P. DE VINGO, A. FRONDONI, Fonti scritte e cultura materiale ... - BibAr
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FONTI SCRITTE E CULTURA MATERIALE<br />
<strong>DE</strong>L TERRITORIO FRA TARDOANTICO<br />
E ALTOMEDIOEVO IN VAL POLCEVERA<br />
(GENOVA): PROBLEMI APERTI<br />
E PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
di<br />
PAOLO <strong>DE</strong> <strong>VINGO</strong>*, ALESSANDRA <strong>FRONDONI</strong>**<br />
PREMESSA<br />
* aldebaran@aleph.it ** afrondoni@iol.it<br />
La Val Polcevera è per collocazione geografica ed anche<br />
per le sue peculiari caratteristiche geomorfologiche il più rapido<br />
e diretto percorso di collegamento fra Genova e il limitrofo<br />
versante appenninico. Fra Sampierdarena e Pontedecimo, la<br />
bassa e media valle sono posizionate lungo un asse ideale con<br />
orientamento nord-sud, mentre a nord di Pontedecimo la parte<br />
superiore della valle si apre a ventaglio nei bacini, disposti da<br />
est verso ovest, dei torrenti Secca (ad est del cui spartiacque<br />
sono individuate la Val Bisagno e la Valle Scrivia, Riccò (confinante<br />
a nord con la Valle Scrivia) e Verde (prossimo ai bacini<br />
del Lemme e del Gorzente).<br />
Il comprensorio è limitato dal crinale appenninico che<br />
si apre, a quote comprese tra 468 e 844 s.l.m., nelle selle<br />
della Crocetta di Orero e della Vittoria, nei passi dei Giovi<br />
e della Bocchetta, nel colle del Canile e nei Piani di Praglia,<br />
permettendo relativamente agevoli collegamenti con la Valle<br />
Scrivia e la fascia territoriale meridionale del Piemonte (PA-<br />
SQUINUCCI 1998).<br />
Quest’area geografica sarà prossimamente inserita in un<br />
progetto di studio delle diverse forme di insediamento rurale<br />
nei secoli compresi tra il tardoantico ed il periodo altomedievale.<br />
La presenza di distinti nuclei umani, le modalità del<br />
loro differente inserimento sul territorio, lo sfruttamento diversificato<br />
delle risorse destinate ad alimentare attività produttive,<br />
è stato esaminato in modo particolare per quanto riguarda<br />
il periodo protostorico e la fase della romanizzazione<br />
(GAMBARO 1999), considerando che alcune delle testimonianze<br />
più interessanti provengono proprio da questo comprensorio<br />
e nonostante la Tavola di Polcevera, sicuramente uno dei suoi<br />
reperti più straordinari, sia stata recuperata avulsa dal suo<br />
contesto originario di provenienza ed in modo del tutto fortuito<br />
(PASTORINO 1995).<br />
Quindi anche se ricerche finalizzate non sono mancate,<br />
specialmente tra il 1967 ed il 1995, si è pensato di sviluppare,<br />
ove possibile, quelle per i contesti tardoantichi e altomedievali,<br />
riprendendo i dati ed i risultati ottenuti, stabilendo<br />
di acquisirne dei nuovi, ma spostando il loro asse di<br />
riferimento, da una visione locale e particolare ad una interpretazione<br />
analitica integrativa, in grado cioè di coniugare<br />
fonti di diversa natura.<br />
1. LA VIABILITÀ TRA IL TARDOANTICO ED I SECO-<br />
LI MEDIEVALI<br />
La via Postumia collegava nel periodo romano, Genua<br />
con Dertona e Placentia, distanti 400 stadia, attraverso la<br />
Val Polcevera, come documenta la Sententia Minuciorum del<br />
117 a.C. e Libarna, in Valle Scrivia, secondo fonti itinerarie<br />
cronologicamente attribuite ad un periodo compreso tra il III<br />
ed il VII secolo d.C. (PASQUINUCCI 1998a; CERA 2000). Con<br />
ogni probabilità la via ripercorreva e forse in parte rettificava,<br />
percorsi tracciati nella fase precedente la romanizzazione<br />
che univano Genua, il lato settentrionale appenninico e la<br />
pianura padana, nonostante non siano mai state individuati<br />
riscontri materiali del percorso che da Genua si sviluppava<br />
in direzione ovest e nord-ovest e si dirigeva poi in direzione<br />
nord, incuneandosi in Val Polcevera (PASQUINUCCI 1998a; CERA<br />
32<br />
2000). Nella parte bassa e media della valle, la Postumia, il<br />
cui uso non fu dismesso con il decadimento politico romano<br />
(GARIBALDI 1985), doveva attraversare Granarolo, Campora<br />
di Gemignano, Cremeno e Morego (MANNONI 1983; PASQUI-<br />
NUCCI 1992; MELLI, PASQUINUCCI 1998; CERA 2000) fino a<br />
Pontedecimo, toponimo che compare, nella documentazione<br />
scritta nel 966: «…In valle Pulcifera locus ubi dicitur Ponte<br />
Decimo id est casis campis silvis et pascuis. Fines vero de<br />
superiori capite fine costa discendente per Fontanelle ad<br />
Affrico et campo de Padule usque in Porcifera…» (BELGRA-<br />
NO 1862) e la cui distanza da Genua di 14 chilometri (10<br />
miglia) è stato ipotizzato potesse essere correlata proprio con<br />
il transito della stessa via Postumia. Non abbiamo conferme<br />
circa le modalità con cui questo percorso raggiungeva la Valle<br />
Scrivia ma è possibile che ciò avvenisse o direttamente<br />
attraverso il passo della Bocchetta, o costeggiandone il versante<br />
meridionale per poi ridiscendere lungo il precedentemente<br />
tracciato o ancora valicando la Sella della Vittoria.<br />
Quest’ultima soluzione è stata considerata come una scelta<br />
preferibile a partire dal tardo III secolo d.C. (MANNONI 1983)<br />
in rapporto ad una evoluzione di distinte situazioni economiche<br />
ed insediative (PASQUINUCCI 1998a; CERA 2000).<br />
Un quadro di abbandono e di desolazione, in passato proposto<br />
a partire dalla metà del VI secolo, della Postumia (GA-<br />
RIBALDI 1985) non sembra essere confermato dallo svolgersi<br />
degli eventi, in modo particolare nel IV secolo quando Milano<br />
divenne uno dei centri più importanti dell’impero romano<br />
e capitale dal 286 al 402, e quindi le comunicazioni terrestri<br />
e fluviali fra il territorio centropadano, il Tirreno, il mare<br />
Adriatico e le aree transalpine (CAGNANA 1996) acquistarono<br />
un valore strategico di assoluta centralità e la Postumia costituì<br />
uno dei suoi assi portanti (PASQUINUCCI 1998a; CERA<br />
2000). Inoltre la presenza a Milano del praefectus Praetorio<br />
Italiae, del vicarius Italiae e del consularis della Provincia<br />
Aemilia et Liguria determinò la rivalutazione di Genova, del<br />
suo porto e della Postumia che collegava le due città con un<br />
viaggio di tre giorni (PAVONI 1992). La sua importanza è<br />
ancora attestata da Zosimo, che riferisce del trasferimento<br />
dal capoluogo ligure a Ravenna della figlia di Stilicone,<br />
Termanzia, moglie ripudiata dall’imperatore Onorio. La via<br />
fu infine utilizzata per spostamenti di truppe durante la guerra<br />
greco-gotica (535-554): nel 538 Mundila ed il suo corpo<br />
(PASQUINUCCI 1998a; CERA 2000) di spedizione di circa 1000<br />
soldati, che comprendeva Traci e Isauri, comandati rispettivamente<br />
da Paolo e da Enne, rinforzati da pochi<br />
tutti agli ordini di Mundila, di Belisario. La spedizione,<br />
di cui faceva parte anche Fidelio, nominato<br />
praefectus Praetorio, raggiunse via mare Genova e procedette<br />
per la Postumia, trasportando su carri le barche con<br />
cui attraversarono il Po oltre Tortona, a est della confluenza<br />
con il Ticino (PAVONI 1992).<br />
2. GLI INSEDIAMENTI ED IL POPOLAMENTO<br />
L’erosione delle aree sommitali e dei versanti, l’evoluzione<br />
geomorfologia delle basse pendici e dei fondovalle,<br />
la straordinaria continuità di vita di alcuni insediamenti a<br />
media ed a bassa quota, consentono di individuare tracce<br />
esigue, ma interessanti e significative della frequentazione<br />
e del popolamento della valle. Per il tessuto insediativo è<br />
possibile proporre uno sviluppo articolato in quattro fasi<br />
distinte, anche se una prossima ripresa delle attività di documentazione<br />
stratigrafica della Soprintendenza per i Beni<br />
Archeologici della Liguria potrà contribuire a definire in<br />
modo più preciso almeno quelle relative al periodo tardoantico<br />
e altomedievale:<br />
– nella seconda età del ferro, siti di modesta estensione sono<br />
stati localizzati sulla sommità di alture o a mezza costa<br />
(MANNONI 1983; MANNONI 1985; PASQUINUCCI 1992);<br />
– alla fine del periodo repubblicano e nei primi secoli dell’impero<br />
sembra verificarsi uno spopolamento delle aree
montane (MANNONI 1983; PASQUINUCCI 1992; PASQUINUCCI<br />
1995),<br />
– in età tardo-imperiale appaiono ripopolati i ripiani di mezza<br />
costa e frequentati i pascoli, a quota elevata (MANNONI 1983;<br />
MANNONI 1985; PASQUINUCCI 1992; PASQUINUCCI 1995),<br />
– nei secoli altomedievali sembrerebbero mantenersi le medesime<br />
condizioni del popolamento illustrate precedentemente<br />
(MANNONI 1983; PASQUINUCCI 1992; PASQUINUCCI 1995),<br />
– con il secolo XI furono prevalentemente occupati i terrazzi<br />
alluvionali mentre nella parte inferiore della valle vennero<br />
edificati insediamenti monastici, ed in quella superiore<br />
siti fortificati controllavano importanti assi viari e singoli<br />
distretti territoriali (PASQUINUCCI 1998).<br />
L’area dell’antica diocesi, del comitato e del primitivo<br />
districtus di Genova, così come si configura sulla base della<br />
documentazione del X-XI secolo (POLONIO 1999), comprendeva<br />
le aree del Genovesato (Val Polcevera, Val Bisagno)<br />
e quelle della zona orientale del Tigullio (Val Fontanabuona,<br />
Valle Sturla, Val Graveglia e Val Petronio). Lo<br />
schema di occupazione delle campagne indicherebbe una<br />
ripresa delle attività legate allo sfruttamento delle risorse<br />
montane, direttamente proporzionale con la crisi del centro<br />
urbano genovese avvenuta a partire dal IV-V secolo (BE-<br />
NENTE 1998) con la dismissione del controllo politico romano<br />
sulle aree territoriali nel Mediterraneo occidentale.<br />
Questi siti, dislocati a quote basse, comprese tra i 300 ed<br />
i 500 s.l.m., si svilupparono in situazioni ambientali favorevoli<br />
alla coltivazione dei cereali e ad un tipo di economia<br />
agro-silvo-pastorale (CERA 2000). I risultati delle campionature<br />
paleobotaniche effettuate sembrerebbero ipotizzare che<br />
boschi misti di quercia, carpino, acero, olmo, nocciolo ed<br />
erica, con limitata presenza di faggio, probabilmente esteso<br />
sui versanti settentrionali, avessero riconquistato, durante i<br />
secoli di parziale o totale abbandono della fascia appenninica,<br />
anche le quote medie e basse, mentre i tipi di colture introdotte<br />
fra il IV ed il VI secolo erano rappresentate da cibi<br />
con un valore nutrizionale basso ed un limitato apporto calorico<br />
come la segale e il castagno domestico non certo destinati<br />
a sostenere cospicue attività commerciali ma in grado di<br />
soddisfare solo le esigenze quotidiane di piccole comunità o<br />
scambi di modesta entità (MANNONI 1983). Il loro sviluppo,<br />
con un indice percentuale di crescita demografica molto basso,<br />
è stato posto in relazione con la crisi alimentare del centro<br />
urbano genuense che costrinse una parte della popolazione<br />
a tornare ad una economia di pura sussistenza (BENEN-<br />
TE 1998).<br />
La possibilità che lo sfruttamento delle risorse disponibili<br />
costituisse un processo di adattamento alle situazione<br />
ambientale e non fosse invece espressione di un rilevante<br />
fenomeno sociale, potrebbe essere rappresentato dal casuale<br />
ritrovamento nel 1935 in prossimità della chiesa parrocchiale<br />
di Langasco di «….una piccola rozza ascia assieme ad un<br />
cucchiaio rinvenuto in altra epoca poco lontano oggi custodita<br />
da un collezionista del luogo……» in una «…tomba intatta<br />
coperta da una lastra di pietra….» (CARPANETO 1975). Il<br />
manufatto in ferro è stato identificato come la parte superiore<br />
di un tipo di ascia «barbuta» con nuca a martello e foro<br />
quadrangolare per alloggiare il manico ligneo e lama dal profilo<br />
sub-rettangolare pendente verso il basso (BIANCHI, CA-<br />
GNANA 1994-1995). Si tratta di un utensile da lavoro poiché<br />
nei secoli altomedievali trova applicazione in tutte le attività<br />
di carpenteria ed in modo particolare nelle produzioni derivate<br />
dal lavoro boschivo, quali il taglio di scandole per tetti,<br />
la finitura di pali, lo spacco e la squadratura di tavole. La<br />
forma del manufatto, con la larga superficie di taglio e il distanziamento<br />
della nuca dalla lama, consentiva di portare colpi<br />
precisi e consequenziali su superfici in legno semilavorate<br />
(BIANCHI, CAGNANA 1994-1995). La stessa applicazione non<br />
potrebbe portare i medesimi risultati se impiegata per abbattere<br />
tronchi d’albero integri, per i quali era necessario utiliz-<br />
33<br />
Fig. 1 – Carta topografica, stralcio della Val Polcerva (originale<br />
1:160.000).<br />
zare scuri (MCGRAIL 1987; PARENTI 1994) con lama sub-triangolare<br />
e filo ricurvo (BIANCHI, CAGNANA 1994-1995).<br />
La sepoltura con ascia «barbuta», della quale disponiamo<br />
però solo di un resoconto dettagliato e di una memoria visiva,<br />
ma non più del manufatto, è comunque importante perché potrebbe<br />
fornirci una prima indicazione sulla presenza di una<br />
società locale gerarchizzata nella quale artigiani specializzati<br />
potevano ricoprire una posizione influente nella struttura sociale.<br />
Questo dato andrebbe ad integrarsi con il ritrovamento<br />
in una tomba di Hérouvillette in Francia (Dipartimento<br />
Calvados) nella quale era stato deposto un insieme di oggetti<br />
molto articolato che comprendeva sia utensili compatibili con
Fig. 2 – Localizzazione di alcuni siti citati nel testo (da BENENTE<br />
1998, p. 9, parzialmente modificata).<br />
le attività metallurgiche, martelli incudini, bulini, pinze, cesoie,<br />
sia attrezzi per la lavorazione del legno, trivelle, sgorbie e<br />
utensili per intagliare (AUFLEGER 1996). Una inumazione, attualmente<br />
esposta al Museo di Fiesole e attribuita agli inizi del<br />
VII secolo, conteneva un individuo di sesso maschile con un<br />
nucleo di elementi di deposizione composito, formato anche<br />
da un’ascia «barbuta» in ferro (<strong>DE</strong> MARCO 1997). Lo studio<br />
paleopatologico dei reperti ossei ha evidenziato tracce di stress<br />
biomeccanico: un tipo definito «eburnazione a livello dell’articolazione<br />
radio-ulnare distale» è risultato essere molto interessante<br />
poiché questa alterazione è indice di un intenso e prolungato<br />
movimento del polso, dovuto ad un movimento di prono-supinazione<br />
sotto sforzo (CONCETTI, CHILLERI, PACCIA-<br />
NI 1997). Queste indicazioni sembrerebbero ipotizzare una identità<br />
sociale del defunto riconducibile ad una attività svolta nella<br />
vita quotidiana quale la carpenteria o comunque la lavorazione<br />
del legno (BIANCHI, CAGNANA 1994-1995).<br />
Le ricognizioni di superficie e gli scavi compiuti negli anni<br />
scorsi, hanno indicato la possibilità di insediamenti articolati: villaggi<br />
con una struttura più o meno complessa, modesti aggregati<br />
demici e semplici fattorie isolate (BENENTE 1998). Tra questi contesti<br />
possono essere ricordati quelli di Campora di Gemignano<br />
(D’AMBROSIO 1985a), di Vicomorasso, Cian delle Crose,<br />
Montanesi, Serra Riccò, S. Cipriano e Magnerri (MANNONI 1983;<br />
MANNONI 1983a; D’AMBROSIO 1985; GIANNICHEDDA 1995; MELLI,<br />
PASQUINUCCI 1998; CERA 2000), tutti localizzati in Val Polcevera e<br />
nel passato definiti, in modo improprio, «stazioni a tegoloni» (GA-<br />
RIBALDI 1985) per la concentrazione di laterizi romani frammentari<br />
rinvenuti in superficie (BENENTE 1998), che ne avevano consentito<br />
il riconoscimento, ma sul cui uso specifico non è stata ancora<br />
fatta nessuna ipotesi attendibile (MANNONI 1983).<br />
Fra quelli precedentemente indicati uno dei più interessanti,<br />
anche perché oggetto di uno scavo stratigrafico, è quello<br />
di S. Cipriano (MELLI, PASQUINUCCI 1998). Questo insediamento<br />
posto a 600 metri a nord della frazione omonima occupava la<br />
sommità di un colle ed il sottostante ripiano orientale. Il rilievo<br />
(m 314 s.l.m., coordinate geografiche 44°30’10” N e<br />
3°32’25 E) fa parte della dorsale argilloscistica che ha inizio<br />
dal passo della Vittoria e divide le vallate del Secca e del Riccò<br />
(MANNONI 1970-1971). La sommità del crinale, conosciuta localmente<br />
con il toponimo di Bric Castellà, è costituita da un<br />
affioramento di arenaria e presenta versanti molto ripidi che<br />
dominano sul lato orientale la valle del Secca e su quello occidentale<br />
quella del Riccò (D’AMBROSIO 1985) mentre il versante<br />
meridionale si profila seguendo una moderata pendenza. Il<br />
contesto insediativo è perciò posizionato lungo una via naturale<br />
che collegava la parte alta della Valpolcevera con la Valle<br />
Scrivia. Lungo il fianco orientale del monte, a circa una decina<br />
di metri al di sotto del displuvio, passa ancora oggi la mulattiera<br />
che, attraverso percorsi di crinale, collegava Morego con il<br />
passo della Vittoria (MANNONI 1983a).<br />
Durante la seconda guerra mondiale la sommità del colle<br />
è stata asportata completamente in conseguenza della in-<br />
34<br />
Fig. 3 – Epigrafe conservata in San Michele di Castrofino (GE)<br />
(da PETRACCO SICARDI 1985, p. 86).<br />
stallazione di una batteria antiaerea. In conseguenza di questa<br />
operazione il <strong>materiale</strong> archeologico è venuto ad accumularsi<br />
in un’area pianeggiante sul versante orientale situata<br />
pochi metri al di sotto della sommità.<br />
Negli anni 1967 e 1968 il saggio A, uno dei tre eseguiti<br />
dai ricercatori dell’Istituto di Storia della Cultura Materiale<br />
(ISCUM), ha consentito di documentare i resti strutturali di<br />
una zoccolatura in pietre a secco, interpretata come basamento<br />
di una unità abitativa di forma quadrangolare con<br />
una superficie interna utile compresa tra i dieci ed i venti<br />
metri quadrati. La presenza di una buca di palo inglobata<br />
nel muro meridionale (D’AMBROSIO 1985) ha rappresentato<br />
un elemento di indubbio interesse, ma ha consentito di trarre<br />
solo indicazioni generiche sulla eventuale conformazione<br />
tipologica e morfologica della capanna, forse strutturata<br />
con pali verticali inseriti nel basamento in pietra, pertinente<br />
al tipo D della classificazione proposta dalla Cagnana per il<br />
sito fortificato di S. Antonino nel Finale (CAGNANA 2001) e<br />
al gruppo AV di quella di Fronza e Valenti per il villaggio<br />
altomedievale di Poggio Imperiale a Poggibonsi in Toscana<br />
(FRONZA, VALENTI 1996) con pareti formate da materiali<br />
deperibili (CAGNANA 1994).
Nella parte centrale del pavimento interno in terra battuta<br />
è stato documentato uno spazio quadrato di metri 2×2,<br />
realizzato con tegoloni spezzati lungo il loro asse mediano,<br />
terra compatta e frammenti di embrici utilizzati per riempire<br />
gli spazi interstiziali e delimitato da lastre di argilloscisto<br />
infisse verticalmente nel terreno (D’AMBROSIO 1985;<br />
CAGNANA 1994; CERA 2000). Sia questa parte della superficie<br />
che il piano di calpestio erano sistemati su un vespaio<br />
di pietrame sciolto e laterizi frammentari (CAGNANA 1994).<br />
La presenza di resti combusti e di carboni hanno reso possibile<br />
l’ipotesi che si potesse trattare di un’area attrezzata<br />
come focolare (MANNONI 1983) e quindi tutta la struttura è<br />
stata considerata come parte di un piccolo nucleo insediativo.<br />
Il suo improvviso abbandono, caratterizzato dalla<br />
presenza nella stratigrafia di un consistente strato di incendio,<br />
è stato datato al V secolo per la presenza al suo<br />
interno di un cospicuo nucleo di monete romane di età<br />
tardoimperiale (BERTINO 1985).<br />
Sulla costa tra Ricò e Secca, sul lato nord-orientale di S.<br />
Cipriano, la presenza del toponimo «Castrofino», forma alterata<br />
nella tradizione orale in «Caschifellone» e considerato<br />
luogo natio del Caffaro (PETRACCO SICARDI 1985), legato alla<br />
piccola cappella di S. Michele unitamente ad un documento<br />
epigrafico in essa conservato, hanno suggerito diverse ipotesi<br />
sulla presenza di un castrum finis del limes bizantino<br />
(BALBISH 1979; PETRACCO SICARDI 1985; CHRISTIE 1990; CERA<br />
2000) e sulla fase di cristianizzazione del territorio rurale genovese<br />
(BENENTE 1998; <strong>FRONDONI</strong> 2003 c.s.) ma non ancora<br />
verificate.<br />
——— (?)<br />
AN (?) DVI (?) III [—]<br />
Hic in secret[ario]<br />
Beati Archan[geli]<br />
Michaelis re[quies] =<br />
cit b(onae) m(emoriae) Sundo; dein = 5<br />
de obiit Sabatinus<br />
diaconus filius eius,<br />
et postea Lupoa =<br />
ra coniux et ge =<br />
netrix eorom, 10<br />
qui pariter iuxta<br />
in suo sepulchro<br />
requi(es)cunt. Vita vi =<br />
vant cum D(omi)no semp(er).<br />
Unica testimonianza epigrafica del periodo longobardo<br />
documentata in Val Polcevera (BENENTE 2001), la lastra completava<br />
un sepolcro allestito nel complesso abitativo del<br />
medesimo edificio di culto. La dedica iniziava con un’indicazione<br />
cronologica in gran parte incompleta e di interpretazione<br />
poco chiara e controversa. Commemorava la sepoltura<br />
del diacono Sabatinus e dei suoi genitori Sundo e Lupara,<br />
entrambi indicati con nomi germanici: il secondo potrebbe<br />
corrispondere al franco «Leubovera» se non alla forma<br />
«Liupwar» attestata in testi del secolo VIII. Allo stesso<br />
periodo può essere ricondotta la stesura del testo: esso trova<br />
confronti nella forma, nei caratteri epigrafici e nello stile<br />
di composizione con esempi coevi, ma extraregionali,<br />
conservati a Tortona, a Bobbio ed in Liguria a Deiva Marina<br />
(MENNELLA 1998).<br />
3. CONSI<strong>DE</strong>RAZIONI CONCLUSIVE.<br />
Le fonti <strong>scritte</strong>, presenti in modo molto limitato per il periodo<br />
altomedievale, i dati di scavo incompleti, documentano<br />
solo parzialmente le trasformazioni territoriali e sociali avvenute<br />
nel V secolo e nel corso di quelli successivi: il quadro di<br />
desolazione e di abbandono finora proposto non è del tutto<br />
compatibile con la situazione storico-politica generale. Il valore,<br />
non solo epigrafico, della lapide di Castrofino, è indiscutibile<br />
ma considerandolo nella sua unicità rimane solo la tessera<br />
di un mosaico molto più complesso la cui ricomposizione e<br />
35<br />
cioè la necessità di ricollegarlo in verticale ed in orizzontale<br />
con il suo tempo ed il contesto <strong>cultura</strong>le di provenienza è uno<br />
degli obiettivi che intendiamo percorrere.<br />
La centralità della valle e dei percorsi che la attraversavano<br />
e quindi la possibilità che le comunicazioni non si fossero<br />
interrotte completamente, ma fossero rimaste ad unire uomini,<br />
merci ed idee costituiscono un elemento importante da cui ripartire<br />
per delinearne i contenuti e le modalità di attuazione.<br />
Una delle possibili chiavi di lettura risiede nella comprensione<br />
delle modalità secondo cui si stabiliscono i rapporti tra i siti<br />
individuati, i mercati di approvvigionamento e smistamento<br />
delle merci, ed i centri di potere rappresentati dalle città. L’influenza<br />
dei centri urbani sul territorio rurale si è espressa principalmente<br />
in termini di imposizioni e di orientamenti, a loro<br />
volta condizionanti il carattere delle signorie e delle forme di<br />
controllo della produzione contadina. In modo particolare, in<br />
questo caso, lo studio della produzione agricola ed animale,<br />
diventa un importante elemento di analisi. Come base iniziale<br />
di riferimento si è cercato, in questa fase, di raccogliere e riesaminare<br />
i dati editi, per promuovere una ricerca finalizzata a<br />
definire la struttura insediativa e produttiva di questo territorio,<br />
analizzando le trasformazioni introdotte tra il V ed il secolo<br />
XI nella suddivisione organizzativa dello spazio e le relative<br />
interazioni con il potere politico comunale e con la formazione<br />
dei patrimoni fondiari di alcuni importanti monasteri<br />
genovesi.<br />
Lo studio delle unità produttive, tramite i metodi e le conoscenze<br />
dell’archeologia del paesaggio ligure (MORENO 1995;<br />
MORENO-POGGI 1998; MONTANARI, GUIDO 2001), contribuirà alla<br />
ricostruzione delle tecniche di sfruttamento agricolo, delle strategie<br />
di potere adottate dai ceti dominanti per indirizzare e<br />
modificare le attività delle singole comunità locali e delle<br />
modalità per controllare, in questo caso particolare, i traffici<br />
commerciali da e verso la pianura padana.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
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