cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"
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canza di “attendibilità democratica” del Consiglio, il fallimento della PESC e soprattutto della<br />
CSGAI, nonché i “meccanismi istituzionali” (del primo “pilastro”, comunitario) ancora in vigore<br />
sin dai tempi dell’Europa dei Sei (implicanti una probabile paralisi o comunque una sicura “degenerazione”<br />
dell’UE, se applicati alla futura Europa dei Venticinque).<br />
Da questa chiara diagnosi iniziale, il PE articolava la sua risoluzione nei seguenti punti: 1) obiettivi<br />
e politiche dell’Unione, 2) le istituzioni dell’Unione, 3) i meccanismi decisionali dell’Unione, 4) le<br />
prospettive dell’allargamento e 5) misure conseguenti.<br />
Per quanto riguarda il primo punto, il PE collocava il futuro dell’UE essenzialmente “nella prospettiva<br />
di una fusione dei tre pilastri ed entro un unico quadro istituzionale”.<br />
Ciò si doveva tradurre in primo luogo, sul piano formale, in un’”unificazione del trattato” sull’UE,<br />
che avrebbe reso “la sua struttura più chiara e più logica” e quindi lo avrebbe davvero trasformato<br />
in “un trattato per i cittadini dell’Unione”; anzi, a tal fine, si suggeriva una riscrittura del suo preambolo<br />
in un linguaggio più “ispirato” e la disposizione della serie dei <strong>diritti</strong> del cittadino all’inizio<br />
del trattato, nonché la separazione tra le disposizioni relative alle istituzioni e quelle relative al contenuto<br />
delle politiche. 191<br />
Nella sostanza, tuttavia, ciò si doveva tradurre nel pieno adempimento delle proprie responsabilità<br />
da parte dell’UE. Infatti il superamento della struttura a pilastri avrebbe dovuto andare nella direzione<br />
di un riassorbimento degli ultimi due (la PESC e la CSGAI) nel primo (la CE), che, proprio in<br />
quanto più efficiente e democratico e perciò più efficace, avrebbe con ciò fornito già da sé l’unico<br />
quadro istituzionale dell’UE. D’altra parte, sottolineava la risoluzione del PE, diventavano sempre<br />
più aleatorie le distinzioni tra i settori delle relazioni esterne di competenza della CE e quelli di<br />
competenza della PESC, come pure quelle tra i settori delle politiche interne di competenza della<br />
CE e quelli di competenza della CSGAI. E viceversa l’unificazione dei tre diversi ambiti nell’unico<br />
quadro istituzionale comunitario avrebbe costituito l’unico modo per adempiere pienamente a tutte<br />
le “responsabilità” dell’UE e insieme garantire un controllo democratico dello sviluppo di una politica<br />
estera e di una politica interna europee.<br />
Per quanto riguarda la PESC, si prevedeva “una strategia comune permanente entro le organizzazioni<br />
internazionali che hanno responsabilità” nel campo della sicurezza e della difesa, come<br />
l’ONU, l’odierna OSCE e la NATO e si esigeva lo sviluppo di una “politica di difesa comune”, che<br />
garantisse “che i confini dell’Unione e dei suoi Stati membri siano salvaguardati” e rendesse<br />
l’Unione capace “di sostenere le sue responsabilità per il mantenimento e la restaurazione del dominio<br />
della legge in campo internazionale, assicurando che l’Unione assorba il potere della UEO” ossia<br />
gestisse in prima persona l’organizzazione di una vera e propria “difesa comune” europea. Tutto<br />
ciò avrebbe dovuto implicare una “democratizzazione” della PESC, sotto forma: dell’introduzione<br />
del voto a maggioranza qualificata in sede di Consiglio per l’avvio di “azioni congiunte”; del costante<br />
coinvolgimento della Commissione, con diritto d’iniziativa; con una consultazione obbligatoria<br />
del PE e un controllo democratico esercitato da questo e dai Parlamenti nazionali. Infine si proponeva<br />
la creazione di una politica degli armamenti comune, con il divieto di politiche nazionali di<br />
vendita di armi a Paesi terzi. E, come prima misura da realizzare, si proponeva la creazione di un<br />
“Corpo Civile di <strong>Pace</strong> Europeo”, con l’inserimento in esso di obiettori di coscienza).<br />
Per quanto riguarda la CSGAI, il PE esigeva a maggior ragione la sua perfetta integrazione “entro il<br />
dominio comunitario”, con l’introduzione del voto a maggioranza qualificata in sede di Consiglio e<br />
del diritto d’iniziativa e di esecuzione per la Commissione, con l’attribuzione di “potere operativo”<br />
alla futura EUROPOL e con il rafforzamento in tale campo del ruolo della Corte di giustizia, della<br />
Corte dei conti e del PE. Infine il PE raccomandava anzi l’integrazione degli accordi di Schengen<br />
nella politica dell’Unione.<br />
Anche nell’ambito delle stesse politiche comunitarie, peraltro, la risoluzione del PE esigeva una<br />
maggiore integrazione, in particolare per quanto riguarda l’Unione economica e monetaria. A questo<br />
proposito la risoluzione affermava:<br />
191 E’ quasi inutile ricordare come queste “attenzioni” alla “leggibilità” del testo da parte dei cittadini erano le caratteristiche<br />
proprie di un testo “costituzionale”, come il PE avrebbe voluto fosse il nuovo trattato.