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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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8) la cooperazione doganale;<br />

9) la cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il traffico illecito di droga e altre<br />

forme di criminalità internazionale, compresi, se necessario, taluni aspetti di cooperazione doganale, in connessione con<br />

l’organizzazione, a livello dell’Unione, di un sistema di scambio di informazioni in seno ad un Ufficio europeo di polizia<br />

(EUROPOL).”<br />

Il raggiungimento di tale obiettivo era affidato interamente al Consiglio, le cui deliberazioni avrebbero<br />

dovuto essere prese all’unanimità. Tra le possibili decisioni previste, vi era peraltro anche<br />

quella di “dirottare” i primi sei settori specifici nell’area “ravvicinamento delle legislazioni” e quindi<br />

nell’ambito delle competenze della stessa Comunità Europea. In tal modo si sarebbe ristretta la<br />

“cooperazione” ai tre settori specifici: “giudiziaria in materia penale”, “doganale” e “di polizia”.<br />

Per quanto riguarda le “disposizioni finali”, il trattato di Maastricht ovvero il trattato istitutivo<br />

dell’Unione Europea (TUE) era dichiarato (a motivo delle sue “disposizioni comuni” sull’UE e di<br />

quelle relative agli ultimi due “pilastri” di essa) “concluso per una durata illimitata”. Pertanto il<br />

TUE entrava a far parte (accanto ai due trattati di Roma istitutivi della CE e dell’EURATOM) dei<br />

“trattati costitutivi” del processo d’integrazione europea; come tale, anche il TUE sarebbe andato<br />

incontro a una serie di emendamenti 150 , tanto più in quanto lo steso trattato definiva se stesso semplicemente<br />

come “una nuova tappa” in tale processo. Più in particolare il trattato prevedeva anzi tra<br />

gli stessi obiettivi della nuova Unione Europea quello di “rivedere le politiche e le forme di cooperazione<br />

instaurate dal presente trattato, allo scopo di garantire l’efficacia dei meccanismi e delle istituzioni<br />

comunitarie”; in altri termini: lo stesso TUE prevedeva che proprio gli ultimi due “pilastri”<br />

avrebbero dovuto essere riveduti al fine di renderli sempre più in sintonia con il primo “pilastro” ossia<br />

quello delle Comunità, prospettando così il futuro superamento della struttura “a pilastri”<br />

dell’UE verso la costruzione di un’omogenea Unione Europea. A questo proposito il TUE stesso<br />

programmava anzi la convocazione di un’apposita nuova CIG per il 1996. Tale “fretta” del TUE era<br />

dettata dalla disposizione immediatamente successiva: “Ogni Stato europeo può domandare di diventare<br />

membro dell’Unione”, senza fornire l’indicazione di precisi prerequisiti al riguardo. Ciò significava<br />

che la nuova UE dichiarava nel modo più ufficiale e aperto di essere pronta a ciò per cui<br />

era nata: costituire l’alveo di raccolta di tutti gli Stati europei, moltissimi dei quali già aspiravano<br />

all’adesione. Era con ciò partito il conto alla rovescia di una corsa contro il tempo, che avrebbe dovuto<br />

vedere un’accurata sincronizzazione tra il processo d’integrazione e quello d’allargamento, pena<br />

la disintegrazione del “progetto europeo”.<br />

Complessivamente il trattato di Maastricht fondava l’Unione Europea e anzi prevedeva per essa ulteriori<br />

approfondimenti successivi; in tal modo esso prefigurava una trasformazione<br />

dell’integrazione europea da un assetto confederale a un assetto federale, dove gli Stati membri, pur<br />

conservando intatta la loro piena sovranità rispettiva, avrebbero volontariamente rinunciato alla rispettiva<br />

indipendenza. Anzi, già fin d’allora, almeno in un punto già stabilito dal trattato di Maastricht,<br />

tale prospettiva era precisamente programmata ovvero a proposito dell’unione economica e<br />

monetaria, che prevedeva, come sua meta finale, l’adozione “irreversibile” di una moneta unica<br />

come moneta dell’Unione, mentre uno dei tradizionali simboli dell’indipendenza di uno Stato era da<br />

sempre il diritto di avvalersi di una propria moneta. Alcuni Stati membri, pienamente consapevoli di<br />

tale prospettiva e per nulla disposti ad aderirvi, fecero capire, già durante i lavori della CIG, che non<br />

avrebbero apposto la propria firma al trattato di Maastricht (che esigeva le firme di tutti gli Stati<br />

membri), minacciando con ciò di farlo abortire e con esso l’Unione Europea, a meno che non fosse<br />

stata riconosciuta loro una “deroga” ossia il diritto di non aderire a una parte delle disposizioni da<br />

esso previste ossia a quelle relative al passaggio alla terza e ultima fase dell’UME, che sarebbe<br />

culminata nell’adozione della moneta unica dell’Unione. Pur di salvare il trattato di Maastricht e<br />

150 (Per) ora hanno valore le versioni consolidate (GU UE 29.12.2006) del Trattato sull’Unione Europea, nonché del<br />

Trattato che istituisce la Comunità Europea, destinate a essere emendate dalla CIG attualmente in corso e dal conseguente<br />

“trattato di riforma”, che verrà firmato entro il 2007, in direzione di una rifusione, in tali due trattati costitutivi (il<br />

secondo dei quali da ridenominare come “trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), della quasi totalità dei contenuti<br />

del “decaduto” Trattato costituzionale europeo.

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