo che un minimo di "ideologia" di<br />
Siciliani/giovani (quella che ci distingue <strong>da</strong> ogni altro gruppo organizzato)<br />
esista. Ed è la lotta alla mafia. Lotta alla mafia non vuol dire solo lotta alla
delinquenza, che è la parte meno profon<strong>da</strong> di essa. Vuol dire lotta a una<br />
situazione in cui la Sicilia non parla di mafia, la Regione dà i soldi ai<br />
mafiosi, l'onorevole dice che la mafia non esiste, i cavalieri vengono protetti<br />
<strong>da</strong>lle autorità, e così via. Magari è una cosa banale, che abbiamo detto tante<br />
volte (e su cui è nato Siciliani/giovani). Ma è bene ripeterla, anche perché<br />
negli ultimi tempi, sia per I Siciliani che per Siciliani/giovani, queste cose si<br />
sono sentite un po' meno del solito. Ora, è vero che "la lotta alla mafia non<br />
basta", che bisogna fare proteste concrete in positivo; ma senza lotta al<br />
potere mafioso tutto il resto è poesia. Se fossimo in Polonia, noi diremmo<br />
"vogliamo vivere meglio, ma prima via i russi"; se fossimo in Cile<br />
"vogliamo vivere meglio, ma via la dittatura". In Sicilia la mafia ha colpito<br />
più che in Polonia e più che in Cile. "Vogliamo vivere meglio, ma via i<br />
mafiosi e tutto il loro potere!".<br />
Questo non dobbiamo dimenticarlo mai. Non dobbiamo far finta di essere<br />
in una situazione "normale", perché la mafia è ancora là, e uccide e<br />
coman<strong>da</strong>: e se non la combattiamo noi che siamo I Siciliani (e<br />
Siciliani/giovani dovrebbe essere la punta avanzata dei Siciliani), non si<br />
vede chi dovrebbe farlo.<br />
Sia quando facciamo volantini che quando organizziamo una festa,<br />
perciò, noi dobbiamo sapere - e dobbiamo dire! - che stiamo facendo questo<br />
in questa situazione. Non credo che questo spaventerà la gente. Noi il 14<br />
dicembre e il 5 gennaio siamo stati molto "estremisti" in questo senso,<br />
eppure la gente è venuta, molto più di quando ci siamo "moderati". Questo<br />
ci dovrebbe far riflettere. Non abbassiamo mai la nostra bandiera, perché ci<br />
sono molti che credono in essa, anche se non si vedono: e senza di loro<br />
resteremmo <strong>da</strong>vvero soli.<br />
Potremmo prendere in considerazione l'idea di fare una manifestazione<br />
(ma di tipo nuovo, come quella che voleva fare Antonio Scuderi in<br />
primavera) in coincidenza con la prima giornata della festa; in ogni caso,<br />
dobbiamo cominciare a prepararci alla manifestazione del cinque gennaio,<br />
per la parte che ci riguar<strong>da</strong>. L'anno scorso, il cinque gennaio noi non ci<br />
siamo limitati a "commemorare", ma abbiamo portato avanti delle proposte<br />
precise: per esempio, "via i cavalieri". Siciliani/giovani è stata la prima<br />
organizzazione ad avere il coraggio di attaccare pubblicamente i quattro<br />
cavalieri).<br />
Quest'anno, io penso che "via i cavalieri" - che bisogna ripetere - non<br />
basta più: il cinque gennaio potrà essere anche una giornata di proposte sui<br />
nostri problemi; sarebbe bello, nel corteo, <strong>da</strong>re un volantino (o addirittura<br />
un giornale) che faccia una serie di proposte precise sui centri giovanili,<br />
sulle scuole, sulla vita quotidiana e così via. Naturalmente, non devono
essere le proposte di una o dieci persone: debbono essere il frutto di un<br />
dibattito con molti giovani, che bisogna cominciare a lanciare nelle scuole<br />
di Catania.<br />
Questo dibattito, l'intervento nelle scuole, la festa, le eventuali<br />
manifestazioni non sono tante cose separate. Sono tanti modi di esplorare la<br />
stessa realtà, e vanno tenute in contatto fra loro, e in contatto ancora più<br />
stretto col nostro giornale.<br />
Il giornale è molto cambiato, in bene e in male, rispetto ai primi numeri.<br />
In male, vale quello che sappiamo per la parte organizzativa di<br />
Siciliani/giovani: collabora meno gente "qualunque", ed è molto minore il<br />
legame con i ragazzi delle scuole; è inutile ripetere tutto quello che s'è detto<br />
sopra, basta dire che questa situazione può essere superata abbandonando le<br />
timidezze e la paura di "fare movimento" e tornando allo spirito d'iniziativa<br />
che avevamo una volta.<br />
Di buono, c'è che ora il giornale può contare su un nucleo re<strong>da</strong>zionale<br />
abbastanza consapevole, con un minimo di serietà e su qualche idea chiara<br />
su come si fa un giornale. Possiamo cioè dire che adesso esiste una<br />
re<strong>da</strong>zione di Siciliani/giovani. Questa può essere una forza, se riusciremo a<br />
"usare" la re<strong>da</strong>zione senza separarla <strong>da</strong>l movimento; se invece la re<strong>da</strong>zione<br />
del giornale sarà l'unico aspetto di Siciliani/giovani, avremo fatto tanto<br />
lavoro solo per formare alcuni giornalisti, il che sarebbe <strong>da</strong>vvero triste. Si<br />
tratta dunque - non è una novità, ma è lo stesso fon<strong>da</strong>mentale, non solo per<br />
Siciliani/giovani - di unire intelligentemente professionalità e<br />
"dilettantismo".<br />
La re<strong>da</strong>zione potrebbe essere composta - questa è soltanto una proposta,<br />
ma dobbiamo cominciare a discutere anche sui nomi - <strong>da</strong>lle seguenti<br />
persone:<br />
Gianfranco Faillaci, Salvo Ferrara, Edoardo Frivitera, Ester Saitta, Piero<br />
Cimaglia, Massimo Arcidiacono, Rosalba Cannavò, Dante Cristina, Renata<br />
Grillo, Fabio D'Urso, Antonella Mascali. Questo è un elenco minimo di<br />
nomi, che può senz'altro essere completato con l'aggiunta di chi intende far<br />
parte della re<strong>da</strong>zione; ma ai suoi componenti si richiedono delle cose<br />
precise: la presenza in sede o fuori almeno tre giorni alla settimana, in<br />
giorni e orari precisi, a turno; la partecipazione al lavoro re<strong>da</strong>zionale<br />
collettivo, in stretto contatto con i responsabili di turno e comunque in stato<br />
di reperibilità; la disponibilità a svolgere gli incarichi re<strong>da</strong>zionali che via via<br />
saranno assegnati (servizi, inchieste, giri di cronaca, ecc.). Ad essi, va<br />
aggiunto almeno Nuccio Fazio, come fotografo.<br />
La re<strong>da</strong>zione deve organizzarsi in maniera autonoma, nella seguente<br />
maniera:
- due responsabili, a turno, per la durata di un mese, che coordino (sempre<br />
sotto l'approvazione dell'assemblea) il numero in corso e ne rispon<strong>da</strong>no;<br />
- un re<strong>da</strong>ttore che coordini le lettere e le storie di vita (la quarta pagina);<br />
- un re<strong>da</strong>ttore che si occupi di sollecitare e ricevere i pezzi <strong>da</strong> fuori<br />
catania, e che si tenga in contatto con la re<strong>da</strong>zione palermitana;<br />
- tre re<strong>da</strong>ttori che, a turno, si occupino di leggere i giornali cittadini,<br />
segnalare i fatti di cronaca più utilizzabili e an<strong>da</strong>rli ad approfondire, tenere<br />
il contatto con le fonti d'informazione;<br />
- un re<strong>da</strong>ttore che si occupi di seguire le notizie della scuola;<br />
- un re<strong>da</strong>ttore che si occupi di seguire le notizie <strong>da</strong>ll'università;<br />
- dei re<strong>da</strong>ttori che lavorino su settori particolari, come musica e sport.<br />
Come avevamo stabilito in precedenza, l'organizzazione del giornale<br />
dev'essere il più possibile democratica. Non potremo ricominciare a votare i<br />
singoli pezzi, ma su richiesta anche di uno solo dei componenti dei<br />
Siciliani/giovani l'assemblea potrà intervenire per eliminare un pezzo e<br />
suggerirne un altro; l'assemblea continuerà ad aver luogo ogni venerdì<br />
pomeriggio, e continuerà ad avere potere decisionale nei confronti del<br />
giornale e del resto. E' importante però cominciare a lavorare sulla base di<br />
incarichi precisi, in modo che ognuno possa occuparsi bene di un settore<br />
preciso.<br />
In generale, la ripartizione del giornale potrebbe essere così organizzata:<br />
- prima pagina, i pezzi più importanti (con giro in ultima);<br />
- pagina due, cronaca (relativamente a problemi giovanili);<br />
- pagina tre, musica, sport e altri settori specifici (pagina due può<br />
"invadere" parte di pagine tre, e viceversa);<br />
- pagina quattro, storie di vita e rubriche.<br />
I pezzi <strong>da</strong> fuori Catania andrebbero ripartiti fra le pagine esattamente<br />
come quelli catanesi.<br />
Il "servizio" (di due cartelle, massimo tre) dev'essere la struttura portante<br />
del giornale. Tre servizi bastano a fare l'ossatura di un numero, se sono<br />
completi e interessanti. Il tema di un servizio dev'essere il più possibile<br />
mirato: più è specifico l'argomento e più è interessante; più persone, storie,<br />
interviste ci sono dentro e più è leggibile.<br />
E' inutile fare qui un elenco degli argomenti su cui si può fare un servizio.<br />
La cronaca, la lotta alla mafia, i movimenti giovanili, lo sport, la musica, il<br />
corpo, la vita quotidiana possono essere altrettanti settori generali all'interno<br />
dei quali cercare spunti <strong>da</strong> approfondire. E' importante invece imparare a<br />
sviluppare un'idea. Fino a questo momento, abbiamo curato poco il<br />
momento dell'intuizione, l'abbiamo trattato in modo approssimativo e<br />
disordinato; adesso dobbiamo cercare di analizzare sistematicamente il
processo <strong>da</strong> formazione delle idee.<br />
All'inizio c'è l'idea!, e può averla chiunque, in tante forme diverse. "La<br />
Plaja è un posto poco sicuro", "come si fa a diventare giornalisti?", "chi è il<br />
padrone della centrale del latte?", ecc.<br />
Da questa prima intuizione, bisogna passare alla fase successiva, che non<br />
è ancora il pezzo, ma il "promemoria" (8-10 righe) sul contenuto del pezzo.<br />
Infine, il pezzo vero e proprio.<br />
Un buon metodo di lavoro, quando qualcuno ha un'idea, anche<br />
strampalata, è di appuntarla immediatamente su un pezzo di carta, così<br />
come viene, e poi di arricchirla di qualche particolare, senza approfondirla<br />
troppo, in modo <strong>da</strong> avere un primo promemoria. Poi vedere cosa c'è <strong>da</strong> fare<br />
(interviste, notizie, ecc.) per mettere in pratica il promemoria, e solo alla<br />
fine cominciare a scrivere il pezzo.<br />
Quanto al pezzo, la prima stesura dev'essere il più possibile spontanea,<br />
libera; nella rilettura bisognerà invece limare, tagliare, e rimontare tutto in<br />
modo <strong>da</strong> avere un inizio vivace e non lasciare che l'attenzione del lettore si<br />
addormenti.<br />
Dopo i servizi vengono i materiali <strong>da</strong> fuori re<strong>da</strong>zione: corrispondenti,<br />
notizie <strong>da</strong>lle scuole, collaboratori saltuari. Questo materiale (per lo più brevi<br />
pezzi) dovrà essere riveduto con molta attenzione, possibilmente <strong>da</strong>lla<br />
stessa persona, in modo <strong>da</strong> comporre tanti frammenti omogenei fra loro.<br />
In particolare, le storie di vita dovrebbero rappresentare (molto più che<br />
sull'ultimo numero) un carattere tipico del nostro giornale. La storia di vita<br />
può essere scritta <strong>da</strong> chiunque; se si riesce a pubblicarla mantenendone il<br />
carattere di spontaneità, dà un tono vivace al giornale, corregge l'eventuale<br />
eccesso di "serietà" dei servizi e soprattutto evita che il giornale sia fatto<br />
solo <strong>da</strong>i soliti re<strong>da</strong>ttori. Specialmente per i ragazzi più giovani, è un inizio<br />
fon<strong>da</strong>mentale; difficilmente avremmo potuto sviluppare una re<strong>da</strong>zione se<br />
non avessimo cominciato con questo tipo di scrittura, alla portata di tutti e<br />
tale quindi <strong>da</strong> creare fiducia in chi scrive e <strong>da</strong> costituire un primo tipo<br />
d'esperienza.<br />
Infine, le rubriche. Possono essere spazi "tecnici" (mercatino, salute, ecc.)<br />
o contenitori più ampi (spazio donna, se riusciremo a farlo), ma in ogni caso<br />
rappresentano un appuntamento che contribuisce a mantenere il lettore<br />
legato al giornale.<br />
Non è il caso di dilungarsi oltre sull'organizzazione del giornale di cui<br />
avremo modi di parlare quotidianamente nella pratica. Vorrei insistere però<br />
sul fatto che questa re<strong>da</strong>zione, oltre che ben organizzata, dev'essere aperta,<br />
cioè portavoce di tutti coloro che nella re<strong>da</strong>zione non ci sono; e che questo<br />
giornale, oltre che un buon giornale, dev'essere un giornale in movimento,
cioè espressione di ciò che succede fra la gente e degli obiettivi e delle<br />
speranze di coloro che vogliono migliorare la vita: a partire, naturalmente,<br />
<strong>da</strong>i Siciliani/giovani e <strong>da</strong>lle loro iniziative.<br />
Un buon giornale, delle idee per un movimento, delle iniziative concrete e<br />
rivolte a tutti, un collegamento con quelli che ci assomigliano nelle altre<br />
città, una denuncia continua (e non noiosa) del potere mafioso, una buona<br />
organizzazione generale: se riusciamo a tenerci su questi binari, in quindici<br />
faremo un ottimo lavoro e nei vari momenti riusciremo a mobilitare molte<br />
più persone. Se ci baseremo soprattutto sulla fantasia e sull'inventiva, sulle<br />
idee nuove e non sui regolamenti, sull'ottimismo creativo e non sulla<br />
difensiva, riusciremo senz'altro a fare qualcosa che duri.<br />
Il giornale - come la cooperativa che dobbiamo costituire al più presto e<br />
come tutte le altre forme organizzative - dev'essere insomma uno strumento<br />
per fare delle cose, e non una gabbia per dividerci quelli che sono fuori.
4 CHIACCHIERE SU...<br />
promemoria interno per SicilianiGiovani, 1985<br />
La maggioranza del corteo è meridionale? Se è così, vuol dire che è<br />
abbastanza realistico pensare che il movimento è cominciato in Sicilia<br />
(perché proprio in Sicilia? Riflettere...) e che evidentemente nei cortei<br />
dell'83-84 non c'era solo un "contro-la-mafia" ma anche un "per-qualcosa"<br />
<strong>da</strong> identificare. Ovviamente non sappiamo ancora (lo ripeterò fino alla<br />
nausea) che cosa, e del resto non tocca solo a noi scoprirlo. Però, anche a<br />
noi. (Parentesi: in ogni caso, è provato che i giovani meridionali sono<br />
disponibili a ragionare (di mafia, e poi di tasse, e poi della qualunque) se<br />
solo si rispettano i loro tempi e gli si <strong>da</strong> fiducia).<br />
Contemporaneamente (inchiesta Amnesty Int.) pare che a Catania il 50%<br />
dei giovanissimi sia per la pena di morte. Inciviltà e immaturità "politica"?<br />
Eppure, sono gli stessi che fanno i cortei: a quanto pare, si può essere<br />
"maturi" su alcuni temi, e "immaturi" su altri. Doman<strong>da</strong> numero uno:<br />
continuerà così in eterno, e prima o poi i livelli di coscienza si<br />
unificheranno? Doman<strong>da</strong> numero due: che facciamo se diciamo che siamo<br />
contro la pena di morte e loro non ci battono le mani?<br />
(Parentesi. Ci sono due modi di strumentalizzare un movimento. Uno:<br />
"evviva, evviva, è il sessantotto". Due: "meno male, non è il sessantotto").<br />
La soluzione ideale è, banalmente, di ragionare con la propria testa<br />
fottendosene del sessantotto-non sessantotto. In realtà questo è il 68 (o l'89,<br />
o il 71 - in cui è nato Fabio - o una qualsiasi altra <strong>da</strong>ta "storica") se vuol dire<br />
che è un anno di cambiamento. Non è il 68 (o il 78 o il 128 o un qualunque<br />
altro modello fuori produzione) se vuol dire fare il remake di un film già<br />
visto, e <strong>da</strong>re potere a chiunque non sia il movimento di ora.<br />
(Parentesi. Ragionare con la propria testa non è semplice. Però non c'è<br />
altra via. Farsi domande, non <strong>da</strong>re nulla per scontato, e soprattutto le cose<br />
"normali". "E' normale" vuol dire "Sono pigro". Pensare come se il mondo<br />
cominciasse ora. In realtà, comincia ora).<br />
Un buon obiettivo, in generale, sarebbe l'unità. Fra chi la pensa in un<br />
modo e chi in un altro (e chi pensa di non pensare). Fra i problemi grossi e<br />
quelli piccoli. Fra quello che siamo e quello che che possiamo essere. Fra<br />
quelli come noi e quelli no. Fra quelli con cui stiamo bene e quelli con cui<br />
litighiamo. Ogni unità in meno indebolisce tutti. Noi non siamo completi.<br />
Nessuno, <strong>da</strong> solo, lo è.<br />
E' stata una giornata violenta, il 16 dicembre? Violentissima, a Roma e<br />
altrove. A Roma, c'era un giudice che doveva stare lì per forza, sennò gli<br />
ammazzavano la figlia. A Napoli, una tizia è stata costretta a prostituirsi per
avere un po' di droga. A Catania, un'impiegata è stata costretta a dire cose<br />
che non pensava, per evitare il licenziamento. A Treviso, una ragazzina ha<br />
avuto problemi per il suo ragazzo, perché era meridionale: a Canicattì,<br />
<strong>un'altra</strong>, perché "faceva la bottana". A Perugia, un ragazzo è stato costretto a<br />
passare il pomeriggio <strong>da</strong> solo, in quanto omosessuale; a Bagheria, un padre<br />
di famiglia è stato costretto a comportarsi <strong>da</strong> vigliacco <strong>da</strong>vanti a tutti,<br />
tacendo alcune cose che sapeva. A Catanzaro, un brillante matematico è<br />
stato costretto a fare il manovale, perché a tredici anni doveva lavorare. A...<br />
Ma tutto questo è successo anche ieri e l'altro ieri e succederà domani.<br />
Come si suol dire è "normale". E - "normalmente" - non è violenza...<br />
In tutti questi casi, la polizia non interviene, i giornali non parlano, non si<br />
formano movimenti. E' "ingenuo" chiedersi perché? E' "inutile"? E in<br />
questo momento, leggendo queste cose, state perdendo tempo rispetto al<br />
vostro lavoro? E, infine: ce la fate a leggere una cosa in cui ci sono tutti<br />
questi punti interrogativi? Vi sareste sentiti più tranquilli con un po' più di<br />
punti esclamativi? (e fra parentesi: e fra noi, c'è violenza? Ne siete proprio<br />
sicuri? Che rapporto c'è fra la violenza in noi e quella fuori?). E infine: siete<br />
già stanchi di porvi - e farvi porre - domande?<br />
Attenzione: Forse tutto questo è politica...
APPUNTI<br />
gennaio 1986<br />
Cercare di capire che cosa è successo in questi due anni. Non ho le idee<br />
chiare su tutto, ma non credo che questo sia un male. Abbiamo bisogno<br />
d'individuare delle tendenze, non d'inventarci un'analisi globale che<br />
probabilmente, in questo periodo, finirebbe per essere più una palla al piede<br />
che uno strumento di lavoro. Le cose vanno troppo in fretta per poterle<br />
fotografare <strong>da</strong>vvero.<br />
Si tratta dunque d'individuare rozzamente dei primi <strong>da</strong>ti, e di svilupparli<br />
in continuazione, via via che l'esperienza procede; senza pretendere di<br />
ricavarne una "linea", ma piuttosto delle direzioni di ricerca. Questa ricerca,<br />
che è uno dei compiti fon<strong>da</strong>mentali di questi anni, non può essere, per sua<br />
natura, che collettiva. Ma se all'interno di essa dovessi sintetizzare un<br />
contributo personale, potrebbe essere il seguente: non aver paura delle "cose<br />
strane" - cercarne le radici - fare politica su di esse.<br />
La lotta alla mafia, infatti, o è politica o è polizia. O riesce a liberare<br />
qualcosa che ne superi i confini, o prima o poi rifluisce in una generica<br />
richiesta di "ordine pubblico". Da Santapaola si può arrivare, nella testa<br />
della gente, tanto agli scippatori quanto ai ministri; quello che non si può<br />
fare è fermarsi a Santapaola.<br />
Per questo, più che di "lotta alla mafia", noi abbiamo sempre parlato di<br />
"lotta al potere mafioso"; e abbiamo introdotto concetti e parole (gli<br />
"antimafiosi") che vanno ben al di là del puro significato tecnico per<br />
suggerire qualcosa di più ampio e radicale. La parola "antifascista", a suo<br />
tempo, indicava di più che la generica opposizione a un regime; solo più<br />
tardi, debitamente castrata, è entrata nell'inoffensivo vocabolario di Palazzo.<br />
Non credo che, per quel che s'è visto in questi anni, ci sia <strong>da</strong> farsi molte<br />
illusioni sull'"impegno delle istituzioni" contro il potere mafioso. Ma anche<br />
se un impegno ci fosse, le dimensioni della posta in gioco sarebbero<br />
comunque tali <strong>da</strong> sfuggire completamente a ogni possibilità d'incasellarle<br />
nell'ordinaria amministrazione degli equilibri politici. Esse hanno bisogno,<br />
per essere affrontate (o anche solo percepite), di un vero e proprio<br />
movimento popolare. Che si presenterà - se si presenterà - in modo "strano"<br />
senza bandiere, molto prima nelle coscienze che nelle piazze; e non avrà<br />
una risolutiva "ora X" ma una lenta e inframezzata costruzione.<br />
Questo non vuol dire, naturalmente, che sia inutile il lavoro "diplomatico"<br />
nelle istituzioni. Ma è un lavoro, per l'appunto, diplomatico,<br />
complementare. Il lavoro reale sta altrove.<br />
A questi criteri ho cercato, finché ho potuto di attenermi in questi anni;
itenendo che le alternative "realistiche" (concentrarsi sul giornale; puntare<br />
sui rapporti con le istituzioni "buone"; "non siamo più nel sessantotto";<br />
insomma "l'uovo oggi e non la gallina domani") fossero più rassicuranti, più<br />
semplici, ma anche più profon<strong>da</strong>mente illusorie. E che convenisse dunque -<br />
usando i rapporti istituzionali per tappare alla meglio i buchi - guar<strong>da</strong>re in<br />
faccia la realtà e mirare alto, considerando la nostra esperienza e il nostro<br />
modo di pensare e la lotta antimafiosa e le stesse prospettive di vita del<br />
nostro giornale indissolubilmente legate allo sviluppo del movimento<br />
sociale e culturale che, secondo me, va annunciandosi in questi anni. Certo,<br />
potrebbe essere un'utopia. Ma io credo ancora di no.<br />
C'è una quantità di domande a cui non è stata <strong>da</strong>ta, fino a questo<br />
momento, una risposta. E neanch'io presumo di <strong>da</strong>rla, <strong>da</strong> solo, ma voglio<br />
almeno pormi le domande.<br />
Perché i movimenti antimafiosi, nei loro momenti più alti, sono stati così<br />
"popolari"? Perché la gente - tanta gente, in certi momenti la maggioranza -<br />
ha <strong>da</strong>to così tanta importanza alla "questione morale"? Perché il caso<br />
Pertini? Perché la gente comune si allontana (tesseramento alla mano) <strong>da</strong>l<br />
Pci ma si ritrova come non mai nella storia attorno ai funerali di Berlinguer?<br />
Che cosa viene percepito, in un caso del genere, dell'uomo politico<br />
Berlinguer? Cosa viene percepito politicamente voglio dire? Perché gli<br />
studenti cominciano a muoversi in Sicilia due anni prima che nel resto del<br />
paese? Perché le posizioni "estreme" vengono isolate nel caso della scala<br />
mobile ma seguite nel caso della lotta alla mafia o della questione morale?<br />
Perché adesso "salgono" Bobbio e Ingrao e "scendono" Natta o Lama?<br />
Il movimento antimafioso: come mai sono riusciti a convivervi<br />
tranquillamente, nei momenti alti, un'anima di "conservazione" ed una<br />
"rivoluzionaria"? Cosa esattamente la gente teme della mafia? Perché non<br />
tutti hanno un figlio tossicodipendente, e non tutti hanno molto interesse a<br />
come vengono spesi i soldi degli appalti...<br />
E ancora: cosa spera la gente <strong>da</strong>lla vittoria dell'antimafia? Man<strong>da</strong>re i<br />
colpevoli in galera non è mai stato un obiettivo di alcuna lotta popolare, in<br />
Italia: ma si tratta solo di questo?<br />
E la gente che ha partecipato al movimento antimafia nelle varie grandi e<br />
piccole occasioni, perché mai ha partecipato? Per quale motivo comune,<br />
intendo? Perché gente diversissima, quanto a composizione e a radici<br />
culturali; eppure, in certi istanti, s'è incontrata. Solo emozione? O che altro?<br />
L'autonomo e il "moderato" sono tornati a litigare nei momenti bassi, di<br />
riflusso. Ma prima stavano insieme. Come mai? E, più curioso di tutto: che<br />
strane caratteristiche possono aver avuto in comune i "militanti" di questa<br />
strana lotta - il professore di paese, il cattolico e quello che sottoscrive
l'azione - per impegnarsi, per qualche mese, a far delle cose insieme?<br />
Sempre e solo "emozione", è la risposta ufficiale.<br />
Ma io credo che ci sia qualcosa di più. Troppi di questi episodi,<br />
individuali e collettivi, sono inspiegabili se non si pensa a qualcosa di più<br />
profondo. Qualcosa che viene <strong>da</strong> molto lontano, con radici molto antiche<br />
nel sentimento comune. In particolare, in Sicilia.<br />
Qui, per la prima volta, è stato messo in discussione il potere. Perché è<br />
come potere incontrollato, prima ancora che come "violazione delle leggi"<br />
che la gente comune qui percepisce i Cavalieri. Ed è stato messo in<br />
discussione esattamente là dove esso è più potente, dove maggiormente<br />
pesa sulla vita quotidiana della gente, e dove più radicale e liberatorio<br />
potrebbe essere il suo rovesciamento. Fuori della Sicilia questo significa che<br />
per alcuni momenti la Sicilia è stata (se potrà tornare ad esserlo in futuro)<br />
l'avanguardia o quantomeno la prima linea di una lotta che appartiene a<br />
tutti; altro che "problemi del mezzogiorno" e "questione meridionale"! In<br />
Sicilia, la percezione della questione è stata ancora più istintivamente, e<br />
commoventemente, profon<strong>da</strong>: in alcuni momenti e luoghi la parola<br />
"Siciliani" ha coinciso, senz'altre mediazioni, con la parola speranza.<br />
Ognuno di noi ha ormai l'esperienza del primo impatto con l'assemblea di<br />
una scuola, o d'un piccolo paese; e può agevolmente constatare come questo<br />
impatto sia più carico di aspettative e di richieste, più "caldo" esattamente<br />
nei paesi, nei luoghi e nei gruppi sociali in cui più forte e radicata era la<br />
memoria di una qualche passata lotta e soli<strong>da</strong>rietà civile. Ma se ognuno di<br />
noi potesse avere anche l'esperienza umana di una qualunque di quelle<br />
sconfitte e dimenticate lotte nei paesini della Sicilia, di tutte quelle speranze<br />
via via sgretolate ogni volta, di generazione in generazione, ostinatamente e<br />
faticosamente ricostruite, potrebbe avere il senso delle radici profonde della<br />
"simpatia" verso i Siciliani, della soli<strong>da</strong>rietà di tanta gente comune non dico<br />
a quella che facciamo, ma certo a quel che in qualche modo rappresentiamo.<br />
E potrebbe rendersi conto fino in fondo della responsabilità di dover gestire<br />
tutto questo.
MILLE EDITORI PER I SICILIANI<br />
novembre 1985<br />
C'è Antonella che è dovuta an<strong>da</strong>r via - scopo sopravvivenza - <strong>da</strong> Comiso,<br />
la cerchi ora e "lei adesso lavora in Lombardia". Anche Antonella deve<br />
campare, per questo se ne è dovuta an<strong>da</strong>re a fare la maestra su al nord.<br />
Come Fabio che era l'unico qui che riusciva a fare un pezzo sui punk, come<br />
Francesco che faceva il sin<strong>da</strong>calista al paese, come Stefano che era uno dei<br />
ragazzi della radio al quartiere... Mica facile restare al sud.<br />
Poi c'è il professor Lomonaco, preside di scuola media, che ha una vera<br />
scuola in pieno ghetto di Catania. C'è Gaetano Giardina, del Consiglio di<br />
fabbrica dei Cantieri, che organizza gli scioperi contro la mafia nella città<br />
dei Salvo. C'è l'ingegner Scuderi, che fa ricerca in aerodinamica<br />
all'università di Palermo. Ci sono i liceali di Catania, che come movimento<br />
studentesco hanno <strong>da</strong>to dei punti a Bologna. Ci sono cooperative e gruppi<br />
ecologici, ci sono artisti e scrittori. Ci sono questi siciliani, e molti altri<br />
come loro.<br />
Essi, oggi come oggi, non contano. Non contano in Sicilia, e non contano<br />
fuori. Troppo seri, per fare i siciliani. E' più semplice, per il vecchio<br />
Palazzo, avere a che fare coi Lima. Ma se avessero una voce? Se potessero<br />
discutere organizzarsi, confrontarsi, mettere insieme qualcosa? Se potessero<br />
scoprire di essere loro, in realtà, la vera classe dirigente degli anni a venire?<br />
Se, anziché carne <strong>da</strong> fabbrica senza difesa, il treno del Sole cominciasse a<br />
riversare sul Paese idee vive, progetti, una nuova ragione?<br />
A questo vogliamo che serva, partendo <strong>da</strong> questa Sicilia, questo nostro<br />
giornale. E' un progetto molto ambizioso, culturalmente e materialmente.<br />
Portarlo avanti <strong>da</strong> soli, non servirebbe. Per questo, dev'essere <strong>da</strong> subito un<br />
progetto collettivo: a cominciare <strong>da</strong>ll'assetto proprietario del giornale.<br />
Il "padrone" de "I Siciliani" a questo punto non può essere un editore<br />
come gli altri. Neanche più, come finora, la nostra cooperativa di tipografi e<br />
re<strong>da</strong>ttori. Il ruolo storico di questo giornale, giunti a questa svolta, è ben più<br />
grande di noi; non abbiamo il diritto di chiuderlo in noi soli. Editori de "I<br />
Siciliani", nel senso letterale della parola, debbono essere tutti i siciliani<br />
impegnati, tutti coloro che credono in ciò per cui lavoriamo.<br />
Un editore collettivo composto <strong>da</strong> tanti cittadini proprietari di questo<br />
giornale e di quest'idea; un capitale messo limpi<strong>da</strong>mente insieme lira su lira,<br />
con tanti diversi contributi; un'impresa cui possa partecipare chiunque se la<br />
sente, ma su cui non possa speculare nessuno. E' una sfi<strong>da</strong> contro i<br />
monopolisti editoriali, contro i "comprati e venduti": ma è anche una precisa<br />
chiamata in causa che noi in questo momento rivolgiamo ai nostri lettori.
Non bastano più soli<strong>da</strong>rietà e simpatia: ognuno deve e può prendersi una<br />
piccola ma concreta responsabilità. Noi facciamo la nostra parte; ma tu che<br />
leggi devi fare, e non a parole, la tua.<br />
La forma che i nostri legali hanno studiato per l'assetto proprietario del<br />
giornale dà a ciascuno, adesso, la possibilità di assumersi questa<br />
responsabilità secondo le proprie - piccole o grandi - disponibilità.<br />
L'operaio, l'intellettuale, lo studente può diventare azionista, a tutti gli effetti<br />
legali, con centomila lire; il consiglio di fabbrica, il circolo culturale, la<br />
scuola può assumersi cinque, dieci, venti azioni; altre possono prenderne il<br />
piccolo industriale, il commerciante, la cooperativa. Crediamo che per tutti -<br />
particolarmente per coloro che già sono impegnati sul terreno del<br />
rinnovamento civile - ci sia la necessità morale non solo di aderire<br />
all'impresa, ma di farsene apertamente e attivisticamente promotori.<br />
Nessuna scadenza "politica" e civile, in questo fine anno siciliano, è<br />
infatti più importante di questa. Non il tentativo malcerto d'un pugno di<br />
intellettuali, ma il cantiere in cui si fon<strong>da</strong> lo strumento della nuova cultura<br />
siciliana e meridionale. Nessuno può mancare.<br />
Questo giornale continuerà come e più ancora che in passato a far guerra<br />
alla mafia e ai poteri occulti, in tutti i modi. La politica mafiosa,<br />
l'imprenditoria mafiosa, le forme culturali mafiose - la mafia come potere -<br />
continueranno ad essere al centro del nostro lavoro. Nel momento in cui il<br />
riflusso (non della gente comune, ma di classi dirigenti e istituzioni) man<strong>da</strong><br />
a casa i giudici onesti e copre i miliardi dei mafiosi, noi continuiamo<br />
semplicemente a fare il nostro mestiere, che è quello di informare la gente<br />
su quel che succede. In una regione in cui i grandi mezzi di informazione<br />
informano solo quando e quanto conviene, potremo sembrare troppo<br />
intransigenti e - ci dicono - "eccessivi": ma qui d'eccessivo c'è soltanto la<br />
realtà.<br />
Ma i movimenti antimafiosi di questi anni (perché di movimenti s'è<br />
trattato, com buona pace dei politologhi) non sono stati soltanto contro la<br />
mafia, ma anche - confusamente - per qualcosa di nuovo, che ancora non si<br />
riesce esattamente a definire, ma che ha già una sua vitalità. Qualcosa che si<br />
muove nell'anima della Sicilia profon<strong>da</strong>.<br />
C'è una nuova generazione di Siciliani, cresciuta negli anni di piombo.<br />
Non li incontri solo nei cortei contro la mafia, ma anche e soprattutto nelle<br />
mille occasioni della vita quotidiana: nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei<br />
laboratori di ricerca, nelle università, negli ospe<strong>da</strong>li. Anni difficili li hanno<br />
formati. Hanno imparato a diffi<strong>da</strong>re delle parole e a esaminare<br />
irriverentemente i fatti. Vogliono sapere cosa succede nei quartieri e nella<br />
società, perché è così indietro la ricerca scientifica e così avanti
l'emarginazione, chi minaccia la tutela ambientale e come la si può<br />
migliorare, di che cosa si discute realmente nei vari ambiti, chi c'è nella<br />
cultura europea e cosa si può fare per la pace. Forse non hanno ancora molte<br />
risposte <strong>da</strong> <strong>da</strong>re, ma sanno già porsi le domande. Vogliono essere informati,<br />
non imboniti di parole. Noi lavoriamo con loro.<br />
Noi abbiamo fede in questa generazione. Siciliana, e conseguentemente<br />
europea. "Siciliana" a Palermo e Catania, ma anche - in un certo senso - a<br />
Napoli o a Bologna o alla periferia di Milano. La parola Sicilia, in questi<br />
anni, indica ben più che una terra. Primi nella barbarie, lo siamo altrettanto<br />
nella lotta: siciliani gli imprenditori Salvo e i Greco, ma siciliani i Pio La<br />
Torre e i Chinnici. Da qui la mafia può conquistare il Paese, ma qui può<br />
nascere per tutti una nuova coscienza civile. Nel bene e nel male, mai più<br />
saremo un'isola.<br />
Abbiamo dunque il diritto di mantenere, nel momento in cui ci<br />
espandiamo ben oltre i limiti regionali, il nostro vecchio nome di Siciliani.<br />
Sicilia come Sud, Sicilia come luogo in cui si stronca per sempre la mafia o<br />
la si lascia dilagare in tutta Italia, Sicilia come laboratorio in cui oggi o si<br />
risolvono o si affossano definitivamente tutti i grandi problemi, le passioni e<br />
le speranze non solo di noi siciliani ma dell'intera Nazione.<br />
Cercheremo quindi di esprimere con l'esperienza di quattro anni di<br />
mensile "I Siciliani" ma con la puntualità e la completezza che ora ci<br />
consente il passaggio al settimanale, tutto l'arco dei temi che insieme<br />
formano la nostra vita di questi anni. Le cronache gli avvenimenti, la vita<br />
quotidiana nelle città e nei paesi, l'economia, la politica, il costume, gli<br />
sport, la cultura, gli spettacoli, il tempo libero, la natura: nulla sarà<br />
trascurato, ogni aspetto della realtà avrà su queste pagine la sua fedele<br />
cronaca e la sua testimonianza. E la sua umanità. Noi non scriviamo sul<br />
meridione del colonialismo culturale di chi calato qui <strong>da</strong> tre giorni già<br />
presume di insegnarci cos'è il Sud. Noi scriviamo <strong>da</strong>l Sud. Condividendone<br />
le pene e le passioni, pagandone il prezzo se occorre. La Sicilia di domani<br />
sarà come noi tutti la costruiremo già oggi, nel vivo della lotta contro il<br />
potere mafioso. Non ci basta una Sicilia senza mafia, vogliamo una Sicilia<br />
che sorri<strong>da</strong>, una Sicilia giovane, europea. Per questo non saremo neutrali.<br />
Gli appuntamenti per i nostri lettori cominciano già nei prossimi giorni e<br />
settimane con le assemblee che terremo in tutte le città dell'isola e nelle<br />
principali d'Italia per presentare il settimanale e la sua Società editrice. Ma<br />
bisogna mobilitarsi già <strong>da</strong> subito per raccogliere le adesioni all'impresa de "I<br />
Siciliani" e in particolare per diffondere e far sottoscrivere le azioni della I<br />
Siciliani Settimanale SpA. Ogni lettore può esserne, nel suo ambiente di<br />
vita e di lavoro, un socio fon<strong>da</strong>tore; ogni gruppo di amici, un nucleo
organizzatore.<br />
Saranno due mesi intensissimi, fon<strong>da</strong>mentali per il successo del progetto.<br />
Il settimanale comincerà ad uscire regolarmente a dicembre dopo la fase<br />
"silenziosa" di organizzazione. Vogliamo che sia definitivamente lanciato e<br />
presente <strong>da</strong>ppertutto - e con una rete diffusa di azionisti e sostenitori - per il<br />
cinque gennaio, in concomitanza con la grande manifestazione contro la<br />
mafia con la quale ricorderemo il nostro fon<strong>da</strong>tore.<br />
Questi sono gli obiettivi, e siamo sicuri che lavorando tutti insieme li<br />
raggiungeremo. Noi abbiamo fiducia nei Siciliani. Vogliamo esprimerla con<br />
le parole di chi ha <strong>da</strong>to loro questo giornale, Giuseppe Fava.<br />
"Dal fondo della sua antica, riconosciuta infelicità viene avanti, lottando<br />
ogni giorno ed ognuno lottando per suo conto. Tutti i suoi ideali, l'odio e<br />
l'amore, la pietà e la vendetta, sono ancora intatti e spesso ancora confusi e<br />
terribili, ma tutti insieme formano una grande anima. E non c'è prezzo di<br />
violenza o di dolore ch'essa non sia disposta a pagare, pur di conquistare la<br />
sua dignità.<br />
In verità non c'è in tutta Europa un popolo così orgoglioso e infelice,<br />
come quello siciliano, che faccia tanto male a se stesso, ma non c'è<br />
nemmeno un popolo che abbia tanta devozione alla sua terra, e che abbia<br />
altrettanto coraggio di lottare per l'esistenza, tanta violenza, tanto amore per<br />
la vita".
UN VOLANTINO<br />
1986<br />
MENO CELEBRAZIONI E PIU' LOTTA<br />
La lotta alla mafia è già al riflusso? No. Al riflusso sono gli antimafiosi a<br />
parole, gli intellettuali <strong>da</strong> convegno, le autorità del Palazzo. Per loro "non<br />
c'è più niente <strong>da</strong> fare", "ormai la mafia ha vinto". Ma non è così. Per i<br />
lavoratori, per i giovani, per le migliaia e le migliaia di siciliani onesti che<br />
hanno risposto agli appelli di questi anni la lotta contro la mafia non è<br />
affatto finita ed anzi, nella sua fase più decisiva, comincia ora.<br />
Ricomincia senza retorica e senza grandi parole, senza aspettarsi nulla<br />
<strong>da</strong>gli uomini del Palazzo e senza credere nelle promesse di quanti hanno<br />
dimostrato di essere o impotenti o complici della mafia. Ricomincia con<br />
alcuni obiettivi chiari, semplici e concreti:<br />
- sequestrare le proprietà dei mafiosi e usarle per <strong>da</strong>re lavoro. C'è metà <strong>da</strong>l<br />
fatturato siciliano o in galera o in procinto di an<strong>da</strong>rci: la loro ultima carta, è<br />
il ricatto della disoccupazione. Ma è possibile rompere questo ricatto<br />
utilizzando bene la legge La Torre, combattendo insieme mafia e<br />
disoccupazione.<br />
- Pensare sul serio ai giovani siciliani. Hanno partecipato in tanti ai cortei<br />
contro la mafia. poi sono tornati a casa ad aspettare la disoccupazione. Cosa<br />
si è fatto per loro, dopo le belle parole? Esigiamo subito un centro giovanile<br />
autogestito in ogni città siciliana. In edifici comunali: per stare insieme, per<br />
avere un punto di riferimento, e per cominciare ad organizzare sul serio il<br />
cambiamento.<br />
- Conquistare la libertà di stampa. La libertà di stampa in Sicilia non<br />
esiste. I padroni dei grandi giornali (quelli che si sanno) tutto sono fuorché<br />
nemici della mafia. Bisogna lavorare subito, e tutti, per un grande giornale<br />
popolare antimafioso, a partire <strong>da</strong> esperienze come I Siciliani di Giuseppe<br />
Fava.<br />
- Essere uniti come sono uniti i mafiosi. Non c'è più "vincenti" e<br />
"perdenti", la mafia oggi è tutta unita attorno alla sua droga. Bisogna:<br />
stabilire un coordinamento permanente fra le forze antimafiose delle diverse<br />
città;; invitare fin d'ora tutti i partiti democratici e antimafiosi a presentare,<br />
alle prossime elezioni, una sola lista, unitaria e sotto il segno della lotta alla<br />
mafia.<br />
Solo riprendendo e radicalizzando l'iniziativa popolare si può veramente<br />
onorare la memoria di Dalla Chiesa, di Fava, di Zucchetto, di Cassarà e di<br />
tutti gli altri caduti antimafiosi. Sostenere contro i sabotaggi del governo i<br />
giudici e i poliziotti impegnati in prima fila; liberare i quartieri <strong>da</strong>lla miseria
e <strong>da</strong>lla paura; denunciare i complici dei padrini e cavalieri palermitani e<br />
catanesi; alzare il tiro fino al terzo livello e ai poteri occulti che (come dice<br />
Falcone) gli sono alleati; tornare senza paura nelle piazze. Su questi<br />
obiettivi bisogna che gli antimafiosi siciliani riflettano, si organizzano<br />
insieme e ricomincino a lottare.
UN VOLANTINO<br />
1986<br />
I SICILIANI ALLA MARCIA PER IL LAVORO<br />
Per la prima volta in Italia un movimento giovanile comincia al Sud e si<br />
sviluppa verso il Nord. Il movimento dei ragazzi dell'85, infatti, trova la sua<br />
diretta radice nella mobilitazione anti-mafiosa degli studenti di Napoli,<br />
Palermo e Catania negli ultimi tre anni. I giovani meridionali hanno capito<br />
che lottare contro le malformazioni delle strutture scolastiche non basta, se<br />
dopo la scuola si è con<strong>da</strong>nnati a restare senza lavoro e se non si aggredisce<br />
la struttura del potere mafioso. E' necessario che il movimento contro la<br />
mafia si traduca anche in movimento per il lavoro. In che modo?<br />
- Applicando seriamente e <strong>da</strong>ppertutto la legge La Torre.<br />
- Gestendo le imprese sequestrate agli imprenditori mafiosi per aumentare<br />
l'occupazione giovanile.<br />
- Sviluppando una serie di centri sociali in cui i giovani possano<br />
liberamente incontrarsi per sviluppare iniziative contro la mafia e per il<br />
lavoro.<br />
- Destinare le risorse finanziarie pubbliche non utilizzate (in Sicilia sono<br />
più di 12.000 miliardi) ad affrontare non episodicamente né clientelarmente<br />
la pressante richiesta di lavoro dei giovani nel Sud. Per questo aderiamo alla<br />
Marcia per il lavoro che si terrà a Napoli il 10 dicembre.
UN VOLANTINO<br />
1986<br />
PERCHE' NON VOGLIAMO VIVERE CON LA MAFIA<br />
Siamo qui perché non crediamo in questa Sicilia di mafia e di<br />
raccoman<strong>da</strong>zioni, la Sicilia dei cavalieri del lavoro e dei politici corrotti. Per<br />
noi giovani questa Sicilia significa il ricatto del posto di lavoro, oggi sempre<br />
più pesante, la mancanza di spazi dove vederci e dove comunicare e<br />
conoscere le nostre iniziative musicali, teatrali, culturali.<br />
Opporsi diventa essenziale. Bisogna costruire qualcosa di diverso. Creare<br />
nuovi posti di lavoro con i beni sequestrati ai mafiosi in base alla legge La<br />
Torre e con i 12.000 miliardi di "residui passivi" attualmente inutilizzati<br />
nelle casse della regione siciliana; creare degli spazi e dei luoghi d'incontro<br />
liberamente gestiti <strong>da</strong>i giovani.<br />
Giuseppe Fava è stato ucciso <strong>da</strong> chi non vuole cambiare la realtà, per<br />
dominarla col suo potere mafioso, con i soldi accumulati illegalmente, e<br />
manipolando l'informazione. Giuseppe Fava è stato ucciso, ma noi siamo<br />
qui per fare pesare la sua assenza e perché domani sia come se lui fosse<br />
ancora vivo. Perché come lui ce ne siano altri mille. E a tutti, non potranno<br />
sparare.<br />
Siciliani giovani
UN VOLANTINO<br />
gennaio 1987<br />
Già <strong>da</strong> sei mesi "I Siciliani" sono assenti <strong>da</strong>lle edicole e, com'è evidente,<br />
un giornale che non esce è già virtualmente un giornale morto. "I Siciliani"<br />
sono infatti sul punto di chiudere. Un destino che aleggiava <strong>da</strong> anni sul<br />
giornale e che oggi, in occasione del terzo anniversario dell'assassinio di<br />
Giuseppe Fava, rischia di realizzarsi definitivamente.<br />
La chiusura de "I Siciliani" sarebbe l'ultima di una lunga serie di sconfitte<br />
del movimento antimafioso sorto in Sicilia - soprattutto fra gli studenti, ma<br />
anche nel mondo del lavoro e in vari settori della società - all'indomani della<br />
morte del generale Dalla Chiesa: un movimento che ha chiesto verità e<br />
giustizia contro la mafia e le sue connessioni politiche e finanziarie, che ha<br />
rivendicato i diritti più elementari calpestati <strong>da</strong>l sistema di potere mafioso,<br />
che ha cercato di riempire di contenuti positivi e civili la propria<br />
opposizione alla mafia e ai suoi potenti ispiratori. La chiusura de "I<br />
Siciliani" sarebbe oggettivamente un ennesimo segnale negativo per la<br />
gente che in Sicilia e nel Paese ha creduto in quegli ideali di giustizia e che<br />
in questi anni ha letto sulle pagine del giornale la fedele cronaca e i<br />
commenti ispirati <strong>da</strong> essi.<br />
I re<strong>da</strong>ttori de "I Siciliani" hanno fatto quanto era in loro potere per<br />
scongiurare una simile eventualità, ma nessun giornale al mondo può<br />
sopravvivere indefinitamente senza adeguate risorse economiche e senza<br />
pubblicità. Ancor oggi, la re<strong>da</strong>zione è professionalmente in grado di<br />
presentare un progetto tecnico-editoriale di rilancio del giornale - quello<br />
diffuso contestualmente a questo documento - ma non di assicurarne una<br />
pur limitata copertura finanziaria.<br />
La chiusura de "I Siciliani" concluderebbe logicamente - se chiusura<br />
dovrà esserci - l'operazione iniziata la sera del 5 gennaio 1984, a Catania,<br />
con l'assassinio di Giuseppe Fava. Chiudere la bocca alla società civile<br />
siciliana, non far parlare nessuno su quanto di nefando e delittuoso, ma<br />
anche di positivo e civile, accade in Sicilia, abolire le voci della democrazia:<br />
il silenzio era l'obiettivo di quella sera.<br />
Contro questa logica di silenzio e di morte noi re<strong>da</strong>ttori de "I Siciliani"<br />
chiamiamo a prendere posizione tutte le forze realmente democratiche:<br />
vogliamo in ogni caso <strong>da</strong> tutti, e principalmente <strong>da</strong> loro, una risposta chiara<br />
sul destino di questo giornale.<br />
E' stata una soli<strong>da</strong>rietà grande, in tutti questi anni, quella che centinaia e<br />
centinaia di semplici cittadini hanno voluto riversare su questo giornale. Più<br />
di mille abbonati hanno seguito "I Siciliani" in tutte le loro vicissitudini;
quasi seicento hanno risposto all'appello di sottoscrizione con cui,<br />
esattamente un anno fa, chiedevamo il sostegno di tutti per <strong>da</strong>re una nuova<br />
base economica alla nostra impresa. Ben diversa sarebbe stata la sorte di<br />
questo giornale se il loro esempio fosse stato seguito <strong>da</strong> chi aveva i mezzi<br />
per an<strong>da</strong>re oltre la semplice attestazione di soli<strong>da</strong>rietà.<br />
Molte volte, in questi anni, abbiamo chiesto a tutte le forze democratiche<br />
di <strong>da</strong>re un contributo al nostro lavoro. Si sono avuti, <strong>da</strong> parte loro, interventi<br />
occasionali e contingenti ma privi di ogni coerenza e continuità. Oggi, un<br />
istante prima della chiusura, non è più tempo per essi: si tratta di discutere<br />
seriamente il nostro progetto giornalistico-editoriale, e di muoversi in<br />
conseguenza. Non è in discussione la storia e il patrimonio ideale de "I<br />
Siciliani"; si tratta di verificare se questo giornale possa finalmente avere la<br />
continuità e la solidità che gli sono sempre mancati. Si tratta di capire se<br />
esistono forze culturali, sociali, politiche democratiche che vogliono<br />
condividere con noi lo sforzo di gestire e consoli<strong>da</strong>re questa voce<br />
antimafiosa.<br />
E' questa l'ultima scommessa che facciamo con la nostra storia, circon<strong>da</strong>ta<br />
spesso <strong>da</strong> scetticismi, sospetti e rimozioni. In gioco, stavolta, c'è l'essenza<br />
stessa della democrazia: il pluralismo delle voci, la libertà di esprimerle,<br />
l'antimafia non come rito d'occasione ma come spartiacque fon<strong>da</strong>mentale<br />
fra chi vuole cambiare le cose e chi no. Se "I Siciliani" spariranno <strong>da</strong>lla<br />
scena definitivamente, vorrà dire che nessuno avrà raccolto il nostro<br />
appello. E ciò rappresenterà un messaggio chiaro per una società che negli<br />
ultimi mesi ha visto ricomporsi e ricompattarsi ordinatamente il vecchio<br />
sistema di potere mafioso nelle due principali città siciliane.<br />
I re<strong>da</strong>ttori de "I Siciliani" hanno avuto in sorte, in tutti questi anni, la<br />
possibilità di collaborare a un'esperienza giornalistica fra le più ricche, nel<br />
suo genere, e avanzate del Paese, e di contribuire in maniera decisiva al<br />
rinnovamento della professione giornalistica in Sicilia: non solo mediante il<br />
lavoro re<strong>da</strong>zionale svolto, ma anche con la formazione di un consistente<br />
nucleo di nuovi giovani giornalisti - a partire <strong>da</strong>ll'esperienza di<br />
"Siciliani/giovani", e poi col settimanale "I Siciliani" - il cui livello<br />
professionale non è ormai inferiore, proporzionalmente all'esperienza, a<br />
quello di nessuna realtà analoga in Sicilia. E' amaro rilevare come in<br />
quest'opera di difesa e rinnovamento della professione i giornalisti de "I<br />
Siciliani" non abbiano avuto al proprio fianco gli organi di categoria che<br />
istituzionalmente avrebbero dovuto sostenerla.<br />
Questo giornale è l'esempio di una lotta al potere mafioso condotta senza<br />
mezzi termini e senza rispetti per nessuno: non limitata alla manovalanza<br />
criminale di Cosa Nostra ma mirata ai massimi livelli, imprenditoriali e
politici; non ristretta a una semplice denuncia in negativo ma aperta alla<br />
ricerca dei possibili assetti di una Sicilia nuova.<br />
I movimenti giovanili e i loro luoghi d'incontro; il dramma della<br />
disoccupazione e la possibilità di affrontarlo con una gestione alternativa<br />
delle aziende sequestrate ai mafiosi; il dibattito nella società civile e le<br />
nuove aggregazioni all'interno di essa: su ciascuno di questi temi "I<br />
Siciliani" si sono impegnati non solo col giornale, ma promuovendo una<br />
serie di spazi organizzativi - "Siciliani/giovani", l'"Associazione I Siciliani"<br />
- che potessero contribuire, nel rispetto delle scelte ideali di ciascuno, a<br />
coagulare nuovi livelli civili e culturali nelle componenti migliori della<br />
società siciliana. Su tutti questi terreni, oltre che nella denuncia puntuale dei<br />
vari nodi del potere mafioso, "I Siciliani" hanno lavorato con tutte le loro<br />
forze, con alterni successi ma sempre con totale dedizione e in assoluta<br />
autonomia politica e intellettuale.<br />
Oggi che i poteri mafiosi vanno sempre più arrogantemente alla<br />
restaurazione mentre sempre più evidente si la latitanza dello Stato, oggi<br />
che i giudici onesti vengono sempre più risospinti nella loro solitudine<br />
mentre gli amici di Lima e Drago tornano sul balcone, oggi che<br />
nell'indifferenza generale si giustiziano i bambini nelle città siciliane, i<br />
siciliani onesti hanno il dovere di non arrendersi, individualmente e<br />
collettivamente, alla Sicilia del potere, di lottare contro di essa e di<br />
contribuire a costruire, ognuno per la sua parte, la Sicilia di domani.<br />
L'esperienza e le idee de "I Siciliani" sono tuttora un patrimonio comune<br />
per tutte le componenti civili della società siciliana, e un punto di partenza<br />
per tutti coloro che non vogliono rassegnarsi alla Palude.<br />
Ri<strong>da</strong>re ai giornalisti onesti la possibilità di fare onestamente il loro<br />
mestiere, di informare senza censure su ciò che succede in Sicilia;<br />
ricostruire pazientemente, con una rete larga e articolata di esperienze, di<br />
dibattiti e di movimenti organizzativi, il tessuto della Sicilia civile;<br />
continuare la lotta per la pace, contro la mafia, per il lavoro, per la tutela<br />
dell'ambiente; muoversi coi giovani che ancora adesso, in Italia e altrove, si<br />
affacciano disordinatamente ma con immensa forza di cambiamento nella<br />
società; seguire le speranze che agitano l'umanità degli altri sud, delle altre<br />
Sicilie del mondo; collegare tutte le forze di cambiamento, riflettere su tutte<br />
le esperienze, an<strong>da</strong>re avanti insieme: ciascun cittadino siciliano, ciascuna<br />
forza antimafiosa, può ancora far molto, partendo anche <strong>da</strong>ll'esempio de "I<br />
Siciliani", su questa stra<strong>da</strong>.<br />
E' una stra<strong>da</strong>, noi crediamo, non isolata e non perdente. Assenti le<br />
istituzioni, contrastanti i partiti di governo, titubanti quelli di opposizione,<br />
ostili o muti i grandi mezzi di informazione, in tutti questi anni tuttavia non
solo un piccolo gruppo di giornalisti, ma migliaia e migliaia di cittadini<br />
hanno <strong>da</strong>to vita a qualcosa che non può essere cancellata <strong>da</strong>lla storia del<br />
Paese.<br />
C'è stato un movimento, in questi anni, in Sicilia, per la prima volta dopo<br />
molti decenni: un movimento che partendo <strong>da</strong>lla mafia e <strong>da</strong>l potere mafioso<br />
ha messo in discussione, senza zavorra d'ideologie ma con coerenza<br />
profon<strong>da</strong>, gli assetti di società e di potere su cui si basano l'infelicità di<br />
quest'isola e i mali oscuri dell'intero Paese. Di questo movimento civile,<br />
indifferente al Palazzo ma profon<strong>da</strong>mente radicato nella gente che vive<br />
fuori, "I Siciliani" sono stati una voce, e forse anzi la voce. Ora, non<br />
possono più esserlo <strong>da</strong> soli.<br />
La re<strong>da</strong>zione de "I Siciliani"
GLI ANNI DI GIUSEPPE FAVA<br />
1986<br />
Catania, un anno dopo l'effetto Dalla Chiesa, è ancora una città<br />
militarmente occupata <strong>da</strong>lla mafia. Esaurita la guerra fra i Santapaola-<br />
Ferrera e i Ferlito, esecuzioni sommaria (sovente precedute <strong>da</strong> tortura) e<br />
sparizioni provvedono a ripristinare il "rispetto" fra la miserabile malavita<br />
dei ghetti. La situazione politica, dopo la buriana provocata <strong>da</strong>ll'intervento<br />
di Dalla Chiesa sull'assessore Ferlito (parente del boss assassinato nel<br />
giugno dell'82 sulla circonvallazione di Palermo), torna a stabilizzarsi<br />
attorno ai vecchi assi del potere, basati essenzialmente sull'equilibrio fra i<br />
notabili storici alla Drago e i giovani "emergenti" alla Andò; pochissimi gli<br />
amministratori esenti <strong>da</strong> comunicazioni giudiziarie, ma assoluta fluidità -<br />
nonostante questo, e forse proprio per questo - del meccanismo politicoclientelare.<br />
Quanto agli imprenditori (i quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa di<br />
Fava) a suo tempo indicati <strong>da</strong>l generale come fruitori "del consenso della<br />
mafia", mostrano - adesso - un'immagine d'ostentata sicurezza. Nessuno fa<br />
più il loro nome in pubblico, e non solamente a Catania; accordi intercorsi<br />
con alcuni gruppi editoriali assicurano loro l'amicizia non solo di una parte<br />
della stampa isolana ma anche di quella nazionale.<br />
Il fronte dei cavalieri è ben lontano, in questa fase, <strong>da</strong>ll'essere omogeneo,<br />
ma non esiste ancora, tuttavia, alcuna forza che abbia la capacità, o anche<br />
soltanto l'intenzione, di puntare su queste divisioni per approfondirne i<br />
contenuti e fare politica su di esse. Sui cavalieri, dunque, si è ridisteso il<br />
silenzio: l'ordine regna a Catania.<br />
Eppure, qualcosa si muove. A livello istituzionale, intanto, il dopo Dalla<br />
Chiesa non è passato invano. Carabinieri e Guardia di finanza, in<br />
particolare, passano sotto nuovi comandi; in prefettura, Abatelli lascia il<br />
posto ad un "settentrionale"; gli ufficiali e i funzionari che negli anni passati<br />
sono stati di fatto emarginati nell'ordinaria amministrazione e cominciano a<br />
non sentirsi più isolato. Alcune in<strong>da</strong>gini, sia pure messe in moto <strong>da</strong> Palermo<br />
o <strong>da</strong> Roma, cominciano a lasciare il segno: Santapaola continua a restar<br />
latitante, ma in autunno un'operazione combinata di carabinieri e Finanza<br />
scompagina la "famiglia" Ferrera, il nucleo storico della mafia catanese; si<br />
riesce a far mettere sotto sequestro i beni della "famiglia" Santapaola<br />
(saranno peraltro dissequestrati a dicembre).<br />
Questi primi timidi segni di disgelo nelle istituzioni incoraggiano, o<br />
almeno non frenano come per l'addietro, ciò che - in maniera ancora<br />
confusa e occasionale - s'agita nella coscienza cittadina. Catania non è città
mafiosa. L'immagine tradizionale che i catanesi hanno di se stessi è quella<br />
di una città convulsa, senza grandi ideali, probabilmente cinica - ma non<br />
violenta. Ancora nella metà degli anni settanta, la criminalità locale ha i<br />
connotati culturali della malavita, non della mafia; catanesi sono<br />
tradizionalmente i grandi truffatori e falsari, non i killer; sbarcano sigarette,<br />
non eroina.<br />
Con l'effetto Dalla Chiesa il catanese medio scopre improvvisamente la<br />
realtà; la droga, la mafia, l'imprenditoria mafiosa. E' una realtà difficile <strong>da</strong><br />
accettare, che suscita nell'immediato un sentimento d'incredulità, poi di<br />
rimozione: su di esso, non a caso, cercheranno esplicitamente di far leva<br />
(campagne "per Catania diffamata", per "gli imprenditori che <strong>da</strong>nno<br />
lavoro") le forze di fiancheggiamento del potere mafioso. Il fondo della<br />
cultura catanese è tutto sommato sano, non inquinato come altrove <strong>da</strong><br />
quarant'anni di dominazione (non solo "militare") mafiosa. La gente, qui,<br />
prova ancora disagio a convivere con una simile realtà; la rimuove, ma non<br />
l'accetta; ed è ancora disponibile, se gliene si offre la possibilità, a discutere,<br />
a ragionare, a non rifiutare eventualmente la mobilitazione. Ed è proprio qui<br />
che s'innesta il lavoro, e la funzione, di Giuseppe Fava.<br />
Intellettuale di estrazione popolare (padre maestro, nonno contadino)<br />
Fava è tutto fuorché un uomo di potere, di qualunque potere. Provocatorio,<br />
guascone, all'occorrenza sfrontato; non privo - a conoscerlo - d'una sua<br />
antica, e assai siciliana, riflessività; profon<strong>da</strong>mente "romantico" ma nello<br />
stesso tempo "impegnato", come nessun altro in quel momento, a Catania.<br />
Nell'autunno del 1983 Fava non è un isolato. E' riuscito a concludere tutto<br />
sommato vittoriosamente l'esperienza del "Giornale del sud", il quotidiano<br />
alternativo (poi riassorbito <strong>da</strong>ll'editoria costituita) del 1980-81, a uscirne,<br />
con un profondo gesto di rottura; a "usare" l'esperimento del quotidiano, e la<br />
stessa sua traumatica conclusione, per consoli<strong>da</strong>re un primo nucleo di<br />
giornalisti veri e una prima consistente fascia di opinione pubblica<br />
disponibile. E questo in una situazione in cui la stampa "ufficiale" tace<br />
sistematicamente, per esempio, o altrettanto sistematicamente sottostima<br />
tutte le notizie relative all'attività dei clan mafiosi. E' riuscito a imporre, al<br />
centro del dibattito culturale cittadino, il suo ennesimo lavoro teatrale di<br />
denuncia, l'"Ultima violenza" (forse la più plastica rappresentazione<br />
esistente della mafia metropolitana); è riuscito soprattutto a lanciare e<br />
consoli<strong>da</strong>re fra mille difficoltà il suo primo strumento veramente collettivo,<br />
quello su cui ha saputo coagulare non solo una generica opinione<br />
"antimafiosa", ma il preciso impegno militante di un gruppo di giovani<br />
giornalisti, la rivista "I Siciliani".<br />
Osteggiata in tutti i modi <strong>da</strong>i poteri costituiti (l'ente regionale preposto
concede un prestito: ma in tempi tali <strong>da</strong> renderlo, oggettivamente un<br />
sabotaggio) il mensile si impone intanto, grazie alla soli<strong>da</strong> professionalità di<br />
Fava, come un prodotto editorialmente valido, difficile <strong>da</strong> emarginare, non<br />
velleitario. I contenuti vanno <strong>da</strong>ll'inchiesta di mafia a quella sulla vita<br />
quotidiana, <strong>da</strong>l servizio su "i cavalieri di Catania e la mafia" a quello su "le<br />
donne siciliane e l'amore", in una miscela originalissima di "popolarità" e<br />
militanza. Convergono tutti, in sostanza, verso una sorta di nuovo<br />
sicilianismo, nettamente democratico e progressista, e sicuramente europeo:<br />
per qualche verso analogo - nella diversità di tempi e situazioni - al<br />
rivoluzionario e antifascista "sardismo" di Lussu; e con un'attenzione al<br />
privato e ai movimenti profondi del sociale, con un colore caldo (ma<br />
tuttavia "illuministico") della scrittura che ricor<strong>da</strong>no, ma con più popolari<br />
radici, certo "giornalismo" pasoliniano.<br />
Nell'autunno 1983, I Siciliani sono già una forza che aggrega, e che<br />
disturba. Un dibattito "politico" ampio e articolato viene aperto, per la prima<br />
volta, fra le componenti della <strong>sinistra</strong> già schierate (e per molti versi ancora<br />
legate ad antichi limiti di diffidenza e di minoritarismo) e quelle ancora in<br />
formazione; denunce specifiche e puntuali vengono portate avanti, senza<br />
cercare lo scoop ma elaborando sistematicamente i <strong>da</strong>ti esistenti, sui punti<br />
no<strong>da</strong>li del sistema di potere politico-finanziario della mafia. L'esigenza<br />
d'una iniziativa della magistratura per far luce, coi poteri conferiti <strong>da</strong>lla<br />
legge La Torre, all'interno delle banche siciliane "pubbliche" e private; le<br />
inchieste sul (malcerto) funzionamento di parte del Palazzo catanese e la<br />
difesa a oltranza, corrispettivamente, dei magistrati impegnati contro la<br />
mafia; l'indicazione, inoppugnabilmente documentata, delle agevolazioni<br />
finanziarie concesse <strong>da</strong>i politici ai mafiosi; l'appassionata rivendicazione del<br />
diritto alla pace cioè- nel momento in cui Comiso diventa obiettivo, e<br />
strumento d'olocausto - del diritto alla vita; i resoconti periodicamente<br />
aggiornati, senza iattanza e senza timore, sui Santapaola, sui Greco, sui<br />
Salvo, sui Costanzo, sui Rendo: su tutto ciò Fava riesce a rendere omogenei,<br />
nella Sicilia degli anni ottanta, una dozzina di giornalisti ed alcune decine di<br />
migliaia di lettori.<br />
E' ancora presto per valutare esattamente il peso che ha avuto,<br />
nell'evoluzione della società siciliana e catanese in particolare, questo punto<br />
di riferimento "improvvisamente" (ma in realtà portato <strong>da</strong>ll'evoluzione degli<br />
eventi: nulla viene mai a caso, e nemmeno gli uomini) apparso sulla scena.<br />
Fra il novembre e il dicembre del 1983, comunque, i primi contatti con altri<br />
settori del movimento democratico - cooperative, sin<strong>da</strong>cati - assicurano<br />
ormai alla rivista una ragionevole certezza di continuità. Esattamente nello<br />
stesso periodo gli assetti istituzionali, a Catania e fuori, attraversano il loro
momento di maggiore instabilità. A metà dicembre, per esempio, un<br />
intervento pubblico e pubblicizzato <strong>da</strong>l potere esecutivo mette - di fatto - in<br />
condizioni insostenibili il magistrato che, <strong>da</strong> Trento, aveva fatto maggiori<br />
progressi nell'in<strong>da</strong>gine sulle connessioni fra mafia e potere. Altri segnali,<br />
minori, concor<strong>da</strong>no.<br />
E' indubbio che al di là delle specifiche tematiche di volta in volta agitate<br />
<strong>da</strong>lla rivista di Fava (alcune molto e immediatamente incisive: per esempio<br />
tutte quelle in qualche modo connesse con i controlli bancari), ciò che, nella<br />
situazione di instabilità che il potere mafioso attraversa in questi mesi, non<br />
si può ulteriormente tollerare è la stessa esistenza della rivista I Siciliani, il<br />
punto di riferimento che essa già rappresentava e quello che potrebbe<br />
maggiormente rappresentare in futuro. A differenza di tanti sedicenti esperti<br />
di politica e di istituzioni, la mafia è in grado - non per la prima volta -<br />
d'individuare un obiettivo storico, di percepire con lucidità l'immediata<br />
rilevanza - e, per essa, pericolosità - di una mobilitazione per intanto poco<br />
più che potenziale, ma fra non molto inarrestabile. Non è <strong>da</strong> escludere che,<br />
in tale percezione, non siano mancati suggerimenti e segnali d'allarme anche<br />
<strong>da</strong> ambienti non propriamente - non esplicitamente - mafiosi. Come sarebbe<br />
stato possibile imporre una gestione di comodo a un assessorato o a un<br />
pubblico ufficio sapendo che una tale gestione sarebbe stato sottoposta, e<br />
non episodicamente, al controllo dell'opinione? Come sarebbe stato<br />
possibile salvare la libertà del capitalismo "selvaggio" di fronte a una<br />
magistratura solerte, in possesso di strumenti appropriati, e continuamente<br />
pungolata <strong>da</strong> libere voci? Come sarebbe stato possibile continuare a<br />
controllare lo stesso braccio "militare" dell'Organizzazione, se non si fosse<br />
stati in grado di garantirgli, oltre che l'impunità, anche il silenzio-stampa?<br />
Infine: rassegnarsi ad avere a Catania una sentinella e un nemico come -<br />
all'altro capo dell'isola, e per la vecchia mafia - fu il giornale l'Ora, e per<br />
decine di anni; o attaccare il male alla radice, prevenire il nemico, stroncare<br />
il movimento antimafioso prima che possa condensarsi attorno ad una<br />
bandiera?<br />
Unico errore di valutazione: i tempi. Alla fine dell'83, il processo era<br />
ormai troppo avviato. Uccidere un uomo sarebbe servito a qualcosa nell'80,<br />
nell'81, forse ancora nell'82. Ma <strong>da</strong>ll'autunno di Dalla Chiesa la coscienza<br />
popolare era oramai in crescita: non le era più indispensabile un uomo, o un<br />
gruppo di uomini. Come certi fiumi sotterranei che risgorgano molto<br />
lontano <strong>da</strong> dove li hai veduti immergersi, e son sempre gli stessi: così quei<br />
visi di studenti siciliani, quelli dei primi timidi temerari cortei dell'ottobre<br />
'82, li rivedremo improvvisamente a Catania il 6 gennaio 1984. Esattamente<br />
gli stessi, ma con più coraggio e più forza, e più speranza di vincere, perché
un anno, in certe confluenze della storia, non va via invano. Ma questo,<br />
loro, non potevano saperlo.<br />
Aveva conosciuto, anche quel giorno, delle persone nuove ed aveva<br />
parlato con loro, imparandone qualcosa, probabilmente, ed insegnando loro<br />
qualcosa. La giornata era stata impiegata prevalentemente con sin<strong>da</strong>ci di<br />
paese e con distratti assessori; qualcuno di loro, forse, avrebbe<br />
magnanimamente acconsentito a contrattare qualche centinaio di migliaia di<br />
lire di pubblicità - di quei pochi denari viveva l'impresa che faceva tremare<br />
la mafia. Lascia il giornale, quella sera, su una vecchia automobile prestata:<br />
perché la sua era <strong>da</strong>vvero oramai troppo logora. Giuseppe Fava, scrittore, di<br />
cinquantanove anni compiuti, figlio di maestri di scuola e nipote di<br />
contadini, muore per il suo paese alle ore 22,20 del 5 gennaio 1984.
IL VATE E IL POTERE<br />
Società Civile, 1987<br />
Lasciamo perdere la letteratura, e vediamo i fatti.<br />
Borsellino. Sciascia mette sotto accusa la nomina del giudice Borsellino a<br />
Marsala perchè non ha abbastanza scatti di anzianità. In provincia di<br />
Trapani, negli ultimi tempi, sono emerse le piste più interessanti sui concreti<br />
rapporti fra mafia e politica: una loggia massonica di tipo piduista e una<br />
banca coi dirigenti mafiosi. Il trapanese è un crocevia importantissimo per<br />
gli equilibri mafiosi di alto livello; forse il più importante. Catanesi e<br />
palermitani vi operano con tutti i loro mezzi, tanto militari quanto<br />
finanziari. L'ultimo "professionista dell'antimafia" che ha cercato di<br />
In<strong>da</strong>garci è stato il giudice carlo Palermo; minacciato, bombar<strong>da</strong>to e infine<br />
costretto - non innocente il governo - a cambiare praticamente mestiere. Ora<br />
tocca a Borsellino. Del quale, dice Sciascia "nel momento in cui ho scritto<br />
nulla sapevo".<br />
Orlando. Non si tratta di generiche polemiche sul nongoverno. In questo<br />
momento, in Sicilia, il gioco politico è incontestabilemente nelle mani<br />
dell'onorevole Salvo Lima. Ha vinto le elezioni, sfrutta le fortune di<br />
Andreotti, è fortissimo nel partito. Adesso, nel momento in cui il Pci<br />
siciliano è allo sbando, scavalca tutti e propone alla Dc un'apertura ai<br />
comunisti. Il nome di Lima, come Sciascia sa, ricorre qualche decina di<br />
volte nei verbali dell'antimafia; adesso è quello del nuovo candi<strong>da</strong>to alla<br />
gui<strong>da</strong> del "rinnovamento" cattolico. Unico ingranaggio incompatibile, in<br />
questo meccanismo, è il sin<strong>da</strong>co Orlando: isolato, sotto tiro, scomodo per<br />
tutti, è nondimeno il segno di qualche cosa; bisogna passare su di lui prima<br />
di <strong>da</strong>r corso ufficiale alla restaurazione. E Sciascia individua in Orlando, qui<br />
e ora, il politico <strong>da</strong> contrastare. E' suo diritto, naturalmente; e anche di<br />
Lima, del resto; ognuno fa politica come può. Che "Sciascia non fa politica,<br />
d'altra parte, è un mito <strong>da</strong> sfatare. Adesso, per esempio, Sciascia fa sapere di<br />
avere il sostegno di quei sin<strong>da</strong>calisti palermitani che <strong>da</strong> tempo cercano di<br />
opporre all'incontrollabile" (e indipendente) coordinamento antimafia un<br />
loro più malleabile comitato concor<strong>da</strong>to fra le forze politiche ufficiali.<br />
Processi. I processi alla mafia andranno, probabilmente, allo sfascio; non<br />
per una qualche metafisica "mostruosità giuridica" ma perché, più<br />
semplicemente, si sarà infine riusciti a impedirne il regolare svcolgimento.<br />
A Messina, fra imputati, legali e testimoni, i morti ammazzati sono già<br />
mezza dozzina; a Palermo si è bloccato il processo per ottenere la lettura in<br />
aula di tutti gli atti: ma una volta ottenutala... gli atti sono stati letti in mezzo<br />
a un'aula deserta. Garantismo? Furberia <strong>da</strong> piccola pretura? Mah.
D'altronde, sono tattiche difensive giustificabili, probabilmente, sul piano<br />
del rapporto professionale fra l'avvocato e il cliente, che paga e vuol essere<br />
ben servito; soltanto, non ci sembra il caso di proporle come modelli di<br />
civismo e democrazia.<br />
Democrazia. Per quanto strano, qualche po' di questa merce, in questi<br />
anni feroci, è attivato perfino in Sicilia. Gli studenti che hanno fatto i cortei<br />
(ma: "i ragazzi bisogna lasciarli a scuola" ammonisce Sciascia) hanno<br />
imparato, perlomeno, che la cosa pubblica attiene a ciascuno di noi; qualche<br />
professionista ha pur rischiato la pelle per svolgere onestamente la sua<br />
professione; qualche giornalista ha pur stampato per quattr'anni a<br />
duecentomila al mese per poter scrivere senza censure; una donna<br />
qualunque è pur an<strong>da</strong>ta, in feroce solitudine, al tribunale per denunciare -<br />
peraltro invano - gli assassini di suo marito; duecento cittadini comuni -<br />
insultati <strong>da</strong> Sciascia, guar<strong>da</strong>ti con sufficienza <strong>da</strong>lla <strong>sinistra</strong> perbene,<br />
denunciati alal mafia <strong>da</strong>l Giornale di Sicilia - hanno pur trovato il coraggio,<br />
vivendo a Palermo, di essere il Coordinamento Antimafia. Questa è la<br />
democrazia, cari amici milanesi, una democrazia per cui si può anche<br />
morire in Sicilia, come in Polonia o in Cile. Perché in Sicilia, purtroppo,<br />
oggi come oggi c'è ben poco <strong>da</strong> garantire; la Costituzione, qui, non ha mai<br />
avuto vigore se non nei discorsi ufficiali. Unico potere reale: i Rendo e i<br />
Lima. Unica reale opposizione: i movimenti antimafiosi.<br />
Certo, è una democrazia, la nostra, che Sciascia non può comprendere. "I<br />
ragazzi a scuola!". Certo: e i preti a dir messa, e i sin<strong>da</strong>ci chiusi in<br />
municipio, e i cittadini tranquilli, e le donne a casa; ciascuno al proprio<br />
posto, nella migliore delle Sicilie possibili. E i giudici? I giudici a farsi i<br />
loro processi in santa pace, lontani <strong>da</strong> ogni curiosità indiscreta: "non resta<br />
che applicare il pieno e intero segreto istruttorio. La rescissione di ogni<br />
legame, a parte le eventuali conferenze stampa fra giudici e giornalisti...": il<br />
regime, insomma, nel nome delle garanzie; e al più con qualche mafioso<br />
"all'antica", alla don Mariano Arena, raccontato in pensose pagine al<br />
pubblico italiano.<br />
Non c'è una lapide, in Sicilia, non una piccolissima piazza che ricordi,<br />
tanto per dirne una, uno scrittore come Giuseppe Fava; anche lui siciliano<br />
come Sciascia, ma in ben diverso rapporto col potere mafioso; ucciso, e<br />
dimenticato. Per Sciascia, il potere s'è mosso, e con molto senso della<br />
tempestività: fra le molte istituzioni della Regione siciliana <strong>da</strong> ora ci sarà<br />
anche una Fon<strong>da</strong>zione Sciascia, inaugurata in pompa magna <strong>da</strong>i rispettabili<br />
esponenti del buongoverno siciliano.<br />
Sarebbe interessante studiare come mai tanta parte della letteratura<br />
italiana finisca, prima o poi, in feluca; e come mai il <strong>da</strong>nnunzianesimo - il
giudizio apodittico, la superficialità nel <strong>da</strong>r rapido conto di ciò su cui altri<br />
travaglia la vita, la facilità a <strong>da</strong>r dell'asino o del criptocomunista al<br />
diversamente pensante - abbia ancor tanto corso tra l'ufficialità intellettuale<br />
del Paese, e come mai soprattutto i problemi più seri <strong>da</strong> noi finiscano<br />
regolarmente in letteratura <strong>da</strong> terza pagina, in intrattenimento televisivo, in<br />
"spettacolo" culturale. Perché insomma in Italia, prima o poi, le questioni<br />
controverse finiscano sul tavolo del Vate Nazionale di turno, ex garibaldino<br />
o ex futurista o ex illuminista che sia.<br />
Una cosa soprattutto ha destato scan<strong>da</strong>lo nel comunicato del<br />
Coordinamento antimafia di Palermo (quello "ingenuo", intendiamo, quello<br />
<strong>da</strong> cui era cosi' "facile" dissociarsi), il fatto che fosse stato re<strong>da</strong>tto <strong>da</strong> due<br />
studenti e un commerciante: gente ordinaria, ohibò!, certo strumentalizzata,<br />
ma <strong>da</strong> compatire. A me va benissimo che a prendere la parola, oltre ai<br />
Grandi Intellettuali di turno, siano anche gli studenti e i bottegai;<br />
specialmente quando rischiano ogni giorno la pelle in una città tradita. Mi<br />
piacerebbe se la <strong>sinistra</strong> civile su questa e su altre questioni desse loro,<br />
umilmente, qualche po' di attenzione.
L'ESPERIENZA DEI SICILIANI<br />
1987<br />
Parlare di esperienza ha il tono d'epitaffio, cioè è stata una cosa bella,<br />
simpatica, coraggiosa, che adesso si può mettere tra due fogli d'album e si<br />
conserva. La storia dei Siciliani è una storia segnata <strong>da</strong> profonde immaturità<br />
e <strong>da</strong> grandi debolezze perché eravamo pochi, periferici, e ci siamo trovati<br />
d'improvviso in un mare che non era il nostro, con problemi specifici locali,<br />
Catania non è Palermo, <strong>da</strong> certi punti di vista è peggio, <strong>da</strong> altri punti di vista<br />
la vicen<strong>da</strong> è stata come un'esplorazione che vale per tutti, io credo, e che ha<br />
acquisito un salto di qualità in quella che io sono stufo di chiamare "lotta<br />
alla mafia", che in effetti è anche lotta per qualche cosa. E per che cosa?<br />
Ecco, la storia dei Siciliani è anche in questa doman<strong>da</strong>: qual'è l'alternativa,<br />
l'obiettivo, storico, non arbitrario, non derivante <strong>da</strong>lla fantasia o <strong>da</strong>gli studi<br />
elitari di qualcuno, ma scaturente <strong>da</strong>lla struttura della società, qual'è questo<br />
salto di qualità che, in qualche modo, può servire <strong>da</strong> orizzonte?<br />
Naturalmente noi non abbiamo mai teorizzato, il tempo delle teorizzazioni è<br />
passato, è abbiamo cercato di mettere insieme tanti frammenti, tanti pezzetti<br />
d'esperienza, tante ipotesi, verificate o no.<br />
La prima fotografia è quella di una sera come tutte le altre, con Antonio<br />
che ha appena finito il suo pezzo e si alza per an<strong>da</strong>rsene via, con Claudio<br />
che sta dicendo qualcosa a Garilli, il nostro tipografo, quarant'anni di lavoro<br />
a Milano, è tornato perché voleva fare qualcosa in Sicilia, Lillo che, come al<br />
solito, sta litigando con l'altro tipografo, Miki sta facendo ancora un pezzo,<br />
il direttore è arrivato verso le otto, contento perché ha strappato <strong>da</strong>l sin<strong>da</strong>co<br />
di un paesino un contratto pubblicitario di 150.000 lire, che avrebbero<br />
pagato nel giro di un mese: eravamo felici, perché, facendo i conti, quel<br />
mese avremmo avuto quasi un milione e duecentomila di pubblicità: in quel<br />
momento è entrata la fotografina, che era stata col direttore a fare queste<br />
foto pubblicitarie, io ero scocciato, non ricordo per quale ragione, c'era<br />
Antonio sulla porta, "be', mi <strong>da</strong>i un passaggio, be', ci vediamo domani<br />
allora".<br />
La telefonata è arrivata alle dieci e mezza e, in questi casi, credo che la<br />
fisiologia dell'uomo ha le sue salvezze. Alle undici mi trovavo a fare il mio<br />
mestiere di cronista di nera e a rilevare distanze, a ricostruire traiettorie, a<br />
parlare con i testimoni, con i poliziotti; alle undici e un quarto eravamo<br />
all'ospe<strong>da</strong>le, molto calmi, c'erano delle cose <strong>da</strong> fare. Verso l'una e mezzo di<br />
notte ci siamo ritrovati, senza <strong>da</strong>rci alcuna indicazione, perché la sede ci<br />
faceva paura, a casa di una nostra amica, la signora Roccuzzo, che ha<br />
preparato il tè per tutti, e abbiamo cominciato a discutere: Lillo Venezia ha
detto che bisognava uscire subito, qualcun altro ha detto "in sede alla<br />
re<strong>da</strong>zione domani alle nove e mezzo". L'indomani trovammo <strong>da</strong>vanti alla<br />
sede un gruppo di ragazzi di un paesino in cui c'era la nostra tipografia, che<br />
erano venuti per fare la "diffusione militante" del giornale. Non sentivo <strong>da</strong><br />
parecchi anni la parola "militante", ero venuto a Catania per fare il<br />
borghese, non il rivoluzionario e alcuni meccanismi mentali si sono messi in<br />
moto: fare il giornale, organizzare la "diffusione militante", man<strong>da</strong>re subito<br />
qualcuno nelle scuole dove i ragazzi avevano le assemblee in corso.<br />
Un'altra fotografia potrebbe essere la nostra Cettina, che era a capo delle<br />
fotocompositrici, che piangeva e teneva in mano la strisciata delle<br />
fotocomposizioni, e così via. Uscita l'edizione straordinaria ci siamo trovati<br />
in una situazione che avevamo previsto molte volte, contro la quale nessuno<br />
di noi aveva la minima obiezione sul piano dell'analisi, è ovvio, siamo a<br />
Catania, c'è la mafia, la mafia ammazza, può capitare anche a noi, è nelle<br />
regole del gioco. Però una cosa è pensarlo, altra cosa è trovarsi<br />
improvvisamente immersi in una realtà che fa saltare ogni precedente punto<br />
di riferimento, impone per forza, a calci nel sedere, di cominciare a<br />
ragionare in modo radicalmente diverso. Alcune delle scelte fatte allora, non<br />
come scelte del momento, ma come scelte della realtà e come le uniche cose<br />
<strong>da</strong> fare in quel momento, erano scelte che, viste adesso, a cinque anni di<br />
distanza, hanno del miracoloso e sono come l'eredità che noi lasciamo al<br />
resto del movimento antimafioso. A partire <strong>da</strong> quel momento la re<strong>da</strong>zione si<br />
riunì ogni giorno, per tre quarti d'ora circa, per le riunioni operative, a turno<br />
qualcuno organizzava la scaletta con i punti <strong>da</strong> trattare, si <strong>da</strong>vano gli<br />
incarichi, poi si riferiva sugli incarichi del giorno prima, nel modo più<br />
naturale, senza che dovessimo obbligatoriamente schierarci per una<br />
posizione o per un partito.<br />
Nei primi giorni ci trovavamo totalmente isolati e ci siamo resi conto che<br />
non potevamo fare marcia indietro, che eravamo ormai troppo avanti e che<br />
l'avversario era estremamente potente, quindi dovevamo avere l'obiettivo<br />
immediato di moltiplicarci il più possibile, di esplodere, di non essere più<br />
giornale, ma di diventare, in tempi velocissimi movimento di massa. Come<br />
fare? Non eravamo politicizzati come gruppo, eravamo un giornale, non<br />
volevamo cadere nell'orbita ideologica di qualcuno, per motivi difensivi,<br />
dovevamo elaborare un'"ideologia" con obiettivi strategici intermedi e non<br />
ci aiutavano molto i libri, ma i ragazzini con cui parlavamo nelle assemblee<br />
nelle scuole eccetera. Nel giro di tre-quattro mesi si organizzò un mod di<br />
pensare molto caratteristico, basato sulle riunioni operative e su piccoli<br />
gruppi, non c'erano più di due o tre persone a fare la stessa cosa, con<br />
l'individuazione di una serie di obiettivi che centravano i punti di maggiore
contraddizione di una società mafiosa. Nostri interlocutori erano i ragazzi<br />
delle scuole, che non avevano il problema del posto o del lavoro, ma<br />
intendevano lottare per qualche cosa di più, una realizzazione della vita, una<br />
realizzazione di noi stessi: si trattava di una situazione emozionalmente<br />
molto alta che saltava i passaggi intermedi: il lavoro serve ad avere una<br />
sicurezza, una vita serena, mentre il ragazzino di liceo percepiva che si<br />
poteva essere immediatamente felici, che si poteva cercare immediatamente<br />
la sicurezza, che si potevano cercare subito alcune cose, non dopo il<br />
diploma o dopo il posto di lavoro, che si poteva avere molto senza bisogno<br />
di chiederlo a nessuno.<br />
Si formò così il movimento per i Centri Giovanili Autogestiti: si trattava<br />
di ragazzi che cercavano di aggregarsi intorno ad attività inventate sul<br />
momento. Grazie al lavoro della <strong>sinistra</strong> ufficiale non riuscimmo a<br />
conseguire l'obiettivo di occupare alcuni spazi, stabilimenti industriali<br />
abbandonati, perché questi locali erano già nell'ottica di, non vorrei usare la<br />
parola "intrallazzo", di un'operazione in cui doveva entrare l'Arci, un<br />
architetto di <strong>sinistra</strong>, che non andò mai in porto, ma sufficiente a mobilitare<br />
tutti contro il nostro tipo di progetto. Un'altra situazione contro cui ci<br />
trovammo a cozzare fu questa: sì, lottiamo contro la mafia, ma qui a Catania<br />
i mafiosi sono importanti, hanno le fabbriche, hanno i posti di lavoro in<br />
mano, e se acchiappano i mafiosi, che cavolo facciamo, le fabbriche<br />
chiudono e tutti a casa, discorso non di un professore, ma di una ragazzina,<br />
Sabina, figlia di un operaio di questi: rispondemmo elaborando una<br />
proposta alternativa, quella dell'utilizzo popolare dei beni mafiosi<br />
sequestrati, che dovevano essere posti sotto controllo di un organismo<br />
apposito e utilizzati per mantenere e aumentare l'occupazione. Questi due<br />
obiettivi, centri popolari autogestiti e utilizzazione alternativa dei beni<br />
mafiosi poi, due o tre anni dopo, divennero oggetto di conferenze, incontri,<br />
dibattiti della <strong>sinistra</strong> ufficiale, la Fgci, a fase conclusa, fece un bel<br />
documento sui centri giovanili e il Pci cominciò, timi<strong>da</strong>mente, a parlare di<br />
utilizzazione alternativa, ma nei sei mesi in cui questi obiettivi<br />
cominciavano ad aggregare forze, il ruolo della <strong>sinistra</strong> organizzata fu di<br />
netta e intransigente opposizione.<br />
Nella nostra storia abbiamo fatto <strong>da</strong> collettore, <strong>da</strong> canale catalizzatore, ma<br />
non erano nostre né le idee né la spinta che queste idee riuscivano a<br />
raccogliere: il solo nome dei Siciliani riuscì a coagulare, per un anno e<br />
mezzo circa una diversa <strong>sinistra</strong> che si basava sulla contraddizione reale<br />
esistente a Catania, tra il potere mafioso e la grande massa di coloro che <strong>da</strong><br />
questo potere erano espropriati. L'Associazione dei Siciliani, sorta<br />
parallelamente intorno al giornale, con intenti molto modesti, di aiutare
materialmente la diffusione, si trasformò rapi<strong>da</strong>mente in un'avanguardia<br />
politica che diventò un interlocutore ricercato <strong>da</strong>i partiti: ne facevano parte<br />
svariate persone, alcuni venivano <strong>da</strong>gli autonomi, altri erano liberali, altri<br />
comunisti in servizio permanente effettivo, altri cattolici: nel giro di pochi<br />
mesi queste componenti si erano omogeneizzate su ipotesi concrete, non<br />
tanto per la forza della nostra proposta, quanto per la debolezza delle<br />
proposte di partiti ufficiali.<br />
Ripensando a quegli anni ho una grande rabbia e un grande rimpianto: la<br />
rabbia è quella che, con il senno del poi, mi ispira la condotta della <strong>sinistra</strong><br />
ufficiale, quasi mai d'appoggio, qualche volta di sabotaggio, in ogni caso<br />
d'incomprensione totale; gli intellettuali che si raccolsero intorno all'ipotesi<br />
ebbero due tipi di comportamento, alcuni rimasero sino alla fine insieme a<br />
noi, quelli di <strong>sinistra</strong>, che non avevano mai fatto politica attiva eccetera,<br />
altri invece, alla prima possibilità, utilizzarono il peso nuovo acquisito<br />
individualmente, per precipitarsi in quella o questa soluzione di partito,<br />
molti in buona fede, ma con il risultato di bloccare lo sviluppo di un<br />
movimento a Catania, senza che nessuno peraltro riuscisse poi a spostare<br />
alcunché all'interno del palazzo in cui era entrato con il famoso obiettivo<br />
"cambiare <strong>da</strong>ll'interno".<br />
Sotto l'aspetto professionale I Siciliani erano già qualcosa di<br />
estremamente anomalo: il gruppo giornalistico nasce intorno al 1980, come<br />
gruppo dei cronisti del Giornale del Sud, con la precisa caratteristica della<br />
libertà d'iniziativa: non eravamo molto ortodossi come giornalisti, eravamo<br />
molto liberi nell'espressione, dopo una serie d'inchieste sulle carceri<br />
passammo per il "giornale della malavita", ed eravamo disponibilissimi a<br />
valerci delle fonti più svariate, per ultime quelle ufficiali; peraltro invece le<br />
esigenze del direttore erano ferocissime, l'orario di lavoro, teoricamente seisette<br />
ore, era assolutamente libero, ma per acquisire il fon<strong>da</strong>mentale diritto<br />
di an<strong>da</strong>re la notte in pizzeria, bisognava non an<strong>da</strong>re via <strong>da</strong>l giornale prima<br />
delle due di notte.<br />
Il giornale avversario era La Sicilia, il giornale dei cattivi, noi eravamo i<br />
buoni e non potevamo permetterci la minima svista, bisogna spesso creare<br />
la notizia, o far diventare notizia il crollo di un cornicione via Palermo 234,<br />
il direttore ci tirò fuori due pagine e mezzo bellissime perché la signora cui<br />
era caduto addosso il cornicione era la moglie di una guardia notturna,<br />
licenziata giorni prima per intrallazzi nella sua ditta, a pianoterra abitava un<br />
ragazzino arrestato pochi giorni prima per un furto, a sua volta "sciarriato"<br />
con il cognato per una storia di giornaletti pornografici rubati, insomma<br />
siamo stati su questa storia per quindici giorni scrivendo cose molto belle.<br />
Fummo licenziati tutti quando il direttore cominciò a fare campagna contro
la base di Comiso ed io contro Ferlito; ai Siciliani fu più dura, perché non<br />
avevamo una struttura organizzativa alle spalle, si an<strong>da</strong>va col biglietto<br />
d'an<strong>da</strong>ta per fare un'intervista, non si parlava d'alberghi o rimborsi, e<br />
tuttavia c'era questa forma di autodisciplina che ci spingeva a cercare e<br />
scrivere una cosa che nessun altro al mondo aveva.<br />
Non ci sentivamo, a partire <strong>da</strong>l direttore, dei grandi giornalisti e forse non<br />
ci sentivamo neanche dei giornalisti, ci sentivamo dei portavoce, gente che<br />
facesse un lavoro, diciamo per conto di qualcun altro: a questo buon<br />
mestiere ci siamo aggrappati soprattutto dopo il 5 gennaio 1984, lasciando<br />
entrare in dialettica, a nostra insaputa, due cose differenti, <strong>da</strong> un lato un<br />
livello molto alto di efficienza tecnica, le notizie erano buone e non sono<br />
mai state smentite, <strong>da</strong>ll'altro la necessità pressante di uscire <strong>da</strong>l ghetto, di<br />
essere punto di riferimento. Su questo abbiamo commesso infiniti errori, per<br />
lo più di timidezza nella campagna per la legge La Torre o nella vicen<strong>da</strong> dei<br />
Siciliani giovani, nato con un'assemblea di venti ragazzi, che alla secon<strong>da</strong><br />
assemblea erano diventati una sessantina e successivamente riuscì a<br />
coinvolgere 320 ragazzi. Eravamo molto forti su alcuni terreni, molto meno<br />
su altri, sul piano politico avevamo molta spinta, ma poca consapevolezza, e<br />
avevamo una fiducia smisurata nei cosiddetti intellettuali della <strong>sinistra</strong><br />
catanese, nel Pci, nei sin<strong>da</strong>cati, nella Lega delle cooperative: non erano<br />
l'ideale, ma altra cosa <strong>da</strong>lla Democrazia Cristiana, vuoi mettere? E tuttavia<br />
le delusioni erano frequenti. Questa situazione è durata per quattro anni,<br />
sino a quando non ci siamo trovati <strong>da</strong>vanti a una scelta: o arroccarsi nel<br />
mensile, che an<strong>da</strong>va bene, oppure giocare la carta del settimanale popolare,<br />
dove tutti potessero scrivere: abbiamo fatto tardi questa scelta, quando<br />
eravamo ridotti in pochi, isolati <strong>da</strong>lle forze politiche ufficiali. Era un brutto<br />
giornale sotto molti aspetti, fatto con mezzi deboli e in fretta.<br />
Per quanto riguar<strong>da</strong> la lotta alla mafia abbiamo portato, la realtà ci ha<br />
portato dei contenuti specifici, come nel caso dei "cavalieri di Catania": <strong>da</strong><br />
quando I Siciliani hanno cominciato a lottare, Rendo non è stato più il<br />
grande industriale progressista, la gente non ci crede più. C'era a Catania,<br />
non solo nel Pci, questa soli<strong>da</strong> convinzione: Catania è una città miserabile,<br />
africana, messicana, brasiliana, con i contadini col forcone, con Brancati, le<br />
donne vestite di nero, e quindi, giustamente, ci vuole la rivoluzione<br />
industriale, la borghesia moderna, ci vuole Rendo, non per un fatto di<br />
corruzione, ma per l'incapacità di elaborare un'analisi specifica sulla Sicilia,<br />
e così la maggior parte dei giornalisti del giornale di Rendo è iscritta al Pci.<br />
I "cavalieri" rappresentano una forma di potere mafioso, secondo me<br />
"ultima": la tipologia dei "cavalieri" catanesi, il tipo di potere, il tipo di<br />
rapporto mafia-politica si è sviluppato più tardi e più lentamente che a
Palermo, in una situazione più moderna, più metropolitana: Rendo è meno<br />
classico, meno radicato, ma molto più grosso di un Cassina, per esempio,<br />
opera con tipologie differenti.<br />
Un secondo contributo è stato quello del rapporto tra mafia e poteri<br />
occulti, per esempio la Massoneria, non privo di connessioni con il primo.<br />
Un terzo contributo, troncato <strong>da</strong>lla chiusura del giornale, è quello del<br />
rapporto "nuovo" tra mafia e politica: il rapporto tradizionale era di<br />
corruzione, nel senso che era il mafioso a corrompere il politico, il rapporto<br />
nuovo può essere inteso in senso opposto, cioè lo stato corrompe la mafia,<br />
ossia lo stato ha suoi interessi specifici, ad esempio l'intervento in un<br />
determinato scacchiere politico, tramite la fornitura di armi e si serve di<br />
strumenti a<strong>da</strong>tti, tra i quali può esserci qualche gruppo mafioso, collegato<br />
con l'imprenditorialità, cosicché il rapporto tra mafia e politica, le<br />
contraddizioni che ne conseguono, si spostano a livelli più alti, per cui,<br />
mentre ieri potevamo dire che il politico mafioso è Lima e che Andreotti è<br />
mafioso in quanto protettore di Lima, oggi possiamo dire che il politico<br />
mafioso è Andreotti e che Lima è mafioso in quanto dipendente <strong>da</strong><br />
Andreotti: diciamo che la mafia non è più un fatto parassitario dentro lo<br />
stato, ma tende ad inserirsi nel centro dello stato e, in taluni aspetti, a<br />
coincidere, quasi meccanicamente, con esso.<br />
Come in tutte le storie, diciamo pure come va a finire: I Siciliani non<br />
escono più <strong>da</strong> un anno e mezzo, è in corso una trattativa con la Lega delle<br />
Cooperative per fare un consorzio e rilanciare il giornale: alla fine il<br />
consorzio è stato fatto, ma con i "cavalieri" e non con noi e per tutte altre<br />
storie, per cui, proprio in questi giorni è partita una lettera di denuncia di<br />
questa trattativa; nel frattempo a Catania il giornale padronale, La Sicilia, ha<br />
cambiato direttore e ha cambiato il carattere delle testatine: questo è stato<br />
sufficiente a convincere i compagni perbene che La Sicilia era cambiata; il<br />
Pci sta facendo a Catania una buona campagna elettorale, con una bella<br />
lista, e con un programma in cui c'è la mafia a pagina uno, per dire che i<br />
commercianti sono incazzati per via delle estorsioni, e poi, <strong>da</strong> pagina due a<br />
pagina 143 un elenco di belle cose <strong>da</strong> fare. E' più o meno la nuova linea<br />
politica della Democrazia Cristiana, che non dice più a Catania che la mafia<br />
non esiste, che non bisogna fare in<strong>da</strong>gini sui "cavalieri", non spara più, il<br />
capolista è un signore perbene che fa parte del consiglio superiore della<br />
magistratura, tutto ritorna normale e si propone un grande patto con dentro<br />
il Pci: La Sicilia fa le lodi dei comunisti, i quali fanno le lodi de La Sicilia, è<br />
arrivato il pluralismo e anche nella stampa, perché non c'è più il giornale di<br />
Costanzo, ma anche il settimanale di Rendo, I Siciliani sono spariti, Antonio<br />
sta facendo un articolo per Il Manifesto, e forse glielo pagano, Claudio è
appena tornato <strong>da</strong>l Sud-America, dove ha cercato di raccogliere qualche<br />
cosa, Miki neanche questo, io sono qui, Elena ha abbandonato il mestiere e<br />
sta facendo le supplenze, ogni tanto ci si vede e si chiacchiera: ci siamo <strong>da</strong>ti<br />
appuntamento tra un anno, le idee sono tante e belle, siamo abbastanza<br />
ottimisti, e adesso sappiamo come si fa un giornale in Sicilia, cioè<br />
coinvolgendo centinaia di persone che giornalisti non sono, sappiamo che<br />
un giornale in Sicilia non ce lo farà nessuno e che potrà spuntare se un<br />
organismo collettivo, non legato al "palazzo", si porrà quest'obiettivo in<br />
tempi lunghi, lavorando intanto per realizzarlo senza sperare in vie di<br />
mezzo; sappiamo anche che <strong>da</strong>ll'aspetto tecnico si possono fare molte cose e<br />
con pochi soldi attraverso i computers.<br />
Quando abbiamo iniziato I Siciliani ci siamo indebitati per circa 250<br />
milioni, comportandoci <strong>da</strong> milanesi, rispetto a furbi milanesi che si sono<br />
comportati <strong>da</strong> catanesi: gli stessi materiali, con la stessa funzionalità, adesso<br />
si potrebbero trovare per 60 milioni. Infine, sul piano dell'esperienza di<br />
mestiere, per una volta voglio ricor<strong>da</strong>re persone di cui nessuno parla, Miki<br />
Gambino, il miglior cronista di nera in Sicilia, il nostro fotografo, Nuccio<br />
Fazio, la fotografina Giusi Spampinato, la nostro compositrice Cettina,<br />
adesso a Milano perché non ha più trovato lavoro, Mario Sparti, il nostro<br />
tipografo, il prof. D'Urso, il primo in Italia a intuire il rapporto tra logge<br />
massoniche e mafia. Insomma un'esperienza come la nostra ha coinvolto<br />
tante persone ed ha lasciato in ognuno qualcosa: io penso che saranno loro a<br />
girare la prossima puntata.
LETTERA A UN DIRIGENTE COMUNISTA<br />
1988<br />
Caro * * *<br />
le mie critiche - fra compagni - al vostro lavoro riguar<strong>da</strong>no<br />
essenzialmente quattro punti, che vorrei cercare di esporti.<br />
1. Quanti sono i cavalieri? Solo Graci, Costanzo e Finocchiaro, oppure<br />
anche Rendo? Non è una questione <strong>da</strong> poco. Eppure, io temo che non siano<br />
molti oggi i vostri compagni in grado di rispondere in maniera univoca a<br />
questa doman<strong>da</strong>. I motivi sono molti e non necessariamente deplorevoli: un<br />
aspetto molto positivo della tradizione comunista è la tendenza a<br />
disaggregare l'avversario, a non considerarlo monolitico. E, nel momento in<br />
cui tu e Adriana siete in scontro diretto coi tre, e la linea su Graci e<br />
Costanzo è d'attacco, si potrebbe anche pensare a dei nemici <strong>da</strong> attaccare<br />
subito, e altri in un secondo momento. Ma la faccen<strong>da</strong> è diversa.<br />
Io temo fortemente che salvare Rendo ("democratico", "costretto", "con<br />
cui si può ragionare") sia l'equivalente attuale della ideologia di appena<br />
dieci anni fa, secondo cui i cavalieri ("moderni" rispetto agli agrari o ai<br />
Massiminio) erano l'equivalente locale della famosa borghesia produttiva,<br />
oggettivamente interessate al cambiamento, con cui si può utilizzare se non<br />
un'alleanza quanto meno una temporanea convergenza d'interessi. Quel<br />
modo di pensare allora portò al disastro, e aprì i varchi a un compromesso<br />
più strutturale che praticamente tagliò fuori il Pci catanese <strong>da</strong> ogni<br />
possibilità d'opposizione. Ieri i cavalieri nel loro complesso, e oggi Rendo<br />
(e Ciancio, e Conservo ecc.)? State attenti. Voi oggi vi state finalmente<br />
battendo, e hai visto che già non è facile portare il partito contro Costanzo:<br />
ma non lasciate questa mina vagante sulla vostra rotta, perché non potreste<br />
gestirne in alcuna maniera le conseguenze di medio e lungo periodo. Io<br />
sono a Catania <strong>da</strong> nove anni: all'inizio litigavo con voi perché non volevo la<br />
pubblicità di Costanzo alla festa dell'Unità; e poi <strong>da</strong>gli altri cavalieri, e poi<br />
di Rendo. Certo, il tempo passa, ma vorrei che passasse più in fretta.<br />
Scusa le cattiverie. Il fatto è che voi in questo momento non avete affatto<br />
una linea chiara e inequivocabile su Rendo, e sono in molti ad avere<br />
interesse che possibilità d'equivoco ci sia. E' chiaro l'orientamento del<br />
nuovo (radicato?) gruppo dirigente catanese. Non lo è affatto quello<br />
dell'area comunista (professioni, cooperative, sin<strong>da</strong>cato) nel suo complesso,<br />
senza il quale ci si salva l'anima individualmente ma non si fa peso.<br />
2. Io non vi accuso di farvi pagare la sede <strong>da</strong> Costanzo. Mi piacerebbe,<br />
perché in tal caso la faccen<strong>da</strong> sarebbe relativamente facile <strong>da</strong> sanare - un<br />
problema "di polizia", non politico. Purtroppo, il problema è invece di
struttura. La grande maggioranza del mondo delle professioni catanese - in<br />
cui il vostro ceto dirigente è inserito quasi interamente - era dieci anni fa, e<br />
in misura notevole è tuttora, del tutto organica al sistema di potere dei<br />
cavalieri. Non nel senso di una corruzione spicciola, che in alcuni casi non<br />
poteva mancare ma che è patologia. Ma nel senso di una sostanziale<br />
identificazione del proprio status professionale e sociale con l'implicita<br />
accettazione del regime vigente - che qui, per avventura, è mafioso. Questo<br />
non appartiene più alla patologia del sistema, ma alla sua fisiologia; e<br />
richiede quindi, per essere contrastato, interventi molto più consapevoli,<br />
"esemplari" e radicali.<br />
A me non interessa affatto se un professor Barcellona, come suo otium,<br />
produca uno o più poemetti di filosofia rivoluzionaria: anche i nostri baroni<br />
del '700 erano spesso "illuministi" (ma sul feudo facevano i baroni).<br />
M'interessa semplicemente che pren<strong>da</strong> posizione contro il giornale dei<br />
padroni, o perlomeno che non faccia <strong>da</strong>nno. A me non interessa che un<br />
avvocato, un architetto, un giornalista "scen<strong>da</strong>no in piazza contro la mafia";<br />
m'interessa quel che fanno in ciascuno degli altri trecentosessantaquattro<br />
giorni come avvocato, come architetto, come giornalista. Chi sono i loro<br />
clienti, per chi e cosa lavorano, chi li paga - non di notte al bar del porto, ma<br />
alla luce del sole e nell'esercizio delle loro funzioni.<br />
Ma la neutralità del tecnico, ma il proprio privato, ma la professionalità...<br />
Tutte cose sante e benedette. Però nel trentasei un comunista non avrebbe<br />
costruito la villa di un Farinacci. Intanto, non gliel'avrebbero chiesto; e poi<br />
il partito l'avrebbe comunque espulso, col massimo della pubblicità<br />
consentita <strong>da</strong>lle circostanze. E anch'io faccio il professionista: ma so<br />
scegliermi i miei clienti. Certo, non è agevole: la struttura sociale, qui, non<br />
lascia molto spazio fra integrazione ed emarginazione. Ma non sono stato io<br />
a inventare Catania. E nessuno è tenuto a fare il comunista se non se la<br />
sente. A Bronte c'erano i "berretti" e c'erano i "cappelli"; e c'erano i<br />
borbonici e c'erano i liberali. I "cappelli" liberali parlavano molto bene, ma i<br />
contadini intuivano che il notaio prima è notaio e poi è liberale: come<br />
potevano credere nella "Talia"?<br />
E' questo il nocciolo del problema. Non è un problema "comunista" e<br />
neppure propriamente "politico", ma semplicemente una questione di classe.<br />
Nella <strong>sinistra</strong> catanese, a un certo punto, è diventata opinione comune<br />
(favorita <strong>da</strong>lla particolare ideologia di cui s'è detto sopra) che fosse<br />
possibile e comunque tollerabile servire contemporaneamente l'opposizione<br />
e i cavalieri. Su questo "senso comune" (di classe!) si è innestato il decennio<br />
di compromesso fra area comunista e cavalieri. Compromesso strutturale,<br />
non culturale. Io credo, adesso, alla vostra volontà di rimuoverlo. Ma questo
si può fare, solo in maniera traumatica: il genero di Breznev non è stato<br />
allontanato alla chetichella, ma è finito in galera.<br />
L'esempio del caso Leone, in questo quadro, è illuminante. Io vi avevo<br />
pur passato la palla buona: voi avreste potuto riprendere in maniera<br />
altrettanto felice l'iniziativa: avevate le carte per un gesto clamoroso, utile,<br />
vincente. Avete preferito lavare i panni sporchi in famiglia, nell'ingenua<br />
convinzione del minor <strong>da</strong>nno. Leone, naturalmente, alla fine è passato ai<br />
craxisti, gestendo lui fino all'ultimo il proprio rapporto col partito: prima vi<br />
ha usato stando con voi, poi lasciandovi; il <strong>da</strong>nno per il partito, prima e<br />
dopo, è stato incalcolabile. Io pezzo isolato, prima l'ho contrastato come<br />
infiltrato, poi vi ho <strong>da</strong>to modo di liberarvene; voi abili dirigenti di partito<br />
prima l'avete lasciato fare, poi non siete stati capaci di ricavare almeno il<br />
vantaggio politico della sua espulsione.<br />
Non è ozioso aggiungere che i miei interventi su Leone, e su altro, io li ho<br />
pagati. Prima, quando attaccavo Leone, facendovi la nomea di<br />
rompicoglioni presso il gruppo dirigente (non innocente) del partito; e ora,<br />
quando "ho sbattuto sul tavolo di Colajanni" le carte che vi avrebbero<br />
dovuto indurre a espellerlo, attirandomi l'ostilità dei vecchi dirigenti e dei<br />
nuovi. Tu sai che Mancuso, a Palermo, si sentì apostrofare "Ma perché<br />
appoggiate quel mascalzone di Orioles?" <strong>da</strong> una vostra autorevole<br />
esponente? Sai che Rizzo minacciò la crisi se orlando avesse <strong>da</strong>to corso al<br />
suo progetto di farmi fare un giornale? E che fino a due mesi fa dirigenti<br />
meno autorevoli del partito palermitano hanno fatto pressioni molto serie<br />
nello stesso senso? Io ho perso l'ultima occasione di restare in Sicilia,<br />
perché alcuni dirigenti del partito comunista palermitano lo hanno impedito,<br />
o hanno concorso ad impedirlo: non accuso il partito per questo, ma<br />
gl'individui sì, politicamente e moralmente. E mi scuso di aver tirato in<br />
ballo una questione "personale", ma è una questione politica anch'essa, e<br />
non va rimossa.<br />
3. Sul terzo punto - che diamine sperate di ricavare schierandovi con La<br />
Sicilia - non presumo di riuscire minimamente a scalfire le vostre certezze e<br />
desidero solo lasciare una testimonianza a futura memoria, per quando il<br />
prevedibile svolgersi degli avvenimenti vi chiarirà il vostro errore meglio di<br />
mille discorsi. Voi in questo momento siete molto commossi <strong>da</strong>l fatto che la<br />
Sicilia non protegge più i mafiosi del plotone fucilieri, e ne ricavate le stesse<br />
irrazionali aspettative di dieci anni fa: finalmente La Sicilia è cambiata,<br />
adesso c'è almeno un po' di democrazia <strong>da</strong> gestire, ci saranno degli spazi là<br />
dentro anche per noi. Illusioni. I padroni de La Sicilia sono sempre Ciancio<br />
e Costanzo, e nessuno di loro è un editore puro. Essi non potranno mai <strong>da</strong>re<br />
uno spazio reale a delle battaglie di opposizione; lo <strong>da</strong>rebbero - e di fatto lo
<strong>da</strong>nno - solo a passatempi inoffensivi; e in questo caso, farebbe loro comodo<br />
che fossero targati Pci, primo perché inoffensivi e secondo perché utili a <strong>da</strong>r<br />
loro il mezzo di mostrarsi "democratici" e "pluralisti". Ma sulle cose serie,<br />
come comunisti, non vi accetteranno mai: il giorno che vi accetteranno,<br />
vorrà dire semplicemente che avrete cessato di essere tali.<br />
Fate pure, comunque, le vostre esperienze. Evidentemente, bisogna che<br />
percorriate fino in fondo questa stra<strong>da</strong>: perché è la stra<strong>da</strong> facile, e voi qui<br />
non avete lo spessore storico per ipotizzarne <strong>un'altra</strong>. Ci sono dei giornalisti,<br />
fra voi, e alcuni hanno pure ancora l'età in cui si possono investire alcuni<br />
anni della propria vita su una bella avventura. Vi siete mai chiesti come mai<br />
ci sia voluto un gruppo "anomalo", esterno al partito, per intuire che a<br />
Catania bisognava fare un altro giornale? E' possibile che, non dico come<br />
opposizione, ma almeno come partito, non sentiate il bisogno di spazi<br />
d'informazione vostri, che non comprendiate quanto sia precario e perdente<br />
ritagliarsi angolini nella stampa del padrone?<br />
Ma <strong>da</strong>vvero c'è ancora bisogno di ripetere queste cose? Io mi chiedo<br />
ancora, e non riesco a farmene una ragione, quali possano essere le radici di<br />
una situazione penosa come quella delle assemblee di dicembre in cui una<br />
vostra ottima militante - seria, colta, impegnata - con ogni studio cercava di<br />
salvare La Sicilia di Ciancio. "Il monopolio dell'informazione della Sicilia<br />
di Ciancio e Costanzo..." Della Sicilia di Ciancio. "Il monopolio<br />
dell'informazione della Sicilia di Ciancio...". Della Sicilia e basta. "Il<br />
monopolio dell'informazione della Sicilia..." Non potremmo mettere il<br />
monopolio dell'informazione e basta?<br />
Su un episodio del genere, io sono stato male, perché per me è stato un<br />
campanello d'allarme. La compagna che esprimeva là quelle posizioni aveva<br />
tenuto botta bene, negli anni più duri; su La Sicilia di Ciancio, aveva fatto<br />
interventi, opuscoli e parte d'un libro. E ora eccola là a difendere, in buona<br />
sostanza, quelle posizioni. Come ci si è potuti arrivare? E' solo colpa sua? Io<br />
credo che ci sia molto <strong>da</strong> riflettere, prima di poter <strong>da</strong>re una risposta.<br />
Ho sempre a distinguere, nella vicen<strong>da</strong> delle trattive per I Siciliani, le<br />
responsabilità della Lega (e anche qui: la nazionale <strong>da</strong>lla catanese; in dubio<br />
pro reo) <strong>da</strong> quelle del Pci di Catania, che si è schierato <strong>da</strong>lla parte nostra.<br />
Ma nei vostri documenti, nei vostri interventi <strong>da</strong> sette mesi a questa parte, I<br />
Siciliani sono spariti del tutto e c'è invece, a tutto campo, La Sicilia di<br />
Milazzo. Voi forse non ve ne sarete accorti, ma mezza dozzina di giornalisti<br />
in qualche modo vostri sono spariti <strong>da</strong> Catania; e ve ne an<strong>da</strong>te mendicando<br />
le benevolenze del direttore di Ciancio. Io mi sforzo molto di trovare una<br />
qualche razionalità, un qualche abbozzo di metodo in questo vostro<br />
atteggiamento; ma non ci riesco; e non posso, e malvolentieri, che
attribuirlo a superficialità politica e a una forte sottovalutazione, <strong>da</strong> parte<br />
vostra, di voi stessi.<br />
Non credo sia facile far comprendere ad altre persone come alcuni di noi<br />
hanno vissuto questa fase del "problema dell'informazione" a Catania. Voi<br />
del Pci vi battevate per noi in corridoio di Lega, ma intanto rimuovevate <strong>da</strong>i<br />
vostri documenti politici, la nostra esistenza, vi schieravate - nel settore<br />
specifico - con Ciancio e Milazzo, e quanto a linea politica antimafiosa,<br />
precipitavate esattamente in quell'unanimismo che noi (prima e dopo<br />
Giuseppe Fava) abbiamo sempre cercato di denunciare. Le trattative; ci<br />
veniva chiesto passo dopo l'altro di rinunciare al direttore, di cambiare linea<br />
politica (ricordo ancora le discussioni su "troppo cavalieri"), di partire<br />
<strong>da</strong>ll'idea di prendere o lasciare, di restar fuori - come Siciliani - <strong>da</strong>lle<br />
trattative fatte <strong>da</strong>lla Ra<strong>da</strong>r; ci venivano cestinati promemoria e preventivi<br />
professionali costati tempo, soldi e fatica e ci venivano sprezzantemente<br />
gettati <strong>da</strong>vanti ("prendere o lasciare") preventivi abborracciati alla meglio<br />
<strong>da</strong> "eccelsi professionisti", roba che ignorava persino l'esistenza dei<br />
computer; ci si faceva capire in tutte le maniere che la nostra esperienza<br />
politica era nel migliore dei casi folle, e le nostre professionalità alquanto <strong>da</strong><br />
verificare. E noi, in buona sostanza, sottostavamo a tutto questo. C'eravamo<br />
opposti a Rendo e Costanzo, avevamo combattuto, rischiato la vita,<br />
organizzato, fatto un giornale esemplare con mezzi inesistenti e ora<br />
dovevamo accettare la lezione dei burocrati di Catania, di Palermo, di<br />
Roma. Quante volte, del resto, questo si era già visto nella storia! Quanti<br />
garibaldini di fronte ai generali piemontesi, quanti ex-partigiani di fronte ai<br />
compagni "responsabili"! E d'altronde, avevamo perduto la nostra guerra; e<br />
dovevamo accettare. Perché sentivamo il dovere quasi religioso, profondo,<br />
di salvare perlomeno il salvabile, di non permettere che un'esperienza com<br />
questa an<strong>da</strong>sse dispersa senza lasciare traccia. "Fon<strong>da</strong>tore Giuseppe Fava":<br />
non hai idea della responsabilità, e del peso, che queste parole possono<br />
comportare, e dei rischi a cui ci si può sottoporre per esse, e delle pene, e<br />
delle umiliazioni.<br />
Due anni e mezzo di trattativa. E in due anni e mezzo, mese per mese,<br />
cercare di resistere e di riorganizzare qualcosa, e vedere intanto con terrore i<br />
compagni che (non per loro colpa) cominciano a sban<strong>da</strong>rsi, e nel frattempo<br />
fare letteralmente la fame, cercare di "sopravvivere in qualche modo a un<br />
maccartismo; non essere ing rado, restando qui in Sicilia, neanche di curare<br />
i propri cari; e restare lo stesso, in nome di un dovere. E dopo tutto questo,<br />
venire a sapere che in tutto questo frattempo la Lega - I Siciliani, gli<br />
emiliani, Roma: ci sarà tempo per analizzare le singole colpe - faceva affari<br />
con i cavalieri! Ti riesce difficile comprendere perché uno, a questo punto,
decide - alla disperata, per fargliela almeno pagare - di <strong>da</strong>re battaglia? E tu,<br />
cos'avresti fatto al mio posto?<br />
4. Ci sono due modi conosciuti per fare un movimento. Il più semplice<br />
consiste nel riunirsi, almeno in tre, nei locali della federazione, mettere la<br />
questione del movimento all'ordine del giorno, fare un comunicato ai<br />
giornali e stampare un volantino: contro la mafia, per il Nicaragua, per la<br />
riduzione della leva: gli argomenti non mancano e non è difficile scegliere.<br />
Se, fra tutt'e tre i partecipanti al movimento, si riesce a non fare o dire<br />
alcunché che dia atto a sospetti di effettiva pericolosità sociale, il<br />
movimento avrà successo: nel senso che i giornali - anche quelli dei<br />
mafiosi, dei contres, dello Stato Maggiore - ne <strong>da</strong>ranno simpaticamente<br />
conto ai loro lettori, <strong>da</strong>ranno con regolarità notizie delle attività del<br />
movimento, assessori e notabili lo prenderanno a interlocutore, si verrà<br />
invitati ai dibattiti al Club della Stampa ecc. ecc. Tutto ciò non è<br />
tecnicamente difficile <strong>da</strong> conseguire, produce un surplus di status sociale<br />
"progressista", non suscita grandi opposizioni ed ha l'unico inconveniente di<br />
essere, a parte i vantaggi sopraelencati, assolutamente inutile.<br />
In effetti non c'è nulla al mondo che ci vieti - purché cittadini italiani,<br />
maggiorenni e vaccinati - di giocare al coordinamento antimafia, al prete<br />
Pintacu<strong>da</strong> o al sin<strong>da</strong>co Orlando. Il fatto è che i preti palermitani, per<br />
esempio, han cominciato a far intervento di quartiere circa sedici anni fa. Il<br />
Coordinamento antimafia di Palermo, lungi <strong>da</strong>l farsi coccolare <strong>da</strong>lla stampa<br />
locale, in almeno tre casi ha condotto operazioni di rottura traumatica e<br />
"settaria" non solo nella città, ma nella stessa <strong>sinistra</strong> organizzata. E quanto<br />
al sin<strong>da</strong>co Orlando, non è il frutto di un accordo fra Andò e Nicolosi.<br />
Sin<strong>da</strong>co coordinamento e preti, con tutto ciò vivono precariamente, appesi a<br />
un filo, fra continue invenzioni tattiche e continue forzature, costretti a<br />
inventarci un fronte nuovo ogni giorno per non essere travolti su tutti gli<br />
altri. Ci riescono perché hanno le idee chiare su possibili alleati e nemici,<br />
perché non dimenticano neanche per un istante gli assetti di potere reali,<br />
perché hanno (che non guasta) un altissimo grado di professionalità politica,<br />
e soprattutto perché non sono partiti <strong>da</strong> palazzo Biscari ma <strong>da</strong>ll'Albergheria.<br />
Qui, l'unico che - dopo I Siciliani - abbia una vera presenza nel sociale, e la<br />
consapevolezza di giocar la partita su di essa - è il gruppo di padre Resca:<br />
mentre gli antimafiosi perbene organizzavano le desolanti discussioni su La<br />
Sicilia che ho detto, a San Pietro e Paolo facevano la festa degli immigrati<br />
con due o trecento senegalesi. Con tutto ciò, Resca - <strong>da</strong> persona seria - non<br />
crede affatto di aver fatto un movimento. Ma di avere appena cominciato a<br />
lavorarci. Noi - <strong>sinistra</strong> catanese intendo - possiamo puntare su aggregazioni<br />
di questo genere, lavorare seriamente al loro fianco (con assoluta umiltà e
senza fessi tentativi di "manovre <strong>da</strong>ll'interno") per un paio d'anni, e poi -<br />
forse - fare domande in bollo per chiamarci movimento. Prima, no: non<br />
tanto perché sarebbe ridicolo; ma perché sarebbe equivoco e <strong>da</strong>nnoso.<br />
Io non ho alcun entusiasmo, per esempio, per il vostro "movimento" di<br />
piazza Europa, per il vostro sin<strong>da</strong>co che gui<strong>da</strong> l'autobus, per i vostri<br />
cantastorie di quartiere. Tutte cose bellissime, non lo nego. Ma non mi fido.<br />
E' roba che non divide; roba che la Sicilia può tranquillamente applaudire;<br />
roba <strong>da</strong> "cappelli" liberali, non sedimento d'opposizione.<br />
Un movimento, a Catania, in qualche rudimentale maniera aveva<br />
cominciato a formarsi. Quello che si stava sedimentando attorno a Siciliani<br />
Giovani e (in minor misura) all'Associazione I Siciliani. Una cosa rozza,<br />
d'accordo, con mille ambiguità e debolezze e difficilissima <strong>da</strong> seguire. Ma<br />
sostanzialmente sana, e perlomeno reale.<br />
Si trattava di organizzare in un'opposizione di fatto della gente quasi<br />
completamente spoliticizzata, senza strumenti culturali preesistenti, ma<br />
nuova, e vogliosa di fare. Arrivava il liceale diciassettenne e ti chiedeva<br />
(giustamente: perché cominciava ora, a chiedersi le cose) se <strong>da</strong>vvero a<br />
Catania ci fosse la mafia. E tu, dopo qualche anno di Siciliani e un amico<br />
ammazzato <strong>da</strong>i mafiosi, calavi doverosamente le corna e gli dimostravi<br />
oggettivamente, con tutte la pazienza di questo mondo, come e qualmente si<br />
può parlare di mafia a Catania! E cercavi di farlo senza imporgli<br />
sedimentazioni culturali non sue, rispettandolo; insegnandogli le cose fino a<br />
un certo punto, ma scommettendo per il rimanente che ci sarebbe arrivato<br />
<strong>da</strong> solo, avendo fiducia in lui; cercando di metterlo in grado di operare<br />
concretamente, di contare, di rendersi indipendente <strong>da</strong> te. Buon cuore? No:<br />
buon marxismo, di quello serio: di quello che distingue tra filosofia e<br />
ideologia, che conosce il concetto di dialettica, che considera la struttura<br />
prima della sovrastruttura, che fa lotte di classe (ora!? e dove sono le classi?<br />
Anche cent'anni fa, non vedendole nelle forme solite, se lo chiedevano in<br />
molti) e non propagan<strong>da</strong>.<br />
Assemblee interminabili, logoranti, per convincere quel ragazzo là in<br />
fondo che non ci stiamo "facendo strumentalizzare", e che però non<br />
possiamo limitarci e protestare, e che quindi dobbiamo prendere noi<br />
l'iniziativa, e che quindi ci vuole una buona organizzazione, e che<br />
organizzarsi ha certi vantaggi e certi rischi, e che... Cercando di<br />
convincerlo, e anche di imparare <strong>da</strong> lui qualcosa. E incontri <strong>da</strong> Helzapoppin,<br />
con cooperative sin<strong>da</strong>cato - e non ti dico il partito - e anime belle, cercando<br />
pazientemente di non rompere, di tirarteli dietro almeno per un poco di<br />
stra<strong>da</strong>, almeno su qualche cosa, almeno in parte. E tutto questo, in mezzo al<br />
fare il giornale, al dolore e alla povertà, alle centouna piccolissime
incombenze di ogni giorno, alla inesperienza propria e dei compagni, alla<br />
paura fisica e alla paura di non fare in tempo: perché si vedeva niti<strong>da</strong>mente<br />
che il tempo - prima che la porta si richiudesse - era molto poco. E alla fine<br />
di tutto questo, qualcosa che cominciava vagamente ad assomigliare a un<br />
movimento: qualche decina di militanti più o meno omogenei ma tutto<br />
sommato coesi, un gruppetto - efficientissimo! - di ragazzi per ogni scuola,<br />
un paio di obiettivi intermedi (la gestione sociale della legge La Torre e i<br />
centri giovanili: dopo qualche anno ci siete arrivati anche voi) per tenere<br />
insieme in maniera non episodica tutta la faccen<strong>da</strong>. E funzionava. Col<br />
tempo, avrebbe potuto arrivare ad essere il famoso "movimento" di cui con<br />
tanta leggerezza ora si parla.<br />
Ma il tempo non c'è stato. La caduta del giornale è arrivata prima che<br />
tutto ciò che stava attorno al giornale avesse raggiunto la possibilità di stare<br />
sulle proprie gambe. due anni e mezzo di "trattative"! Prova a rileggere<br />
questa frase alla luce di quel che hai sentito dire: del ruolo politico dei<br />
Siciliani, voglio dire: di tutto quel che veramente poteva cambiare a Catania<br />
e non è cambiato. Perché non c'è più stato qualcosa, qui, di paragonabile a<br />
quel che si aggregò allora attorno al giornale; e passerà molto tempo prima<br />
che ci sia.<br />
Nuccio, fotografo, vent'anni d'emarginazione alle spalle, che viene<br />
man<strong>da</strong>to a organizzare SicilianiGiovani a Enna o Caltanissetta, e ci riesce<br />
perfettamente come il più consumato militante; Ester, fisioterapista, che in<br />
sei mesi diventa una discreta cronista e un'efficientissima agitatrice;<br />
Rosalba che torna al suo paese in montagna e subito mette in piedi il<br />
collettivo femminista e il giornaletto locale; Sabina, Fabio, Antonella,<br />
Gianfranco, che prima organizzano Siciliani/Giovani nelle scuole e dopo la<br />
caduta del giornale cercano come possono, senza collegamenti, di<br />
continuare a lottare (ci sono anche loro nell'Experia: tre mesi d'occupazione,<br />
e quattro "avvertimenti"); Maurizio della Fgci di Battiati, che il 6 gennaio<br />
84 era alla porta della re<strong>da</strong>zione per organizzare la diffusione militante di un<br />
giornale che nessuno sapeva se sarebbe uscito ancora... Non credo che a te<br />
possano dire molto questi nomi. E invece sono loro i compagni, loro i veri<br />
riferimenti politici, altro che i vostri intellettuali perbene: su di loro,<br />
bisognava avere il coraggio di puntare.<br />
E ora che me ne devo an<strong>da</strong>re - non per mia volontà - <strong>da</strong> Catania, e che è il<br />
momento di tirare le somme, mi restano questi nomi; i loro, e quelli di<br />
pochissimi intellettuali (D'Urso, Scidà, "Castoro", Resca, forse altri tre o<br />
quattro) che hanno avuto il coraggio di prendere fino in fondo sul serio le<br />
cose che scrivevamo e di costruirci attorno la loro vita. Essi, nella loro<br />
ingenuità e inesperienza, avevano capito tuttavia la cosa principale: che non
si dà opposizione qui che non sia totale: non per partito preso, per<br />
malaccorto estremismo, ma perché proprio il sistema non lascia spazio, qui<br />
ed ora, per mezze misure e mediazioni.<br />
Era commovente veder con quanta esitante determinazione questi ragazzi<br />
cercavano di assumere questo ruolo, di star dietro alle cose, d'imparare.<br />
Esseri umani diversissimi fra loro, provenienti <strong>da</strong>i più diversi pregiudizi,<br />
sconosciuti l'uno all'altro fino a pochi giorni prima, che rapi<strong>da</strong>mente si<br />
amalgamavano, maturavano con i compagni, si schieravano col cervello e<br />
col cuore dov'era necessario che si schierassero; mai, in tanti anni, avevo<br />
visto nulla di così profon<strong>da</strong>mente rivoluzionario come questo loro venire<br />
avanti. E quando mai, d'altra parte, è possibile vedere tutto questo, se non<br />
nei momenti di vera e propria Resistenza?<br />
Ma ora sto divagando. E' che ero, e sono, profon<strong>da</strong>mente orgoglioso di<br />
loro. E mi fa male vederli spazzati via <strong>da</strong>l meccanismo cui anche voi vi<br />
siete adeguati, sostituiti sprezzantemente <strong>da</strong>l "rinnovamento" ufficiale. Ma<br />
preferisco essere perdente insieme a loro, che vincitore senza: perché so<br />
quel che hanno rappresentato, e che potevano rappresentare, per questa<br />
città, e la tragedia dell'emarginazione di questa possibile <strong>sinistra</strong>, di questa<br />
possibile classe dirigente. Chi voi, incredibilmente, non avete visto. se <strong>da</strong><br />
parte vostra ci fosse stato non dico un progetto politico ma un minimo di<br />
consapevolezza, noi già nell'85 saremmo an<strong>da</strong>ti al Comune con una lista<br />
unitaria, avremmo spaccato veramente la Dc, vi avremmo - fra l'altro -<br />
portato là non come il fiore all'occhiello di Andò e Nicolosi, ma come<br />
un'avanguardia del movimento.<br />
Un movimento è una cosa seria, difficile e concreta, non una sommatoria<br />
di movimentatori di mestiere. Un movimento deve avere una sua<br />
piattaforma, una sua dinamica autonoma, soprattutto dei suoi militanti. Un<br />
movimento non può permettersi di "unire le forze democratiche", di mediare<br />
per principio, perché il suo ruolo è esattamente l'opposto: rompere le<br />
contraddizioni, far venire fuori nuove forze, <strong>da</strong>re coscienza a dei soggetti<br />
nuovi.<br />
E' scomodo, un movimento: metà della città lo applaude, ma l'altra metà<br />
gli spara. Non è "brillante" né viene invitato ai dibattiti, ed è in cattivi<br />
rapporti coi provveditorati. E' semplice, rozzo e chiaro. Vuoi sapere com'è<br />
fatto, per esempio, un movimento contro la droga? C'era <strong>da</strong> fare un corteo,<br />
alla fine dell'84, di studenti contro i cavalieri. Un gruppetto dei nostri la<br />
settimana prima la passò a Piazza Roma, a Largo Aquileia e negli altri posti<br />
di spaccio. Parlarono con tutti, e soprattutto con quelli con cui di solito non<br />
si parla (se non <strong>da</strong>ll'alto di una cattedra e con grandi parole, ai convegni<br />
ufficiali). La mattina della manifestazione c'erano venticinque
tossicodipendenti, nel corteo, senza vittimismo e senza particolari parole, a<br />
gri<strong>da</strong>re Graci, Rendo, Costanzo, Finocchiaro con tutti gli altri ragazzi della<br />
loro età, come tutti gli altri.<br />
Ma forse queste cose non si vedono, <strong>da</strong>i palazzi (e <strong>da</strong>lle università, e <strong>da</strong>lle<br />
federazioni). E mi scuso per essermi dilungato, e per la confusione, perché<br />
tanto è un capitolo finito.<br />
E confuso, veramente, dev'essere tutto questo quaderno, scritto in fretta,<br />
fra una cosa e l'altra della partenza; ma scritto con l'intento di giovare.<br />
Perché ti sembrerà strano, ma in questa e in altre occasioni un compagno<br />
può anche ritenere di essere obbligato, in mancanza di altri che lo facciano,<br />
a dire le cose scomode, ad avvertire i compagni. Certo, questo non serve a<br />
creare particolari popolarità: tutto quel che ho detto o fatto a Catania, d'altra<br />
parte, l'ho regolarmente pagato di persona: le critiche ai compagni, come gli<br />
attacchi ai nemici. Non me ne vado ricco, né avendo fatto carriera. Questo<br />
non significa che bisogni necessariamente condividere ciò che dico.<br />
Significa che si può almeno ascoltarlo come l'opinione di uno che, a dire<br />
quel che dice non ci gua<strong>da</strong>gna niente; e che medita prima di parlare di<br />
argomenti come questi; e che non è del tutto privo di esperienze tali <strong>da</strong><br />
permettergli di parlarne.<br />
Hai avuto la pazienza di seguirmi fin qua? Non è poco merito. Ma attento:<br />
la vostra responsabilità di militanti, e la tua personale, in questo momento è<br />
molto più grave del solito, perché voi siete l'unico gruppo dirigente<br />
antimafioso sopravvissuto nel Pci in Sicilia. Siate all'altezza di questa<br />
responsabilità. Non seguite le strade facili. Abbiate il coraggio, e la<br />
saggezza, di essere una forza di rottura. I compromessi hanno un senso<br />
quando si è egemoni, non quando si ha un partito <strong>da</strong> ricostruire. Non<br />
fi<strong>da</strong>tevi dei vostri attuali interlocutori - dentro e fuori il partito. Ricor<strong>da</strong>tevi<br />
sempre delle cose banali, tanto banali che nessuno ci fa più caso: chi sono<br />
materialmente i padroni dei giornali siciliani? Come mai la Dc a Catania<br />
non ha un Orlando? A chi è legato Andò? Perché Pannella ha chiesto soldi ai<br />
cavalieri? chi erano gli amici di Curti Giardina a Catania? E così via.<br />
D'Urso, Scidà, Resca, i ragazzi di SicilianiGiovani, sono stati in questi<br />
anni - per quel che può valere il mio parere - i miei "interlocutori politici"<br />
privilegiati. Cercate i loro consigli, abbiate rispetto per loro. E ricor<strong>da</strong>tevi<br />
che fare i comunisti in una situazione come questa è un mestiere durissimo,<br />
perché le parole possono essere tante ma gli incontri cruciali, alla fine dei<br />
conti, non ammettono scappatoie né mezze misure.<br />
E infine. Io parto, come sai, il sei o il sette gennaio. Non vado a fare il<br />
grande giornalista ma ancora, per come potrò, il militante. E non me ne<br />
vado di mia volontà, no: me ne vado costretto, espulso di fatto <strong>da</strong> questa
città: esattamente come, negli anni cinquanta e sessanta, partivano i<br />
segretari di sezione e i sin<strong>da</strong>calisti, costretti <strong>da</strong>ll'isolamento e <strong>da</strong>lla fame a<br />
prendere la via della Germania.<br />
Più amaro della sconfitta e dei prezzi personali, per quella generazione di<br />
compagni, fu l'oblio in cui il potere e la cultura ufficiali si affrettarono a far<br />
cadere le loro lotte. Essi dovettero partire, dopo aver combattuto per anni,<br />
lasciando le sezioni vuote, gli agrari seduti <strong>da</strong>vanti al circolo dei civili, i<br />
preti che spiegavano ai contadini la ragionevolezza. Io ho conosciuto,<br />
quand'ero giovane, al mio paese, di questi compagni. In questo momento,<br />
mentre sgombero casa mia, con la mia compagna malata e due anni e mezzo<br />
di fame alle spalle, penso che non li ho traditi. Cercate di non tradirli<br />
neppure voi.<br />
Ringrazio per tuo tramite i compagni che ci sono stati vicini in questi<br />
anni. A te e a tutti gli altri, auguro buon lavoro.
UNA LETTERA<br />
dicembre 1988<br />
Caro Luca,<br />
subito dopo il cinque me ne andrò a Roma per <strong>da</strong>re una mano al giornale<br />
di Fracassi, e quindi la mia disponibilità per il vostro giornale si farà più<br />
complicata. Ho già detto ad Alongi di disporre liberamente del progettino<br />
che gli ho lasciato; in ogni caso, il giornale cercate di farlo lo stesso perché,<br />
usato bene (cioè con aggressività e fantasia; per la stra<strong>da</strong>), può essere uno<br />
strumento decisivo. Ad Alongi ho detto anche che, avendo seguito con<br />
attenzione l'an<strong>da</strong>mento di tutta questa vicen<strong>da</strong>, ho avuto modo di farmene<br />
un'idea abbastanza precisa e di valutare gli schieramenti che vi si sono<br />
formati ; e di essere sinceramente riconoscente a te, a Letizia, ad Alongi e<br />
agli altri compagni che avete almeno tentato di affrontare politicamente il<br />
mio caso. Personalmente, penso che sarebbe stato meglio usarlo come<br />
terreno forte per uno scontro, e anche ora non credo opportuno lasciarlo<br />
cadere in modo indolore; ma voi che siete sul posto potete valutare meglio<br />
di me costi e vantaggi di un atteggiamento "duro". E poi, tutto sommato, è<br />
una questione laterale.<br />
Fra pochi giorni, comunque, Antonella ed io partiremo per quest'altra<br />
avventura. Contrariamente a quel che si potrebbe credere, la ban<strong>da</strong><br />
municipale non verrà ad accompagnarci alla stazione; partiremo, come<br />
sempre, <strong>da</strong> zingari, con un bel po' di debiti alle spalle, l'anoressia di<br />
Antonella, i padroni di casa che ci cercheranno fino all'ultimo momento, e<br />
tutto il resto. Due borse di vestiti pesanti, le fiabe di Antonella, un po' di<br />
carte mie e la raccolta del giornale. Con tutto ciò partiamo spaval<strong>da</strong>mente,<br />
<strong>da</strong> compagni, come se la ban<strong>da</strong> ci fosse e suonasse forte l'Internazionale.<br />
L'altro giorno, che era festa, la mia Antonella ha trovato la forza di<br />
organizzare una giornata allegra, di regalarmi un tabacco, di sorridere tutto<br />
il giorno. "Al nuovo giornale!". Le avevano trovato un edema la mattina<br />
prima e non c'era niente in casa. Ma lei mi ha fatto forza e ha sorriso.Così,<br />
adesso noi - che stiamo partendo obbligati, esattamente come se ci avessero<br />
cacciato fuori <strong>da</strong>lla Sicilia con le guardie - non stiamo an<strong>da</strong>ndo a cercar di<br />
sopravvivere in qualche modo, ma stiamo an<strong>da</strong>ndo a continuare la lotta in<br />
qualche altra maniera, dove potremo e come potremo. E, in qualsiasi modo<br />
va<strong>da</strong> a finire, siamo almeno sicuri che saremo sempre noi.<br />
Mi piacerebbe se tu riuscissi a spiegare tutte queste cose al collega *: a<br />
fargli capire che egli può permettersi di fare l'Autorevole Politico<br />
Antimafioso solo perché esiste - indipendentemente <strong>da</strong>lla sua volontà - della<br />
gente non dico come me che sono un militante di mestiere, ma come
Antonella; che egli non conosce e non ha alcun bisogno di conoscere ma<br />
alla quale egli deve integralmente il suo attuale status sociale e politico.<br />
Bene: salutami i compagni, stai attento a scegliere i tuoi interlocutori<br />
catanesi, non permettere che ti accomunino a una cosa buffa come Bianco, e<br />
il resto più o meno lo sai già. Buon lavoro.<br />
(Ah: vedi che la parola "compagno" io la uso in un senso un po'<br />
particolare).
GIUSEPPE FAVA, UN PRECURSORE<br />
Il manifesto, gennaio 1989<br />
Ottanta righe per il cinque gennaio, quinto anniversario dell'omicidio di<br />
Giuseppe Fava? Mica facile. Perché intanto bisognerebbe spiegare chi fu<br />
veramente Giuseppe Fava: non l'innocente poeta che ora ci vogliono<br />
consegnare, ma uno scrittore europeo, e un militante. Come scrittore, Fava è<br />
stato l'unico italiano a raccontare <strong>da</strong>vvero l'operaio massa degli anni '70,<br />
quello che <strong>da</strong>l sud dell'Europa andò alle catene di montaggio. Non usava<br />
queste parole, non veniva <strong>da</strong> esse. Ma il suo ragazzo Michele ("La<br />
passione"), <strong>da</strong>l paesino siciliano alla città-fabbrica tedesca, è esattamente<br />
questo.<br />
Peccato che la <strong>sinistra</strong> italiana, con le altre cose, si sia persa anche questo<br />
libro. E' che per la cultura italiana rimuovere Fava (come per paralleli<br />
motivi Pasolini) fu una necessità. La mafia, per esempio, lui la collocava,<br />
luci<strong>da</strong>mente, in questa Europa: meglio i donmariani innocui di Sciascia.<br />
Come militante politico Fava - esterno a ogni politica ufficiale e<br />
profon<strong>da</strong>mente diffidente di essa - non attaccò questa o quella maschera del<br />
teatro istituzionale, ma direttamente il potere. Che si fon<strong>da</strong>, come ha scritto<br />
qualcuno, essenzialmente sulla struttura dell'economia. Che in Sicilia (ma<br />
non più solo in Sicilia) si fon<strong>da</strong> sull'intreccio tra fabbrica della droga e<br />
impossessamento degli appalti. I quali a Catania (ma non più solo a<br />
Catania) sono dominati <strong>da</strong>i "quattro cavalieri" Rendo, Graci, Costanzo e<br />
Finocchiaro.<br />
Fava si batté contro i cavalieri. In ogni momento di questa lotta ebbe<br />
sempre <strong>da</strong>vanti coloro per cui lottava: i bambini di Palma di Montechiaro, i<br />
ragazzi di paese, i milioni di emigranti siciliani "dispersi sulla faccia della<br />
terra". Unì profon<strong>da</strong>mente il vissuto quotidiano suo e di altri con una<br />
sedimentazione "politica": una politica di fon<strong>da</strong>zione, senza zavorre<br />
ideologiche, tutta dei tempi nuovi. In questo, come avviene nei finesecolo,<br />
egli fu un precursore.<br />
Come giornalista, non gli ho mai sentito pronunciare la parola<br />
"professionalità". Era all'antica, in questo: "mestiere". Una volta sola usò il<br />
termine "giornalismo borghese", per spiegare ad alcuni ragazzi ciò che il<br />
suo mestiere non era.<br />
Poche ore dopo la morte di Giuseppe Fava, i re<strong>da</strong>ttori dei Siciliani si<br />
riunirono in assemblea. Era notte. La madre di uno di loro portava in giro il<br />
caffè: fuori, il potere si preparava a uccidere la stessa memoria dell'ucciso.<br />
Nessuno di loro era particolarmente dotato di genialità o di coraggio. Ma<br />
qualcosa li muoveva. Essi deliberarono che avrebbero continuato l'impresa;
si divisero i compiti. Alcuni, "il settore mafia", produssero in diciassette<br />
mesi quaranta inchieste ancora oggi fon<strong>da</strong>mentali. Altri furono man<strong>da</strong>ti in<br />
giro per l'Italia a cercare alleati per una guerra, che si prevedeva lunga. Altri<br />
ancora ricevettero la cassa vuota e l'incarico, che assolsero con successo, di<br />
stampare comunque il giornale. Altri cominciarono a organizzare - scuole<br />
piazze quartieri - l'opposizione. Mentre con terrificante regolarità i numeri<br />
del giornale, uno dopo l'altro, analizzavano gli affari dei cavalieri, si<br />
ramificavano come "SicilianiGiovani" nelle scuole e con l'altro "braccio<br />
organizzativo", l'Associazione "I Siciliani", nelle città.<br />
Noi non siamo vissuti abbastanza per collegarci con la primavera di<br />
Palermo. Non c'illudevamo. Sapevamo che il tempo era poco, i mezzi<br />
inesistenti, che le promesse di soli<strong>da</strong>rietà non sarebbero state mantenute,<br />
che il varco si stava chiudendo. Cercammo di forzarlo sullo slancio. Non ci<br />
siamo riusciti - non, almeno, per il momento.<br />
Fra le promesse non mantenute ci fu quella della Lega delle Cooperative,<br />
che doveva consorziarsi con noi per rilanciare il giornale. La relativa<br />
"trattativa" durò due anni e mezzo e, per quel che ne so, forse dura tuttora.<br />
Non è stato possibile sapere chi abbia bloccato questa trattativa, il<br />
"migliorista" Turci accenna a "livelli Siciliani" che, a loro volta, rilanciano a<br />
Roma. Di certo c'è solo che consorzi furono fatti, ma con i cavalieri:<br />
Costanzo, Cassina e Rendo. Li firmò, nella civilissima Ravenna, il consiglio<br />
d'amministrazione della Cooperativa Muratori e Cementieri, tardi scopritori<br />
dei valori del mercato (tardi: perché se li avessero già scoperti i loro padri,<br />
quattrini a palate sarebbero stati, con l'appalto degli stivali della Wermacht.<br />
Ma, a rifarsi c'è sempre tempo).<br />
A Catania, adesso, ferve il "rinnovamento" del Palazzo. Il sin<strong>da</strong>co gui<strong>da</strong> il<br />
bus, gli assessori commemorano Robespierre, tutti sono gentili e buoni,<br />
soprattutto il giornale dei cavalieri, La Sicilia. Ha un senso, dopotutto.<br />
Bisognò pure affrettarsi, appena fatta l'Italia, a mettere il bavaglio ai<br />
mazziniani; o nella Repubblica democratica, a manganellare chi odorava<br />
troppo di Resistenza. Qui, ora, nel "dopomafia", silenzio agli antimafiosi.
PROMEMORIA PER AVVENIMENTI 1<br />
estate 1988<br />
Non so quanta roba, qui dentro, potrà tornarvi utile (la scelta, poi, è stata<br />
fatta molto disordinatamente e in fretta), ma forse può interessarvi uno<br />
sguardo "<strong>da</strong>ll'interno" sul processo di formazione dei Siciliani; molti dei<br />
problemi che abbiamo dovuto affrontare erano d'altronde, più in piccolo,<br />
quelli che ora toccano a voi. Fra i materiali che accludo, il progetto di<br />
ristrutturazione avrebbe dovuto servire di base alla secon<strong>da</strong> fase del<br />
settimanale (se hai tempo leggi Altri Sud e Computerizzazione, pagine 15 e<br />
34), l'archivio riporta alcuni materiali "politici", fra cui forse possono<br />
interessarti quelli relativi al rapporto settimanale/società civile/forme<br />
organizzative di sostegno (Promemoria settembre 84) e quelli ripresi <strong>da</strong>i<br />
Siciliani Giovani, che è un settore poco conosciuto ma fon<strong>da</strong>mentale nel<br />
nostro lavoro.<br />
Io credo che i punti su cui potrebbe essere utile una riflessione della<br />
nostra esperienza, siano in particolare gli Altri Sud, il collegamento fra<br />
testate alternative, la computerizzazione (questi, rimasti allo stato di<br />
progetto) e l'area Siciliani Giovani /Associazione I Siciliani.<br />
Siciliani Giovani e l'Associazione erano le proiezioni "politiche" del<br />
nostro progetto, sostenute con strumenti idonei e con estrema flessibilità.<br />
Fin <strong>da</strong>ll'inizio, abbiamo pensato che un giornale come il nostro sarebbe<br />
rimasto isolato se non avesse provveduto per proprio conto a creare un'area<br />
organizzata di dibattito e sostegno. Timidezze di vario genere ci hanno<br />
impedito di portare fino in fondo questo progetto, che nei limiti in cui<br />
l'abbiamo realizzato, ha <strong>da</strong>to risultati brillantissimi. E' mia ferma<br />
convinzione che la sconfitta della nostra impresa sia dovuta proprio a questi<br />
limiti e alle conseguenze di questo (prevedibile) isolamento rispetto alle<br />
forze politiche ufficiali. Credo che la riuscita di un'impresa come l'Altritalia<br />
si giochi proprio su questo terreno, e che qui bisogna fare scelte decise:<br />
imparate <strong>da</strong>lla nostra esperienza, non fatevi illusioni; e organizzatevi <strong>da</strong><br />
subito anche su questo terreno.<br />
I servizi in parallelo <strong>da</strong>l Sud d'Italia e <strong>da</strong>l Su<strong>da</strong>merica (Altri Sud)<br />
definiscono meglio di mille dichiarazioni d'intenti una precisa - e non<br />
strumentalizzabile - collocazione politica; anche giornalisticamente sono,<br />
credo, un modo nuovo e solido di impostare il settore esteri.<br />
Il rapporto fra testate "alternative" (Società Civile è solo uno degli<br />
esempi; ce n'é una mezza dozzina in giro) ha a che fare col criterio esposto<br />
sopra di "creare movimento", di avere subito non un centro, ma un<br />
arcipelago di realtà radicate ognuna nella propria regione. Il modello
organizzativo di fondo, qui, è quello dei primi tempi dell'esperienza dei<br />
Verdi in Italia, basato sul collegamento di realtà autonomamente<br />
sviluppatesi e su una progressiva e prudente opera di omogeneizzazione<br />
d'immagine attorno ad alcune specifiche campagne d'opinioni. Fatte tutte le<br />
differenze, è un metodo che credo possa valere ancor oggi, e anche -<br />
soprattutto - per voi.<br />
La computerizzazione, in questo quadro, non è uno strumento tecnico (fra<br />
l'altro, economico) fine a se stesso, ma un mezzo per <strong>da</strong>re un'impostazione<br />
aperta fin nella struttura del processo produttivo (re<strong>da</strong>zione stellare, ecc.) al<br />
giornale. In questo senso, l'innovazione tecnica costituita <strong>da</strong>l desktop<br />
publishing ha implicazioni politiche analoghe a quelle che potevano avere le<br />
radio libere nel '76. Questo non implica assolutamente (e l'esperienza delle<br />
radio è illuminante) una diminuzione del livello di professionalità, che è<br />
essenziale; semplicemente, un'integrazione delle tecniche professionali con<br />
un quadro di "movimento" e con tecnologie che ne esaltino le<br />
caratteristiche.<br />
A questo punto, penso che potrai farti un'idea del tipo di contributo che<br />
vorremmo cercare di <strong>da</strong>re in questi mesi. A Palermo, in particolare, il<br />
dibattito sul giornale è avviato in termini non semplicemente professionali:<br />
l'obiettivo è di avere una re<strong>da</strong>zione siciliana che sia punto di riferimento in<br />
termini professionali ma anche civili. E' un obiettivo possibile - avremo<br />
tempo e modo di discuterne particolareggiatamente - purché ci sia, <strong>da</strong> parte<br />
vostra, una precisa e non equivoca scelta degli interlocutori, che non vanno<br />
cercati, secondo me, fra i più o meno riciclati révenants della <strong>sinistra</strong><br />
ufficiale, ma nelle espressioni organizzate <strong>da</strong>lla società civile, che a Palermo<br />
sono ormai più che mature: il Coordinamento Antimafia, il Cocipa, il<br />
Comitato per l'informazione Città Insieme a Catania.<br />
La bozza di copertina non è una proposta grafica per voi. Semplicemente,<br />
molti anni fa, "l'Altritalia" è stata in ballottaggio per la nostra testata e allora<br />
ho fatto uno schizzo per vedere che effetto faceva. Mi pare giusto che ora<br />
l'abbiate voi e spero che vi venga buono almeno come portafortuna.
PROMEMORIA PER AVVENIMENTI 2<br />
estate 1988<br />
Caro F., ti accludo alcuni stralci del nostro progetto di ristrutturazione, fra<br />
cui i riepiloghi di settore - potrebbero interessarvi il settore "a scambio" e<br />
"Altri Sud" -,i promemoria interni del gennaio '84 e del settembre '84,<br />
l'editoriale del numero zero del settimanale. E ora, qualche appunto così alla<br />
rinfusa, via via chez la roba mi viene in mente.<br />
Noi avevamo scelto di costruire la nostra immagine su due terreni<br />
specifici, l'identiità siciliana e la lotta alla mafia. Terreni apparentemente<br />
neutri (tali quindi <strong>da</strong> garantirci la massima indipendenza rispetto alle<br />
ideologie di partito) ma, in sè, profon<strong>da</strong>mente politici. Noi abbiamo quindi<br />
potuto costruire su di essi una identità politica "forte" dei Siciliani, e<br />
raccogliere intorno ad essa uno "zoccolo duro" di circa ottomila lettori e<br />
millecinquecento fra abbonati e sostenitori. Su questo e parallelamente al<br />
giornale abbiamo messo in piedi delle strutture organizzate, l'Associazione I<br />
Siciliani e Siciliani Giovani, che hanno moltiplicato (e diversificato)<br />
l'impatto politico del gionale. La sconfitta della nostra esperienza, quando è<br />
arrivata (ma tardi, in rapporto alle forze disponibili) è venuta sul terreno<br />
imprenditoriale e forse anche giornalistico, non su quello "politico". Le<br />
strutture "militanti" hanno tenuto. Io ritengo che questo possa essere un<br />
esempio anche per voi: tenendo conto, naturalmente, che concetti come<br />
"militanza", "organizzazione", "linea politica" vanno intesi, almeno nel<br />
nostro caso, in senso "soffice", e tuttavia estremamente determinato.<br />
Ora, quale può essere la linea politica di un giornale come il vostro?<br />
Finora, è una serie di nomi: Galasso + Turone + Novelli + Fracassi +<br />
Menapace, ed è già qualcosa perché si tratta di altrettanti momenti specifici<br />
della <strong>sinistra</strong>, sufficientemente omogenei fra loro e abbastanza<br />
caratterizzati. Ma al di là dei nomi? Una generica dichiarazione di<br />
professionalità e di civismo - quella in buona sostanza contenuta nel vostro<br />
dépliant - non mi convince. Tutti vogliamo la libera informazione e tutti<br />
siamo contro la corruzione e tutti abbiamo una mamma. Ma perché<br />
dovremmo leggere e soprattutto aggregarci proprio attorno a questo giornale<br />
a preferenza di altri? (Non mi dire che non vogliamo aggregare nessuno,<br />
che siamo solo un giornale, ecc.: se siamo solo un giornale, non dura: per<br />
questioni di economia di scala).<br />
Io penso che ci siano già ora una serie di argomenti precisi, "neutri", ma<br />
estremamente politici, che individuano di per se una serie di precisi<br />
meccanismi politici (e successivamente aggregativi) e contestualmente dei<br />
targets, diversi ma complementari. La lotta al sistema di potere mafioso
(Sud); la lotta contro la cultura dello stupro (donne); gli altri sud (<strong>sinistra</strong><br />
intellettuale) e la lotta contro il razzismo metropolitano; le comunità di base<br />
e la società civile (<strong>sinistra</strong>, cattolici di alcune città) non sono gli unici<br />
argomenti al mondo, ma sono quelli, qui ed ora, che insieme possono<br />
fornire <strong>da</strong> subito un'immagine "forte" del giornale. Attorno a cisacuno di<br />
essi può svilupparsi col tempo una rete autogenerantesi di iniziative<br />
"organizzative" e "militanti" parallele al giornale. Torna un attimo indietro,<br />
per favore: all'elenco. Vedi che aria scolastica ha, <strong>da</strong> lista della spesa?<br />
Eppure, è il cuore di tutto, la cellula che deve essere individuata prima.<br />
Questi quattro argomenti e non altri: non <strong>da</strong>re fondo al mondo. Ancora:<br />
"lotta alla mafia (sud), lotta allo stupro (donne)": vedi che aria cinica ha la<br />
nostra lista della spesa? Eppure, non è così. "Sud", "donne", non sono quelli<br />
che cacciano i soldi e comprano il giornale, sono quelli che "ricevono" al<br />
loro servizio il giornale, che "usano" il giornale. Non la "nostra" base, ma i<br />
nostri padroni. E anche questo è scolastico, ma fa pure parte della cellula<br />
iniziale: perché non è facile, per degli intellettuali con una storia alle spalle,<br />
assumere l'umiltà e l'orgoglio di sentirsi al servizio di qualcosa di<br />
preesistente (di solito tendiamo a metterci alla testa di una massa indistinta,<br />
che non c'interessa percepire diversamente). Fine della parentesi salesianpopulista<br />
(Servire il).<br />
Dalla "cellula-base", discendono alcune conseguenze. Per esempio, il<br />
giornale dev'essere altamente professionale, e nel contempo non deve<br />
esserlo. Idem, per farlo c'è bisogno di professionisti feroci, ma anche di<br />
dilettanti. E le due faccende debbono incontrarsi in un punto preciso, non<br />
casuale. Nei quattro settori che ho detto, il giornale non è un giornale, è "il"<br />
giornale. E' l'organo ufficiale della lotta alla mafia, come l'orario della<br />
ferrovia per i treni. Non può avere bucature. Deve avere la notizia a ogni<br />
numero. Deve avere griglie di lavorazione rigidissime. Deve abituare il<br />
lettore. In altri settori, il giornale può "giocare", fare esperimenti, rischiare.<br />
Può essere un pezzo di Frigi<strong>da</strong>ire, può essere sedici pagine di fumetti, può<br />
essere sedici pagine di cronaca di una storia di zingari a Roma; può gettare<br />
un sasso e lasciarlo lì oppure costruirci sopra una cattedrale, di volta in<br />
volta.<br />
Ehi: non è che il lavoro del primo tipo lo fanno i professionisti e quello<br />
del secondo i dilettanti. La cucina, la fanno tutta i professionisti; e così i<br />
servizi che garantiscono il numero nei quattro settori. I dilettanti, che vanno<br />
scelti accuratamente, fanno il lavoro "esterno" che però esterno non è<br />
perché dà la direzione al giornale: a parlare con gli zingari ci va il<br />
professionista, ma la sera, la riunione con gli zingari e la gente del quartiere<br />
la fa il "dilettante": se fa un buon lavoro, nel quartiere entro sei mesi ci
debbono essere dieci copie vendute, un "corrispondente", un abbonato,<br />
un'assemblea di quartiere in preparazione. In rapporto organico con quel che<br />
sul giornale nel frattempo viene pubblicato. E adesso cambiamo discorso. Il<br />
giornale può avere, inizialmente, una re<strong>da</strong>zione a Roma, una re<strong>da</strong>zione<br />
(uno-due re<strong>da</strong>ttori, cinque-sei "dilettanti") a Milano ed una in Sicilia. La<br />
re<strong>da</strong>zione romana può essere dotata di cinque-sei MacIntosh con circa 160<br />
Mb di memoria. Un Mac alla re<strong>da</strong>zione di Milano, uno alla siciliana. I<br />
Macintosh, <strong>da</strong> 4 a 10 milioni ciascuno, servono a battere i pezzi e<br />
impaginarli (a cura degli stessi re<strong>da</strong>ttori). I pezzi vengono man<strong>da</strong>ti a Roma,<br />
già impaginati, via modem a 2400 baud (di notte).<br />
Fin <strong>da</strong>ll'inizio, cioè, la re<strong>da</strong>zione si configura come "stellare". Non c'è una<br />
re<strong>da</strong>zione con dei corrispondenti distaccati. C'è un'unica re<strong>da</strong>zione, le cui<br />
scrivanie si trovano per avventura a qualche chilometro l'una <strong>da</strong>ll'altra, ma<br />
sono perfettamente in grado di comunicare fra loro in tempo reale (il<br />
modem e i Mac servono ancghe per discutere il palinsesto, man<strong>da</strong>rsi<br />
messaggi, insultarsi e rivedersi le bucce a vicen<strong>da</strong>).<br />
Perché MacIntosh e non un grosso elaboratore? Perché i Mac sono<br />
perfettamente in grado, con qualche accorgimento, di fare il lavoro di<br />
macchine molto più grosse. Soprattutto, sono interfacciabili Linotronic: il<br />
dischetto col giornale può cioè essere <strong>da</strong>to a un'unità di fotocomposizione<br />
professionale (<strong>da</strong> voi, c'è almeno quella dei F.lli Bottoni; ma informatevi)<br />
che lo "digerisce" perfettamente. Via modem, il Mac riceve files anche <strong>da</strong><br />
altri tipi di computer: il corrispondente di Canicattì può man<strong>da</strong>re la notizia<br />
così e "dialogare" con la redenzione "vedendo" il proprio lavoro sul proprio<br />
schermo: per alcuni minuti, la re<strong>da</strong>zione si sarà trasferita a casa sua, e non<br />
viceversa.<br />
Accorgimenti: l'impaginazione via computer non è difficile; è lenta; e<br />
richiede molta memoria. Allora: adottare un'impaginazione che concentri in<br />
aree omogenee gli elementi che il computer tratta meglio insieme, e che<br />
contemporaneamente possa essere mossa a volontà muovendo moduli. Le<br />
quattro paginette che trovi accluse (e che non sono un modello)<br />
esemplificano questo concetto.<br />
Debbo interrompere, mando questo e continuerò appena posso. Struttura<br />
di un punto di corrispondenza ("politico" e re<strong>da</strong>zionale) locale; iniziative in<br />
ciascuno dei quattro settori sotto il profilo organizzativo: giovani; ancora<br />
computer; lancio; punti di riferimento a Milano, Palermo, Napoli: spero di<br />
farti avere presto degli appunti su questi argomenti. Tieniti in contatto con<br />
Palermo. Scusami la fretta e la confusione.
PROMEMORIA PER AVVENIMENTI 3<br />
autunno 1988<br />
Ci scusiamo di intervenire così, ma vorremmo essere presenti almeno con<br />
una parola di soli<strong>da</strong>rietà e di adesione. Questa iniziativa si colloca infatti<br />
perfettamente, io credo, nell'ispirazione di questi anni dei Siciliani, e ne è<br />
anzi una logica prosecuzione. Noi abbiamo sempre pensato e scritto che i<br />
poteri reali del Paese sono ben altri ormai <strong>da</strong> quelli definiti <strong>da</strong>lla<br />
Costituzione; che non sono ormai loro estranee centrali di potere<br />
paramassonico e mafioso; che nessuna dichiarazione di lotta alla mafia può<br />
più venir presa sul serio se non accompagnata <strong>da</strong> una lotta intransigente a<br />
questo sistema di potere; che ben poco affi<strong>da</strong>mento può essere riposto, per<br />
questa lotta, nelle rappresentanze politiche ufficiali, connotantesi ormai - nei<br />
casi muigliori - come oneste oligarchie; e che le sole speranze di<br />
cambiamento sono legate alla progressiva autoorganizzazione di settori<br />
sempre più ampi della società civile.<br />
Noi abbiamo creduto che un giornale come il nostro dovesse porsi come<br />
punto d'aggregazione di un movimento di cittadini - nel nostro caso<br />
l'Associazione I Siciliani - basato su questi principi, in grado di utilizzare il<br />
giornale come strumento di collegamento e di autoorganizzazione e di<br />
arricchirlo a sua volta di nuovi e sempre più articolati contenuti culturali.<br />
Abbiamo anche cercato di affrontare, all'interno di questo quadro, punti<br />
specifici di particolare importanza: il bisogno di esprimersi del mondo<br />
giovanile, con Siciliani Giovani; l'elaborazione di un progetto culturale di<br />
vasto respiro, con la campagna per i centri giovanili autogestiti; la necessità<br />
di una presenza non ideologica nelle istituzioni, con la proposta di un<br />
programma e di una linea unitari e antimafiosi; il rapporto imprenditoria<br />
mafiosa/occupazione, con la proposta di un utilizzo sociale dei beni<br />
sequestrati con la legge La Torre. Nessuno disconosce più ormai,<br />
nell'ambito della <strong>sinistra</strong>, la validità di questi punti: ma sono stati ben pochi,<br />
nel momento che bisognava, le forze impegnate attorno ad essi. Forze<br />
istituzionali, intendiamo, di <strong>sinistra</strong> "ufficiale" e d'intellettuali<br />
"riconosciuti".<br />
A distanza di due anni, non mi chiedo più dove sono le forze organizzate -<br />
partiti, sin<strong>da</strong>cati, leghe - che dovevano sostenerci in quest'impresa. Né mi<br />
meraviglio più del fatto che il più grosso partito di opposizione riempia<br />
decine di pagine di diligenti programmi elettorali senza nominare una sola<br />
volta i quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa - Rendo, Graci, Costanzo e<br />
Finocchiaro - che sono ancora al centro del sistema di potere della nostra<br />
città. Osservo soltanto che la nostra sconfitta è stata dovuta non tanto alla
prevedibile diserzione della <strong>sinistra</strong> "ufficiale" quanto alle esitazioni, alle<br />
ingenuità e alle certezze di noi stessi che c'eravamo aggregati attorno al<br />
progetto politico dei Siciliani. Esitazioni, ingenuità e incertezze pagate a<br />
carissimo prezzo <strong>da</strong>i singoli, e <strong>da</strong>lla città.<br />
Per questo, crediamo che ora sia importante partire bene, vale a dire senza<br />
equivoci. Costruire un movimento antimafioso è una cosa, portare la regina<br />
Elena a carezzare i bimbi di Librino <strong>un'altra</strong>. Nessuna enunciazione di<br />
principio, a Catania, può essere presa sul serio, in nessun campo, se non si<br />
accompagna a una chiara presa di posizione sui quattro cavalieri. Nessun<br />
intellettuale può pretendere di venire ascoltato <strong>da</strong> nessuna persona per bene<br />
se mantiene un qualunque rapporto - professionali compresi - col sistema di<br />
potere e coi suoi esponenti. Nessuno può dire che la società civile va bene,<br />
ma l'organizzazione bisogna lasciarla ai partiti. Nessuno può chiedere ad<br />
altri di impegnare la propria esistenza in un'impresa comune, se non è<br />
disposto a sostenerla fino in fondo e non come mero esperimento<br />
intellettuale.<br />
Tutte queste cose, nell'esperienza dei Siciliani, si sono pur verificate, e<br />
sono state pagate molto care. Io mi auguro che voi possiate ricominciare <strong>da</strong><br />
dove noi abbiamo dovuto fermarci, e an<strong>da</strong>re più avanti. Riprendendo la<br />
nostra impostazione politica generale, che è stata confermata <strong>da</strong>i fatti e di<br />
cui andiamo a buon diritto orgogliosi, ma riconoscendo ed evitando i nostri<br />
errori. Gli errori nostri, e soprattutto gli errori nostri che noi abbiamo<br />
colpevolmente subito per ingenuità, debolezza e impreparazione. Ci siamo<br />
organizzati poco, ci siamo organizzati tardi, ci siamo organizzati a<br />
malincuore, ci siamo organizzati male. Non imitateci in questo.
LA LEGGE DEI CAVALIERI<br />
Avvenimenti, dicembre 89<br />
Non sapremo mai, probabilmente, con quali motivazioni i giudici catanesi<br />
hanno respinto il rapporto di polizia che indiziava di mafia tre dei maggiori<br />
imprenditori italiani, i "cavalieri dell'apocalisse" Rendo, Costanzo e<br />
Graci.Pure, non sarebbe secon<strong>da</strong>rio conoscerle: si tratta di personaggi che,<br />
in bene o in male,condizionano la vita dei loro concittadini almeno quanto<br />
un segretario di partito greco o tedesco-orientale.<br />
Ma in Italia, in un caso come questo, a noi cittadini viene comunicato<br />
soltanto (e nemmeno spontaneamente) ciò che è stato; e ci deve bastare. Ma<br />
- è l'obiezione - e voi giornalisti? Noi giornalisti, ai sensi di legge e<br />
specialmente della nuova legge che inasprisce il segreto istruttorio,<br />
ufficialmente non ci possiamo fare niente.<br />
Se decidiamo d'informarvi, è una scelta nostra, non più insita nel<br />
mestiere. La verità, in altre parole, è divenatata una faccen<strong>da</strong> del tutto<br />
personale; non è prevista <strong>da</strong>lla legge.<br />
La legge: un giudice, ha deciso il Csm, può stare in una loggia segreta al<br />
comando di Gelli, come il bolognese Monti, ma non può regolare nel modo<br />
che preferisce (come il palermitano Ayala) i propri rapporti con la moglie<br />
separata. Che faccia giustizia o meno, è affar suo personale, ininfluente ai<br />
fini della carriera. E' esattamente il punto a cui era arrivato, una generazione<br />
fa, un altro paese dell'Occidente: la Colombia.<br />
Dove ora le cose hanno seguito il loro corso naturale, e la mafia tratta <strong>da</strong><br />
ari a pari, alla luce del sole, con lo Stato, e giornalisti e magistrati vengono<br />
uccisi liberamete, ufficialmente e preventivamente perché evidentemente<br />
quella costitutzione di fatto non può riconoscere la loro funzione.<br />
La stessa funzione, gli stessi diritti-doveri - la libertà d'informazione,<br />
l'indipendenza dei magistrati - che all'est stanno faticosamente e con<br />
trepi<strong>da</strong>zione riscoprendo e che noi qui, ora, andiamo allegramente<br />
abbandonando ogni giorno di più.
UN'IDEA DI GIORNALISMO<br />
1990?<br />
La situazione della libertà d'informazione a Catania è quella che è, non è<br />
il caso di starci troppo a girare attorno, di citare l'ennesimo episodio buffo o<br />
vergognoso, di ripetere ancora una volta che qui la libertà di stampa è<br />
esattamente al livello di una qualunque dittatura su<strong>da</strong>mericana. Dopo tanti<br />
anni, chi non l'ha capito finora non lo capirà certamente stasera; non lo<br />
capirà soprattutto chi non lo vuole capire, o perché non vuol rinunciare alla<br />
cronachetta - sul giornale di Ciancio - delle proprie attività "d'opposizione"<br />
o perché, più semplicemente, appartiene alla stessa classe sociale che, con<br />
diversi appellativi ideologici, dà luogo al blocco di potere catanese e quindi<br />
al suo giornale: gli eterni cappelli e galantuomini - liberali o borboni conta<br />
poco. Vorrei invece chiedermi ancora una volta (anche qui, roba vecchia:<br />
ma repetita juvant) di chi è la colpa, e cosa si può fare.<br />
Per anni e anni abbiamo ripetuto, a partire <strong>da</strong>l gennaio 1984, che non ce<br />
l'abbiamo con i giornalisti catanesi, ma con i loro padroni; e abbiamo ogni<br />
volta sottolineato con la massima attenzione quei conati rivendicativi che<br />
quei colleghi hanno a volte cercato di esprimere. Ma il fatto resta che essi<br />
lavorano - sono costretti a lavorare - in condizioni assolutamente anomale,<br />
lesive del diritto del lettore a un'informazione veritiera e corretta, e della<br />
loro stessa dignità professionale. Sono costretti, o gli va bene? Questo<br />
chiedo di sapere <strong>da</strong> sei anni, e questo chiedo anche stasera. Nel primo caso,<br />
tutta la mia soli<strong>da</strong>rietà. Nel secondo - nel caso cioé di "Catania diffamata",<br />
della "stampa catanese in prima fila" eccetera - essi sono complici, e<br />
complici di qualcosa di molto grave.<br />
Perché la libertà, nel nostro mestiere, è possibile. Ha dei prezzi, ma si<br />
può. Noi dei Siciliani l'abbiamo dimostrato. E, su scala più ampia,<br />
Avvenimenti sta rinnovando l'esempio di un giornale che fa informazione<br />
libera e tiene mercato senza bisogno di sottomettersi ai padroni del vapore,<br />
e delle cosche. Se, invece di piagnucolare su questi "nordisti" che diffamano<br />
noi poveri catanesi, invece di cercare - ma perché poi? - di difendere alla<br />
men peggio l'indifendibile, di abbaiare - legati alla catena - contro le<br />
Samarcande e i Marrazzo, cercassimo invece una buona volta di<br />
rimboccarci le maniche, di ritrovare l'orgoglio di noi stessi, di decidere che<br />
siamo giornalisti e non impiegati di Ciancio o Berlusconi...<br />
Ma, neanche questi sono discorsi nuovi. Auguriamo ogni bene ai colleghi<br />
che preferiscono continuare ad arrancare nella palude. Noi, andiamo avanti.<br />
Giuseppe Fava ci ha lasciato alcune precise cose <strong>da</strong> fare. Ci ha lasciato<br />
l'esempio di come si fa un giornale, e di come si fanno dei giornalisti. Un
giornale si fa <strong>da</strong> liberi, senza padroni, affi<strong>da</strong>ndolo alla gente comune,<br />
sapendo che così è più difficile, ma che anche nei momenti più bui non si<br />
resterà del tutto soli. I giornalisti si fanno tirandoli su <strong>da</strong>lle radici,<br />
selezionando intelligenze e volontà fra i giovani che sono degni di fare<br />
questo mestiere ed insegnando pazientemente loro - senza paternalismi e<br />
compiacenze, <strong>da</strong>ndo ed esigendo serietà ed attenzione - tutti i rudimenti<br />
dell'arte. Così fu per noi "ragazzi di Fava" ai Siciliani; così fu nostro<br />
compito fare, col gruppo dei Siciliani/Giovani, quando restammo soli; così<br />
continuiamo ancora oggi a formare, in continuità con questa storia, nuovi<br />
giovani gruppi di re<strong>da</strong>ttori. Lasciamo volentieri ai colleghi della<br />
corporazione il carico di difendere, se ne hanno voglia, l'immagine del<br />
giornalismo ufficiale. Noi attendiamo a un compito un po' differente, che è<br />
di conservare e trasmettere una tradizione di buon mestiere e di etica<br />
professionale, di giornalismo "all'antica" e di libertà.<br />
Ed è una stra<strong>da</strong> vincente. Gli studenti che oggi - c'è una scritta bellissima<br />
alla facoltà di Lettere a Roma: "sono orgoglioso di essere siciliano" -<br />
gui<strong>da</strong>no il movimento studentesco del Novanta, sono siciliani. La città che<br />
oggi è più avanti nello scontro politico e civile, la città su cui entro<br />
quest'anno cadrà il governo Andreotti-Craxi, è la capitale siciliana. Le idee e<br />
il dibattito su cui si sta formando la <strong>sinistra</strong> che in questi anni andrà al<br />
potere non sarebbero immaginabili senza le esperienze e le lotte siciliane. E<br />
in queste, il contributo del giornale di Fava, del suo esempio, di tutto ciò<br />
che attorno ad esso si è aggregato ed è cresciuto, ha avuto un ruolo non<br />
piccolo e non marginale. E' un particolare trascurabile, a questo punto, che<br />
contingentemente il giornale non sia in edicola. Certamente, è nostro<br />
preciso e non utopistico intento - e senza alcun bisogno di sedicenti amici<br />
dell'ultim'ora - di riportarcelo; ma già ora I Siciliani vivono, in Sicilia e<br />
altrove, dovunque abbia attecchito un seme di ciò che fu lanciato allora.<br />
Noi che siamo stati costretti - esattamente come altri giornalisti<br />
d'opposizione in altri paesi sotto dittatura - a lasciare la nostra città<br />
guardiamo oggi con fiducia a ciò che succede in Sicilia, a ciò che <strong>da</strong>lla<br />
Sicilia s'irradia. Dalle varie città d'Italia in cui siamo stati dispersi,<br />
conserviamo non il ricordo ma l'insegnamento attuale delle idee che hanno<br />
<strong>da</strong>to vita all'impresa dei Siciliani. La consideriamo non chiusa, ma in fase di<br />
affermazione e di rinascita: sotto lo stesso o sotto altri nomi, ma stavolta<br />
non più solo in Sicilia ma in tutta Italia
UN UOMO E LA SUA LOTTA<br />
Antimafia, marzo 1990<br />
La sede dei Siciliani a Roma era in via Cola di Rienzo ed era in realtà un<br />
mezzo appartamento, completamente vuoto salvo che per una bran<strong>da</strong>, un<br />
tavolo e due sedie. Con l'affitto, eravamo molto indietro: bisognava perciò<br />
cercare di salire senza farsi notare <strong>da</strong>l portiere, il quale tuttavia<br />
immancabilmente ci fulminava con uno sguardo di disprezzo. Il giornale era<br />
uscito, il numero uno, <strong>da</strong> tre settimane, e i cavalieri avevano già man<strong>da</strong>to i<br />
loro messaggi. Uno, il più bestia dei quattro, aveva offerto senz'altro dei<br />
denari. Un altro, il più raffinato, aveva invece man<strong>da</strong>to suo figlio (un<br />
giovane assai perbene, studente a Oxford e senza il minimo accento<br />
siciliano) a congratularsi col direttore per il bellissimo giornale e a<br />
osservare però che limitarsi a fare un mensile era, per giornalisti del suo<br />
valore, del tutto inadeguato: perché non fare invece una televisione? La<br />
prima tv privata della Sicilia, budget iniziale un miliardo: i soldi, si<br />
sarebbero trovati; s'intende, libertà assoluta. Io ero a Roma, in quei giorni,<br />
per gli esami di giornalista; lui per rintracciare non so che funzionario Rai<br />
che aveva vagamente parlato di citare in qualche trasmissione il giornale,<br />
Antonio per un servizio e poi c'erano anche Claudio e Miki e il direttore<br />
raccontò del miliardo di Rendo e l'assemblea, seduta sulle due sedie e sulla<br />
bran<strong>da</strong>, decise all'unanimità di rifiutare. Eravamo allegri quella sera,<br />
man<strong>da</strong>re al diavolo un miliardo non è cosa di tutti i giorni, poi lui e Miki si<br />
misero a commentare le tre brasiliane che c'erano al ristorante sotto, poi io<br />
dissi che all'esame mi avevano chiesto chi era Fossati, poi scendemmo<br />
passando con indifferenza <strong>da</strong>vanti al portiere che non ci salutò, poi salimmo<br />
sulla macchina del direttore che era una cinquecento rosso ruggine e ce ne<br />
an<strong>da</strong>mmo tutti alla Rai e fummo ricevuti, dopo tre ore d'attesa, <strong>da</strong>lla<br />
segretaria del dottore. Della televisione se ne riparlò a settembre, venne<br />
l'onorevole Andò a parlare col direttore e gli fece esattamente la stessa<br />
proposta che a gennaio aveva fatto Rendo, e anche a lui fu garbatamente<br />
spiegato che non c'interessavano le televisioni.<br />
Non so: ci sarebbe la birreria di Catania dove, <strong>da</strong>ll'una in poi, passavano<br />
solo scippatori e metronotte, e noi. I metronotte prendevano una birra in<br />
fretta, al banco, gli scippatori invece grandi scodelle di pasta alla Norma.<br />
"Potremmo fare un settimanale" venne fuori l'idea, una notte, e allora<br />
facemmo i conti sui tovagliolini di carta per vedere quanto poteva costare<br />
fare un settimanale. Eravamo immortali, allora, niente di male avrebbe mai<br />
potuto accaderci. (Ne sono morti parecchi, di quegli scippatori, <strong>da</strong> allora; di<br />
uno fecero trovare la testa sotto la statua di Garibaldi, per una rapina
sbagliata; ma bevevano intanto e scherzavano fra di loro, come tutti).<br />
Oppure la vecchia sede, in un paesino sopra Catania, quando arrivarono -<br />
prese a cambiali - le macchine <strong>da</strong> stampa. Il direttore non c'era, e noi ragazzi<br />
festeggiammo con uno spinello; qualcuno di noi ha ancora il filtro di<br />
cartone, con le firme di tutti e la <strong>da</strong>ta. Oppure la "conferenza stampa" per il<br />
primo numero dei Siciliani, avevamo invitato tutti i giornalisti della città e il<br />
bar di fronte aveva man<strong>da</strong>to un quintale di pasticcini e spumanti per il<br />
buffet, ma venne solo un anziano giornalista sportivo, vecchio amico del<br />
direttore, e per tutta la sera rimase disciplinatamente là, a un capo<br />
dell'enorme e solitaria tavolata, a fare le regolamentari domande e auguri<br />
che si fanno alla presentazione di un giornale nuovo, e noi mangiammo<br />
amaramente pasticcini per una settimana.<br />
Certo: bisognerebbe parlare di mafia adesso, e di lotta alla mafia e<br />
dell'informazione coraggiosa e di quella puttana. Ma a volte è una fatica<br />
troppo grande ripetere sempre le stesse cose. Il direttore è morto, sei anni fa,<br />
e questo è un fatto. I cavalieri sono ancora al potere, a Catania ed altrove, e<br />
anche questo è un fatto. Ci sono più ragazzini scippatori, a Catania, di ogni<br />
altra città d'Europa, esattamente come sei anni fa: e anche questo - che<br />
gl'intrallazzi e le vigliaccherie finiscano per essere selvaggiamente e<br />
pacificamente pagate <strong>da</strong>i più indifesi, che un ragazzo che nasce a Catania<br />
non abbia diritto a nient'altro che a finire in galera - è un fatto come gli altri.<br />
Ci siamo illusi, per alcuni anni, che una parte almeno dello stato italiano<br />
considerasse questi e altri fatti come estranei <strong>da</strong> sé, come nemici, e che<br />
sarebbe stato possibile - come si dice - "fare giustizia". Ma era un'illusione,<br />
e basta guar<strong>da</strong>re la faccia del giudice Ayala - cacciato perché voleva fare il<br />
giudice - per averne un'idea. Sono state illusioni nostre, non di Giuseppe<br />
Fava. Lui sapeva perfettamente (era molto più siciliano di noi) che in fondo<br />
era tutta una questione di "berretti" e di "cappelli", di disgraziati sfruttati e<br />
di galantuomini: e che mai i disgraziati hanno avuto giustizia <strong>da</strong>i<br />
galantuomini, tranne che costruirsela <strong>da</strong> sé, a poco a poco.
IL PARTITO DELLA MAFIA<br />
E QUELLO DELL'ANTIMAFIA<br />
Antimafia, luglio 1990<br />
Una volta le cose erano più chiare. C'era un partito che combatteva la<br />
mafia, ed era il partito comunista. C'era un partito che appoggiava la mafia,<br />
ed era la democrazia cristiana. La mafia non esiste, dicevano i preti. Con la<br />
mafia non si tratta, dicevano i sin<strong>da</strong>calisti. E tanti anni son passati. Anni di<br />
lotte dure, di battaglie feroci, di guerra: decine e decine di militanti, sotto la<br />
bandiera sin<strong>da</strong>cale o la falce e martello, sono morti per essa. In ogni più<br />
sperduto angolo della Sicilia, chi era nemico della mafia sapeva<br />
immediatamente con chi stare. Ancora sul finire degli anni sessanta, un<br />
ragazzo fu fatto assassinare <strong>da</strong>l padre, boss mafioso, semplicemente perchè<br />
comunista. Le prime manifestazioni contro la mafia, nell'ottantatrè, furono<br />
quelle della Fgci; e il coordinamento antimafia nacque principalmente per<br />
impulso di uomini e donne comunisti.<br />
Non è che ora vogliamo metterci a far lezioni sui partiti. E' che una volta<br />
la lotta fra i partiti coincideva quasi letteralmente con la lotta fra mafia e<br />
antimafia, fra società dell'arbitrio e società civile; e abbiamo nostalgia di<br />
quel tempo, quando tutto era tanto più lineare e facile <strong>da</strong> capire; e degli<br />
esseri umani, pure, che di quel tempo furono, con umile orgoglio, gli eroi.<br />
Ma la nostalgia non aiuta molto. Dobbiamo tornare alla nostra realtà, e<br />
guar<strong>da</strong>rla bene. Per esempio: c'è un professionista comunista, un certo<br />
Leone di Catania, che la sua professione l'ha esercitata per decine di anni in<br />
sostegno dei cavalieri del lavoro catanesi; e la professione, in questi casi, è<br />
difficilmente distinguibile <strong>da</strong>lla vita politica e privata. Adesso che il vento<br />
cambia, il professionista - prima membro autorevole del Pci, poi passato ai<br />
socialisti di Andò, poi coinvolto di nuovo nelle faccende del vecchio partito<br />
- ha bisogno che non si parli troppo di lui, o che almeno non se ne parli in<br />
termini troppo precisi: e man<strong>da</strong> in giro due esponenti del suo partito (o expartito:<br />
non è stato possibile precisare il particolare) a raccoman<strong>da</strong>rsi per<br />
lui. Di questi, uno - l'onorevole Emanuele Macaluso - appartiene alla<br />
maggioranza occhettiana, sostiene il cambio del nome, ecc.; l'altro - il<br />
professor Pietro Barcellona - è fra i leader del "fronte del no". Pacioso e<br />
arguto il primo, con la figura amabile di un "civile" di fine secolo; fiero<br />
intellettuale il secondo, propugnatore di lotte e di riscosse; eppure, su un<br />
punto si ritrovano senza contrasto: quello di negare che il compagno (o excompagno)<br />
Leone abbia mai avuto a che fare con imprenditori chiaccherati.<br />
Ci sembra una circostanza interessante; e molto siciliana.<br />
C'era una volta in Sicilia, molti anni fa, il "galantuomo" borbonico e
quello liberale. I borbonici erano per la tradizione e il codino, i liberali per<br />
re Vittorio e la Talia: passavano intere serate a litigare su questo, al Circolo<br />
dei Civili. Però, se qualche estraneo - qualcuno che non fosse un<br />
"galantuomo" - si permetteva di mettere in discussione il ruolo sociale di<br />
uno qualunque di loro, insorgevano tutti a difesa del galantuomo<br />
"calunniato", liberale o borbone che fosse: la politica è bella, però ognuno al<br />
suo posto. Anche il "sì" e il "no" sono importanti: ma il ruolo del<br />
professionista di buona famiglia, nella società siciliana, è più importante<br />
ancora; e quando questo ruolo vien messo in discussione, la soli<strong>da</strong>rietà di<br />
classe scatta ancora, oggi come cent'anni fa. Perchè il Circolo dei Civili<br />
esiste ancora.<br />
Il partito comunista, ai suoi begli anni, è stato l'esatto opposto del circolo<br />
dei civili. Il luogo cioè in cui lo schieramento che si assume vale per tutta la<br />
vita. Prima galantuomini, poi liberali; ma, prima comunisti, e poi<br />
eventualmente tutto il resto. Non sappiamo quanto le teorizzazioni di<br />
Togliatti e Amendola abbiano giovato al popolo siciliano. Ma la presenza di<br />
un partito che "non ci stava", l'esistenza di qualcosa che stava fuori <strong>da</strong>l<br />
Circolo dei Civili, di qualcosa che i "galantuomini" non potevano<br />
controllare, questa è stata la cosa più utile e più grande che noi siciliani<br />
abbiamo mai avuto. Contro i "galantuomini" tutti, liberali e codini; e se i<br />
galantuomini si fanno sostenere <strong>da</strong>lla mafia, contro la mafia, sempre, senza<br />
mezze misure. Licausi, Portella delle Ginestre, Pio La Torre.<br />
Queste cose ci mancano, e non ne possiamo fare a meno ancora per<br />
molto. Abbiamo bisogno di qualcosa su cui i "galantuomini" non possano<br />
mettere le mani. Qualcosa che esprima la radicalità, la visceralità, la faziosa<br />
irriducibile avversione dei Siciliani non-galantuomini al potere mafioso.<br />
Non è più questa la vecchia <strong>sinistra</strong>, e non c'è ancora la nuova. Ma forse il<br />
Coordinamento antimafia, una stra<strong>da</strong> siffatta, l'ha cominciata ad aprire.<br />
Rozzo, maleducato, difficile <strong>da</strong> ragionare: però schierato là fino in fondo,<br />
fuori <strong>da</strong> ogni circolo perbene e impossibile <strong>da</strong> gattopar<strong>da</strong>re. Il ruolo del<br />
sin<strong>da</strong>co Orlando, il rinnovamento della <strong>sinistra</strong>, il nome dei comunisti, gli<br />
assetti di palazzo di giustizia, i pentiti, l'estate palermitana, la pidue; la<br />
stessa sopravvivenza fisica - infine - dei militanti antimafiosi. Tutti<br />
argomenti importanti, su cui ci sarà molto <strong>da</strong> ragionare. Ma, a monte di tutti<br />
questi, e di ciascuno di essi, resta l'argomento fon<strong>da</strong>mentale che è il<br />
seguente: che cosa sostituiremo, nella lotta di tutti, a ciò che avevamo una<br />
volta e ora - digerito <strong>da</strong>i "galantuomini" - non abbiamo più.
IL NOSTRO DOVERE<br />
Antimafia, gennaio 1991<br />
La colpa non è di Cossiga. Nè di Salvo Lima, di Craxi, di Andreotti, di<br />
nessuno di coloro che, fra uno scan<strong>da</strong>lo e l'altro, hanno consegnato un Paese<br />
a tutti i poteri del male,fra cui la mafia.E che altro potevano fare? Erano qui<br />
per questo. Un tribunale dichiara ufficialmente,in Italia, che la mafia non<br />
esiste (al massimo, i singoli mafiosi); un pubblico funzionario, al vertice<br />
dello Stato, "decide e dispone" che i magistrati della Repubblica non son<br />
degni d'ascoltarlo (al massimo, quelli scelti <strong>da</strong> lui); avventurieri e<br />
mascalzoni raccontano compiaciuti ai giornali come avevano bene<br />
organizzato il colpo di Stato e la guerra civile (magari,coi mafiosi a far <strong>da</strong><br />
sgherri). La colpa, di tutto questo, non è loro.<br />
La colpa è nostra. Nostra, di noi antimafiosi. Perchè non è vero che la<br />
gente, a tutto questo, non si oppone. Gli studenti di Gela, la loro parte,<br />
l'hanno fatta.La primavera di Palermo,in Sicilia,c'è stata. Ma la primavera è<br />
finita - e i ragazzi di Gela, traditi <strong>da</strong>l loro Stato, sono rimasti soli. Certo, la<br />
primavera continua, sotterraneamente: ma intanto a Palermo coman<strong>da</strong>no di<br />
nuovo i comitati d'affari. Certo, gli studenti hanno saputo - a Gela ome<br />
altrove - reagire con dignità, rinfacciando allo Stato la sua fuga e an<strong>da</strong>ndo<br />
avanti <strong>da</strong> soli: ma intanto la mafia occupa militarmente la zona. Si può<br />
lottare insomma, in questo modo, ma non vincendo. Salva la dignità, non<br />
l'avvenire.<br />
Non mancano le forze. Manca il punto di riferimento, l'aggregazione. Qui,<br />
dico che la colpa è nostra. La gente sta aspettando una bandiera, che noi<br />
abbiam timore a innalzare. Chi è stato il più votato a Palermo,chi a Torino?<br />
Due persone perbene, due antimafiosi. E dov'è Orlando adesso, dov'è<br />
Novelli? A far belle battaglie,a denunciare,a polemizzare coi partiti - non a<br />
vincere, non a ricostruire. Chi era, in Sicilia,il comunista più legato - dopo<br />
Pio La Torre - al movimento antimafioso? E dov'è Galasso adesso, se non a<br />
testimoniare, combattivo e isolato,la sua idea? Chi è riuscito a muovere la<br />
società civile a Milano, chi ha contrastato fin lasssù, ai primi segni, la mafia<br />
che avanzava in Lombardia? Ma che strumenti ha Dalla Chiesa, adesso, per<br />
vincere e non solo denunciare?<br />
Non mancano le forze. Nè a Orlando nè a Novelli né a Galasso né a Dalla<br />
Chiesa è mai mancato, in campo aperto, il sostegno popolare. Contrastati e<br />
isolati <strong>da</strong>i partiti, non lo furono mai <strong>da</strong>lla gente comune: pochi personaggi<br />
pubblici, in Italia, son forse stati più popolari. Con tutto ciò,si continua ad<br />
arretrare; mentre la bella Repubblica va in pezzi, coloro che dovrebbero<br />
esserne i campioni combattono sì, ma come combattevano i cavalieri della
Tavola roton<strong>da</strong>: che partivano quando garbava loro, isolatamente, cercavano<br />
i loro orchi e i loro draghi, e tornavano - <strong>da</strong> punti diversi - dopo un anno,<br />
fieri delle loro individuali avventure. I barbari, frattanto, devastavano il<br />
paese.<br />
Noi non abbiamo bisogno di sangiorgi a cavallo. Vogliamo uomini che<br />
sappiano unirsi fra loro, raccor<strong>da</strong>re le varie esperienze e il coraggio, creare<br />
un polo su cui, fuori <strong>da</strong>lla "politica",ogni buon cittadino si riconosca.<br />
Vogliamo che la protesta e la collera, che crescono quotidianamente, trovino<br />
dove coagularsi; non più disperse, o raccolte <strong>da</strong> furbi e lestofanti. Vogliamo<br />
che ognuno faccia il proprio dovere, e il dovere di chi ha responsabilità di<br />
politico in questi momenti - quando essa venga <strong>da</strong> libera simpatia popolare<br />
e non <strong>da</strong> segreterie di palazzo - è di assumere il proprio ruolo fino in fondo,<br />
senza ritrosie inopportune e titubanze; con senso dei propri limiti e infinita<br />
umiltà, ma sapendo che qualcuno, quando l'ora viene,deve pur chiamare a<br />
raccolta. Perchè l'ora è gravissima, e tutto ciò che amiamo è minacciato.<br />
Fare un partito nuovo, dunque? No: quelli, se li faccia chi ci crede. Se lo<br />
faccia chi vuol levare un Cossiga <strong>da</strong>lla poltrona per metterci un Craxi, se lo<br />
faccia chi sogna repubbichine bergamasche e varesotte, se lo faccia - o, se<br />
già c'è, ci rimanga - chi vuol girare intorno alle cose, cambiare perché non<br />
cambi niente. A noi serve qualcosa di più serio di un partito. Una forza<br />
diversa, un comitato di liberazione e d'azione: che stia al nord come al sud e<br />
<strong>da</strong>ppertutto; che non abbia zavorra d'ideologia ma unisca senza tanti<br />
fronzoli chiunque sia personalmente disposto a far qualcosa. Che, quando<br />
occorre, presenti liste di cittadini: liste non di partito vecchio o nuovo, nè<br />
commissionate - sia pure con nobili intenzioni - a tavolino, ma scelte<br />
liberamente in libere assemblee di cittadini. Non per costituire delle<br />
aggregazioni permanenti di potere ma semplicemente per aver nelle<br />
istituzioni, qui ed ora, uomini che - per un tempo rigi<strong>da</strong>mente determinato, e<br />
con un programma essenziale e d'emergenza - provve<strong>da</strong>no dove bisogna.
IL CASO NON E' CHIUSO<br />
Antimafia, luglio 1991<br />
I giudici di Catania che si sono succeduti - con rare e isolate eccezioni -<br />
nel corso degli ultimi sette anni non hanno atteso l'intimazione del<br />
presidente Cossiga per adottare la norma che "non è compito dei giudici<br />
combattere la mafia". E' il primo pensiero che viene in mente leggendo le<br />
motivazioni con cui la magistratura catanese dichiara ufficialmente chiusa<br />
l'in<strong>da</strong>gine sull'assassinio del direttore de "I Siciliani" Giuseppe Fava,<br />
avvenuto per mano mafiosa il 5 gennaio 1984. Non perchè anche questo<br />
delitto rimane - come infiniti altri - "ad opera d'ignoti", nè perchè<br />
manifestamente emerge <strong>da</strong>lle carte depositate l'inefficienza tecnicoprofessionale<br />
dei magistrati preposti ad in<strong>da</strong>gare: questo si sarebbe potuto<br />
anche comprendere, forse persino perdonare. Ma perchè in realtà<br />
quest'inchiesta - e la cosa appare evidentissima <strong>da</strong>lle carte processuali - non<br />
s'è voluta fare. Non si sono volute seguire le piste che uno sguardo anche<br />
superficiale ai fatti avrebbe suggerito. Non si sono volute tenere in alcun<br />
conto le indicazioni che amici e familiari dell'assassinato non avevano<br />
mancato di <strong>da</strong>re. Non si è voluto insomma applicare alle in<strong>da</strong>gini su un<br />
delitto di mafia la serietà che in<strong>da</strong>gini di questo genere implicherebbero, e si<br />
è anzi cercato di negare il più a lungo possibile che di delitto di mafia si<br />
trattasse. Il risultato, sono quegli striminziti quinterni in cui, al termine di<br />
sette anni di "in<strong>da</strong>gini" successivamente condotte <strong>da</strong> una dozzina di<br />
magistrati, si compendia tutto ciò che la giustizia catanese è stata capace di<br />
produrre su questo caso. Cioè niente.<br />
Per tutto il 1984, obiettivo principale dei magistrati preposti al caso è<br />
stato di dimostrare che la mafia col delitto non c'entrava nulla. Per almeno<br />
sei mesi, hanno in<strong>da</strong>gato minuziosamente sulla vita privata della vittima e<br />
dei suoi collaboratori, nell'intento di trovare un qualche appiglio che potesse<br />
consentire di scagionare i mafiosi. Hanno esaminato minuziosamente tutti<br />
gli assegni firmati negli ultimi dieci anni <strong>da</strong> Giuseppe Fava e <strong>da</strong>i suoi<br />
collaboratori e familiari, utilizzando le facoltà previste <strong>da</strong>lla legge La Torre,<br />
istituita per in<strong>da</strong>gare sulla finanza mafiosa ma a Catania utilizzata per<br />
in<strong>da</strong>gare sulle vittime della mafia. E così via. Si distinsero particolarmente,<br />
in questa prima fase dell'inchiesta, i magistrati Giulio Cesare di Natale ed<br />
Aldo Grassi, entrambi oggetto più tardi di provvedimenti del Consiglio<br />
Superiore della Magistratura; dei due, il primo fu costretto a dimettersi <strong>da</strong>lla<br />
magistratura mentre il secondo, trasferitosi prudentemente, proseguì la sua<br />
carriera fino alla Corte di Cassazione, dove siede tuttora.<br />
Sarebbe lungo rifare la storia di questi sette anni di "in<strong>da</strong>gini" che non
furono tali. Dei pentiti che si dichiaravano disposti a parlare e venivano<br />
immediatamente minacciati con la pubblicazione sul giornale "La Sicilia"<br />
del loro nome cognome indirizzo e foto. Dei collaboratori di Fava<br />
minacciati e - in almeno un'occasione - accusati, nei locali della questura, di<br />
essere i veri autori del delitto. Delle campagne di stampa con cui il giornale<br />
degl'imprenditori catanesi portava avanti le tesi di volta in volta più<br />
favorevoli all'assoluzione delle responsabilità mafiose. Di tutti questi anni,<br />
non un istante è stato dimenticato.<br />
Sono stati anni di feroce menzogna, questi, per i potenti; ma anche, per<br />
molti e molti giovani catanesi, anni di apprendimento della dignità. La lotta<br />
per la verità, in questi anni, non ha mai avuto molti mezzi materiali, ma<br />
isolata non è rimasta mai; nella coscienza della gente comune, la verità è<br />
arrivata molto presto, su chi avesse ucciso Giuseppe Fava e perchè; soltanto<br />
nel Palazzo non è arrivata mai. Il caso, per quanto ci riguar<strong>da</strong>, non è chiuso.<br />
E non lo sarà finchè giustizia non sarà fatta. Non sappiamo se ciò riguar<strong>da</strong><br />
ancora il Palazzo di giustizia, e in generale i palazzi; riguar<strong>da</strong> sicuramente<br />
tutti gli esseri umani che stanno faticosamente ricostruendo la loro società.<br />
Quanto ai magistrati catanesi, ce n'è di giovani, negli ultimi tempi, che<br />
cercano di operare onestamente, per quanto le loro forze consentono, per<br />
fare il loro dovere con serietà. Non che siano incoraggiati <strong>da</strong>ll'alto<br />
(appartengono a quei "giudici ragazzini" che il presidente della Repubblica<br />
si compiace d'ingiuriare), ma insomma vanno avanti. Auguriamo loro di<br />
riscattare la vergogna che sul palazzo di Giustizia della loro città è stata<br />
gettata <strong>da</strong> questi sette anni.
L'ESTATE CHE<br />
volantino, estate 1991<br />
Sabato 11 luglio, a Roma, ci siamo incontrati cinquanta gruppi giovanili<br />
di base provenienti <strong>da</strong> tutta Italia. Associazioni cattoliche, centri sociali<br />
autogestiti, gruppi di volontariato, nuclei d'immigrati: c'era di tutto. <strong>Storie</strong><br />
molto diverse fra loro, con quasi nulla in comune salvo il fatto di essere tutti<br />
impegnati in prima persona e senza mediazioni "politiche" per cambiare<br />
ognuno il proprio an<br />
golo di società. E' stata una giornata molto bella. Ciascuno dei ragazzi che<br />
sono intervenuti (e sono intervenuti tutti) aveva una sua esperienza <strong>da</strong><br />
raccontare: quelli di Aversa l'assistenza agli immigrati, quelli di Capaci la<br />
conquista di una spiaggia libera in un paesino in cui tutte le spiagge sono a<br />
pagamento, quelli del Corto Circuito il lavoro che fanno nel loro quartiere,<br />
quelli di Catania il doposcuola organizzato coi ragazzini del quartiere "di<br />
mafia", e così via. Tutti s'incontravano per la prima volta ma c'era<br />
un'atmosfera di grande fiducia reciproca, di molto lavoro serio <strong>da</strong> fare<br />
insieme. Nessuno aveva in mente, naturalmente, di fare il centesimo<br />
gruppo/partito/partitino. Ma tutti si rendevano conto che un collegamento<br />
fra tutte queste situazioni male non ne farebbe.<br />
Così sono venute a galla alcune idee. Intanto, di stabilire questo<br />
collegamento sotto forma di agende, di giri di telefonate ecc., senza nessuna<br />
ufficialità. Vedere se questo collegamento può avere bisogno di una spece di<br />
foglio <strong>da</strong> fare e far girare nelle varie situazioni. Poi, di stabilire delle<br />
iniziative <strong>da</strong> fare insieme in autunno. Quali iniziative? Bisognerà definirle<br />
tutti insieme. Intanto, però, alcuni punti su cui riflettere, quelli che eravamo<br />
all'incontro, siamo riusciti a stabilirli:<br />
- Quelli che venivano <strong>da</strong>lla Sicilia hanno parlato di mafia e antimafia.<br />
Non è, hanno spiegato, una faccen<strong>da</strong> di polizia. E' una faccen<strong>da</strong> che<br />
riguar<strong>da</strong> tutta la gente e che può essere affrontata solo se il movimento<br />
antimafia diventa nazionale e riesce a togliere <strong>da</strong>lla scena i politici e i<br />
cavalieri mafiosi. Questo significa meno Maurizio Costanzo show e più<br />
organizzazione di base contro i potenti mafiosi.<br />
- La faccen<strong>da</strong> di Di Pietro e delle tangenti. Chi deve "fare pulizia", oltre ai<br />
giudici? I personaggi perbene (Rotary, La Malfa, leghisti vari) oppure i<br />
semplici cittadini che pagano per tutti e non vengono mai consultati? Ci<br />
piace "viva Di Pietro", ma non dev'essere una cosa <strong>da</strong> spettacolo,<br />
discoteche: dev'essere un movimento serio, di gente di base, che si colleghi<br />
fraternamente con coloro che contemporaneamente lottano contro la mafia a<br />
sud. Tangentisti e mafiosi, tutti insieme.
- Il mestiere più diffuso in Italia è ancora l'operaio. L'operaio, e in genere<br />
quello che vive di stipendio, a dicembre si vedrà portar via mezza<br />
tredicesima, per pagare le tasse dell'"emergenza" (lasciamo perdere<br />
l'aumento delle tasse all'università). Questo è profon<strong>da</strong>mente immorale. La<br />
lotta contro il potere mafioso e contro le tangenti non deve significare "paga<br />
Pantalone". Diritti e doveri, tutti uguali. Non ci dimentichiamo degli operai.<br />
Tutto qui. Non abbiamo moltissime idee, come vedete, non siamo i<br />
maestri di nessuno. Però vogliamo discuterle, unirle con le idee degli altri,<br />
mettere in moto un processo. Con umiltà e pazienza, ma anche con<br />
moltissima fiducia e determinazione.<br />
Chiediamo a tutti, ma soprattutto a tutti i gruppi, di qualsiasi tipo, che<br />
fanno una qualunque attivià di base, di contribuire a questo processo. Di<br />
portare ognuno la propria esperienza, le proprie idee, con altrettanta fiducia,<br />
con altrettanta serietà.<br />
NON vogliamo fare un partito! Ma vogliamo smetterla di essere delle<br />
isole ognuna per sè. Non c'è niente, profon<strong>da</strong>mente, che ci divide.<br />
Dobbiamo solo imparare a rispettarci reciprocamente, a parlare con persone<br />
diverse <strong>da</strong> noi, a lavorare insieme.<br />
Centro sociale Corto Circuito, Roma; Il pane e e mele, mensile dei<br />
giovani di Napoli; Seminario Società, Università di Palermo; Gri<strong>da</strong>lo Forte,<br />
Roma; Abc Musicanti di Brema; Centro sociale Cecchina; Lega per il diritto<br />
al lavoro degli handicappati, Roma; gruppo rock Drago e i Coyots, Roma;<br />
Centro sociale Brancaleone, Roma; Zero95, mensile dei giovani<br />
Antimafiosi, Catania; Centro sociale Auro, Catania; Associazione<br />
anticamorra I Care, Napoli; Dipingi la Pace, Palermo; Aurentinoccupato,<br />
Roma ; Ti Con Zero, collettivo degli studenti di fisica, Palermo; La<br />
Spiaggia, collettivo di Sciacca; C'era una volta una terra libera, studenti di<br />
scienze politiche, Padova; Teatro Movimento '90, Roma; Associazione Il<br />
Fortino, San Felice Circeo; Associazione Movi<strong>da</strong>, Napoli; Centro sociale<br />
Auro e Marco, Spinaceto ROoma; Collettivo comunista universitario,<br />
Roma; Federazione democratica, Milazzo; Circolo Robert Owen, San<br />
Giorgio Ionico; Movi movimento volontariato, Napoli; Pensionati occupati<br />
Politecnico e Statale, Milano; Collettivo politico San Leonardo, Milano;<br />
Gruppo Giovanile '88, Capaci; Collettivo Il Graffio, Torino; Associazione<br />
Senza Confine, Roma; Lega Obiettori Di Coscienza, Napoli; Laboratorio<br />
Antimafia, Milano; Centro sociale Officina 99, Napoli; Associazione La<br />
Mongolfiera, Catanzaro; Centro socioculturale Garbatella, Roma; Circolo<br />
Mare Aperto Roma; Centro assistenza extracomunitari La Roccia, Aversa;<br />
Associazione italiana paraplegici, Roma; Conosud, cooperazione nord-sud,
Taranto; Movi movimento volontariato, Salerno; Uawa, Union Asiatic<br />
Workers Association, Roma; Comitato per la difesa di Villa Pamphili,<br />
Roma; Nero E Non Solo, Caserta; Associazione studenti Charlie Brown,<br />
Taurianova; Giovani Oltre Limite, Gela; Cordinamento antimafia, Palermo
LA RETE<br />
Antimafia, luglio 1991<br />
Prima del referendum e delle elezioni in Sicilia, Craxi Cossiga e Bossi<br />
sembravano i padroni del mondo. Dopo il referendum e le elezioni, ne<br />
restano le caricature: Cossiga e Bossi a proclamare repubbliche e<br />
repubblichette, Craxi a fare i conti col suo Gran Consiglio, dove fra molti<br />
staraci s'affaccia già qualche Ciano. Tutto questo, s'intende, potrebbe anche<br />
non servire a niente, se Cossiga e Craxi continuassero a venir presi sul serio<br />
<strong>da</strong> Occhetto (che si ostina a considerare il primo un presidente e il secondo<br />
un socialista); ma, se la <strong>sinistra</strong> sapesse cogliere le occasioni, per il regime<br />
potrebbe anche essere l'inizio della fine. In ogni caso, la campagna gelliana<br />
per la Secon<strong>da</strong> Repubblica finisce qui: grazie al signor Mario Rapisar<strong>da</strong>,<br />
cittadino di Belpasso (Catania) il quale - insieme a un bel po' d'altri italiani<br />
come lui - nel giro di otto giorni ha legnato Craxi prima col "sì" al<br />
referendum e poi con la crocetta sulla Rete, mentre intellettuali e strateghi<br />
della <strong>sinistra</strong> perbene discutevano garbatamente i pro e i contro di una<br />
repubblica piduista. Un ultimo saluto agli ex-conquistatori spiaccicati per<br />
terra, e passiamo alla Politica Seria.<br />
Fra i protagonisti della quale, a questo punto, il lettore non mancherà<br />
probabilmente di mettere il Partito della Rete: che dev'essere un partito ben<br />
serio, per essere riuscito a strappare, con un'abile e ben congegnata<br />
campagna elettorale, la prima vittoria della <strong>sinistra</strong> di questi anni; e dunque<br />
un partito degno di dialogare con tutti gli altri partiti seri d'Italia.<br />
E invece no. La Rete non è affatto un partito serio, anzi, a Dio piacendo,<br />
non è affatto un partito: ha provato qua e là ad esserlo, ma con esiti - sul<br />
piano propriamente partitico - disastrosi. La campagna elettorale della Rete<br />
in Sicilia, in particolare, è quanto di meno "serio" si possa immaginare. In<br />
sette province su nove, in effetti, la campagna elettorale non c'è stata: sono<br />
stati distribuiti dei volantini e appiccicati dei manifesti <strong>da</strong> gruppi sparsi di<br />
simpatizzanti, spesso non "ufficiali" (i rappresentanti "ufficiali" spesso<br />
erano semplicemente i primi che s'erano presentati a chiedere la maglietta<br />
della Rete). A Palermo, invece, di campagne elettorali ce ne sono state<br />
almeno tre, del tutto distinte fra loro: gli ex-democristiani; il Coordinamento<br />
Antimafia; e gli ex-Verdi di Capanna, avvolti in una complicatissima<br />
strategia di Egemonia Leninista dentro-e-fuori la Rete). A Catania infine la<br />
campagna elettorale c'è stata ed è stata una sola, ma solo perchè persone di<br />
buon senso avevano tempestivamente provveduto ad accoltellare prima tutti<br />
coloro che cercavano d'imbarcarsi alla gattopar<strong>da</strong> in Rete, e a nasconderne i<br />
ca<strong>da</strong>veri nell'armadio; e anche lì, qualche gattopardino sopravvissuto (un Di
Mauro, ad esempio) non è mancato. Il tutto, coordinato <strong>da</strong> un<br />
coordinamento nazionale che ha brillato, nei momenti migliori, per la sua<br />
assenza. Per condimento, l'isolamento in cui - giustamente - il sistema<br />
dell'informazione ha lasciato la Rete fino all'ultimo momento, avendo<br />
l'intelligenza di isolare ulteriormente, all'interno di essa, i candi<strong>da</strong>ti e le<br />
culture mmeno compatibili con esso.<br />
Con tutto questo, la Rete ha vinto strepitosamente. Secondo me, non ha<br />
vinto il partito della Rete; hanno vinto i cittadini che si sono serviti della<br />
Rete. Non per le insufficienze tecniche del partito-Rete: ma proprio perchè<br />
un soggetto politico vero, oggigiorno, può essere "semplicemente" questo:<br />
uno strumento aperto, povero di sovrastrutture "politiche" ma ricco di<br />
combattività e di valori, che la gente utilizza quando vuole e come vuole. E<br />
la politica? Ma la politica vera è un progetto che si riempie a poco a poco,<br />
che non nasce già completo nella testa di qualcuno, ma che va raccogliendo<br />
stra<strong>da</strong> facendo le cose che la gente ci mette (e bisogna vedere che tipo di<br />
gente, come sociologicamente e culturalmente determinata). Che poi non è<br />
nemmeno una novità, perchè è esattamente quel che è successo nei grandi<br />
momenti di fon<strong>da</strong>zione della <strong>sinistra</strong>; il Terzo Stato è nato prima del<br />
"partito" giacobino, il movimento operaio prima dei partiti socialisti; l'uno e<br />
l'altro hanno avuto bisogno di parecchio tempo per sviluppare delle strutture<br />
politiche formali.<br />
La Rete, in Sicilia, è una tappa di questo "poco a poco". Una tappa<br />
particolarmente veloce, rispetto ad altre, perchè in Sicilia la società e il<br />
potere sono così direttamente contrapposti (il potere mafioso è una forma<br />
molto totalitaria di dominio sulla società) che è impossibile an<strong>da</strong>re piano;<br />
altrove c'è tempo e voglia per molte, diciamo così, mediazioni; qui <strong>da</strong> noi<br />
no. In Sicilia, inoltre, già negli anni ottanta la società civile ha conosciuto<br />
esperienze di scontro diretto col potere mafioso (il Coordinamento<br />
Antimafia a Palermo, I Siciliani a Catania) che grazie alla Rete non sono<br />
an<strong>da</strong>te disperse, ma sono entrate in un circuito potenzialmente nazionale; e<br />
anche ora - per esempio, nel passaggio della Rete <strong>da</strong> fenomeno regionale a<br />
nazionale, e <strong>da</strong> movimento della <strong>sinistra</strong> cattolica a movimento della società<br />
civile nel suo complesso - hanno svolto una funzione essenziale spingendo<br />
in avanti e verso l'unità forze che diversamente avrebbero potuto anche<br />
rimanere meno avanzate, e divise.<br />
La Rete, adesso, ha delle scelte <strong>da</strong> fare. Può trasformarsi,<br />
consapevolmente o meno, in un partito tradizionale, raccogliere subito i<br />
frutti della vittoria siciliana, rafforzarsi organizzativamente e an<strong>da</strong>re avanti<br />
con "sano realismo" verso il cinque per cento alle prossime elezioni. Oppure<br />
può cercare di diventare sempre più una rete, un collegamento fra cittadini,
un metodo di lavoro. Ci sono degli obiettivi realistici - ad esempio:<br />
esprimere un governo della Repubblica fra il 1992 e il 1997 - che solo essa<br />
può avere l'ambizione di porsi: ma a condizione di avere<br />
contemporaneamente l'umiltà di porli non per se stessa in quanto tale, ma<br />
per se stessa in quanto struttura di servizio di una parte molto ampia della<br />
società civile.<br />
Concretamente, credo che bisogni parlare fin <strong>da</strong>ll'anno prossimo di un<br />
governo ombra. Ma non nel senso caricaturale delle pie aspettative di un<br />
partito, bensì come risultato finale di una serie di elaborazioni, di<br />
proposizioni, di selezioni che avvengano nel seno stesso della società civile,<br />
al di fuori del sistema dei partiti oggi esistenti. Credo che bisogna parlare <strong>da</strong><br />
subito di una lista <strong>da</strong> presentare alle elezioni dell'anno nuovo; ma non nel<br />
senso minoritario di una ennesima lista - elaborata a tavolino - "del buon<br />
partito", bensì come risultato finale di una serie di assemblee, di<br />
convenzioni, di votazioni formali che avvengano nel seno stesso della<br />
società civile, al di fuori del sistema dei partiti oggi esistenti. Credo ancora<br />
che bisogna riflettere profon<strong>da</strong>mente sul messaggio che la parola<br />
"referendum" lancia ancor oggi - come il povero Craxi ha dovuto constatare<br />
- ai cittadini; e organizzare dunque al più presto almeno un altro referendum<br />
(i temi, sono quelli di questi anni) perchè la società civile possa riprendersi<br />
di forza, uno dopo l'altro, tutto ciò che il regime le ha strappato questi anni<br />
in fatto di diritti civili e di qualità della vita e di valori.<br />
Abbiamo alcune poche strutture, ma abbiamo soprattutto un metodo <strong>da</strong><br />
offrire a tutti, e prima degli altri a noi stessi. Perchè anche noi della Rete<br />
abbiamo molto <strong>da</strong> imparare, su come si fa una Rete. Il Movimento per la<br />
Democrazia non è certamente l'unico, a poter imparare-insegnare tutto<br />
questo. Ma intanto è il primo. Ha delle esperienze, ha un'immagine, ha la<br />
simpatia di tantissime donne e uomini che istintivamente lo sentono <strong>da</strong>lla<br />
loro; ha dunque una notevole - e non delegabile - responsabilità. Ha un<br />
gruppo dirigente nazionale di buon livello, assolutamente pulito, ancora<br />
poco veloce ma già molto solido e sufficientemente coeso. Gli mancano i<br />
dirigenti e i quadri intermedi, che prima o poi bisognerà decidere (o non<br />
decidere: che è lo stesso) come e <strong>da</strong> dove selezionare, se con metodi e in<br />
ambiti - come in buona parte è avvenuto finora - tradizionali, o con metodi e<br />
provenienze <strong>da</strong> esplorare rischiando; su questo, in buona parte, si<br />
decideranno delle cose importanti nei prossimi anni.<br />
Nei primi giorni del 1991 il popolo italiano scoprì, improvvisamente, che<br />
la sua classe dirigente voleva fare una guerra. I vecchi hanno le idee molto<br />
chiare, in Italia, su quel che vuol dire una guerra. Per alcune settimane,<br />
nonostante giornali televisioni e Minculcop di vario genere, gli italiani
hanno avuto una maggioranza assolutamente antiregime, una maggioranza<br />
contro la guerra. A metà del 1991 il popolo italiano scoprì,<br />
improvvisamente, che esisteva una vaga possibilità di dire alla sua classe<br />
dirigente quel che pensava della moralità di essa. E ancora una volta, ma su<br />
un argomento completamente diverso <strong>da</strong>l precedente, nonostante giornali<br />
televisioni e Minculcop di vario genere, gli italiani hanno avuto una<br />
maggioranza assolutamente antiregime.<br />
Infine, la Sicilia: un palermitano su quattro, nella capitale del potere<br />
mafioso, cioè del più massiccio potere dell'Italia intera, ha votato per la<br />
ribellione. Come non essere ottimisti, di fronte a questo? Il nemico non è<br />
invincibile, siamo noi che non siamo ancora all'altezza. Ma c'è una prima<br />
volta per tutto, e a poco a poco s'impara. Intanto, la società civile è uscita in<br />
campo: battendosi nella politica, stavolta, non solo facendo discussioni.<br />
Bene o male, molti o pochi che siano gli errori <strong>da</strong> commettere e commessi,<br />
la stra<strong>da</strong> è questa, ed è una stra<strong>da</strong> ormai aperta.
QUIXADA<br />
1991?<br />
Caro amico, avrei così tante cose <strong>da</strong> scriverLe, ma la più immediata<br />
secondo me è questa: sul prossimo numero di Avvenimenti che Le porterà<br />
Antonella ci sarà un articolo di Miki, e uno di Antonio, e uno di Claudio.<br />
Provvede Lei a tirare la somma? Tutto questo, per dirLe che sarebbe<br />
veramente di pessimissimo gusto se, in questa nuova partita che si va- non<br />
so come - ad aprire, non ci fosse anche Lei. Posso saltare un paio di<br />
passaggi? Sarebbe molto bello se, fra qualche mese, la situazione<br />
dell'universo fosse la seguente:<br />
a) la gentile signorina C., che la settimana scorsa ha <strong>da</strong>to Storia Moderna<br />
II, è intenta a riscrivere per la settima volta il suo ultimo racconto, che verrà<br />
pubblicato quanto prima <strong>da</strong> La Luna;<br />
b) il valente signor Orioles, che ha appena preparato i palinsesti peril<br />
primo numero dei Siciliani, sta passando in tipografia l'articolo di Miki su<br />
Rendo;<br />
c) l'eccellentissimo dottor Quixa<strong>da</strong> è alle prese con i primi due capitoli<br />
dell'attesissimo volume sulla criminalità minorile in Italia;<br />
d) il cameriere del Caffè della Pace sta raccontando al collega come gli<br />
siano stati richiesti ieri, <strong>da</strong> tre inqualificabili figuri, altrettanti gelati per un<br />
totale di quattordici gusti diversi.<br />
Vorrei Lisia o Demostene, qui, perchè non ci vorrebbe meno della loro<br />
eloquenza per essere convincente quanto vorrei: ma il succo è che se Lei<br />
volesse coman<strong>da</strong>rsi decisamente di provvedere alla Sua salute - non per<br />
sopravvivere, ma per tornare in campo - molte belle cose avremmo ancora<br />
<strong>da</strong> fare; e quel che finora Lei ha fatto a Catania, si potrebbe cominciare a<br />
portarlo anche fuori. "Non ci sono uccelli nei nidi di ieri...". Ma forse, se<br />
Sancho fosse riuscito a far comprendere veramente quanto affetto aveva<br />
dentro, e quanta nostalgia, forse Quixa<strong>da</strong> si sarebbe alzato coraggiosamente<br />
in piedi, avrebbe raccolto elmo e scudo, e sarebbero ripartiti insieme, alla<br />
faccia di tutti i cacadubbi e i farabutti. E chissà. Ci sono almeno due esseri<br />
umani, in questo mondo, che per la propria felicità dipendono assolutamente<br />
<strong>da</strong>lla Sua; una è Antonella, e l'altro sono io. Rimanga con noi, per favore,<br />
non si lasci smontare.
NAZI<br />
Avvenimenti, gennaio 1992<br />
Vergogna ai parlamentari del Pds, di Rifon<strong>da</strong>zione comunista e della Rete<br />
che non hanno cercato d'impedire, sabato 13 a Roma, l'ennesimo raduno di<br />
nazisti venuti a esaltare i genocidi ed a prepararne degli altri. Vergogna ai<br />
loro dirigenti locali, troppo occupati in discussioni metafisiche per<br />
accorgersi di quel che succedeva nella loro città. Vergogna agli studenti,<br />
vergogna agli operai che hanno lasciato piazza libera agli hitleriani.<br />
Vergogna ai democratici e agli antifascisti. E vergogna a noi, che non<br />
c'eravamo.<br />
Il 13 giugno 1992 è una <strong>da</strong>ta <strong>da</strong> ricor<strong>da</strong>re, nella storia di questa città. Per<br />
la prima volta, dopo tredici mesi di preparazione, i nazisti sono scesi in<br />
campo apertamente e con le loro parole, gettando in campo un progetto<br />
politico e una cultura, l'una che accetta e comprende il genocidio, l'altro che<br />
nuovamente lo programma. L'altra <strong>da</strong>ta è il 19 maggio 1991, la prima<br />
Soluzione Finale organizzata - si comincia sempre con poco - a Roma, il<br />
primo non-ariano eliminato in nome della Razza: Auro Bruni. A ricor<strong>da</strong>re<br />
Auro, a lottare per lui, sono stati in pochi, durante un anno; sostanzialmente,<br />
gli amici del centro sociale dove fu ucciso. A muoversi contro i nazisti, il<br />
giorno che hanno portato i loro Goebbels a Roma, sono stati solo gli ebrei:<br />
un paio di centinaia di giovani e di ragazze, e otto sopravvissuti dei campi.<br />
E questo è stato tutto, e non c'è altro <strong>da</strong> dire.<br />
C'è invece qualcosa <strong>da</strong> fare per il domani. Intanto, mai più dev'essere<br />
permessa una manifestazione nazista a Roma. Bisogna impegnarsi, chi si<br />
dice ancora civile, ad impedire a qualunque costo, e con qualunque mezzo,<br />
che manifestazioni naziste possano ancora avvenire a Roma. Questa città ha<br />
avuto morti. Questa città ha visto spingere figli e madri sui camion dei<br />
nazisti. Ha avuto via Tasso. Mai più.<br />
Il capo del servizio di polizia, il 13 giugno, era un certo vicequestore Elio<br />
Cioppa, e il suo nome sta nelle liste della P2. Sarà solo una coincidenza. Ma<br />
intanto, sia trasferito. "Sono state fatte poche saponette", ha urlato un<br />
poliziotto agli ebrei, e il questore "annuncia provvedimenti".<br />
Provvedimenti? Ma in quale carcere si trova in questo momento costui, che<br />
ha commesso dinanzi a decine di pubblici ufficiali il reato gravissimo di<br />
istigazione al genocidio? In quale carcere si trova il nazista Maurizio<br />
Boccacci, che al vecchio che gli gri<strong>da</strong>va "Ho fatto quattro anni ad<br />
Auschwitz" ha urlato "Troppo pochi"? Chi l'ha arrestato sul posto, come<br />
ordina e prevede la legge? Quale funzionario si è assunta la responsabilità di<br />
non procedere, come era suo preciso obbligo, a questi arresti? Quale
sostituto procuratore di turno sta in<strong>da</strong>gando - o non sta in<strong>da</strong>gando - su<br />
questi reati?<br />
E' vero che a Roma esistono delle vere e proprie sedi, conosciute <strong>da</strong>lla<br />
questura e tuttavia tollerate, di un'organizzazione neonazista che si chiama<br />
Movimento Politico e che opera in flagrante violazione della legge sulla<br />
ricostituzione del partito fascista? Sotto quale ufficio di polizia ne ricade,<br />
territorialmente la competenza? E quali provvedimenti questo ufficio ha<br />
assunto? Chi si prende insomma, nome e cognome, le responsabilità? O<br />
deve finire come per gl'immigrati accoltellati a Colle Oppio, cogli<br />
accoltellatori nazisti allegramente liberi dopo pochi mesi, o come il corteo<br />
dei nazi a Santa Maria Maggiore, con sin<strong>da</strong>co e questore che si palleggiano<br />
garbatamente la responsabilità? Davvero deve finire così? Quella volta fu<br />
Dacia Valent l'unica a mettersi in mezzo alla stra<strong>da</strong>, di traverso al corteo dei<br />
nazisti; e gli altri trecento parlamentari della <strong>sinistra</strong> dov'erano? Sabato 13<br />
giugno, fra l'altro, dicono, l'Italia aveva un Presidente della Repubblica<br />
antifascista, uno che nel Quarantacinque c'era: perchè è stato zitto, i giorni<br />
dopo sabato, il presidente Scalfaro? Perchè?<br />
Non c'è <strong>da</strong> chiedere, stavolta, le dimissioni del questore di Roma. C'è <strong>da</strong><br />
chiedersi, piuttosto, se egli debba rispondere, per azione od omissione, di<br />
responsabilità penali. Sulle quali, e su quelle dell'agente che ha insultato, e<br />
del nazista Boccacci, e dei responsabili di polizia che non hanno proceduto<br />
agli arresti, e degli attivisti nazisti, e di chiunque altro, è bene che cominci<br />
<strong>da</strong> subito a fare accertamenti un comitato di giuristi, che avanzi precise<br />
denunce, e che ne esiga il rispetto. Il resto, tocca ai cittadini democratici,<br />
fuori del Parlamento, e in Parlamento.<br />
UN DIBATTITO A CATANIA<br />
1992?<br />
Ancora una volta si torna a parlare di Catania solo dopo un morto<br />
ammazzato. Per qualche giorno il "problema Catania" va in tv e sui giornali,<br />
si parla, si discute, e poi, come sempre, tutti se ne tornano - meno il morto -<br />
alla vita di prima. Succederà molte altre volte ancora, e sta succedendo<br />
anche in questo preciso momento.<br />
Un esempio, per capirci. E' dieci anni che il giudice Scidà denuncia il<br />
fatto che i ragazzi catanesi, quelli dei quartieri poveri, sono i più emarginati<br />
d'Europa, che abbiamo il record internazionale di giovani rapinatori e<br />
disperati. Ed è <strong>da</strong> dieci anni che Scidà spiega perchè questo succede: perchè
vengono <strong>da</strong> quartieri costruiti - costruiti <strong>da</strong>i cavalieri - per pura<br />
speculazione, senza nessuna struttura umana; perchè a chi coman<strong>da</strong><br />
conviene che ci siano giovani disperati, diversamente il ruolo della mafia di<br />
garante dell'ordine non avrebbe senso; perchè gli esempi che questi giovani<br />
subiscono quotidianamente <strong>da</strong>ll'alto sono solo e sempre di corruzione, di<br />
potere corrotto, di abuso. Bene, per dieci anni silenzio completo: Scidà<br />
veniva isolato, di quel che diceva non si doveva parlare, tutto come se non<br />
ci fosse. Poi finalmente un onorevole del governo ha scoperto le statistiche<br />
di Scidà: ah, ma allora è vero che a Catania c'è la criminalità minorile! Qui<br />
bisogna intervenire. Come? Risanando i quartieri? Mettendo questi ragazzi<br />
in condizione di vivere alla pari, di avere gli stessi diritti di tutti gli altri<br />
ragazzi italiani di vivere normalmente, in una città normale e non dominata<br />
<strong>da</strong>i cavalieri? No. Semplicemente, aumentando le pene e decidendo di<br />
mettere in galera più ragazzini. Perchè alla fine naturalmente debbono<br />
essere loro a pagare. Di cercare sul serio - per esempio - il boss Santapaola,<br />
e questo è un altro tema su cui Scidà <strong>da</strong> anni batte e ribatte completamente<br />
isolato, e senza nessun ministro che lo stia a sentire, di catturare il boss non<br />
si parla nemmeno. Tutti sanno che se Santapaola fosse preso, parlerebbe; e<br />
se parlasse, salterebbe per aria mezza Catania-bene. Dunque, prendiamo i<br />
ragazzini, e lasciamo in pace Santapaola. E poi facciamo tutte le<br />
manifestazioni che vogliamo contro la mafia, facciamo i cortei con<br />
l'arcivescovo che ha benedetto il supermercato di Costanzo, facciamo i<br />
dibattiti con Tony Zermo che ora fa il giornalista pensoso ma sei anni fa<br />
cercava di far passare Giuseppe Fava per un altro Pecorelli, facciamo le<br />
tavole rotonde con gli architetti di Costanzo come l'architetto Leone,<br />
facciamo le interviste con Pietro Barcellona che a Roma è un grande<br />
rivoluzionario ma qui difende Leone, facciamo gli incontri con Ciancio,<br />
riempiamoci la bocca di grande antimafia e gran società civile, e stiamo<br />
tranquilli che di questo passo nessuno ci metterà mai i bastoni fra le ruote. A<br />
chi possono fare paura tutte queste cose? Non certo alla mafia, non certo ai<br />
cavalieri che coman<strong>da</strong>no Catania: ai quali invece facevano paura i Siciliani<br />
e faceva paura Giuseppe Fava.<br />
Una cosa hanno subito detto tutti coloro che hanno in<strong>da</strong>gato su Catania<br />
con un minimo di serietà, Giuseppe Fava, Il generale Dalla Chiesa e Ccarlo<br />
Palermo. Hanno detto che Catania è caratterizzata <strong>da</strong>l dominio di quattro<br />
grandi famiglie. Rendo, Graci, Costanzo e Finocchiaro. Per anni noi dei<br />
Siciliani, che per il resto non pretendiamo d'insegnar niente e nessuno,<br />
abbiamo battuto e ribattuto ossessivamente su questo tasto: Rendo, Graci,<br />
Costanzo e Finocchiaro; fino alla noia. Se avevamo ragione o no, e noi<br />
questo lo dicevamo quando la versione ufficiale era ancora "a Catania non
c'è mafia", se avevamo ragione ormai ognuno può giudicarlo. Eppure, chi<br />
ha avuto il coraggio di ripeterlo in questi anni? Chi, dei vari rinnovatori, di<br />
tutti i vari Pannella, Bianco, Bommarito e compagnia bella ha avuto il<br />
coraggio e il senso di responsabilità di dire "noi vogliamo salvare Catania, e<br />
perciò invitiamo i catanesi a mobilitarsi contro i cavalieri"? Nessuno.<br />
Eppure, molti catanesi li avrebbero seguito, come hanno seguito noi,<br />
soprattutto i giovani, quando abbiamo avuto i mezzi per poter dire queste<br />
cose. Zermo, ora, piange le lacrime di coccodrillo e dice "abbiamo nascosto<br />
la verità per vent'anni". E lui dov'era? Ma noi non ce la pigliamo con<br />
Zermo, che è Zermo. Ce la pigliamo con tutti coloro che, giovani<br />
progressisti e pieni di belle parole, in buona sostanza si comportano - certo,<br />
meno rozzamente - esattamente come lui. Ce la pigliamo con tutti coloro,<br />
anche e soprattutto qui dentro, che prendono ancora questa gente per<br />
interlocutore, perchè dopo sei anni nessuno può ancora essere ingenuo e<br />
nessuno può più dire "io non sapevo".<br />
La salvezza di Catania non può venire <strong>da</strong> altri dibattiti e <strong>da</strong> altre eleganti<br />
discussioni, di queste ce ne sono state fin troppe e proppo spesso sono state<br />
un alibi per mascherare ciò che non si faceva, e ciò che si faceva. Bisogna<br />
invece riprendere, senza aspettarsi miracoli ma avendo fiducia nei giovani,<br />
la dura e onesta pe<strong>da</strong>gogia dei Siciliani. I Siciliani non promettevano niente<br />
a nessuno, ma dicevano le verità, tutte le verità. I Siciliani non<br />
appartenevano a nessun partito, ma indicavano un nemico preciso, i<br />
cavalieri, e uno scopo preciso, cacciare i cavalieri. Questo si era cominciato<br />
a fare, questo dopo i Siciliani non s'è fatto più, e questo bisogna<br />
ricominciare a fare.<br />
Non è più la situazione di prima. Nessuno può più dire nemmeno per<br />
scherzo che a Catania la mafia non esiste. Nessuno può più far finta di non<br />
sapere che cos'è la famiglia Costanzo, o Finocchiaro, o Graci o Rendo.<br />
Nessuno che abbia a che fare con loro - qui una richiesta formale al Pci:<br />
Leone è ancora un vostro iscritto o no? - più può essere in nessuna maniera<br />
giustificato. Molte cose che dicevano i Siciliani - ad esempio il legame<br />
organico fra mafie e massonerie e servizi segreti, che noi denunciammo per<br />
primi, e <strong>da</strong> soli, molti anni fa, col professor Giuseppe D'Urso - ormai sono<br />
senso comune. E i Siciliani, attraverso mille difficoltà, non sono affatto<br />
dispersi. Siamo ancora qui, ancora collegati fra noi, ancora legati a questa<br />
città, ancora in grado di lavorare per essa, e più decisi di prima. E forse è il<br />
momento di rilanciare di nuovo gli strumenti organizzativi che, in questi<br />
anni, hanno permesso ai cittadini più responsabili e decisi di organizzarsi<br />
seriamente: a cominciare <strong>da</strong>ll'associazione I Siciliani, in cui si sono riuniti e<br />
possono riunirsi ancora tutti coloro che, al di là delle appartenenze che
ormai contano ben poco, vogliono lottare senza mezzeparole e compromessi<br />
contro il potere dei quattro cavalieri.<br />
Infine. Non è mai stato nostro costume rimuovere le cose più antipatiche,<br />
quelle che per diplomazia e buona creanza si preferisce dire fuori<br />
dell'assemblea. Per esempio, le elezioni, e i partiti. Il nostro giudizio sul<br />
complesso della Catania politica esistente è abbastanza noto. Si va <strong>da</strong>gli<br />
episodi tragici, come quello di un Caragliano che viene candi<strong>da</strong>to alle<br />
elezioni, e addirittura votato, a quelli comici, come Pannella che arriva a<br />
Catania, imbroglia i catanesi, si fa <strong>da</strong>re i voti per combattere il potere... e<br />
poi regala cinque consiglieri alla Dc; e si passa per gli ormai numerosi<br />
rinnovatori, <strong>da</strong> Mirone ad Attaguile, <strong>da</strong> Bianco a Ziccone, ciascuno dei quali<br />
ha fatto milioni di dichiarazioni contro la mafia, e nessuno dei quali ha<br />
osato però prendere posizione sui cavalieri. Noi pensiamo che sarebbe un<br />
gran bene che qui a Catania ci fosse una lista nuova, anche proprio<br />
elettorale, e che non avrebbe molta importanza chi la promuovesse, purchè<br />
fosse, esplicitamente e senza tentennamenti, contro i cavalieri; perchè la<br />
radice del male sta lì. Appoggeremmo con piacere, anche se non siamo<br />
politici, una simile lista; ma denunceremmo come un ennesimo gattopardo<br />
chiunque venisse ad annunciare liste nuove e nuovi partiti e movimenti, e<br />
poi sulla faccen<strong>da</strong> dei cavalieri, e di gli uomini che del loro sistema sono<br />
parte, se ne stesse zitto. Una struttura nostra insomma, in tutte le istituzioni<br />
elettive; e dunque delle nostre liste e dei nostri voti. Ma "nostro" di chi?<br />
Ecco: se nostro significa di noi cittadini antimafiosi, che la pensiamo<br />
diversamente su mille altre cose e ci rispettiamo a vicen<strong>da</strong>, ma intanto<br />
contro mafia e cavalieri vogliamo fare qualcosa come un comitato di<br />
liberazione, allora è un bel "nostro", un "nostro" in cui possiamo<br />
tranquillamente entrarci tutti. Se invece vuol dire farumenti che non<br />
dipen<strong>da</strong>no <strong>da</strong> nessuno, una struttura nostra insomma, in tutte le istituzioni<br />
elettive; e dunque delle nostre liste e dei nostri voti. Ma "nostro" di chi?<br />
Ecco: se nostro significa di noi cittadini antimafiosi, che la pensiamo<br />
diversamente su mille altre cose e ci rispettiamo a vicen<strong>da</strong>, ma intanto<br />
contro mafia e cavalieri vogliamo fare qualcosa come un comitato di<br />
liberazione, allora è un bel "nostro", un "nostro" in cui possiamo<br />
tranquillamente entrarci tutti. Se invece vuol dire facciamo un altro partito,<br />
un buon vecchio partito come gli altri, allora, altrettanto tranquillamente,<br />
non vale la pena di perderci tempo.
IL PARTITO DI FALCONE E DEI RAGAZZINI<br />
Avvenimenti, gennaio 1992<br />
"Il partito di Falcone e dei ragazzini" non aveva un comitato centrale o<br />
uno stemma, ma in realtà era l'unico partito esistente in Sicilia, oltre alla<br />
mafia. Il rumore di fondo, in quegli anni, era costituito <strong>da</strong>ll dichiarazioni dei<br />
sin<strong>da</strong>ci che escludevano l'esistenza della mafia nella loro città, <strong>da</strong>i giornali<br />
ad azionariato mafioso che invocavano silenzio, <strong>da</strong>lla brava gente che<br />
lavorava chiassosamente all'autodistruzione della <strong>sinistra</strong>, e <strong>da</strong>i colpi di<br />
pistola. Furono i ragazzini di Palermo a scendere in campo per primi. Il<br />
liceo Meli, l'Einstein, il Galilei, poi via via tutti gli altri. Si passava sotto il<br />
Palazzo di Giustizia e il corteo,che fino a quel momento aveva gri<strong>da</strong>to a<br />
voce altissima i Nomi, faceva improvvisamente silenzio. Là dentro<br />
lavoravano i nostri magistrati. Falcone, Borsellino, Di Lello, Ayala, Agata<br />
Consoli, Conte: metà del Partito erano loro. L'altra metà, i liceali. A Catania,<br />
fra il 1984 e il 1986, furono almeno trecento i ragazzi che in una maniera o<br />
nell'altra parteciparono, <strong>da</strong> militanti, alle iniziative dei Siciliani Giovani:<br />
furono i primi a gri<strong>da</strong>re in piazza i nomi dei Cavalieri e a lavorare<br />
quotidianamente - il volantino,il centro sociale, l'assemblea - per strappargli<br />
<strong>da</strong>gli artigli la città. A Gela, a Niscemi, a Castellammare del Golfo, nei<br />
paesini dove i padroni hanno la dittatura militare, essi vennero fuori e<br />
lottarono, paese per paese e città per città. "La Sicilia non è mafiosa -<br />
affermavano orgogliosamente - La Sicilia è militarmente occupata <strong>da</strong>lla<br />
mafia". La Sicilia, dove ancora nel 1969 un ragazzo fu fatto uccidere <strong>da</strong>l<br />
padre - boss mafioso - perchè era iscritto alla Fgci. La Sicilia che ha<br />
combattuto, che non s'è arresa mai.<br />
Ha combattuto, ed ha fatto politica, ha ragionato. La politica come<br />
partecipazione, come trasversalità, come sociatà civile nasce nelle lotte<br />
palermitane e catanesi di quegli anni: oggi è common sense <strong>da</strong>ppertutto. La<br />
fine del vecchio ceto politico, di tutta la vecchia storia, fu intuita per la<br />
prima volta qui. Non è un caso se il movimento studentesco, due anni fa, è<br />
ripartito <strong>da</strong> Palermo, e se là dura tuttora. Non è un caso se Palermo è l'unica<br />
città d'Italia dove sia cresciuta un'opposizione di massa, dove l'opposizione<br />
sia vincente. Non è un caso se a Catania il più totale black-out di tv e<br />
stampa non riesca - due volte in due anni - a fermare i candi<strong>da</strong>ti<br />
dell'opposizione. Non è un caso se a Capo d'Orlando i commercianti si<br />
ribellano, non è un caso se a Gela gli studenti restano organizzati; e non è<br />
un caso se a Palermo la gente non reagisce invocando la pena di morte ma<br />
individuando luci<strong>da</strong>mente le responsabilità dei politici di governo e<br />
prendendosela con loro. Dal 1983 - e sono ormai nove anni - in Sicilia è in
atto, con alti e bassi ma con una sostanziale continuità; non ancora<br />
maggioritario ma già ben lontano <strong>da</strong>l minoritarismo. - un vero e proprio<br />
movimento di liberazione. Contro la mafia, ma anche contro tutto ciò che<br />
essa porta con sé.<br />
Questo movimento avrebbe potuto essere esattamente l'anello che<br />
mancava alla <strong>sinistra</strong> italiana, il punto di partenza per ricostruire tutto.<br />
Invece, è rimasto solo. Solo a livello di palazzi, di comitati centrali, di<br />
radical-chic, di giornali: non a livello di ragazzini. Domani, ad esempio -<br />
ma non è una novità, perchè avviene regolarmente ogni settimana - c'è<br />
assemblea dei liceali dell'Antimafia a Roma. Sono i soli, in Italia, a non<br />
avere paura dello sfascio. Perché sanno che c'è una classe dirigente pronta a<br />
prendere la responsabilità del Paese anche domattina, se fosse necessario - e<br />
non è detto che non lo sia. Orlando, Claudio Fava, Carmine Mancuso, Dalla<br />
Chiesa? Sì: ma anche - e soprattutto - Davide Camarrone del liceo Meli,<br />
Antonio Cimino di Corso Calatafimi, Fabio Passiglia, Nuccio Fazio, Vito<br />
Merca<strong>da</strong>nte, Angela Lo Canto, Carmelo Ferrarotto di Siciliani Giovani,<br />
Nando Calaciura, Tano Abela, il professor D'Urso: avete mai letto questi<br />
nomi sui giornali? Benissimo. Infatti, neanche i nomi dei primi socialisti<br />
uscivano sui giornali, cent'anni fa.<br />
Una metà del "partito" oggi non c'è più. Martelli, il giudice Carnevale,<br />
Pannella e Cossiga sono riusciti, ognuno con i suoi mezzi, a svuotare il<br />
Palazzo <strong>da</strong>i nostri magistrati e lo stesso Falcone, ben prima d'essere ucciso,<br />
era già stato messo in condizione di non essere più quello di prima. Dei<br />
"vecchi", solo Borsellino e Conte sono rimasti al loro posto. Ma nel<br />
frattempo sono cresciuti i Felice Lima, i Di Pietro, i Casson.
TEMPO D'ELEZIONI<br />
Antimafia, febbraio 1992<br />
Non so se il regime che verrà dopo quello democristiano sarà migliore o<br />
peggiore. So però che, di questo, siamo agli ultimi mesi. Cossiga, che come<br />
personaggio politico è mediocre, è tuttavia esemplarmente il sintomo di<br />
un'atmosfera culturale, una di quelle apparizioni che, nella storia di un<br />
paese, non possono aver luogo che in precisi e determinati momenti.<br />
Cossiga, Sgarbi, il giudice Carnevale, il socialista Chiesa: è la fotografia più<br />
puntuale dell'evoluzione cui è giunta la classe dirigente nazionale (c'è<br />
<strong>un'altra</strong> foto che si contrappone specularmente ad essa, ed è quella dei<br />
supermercati di un anno fa, con la gente che fa incetta di viveri, perchè non<br />
si fi<strong>da</strong>). Bossi, D'Annunzio, Eltsin, Mussolini: in un regime che muore<br />
primeggiano gli avventurieri. Cossiga, fra i politici di mestiere, è stato<br />
quello che con più lucidità ha compreso questo <strong>da</strong>to di fatto, fino a decidere<br />
conseguentemente di farsi avventuriero egli stesso, con l'obiettivo sempre<br />
meno nascosto d'instaurare una sua dittatura personale. E qui arrivano le<br />
elezioni: che potranno an<strong>da</strong>re meglio o peggio per il partito di Cossiga, ma<br />
ne sanciranno in ogni caso ufficialmente l'esistenza. Un terzo degli elettori,<br />
in diversa maniera, sarà schierato fuori e contro, dopo il cinque aprile, la<br />
nostra democrazia costituzionale.<br />
Sono stato ospite, l'ultima volta che sono an<strong>da</strong>to a Palermo, <strong>da</strong> una delle<br />
compagne del Coordinamento. Trent'anni, una casa non ricca, un bambino<br />
che fa i compiti sul tavolo <strong>da</strong> pranzo; una cinquantina di libri in uno scaffale<br />
(biografie, antimafia, un po' di buona letteratura), tre o quattro fascicoli,<br />
semiaperti sul tavolo, di preparazione a un concorso. Il bambino sapeva<br />
perfettamente un sacco di cose su Palermo, e doman<strong>da</strong>va e spiegava con<br />
vivacità e intelligenza. Io mi guar<strong>da</strong>vo attorno, e sentivo un che di familiare<br />
e di noto, che tuttavia non riuscivo a precisare. I libri meticolosamente<br />
ordinati, il bambino, la compagna che riordinava rapi<strong>da</strong>mente la cucina,<br />
l'aria di dignità - per così dire - militante che aleggiava per la casa. Solo<br />
parecchi giorni dopo, improvvisamente, ho collegato la scena a <strong>un'altra</strong>, di<br />
molti - almeno venti - anni fa, di quand'ero stato ospitato, in circostanze<br />
simili e sempre in Sicilia, <strong>da</strong> un compagno bracciante del Pci; anche là mi<br />
avevano colpito la pulizia e l'ordine della casa, e i libri raccolti alle pareti. E<br />
anche allora io cercavo una risposta a delle domande - diciamo così<br />
"politiche" - e a un tratto, improvvisamente, mi ero reso conto di averla<br />
avuta.<br />
E' facile essere un movimento in piazza. Ma io credo che un movimento<br />
vero - di quelli che cambiano il mondo, ogni cent'anni - consista soprattutto
nella vita quotidiana di alcuni esseri umani. Al paese di Di Vittorio, molti e<br />
molti anni fa, i signori giravano con il cappotto, i contadini con la mantella.<br />
Di Vittorio era un giovane contadino. Un giorno decise di procurarsi un<br />
cappotto, e di an<strong>da</strong>re in cappotto sulla piazza del paese. "Dopo" si accorse<br />
che quello che aveva fatto era stato un gesto politico. " Noi contadini siamo<br />
uguali a voi" voleva dire quel cappotto. Ed era il punto di partenza per tutto<br />
il resto.<br />
Sono stati molti i punti di partenza, in Sicilia, in questi anni. Ciascuno dei<br />
suoi protagonisti incontrava sempre sulla sua stra<strong>da</strong> l'impatto con il sistema<br />
di potere, che <strong>da</strong> noi chiamiamo mafia, e che <strong>da</strong> noi è molto più esplicito e<br />
diretto che nel resto del paese. Per questo siamo stati costretti, fin <strong>da</strong>ll'inizio<br />
e per tutto questo tempo, ad essere molto espliciti e diretti anche noi. Sono<br />
passati diversi anni prima che ci accorgessimo che tutti questi "punti di<br />
partenza" (col loro carico di vite quotidiane, di singole esperienze,<br />
d'umanità) potevano essere collegati fra loro; ma alla fine ci siamo arrivati.<br />
E siamo arrivati anche a capire che questo collegamento è "politico", ed è<br />
anzi la politica nella sua forma non corrotta e originale, quale compare nei<br />
tempi di crisi e di rifon<strong>da</strong>zione. Parecchio tempo dopo, man mano che il<br />
regime democristiano (e dei partiti) aentrava in crisi, questa percezione si è<br />
fatta senso comune, a macchia di leopardo, un po' in tutto il paese. Ma<br />
siamo stati noi - noi movimento antimafia -, pur con tutte le nostre<br />
approssimazioni e rozzezze, a intravvederla per primi. Per questo abbiamo,<br />
oggi, una responsabilità.<br />
Dal momento che esistono delle istituzioni, e <strong>da</strong>l momento che abbiamo<br />
deciso che la nostra, fra l'altro, è una "politica", si è posto il problema di<br />
come portare questa politica "anche" nelle istituzioni (se toglieste<br />
quest'"anche" tutto il discorso assumerebbe un altro aspetto, e il movimento<br />
antimafia finirebbe dritto in qualche logica di partito o gruppettara). La<br />
maggior parte di noi abbiamo ritenuto che, qui ed ora, lo strumento migliore<br />
in questo senso fosse la Rete. La rete a cui pensavamo, per la verità, era<br />
molto più una rete con la erre minuscola, un insieme di collegamenti e di<br />
azioni, una Resistenza insomma, che una Rete con tanto di maiuscola come<br />
quella che ogni tanto minaccia di saltar fuori. Ma tant'è: avevamo, e in<br />
buona parte abbiamo ancora, fiducia in una serie di storie personali, in<br />
Orlando, in Dalla Chiesa, in Pintacu<strong>da</strong>, in Galasso, in loro ma soprattutto in<br />
una serie di realtà di base che in questa rete hanno trovato, bene o male, un<br />
riferimento. E anche oggi (per quanto le scelte elettorali del movimento<br />
antimafia siano lungi <strong>da</strong>ll'essere omogenee: io ad esempio, al mio paese,<br />
voto alla camera per uno dei Siciliani nella Rete, ma al senato per un<br />
vecchio operaio che ora è a Rifon<strong>da</strong>zione) anche oggi la scelta fatta mi
sembra complessivamente giusta. Solo che adesso, diciamo <strong>da</strong>lle elezioni in<br />
poi, bisognerà mettere un bel po' di puntini dove ce n'è bisogno. Bisognerà<br />
stabilire se questa benedetta maiuscola, nella rete, ci sta bene oppure no, e<br />
di chi è questa rete, e con chi si fa. Non sarà una faccen<strong>da</strong> facile stabilirlo, e<br />
probabilmente litigheremo parecchio. Ma è meglio così: i compagni si<br />
aiutano molto di più litigandoci, chi gli vuol bene, che non lasciandogliele<br />
passare tutte. E questo vale per la Rete ma vale anche - beninteso - per tutto<br />
le altre bande di rossi, verdi, rosa e compagnia bella che, ognuno per la sua<br />
parte e senza filarsi per niente,disordinati e generosi, pieni di pregiudizi e di<br />
coraggio tentano tuttavia di ricostruire qualcosa.<br />
Se le elezioni non saranno un disastro, se il colpo di Stato non avverrà<br />
prima delle elezioni e non avverrà neanche immediatamente dopo, se la<br />
campagna elettorale sarà riuscita a portare a galla un certo numero di<br />
militanti di base, se le sinistre politiche riusciranno (a cominciare <strong>da</strong>lla<br />
Rete) a liberarsi almeno in parte <strong>da</strong> troppi politicanti e tromboni che ne<br />
affollano le file, se riusciranno magari a <strong>da</strong>re un minimo d'attenzione alle<br />
varie realtà di base che ne sono state finora le cenerentole e cassandre<br />
inascoltate; se riusciremo tutti ad ascoltarci l'uno con l'altro, a ricor<strong>da</strong>rci in<br />
ogni momento della nostra "politica" la politica vera <strong>da</strong> cui siamo nati,<br />
allora forse avremo qualche possibilità di costruire qualcosa. Diversamente,<br />
in tempi rapidissimi, crollerà ciò che resta dell'attuale regime, e s'instaurerà<br />
qualcosa che prima farà ridere, e poi farà orrore. I Cossiga, i Carnevale,<br />
saranno senza remore i padroni; e abbiamo già visto cosa essi sentono per la<br />
mafia, di quale giustizia intendono farsi i vendicatori. Avranno campo libero<br />
i gerarchi: gli Starace, i Farinacci, i Chiesa, i Fini e i Bossi, gli Andò. Sul<br />
quale, voglio chiudere.<br />
La con<strong>da</strong>nna dei giornalisti migliori che abbia oggi il Paese, con<strong>da</strong>nna<br />
decretata sul tamburo e fulminata di getto, non merita - mi riferisco al<br />
processo contro Fracassi e Fava, indetto <strong>da</strong>llo stesso Andò - commento<br />
alcuno se non questo, che essa entra nella storia giudiziaria accanto a quella<br />
del giudice Russo che assolse gli amici dei mafiosi per "stato di necessità";<br />
l'una e l'altra, per avventura, attinenti a faccende catanesi. Onorata<br />
con<strong>da</strong>nna, per chi l'ha subita; <strong>da</strong> tenere a mente. Il giorno dopo, in Sicilia, le<br />
autorità (sentendosi evidentemente incoraggiate <strong>da</strong> essa) man<strong>da</strong>rono a<br />
chiudere, con gran spiegamento d'uomini e mezzi, i locali che i giovani<br />
avevano occupato per farsene centri sociali, e che le autorità intendevano<br />
invece regalare all'imprenditore Ciancio perchè ci facesse i suoi affari. Va<br />
bene: dopo le con<strong>da</strong>nne del Tribunale, ai loro tempi, son solevano i fascisti<br />
an<strong>da</strong>re - incoraggiati - a far festa bruciando sin<strong>da</strong>cati e cooperative? Ma i<br />
regimi passano, la forza degli uomini liberi resta. Dell'onorevole Andò,
personalmente, ricordiamo quanto ci disse Giuseppe Fava. Il primo numero<br />
dei Siciliani uscì nel dicembre 1982. A gennaio, arrivarono le prime<br />
"offerte": fra cui quella di un componente della Famiglia Rendo, che offrì<br />
per l'appunto al Direttore - senza, s'intende, far cenno minimamente ai<br />
Siciliani - la direzione di un'emittente televisiva, budget iniziale un<br />
miliardo. L'offerta, naturalmente, fu respinta. Sette mesi dopo l'onorevole<br />
Andò venne a trovare Giuseppe Fava e gli offrì - neanche lui fece il minimo<br />
accenno ai Siciliani - la direzione di un'emittente televisiva, budget iniziale<br />
un miliardo. Anche quest'offerta fu respinta, ed era l'autunno del 1983.
UN PROMEMORIA PER LA RETE<br />
1992<br />
Non so a che punto sia il documento finale, ma vorrei uscire un attimo - ci<br />
torno subito! - <strong>da</strong>lla mia inossi<strong>da</strong>bile Neutralità Professionale con qualche<br />
osservazione. Il documento a cui state lavorando ora non è infatti un<br />
semplice strumento di lavoro per l'oggi ma un imprinting per il complesso<br />
dell'iniziativa. Più che il programma, dà lo stile: e mentre l'uno può (e deve)<br />
essere facilmente superato e aggiornato <strong>da</strong>i fatti, l'altro viene definito,<br />
qualunque siano le intenzioni, una volta per sempre<br />
Il documento di cui la Mia Neutralità ha finora potuto prender visione è,<br />
in questo senso, piuttosto carente e richiama molto più il club che il<br />
comitato di liberazione. Non perché manchino - non è la sede - gli obiettivi<br />
d'azione ma perché i grandi e generali principi esposti non possono<br />
surrogare gli esempi, le fattispecie immediate e la tensione che un appello<br />
del genere dovrebbe avere ora. Qualcosa d'analogo vorrei osservare - ma ci<br />
sarebbe <strong>da</strong> analizzare assai più, sotto il profilo del messaggio - sulla sintassi<br />
e sul vocabolario usati e insomma sul linguaggio (che anch'essso fa<br />
imprinting, "almeno" quanto il contenuto); giustamente tenuto sottotono; ma<br />
è il sottotono di Micromega, non quello di Gobetti. Almeno quattro punti<br />
avrebbero potuto, e possono ancora, fare <strong>da</strong> ossatura al documento, quattro<br />
punti concreti, con una specificità operativa, e una immediata rispondenza<br />
nella coscienza comune<br />
Il primo, evidentemente, è la guerra. "Repubblica" ha censurato l'ultimo<br />
capoverso dell'appello ai parlamentari di Pax Christi, capoverso che<br />
costituisce il massimo di radicalità e sovversione degli ultimi vent'anni:<br />
"Risparmiateci, vi preghiamo, la sofferta decisione, quale extrema ratio, di<br />
dover esortare direttamente i sol<strong>da</strong>ti, nel caso deprecabile di guerra, a<br />
riconsiderare secondo la propria coscienza la enorme gravità morale dell'uso<br />
delle armi che essi hanno in pugno". Firmato, monsignor presidente e il<br />
Comitato esecutivo di Pax Christi; non smentito, la Chiesa. I preti, dunque,<br />
si rivolgono alla classe dirigente e le dicono: se voi farete la guerra, noi<br />
chiameremo i sol<strong>da</strong>ti a disertare. La classe dirigente, giustamente, censura il<br />
terrificante messaggio. Ma noi, ce ne siamo accorti? In queste ore fra il<br />
quindici e il sedici gennaio, non tanto nei comitati e nelle piazze quanto<br />
nella quotidianità della vita e nelle coscienze, l'Italia ha cambiato<br />
maggioranza. Io non esito a dire - ma le cronache istituzionali, a ben vedere,<br />
mi <strong>da</strong>nno ragione - che questa maggioranza è cattolica e comunista,<br />
profon<strong>da</strong>mente; nel senso che aveva al mio paese, subito dopo l'alluvione.<br />
L'Italia delle vetrine, in questa notte, s'è rivelata artificiale; l'Italia che s'era
<strong>da</strong>ta per sepolta invece è viva, e molto spesso ha sedici anni. Io ve lo dico<br />
molto male, per come posso; ma è un preciso <strong>da</strong>to politico, non un<br />
sentimento. E' una richiesta precisa, a cui va <strong>da</strong>ta una risposta precisa - su<br />
guerra e dopoguerra - adeguatamente radicale. Di passaggio, nel vostro<br />
documento non si parla - mi pare - di studenti. Perché? In questo momento,<br />
fra i giovani si è an<strong>da</strong>ti - a livello di massa - anche al di là della Pantera:<br />
anche questa, per dei politici, è una richiesta precisa<br />
Il secondo punto riguar<strong>da</strong>, diciamo così, la giustizia: tutto ciò che ad essa<br />
si riferisce, compreso il funzionamento del nuovo codice, è generalmente<br />
vissuto come inaccettabile; e già si comincia ad affrontarlo <strong>da</strong> destra, nella<br />
cultura della paura. Affrontiamola noi, prima: campagna contro i nuovi<br />
codici, campagna per i magistrati, campagna contro lo smantellamento<br />
dell'antimafia; non sono battaglie già finite; sono semplicemente battaglie<br />
su cui, al momento in cui il potere le impose, non c'erano le forze e le<br />
culture; ma ora ci siamo noi, coi nostri otto milioni di elettori e il nostro<br />
laboratorio culturale. Sono battaglie nostre, possiamo riaprirle in qualsiasi<br />
momento, e il momento può benissimo essere ora. Il terzo, è la legge sulla<br />
droga: che ha colpito i giovani non tanto come consumatori di fumo (il che<br />
già è fascista) quanto come giovani propriamente: come gli esseri cioè che<br />
fanno o potrebbero fare qualcosa di non previsto, e che bisogna dunque<br />
incanalare a forza lungo una precisa e codificata "normalità". Il terzo punto<br />
potrebbe essere questo: riaprire il casino sulla legge Jervolino, fare il<br />
bilancio dei costi, rimetterla sfrontatamente in discussione, collegarla<br />
all'avanzare della mafia. Qui vorrei fermarmi un momento<br />
Sulla questione della mafia e delle massonerie, cioè della classe dirigente<br />
del Meridione e, fra due anni, dell'Italia, il documento è molto carente, nei<br />
contenuti ma soprattutto e sorprendentemente nella tensione e nel<br />
linguaggio. Proprio noi? Questo mi fa pensare. Qui, evidentemente,<br />
l'argomento è tanto radicale che Micromega fa più <strong>da</strong>nno che altrove. Gli<br />
esempi concreti - noi abbiamo usato i Cavalieri - qui non sono utili, ma<br />
indispensabili; perchè qui proprio di lotta di liberazione, in senso stretto, si<br />
tratta: e non si può assolutamente pensare di ricavarla <strong>da</strong> principi generali.<br />
Quanto poi del movimento antimafioso nostro possa essere "esportato",<br />
quanta parte della sua cultura possa funzionare altrove, quanto esso possa<br />
complessivamente e dovunque prefigurare - in quanto movimento - la<br />
<strong>sinistra</strong> di domani, è tutto <strong>da</strong> discutere (io rispondo settariamente "tutto" a<br />
tutt'e tre le questioni: ma è personale) e soprattutto <strong>da</strong> verificare<br />
concretamente nei fatti, non certo ora: ma l'esperienza antimafiosa è la parte<br />
più vitale, più generalizzabile e più cal<strong>da</strong> del nostro imprinting, e non va<br />
semplicemente enunciata
Il quarto punto che proporrei è relativo all'organizzazione. Che per noi<br />
non dev'essere l'allegato meno nobile, e separato, del progetto, ma una sua<br />
parte politica, e integrante. Organizzazione di chi? Non dell'associazione<br />
separata che per avventura chiamiamo Rete, ma di ogni qualunque<br />
associazione di cittadini (e "anche" della nostra) che voglia far società<br />
direttamente, e senza mediarsi nei partiti. Servono delle tecniche: quali<br />
sono? Come potrebbero configurarsi <strong>da</strong> un punto di vista associativo, e<br />
giuridicamente? Vogliamo cominciare a studiarne qualcheduna? E a<br />
metterne in comune con tutti i risultati, come primo contributo istituzionale<br />
concreto? Non si tratta di abolire i partiti - ha ragione Diego - ma di<br />
proporne un modello alternativo. La parola "partito" può essere mutata, ma<br />
il concetto no. Pure, sotto questo concetto si sono succedute cose tanto<br />
diverse come il club giacobino e il comitato liberale, la sezione comunista e<br />
il sin<strong>da</strong>cato brasiliano, che ormai è tempo di pensare un po' meno alla<br />
polemica sui nomi e un po' più allo studio, e alla proposizione concreta,<br />
delle strutture. E' un nodo decisivo - consente d'uscire <strong>da</strong>lla scelta fra partito<br />
burocratico e folla di seguaci - e la gente lo comprende. E' un punto politico<br />
del progetto<br />
Non è tutto qui. Una delle novità rispetto al modello tradizionale di<br />
progetto è proprio questa, che non bisogna essere esaustivi. Basta sapere -<br />
ma dire con chiarezza totale, e con nitidezza e umiltà di linguaggio - il dieci<br />
per cento delle cose; le altre, toccherà ai diretti interessati di portarle, e<br />
sedimentarle e amalgamarle via via con quel che c'è già. Non mi azzarderei,<br />
per esempio, di parlare di problemi delle donne; o di operai. Ma posso<br />
annotare che un movimento in cui prima o poi non venga sollecitato, o non<br />
irrompa, un input specifico di questo genere sarà portato inevitabilmente ad<br />
essere nei suoi momenti "medi" un movimento "borghese" e "maschilista";<br />
non sarà, in ogni caso, un movimento di tutti. Ma, per questo c'è tempo<br />
Affettuosamente, vostro neutralissimo<br />
P.S.: Istituite gruppi di lavoro per robe specifiche, aperti a tutti. Ogni città<br />
(= ogni Rete) un gruppo di lavoro su un problema diverso.
MODESTA PROPOSTA<br />
per trarre celermente a fine, con reciproca e duratura soddisfazione delle<br />
Parti, i Conflitti presentemente in atto nei Balcani<br />
1992<br />
Da che mondo è mondo le guerre si fanno principalmente - ed è principio<br />
ormai universalmente compreso - per conseguire benefici economici di<br />
breve o lungo periodo. La maniera di condurle è peraltro completamente<br />
diversa <strong>da</strong> quella dei capitani del passato: ci si bombar<strong>da</strong> reciprocamente i<br />
bambini finchè una delle due parti non cede; il che è indubbiamente un<br />
vantaggio per i sol<strong>da</strong>ti. E sarebbe senz'altro <strong>da</strong> approvarsi se conducesse<br />
allo scopo; ma così non è. Possiamo infatti agevolmente osservare come i<br />
bombar<strong>da</strong>menti non abbiano finora <strong>da</strong>to luogo a beneficio economico<br />
alcuno per chicchessia, ma con ogni evidenza il contrario. Se ne ricava una<br />
legge, che enuncerei così: "Il degrado economico dei Paesi belligeranti è<br />
direttamente proporzionale all'aumento del numero dei bambini<br />
bombar<strong>da</strong>ti". Il che, a prima vista, non apparirebbe razionale, essendo stato<br />
l'evento prodotto in vista di un obiettivo esattamente contrario.<br />
Ma, a una più approfondita riflessione, la contraddizione si spiega. Dietro<br />
la semplice locuzione "bombar<strong>da</strong>re i bambini" si cela infatti tutto un<br />
congegno di procedure - fabbricare i missili e gli apparecchi, condurli in<br />
volo, rimpiazzar quelli perduti e le artiglierie - e dunque un complesso non<br />
indifferente di costi: il totale dei quali annulla il vantaggio economico<br />
derivato <strong>da</strong>ll'aver bombar<strong>da</strong>to dei bambini e torna dunque a gravare sullo<br />
stato dell'economia. Che fare dunque? E' agevole intuire che la condizione<br />
per riportare equilibrio economico nell'operazione non può essere che una,<br />
portare a zero o ridurre il costo dell'abbattimento dei bambini: ma questo<br />
apparirebbe un assurdo. Poichè nessun bambino è infatti disponibile a<br />
presentarsi spontaneamente per farsi abbattere, è necessario raggiungerlo al<br />
suo domicilio con artifici dispendiosi: e dunque, inevitabilmente, con un<br />
costo: che nessun Governo può fare a meno di affrontare, se vuol fare la<br />
guerra che gli è indispensabile per risolvere duraturamente i problemi della<br />
sua economia. Il cane che si morde la co<strong>da</strong>.<br />
Impossibile, dunque? Non è così. C'è un piccolo impercettibile<br />
particolare, in quel che abbiamo detto, che consente di rovesciare la<br />
costruzione. Abbiamo detto infatti "nessun Governo"; ma "nessun Governo<br />
<strong>da</strong> solo", avremmo dovuto dire in realtà. Il Governo Serbo, ad esempio,<br />
affronta sì dei costi per bombar<strong>da</strong>re i bambini Croati; ma non ne<br />
affronterebbe alcuno, o ne affronterebbe di molto ridotti, per bombar<strong>da</strong>re i<br />
bambini suoi propri. La distanza che intercorre fra Belgrado e Belgrado è
infatti incontestabilmente inferiore a quella che intercorre fra Zagabria e<br />
Belgrado. Analogamente, il Governo Croato affronterebbe costi<br />
incomparabilmente inferiori se decidesse di bombar<strong>da</strong>re i suoi propri<br />
bambini invece di quelli altrui. Certo, ciascuno dei detti Governi non<br />
ricaverebbe alcun vantaggio militare, isolatamente preso, bombar<strong>da</strong>ndo<br />
bambini non ostili; ma se ciascuna delle parti, contestualmente,<br />
bombar<strong>da</strong>sse i bambini più economici (vale a dire, i propri) il risultato<br />
complessivo sarebbe lo stesso di un bombar<strong>da</strong>mento incrociato, ma a costo<br />
zero.<br />
Certo, la natura umana è quel che è, e non ci sarebbe <strong>da</strong> stupirsi se una<br />
delle due parti tentasse astutamente di sottrarsi all'impegno, lasciando che la<br />
parte avversaria bombar<strong>da</strong>sse i suoi bambini e rifiutandosi poi di<br />
bombar<strong>da</strong>re i propri. Ma le organizzazioni internazionali esistono per<br />
questo. Le Nazioni Unite, in particolare, potrebbero vigilare - attraverso<br />
un'apposita Commissione, dotata di poteri esecutivi - sulla rigorosa e<br />
contemporanea esecuzione dei bambini. La Commissione effettuerebbe<br />
delle ispezioni all'improvviso, e sarebbe dotata di un proprio Corpo di<br />
spedizione multinazionale. Nessun bambino illegale potrebbe assolutamente<br />
sfuggirle. Lo stesso meccanismo potrebbe essere posto in opera per le<br />
Potenze che intendessero direttamente o indirettamente partecipare, anche<br />
solo occasionalmente o parzialmente, al conflitto. Il Governo Francese<br />
avrebbe potuto ad esempio - per trarre una fattispecie <strong>da</strong>lla cronaca recente -<br />
cobelligeare agevolmente mediante l'economica esecuzione di uno o due<br />
scolari a Parigi o a Marsiglia, senz'essere obbligato a chiassosi e dispendiosi<br />
mitragliamenti stra<strong>da</strong>li (almeno 80 proiettili cal. 9 lungo, al costo di 25<br />
franchi ciascuno!) di automobili profughe, colà peraltro rare. Gl'Italiani, che<br />
attualmente spendono miliardi (un esercito e una flotta mobilitati in Puglia e<br />
nelle acque adiacenti) per difendersi <strong>da</strong>gli Albanesi, potrebbero provare<br />
esattamente le stesse emozioni con un facile rastrellamento, seguito magari<br />
<strong>da</strong> bombar<strong>da</strong>mento navale (il quale però alzerebbe i costi) nel plesso<br />
scolastico di Molfetta di Bari. E così via.<br />
Ma c'è ancora un'obiezione.<br />
Nella Carta delle Nazioni Unite si leggono proposizioni (<strong>da</strong> lungo tempo<br />
disattese, è vero, ma formalmente vigenti) che potrebbero forse crear<br />
ostacoli quanto meno procedurali allo scorrevole funzionamento della<br />
Commissione. Osservo però che io non ho mai detto che i bambini in<br />
questione debbano essere abbattuti con uno strumento bellico determinato.<br />
Ho usato il termine "bombar<strong>da</strong>ti" perchè è quello che, mi sembra, più si<br />
assimila alle disordinate esperienze finora in corso. Ma ogni altro mezzo<br />
andrebbe anche bene allo scopo: teoricamente, i bambini potrebbero anche
essere abbattuti singolarmente, con uno strumento qualunque purché atto<br />
allo scopo. E' <strong>da</strong> osservarsi però che, tanto per motivi di praticità quanto per<br />
un qual certo simbolismo che, nella civiltà dell'immagine, tiene pure il suo<br />
peso, sarebbe auspicabile di poter continuare a impiegare strumenti<br />
esplosivi: spogliati, evidentemente, di tutti quelli accessori - vettori, alette di<br />
stabilizzazione, dispositivi di ricerca elettronica e così via - che nella nuova<br />
situazione non avrebbero più molto senso, e costituirebbero solo un inutile<br />
aggravio di costi. Dei bauli esplosivi andrebbero bene; al limite, anche delle<br />
valigie. E qui vengo al superamento dell'obiezione testé avanzata.<br />
Per singolare coincidenza, difatti, possiamo vantare nel nostro Paese una<br />
considerevole esperienza nell'uso di strumenti siffatti. Mafia, servizi segreti,<br />
estremisti di destra, gladiatori, camorra - son pochi gl'Italiani amanti<br />
dell'ordine che non abbiano avuto occasione, prima o poi, di bombar<strong>da</strong>r dei<br />
bambini, o almeno di favorire, in un modo o nell'altro, il bombar<strong>da</strong>mento. E<br />
se l'Italia fosse, in questo campo innovativo e vitale, quel che la Svizzera fu<br />
per la Croce Rossa? Nessuno contesta alla Nazione elvetica, dopo tante<br />
esperienze, il diritto di <strong>da</strong>r la propria assistenza, in tutti i Paesi del mondo,<br />
ai prigionieri e ai feriti. Perché l'Italia no? Gli Stati belligeranti potrebbero<br />
accor<strong>da</strong>rsi, sotto l'egi<strong>da</strong> delle Nazioni Unite, per scambiarsi reciprocamente<br />
squadre di esecutori Italiani, per le operazioni anzidette; la Commissione<br />
dell'Onu vigilerebbe su di esse, ma a loro e solo a loro andrebbe l'onere di<br />
portare a esecuzione quanto pattuito. Nessuno dovrebbe aver nozione di<br />
loro, fuorché i Governi interessati (il csapo della Repubblica Italiana,<br />
eventualmente interrogato, sarebbe per legge tenuto a smentirne finanche<br />
l'esistenza); a nessuno - ma a questo sono abituati - dovrebbero <strong>da</strong>r conto. Il<br />
numero dei bambini interessati, non aumenterebbe di certo; e si eviterebbe<br />
di coinvolgere - considerazione umanitaria <strong>da</strong> non sottovalutare -<br />
degl'innocenti sol<strong>da</strong>ti.<br />
Numerosi programmi televisivi potrebbero essere prodotti, a edificazione<br />
del Pubblico e beneficio degli Operatori e Imprenditori del settore, in<br />
occasione del primo, secondo, quinto, decimo e venticinquesimo<br />
anniversario di ogni singolo bombar<strong>da</strong>mento. Gli Allievi Generali<br />
dell'Aeronautica Militare avrebbero a disposizione gran messe di Segreti di<br />
Stato su cui esercitarsi a nascondere - cosa certo non inutile ai fini della<br />
formazion e professionale- la verità. I Giornalisti non difetterebbero di<br />
lavoro, né i Telespettatori d'emozioni.<br />
Non voglio riconoscimenti per questa proposta. Rinuncio anticipatamente<br />
al brevetto e libero chicchessìa <strong>da</strong> ogni e qualsiasi obbligo nei miei<br />
confronti. Sono solo un cittadino che crede che il ruolo dell'Italia nel mondo<br />
abbia ancora un senso e va<strong>da</strong> decisamente riproposto facendo appello a quei
valori di capacità creativistica e propositiva, di professionalità e di libera<br />
iniziativa che soli potranno, un giorno, riportarci in Europa.
GATTOPARDI E GARIBALDINI<br />
Antimafia, marzo 1992<br />
"Antimafia" è stato l'unico giornale italiano che, in pieno craxismo e con<br />
Cossiga trionfante, abbia previsto il crollo, a brevissima scadenza, del<br />
regime. Che sta avvenendo adesso, sotto gli occhi di tutti. Cossiga,<br />
Andreotti, Craxi non ci sono più. Capitribù locali al soldo dell'Impero,<br />
avevano un senso finché l'Impero aveva bisogno di loro. Adesso è lotta per<br />
la successione. Dal polverone generale spunta fuori un nome, Galeazzo<br />
Martelli, che aggregherà rapi<strong>da</strong>mente attorno a sè "rinnovatori": i La Malfa,<br />
i Macaluso, i Segni, forse subalterno qualche altro. Su queste basi, nei<br />
prossimi mesi (ma forse già mentre questo "Antimafia" sarà in edicola)<br />
cadrà il governo Amato, l'ultimo del vecchio regime. Andrà giù nel<br />
l'apocalisse generale, coi marchi tedeschi accampati in Italia, l'inflazione per<br />
le strade, i vecchi capitribù scatenati a contendersi bocconi di potere, i<br />
gerarchi che proclamano "fermeremo la crisi sul bagnasciuga", e i generali<br />
del Regio Esercito che scappano in mutande. Sarà in questa situazione che<br />
verranno fuori i "rinnovatori": polso fermo, voce sicura: "Morte ai borboni!<br />
E' ora di cambiare".<br />
Ora, noi siciliani di tante cose non c'intenderemo, ma di una siamo<br />
maestri, anzi professori: l'arte di riconoscere i gattopardi. Ne abbiamo visti<br />
tanti! "Lotta alla mafia!": sì, ma in<strong>da</strong>gherete sui Costanzo? "Basta con le<br />
tangenti!": sì, ma continuerete a <strong>da</strong>re gli appalti a Graci? "Trasparenza<br />
<strong>da</strong>ppertutto!": va bene, ma le liste della massoneria? "Rinnoviamo i<br />
partiti!": sì, ma coi vecchi vicesegretari al posto dei vecchi segretari?<br />
"Salviamo l'economia! Sacrifici!". Sì, ma farete pagare le tasse a Rendo?<br />
"Cambiare tutto, perché tutto resti come prima" diceva il vecchio principe<br />
di Salina. Ha funzionato un sacco di volte, in Sicilia. Prima della<br />
rivoluzione, gentiluomini di Re Franceschiello. Dopo la rivoluzione,<br />
ministri di Vittorio Emanuele. Sempre alla faccia dei villani.<br />
Allora. Primo, chi era gerarca, non preten<strong>da</strong> d'essere stato partigiano.<br />
Martelli, se è <strong>da</strong>vvero pentito di essere stato craxista, si ritiri in un convento<br />
e scriva le sue memorie; la patria può fare a meno di lui. Secondo, stavolta<br />
cerchiamo, noi garibaldini, di non lasciarci imbrogliare a belle parole. Per<br />
una volta nella storia, non facciamoci fregare <strong>da</strong>l Gattopardo.<br />
* * *<br />
Il Gattopardo, fra l'altro, è debole; i rapporti di forza, in questo trapasso di<br />
regime, sono tutti a nostro favore. Nostro, di chi? Della <strong>sinistra</strong> vera. Quelli<br />
che hanno fatto antimafia; quelli che sono stati contro la guerra del petrolio;<br />
quelli che hanno difeso gli immigrati; quelli che non si sono mai appattati
né coi tangentisti né coi cavalieri: la vera <strong>sinistra</strong> del popolo italiano è<br />
questa. Non ha un suo partito, anzi spesso non ne ha nessuno. Ma ha i suoi<br />
valori comuni, la sua continuità, la sua organizzazione, i suoi capi.<br />
Organizzazione, certo: quante persone sono concretamente attive, nella tua<br />
città, con le sezioni di partito? E quante invece col volontariato, coi centri<br />
sociali, con le attività di quartiere? Chi sono più numerosi, già ora, i<br />
cittadini del vecchio, o quelli del nuovo Stato?<br />
Abbiamo anche dei leader, degli esseri umani che già ora sono - fra molta<br />
confusione, rozzamente - dei punti di riferimento molto più ampi di uno<br />
specifico partito. A Roma, per esempio, a quale partito appartiene Renato<br />
Nicolini? Lui è del Pds, ma fra i ragazzi delle borgate pochi sono quelli che<br />
lo sanno. Di Nicolini ricor<strong>da</strong>no, ed è l'essenziale, che è stato quello che ha<br />
aperto il centro di Roma ai borgatari. Ma <strong>da</strong>vvero Carmine Mancuso o<br />
Nando Dalla Chiesa, chi li va ad ascoltare, ci va solo perché sono della<br />
Rete? Dacia Valent, di Rifon<strong>da</strong>zione, cos'è prima: una di Rifon<strong>da</strong>zione o<br />
una che può parlare per gli immigrati? I ragazzi che stanno facendo attività<br />
sociale nel quartiere più difficile di Catania, di che partito sono? Ma<br />
<strong>da</strong>vvero v'interessa saperlo? E che sigla c'è sulla bandiera rossa di quel<br />
gruppo di operai che sfila nel corteo con tro la stangata? E' proprio così<br />
importante? Che cosa succederebbe se questi ragazzi e questi operai si<br />
riconoscessero reciprocamente, capissero di far parte, in realtà, di un'unico<br />
"partito"?<br />
Ecco, il momento è questo. Esistono molte e vitali situazioni di base, che<br />
a volte sono persino "politiche" (Pds, Verdi, Rete, Ri fon<strong>da</strong>zione), ma molto<br />
più spesso no. Hanno radici culturali diversissime, <strong>da</strong>i centri sociali "rossi"<br />
ai preti di quartiere, passando per tutta la gamma delle radici popolari di<br />
questo Paese. Cos'hanno in comune fra loro? Una cosa semplice e profon<strong>da</strong>:<br />
insieme, essi sono l'Italia.<br />
* * *<br />
Sono la stessa Italia, due generazioni più tardi, dell'otto settembre del<br />
1943. Anche allora un regime, per anni e anni, aveva strombazzato<br />
"guar<strong>da</strong>te i nostri giornali: l'Italia è questa". Ma al momento della prova, si<br />
vide la loro menzogna. I gerarchi, i capifabbricato, le folle dei coman<strong>da</strong>ti,<br />
non erano il paese reale. Il paese reale erano il carabiniere che aiutava gli<br />
ebrei a scappare, la donna che li nascondeva, il ragazzo con le idee confuse<br />
che senza sapere bene perché strappava la cartolina militare e se ne an<strong>da</strong>va<br />
in montagna. Semplici, ma non passivi, esseri umani che seppero<br />
riconoscersi l'uno con l'altro, collegarsi fra loro, individuare una linea<br />
politica, crearsi una propria classe dirigente e in fine - mentre i generali<br />
ancora scappavano - salvare il Paese.
Noi dell'antimafia non abbiamo atteso le strombazzate dei politicanti per<br />
parlare di nuova Resistenza. E' <strong>da</strong>l 1984, <strong>da</strong>i "Siciliani", che la nostra lotta<br />
al potere mafioso l'abbiamo chiamata, e condotta, esattamente così. Solo<br />
che per noi, a differenza dei politicanti, non è soltanto una parola, ma una<br />
cosa seria e concreta, su cui ogni giorno puntiamo tutto ciò che compone la<br />
nostra vita. Proprio perché è una Resistenza, bisogna condurla insieme,<br />
scavalcando le appartenenze, superando con fiducia reciproca le diffi enze e<br />
gli steccati. E proprio perché è una Resistenza bisogna portarla avanti fino<br />
in fondo, non fino al primo o al secondo livello, ma fino a quello dei<br />
politici, degli imprenditori, delle stesse istituzioni invase dello Stato.<br />
* * *<br />
La <strong>sinistra</strong> politica, oggi, a differenza di due anni fa, è divisa in quattro<br />
principali partiti: Pds, Rete, Rifon<strong>da</strong>zione, Verdi. Nes suno di essi, in<br />
sostanza, tende a porsi come l'unica gui<strong>da</strong> di tutta la <strong>sinistra</strong> e ciascuna<br />
tende a riconoscere, sia pure rozza mente e senza troppo entusia smo,<br />
l'esistenza e persino qu alche volta l'utilità delle altre. Esistono poi una<br />
quantità di re altà minori, che un tempo sa rebbero state relegate (o si sa<br />
rebbero relegate) nell'estremismo, ma alle quali adesso viene più o meno<br />
pacificamente riconosciuta una dignità politica. All'interno di ciascuno dei<br />
quattro partiti ci sono poi diverse "anime"e diverse culture, spesso più<br />
sensibili alle somiglianze trasversali che alla ragion di partito; e sempre più<br />
spesso militanti di partiti diversi militano insieme senza problemi in uno<br />
stesso movimento di base. Potrebbe perfino essere, se nessuno si fa<br />
incantare <strong>da</strong>i gattopardi, e se <strong>da</strong>vvero c'è in giro voglia di ripartire, un buon<br />
ricominciamento per la <strong>sinistra</strong> ita liana. Però, la questione fon <strong>da</strong>mentale<br />
resta (anche <strong>da</strong>l punto di vista della <strong>sinistra</strong> "politica", se vuol tornare ad<br />
essere popolare) quella del colle gamento fra le realtà di base, e soprattutto<br />
fra quelle più diverse "politicamente" fra loro: che spesso sono, per<br />
avventura, le più efficienti e radicate.<br />
Sappiamo, per quanto ci riguar<strong>da</strong>, di diversi "lavori in corso" per <strong>da</strong>re un<br />
contributo a questo collegamento. Fra i giovani, in una ventina di città, si<br />
lavora a mettere in piedi un giornale au togestito comune. Fra le<br />
associazioni di base, <strong>da</strong> luglio in qua, almeno una cinquantina stanno<br />
cercando di collegarsi per sviluppare delle iniziative insieme, città per città<br />
e a livello nazionale. Ma sono pochi e timidi passi. Un passo decisivo in<br />
questo senso potrebbe compierlo il movimento antimafia di Pa lermo. Se<br />
esso fosse capace di riunirsi, in un'occasione, in tutte le sue componenti di<br />
base (alcune delle quali, come l'Associazione Coordinamento Antimafia o,<br />
fra i giovani, gli universitari del movimento studentesco, hanno una<br />
popolarità nazionale, e dunque una responsabilità, del tutto particolari) e di
lanciare con tutta l'autorevolezza che gli compete un appello a una sorta di<br />
costituente di base, noi crediamo che questo appello non resterebbe<br />
inascoltato. Appello a che cosa? A cominciare a muoversi in un'ottica di<br />
Stato.<br />
Definire gli strumenti non violenti a cominciare <strong>da</strong>l rifiuto d'obbedienza,<br />
esteso ai funzionari e dipendenti dello Stato, di fronte a ordini e<br />
comportamenti palese mente anticostituzionali attraverso cui il popolo possa<br />
eserci tare con efficacia e senza traumi il suo controllo sulle istituzioni;<br />
Costituire, non sulla base di appartenenze politiche e di accordi fra partiti<br />
ma della rappresentatività d'esperienze e delle indicazioni di realtà di base,<br />
un vero e proprio governo alternativo, che sia pronto a reggere il Paese in<br />
caso di sfascio istituzionale e che abbia già oggi l'autorità morale di<br />
richiedere, se accorra, collaborazione ed appoggio ai cittadini e a settori<br />
delle istitu zioni.<br />
Definire una serie di compor tamenti e di strumenti mediante i quali le<br />
prime "zone civilmente liberate" del Paese possano servire <strong>da</strong> esempio e <strong>da</strong><br />
punto d'appoggio a tutte le altre.<br />
* * *<br />
Durante Cossiga e dopo Cossiga, la classe dirigente ita liana ha<br />
dimostrato un'unica coerenza: quella di abolire di fatto, un segmento dopo<br />
l'altro, gli istituti più intimi della Costituzione. "L'Italia ripudia la guerra": il<br />
"nuovo modello di difesa" prevede un esercito professionale, e con compiti<br />
di polizia internazionale lontano <strong>da</strong>l Paese. "La magistratura costituisce un<br />
ordine autonomo e indipendente <strong>da</strong> ogni altro potere": il pubblico ministero<br />
sottoposto al governo. "La condizione giuridica dello straniero...": le<br />
persecuzioni contro gl'immi grati. Giudici pubblicamente minacciati <strong>da</strong>i<br />
capipartito, paracadutisti per le strade a pattugliare "contro la mafia",<br />
governi che chiedono autorità dittatoriale "per risanare l'economia": ma<br />
questa è ancora la Repubblica di Pertini?<br />
Non siamo ancora in una dittatura, non siamo già più in una democrazia<br />
occidentale. Il cossighismo (o il "Piano di rinascita" di Gelli) è<br />
sopravvissuto a Cossiga, e rischia di fare ancora molto <strong>da</strong>nno. Per questo<br />
bisogna stare attenti, e soprattutto bisogna fare in fretta. Per difendere la<br />
Costituzione, e se occorre per rifare lo Stato.
PERCHE' NON POSSIAMO NON DIRCI PALERMITANI<br />
Avvenimenti, agosto 1992<br />
"Qui è morta la speranza dei palermitani onesti". Questo cartello è stato<br />
scritto esattamente dieci anni fa, sul luogo dove poche ore prima il potere<br />
mafioso aveva ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Dieci anni<br />
sono abbastanza per decidere che quel cartello era sbagliato, e per eccesso e<br />
per difetto di ottimismo. In dieci anni la mafia ha avuto modo, col sostegno<br />
di una classe politica che ne ha condiviso i valori, di minacciare la stessa<br />
esistenza civile non di Palermo soltanto, ma dell'Italia intera. Ma in dieci<br />
anni i palermitani hanno <strong>da</strong>to vita a una ribellione, a una crescita della<br />
coscienza collettiva e del senso di responsabilità individuale che<br />
costituiscono un esempio per l'intero Paese. Dall'esercizio del potere<br />
mafioso in Sicilia è venuto il modello, per le classi dirigenti nazionali, di<br />
una gestione dello Stato svincolata <strong>da</strong> ogni valore che non sia il profitto e<br />
l'autoconservazione. Dai movimenti antimafiosi di Sicilia è venuto<br />
l'esempio di una nuova possibile tecnica della politica e di una sua nuova<br />
moralità.<br />
Spartizione violenta delle risorse pubbliche fra i vari clan affaristicofamigliari,<br />
o iniziativa diretta e autoliberatoria della società civile:<br />
l'"alternativa siciliana" vale - dieci anni dopo - per l'intera Nazione.<br />
Per questo ciascuno di noi oggi si trova, in un certo senso - che ne sia<br />
cosciente o meno, e ovunque sia in realtà il suo domicilio legale - in piazza<br />
a Palermo. O fra i manifestanti antimafiosi che per il decimo anno<br />
consecutivo, ma adesso con ben più forza, sfilano contro il potere. O fra<br />
coloro che li guar<strong>da</strong>no passare, senza una parola, <strong>da</strong> dietro le persiane<br />
chiuse.
L'ATTIMO<br />
Antimafia, gennaio 1993<br />
Via Craxi, via Andreotti, via Martelli, via Cossiga: e ora? Ma <strong>da</strong>vvero la<br />
crisi italiana deve essere risolta <strong>da</strong>lle varie alleanze "democratiche", <strong>da</strong>i La<br />
Malfa, <strong>da</strong>gli Andò, <strong>da</strong>gli Amato - <strong>da</strong>i gattopardi, insomma? Dai Pannella,<br />
<strong>da</strong>i Bossi, <strong>da</strong>i buffi derivati della crisi? Oppure, cosa?<br />
Il momento, è ora. Se l'antimafia avesse avuto la forza di unirsi, dopo<br />
Falcone e Borsellino, e di lanciare un grido forte al Paese. Se gli operai ce<br />
l'avessero fatta, nelle giornate d'ottobre, a unirsi dentro e fuori il sin<strong>da</strong>cato.<br />
Se la Rete fose rimasta trasversale. Se Rifon<strong>da</strong>zione avesse, nella testa dei<br />
suoi dirigenti, trent'anni di meno. Se il Pds imparasse una buona volta chi è<br />
Martelli. Se i Verdi non si fossero lasciati ingabbiare. Se le centinaia e<br />
centinaia di giovani militanti che abbiamo visto crescere sotto i nostri occhi<br />
in questi anni prendessero in mano la <strong>sinistra</strong>. Se la smettessimo di<br />
dividerci, di chiacchierare, di sofisticare astrattamente fra di noi, di<br />
aspettare un san Giorgio che ci levi <strong>da</strong>i guai. Se.<br />
Mai la crisi del sistema di potere in Italia è stata tanto profon<strong>da</strong>, tanto<br />
disperata. I mafiosi sono nei guai. Il partito craxista è ferito mortalmente. La<br />
Dc inossi<strong>da</strong>bile, adesso trema dei prossimi avvisi di garanzia. Persino<br />
Carnevale, hanno dovuto mettere <strong>da</strong> parte. Eppure il vento nuovo non si<br />
leva. Eppure Amato e Scalfaro, oggettivamente, stanno riuscendo a<br />
normalizzare tutto.<br />
Per quarant'anni, in questo Paese, il potere è stato retto <strong>da</strong> un sistema<br />
mafioso. Gli uomini di Cosa Nostra, e nessuno ormai ne può dubitare, sono<br />
stati un braccio esecutivo - non l'unico - del potere. Le elezioni - l'ha<br />
confessato il golpista Cossiga -, una mera formalità: se gli uomini del potere<br />
avessero perso, c'era la Gladio pronta ad assumere sanguinosamente, in<br />
qualsiasi momento, il potere. L'informazione libera? Pensate alla Rai e a<br />
Berlusconi. I diirtti dei lavoratori? I primi soldi di Tangentopoli sono serviti<br />
proprio a finanziare la campagna per togliergli di prepotenza la scala<br />
mobile. La "sana imprenditoria", la "quarta potenza dell'Occidente"? Balle.<br />
Gl'industriali, rubavano i soldi pubblici con le mazzette; quanto alla<br />
"potenza economica", guar<strong>da</strong>te come hanno ridotto la lira.<br />
Oggi e solo oggi, per la prima volta, possiamo cominciare a parlare,<br />
seriamente, di democrazia. Non d'utopie rassicuranti, non di più o meno<br />
seriose ideologie, ma proprio di questa semplice parola: democrazia. Quella<br />
- per capirci subito - che stava scritta in faccia al presidente Pertini.<br />
L'antimafia, in Sicilia e poi via via sempre più oltre la Sicilia, non è stata<br />
solo una lotta contro qualcosa; esattamente come la mafia non è stata solo la
degenerazione, la patologia di una regione. Nate, l'una e l'altra, dentro<br />
un'isola, hanno simboleggiato e assorbito le due polarità della Nazione. Il<br />
bene e il male, l'impegno civile e l'intrallazzo, la lotta dei cittadini e la<br />
prepotenza del potere, tutto si è condensato in queste due parole. Il regime<br />
non ha potuto fare a meno della mafia: l'Italia che viene adesso non può<br />
nascere che <strong>da</strong>ll'antimafia. In nessun altro movimento di questi anni si sono<br />
fusi insieme, nei suoi momenti migliori, ribellione e unità.<br />
Scriviamo in fretta, lavoriamo in fretta, in questi momenti decisivi, perché<br />
c'è molto <strong>da</strong> fare, per noi e per tutti coloro che, in questi dieci anni, hanno<br />
saputo credere alla mortalità del regime. Non c'è neanche il tempo di<br />
ricor<strong>da</strong>re per quali tappe si sia arrivati a questo, quali dolori umani e quali<br />
sacrifici e speranze abbiano permesso di percorrere tutta la stra<strong>da</strong> fino ad<br />
ora. Chinnici, Peppino Impastato, Roberto Antiochia, Cassarà, Giuseppe<br />
Fava: nessuna di queste vicende umane, e di diecine d'altre, è caduta nel<br />
vuoto. Purchè, adesso, sappiamo fare il nostro dovere.<br />
In questa stanza dove i compagni-amici di "Antimafia" aspettano la<br />
chiusura del giornale, in questo preciso momento, c'è molta confusione.<br />
Vedo Michele Gambino che sta lavorando a un articolo di "Avvenimenti",<br />
uno dei tanti che hanno smascherato il potere, due ragazzi dell'"Alba", Carlo<br />
e Francesco, che parlano della manifestazione di Gela, Marco che sta<br />
correggendo una pagina dei "Siciliani"... Non siamo soli, non siamo pochi.<br />
E' il momento di unirci, e di concludere la partita.<br />
"I Siciliani" che tornano in questi giorni, dopo sette anni di lontananza<br />
<strong>da</strong>ll'edicola ma non di silenzio e tanto meno d'inattività, vogliono dire<br />
esattamente questo. A tutti si rivolgono, a tutti - specialmente a Palermo e<br />
Catania, ma in tutte le città in cui si lotta - chiedono un impegno concreto.<br />
Ai lettori di "Antimafia" e a quelli di "Avvenimenti", ai militanti della Rete<br />
e a quelli di Rifon<strong>da</strong>zione e del Pds, a quelli che hanno fatto la Pantera e a<br />
quelli dell'autunno degli operai, ai giovani venuti fuori quest'anno e ai<br />
militanti che hanno attraversato senza paura dieci inverni di lotte, a tutti, a<br />
tutti: forza ch'è giunta l'ora, il momento è questo.
QUATTRO CHIACCHIERE FRA AMICI<br />
CHE FANNO IL GIORNALISTA<br />
febbraio 1992<br />
Mah, io non metterei l'accento sulla patologia della professione. Mi pare<br />
che, prima ancora, i problemi siano proprio nella fisiologia - oggi come oggi<br />
- del mestiere. Morto il vecchio cronista, il giornalista medio è sempre più<br />
un deskista. Prima, la selezione era dura e, in qualche modo, onesta: non<br />
sopravvivevano i migliori umanamente, ma almeno i più "giornalisti". Ora,<br />
la selezione è fiacca e disonesta: sopravvivono proprio coloro che hanno<br />
meno qualità giornalistiche e più capacità d'a<strong>da</strong>ttamento. Poi la corruzione,<br />
la lottizzazione, ecc. Buona parte degli iscritti all'Ordine lavora in ufficistampa.<br />
La "professionalità", insomma, ha ammazzato il mestiere. I vecchi<br />
tempi, d'altra parte, avevano - per altri versi, i loro guai; e comunque,<br />
proprio per ragioni tecnologiche, non torneranno mai più. Si può recuperare<br />
una parte della vecchia figura di giornalista (e in questo c'è <strong>da</strong> essere assai<br />
conservatori), ma è proprio il concetto di giornalista in quanto tale va<br />
ricostruito completamente <strong>da</strong>lle fon<strong>da</strong>menta (è già successo altre volte, del<br />
resto: per esempio, alla fine del Settecento).<br />
E qui arriva il Progetto Politico DeI Siciliani. Che innanzitutto, come<br />
prima buona qualità, non è affatto un "progetto", cioè una cosa studiata a<br />
tavolino, ideologica, ma un'esperienza concreta e una progressiva<br />
sedimentazione - sempre sulla base dell'esperienza - di elementi che poi si<br />
possono generalizzare. Primo elemento: niente puzza al naso. Gambino,<br />
Faillaci o Paolo Petrucci sono possibili giornalisti. Chi, quel ragazzo là, che<br />
a momenti non sa se un giornale è quadrato o tondo? Proprio lui. Se ha delle<br />
qualità "civili" di base, se è disposto a passare i suoi anni di addestramento<br />
nel Campo Uno (e se sopravvive ad esso), e se trova dei professionisti con i<br />
coglioni molto ma molto quadrati disposti a scendere <strong>da</strong> cavallo e a<br />
insegnare (non si può insegnare se c'è superbia <strong>da</strong> una parte o <strong>da</strong>ll'altra. E<br />
nessuno può insegnare senza affetto).<br />
Secondo elemento: questo insegnamento parte ferocemente <strong>da</strong>lla pratica<br />
giornalistica vecchio stile (la casa di via Palermo), non è affatto gentile e<br />
premuroso e anzi si preoccupa di essere il più duro possibile. Ciò che<br />
bisogna imparare è molto di più di quel che poi effettivamente servirà<br />
(soprattutto sul piano caratteriale). Un giornalista (= un essere umano che<br />
fra l'altro è anche giornalista) formato così, sarà sempre nettamente<br />
superiore, professionalmente, a qualunque suo omologo del giornalismo<br />
ufficiale: cosa scientificamente dimostrata, negli ultimi dieci anni, in<br />
almeno una dozzina di casi.
Terzo: "anche". Non si può più essere giornalisti se non si è "anche"<br />
politici. Politici nel senso solito nostro, naturalmente, cioè di rifon<strong>da</strong>zione<br />
di una cultura, che cambia stra<strong>da</strong> facendo con le esperienze concrete, che<br />
costruisce progressivamente una "ideologia" esclusivamente pratica ma<br />
proprio per questo radicale, che autosviluppa per logica interna momenti<br />
organizzativi, ecc. ecc.<br />
Quarto punto: sotto i quarant'anni. E' l'età massima fissata <strong>da</strong> Mazzini,<br />
quando le carbonerie erano ormai superate e si trattava di fon<strong>da</strong>re una<br />
cultura-politica-figura sociale nuova.<br />
Quinto. Molte cose "politiche" (esempio: fare parlare tutti è bello) almeno<br />
oggigiorno sviluppano direttamente delle conseguenze tecniche (esempio:<br />
adottare una routine con molte riscritture, per far parlare tutti ma <strong>da</strong>vvero e<br />
senza demagogie). E molte cose tecniche hanno conseguenze politiche<br />
(esempio: due computer a cinquecento chilometri di distanza possono...). Il<br />
computer costa poco, è facile <strong>da</strong> usare, si può collegare. Un'occasione simile<br />
c'era al tempo delle prime radio libere: i compagni, nella loro bestialità, non<br />
la seppero sfruttare, e quindi lo fece Berlusconi.<br />
Personalmente, vorrei ripartire di qua. E' una faccen<strong>da</strong> piuttosto lunga, ma<br />
non - parlando <strong>da</strong> storico - nuova. Una delle tante lunghe marce che<br />
periodicamente si verificano nell'umanità.
LETTERA A UN RAGAZZO SICILIANO<br />
febbraio 1992<br />
Caro Orazio, hai perfettamente ragione. I cavalieri sono il frutto di una<br />
precisa configurazione, in termini sempre più oligarchici, del sistema<br />
economico-sociale che, nelle specifiche condizioni <strong>da</strong>te, assume per<br />
avventura "anche" caratteristiche "mafiose". Dissento <strong>da</strong> te solo su un<br />
punto, che però è centrale: "anche se non fossero stati mafiosi". Non<br />
avrebbero potuto non esserlo; esattamente come la Fiat o l'Ansaldo, nella<br />
congiuntura del 1914, non avrebbero potuto non essere interventisti; o come<br />
un mercante di Liverpool, nel diciassettesimo secolo, non avrebbe potuto<br />
non essere un mercante di schiavi. La mafia, cioè, non è più una patologia<br />
del sistema ma una sua componente strutturale. Questo è il motivo per cui il<br />
sistema politico-mafioso catanese non solo si estende al resto d'Italia, ma<br />
tende anche a imporsi come modello nazionale. Parallelamente, è anche il<br />
motivo per cui le esperienze dei movimenti antimafiosi siciliani non solo<br />
tendono a uscire <strong>da</strong>i confini regionali ma si propongono sempre più come<br />
modello organizzativo e politico globale.<br />
Così, se <strong>da</strong> un lato un operatore del sistema di potere "locale" come, p.es.,<br />
Salvo Andò può assumere un peso notevole nel sistema di potere nazionale,<br />
<strong>da</strong>ll'altro esperienze di movimento "locali" come il Coordinamento<br />
Antimafia o I Siciliani possono venire in larga parte riprese <strong>da</strong> movimenti<br />
d'opposizione - come la Rete di Novelli e Orlando - a livello nazionale. Il<br />
discorso vale anche in ambiti più specialistici: nel mio campo, che è il<br />
giornalismo, c'è per esempio un filo nettissimo di continuità (anche sul<br />
piano delle scelte tecniche-organizzative) fra I Siciliani di Giuseppe Fava, I<br />
Siciliani dell'84-85 e l'attuale Avvenimenti: il che, oltre che ai sentimenti<br />
personali che puoi immaginare, m'induce a ritenere d'essere in presenza di<br />
un <strong>da</strong>to innovatore, e significativo.<br />
E' possibile individuare con precisione gli aspetti che contengono -<br />
abbiamo visto che <strong>da</strong>l lato del potere il fatto nuovo è <strong>da</strong>to <strong>da</strong>ll'integrazione<br />
"mafiosa" - l'elemento di novità dell' opposizione "siciliana", della sua<br />
politica e cultura, e delle sue forme organizzative? Ritengo di sì, ed è anzi il<br />
mio lavoro di questi anni. Abbiamo dimostrato che si può fare politica senza<br />
ideologie - un termine che Marx aborriva - e senza tuttavia scadere nei<br />
qualunquismi; che l'oppposizione può essere condotta direttamente non solo<br />
contro le sovrastrutture ideologico-culturali del sistema di potere, ma<br />
direttamente contro le sue strutture portanti economiche e sociali, col<br />
massimo di concretezza e di radicalità; che questa opposizione può essere<br />
confortata <strong>da</strong> una soli<strong>da</strong>rietà popolare vasta e attiva, molto più che nel caso
di un'opposizione ideologicamente connotata; che essa può essere gestita al<br />
di fuori dei modelli organizzativi verticistici e "professionali" attualmente in<br />
uso in tutte le forze politiche, le progressiste comprese. E siamo appena ai<br />
primi passi, alle prime - spesso maldestre - esplorazioni. Ti ringrazio di<br />
avermi scritto. Affettuosamente.
CATANIA<br />
marzo 1992<br />
Sono stati molti i punti di partenza, in Sicilia, in questi anni. Ciascuno dei<br />
suoi protagonisti incontrava sempre sulla sua stra<strong>da</strong> l'impatto con il sistema<br />
di potere, che <strong>da</strong> noi chiamiamo mafia, e che <strong>da</strong> noi è molto più esplicito e<br />
diretto che nel resto del paese. Per questo siamo stati costretti, fin <strong>da</strong>ll'inizio<br />
e per tutto questo tempo, ad essere molto espliciti e diretti anche noi. Sono<br />
passati diversi anni prima che ci accorgessimo che tutti questi "punti di<br />
partenza" (col loro carico di vite quotidiane, di singole esperienze,<br />
d'umanità) potevano essere collegati fra loro; ma alla fine ci siamo arrivati.<br />
E siamo arrivati anche a capire che questo collegamento è "politico", ed è<br />
anzi la politica nella sua forma non corrotta e originale, quale compare nei<br />
tempi di crisi e di rifon<strong>da</strong>zione. Parecchio tempo dopo, man mano che il<br />
regime democristiano (e dei partiti) aentrava in crisi, questa percezione si è<br />
fatta senso comune, a macchia di leopardo, un po' in tutto il paese. Ma<br />
siamo stati noi - noi movimento antimafia, noi siciliani -, pur con tutte le<br />
nostre approssimazioni e rozzezze, a intravvederla per primi. Per questo<br />
abbiamo, oggi, una responsabilità.<br />
A Catania, più che altrove. A Catania il sistema di potere ha assunto, più<br />
che in ogni altro luogo d'Italia (ma ponendosi, e con successo, come<br />
modello negativo per tutti), un ruolo totalitario, senza mediazioni. C'è un<br />
braccio politico, che va <strong>da</strong>i piccoli ladri (ricor<strong>da</strong>te quelli che rubavano la<br />
refezione ai bambini? Hanno fatto scuola: ora c'è chi ruba agli ospizi dei<br />
vecchi, su a Milano...) ai grandi manovratori, legati alla massoneria e alle<br />
centrali occulte. C'è un braccio finanziario, col suo comitato d'affari, pronto<br />
a muovere quando occorra deputati e ministri. C'è un braccio militare, la<br />
mafia più efficiente d'Europa, la mafia che nessuno vuol sconfiggere perchè<br />
non ne può fare a meno nessuno.<br />
* * *<br />
I Drago, gli Andò, i Nicolosi si <strong>da</strong>nno il cambio fra loro, un anno dopo<br />
l'altro, sempre intenti - apparentemente - a combattersi ma in realtà<br />
d'accordissimo, fra loro, per dividersi ferreamente il potere (accanto a loro<br />
le figure minori, un po' furbe un po' patetiche, dei vari architetti "comunisti"<br />
come Leone, dei vari Pannella che vengono a farsi la campagna elettorale<br />
coi soldi dei cavalieri, dei vari Bianco che riempiono Catania di tavolinetti e<br />
fiorellini ma si guar<strong>da</strong>no bene <strong>da</strong>l toccare gli appalti dei Cavalieri.<br />
I Graci, i Rendo, i Costanzo, i Finocchiaro sono i padroni veri della città.<br />
Tre uomini hanno parlato di loro: il generale Dalla Chiesa che li accusava di<br />
"an<strong>da</strong>re alla conquista di Palermo" col consenso della mafia, Giuseppe Fava
che li definì "i quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa" e il giudice Carlo<br />
Palermo che li mise in galera. Ma non è reato, a Catania, essere amici dei<br />
mafiosi catanesi: l'ha sentenziato un giudice, è "stato di necessità".<br />
I Santapaola, infine: "latitanti" <strong>da</strong> anni ed anni, eppure tranquillamente in<br />
giro per la città. Non possono essere arrestati: perché se lo fossero,<br />
parlerebbero: e se parlasse un Santapaola, chi poi si salverebbe in questa<br />
città?<br />
Lo stato di necessità! Ah, se si applicasse <strong>da</strong>vvero, ma per chi ne ha<br />
<strong>da</strong>vvero bisogno, lo "stato di necessità"! Al pensionato che campa con<br />
quattrocentomila lire, e viene umiliato ogni giorno, e - dopo una vita di<br />
sacrifici - deve ingoiare; o al ragazzo che ha fatto lo scippo - una catenina,<br />
poche migliaia di lire - perchè non gli hanno insegnato nient'altro altro nella<br />
vita; o alla donna che ingoia prepotenze, o al poveraccio che stenta il finemese;<br />
o al ragazzo che deve vivere per la stra<strong>da</strong>, perché aprire un centro<br />
sociale, a Catania, è proibito <strong>da</strong>lla mafia e <strong>da</strong>lla legge! Cosa non avrebbero<br />
diritto di fare costoro, se un giudice impazzito regalasse - per una volta nella<br />
vita - lo "stato di necessità" anche per loro?<br />
Ma nessuno fa regali, nel mondo; chi vuole, deve aiutarsi <strong>da</strong> sé. Tutti noi<br />
abbiamo chiaro chi coman<strong>da</strong> a Catania, e chi sta sotto: non c'è bisogno<br />
d'insegnarla, questa storia qua. Una cosa ci divide: alcuni a questa storia si<br />
rassegnano, e sono molti; alcuni altri, no. Noi confidiamo in questi ultimi:<br />
non sono pochi. Più di ventimila esseri umani hanno votato qui, l'hanno<br />
scorso, per dire che non si vogliono rassegnare. Quest'anno saranno ancora<br />
di più. E anno dopo anno si arriverà.
ALLONSANFAN<br />
I Siciliani, marzo 1993<br />
Un giorno d'autunno del 1943, su una montagna vicino Genova poco oltre<br />
il Bisagno, quattro uomini s'incontrarono per fon<strong>da</strong>re il movimento<br />
partigiano in Liguria. Erano un operaio di Sampier<strong>da</strong>rena, un appuntato<br />
sardo dei Regi Carabinieri, un sol<strong>da</strong>to della provincia di Agrigento e un<br />
antifascista genovese con sei anni di carcere alle spalle. Il sol<strong>da</strong>to aveva con<br />
sé due moschetti sottratti all'armeria del reggimento, l'appuntato una<br />
vecchia rivoltella; sedici colpi in tutto. Lontano, nelle città, vecchi notabili e<br />
gerarchi "dissidenti" ordivano improbabili manovre per salvare quel che si<br />
poteva del regime; i generali preparavano già gli abiti borghesi per la fuga;<br />
tedeschi e fascisti venivano tranquillamente avanti, fra i bombar<strong>da</strong>menti e lo<br />
sbando. Passarono gli anni. Il venti aprile 1945, il presidio tedesco di<br />
Genova si arrese alla Divisione garibaldina "Pinan-Cichero". Dei quattro,<br />
uno soltanto era sopravvissuto fino a quel punto. Ed è stato lui a raccontarci,<br />
molti anni più tardi, questa storia.<br />
Non servono grandi parole, nell'anno di grazia 1993, per spiegare perchè<br />
tornano "I Siciliani". Caduto Craxi, fuggito Andreotti, naufragati i tentativi<br />
golpisti di Cossiga e quelli "rinnovatori" di Martelli, siamo all'otto<br />
settembre. Non ne usciremo con improbabili alleanze, più o meno ribollite,<br />
di vecchi notabili e gerarchi. Se ne esce con una Resistenza.<br />
Noi, questa parola, la possiamo usare. Abbiamo avuto tredici anni di<br />
tempo per misurarne il significato, per pagarne i prezzi, per comprenderne il<br />
peso. Sappiamo cosa vuol dire: ribellione, e unità.<br />
Abbiamo visto migliaia di palermitani, nelle giornate di luglio, sollevarsi<br />
spontaneamente contro il potere mafioso: decine di migliaia di operai, a<br />
ottobre, scendere di forza in piazza per il loro pane. Se i leader antimafiosi,<br />
divisi <strong>da</strong> antiche liti, avessero saputo raccogliere la sfi<strong>da</strong> - se i capi degli<br />
operai, sin<strong>da</strong>calisti e Cobas, "estremisti" e moderati, fossero riusciti a<br />
trovare un minimo d'unità - se avesse potuto incontrarsi, la collera popolare,<br />
<strong>da</strong>l Nord al Sud!<br />
Tante cose si muovono, dopo tredici anni. Noi possiamo tornare in edicola<br />
oggi con "I Siciliani" anche grazie all'esistenza di un giornale libero e<br />
autogestito come "Avvenimenti": che a sua volta difficilmente avrebbe<br />
potuto crescere se non avesse avuto alle spalle l'esperienza dei "Siciliani".<br />
Oggi contiamo sull'aiuto, in quaranta città d'Italia, di un movimento<br />
giovanile come "L'Alba"; che è nato e si è sviluppato, quest'estate,<br />
riprendendo elementi dei Siciliani-Giovani degli anni ottanta. Abbiamo fra i<br />
nostri primi interlocutori testate e associazioni come il Coordinamento
antimafia di Palermo, Società Civile di Milano, la "Voce della Campania", e<br />
altre ancora; ciascuna di esse ha imparato qualcosa <strong>da</strong>i "Siciliani", e <strong>da</strong><br />
ciascuna a nostra volta abbiamo imparato qualcosa. Decine di giornalisti, e<br />
centinaia di militanti civili, in giro per l'Italia sono nati in quegli anni. E' il<br />
momento di unirsi, diciamo a tutti loro, di fare qualcosa di più grande<br />
ancora.<br />
Si vedono tante cose, in tredici anni. Si vedono funerali di Stato - i<br />
man<strong>da</strong>nti, diceva Giuseppe Fava, schierati compuntamente in prima fila -, si<br />
vedono funerali di serie B, con pochi amici attorno e una rabbia immensa.<br />
Si vedono Chinnici e Cordova che lottano, traditi <strong>da</strong>i loro stessi governi,<br />
senza illusioni e senza paura. Si vede il ragazzo Robertino Antiochia che<br />
torna in Sicilia per morire, come un partigiano di Vittorini, accanto al suo<br />
amico Cassarà. Si vede Rosario Di Salvo che quando sente la moto dei<br />
killers avvicinarsi tira fuori la pistola e muore sopraffatto <strong>da</strong>i mitra accanto<br />
a Pio La Torre, combattendo. Si vedono i liceali di Palermo, in quel<br />
durissimo inverno dell'ottantatré, che difendono contro i politici Falcone, e<br />
sono i soli. Si vedono accademici e scrittori, siciliani d'anagrafe, che voltano<br />
<strong>da</strong>ll'altra parte lo sguardo e disquisiscono sulla Sicilia "irredimibile" nei<br />
salotti. E operai e gesuiti, e giudici ragazzini e professoresse e bancarellari<br />
della Vucciria e poliziotti: e dietro a loro, dispersi sulla faccia del mondo,<br />
milioni e milioni di esseri umani nati in Sicilia che cercano, per un giorno<br />
ancora, di vivere umanamente, di gua<strong>da</strong>gnarsi onestamente un pane.<br />
Queste sono le nostre radici. Per esse, nel momento in cui il nostro<br />
progetto si fa nazionale, riteniamo di conservare, una volta ancora, il nostro<br />
vecchio nome di "Siciliani". Sicilia come frontiera, Sicilia come memoria,<br />
ma soprattutto Sicilia come luogo simbolico dello scontro italiano. "Ma che<br />
c'entro coi Siciliani io che sono di Milano?". E che c'entravano con la<br />
Marsigliese - a quei tempi - i cittadini di Parigi?<br />
Allons, enfants...
PAGINE DAL SUD DEL MONDO<br />
I Siciliani, marzo 1993<br />
Ciascuno degli amici che firmano gli editoriali di queste due pagine ha, a<br />
suo modo, contribuito alla continuità e alla ripresa della nostra impresa. Nel<br />
gennaio dell'84, subito dopo l'assassinio di Giuseppe Fava, Piero Pratesi -<br />
allora responsabile di "Paese Sera" - fu l'unico direttore italiano che volle<br />
ripubblicare integralmente sul suo giornale l'edizione straordinaria de "I<br />
Siciliani". "Contro la rassegnazione" fu il titolo dell'editoriale di Alfredo<br />
Galasso per il primo numero de "I Siciliani settimanale" del 1986. Sergio<br />
Turone del nostro giornale di quegli anni fu uno dei collaboratori più<br />
brillanti e contribuì ad allargarne il respiro sul piano nazionale. Claudio<br />
Fracassi è il direttore di "Avvenimenti", l'unica grande testata attuale che<br />
abbia avuto il coraggio di riprendere in gran parte argomenti e battaglie dei<br />
"Siciliani".<br />
Palermo, Catania, Milano e Barcellona in provincia di Messina sono le<br />
città attorno a cui si muove questo numero del giornale: la città della<br />
vecchia mafia e quella dei cavalieri, la metropoli delle tangenti e il paesino<br />
dove si uccide per un articolo di giornale. Nando Dalla Chiesa e Vittorio<br />
Corona <strong>da</strong> Milano, Tano Grasso <strong>da</strong> Capo d'Orlando e Francesco Pira <strong>da</strong><br />
Gela sono i testimoni civili di questa Italia che solo apparentemente ha<br />
ancora un nord e un sud.<br />
La secon<strong>da</strong> parte del giornale è equamente divisa fra le cronache siciliane<br />
e quelle del Sud. Delle prime - opportunamente precedute <strong>da</strong> una memoria<br />
<strong>da</strong>ll' isola di Aurelio Grimaldi - siamo fieri di poter dire che sono<br />
interamente affi<strong>da</strong>te, e con la massima autonomia e indipendenza, alla<br />
secon<strong>da</strong> generazione dei "Siciliani", quella formatasi attorno a<br />
"SicilianiGiovani", ai movimenti antimafiosi e poi alle cronache del vecchio<br />
settimanale. Adesso fanno parte a pieno titolo dei "Siciliani": le fortuna o<br />
l'insuccesso del giornale sono in buona parte in mano loro.<br />
Il Sud di cui parliamo nelle pagine immediatamente successive a quelle<br />
siciliane è ancora il nostro sud di siciliani, ma in senso più lato il Sud del<br />
mondo. Un Sud sempre più indifeso e dipendente - lo spiega Lucio Manisco<br />
- <strong>da</strong> un Impero totale, e fragile, come non mai; un Sud popolato <strong>da</strong> milioni e<br />
milioni di esseri umani - <strong>da</strong>lla ragazza di Sarajevo di Francesca Ferrucci<br />
all'esule scienziato somalo di Renato Camar<strong>da</strong>, <strong>da</strong>lle donne indiane di Maria<br />
Cuffaro all'amaro reportage di Gianni Minà - tutti fratelli, e compagni di<br />
destino, nostri.<br />
Al centro del nostro giornale, le due pagine di Giuseppe Fava. E' un<br />
vecchio-giovane articolo dell'83. La sua Sicilia allegra e combattiva, carnale
e lieve, illuminata <strong>da</strong>l mare.
UNA STORIA DI CARTA<br />
I Siciliani, marzo 1993<br />
Il paese più tranquillo d'Italia è sicuramente Barcellona Pozzo di Gotto,<br />
quarantamila abitanti, provincia di Messina: niente tossicodipendenti visibili<br />
in giro, niente spacciatori, neanche una rapina denunciata negli ultimi dodici<br />
mesi. Trenta morti ammazzati, questo è vero, nel giro di un anno: ma son<br />
morti di mafia e a Barcellona la mafia - dice la Linea del Partito - non<br />
esiste. Dunque non esistono nemmeno quei morti e in particolare non esiste<br />
l'ultimo di questi morti, il giornalista Beppe Alfano. Che fosse un<br />
giornalista, per la verità, se ne sono accorti solo dopo che è morto e gli<br />
hanno fatto, meglio tardi che mai, il tesserino professionale alla memoria.<br />
Dalla "Sicilia" di Catania, il giornale di cui era corrispondente, prendeva<br />
cinquemila lire a pezzo, più eventualmente qualcosa per le foto; ha avuto<br />
anche una colonnina di piombo il giorno dopo che l'hanno ammazzato e<br />
alcuni articoli elogiativi - cosa che richiede una più matura riflessione - nei<br />
giorni dopo. Ha avuto infine l'onore di un diretto interessamento - lui<br />
povero cronista rompicoglioni - delle Autorità Cittadine, qualche giorno<br />
dopo: non per participare al funerale, dioceneliberi, o per proclamare il lutto<br />
cittadino; ma per far ritirare, sia pure non subito e dopo le istanze della<br />
famiglia, i cassonetti della spazzatura che qualche altra autorità aveva fatto<br />
piazzare, poco dopo l'omicidio, sul luogo della sua morte.<br />
"Ho chiesto alla "Sicilia" la raccolta degli articoli di Alfano - dice il<br />
giudice Olindo Canali, l'unico del paese che si ricordi ancora di lui - Mi<br />
servivano per le in<strong>da</strong>gini. Li sto aspettando ancora. Finora, non me li hanno<br />
man<strong>da</strong>ti". L'altro ieri, una scuola - il tecnico industriale "Galileo" - doveva<br />
fare un'assemblea-dibattito sulla mafia, la prima del paese. L'unico posto in<br />
cui a Barcellona è possibile infilare trecento persone insieme è il cinema<br />
"Corallo": gli studenti ci sono an<strong>da</strong>ti e si son sentiti rispondere che<br />
l'assemblea sulla mafia si paga trecentomila lire all'ora, per la prima ora, e<br />
duecentomila per ogni ora successiva. Sulla via del ritorno, qualcuno di loro<br />
è passato <strong>da</strong>vanti all'enorme carcassa del Teatro Man<strong>da</strong>nici, dove di<br />
assemblee così se ne potrebbero fare venti, e gratis visto che è una struttura<br />
pubblica: solo che il teatro, regolarmente appaltato, "lavorato" e pagato<br />
almeno vent'anni fa, <strong>da</strong> allora non è mai stato finito ed è tuttora inagibile, e<br />
desolatamente vuoto. Lo stesso vale per il Palazzetto dello sport, ancora <strong>da</strong><br />
completare dopo vent'anni, e per l'ospe<strong>da</strong>le, iniziato vent'anni fa.<br />
Nella storia di Barcellona, corrispondono - grosso modo - alle piramidi<br />
egizie, del tutto inutili all'apparenza ma investite in realtà del preciso scopo<br />
di testimoniare nei secoli la potenza del faraone: nella fattispecie, Carmelo
Santalco, che dopo la morte di Lima e il ritiro del catanese Drago è rimasto<br />
l'ultimo grande andreottiano di Sicilia. Questo per l'evo antico. L'era<br />
moderna comincia invece con la Pista dell'Oregon, ovvero la nuova ferrovia<br />
Messina Palermo, cominciata - chissà perchè - nei feudi di Pace del Mela e<br />
faticosamente procedente, anno dopo anno e subappalto dopo subappalto<br />
(ma l'appalto principale è sal<strong>da</strong>mente in mano ai Fratelli Costanzo, famosi<br />
cavalieri catanesi), verso il lontano ovest. Via via che la pista procede si<br />
sposta la linea dei miliardi, e arrivano le estorsioni, i morti ammazzati e i<br />
subappalti. Ciascuno dei morti ammazzati ha diritto a qualche riga in<br />
cronaca sui giornali locali del giorno dopo, e poi al più rispettoso e totale<br />
silenzio-stampa.<br />
(Morire ammazzati è brutto <strong>da</strong>ppertutto, ma <strong>da</strong> queste parti è<br />
particolarmente incazzante. Come per quel tizio che uccisero, uno che con<br />
queste storie non c'entrava niente ma faceva il falegname come un tale della<br />
Famiglia rivale, l'aprile scorso qui a Terme. I killer si accorsero, una<br />
settimana dopo, di aver fatto fuori il falegname sbagliato: sorry, pensarono<br />
fra sé, abbiamo sbagliato. Uccisero anche il falegname giusto e se ne<br />
an<strong>da</strong>rono con la coscienza in pace).<br />
A Barcellona, la Pista è arrivata fra l'Ottantasei e l'Ottantotto e la guerra è<br />
stata fra la Famiglia Chiofalo e la Famiglia Milone: i primi della vicina<br />
Terme Vigliadore e dissidenti; i secondi, articolati in una costellazione di<br />
cognomi (Ofria, Beneduci, Marchetta) barcellonesi puri e seguaci della<br />
Famiglia Santapaola di Catania. I Santapaola, nella zona, c'erano già <strong>da</strong><br />
molto tempo: negli anni Ottanta con Antonino Santapaola, "detenuto" al<br />
manicomio di Barcellona dove in realtà faceva, protetto <strong>da</strong>lle autorità<br />
dell'istituto, il bello e il cattivo tempo; ma già prima ancora, fra il 1979 e il<br />
1980, sulle montagne dei Nebrodi, a Cesarò, dove in un rifugio di montagna<br />
tenevano i loro incontri "don" Nitto Santapaola e i catanesi fratelli Cutaia,<br />
trafficanti internazionali di morfina-base e cocaina. La guerra della ferrovia<br />
finì comunque dopo un numero imprecisato di morti, con l'ergastolo di<br />
"don" Antonino Chiofalo e l'arresto, per carico di droga, di "don" Carmelo<br />
Milone; nel frattempo la Pista passò avanti.<br />
Il principale accumulo ufficiale di capitali, nella zona, risulta essere<br />
adesso quello delle "finanziarie di fatto" che si sono venute a formare<br />
attorno all'Aias: ne abbiamo scritto su "Avvenimenti", ne aveva scritto<br />
anche Giuseppe Alfano; la Procura di Barcellona ha aperto un'inchiesta che<br />
rischia di estendersi su tutta la Sicilia.<br />
In casa Alfano, un computer Macintosh, dei libri su Charles Aznavour,<br />
delle foto... Le povere cose che restano della vita di un uomo che ha avuto<br />
dignità. "Mio marito, mio marito che sorrideva...". "Mio padre e
l'indifferenza di questa città...".<br />
"In<strong>da</strong>gate sulle donne, vedete un po' se giocava a carte...". Anche agli<br />
investigatori di Barcellona son giunti gli autorevoli suggerimenti che<br />
arrivano immancabilmente in questi casi. Anche stasera, come ogni sera, le<br />
centinaia di tossici di Barcellona si "faranno" con la roba fornita, a prezzi<br />
popolari, <strong>da</strong>gli uomini dei boss. Anche stasera i ragazzi dell'Arci e don<br />
Pippo Inzana apriranno la loro sede a chi avrà bisogno di loro, alla comunità<br />
dei lavoratori immigrati. E anche stasera alle dieci chiuderà l'ultimo bar di<br />
piazza San Sebastiano e la città resterà silenziosa, e apparentemente<br />
addormentata. Come sempre.
UOMINI E NO<br />
I Siciliani, aprile 1993<br />
La giustizia è molte cose diverse, per ciascuno di noi, a volte è una cosa<br />
facile e a volte no. C'è quello che s'è craxato il conto protezione nella banca<br />
svizzera e allora giustizia è facile, recuperare i soldi e metter dentro il tipo.<br />
C'è quello che è diventato onorevole, a furia di soldi craxati, o<br />
sottosegretario o ministro o padrone d'industria o di giornali: e anche qui è<br />
una faccen<strong>da</strong> semplice fare giustizia, si prende il tizio, gli si fa un processo<br />
pulito e poi si va <strong>da</strong>lla gente e "Ecco qua - si dice alla gente, al buon popolo<br />
italiano - questo tizio qua l'avete votato per quarant'anni in cambio di una<br />
pensione d'invalidità o di un telefonino, se lo volete ancora tenetevelo, però<br />
onestamente sappiate che vi tenete un ladro".<br />
In tutti questi casi fare giustizia è tecnicamente molto facile, basta avere<br />
buon senso e - in alcuni momenti e luoghi della storia: per esempio in Italia<br />
negli anni Novanta - anche un po' di coglioni. Poi ci sono quei casi in cui<br />
incontri il tuo amico che hai visto crescere, <strong>da</strong> ragazzino, dieci anni fa, lo<br />
incontri adesso e ha gli occhi di fuori perchè dopo dieci anni di pere magari<br />
è diventato un po' differente <strong>da</strong> quando correva nella squadra di pallone.<br />
Incontri dunque questo tuo amico, che non ti riconosce e che tu riconosci<br />
solo perchè gli vuoi bene, e pensi che per farlo così c'è voluto lo<br />
spacciatore, e sopra lo spacciatore il boss Santapaola, e sopra il boss<br />
Santapaola il cavaliere Costanzo che invitava Santapaola alle feste, e sopra<br />
Costanzo l'onorevole Drago che diceva "Smettetela di rompere le scatole a<br />
Costanzo" e sopra il capocorrente Giulio Andreotti. E venga Di Pietro,<br />
allora, venga Di Lello e Carlo Palermo e Borsellino, e vengano Conte <strong>da</strong><br />
Gela e il vecchio Chinnici <strong>da</strong> dove l'hanno man<strong>da</strong>to, e Ciaccio Montalto e<br />
Cordova e Terranova e Falcone, e li lascino in pace per una volta e li<br />
facciano in<strong>da</strong>gare in santa pace - tutti quanti insieme, con tutto il loro<br />
coraggio e la loro bravura, non riusciranno a rifarti il tuo amico com'era<br />
prima. Dov'è la giustizia, allora.<br />
Oppure non incontri nessuno ma sei in un bar di Catania che stai bevendo<br />
qualcosa e improvvisamente "Un gin tonic anche per me - dice l'amico al<br />
tuo fianco - ma presto che dobbiamo tornare a lavorare": ma il bar è un altro<br />
e non è <strong>da</strong>vanti alla vecchia sede dei Siciliani e soprattutto nessuno ha detto<br />
niente ma sei solo <strong>da</strong>vanti al bancone e il tuo amico è stato ammazzato <strong>da</strong><br />
quella gente nove anni e quattro mesi fa. Allora ti brucia dentro, la giustizia.<br />
La nostra giustizia, è questa: nove anni fa, in una città d'Italia che è<br />
Catania, è stato ucciso il nostro amico Giuseppe Fava. Noi siamo ancora<br />
qui, non l'abbiamo dimenticato. Per nove anni, abbiamo raccolto gli indizi e
le tracce che avrebbero consentito, se una giustizia ci fosse stata, di fare<br />
delle in<strong>da</strong>gini sulla sua morte. Non diciamo di trovare sicuramente i<br />
colpevoli. Ma perlomeno di provarci. Invece, queste in<strong>da</strong>gini,<br />
coscientemente, non sono state fatte.<br />
Noi qui chiediamo ufficialmente che queste in<strong>da</strong>gini siano riaperte. Noi<br />
documentiamo qui - non per la prima volta; e non per l'ultima - la maniera<br />
irresponsabile e scan<strong>da</strong>losa con cui sono state cancellate <strong>da</strong>lla faccia della<br />
terra le in<strong>da</strong>gini sull'assassinio mafioso di Giuseppe Fava. Noi testimoniamo<br />
qui che queste in<strong>da</strong>gini potevano essere condotte fattivamente, e possono<br />
esserlo ancora.<br />
Noi qui facciamo appello ufficialmente. al ministro di Giustizia Conso, al<br />
Consiglio superiore della magistratura, perchè facciano il loro dovere.<br />
Facciamo appello a chiunque parli oggi di onestà e giustizia e di<br />
rinnovamento. Da questo, non <strong>da</strong>lle parole, li giudicheremo.<br />
Vogliamo sapere se la vile Italia del 1984 coman<strong>da</strong> ancora oggi, nel 1993.<br />
Vogliamo saperlo, perchè se l'Italia ufficiale dovesse - per assur<strong>da</strong> ipotesi -<br />
essere ancora la stessa, sicuramente non sono più gli stessi gli italiani. E ad<br />
essi faremmo appello.<br />
Parliamo del nostro amico, ma in realtà di tanti altri. Sparati <strong>da</strong> un killer o<br />
fatti a pezzi <strong>da</strong> una bomba - di Gladio, di Cosa Nostra, della P2 - o<br />
assassinati <strong>da</strong> un buco d'eroina, erano tutti esseri umani che conoscevamo o<br />
che qualcuno di noi conosceva, che erano vivi, a cui qualcuno voleva bene.<br />
Ora è il momento della giustizia; Tangentopoli, non ci basta. Giustizia, tutta.<br />
A questo servono I Siciliani.
QUELLI DI ELLECCI'<br />
I Siciliani, aprile 1993<br />
Siccome Lotta Continua era un'organizzazione di pericolosi giacobini<br />
dediti alla sovversione, gl'indirizzi dei suoi militanti - dei quali mi onoravo<br />
di far parte, e non sono affatto pentito - erano mantenuti riservati. Così<br />
l'indirizzo di Mauro Rostagno, nuovo responsabile palermitano<br />
dell'Organizzazione, io l'avevo su un foglio di carta accuratamente<br />
consegnatomi a Messina; ma il foglio, naturalmente, l'avevo<br />
perso..Telefonare alla sede? Ma ti pare. Passano in quel momento tre<br />
ragazzi di qualche scuola: "Ehi, ma tu sei di Elleccì ?" (avevo il giornale<br />
ben visibile in tasca, nella tasca dell'eskimo regolamentare). Dieci minuti<br />
dopo ero a casa di Mauro, <strong>da</strong>lle parti di via Notarbartolo. C'erano lui, la<br />
Chicca che allora era una militante milanese col chiodo, Lello ricercato per<br />
occupazione di case a Milano e che poi finì anche lui in quella faccen<strong>da</strong> del<br />
Macondo, Saro dell'organizzazione, una compagna di cui non mi ricordo il<br />
nome e se me lo ricor<strong>da</strong>ssi non lo direi anche se a lei di Elleccì<br />
interessavano soprattutto i ragazzi, molti volumi marxisti che qualcuno<br />
prima o poi avrebbe letto e un paio di chitarre; e la bambina, che allora<br />
aveva un paio di mesi e la si portava in braccio su e giù per villa Sperlinga<br />
che non era ancora diventata villa Siringa.<br />
Un secolo fa. A Palermo, la Lotta Continua di Rostagno - l'altro<br />
gruppazzo serio, in città, era il Manifesto di Mario Mineo e Umberto<br />
Santino - contava su quattro sedi, non moltissimi studenti ma un bel po' di<br />
gente dei quartieri, e tre comitati di lotta per la casa. Non era una roba <strong>da</strong><br />
fighetti, Elleccì di Palermo, né gli Straccio Liguori né i Bretella Ferrara<br />
sono cresciuti qui. Era una cosa rozza, allegra, coraggiosa e gentile, molto -<br />
nel senso migliore - su<strong>da</strong>mericana. La Primavera di Palermo, forse, è<br />
cominciata senza saperlo proprio <strong>da</strong> lì, quando s'occupò la cattedrale, coi<br />
baraccati, per ottenere case e dignità.<br />
Che brutta fine hanno fatto i miei compagni di Lotta Continua, <strong>da</strong> tenente<br />
in su, esclusi Mauro Rostagno e Guido Viale. Viale, non so più dove sia.<br />
Rostagno è morto in Sicilia, alla maniera sua, fra affetto confusione e amici<br />
malfi<strong>da</strong>ti. "Muertos con digni<strong>da</strong>d" diceva una canzone dei nostri tempi, di<br />
gente come lui.<br />
Alla commemorazione, gli "amici" suoi hanno invitato poi - chissà perché<br />
- a parlare "Turi" Lombardo, che sarebbe l'assessore socialista smascherato<br />
<strong>da</strong> Gianni Bonsignore poco prima l'ammazzassero. Di lui, di Mauro, mi<br />
hanno raccontato un aneddoto, degli ultimi mesi, che non so se è vero:<br />
l'avrebbero cioé messo fuori, lui che non aveva paura di nessuno,
<strong>da</strong>ll'edificio principale di Saman e man<strong>da</strong>to in una dipendenza laterale, fuori<br />
<strong>da</strong>i piedi.<br />
Ma - diceva Calogero Gasparazzo: e <strong>da</strong> tenente in giù ci ricordiamo<br />
ancora chi era - ma "non finisce qui".
COME ANDO'<br />
I Siciliani, maggio 1993<br />
Ci sono i "sorci", i gattopardi e i garibaldini. I sorci ormai non contano<br />
più tanto, e ne attribuiscono la colpa a una serie terrificante di complotti<br />
organizzati <strong>da</strong> giudici, giacobini e sovversivi vari per convincere il buon<br />
popolo italiano che Andreotti è un mafioso, Gava un camorrista, Craxi un<br />
capoban<strong>da</strong> e Martelli un capoban<strong>da</strong> imbranato.<br />
I gattopardi sono stati sudditi fedelissimi per trent'anni; poi, quando hanno<br />
visto che Sua Maestà (Dio guardi) non era più in grado di garantire le<br />
baronìe si son scoperti patrioti tutt'a un tratto: e promettono costituzioni e<br />
riforme, a patto però d'essere sempre loro a coman<strong>da</strong>re.<br />
I garibaldini infine - quelli cioé che hanno buttato giù materialmente i<br />
Borboni, quelli che hanno rischiato la pelle quando nessuno avrebbe<br />
scommesso un soldo sulla "libbittà" - sono divisi in mazziniani,<br />
costituzionali, repubblicani puri, seguaci degli Statuti di Spagna e<br />
ammiratori del bicameralismo all'inglese. Sono parimenti esecrati, nel loro<br />
complesso, <strong>da</strong>i "sorci" e <strong>da</strong>i gattopardi: i quali, senza tanti distinguo, li<br />
accusano tutt'insieme d'anarchia e di quarantotto.<br />
Riusciranno i nostri eroi garibaldini a mettersi finalmente d'accordo fra di<br />
loro, a fare la libertà e il Quarantotto (o il Sessantotto) senza farsi<br />
imbrogliare <strong>un'altra</strong> volta <strong>da</strong>i gattopardi? Ce la facciamo, per una volta, ad<br />
essere più furbi del Principe di Salina?<br />
Che poi, diciamola tutta, non è che i gattopardi d'oggi siano quei gran<br />
volponi d'una volta. I Mariotti, i senatùr, i Pinocchimartelli, i Marchi<br />
Giacinti d'annata: tutto qua. Non dureranno a lungo, non sono -<br />
semplicemente - all'altezza. Entro sei mesi, finita in galera l'antica e in<br />
bancarotta quella "rinnovata", il Paese chiederà a gran voce una nuova<br />
classe dirigente che volti pagina <strong>da</strong>vvero.<br />
Voltiamo pagina noi lettori, per intanto, ma proprio letteralmente: a<br />
pagina due di questo numero del giornale c'è un tizio con una proposta di<br />
buon senso: perché non farla finita, con tutte queste divisioni fra noi di<br />
Garibaldi, e mettere in piedi una baracca in comune? Lui la chiama - in<br />
linguaggio cattolico - "nuova <strong>sinistra</strong>": ci sta dentro un sacco di gente,<br />
secondo noi, gli operai milanesi dell'Alfa e gli antimafiosi di Palermo, Luca<br />
col ciuffo e il vecchio incontentabile poeta Pietro. Ci stiamo dentro anche<br />
noi.
INTORNO AI BOSS<br />
I Siciliani, giugno 1993<br />
Al centro di Catania c'è una piazza quadrata. Da un lato il comando<br />
carabinieri del colonnello Licata: controlla gli scippatori della città,<br />
parallelamente a Santapaola. Sul secondo lato l'albergo dove ogni settimana<br />
s'incontrano i manager del narcotraffico, fra cui quelli della Famiglia<br />
Santapaola. Sul terzo lato le bische in teoria clandestine, ma in realtà<br />
frequentate <strong>da</strong> tutta la Catania bene, di proprietà dei Ferrera-Santapaola. Il<br />
quarto lato è il Palazzo di Giustizia del procuratore aggiunto Giulio Cesare<br />
Di Natale, non nemico di Santapaola. Al centro della piazza, un<br />
monumento-fontana e intorno al monumento una decina o più, secondo le<br />
sere, di tossicodipendenti.<br />
Catania era così, negli anni Ottanta. Una delle città più gradevoli d'Italia,<br />
per chi aveva i soldi. I trecento più ricchi di Catania potevano girare di<br />
giorno e di notte senza paura di sequestri (la mafia non ne permetteva),<br />
potevano aprire meravigliose boutiques in pieno centro senza paura<br />
d'in<strong>da</strong>gini tributarie né di rapine, potevano comprare qualunque essere<br />
umano o cosa, <strong>da</strong> una terracotta ellenistica a una ragazzina di quindici anni,<br />
senza renderne conto e senza formalità. Non pagavano tasse - non allo Stato<br />
- e venivano rapi<strong>da</strong>mente assolti, o amnistiati, se qualche poliziotto li<br />
denunciava. Magistrati e generali dei carabinieri - non catanesi - che<br />
ficcavano il naso nelle loro faccende venivano uccisi a colpi di mitra, o<br />
saltavano in aria. Avevano i loro politici - i Lo Turco, i Coco, gli Attaguile,<br />
gli Aleppo, gli Andò, i Tignino, i Drago - carì sì, ma che funzionavano bene.<br />
Avevano il loro giornale (e ce l'hanno tuttora) che si chiamava "La Sicilia".<br />
"La Sicilia" è il giornale che rifiutò il necrologio di una vittima della mafia,<br />
perché offendeva la mafia.<br />
Per tutti gli altri catanesi Catania, in questi ultimi quindici anni, è stata un<br />
tritacarne. Anno dopo anno, una quota prefissata della gioventù cittadina<br />
veniva tirata fuori <strong>da</strong>i quartieri, gettata nella "microcriminalità" e<br />
sterminata. Ness<strong>un'altra</strong> città d'Europa ha mai avuto, in questi quindici anni,<br />
una percentuale tanto elevata d'emarginazione giovanile. Mentre la boutique<br />
o il ritrovo elegante del centro an<strong>da</strong>va avanti tranquillamente grazie alla<br />
protezione di Santapaola (quanti "scassapagghiari" sono stati giustiziati per<br />
uno "sgarro" contro un negozio "amico"?) il piccolo bottegaio di periferia<br />
aspettava con terrore le otto di sera, quando bande di ragazzini disperati<br />
irrompevano alla ricerca delle cento-duecentomila lire dell'incasso. Un<br />
circuito perfetto: gli appaltatori progettano i quartieri in modo <strong>da</strong> garantire il<br />
massimo gua<strong>da</strong>gno a se stessi e la massima emarginazione per chi ci andrà
ad abitare; <strong>da</strong>ll'emarginazione nasce una microcriminalità che genera la<br />
richiesta di un controllo "forte" sul territorio, assicurato <strong>da</strong>i Santapaola e <strong>da</strong>i<br />
colonnelli Licata; Stato e mafia trovano così un terreno, se non comune,<br />
parallelo; su qesto terreno si sviluppano rapporti, connivenze,<br />
interconnessioni che, sommate alla degra<strong>da</strong>zione sociale, distruggono ogni<br />
possibilità di gestione civile, regolata <strong>da</strong> leggi e controllata <strong>da</strong> elezioni,<br />
della città.<br />
La politica, in una situazione come questa, è una gestione d'affari, coi<br />
"cittadini" imbrancati periodicamente e portati a "votare" - <strong>da</strong>i capiclientela,<br />
<strong>da</strong>i capimafia, <strong>da</strong>gli stessi imprenditori - senza sapere dove né perrché; il<br />
ceto politico ingloba rapi<strong>da</strong>mente i professionisti, i sin<strong>da</strong>calisti, i magistrati,<br />
gli stessi capi della gran parte delle "opposizioni", tutti fusi in un amalgama<br />
soddisfatto e confuso, all'interno del quale le distinzioni fra funzione e<br />
funzione tendono sempre più a sparire: il direttore di giornale emette<br />
sentenze, il magistrato scrive articoli, l'imprenditore nomina le giunte<br />
comunali, il politico specula in proprio sugli affari, il mafioso "mantiene<br />
l'ordine" e il poliziotto man<strong>da</strong> gli "avvertimenti" a chi occorre.<br />
Questo era il potere mafioso nella città di Catania. Di esso Santapaola era<br />
il braccio militare, ma non la massima autorità. Il vertice della piramide, <strong>da</strong><br />
un punto di vista sociale, consisteva nei "quattro maggiori imprenditori"<br />
Rendo Graci Costanzo e Finocchiaro, orgogliosamente uniti - per loro stessa<br />
ammissione - in un patto di ferro che governava gli appalti e, di riflesso, la<br />
città. In cerchi concentrici, attorno al potere dei cavalieri ruotavano gli<br />
esecutori politici (i più presentabili dei quali venivano promossi al<br />
collegamento coi poteri nazionali) e buona parte degli uomini "dello Stato".<br />
Parliamo di potere mafioso al passato non perché esso sia oggi sconfitto<br />
<strong>da</strong> qualche poderosa mobilitazione dello Stato né perché vi sia stata, <strong>da</strong><br />
parte del ceto politico tradizionale, una qualche spinta verso qualche<br />
"rinnovamento" (essendo siciliani, conosciamo fin troppo bene la tecnica<br />
del Gattopardo). No. Ma anni e anni di lotta hanno pur prodotto qualcosa. Il<br />
ministero della Difesa, ad esempio, <strong>da</strong> cui gerarchicamente dipendono i<br />
carabinieri, era retto fino a poco tempo fa <strong>da</strong> un uomo come Salvo Andò.<br />
Gli antimafiosi non sono ancora abbastanza forti <strong>da</strong> imporre un ministro<br />
della Difesa antimafioso. Lo sono però già abbastanza <strong>da</strong> rendere comunque<br />
molto difficile la permanenza di un Andò; e <strong>da</strong> consentire dunque una<br />
maggior libertà di movimento a coloro che non condividono - nella polizia,<br />
nei carabinieri, nella magistratura - l'opinione che un Andò può avere della<br />
questione mafiosa.<br />
Parliamo di potere mafioso a Catania perché quindici anni fa, quando il<br />
meccanismo ha cominciato a funzionare, il potere mafioso era un affare di
Catania, di Palermo e di poche altre città. Ma questo, quindici anni fa. Oggi<br />
il meccanismo "catanese" è perfettamente diffuso in tutto il Paese. Il ruolo<br />
di un Romiti in Tangentopoli non è diverso <strong>da</strong> quello di un Rendo a Catania.<br />
E la stessa parola "tangenti" è un modo molto eufemistico di indicare quel<br />
che è accaduto in Italia negli anni Ottanta - un vero e proprio colpo di stato,<br />
la sostituzione di un potere democratico con un comitato d'affari politicoimprenditoriale:<br />
su più larga scala, ma esattamente come a Catania; con<br />
strutture come il Sismi o Gladio al posto di Santapaola e Andreotti e Craxi<br />
al posto di Nino Drago e Salvo Andò.<br />
Quello che è successo a Catania "con" Santapaola è dunque una metafora<br />
- non tanto piccola - dell' ultimo decennio di storia nazionale. Ma a Catania<br />
è successo qualcosa anche contro Santapaola, contro i cavalieri, contro le<br />
collusioni di Stato e contro il comitato d'affari. Si sono mossi i giovani,<br />
sono sorti dei movimenti, l'opposizione ha trovato <strong>da</strong>pprima dei maestri e<br />
poi dei capi.<br />
Certo, noi siamo gli ultimi a farci delle facili illusioni sulla durata di<br />
questa lotta, qui a Catania. Ma per le tendenze che emergono alla base, e<br />
che vediamo rafforzarsi mese dopo mese, siamo sicuri di vincerla entro<br />
questa generazione. Una Catania senza padroni, noi - ne siamo certi - la<br />
vedremo. Non solo: crediamo che anche quest'altra Catania abbia discrete<br />
possibilità di diventare, nel giro d'una decina d'anni, metafora dell'intera<br />
Nazione.
LE STRAGI<br />
I Siciliani, giugno 1993<br />
Le stragi, in questo paese, hanno sempre contato molto più delle elezioni.<br />
Piazza Fontana ha contato di più del Sessantotto, piazza della Loggia e il<br />
treno Italicus molto di più del referendum sul divorzio, l'assassinio di Rocco<br />
Chinnici più del movimento antimafia palermitano. Il meccanismo, ogni<br />
volta, è lo stesso: su una questione qualunque si comincia a formare nel<br />
Paese un movimento d'opinione di massa, un abbozzo di aggregazione<br />
politica, una possibile classe dirigente alternativa che però ha bisogno di<br />
tempo per crescere, maturarsi e venir fuori <strong>da</strong>gli specifici confini originari.<br />
L'intervento terroristico, ogni volta, inchio<strong>da</strong> questo processo: il movimento<br />
in formazione si rattrappisce nella difesa dell'esistente, ritira la propria<br />
candi<strong>da</strong>tura implicita al governo del Paese, finisce nell'estremismo o nei<br />
gattopardi: e <strong>un'altra</strong> generazione di regno è assicurata ai vecchi poteri.<br />
Questi, tecnicamente, hanno sempre disposto in Italia di uno strumento<br />
preciso, finalizzato agli interventi "irregolari" sulla vita pubblica italiana,<br />
organizzato <strong>da</strong> lungo tempo, chiamato - nelle sue varie accezioni - "Gladio".<br />
Pasolini diceva "Io so - <strong>da</strong> intellettuale - chi possono essere i man<strong>da</strong>nti".<br />
Noi, <strong>da</strong> intellettuali, possiamo dir di sapere - a vent'anni di distanza - anche<br />
chi possono essere gli organizzatori. "Gladio" ha dei nomi precisi, nella<br />
storia di questo Paese. E la polemica riguar<strong>da</strong>, in queste settimane, due<br />
entità con nome e cognome: Francesco Cossiga e Giulio Andreotti. Non<br />
sappiamo quali messaggi e minacce esattamente essi si scambino, in queste<br />
settimane, <strong>da</strong>lle colonne dei giornali. Sappiamo che se le scambiano, e ci<br />
basta. Sappiamo che l'argomento è "Gladio".<br />
Non sappiamo neanche che schieramento specifico ciascuno di essi<br />
rappresenti (l'America preclintoniana, i vecchi notabili-massoni degli anni<br />
Cinquanta, i tempi della massomafia, le logge?) e non c'interessa nemmeno,<br />
per il momento. Sappiamo che lo scontro è in corso, come nel 1969 e nel<br />
1980, che all'interno di questo scontro i segmenti mafiosi superstiti vengono<br />
probabilmente usati, che nel corso di esso saranno probabilmente<br />
minacciate le soluzioni più estreme - ma che la vera posta in gioco, alla resa<br />
dei conti, sarà lo sbocco politico degli anni di Di Pietro. Che noi non<br />
chiamiamo così.<br />
Noi in Sicilia sappiamo che gli anni di Di Pietro cominciano in realtà<br />
molto lontano, almeno <strong>da</strong>ll'inverno '82. Quell'inverno a Palermo, stando<br />
tutto il Paese sotto il craxismo, spente o in dissoluzione le forme della<br />
<strong>sinistra</strong> tradizionale, quell'anno a Palermo nei quartieri più degra<strong>da</strong>ti, fra i<br />
giovani delle scuole, in una minoranza "giacobina" di cittadini, è nata una
nuova cultura d'opposizione e, in lunga prospettiva, di governo. A Palermo,<br />
dove lo scontro fra sfruttati e potere era più disperato e inconciliabile che in<br />
ogni altro luogo, è sorta la percezione che quel potere si poteva contrastare,<br />
con rozza immediatezza, in tutte le articolazioni della vita sociale: <strong>da</strong>l<br />
militante di quartiere al magistrato. Questa prima rudimentale percezione,<br />
nel giro di undici anni, è dilagata a macchia d'olio per il Paese. Non ci<br />
sarebbe stato nessun Di Pietro se non ci fosse stato Chinnici. Non ci sarebbe<br />
stato Chinnici se non ci fossero stati i primi militanti del Coordinamento<br />
Antimafia e di Città per l'Uomo e gli studenti del Meli.<br />
Nel giro di quasi una generazione, tutto ciò ha prodotto - sempre<br />
rudimentalmente e rozzamente, con grandissime generosità e altrettanto<br />
grandi superficialità e approssimazioni - <strong>da</strong>pprima una nuova cultura, poi un<br />
nuovo intervento sociale e infine, sempre rudimentalmente ma con una<br />
solidità ormai acquisita - ha portato all'individuazione di una politica<br />
adeguatamente nuova. A una <strong>sinistra</strong> politica, insomma, in grado di<br />
espandersi linearmente e maturando, e di giungere probabilmente, per la<br />
prima volta <strong>da</strong>l 1946, a governare il Paese. Sempre che non venga bloccata<br />
sulla difensiva e sull'accettazione - come male minore - dell'esistente.<br />
Le stragi arrivano a questo punto.
I SANTI PAOLI<br />
I Siciliani, giugno 1993<br />
Il sin<strong>da</strong>co di Catania, si chiamava Santapaola? I "quattro cavalieri<br />
dell'apocalisse mafiosa", secondo Giuseppe Fava e Carlo Alberto <strong>da</strong>lla<br />
Chiesa, erano tutt'e quattro Santapaola? Santapaola era il direttore del<br />
giornale "La Sicilia"? Le in<strong>da</strong>gini sull'omicidio Fava, sono state insabbiate<br />
<strong>da</strong>l giudice Santapaola? L'appalto per il centro direzionale, andrà a<br />
Santapaola? Com'è che hanno fatto ministro della difesa Santapaola? Il<br />
quartiere Librino, è stato costruito <strong>da</strong> Santapaola? "La mafia non esiste": lo<br />
diceva Santapaola? Il capo della Dc era l'onorevole Santapaola? E chi lo<br />
difendeva: l'avvocato Santapaola? Chi ha tolto di mezzo il giudice Felice<br />
Lima: Santapaola? La Nuova Pretura di Catania, è stata costruita sui terreni<br />
di Santapaola? Al Comune rubano per conto di Santapaola? L'ospe<strong>da</strong>le<br />
nuovo, a uno sputo <strong>da</strong>i jet dell'aeroporto, lo fanno sui terreni di Santapaola?<br />
Perché Santapaola ha impedito per dieci anni di arrestare Santapaola? E<br />
insomma, chi c'era sopra Santapaola: Santapaola?<br />
Il terzo livello non esiste, ripetono i commentatori ufficiali. Una volta,<br />
"non esisteva" neanche la mafia. Adesso esiste solo Santapaola. E zitti su<br />
tutto il resto. "Santapaola? - dichiarano virtuosamente politici e cavalieri -<br />
mai visto né conosciuto". E avanti ai prossimi appalti.<br />
Catania, Sicilia? Non solamente. Chinnici, Borsellino e Falcone, Carlo<br />
Palermo, Di Pietro, Cordova, Caselli - hanno in<strong>da</strong>gato abbastanza, i<br />
magistrati del popolo italiano, hanno scoperto abbastanza verità <strong>da</strong><br />
permettere dian<strong>da</strong>re molto oltre i Santapaola e i don Totò. Ma chi vuole<br />
an<strong>da</strong>re oltre <strong>da</strong>vvero? Non è meglio lasciare che il "passato" se ne va<strong>da</strong> via<br />
tranquillamente, senza rompere le scatole al "nuovo"? Non s'è fatto sempre<br />
così, qui <strong>da</strong> noi, fin <strong>da</strong>l tempo dei Gattopardi?<br />
E allora: Santapaola, Riina, "vendetta di Cosa Nostra", "mafia alle corde",<br />
"oscura strategia della tensione". E via così. Senza troppe domande, né a<br />
Catania né a Roma.<br />
A proposito, doman<strong>da</strong>: dei tre potenti messi sotto accusa nei giorni delle<br />
bombe, chi era il più potente: Santapaola, Andreotti o Romiti?
FACCIAMO UN QUOTIDIANO?<br />
I Siciliani, luglio 1993<br />
Ma voi li leggete, i giornali? Non c'è più il Psi, non c'è più la Dc, ma per i<br />
giornali - in sostanza- non è successo niente. Nel corso di questi due anni è<br />
stato scoperto: a) che per quarant'anni le elezioni - con Gladio pronto a fare<br />
il colpo di Stato appena la destra Dc avesse perso il governo, e con la P2<br />
messa lì a distribuire bombe- non hanno contato niente; b) che il più<br />
importante esponente del più importante partito era in rapporti amichevoli<br />
con Cosa Nostra; c) che il secondo più importante partito di governo era in<br />
realtà un'associazione d'affari, esclusivamente finalizzata all'arricchimento<br />
dei suoi membri; d) che l'"industria" praticata <strong>da</strong>i principali imprenditori<br />
italiani, quelli che predicavano i sacrifici per salvare l'economia, era in<br />
realtà quella di mettersi d'accordo con i politici tangentari per dividersi<br />
fraternamente i denari pubblici, fifty-fifty.<br />
Di tutto questo, sulla maggior parte dei giornali italiani, non trovate che<br />
poche e fievoli tracce. Come non trovate traccia del fon<strong>da</strong>mentale<br />
interrogativo - "Chi paga?" - che deciderà le sorti del paese per i prossimi<br />
vent'anni. E si capisce: quasi nella loro totalità, i giornali sono quelli<br />
riempiti al tempo di Tangentopoli <strong>da</strong>gli uomini della Dc, del Psi, di Romiti e<br />
di Berlusconi. Che interesse possono mai avere, a dire la verità fino in<br />
fondo? Meglio per loro uscirne "all'italiana": chi era craxista prenderà la<br />
tessera della Lega, chi era democristiano o massone si butterà nel<br />
"rinnovamento" di Segni o dell'Alleanza, chi faceva l'"industriale" a buon<br />
mercato a colpi di mazzette adesso spanderà due lacrimucce di pentimento<br />
e. farà pagare i <strong>da</strong>nni - in nome dell'economia <strong>da</strong> salvare - alle buste-paga<br />
dei lavoratori. E tutto continuerà come prima, con qualche piccolo cambio<br />
di etichette. Con la benedizione commossa - in nome naturalmente del<br />
"cambiamento" - dei giornali ufficiali e delle tv.<br />
A noi tutto questo non va giù. Un giornale, secondo noi, dovrebbe aver<br />
molto <strong>da</strong> dire in questo momento. Facciamo quel che possiamo, ma ci<br />
rendiamo conto che uscire una volta al mese non è granchè. Ci rendiamo<br />
conto, anche, che noi abbiamo una nostra storia, un modo di pensare, una<br />
cultura, ma che altri hanno la loro, non meno importante della nostra, ed è<br />
giusto che dicano quel che hanno <strong>da</strong> dire anche loro. Ci rendiamo conto<br />
insomma che solo unendo tante forze è possibile <strong>da</strong>re una risposta adeguata<br />
alla doman<strong>da</strong> d'informazione che la grande maggioranza degli italiani oggi<br />
esprime e a cui certamente non potranno rispondere i giornali che fino a ieri<br />
erano apertamente del regime. E' un problema grosso, e non c'è modo di<br />
girarci intorno. L'Italia cambia, i giornali no. Quindi, bisogna fare dei
giornali completamente nuovi, dei giornali che siano espressione immediata<br />
e diretta, e fino in fondo democratica, del cambiamento. Dei giornali<br />
adeguati, non dei mensili di battaglia come questo. Dei quotidiani,<br />
insomma.<br />
Noi, <strong>da</strong> soli, non ce la facciamo. Ma insieme con tutti gli altri antimafiosi,<br />
e sostenuti massicciamente <strong>da</strong> voi lettori, crediamo proprio di sì. Qualche<br />
idea abbiamo già cominciato a metterla insieme - vedi l'inserto al centro del<br />
giornale. Ne parliamo?
CHI SI VEDE, LA SINISTRA<br />
I Siciliani, luglio 1993<br />
La <strong>sinistra</strong> è una cosa che in Italia possiede alcune tonnellate di analisi,<br />
che raramente qualcuno legge, una mezza dozzina di astuti progetti politici<br />
tutti rigorosamente incompatibili fra loro e tre o quattro partiti organizzati<br />
ciascuno dei quali ritiene di essere l'unico destinato col tempo a costituire la<br />
sola e vera <strong>sinistra</strong>; e alcune centinaia di brillantissimi dirigenti che nel giro<br />
di pochi anni sono riusciti a portarla - per quanto umanamente stava in loro<br />
- sulle soglie della dissoluzione. Possiede tuttavia anche, ed è l'unico suo<br />
patrimonio reale, la memoria e il buonsenso di alcune decine di milioni di<br />
esseri umani, figli di un'esperienza storica di generazioni e generazioni<br />
d'incivilimento, di pene, di lungo e faticoso impossessamento della cultura e<br />
dei principi della vita associata e collettiva.<br />
Sono stati loro a portare la <strong>sinistra</strong>, fra gli ultimi mesi dell'anno scorso e i<br />
primi di quest'anno, alla conquista della maggioranza assoluta e a portare le<br />
rappresentanze politiche della <strong>sinistra</strong> a un passo - a un brevissimo passo -<br />
<strong>da</strong>l governo del Paese. E' una maggioranza che non ha ancora avuto modo<br />
di esprimersi in un'elezione generale e che perciò, come sempre, sfugge ai<br />
politologi di professione. Ma è una maggioranza reale.<br />
Alle ultime elezioni amministrative la <strong>sinistra</strong> ha preso fra il quaranta e il<br />
sessanta per cento, a secon<strong>da</strong> dei luoghi, dei voti vali<strong>da</strong>mente espressi <strong>da</strong>gli<br />
elettori. Ha superato la maggioranza assoluta nelle zone di antico e<br />
moderato buongoverno dell'Italia centrale. Ha preso il quarantacinque per<br />
cento a Milano, in presenza di un'on<strong>da</strong>ta di destra sostenuta <strong>da</strong> gran parte<br />
degli opinion leaders e dei poteri industriali. Comprende probabilmente la<br />
maggioranza degli elettori a Torino, dove solo l'irresponsabilità di dirigenti<br />
locali ha impedito ai voti della <strong>sinistra</strong> moderata di far blocco, com'era<br />
naturale, col grosso delle forze d'opposizione. Ha sfiorato la maggioranza ad<br />
Agrigento, dove per sottrarre i pochi voti che li dividevano <strong>da</strong>l candi<strong>da</strong>to<br />
democratico i conservatori han dovuto arruolare un "rinnovatore" come<br />
Ayala. Ha raggiunto il quarantasette per cento a Catania, dove l'errore tattico<br />
commesso <strong>da</strong>i cattolici di "Città Insieme" ha regalato il comune a un<br />
cartello di centro<strong>sinistra</strong>. In tutti questi casi, è mancata la strategia ma non<br />
le forze; l'abilità dei dirigenti, ma non la coscienza della base. E' mancato<br />
cioè qualcosa che si può facilmente imparare, che si può - se sarà il caso -<br />
collettivamente imporre ai dirigenti democratici alla prossima occasione. E'<br />
mancato il senso storico e profondo dell'unità.<br />
A Torino e a Catania - è interessante notare - lo schieramento della <strong>sinistra</strong><br />
era rappresentato, di nome, soltanto <strong>da</strong> Rifon<strong>da</strong>zione e <strong>da</strong>lla Rete; ad
Agrigento e Milano, il fronte comprendeva il Pds; nelle città del Centro, a<br />
volte mancava Rifon<strong>da</strong>zione a volte la Rete. L'immagine politica delle varie<br />
liste, tuttavia, è stata più o meno la stessa <strong>da</strong>ppertutto; <strong>da</strong>ppertutto il numero<br />
dei voti riportati <strong>da</strong>l candi<strong>da</strong>to sin<strong>da</strong>co della <strong>sinistra</strong> è stato di molto<br />
superiore alla somma dei voti riportati <strong>da</strong>lle singole liste di <strong>sinistra</strong>. A<br />
Catania lo schieramento d'opposizione, che ha mancato di pochissimo la<br />
conquista del Comune, nominalmente era sostenuto solo <strong>da</strong>l quattordici per<br />
cento degli elettori (dieci e mezzo della Rete, poco più di tre di<br />
Rifon<strong>da</strong>zione): dei catanesi che hanno votato a <strong>sinistra</strong>, due su tre l'hanno<br />
fatto <strong>da</strong>l di fuori dei partiti di <strong>sinistra</strong>.<br />
Ad Agrigento - è ancora interessante notare - fra i promotori della lista<br />
d'opposizione c'era un collettivo indipendente giovanile di recentissima<br />
costituzione, che ha fatto la sua brava campagna elettorale non peggio né<br />
con meno efficienza di tutti gli altri.<br />
A Catania, alle radici dello schieramento progressista, più che le tutto<br />
sommato deboli forze organizzate di partito, ritroviamo esperienze e culture<br />
direttamente legate - come la nostra dei Siciliani - alle istanze di base della<br />
società civile e a lotte immediatamente dirette, senza mediazioni "politiche",<br />
contro il potere mafioso. In diversi paesini del meridione, soprattutto in<br />
Sicilia, la gente ha votato massicciamente per il Pds o per la Rete, senza<br />
tante distinzioni, a secon<strong>da</strong> dell'esponente locale considerato più<br />
combattivo. Un'analisi del voto a Torino o a Milano porterebbe<br />
probabilmente alla luce caratteristiche di fondo non molto differenti. La<br />
gente, per così dire, sta imparando ad usare la <strong>sinistra</strong>. Si potrebbe dire che<br />
la <strong>sinistra</strong> sta imparando ad usare se stessa.<br />
Parte per malafede parte per semplice superficialità, i commentatori<br />
ufficiali ricavano <strong>da</strong>ll'esperienza delle elezioni di giugno l'idea di una<br />
fantomatica "corsa al centro", giocata fra posizioni moderate e con la messa<br />
fuori legge, o perlomeno fuori gioco, delle posizioni più "giacobine".<br />
Questo potrà essere forse vero in America (dove peraltro a votare non va più<br />
<strong>da</strong> molto tempo che una ristretta minoranza), ma non lo è affatto in Italia.<br />
Da noi le cifre dimostrano invece che l'elettorato italiano è composto <strong>da</strong> una<br />
forte <strong>sinistra</strong> e <strong>da</strong> una destra, la prima tendenzialmente unitaria e la secon<strong>da</strong><br />
divisa - per il momento almeno - fra vecchie e nuove pulsioni. Unirsi, per la<br />
<strong>sinistra</strong>, oggi è molto più facile che per la destra.<br />
I vari tentativi di uscire <strong>da</strong>lla crisi su un'ipotesi di centro o di<br />
centro<strong>sinistra</strong> - Martelli, Segni, l'Alleanza di Bianco e Ayala - hanno<br />
prodotto finora moltissimo e molto propagan<strong>da</strong>to fumo, ma ben poco<br />
arrosto. Le volte invece in cui la <strong>sinistra</strong> ha avuto il buonsenso di affi<strong>da</strong>rsi a<br />
se stessa, di puntare su un fronte ampio aperto alle forze spontanee della
società civile, è arrivata vicinissima (e abbiamo visto quanto esili e<br />
occasionali siano state le cause che le hanno impedito di conseguirla del<br />
tutto) alla maggioranza assoluta.<br />
Certo, non è facile unirsi. O meglio, lo è per le persone normali, per i<br />
militanti di base, per coloro che hanno faticosamente conquistato una "linea<br />
politica" - se così la vogliamo chiamare - attraverso anni di faticoso<br />
confronto con le vive e immediate traversìe della società civile; non lo è<br />
affatto per coloro che quest'esperienza non ce l'hanno, o l'hanno così lontana<br />
nel tempo <strong>da</strong> esserne ormai abbandonati.<br />
Di buono c'è che, essendo ormai i partiti della <strong>sinistra</strong> diversi e non più<br />
uno solo, possono fare i capricci a turno (o meglio, possono farli i loro<br />
dirigenti meno avvertiti) lasciando sempre qualcuno a ba<strong>da</strong>re alle cose serie<br />
nel frattempo. Nei mesi passati è stato il turno della Rete (che doveva<br />
sciogliere l'amletico dubbio se appartenere alla <strong>sinistra</strong> o ad altre, ancora<br />
inesplorate, contrade) e del Pds (che voleva affi<strong>da</strong>re le sorti del Paese,<br />
nell'ordine, all'Internazionale socialista, a Martelli, a Segni, a Ciampi, a<br />
Clinton, ad Ayala). Adesso il turno, a quanto pare, tocca a Rifon<strong>da</strong>zione.<br />
Speriamo che faccia in fretta.<br />
Nel frattempo bisogna che il processo unitario va<strong>da</strong> avanti. Bisogna che<br />
non sia affi<strong>da</strong>to principalmente ai partiti e che non sia ostacolato <strong>da</strong>i partiti.<br />
Bisogna che possa esprimersi in una serie di iniziative unitarie di base -<br />
azioni rivendicative, giornali, incontri, associazionismo di base, e alla fine,<br />
ma proprio alla fine, anche liste elettorali comuni - e che sappia mantenersi<br />
in ogni momento rigorosamente sincero, senza furbizie, senza egemonie. La<br />
rivoluzione italiana tutto sommato è cominciata - è cominciata qui al Sud,<br />
molti anni prima di Di Pietro - <strong>da</strong> una questione morale, <strong>da</strong> un bisogno di<br />
trasparenza civile, di pulizia, di schieramenti chiari. E' una stra<strong>da</strong> vincente,<br />
sarebbe un peccato impantanarla per noia in una politica politichese.
UN'ESTATE PERICOLOSA<br />
I Siciliani, agosto 1993<br />
La speranza era che i servizi segreti si fossero messi a rubare<br />
tranquillamente come tutti gli altri politici italiani e non avessero quindi più<br />
il tempo di mettere in giro bombe e fare stragi. Forse è così, e forse no. In<br />
ogni caso, le bombe scoppiano ancora. Forse sono semplicemente bombe<br />
"sin<strong>da</strong>cali", di rivendicazione dei vecchi piduisti e mafiosi che non vogliono<br />
essere messi <strong>da</strong> parte per la bella faccia del "rinnovamento" dei Gattopardi.<br />
Forse sono bombe più politiche, nel senso che nemmeno i "rinnovamenti" in<br />
Italia si possono fare senza un po' di tritolo. Mah. In ogni caso, occhio<br />
all'estate. Si sono fregati la scala mobile, il potere economico della lira,<br />
trentamila miliardi di industria chimica, i soldi - che nessuno prova<br />
nemmeno a misurare - di Tangentopoli, la democrazia: i "colpi"migliori li<br />
hanno fatti d'estate, in quegli unici quindici giorni su trecentosessantacinque<br />
in cui l' italiano ha finalmente il diritto di starsene spaparanzato al sole a<br />
riposarsi un poco.<br />
Dio sa che s'inventeranno stavolta, che manovra economica,che<br />
"rinnovamento" in famiglia, che assoluzione generale dei ladri. La<br />
tentazione è forte, per lorsignori. Non sono più solo i politici, sono anche i<br />
cavalieri d'industria, se va avanti Mani Pulite, a rischiare grosso. Di solito,<br />
negli anni passati, pensavano al colpo di stato per molto meno. Quest'anno<br />
l'affare è difficile: la gente è talmente incazzata, e i giudici sono talmente<br />
svegli, che molto probabilmente, non gli converrebbe provarci. Ma almeno<br />
un pensierino qualcuno ce lo starà facendo. Mica un golpe coi carri armati:<br />
un colpo di stato legale, un golpe "perbene". Occhio, occhio all'estate...
OPERAI<br />
I Siciliani, settembre 1993<br />
Non mettete la mia foto - avrebbe detto probabilmente padre Puglisi - Se<br />
proprio ci tenete, stampate come vive la mia gente. La gente di padre<br />
Puglisi, a Brancaccio e fuori, vive - quando va bene - con un milione al<br />
mese. Lavora in una fabbrica, quando va bene, o scarica cassette ai mercati<br />
generali, o vende qualche cosa per la stra<strong>da</strong>, oppure va a rubare. A<br />
Brancaccio, a Crotone, oppure alla periferia di Milano. La gente di padre<br />
Puglisi, il giorno che si ribella, ha tutti - Giornalisti e Politici -<br />
virtuosamente contro. Soffrire e sopportare, così va il mondo.<br />
Noi siamo di chi si ribella. Di chi occupa la fabbrica il giorno prima del<br />
licenziamento, di chi fischia i politici ai funerali di Borsellino, di chi entra<br />
nella povera chiesa nel quartiere dei boss, sapendo la soglia che sta<br />
varcando. Il mondo, dice padre Puglisi, non andrà sempre così. Il mondo -<br />
dice Camillo Torres, i gesuiti del Salvador, i preti dei quartieri di Palermo -<br />
verrà cambiato. Lo cambieranno i poveri, i cittadini di Brancaccio, il popolo<br />
di Palermo, gli operai. I tempi degli sgherri - quelli in divisa mimetica, e<br />
quelli di Cosa Nostra - non dureranno per sempre.<br />
In giro fra gli operai della Sicilia, nei cantieri e le fabbriche dove si<br />
produce la ricchezza dilapi<strong>da</strong>ta <strong>da</strong>i Gardini e <strong>da</strong>i Craxi, i nostri giovani<br />
cronisti hanno raccolto molti <strong>da</strong>ti ma hanno raccolto - soprattutto - una<br />
sensazione: la gente non si rassegna più. La gente, <strong>da</strong>l suo lavoro in poi,<br />
vuole cambiare..<br />
Lavoratori, parola fuori mo<strong>da</strong>. Operaio di Crotone, maestrina senza<br />
lavoro di Siracusa, ingegnere di Catania costretto - poiché tangenti e mafia<br />
non fan per lui - a vivere di lezioni private: esseri umani "perdenti", senza<br />
futuro... Ma non è così. Gli uomini e le donne del Sud hanno ancora tutto <strong>da</strong><br />
dire. "Voi avete portato alla rovina l'Italia - disse ai fascisti Gramsci -<br />
spetterà a noi ricostruirla". Ereditiamo un'Italia divisa, spolpata,<br />
saccheggiata <strong>da</strong>i politici corrotti, svenduta ai cavalieri d'industria, ancora in<br />
gran parte in mano agli sgherri di Andreotti. Ereditiamo un'Italia in cui<br />
l'omicidio di padre Puglisi, o l'autobomba <strong>da</strong>vanti alla caserma dei<br />
Carabinieri di Gravina, sono probabilmente solo l'inizio della campagna<br />
d'autunno. Quest'Italia, noi la ricostruiremo <strong>da</strong> cima a fondo, con ferma<br />
fiducia nelle virtù profonde di questo Paese, nascoste oggi sotto gli<br />
schiamazzi di politicanti e leghisti ma ben vive e presenti, e vittoriose<br />
infine, nei momenti difficili della nostra storia. L'altra Italia, quella dei<br />
lavoratori di Crotone, quella della gente che scende in piazza, quella di<br />
padre Puglisi.
I MAGNIFICI<br />
I Siciliani, ottobre 1993<br />
Falcone e Borsellino nel pool antimafia, Orlando al Comune, i ragazzi del<br />
liceo Meli in piazza - ricor<strong>da</strong>te Palermo? Palermo degli anni duri.<br />
Giammanco e Geraci al Palazzo di Giustizia, Martelli e Andreotti che<br />
attaccano gli antimafiosi "giacobini", il Giornale di Sicilia che fa<br />
propagan<strong>da</strong> al giudice Carnevale - ricor<strong>da</strong>te Palermo? Palermo degli anni<br />
duri. O <strong>da</strong> una parte o <strong>da</strong>ll'altra, o col potere mafioso o con l'antimafia<br />
popolare. In mezzo, no.<br />
Quanto tempo è passato. Giammanco è inquisito, Martelli non c'è più,<br />
Andreotti è un relitto. Il Giornale di Sicilia - quello che allora sche<strong>da</strong>va<br />
pubblicamente i militanti del Coordinamento antimafia - adesso s'ingegna di<br />
trovare il modo di fare un po' di corte al vincente di oggi, Orlando. Restano<br />
le macerie. E restiamo noi.<br />
Quanto siamo cambiati? Il problema è tutto qui. Rissosi, incorruttibili,<br />
profon<strong>da</strong>mente devoti a un'idea (individuale e collettiva) di libertà; poveri<br />
ed orgogliosi, carichi di speranze e utopie - quelli della primavera di<br />
Palermo, quelli dell'autunno quarantatré. E poi, s'è vinto.<br />
S'è vinto fra le macerie, fra mille ambiguità e gattopardi. In un paese<br />
diviso, fra le macerie, col fiato dei "liberatori" sul collo a imporre, a modo<br />
loro, le nuove autorità. Scendono i partigiani <strong>da</strong>i monti, ma troppi applausi<br />
li accolgono, troppi "buoni consigli" (chi erano i fascisti in Italia, chi erano i<br />
mafiosi?). Quelli che ieri combattevano, oggi debbono governare: almeno,<br />
per cominciare, qui a Palermo. Noi ci auguriamo che abbiano il coraggio di<br />
farlo, che riescano ad averne la forza, ma che lo facciano - soprattutto - <strong>da</strong><br />
partigiani. Che non ce<strong>da</strong>no alla timidezza dei poveri, che non diventino<br />
ragionevoli e perbene, che si facciano voler male <strong>da</strong>i signori.<br />
Questo è un promemoria per il sin<strong>da</strong>co rivoluzionario di Palermo.
VERSO UN GOVERNO "PALERMITANO"<br />
I Siciliani, novembre 1993<br />
Faranno prima Fini, Bossi, Cossiga, Berlusconi a unirsi e a prendere il<br />
potere, o lo faranno prima i leader responsabili della <strong>sinistra</strong>? L'Italia è<br />
spaccata in due, non c'è possibilità di mediazioni. O la democrazia o la<br />
reazione, o la <strong>sinistra</strong> o la destra. Il centro "moderato e responsabile" su cui<br />
ha contato disperatamente, <strong>da</strong>ll'inizio della crisi in qua, buona parte della<br />
<strong>sinistra</strong> italiana in realtà non esiste, non esiste più <strong>da</strong> quasi un anno. I<br />
"moderati" si schierano, i benpensanti s'infilano gli stivali. Weimar, la<br />
Spagna del Trentasei, il Cile di Allende.<br />
Stavolta deve an<strong>da</strong>re diversamente. C'è una maggioranza di <strong>sinistra</strong> nel<br />
Paese - sono i numeri a dirlo, non più noi soli - ed è una maggioranza<br />
culturalmente omogenea, molto più omogenea dei due o tre filoni fra cui è<br />
ancora indecisa la destra. Le differenze fra una Rifon<strong>da</strong>zione comunista e<br />
un Pds, fra un Orlando e un Rutelli, pesano e sono gravi; ma sono<br />
infinitamente minori di quelle che ci potevano essere fra comunisti e<br />
socialdemocratici a Weimar, fra anarchici e socialisti nella Spagna<br />
repubblicana; molto minori, comunque, di quelle fra Bossi e Fini. Ma<br />
bisogna far presto. Presto, presto, presto.<br />
Ci sono i numeri, in Italia, per la formazione di un governo di <strong>sinistra</strong><br />
subito dopo la primavera. Sarà impossibile procrastinare le elezioni ancora.<br />
La Rete, i Verdi, il Pds, Rifon<strong>da</strong>zione Comunista, le piccole aree<br />
indipendenti all'Adornato o all'Ayala possono vincerle insieme con larga<br />
maggioranza, governare insieme il Paese. Avranno problemi terribili <strong>da</strong><br />
affrontare; il governo di <strong>sinistra</strong> troverà il Tesoro vuoto, il Paese diviso, i<br />
debiti del passato regime <strong>da</strong> pagare, una crisi industriale anche<br />
artificialmente esaltata. Ma dovranno governare comunque - meglio prima<br />
che poi.<br />
I voti della <strong>sinistra</strong> hanno superato quasi <strong>da</strong>ppertutto, sia a giugno che a<br />
dicembre, la somma dei singoli partiti di <strong>sinistra</strong>. Questo <strong>da</strong>to, troppo<br />
facilmente attribuito a particolari carismi individuali, esprime in realtà il<br />
profondo e massiccio radicamento nella società italiana di alcuni valori<br />
frettolosamente <strong>da</strong>ti per "superati". Su di essi bisogna puntare. Saranno essi,<br />
i valori e non gli equilibrismi, a fare la differenza.<br />
In Sicilia la società civile è "entrata in politica" con più radicalità e più<br />
determinazione che altrove; ha dovuto sperimentare prima (non per sua<br />
scelta) la politica non mediata, la politica reale. Non è merito nostro. Le<br />
condizioni erano tali, per cui bisognava per forza o combattere o sparire.<br />
Altrove potevano permettersi il lusso di giuocare alle repubblichette, di
imuovere i problemi veri; noi, no. Eravamo costretti a ragionare, a<br />
riflettere, a trovare di volta in volta una risposta ai problemi. Eravamo<br />
costretti, indipendentemente <strong>da</strong>l talento e quasi contro la nostra stessa<br />
volontà, a fare <strong>da</strong> battistra<strong>da</strong> per tutti.<br />
I problemi che ieri erano della Sicilia, oggi sono dell'Italia intera. Estrema<br />
radicalizzazione degli schieramenti politici e istituzionali, estrema<br />
ramificazione dei soggetti sociali e dei loro legittimi interessi; necessità di<br />
scelte nette e traumatiche sul piano degli schieramenti e dei poteri, ma -<br />
contemporaneamente - di pazienti e lungimiranti mediazioni e garanzie e<br />