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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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Ci troviamo nel momento buio di un disaccordo senza precedenti sul modo di procedere. Siamo sbalorditi e ci chiediamo<br />

come sia possibile essere arrivati a una tale situazione. E ci chiediamo altresì se si tratta di un’anomalia o di un triste<br />

presagio per il futuro.”<br />

Dopo questa chiarissima e impietosa analisi della grave situazione e degli ancor più gravi rischi per<br />

il futuro, il presidente del PE affermava: “E’ tempo di definire insieme una tabella di marcia per riscoprire<br />

che cosa significa effettivamente essere Europei”. Tale tabella di marcia prevedeva: 1)<br />

l’allargamento; 2) la stabilizzazione dei Balcani occidentali; 3) “un multilateralismo efficace sotto<br />

l’egida delle Nazioni Unite” 371 ; 4) la “qualità dei rapporti transatlantici” 372 ; 5) il rilancio del processo<br />

di pace in Medio Oriente.<br />

Il vero e proprio Consiglio europeo di Bruxelles del 20-21 marzo 2003 si trincerava invece dietro il<br />

proprio ordine del giorno, che, come ogni riunione di primavera, prevedeva esclusivamente l’esame<br />

dello stato di realizzazione della strategia di Lisbona. Le conclusioni riportavano peraltro, in appendice,<br />

le seguenti considerazioni sull’Iraq per quanto riguarda “il piano internazionale”:<br />

“Sul piano internazionale:<br />

• ribadiamo il nostro impegno riguardo al ruolo fondamentale delle Nazioni Unite nel sistema internazionale e alla responsabilità<br />

primaria del Consiglio di sicurezza per il mantenimento della pace e della stabilità internazionali;<br />

• siamo determinati a rafforzare la capacità dell'Unione europea nel contesto della PESC e della PESD;<br />

• restiamo convinti che dobbiamo rafforzare il partenariato transatlantico, che resta una priorità strategica fondamentale<br />

per l'Unione europea; a tale scopo, è necessario un dialogo costante sulle nuove sfide regionali e mondiali;<br />

• continueremo a contribuire a rafforzare ulteriormente la coalizione internazionale contro il terrorismo;<br />

• intensificheremo inoltre le nostre attività per una politica multilaterale globale, coerente ed efficace della comunità internazionale<br />

al fine di prevenire la proliferazione delle armi di distruzione di massa.”<br />

Si trattava del tentativo di ricomporre l’UE e la in particolare la PESC su questi obiettivi gerarchicamente<br />

disposti: 1) la riconferma delle Nazioni Unite e del loro Consiglio di sicurezza come primario<br />

punto di riferimento della PESC; 2) il rafforzamento della PESC e della PESD; 3) il dialogo<br />

costante con gli Stati Uniti; 4) un allargamento della “coalizione internazionale contro il terrorismo”;<br />

5) un nuovo approccio multilaterale nella prevenzione della “proliferazione delle armi di<br />

massa”. Intesa dinamicamente, tale strategia unitaria, basata sulla centralità delle Nazioni Unite e<br />

del Consiglio di sicurezza e alimentata da posizioni e azioni comuni della PESC e da operazioni civili<br />

e militari della PESD, avrebbe dovuto cercare di ricondurre il principale alleato ossia gli Stati<br />

Uniti, attraverso un dialogo costante, a una politica estera più attenta al coinvolgimento del maggior<br />

numero possibile di Paesi nella lotta contro il terrorismo e a un approccio multilaterale nella prevenzione<br />

della proliferazione delle armi di distruzione di massa, in modo da evitare il ripetersi del<br />

baratro apertosi in quei giorni in Iraq. Si trattava dunque di un complesso compromesso tra posizioni<br />

opposte, che dava luogo a una scommessa quanto mai difficile a vincersi, ma che aveva il pregio<br />

di far ritrovare tutti gli Stati membri, al di là delle pesanti responsabilità storiche di alcuni, riuniti<br />

nella comune fedeltà ai principi della PESC e nella comune volontà di resuscitarla e in particolare di<br />

rafforzare la PESD, dando prova tangibile della nuova capacità militare dell’UE. A quest’ultimo<br />

proposito il Consiglio europeo approvava “l'avvio dell'operazione militare dell'UE nell'ex Repubbli-<br />

371 A questo proposito Cox affermava: “Le nostre aspirazioni debbono spingersi oltre il mero cliché “gli Stati Uniti<br />

combattono, l’ONU sfama, l’UE finanzia” [come avrebbe voluto poi l’amministrazione americana in Iraq]. L’Europa<br />

dispone di una valida esperienza nel mantenimento della pace sostenibile. Sappiamo che gli strumenti tecnologici in<br />

grado di vincere le guerre sono molto più avanzati degli strumenti più delicati necessari per vincere la pace. E’ questa<br />

la lezione che abbiamo appreso dalle esperienze in Afghanistan, in Bosnia, nel Kosovo e altrove.” Si trattava di una sfida<br />

anticipatrice della situazione che si sarebbe prodotta in Iraq: “vincere la guerra” non sarebbe equivalso affatto a<br />

“vincere la pace”. E qui si sarebbe allora aperto lo spazio per l’”esperta” Europa “di rafforzare l’assistenza alla ricostruzione<br />

economica e politica dell’Iraq alla fine della guerra”. Ma la condizione posta da Cox (“se ciò avverrà sotto l’egida<br />

delle Nazioni Unite”) non sarebbe stata soddisfatta.<br />

372 A questo proposito Cox sosteneva: “E’ nel nostro comune interesse assicurare che gli Stati Uniti siano impegnati e<br />

legati alla comunità internazionale ed evitare che imbocchino unilateralmente una strada definita esclusivamente da interessi<br />

personali dettati dall’isolazionismo”. La strada non solo sarebbe stata imboccata, ma si sarebbe rivelata, alla fine,<br />

un vicolo cieco.

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