Marrocu, Debrà Libanòs - Sardegna Cultura
Marrocu, Debrà Libanòs - Sardegna Cultura
Marrocu, Debrà Libanòs - Sardegna Cultura
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Luciano <strong>Marrocu</strong><br />
<strong>Debrà</strong><br />
<strong>Libanòs</strong><br />
Il Maestrale
Tascabili . Narrativa
Romanzo
Dello stesso autore:<br />
Fáulas, Il Maestrale 2000<br />
Grafica e impaginazione<br />
Nino Mele<br />
Editing<br />
Giancarlo Porcu<br />
© 2002, Edizioni Il Maestrale<br />
Via XX Settembre 46 - 08100 Nuoro<br />
Telefono e Fax 0784.31830<br />
e-mail: edizionimaestrale@tiscalinet.it<br />
Internet: www.edizionimaestrale.it<br />
ISBN 88-86109-57-1<br />
Luciano <strong>Marrocu</strong><br />
<strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong><br />
Il Maestrale
1<br />
Per i due ritardatari prendere quel volo si rivelò una<br />
faccenda avventurosa. Serra - che con Carruezzo era da<br />
qualche minuto dentro l’aereo, con i motori già accesi<br />
- li vide uscire di corsa dall’hangar, il piccoletto davanti,<br />
con una valigia in mano, e l’altro, impacciato da<br />
un lungo cappotto di cuoio, affannare a qualche metro<br />
di distanza. Arrivato sotto la cabina di pilotaggio,<br />
il piccoletto cominciò a sbracciarsi e a urlare, sino a<br />
che un aviere dall’interno non gli spalancò il portellone.<br />
Della concitata discussione che seguì giunse a Serra<br />
solo una battuta: – Me ne frego dei regolamenti, il<br />
Commendatore… deve essere entro oggi ad Addis<br />
Abeba.<br />
Quale che fosse il nome perduto nel rombo delle eliche,<br />
di sicuro apparteneva a un personaggio influente.<br />
Solo un personaggio influente, si era detto Serra, poteva<br />
permettersi di ritardare quel volo riservato ad alti<br />
ufficiali e a funzionari coloniali, per poi irrompere in<br />
pista al momento del decollo e nonostante questo essere<br />
accolto a bordo.<br />
Finalmente l’aereo si mosse. Aumentando la velocità,<br />
cresceva alle spalle del velivolo una nuvola di<br />
7
polvere. Si avvertì un sobbalzo e fu allora che Carruezzo,<br />
pallidissimo, agguantò un lembo della giacca del<br />
suo compagno di viaggio: – Serra, ho paura, – sibilò<br />
con un filo di voce.<br />
L’aereo si staccò da terra e cominciò a salire in direzione<br />
del mare, descrisse un largo semicerchio sul<br />
porto, tornò indietro su Mogadiscio, volò sopra il palazzo<br />
del sultano e le moschee, puntò infine sull’altopiano.<br />
Guardando fuori dall’oblò, verso nord, Serra<br />
vide la lunga striscia d’argento dell’Uebi Scebeli.<br />
Il Siai Marchetti S79 non era grande ma perfettamente<br />
attrezzato a trasportare sino a otto passeggeri in comode<br />
poltrone di vimini disposte a coppie, l’una di<br />
fronte all’altra, sui due lati della carlinga. Con le tendine<br />
di cretonne a fiori che coprivano gli oblò, l’interno<br />
del velivolo dava un’impressione di quiete domestica<br />
in vivo contrasto con l’audacia avanguardistica<br />
che l’epoca associava al viaggio aereo. A riportare i passeggeri<br />
al presente ci pensava comunque un Benito<br />
Mussolini in tenuta da aviatore, occhieggiante da una<br />
fotografia fissata allo sportello che dava accesso alla cabina<br />
di pilotaggio.<br />
– Anche voi ve la fate sotto, a quanto vedo, – disse<br />
il Commendatore rivolto a Carruezzo. – Non ve ne dovete<br />
vergognare, solo gli imbecilli non hanno paura in<br />
aereo. Più piccolo è l’aereo, poi, e più si ha paura. –<br />
Quindi aggiunse: – Piacere, Eulo Fracassi.<br />
Allungò la mano di fronte a sé, verso la poltrona di<br />
Carruezzo, ma dovette accontentarsi per tutta risposta<br />
8<br />
di un inchino appena accennato, interessato com’era,<br />
Carruezzo, più che alla conversazione al sacchetto di<br />
carta che l’aviere gli aveva consegnato prima del decollo.<br />
Da quando l’aereo si era sollevato da terra, lo teneva<br />
aperto all’altezza del petto, stringendone tra pollice<br />
e indice i due lembi superiori<br />
– Stiamo precipitando, – disse Carruezzo, – stiamo<br />
precipitando. – Pallore.<br />
– Un vuoto d’aria, – spiegò Fracassi con fare da esperto.<br />
– In genere durano pochi secondi. Io, quando<br />
c’è un vuoto d’aria, conto… conto sino a sei.<br />
– E se dopo il sei si continua a scendere.<br />
– Smetto di contare e chiedo la grazia alla Madonna<br />
di Pompei.<br />
Subito il volo si fece più regolare.<br />
– Voi siete il dottor Carruezzo del Ministero dell’Interno,<br />
– continuò Fracassi, – o sbaglio?<br />
– Non vi sbagliate. Mi chiedo piuttosto…<br />
– Vi chiedete come faccio a saperlo?<br />
– Appunto.<br />
– Il giovanotto al mio fianco, che è poi il mio segretario,<br />
riesce sempre a sapere in anticipo con chi mi<br />
troverò a viaggiare. – Poi, rivolgendosi al piccoletto:<br />
– Caporale, ti presento il dottor Carruezzo, del Ministero<br />
dell’Interno.<br />
Caporale porse la mano a Carruezzo, ma neppure lui<br />
riuscì a strappargli più di un breve cenno del capo.<br />
Rimase per un momento con la mano tesa a mezz’aria,<br />
non la ritirò, si limitò a orientarla verso Serra.<br />
9
Era con evidenza abituato a non sprecare nulla, neppure<br />
i gesti, e in questo venne premiato, dato che Serra<br />
fu pronto a stringergli la mano.<br />
Caporale aveva ai piedi un paio di stivali lucidissimi,<br />
la vista dei quali riportò Serra all’attesa prolungata<br />
nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Mogadiscio,<br />
con il suo capo in preda a un muto terrore e quell’ometto<br />
dagli stivali scintillanti che passeggiava nervoso<br />
avanti e indietro.<br />
– Sapete quando atterreremo ad Addis Abeba? –<br />
chiese Serra.<br />
– Intorno alle sei, – rispose Fracassi.<br />
– Se tutto va bene, naturalmente, – chiosò Caporale.<br />
Carruezzo gli rivolse un’occhiata torva, resa ancora<br />
più torva dagli occhi sporgenti: – Voi… – cominciò<br />
a dire, puntandogli contro l’indice minaccioso, quasi<br />
a significare che l’aveva individuato. Lo interruppe un<br />
nuovo vuoto d’aria, facendogli tremolare le guance<br />
cascanti e la pappagorgia cardinalizia, segnate, questa<br />
e quelle, dallo stretto sottogola del casco coloniale che<br />
teneva premuto in testa. Più che al robusto Carruezzo<br />
tendeva al massiccio, un’impressione accentuata da<br />
un doppiopetto di una grisaglia piuttosto chiara. La<br />
tenuta da viaggio era stata sottoposta a Serra il giorno<br />
prima della partenza: Carruezzo si era infilato in<br />
sua presenza un paio di stivali con apertura sul davanti<br />
che con tono insindacabile aveva definito “antiserpente”.<br />
L’equipaggiamento prevedeva tra l’altro: un<br />
binocolo, una tuta a prova di formica, un capientissimo<br />
10<br />
zaino con due fibbie metalliche nella parte superiore<br />
che assicuravano una ruvida coperta da campo, e una<br />
tenda militare di tela verdastra sulle cui virtù mimetiche<br />
Carruezzo si era a lungo soffermato. Solo con<br />
molta fatica Serra aveva convinto il suo capo che almeno<br />
in aereo gli stivali “antiserpente” non erano proprio<br />
indispensabili.<br />
– A Addis Abeba per dovere d’ufficio, suppongo, –<br />
riprese Fracassi.<br />
– Sì, certo, per dovere d’ufficio, – rispose Carruezzo.<br />
– Arrivate ad Addis Abeba in un momento particolare,<br />
– soggiunse Fracassi con aria pensosa. – Prima<br />
l’attentato al viceré Graziani e poi questa faccenda<br />
della morte di Bellassai.<br />
– Il tenente Bellassai, volete dire?<br />
– Sì, proprio lui. Ad Addis Abeba siamo rimasti<br />
molto colpiti dal suo assassinio, anche se bisogna dire<br />
che se l’è cercata.<br />
– Perché cercata?<br />
– Era uno che gli piacevano le mogli degli altri. E<br />
lui piaceva a loro.<br />
– Il gesto di un marito tradito?<br />
– O di una donna trascurata. Sul tipo: Tu non mi<br />
vuoi più? E io ti sparo!<br />
– Un delitto passionale, insomma.<br />
– Io so solo questo, che c’è qualcosa di sbagliato in<br />
uno che in Africa Orientale sta dietro alle bianche<br />
maritate. Basta fare un fischio e di negre, belle e giovani,<br />
se ne trovano quante se ne vuole. Se uno poi non<br />
11
può fare a meno delle bianche, tira fuori qualche tallero<br />
e va da Madame Tiratsian. A proposito dottor Carruezzo,<br />
una visita da Madame Tiratsian è quasi un obbligo<br />
per chi è ad Addis Abeba. La miglior casa di tutta l’Africa<br />
Orientale, ma che dico l’Africa Orientale…<br />
Per diverso tempo Fracassi li intrattenne su pregi e<br />
difetti non solo di Addis Abeba ma di un sorprendente<br />
numero di città coloniali dove aveva soggiornato.<br />
Mogadiscio era quella che offriva le migliori occasioni<br />
di vita sociale, soprattutto nel giro dei bananieri italiani.<br />
Di Bengasi illustrò le efficienti strutture portuali.<br />
Gibuti era una città viziosa e viziosi erano i somali<br />
che, eternamente sfaccendati, ne percorrevano scalzi i<br />
viali. Alessandria, la sua amata Alessandria, là veramente<br />
aveva lasciato il cuore: gli piaceva come in quella città<br />
levantina la comunità italiana aveva saputo mischiarsi<br />
alle altre. – Si può passare l’esistenza lontano dalla patria,<br />
– disse, – senza per questo perdere un grammo della<br />
propria italianità.<br />
Era ormai inarrestabile e passava con assoluta facilità<br />
da un argomento all’altro. Ma un aspetto della<br />
vita africana sembrava interessarlo in particolare.<br />
– Le migiurtine, dottor Carruezzo! Ecco cosa vi dico:<br />
prendete una migiurtina e non avrete di che pentirvene.<br />
Flessuose come giunchi e bellissime, ma anche<br />
capaci di badare alla casa e prepararvi un pranzo come<br />
si deve. Dovete, naturalmente, farle cucinare alla loro<br />
maniera. Come regola, poi, sceglietele che non sappiano<br />
parlare l’italiano e fate in modo che non lo imparino.<br />
12<br />
Quando sanno la nostra lingua, tendono a comportarsi<br />
come mogliettine. Tanto vale, allora, prendersene<br />
una di casa nostra. Piuttosto, imparate voi qualche<br />
espressione in somalo, non più di qualche parola…<br />
per quello che serve parlare, voi mi capite dottor<br />
Carruezzo!<br />
Fracassi proruppe in una rumorosa risata, a cui disciplinatamente<br />
si unì Caporale.<br />
– Certo, ad avvicinarsi troppo alle indigene c’è il<br />
pericolo di farsi coinvolgere, di rimanere intrappolati.<br />
Si rischia di dimenticarsi chi deve comandare e chi<br />
deve ubbidire, chi è bianco e chi è nero. La nostra generazione<br />
ha imparato ad affrontare questo pericolo in<br />
lunghi anni di esperienza in colonia. Lasciatemelo dire,<br />
dottor Carruezzo: trattare con gli indigeni è un’arte.<br />
Bisogna sapere quando è il momento di essere condiscendenti<br />
e quando invece si deve usare la frusta. Sono<br />
cose che non si imparano sui libri.<br />
L’atterraggio fu ancora più complicato del decollo.<br />
Per tre volte l’aereo si presentò sulla pista e per tre volte<br />
risalì verso il cielo. La quarta fu quella buona. Prima<br />
di fermarsi l’aereo traballò paurosamente, come se volesse<br />
capottare. – Tenetevi forte, – urlarono dalla cabina<br />
di pilotaggio.<br />
Carruezzo riprese il suo colore naturale solo quando<br />
ebbe messo i piedi a terra. Serra, che all’uscita dell’aeroporto<br />
aveva preceduto il gruppo con l’intenzione di<br />
fermare un tassì, si unì agli altri negli ultimi saluti.<br />
13
– Un viaggio così avventuroso merita di essere ricordato<br />
di fronte a una bottiglia di Chianti, – disse Fracassi<br />
e insistette perché prendessero nota del suo numero<br />
di telefono.<br />
Carruezzo promise che se le circostanze del soggiorno<br />
ad Addis Abeba lo avessero consentito… Poi, rivolgendosi<br />
al piccoletto: – Toglietemi una curiosità giovanotto.<br />
Quegli stivali che indossate, sono stivali antiserpente?<br />
– Certo, – rispose Caporale, – antiserpente garantiti.<br />
Carruezzo sorrise benevolo.<br />
– Bene, giovanotto, molto bene. La prudenza prima<br />
di tutto.<br />
14<br />
2<br />
Quando Eupremio Carruezzo, suo superiore al Ministero<br />
dell’Interno, gli aveva annunciato che sarebbe<br />
stato coinvolto in una “missione africana”, Serra pensò<br />
che si trattasse di uno scherzo. Poi c’era stata la convocazione<br />
da Bocchini. Nello studio del capo della Polizia<br />
aveva trovato Carruezzo che fumava un sigaro, con<br />
l’aria di chi è di casa.<br />
Colpivano dell’aspetto di Bocchini il collo quasi inesistente<br />
e le braccia corte. Basso, si capiva, benché<br />
fosse seduto, ma la mascella squadrata gli dava un’aria<br />
da duro. Indossava un doppiopetto grigio e aveva una<br />
vistosa spilla d’oro alla cravatta. A Serra era venuto in<br />
mente che la spilla potesse essere un regalo di Pupetta<br />
Boncompagni, attrice di varietà e amante ufficiale di<br />
Bocchini. Il capo della Polizia, infatuato di lei, l’aveva<br />
messa a capo di una rete spionistica destinata a controllare<br />
l’ambiente cinematografico e teatrale. Il suo<br />
nome in codice sarebbe stato Diana, ma tutti nell’Ovra<br />
preferivano il più familiare Pupetta. Circolava la<br />
voce al Viminale che le prestazioni spionistiche dell’attrice,<br />
per quanto mediocri, costassero ogni mese al<br />
Ministero la bella somma di ventimila lire.<br />
15
– Prendete una sedia e sedetevi, – aveva detto Bocchini<br />
senza distogliere gli occhi dalle carte sulla scrivania.<br />
Serra aveva preso la sedia appoggiata alla parete e l’aveva<br />
portata di fronte alla scrivania, accanto a quella di<br />
Carruezzo, il quale durante il minuto di silenzio che<br />
era seguito, aveva continuato a fumare il suo sigaro<br />
con un mezzo sorriso sulle labbra.<br />
– Gli hai detto della missione? – aveva chiesto<br />
Bocchini.<br />
– Solo un accenno, – aveva risposto Carruezzo.<br />
Trent’anni prima Bocchini e Carruezzo avevano frequentato<br />
insieme la scuola speciale di polizia. Di ciò<br />
rimaneva traccia nei modi informali che Bocchini riservava<br />
all’antico collega.<br />
– Dunque, giovanotto, accompagnerete il commissario<br />
Carruezzo in Abissinia, – aveva ripreso Bocchini. –<br />
Lo coadiuverete nelle indagini relative a un omicidio.<br />
Era seguita l’illustrazione dettagliata del caso Bellassai,<br />
un tenente dello Stato Maggiore di Graziani<br />
trovato morto ammazzato nella sua automobile, senza<br />
che di questo omicidio, dopo un mese, fosse stato<br />
individuato il colpevole. Da qui la richiesta del viceré<br />
in persona che da Roma arrivassero inquirenti più<br />
capaci.<br />
– Però questo non è tutto, – aveva proseguito Bocchini.<br />
– C’è un aspetto della faccenda sul quale vogliamo<br />
tenere un’assoluta segretezza…<br />
Si era interrotto e aveva premuto un pulsante sulla<br />
16<br />
scrivania: – Vediamo se si riesce ad avere un caffè…<br />
Serra?… Eupremio?<br />
– Purché non sia la solita cioffeca ministeriale.<br />
– Garantisco io: come capo della polizia avrò pure<br />
qualche privilegio.<br />
Entrò una donna di mezza età con occhiali dalle lenti<br />
spesse, a cui Bocchini chiese che fossero portati tre caffè.<br />
Dopo che fu uscita, Bocchini riprese:<br />
– L’ufficiale assassinato, Bellassai, era un nostro agente,<br />
un agente particolarmente attivo. La sua ultima informativa<br />
prometteva rivelazioni importanti. Non ha<br />
avuto il tempo di essere più preciso, purtroppo. Non voglio<br />
che un caso così delicato venga lasciato nelle mani<br />
di poliziotti analfabeti. D’altra parte, non scomoderei<br />
certo l’Ovra per un normale omicidio… Voglio che la<br />
reale natura dell’indagine rimanga segreta. È la base del<br />
nostro lavoro… la segretezza, intendo. Segretezza e controllo<br />
delle informazioni. So bene che l’Ovra è all’avanguardia<br />
in questo campo. Ma noi vogliamo di più: ciò a<br />
cui aspiriamo è il monopolio dell’informazione.<br />
Era entrata la donna di mezza età col caffè. Aveva<br />
messo il vassoio nella scrivania e poi era uscita.<br />
– Erminia è da vent’anni la mia segretaria. Ha solo<br />
due qualità, fa un buon caffè ed è riservatissima: qualità<br />
fondamentali, però, e non solo per una segretaria.<br />
Assunse un’espressione severa:<br />
– Credo che il punto centrale sia chiaro: se c’è un<br />
nesso tra la morte di Bellassai e la sua attività per l’Ovra,<br />
dobbiamo essere noi a scoprirla. Non altri.<br />
17
18<br />
3<br />
Fu dopo le bombe al Gran Ghebì che il giudizio<br />
della Divisione sul viceré Graziani divenne completamente<br />
negativo. Il giudizio dei suoi massimi dirigenti,<br />
naturalmente, ma anche di quegli oscuri impiegati<br />
che per il semplice fatto di avere accesso a<br />
una gran massa di documenti e di partecipare, magari<br />
solo come verbalizzatori, a riunioni ristrette maturavano<br />
proprie opinioni sui più importanti affari<br />
politici. Che poi tali opinioni finissero per combaciare<br />
con quelle dei dirigenti, era il segno di una naturale<br />
tendenza di questi semplici passacarte ad adeguarsi<br />
alle idee dei propri superiori.<br />
Anche un organismo dalle funzioni delicate e oscure<br />
qual’era a quei tempi la Divisione Affari Generali<br />
e Riservati del Ministero dell’Interno aveva bisogno<br />
di un certo numero di travet capaci di fungere da<br />
Casa Madre per le arrischiate missioni dei suoi agenti:<br />
ricevendo i loro rapporti, decifrandoli, catalogandoli,<br />
archiviandoli e, in qualche raro caso, chiosandoli<br />
con prudenti osservazioni. Appunto il fatto di condurre<br />
la propria esistenza tra le pareti di un ufficio<br />
faceva sì che questi impiegati seguissero con invidia<br />
19
e ammirazione le missioni operative degli agenti, di<br />
cui leggevano le mirabolanti avventure fatte di pedinamenti,<br />
appostamenti, codici cifrati, complotti, segreti<br />
svelati, segreti taciuti. Giungevano a figurarsi<br />
questi agenti come eroi cinematografici, e come tali<br />
col privilegio di esistere solo nell’azione del film, senza<br />
quel fardello - il loro, quello degli impiegati - di mogli,<br />
pupi con l’influenza, suocere, cognate, pigioni arretrate.<br />
In quanto a Graziani, venne accertato che era stata<br />
una bomba a mano a colpirlo. Se l’era vista passare sopra<br />
la testa e, immediatamente dopo, l’aveva sentita<br />
esplodere alle sue spalle. Qualche giorno dopo avrebbe<br />
dettato a uno stenografo una versione dei fatti incentrata<br />
su di lui che, revolver alla mano, prima respinge<br />
un assalto all’arma bianca e poi si allontana guidando<br />
personalmente l’auto. In realtà - come fu chiarito anche<br />
nella Divisione, con una piccola inchiesta interna<br />
- la bomba l’aveva lasciato al suolo svenuto. Era stato<br />
un operatore dell’Istituto Luce, al Gran Ghebì per riprendere<br />
la cerimonia della distribuzione di cinquemila<br />
talleri ai poveri di Addis Abeba, a trasferirlo di<br />
peso, con altri, sulla propria automobile per portato in<br />
ospedale, attraversando una città ancora ignara.<br />
Già le informative giunte al Ministero dell’Interno<br />
all’indomani dell’attentato parlavano di Graziani come<br />
di uno che non era in grado di reggere il comando,<br />
non a causa delle ferite, di per sé leggere, ma per<br />
la grande paura che continuava ad avere di nuovi at-<br />
20<br />
tacchi alla sua persona. Il primo rapporto di Carruezzo<br />
e Serra non fece che confermare quest’immagine<br />
del viceré. A firmarlo era Carruezzo, ma fu facile a chi<br />
lo lesse a Roma riconoscere lo stile accurato di Serra.<br />
Nel suo studio, si leggeva nel rapporto, il viceré aveva<br />
fatto montare delle persiane blindate che teneva rigorosamente<br />
chiuse: l’unica luce naturale proveniva<br />
da due finestrelle alte sulla parete, quasi all’altezza del<br />
soffitto. Accanto alla scrivania, circondato da sacchetti<br />
di sabbia, troneggiava un mitragliatore Breda da otto<br />
millimetri.<br />
– Qui le cose si mettono male. Io l’ho detto e ripetuto<br />
che trentacinquemila uomini non bastano per<br />
difendere Addis Abeba. Ma a Roma hanno altro a cui<br />
pensare. A Roma sono occupati a cercare il modo di<br />
liquidarmi. Quel gran maiale di Lessona lo sa benissimo<br />
che non ho mai abbandonato le mie funzioni,<br />
non un solo giorno le ho abbandonate, e che ho continuato<br />
a dirigere tutto dall’ospedale. Eppure il gran<br />
figlio di puttana va dicendo in giro che io non sono<br />
in grado, che le mie esaurite energie fisiche e mentali<br />
non mi consentirebbero di mantenere la guida dell’Africa<br />
Orientale Italiana. Vogliono far credere che<br />
sono finito. Ma non sono arrivato dove sono arrivato<br />
per farmi far fuori da un Lessona qualsiasi e da quel<br />
quadrunviro da operetta di Italo Balbo. Vorrebbe diventare<br />
viceré al mio posto il pallone gonfiato ferrarese.<br />
Io me ne infischio però di quei due miserabili.<br />
21
E sapete perché me ne infischio? Perché so che Lui sta<br />
dalla mia parte.<br />
Graziani sembrava meno alto di quanto lasciassero<br />
capire le fotografie sui giornali. C’era nella sua espressione<br />
qualcosa di grottescamente militare, forse quel<br />
mento costantemente proteso in avanti. Serra e Carruezzo,<br />
seduti di fronte a lui, accolsero in silenzio la lunga<br />
sfuriata. Non erano richiesti commenti né loro avrebbero<br />
saputo cosa dire.<br />
– Suppongo che Bocchini vi abbia spiegato la natura<br />
della missione che vi aspetta ad Addis Abeba.<br />
– Indagare sull’assassinio del tenente Bellassai, ci è<br />
stato detto, – intervenne Carruezzo.<br />
– Certo, Bellassai, il tenente Bellassai… sembra che<br />
tutti qui ad Addis Abeba muoiano dalla voglia di sapere<br />
chi l’ha ucciso. Io, invece, di scoprire l’assassino<br />
di Bellassai me ne frego.<br />
– Ci era sembrato di capire… Eccellenza, ecco, vi faccio<br />
vedere l’ordine di servizio. – Carruezzo tirò fuori<br />
dalla tasca interna della giacca un foglio spiegazzato.<br />
– Proprio in questo punto, non c’è da sbagliare… coadiuvare<br />
le autorità di polizia locali nelle indagini relative<br />
alla morte del tenente Duilio Bellassai.<br />
– Se troverete chi veramente l’ha ucciso, tanto meglio,<br />
vorrà dire che a Roma saranno contenti. Ma il<br />
punto è un altro.<br />
Graziani aveva sulla sua scrivania una smilza cartella<br />
rosa. La aprì e vi gettò un’occhiata.<br />
– Qui c’è scritto che avete svolto un ruolo importante<br />
22<br />
nella riorganizzazione della Polizia Politica, – disse rivolgendosi<br />
a Carruezzo.<br />
– Ho dato un contributo a riorganizzare la schedatura<br />
e ho fatto presente ai miei superiori la necessità di<br />
potenziare il Casellario Politico Centrale. Niente di più,<br />
ve lo assicuro.<br />
– Fosse anche solo questo, non sarebbe cosa da poco.<br />
Se gli imbecilli che mi circondano avessero provveduto<br />
a una schedatura a tappeto di Addis Abeba, forse<br />
l’attentato non ci sarebbe neppure stato. Ma lasciamo<br />
perdere… Un ottimo curriculum, il vostro.<br />
– Beh…<br />
– Leggo che prestate servizio nella Divisione Affari<br />
Generali e Riservati del Ministero dell’Interno, e che<br />
prima avete lavorato a lungo nella squadra investigativa<br />
della Questura di Roma.<br />
– Sì…<br />
– Bene, ora statemi a sentire. Di chi ha ucciso Bellassai,<br />
ve l’ho detto, io me ne frego. Mi disturba, però,<br />
che le indagini sulla sua morte stiano creando un clima<br />
di sospetto, di insicurezza, che finisce per coinvolgere<br />
perfino gli ufficiali del mio Stato Maggiore. Con<br />
conseguenze assolutamente negative sul livello della vigilanza.<br />
Non mi sto ad addentrare nei particolari della<br />
faccenda Bellassai, su cui vi riferirà la PAI, la Polizia<br />
Africa Italiana sapete, e il commissario Oppo in<br />
particolare, che guida le indagini. Anche se poi è proprio<br />
lui, quell’Oppo, il problema. Sono passati quindici<br />
giorni dalla morte di Bellassai e di un colpevole<br />
23
neppure l’ombra. Perché il commissario Oppo e i cagadubbi<br />
del suo stampo non si rendono conto di una<br />
cosa: qui non siamo a Milano o a Roma, qui siamo al<br />
fronte, qui si combatte una guerra! Voi mi avete capito,<br />
Carruezzo. Voglio che mi troviate un colpevole, e<br />
lo voglio subito.<br />
– Siamo qui per questo Eccellenza. Il colpevole non<br />
sfuggirà.<br />
– Mi interessa solo che facciate presto.<br />
Se qualcun altro avesse assistito al colloquio tra Graziani<br />
e Carruezzo ben difficilmente avrebbe colto nel<br />
leggero aggrottare la fronte di quest’ultimo quel segno<br />
di disappunto che invece Serra era in grado di cogliervi.<br />
Serra sapeva bene quanto quella missione fosse<br />
stata fin dall’inizio sgradita al suo capo: il solo fatto<br />
di dover allontanarsi da Roma, e per andare così lontano,<br />
la necessità di prendere un aereo per arrivarci al<br />
più presto (più aerei, anzi, visto che il lungo viaggio<br />
per Addis Abeba si era svolto a tappe). Tutto gliela faceva<br />
considerare come un affare disgraziato. Ed ora,<br />
ad avvalorare le sue previsioni più fosche, quell’ordine<br />
- perché di ordine si trattava - di mettere mano a un<br />
caso giusto per trovare nel giro di pochi giorni un colpevole<br />
qualsiasi.<br />
Graziani si alzò e si avvicinò alla finestra. Aprì una<br />
persiana quel tanto che bastava per dare una veloce occhiata<br />
intorno e subito la richiuse. Si mise a passeggiare<br />
avanti e indietro, muto, lo sguardo a terra. Si avvicinò<br />
24<br />
alla mitragliatrice, ne accarezzò la canna e sorrise: – Solo<br />
lei mi è rimasta. – Poi, quasi di scatto, ritornò alla scrivania.<br />
Aprì un cassetto e ne trasse una mazzo di fotografie.<br />
Le lasciò cadere sul piano della scrivania con un<br />
gesto plateale: – Guardate qua, – disse.<br />
Fu Carruezzo il primo a sporgersi verso le fotografie.<br />
Vi si avvicinò anche Serra, fermandosi però un po’ più<br />
indietro. Le foto, una decina, mostravano Graziani nudo<br />
dalla cintola in giù. In tutte indossava la stessa camicia<br />
bianca, tenendone i lembi sollevati. Per quanto<br />
ognuna delle fotografie corrispondesse a uno scatto diverso,<br />
non c’era praticamente differenza nella posa assunta<br />
da Graziani, salvo che nell’espressione del volto,<br />
il più delle volte irrigidita in uno sguardo vitreo o atteggiata<br />
ad un vago sorriso, ma in un caso decisamente<br />
trionfante, ed era il caso in cui si poteva cogliere l’accenno<br />
di un’erezione.<br />
– Quando avrete terminato la vostra inchiesta e tornerete<br />
in Italia, porterete con voi queste foto e le mostrerete<br />
a chi di dovere. Carruezzo, sapete cosa dicono<br />
di me i miei nemici a Roma?<br />
– Non so, Eccellenza… non immagino…<br />
– Dicono che sono senza i coglioni, dicono che me li<br />
hanno tagliati i ribelli in Cirenaica nel 1929. L’ultima<br />
versione è che mi sono saltati in aria nell’attentato di<br />
luglio. Queste fotografie documentano in modo inequivocabile<br />
che la mia virilità è integra.<br />
– Non ho dubbi, Eccellenza.<br />
– E voi, giovanotto, voi avete dubbi?<br />
25
– Naturalmente no, Eccellenza. – Serra fu pronto a<br />
rispondere. Si sentì come sopraffatto da quella espressione<br />
di grottesca follia. Non era certo la prima volta<br />
che assisteva muto a simili farneticazioni, ma mai<br />
come in quel momento aveva avuto la sensazione di<br />
esserne contaminato.<br />
Graziani ritornò sulla necessità di trovare un colpevole<br />
del delitto e s’informò sui metodi che la polizia<br />
era solita usare in casi del genere, ascoltando a malapena<br />
le risposte. Poi fece il gesto di alzarsi ad indicare<br />
che la conversazione era finita.<br />
Nel momento in cui Serra e Carruezzo lasciavano la<br />
stanza, un raggio di sole, penetrando dall’alto, illuminò<br />
la figura del viceré, isolandola dalla penombra<br />
circostante. Fu quindi al centro di un cerchio di luce<br />
che lo videro i due poliziotti mentre, indietreggiando,<br />
facevano il saluto romano.<br />
26<br />
4<br />
C’era una fotografia sulla scrivania di Carruezzo, in<br />
ufficio, che lo ritraeva insieme ad altri dirigenti e funzionari<br />
della polizia politica nell’occasione di una ispezione<br />
alla flotta militare. Una fotografia indecifrabile<br />
per chi l’avesse vista per la prima volta, che poco diceva<br />
della circostanza in cui era stata scattata. Un gruppo di<br />
uomini di mezza età sul ponte di una nave da guerra,<br />
impeccabili nei loro abiti scuri, tutti (o quasi) con in<br />
testa un capello di feltro, visi seri, e più serio di tutti,<br />
al centro e unico a stare seduto, il capo della polizia Arturo<br />
Bocchini. Carruezzo era, in quel gruppo, l’ultimo<br />
sulla destra. Non si può dire proprio che sorridesse, ma<br />
aveva uno sguardo divertito, forse ironico.<br />
– Capo, di cosa ridevate sotto i baffi? – gli aveva<br />
chiesto una volta Serra, tenendo in mano la fotografia.<br />
– Servivamo lo Stato e c’era ben poco di che divertirsi,<br />
– aveva risposto burbero Carruezzo. Ma subito<br />
dopo aveva sorriso.<br />
Non era così reticente, di solito. O perlomeno non lo<br />
era con Serra. La promozione a commissario capo, avvenuta<br />
qualche anno prima, aveva significato tra l’altro<br />
che finalmente gli era stato assegnato un elemento<br />
27
giovane destinato a collaborare con lui. Serra si era dimostrato<br />
all’altezza del compito, se il compito era quello<br />
di stare dietro a Carruezzo nell’elaborazione dei<br />
piani “antisovversione” che costituivano la sua specialità.<br />
In realtà, dopo alcuni clamorosi fallimenti, quei<br />
piani non avevano più trovato applicazione. Arturo<br />
Bocchini, sul cui tavolo arrivavano in forma di ponderosi<br />
dattiloscritti, si diceva ammirato dai barocchi stratagemmi<br />
che Eupremio continuava a inventare, ma regolarmente<br />
li bocciava. Vagliare, selezionare, graduare la<br />
repressione erano le parole-chiave di quei rapporti, parole<br />
che Arturo avrebbe apprezzato se non fosse che si<br />
traducevano nelle mille volute di un aggirarsi interminabile<br />
intorno alla preda, sinché la preda, resa avvertita<br />
da quell’incessante ronzare, alla fine prendeva<br />
il volo.<br />
Giudicato ormai inutilizzabile nell’antisovversione<br />
militante, Carruezzo aveva trovato una sua collocazione<br />
all’interno della Polizia politica nel Casellario Politico<br />
Centrale. A lui si doveva l’aver introdotto nel lavoro<br />
di schedatura dei sovversivi la categoria di attitudini<br />
psichiche salienti, secondo una griglia che, richiedendo<br />
di classificarli per tendenze morali, grado e forma<br />
di intelligenza, capacità volitive, proponeva una dettagliatissima<br />
tipologia, le cui ascendenze freudiane ben<br />
pochi a quei tempi avrebbero saputo cogliere. E certo<br />
non le coglievano informatori ed agenti, quando compilando<br />
su moduli predisposti i loro rapporti periodici<br />
si trovavano a dover decidere se il soggetto affidato<br />
28<br />
alle loro cure fosse o meno un egotista a sfondo narcisistico.<br />
Anche per queste sue trovate, alcuni, soprattutto tra<br />
la bassa forza del Ministero dell’Interno, giudicavano<br />
Carruezzo uno svitato, senza comprendere che al vertice<br />
del suo fulgore l’Ovra poteva ben permettersi uno<br />
svitato di talento. Uno come Carruezzo, pareva avesse<br />
detto Bocchini, costava allo Stato meno di certi antifascisti<br />
mantenuti a poltrire a Lampedusa o a Ventotene.<br />
Per stare dietro a Carruezzo nei labirinti delle sue<br />
realizzazioni e in quelli ancora più intricati delle sue<br />
conversazioni, che conduceva da autentico maestro del<br />
periodo interminabile, occorreva aver frequentato il<br />
corso completo. Serra l’aveva frequentato.<br />
Aveva seguito i fluviali monologhi a cui il capo era<br />
solito affidare il racconto della sua personale vicenda<br />
di poliziotto, che amava far iniziare da quando il 28<br />
ottobre 1922, il giorno stesso della storica marcia sulla<br />
capitale, era giunto a Roma dalla natia Lecce. Non che<br />
ci fosse un nesso tra quelle vicende e il suo arrivo a<br />
Roma, precisava. Era stato un caso, un semplice caso,<br />
che tuttavia aveva consentito per anni a superiori e<br />
colleghi di ripetere infinite volte la scadente battuta,<br />
con risolino stridulo d’accompagnamento: “Anche Carruezzo<br />
l’ha fatta la sua marcia su Roma. Vero Carruezzo,<br />
che anche tu l’hai fatta la tua marcia su Roma?”<br />
Il trasferimento a Roma era stato lui stesso a cercarlo,<br />
per motivi che nel suo racconto - fattosi a questo<br />
punto reticente e confuso - avevano a che fare con<br />
imprecisate solitudini ed anche con un fatto, un fatto<br />
29
successo nella questura di Lecce, nella camera di sicurezza<br />
di quella questura, più esattamente.<br />
Era rimasto per ore a interrogare un ladruncolo e poi<br />
questo ladruncolo, con un sorriso di sfida, si era vantato<br />
di aver fatto colpo sul poliziotto. Naturalmente<br />
nessuno in questura lo aveva preso sul serio il ladruncolo,<br />
ma da allora qualcosa era cambiato verso Carruezzo<br />
nell’atteggiamento di superiori e colleghi. “Capite<br />
bene, Serra, perché vi racconto quest’episodio in<br />
sé irrilevante. Chi interroga e chi è interrogato sono<br />
coinvolti da una corrente di reciproca fascinazione:<br />
un poliziotto non dovrebbe mai dimenticarlo. Senza<br />
questa corrente, d’altra parte, non ci sarebbero confessioni.”<br />
Ma il racconto che più l’appassionava, e su cui ritornava<br />
più spesso, era quello degli anni passati a Milano<br />
nella squadra speciale del grande ispettore Roghi.<br />
Faccenda da pionieri, diceva con orgoglio, da inventori<br />
di generi, come in fondo era stato Mussolini<br />
con il Fascismo. Proprio allora a Milano, con Roghi,<br />
era stata inventata l’Ovra.<br />
Si diceva che fosse stato lo stesso Mussolini a trovare<br />
il nome Ovra. Circolavano differenti versioni sul significato<br />
di quella sigla, ma l’assonanza con “piovra”<br />
bastava per immaginare una entità misteriosa e avvolgente<br />
(un confidente di Terni l’aveva anche scritto<br />
a Bocchini, in un rapporto: perché io, Eccellenza, mi sento<br />
e sono uno dei tentacoli di questa Nostra Onnipotente<br />
P.I.O.V.R.A.).<br />
30<br />
L’idea era quella di una sezione specializzata in operazioni<br />
contro gli antifascisti, in particolare contro i<br />
comunisti. Una sezione slegata dalla consueta catena<br />
gerarchica, sotto il controllo diretto del capo della Polizia<br />
e senza le normali limitazioni territoriali, con<br />
grande disponibilità di mezzi.<br />
Da un appartamento nelle vicinanze di Piazza Cordusio,<br />
la squadra speciale di Roghi operava dietro la<br />
mascheratura di una ditta di import-export. Roghi era<br />
un maestro della caccia ai comunisti. Ne conosceva la<br />
forza ma anche le debolezze. A questo punto del racconto<br />
entrava in scena Max Brandauer, apparentemente<br />
un tranquillo agente di commercio svizzero ma in<br />
realtà l’uomo dell’Internazionale in Italia e il responsabile<br />
del collegamento con i nuclei clandestini del<br />
Partito comunista. Brandauer era stato arrestato quasi<br />
per caso, ma Roghi aveva intuito la possibilità di “indurlo<br />
al compromesso”, partendo dalla considerazione<br />
che la gente come lui, solitamente, adorava ascoltarsi.<br />
All’inizio avevano usato i metodi tradizionali. I primi<br />
due giorni in cella al buio, tanto per fargli capire che<br />
le cose si erano messe male per lui. Il terzo tutti intorno<br />
a fargli paura. “Sappiamo tutto, sei finito! I tuoi complici<br />
hanno già parlato! Vuota il sacco!” Uno schiaffo,<br />
qualche calcio in culo (niente di più, teneva a precisare<br />
Carruezzo). Poi Roghi aveva deciso di condurre da solo<br />
l’interrogatorio. “Fermi ragazzi, ora faccio io.” Brandauer<br />
aveva alla fine ceduto, e non per denaro, né con la<br />
promessa dell’impunità. Brandauer era crollato quando<br />
31
Roghi, dopo un testa a testa politico-filosofico durato<br />
trentasei ore filate (avevano iniziato con Bernstein<br />
e continuato con Kautsky, “il rinnegato Kautsky”,<br />
poi era saltato fuori Bogdanov e il Lenin di Materialismo<br />
ed empiriocricismo, dulcis in fundo Gentile), era<br />
riuscito a demolirgli la convinzione che il comunismo<br />
fosse l’espressione più alta della razionalità della<br />
storia.<br />
Dopo averla sentita più volte, Serra aveva chiesto al<br />
suo capo quale fosse il significato di quella vicenda.<br />
Carruezzo aveva assunto un’aria pensosa. Poi aveva<br />
sentenziato: “Gratta gratta e sotto un comunista troverai<br />
sempre Hegel.”<br />
Serra conosceva benissimo la predisposizione del suo<br />
capo ad arricchire la realtà di fantasiose trasfigurazioni,<br />
ma proprio per questo trovava nella compagnia<br />
di Carruezzo e nei suoi racconti un rifugio dall’opprimente<br />
grigiore della vita d’ufficio. Non era<br />
adatto a fare il poliziotto. Eppure, quando suo padre<br />
- questurino fino alla punta dei capelli - gli aveva<br />
messo di fronte la domanda di partecipazione al concorso<br />
del Ministero dell’Interno, non aveva esitato a<br />
firmare. Al quart’anno di Giurisprudenza, gli studi<br />
che andavano a rilento: un lavoro in polizia altro non<br />
era che uno spazio dai confini certi. Come da bambino,<br />
quando se ne stava per ore al riparo dal mondo<br />
dentro la sua capanna fatta con due sedie e vecchie coperte.<br />
Ancora a distanza di dieci anni gli capitava di<br />
risentirlo suo padre, in cucina, con quella voce sem-<br />
32<br />
pre un po’ lamentosa: “Vedrai non è un mestiere difficile.<br />
Basta fare quel che ti dicono i superiori.” E Cagliari,<br />
dov’era cresciuto. La casa appoggiata al bastione<br />
di Santa Croce. Le mura bianche. Le torri. Il verso<br />
rauco dei gabbiani appollaiati sui tetti. Di fronte il<br />
mare, e sui due lati, ad est e a ovest, gli stagni. Acqua<br />
tutt’intorno. La luce abbacinante, d’estate. La casa…<br />
E nella casa le rassicurazioni dell’ombra.<br />
Quando nel 1931, a ventiquattro anni, Serra aveva<br />
lasciato Cagliari per prendere servizio alla Questura di<br />
Roma, nei primi tempi aveva alloggiato in una pensione<br />
sulla Nomentana. La sera, nella vasta sala dalle<br />
pianelle esagonali rosse e grigie, trovava la tavola apparecchiata<br />
per lui e per gli altri pensionanti. Cenando<br />
discorreva con i suoi commensali e con la signora Ines,<br />
la proprietaria della pensione, fiera del fatto che un<br />
funzionario di polizia abitasse nella sua casa. Quando la<br />
signora Ines aveva saputo del trasferimento di Serra al<br />
Ministero dell’Interno, era arrivata del tutto autonomamente<br />
alla conclusione che si trattasse di un avanzamento<br />
di carriera. “Ah, dottor Serra, ci vuole una donna<br />
di intuito come me per capire che il vostro nuovo<br />
incarico al Ministero è qualcosa di veramente importante.<br />
Voi, con la vostra modestia, avreste voluto nascondercelo.<br />
Vero dottor Serra?”<br />
La conoscenza con Carruezzo risaliva al breve periodo<br />
in cui quest’ultimo era tornato a lavorare in Questura.<br />
Gli aveva fatto da assistente in un’inchiesta sulla morte<br />
di uno strozzino trovato col cranio maciullato ai Prati<br />
33
Fiscali. “Procedete voi all’esame del corpo” aveva detto<br />
Carruezzo e poi gli era venuto da vomitare. Da allora<br />
l’aveva sempre voluto al suo fianco nelle inchieste che<br />
gli venivano assegnate. Era Serra, in realtà, a condurre<br />
materialmente le indagini, o perlomeno era lui che faceva<br />
le prime rilevazioni e andava in giro a far domande.<br />
Tornava in Questura, la sera, il taccuino pieno zeppo<br />
di annotazioni, trascrizioni di interrogatori (alla domanda<br />
se conosceva il morto risponde: “Mai l’avessi conosciuto<br />
quell’impunito”), e schizzi a matita di volti, interni di<br />
appartamenti, strade, piazze. Carruezzo apprezzava i<br />
taccuini di Serra. L’aveva spinto lui a prendere appunti<br />
dettagliati con domande imprevedibili su aspetti<br />
in apparenza insignificanti dello scenario del delitto,<br />
sui tratti fisici di un testimone e altri bizzarri particolari.<br />
Carruezzo se li beveva tutti d’un fiato quei taccuini.<br />
“Avete un certo talento artistico, Serra,” commentò<br />
una volta, “fareste bene a coltivarlo.”<br />
34<br />
5<br />
– Noi poliziotti siamo i custodi del Tempio, caro<br />
Serra. Solo a noi è dato frugare nei più profondi recessi,<br />
tocca a noi portare il doloroso fardello del segreto.<br />
Non ne siete atterrito?<br />
– Non ho mai visto la cosa sotto questo aspetto, capo.<br />
Carruezzo era sbronzo, su questo Serra non aveva<br />
dubbi.<br />
La cena era iniziata con un mediocre Valpolicella, ma<br />
quando Madame Dressler aveva personalmente portato<br />
in tavola i beccaccini fumanti, Carruezzo aveva dichiarato,<br />
tonitruante e inappellabile, che bisognava bagnarli<br />
con un Borgogna:<br />
– Madame, asseyez-vous, goûtez ce Bourgogne, –<br />
l’aveva invitata il Commissario.<br />
Lei si era seduta e dopo pochi minuti era stata stappata<br />
una seconda bottiglia di Borgogna.<br />
Prima di diventare la Madame Dressler popolarissima<br />
tra gli europei di Addis Abeba, la proprietaria<br />
dell’Albergo-Ristorante Impero era stata una trascurabile<br />
Marcelle Dupont, dattilografa a Lille. Sentendosi<br />
appunto trascurabile, aveva intrapreso una sua lunga<br />
marcia verso Sud, che l’aveva portata prima a Monaco<br />
35
di Baviera - dove sposando un albergatore del posto era<br />
diventata Madame Dressler - poi a Salonicco e infine,<br />
dopo una breve tappa ad Alessandria d’Egitto, era arrivata<br />
ad Addis Abeba. In questo tortuoso tragitto, di<br />
Herr Dressler si erano perse le tracce e al suo posto era<br />
apparso un cuoco armeno, originario di Istanbul, che<br />
con la sua virtuosistica e mimetica abilità era alla base<br />
delle fortune dell’Albergo-Ristorante: già pochi giorni<br />
dopo l’entrata dell’armata di Badoglio a Addis Abeba<br />
aveva messo a punto delle tagliatelle al ragù di folgorante<br />
successo tra i nuovi arrivati.<br />
Donna linguisticamente ampia - oltre che fisicamente<br />
- a metà della terza bottiglia Madame Dressler aveva<br />
cominciato a parlare italiano: – Colonel Carruezzò, sapete<br />
che siete divertente?<br />
Solo dopo aver stappato una bottiglia di Porto vecchia<br />
di vent’anni, suo omaggio personale, si era allontanata<br />
ondeggiante dal tavolo dei due poliziotti.<br />
– Il sancta sanctorum, le abissali profondità… di<br />
fronte a loro la mente si perde.<br />
Con ostinazione alcolica Carruezzo tentava di riproporre<br />
le sue meditazioni sul Potere. Si erano trasferiti,<br />
lui e Serra, nella hall, seduti su due poltrone l’uno di<br />
fronte all’altro. Tra loro un tavolino basso, su cui era<br />
posata la bottiglia di Porto.<br />
– Il sancta sanctorum…<br />
Carruezzo si era alzato in piedi, con il bicchiere in<br />
mano e l’aria di chi sta per pronunciare un brindisi.<br />
36<br />
Aveva vacillato per un attimo, per poi ricadere seduto<br />
sulla poltrona con tutto l’impaccio dei suoi centoventi<br />
chili.<br />
– …la mente si perde…<br />
Il commissario fece per versarsi un altro bicchiere di<br />
Porto, ma Serra gli fermò la mano.<br />
– Colonel Carruezzò, mi complimento con voi per la<br />
promozione sul campo.<br />
– Per vostra norma, giovanotto, un commissario di<br />
prima classe ha un grado corrispondente al generale<br />
di brigata. General Carruezzò, avrebbe dovuto dire la<br />
bella signora.<br />
– Ma anche Colonel Carruezzò suona bene, certo meglio<br />
di Commissario di Prima Classe Eupremio Carruezzo.<br />
Quando poi a dirlo è una donna affascinante…<br />
“Colonel Carruezzò, que vous êtes sympathique.” L’avete<br />
conquistata.<br />
– Dite sul serio, Serra?<br />
– Non ci sono dubbi. Anzi sapete cosa penso, capo:<br />
che è il momento di osare.<br />
– Osare, osare… non saprei da dove cominciare ad<br />
osare.<br />
Intanto Madame Dressler veniva verso di loro; la seguiva<br />
un uomo piuttosto alto, di circa quarant’anni,<br />
con indosso un abito di lino dall’aspetto logoro, senza<br />
cravatta, e una barba di almeno due giorni.<br />
– Colonel Carruezzò, il commissario Oppo a demandé<br />
de vous, mi sono permessa di accompagnarlo<br />
perché non vi conosce personalmente.<br />
37
– Vi attendevo commissario, anche se non speravo<br />
di potervi incontrare il giorno stesso del nostro arrivo,<br />
– disse Carruezzo, mentre con movimenti macchinosi<br />
si alzava dalla poltrona in cui era sprofondato.<br />
– Se pensate sia meglio vederci domani…<br />
– Ma no commissario. Stasera va benissimo.<br />
Ora erano in tre attorno al tavolino basso e alla bottiglia<br />
di Porto. Madame Dressler si era allontanata e lo<br />
sguardo di Carruezzo aveva indugiato su di lei sino a<br />
quando le sue morbide sinuosità erano sparite dietro la<br />
porta a vetri della hall. Poi Carruezzo aveva chiuso gli<br />
occhi e aveva sospirato.<br />
A Serra il commissario Oppo ricordava qualcuno:<br />
chi fosse questo qualcuno però non gli veniva in mente.<br />
Gli occhi un po’ rossi e la pelle ingrigita gli davano<br />
un’aria malaticcia. Parlava lentamente, strascicando le<br />
parole:<br />
– …certo non sono stati molti quelli che hanno<br />
pianto la sua morte. Ai suoi funerali non c’era nessuno<br />
dei suoi compagni di baldoria, né delle sue amanti.<br />
Carruezzo socchiuse gli occhi e con tono ieratico:<br />
– Sic transit gloria mundi. – Sembrava essersi ripreso<br />
dalla sbronza. Versò del Porto nei bicchieri di Serra e<br />
Oppo, ma lasciò il suo vuoto.<br />
– Dunque… ad ucciderlo è stato un solo colpo di pistola…<br />
– attaccò Serra rivolto a Oppo.<br />
– Sì, una pistola, un colpo solo, anche se i proiettili<br />
esplosi potrebbero essere di più. Comunque, di altri<br />
proiettili non abbiamo trovato traccia. Quello fatale è<br />
38<br />
entrato nell’orecchio destro ed è uscito dal sinistro.<br />
Sparato quasi a bruciapelo con una traiettoria leggermente<br />
verso l’alto. È bastato un solo colpo a spappolargli…<br />
– Di questi particolari parlerete poi con Serra, – lo<br />
interruppe Carruezzo. – Vorrei capire piuttosto cosa<br />
ci faceva Bellassai lungo la strada che da Addis Abeba<br />
porta a Lechemti. E soprattutto cosa ci faceva alle due<br />
di notte, perché questa è l’ora presumibile del decesso,<br />
non è vero?<br />
– Questo dice il patologo, basandosi sulla testimonianza<br />
dei due abissini, due ascari della tredicesima<br />
brigata indigeni, che poco dopo l’alba hanno trovato<br />
Bellassai morto. Secondo loro, viso e mani dell’uomo<br />
erano fredde, mentre il resto del corpo conservava un<br />
certo calore…<br />
Carruezzo assunse un’espressione schifata: – Suppongo<br />
faccia parte degli usi locali palpeggiare i cadaveri<br />
che si trovano lungo la strada.<br />
– Il fatto è che i due ascari hanno all’inizio pensato<br />
che l’uomo riverso sul volante fosse ubriaco e solo dopo<br />
si sono accorti del fatto… anche perché le prime tracce<br />
di rigor mortis…<br />
– Sì… ditemi piuttosto se avete trovato impronte<br />
intorno all’automobile.<br />
– Intorno all’automobile no, o meglio impronte ce<br />
n’erano, ma talmente confuse e pasticciate… le uniche<br />
chiare erano a duecento metri dall’auto, le impronte di<br />
un camion, come se questo camion si fosse fermato e<br />
39
poi ripartito. Abbiamo fatto vedere le impronte a uno<br />
del ramo e c’ha detto che quel tipo di copertoni li monta<br />
il Fiat 634, capirete… come dire la metà almeno<br />
dei camion dell’Africa Orientale Italiana. Io qualche<br />
camionista che sta ad Addis Abeba l’ho anche fatto interrogare…<br />
una ventina, una trentina forse… non li<br />
ho neppure seguiti personalmente gli interrogatori,<br />
tanto lo sapevo dall’inizio che stavamo facendo un buco<br />
nell’acqua.<br />
– Il primo di una serie, a quanto pare. Suppongo vi<br />
siate chiesti perché Bellassai fosse per strada, a dieci<br />
chilometri da casa sua, in piena notte. La moglie, la<br />
moglie di Bellassai, cosa ha detto al riguardo?<br />
– Nulla di utile. Che il marito praticamente non aveva<br />
orari, poteva sparire per giorni. Le parlava di ragioni<br />
di servizio, di incarichi speciali.<br />
– Avete sicuramente verificato la natura di questi<br />
incarichi.<br />
– Di speciale negli incarichi svolti da Bellassai c’erano<br />
solo il menefreghismo e i ritardi con cui si presentava<br />
in servizio. Per il resto normale amministrazione.<br />
– Occorrerà parlare con la moglie di Bellassai. Serra,<br />
prendete nota.<br />
– Ho paura che non sia possibile, non qui ad Addis<br />
Abeba, comunque, – intervenne Oppo.<br />
– Cosa volete dire?<br />
– Che una settimana dopo i funerali la moglie di Bellassai<br />
era già partita per l’Italia.<br />
40<br />
– Non c’era modo di trattenerla?<br />
– Esserci ci sarebbe stato… ma sapete come vanno<br />
queste cose. La moglie di Bellassai è la figlia di un influente<br />
industriale. Lui, poi, è venuto dall’Italia a riprendersela.<br />
Ho fatto presente che le indagini avrebbero<br />
richiesto… D’altra parte, anche a sospettarla di<br />
avere ucciso il marito… insomma, per farla breve…<br />
aveva un alibi inattaccabile.<br />
Serra notò che nel procedere della conversazione il<br />
commissario Oppo aveva assunto un’espressione sempre<br />
più stanca e depressa. Come se altri pensieri, infelici,<br />
si sovrapponessero alle parole che pronunciava.<br />
Serra si chiese se fra dieci anni anche lui avrebbe avuto<br />
la stessa faccia da poliziotto triste. Si diede una cupa<br />
risposta: una faccia triste era il minimo che uno si<br />
doveva aspettare, facendo quel mestiere.<br />
– La moglie ha un alibi di ferro, d’accordo. Non mi<br />
dite però che dopo un mese d’indagini non avete tra le<br />
mani una pista da seguire, una traccia.<br />
C’era una certa irritazione nel tono di voce di Carruezzo,<br />
cui il commissario Oppo rispose quasi sbottando.<br />
L’espressione del volto - la piega della bocca, gli<br />
occhi stretti e infossati nelle occhiaie - tradiva, insieme<br />
al fastidio, un’amarezza profonda:<br />
– Capisco… avete parlato con sua Eccellenza Graziani…<br />
certo, è naturale che ci avete parlato. Lo so<br />
cosa si aspettano da me. Io però non posso mica inventarmi<br />
un colpevole. Se poi vogliono sbattere in galera<br />
uno purchessia, facciano pure. Sicuramente non<br />
41
hanno bisogno della mia autorizzazione. – Fece una<br />
specie di sorriso. – Volete sospetti dottor Carruezzo?<br />
Eccovene un’intera lista.<br />
Tolse da una tasca esterna della giacca alcuni fogli<br />
dattiloscritti irregolarmente piegati in quattro e li<br />
porse a Carruezzo.<br />
– Sarebbe?<br />
– È una relazione dettagliata sulle indagini. Leggete<br />
e capirete, capirete come sia stato difficile…<br />
42<br />
6<br />
Dopo l’incontro con l’ispettore, Carruezzo e Serra discussero<br />
a lungo.<br />
Quando Oppo gli aveva esibito la relazione dattiloscritta<br />
sul tavolino dell’Albergo-Ristorante Impero,<br />
Carruezzo l’aveva presa in mano. Solo una breve occhiata<br />
(“Leggerò con estrema attenzione”), poi l’aveva<br />
passata a Serra che se l’era messa in tasca dopo averla<br />
ripiegata ordinatamente.<br />
Aveva invece voluto ascoltarlo, Oppo, sulle indagini,<br />
e il commissario della PAI aveva indicato una sola<br />
direzione da seguire: il delitto passionale. Via le balle<br />
su improbabili incarichi speciali, avevano ficcato il naso<br />
tra le lenzuola di mezza Addis Abeba. Non che fosse<br />
stato difficile raccogliere informazioni: il tenente era<br />
uno che le sue conquiste le metteva in piazza, anche i<br />
particolari più sordidi, anzi soprattutto quelli. Persino<br />
il boy metteva al corrente delle sue imprese: raccontava<br />
e rideva. Una risata tronfia. Insomma: i sospetti erano<br />
diventati una lista di quattro persone. Persone che avevano<br />
avuto rapporti tempestosi o comunque complicati<br />
con il tenente Bellassai e che, allo stesso tempo, non<br />
erano stati in grado di produrre testimonianze del<br />
43
tutto convincenti sui loro movimenti la notte della<br />
sua morte. In gran parte dei casi, ad avvalorare gli alibi<br />
delle persone che avevano interrogato erano stati i<br />
rispettivi boy e servitori, ché non ci voleva nulla a<br />
comprare il silenzio di un abissino. I quattro della lista<br />
di organizzarsi, in quella circostanza, non avevano<br />
avuto la possibilità… “…O, più semplicemente,” aveva<br />
obiettato Carruezzo, “essendo del tutto estranei alla<br />
morte di Bellassai non gli serviva nessun alibi.” E Oppo<br />
a rispondergli che se voleva metterla in quel modo…<br />
Discussero a lungo Serra e Carruezzo, e Serra rimase<br />
sull’ipotesi che l’autore dell’omicidio potesse essere<br />
o un marito tradito o un’amante abbandonata.<br />
– Cioè a dire una banale italica questione di corna,<br />
– commentò Carruezzo con una smorfia di disgusto.<br />
– Se è questa la vostra congettura investigativa, – aggiunse<br />
piccato, – andate domani a interrogare la prima<br />
della lista di Oppo, la contessa Sinibaldi, che come<br />
amante abbandonata troverete certamente perfetta.<br />
– Quanto a lui, disse, sarebbe rimasto in albergo<br />
a riflettere.<br />
Così l’indomani Serra si fece trovare di buon’ora di<br />
fronte all’Albergo-Ristorante Impero, dove lo attendevano<br />
l’automobile e l’autista messi a sua disposizione<br />
dalla polizia locale. L’autista si chiamava Cicalò<br />
ed era stato prestato alla PAI dall’Esercito. Bruno e<br />
magro, parlava con un forte accento siciliano.<br />
44<br />
Erano da poco in automobile e le nuvole cominciarono<br />
a farsi nere e gonfie, finché esplosero d’un tratto,<br />
rovesciando violente raffiche d’acqua. Per qualche minuto<br />
la pioggia cadde fortissima. Poi, con la stessa velocità<br />
con cui era venuta, la tempesta finì e ritornò il<br />
sereno. Lungo la strada sterrata si succedevano squallide<br />
baracche e mucchi d’immondizie.<br />
– Ancora molto alla villa della contessa? – chiese<br />
Serra.<br />
– Pochi chilometri, – rispose l’autista.<br />
– Hai mai visto la contessa Sinibaldi?<br />
L’autista si voltò verso Serra stirando le labbra in un<br />
sorriso ironico.<br />
– Vista no, però…<br />
– Però?<br />
– Se ne sentono tante su di lei…<br />
– Ho capito, Cicalò. E del conte Sinibaldi sai qualcosa?<br />
– Che è quasi sempre in Italia. Dicono che non è soddisfatto<br />
di come si son messe le cose qui, che i suoi affari<br />
andavano meglio con il Negus. Dicono anche che la<br />
moglie se la faceva con Bellassai e che lui, il conte, non<br />
era contento, ma non per il motivo che si può pensare.<br />
Che la moglie andasse con altri, non gli dispiaceva. Anzi<br />
pare che gli piaceva guardare. Solo che a un certo<br />
punto lei si è innamorata di Bellassai e allora lui…<br />
– Cicalò, ma tu queste cose come le sai?<br />
– Me le riferisce un mio paesano. Uno di Licata.<br />
– Ma è affidabile questo tuo paesano, Cicalò?<br />
45
– Affidabilissimo, ispettore.<br />
La casa apparve dopo che l’automobile aveva abbandonato<br />
la strada principale e si era addentrata per qualche<br />
centinaio di metri in un bosco di eucaliptus. La villa,<br />
due piani di pietra grigia imponente, aveva sul fronte,<br />
al piano terra, un’ampia veranda con una copertura<br />
a tegole sorretta da pilastri in mattoni rossi ricoperti da<br />
glicini rampicanti. Ai piedi della casa, tutt’intorno, interrotto<br />
solo da grandi magnolie, un prato. Parcheggiata<br />
sul prato: una lucente Bugatti rossa.<br />
La contessa Sinibaldi gli venne incontro lungo il<br />
vialetto di ghiaia che attraversava il prato. Indossava<br />
pantaloni di lino bianchi, larghi, e una camicetta color<br />
crema a maniche corte. Teneva tra il collo e la spalla<br />
sinistra una piccola mangusta. Quando la mangusta,<br />
sfuggendo alla sua padrona, corse veloce nella direzione<br />
dell’ispettore, Serra fu prontissimo a sbarrarle<br />
la strada e ad afferrarla. Restituì la bestiola alla padrona<br />
di casa che, dopo averla presa tra le mani ed essersela<br />
avvicinata al petto, la baciò sul muso.<br />
– Anche se ha i baffi, Taitù è femmina, sapete. Come<br />
avete visto è molto sensibile alla presenza maschile. –<br />
Gli lanciò un sorriso smagliante.<br />
La contessa aveva poco meno di quarant’anni, capelli<br />
castano chiaro e ondulati, occhi grigi. Forse non era<br />
particolarmente bella ma sembrava abituata a comportarsi<br />
come se lo fosse.<br />
– Ispettore Serra, del Ministero dell’Interno. La mia<br />
visita dovrebbe esservi stata preannunciata.<br />
46<br />
– Ho ricevuto un autorevolissimo invito a rispondere<br />
con assoluta precisione a tutte le vostre domande.<br />
Sedettero in veranda su poltrone di vimini. A portata<br />
di mano un tavolino con un grammofono aperto e<br />
un disco sul piatto, oltre a un certo numero di bottiglie<br />
di liquori vari. La contessa domandò all’ispettore<br />
se voleva bere e Serra chiese un cognac. Per poter versare<br />
il cognac al suo ospite, la donna posò per terra la<br />
mangusta, che corse verso Serra e iniziò a leccargli le<br />
scarpe. – Avete fatto colpo, – disse la donna. – Si comporta<br />
così quand’è perdutamente innamorata. – Versò<br />
per sé un mezzo bicchiere di whisky e ne mandò giù<br />
un sorso. Poi, senza alzarsi, con un gesto preciso che rivelava<br />
una lunga abitudine, portò il braccio del grammofono<br />
sul bordo esterno del disco.<br />
A un breve attacco orchestrale, seguì la voce del cantante.<br />
La gelosia non è più di moda<br />
è una follia che non si usa più<br />
devi avere il cuor contento, stile Novecento<br />
per goder la gioventù.<br />
– Siete d’accordo che la gelosia non è più di moda?<br />
– chiese la donna.<br />
– Se devo essere sincero, per me non lo è mai stata…<br />
di moda, voglio dire.<br />
– Capisco, la gelosia è un sentimento da deboli,<br />
qualcosa che a un esponente della Polizia Politica…<br />
47
– Chi vi ha detto che sono della Polizia Politica?<br />
– Non è un mistero che voi e l’ingombrante signore<br />
con cui andate in giro per Addis Abeba siete della Politica.<br />
O pensavate che sareste passati inosservati?<br />
– È difficile che il mio capo passi inosservato.<br />
– Appunto. Come non notare un grasso signore attempato<br />
in tenuta da safari… tanto più se si accompagna<br />
a un bel giovanotto italiano. Vi ho visto tutti e<br />
due ieri sera al caffè Roma. Siete già famosi. Veramente<br />
incredibile il vostro capo… mi ricorda… mi ricorda…<br />
– …il Feroce Saladino?<br />
La contessa sorrise. Seguì una pausa, durante la quale<br />
la donna accese una sigaretta. Poi Serra, assunta<br />
quella che pensò potesse essere una convincente aria<br />
da poliziotto, disse:<br />
– Veniamo alla ragione della mia visita, contessa. So<br />
che siete già stata interrogata, ma vorrei sentire direttamente<br />
da voi come andarono le cose quella notte,<br />
la notte che Bellassai è stato ucciso. C’era un ricevimento,<br />
qui a casa vostra…<br />
– C’era un ricevimento, c’erano molti invitati, c’era<br />
il tenente Bellassai e c’ero io, naturalmente… comunque,<br />
caro ispettore, ho paura di valere ben poco come<br />
testimone di quella serata.<br />
– Cosa intendete dire?<br />
– Che ero in uno stato di sovreccitazione alcolica.<br />
Ho ricordi piuttosto confusi.<br />
– Qualcosa comunque è successo. Non è stata una<br />
48<br />
serata qualsiasi, voglio dire… a parte la morte del tenente.<br />
– Se intendete riferirvi al pesante vaso di cristallo<br />
che ho lanciato addosso al tenente Bellassai… in effetti<br />
questo lo ricordo. Come ricordo benissimo di<br />
averlo mancato… purtroppo.<br />
– Scusate contessa, ma è una domanda che non posso<br />
evitarvi: quali erano i rapporti tra voi e il tenente?<br />
– Siamo stati amanti.<br />
– Non lo eravate più, dunque.<br />
– Duilio era un amante… come definirlo?… intermittente?…<br />
c’era e non c’era, a seconda di dove lo portavano<br />
il vento e le circostanze, e le circostanze ultimamente<br />
l’avevano portato lontano da me.<br />
Nel tono di consumata mondanità della contessa, a<br />
Serra parve si fosse insinuata una nota di stanchezza.<br />
La stessa stanchezza che provava lui, ora, a farle quel<br />
tipo di domande.<br />
– Dove vi trovavate quando il tenente è stato ucciso?<br />
– Se è un alibi che vi aspettate, ho paura di dovervi<br />
deludere. Dopo il lancio del vaso, il tenente Bellassai<br />
ha pensato bene di lasciarci. Lo ha fatto con la sua automobile.<br />
Dopo qualche minuto, ho deciso di andargli<br />
dietro con la mia, cosa che sicuramente vi potranno<br />
confermare tutti i presenti. Qualcuno si è anche<br />
offerto di accompagnarmi, ma io ho voluto andare da<br />
sola a cercarlo. Ho girato per ore, aspettandomi di vedere<br />
la sua Aurelia parcheggiata vicino a uno dei po-<br />
49
sti che gli erano abituali. Sono passata di fronte alla<br />
sua bisca preferita, di fronte a casa sua persino… sono<br />
passata da molte altre parti, anche se non so ricostruire<br />
con esattezza i giri che ho fatto, ma dell’automobile<br />
di Duilio nessuna traccia. Quando sono tornata a<br />
casa erano quasi le cinque. A quell’ora, a quanto mi ha<br />
detto poi il commissario Oppo, Duilio era già stato<br />
ucciso.<br />
– C’è un punto nei verbali d’interrogatorio su cui<br />
vorrei tornaste: è il momento in cui a Bellassai che se<br />
ne andava da casa vostra avreste gridato “lo so che vai<br />
a raggiungere quella puttana negra”, o qualcosa del<br />
genere.<br />
– Non qualcosa del genere, ho usato proprio quelle<br />
parole. Vi scandalizza, ispettore?<br />
– Sono altre le cose che mi scandalizzano. A chi vi<br />
riferivate, comunque?<br />
– A una abissina vestita all’europea che qualche giorno<br />
avevo intravisto con lui in automobile. Non so nulla<br />
di lei, a parte il fatto che sembrava molto bella.<br />
– Vi è bastato questo per esserne gelosa.<br />
– C’è n’era d’avanzo per esserne gelosa.<br />
50<br />
7<br />
Per Eupremio Carruezzo le lettere anonime costituivano<br />
una vera e propria passione. Sia che le esaminasse<br />
col piglio dello studioso (le definiva allora “lo<br />
specchio segreto in cui si riflettono le tendenze riposte<br />
del corpo sociale”) o le leggesse con la golosa curiosità<br />
del pettegolo, non ce n’era una che non ritenesse<br />
degna della sua attenzione. Serra poteva dirsi anche<br />
lui, dopo tre anni passati al fianco di Carruezzo,<br />
un esperto in lettere anonime, ma non riusciva a nascondere<br />
un naturale disgusto nei loro confronti. “Siete<br />
uno snob e un moralista” lo rimproverava il suo capo.<br />
Era uno degli argomenti per cui poteva scaldarsi: “Voi<br />
volete le mani pulite, che siano gli altri a scavare nel<br />
fango. Invece è proprio questo che l’indagine poliziesca<br />
è chiamata a fare, rovistare tra le immondizie”. “Avete<br />
ragione, cavaliere” diceva allora Serra: “Non sarò mai<br />
un vero poliziotto.”<br />
Fu appunto una lettera anonima, dopo quattro giorni<br />
che stavano ad Addis Abeba, a dare un certo corso alle<br />
indagini, ma non si seppe mai chi l’avesse scritta e<br />
tantomeno il perché. Tutte le spiegazioni si dimostrarono<br />
alla fine inconsistenti, salvo forse quella che<br />
51
attribuiva la lettera a una interferenza del SIM, del Servizio<br />
di Informazione Militare cioè, o di uno dei tanti<br />
Uffici “I” (“I” come “Informazioni”) che proliferavano<br />
in quegli anni e di cui nessuno, a cominciare dalla<br />
Presidenza del Consiglio e arrivando sino al Ministero<br />
della Marina, sembrava volersi privare. Con la<br />
conseguenza di sgomitare l’uno con l’altro, con grande<br />
scapito dell’interesse del Servizio. La lettera anonima,<br />
chiunque l’avesse scritta, pose Carruezzo e Serra<br />
di fronte ai fatti di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>.<br />
Serra la vide nelle mani di Carruezzo mentre sedevano<br />
nella sala da pranzo dell’Albergo Impero.<br />
Non era stato particolarmente cauto l’autore della<br />
lettera: si era affidato a una grafia svolazzante e fantasiosa,<br />
che scorreva su una carta trasparente di un inconsueto<br />
giallo paglierino: profumata.<br />
– Violetta di Parma, – sentenziò Carruezzo. – Osservate<br />
poi il garbo con cui è scritta l’intestazione sulla<br />
busta: Al Cavalier Eupremio Carruezzo. La grafia, poi, è<br />
tipicamente femminile. Chiunque ha scritto questa lettera<br />
vuole farci pensare sia opera di una donna.<br />
– Magari è proprio opera di una donna, – interloquì<br />
Serra.<br />
– In questo caso una donna che vuole farci sapere di<br />
essere una donna.<br />
– Una donna e basta, lo escludiamo… vero cavaliere?<br />
– Vedete Serra, le lettere anonime non sono quella<br />
grossolana spazzatura che voi amate pensare. O perlomeno<br />
sono spazzatura, ma…<br />
52<br />
– …è proprio in questa spazzatura che noi poliziotti<br />
dobbiamo mettere le mani.<br />
– Visto che sapete così bene la lezione, vedete ora di<br />
applicarla al caso concreto. – Carruezzo poggiò la lettera<br />
sul tavolo, di fronte a Serra, e puntò l’indice sulle<br />
righe iniziali: – Leggete.<br />
– …quella bestia, porco, maiale di Bellassai…<br />
– Saltate i convenevoli, qualche riga più avanti.<br />
– Lo sanno tutti qui ad Addis Abeba che Bellassai era<br />
uno dei vostri, uno dell’Ovra, che lui era il primo a vantarsene<br />
con tutte le sgualdrine smorfiose, bianche e nere, che c’aveva<br />
attorno…<br />
– Fermiamoci qui, per ora. Ebbene?<br />
– Il linguaggio è vivace, la sintassi francamente deplorevole.<br />
– Questo il Serra critico letterario. Il Serra poliziotto<br />
ha anche lui qualcosa da dire?<br />
– Il riferimento alle sgualdrine, alle sgualdrine bianche<br />
e nere…<br />
Carruezzo sollevò le sopracciglia: – Ebbene?<br />
– La lettera conferma il fatto che Bellassai pescava<br />
anche tra le indigene.<br />
– Quello di pescare tra le indigene, come dite voi,<br />
rappresenta lo sport preferito dei nostri valorosi coloniali,<br />
una vera razza di conquistatori non c’è che dire.<br />
Non vedo bene perché Bellassai dovesse fare eccezione.<br />
– Eppure mi sono fatto l’idea… Ricordate ciò che<br />
mi ha detto la contessa Sinibaldi a proposito di una<br />
abissina in compagnia di Bellassai?<br />
53
– Insomma, Serra, siamo al solito cherchez la femme,<br />
con la novità che questa volta la femme in questione è<br />
nera. Piuttosto, vi sembra credibile che Bellassai si<br />
presentasse a destra e a manca come un nostro agente?<br />
– Perfettamente credibile, visto il personaggio.<br />
Carruezzo alzò gli occhi al cielo e allargò le braccia<br />
in un gesto di rassegnata impotenza:<br />
– Il reclutamento non è più quello di una volta. Si<br />
moltiplicano le operazioni e ci vogliono agenti dappertutto.<br />
È chiaro che il livello ne soffre… ma torniamo<br />
alla nostra lettera… ecco, questo è il punto più importante:<br />
Caro commissario Carruezzo, voi volete sapere chi l’ha<br />
ammazzato quel porco. Questo però non ve lo dico, se no che<br />
commissario siete se non dovete indagare. Una cosa sola vi dico:<br />
andate a parlare con una specie di strega che abita nel villaggio<br />
di Uorchè Michael, la strega si chiama Malkam<br />
Ayyahou. Lei, sicuramente, qualcosa vi dirà. Questo è tutto:<br />
un vostro commento, Serra…<br />
– Se fossimo in un film, direi che ci vogliono attirare<br />
in un agguato.<br />
– Non siamo in un film, Serra, non ancora, almeno.<br />
Proprio in quel momento un uomo alto e biondo si<br />
avvicinò ai due poliziotti con un bicchiere in mano. Riconobbero<br />
in lui uno del gruppo di giornalisti che nella<br />
sala da pranzo dell’Albergo Impero regolarmente cenava<br />
su un tavolo al centro della sala. Sempre gli stessi,<br />
come Serra e Carruezzo avevano direttamente avuto modo<br />
di notare, anche se ognuno di nazionalità diversa,<br />
come invece avevano appreso da Madame Dressler.<br />
54<br />
– Percy Hitchens, dell’agenzia Reuter, – si presentò<br />
l’uomo. – Discutevamo, io e i miei colleghi, di annate<br />
e marche di Porto. La discussione si è fatta accesa<br />
e abbiamo pensato allora che dei giudici esterni…<br />
– L’uomo parlava un buon italiano, anche se con una<br />
spiccata pronuncia inglese.<br />
– Nessuno di noi due può dire d’intendersene, – si<br />
schermì Carruezzo.<br />
– Qualche sera fa abbiamo notato al vostro tavolo<br />
un Cockburn… un’autentica raffinatezza.<br />
– Il Cockburn è stata un’idea della nostra Madame<br />
Dressler.<br />
– La splendida Madame Dressler… come faremo<br />
senza di lei? – Hitchens accompagnò quelle parole col<br />
gesto di mettere una mano al petto.<br />
– Comunque, se vi accontentate di due modesti rustici<br />
degustatori, non saremo certo noi a sottrarci…<br />
vero Serra? A proposito, Luciano Serra, un mio collaboratore…<br />
io mi chiamo Eupremio Carruezzo.<br />
Nel frattempo si erano avvicinati al tavolo anche gli<br />
altri giornalisti.<br />
– For Popotakis… hip, hip… hurrà! – disse uno di<br />
loro dalla barba rossa. – Brindisi per Popotakis, oggi<br />
festa di Popotakis. – L’uomo era alticcio e il suo italiano<br />
suonava approssimativo.<br />
– Viva Popotakis allora, – fece Carruezzo sollevando<br />
a sua volta il bicchiere, – anche se devo confessarvi, signori,<br />
di non sapere minimamente chi sia.<br />
– Prima che arrivaste voi italiani ad Addis Abeba,<br />
55
il locale di Popotakis era molto popolare, popolare tra<br />
noi corrispondenti esteri, voglio dire. – A parlare per<br />
tutti i suoi compagni era stato questa volta Hitchens.<br />
– You know table tennis, giocavamo al table tennis dal<br />
grande Popotakis, – intervenne l’uomo dalla barba<br />
rossa e iniziò a saltellare, mimando i gesti del pingpong.<br />
– Io champion su tutti i corrispondenti fare-nulla<br />
tutto il giorno di Africa Orientale… voi capire champion?<br />
– Sollevò le braccia verso l’alto, con i pugni stretti<br />
e gonfiando i bicipiti.<br />
Si fece avanti un altro dei giornalisti: – Io champion<br />
di boxing, pugilato, – disse e mostrò il dente d’oro che<br />
aveva al posto di un incisivo superiore. – Perso e non<br />
più ritrovato in discussione con collega svedese per difendere<br />
l’onore del mio grande compatriota Popotakis.<br />
Collega svedese sostiene che in whisky di Popotakis<br />
sette parti su dieci acqua: io sicuro di Popotakis, non<br />
più di metà del suo whisky acqua.<br />
– For Popotakis… hip, hip… hurrà.<br />
56<br />
8<br />
L’incontro con la strega Malkam Ayyahou ebbe luogo<br />
tre giorni dopo. Tre giorni passati da Serra dietro<br />
a ufficiali e funzionari per ottenere le autorizzazioni<br />
necessarie ad uscire da Addis Abeba.<br />
Con l’auto messa a disposizione dalla PAI e guidata<br />
da Cicalò, Serra e Carruezzo avevano iniziato il<br />
viaggio di buon mattino. Per qualche tempo la strada<br />
era corsa larga e regolare, poi l’asfalto aveva ceduto a<br />
uno sterrato fangoso, lungo il quale procedevano ora<br />
con cautela. A quell’andatura avrebbero raggiunto il<br />
villaggio di Uorchè Michael in meno di mezz’ora.<br />
Queste, almeno, le previsioni di Cicalò. Serra era seduto<br />
al suo fianco, mentre Carruezzo stava nel sedile<br />
posteriore.<br />
– Toglimi una curiosità, Cicalò, – disse Serra.<br />
– Comandi dottore.<br />
– Com’è che hai imparato l’amarico?<br />
– Non è proprio che l’ho imparato: più o meno lo<br />
capisco, e un po’ mi faccio capire.<br />
– Sì, ma chi te l’ha insegnato?<br />
– Frequento i corsi dei Missionari della Consolata.<br />
– E la pratica? Troverai pure modo di fare pratica?<br />
57
– Per la pratica ci si arrangia…<br />
– Ci si arrangia come?<br />
– Quel che vuol dire il giovanotto è fin troppo chiaro,<br />
Serra, non lo state a sfrugugliare. Rischiate di distrarlo<br />
dalla guida.<br />
Erano le prime parole di Carruezzo da che avevano<br />
messo piede nell’automobile. All’inizio non aveva fatto<br />
altro che spostarsi da un finestrino all’altro, gettando<br />
fuori brevi e nervose occhiate. Poi, dopo che la<br />
strada aveva preso a salire incassata nella montagna, si<br />
era rincantucciato in un angolo, quasi volesse tenersi<br />
lontano dai paurosi precipizi che si aprivano sotto di<br />
loro. Incrociarono lungo la strada una fila di donne<br />
che reggevano sulla testa grandi ceste ricoperte di un<br />
drappo rosso. Cicalò spiegò che il drappo rosso serviva<br />
a tenere lontano il malocchio.<br />
Entrarono a Uorchè Michael nel pomeriggio inoltrato.<br />
Altro non era il villaggio che l’incrocio di due<br />
strade, sul quale si affacciavano alcune baracche di legno,<br />
di cui la più grande fungeva da emporio e insieme<br />
da osteria. Intorno, qualche decina di capanne con i<br />
tetti di paglia anneriti dal fumo. Ai margini del villaggio<br />
grandi macchie di letame, circondate da siepi<br />
spinose, indicavano i pascoli per il bestiame. Sola presenza<br />
visibile quella di una vecchia dagli occhi spiritati,<br />
i bianchi capelli a cespuglio, che postasi al fianco<br />
di Carruezzo lo accompagnò lungo tutta la strada,<br />
mimando con gesti buffoneschi la pancia di una donna<br />
incinta.<br />
58<br />
L’interrogatorio del gestore dell’emporio-osteria, condotto<br />
da Cicalò in amarico, si rivelò più complicato<br />
del previsto. Sino a un certo punto la conversazione<br />
era parsa scorrere fluida e l’etiope, un uomo già vecchio<br />
nei tratti ma svelto nei movimenti, sembrava rispondere<br />
prontamente alle domande dell’autista. Ciò<br />
che pareva strano, man mano che il colloquio s’infittiva,<br />
era il fatto che l’etiope più volte, mentre parlava,<br />
avesse indicato Carruezzo e in una occasione gli si<br />
fosse anzi rivolto direttamente, puntandogli contro<br />
un dito accusatore.<br />
– Ebbene, Cicalò? – chiese Serra, quando gli parve<br />
che quel complesso scambio di opinioni avesse avuto<br />
termine.<br />
– Tutto a posto, dottore.<br />
– Che vuol dire tutto a posto?<br />
– Mi ha indicato il tucùl della donna che cerchiamo,<br />
Malkam Ayyahou, la strega insomma.<br />
– E tu, per farti indicare dove sta di casa uno dei<br />
quattro abitanti di questo infelice villaggio, impieghi<br />
più di mezzora?<br />
– Il vecchio ha tenuto a spiegarmi gli usi e costumi<br />
del posto, non la finiva mai.<br />
– Tu sei reticente, Cicalò, – disse Serra.<br />
– È chiaro che il vecchio ce l’aveva con me, – intervenne<br />
grave Carruezzo, – e voi, giovanotto, ne conoscete<br />
la ragione.<br />
– Cose da selvaggi, cavaliere, non vale neppure la<br />
pena…<br />
59
– Cicalò! – tuonò Serra.<br />
– Il vecchio è terrorizzato dall’occhio del cavaliere…<br />
ma forse non ho capito bene, anzi sicuramente non ho<br />
capito bene.<br />
– Di quale occhio parli, eppoi cos’hanno di speciale<br />
gli occhi del cavaliere?<br />
Serra si rese subito conto di quanto potessero suonare<br />
incaute e persino irridenti le parole che aveva appena<br />
pronunciato. Ciò che più l’aveva colpito di Carruezzo,<br />
la prima volta che l’aveva incontrato, erano i<br />
suoi occhi grandi e sporgenti e il modo in cui se ne<br />
serviva a mo’ di periscopi scrutando cose e persone<br />
che gli stavano intorno.<br />
– Sì, Cicalò, cos’hanno di speciale i miei occhi? – Rivolgendosi<br />
al soldato, Carruezzo glieli puntò addosso.<br />
Cicalò sostenne lo sguardo:<br />
– Traduco alla lettera, cavaliere. Voi, secondo il vecchio,<br />
avete “l’occhio stupratore”. Gli ho domandato cosa<br />
volesse dire e lui ha risposto che l’occhio stupratore,<br />
fissandosi anche solo per un attimo sul ventre di una<br />
donna, può metterla incinta. Cosa vi dicevo, cavaliere,<br />
idee da selvaggi… comunque ha chiesto che voi indossiate<br />
degli occhiali da sole, pare che con gli occhiali<br />
da sole l’effetto diminuisca.<br />
– Ma quale effetto! Quali occhiali da sole! Che vai<br />
dicendo, Cicalò!? – intervenne Serra.<br />
Per qualche minuto il vecchio etiope era rimasto in<br />
disparte, forse attendendo che il soldato italiano potesse<br />
spiegare ai suoi compagni di viaggio la gravità<br />
60<br />
del pericolo. A un certo punto, però, come un fiume<br />
in piena che nessuna diga può fermare, si lanciò in un<br />
lungo discorso che dai toni e dai gesti pareva essere<br />
una elaborata maledizione rivolta al cavaliere. Poi, se<br />
ne uscì a grandi passi dalla baracca.<br />
– Traducete, Cicalò, – ordinò perentorio Carruezzo.<br />
– Questo volta parlava molto in fretta, ho capito<br />
poco… ha parlato di nuovo degli occhiali e ha detto<br />
che era suo dovere dare l’allarme tra le vergini del villaggio.<br />
– Credo che dovremmo andare dalla nostra Malkam<br />
Ayyahou, – disse allora Carruezzo. Ma prima di avviarsi<br />
all’uscita della baracca, tolse da una tasca interna<br />
della giacca degli occhiali dalle lenti scurissime.<br />
– Come mi stanno, Serra? – chiese indossandoli.<br />
– Misterioso e impenetrabile, cavaliere, – rispose<br />
Serra.<br />
Attraversarono il villaggio senza dire una parola.<br />
Cicalò davanti, a fare da guida, Serra in retroguardia<br />
e Carruezzo nel mezzo. Il villaggio sembrava deserto,<br />
ma dall’interno di alcune capanne udirono distintamente<br />
concitate voci femminili.<br />
* * *<br />
La vecchia si distingueva dalle altre donne anche<br />
per una fascia rossa, che portava a stringere in vita la<br />
chamma, la toga abissina. Un braciere spandeva incenso,<br />
mentre una lampada a petrolio illuminava a<br />
61
malapena il centro della stanza, creando grandi ombre<br />
ai suoi angoli. Un tamburo dava ritmo al canto di<br />
un gruppo di donne in piedi attorno alla vecchia seduta<br />
su una sorta di trono di fango secco. Quando i<br />
tre italiani si furono avvicinati, il canto si interruppe<br />
e la vecchia con la fascia rossa cominciò a parlare.<br />
– Dice di chiamarsi Malkam Ayyahou, – fu pronto a<br />
tradurre Cicalò, – e di poter evocare le potenze invisibili,<br />
gli zar. Dice che prima che noi arrivassimo lo zar<br />
Sayfu… si è impossessato di una delle adepte della<br />
confraternita e ha parlato. Dice che lo spirito ci attendeva<br />
e che tra poco parlerà di nuovo.<br />
– Chiedile chi l’ha avvertito del nostro arrivo, – intervenne<br />
Carruezzo.<br />
– Nessuno l’ha avvertito, – tradusse Cicalò.<br />
– Si può chiedere qualcosa a questo zar?<br />
– A nessuno è permesso porre domande agli spiriti,<br />
dice la vecchia. Tutto ciò che possiamo avere da loro è<br />
la parola che essi intendono darci… – Cicalò si interruppe.<br />
– Non riesco a capire, traduco alla lettera… i<br />
fratelli governeranno i propri fratelli, i figli nascosti da<br />
Eva agli occhi di Dio governeranno su quelli che lei ha<br />
mostrato… gli zar, dice, sono discendenti dei figli nascosti…<br />
ve ne sono cristiani e mussulmani, maschi e<br />
femmine, re e servi, bisogna non offenderli, far la pace<br />
con loro, sono come creditori a cui dobbiamo pagare i<br />
nostri debiti.<br />
– Non ti seguo, Cicalò: perché ci considerano loro<br />
debitori? – disse Carruezzo.<br />
62<br />
– Debitori, cavaliere, tutto qua, siamo loro debitori<br />
e s’incazzano se non li paghiamo.<br />
Nel frattempo era ripreso il canto, accompagnato<br />
questa volta da un ritmico battito di mani. Una delle<br />
donne che stavano attorno al trono si staccò dal gruppo<br />
e, sollevando i lembi laterali della veste, i piedi immobili<br />
e le ginocchia rigide piegate verso terra, prese a far<br />
oscillare violentemente la testa e il corpo, prima da destra<br />
a sinistra e poi alternativamente, avanti e indietro.<br />
Dal suo trono la vecchia disse qualcosa che Cicalò tradusse<br />
come un invito ad accogliere lo zar Sayfu. Obbedendo<br />
all’invito, le donne si fecero intorno alla danzatrice,<br />
inchinandosi cerimoniosamente davanti a lei quasi<br />
si trattasse di un nuovo ospite. Ora la danzatrice roteava<br />
gli occhi, mentre uno spasmo le faceva irrigidire<br />
i muscoli del basso ventre. Poi cominciò a parlare. Parlava<br />
in italiano, con voce strascicata.<br />
– Voleva essere un monaco di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>: per<br />
questo aveva abbandonato la tua casa, o donna, e meglio<br />
avrebbe fatto a restarvi… ma chi poteva immaginare<br />
che un’orda di demoni avrebbe sconvolto quel<br />
luogo di santità e di pace? Quando i soldati italiani sono<br />
arrivati la prima volta a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, solo i più<br />
giovani e inesperti tra i monaci si son fatti sorprendere<br />
nei loro tucùl, poveri uccellini implumi che non sanno<br />
volar via dal nido, …li hanno radunati nella foresta e<br />
tra loro c’è tuo figlio… uno dei diavoli bianchi grida:<br />
“Vi uccideremo tutti, voi che avete attentato alla vita<br />
del Viceré,” poi si avvicina a tuo figlio e gli mette in<br />
63
occa la canna di una pistola… “Parla,” gli dice, “dove<br />
sono gli altri monaci?” …trema, lui che ancora poco<br />
tempo fa si nascondeva sotto la tua veste durante i temporali…<br />
ma ora il soldato è preso da un altro pensiero<br />
e dice: “Non abbiamo nulla contro di voi tornate in<br />
pace al vostro monastero” …ora parla con voce calma e<br />
suadente: “Il tenente Bellassai dà la sua parola d’onore<br />
che ai monaci che faranno ritorno al monastero non<br />
sarà torto un capello.”<br />
A un certo punto le parole della danzatrice cominciarono<br />
a farsi sempre più rade e incomprensibili, come<br />
se l’energia da cui era posseduta si andasse spegnendo.<br />
Una delle donne in cerchio intorno a lei (una<br />
donna che aveva seguito il racconto con gli occhi chiusi<br />
e portando la mano all’orecchio destro in un tragico<br />
gesto di sofferenza) si fece avanti e disse qualcosa in<br />
amarico che Cicalò tradusse ai suoi compagni come un<br />
invito allo zar a continuare il suo racconto. La danzatrice<br />
parve allora rianimarsi e con le mani aggrappate<br />
alle cosce diede nuovo impulso alle oscillazioni del<br />
tronco. Infine riprese a parlare.<br />
– I soldati sono tornati il dodici di Genbot, il giorno<br />
più santo nella vita di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, quando preti,<br />
monaci e novizi accorrono tutti al santuario… man<br />
mano che i monaci giungono li trascinano tutti dentro<br />
la chiesa di San Tekle Haymanot… tuo figlio è ora là<br />
rinchiuso nella chiesa con centinaia di altri, monaci e<br />
novizi, ha paura, ma gli dà coraggio il vecchio monaco<br />
che per tutta la notte legge il racconto della vita del<br />
64<br />
santo… l’indomani, alle prime luci del giorno, vengono<br />
tutti portati nel campo di Chagel, dove altri si aggiungono<br />
e raccontano di numerosi monaci uccisi nei<br />
loro tucùl, raccontano pure di un gruppo di storpi fucilati<br />
sulle rive del fiume Goniit e lasciati cadere nelle<br />
sue acque… ma deve levarsi una nuova alba prima che<br />
si compia il grande massacro… tuo figlio, donna, viene<br />
interrogato insieme a centinaia di altri: il giovanetto<br />
non capisce e, quasi non fosse questo il motivo per cui<br />
i diavoli lo uccideranno, non fa nulla per nascondere la<br />
sua condizione di novizio del monastero di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>…<br />
lo tradisce il suo cappelluccio da monaco, che<br />
indossa con orgoglio… povero uccellino, si fosse finto<br />
una testa-nuda forse si sarebbe salvato! …poi li caricano<br />
a gruppi sugli autocarri: il fanciullo conta quaranta autocarri<br />
prima che tocchi a lui essere trascinato via… li<br />
portano in uno spiazzo lungo le rive di un fiume in<br />
secca e sono mille i monaci di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> che attendono<br />
di morire… a gruppi di quindici vengono fatti<br />
allineare su uno sperone di roccia… sono uomini neri<br />
quelli che sparano ma è bianco chi ordina “Fuoco” …tuo<br />
figlio vede tutto, o donna, vede le gambe dei suoi compagni<br />
vacillare, vede i loro corpi cadere senza vita nel<br />
greto del torrente, e vede il diavolo, sì proprio lui, il<br />
diavolo, quel Bellassai, aggirarsi tra i fucilati e finirli<br />
con un colpo di pistola alla testa, vede poi ricoprire i<br />
loro corpi con un leggero strato di terra così che non sarà<br />
poi difficile per iene e avvoltoi divorare quelle povere<br />
carni… tuo figlio, povero uccellino implume, vede<br />
65
tutto questo, lui vede da vivo, per mille volte, la sua<br />
stessa morte, muore mille volte prima di morire…<br />
66<br />
9<br />
In conseguenza miei ordini generale Maletti oggi at<br />
ore tredici habet fatto passare per le armi duecentonovantasei<br />
monaci compreso vicepriore et altre ventitré<br />
persone complici.<br />
(telegramma di Graziani, Viceré d’Etiopia, al ministro<br />
dell’Africa Italiana del 21 maggio 1937, n °<br />
25876)<br />
Risultando anche complicità diaconi, ho ordinato<br />
che essi in numero di centoventinove fossero passati<br />
per le armi at Debra Breham. In tal modo del convento<br />
di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> non rimane più traccia.<br />
(telegramma di Graziani, Viceré d’Etiopia, al ministro<br />
dell’Africa Italiana del 27 maggio 1937, n °<br />
27136)<br />
67
68<br />
10<br />
Serra, a fianco del guidatore, si voltò per chiedere al<br />
commissario se per caso non fosse stanco. Carruezzo<br />
grugnì qualcosa che Cicalò interpretò come l’ordine di<br />
avviare il motore. Poi silenzio, mentre l’automobile,<br />
solcando il buio, percorreva la strada verso Addis Abeba.<br />
A un certo punto Serra ebbe l’impressione che il suo<br />
capo stesse dormicchiando, ma fu proprio allora che<br />
Carruezzo si chinò verso di lui e gli chiese:<br />
– Le vostre valutazioni, Serra.<br />
– Vi riferite a ciò che è successo dentro la capanna?<br />
– Proprio a quello.<br />
– Cosa dire? Una soffiata dall’oltretomba. Mai visto<br />
nulla del genere!<br />
– Mai assistito a una trance? Eppure è un fenomeno<br />
ben conosciuto, e non solo tra i primitivi.<br />
– Se vi riferite a tavolini che ballano e a vecchie matte<br />
che parlano con i morti, è capitato anche a me di partecipare<br />
a sedute spiritiche. Qui però non ho sentito<br />
puzza di imbroglio, o perlomeno se imbroglio c’era, era<br />
di un tipo diverso.<br />
– Diverso come?<br />
– Tutta la messinscena aveva un scopo evidente: di<br />
69
dirci che a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> è successo… l’avete sentita<br />
anche voi la storia: i monaci rinchiusi a centinaia nella<br />
chiesa, le fucilazioni di massa, i cadaveri alla rinfusa<br />
nel greto del fiume.<br />
– Insomma, vi state chiedendo cosa ci sia di vero in<br />
quel racconto?<br />
– Voi no, cavaliere?<br />
– Non ho bisogno di chiedermelo. Al Ministero dell’Interno<br />
sapevamo di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, anche se le proporzioni<br />
della faccenda non sono certo quelle…<br />
– Volete dire che mille non bastavano e che di monaci<br />
ne abbiamo massacrato duemila, o magari tremila…<br />
in queste cose, si sa, è difficile fermarsi.<br />
– Volevo dire il contrario. Esiste un telegramma di<br />
Graziani al Ministero dell’Africa Italiana che parla<br />
dell’esecuzione di duecentonovantasei monaci e ventitrè<br />
laici. Insomma, c’era stato un attentato e una risposta<br />
bisognava pur darla… certo, la misura… sì, la<br />
misura della risposta si può forse discuterla. D’altra<br />
parte i monaci di <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> erano sospetti di connivenza<br />
nell’attentato contro il viceré.<br />
– Tutti i duecentonovantasei monaci e i ventitrè<br />
laici, cavaliere? Tutti sospetti? Una cospirazione ben<br />
ramificata, non c’è che dire.<br />
Alla battuta di Serra, Carruezzo assunse l’espressione<br />
del vecchio saggio paziente, accompagnandola con<br />
un tono di voce tra l’affettuoso e il didattico:<br />
– Il contesto, Serra, come spesso vi capita non considerate<br />
il contesto. E qui il contesto è decisivo se si<br />
70<br />
vuol capire. Credete veramente che ci hanno mandato<br />
qui per indagare su una questione di corna?<br />
– Cosa devo credere, cavaliere? Ditemelo voi cosa<br />
devo credere.<br />
Carruezzo prese un’aria sacerdotale: – Il ruolo di<br />
Bellassai, ecco quello che ci interessa: il ruolo che ha<br />
avuto e in favore di chi ha giocato il suo ruolo.<br />
– Continuo a non capire.<br />
– Prendiamola da un altro lato. C’è chi nel governo<br />
auspica un cambio della guardia qui in Etiopia. Non<br />
tutti sono soddisfatti del modo in cui si muove Graziani:<br />
al Ministero dell’Africa Italiana, ad esempio,<br />
non sono contenti dell’operato del viceré e quel che è<br />
successo a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> non li ha certo resi più soddisfatti.<br />
Insomma, potremmo essere ad una svolta nella<br />
nostra politica in Africa Orientale, potremmo essere<br />
agli esordi di una fase nuova nei rapporti con gli<br />
indigeni, una fase nuova che non prevede Graziani come<br />
viceré.<br />
– Continuo a non vedere che ruolo possa avere avuto<br />
Bellassai in tutto questo.<br />
– Ponetevi questa domanda. Com’è che lo troviamo<br />
a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>? A quanto ci risulta non aveva un<br />
ruolo operativo.<br />
– Il racconto della posseduta lascia anzi l’impressione<br />
che non solo Bellassai abbia voluto esserci ma<br />
abbia anche voluto far sì che la sua presenza non passasse<br />
inosservata.<br />
– Ecco che avete afferrato, Serra.<br />
71
– Mi spiace deludervi ma credo di non aver afferrato<br />
un bel nulla, cavaliere.<br />
– Non avete ancora afferrato perché è appunto questo<br />
il nodo che siamo chiamati a sciogliere. Quando<br />
avremo capito il motivo della presenza di Bellassai a<br />
<strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> saremo vicini alla soluzione del caso.<br />
– Vi vedo fiducioso, capo. Tuttavia, non può esservi<br />
sfuggito che nell’unico passo in avanti delle nostre indagini<br />
- la scoperta della presenza di Bellassai a <strong>Debrà</strong><br />
<strong>Libanòs</strong>, cioè - siamo stati per così dire condotti<br />
per mano. Ci siamo arrivati, perché qualcuno ha voluto<br />
che ci arrivassimo: prima la lettera anonima…<br />
– Ecco il vostro solito pregiudizio contro le lettere<br />
anonime…<br />
– Poi quella maga, la posseduta, che parla per il monaco,<br />
e lo fa in italiano. Come spiegate tutto questo?<br />
– È abbastanza normale che la posseduta parlasse un<br />
buon italiano.<br />
L’intervento di Cicalò giunse inatteso. Sino a quel<br />
momento aveva ascoltato in silenzio, per nulla colpito<br />
dal fatto che in sua presenza i due poliziotti si fossero<br />
addentrati in discorsi così impegnativi e che certo intendevano<br />
non venissero diffusi. Sapeva per sua personale<br />
esperienza che gli alti ufficiali da lui trasportati<br />
lo consideravano parte dell’arredo dell’automobile<br />
e dunque per definizione sordo e muto. E a un certo<br />
tipo di confidenza (per lui umiliante) l’aveva abituato<br />
anche il marchese Salemi, di cui era stato l’autista prima<br />
di partire soldato in Africa Orientale. Il marchese<br />
72<br />
se lo portava dovunque andasse, compresa la visita settimanale<br />
alla sua amante a Palermo. Gli veniva chiesto<br />
di aspettare non in automobile, come sarebbe stato<br />
possibile, ma in un salottino proprio di fronte alla<br />
camera da letto, da dove aveva modo di sentire, e quasi<br />
registrare nei dettagli, le rumorose evoluzioni del<br />
marchese, con contrappunto dei lusinghieri ululati di<br />
lei. In questo caso, però, era come se i discorsi di Carruezzo<br />
e Serra fossero rivolti anche a lui, per la ragione,<br />
se non altro, che anche Cicalò aveva avuto una parte<br />
- e una parte non irrilevante, va detto - nell’avventura<br />
di quella giornata. Fece, così, qualcosa che mai in circostanze<br />
simili gli era venuto in mente di fare, intervenne<br />
per dire la sua: che era abbastanza normale che<br />
la posseduta parlasse un buon italiano.<br />
– Perché mai? – chiese Serra.<br />
– Prima di Addis Abeba, ero in Eritrea. Sono differenze<br />
che non mi sfuggono: la donna viene dalla Dancalia,<br />
la razza è quella, e anche il modo di vestire e l’acconciatura.<br />
E sono molti gli indigeni che in Eritrea parlano<br />
l’italiano.<br />
Carruezzo si protese trionfante in avanti:<br />
– Avete visto, Serra, ecco che le nebbie cominciano<br />
a diradarsi. Il nostro Cicalò ci offre una spiegazione<br />
plausibile del fatto che la posseduta parlava in italiano.<br />
C’è sempre una spiegazione plausibile, basta saperla<br />
trovare.<br />
– Allora sono io che non la so trovare, cavaliere. Vada<br />
per l’italiano. D’accordo, non sono pochi gli indigeni<br />
73
che parlano l’italiano. Ma come spiegate il resto? La<br />
donna che parla con gli spiriti… quella voce, gli occhi<br />
da indemoniata.<br />
– Un caso di trance, mi pare abbastanza chiaro.<br />
– Non sempre dare un nome alle cose significa spiegarle.<br />
Voi dite trance, ma…<br />
– Ammettiamo allora che si tratti di una messinscena.<br />
Siete stato voi stesso ad affacciare questa possibilità.<br />
– L’ho detto. Questo non toglie, però, che abbia avuto<br />
l’impressione di qualcosa di autentico: che tutto sia<br />
stato organizzato per farci sapere quel che è successo a<br />
<strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, certo, ma allo stesso tempo che quelle<br />
donne, la vecchia e l’altra, la posseduta, non recitassero<br />
affatto. Come vedete, cavaliere, dubbi e incertezze, incertezze<br />
e dubbi, eccolo il mio contributo alle indagini.<br />
Rassicurante, solenne, Carruezzo disse: – Il vostro<br />
contributo è come sempre prezioso, questo non si discute.<br />
Ammetto con voi che la cosa sia tutt’altro che<br />
chiara. – Poi rivolgendosi all’autista: – Tu Cicalò, cosa<br />
pensi di quello che è successo dentro la capanna.<br />
– Se non è chiaro per voi, cavaliere, immaginate cosa<br />
ci capisco io… anche se…<br />
– Anche se… – lo incoraggiò Carruezzo.<br />
– Io qualcosa del genere l’ho già vista, l’ho vista quando<br />
ero in Eritrea. Frequentavo una ragazza indigena, in<br />
realtà forse era una sciarmutta, una prostituta, non<br />
sempre qui si capisce se una lo è oppure no: questa, ad<br />
esempio, a volte lei stessa mi chiedeva di essere pagata,<br />
74<br />
altre volte non voleva soldi. Insomma, valle a capire.<br />
Questa ragazza indigena un giorno mi prende per<br />
mano e mi dice: “Ti porto da mia madre”. Ecco, penso<br />
io, questa vuole che la sposi all’uso di qui e, se voglio<br />
continuare a vederla, devo comprarla alla sua famiglia,<br />
magari me la cavo con due capre, questo penso io. Invece<br />
non era così. Poco prima di entrare nella capanna,<br />
la ragazza mi dice: “Vedrai la potenza di mia madre”.<br />
La madre stava seduta al centro della capanna, proprio<br />
come abbiamo visto stanotte, e intorno ci stavano altre<br />
donne. A un certo punto ha fatto una faccia stravolta e<br />
ha cominciato a tremare. Parlava, ma io non la capivo.<br />
Diceva la figlia che la madre era posseduta da uno spirito<br />
e che tutti dovevamo alzarci e inchinarci allo spirito.<br />
Ha detto la ragazza che gli spiriti erano vendicativi<br />
e che lo stesso imperatore Menelik, da cui dipendevano<br />
tutti gli spiriti, era morto colpito da uno<br />
spirito che aveva trattato con prepotenza.<br />
Sentendo il racconto dell’autista, a Serra venne in<br />
mente che il caso, a quel punto, poteva considerarsi<br />
risolto e che a scaricare la rivoltella sulla carogna Bellassai<br />
era stato certamente qualche spirito particolarmente<br />
vendicativo, magari lo stesso zar Sayfu. Chiunque<br />
aveva sparato, si trattasse di uno spirito o come<br />
era più probabile di un essere umano in carne ed ossa,<br />
aveva comunque tutta la sua approvazione.<br />
75
76<br />
11<br />
Quella mattina Serra non trovò in albergo i quotidiani<br />
che solitamente, anche se con qualche giorno di<br />
ritardo, giungevano dall’Italia. Fu per questo che si<br />
fece dare “Il Corriere dell’Impero”. Il titolo, sulle nove<br />
colonne della prima pagina, recitava: Ricevuto dal Duce<br />
a Palazzo Venezia il Ministro Lessona. Ulteriori progetti di<br />
sviluppo per l’Africa Orientale Italiana. L’articolista non<br />
illustrava i progetti di sviluppo, si limitava a sottolinearne<br />
l’audacia e il fatto che fossero stati concepiti<br />
personalmente dal Duce. Passando alle pagine interne,<br />
a Serra parve di avere tra le mani il quotidiano di una<br />
qualsiasi città italiana di provincia: la reclame della<br />
Libreria Malavasi sul viale Mussolini, l’Albergo Savoia<br />
che organizza una festa riservata ai bambini, l’annuncio<br />
di una pellicola con Clara Calamai all’Astra Supercinema.<br />
Ma a restituire un senso di lontananza c’era la<br />
tabella degli orari del piroscafo che partendo da Gibuti<br />
e facendo scalo a Massaua li avrebbe ricondotti a<br />
Napoli (“Sia chiaro, Serra,” aveva detto Carruezzo appena<br />
sceso dall’aereo ad Addis Abeba, “che lei ha un<br />
solo modo per tornare in Italia: in mia compagnia, ovviamente,<br />
e quindi per mare”).<br />
Abbandonò il giornale e rivolse la sua attenzione alle<br />
77
persone che popolavano la sala da pranzo dell’Albergo<br />
Impero. Un tipo sui quarant’anni era entrato proprio in<br />
quel momento nel ristorante: lobbia, doppio petto scuro,<br />
fazzoletto bianco sporgente dal taschino della giacca,<br />
cravatta regimental, scarpe inglesi di vernice nera,<br />
guanti di pelle. Scommise con se stesso che il nuovo venuto<br />
avrebbe raggiunto la vistosa bionda in evidente<br />
nervosa attesa. L’uomo si unì invece a una composita tavolata<br />
tutta maschile, nella quale spiccava un ufficiale<br />
della Milizia in divisa. E il tipo corpulento in sahariana<br />
e stivaloni rigidi da solo in un tavolo d’angolo? Cosa<br />
poteva cercare ad Addis Abeba? L’avventura africana,<br />
naturalmente. La bionda guardò per l’ennesima volta<br />
l’orologio d’oro che aveva al polso. Poi guardò Serra e<br />
gli sorrise seduttiva. Gli sorrise anche l’ufficiale della<br />
Milizia, ma più che di un sorriso si trattò di un meccanico<br />
stiramento di labbra accompagnato da un cenno di<br />
saluto col capo. Per quanto malvolentieri, Serra rispose<br />
al cenno di saluto. Nel solito tavolo al centro della sala:<br />
il gruppo dei corrispondenti esteri. Sembravano giù di<br />
corda, salvo il greco - il difensore delle virtù di Popotakis<br />
- impegnato in un acceso e interminabile discorso<br />
che nessuno tra i suoi compagni aveva l’aria di voler ascoltare.<br />
Meno degli altri, a giudicare dai grandi sbadigli,<br />
Hitchens, che Serra vide alzarsi e muovere in direzione<br />
del suo tavolo.<br />
– Spero di non disturbarvi. Ho notato che ancora non<br />
iniziavate a mangiare e…<br />
– Aspetto il dottor Carruezzo, – disse Serra, – anche<br />
78<br />
se a questo punto credo abbia deciso di saltare il pranzo.<br />
– Poi, scostando una sedia dal tavolo: – Vi osservavo,<br />
osservavo il vostro collega greco. Sembrava molto<br />
infervorato… ma sedete, vi prego.<br />
– Chi? Zachariadis? Quel greco quando è sobrio (ed<br />
è quasi sempre sobrio, purtroppo) sa essere di una noia<br />
letale.<br />
– Che cos’è che l’appassiona così tanto, se non sono<br />
indiscreto?<br />
– Politica. Zachariadis si è impegnato a illustrarci<br />
(nei dettagli, com’è nel suo stile) il nuovo atteggiamento<br />
che secondo lui il governo inglese sta maturando<br />
nei confronti di Mussolini.<br />
– Non ho letto nei giornali di novità nei rapporti<br />
tra Inghilterra e Italia.<br />
– In realtà si tratta solo di una lettera di Chamberlain<br />
a Mussolini in cui il primo ministro inglese pare<br />
parli del Duce come di un’ottima persona con cui trattare.<br />
Zachariadis vede in questo il segno di una svolta,<br />
di un ravvicinamento tra Italia e Inghilterra che, sempre<br />
a suo dire, garantirebbe la pace.<br />
– Mi sembrate dubbioso al riguardo.<br />
– Io non faccio testo. Io sono un pessimista cronico,<br />
per me lo scoppio della guerra è solo questione di tempo…<br />
ma non voglio tediarvi con le mie previsioni sinistre.<br />
Ditemi, piuttosto, a che punto è la vostra inchiesta<br />
sull’assassinio di Bellassai.<br />
– Vedo che siete ben informato. Chi vi ha detto delle<br />
nostre indagini?<br />
79
– In città non si parla d’altro. Io, poi, sono particolarmente<br />
interessato al caso Bellassai. Due anni fa abbiamo<br />
avuto qualcosa di simile in Kenia. Un aristocratico<br />
inglese, un micidiale dongiovanni, trovato ucciso<br />
a colpi di pistola nella sua casa alla periferia di Nairobi.<br />
Ad essere sospettata fu una amante abbandonata…<br />
– Che naturalmente si scoprì poi non essere stata lei.<br />
– Come fate a saperlo? Non mi risulta che i giornali<br />
italiani ne abbiano parlato.<br />
– Metodi speciali della polizia italiana, voi inglesi non<br />
dovreste sottovalutarla. – Serra accompagnò queste parole<br />
con un sorriso. Poi aggiunse: – Naturalmente ho tirato<br />
a indovinare.<br />
– Se avete queste capacità, provate allora a indovinare<br />
il vero colpevole.<br />
– Tenderei a escludere il maggiordomo.<br />
– Niente maggiordomo.<br />
– Una scimmia ammaestrata a cui il dongiovanni<br />
aristocratico aveva incautamente insegnato a maneggiare<br />
le armi e che indispettita…<br />
– Soluzione fantasiosa, però errata.<br />
Serra accennò il gesto di sollevare le mani in alto:<br />
– Mi arrendo, – disse.<br />
– Si scoprì che era stata la moglie, che fattasi a sua<br />
volta un amante puntava a ereditare i soldi del marito.<br />
– Speravo in qualcosa di più originale.<br />
– La conclusione non sarà stata originale, ma la vicenda<br />
e le indagini vennero allora seguite con immensa<br />
curiosità dal pubblico inglese. E anche il caso<br />
80<br />
Bellassai penso possa interessare i lettori inglesi. In<br />
fondo gli ingredienti sono gli stessi.<br />
– Sesso e morte e, sullo sfondo, un infuocato tramonto<br />
africano. Lo scenario è perfetto. Ho dubbi invece sul<br />
protagonista, non vedo come possa appassionare un<br />
personaggio così squallido.<br />
– Non dovete sottovalutare Bellassai. Bisognava<br />
conoscerlo…<br />
– Voi l’avete conosciuto, suppongo.<br />
– Di più. Ho fatto di Bellassai l’oggetto dei miei studi.<br />
Naturalmente sapete tutto sulle propensioni dongiovannesche<br />
di Bellassai, e anche, suppongo, sui notevoli<br />
successi che raccoglieva in questo campo. Frequentava<br />
molto l’Albergo Impero. Era uno dei suoi territori<br />
di caccia preferiti.<br />
– Bellassai l’oggetto delle vostre ricerche? Ricerche<br />
su che cosa?<br />
– Molto tempo fa ho passato un anno a Roma, con l’agenzia<br />
Reuter. È allora che ho iniziato a studiare il carattere<br />
nazionale italiano. Anche se l’espressione studiare<br />
si adatta male a un giornalista: diciamo che vi<br />
osservo con particolare attenzione.<br />
Ecco la spocchiosa perfida Albione, pensò Serra, e si<br />
dispose a sentire qualche banalità del tipo: italiani, spaghetti<br />
e mandolino. – Ne deduco che avete classificato<br />
Bellassai come un perfetto campione del nostro<br />
carattere nazionale, – disse.<br />
Hitchens sembrò cogliere il tono irritato di Serra:<br />
– Mi dovete scusare, non mi sono espresso bene. È<br />
81
che Bellassai, la sua ossessiva ricerca di compagnie femminili…<br />
Mi spiego meglio: noi inglesi, noi maschi<br />
inglesi, tendiamo a considerare la nostra permanenza<br />
nelle colonie come una sorta di lunga vacanza lontano<br />
dalle donne…<br />
– Mi riesce difficile pensare che vi siano maschi, per<br />
quanto inglesi, capaci di sfuggire alla regola generale<br />
per cui alla base di ogni espansione coloniale c’è il desiderio<br />
sessuale.<br />
– Se vi riferite al desiderio fisico, avete perfettamente<br />
ragione. Italiani in Etiopia e inglesi dovunque<br />
in Africa provvedono a soddisfarsi come capita. Io intendevo<br />
un altro tipo di desiderio, il desiderio romantico<br />
di compagnia femminile. I soldati italiani (ho<br />
parlato con molti di loro) sentono in modo struggente<br />
la mancanza del focolare domestico, zie e cognate<br />
comprese. Gli ufficiali, poi… Avvicinatevi a un<br />
qualsiasi gruppo di ufficiali italiani e scoprirete che<br />
nove volte su dieci parlano di donne.<br />
– Un’osservazione interessante, – disse Serra, – ci rifletterò<br />
su. – Fece poi cenno al cameriere di avvicinarsi.<br />
– Vi lascio al vostro pranzo, dottor Serra. Un consiglio,<br />
se non avete già deciso sul menù: il baccalà alla vicentina.<br />
È un mistero della fede che un cuoco armeno<br />
sia capace di un baccalà alla vicentina così, eppure…<br />
– Toglietemi una curiosità mister Hitchens. Come<br />
avete fatto a imparare così bene l’italiano?<br />
– Nell’unico modo in cui un inglese può imparare una<br />
lingua straniera: ho sposato un’italiana. Ho anche un fi-<br />
82<br />
glio italiano, sapete. Si chiama Gerald, e nonostante il<br />
nome è italianissimo. A un certo punto io e sua madre<br />
ci siamo separati e lui ha sempre vissuto con lei, a Roma.<br />
Hitchens tolse dalla tasca interna della giacca un voluminoso<br />
portafoglio da cui trasse una fotografia che<br />
porse a Serra.<br />
– Il vostro è un gesto molto italiano, sapete, – disse<br />
Serra con un sorriso, prima ancora di aver posato lo<br />
sguardo sulla foto.<br />
– Questo è Jerry.<br />
Un bambino biondo e lentigginoso di circa dieci<br />
anni e in divisa da balilla. Il fotografo l’aveva sorpreso<br />
in una posa bambinescamente guerresca, con un fucile<br />
di legno tra le mani e il fez di sghimbescio.<br />
– Un bel bambino, davvero, – disse Serra. – Certamente<br />
vi manca.<br />
– Mi scrive ogni settimana. Lettere molto giudiziose,<br />
più grandi della sua età. Nei mesi della conquista<br />
italiana dell’Etiopia cercava di convincermi dell’iniquità<br />
delle sanzioni. Mi scriveva di vergognarsi che la<br />
sua seconda patria, l’Inghilterra, fosse così ingiusta ed<br />
egoista nei confronti dell’Italia.<br />
– E voi?<br />
– Io ho tirato un sospiro di sollievo quando le sanzioni<br />
sono cadute.<br />
* * *<br />
Serra consumava il suo pranzo solitario. Col pensiero<br />
83
tornò alla conversazione con l’inglese. Forse aveva ragione<br />
il giornalista sul fatto che gli italiani lontano da<br />
casa morivano di nostalgia e che questo li rendeva inadatti<br />
a costruire imperi. Però non trovava così riprovevole<br />
che gli italiani fossero mammoni e sentimentali…<br />
Ma erano così gli italiani? Ripensò a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong><br />
e alla parziale ammissione di Carruezzo: gli italiani,<br />
per quanto mammoni e sentimentali, potevano<br />
anche massacrare senza batter ciglio trecento monaci…<br />
o ne avevano fatto fuori mille? Un paese di macellai,<br />
insomma, ma sempre con l’occhio inumidito al<br />
ricordo della mamma lontana.<br />
Oppo fece la sua apparizione quando Serra, bevendo<br />
il caffè, era intento a queste riflessioni. Il commissario<br />
indossava una sahariana sgualcita, aveva la usuale barba<br />
lunga di due giorni e l’aria più depressa del solito.<br />
Nei dieci giorni trascorsi dal loro primo incontro,<br />
Serra aveva visto Oppo abbastanza spesso. Avevano esaminato<br />
insieme la posizione dei quattro sospetti della<br />
lista fornita dal commissario. Sui primi due (un ufficiale<br />
e un commerciante, le cui mogli si erano accompagnate<br />
a Bellassai), leggendo i loro interrogatori,<br />
Serra si era fatto l’idea che… insomma, quei due nomi<br />
Oppo li aveva inseriti nella lista giusto per allungare il<br />
brodo. Rimanevano la contessa Sinibaldi e il noto usuraio<br />
indiano Mohamedally, a cui il tenente assassinato<br />
risultava dovesse circa cinquemila lire. Bellassai l’aveva<br />
insultato in pubblico - fetido figlio di una vacca sacra riportava<br />
il verbale - ma l’insulto e il fatto che Mohame-<br />
84<br />
dally non avesse un alibi erano gli unici elementi che<br />
portavano a lui come possibile assassino. Nella sede<br />
della PAI Serra aveva assistito a un secondo interrogatorio<br />
dell’usuraio, condotto da Oppo in modo esitante<br />
e confuso. L’indiano, un ometto dagli occhi grandi e<br />
mesti, originario di un villaggio nei dintorni di Madras,<br />
dopo aver risposto a tutte le domande del commissario<br />
si era ritrovato a raccontare ai due poliziotti<br />
italiani la sua storia personale. Era arrivato in Africa<br />
trent’anni prima, non ancora diciottenne, con la sola<br />
idea in testa di diventare ricco. Ma non era diventato<br />
ricco. A Serra quell’indiano triste era sembrato una figura<br />
della lontananza quando aveva detto: “Pensano,<br />
nel mio paese, che chi passa le acque scure dell’oceano<br />
perde la posizione nella casta e tra la sua gente.”<br />
Nel corso di quello ed altri incontri Carruezzo non<br />
aveva fatto nulla per nascondere l’irritazione di fronte<br />
ai lunghi e involuti resoconti del commissario. “Oppo<br />
stringete, arrivate al dunque” gli diceva, e il commissario<br />
invece si ingarbugliava addentrandosi in nuovi<br />
oscuri particolari, e quanto più si ingarbugliava tanto<br />
più si deprimeva. “Il disfattista melanconico” lo chiamava<br />
Carruezzo.<br />
Serra pensò che forse non era un caso che Oppo l’avesse<br />
cercato in uno dei rari momenti in cui non era<br />
insieme al suo capo.<br />
– Ci sono novità, – disse Oppo sedendosi al tavolo<br />
dell’ispettore. – Abbiamo trovato indizi, indizi inte-<br />
85
essanti, a casa di un nazionale, si chiama Fracassi…<br />
– Il nome mi suona.<br />
– È un uomo d’affari molto conosciuto.<br />
– Eulo Fracassi?<br />
– Proprio così, Eulo, Eulo Fracassi.<br />
– Sì, non può essere che lui. Ho avuto modo di parlarci<br />
sull’aeroplano, arrivando qui da Mogadiscio…<br />
cos’ha combinato?<br />
Oppo si mise a spiegare le circostanze che aveva portato<br />
la PAI a una perquisizione in casa di Fracassi. Le<br />
sue pupille, di uno scolorito verde vinaccia, scorrevano<br />
su un taccuino di appunti. La perquisizione serviva a capire<br />
se tra l’uomo d’affari e l’indigena sua convivente vi<br />
fosse una qualche forma di affectio maritalis (portò il taccuino<br />
molto vicino agli occhi per leggere quelle ultime<br />
parole).<br />
C’erano disposizioni precise a proposito dei rapporti<br />
tra nazionali e indigene.<br />
– Che disposizioni? – chiese Serra.<br />
– Disposizioni che vietano non solo i matrimoni misti<br />
ma anche il concubinaggio, – rispose Oppo.<br />
Il fatto che la madama di Fracassi venisse da una famiglia<br />
della aristocrazia abissina e fosse stata la moglie<br />
di un ministro di Hailé Selassié rendeva secondo il commissario<br />
la cosa più grave. Già una volta, due mesi prima,<br />
gli uomini della PAI avevano fatto irruzione all’ora<br />
di pranzo a casa del commendatore e li avevano trovati,<br />
lui e la sua madama, a tavola insieme: non era forse questo<br />
il segno che quella donna stava in casa di Fracassi<br />
86<br />
come una vera e propria moglie e non per un mero sfogo<br />
fisiologico?<br />
– Stiamo per incastrarlo, – commentò Oppo, ma<br />
senza un’aria di particolare accanimento.<br />
– Gli indizi di cui avete parlato, commissario? Suppongo<br />
vi riferiate al caso Bellassai.<br />
– Sì… il caso Bellassai. – Fu come se Oppo avesse riacchiappato<br />
un filo che gli era sfuggito di mano. – Leggete.<br />
Così dicendo, tirò fuori dalla tasca interna della giacca<br />
una lettera che porse al suo interlocutore.<br />
Serra riconobbe subito la mano di Bellassai. Conosceva<br />
la grafia del tenente, e la firma Duilio che trovò scorrendola<br />
confermò quella prima idea.<br />
– Avete individuato la Sara a cui la lettera è rivolta?<br />
– Non è stato difficile. Si chiama Sara Dirasse ed è una<br />
nipote della madama di Fracassi, la figlia del fratello.<br />
In realtà la ragazza è nata da un matrimonio misto, che<br />
a suo tempo aveva fatto scandalo. Il padre, uno imparentato<br />
con l’ex negus, con Hailé Selassié, ha vissuto a<br />
lungo in Europa. Ha anche insegnato all’Istituto Orientale<br />
di Napoli. La madre era una missionaria protestante<br />
svedese, che è morta quando Sara era ancora bambina.<br />
Lei per la maggior parte del tempo ha vissuto col<br />
padre in Europa, e in Europa è rimasta anche dopo la<br />
morte del padre. Da quando è tornata in Etiopia abita<br />
con la zia. I miei uomini hanno trovato la lettera perquisendo<br />
ieri la camera da letto di Sara.<br />
– Cosa dice la ragazza, come spiega la lettera di Bellassai?<br />
87
– Questo ero venuto a chiedervi, Serra. Di accompagnarmi<br />
a sentire cos’ha da dirci questa Sara… anche se<br />
un’idea credo di essermela fatta…<br />
Con l’automobile della PAI attraversarono una parte<br />
di Addis Abeba che Serra ancora non conosceva. Ai<br />
bordi della strada si succedevano grandi ville recintate<br />
da muri e chiuse da cancelli in ferro battuto, dietro i<br />
quali si intravedevano lussureggianti giardini. La villa<br />
di Fracassi stava ai margini del bosco, dove l’agglomerato<br />
informe della città, diradando, si apriva alle solitudini<br />
dell’altopiano. La villa si distingueva dalle altre<br />
che stavano nelle vicinanze per una sua colorata eccentricità.<br />
Nel disegno d’assieme poteva avere della fortezza,<br />
ma una fortezza pensata per un libro di fiabe,<br />
con un profilo in cui merlature a coda di rondine erano<br />
interrotte ai quattro lati da rosse torrette cilindriche<br />
che si allungavano nella forma di minareti. Merlature<br />
e torrette chiudevano un grande terrazzo, al centro del<br />
quale sorgeva una cupola dorata.<br />
Ad aprire il cancello venne Caporale. Serra notò che<br />
indossava gli stessi lucidissimi stivali del viaggio in<br />
aereo. Mentre li precedeva attraverso il giardino, Caporale<br />
chiese a Serra notizie di Carruezzo.<br />
– Ve ne prego dottore, non dimenticate di porgere<br />
i miei omaggi al cavalier Carruezzo.<br />
Poi, rivolto a Oppo, aggiunse: – Un uomo eccezionale,<br />
il cavalier Carruezzo.<br />
Li guidò all’interno della villa, in una grande sala a<br />
88<br />
pianta circolare e con una volta a cupola, quella stessa<br />
che avevano osservato dall’esterno. La stanza era avvolta<br />
in una fitta penombra. Caporale spalancò le finestre e<br />
la luce rivelò un bric-à-brac di quadri di soggetto esotico,<br />
trofei di caccia, ninnoli d’avorio e d’ebano. Grandi<br />
tappeti ricoprivano ogni angolo del pavimento e,<br />
sui tappeti, pelli di antilope e gnu. Troneggiava al centro<br />
della sala, la pelle di un gigantesco leone, completa<br />
di testa impagliata e criniera.<br />
Fracassi entrò nella stanza quando Caporale stava ancora<br />
tirando le tende per lasciare penetrare altra luce.<br />
– Caro dottor Serra, che piacere vedervi. – Poi rivolgendosi<br />
a Oppo: – Purtroppo non ero a casa ieri sera,<br />
mi spiace di non avere potuto collaborare alla vostra…<br />
come devo chiamarla… perquisizione?<br />
– Si è trattato di un normale accertamento.<br />
– Accertamento, perquisizione… che importa. Ma<br />
accomodatevi, prego. – Indicò un divano ai due poliziotti.<br />
– Spero che non abbiate trovato ostacoli nel vostro…<br />
accertamento, anche se confesso di non capirne<br />
bene il motivo.<br />
– Sapete bene di aver violato una precisa disposizione<br />
di polizia.<br />
– Una disposizione di polizia che non tiene conto<br />
delle condizioni concrete della vita in colonia.<br />
– Una disposizione inderogabile, comunque.<br />
– Voi parlate bene, caro Oppo, tutti conosciamo la<br />
vostra integrità, ma io sono un coloniale di lungo corso<br />
e vedo le cose in modo diverso. Quando la separazione<br />
89
tra nazionali e indigeni si trasforma in un fossato, c’è il<br />
rischio di perdere il controllo della situazione.<br />
Un quadro alle spalle del padrone di casa ritraeva<br />
una donna etiope tra i trenta e i quarant’anni che indossava<br />
un abito bianco di taglio europeo, sul quale<br />
spiccava il rosso di una collana di corallo. La donna era<br />
seduta e in piedi, al suo fianco, c’era un bambino - lo<br />
si sarebbe detto suo figlio - vestito alla marinara e con<br />
in mano il suo cappelluccio.<br />
Fracassi si accorse dell’attenzione che Serra mostrava<br />
nei confronti del quadro: – È un ritratto della uoizerò<br />
Jesciac Dirasse, la donna con cui mi si accusa di vivere<br />
more uxorio. Un’accusa ridicola… Il fatto è che occorre<br />
distinguere: insomma, fate conto di essere un coloniale<br />
italiano, da quasi vent’anni in Africa Orientale… fate<br />
conto che questo coloniale, un imprenditore, un uomo<br />
d’affari, si avvicini non a una qualsiasi faccetta nera ma<br />
a un’esponente dell’aristocrazia etiopica, una uoizerò,<br />
una nobildonna, una che è stata la moglie di un ministro<br />
di Hailé Selassié. Voi cosa vi aspettereste, dottor<br />
Serra, che uno le faccia fare la serva?<br />
– Mettetela come volete, ma il vostro comportamento<br />
rappresenta una minaccia, – intervenne Oppo.<br />
– Una minaccia alla purezza della stirpe, commissario?<br />
– Anche.<br />
– Comunque sia, Jesciac non vive al momento in casa<br />
mia. Suppongo che siate qui per assicurarvi che io<br />
rispetti le disposizioni delle autorità.<br />
90<br />
– In realtà siamo qui per altro. Vogliamo parlare con<br />
la giovane Sara Dirasse, che a quanto ci risulta vive<br />
con voi.<br />
– Fate pure commissario… fate come foste a casa vostra.<br />
* * *<br />
– La signorina Sara, – annunciò una gran massa di<br />
capelli crespi, sporgendo dal riquadro della porta. Pochi<br />
istanti dopo, davanti a Oppo e Serra apparve Sara<br />
Dirasse.<br />
– A Maryan, la nostra cameriera, piace molto annunciarmi<br />
agli ospiti.<br />
Su una gonna bianca lunga quasi sino alle caviglie,<br />
Sara Dirasse indossava una blusa di seta nera senza<br />
maniche. Nell’ovale allungato, nel naso diritto e negli<br />
occhi leggermente a mandorla Serra credette di<br />
trovare una rassomiglianza con la zia Jesciac, anche se<br />
la nipote aveva una pelle meno scura. All’espressione<br />
di ammirato stupore con cui Serra reagì alla radiosità<br />
di lei, la donna rispose con un sorriso divertito.<br />
– C’è qualcosa che non va? Forse non mi trovate vestita<br />
in maniera appropriata.<br />
– Siete perfetta, – disse Serra.<br />
– Nonostante abbia vissuto più a lungo in Europa che<br />
nel mio paese, continuo a provare un certo disagio<br />
quando decido di vestire all’europea.<br />
– Siete perfetta, credetemi, – ribadì Serra.<br />
91
Sara Dirasse strinse la mano ai due uomini e si sedette<br />
nella stessa poltrona che poco prima aveva occupato<br />
Fracassi.<br />
– Dove avete vissuto in Europa? – chiese Serra come<br />
per avviare la conversazione.<br />
– Sarebbe più facile dirvi dove non ho vissuto. Sono<br />
stata in Svezia, a Parigi, in Germania, a lungo in Italia,<br />
a Napoli; la mia adolescenza l’ho passata in Svizzera,<br />
in collegio.<br />
– Poi avete deciso di tornare in Etiopia.<br />
– Le circostanze hanno deciso per me. Dopo la conquista<br />
italiana, la mia famiglia non aveva più i mezzi<br />
per mantenermi in Europa.<br />
– Che è invece dove avreste preferito restare, mi pare<br />
di capire.<br />
– Nel giro di qualche anno sarei comunque tornata<br />
qui… Credo però che non siano queste le ragioni per<br />
cui avete chiesto di parlarmi.<br />
Sì, pensò Serra, erano altre le ragioni che li avevano<br />
portati in quella casa, ragioni poliziesche che Oppo cercava<br />
ora di ripescare dal suo taccuino. Da qualche minuto<br />
il commissario era impegnato a sfogliarlo, andando<br />
avanti e indietro alla ricerca di un punto preciso che evidentemente<br />
non trovava. Poi sollevò gli occhi e, rivolgendosi<br />
alla donna: – Conoscevate Duilio Bellassai?<br />
– Se vi riferite a quella lettera…<br />
– Rispondete alla mia domanda. Conoscevate Duilio<br />
Bellassai? – Solo per un attimo lo sguardo di Oppo si<br />
fermò sugli occhi di Sara Dirasse.<br />
92<br />
– L’ho incontrato qualche volta, – rispose lei.<br />
– Mi state dicendo che i vostri rapporti col tenente<br />
Bellassai si limitavano a qualche sporadico incontro?<br />
– Signorina Dirasse, – intervenne Serra, – come avete<br />
conosciuto il tenente Bellassai?<br />
– Al cinema. All’Astra Supercinema, circa sei mesi<br />
fa. Io ero in compagnia di mia zia Jesciac e uscivamo<br />
dalla sala, mentre lui entrava. Il primo tempo era già<br />
iniziato da qualche minuto e mi ha fermato chiedendomi<br />
di riassumergli l’inizio della pellicola. Siamo<br />
stati pochi minuti nell’atrio del cinema a parlare. Lui<br />
scherzava, mi ha fatto qualche complimento.<br />
– Comunque, non è stato il vostro unico incontro<br />
con Bellassai, – si inserì Oppo, – ce ne sono stati altri…<br />
meno casuali.<br />
– Il giorno dopo l’incontro al cinema, Maryan mi ha<br />
portato un biglietto del tenente: mi chiedeva un appuntamento.<br />
Ci siamo visti una prima volta e poi in<br />
altre quattro o cinque circostanze.<br />
– Dove vi incontravate?<br />
– Mi veniva a prendere con la sua automobile e facevamo<br />
lunghi giri nei dintorni di Addis Abeba.<br />
– Continuate a voler farmi credere che non vi fosse<br />
altro tra di voi. Spiegatemi allora quell’amore mio del<br />
suo biglietto che abbiamo trovato in camera vostra.<br />
– Diceva di essere innamorato di me, questo sì.<br />
– E voi?<br />
– Io ne ero lusingata, anche se, conoscendo la sua<br />
fama…<br />
93
– Conoscendo la sua fama, l’avete respinto, – disse<br />
Oppo in un tono che intendeva essere beffardo.<br />
– Vi sembra impossibile, commissario?<br />
– Impossibile, che cosa?<br />
– Che io respingessi il tenente Bellassai.<br />
– Bellassai sapeva essere molto convincente.<br />
– Non con me, non nel senso che pensate voi.<br />
– Non respingevate la sua compagnia, comunque.<br />
– La trovavo gradevole…<br />
– Quando avete visto Duilio Bellassai per l’ultima volta?<br />
– la interruppe Oppo, come a coglierla di sorpresa.<br />
– Il giorno non lo ricordo di preciso. Circa una settimana<br />
prima della sua morte.<br />
– Uno dei soliti romantici giri in automobile, suppongo.<br />
– Se li volete definire così.<br />
– Scusate signorina Dirasse, – intervenne Serra, – di<br />
che cosa parlavate con Bellassai nei vostri incontri?<br />
– Di tutto e di nulla. Il tenente esercitava il suo fascino<br />
e a me… a me non rimaneva altro che rimanere<br />
affascinata.<br />
– Ecco cosa farete, – gli disse Carruezzo circa un’ora<br />
dopo, – le starete alle calcagna.<br />
– La devo pedinare, capo?<br />
– Non necessariamente. Dovete farle sentire che ci<br />
siamo, che non la perdiamo di vista.<br />
– A sentire Oppo, dovremmo torchiarla, – aggiunse<br />
Serra.<br />
94<br />
– Ha detto così Oppo? Torchiarla… torchiarla…<br />
un’espressione che suona male in bocca al melanconico.<br />
95
96<br />
12<br />
Era seduto al Caffè Italia, a uno dei tavoli all’aperto<br />
sul Viale Mussolini, quando Fracassi gli si era avvicinato.<br />
– Non vi disturbo, dottor Serra, se mi siedo un attimo<br />
con voi? – gli aveva chiesto. Poi, dopo qualche<br />
minuto che erano stati a parlare del più e del meno,<br />
si era offerto di fargli da guida in quella che, non<br />
senza sorriderne, aveva chiamato la “Addis by night”.<br />
La prima sosta fu in un ristorante del centro, che come<br />
quasi tutti i locali di Addis Abeba aveva italianizzato<br />
il suo nome e ora si chiamava Tripoli. La donna al<br />
guardaroba riconobbe Fracassi. – Ciao bella morona,<br />
– la salutò lui, gettandole il soprabito.<br />
La sala era affollata. Alcune coppie ballavano alla<br />
musica di una orchestrina. Serra e Fracassi si accostarono<br />
a un tavolo dove sedevano due uomini e una<br />
donna.<br />
– Ma guarda chi si vede, – disse Fracassi.<br />
– Che piacere, vecchio pescecane! – fece uno dei due<br />
uomini. Alto e grosso, con i capelli a spazzola e in-<br />
97
dosso una vistosa giacca a quadri. – Dài siediti… sedetevi<br />
con noi.<br />
Furono fatte le presentazioni. L’uomo con la giacca a<br />
quadri si chiamava Rinaldo Angiolillo e Fracassi lo<br />
presentò a Serra dicendo che era un importante bananiere<br />
di Mogadiscio. L’altro si chiamava Geraldo Amoruso,<br />
un grassone dai tratti incerti, quasi gelatinosi,<br />
contraddetti da certi baffetti precisi, di certo li curava<br />
ogni mattina. Della donna, che indossava un luccicante<br />
abito da sera, Serra pensò che era attraente ma non<br />
capì bene il nome.<br />
Fraccassi bevve d’un fiato il suo cognac: – Allora,<br />
pellaccia di un Angiolillo, spiegami che ci fai qui ad<br />
Addis Abeba. Chi sei venuto ad imbrogliare?<br />
– Affari.<br />
– Guarda che qui ad Addis non mangiamo banane.<br />
– Non mi occupo più di banane. L’Impero ha bisogno<br />
di strade e io costruisco strade.<br />
– Dottor Serra, fateglielo sapere a Roma che fior di<br />
patrioti avete trovato in Africa Orientale.<br />
Ma l’attenzione di Angiolillo sembrava ora attratta<br />
da un gruppo di uomini, tutti in camicia nera, appena<br />
entrati nella sala. Chiamò il cameriere e gli chiese: –<br />
Giulio, che cosa beve il federale?<br />
– Gli piace il cognac francese.<br />
Angiolillo scrisse poche parole su un biglietto da<br />
visita. – Portagli una bottiglia di Martell, – disse al<br />
cameriere e gli infilò il biglietto e una banconota nel<br />
taschino della giacca.<br />
98<br />
Il cameriere aveva un’aria particolarmente volpina<br />
mentre poggiava la bottiglia sul tavolo del federale e<br />
gli passava il biglietto. Seguendo una sua indicazione,<br />
il federale guardò in direzione di Angiolillo e, muovendo<br />
l’indice a gancio, fece a quest’ultimo cenno di<br />
avvicinarsi. – Scusatemi un attimo, – disse Angiolillo<br />
alzandosi.<br />
Dal tavolo videro Angiolillo che in piedi parlava<br />
animatamente al federale. Poi il federale disse qualcosa<br />
e tutti intorno a lui risero.<br />
Mentre Angiolillo tornava verso il tavolo, Amoruso<br />
si rivolse a Serra: – Noi ci siamo visti da qualche<br />
parte, o sbaglio?<br />
– Non sbagliate, ci siamo visti nel ristorante dell’Albergo<br />
Impero, – rispose Serra.<br />
L’aveva notato tra gli habitué di un tavolo non lontano<br />
dal suo. Un raccontatore di barzellette chiassoso,<br />
e forse anche divertente, almeno a giudicare dalle risate<br />
che suscitavano le sue storielle.<br />
Angiolillo era di nuovo seduto al tavolo. Sembrava<br />
soddisfatto.<br />
– Cos’hai scucito al federale? – gli chiese Fracassi.<br />
– Non sono cazzi tuoi, – rispose Angiolillo con aria<br />
divertita. Poi si piegò verso la donna e le sussurrò<br />
qualcosa all’orecchio.<br />
Dopo una pausa di qualche minuto, la musica era<br />
ripresa.<br />
– Tu vorresti ballare, vero? – disse Angiolillo rivolto<br />
alla donna. E poi, senza aspettare la risposta di lei:<br />
99
– Dottor Serra, perché non fate ballare Melina? Io<br />
come ballerino non valgo una cicca, quanto a Fracassi,<br />
un orso ammaestrato farebbe una figura migliore.<br />
Serra ebbe un attimo d’incertezza. – Neppure io sono<br />
un gran ballerino… Comunque, se la signora ha piacere.<br />
La signora aveva piacere. Serra la precedette al centro<br />
della sala.<br />
– Melina, vi chiamate Melina, se ho ben capito.<br />
Non siete italiana, vero?<br />
Greca, di Atene. Raccontò una storia su come anni<br />
prima si fosse stabilita in Abissinia. Era molto contenta<br />
che fossero arrivati gli italiani, le piacevano gli<br />
italiani. Mentre parlava, lo carezzava in maniera quasi<br />
impercettibile tra collo e nuca. Serra era eccitato, e<br />
non sapeva neppure lui se ad eccitarlo fosse solo la vicinanza<br />
fisica della donna e il suo gesto o il sentore<br />
equivoco che tutta la situazione emanava. Guardò verso<br />
il tavolo e Fracassi gli strizzò l’occhio.<br />
– Più tardi potrei venirvi a trovare in camera vostra,<br />
– disse la donna, – anch’io sto all’Impero.<br />
– Dubito che il vostro amico Angiolillo ne sarebbe<br />
contento.<br />
– Forse non avete capito. Il mio amico Angiolillo<br />
vi vuol fare un regalo e il regalo sono io. Se però il cadeau<br />
non è di vostro gusto…<br />
– Non si tratta di questo. Vi trovo molto attraente.<br />
– Ma…<br />
– Ma… non posso né voglio accettare un regalo di<br />
100<br />
questo tipo, tanto più quando non capisco perché me<br />
lo si vuol fare.<br />
– Angiolillo fa molti regali. Il più delle volte è perché<br />
vuole in cambio qualcosa. Altre volte però è per<br />
pura simpatia.<br />
– Non credo sia questo il caso, anche se non riesco<br />
a capire cosa possa volere da me uno come Angiolillo.<br />
– E se al cadeau piacesse di essere regalato… regalato<br />
a voi voglio dire?<br />
– Il cadeau non dovrebbe essere un cadeau.<br />
– Ho capito: siete uno di quelli che le donne le vogliono<br />
conquistare.<br />
– Non necessariamente. Il punto è un altro…<br />
Quale fosse il punto Serra non lo disse. Una pausa<br />
dell’orchestra li lasciò per un attimo fermi in mezzo<br />
alla sala. Fermi e in silenzio, come se la fine della musica<br />
avesse fatto dileguare lo spazio soltanto loro che<br />
avevano disegnato ballando e che per il tempo di una<br />
canzone li aveva isolati dal resto della sala. Fu la<br />
donna che per prima riprese a parlare: – Vi prego, non<br />
riportatemi subito al tavolo.<br />
Il pianista accennò con voce roca dentro un piccolo<br />
megafono le prime strofe di una nuova canzone (Bambina<br />
innamorata, stanotte ti ho lasciata…) e i due ricominciarono<br />
a ballare.<br />
– Dottor Serra, è vero che state indagando sulla<br />
morte di Duilio Bellassai.<br />
– Lo conoscevate?<br />
– Gli europei si conoscono un po’ tutti ad Addis<br />
101
Abeba. Duilio poi… – Melina ebbe una esitazione.<br />
– Duilio? – la incoraggiò Serra.<br />
– Beh, uno bello come lui… lo vedevi una volta e<br />
non te lo scordavi più.<br />
– E voi non l’avete scordato.<br />
– C’è stato qualcosa tra noi, ma è durato solo pochi<br />
giorni. Anche dopo però continuava a cercarmi.<br />
– Siete rimasti amici, insomma.<br />
– Diceva di sentirmi simile a lui, diceva che eravamo<br />
le due più belle puttane di Addis Abeba. Io un po’ gli<br />
volevo bene. Era un uomo fragile, sapete, e ultimamente<br />
anche impaurito.<br />
– Impaurito da che cosa?<br />
– Un giorno m’ha detto: “Questa volta mi sono messo<br />
nei guai, guai grossi”. Io gli ho chiesto di questi<br />
guai e lui mi ha risposto che quanto meno ne sapevo<br />
tanto meglio era. – Poi aggiunse con un filo di voce:<br />
– Dottor Serra, troverete chi l’ha ammazzato?<br />
– Ci proverò, anche se sembrate l’unica a cui importi<br />
qualcosa di sapere chi ha ucciso Bellassai.<br />
* * *<br />
– Ora mi spiegherete perché avete organizzato questa<br />
specie d’incontro col vostro amico, quell’Angiolillo.<br />
E non mi raccontate che è stato un caso.<br />
L’automobile di Fracassi filava lungo un viale di eucaliptus.<br />
Era una notte senza luna e a Serra quel cielo<br />
sembrò il più ricco di stelle che avesse mai visto.<br />
102<br />
Sprofondato nel sedile accanto a quello del guidatore,<br />
sentiva sul viso l’aria sferzante della notte che entrava<br />
dai finestrini abbassati.<br />
– Ma cosa dite, dottor Serra? Erano almeno due<br />
mesi che non vedevo Angiolillo.<br />
Serra gli disse di Melina e di come si fosse presentata<br />
come un regalo di Angiolillo.<br />
– Il vecchio pescecane è all’attacco, – fu il commento<br />
di Fracassi. – Avete visto come ha abbordato il federale?<br />
– Che voglia qualcosa dal federale si può capire. Ma<br />
da me?<br />
– Cannoneggiamento a trecentosessanta gradi. Puro<br />
stile Angiolillo. Non sa ancora come e perché, ma prevede<br />
che possiate essergli utile. Così prepara il terreno.<br />
È una strategia che ovviamente comporta un grande<br />
spiegamento di mezzi.<br />
– Ovviamente, – fece eco Serra. Poi, in tono brusco:<br />
– Bene, ora riportatemi in albergo.<br />
– Ma no dottor Serra, la notte è ancora giovane.<br />
Si fermarono di fronte al cancello di una villa. Fracassi<br />
suonò per due volte il clacson e dopo un po’ apparve<br />
un cameriere in livrea, che teneva in mano una<br />
lampada ad acetilene. Fracassi sporse la testa dal finestrino:<br />
– Sono io, Mohamed. Cos’è, ora non si riconoscono<br />
più i vecchi amici?<br />
– Commendator Fracassi, che piacere… ma entri,<br />
entri… potete mettere l’automobile là, – disse il cameriere<br />
e indicò una piazzola nella quale erano posteggiate<br />
altre quattro o cinque automobili.<br />
103
Guidati dal cameriere entrarono nella villa, percorsero<br />
un atrio adorno di trofei di caccia e, attraverso<br />
una grande scalinata, furono condotti al primo piano.<br />
Al centro del salone c’era un tavolo di giocatori di<br />
carte, mentre il resto degli ospiti era sparso in piccoli<br />
gruppi tra poltrone e divani. Dal tavolo da gioco si<br />
alzò e mosse verso di loro un uomo che Serra pensò<br />
potesse essere il padrone di casa.<br />
– Allora Fracassi, sei venuto a restituire le mille<br />
lire che c’hai spazzolato l’ultima volta?<br />
– Cosa vuoi che siano mille lire di fronte al privilegio<br />
di vedere in azione un autentico mago della canasta.<br />
Fracassi presentò Serra come un giovane autorevole<br />
funzionario del Ministero dell’Interno in missione ad<br />
Addis Abeba. Tiraboschi, il padrone di casa, gli diede<br />
il benvenuto. Aveva una faccia larga e gli occhiali<br />
spessi. I pochi capelli grigi rimastigli formavano un<br />
rigonfio alle tempie. Indossava una giacca nera da sera,<br />
che gli stava piuttosto stretta.<br />
– Farete bene a guardarvi da Tiraboschi, – disse una<br />
voce femminile alle spalle di Serra.<br />
Serra si voltò e riconobbe la contessa Sinibaldi.<br />
– Questa casa, se non l’avete capito, è una bisca, –<br />
continuò la contessa in tono frivolo, – non certo il posto<br />
adatto per un poliziotto integerrimo come voi. O<br />
siete qui per arrestarci tutti?<br />
Serra arrossì: – È un po’ un caso che sia qui, – disse,<br />
– sono arrivato con Fracassi, forse lo conoscete…<br />
104<br />
Si guardò intorno e si accorse che Fracassi si era allontanato:<br />
lo scorse, seduto sul bracciolo di una poltrona,<br />
mentre parlava animatamente con un uomo in<br />
smoking. Quanto a Tiraboschi, era ritornato al tavolo<br />
da gioco.<br />
– Siete amico di Fracassi, dunque.<br />
– Semplicemente è stato lui a portarmi qui.<br />
Si avvicinò un cameriere che circolava tra gli ospiti<br />
col vassoio dei liquori: – Un whisky, signore?<br />
– No, no, grazie, – rispose Serra.<br />
La contessa Sinibaldi, invece, sostituì il suo bicchiere<br />
vuoto con uno pieno.<br />
– Credo di sapere cosa vi ha portato in questa casa,<br />
– disse.<br />
– Il caso, contessa, ve lo assicuro.<br />
– E non il fatto che Bellassai la frequentasse assiduamente<br />
e che ci abbia perso migliaia di lire?<br />
– Sapevo che Bellassai giocava e perdeva, non che ciò<br />
avvenisse qui.<br />
– Tutto ad Addis Abeba, tutto ciò che conta voglio<br />
dire, avviene qui. Qui si trattano affari, si promuovono<br />
carriere, qui scoppiano amori e al centro di tutto<br />
c’è il tavolo da gioco: è come se senza le carte non sapessimo<br />
cosa fare, abbiamo bisogno di vivere ammassati,<br />
ma poi non sappiamo cosa dirci. Duilio, l’ho conosciuto<br />
qui, sapete, al tavolo da gioco, due perdenti<br />
assoluti io e lui, con la differenza che io me lo potevo<br />
permettere mentre lui…<br />
– Lui aveva pur sempre una moglie ricca.<br />
105
– Quella borghesuccia lo teneva a stecchetto. Per<br />
gente come quella là, la roba viene prima di tutto. Vi<br />
hanno sicuramente detto come è sparita subito dopo il<br />
funerale. State sicuro che il prossimo che si sceglierà<br />
sarà uno della sua razza, un rassicurante omettino tutto<br />
casa e azienda.<br />
– Se non li pagava sua moglie, chi è che pagava i debiti<br />
di gioco di Bellassai? Pagavate voi, contessa?<br />
– Non capite, tutti continuate a non capire. Il fatto<br />
che Duilio accettasse soldi da me o da altre donne non<br />
ne faceva un gigolo. Avrebbe potuto facilmente averla<br />
la vita comoda. Ma questo non gli bastava. Duilio voleva<br />
tutto… non si accontentava… riuscite a capire<br />
cosa vuol dire volere tutto?<br />
– Non credo, contessa, non credo di riuscirci. Neppure<br />
credo di volerci riuscire, a dire il vero.<br />
– Allora non comprenderete mai Duilio.<br />
– Mi accontenterei di scoprire chi l’ha ucciso.<br />
106<br />
13<br />
Quando l’indomani mattina Serra scese a colazione<br />
nella sala da pranzo dell’albergo, Carruezzo l’accolse<br />
con un sorriso ironico:<br />
– Ieri avete fatto le ore piccole. Spero almeno che<br />
ne sia valsa la pena.<br />
– Non è stato del tutto inutile, – disse Serra.<br />
– Beh, non mi fate il misterioso, qualcosa avrete pur<br />
combinato.<br />
Serra raccontò nei particolari la scorribanda della sera<br />
prima, mantenendosi sul vago solo a proposito della<br />
conversazione con Melina.<br />
– Se non altro abbiamo un’idea più precisa di chi frequentava<br />
Bellassai, – fu il conciso commento di Carruezzo.<br />
Il menù dell’Impero contemplava quel giorno zuppa<br />
di pesce del Mar Rosso, un piatto che aveva subito catturato<br />
l’attenzione di Carruezzo. – Voglio vedere cos’ha<br />
combinato, in cucina, quello là, – aveva detto.<br />
Poi aveva continuato: – Con il pesce, questo è ovvio,<br />
ci va il bianco.<br />
Serra aveva assentito, giudicando inutile far notare di<br />
aver ordinato un arrosto d’agnello. “Perché dirglie-<br />
107
lo?” pensò. “Se ha deciso che sia bianco, bianco sarà.”<br />
All’arrivo del vino in tavola, Carruezzo se ne versò<br />
un bicchiere e disse: – Bisogna che facciamo giungere<br />
da Roma altre informazioni su questo Fracassi. Pensate<br />
voi a spedire il telegramma cifrato?<br />
– Dubito che nel nostro casellario troveranno qualcosa.<br />
– Per vostra regola, giovanotto, nel mio casellario,<br />
– si soffermò su quel mio, – si trova chiunque non sia<br />
una irrilevante nullità. E Fracassi non è una nullità.<br />
Portarono a Carruezzo la sua zuppa di pesce e a Serra<br />
l’arrosto.<br />
– Non c’è lo scorfano, – disse Carruezzo prima ancora<br />
di aver assaggiato il piatto. – Quello là ha fatto la<br />
zuppa di pesce senza lo scorfano. Voi vedete scorfani,<br />
Serra?<br />
Serra interruppe di mangiare ed esaminò la zuppa:<br />
– Il mostro con le spinone sul dorso potrebbe essere<br />
uno scorfano, – disse indicandolo con il coltello.<br />
– Non distinguereste un merluzzo da una balena.<br />
A parte questo, non mi risulta che nel Mar Rosso vi<br />
siano scorfani. A voi risulta, Serra?<br />
– No, capo, – disse Serra riprendendo a mangiare.<br />
Coltello e forchetta in aria, Carruezzo continuava a<br />
osservare la zuppa: – Zuppa del Mar Rosso. Vi pare<br />
che pesci pescati nel Mar Rosso possano mantenersi<br />
freschi sino ad Addis Abeba?<br />
– Magari sì, opportunamente conservati nel ghiaccio.<br />
108<br />
– Voi lo difendete, Serra, ma quello là, l’armeno, è<br />
un imbroglione e questa Zuppa del Mar Rosso è fatta<br />
di pesce di fiume o che al massimo viene dal lago<br />
Tana.<br />
– Forse avete ragione, capo, – disse Serra, – però, visto<br />
che l’avete ordinata, perché non l’assaggiate?<br />
Dopo aver spinato la coda del presunto scorfano, Carruezzo<br />
lo assaggiò.<br />
– Come vi sembra? – chiese Serra.<br />
– Eccellente… anche se il mostro marino in questione<br />
non ha sapore di scorfano, checché ne diciate.<br />
Abbandonata la prudenza iniziale, Carruezzo si dedicò<br />
con deteminazione e sistematicità al suo piatto.<br />
Mangiato il pesce, fu la volta dei crostini su cui lo avevano<br />
adagiato. Infine, nel sugo rimasto versò dei pezzetti<br />
di pane, ottenendo così un’ultima zuppetta.<br />
Carruezzò si tolse il tovagliolo che aveva messo intorno<br />
al collo. – Davvero eccellente, – disse riemergendo<br />
dal silenzio. Poi, con tono disinvolto e come<br />
cambiando per caso discorso: – Voi Serra, cosa pensate<br />
di quello là… del cuoco?<br />
– Cucina molto bene, mi pare.<br />
– Non mi riferivo a questo. Mi chiedevo se il cuoco<br />
possa essere considerato un uomo interessante, attraente…<br />
attraente per una donna, voglio dire.<br />
– Attraente non è la parola che userei. Direi piuttosto<br />
che ha un suo stile.<br />
– Come un suo stile?<br />
– L’avete osservato nelle sue apparizioni nella sala<br />
109
del ristorante? Avete visto il modo in cui sorride alle<br />
signore ai tavoli?<br />
– È ridicolo con quel cappellone da cuoco. È più<br />
alto il cappello del cuoco.<br />
– Avete notato la disinvoltura e la sicurezza con cui<br />
cinge la vita di Madame Dressler, quando è al suo<br />
fianco?<br />
– Altrettanto ridicolo, visto che Madame Dressler<br />
è almeno venti centimetri più alta di lui.<br />
– Eppure è un gesto… come dire… avvolgente.<br />
Carruezzo curvò le spalle massicce e sospirò:<br />
– Serra, parlatemi un po’ di questa faccenda dell’amore.<br />
– Cosa volete sapere?<br />
– Voglio che mi spiegate da cosa si capisce se uno<br />
è innamorato.<br />
– Siete innamorato?<br />
– Voi ditemi i sintomi.<br />
– Il primo è che non si può fare a meno della persona<br />
amata. Ci si convince che senza di lei la vita non<br />
è degna di essere vissuta.<br />
– Si smette di essere autosufficienti, in altre parole.<br />
– Quanto a questo, l’amore è l’esatto contrario dell’autosufficienza.<br />
– Vi vorrei fare un’altra domanda, Serra, ancora più<br />
personale. Voi però non mi dovete fraintendere.<br />
– Sparate, cavaliere.<br />
– Secondo voi uno come me potrebbe piacere ad una<br />
donna?<br />
110<br />
– Ma certo che sì.<br />
– Non sono poi tanto male, dunque.<br />
– Che non siete male lo pensava anche la vedova del<br />
dottor Esposito degli Affari Generali e Riservati…<br />
– Non vorrete tirar fuori quell’increscioso episodio,<br />
Serra!<br />
– Perché poi increscioso? Semplicemente la vedova<br />
Esposito vi concupiva.<br />
La vedova Esposito (vedova del dottor Esposito, collega<br />
di Carruezzo) aveva abitato nell’appartamento sotto<br />
quello che il cavaliere condivideva con la signora<br />
Iolanda, sua madre, in un condominio nei pressi di<br />
Piazza Verdi. Nel racconto che Carruezzo aveva fatto<br />
a Serra dell’increscioso episodio, tutto era iniziato con<br />
la richiesta della vedova che il suo vicino (e “amico del<br />
mio defunto marito”, come lei aveva voluto sottolineare)<br />
scendesse a casa sua ad aiutarla con un lavandino<br />
intasato. Nessuno era meno adatto di Carruezzo a<br />
simili operazioni, e già questo avrebbe dovuto metterlo<br />
sull’avviso a proposito delle reali intenzioni della<br />
vedova. Che si erano manifestate, a sentire Carruezzo,<br />
appena lui aveva messo piede nell’appartamento.<br />
Data la materia scottante, su questo punto il discorso<br />
si faceva tortuoso ed ambiguo, affidandosi nei passaggi<br />
chiave ad oscure metafore. A Serra non risultava<br />
chiaro sino a che punto la vedova fosse andata avanti<br />
nelle sue avances e soprattutto quali fossero le “difficoltà<br />
tecniche” insorte a un dato momento. Chi aveva<br />
111
visto tutto molto chiaro, invece, era stata la signora<br />
Iolanda che, in pensiero per la prolungata assenza del<br />
figlio e forse intuendo minaccia, era scesa nell’appartamento<br />
di sotto e, trovando la porta aperta, era entrata<br />
sorprendendo i due in un atteggiamento che le era<br />
parso inequivocabile. Fatto sta che quando Carruezzo<br />
era tornato al piano di sopra, la signora Iolanda si era<br />
rifiutata di farlo entrare, sibilandogli attraverso la porta<br />
di non avere nessuna intenzione di convivere con un<br />
satiro.<br />
Carruezzo fu tenuto fuori di casa per una settimana,<br />
nel corso della quale venne ospitato nella pensione di<br />
Serra sulla Nomentana. Provvisorio rifugio di cui, non<br />
si sa come, la vedova Esposito venne a conoscenza, presentandosi<br />
alla pensione chiedendo di parlare col Cavalier<br />
Carruezzo. “Affrontatela con sincerità, cavaliere”<br />
gli consigliò Serra, mentre la donna attendeva nel<br />
salottino. “Prima di essere chiaro con lei, cavaliere, dovete<br />
essere chiaro con voi stesso.” Quel “satiro” sibilato<br />
da oltre il catenaccio lo tormentava: “Mi sono cacciato<br />
in un budello senza uscita.” Serra cercò di fargli<br />
presente la possibilità di una sua relazione con la vedova<br />
senza che la signora Iolanda ne sapesse nulla, oppure<br />
che la signora Iolanda potesse accettare questa<br />
eventuale relazione. Carruezzo scosse la testa. “Almeno<br />
ci dovete parlare” disse Serra. Il cavaliere assentì:<br />
avrebbe affrontato il doloroso colloquio. Di fronte alla<br />
vedova che inframmezzava minacce a profferte d’amore,<br />
il cavaliere tacque. O così parve a Serra, che nella<br />
112<br />
stanza attigua al salottino non aveva potuto fare a meno<br />
di sentire. Una frase della vedova lo aveva colpito: “Pensavate<br />
forse che con la morte del dottor Esposito dovessi<br />
rinunciare alla mia femminilità?”<br />
– Non ci sono dubbi, – ribadì Serra, – la vedova<br />
Esposito vi concupiva.<br />
Arrivarono in tavola due fette di torta.<br />
– No basta, ho mangiato troppo, – disse Serra.<br />
Il cameriere stava ritirando uno dei due piattini che<br />
aveva appena poggiato sul tavolo quando Carruezzo<br />
gli fermò il braccio. – Lasciate pure, – gli disse.<br />
– Sì, – riprese Serra, – la vedova Esposito per voi<br />
stravedeva.<br />
– Ho capito, giovanotto, è la terza volta che lo dite.<br />
Ma qui non si tratta della vedova Esposito.<br />
– Di chi si tratta?<br />
Carruezzo abbassò gli occhi, assestando sul piattino<br />
con la forchetta la fetta di torta.<br />
– Via, lo sapete benissimo.<br />
– Non lo so… però, lasciatemi indovinare… Madame<br />
Dressler?<br />
Carruezzo abbassò ancora di più gli occhi, esaminando<br />
in sezione la torta<br />
– Voi conoscete il mio problema. Con le donne non<br />
so mai cosa fare, mi sento terribilmente impacciato…<br />
quei rituali, poi…<br />
– Quali rituali?<br />
– Le cose che si dicono a una donna… il corteggia-<br />
113
mento. Non sono un homme à femmes come voi, Serra.<br />
Non ho il dono, io.<br />
– Non capisco come vi siate fatto l’idea che io sia<br />
un conquistatore.<br />
– Lo so, lo vedo… non stiamo parlando di voi, comunque.<br />
Il problema è che in certe circostanze… non<br />
so dove mettere le mani.<br />
Ora Carruezzo, la torta, aveva preso a tormentarla<br />
con la forchetta.<br />
– Beh, cavaliere, prima di mettere le mani da qualche<br />
parte in genere ci sono dei preliminari.<br />
– Era solo un modo di dire. Comunque, è appunto<br />
a questi preliminari verbali che io mi blocco… se per<br />
questo mi blocco anche dopo, o prima…<br />
– Potreste cercare di parlare di cose che vi sono familiari.<br />
– Voi pensate che Madame Dressler, ecco… per<br />
esempio… possa ascoltare con interesse i miei progetti<br />
di ammodernamento del Casellario Politico Centrale?<br />
– Non intendevo esattamente questo. Cercate semplicemente<br />
di essere voi stesso, questo volevo dire.<br />
– Essere se stessi? Non è facile, – sospirò Carruezzo.<br />
114<br />
14<br />
Serra si era fermato di fronte a una vetrina in pieno<br />
Viale Mussolini, e aveva potuto osservare con calma la<br />
figura riflessa dell’uomo che da circa mezz’ora lo pedinava.<br />
Alto e con la testa rasata, indossava uno spolverino<br />
chiaro. Una pezzuola nera di cuoio sull’occhio<br />
sinistro lo rendeva inconfondibile anche tra la folla<br />
dei passanti. Ora, però, più che di un pedinatore incapace<br />
dava l’idea di un uomo indeciso. Con Serra<br />
fermo di fronte alla vetrina, sembrò per un attimo che<br />
si volesse avvicinare, poi il poliziotto lo vide tornare<br />
indietro scuotendo la testa. Fu Serra questa volta a seguirlo<br />
con lo sguardo sino a quando l’uomo non voltò<br />
alla prima traversa.<br />
L’ispettore riprese il cammino verso l’albergo. Il mese<br />
trascorso a Addis Abeba gli aveva reso familiare quel<br />
viale e anche i cavalli di frisia avevano conquistato ai<br />
suoi occhi un loro posto nel paesaggio urbano. Quel<br />
viale voleva sembrare Italia, e a suo modo ci riusciva.<br />
Le insegne dei negozi e le facce della gente, soprattutto<br />
le facce, così italiane. Quanto alle facce degli altri, gli<br />
abissini, si finiva per non notarle. “Io proprio non li<br />
vedo, eppure in casa ne ho quattro” aveva sentito dire<br />
115
dalla moglie di un ufficiale. Serra aveva cominciato a<br />
temere di trasformarsi in uno di loro - un coloniale,<br />
come si autodefinivano - se solo fosse rimasto ad Addis<br />
Abeba il tempo sufficiente. Il che non era escluso, se le<br />
cose fossero continuate in quel modo. L’inchiesta languiva,<br />
Carruezzo passava gran parte della giornata in<br />
albergo e lui nelle ultime settimane aveva fatto poco altro<br />
se non leggere i giornali e guardare i passanti nel<br />
caffè che si affacciava sul Viale Mussolini.<br />
Ancora una volta aveva cambiato idea. L’uomo con la<br />
pezzuola nera sull’occhio attendeva di fronte alla porta<br />
dell’albergo. Quando vide Serra arrivare, gli si fece incontro.<br />
– Finalmente vi siete deciso, – disse Serra.<br />
– Non mi dite che vi eravate accorto di me.<br />
– Non avrei dovuto?<br />
– Devo parlarvi dottor Serra.<br />
– È indispensabile farlo qui per strada o ci possiamo<br />
sedere in albergo?<br />
L’uomo si guardò intorno con circospezione prima di<br />
entrare nella porta che Serra gli teneva aperta. Quando<br />
poi l’ispettore gli indicò un gruppo di poltrone in un<br />
angolo appartato e in penombra del vasto salone d’ingresso,<br />
parve gradire la scelta.<br />
– Qui nessuno ci disturberà, – disse Serra sedendosi.<br />
– Le cose che ho da dirvi sono assolutamente riservate.<br />
– Vi ascolto.<br />
116<br />
– Mi assicurate che fate parte dell’Ovra? Proprio l’Ovra,<br />
voglio dire?<br />
– Io non vi assicuro un bel nulla, al massimo vi sto<br />
a sentire.<br />
– Non vi arrabbiate… il fatto è che… insomma, io<br />
sono negli elenchi e se voi… questo si sente in giro…<br />
appartenete all’Ovra, ecco… allora… forse il mio nome<br />
vi dice qualcosa.<br />
– Come vi chiamate?<br />
– Roberto Muzzi.<br />
– Non mi dice nulla.<br />
– È da poco che sono negli elenchi, forse per questo…<br />
– Si può sapere di quali elenchi parlate?<br />
– Gli elenchi degli informatori dell’Ovra, naturalmente.<br />
– Ah!<br />
– Vorrei tirarmene fuori. Non è cosa per me, troppi<br />
rischi, troppi batticuore.<br />
– Suppongo basti che lo facciate sapere al vostro referente.<br />
– Non ho più un referente e poi… vedete, dottor<br />
Serra… il problema è soprattutto economico. – Accompagnò<br />
queste parole col gesto di sfregare pollice e<br />
indice.<br />
– Fatemi capire Muzzi… vi chiamate Muzzi, vero?<br />
Pensate di ritirarvi però volete ancora soldi. Non vi<br />
pare troppo?<br />
– Il fatto è che da sei mesi non vedo una lira. – Muzzi<br />
117
giunse le mani in un gesto supplichevole: – Non mi<br />
giudicate avido, dottor Serra: ho moglie e tre figli.<br />
– Chi era il vostro referente?<br />
– Il tenente Bellassai. Mi hanno detto che indagate<br />
sulla sua morte ed è per questo che ho deciso di mettermi<br />
in contatto con voi. So delle cose su Bellassai che<br />
credo possano essere utili.<br />
– Perché non vi siete rivolto subito alla Polizia?<br />
– Pensavo di doverne riferire prima all’organizzazione.<br />
Aspettavo che qualcuno si mettesse in contatto<br />
con me. E poi…<br />
– Poi?<br />
– Poi c’è il problema che vi ho detto.<br />
– Se è un baratto quello che intendete proporre, non<br />
mi pare che siate nella condizione…<br />
– Non fraintendetemi dottor Serra. Io ne vorrei uscir<br />
fuori. Se poi… ecco… mi fossero anche liquidate le<br />
spettanze arretrate…<br />
– Ora basta, ditemi quello che avete da dirmi. Anzi…<br />
è il caso che vi senta anche il mio superiore.<br />
– No, non parlerò con nessun altro, – fece l’uomo,<br />
in un tono vicino alla paura.<br />
– State tranquillo. Se c’è uno che può risolvere i vostri<br />
problemi è proprio il mio superiore. Aspettatemi qua.<br />
Serra si avvicinò al bancone della hall, ma mentre<br />
chiedeva al portiere di chiamare Carruezzo, vide l’uomo<br />
alzarsi e dirigersi a grandi passi verso l’uscita. Lo<br />
raggiunse prima che infilasse la porta.<br />
– Beh Muzzi, dove andate?<br />
118<br />
– Seguo il vostro consiglio: vado alla Polizia.<br />
– Voi non andate da nessuna parte e mi dite quello<br />
che avete da dire, – gli sibilò Serra e lo afferrò al bavero.<br />
Muzzi piegò la testa come rassegnato e si diresse<br />
verso le poltrone.<br />
– Sapete quanti rapporti ho consegnato a Bellassai<br />
in sei mesi di attività? – disse in tono lamentoso appena<br />
seduto. – Circa un centinaio.<br />
* * *<br />
Il Carruezzo che muoveva verso di loro esprimeva in<br />
un insistito e volutamente torvo corrugare della fronte<br />
l’interrogativo sul perché avessero osato disturbarlo<br />
nel cuore del suo abituale riposo pomeridiano.<br />
Serra si alzò e gli andò incontro<br />
– Non ho potuto fare a meno di chiamarvi, capo, –<br />
gli disse. Poi illustrò brevemente le circostanze in cui<br />
aveva incontrato Muzzi.<br />
– Potete cominciare a parlare, – disse Carruezzo sprofondando<br />
nella poltrona, – vi ascoltiamo.<br />
– Tutto quello che vorrei è essere lasciato perdere.<br />
Dopo la morte di Bellassai, vivo nel terrore e in queste<br />
condizioni non servo più a nessuno. M’ha detto mia<br />
moglie che parlo nel sonno. Recito parola per parola le<br />
relazioni che consegnavo a Bellassai. Mia moglie mi ha<br />
aiutato a scriverle, perché io con la penna… insomma<br />
non è il mestiere mio, invece mia moglie è maestra ele-<br />
119
mentare. L’avessi almeno lasciata a casa quella povera<br />
donna. All’inizio sono venuto qui da solo, ma mi prendevano<br />
delle malinconie, odiavo tutto e tutti, bianchi<br />
e neri. Fatto sta che dopo tre mesi ho fatto venire la famiglia…<br />
– Dicevate di Bellassai? – intervenne Serra. –<br />
Com’è che l’avete conosciuto?<br />
– Avevo a che fare con lui per certe ordinazioni dell’esercito.<br />
Ho un negozio di ferramenta e quegli ordini<br />
erano stati un po’ la salvezza in un periodo nero.<br />
Uno comincia così, che quasi non se ne accorge. “Tu<br />
ne sentirai di ogni tipo, con tutta la gente che passa<br />
nel tuo negozio” mi fa Bellassai. “E le notizie interessanti<br />
hanno un loro prezzo” aggiunge. A Bellassai non<br />
gli potevo dire di no. Le ordinazioni dipendevano da<br />
lui. E poi l’idea di far parte di un esercito segreto…<br />
Fece una pausa come se quelle ultime parole avessero<br />
fatto affiorare qualcosa, un’emozione, un ricordo,<br />
su cui avrebbe voluto indugiare, almeno per un attimo.<br />
Poi riprese il racconto:<br />
– Io, ve l’ho già detto, quasi ogni settimana gli presentavo<br />
un rapporto, ma a essere sinceri non c’era scritto<br />
nulla di particolarmente importante. Certo in negozio<br />
passa molta gente… però non è che uno va dal<br />
ferramenta per fare conversazione. Vorrei una brugola<br />
da tre… Mi serve un dado con la filettatura così e<br />
cosà… Questo è quello che ti chiedono: tu glielo dai,<br />
loro ti pagano e se ne vanno. Se qualcuno dice qualcosa…<br />
120<br />
– Fatemi capire, Muzzi. Gliene davate o no informazioni<br />
a Bellassai? – domandò Serra.<br />
– Non sono mai riuscito a sapere nulla d’importante,<br />
questa è la verità. Ma lui non se ne lamentava. Non<br />
mi dava una lira, ma non sembrava si aspettasse di<br />
più di quello che riuscivo a fare. Un giorno, però, mi<br />
chiede di metterlo in contatto con Tayè Burrù, un<br />
abissino, uno che ogni tanto mi passava qualche informazione.<br />
Tra parentesi: io a Tayè Burrù gli ho dato<br />
almeno duecento lire e anche quelle… passate in cavalleria.<br />
– Com’è che conoscevate questo Burrù, – intervenne<br />
Serra.<br />
– È uno che recluta manovali, ma anche una specie<br />
di capomastro. Comprava al negozio. Siccome andava<br />
molto in giro, anche fuori Addis Abeba, allora ho<br />
pensato che magari veniva a sapere qualcosa.<br />
– Perché Bellassai ha voluto mettersi in contatto con<br />
lui?<br />
– Questa è la cosa difficile da credere… ve lo ripeto,<br />
se racconto tutto, è proprio perché mi aspetto che voi<br />
mi tirate fuori.<br />
– Sarà difficile se non vi decidete a parlare, – disse<br />
Carruezzo infastidito.<br />
– Insomma, il fatto è questo. Bellassai pensava di<br />
poter spingere qualche gruppo di ribelli a organizzare<br />
un attentato a Graziani, pensava di fare l’agente<br />
provocatore insomma… poi avrebbe fermato i ribelli<br />
prima ancora che entrassero in azione, li avrebbe fatti<br />
121
arrestare, prendendosi il merito di aver impedito l’attentato.<br />
Nei suoi piani, anch’io dovevo fare qualcosa…<br />
che cosa, però, diceva che l’avrei saputo al momento<br />
giusto.<br />
– Ma quel Burrù, l’abissino, che parte aveva nella<br />
faccenda? – chiese Carruezzo.<br />
– Bellassai si era convinto che Burrù, istruito a dovere,<br />
avrebbe potuto fare da esca ai ribelli. E che i ribelli<br />
avrebbero abboccato. Poi sarebbe arrivato lui…<br />
“Vedrai che botto, Muzzi” mi diceva. “Tu ti becchi le<br />
lirette, che ti piacciono tanto e io, io, vedrai se non<br />
iniziano a prendermi sul serio quelli di Roma.” A me,<br />
a quel punto, la cosa iniziava a farmi paura, cosa potevo<br />
fare però? …come facevo a tirarmi fuori? E dire<br />
che mia moglie l’aveva capito subito che tipo era Bellassai.<br />
Una volta, all’inizio, l’ho invitato a cena a casa<br />
mia, in realtà è lui che si è fatto invitare… non se ne<br />
andava più, parlava, straparlava e quando finalmente<br />
è andato via, mia moglie mi fa: “Mi sbaglierò, Berto,<br />
ma a me quel tuo Bellassai mi sembra un cretino.” A<br />
me questo sino ad allora non mi era mai venuto in<br />
mente, me l’ha fatto notare mia moglie quanto era<br />
strana tutta quella faccenda, una cosa da pazzi… o da<br />
cretini. “Se Bellassai è un cretino,” ho detto a mia<br />
moglie, “allora vuol dire che sono un cretino anch’io.”<br />
Lei ha fatto di sì con la testa.<br />
L’espressione di Muzzi si era fatta distesa, quasi che<br />
quel racconto così vicino a una confessione avesse allontanato<br />
la paura. Anche Carruezzo non aveva più<br />
122<br />
l’occhio indagatore di qualche momento prima. Lo<br />
sguardo ora appariva benevolo. All’improvviso tirò<br />
fuori dalla tasca una manciata di cioccolatini e ne offrì<br />
a Muzzi.<br />
– Quello al maraschino, – disse, vedendolo indeciso,<br />
– è delizioso.<br />
Muzzi ringraziò e prese il cioccolatino che Carruezzo<br />
gli aveva indicato. Anche Carruezzo esitò per un attimo,<br />
mentre dopo averli avvicinati all’occhio destro,<br />
quello tra i due più periscopico e veloce, perlustrava i<br />
quattro, cinque cioccolatini che gli erano rimasti in<br />
mano. – A Serra cioccolato fondente, conosco i suoi<br />
gusti. E a me non rimane che il gianduiotto.<br />
– Tiratemi fuori da questo guaio, – disse Muzzi con<br />
trasporto, rivolto a Carruezzo. – Non so neppure io<br />
perché ho dato retta a quell’esaltato. Anche se poi, vedete,<br />
non è che gli davo retta più di tanto. Se non<br />
c’era l’attentato a Graziani…<br />
– Ci state dicendo che Bellassai ha avuto davvero a<br />
che fare con l’attentato!?<br />
– No, dottor Carruezzo, Dio non voglia! Le bombe<br />
a Graziani le hanno lanciate gli abissini, noi… anche<br />
Bellassai, voglio dire, ne è rimasto sorpreso. Però ha<br />
iniziato ad aver paura. “E se arrivano a me?” continuava<br />
a ripetere. Io non ho idea di quanto fosse andato<br />
avanti con quel piano. Lui diceva che non aveva combinato<br />
nulla. “E se Tayè Burrù lo prendono e parla?”<br />
diceva. Quel Tayè Burrù, poi, il giorno dopo l’attentato,<br />
è sparito e questo certo non lo tranquillizzava. –<br />
123
Si voltò verso Serra e con un’aria implorante disse: – Voi<br />
mi credete, vero che voi mi credete?<br />
– Potrei anche credervi, – rispose Serra, – rimane il<br />
fatto che voi e Bellassai avete combinato un bel casino.<br />
– Io e Bellassai? – Muzzi accompagnò queste parole<br />
con enfatici gesti di diniego. – No, no, qui non mi si<br />
vuol capire. Io e Bellassai abbiamo preso due strade<br />
molto diverse. Soprattutto dopo l’attentato, quando<br />
Bellassai si è mischiato a quelli del partito andando in<br />
giro per Addis Abeba… voi lo sapete cos’è successo in<br />
città dopo che hanno sparato a Graziani?<br />
Muzzi non attese la risposta e cominciò a raccontare<br />
della caccia all’abissino scatenata nei giorni appena<br />
successivi all’attentato dagli uomini del Partito. Parlò<br />
di indigeni trucidati a colpi di mazza, di fucilazioni<br />
sommarie, di una città intera messa a ferro e fuoco.<br />
– Non che gli abissini non lo meritino, – continuò<br />
Muzzi. – “Ma cosa andate a mischiarvi” dicevo a Bellassai.<br />
“Perché volete attirare l’attenzione su di voi?” E<br />
lui: “Deve essere chiaro che io a spaccare il culo a questi<br />
negri non sono secondo a nessuno”. Da quella volta<br />
ci siamo sentiti molto poco, anche se lui ogni tanto veniva<br />
a cercarmi. Poi ho saputo che era morto. Questo<br />
è tutto. Non vi ho nascosto nulla.<br />
– Voglio ben sperare, – fu il commento di Serra. –<br />
Ora non dovete far altro che mantenervi a disposizione.<br />
– Ma voi pensate che vi abbia raccontato balle?<br />
– Verificheremo la vostra versione, – disse Serra. Pensava<br />
in realtà che a nessuno sarebbe venuto in mente di<br />
124<br />
inventare e spacciare per vera una storia così complicata<br />
e improbabile.<br />
Ci fu un momento di silenzio. Forse Muzzi attendeva<br />
altre domande dai due poliziotti, o forse sperava<br />
in rassicurazioni meno generiche, se non in una garanzia<br />
d’impunità. Non giunsero né le une né le altre.<br />
– Toglietemi una curiosità, – disse Carruezzo, – cosa<br />
avete sotto quella pezzuola di cuio? – Si sporse in<br />
avanti verso il suo interlocutore e indicò la pezzuola.<br />
Muzzi arrossì violentemente: – Veramente… un occhio<br />
di vetro, – disse.<br />
– Lo immaginavo. Cosa ne fate la notte? Lo togliete?<br />
– Sì, lo tolgo, anche perché ogni mattina bisogna pulirlo.<br />
– Suppongo che durante la notte rimaniate con l’orbita<br />
allo scoperto.<br />
– No, assolutamente… anche perché mia moglie una<br />
volta che le è capitato di vedermi in quello stato… no,<br />
dormo con la pezzuola di cuoio.<br />
Muzzi si alzò, abbottonò lo spolverino che fino a<br />
quel momento aveva tenuto sulle ginocchia, e si produsse<br />
in una forma stilizzata di saluto romano.<br />
– Naturalmente, giovanotto, non vi allontanerete<br />
da Addis Abeba, – suonò il commiato di Carruezzo.<br />
Muzzi prese la via dell’uscita, ma dopo pochi passi<br />
si voltò come se volesse dire ancora qualcosa. Poi<br />
scosse la testa nello stesso modo sconsolato che Serra<br />
gli aveva già visto e si allontanò definitivamente.<br />
125
126<br />
15<br />
In un’indagine per omicidio, si deve partire dalla<br />
personalità della vittima.<br />
Stava rileggendo nella sua stanza d’albergo le carte<br />
dell’inchiesta e gli era venuta in mente quella frase<br />
di suo padre.<br />
Vittorio Serra aveva lavorato per anni nella squadra<br />
criminale della questura di Cagliari e all’apice della<br />
sua carriera di poliziotto c’era l’inchiesta sull’assassinio<br />
della contessa Salaris, un caso celebre nella Cagliari<br />
d’anteguerra. In quella circostanza, il nome di<br />
Vittorio Serra era perfino finito sulle pagine dell’“Unione<br />
Sarda”. Serra ricordava il giornale aperto sul tavolo<br />
della cucina e se stesso bambino che in ginocchio<br />
su una sedia compitava l’articolo, con la madre<br />
a guidargli l’indice da una parola all’altra: Con-magni-fico-sprez-zo-del-pe-rico-lo-il-ma-re-sciallo-Ser-ra…<br />
Da solo e senz’armi, Vittorio Serra era entrato nella<br />
stanza dove il conte Salaris, accusato di aver strangolato<br />
sua moglie (che lo tradiva), si era rinchiuso, minacciando<br />
di farsi saltare le cervella. Quando finalmente<br />
l’aveva convinto a consegnargli la pistola, il<br />
conte era scoppiato in singhiozzi. L’ultima volta che<br />
127
Luciano Serra aveva sentito suo padre rievocare quell’episodio<br />
pescavano al canale di Mamarranca e, dopo<br />
altri infruttuosi tentativi, avevano piazzato le lenze a<br />
campanelli. Lunghi minuti di silenzio in attesa di un<br />
tintinnio, e poi un’anguilla aveva abboccato. Seduto<br />
sul bordo del canale, intento a liberare l’anguilla dall’amo,<br />
il padre, senza particolare motivo - o, chissà,<br />
forse aveva associato l’agitarsi disperato dell’anguilla<br />
che teneva tra le mani a un altro agitarsi disperato,<br />
quello degli ultimi istanti della contessa Salaris -<br />
aveva chiesto al figlio: “Ti ricordi del conte Salaris?”<br />
Luciano Serra aveva mentito (“No”) per permettere a<br />
suo padre di raccontare quella storia, poi l’aveva ascoltata<br />
dall’inizio alla fine senza fargli domande.<br />
Ora avrebbe voluto farla una domanda a suo padre.<br />
In che modo la vita di uno come Bellassai poteva<br />
servire a comprenderne la morte? E su quale Bellassai<br />
aveva sparato l’assassino? Sul Bellassai seduttore? Sul<br />
giocatore indebitato? Sull’organizzatore di improbabili<br />
trame? Sul massacratore di indifesi?<br />
Queste e altre ipotesi suggerivano quelle carte. I<br />
verbali dei primi interrogatori. Le risposte distaccate<br />
della moglie di Bellassai, il suo alibi inattaccabile. La<br />
testimonianza dei due ascari che avevano trovato il<br />
cadavere. Fatti che Serra conosceva perfettamente, ma<br />
anche aspetti dell’inchiesta di cui Oppo, giudicandoli<br />
forse poco importanti, non l’aveva informato. Come,<br />
ad esempio, l’interrogatorio del conte Sinibaldi, condotto<br />
presso la Questura di Bologna.<br />
128<br />
“Sapevate della relazione tra vostra moglie e Bellassai?” /<br />
“Perfettamente.” / “E non ne eravate geloso?” / “Niente affatto.<br />
Ne ero anzi compiaciuto.” / “Come compiaciuto?” /<br />
“Compiaciuto che mia moglie fosse oggetto dell’ammirazione<br />
di un giovane e affascinante ufficiale del nostro esercito.”<br />
E c’erano i verbali degli interrogatori subiti da Sara<br />
Dirasse. Ne veniva fuori un alibi tutt’altro che solido,<br />
basato sull’unica testimonianza della cameriera etiope,<br />
pronta a giurare che quella notte la signorina Sara non<br />
si era mai mossa di casa.<br />
Uno smilzo fascicolo raccoglieva i verbali dell’indagine<br />
sulle impronte di copertoni individuate non lontano<br />
dal luogo del delitto. Nessuno dei camionisti interrogati<br />
era passato vicino al punto dove era stato<br />
trovato il corpo di Bellassai, nessuno almeno c’era<br />
passato la notte tra il 13 e il 14 maggio. Gazza Flavio,<br />
nato a Pontremoli il 13.XII.1901, dichiara quanto<br />
segue… Gazza Flavio la notte tra il 13 e il 14 maggio<br />
l’aveva passata con una prostituta locale, tale Bikila<br />
Mayrian, che opera nella zona tra la via Amba Alàgi e<br />
l’Ufficio Postale. Annotazione a margine firmata dall’agente<br />
che aveva condotto l’interrogatorio: Si attesta<br />
che la sciarmutta Bikila Maryan è conosciuta anche dal sottoscritto.<br />
Chissà, forse il poliziotto e il camionista si<br />
erano raccontati le rispettive esperienze con la sciarmutta<br />
in questione, o magari avevano solo confrontato<br />
le tariffe. C’era poi un Torriglia Vincenzo, che<br />
per provare di aver lasciato il suo camion nel cortile<br />
della Missione dei Padri Cappuccini, aveva allegato<br />
129
una dichiarazione del superiore della Missione. Ma la<br />
maggior parte degli interrogati avevano passato quella<br />
notte lontano da Addis Abeba. I verbali riportavano<br />
a luoghi e itinerari dalle risonanze esotiche: Harar,<br />
l’Ogadén, Gibuti, il lago Tana, Assab, Macallé-Asmara…<br />
…Macallé-Asmara. C’era qualcosa che non quadrava.<br />
Niccolai Nardo, proprietario del Fiat 634 targato Addis<br />
Abeba 1342, che conduce personalmente, dichiara che<br />
la notte tra il 13 e il 14 maggio ha percorso la strada che<br />
da Macallé porta ad Asmara. È arrivato ad Asmara alle<br />
prime luci dell’alba.<br />
In sé nulla di straordinario. Se non che tal Giuseppe<br />
Bertoli, altro camionista, in una precedente deposizione,<br />
dichiarava che il 13 maggio provenendo da Macallé<br />
non aveva potuto raggiungere Asmara a causa del<br />
crollo di un ponte. Crollo che si era verificato nella<br />
mattinata del 13 maggio, e Bertoli ricordava di aver<br />
dovuto sostare due giorni a Macallé, prima che la viabilità<br />
fosse ristabilita.<br />
Forse c’era una spiegazione plausibile per quella bugia<br />
e, se c’era, quel Niccolai gliela avrebbe data. Nel<br />
verbale si nominava il cantiere dove Niccolai lavorava.<br />
Per quello che era riuscito a capire di Addis Abeba,<br />
non era lontano dal centro. Questione di poco,<br />
l’indomani avrebbe sentito il camionista, senza bisogno<br />
di scomodare Carruezzo.<br />
Seguitò a riflettere sino all’alba, poi si addormentò<br />
130<br />
mentre il primo raggio di sole, infilandosi nella stanza<br />
dalla finestra socchiusa, illuminava le carte che aveva<br />
lasciato ai piedi del letto. Sognò di essere sul tram<br />
che lo portava verso Monserrato. Il Serra di oggi sul<br />
tram che aveva preso per anni da ragazzo, e anche il<br />
paesaggio lo stesso di allora: la strada assolata e polverosa<br />
che da piazza Italia, a Pirri, porta verso Monserrato,<br />
il canale verdastro, e all’ingresso del paese la<br />
grande costruzione della cantina sociale circondata<br />
dalle palme. Serra scendeva dal tram e si avviava verso<br />
il boschetto di palme, e arrivatoci le palme diventavano<br />
quelle di un’oasi in mezzo al deserto. L’Africa<br />
come un’oasi, un’oasi di palme e datteri. Ora era in<br />
una piccola radura sabbiosa dentro l’oasi. Sullo sfondo<br />
si scorgeva il profilo delle dune, e l’ombra di un<br />
uomo con in testa un turbante e in mano una scimitarra.<br />
C’era una donna con Serra, che gli si offriva, nera<br />
morbida e nuda. “Stai attento però,” diceva, “se ci vede<br />
mio marito ti taglierà la testa.” “Perché tuo marito<br />
dovrebbe vederci?” “È là,” rispondeva la donna e<br />
indicava l’uomo con la scimitarra.<br />
Si svegliò sudato e nel pieno di un’erezione.<br />
131
132<br />
16<br />
Arrivò al cantiere poco dopo Mezzogiorno. C’erano<br />
una decina di operai che mangiavano intorno a un lungo<br />
asse di legno poggiato su cavalletti. Serra aveva lasciato<br />
l’automobile sulla strada, ma ben visibile dal<br />
cantiere.<br />
– Sto cercando Niccolai Nardo. Mi hanno detto che<br />
avrei potuto trovarlo qui.<br />
– Siete della PAI? – chiese uno degli operai, indicando<br />
col mento l’automobile di Serra.<br />
– Sono della Polizia.<br />
– Niccolai è là, sta lavorando al suo camion, – disse<br />
l’operaio, – ora ve lo vado a chiamare.<br />
Non ci volle molto prima che Niccolai emergesse<br />
da sotto il camion e si presentasse a Serra. In canottiera,<br />
le mani e il viso sporchi di grasso, l’uomo era seguito<br />
da un cane dal pelo giallastro. Sia l’uomo che il<br />
cane davano l’idea di non passarsela troppo bene.<br />
– Niccolai Nardo sono io. In che cosa posso…<br />
– Forse sarebbe meglio trovare un posto dove parlare,<br />
– disse Serra.<br />
– Penso che la mia baracca vada bene.<br />
Mentre passavano vicino al camion Niccolai disse:<br />
133
– Ho paura che siano i giunti del semiasse. – Guardò<br />
il camion con aria sconsolata: – Se è così, sono fottuto,<br />
– aggiunse.<br />
– Non potete sostituire i pezzi?<br />
– Alla Fiat di Addis Abeba non li hanno. Devono arrivare<br />
dall’Italia. Ci vorranno mesi. Hanno detto tre,<br />
ma poi diventeranno quattro, cinque… e io nel frattempo<br />
sarò bello che fottuto.<br />
– Non avete un altro camion?<br />
– Sì, un altro camion… l’unico che ho è questo e lo<br />
devo ancora pagare! E se non lavoro…<br />
Arrivato di fronte alla baracca, Niccolai cedette il<br />
passo a Serra, ma il cane, sgattaiolando tra le gambe<br />
del camionista, infilò la porta.<br />
– Sempre in mezzo ai coglioni, cane di merda, – sibilò<br />
Niccolai e lo allontanò con un calcio<br />
Nella baracca c’era odore di chiuso. Il mobilio si riduceva<br />
a una branda sfatta, due sedie e uno specchio<br />
dove erano infilate delle fotografie. In un angolo, un<br />
secchio pieno a metà di acqua sporca.<br />
Niccolai fece il gesto di spolverare una sedia col<br />
dorso della mano.<br />
– State comodo, – disse, offrendola a Serra.<br />
– Il motivo per cui sono qui, signor Niccolai, è una<br />
vostra dichiarazione resa il 25 di maggio negli uffici<br />
di Addis Abeba della Polizia Africa Italiana relativa ai<br />
vostri spostamenti nei giorni 13 e 14 maggio…<br />
– Lo sapevo che sareste arrivati, lo sapevo… con la<br />
iella che mi ritrovo… lo sapevo.<br />
134<br />
– Al poliziotto che vi interrogava avete detto di essere<br />
arrivato ad Asmara nella notte tra il 13 e il 14<br />
maggio. Ora, questo è semplicemente impossibile.<br />
– Sì, lo so, quel maledetto crollo che ha bloccato per<br />
due giorni la strada. L’ho saputo più tardi da un camionista<br />
che era rimasto anche lui fermo.<br />
– E allora… dove eravate quella notte?<br />
– Sulla strada che da Addis Abeba porta a Lechemti.<br />
– Perché non l’avete detto al primo interrogatorio?<br />
– Il trasporto non era del tutto regolare, sapete…<br />
– Cosa portavate?<br />
– No, non per quello che trasportavo, non trasportavo<br />
niente di speciale, materiale da costruzione…<br />
erano le carte che non erano a posto… insomma era<br />
tutta roba senza bolla di accompagnamento. Mi è venuta<br />
la paura che mi avrebbero fatto altre domande se<br />
dicevo quello che avevo visto e allora veniva fuori…<br />
– Perché, cosa avete visto?<br />
– A un certo punto, nella strada per Lechemti, c’è la<br />
deviazione per Miagera. Io ho proseguito per la strada<br />
principale. Se non era che scendevo dal camion per fare<br />
un goccio magari non vedevo nulla, e invece sono sceso…<br />
c’era la luna piena, si vedeva benissimo. Mentre<br />
pisciavo ho guardato verso la strada per Miagera e ho<br />
visto quell’automobile… non era lontano e ho riconosciuto<br />
il modello, era una Aurelia. L’automobile era ferma,<br />
ma dentro al posto di guida c’era qualcuno, con la<br />
testa appoggiata sul volante, sembrava ubriaco e poi ho<br />
visto una donna, ma la donna era fuori dell’automo-<br />
135
ile… era tutta una scena strana, una automobile ferma<br />
lì in piena notte, ma la cosa più strana era la donna.<br />
– Perché strana?<br />
– Non è che qui se ne vedono tutti i giorni di indigene<br />
vestite all’europea.<br />
136<br />
17<br />
Sì, questo avrebbe dovuto fare per prima cosa, far rapporto<br />
a Carruezzo. Poi la catena si sarebbe messa in<br />
moto: Carruezzo avrebbe avvertito Oppo, Oppo avrebbe<br />
torchiato Sara Dirasse, Sara Dirasse avrebbe confessato,<br />
Graziani sarebbe stato soddisfatto della soluzione<br />
del caso, lui e Carruezzo, finalmente, sarebbero tornati<br />
a Roma. Anche l’anima sozza di Bellassai avrebbe sicuramente<br />
gioito da lassù. Ma bastava che una donna dalla<br />
pelle scura fosse vestita all’europea per identificarla come<br />
Sara Dirasse? No che non bastava, anche se… quante<br />
probabilità c’erano che non fosse lei? Poche, diciamolo,<br />
pochissime. Ci sarebbe stato poi il riconoscimento da<br />
parte del camionista, certo… di notte, però, a quella distanza?<br />
Sarebbe dovuto andare da Carruezzo, questo lo sapeva:<br />
prima il capo l’avrebbe ascoltato in silenzio, poi<br />
avrebbe vagliato i pro e i contro di un intervento immediato,<br />
e alla fine avrebbe deciso…<br />
Un impulso improvviso lo spinse a invertire il senso<br />
di marcia, andando così in direzione opposta non solo<br />
all’albergo ma anche alla caserma della PAI e a qualsiasi<br />
altro luogo dove avrebbe potuto far rapporto alle<br />
137
“autorità superiori”. Voleva essere lui a trovare il finale<br />
e voleva trovarlo subito, anche se non sapeva bene se il<br />
finale, una volta trovato, gli sarebbe piaciuto.<br />
Ricordava il nome della zona, Raffael o qualcosa del<br />
genere, e il fatto che fosse verso nord. In quelle sei<br />
settimane aveva acquistato una certa familiarità con<br />
Addis Abeba, ma ora non riusciva a individuare la<br />
villa di Fracassi. Giunto ad un incrocio, imboccò una<br />
larga strada sterrata, con l’idea di averla già percorsa.<br />
La strada coincideva con il ricordo che ne aveva, solo<br />
gli alberi piantati ai lati gli sembravano ora meno frequenti.<br />
Dopo poche centinaia di metri incontrò un<br />
gregge di pecore che pensò incustodito sino a quando<br />
da dietro un albero non spuntò un ragazzino con un<br />
camicione bianco lungo sino ai piedi e in mano un<br />
bastone nodoso. Armeggiando col bastone, il giovane<br />
pastore riuscì a portare le pecore ai bordi della strada<br />
quel tanto che bastava per lasciare un passaggio all’auto<br />
di Serra. Fu allora che il piccolo pastore sorrise,<br />
lasciando scorgere denti bianchissimi, e alzò il braccio<br />
destro in un gesto che era forse un saluto romano.<br />
L’auto giunse ad uno spiazzo dominato da una costruzione<br />
in muratura, intonacata a calce. Sulla facciata<br />
campeggiava la scritta in vernice rossa, Trattoria<br />
Napulitana. Era possibile che là qualcuno parlasse italiano.<br />
Fermò l’automobile e scese per chiedere informazioni.<br />
In una grande stanza in penombra, con al<br />
centro dei tavoli e qualche sedia, lo accolse un nano<br />
138<br />
dalla pelle scura. I capelli lisci e i tratti del volto facevano<br />
pensare a un indiano. Anche il gesto di saluto che<br />
gli rivolse - un breve inchino del capo con le mani<br />
giunte - confermò Serra in questa supposizione. Prima<br />
ancora che chiedesse qualcosa, il nano gli si fece incontro<br />
porgendogli la carta dei cibi.<br />
– Non voglio mangiare, – disse Serra, – mi servirebbe<br />
invece un’informazione. Ma il nano continuava<br />
a sventolargli il menù di fronte al viso.<br />
– Doro Wet Vesuvio, – lesse Serra a voce alta, non sapendo<br />
che fare.<br />
Il nano sottolineò l’interessamento di Serra per lo<br />
spezzatino di pollo con ampi cenni del capo. Poi avvicinò<br />
i polpastrelli alla bocca e ci soffiò sopra, un gesto<br />
che Serra interpretò come la promessa di speziati<br />
effluvi vulcanici, se avesse assaggiato il Doro Wet Vesuvio.<br />
– Non posso fermarmi a mangiare, – disse Serra,<br />
questa volta molto lentamente, – devo raggiungere<br />
Raffael e credo di aver perso la strada.<br />
– Raf-fa-el, – ripeté il nano, con una voce molto<br />
gutturale e distanziando le sillabe.<br />
Poi prese per mano Serra e lo condusse attraverso un<br />
andito che sbucava in un piccolo balcone posto sul retro<br />
dell’edificio. Il balcone si affacciava su un paesaggio<br />
inaspettatamente ampio, dominato dalla presenza<br />
degli eucaliptus. Solo in parte nascoste dagli eucaliptus,<br />
si intravedevano ai margini di una strada alcune<br />
ville. Più avanti, lungo la stessa strada, uno scorrere<br />
139
monotono di piccole case in muratura. Ancora più<br />
lontano, rompevano la continuità della foresta radure<br />
improvvise, popolate di capanne di paglia e fango.<br />
Qui Addis Abeba si rivelava per quel che era, casualità<br />
pura, foresta disboscata, meccanico raggrumarsi di esistenze.<br />
Il nano indicò la zona delle ville: – Raf-fa-el, – disse<br />
nello stesso modo gutturale e soffocato.<br />
140<br />
18<br />
Non ebbe difficoltà a trovare la villa di Fracassi.<br />
Fu Sara ad aprirgli il cancello:<br />
– Dottor Serra, che piacere vedervi, – disse venendogli<br />
incontro con indosso la tunica tradizionale delle<br />
etiopi, completamente bianca.<br />
Lo condusse nel salone della prima visita.<br />
– Sono qui per un motivo preciso, signorina Dirasse.<br />
Sara Dirasse ascoltò in piedi, impassibile. Il racconto<br />
del camionista, la donna dalla pelle scura vestita all’europea,<br />
i conseguenti sospetti.<br />
– Così siete giunto alla conclusione che fossi io la<br />
donna dell’automobile.<br />
– Non ho detto questo.<br />
– Non l’avete detto esplicitamente ma lo pensate.<br />
Altrimenti non sareste qui. D’altra parte, voi siete i<br />
padroni e siete voi a decidere chi è il colpevole.<br />
– Qui non si tratta di essere i padroni o meno, ma<br />
di scoprire chi ha ucciso Bellassai.<br />
– Lo volete sapere cosa penso: chiunque abbia ucciso<br />
Bellassai (e vi assicuro che non sono stata io) ha fatto<br />
solo un atto di giustizia.<br />
– Signorina Dirasse, se avete qualcosa da aggiungere<br />
141
a quanto detto sino ad ora, vi consiglio di farlo. Io non<br />
credo che voi abbiate ucciso Bellassai, credo però che<br />
nascondiate qualcosa. E forse questo qualcosa può servire<br />
a chiarire la vostra posizione. Ricominciamo da<br />
capo. Eravate l’amante di Bellassai?<br />
– Ecco quello che volete sentirmi dire, tutti quanti.<br />
Che io, la graziosa negretta, ero l’amante di Bellassai.<br />
Che di lui non ne volessi proprio sapere e che lo lasciassi<br />
a quelle della sua razza, questo non vi va giù.<br />
A me Bellassai faceva ribrezzo. Non era altro che un<br />
maiale.<br />
– Se è così che la pensate, perché siete uscita con<br />
lui? Perché lo frequentavate?<br />
– Ma voi cosa cercate? Cercate la verità? Ve la dico io<br />
la verità. La verità è che il giorno dopo l’attentato al viceré,<br />
bande d’italiani hanno cominciato a mettere a ferro<br />
a fuoco Addis Abeba, spaccando teste, incendiando,<br />
uccidendo, sparando nel mucchio. Sono morti migliaia<br />
di abissini. A nessuno importava che gran parte di loro<br />
non avesse nulla a che fare con la resistenza agli italiani.<br />
La volete sapere una seconda verità? A <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>,<br />
il vostro glorioso esercito coloniale in ventiquattro ore<br />
ha fucilato più di mille monaci. E volete sapere chi,<br />
tutte e due le volte, era in prima fila? Proprio lui, Bellassai.<br />
Ecco cosa siete voi italiani, siete dei maiali. Perché<br />
non ve ne andate? Perché non ci lasciate in pace?<br />
– Non sono stato io a decidere di conquistare l’Etiopia.<br />
E neppure a decidere di venirci, se è per questo.<br />
Faccio il poliziotto…<br />
142<br />
– Belle parole, ispettore. – Lo interruppe una voce,<br />
alle sue spalle.<br />
Serra si voltò e vide Fracassi. Usciva dalla penombra<br />
con una pistola in mano e avanzava verso il centro<br />
della sala.<br />
– Davvero belle parole, – ripeté.<br />
Anche se erano passate solo due settimane dall’ultima<br />
volta che l’aveva visto, a Serra parve dimagrito e<br />
come invecchiato.<br />
– Consegnatemi quella pistola, Fracassi. Sino ad ora<br />
non è successo nulla di irreparabile, nulla che non si<br />
possa rimediare, voglio dire… se voi consegnate subito<br />
la pistola, naturalmente.<br />
Un tono del genere, pensò Serra, doveva aver usato<br />
suo padre col conte Salaris che minacciava il suicidio.<br />
Non poteva dire di avere paura. Sentiva piuttosto una<br />
nausea allo stomaco che faceva tutt’uno con un senso<br />
di vuoto e inutilità.<br />
– Cosa volete che faccia? – domandò Serra, – volete<br />
che ascolti la vostra versione dei fatti? Sono qua per<br />
questo. – Avanzò verso di lui: – Coraggio Fracassi, datemi<br />
quella pistola.<br />
– Fermo ispettore, fermo dove siete. Non pensate<br />
che esiterei a sparare, se necessario.<br />
Sara nel frattempo si era allontanata da Serra e, facendo<br />
due passi di lato, si era trovata in un punto<br />
pressoché equidistante dai due uomini. Il suo sguardo<br />
passava dall’uno all’altro, seguendo le loro parole,<br />
come se qualcuna di queste potesse sfuggirle.<br />
143
– Cosa volete da me? – ripeté Serra, – che garantisca…<br />
– Voglio che teniate ben alte le mani sopra la testa,<br />
– lo interruppe Fracassi. – Non crediate che non mi<br />
senta ridicolo a dire cose del genere… eppure è quello<br />
che dovete fare, dovete tenere le mani alzate.<br />
– Via Fracassi, non penserete sul serio… non sono<br />
armato.<br />
– Lo so che non siete armato, non sarebbe nel vostro<br />
stile. Voi capite, però… – Sollevò verso l’alto la canna<br />
della pistola, scuotendo la testa. – Comunque sia, ora<br />
non dovete far altro che tenere le mani alzate e stare ad<br />
ascoltare quello che vi dirò. In fondo, Serra, mi fa piacere<br />
che siate stato proprio voi ad arrivare così vicino<br />
alla verità. Noi ci assomigliamo. Certo, lo so, voi siete<br />
un moralista e io… io, ho tanti difetti, ma non quello<br />
di essere un moralista. Ciò che ci accomuna è il fatto<br />
di trovarci fuori posto. È questa l’impressione che<br />
date, Serra: di essere fuori posto. Rispetto al mestiere<br />
di poliziotto, prima di tutto, ma anche qualcosa di<br />
più… rispetto all’Italia di oggi, starei per dire. Sappiate<br />
comunque che non è stata Sara ad uccidere Bellassai.<br />
Sara, anzi, stava per essere la vittima di un…<br />
come vogliamo definirlo?… un eccesso di trasporto<br />
amoroso da parte del nostro tenente. Siamo sinceri,<br />
Serra. Sono moltissimi gli italiani che come Bellassai<br />
scambiano l’Africa per una riserva di caccia. E che<br />
sono capaci di comportarsi come lui, quando la preda<br />
è riottosa. Bellassai quella notte si è presentato in que-<br />
144<br />
sta casa con la sua solita aria da padrone. Questa volta,<br />
però, c’era qualcuno a difenderla la preda. Dite che la<br />
difesa è andata troppo oltre? Forse. Ma suppongo che<br />
vi faccia piacere conoscere anche alcuni particolari. Ho<br />
seguito la vostra conversazione con Sara. Potete congratularvi<br />
con voi stesso. In effetti era Sara la donna di<br />
cui parla il camionista. Piuttosto non capisco come<br />
non mi abbia visto. Quello che il camionista non poteva<br />
né sapere né intuire è perché l’automobile fosse là.<br />
Dovevamo necessariamente portare Bellassai e la sua<br />
automobile lontani da questa casa… voi capite che la<br />
polizia, trovandolo qui, il corpo… Sia chiara una cosa,<br />
Serra: oltre a me e a Sara, nessuno si è accorto di nulla<br />
e sa nulla. Né i domestici né Caporale. Vi sto regalando<br />
la soluzione del caso. Restituitemi il favore, ve<br />
ne prego, convincete la PAI che gli altri abitanti di<br />
questa casa sono assolutamente estranei alla morte di<br />
Bellassai. Forse non ci crederete, ma non mi dispiace<br />
lasciarmi alle spalle tutto questo. Vedete, la mia vita è<br />
stato un progressivo penetrare dentro l’Africa. Quello<br />
che sto compiendo è solo un passo ulteriore, anche se<br />
è il passo definitivo. Voglio essere inghiottito dall’Africa,<br />
voglio sparire dentro di lei. Ora però vi devo lasciare.<br />
Spero che capirete che quello che sto per fare…<br />
Serra vide la sagoma grande e alta di Fracassi farglisi<br />
più vicina e poi lo vide che sollevava la pistola e poi<br />
l’ultima cosa che vide fu il buio.<br />
145
146<br />
19<br />
Fu Serra stesso a consegnare il diario.<br />
La guerra era appena finita e la Divisione Affari Generali<br />
e Riservati si andava ristrutturando. Serra ne<br />
approfittò per chiedere di essere sollevato da incarichi<br />
operativi. Quando gliene domandarono il motivo rispose<br />
di non vedersi più nei panni del poliziotto. Le<br />
cose erano cambiate, diceva, e anche lui si sentiva diverso.<br />
Nel novembre del 1946, un processo di epurazione<br />
coinvolse alcuni dirigenti del Ministero dell’Interno.<br />
Serra fu chiamato a testimoniare sul caso Bellassai.<br />
Parlò a lungo di fronte al giudice, forse più a<br />
lungo di quanto ci si attendesse da lui, parlò come se<br />
raccontando quella storia in pubblico potesse trovare<br />
in essa nuovi significati. A chi lo sentì in quella circostanza<br />
parve un personaggio straniero, straniero all’Italia<br />
d’ieri e a quella che stava nascendo.<br />
Pochi giorni più tardi chiese di parlare al giudice che<br />
lo aveva interrogato. Aveva qualcosa da aggiungere,<br />
c’erano circostanze che non aveva chiarito. Quando<br />
menzionò <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, il giudice si irrigidì sulla sedia<br />
e disse che quella faccenda, di cui per altro sapeva<br />
ben poco, nulla aveva a che fare con la materia del pro-<br />
147
cesso. Al termine della conversazione, che si era svolta<br />
nello studio del giudice, Serra gli porse un quadernetto.<br />
“Un diario africano” disse. “Lo tenga lei.” Poi sorridendo<br />
aggiunse: “A futura memoria.”<br />
148<br />
20<br />
3 ottobre 1937<br />
Eupremio insiste che tutto è chiaro, o quasi. Sia che<br />
Fracassi fosse l’amante di Sara, o che avesse nei suoi<br />
confronti un affetto di tipo paterno, in tutti e due i<br />
casi il suo comportamento si spiega benissimo. Questo<br />
è quello che sostiene e questa secondo lui la successione<br />
dei fatti. Dopo la serata dalla contessa Sinibaldi,<br />
Bellassai va da Sara. Lei lo riceve. Lui rinnova<br />
le sue avances. Lei si nega. Bellassai cerca di prendersi<br />
con modi spicci ciò che moltissime donne sono ansiose<br />
di dargli, ma che Sara non gli concede. Sara urla.<br />
Fracassi accorre con in mano una pistola. Bum… bum.<br />
Poi il trasporto del cadavere, con la stessa automobile<br />
di Bellassai, lungo la strada per Lechemti. Eupremio,<br />
bontà sua, menziona una terza ipotesi, basata su un<br />
sentimento più ambiguo da parte di Sara nei confronti<br />
di Bellassai. Disprezzo e attrazione insieme. Dall’altra<br />
parte una passione divorante di Fracassi nei confronti<br />
di Sara. Il movente, allora, sarebbe la gelosia.<br />
“Ma è una terza ipotesi”, sentenzia Eupremio, “che lascerei<br />
perdere. Sa troppo di Pitigrilli e Pitigrilli non<br />
mi piace.”<br />
149
Cosa obietto al teorema di Eupremio? Nulla per quanto<br />
riguarda la pura e semplice ricostruzione dei fatti,<br />
molto per quanto riguarda il movente.<br />
4 ottobre<br />
Forse gli occhi a mandorla di Sara hanno cominciato<br />
a guardare con amore Fracassi una volta che lui a Carnevale<br />
si è vestito all’etiope. Forse Fracassi indossava<br />
una inverosimile tenuta da antico dignitario della corte<br />
negussita (il turbante, l’ampio mantello rosso, il caffettano<br />
dai bordi ricamati) e ha declamato in amarico<br />
le parole di un canto d’amore. Oppure è stata lei a conquistare<br />
lui, quando a Massaua l’ha vista scendere dalle<br />
scalette del piroscafo, di ritorno dall’Europa, con un<br />
tailleur color malva e la veletta appuntata a un capello<br />
di velluto nero. O forse non è l’amore a legarli ma il<br />
sentimento che i due provano nei confronti della zia di<br />
Sara, la uoizerò Jesciac Dirasse (devozione filiale da parte<br />
di Sara e amore da parte di Fracassi).<br />
5 ottobre<br />
Non voglio dire che il movente non sia quello indicato<br />
da Eupremio. C’è qualcosa di più, però. Il discorso<br />
che Fracassi mi ha fatto puntandomi addosso la pistola:<br />
non lo definirei una confessione, ma una rivendicazione,<br />
ecco, sì, una rivendicazione. Fracassi non<br />
aveva nessun reale interesse a raccontarmi le cose che<br />
mi ha raccontato, se non quello di rivendicare il suo<br />
gesto.<br />
150<br />
6 ottobre<br />
Madame Dressler ha organizzato una cena per salutarci,<br />
invitando anche Hitchens. Deliberatamente seduttiva<br />
nei confronti di Eupremio. Che si dimostra estasiato,<br />
ma è anche capace di arrossire ad ogni “Colonel<br />
Carruezzò” di Madame. Vini francesi e italiani, notevolissimo<br />
un Sauternes, miracolosa la presenza di una<br />
Malvasia di Bosa (chiaramente in mio onore) che Madame<br />
ha scovato chissà dove. Brani di conversazione<br />
sul finire della cena: “La signora Carruezzò sarà ben felice<br />
di riabbracciarvi”, fa Madame. “Non esiste una signora<br />
Carruezzo”, precisa Eupremio. “Vi sarà pure qualcuna”,<br />
si avventura Madame. Eupremio: “Solo la vecchia<br />
madre ci attende”. Lo dice con aria sconsolata e<br />
voce cavernosa, alla Memo Benassi: sublime!<br />
8 ottobre<br />
Non mi dispiacerebbe se, come ho sentito, Sara Dirasse<br />
e Fracassi fossero riusciti a fuggire in Kenia. Che<br />
le autorità coloniali inglesi lo neghino, non vuol dire<br />
nulla. Per loro sarebbe imbarazzante accoglierli ma<br />
ancora di più non accoglierli, soprattutto dopo il can<br />
can dei giornali inglesi che hanno raccontato tutta la<br />
faccenda come se Sara fosse Giuditta e Bellassai Oloferne<br />
(anche se, materialmente, a fare il lavoro di Giuditta<br />
è stato Fracassi). Avranno ragione i giornali inglesi?<br />
Non ci sono prove che Sara fosse in qualche<br />
modo legata ai ribelli come dicono quelli del SIM,<br />
che per far sentire che esistono direbbero qualsiasi<br />
151
cosa. Eppure a voler prendere sul serio questa congettura,<br />
si potrebbe arrivare a pensare che Sara fosse il contatto<br />
cercato da Bellassai per il falso attentato a Graziani.<br />
9 ottobre<br />
È una settimana che ho ripreso a fumare. Fumare mi<br />
piace, mi piace il gesto, mi piace il sapore e mi piace<br />
il pacchetto delle Giubek. Curioso il momento in cui<br />
ho deciso di riprendere. Dopo che Fracassi mi ha colpito<br />
col calcio della pistola e ho perso i sensi, mi sono<br />
svegliato legato e imbavagliato in uno stanzino. È stato<br />
proprio al risveglio nello stanzino, quando ancora<br />
non riuscivo a capire dove fossi e perché mi facesse così<br />
male la testa, che ho pensato a una Giubek come all’unica<br />
cosa che avrebbe potuto consolarmi.<br />
9 ottobre sera<br />
Ricevuti dal viceré. Ci ha liquidati in due minuti,<br />
freddissimo. Sappiamo che é molto incazzato per come<br />
si è conclusa l’inchiesta. Non tanto per la fuga dei due,<br />
ma per l’eco che la faccenda ha avuto sulla stampa straniera,<br />
quella inglese in particolare. Alcuni giornali<br />
inglesi hanno collegato il caso Bellassai a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>,<br />
non si capisce bene su quale altra base se non<br />
quella che Bellassai a <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> c’era. Ma tant’è.<br />
Graziani pensa (a ragione) che episodi come quelli di<br />
<strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> lo mettano in cattiva luce, mettano in<br />
cattiva luce la sua capacità di comando. Va anche detto<br />
152<br />
che <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong> è il prodotto di un modo di stare<br />
in Abissinia che è quello di Graziani.<br />
10 ottobre<br />
Hitchens ci ha letto l’articolo che ha pubblicato sul<br />
“Daily Mail” a proposito del caso Bellassai. Anche lui<br />
tira fuori <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, ma non lo mette in diretto<br />
rapporto col caso. Hitchens ha informazioni dettagliate<br />
su <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong>, di cui parla come di “una strage degli<br />
innocenti”. Eupremio era visibilmente imbarazzato.<br />
Anch’io sono dell’idea che si tratta di un lavoro da<br />
macellai. È un’idea, però, che tengo rigorosamente per<br />
me. Sono stufo.<br />
11 ottobre<br />
L’ho trovata a tarda sera che mi aspettava nella hall<br />
dell’albergo. Senza trucco e senza abito luccicante, quasi<br />
non la riconoscevo. Melina mi è venuta incontro:<br />
“So che è il vostro ultimo giorno ad Addis Abeba, volevo<br />
ringraziarvi.” Le ho chiesto di che cosa volesse<br />
ringraziarmi, non avevo fatto nulla per lei. Avevo scoperto<br />
l’assassino di Bellassai, ecco cosa avevo fatto, e<br />
alla mia osservazione che quell’assassino, dopo averlo<br />
scoperto, mi era anche scappato dalle mani ha ribadito<br />
che, insomma, mi era grata lo stesso. Ha pronunciato<br />
queste ultime parole lasciandole sospese, come per<br />
creare in me un senso d’attesa.“Questa volta non sono<br />
il regalo di nessuno,” ha quasi sussurrato a un certo<br />
punto.<br />
153
Più tardi, in camera sua, m’ha detto: “Vedi, non è<br />
impossibile trovare un po’ di tenerezza.”<br />
13 ottobre<br />
Arrivati a Massaua. Il caldo soffocante fa rimpiangere<br />
l’altopiano. Eupremio di ottimo umore: già sente<br />
l’aria di casa. Imbarco sul Vittorio Emanuele II. Seguo<br />
Eupremio, che non ha il minimo senso dell’orientamento,<br />
lungo interminabili corridoi alla ricerca delle<br />
nostre rispettive cabine. Finalmente sistemati. Pranzo<br />
veloce. Siesta. Partenza al tramonto.<br />
16 ottobre<br />
Mare decisamente calmo. Ieri abbiamo partecipato<br />
alla tombola. Eupremio ha vinto un portasigari in similavorio<br />
e questo lo ha reso euforico. Nel pomeriggio<br />
arriveremo a Suez e la nave si fermerà per qualche<br />
ora.<br />
17 ottobre<br />
Il sole è già tramontato e le ombre della notte inghiottono<br />
il deserto. È come se intorno a noi non ci fosse più<br />
nulla. Disegnato dalle luci delle navi che lo percorrono<br />
in fila, solo il canale esiste. Tenendo lo sguardo diritto<br />
verso Nord, si vedono tremolare le luci di Porto Said.<br />
18 ottobre<br />
Il Mediterraneo mi sembra livido, dopo il Mar Rosso.<br />
154<br />
20 ottobre<br />
Domani mattina alle 7 entreremo nel porto di Napoli.<br />
Affacciati a prua, silenziosi, scrutiamo la notte. Il<br />
cavaliere è immerso nei suoi pensieri. Corruga la fronte.<br />
Invece io ho il cuore sgombro e come il portoghese Yanez<br />
accendo l’ennesima sigaretta.<br />
155
156<br />
007<br />
015<br />
019<br />
027<br />
035<br />
043<br />
051<br />
057<br />
067<br />
069<br />
077<br />
097<br />
107<br />
115<br />
127<br />
133<br />
137<br />
141<br />
147<br />
149<br />
INDICE<br />
157<br />
Cap. 01<br />
Cap. 02<br />
Cap. 03<br />
Cap. 04<br />
Cap. 05<br />
Cap. 06<br />
Cap. 07<br />
Cap. 08<br />
Cap. 09<br />
Cap. 10<br />
Cap. 11<br />
Cap. 12<br />
Cap. 13<br />
Cap. 14<br />
Cap. 15<br />
Cap. 16<br />
Cap. 17<br />
Cap. 18<br />
Cap. 19<br />
Cap. 20
Volumi pubblicati:<br />
Tascabili<br />
Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />
Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />
Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />
Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />
Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2 a edizione)<br />
Maria Giacobbe, Il mare (2 a edizione)<br />
Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />
Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />
Giulio Angioni, L’oro di Fraus<br />
Antonio Cossu, Il riscatto<br />
Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />
Ernst Jünger, Terra sarda<br />
Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a edizione)<br />
Luciano <strong>Marrocu</strong>, Fáulas (2 a edizione)<br />
Gianluca Floris, I maestri cantori<br />
D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />
Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />
Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò<br />
Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />
Francesco Masala, Il parroco di Arasolè<br />
Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi<br />
Salvatore Niffoi, Cristólu<br />
Giulio Angioni, Millant’anni<br />
Luciano <strong>Marrocu</strong>, <strong>Debrà</strong> <strong>Libanòs</strong><br />
Giorgio Todde, La matta bestialità<br />
Narrativa<br />
Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />
Marcello Fois, Nulla (2 a edizione)<br />
158<br />
Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />
Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />
Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />
Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />
Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />
Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />
Poesia<br />
Giovanni Dettori, Amarante<br />
Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />
Gigi Dessì, Il disegno<br />
Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza<br />
Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole<br />
Saggistica<br />
Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />
Dino Manca, Voglia d’Africa. La personalità e l’opera di un poeta<br />
errante<br />
Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in Pascale<br />
Dessanai<br />
FuoriCollana<br />
Salvatore Cambosu, I racconti<br />
Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre<br />
Alberto Masala - Massimo Golfieri, Mediterranea<br />
I Menhir<br />
Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />
Antonio Pigliaru, Il banditismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />
In coedizione con Edizioni Frassinelli<br />
Marcello Fois, Sempre caro<br />
Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />
159
Stampa: Studiostampa - Nuoro<br />
160