27.05.2013 Views

1. Cratilo - Dipartimento di Filosofia

1. Cratilo - Dipartimento di Filosofia

1. Cratilo - Dipartimento di Filosofia

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

PER UN'INTERPRETAZIONE DEL CRATILO DI PLATONE1*<br />

Francesco Ademollo<br />

La questione da cui il <strong>Cratilo</strong> prende le mosse è quella della «correttezza<br />

dei nomi» (ojrqovth" tw'n ojnomavtwn), ovvero quella <strong>di</strong> definire i requisiti,<br />

necessari e sufficienti, che il nome <strong>di</strong> una data cosa deve possedere. È bene<br />

chiarire che parlando del «nome corretto» <strong>di</strong> una cosa non si vuol suggerire una<br />

situazione in cui una cosa ha più nomi, fra i quali uno in qualche modo<br />

privilegiato. Piuttosto, l'aggettivo “corretto” si riferisce soltanto all'effettivo<br />

vigere della relazione nome-cosa, e quin<strong>di</strong> è in definitiva ridondante, come<br />

<strong>di</strong>mostra il fatto che nel <strong>di</strong>alogo se ne faccia spesso a meno per parlare<br />

semplicemente del «nome della cosa».<br />

<strong>1.</strong> <strong>Cratilo</strong><br />

In 383 a-b Ermogene espone la tesi <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> nei termini seguenti. (1) C'è<br />

per ogni cosa una correttezza naturale del nome (ojnovmato" ojrqovthta ei\nai<br />

eJkavstw/ tw'n o[ntwn fuvsei pefukui'an), la stessa per Greci e barbari. (2) Non è<br />

un nome la convenzione stabilita fra un gruppo <strong>di</strong> parlanti che decidano <strong>di</strong><br />

chiamare una data cosa (ouj tou'to ei\nai o[noma o} a[n tine" sunqevmenoi kalei'n<br />

kalw'si) per mezzo <strong>di</strong> una certa emissione vocale (th'" auJtw'n fwnh'" movrion<br />

ejpifqeggovmenoi). Richiesto <strong>di</strong> ulteriori chiarimenti, <strong>Cratilo</strong> ha detto solo che,<br />

1 * Questo lavoro è un precipitato provvisorio e parziale <strong>di</strong> ricerche sul <strong>Cratilo</strong> che<br />

avranno come risultato un commento al <strong>di</strong>alogo. Qui presento le mie idee dogmaticamente,<br />

ignorando per lo più quelle altrui e celando molti dubbi; non ho potuto tener conto del libro <strong>di</strong><br />

R. Barney, Names and Nature in Plato's Cratylus, New York-London 200<strong>1.</strong> Ringrazio tutti<br />

coloro che mi hanno aiutato con suggerimenti e critiche: in particolare Myles Burnyeat (che ha<br />

letto e acutamente commentato la penultima versione del lavoro), Paolo Fait e Michael Frede.<br />

1 1


mentre lui e Socrate hanno realmente nome “<strong>Cratilo</strong>” e “Socrate”, il nome <strong>di</strong><br />

Ermogene non è “Ermogene”, e non lo sarebbe neppure se tutti lo chiamassero<br />

così (383 b).<br />

Ermogene chiede aiuto a Socrate, che si schermisce ma si <strong>di</strong>chiara pronto a<br />

intraprendere un'indagine comune. Quanto al nome <strong>di</strong> Ermogene, egli<br />

suggerisce che <strong>Cratilo</strong> si riferisse ironicamente alla sua situazione economica<br />

<strong>di</strong>ssestata (383 a-c)2.<br />

Per <strong>Cratilo</strong>, dunque, c'è fra nome e cosa un legame naturale, universalmente<br />

valido e in<strong>di</strong>pendente dall'arbitrio umano; non è però chiaro in che cosa il<br />

legame consista. Socrate dà una prima in<strong>di</strong>cazione col suggerimento semiserio<br />

che <strong>Cratilo</strong> intendesse <strong>di</strong>re che l'etimologia del nome “Ermogene” («stirpe <strong>di</strong><br />

Hermes», <strong>di</strong>o del guadagno) fornisce una descrizione che non si attaglia a<br />

Ermogene. In effetti, il <strong>di</strong>alogo mostra che il punto è proprio l'etimologia del<br />

nome, che deve in qualche modo rivelare la natura della cosa: la teoria sarà<br />

sviluppata da Socrate, col plauso <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> (428 b-e, 435 d).<br />

Sembra <strong>di</strong> capire che per <strong>Cratilo</strong>, <strong>di</strong> fatto, molte convenzioni vigenti<br />

sod<strong>di</strong>sfino per l'appunto il criterio naturale e quin<strong>di</strong>, in virtù <strong>di</strong> quest'ultimo,<br />

siano effettivamente nomi degli oggetti loro associati. Ma che pensa <strong>Cratilo</strong> <strong>di</strong><br />

quelle convenzioni che non rispettano il criterio naturale, come lo pseudo-nome<br />

“Ermogene”? Forse (a) esse riescono a significare in qualche modo la cosa, pur<br />

non essendone nomi, oppure (b) sono del tutto prive <strong>di</strong> valore? <strong>Cratilo</strong> è<br />

reticente; il <strong>di</strong>alogo contiene in<strong>di</strong>zi a favore <strong>di</strong> entrambe le risposte. In favore<br />

<strong>di</strong> (a) gioca il fatto che <strong>Cratilo</strong> parli comunque <strong>di</strong> suoni con cui gli uomini<br />

chiamano le cose; per due volte (427 e, 434 d) egli stesso chiama Ermogene<br />

“Ermogene”. Inoltre in 429 b - 430 a egli afferma che “Ermogene” sembra<br />

essere il nome <strong>di</strong> Ermogene, ma non lo è: questa «apparenza» pare dover<br />

consistere nel fatto che “Ermogene” funzioni come una sorta <strong>di</strong> designatore<br />

2 Qui e nel seguito del lavoro, le sezioni con interlinea ridotto contengono la mia<br />

parafrasi del testo, che ho cercato <strong>di</strong> tener <strong>di</strong>stinta dall'interpretazione vera e propria.<br />

2 1


convenzionale <strong>di</strong> Ermogene3.<br />

Tuttavia <strong>Cratilo</strong> non riconosce esplicitamente alcun ruolo alla convenzione,<br />

e anzi appare sostenere (b) quando, in <strong>di</strong>versi passi importanti (429 b - 430 a,<br />

433 d-e, 434 c - 435 d), non tenta affatto <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere fra “Ermogene” come<br />

nome e “Ermogene” come mero designatore <strong>di</strong> Ermogene. Nel primo <strong>di</strong> questi<br />

passi emerge che <strong>Cratilo</strong> sostiene anche che sia impossibile <strong>di</strong>re il falso4: quin<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>re <strong>di</strong> Ermogene “Quello è Ermogene” non è falso, ma ad<strong>di</strong>rittura impossibile.<br />

<strong>Cratilo</strong>, messo davanti al caso in cui qualcuno chiamasse lui (<strong>Cratilo</strong>)<br />

“Ermogene”, afferma che costui non <strong>di</strong>rebbe il falso ma emetterebbe solo vacui<br />

suoni (yofei'n). Sembra <strong>di</strong> poter concludere che lo stesso avverrebbe anche<br />

quando fosse Ermogene stesso a venir chiamato “Ermogene”; così interpreta già<br />

Ammonio, in Arist. De interpretatione 34.24-30.<br />

La tesi (384 c-d, 385 d-e)<br />

2. Ermogene<br />

Alla tesi <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> Ermogene contrappone la propria (384 c-d), articolata in<br />

tre enunciati, dei quali il secondo e il terzo introdotti da «perché» (gavr). (i) La<br />

correttezza dei nomi consiste nella convenzione e nell'accordo [sunqhvkh kai;<br />

oJmologiva]. (ii) Qualunque nome uno imponga a una cosa è il nome corretto [o{<br />

ti a[n tiv" tw/ qh'tai o[noma, tou'to ei\nai to; ojrqovn], e se poi lo cambia con un<br />

altro, il secondo non è meno corretto del primo, come quando si cambia nome<br />

agli schiavi. (iii) I nomi sono legati alle cose non per natura, ma in virtù del<br />

costume e dell'abitu<strong>di</strong>ne (novmw/ kai; e[qei) dei parlanti. Più avanti (385 d-e)<br />

Ermogene, ribadendo la propria teoria, paragonerà il fatto che in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong>versi<br />

possano imporre nomi <strong>di</strong>versi alla stessa cosa al fatto che le città greche fra<br />

3 Cfr. C.D.C. Reeve, Plato: Cratylus, In<strong>di</strong>anapolis 1998, p. xlii.<br />

4 Sulla relazione fra la tesi naturalista e quella sul falso ve<strong>di</strong> § 5.<br />

3 1


loro, e i Greci rispetto ai barbari, abbiano nomi <strong>di</strong>versi per le stesse cose.<br />

La tesi sembra contenere due componenti alquanto <strong>di</strong>verse: da un lato, in (i)<br />

e (iii), un riferimento all'accordo o convenzione o costume <strong>di</strong> una pluralità <strong>di</strong><br />

parlanti; dall'altro, in (ii), un riferimento alla sfera del singolo. Tuttavia l'unità<br />

suggerita dai gavr che connettono i <strong>di</strong>versi enunciati è reale. Se la convenzione<br />

costituisce la fonte da cui genericamente deriviamo la correttezza dei nomi,<br />

allora un caso particolare, o un caso limite, sarà quello in cui la convenzione<br />

viene per così <strong>di</strong>re stipulata dal parlante con se stesso. Viceversa, se un singolo<br />

ha il potere <strong>di</strong> assegnare arbitrariamente un nome a una cosa, allora certamente<br />

avrà questo potere un gruppo <strong>di</strong> parlanti, formato da in in<strong>di</strong>vidui che esprimono<br />

tutti la stessa volontà5.<br />

Un punto importantissimo è la netta <strong>di</strong>stinzione, stabilita da Ermogene, fra<br />

l'imposizione <strong>di</strong> un nome e il suo successivo uso. Essa implica che l'uso <strong>di</strong> un<br />

nome sia corretto non in ogni caso, ma solo se esso è conforme a una<br />

precedente imposizione; questa rimane valida finché viene rimpiazzata da<br />

un'altra, che fissa una nuova regola per l'uso corretto del nome.<br />

Lo scambio dei nomi (385 a-b)<br />

Socrate comincia subito a interrogare Ermogene. Per prima cosa (385 a)<br />

Ermogene ammette che il suo enunciato (ii) è vero tanto se il ti" impositore è<br />

una città intera quanto se è un singolo parlante, e che quin<strong>di</strong> un singolo parlante<br />

può decidere <strong>di</strong> scambiare i nomi delle cose rispetto all'uso della città. Può per<br />

es. accadere che quelli che la città chiama “uomo” e “cavallo” abbiano per<br />

l'innovatore rispettivamente i nomi <strong>di</strong> “cavallo” e “uomo”. In tal modo la stessa<br />

cosa avrebbe un nome pubblico (dhmosiva/) e un nome privato (ij<strong>di</strong>va/).<br />

5 La maggioranza degli stu<strong>di</strong>osi isola (ii) come un aspetto estremo e insostenibile della<br />

teoria. Ve<strong>di</strong> invece R. Barney, Plato on Conventionalism, «Phronesis» xlii (1997), pp. 143-62:<br />

147-56.<br />

4 1


Queste battute costituiscono un utile chiarimento degli aspetti estremi della<br />

teoria <strong>di</strong> Ermogene. Secondo Proclo (in Plat. Crat. xxxiii 1<strong>1.</strong>15-23) e molti<br />

altri, invece, Socrate sta attaccando la tesi <strong>di</strong> Ermogene con l'argomento che<br />

essa implica conseguenze perniciose per la comunicazione. In realtà le cose non<br />

stanno così6. Ermogene non sarebbe affatto confutato da un simile argomento:<br />

le possibili conseguenze pratiche della sua teoria (malintesi ecc.) sono<br />

irrilevanti rispetto al problema della verità della teoria stessa, e non si vede che<br />

cosa, se non nomi7, potrebbero essere le espressioni impiegate dall'innovatore.<br />

Peraltro questi potrebbe non avere scopi eversivi, e avvisare i propri<br />

interlocutori del proprio uso peculiare, oppure limitarlo ai momenti in cui parla<br />

tra sé o scrive un <strong>di</strong>ario, evitando così <strong>di</strong> ostacolare la comunicazione.<br />

Queste considerazioni sono confermate dal testo del <strong>Cratilo</strong>. Ermogene non<br />

mostra <strong>di</strong> concepire la sua tesi come una minaccia alla comunicazione; Socrate<br />

evita significativamente <strong>di</strong> prospettare il caso in cui concretamente si<br />

“incontrino” due convenzioni opposte, non trae alcuna conclusione ostile a<br />

Ermogene, e mai lo accusa <strong>di</strong> minare la possibilità della comunicazione. Altri<br />

testi, nel <strong>Cratilo</strong> e altrove, confermano che l'estensione della convenzione<br />

all'ambito in<strong>di</strong>viduale non viene vista come un elemento estraneo o una<br />

debolezza della tesi <strong>di</strong> Ermogene. In 435 a la comprensione <strong>di</strong> un nome in virtù<br />

dell'abitu<strong>di</strong>ne e della convenzione viene descritta come un «fare una<br />

convenzione con se stessi» (aujto;" sautw/' sunevqou) da parte dell'ascoltatore8;<br />

in Charm. 163 d Socrate concede al suo interlocutore <strong>di</strong> stabilire per i nomi<br />

l'uso che vuole (soi tivqesqai me;n tw'n ojnomavtwn <strong>di</strong>vdwmi o{ph/ a]n bouvlh/<br />

6 R. Barney, ibid.<br />

7 385 d 3 eJkavstw/ suggerisce che un nome possa esser tale per qualcuno (per chi lo usa)<br />

e non per altri.<br />

8 R. Barney, Plato on Conventionalism cit., p. 155.<br />

5 1


e{kaston), purché chiarisca a che cosa li riferisce.<br />

Verità e falsità (385 b-d)<br />

Socrate passa bruscamente a interrogare Ermogene sul tema del vero e del<br />

falso. I due stabiliscono che un enunciato (lovgo") può essere vero o falso; che<br />

un enunciato è composto da parti – fra le quali il nome (o[noma) ha <strong>di</strong>mensione<br />

minima – tutte vere o false come l'enunciato che le contiene; che, quin<strong>di</strong>, un<br />

nome può esser detto come vero o falso alla stregua <strong>di</strong> un enunciato9.<br />

Molti hanno visto in questo passo un argomento contro Ermogene, la cui<br />

tesi (enunciato (ii)) <strong>di</strong>struggerebbe la <strong>di</strong>stinzione fra vero e falso. Altri hanno<br />

connesso la verità e falsità dei nomi10, <strong>di</strong> cui qui si parla, alla teoria naturalista<br />

<strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong>, e hanno letto nel passo un argomento in favore <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> (e quin<strong>di</strong><br />

comunque contro Ermogene). Nessuna <strong>di</strong> queste due letture sembra sostenibile,<br />

per due ottime ragioni.<br />

(a) Siffatti argomenti sarebbero fallaci. In particolare, la <strong>di</strong>stinzione tra<br />

imposizione e uso <strong>di</strong> un nome consente a Ermogene <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra uso<br />

corretto e scorretto, e quin<strong>di</strong> tra enunciati veri e falsi, all'interno <strong>di</strong> qualunque<br />

convenzione linguistica, collettiva o in<strong>di</strong>viduale. Naturalmente uno stesso<br />

enunciato risulterà vero o falso a seconda della convenzione adottata.<br />

(b) Il testo non contiene niente <strong>di</strong> simile. Anche qui Socrate non trae<br />

nessuna conclusione ostile a Ermogene, né questi mostra <strong>di</strong> sentirsi attaccato. Al<br />

9 Il passo è trasposto da M. Schofield, A Displacement in the Text of the Cratylus,<br />

«Classical Quarterly» xxii (1972), pp. 246-53, ed espunto nell'ultima e<strong>di</strong>zione Oxford, a causa<br />

della <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> dargli un senso e una funzione nel contesto. Come risulta dall'analisi che<br />

segue, penso che il testo sia perfettamente sano e che il passo, lì dove sta, svolga una funzione<br />

importante.<br />

10 Qui o[noma ha molto probabilmente valore generico e in<strong>di</strong>ca sia i nomi veri e propri sia<br />

i verbi, <strong>di</strong>stinti in 425 a, 431 b-c (§ 5). Anche in Soph. 261 d - 262 a la <strong>di</strong>stinzione o[noma-rJh'ma<br />

è interna al genere o[noma.<br />

6 1


contrario, subito dopo la conclusione dell'argomento Ermogene, nuovamente<br />

interrogato, riba<strong>di</strong>rà la sua tesi (385 d-e).<br />

L'interpretazione che suggerisco11 vede l'argomento come privo <strong>di</strong> qualsiasi<br />

intento polemico e volto piuttosto a chiarire il pensiero <strong>di</strong> Ermogene, proprio<br />

come 385 a sullo scambio dei nomi. Lì si trattava <strong>di</strong> chiarire il significato<br />

dell'enunciato (ii), cioè dell'aspetto più provocatorio della tesi; una volta risolto<br />

quel punto, Socrate passa ad accertare l'opinione <strong>di</strong> Ermogene riguardo a verità<br />

e falsità, per chiarire se egli si serva del convenzionalismo per negare che si<br />

possa <strong>di</strong>re il falso. Il risultato è rassicurante: Ermogene tiene ferma la<br />

<strong>di</strong>stinzione tra vero e falso, e questo contribuisce a migliorare la nostra<br />

comprensione della sua tesi. Sarà invece <strong>Cratilo</strong>, più avanti nel <strong>di</strong>alogo, ad<br />

aderire al paradosso sofistico dell'impossibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>re il falso. Un altro scopo<br />

del nostro passo, che presenta vari aspetti <strong>di</strong> parallelismo con quello, sarà allora<br />

quello <strong>di</strong> istituire un confronto a <strong>di</strong>stanza tra Ermogene e <strong>Cratilo</strong>.<br />

Una volta chiarito lo scopo generale del passo, e venendo ai dettagli,<br />

comunque siamo in imbarazzo sentendo parlare <strong>di</strong> nomi veri e falsi come gli<br />

enunciati in cui si trovano. Un nome (“Callia”) non è né vero né falso; vero o<br />

falso è solo un enunciato (“Callia russa”), che è un entità linguistica<br />

strutturalmente <strong>di</strong>versa. Aristotele insisterà molto su questa <strong>di</strong>stinzione (De<br />

interpretatione 1-5; Categorie 2, 4); ma già lo Straniero <strong>di</strong> Elea nel Sofista<br />

(261 d - 263 d), pur non affermandolo esplicitamente, suggerirà che avere un<br />

valore <strong>di</strong> verità sia peculiare dell'enunciato.<br />

L'imbarazzo è almeno in parte12 <strong>di</strong>ssolto, se inten<strong>di</strong>amo la verità e falsità<br />

11 Sviluppando un'idea <strong>di</strong> M. Richardson, True and False Names in the «Cratylus»,<br />

«Phronesis» xxi (1976), pp. 135-145: 137.<br />

12 In parte, perché <strong>di</strong>fendere la conclusione <strong>di</strong> Socrate non significa <strong>di</strong>fendere anche il<br />

suo argomento, accusato <strong>di</strong> fallacia della <strong>di</strong>visione da R. Robinson, A Criticism of Plato's<br />

Cratylus, in Essays in Greek Philosophy, Oxford 1969, pp. 118-138: 123. Questa <strong>di</strong>agnosi<br />

non è inevitabile; ma qui lascerò la questione da parte.<br />

7 1


del nome come la sua correttezza o non correttezza rispetto a un oggetto dato<br />

(come confermerà l'argomento <strong>di</strong> 430 a - 431 c, ve<strong>di</strong> § 5; cfr. Pol. 281 a-b<br />

yeu'do" o[noma). Per es. “Callia è uomo” è vero se, e solo se, “Callia” e “uomo”<br />

sono nomi dello stesso oggetto (ovvero, se e solo se esiste un oggetto cui si<br />

applichino entrambi i nomi “Callia” e “uomo”). Non è facile capire quale sia<br />

l'analisi dell'enunciato falso, poiché Socrate <strong>di</strong>ce soltanto che in esso «la parte»<br />

(385 c 14 to;... movrion) è falsa. Un'ipotesi semplice è che “Callia è uomo” sia<br />

falso se, e solo se, “Callia” si applica a un oggetto cui “uomo” non si applica, e<br />

che quin<strong>di</strong> un nome dell'enunciato sia falso13, sebbene l'articolo tov suggerisca a<br />

rigore che tali siano tutte le parti.<br />

Ermogene e Protagora (385 e - 386 e)<br />

Socrate passa a <strong>di</strong>scutere un'altra possibile “relazione pericolosa” <strong>di</strong><br />

Ermogene, quella col relativismo <strong>di</strong> Protagora. Forse gli enti (ta; o[nta) si<br />

trovano in una situazione analoga ai nomi, tale cioè che la loro natura sia<br />

privata per ciascun soggetto (385 e ij<strong>di</strong>va/ aujtw'n hJ oujsiva ei\nai eJkavstw/)?<br />

Ermogene risponde che in passato, trovandosi in <strong>di</strong>fficoltà, ha preso in<br />

considerazione la tesi <strong>di</strong> Protagora, ma non gli pare che le cose stiano del tutto<br />

così14. Socrate si lancia comunque in una rapida confutazione <strong>di</strong> Protagora,<br />

basata sulla <strong>di</strong>stinzione fra buoni/sapienti e cattivi/stolti (cfr. Tht. 161 c - 162 c,<br />

177 c - 179 b). La conclusione è che le cose (ta; pravgmata) hanno una natura<br />

in<strong>di</strong>pendente dal soggetto (386 d-e).<br />

Il fatto che Socrate confuti ugualmente Protagora, nonostante la risposta <strong>di</strong><br />

Ermogene, suggerisce che la risposta <strong>di</strong> Ermogene non serva soltanto a mettere<br />

Protagora da parte, ma abbia un interesse intrinseco. Questo sta nel fatto che<br />

13 C.H. Kahn, Language and Ontology in the Cratylus, in E.N. Lee - A.P.D.<br />

Mourelatos - R.M. Rorty (eds.), Exegesis and Argument, Assen 1973, pp. 152-76: 160.<br />

14 386 a 6 ouj pavnu ti può significare «non completamente» o «assolutamente no».<br />

Molti scelgono la seconda interpretazione.<br />

8 1


impariamo una nuova, importante lezione sul convenzionalismo dopo quella<br />

sullo scambio dei nomi e quella sulla verità e falsità: il convenzionalismo non<br />

implica – almeno non imme<strong>di</strong>atamente – il relativismo.<br />

3. Socrate naturalista: la confutazione <strong>di</strong> Ermogene<br />

Primo argomento: azioni secondo natura (386 e - 387 d)<br />

La conclusione della confutazione <strong>di</strong> Protagora viene estesa alle azioni, che<br />

sono una specie <strong>di</strong> enti (e{n ti ei\do" tw'n o[ntwn). Socrate argomenta che le<br />

azioni vengono compiute secondo la loro natura e non secondo il nostro<br />

arbitrio, e – sulla base <strong>di</strong> un'analogia con azioni come tagliare e bruciare –<br />

afferma che si possono fare enunciati sulle cose (levgein ta; pravgmata) soltanto<br />

nel modo e con lo strumento appropriati alla loro natura, e che per nominare le<br />

cose è necessario nominarle nel modo in cui e con ciò con cui è nella loro<br />

natura essere nominate, non come vogliamo noi (h|/ pevfuke ta; pravgmata<br />

ojnomavzein te kai; ojnomavzesqai kai; w|/, ajll∆ oujc h|/ a]n hJmei'" boulhqw'men 387<br />

d). Questa conclusione richiama l'opposizione fra <strong>Cratilo</strong> ed Ermogene e<br />

decreta che <strong>Cratilo</strong> ha ragione.<br />

Qui non mi soffermerò sulla parte dell'argomento che riguarda il fare<br />

enunciati sulle cose e prenderò in considerazione soltanto la conclusione sul<br />

nominare. Questa sembra essere falsa – e l'argomento, fallace –, poiché noi<br />

possiamo nominare le cose conformandoci a una precedente imposizione, senza<br />

alcun riguardo per la natura delle cose stesse.<br />

Oltre a questa interpretazione possono però esserci anche altri mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

leggere l'argomento, secondo i quali la conclusione non contrad<strong>di</strong>ce Ermogene<br />

e contiene invece un pensiero sensato e con<strong>di</strong>visibile. Un esempio <strong>di</strong><br />

interpretazione “benevola” è basato sull'uso (non l'imposizione) dei termini<br />

9 1


generali, o nomi comuni, del linguaggio or<strong>di</strong>nario15. Secondo molti filosofi,<br />

una parte almeno della funzione semantica <strong>di</strong> un termine generale come “uomo”<br />

o “giallo” sta nel denotare o nominare cose particolari come uomini e oggetti<br />

gialli. Verosimilmente Platone pensa qualcosa del genere, poiché considera i<br />

termini generali come ojnovmata dei particolari (Rsp. 596 a, Soph. 251 a; Crat.<br />

430 a - 431 c, su cui ve<strong>di</strong> sotto). Ora, ovviamente un particolare sarà nominato<br />

soltanto da un nome comune che gli si applichi o sia vero <strong>di</strong> esso (per es., per<br />

Callia, “uomo”, “bianco” ecc.): in altre parole, da un nome corrispondente a<br />

una delle sue proprietà. Quin<strong>di</strong>, se ci riferiamo all'uso dei nomi comuni, è<br />

legittimo <strong>di</strong>re che per nominare un particolare dobbiamo necessariamente<br />

nominarlo secondo la sua natura e con ciò con cui è naturale nominarlo.<br />

Questo punto è compatibile con la tesi <strong>di</strong> Ermogene, ma non ne è<br />

implicato. La tesi, formulata in maniera assai semplice, sembra essere concepita<br />

anzitutto con riferimento ai nomi propri, e richiederebbe qualche espansione<br />

per includere il nostro caso. Dire che “Callia” nomina Callia perché una<br />

convenzione ha stabilito così può essere sufficiente, ma <strong>di</strong>re che per la stessa<br />

ragione “bianco” nomina Callia non basta: bisogna aggiungere che in realtà<br />

Callia è bianco. Quin<strong>di</strong> il nostro argomento costituirebbe una precisazione o un<br />

completamento della tesi <strong>di</strong> Ermogene. Un simile completamento sarebbe<br />

particolarmente opportuno, perché il rapporto fra una cosa particolare e i nomi<br />

comuni che le si applicano – una versione embrionale della pre<strong>di</strong>cazione – è<br />

cruciale per Platone (ve<strong>di</strong> Soph. 251 a-c), la cui tesi è che i particolari derivino<br />

i loro nomi dalle forme <strong>di</strong> cui partecipano (Phd. 102 b, 103 b; Parm. 130 e -<br />

131 a).<br />

Nel <strong>Cratilo</strong> la pertinenza <strong>di</strong> quest'interpretazione è mostrata da due passi<br />

15 Sebbene siano gli Stoici i primi a definire separatamente nomi propri e comuni,<br />

assumo che Platone e Aristotele percepiscano la <strong>di</strong>stinzione. Diversamente, innumerevoli testi<br />

sarebbero privi <strong>di</strong> senso.<br />

10 1


successivi. In 393 b - 394 e Socrate – sviluppando la tesi <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> – sostiene<br />

che ogni essere vivente generato deve ricevere il nome (comune) del genere cui<br />

appartiene per natura: il figlio del leone deve esser chiamato “leone”, il vitello<br />

nato mostruosamente da un cavallo deve esser chiamato “bue”. Anche il figlio<br />

del re o dell'uomo buono deve esser chiamato “re” o “buono”, eccettuato il caso<br />

<strong>di</strong> un parto mostruoso. Sicuramente l'argomento contiene in<strong>di</strong>cazioni fuorvianti<br />

(ve<strong>di</strong> § 4); tuttavia è possibile isolarvi la tesi, perfettamente sensata, che le cose<br />

devono esser chiamate con nomi comuni corrispondenti alla loro natura reale,<br />

qualunque siano le circostanze della loro generazione. Oltre a questo, un<br />

secondo passo da considerare è 430 a - 431 c, dove Socrate <strong>di</strong>fende la<br />

possibilità del falso mostrando che è possibile applicare a <strong>Cratilo</strong> sia il nome<br />

“uomo” (corretto), sia il nome “donna” (scorretto). Il passo rivela l'interesse <strong>di</strong><br />

Socrate per il rapporto fra un particolare e i nomi comuni che gli riferiamo.<br />

L'interpretazione “benevola” fornisce all'argomento <strong>di</strong> Socrate una<br />

conclusione vera e non ostile a Ermogene, mentre secondo l'altra<br />

interpretazione la conclusione è falsa e ostile a Ermogene. Le due<br />

interpretazioni non sono incompatibili, se corrispondono a due <strong>di</strong>versi livelli <strong>di</strong><br />

lettura del testo. Certamente l'interpretazione “anti-Ermogene” è quella più<br />

naturale, e Platone si aspetta che la adottiamo per prima. Socrate però finirà col<br />

respingere la tesi <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> e optare per quella convenzionalista. È allora<br />

possibile che dobbiamo rileggere il <strong>di</strong>alogo in una <strong>di</strong>versa prospettiva dopo la<br />

sua conclusione, per capire dove e come la tesi naturalista è andata fuori strada.<br />

L'interpretazione “benevola” potrebbe trovare così la sua collocazione.<br />

Secondo argomento: la funzione del nome (387 d - 388 c)<br />

Ogni azione viene svolta con uno strumento determinato, <strong>di</strong> cui possiamo<br />

in<strong>di</strong>care la precisa funzione. Col nome, strumento del nominare, quando<br />

11 1


nominiamo «ci insegniamo qualcosa reciprocamente e16 <strong>di</strong>scriminiamo le cose<br />

nel modo in cui sono» (<strong>di</strong>davskomevn ti ajllhvlou" kai; ta; pravgmata<br />

<strong>di</strong>akrivnomen h|/ e[cei). Quin<strong>di</strong> il nome è uno strumento «<strong>di</strong>dattico e<br />

<strong>di</strong>scriminatorio dell'essenza» (th'" oujsiva"), come la spola <strong>di</strong>scrimina la trama e<br />

l'or<strong>di</strong>to.<br />

La conclusione suona come un chiaro sostegno alla tesi <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong>, poiché<br />

suggerisce l'idea che i nomi contengano in qualche modo la verità sulle cose, e<br />

che questa possa esservi trovata da un'indagine appropriata. <strong>Cratilo</strong> stesso, più<br />

avanti, affermerà che la funzione dei nomi è insegnare (428 e, 435 d), nel senso<br />

che «chi conosce i nomi conosce anche le cose».<br />

In realtà la conclusione è falsa, se la inten<strong>di</strong>amo in modo rigoroso, cioè<br />

come una definizione della funzione del nominare (proferire un nome <strong>di</strong><br />

qualcosa), e se pren<strong>di</strong>amo alla lettera la menzione dell'insegnare. Un nome “A”,<br />

anche se etimologicamente trasparente (“asciugacapelli”), ha la funzione <strong>di</strong> fare<br />

riferimento a una cosa e non può anche insegnare qualcosa su <strong>di</strong> essa. Tale è la<br />

funzione <strong>di</strong> un enunciato <strong>di</strong>chiarativo (“A è B”), nel quale si afferma qualcosa<br />

<strong>di</strong> ciò cui un nome fa riferimento17. Fra gli enunciati <strong>di</strong>chiarativi, poi, un<br />

sottoinsieme è costituito dagli enunciati che identificano l'essenza <strong>di</strong> ciò che il<br />

nome-soggetto significa e lo <strong>di</strong>scriminano da tutte le altre cose: per es. “l'uomo<br />

è animale bipede”. Questi enunciati sod<strong>di</strong>sfano la definizione <strong>di</strong> Socrate, intesa<br />

in modo rigoroso.<br />

È vero, quin<strong>di</strong>, che usiamo i nomi per insegnare e <strong>di</strong>scriminare le cose<br />

come sono, e che anzi i nomi sono necessari per questo. Soltanto, essi non sono<br />

sufficienti: questa non è la loro funzione. La definizione dunque è falsa, ma ha<br />

un'apparenza plausibile. Tuttavia il lettore, a questo punto del <strong>di</strong>alogo, ha gli<br />

strumenti per <strong>di</strong>sinnescare questa confusione, poiché in 387 c Socrate ha<br />

16 kaiv (b 10, 13) è esplicativo.<br />

17 R. Robinson, A Criticism cit., pp. 131-32.<br />

12 1


sostenuto proprio che nominare sia parte del <strong>di</strong>re enunciati.<br />

Se poi allentiamo il rigore con cui leggiamo la definizione, allora essa<br />

mostra <strong>di</strong> contenere molto altro <strong>di</strong> interessante. Il riferimento al <strong>di</strong>scriminare<br />

può essere <strong>di</strong>feso, se lo connettiamo al fatto che il nome nomina una o più cose<br />

determinate e così le scevera dall'insieme <strong>di</strong> tutte le cose. Persino la menzione<br />

dell'essenza potrebbe trovare una giustificazione, se confrontata con teorie<br />

secondo cui i nomi denotano o fanno riferimento alle cose significando in pari<br />

tempo (connotando) le proprietà delle cose.<br />

Possiamo cogliere un ultimo punto importante se torniamo alla lettura<br />

rigorosa della definizione, isolandola però dal contesto e <strong>di</strong>menticando che è<br />

una definizione falsa della funzione del nome. L'idea <strong>di</strong> insegnare e<br />

<strong>di</strong>scriminare l'essenza richiama allora la concezione della <strong>di</strong>alettica come arte <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>videre la realtà in generi, che Platone svilupperà in <strong>di</strong>aloghi successivi18.<br />

Questa connessione è tanto più interessante in quanto nel <strong>Cratilo</strong> troveremo sia<br />

la figura del <strong>di</strong>alettico, sia un riferimento al metodo della <strong>di</strong>visione (cfr. §§ 4,<br />

5). E nella <strong>di</strong>visione i nomi sono ovviamente in<strong>di</strong>spensabili per isolare e<br />

<strong>di</strong>scriminare ogni genere (per es. Soph. 227 b-c).<br />

Anche nell'interpretazione del secondo argomento contro Ermogene,<br />

dunque, possiamo <strong>di</strong>stinguere una lettura superficiale e una lettura più profonda<br />

(in questo caso più <strong>di</strong> una), da compiere a posteriori alla luce della conclusione<br />

del <strong>di</strong>alogo, per <strong>di</strong>stinguere ciò che è fallace da ciò che è filosoficamente sano.<br />

Terzo argomento: il legislatore (388 c - 389 a)<br />

Ogni strumento, argomenta Socrate, è opera <strong>di</strong> un artefice, non un uomo<br />

qualsiasi, ma uno dotato <strong>di</strong> arte (tevcnh); così, nel caso del nome, tramandato<br />

dal novmo" (costume, legge), l'artefice sarà un nomoqevth" (legislatore), il più<br />

18 N. Kretzmann, Plato on the Correctness of Names, «American Philosophical<br />

Quarterly» viii (1971), pp. 126-138:130.<br />

13 1


aro fra gli artefici.<br />

L'argomento sconfessa la tesi <strong>di</strong> Ermogene che chiunque possa assegnare un<br />

nome alle cose e riserva questo compito a pochi detentori <strong>di</strong> un sapere<br />

specializzato. La conclusione è falsa, come sa Platone stesso, visto che nel<br />

<strong>Cratilo</strong>, più avanti, si <strong>di</strong>rà proprio che i legislatori originari erano sprovvisti <strong>di</strong><br />

conoscenza, poiché imposero i nomi presupponendo la falsa teoria metafisica<br />

del flusso (411 b, 436 a-b, 439 b-c). D'altra parte è una tesi genuinamente<br />

platonica che gli autori delle leggi dovrebbero avere techne, e che le decisioni<br />

nella città dovrebbero essere prese dai competenti. Anche qui, dunque,<br />

possiamo rintracciare una tesi plausibile, e centrale per il pensiero <strong>di</strong> Platone,<br />

all'interno della conclusione dell'argomento. La <strong>di</strong>fferenza tra la versione<br />

“superficiale” e la versione “profonda” è che la prima pretende <strong>di</strong> enunciare<br />

con<strong>di</strong>zioni necessarie per l'esistenza dei nomi, mentre la seconda si accontenta<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>care come le cose dovrebbero essere.<br />

È interessante notare che Socrate incorpora nella sua tesi il richiamo del<br />

convenzionalista al novmo". Questo non è più, come per Ermogene, il fattore<br />

responsabile dell'appartenenza del nome alla cosa; per questo non compare il<br />

dativo causale novmw/, usato invece da Ermogene. Piuttosto, il costume è ora il<br />

veicolo <strong>di</strong> nomi che devono alla natura il legame con la cosa nominata19. In<br />

altri contesti Platone suggerisce una soluzione analoga dell'antinomia novmo"-<br />

fuvsi" (cfr. Gorg. 489 a-b, Leg. 889 d-e)20.<br />

Quarto argomento: nomi e forme (389 a - 390 e)<br />

19 Cfr. M. Schofield, The Dénouement of the Cratylus, in Id. - M. Nussbaum (eds.),<br />

Language and Logos, Cambridge 1982, pp. 61-81: 66 n. 3.<br />

20 «When the two terms are properly understood novmo" is seen to be founded upon<br />

fuvsi"» (E.R. Dodds, Euripides: Bacchae, Oxford 1960 2, p. 190).<br />

14 1


In una prima parte dell'argomento (389 a-d) Socrate descrive come<br />

l'artefice fabbrica strumenti quali la spola e il trapano. Per fabbricare una spola,<br />

l'artefice usa come modello la forma <strong>di</strong> spola (cfr. Rsp. 596 b), che tutte le<br />

spole particolari devono «possedere» (e[cein); in più, ogni spola particolare<br />

deve ricevere la forma <strong>di</strong> spola naturalmente più appropriata allo specifico tipo<br />

<strong>di</strong> prodotto da ottenere (per es. un mantello leggero o pesante, <strong>di</strong> lino o <strong>di</strong><br />

lana). In generale, nel caso <strong>di</strong> qualsiasi strumento l'artefice deve in<strong>di</strong>viduare la<br />

forma naturalmente appropriata allo specifico tipo <strong>di</strong> prodotto desiderato e<br />

assegnare a un determinato materiale (il legno per le spole, il ferro per i<br />

trapani) proprio quella forma, e non una qualsiasi. A ciascuna specie <strong>di</strong> ogni<br />

prodotto generico corrisponde per natura (fuvsei) una specie <strong>di</strong> uno strumento<br />

generico (Fuvsei ga;r h\n eJkavstw/ ei[dei uJfavsmato"... eJkavsth kerkiv", kai;<br />

ta\lla ou{tw").<br />

È interessante la <strong>di</strong>stinzione tra forme generiche (la spola) e forme<br />

specifiche (i vari tipi <strong>di</strong> spola). Questa <strong>di</strong>stinzione non implica un <strong>di</strong>verso status<br />

ontologico per i due gruppi <strong>di</strong> forme. Fin dai primi <strong>di</strong>aloghi abbiamo<br />

familiarità con l'idea che le forme contengono altre forme come loro parti21;<br />

nel Platone più tardo la <strong>di</strong>visione dei generi sarà il metodo principale della<br />

<strong>di</strong>alettica, e nel <strong>Cratilo</strong> stesso troveremo un breve ma significativo progetto <strong>di</strong><br />

classificare entità per <strong>di</strong>visione (cfr. § 4).<br />

In 389 d - 390 a Socrate estende ai nomi, per analogia, ciò che ha sostenuto<br />

riguardo agli altri strumenti. Il legislatore deve imporre i nomi da un lato<br />

contemplando la forma <strong>di</strong> nome (aujto; ejkei'no o{ ejstin o[noma), dall'altro<br />

calando in lettere e sillabe la forma <strong>di</strong> nome naturalmente appropriata a<br />

ciascuna specie <strong>di</strong> cosa (to; eJkavstw/ fuvsei pefuko;" o[noma o to; tou' ojnovmato"<br />

ei\do"... to; prosh'kon eJkavstw/). Ciò non deve esserci celato dal fatto che<br />

legislatori <strong>di</strong>versi calino la forma in sillabe <strong>di</strong>verse. Anche fabbri <strong>di</strong>versi usano<br />

tipi <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> ferro per fare lo stesso strumento, ma finché la forma assegnata<br />

alla materia è la stessa, lo strumento è corretto, sia in Grecia sia fra i barbari.<br />

21 Il santo è parte del giusto; coraggio, giustizia ecc. sono parti della virtù: Euthphr. 11 e<br />

- 12 d, Lach. 190 c-d (cfr. Men. 72 c).<br />

15 1


Allo stesso modo legislatori <strong>di</strong>versi, Greci e barbari, lavorano ugualmente bene,<br />

purché calino la forma appropriata a ciascuna cosa in qualsiasi insieme <strong>di</strong><br />

sillabe22.<br />

La menzione della forma (generica) <strong>di</strong> nome è perfettamente riconducibile<br />

alle linee generali della metafisica platonica. Semplificando un po' <strong>di</strong>ciamo che,<br />

per Platone, per ogni pluralità <strong>di</strong> cose che cadano sotto uno stesso universale o<br />

con<strong>di</strong>vidano una proprietà esiste un'entità – la forma – che è questo stesso<br />

universale o proprietà. Ora, i nomi costituiscono una classe <strong>di</strong> cose ben<br />

determinata. Quin<strong>di</strong> a questa classe deve corrispondere una forma, ovvero la<br />

proprietà che qualcosa deve possedere per essere un nome: per es. la proprietà<br />

<strong>di</strong> essere un segno vocale o scritto <strong>di</strong> qualcos'altro (oppure: uno strumento per<br />

insegnare e <strong>di</strong>scriminare l'essenza).<br />

Anche le forme <strong>di</strong> nome specifiche possono essere interpretate in analogia<br />

col caso degli altri strumenti. In Phlb. 15 a - 18 b Platone ci incoraggia in<br />

generale a moltiplicare il numero delle forme interme<strong>di</strong>e fra un genere dato e i<br />

particolari. Ora, nel caso dei nomi, abbiamo da un lato una forma generica <strong>di</strong><br />

nome, dall'altro il fatto che le cose nominate sono molto <strong>di</strong>verse tra loro per<br />

natura. Possiamo quin<strong>di</strong> concepire l'esistenza <strong>di</strong> forme specifiche <strong>di</strong> nome,<br />

ciascuna appropriata alla natura <strong>di</strong> un <strong>di</strong>verso tipo <strong>di</strong> cosa.<br />

Un esempio aiuterà a spiegarsi meglio. Il nome “uomo”, per nominare<br />

l'uomo particolare Callia, e forse anche per nominare l'universale uomo, deve<br />

in qualche modo esprimere la natura universale dell'uomo (<strong>di</strong> cui assumiamo la<br />

definizione “animale bipede”). Ora, se noi trasformiamo tale requisito del<br />

nome in un'entità, se lo ipostatizziamo (questo è, in generale, il passo cruciale<br />

22 Per ragioni <strong>di</strong> coerenza con la teoria fonosimbolica che verrà esposta più avanti è<br />

opportuno supporre che Socrate qui pensi a lingue che usano sistemi fonetici completamente<br />

<strong>di</strong>versi (D. Sedley, The Etymologies in Plato's Cratylus, «Journal of Hellenic Stu<strong>di</strong>es» cxviii<br />

(1998), 140-54: 148). Per questo già nell'esempio del ferro parlo <strong>di</strong> «tipi <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> ferro»: in<br />

realtà il testo parla solo <strong>di</strong> «altro ferro». I Greci, comunque, conoscevano tipi <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> ferro.<br />

16 1


nella teoria delle forme), allora otteniamo una forma: nel nostro esempio, la<br />

forma <strong>di</strong> nome <strong>di</strong> uomo, la cui definizione essenziale sarà “nome che esprime<br />

che la cosa nominata è animale bipede”. Possiamo pensarla come un type<br />

semantico, i cui tokens saranno i <strong>di</strong>versi nomi <strong>di</strong> uomo nelle <strong>di</strong>verse lingue23: il<br />

greco a[nqrwpo" e i suoi equivalenti in persiano, egiziano, triballico ecc.<br />

Ho lasciato nel vago la nozione dell' «espressione» della natura della cosa<br />

da parte del nome; ma chiaramente un modo in cui questo potrebbe avvenire è<br />

che il nome riveli la natura della cosa con l'etimologia. Questa era la tesi <strong>di</strong><br />

<strong>Cratilo</strong>, ma il testo ci invita a interpretare così anche quella <strong>di</strong> Socrate. In 390<br />

d-e Socrate <strong>di</strong>chiarerà esplicitamente che <strong>Cratilo</strong> ha ragione; in 393 d assumerà<br />

che il nome deve rivelare l'oujsiva della cosa, e su questo principio costruirà la<br />

sezione etimologica. Se dunque assumiamo l'interpretazione “etimologica” <strong>di</strong><br />

tutto questo, i <strong>di</strong>versi nomi che esemplificano una stessa forma specifica <strong>di</strong><br />

nome in <strong>di</strong>verse lingue saranno nomi le cui etimologie esprimono la stessa cosa<br />

con suoni <strong>di</strong>versi. Se per es. a[nqrwpo" deriva da ajnaqrw'n a} o{pwpe «colui che<br />

riconsidera ciò che ha visto» (399 b), lo stesso sarà il senso dell'etimologia <strong>di</strong><br />

“xyz”, nome dell'uomo in un'altra lingua.<br />

È bene chiarire che le forme <strong>di</strong> nome specifiche non sono i sensi dei nomi.<br />

In generale le forme non sono i sensi dei nomi comuni (la forma <strong>di</strong> uomo non è<br />

il senso <strong>di</strong> “uomo”), perché sono piuttosto i referenti che i sensi dei nomi<br />

comuni (“uomo” nomina la forma <strong>di</strong> uomo, oltre che i singoli uomini), e<br />

perché non hanno uno status meramente concettuale24, ma sono gli oggetti più<br />

veramente esistenti. E siccome le forme specifiche <strong>di</strong> nome vengono<br />

23 Cfr. Kahn, Language and Ontology cit., p. 164.<br />

24 Parlando <strong>di</strong> «status meramente concettuale» non mi riferisco a Frege, ma ad una<br />

concezione <strong>di</strong>ffusa nella filosofia del linguaggio. Fra gli interpreti del <strong>Cratilo</strong> penso a J.L.<br />

Ackrill, Language and Reality in Plato's Cratylus, in Essays on Plato and Aristotle, Oxford<br />

1997, pp. 33-52: 44, che parla <strong>di</strong> «meaning or concept or thought».<br />

17 1


chiaramente trattate da Socrate come forme a tutti gli effetti, sullo stesso piano<br />

delle altre, segue che neppure esse sono sensi. Qui Platone sembra far ricorso,<br />

anziché alla nozione del senso, allo strumento <strong>di</strong> analisi che gli è più familiare,<br />

cioè la teoria delle forme con la sua strategia dell'Uno oltre i Molti. Solo più<br />

avanti egli introdurrà qualcosa <strong>di</strong> simile al senso.<br />

Con un po' <strong>di</strong> speculazione possiamo azzardarci a concludere che Socrate<br />

<strong>di</strong>stingue, in relazione a una forma F: (1) la forma stessa, (2) il suo nome “F”,<br />

(3) la forma <strong>di</strong> nome <strong>di</strong> F, esemplificata dal nome “F” e dai suoi equivalenti<br />

nelle <strong>di</strong>verse lingue. Un quarto punto della lista dovrebbe essere costituito dal<br />

senso del nome “F”: una nozione <strong>di</strong> cui però Socrate qui non fa uso.<br />

Nel seguito dell'argomento (390 b-d) Socrate introduce la figura <strong>di</strong> chi usa<br />

lo strumento fabbricato da ciascun artefice (cfr. Rsp. 601 c - 602 a). Questi<br />

giu<strong>di</strong>ca se lo strumento è ben fatto, cioè se la forma incorporata è quella<br />

appropriata, e sovrintende alla fattura stessa; nel caso del nome, questo ruolo è<br />

svolto dal <strong>di</strong>alettico, colui che sa domandare e rispondere.<br />

La conclusione <strong>di</strong> questo argomento, e dei precedenti, è che <strong>Cratilo</strong> ha<br />

ragione: i nomi appartengono alle cose per natura e la capacità <strong>di</strong> imporre nomi<br />

spetta non a un uomo qualsiasi, bensì a colui che contempla la forma (specifica)<br />

<strong>di</strong> nome appropriata a ciascun oggetto (390 d-e).<br />

Questa sezione contiene <strong>di</strong>versi punti che meriterebbero un commento; mi<br />

limito a elencarne tre. (a) In 388 b-c l'utente del nome era l'insegnante, che lo<br />

usava per insegnare l'essenza; il <strong>di</strong>alettico è evidentemente la stessa persona<br />

descritta <strong>di</strong>versamente. Anche la <strong>di</strong>stinzione fra il legislatore/artefice e il<br />

<strong>di</strong>alettico/utente non deve essere intesa in modo materiale, poiché ogni<br />

legislatore, se è capace <strong>di</strong> contemplare le forme, sarà anche un <strong>di</strong>alettico. (b) La<br />

caratterizzazione del <strong>di</strong>alettico, associato da un lato alla pratica socratica<br />

descritta nei primi <strong>di</strong>aloghi, dall'altro – in virtù del contesto – allo stu<strong>di</strong>o delle<br />

forme (cfr. Rsp. 534 d, Phd. 75 c-d). (g) La curiosa affermazione che il<br />

<strong>di</strong>alettico è colui che (non: uno che) usa i nomi.<br />

18 1


Mi soffermerò sull'ultima affermazione, che sembra grossolanamente falsa.<br />

Potremmo interpretarla come un'iperbole, il cui vero significato sarebbe che il<br />

<strong>di</strong>alettico è il principale o il migliore fra coloro che usano i nomi. Io, però,<br />

suggerisco piuttosto <strong>di</strong> prendere il testo alla lettera e supporre che Platone sia<br />

consapevole della falsità. La ragione per favorire quest'interpretazione è che<br />

l'affermazione <strong>di</strong> Socrate è perfettamente coerente con tutto ciò che egli ha<br />

sostenuto fin qui: che il nome serve a insegnare e <strong>di</strong>scriminare l'essenza delle<br />

cose ed è opera <strong>di</strong> un sapiente artefice che contempla le forme. Tutto ciò non è<br />

stato presentato come un progetto per un mondo migliore, ma come<br />

un'esposizione delle con<strong>di</strong>zioni necessarie e sufficienti per avere nomi; eppure<br />

non ha niente a che fare con la fattura e l'uso dei nomi or<strong>di</strong>nari. Quin<strong>di</strong> non c'è<br />

da stupirsi se Socrate descrive il <strong>di</strong>alettico come colui che usa i nomi.<br />

Ora, Platone sa bene che, se da p segue q, e q è falso, allora anche p è falso.<br />

Quin<strong>di</strong> la falsità letterale dell'affermazione sul <strong>di</strong>alettico ha implicazioni<br />

“retroattive” che non possono sfuggirgli. Esaminando la serie <strong>di</strong> argomenti<br />

avanzati contro Ermogene da 387 a, più volte ho osservato che le affermazioni<br />

<strong>di</strong> Socrate erano alla lettera false, e i suoi argomenti fallaci; e ho formulato il<br />

sospetto che Platone sia consapevole <strong>di</strong> ciò, alla luce della conclusione pro-<br />

convenzionalista del <strong>di</strong>alogo. Ora il passo sul <strong>di</strong>alettico fornisce una conferma,<br />

interna all'argomento stesso, che abbiamo davanti non una reale confutazione <strong>di</strong><br />

Ermogene, ma piuttosto la messinscena <strong>di</strong> una confutazione. Resta da spiegare<br />

perché Platone costruisca il <strong>Cratilo</strong> così, confutando la tesi che riabiliterà alla<br />

fine, senza però riconoscere esplicitamente la conversione. Propongo una<br />

combinazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse ragioni per questa strategia.<br />

(i) La prima ragione presuppone un modo generale <strong>di</strong> leggere Platone,<br />

secondo cui i <strong>di</strong>aloghi invitano il lettore a valutare gli argomenti presentati, a<br />

riflettere sulla questione per conto suo, insomma a partecipare attivamente alla<br />

19 1


<strong>di</strong>scussione, come se fosse presente25. Un tipico caso si ha quando un<br />

argomento porta a una conclusione delle cui debolezze Platone sembra essere<br />

consapevole: in tal caso egli si aspetta forse che identifichiamo l'errore e<br />

cerchiamo <strong>di</strong> raggiungere una conclusione <strong>di</strong>versa. Si prestano a<br />

un'interpretazione <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong>aloghi come Eutidemo, Parmenide, Teeteto,<br />

nei quali sembra essere importante che il lettore sottoponga a critica gli<br />

argomenti proposti, per <strong>di</strong>scernere punti deboli e idee sensate. Nel <strong>Cratilo</strong>,<br />

dunque, il fatto che Platone faccia prevalere una tesi sull'altra per poi ribaltare<br />

la situazione può essere un esempio <strong>di</strong> un metodo da lui favorito.<br />

(ii) «Platone, però», si potrebbe obiettare, «costruendo la confutazione <strong>di</strong><br />

Ermogene è ricorso al suo cavallo <strong>di</strong> battaglia, la teoria delle forme: una teoria<br />

troppo importante per poter prestare il suo sostegno a una tesi sbagliata». In<br />

realtà spesso, nei <strong>di</strong>aloghi, la tesi che risulta peritura e <strong>di</strong>fettosa contiene un<br />

nucleo sano che sta ai lettori <strong>di</strong> identificare. Ora, <strong>di</strong>stricando gli argomenti nel<br />

<strong>Cratilo</strong> noi abbiamo positivamente imparato un certo numero <strong>di</strong> cose sui nomi.<br />

Abbiamo per es. appreso che c'è un senso in cui nominare un oggetto a con un<br />

nome comune “A” è un'operazione soggetta a certe con<strong>di</strong>zioni naturali, sia<br />

generiche sia specifiche, queste ultime <strong>di</strong>pendenti dalla natura <strong>di</strong> a e<br />

in<strong>di</strong>pendenti dalle caratteristiche esterne del nome. In conformità con questo ci<br />

è <strong>di</strong>venuta familiare la nozione <strong>di</strong> un type semantico fisso, i cui tokens sono<br />

tutti i nomi <strong>di</strong> a concretamente esistenti. Beninteso, Socrate ha, in più, assunto<br />

una determinata interpretazione <strong>di</strong> questi principi, secondo cui il punto centrale<br />

della questione è l'etimologia. Tuttavia niente ci impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> tentare <strong>di</strong> estrarre<br />

dall'argomento una <strong>di</strong>versa lezione e guardare in una <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong>versa per<br />

identificare le con<strong>di</strong>zioni essenziali <strong>di</strong> un nome; allora saremo liberi <strong>di</strong> accettare<br />

25 M. Frede, Plato's Arguments and the Dialogue Form, in J.C. Klagge - N.D. Smith<br />

(eds.), Methods of Interpreting Plato and His Dialogues, Oxford 1992, pp. 201-19; M.F.<br />

Burnyeat, Plato, «Procee<strong>di</strong>ngs of the British Academy» 111 (2000), pp. 1-22.<br />

20 1


anche la tesi <strong>di</strong> Ermogene che i nomi sono convenzionali, come Socrate farà<br />

alla fine26. Da questo punto <strong>di</strong> vista uno sviluppo che potremmo imprimere<br />

all'argomento sarebbe quello <strong>di</strong> introdurre la nozione <strong>di</strong> un senso del nome<br />

comune come elemento <strong>di</strong>pendente dalla natura della cosa nominata e<br />

in<strong>di</strong>pendente dalla forma fonetica del nome.<br />

(iii) Fra i punti positivi emersi nel corso dell'argomento, alcuni riguardano<br />

la realtà e la nostra conoscenza <strong>di</strong> essa, in<strong>di</strong>pendentemente dalla questione dei<br />

nomi. Abbiamo appreso che cose e azioni hanno un' oujsiva oggettiva,<br />

in<strong>di</strong>pendente dalle nostre rappresentazioni; ci è stato detto dell'importanza<br />

filosofica <strong>di</strong> identificare l'essenza delle cose e con ciò <strong>di</strong>scriminare le cose l'una<br />

dall'altra; infine abbiamo appreso qualcosa sulle forme. Abbiamo infatti<br />

appreso che sotto una forma generica può esserci una pluralità <strong>di</strong> forme<br />

specifiche, che concorrono a determinare la natura delle cose; e che il materiale<br />

in cui la forma è calata, se da un lato deve sod<strong>di</strong>sfare certi requisiti, dall'altro<br />

può a sua volta essere <strong>di</strong> vario tipo. Gli esempi nel testo riguardavano la<br />

produzione <strong>di</strong> artefatti, ma sarebbe facile estendere il quadro alla generazione <strong>di</strong><br />

oggetti naturali. Tutto ciò costituisce un'acquisizione non banale, specialmente<br />

se assumiamo che il <strong>Cratilo</strong> sia in qualche modo collocato nella fase in cui<br />

Platone elabora la teoria “classica” delle forme (Simposio, Fedone, Repubblica:<br />

cfr. § 6).<br />

Un ultimo punto rilevante a proposito delle forme è connesso al rapporto<br />

fra l'insegnante, il legislatore e il <strong>di</strong>alettico (che sono o possono essere la stessa<br />

persona). Se lasciamo cadere da quel quadro ogni riferimento ai nomi, quel che<br />

resta è la relazione fra insegnare l'essenza delle cose, contemplare le forme e<br />

praticare la <strong>di</strong>alettica. Insegnare l'essenza richiede la contemplazione delle<br />

forme, e questa a sua volta deve essere guidata da (o forse: deve essere condotta<br />

tramite) la <strong>di</strong>alettica per domande e risposte. Questa è una tesi perfettamente<br />

26 Una prospettiva simile in C.H. Kahn, Language and Ontology cit., p. 173.<br />

21 1


platonica, e corrisponde a come Socrate descrive il suo metodo abituale in Phd.<br />

78 d, parlando della «realtà del cui essere ren<strong>di</strong>amo ragione interrogando e<br />

rispondendo» (aujth; hJ oujsiva h|" lovgon <strong>di</strong>vdomen tou' ei\nai kai; ejrwtw'nte" kai;<br />

ajpokrinovmenoi).<br />

La liceità <strong>di</strong> questa lettura è confermata dal fatto che in ogni caso i nomi<br />

non sono l'unico tema affrontato nel <strong>Cratilo</strong>. Nella sezione etimologica<br />

vedremo emergere la teoria eraclitea del flusso universale, e il <strong>di</strong>alogo si<br />

concluderà con una critica della teoria del flusso alla luce dell'esistenza delle<br />

forme e della conoscenza.<br />

4. Sviluppi della teoria naturalista<br />

Da Omero al senso dei nomi (390 e - 394 e)<br />

Il problema successivo è quello <strong>di</strong> capire in che cosa esattamente consista la<br />

correttezza naturale dei nomi, fin qui <strong>di</strong>fesa in termini piuttosto astratti (390 e -<br />

391 a). Comincia un'ironica rassegna <strong>di</strong> autorità da consultare: i Sofisti,<br />

Protagora, soprattutto Omero (391 b - 392 b). Un'ampia e scherzosa trattazione<br />

(392 b-e) viene de<strong>di</strong>cata ai due nomi del figlio <strong>di</strong> Ettore, “Scamandrio” e<br />

“Astianatte”. Secondo Socrate, Omero fa <strong>di</strong>pendere la correttezza naturale <strong>di</strong><br />

“Astianatte” dal fatto che Ettore era il <strong>di</strong>fensore <strong>di</strong> Troia (cfr. Il. 22.507). Per<br />

illustrare questa connessione Socrate svolge un argomento complesso, dal tono<br />

improvvisamente serio.<br />

(i) 393 a-b: ”Ektwr è un nome «simile» ad ∆Astuavnax, perché a[nax e<br />

e{ktwr «significano circa la stessa cosa, cioè che sono nomi <strong>di</strong> re» (scedovn ti<br />

taujto;n shmaivnei, basilika; ajmfovtera ei\nai ta; ojnovmata)27.<br />

(ii) 393 b-c: Nella generazione <strong>di</strong> cose come animali e piante la prole deve<br />

esser chiamata col nome del suo genere naturale, cioè – eccettuati i casi <strong>di</strong><br />

generazione mostruosa – del genere cui appartiene il genitore (per es. chiamare<br />

“leone” il figlio <strong>di</strong> un leone).<br />

27 Il riferimento è all'interpretazione, già antica, <strong>di</strong> ”Ektwr come «possessore».<br />

22 1


(iii) 393 c-d + 394 a 1-4: Allo stesso modo (kata;... to;n aujto;n lovgon) il<br />

figlio <strong>di</strong> un re deve essere chiamato “re”, il figlio <strong>di</strong> un uomo buono “buono”,<br />

il figlio <strong>di</strong> un uomo bello “bello”.<br />

(iv) 393 d - 394 b: Le singole sillabe e lettere <strong>di</strong> cui si fa uso per chiamarlo<br />

possono variare, purché rimanga dominante nel nome l'espressione dell'essenza<br />

della cosa (e{w" a]n ejgkrath;" h\/ hJ oujsiva tou' pravgmato" dhloumevnh ejn tw'/<br />

ojnovmati); le lettere possono cambiare, ma l'esperto riconosce la stessa duvnami",<br />

come il me<strong>di</strong>co riconosce la stessa duvnami" in farmaci <strong>di</strong>versi per odore e<br />

colore.<br />

(v) 394 b-d: Questo è il caso per ∆Astuavnax, ”Ektwr e ∆Arcevpoli", come<br />

per altri gruppi <strong>di</strong> nomi propri: essi significano la stessa cosa (taujto;n<br />

shmaivnei, dhloi'... to; aujtov) ovvero hanno la stessa duvnami", e quin<strong>di</strong> sono,<br />

sotto questo rispetto, lo stesso nome (th/' de; dunavmei taujto;n fqeggovmena).<br />

(vi) 394 d-e: I figli nati mostruosamente, la cui natura è <strong>di</strong>fforme da quella<br />

dei genitori, devono ricevere il nome del loro genere naturale: per es. il figlio<br />

empio <strong>di</strong> un uomo pio non dovrà esser chiamato Qeovfilo", se i nomi devono<br />

essere corretti.<br />

Qui idee <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>nario interesse teorico si mescolano a suggerimenti del<br />

tutto fuorvianti. Forse in 393 c 8-9 Socrate stesso mette in guar<strong>di</strong>a Ermogene<br />

dai tranelli dell'argomento, <strong>di</strong>cendo «Sta' attento che io non ti porti fuori<br />

strada». Significativamente, la battuta cade proprio nel punto in cui Socrate<br />

passa dal primo gruppo <strong>di</strong> esempi (animali e piante) al secondo gruppo (il re, il<br />

buono, il bello). Ciò suggerisce la seguente critica dell'argomento.<br />

Lo schema generale che potremmo formulare come “un X genera un altro<br />

X” ammette due interpretazioni, una sana (per X = animali, piante e simili:<br />

<strong>di</strong>ciamo generi naturali) e una degenerata (per X anche = re, buono, bello<br />

ecc.). Dall'interpretazione sana deriva lo slogan aristotelico «un uomo genera<br />

un uomo» (a[nqrwpo" a[nqrwpon genna/': per es. Metaph. Z 8. 1033 b 29-33; 9.<br />

1034 a 21-23; L 3. 1070 a 4-5), spesso chiamato dagli stu<strong>di</strong>osi «principio <strong>di</strong><br />

23 1


sinonimia»28. Ora, un possibile modo <strong>di</strong> esprimere la <strong>di</strong>fferenza tra le due<br />

interpretazioni si basa sulla <strong>di</strong>stinzione tra le proprietà essenziali e accidentali <strong>di</strong><br />

una cosa particolare x come Callia o Bucefalo (ciò che Aristotele chiamerebbe<br />

una sostanza sensibile). Le sostituzioni <strong>di</strong> X ammesse dall'interpretazione sana<br />

sono generi e specie <strong>di</strong> tali particolari, corrispondenti a proprietà essenziali;<br />

l'interpretazione degenerata, invece, ammette anche proprietà accidentali.<br />

Platone, col suggerimento <strong>di</strong> 393 c e anche in altri mo<strong>di</strong>, potrebbe voler<br />

suggerire proprio un'analisi <strong>di</strong> questo tipo. In generale, infatti, egli ha<br />

familiarità con la <strong>di</strong>stinzione fra proprietà essenziali e non essenziali; e in<br />

particolare l'essenza (oujsiva) della cosa nominata è esplicitamente centrale<br />

nell'argomento.<br />

L'argomento contiene molto altro <strong>di</strong> interessante: per es. un'altra <strong>di</strong>stinzione<br />

cancellata da Socrate, quella fra nomi comuni e nomi propri. Tuttavia<br />

rinuncerò a seguire altre linee per concentrarmi sul problema della<br />

significazione dei nomi. Quando Socrate <strong>di</strong>ce che “Ettore” e “Astianatte”<br />

significano la stessa cosa, non vuol <strong>di</strong>re che siano nomi della stessa persona, o –<br />

in termini moderni – che abbiano lo stesso riferimento. La significazione <strong>di</strong> cui<br />

si tratta consisterà piuttosto nel fatto che il nome rivela l'oujsiva della cosa<br />

nominata: quin<strong>di</strong> in una relazione semantica come la connotazione29. Socrate<br />

può però avere in mente anche la nozione <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> controparte<br />

concettuale dell'oujsiva rivelata dal nome, un contenuto <strong>di</strong> pensiero compreso<br />

28 Aggiungo due osservazioni. (1) Anche Aristotele, in Z 8, fa il caso della generazione<br />

contro natura, con l'esempio <strong>di</strong> un cavallo che genera un mulo: un esempio più rassicurante<br />

delle mostruosità platoniche, tanto che Aristotele può poi sostenere che anch'esso in un certo<br />

senso rispetti il principio. (2) Aristotele rivolge il principio contro le forme platoniche.<br />

29 Nel senso classico <strong>di</strong> significazione <strong>di</strong> proprietà della cosa nominata: J.S. Mill, System<br />

of Logic i.ii.5.<br />

24 1


dai parlanti quando il nome viene usato. Quest'ulteriore elemento della<br />

significazione possiamo chiamarlo senso del nome – <strong>di</strong>stinguendolo, beninteso,<br />

dalla ben più sofisticata nozione <strong>di</strong> Frege. Varie considerazioni suggeriscono la<br />

presenza <strong>di</strong> qualcosa del genere: fra l'altro, nella sezione etimologica si<br />

menzionerà il «pensiero» o «intenzione» del nome (<strong>di</strong>avnoia, bouvlhsi": 418 a,<br />

421 b), in<strong>di</strong>cato anche dalle espressioni o} bouvletai tou[noma o o{ti noei' (395 b,<br />

407 e, 418 b), come qualcosa <strong>di</strong> significato dal nome (410 b) e <strong>di</strong>pendente dalla<br />

sua etimologia.<br />

Relativa a tutto ciò è la nozione <strong>di</strong> una duvnami" dei nomi, paragonata a<br />

quella delle me<strong>di</strong>cine. Anche la duvnami" non è la cosa nominata, ma piuttosto<br />

una caratteristica del nome, in virtù della quale esso fa quello che fa – cioè, per<br />

quanto sappiamo finora, rivelare l'oujsiva della cosa. Il termine può esser<br />

tradotto «valore» (ingl. «force»); concludere che si tratta del senso del nome è<br />

un piccolo passo in più30.<br />

Abbiamo visto che la nozione embrionale del senso o valore <strong>di</strong> un nome è<br />

introdotta in stretta connessione con l'etimologia. Questa connessione è<br />

storicamente profonda. John Stuart Mill, per <strong>di</strong>mostrare che i nomi propri non<br />

hanno connotazione osserverà che la città chiamata “Dartmouth” potrebbe non<br />

trovarsi più alla foce del Dart (System of Logic i.ii.5). Sul fronte opposto<br />

Frege, in Über Sinn und Bedeutung, per trattare del senso dei nomi propri<br />

addurrà come primi esempi espressioni trasparenti quali “Morgenstern” e<br />

“Abendstern”, arrivando poi a esempi il cui senso non ha niente a che fare con<br />

l'etimologia.<br />

Nel seguito del <strong>Cratilo</strong> incontriamo due in<strong>di</strong>zi che suggeriscono che la<br />

trattazione <strong>di</strong> 393 a - 394 e debba essere in qualche modo rivista. Il primo<br />

in<strong>di</strong>zio è in 397 a-b (all'inizio delle etimologie, dunque in un contesto in cui il<br />

30 Un uso simile <strong>di</strong> duvnami" e duvnamai, in contesti senza impegno teorico, per es. in<br />

Lys. 10.7, Hdt. ii 30.<strong>1.</strong> In Aristotele ve<strong>di</strong> APr. i 39.<br />

25 1


naturalismo è ancora in auge): Socrate annuncia che bisogna mettere da parte i<br />

nomi degli eroi e degli uomini, che potrebbero ingannarci, poiché vengono<br />

spesso assegnati per onorare un antenato (kata; progovnwn ejpwnumiva") o per<br />

esprimere un augurio (polla; de; w{sper eujcovmenoi tivqentai), senza<br />

congruenza con la natura del portatore. Ora, i nomi esaminati nel nostro<br />

argomento sono appunto nomi propri <strong>di</strong> eroi e uomini, e “Astianatte” è un triste<br />

esempio <strong>di</strong> nome beneaugurante smentito dalla realtà. Allora perché Platone<br />

profonde impegno teorico in un argomento, il nostro, applicato a esempi <strong>di</strong> un<br />

tipo che verrà respinto poco più sotto?<br />

Il secondo in<strong>di</strong>zio consiste nella conclusione finale del <strong>di</strong>alogo, secondo cui<br />

l'etimologia può fornire – e anzi <strong>di</strong> fatto spesso fornisce – una descrizione falsa<br />

della cosa nominata (§ 5). Così stando le cose, l'etimologia non pare più una<br />

base molto promettente per costruire una teoria del senso dei nomi che sia <strong>di</strong><br />

una qualche utilità. Socrate, d'altra parte, non cerca esplicitamente <strong>di</strong> svincolare<br />

la duvnami" del nome dall'etimologia.<br />

Come deve reagire il lettore che, dopo essere stato attratto dalla <strong>di</strong>scussione<br />

della significazione in 393 a - 394 e, ne veda poi i punti deboli? Le reazioni<br />

possono essere <strong>di</strong>verse, e alcune hanno poche probabilità <strong>di</strong> essere nelle<br />

intenzioni <strong>di</strong> Platone. Una reazione sensata, filosoficamente e storicamente, è<br />

proprio quella <strong>di</strong> provare a concepire il senso in<strong>di</strong>pendentemente<br />

dall'etimologia, dopo che questa ha favorito l'emergere della nozione3<strong>1.</strong><br />

Le etimologie (394 e - 427 d)<br />

In 394 e comincia la vera e propria sezione etimologica. Essa può essere<br />

31 Le etimologie non contengono un'esplicita <strong>di</strong>stinzione fra senso “etimologico” e senso<br />

“lessicale”. La <strong>di</strong>stinzione è però suggerita dai nomi <strong>di</strong> valori la cui etimologia rimanda alla<br />

teoria metafisica del flusso (per es. <strong>di</strong>vkaion < <strong>di</strong>ai>ovn 412 c - 413 d, devon < <strong>di</strong>i>ovn 418 e - 419<br />

b).<br />

26 1


<strong>di</strong>visa in due parti, nelle quali vengono impiegati due <strong>di</strong>versi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> analisi<br />

delle parole, separate da un intermezzo <strong>di</strong> natura teorica.<br />

I. Fino a 421 c l'etimologia rivela i nomi come descrizioni delle cose<br />

nominate, spesso costituite da più parole contratte in una sola (per es. daivmwn <<br />

dahvmwn, a[nqrwpo" < ajnaqrw'n a} o{pwpe). La sezione ha un'organizzazione<br />

precisa, nella quale i nomi sono raggruppati in base al significato: la genealogia<br />

degli Atri<strong>di</strong> da Oreste a Urano (394 e - 396 c), concetti-base della mitologia e<br />

della teologia (qeov" daivmwn h{rw" a[nqrwpo", 397 c - 399 c; yuchv sw'ma, 399 d<br />

- 400 c), gli dei omerici (400 d - 408 d), oggetti della fisica e della cosmologia<br />

(408 d - 410 e), virtù e valori (ta; peri; th;n ajrethvn: 411 a - 419 b), stati<br />

dell'anima (419 b - 420 c), logica e metafisica (ta; mevgista kai; ta; kavllista:<br />

421 a-c). L'or<strong>di</strong>namento dei nomi stu<strong>di</strong>ati fa della sezione una sorta <strong>di</strong> guida<br />

sistematica e storica alle linee principali del pensiero greco fino all'epoca <strong>di</strong><br />

Platone32. La maggior parte delle etimologie sembra essere originale, ma molte<br />

contengono riferimenti più o meno espliciti all'opera <strong>di</strong> filosofi e poeti.<br />

Dalle etimologie emerge a un certo punto un tema dominante: la teoria<br />

eraclitea del flusso universale. Essa viene menzionata una prima volta in 401 d -<br />

402 c a proposito dell'etimologia <strong>di</strong> alcuni nomi, fra i quali ÔReva e Krovno":<br />

Socrate suggerisce che l'autore <strong>di</strong> questi nomi anticipasse la teoria <strong>di</strong> Eraclito, e<br />

attribuisce la stessa opinione a Omero e Orfeo. La teoria eraclitea ritorna in 411<br />

b-c: gli antichi legislatori, come molti sapienti attuali, a furia <strong>di</strong> indagare la<br />

realtà «hanno le vertigini» e in<strong>di</strong>viduano la causa del loro stato nell'instabilità<br />

delle cose. Di qui in poi quasi tutte le etimologie scoprono nel nome analizzato<br />

un riferimento eracliteo (per es. frovnhsi" < fora'" kai; rJou' novhsi").<br />

L'intento <strong>di</strong>chiarato delle etimologie è quello <strong>di</strong> mostrare la correttezza<br />

naturale dei nomi, dando conferma empirica alla tesi naturalista<br />

(apparentemente) vittoriosa. In realtà le cose non stanno così. In 400 d - 401 a<br />

Socrate, richiesto <strong>di</strong> etimologizzare i nomi degli dèi, risponde che degli dèi e<br />

dei nomi con cui si chiamano fra loro non sappiamo nulla, ma che – come<br />

«seconda modalità <strong>di</strong> correttezza» (deuvtero" trovpo" ojrqovthto") – possiamo<br />

indagare quale sia l'opinione (dovxa) presupposta dai nomi dati loro dagli<br />

32 T.M.S. Baxter, The Cratylus. Plato's Critique of Naming, Leiden 1992, pp. 88-94.<br />

Elenco e partizione delle etimologie in C.D.C. Reeve, Plato: Cratylus cit., pp. xxvii-xxix, e D.<br />

Sedley, The Etymologies cit., p. 149. La mia partizione è più simile a quella <strong>di</strong> Reeve.<br />

27 1


uomini. Questa è una svolta nelle ambizioni della teoria naturalista, che viene<br />

ridotta dalla ricerca della verità sulle cose alla ricerca dell'opinione degli<br />

impositori, dalla filosofia alla filologia33. Questo colpo mortale per un vero<br />

naturalismo verrà riba<strong>di</strong>to in 411 b-c, dove la teoria eraclitea è fin dall'inizio<br />

presentata come errata e dovuta alle vertigini dei legislatori.<br />

Le etimologie sono caratterizzate da una peculiare mescolanza <strong>di</strong> umorismo<br />

e serietà, <strong>di</strong>fficile da decifrare. La storica ipotesi che esse costituiscano una<br />

paro<strong>di</strong>a o critica <strong>di</strong> qualcuno o qualcosa non è sostenibile, poiché urta contro<br />

l'atteggiamento unanime degli antichi (incluso Platone fuori dal <strong>Cratilo</strong>) nei<br />

confronti dell'etimologia e contro la <strong>di</strong>chiarazione finale con cui Socrate<br />

confermerà la vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> gran parte <strong>di</strong> esse (439 c)34. D'altra parte non è<br />

<strong>di</strong>fficile riconoscere elementi <strong>di</strong> scherzo e persino autoironia, con cui Socrate<br />

sembra a tratti prendere le <strong>di</strong>stanze dalla propria performance. L'esempio più<br />

cospicuo è la sua ripetuta affermazione (396 c-e ecc.) <strong>di</strong> trovarsi in uno stato <strong>di</strong><br />

invasamento dovuto a un colloquio con Eutifrone – presumibilmente lo<br />

scre<strong>di</strong>tato indovino dell'Eutifrone, se<strong>di</strong>cente esperto delle cose <strong>di</strong>vine. Una<br />

chiave per capire le etimologie è forse il paragone con il ruolo svolto in altri<br />

<strong>di</strong>aloghi dal mito, che – oltre a svolgere una profonda funzione filosofica – ha<br />

anche una <strong>di</strong>mensione puramente letteraria, nella quale si giustifica il deliberato<br />

inserimento <strong>di</strong> dettagli implausibili. Un buon esempio <strong>di</strong> questa compresenza <strong>di</strong><br />

serietà e gioco (non paro<strong>di</strong>a) è il mito del Fedro, dove questa caratteristica è<br />

esplicitamente riconosciuta da Socrate (265 b-c). Qui non tenterò <strong>di</strong> sviluppare<br />

estesamente questo suggerimento. Noto soltanto, a titolo <strong>di</strong> esempio, che uno<br />

dei termini usati da Socrate nel passo del Fedro è pai<strong>di</strong>av, che può essere<br />

confrontato con la scelta <strong>di</strong> analizzare «giocosamente» (pai<strong>di</strong>kw'"), anziché<br />

33 Cfr. per es. M. Schofield, The Dénouement cit., p. 63.<br />

34 D. Sedley, The Etymologies cit., pp. 141-43.<br />

28 1


seriamente, i nomi <strong>di</strong> Dioniso e Afro<strong>di</strong>te in Crat. 406 b-c.<br />

II. L'analisi dei nomi come descrizioni si arresta davanti ai prw'ta ojnovmata,<br />

nomi primari o elementari che non possono essere ulteriormente scomposti in<br />

altri nomi (421 c - 422 b). Di questi nomi si deve dare un'analisi <strong>di</strong>versa,<br />

rispettando però il principio generale che i nomi devono mostrare la natura<br />

della cosa. Socrate propone <strong>di</strong> definire il nome come imitazione (mivmhsi")<br />

vocale della natura della cosa, basata sul potere mimetico delle lettere e delle<br />

sillabe (422 b - 424 a). Egli abbozza anche un progetto sistematico <strong>di</strong><br />

classificazione (<strong>di</strong>aivresi") parallela, per genere e specie, <strong>di</strong> lettere e enti, che<br />

dovrebbe esser seguita da un'associazione <strong>di</strong> lettere e sillabe a enti secondo il<br />

criterio della somiglianza (424 b - 425 a). Così dovrebbe procedere l'impositore<br />

dei nomi. Per noi, invece, che abbiamo davanti a noi i nomi già imposti dagli<br />

antichi, la mappa così ottenuta dovrebbe servire da criterio per valutare la<br />

correttezza dei nomi elementari esistenti (425 a-b).<br />

Socrate si <strong>di</strong>chiara incapace <strong>di</strong> compiere una simile classificazione; lui ed<br />

Ermogene faranno del loro meglio, anche se il risultato sarà probabilmente<br />

ri<strong>di</strong>colo. La ragione per cui si deve comunque tentare è che, se non si conosce<br />

la correttezza dei nomi “primari”, è impossibile conoscere quella dei nomi<br />

“secondari” (425 b - 426 b). Così Socrate, senza procedere ad alcuna<br />

classificazione, propone un'interpretazione del significato mimetico <strong>di</strong> una<br />

dozzina <strong>di</strong> lettere greche, accompagnata da <strong>di</strong>versi esempi (426 c - 427 d): r<br />

imita il movimento, i la natura <strong>di</strong> ciò che è sottile e può muoversi attraverso<br />

tutte le cose, a la grandezza, ecc.<br />

I due tipi <strong>di</strong> etimologia, descrittivo e fonosimbolico, sono <strong>di</strong>fficili da tenere<br />

insieme, poiché il primo richiede <strong>di</strong> poter manipolare la parola da analizzare<br />

per poter ricavare la descrizione originaria, con una relativa in<strong>di</strong>fferenza per le<br />

singole lettere, che sono invece cruciali per il secondo tipo. Inoltre non è chiaro<br />

che cosa, se non la convenzione, possa <strong>di</strong>rci – in presenza <strong>di</strong> un dato nome –<br />

quale dei due sia il tipo <strong>di</strong> analisi appropriato.<br />

Un aspetto molto interessante delle considerazioni sul fonosimbolismo sta<br />

nel metodo <strong>di</strong>airetico <strong>di</strong> cui Socrate progetta <strong>di</strong> fare uso. Le sue parole non<br />

sembrano lontane da ciò che possiamo leggere sulla <strong>di</strong>visione in generi in<br />

29 1


<strong>di</strong>aloghi come Fedro, Sofista o Filebo35. In questa connessione acquistano un<br />

peso particolare la definizione del nome come strumento per «<strong>di</strong>scriminare<br />

l'essenza» (388 b-c) e il ruolo attribuito da Socrate al <strong>di</strong>alettico (390 b-d) – cui<br />

spetta la <strong>di</strong>visione in generi nei <strong>di</strong>aloghi citati.<br />

Nel <strong>Cratilo</strong> la <strong>di</strong>visione è poi subor<strong>di</strong>nata al progetto visionario della<br />

costruzione <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> “linguaggio perfetto”36. Al <strong>di</strong> là dello stupore per<br />

l'audacia <strong>di</strong> questo progetto, non deve sfuggirci che l'idea <strong>di</strong> ricondurre la<br />

correttezza dei nomi alle singole lettere deriva da un'idea più generale,<br />

esplicitata in 426 a-b: la conoscenza <strong>di</strong> ciò che è complesso si basa sulla<br />

conoscenza degli elementi semplici che lo costituiscono. Quest'idea è<br />

profondamente platonica (cfr. Tht. 201 d - 206 b) e può trovare applicazioni<br />

fuori dall'ambito dei nomi37.<br />

Introduzione (427 e - 429 b)<br />

5. Socrate e <strong>Cratilo</strong><br />

Da 427 e l'interlocutore <strong>di</strong> Socrate è <strong>Cratilo</strong>. Egli approva quanto Socrate è<br />

venuto <strong>di</strong>cendo, ma subito Socrate prende le <strong>di</strong>stanze: è scettico sulla sua<br />

35 Ve<strong>di</strong> Phdr. 265 d - 266 c (e 271 a - 272 a, 277 b-c per un progetto <strong>di</strong> doppia<br />

classificazione, <strong>di</strong> anime e <strong>di</strong>scorsi); Soph. 253 a-e (dove l'accordo e <strong>di</strong>saccordo fra i generi è<br />

trattato in analogia con quello fra le lettere, come qui); Phlb. 15 a - 18 d (dove le lettere offrono<br />

il modello per la <strong>di</strong>visione). Esempi <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione occorrono anche in altri <strong>di</strong>aloghi pre-<br />

Repubblica (spec. Gorg. 463 e - 466 a), ma apparentemente senza intenti sistematici o<br />

ambizioni metafisiche. La Repubblica in<strong>di</strong>ca la <strong>di</strong>visione come competenza della <strong>di</strong>alettica (454<br />

a), ma non dà esempi significativi.<br />

36 N. Kretzmann, Plato cit., p. 137.<br />

37 C.H. Kahn, Language and Ontology cit., pp. 167-68.<br />

30 1


“sapienza” e vuol riconsiderare tutta la questione. Per cominciare Socrate<br />

ottiene l'assenso <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> su due proposizioni (428 e): la correttezza del nome<br />

sta nel mostrare «come la cosa è» (oi|ovn ejsti to; pra'gma), quin<strong>di</strong> i nomi hanno<br />

la funzione <strong>di</strong> insegnare (<strong>di</strong>daskaliva"... e{neka). Una prima schermaglia si<br />

conclude con l'affermazione <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> che i legislatori sono <strong>di</strong>versi dagli altri<br />

artigiani, le cui opere riescono a volte migliori (kallivw) a volte peggiori<br />

(faulovtera), poiché né i novmoi né i nomi possono essere migliori o peggiori.<br />

Quin<strong>di</strong> tutti i nomi sono corretti, chiede Socrate (intendendo «naturalmente<br />

corretti»)? Quelli che sono nomi sì, risponde <strong>Cratilo</strong>.<br />

L'affermazione che i novmoi non sono migliori o peggiori presuppone<br />

anzitutto una tesi naturalista secondo cui i novmoi per essere vali<strong>di</strong> devono<br />

conformarsi a un criterio naturale. Questa, se trascuriamo il riferimento ai<br />

nomi, è vicina a una tesi che occorre altrove in Platone: il novmo" è qualcosa <strong>di</strong><br />

intrinsecamente buono, sicché un novmo" non buono non è affatto un novmo" (per<br />

es. HMa. 284 b - 285 b, cfr. Pol. 293 c-e). In realtà, però, le parole <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong><br />

presuppongono una tesi ancora più forte, del tipo “tutto o nulla”, secondo cui<br />

fra i novmoi vali<strong>di</strong> non ci sono <strong>di</strong>fferenze qualitative.<br />

Il problema del falso (429 b - 431 c)<br />

Socrate riprende allora l'esempio del nome <strong>di</strong> Ermogene, con cui il <strong>di</strong>alogo<br />

era cominciato. Egli sottopone a <strong>Cratilo</strong> un'alternativa (429 b-c): a Ermogene<br />

“Ermogene” nemmeno appartiene come nome, oppure gli appartiene sì, ma non<br />

correttamente? <strong>Cratilo</strong> risponde che il nome non gli appartiene neppure, ma<br />

sembra appartenergli, ed è il nome <strong>di</strong> un altro, cioè dell'uomo la cui natura è<br />

descritta dal nome.<br />

A questo punto Socrate introduce nella <strong>di</strong>scussione il problema del falso.<br />

Egli sospetta che non sia neppure falso <strong>di</strong>re che quello è Ermogene, per la<br />

ragione che forse non è possibile neppure <strong>di</strong>re che costui è Ermogene, se non lo<br />

è (429 c Povteron oujde; yeuvdetai o{tan ti" fh'/ ÔErmogevnh aujto;n ei\nai… mh; ga;r<br />

oujde; tou'to au\ h\/, to; tou'ton favnai ÔErmogevnh ei\nai, eij mh; e[stin)38. <strong>Cratilo</strong><br />

38 Elimino il punto <strong>di</strong> domanda stampato da tutti gli e<strong>di</strong>tori dopo c 9 e[stin.<br />

31 1


chiede chiarimenti, mostrando <strong>di</strong> non capire. Socrate risponde suggerendo che<br />

la tesi <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> implichi che non è possibile <strong>di</strong>re il falso («Ara o{ti yeudh'<br />

levgein to; paravpan oujk e[stin, a\ra tou'tov soi duvnatai oJ lovgo"…, cfr. Euthd.<br />

286 c). A questo punto, finalmente, <strong>Cratilo</strong> assente, giustificando il paradosso<br />

del falso con un tipico argomento sofistico sull'impossibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>re «ciò che<br />

non è» (429 d)39.<br />

Per che via Socrate inferisca dalla tesi naturalista quella sul falso non è<br />

affatto chiaro, né a noi né – sembra – a <strong>Cratilo</strong> stesso. Diverse possibili<br />

ricostruzioni presentano il <strong>di</strong>fetto che la tesi sul falso vi è in realtà inferita, non<br />

dal naturalismo, ma da un'altra premessa in<strong>di</strong>pendente che viene attribuita a<br />

<strong>Cratilo</strong>, per es. qualche errata concezione della struttura dell'enunciato.<br />

Un'ipotesi per rendere giustizia al testo è che l'implicazione sia per<br />

contrapposizione: la possibilità del falso implica il convenzionalismo, quin<strong>di</strong> il<br />

naturalista deve negare la possibilità del falso. Con un po' <strong>di</strong> speculazione<br />

immaginiamo una situazione in cui due interlocutori, A e B, vedano un uomo<br />

che cammina; l'uomo si chiama Corisco, ma A e B lo scambiano per Callia, che<br />

in realtà è a casa a dormire. A chiede: “Che fa Callia?” e B risponde: “Callia<br />

cammina”. Ora, “Callia” non è veramente il nome <strong>di</strong> quell'uomo, e il vero<br />

Callia non sta camminando: l'enunciato è falso. D'altra parte B ha descritto<br />

correttamente l'attività dell'uomo che essi credono chiamarsi Callia, e in questo<br />

senso ha detto qualcosa <strong>di</strong> vero. Quin<strong>di</strong>, da un lato “Callia” è nome <strong>di</strong> Callia e<br />

non <strong>di</strong> Corisco; dall'altro, in un certo senso B ha usato il nome “Callia” in<br />

modo tale da riferirsi a Corisco e parlare <strong>di</strong> Corisco. Potremmo <strong>di</strong>re che il<br />

referente semantico40 <strong>di</strong> “Callia” è Callia ma che, in un senso non-tecnico e più<br />

debole del termine, altri in<strong>di</strong>vidui possono essere referenti <strong>di</strong> “Callia”, come<br />

39 Questa lettura della scena è con<strong>di</strong>visa da M.F. Burnyeat, Plato on How Not to Speak<br />

of What Is Not: Euthydemus 283a-288a, in: M. Canto-Sperber - P. Pellegrin (cur.), Le style de<br />

la pensée, Paris 2002, p. 40 n. <strong>1.</strong><br />

40 Cfr. S. Kripke, Naming and Necessity, Oxford 1980 2 , pp. 25-26, spec. n. 3.<br />

32 1


Corisco. Questo sembra implicare che non ci sia un legame intrinseco tra il<br />

nome “Callia” e il referente semantico Callia, e che quin<strong>di</strong> Corisco potrebbe<br />

essere – anche se non è – il referente semantico del nome: cioè una convenzione<br />

potrebbe trasformare “Callia” nel nome <strong>di</strong> Corisco. Ora, dato un enunciato<br />

come “Callia cammina”, assumendolo falso, è sempre possibile immaginare un<br />

contesto nel quale l'enunciato esprima qualcosa <strong>di</strong> vero <strong>di</strong> un oggetto che non è<br />

il referente semantico del nome. Quin<strong>di</strong>, in generale, l'esistenza <strong>di</strong> enunciati<br />

falsi (perlomeno del tipo “Callia cammina”) implica che i nomi abbiano un<br />

legame convenzionale con i loro referenti semantici, ossia con le cose<br />

nominate4<strong>1.</strong><br />

Socrate scansa l'argomento <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> su «ciò che non è» come «troppo<br />

raffinato» e insiste a interrogarlo sul falso (429 d - 430 a), proponendogli la<br />

situazione ipotetica in cui qualcuno salutasse <strong>Cratilo</strong> come “Ermogene”. <strong>Cratilo</strong><br />

risponde che costui emetterebbe meri suoni e non <strong>di</strong>rebbe nulla.<br />

Socrate ora <strong>di</strong>fende la possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>re il falso (430 a - 431 c) partendo da<br />

un presupposto gra<strong>di</strong>to a <strong>Cratilo</strong>: il nome è un'imitazione della cosa. Ma<br />

l'assegnazione (<strong>di</strong>anomhv) <strong>di</strong> un'immagine a una cosa può essere corretta o<br />

scorretta, a seconda che associ «ciò che è appropriato e simile» oppure no.<br />

Come dunque è possibile <strong>di</strong>re a un uomo “Questo è un tuo ritratto” e mostrargli<br />

un'immagine <strong>di</strong> un uomo o quella <strong>di</strong> una donna, così è possibile <strong>di</strong>re allo stesso<br />

uomo “Questo è un tuo nome” (toutiv ejsti so;n o[noma) e poi proferire il nome<br />

“uomo” o “donna” (eijpovnta o{ti ÆajnhvrÆ / ÆgunhvÆ)42. L'assegnazione corretta e<br />

quella non corretta del nome si chiamano rispettivamente “<strong>di</strong>re il vero”<br />

(ajlhqeuvein) e “<strong>di</strong>re il falso” (yeuvdesqai). Ora, se è possibile assegnare i nomi<br />

non correttamente, lo stesso è possibile per i verbi (rJhvmata). Quin<strong>di</strong> possono<br />

essere trattati allo stesso modo anche i lovgoi, unione <strong>di</strong> nomi e verbi<br />

(suvnqesi": cfr. Soph. 263 d).<br />

41 Ricor<strong>di</strong>amo che per la tesi naturalista <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> “Ermogene” non è nome <strong>di</strong> Ermogene<br />

come “Callia” non è nome <strong>di</strong> Corisco.<br />

42 Assumo, con <strong>di</strong>versi interpreti, che o{ti in 431 a 3-4 sia pleonastico (cfr. LSJ II.) come<br />

in 430 e, 431 a.<br />

33 1


Anziché affrontare il problema del falso dal più complesso punto <strong>di</strong> vista<br />

dell'enunciato, Socrate qui pone il problema nella forma che può essere<br />

considerata la più semplice ed essenziale, quella dell'errata attribuzione <strong>di</strong> un<br />

nome. Egli muove da premesse naturaliste, come richiede lo sta<strong>di</strong>o presente<br />

della <strong>di</strong>scussione, ma la sua conclusione è in<strong>di</strong>pendente da quelle, e sopravvivrà<br />

alla caduta finale del naturalismo.<br />

Socrate <strong>di</strong>stingue con chiarezza l'atto <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare un oggetto dall'atto <strong>di</strong><br />

applicargli un nome. Abbiamo con ciò una prima versione della fondamentale<br />

<strong>di</strong>stinzione, tracciata in Sofista 261 d - 263 d, fra ciò <strong>di</strong> cui in un enunciato si<br />

parla e ciò che riguardo a esso si <strong>di</strong>ce, ovvero fra soggetto e pre<strong>di</strong>cato43. Nel<br />

<strong>Cratilo</strong>, tuttavia, la <strong>di</strong>stinzione concerne l'assegnazione <strong>di</strong> un nome isolato e<br />

non la struttura interna dell'enunciato. Come Socrate concepisca quest'ultima, e<br />

quin<strong>di</strong> la falsità <strong>di</strong> un enunciato (la cui possibilità egli inferisce dalla possibilità<br />

<strong>di</strong> assegnare falsamente nomi e verbi), non è evidente. Forse la consapevolezza<br />

con cui viene trattato il caso del nome deve suggerirci che Socrate veda (pur<br />

non affermandolo) che l'enunciato ingloba al suo interno, nel termine soggetto,<br />

la funzione <strong>di</strong> fare riferimento a qualcosa, cui poi il pre<strong>di</strong>cato viene applicato<br />

veri<strong>di</strong>camente o falsamente. In alternativa dovremo pensare che Socrate, pur<br />

<strong>di</strong>stinguendo nomi e verbi, non ne riconosca la <strong>di</strong>versa funzione sintattica. In<br />

questo caso un enunciato sarebbe simile a un nome o una descrizione, e come<br />

quelli potrebbe solo essere assegnato falsamente a un oggetto<br />

53-54.<br />

43 Cfr. J.L. Ackrill, Plato on False Belief: Theaetetus 187-200, in Essays cit., pp. 53-71:<br />

34 1


in<strong>di</strong>pendentemente dato44.<br />

Nomi belli e brutti (431 c - 433 c)<br />

In 429 b <strong>Cratilo</strong> aveva negato che i nomi possano essere migliori o<br />

peggiori, ma allora la <strong>di</strong>scussione aveva deviato sul nome <strong>di</strong> Ermogene e quin<strong>di</strong><br />

sul problema del falso; ora la questione viene affrontata <strong>di</strong>rettamente. Socrate<br />

argomenta che, se il nome è immagine della cosa come una pittura, allora esso<br />

può non essere un'immagine perfetta, ma avere elementi in più o in meno<br />

rispetto all'originale, esser fatto bene (kalw'") o male (kakw'"), e tuttavia<br />

nominare sempre una cosa data, purché <strong>di</strong> questa sia presente l' «impronta<br />

approssimativa» (tuvpo"). <strong>Cratilo</strong> acconsente con forte contrarietà (433 c).<br />

In un primo momento <strong>Cratilo</strong> aveva tentato <strong>di</strong> resistere sostenendo (431 e -<br />

432 a) che una minima alterazione rispetto alla forma corretta <strong>di</strong> un nome non<br />

produca una versione migliore o peggiore dello stesso nome, ma un altro nome<br />

(to; paravpan oujde; gevgraptai, ajll∆ eujqu;" e{terovn ejstin) – inten<strong>di</strong>: un nome<br />

<strong>di</strong> qualcos'altro. Socrate aveva replicato (432 a-d) che questo si adatterebbe<br />

piuttosto ad altri contesti: per es. un numero, se si toglie o si aggiunge qualcosa,<br />

è già un altro numero (cfr. Dissoi logoi 90.5.11-14 D.-K.). La correttezza <strong>di</strong><br />

un'immagine è <strong>di</strong> natura <strong>di</strong>versa, e anzi richiede che la cosa raffigurata non<br />

venga raffigurata completamente. Altrimenti un'immagine perfetta, che avesse<br />

tutte le stesse caratteristiche dell'originale, finirebbe con l'essere in<strong>di</strong>stinguibile<br />

da esso (argomento dei “due Cratili”).<br />

Se lasciamo da parte questioni delicate relative all'Identità degli<br />

In<strong>di</strong>scernibili, l'argomento prova che un'immagine non può essere<br />

qualitativamente identica al suo originale. Questa però non è ancora una<br />

confutazione della tesi <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong>, per ottenere la quale mancano un paio <strong>di</strong><br />

passaggi. Per ora, infatti, <strong>Cratilo</strong> potrebbe concedere che un'immagine è sempre<br />

parziale, ma sostenere, ciò nonostante, che essa non possa contenere ulteriori<br />

44 Il <strong>di</strong>fficile 432 d - 433 b potrebbe suggerire che nel <strong>Cratilo</strong> venga proposta –<br />

deliberatamente o no – una concezione dell'enunciato ancora inadeguata (J. McDowell, Plato:<br />

Theaetetus, Oxford 1973, pp. 236-37). M.F. Burnyeat, Plato on How Not to Speak cit., trova<br />

tracce della <strong>di</strong>stinzione soggetto-pre<strong>di</strong>cato prima del Sofista, non solo nel Teeteto, ma anche già<br />

nell'Eutidemo. Non conosciamo però la posizione cronologica dell'Eutidemo rispetto al <strong>Cratilo</strong>.<br />

35 1


<strong>di</strong>fformità dall'originale oltre a quelle costitutive della sua natura <strong>di</strong> immagine.<br />

Nel caso <strong>di</strong> una pittura <strong>Cratilo</strong> potrebbe concedere che la “Gioconda” non è<br />

qualitativamente identica a Monna Lisa, ma insistere che essa non sarebbe il<br />

ritratto <strong>di</strong> Monna Lisa se avesse un naso <strong>di</strong> forma <strong>di</strong>versa da quello <strong>di</strong> Monna<br />

Lisa.<br />

Due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care le cose (433 d - 434 a)<br />

La tesi naturalista e quella convenzionalista vengono contrapposte ancora<br />

una volta, con un'importante novità. Socrate assume – e <strong>Cratilo</strong> concede – che<br />

il nome sia un «in<strong>di</strong>catore della cosa» (dhvlwma tou' pravgmato") e si concentra<br />

sui nomi “primari”. Se questi sono in<strong>di</strong>catori <strong>di</strong> qualcosa, ciò può avvenire in<br />

due mo<strong>di</strong>: o essendo simili a ciò che devono in<strong>di</strong>care, o – come vuole<br />

Ermogene – essendo convenzioni e in<strong>di</strong>cando le cose ai contraenti della<br />

convenzione.<br />

Qui dhlou'n ta; pravgmata deve essere qualcosa <strong>di</strong> neutrale fra la tesi<br />

naturalista e quella conventionalista, che si oppongono piuttosto riguardo al<br />

modo (trovpo") <strong>di</strong> adempiere questa funzione. La traduzione migliore <strong>di</strong> dhlovw<br />

in questo caso sembra essere «in<strong>di</strong>care»45, che introduce una relazione generica,<br />

le cui con<strong>di</strong>zioni restano da specificare. Questa definizione della funzione del<br />

nome come quella <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care la cosa, sebbene assai familiare per noi, è una<br />

novità nel <strong>di</strong>alogo. Prima la funzione era stata definita come quella <strong>di</strong> insegnare<br />

e <strong>di</strong>scriminare l' oujsiva, e il criterio della correttezza come quello <strong>di</strong> mostrare l'<br />

oujsiva o «come ogni cosa è» (422 d). Questo mutamento <strong>di</strong> prospettiva,<br />

introdotto senza alcuna enfasi, ha un ruolo decisivo, poiché sarà presupposto<br />

dalla confutazione <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong>.<br />

45 Fowler (Plato: Cratylus, Parmenides etc., Cambridge MA - London 1926): «to<br />

represent», ma «to in<strong>di</strong>cate» in 435 a-b. Schofield (The Dénouement cit., p. 71): «to <strong>di</strong>sclose».<br />

Reeve (Plato: Cratylus cit.): «to express».<br />

36 1


Socrate convenzionalista: la confutazione <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> (434 b - 435 d)<br />

Da 434 b Socrate sferra il primo attacco <strong>di</strong>retto contro la tesi <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong>,<br />

basato sul caso <strong>di</strong> un nome particolare, che <strong>Cratilo</strong> tacitamente accetta come<br />

tale. La premessa è che r imita il movimento e la durezza46, mentre l in<strong>di</strong>ca ciò<br />

che è morbido e liscio. Qui parte un primo argomento (434 c-d). La stessa cosa<br />

è chiamata sklhrovth" dagli Ateniesi, sklhrothvr dagli Eretriesi, e <strong>Cratilo</strong><br />

ammette che il nome effettua la sua in<strong>di</strong>cazione per gli uni e per gli altri.<br />

Quin<strong>di</strong> r e " devono essere simili fra loro; ma (in base a 426 c - 427 d) sono<br />

forse simili nell'in<strong>di</strong>care il movimento – il che non è rilevante, visto che la<br />

parola significa «durezza».<br />

Socrate lascia cadere l'argomento per lanciarne uno più forte (434 d - 435<br />

b). All'interno <strong>di</strong> sklhrovth", l in<strong>di</strong>ca il contrario della durezza che è il<br />

significato della parola ed è imitata da r: il nome contiene lettere dal significato<br />

contrario. <strong>Cratilo</strong> tenta <strong>di</strong> cavarsela ammettendo che l è un elemento estraneo e<br />

dovrebbe essere sostituito da r. Ma il nome così come lo usiamo oggi (nu'n wJ"<br />

levgomen), nella sua forma contrad<strong>di</strong>ttoria, è comunque comprensibile: sì,<br />

ammette <strong>Cratilo</strong>, per abitu<strong>di</strong>ne (<strong>di</strong>av ge to; e[qo"). Allora Socrate lancia l'attacco<br />

finale. L'abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> cui <strong>Cratilo</strong> parla consiste in questo: «che io, quando<br />

proferisco questo, penso quello [o{tan tou'to fqevggwmai, <strong>di</strong>anoou'mai ejkei'no],<br />

e tu compren<strong>di</strong> che penso quello». Dunque, «se tu compren<strong>di</strong> quando io<br />

proferisco, ricevi un in<strong>di</strong>catore da parte mia [dhvlwmav soi givgnetai par∆<br />

ejmou']… basato su qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssimile da ciò che penso mentre proferisco»,<br />

dato che l è contrario alla durezza. Quin<strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> «ha stretto una convenzione<br />

con se stesso» (aujto;" sautw'/ sunevqou), e la correttezza del nome si rivela<br />

convenzione, poiché sia le lettere simili sia le <strong>di</strong>ssimili in<strong>di</strong>cano. Quin<strong>di</strong> è<br />

necessario che la convenzione e l'abitu<strong>di</strong>ne contribuiscano qualcosa<br />

all'in<strong>di</strong>cazione delle cose pensando le quali parliamo (435 b 5-6 kai; sunqhvkhn<br />

ti kai; e[qo" sumbavllesqai pro;" dhvlwsin w|n <strong>di</strong>anoouvmenoi levgomen).<br />

Il passo <strong>di</strong>ce finalmente qualcosa <strong>di</strong> esplicito sulla natura <strong>di</strong> un dhvlwma, la<br />

cui nozione sembra molto vicina a quella generica <strong>di</strong> segno linguistico. In<br />

questa significazione sembra giocare un ruolo la sfera del pensiero (la cui<br />

46 Tuttavia 426 c - 427 d non associava esplitamente r alla durezza, ma solo al<br />

movimento.<br />

37 1


menzione è ancor più interessante se ricor<strong>di</strong>amo la duvnami" dei nomi emersa in<br />

392-94). A questo proposito è importante che dhlovw e <strong>di</strong>anoou'mai appaiano<br />

avere lo stesso oggetto: ciò che viene in<strong>di</strong>cato è identico a ciò che viene pensato<br />

dal parlante nel proferire il nome. Che cos'è questo oggetto comune<br />

dell'in<strong>di</strong>cazione e al pensiero? Verosimilmente un pra'gma (433 d), cioè una<br />

cosa extra-mentale: i nomi in<strong>di</strong>cano le cose e il pensiero è in qualche modo<br />

coinvolto. Tuttavia Platone non sta teorizzando il “triangolo semantico” (nomi-<br />

concetti-cose), e tanto meno la particolare concezione del triangolo – spesso<br />

attribuita ad Aristotele, De interpretatione 1 – secondo cui i nomi significano le<br />

cose tramite i concetti. Il testo non contiene niente <strong>di</strong> così determinato.<br />

In 435 b 5-6 l'argomento giunge alla prima conclusione generale:<br />

convenzione e abitu<strong>di</strong>ne contribuiscono qualcosa all'in<strong>di</strong>cazione delle cose.<br />

L'inferenza può essere letta come una generalizzazione esistenziale: se<br />

sklhrovth" in<strong>di</strong>ca la cosa per convenzione, allora esiste almeno un nome che<br />

in<strong>di</strong>ca per convenzione, quin<strong>di</strong> l'in<strong>di</strong>cazione convenzionale esiste. A questo<br />

punto Socrate potrebbe fare un passo in più e trarre una conclusione più forte:<br />

poiché tutti i nomi devono in<strong>di</strong>care le cose allo stesso modo, tutti in<strong>di</strong>cano per<br />

convenzione, e l'in<strong>di</strong>cazione convenzionale è l'unica esistente. Socrate però non<br />

compie questo passo, ma si ferma all'espressione limitante «contribuiscono<br />

qualcosa», su cui più oltre insisterà.<br />

In 435 b 6 - c 2 Socrate porta un altro argomento. «Se vuoi venire a<br />

considerare il numero, donde cre<strong>di</strong> che potrai attribuire nomi simili a ciascun<br />

singolo numero, se non lasci che il tuo accordo e la convenzione abbiano un<br />

qualche potere [eja;n mh; eja'/" ti th;n sh;n oJmologivan kai; sunqhvkhn ku'ro"<br />

e[cein] riguardo alla correttezza dei nomi?».<br />

<strong>Cratilo</strong>, se nega potere alla convenzione, deve sostenere che ogni cosa ha o<br />

può avere un nome simile ad essa. Ma i numeri non possono avere nomi simili,<br />

poiché non ci può essere un'immagine sensibile <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> così astratto<br />

38 1


come un numero, tanto meno un'immagine <strong>di</strong>stinta <strong>di</strong> ciascun numero. Perciò<br />

<strong>Cratilo</strong> è confutato. Questo argomento non <strong>di</strong>pende da un esempio particolare<br />

ed è quin<strong>di</strong> ancora più forte del precedente, che era basato sul nome<br />

sklhrovth". Esso previene il possibile tentativo, da parte <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong>, <strong>di</strong> sostenere<br />

che almeno in un linguaggio perfetto i nomi sarebbero simili alle cose e corretti<br />

per natura47. Eppure Socrate, per la seconda volta, usa un'espressione molto<br />

cauta, parlando <strong>di</strong> «un qualche potere» della convenzione.<br />

In 435 c 2 - d 1 Socrate enuncia le sue conclusioni finali. c 2-7: «Anche a<br />

me piace [ajrevskei] che i nomi siano per quanto possibile [kata; to; dunatovn]<br />

simili alle cose; ma davvero temo, per <strong>di</strong>rla con Ermogene, che quest'influenza<br />

della somiglianza sia poca cosa e sia necessario usare anche questo mezzo<br />

grossolano, la convenzione [kai; tw'/ fortikw'/ touvtw/ proscrh'sqai, th'/<br />

sunqhvkh/], per la correttezza dei nomi».<br />

Che cosa significa «a me piace»? ajrevskw può significare che qualcosa è<br />

creduto vero, oppure che è giu<strong>di</strong>cato bello, buono ecc. La seconda<br />

interpretazione può forse sembrare più naturale nel contesto del passo; tuttavia<br />

le occorrenze del verbo nel <strong>Cratilo</strong> (391 c, 400 a, 427 e, 433 c-e) sono tutte<br />

riconducibili al primo uso, che inoltre, in generale, pare essere l'unico adottato<br />

da Platone quando il soggetto grammaticale è una proposizione infinitiva.<br />

Socrate, dunque, starebbe <strong>di</strong>cendo che pensa che i nomi siano, per quanto è<br />

possibile, simili alle cose48. Ciò non confligge col fatto che l'argomento sia a<br />

favore della convenzione, poiché Socrate non <strong>di</strong>ce che i nomi in<strong>di</strong>chino le cose<br />

47 M. Schofield, The Dénouement cit., p. 79, che però interpreta l'argomento come<br />

segue. Non possono esserci nomi simili ai numeri a meno che (eja;n mhv) si <strong>di</strong>a potere alla<br />

convenzione; questa è l'unico mezzo per avere nomi simili ai numeri, come <strong>Cratilo</strong> richiede,<br />

quin<strong>di</strong> la sua tesi è confutata.<br />

48 Cfr. Fowler «I myself prefer the theory that names are…». Molti invece traducono<br />

«vorrei» o sim.<br />

39 1


in virtù della somiglianza: la sua affermazione può descrivere un mero fatto<br />

contingente49.<br />

Nonostante il ruolo della somiglianza, Socrate teme che la sua «forza<br />

attrattiva» (oJlkhv), cioè la sua influenza sull'in<strong>di</strong>cazione dei nomi, sia «poca<br />

cosa» (glivscra). Quest'ultimo aggettivo, piuttosto forte, è un'esplicita citazione<br />

da Ermogene (414 c), le cui ragioni vengono così riconosciute in<strong>di</strong>rettamente.<br />

Socrate dunque teme che la correttezza dei nomi richieda anche la<br />

«grossolana» convenzione (grossolana perché arbitraria, a <strong>di</strong>fferenza della<br />

natura; l'autore dell'affermazione che Dio, e non l'uomo, è misura <strong>di</strong> tutte le<br />

cose è restio a <strong>di</strong>fendere la convenzione contro la natura). Per la terza volta<br />

Socrate indebolisce il richiamo alla convenzione, <strong>di</strong>cendo che dobbiamo far<br />

ricorso anche ad essa. Alla lettera questo significa che nella correttezza dei<br />

nomi è coinvolto anche qualcos'altro, come già suggerivano le precedenti<br />

espressioni; è ora il momento <strong>di</strong> capire <strong>di</strong> che si tratti.<br />

Un'ipotesi semplice è che ci possano essere nomi corretti per natura, che<br />

in<strong>di</strong>cano le cose in virtù della somiglianza, oltre che nomi corretti per<br />

convenzione. Convenzione e natura/somiglianza sarebbero entrambe con<strong>di</strong>zioni<br />

non necessarie ma sufficienti per avere un nome. L'idea <strong>di</strong> un doppio criterio <strong>di</strong><br />

correttezza, però, pare <strong>di</strong>fficilmente <strong>di</strong>fen<strong>di</strong>bile, né Socrate pare veramente<br />

voler concedere tanto alla somiglianza. Se respingiamo quest'ipotesi abbiamo<br />

varie strade aperte per spiegare le espressioni limitanti <strong>di</strong> Socrate. Forse esse<br />

non hanno significato filosofico, ma sono dovute a fattori <strong>di</strong>versi come la<br />

49 Semmai potremmo vedere un conflitto col fatto che molti nomi presuppongano la<br />

falsa teoria del flusso universale e quin<strong>di</strong> non possano essere simili alle cose. Questo conflitto<br />

non è però fatale, per due ragioni. (1) Questa limitazione può essere coperta dalla clausola<br />

kata; to; dunatovn. (2) A rigore, i nomi “eraclitei” sono fondamentalmente estranei al problema<br />

della somiglianza, poiché sono nomi “secondari”, mentre propriamente la nozione <strong>di</strong> una<br />

somiglianza fra nomi e cose è stata introdotta a proposito dei nomi primari (423 a, 424 d ecc.),<br />

come sklhrovth", da cui è partito l'argomento presente.<br />

40 1


<strong>di</strong>fficoltà della questione o la riluttanza <strong>di</strong> Platone verso la convenzione50.<br />

Forse la spiegazione sta nell'economia del <strong>di</strong>alogo: Socrate deve ancora<br />

attaccare la tesi che la funzione del nome sia insegnare (435 d sgg.), quin<strong>di</strong> ora<br />

sarebbe inopportuno liquidare completamente la teoria naturalista. O forse<br />

Socrate commette una confusione: egli non pensa realmente che la somiglianza<br />

sia una con<strong>di</strong>zione necessaria o sufficiente per avere un nome, ma erroneamente<br />

inferisce che essa abbia un ruolo nella correttezza dal fatto che i nomi siano per<br />

quanto possibile simili alle cose.<br />

Sarebbe poi interessante se le restrizioni <strong>di</strong> Socrate alla convenzione fossero<br />

un richiamo al ruolo della natura nell'uso dei nomi, quale emergeva a una<br />

“lettura profonda” degli argomenti contro Ermogene (§ 3). Tuttavia una tale<br />

ipotesi non si accorda bene col testo del nostro passo, dove Socrate contrappone<br />

la convenzione non genericamente alla natura, ma più precisamente alla<br />

somiglianza (che non è riconducibile alla sofisticata <strong>di</strong>fesa del ruolo della<br />

natura in termini <strong>di</strong> senso dei nomi, proprietà delle cose ecc.). Ovviamente non<br />

si può escludere che stia comunque al lettore <strong>di</strong> cogliere questo riferimento,<br />

forzando le parole <strong>di</strong> Socrate, o invece <strong>di</strong> criticare le esitazioni <strong>di</strong> Socrate come<br />

immotivate.<br />

435 c 7 - d 1: «Perché (ejpeiv) forse, per quanto è possibile [katav ge to;<br />

dunatovn], si parlerebbe nel modo più bello [kavllista] quando si parli usando<br />

tutti elementi simili, cioè appropriati, o più possibile, e si parlerebbe nel modo<br />

più brutto [ai[scista] nel caso opposto».<br />

Secondo un'interpretazione plausibile, la frase spiega la caratterizzazione<br />

della convenzione come «grossolana». La spiegazione è pertinente, poiché,<br />

sebbene l'opposizione somiglianza-<strong>di</strong>ssimiglianza sia <strong>di</strong>stinta da quella natura-<br />

convenzione, tuttavia le due sono connesse: il naturalismo sostiene il ruolo della<br />

50 M. Schofield, The Dénouement cit., pp. 79-80, pensa che Socrate qui sia ironico.<br />

41 1


somiglianza nel nome, mentre il convenzionalismo sostiene la <strong>di</strong>ssimiglianza, o<br />

più precisamente la non-necessità della somiglianza.<br />

Socrate <strong>di</strong>ce che si parlerebbe in modo tanto più bello quanti più fossero gli<br />

elementi simili (lettere o nomi) usati. L'opposizione fra parlare kavllista e<br />

ai[scista ha un significato preciso. In 431 c - 433 c Socrate ha mostrato che i<br />

nomi possono essere immagini migliori o peggiori delle cose, nominando la<br />

cosa bene (kalw'") o male (kakw'") a seconda della proporzione <strong>di</strong> lettere<br />

simili. Sembra <strong>di</strong> capire che per lui (432 b 2, c 7 - d 1; 433 b 1-3), se una<br />

parola sod<strong>di</strong>sfa il criterio fondamentale <strong>di</strong> essere in qualche modo un'immagine<br />

della cosa, essa ne sia non solo un nome, ma anche un nome corretto –<br />

conformemente alla vecchia assunzione che essere nome <strong>di</strong> x sia lo stesso che<br />

esserne nome corretto. In altre parole, un nome corretto può essere più o meno<br />

bello: non ci sono gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> correttezza, ma <strong>di</strong> bellezza dei nomi corretti. Se le<br />

cose stanno così, nel nostro argomento si può supporre che la contrapposizione<br />

fra kavllista e ai[scista sia appunto interna a un'unica nozione <strong>di</strong> correttezza<br />

convenzionale. Socrate introdurrebbe così un <strong>di</strong>verso criterio in base al quale<br />

giu<strong>di</strong>care i nomi: un criterio estetico, in senso lato. Una volta chiarito (con le<br />

necessarie precisazioni sul ruolo della natura) che i nomi sono convenzionali e<br />

arbitrari, siamo liberi <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarare la nostra preferenza per quelli trasparenti,<br />

descrittivi, mimetici.<br />

In effetti possiamo notare – su un piano più generale – che altrove, fuori<br />

dal <strong>Cratilo</strong>, Platone esprime ammirazione, in contesti privi <strong>di</strong> ironia, per la<br />

consonanza fra la realtà e l'etimologia <strong>di</strong> un nome (per es. Leg. 816 b-c). E<br />

quando tocca a lui <strong>di</strong> coniare un nome, come spesso per in<strong>di</strong>care un genere<br />

anonimo nelle <strong>di</strong>visioni del Sofista e del Politico, sceglie <strong>di</strong> regola<br />

denominazioni trasparenti. Scopriamo così un altro possibile livello <strong>di</strong> lettura –<br />

certamente secondario – per la tesi naturalista che Socrate aveva in un primo<br />

tempo sostenuto: la prescrizione del tipo ideale <strong>di</strong> nomi, particolarmente utili<br />

42 1


nella <strong>di</strong>alettica5<strong>1.</strong> La presenza <strong>di</strong> una tale componente è confermata dal progetto<br />

<strong>di</strong> “linguaggio perfetto” in 424 b - 425 b.<br />

Fuori dal <strong>Cratilo</strong>, d'altra parte, troviamo anche in<strong>di</strong>zi che confermano il<br />

convenzionalismo linguistico <strong>di</strong> Platone. Di Charm. 163 d ho detto in § 2. In<br />

Epist. vii 343 b “Platone”52 afferma che nessuna cosa ha un nome stabile<br />

(bevbaion), e «niente impe<strong>di</strong>sce che le cose ora chiamate “circolari” siano<br />

chiamate “<strong>di</strong>ritte”, e le cose ora chiamate “<strong>di</strong>ritte” siano chiamate “circolari”<br />

[ta; nu'n strogguvla kalouvmena eujqeva keklh'sqai tav te eujqeva dh;<br />

strogguvla], e che le cose siano non meno stabili <strong>di</strong> prima per coloro che<br />

hanno scambiato i nomi e chiamano le cose al contrario [oujde;n h|tton bebaivw"<br />

e{xein toi'" metaqemevnoi" kai; ejnantivw" kalou'sin]». L'autore sembra <strong>di</strong>re che<br />

è possibile invertire le nostre convenzioni linguistiche, senza che ciò coinvolga<br />

la natura delle cose. Il passo è un forte parallelo, sia per la tesi <strong>di</strong> Ermogene e il<br />

chiarimento che essa non implica il relativismo, sia per la posizione <strong>di</strong> Socrate<br />

– inclusa forse l'affermazione che la convenzione è «grossolana» e che i nomi<br />

simili alle cose sono «belli». Infatti la Lettera adduce la natura convenzionale<br />

del nome per provare la sua inadeguatezza come guida per la conoscenza della<br />

cosa; questo può essere paragonato con il rammarico <strong>di</strong> Socrate per la necessità<br />

<strong>di</strong> ricorrere alla convenzione.<br />

Altri argomenti contro <strong>Cratilo</strong>: nomi e conoscenza (435 d - 439 b)<br />

In 435 d Socrate torna alla tesi che la funzione dei nomi sia insegnare.<br />

<strong>Cratilo</strong> sostiene che la conoscenza dei nomi sia un modo, anzi l'unico modo, per<br />

51 In generale Platone non ha interesse per la terminologia (ve<strong>di</strong> sotto). Cfr. V.<br />

Goldschmidt, Essai sur le «Cratyle», Paris 1940, pp. 191-94, 202-5.<br />

52 L'autenticità della Lettera non è sicura. Se anche l'autore non fosse Platone,<br />

comunque, essa testimonierebbe almeno <strong>di</strong> un'esegesi molto antica.<br />

43 1


conoscere le cose. Un primo argomento <strong>di</strong> Socrate è che, se si fa <strong>di</strong>pendere<br />

l'indagine sulle cose da una sui nomi (cioè sulle etimologie), si corre il rischio<br />

<strong>di</strong> essere ingannati, poiché ci si affida alle opinioni filosofiche del legislatore,<br />

che potrebbero essere errate (436 a-b). Come prova che il legislatore non si è<br />

sbagliato <strong>Cratilo</strong> adduce la coerenza fra le etimologie, concor<strong>di</strong> nell'esprimere<br />

la teoria eraclitea (436 b-c). La replica <strong>di</strong> Socrate (436 c - 437 c) è duplice. (i)<br />

La coerenza non prova nulla: il legislatore potrebbe aver reso tutti i suoi<br />

risultati concor<strong>di</strong> con un errore iniziale e fra loro, come nelle costruzioni<br />

geometriche un piccolo errore iniziale provoca molte conseguenze concor<strong>di</strong>.<br />

Ciò che dobbiamo esaminare è la correttezza dell'ipotesi <strong>di</strong> partenza (peri; th'"<br />

ajrch'"... ei[te ojrqw'" ei[te mh; uJpovkeitai), stabilita la quale bisogna verificare<br />

che le conseguenze siano dedotte validamente (ta; loipa; faivnesqai ejkeivnh/<br />

eJpovmena). (ii) In ogni caso non è vero che i nomi siano concor<strong>di</strong> nel<br />

presupporre la teoria del flusso: Socrate produce una nuova, più breve serie <strong>di</strong><br />

etimologie che presuppongono la teoria contraria, secondo cui le cose sono<br />

stabili. <strong>Cratilo</strong> tenta <strong>di</strong> ribattere che i nomi “eraclitei” erano la maggior parte;<br />

ma non è contando i nomi come voti che identificheremo quelli corretti (437<br />

d).<br />

Due annotazioni. (a) La tesi che la funzione dei nomi sia in<strong>di</strong>care le cose,<br />

assunta in 433 d sgg. ed essenziale all'argomento <strong>di</strong> sklhrovth", è scomparsa<br />

per fare <strong>di</strong> nuovo posto alla concezione “<strong>di</strong>dattica”, enunciata in 428 e e da<br />

allora <strong>di</strong>menticata. La ragione è che Socrate ora avanzerà una nuova batteria <strong>di</strong><br />

argomenti, mirati <strong>di</strong>rettamente contro quella concezione e in<strong>di</strong>pendenti dalla<br />

confutazione <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong> appena conclusa.<br />

(b) Il problema del ruolo delle ipotesi nell'argomentazione ricorre spesso in<br />

Platone (Men. 86 e - 87 c; Phd. 100 a, 101 d-e, 107 b; Rsp. 510 b - 511 d, 533<br />

b-e. Qui Socrate insiste sul fatto che non bisogna accontentarsi della coerenza<br />

fra le conseguenze <strong>di</strong> un'ipotesi, ma piuttosto stabilire se l'ipotesi stessa sia vera.<br />

In 437 d - 438 c Socrate lancia un nuovo argomento. Per <strong>Cratilo</strong> il<br />

legislatore ha necessariamente imposto i nomi, anche i primi (qui in senso<br />

temporale), con conoscenza. Ma da quali nomi aveva acquisito la sua<br />

conoscenza sulle cose, se i primi ancora non esistevano, e d'altra parte solo<br />

44 1


attraverso i nomi (secondo <strong>Cratilo</strong>) si può conoscere53? <strong>Cratilo</strong>, in affanno,<br />

cerca scampo in un deus ex machina (un tipo <strong>di</strong> mossa che Socrate aveva<br />

biasimato più sopra, 425 d): i nomi sono stati imposti da un potere sovrumano.<br />

Ma una <strong>di</strong>vinità non può contrad<strong>di</strong>rsi, incalza Socrate; eppure i nomi<br />

presuppongono due teorie filosofiche opposte. Ammettiamo pure che uno dei<br />

due gruppi sia costituito da pseudo-nomi non corretti; ma quale? Non potremo<br />

certo decidere scegliendo quello meno numeroso.<br />

Socrate trae una prima conclusione (438 d-e). I nomi sono in conflitto tra<br />

loro; come decideremo quali <strong>di</strong>cono il vero? Dovremo ricorrere a qualcosa <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>verso dai nomi, che ci riveli la verità sulle cose. Quin<strong>di</strong> è possibile acquisire<br />

conoscenza della realtà «senza nomi» (maqei'n a[neu ojnomavtwn ta; o[nta),<br />

considerando le cose le une alla luce delle altre, nel caso in cui ci sia affinità, e<br />

ciascuna in sé e per sé (<strong>di</strong>∆ ajllhvlwn ge, ei[ ph/ suggenh' ejstin, kai; aujta; <strong>di</strong>∆<br />

auJtw'n).<br />

Segue un ultimo argomento (439 a-b). I nomi “belli” sono simili alle cose e<br />

ne sono immagini. Ora, se anche54 fosse possibile conoscere le cose attraverso i<br />

nomi oltre che attraverso le cose stesse, quale conoscenza sarebbe migliore?<br />

Partire dall'immagine per apprendere se è ben fatta e conoscere la realtà<br />

originale, oppure partire dalla realtà per apprendere la realtà stessa e se<br />

l'immagine è appropriata? <strong>Cratilo</strong> conviene che la seconda via è migliore.<br />

Socrate allora conclude che, sebbene sia forse superiore alle possibilità sue e <strong>di</strong><br />

<strong>Cratilo</strong> sapere come raggiungere la conoscenza sulle cose, tuttavia è sufficiente<br />

stabilire che le cose devono essere conosciute non in base ai nomi, ma in base<br />

alle cose stesse.<br />

Stu<strong>di</strong>are le cose «senza nomi», le une alla luce delle altre e ciascuna in sé e<br />

per sé, significa fare a meno non del linguaggio, ma semplicemente <strong>di</strong> un certo<br />

tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza da esso: per stu<strong>di</strong>are la realtà è inutile lo stu<strong>di</strong>o dei nomi,<br />

non il loro uso. Platone ci esorta spesso a interessarci alle cose stesse piuttosto<br />

che a questioni terminologiche (per es. Rsp. 533 d-e, Pol. 261 e).<br />

Evidentemente una teoria convenzionalista è particolarmente efficace per<br />

53 In 438 a-b seguo il testo <strong>di</strong> Burnet anziché quello <strong>di</strong> Duke-Nicoll, che ricostruiscono<br />

due versioni alternative.<br />

54 eij... o{ti mavlista introduce un'ipotesi concessa all'interlocutore per ottenere un<br />

argomento a fortiori. Cfr. 435 a, Charm. 160 b-c, Euthphr. 4 d, Arist. Metaph. 1008 b 3<strong>1.</strong><br />

45 1


spostare la nostra attenzione dal nome alla cosa nominata.<br />

L'argomento finale: forme e flusso. Conclusione (439 b - 440 e)<br />

In 439 b-c Socrate entra nel merito del contenuto delle etimologie e<br />

affronta la questione metafisica, assestando così l'ultimo colpo contro la tesi che<br />

i nomi insegnino la verità sulle cose. Forse i legislatori hanno sì imposto molti<br />

nomi avendo in mente la teoria del flusso, ma la teoria è errata. Socrate espone<br />

un proprio «sogno» ricorrente, basato sull'assunzione che esistano le forme (439<br />

c - 440 d). Egli contrappone le forme ai particolari: «esaminiamo questo, non<br />

se un viso particolare è bello [cfr. Symp. 211 a]... e tutte queste cose paiono<br />

scorrere [439 d 4 kai; dokei' tau'ta pavnta rJei'n]; ma il bello in sé non è forse<br />

sempre tale quale è?».<br />

Qui la metafora del sogno significa che Socrate presenta l'esistenza delle<br />

forme e l'argomento seguente senza pretendere <strong>di</strong> avere certezza al riguardo. Lo<br />

stesso atteggiamento governa la chiusa del <strong>di</strong>alogo, dove Socrate ufficialmente<br />

sospenderà il giu<strong>di</strong>zio, pur avendo raggiunto conclusioni ben definite55. Più<br />

oltre suggerirò due motivazioni per questa prudenza.<br />

In 439 d 4, secondo la lettura più naturale, dokei' tau'ta pavnta rJei'n è<br />

coor<strong>di</strong>nato (tramite kaiv) a eij provswpovn tiv ejstin kalovn. Socrate quin<strong>di</strong><br />

accantona il quesito se i particolari sensibili siano in flusso, apparentemente<br />

senza prendere posizione ma invitando invece a concentrarsi sulle forme. Il<br />

resto dell'argomentazione concerne il rapporto fra l'esistenza delle forme e la<br />

teoria del flusso; possiamo <strong>di</strong>stinguere quattro argomenti.<br />

Si parte da un problema semantico (439 d). Se la forma del bello fosse<br />

sempre in un processo <strong>di</strong> mutamento (eij ajei; uJpexevrcetai), sarebbe forse<br />

possibile riferirsi correttamente ad essa <strong>di</strong>cendo (i) che è «quella», (ii) che è<br />

«tale» (prw'ton me;n o{ti ejkei'nov ejstin, e[peita o{ti toiou'ton)? Oppure è<br />

55 Cfr. M.F. Burnyeat, The Material and Sources of Plato's Dream, «Phronesis» xv<br />

(1970), pp. 101-22: 104-5.<br />

46 1


necessario che, mentre l'asserzione viene formulata (a{ma hJmw'n legovntwn), la<br />

forma <strong>di</strong>venga subito un'altra (a[llo) e muti e non sia più nello stesso stato?<br />

Secondo argomento, <strong>di</strong> natura strettamente ontologica (439 e): non può<br />

essere qualcosa <strong>di</strong> determinato (ti) ciò che non è mai nello stesso stato (o{<br />

mhdevpote wJsauvtw" e[cei). Socrate giustifica la caratterizzazione dell'oggetto in<br />

flusso come «mai nello stesso stato»: se rimanesse nello stesso stato per un certo<br />

tempo (eij gavr pote wJsauvtw" i[scei), in quel tempo non muterebbe, e se<br />

rimanesse nello stesso stato sempre, non muterebbe mai.<br />

Terzo argomento, epistemologico (439 e - 440 a). Ciò che muta sempre e<br />

non è mai uguale a se stesso è inconoscibile. Contemporaneamente<br />

all'appressarsi del soggetto che dovrebbe conoscerlo (a{ma... ejpiovnto" tou'<br />

gnwsomevnou), esso <strong>di</strong>verrebbe una cosa <strong>di</strong>stinta e <strong>di</strong>versa (a[llo kai; ajlloi'on):<br />

quin<strong>di</strong> non potrebbe più essere conosciuto per com'è o in che stato si trova. Ma<br />

nessun tipo <strong>di</strong> conoscenza conosce il suo oggetto come non trovantesi in alcuno<br />

stato (mhdamw'" e[con)56.<br />

Quarto argomento (440 a-b), in realtà uno sviluppo del terzo. Se tutto è in<br />

mutamento e niente permane, allora non solo l'oggetto in mutamento è<br />

inconoscibile, ma non esiste neppure la conoscenza. Infatti, se la forma della<br />

conoscenza (aujto; tou'to, hJ gnw'si") non muta cessando <strong>di</strong> essere conoscenza<br />

(tou' gnw'si" ei\nai mh; metapivptei), allora la conoscenza permane sempre e c'è<br />

conoscenza; ma se persino la forma della conoscenza muta, allora<br />

contemporaneamente accade che essa si muti in una forma <strong>di</strong>versa da quella <strong>di</strong><br />

conoscenza (eij" a[llo ei\do" gnwvsew") e che non esista conoscenza (oujk a]n ei[h<br />

gnw'si"). E se questo mutamento accade sempre, allora sempre non esiste<br />

conoscenza, e quin<strong>di</strong> non esistono né il soggetto che deve conoscere né l'oggetto<br />

che deve essere conosciuto (ou[te to; gnwsovmenon ou[te to; gnwsqhsovmenon).<br />

Stiamo <strong>di</strong>scutendo una teoria del flusso estrema, secondo cui l'oggetto in<br />

<strong>di</strong>venire è privo <strong>di</strong> qualsiasi stabilità e identità: esso non subisce semplicemente<br />

un qualche cambiamento (cosa già inaccettabile se l'oggetto è una forma), ma<br />

viene meno (uJpexevrcetai), scompare per mutarsi in un altro. Possiamo<br />

chiederci perché Platone <strong>di</strong>scuta una teoria così ra<strong>di</strong>cale, anziché un'alternativa<br />

più moderata e sensata, che <strong>di</strong>stingua <strong>di</strong>versi rispetti sotto i quali una cosa può<br />

56 Intendo 440 a 4 mhdamw'" e[con come pre<strong>di</strong>cativo, come a 3 pw'" e[con.<br />

47 1


cambiare. Il problema è complesso, e in ogni caso non riguarda solo il <strong>Cratilo</strong>,<br />

come vedremo. La teoria può acquistare una certa plausibilità se si assumono<br />

certe premesse sulla natura dei particolari sensibili: per es. che essi non siano<br />

altro che aggregati <strong>di</strong> particelle materiali. In tal caso si potrebbe tentare <strong>di</strong><br />

sostenere che un minimo cambiamento nell'aggregato costituisca già una cosa<br />

<strong>di</strong>stinta; si potrebbe anche cercare una conferma in un'analogia con entità come<br />

i numeri, nei quali la rimozione o l'aggiunta <strong>di</strong> un'unità crea un numero <strong>di</strong>stinto<br />

dal precedente. Questo tipo <strong>di</strong> argomento è effettivamente documentato in un<br />

frammento attribuito al comico Epicarmo (Diog. Laert. iii 10-11 =<br />

Pseudepicharmeia 276 K.-A.)57, in cui chi parla si serve dell'analogia con i<br />

numeri e le misure per sostenere che gli uomini, sottoposti a piccoli ma<br />

continui cambiamenti quantitativi, non sono mai gli stessi – e che quin<strong>di</strong> egli<br />

non è lo stesso uomo che si è indebitato tempo prima. Ora, nel <strong>Cratilo</strong>, 431 e -<br />

432 a, <strong>Cratilo</strong> ha sostenuto appunto che il cambiamento <strong>di</strong> una sola lettera crei<br />

un nome <strong>di</strong>stinto (nome <strong>di</strong> una cosa <strong>di</strong>stinta); la replica <strong>di</strong> Socrate, ricor<strong>di</strong>amo,<br />

era che questo vale piuttosto nel caso delle cose numerate e del numero stesso.<br />

Il passo è situato in un contesto alquanto <strong>di</strong>verso (<strong>di</strong>scussione sulla possibilità<br />

che i nomi siano immagini belle o brutte), ma mostra che la linea “epicarmea”<br />

sul <strong>di</strong>venire non è completamente estranea al <strong>Cratilo</strong>.<br />

Torniamo ai nostri argomenti. Secondo il primo, in una situazione <strong>di</strong> flusso<br />

estremo espressioni come (i) “Il bello” non riescono a fare riferimento alla<br />

forma, che nel frattempo è mutata e non è più quella; a maggior ragione sono<br />

falsi o impossibili enunciati come (ii) “Il bello è X”, che attribuiscono alla<br />

forma una proprietà58.<br />

K.-A.).<br />

Nel terzo argomento Socrate sembra presupporre che la conoscenza <strong>di</strong> un<br />

57 Cfr. Anon. in Plat. Theaetetum 7<strong>1.</strong>12-40, Plutarch. De comm. not. 1083 a-c (= 136<br />

58 C.H. Kahn, Language and Ontology cit., p. 170.<br />

48 1


oggetto richieda una sorta <strong>di</strong> “avvicinamento” preliminare del soggetto<br />

all'oggetto. Questo è abbastanza chiaro nell'ambito della percezione, che forse<br />

qui fa da modello per la conoscenza; nel caso della conoscenza intellettuale si<br />

tratterà forse <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> riflessione che dovrebbe culminare in una<br />

definizione. Se nel mezzo <strong>di</strong> questo esercizio l'oggetto indagato muta, il<br />

risultato finale sarà ormai errato rispetto alla nuova con<strong>di</strong>zione dell'oggetto e<br />

dovremo ricominciare daccapo, e così via. Quin<strong>di</strong> l'oggetto in continuo<br />

mutamento non è conoscibile.<br />

In 440 b 4 Socrate torna all'assunzione <strong>di</strong> partenza, che le forme esistono e<br />

sono immutabili (439 d). Se si tiene ferma quell'assunzione si evitano le<br />

<strong>di</strong>sastrose conseguenze che abbiamo appena visto: «Se esiste sempre ciò che<br />

conosce [= qualcosa che conosce], esiste ciò che è conosciuto [= qualcosa che è<br />

conosciuto], ed esiste il bello, il bene e ciascuno degli enti [= le forme], non mi<br />

pare che queste cose che ora <strong>di</strong>ciamo siano affatto simili a un flusso o a un<br />

movimento».<br />

Socrate <strong>di</strong>ce che le cose <strong>di</strong> cui sta parlando – cioè la conoscenza e le forme<br />

– non hanno a che fare col flusso. Ciò lascia aperta la possibilità, come in 439 d<br />

3-4, che nel caso <strong>di</strong> altre cose (i particolari sensibili) la situazione sia <strong>di</strong>versa e<br />

sia legittimo parlare <strong>di</strong> flusso. Se però supponessimo che davvero i particolari<br />

sensibili siano nello stato <strong>di</strong> flusso estremo ora <strong>di</strong>scusso in relazione alle forme,<br />

argomenti analoghi proverebbero che a un particolare in flusso non si potrebbe<br />

riferirsi in alcun modo, che esso non sarebbe ti, e che non potrebbe essere<br />

l'oggetto <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio vero. Anzi, nel secondo e terzo argomento il soggetto<br />

grammaticale della conclusione è il generico «ciò che non è mai allo stesso<br />

modo», che potrebbe senz'altro applicarsi a un particolare in flusso; inoltre si è<br />

visto che l'immagine del soggetto conoscente che si «avvicina» all'oggetto<br />

sembra desunta dall'ambito della percezione. Quin<strong>di</strong> Platone non può non avere<br />

in mente la possibile estensione degli argomenti ai particolari. La domanda è: in<br />

49 1


quel caso egli ne accetterebbe le conclusioni? Tutto suggerisce <strong>di</strong> no e ci induce<br />

a estrapolare dagli argomenti <strong>di</strong> Socrate il risultato implicito che anche i<br />

particolari sensibili non sono in flusso estremo, pur essendo soggetti al<br />

cambiamento59. Ciò si accorda col fatto che Socrate parli solo della conoscenza,<br />

e non anche <strong>di</strong> uno stato epistemico interme<strong>di</strong>o fra conoscenza e ignoranza, cioè<br />

l'opinione (dovxa), che Platone solitamente in<strong>di</strong>ca come appropriato ai<br />

particolari sensibili.<br />

Una conferma viene dalle forti affinità tra il nostro passo e la presentazione<br />

e poi la confutazione della teoria del flusso nel Teeteto, dove la teoria riguarda i<br />

particolari (152 d, 157 a-b, 179 d - 183 b)60. Lì la conclusione che, se tutto<br />

muta, ogni affermazione e negazione saranno ugualmente corrette, sicché<br />

saranno possibili solo espressioni puramente negative, viene giu<strong>di</strong>cata assurda e<br />

provoca l'abbandono della teoria del flusso. Ciò suggerisce che il <strong>Cratilo</strong><br />

raggiungerebbe la stessa conclusione, se il problema venisse <strong>di</strong>scusso con<br />

riferimento ai particolari6<strong>1.</strong><br />

Altrove, d'altra parte, i <strong>di</strong>aloghi sembrano attribuire al mondo sensibile<br />

un'instabilità ra<strong>di</strong>cale (Phd. 78 c-e, Phlb. 59 a-b), tale da minacciare la<br />

possibilità <strong>di</strong> fare su un particolare asserzioni vere come “questo è fuoco” (Tim.<br />

49 b - 50 c). Non tenterò <strong>di</strong> tenere insieme tutto quello che i <strong>di</strong>aloghi <strong>di</strong>cono<br />

sulla questione; è inverosimile, però, che Platone rinunci alla possibilità <strong>di</strong><br />

59 Cfr. J.L. Ackrill, Language and Reality cit., p. 52.<br />

60 In realtà non è chiaro se la teoria confutata costituisca (come io penso) un'unità con<br />

quella prima introdotta. Ve<strong>di</strong> L. Brown, Understan<strong>di</strong>ng the Theaetetus, «Oxford Stu<strong>di</strong>es in<br />

Ancient Philosophy» xi (1993), pp. 199-224: 209-13.<br />

61 Sono invece dubbioso sul classico argomento secondo cui l'esistenza delle forme<br />

implica <strong>di</strong> per sé che i particolari abbiano una certa stabilità. Le forme sono apparentemente<br />

compatibili con un mondo in flusso, in cui le cose cambiano continuamente proprietà, come in<br />

Tim. 52 d - 53 b, prima dell'intervento del Demiurgo.<br />

50 1


descrivere il mondo sensibile.<br />

La <strong>di</strong>scussione della teoria del flusso ha alcuni punti <strong>di</strong> contatto con quella<br />

<strong>di</strong> Aristotele, Metafisica G 5. 1010 a 7 - 1010 b 1 (un capitolo fitto <strong>di</strong><br />

riferimenti al Teeteto). Aristotele presenta l'opinione degli eraclitei e – appunto<br />

– <strong>di</strong> <strong>Cratilo</strong>, che su ciò che cambia completamente sotto ogni rispetto non si<br />

possono fare affermazioni vere (periv ge to; pavnth/ pavntw" metabavllon oujk<br />

ejndevcesqai ajlhqeuvein)62. Il quarto fra gli argomenti aristotelici è che<br />

«bisogna <strong>di</strong>mostrare loro e persuaderli che esiste una natura immutabile»: più o<br />

meno ciò che troviamo nel <strong>Cratilo</strong>, dove però non si dà alcuna <strong>di</strong>mostrazione.<br />

Socrate ha finito. Egli esprime incertezza se le cose stiano così o come<br />

sostengono Eraclito e molti altri; tuttavia, egli <strong>di</strong>ce, non è ragionevole affidarsi<br />

ai nomi per «condannare» (cfr. Metafisica 1010 a 32) se stesso e gli enti con la<br />

tesi che tutto scorre. Egli raccomanda a <strong>Cratilo</strong> un'ulteriore riflessione; <strong>Cratilo</strong><br />

risponde che rifletterà ancora, ma ha già indagato a lungo e propende<br />

fortemente per la parte <strong>di</strong> Eraclito (440 c 1 - d 7).<br />

L'incertezza <strong>di</strong> Socrate – che riguarda il problema del flusso, e non la<br />

precedente <strong>di</strong>scussione sui nomi – è coerente col tono problematico con cui<br />

tutta l'argomentazione finale è stata introdotta (il sogno). Questo atteggiamento<br />

può avere due ragioni strettamente connesse fra loro. La prima ha natura<br />

teorica: Socrate sta assumendo l'esistenza <strong>di</strong> forme immutabili, ipotizzata e non<br />

<strong>di</strong>mostrata anche nel Fedone (92 d, 100 b). Ora, poco più su si è insistito<br />

proprio sulla necessità <strong>di</strong> esaminare la correttezza <strong>di</strong> un'ipotesi anziché<br />

accontentarsi della coerenza fra le sue conseguenze. Quin<strong>di</strong> Socrate è ora cauto<br />

nel contrapporre all'ipotesi eraclitea, che ha apparentemente dominato gran<br />

parte del <strong>di</strong>alogo, un'altra ipotesi <strong>di</strong> cui non fornisce una prova.<br />

62 Secondo Aristotele, «alla fine» <strong>Cratilo</strong> credeva che non si dovesse <strong>di</strong>re niente e si<br />

limitava a muovere il <strong>di</strong>to, e sosteneva che nello stesso fiume non si può entrare non solo due<br />

volte (come <strong>di</strong>ceva Eraclito), ma neppure una.<br />

51 1


La prudenza <strong>di</strong> Socrate risponde probabilmente anche a un'esigenza <strong>di</strong><br />

equilibrio compositivo. Il <strong>Cratilo</strong> ha de<strong>di</strong>cato alla correttezza dei nomi una<br />

lunga trattazione, conclusa con l'affermazione che si devono stu<strong>di</strong>are le cose<br />

«senza nomi». Nel frattempo le etimologie hanno portato alla luce il problema<br />

metafisico del flusso universale; così, proprio alla fine, Socrate si volge ad<br />

affrontare <strong>di</strong>rettamente questo problema, fornendoci una prima linea <strong>di</strong><br />

argomentazione. Il <strong>Cratilo</strong> non può spingersi oltre; l'incertezza <strong>di</strong> Socrate è<br />

anche una finestra aperta verso altri <strong>di</strong>aloghi, che avranno questo problema<br />

come oggetto.<br />

6. Conclusioni<br />

Poche opere filosofiche antiche toccano una così straor<strong>di</strong>naria varietà <strong>di</strong><br />

temi come il <strong>Cratilo</strong>. La relazione fra nomi e cose, il problema del falso, il<br />

relativismo, la teoria delle forme, la <strong>di</strong>alettica, il progetto <strong>di</strong> un linguaggio<br />

perfetto, il rapporto fra un'immagine e l'originale, la teoria del flusso<br />

universale, sono le principali fra le questioni filosofiche affrontate; su tutte il<br />

<strong>di</strong>alogo ha qualcosa <strong>di</strong> importante da <strong>di</strong>re, nella forma <strong>di</strong> uno spunto profondo<br />

o <strong>di</strong> un argomento dettagliato. Oltre a tutto ciò, la sezione etimologica è una<br />

sorta <strong>di</strong> enciclope<strong>di</strong>a della cultura greca, piena <strong>di</strong> citazioni e allusioni a miti e a<br />

dottrine <strong>di</strong> filosofi; il suo umorismo sfuggente aggiunge una componente in<br />

più, tipicamente platonica, a un quadro così complesso.<br />

L'indagine sui nomi fa da motivo conduttore dell'opera e salda in unità le<br />

<strong>di</strong>verse questioni affrontate. Essa si conclude però con l'affermazione che la<br />

realtà deve essere stu<strong>di</strong>ata «senza nomi», cioè non come il risultato <strong>di</strong> un'analisi<br />

del linguaggio ma <strong>di</strong>rettamente. Coerentemente con questa conclusione della<br />

<strong>di</strong>scussione sui nomi, il <strong>di</strong>alogo stesso si chiude aprendo uno squarcio su un<br />

52 1


problema metafisico: la realtà è o no soggetta a un cambiamento continuo? La<br />

conclusione della <strong>di</strong>scussione sui nomi è dunque mimata dall'andamento<br />

complessivo del <strong>di</strong>alogo, dai nomi alle cose. In questo sviluppo la giuntura<br />

essenziale è costituita dalle etimologie. Esse scoprono nei nomi la teoria del<br />

flusso e la introducono così nella <strong>di</strong>scussione, <strong>di</strong> cui dovrà prima o poi<br />

<strong>di</strong>ventare il soggetto centrale. Inoltre le etimologie <strong>di</strong>mostrano l'antichità <strong>di</strong><br />

quella teoria, conformemente a ciò che Platone sostiene anche altrove (Tht. 152<br />

d - 153 d). La metafisica platonica, basata sulle forme, risulta così alternativa a<br />

tutto il pensiero greco fin dalle sue origini.<br />

Vorrei infine spendere una parola sulla cronologia relativa. Le indagini<br />

stilometriche collocano il <strong>Cratilo</strong> prima dei <strong>di</strong>aloghi <strong>di</strong> mezzo (Repubblica,<br />

Parmenide, Teeteto, Fedro), nel gruppo cui appartengono anche Simposio e<br />

Fedone. Assumerò che siano vali<strong>di</strong> sia questo risultato minimo della<br />

stilometria63, sia la comune supposizione che – per ragioni <strong>di</strong> contenuto – il<br />

<strong>Cratilo</strong> sia vicino al Simposio e al Fedone.<br />

Ora, se accettiamo l'ipotesi <strong>di</strong> Kahn che il Simposio sia concepito come il<br />

<strong>di</strong>alogo che introduce la metafisica delle forme64, possiamo supporre che il<br />

<strong>Cratilo</strong> sia posteriore o, quantomeno, sia pensato per essere letto dopo. Un<br />

in<strong>di</strong>zio suggerisce che il <strong>Cratilo</strong> sia posteriore o non anteriore al Fedone. La<br />

descrizione <strong>di</strong> Ade come <strong>di</strong>o buono e filosofo, che rende migliori gli uomini e<br />

vuole stare con loro solo quando l'anima è pura da tutti i mali e i desideri<br />

provenienti dal corpo (403 a - 404 b), sembra presupporre la dottrina del<br />

Fedone sulla morte (cfr. specialmente 80 d-e); in questo contesto il <strong>Cratilo</strong><br />

63 Sintesi e <strong>di</strong>scussione delle analisi stilometriche in C.M. Young, Plato and Computer<br />

Dating, «Oxford Stu<strong>di</strong>es in Ancient Philosophy» xii (1994), pp. 227-50. Un quadro molto più<br />

pessimista in P. Keyser, Stylometric Methodology and the Chronology of Plato's Works,<br />

«Bryn Mawr Classical Review» 3 (1992), pp. 58-73.<br />

64 C.H. Kahn, Plato and the Socratic Dialogue, Cambridge 1996, pp. 340-45.<br />

53 1


menziona e respinge l'etimologia ”Aidh" < ajidev", suggerita invece in Fedone<br />

80 d, 81 c65. L'in<strong>di</strong>zio è coerente con un elemento <strong>di</strong> per sé alquanto più<br />

debole, cioè il fatto che su <strong>di</strong>verse questioni non toccate nel Fedone<br />

(relativismo, flusso estremo, <strong>di</strong>visione) il <strong>Cratilo</strong> abbia stretti contatti con<br />

<strong>di</strong>aloghi posteriori (Teeteto e <strong>di</strong>aloghi tar<strong>di</strong>).<br />

Università <strong>di</strong> Firenze<br />

fademol@tin.it<br />

65 Naturalmente non si può escludere che il <strong>Cratilo</strong> anticipi, anziché richiamare, il<br />

Fedone. Cfr. P. BoyancÉ, La «doctrine d'Euthyphron» dans le Cratyle, «Révue des Etudes<br />

Grecques» liv (1941), pp. 141-75: 162-65.<br />

54 1

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!