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Marrocu, Debrà Libanòs - Sardegna Cultura

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Luciano <strong>Marrocu</strong><br />

<strong>Debrà</strong><br />

<strong>Libanòs</strong><br />

Il Maestrale


Tascabili . Narrativa


Romanzo


Dello stesso autore:<br />

Fáulas, Il Maestrale 2000<br />

Grafica e impaginazione<br />

Nino Mele<br />

Editing<br />

Giancarlo Porcu<br />

© 2002, Edizioni Il Maestrale<br />

Via XX Settembre 46 - 08100 Nuoro<br />

Telefono e Fax 0784.31830<br />

e-mail: edizionimaestrale@tiscalinet.it<br />

Internet: www.edizionimaestrale.it<br />

ISBN 88-86109-57-1<br />

Luciano <strong>Marrocu</strong><br />

<strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong><br />

Il Maestrale


1<br />

Per i due ritardatari prendere quel volo si rivelò una<br />

faccenda avventurosa. Serra - che con Carruezzo era da<br />

qualche minuto dentro l’aereo, con i motori già accesi<br />

- li vide uscire di corsa dall’hangar, il piccoletto davanti,<br />

con una valigia in mano, e l’altro, impacciato da<br />

un lungo cappotto di cuoio, affannare a qualche metro<br />

di distanza. Arrivato sotto la cabina di pilotaggio,<br />

il piccoletto cominciò a sbracciarsi e a urlare, sino a<br />

che un aviere dall’interno non gli spalancò il portellone.<br />

Della concitata discussione che seguì giunse a Serra<br />

solo una battuta: – Me ne frego dei regolamenti, il<br />

Commendatore… deve essere entro oggi ad Addis<br />

Abeba.<br />

Quale che fosse il nome perduto nel rombo delle eliche,<br />

di sicuro apparteneva a un personaggio influente.<br />

Solo un personaggio influente, si era detto Serra, poteva<br />

permettersi di ritardare quel volo riservato ad alti<br />

ufficiali e a funzionari coloniali, per poi irrompere in<br />

pista al momento del decollo e nonostante questo essere<br />

accolto a bordo.<br />

Finalmente l’aereo si mosse. Aumentando la velocità,<br />

cresceva alle spalle del velivolo una nuvola di<br />

7


polvere. Si avvertì un sobbalzo e fu allora che Carruezzo,<br />

pallidissimo, agguantò un lembo della giacca del<br />

suo compagno di viaggio: – Serra, ho paura, – sibilò<br />

con un filo di voce.<br />

L’aereo si staccò da terra e cominciò a salire in direzione<br />

del mare, descrisse un largo semicerchio sul<br />

porto, tornò indietro su Mogadiscio, volò sopra il palazzo<br />

del sultano e le moschee, puntò infine sull’altopiano.<br />

Guardando fuori dall’oblò, verso nord, Serra<br />

vide la lunga striscia d’argento dell’Uebi Scebeli.<br />

Il Siai Marchetti S79 non era grande ma perfettamente<br />

attrezzato a trasportare sino a otto passeggeri in comode<br />

poltrone di vimini disposte a coppie, l’una di<br />

fronte all’altra, sui due lati della carlinga. Con le tendine<br />

di cretonne a fiori che coprivano gli oblò, l’interno<br />

del velivolo dava un’impressione di quiete domestica<br />

in vivo contrasto con l’audacia avanguardistica<br />

che l’epoca associava al viaggio aereo. A riportare i passeggeri<br />

al presente ci pensava comunque un Benito<br />

Mussolini in tenuta da aviatore, occhieggiante da una<br />

fotografia fissata allo sportello che dava accesso alla cabina<br />

di pilotaggio.<br />

– Anche voi ve la fate sotto, a quanto vedo, – disse<br />

il Commendatore rivolto a Carruezzo. – Non ve ne dovete<br />

vergognare, solo gli imbecilli non hanno paura in<br />

aereo. Più piccolo è l’aereo, poi, e più si ha paura. –<br />

Quindi aggiunse: – Piacere, Eulo Fracassi.<br />

Allungò la mano di fronte a sé, verso la poltrona di<br />

Carruezzo, ma dovette accontentarsi per tutta risposta<br />

8<br />

di un inchino appena accennato, interessato com’era,<br />

Carruezzo, più che alla conversazione al sacchetto di<br />

carta che l’aviere gli aveva consegnato prima del decollo.<br />

Da quando l’aereo si era sollevato da terra, lo teneva<br />

aperto all’altezza del petto, stringendone tra pollice<br />

e indice i due lembi superiori<br />

– Stiamo precipitando, – disse Carruezzo, – stiamo<br />

precipitando. – Pallore.<br />

– Un vuoto d’aria, – spiegò Fracassi con fare da esperto.<br />

– In genere durano pochi secondi. Io, quando<br />

c’è un vuoto d’aria, conto… conto sino a sei.<br />

– E se dopo il sei si continua a scendere.<br />

– Smetto di contare e chiedo la grazia alla Madonna<br />

di Pompei.<br />

Subito il volo si fece più regolare.<br />

– Voi siete il dottor Carruezzo del Ministero dell’Interno,<br />

– continuò Fracassi, – o sbaglio?<br />

– Non vi sbagliate. Mi chiedo piuttosto…<br />

– Vi chiedete come faccio a saperlo?<br />

– Appunto.<br />

– Il giovanotto al mio fianco, che è poi il mio segretario,<br />

riesce sempre a sapere in anticipo con chi mi<br />

troverò a viaggiare. – Poi, rivolgendosi al piccoletto:<br />

– Caporale, ti presento il dottor Carruezzo, del Ministero<br />

dell’Interno.<br />

Caporale porse la mano a Carruezzo, ma neppure lui<br />

riuscì a strappargli più di un breve cenno del capo.<br />

Rimase per un momento con la mano tesa a mezz’aria,<br />

non la ritirò, si limitò a orientarla verso Serra.<br />

9


Era con evidenza abituato a non sprecare nulla, neppure<br />

i gesti, e in questo venne premiato, dato che Serra<br />

fu pronto a stringergli la mano.<br />

Caporale aveva ai piedi un paio di stivali lucidissimi,<br />

la vista dei quali riportò Serra all’attesa prolungata<br />

nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Mogadiscio,<br />

con il suo capo in preda a un muto terrore e quell’ometto<br />

dagli stivali scintillanti che passeggiava nervoso<br />

avanti e indietro.<br />

– Sapete quando atterreremo ad Addis Abeba? –<br />

chiese Serra.<br />

– Intorno alle sei, – rispose Fracassi.<br />

– Se tutto va bene, naturalmente, – chiosò Caporale.<br />

Carruezzo gli rivolse un’occhiata torva, resa ancora<br />

più torva dagli occhi sporgenti: – Voi… – cominciò<br />

a dire, puntandogli contro l’indice minaccioso, quasi<br />

a significare che l’aveva individuato. Lo interruppe un<br />

nuovo vuoto d’aria, facendogli tremolare le guance<br />

cascanti e la pappagorgia cardinalizia, segnate, questa<br />

e quelle, dallo stretto sottogola del casco coloniale che<br />

teneva premuto in testa. Più che al robusto Carruezzo<br />

tendeva al massiccio, un’impressione accentuata da<br />

un doppiopetto di una grisaglia piuttosto chiara. La<br />

tenuta da viaggio era stata sottoposta a Serra il giorno<br />

prima della partenza: Carruezzo si era infilato in<br />

sua presenza un paio di stivali con apertura sul davanti<br />

che con tono insindacabile aveva definito “antiserpente”.<br />

L’equipaggiamento prevedeva tra l’altro: un<br />

binocolo, una tuta a prova di formica, un capientissimo<br />

10<br />

zaino con due fibbie metalliche nella parte superiore<br />

che assicuravano una ruvida coperta da campo, e una<br />

tenda militare di tela verdastra sulle cui virtù mimetiche<br />

Carruezzo si era a lungo soffermato. Solo con<br />

molta fatica Serra aveva convinto il suo capo che almeno<br />

in aereo gli stivali “antiserpente” non erano proprio<br />

indispensabili.<br />

– A Addis Abeba per dovere d’ufficio, suppongo, –<br />

riprese Fracassi.<br />

– Sì, certo, per dovere d’ufficio, – rispose Carruezzo.<br />

– Arrivate ad Addis Abeba in un momento particolare,<br />

– soggiunse Fracassi con aria pensosa. – Prima<br />

l’attentato al viceré Graziani e poi questa faccenda<br />

della morte di Bellassai.<br />

– Il tenente Bellassai, volete dire?<br />

– Sì, proprio lui. Ad Addis Abeba siamo rimasti<br />

molto colpiti dal suo assassinio, anche se bisogna dire<br />

che se l’è cercata.<br />

– Perché cercata?<br />

– Era uno che gli piacevano le mogli degli altri. E<br />

lui piaceva a loro.<br />

– Il gesto di un marito tradito?<br />

– O di una donna trascurata. Sul tipo: Tu non mi<br />

vuoi più? E io ti sparo!<br />

– Un delitto passionale, insomma.<br />

– Io so solo questo, che c’è qualcosa di sbagliato in<br />

uno che in Africa Orientale sta dietro alle bianche<br />

maritate. Basta fare un fischio e di negre, belle e giovani,<br />

se ne trovano quante se ne vuole. Se uno poi non<br />

11


può fare a meno delle bianche, tira fuori qualche tallero<br />

e va da Madame Tiratsian. A proposito dottor Carruezzo,<br />

una visita da Madame Tiratsian è quasi un obbligo<br />

per chi è ad Addis Abeba. La miglior casa di tutta l’Africa<br />

Orientale, ma che dico l’Africa Orientale…<br />

Per diverso tempo Fracassi li intrattenne su pregi e<br />

difetti non solo di Addis Abeba ma di un sorprendente<br />

numero di città coloniali dove aveva soggiornato.<br />

Mogadiscio era quella che offriva le migliori occasioni<br />

di vita sociale, soprattutto nel giro dei bananieri italiani.<br />

Di Bengasi illustrò le efficienti strutture portuali.<br />

Gibuti era una città viziosa e viziosi erano i somali<br />

che, eternamente sfaccendati, ne percorrevano scalzi i<br />

viali. Alessandria, la sua amata Alessandria, là veramente<br />

aveva lasciato il cuore: gli piaceva come in quella città<br />

levantina la comunità italiana aveva saputo mischiarsi<br />

alle altre. – Si può passare l’esistenza lontano dalla patria,<br />

– disse, – senza per questo perdere un grammo della<br />

propria italianità.<br />

Era ormai inarrestabile e passava con assoluta facilità<br />

da un argomento all’altro. Ma un aspetto della<br />

vita africana sembrava interessarlo in particolare.<br />

– Le migiurtine, dottor Carruezzo! Ecco cosa vi dico:<br />

prendete una migiurtina e non avrete di che pentirvene.<br />

Flessuose come giunchi e bellissime, ma anche<br />

capaci di badare alla casa e prepararvi un pranzo come<br />

si deve. Dovete, naturalmente, farle cucinare alla loro<br />

maniera. Come regola, poi, sceglietele che non sappiano<br />

parlare l’italiano e fate in modo che non lo imparino.<br />

12<br />

Quando sanno la nostra lingua, tendono a comportarsi<br />

come mogliettine. Tanto vale, allora, prendersene<br />

una di casa nostra. Piuttosto, imparate voi qualche<br />

espressione in somalo, non più di qualche parola…<br />

per quello che serve parlare, voi mi capite dottor<br />

Carruezzo!<br />

Fracassi proruppe in una rumorosa risata, a cui disciplinatamente<br />

si unì Caporale.<br />

– Certo, ad avvicinarsi troppo alle indigene c’è il<br />

pericolo di farsi coinvolgere, di rimanere intrappolati.<br />

Si rischia di dimenticarsi chi deve comandare e chi<br />

deve ubbidire, chi è bianco e chi è nero. La nostra generazione<br />

ha imparato ad affrontare questo pericolo in<br />

lunghi anni di esperienza in colonia. Lasciatemelo dire,<br />

dottor Carruezzo: trattare con gli indigeni è un’arte.<br />

Bisogna sapere quando è il momento di essere condiscendenti<br />

e quando invece si deve usare la frusta. Sono<br />

cose che non si imparano sui libri.<br />

L’atterraggio fu ancora più complicato del decollo.<br />

Per tre volte l’aereo si presentò sulla pista e per tre volte<br />

risalì verso il cielo. La quarta fu quella buona. Prima<br />

di fermarsi l’aereo traballò paurosamente, come se volesse<br />

capottare. – Tenetevi forte, – urlarono dalla cabina<br />

di pilotaggio.<br />

Carruezzo riprese il suo colore naturale solo quando<br />

ebbe messo i piedi a terra. Serra, che all’uscita dell’aeroporto<br />

aveva preceduto il gruppo con l’intenzione di<br />

fermare un tassì, si unì agli altri negli ultimi saluti.<br />

13


– Un viaggio così avventuroso merita di essere ricordato<br />

di fronte a una bottiglia di Chianti, – disse Fracassi<br />

e insistette perché prendessero nota del suo numero<br />

di telefono.<br />

Carruezzo promise che se le circostanze del soggiorno<br />

ad Addis Abeba lo avessero consentito… Poi, rivolgendosi<br />

al piccoletto: – Toglietemi una curiosità giovanotto.<br />

Quegli stivali che indossate, sono stivali antiserpente?<br />

– Certo, – rispose Caporale, – antiserpente garantiti.<br />

Carruezzo sorrise benevolo.<br />

– Bene, giovanotto, molto bene. La prudenza prima<br />

di tutto.<br />

14<br />

2<br />

Quando Eupremio Carruezzo, suo superiore al Ministero<br />

dell’Interno, gli aveva annunciato che sarebbe<br />

stato coinvolto in una “missione africana”, Serra pensò<br />

che si trattasse di uno scherzo. Poi c’era stata la convocazione<br />

da Bocchini. Nello studio del capo della Polizia<br />

aveva trovato Carruezzo che fumava un sigaro, con<br />

l’aria di chi è di casa.<br />

Colpivano dell’aspetto di Bocchini il collo quasi inesistente<br />

e le braccia corte. Basso, si capiva, benché<br />

fosse seduto, ma la mascella squadrata gli dava un’aria<br />

da duro. Indossava un doppiopetto grigio e aveva una<br />

vistosa spilla d’oro alla cravatta. A Serra era venuto in<br />

mente che la spilla potesse essere un regalo di Pupetta<br />

Boncompagni, attrice di varietà e amante ufficiale di<br />

Bocchini. Il capo della Polizia, infatuato di lei, l’aveva<br />

messa a capo di una rete spionistica destinata a controllare<br />

l’ambiente cinematografico e teatrale. Il suo<br />

nome in codice sarebbe stato Diana, ma tutti nell’Ovra<br />

preferivano il più familiare Pupetta. Circolava la<br />

voce al Viminale che le prestazioni spionistiche dell’attrice,<br />

per quanto mediocri, costassero ogni mese al<br />

Ministero la bella somma di ventimila lire.<br />

15


– Prendete una sedia e sedetevi, – aveva detto Bocchini<br />

senza distogliere gli occhi dalle carte sulla scrivania.<br />

Serra aveva preso la sedia appoggiata alla parete e l’aveva<br />

portata di fronte alla scrivania, accanto a quella di<br />

Carruezzo, il quale durante il minuto di silenzio che<br />

era seguito, aveva continuato a fumare il suo sigaro<br />

con un mezzo sorriso sulle labbra.<br />

– Gli hai detto della missione? – aveva chiesto<br />

Bocchini.<br />

– Solo un accenno, – aveva risposto Carruezzo.<br />

Trent’anni prima Bocchini e Carruezzo avevano frequentato<br />

insieme la scuola speciale di polizia. Di ciò<br />

rimaneva traccia nei modi informali che Bocchini riservava<br />

all’antico collega.<br />

– Dunque, giovanotto, accompagnerete il commissario<br />

Carruezzo in Abissinia, – aveva ripreso Bocchini. –<br />

Lo coadiuverete nelle indagini relative a un omicidio.<br />

Era seguita l’illustrazione dettagliata del caso Bellassai,<br />

un tenente dello Stato Maggiore di Graziani<br />

trovato morto ammazzato nella sua automobile, senza<br />

che di questo omicidio, dopo un mese, fosse stato<br />

individuato il colpevole. Da qui la richiesta del viceré<br />

in persona che da Roma arrivassero inquirenti più<br />

capaci.<br />

– Però questo non è tutto, – aveva proseguito Bocchini.<br />

– C’è un aspetto della faccenda sul quale vogliamo<br />

tenere un’assoluta segretezza…<br />

Si era interrotto e aveva premuto un pulsante sulla<br />

16<br />

scrivania: – Vediamo se si riesce ad avere un caffè…<br />

Serra?… Eupremio?<br />

– Purché non sia la solita cioffeca ministeriale.<br />

– Garantisco io: come capo della polizia avrò pure<br />

qualche privilegio.<br />

Entrò una donna di mezza età con occhiali dalle lenti<br />

spesse, a cui Bocchini chiese che fossero portati tre caffè.<br />

Dopo che fu uscita, Bocchini riprese:<br />

– L’ufficiale assassinato, Bellassai, era un nostro agente,<br />

un agente particolarmente attivo. La sua ultima informativa<br />

prometteva rivelazioni importanti. Non ha<br />

avuto il tempo di essere più preciso, purtroppo. Non voglio<br />

che un caso così delicato venga lasciato nelle mani<br />

di poliziotti analfabeti. D’altra parte, non scomoderei<br />

certo l’Ovra per un normale omicidio… Voglio che la<br />

reale natura dell’indagine rimanga segreta. È la base del<br />

nostro lavoro… la segretezza, intendo. Segretezza e controllo<br />

delle informazioni. So bene che l’Ovra è all’avanguardia<br />

in questo campo. Ma noi vogliamo di più: ciò a<br />

cui aspiriamo è il monopolio dell’informazione.<br />

Era entrata la donna di mezza età col caffè. Aveva<br />

messo il vassoio nella scrivania e poi era uscita.<br />

– Erminia è da vent’anni la mia segretaria. Ha solo<br />

due qualità, fa un buon caffè ed è riservatissima: qualità<br />

fondamentali, però, e non solo per una segretaria.<br />

Assunse un’espressione severa:<br />

– Credo che il punto centrale sia chiaro: se c’è un<br />

nesso tra la morte di Bellassai e la sua attività per l’Ovra,<br />

dobbiamo essere noi a scoprirla. Non altri.<br />

17


18<br />

3<br />

Fu dopo le bombe al Gran Ghebì che il giudizio<br />

della Divisione sul viceré Graziani divenne completamente<br />

negativo. Il giudizio dei suoi massimi dirigenti,<br />

naturalmente, ma anche di quegli oscuri impiegati<br />

che per il semplice fatto di avere accesso a<br />

una gran massa di documenti e di partecipare, magari<br />

solo come verbalizzatori, a riunioni ristrette maturavano<br />

proprie opinioni sui più importanti affari<br />

politici. Che poi tali opinioni finissero per combaciare<br />

con quelle dei dirigenti, era il segno di una naturale<br />

tendenza di questi semplici passacarte ad adeguarsi<br />

alle idee dei propri superiori.<br />

Anche un organismo dalle funzioni delicate e oscure<br />

qual’era a quei tempi la Divisione Affari Generali<br />

e Riservati del Ministero dell’Interno aveva bisogno<br />

di un certo numero di travet capaci di fungere da<br />

Casa Madre per le arrischiate missioni dei suoi agenti:<br />

ricevendo i loro rapporti, decifrandoli, catalogandoli,<br />

archiviandoli e, in qualche raro caso, chiosandoli<br />

con prudenti osservazioni. Appunto il fatto di condurre<br />

la propria esistenza tra le pareti di un ufficio<br />

faceva sì che questi impiegati seguissero con invidia<br />

19


e ammirazione le missioni operative degli agenti, di<br />

cui leggevano le mirabolanti avventure fatte di pedinamenti,<br />

appostamenti, codici cifrati, complotti, segreti<br />

svelati, segreti taciuti. Giungevano a figurarsi<br />

questi agenti come eroi cinematografici, e come tali<br />

col privilegio di esistere solo nell’azione del film, senza<br />

quel fardello - il loro, quello degli impiegati - di mogli,<br />

pupi con l’influenza, suocere, cognate, pigioni arretrate.<br />

In quanto a Graziani, venne accertato che era stata<br />

una bomba a mano a colpirlo. Se l’era vista passare sopra<br />

la testa e, immediatamente dopo, l’aveva sentita<br />

esplodere alle sue spalle. Qualche giorno dopo avrebbe<br />

dettato a uno stenografo una versione dei fatti incentrata<br />

su di lui che, revolver alla mano, prima respinge<br />

un assalto all’arma bianca e poi si allontana guidando<br />

personalmente l’auto. In realtà - come fu chiarito anche<br />

nella Divisione, con una piccola inchiesta interna<br />

- la bomba l’aveva lasciato al suolo svenuto. Era stato<br />

un operatore dell’Istituto Luce, al Gran Ghebì per riprendere<br />

la cerimonia della distribuzione di cinquemila<br />

talleri ai poveri di Addis Abeba, a trasferirlo di<br />

peso, con altri, sulla propria automobile per portato in<br />

ospedale, attraversando una città ancora ignara.<br />

Già le informative giunte al Ministero dell’Interno<br />

all’indomani dell’attentato parlavano di Graziani come<br />

di uno che non era in grado di reggere il comando,<br />

non a causa delle ferite, di per sé leggere, ma per<br />

la grande paura che continuava ad avere di nuovi at-<br />

20<br />

tacchi alla sua persona. Il primo rapporto di Carruezzo<br />

e Serra non fece che confermare quest’immagine<br />

del viceré. A firmarlo era Carruezzo, ma fu facile a chi<br />

lo lesse a Roma riconoscere lo stile accurato di Serra.<br />

Nel suo studio, si leggeva nel rapporto, il viceré aveva<br />

fatto montare delle persiane blindate che teneva rigorosamente<br />

chiuse: l’unica luce naturale proveniva<br />

da due finestrelle alte sulla parete, quasi all’altezza del<br />

soffitto. Accanto alla scrivania, circondato da sacchetti<br />

di sabbia, troneggiava un mitragliatore Breda da otto<br />

millimetri.<br />

– Qui le cose si mettono male. Io l’ho detto e ripetuto<br />

che trentacinquemila uomini non bastano per<br />

difendere Addis Abeba. Ma a Roma hanno altro a cui<br />

pensare. A Roma sono occupati a cercare il modo di<br />

liquidarmi. Quel gran maiale di Lessona lo sa benissimo<br />

che non ho mai abbandonato le mie funzioni,<br />

non un solo giorno le ho abbandonate, e che ho continuato<br />

a dirigere tutto dall’ospedale. Eppure il gran<br />

figlio di puttana va dicendo in giro che io non sono<br />

in grado, che le mie esaurite energie fisiche e mentali<br />

non mi consentirebbero di mantenere la guida dell’Africa<br />

Orientale Italiana. Vogliono far credere che<br />

sono finito. Ma non sono arrivato dove sono arrivato<br />

per farmi far fuori da un Lessona qualsiasi e da quel<br />

quadrunviro da operetta di Italo Balbo. Vorrebbe diventare<br />

viceré al mio posto il pallone gonfiato ferrarese.<br />

Io me ne infischio però di quei due miserabili.<br />

21


E sapete perché me ne infischio? Perché so che Lui sta<br />

dalla mia parte.<br />

Graziani sembrava meno alto di quanto lasciassero<br />

capire le fotografie sui giornali. C’era nella sua espressione<br />

qualcosa di grottescamente militare, forse quel<br />

mento costantemente proteso in avanti. Serra e Carruezzo,<br />

seduti di fronte a lui, accolsero in silenzio la lunga<br />

sfuriata. Non erano richiesti commenti né loro avrebbero<br />

saputo cosa dire.<br />

– Suppongo che Bocchini vi abbia spiegato la natura<br />

della missione che vi aspetta ad Addis Abeba.<br />

– Indagare sull’assassinio del tenente Bellassai, ci è<br />

stato detto, – intervenne Carruezzo.<br />

– Certo, Bellassai, il tenente Bellassai… sembra che<br />

tutti qui ad Addis Abeba muoiano dalla voglia di sapere<br />

chi l’ha ucciso. Io, invece, di scoprire l’assassino<br />

di Bellassai me ne frego.<br />

– Ci era sembrato di capire… Eccellenza, ecco, vi faccio<br />

vedere l’ordine di servizio. – Carruezzo tirò fuori<br />

dalla tasca interna della giacca un foglio spiegazzato.<br />

– Proprio in questo punto, non c’è da sbagliare… coadiuvare<br />

le autorità di polizia locali nelle indagini relative<br />

alla morte del tenente Duilio Bellassai.<br />

– Se troverete chi veramente l’ha ucciso, tanto meglio,<br />

vorrà dire che a Roma saranno contenti. Ma il<br />

punto è un altro.<br />

Graziani aveva sulla sua scrivania una smilza cartella<br />

rosa. La aprì e vi gettò un’occhiata.<br />

– Qui c’è scritto che avete svolto un ruolo importante<br />

22<br />

nella riorganizzazione della Polizia Politica, – disse rivolgendosi<br />

a Carruezzo.<br />

– Ho dato un contributo a riorganizzare la schedatura<br />

e ho fatto presente ai miei superiori la necessità di<br />

potenziare il Casellario Politico Centrale. Niente di più,<br />

ve lo assicuro.<br />

– Fosse anche solo questo, non sarebbe cosa da poco.<br />

Se gli imbecilli che mi circondano avessero provveduto<br />

a una schedatura a tappeto di Addis Abeba, forse<br />

l’attentato non ci sarebbe neppure stato. Ma lasciamo<br />

perdere… Un ottimo curriculum, il vostro.<br />

– Beh…<br />

– Leggo che prestate servizio nella Divisione Affari<br />

Generali e Riservati del Ministero dell’Interno, e che<br />

prima avete lavorato a lungo nella squadra investigativa<br />

della Questura di Roma.<br />

– Sì…<br />

– Bene, ora statemi a sentire. Di chi ha ucciso Bellassai,<br />

ve l’ho detto, io me ne frego. Mi disturba, però,<br />

che le indagini sulla sua morte stiano creando un clima<br />

di sospetto, di insicurezza, che finisce per coinvolgere<br />

perfino gli ufficiali del mio Stato Maggiore. Con<br />

conseguenze assolutamente negative sul livello della vigilanza.<br />

Non mi sto ad addentrare nei particolari della<br />

faccenda Bellassai, su cui vi riferirà la PAI, la Polizia<br />

Africa Italiana sapete, e il commissario Oppo in<br />

particolare, che guida le indagini. Anche se poi è proprio<br />

lui, quell’Oppo, il problema. Sono passati quindici<br />

giorni dalla morte di Bellassai e di un colpevole<br />

23


neppure l’ombra. Perché il commissario Oppo e i cagadubbi<br />

del suo stampo non si rendono conto di una<br />

cosa: qui non siamo a Milano o a Roma, qui siamo al<br />

fronte, qui si combatte una guerra! Voi mi avete capito,<br />

Carruezzo. Voglio che mi troviate un colpevole, e<br />

lo voglio subito.<br />

– Siamo qui per questo Eccellenza. Il colpevole non<br />

sfuggirà.<br />

– Mi interessa solo che facciate presto.<br />

Se qualcun altro avesse assistito al colloquio tra Graziani<br />

e Carruezzo ben difficilmente avrebbe colto nel<br />

leggero aggrottare la fronte di quest’ultimo quel segno<br />

di disappunto che invece Serra era in grado di cogliervi.<br />

Serra sapeva bene quanto quella missione fosse<br />

stata fin dall’inizio sgradita al suo capo: il solo fatto<br />

di dover allontanarsi da Roma, e per andare così lontano,<br />

la necessità di prendere un aereo per arrivarci al<br />

più presto (più aerei, anzi, visto che il lungo viaggio<br />

per Addis Abeba si era svolto a tappe). Tutto gliela faceva<br />

considerare come un affare disgraziato. Ed ora,<br />

ad avvalorare le sue previsioni più fosche, quell’ordine<br />

- perché di ordine si trattava - di mettere mano a un<br />

caso giusto per trovare nel giro di pochi giorni un colpevole<br />

qualsiasi.<br />

Graziani si alzò e si avvicinò alla finestra. Aprì una<br />

persiana quel tanto che bastava per dare una veloce occhiata<br />

intorno e subito la richiuse. Si mise a passeggiare<br />

avanti e indietro, muto, lo sguardo a terra. Si avvicinò<br />

24<br />

alla mitragliatrice, ne accarezzò la canna e sorrise: – Solo<br />

lei mi è rimasta. – Poi, quasi di scatto, ritornò alla scrivania.<br />

Aprì un cassetto e ne trasse una mazzo di fotografie.<br />

Le lasciò cadere sul piano della scrivania con un<br />

gesto plateale: – Guardate qua, – disse.<br />

Fu Carruezzo il primo a sporgersi verso le fotografie.<br />

Vi si avvicinò anche Serra, fermandosi però un po’ più<br />

indietro. Le foto, una decina, mostravano Graziani nudo<br />

dalla cintola in giù. In tutte indossava la stessa camicia<br />

bianca, tenendone i lembi sollevati. Per quanto<br />

ognuna delle fotografie corrispondesse a uno scatto diverso,<br />

non c’era praticamente differenza nella posa assunta<br />

da Graziani, salvo che nell’espressione del volto,<br />

il più delle volte irrigidita in uno sguardo vitreo o atteggiata<br />

ad un vago sorriso, ma in un caso decisamente<br />

trionfante, ed era il caso in cui si poteva cogliere l’accenno<br />

di un’erezione.<br />

– Quando avrete terminato la vostra inchiesta e tornerete<br />

in Italia, porterete con voi queste foto e le mostrerete<br />

a chi di dovere. Carruezzo, sapete cosa dicono<br />

di me i miei nemici a Roma?<br />

– Non so, Eccellenza… non immagino…<br />

– Dicono che sono senza i coglioni, dicono che me li<br />

hanno tagliati i ribelli in Cirenaica nel 1929. L’ultima<br />

versione è che mi sono saltati in aria nell’attentato di<br />

luglio. Queste fotografie documentano in modo inequivocabile<br />

che la mia virilità è integra.<br />

– Non ho dubbi, Eccellenza.<br />

– E voi, giovanotto, voi avete dubbi?<br />

25


– Naturalmente no, Eccellenza. – Serra fu pronto a<br />

rispondere. Si sentì come sopraffatto da quella espressione<br />

di grottesca follia. Non era certo la prima volta<br />

che assisteva muto a simili farneticazioni, ma mai<br />

come in quel momento aveva avuto la sensazione di<br />

esserne contaminato.<br />

Graziani ritornò sulla necessità di trovare un colpevole<br />

del delitto e s’informò sui metodi che la polizia<br />

era solita usare in casi del genere, ascoltando a malapena<br />

le risposte. Poi fece il gesto di alzarsi ad indicare<br />

che la conversazione era finita.<br />

Nel momento in cui Serra e Carruezzo lasciavano la<br />

stanza, un raggio di sole, penetrando dall’alto, illuminò<br />

la figura del viceré, isolandola dalla penombra<br />

circostante. Fu quindi al centro di un cerchio di luce<br />

che lo videro i due poliziotti mentre, indietreggiando,<br />

facevano il saluto romano.<br />

26<br />

4<br />

C’era una fotografia sulla scrivania di Carruezzo, in<br />

ufficio, che lo ritraeva insieme ad altri dirigenti e funzionari<br />

della polizia politica nell’occasione di una ispezione<br />

alla flotta militare. Una fotografia indecifrabile<br />

per chi l’avesse vista per la prima volta, che poco diceva<br />

della circostanza in cui era stata scattata. Un gruppo di<br />

uomini di mezza età sul ponte di una nave da guerra,<br />

impeccabili nei loro abiti scuri, tutti (o quasi) con in<br />

testa un capello di feltro, visi seri, e più serio di tutti,<br />

al centro e unico a stare seduto, il capo della polizia Arturo<br />

Bocchini. Carruezzo era, in quel gruppo, l’ultimo<br />

sulla destra. Non si può dire proprio che sorridesse, ma<br />

aveva uno sguardo divertito, forse ironico.<br />

– Capo, di cosa ridevate sotto i baffi? – gli aveva<br />

chiesto una volta Serra, tenendo in mano la fotografia.<br />

– Servivamo lo Stato e c’era ben poco di che divertirsi,<br />

– aveva risposto burbero Carruezzo. Ma subito<br />

dopo aveva sorriso.<br />

Non era così reticente, di solito. O perlomeno non lo<br />

era con Serra. La promozione a commissario capo, avvenuta<br />

qualche anno prima, aveva significato tra l’altro<br />

che finalmente gli era stato assegnato un elemento<br />

27


giovane destinato a collaborare con lui. Serra si era dimostrato<br />

all’altezza del compito, se il compito era quello<br />

di stare dietro a Carruezzo nell’elaborazione dei<br />

piani “antisovversione” che costituivano la sua specialità.<br />

In realtà, dopo alcuni clamorosi fallimenti, quei<br />

piani non avevano più trovato applicazione. Arturo<br />

Bocchini, sul cui tavolo arrivavano in forma di ponderosi<br />

dattiloscritti, si diceva ammirato dai barocchi stratagemmi<br />

che Eupremio continuava a inventare, ma regolarmente<br />

li bocciava. Vagliare, selezionare, graduare la<br />

repressione erano le parole-chiave di quei rapporti, parole<br />

che Arturo avrebbe apprezzato se non fosse che si<br />

traducevano nelle mille volute di un aggirarsi interminabile<br />

intorno alla preda, sinché la preda, resa avvertita<br />

da quell’incessante ronzare, alla fine prendeva<br />

il volo.<br />

Giudicato ormai inutilizzabile nell’antisovversione<br />

militante, Carruezzo aveva trovato una sua collocazione<br />

all’interno della Polizia politica nel Casellario Politico<br />

Centrale. A lui si doveva l’aver introdotto nel lavoro<br />

di schedatura dei sovversivi la categoria di attitudini<br />

psichiche salienti, secondo una griglia che, richiedendo<br />

di classificarli per tendenze morali, grado e forma<br />

di intelligenza, capacità volitive, proponeva una dettagliatissima<br />

tipologia, le cui ascendenze freudiane ben<br />

pochi a quei tempi avrebbero saputo cogliere. E certo<br />

non le coglievano informatori ed agenti, quando compilando<br />

su moduli predisposti i loro rapporti periodici<br />

si trovavano a dover decidere se il soggetto affidato<br />

28<br />

alle loro cure fosse o meno un egotista a sfondo narcisistico.<br />

Anche per queste sue trovate, alcuni, soprattutto tra<br />

la bassa forza del Ministero dell’Interno, giudicavano<br />

Carruezzo uno svitato, senza comprendere che al vertice<br />

del suo fulgore l’Ovra poteva ben permettersi uno<br />

svitato di talento. Uno come Carruezzo, pareva avesse<br />

detto Bocchini, costava allo Stato meno di certi antifascisti<br />

mantenuti a poltrire a Lampedusa o a Ventotene.<br />

Per stare dietro a Carruezzo nei labirinti delle sue<br />

realizzazioni e in quelli ancora più intricati delle sue<br />

conversazioni, che conduceva da autentico maestro del<br />

periodo interminabile, occorreva aver frequentato il<br />

corso completo. Serra l’aveva frequentato.<br />

Aveva seguito i fluviali monologhi a cui il capo era<br />

solito affidare il racconto della sua personale vicenda<br />

di poliziotto, che amava far iniziare da quando il 28<br />

ottobre 1922, il giorno stesso della storica marcia sulla<br />

capitale, era giunto a Roma dalla natia Lecce. Non che<br />

ci fosse un nesso tra quelle vicende e il suo arrivo a<br />

Roma, precisava. Era stato un caso, un semplice caso,<br />

che tuttavia aveva consentito per anni a superiori e<br />

colleghi di ripetere infinite volte la scadente battuta,<br />

con risolino stridulo d’accompagnamento: “Anche Carruezzo<br />

l’ha fatta la sua marcia su Roma. Vero Carruezzo,<br />

che anche tu l’hai fatta la tua marcia su Roma?”<br />

Il trasferimento a Roma era stato lui stesso a cercarlo,<br />

per motivi che nel suo racconto - fattosi a questo<br />

punto reticente e confuso - avevano a che fare con<br />

imprecisate solitudini ed anche con un fatto, un fatto<br />

29


successo nella questura di Lecce, nella camera di sicurezza<br />

di quella questura, più esattamente.<br />

Era rimasto per ore a interrogare un ladruncolo e poi<br />

questo ladruncolo, con un sorriso di sfida, si era vantato<br />

di aver fatto colpo sul poliziotto. Naturalmente<br />

nessuno in questura lo aveva preso sul serio il ladruncolo,<br />

ma da allora qualcosa era cambiato verso Carruezzo<br />

nell’atteggiamento di superiori e colleghi. “Capite<br />

bene, Serra, perché vi racconto quest’episodio in<br />

sé irrilevante. Chi interroga e chi è interrogato sono<br />

coinvolti da una corrente di reciproca fascinazione:<br />

un poliziotto non dovrebbe mai dimenticarlo. Senza<br />

questa corrente, d’altra parte, non ci sarebbero confessioni.”<br />

Ma il racconto che più l’appassionava, e su cui ritornava<br />

più spesso, era quello degli anni passati a Milano<br />

nella squadra speciale del grande ispettore Roghi.<br />

Faccenda da pionieri, diceva con orgoglio, da inventori<br />

di generi, come in fondo era stato Mussolini<br />

con il Fascismo. Proprio allora a Milano, con Roghi,<br />

era stata inventata l’Ovra.<br />

Si diceva che fosse stato lo stesso Mussolini a trovare<br />

il nome Ovra. Circolavano differenti versioni sul significato<br />

di quella sigla, ma l’assonanza con “piovra”<br />

bastava per immaginare una entità misteriosa e avvolgente<br />

(un confidente di Terni l’aveva anche scritto<br />

a Bocchini, in un rapporto: perché io, Eccellenza, mi sento<br />

e sono uno dei tentacoli di questa Nostra Onnipotente<br />

P.I.O.V.R.A.).<br />

30<br />

L’idea era quella di una sezione specializzata in operazioni<br />

contro gli antifascisti, in particolare contro i<br />

comunisti. Una sezione slegata dalla consueta catena<br />

gerarchica, sotto il controllo diretto del capo della Polizia<br />

e senza le normali limitazioni territoriali, con<br />

grande disponibilità di mezzi.<br />

Da un appartamento nelle vicinanze di Piazza Cordusio,<br />

la squadra speciale di Roghi operava dietro la<br />

mascheratura di una ditta di import-export. Roghi era<br />

un maestro della caccia ai comunisti. Ne conosceva la<br />

forza ma anche le debolezze. A questo punto del racconto<br />

entrava in scena Max Brandauer, apparentemente<br />

un tranquillo agente di commercio svizzero ma in<br />

realtà l’uomo dell’Internazionale in Italia e il responsabile<br />

del collegamento con i nuclei clandestini del<br />

Partito comunista. Brandauer era stato arrestato quasi<br />

per caso, ma Roghi aveva intuito la possibilità di “indurlo<br />

al compromesso”, partendo dalla considerazione<br />

che la gente come lui, solitamente, adorava ascoltarsi.<br />

All’inizio avevano usato i metodi tradizionali. I primi<br />

due giorni in cella al buio, tanto per fargli capire che<br />

le cose si erano messe male per lui. Il terzo tutti intorno<br />

a fargli paura. “Sappiamo tutto, sei finito! I tuoi complici<br />

hanno già parlato! Vuota il sacco!” Uno schiaffo,<br />

qualche calcio in culo (niente di più, teneva a precisare<br />

Carruezzo). Poi Roghi aveva deciso di condurre da solo<br />

l’interrogatorio. “Fermi ragazzi, ora faccio io.” Brandauer<br />

aveva alla fine ceduto, e non per denaro, né con la<br />

promessa dell’impunità. Brandauer era crollato quando<br />

31


Roghi, dopo un testa a testa politico-filosofico durato<br />

trentasei ore filate (avevano iniziato con Bernstein<br />

e continuato con Kautsky, “il rinnegato Kautsky”,<br />

poi era saltato fuori Bogdanov e il Lenin di Materialismo<br />

ed empiriocricismo, dulcis in fundo Gentile), era<br />

riuscito a demolirgli la convinzione che il comunismo<br />

fosse l’espressione più alta della razionalità della<br />

storia.<br />

Dopo averla sentita più volte, Serra aveva chiesto al<br />

suo capo quale fosse il significato di quella vicenda.<br />

Carruezzo aveva assunto un’aria pensosa. Poi aveva<br />

sentenziato: “Gratta gratta e sotto un comunista troverai<br />

sempre Hegel.”<br />

Serra conosceva benissimo la predisposizione del suo<br />

capo ad arricchire la realtà di fantasiose trasfigurazioni,<br />

ma proprio per questo trovava nella compagnia<br />

di Carruezzo e nei suoi racconti un rifugio dall’opprimente<br />

grigiore della vita d’ufficio. Non era<br />

adatto a fare il poliziotto. Eppure, quando suo padre<br />

- questurino fino alla punta dei capelli - gli aveva<br />

messo di fronte la domanda di partecipazione al concorso<br />

del Ministero dell’Interno, non aveva esitato a<br />

firmare. Al quart’anno di Giurisprudenza, gli studi<br />

che andavano a rilento: un lavoro in polizia altro non<br />

era che uno spazio dai confini certi. Come da bambino,<br />

quando se ne stava per ore al riparo dal mondo<br />

dentro la sua capanna fatta con due sedie e vecchie coperte.<br />

Ancora a distanza di dieci anni gli capitava di<br />

risentirlo suo padre, in cucina, con quella voce sem-<br />

32<br />

pre un po’ lamentosa: “Vedrai non è un mestiere difficile.<br />

Basta fare quel che ti dicono i superiori.” E Cagliari,<br />

dov’era cresciuto. La casa appoggiata al bastione<br />

di Santa Croce. Le mura bianche. Le torri. Il verso<br />

rauco dei gabbiani appollaiati sui tetti. Di fronte il<br />

mare, e sui due lati, ad est e a ovest, gli stagni. Acqua<br />

tutt’intorno. La luce abbacinante, d’estate. La casa…<br />

E nella casa le rassicurazioni dell’ombra.<br />

Quando nel 1931, a ventiquattro anni, Serra aveva<br />

lasciato Cagliari per prendere servizio alla Questura di<br />

Roma, nei primi tempi aveva alloggiato in una pensione<br />

sulla Nomentana. La sera, nella vasta sala dalle<br />

pianelle esagonali rosse e grigie, trovava la tavola apparecchiata<br />

per lui e per gli altri pensionanti. Cenando<br />

discorreva con i suoi commensali e con la signora Ines,<br />

la proprietaria della pensione, fiera del fatto che un<br />

funzionario di polizia abitasse nella sua casa. Quando la<br />

signora Ines aveva saputo del trasferimento di Serra al<br />

Ministero dell’Interno, era arrivata del tutto autonomamente<br />

alla conclusione che si trattasse di un avanzamento<br />

di carriera. “Ah, dottor Serra, ci vuole una donna<br />

di intuito come me per capire che il vostro nuovo<br />

incarico al Ministero è qualcosa di veramente importante.<br />

Voi, con la vostra modestia, avreste voluto nascondercelo.<br />

Vero dottor Serra?”<br />

La conoscenza con Carruezzo risaliva al breve periodo<br />

in cui quest’ultimo era tornato a lavorare in Questura.<br />

Gli aveva fatto da assistente in un’inchiesta sulla morte<br />

di uno strozzino trovato col cranio maciullato ai Prati<br />

33


Fiscali. “Procedete voi all’esame del corpo” aveva detto<br />

Carruezzo e poi gli era venuto da vomitare. Da allora<br />

l’aveva sempre voluto al suo fianco nelle inchieste che<br />

gli venivano assegnate. Era Serra, in realtà, a condurre<br />

materialmente le indagini, o perlomeno era lui che faceva<br />

le prime rilevazioni e andava in giro a far domande.<br />

Tornava in Questura, la sera, il taccuino pieno zeppo<br />

di annotazioni, trascrizioni di interrogatori (alla domanda<br />

se conosceva il morto risponde: “Mai l’avessi conosciuto<br />

quell’impunito”), e schizzi a matita di volti, interni di<br />

appartamenti, strade, piazze. Carruezzo apprezzava i<br />

taccuini di Serra. L’aveva spinto lui a prendere appunti<br />

dettagliati con domande imprevedibili su aspetti<br />

in apparenza insignificanti dello scenario del delitto,<br />

sui tratti fisici di un testimone e altri bizzarri particolari.<br />

Carruezzo se li beveva tutti d’un fiato quei taccuini.<br />

“Avete un certo talento artistico, Serra,” commentò<br />

una volta, “fareste bene a coltivarlo.”<br />

34<br />

5<br />

– Noi poliziotti siamo i custodi del Tempio, caro<br />

Serra. Solo a noi è dato frugare nei più profondi recessi,<br />

tocca a noi portare il doloroso fardello del segreto.<br />

Non ne siete atterrito?<br />

– Non ho mai visto la cosa sotto questo aspetto, capo.<br />

Carruezzo era sbronzo, su questo Serra non aveva<br />

dubbi.<br />

La cena era iniziata con un mediocre Valpolicella, ma<br />

quando Madame Dressler aveva personalmente portato<br />

in tavola i beccaccini fumanti, Carruezzo aveva dichiarato,<br />

tonitruante e inappellabile, che bisognava bagnarli<br />

con un Borgogna:<br />

– Madame, asseyez-vous, goûtez ce Bourgogne, –<br />

l’aveva invitata il Commissario.<br />

Lei si era seduta e dopo pochi minuti era stata stappata<br />

una seconda bottiglia di Borgogna.<br />

Prima di diventare la Madame Dressler popolarissima<br />

tra gli europei di Addis Abeba, la proprietaria<br />

dell’Albergo-Ristorante Impero era stata una trascurabile<br />

Marcelle Dupont, dattilografa a Lille. Sentendosi<br />

appunto trascurabile, aveva intrapreso una sua lunga<br />

marcia verso Sud, che l’aveva portata prima a Monaco<br />

35


di Baviera - dove sposando un albergatore del posto era<br />

diventata Madame Dressler - poi a Salonicco e infine,<br />

dopo una breve tappa ad Alessandria d’Egitto, era arrivata<br />

ad Addis Abeba. In questo tortuoso tragitto, di<br />

Herr Dressler si erano perse le tracce e al suo posto era<br />

apparso un cuoco armeno, originario di Istanbul, che<br />

con la sua virtuosistica e mimetica abilità era alla base<br />

delle fortune dell’Albergo-Ristorante: già pochi giorni<br />

dopo l’entrata dell’armata di Badoglio a Addis Abeba<br />

aveva messo a punto delle tagliatelle al ragù di folgorante<br />

successo tra i nuovi arrivati.<br />

Donna linguisticamente ampia - oltre che fisicamente<br />

- a metà della terza bottiglia Madame Dressler aveva<br />

cominciato a parlare italiano: – Colonel Carruezzò, sapete<br />

che siete divertente?<br />

Solo dopo aver stappato una bottiglia di Porto vecchia<br />

di vent’anni, suo omaggio personale, si era allontanata<br />

ondeggiante dal tavolo dei due poliziotti.<br />

– Il sancta sanctorum, le abissali profondità… di<br />

fronte a loro la mente si perde.<br />

Con ostinazione alcolica Carruezzo tentava di riproporre<br />

le sue meditazioni sul Potere. Si erano trasferiti,<br />

lui e Serra, nella hall, seduti su due poltrone l’uno di<br />

fronte all’altro. Tra loro un tavolino basso, su cui era<br />

posata la bottiglia di Porto.<br />

– Il sancta sanctorum…<br />

Carruezzo si era alzato in piedi, con il bicchiere in<br />

mano e l’aria di chi sta per pronunciare un brindisi.<br />

36<br />

Aveva vacillato per un attimo, per poi ricadere seduto<br />

sulla poltrona con tutto l’impaccio dei suoi centoventi<br />

chili.<br />

– …la mente si perde…<br />

Il commissario fece per versarsi un altro bicchiere di<br />

Porto, ma Serra gli fermò la mano.<br />

– Colonel Carruezzò, mi complimento con voi per la<br />

promozione sul campo.<br />

– Per vostra norma, giovanotto, un commissario di<br />

prima classe ha un grado corrispondente al generale<br />

di brigata. General Carruezzò, avrebbe dovuto dire la<br />

bella signora.<br />

– Ma anche Colonel Carruezzò suona bene, certo meglio<br />

di Commissario di Prima Classe Eupremio Carruezzo.<br />

Quando poi a dirlo è una donna affascinante…<br />

“Colonel Carruezzò, que vous êtes sympathique.” L’avete<br />

conquistata.<br />

– Dite sul serio, Serra?<br />

– Non ci sono dubbi. Anzi sapete cosa penso, capo:<br />

che è il momento di osare.<br />

– Osare, osare… non saprei da dove cominciare ad<br />

osare.<br />

Intanto Madame Dressler veniva verso di loro; la seguiva<br />

un uomo piuttosto alto, di circa quarant’anni,<br />

con indosso un abito di lino dall’aspetto logoro, senza<br />

cravatta, e una barba di almeno due giorni.<br />

– Colonel Carruezzò, il commissario Oppo a demandé<br />

de vous, mi sono permessa di accompagnarlo<br />

perché non vi conosce personalmente.<br />

37


– Vi attendevo commissario, anche se non speravo<br />

di potervi incontrare il giorno stesso del nostro arrivo,<br />

– disse Carruezzo, mentre con movimenti macchinosi<br />

si alzava dalla poltrona in cui era sprofondato.<br />

– Se pensate sia meglio vederci domani…<br />

– Ma no commissario. Stasera va benissimo.<br />

Ora erano in tre attorno al tavolino basso e alla bottiglia<br />

di Porto. Madame Dressler si era allontanata e lo<br />

sguardo di Carruezzo aveva indugiato su di lei sino a<br />

quando le sue morbide sinuosità erano sparite dietro la<br />

porta a vetri della hall. Poi Carruezzo aveva chiuso gli<br />

occhi e aveva sospirato.<br />

A Serra il commissario Oppo ricordava qualcuno:<br />

chi fosse questo qualcuno però non gli veniva in mente.<br />

Gli occhi un po’ rossi e la pelle ingrigita gli davano<br />

un’aria malaticcia. Parlava lentamente, strascicando le<br />

parole:<br />

– …certo non sono stati molti quelli che hanno<br />

pianto la sua morte. Ai suoi funerali non c’era nessuno<br />

dei suoi compagni di baldoria, né delle sue amanti.<br />

Carruezzo socchiuse gli occhi e con tono ieratico:<br />

– Sic transit gloria mundi. – Sembrava essersi ripreso<br />

dalla sbronza. Versò del Porto nei bicchieri di Serra e<br />

Oppo, ma lasciò il suo vuoto.<br />

– Dunque… ad ucciderlo è stato un solo colpo di pistola…<br />

– attaccò Serra rivolto a Oppo.<br />

– Sì, una pistola, un colpo solo, anche se i proiettili<br />

esplosi potrebbero essere di più. Comunque, di altri<br />

proiettili non abbiamo trovato traccia. Quello fatale è<br />

38<br />

entrato nell’orecchio destro ed è uscito dal sinistro.<br />

Sparato quasi a bruciapelo con una traiettoria leggermente<br />

verso l’alto. È bastato un solo colpo a spappolargli…<br />

– Di questi particolari parlerete poi con Serra, – lo<br />

interruppe Carruezzo. – Vorrei capire piuttosto cosa<br />

ci faceva Bellassai lungo la strada che da Addis Abeba<br />

porta a Lechemti. E soprattutto cosa ci faceva alle due<br />

di notte, perché questa è l’ora presumibile del decesso,<br />

non è vero?<br />

– Questo dice il patologo, basandosi sulla testimonianza<br />

dei due abissini, due ascari della tredicesima<br />

brigata indigeni, che poco dopo l’alba hanno trovato<br />

Bellassai morto. Secondo loro, viso e mani dell’uomo<br />

erano fredde, mentre il resto del corpo conservava un<br />

certo calore…<br />

Carruezzo assunse un’espressione schifata: – Suppongo<br />

faccia parte degli usi locali palpeggiare i cadaveri<br />

che si trovano lungo la strada.<br />

– Il fatto è che i due ascari hanno all’inizio pensato<br />

che l’uomo riverso sul volante fosse ubriaco e solo dopo<br />

si sono accorti del fatto… anche perché le prime tracce<br />

di rigor mortis…<br />

– Sì… ditemi piuttosto se avete trovato impronte<br />

intorno all’automobile.<br />

– Intorno all’automobile no, o meglio impronte ce<br />

n’erano, ma talmente confuse e pasticciate… le uniche<br />

chiare erano a duecento metri dall’auto, le impronte di<br />

un camion, come se questo camion si fosse fermato e<br />

39


poi ripartito. Abbiamo fatto vedere le impronte a uno<br />

del ramo e c’ha detto che quel tipo di copertoni li monta<br />

il Fiat 634, capirete… come dire la metà almeno<br />

dei camion dell’Africa Orientale Italiana. Io qualche<br />

camionista che sta ad Addis Abeba l’ho anche fatto interrogare…<br />

una ventina, una trentina forse… non li<br />

ho neppure seguiti personalmente gli interrogatori,<br />

tanto lo sapevo dall’inizio che stavamo facendo un buco<br />

nell’acqua.<br />

– Il primo di una serie, a quanto pare. Suppongo vi<br />

siate chiesti perché Bellassai fosse per strada, a dieci<br />

chilometri da casa sua, in piena notte. La moglie, la<br />

moglie di Bellassai, cosa ha detto al riguardo?<br />

– Nulla di utile. Che il marito praticamente non aveva<br />

orari, poteva sparire per giorni. Le parlava di ragioni<br />

di servizio, di incarichi speciali.<br />

– Avete sicuramente verificato la natura di questi<br />

incarichi.<br />

– Di speciale negli incarichi svolti da Bellassai c’erano<br />

solo il menefreghismo e i ritardi con cui si presentava<br />

in servizio. Per il resto normale amministrazione.<br />

– Occorrerà parlare con la moglie di Bellassai. Serra,<br />

prendete nota.<br />

– Ho paura che non sia possibile, non qui ad Addis<br />

Abeba, comunque, – intervenne Oppo.<br />

– Cosa volete dire?<br />

– Che una settimana dopo i funerali la moglie di Bellassai<br />

era già partita per l’Italia.<br />

40<br />

– Non c’era modo di trattenerla?<br />

– Esserci ci sarebbe stato… ma sapete come vanno<br />

queste cose. La moglie di Bellassai è la figlia di un influente<br />

industriale. Lui, poi, è venuto dall’Italia a riprendersela.<br />

Ho fatto presente che le indagini avrebbero<br />

richiesto… D’altra parte, anche a sospettarla di<br />

avere ucciso il marito… insomma, per farla breve…<br />

aveva un alibi inattaccabile.<br />

Serra notò che nel procedere della conversazione il<br />

commissario Oppo aveva assunto un’espressione sempre<br />

più stanca e depressa. Come se altri pensieri, infelici,<br />

si sovrapponessero alle parole che pronunciava.<br />

Serra si chiese se fra dieci anni anche lui avrebbe avuto<br />

la stessa faccia da poliziotto triste. Si diede una cupa<br />

risposta: una faccia triste era il minimo che uno si<br />

doveva aspettare, facendo quel mestiere.<br />

– La moglie ha un alibi di ferro, d’accordo. Non mi<br />

dite però che dopo un mese d’indagini non avete tra le<br />

mani una pista da seguire, una traccia.<br />

C’era una certa irritazione nel tono di voce di Carruezzo,<br />

cui il commissario Oppo rispose quasi sbottando.<br />

L’espressione del volto - la piega della bocca, gli<br />

occhi stretti e infossati nelle occhiaie - tradiva, insieme<br />

al fastidio, un’amarezza profonda:<br />

– Capisco… avete parlato con sua Eccellenza Graziani…<br />

certo, è naturale che ci avete parlato. Lo so<br />

cosa si aspettano da me. Io però non posso mica inventarmi<br />

un colpevole. Se poi vogliono sbattere in galera<br />

uno purchessia, facciano pure. Sicuramente non<br />

41


hanno bisogno della mia autorizzazione. – Fece una<br />

specie di sorriso. – Volete sospetti dottor Carruezzo?<br />

Eccovene un’intera lista.<br />

Tolse da una tasca esterna della giacca alcuni fogli<br />

dattiloscritti irregolarmente piegati in quattro e li<br />

porse a Carruezzo.<br />

– Sarebbe?<br />

– È una relazione dettagliata sulle indagini. Leggete<br />

e capirete, capirete come sia stato difficile…<br />

42<br />

6<br />

Dopo l’incontro con l’ispettore, Carruezzo e Serra discussero<br />

a lungo.<br />

Quando Oppo gli aveva esibito la relazione dattiloscritta<br />

sul tavolino dell’Albergo-Ristorante Impero,<br />

Carruezzo l’aveva presa in mano. Solo una breve occhiata<br />

(“Leggerò con estrema attenzione”), poi l’aveva<br />

passata a Serra che se l’era messa in tasca dopo averla<br />

ripiegata ordinatamente.<br />

Aveva invece voluto ascoltarlo, Oppo, sulle indagini,<br />

e il commissario della PAI aveva indicato una sola<br />

direzione da seguire: il delitto passionale. Via le balle<br />

su improbabili incarichi speciali, avevano ficcato il naso<br />

tra le lenzuola di mezza Addis Abeba. Non che fosse<br />

stato difficile raccogliere informazioni: il tenente era<br />

uno che le sue conquiste le metteva in piazza, anche i<br />

particolari più sordidi, anzi soprattutto quelli. Persino<br />

il boy metteva al corrente delle sue imprese: raccontava<br />

e rideva. Una risata tronfia. Insomma: i sospetti erano<br />

diventati una lista di quattro persone. Persone che avevano<br />

avuto rapporti tempestosi o comunque complicati<br />

con il tenente Bellassai e che, allo stesso tempo, non<br />

erano stati in grado di produrre testimonianze del<br />

43


tutto convincenti sui loro movimenti la notte della<br />

sua morte. In gran parte dei casi, ad avvalorare gli alibi<br />

delle persone che avevano interrogato erano stati i<br />

rispettivi boy e servitori, ché non ci voleva nulla a<br />

comprare il silenzio di un abissino. I quattro della lista<br />

di organizzarsi, in quella circostanza, non avevano<br />

avuto la possibilità… “…O, più semplicemente,” aveva<br />

obiettato Carruezzo, “essendo del tutto estranei alla<br />

morte di Bellassai non gli serviva nessun alibi.” E Oppo<br />

a rispondergli che se voleva metterla in quel modo…<br />

Discussero a lungo Serra e Carruezzo, e Serra rimase<br />

sull’ipotesi che l’autore dell’omicidio potesse essere<br />

o un marito tradito o un’amante abbandonata.<br />

– Cioè a dire una banale italica questione di corna,<br />

– commentò Carruezzo con una smorfia di disgusto.<br />

– Se è questa la vostra congettura investigativa, – aggiunse<br />

piccato, – andate domani a interrogare la prima<br />

della lista di Oppo, la contessa Sinibaldi, che come<br />

amante abbandonata troverete certamente perfetta.<br />

– Quanto a lui, disse, sarebbe rimasto in albergo<br />

a riflettere.<br />

Così l’indomani Serra si fece trovare di buon’ora di<br />

fronte all’Albergo-Ristorante Impero, dove lo attendevano<br />

l’automobile e l’autista messi a sua disposizione<br />

dalla polizia locale. L’autista si chiamava Cicalò<br />

ed era stato prestato alla PAI dall’Esercito. Bruno e<br />

magro, parlava con un forte accento siciliano.<br />

44<br />

Erano da poco in automobile e le nuvole cominciarono<br />

a farsi nere e gonfie, finché esplosero d’un tratto,<br />

rovesciando violente raffiche d’acqua. Per qualche minuto<br />

la pioggia cadde fortissima. Poi, con la stessa velocità<br />

con cui era venuta, la tempesta finì e ritornò il<br />

sereno. Lungo la strada sterrata si succedevano squallide<br />

baracche e mucchi d’immondizie.<br />

– Ancora molto alla villa della contessa? – chiese<br />

Serra.<br />

– Pochi chilometri, – rispose l’autista.<br />

– Hai mai visto la contessa Sinibaldi?<br />

L’autista si voltò verso Serra stirando le labbra in un<br />

sorriso ironico.<br />

– Vista no, però…<br />

– Però?<br />

– Se ne sentono tante su di lei…<br />

– Ho capito, Cicalò. E del conte Sinibaldi sai qualcosa?<br />

– Che è quasi sempre in Italia. Dicono che non è soddisfatto<br />

di come si son messe le cose qui, che i suoi affari<br />

andavano meglio con il Negus. Dicono anche che la<br />

moglie se la faceva con Bellassai e che lui, il conte, non<br />

era contento, ma non per il motivo che si può pensare.<br />

Che la moglie andasse con altri, non gli dispiaceva. Anzi<br />

pare che gli piaceva guardare. Solo che a un certo<br />

punto lei si è innamorata di Bellassai e allora lui…<br />

– Cicalò, ma tu queste cose come le sai?<br />

– Me le riferisce un mio paesano. Uno di Licata.<br />

– Ma è affidabile questo tuo paesano, Cicalò?<br />

45


– Affidabilissimo, ispettore.<br />

La casa apparve dopo che l’automobile aveva abbandonato<br />

la strada principale e si era addentrata per qualche<br />

centinaio di metri in un bosco di eucaliptus. La villa,<br />

due piani di pietra grigia imponente, aveva sul fronte,<br />

al piano terra, un’ampia veranda con una copertura<br />

a tegole sorretta da pilastri in mattoni rossi ricoperti da<br />

glicini rampicanti. Ai piedi della casa, tutt’intorno, interrotto<br />

solo da grandi magnolie, un prato. Parcheggiata<br />

sul prato: una lucente Bugatti rossa.<br />

La contessa Sinibaldi gli venne incontro lungo il<br />

vialetto di ghiaia che attraversava il prato. Indossava<br />

pantaloni di lino bianchi, larghi, e una camicetta color<br />

crema a maniche corte. Teneva tra il collo e la spalla<br />

sinistra una piccola mangusta. Quando la mangusta,<br />

sfuggendo alla sua padrona, corse veloce nella direzione<br />

dell’ispettore, Serra fu prontissimo a sbarrarle<br />

la strada e ad afferrarla. Restituì la bestiola alla padrona<br />

di casa che, dopo averla presa tra le mani ed essersela<br />

avvicinata al petto, la baciò sul muso.<br />

– Anche se ha i baffi, Taitù è femmina, sapete. Come<br />

avete visto è molto sensibile alla presenza maschile. –<br />

Gli lanciò un sorriso smagliante.<br />

La contessa aveva poco meno di quarant’anni, capelli<br />

castano chiaro e ondulati, occhi grigi. Forse non era<br />

particolarmente bella ma sembrava abituata a comportarsi<br />

come se lo fosse.<br />

– Ispettore Serra, del Ministero dell’Interno. La mia<br />

visita dovrebbe esservi stata preannunciata.<br />

46<br />

– Ho ricevuto un autorevolissimo invito a rispondere<br />

con assoluta precisione a tutte le vostre domande.<br />

Sedettero in veranda su poltrone di vimini. A portata<br />

di mano un tavolino con un grammofono aperto e<br />

un disco sul piatto, oltre a un certo numero di bottiglie<br />

di liquori vari. La contessa domandò all’ispettore<br />

se voleva bere e Serra chiese un cognac. Per poter versare<br />

il cognac al suo ospite, la donna posò per terra la<br />

mangusta, che corse verso Serra e iniziò a leccargli le<br />

scarpe. – Avete fatto colpo, – disse la donna. – Si comporta<br />

così quand’è perdutamente innamorata. – Versò<br />

per sé un mezzo bicchiere di whisky e ne mandò giù<br />

un sorso. Poi, senza alzarsi, con un gesto preciso che rivelava<br />

una lunga abitudine, portò il braccio del grammofono<br />

sul bordo esterno del disco.<br />

A un breve attacco orchestrale, seguì la voce del cantante.<br />

La gelosia non è più di moda<br />

è una follia che non si usa più<br />

devi avere il cuor contento, stile Novecento<br />

per goder la gioventù.<br />

– Siete d’accordo che la gelosia non è più di moda?<br />

– chiese la donna.<br />

– Se devo essere sincero, per me non lo è mai stata…<br />

di moda, voglio dire.<br />

– Capisco, la gelosia è un sentimento da deboli,<br />

qualcosa che a un esponente della Polizia Politica…<br />

47


– Chi vi ha detto che sono della Polizia Politica?<br />

– Non è un mistero che voi e l’ingombrante signore<br />

con cui andate in giro per Addis Abeba siete della Politica.<br />

O pensavate che sareste passati inosservati?<br />

– È difficile che il mio capo passi inosservato.<br />

– Appunto. Come non notare un grasso signore attempato<br />

in tenuta da safari… tanto più se si accompagna<br />

a un bel giovanotto italiano. Vi ho visto tutti e<br />

due ieri sera al caffè Roma. Siete già famosi. Veramente<br />

incredibile il vostro capo… mi ricorda… mi ricorda…<br />

– …il Feroce Saladino?<br />

La contessa sorrise. Seguì una pausa, durante la quale<br />

la donna accese una sigaretta. Poi Serra, assunta<br />

quella che pensò potesse essere una convincente aria<br />

da poliziotto, disse:<br />

– Veniamo alla ragione della mia visita, contessa. So<br />

che siete già stata interrogata, ma vorrei sentire direttamente<br />

da voi come andarono le cose quella notte,<br />

la notte che Bellassai è stato ucciso. C’era un ricevimento,<br />

qui a casa vostra…<br />

– C’era un ricevimento, c’erano molti invitati, c’era<br />

il tenente Bellassai e c’ero io, naturalmente… comunque,<br />

caro ispettore, ho paura di valere ben poco come<br />

testimone di quella serata.<br />

– Cosa intendete dire?<br />

– Che ero in uno stato di sovreccitazione alcolica.<br />

Ho ricordi piuttosto confusi.<br />

– Qualcosa comunque è successo. Non è stata una<br />

48<br />

serata qualsiasi, voglio dire… a parte la morte del tenente.<br />

– Se intendete riferirvi al pesante vaso di cristallo<br />

che ho lanciato addosso al tenente Bellassai… in effetti<br />

questo lo ricordo. Come ricordo benissimo di<br />

averlo mancato… purtroppo.<br />

– Scusate contessa, ma è una domanda che non posso<br />

evitarvi: quali erano i rapporti tra voi e il tenente?<br />

– Siamo stati amanti.<br />

– Non lo eravate più, dunque.<br />

– Duilio era un amante… come definirlo?… intermittente?…<br />

c’era e non c’era, a seconda di dove lo portavano<br />

il vento e le circostanze, e le circostanze ultimamente<br />

l’avevano portato lontano da me.<br />

Nel tono di consumata mondanità della contessa, a<br />

Serra parve si fosse insinuata una nota di stanchezza.<br />

La stessa stanchezza che provava lui, ora, a farle quel<br />

tipo di domande.<br />

– Dove vi trovavate quando il tenente è stato ucciso?<br />

– Se è un alibi che vi aspettate, ho paura di dovervi<br />

deludere. Dopo il lancio del vaso, il tenente Bellassai<br />

ha pensato bene di lasciarci. Lo ha fatto con la sua automobile.<br />

Dopo qualche minuto, ho deciso di andargli<br />

dietro con la mia, cosa che sicuramente vi potranno<br />

confermare tutti i presenti. Qualcuno si è anche<br />

offerto di accompagnarmi, ma io ho voluto andare da<br />

sola a cercarlo. Ho girato per ore, aspettandomi di vedere<br />

la sua Aurelia parcheggiata vicino a uno dei po-<br />

49


sti che gli erano abituali. Sono passata di fronte alla<br />

sua bisca preferita, di fronte a casa sua persino… sono<br />

passata da molte altre parti, anche se non so ricostruire<br />

con esattezza i giri che ho fatto, ma dell’automobile<br />

di Duilio nessuna traccia. Quando sono tornata a<br />

casa erano quasi le cinque. A quell’ora, a quanto mi ha<br />

detto poi il commissario Oppo, Duilio era già stato<br />

ucciso.<br />

– C’è un punto nei verbali d’interrogatorio su cui<br />

vorrei tornaste: è il momento in cui a Bellassai che se<br />

ne andava da casa vostra avreste gridato “lo so che vai<br />

a raggiungere quella puttana negra”, o qualcosa del<br />

genere.<br />

– Non qualcosa del genere, ho usato proprio quelle<br />

parole. Vi scandalizza, ispettore?<br />

– Sono altre le cose che mi scandalizzano. A chi vi<br />

riferivate, comunque?<br />

– A una abissina vestita all’europea che qualche giorno<br />

avevo intravisto con lui in automobile. Non so nulla<br />

di lei, a parte il fatto che sembrava molto bella.<br />

– Vi è bastato questo per esserne gelosa.<br />

– C’è n’era d’avanzo per esserne gelosa.<br />

50<br />

7<br />

Per Eupremio Carruezzo le lettere anonime costituivano<br />

una vera e propria passione. Sia che le esaminasse<br />

col piglio dello studioso (le definiva allora “lo<br />

specchio segreto in cui si riflettono le tendenze riposte<br />

del corpo sociale”) o le leggesse con la golosa curiosità<br />

del pettegolo, non ce n’era una che non ritenesse<br />

degna della sua attenzione. Serra poteva dirsi anche<br />

lui, dopo tre anni passati al fianco di Carruezzo,<br />

un esperto in lettere anonime, ma non riusciva a nascondere<br />

un naturale disgusto nei loro confronti. “Siete<br />

uno snob e un moralista” lo rimproverava il suo capo.<br />

Era uno degli argomenti per cui poteva scaldarsi: “Voi<br />

volete le mani pulite, che siano gli altri a scavare nel<br />

fango. Invece è proprio questo che l’indagine poliziesca<br />

è chiamata a fare, rovistare tra le immondizie”. “Avete<br />

ragione, cavaliere” diceva allora Serra: “Non sarò mai<br />

un vero poliziotto.”<br />

Fu appunto una lettera anonima, dopo quattro giorni<br />

che stavano ad Addis Abeba, a dare un certo corso alle<br />

indagini, ma non si seppe mai chi l’avesse scritta e<br />

tantomeno il perché. Tutte le spiegazioni si dimostrarono<br />

alla fine inconsistenti, salvo forse quella che<br />

51


attribuiva la lettera a una interferenza del SIM, del Servizio<br />

di Informazione Militare cioè, o di uno dei tanti<br />

Uffici “I” (“I” come “Informazioni”) che proliferavano<br />

in quegli anni e di cui nessuno, a cominciare dalla<br />

Presidenza del Consiglio e arrivando sino al Ministero<br />

della Marina, sembrava volersi privare. Con la<br />

conseguenza di sgomitare l’uno con l’altro, con grande<br />

scapito dell’interesse del Servizio. La lettera anonima,<br />

chiunque l’avesse scritta, pose Carruezzo e Serra<br />

di fronte ai fatti di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>.<br />

Serra la vide nelle mani di Carruezzo mentre sedevano<br />

nella sala da pranzo dell’Albergo Impero.<br />

Non era stato particolarmente cauto l’autore della<br />

lettera: si era affidato a una grafia svolazzante e fantasiosa,<br />

che scorreva su una carta trasparente di un inconsueto<br />

giallo paglierino: profumata.<br />

– Violetta di Parma, – sentenziò Carruezzo. – Osservate<br />

poi il garbo con cui è scritta l’intestazione sulla<br />

busta: Al Cavalier Eupremio Carruezzo. La grafia, poi, è<br />

tipicamente femminile. Chiunque ha scritto questa lettera<br />

vuole farci pensare sia opera di una donna.<br />

– Magari è proprio opera di una donna, – interloquì<br />

Serra.<br />

– In questo caso una donna che vuole farci sapere di<br />

essere una donna.<br />

– Una donna e basta, lo escludiamo… vero cavaliere?<br />

– Vedete Serra, le lettere anonime non sono quella<br />

grossolana spazzatura che voi amate pensare. O perlomeno<br />

sono spazzatura, ma…<br />

52<br />

– …è proprio in questa spazzatura che noi poliziotti<br />

dobbiamo mettere le mani.<br />

– Visto che sapete così bene la lezione, vedete ora di<br />

applicarla al caso concreto. – Carruezzo poggiò la lettera<br />

sul tavolo, di fronte a Serra, e puntò l’indice sulle<br />

righe iniziali: – Leggete.<br />

– …quella bestia, porco, maiale di Bellassai…<br />

– Saltate i convenevoli, qualche riga più avanti.<br />

– Lo sanno tutti qui ad Addis Abeba che Bellassai era<br />

uno dei vostri, uno dell’Ovra, che lui era il primo a vantarsene<br />

con tutte le sgualdrine smorfiose, bianche e nere, che c’aveva<br />

attorno…<br />

– Fermiamoci qui, per ora. Ebbene?<br />

– Il linguaggio è vivace, la sintassi francamente deplorevole.<br />

– Questo il Serra critico letterario. Il Serra poliziotto<br />

ha anche lui qualcosa da dire?<br />

– Il riferimento alle sgualdrine, alle sgualdrine bianche<br />

e nere…<br />

Carruezzo sollevò le sopracciglia: – Ebbene?<br />

– La lettera conferma il fatto che Bellassai pescava<br />

anche tra le indigene.<br />

– Quello di pescare tra le indigene, come dite voi,<br />

rappresenta lo sport preferito dei nostri valorosi coloniali,<br />

una vera razza di conquistatori non c’è che dire.<br />

Non vedo bene perché Bellassai dovesse fare eccezione.<br />

– Eppure mi sono fatto l’idea… Ricordate ciò che<br />

mi ha detto la contessa Sinibaldi a proposito di una<br />

abissina in compagnia di Bellassai?<br />

53


– Insomma, Serra, siamo al solito cherchez la femme,<br />

con la novità che questa volta la femme in questione è<br />

nera. Piuttosto, vi sembra credibile che Bellassai si<br />

presentasse a destra e a manca come un nostro agente?<br />

– Perfettamente credibile, visto il personaggio.<br />

Carruezzo alzò gli occhi al cielo e allargò le braccia<br />

in un gesto di rassegnata impotenza:<br />

– Il reclutamento non è più quello di una volta. Si<br />

moltiplicano le operazioni e ci vogliono agenti dappertutto.<br />

È chiaro che il livello ne soffre… ma torniamo<br />

alla nostra lettera… ecco, questo è il punto più importante:<br />

Caro commissario Carruezzo, voi volete sapere chi l’ha<br />

ammazzato quel porco. Questo però non ve lo dico, se no che<br />

commissario siete se non dovete indagare. Una cosa sola vi dico:<br />

andate a parlare con una specie di strega che abita nel villaggio<br />

di Uorchè Michael, la strega si chiama Malkam<br />

Ayyahou. Lei, sicuramente, qualcosa vi dirà. Questo è tutto:<br />

un vostro commento, Serra…<br />

– Se fossimo in un film, direi che ci vogliono attirare<br />

in un agguato.<br />

– Non siamo in un film, Serra, non ancora, almeno.<br />

Proprio in quel momento un uomo alto e biondo si<br />

avvicinò ai due poliziotti con un bicchiere in mano. Riconobbero<br />

in lui uno del gruppo di giornalisti che nella<br />

sala da pranzo dell’Albergo Impero regolarmente cenava<br />

su un tavolo al centro della sala. Sempre gli stessi,<br />

come Serra e Carruezzo avevano direttamente avuto modo<br />

di notare, anche se ognuno di nazionalità diversa,<br />

come invece avevano appreso da Madame Dressler.<br />

54<br />

– Percy Hitchens, dell’agenzia Reuter, – si presentò<br />

l’uomo. – Discutevamo, io e i miei colleghi, di annate<br />

e marche di Porto. La discussione si è fatta accesa<br />

e abbiamo pensato allora che dei giudici esterni…<br />

– L’uomo parlava un buon italiano, anche se con una<br />

spiccata pronuncia inglese.<br />

– Nessuno di noi due può dire d’intendersene, – si<br />

schermì Carruezzo.<br />

– Qualche sera fa abbiamo notato al vostro tavolo<br />

un Cockburn… un’autentica raffinatezza.<br />

– Il Cockburn è stata un’idea della nostra Madame<br />

Dressler.<br />

– La splendida Madame Dressler… come faremo<br />

senza di lei? – Hitchens accompagnò quelle parole col<br />

gesto di mettere una mano al petto.<br />

– Comunque, se vi accontentate di due modesti rustici<br />

degustatori, non saremo certo noi a sottrarci…<br />

vero Serra? A proposito, Luciano Serra, un mio collaboratore…<br />

io mi chiamo Eupremio Carruezzo.<br />

Nel frattempo si erano avvicinati al tavolo anche gli<br />

altri giornalisti.<br />

– For Popotakis… hip, hip… hurrà! – disse uno di<br />

loro dalla barba rossa. – Brindisi per Popotakis, oggi<br />

festa di Popotakis. – L’uomo era alticcio e il suo italiano<br />

suonava approssimativo.<br />

– Viva Popotakis allora, – fece Carruezzo sollevando<br />

a sua volta il bicchiere, – anche se devo confessarvi, signori,<br />

di non sapere minimamente chi sia.<br />

– Prima che arrivaste voi italiani ad Addis Abeba,<br />

55


il locale di Popotakis era molto popolare, popolare tra<br />

noi corrispondenti esteri, voglio dire. – A parlare per<br />

tutti i suoi compagni era stato questa volta Hitchens.<br />

– You know table tennis, giocavamo al table tennis dal<br />

grande Popotakis, – intervenne l’uomo dalla barba<br />

rossa e iniziò a saltellare, mimando i gesti del pingpong.<br />

– Io champion su tutti i corrispondenti fare-nulla<br />

tutto il giorno di Africa Orientale… voi capire champion?<br />

– Sollevò le braccia verso l’alto, con i pugni stretti<br />

e gonfiando i bicipiti.<br />

Si fece avanti un altro dei giornalisti: – Io champion<br />

di boxing, pugilato, – disse e mostrò il dente d’oro che<br />

aveva al posto di un incisivo superiore. – Perso e non<br />

più ritrovato in discussione con collega svedese per difendere<br />

l’onore del mio grande compatriota Popotakis.<br />

Collega svedese sostiene che in whisky di Popotakis<br />

sette parti su dieci acqua: io sicuro di Popotakis, non<br />

più di metà del suo whisky acqua.<br />

– For Popotakis… hip, hip… hurrà.<br />

56<br />

8<br />

L’incontro con la strega Malkam Ayyahou ebbe luogo<br />

tre giorni dopo. Tre giorni passati da Serra dietro<br />

a ufficiali e funzionari per ottenere le autorizzazioni<br />

necessarie ad uscire da Addis Abeba.<br />

Con l’auto messa a disposizione dalla PAI e guidata<br />

da Cicalò, Serra e Carruezzo avevano iniziato il<br />

viaggio di buon mattino. Per qualche tempo la strada<br />

era corsa larga e regolare, poi l’asfalto aveva ceduto a<br />

uno sterrato fangoso, lungo il quale procedevano ora<br />

con cautela. A quell’andatura avrebbero raggiunto il<br />

villaggio di Uorchè Michael in meno di mezz’ora.<br />

Queste, almeno, le previsioni di Cicalò. Serra era seduto<br />

al suo fianco, mentre Carruezzo stava nel sedile<br />

posteriore.<br />

– Toglimi una curiosità, Cicalò, – disse Serra.<br />

– Comandi dottore.<br />

– Com’è che hai imparato l’amarico?<br />

– Non è proprio che l’ho imparato: più o meno lo<br />

capisco, e un po’ mi faccio capire.<br />

– Sì, ma chi te l’ha insegnato?<br />

– Frequento i corsi dei Missionari della Consolata.<br />

– E la pratica? Troverai pure modo di fare pratica?<br />

57


– Per la pratica ci si arrangia…<br />

– Ci si arrangia come?<br />

– Quel che vuol dire il giovanotto è fin troppo chiaro,<br />

Serra, non lo state a sfrugugliare. Rischiate di distrarlo<br />

dalla guida.<br />

Erano le prime parole di Carruezzo da che avevano<br />

messo piede nell’automobile. All’inizio non aveva fatto<br />

altro che spostarsi da un finestrino all’altro, gettando<br />

fuori brevi e nervose occhiate. Poi, dopo che la<br />

strada aveva preso a salire incassata nella montagna, si<br />

era rincantucciato in un angolo, quasi volesse tenersi<br />

lontano dai paurosi precipizi che si aprivano sotto di<br />

loro. Incrociarono lungo la strada una fila di donne<br />

che reggevano sulla testa grandi ceste ricoperte di un<br />

drappo rosso. Cicalò spiegò che il drappo rosso serviva<br />

a tenere lontano il malocchio.<br />

Entrarono a Uorchè Michael nel pomeriggio inoltrato.<br />

Altro non era il villaggio che l’incrocio di due<br />

strade, sul quale si affacciavano alcune baracche di legno,<br />

di cui la più grande fungeva da emporio e insieme<br />

da osteria. Intorno, qualche decina di capanne con i<br />

tetti di paglia anneriti dal fumo. Ai margini del villaggio<br />

grandi macchie di letame, circondate da siepi<br />

spinose, indicavano i pascoli per il bestiame. Sola presenza<br />

visibile quella di una vecchia dagli occhi spiritati,<br />

i bianchi capelli a cespuglio, che postasi al fianco<br />

di Carruezzo lo accompagnò lungo tutta la strada,<br />

mimando con gesti buffoneschi la pancia di una donna<br />

incinta.<br />

58<br />

L’interrogatorio del gestore dell’emporio-osteria, condotto<br />

da Cicalò in amarico, si rivelò più complicato<br />

del previsto. Sino a un certo punto la conversazione<br />

era parsa scorrere fluida e l’etiope, un uomo già vecchio<br />

nei tratti ma svelto nei movimenti, sembrava rispondere<br />

prontamente alle domande dell’autista. Ciò<br />

che pareva strano, man mano che il colloquio s’infittiva,<br />

era il fatto che l’etiope più volte, mentre parlava,<br />

avesse indicato Carruezzo e in una occasione gli si<br />

fosse anzi rivolto direttamente, puntandogli contro<br />

un dito accusatore.<br />

– Ebbene, Cicalò? – chiese Serra, quando gli parve<br />

che quel complesso scambio di opinioni avesse avuto<br />

termine.<br />

– Tutto a posto, dottore.<br />

– Che vuol dire tutto a posto?<br />

– Mi ha indicato il tucùl della donna che cerchiamo,<br />

Malkam Ayyahou, la strega insomma.<br />

– E tu, per farti indicare dove sta di casa uno dei<br />

quattro abitanti di questo infelice villaggio, impieghi<br />

più di mezzora?<br />

– Il vecchio ha tenuto a spiegarmi gli usi e costumi<br />

del posto, non la finiva mai.<br />

– Tu sei reticente, Cicalò, – disse Serra.<br />

– È chiaro che il vecchio ce l’aveva con me, – intervenne<br />

grave Carruezzo, – e voi, giovanotto, ne conoscete<br />

la ragione.<br />

– Cose da selvaggi, cavaliere, non vale neppure la<br />

pena…<br />

59


– Cicalò! – tuonò Serra.<br />

– Il vecchio è terrorizzato dall’occhio del cavaliere…<br />

ma forse non ho capito bene, anzi sicuramente non ho<br />

capito bene.<br />

– Di quale occhio parli, eppoi cos’hanno di speciale<br />

gli occhi del cavaliere?<br />

Serra si rese subito conto di quanto potessero suonare<br />

incaute e persino irridenti le parole che aveva appena<br />

pronunciato. Ciò che più l’aveva colpito di Carruezzo,<br />

la prima volta che l’aveva incontrato, erano i<br />

suoi occhi grandi e sporgenti e il modo in cui se ne<br />

serviva a mo’ di periscopi scrutando cose e persone<br />

che gli stavano intorno.<br />

– Sì, Cicalò, cos’hanno di speciale i miei occhi? – Rivolgendosi<br />

al soldato, Carruezzo glieli puntò addosso.<br />

Cicalò sostenne lo sguardo:<br />

– Traduco alla lettera, cavaliere. Voi, secondo il vecchio,<br />

avete “l’occhio stupratore”. Gli ho domandato cosa<br />

volesse dire e lui ha risposto che l’occhio stupratore,<br />

fissandosi anche solo per un attimo sul ventre di una<br />

donna, può metterla incinta. Cosa vi dicevo, cavaliere,<br />

idee da selvaggi… comunque ha chiesto che voi indossiate<br />

degli occhiali da sole, pare che con gli occhiali<br />

da sole l’effetto diminuisca.<br />

– Ma quale effetto! Quali occhiali da sole! Che vai<br />

dicendo, Cicalò!? – intervenne Serra.<br />

Per qualche minuto il vecchio etiope era rimasto in<br />

disparte, forse attendendo che il soldato italiano potesse<br />

spiegare ai suoi compagni di viaggio la gravità<br />

60<br />

del pericolo. A un certo punto, però, come un fiume<br />

in piena che nessuna diga può fermare, si lanciò in un<br />

lungo discorso che dai toni e dai gesti pareva essere<br />

una elaborata maledizione rivolta al cavaliere. Poi, se<br />

ne uscì a grandi passi dalla baracca.<br />

– Traducete, Cicalò, – ordinò perentorio Carruezzo.<br />

– Questo volta parlava molto in fretta, ho capito<br />

poco… ha parlato di nuovo degli occhiali e ha detto<br />

che era suo dovere dare l’allarme tra le vergini del villaggio.<br />

– Credo che dovremmo andare dalla nostra Malkam<br />

Ayyahou, – disse allora Carruezzo. Ma prima di avviarsi<br />

all’uscita della baracca, tolse da una tasca interna<br />

della giacca degli occhiali dalle lenti scurissime.<br />

– Come mi stanno, Serra? – chiese indossandoli.<br />

– Misterioso e impenetrabile, cavaliere, – rispose<br />

Serra.<br />

Attraversarono il villaggio senza dire una parola.<br />

Cicalò davanti, a fare da guida, Serra in retroguardia<br />

e Carruezzo nel mezzo. Il villaggio sembrava deserto,<br />

ma dall’interno di alcune capanne udirono distintamente<br />

concitate voci femminili.<br />

* * *<br />

La vecchia si distingueva dalle altre donne anche<br />

per una fascia rossa, che portava a stringere in vita la<br />

chamma, la toga abissina. Un braciere spandeva incenso,<br />

mentre una lampada a petrolio illuminava a<br />

61


malapena il centro della stanza, creando grandi ombre<br />

ai suoi angoli. Un tamburo dava ritmo al canto di<br />

un gruppo di donne in piedi attorno alla vecchia seduta<br />

su una sorta di trono di fango secco. Quando i<br />

tre italiani si furono avvicinati, il canto si interruppe<br />

e la vecchia con la fascia rossa cominciò a parlare.<br />

– Dice di chiamarsi Malkam Ayyahou, – fu pronto a<br />

tradurre Cicalò, – e di poter evocare le potenze invisibili,<br />

gli zar. Dice che prima che noi arrivassimo lo zar<br />

Sayfu… si è impossessato di una delle adepte della<br />

confraternita e ha parlato. Dice che lo spirito ci attendeva<br />

e che tra poco parlerà di nuovo.<br />

– Chiedile chi l’ha avvertito del nostro arrivo, – intervenne<br />

Carruezzo.<br />

– Nessuno l’ha avvertito, – tradusse Cicalò.<br />

– Si può chiedere qualcosa a questo zar?<br />

– A nessuno è permesso porre domande agli spiriti,<br />

dice la vecchia. Tutto ciò che possiamo avere da loro è<br />

la parola che essi intendono darci… – Cicalò si interruppe.<br />

– Non riesco a capire, traduco alla lettera… i<br />

fratelli governeranno i propri fratelli, i figli nascosti da<br />

Eva agli occhi di Dio governeranno su quelli che lei ha<br />

mostrato… gli zar, dice, sono discendenti dei figli nascosti…<br />

ve ne sono cristiani e mussulmani, maschi e<br />

femmine, re e servi, bisogna non offenderli, far la pace<br />

con loro, sono come creditori a cui dobbiamo pagare i<br />

nostri debiti.<br />

– Non ti seguo, Cicalò: perché ci considerano loro<br />

debitori? – disse Carruezzo.<br />

62<br />

– Debitori, cavaliere, tutto qua, siamo loro debitori<br />

e s’incazzano se non li paghiamo.<br />

Nel frattempo era ripreso il canto, accompagnato<br />

questa volta da un ritmico battito di mani. Una delle<br />

donne che stavano attorno al trono si staccò dal gruppo<br />

e, sollevando i lembi laterali della veste, i piedi immobili<br />

e le ginocchia rigide piegate verso terra, prese a far<br />

oscillare violentemente la testa e il corpo, prima da destra<br />

a sinistra e poi alternativamente, avanti e indietro.<br />

Dal suo trono la vecchia disse qualcosa che Cicalò tradusse<br />

come un invito ad accogliere lo zar Sayfu. Obbedendo<br />

all’invito, le donne si fecero intorno alla danzatrice,<br />

inchinandosi cerimoniosamente davanti a lei quasi<br />

si trattasse di un nuovo ospite. Ora la danzatrice roteava<br />

gli occhi, mentre uno spasmo le faceva irrigidire<br />

i muscoli del basso ventre. Poi cominciò a parlare. Parlava<br />

in italiano, con voce strascicata.<br />

– Voleva essere un monaco di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>: per<br />

questo aveva abbandonato la tua casa, o donna, e meglio<br />

avrebbe fatto a restarvi… ma chi poteva immaginare<br />

che un’orda di demoni avrebbe sconvolto quel<br />

luogo di santità e di pace? Quando i soldati italiani sono<br />

arrivati la prima volta a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, solo i più<br />

giovani e inesperti tra i monaci si son fatti sorprendere<br />

nei loro tucùl, poveri uccellini implumi che non sanno<br />

volar via dal nido, …li hanno radunati nella foresta e<br />

tra loro c’è tuo figlio… uno dei diavoli bianchi grida:<br />

“Vi uccideremo tutti, voi che avete attentato alla vita<br />

del Viceré,” poi si avvicina a tuo figlio e gli mette in<br />

63


occa la canna di una pistola… “Parla,” gli dice, “dove<br />

sono gli altri monaci?” …trema, lui che ancora poco<br />

tempo fa si nascondeva sotto la tua veste durante i temporali…<br />

ma ora il soldato è preso da un altro pensiero<br />

e dice: “Non abbiamo nulla contro di voi tornate in<br />

pace al vostro monastero” …ora parla con voce calma e<br />

suadente: “Il tenente Bellassai dà la sua parola d’onore<br />

che ai monaci che faranno ritorno al monastero non<br />

sarà torto un capello.”<br />

A un certo punto le parole della danzatrice cominciarono<br />

a farsi sempre più rade e incomprensibili, come<br />

se l’energia da cui era posseduta si andasse spegnendo.<br />

Una delle donne in cerchio intorno a lei (una<br />

donna che aveva seguito il racconto con gli occhi chiusi<br />

e portando la mano all’orecchio destro in un tragico<br />

gesto di sofferenza) si fece avanti e disse qualcosa in<br />

amarico che Cicalò tradusse ai suoi compagni come un<br />

invito allo zar a continuare il suo racconto. La danzatrice<br />

parve allora rianimarsi e con le mani aggrappate<br />

alle cosce diede nuovo impulso alle oscillazioni del<br />

tronco. Infine riprese a parlare.<br />

– I soldati sono tornati il dodici di Genbot, il giorno<br />

più santo nella vita di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, quando preti,<br />

monaci e novizi accorrono tutti al santuario… man<br />

mano che i monaci giungono li trascinano tutti dentro<br />

la chiesa di San Tekle Haymanot… tuo figlio è ora là<br />

rinchiuso nella chiesa con centinaia di altri, monaci e<br />

novizi, ha paura, ma gli dà coraggio il vecchio monaco<br />

che per tutta la notte legge il racconto della vita del<br />

64<br />

santo… l’indomani, alle prime luci del giorno, vengono<br />

tutti portati nel campo di Chagel, dove altri si aggiungono<br />

e raccontano di numerosi monaci uccisi nei<br />

loro tucùl, raccontano pure di un gruppo di storpi fucilati<br />

sulle rive del fiume Goniit e lasciati cadere nelle<br />

sue acque… ma deve levarsi una nuova alba prima che<br />

si compia il grande massacro… tuo figlio, donna, viene<br />

interrogato insieme a centinaia di altri: il giovanetto<br />

non capisce e, quasi non fosse questo il motivo per cui<br />

i diavoli lo uccideranno, non fa nulla per nascondere la<br />

sua condizione di novizio del monastero di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>…<br />

lo tradisce il suo cappelluccio da monaco, che<br />

indossa con orgoglio… povero uccellino, si fosse finto<br />

una testa-nuda forse si sarebbe salvato! …poi li caricano<br />

a gruppi sugli autocarri: il fanciullo conta quaranta autocarri<br />

prima che tocchi a lui essere trascinato via… li<br />

portano in uno spiazzo lungo le rive di un fiume in<br />

secca e sono mille i monaci di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> che attendono<br />

di morire… a gruppi di quindici vengono fatti<br />

allineare su uno sperone di roccia… sono uomini neri<br />

quelli che sparano ma è bianco chi ordina “Fuoco” …tuo<br />

figlio vede tutto, o donna, vede le gambe dei suoi compagni<br />

vacillare, vede i loro corpi cadere senza vita nel<br />

greto del torrente, e vede il diavolo, sì proprio lui, il<br />

diavolo, quel Bellassai, aggirarsi tra i fucilati e finirli<br />

con un colpo di pistola alla testa, vede poi ricoprire i<br />

loro corpi con un leggero strato di terra così che non sarà<br />

poi difficile per iene e avvoltoi divorare quelle povere<br />

carni… tuo figlio, povero uccellino implume, vede<br />

65


tutto questo, lui vede da vivo, per mille volte, la sua<br />

stessa morte, muore mille volte prima di morire…<br />

66<br />

9<br />

In conseguenza miei ordini generale Maletti oggi at<br />

ore tredici habet fatto passare per le armi duecentonovantasei<br />

monaci compreso vicepriore et altre ventitré<br />

persone complici.<br />

(telegramma di Graziani, Viceré d’Etiopia, al ministro<br />

dell’Africa Italiana del 21 maggio 1937, n °<br />

25876)<br />

Risultando anche complicità diaconi, ho ordinato<br />

che essi in numero di centoventinove fossero passati<br />

per le armi at Debra Breham. In tal modo del convento<br />

di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> non rimane più traccia.<br />

(telegramma di Graziani, Viceré d’Etiopia, al ministro<br />

dell’Africa Italiana del 27 maggio 1937, n °<br />

27136)<br />

67


68<br />

10<br />

Serra, a fianco del guidatore, si voltò per chiedere al<br />

commissario se per caso non fosse stanco. Carruezzo<br />

grugnì qualcosa che Cicalò interpretò come l’ordine di<br />

avviare il motore. Poi silenzio, mentre l’automobile,<br />

solcando il buio, percorreva la strada verso Addis Abeba.<br />

A un certo punto Serra ebbe l’impressione che il suo<br />

capo stesse dormicchiando, ma fu proprio allora che<br />

Carruezzo si chinò verso di lui e gli chiese:<br />

– Le vostre valutazioni, Serra.<br />

– Vi riferite a ciò che è successo dentro la capanna?<br />

– Proprio a quello.<br />

– Cosa dire? Una soffiata dall’oltretomba. Mai visto<br />

nulla del genere!<br />

– Mai assistito a una trance? Eppure è un fenomeno<br />

ben conosciuto, e non solo tra i primitivi.<br />

– Se vi riferite a tavolini che ballano e a vecchie matte<br />

che parlano con i morti, è capitato anche a me di partecipare<br />

a sedute spiritiche. Qui però non ho sentito<br />

puzza di imbroglio, o perlomeno se imbroglio c’era, era<br />

di un tipo diverso.<br />

– Diverso come?<br />

– Tutta la messinscena aveva un scopo evidente: di<br />

69


dirci che a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> è successo… l’avete sentita<br />

anche voi la storia: i monaci rinchiusi a centinaia nella<br />

chiesa, le fucilazioni di massa, i cadaveri alla rinfusa<br />

nel greto del fiume.<br />

– Insomma, vi state chiedendo cosa ci sia di vero in<br />

quel racconto?<br />

– Voi no, cavaliere?<br />

– Non ho bisogno di chiedermelo. Al Ministero dell’Interno<br />

sapevamo di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, anche se le proporzioni<br />

della faccenda non sono certo quelle…<br />

– Volete dire che mille non bastavano e che di monaci<br />

ne abbiamo massacrato duemila, o magari tremila…<br />

in queste cose, si sa, è difficile fermarsi.<br />

– Volevo dire il contrario. Esiste un telegramma di<br />

Graziani al Ministero dell’Africa Italiana che parla<br />

dell’esecuzione di duecentonovantasei monaci e ventitrè<br />

laici. Insomma, c’era stato un attentato e una risposta<br />

bisognava pur darla… certo, la misura… sì, la<br />

misura della risposta si può forse discuterla. D’altra<br />

parte i monaci di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> erano sospetti di connivenza<br />

nell’attentato contro il viceré.<br />

– Tutti i duecentonovantasei monaci e i ventitrè<br />

laici, cavaliere? Tutti sospetti? Una cospirazione ben<br />

ramificata, non c’è che dire.<br />

Alla battuta di Serra, Carruezzo assunse l’espressione<br />

del vecchio saggio paziente, accompagnandola con<br />

un tono di voce tra l’affettuoso e il didattico:<br />

– Il contesto, Serra, come spesso vi capita non considerate<br />

il contesto. E qui il contesto è decisivo se si<br />

70<br />

vuol capire. Credete veramente che ci hanno mandato<br />

qui per indagare su una questione di corna?<br />

– Cosa devo credere, cavaliere? Ditemelo voi cosa<br />

devo credere.<br />

Carruezzo prese un’aria sacerdotale: – Il ruolo di<br />

Bellassai, ecco quello che ci interessa: il ruolo che ha<br />

avuto e in favore di chi ha giocato il suo ruolo.<br />

– Continuo a non capire.<br />

– Prendiamola da un altro lato. C’è chi nel governo<br />

auspica un cambio della guardia qui in Etiopia. Non<br />

tutti sono soddisfatti del modo in cui si muove Graziani:<br />

al Ministero dell’Africa Italiana, ad esempio,<br />

non sono contenti dell’operato del viceré e quel che è<br />

successo a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> non li ha certo resi più soddisfatti.<br />

Insomma, potremmo essere ad una svolta nella<br />

nostra politica in Africa Orientale, potremmo essere<br />

agli esordi di una fase nuova nei rapporti con gli<br />

indigeni, una fase nuova che non prevede Graziani come<br />

viceré.<br />

– Continuo a non vedere che ruolo possa avere avuto<br />

Bellassai in tutto questo.<br />

– Ponetevi questa domanda. Com’è che lo troviamo<br />

a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>? A quanto ci risulta non aveva un<br />

ruolo operativo.<br />

– Il racconto della posseduta lascia anzi l’impressione<br />

che non solo Bellassai abbia voluto esserci ma<br />

abbia anche voluto far sì che la sua presenza non passasse<br />

inosservata.<br />

– Ecco che avete afferrato, Serra.<br />

71


– Mi spiace deludervi ma credo di non aver afferrato<br />

un bel nulla, cavaliere.<br />

– Non avete ancora afferrato perché è appunto questo<br />

il nodo che siamo chiamati a sciogliere. Quando<br />

avremo capito il motivo della presenza di Bellassai a<br />

<strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> saremo vicini alla soluzione del caso.<br />

– Vi vedo fiducioso, capo. Tuttavia, non può esservi<br />

sfuggito che nell’unico passo in avanti delle nostre indagini<br />

- la scoperta della presenza di Bellassai a <strong>Debrà</strong><br />

<strong>Libanòs</strong>, cioè - siamo stati per così dire condotti<br />

per mano. Ci siamo arrivati, perché qualcuno ha voluto<br />

che ci arrivassimo: prima la lettera anonima…<br />

– Ecco il vostro solito pregiudizio contro le lettere<br />

anonime…<br />

– Poi quella maga, la posseduta, che parla per il monaco,<br />

e lo fa in italiano. Come spiegate tutto questo?<br />

– È abbastanza normale che la posseduta parlasse un<br />

buon italiano.<br />

L’intervento di Cicalò giunse inatteso. Sino a quel<br />

momento aveva ascoltato in silenzio, per nulla colpito<br />

dal fatto che in sua presenza i due poliziotti si fossero<br />

addentrati in discorsi così impegnativi e che certo intendevano<br />

non venissero diffusi. Sapeva per sua personale<br />

esperienza che gli alti ufficiali da lui trasportati<br />

lo consideravano parte dell’arredo dell’automobile<br />

e dunque per definizione sordo e muto. E a un certo<br />

tipo di confidenza (per lui umiliante) l’aveva abituato<br />

anche il marchese Salemi, di cui era stato l’autista prima<br />

di partire soldato in Africa Orientale. Il marchese<br />

72<br />

se lo portava dovunque andasse, compresa la visita settimanale<br />

alla sua amante a Palermo. Gli veniva chiesto<br />

di aspettare non in automobile, come sarebbe stato<br />

possibile, ma in un salottino proprio di fronte alla<br />

camera da letto, da dove aveva modo di sentire, e quasi<br />

registrare nei dettagli, le rumorose evoluzioni del<br />

marchese, con contrappunto dei lusinghieri ululati di<br />

lei. In questo caso, però, era come se i discorsi di Carruezzo<br />

e Serra fossero rivolti anche a lui, per la ragione,<br />

se non altro, che anche Cicalò aveva avuto una parte<br />

- e una parte non irrilevante, va detto - nell’avventura<br />

di quella giornata. Fece, così, qualcosa che mai in circostanze<br />

simili gli era venuto in mente di fare, intervenne<br />

per dire la sua: che era abbastanza normale che<br />

la posseduta parlasse un buon italiano.<br />

– Perché mai? – chiese Serra.<br />

– Prima di Addis Abeba, ero in Eritrea. Sono differenze<br />

che non mi sfuggono: la donna viene dalla Dancalia,<br />

la razza è quella, e anche il modo di vestire e l’acconciatura.<br />

E sono molti gli indigeni che in Eritrea parlano<br />

l’italiano.<br />

Carruezzo si protese trionfante in avanti:<br />

– Avete visto, Serra, ecco che le nebbie cominciano<br />

a diradarsi. Il nostro Cicalò ci offre una spiegazione<br />

plausibile del fatto che la posseduta parlava in italiano.<br />

C’è sempre una spiegazione plausibile, basta saperla<br />

trovare.<br />

– Allora sono io che non la so trovare, cavaliere. Vada<br />

per l’italiano. D’accordo, non sono pochi gli indigeni<br />

73


che parlano l’italiano. Ma come spiegate il resto? La<br />

donna che parla con gli spiriti… quella voce, gli occhi<br />

da indemoniata.<br />

– Un caso di trance, mi pare abbastanza chiaro.<br />

– Non sempre dare un nome alle cose significa spiegarle.<br />

Voi dite trance, ma…<br />

– Ammettiamo allora che si tratti di una messinscena.<br />

Siete stato voi stesso ad affacciare questa possibilità.<br />

– L’ho detto. Questo non toglie, però, che abbia avuto<br />

l’impressione di qualcosa di autentico: che tutto sia<br />

stato organizzato per farci sapere quel che è successo a<br />

<strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, certo, ma allo stesso tempo che quelle<br />

donne, la vecchia e l’altra, la posseduta, non recitassero<br />

affatto. Come vedete, cavaliere, dubbi e incertezze, incertezze<br />

e dubbi, eccolo il mio contributo alle indagini.<br />

Rassicurante, solenne, Carruezzo disse: – Il vostro<br />

contributo è come sempre prezioso, questo non si discute.<br />

Ammetto con voi che la cosa sia tutt’altro che<br />

chiara. – Poi rivolgendosi all’autista: – Tu Cicalò, cosa<br />

pensi di quello che è successo dentro la capanna.<br />

– Se non è chiaro per voi, cavaliere, immaginate cosa<br />

ci capisco io… anche se…<br />

– Anche se… – lo incoraggiò Carruezzo.<br />

– Io qualcosa del genere l’ho già vista, l’ho vista quando<br />

ero in Eritrea. Frequentavo una ragazza indigena, in<br />

realtà forse era una sciarmutta, una prostituta, non<br />

sempre qui si capisce se una lo è oppure no: questa, ad<br />

esempio, a volte lei stessa mi chiedeva di essere pagata,<br />

74<br />

altre volte non voleva soldi. Insomma, valle a capire.<br />

Questa ragazza indigena un giorno mi prende per<br />

mano e mi dice: “Ti porto da mia madre”. Ecco, penso<br />

io, questa vuole che la sposi all’uso di qui e, se voglio<br />

continuare a vederla, devo comprarla alla sua famiglia,<br />

magari me la cavo con due capre, questo penso io. Invece<br />

non era così. Poco prima di entrare nella capanna,<br />

la ragazza mi dice: “Vedrai la potenza di mia madre”.<br />

La madre stava seduta al centro della capanna, proprio<br />

come abbiamo visto stanotte, e intorno ci stavano altre<br />

donne. A un certo punto ha fatto una faccia stravolta e<br />

ha cominciato a tremare. Parlava, ma io non la capivo.<br />

Diceva la figlia che la madre era posseduta da uno spirito<br />

e che tutti dovevamo alzarci e inchinarci allo spirito.<br />

Ha detto la ragazza che gli spiriti erano vendicativi<br />

e che lo stesso imperatore Menelik, da cui dipendevano<br />

tutti gli spiriti, era morto colpito da uno<br />

spirito che aveva trattato con prepotenza.<br />

Sentendo il racconto dell’autista, a Serra venne in<br />

mente che il caso, a quel punto, poteva considerarsi<br />

risolto e che a scaricare la rivoltella sulla carogna Bellassai<br />

era stato certamente qualche spirito particolarmente<br />

vendicativo, magari lo stesso zar Sayfu. Chiunque<br />

aveva sparato, si trattasse di uno spirito o come<br />

era più probabile di un essere umano in carne ed ossa,<br />

aveva comunque tutta la sua approvazione.<br />

75


76<br />

11<br />

Quella mattina Serra non trovò in albergo i quotidiani<br />

che solitamente, anche se con qualche giorno di<br />

ritardo, giungevano dall’Italia. Fu per questo che si<br />

fece dare “Il Corriere dell’Impero”. Il titolo, sulle nove<br />

colonne della prima pagina, recitava: Ricevuto dal Duce<br />

a Palazzo Venezia il Ministro Lessona. Ulteriori progetti di<br />

sviluppo per l’Africa Orientale Italiana. L’articolista non<br />

illustrava i progetti di sviluppo, si limitava a sottolinearne<br />

l’audacia e il fatto che fossero stati concepiti<br />

personalmente dal Duce. Passando alle pagine interne,<br />

a Serra parve di avere tra le mani il quotidiano di una<br />

qualsiasi città italiana di provincia: la reclame della<br />

Libreria Malavasi sul viale Mussolini, l’Albergo Savoia<br />

che organizza una festa riservata ai bambini, l’annuncio<br />

di una pellicola con Clara Calamai all’Astra Supercinema.<br />

Ma a restituire un senso di lontananza c’era la<br />

tabella degli orari del piroscafo che partendo da Gibuti<br />

e facendo scalo a Massaua li avrebbe ricondotti a<br />

Napoli (“Sia chiaro, Serra,” aveva detto Carruezzo appena<br />

sceso dall’aereo ad Addis Abeba, “che lei ha un<br />

solo modo per tornare in Italia: in mia compagnia, ovviamente,<br />

e quindi per mare”).<br />

Abbandonò il giornale e rivolse la sua attenzione alle<br />

77


persone che popolavano la sala da pranzo dell’Albergo<br />

Impero. Un tipo sui quarant’anni era entrato proprio in<br />

quel momento nel ristorante: lobbia, doppio petto scuro,<br />

fazzoletto bianco sporgente dal taschino della giacca,<br />

cravatta regimental, scarpe inglesi di vernice nera,<br />

guanti di pelle. Scommise con se stesso che il nuovo venuto<br />

avrebbe raggiunto la vistosa bionda in evidente<br />

nervosa attesa. L’uomo si unì invece a una composita tavolata<br />

tutta maschile, nella quale spiccava un ufficiale<br />

della Milizia in divisa. E il tipo corpulento in sahariana<br />

e stivaloni rigidi da solo in un tavolo d’angolo? Cosa<br />

poteva cercare ad Addis Abeba? L’avventura africana,<br />

naturalmente. La bionda guardò per l’ennesima volta<br />

l’orologio d’oro che aveva al polso. Poi guardò Serra e<br />

gli sorrise seduttiva. Gli sorrise anche l’ufficiale della<br />

Milizia, ma più che di un sorriso si trattò di un meccanico<br />

stiramento di labbra accompagnato da un cenno di<br />

saluto col capo. Per quanto malvolentieri, Serra rispose<br />

al cenno di saluto. Nel solito tavolo al centro della sala:<br />

il gruppo dei corrispondenti esteri. Sembravano giù di<br />

corda, salvo il greco - il difensore delle virtù di Popotakis<br />

- impegnato in un acceso e interminabile discorso<br />

che nessuno tra i suoi compagni aveva l’aria di voler ascoltare.<br />

Meno degli altri, a giudicare dai grandi sbadigli,<br />

Hitchens, che Serra vide alzarsi e muovere in direzione<br />

del suo tavolo.<br />

– Spero di non disturbarvi. Ho notato che ancora non<br />

iniziavate a mangiare e…<br />

– Aspetto il dottor Carruezzo, – disse Serra, – anche<br />

78<br />

se a questo punto credo abbia deciso di saltare il pranzo.<br />

– Poi, scostando una sedia dal tavolo: – Vi osservavo,<br />

osservavo il vostro collega greco. Sembrava molto<br />

infervorato… ma sedete, vi prego.<br />

– Chi? Zachariadis? Quel greco quando è sobrio (ed<br />

è quasi sempre sobrio, purtroppo) sa essere di una noia<br />

letale.<br />

– Che cos’è che l’appassiona così tanto, se non sono<br />

indiscreto?<br />

– Politica. Zachariadis si è impegnato a illustrarci<br />

(nei dettagli, com’è nel suo stile) il nuovo atteggiamento<br />

che secondo lui il governo inglese sta maturando<br />

nei confronti di Mussolini.<br />

– Non ho letto nei giornali di novità nei rapporti<br />

tra Inghilterra e Italia.<br />

– In realtà si tratta solo di una lettera di Chamberlain<br />

a Mussolini in cui il primo ministro inglese pare<br />

parli del Duce come di un’ottima persona con cui trattare.<br />

Zachariadis vede in questo il segno di una svolta,<br />

di un ravvicinamento tra Italia e Inghilterra che, sempre<br />

a suo dire, garantirebbe la pace.<br />

– Mi sembrate dubbioso al riguardo.<br />

– Io non faccio testo. Io sono un pessimista cronico,<br />

per me lo scoppio della guerra è solo questione di tempo…<br />

ma non voglio tediarvi con le mie previsioni sinistre.<br />

Ditemi, piuttosto, a che punto è la vostra inchiesta<br />

sull’assassinio di Bellassai.<br />

– Vedo che siete ben informato. Chi vi ha detto delle<br />

nostre indagini?<br />

79


– In città non si parla d’altro. Io, poi, sono particolarmente<br />

interessato al caso Bellassai. Due anni fa abbiamo<br />

avuto qualcosa di simile in Kenia. Un aristocratico<br />

inglese, un micidiale dongiovanni, trovato ucciso<br />

a colpi di pistola nella sua casa alla periferia di Nairobi.<br />

Ad essere sospettata fu una amante abbandonata…<br />

– Che naturalmente si scoprì poi non essere stata lei.<br />

– Come fate a saperlo? Non mi risulta che i giornali<br />

italiani ne abbiano parlato.<br />

– Metodi speciali della polizia italiana, voi inglesi non<br />

dovreste sottovalutarla. – Serra accompagnò queste parole<br />

con un sorriso. Poi aggiunse: – Naturalmente ho tirato<br />

a indovinare.<br />

– Se avete queste capacità, provate allora a indovinare<br />

il vero colpevole.<br />

– Tenderei a escludere il maggiordomo.<br />

– Niente maggiordomo.<br />

– Una scimmia ammaestrata a cui il dongiovanni<br />

aristocratico aveva incautamente insegnato a maneggiare<br />

le armi e che indispettita…<br />

– Soluzione fantasiosa, però errata.<br />

Serra accennò il gesto di sollevare le mani in alto:<br />

– Mi arrendo, – disse.<br />

– Si scoprì che era stata la moglie, che fattasi a sua<br />

volta un amante puntava a ereditare i soldi del marito.<br />

– Speravo in qualcosa di più originale.<br />

– La conclusione non sarà stata originale, ma la vicenda<br />

e le indagini vennero allora seguite con immensa<br />

curiosità dal pubblico inglese. E anche il caso<br />

80<br />

Bellassai penso possa interessare i lettori inglesi. In<br />

fondo gli ingredienti sono gli stessi.<br />

– Sesso e morte e, sullo sfondo, un infuocato tramonto<br />

africano. Lo scenario è perfetto. Ho dubbi invece sul<br />

protagonista, non vedo come possa appassionare un<br />

personaggio così squallido.<br />

– Non dovete sottovalutare Bellassai. Bisognava<br />

conoscerlo…<br />

– Voi l’avete conosciuto, suppongo.<br />

– Di più. Ho fatto di Bellassai l’oggetto dei miei studi.<br />

Naturalmente sapete tutto sulle propensioni dongiovannesche<br />

di Bellassai, e anche, suppongo, sui notevoli<br />

successi che raccoglieva in questo campo. Frequentava<br />

molto l’Albergo Impero. Era uno dei suoi territori<br />

di caccia preferiti.<br />

– Bellassai l’oggetto delle vostre ricerche? Ricerche<br />

su che cosa?<br />

– Molto tempo fa ho passato un anno a Roma, con l’agenzia<br />

Reuter. È allora che ho iniziato a studiare il carattere<br />

nazionale italiano. Anche se l’espressione studiare<br />

si adatta male a un giornalista: diciamo che vi<br />

osservo con particolare attenzione.<br />

Ecco la spocchiosa perfida Albione, pensò Serra, e si<br />

dispose a sentire qualche banalità del tipo: italiani, spaghetti<br />

e mandolino. – Ne deduco che avete classificato<br />

Bellassai come un perfetto campione del nostro<br />

carattere nazionale, – disse.<br />

Hitchens sembrò cogliere il tono irritato di Serra:<br />

– Mi dovete scusare, non mi sono espresso bene. È<br />

81


che Bellassai, la sua ossessiva ricerca di compagnie femminili…<br />

Mi spiego meglio: noi inglesi, noi maschi<br />

inglesi, tendiamo a considerare la nostra permanenza<br />

nelle colonie come una sorta di lunga vacanza lontano<br />

dalle donne…<br />

– Mi riesce difficile pensare che vi siano maschi, per<br />

quanto inglesi, capaci di sfuggire alla regola generale<br />

per cui alla base di ogni espansione coloniale c’è il desiderio<br />

sessuale.<br />

– Se vi riferite al desiderio fisico, avete perfettamente<br />

ragione. Italiani in Etiopia e inglesi dovunque<br />

in Africa provvedono a soddisfarsi come capita. Io intendevo<br />

un altro tipo di desiderio, il desiderio romantico<br />

di compagnia femminile. I soldati italiani (ho<br />

parlato con molti di loro) sentono in modo struggente<br />

la mancanza del focolare domestico, zie e cognate<br />

comprese. Gli ufficiali, poi… Avvicinatevi a un<br />

qualsiasi gruppo di ufficiali italiani e scoprirete che<br />

nove volte su dieci parlano di donne.<br />

– Un’osservazione interessante, – disse Serra, – ci rifletterò<br />

su. – Fece poi cenno al cameriere di avvicinarsi.<br />

– Vi lascio al vostro pranzo, dottor Serra. Un consiglio,<br />

se non avete già deciso sul menù: il baccalà alla vicentina.<br />

È un mistero della fede che un cuoco armeno<br />

sia capace di un baccalà alla vicentina così, eppure…<br />

– Toglietemi una curiosità mister Hitchens. Come<br />

avete fatto a imparare così bene l’italiano?<br />

– Nell’unico modo in cui un inglese può imparare una<br />

lingua straniera: ho sposato un’italiana. Ho anche un fi-<br />

82<br />

glio italiano, sapete. Si chiama Gerald, e nonostante il<br />

nome è italianissimo. A un certo punto io e sua madre<br />

ci siamo separati e lui ha sempre vissuto con lei, a Roma.<br />

Hitchens tolse dalla tasca interna della giacca un voluminoso<br />

portafoglio da cui trasse una fotografia che<br />

porse a Serra.<br />

– Il vostro è un gesto molto italiano, sapete, – disse<br />

Serra con un sorriso, prima ancora di aver posato lo<br />

sguardo sulla foto.<br />

– Questo è Jerry.<br />

Un bambino biondo e lentigginoso di circa dieci<br />

anni e in divisa da balilla. Il fotografo l’aveva sorpreso<br />

in una posa bambinescamente guerresca, con un fucile<br />

di legno tra le mani e il fez di sghimbescio.<br />

– Un bel bambino, davvero, – disse Serra. – Certamente<br />

vi manca.<br />

– Mi scrive ogni settimana. Lettere molto giudiziose,<br />

più grandi della sua età. Nei mesi della conquista<br />

italiana dell’Etiopia cercava di convincermi dell’iniquità<br />

delle sanzioni. Mi scriveva di vergognarsi che la<br />

sua seconda patria, l’Inghilterra, fosse così ingiusta ed<br />

egoista nei confronti dell’Italia.<br />

– E voi?<br />

– Io ho tirato un sospiro di sollievo quando le sanzioni<br />

sono cadute.<br />

* * *<br />

Serra consumava il suo pranzo solitario. Col pensiero<br />

83


tornò alla conversazione con l’inglese. Forse aveva ragione<br />

il giornalista sul fatto che gli italiani lontano da<br />

casa morivano di nostalgia e che questo li rendeva inadatti<br />

a costruire imperi. Però non trovava così riprovevole<br />

che gli italiani fossero mammoni e sentimentali…<br />

Ma erano così gli italiani? Ripensò a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong><br />

e alla parziale ammissione di Carruezzo: gli italiani,<br />

per quanto mammoni e sentimentali, potevano<br />

anche massacrare senza batter ciglio trecento monaci…<br />

o ne avevano fatto fuori mille? Un paese di macellai,<br />

insomma, ma sempre con l’occhio inumidito al<br />

ricordo della mamma lontana.<br />

Oppo fece la sua apparizione quando Serra, bevendo<br />

il caffè, era intento a queste riflessioni. Il commissario<br />

indossava una sahariana sgualcita, aveva la usuale barba<br />

lunga di due giorni e l’aria più depressa del solito.<br />

Nei dieci giorni trascorsi dal loro primo incontro,<br />

Serra aveva visto Oppo abbastanza spesso. Avevano esaminato<br />

insieme la posizione dei quattro sospetti della<br />

lista fornita dal commissario. Sui primi due (un ufficiale<br />

e un commerciante, le cui mogli si erano accompagnate<br />

a Bellassai), leggendo i loro interrogatori,<br />

Serra si era fatto l’idea che… insomma, quei due nomi<br />

Oppo li aveva inseriti nella lista giusto per allungare il<br />

brodo. Rimanevano la contessa Sinibaldi e il noto usuraio<br />

indiano Mohamedally, a cui il tenente assassinato<br />

risultava dovesse circa cinquemila lire. Bellassai l’aveva<br />

insultato in pubblico - fetido figlio di una vacca sacra riportava<br />

il verbale - ma l’insulto e il fatto che Mohame-<br />

84<br />

dally non avesse un alibi erano gli unici elementi che<br />

portavano a lui come possibile assassino. Nella sede<br />

della PAI Serra aveva assistito a un secondo interrogatorio<br />

dell’usuraio, condotto da Oppo in modo esitante<br />

e confuso. L’indiano, un ometto dagli occhi grandi e<br />

mesti, originario di un villaggio nei dintorni di Madras,<br />

dopo aver risposto a tutte le domande del commissario<br />

si era ritrovato a raccontare ai due poliziotti<br />

italiani la sua storia personale. Era arrivato in Africa<br />

trent’anni prima, non ancora diciottenne, con la sola<br />

idea in testa di diventare ricco. Ma non era diventato<br />

ricco. A Serra quell’indiano triste era sembrato una figura<br />

della lontananza quando aveva detto: “Pensano,<br />

nel mio paese, che chi passa le acque scure dell’oceano<br />

perde la posizione nella casta e tra la sua gente.”<br />

Nel corso di quello ed altri incontri Carruezzo non<br />

aveva fatto nulla per nascondere l’irritazione di fronte<br />

ai lunghi e involuti resoconti del commissario. “Oppo<br />

stringete, arrivate al dunque” gli diceva, e il commissario<br />

invece si ingarbugliava addentrandosi in nuovi<br />

oscuri particolari, e quanto più si ingarbugliava tanto<br />

più si deprimeva. “Il disfattista melanconico” lo chiamava<br />

Carruezzo.<br />

Serra pensò che forse non era un caso che Oppo l’avesse<br />

cercato in uno dei rari momenti in cui non era<br />

insieme al suo capo.<br />

– Ci sono novità, – disse Oppo sedendosi al tavolo<br />

dell’ispettore. – Abbiamo trovato indizi, indizi inte-<br />

85


essanti, a casa di un nazionale, si chiama Fracassi…<br />

– Il nome mi suona.<br />

– È un uomo d’affari molto conosciuto.<br />

– Eulo Fracassi?<br />

– Proprio così, Eulo, Eulo Fracassi.<br />

– Sì, non può essere che lui. Ho avuto modo di parlarci<br />

sull’aeroplano, arrivando qui da Mogadiscio…<br />

cos’ha combinato?<br />

Oppo si mise a spiegare le circostanze che aveva portato<br />

la PAI a una perquisizione in casa di Fracassi. Le<br />

sue pupille, di uno scolorito verde vinaccia, scorrevano<br />

su un taccuino di appunti. La perquisizione serviva a capire<br />

se tra l’uomo d’affari e l’indigena sua convivente vi<br />

fosse una qualche forma di affectio maritalis (portò il taccuino<br />

molto vicino agli occhi per leggere quelle ultime<br />

parole).<br />

C’erano disposizioni precise a proposito dei rapporti<br />

tra nazionali e indigene.<br />

– Che disposizioni? – chiese Serra.<br />

– Disposizioni che vietano non solo i matrimoni misti<br />

ma anche il concubinaggio, – rispose Oppo.<br />

Il fatto che la madama di Fracassi venisse da una famiglia<br />

della aristocrazia abissina e fosse stata la moglie<br />

di un ministro di Hailé Selassié rendeva secondo il commissario<br />

la cosa più grave. Già una volta, due mesi prima,<br />

gli uomini della PAI avevano fatto irruzione all’ora<br />

di pranzo a casa del commendatore e li avevano trovati,<br />

lui e la sua madama, a tavola insieme: non era forse questo<br />

il segno che quella donna stava in casa di Fracassi<br />

86<br />

come una vera e propria moglie e non per un mero sfogo<br />

fisiologico?<br />

– Stiamo per incastrarlo, – commentò Oppo, ma<br />

senza un’aria di particolare accanimento.<br />

– Gli indizi di cui avete parlato, commissario? Suppongo<br />

vi riferiate al caso Bellassai.<br />

– Sì… il caso Bellassai. – Fu come se Oppo avesse riacchiappato<br />

un filo che gli era sfuggito di mano. – Leggete.<br />

Così dicendo, tirò fuori dalla tasca interna della giacca<br />

una lettera che porse al suo interlocutore.<br />

Serra riconobbe subito la mano di Bellassai. Conosceva<br />

la grafia del tenente, e la firma Duilio che trovò scorrendola<br />

confermò quella prima idea.<br />

– Avete individuato la Sara a cui la lettera è rivolta?<br />

– Non è stato difficile. Si chiama Sara Dirasse ed è una<br />

nipote della madama di Fracassi, la figlia del fratello.<br />

In realtà la ragazza è nata da un matrimonio misto, che<br />

a suo tempo aveva fatto scandalo. Il padre, uno imparentato<br />

con l’ex negus, con Hailé Selassié, ha vissuto a<br />

lungo in Europa. Ha anche insegnato all’Istituto Orientale<br />

di Napoli. La madre era una missionaria protestante<br />

svedese, che è morta quando Sara era ancora bambina.<br />

Lei per la maggior parte del tempo ha vissuto col<br />

padre in Europa, e in Europa è rimasta anche dopo la<br />

morte del padre. Da quando è tornata in Etiopia abita<br />

con la zia. I miei uomini hanno trovato la lettera perquisendo<br />

ieri la camera da letto di Sara.<br />

– Cosa dice la ragazza, come spiega la lettera di Bellassai?<br />

87


– Questo ero venuto a chiedervi, Serra. Di accompagnarmi<br />

a sentire cos’ha da dirci questa Sara… anche se<br />

un’idea credo di essermela fatta…<br />

Con l’automobile della PAI attraversarono una parte<br />

di Addis Abeba che Serra ancora non conosceva. Ai<br />

bordi della strada si succedevano grandi ville recintate<br />

da muri e chiuse da cancelli in ferro battuto, dietro i<br />

quali si intravedevano lussureggianti giardini. La villa<br />

di Fracassi stava ai margini del bosco, dove l’agglomerato<br />

informe della città, diradando, si apriva alle solitudini<br />

dell’altopiano. La villa si distingueva dalle altre<br />

che stavano nelle vicinanze per una sua colorata eccentricità.<br />

Nel disegno d’assieme poteva avere della fortezza,<br />

ma una fortezza pensata per un libro di fiabe,<br />

con un profilo in cui merlature a coda di rondine erano<br />

interrotte ai quattro lati da rosse torrette cilindriche<br />

che si allungavano nella forma di minareti. Merlature<br />

e torrette chiudevano un grande terrazzo, al centro del<br />

quale sorgeva una cupola dorata.<br />

Ad aprire il cancello venne Caporale. Serra notò che<br />

indossava gli stessi lucidissimi stivali del viaggio in<br />

aereo. Mentre li precedeva attraverso il giardino, Caporale<br />

chiese a Serra notizie di Carruezzo.<br />

– Ve ne prego dottore, non dimenticate di porgere<br />

i miei omaggi al cavalier Carruezzo.<br />

Poi, rivolto a Oppo, aggiunse: – Un uomo eccezionale,<br />

il cavalier Carruezzo.<br />

Li guidò all’interno della villa, in una grande sala a<br />

88<br />

pianta circolare e con una volta a cupola, quella stessa<br />

che avevano osservato dall’esterno. La stanza era avvolta<br />

in una fitta penombra. Caporale spalancò le finestre e<br />

la luce rivelò un bric-à-brac di quadri di soggetto esotico,<br />

trofei di caccia, ninnoli d’avorio e d’ebano. Grandi<br />

tappeti ricoprivano ogni angolo del pavimento e,<br />

sui tappeti, pelli di antilope e gnu. Troneggiava al centro<br />

della sala, la pelle di un gigantesco leone, completa<br />

di testa impagliata e criniera.<br />

Fracassi entrò nella stanza quando Caporale stava ancora<br />

tirando le tende per lasciare penetrare altra luce.<br />

– Caro dottor Serra, che piacere vedervi. – Poi rivolgendosi<br />

a Oppo: – Purtroppo non ero a casa ieri sera,<br />

mi spiace di non avere potuto collaborare alla vostra…<br />

come devo chiamarla… perquisizione?<br />

– Si è trattato di un normale accertamento.<br />

– Accertamento, perquisizione… che importa. Ma<br />

accomodatevi, prego. – Indicò un divano ai due poliziotti.<br />

– Spero che non abbiate trovato ostacoli nel vostro…<br />

accertamento, anche se confesso di non capirne<br />

bene il motivo.<br />

– Sapete bene di aver violato una precisa disposizione<br />

di polizia.<br />

– Una disposizione di polizia che non tiene conto<br />

delle condizioni concrete della vita in colonia.<br />

– Una disposizione inderogabile, comunque.<br />

– Voi parlate bene, caro Oppo, tutti conosciamo la<br />

vostra integrità, ma io sono un coloniale di lungo corso<br />

e vedo le cose in modo diverso. Quando la separazione<br />

89


tra nazionali e indigeni si trasforma in un fossato, c’è il<br />

rischio di perdere il controllo della situazione.<br />

Un quadro alle spalle del padrone di casa ritraeva<br />

una donna etiope tra i trenta e i quarant’anni che indossava<br />

un abito bianco di taglio europeo, sul quale<br />

spiccava il rosso di una collana di corallo. La donna era<br />

seduta e in piedi, al suo fianco, c’era un bambino - lo<br />

si sarebbe detto suo figlio - vestito alla marinara e con<br />

in mano il suo cappelluccio.<br />

Fracassi si accorse dell’attenzione che Serra mostrava<br />

nei confronti del quadro: – È un ritratto della uoizerò<br />

Jesciac Dirasse, la donna con cui mi si accusa di vivere<br />

more uxorio. Un’accusa ridicola… Il fatto è che occorre<br />

distinguere: insomma, fate conto di essere un coloniale<br />

italiano, da quasi vent’anni in Africa Orientale… fate<br />

conto che questo coloniale, un imprenditore, un uomo<br />

d’affari, si avvicini non a una qualsiasi faccetta nera ma<br />

a un’esponente dell’aristocrazia etiopica, una uoizerò,<br />

una nobildonna, una che è stata la moglie di un ministro<br />

di Hailé Selassié. Voi cosa vi aspettereste, dottor<br />

Serra, che uno le faccia fare la serva?<br />

– Mettetela come volete, ma il vostro comportamento<br />

rappresenta una minaccia, – intervenne Oppo.<br />

– Una minaccia alla purezza della stirpe, commissario?<br />

– Anche.<br />

– Comunque sia, Jesciac non vive al momento in casa<br />

mia. Suppongo che siate qui per assicurarvi che io<br />

rispetti le disposizioni delle autorità.<br />

90<br />

– In realtà siamo qui per altro. Vogliamo parlare con<br />

la giovane Sara Dirasse, che a quanto ci risulta vive<br />

con voi.<br />

– Fate pure commissario… fate come foste a casa vostra.<br />

* * *<br />

– La signorina Sara, – annunciò una gran massa di<br />

capelli crespi, sporgendo dal riquadro della porta. Pochi<br />

istanti dopo, davanti a Oppo e Serra apparve Sara<br />

Dirasse.<br />

– A Maryan, la nostra cameriera, piace molto annunciarmi<br />

agli ospiti.<br />

Su una gonna bianca lunga quasi sino alle caviglie,<br />

Sara Dirasse indossava una blusa di seta nera senza<br />

maniche. Nell’ovale allungato, nel naso diritto e negli<br />

occhi leggermente a mandorla Serra credette di<br />

trovare una rassomiglianza con la zia Jesciac, anche se<br />

la nipote aveva una pelle meno scura. All’espressione<br />

di ammirato stupore con cui Serra reagì alla radiosità<br />

di lei, la donna rispose con un sorriso divertito.<br />

– C’è qualcosa che non va? Forse non mi trovate vestita<br />

in maniera appropriata.<br />

– Siete perfetta, – disse Serra.<br />

– Nonostante abbia vissuto più a lungo in Europa che<br />

nel mio paese, continuo a provare un certo disagio<br />

quando decido di vestire all’europea.<br />

– Siete perfetta, credetemi, – ribadì Serra.<br />

91


Sara Dirasse strinse la mano ai due uomini e si sedette<br />

nella stessa poltrona che poco prima aveva occupato<br />

Fracassi.<br />

– Dove avete vissuto in Europa? – chiese Serra come<br />

per avviare la conversazione.<br />

– Sarebbe più facile dirvi dove non ho vissuto. Sono<br />

stata in Svezia, a Parigi, in Germania, a lungo in Italia,<br />

a Napoli; la mia adolescenza l’ho passata in Svizzera,<br />

in collegio.<br />

– Poi avete deciso di tornare in Etiopia.<br />

– Le circostanze hanno deciso per me. Dopo la conquista<br />

italiana, la mia famiglia non aveva più i mezzi<br />

per mantenermi in Europa.<br />

– Che è invece dove avreste preferito restare, mi pare<br />

di capire.<br />

– Nel giro di qualche anno sarei comunque tornata<br />

qui… Credo però che non siano queste le ragioni per<br />

cui avete chiesto di parlarmi.<br />

Sì, pensò Serra, erano altre le ragioni che li avevano<br />

portati in quella casa, ragioni poliziesche che Oppo cercava<br />

ora di ripescare dal suo taccuino. Da qualche minuto<br />

il commissario era impegnato a sfogliarlo, andando<br />

avanti e indietro alla ricerca di un punto preciso che evidentemente<br />

non trovava. Poi sollevò gli occhi e, rivolgendosi<br />

alla donna: – Conoscevate Duilio Bellassai?<br />

– Se vi riferite a quella lettera…<br />

– Rispondete alla mia domanda. Conoscevate Duilio<br />

Bellassai? – Solo per un attimo lo sguardo di Oppo si<br />

fermò sugli occhi di Sara Dirasse.<br />

92<br />

– L’ho incontrato qualche volta, – rispose lei.<br />

– Mi state dicendo che i vostri rapporti col tenente<br />

Bellassai si limitavano a qualche sporadico incontro?<br />

– Signorina Dirasse, – intervenne Serra, – come avete<br />

conosciuto il tenente Bellassai?<br />

– Al cinema. All’Astra Supercinema, circa sei mesi<br />

fa. Io ero in compagnia di mia zia Jesciac e uscivamo<br />

dalla sala, mentre lui entrava. Il primo tempo era già<br />

iniziato da qualche minuto e mi ha fermato chiedendomi<br />

di riassumergli l’inizio della pellicola. Siamo<br />

stati pochi minuti nell’atrio del cinema a parlare. Lui<br />

scherzava, mi ha fatto qualche complimento.<br />

– Comunque, non è stato il vostro unico incontro<br />

con Bellassai, – si inserì Oppo, – ce ne sono stati altri…<br />

meno casuali.<br />

– Il giorno dopo l’incontro al cinema, Maryan mi ha<br />

portato un biglietto del tenente: mi chiedeva un appuntamento.<br />

Ci siamo visti una prima volta e poi in<br />

altre quattro o cinque circostanze.<br />

– Dove vi incontravate?<br />

– Mi veniva a prendere con la sua automobile e facevamo<br />

lunghi giri nei dintorni di Addis Abeba.<br />

– Continuate a voler farmi credere che non vi fosse<br />

altro tra di voi. Spiegatemi allora quell’amore mio del<br />

suo biglietto che abbiamo trovato in camera vostra.<br />

– Diceva di essere innamorato di me, questo sì.<br />

– E voi?<br />

– Io ne ero lusingata, anche se, conoscendo la sua<br />

fama…<br />

93


– Conoscendo la sua fama, l’avete respinto, – disse<br />

Oppo in un tono che intendeva essere beffardo.<br />

– Vi sembra impossibile, commissario?<br />

– Impossibile, che cosa?<br />

– Che io respingessi il tenente Bellassai.<br />

– Bellassai sapeva essere molto convincente.<br />

– Non con me, non nel senso che pensate voi.<br />

– Non respingevate la sua compagnia, comunque.<br />

– La trovavo gradevole…<br />

– Quando avete visto Duilio Bellassai per l’ultima volta?<br />

– la interruppe Oppo, come a coglierla di sorpresa.<br />

– Il giorno non lo ricordo di preciso. Circa una settimana<br />

prima della sua morte.<br />

– Uno dei soliti romantici giri in automobile, suppongo.<br />

– Se li volete definire così.<br />

– Scusate signorina Dirasse, – intervenne Serra, – di<br />

che cosa parlavate con Bellassai nei vostri incontri?<br />

– Di tutto e di nulla. Il tenente esercitava il suo fascino<br />

e a me… a me non rimaneva altro che rimanere<br />

affascinata.<br />

– Ecco cosa farete, – gli disse Carruezzo circa un’ora<br />

dopo, – le starete alle calcagna.<br />

– La devo pedinare, capo?<br />

– Non necessariamente. Dovete farle sentire che ci<br />

siamo, che non la perdiamo di vista.<br />

– A sentire Oppo, dovremmo torchiarla, – aggiunse<br />

Serra.<br />

94<br />

– Ha detto così Oppo? Torchiarla… torchiarla…<br />

un’espressione che suona male in bocca al melanconico.<br />

95


96<br />

12<br />

Era seduto al Caffè Italia, a uno dei tavoli all’aperto<br />

sul Viale Mussolini, quando Fracassi gli si era avvicinato.<br />

– Non vi disturbo, dottor Serra, se mi siedo un attimo<br />

con voi? – gli aveva chiesto. Poi, dopo qualche<br />

minuto che erano stati a parlare del più e del meno,<br />

si era offerto di fargli da guida in quella che, non<br />

senza sorriderne, aveva chiamato la “Addis by night”.<br />

La prima sosta fu in un ristorante del centro, che come<br />

quasi tutti i locali di Addis Abeba aveva italianizzato<br />

il suo nome e ora si chiamava Tripoli. La donna al<br />

guardaroba riconobbe Fracassi. – Ciao bella morona,<br />

– la salutò lui, gettandole il soprabito.<br />

La sala era affollata. Alcune coppie ballavano alla<br />

musica di una orchestrina. Serra e Fracassi si accostarono<br />

a un tavolo dove sedevano due uomini e una<br />

donna.<br />

– Ma guarda chi si vede, – disse Fracassi.<br />

– Che piacere, vecchio pescecane! – fece uno dei due<br />

uomini. Alto e grosso, con i capelli a spazzola e in-<br />

97


dosso una vistosa giacca a quadri. – Dài siediti… sedetevi<br />

con noi.<br />

Furono fatte le presentazioni. L’uomo con la giacca a<br />

quadri si chiamava Rinaldo Angiolillo e Fracassi lo<br />

presentò a Serra dicendo che era un importante bananiere<br />

di Mogadiscio. L’altro si chiamava Geraldo Amoruso,<br />

un grassone dai tratti incerti, quasi gelatinosi,<br />

contraddetti da certi baffetti precisi, di certo li curava<br />

ogni mattina. Della donna, che indossava un luccicante<br />

abito da sera, Serra pensò che era attraente ma non<br />

capì bene il nome.<br />

Fraccassi bevve d’un fiato il suo cognac: – Allora,<br />

pellaccia di un Angiolillo, spiegami che ci fai qui ad<br />

Addis Abeba. Chi sei venuto ad imbrogliare?<br />

– Affari.<br />

– Guarda che qui ad Addis non mangiamo banane.<br />

– Non mi occupo più di banane. L’Impero ha bisogno<br />

di strade e io costruisco strade.<br />

– Dottor Serra, fateglielo sapere a Roma che fior di<br />

patrioti avete trovato in Africa Orientale.<br />

Ma l’attenzione di Angiolillo sembrava ora attratta<br />

da un gruppo di uomini, tutti in camicia nera, appena<br />

entrati nella sala. Chiamò il cameriere e gli chiese: –<br />

Giulio, che cosa beve il federale?<br />

– Gli piace il cognac francese.<br />

Angiolillo scrisse poche parole su un biglietto da<br />

visita. – Portagli una bottiglia di Martell, – disse al<br />

cameriere e gli infilò il biglietto e una banconota nel<br />

taschino della giacca.<br />

98<br />

Il cameriere aveva un’aria particolarmente volpina<br />

mentre poggiava la bottiglia sul tavolo del federale e<br />

gli passava il biglietto. Seguendo una sua indicazione,<br />

il federale guardò in direzione di Angiolillo e, muovendo<br />

l’indice a gancio, fece a quest’ultimo cenno di<br />

avvicinarsi. – Scusatemi un attimo, – disse Angiolillo<br />

alzandosi.<br />

Dal tavolo videro Angiolillo che in piedi parlava<br />

animatamente al federale. Poi il federale disse qualcosa<br />

e tutti intorno a lui risero.<br />

Mentre Angiolillo tornava verso il tavolo, Amoruso<br />

si rivolse a Serra: – Noi ci siamo visti da qualche<br />

parte, o sbaglio?<br />

– Non sbagliate, ci siamo visti nel ristorante dell’Albergo<br />

Impero, – rispose Serra.<br />

L’aveva notato tra gli habitué di un tavolo non lontano<br />

dal suo. Un raccontatore di barzellette chiassoso,<br />

e forse anche divertente, almeno a giudicare dalle risate<br />

che suscitavano le sue storielle.<br />

Angiolillo era di nuovo seduto al tavolo. Sembrava<br />

soddisfatto.<br />

– Cos’hai scucito al federale? – gli chiese Fracassi.<br />

– Non sono cazzi tuoi, – rispose Angiolillo con aria<br />

divertita. Poi si piegò verso la donna e le sussurrò<br />

qualcosa all’orecchio.<br />

Dopo una pausa di qualche minuto, la musica era<br />

ripresa.<br />

– Tu vorresti ballare, vero? – disse Angiolillo rivolto<br />

alla donna. E poi, senza aspettare la risposta di lei:<br />

99


– Dottor Serra, perché non fate ballare Melina? Io<br />

come ballerino non valgo una cicca, quanto a Fracassi,<br />

un orso ammaestrato farebbe una figura migliore.<br />

Serra ebbe un attimo d’incertezza. – Neppure io sono<br />

un gran ballerino… Comunque, se la signora ha piacere.<br />

La signora aveva piacere. Serra la precedette al centro<br />

della sala.<br />

– Melina, vi chiamate Melina, se ho ben capito.<br />

Non siete italiana, vero?<br />

Greca, di Atene. Raccontò una storia su come anni<br />

prima si fosse stabilita in Abissinia. Era molto contenta<br />

che fossero arrivati gli italiani, le piacevano gli<br />

italiani. Mentre parlava, lo carezzava in maniera quasi<br />

impercettibile tra collo e nuca. Serra era eccitato, e<br />

non sapeva neppure lui se ad eccitarlo fosse solo la vicinanza<br />

fisica della donna e il suo gesto o il sentore<br />

equivoco che tutta la situazione emanava. Guardò verso<br />

il tavolo e Fracassi gli strizzò l’occhio.<br />

– Più tardi potrei venirvi a trovare in camera vostra,<br />

– disse la donna, – anch’io sto all’Impero.<br />

– Dubito che il vostro amico Angiolillo ne sarebbe<br />

contento.<br />

– Forse non avete capito. Il mio amico Angiolillo<br />

vi vuol fare un regalo e il regalo sono io. Se però il cadeau<br />

non è di vostro gusto…<br />

– Non si tratta di questo. Vi trovo molto attraente.<br />

– Ma…<br />

– Ma… non posso né voglio accettare un regalo di<br />

100<br />

questo tipo, tanto più quando non capisco perché me<br />

lo si vuol fare.<br />

– Angiolillo fa molti regali. Il più delle volte è perché<br />

vuole in cambio qualcosa. Altre volte però è per<br />

pura simpatia.<br />

– Non credo sia questo il caso, anche se non riesco<br />

a capire cosa possa volere da me uno come Angiolillo.<br />

– E se al cadeau piacesse di essere regalato… regalato<br />

a voi voglio dire?<br />

– Il cadeau non dovrebbe essere un cadeau.<br />

– Ho capito: siete uno di quelli che le donne le vogliono<br />

conquistare.<br />

– Non necessariamente. Il punto è un altro…<br />

Quale fosse il punto Serra non lo disse. Una pausa<br />

dell’orchestra li lasciò per un attimo fermi in mezzo<br />

alla sala. Fermi e in silenzio, come se la fine della musica<br />

avesse fatto dileguare lo spazio soltanto loro che<br />

avevano disegnato ballando e che per il tempo di una<br />

canzone li aveva isolati dal resto della sala. Fu la<br />

donna che per prima riprese a parlare: – Vi prego, non<br />

riportatemi subito al tavolo.<br />

Il pianista accennò con voce roca dentro un piccolo<br />

megafono le prime strofe di una nuova canzone (Bambina<br />

innamorata, stanotte ti ho lasciata…) e i due ricominciarono<br />

a ballare.<br />

– Dottor Serra, è vero che state indagando sulla<br />

morte di Duilio Bellassai.<br />

– Lo conoscevate?<br />

– Gli europei si conoscono un po’ tutti ad Addis<br />

101


Abeba. Duilio poi… – Melina ebbe una esitazione.<br />

– Duilio? – la incoraggiò Serra.<br />

– Beh, uno bello come lui… lo vedevi una volta e<br />

non te lo scordavi più.<br />

– E voi non l’avete scordato.<br />

– C’è stato qualcosa tra noi, ma è durato solo pochi<br />

giorni. Anche dopo però continuava a cercarmi.<br />

– Siete rimasti amici, insomma.<br />

– Diceva di sentirmi simile a lui, diceva che eravamo<br />

le due più belle puttane di Addis Abeba. Io un po’ gli<br />

volevo bene. Era un uomo fragile, sapete, e ultimamente<br />

anche impaurito.<br />

– Impaurito da che cosa?<br />

– Un giorno m’ha detto: “Questa volta mi sono messo<br />

nei guai, guai grossi”. Io gli ho chiesto di questi<br />

guai e lui mi ha risposto che quanto meno ne sapevo<br />

tanto meglio era. – Poi aggiunse con un filo di voce:<br />

– Dottor Serra, troverete chi l’ha ammazzato?<br />

– Ci proverò, anche se sembrate l’unica a cui importi<br />

qualcosa di sapere chi ha ucciso Bellassai.<br />

* * *<br />

– Ora mi spiegherete perché avete organizzato questa<br />

specie d’incontro col vostro amico, quell’Angiolillo.<br />

E non mi raccontate che è stato un caso.<br />

L’automobile di Fracassi filava lungo un viale di eucaliptus.<br />

Era una notte senza luna e a Serra quel cielo<br />

sembrò il più ricco di stelle che avesse mai visto.<br />

102<br />

Sprofondato nel sedile accanto a quello del guidatore,<br />

sentiva sul viso l’aria sferzante della notte che entrava<br />

dai finestrini abbassati.<br />

– Ma cosa dite, dottor Serra? Erano almeno due<br />

mesi che non vedevo Angiolillo.<br />

Serra gli disse di Melina e di come si fosse presentata<br />

come un regalo di Angiolillo.<br />

– Il vecchio pescecane è all’attacco, – fu il commento<br />

di Fracassi. – Avete visto come ha abbordato il federale?<br />

– Che voglia qualcosa dal federale si può capire. Ma<br />

da me?<br />

– Cannoneggiamento a trecentosessanta gradi. Puro<br />

stile Angiolillo. Non sa ancora come e perché, ma prevede<br />

che possiate essergli utile. Così prepara il terreno.<br />

È una strategia che ovviamente comporta un grande<br />

spiegamento di mezzi.<br />

– Ovviamente, – fece eco Serra. Poi, in tono brusco:<br />

– Bene, ora riportatemi in albergo.<br />

– Ma no dottor Serra, la notte è ancora giovane.<br />

Si fermarono di fronte al cancello di una villa. Fracassi<br />

suonò per due volte il clacson e dopo un po’ apparve<br />

un cameriere in livrea, che teneva in mano una<br />

lampada ad acetilene. Fracassi sporse la testa dal finestrino:<br />

– Sono io, Mohamed. Cos’è, ora non si riconoscono<br />

più i vecchi amici?<br />

– Commendator Fracassi, che piacere… ma entri,<br />

entri… potete mettere l’automobile là, – disse il cameriere<br />

e indicò una piazzola nella quale erano posteggiate<br />

altre quattro o cinque automobili.<br />

103


Guidati dal cameriere entrarono nella villa, percorsero<br />

un atrio adorno di trofei di caccia e, attraverso<br />

una grande scalinata, furono condotti al primo piano.<br />

Al centro del salone c’era un tavolo di giocatori di<br />

carte, mentre il resto degli ospiti era sparso in piccoli<br />

gruppi tra poltrone e divani. Dal tavolo da gioco si<br />

alzò e mosse verso di loro un uomo che Serra pensò<br />

potesse essere il padrone di casa.<br />

– Allora Fracassi, sei venuto a restituire le mille<br />

lire che c’hai spazzolato l’ultima volta?<br />

– Cosa vuoi che siano mille lire di fronte al privilegio<br />

di vedere in azione un autentico mago della canasta.<br />

Fracassi presentò Serra come un giovane autorevole<br />

funzionario del Ministero dell’Interno in missione ad<br />

Addis Abeba. Tiraboschi, il padrone di casa, gli diede<br />

il benvenuto. Aveva una faccia larga e gli occhiali<br />

spessi. I pochi capelli grigi rimastigli formavano un<br />

rigonfio alle tempie. Indossava una giacca nera da sera,<br />

che gli stava piuttosto stretta.<br />

– Farete bene a guardarvi da Tiraboschi, – disse una<br />

voce femminile alle spalle di Serra.<br />

Serra si voltò e riconobbe la contessa Sinibaldi.<br />

– Questa casa, se non l’avete capito, è una bisca, –<br />

continuò la contessa in tono frivolo, – non certo il posto<br />

adatto per un poliziotto integerrimo come voi. O<br />

siete qui per arrestarci tutti?<br />

Serra arrossì: – È un po’ un caso che sia qui, – disse,<br />

– sono arrivato con Fracassi, forse lo conoscete…<br />

104<br />

Si guardò intorno e si accorse che Fracassi si era allontanato:<br />

lo scorse, seduto sul bracciolo di una poltrona,<br />

mentre parlava animatamente con un uomo in<br />

smoking. Quanto a Tiraboschi, era ritornato al tavolo<br />

da gioco.<br />

– Siete amico di Fracassi, dunque.<br />

– Semplicemente è stato lui a portarmi qui.<br />

Si avvicinò un cameriere che circolava tra gli ospiti<br />

col vassoio dei liquori: – Un whisky, signore?<br />

– No, no, grazie, – rispose Serra.<br />

La contessa Sinibaldi, invece, sostituì il suo bicchiere<br />

vuoto con uno pieno.<br />

– Credo di sapere cosa vi ha portato in questa casa,<br />

– disse.<br />

– Il caso, contessa, ve lo assicuro.<br />

– E non il fatto che Bellassai la frequentasse assiduamente<br />

e che ci abbia perso migliaia di lire?<br />

– Sapevo che Bellassai giocava e perdeva, non che ciò<br />

avvenisse qui.<br />

– Tutto ad Addis Abeba, tutto ciò che conta voglio<br />

dire, avviene qui. Qui si trattano affari, si promuovono<br />

carriere, qui scoppiano amori e al centro di tutto<br />

c’è il tavolo da gioco: è come se senza le carte non sapessimo<br />

cosa fare, abbiamo bisogno di vivere ammassati,<br />

ma poi non sappiamo cosa dirci. Duilio, l’ho conosciuto<br />

qui, sapete, al tavolo da gioco, due perdenti<br />

assoluti io e lui, con la differenza che io me lo potevo<br />

permettere mentre lui…<br />

– Lui aveva pur sempre una moglie ricca.<br />

105


– Quella borghesuccia lo teneva a stecchetto. Per<br />

gente come quella là, la roba viene prima di tutto. Vi<br />

hanno sicuramente detto come è sparita subito dopo il<br />

funerale. State sicuro che il prossimo che si sceglierà<br />

sarà uno della sua razza, un rassicurante omettino tutto<br />

casa e azienda.<br />

– Se non li pagava sua moglie, chi è che pagava i debiti<br />

di gioco di Bellassai? Pagavate voi, contessa?<br />

– Non capite, tutti continuate a non capire. Il fatto<br />

che Duilio accettasse soldi da me o da altre donne non<br />

ne faceva un gigolo. Avrebbe potuto facilmente averla<br />

la vita comoda. Ma questo non gli bastava. Duilio voleva<br />

tutto… non si accontentava… riuscite a capire<br />

cosa vuol dire volere tutto?<br />

– Non credo, contessa, non credo di riuscirci. Neppure<br />

credo di volerci riuscire, a dire il vero.<br />

– Allora non comprenderete mai Duilio.<br />

– Mi accontenterei di scoprire chi l’ha ucciso.<br />

106<br />

13<br />

Quando l’indomani mattina Serra scese a colazione<br />

nella sala da pranzo dell’albergo, Carruezzo l’accolse<br />

con un sorriso ironico:<br />

– Ieri avete fatto le ore piccole. Spero almeno che<br />

ne sia valsa la pena.<br />

– Non è stato del tutto inutile, – disse Serra.<br />

– Beh, non mi fate il misterioso, qualcosa avrete pur<br />

combinato.<br />

Serra raccontò nei particolari la scorribanda della sera<br />

prima, mantenendosi sul vago solo a proposito della<br />

conversazione con Melina.<br />

– Se non altro abbiamo un’idea più precisa di chi frequentava<br />

Bellassai, – fu il conciso commento di Carruezzo.<br />

Il menù dell’Impero contemplava quel giorno zuppa<br />

di pesce del Mar Rosso, un piatto che aveva subito catturato<br />

l’attenzione di Carruezzo. – Voglio vedere cos’ha<br />

combinato, in cucina, quello là, – aveva detto.<br />

Poi aveva continuato: – Con il pesce, questo è ovvio,<br />

ci va il bianco.<br />

Serra aveva assentito, giudicando inutile far notare di<br />

aver ordinato un arrosto d’agnello. “Perché dirglie-<br />

107


lo?” pensò. “Se ha deciso che sia bianco, bianco sarà.”<br />

All’arrivo del vino in tavola, Carruezzo se ne versò<br />

un bicchiere e disse: – Bisogna che facciamo giungere<br />

da Roma altre informazioni su questo Fracassi. Pensate<br />

voi a spedire il telegramma cifrato?<br />

– Dubito che nel nostro casellario troveranno qualcosa.<br />

– Per vostra regola, giovanotto, nel mio casellario,<br />

– si soffermò su quel mio, – si trova chiunque non sia<br />

una irrilevante nullità. E Fracassi non è una nullità.<br />

Portarono a Carruezzo la sua zuppa di pesce e a Serra<br />

l’arrosto.<br />

– Non c’è lo scorfano, – disse Carruezzo prima ancora<br />

di aver assaggiato il piatto. – Quello là ha fatto la<br />

zuppa di pesce senza lo scorfano. Voi vedete scorfani,<br />

Serra?<br />

Serra interruppe di mangiare ed esaminò la zuppa:<br />

– Il mostro con le spinone sul dorso potrebbe essere<br />

uno scorfano, – disse indicandolo con il coltello.<br />

– Non distinguereste un merluzzo da una balena.<br />

A parte questo, non mi risulta che nel Mar Rosso vi<br />

siano scorfani. A voi risulta, Serra?<br />

– No, capo, – disse Serra riprendendo a mangiare.<br />

Coltello e forchetta in aria, Carruezzo continuava a<br />

osservare la zuppa: – Zuppa del Mar Rosso. Vi pare<br />

che pesci pescati nel Mar Rosso possano mantenersi<br />

freschi sino ad Addis Abeba?<br />

– Magari sì, opportunamente conservati nel ghiaccio.<br />

108<br />

– Voi lo difendete, Serra, ma quello là, l’armeno, è<br />

un imbroglione e questa Zuppa del Mar Rosso è fatta<br />

di pesce di fiume o che al massimo viene dal lago<br />

Tana.<br />

– Forse avete ragione, capo, – disse Serra, – però, visto<br />

che l’avete ordinata, perché non l’assaggiate?<br />

Dopo aver spinato la coda del presunto scorfano, Carruezzo<br />

lo assaggiò.<br />

– Come vi sembra? – chiese Serra.<br />

– Eccellente… anche se il mostro marino in questione<br />

non ha sapore di scorfano, checché ne diciate.<br />

Abbandonata la prudenza iniziale, Carruezzo si dedicò<br />

con deteminazione e sistematicità al suo piatto.<br />

Mangiato il pesce, fu la volta dei crostini su cui lo avevano<br />

adagiato. Infine, nel sugo rimasto versò dei pezzetti<br />

di pane, ottenendo così un’ultima zuppetta.<br />

Carruezzò si tolse il tovagliolo che aveva messo intorno<br />

al collo. – Davvero eccellente, – disse riemergendo<br />

dal silenzio. Poi, con tono disinvolto e come<br />

cambiando per caso discorso: – Voi Serra, cosa pensate<br />

di quello là… del cuoco?<br />

– Cucina molto bene, mi pare.<br />

– Non mi riferivo a questo. Mi chiedevo se il cuoco<br />

possa essere considerato un uomo interessante, attraente…<br />

attraente per una donna, voglio dire.<br />

– Attraente non è la parola che userei. Direi piuttosto<br />

che ha un suo stile.<br />

– Come un suo stile?<br />

– L’avete osservato nelle sue apparizioni nella sala<br />

109


del ristorante? Avete visto il modo in cui sorride alle<br />

signore ai tavoli?<br />

– È ridicolo con quel cappellone da cuoco. È più<br />

alto il cappello del cuoco.<br />

– Avete notato la disinvoltura e la sicurezza con cui<br />

cinge la vita di Madame Dressler, quando è al suo<br />

fianco?<br />

– Altrettanto ridicolo, visto che Madame Dressler<br />

è almeno venti centimetri più alta di lui.<br />

– Eppure è un gesto… come dire… avvolgente.<br />

Carruezzo curvò le spalle massicce e sospirò:<br />

– Serra, parlatemi un po’ di questa faccenda dell’amore.<br />

– Cosa volete sapere?<br />

– Voglio che mi spiegate da cosa si capisce se uno<br />

è innamorato.<br />

– Siete innamorato?<br />

– Voi ditemi i sintomi.<br />

– Il primo è che non si può fare a meno della persona<br />

amata. Ci si convince che senza di lei la vita non<br />

è degna di essere vissuta.<br />

– Si smette di essere autosufficienti, in altre parole.<br />

– Quanto a questo, l’amore è l’esatto contrario dell’autosufficienza.<br />

– Vi vorrei fare un’altra domanda, Serra, ancora più<br />

personale. Voi però non mi dovete fraintendere.<br />

– Sparate, cavaliere.<br />

– Secondo voi uno come me potrebbe piacere ad una<br />

donna?<br />

110<br />

– Ma certo che sì.<br />

– Non sono poi tanto male, dunque.<br />

– Che non siete male lo pensava anche la vedova del<br />

dottor Esposito degli Affari Generali e Riservati…<br />

– Non vorrete tirar fuori quell’increscioso episodio,<br />

Serra!<br />

– Perché poi increscioso? Semplicemente la vedova<br />

Esposito vi concupiva.<br />

La vedova Esposito (vedova del dottor Esposito, collega<br />

di Carruezzo) aveva abitato nell’appartamento sotto<br />

quello che il cavaliere condivideva con la signora<br />

Iolanda, sua madre, in un condominio nei pressi di<br />

Piazza Verdi. Nel racconto che Carruezzo aveva fatto<br />

a Serra dell’increscioso episodio, tutto era iniziato con<br />

la richiesta della vedova che il suo vicino (e “amico del<br />

mio defunto marito”, come lei aveva voluto sottolineare)<br />

scendesse a casa sua ad aiutarla con un lavandino<br />

intasato. Nessuno era meno adatto di Carruezzo a<br />

simili operazioni, e già questo avrebbe dovuto metterlo<br />

sull’avviso a proposito delle reali intenzioni della<br />

vedova. Che si erano manifestate, a sentire Carruezzo,<br />

appena lui aveva messo piede nell’appartamento.<br />

Data la materia scottante, su questo punto il discorso<br />

si faceva tortuoso ed ambiguo, affidandosi nei passaggi<br />

chiave ad oscure metafore. A Serra non risultava<br />

chiaro sino a che punto la vedova fosse andata avanti<br />

nelle sue avances e soprattutto quali fossero le “difficoltà<br />

tecniche” insorte a un dato momento. Chi aveva<br />

111


visto tutto molto chiaro, invece, era stata la signora<br />

Iolanda che, in pensiero per la prolungata assenza del<br />

figlio e forse intuendo minaccia, era scesa nell’appartamento<br />

di sotto e, trovando la porta aperta, era entrata<br />

sorprendendo i due in un atteggiamento che le era<br />

parso inequivocabile. Fatto sta che quando Carruezzo<br />

era tornato al piano di sopra, la signora Iolanda si era<br />

rifiutata di farlo entrare, sibilandogli attraverso la porta<br />

di non avere nessuna intenzione di convivere con un<br />

satiro.<br />

Carruezzo fu tenuto fuori di casa per una settimana,<br />

nel corso della quale venne ospitato nella pensione di<br />

Serra sulla Nomentana. Provvisorio rifugio di cui, non<br />

si sa come, la vedova Esposito venne a conoscenza, presentandosi<br />

alla pensione chiedendo di parlare col Cavalier<br />

Carruezzo. “Affrontatela con sincerità, cavaliere”<br />

gli consigliò Serra, mentre la donna attendeva nel<br />

salottino. “Prima di essere chiaro con lei, cavaliere, dovete<br />

essere chiaro con voi stesso.” Quel “satiro” sibilato<br />

da oltre il catenaccio lo tormentava: “Mi sono cacciato<br />

in un budello senza uscita.” Serra cercò di fargli<br />

presente la possibilità di una sua relazione con la vedova<br />

senza che la signora Iolanda ne sapesse nulla, oppure<br />

che la signora Iolanda potesse accettare questa<br />

eventuale relazione. Carruezzo scosse la testa. “Almeno<br />

ci dovete parlare” disse Serra. Il cavaliere assentì:<br />

avrebbe affrontato il doloroso colloquio. Di fronte alla<br />

vedova che inframmezzava minacce a profferte d’amore,<br />

il cavaliere tacque. O così parve a Serra, che nella<br />

112<br />

stanza attigua al salottino non aveva potuto fare a meno<br />

di sentire. Una frase della vedova lo aveva colpito: “Pensavate<br />

forse che con la morte del dottor Esposito dovessi<br />

rinunciare alla mia femminilità?”<br />

– Non ci sono dubbi, – ribadì Serra, – la vedova<br />

Esposito vi concupiva.<br />

Arrivarono in tavola due fette di torta.<br />

– No basta, ho mangiato troppo, – disse Serra.<br />

Il cameriere stava ritirando uno dei due piattini che<br />

aveva appena poggiato sul tavolo quando Carruezzo<br />

gli fermò il braccio. – Lasciate pure, – gli disse.<br />

– Sì, – riprese Serra, – la vedova Esposito per voi<br />

stravedeva.<br />

– Ho capito, giovanotto, è la terza volta che lo dite.<br />

Ma qui non si tratta della vedova Esposito.<br />

– Di chi si tratta?<br />

Carruezzo abbassò gli occhi, assestando sul piattino<br />

con la forchetta la fetta di torta.<br />

– Via, lo sapete benissimo.<br />

– Non lo so… però, lasciatemi indovinare… Madame<br />

Dressler?<br />

Carruezzo abbassò ancora di più gli occhi, esaminando<br />

in sezione la torta<br />

– Voi conoscete il mio problema. Con le donne non<br />

so mai cosa fare, mi sento terribilmente impacciato…<br />

quei rituali, poi…<br />

– Quali rituali?<br />

– Le cose che si dicono a una donna… il corteggia-<br />

113


mento. Non sono un homme à femmes come voi, Serra.<br />

Non ho il dono, io.<br />

– Non capisco come vi siate fatto l’idea che io sia<br />

un conquistatore.<br />

– Lo so, lo vedo… non stiamo parlando di voi, comunque.<br />

Il problema è che in certe circostanze… non<br />

so dove mettere le mani.<br />

Ora Carruezzo, la torta, aveva preso a tormentarla<br />

con la forchetta.<br />

– Beh, cavaliere, prima di mettere le mani da qualche<br />

parte in genere ci sono dei preliminari.<br />

– Era solo un modo di dire. Comunque, è appunto<br />

a questi preliminari verbali che io mi blocco… se per<br />

questo mi blocco anche dopo, o prima…<br />

– Potreste cercare di parlare di cose che vi sono familiari.<br />

– Voi pensate che Madame Dressler, ecco… per<br />

esempio… possa ascoltare con interesse i miei progetti<br />

di ammodernamento del Casellario Politico Centrale?<br />

– Non intendevo esattamente questo. Cercate semplicemente<br />

di essere voi stesso, questo volevo dire.<br />

– Essere se stessi? Non è facile, – sospirò Carruezzo.<br />

114<br />

14<br />

Serra si era fermato di fronte a una vetrina in pieno<br />

Viale Mussolini, e aveva potuto osservare con calma la<br />

figura riflessa dell’uomo che da circa mezz’ora lo pedinava.<br />

Alto e con la testa rasata, indossava uno spolverino<br />

chiaro. Una pezzuola nera di cuoio sull’occhio<br />

sinistro lo rendeva inconfondibile anche tra la folla<br />

dei passanti. Ora, però, più che di un pedinatore incapace<br />

dava l’idea di un uomo indeciso. Con Serra<br />

fermo di fronte alla vetrina, sembrò per un attimo che<br />

si volesse avvicinare, poi il poliziotto lo vide tornare<br />

indietro scuotendo la testa. Fu Serra questa volta a seguirlo<br />

con lo sguardo sino a quando l’uomo non voltò<br />

alla prima traversa.<br />

L’ispettore riprese il cammino verso l’albergo. Il mese<br />

trascorso a Addis Abeba gli aveva reso familiare quel<br />

viale e anche i cavalli di frisia avevano conquistato ai<br />

suoi occhi un loro posto nel paesaggio urbano. Quel<br />

viale voleva sembrare Italia, e a suo modo ci riusciva.<br />

Le insegne dei negozi e le facce della gente, soprattutto<br />

le facce, così italiane. Quanto alle facce degli altri, gli<br />

abissini, si finiva per non notarle. “Io proprio non li<br />

vedo, eppure in casa ne ho quattro” aveva sentito dire<br />

115


dalla moglie di un ufficiale. Serra aveva cominciato a<br />

temere di trasformarsi in uno di loro - un coloniale,<br />

come si autodefinivano - se solo fosse rimasto ad Addis<br />

Abeba il tempo sufficiente. Il che non era escluso, se le<br />

cose fossero continuate in quel modo. L’inchiesta languiva,<br />

Carruezzo passava gran parte della giornata in<br />

albergo e lui nelle ultime settimane aveva fatto poco altro<br />

se non leggere i giornali e guardare i passanti nel<br />

caffè che si affacciava sul Viale Mussolini.<br />

Ancora una volta aveva cambiato idea. L’uomo con la<br />

pezzuola nera sull’occhio attendeva di fronte alla porta<br />

dell’albergo. Quando vide Serra arrivare, gli si fece incontro.<br />

– Finalmente vi siete deciso, – disse Serra.<br />

– Non mi dite che vi eravate accorto di me.<br />

– Non avrei dovuto?<br />

– Devo parlarvi dottor Serra.<br />

– È indispensabile farlo qui per strada o ci possiamo<br />

sedere in albergo?<br />

L’uomo si guardò intorno con circospezione prima di<br />

entrare nella porta che Serra gli teneva aperta. Quando<br />

poi l’ispettore gli indicò un gruppo di poltrone in un<br />

angolo appartato e in penombra del vasto salone d’ingresso,<br />

parve gradire la scelta.<br />

– Qui nessuno ci disturberà, – disse Serra sedendosi.<br />

– Le cose che ho da dirvi sono assolutamente riservate.<br />

– Vi ascolto.<br />

116<br />

– Mi assicurate che fate parte dell’Ovra? Proprio l’Ovra,<br />

voglio dire?<br />

– Io non vi assicuro un bel nulla, al massimo vi sto<br />

a sentire.<br />

– Non vi arrabbiate… il fatto è che… insomma, io<br />

sono negli elenchi e se voi… questo si sente in giro…<br />

appartenete all’Ovra, ecco… allora… forse il mio nome<br />

vi dice qualcosa.<br />

– Come vi chiamate?<br />

– Roberto Muzzi.<br />

– Non mi dice nulla.<br />

– È da poco che sono negli elenchi, forse per questo…<br />

– Si può sapere di quali elenchi parlate?<br />

– Gli elenchi degli informatori dell’Ovra, naturalmente.<br />

– Ah!<br />

– Vorrei tirarmene fuori. Non è cosa per me, troppi<br />

rischi, troppi batticuore.<br />

– Suppongo basti che lo facciate sapere al vostro referente.<br />

– Non ho più un referente e poi… vedete, dottor<br />

Serra… il problema è soprattutto economico. – Accompagnò<br />

queste parole col gesto di sfregare pollice e<br />

indice.<br />

– Fatemi capire Muzzi… vi chiamate Muzzi, vero?<br />

Pensate di ritirarvi però volete ancora soldi. Non vi<br />

pare troppo?<br />

– Il fatto è che da sei mesi non vedo una lira. – Muzzi<br />

117


giunse le mani in un gesto supplichevole: – Non mi<br />

giudicate avido, dottor Serra: ho moglie e tre figli.<br />

– Chi era il vostro referente?<br />

– Il tenente Bellassai. Mi hanno detto che indagate<br />

sulla sua morte ed è per questo che ho deciso di mettermi<br />

in contatto con voi. So delle cose su Bellassai che<br />

credo possano essere utili.<br />

– Perché non vi siete rivolto subito alla Polizia?<br />

– Pensavo di doverne riferire prima all’organizzazione.<br />

Aspettavo che qualcuno si mettesse in contatto<br />

con me. E poi…<br />

– Poi?<br />

– Poi c’è il problema che vi ho detto.<br />

– Se è un baratto quello che intendete proporre, non<br />

mi pare che siate nella condizione…<br />

– Non fraintendetemi dottor Serra. Io ne vorrei uscir<br />

fuori. Se poi… ecco… mi fossero anche liquidate le<br />

spettanze arretrate…<br />

– Ora basta, ditemi quello che avete da dirmi. Anzi…<br />

è il caso che vi senta anche il mio superiore.<br />

– No, non parlerò con nessun altro, – fece l’uomo,<br />

in un tono vicino alla paura.<br />

– State tranquillo. Se c’è uno che può risolvere i vostri<br />

problemi è proprio il mio superiore. Aspettatemi qua.<br />

Serra si avvicinò al bancone della hall, ma mentre<br />

chiedeva al portiere di chiamare Carruezzo, vide l’uomo<br />

alzarsi e dirigersi a grandi passi verso l’uscita. Lo<br />

raggiunse prima che infilasse la porta.<br />

– Beh Muzzi, dove andate?<br />

118<br />

– Seguo il vostro consiglio: vado alla Polizia.<br />

– Voi non andate da nessuna parte e mi dite quello<br />

che avete da dire, – gli sibilò Serra e lo afferrò al bavero.<br />

Muzzi piegò la testa come rassegnato e si diresse<br />

verso le poltrone.<br />

– Sapete quanti rapporti ho consegnato a Bellassai<br />

in sei mesi di attività? – disse in tono lamentoso appena<br />

seduto. – Circa un centinaio.<br />

* * *<br />

Il Carruezzo che muoveva verso di loro esprimeva in<br />

un insistito e volutamente torvo corrugare della fronte<br />

l’interrogativo sul perché avessero osato disturbarlo<br />

nel cuore del suo abituale riposo pomeridiano.<br />

Serra si alzò e gli andò incontro<br />

– Non ho potuto fare a meno di chiamarvi, capo, –<br />

gli disse. Poi illustrò brevemente le circostanze in cui<br />

aveva incontrato Muzzi.<br />

– Potete cominciare a parlare, – disse Carruezzo sprofondando<br />

nella poltrona, – vi ascoltiamo.<br />

– Tutto quello che vorrei è essere lasciato perdere.<br />

Dopo la morte di Bellassai, vivo nel terrore e in queste<br />

condizioni non servo più a nessuno. M’ha detto mia<br />

moglie che parlo nel sonno. Recito parola per parola le<br />

relazioni che consegnavo a Bellassai. Mia moglie mi ha<br />

aiutato a scriverle, perché io con la penna… insomma<br />

non è il mestiere mio, invece mia moglie è maestra ele-<br />

119


mentare. L’avessi almeno lasciata a casa quella povera<br />

donna. All’inizio sono venuto qui da solo, ma mi prendevano<br />

delle malinconie, odiavo tutto e tutti, bianchi<br />

e neri. Fatto sta che dopo tre mesi ho fatto venire la famiglia…<br />

– Dicevate di Bellassai? – intervenne Serra. –<br />

Com’è che l’avete conosciuto?<br />

– Avevo a che fare con lui per certe ordinazioni dell’esercito.<br />

Ho un negozio di ferramenta e quegli ordini<br />

erano stati un po’ la salvezza in un periodo nero.<br />

Uno comincia così, che quasi non se ne accorge. “Tu<br />

ne sentirai di ogni tipo, con tutta la gente che passa<br />

nel tuo negozio” mi fa Bellassai. “E le notizie interessanti<br />

hanno un loro prezzo” aggiunge. A Bellassai non<br />

gli potevo dire di no. Le ordinazioni dipendevano da<br />

lui. E poi l’idea di far parte di un esercito segreto…<br />

Fece una pausa come se quelle ultime parole avessero<br />

fatto affiorare qualcosa, un’emozione, un ricordo,<br />

su cui avrebbe voluto indugiare, almeno per un attimo.<br />

Poi riprese il racconto:<br />

– Io, ve l’ho già detto, quasi ogni settimana gli presentavo<br />

un rapporto, ma a essere sinceri non c’era scritto<br />

nulla di particolarmente importante. Certo in negozio<br />

passa molta gente… però non è che uno va dal<br />

ferramenta per fare conversazione. Vorrei una brugola<br />

da tre… Mi serve un dado con la filettatura così e<br />

cosà… Questo è quello che ti chiedono: tu glielo dai,<br />

loro ti pagano e se ne vanno. Se qualcuno dice qualcosa…<br />

120<br />

– Fatemi capire, Muzzi. Gliene davate o no informazioni<br />

a Bellassai? – domandò Serra.<br />

– Non sono mai riuscito a sapere nulla d’importante,<br />

questa è la verità. Ma lui non se ne lamentava. Non<br />

mi dava una lira, ma non sembrava si aspettasse di<br />

più di quello che riuscivo a fare. Un giorno, però, mi<br />

chiede di metterlo in contatto con Tayè Burrù, un<br />

abissino, uno che ogni tanto mi passava qualche informazione.<br />

Tra parentesi: io a Tayè Burrù gli ho dato<br />

almeno duecento lire e anche quelle… passate in cavalleria.<br />

– Com’è che conoscevate questo Burrù, – intervenne<br />

Serra.<br />

– È uno che recluta manovali, ma anche una specie<br />

di capomastro. Comprava al negozio. Siccome andava<br />

molto in giro, anche fuori Addis Abeba, allora ho<br />

pensato che magari veniva a sapere qualcosa.<br />

– Perché Bellassai ha voluto mettersi in contatto con<br />

lui?<br />

– Questa è la cosa difficile da credere… ve lo ripeto,<br />

se racconto tutto, è proprio perché mi aspetto che voi<br />

mi tirate fuori.<br />

– Sarà difficile se non vi decidete a parlare, – disse<br />

Carruezzo infastidito.<br />

– Insomma, il fatto è questo. Bellassai pensava di<br />

poter spingere qualche gruppo di ribelli a organizzare<br />

un attentato a Graziani, pensava di fare l’agente<br />

provocatore insomma… poi avrebbe fermato i ribelli<br />

prima ancora che entrassero in azione, li avrebbe fatti<br />

121


arrestare, prendendosi il merito di aver impedito l’attentato.<br />

Nei suoi piani, anch’io dovevo fare qualcosa…<br />

che cosa, però, diceva che l’avrei saputo al momento<br />

giusto.<br />

– Ma quel Burrù, l’abissino, che parte aveva nella<br />

faccenda? – chiese Carruezzo.<br />

– Bellassai si era convinto che Burrù, istruito a dovere,<br />

avrebbe potuto fare da esca ai ribelli. E che i ribelli<br />

avrebbero abboccato. Poi sarebbe arrivato lui…<br />

“Vedrai che botto, Muzzi” mi diceva. “Tu ti becchi le<br />

lirette, che ti piacciono tanto e io, io, vedrai se non<br />

iniziano a prendermi sul serio quelli di Roma.” A me,<br />

a quel punto, la cosa iniziava a farmi paura, cosa potevo<br />

fare però? …come facevo a tirarmi fuori? E dire<br />

che mia moglie l’aveva capito subito che tipo era Bellassai.<br />

Una volta, all’inizio, l’ho invitato a cena a casa<br />

mia, in realtà è lui che si è fatto invitare… non se ne<br />

andava più, parlava, straparlava e quando finalmente<br />

è andato via, mia moglie mi fa: “Mi sbaglierò, Berto,<br />

ma a me quel tuo Bellassai mi sembra un cretino.” A<br />

me questo sino ad allora non mi era mai venuto in<br />

mente, me l’ha fatto notare mia moglie quanto era<br />

strana tutta quella faccenda, una cosa da pazzi… o da<br />

cretini. “Se Bellassai è un cretino,” ho detto a mia<br />

moglie, “allora vuol dire che sono un cretino anch’io.”<br />

Lei ha fatto di sì con la testa.<br />

L’espressione di Muzzi si era fatta distesa, quasi che<br />

quel racconto così vicino a una confessione avesse allontanato<br />

la paura. Anche Carruezzo non aveva più<br />

122<br />

l’occhio indagatore di qualche momento prima. Lo<br />

sguardo ora appariva benevolo. All’improvviso tirò<br />

fuori dalla tasca una manciata di cioccolatini e ne offrì<br />

a Muzzi.<br />

– Quello al maraschino, – disse, vedendolo indeciso,<br />

– è delizioso.<br />

Muzzi ringraziò e prese il cioccolatino che Carruezzo<br />

gli aveva indicato. Anche Carruezzo esitò per un attimo,<br />

mentre dopo averli avvicinati all’occhio destro,<br />

quello tra i due più periscopico e veloce, perlustrava i<br />

quattro, cinque cioccolatini che gli erano rimasti in<br />

mano. – A Serra cioccolato fondente, conosco i suoi<br />

gusti. E a me non rimane che il gianduiotto.<br />

– Tiratemi fuori da questo guaio, – disse Muzzi con<br />

trasporto, rivolto a Carruezzo. – Non so neppure io<br />

perché ho dato retta a quell’esaltato. Anche se poi, vedete,<br />

non è che gli davo retta più di tanto. Se non<br />

c’era l’attentato a Graziani…<br />

– Ci state dicendo che Bellassai ha avuto davvero a<br />

che fare con l’attentato!?<br />

– No, dottor Carruezzo, Dio non voglia! Le bombe<br />

a Graziani le hanno lanciate gli abissini, noi… anche<br />

Bellassai, voglio dire, ne è rimasto sorpreso. Però ha<br />

iniziato ad aver paura. “E se arrivano a me?” continuava<br />

a ripetere. Io non ho idea di quanto fosse andato<br />

avanti con quel piano. Lui diceva che non aveva combinato<br />

nulla. “E se Tayè Burrù lo prendono e parla?”<br />

diceva. Quel Tayè Burrù, poi, il giorno dopo l’attentato,<br />

è sparito e questo certo non lo tranquillizzava. –<br />

123


Si voltò verso Serra e con un’aria implorante disse: – Voi<br />

mi credete, vero che voi mi credete?<br />

– Potrei anche credervi, – rispose Serra, – rimane il<br />

fatto che voi e Bellassai avete combinato un bel casino.<br />

– Io e Bellassai? – Muzzi accompagnò queste parole<br />

con enfatici gesti di diniego. – No, no, qui non mi si<br />

vuol capire. Io e Bellassai abbiamo preso due strade<br />

molto diverse. Soprattutto dopo l’attentato, quando<br />

Bellassai si è mischiato a quelli del partito andando in<br />

giro per Addis Abeba… voi lo sapete cos’è successo in<br />

città dopo che hanno sparato a Graziani?<br />

Muzzi non attese la risposta e cominciò a raccontare<br />

della caccia all’abissino scatenata nei giorni appena<br />

successivi all’attentato dagli uomini del Partito. Parlò<br />

di indigeni trucidati a colpi di mazza, di fucilazioni<br />

sommarie, di una città intera messa a ferro e fuoco.<br />

– Non che gli abissini non lo meritino, – continuò<br />

Muzzi. – “Ma cosa andate a mischiarvi” dicevo a Bellassai.<br />

“Perché volete attirare l’attenzione su di voi?” E<br />

lui: “Deve essere chiaro che io a spaccare il culo a questi<br />

negri non sono secondo a nessuno”. Da quella volta<br />

ci siamo sentiti molto poco, anche se lui ogni tanto veniva<br />

a cercarmi. Poi ho saputo che era morto. Questo<br />

è tutto. Non vi ho nascosto nulla.<br />

– Voglio ben sperare, – fu il commento di Serra. –<br />

Ora non dovete far altro che mantenervi a disposizione.<br />

– Ma voi pensate che vi abbia raccontato balle?<br />

– Verificheremo la vostra versione, – disse Serra. Pensava<br />

in realtà che a nessuno sarebbe venuto in mente di<br />

124<br />

inventare e spacciare per vera una storia così complicata<br />

e improbabile.<br />

Ci fu un momento di silenzio. Forse Muzzi attendeva<br />

altre domande dai due poliziotti, o forse sperava<br />

in rassicurazioni meno generiche, se non in una garanzia<br />

d’impunità. Non giunsero né le une né le altre.<br />

– Toglietemi una curiosità, – disse Carruezzo, – cosa<br />

avete sotto quella pezzuola di cuio? – Si sporse in<br />

avanti verso il suo interlocutore e indicò la pezzuola.<br />

Muzzi arrossì violentemente: – Veramente… un occhio<br />

di vetro, – disse.<br />

– Lo immaginavo. Cosa ne fate la notte? Lo togliete?<br />

– Sì, lo tolgo, anche perché ogni mattina bisogna pulirlo.<br />

– Suppongo che durante la notte rimaniate con l’orbita<br />

allo scoperto.<br />

– No, assolutamente… anche perché mia moglie una<br />

volta che le è capitato di vedermi in quello stato… no,<br />

dormo con la pezzuola di cuoio.<br />

Muzzi si alzò, abbottonò lo spolverino che fino a<br />

quel momento aveva tenuto sulle ginocchia, e si produsse<br />

in una forma stilizzata di saluto romano.<br />

– Naturalmente, giovanotto, non vi allontanerete<br />

da Addis Abeba, – suonò il commiato di Carruezzo.<br />

Muzzi prese la via dell’uscita, ma dopo pochi passi<br />

si voltò come se volesse dire ancora qualcosa. Poi<br />

scosse la testa nello stesso modo sconsolato che Serra<br />

gli aveva già visto e si allontanò definitivamente.<br />

125


126<br />

15<br />

In un’indagine per omicidio, si deve partire dalla<br />

personalità della vittima.<br />

Stava rileggendo nella sua stanza d’albergo le carte<br />

dell’inchiesta e gli era venuta in mente quella frase<br />

di suo padre.<br />

Vittorio Serra aveva lavorato per anni nella squadra<br />

criminale della questura di Cagliari e all’apice della<br />

sua carriera di poliziotto c’era l’inchiesta sull’assassinio<br />

della contessa Salaris, un caso celebre nella Cagliari<br />

d’anteguerra. In quella circostanza, il nome di<br />

Vittorio Serra era perfino finito sulle pagine dell’“Unione<br />

Sarda”. Serra ricordava il giornale aperto sul tavolo<br />

della cucina e se stesso bambino che in ginocchio<br />

su una sedia compitava l’articolo, con la madre<br />

a guidargli l’indice da una parola all’altra: Con-magni-fico-sprez-zo-del-pe-rico-lo-il-ma-re-sciallo-Ser-ra…<br />

Da solo e senz’armi, Vittorio Serra era entrato nella<br />

stanza dove il conte Salaris, accusato di aver strangolato<br />

sua moglie (che lo tradiva), si era rinchiuso, minacciando<br />

di farsi saltare le cervella. Quando finalmente<br />

l’aveva convinto a consegnargli la pistola, il<br />

conte era scoppiato in singhiozzi. L’ultima volta che<br />

127


Luciano Serra aveva sentito suo padre rievocare quell’episodio<br />

pescavano al canale di Mamarranca e, dopo<br />

altri infruttuosi tentativi, avevano piazzato le lenze a<br />

campanelli. Lunghi minuti di silenzio in attesa di un<br />

tintinnio, e poi un’anguilla aveva abboccato. Seduto<br />

sul bordo del canale, intento a liberare l’anguilla dall’amo,<br />

il padre, senza particolare motivo - o, chissà,<br />

forse aveva associato l’agitarsi disperato dell’anguilla<br />

che teneva tra le mani a un altro agitarsi disperato,<br />

quello degli ultimi istanti della contessa Salaris -<br />

aveva chiesto al figlio: “Ti ricordi del conte Salaris?”<br />

Luciano Serra aveva mentito (“No”) per permettere a<br />

suo padre di raccontare quella storia, poi l’aveva ascoltata<br />

dall’inizio alla fine senza fargli domande.<br />

Ora avrebbe voluto farla una domanda a suo padre.<br />

In che modo la vita di uno come Bellassai poteva<br />

servire a comprenderne la morte? E su quale Bellassai<br />

aveva sparato l’assassino? Sul Bellassai seduttore? Sul<br />

giocatore indebitato? Sull’organizzatore di improbabili<br />

trame? Sul massacratore di indifesi?<br />

Queste e altre ipotesi suggerivano quelle carte. I<br />

verbali dei primi interrogatori. Le risposte distaccate<br />

della moglie di Bellassai, il suo alibi inattaccabile. La<br />

testimonianza dei due ascari che avevano trovato il<br />

cadavere. Fatti che Serra conosceva perfettamente, ma<br />

anche aspetti dell’inchiesta di cui Oppo, giudicandoli<br />

forse poco importanti, non l’aveva informato. Come,<br />

ad esempio, l’interrogatorio del conte Sinibaldi, condotto<br />

presso la Questura di Bologna.<br />

128<br />

“Sapevate della relazione tra vostra moglie e Bellassai?” /<br />

“Perfettamente.” / “E non ne eravate geloso?” / “Niente affatto.<br />

Ne ero anzi compiaciuto.” / “Come compiaciuto?” /<br />

“Compiaciuto che mia moglie fosse oggetto dell’ammirazione<br />

di un giovane e affascinante ufficiale del nostro esercito.”<br />

E c’erano i verbali degli interrogatori subiti da Sara<br />

Dirasse. Ne veniva fuori un alibi tutt’altro che solido,<br />

basato sull’unica testimonianza della cameriera etiope,<br />

pronta a giurare che quella notte la signorina Sara non<br />

si era mai mossa di casa.<br />

Uno smilzo fascicolo raccoglieva i verbali dell’indagine<br />

sulle impronte di copertoni individuate non lontano<br />

dal luogo del delitto. Nessuno dei camionisti interrogati<br />

era passato vicino al punto dove era stato<br />

trovato il corpo di Bellassai, nessuno almeno c’era<br />

passato la notte tra il 13 e il 14 maggio. Gazza Flavio,<br />

nato a Pontremoli il 13.XII.1901, dichiara quanto<br />

segue… Gazza Flavio la notte tra il 13 e il 14 maggio<br />

l’aveva passata con una prostituta locale, tale Bikila<br />

Mayrian, che opera nella zona tra la via Amba Alàgi e<br />

l’Ufficio Postale. Annotazione a margine firmata dall’agente<br />

che aveva condotto l’interrogatorio: Si attesta<br />

che la sciarmutta Bikila Maryan è conosciuta anche dal sottoscritto.<br />

Chissà, forse il poliziotto e il camionista si<br />

erano raccontati le rispettive esperienze con la sciarmutta<br />

in questione, o magari avevano solo confrontato<br />

le tariffe. C’era poi un Torriglia Vincenzo, che<br />

per provare di aver lasciato il suo camion nel cortile<br />

della Missione dei Padri Cappuccini, aveva allegato<br />

129


una dichiarazione del superiore della Missione. Ma la<br />

maggior parte degli interrogati avevano passato quella<br />

notte lontano da Addis Abeba. I verbali riportavano<br />

a luoghi e itinerari dalle risonanze esotiche: Harar,<br />

l’Ogadén, Gibuti, il lago Tana, Assab, Macallé-Asmara…<br />

…Macallé-Asmara. C’era qualcosa che non quadrava.<br />

Niccolai Nardo, proprietario del Fiat 634 targato Addis<br />

Abeba 1342, che conduce personalmente, dichiara che<br />

la notte tra il 13 e il 14 maggio ha percorso la strada che<br />

da Macallé porta ad Asmara. È arrivato ad Asmara alle<br />

prime luci dell’alba.<br />

In sé nulla di straordinario. Se non che tal Giuseppe<br />

Bertoli, altro camionista, in una precedente deposizione,<br />

dichiarava che il 13 maggio provenendo da Macallé<br />

non aveva potuto raggiungere Asmara a causa del<br />

crollo di un ponte. Crollo che si era verificato nella<br />

mattinata del 13 maggio, e Bertoli ricordava di aver<br />

dovuto sostare due giorni a Macallé, prima che la viabilità<br />

fosse ristabilita.<br />

Forse c’era una spiegazione plausibile per quella bugia<br />

e, se c’era, quel Niccolai gliela avrebbe data. Nel<br />

verbale si nominava il cantiere dove Niccolai lavorava.<br />

Per quello che era riuscito a capire di Addis Abeba,<br />

non era lontano dal centro. Questione di poco,<br />

l’indomani avrebbe sentito il camionista, senza bisogno<br />

di scomodare Carruezzo.<br />

Seguitò a riflettere sino all’alba, poi si addormentò<br />

130<br />

mentre il primo raggio di sole, infilandosi nella stanza<br />

dalla finestra socchiusa, illuminava le carte che aveva<br />

lasciato ai piedi del letto. Sognò di essere sul tram<br />

che lo portava verso Monserrato. Il Serra di oggi sul<br />

tram che aveva preso per anni da ragazzo, e anche il<br />

paesaggio lo stesso di allora: la strada assolata e polverosa<br />

che da piazza Italia, a Pirri, porta verso Monserrato,<br />

il canale verdastro, e all’ingresso del paese la<br />

grande costruzione della cantina sociale circondata<br />

dalle palme. Serra scendeva dal tram e si avviava verso<br />

il boschetto di palme, e arrivatoci le palme diventavano<br />

quelle di un’oasi in mezzo al deserto. L’Africa<br />

come un’oasi, un’oasi di palme e datteri. Ora era in<br />

una piccola radura sabbiosa dentro l’oasi. Sullo sfondo<br />

si scorgeva il profilo delle dune, e l’ombra di un<br />

uomo con in testa un turbante e in mano una scimitarra.<br />

C’era una donna con Serra, che gli si offriva, nera<br />

morbida e nuda. “Stai attento però,” diceva, “se ci vede<br />

mio marito ti taglierà la testa.” “Perché tuo marito<br />

dovrebbe vederci?” “È là,” rispondeva la donna e<br />

indicava l’uomo con la scimitarra.<br />

Si svegliò sudato e nel pieno di un’erezione.<br />

131


132<br />

16<br />

Arrivò al cantiere poco dopo Mezzogiorno. C’erano<br />

una decina di operai che mangiavano intorno a un lungo<br />

asse di legno poggiato su cavalletti. Serra aveva lasciato<br />

l’automobile sulla strada, ma ben visibile dal<br />

cantiere.<br />

– Sto cercando Niccolai Nardo. Mi hanno detto che<br />

avrei potuto trovarlo qui.<br />

– Siete della PAI? – chiese uno degli operai, indicando<br />

col mento l’automobile di Serra.<br />

– Sono della Polizia.<br />

– Niccolai è là, sta lavorando al suo camion, – disse<br />

l’operaio, – ora ve lo vado a chiamare.<br />

Non ci volle molto prima che Niccolai emergesse<br />

da sotto il camion e si presentasse a Serra. In canottiera,<br />

le mani e il viso sporchi di grasso, l’uomo era seguito<br />

da un cane dal pelo giallastro. Sia l’uomo che il<br />

cane davano l’idea di non passarsela troppo bene.<br />

– Niccolai Nardo sono io. In che cosa posso…<br />

– Forse sarebbe meglio trovare un posto dove parlare,<br />

– disse Serra.<br />

– Penso che la mia baracca vada bene.<br />

Mentre passavano vicino al camion Niccolai disse:<br />

133


– Ho paura che siano i giunti del semiasse. – Guardò<br />

il camion con aria sconsolata: – Se è così, sono fottuto,<br />

– aggiunse.<br />

– Non potete sostituire i pezzi?<br />

– Alla Fiat di Addis Abeba non li hanno. Devono arrivare<br />

dall’Italia. Ci vorranno mesi. Hanno detto tre,<br />

ma poi diventeranno quattro, cinque… e io nel frattempo<br />

sarò bello che fottuto.<br />

– Non avete un altro camion?<br />

– Sì, un altro camion… l’unico che ho è questo e lo<br />

devo ancora pagare! E se non lavoro…<br />

Arrivato di fronte alla baracca, Niccolai cedette il<br />

passo a Serra, ma il cane, sgattaiolando tra le gambe<br />

del camionista, infilò la porta.<br />

– Sempre in mezzo ai coglioni, cane di merda, – sibilò<br />

Niccolai e lo allontanò con un calcio<br />

Nella baracca c’era odore di chiuso. Il mobilio si riduceva<br />

a una branda sfatta, due sedie e uno specchio<br />

dove erano infilate delle fotografie. In un angolo, un<br />

secchio pieno a metà di acqua sporca.<br />

Niccolai fece il gesto di spolverare una sedia col<br />

dorso della mano.<br />

– State comodo, – disse, offrendola a Serra.<br />

– Il motivo per cui sono qui, signor Niccolai, è una<br />

vostra dichiarazione resa il 25 di maggio negli uffici<br />

di Addis Abeba della Polizia Africa Italiana relativa ai<br />

vostri spostamenti nei giorni 13 e 14 maggio…<br />

– Lo sapevo che sareste arrivati, lo sapevo… con la<br />

iella che mi ritrovo… lo sapevo.<br />

134<br />

– Al poliziotto che vi interrogava avete detto di essere<br />

arrivato ad Asmara nella notte tra il 13 e il 14<br />

maggio. Ora, questo è semplicemente impossibile.<br />

– Sì, lo so, quel maledetto crollo che ha bloccato per<br />

due giorni la strada. L’ho saputo più tardi da un camionista<br />

che era rimasto anche lui fermo.<br />

– E allora… dove eravate quella notte?<br />

– Sulla strada che da Addis Abeba porta a Lechemti.<br />

– Perché non l’avete detto al primo interrogatorio?<br />

– Il trasporto non era del tutto regolare, sapete…<br />

– Cosa portavate?<br />

– No, non per quello che trasportavo, non trasportavo<br />

niente di speciale, materiale da costruzione…<br />

erano le carte che non erano a posto… insomma era<br />

tutta roba senza bolla di accompagnamento. Mi è venuta<br />

la paura che mi avrebbero fatto altre domande se<br />

dicevo quello che avevo visto e allora veniva fuori…<br />

– Perché, cosa avete visto?<br />

– A un certo punto, nella strada per Lechemti, c’è la<br />

deviazione per Miagera. Io ho proseguito per la strada<br />

principale. Se non era che scendevo dal camion per fare<br />

un goccio magari non vedevo nulla, e invece sono sceso…<br />

c’era la luna piena, si vedeva benissimo. Mentre<br />

pisciavo ho guardato verso la strada per Miagera e ho<br />

visto quell’automobile… non era lontano e ho riconosciuto<br />

il modello, era una Aurelia. L’automobile era ferma,<br />

ma dentro al posto di guida c’era qualcuno, con la<br />

testa appoggiata sul volante, sembrava ubriaco e poi ho<br />

visto una donna, ma la donna era fuori dell’automo-<br />

135


ile… era tutta una scena strana, una automobile ferma<br />

lì in piena notte, ma la cosa più strana era la donna.<br />

– Perché strana?<br />

– Non è che qui se ne vedono tutti i giorni di indigene<br />

vestite all’europea.<br />

136<br />

17<br />

Sì, questo avrebbe dovuto fare per prima cosa, far rapporto<br />

a Carruezzo. Poi la catena si sarebbe messa in<br />

moto: Carruezzo avrebbe avvertito Oppo, Oppo avrebbe<br />

torchiato Sara Dirasse, Sara Dirasse avrebbe confessato,<br />

Graziani sarebbe stato soddisfatto della soluzione<br />

del caso, lui e Carruezzo, finalmente, sarebbero tornati<br />

a Roma. Anche l’anima sozza di Bellassai avrebbe sicuramente<br />

gioito da lassù. Ma bastava che una donna dalla<br />

pelle scura fosse vestita all’europea per identificarla come<br />

Sara Dirasse? No che non bastava, anche se… quante<br />

probabilità c’erano che non fosse lei? Poche, diciamolo,<br />

pochissime. Ci sarebbe stato poi il riconoscimento da<br />

parte del camionista, certo… di notte, però, a quella distanza?<br />

Sarebbe dovuto andare da Carruezzo, questo lo sapeva:<br />

prima il capo l’avrebbe ascoltato in silenzio, poi<br />

avrebbe vagliato i pro e i contro di un intervento immediato,<br />

e alla fine avrebbe deciso…<br />

Un impulso improvviso lo spinse a invertire il senso<br />

di marcia, andando così in direzione opposta non solo<br />

all’albergo ma anche alla caserma della PAI e a qualsiasi<br />

altro luogo dove avrebbe potuto far rapporto alle<br />

137


“autorità superiori”. Voleva essere lui a trovare il finale<br />

e voleva trovarlo subito, anche se non sapeva bene se il<br />

finale, una volta trovato, gli sarebbe piaciuto.<br />

Ricordava il nome della zona, Raffael o qualcosa del<br />

genere, e il fatto che fosse verso nord. In quelle sei<br />

settimane aveva acquistato una certa familiarità con<br />

Addis Abeba, ma ora non riusciva a individuare la<br />

villa di Fracassi. Giunto ad un incrocio, imboccò una<br />

larga strada sterrata, con l’idea di averla già percorsa.<br />

La strada coincideva con il ricordo che ne aveva, solo<br />

gli alberi piantati ai lati gli sembravano ora meno frequenti.<br />

Dopo poche centinaia di metri incontrò un<br />

gregge di pecore che pensò incustodito sino a quando<br />

da dietro un albero non spuntò un ragazzino con un<br />

camicione bianco lungo sino ai piedi e in mano un<br />

bastone nodoso. Armeggiando col bastone, il giovane<br />

pastore riuscì a portare le pecore ai bordi della strada<br />

quel tanto che bastava per lasciare un passaggio all’auto<br />

di Serra. Fu allora che il piccolo pastore sorrise,<br />

lasciando scorgere denti bianchissimi, e alzò il braccio<br />

destro in un gesto che era forse un saluto romano.<br />

L’auto giunse ad uno spiazzo dominato da una costruzione<br />

in muratura, intonacata a calce. Sulla facciata<br />

campeggiava la scritta in vernice rossa, Trattoria<br />

Napulitana. Era possibile che là qualcuno parlasse italiano.<br />

Fermò l’automobile e scese per chiedere informazioni.<br />

In una grande stanza in penombra, con al<br />

centro dei tavoli e qualche sedia, lo accolse un nano<br />

138<br />

dalla pelle scura. I capelli lisci e i tratti del volto facevano<br />

pensare a un indiano. Anche il gesto di saluto che<br />

gli rivolse - un breve inchino del capo con le mani<br />

giunte - confermò Serra in questa supposizione. Prima<br />

ancora che chiedesse qualcosa, il nano gli si fece incontro<br />

porgendogli la carta dei cibi.<br />

– Non voglio mangiare, – disse Serra, – mi servirebbe<br />

invece un’informazione. Ma il nano continuava<br />

a sventolargli il menù di fronte al viso.<br />

– Doro Wet Vesuvio, – lesse Serra a voce alta, non sapendo<br />

che fare.<br />

Il nano sottolineò l’interessamento di Serra per lo<br />

spezzatino di pollo con ampi cenni del capo. Poi avvicinò<br />

i polpastrelli alla bocca e ci soffiò sopra, un gesto<br />

che Serra interpretò come la promessa di speziati<br />

effluvi vulcanici, se avesse assaggiato il Doro Wet Vesuvio.<br />

– Non posso fermarmi a mangiare, – disse Serra,<br />

questa volta molto lentamente, – devo raggiungere<br />

Raffael e credo di aver perso la strada.<br />

– Raf-fa-el, – ripeté il nano, con una voce molto<br />

gutturale e distanziando le sillabe.<br />

Poi prese per mano Serra e lo condusse attraverso un<br />

andito che sbucava in un piccolo balcone posto sul retro<br />

dell’edificio. Il balcone si affacciava su un paesaggio<br />

inaspettatamente ampio, dominato dalla presenza<br />

degli eucaliptus. Solo in parte nascoste dagli eucaliptus,<br />

si intravedevano ai margini di una strada alcune<br />

ville. Più avanti, lungo la stessa strada, uno scorrere<br />

139


monotono di piccole case in muratura. Ancora più<br />

lontano, rompevano la continuità della foresta radure<br />

improvvise, popolate di capanne di paglia e fango.<br />

Qui Addis Abeba si rivelava per quel che era, casualità<br />

pura, foresta disboscata, meccanico raggrumarsi di esistenze.<br />

Il nano indicò la zona delle ville: – Raf-fa-el, – disse<br />

nello stesso modo gutturale e soffocato.<br />

140<br />

18<br />

Non ebbe difficoltà a trovare la villa di Fracassi.<br />

Fu Sara ad aprirgli il cancello:<br />

– Dottor Serra, che piacere vedervi, – disse venendogli<br />

incontro con indosso la tunica tradizionale delle<br />

etiopi, completamente bianca.<br />

Lo condusse nel salone della prima visita.<br />

– Sono qui per un motivo preciso, signorina Dirasse.<br />

Sara Dirasse ascoltò in piedi, impassibile. Il racconto<br />

del camionista, la donna dalla pelle scura vestita all’europea,<br />

i conseguenti sospetti.<br />

– Così siete giunto alla conclusione che fossi io la<br />

donna dell’automobile.<br />

– Non ho detto questo.<br />

– Non l’avete detto esplicitamente ma lo pensate.<br />

Altrimenti non sareste qui. D’altra parte, voi siete i<br />

padroni e siete voi a decidere chi è il colpevole.<br />

– Qui non si tratta di essere i padroni o meno, ma<br />

di scoprire chi ha ucciso Bellassai.<br />

– Lo volete sapere cosa penso: chiunque abbia ucciso<br />

Bellassai (e vi assicuro che non sono stata io) ha fatto<br />

solo un atto di giustizia.<br />

– Signorina Dirasse, se avete qualcosa da aggiungere<br />

141


a quanto detto sino ad ora, vi consiglio di farlo. Io non<br />

credo che voi abbiate ucciso Bellassai, credo però che<br />

nascondiate qualcosa. E forse questo qualcosa può servire<br />

a chiarire la vostra posizione. Ricominciamo da<br />

capo. Eravate l’amante di Bellassai?<br />

– Ecco quello che volete sentirmi dire, tutti quanti.<br />

Che io, la graziosa negretta, ero l’amante di Bellassai.<br />

Che di lui non ne volessi proprio sapere e che lo lasciassi<br />

a quelle della sua razza, questo non vi va giù.<br />

A me Bellassai faceva ribrezzo. Non era altro che un<br />

maiale.<br />

– Se è così che la pensate, perché siete uscita con<br />

lui? Perché lo frequentavate?<br />

– Ma voi cosa cercate? Cercate la verità? Ve la dico io<br />

la verità. La verità è che il giorno dopo l’attentato al viceré,<br />

bande d’italiani hanno cominciato a mettere a ferro<br />

a fuoco Addis Abeba, spaccando teste, incendiando,<br />

uccidendo, sparando nel mucchio. Sono morti migliaia<br />

di abissini. A nessuno importava che gran parte di loro<br />

non avesse nulla a che fare con la resistenza agli italiani.<br />

La volete sapere una seconda verità? A <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>,<br />

il vostro glorioso esercito coloniale in ventiquattro ore<br />

ha fucilato più di mille monaci. E volete sapere chi,<br />

tutte e due le volte, era in prima fila? Proprio lui, Bellassai.<br />

Ecco cosa siete voi italiani, siete dei maiali. Perché<br />

non ve ne andate? Perché non ci lasciate in pace?<br />

– Non sono stato io a decidere di conquistare l’Etiopia.<br />

E neppure a decidere di venirci, se è per questo.<br />

Faccio il poliziotto…<br />

142<br />

– Belle parole, ispettore. – Lo interruppe una voce,<br />

alle sue spalle.<br />

Serra si voltò e vide Fracassi. Usciva dalla penombra<br />

con una pistola in mano e avanzava verso il centro<br />

della sala.<br />

– Davvero belle parole, – ripeté.<br />

Anche se erano passate solo due settimane dall’ultima<br />

volta che l’aveva visto, a Serra parve dimagrito e<br />

come invecchiato.<br />

– Consegnatemi quella pistola, Fracassi. Sino ad ora<br />

non è successo nulla di irreparabile, nulla che non si<br />

possa rimediare, voglio dire… se voi consegnate subito<br />

la pistola, naturalmente.<br />

Un tono del genere, pensò Serra, doveva aver usato<br />

suo padre col conte Salaris che minacciava il suicidio.<br />

Non poteva dire di avere paura. Sentiva piuttosto una<br />

nausea allo stomaco che faceva tutt’uno con un senso<br />

di vuoto e inutilità.<br />

– Cosa volete che faccia? – domandò Serra, – volete<br />

che ascolti la vostra versione dei fatti? Sono qua per<br />

questo. – Avanzò verso di lui: – Coraggio Fracassi, datemi<br />

quella pistola.<br />

– Fermo ispettore, fermo dove siete. Non pensate<br />

che esiterei a sparare, se necessario.<br />

Sara nel frattempo si era allontanata da Serra e, facendo<br />

due passi di lato, si era trovata in un punto<br />

pressoché equidistante dai due uomini. Il suo sguardo<br />

passava dall’uno all’altro, seguendo le loro parole,<br />

come se qualcuna di queste potesse sfuggirle.<br />

143


– Cosa volete da me? – ripeté Serra, – che garantisca…<br />

– Voglio che teniate ben alte le mani sopra la testa,<br />

– lo interruppe Fracassi. – Non crediate che non mi<br />

senta ridicolo a dire cose del genere… eppure è quello<br />

che dovete fare, dovete tenere le mani alzate.<br />

– Via Fracassi, non penserete sul serio… non sono<br />

armato.<br />

– Lo so che non siete armato, non sarebbe nel vostro<br />

stile. Voi capite, però… – Sollevò verso l’alto la canna<br />

della pistola, scuotendo la testa. – Comunque sia, ora<br />

non dovete far altro che tenere le mani alzate e stare ad<br />

ascoltare quello che vi dirò. In fondo, Serra, mi fa piacere<br />

che siate stato proprio voi ad arrivare così vicino<br />

alla verità. Noi ci assomigliamo. Certo, lo so, voi siete<br />

un moralista e io… io, ho tanti difetti, ma non quello<br />

di essere un moralista. Ciò che ci accomuna è il fatto<br />

di trovarci fuori posto. È questa l’impressione che<br />

date, Serra: di essere fuori posto. Rispetto al mestiere<br />

di poliziotto, prima di tutto, ma anche qualcosa di<br />

più… rispetto all’Italia di oggi, starei per dire. Sappiate<br />

comunque che non è stata Sara ad uccidere Bellassai.<br />

Sara, anzi, stava per essere la vittima di un…<br />

come vogliamo definirlo?… un eccesso di trasporto<br />

amoroso da parte del nostro tenente. Siamo sinceri,<br />

Serra. Sono moltissimi gli italiani che come Bellassai<br />

scambiano l’Africa per una riserva di caccia. E che<br />

sono capaci di comportarsi come lui, quando la preda<br />

è riottosa. Bellassai quella notte si è presentato in que-<br />

144<br />

sta casa con la sua solita aria da padrone. Questa volta,<br />

però, c’era qualcuno a difenderla la preda. Dite che la<br />

difesa è andata troppo oltre? Forse. Ma suppongo che<br />

vi faccia piacere conoscere anche alcuni particolari. Ho<br />

seguito la vostra conversazione con Sara. Potete congratularvi<br />

con voi stesso. In effetti era Sara la donna di<br />

cui parla il camionista. Piuttosto non capisco come<br />

non mi abbia visto. Quello che il camionista non poteva<br />

né sapere né intuire è perché l’automobile fosse là.<br />

Dovevamo necessariamente portare Bellassai e la sua<br />

automobile lontani da questa casa… voi capite che la<br />

polizia, trovandolo qui, il corpo… Sia chiara una cosa,<br />

Serra: oltre a me e a Sara, nessuno si è accorto di nulla<br />

e sa nulla. Né i domestici né Caporale. Vi sto regalando<br />

la soluzione del caso. Restituitemi il favore, ve<br />

ne prego, convincete la PAI che gli altri abitanti di<br />

questa casa sono assolutamente estranei alla morte di<br />

Bellassai. Forse non ci crederete, ma non mi dispiace<br />

lasciarmi alle spalle tutto questo. Vedete, la mia vita è<br />

stato un progressivo penetrare dentro l’Africa. Quello<br />

che sto compiendo è solo un passo ulteriore, anche se<br />

è il passo definitivo. Voglio essere inghiottito dall’Africa,<br />

voglio sparire dentro di lei. Ora però vi devo lasciare.<br />

Spero che capirete che quello che sto per fare…<br />

Serra vide la sagoma grande e alta di Fracassi farglisi<br />

più vicina e poi lo vide che sollevava la pistola e poi<br />

l’ultima cosa che vide fu il buio.<br />

145


146<br />

19<br />

Fu Serra stesso a consegnare il diario.<br />

La guerra era appena finita e la Divisione Affari Generali<br />

e Riservati si andava ristrutturando. Serra ne<br />

approfittò per chiedere di essere sollevato da incarichi<br />

operativi. Quando gliene domandarono il motivo rispose<br />

di non vedersi più nei panni del poliziotto. Le<br />

cose erano cambiate, diceva, e anche lui si sentiva diverso.<br />

Nel novembre del 1946, un processo di epurazione<br />

coinvolse alcuni dirigenti del Ministero dell’Interno.<br />

Serra fu chiamato a testimoniare sul caso Bellassai.<br />

Parlò a lungo di fronte al giudice, forse più a<br />

lungo di quanto ci si attendesse da lui, parlò come se<br />

raccontando quella storia in pubblico potesse trovare<br />

in essa nuovi significati. A chi lo sentì in quella circostanza<br />

parve un personaggio straniero, straniero all’Italia<br />

d’ieri e a quella che stava nascendo.<br />

Pochi giorni più tardi chiese di parlare al giudice che<br />

lo aveva interrogato. Aveva qualcosa da aggiungere,<br />

c’erano circostanze che non aveva chiarito. Quando<br />

menzionò <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, il giudice si irrigidì sulla sedia<br />

e disse che quella faccenda, di cui per altro sapeva<br />

ben poco, nulla aveva a che fare con la materia del pro-<br />

147


cesso. Al termine della conversazione, che si era svolta<br />

nello studio del giudice, Serra gli porse un quadernetto.<br />

“Un diario africano” disse. “Lo tenga lei.” Poi sorridendo<br />

aggiunse: “A futura memoria.”<br />

148<br />

20<br />

3 ottobre 1937<br />

Eupremio insiste che tutto è chiaro, o quasi. Sia che<br />

Fracassi fosse l’amante di Sara, o che avesse nei suoi<br />

confronti un affetto di tipo paterno, in tutti e due i<br />

casi il suo comportamento si spiega benissimo. Questo<br />

è quello che sostiene e questa secondo lui la successione<br />

dei fatti. Dopo la serata dalla contessa Sinibaldi,<br />

Bellassai va da Sara. Lei lo riceve. Lui rinnova<br />

le sue avances. Lei si nega. Bellassai cerca di prendersi<br />

con modi spicci ciò che moltissime donne sono ansiose<br />

di dargli, ma che Sara non gli concede. Sara urla.<br />

Fracassi accorre con in mano una pistola. Bum… bum.<br />

Poi il trasporto del cadavere, con la stessa automobile<br />

di Bellassai, lungo la strada per Lechemti. Eupremio,<br />

bontà sua, menziona una terza ipotesi, basata su un<br />

sentimento più ambiguo da parte di Sara nei confronti<br />

di Bellassai. Disprezzo e attrazione insieme. Dall’altra<br />

parte una passione divorante di Fracassi nei confronti<br />

di Sara. Il movente, allora, sarebbe la gelosia.<br />

“Ma è una terza ipotesi”, sentenzia Eupremio, “che lascerei<br />

perdere. Sa troppo di Pitigrilli e Pitigrilli non<br />

mi piace.”<br />

149


Cosa obietto al teorema di Eupremio? Nulla per quanto<br />

riguarda la pura e semplice ricostruzione dei fatti,<br />

molto per quanto riguarda il movente.<br />

4 ottobre<br />

Forse gli occhi a mandorla di Sara hanno cominciato<br />

a guardare con amore Fracassi una volta che lui a Carnevale<br />

si è vestito all’etiope. Forse Fracassi indossava<br />

una inverosimile tenuta da antico dignitario della corte<br />

negussita (il turbante, l’ampio mantello rosso, il caffettano<br />

dai bordi ricamati) e ha declamato in amarico<br />

le parole di un canto d’amore. Oppure è stata lei a conquistare<br />

lui, quando a Massaua l’ha vista scendere dalle<br />

scalette del piroscafo, di ritorno dall’Europa, con un<br />

tailleur color malva e la veletta appuntata a un capello<br />

di velluto nero. O forse non è l’amore a legarli ma il<br />

sentimento che i due provano nei confronti della zia di<br />

Sara, la uoizerò Jesciac Dirasse (devozione filiale da parte<br />

di Sara e amore da parte di Fracassi).<br />

5 ottobre<br />

Non voglio dire che il movente non sia quello indicato<br />

da Eupremio. C’è qualcosa di più, però. Il discorso<br />

che Fracassi mi ha fatto puntandomi addosso la pistola:<br />

non lo definirei una confessione, ma una rivendicazione,<br />

ecco, sì, una rivendicazione. Fracassi non<br />

aveva nessun reale interesse a raccontarmi le cose che<br />

mi ha raccontato, se non quello di rivendicare il suo<br />

gesto.<br />

150<br />

6 ottobre<br />

Madame Dressler ha organizzato una cena per salutarci,<br />

invitando anche Hitchens. Deliberatamente seduttiva<br />

nei confronti di Eupremio. Che si dimostra estasiato,<br />

ma è anche capace di arrossire ad ogni “Colonel<br />

Carruezzò” di Madame. Vini francesi e italiani, notevolissimo<br />

un Sauternes, miracolosa la presenza di una<br />

Malvasia di Bosa (chiaramente in mio onore) che Madame<br />

ha scovato chissà dove. Brani di conversazione<br />

sul finire della cena: “La signora Carruezzò sarà ben felice<br />

di riabbracciarvi”, fa Madame. “Non esiste una signora<br />

Carruezzo”, precisa Eupremio. “Vi sarà pure qualcuna”,<br />

si avventura Madame. Eupremio: “Solo la vecchia<br />

madre ci attende”. Lo dice con aria sconsolata e<br />

voce cavernosa, alla Memo Benassi: sublime!<br />

8 ottobre<br />

Non mi dispiacerebbe se, come ho sentito, Sara Dirasse<br />

e Fracassi fossero riusciti a fuggire in Kenia. Che<br />

le autorità coloniali inglesi lo neghino, non vuol dire<br />

nulla. Per loro sarebbe imbarazzante accoglierli ma<br />

ancora di più non accoglierli, soprattutto dopo il can<br />

can dei giornali inglesi che hanno raccontato tutta la<br />

faccenda come se Sara fosse Giuditta e Bellassai Oloferne<br />

(anche se, materialmente, a fare il lavoro di Giuditta<br />

è stato Fracassi). Avranno ragione i giornali inglesi?<br />

Non ci sono prove che Sara fosse in qualche<br />

modo legata ai ribelli come dicono quelli del SIM,<br />

che per far sentire che esistono direbbero qualsiasi<br />

151


cosa. Eppure a voler prendere sul serio questa congettura,<br />

si potrebbe arrivare a pensare che Sara fosse il contatto<br />

cercato da Bellassai per il falso attentato a Graziani.<br />

9 ottobre<br />

È una settimana che ho ripreso a fumare. Fumare mi<br />

piace, mi piace il gesto, mi piace il sapore e mi piace<br />

il pacchetto delle Giubek. Curioso il momento in cui<br />

ho deciso di riprendere. Dopo che Fracassi mi ha colpito<br />

col calcio della pistola e ho perso i sensi, mi sono<br />

svegliato legato e imbavagliato in uno stanzino. È stato<br />

proprio al risveglio nello stanzino, quando ancora<br />

non riuscivo a capire dove fossi e perché mi facesse così<br />

male la testa, che ho pensato a una Giubek come all’unica<br />

cosa che avrebbe potuto consolarmi.<br />

9 ottobre sera<br />

Ricevuti dal viceré. Ci ha liquidati in due minuti,<br />

freddissimo. Sappiamo che é molto incazzato per come<br />

si è conclusa l’inchiesta. Non tanto per la fuga dei due,<br />

ma per l’eco che la faccenda ha avuto sulla stampa straniera,<br />

quella inglese in particolare. Alcuni giornali<br />

inglesi hanno collegato il caso Bellassai a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>,<br />

non si capisce bene su quale altra base se non<br />

quella che Bellassai a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> c’era. Ma tant’è.<br />

Graziani pensa (a ragione) che episodi come quelli di<br />

<strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> lo mettano in cattiva luce, mettano in<br />

cattiva luce la sua capacità di comando. Va anche detto<br />

152<br />

che <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> è il prodotto di un modo di stare<br />

in Abissinia che è quello di Graziani.<br />

10 ottobre<br />

Hitchens ci ha letto l’articolo che ha pubblicato sul<br />

“Daily Mail” a proposito del caso Bellassai. Anche lui<br />

tira fuori <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, ma non lo mette in diretto<br />

rapporto col caso. Hitchens ha informazioni dettagliate<br />

su <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, di cui parla come di “una strage degli<br />

innocenti”. Eupremio era visibilmente imbarazzato.<br />

Anch’io sono dell’idea che si tratta di un lavoro da<br />

macellai. È un’idea, però, che tengo rigorosamente per<br />

me. Sono stufo.<br />

11 ottobre<br />

L’ho trovata a tarda sera che mi aspettava nella hall<br />

dell’albergo. Senza trucco e senza abito luccicante, quasi<br />

non la riconoscevo. Melina mi è venuta incontro:<br />

“So che è il vostro ultimo giorno ad Addis Abeba, volevo<br />

ringraziarvi.” Le ho chiesto di che cosa volesse<br />

ringraziarmi, non avevo fatto nulla per lei. Avevo scoperto<br />

l’assassino di Bellassai, ecco cosa avevo fatto, e<br />

alla mia osservazione che quell’assassino, dopo averlo<br />

scoperto, mi era anche scappato dalle mani ha ribadito<br />

che, insomma, mi era grata lo stesso. Ha pronunciato<br />

queste ultime parole lasciandole sospese, come per<br />

creare in me un senso d’attesa.“Questa volta non sono<br />

il regalo di nessuno,” ha quasi sussurrato a un certo<br />

punto.<br />

153


Più tardi, in camera sua, m’ha detto: “Vedi, non è<br />

impossibile trovare un po’ di tenerezza.”<br />

13 ottobre<br />

Arrivati a Massaua. Il caldo soffocante fa rimpiangere<br />

l’altopiano. Eupremio di ottimo umore: già sente<br />

l’aria di casa. Imbarco sul Vittorio Emanuele II. Seguo<br />

Eupremio, che non ha il minimo senso dell’orientamento,<br />

lungo interminabili corridoi alla ricerca delle<br />

nostre rispettive cabine. Finalmente sistemati. Pranzo<br />

veloce. Siesta. Partenza al tramonto.<br />

16 ottobre<br />

Mare decisamente calmo. Ieri abbiamo partecipato<br />

alla tombola. Eupremio ha vinto un portasigari in similavorio<br />

e questo lo ha reso euforico. Nel pomeriggio<br />

arriveremo a Suez e la nave si fermerà per qualche<br />

ora.<br />

17 ottobre<br />

Il sole è già tramontato e le ombre della notte inghiottono<br />

il deserto. È come se intorno a noi non ci fosse più<br />

nulla. Disegnato dalle luci delle navi che lo percorrono<br />

in fila, solo il canale esiste. Tenendo lo sguardo diritto<br />

verso Nord, si vedono tremolare le luci di Porto Said.<br />

18 ottobre<br />

Il Mediterraneo mi sembra livido, dopo il Mar Rosso.<br />

154<br />

20 ottobre<br />

Domani mattina alle 7 entreremo nel porto di Napoli.<br />

Affacciati a prua, silenziosi, scrutiamo la notte. Il<br />

cavaliere è immerso nei suoi pensieri. Corruga la fronte.<br />

Invece io ho il cuore sgombro e come il portoghese Yanez<br />

accendo l’ennesima sigaretta.<br />

155


156<br />

007<br />

015<br />

019<br />

027<br />

035<br />

043<br />

051<br />

057<br />

067<br />

069<br />

077<br />

097<br />

107<br />

115<br />

127<br />

133<br />

137<br />

141<br />

147<br />

149<br />

INDICE<br />

157<br />

Cap. 01<br />

Cap. 02<br />

Cap. 03<br />

Cap. 04<br />

Cap. 05<br />

Cap. 06<br />

Cap. 07<br />

Cap. 08<br />

Cap. 09<br />

Cap. 10<br />

Cap. 11<br />

Cap. 12<br />

Cap. 13<br />

Cap. 14<br />

Cap. 15<br />

Cap. 16<br />

Cap. 17<br />

Cap. 18<br />

Cap. 19<br />

Cap. 20


Volumi pubblicati:<br />

Tascabili<br />

Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />

Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />

Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />

Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />

Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2 a edizione)<br />

Maria Giacobbe, Il mare (2 a edizione)<br />

Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />

Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />

Giulio Angioni, L’oro di Fraus<br />

Antonio Cossu, Il riscatto<br />

Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />

Ernst Jünger, Terra sarda<br />

Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a edizione)<br />

Luciano <strong>Marrocu</strong>, Fáulas (2 a edizione)<br />

Gianluca Floris, I maestri cantori<br />

D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />

Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />

Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />

Francesco Masala, Il parroco di Arasolè<br />

Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi<br />

Salvatore Niffoi, Cristólu<br />

Giulio Angioni, Millant’anni<br />

Luciano <strong>Marrocu</strong>, <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong><br />

Giorgio Todde, La matta bestialità<br />

Narrativa<br />

Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />

Marcello Fois, Nulla (2 a edizione)<br />

158<br />

Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />

Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />

Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />

Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />

Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />

Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />

Poesia<br />

Giovanni Dettori, Amarante<br />

Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />

Gigi Dessì, Il disegno<br />

Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza<br />

Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole<br />

Saggistica<br />

Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />

Dino Manca, Voglia d’Africa. La personalità e l’opera di un poeta<br />

errante<br />

Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in Pascale<br />

Dessanai<br />

FuoriCollana<br />

Salvatore Cambosu, I racconti<br />

Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre<br />

Alberto Masala - Massimo Golfieri, Mediterranea<br />

I Menhir<br />

Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />

Antonio Pigliaru, Il banditismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />

In coedizione con Edizioni Frassinelli<br />

Marcello Fois, Sempre caro<br />

Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />

159


Stampa: Studiostampa - Nuoro<br />

160

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