N.24 - Casablanca
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S t o r i e d a l l e c i t t à d i f r o n t i e r a<br />
ANNO VII NUM.24<br />
aprile‐maggio 2012<br />
L’ultimo partigiano / la Memoria<br />
L’inchiesta / una donna mafiosa aggressiva e violenta<br />
Giorgiana Masi / uccisa per colpire il movimento femminista?<br />
Gianni Lannes Ettore Zanca<br />
Allegra Stefania Mazzone Dora Bonifacio Santina Sconza<br />
Adriana Laudani Rino Giacalone Franco Lo Re<br />
Amalia Fulvio Vassallo Antonella Serafini<br />
Norma Ferrara<br />
Umberto Santino<br />
Alberto Rotondo Antonio Tozzi
CASABLANCA <strong>N.24</strong>/ aprile – maggio 2012/ SOMMARIO<br />
4 – Stefania Mazzone Donne … Fotografie<br />
9 – La Passione dell’impegno Dora Bonifacio<br />
11 – Ettore Zanca Perché ti amo<br />
12 - Santina Sconza Partigiano Smit<br />
15 – Graziella Proto La Siciliana Maria Di Carlo<br />
20 - Pio La Torre Adriana Laudani<br />
23 – Umberto Santino Peppino Impastato<br />
25 - Mauro Rostagno Rino Giacalone<br />
27 – Fulvio Vassallo Respingimenti egiziani<br />
30 - Omicidio Marconi Gianni Lannes<br />
34 – Graziella Proto Margherita Passalacqua<br />
37 – Salemi… Franco Lo Re<br />
41 – Antonio Tozzi Teatro Garibaldi<br />
42 – In attesa di giudizio Antonella Serafini<br />
44 – Omicidio di Giorgiana Masi Norma Ferrara<br />
47 - Il mondo degli ultimi Alberto Rotondo<br />
49 - Le vignette Gianni Allegra<br />
52 - Nadia Furnari Telejato Abbiamo trasmesso<br />
53- Coppola Editore<br />
54 - “Cronachette” Amalia Bruno<br />
56 - Associazione Antimafie “Rita Atria”<br />
<strong>Casablanca</strong> – Direttore Graziella Proto – protograziella@gmail.com<br />
Edizione Le Siciliane di Graziella Rapisarda – versione on-line: http://www.lesiciliane.org/casablanca<br />
Registraz. Tribunale Catania n.23/06 del 12.07.2006 – dir. Responsabile Riccardo Orioles<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 2
Editoriale - mensile<br />
Volevamo esimerci<br />
dalle<br />
commemorazioni<br />
La realtà supera la fantasia.<br />
Pensavamo di ricordare Francesca<br />
Morvillo in modo diverso, e prima di<br />
inserire il pezzo, una sua lettera<br />
immaginaria al marito, ci siamo posti<br />
centomila domande. Abbiamo avuto<br />
un milione di dubbi. Sarà capita?<br />
Come potrebbe essere interpretata?<br />
Volevamo esimerci dalle<br />
commemorazioni tradizionali, siamo<br />
stati travolti dalla realtà. La tragedia<br />
di Brindisi alla scuola Francesca<br />
Morvillo. Impensabile! Incredibile!<br />
Nessun commento. Tanto dolore.<br />
Tanto sgomento per i nostri ragazzini<br />
a scuola. I massimi sistemi, i teoremi,<br />
li lasciamo agli altri. Terrorismo?<br />
Mafia? Terrorismo mafioso?<br />
Ognuno faccia la propria parte. Il<br />
proprio dovere. Abbandoni lo<br />
schermo e le prime pagine.<br />
Distraggono. Necessitano attenzioni,<br />
presenza, persone, strumenti. Questo<br />
paese è già molto pressato.<br />
Su questo numero abbiamo voluto<br />
affrontare i vari modi dell’esser<br />
partigiani, ma una ragazzina,<br />
Melissa, ancora non aveva avuto il<br />
tempo di deciderlo, a quell’età,<br />
l’allegria e la leggerezza dovrebbero<br />
essere l’unico obiettivo. L’unico<br />
diritto. Il diritto alla vita. La sola<br />
partigianeria.<br />
***<br />
Questi due mesi dall’altro numero<br />
sono stati densi di avvenimenti. Tutti<br />
importanti. Tutti da segnalare.<br />
Tuttavia i nostri mezzi non sono<br />
all’altezza di seguire tutto. Ce ne<br />
scusiamo. Bisogna selezionare.<br />
Scegliere. Evidenziare. Se non altro<br />
per manifestare da quale parte stare.<br />
Sicuramente stiamo dalla parte<br />
degli operai in via crucis, gli<br />
esodati, i disoccupati, i precari, le<br />
donne di Temini Imererse simbolo<br />
della lotta degli operai Fiat in difesa<br />
del posto di lavoro e contro la<br />
chiusura degli stabilimenti. Dalla<br />
parte di coloro che, di lavoro<br />
muoiono.<br />
***<br />
C’è bisogno d’informazione vera.<br />
Approfondimento sul territorio<br />
soprattutto per l’informazione<br />
antimafiosa. Tuttavia, questo<br />
settore, è quasi totalmente sulle<br />
spalle delle piccole testate e<br />
televisioni. Avete pochi mezzi?<br />
Sembra dire il governo e i grossi<br />
gruppi editoriali, bene vi togliamo<br />
anche questi. E l’informazione sul<br />
territorio? E la democrazia? Vaff….<br />
direbbe qualcuno, ma questo<br />
qualcuno come i grossi nomi del<br />
giornalismo se ne fregano. Telejato,<br />
la piccola televisione di Pino<br />
Maniaci e la sua famiglia, sta per<br />
chiudere. E’ il loro unico lavoro.<br />
Resteranno in mezzo alla strada.<br />
Telejato rappresenta tutti noi.<br />
“Siamo tutti Telejato” e non siamo<br />
d’accordo sul come vengono<br />
assegnate le frequenze. I piccoli<br />
vanno tutelati. Si chiama<br />
Democrazia. Chi di dovere,<br />
dovrebbe ricordarlo ogni tanto<br />
invece di dare solo numeri. Dietro<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 3<br />
ogni numero ci sono persone. La loro<br />
vita. Le loro dignità, le loro<br />
sofferenze, i loro diritti. Non si può<br />
usare solo il numero del dovere e<br />
dell’Europa vuole e dice. L’Europa<br />
dice anche che la nostra<br />
informazione è fra gli ultimi posti al<br />
mondo. Telejato assieme a tante altre<br />
piccole testate, per l’impegno e il<br />
coraggio che ci mette nel raccontare i<br />
fatti, dovrebbero essere patrimonio<br />
collettivo. Invece sono lottati.<br />
Ufficialmente e in modo sotterraneo.<br />
Santoro per fare un esempio, anziché<br />
dare visibilità ai figli dei mafiosi,<br />
dovrebbe mettere i riflettori su questo<br />
settore. Non solo lui.<br />
L’Europa dice. Dice anche che in<br />
Italia il lavoro è remunerato poco,<br />
non esiste uno stato sociale adeguato,<br />
non ci sono servizi a sufficienza, gli<br />
stipendi in generale ma operai e<br />
insegnanti in particolare sono da<br />
fame e che solo da noi esistono<br />
persone con pensioni di oltre<br />
quaranta mila euro.<br />
VERGOGNA
Palestina Genocidio Culturale<br />
Le Giovani Donne del movimento<br />
Stefania Mazzone<br />
Docente di Storia della filosofia Università di Catania<br />
Gerta Human Reports<br />
15 marzo Palestinese<br />
Restano UMANE<br />
Il potere di Hamas, Autorità Palestinese, Israele. La violazione della IV Convenzione di<br />
Ginevra. Le violazioni da parte dell’esercito israeliano. Dall’ottobre 2000 al giugno 2008,<br />
658 studenti sono stati uccisi, 4852 feriti di cui 3607 minorenni e 738 imprigionati. Tra i<br />
docenti, trentasette sono stati uccisi, cinquantacinque feriti e 190 detenuti. Durante<br />
l’operazione militare Piombo Fuso (dicembre 2008 – gennaio 2009) l’aviazione israeliana ha<br />
bombardato gravemente duecentoottanta scuole/asili e sedici edifici universitari. Sono stati<br />
uccisi 164 studenti e dodici docenti. Gli ostacoli alla libertà di spostamento per gli studenti e<br />
i docenti scoraggiano, di fatto, l’anelito all’istruzione, alla conoscenza e alla formazione. La<br />
discriminazione degli studenti arabi da parte di università israeliane, denunciati anche da<br />
organizzazioni israeliane per i diritti umani. Il ruolo delle giovani donne della primavera<br />
araba nella lotta contro l’arroganza del potere.<br />
Insieme ad un gruppo di docenti<br />
universitari e ricercatori italiani<br />
particolarmente sensibili alla situazione<br />
universitaria e scolastica del popolo<br />
palestinese, (sia nei territori occupati<br />
Gaza e Cisgiordania, sia all’interno dello<br />
Stato israeliano, in particolare in Galilea,<br />
dove vivono oltre un milione di “arabiisraeliani”),<br />
ho partecipato ad<br />
un’esperienza di insegnamento e di<br />
incontro con la forze e l’intelligenza<br />
della nuova generazione di studenti<br />
palestinesi. Insieme abbiamo denunciato<br />
le gravi violazioni del diritto<br />
all’istruzione, della libertà di<br />
insegnamento e della libertà di pensiero<br />
del popolo palestinese.<br />
Poiché l’Italia nel 2009 è diventata<br />
primo partner europeo nella ricerca<br />
scientifica e tecnologica dello Stato di<br />
Israele, responsabile delle violazioni di<br />
cui sopra, si rende necessario che la<br />
comunità accademica italiana prenda<br />
coscienza delle discriminazioni in atto.<br />
Il livello culturale e scientifico nelle 11<br />
università palestinesi è stato fortemente<br />
condizionato dall’occupazione e dalle<br />
restrizioni alla mobilità di docenti e<br />
studenti, in violazione della IV<br />
Convenzione di Ginevra. Dopo la<br />
chiusura di scuole e università<br />
palestinesi da parte del governo<br />
israeliano durante la Prima Intifada<br />
(1987-93), gli accordi di Oslo hanno<br />
consentito la creazione di un Ministero<br />
dell’Istruzione dell’Autorità Nazionale<br />
Palestinese, ampiamente finanziato allo<br />
scopo di controllare l’ordine pubblico<br />
interno, ma le violazioni da parte<br />
dell’esercito israeliano sono continuate.<br />
In termini di perdita di vite umane,<br />
dall’ottobre 2000 al giugno 2008, 658<br />
studenti sono stati uccisi, 4852 feriti (di<br />
cui 3607 minorenni) e 738 imprigionati.<br />
Tra i docenti, 37 sono stati uccisi, 55<br />
feriti e 190 detenuti.<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 4<br />
Nello stesso periodo il danno totale alle<br />
università (edifici, attrezzature ecc.) a<br />
causa delle invasioni israeliane ammonta<br />
a 7.888.133 USD, mentre per le scuole il<br />
danno è di 2.298.389 USD. Tutto questo<br />
comporta una bassa percentuale di<br />
studenti iscritti e una scarsa presenza di<br />
docenti. A Gaza, in particolare, la<br />
situazione è drammatica: il 50% degli<br />
studenti è assente e lo è anche il 40% dei<br />
docenti. Qui durante l’operazione<br />
militare Piombo Fuso (dicembre 2008 –<br />
gennaio 2009) l’aviazione israeliana ha<br />
bombardato, distruggendo o<br />
danneggiando gravemente, 280<br />
scuole/asili e 16 edifici universitari. In<br />
pochi giorni sono stati uccisi 164<br />
studenti e 12 docenti. La privazione della<br />
libertà di movimento di studenti e<br />
docenti palestinesi è inoltre una<br />
violazione del diritto allo studio e<br />
all’attività accademica. I check-point<br />
militari che costellano la Cisgiordania
endono difficile raggiungere scuole e<br />
università, e nei periodi in cui si<br />
svolgono esami scolastici e universitari i<br />
controlli si fanno particolarmente severi.<br />
A Gaza invece è l’assedio a impedire<br />
l’entrata e l’uscita dalla striscia di<br />
docenti palestinesi che volessero<br />
svolgere attività di ricerca presso<br />
università estere, di docenti stranieri che<br />
volessero visitare le università di Gaza, e<br />
degli oltre 1000 studenti che ogni anno<br />
fanno domanda per studiare all’estero. E<br />
non dovrebbero essere dimenticati i casi<br />
di discriminazione degli studenti arabi da<br />
parte di università israeliane,<br />
ampiamente denunciati da<br />
rappresentanze studentesche e sindacati<br />
di docenti palestinesi ma anche da<br />
organizzazioni israeliane per i diritti<br />
umani. Più generalmente, le principali<br />
istituzioni accademiche israeliane non<br />
hanno assunto una posizione critica o<br />
neutrale nel conflitto e rivendicano anzi<br />
il sostegno della ricerca scientifica alle<br />
istituzioni governative e militari<br />
israeliane, giungendo persino a tollerare<br />
il riconoscimento dello status di “centro<br />
universitario” al College di Ariel, situato<br />
in un insediamento illegale nei territori<br />
occupati.<br />
IL RUOLO DELLE DONNE<br />
In Palestina, però, la primavera araba è<br />
stata Occidentale e filo-anarchica,<br />
rappresentata dal movimento studentesco<br />
del “15 Marzo”, come i loro alleati<br />
israeliani, sempre più numerosi insieme<br />
ai disertori dell’esercito, gli attivisti di<br />
“Anarchici contro il Muro” e ai militanti<br />
Palestina Genocidio Culturale<br />
di JCall, un’organizzazione transazionale<br />
di Ebrei contro le politiche dello Stato di<br />
Israele. Un movimento, quello del 15<br />
marzo, costretto alla clandestinità e alla<br />
repressione violenta da parte di Hamas<br />
nel territorio di Gaza. Ho incontrato<br />
giovani studenti alla testa di un<br />
movimento che, da Gaza a Ramallah,<br />
mette in discussione intanto il potere<br />
politico, militare, economico, di Hamas<br />
e di Fatah, in nome della parola d’ordine<br />
di un unico stato di diritto in cui ogni<br />
individuo sia considerato libero ed<br />
eguale nei diritti e nei doveri. Citano<br />
Thoreau, mi abbracciano in quanto ebrea<br />
e anarchica, impegnati nella loro terra ad<br />
una non facile lotta all’antisemitismo, il<br />
loro leader a Ramallah, Fadi Quran, è<br />
laureato in fisica alla Stanford<br />
University e ha rinunciato ad un<br />
sicuro e brillante futuro negli<br />
States per continuare la lotta<br />
contro il triplice potere che<br />
assassina la libertà del suo<br />
popolo: Hamas, Fatah, il<br />
Governo dello Stato di<br />
Israele. Arrestato per<br />
una azione di<br />
disobbedienza civile a<br />
Hebron, città fantasma,<br />
in cui vige l’apartheid<br />
del marciapiede e della<br />
carreggiata, voluto da<br />
Israele e dall’Autorità<br />
palestinese, oggi Fadi<br />
continua la sua lotta<br />
insieme alla straordinaria<br />
forza delle militanti palestinesi.<br />
Disseminate per le Università<br />
della Cisgiordania, alle donne il<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 5<br />
compito di discutere, organizzare,<br />
interpretare le azioni contro l’arroganza<br />
del potere e in sostegno alla strabiliante<br />
quantità di giovani studenti arrestati,<br />
ancora una volta, da Hamas, Autorità<br />
Palestinese, Israele. Sono ragazze<br />
determinate, colte, con l’unico obiettivo<br />
di emanciparsi, insieme agli uomini,<br />
dalle insidie del potere che lì, come nel<br />
mondo, colpisce sostanzialmente il<br />
diritto allo studio, secondo un vero e<br />
proprio progetto di genocidio culturale in<br />
atto a livello globale.<br />
A queste donne il compito di liberare il<br />
Medio Oriente, a queste donne il<br />
compito di incarnare un concetto di<br />
emancipazione e liberazione femminile<br />
divenuto per le nuove generazioni di<br />
ragazze europee forse addirittura<br />
incomprensibile, arretrate come sono nel<br />
riconoscimento della eguaglianza in<br />
mascolinità e non in differenza,<br />
indifferenti al potere emancipatore dello<br />
studio e della conoscenza, dimentiche di<br />
un sapere femminile che ha generato e<br />
curato l’umanità intera dal suo nascere.<br />
Vittorio Arrigoni aveva seguito e<br />
sostenuto questo movimento sul nascere,<br />
denunciando la criminale repressione di<br />
Hamas delle manifestazioni del 15<br />
marzo a Gaza. Vittorio Arrigoni è morto<br />
esattamente un mese dopo, il 15 aprile,<br />
per mano di militanti di una frangia di<br />
Hamas. Le donne e gli uomini<br />
palestinesi restano umani.
Palestina Genocidio Culturale<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 6
Palestina Genocidio Culturale<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 7
Palestina Genocidio Culturale<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 8
Una giovane magistrata e la sua passione civile e professionale<br />
La Passione<br />
delle donne<br />
Dora Bonifacio<br />
Una giovane magistrata fa un resoconto sulla sua passione civile e professionale. Le date e i momenti<br />
del pugno allo stomaco e il tuffo al cuore. La momentanea angoscia che si trasforma in coraggio<br />
e determinazione. Un susseguirsi di flash per spiegare ciò che le ha fatto amare la magistratura.<br />
Il ricordo di Giuseppe Fava e della sua rivista I Siciliani,Pio La Torre,il generale Dalla<br />
Chiesa e tante altre vittime della mafia. Il concorso per la magistratura con Francesca Morvillo<br />
Falcone conclusosi proprio quel 23 maggio del 92. Poche ore dopo la notizia della strage.<br />
Chissà quante volte li hanno messi così…di<br />
fila. Una fila lunghissima. Una linea<br />
rossa. Rossa come il sangue ma anche<br />
rossa come la passione.<br />
La mia fila “personale” inizia cosi.<br />
Pio La Torre: 30.4.1982;<br />
Carlo Alberto Dalla Chiesa: 2.9.1982;<br />
Giangiacomo Ciaccio Montalto :26 gennaio<br />
1983;<br />
Rocco Chinnici 29 luglio 1983;<br />
Giuseppe Fava, 5 gennaio 1984;<br />
Strage di Pizzolungo: 2 aprile 1985 ( autobomba<br />
contro Carlo Palermo);<br />
Peppe Montana: 28 luglio 1985;<br />
Ninni Cassarà: 6 agosto 1985;<br />
Antonino Saetta e il figlio Stefano:<br />
25 settembre 1988;<br />
Mauro Rostagno: 26 settembre<br />
1988;<br />
Rosario Livatino: 21 settembre<br />
1990;<br />
Antonino Scopelliti : 9 agosto<br />
1991;.<br />
Libero Grassi : 29 agosto 1991:<br />
Giovanni Falcone e Francesca<br />
Morvillo: 23 maggio 1992;<br />
Paolo Borsellino: 19 luglio 1992<br />
…<br />
Flash<br />
La mia vita di liceale, già segnata dalla<br />
violenza delle stragi fasciste impunite e da<br />
quella delle Brigate Rosse, si apriva<br />
all’università. Primo anno di Giurisprudenza:<br />
1982.<br />
Era gennaio. Ricordo quel teatro gremito.<br />
Un teatro sulla via Roma a Palermo (dove<br />
anni dopo Santoro avrebbe trasmesso una<br />
famosa puntata di Samarcanda).<br />
Un teatro gremito. Anche di tanti giovani.<br />
Le parole che rimbombano. Tuonano, per<br />
quanta passione hanno dentro.<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 9<br />
“Quattro punti” (“quatttrro” alla palermitana)…<br />
“La Mafia. La Pace. Lo Sviluppo.<br />
La Sicilia…. Per liberare la Sicilia dal potere<br />
mafioso. Per la pace e il disarmo. Per<br />
lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno.<br />
Per il rinnovamento democratico<br />
della Sicilia…”. Era la voce di Pio La<br />
Torre, ritornato in una Sicilia, infuocata<br />
contro i missili della Nato a Comiso.<br />
E poi quella mattina. La notizia si sparse<br />
veloce da Palermo a Catania. Vidi la macchina<br />
crivellata di colpi. Una “festa del 1°<br />
Maggio” tristissima.<br />
Le elezioni regionali vicine e la certezza<br />
che neanche quel brutale assassinio ne<br />
avrebbe cambiato l’esito.
Una giovane magistrata e la sua passione civile e professionale<br />
Poi di nuovo la speranza. La speranza in<br />
un Carabiniere. Il Generale Carlo Alberto<br />
Dalla Chiesa. Un uomo dello Stato. Ma<br />
anche un uomo libero, uno che parlava<br />
chiaro e sapeva dove: “Oggi mi colpisce il<br />
policentrismo della Mafia, anche in Sicilia,<br />
è questa davvero una svolta storica. È<br />
finita la Mafia geograficamente definita<br />
della Sicilia Occidentale. Oggi la Mafia è<br />
forte anche a Catania, anzi da Catania viene<br />
alla conquista di Palermo. Con il consenso<br />
della Mafia palermitana, le quattro<br />
maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano<br />
a Palermo”<br />
E poi di nuovo colpi che crivellano. Crivellano<br />
la passione…<br />
Il buio che ritorna.<br />
Mi rivedo vicino a Parigi, giovane ragazza<br />
“alla pari” che non voleva dimenticare il<br />
“francese” studiato per anni. Una bellissima<br />
pineta ai margini di una cittadina,<br />
dove portavo il “mio” Germain a giocare e<br />
mangiare il “giacciolo” (lui la “ghi” proprio<br />
non riusciva a pronunciarla).<br />
E quella voce che esce dalla radio del<br />
chiosco “Palerme comme Beyrouth. Une<br />
bombe placée à l'intérieur d'une voiture a<br />
explosé devant la maison du juge Rocco<br />
Chinnici, le tuant, avec ses gardes du<br />
corps et le portier de l'immeuble ".<br />
Quell’esplosione che rimbomba nella mia<br />
testa.<br />
Voglio fare il magistrato.<br />
E ancora speranza.<br />
Un giornale sconosciuto,<br />
“I Siciliani”<br />
diretto da un uomo orgoglioso e caparbio.<br />
Che parla in bianco e nero in una città grigia.<br />
Vidi il suo volto durante un’intervista<br />
a Giorgio Bocca: Giuseppe Fava. Parlava<br />
dei “Cavalieri del Lavoro”, degli intrecci<br />
tra mafia/politica/appalti.<br />
E poi un’altra notte. Una mattina che<br />
vuole risvegliarsi nell’ultimo giorno di<br />
festa e invece arriva una telefonata. Ieri<br />
sera hanno ucciso Giuseppe Fava il direttore<br />
de “I Siciliani”.<br />
E Catania si scopre mafiosa. Non tutta<br />
Catania.<br />
I mafiosi, i conniventi, i ciechi si svegliano<br />
con un “Pecorelli” di casa nostra, uno<br />
che ricattava la gente per bene. Come<br />
hanno potuto? Come glielo hanno permesso?<br />
E la rabbia sale. Sale ancora.<br />
Rileggere avidamente quel giornale pieno<br />
di squarci di verità su una città che non<br />
vuole capire, non vuole vedere, non vuole<br />
denunciare e, da troppo tempo, non<br />
vuole combattere, è balsamico.<br />
E la scia continua.<br />
L’autobomba contro Carlo Palermo,<br />
l’uccisione di Peppe Montana (un figlio di<br />
questa città), di Ninni Cassarà.<br />
Altri giudici: Antonino Saetta, Rosario<br />
Livatino, Antonino Scopelliti.<br />
Altri giornalisti: Mauro Rostagno.<br />
Un imprenditore: Libero Grassi.<br />
Falcone al Ministero.<br />
Il dubbio della resa. Come si può combattere<br />
la Mafia dai palazzi del potere. Il potere<br />
di uno Stato lontano, incapace e…<br />
spesso colluso.<br />
Lui tentava di spiegarlo. Ma<br />
molti di noi non capivano.<br />
Un altro barlume di speranza arriva<br />
dalla conferma da parte della<br />
Cassazione delle condanne al<br />
primo maxiprocesso alla Mafia.<br />
E poi l’uccisione di Salvo Lima.<br />
Il 20 maggio del 1992 parto per<br />
il concorso di magistratura, che<br />
supererò.<br />
Lei, Francesca Morvillo, è in<br />
commissione. La prima mattina<br />
mi avvicino: “mi scusi dottoressa,<br />
io dovrei solo fumare e non<br />
voglio intasare la fila per i bagni, dove<br />
magari qualcuno aspetta di andare davvero”.<br />
Il suo sguardo dolce: “vedremo che si<br />
può fare”. L’indomani una saletta viene<br />
riservata ai fumatori sempre sotto la stretta<br />
vigilanza dei carabinieri che controllano<br />
che non parliamo tra noi candidati. Chissà,<br />
forse le tante sigarette di Falcone mentre<br />
lavorava l’aiutano a capire.<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 10<br />
Finisco l’esame e il 23 maggio parto per<br />
Bologna per andare a trovare un pezzo<br />
della mia famiglia.<br />
Il telegiornale dell’una è uno shock per<br />
tutti. Capaci.<br />
La scia continua…e anche la passione.<br />
Il volto di Paolo Borsellino. Il suo saluto<br />
all’amico è anche il suo saluto a noi.<br />
L’uomo che dovrebbe essere il più protetto<br />
dell’Universo è lasciato solo, con la sua<br />
misera scorta.<br />
Quante volte ho pensato che avremmo<br />
dovuto scortarlo noi tutti. Proteggerlo come<br />
l’ultimo baluardo, stringerci intorno a<br />
lui a migliaia, seguendolo passo passo.<br />
Non potevamo sapere che invece lo Stato<br />
“trattava”…. Eppure dovevamo essere più<br />
saggi.<br />
Il male di questa nostra Sicilia, orgogliosa<br />
ma impotente, è la delega.<br />
I puri delegano i puri, i corrotti delegano i<br />
corrotti. Ma nessuno che prende in mano<br />
“l’ascia di guerra”. Nessuno che alza la te-<br />
sta e dice: “IO”.<br />
IO devo combattere la mafia.<br />
IO devo proteggere chi la combatte.<br />
IO devo accusare chi non lo fa.<br />
IO devo essere libero, sempre.<br />
IO devo votare gli onesti.<br />
IO devo urlare: BASTA!
Solo il desiderio di immaginare una donna innamorata…<br />
Perché ti amo<br />
Lettera Immaginaria di<br />
Francesca Morvillo<br />
Ettore Zanca<br />
Lettera immaginaria di Francesca a Giovanni . Nessuna presunzione, solo il desiderio di<br />
immaginare una donna innamorata che pensa al suo innamorato. Una fantasia per<br />
ricordarla come una donna e non solo come un magistrato. Un ventitré maggio diverso,<br />
dolce, gentile, umano. Femminile. Solo un’immaginazione. Timida. Rispettosa. Riguardosa.<br />
Una cosa fatta in punta di piedi, solo per ricordare e sentirli vicini come persone a noi care.<br />
Non me lo hai mai chiesto, non me lo<br />
chiederai mai. Non a parole. I tuoi gesti<br />
e quell’aria protettiva rivelano un amore<br />
che non ti appartiene in dolcezze inutili,<br />
ma in comportamenti quotidiani. Io lo so<br />
che mi ami e tu lo sai che ti amo. E non<br />
me lo chiedi.<br />
Lo sai che ti amo perché hai un profondo<br />
senso del dovere, saldo come una<br />
scogliera, ma hai anche un sorriso che<br />
diventa il mare ondivago e malinconico<br />
che quella scogliera la lambisce. Ti amo<br />
perché so quanto ti costa il sacrificio che<br />
credi di imporre pure a me. Ti amo<br />
perché a volte anche nel momento più<br />
difficile della tua vita e del tuo mestiere,<br />
non mi hai mai negato un sorriso.<br />
Ti amo perché so quanto costa far<br />
valere legalità e diritto, forse perché<br />
faccio il tuo stesso mestiere. Ti amo<br />
perché so quanto tieni alle poche persone<br />
che ami davvero, la tua<br />
scorta, i tuoi amici, tanto<br />
che quando ti allontani e io<br />
resto sola con loro, a volte<br />
gli vorrei dire di non<br />
combattere la mafia con lo<br />
stesso accanimento con cui<br />
la combatti tu.<br />
Ti amo perché da quando<br />
sto con te non vedo il<br />
confine tra pericolo e vita<br />
quotidiana, lo stesso che<br />
forse c’è tra sogni e incubi.<br />
Ti amo perché con me<br />
diventi un bambino, tanto<br />
che ti sei dichiarato a mio fratello come<br />
un ragazzino, o quando davanti ai tuoi<br />
amici più cari hai fatto vedere che mi<br />
davi un bacio perché non ci credevano<br />
che stavamo<br />
insieme.<br />
Ti amo perché<br />
mi fanno ridere<br />
quelli che nella<br />
quotidianità<br />
più grigia<br />
vedono<br />
l’amore come<br />
una fatica, e<br />
noi allora?<br />
Ti amo perché devo dividerti con il tuo<br />
senso del dovere e dello stato. E perché<br />
noi due siamo una cosa simbiotica,<br />
infatti da quando non ci siamo più è<br />
difficile trovare foto pubbliche con me<br />
da sola.<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 11<br />
Ti amo perché nessun’altra donna<br />
avrebbe preso quello che mi hai detto tu<br />
come il più grande gesto d’amore verso<br />
una nuova vita. E per questo ti ringrazio<br />
Giovanni.<br />
Quando parlammo di bambini, mi dicesti<br />
di no. Ricordo ancora le parole: "Non<br />
generiamo orfani". Ti amo perché forse,<br />
grazie a te adesso ci piange una persona<br />
di meno, ma se ci fosse stato, nostro<br />
figlio avrebbe pianto più forte di tutti gli<br />
altri e io, anche dove siamo adesso non<br />
avrei sopportato il suo dolore, come<br />
qualsiasi madre che ha un cuore.<br />
Sempre tua. Francesca<br />
La mafia non è affatto invincibile; è un<br />
fatto umano e come tutti i fatti umani ha<br />
un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto,<br />
bisogna rendersi conto che si può vincere<br />
non pretendendo l'eroismo da inermi<br />
cittadini, ma impegnando in questa<br />
battaglia tutte le forze migliori delle<br />
istituzioni
Smit<br />
il Partigiano Siculo<br />
Santina Sconza<br />
Smit, il Partigiano siculo<br />
Le scarpe con le suole di sughero per attraversare le montagne piene di neve … freddo, fame,<br />
disagi, paure. Torture. I racconti dei nostri partigiani “morti per la libertà”; storia, poesia,<br />
epica, epopea.<br />
I siciliani che decisero di prendere la strada della clandestinità per lottare contro il fascismo<br />
furono moltissimi. Per lo più si trasferirono al nord. Alla fine della guerra alcuni riuscirono a<br />
ritornare nei loro paesi d’origine, altri no.<br />
Fra coloro che persero la vita nella guerra di liberazione: Graziella Giuffrida e Salvatrice<br />
Benincasa. torturate e uccise una a Genova l’altra a Monza.<br />
Fra i fortunati che riuscirono a ritornare Salvatore Militti, il partigiano Smit. Un arzillo<br />
anziano classe 1922 con tanta voglia di raccontarsi.<br />
Sembra uno scugnizzo<br />
napoletano. Piccolo e sottile di<br />
statura, agile e svelto come un<br />
gatto, gli occhi vivaci e<br />
trasparenti, sempre sorridente.<br />
Salvatore Militti non sembra un<br />
novantenne. Come se avesse<br />
trascorso una vita agevole, senza<br />
problemi. In realtà non è così,<br />
Salvatore inizia ad avere<br />
problemi fin dalla nascita.<br />
A tre mesi dalla nascita, nel<br />
1922 a Lentini in provincia di<br />
Siracusa viene abbandonato dal<br />
padre e vive nella casa dei<br />
nonni materni, famiglia<br />
numerosissima e patriarcale. A<br />
undici anni fa l’apprendista<br />
fabbro, l’anno dopo fa il<br />
meccanico e ripara i motori per<br />
il sollevamento dell’acqua dai<br />
pozzi artesiani. La passione per<br />
la meccanica lo accompagnerà<br />
fino ai nostri giorni, nella<br />
cantina della sua casa c’è ancora<br />
una officina da fabbro dove si<br />
dedica a piccoli lavori.<br />
Nel ‘40 prende il diploma scuola<br />
di avviamento professionale,<br />
l’anno successivo vince il<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 12<br />
concorso nelle Ferrovie dello Stato e il<br />
12 luglio del ‘41 inizia il suo servizio a<br />
Catania.<br />
Il 22 aprile del ‘42 riceve la cartolina<br />
militare per prestare servizio militare in<br />
marina, alla visita militare a Siracusa, a<br />
causa di una punta di ernia inquinale,<br />
viene trasferito nei ruoli di terra e prende<br />
servizio a Cuneo nel 33° Reggimento di<br />
Fanteria. Assegnato all’ufficio matricola,<br />
batte a macchina il modulo M.43 per i<br />
militari che vanno a visita di controllo<br />
all’ospedale militare di Alessandria.<br />
“L’otto settembre 1943 ero andato al<br />
cinema, durante l’intervallo alcuni<br />
commilitoni annunciavano a tutti i<br />
presenti la fine della guerra. Nessuno ci<br />
crede la proiezione continua, dopo alcuni<br />
minuti suona l’allarme e più voci ci<br />
invitano a correre in caserma. Rientrati,<br />
ascoltiamo il messaggio del Maresciallo<br />
Badoglio alla nazione che annuncia<br />
l’armistizio.<br />
Per alcuni giorni aspettiamo degli ordini<br />
che non arrivarono, così tutti decidemmo<br />
di lasciare Cuneo per poter tornare<br />
ognuno alla propria casa, ma l’Italia era<br />
spezzata e per me era impossibile
aggiungere la Sicilia. Mi ritrovai con tre<br />
emiliani tra cui Sergio Camparini e un<br />
romano, che essendo munito di patente,<br />
si reca in un deposito di auto e riesce a<br />
portar via una Millecento nuova di<br />
zecca. Con quell’auto ci avviammo<br />
verso Roma passando per l’Emilia,<br />
durante il percorso attraversammo il<br />
greto di ben cinque fiumi e nell’ultimo il<br />
Taro, essendo più ricco di acqua<br />
rimanemmo in panne, fummo costretti a<br />
spingere la macchina fuori dal fiume con<br />
tutte le nostre forze.<br />
Sulla via Emilia ci imbattemmo in posto<br />
di blocco tedesco, i militari armati di<br />
palette e mitra fermavano i mezzi<br />
pesanti, impauriti svoltammo su una<br />
strada laterale ma ci trovammo ad<br />
attraversare un campo pieno di tedeschi<br />
che sui prati si godevano un tranquillo<br />
riposo. Superato questo pericolo, ed<br />
essendo nelle vicinanze di Campagnola<br />
Emilia paese di Sergio, decidemmo di<br />
abbandonare l’auto e proseguire a piedi,<br />
durante il tragitto giungemmo presso una<br />
famiglia che conosceva il padre di<br />
Sergio, qui ci offrirono una cena calda e<br />
un posto dove dormire. Il giorno dopo ci<br />
prestarono una bicicletta per raggiungere<br />
a Campagnola Emilia la cascina di<br />
Sergio, dove fui accolto come un figlio<br />
ed avendo il padre un podere a<br />
mezzadria, mi fermai con loro a lavorare<br />
i campi”.<br />
Poco dopo la nuova Repubblica Sociale<br />
di Salò pubblicò un bando con il quale<br />
ordinava che tutti gli sbandati dovevano<br />
registrarsi nei comuni dove risiedevano,<br />
perché non sarebbero più stati richiamati<br />
alle armi.<br />
“ I primi di marzo del ‘44, invece i<br />
repubblichini richiamano alle armi le<br />
classi del ’22 e del ’23, a seguito dei<br />
nuovi ordini dovevamo recarci<br />
giornalmente in caserma per l’appello;<br />
ogni giorno qualcuno mancava e<br />
l’addetto alla chiamata alla fine diceva:<br />
quelli che non hanno risposto andranno<br />
subito sotto processo. In quei giorni,<br />
valutando che il regime fascista stava per<br />
essere sconfitto e la Sicilia era stata<br />
liberata, avevo contattato il Comitato<br />
Nazionale di Liberazione per poter<br />
disertare e recarmi in montagna per far<br />
parte delle formazioni partigiane”.<br />
Da quel giorno comincia la tua<br />
avventura da partigiano?<br />
“Si! Abbiamo atteso l’ordine del CNL, il<br />
17 marzo ci viene comunicato di non<br />
presentarci all’appello e di aspettare alla<br />
periferia di Reggio Emilia. Quella sera ci<br />
ritrovammo in sette. Calata la notte, si<br />
Smit, il Partigiano siculo<br />
presentò la nostra prima staffetta che ci<br />
accompagnò per la pianura fino alle<br />
prime colline, sfuggendo ai posti di<br />
blocco. Qui ci prese sotto la sua<br />
protezione Brenno, antifascista da lunga<br />
data.<br />
La marcia fu faticosa, i monti che<br />
sembravano vicini e coperti di neve in<br />
realtà erano sempre più lontani, le nostre<br />
scarpe con le suole di sughero non erano<br />
adatte ai percorsi di montagna, presto si<br />
sfondarono furono momenti di<br />
scoraggiamento, qualcuno pensava che<br />
forse sarebbe stato meglio tornare<br />
indietro. Nel posto convenuto non<br />
trovammo la nostra terza staffetta, allora<br />
Brenno ci lasciò in un bosco, e dovette<br />
tornare indietro per chiedere spiegazioni.<br />
Improvvisamente ecco che incontriamo<br />
la 7° Brigata Garibaldi comandata da<br />
Eros (Didimo Ferrari) reduce da uno<br />
scontro a fuoco con i fascisti.<br />
Eros aveva una lunga militanza<br />
antifascista, aveva già fatto dodici anni<br />
tra galera e confino. Eros era un vero<br />
comandante, quando si accorse che<br />
avevo le scarpe rotte mi disse: Ti do le<br />
mie”.<br />
Cosa successe dopo?<br />
“La nostra postazione fu una chiesa sul<br />
monte Ventasso. Al comando di Eros<br />
attaccammo una caserma di fascisti per<br />
procurarci armi,<br />
munizioni,<br />
vettovaglie e divise,<br />
dopo una breve<br />
sparatoria, i fascisti<br />
si arresero.<br />
Poi il distaccamento<br />
cui appartenevo si<br />
divise ed io passai al<br />
gruppo partigiano<br />
“Don Pasquino” al<br />
comando di William<br />
(Villa Massimiliano).<br />
Si dormiva di giorno<br />
e di notte si entrava<br />
in azione.<br />
Attaccavamo le<br />
caserme dei<br />
Carabinieri e dei<br />
fascisti presenti sul territorio. Una notte<br />
abbiamo anche attaccato e messo fuori<br />
uso una fabbrica di tannino, dove si<br />
produceva una vernice che esportata in<br />
Germania era utilizzata per gli aerei e<br />
carri armati”.<br />
Attaccavate le caserme dei carabinieri,<br />
qual era la loro reazione?<br />
“Ora ti racconto un episodio particolare<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 13<br />
– dice dopo aver riflettuto per un attimo<br />
- Una sera attaccammo una caserma di<br />
Carabinieri comandata da un sergente<br />
calabrese. L’ufficiale, accetta di<br />
dialogare con William, e gli consiglia di<br />
non tentare di espugnare la caserma,<br />
perché è ben difesa e minata, poi, con<br />
fare enigmatico dice: preferisci dieci<br />
oggi o venti domani. William capisce al<br />
volo e decide di ritirarsi. Il sergente si<br />
vantò con i suoi superiori della brillante<br />
vittoria contro i partigiani e la caserma<br />
fu rafforzata con una mitragliatrice.<br />
Alcune<br />
settimane<br />
dopo<br />
tornamm<br />
o e la<br />
mitragliat<br />
rice fu<br />
nostra. In<br />
altre<br />
incursion<br />
i<br />
incontra<br />
mmo dei<br />
carabinie<br />
ri amici<br />
di alcuni<br />
partigiani<br />
e<br />
facilment<br />
e li persuademmo a passare con noi”.<br />
Avete avuto scontri solo con i fascisti o<br />
anche con i tedeschi?<br />
“Una volta catturammo anche un<br />
capitano medico tedesco, Buck. Era il 17<br />
giugno 1944. Vi racconto com’è andata,<br />
il nostro comandante William, il<br />
commissario Gallo e altri due compagni,<br />
si recarono a Traversetolo per procurarsi
del cibo e riuscirono a farsi dare un<br />
grosso carico di grano. Nel frattempo si<br />
accorsero della presenza di un’auto<br />
tedesca, do ve alla guida c’era un<br />
capitano medico delle SS, la prontezza<br />
dei partigiani non diede tempo al<br />
capitano di difendersi, né di fuggire e fu<br />
catturato. Il nostro comandante felice per<br />
gli obiettivi raggiunti, ordinò di ritornare<br />
con le due macchine al rifugio. La<br />
presenza delle macchine ci fece<br />
sospettare un attacco tedesco, per cui<br />
velocemente ci appostammo per un<br />
agguato. Il tedesco fu sorpreso dalla<br />
nostra preparazione militare e ci fece i<br />
suoi complimenti. Buck fu tenuto<br />
prigioniero e si pensò di scambiarlo con<br />
dei partigiani detenuti a Reggio. Parlava<br />
bene l’italiano e per passare il tempo gli<br />
procurammo alcune riviste, lui ci diceva:<br />
Voi italiani avete troppe chiese e poche<br />
scuole”.<br />
Come avete proceduto per lo scambio?<br />
“La mediazione fu affidata a un prete.<br />
L’accordo prevedeva il rilascio, in zona<br />
partigiana, di ventitré prigionieri italiani,<br />
muniti di lasciapassare tedesco.<br />
Smit, il Partigiano siculo<br />
L’accordo fu accettato, e lo scambio<br />
ebbe luogo, i prigionieri erano tutti in<br />
cattive condizioni di salute e molti<br />
avevano subito torture.<br />
Il capitano medico, fu trattato così bene,<br />
che dopo il rilascio ci avvertiva dei<br />
rastrellamenti, facendoci pervenire delle<br />
lettere con gli itinerari che i<br />
nazifascisti avrebbero percorso. A<br />
novembre<br />
Una di queste lettere, fu consegnata a<br />
un capo distaccamento sassarese, lui<br />
la conservò in una tasca<br />
dimenticandola. Quando la<br />
consegnò al comando, ormai era<br />
troppo tardi, nel rastrellamento<br />
tedesco, dodici nostri compagni<br />
avevano trovato la morte”.<br />
Gli episodi di scambio fra<br />
partigiani e soldati tedeschi in<br />
quel periodo furono moltissimi, a volte<br />
con successo, altre no.<br />
“A volte le cose non andavano come<br />
speravamo. Con grande dolore non<br />
riuscimmo nonostante i nostri tentativi a<br />
liberare i sette fratelli Cervi che furono<br />
fucilati”. Un attimo di commozione poi<br />
riprende.<br />
“In autunno, come<br />
capo squadra, fui<br />
trasferito a<br />
Corniglio, un<br />
tranquillo paese, in<br />
cui era stato<br />
attrezzato un campo<br />
di lancio dove gli<br />
inglesi<br />
paracadutavano<br />
armi, munizioni e<br />
altra merce.<br />
Quando Radio<br />
Londra con<br />
messaggi in codice<br />
ci avvisava dei lanci<br />
di rifornimento,<br />
preparavamo delle<br />
fascine di legna<br />
disposte a forma di<br />
V, in attesa di essere<br />
accese appena si<br />
sentiva il rombo del<br />
motore dell’aereo.<br />
Un giorno ci<br />
lanciarono mille<br />
paia di scarpe di<br />
pura pelle e mille<br />
paia di suole di<br />
ricambio.<br />
Tra il novembre ‘44<br />
e gennaio ‘45 i<br />
tedeschi che<br />
avevano sentore<br />
della sconfitta,<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 14<br />
scatenarono due grossi rastrellamenti nel<br />
parmense, impiegando notevoli forze,<br />
nel primo ci furono più di cento morti tra<br />
i partigiani, il secondo fu meno<br />
drammatico perché i partigiani<br />
riuscirono a sganciarsi<br />
dall’accerchiamento. Finita questa fase,<br />
si fece<br />
molto<br />
forte la<br />
nostra pressione<br />
militare, andavamo a sottrarre i beni<br />
nascosti dalle famiglie che si erano<br />
arricchite con favori politici. Il 26 aprile<br />
del ‘45 ero al comando di un gruppo di<br />
venticinque partigiani e ci preparavamo<br />
alla conquista di Parma. Giunti alla<br />
periferia fummo bersaglio di franchi<br />
tiratori. Era una donna che facendo finta<br />
di stendere la biancheria, sul balcone di<br />
casa tra un capo e l’altro con un fucile ci<br />
sparava. La catturammo e la portammo<br />
al campo sportivo. Dopo alcuni giorni,<br />
liberata la città, in segno di<br />
riconoscimento a Parma che ci aveva<br />
ospitato ci fu una grande parata cui<br />
parteciparono tutti gruppi partigiani”.<br />
La guerra era finita, l’Italia era stata<br />
liberata “ mi fermai a lavorare nella<br />
cascina del mio comandante Lupo<br />
(Cesare Cepelli) fino al settembre del<br />
‘46, poi, pressato dalle continue lettere<br />
di mia madre, mi lasciai convincere a<br />
tornare in Sicilia.Arrivato a Lentini, feci<br />
domanda per rientrare in ferrovia, dopo<br />
il corso di aiuto macchinista fui<br />
assegnato alla guida di una locomotiva.<br />
Ho conosciuto Anna Giovanna e il<br />
dodici ottobre del ‘49 la sposai”.<br />
Grazie capitano Smit<br />
*Presidente Provinciale ANPI Catania
Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />
Il maggio fu francese<br />
Rivoluzione culturale<br />
a Corleone<br />
Graziella Proto<br />
Maria aveva appena quindici anni e non accettava divieti e<br />
proibizioni: il padre la picchia e la chiude in casa, i frati<br />
francescani dicono che è indemoniata. Ama il “frocio “ del paese,<br />
Nino Gennaro, un appestato da evitare che metteva strane idee in<br />
testa ai ragazzi: la libertà, l’uguaglianza, la differenza, la mafia. Uno<br />
strano intellettuale. Maria Di Carlo ha capito che è affine a lui. Si<br />
batterà per essere se stessa, senza ipocrisie. L’amore per Nino sarà solo uno<br />
strumento, uno stimolo in più per realizzare la sua libertà. Una vita costellata da lotte, teatro,<br />
impegno sociale e tanto amore.<br />
Una vecchia stradina quasi angusta,<br />
caratteristica. A un estremo un archetto<br />
che unisce i due lati della strada,<br />
alla’altro delle vecchie e antiche mura.<br />
Fra le case che sembra debbano cadere<br />
da un momento all’altro, un palazzotto<br />
tardo ottocento apparentemente<br />
insignificante, fatiscente appoggiato alle<br />
vecchie mura. In questo palazzotto,<br />
trenta anni fa circa, è nata una specie<br />
di comune formata da dieci giovani che<br />
facevano i conti con la precarietà e la<br />
sopravvivenza quotidiana. Erano<br />
marziani? Erano libertini? Intellettuali<br />
strani? Erano persone provenienti da<br />
realtà, culture, mestieri differenti. I<br />
protagonisti del Teatro Madre, ideato e<br />
pensato da Nino Gennaro, un<br />
intellettuale siciliano eclettico. Un poeta<br />
non allineato, dalla coscienza civile<br />
scomoda. Un politico di strada. Attore,<br />
regista. Un omosessuale o bisessuale.<br />
Qui vive ancora la donna che fu sua<br />
compagna di vita e di lotta. La sua<br />
discepola prediletta. La sua ispiratrice.<br />
Una scala stretta e ripida. Interminabile.<br />
Alla sommità della scala s’intravvede un<br />
aggrovigliamento immenso e scuro. Si<br />
presuppone di capelli. Visto da vicino un<br />
cespuglio nero è fatto di riccioli<br />
dispettosi, disordinati, ribelli. Ognuno<br />
deciso a non seguire l’altro. Ognuno per<br />
la sua strada. Lo strano cespuglio ci<br />
attende gioiosamente in cima,<br />
all’ingresso dell’ultimo piano. Non<br />
ricordo bene l’ingresso, perché subito si<br />
passò in uno spazio che non saprei<br />
definire. Un piccolo salone? Un vasto<br />
corridoio? Poco importa. La luminosità,<br />
una luce che arriva dalle vetrate di un<br />
terrazzo non particolarmente curato, non<br />
pieno di piante esotiche straordinarie o<br />
particolari, subito ti colpisce. Il<br />
pavimento non è ricoperto dalle solite<br />
mattonelle, forse vetro o forse no, ma i<br />
raggi che vi arrivano sopra ne riflettono<br />
il colore, si mischiano. Quella luce<br />
intanto ti avvolge. Ti distrae. Un<br />
ambiente bizzarro e accogliente.<br />
Affascinante. Anche le altre stanze<br />
emanano lo stesso sentire. Spazi<br />
suggestivi senza che ci sia qualcosa di<br />
particolare. Di costoso. Di pregiato. Anzi<br />
la nostra ospite si prodigherà a spiegarci<br />
che in quella casa tutto è riciclato. Ogni<br />
oggetto, trovato o donato ha una sua<br />
storia precisa. Tutto, sembra essersi<br />
fermato agli anni settanta. Quella è<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 15<br />
l’atmosfera che si respira. Le librerie<br />
metalliche rosse, i poster dei<br />
rivoluzionari, le vecchie poltrone<br />
trafugate nelle case delle nonne. Ci si<br />
trova immersi in un’atmosfera intrigante<br />
e coinvolgente. Ci mettiamo nello studio.<br />
Una specie di santuario. La poltrona di<br />
Nino vicino ai vetri che danno sul<br />
terrazzo, l’unica parete non coperta dalle<br />
librerie è piena di locandine dei suoi<br />
spettacoli, i suoi lavori, sue foto.<br />
Quel cespuglio irto, ribelle e selvaggio<br />
ha una faccia deliziosa e un nome Maria.<br />
Maria Di Carlo è un fiume straripante.<br />
Ascoltarla è bello, perché mentre parla,<br />
si muove, cammina, ride, gesticola, a<br />
volte recita, non per mistificare, ma per<br />
passione, partecipazione al ricordo. A<br />
diciassette anni divenne famosa perché a<br />
Corleone, denunciò il padre che la<br />
privava della libertà di frequentare il<br />
ragazzo che le piaceva e i frati<br />
francescani del rinnovamento per averla<br />
sottoposta all’esorcismo. Mentre<br />
osserviamo per capirne di più inizia a<br />
parlare. “Qui con Nino siamo stati<br />
diciotto anni. Abbiamo vissuto nella<br />
stessa casa fino alla fine. Non in senso<br />
coppia. Negli ultimi anni avevo già
Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />
l’attuale compagno, anche lui Nino. La<br />
vita di coppia era già finita ma, in realtà<br />
non finisce, si trasforma, sfuma in<br />
qualcosa di più, di meglio. Lo reputo il<br />
mio partner per antonomasia. E’ stata la<br />
persona con cui ho condiviso<br />
maggiormente il senso di complicità.<br />
Quando è morto, avevo trentasei anni.<br />
Nel 1980, in questa casa, Nino Gennaro<br />
creò il gruppo “Teatro Madre”, dal nome<br />
di una sua opera: Una compagnia di non<br />
attori, un teatro insolito, povero e senza<br />
mezzi. La scena? Piazze, università,<br />
case. Tutti luoghi in cui si potevano<br />
svolgere dibattiti e momenti di<br />
comunicazione. Maria ne è l’interprete.<br />
Anche lui recita.<br />
COMPAGNA DI VITA<br />
E DI LOTTA<br />
Nino Gennaro è stato un attivista<br />
nella lotta alla mafia per i diritti<br />
sociali, per la libertà, per la<br />
diversità. Poeta e drammaturgo. Era<br />
un bisessuale ed ha vissuto in tempi<br />
di forte arretratezza culturale<br />
soprattutto nell’entroterra<br />
siciliano, a Corleone, feudo di<br />
Luciano Liggio. La sua<br />
personalità dirompente,<br />
poliedrica e pirotecnica<br />
affascinava i giovani di<br />
Corleone, ne faceva un<br />
educatore di strada, ma, agli occhi<br />
dei genitori era un frocio pericoloso<br />
che plagiava i loro figli.<br />
“ L’aspetto eterosessuale era quello<br />
predominante. Più profondo. In lui<br />
c’era anche l’altra dimensione.<br />
Nino non sottaceva, la viveva e basta.<br />
Per me era come un punto a suo favore.<br />
Nino rispetto agli altri aveva una marcia<br />
in più”.<br />
Fra il 1974 e il 1975, a Corleone, per i<br />
ragazzi la vita è dura. Maria, figlia di<br />
medico e studente ginnasiale fa parte<br />
dell’azione cattolica, frequenta corsi di<br />
teologia, fa catechismo ai piccoli,<br />
insomma una signorina di buona<br />
famiglia. Partecipa a una specie di<br />
rinnovamento religioso gestito dai frati<br />
francescani che avevano occupato il<br />
vecchio carcere borbonico e lo avevano<br />
riadattato. Erano diversi dai nostri preti,<br />
vestivano sempre con la stessa tonaca,<br />
camminavano estate e inverno con i<br />
sandali o a piedi nudi, predicavano la<br />
povertà, vivevano della carità della<br />
gente. Per i ragazzi erano molto<br />
affascinanti. I frati, in quel tempo<br />
organizzavano anche il cosiddetto<br />
Cursiglio d’importazione spagnola. Era<br />
una tre giorni di liturgie, preghiere e<br />
giaculatorie per sposi, per fidanzati, per<br />
ragazzi. La ragazza partecipa anche al<br />
Cursiglio, ma alla fine, a differenze di<br />
tutti gli altri, ne esce diffidente. Tuttavia,<br />
ha un bellissimo rapporto con Fra<br />
Cristoforo, molto amato dai giovani<br />
attratti oltre che dalla sua retorica, dalla<br />
sua tonaca piena di pezze. Toppe<br />
coloratissime.<br />
Nella Corleone di allora Maria teorizza<br />
la libertà di costumi, libertà sessuale,<br />
sesso prima del matrimonio. Solo teoria,<br />
la pratica era diversa. Aveva circa<br />
quindici anni, nelle scuole di Corleone le<br />
classi miste erano appena nate, in aula<br />
prima entravano le femmine e poi i<br />
maschi. Rispetto alle altre era un poco<br />
più libera. La domenica andava alle<br />
baracche, teneva i bimbi dei<br />
baraccati per farli<br />
partecipare<br />
alla messa.<br />
“Non avevo alternative. Pensavo che a<br />
Corleone non esistesse altro. Ero<br />
ignorante perché non passava nulla”.<br />
Una situazione intellettuale e culturale<br />
soffocante.<br />
Anche a scuola una serie di episodi<br />
rende il clima pesante. I ragazzi<br />
protestano e trasgrediscono?. I genitori si<br />
mettono d’accordo per tenerli più<br />
repressi. I ragazzi si ribellano Una specie<br />
di corpo a corpo per i ragazzi, da un lato<br />
con genitori e dall’altro con professori.<br />
Succede che a un cineforum proiettano<br />
“Romanzo popolare”, alla fine una<br />
professoressa attacca il film come<br />
scandaloso e pornografico. ” Per la<br />
prima volta in vita mia prendo la parola<br />
in pubblico. Con la gola strozzata e la<br />
voce tremolante faccio un intervento<br />
nevrotico in cui sostengo che per me non<br />
lo era per niente anzi lo trovavo<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 16<br />
interessante. Aggiungo, che a Corleone i<br />
ragazzi eravamo sotto una cappa<br />
mortifera insopportabile e che noi<br />
volevamo contaminarci. Alla fine, in un<br />
crescendo isterico ci infilai il mio<br />
discorso tipico dell’epoca, cioè i rapporti<br />
prematrimoniali sono una cosa sacro<br />
santa e se questo significava essere<br />
puttane ebbene sì, io ero felice di essere<br />
una puttana. Un putiferio. Questa cosa in<br />
pochi minuti fa il giro del paese e<br />
all’uscita del cinema mi viene incontro<br />
Nino Gennaro cui hanno già raccontato e<br />
mi dice che mi vuole conoscere e che mi<br />
manderà un suo libro di poesie. Me lo<br />
porterà Giovanna una sua amica che<br />
diventerà anche mia e che sarà la prima<br />
abitante di questa casa. Il titolo del libro<br />
è strano e lunghissimo. Folle. “Il Maggio<br />
fu francese, rivoluzione culturale<br />
meridionale, A ognuno il suo Vietnam,<br />
super show per persone intelligentissime,<br />
a Luciano Liggio che ha ammazzato<br />
Michele Navarra … “ Lo lessi<br />
immediatamente. Capivo, non capivo,<br />
non so cosa capivo, ma, era una sferzata.<br />
Scopro che a Corleone esisteva<br />
dell’altro, che c’erano persone molto<br />
interessanti che potevo conoscere”.<br />
Un’onda oceanica.<br />
Non tutti la pensano come Nino.<br />
Il padre di Maria va su tutte le<br />
furie. Ha una figlia perversa? E poi<br />
che figura ci fa con gli altri? Iniziano<br />
le repressioni e le punizioni.<br />
L’ESORCISMO<br />
La ragazza è una cattolica praticante,<br />
eccentrica, come l’idea che ha della<br />
confessione, non pentimento ma<br />
confronto. Succede così che durante un<br />
confronto-confessione con fra Cristoforo<br />
suo padre spirituale, gli dice<br />
dell’assemblea e delle sue idee di<br />
libertà. “Tu sei fuori strada, mi dice Fra<br />
Cristoro, tu non lo puoi fare, è<br />
assolutamente sbagliato – per poi<br />
aggiungere - Io questa notte ho avuto un<br />
incontro col demonio che mi ha buttato<br />
giù dal letto tanto che ho dovuto dormire<br />
ai piedi del tabernacolo. Adesso in te<br />
vedo la personificazione del maligno …<br />
ti vuoi sottoporre all’esorcismo. Sei<br />
troppo sbagliata figliola”<br />
Maria ha visto il film, l’esorcista, cosa le<br />
potrebbe accadere? Pensa, al massimo<br />
vomito, quindi la curiosità, i quindici<br />
anni, il dubbio che forse è sbagliata<br />
veramente, anzi indemoniata, la<br />
consegna di non parlarne con nessuno,<br />
accetta.<br />
***<br />
“Cristoforo raduna tutti gli altri ragazzi
Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />
in una stanza a pregare, loro non sanno<br />
cosa sta succedendo, sanno che c’è<br />
bisogno delle loro preghiere. Nell’altra<br />
stanza inizia il rito. Il frate mi dice di<br />
inginocchiarmi, io mi rifiuto. Comincia a<br />
leggere preghiere di San Lorenzo,<br />
mostra le ginocchia callose per tutto il<br />
tempo in cui sta inginocchiato in<br />
preghiere, mi chiede di baciargli forse il<br />
cordone o la mano non ricordo perché<br />
ridacchiavo, insomma manifestavo tanti<br />
segni di non pentimento e disturbanti.<br />
Non mi dà l’assoluzione. Alla fine mi<br />
vieta categoricamente di parlarne con gli<br />
altri. Non ne parlerò. Per circa un anno e<br />
mezzo, continuerò a frequentare il<br />
gruppo, mi confesserò con altri frati.<br />
Non mi daranno l’assoluzione. Mancava<br />
il pentimento”. Pentirsi di che?<br />
L’INCONTRO CON<br />
NINO GENNARO<br />
Non c’è dubbio, Nino Gennaro è stato un<br />
portatore di innovazione a Corleone.<br />
Con un finanziamento dell’allora Psi,<br />
aveva creato la sede della Federazione<br />
Giovanile Socialista, un posto, dove i<br />
ragazzi trovavano di tutto, Bibbia, Reich,<br />
Famiglia Cristiana, Manifesto, L’Ora,<br />
fumetti, contro l’aborto di classe e tanto<br />
altro. A Corleone esisteva una sola<br />
libreria, lui metteva a disposizione di chi<br />
volesse leggere, tutto quel materiale, per<br />
far vedere che non esiste un modo solo<br />
di pensare e di vedere le cose. Il suo<br />
obiettivo era quello di combattere l’idea<br />
di un pensiero unico, di far aprire il<br />
paese che era chiuso in se stesso.<br />
Un’oasi incontaminabile come sosteneva<br />
il preside.<br />
La sede della FSG, era un posto in cui si<br />
ritrovavano persone che mai si sarebbero<br />
potute incontrare; muratori, elettricisti,<br />
studenti. Tutti convogliati da Nino, dal<br />
suo modo di fare pirotecnico. Era<br />
brillante, buffo, divertente. Uno che<br />
passava notti intere con giovani operai a<br />
parlare di sindacato e diritti. Vivace e<br />
affascinante. Non era un grigio e serioso<br />
funzionario di partito. Quasi tutti i<br />
ragazzi frequentavano la sede FGS di<br />
nascosto alle loro famiglie, entravano e<br />
uscivano dalla sede come fosse una<br />
catacomba. Un periodo di grandi<br />
apprendimenti per loro. Riunioni,<br />
dibattiti, riflessioni. Non esiste il<br />
monopolio del pensiero, tu fatti il tuo.<br />
Ed ancora, A Corleone non siamo tutti<br />
gregari di Liggio. Maria ne era molto<br />
affascinata.<br />
Quando il psi gli tolse il finanziamento<br />
perché non gli interessava quel tipo di<br />
lavoro che non gli portava voti, crearono<br />
il centro di aggregazione popolare<br />
Placido Rizzotto. Dove Maria non andò<br />
mai perché nel frattempo a casa sua, con<br />
suo padre succedeva il cataclisma.<br />
“Su suggerimento di Nino nel 1975<br />
abbiamo festeggiato l’8 marzo.<br />
Partecipammo in quattro. Io e una mia<br />
compagna avevamo scritto un libriccino<br />
ciclostilato – Alternativa -in cui<br />
raccontavamo della nostra situazione a<br />
Corleone, fatta di repressioni e<br />
restrizioni. Naturalmente non abbiamo<br />
firmato gli articoli con nostri nomi, ma<br />
con pseudonimi. I miei mi scoprirono e a<br />
casa mi fecero un cazziatone.<br />
Cominciarono le botte. Mio fratello che<br />
assieme a me frequentava il gruppo,<br />
batté subito in ritirata. Mia madre non<br />
condivideva mio padre ma, non aveva il<br />
coraggio di opporvisi”. Lei non si<br />
arrende.<br />
“Nino per il paese era il frocio. Era un<br />
pervertito, una persona da non<br />
frequentare. Da isolare. Una persona<br />
proibita. A distanza di tanti anni quando<br />
parliamo di quest’argomento con gli<br />
amici di allora, concordiamo sul fatto<br />
che l’omosessualità di Nino, fra noi non<br />
veniva fuori perché non era smaccata,<br />
non era esibita. Lo sapevamo perché lo<br />
dicevano gli altri. In paese sicuramente<br />
non era una sua pratica, in ogni modo era<br />
una persona molto proibita. Ci si<br />
frequentava di nascosto. In un crescendo<br />
di repressione i vari padri si coalizzano<br />
per non farci vedere più .Insomma ci<br />
separano. Non solo. Mio padre per<br />
piegarmi mi ritira dalla scuola. Subito i<br />
professori intervengono perché ero<br />
brava. Ritorno a scuola ma, a ogni<br />
piccola cosa mi ritira nuovamente. Ogni<br />
occasione era un pretesto per ribadire chi<br />
comandava e chi doveva ubbidire. Una<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 17<br />
volta partecipai assieme a due mie<br />
compagne allo sciopero dei braccianti.<br />
Non so il perché o le ragioni, percepivo<br />
solo che volevo stare dalla parte dei più<br />
deboli e per me in quel momento loro lo<br />
erano. Tranne noi tre ragazzine, era una<br />
folla di soli uomini. Cosa ricordo? Tante<br />
cacche di vacca. Conseguenze? Legnate.<br />
Ritiro dalla scuola. Chiuse, isolate a<br />
casa. Niente telefono. Per mesi con<br />
Nino non ci si vede. Io in pratica sono<br />
segregata. Inoltre, mio padre aveva<br />
chiesto al preside di non farmi uscire<br />
durante l’intervallo. Pianti e disperazione<br />
da parte mia che accusai anche il preside<br />
di rendersi complice di questa mia<br />
situazione famigliare. Ero disperata, ma<br />
non mollavo. Buscavo legnate e<br />
meditavo vendetta”<br />
Per tentare di ammorbidire il padre, la<br />
ragazza tenta di parlare con padre Umile,<br />
uno dei francescani, ma con il monaco,<br />
non si capiscono proprio. La pensa come<br />
il genitore, le dice che è sbagliata, che la<br />
deve smettere. A questo punto la giovane<br />
arrabbiata gli racconta dell’esorcismo<br />
minacciando di svergognarli con tutto il<br />
mondo. Maria è esasperata. Ha già<br />
compiuto diciassette anni.<br />
IL VOLANTINO<br />
“Un giorno mentre stavo per andare a<br />
scuola, arriva mio padre con un<br />
volantino in mano in cui c’era una<br />
vignetta che raffigurava lui a braccetto<br />
col preside ed io racchiusa in una gabbia.<br />
“Lo sa i che a scuola fanno queste<br />
cose?” “ Sì e me ne compiaccio”.<br />
Reazione immaginabile. Mi dà una<br />
scarica di legnatone e dopo esce da casa.<br />
Io eludo la sorveglianza di mia madre.<br />
Ed esco a ruota. Vado da una mia vicina<br />
e le chiedo di accompagnarmi al<br />
commissariato perché voglio denunciare<br />
mio padre. La signora si limita a fare giri<br />
a vuoto in macchina pensando che io mi<br />
distraessi e ci ripensassi. Mi accorgo di<br />
ciò e ancora più arrabbiata scendo dalla<br />
macchina.<br />
Per strada incontro due miei amici, con<br />
loro vado al centro Placido Rizzotto e lì,<br />
incontro Nino che non vedevo da mesi.<br />
Cerca di farmi ragionare, riflettere sulle<br />
conseguenze e nel frattempo scrive e<br />
disegna qualcosa. Ma io sono su tutte le<br />
furie, non voglio sentire ragioni, con i<br />
due amici vado al commissariato. Loro<br />
sono figli di due marescialli, mi<br />
accompagnano e se ne vanno. I loro<br />
padri sono sulla stessa lunghezza d’onda<br />
del mio e quindi non fanno altro che<br />
telefonare a casa mia per rassicurare lui e<br />
mia madre, - dottore, non è successo
Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />
niente … fra poco la condurranno a casa<br />
…<br />
- ma dovete verbalizzare - urlo<br />
indispettita! Loro non mi davano conto.<br />
Arriva la telefonata di un giornalista de<br />
L’ORA, Giuseppe Cerasa che dice<br />
maresciallo, so che da voi c’è Maria Di<br />
Carlo che sta denunciando suo padre<br />
cosa sta succedendo? E a questo punto<br />
hanno dovuto verbalizzare. Nel<br />
frattempo Nino arriva alla scuola, i<br />
ragazzi non sono ancora entrati e li<br />
avvisa che io ero al commissariato. La<br />
lasciamo sola? Volete fare scuola?<br />
Bisogna fare un’assemblea. Una<br />
professoressa con la sua scolaresca<br />
arriva al commissariato per testimoniare<br />
a mio favore”.<br />
Esce sul giornale. Notizia per<br />
telegiornali. L’insegnante avrà problemi<br />
penali perché aveva portato i ragazzi in<br />
commissariato senza autorizzazione.<br />
Maria e Nino diventano protagonisti di<br />
trasmissioni radiofoniche e televisive.<br />
Roba da prima pagina. Esperti che si<br />
confrontavano sul tema. Il paese pieno di<br />
giornalisti.<br />
“Quando pensai di denunciare mio padre<br />
non pensavo ad una vera e propria<br />
denuncia, con le conseguenze che ci<br />
sono state, pensavo ad una tiratina di<br />
orecchie. Invece la situazione mi sfuggì<br />
di mano”. Per mesi vive in isolamento<br />
fuori paese. Era la plagiata della<br />
situazione. “Mi trattavano bene, ma,<br />
m’impedivano di campare”.<br />
IL PROCESSO<br />
Tuttavia l’atmosfera era pesante, la<br />
situazione grave, specialmente per il<br />
dott. Di Carlo. Durante l’istruttoria erano<br />
venuti fuori i lividi dell’ultima legnata.<br />
Alle perizie seguono le controperizie.<br />
Un balletto di perizie. La situazione è<br />
incontrollabile.<br />
Era ancora una ragazzina minorenne. Al<br />
processo la parte civile dovrebbero<br />
Il dott. Di Carlo invece aveva due avvocati.<br />
Due principi del foro. L’avvocato Triolo che<br />
morirà ammazzato a Corleone, l’avv. Campo<br />
che difendeva i mafiosi.<br />
essere i genitori, ma il padre era<br />
l’accusato e la mamma non lo volle fare.<br />
Quindi non c’era avvocato accusatore. Il<br />
dott. Di Carlo invece aveva due<br />
avvocati. Due principi del foro.<br />
L’avvocato Triolo che morirà ammazzato<br />
a Corleone, l’avv. Campo che difendeva<br />
i mafiosi. Il processo è fissato per la<br />
settimana successiva alla chiusura della<br />
scuola. Al processo uno dei due legali<br />
impronta la difesa sul fatto che Nino<br />
Gennaro è omosessuale, quindi un<br />
malato, come tale da curare. Anzi,<br />
aggiunge l’altro, è bisessuale, quindi un<br />
vizioso. Usava droghe. Organizzava orge<br />
e festini, ha plagiato una ragazzina<br />
diciassettenne, deve essere punito. Il<br />
procuratore del Tribunale dei Minori è<br />
Giacomo Conte socio fondatore di quello<br />
che poi diventerà il Centro Impastato,<br />
deciderà che c’è stato abuso di metodi<br />
educativi e lesioni. Pertanto sarà il<br />
genitore a essere condannato: un mese di<br />
reclusione con la conseguente perdita<br />
della patria potestà. Un fatto solo<br />
simbolico perché dopo una settimana<br />
Maria avrebbe compiuto diciotto anni e<br />
sarebbe diventata maggiorenne.<br />
A casa c’era il lutto. Centinaia di visite<br />
in omaggio al capo famiglia. Una specie<br />
di cordoglio al padre. Alla<br />
ragazza sarà proibito pranzare a<br />
tavola con il resto della famiglia.<br />
Comunque la giovane Maria si<br />
incontra il suo Nino, senza che il<br />
padre le dicesse nulla. Non<br />
poteva. Tuttavia alla presenza di<br />
ospiti, tenterà di lanciarle una<br />
bottiglia.<br />
Un giorno in pieno centro di<br />
Corleone Nino è circondato da<br />
un gruppo di giovinastri che<br />
tentano di caricarlo in macchina.<br />
Comincia ad avere telefonate<br />
minatorie. Si trasferisce<br />
definitivamente a Palermo, dove<br />
stava durante i mesi del processo.<br />
Dopo una settimana che ha compiuto<br />
diciotto anni anche Maria, si trasferisce a<br />
Palermo.<br />
“Non c’è nessuna certezza. Cosa farò,<br />
dove vivrò, con chi vivrò. Con Nino non<br />
avevamo deciso nulla. Insomma una<br />
cosa molto anomala”. Erano diventati<br />
un caso famoso, tutti li cercavano. “Non<br />
abbiamo avuto<br />
difficoltà che ci<br />
ospitassero. Per molto<br />
tempo abitammo alla<br />
Vucceria. All’inizio,<br />
anche in questa casa<br />
fummo ospitati, poi, si<br />
liberò una stanza e la<br />
prendemmo noi. Ci<br />
abitava già Giusi<br />
Gennaro, Giovanna ed altri amici ,<br />
finimmo col restare. Ed è diventata la<br />
nostra casa. Scherzosamente chiamavo<br />
Nino fufo, dal 79 questa fu la casa dei<br />
fufi”.<br />
Abbandonò gli studi e lavorò da subito.<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 18<br />
La giornata tipo di Maria ragazza bene di<br />
Corleone, figlia di medico, che era<br />
cresciuta con la cameriera prevedeva<br />
tanto lavoro. Cameriera, bambinaia,<br />
insomma quello che capitava. “I miei mi<br />
avrebbero mantenuto anche all’estero, se<br />
avessi rinunciato a quel rovina famiglie<br />
di Nino. Cosa improponibile e<br />
inaccettabile. La rottura con mio padre<br />
comunque era iniziata prima che nella<br />
mia vita arrivasse Nino. Non sopportavo<br />
divieti e proibizioni”<br />
Hanno rapporti e contatti con gruppi,<br />
centri sociali, associazioni, ovunque<br />
c’era materiale umano con cui innestarsi.<br />
Erano sempre in giro, ma c’erano anche i<br />
momenti di casa scuola, teatro, letture,<br />
riflessioni. Senza tv. Si cucinava e si<br />
stava assieme.<br />
Rimpianti? No. Sono state cose molto<br />
sofferte. C’è stato tanto dolore Mia<br />
madre per vedermi veniva nel posto,<br />
dove io lavoravo di nascosto a mio<br />
padre. Cinque minuti e via. Morirà per<br />
questo, e con questo dolore. Per la<br />
situazione dell’epoca, non potevo fare<br />
che le cose che ho fatto. O ti adagiavi o<br />
ti ribellavi. Ne è valsa la pena, ho avuto<br />
la possibilità di vivere con Nino, una vita<br />
intensa, particolare. Non è stata solo una<br />
storia di amore, ho vissuto con Nino a<br />
360 gradi”.<br />
LA MALATTIA DI NINO<br />
“L’ AIDS è una malattia infamante. Una<br />
malattia il cui immaginario è legato a<br />
sesso diffuso e uso di droga. Nino non ha<br />
mai fatto uso di droghe. All’inizio,<br />
quando seppe della sua malattia, andò<br />
via da questa casa, non voleva vedere<br />
nessuno, non voleva parlare con<br />
nessuno. Erano anni in cui di ADS si<br />
moriva. Non ci si curava bene o male<br />
come ci si cura oggi. Anche noi, tutti<br />
quelli che gli stavamo vicino al principio<br />
ci lasciammo sopraffare dalla notizia.<br />
Poi ci fu un periodo di organizzazione.
Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione”<br />
Nino avrà un recupero meraviglioso e<br />
vivrà questa sua malattia preparandosi<br />
tante cose come sempre”. Ha vissuto la<br />
malattia e l’attesa della morte in modo<br />
collettivo.<br />
Nella casa aperta quindi, l’attività e il<br />
fermento continua. Attorno a Nino<br />
arrivano amici da ogni parte. Chi lavava,<br />
chi cucinava, chi gli faceva la rassegna<br />
stampa.<br />
Nella loro storia d’amore e di<br />
politica era prevista una<br />
alla morte, vivendo in modo più intenso<br />
possibile. Non chiudendosi. Facendo<br />
trasformazione, una evoluzione, ma, non<br />
ci poteva essere alcuna rottura. Infatti,<br />
continueranno a vivere nella stessa casa,<br />
faranno le cose di sempre da soli o<br />
assieme agli altri dieci. Teatro, politica,<br />
volontariato. Avevano creato<br />
associazioni, gruppi culturali, il centro<br />
sociale San Saverio, Comitato Cittadino<br />
di Informazione e<br />
Partecipazione, per<br />
dirne solo alcuni. Il<br />
Quando ci siamo conosciuti già eravamo<br />
due persone affini. In lui ho riconosciuto<br />
l’anima gemella. Non sono una sua<br />
creazione<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 19<br />
loro rapporto complesso e complicato<br />
ora, era una grande, intensa sintonia e<br />
complicità. Fino all’ultimo momento.<br />
Era il settembre del 1995.<br />
Se la giovane Maria non avesse<br />
incontrato Nino?<br />
“Quando ci siamo conosciuti già<br />
eravamo due persone affini. In lui ho<br />
riconosciuto l’anima gemella. Non sono<br />
una sua creazione”. Brava Maria.
Pio La Torre: un popolo in marcia<br />
Pio La Torre<br />
Un popolo in marcia<br />
Adriana Laudani<br />
Era un uomo forte e ostinato, mosso da passioni e convinzioni profonde. Un miscuglio di<br />
dinamismo, entusiasmo ed energia inesauribile. Infaticabile. Aveva chiesto al partito<br />
nazionale di ritornare in Sicilia con un ruolo di massima responsabilità. Creò un movimento<br />
di massa capace di fare “marciare” insieme cattolici e comunisti, giovani e vecchi. Un popolo<br />
in marcia e finalmente protagonista del suo destino. Un milione di firme contro la base<br />
missilistica e la militarizzazione della Sicilia. La campagna contro l’agio e i privilegi degli<br />
esattori Salvo e Cambria, i cavalieri del lavoro Costanzo, Rendo e Graci e dei capi mafia<br />
Greco. Il sistema di potere politico-affaristico-mafioso. L’impegno per una legge che<br />
configurasse il reato di associazione mafiosa e nello stesso tempo colpisse gli immensi<br />
patrimoni illegalmente accumulati: La Legge La Torre che sarà convalidata dopo la sua<br />
morte.<br />
In questi giorni si sono moltiplicate le<br />
iniziative di “commemorazione” di Pio<br />
La Torre, segretario del P.C.I. siciliano,<br />
ucciso il 30 aprile del 1982, solo ventisei<br />
giorni dopo la straordinaria<br />
manifestazione di Comiso<br />
contro l’installazione dei missili<br />
Cruise, per la cui riuscita aveva<br />
lavorato giorno e notte, senza<br />
tregua. Una manifestazione di<br />
popolo, pacifica e al tempo<br />
stesso combattiva, animata da<br />
migliaia di donne e giovani,<br />
operai e intellettuali, venuti da<br />
ogni parte della Sicilia e<br />
dell’Italia per contrastare una<br />
scelta che avrebbe trasformato<br />
l’Isola, come Lui ripeteva<br />
“ossessivamente”, in un’aria<br />
militarizzata, sottratta allo<br />
sviluppo, aperta ai traffici di<br />
armi e droga, porto franco per la<br />
mafia e i suoi affari.<br />
Aveva chiesto al partito<br />
nazionale di ritornare in Sicilia con un<br />
ruolo di massima responsabilità. Urgeva<br />
dentro di lui il senso di una personale<br />
“missione” da compiere: mettere a<br />
servizio della sua terra l’esperienza e le<br />
conoscenze accumulate in tanti anni di<br />
lavoro nel sindacato, nel partito e nel<br />
Parlamento; promuovere e dirigere un<br />
processo politico e un movimento di<br />
massa in grado di liberare la Sicilia dalle<br />
ipoteche mortali rappresentate dalla<br />
mafia e dalla presenza della base<br />
missilistica di Comiso. Enrico<br />
Berlinguer, stravolto davanti al corpo<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 20<br />
inerme e martoriato di Pio, volle<br />
ricordarlo così, non tacendo le<br />
incomprensioni e i “sospetti” che pure<br />
qualcuno aveva avanzato di fronte alla<br />
sua ostinata richiesta di dirigere il partito<br />
siciliano in una fase che egli<br />
riteneva decisiva per il<br />
futuro dei siciliani.<br />
Sì, perché era un uomo forte<br />
e ostinato, mosso da<br />
passioni e convinzioni<br />
profonde, dalle quali traeva<br />
una energia inesauribile e<br />
davvero non comune; che<br />
gli consentivano di porre a<br />
sé e a tutto il movimento<br />
obiettivi politici che altri<br />
avrebbero considerato<br />
impossibili o addirittura<br />
improponibili. Così l’ho<br />
conosciuto, appena<br />
designato Segretario del<br />
Partito siciliano, quando mi<br />
chiese di fare parte della sua<br />
segreteria, nell’autunno del 1981, ancor<br />
prima del Congresso regionale che lo<br />
avrebbe formalmente eletto nel gennaio<br />
dell’ottantadue.
UN POPOLO IN MARCIA<br />
Bisognava partire subito, diceva, non si<br />
poteva perdere un giorno. Le scelte<br />
adottate (“cinicamente”) dal Governo<br />
nazionale e dal Ministro alla Difesa ai<br />
danni della Sicilia erano già operative.<br />
La posta in gioco era tale da non<br />
consentire a nessuno di ritenere che<br />
bastasse una forte opposizione<br />
parlamentare per mutare gli orientamenti<br />
definiti e gli equilibri politici raggiunti a<br />
livello nazionale ed internazionale. Era<br />
necessario organizzare un movimento di<br />
massa capace di fare “marciare” insieme<br />
cattolici e comunisti, giovani e vecchi e<br />
di dare voce a un popolo finalmente<br />
protagonista del suo destino. La raccolta<br />
di un milione di firme sulla petizione<br />
contro la base missilistica e la<br />
militarizzazione della Sicilia, la<br />
formazione dei comitati unitari che in<br />
ogni Comune e in ogni Provincia<br />
mettessero in piedi iniziative tese a<br />
coinvolgere tutte le componenti sane<br />
della società civile avevano questo<br />
significato. Ogni mattina di buon’ora,<br />
dalla sua stanza in Corso Calatafimi,<br />
suonava la sveglia telefonica ai segretari<br />
di federazione, delle camere del lavoro,<br />
delle organizzazioni di massa vicine al<br />
partito, chiedendo del numero delle<br />
firme raccolte sulla petizione, delle<br />
assemblee di quartiere organizzate, dei<br />
consigli comunali chiamati a<br />
pronunziarsi, delle iniziative avviate.<br />
Lotta per la pace e contro la mafia<br />
divennero un binomio inscindibile,<br />
destinato a segnare quel passaggio della<br />
vita regionale che vide Pio La Torre<br />
protagonista.<br />
Così, mentre si raccoglievano le firme in<br />
calce alla petizione contro i missili,<br />
attraverso centinaia di assemblee e<br />
riunioni, si preparava la manifestazione<br />
di Comiso. S’interveniva in modo assai<br />
deciso sulla politica regionale, bloccando<br />
la legge che avrebbe aumentato a<br />
dismisura l’agio degli esattori (i Salvo, i<br />
Cambria), contrastando i metodi di<br />
assegnazione dei contributi regionali in<br />
agricoltura a favore di alcuni Cavalieri<br />
del Lavoro (Costanzo, Rendo e Graci) e<br />
di alcuni capi mafia (i Greco),<br />
denunziando il sistema di aggiudicazione<br />
degli appalti (l’affare delle dighe, ecc.).<br />
Ma neanche questo era sufficiente per<br />
fronteggiare gli attacchi che la mafia e il<br />
suo sistema di potere portavano ogni<br />
giorno al cuore della convivenza civile.<br />
Da qui l’impegno spasmodico del<br />
parlamentare Pio La Torre per giungere<br />
in tempi brevi all’approvazione di una<br />
legge che configurasse il reato di<br />
Pio La Torre: un popolo in marcia<br />
associazione mafiosa e nello stesso<br />
tempo colpisse gli immensi patrimoni<br />
illegalmente accumulati e li restituisse<br />
alla comunità; dotasse lo Stato di<br />
strutture investigative e giudiziarie in<br />
grado di contrastare un fenomeno<br />
criminale per troppo tempo tacitamente<br />
accettato e/o tollerato. Una legge a lungo<br />
osteggiata e ritardata, che il Parlamento<br />
avrebbe approvato solo dopo l’assassinio<br />
del Generale Dalla Chiesa nel settembre<br />
di quel terribile 1982 e che tutti noi<br />
ricordiamo come “la legge La Torre”.<br />
Ebbe in mente ed attuò una strategia<br />
complessa, in grado di unire inediti<br />
protagonismi individuali e collettivi, di<br />
mobilitare forze sociali e politiche di<br />
appartenenze diverse, di investire<br />
contemporaneamente le principali sedi<br />
istituzionali e il corpo della società<br />
civile. Anche gli obiettivi che una simile<br />
strategia poneva al centro erano<br />
molteplici e tali da coinvolgere, allo<br />
stesso tempo, ragioni ideali e<br />
concreti interessi: la pace, la<br />
liberazione dall’oppressione<br />
e dalla violenza mafiosa,<br />
quali condizioni essenziali<br />
per aprire alla Sicilia nuove<br />
prospettive di sviluppo e di<br />
lavoro, in una terra già<br />
allora afflitta da un tasso di<br />
disoccupazione assai<br />
preoccupante. Un<br />
orizzonte di progresso e di<br />
benessere attorno al quale<br />
motivare e mobilitare<br />
tanto le forze del mondo<br />
del lavoro che gli<br />
imprenditori sani.<br />
POLITICA-AFFARI-MAFIA:<br />
il suo pallino<br />
Alla base della sua visone della lotta<br />
sociale e politica, che quel tempo storico<br />
richiedeva, vi era una idea molto precisa<br />
delle forze e degli interessi da<br />
contrastare e da battere. Basti ricordare<br />
che Pio La Torre non parlò mai di lotta<br />
alla mafia, ma di lotta al sistema di<br />
potere politico-affaristico-mafioso;<br />
definendo i “delitti eccellenti”, che in<br />
quegli anni segnavano di sangue la<br />
Sicilia, quali delitti di terrorismo<br />
politico-mafioso. E’ utile, per meglio<br />
comprendere questo decisivo aspetto<br />
della sua personalità politica, rileggere<br />
l’intervento che svolse alla Camera dei<br />
Deputati subito dopo l’omicidio del<br />
Presidente della Regione siciliana<br />
Piersanti Mattarella: “Noi non dobbiamo<br />
dimenticare la storia della Sicilia e dei<br />
legami internazionali della mafia<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 21<br />
siciliana che la vicenda Sindona ha<br />
riproposto in maniera drammatica.<br />
Siamo di fronte ad imperi finanziari,<br />
anche fuori della Sicilia, controllati da<br />
gruppi mafiosi che operano in Sicilia o<br />
da famiglie siculo-americane, non solo<br />
nel traffico di stupefacenti o in altri<br />
traffici illeciti. E’ noto che il gruppo che<br />
fa capo all’ex sindaco di Palermo, Vito<br />
Ciancimino …. Siamo in presenza di<br />
nessi che bisogna saper cogliere.” Ma<br />
ancora prima, in occasione dell’omicidio<br />
del giudice Cesare Terranova, aveva<br />
introdotto una precisa distinzione tra<br />
“mafia e sistema di potere mafioso” che<br />
è quello composto da “uomini politici e<br />
uomini che sono in posizione chiave nel<br />
potere in Sicilia”.<br />
Era dotato di uno sguardo profondo e<br />
impegnato che gli consentiva di cogliere<br />
le ragioni non solo dei singoli delitti<br />
eccellenti, ma delle comuni ragioni e dei<br />
terribili interessi che li avevano<br />
provocati. Una<br />
visione che ieri come oggi sembra<br />
sfuggire ai più, dedicati a coltivare<br />
analisi del fenomeno mafioso assai più<br />
comode e riduttive, ma fallimentari nella<br />
prospettiva di una seria azione di<br />
contrasto.<br />
In questa direzione è inevitabile<br />
ricordare la propaganda che anche gli<br />
ultimi Ministri dell’Interno ci hanno<br />
propinato, definendo gli arresti di noti<br />
latitanti quali azioni decisive per la<br />
vittoria dello Stato sull’organizzazione<br />
mafiosa, nel mentre si consentiva che la<br />
mafia si aggiudicasse le concessioni<br />
nazionali dei giochi e delle scommesse,<br />
ovvero che partecipasse attraverso<br />
proprie imprese a numerosi lavori per la<br />
realizzazione di opere e servizi pubblici.<br />
Pio La Torre la pensava diversamente e<br />
coerentemente agiva: connettere in modo<br />
indissolubile la lotta contro la mafia e<br />
ogni forma di illegalità a quella contro<br />
l’installazione dei missili a Comiso era
indispensabile per aggredire il cuore di<br />
quel grumo di interessi politici,<br />
affaristici e mafiosi che ieri come oggi<br />
condizionano la vita economica, sociale<br />
e democratica della Sicilia e del Paese.<br />
Un sistema illegale e criminale, diceva,<br />
può essere contrastato solo da un sistema<br />
legale che sa mettere insieme e<br />
coordinare le azioni di contrasto mosse<br />
dalle istituzioni e dalla società.<br />
A noi resta il doveroso riconoscimento<br />
della sua straordinaria intelligenza<br />
politica che gli consentì, sin dal tempo<br />
della prima Commissione parlamentare<br />
antimafia, - della quale fu insieme al<br />
giudice Terranova protagonista e relatore<br />
di minoranza - di analizzare e<br />
comprendere il sistema politico-mafioso<br />
e le sue azioni terroristiche e criminali; e<br />
naturalmente, il riconoscimento di una<br />
coerenza e di un coraggio davvero rari in<br />
una terra da sempre dedita al<br />
trasformismo.<br />
Ma anche questo non può e non deve<br />
bastarci. Rileggere le parole e le azioni<br />
di Pio serve, infatti, non solo ad<br />
illuminare e a rendere comprensibile il<br />
Pio La Torre: un popolo in marcia<br />
decennio delle stragi di mafia che sta alle<br />
nostre spalle, ma a meglio leggere il<br />
presente e ad orientare le scelte che ci<br />
attendono. Forse anche questa nuova<br />
consapevolezza ha motivato le<br />
straordinarie attenzioni che si sono<br />
concentrate in occasione del recente<br />
trentesimo anniversario della sua morte<br />
violenta. I numerosi libri pubblicati, le<br />
interessanti trasmissioni televisive<br />
realizzate, i dibattiti e le iniziative da più<br />
parti promosse, la presenza a Portella<br />
delle Ginestre del Segretario Bersani,<br />
sembrano avere questo segno positivo. A<br />
ciò hanno forse contribuito le recenti<br />
“rivelazioni” riguardanti le trattative tra<br />
Stato e mafia intervenute attorno agli<br />
anni ’90, prima e dopo le stragi che<br />
hanno visto l’uccisione dei giudici<br />
Falcone e Borsellino, che tanto scalpore<br />
hanno suscitato nell’opinione pubblica<br />
nazionale.<br />
PATTI E TRATTATIVE? NO<br />
GRAZIE<br />
Chi nel corso di questi trenta anni ha<br />
preso parte alla battaglia contro la mafia<br />
sa da sempre, come Pio ci ricordava a<br />
volte gridandolo, che la mafia vive di tali<br />
accordi, patti e trattative, attraverso cui<br />
costruisce e alimenta quel sistema di<br />
potere che gli consente di associare a sé<br />
e ai suoi interessi pezzi di Stato, di<br />
imprenditoria, di politica, di<br />
amministrazione e di informazione.<br />
Chi come me ha vissuto e vive a Catania<br />
non può non ricordare che in quegli<br />
stessi anni di tutto questo e non di altro<br />
scriveva Pippo Fava su “I Siciliani”,<br />
operando una azione di autentico<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 22<br />
disvelamento e di coraggiosa rottura di<br />
quel “silenzio stampa” da sempre<br />
imposto e praticato in Sicilia. Oggi<br />
sappiamo con certezza, anche<br />
giudiziaria, che il 5 gennaio del 1984<br />
Pippo Fava fu ucciso dal medesimo<br />
sistema di potere politico-mafioso, e che<br />
il movente di quel delitto è iscritto nelle<br />
stesse ragioni che hanno condotto alla<br />
morte Mattarella, Chinnici, Dalla Chiesa<br />
e La Torre.<br />
Vale, infine, porsi e porre alcune<br />
domande: può l’Italia tollerare che i veri<br />
mandanti delle stragi e dei delitti<br />
eccellenti restino per sempre innominati<br />
e impuniti? E il sistema economico<br />
accettare, oltre l’imposizione del pizzo,<br />
la compenetrazione delle imprese e dei<br />
capitali mafiosi nel sistema<br />
imprenditoriale del Nord, del Centro e<br />
del Sud? Può la Sicilia sperare in un<br />
futuro diverso e intraprendere il<br />
cammino del cambiamento senza fare i<br />
conti con l’attuale sistema di potere<br />
politico-mafioso e con i suoi<br />
protagonisti? L’alternativa politica e<br />
amministrativa a tale sistema quali<br />
azioni di rottura e di discontinuità<br />
richiede?<br />
Per dirla con Pio, dalla capacità di<br />
risposta a queste domande dipende la<br />
qualità della stessa democrazia per il<br />
presente e per il futuro. Del passato<br />
conosciamo i prezzi pagati, in termini di<br />
arretratezza civile ed economica delle<br />
nostre comunità, di opportunità bruciate<br />
per le giovani generazioni.<br />
Per queste ragioni il suo ricordo alimenta<br />
in noi, insieme al rimpianto per averlo<br />
perduto, la ferma volontà di non<br />
rassegnarci e tantomeno di arrenderci.
Umberto Santino: Peppino Impastato anatomia di un depistaggio<br />
Peppino Impastato<br />
l’icona e la realtà<br />
Introduzione alla nuova edizione del libro “Peppino Impastato<br />
anatomia di un depistaggio”.<br />
La relazione della Commissione antimafia del 2000 e altri nuovi contributi.<br />
Umberto Santino<br />
A 34 anni dall’assassinio di Peppino<br />
Impastato possiamo dire che l’impegno<br />
dei familiari, di alcuni compagni di<br />
militanza, del Centro a lui intitolato, sia<br />
riuscito a ottenere una vittoria completa,<br />
definitiva. I mandanti del delitto sono<br />
stati condannati, la relazione della<br />
Commissione parlamentare antimafia,<br />
che ripubblichiamo in questa nuova<br />
edizione, ha indicato con nomi e<br />
cognomi i responsabili del depistaggio, il<br />
film a lui ispirato ha fatto conoscere al<br />
grande pubblico la sua figura,<br />
proliferano centri, associazioni, comitati<br />
che portano il suo nome, eppure ci<br />
troviamo dentro una storia tutt’altro che<br />
conclusa.<br />
Nei primi mesi dell’anno scorso la<br />
Procura di Palermo ha riaperto le<br />
indagini e dalle notizie che sono<br />
circolate sembra che si parta da zero. Si<br />
dice spesso che l’Italia è un paese senza<br />
memoria ma forse sarebbe più<br />
rispondente al vero dire che c’è una<br />
memoria selettiva, fatta di cancellazione<br />
della realtà e devozione per l’icona. E<br />
anche per Peppino Impastato si può fare<br />
la stessa considerazione. Si è formata<br />
un’icona, soprattutto in seguito al<br />
successo del film e ormai i «cento passi»<br />
sono diventati la metafora che ha<br />
eclissato o emarginato la realtà e la<br />
colonna sonora che ha piallato altre voci.<br />
Così, nelle iniziative che si susseguono<br />
con ritmo incalzante, Peppino è<br />
diventato un chierichetto della legalità,<br />
un giullare dell’antimafia, il protagonista<br />
di piazzate notturne che mai si sarebbe<br />
sognato di fare, il fiore nel fango, il Che<br />
Guevara della provincia siciliana,<br />
altrettanto improbabile come il Che delle<br />
magliette. E qualcuno ha ritenuto bene di<br />
cavalcare questa icona e decretare che<br />
tutto, o quasi, è dipeso da un film.<br />
La recente disavventura con la casa<br />
editrice Einaudi e con l’autore del<br />
bestseller Gomorra non è frutto del caso.<br />
Abbiamo chiesto la rettifica di<br />
un’affermazione assolutamente infondata<br />
(«Un film riapre un processo») e la<br />
risposta è stata una lettera intimidatoria<br />
della casa editrice e la querela di Saviano<br />
a un giornalista di «Liberazione» che<br />
aveva ripreso la nostra richiesta. Il libro,<br />
Don Vito a Gomorra, in cui ho<br />
raccontato questa e altre vicende<br />
esemplari del nostro tempo, ha trovato<br />
un cordone sanitario.<br />
Riproponiamo questo testo, che<br />
rappresenta un unicum nella storia<br />
dell’Italia repubblicana (non ci sono altri<br />
casi di relazioni di una Commissione<br />
parlamentare in cui si dica che<br />
rappresentanti delle istituzioni hanno<br />
depistato le indagini su un delitto<br />
politico-mafioso e coperto i<br />
responsabili), perché vogliamo<br />
continuare la nostra battaglia per la<br />
verità. La proposta di chi scrive che<br />
quello che è stato fatto per il delitto<br />
Impastato venisse fatto per altri eventi,<br />
delitti, stragi, su cui non c’è una verità<br />
giudiziaria, o è molto parziale, non è<br />
stata accolta. Questo testo è stato, e<br />
continua ad essere, un fatto eccezionale.<br />
Non si è avuto, e tutto lascia prevedere<br />
che non si avrà, qualcosa di simile per<br />
Portella della Ginestra, per piazza<br />
Fontana, per piazza della Loggia a<br />
Brescia, per la stazione di Bologna, i<br />
grandi buchi neri della storia d’Italia. La<br />
domanda con cui concludevo la<br />
prefazione alla seconda edizione di<br />
questo libro ha avuto risposta negativa. E<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 23<br />
il processo riaperto per la strage di via<br />
d’Amelio, dopo le rivelazioni di<br />
Spatuzza, pare che debba riscrivere solo<br />
parzialmente una sentenza fondata su<br />
dichiarazioni che troppo tardivamente<br />
sono state ritenute false e depistanti. Con<br />
ogni probabilità rimarrà ancora oscuro il<br />
ruolo dei «mandanti esterni». Anche le<br />
inchieste e i processi in corso sulla<br />
«trattativa» fra mafiosi e uomini delle<br />
istituzioni sembrano seguire un vecchio<br />
copione. Per un verso se ne parla come<br />
se fossero fatti nuovi, mentre<br />
l’interazione tra mafia e settori delle<br />
istituzioni fa parte della storia della<br />
mafia e dello Stato italiano e affonda le<br />
sue radici in periodi storici precedenti;<br />
per un altro sembra che le esigenze dello<br />
spettacolo prevalgano su quelle<br />
dell’accertamento della verità. La<br />
vicenda legata alle dichiarazioni di<br />
Massimo Ciancimino, centellinate con<br />
un accorto dosaggio mirante a calibrare<br />
l’istogramma dell’attenzione mediatica,<br />
è esemplare: poche persone, con al<br />
centro il padre Vito e un fantomatico<br />
uomo dei servizi, avrebbero deciso le<br />
sorti del Paese e il rampollo di un uomo<br />
di mafia è stato accreditato come il<br />
rivelatore della «vera» storia d’Italia.<br />
Finché il gioco è diventato troppo<br />
evidente e si è cercato di rimediare<br />
facendo scattare, almeno per qualche<br />
tempo, l’arresto. L’azione dei magistrati,<br />
alcuni dei quali hanno sacrificato la vita,<br />
è stata e rimane benemerita, l’attacco<br />
continuo che hanno subito, negli ultimi,<br />
lunghissimi, anni, da Berlusconi è<br />
semplicemente vergognoso, ma sulla<br />
loro strada possono presentarsi<br />
personaggi che più che ad aiutare a<br />
ricostruire la verità contribuiscono ad
Umberto Santino: Peppino Impastato anatomia di un depistaggio<br />
allontanarla. E questo avviene in un<br />
paese in cui depistaggi e complicità si<br />
consumano all’interno dei corpi<br />
istituzionali. Scarantino, il falso pentito<br />
per la strage di via d’Amelio, in buona<br />
parte seguiva un canovaccio scritto o<br />
dettato da altri. Ed è fin troppo facile<br />
addossare tutto sulle spalle di chi non c’è<br />
più.<br />
La battaglia per la verità riguarda ancora<br />
oggi la vicenda di Peppino. Si sono<br />
riaperte le indagini sul depistaggio, è<br />
stato ascoltato il fratello di Peppino, è<br />
stato ascoltato chi scrive, è stata<br />
interrogata la casellante del passaggio a<br />
livello in servizio la notte del delitto,<br />
data per irreperibile per decenni.<br />
Nella mia lettera alla Procura, che<br />
pubblico assieme a questo scritto, tengo<br />
a precisare alcune cose che<br />
sembrerebbero ovvie ma evidentemente<br />
non lo sono. Bisogna partire da alcuni<br />
punti fermi: le condanne dei mandanti<br />
(delle persone individuate come<br />
esecutori due sono morte, vittime della<br />
guerra di mafia, un’altra è viva, e non ho<br />
mai capito bene perché non è stata<br />
incriminata), questa relazione sul<br />
depistaggio.<br />
Si parla, si torna a parlare, di neofascisti,<br />
di servizi, delle amicizie di Badalamenti<br />
con i carabinieri, si rispolvera il vecchio<br />
fascicolo dell’assassinio di due<br />
carabinieri nella casermetta di Alcamo<br />
Marina nel gennaio del 1976, e ora, dopo<br />
l’assoluzione di Giuseppe Gulotta, che<br />
era stato condannato all’ergastolo in<br />
seguito a confessioni strappate con<br />
torture, si cerca di far luce su<br />
quell’evento, collegandolo con altri<br />
delitti, tra cui quello di Peppino. Bene, si<br />
indaghi, per quanto è possibile indagare<br />
dopo tanti anni, ma la traccia<br />
fondamentale è quella già segnata, con<br />
risultati che vanno considerati definitivi,<br />
anche se sono possibili integrazioni e<br />
approfondimenti.<br />
La riproposizione di questo testo mi<br />
auguro che possa servire a ripercorrere<br />
un cammino, con i risultati che si sono<br />
ottenuti e i prezzi che sono stati pagati,<br />
gli ostacoli che sono stati superati, la<br />
protervia di chi non ha mai cessato di<br />
pianificare e avallare depistaggi, ma pure<br />
l’impegno di chi ha saputo sostenere un<br />
difficile sfida, anche quando sembrava<br />
che il muro dell’impunità e delle<br />
complicità non si sarebbe mai sgretolato.<br />
Tutt’altro che un episodio marginale,<br />
periferico, ma un esempio di forte<br />
significato nel quadro della storia<br />
d’Italia. Un ausilio decisivo per chi<br />
questa storia vuole continuare,<br />
sottraendola alle tentazioni, sempre<br />
robuste, di replicare menzogne e<br />
oscurare verità.<br />
Umberto Santino<br />
Non si è avuto, e tutto lascia prevedere che non<br />
si avrà, qualcosa di simile per Portella della<br />
Ginestra, per piazza Fontana, per piazza della<br />
Loggia a Brescia, per la stazione di Bologna, i<br />
grandi buchi neri della storia d’Italia. La<br />
domanda con cui concludevo la prefazione alla<br />
seconda edizione di questo libro ha avuto<br />
risposta negativa.<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 24
Tutti sapevano che “la mafia a Trapani non c’era”<br />
Profumo di Zagara<br />
e tanfo di morte<br />
Rino Giacalone<br />
Tutti sapevano che “la mafia a Trapani non c’era” e Rostagno invece ne parlava, sempre,<br />
sempre, sempre. Una grande camurria. Don Francesco Messina Denaro, allora a capo della<br />
cupola, non lo sopportava proprio. Lo disse pure a Provenzano, da cui riceveva visite nella<br />
propria casa. Anche Siino – come Brusca e Milazzo, racconta ai giudici che a volere la morte<br />
di Rostagno è stato don Ciccio Messina Denaro. I poliziotti volevano mettere sotto indagine<br />
la mafia, ma, presto si trovarono fuori. Le testimonianze in Corte di Assise del generale<br />
Montanti e il luogotenente Cannas, alquanto sconcertanti, inverosimili … surreali …<br />
disonorevoli. Bisognava dimostrare che a Trapani la mafia non c’era?<br />
L’odore degli aranci e un ordine di<br />
morte. La terra di Sicilia sporcata dalla<br />
violenza mafiosa. Era il 1988 e<br />
quell’odore che solo i nostri agrumi<br />
sanno dare era quello che inondava il<br />
terreno di un mafioso, fratello di<br />
mafioso, genero di un patriarca della<br />
mafia, cognato di un sanguinario<br />
assassino.<br />
Il terreno in questione era quello di<br />
Castelvetrano di proprietà di Filippo<br />
Guttadauro, fratello del medico<br />
Giuseppe, il colletto bianco che era a<br />
capo del mandamento mafioso di<br />
Brancaccio a Palermo, il medico<br />
intercettato a fare da ponte tra Cosa<br />
nostra e la politica. Filippo Guttadauro è<br />
anche qualcosa di più, ha sposato<br />
Rosalia una delle figlie del patriarca<br />
della mafia belicina, Rosalia è figlia di<br />
Francesco Messina Denaro, il “campiere<br />
con il bisturi”, si occupava di terreni e<br />
latifondi don Ciccio Messina Denaro e lo<br />
faceva così con tanta precisione e<br />
scrupolo da meritare il riconoscimento di<br />
sapere bene usare il “bisturi”, perché lui<br />
sapeva come “incidere” il territorio,<br />
marcandolo con l’impronta mafiosa.<br />
Filippo Guttadauro perciò è il cognato di<br />
Matteo Messina Denaro il boss che è<br />
oggi certamente il capo della mafia<br />
trapanese, il mafioso che poco più che<br />
ventenne si vantava già che da solo con i<br />
suoi delitti poteva riempire un cimitero,<br />
oggi con le stesse mani, rimaste sporche<br />
di tanto sangue, gestisce dalla latitanza<br />
che dura da diciannove anni vere e<br />
proprie holding, imprese e casseforti.<br />
ROSTAGNO? UNA CAMURRIA<br />
In quel terreno di Castelvetrano in<br />
mezzo al profumo degli aranci nel 1988<br />
ad Angelo Siino - che non era solo il<br />
titolare di una concessionaria d’auto a<br />
Palermo o il pilota di rally amico dei<br />
migliori rampolli della borghesia di<br />
mezza Sicilia, ma era, soprattutto, il<br />
ministro dei lavori pubblici di Totò Riina<br />
- don Ciccio Messina Denaro comunicò<br />
che Mauro Rostagno era arrivato al<br />
capolinea, doveva cioè morire.<br />
Siino ha raccontato di quell’odore degli<br />
aranci e del tanfo della morte nell’aula<br />
bunker del carcere di San Giuliano a<br />
Trapani dove per alcune udienze si è<br />
trasferita la Corte di Assise che sta<br />
processando i presunti mandante ed<br />
esecutore del delitto di Mauro Rostagno,<br />
Vincenzo Virga e Vito Mazzara. Se<br />
Francesco Messina Denaro fosse ancora<br />
vivo, è morto nel 1998, ci sarebbe stato<br />
anche lui imputato in questo<br />
dibattimento, perché, le dichiarazioni di<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 25<br />
Siino, come altri collaboratori di<br />
giustizia, come Giovanni Brusca e<br />
Francesco Milazzo, riconducono la<br />
morte di Rostagno al volere di don<br />
Ciccio Messina Denaro: era una<br />
“camurria” Rostagno, così dicevano di<br />
lui i boss.<br />
Ogni giorno dalla tv, Rtc, dove si è<br />
ritrovato a lavorare dopo che da qualche<br />
anno era arrivato a Trapani, parlava<br />
sempre di una cosa, mafia, mafia e<br />
mafia, e questa cosa i boss non potevano<br />
permetterla, loro che dai politici, da altri<br />
giornalisti, dai professionisti avevano<br />
ottenuto ben altra attenzione. In quel<br />
1988 “la mafia a Trapani non c’era” e<br />
Rostagno invece ne parlava, sempre. E<br />
don Ciccio Messina Denaro non ne<br />
poteva più, lui era il capo della cupola<br />
provinciale, ed era il mafioso che<br />
periodicamente riceveva visite<br />
importanti nella sua casa di<br />
Castelvetrano. Chi era davvero don<br />
Ciccio lo svela un racconto, quello fatto<br />
da alcuni pentiti che hanno dimostrato di<br />
conoscere diversi segreti, come quello<br />
che riguarda la frequentazione tra Binnu<br />
Provenzano e don Ciccio Messina<br />
Denaro. Non era circostanza rara che i<br />
due si incontravano, ma non era don<br />
Ciccio Messina Denaro ad andare da<br />
Binnu a Corleone, ma era semmai questi
a raggiungere Castelvetrano, era già un<br />
latitante Provenzano, ma non aveva<br />
timore di mettersi alla guida di una Fiat<br />
500 per arrivare nel cuore del Belice e<br />
bussare alla porta di casa di don Ciccio<br />
Messina Denaro che lo attendeva.<br />
Qualche volta seduto sulle ginocchia del<br />
padre c’era Matteo, anni dopo oramai<br />
cresciuto e diventato anche lui boss,<br />
Matteo Messina Denaro nei pizzini<br />
inviati a Binnu, e firmati come Alessio,<br />
scriveva del suo enorme rispetto, del<br />
fatto di avere imparato a comportarsi da<br />
Tutti sapevano che “la mafia a Trapani non c’era”<br />
Oggi la mafia siciliana non ha più una cupola ma si è quasi<br />
“ndraghetizzata”, ci sono le diverse famiglie che distinte<br />
“governano” i territori.<br />
capo mafia grazie proprio a lui, di<br />
immedesimarsi in lui in modo totale,<br />
Binnu Provenzano per Matteo Messina<br />
Denaro aveva preso il posto del padre<br />
morto di crepacuore, da latitante, nel<br />
novembre del 1998, a poche ore da un<br />
blitz di Polizia che per la prima volta<br />
portava in carcere l’altro maschio di casa<br />
Messina Denaro, Salvatore, preposto di<br />
una agenzia della Banca Sicula, la Banca<br />
della famiglia D’Alì. Anni dopo quel<br />
rispetto finirà calpestato: quando<br />
nell’aprile del 2006 Provenzano venne<br />
scovato dalla Polizia nel covo di<br />
Corleone, saltò fuori l’archivio di<br />
“pizzini” che custodiva, documenti che<br />
“tradotti” disvelarono uomini e affari, e a<br />
quel punto Matteo non esitò a bollare<br />
come uno scimunito Provenzano in un<br />
altro “pizzino”, uno di quelli che<br />
“Alessio” scriveva a “Svetonio”, ex<br />
sindaco del suo paese, Tonino Vaccarino,<br />
non sapendo che questi faceva<br />
l’informatore dei servizi segreti.<br />
“Quel vecchio ci ha rovinati tutti”<br />
scriveva Alessio sfogandosi con<br />
Svetonio, non sapendo che anche lui<br />
stava facendo altrettanto e se il<br />
comportamento del Sisde del generale<br />
Mori, che aveva assolto Vaccarino-<br />
Svetonio fosse stato più accorto,<br />
informando la Procura di Palermo invece<br />
di tenere i pm all’oscuro del loro<br />
contatto per quasi cinque anni, poteva<br />
anche accadere che quella<br />
corrispondenza tanto spavalda poteva<br />
portare alla sua completa rovina e<br />
all’arresto, ma questo non è purtroppo<br />
accaduto. E il boss resta latitante.<br />
CUPOLA E PARTITI<br />
Il capo della Procura Nazionale<br />
Antimafia, procuratore Pietro Grasso,<br />
giorni addietro ha spiegato che Matteo<br />
Messina Denaro non è il capo della<br />
mafia siciliana. Ma non è un capo perché<br />
non ne ha stoffa e capacità, non è il capo<br />
“perché non esiste più la cupola<br />
mafiosa”, quella che quando esisteva<br />
veniva governata da Michele Greco, o<br />
Totò Riina e poi Bernardo Provenzano.<br />
Oggi la mafia siciliana non ha più una<br />
cupola ma si è quasi “ndraghetizzata”, ci<br />
sono le diverse famiglie che distinte<br />
“governano” i territori. E Matteo<br />
Messina Denaro “governa” la mafia<br />
trapanese, che non è cosa di poco<br />
conto o meno importante rispetto<br />
alla stessa cupola regionale.<br />
Perché a Trapani, riconosce lo<br />
stesso Grasso, resiste lo<br />
zoccolo duro della mafia,<br />
quella che senza coppole e<br />
lupare, ha saputo infiltrarsi,<br />
per decenni, senza nemmeno<br />
la necessità di tanti<br />
camuffamenti, nelle istituzioni,<br />
nella economia, nelle imprese,<br />
la mafia qui a Trapani aveva una<br />
garanzia precisa come ha<br />
raccontato il pentito Nino Giuffrè, “a<br />
Trapani c’erano i cani attaccati”, non si<br />
facevano le indagini, e chi pensava di<br />
poterle fare si trovava messo fuori gioco,<br />
trasferito o sparato, oppure trasferito e<br />
sparato come accadde a Ninni Cassarà,<br />
capo della Mobile a Trapani prima e a<br />
Palermo dopo. A Trapani la mafia ha<br />
pensato di creare un partito per mandare<br />
suoi politici in Parlamento, e qui da<br />
Trapani è partito l’ordine di non fare più<br />
quando si cominciò a riscrivere<br />
quel “patto” con lo Stato che pochi<br />
anni dopo avrebbe portato al<br />
famoso “papello”. Su questa<br />
strada uno come Rostagno non<br />
poteva proprio starci<br />
nulla e semmai di votare Forza Italia<br />
come ha raccontato il pentito di Mazara<br />
Vincenzo Sinacori che udì dare<br />
quell’ordine proprio a Matteo Messina<br />
Denaro.<br />
Il processo per l’omicidio di Mauro<br />
Rostagno prova proprio come le parole<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 26<br />
di Nino Giuffrè siano fondate. I poliziotti<br />
che volevano mettere sotto indagine la<br />
mafia presto si trovarono fuori da quelle<br />
indagini, ad occuparsene restarono solo i<br />
carabinieri. Le testimonianze in Corte di<br />
Assise di due tra quelli ritenuti gli<br />
investigatori più capaci del tempo, il<br />
generale Montanti e il luogotenente<br />
Cannas, sono state incredibili. Montanti<br />
ha raccontato che abitudine a<br />
sovracaricare le cartucce, come quelle<br />
trovate sul luogo del delitto, era tipica<br />
dei cacciatori, Cannas ha ammesso senza<br />
tante vergogne che il verbale di<br />
sopralluogo sul luogo dell’omicidio<br />
venne trascritto “in bella copia” quando<br />
oramai erano trascorsi diversi mesi dal<br />
delitto e che per quei mesi aveva<br />
lavorato “solo con gli appunti”. Queste<br />
per dire delle<br />
cose che<br />
sono<br />
apparse<br />
le più<br />
inverosimili.<br />
In un contesto<br />
dove doveva apparire inverosimile che<br />
fosse stata la mafia ad uccidere. Era il<br />
1988 quando la mafia si cominciava a<br />
trasformare, quando si cominciò a<br />
riscrivere quel “patto” con lo Stato che<br />
pochi anni dopo avrebbe portato al<br />
famoso “papello”. Su questa strada uno<br />
come Rostagno non poteva proprio<br />
starci.
Segregazione e respingimenti collettivi verso l’Egitto<br />
Respingimenti<br />
Una rassicurante Normalità<br />
Fulvio Vassallo<br />
La Corte Europea dei diritti dell’Uomo il 23 febbraio del 2012 ha condannato l’Italia per i<br />
respingimenti collettivi in Libia. Non sarebbe l’unico caso e l’unica volta. I respingimenti<br />
singoli o collettivi continuano ad oltranza. I migranti arrivati alle frontiere italiane dall’Egitto<br />
in particolare, sembra non sono quasi mai esistiti. Forse non sono considerate nemmeno<br />
persone. Solo numeri per fare statistiche. Tra i migranti egiziani in fuga dal loro paese,<br />
esponenti della minoranza cristiana copta, sempre più esposti al rischio di attentati e di<br />
persecuzione religiosa. Già l’ACNUR, l’ASGI e la Caritas di Catania, avevano denunciato<br />
per esempio che dopo lo sbarco sulle coste della Sicilia orientale del 26 ottobre 2010, sono<br />
stati rimpatriati 68 migranti (con un volo diretto a Il Cairo). All’aeroporto di Catania, mentre<br />
un agente consolare egiziano effettuava i riconoscimenti, alcuni avvocati attendevano invano<br />
che qualcuno presentasse richiesta di protezione internazionale. Nessuno. Una richiesta<br />
troppo pericolosa per chi, era stato già identificato dal proprio ufficio consolare?<br />
Sì, si può parlare proprio di<br />
segregazione, perché agli ultimi egiziani<br />
bloccati il due maggio scorso a bordo di<br />
un peschereccio, o intercettati mentre su<br />
un gommone, condotto da uno scafista,<br />
stavano sbarcando nei pressi di Mazara<br />
del Vallo, è toccata la reclusione in un<br />
campo di calcio, dove era stata allestita<br />
una tendopoli-carcere. Quindi<br />
dopo ventiquattro ore<br />
dall’ingresso nel territorio<br />
nazionale, salvo un gruppo di<br />
minori condotti in centri di<br />
accoglienza, sono stati<br />
deportati in Egitto con un volo<br />
partito da Palermo alle 5 del<br />
mattino del 3 maggio, dopo un<br />
riconoscimento sommario da<br />
parte di qualche esponente del<br />
consolato egiziano, senza<br />
alcuna possibilità di essere<br />
messi in contatto dalle<br />
organizzazioni (OIM,<br />
ACNUR) che fanno parte del progetto<br />
Praesidum finanziato dal ministero<br />
dell’interno proprio per intervenire in<br />
questi casi.<br />
Si è appreso dalla radio, dal TG Regione<br />
Sicilia delle 7,20 di giovedì 3 maggio,<br />
che diverse decine di egiziani, sorpresi il<br />
giorno precedente, a bordo di un<br />
peschereccio e di un gommone, nelle<br />
acque antistanti Mazara del Vallo, erano<br />
stati riportati in Egitto.Una operazione di<br />
polizia così rapida, tanto da precludere<br />
persino l’intervento dell’OIM e<br />
dell’ACNUR, oltre che degli avvocati e<br />
dei giudici necessari per la convalida dei<br />
provvedimenti, perché, secondo quanto<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 27<br />
riferito dai giornalisti, sulla base di<br />
comunicati provenienti evidentemente<br />
dal ministero dell’interno, si sarebbe<br />
trattato, per tutti, di persone già entrate<br />
irregolarmente in Italia, e dunque che<br />
avevano subito il riscontro delle<br />
impronte digitali ed una identificazione<br />
prima di essere espulse. Una<br />
giustificazione che sa di menzogna,<br />
perché appare ben strano che<br />
TUTTI coloro che sono stati ritenuti<br />
di maggiore età ( in base ad<br />
accertamenti fortemente opinabili),<br />
fermati sul peschereccio egiziano<br />
che li aveva condotti davanti alla<br />
costa di Mazara del Vallo, oppure<br />
sul gommone che li stava<br />
trasbordando a terra, oltre a non<br />
chiedere, neppure uno asilo o<br />
protezione umanitaria, fossero<br />
persone già identificate ed espulse<br />
dall’Italia. Come se in Egitto si<br />
fossero dati tutti appuntamento per<br />
ritentare il viaggio verso l’Italia, e come<br />
se su quel peschereccio si fosse saliti<br />
soltanto mostrando il precedente<br />
provvedimento di espulsione dall’Italia.
Una versione dei fatti che può<br />
abbindolare soltanto gli assonnati<br />
ascoltatori di un giornale radio del primo<br />
mattino, ma che non regge alla prova di<br />
fatti, come una serie di episodi<br />
precedenti dimostra ampiamente.<br />
L’ultimo, un respingimento, verificatosi<br />
dopo un altro sbarco di egiziani pochi<br />
giorni fa, nei pressi di Licata, poco<br />
distante da Agrigento. Anche in quella<br />
occasione i migranti erano stati respinti<br />
senza rispettare le formalità e le<br />
garanzie di difesa previste dalle<br />
Convenzioni internazionali e dalla<br />
normativa interna, ribadite in<br />
diverse occasioni dalle sentenze<br />
della Corte di Giustizia<br />
dell’Unione Europea e della Corte<br />
Europea dei diritti dell’Uomo che<br />
il 23 febbraio del 2012 ha<br />
condannato l’Italia per i<br />
respingimenti collettivi in Libia,<br />
per la violazione dell’art. 3<br />
(divieto di trattamenti inumani o<br />
degradati) dell’art.13 ( diritto di<br />
difesa) e dell’art. 4 del Protocollo<br />
IV allegato alla CEDU ( divieto di<br />
respingimenti ed espulsioni collettivi).<br />
MENZOGNE SISTEMATICHE E<br />
PRATICHE ARBITRARIE<br />
Adesso, dopo queste condanne, le<br />
pratiche di respingimento collettivo<br />
verso l’Egitto proseguono, ammantate<br />
dall’esaltazione delle operazioni di<br />
contrasto dell’immigrazione clandestina,<br />
e si registra già, a margine di<br />
quest’ultimo episodio, l’arresto di ben<br />
quattordici “scafisti egiziani”. Vedremo<br />
quanti saranno veramente ritenuti tali<br />
alla prova del giudizio in tribunale, e<br />
quanti altri invece saranno espulsi perché<br />
ritenuti estranei al reato di agevolazione<br />
dell’ingresso di clandestini, rigidamente<br />
fissato dall’art. 12 del testo Unico<br />
sull’immigrazione. C’è dell’altro, il<br />
ricorso da parte degli estensori dei<br />
comunicati di polizia, a menzogne<br />
sistematiche come l’affermazione in base<br />
alla quale nessuna delle persone fermate<br />
avrebbe richiesto asilo, o addirittura che<br />
tutti, si dice tutti, sarebbero stati espulsi<br />
con procedure lampo perché già schedati<br />
in precedenza dalle autorità di polizia<br />
italiane. Tralasciando il piccolo dettaglio<br />
che per eseguire un rimpatrio forzato<br />
non basta l’identificazione da parte delle<br />
autorità italiane, ma occorre una<br />
identificazione individuale, e non solo<br />
l’assegnazione della nazionalità, da parte<br />
delle autorità del paese di provenienza. E<br />
queste pratiche arbitrarie di polizia ormai<br />
si ripetono sistematicamente, al punto da<br />
Segregazione e respingimenti collettivi verso l’Egitto<br />
ingenerare nell’opinione pubblica il<br />
senso comune di una rassicurante<br />
normalità, anche se di mezzo ci va il<br />
destino di tante persone private di diritti<br />
fondamentali, come il diritto di accedere<br />
in un territorio per chiedere asilo, o il<br />
diritto ad una difesa effettiva ed alla<br />
convalida giurisdizionale dei<br />
provvedimenti di allontanamento forzato<br />
adottati dalla polizia.<br />
Dal 2007, proprio mentre il regime di<br />
Moubarak assestava colpi micidiali<br />
all’opposizione democratica, centinaia<br />
di cittadini egiziani irregolarmente giunti<br />
a Lampedusa, o sulle coste della Sicilia<br />
sud-orientale, o salvati da mezzi della<br />
nostra marina militare e poi condotti a<br />
terra, sono stati rimpatriati in Egitto,<br />
dopo essere stati trasferiti all’aeroporto<br />
di Catania, definito come “scalo<br />
tecnico”. Altri rimpatri sommari, che<br />
hanno assunto il carattere di veri e propri<br />
respingimenti collettivi ai danni di<br />
migranti egiziani appena sbarcati, sono<br />
stati compiuti dalla Puglia e dalla<br />
Calabria. Per anni si è lodato, anche da<br />
parte di esponenti del centrosinistra, il<br />
“salto di qualità” nella collaborazione tra<br />
Italia ed Egitto dopo la chiusura nel 2004<br />
della “rotta di Suez”. Grazie<br />
all’intervento diretto in quel paese di<br />
unità della guardia di finanza, in<br />
operazioni congiunte con le forze<br />
militari egiziane che fino al 2009 hanno<br />
prodotto come risultato l’arresto e la<br />
riconsegna (rendition) alle peggiori<br />
polizie di tutto il mondo di migliaia di<br />
migranti in fuga dalle guerre e dalle<br />
persecuzioni etniche o religiose.<br />
RICONSEGNATI AI LORO<br />
CARNEFICI<br />
Le operazioni di rimpatrio tra Italia ed<br />
Egitto, con voli diretti da Catania e<br />
adesso anche da Roma e da Palermo<br />
verso il Cairo sono state rese possibili,<br />
dopo l’intesa sottoscritta nel 2001,una<br />
intesa basata sullo scambio tra<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 28<br />
repressione dell’immigrazione irregolare<br />
e quote di ingressi legali nei decreti<br />
flussi annuali, un accordo che in quel<br />
periodo ha funzionato solo sul versante<br />
dei rimpatri forzati. Anche in questo caso<br />
la politica estera italiana non ha avuto<br />
soluzione di continuità con<br />
l’avvicendarsi dei diversi governi e<br />
ancora oggi i rimpatri sommari verso<br />
l’Egitto sono resi praticabili grazie<br />
all’Accordo di collaborazione firmato<br />
nel gennaio del 2007 dal governo<br />
italiano guidato da Prodi, in persona<br />
del sottosegretario agli esteri protempore<br />
Ugo Intini. Un accordo che,<br />
in cambio di qualche migliaio di<br />
posti riservati ai lavoratori egiziani<br />
nelle quote annuali previste dai<br />
decreti flussi, consentiva alle<br />
autorità consolari egiziane forme di<br />
attribuzione della nazionalità, se non<br />
dell’identità personale e dell’età,<br />
assai celeri, grazie anche alla<br />
collaborazione di funzionari e<br />
interpreti egiziani presenti in Italia.<br />
Dal 2005, peraltro, tra il governo italiano<br />
e quello egiziano esisteva un "Accordo<br />
di cooperazione in materia di flussi<br />
migratori bilaterali per motivi di lavoro",<br />
siglato al Cairo il 28 novembre 2005<br />
dall’allora ministro del lavoro Roberto<br />
Maroni. Nel testo dell’accordo si<br />
prevedeva che i due governi, al fine di<br />
"gestire in modo efficiente i flussi<br />
migratori e prevenire la migrazione<br />
illegale", s’impegnano a facilitare<br />
l’incontro tra la domanda e l’offerta di<br />
lavoratori migranti da e per l’Egitto. Il<br />
governo italiano, dal canto suo,<br />
s’impegnava a valutare l’attribuzione di<br />
una speciale quota annuale per lavoratori<br />
migranti egiziani. Nel protocollo<br />
esecutivo allegato all’accordo si leggeva<br />
anche che il ministero del Lavoro e<br />
delle politiche sociali italiano avrebbero<br />
dovuto comunicare all’omologo
ministero egiziano i criteri, ai sensi della<br />
normativa italiana, per redigere una lista<br />
(da pubblicare) di lavoratori egiziani<br />
disponibili a svolgere un’attività<br />
lavorativa subordinata anche stagionale<br />
in Italia.<br />
Basta verificare l’andamento dei decreti<br />
flussi adottati in questi ultimi anni e i<br />
ritardi accumulati, e poi controllare il<br />
numero di lavoratori egiziani<br />
effettivamente entrati in Italia con un<br />
visto di ingresso per ragioni di lavoro,<br />
per scoprire quanto questo accordo possa<br />
avere “giovato” ai giovani lavoratori<br />
egiziani, ancora costretti in gran parte a<br />
tentare la via dell’ingresso irregolare,<br />
magari evitando la traversata del<br />
Mediterraneo, ma spostandosi verso le<br />
frontiere orientali dell’Unione Europea.<br />
Oggi poi, l’Italia ha bloccato del tutto i<br />
decreti flussi annuali e, sia ai migranti<br />
economici che ai potenziali richiedenti<br />
Segregazione e respingimenti collettivi verso l’Egitto<br />
asilo, non è rimasta altra possibilità che<br />
tentare l’ingresso clandestino. Il<br />
proibizionismo dilagante nei confronti<br />
delle migrazioni, facile arma ad uso<br />
elettorale, ha arricchito quelle<br />
organizzazioni di trafficanti che gli stati<br />
a parole sostengono di contrastare,<br />
mentre è aumentato a dismisura il<br />
numero delle vittime dell’immigrazione<br />
clandestina. E nessuno ricorda che tra i<br />
migranti egiziani in fuga dal loro paese<br />
si sono già trovati parecchi esponenti<br />
nonostante i numerosi esposti presentati<br />
lo scorso anno a seguito degli abusi<br />
commessi ai danni dei migranti, ( tra<br />
questi di molti minori non<br />
accompagnati), a Lampedusa ed in altri<br />
luoghi di detenzione informale. Luoghi<br />
dai quali le persone, se non sono fuggite,<br />
sono state respinte o espulse senza<br />
rispettare le garanzie procedurali e<br />
sostanziali accordate dalla Costituzione<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 29<br />
italiana, dalle normative comunitarie,<br />
direttamente vincolanti nel nostro paese.<br />
Uno Stato che nasconde persino i<br />
migranti negli stadi, come è successo a<br />
Mazara del Vallo, pur di procedere a<br />
respingimenti lampo a carattere<br />
collettivo. Cadono i dittatori, cambiano i<br />
governi, continuano gli abusi ai danni<br />
dei migranti irregolari, ormai privati<br />
della dignità e dei diritti che andrebbero<br />
riconosciuti, comunque e ovunque, a<br />
qualsiasi essere umano, come recita<br />
l’art.2 del Testo Unico<br />
sull’immigrazione n.286 del 1998. Una<br />
norma ormai svuotata dalla<br />
discrezionalità delle autorità di polizia.
Mafia<br />
uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />
Aveva scoperto<br />
un giro di truffe<br />
Gianni Lannes<br />
Francesco Marcone, direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia, aveva scoperto un giro di<br />
truffe. E’ stato assassinato diciassette anni fa con due proiettili sparati alla nuca e alle spalle<br />
da un killer ignoto ( <strong>Casablanca</strong> maggio 2007). Per la giustizia italiana è solo un caso<br />
archiviato il 10 febbraio 2005. Per la Repubblica Italiana è una medaglia d’oro<br />
insignita dal Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, il 31maggio 2005, al Merito Civile e<br />
alla memoria: «Funzionario dello Stato, sempre distintosi per la salda preparazione<br />
professionale e l’alto rigore morale, costantemente impegnato a garantire il rispetto delle<br />
leggi e a contrastare ogni possibile tentativo d’illegalità, veniva barbaramente assassinato<br />
nell’androne della propria abitazione in un vile agguato». Nulla più: niente giustizia.<br />
Insomma, un caso dimenticato in tutta fretta, anzi volutamente accantonato.<br />
Insieme all’avvocato Giorgio<br />
Ambrosoli - ammazzato l’11 luglio 1979<br />
con quattro colpi di 357<br />
magnum, ha condiviso la<br />
difesa della legalità in<br />
cambio della vita.<br />
Francesco<br />
Marcone, un<br />
funzionario dello<br />
Stato assassinato<br />
diciassette anni fa<br />
con due proiettili<br />
sparati alla nuca e<br />
alle spalle da un<br />
killer ignoto che<br />
impugnava un<br />
revolver, per la<br />
giustizia italiana è solo un<br />
caso archiviato il 10 febbraio<br />
2005. Per la Repubblica Italiana è una<br />
medaglia d’oro insignita dal Capo dello<br />
Stato, Carlo Azeglio Ciampi, il<br />
31maggio 2005, al Merito Civile e alla<br />
memoria: «Funzionario dello Stato,<br />
sempre distintosi per la salda<br />
preparazione professionale e<br />
l’alto rigore morale,<br />
costantemente<br />
impegnato a<br />
garantire il rispetto<br />
delle leggi e a<br />
contrastare ogni<br />
possibile<br />
tentativo<br />
d’illegalità,<br />
veniva<br />
barbaramente<br />
assassinato<br />
nell’androne della<br />
propria abitazione in<br />
un vile agguato». Nulla<br />
più: niente giustizia. Insomma,<br />
un caso dimenticato in tutta fretta, anzi<br />
volutamente accantonato. Ora, grazie<br />
alla tenacia di uno scavo giornalistico<br />
di chi non si arrende mai, si apre uno<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 30<br />
spiraglio di verità inspiegabilmente<br />
elusa dagli inquirenti.<br />
Marcone aveva denunciato alla<br />
magistratura speculazioni finanziarie ed<br />
edilizie, nonché evasioni fiscali<br />
miliardarie, impattando in pratiche<br />
maledette: Foar e Sicilsud (su<br />
quest’ultima aveva indagato Giovanni<br />
Falcone prima di essere massacrato con<br />
sua moglie e la sua scorta dall’esplosivo<br />
fornito a Cosa Nostra dalla Sacra<br />
Corona Unita come hanno stabilito<br />
recentissime indagini scientifiche della<br />
Polizia di Stato). I responsabili<br />
(mandanti ed esecutori materiali) del<br />
delitto Marcone, anche a causa di<br />
ritardate e anomale indagine giudiziarie -<br />
insabbiate in un porto delle nebbie - non<br />
sono ancora stati individuati.<br />
ESECUZIONE MAFIOSA<br />
Foggia: 31 marzo 1995. Due spari netti
con proiettili calibro 38: il primo alla<br />
nuca a due metri di distanza. Il colpo di<br />
grazia alla schiena, con la vittima già<br />
stramazzata. Così, in una traversa di<br />
Corso Roma, di una città perennemente<br />
distratta e sorda. «Alle ore 19.15 circa, ci<br />
siamo portati in questa Via F. Figliolia al<br />
civico diciassette, ove erano stati<br />
segnalati esplosioni di colpi d’arma da<br />
fuoco. In loco, una volta all’interno dello<br />
stabile, si rinveniva nell’androne<br />
d’ingresso, un uomo accasciato ed in<br />
posizione bocconi, privo di vita» si legge<br />
nell’annotazione di servizio dei<br />
sovrintendenti della Polizia di Stato,<br />
Angelo Martino e Claudio Rinaldi.<br />
«Infatti, il cadavere si presentava disteso<br />
posizione bocconi sulle scale, con la<br />
parte dx del volto adagiata su di uno<br />
scalino e con un evidente foro di entrata<br />
di un proiettile alla nuca». E non un<br />
colpo qualsiasi: quello di un revolver<br />
calibro 38, inciso a croce sulla punta, ed<br />
una volta andato a bersaglio, si scamicia<br />
e si frantuma, con effetti devastanti. Il<br />
Rapporto della polizia scientifica,<br />
firmato dal vice ispettore Antonio De<br />
Flumeri su incarico del capo della<br />
Squadra Mobile Agostino De Paolis,<br />
rivela «che il cadavere era stato attinto<br />
da due colpi di arma da fuoco: uno,<br />
penetrato nella regione occipitale sinistra<br />
e fuoriuscito nella regione parietale<br />
destra; l’altro penetrato nella regione<br />
toracica sinistra (fianco) e fuoriuscito<br />
dalla regione destra del collo». La<br />
relazione del medico legale, Michele<br />
Castriota conferma «Causa di morte:<br />
emorragia endocranica per lacerazioni<br />
encefaliche ed emopericardio per<br />
lacerazioni miocardiche (…) Un<br />
proiettile è stato sparato a livello cranico<br />
a sinistra in sede occipitale con<br />
traiettoria, rispetto al soma della vittima,<br />
da dietro in avanti (…) Un proiettile è<br />
stato sparato a livello del torace, a<br />
sinistra (…)».<br />
COSA NOSTRA<br />
Adesso un solido indizio,<br />
incredibilmente trascurato, a carico del<br />
maggior sospettato, ossia Stefano<br />
Caruso, potrebbe far riaprire l’inchiesta<br />
giudiziaria mai decollata nonostante le<br />
schiaccianti evidenze (tra l’altro il<br />
sequestro di un<br />
revolver<br />
calibro 38),<br />
magari su<br />
diretto<br />
interessamento<br />
della Procura<br />
Nazionale<br />
uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />
Antimafia. Constatazione critica: gli<br />
inquirenti non avrebbero verificato gli<br />
spostamenti, i contatti e la consistenza<br />
patrimoniale del maggior indiziato. Non<br />
ci avrebbe pensato neanche il magistrato<br />
Antonio Buccaro e neppure il collega<br />
Alfredo Viola. Il nuovo tassello è fornito<br />
dall’inspiegabile presenza allo Zabara<br />
Hotel di Bagheria (Palermo) dal 13 al 21<br />
aprile ‘95 - certificata da una scheda di<br />
soggiorno alla questura palermitana -<br />
appunto del Caruso, all’epoca direttore<br />
regionale pugliese delle Entrate,<br />
indagato e frettolosamente prosciolto.<br />
L’albergo, sede di alcuni summit<br />
mafiosi, come documentato dai<br />
carabinieri del Ros, era di proprietà della<br />
Cogeas srl, ovvero di Michele Aiello,<br />
noto imprenditore edile diventato<br />
manager della sanità, e prestanome del<br />
boss Bernardo Provenzano. Aiello, l’ex<br />
re Mida siculo, è stato condannato in via<br />
definitiva a 15 anni e sei mesi di<br />
reclusione per associazione mafiosa. Il<br />
manager della mafia, tuttavia, è stato<br />
recentemente scarcerato dalla prigione di<br />
Sulmona perché intollerante al menù<br />
carcerario, con un provvedimento del<br />
tribunale dell’Aquila. ‘Binnu u’ tratturi’,<br />
a quel tempo, fu curato nella limitrofa<br />
clinica Santa Teresa. Stefano Caruso -<br />
promosso dallo Stato dopo l’omicidio di<br />
Marcone a consigliere ministeriale - era<br />
già stato arrestato il tredici luglio 1996<br />
con l’accusa di abusi in atti d’ufficio,<br />
rivelazioni di segreti d’ufficio e concorso<br />
in evasione fiscale per circa un miliardo<br />
di lire, nonché per concorso<br />
nell’omicidio Marcone. Ma, se la cavò<br />
liscia.<br />
Chi aveva incontrato diciassette anni fa<br />
il Caruso nell’albergo di Cosa Nostra a<br />
Bagheria? Ma soprattutto che ci faceva<br />
in loco? Abbiamo provato a chiederlo<br />
direttamente all’interessato, senza<br />
ottenere risposta.<br />
PRATICA MALEDETTA<br />
Francesco Marcone, direttore<br />
dell’ufficio del Registro di Foggia, il<br />
ventinove marzo ’95, due giorni prima di<br />
essere assassinato, elaborò le deduzioni<br />
per la causa tributaria - con elusione<br />
fiscale di oneri miliardari - che opponeva<br />
l’ufficio del Registro a Foar (azienda con<br />
sede legale a Salerno e<br />
stabilimento a Foggia per<br />
la produzione di ghisa<br />
sferoidale). In<br />
un’intercettazione<br />
ambientale della Polizia,<br />
Caruso dice che “Foar<br />
vuol dire il notaio<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 31<br />
Francesco Paolo Pepe e Casillo”. In<br />
questo atto appare l’atto di cessione di<br />
immobile strumentale tra la FOAR Srl e<br />
la SICILSUD LEASING SPA, con il<br />
quale è stata realizzata la cessione di un<br />
compendio immobiliare. Questo tipo di<br />
operazione è assoggettato all’IVA, alle<br />
tasse fisse di Registro, trascrizione e<br />
catasto. Da un’attenta analisi sul reale<br />
contenuto dell’atto, il direttore Marcone<br />
era giunto alla conclusione che l’oggetto<br />
del trasferimento era costituito da uno<br />
stabilimento per la lavorazione della<br />
ghisa. La lavorazione e produzione<br />
necessita di una struttura, ovvero<br />
l’immobile, ma anche dei relativi<br />
macchinari, opportunamente diretti<br />
all’attività specifica. Inoltre, dall’atto in<br />
questione risulta che il trasferimento<br />
comprendeva tutte le accessioni,<br />
dipendenze e pertinenze inerenti. A<br />
seguito di questa lettura il Marcone<br />
chiedeva un supplemento d’imposta,<br />
considerando così la cessione non riferita<br />
ad una semplice pluralità di beni, ma ad<br />
un’azienda tecnicamente organizzata,<br />
perciò assoggettabile ad imposta di<br />
registro poiché fuori dal campo di<br />
approvazione iva. In tale senso andrebbe<br />
letto il relativo avviso di liquidazione<br />
notificato dall’Ufficio alla FOAR e alla<br />
SICILSUD. Oltre a ciò, tenuto conto che<br />
andava assoggettato ad imposta di<br />
registro il prezzo complessivo<br />
dell’operazione, riguardante oltre alla<br />
cessione dei beni immobili anche quella<br />
dei macchinari ed attrezzature, l’Ufficio<br />
estendeva la pretesa d’imposta al<br />
corrispettivo derivante dalla fattura di<br />
vendita dei macchinari e attrezzature<br />
emessa dalla FOAR nei confronti della<br />
SICILSUD, notificando ulteriore avviso<br />
di liquidazione alla FOAR. Il direttore<br />
Marcone aveva prospettato ai suoi diretti<br />
superiori una sorta di strategia illegale<br />
adottata dalle parti, costituita da alcune<br />
operazioni intermedie attraverso le quali<br />
si era reso concreto il trasferimento<br />
dell’intera azienda di proprietà FOAR<br />
alla NUOVA FOAR. Quest’ultima<br />
società era stata costituita come un altro<br />
contenitore nel quale riversare gli stessi<br />
soggetti della FOAR. In altri termini,<br />
tale escamotage aveva consentito agli<br />
stessi soggetti di realizzare un’azienda<br />
avente la medesima consistenza della<br />
precedente con un esborso fiscale<br />
minimo. Inoltre, la venditrice FOAR<br />
aveva reso una dichiarazione Invim nella<br />
quale prezzo e valore coincidevano. A<br />
tale scopo era stata utilizzata una<br />
certificazione del Comune di Foggia,<br />
dalla quale risultava che l’intero<br />
stabilimento era stato ultimato a ridosso
della vendita: ciò consentiva di indicare<br />
come valore iniziale al 2 novembre<br />
1990, data di presunta ultimazione dei<br />
lavori, la stessa cifra indicata come<br />
prezzo. In tal modo, coincidendo epoca e<br />
valori, non risultava alcun incremento e,<br />
quindi, nessuna imposta. In realtà, lo<br />
stabilimento - unico nel suo genere in<br />
Italia - “una sorta di gallina dalle uova<br />
d’oro” commenta un noto avvocato - era<br />
perfettamente visibile ed operativo da<br />
decenni e Marcone aveva accertato<br />
presso Ute e Conservatoria dei Registri<br />
Immobiliari, che la data di ultimazione<br />
dei lavori risaliva al 15 novembre 1973,<br />
perciò la data indicata come 2 novembre<br />
’90 si riferiva ad aspetti marginali del<br />
complesso industriale e non all’intero<br />
corpus. Da ciò scaturì l’accertamento in<br />
rettifica del valore iniziale. In più: la<br />
pratica edilizia risale al 1972. Un anno<br />
cruciale: infatti, un biglietto anonimo<br />
recapitato alla famiglia Marcone il<br />
ventinove novembre 1998 c’è scritto:<br />
“1972 è un foglio di carta da bollo da<br />
2000 quello con la bilancia è una<br />
collezionista (rivolgetevi a qualche<br />
collezionista)”.<br />
L’ultimo atto compiuto da Francesco<br />
Marcone in riferimento alla pratica<br />
FOAR è la redazione delle corpose<br />
controdeduzioni dell’Ufficio ai ricorsi<br />
proposti dalle parti, datate 29 marzo<br />
1995, vale a dire due giorni prima della<br />
sua morte.<br />
Nel primo decreto di archiviazione<br />
firmato dal giudice per le indagini<br />
preliminari Simonetta D’Alessandro la<br />
questione Foar è definita di «eccezionale<br />
delicatezza». Come ha sottolineato il<br />
provvedimento reso dal gip il sette aprile<br />
’96. L’ultimo atto di Marcone sulla Foar<br />
è inequivocabile: «La strategia posta in<br />
essere, frutto di menti raffinate ed<br />
esperte in giochi di alta finanza ha<br />
consentito agli stessi soggetti di trovarsi<br />
alla fine con un’azienda che ha la stessa<br />
consistenza patrimoniale della<br />
precedente, e tutto ciò con un sacrificio<br />
fiscale assai contenuto, usufruendo del<br />
regime IVA». Il dieci marzo 2001, il Gip<br />
Lucia Navazio aveva disposto «che il<br />
PM proceda ad ulteriori indagini sui temi<br />
innanzi indicati: - tra l’altro -<br />
«Identificare tutti i componenti degli<br />
organi collegiali della FOAR Srl, della<br />
NUOVA FOAR srl e della SICIL SUD<br />
spa (…) Individuare con precisione la<br />
natura dell’atto intercorso tra FOAR e<br />
SICILSUD, nonché ruolo svolto in<br />
concreto dal notaio. Acquisire notizie<br />
della vita societaria della Sicil Sud, come<br />
nasce (se proviene da trasformazione di<br />
altre società) e dati su tutti i soggetti<br />
uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />
coinvolti nella vita di questa. Acquisire<br />
esito indagini del procedimento n.<br />
612798 RG mod. 21 per il reato di cui<br />
all’art. 479 c.p., nella compravendita<br />
della FOAR».<br />
LA PIOVRA<br />
Il meccanismo truffaldino era ingegnoso:<br />
i dirigenti dell’azienda con sede a<br />
Palermo, stipulavano contratti con clienti<br />
che utilizzavano il denaro erogato per<br />
scopi diversi, in altre parole senza<br />
acquistare i beni per i quali erano stati<br />
richiesti i finanziamenti. E intascavano<br />
le tangenti sui prestiti corrisposti. Il<br />
raggiro è stato scoperto nel giugno del<br />
1988. E ha portato in galera i dirigenti<br />
della finanziaria, con l’accusa di<br />
associazione a delinquere, truffa, falso in<br />
bilancio e frode fiscale. Il giro di<br />
fatturazioni false di aggirava sui<br />
cinquanta miliardi di lire. Presidente<br />
della società, controllata per il 60 per<br />
cento dalla banca San Paolo di Torino e<br />
per il 40 per cento dal Banco di Sicilia, è<br />
stato dal 1985 sino al trentuno dicembre<br />
1988, Pietro Verzeletti, componente in<br />
quel periodo del consiglio<br />
d’amministrazione dell’Itituto di credito<br />
torinese e soggetto cruciale della finanza<br />
rossa. Vicepresidente era Alfredo<br />
Spatafora, consigliere di<br />
amministrazione del banco di Sicilia. La<br />
Sicilsud venne fondata nel 1980. Dietro<br />
la Sicilsud Leasing, scoprirono gli<br />
inquirenti, si allungava l’ombra di Cosa<br />
Nostra. In un rapporto presentato dalla<br />
Guardia di Finanza il nove marzo del<br />
1989, emerge, infatti, come a gestire la<br />
truffa vi fossero personaggi legati alla<br />
mafia. A capo della banda di truffatori<br />
c’era il boss Tommaso Marsala,<br />
individuo di fiducia della cosca Spatola-<br />
Inzerillo, ucciso davanti al portone di<br />
casa in viale Strasburgo a Palermo, il 4<br />
agosto 1987. Un omicidio sul quale<br />
indagò Giovanni Falcone, allora giudice<br />
istruttore. Tommaso Marsala era<br />
coinvolto nell’inchiesta sulla strage di<br />
via Croce Rossa, avvenuta il sei agosto<br />
1985, dove vennero uccisi il<br />
vicequestore di Palermo, Ninni Cassarà<br />
e l’agente di scorta Roberto Antiochia.<br />
La Sicilsud Leasing - proprietaria<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 32<br />
l’Equiter Spa (Fin. Opi Spa), in altre<br />
parole il San Paolo Imi, risulta cancellata<br />
dal registro delle imprese a far data dal<br />
26 gennaio 2006. Il capitale sociale<br />
ammonta a 2.935.008,00 euro.<br />
ECOMAFIE<br />
Se digitate sul motore di ricerca Google,<br />
il termine “km 682,700”, internet vi<br />
mostra una pagina, dove appaiono due<br />
società: Fonderie di Foggia Srl e Blue<br />
service Srl (specializzata in “rifiuti<br />
industriali e speciali, nonché<br />
smaltimento e trattamento”, così recita la<br />
pubblicità). Strano caso: le due ditte a<br />
responsabilità limitata, ma con ragioni<br />
sociali diverse almeno sulla carta, hanno<br />
sede operativa nello stesso sito della<br />
FOAR Srl. La seconda ditta menzionata<br />
(Blue Service Srl) non è iscritta ad<br />
alcuna camera di Commercio. Da una<br />
ricerca nel ramo rifiuti emerge soltanto<br />
la Blu Service Srl con sede a Brendola<br />
in provincia di Vicenza, di cui è<br />
amministratore unico, tale Gobbo Rigo.<br />
Inoltre, dal terminale presso la Camera<br />
di Commercio non è autorizzato<br />
l’accesso all’assetto societario della<br />
Fonderie di Foggia con sede legale a<br />
Salerno. Infine, la F.O.A.R. (Fonderie<br />
Officine Antonio Romeo) S.R.L., risulta<br />
iscritta nella sezione ordinaria il 19<br />
febbraio 1996, ma la data di costituzione<br />
risale all’undici gennaio 1971.<br />
Presidente del consiglio<br />
d’amministrazione è Busachi Tomaso<br />
Antonio (nato a Cremona il 30 agosto<br />
1942), nominato il 2 luglio 1992, mentre<br />
i consiglieri sono Castagnazzo Matteo<br />
Ferruccio (nato a Bovino l’11 febbraio<br />
1945) ed Antonio Viotto (nato a Varazze<br />
il 2 agosto 1943). Oggetto sociale:<br />
“fusione di ghisa”. In ogni caso nel sito<br />
(località Santa Chiara) sono stati sepolti,<br />
o meglio maldestramente occultati<br />
ingenti quantitativi di rifiuti industriali<br />
che affiorano dal suolo. Il caso è stato<br />
sottoposto ai carabinieri della compagnia<br />
di Foggia, ma a tutt’oggi senza alcun<br />
esito.<br />
MANI SULLA CITTA’<br />
Non è tutto: ecco altri probabili moventi<br />
assassini in cui è invischiato Stefano<br />
Caruso. In un rapporto della Digos<br />
datato sette marzo 1997 è specificato:<br />
«Punto di snodo di entrambe le<br />
vicende sembra, allo stato dei fatti, il<br />
Caruso. Questi oltre ad essere<br />
interessato alla formazione dell’atto<br />
costitutivo dell’Immobiliare<br />
Mediterranea, cioè, la cessione a fini
edificatori di un’area di proprietà dei<br />
germani Marinari al costruttore<br />
Spezzati per sua stessa ammissione, è<br />
altresì intervenuto anche nella vicenda<br />
della piccola proprietà contadina<br />
incontrando i Sarni, che intendevano<br />
scavalcare Francesco Marcone.<br />
Annotano i pm Buccaro e Viola: «Il<br />
Caruso, nella qualità di Direttore<br />
regionale delle Entrate per la Regione<br />
Puglia, in palese violazione dei principi<br />
della legalità, imparzialità e buon<br />
andamento della Pubblica<br />
Amministrazione, ha assunto il ruolo di<br />
super consulente dei fratelli Marinari,<br />
dando precise direttive - in palese<br />
violazione di legge - sul tipo di atto da<br />
redigere per evitare una tassazione<br />
rilevante».<br />
A Caruso i poliziotti sequestrarono, il 13<br />
luglio ’96, un arsenale di armi e<br />
munizioni: «i1 revolver calibro 38, 1<br />
fucile automatico Breda, un fucile<br />
automatico calibro 12 Breda, 1 fucile<br />
automatico a canne affiancate calibro<br />
12 Bernarelli, 1 pistola automatica<br />
calibro 7,65, 1 pistola automatica<br />
calibro 6,35 Beretta, 1 fucile<br />
monocanna calibro 12 Merlin». Questa<br />
armi non sono mai state analizzate.<br />
Nel verbale di sommarie informazioni<br />
redatto in Questura il primo aprile ’95<br />
alle ore 00.40 si<br />
apprende dallo stesso<br />
uno scavo giornalistico di chi non si arrende mai…<br />
Caruso<br />
che «L’ultima volta che ho visto il<br />
Marcone è stata la sera del giorno 29<br />
marzo. Lo andai a trovare presso il suo<br />
ufficio senza alcun motivo, solo per<br />
chiacchierare e fare una piccola<br />
passeggiata in centro». L’impiegata Di<br />
Ciommo ha raccontato agli inquirenti:<br />
«un altro episodio che ricordo anche è<br />
quello occorso il giovedì 30 marzo 1995,<br />
verso le 17.20-17,30. Quel giorno mi<br />
recai dal direttore Marcone sempre per<br />
esaminare alcune pratiche. Ad un certo<br />
punto giunse una telefonata. Disse. “Qui<br />
ti fanno tremare, devi aver paura anche<br />
di firmare. Io ho sempre detto che<br />
Caruso era un tipo sanguigno ma non<br />
cattivo, ora le dico che è anche cattivo».<br />
Nell’interpellanza parlamentare<br />
urgente presentata il ventisei febbraio<br />
1998 (numero 2-00917) da Elio Veltri, è<br />
scritto: «Francesco Marcone è l’unico<br />
funzionario dello Stato<br />
dell’amministrazione finanziaria<br />
assassinato dal dopoguerra in poi,<br />
perché era rigoroso». E ancora:<br />
«L’aspetto più inquietante di tutta la<br />
faccenda è il coinvolgimento di<br />
dipendenti dell’amministrazione<br />
finanziaria, in particolar modo quello<br />
dell’ex direttore regionale delle<br />
entrate per la Puglia, Stefano<br />
Caruso». L’allora sottosegretario di<br />
Stato per le Finanze, Fausto Vigevani,<br />
aveva contestualmente risposto: «come<br />
confermato dalle indagini condotte dalla<br />
magistratura che hanno portato<br />
all’individuazione di gravi illeciti<br />
determinanti evasioni fiscali per circa tre<br />
miliardi di lire, in cui sono risultati<br />
coinvolti il direttore regionale delle<br />
entrate per la Puglia, dottor Caruso, ed<br />
imprenditori e professionisti locali».<br />
TRUFFA ALLO STATO<br />
Con atto registrato il nove luglio 1990, i<br />
fratelli Sarni Carmine e<br />
Alessandro acquistano a<br />
Montenero di Bisaccia in<br />
provincia di Campobasso,<br />
un appezzamento di<br />
terreno di circa 188 ettari,<br />
in prossimità<br />
dell’autostrada adriatica.<br />
I germani invocano i<br />
benefici della legge 604<br />
del 1956 per la piccola<br />
proprietà contadina e<br />
presentano un<br />
certificato<br />
manomesso<br />
dell’Ispettorato provinciale<br />
dell’Agricoltura di Foggia, al fine di<br />
eludere il pagamento delle tasse pari a un<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 33<br />
miliardo e mezzo di vecchie lire. In un<br />
rapporto risalente al diciotto febbraio<br />
1995, siglato dall’allora capitano della<br />
Guardia di Finanza, Giacomo Ricchitelli<br />
si puntualizza che «Dalle indagini svolte<br />
è emerso che sia il certificato<br />
provvisorio che quello definitivo sono<br />
risultati falsi». La legge dispone che<br />
beneficiano delle agevolazioni gli<br />
acquirenti che si dedicano abitualmente<br />
alla coltivazione della terra. I Sarni -<br />
nativi di Ascoli Satriano - partendo dalle<br />
truffe sulla piccola proprietà contadina<br />
hanno costruito in impero economico<br />
che sta fagocitando le autostrade italiane<br />
con punti vendita e autogrill e<br />
supermercati (ad esempio a Sulmona<br />
dov’era recluso Aiello, socio di<br />
Provenzano). Chi ha fornito i capitali di<br />
partenza ai fratelli di Ascoli Satriano?<br />
Da una visura camerale risulta che<br />
Stefano Caruso è consigliere in affari dei<br />
fratelli Sarni. Dove? A Sulmona,<br />
precisamente nella società, o meglio nel<br />
centro commerciale Il Borgo. Il core<br />
business sarniano è legato alle aree di<br />
servizio (il secondo gruppo italiano del<br />
settore, dopo Autogrill). Ma ad esso si<br />
sono affiancate - con la società Finsud<br />
Srl - con prepotenza anche l’attività di<br />
ristorazione dei centri commerciali e la<br />
gestione e lo sviluppo della rete di<br />
vendita del comparto oreficeria e<br />
gioielleria Follie d’Oro. E infine<br />
l’attività immobiliare.
Una svolta? Una evoluzione? Un prodotto del nostro tempo…<br />
Mafia: inchiesta<br />
Margherita Passalacqua…<br />
genere - mafiosa<br />
Graziella Proto<br />
Margherita Passalacqua - indole delinquenziale e spiccato senso dell’appartenenza è la figlia<br />
di Calogero Battista Passalacqua - il reggente mafioso di Carini. In base alle intercettazioni<br />
ambientali e alle investigazioni giudiziarie, pare sia stata, sin dalla giovane età, compartecipe<br />
del percorso delinquenziale familiare, iniziato dal padre decenni addietro e proseguito dal<br />
fratello Giuseppe. Assieme al padre Calogero Battista detto “I santi”è stata arrestata per reati<br />
di mafia a novembre dell’anno scorso per essere rilasciata poco tempo dopo perché mamma<br />
di una neonata di quattro mesi da accudire.<br />
Assieme ai genitori, al marito Salvatore<br />
Sgroi, Failla Vito, Lo Duca Giacomo e<br />
al cugino Frisella Croce, Margherita costituisce<br />
il vertice operativo della famiglia<br />
mafiosa di Carini, all’interno della<br />
quale viene tenuta in grande considerazione<br />
non solo perche figlia del “boss”<br />
ma soprattutto perché dimostra di avere<br />
le qualità per interagire all’interno del<br />
sodalizio criminale. Una protagonista<br />
assoluta.<br />
Un personaggio quindi, che vive di luce<br />
propria, la cui durezza e solidità è manifestata<br />
soprattutto quando esegue gli ordini<br />
impartiti dal padre. Spesso “ordini”<br />
decisi insieme. Una durezza che manife-<br />
sta e che impresta al padre quando le<br />
sembra che egli tenda verso la pietà e la<br />
comprensione.<br />
Spesso però (così come si evince da alcune<br />
intercettazioni), in apparenza, preferisce<br />
fare un passo indietro, ma è solo<br />
un espediente per tutelare l’immagine<br />
del genitore - padrino. ”…ma io infatti<br />
glielo volevo dire subito sì - racconta al<br />
padre e alla madre - però dissi aspetta<br />
un minuto, prima parlo con mio padre<br />
…” . Oppure, “ se io devo decidere sì …<br />
le persone non devono capire …” . Potrebbero<br />
pensare “arriva e comanda lei,<br />
suo padre non passa e non conta più”.<br />
PER CAPIRNE DI PIU’ ( pubblicato su CASABLANCA marzo 2012)<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 34<br />
MAFIOSA E COCCA DI PAPÀ!<br />
Sfruttando l’esser donna, nella convinzione<br />
che le donne in qualche modo siano<br />
più tutelate legalmente ed al riparo<br />
da coinvolgimenti in fatti delittuosi,<br />
Margherita pare essere responsabile della<br />
raccolta del pizzo, anzi,qualcuno sostiene<br />
che a volte, lei stessa non si esime<br />
dal farlo personalmente. Un esempio<br />
concreto di mafiosa. “ Donna con i pantaloni”,<br />
che siede con merito tra gli uomini<br />
che costituiscono il vertice operativo<br />
della consorteria mafiosa.<br />
Da sempre vicino ai “Corleonesi”, Calogero Passalacqua detto “Battista i Santi” sin dai tempi del Maxiprocesso è<br />
considerato elemento di spicco nell’organizzazione di Cosa Nostra palermitana. I primi rapporti giudiziari redatti sul suo<br />
conto risalgono agli anni 70 e lo fotografano come storico reggente della famiglia mafiosa di Carini.<br />
A novembre scorso, Calogero Battista Passalacqua storico uomo d'onore di “Cosa Nostra” è stato arrestato assieme alla<br />
figlia Margherita, elemento di spicco del clan. Si trovava agli arrest i domiciliari nella sua casa di Carini dal 2007.<br />
Recluso nella sua casa, Battista i Santi è circondato da affetto e rispetto. Conosce tutti e sa tutto di tutti. Mantiene rapporti.<br />
Riceve visite. L’anzianità, la lunga militanza nelle fila di “Cosa nostra”, la sua storia personale, il carisma da padrino,<br />
gli crea fedeltà e stima. Gode della protezione di una cortina quasi impenetrabile. Dalla sua casa situata nel cuore<br />
di Carini ha il totale controllo di quanto avviene all’esterno delle mura domestiche, grazie alla complicità del vicinato,
Una svolta? Una evoluzione? Un prodotto del nostro tempo…<br />
soggetti che pur non potendo definire mafiosi o criminali di sicuro gli permettono di controllare meticolosamente il<br />
quartiere dove vive. Avvicinarsi a quell’abitazione senza essere notati, era quasi impossibile, persino i bambini, sembra<br />
siano stati addestrati a guardarsi dagli “sbirri” mentre giocano in strada. Rendendo così le indagini a suo carico molto<br />
difficoltose. Fra i più fedeli, Grigoli Gianfranco arrestato a Montepulciano perché favoriva la sua latitanza e che è rientrato<br />
in Sicilia per ubbidire al capo. C’è dell’altro, l’abitazione di Grigoli ha un ingresso che comunica con l’abitazione<br />
dei Passalacqua . Una bella situazione per non dare nell’occhio. Il fedele Grigoli, spesse volte è stato notato mentre accoglieva<br />
all’esterno dell’edificio, o a volte addirittura accompagnare con la sua macchina, soggetti che secondo gli inquirenti<br />
sono molto vicini al reggente che da lui si recavano per le” riunioni” nella casa-prigione. Da lì, secondo gli investigatori,<br />
il reggente, decide gli indirizzi che l’organizzazione criminale deve perseguire e risolve personalmente, la<br />
gestione del potere economico, cioè l’economia dell’intero paese. Inoltre, come un vero padrino, interviene per risolvere<br />
controversie, offrire raccomandazioni, ascoltare tutti quelli che lo richiedano. Invia messaggi che scrive e spesso consegna<br />
la figlia Margherita.<br />
In alcuni casi è stato visto che i messaggi sarebbero brevi scambi di battute fra Passalacqua affacciato al balcone della<br />
propria abitazione, e soggetti che si fermavano lungo la strada a breve distanza. Poche parole appena sillabate. Oppure<br />
un bigliettino appallottolato.<br />
Violenta, aggressiva … persuasiva. Non<br />
lo è solo con i nemici, sfrutta queste sue<br />
caratteristiche e il suo ruolo anche con il<br />
suo avvocato, minacciandolo di fargliela<br />
pagare a lui e tutti quelli che ci sono sulla<br />
strada per arrivare ai giudici se non<br />
concedono il permesso a suo padre -<br />
agli arresti domiciliare – per partecipare<br />
al battesimo della nipotina a cui deve fare<br />
da padrino.<br />
( intercettazione ambientale, mentre lo<br />
racconta al padre e alla madre)<br />
“ … Non ci siamo capiti - dice<br />
all’avvocato – allora, tu vai a presentare<br />
il permesso e ci metti per iscritto<br />
che te ne assumi la responsabilità, tu,<br />
con la scorta di altri quarantacinquemila<br />
sbirri … cornuti e sbirri …<br />
mio padre deve battezzare a mia figlia<br />
gli ho detto, mi è bastato che non è<br />
venuto al matrimonio mio …” e giù<br />
minacce per tutti, giudici compresi.<br />
Il battesimo della bimba di Margherita,<br />
per la “famiglia”, Passalacqua rappresentava<br />
l’occasione di mostrare a tutti<br />
che, il clan, capeggiato dal vecchio patriarca<br />
era ritornato più forte e compatto<br />
di prima. Erano nuovamente in ascesa.<br />
Un modo per lanciare messaggi e segnali<br />
che facilitassero la gestione del potere.<br />
Dunque, l’avvocato con le buone o con<br />
le cattive doveva intervenire con i giudici.<br />
UNA SVOLTA?<br />
UNA EVOLUZIONE?<br />
Il boss di Carini è contento di questa fi-<br />
glia, anche perché il figlio Giuseppe è in<br />
carcere. E poi diciamolo, Margherita dà<br />
più soddisfazioni. E’ più attenta. Non<br />
combina cazzate. E’ irruenta quanto basta<br />
per intimidire. E’decisa. E’ Presente,<br />
adora il padre. Lui, la tiene molto in<br />
considerazione e nei casi importanti o<br />
urgenti utilizzi la figlia per scrivere e<br />
consegnare i “pizzini”. Da donna dà<br />
meno nell’occhio ed è considerata più<br />
libera nei movimenti. Inoltre, il marito,<br />
altro soggetto inserito nella consorteria<br />
criminale, all’epoca era sottoposto alla<br />
sorveglianza speciale di P.S. Sembrerebbe<br />
che il marito di Margherita, Salvatore<br />
Sgroi, con precedenti per associazione<br />
mafiosa, spaccio e traffico di droga,<br />
sia stato ufficialmente affiliato anche<br />
per volere della consorte. Dalle risultanze<br />
investigative, infatti, emerge che Salvatore<br />
Sgroia è una figura che vive<br />
all’ombra della moglie, donna dalla forte<br />
personalità autoritaria.<br />
Passalacqua gestiva i rapporti con<br />
l’esterno tramite “suoi ambasciatori”.<br />
La figlia e il genero, ovviamente i più<br />
fedeli ed affidabili, non si sottraggono ai<br />
doveri implicanti la partecipazione attiva<br />
alla vita della “famiglia”. E così anche<br />
il genero, dalla “sua seconda posizione”<br />
convoca incontri, riferisce gli<br />
esiti.<br />
Margherita invece porta fuori le direttive<br />
e i “pizzini” ricevuti dal padre. Parla<br />
con i destinatari. Consegna al padre i<br />
messaggi ricevuti. Negli ultimi tempi,<br />
diffidente e sospettosa di essere spiata<br />
all’interno del suo esercizio commercia-<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 35<br />
le, suggerisce di non svolgere incontri<br />
nel negozio in quanto dice “pieno pieno”,<br />
facendo riferimento ad eventuali<br />
microspie. Si affaccia fuori dal negozio<br />
per parlare con certe persone. Donna<br />
furbissima.<br />
Nella famiglia di Carini, le donne. Anche<br />
se non affiliate con il rito, partecipano<br />
alle attività dei loro uomini come<br />
se fosse una cosa normale. E’ una normalità<br />
spacciare, contattare, sostituire,<br />
intestarsi attività commerciali quando il<br />
capo famiglia è in galera. Nascondere e<br />
custodire la droga. Scambiarsi gentilezze<br />
e cortesie quando vanno a trovare i<br />
loro detenuti. Una volta, la moglie del<br />
mafioso, detenuto o no, si cercava di occultarsi,<br />
per vergogna o riservatezza.<br />
Non sbandierava ai quattro venti la situazione.<br />
A Carini, le mogli, madri, figlie,<br />
affrontano le galere e i reati dei loro<br />
congiunti alla luce del sole. Come se<br />
fossero stellette da appendere al petto.<br />
Come se il carcere fosse un albergo a<br />
cinque stelle e il reato, un normale mestiere.<br />
Giuseppe Passalacqua, figlio del<br />
boss e fratello di Margherita è in galera,<br />
un fatto che ha sempre irritato la sorella,<br />
secondo la quale non ha saputo gestire<br />
la situazione.<br />
Se fosse stata informata dice al padre “..<br />
Gli avrei detto, guarda, lasciamo i telefoni<br />
qua dentro l’ufficio, andiamocene,<br />
chi vuole … (incomprensibile)<br />
… Anzi passiamoci, gli diciamo noi,<br />
mettimi i vestiti in un sacchetto due<br />
tre cambi in un sacchetto”….mettici<br />
una coperta”
Una svolta? Una evoluzione? Un prodotto del nostro tempo…<br />
Da questa intercettazione, è evidente,<br />
che la figlia del capo sa di luoghi ove<br />
trovare riparo ed assistenza in caso di latitanza.<br />
Conosce i covi utilizzati dalla<br />
famiglia. Conosce le persone delegate a<br />
Intercettazione telefonica<br />
supportare. Mantenere. Nascondere. Vigilare.<br />
Una conoscenza che di per se<br />
conferma ancora una volta il ruolo attivo<br />
di Margherita Passalacqua all’interno<br />
della famiglia mafiosa di Carini.<br />
Margherita racconta al padre le modalità con cui ha richiesto i soldi a tale Angelo.<br />
(Decr. nr. 1924/09 NRG NC DDA -877/09 NRI datato 20/04/2009 prog. nr.934)<br />
P: Passalacqua Calogero<br />
M: Passalacqua Margerita<br />
M:….(omissis)….Angeluzzo, avanti ieri sera è passato davanti al negozio, siccome lui mi aveva detto avanti ieri a fine mese,<br />
passò con la macchina, gli ho detto Angelù, il mese è finito ed è iniziato l’altro, dice, ora vediamo, la<br />
settimana prossima eh…, mentre camminava, gli ho detto Angelù, questa settimana, nel mentre<br />
c’erano persone e se ne andato, macchine e se ne andato, siamo andati a prendere il pane da..da Enzo,<br />
e lo trovo fermo là che parlava con quello,Angelù, vieni qua…(incomprensibile)…se tu pensi di<br />
prendere per il culo gli ho detto, un cristiano che ha due anni che agli arresti domiciliari, gli ho<br />
detto, tu hai sbagliato numero di casa,mi devi portare i soldi di mio padre, ah ma lo sai, i 150 te<br />
li posso dare questo mese, 150 il prossimo mese, gli ho detto Angelù, per me te ne puoi andare<br />
ad impiccarti, ti fai campare da quel cornuto di tuo suocero, tu questa settimana mi devi portare<br />
300 euro, ti è finita gli ho detto, tu vai a prendere in giro a mio padre…<br />
P:…(Incomprensibile)…<br />
M:…Gli ho detto, gli dici ad un mese, gli ho detto…<br />
P:..No una settimana mi ha detto…<br />
M:..Ed io gli ho detto, gli hai detto…(incomprensibile)…ma io ho avuto problemi…, se io ho mio padre abbiamo problemi a te<br />
non te lo veniamo a dire, tu non sei figlio di mio padre e se nessuno immischiato con niente, non ti permettere più a prendere in<br />
giro a mio padre e mi devi portare i soldi subito, ah…ma sai, 150 questa settimana, ti vai ad impiccare gli ho detto, voglio tutti<br />
i soldi questa settimana, perché ti finisco, da femmina e buona ti alzo uno schiaffo ti sconzo …(testuale)…qua…<br />
M:…No, gli ho detto, ti finisco,completamente ti smonto,gli ho detto, vai da tuo suocero visto che è tanto persona per bene<br />
e te li fai dare da lui e glielo dici che sei un farabutto, a tuo suocero…<br />
P:..(incomprensibile)…<br />
M:..Diglielo che sei un farabutto…voglio i soldi questa settimana ed appena tu sgarri, gli ho detto ti infilo…(incomprensibile)…da<br />
femmina e buona c’è la so a smontarti, gli ho detto, vedi quello che devi fare e me ne sono venuta<br />
da te, gli ho dato l’invito a …(incomprensibile)…lui ha preso e se ne andato da Salvo( marito di Margherita) che stava<br />
uscendo dal panificio, gli dice c’è ne posso dare 150 la settimana, 150 la prossima…gli dice Angelù,se mia moglie ti ha<br />
detto che li vuole questa settimana, perche dice, glieli lascio io a tuo padre, no me li devi venire a lasciare a me, da mio<br />
padre tu non ci devi mettere più piede, ci fa…(incomprensibile)…con mio padre non hai più niente da parlarci…<br />
P:…(incomprensibile)….<br />
M:…Ti sembra che ti và a finire meglio di qua gli ho detto, non ti va a finire meglio di me…<br />
P:…(incomprensibile)…questi per una settimana…<br />
M:…E ieri ha portato 200 euro…<br />
P:…gli dici questi per una settimana…<br />
“ti vai ad impiccare gli ho detto,<br />
voglio tutti i soldi questa settimana,<br />
perché ti finisco, da femmina e buona<br />
ti alzo uno schiaffo ti sconzo”<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 36
Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />
Mafioso?<br />
No, un pirla incandidabile<br />
Franco Lo Re<br />
Un fondo di settanta ettari confiscati al narcotrafficante mafioso Totò Miceli, uomo fidato del<br />
latitante Matteo Messina Denaro, stava per essere assegnato ad un amico dell’onorevole<br />
Gianmmarinaro. Ritardi ed altalene. Condizionamenti? Una altra goccia che ha fatto<br />
traboccare il vaso. Vittorio Sgarbi è uscito proprio malamente dalla vicenda di Salemi.<br />
Secondo il tribunale di Marsala, non è candidabile, ma lui si candida lo stesso a Cefalù. Con<br />
l’arroganza e la tracotanza che lo contraddistingue. “Partito della Rivoluzione”. Rivoluzione<br />
di che? L’altra lista “Concorso esterno” pare non sia andata in porto per vizi di forma. tutto<br />
ciò non è ironico. Non è un gioco. Nessun problema linguistico. Per di più, la mafia è mafia e<br />
non si fanno accordi o inciuci con i mafiosi. In sicilia non abbiamo bisogno di personaggi<br />
spregiudicati, sempre pronti a fare provocazioni. Vogliamo essere razzisti, perciò,<br />
pretendiamo politici seri, competenti, presenti, interessati ai problemi territoriali.<br />
“Sgarbi? Non è un mafioso. Come si<br />
dice a Milano è un pirla”. Ad esprimersi<br />
così, all'indomani delle dimissioni di<br />
Vittorio Sgarbi da sindaco di Salemi, fu<br />
il fotografo Oliviero Toscani in una<br />
intervista ad un quotidiano nazionale. Per<br />
circa un anno era stato assessore alla<br />
Creatività della giunta del critico ferrarese.<br />
Aveva convissuto politicamente, e non<br />
solo, senza battere ciglio con l’intero<br />
entourage della potente macchina di potere<br />
dell’ex deputato democristiano Pino<br />
Giammarinaro. Collaborando in giunta<br />
con i suoi fedelissimi: a cominciare dal<br />
vicesindaco Nino Scalisi, da sempre e<br />
notoriamente l’alter ego di Giammarinaro<br />
e per finire col di lui cognato Angelo<br />
Calistro. Tutto alla luce del sole,<br />
intendiamoci. Con atti, documenti e<br />
filmati. Sarebbe stato questo, infatti, il<br />
leitmotive ripetuto da Sgarbi in ogni<br />
occasione per replicare alle accuse<br />
mossegli. Argomentazioni, per certi<br />
versi, condivisibili. Ove si pensi che i<br />
personaggi indicati sempre stati presenti<br />
sulla scena politica cittadina da un<br />
trentennio e sempre rimasti indisturbati.<br />
A cominciare appunto dallo stesso Pino<br />
Giammarinaro. Dominus incontrastato<br />
per oltre un trentennio nella sanità<br />
pubblica trapanese . Di riflesso in quella<br />
politica perché detentore di un cospicuo<br />
pacchetto di voti in grado di fare<br />
eleggere deputati regionali e nazionali e<br />
consiglieri comunali e provinciali. E<br />
quindi, ha buon gioco lo showman<br />
Sgarbi quando sostiene, certamente<br />
strumentalmente, che non di mafia si<br />
tratta, ma di politica. Altro che<br />
infiltrazioni mafiose, aveva subito<br />
rinfacciato al suo ex amico tacciandolo<br />
addirittura anche di razzismo!<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 37<br />
Insinuando “non avendo ottenuto<br />
quello che voleva a Salemi, con le sue<br />
richieste di finanziamento, ha chiamato<br />
mafia quello che a Lucca avrebbe<br />
chiamato patto di stabilità. Il suo è un<br />
problema linguistico, che rivela un<br />
sostanziale razzismo”. Ma per il<br />
fotografo milanese le infiltrazioni<br />
c'erano e “non si poteva fare nulla<br />
senza parlare con questo e con quello,<br />
senza chiedere permesso, senza<br />
passare da un'infernale macchina<br />
burocratica che è mafia”.<br />
SARO’ IL SINDACO<br />
DI CEFALU’<br />
Come sono andate le cose, ormai è noto a<br />
tutti. Dopo le dimissioni di Sgarbi, c’è<br />
stato lo scioglimento del Comune di<br />
Salemi per infiltrazioni mafiose. Fino<br />
alla sentenza di alcuni giorni emessa dal<br />
Tribunale di Marsala che ha dichiarato
Vittorio Sgarbi "incandidabile" in vista delle<br />
prossime elezioni amministrative.<br />
Suscitando l’immediata e indispettita<br />
reazione da parte del critico d'arte. Lui non<br />
ci sta. E si è candidato ugualmente<br />
affermando che “questa è solo la sentenza di<br />
primo grado e ce ne sono altre tre, l'appello,<br />
la cassazione e la Corte di Strasburgo". E<br />
così dopo l’avventura consumata sulle<br />
amene colline salemitane, il ferrarese,<br />
invece di risalire lo stivale per ritornare<br />
nelle brumose pianure natie, ha scelto di<br />
restare nell’ospitale terra siciliana in una<br />
altrettanto ospitale e ridente cittadina.<br />
Stavolta marina. Approdando sul litorale<br />
della cittadina della Mandralisca, ha scelto<br />
di candidarsi a sindaco di Cefalù.<br />
Affascinato forse dal “Sorriso di un ignoto<br />
marinaio”, si è presentato capeggiando una<br />
formazione politica di sua invenzione,<br />
goliardicamente battezzata “Partito della<br />
Rivoluzione”, promettendo di innalzare ai<br />
vertici del turismo isolano la cittadina<br />
normanna. Avrebbe dovuto essere<br />
fiancheggiata da una terza lista<br />
allusivamente denominata ''Concorso<br />
esterno'”. Ma non se n’è fatto più nulla.<br />
Sembra per vizi di forma. E la sentenza di<br />
Marsala? "Intanto mi candido e se sarò<br />
eletto, farò il sindaco, poi quando verrà<br />
emessa la sentenza definitiva, ne<br />
riparleremo". Ha chiosato. E poco importa<br />
se nei giorni precedenti ci siano state<br />
polemiche sulla presenza inquietante di tale<br />
Giuseppe Farinella, cugino di un<br />
pregiudicato per mafia, detto “Oro colato”,<br />
famoso imprenditore della zona madonita,<br />
originario di San Mauro Castelverde. E<br />
poco conta se sulla vicenda sia intervenuta<br />
anche Sonia Alfano, eletta recentemente<br />
Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />
Presidente della Commissione CRIM (sul<br />
crimine organizzato, la corruzione e il<br />
riciclaggio di denaro) del Parlamento<br />
Europeo. Fra i due, fin dai tempi della<br />
campagna elettorale del 2008, ogni<br />
occasione è stata buona per innescare una<br />
polemica al calor bianco. “Era ovvio”- ha<br />
sottolineato l’Alfano- “ che Vittorio<br />
Sgarbi non potesse candidarsi a sindaco<br />
di Cefalù dopo quanto accaduto a Salemi,<br />
cittadina abbandonata nelle mani della<br />
mafia da un sindaco assente e con<br />
frequentazioni a dir poco ambigue.<br />
Ricordo anche che Sgarbi ha spesso<br />
lanciato assurde invettive sull’inesistenza<br />
della mafia, affermando che i familiari<br />
delle vittime innocenti la stessero<br />
utilizzando come pretesto per i propri<br />
interessi”. A cui l’ex sindaco di Salemi ha<br />
subito controbattuto dicendo che “la<br />
Alfano dimentica che l’unico elemento su<br />
cui poggia lo scioglimento di Salemi non è<br />
in fatti criminosi ma nelle dichiarazioni di<br />
un pubblicitario come Oliviero Toscani<br />
che ha mentito nella sua ignoranza<br />
confondendo la giunta con la sala<br />
d’aspetto.”<br />
RITARDI,INERZIE, ILLEGALITA’,<br />
CONDIZIONAMENTI<br />
Ritornando alle vecchie accuse nei<br />
confronti del fotografo milanese.<br />
Ignoranti tutti, per Sgarbi. Anche il<br />
Tribunale di Marsala. Perché “la<br />
sentenza è un insieme di menzogne<br />
fondate sull’ignoranza, a partire della<br />
richiesta inesistente del ministro<br />
Cancellieri a cui è stato arbitrariamente<br />
attribuito di aver chiesto la mia<br />
incandidabilità con una sentenza ad<br />
personam, mentre la richiesta del<br />
ministro riguardava, per sua stessa<br />
ammissione, il solo consiglio comunale,<br />
senza nessun riferimento personale.” Si<br />
tratta di una sentenza emessa ai sensi<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 38<br />
dell’art. 143 della legge 267 del 2000,<br />
testo unico sugli enti locali siciliani.<br />
Quisquiglie e pinzillacchere, direbbe, il<br />
principe De Curtis. Così come poco<br />
conta se il ministero dell’Interno abbia<br />
scritto che “il sindaco ha precise<br />
responsabilità per ritardi e inerzie<br />
nell’assegnazione e gestione dei beni<br />
confiscati, formazione degli atti fuori<br />
dalle sedi istituzionali, libera<br />
determinazione fortemente ostacolata,<br />
applicazione di facciata dei protocolli<br />
di legalità”. Si tratta di un duro atto<br />
d’accusa in cui si descrive<br />
un’amministrazione controllata da un<br />
ex sorvegliato speciale. Dall’ex<br />
deputato regionale della Dc, lo<br />
andreottiano Pino Giammarinaro, come<br />
dicevamo prima. E che il famoso<br />
rapporto investigativo del mese di<br />
maggio dello scorso anno definiva<br />
“puparo e regista nemmeno tanto<br />
occulto” tanto da far chiedere al<br />
questore Carmine Esposito, al<br />
Tribunale di Trapani l’applicazione di 5<br />
anni di sorveglianza speciale, e il<br />
sequestro di beni per un ammontare di<br />
ben 30 milioni di euro. Stiamo<br />
parlando della ormai citatissima<br />
indagine “Salus Iniqua”. Seguì<br />
l’ispezione al Comune di Salemi,<br />
durata molti mesi: nel corso della quale<br />
tutta l’attività amministrativa degli<br />
ultimi tre anni fu passata al setaccio. Al<br />
termine della quale fu prodotta una<br />
relazione presentata al Ministro<br />
Cancellieri e da questa infine fatta<br />
propria. Un corposo documento in cui<br />
si sostiene che “l’amministrazione, col<br />
sindaco e vicesindaco, non ha posto<br />
alcun argine al condizionamento<br />
esercitato dall’on. Giammarinaro”. E<br />
paradossalmente il Ministro sottolinea<br />
che “è il sindaco ad affermare la<br />
centralità della figura di<br />
Giammarinaro, anche a proposito della
attribuzione di incarichi e nomine”.<br />
Citando un incontro pubblico, presenti il<br />
presidente del Consiglio di Salemi Giusy<br />
Asaro e diversi consiglieri comunali. Nel<br />
corso del quale Vittorio Sgarbi precisò che<br />
qualsiasi rivendicazione politica, anche<br />
relativa a nuove nomine o concernente la<br />
gestione del quotidiano e delle dinamiche<br />
comunali, doveva essere discussa con Pino<br />
Giammarinaro. Una fonte oltre che<br />
attendibile, anche autorevole circa il<br />
“condizionamento” su l’attività<br />
amministrativa della giunta. Le ripetute<br />
assenze di Sgarbi dal territorio del comune<br />
di Salemi del resto resero possibile, se non<br />
addirittura agevolato, lo sviamento<br />
dell’attività amministrativa. Nel periodo<br />
preso in esame che va dal 2008 al maggio<br />
del 2011, è emerso inoltre che “molti<br />
elementi della compagine elettiva e dei<br />
dipendenti comunali abbiano precedenti<br />
penali e di polizia, tra l’altro per reati<br />
concernenti la truffa per il conseguimento<br />
di erogazioni pubbliche, la turbativa<br />
d’asta in appalti nonché per reati<br />
associativi di tipo mafioso” .<br />
Sarebbero emersi elementi sintomatici che<br />
evidenziano una serie di cointeressenze,<br />
anche contrapposte (!), tra amministratori<br />
locali, apparato burocratico ed esponenti<br />
della criminalità organizzata. In modo<br />
particolare per quanto attiene al vicesindaco<br />
Antonella Favuzza “legata da stretti vincoli<br />
con noti e storici esponenti delle locali<br />
famiglie criminali..” che, come si legge in<br />
una nota dell’Arma dei Carabinieri,<br />
nell’esercizio del proprio mandato, “non ha<br />
posto in essere alcun serio effettivo<br />
contrasto ai condizionamenti di<br />
Giammarinaro, ma ha invece perseguito,<br />
nel corso del proprio mandato, finalità volte<br />
ad incrementare i propri interessi<br />
economici, in ciò coadiuvata da soggetti<br />
con precedenti reati associativi e contigui<br />
alle cosche malavitose”. Ma anche il<br />
sindaco Sgarbi avrebbe permesso a Pino<br />
Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />
Giammarinaro di partecipare a riunioni di<br />
giunta (quelle che lui invece definisce<br />
“sala d’attesa”), senza che la di lui<br />
presenza venisse registrata. Ma registrata<br />
forse da qualche telecamera, diciamo noi.<br />
Risulterebbe inoltre che a casa dell’ex<br />
deputato qualche bilancio di previsione del<br />
Comune fosse stato portato da un<br />
consigliere comunale fidato.<br />
QUI COMANDA<br />
GIAMMARINARO<br />
Ma, a conferma di quanto noi<br />
facilmente avevamo previsto in nostro<br />
precedente articolo, una delle cause<br />
scatenanti che ha prodotto il crollo del<br />
circo mediatico-amministrativo<br />
sgarbiano sarebbe stata la mancata<br />
assegnazione di quel famigerato fondo di<br />
70 ettari confiscato al narcotrafficante<br />
mafioso Totò Miceli, uomo fidato del<br />
latitante Matteo Messina Denaro. “Una<br />
anomala gestione”, viene bollata nella<br />
relazione. Caratterizzata, si dice, da una<br />
protratta inerzia dell’amministrazione,<br />
oltre che dalle pressioni esercitate<br />
dall’onnipresente Giammarinaro. Il<br />
rapporto mette in risalto come quel<br />
fondo stesse per essere assegnato<br />
all’associazione di assistenza sanitaria<br />
Aias, dopo che Sgarbi aveva chiesto a un<br />
assessore: “Pino che ne pensa?”. L’ex<br />
onorevole non poteva che essere<br />
d’accordo per questa assegnazione. Il<br />
presidente dell’Aias, infatti,<br />
l’ingegnere Francesco Lo Trovato,<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 39<br />
risulta “ anche lui con interessi nella<br />
sanità e intrattenere rapporti di lavoro<br />
con Giammarinaro”. Ma gli aspetti di<br />
condizionamento e di illegalità<br />
dell’attività amministrativa sono molto<br />
più ampi e “risultano evidenti in una<br />
serie di condotte o procedimenti che<br />
hanno caratterizzato l’attività dell’ente<br />
locale quali la mancanza di controlli in<br />
materia di contributi statali, il mancato<br />
rispetto del protocollo di legalità nelle<br />
procedure d’appalto, dalla diffusa<br />
illegittimità delle procedure<br />
amministrative”. Non solo. Dall’atto<br />
ispettivo si evince che anche penetranti<br />
condizionamenti ci sono stati nella<br />
complessiva vicenda concernente<br />
l’erogazione di contributi economici in<br />
favore di persone giuridiche e<br />
associazioni. Le elargizioni sarebbero<br />
state concesse con procedure arbitrarie<br />
in assenza di una qualsiasi<br />
regolamentazione e di conseguenza<br />
non in linea di trasparenza e<br />
equanimità. Addirittura viene scritto<br />
che di “tali contributi e per un<br />
rilevante importo hanno anche<br />
beneficiato associazioni o persone<br />
riconducibili a soggetti<br />
contigui ad organizzazioni<br />
criminali”(sic). Mentre per<br />
quanto riguarda il sistema di<br />
aggiudicazioni degli appalti<br />
di lavori e di servizi,<br />
sebbene il Comune di<br />
Salemi avesse aderito al<br />
protocollo di legalità<br />
denominato “Carlo Alberto<br />
Dalla Chiesa”, i contenuti dello stesso<br />
non sono stati rispettati dalla giunta<br />
comunale. Per gli appalti, ad esempio,<br />
d’importo superiore a 250.000 euro<br />
non sono state richieste le informazioni<br />
antimafia alla competente prefettura.<br />
Stessa lacuna per i lavori di restauro<br />
del palazzo municipale.
LE DELEGHE SINDACALI<br />
Diffusa illegalità anche nelle procedure<br />
dell’erogazione dei contributi da parte<br />
dell’apposita commissione del terremoto.<br />
Questo organismo che nel periodo di<br />
Sgarbi ha concesso, un ammontare di<br />
3.700.000 euro,deve essere presieduto per<br />
legge dal sindaco pro-tempore o da un suo<br />
delegato. E’ su questa figura che gli<br />
ispettori hanno rivolto la loro attenzione.<br />
In questi tre anni la delega sindacale è<br />
stata conferita a diversi soggetti, spesso<br />
estranei all’amministrazione. Il giudizio<br />
dei commissari è impietoso. Essi sono<br />
stati scelti “senza una verifica di un<br />
seppur minimo possesso di requisiti di<br />
professionalità, nei confronti dei quali<br />
sono state riscontrate frequentazioni con<br />
soggetti contigui ad ambienti mafiosi” Ma<br />
il giudizio negativo investe anche alcuni<br />
componenti della Commissione rispetto ai<br />
quali sarebbero emerse “ripetute situazioni<br />
di conflitto d’interesse e cointeressenza”.<br />
Sui debiti fuori bilancio infine, dal mese di<br />
luglio 2008, i commissari hanno accertato<br />
“una ripetuta serie d’impegni di spesa per<br />
forniture di beni e servizi in violazione<br />
delle norme contabili”. Intanto la lunga<br />
marcia siciliana di Vittorio Sgarbi<br />
(avrebbe dovuto essere anche Assessore ad<br />
Agrigento) è continuata per attraccare a<br />
Cefalù. Per oltre due settimane, nella città<br />
tirrenica si è parlato di una campagna<br />
elettorale inquinata e si temuta una<br />
consultazione che alla fine sarebbe potuta<br />
risultare inficiata. Il riferimento era alla<br />
sua incandidabilità. E a chi gli rinfacciava<br />
tale pericolo non ha esitato ad annunciare<br />
un ricorso, all’indomani delle elezioni, nel<br />
caso non fosse eletto, proprio “per<br />
inquinamento del voto”. Chiudendo un<br />
suo comizio ha gridato in Piazza Duomo,<br />
ai piedi del Santuario di Gibilmanna, di<br />
essere “assolutamente immacolato”. Ma,<br />
Mafioso? No, un Pirla incandidabile<br />
come facilmente prevedibile Vittorio<br />
Sgarbi resta “incandidabile”. Lo hanno<br />
deciso, alla vigilia della chiusura della<br />
campagna elettorale i giudici della prima<br />
sezione civile della Corte d'Appello,<br />
presieduti da Rocco Camerata Scovazzo,<br />
al termine della Camera di consiglio”.<br />
L'avvocato Girolamo Rubino, legale di<br />
Sgarbi, prontamente ha annunciato:<br />
"Ricorreremo in Cassazione!" . La<br />
polemica è subito divampata. Si dà il<br />
caso, infatti, che, a dispetto di tutti, il<br />
nome di Sgarbi comparirà nella scheda<br />
con le due liste collegate: “Partito della<br />
rivoluzione” e “Cefalù cambia” per le<br />
elezioni di Cefalù. Cosa che ha fatto<br />
andare su tutte le furie persino il<br />
segretario del Pdl, Angelino Alfano: “Il<br />
grave paradosso che rischia di colpire i<br />
cittadini di Cefalù è che essi vedranno<br />
sulla scheda elettorale il nome di un<br />
soggetto dichiarato “incandidabile”<br />
dall’autorità giudiziaria e che, per<br />
effetto di questa presenza, avranno<br />
vanificato del tutto il loro voto.”<br />
Scatenando la replica dell’assessore<br />
regionale Caterina Chinnici secondo<br />
cui,“La normativa in materia elettorale<br />
prevede il rinvio delle elezioni solamente<br />
per cause di forza maggiore, ossia per<br />
impedimenti oggettivi che non<br />
consentono il regolare svolgimento delle<br />
operazioni di voto, quali, per esempio, le<br />
calamità naturali. Nulla, invece, è<br />
previsto nell'ipotesi di incandidabilità<br />
dei singoli soggetti''. Una situazione<br />
paradossale e tutta siciliana, che tanto<br />
piacerebbe allo scrittore Camilleri.<br />
Consentendo a Sgarbi di candidarsi, la<br />
conseguenza più probabile sarà, infatti,<br />
la nullità dell’intera consultazione<br />
elettorale. Lo aveva chiesto il rinvio<br />
anche il prefetto di Palermo per evitare<br />
lo sperpero di pubblico denaro che<br />
deriverà dall’inevitabile ripetersi delle<br />
elezioni. Tutto inutile.<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 40<br />
QUI FINISCE L’AVVENTURA!!!<br />
Per il governo regionale “qualsiasi<br />
intervento della Regione<br />
rappresenterebbe l'esercizio di un potere<br />
non attribuito dalla legge e quindi in<br />
contrasto con i principi<br />
costituzionalmente garantiti connessi<br />
all'esercizio del diritto di voto . Non è<br />
consentito il rinvio per l’incandidabilità<br />
di un candidato a sindaco, ne è<br />
consentita l’esclusione di questo<br />
candidato rispetto alla competizione<br />
elettorale”. Per Giampaolo Cicconi,<br />
l’avvocato che difende Sgarbi, non ci<br />
sono dubbi. «Il “mostro giuridico” è<br />
stato creato dal legislatore con l’ingresso<br />
della legge, palesemente incostituzionale,<br />
che, allo stato, consente a Sgarbi di<br />
essere ritenuto candidabile in pendenza<br />
del termine per proporre ricorso in<br />
Cassazione alle decisioni dei giudici di<br />
Marsala e di Palermo.” Una cosa a<br />
questo punto ci sembra certa.<br />
L’avventura politica siciliana di Vittorio<br />
Sgarbi sembra ormai destinata a<br />
concludersi qui. A pensarci bene il<br />
patetico epilogo gli era stato vaticinato<br />
già fin dal giorno in cui mise per la prima<br />
volta piedi a Salemi. Quando si aggirava,<br />
chiome al vento, in una domenica<br />
sciroccosa dell’aprile del 2008, per le<br />
viuzze tortuose della cittadina medievale,<br />
in compagnia di una signora che, rapita<br />
gli declamava i profetici versi<br />
popolareschi: "Unni viditi muntagni di<br />
issu/ chissa è Salemi, passatici arrassu/<br />
sunnu nimici di lu crucifissu / e amici<br />
di lu Satanassu". (Dove vedete<br />
montagne di gesso stateci lontano, non<br />
sono amici del Crocifisso ma amici di<br />
Satanasso).
Palermo: teatro Garibaldi occupato…<br />
Teatro Garibaldi<br />
Aperto<br />
Antonio Tozzi<br />
Roma, Catania, Palermo, teatri occupati. Spettacoli e concerti<br />
per strada per protesta. La cultura è in ginocchio. Tolgono<br />
soldi al settore. Operatori, musicisti, attori, registi, incazzati. A Palermo hanno occupato il<br />
teatro Garibaldi, "ristrutturato" ma chiuso. Uno spazio culturale sprecato, privo della funzione<br />
e dignità che gli spettano.<br />
"Camminiamo nello spazio!" a parlare, o<br />
meglio a urlare è Italia, una donna sulla<br />
quarantina d'anni. Siamo al Teatro Garibaldi<br />
Aperto e questo è il settimo giorno<br />
di apertura/occupazione. Sono le tre e<br />
mezzo del pomeriggio e con lei c’è una<br />
variegata moltitudine di bambini, i bambini<br />
della Magione, una delle piazze più<br />
belle di Palermo. Tutto intorno c'è chi sta<br />
pulendo la platea, chi sistema il tavolo<br />
all'ingresso, chi è davanti al computer su<br />
internet per scrivere quanto sta accadendo,<br />
chi è alle prese con la programmazione<br />
delle serate e chi sta cercando con<br />
i pochi mezzi a disposizione di mettere<br />
in sicurezza una porta dalla serratura malandata.<br />
Il teatro è vivo, pulsa, si agita.<br />
Dario è emozionato, mi dice che i primi<br />
giorni sapeva esattamente chi stava<br />
facendo cosa, adesso invece<br />
non lo sa ed è felice perché le<br />
persone cominciano ad attrezzarsi<br />
ed ingegnarsi in proprio per migliorare<br />
l'habitat comune, un habitat<br />
che si estende oltre le mura<br />
del teatro ma che nel teatro trova<br />
il suo fulcro, il suo apice, il suo<br />
simbolo. La mattina ci si confronta<br />
in assemblea, il pomeriggio<br />
passa tra laboratori teatrali,<br />
attività per bambini e tavoli di<br />
approfondimento. La sera centinaia<br />
di persone si riversano davanti<br />
ai cancelli di questo teatro,<br />
come dire ci siamo pure noi.<br />
Sebbene nessuno sappia quale e<br />
quanto lungo sarà il percorso di<br />
questa iniziativa la regola è chiara<br />
e condivisa da tutti: occupare un<br />
teatro, "ristrutturato" e chiuso significa<br />
riaprirlo alla cittadinanza<br />
ridandogli la funzione e la dignità<br />
che gli spettano.<br />
Così dentro il teatro non si fuma,<br />
non si mangia ed è vietato introdurre alcolici,<br />
il palco per esibirsi non lo si guadagna<br />
perché si è occupanti o amici degli<br />
occupanti ma perché ci si è dedicati ad<br />
un'arte e la si può mettere in scena consapevoli<br />
di cosa questo significhi. La<br />
somma dei singoli non basta a spiegare<br />
l'energia che si respira in questo posto,<br />
un'energia che nasce da un gruppo varie-<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 41<br />
gato composto da artisti ed attivisti, operatori<br />
del sociale e semplici cittadini,<br />
studenti e professionisti, gente autoctona<br />
e fuorisede, un gruppo che sta prendendo<br />
una forma ancora difficile da definire ma<br />
chiara in alcuni suoi punti cardine: condivisione<br />
e trasparenza. Non a caso il<br />
manifesto scritto dal gruppo di ragazzi<br />
che ha dato il via all'occupazione, e sottoscritto<br />
ad oggi da centinaia e centinaia<br />
di persone, chiede ed esige che gli spazi<br />
e i soldi pubblici della città siano gestiti<br />
in maniera trasparente secondo regole<br />
chiare, condivise e condivisibili. Per<br />
qualcuno si tratta di un'utopia ma qui al<br />
Teatro Garibaldi, nonostante la pressione<br />
della gente che vuole di più e delle istituzioni<br />
che minacciano denunce e sgombero,<br />
si sta cercando di metterla in atto, e<br />
non solo in scena.<br />
● ● ●<br />
Nel frattempo a Palermo è<br />
stato eletto il sindaco<br />
Orlando …<br />
Il Teatro Garibaldi<br />
può sperare<br />
● ● ●
Ex Carcerato in attesa di giudizio<br />
In attesa di<br />
Giudizio<br />
Antonella Serafini<br />
Come vive un detenuto? Per capirlo bisogna vivere quella condizione, non la si può<br />
immaginare. Solo parlarne non rende l’idea. Francesco è finito in carcere perché un<br />
camorrista ha fatto il suo nome, “detenuto in attesa di giudizio”, scarcerato per essere<br />
risultato estraneo ai fatti. Non è più la stessa persona, ha voluto raccontarci la sua esperienza<br />
infelice attraverso la quotidianità carceraria. Non massimi sistemi, ma il fare le cose più<br />
semplici per continuare a vivere. Il lento scorrere delle ore di una interminabile giornata. Il<br />
rischio concreto di essere catturati dal vortice dall’inutilità definitivamente.<br />
“L’ambiente è di circa 10/12 mq<br />
compreso l’angolo bagno senza sfiato<br />
verso l'esterno. E’posto di fronte alla<br />
finestra – racconta Francesco – un<br />
piccolo tavolo, due mini comodini, due<br />
mini armadietti, un televisore.”<br />
Francesco fa una pausa. Poi toccandosi<br />
la fronte con un dito aggiunge”- anche<br />
questo mini, due brande a mo di letto a<br />
castello” . Ma ci vivono i puffi?<br />
“No, due persone di corporatura media -<br />
quando si è fortunati – ci spiega ed<br />
aggiunge - “Il bagno è dotato di un<br />
lavandino al di sopra del quale,<br />
cementato nel muro, c'è il tubo dal quale<br />
fuoriesce solo acqua fredda pigiando un<br />
bottone temporizzato per dieci secondi.<br />
C'è il water ma non c'è la doccia e il<br />
bidet, anzi, è disattivato”.<br />
Questa pressappoco la pianta strutturale<br />
di una cella. Una stanza-tipo dei tanti<br />
super condomini in Italia. Ci possono<br />
essere delle differenze e attengono, in<br />
genere, alle dimensioni delle stanze, al<br />
conseguente numero di occupanti, allo<br />
stato di conservazione.<br />
Case Circondariali o Case di Reclusione.<br />
Come fossero grandi condomini, e il<br />
parlarne quasi un argomento ameno.<br />
Carcere, ti porta già in una altra<br />
dimensione “Quando si entra in uno di<br />
questi luoghi, avviene uno<br />
stravolgimento della propria esistenza.<br />
Bisogna imparare ad “imparare” un altro<br />
stile di vita. In carcere s’impara la<br />
sobrietà: il vivere delle poche cose di cui<br />
si può disporre. Si scopre il valore delle<br />
poche cose di cui si può disporre e delle<br />
piccole cose alle quali, fuori, tante volte<br />
non si da il loro giusto peso”. Una banale<br />
tazzina di caffè dentro le anguste celle di<br />
un carcere diventa un sogno ripetuto,<br />
infinito. “In carcere si possono usare<br />
solo bicchieri di plastica.. Si può<br />
disporre solo di pochi abiti, quelli che<br />
servono. Non si può accumulare troppo<br />
cibo; è possibile indossare orologi di<br />
plastica trasparente; le penne devono<br />
essere trasparenti, tipo “Bic”; non è<br />
possibile affiggere poster sul muro; si<br />
può fare la spesa ma solo attraverso un<br />
catalogo di<br />
prodotti<br />
fissi a<br />
prezzo<br />
imposto”.<br />
Ma non<br />
solo questo,<br />
ci sono ben<br />
altre cose importanti a cui bisogna<br />
abituarsi.<br />
“Si, certo. La prima è il dover rinunciare<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 42<br />
anche alla propria libertà di potersi<br />
autogestire all'interno di questo super<br />
condominio. La propria vita è<br />
completamente affidata a chi ti<br />
amministra, a chi ti gestisce, ai<br />
regolamenti, che non sono sempre uguali<br />
tra un carcere e l'altro. Devi abituarti al<br />
fatto che esistono orari prestabiliti per<br />
andare in doccia, per lavare gli abiti, per<br />
telefonare ai propri cari e per qualunque<br />
altra attività esterna alla propria<br />
cella/stanza. E per fare una qualunque di<br />
queste operazioni occorre chiedere il<br />
permesso all'agente penitenziario di<br />
turno”<br />
Se poi nasce una necessità che può<br />
essere soddisfatta solo esternamente alla<br />
struttura come farsi riparare gli occhiali,<br />
Ho trentasette anni, da sette mesi sono recluso, in attesa di<br />
giudizio. Fuori, la mia vita era frenetica, molto impegnata.<br />
Iniziava alle sette del mattino, e terminava alle 21.00, o<br />
anche dopo. Laureato, libero professionista. Ora, qui,<br />
frequento la scuola di Agraria, l'unico corso che c'è, e meno<br />
male che c'è.<br />
bisogna sperare che ci siano dei<br />
volontari. In molte carceri non ci sono, o<br />
sono insufficienti. I più fortunati,<br />
possono contare sull'aiuto dei familiari.<br />
Ogni operazione di vita quotidiana
all'interno di questi luoghi si muove<br />
entro questi ferrei e rigidi paletti. E' la<br />
restrizione della restrizione. All’interno<br />
del carcere, nulla è certo, neanche il<br />
compagno di cella, inoltre, bisogna<br />
convivere con il risucchio dell’inutilità.<br />
Questo perché in quasi tutte le carceri si<br />
trascorrono, normalmente, venti ore<br />
giornaliere in cella. Le eccezioni sono<br />
limitate. Purtroppo le possibilità di<br />
lavoro sono risicate ma, soprattutto, in<br />
quasi tutti questi luoghi non esistono<br />
corsi pratico-professionali o corsi di<br />
studio completi che, non solo aiutino a<br />
non sentirsi inutili “dentro”, ma,<br />
soprattutto, diano la possibilità a tutti di<br />
essere utili alla società una volta “fuori.<br />
Occorre, quindi, trovare dentro se stessi<br />
la forza mentale per non farsi ingoiare<br />
dal magma dell’insensibilità, l’ apatia, la<br />
pigrizia e l’ indolenza.” Il non vivere.<br />
DIARIO DI UN CARCERATO<br />
Francesco in carcere scriveva un diario,<br />
Grazie alla scuola Francesco trascorre<br />
diciassette ore in cella (anziché venti).<br />
ricco di annotazioni. Di notizie, di<br />
riflessioni.<br />
“ Ho trentasette anni, da sette mesi sono<br />
recluso, in attesa di giudizio. Fuori, la<br />
mia vita era frenetica, molto impegnata.<br />
Iniziava alle sette del mattino, e<br />
terminava alle 21.00, o anche dopo.<br />
Laureato, libero professionista. Ora, qui,<br />
frequento la scuola di Agraria, l'unico<br />
corso che c'è, e meno male che c'è. Ogni<br />
giorno, per tre ore,<br />
ritorno indietro nel<br />
tempo a quando avevo<br />
tredici anni, e mi<br />
ritrovo a studiare<br />
(nuovamente) i<br />
polinomi, la<br />
grammatica, le foglie e i<br />
fiori. Sorrido a me stesso:<br />
scopro in questo luogo, a<br />
questa età, quanto sia bello<br />
studiare per il piacere di<br />
farlo, il desiderio di<br />
apprendere e conoscere. Non<br />
abbandonate mai gli studi;<br />
abbandonatevi alla cascata<br />
del sapere, vi sentirete molto<br />
ricchi”.<br />
Grazie alla scuola Francesco<br />
trascorre diciassette ore in cella<br />
(anziché venti). Ha capito che se<br />
vuole sopravvivere deve darsi<br />
delle regole. Perciò, ha deciso di<br />
Ex Carcerato in attesa di giudizio<br />
aggrapparsi per tutto il tempo che gli<br />
rimane da passare dentro, a tanti microobiettivi:<br />
la scuola, sistemare la branda,<br />
lasciata appositamente disfatta prima di<br />
andare a scuola, ordinare e pulire la<br />
cella, e poi, intorno alle 12,30, mangiare<br />
la frutta. “Preparare la frutta, è<br />
un'operazione che va fatta lentamente,<br />
con pazienza, con calma, utilizzando il<br />
coltello di plastica (non è ammesso l'uso<br />
di coltelli con lama) sbucciarla e<br />
sezionando, delicatamente, il frutto in<br />
tante parti”.<br />
RUBARE IL TEMPO<br />
Anche il semplice recarsi dalla cella alla<br />
sala doccia avviene adagio. I due metri<br />
di distanza si trasformano in duecento<br />
metri. Perché occorre rubare quanti più<br />
minuti possibili al lento scorrere della<br />
clessidra. “Fuori, il tempo non basta mai,<br />
dentro un carcere ce n'è troppo. Ed è<br />
come se il tempo di “dentro” si<br />
appropriasse del tempo di “fuori”.<br />
Occorre, ogni giorno,<br />
sconfiggere il senso d’inutilità<br />
scandito dall'immobilismo del<br />
tempo di “dentro”. Allora tutto<br />
viene spalmato, distribuito<br />
sull’intera giornata, anzi<br />
sull'intera settimana. Quindi spiega<br />
Francesco,se hai la fortuna di aver<br />
ricevuto due lettere, rispondi solo ad<br />
una. L'altra la conservi per l'indomani.<br />
Un libro, anche se vorresti leggerlo tutto<br />
d'un fiato, impari a leggerlo a tappe.<br />
T’inventi un disegno,<br />
assisti il tuo compagno<br />
di<br />
cella nella<br />
preparazione di un cibo, purché si abbia<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 43<br />
la fortuna di andarci d'accordo. Il tutto<br />
sempre all'interno di quei pochi, ristretti,<br />
metri quadrati.<br />
“Il carcere è il luogo in cui devi imparare<br />
la pazienza, la calma, la sopportazione, il<br />
saper aspettare (ma cosa?). E' anche il<br />
luogo della riflessione, dell'analisi<br />
introspettiva, dell'interrogarsi, forse<br />
anche dell'iniziare a conoscersi. Però<br />
attenzione, in prigione tutto è<br />
amplificato. E allora sarebbe opportuno<br />
potersi confrontare, costantemente, con<br />
persone competenti per parlare di se<br />
stessi, per scoprirsi, o semplicemente per<br />
avere un conforto. Tutti ne abbiamo<br />
bisogno, anche fuori, figuriamoci in un<br />
posto in cui ci sei tu e la tua mente.<br />
Personalmente le mie riflessioni mi<br />
hanno portato a pensare questo: non c'è<br />
nulla di più triste e pesante del rischiare<br />
di non poter recuperare, riavere la<br />
possibilità di abbattere inutili barriere<br />
che hai creato, anche inconsciamente,<br />
pure con persone alle quali sei legato.<br />
Barriere apparentemente invisibili che ti<br />
hanno inaridito, che non ti hanno fanno<br />
manifestare i sentimenti”.<br />
Francesco per non impigrirsi in prigione<br />
scriveva anche un diario, si abbandonava<br />
alle sue malinconie e ai suoi rimpianti<br />
“… è triste anche accorgersi di non<br />
essere stato veramente vicino a chi ti<br />
voleva bene quando ne aveva bisogno, o<br />
il non aver avuto il coraggio di chiedere<br />
scusa a chi hai fatto del male. Non<br />
sprecate anche voi il tempo che vi viene<br />
regalato. Non fate come me, non<br />
aspettate il<br />
tempo che verrà. Potrebbe<br />
non essere più come prima”.
Il movimento femminista faceva paura<br />
Il delitto di Giorgiana<br />
Coincidenza o Strategia?<br />
Norma Ferrara<br />
Roma: Il 12 maggio del 1977 un proiettile uccide Giorgiana Masi una giovane studentessa<br />
durante una manifestazione “non violenta” per gli organizzatori, non per lo Stato che mette in<br />
piazza 5000 agenti e tanti infiltrati. In assetto antisommossa. Insomma, tutti ben armati.<br />
Dopo 35 anni per quel delitto nessun colpevole. Mentì tutto il parlamento per voce dell'allora<br />
ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, costretto poi ad ammettere la presenza di agenti in<br />
borghese armati, grazie alle foto dei reporter che quel giorno documentarono una battaglia<br />
preparata dallo Stato per riaffermare le sue regole. A pagare fu una giovane donna.<br />
Coincidenza? Strategia?<br />
Giorgiana Masi, studentessa diciottenne<br />
del liceo Pasteur quel pomeriggio del 12<br />
maggio 1977 saluta i genitori dicendo<br />
loro “state tranquilli se le cose si<br />
mettono male, vado via" e dal quartiere<br />
monte Mario dove abita si dirige al sit -<br />
in indetto a piazza Navona dai radicali,<br />
nonostante il divieto avvallato dal<br />
ministro dell'Interno, Francesco Cossiga,<br />
abile uomo politico della Democrazia<br />
cristiana. Il “no” a manifestazioni in<br />
piazza era arrivato dopo la sparatoria del<br />
21 aprile 1977 tra agenti di polizia e<br />
manifestanti dell'area di Autonomia<br />
Operaia che finì<br />
con l'uccisione<br />
dell'agente<br />
Settimio<br />
Passamonti e il<br />
ferimento di<br />
quattro suoi<br />
commilitoni. Dopo<br />
questo tragico<br />
epilogo Cossiga<br />
aveva deciso di<br />
usare “il pugno di<br />
ferro” contro il<br />
movimento. I<br />
radicali però<br />
ritenevano, a<br />
ragione,<br />
incostituzionale<br />
quel decreto che vietava il diritto di<br />
manifestare e per dimostrarlo lo<br />
violarono, convocando un sit- in<br />
motivato dalla raccolta di firme alla<br />
proposta dei referendum abrogativi. In<br />
realtà, per ricordare la vittoria del<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 44<br />
referendum sul divorzio, avvenuta tre<br />
anni prima. Le donne «… erano la parte<br />
più temuta del movimento, avevano<br />
raccolto il grido di dolore dei figli, dei<br />
mariti, delle madri, dei fratelli.<br />
L’avevano fatto loro ed erano pericolose<br />
perché erano contro tutti i ruoli, contro il<br />
potere, che non era solo quello che era al<br />
governo» racconta l’inviato fra “gli<br />
ultimi” Tano D’Amico. Lui quel<br />
pomeriggio c’era. Ha visto. Fotografato.<br />
Registrato. Ricorda. Racconta E’ un<br />
pomeriggio primaverile a Roma, lontano<br />
dagli spari e dal dolore di quel giorno, il<br />
fotoreporter è come un fiume in piena.<br />
Inarrestabile e minaccioso perché a<br />
differenza di altre frange del movimento<br />
non chiede il potere e non rivendica<br />
diritti. Uomo libero.<br />
LA BATTAGLIA DI PONTE<br />
GARIBALDI<br />
Giorgiana è una ragazza esile di<br />
corporatura e con un bel viso. Di lei i<br />
giornali racconteranno che simpatizzava<br />
per Lotta Continua, distribuiva il<br />
quotidiano a scuola e aveva idee di
sinistra. Quel giorno scese in piazza con<br />
alcune amiche e con il fidanzato,<br />
Gianfranco Papino. Ricorda Emma<br />
Bonino, leader radicale, due anni dopo<br />
durante la presentazione del libro bianco<br />
sulla morte di Giorgiana: «Ero chiusa in<br />
piazza Navona dalle 13 e non arrivava<br />
nessuno. Noi eravamo lì da soli quando<br />
ad un certo punto sento sparare da<br />
piazza della Cancelleria, faccio per<br />
muovermi in quella direzione ma non<br />
riesco a passare. Vado allora da piazza<br />
Pasquino ed è lì che vedo per la prima<br />
volta quel pomeriggio un ragazzo che<br />
esce da un bar, con un look che<br />
sembrava uno dei movimenti, ho<br />
pensato che fosse un autonomo<br />
infiltrato, vado per dirgli di<br />
abbandonare il bastone che aveva in<br />
mano, ma lo vedo fermarsi a parlare<br />
con un poliziotto. Così mi guardo<br />
intorno e trovo una serie di persone,<br />
con pistole, spranghe che non venivano<br />
fermati da nessuno; solo allora ho<br />
realizzato che erano poliziotti<br />
“travestiti” /”infiltrati”».<br />
Nonostante gli annunci di un sit-in<br />
pacifico, lo Stato schierò forze<br />
dell'ordine come stesse andando in<br />
guerra. E guerra fu: cinquemila<br />
agenti presenti nelle strade del<br />
centro storico in assetto<br />
antisommossa, in seguito si saprà<br />
“rafforzati” da molti altri<br />
“infiltrati”. Parlamentari come<br />
Mimmo Pinto furono<br />
malmenati dalle forze di<br />
polizia davanti al Senato.<br />
Mentre tutto questo accadeva, più<br />
di trecento persone erano “bloccate” a<br />
Campo dei Fiori da ore. Rimasero lì sino<br />
alle 19.00 circa di sera. In quelle ore<br />
Tano D'Amico, fotoreporter “freelance”,<br />
segue i ragazzi, scatta ritratti che<br />
rimarranno nella storia del movimento.<br />
Prova a farsi largo per capire cosa<br />
accade, vede la strada verso villa Giulia<br />
bloccata. Poi il lungo Tevere. A Largo<br />
Argentina è in corso una guerriglia, da<br />
ore il lancio di candelotti ha reso<br />
irrespirabile l'aria ed è complicato vedere<br />
chi hai accanto, in che direzione stai<br />
correndo. A Piazza Navona verso le<br />
18.00 del pomeriggio le prime Molotov.<br />
Ma, è davanti ponte Garibaldi, nei pressi<br />
di Piazza Belli, che due ore dopo si<br />
consuma la tragedia, mentre già in<br />
Parlamento Pannella (PR), Corvisieri<br />
(DP), Ligheri (DC) Pinto (DP), Costa,<br />
Giovanardi, Magnani Noya Maria,<br />
intervengono a denunciare gli scontri del<br />
pomeriggio e l'inadeguatezza del<br />
governo.<br />
Il movimento femminista faceva paura<br />
Mentre parlano i politici, Giorgiana Masi<br />
corre da una parte all'altra del ponte. Si<br />
trova nei pressi di piazza Belli, quando<br />
improvvisa parte una carica di polizia e<br />
carabinieri, preceduta da un lancio di<br />
lacrimogeni, da via Arenula. Pochi<br />
minuti prima tre grosse moto, secondo le<br />
testimonianze dell'epoca, arrivarono sul<br />
lungotevere degli Anguillara, all'angolo<br />
con la piazza verso la quale si sta<br />
dirigendo Giorgiana. Sopra ci sono tre<br />
vigili in divisa e uno in borghese,<br />
quest'ultimo – secondo le testimonianze<br />
– scende dalla motocicletta, impugna la<br />
pistola e spara ad altezza d'uomo. Poco<br />
dopo, vicino a Piazza Sonnino, quasi<br />
simultaneamente, cadono a terra:<br />
Giorgiana Masi, colpita da un proiettile<br />
calibro 22 all'addome e una sua<br />
compagna, Elena Ascione, ferita a una<br />
gamba. Poco prima era stato ferito alla<br />
mano anche un carabiniere, Francesco<br />
Ruggero. In un primo<br />
tempo gli amici di<br />
Giorgiana che la vedono accasciarsi a<br />
terra, pensano che sia caduta correndo,<br />
nella folla. Poi si accorgono del sangue,<br />
arriva l'ambulanza, ma per la giovane<br />
studentessa non c'è più nulla da fare. Al<br />
Tg della Rai il ministro dell'Interno,<br />
Cossiga, giurerà che in piazza non vi<br />
fossero agenti in borghese armati.<br />
Passano solo poche ore e sarà smentito<br />
dalle foto, caparbiamente scattate, da<br />
fotocronisti presenti quel giorno.<br />
Quella è una giornata particolare per<br />
molti di loro, riuscirono a documentare<br />
che lo Stato stava mentendo, sotto gli<br />
occhi di tutti, mentre una ragazza moriva<br />
a soli diciannove anni per un proiettile<br />
sparato, non si sa ancora da chi, dopo<br />
trentacinque anni. Cossiga dovette poi<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 45<br />
rettificare e ammettere che c'erano<br />
poliziotti in borghese in tutto il centro<br />
storico e che erano armati. Tuttavia,<br />
l'indagine che scaturì grazie anche a<br />
quelle foto culminò in una richiesta di<br />
archiviazione, un non luogo a procedere,<br />
“perché ignoti i responsabili”. Il delitto<br />
di Giorgiana Masi è ancora senza verità<br />
e giustizia.<br />
UNA RAGIONE DI STATO<br />
«Il punto non è come andarono le cose<br />
quel pomeriggio – commenta oggi Tano<br />
D'Amico – ma cosa accadde dopo. Quel<br />
delitto non fu ben visto nemmeno da una<br />
parte delle forze dell'ordine. Ebbi modo<br />
di capirlo quando alcuni appartenenti a<br />
corpi armati, con i quali spesso avevo<br />
avuto modo di trovarmi in piazza in altre<br />
manifestazioni, mi fermarono per dirmi<br />
frasi che alludevano alla scelta di colpire<br />
una donna (noi siamo uuuomini –<br />
dicevano – è stata uccisa una dddoona).<br />
Volevano dirmi, senza farlo<br />
esplicitamente qualcosa». Per giorni<br />
D'Amico si chiede perché? Cosa<br />
significavano quelle parole<br />
trascinate, suggerite e ripetute con<br />
effetto martellante? Poi una notte<br />
capisce. «Chi sparò quel giorno –<br />
continua D'Amico – uccise una donna<br />
per colpire il movimento femminista,<br />
molto pericoloso all'epoca. Mirò con<br />
precisione sulle giovani<br />
studentesse perché era l'unico<br />
modo per essere certi di non<br />
colpire un “potenziale”<br />
collega». Gli scatti di D'Amico ma<br />
anche di altri fotoreporter, uno dei quali<br />
lavorava per il Messaggero, avevano<br />
documentato in maniera<br />
incontrovertibile la presenza di uomini<br />
dello Stato “travestiti” da autonomi.<br />
Colpire una donna dunque, era l'unico<br />
modo per essere certi di non fare una<br />
vittima fra i corpi speciali schierati in<br />
piazza. Le indagini però stabilirono che<br />
il calibro di proiettile che uccise la<br />
ragazza non fosse fra quelli in dotazione<br />
alle forze dell'ordine. Questo spinse a<br />
cercare nel cosiddetto “fuoco amico” i<br />
responsabili di quell'assassinio. Ma<br />
anche su questo aspetto, D'Amico,<br />
racconta un aneddoto significativo e che<br />
le successive inchieste non riuscirono ad<br />
approfondire. « Tempo dopo la morte di<br />
Giogiana un appartenente alle forze<br />
dell'ordine, uno molto alto in gradi, mi<br />
chiese di incontrarlo. Gli diedi<br />
appuntamento nel posto più centrale di<br />
Roma, in piazza Santa Maria in<br />
Trastevere. Mentre lo attendevo, pensai:
arriverà in borghese! E invece si<br />
presentò nella migliore delle sue<br />
uniformi, quasi ad ostentare proprio la<br />
sua presenza in quel luogo con me. Non<br />
passò inosservato, chiaramente». Il<br />
colonnello chiese al fotoreporter se<br />
avesse avuto altre notizie sul caso “che<br />
tanto gli stava a cuore” (si riferiva al<br />
delitto Masi, ndr). «Quando io dissi –<br />
riprende D'Amico – che tutto si era<br />
fermato sull'origine del proiettile, lui mi<br />
rispose: non è compatibile con quelli in<br />
dotazione ai reparti ma lo è con quelli<br />
utilizzati nei poligoni in cui vengono<br />
formati i tiratori scelti». Tano D'Amico,<br />
dopo molti anni, sembra rassegnato<br />
all'impossibilità di sapere come<br />
andarono le cose quel giorno. O meglio<br />
ancora, una risposta lui se l'è data. Anche<br />
se non è quella della giustizia. «Tutti in<br />
questi anni hanno puntato il dito contro<br />
Francesco Cossiga, all'epoca ministro<br />
dell'Interno. Certo. Ma quel delitto a mio<br />
avviso fu un “sacrificio umano” chiesto<br />
da qualcuno o da tutti per ribadire la<br />
centralità dello Stato e delle sue leggi. Se<br />
violando il divieto di manifestare ne<br />
Così mi guardo intorno e<br />
trovo una serie di persone,<br />
con pistole, spranghe che non<br />
venivano fermati da nessuno;<br />
solo allora ho realizzato che<br />
erano poliziotti “travestiti”<br />
/”infiltrati”.<br />
Il movimento femminista faceva paura<br />
fossero usciti indenni, quelli del<br />
movimento, sarebbe stata la prova che<br />
era possibile “disobbedire” alle regole<br />
dello Stato e questo non faceva comodo<br />
a nessuno, dal Pci alla Dc». D'Amico ci<br />
racconta un ultimo capitolo di questa<br />
storia che riguarda l'ultimo confronto<br />
con l'allora ex presidente Cossiga<br />
proprio sul caso Masi. Tutto si svolge in<br />
Rai, durante la trasmissione “Chi l'ha<br />
visto” di Raitre a cura di Federica<br />
Sciarelli (compagna di classe di<br />
Giorgiana Masi) il 23 maggio del 2005.<br />
Quel giorno il fotoreporter venne<br />
invitato, insieme ad altri, a parlare di<br />
questo delitto. «Fu una puntata<br />
complicata, anche perché all'improvviso<br />
mi fecero sapere di non aver ritrovato<br />
nelle Teche della Rai l'edizione di quel<br />
Tg in cui Cossiga mentiva circa la<br />
presenza di poliziotti in borghese armati.<br />
Io ricordai comunque l'episodio e<br />
Cossiga, impossibilitato a partecipare per<br />
problemi di salute, telefonò in<br />
trasmissione. Lo fece ammettendo di<br />
aver mentito – continua D'Amico - ma di<br />
averlo fatto con l'appoggio di tutto l'arco<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 46<br />
parlamentare, da sinistra a destra. Fece<br />
anche nomi molti importanti. Io chiosai,<br />
nell'imbarazzo generale: ecco chi sono i<br />
responsabili dell'omicidio di Giorgiana<br />
Masi». Il movimento femminista, la<br />
strategia della tensione, il metodo degli<br />
infiltrati nei cortei, un'indagine che<br />
nessuno è riuscito a portare avanti. Un<br />
misterioso colonnello o comandante, non<br />
sappiamo con certezza, che suggerisce<br />
elementi a favore della pista interna al<br />
corpo armato. Ci sono tutti gli elementi<br />
in questa storia per farla rimanere<br />
sospesa, senza verità. Lo stesso Cossiga<br />
nel 2007 dal Corsera dichiarò di essere<br />
una delle cinque persone a conoscenza<br />
dei responsabili del delitto della Masi ma<br />
di non avere intenzione di rivelarli.<br />
Raccontata così, con queste ultime<br />
parole, la verità su questo delitto sembra<br />
destinato a morire con le persone che la<br />
custodiscono. Ma poi prima di<br />
congedarsi Tano D'Amico commenta:<br />
«Negli anni mi sono convinto che<br />
quando una verità rimane a lungo negata<br />
non è perché la sanno in pochi ma<br />
perché la conoscono in molti».<br />
Lo stesso Cossiga nel 2007 dal Corsera<br />
dichiarò di essere una delle cinque persone<br />
a conoscenza dei responsabili del delitto<br />
della Masi ma di non avere intenzione di<br />
rivelarli. Raccontata così, con queste ultime<br />
parole, la verità su questo delitto sembra<br />
destinato a morire con le persone che la<br />
custodiscono.
Un affresco epico, un linguaggio innovativo, una bella avventura intellettuale<br />
Alberto Rotondo<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 47<br />
Il mondo<br />
degli ultimi<br />
Il primo ciak grazie alla generosità dei contadini della bassa bresciana e cremonese che<br />
hanno voluto recuperare la memoria collettiva che rischiava di perdersi.<br />
Un esempio di come fare cultura e politica in una sezione di Rifondazione Comunista senza<br />
risorse. Il 1° maggio solo una occasione politica. La proiezione del mondo degli<br />
ultimi? Una possibilità per riflettere su un periodo storico abbastanza recente. Un film che<br />
ha subito una serie di denunce assurde e pertanto non ha potuto circolare.<br />
Festeggiare il Primo maggio<br />
proponendo, in collaborazione con il<br />
Cinestudio, la proiezione di una rara<br />
pellicola, il Mondo degli ultimi di Gian<br />
Butturini, non è, per il Circolo Città<br />
Futura, soltanto un doveroso tributo alla<br />
storia delle lotte contadine in Italia,<br />
attraverso la visione di un documento<br />
significativo della produzione<br />
cinematografica “impegnata” del nostro<br />
Paese.<br />
Non si tratta di fornire un’oleografica<br />
rappresentazione di un mondo<br />
scomparso, quella civiltà contadina<br />
uccisa nei suoi valori e nelle sue<br />
aspirazioni di liberazione, dall’avvento<br />
della civiltà industriale prima e dal<br />
trionfo del consumismo disumanizzante<br />
poi, ma di testimoniare cosa può e deve<br />
significare fare cultura e ricostruire una<br />
memoria storica collettiva nel mondo<br />
atomizzato e diviso di oggi.<br />
Il film narra dell’occupazione, nel<br />
secondo dopoguerra, della Cascina di<br />
Gussola, un grande latifondo del<br />
cremonese, e dell’asprezza della lotta<br />
che ne scaturì, con la conseguente<br />
repressione delle forze dell’ordine al<br />
servizio degli agrari e dei loro interessi.<br />
Si tratta di una vera opera collettiva "in<br />
quanto ha dietro ogni scena non solo<br />
l'occhio allevato e la cultura<br />
cinematografica e figurativa dell'autore,<br />
ma anche un corredo di annotazioni,<br />
puntualizzazioni, focalizzazioni<br />
provenienti da decine e decine di<br />
collaboratori inclini a suggerire<br />
particolari, correggere battute di dialogo,<br />
mettere a fuoco gli accadimenti. E’ un<br />
procedimento che deriva dai postulati del<br />
neorealismo, ma che anche nei ranghi<br />
del cinema neorealista è stato adottato<br />
con molta, troppa, circospezione e<br />
prudenza”, come nota il critico Mino<br />
Argentieri in un saggio dedicato, pochi<br />
anni dopo la sua realizzazione, alla<br />
straordinaria opera di Butturini.<br />
Ciò che rende il film particolarmente<br />
interessante, a parte l’esemplarità della<br />
storia narrata, non dissimile dalle tante<br />
storie di occupazione dei latifondi incolti<br />
che hanno avuto come teatro anche la<br />
nostra terra di Sicilia nell’immediato<br />
dopoguerra, è la straordinarietà delle<br />
vicende che ne accompagnarono la<br />
produzione e che ne segnarono la<br />
ristrettezza della diffusione nei circuiti<br />
ufficiali e nelle sale cinematografiche;<br />
fu necessario abbattere numerosi ostacoli<br />
perché essa finalmente venisse alla luce,<br />
le difficoltà iniziarono già al momento<br />
della pre-produzione, per l’impossibilità<br />
di reperire finanziamenti adeguati, e fu<br />
solo grazie allo straordinario slancio di<br />
generosità dei contadini della Bassa<br />
bresciana e cremonese, orgogliosi di<br />
partecipare al recupero di una memoria<br />
collettiva che rischiava di perdersi<br />
nell’oblio, che si riuscì a realizzare il<br />
primo ciak.<br />
Le difficoltà continuarono durante le<br />
riprese, il regista le definì un’esperienza<br />
talmente totalizzante da fargli diventare i<br />
capelli bianchi; il progetto, in totale
Un affresco epico, un linguaggio innovativo, una bella avventura intellettuale<br />
coerenza con l’intento dichiarato di dar<br />
vita a un processo di creazione collettiva<br />
e di riassunzione di identità da parte di<br />
un “universo sociale” che fu protagonista<br />
e soggetto di trasformazione nella<br />
società italiana degli anni Cinquanta,<br />
non poteva essere realizzato<br />
semplicemente facendo ricorso alla<br />
maestria tecnica degli operatori o alla<br />
parzialità ideologica del regista:<br />
bisognava infatti che risuonasse nella<br />
narrazione l’eco della pluralità dei<br />
soggetti che ne prendevano parte.<br />
Nota ancora Mino Argentieri:<br />
"diversamente da parecchi registi, tenuti<br />
nel giusto conto come figli e pardi del<br />
neorealismo, Butturini tenta l'inesplorata<br />
strada della storiografia capillare e di<br />
"base", non contrapponendola<br />
polemicamente né a quella accademica,<br />
né a quella giornalistica, né a quella<br />
connessa in modo organico con le<br />
organizzazioni sindacali e politiche della<br />
sinistra, ma, traducendola dalla<br />
originaria forma orale in<br />
linguaggio cinematografico, ne<br />
conserva i tratti, la tonalità<br />
inconfondibile". Il risultato è<br />
unico nel suo genere,<br />
distinguendosi non soltanto dai<br />
prodotti destinati al più basso<br />
consumo commerciale ma<br />
anche dai grandi capolavori<br />
della cinematografia<br />
neorealista italiana, in cui,<br />
paradossalmente, l’intento<br />
ideologico degli autori di<br />
rappresentare la realtà nella<br />
sua cruda intensità e contro gli<br />
stilemi accademici, finisce<br />
spesso per diventare nuovo<br />
paradigma per porsi a fondamento<br />
ideologico di una nuova cinematografia<br />
e di una nuova accademia.<br />
L’asprezza del dialetto padano, così<br />
inaspettatamente vicino ai suoni gutturali<br />
dei contadini delle nostre terre di Sicilia,<br />
ci restituisce in forma non mediata il<br />
senso di una comunità in cui la<br />
solidarietà nella lotta e la speranza di<br />
contribuire, dopo la Liberazione dal<br />
nazifascismo, all’edificazione di una<br />
nuova e diversa società, appare in<br />
stridente contrasto con l’incertezza<br />
paralizzante che sembra<br />
contraddistinguere la contemporaneità.<br />
Colpisce il racconto dell’inizio della<br />
mobilitazione, dopo che i contadini<br />
avevano chiesto al padrone di abbattere i<br />
pioppi maturi per ampliare le superfici<br />
da destinare alle colture produttive. C’è<br />
un senso dell’utilità sociale del proprio<br />
lavoro, in grado di essere messo a frutto,<br />
a comune beneficio di tutti e in maniera<br />
più efficiente, con una diversa e<br />
collettiva organizzazione che<br />
evidenziasse il carattere parassitario<br />
della rendita e desse corpo a un’autentica<br />
innovazione nelle strutture sociali e di<br />
governo della produzione.<br />
Tornano in mente la mobilitazione dei<br />
contadini di Partinico che, sotto la guida<br />
saggia e illuminata di Danilo Dolci,<br />
all’inerzia delle pubbliche<br />
amministrazioni che non stanziavano i<br />
fondi per la sistemazione della viabilità<br />
rurale, rispondevano imbracciando<br />
vanghe e picconi e realizzando da sé<br />
quanto veniva negato da un potere cieco<br />
e asservito agli interessi delle classi<br />
dominanti.<br />
Un altro esempio che torna alla memoria<br />
è quello dell’orgoglio operaio dei<br />
lavoratori comunisti della Fiat, i quali<br />
alla fine dell’occupazione della fabbrica<br />
nel cosiddetto “biennio rosso“, a<br />
testimonianza del fatto che i lavoratori<br />
della Fiat erano quelli che producevano<br />
anche senza il padrone, avevano fatto<br />
firmare dalla direzione un documento da<br />
cui risultava come non un pezzo, non un<br />
utensile, non un chilo di materiale fosse<br />
venuto a mancare durante l’occupazione.<br />
Certo, più di un secolo è passato dal<br />
biennio rosso e dalle speranze<br />
rivoluzionarie dell’inizio del Novecento,<br />
la grande crisi del capitalismo in crisi sta<br />
determinando ovunque nel mondo una<br />
forte ripresa della conflittualità sociale,<br />
tuttavia a volte sembrano prevalere negli<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 48<br />
atteggiamenti e nelle pratiche di chi si<br />
vuole attore dell’antagonismo politico e<br />
sociale un ribellismo distruttivo e neoluddista<br />
che stride enormemente con le<br />
vicende esemplari delle lotte contadine e<br />
operaie del novecento.<br />
Viviamo tempi messianici, per utilizzare<br />
la notissima espressione di Walter<br />
Benjamin: un’autentica catastrofe sociale<br />
si sta abbattendo sulle nostre ex società<br />
dell’opulenza, in una misura tale da<br />
sfuggire alle capacità di comprensione di<br />
chi è vissuto in un mondo che sta<br />
mutando velocemente, segnando un<br />
peggioramento complessivo delle<br />
condizioni materiali di esistenza di<br />
milioni di donne e uomini del cosiddetto<br />
occidente industrializzato.<br />
Sbaglieremmo, tuttavia, se<br />
interpretassimo questa fase assumendo<br />
una prospettiva rozzamente<br />
economicistica, negandoci la possibilità<br />
di costruire una risposta collettiva<br />
adeguata alla gravità dei processi in<br />
corso : una catastrofe sociale è un<br />
fatto culturale prima che<br />
economico, influenzata<br />
naturalmente dalla profondità dei<br />
processi di sfruttamento economico,<br />
ma determinata nella sua<br />
complessità da una miriade di altri<br />
fattori che ne costituiscono i<br />
caratteri. Allo stesso modo<br />
sbaglieremmo se pensassimo che<br />
sulla base della sola presenza di<br />
interessi economici comuni, come<br />
la condivisione del disagio sociale<br />
che la crisi è destinata ad<br />
aumentare, si possano innescare<br />
deterministicamente i detonatori<br />
della trasformazione sociale e della<br />
rivoluzione.<br />
Quello che costituisce una classe, una<br />
comunità o un popolo sono i vincoli di<br />
solidarietà collettiva che disegnano<br />
appartenenze, fondano orgogliose<br />
sicurezze e fanno sì che in un dato<br />
momento storico ci si ponga come<br />
soggetti della trasformazione e del<br />
progresso.<br />
Ce lo insegna la storia del movimento<br />
operaio e i contadini in lotta che Gian<br />
Butturini ci presenta, nel Mondo degli<br />
ultimi, con i toni di un affresco epico e il<br />
linguaggio innovativo di una bella<br />
avventura intellettuale.
Le vignette di Gianni Allegra ©<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 49
Le vignette di Gianni Allegra ©<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 50
Le vignette di Gianni Allegra ©<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 51
Nadia Furnari<br />
Telejato… abbiamo trasmesso<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 52<br />
Telejato<br />
Chiuso per legge<br />
Chiediamo…<br />
Il riconoscimento del ruolo sociale delle TV comunitarie (che adesso vengono escluse dalla possibilità di<br />
diventare “operatore di rete”), riservando loro una quota nei piani di assegnazione delle frequenze<br />
Revisioni dei criteri per l’assegnazione dell’LCN (Logical Number Channel), che relega le televisioni locali<br />
ad un posizionamento fortemente penalizzante.<br />
… abbiamo chiesto<br />
Pino, quale è la situazione ad oggi?<br />
Aspettiamo che il ministero, entro il 20<br />
maggio, ci dia una risposta sulla domanda<br />
presentata come operatore di rete e<br />
come parte di un consorzio di cinque<br />
TV. La presenza di Telejato dentro al<br />
consorzio però è una cosa anomala perché<br />
non siamo una televisione comunitaria.<br />
Al forum di Cinisi hai comunicato che<br />
sei diventato fornitore di contenuti…<br />
che significa?<br />
E’ una cosa tutta per ridere perché Telejato<br />
potrebbe fornire contenuti ad altre<br />
emittenti. In sostanza potremmo realizzare<br />
dei servizi e poi chiedere alle altre<br />
emittenti di metterli in onda…<br />
E secondo te un’altra emittente metterebbe<br />
mai in onda i tuoi servizi?<br />
Sicuramente no. Telejato ha 310 querele<br />
e sicuramente nessuna emittente rischierebbe<br />
cause penali o civili…<br />
Si può dire che il riconoscimento di<br />
fornitore di contenuti è una grande<br />
presa in giro?<br />
Certo che si può dire. Tutta le legge, così<br />
come concepita, è incostituzionale e iniqua<br />
pensata per bloccare le voci scomo-<br />
de delle TV comunitarie. Non ci sono<br />
riusciti con la legge bavaglio… ci riusciranno<br />
con il passaggio al digitale terrestre.<br />
Se entro il 20 maggio non arriva nessuna<br />
risposta?<br />
Telejato chiude.<br />
Così come tutte le televisioni comunitarie<br />
(sono circa 250 in tutta Italia).<br />
Ma il 20 maggio cosa dovrebbe accadere?<br />
Telejato, anche se non ha i requisiti per<br />
diventare operatore di rete, ha presentato<br />
ugualmente la domanda. Siccome la legge<br />
parla anche di eventuali “recuperi” in<br />
caso di eventuali frequenze libere… allora<br />
diciamo che ci siamo messi in lista di<br />
attesa.<br />
Ma la lista di attesa vale solo per Telejato<br />
o per tutti?<br />
No. Vale per tutti.<br />
Ricordiamo quale era la proposta del<br />
30% ?<br />
Su 10 autorizzazioni che venivano date<br />
alle televisioni commerciali il 30% delle<br />
televisioni locali commerciali dovrebbe<br />
andare alle comunitarie.<br />
Questa proposta non è passata. Perché?<br />
Questa cosa non è neanche approdata alla<br />
discussione in parlamento. E’ stata<br />
l’ennesima presa per i fondelli da parte<br />
della politica (in questo caso del centro<br />
sinistra) per cercare di tenere a freno le<br />
fibrillazioni delle televisioni comunitarie.<br />
Ufficialmente quando si spegnerà Telejato?<br />
Lo Switch Off inizierà il 1 giugno. Dal<br />
1 luglio Telejato potrebbe non esserci<br />
più.<br />
Hai detto più volte che andrai in onda<br />
lo stesso. Cosa significa?<br />
Significa che il primo numero libero nel<br />
telecomando noi accendiamo e poi dovranno<br />
essere le forze dell’ordine a spegnerci.<br />
Il 20 maggio è passato. Tutto tace. Ad<br />
oggi Telejato… HA TRASMESSO.
Coppola editore<br />
pag. 128 - 12,00 €<br />
collana Linea emozioni.<br />
www.coppolaeditore.com<br />
<br />
E’ uscito il 18 maggio per l’editore Coppola,<br />
VENT’ANNI<br />
a cura di Daniela Gambino ed Ettore Zanca.<br />
In memoria delle stragi del ’92.<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 53<br />
Racconti, interviste, testimonianze, impressioni,<br />
monologhi teatrali e testi di canzone, per non<br />
dimenticare le stragi del ’92 in cui persero la vita<br />
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e i<br />
componenti – uomini e donne – delle scorte.<br />
Il diario di una partecipazione emotiva, un ritratto di<br />
Palermo e del Paese. Emozioni intime che diventano<br />
condivise.<br />
“(…) Abbiamo provato a riportare e riportarci alla<br />
memoria due stragi del 1992 nel modo più dolce<br />
possibile. Come riaprire una ferita per curarla meglio,<br />
con più amore. (…) Sono venuti fuori ricordi con la<br />
sete di giustizia, la voglia di consegnare un mondo<br />
più onesto, l’eredità morale (…) la consapevolezza<br />
che non c’è ancora un colpevole certo e non ha<br />
pagato del tutto chi dovrebbe pagare…”<br />
Dalla quarta di copertina firmata da Ettore Zanca<br />
Hanno partecipato alla stesura del libro: Salvatore<br />
Coppola, Maria Falcone, Rita Borsellino, Ignazio<br />
Arcoleo e Roberto Gueli, Letizia Battaglia, Rachid<br />
Berradi, Augusto Cavadi, Luigi Ciotti e Raffaele<br />
Sardo, Amelia Crisantino, Gaetano Curreri,<br />
Giuseppe Di Piazza, Daniela Gambino, Alfonso<br />
Giordano, Maurilio Grasso, Stefano Grasso e<br />
Corrado Fortuna, Enzo Guidotto, Sebastiano<br />
Gulisano, Ferdinando Imposimato, Pina Maisano<br />
Grassi e Chiara Caprì, Antonio Mazzeo, Natya<br />
Migliori, Marilena Monti, Carlo Palermo e Denise<br />
Fasanelli, Aldo Penna, Pippo Pollina, Enrico<br />
Ruggeri, Luca Tescaroli, Ettore Zanca.<br />
VENT’ANNI a cura di Daniela Gambino ed Ettore<br />
Zanca, immagine di copertina di Gaetano Porcasi,
Le “Cronachette” di Amalia Bruno ©<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 54
Le “Cronachette” di Amalia Bruno ©<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 55
In Nome del<br />
In nome del pareggio di bilancio…<br />
pareggio di bilancio<br />
Associazione Antimafie “Rita Atria”<br />
L'Italia è oggi colpita da una gravissima<br />
crisi sociale e politica. Dalle macerie di<br />
(quasi) vent'anni di berlusconismo e di<br />
una classe politica in larga parte asservita<br />
fin dalla fine della seconda Guerra Mondiale<br />
ai poteri forti, dalla NATO a Confindustria,<br />
è emerso un governo antisociale,<br />
antioperaio e padronale come il<br />
governo del "tecnico" Monti. Un governo<br />
che sta realizzando la totale cancellazione<br />
dei diritti sociali e civili, a partire dai diritti<br />
dei lavoratori con lo smantellamento<br />
dello Statuto dei Lavoratori.<br />
Non dovrebbe sorprenderci una simile deriva<br />
dopo che per la diffusa complicità di<br />
tutti noi, persi a goderci i frutti dello "sviluppo<br />
economico occidentale", abbiamo<br />
lasciato che il nostro arricchimento si allietasse<br />
dell'impoverimento sociale ed<br />
economico della maggior parte della popolazione<br />
umana. Abbiamo lasciato che<br />
la logica della globalizzazione del liberismo<br />
selvaggio e senza regole sottraesse<br />
diritti e dignità ad altri popoli, abbiamo<br />
consentito che la depredazione delle risorse<br />
naturali di altri Paesi venisse consentita<br />
dal nostro silenzioso consenso a<br />
regimi di feroce tirannia e di violenze antipopolari.<br />
Avremmo forse inconsciamente pensato e<br />
sperato che tutto ciò non avrebbe influito<br />
sulle nostre condizioni sociali ed economiche,<br />
ma era un triste inganno. Il liberismo<br />
selvaggio con la detenzione del potere<br />
e delle risorse in mano di pochi centri<br />
elitari ha infatti necessità assoluta di fondarsi<br />
sulla corruzione, sulla clientela e<br />
sulla negazione e repressione della sovranità<br />
popolare.<br />
Ecco perché oggi vengono al pettine i nodi<br />
della corruzione e del controllo della<br />
nostra sovranità, anzi, una grave limitazione<br />
della nostra sovranità in favore degli<br />
“amici” americani che non hanno mai<br />
rinunciato ad avvalersi anche della mafia<br />
e di ambienti contigui e conniventi ad essa:<br />
nel 1943 per “liberarci”; negli anni<br />
della “guerra fredda” per installare i missili;<br />
negli “anni di piombo” per far arre-<br />
trare le conquiste sociali e oggi<br />
per costruire strumenti di<br />
guerra e, quindi, di morte nella<br />
nostra Sicilia, con<br />
l’installazione, ad esempio, del MUOS<br />
nel bel mezzo della riserva naturale di<br />
Niscemi (CL). E inoltre, con l'incalzare di<br />
una crisi finanziaria che è frutto esclusivo<br />
dell'ideologia capitalista, non potevamo<br />
non aspettarci la depredazione dei diritti<br />
invocati dalla nostra Costituzione come<br />
base della convivenza sociale. Il Governo<br />
Monti sta dunque svolgendo egregiamente<br />
il proprio compito di servire fedelmente<br />
l'ideologia liberista.<br />
Possiamo solo chiederci se esistano forme<br />
di antagonismo concreto ed efficace, se<br />
saremo in grado di riappropriarci di quanto<br />
oggi si cerca di rinnegare della nostra<br />
Costituzione e di scipparci. Perché di<br />
fronte ai tanti usurpatori della sovranità<br />
non esistono poi molte scelte possibili. O<br />
si ha volontà e si è in grado di contrastarlo<br />
o dovremo arrenderci all'impudenza<br />
della sua politica antipopolare ed anticostituzionale.<br />
Il culmine di questo processo è stato realizzato<br />
in queste settimane con l'introduzione<br />
nella Costituzione del principio del<br />
"pareggio di bilancio" (riforma art. 81).<br />
Il pareggio di bilancio è un vulnus e un<br />
corpo estraneo nella Costituzione. I suoi<br />
principi fondamentali sono enunciati nei<br />
primi 12 articoli e poi sviluppati nei successivi.<br />
Tali principi sono gli stessi che<br />
ispirarono la Dichiarazione Universale<br />
dei Diritti Umani e la Carta di San Francisco<br />
(dalla quale nacque l'ONU). Sono i<br />
diritti umani inviolabili, i diritti civili e<br />
personali, il rispetto umano, l'uguaglianza,<br />
la cancellazione delle discriminazioni<br />
di ogni tipo. Sono diritti e principi<br />
che tra loro si armonizzano e, insieme,<br />
disegnano un'unica costruzione giuridica.<br />
Il pareggio di bilancio è tutt'altro, è un<br />
principio contabile, economico, ragionieristico.<br />
Ha tutt'altra natura. E, soprattutto,<br />
può confliggere e contrastare con gli altri.<br />
La ricerca dell'uguaglianza sociale non<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 56<br />
potrà mai confliggere con il rispetto del<br />
territorio (anzi, addirittura, già nel 1947, i<br />
padri costituenti scrissero paesaggio...).<br />
Ma le politiche di uguaglianza possono,<br />
eccome, confliggere con politiche di perseguimento<br />
del pareggio di bilancio.<br />
Davanti alla necessità di scegliere tra le<br />
due, in caso di bilancio già in pareggio e<br />
la necessità di ulteriori politiche sociali,<br />
cosa verrà sacrificato? Già il solo porsi<br />
la domanda è un vulnus, è lacerare il<br />
tessuto costituzionale.<br />
Va sottolineato che è un pareggio truccato:<br />
per poter redigere in pareggio il bilancio<br />
non vengono conteggiate alcune spese,<br />
come i contributi al fondo salva-stati.<br />
Secondo vulnus, la partecipazione ad un<br />
fondo finanziario viene considerata immensamente<br />
più importante dell'uguaglianza<br />
sociale e delle politiche di lotta<br />
alla discriminazione (tanto per fare due<br />
esempi)...<br />
Il pareggio di bilancio realizza compiutamente<br />
il disegno dei poteri forti che, già<br />
prima della promulgazione della Carta<br />
Costituzionale il 1° gennaio 1948, tentarono<br />
di distruggere l'anelito all'uguaglianza<br />
sociale, alla libertà e al rispetto di tutti<br />
i cittadini del popolo italiano liberato dal<br />
NaziFascismo. Un disegno che, prima di<br />
ogni altro, colpisce i lavoratori, gli operai<br />
e i più deboli. Non è certamente un caso<br />
che tutto sia iniziato a Portella della Ginestra,<br />
lì dove il 1° maggio 1947 furono<br />
massacrati uomini, donne e bambini che<br />
stavano celebrando la Festa dei Lavoratori.<br />
A Portella della Ginestra oltre che le<br />
vittime umane della strage fu tra le vittime<br />
il comma primo dell'articolo 3 della<br />
Costituzione: "Tutti i cittadini hanno pari<br />
dignità sociale e sono eguali davanti<br />
alla legge, senza distinzione di sesso, di<br />
razza, di lingua, di religione, di opinioni<br />
politiche, di condizioni personali e sociali".<br />
L'anticomunismo fu il paravento die-
tro il quale i poteri forti giustificarono la<br />
ragione e il segreto di Stato. E in nome<br />
dell'anticomunismo hanno commesso i<br />
peggiori crimini, che vanno dalla non tutela<br />
dei diritti fondamentali della Persona<br />
Umana alla corruzione, ai rapporti tra potere<br />
e mafie fino allo stragismo contro il<br />
popolo italiano e i migranti. Chi detiene il<br />
potere si è messo al di sopra della legge e<br />
si è garantito ogni impunità, svendendo la<br />
sovranità popolare al governo americano,<br />
superpotenza che poteva garantire ai fedeli<br />
servitori carriere fulminee, potere e<br />
denaro.<br />
Da Portella nacque però anche il fiore di<br />
una nuova Resistenza per raggiungere<br />
l'obiettivo di vivere in un'Italia dove dare<br />
completa attuazione alla Costituzione del<br />
1948, affinché vi siano governi che ispirino<br />
la politica interna ed estera alla fedeltà<br />
costituzionale.<br />
Chi si è messo sopra la legge, chi fa affari<br />
con le mafie, chi pensa prima di tutto a<br />
carriere fulminee e denaro ha sempre<br />
avuto come obiettivo di spazzare via la<br />
nuova Resistenza nata a Portella.<br />
Hanno ammazzato giornalisti, politici,<br />
operai, contadini, studenti, sindacalisti,<br />
magistrati, avvocati e tutte le vittime cancellate<br />
dall'oblio imposto dal potere, protagonisti<br />
della nuova Resistenza nata a<br />
Portella. Peppino Impastato è uno di<br />
questi nuovi partigiani.<br />
La crisi dell'impero americano e del<br />
capitalismo ha dato l'avvio all'intensificazione<br />
della repressione della nuova<br />
Resistenza nata a Portella da parte di chi<br />
non vuole rinunciare a potere, poltrona e<br />
denaro, al proprio tornaconto personale,<br />
che comprende anche - se ha eventualmente<br />
commesso crimini - di non avere<br />
un qualche fastidioso controllo o indagine,<br />
perché si sente sopra la legge e pretende<br />
l'impunità. Il Governo Monti è oggi<br />
l'esecutore di questa repressione, voluta<br />
In nome del pareggio di bilancio…<br />
dai poteri forti ed economici italiani ed<br />
internazionali.<br />
In nome delle vittime delle mafie, della<br />
corruzione, delle stragi a noi spetta di<br />
prendere il testimone e proseguire quotidianamente<br />
la Resistenza nata a Portella<br />
della Ginestra. In memoria dei nuovi partigiani<br />
che ci hanno preceduto e sono stati<br />
barbaramente uccisi, lasciandoci il testimone<br />
di un impegno che oggi deve camminare<br />
sulle nostre gambe. Si resiste e si<br />
lotta con determinazione quotidiana anche<br />
con proposte di leggi che impegnino<br />
la Repubblica ad assolvere il compito assegnato<br />
dai Padri costituenti, tra cui rimuovere<br />
gli ostacoli di ordine economico<br />
e sociale, che, limitando di fatto la libertà<br />
e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono<br />
il pieno sviluppo della persona umana e<br />
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori<br />
all'organizzazione politica, economica<br />
e sociale del Paese così come sancito<br />
dall'articolo 3 della Costituzione del<br />
1948.<br />
C'è un'ultima non meno triste questione<br />
che non possiamo esimerci dal sottolineare:<br />
i suicidi dei tanti e troppi piccoli imprenditori<br />
che si sono trovati nell'angoscia<br />
insostenibile di una vita senza prospettive<br />
e senza futuro.<br />
Essi sono purtroppo<br />
le specchio dell'infame<br />
destino che il<br />
capitalismo selvaggio<br />
riserva ai Cittadini,<br />
anche a coloro<br />
che ha reso più simili<br />
a sé per poter ottenere<br />
una egemonia<br />
assoluta e senza<br />
contrasto: la perdita<br />
di senso e di futuro.<br />
<strong>Casablanca</strong> pagina 57<br />
Ma non è un caso che la maggior parte di<br />
questi suicidi si registrino tra piccoli imprenditori<br />
piuttosto che tra gli operai e gli<br />
ultimi, i poveri, delle nostre società. Perché<br />
sono i poveri coloro che hanno sempre<br />
portato il peso della storia ed hanno<br />
saputo convivere con l'impoverimento fino<br />
alla miseria e sopravvivere, nonostante<br />
tutto, alla espropriazione della loro dignità<br />
e del loro futuro. Ed è da loro, dalla loro<br />
coscienza di essere portatori di una<br />
prole a cui è necessario consegnare un futuro<br />
più carico di possibilità e di speranze<br />
che si sono viste nascere rivoluzioni di<br />
dignità e identità, di Cittadinanza e di Diritti<br />
Fondamentali. Se i poveri dell'Africa<br />
o dell'Asia avessero tutti scelto di suicidarsi<br />
oggi forse il capitalismo avrebbe<br />
trionfato senza dover temere rivalse della<br />
storia. Ma i poveri che riescono a sopravvivere,<br />
nonostante tutto, sono la più feroce<br />
testimonianza del vero volto del capitalismo<br />
e sono la denuncia vivente delle<br />
sue false ed idolatriche ideologie. A tutti<br />
diciamo dunque: Resistete, non sopprimete<br />
la vostra vita ma fatene strumento di<br />
denuncia e luogo di cambiamento.<br />
Bisogna assumere dunque la dignità dei<br />
poveri perché i potenti non possano cullarsi<br />
nella presunzione di poter prevaricare<br />
impunemente la dignità delle Persone<br />
Umane. Non dobbiamo permettere a noi<br />
stessi di essere ancora complici della<br />
schiavitù con cui si vorrebbe dominarci e<br />
mentre siamo umanamente accanto alle<br />
famiglie dei tanti suicidi dobbiamo urlare<br />
a tutti ed a noi per primi che resistere è un<br />
dovere, per dare un senso alle nostre esistenze.<br />
E dobbiamo farlo elaborando<br />
strumenti e disegnando percorsi alternativi<br />
che non si fermino alla sola denuncia<br />
del capitalismo ma facciano intravedere<br />
anche le possibilità di sfuggire alla sua<br />
violenta protervia ed alla sua fiaba affabulatoria<br />
di un benessere diffuso ed alla<br />
portata di tutti che, se svanisce, ci lascia<br />
sperduti e ci induce ad autoeliminarci.<br />
Chi ha idee e competenze è ora che le<br />
metta in gioco, perché la Resistenza dal<br />
NaziFascismo non è nata con la fine di<br />
quei regimi ma quando essi erano in auge,<br />
ed ha contribuito enormemente alla<br />
loro sconfitta fin dal tempo del loro apparente<br />
trionfo.<br />
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Le Siciliane - <strong>Casablanca</strong>
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