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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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1) eventualmente invalidare gli atti delle istituzioni comunitarie ritenuti violazioni di esso. In tale<br />

controllo di legittimità la Corte di giustizia poteva decidere in base a ricorsi, che potevano provenire<br />

sia da ognuna delle istituzioni comunitarie, sia da parte di qualsiasi Stato membro, sia da parte di<br />

qualsiasi persona (se coinvolta da un certo atto). In tal modo si configurava sempre più per la Corte<br />

di giustizia il ruolo di una sorta di “Corte costituzionale”, in grado di dirimere anche i conflitti di<br />

competenza tra le istituzioni europee, come pure tra esse e gli Stati membri, garantendo così il principio<br />

della separazione dei poteri, tipico dello Stato di diritto;<br />

2) riconoscere colpevole ed eventualmente condannare al pagamento di una somma forfetaria o di<br />

una penalità lo Stato membro inadempiente a qualche obbligo derivante dal trattato CE;<br />

3) porsi come tribunale di suprema istanza rispetto a cause dibattute in sede giurisdizionale nazionale,<br />

qualora una delle parti ricorresse alla Corte di giustizia europea per l’interpretazione e il giudizio<br />

di legittimità di un atto giuridico comunitario.<br />

Infine il trattato CE emendato prevedeva la creazione di una nuova istituzione a parte ossia della<br />

Corte dei conti, incaricata di controllare i conti di tutte le entrate e le spese della Comunità ossia<br />

l’attendibilità di essi e la legittimità e regolarità delle relative operazioni.<br />

Per quanto riguardava invece gli organi od organismi non istituzionali delle Comunità il trattato CE<br />

emendato prevedeva la creazione del nuovo Comitato delle Regioni, organismo consultivo ufficiale<br />

e permanente avente lo scopo di esprimere una voce continua delle Regioni di fronte alle istituzioni<br />

comunitarie in ordine alla produzione di atti comportanti effetti sulla coesione economica e sociale.<br />

In tal modo trovava espressione istituzionale una nuova dimensione della democrazia partecipativa<br />

europea ossia quella appunto delle Regioni o in genere degli enti locali.<br />

Il trattato di Maastricht enunciava pure delle analoghe disposizioni di modifica dei trattati delle altre<br />

due Comunità ossia della CECA e dell’EURATOM.<br />

E finalmente esso stabiliva delle disposizioni originarie sugli altri due “pilastri” dell’Unione Europea,<br />

situati entrambi al di fuori delle competenze sia del Parlamento Europeo, sia della Commissione.<br />

Per il secondo “pilastro” ossia la nuova “politica estera e di sicurezza comune” (PESC) dell’Unione,<br />

il trattato di Maastricht stabiliva con essa il completo superamento della vecchia “cooperazione politica<br />

europea nella sfera della politica estera”, sancita dall’Atto Unico europeo (che perciò era dichiarato<br />

a tal proposito, e quindi come trattato costitutivo, abrogato). La differenza del nuovo ordinamento<br />

consisteva nel fatto che si trattava appunto di una “politica comune” della nuova Unione<br />

Europea in quanto tale, comportante perciò delle “posizioni comuni” e soprattutto delle “azioni comuni”,<br />

vincolanti ogni Stato membro per quanto riguardava la loro esecuzione e applicazione. In tal<br />

modo ne sarebbe derivata una ben maggiore credibilità all’azione della nuova Unione Europea sulla<br />

scena internazionale. Inoltre si trattava di una politica “estera e di sicurezza” comune, comprensiva<br />

dunque del nuovo tema, estremamente delicato e decisivo, della sicurezza comune, visto come suscettibile<br />

di fornire già di per sé un’intima unità alla stessa politica estera comune. E infine si trattava<br />

di una politica comune “estesa a tutti i settori della politica estera e di sicurezza”. Per quanto riguardava<br />

la “politica estera”, ciò significava che la PESC avrebbe dovuto essere in piena sintonia<br />

con le politiche commerciale e di cooperazione allo sviluppo condotte dalla Comunità Europea. Per<br />

quanto riguardava invece la “politica di sicurezza” ciò avrebbe comportato il perseguimento di una<br />

“politica di difesa comune”, comprensiva a sua volta di una “difesa comune”. 147<br />

Tali ambiziosi traguardi erano finalizzati al raggiungimento dei seguenti obiettivi generali della<br />

PESC:<br />

147 Per quest’ultimo traguardo, il trattato di Maastricht disponeva: “L’Unione chiede all’Unione dell’Europa occidentale<br />

(UEO), che fa parte integrante dello sviluppo dell’Unione europea, di elaborare e di porre in essere le decisioni e le azioni<br />

dell’Unione aventi implicazioni nel settore della difesa.” In tal modo era di fatto prospettata una sorta di assorbimento<br />

dell’UEO nell’UE, come avanguardia di quest’ultima nell’allestimento di “una difesa comune” dell’Unione Europea.<br />

Il trattato di Maastricht anzi si spingeva ancora oltre, consentendo l’immediato “sviluppo di una più stretta cooperazione<br />

fra due o più Stati membri a livello bilaterale, nell’ambito dell’UEO e dell’Alleanza atlantica”, primo accenno<br />

della futura “cooperazione strutturata permanente nella politica di sicurezza e di difesa comune”, attualmente prevista.

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