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cittadinanza attiva - Archivio "Pace diritti umani"

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2) invitava i governi degli Stati membri ad associare il PE alla designazione del presidente e dei membri della nuova<br />

Commissione europea prevista per il 1° gennaio 1993 e li avvertiva che avrebbe emesso un voto di fiducia (o di sfiducia)<br />

su di essa,<br />

3) domandava alla Commissione di presentare iniziative legislative che fossero basate solo sulla procedura codecisionale<br />

e di ritirare quei progetti che non avessero trovato l’accordo tra il Consiglio e il PE,<br />

4) invitava il Consiglio ad avvalersi della clausola della “passerella” per trasferire in ambito comunitario i settori della<br />

giustizia e degli affari interni<br />

5) incaricava la sua Commissione sugli affari istituzionali di completare la preparazione di un progetto di Costituzione,<br />

coinvolgendo i Parlamenti nazionali<br />

In definitiva, con tale risoluzione, il PE rilanciava con grande determinazione la sua strategia globale<br />

per l’UE, sia nella dimensione immediata della revisione del trattato di Maastricht appena firmato,<br />

sia nell’obiettivo finale della Costituzione.<br />

III. Dal principio di sussidiarietà al progetto di Costituzione Europea<br />

Nonostante i grossi limiti del TUE, la firma del trattato di Maastricht dava nuovo impulso al processo<br />

d’integrazione europea, che vedeva, di lì a poco, la firma a Porto il 2 maggio 1992 dell’Accordo<br />

istitutivo dello Spazio economico europeo (SEE), che prevedeva l’estensione ai sette Paesi EFTA<br />

(non “comunitari”) dell’allora imminente mercato unico europeo. 155<br />

La spinta propulsiva data già dalla semplice firma del trattato di Maastricht conduceva pure alla<br />

immediata messa in opera di alcune sue disposizioni senza ancora sapere se esso sarebbe entrato in<br />

vigore. Tali disposizioni riguardavano anzi proprio il secondo “pilastro” ossia la PESC e segnatamente<br />

la “politica di sicurezza” comune e precisamente già la “politica di difesa comune”; anzi ci si<br />

spingeva sino alla stessa meta finale della realizzazione di una “difesa comune” e quindi<br />

dell’allestimento di forze armate comuni e perciò di un esercito comune. Ciò fu possibile proprio in<br />

quanto si decise di avvalersi fin da allora della citata disposizione dello stesso trattato di Maastricht<br />

sulla possibilità di uno ”sviluppo di una più stretta cooperazione fra due o più Stati membri a livello<br />

bilaterale, nell’ambito dell’UEO e dell’Alleanza atlantica”. E infatti il 22 maggio 1992 il Consiglio<br />

franco-tedesco di difesa e di sicurezza emanava la “Dichiarazione sulla creazione di un corpo<br />

d’armata franco-tedesco a vocazione europea”, con la quale si annunciava la costituzione di una<br />

grande unità militare terrestre, composta di unità tedesche e di unità francesi, detto “a vocazione<br />

europea”, in quanto:<br />

“L’approntamento di questo Corpo contribuirà a dotare l’Unione Europea di una capacità militare propria, e manifesta<br />

la volontà degli Stati partecipanti al Corpo d’assumere, nel quadro di un’Unione Europea comprensiva a termine di una<br />

politica di difesa comune, le loro responsabilità in materia di sicurezza e di mantenimento della pace. Tenuto conto di<br />

questa prospettiva europea, la Francia e la Germania invitano il maggior numero di Stati membri dell’UEO a partecipare<br />

al Corpo europeo.”<br />

155 Uno dei Paesi EFTA interessati, la Svizzera, presenterà di lì a poco, il 20 maggio 1992, persino domanda ufficiale di<br />

adesione alle Comunità europee. Proprio per questo il successivo referendum popolare elvetico del 6 dicembre 1992 respingerà<br />

la prevista partecipazione della Svizzera allo stesso Spazio economico europeo, che entrerà in vigore il 1° gennaio<br />

1994 solo per altri cinque Paesi EFTA (e anzi solo il 1° maggio 1995 per il Liechtenstein), conferendo a questi ultimi<br />

il regime più vicino a quello tipico degli Stati membri della CEE. E infatti quattro di essi aderiranno pochi mesi<br />

dopo all’Unione Europea, anche se, di fatto, solo tre di essi ne entreranno effettivamente a far parte (vedi oltre). I tre<br />

Paesi non “comunitari”, partecipanti al SEE, (Liechtenstein, Norvegia e Islanda) diventeranno con ciò i Paesi più “vicini”<br />

all’UE, quanto al grado d’integrazione europea. Tuttavia la Svizzera concluderà in seguito due serie di accordi bilaterali<br />

(la prima il 21 giugno 1999 con le Comunità e la seconda il 26 ottobre 2004 con l’Unione), entrambe approvate da<br />

appositi referendum popolari (nonostante l’esito negativo di un referendum, svoltosi nell’intervallo fra le due serie di<br />

accordi, il 4 marzo 2001, su un’iniziativa legislativa popolare per l’adesione della Svizzera all’UE). La prima serie di<br />

accordi, entrata in vigore il 1° giugno 2002, porrà di fatto la Svizzera all’interno del “mercato unico” europeo. Sino ad<br />

ora sono entrati in vigore pure la maggior parte degli accordi della seconda serie, tranne quelli relativi agli accordi di<br />

Schengen e di Dublino e alla lotta contro la frode. Una volta applicati, la Svizzera di fatto parteciperebbe pure<br />

all’attuale “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” europeo. In tal modo anche la Svizzera si avvierebbe a diventare uno<br />

degli Stati terzi con il regime più vicino a quello tipico degli Stati membri dell’UE.

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