Emergenze archeologiche - Auditorium
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Il terrazzo della Cascina Loccone, così come quello dell’Olobbia, fanno quindi parte<br />
essenziale delle aurifodine, ed è auspicabile che vengano conservati quanto e più dei cumuli di<br />
ciottoli e dei conoidi artificiali di sabbie e ghiaie che rappresentano i residui delle lavorazioni, in<br />
quanto possono fornire informazioni indispensabili per il riconoscimento delle tecniche di<br />
sfruttamento. Inoltre, il loro studio può fornire preziose informazioni per correggere gli errori<br />
di carattere geologico e giacimentologico che interessano l’area.<br />
Discenderia nel terrazzo di C. Loccone<br />
* * * * *<br />
Secondo studi recenti (GIANOTTI 1992-93 e 1996) il terrazzo dell’Olobbia farebbe parte<br />
di un complesso glaciale e fluvioglaciale, detto Unità di Zubiena, di età Pleistocene medio<br />
(periodo glaciale Riss); BAIO e GIANOTTI (1996), suddividono in due il complesso,<br />
distinguendovi una Unità della Sorgente Solfurea, sempre di età Pleistocene medio. In tutti i<br />
casi, non danno nessuna importanza allo stato che ci interessa e ritengono che oggetto delle<br />
antiche coltivazioni siano stati livelli ghiaioso-sabbioso grossolani, pure di età Pleistocene<br />
medio, che affiorano al margine occidentale della zona a cumuli in piccoli livelli isolati e<br />
superficiali, con spessore massimo di tre metri, e che, a seconda delle zone di affioramento,<br />
vengono distinti in Unità di Vermogno e in Unità di Briengo. Di età Pleistocene medio sarebbe<br />
anche il terrazzo dall’altra parte dell’Elvo, indicato come deposito fluvioglaciale Riss dalla Carta<br />
Geologica d’Italia (F. 43, Biella) e da loro distinto come Unità di Borriana.<br />
L’oro contenuto nello strato Vermogno-Briengo, secondo gli Autori citati, sarebbe di<br />
piccolissime dimensioni (al massimo 1,5 mm) e, nella migliore delle ipotesi, il contenuto<br />
sarebbe di poco superiore al decimo di grammo per tonnellata di sedimento, il contenuto<br />
medio poco più di mezzo decimo.. Ma l’oro di così ridotte dimensioni, e in tali contenuti, non<br />
avrebbero potuto in alcun modo interessare gli antichi coltivatori. In realtà, come ho già avuto<br />
modo di evidenziare (PIPINO 1998), in questo tipo di giacimento l’oro che interessa non è<br />
quello diffuso in piccole particelle, difficilmente recuperabile con i sistemi tradizionali, ma<br />
“...quello contenuto sotto forma di pepite in sporadiche zone di arricchimento”: dato l’alto<br />
peso specifico dell’oro, bastano poche piccole pepite, o scaglie più consistenti, a far aumentare<br />
enormemente il tenore medio, anche senza contare su fortuiti ritrovamenti di pezzi di maggiori<br />
dimensioni, sempre possibili. L’oro fine sfuggiva ai lavaggi, tant’è che nelle discariche