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narrazione e transpersonale: il ruolo della fiaba - Facoltà di Scienze ...

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12.1 <strong>fiaba</strong> e immaginazione<br />

<strong>narrazione</strong> e <strong>transpersonale</strong>: <strong>il</strong> <strong>ruolo</strong> <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong><br />

Girolamo Lo Verso, Innocenzo Fiore, Anna Maria Ferraro<br />

Come <strong>di</strong>cevamo nella prima parte <strong>di</strong> questo volume (cfr. parte prima, cap. 2; parte seconda, cap. 6), le<br />

idee foulkesiane sulla costituzione <strong>della</strong> mente e sulla configurazione <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong> comunicazione<br />

sano e/o patologico all‟interno <strong>della</strong> matrice (Foulkes, 1975, 1964, 1957, 1948) hanno trovato un<br />

fecondo approfon<strong>di</strong>mento teorico in Italia. Tale approfon<strong>di</strong>mento lo si deve in particolar modo alla<br />

messa a tema dei già <strong>di</strong>scussi concetti <strong>di</strong> “<strong>transpersonale</strong>” (Lo Verso, 1984, 1989, 1994) e “campo<br />

mentale fam<strong>il</strong>iare” (Menarini, Pontalti, 1986; Pontalti 2005, 2000, 1995, 1996).<br />

Ai fini <strong>di</strong> tale approfon<strong>di</strong>mento, <strong>di</strong>cevamo, inoltre, che la ricerca italiana è stata molto attenta al<br />

<strong>di</strong>alogo con le altre <strong>di</strong>scipline, intrecciando sistematicamente le proprie ricerche con i contributi<br />

provenienti dalla biologia, dall‟ermeneutica, dall‟antropologia, ecc. Pertanto, senza tornare su quanto<br />

già detto, proponiamo, adesso, una riflessione attinente <strong>il</strong> rapporto tra <strong>transpersonale</strong> e antropologia,<br />

con particolare riferimento alla <strong>fiaba</strong> e all‟immaginazione in quanto, rispettivamente, produzione<br />

collettiva e funzione peculiare <strong>della</strong> specie sapiens fortemente collegate alla trasmissione<br />

transgenerazionale e all‟attività antropo-poietica.<br />

Per iniziare potremmo chiederci: che cos‟è una <strong>fiaba</strong>? Domanda nient‟affatto semplice questa, poiché<br />

apre un campo d‟indagine talmente vasto da rendere <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> fornire una risposta<br />

puntuale e accurata. Prenderemo in prestito, pertanto, la spiegazione offertaci da Italo Calvino<br />

nell‟introduzione alla sua raccolta <strong>di</strong> Fiabe Italiane, dov‟egli confessa d‟essersi sentito rapito dalla<br />

passione dell‟entomologo: una passione talmente forte che inclinava a trasformarsi in mania “[…] per<br />

cui avrei dato tutto Prust in cambio <strong>di</strong> una nuova variante del ciuchino caca-zecchini” (Calvino, 1993,<br />

p. XIII) … proveremo a capire perché, e anche a capire che legame c‟è tra <strong>il</strong> Calvino che si sente<br />

inaspettatamente catturato dalla passione per lo stu<strong>di</strong>o delle fiabe e quello che, qualche anno più tar<strong>di</strong>,<br />

s‟interroga sul destino <strong>della</strong> cosiddetta “civ<strong>il</strong>tà dell‟immagine” (1988).<br />

Ma, <strong>di</strong>cevamo, che cos‟è una <strong>fiaba</strong>? Dunque, se prese tutte insieme, nella loro casistica (sempre varia<br />

e sempre ripetuta) <strong>di</strong> avventure umane, le fiabe sono una spiegazione generale <strong>della</strong> vita, sono <strong>il</strong>


“catalogo dei destini” che possono darsi a un uomo e una donna soprattutto in quella fase<br />

fondamentale <strong>della</strong> vita che, appunto, é <strong>il</strong> farsi <strong>di</strong> un destino (Calvino, 1956).<br />

Spesso le fiabe affrontano i temi tipici <strong>della</strong> gioventù: <strong>il</strong> <strong>di</strong>stacco da casa, le pene d‟amore e gli amori<br />

fatali, le messe alla prova da un percorso irto d‟ostacoli, le felicità prigioniere in un asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> draghi,<br />

<strong>il</strong> confronto con entità mostruose e potenti, e ancora tutta quella sequela <strong>di</strong> sfide che stanno lungo la<br />

lunga strada <strong>della</strong> crescita, compresi la comune sorte <strong>di</strong> soggiacere a incantesimi eterni e lo sforzo per<br />

liberarsene, inteso come dovere elementare insieme a quello <strong>di</strong> liberare gli altri (alla consapevolezza,<br />

cioè, <strong>di</strong> non potersi liberare da soli)<br />

E che cos‟è l‟immaginazione? Anche questa è una domanda <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e, poiché <strong>il</strong> termine<br />

immaginazione apre un panorama a <strong>di</strong>r poco sterminato <strong>di</strong> almeno parziali sovrapposizioni<br />

concettuali. Possiamo, comunque, provare a definire l‟immaginazione come una delle funzioni<br />

peculiari <strong>della</strong> specie sapiens. Come emerge dalle ricerche <strong>di</strong> Blumenberger (1960) e <strong>di</strong> Jaynes (1976),<br />

l‟uomo, infatti, non si <strong>di</strong>fferenzia dagli altri animali per le sue capacità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento e<br />

ragionamento deduttivo (capacità che, sia pure in parte, sono presenti anche gli animali) ma per la sua<br />

capacità immaginativa e, particolarmente, per <strong>il</strong> fatto che proprio grazie all‟immaginazione, la<br />

rappresentazione non si realizza più soltanto come risposa agli stimoli sensoriali, ma anche come<br />

costruzione a partire dalle tracce residue delle precedenti percezioni. L‟immaginazione, dunque, oltre<br />

a formare immagini, è in grado <strong>di</strong> tras/formare le copie pragmatiche date dalla percezione e, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong><br />

costruire continuamente nuove immagini mentali. Questo <strong>di</strong>namismo riformatore è alla base <strong>della</strong> vita<br />

psichica e, da un certo punto <strong>di</strong> vista, potremmo <strong>di</strong>re che la stessa f<strong>il</strong>ogenesi è profondamente legata<br />

alla funzione antropo-poietica umana. Ciò, se non altro, per due ragioni fondamentali: 1) perché<br />

l‟immaginazione è stata una delle prime forme comunicazione; da questo punto <strong>di</strong> vista basti pensare<br />

che prima delle parole con cui chiamare le cose esistevano le idee sotto forma <strong>di</strong> immagine mnesiche a<br />

esse legate, ed è tramite queste (insieme al suono e al gesto) che l‟uomo comunicava, i graffiti ne sono<br />

una testimonianza, sono segni <strong>della</strong> trasduzione dal pensiero-immagine al linguaggio-immagine; e 2)<br />

perché l‟immaginazione è anche trasformazione: oltre a “comunicare qualcosa”, infatti, <strong>il</strong> linguaggio-<br />

immagine permette ogni volta <strong>di</strong> “comunicare qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso”; da questo punto <strong>di</strong> vista basti<br />

pensare alla metafora (linguaggio-immagine per eccellenza) che, tipicamente, consente <strong>di</strong> descrivere<br />

una cosa nuova a partire da una cosa conosciuta.<br />

Ma c‟e ancora un‟altra definizione d‟immaginazione in cui ci riconosciamo pienamente, ed è<br />

l‟immaginazione come repertorio del potenziale, dell‟ipotetico, <strong>di</strong> ciò che non è stato, né forse sarà,<br />

ma che avrebbe potuto e potrebbe essere (Calvino, 1993). Secondo Giordano Bruno lo spiritus


phantasticus è un mondo o un golfo mai saturab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> forme d‟immagini (cfr. parte terza, cap. 13), e<br />

attingere a questo mondo (o golfo) è essenziale per <strong>il</strong> sano sv<strong>il</strong>uppo dell‟uomo e delle civ<strong>il</strong>tà.<br />

Anche le fiabe, così come i miti, facendo parte del patrimonio immaginario dell‟umanità, si trovano in<br />

quest‟insaturab<strong>il</strong>e golfo, e posseggono una funzione fondamentale per la vita psichica delle comunità.<br />

Una funzione che, per certi aspetti, potremmo paragonare a quella regolatrice svolta dal sonno. Il<br />

sonno, infatti, oltre a garantire la normale fisiologia dell‟attività cerebrale, permette <strong>di</strong> “affrontare”,<br />

attraverso i sogni, i contenuti inconsci (ma non solo) più pressanti del mondo interno, ovvero i bisogni<br />

affettivi irrisolti, le <strong>di</strong>fficoltà evolutive, i desideri, le paure, ecc; e non è un caso se gli uomini e<br />

soprattutto gli adolescenti (cfr. parte prima, cap. 4) siano soliti riservare a questa funzione anche una<br />

piccola scorta delle loro ore <strong>di</strong> veglia (attraverso i cosiddetti “sogni a occhi aperti”). Non è un caso,<br />

cioè, che l‟umanità senta forte, anche da sveglia, <strong>il</strong> bisogno <strong>di</strong> lasciare libero spazio<br />

all‟immaginazione, sia privatamente che in gruppo (Frétigny e Virel, 1968).<br />

Ebbene, quei “sogni a occhi aperti”, quelle fantasticherie <strong>di</strong> gruppo tramandate <strong>di</strong> generazione in<br />

generazione, seppur con piccole variazioni legate a “qualcosa” (un paesaggio, un odore, un costume,<br />

ecc.) del luogo in cui sono prodotte, sono, appunto, le fiabe. Come i sogni per l‟in<strong>di</strong>viduo, le fiabe per<br />

la collettività sono fondamentali, poiché sono <strong>il</strong> modo attraverso cui anticipare e accompagnare le<br />

trasformazioni. Quando parliamo <strong>di</strong> <strong>fiaba</strong>, infatti, non ci riferiamo un “oggetto psichico” (la storia <strong>di</strong><br />

“Prezzemolino” piuttosto che quella <strong>di</strong> “Cola Pesce”), bensì a una funzione psichica fondamentale: dal<br />

momento in cui un oggetto o un personaggio compaiono in una <strong>narrazione</strong>, infatti, è come se si<br />

caricassero d‟una forza speciale, come se <strong>di</strong>ventassero come <strong>il</strong> polo d‟un campo magnetico, un nodo<br />

d‟una rete <strong>di</strong> rapporti invisib<strong>il</strong>i…<br />

La <strong>fiaba</strong> e l‟immaginazione, dunque, non possono essere relegate soltanto alla vita in<strong>di</strong>viduale,<br />

infant<strong>il</strong>e e/o alla patologia, poiché hanno un <strong>ruolo</strong> fondamentale <strong>di</strong> collante psichico tra l‟uomo e <strong>il</strong><br />

suo gruppo <strong>di</strong> appartenenza da un canto, e <strong>di</strong> antropo-poiesi dall‟altro.<br />

12.2 l‟intimo rapporto tra <strong>fiaba</strong> e narratore<br />

Esistono vertici <strong>di</strong>versi attraverso cui affrontare lo stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong>: come creazione poetica che<br />

affonda le sue ra<strong>di</strong>ci nella cultura e nella tra<strong>di</strong>zione popolare; come un genere letterario nato da<br />

un‟elaborazione <strong>della</strong> cultura popolare; come “strumento” pedagogico (prevalentemente) destinato ai<br />

bambini, ecc. Ed esistono, anche, <strong>di</strong>verse polemiche attorno al modo <strong>di</strong> “trattare una <strong>fiaba</strong>”; polemiche


che si sono addensate, per lo più, sulla questione <strong>della</strong> trascrizione e sul <strong>ruolo</strong> del trascrittore. A<br />

quest‟ultimo, in particolare, viene attribuita la responsab<strong>il</strong>ità farsi interprete piuttosto che fedele<br />

annotatore del racconto. Non a caso, Calvino ricorda quante volte <strong>di</strong>nanzi a una pagina vernacola<br />

(sentendosi addosso l‟irritazione <strong>di</strong> chi non gli avrebbe mai perdonato “d‟averci messo le mani” anche<br />

“solo per tradurla”…) ha sentito riecheggiare in se stesso la scontentezza che, inevitab<strong>il</strong>mente,<br />

avrebbe generato la sua traduzione. Questa polemica, tutt‟altro che infondata, cela anche la<br />

preoccupazione che la <strong>fiaba</strong>, una volta scritta, perda una delle sue caratteristiche fondamentali: quella<br />

<strong>di</strong> trasformarsi nel tempo.<br />

La vita delle fiabe, infatti, è stata da sempre affidata alla memoria degli uomini e al piacere-bisogno<br />

ch‟essi hanno <strong>di</strong> raccontarle. Ed è proprio questo particolare modo che la <strong>fiaba</strong> ha (avuto) <strong>di</strong><br />

mantenersi in vita (al <strong>di</strong> là del testo scritto), che le ha garantito la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> evolversi, <strong>di</strong> superare i<br />

confini del presente e spingersi oltre nel tempo.<br />

In particolare, l‟invi<strong>di</strong>ab<strong>il</strong>e longevità <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong> e la sua “buona salute”, sono state garantite dalla<br />

figura del “<strong>fiaba</strong>tore”, <strong>il</strong> quale, con esclusivo affidamento alla sua memoria, raccontava le storie che, a<br />

sua volta, aveva ascoltato da un altro/a “<strong>fiaba</strong>tore”.<br />

Così, con la sua <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità a raccontare ciò che aveva sentito raccontare, <strong>il</strong> “<strong>fiaba</strong>tore” non soltanto<br />

garantiva alla <strong>fiaba</strong> la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> sopravvivere al mutare delle generazioni (e cioè alla mortalità<br />

umana) ma assolveva inconsapevolmente anche un‟altra funzione: quella <strong>di</strong> suggerire ai bambini, ai<br />

giovani e agli adulti i mo<strong>di</strong> attraverso cui poter affrontare i problemi esistenziali. Una delle<br />

caratteristiche fondamentali delle fiabe è, infatti, <strong>il</strong> saper porre onestamente i bambini <strong>di</strong>nanzi ai<br />

principali problemi umani, e <strong>il</strong> suggerir loro le possib<strong>il</strong>i soluzioni, sebbene in forma simbolica.<br />

Molte storie, per esempio, cominciano con la morte <strong>di</strong> una madre o un padre; in queste fiabe la morte del<br />

genitore crea i problemi più angosciosi, così come essa (o la paura <strong>di</strong> essa) li crea nella vita reale. Altre storie<br />

parlano <strong>di</strong> un genitore anziano <strong>il</strong> quale decide che è venuto <strong>il</strong> momento <strong>di</strong> lasciare che la nuova generazione<br />

prenda <strong>il</strong> sopravvento. Ma prima che questo possa avvenire <strong>il</strong> successore deve <strong>di</strong>mostrarsene degno e capace.<br />

[…] E‟ caratteristico delle fiabe esprimere un d<strong>il</strong>emma esistenziale in modo chiaro e conciso. Questo permette<br />

al bambino <strong>di</strong> affrontare <strong>il</strong> problema nella sua forma più essenziale, mentre una trama più complessa gli<br />

renderebbe le cose confuse. La <strong>fiaba</strong> semplifica tutte le situazioni. I suoi personaggi sono nettamente<br />

tratteggiati, e i particolari, a meno che non siano molto importanti, sono eliminati. Tutti i personaggi sono tipici<br />

anziché unici. (Bettehleim, 1975, p. 14)<br />

Inoltre, proprio perché <strong>il</strong> “<strong>fiaba</strong>tore” non si basa su un testo scritto, egli, <strong>di</strong> norma, apporta le<br />

mo<strong>di</strong>fiche che ritiene più opportune per <strong>il</strong> suo pubblico, dato che quanto più <strong>il</strong> racconto è interprete<br />

dei sentimenti collettivi, tanto più ha probab<strong>il</strong>ità d‟essere ascoltato. Esiste, quin<strong>di</strong>, un rapporto molto


intimo tra <strong>fiaba</strong> e “<strong>fiaba</strong>tore” . E, del resto, é proprio grazie a questo processo <strong>di</strong> trasmissione orale,<br />

che la <strong>fiaba</strong> ha potuto sopravvivere adattandosi alle innumerevoli esigenze culturali dell‟ambiente in<br />

cui veniva narrata.<br />

Un‟ulteriore caratteristica <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong> è, quin<strong>di</strong>, quella <strong>di</strong> possedere un nucleo centrale immutab<strong>il</strong>e<br />

attorno al quale ruotano dei personaggi le cui <strong>di</strong>fficoltà, seguendo metamorfosi non imme<strong>di</strong>atamente<br />

visib<strong>il</strong>i, attingono a questioni legate alla contemporaneità del racconto. Ciò che non cambia, però, è <strong>il</strong><br />

nocciolo <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong>: le questioni essenziali ed esistenziali che da sempre essa pone all‟uomo.<br />

Contrariamente a quanto avviene in molte moderne storie per l‟infanzia, nelle fiabe <strong>il</strong> male è onnipresente come<br />

la virtù. Praticamente in ogni <strong>fiaba</strong> <strong>il</strong> bene e <strong>il</strong> male s‟incarnano in certi personaggi e nelle loro azioni, così<br />

come <strong>il</strong> bene e <strong>il</strong> male sono onnipresenti nella vita e le inclinazioni verso l‟uno o l‟altro sono presenti in ogni<br />

uomo. […] Il male non è privo delle sue attrattive […] e spesso ha temporaneamente la meglio. […] I<br />

personaggi delle fiabe sono ambivalenti: non buoni e cattivi nello stesso tempo, come tutti noi siamo nella<br />

realtà. Ma dato che la polarizzazione domina la mente del bambino, domina anche le fiabe. Un fratello è<br />

stupido, l‟altro è intelligente. Una sorella è virtuosa e industriosa, le altre sono spregevoli e pigre. Una sorella è<br />

bellissima, le altre sono brutte. Un genitore è buono come <strong>il</strong> pane, l‟altro malvagio. Gli opposti caratteri<br />

vengono affiancati non allo scopo <strong>di</strong> mettere in risalto <strong>il</strong> giusto comportamento, come avviene invece nelle<br />

fiabe che si propongono d‟impartire delle lezioni [… ma perché] la presentazione delle polarità del carattere<br />

permette al bambino <strong>di</strong> comprendere fac<strong>il</strong>mente la <strong>di</strong>fferenza fra le due cose, <strong>il</strong> che non potrebbe fare con<br />

uguale fac<strong>il</strong>ità dove i personaggi s‟ispirassero maggiormente alla vita, con tutte le complessità che<br />

caratterizzano le persone reali. (Bettelheim, 1975, pp. 14-15)<br />

La psicoanalisi classica ha affrontato lo stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong> facendo riferimento ai desideri inconsci che<br />

hanno modo <strong>di</strong> essere rappresentati nell‟immaginario fiabesco. Gran parte degli stu<strong>di</strong> psicoanalitici,<br />

infatti, considerano la fiabe, così come i miti (l‟E<strong>di</strong>po re valga come esempio per tutti), la<br />

rappresentazione <strong>di</strong> una realtà inconscia. Narrare una <strong>fiaba</strong> permetterebbe, pertanto, sia al narratore<br />

che a colui che l‟ascolta d‟identificarsi con <strong>il</strong> contenuto latente del racconto. Secondo Bettelheim<br />

(1975), però, più che la rappresentazione <strong>di</strong> un conflitto inconscio, l‟elemento che davvero caratterizza<br />

le fiabe, e che le rende tanto preziose, è <strong>il</strong> fatto ch‟esse suggeriscono “come fare” per superare tali<br />

conflitti e/o <strong>di</strong>fficoltà.<br />

Da questo punto <strong>di</strong> vista, potremmo <strong>di</strong>re che l‟interesse manifestato da un bambino per una <strong>fiaba</strong> in<br />

particolare, ovvero la sua pretesa <strong>di</strong> avere più e più volte raccontata la stessa <strong>fiaba</strong> (“ancora!” <strong>di</strong>cono a<br />

volte i bambini al termine <strong>della</strong> <strong>narrazione</strong>), nasce dal profondo legame tra: a) un “problema interno”<br />

che <strong>il</strong> bambino sente <strong>di</strong> dover affrontare, b) un problema sim<strong>il</strong>e presentato dalla <strong>fiaba</strong>, e soprattutto c)<br />

dalla possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> stab<strong>il</strong>ire un‟intimità e una con<strong>di</strong>visione emotiva con l‟adulto a proposito dei temi<br />

che stanno a cuore al bambino e che, simbolicamente, vengono trattati dalla <strong>fiaba</strong>.


La <strong>fiaba</strong> è, dunque, un‟esplorazione molto realistica dell‟animo umano che si avvale <strong>di</strong> un linguaggio<br />

semplice e imme<strong>di</strong>atamente accessib<strong>il</strong>e al bambino. In questo senso possiamo <strong>di</strong>re ch‟essa ha una<br />

valenza “terapeutica” estremamente efficace.<br />

La <strong>fiaba</strong>, inoltre, è anche un ottimo esempio <strong>di</strong> “matrice transgenerazionale insatura”: abbiamo detto,<br />

infatti, come ogni narratore può variarne la trama, e come questa possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> variazione non ne<br />

depauperi <strong>il</strong> valore intrinseco, come non lo sciupi… ma, piuttosto, l‟arricchisca, rendendola fruib<strong>il</strong>e e<br />

con<strong>di</strong>visib<strong>il</strong>e da molti altri ascoltatori (cfr. parte prima, cap. 2; parte seconda, cap. 6).<br />

12.3 <strong>il</strong> set(ting) <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong><br />

Abbiamo visto, fin qui, come molte caratteristiche <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong>, e non ultima la sua stessa esistenza,<br />

siano dovute alla presenza <strong>di</strong> un narratore, o meglio alla co-presenza <strong>di</strong> un narratore e (almeno) uno o<br />

più ascoltatori, siano essi bambini, giovani o già adulti. Detto <strong>di</strong>versamente: perché possa esistere, e<br />

perché possa assolvere le funzioni che abbiamo descritto, la <strong>fiaba</strong> necessita <strong>di</strong> un contesto relazionale.<br />

In passato, questo contesto relazionale veniva a <strong>di</strong>spiegarsi all‟interno <strong>di</strong> una “cornice” che prevedeva<br />

una serie <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni, alle quali clinicamente ci riferiremmo con <strong>il</strong> termine set(ting) (cfr. parte prima,<br />

cap. 1; parte quarta, cap. 14). Nella nostra tra<strong>di</strong>zione conta<strong>di</strong>na, tali con<strong>di</strong>zioni erano riconoscib<strong>il</strong>i, per<br />

esempio, nel calar <strong>della</strong> sera, nel raccogliersi tutt‟intorno al narratore, e nel s<strong>il</strong>enzio e nell‟attesa che <strong>il</strong><br />

racconto iniziasse con grande ispirazione <strong>di</strong> quest‟ultimo.<br />

Il narratore, infatti (che come <strong>di</strong>cevamo ha un rapporto particolare con la <strong>fiaba</strong>) ha un rapporto<br />

particolare anche con i suoi ascoltatori. Da loro è tenuto in grande considerazione proprio per quella<br />

sua qualità non comune che è <strong>il</strong> saper raccontare: <strong>il</strong> saper creare quell‟atmosfera che insieme alle<br />

immagini e ai contenuti simbolici <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong> convochi le emozioni degli astanti, permettendo loro<br />

d‟immergersi in una <strong>di</strong>mensione <strong>transpersonale</strong> “quasi palpab<strong>il</strong>e”.<br />

Con le sua qualità e le sue ab<strong>il</strong>ità, quin<strong>di</strong>, <strong>il</strong> narratore garantiva la formazione <strong>di</strong> un set(ting),<br />

all‟interno del quale avevano possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> esprimersi, connettendosi ai contenuti simbolici <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong>,<br />

i desideri, i bisogni e le paure degli ascoltatori. Era attraverso la persona del narratore ch‟era possib<strong>il</strong>e<br />

rinnovare <strong>il</strong> legame tra la <strong>fiaba</strong> atemporale e la storicità contingente dei suoi ascoltatori. E non aveva<br />

importanza s‟egli non aveva stu<strong>di</strong>ato, se non sapeva leggere e se <strong>di</strong> libri non aveva nemmeno mai


visti, ciò che contava era <strong>il</strong> fatto ch‟egli “possedeva un sapere transgenerazionale e, soprattutto, la<br />

capacità <strong>di</strong> renderlo comune”.<br />

Protagonista <strong>della</strong> raccolta del Pitré (1875), per esempio, è una vecchia narratrice analfabeta,<br />

Agatuzza Messia, cucitrice <strong>di</strong> coltroni d‟inverno al Borgo, nel largo Celso n. 8. Pitré la descrive come<br />

una donna tutt‟altro che bella, con già i suoi settant‟anni, madre, nonna e avola; con parola fac<strong>il</strong>e,<br />

frase efficace e maniera attraente <strong>di</strong> raccontare i racconti u<strong>di</strong>ti da sua nonna, che a sua volta li aveva<br />

appresi dalla madre <strong>di</strong> sua madre, anch‟essa incantata dai racconti <strong>di</strong> qualche nonno o parente, e via <strong>di</strong><br />

questo passo. Racconta <strong>il</strong> Pitré che, pur non sapendo leggere, questa donna sapeva tante cose che<br />

nessuno le sa. E non solo, ella sapeva raccontarle con una proprietà <strong>di</strong> lingua ch‟era un piacere<br />

sentirla. Per esempio: se <strong>il</strong> racconto aveva a che fare con un bastimento che doveva viaggiare,<br />

Agatuzza Messia era in grado <strong>di</strong> tirar fuori espressioni e toni tipici marinareschi che solo i marinai o<br />

chi ha da fare con la gente <strong>di</strong> mare conosce; o se l‟eroina <strong>della</strong> novella era la desolata figlia <strong>di</strong> una casa<br />

<strong>di</strong> fornai allora <strong>il</strong> linguaggio <strong>della</strong> Messia <strong>di</strong>ventava così informato <strong>di</strong> quel mestiere da poter credere<br />

ch‟era stata ella stessa a cuocere <strong>il</strong> pane in quella casa <strong>di</strong> fornai.<br />

La <strong>fiaba</strong>, dunque, è uno strumento culturale che funge da deposito-trasmettitore del <strong>transpersonale</strong>. Ed<br />

è questa la ragione per cui è tanto affascinante stare ad ascoltare un narratore, perché è come mettersi<br />

“esplicitamente in contatto” con l‟esperienza emotiva collettiva (desideri, paure, angosce, ecc.)<br />

transpersonalmente e transgenerazionalmente trasmessa.<br />

Proviamo adesso a fissare alcuni elementi tipici <strong>della</strong> <strong>narrazione</strong> <strong>di</strong> una <strong>fiaba</strong>:<br />

a) Chi racconta è sempre un adulto: ma non un adulto qualsiasi, agli occhi <strong>di</strong> tutti, infatti, egli<br />

possiede qualità che altri non hanno, conoscenze che altri non hanno, ed è custode <strong>di</strong> un “sapere” che<br />

per potersi tramandare fa affidamento sulla sua memoria, alla sua <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità, al suo farsi “garante”<br />

<strong>della</strong> formazione <strong>di</strong> un set(ting), ecc.<br />

b) Il racconto normalmente avviene <strong>di</strong> sera: e sebbene <strong>il</strong> vissuto <strong>di</strong> ciascuno rispetto al buio varia, è<br />

certo che (soprattutto per i bambini) l‟esperienza del buio è angosciante. Spesso, infatti, esso <strong>di</strong>venta <strong>il</strong><br />

contenitore “<strong>di</strong> quelle stesse paure” che, nelle fiabe, assumono la forma del mostro, dell‟orco, <strong>della</strong><br />

strega malefica, ecc. Pertanto, la suggestione creata dal buio nel racconto <strong>della</strong> sera, pone le<br />

con<strong>di</strong>zioni per l‟emergere <strong>di</strong> emozioni che se da un canto tendono a sottolineare la <strong>di</strong>pendenza del<br />

bambino dall‟adulto, dall‟altro lo rassicurano circa <strong>il</strong> fatto che, malgrado le <strong>di</strong>fficoltà, alla fine è<br />

possib<strong>il</strong>e cavarsi fuori dai guai.<br />

c) La scansione del tempo: in ogni <strong>fiaba</strong> si ripetono delle parole “chiavi”, <strong>il</strong> cui compito è scan<strong>di</strong>re <strong>il</strong><br />

tempo del racconto: “C’era una volta” in<strong>di</strong>ca l‟inizio del racconto, “cammina, cammina” <strong>il</strong> suo


perdurare, e infine “e vissero felici e contenti” la fine <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong>. La capacità scansione del tempo è<br />

una funzione cruciale per l‟esistenza umana, e la <strong>fiaba</strong> propone questa funzione al bambino lasciando<br />

ch‟egli inizialmente s‟abbandoni in uno stato sognante, che s‟immerga nel racconto, ma inserendo via<br />

via anche piccoli in<strong>di</strong>catori (come <strong>il</strong> “cammina, cammina”) che hanno lo scopo d‟introdurre delle<br />

graduali trasformazioni e <strong>di</strong> accompagnare <strong>il</strong> bambino (e l‟adulto) a una progressiva ripresa <strong>di</strong> contatto<br />

con la realtà, coincidente con <strong>il</strong> termine <strong>della</strong> <strong>narrazione</strong>.<br />

Abbiamo fin qui visto come la nostra elaborazione ci porti a considerare <strong>il</strong> modo in cui le fiabe<br />

vengono raccontate, poiché, secondo noi, non avrebbe senso parlare <strong>di</strong> fiabe senza tener conto del<br />

contesto relazionale in cui avviene la <strong>narrazione</strong>.<br />

Detto questo, però, è arrivato <strong>il</strong> momento <strong>di</strong> chiederci: che cosa comunica <strong>il</strong> mondo degli adulti a un<br />

bambino che ascolta Biancaneve e i sette nani, o Il lupo e i sette capretti dall‟anonima voce<br />

proveniente da un‟apparecchiatura metallica? Resiste ancora (e ancora per quanto tempo) la funzione<br />

antropo-poietica nella nostra società inondata dal d<strong>il</strong>uvio d‟immagini prefabbricate? (Calvino I.,<br />

1993).<br />

Sia la prima che la seconda domanda rappresentano degli spunti per le riflessioni per <strong>il</strong> paragrafo<br />

successivo.<br />

Quest‟interrogativi, in realtà, meriterebbero un approfon<strong>di</strong>mento molto più vasto e più preciso, per <strong>il</strong><br />

quale, magari, avremo occasione d‟incontrare un'altra volta <strong>il</strong> lettore. Sinteticamente, adesso <strong>di</strong>ciamo<br />

che, rispetto alla prima domanda, come clinici abbiamo <strong>il</strong> timore che ciò che venga comunicato sia<br />

proprio l’assenza <strong>della</strong> relazione. Un‟assenza che, come vedremo, si fa responsab<strong>il</strong>e del viraggio del<br />

processo d‟identificazione dalle matrici fam<strong>il</strong>iari transgenerazionali ed etno-antropologiche al più<br />

sospeso mondo delle comunicazioni <strong>di</strong> massa (Ferraro, Lo Verso, 2007).<br />

Rispetto alle seconda domanda temiamo, invece, che attingere a un immaginario pre-costituito ed<br />

accattivante, come quello che continuamente ci propongono i me<strong>di</strong>a oscurando parti importanti<br />

dell‟esistenza umana (come la sofferenza) rischia <strong>di</strong> renderci meno capaci, come in<strong>di</strong>vidui e come<br />

collettività, <strong>di</strong> fare i conti <strong>il</strong> dolore, <strong>di</strong> sentirlo e anche <strong>di</strong> ut<strong>il</strong>izzarlo come leva per andare avanti.<br />

Inoltre, ci chie<strong>di</strong>amo se sottrarre queste parti dell'esistenza umana e la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> farle reagire con la<br />

nostra attitu<strong>di</strong>ne simbolo ed antropo-poietica non rischi <strong>di</strong> ridurre anche i nostri giorni e la nostra vita<br />

a un mero intrattenimento st<strong>il</strong>e palinsesto tv…<br />

Pertanto, pur correndo <strong>il</strong> rischio d‟essere fraintesi, vorremo <strong>di</strong>re qui che <strong>il</strong> dolore è un “<strong>di</strong>ritto”, oltre<br />

che un “dovere”: le fiabe ne sono una testimonianza e i “<strong>fiaba</strong>tori”, raccontandole, riuscivano a far<br />

dono anche <strong>di</strong> “momenti <strong>di</strong> tribolazione” ai loro piccoli e/o gran<strong>di</strong> ascoltatori. E adesso? Pensiamo ai


giovanissimi che “crollano” <strong>di</strong>nanzi a piccole <strong>di</strong>fficoltà, ai giovanissimi che si tagliano per “sentire<br />

dolore”, alle nuove forme <strong>di</strong> sofferenza legata allo sv<strong>il</strong>uppo <strong>di</strong> vulnerab<strong>il</strong>ità narcisistiche, ecc.<br />

12.4 post-modernità e <strong>fiaba</strong><br />

La post-modernità ha cambiato profondamente gli elementi <strong>di</strong> set(ting) <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong>, mettendo a<br />

repentaglio non solo le sue funzioni, ma la sua stessa esistenza e, non ultimo, <strong>il</strong> suo essere “strumento<br />

depositario-trasmettitore” del <strong>transpersonale</strong>. Proviamo a capire perché.<br />

L‟atto <strong>di</strong> leggere una <strong>fiaba</strong> a un bambino, per esempio (piuttosto che raccontarla) pur rimanendo un<br />

“dono d‟amore” nei suoi confronti, alla lunga rischia <strong>di</strong> corrodere alcune caratteristiche fondamentali<br />

<strong>della</strong> <strong>fiaba</strong>, quali la sua capacità <strong>di</strong> trasformarsi, quella <strong>di</strong> adattarsi alle esigenze emotive del qui e ora<br />

in cui viene raccontata (anzi letta), e la capacità <strong>di</strong> sopravvivere al <strong>di</strong> là del tempo (<strong>di</strong> farsi, cioè,<br />

bagaglio comune e risorsa <strong>di</strong> un‟intera collettività) ecc.<br />

Per tutte queste ragioni, e altre ancora, riteniamo che se chiusa dentro le pagine <strong>di</strong> un libro, la <strong>fiaba</strong> (e<br />

con essa la capacità antropo-poietica) soffra <strong>di</strong> non poter più auto-conservarsi, sopravvivere e<br />

mo<strong>di</strong>ficarsi. Eppure, se un adulto si siede accanto a un bambino, vale ancora la pena <strong>di</strong> ascoltare una<br />

<strong>fiaba</strong>, sia pure letta, perché (anche in questo modo) essa è in grado <strong>di</strong> assolvere quella funzione che<br />

abbiamo visto essere tanto importante, ovvero <strong>il</strong> “suggerire” soluzioni possib<strong>il</strong>i ai d<strong>il</strong>emmi esistenziali<br />

proposti bambino.<br />

Diverso è <strong>il</strong> salto dalla <strong>di</strong>mensione relazionale a quella solitaria che sottende, invece, <strong>il</strong> guardare le<br />

fiabe in tv (dvd, ecc.) anziché ascoltarle da un adulto che le narri o le legga. Questa modalità <strong>di</strong><br />

“trattare una <strong>fiaba</strong>”, infatti, su cui gravano già tutti gli elementi corrosivi che abbiamo visto essere<br />

presenti nell‟azione <strong>di</strong> leggerla (anziché raccontarla), è particolarmente problematica, a nostro avviso,<br />

poiché sra<strong>di</strong>ca la <strong>narrazione</strong> dal quel set(ting) o contesto relazionale che permette l‟incontro emotivo<br />

tra chi racconta e chi ascolta.<br />

Da questo punto <strong>di</strong> vista, avevamo già detto che quando un bambino chiede al narratore: “Ancora!”, è<br />

probab<strong>il</strong>e ch‟egli non solo si stia confrontando con temi e/o paure sim<strong>il</strong>i a quelli simbolicamente<br />

proposti dalla <strong>fiaba</strong>, ma che stia cercando <strong>di</strong> stab<strong>il</strong>ire una con<strong>di</strong>visione emotiva con l‟adulto intorno ai<br />

temi che gli stanno particolarmente a cuore; con<strong>di</strong>visione che trova, appunto, nell‟aver raccontata più<br />

e più volte la stessa <strong>fiaba</strong>.


Ora, <strong>il</strong> fatto <strong>di</strong> aver demandato al me<strong>di</strong>um <strong>il</strong> <strong>ruolo</strong> del narratore sbarra questa possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>visione emotiva e non solo: riteniamo, infatti, che <strong>il</strong> me<strong>di</strong>um, anziché suggerire al bambino<br />

soluzioni in forma simbolica dei temi/problemi con cui si confronta, lo “rinsal<strong>di</strong>” in una delle sue<br />

paure più gran<strong>di</strong>: quella <strong>di</strong> essere lasciato solo. Naturalmente è <strong>di</strong>verso se <strong>il</strong> <strong>di</strong>spositivo viene inserito<br />

e ut<strong>il</strong>izzato all‟interno <strong>di</strong> contesti affettivo-relazionali, ma ci chie<strong>di</strong>amo quanto questo accada.<br />

Inoltre, ancora a proposito dell‟assenza relazionale (dell‟in<strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità emotiva) e <strong>della</strong> con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

solitu<strong>di</strong>ne cui a volte <strong>il</strong> <strong>di</strong>spositivo tecnologico sottende, scorgiamo <strong>il</strong> rischio <strong>di</strong> un viraggio del<br />

processo d‟identificazione. Detto <strong>di</strong>versamente: dobbiamo mettere in conto, soprattutto se<br />

quest‟assenza relazionale non è situazionale ma strutturale all‟interno del menage fam<strong>il</strong>iare, <strong>il</strong> rischio<br />

che <strong>il</strong> bambino prima e l‟adolescente poi interiorizzino l‟assenza, cioè una non <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità emotiva<br />

(per m<strong>il</strong>le ragioni), che rimpiazzano con le modalità relazionali inautentiche quoti<strong>di</strong>anamente<br />

trasmesse dai cosiddetti reality, dai talk show, ecc. Ciò detto, posto che <strong>il</strong> “me<strong>di</strong>um zero”<br />

Hnzensberger (1988) trae la sua forza proprio dalla capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>spensare dai significati, <strong>di</strong> depurare<br />

la comunicazione dai contenuti e renderla fine a sé stessa all‟interno <strong>di</strong> un palinsesto che è puro<br />

intrattenimento, non possiamo non chiederci che ne è <strong>di</strong> quella che Bion (1962, 1961) chiamava alfa<br />

vicaria? O <strong>della</strong> cosiddetta mente relazionale (Siegel,1999)?<br />

Data l‟atmosfera un po‟ misantropa e oniroide in cui rischiano <strong>di</strong> crescere le nuove generazioni<br />

qualcuno all‟orizzonte scorge “<strong>il</strong> vuoto perfetto” <strong>il</strong> naufragio del senso, l‟avvicinamento tecnico al<br />

nirvana… mentre noi c‟interroghiamo sulle ricadute psichiche e psicopatologiche che può avere la<br />

per<strong>di</strong>ta <strong>della</strong> capacità antropo-poietica, <strong>di</strong> quello smalto creativo alimentato (non solo ma anche) dal<br />

poter socchiudere gli occhi e, insieme, partecipare all‟ascolto <strong>di</strong> una <strong>fiaba</strong>..<br />

Come <strong>di</strong>cevamo, inoltre, oltre alle mo<strong>di</strong>fiche inerenti <strong>il</strong> set(ting) <strong>della</strong> <strong>fiaba</strong>, un altro aspetto in grado<br />

<strong>di</strong> cimentare fortemente l’immaginazione è l’esubero d’immagini tipiche <strong>della</strong> nostra società.<br />

Particolarmente, c’interessa un fatto: è possib<strong>il</strong>e che all’esplosione dell’immaginario artificiale si<br />

accompagni l’implosione (o <strong>il</strong> collasso) dell’immaginario soggettivo/soggettuale? Non lo sappiamo,<br />

né vogliamo indulgere in posizioni pessimiste. Non possiamo, però, trascurare l’impatto che la<br />

cosiddetta “civ<strong>il</strong>tà dell’immagine” ha sull’immaginazione, e le parole che lo stesso Calvino, così<br />

tanto innamorato delle fiabe, esprimeva circa <strong>il</strong> futuro <strong>della</strong> “società dell’immagine” (1993): “Se ho<br />

incluso la visib<strong>il</strong>ità nel mio elenco <strong>di</strong> valori dal salvare è per avvertire del pericolo che stiamo<br />

correndo <strong>di</strong> perdere una facoltà umana fondamentale: <strong>il</strong> potere <strong>di</strong> mettere a fuoco visioni a occhi<br />

chiusi, <strong>di</strong> far scaturire colori e forme dall’allineamento <strong>di</strong> caratteri alfabetici neri su una pagina bianca<br />

<strong>di</strong> pensare per immagini” (1993, p. 103).


Una volta la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> dar forma a miti personali nasceva dal modo in cui i frammenti <strong>della</strong><br />

memoria collettiva si combinavano tra <strong>di</strong> loro in accostamenti inattesi e suggestivi. Oggi siamo<br />

bombardati da una tale quantità d’immagini che la nostra memoria è ricoperta da un enorme quantità<br />

d’immagini in frantumi (viste per pochi secon<strong>di</strong> in tv, sui cartelli pubblicitari, sul cellulare, ecc.) come<br />

se fosse un enorme deposito <strong>di</strong> spazzatura. Ed è <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e provare a estrarre ancora br<strong>il</strong>lante lo smalto<br />

immaginativo da questa rimessa d’immagini <strong>di</strong>sfatte. Detto in altri termini, temiamo che la<br />

riproduzione meccanica dei segni visivi possa sostituire a un immaginario antico e sapiente una sorta<br />

d’immaginario adesivo, passivo, identico per tutti, omologante ed estraniante (Ferraro, Lo Verso,<br />

2007). D’altra parte, proprio le immagini <strong>di</strong>ffuse dai gran<strong>di</strong> me<strong>di</strong>a, reiterando l’offerta <strong>di</strong> para<strong>di</strong>si<br />

artificiali, spingono verso l’incauta adesione a questo immaginario adesivo che, come <strong>di</strong>cevamo,<br />

pospone all’immagine pre-costituita la propria stessa immaginazione. Raccontare le fiabe ancora oggi,<br />

sarebbe un buon antidoto contro la tendenza <strong>della</strong> “civ<strong>il</strong>tà dell’immagine” a massificare e<br />

spersonalizzare, ma soprattutto sarebbe un buon modo per contrastare <strong>il</strong> rischio <strong>di</strong> perdere una<br />

capacità essenziale per la sua sopravvivenza dell’uomo e <strong>della</strong> società: la capacità <strong>di</strong> anticipare e<br />

accompagnare le trasformazioni, la capacità immaginativa.<br />

<strong>il</strong> me<strong>di</strong>terraneo:<br />

una metafora per la gruppoanalisi soggettuale<br />

Anna Maria Ferraro, Emanuela Coppola, Girolamo Lo Verso


13.1 <strong>il</strong> me<strong>di</strong>terraneo e i livelli del <strong>transpersonale</strong><br />

In questo articolo proponiamo <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo come metafora per <strong>di</strong>scutere alcuni aspetti attinenti sia<br />

alla teoria che alla tecnica gruppoanalitica.<br />

Perché <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo? Le ragioni sono tante.<br />

Riteniamo, infatti, che <strong>il</strong> mar Me<strong>di</strong>terraneo, unico per le sue caratteristiche morfologiche, climatiche e<br />

storiche, per la storia, la letteratura e i miti che albergano nelle sue acque, possa consentire un‟efficace<br />

traduzione in immagini <strong>di</strong> alcuni concetti chiave <strong>della</strong> gruppoanalisi soggettuale, e in particolar modo<br />

degli approfon<strong>di</strong>menti proposti dalla scuola italiana tra cui: 1) la sistematizzazione dei livelli del<br />

<strong>transpersonale</strong> (Lo Verso G., 1989; 1994; Lo Verso G., Giannone F., 1996); 2) gli approfon<strong>di</strong>menti<br />

relativi al livello transgenerazionale e alle possib<strong>il</strong>i configurazioni <strong>della</strong> matrice fam<strong>il</strong>iare (Pontalti C.,<br />

1989; Pontalti C., Menarini R., 1985); 3) le riflessioni attinenti la fondazione e la <strong>di</strong>spersione<br />

dell‟identità (Napolitani D.,1987; Ferraro A.M., Lo Verso G., 2007), aspetti, questi, che abbiamo<br />

trattato nella parte iniziale del volume (cfr. parte prima, cap. 2), più 4) altre considerazioni più tecniche<br />

legate alla gestione dei gruppi terapeutici e alla cura attraverso la relazione (Lo Coco G., Lo Verso G.,<br />

2006; Lo Coco G., Prestano C., Lo Verso G., 2008).<br />

A partire dai fondamenti teorici fino ad arrivare alle questioni più tecniche, sono molte, quin<strong>di</strong>, le<br />

analogie evocate da questo paragone. Proviamo, quin<strong>di</strong>, a con<strong>di</strong>viderne alcune, a partire dalle<br />

corrispondenze tra <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo e la sistematizzazione dei cinque livelli del <strong>transpersonale</strong>.<br />

Dunque, con <strong>il</strong> termine <strong>transpersonale</strong> facciamo riferimento, com‟è ormai noto (cfr. parte prima, cap.<br />

2) alle strutture collettive presenti nel singolo in<strong>di</strong>viduo e fondanti la sua mente.<br />

Proprio riguardo a queste strutture collettive, e al rapporto tra queste e <strong>il</strong> soggetto, sentivamo l‟esigenza<br />

<strong>di</strong> un approfon<strong>di</strong>mento negli anni compresi tra <strong>il</strong> 1983 e <strong>il</strong> 1989, quando, ere<strong>di</strong>tata la lezione<br />

Foulkesiana sul piano <strong>di</strong> operativo-metodologico, eravamo interessati alla fondazione teorica <strong>della</strong><br />

gruppoanalisi, ad approfon<strong>di</strong>re e sv<strong>il</strong>uppare, cioè, <strong>il</strong> potenziale insito nelle intuizioni dell‟inglese.<br />

Queste, infatti, se da un canto spalancavano la strada per la rifondazione scientifica <strong>di</strong> una teoria<br />

personalità dall‟altro indugiavano nel percorrerla.<br />

Così, mettendoci sulla strada <strong>di</strong> queste intuizioni ne abbiamo sondato ed esteso la portata, avvalendoci,<br />

a tal fine, dei contributi essenziali del para<strong>di</strong>gma <strong>della</strong> complessità (Morin 1986, 1985, 1982, 1980,<br />

1977); dell‟antropologia elementare (Gehlen, 1978) e <strong>della</strong> prospettiva ermeneutica (Gadamer, 1960),<br />

ecc.


Degli aspetti transpersonali <strong>della</strong> psiche umana “<strong>di</strong> cui l‟inconscio, la memoria, <strong>il</strong> corpo e le istituzioni<br />

sono i depositari-trasmettitori” (Lo Verso, 1989; p. 101), abbiamo proposto una sorta <strong>di</strong> mappatura (Lo<br />

Verso 1989; 1994), come guida sia per riconoscere, nell‟in<strong>di</strong>viduo, queste “strutture psichiche<br />

collettive”, che per coglierne la collocazione all‟interno del più vasto e complesso sistema antropo-<br />

psichico.<br />

Questi due ambiti d‟indagine (l‟in<strong>di</strong>viduo e <strong>il</strong> sistema antropo-psichico) ci informano, infatti, delle<br />

caratteristiche essenziali del rapporto <strong>transpersonale</strong> - mente soggettuale, ovvero la pre-esistenza e<br />

consustanzialità.<br />

In breve: in quanto struttura psichica collettiva, <strong>il</strong> <strong>transpersonale</strong> prescinde dai singoli in<strong>di</strong>vidui, esso<br />

esiste in<strong>di</strong>pendentemente dall‟uno (carattere <strong>della</strong> pre-esistenza); solo che quest‟uno-in<strong>di</strong>viduo (o<br />

meglio solo che ciascun-in<strong>di</strong>viduo) incarna e re/interpreta i dati antropologici e transgenerazionali<br />

ri/attualizzando continuamente la “struttura psichica collettiva” (carattere <strong>della</strong> consustanzialità).<br />

Il lavoro <strong>di</strong> mappatura del <strong>transpersonale</strong>, inoltre, rivelandosi in parte metodologico e in parte<br />

d‟inquadramento e approfon<strong>di</strong>mento teorico, ha consentito <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere <strong>di</strong>versi aspetti (o livelli) del<br />

rapporto <strong>transpersonale</strong> - mente soggettuale, che abbiamo già presentato nella prima parte del volume<br />

(<strong>il</strong> livello biologico-genetico, <strong>il</strong> livello ento-antropologico, <strong>il</strong> livello transgenerazionale, <strong>il</strong> livello<br />

istituzionale e <strong>il</strong> livello socio-comunicativo) (cfr. part prima, cap. 2). Analizzati nel dettaglio, questi<br />

livelli, permettono <strong>di</strong> cogliere più chiaramente l‟idea <strong>della</strong> mente in quanto “rete <strong>di</strong> relazioni inconsce<br />

nella quale è se<strong>di</strong>mentato <strong>il</strong> patrimonio biologico e culturale <strong>della</strong> specie umana” (Giannone F., in Lo<br />

Verso G., 1994, p. 109) poiché consentono <strong>di</strong> focalizzare l‟attenzione su (almeno) alcuni tra quegli<br />

aspetti che, intelligib<strong>il</strong>mente, ci restituiscono la mente come vicenda <strong>transpersonale</strong>.<br />

Il <strong>transpersonale</strong>, dunque, come crogiuolo <strong>della</strong> vicenda umana, come <strong>di</strong>mensione “prima d‟ognuno e<br />

dentro ciascuno, dove convergono, se<strong>di</strong>mentano e si mescolano aspetti legati a <strong>di</strong>versi ambiti<br />

dell‟esistenza umana…” (Ferraro A.M., Lo Verso G., 2007, p. 12).<br />

Ora, riteniamo che come <strong>il</strong> <strong>transpersonale</strong>, anche <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo sia crogiuolo <strong>della</strong> vicenda umana.<br />

Nel suo bacino, infatti, l‟inevitab<strong>il</strong>e affacciarsi e sporgersi <strong>di</strong> elementi culturali, linguistici, religiosi e<br />

politici <strong>di</strong>fferenti, ha reso questo Mare l‟azzurro deposito <strong>di</strong> un sapere meticcio e connettivo; l‟enorme<br />

reticolo dei segni lasciati sul fondale dalle civ<strong>il</strong>tà che lo hanno attraversato. Ed è proprio questa<br />

naturale accettazione <strong>della</strong> <strong>di</strong>versità, questa schietta convivenza con <strong>il</strong> <strong>di</strong>verso, quest'introiezione,<br />

<strong>di</strong>remmo, dell'idea <strong>di</strong> alterità che rende l'ethos me<strong>di</strong>terraneo tanto intrigante; non più un luogo <strong>di</strong><br />

arretratezze ma un "para<strong>di</strong>gma" alternativo: la “dolce vita” del Me<strong>di</strong>terraneo come modus viven<strong>di</strong> in<br />

netto contrasto con le o<strong>di</strong>erne prerogative (con l‟imperativo <strong>di</strong> essere veloci, efficienti,


“tecnologizzati”) e alternativo all'egemone in<strong>di</strong>vidualismo. L‟interesse scientifico per <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo<br />

ci permette, dunque, <strong>di</strong> cogliere alcuni bisogni umani che stridono con la post-modernità, come, per<br />

esempio, <strong>il</strong> bisogno <strong>di</strong> andar piano che ci ricorda Cassano nel suo bel libro Il pensiero meri<strong>di</strong>ano<br />

(2005).<br />

Ciò premesso, entreremo adesso nel dettaglio <strong>della</strong> nostra metafora, attraverso la <strong>di</strong>scussione degli<br />

aspetti attinenti al livello ento-antropologico e al livello transgenerazionale del <strong>transpersonale</strong>.<br />

13.2 <strong>il</strong> me<strong>di</strong>terraneo e <strong>il</strong> livello etno-antropologico del <strong>transpersonale</strong>:<br />

Ricco <strong>di</strong> storia e <strong>di</strong> leggenda, <strong>di</strong> vicende dolorose e drammatiche, delle più aspre tensioni così come dei<br />

più gran<strong>di</strong> e commoventi ritorni, <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo è culla <strong>di</strong> civ<strong>il</strong>tà <strong>della</strong> nostra storia e,<br />

conseguentemente, luogo fondativo <strong>della</strong> psiche soggettuale. In esso la miscellanea <strong>di</strong> resti depositati<br />

sul fondale (i relitti, le ancore perdute, le anfore.. che aggre<strong>di</strong>te dalle alghe si trasformano lentamente<br />

in habitat per la fauna marina) sembra parlarci del bisogno, per ogni ecosistema, <strong>di</strong> tradurre in <strong>di</strong>alogo<br />

la compresenza <strong>di</strong> elementi <strong>di</strong>fferenti.<br />

Anche la mente è un “ecosistema”, e anch‟essa, come <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo, necessita <strong>di</strong> un certo grado <strong>di</strong><br />

plasticità. Ciò è vero sia se ci riferiamo al <strong>transpersonale</strong> in quanto “struttura psichica collettiva” (<strong>il</strong><br />

<strong>transpersonale</strong> pre-esistente all‟in<strong>di</strong>viduo), sia se ci riferiamo alla riattualizzazione <strong>di</strong> questa stessa<br />

“struttura psichica collettiva” nella mente <strong>di</strong> ogni in<strong>di</strong>viduo (<strong>il</strong> <strong>transpersonale</strong> consustanziale<br />

all‟in<strong>di</strong>viduo). I due livelli <strong>di</strong> analisi sono inscin<strong>di</strong>b<strong>il</strong>mente connessi, e <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo, ancora una<br />

volta, ci aiuta a cogliere la natura <strong>di</strong> questi nessi.<br />

Così come al suo interno, infatti, è possib<strong>il</strong>e <strong>di</strong>stinguere tanti microrganismi aventi in sé <strong>il</strong> co<strong>di</strong>ce dei<br />

macro-equ<strong>il</strong>ibri (Coppola E., Lo Verso G., 2008), allo stesso modo all‟interno <strong>della</strong> struttura psichica<br />

collettiva-<strong>transpersonale</strong> è possib<strong>il</strong>e riconoscere tanti nodal points (Foulkes, 1948, 1964, 1975) o<br />

soggettualità (Lo Verso G., 1994) che risentono degli assetti d‟equ<strong>il</strong>ibrio o <strong>di</strong>sequ<strong>il</strong>ibrio delle reti<br />

fam<strong>il</strong>iari e macro-antropologiche. Da questo punto <strong>di</strong> vista, basti pensare al concetto <strong>di</strong> localizzazione<br />

del <strong>di</strong>sturbo proposto da Foulkes (Ibidem), e alle più recenti riflessioni e tecné, a esso correlato, circa<br />

l‟intervento terapeutico multipersonale (Lo Verso, Pontalti, 2000; Lo Coco, Lo Verso, 2006). Ma<br />

l‟aspetto forse più interessante, a questo livello, attiene all‟opportunità <strong>di</strong> riflettere sugli esiti scaturenti<br />

dal grado <strong>di</strong> plasticità dei sistemi. Sulle <strong>di</strong>namiche che s‟innescano tra gli elementi <strong>di</strong>fferenti, e da cui<br />

deriva la possib<strong>il</strong>ità o l‟impossib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> scambiarsi qualcosa e ricombinarsi insieme. Il mar


Me<strong>di</strong>terraneo conosce gli esiti <strong>di</strong> entrambe queste eventualità, e ce li racconta. Esso, infatti, ha<br />

assistito allo scontro tra le civ<strong>il</strong>tà fondamentaliste, ha visto nascere tre religioni monoteiste (la fede<br />

ebraica, quella cristiana e quella islamica), ha conosciuto le inclinazioni colonialiste e sa come<br />

all‟incapacità del <strong>di</strong>alogo seguano, inevitab<strong>il</strong>i, scismi, fratture e frantumazioni.<br />

Così è anche sul piano psichico. Solo che, anzicché giocarsi sui costumi, sugli orli <strong>di</strong> una carta<br />

geografica o i dogmi <strong>di</strong> un testo sacro, questi scontri avvengono a livello d‟inconsce <strong>di</strong>namiche<br />

relazionali. E‟ questo che accade, infatti, quando per esempio “l‟identità fam<strong>il</strong>iare” tende a risucchiare<br />

“l‟identità in<strong>di</strong>viduale” all‟interno <strong>di</strong> un campo psichico in<strong>di</strong>fferenziato che fatica a riconoscere<br />

l‟Alterità del singolo, che “vorrebbe ridurlo a colonia”, innescando così la <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> molte<br />

psicopatologie a carattere invischiante e <strong>di</strong>pendente.<br />

Ma <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo è anche altro, è <strong>il</strong> luogo priv<strong>il</strong>egiato dello scambio: esso ha visto i Greci imparare<br />

dagli Egiziani, i Latini imparare dai Greci, dagli Etruschi, e cosi via. E non è certo un caso se è qui che<br />

è nata l‟idea <strong>della</strong> democrazia, dell‟agorà, <strong>della</strong> repubblica. Non è un caso se <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo sa anche<br />

“negare sé stesso”, se sa essere <strong>di</strong>ffuso e turbolento come i porti <strong>di</strong> Genova e <strong>della</strong> Tunisia anziché<br />

classico e or<strong>di</strong>nato come Roma e <strong>il</strong> genio Latino (Matvejevic P., 2006), Se, in sostanza, sa essere (e sa<br />

d‟esserlo) l‟Altrove.<br />

Accettare la <strong>di</strong>versità (che implica recuperare <strong>il</strong> retroterra culturale e simbolico, ma anche favorire la<br />

relazione e la creazione <strong>di</strong> un linguaggio comune) fa si che sul Me<strong>di</strong>terraneo più che ancorarsi alla<br />

pienezza <strong>di</strong> un'origine, si sperimenti la propria contingenza. Ora, gli esiti <strong>della</strong> <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità allo<br />

scambio, che abbiamo appena visto riferiti alla storia del Me<strong>di</strong>terraneo, valgono anche per la psiche<br />

soggettuale. A livello clinico, però, è importante sottolineare come tali esiti si esprimano attraverso <strong>il</strong><br />

sentire del soggetto, attraverso <strong>il</strong> suo modo esplorare <strong>il</strong> mondo e sé stesso nel mondo (Lo Verso G.,<br />

1989).<br />

Infine, vorremmo far notare un‟ultima interessante corrispondenza tra <strong>il</strong> me<strong>di</strong>terraneo e <strong>il</strong> livello ento-<br />

antropologico del <strong>transpersonale</strong> ovvero come i requisiti essenziali sia dell‟uno che dell‟altro, per<br />

esempio la salinità del Me<strong>di</strong>terraneo e la fenomenologia <strong>della</strong> sofferenza psichica, siano mutati nel<br />

tempo, e in entrambi i casi come conseguenza dell‟azione umana.<br />

13.3 <strong>il</strong> me<strong>di</strong>terraneo e <strong>il</strong> livello transgenerazionale del <strong>transpersonale</strong>


Poiché è dai significati collettivi, dalla storia e dalla cultura <strong>di</strong> una data epoca, che <strong>il</strong> campo mentale<br />

fam<strong>il</strong>iare (Menarini R., Pontalti C., 1989; Pontalti C., Menarini R., 1985) estrae i suoi significati e<br />

definisce la sua struttura interna, passiamo dall‟analisi del livello etno-antropologico a quello<br />

transgenerazionale del <strong>transpersonale</strong>.<br />

E‟ attraverso <strong>il</strong> canale transgenerazionale che la struttura psichica collettiva (<strong>transpersonale</strong>) trasferisce<br />

i suoi co<strong>di</strong>ci, i suoi contenuti (e in definitiva sé stessa) all‟in<strong>di</strong>viduo. Questa trasmissione la si deve, in<br />

particolare, all‟esistenza <strong>di</strong> un nesso strutturale-tipico <strong>della</strong> specie sapiens che vede <strong>il</strong> piccolo <strong>di</strong>sposto<br />

ad “apprendere” e <strong>il</strong> sistema <strong>di</strong> cure parentali <strong>di</strong>sposto a “in-segnargli” quella congerie rappresentazioni<br />

e competenze (relative tanto al mondo quanto a sé) che configurano <strong>il</strong> suo primo equipaggiamento<br />

psichico. La psiche umana, quin<strong>di</strong>, è <strong>il</strong> prodotto del vincolo <strong>di</strong> reciprocità esistente tra <strong>il</strong> sistema<br />

fam<strong>il</strong>iare e <strong>il</strong> nascente (cfr. parte prima, cap. 2; parte seconda, cap. 6). Ora, a noi sembra che, già nelle<br />

linee essenziali <strong>della</strong> sua struttura, <strong>il</strong> Me<strong>di</strong>terraneo offra un‟interessante analogia rispetto alla<br />

(auspicab<strong>il</strong>e) configurazione dei campi mentali fam<strong>il</strong>iari.<br />

Infatti, per quanto relativamente chiuso tra le coste dell‟Europa meri<strong>di</strong>onale, dell‟Africa settentrionale<br />

e dell‟Asia occidentale, la morfologia <strong>di</strong> questo Mare è tale da consentire un parziale ricambio d‟acque<br />

con l‟Atlantico con cui comunica tramite lo stretto <strong>di</strong> Gib<strong>il</strong>terra. Riferito ai campi mentali fam<strong>il</strong>iari,<br />

questo tipo <strong>di</strong> configurazione è ciò che consente all‟in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> ri-significare in modo nuovo <strong>il</strong> suo<br />

essere-nel-mondo, grazie alla possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> un <strong>di</strong>screto ricambio <strong>di</strong> significati… proprio come avviene<br />

tra le acque del Me<strong>di</strong>terraneo e quelle dell‟Atlantico. In questo caso, infatti, la famiglia interna (<strong>il</strong><br />

transgenerazionale), che rimane <strong>il</strong> nesso tra l‟in<strong>di</strong>viduo e <strong>il</strong> <strong>transpersonale</strong>, permette all‟in<strong>di</strong>viduo<br />

riscrivere i segni <strong>della</strong> “dote psichica transgenerazionale” in base a quello spaiato rapporto testo-<br />

contesto corrispondente alla sua irriproducib<strong>il</strong>e relazione io-mondo.<br />

Diversamente, una configurazione “satura” del campo mentale fam<strong>il</strong>iare con<strong>di</strong>zionerebbe<br />

negativamente la vitalità psichica dei pazienti rendendola, così come un mare chiuso, una sorta <strong>di</strong><br />

“spazio endemico” adeguato a contenere, custo<strong>di</strong>re e preservare soltanto alcune rappresentazioni<br />

piuttosto che altre. Conseguentemente esso <strong>di</strong>venta circolo vizioso <strong>di</strong> psicopatologia.<br />

Riteniamo, tuttavia, che oggi <strong>il</strong> ricambio <strong>di</strong>… significati (ovvero la <strong>di</strong>fficoltà a re/interpretare i segni)<br />

non stia tanto nella resistenza del co<strong>di</strong>ce fam<strong>il</strong>iare a una possib<strong>il</strong>e rivisitazione <strong>di</strong> sé, quanto piuttosto<br />

nello “spopolamento del plexus”, fenomeno da noi recentemente analizzato (Ferraro A. M., Lo Verso<br />

G., 2007), e che presentiamo qui <strong>di</strong> seguito, attraverso un‟altra immagine presa in prestito dal<br />

Me<strong>di</strong>terraneo.


13.4 <strong>il</strong> me<strong>di</strong>terraneo la fondazione e la <strong>di</strong>spersione dell‟identità<br />

Con <strong>il</strong> termine “spopolamento del plexus” facciamo riferimento a un fenomeno assim<strong>il</strong>ab<strong>il</strong>e, in chiave<br />

metaforica, al processo <strong>di</strong> tropicalizzazione delle acque del Me<strong>di</strong>terraneo. Da circa trent‟anni, infatti,<br />

nel bacino Me<strong>di</strong>terraneo, sono stati registrati dei cambiamenti climatici significativi che hanno portato<br />

all‟inse<strong>di</strong>amento <strong>di</strong> specie provenienti da aree tropicali o sub-tropicali, spesso dominanti e in grado <strong>di</strong><br />

soppiantare le specie autoctone preesistenti. Attualmente <strong>il</strong> numero <strong>di</strong> specie lessepsiane è in rapido<br />

aumento, tanto che molte <strong>di</strong> esse vengono già comunemente pescate e commercializzate. La fac<strong>il</strong>ità<br />

con cui tali organismi s‟inse<strong>di</strong>ano nel bacino Me<strong>di</strong>terraneo sembra dovuta, oltre che al<br />

surriscaldamento delle acque, alla pesca eccessiva e all‟inquinamento che, insieme, contribuiscono allo<br />

svuotamento delle nicchie etologiche me<strong>di</strong>terranee rendendole fac<strong>il</strong>mente colonizzab<strong>il</strong>i da altri<br />

organismi tropicali. Questo, fuor <strong>di</strong> metafora, sarebbe anche l‟effetto dello “spopolamento del plexus”<br />

(Ibidem), ovvero <strong>di</strong> quella povertà relazionale che, specie se protratta durante gli anni <strong>della</strong> crescita,<br />

può ripercuotersi negativamente sul processo d‟identificazione, rendendo la parte più intima <strong>della</strong><br />

matrice identificatoria (<strong>il</strong> plexus per l‟appunto) “colonizzab<strong>il</strong>e da figure tropicali”.<br />

Detto <strong>di</strong>versamente: ci riferiamo ai cambiamenti nella trama del tessuto fam<strong>il</strong>iare, e a come questi<br />

possono riflettersi sullo sv<strong>il</strong>uppo dell‟identità in<strong>di</strong>viduale. E‟ evidente infatti che, da alcuni decenni a<br />

questa parte, la famiglia sia andata incontro a r<strong>il</strong>evanti cambiamenti nella composizione e nei ruoli; ed<br />

è proprio su tali cambiamenti, sui riflessi da essi derivanti in termini <strong>di</strong> psiche soggettuale che occorre<br />

interrogarsi. L‟esperienza clinica suggerisce, infatti, come la carenza <strong>di</strong> figure adatte a sostenere<br />

un‟identificazione stab<strong>il</strong>e e duratura fin dalle fasi più precoci dello sv<strong>il</strong>uppo psichico sia all‟origine <strong>di</strong><br />

tutto <strong>il</strong> complesso <strong>di</strong> problemi riguardanti la sfera dell‟identità personale. Ci chie<strong>di</strong>amo, quin<strong>di</strong>, quali<br />

effetti possa avere l‟eccessiva delega delle funzioni fondamentali <strong>di</strong> competenza del gruppo fam<strong>il</strong>iare<br />

all‟esterno, e se questa non comporti <strong>il</strong> rischio <strong>di</strong> una per<strong>di</strong>ta degli affetti, tanto a livello reale quanto a<br />

livello simbolico, aprendo la strada a fenomeni <strong>di</strong> “tropicalizzazione” da parte dei palinsesti me<strong>di</strong>atici<br />

posto, peraltro, che la tv ha ormai una funzione domestica.<br />

Una chiosa <strong>di</strong> sintesi: abbiamo fin qui esplicitato alcuni temi centrali <strong>della</strong> ricerca gruppoanalitico-<br />

soggettuale, proponendo delle sim<strong>il</strong>itu<strong>di</strong>ni con le con<strong>di</strong>zioni morfologiche, climatiche e storiche del<br />

Me<strong>di</strong>terraneo. Abbiamo visto, in particolare, come la costruzione <strong>della</strong> soggettività inizi nei campi<br />

mentali fam<strong>il</strong>iari, a loro volta collegati ai livelli transgenerazionale ed ento-antropologico del<br />

<strong>transpersonale</strong>; abbiamo visto come essa abbia bisogno <strong>di</strong> una <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> <strong>di</strong>scontinuità (… delle acque


dell‟oceano) affinché possa compiersi <strong>il</strong> compito evolutivo <strong>di</strong> separazione dalla famiglia e, con<br />

riferimento a quest‟ultimo, abbiamo scorto due rischi: quello relativo alla “struttura endemica” dei<br />

campi mentali fam<strong>il</strong>iari, e quello relativo alla “tropicalizzazione” del Plexus.<br />

13.5 <strong>il</strong> me<strong>di</strong>terraneo la letteratura la prassi clinica<br />

Proveremo, adesso, a con<strong>di</strong>videre altre considerazioni più tecniche legate alla gestione dei gruppi<br />

terapeutici e alla cura attraverso la relazione (Lo Coco G., Lo Verso G., 2006; Lo Coco G., Prestano C.,<br />

Lo Verso G., 2008). Nel far ciò sarà inevitab<strong>il</strong>e qualche riferiremo al mito omerico, nelle molteplici<br />

rivisitazioni offerte dalla letteratura. Queste, infatti, ci permetteranno <strong>di</strong> collegare alcune celebri vicende<br />

<strong>di</strong> Ulisse, <strong>di</strong> Leopold Bloom e <strong>di</strong> „Ndrja Cambria alle <strong>di</strong>fficoltà incontrate dai pazienti durante <strong>il</strong><br />

percorso <strong>della</strong> terapia gruppoanalitica. Come l‟Ulisse <strong>di</strong> Omero, infatti, anche quello <strong>di</strong> Joyce e <strong>il</strong><br />

marinaio „Ndrja <strong>di</strong> D‟Arrigo, rappresentano l‟avventura dell‟uomo nel mondo. E sebbene l‟uno<br />

peregrini in mari e terre lontane, l‟altro si perda tra le strade e i bar <strong>di</strong> Dublino, e infine l‟ultimo sosti in<br />

attesa del trasbordo sulla costa Calabrese, tutti, viaggiando, si arricchiscono delle <strong>di</strong>versità con cui<br />

entrano in contatto. Tutti viaggiano emotivamente oltre che fisicamente: esitano, <strong>di</strong>ffidano, si<br />

affidano… per poi scoprire nell‟Altro la sola possib<strong>il</strong>ità del proprio viaggio.<br />

Il ritorno è <strong>il</strong> motivo archetipico che lega profondamente le tre opere, e queste opere al lavoro analitico<br />

dei pazienti <strong>di</strong> un gruppo. Come i tre protagonisti, infatti, anche i nostri pazienti viaggiano nella<br />

<strong>di</strong>rezione del ritorno (del ri-attraversamento delle matrici identificatorie) servendosi a tal fine degli Altri<br />

(pazienti del gruppo). In questo senso potremmo <strong>di</strong>re che in gruppo ogni paziente rappresenta per<br />

l‟altro ciò che è Eolo, <strong>il</strong> re dei Feaci, e tutti gli altri hanno rappresentato per Ulisse, ciò che <strong>il</strong> vecchio<br />

spiaggiatore o Ciccina Circé hanno rappresentato per „Ndrja Cambria, ovvero incontri fondamentali per<br />

<strong>il</strong> ritorno a casa. Questo tipo d‟incontri, in gruppo, emergono e si svolgono all‟interno <strong>della</strong> matrice<br />

<strong>di</strong>namica allorché <strong>il</strong> paziente ut<strong>il</strong>izza gli Altri.. per riproporre inconsciamente le sue tipiche modalità <strong>di</strong><br />

conflitto. Così, partendo dalla visualizzazione delle proprie modalità relazionali in gruppo, i pazienti<br />

iniziano <strong>il</strong> loro viaggio. Un viaggio in profon<strong>di</strong>tà, che inizia con la “possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> osservare” i sistemi<br />

relazionali più conflittuali emersi dal lavoro sulla matrice <strong>di</strong>namica, e va dentro, più dentro, fino alla<br />

comprensione delle matrici d‟appartenenza (in primo luogo fam<strong>il</strong>iari e culturali) che hanno “definito”<br />

tali approcci conflittuali, che li “sostengono” e sulla cui profonda e spesso implicita con<strong>di</strong>visione si<br />

fonda <strong>il</strong> senso <strong>di</strong> Sé.


Il lavoro sulla matrice <strong>di</strong>namica consente, infatti, ai pazienti <strong>di</strong> cogliere la “sintassi e la semantica”<br />

dell‟emozione agita nel qui e ora <strong>della</strong> relazione, cosicché ciascuno possa d‟apprima d‟osservare e poi<br />

comprendere gli aspetti più problematici e <strong>di</strong>sfunzionale dei propri approcci relazionali.<br />

Inoltre, così come la letteratura mette in evidenza quanto alla struggente voglia <strong>di</strong> tornare si affianchi <strong>il</strong><br />

gusto per l‟ignoto, allo stesso modo i pazienti in gruppo sperimentano l‟ambivalenza tra <strong>il</strong> bisogno <strong>di</strong><br />

mantenere una continuità rispetto alla simbolizzazione affettiva prodotta dai sistemi fam<strong>il</strong>iari e<br />

l‟esigenza <strong>di</strong> ri-significare questa stessa simbolizzazione attraverso la propria naturale impronta<br />

creativa (o <strong>di</strong>sposizione inventiva).<br />

Pertanto, al fine <strong>di</strong> superare le ambivalenze e le resistenze che impe<strong>di</strong>scono ai pazienti <strong>di</strong> immergersi<br />

nel viaggio terapeutico, <strong>il</strong> terapeuta deve selezionare con cura i pazienti per la composizione del<br />

gruppo. Successivamente egli deve riuscire a riconoscere e “<strong>di</strong>alogare” con i personaggi del loro<br />

mondo interno, man mano che essi emergono attraverso la relazione con l‟altro. Con l‟obiettivo <strong>di</strong><br />

valutare i mo<strong>di</strong> tramite cui le conflittualità represse si esprimono nel comportamento manifesto<br />

(Foulkes, 1948) <strong>il</strong> terapeuta stimola la partecipazione attiva dei singoli membri del gruppo mantenendo<br />

un atteggiamento più riflessivo che <strong>di</strong>rettivo. Tale atteggiamento è importante anche perché consente al<br />

terapeuta <strong>di</strong> “mettere la testa fuori dall‟acqua…” (Foulkes, Ibidem) e rendersi conto che, come nelle<br />

opere citate, i protagonisti (che per noi sono i pazienti e i loro affetti) non sono i soli protagonisti: in<br />

primo piano stanno anche la cultura e la storia dell‟umanità dove si svolge la vicenda. Da questo punto<br />

<strong>di</strong> vista, potremmo <strong>di</strong>re che così come la giornata-o<strong>di</strong>ssea del signor Bloom non sarebbe tale se non<br />

riflettesse <strong>il</strong> “naufragio” <strong>della</strong> società contemporanea sulla <strong>di</strong>mensione <strong>della</strong> quoti<strong>di</strong>anità, o così come <strong>il</strong><br />

marinaio „Ndrja non avrebbe viaggiato incontro alla morte (ai pescatori affamati e <strong>di</strong>soccupati <strong>di</strong><br />

Carid<strong>di</strong>, all‟Orca…) se non fosse stato un reduce scampato agli orrori <strong>della</strong> seconda guerra mon<strong>di</strong>ale,<br />

allo stesso modo le sofferenze dei nostri pazienti non sarebbero quelle che sono, oggi, se essi non<br />

assumessero su <strong>di</strong> sé tutte le ansie e le angosce del sociale, interpretandone <strong>il</strong> malessere.<br />

E‟ <strong>il</strong> sociale, infatti, che decide “cosa fa sintomo…”, che sancisce la vulnerab<strong>il</strong>ità alle psicosi maniaco-<br />

depressive (Stanghellini G., 2006), che rende anche gli adolescenti più sensib<strong>il</strong>i agli aspetti depressivi<br />

legati al processo <strong>di</strong> separazione <strong>della</strong> famiglia (Pietropolli Charmet G., 2000), e che ripercuote tutta la<br />

sua vacuità… sul processo <strong>di</strong> costruzione dell‟identità (Ferraro A. M., Lo Verso G., 2007), ecc.<br />

Come se non fosse già abbastanza poi, <strong>il</strong> sociale ha anche facoltà d‟influenzare <strong>il</strong> lavoro terapeutico<br />

nei termini delle posizioni culturali e politiche prevalenti, delle domande e delle mete sociali più<br />

pressanti, ecc.


La consapevolezza <strong>di</strong> tutto ciò è fondamentale ai fini <strong>della</strong> cura. Pertanto, qualche anno fa abbiamo<br />

pre<strong>di</strong>sposto la GAS (Griglia <strong>di</strong> Analisi del Setting) (Di Nuovo S., Giannone F., Di Blasi M., in Ceruti<br />

M., Lo Verso G., 1998) (cfr. parte prima, cap. 1; parte quarta, cap. 14) come aus<strong>il</strong>io affinché <strong>il</strong><br />

terapeuta possa tenere a mente tutto ciò che interviene a influenzare la terapia al <strong>di</strong> là degli aspetti<br />

strutturali relativi alle variab<strong>il</strong>i <strong>di</strong> set, al <strong>di</strong> là dell‟impianto teorico, <strong>della</strong> teoria <strong>della</strong> tecnica e delle<br />

caratteristiche personali del terapeuta.<br />

Ora mentre la <strong>di</strong>fficoltà del terapeuta sta nel riuscire a gestire questa complessità, quella del paziente sta,<br />

inizialmente, nel riuscire a separarsi dal sintomo. Sebbene limitante, infatti, <strong>il</strong> sintomo è ut<strong>il</strong>e al paziente<br />

giacché gli permette <strong>di</strong> mantenere un equ<strong>il</strong>ibrio all‟interno <strong>di</strong> un sistema relazionale <strong>di</strong>sfunzionale<br />

coinvolgente l‟intero corpo fam<strong>il</strong>iare (pensiamo ai <strong>di</strong>sturbi in Asse II, ai DAP, ai DCA, ecc.).<br />

All‟interno del gruppo terapeutico, tuttavia, gli aspetti sintomatologici e, in un certo senso, caricaturali<br />

<strong>della</strong> sofferenza vengono presto messi in <strong>di</strong>scussione grazie all‟azione dei fattori terapeutici operanti al<br />

suo interno. Così le persone fortemente eloquenti e assertive, quelle sarcastiche e veementi, quelle<br />

monotone e moleste, le persone pervicacemente taciturne e laconiche, quelle miti e moderate..<br />

imparano, nel microcosmo sociale del gruppo, non solo a conoscere le loro modalità relazionali e<br />

l‟effetto che esse suscitano negli altri, ma anche a ri/conoscere le ragioni che le sottendono. Imparano,<br />

altresì, a con/vivere con l‟Alterità, a scoprirne e accettarne <strong>il</strong> valore dal momento che <strong>il</strong> gruppo, come <strong>il</strong><br />

Me<strong>di</strong>terraneo, è crogiuolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità. Naturalmente per <strong>il</strong> paziente è un‟esperienza fortemente<br />

perturbante rendersi conto che, per esempio, <strong>di</strong>etro <strong>il</strong> suo atteggiamento <strong>di</strong> sfida e la sua incessante<br />

offensiva si nascondono la remissività e la dolcezza <strong>di</strong> un bambino che chiede soltanto d‟essere amato e<br />

accettato. Riconoscere ciò significa iniziare scoprire, a ri-conoscere le parti non nate (Napolitani,<br />

1987b), quelle rimaste impe<strong>di</strong>te dentro un‟interminab<strong>il</strong>e gestazione <strong>di</strong> sé. Questa scoperta è dolorosa<br />

poiché non è fac<strong>il</strong>e accettare <strong>di</strong> non essere “nati del tutto”, e a volte lo sgomento, <strong>il</strong> dolore possono<br />

essere tali da rendere intollerab<strong>il</strong>e la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> affrontare <strong>il</strong> viaggio terapeutico.<br />

Tra i pazienti che presentano maggiore <strong>di</strong>fficoltà rispetto all‟esperienza <strong>della</strong> terapia <strong>di</strong> gruppo vi sono<br />

quelli risucchiati dalla “<strong>di</strong>mensione endemica” (per ritornare alla metafore relativa al livello<br />

transgenerazionale del <strong>transpersonale</strong>) dei campi mentali fam<strong>il</strong>iari. Per loro <strong>il</strong> gruppo è fonte <strong>di</strong> angoscia<br />

perché rende visib<strong>il</strong>i i no<strong>di</strong> <strong>di</strong>sfunzionali delle trame fam<strong>il</strong>iari. La possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> cominciare a vedere<br />

suscita <strong>di</strong>ffidenza, esitazione… lo sa bene <strong>il</strong> vecchio spiaggiatore del romanzo <strong>di</strong> D‟Arrigo che tenta <strong>di</strong><br />

spiegare a „Ndrja la <strong>di</strong>fferenza tra <strong>il</strong> “vistocongliocchi” e <strong>il</strong> “sentito <strong>di</strong>re”: “Io […] <strong>il</strong> vistocogliocchi vi<br />

<strong>di</strong>co. Poco ma sicuro. Oppure, a voi, per caso, non vi va <strong>il</strong> vistocogliocchi e quello che vi va è invece <strong>il</strong><br />

sentito<strong>di</strong>re? Voi sapete la <strong>di</strong>fferenza che passa fra <strong>il</strong> sentito<strong>di</strong>re e <strong>il</strong> vistocogliocchi? E la stessa che


passa, figuratevi, fra la notte e <strong>il</strong> giorno […]” (D‟Arrigo S., 2000, pp. 112; 117). La notte, per quanto ci<br />

riguarda, è <strong>il</strong> tempo delle collusioni; in gruppo, invece, si ha la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> “mettere a fuoco” gli<br />

avvenimenti emotivi e le soggettualità che “irrompono” nella matrice <strong>di</strong>namica come in un palcoscenico<br />

intimo, svelando le trame psichiche dov‟è impigliata la sofferenza … cosicché “se non era proprio<br />

visto, era immaginato, visto cogli occhi <strong>della</strong> mente” (Ibidem, p. 118) conclude <strong>il</strong> vecchio spiaggiatore,<br />

interpretando per certi aspetti <strong>il</strong> vate Tiresia dell‟un<strong>di</strong>cesimo canto dell‟O<strong>di</strong>ssea, e per altri noi terapeuti<br />

gruppoanalisti.<br />

Ma la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> vedere suscita sentimenti <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>mento e colpa. Così, incontrare <strong>il</strong> gruppo può<br />

<strong>di</strong>ventare un‟esperienza fortemente ansiogena per questi pazienti. E questa, del resto, è anche la ragione<br />

per cui, nonostante la richiesta esplicita <strong>di</strong> aiuto essi mostrano inconsapevolmente le più strenui<br />

resistenze al cambiamento. Anche perché essi sanno che, così come la navigazione nel Me<strong>di</strong>terraneo,<br />

l‟attraversamento terapeutico nel gruppo comporta <strong>il</strong> rischio d‟imbattersi in Sirene e Draunare<br />

portatrici, le prime secondo <strong>il</strong> mito omerico e le secondo la tra<strong>di</strong>zione marinara, <strong>di</strong> rovina e sventura.<br />

La possib<strong>il</strong>ità d‟imbattersi in sirene e draunare, <strong>di</strong> scoprirsi prigionieri <strong>di</strong> Circe, naufraghi nell‟isola <strong>di</strong><br />

Nausicaa o col volto trasfigurato dalla lunga via del ritorno… spaventa molto i pazienti che, non a caso,<br />

durante le fasi iniziali dell‟analisi fanno sogni <strong>di</strong> mare in tempesta. Si comprende la ragione <strong>di</strong> questi<br />

sogni: ogni fase del viaggio terapeutico è venata <strong>di</strong> particolari tensioni. Ma la tensione racchiusa nella<br />

polarità tra la fedeltà alle ra<strong>di</strong>ci fam<strong>il</strong>iari, alla terra natale, ai valori <strong>della</strong> società in cui si vive, ecc. e la<br />

scommessa <strong>della</strong> ricerca del nuovo e <strong>della</strong> conoscenza piena dell‟altro è, forse, tra le più note ai<br />

gruppoanalisti, perché elicitata dal <strong>di</strong>spositivo gruppale stesso.<br />

Un'altra tipologia <strong>di</strong> pazienti che incontra grande <strong>di</strong>fficoltà nell‟affrontare <strong>il</strong> viaggio terapeutico è<br />

rappresentata da coloro che <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>mente riescono a empatizzare con gli altri, da coloro che vivono <strong>di</strong><br />

spettacolo e autorappresentazione, che preferiscono <strong>il</strong> simulacro alla realtà. Ancora una volta riferirci al<br />

mito omerico, e in particolar modo all‟incontro <strong>di</strong> Ulisse con le sirene può essere ut<strong>il</strong>e per comprendere<br />

la questione. Com‟è noto, infatti, O<strong>di</strong>sseo si fa legare all‟albero <strong>della</strong> nave, in modo da poter u<strong>di</strong>re <strong>il</strong><br />

canto ammaliatore delle sirene pur senza cedere al loro ardente invito al piacere. In ciò, se secondo<br />

Horkeimer e Adorno Ulisse rispecchiava la situazione tipica del borghese occidentale chiuso nel suo<br />

alienante <strong>ruolo</strong> sociale, dal nostro punto <strong>di</strong> vista egli incarna (anche se per un breve tratto)<br />

l‟atteggiamento narcisista <strong>di</strong> chi non può concedersi un‟autentica relazione poiché è troppo impegnato<br />

a preservare la gran<strong>di</strong>osa immagine <strong>di</strong> sé. Molte, soprattutto oggi, sono le persone che se inserite in<br />

contesti <strong>di</strong> autenticità, quali <strong>il</strong> mare o la terapia <strong>di</strong> gruppo, faticano molto a immergersi, preferendo


“legarsi all‟albero <strong>della</strong> nave”, restare prigionieri delle loro dannazioni. E tanto più forte è l‟invito<br />

all‟autenticità, tanto più forte esse sentono <strong>di</strong> dover stringere i lacci…<br />

Con <strong>il</strong> procedere <strong>della</strong> navigazione in mare, infatti, <strong>il</strong> viaggio terapeutico assume <strong>di</strong>mensioni sempre<br />

più forti. Il senso d‟estraniazione rispetto alla propria storia in questo momento è molto forte. A livello<br />

simbolico, infatti, <strong>il</strong> mare aperto rappresenta la con<strong>di</strong>zione d‟es<strong>il</strong>io. E, tuttavia, è proprio a partire da<br />

questa con<strong>di</strong>zione, essenzialmente orientata all‟introspezione (ma anche lucida e coraggiosa), che sarà<br />

possib<strong>il</strong>e riconoscere e attraversare le trame psichiche fonte <strong>di</strong> sofferenza, nel gruppo prima ancora che<br />

nella vita. Aggiungeremmo che fortunatamente nella terapia <strong>di</strong> gruppo, <strong>il</strong> sentimento <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne<br />

elicitato dall‟es<strong>il</strong>io è transitorio e contenuto dal gruppo stesso. Ciascuno, infatti, infine, ritorna alla<br />

propria storia e alla propria casa, proprio come Ulisse e „Ndrja: cambiati interiormente e mossi sulla via<br />

del ritorno dalla nostalgia, ma con nuovi orizzonti dentro <strong>di</strong> sé, a partire dai quali anche la porzione<br />

mondo da esplorare, e cioè la vita da vivere, ha cambiato confini.<br />

Ed é questa, in fondo, la cura.<br />

Da quanto detto si capisce come <strong>il</strong> viaggio terapeutico sia complesso e denso <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà. Alcuni<br />

pazienti, infatti, potrebbero richiedere un lungo tempo <strong>di</strong> preparazione, altri la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> usufruire <strong>di</strong><br />

incontri in<strong>di</strong>viduali parallelamente a quelli gruppali, altri ancora l‟ut<strong>il</strong>izzo <strong>di</strong> farmaci o un‟opportuna<br />

integrazione tra modelli, ecc.<br />

L‟esperienza clinica insegna, infine, come per un determinato paziente un certo tipo <strong>di</strong> gruppo sia più<br />

adatto rispetto a un altro. La navigazione, in ogni caso, ci sembra una bella metafora poiché essa deve<br />

sempre adattarsi alle con<strong>di</strong>zioni del mare, così come la terapia ai bisogni dei pazienti.<br />

Un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> cura efficace, infatti, non si esaurisce nella pre<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> un set(ting) adeguato,<br />

ma implica la capacità <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficarlo - se le con<strong>di</strong>zioni le paziente lo richiedono - durante <strong>il</strong> corso <strong>della</strong><br />

terapia.<br />

Da questo punto <strong>di</strong> vista vorremmo notare quanto in<strong>di</strong>spensab<strong>il</strong>e sia “l‟approccio marinaro”, da parte<br />

del terapeuta, ai fini <strong>della</strong> costruzione <strong>di</strong> un progetto terapeutico multimodale. L‟atteggiamento fideista,<br />

infatti, rappresenterebbe un grosso ostacolo rispetto alla possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> considerare i bisogni plurimi del<br />

paziente, richiedenti, spesso, un‟opportuna integrazione tra modelli. Esso, inoltre, rischierebbe <strong>di</strong><br />

trasformare la terapia in intrattenimento piuttosto che trattamento, col rischio <strong>di</strong> cronicizzare la<br />

patologia del paziente.<br />

Concludendo, le terapie implicano generalmente <strong>il</strong> confronto tra due culture: la cultura conta<strong>di</strong>na e<br />

quella marinara, espressione <strong>di</strong> due bisogni psichici, quello <strong>della</strong> continuità e quello <strong>della</strong> <strong>di</strong>scontinuità<br />

(Lo Verso, 1994). Esse sono riconoscib<strong>il</strong>i in terapia: la prima, nell‟inconscia resistenza al lavoro


terapeutico da parte del paziente (e non solo); la seconda, invece, in un atteggiamento d‟apertura e<br />

<strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità nei confronti <strong>di</strong> ciò che è nuovo e <strong>di</strong>verso, che è foriera <strong>di</strong> un nuovo situamento emotivo<br />

del paziente (e, anche qui, non solo), più autentico e, quin<strong>di</strong>, più sano. Si comprende, però, come un<br />

atteggiamento improntato alla cultura marinara, dovrebbe caratterizzare, prima ancora che ogni paziente<br />

sul finire <strong>della</strong> propria terapia, ogni terapeuta all‟inizio <strong>della</strong> propria pratica: nei termini <strong>della</strong><br />

<strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità allo scambio <strong>di</strong> saperi ed esperienze, dell‟apertura verso la comunità scientifica,<br />

dell‟attenzione agli avanzamenti <strong>della</strong> ricerca e <strong>della</strong> pratica clinica, e, in ragione <strong>di</strong> tutto ciò, <strong>della</strong><br />

possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere e in<strong>di</strong>viduare i vincoli e le possib<strong>il</strong>ità del proprio modus operan<strong>di</strong>.

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