Ricerche e proposte per il Progetto Cultura Materiale - Provincia di ...

RICERCHE E PROPOSTE
PER IL PROGETTO
CULTURA MATERIALE
HERITAGE STUDIES
RESEARCH PROJECTS AND PROPOSALS
a cura di / edited by
Antonietta Cerrato, Antonio De Rossi, Cristina Franco
Novembre 1998

Questa raccolta che presenta i risultati delle ricerche svolte presso il Dipartimento di Progettazione
architettonica del Politecnico di Torino per la Provincia di Torino è stata realizzata i n occasione del
convegno internazionale "La costruzione di una rete di ecomusei. Esperienze europee e il progetto
della Provincia di Torino", Torino, Centro Congressi Torino Incontra, 16-17 novembre 1998.
I criteri di impostazione della raccolta sono stati discussi con Liliana Bazzanella, Carlo Olmo,
Chiara Ronchetta, Patrizia Picchi.
Traduzioni a cura del Target Language S.r.l.
I n copertina foto di Pino Dell'Aquila
This folder, which presents the results of research performed by the Department of Architectural Design
of the Polytechnic of Turin on behalf of the Province of Turin, has been prepared on the occasion of the
international conference "The Setting Up of a Network of Ecomuseums. European Experiences and the
Project for the Province of Turin"; to be held in Turin at the "Torino Incontra" Conference Center, November
16-17, 1998.
The criteria applied in the preparation of this folder have been discussed with Liliana Bazzanella,
Carlo Olmo, Chiara Ronchetta and Patrizia Picchi.
Translated from the Italian by Target Language S.r.l.
Cover photo by Pino Dell'Aquila
Stampa: Tipolito Subalpina S.r.l. - Cascine Vica - Rivoli (Torino)
© Provincia di Torino - 1998

Indice
Summary

Presentazione
Presentation
Valter Giuliano
Assessore alle Risorse naturali e culturali
Provincia di Torino
Sempre di più si va affermando un
allargamento concettuale del termine
"bene culturale" che lo colloca in
stretta relazione con il territorio che
lo ha prodotto. Quando poi il bene
culturale al centro dell'interesse
appartiene alla categoria della cultura
materiale la contestualizzazione delle
operazioni di conoscenza, riconoscenza
e valorizzazione diventa indispensabile.
Risulta allora punto di riferimento
obbligato lo strumento dell'ecomuseo,
evoluzione di quel museo del
territorio che ha origini antiche specie
nell'Europa settentrionale e centrale.
Messi a punto prima da Hugue de
Varine Bohan nel 1971, poi da
George Henri Rivière, le elaborazioni
teoriche del concetto di ecomuseo
hanno aperto nuove prospettive
alla moderna museologia del territorio,
modernizzando la concezione di
fine ottocento dei musei territoriali
realizzati sul modello che Artur
Hazelius sperimentò con il Nordiska
Museet di Skansen (Stoccolma).
La Provincia di Torino, con il Progetto
Cultura Materiale, si è inserita in questo
filone con l'obiettivo di valorizzare
le specificità territoriali e mettendole
in rete farne un sistema di
adeguata appetibilità per la fruizione
culturale diffusa.
The term "cultural patrimony" is
increasingly being broadened
conceptually, placing it in close
relationship with the territory that has
produced it. So, when the cultural
patrimony at the centre of attention
belongs to the category of heritage
studies, it becomes indispensable to
contextualise learning, rediscovering
and valorisation activities.
Therefore, the instrument of the
ecomuseum, which is an evolution of
the museum of the territory with
ancient origins, especially in north
and central Europe, becomes a
necessary reference point.
Firstly defined by Hugue de Varine
Bohan in 1971, then by George
Henri Rivière, the theoretic
formulations of the concept of
ecomuseum have opened up new
prospects to modern territorial
museology, modernising the late
nineteenth century concept of
territorial museums developed on
the model that Artur Hazellus
experimented with the Nordiska
Museet in Skansen (Stockholm).
With the Heritage Studies Project,
the Province of Turin has entered
this theme in the aim of valorising
specific territorial features and putting
them into a network in order to make
them become a system appealing

Ma I'ecomuseo, con il collegato riferi
mento alle comunità e alla loro
omogeneità demo antropologica
comporta l'introduzione dell'innovativo
concetto di bioregione, che presuppone
un ridisegno complessivo
delle categorie di pensiero cui siamo
abituati e da cui deriva una definizione
del territorio basato sulla considerazione
dei fenomeni vitali che in
esso si verificano. Quindi di tutti i
sistemi creati dall'uomo nei rapporti
con il territorio: agricoltura, cultura,
uso della lingua, caratterizzazione
vegetazionale e faunistica.
Una vera rivoluzione concettuale che
tuttavia può essere di qualche aiuto
nell'applicazione e nell'attua lizzazione
del concetto di ecomuseo che
anticipa questa stretta simbiosi tra
cultura e natura, tra uomo e territorio.
Se questi sono riferimenti concettuali
del Progetto Cultura Materiale,
altri sono gli obiettivi concreti che la
Provincia di Torino si è posta per
dare risposte concrete a domande
che il territorio pone, in termini di
nuova occupazione e di economia
innovativa legata alla valorizzazione
delle culture locali.
La risposta delle comunità locali, che
non si sono affatto sentite colonizzate
dal nostro intervento, ma anzi aiutate
e supportate senza interferenza
alcuna sulle loro originalità e volontà
di esprimersi, ci ha confortato.
Abbiamo cercato di fornire loro quello
specchio in cui riflettersi e riflettere,
per aprirsi al dialogo con l'esterno,
per riconoscersi e farsi conoscere,
che è tra gli obiettivi dell'ecomuseo.
Abbiamo cercato di fornire
loro lo specchio migliore, non fondi di
bottiglia adattati per l'occasione.
E i n questa maniera pensiamo di
aver fornito loro un servizio prezioso.
II lavoro svolto con la proficua collaborazione
scientifica del Dipartimento
di Progettazione architettonica del
Politecnico di Torino ha dato risposte
enough to attract a lot of people to
follow the itineraries.
But the ecomuseum with the
connected reference to the
communities and to their demo
anthropological homogeneity
involves the introduction of the
innovative concept of "bioregion",
which calls for overall re-designing of
the classes of thought we are used
to and which results in a definition of
the territory based on the
consideration of the vital phenomena
that occur within it, thus of all the
systems created by man in his
relationship with the territory:
agriculture, culture, use of the
language, characterisation of the
vegetation and fauna.
A veritable conceptual revolution
which can however be of some help
in the application and modernisation
of the concept of ecomuseum which
anticipates this close harmony
between culture and nature, between
man and the territory. If these are
the conceptual references of the
Heritage Studies Project, the
concrete objectives, the Province of
Turin has set itself to offer concrete
answers to the questions posed by
the territory, in terms of new
employment and innovative economy
linked with the valorisation of local
cultures, are different.
The response of the local
communities, who did not feel in any
way colonised by our intervention,
but to the contrary helped and
supported with no interference
whatsoever on their originality and
wishes to express themselves,
fortified us. We have attempted to
offer them the mirror in which to be
reflected and reflect, in order to open
up to dialogue with the outside world,
identify themselves and make
themselves known, which is one of
the targets of the ecomuseum. We
have attempted to offer them the

pratiche, operative, all'idea concettuale
posta alla base del concetto
di ecomuseo. Ed ha delineato sempre
più concretamente quel sistema
culturale articolato sulle specificità
territoriali.
Le ricerche presentate in questa
sede riguardano un filone particolare
di intervento e di ricerca, quello
legato al patrimonio industriale e protoindustriale.
Come le ricerche dimostrano l'approccio
al problema del conservare
la memoria, è attento al recupero e
al riuso dei contenitori architettonici,
dei manufatti, degli strumenti, delle
macchine e dei siti di lavoro, ma si
preoccupa anche di ricostruire il contesto
sociale, culturale, economico
con le complesse reti di relazione
tra fabbrica e società, tra processi
produttivi ed evoluzione scientificotecnologica.
Solo in questo modo,
insieme alla storia e alla memoria
si salvaguardano i saperi sedimentatisi
negli anni e quei saperi di fare
che rappresentano parte importante
della cultura materiale.
L'impegno della Provincia di Torino,
che del Progetto Cultura Materiale ha
fatto l'elemento principale delle sue
politiche culturali di legislatura, si
completa con l'impegno nel riordino
della rete dei nuclei museali dedicati
all'etnografia e alla società contadina
e con la progettazione di un
"Science CenteC da realizzarsi a
Torino ma con articolazioni su tutto
il territorio provinciale, là dove sono
collocati i punti di eccellenza e di
frontiera della ricerca scientifica e
tecnologica.
Tutto ciò con la prospettiva di una
ipotesi di lavoro che si prefigge di
porre in concreta relazione la pianificazione
e il coordinamento territoriale
come strumenti concreti per il
raggiungimento del fine della valorizzazione
dei beni culturali quali
risorse economiche del territorio.
best mirror possible, not merely
bottle bottoms adapted for the
occasion.
In this manner, we believe we have
provided them a precious service.
The work carried out with the fruitful
scientific collaboration of the
Architectural Design Department of
the Polytechnic of Turin has given
practical, operative answers to the
idea at the basis of the concept of the
ecomuseum and it has ever more
concretely outlined that cultural
system pivoting on the specific
features of the territories.
The papers presented here concern
a particular theme of intervention and
research concerning the industrial
and protoindustrial heritage.
As the papers show, the approach to
the problem of preserving the
memory is attentive to the recovery
and re-use of the architectural
structures, hand-made items, tools,
machines and work sites, but it also
involves re-constructing the social,
cultural and economic context with
the complex networks of relationship
between the factory and society and
between production processes and
scientific-technological evolution.
Only in this way, together with history
and memory is it possible to
safeguard the knowledge that has
laid dormant over the years and
particular know-how which represent
an important part of heritage studies.
The commitment of the Provincial
Council of Turin, which has made
the Heritage Studies Project the key
element of its cultural policies during
the period of office, is completed
with commitment in the reorganisation
of the networks of
museums devoted to ethnographics
and rural society and with the design
of a Science Centre to be set up in
Turin, but with branches across the
whole provincial territory, in the
points identified as outstanding and

L'obiettivo è inoltre quello di dare
alle politiche di valorizzazione in
ambito territoriale, che per lo più producono
interventi puntiformi suggeriti
da emergenza e occasionalità,
un collegamento capace di indurre
effetti moltiplicatori.
Questi potranno essere adeguatamente
messi in azione solo interrelandoli
con settori contigui quali l'ambiente,
il turismo, il tempo libero.
In questa prospettiva di superamento
della ancora troppo diffusa tendenza
all'autoreferenzialità degli attori delle
politiche di valorizzazione culturale,
la Provincia si propone elaborare un
modello innovativo con funzioni di
promozione e di coesione territoriale
anche sulle tematiche dei beni e
delle politiche culturali, in aderenza
al ruolo di coordinamento e di programmazione
nonché di funzioni
amministrative in materia di valorizzazione
dei beni culturali che la legge
1 42/1990 attribuisce al nostro ente.
Sulla base delle esperienze, del ruolo
e degli impegni che le Province
hanno messo in atto con i patti territoriali
di sviluppo ci sembra proponibile
un trasferimento metodologico
capace di costruire analoghe concertazioni
e collaborazioni per progetti
integrati di sviluppo culturale
ed economico di un territorio.
L'ipotesi, sulla quale non sembra
i nutile spendere qualche energia, è
quella di un "parco culturale" inteso
come sistema di beni, attività e servizi
incentrato su un territorio circoscritto,
omogeneo, con una forte
identità culturale, sociale, storica.
Se vogliamo, l'evidenziazione di
quello che prima abbiamo ricordato
essere concettualmente il motivo
ispiratore della bioregione.
Ma su questo nuovo fronte che intendiamo
aprire ci sarà motivo di discutere
in futuro.
Per intanto consegnamo con soddisfazione
all'attenzione dei lettori que-
pioneering locations of scientific and
technological research.
All of this with the prospect of a
working programme aimed at placing
territorial planning and co-ordination
in concrete relation as concrete tools
with which to achieve the objective of
the valorisation of the cultural
patrimony as the economic
resources of the territory.
The aim is also to give the valorisation
policies in the territorial context which
mostly produce scattered intervention
intimated by emergency and chance,
a connection capable of inducing
multiplying effects.
These will only be able to be
adequately put into action by interrelating
them with neighbouring
sectors such as the environment,
tourism, leisure time.
Within this prospect of overcoming
the still too popular tendency of the
actors of cultural valorisation policies
towards self-reference, the province
intends to draw up an innovative
model with territorial promotional and
cohesion functions, also on the issues
of cultural patrimony and policies, as
co-ordinators and planners in addition
to the administrative functions on the
subject of the valorisation of the
cultural patrimony that law 142/1990
attributes to our organisation.
On the grounds of the experiences,
role and commitments that the
provinces have brought into being
through the territorial agreements for
development, it would seem possible
to transfer this method to similar
arrangements and collaborations for
integrated projects for the cultural
and economic development of a
territory.
The idea on which it would seem
helpful to spend some energy is that
of a "cultural park" in the meaning of
a system of goods, activities and
services based on a circumscribed,
homogenous territory with a strong

sto primo rapporto che evidenzia, al
di là della puntuale presentazione
dei singoli progetti, un filo conduttore
portante di qualche significato ed
elementi preziosi di analisi sulle politiche
di valorizzazione dei beni culturali
territoriali della nostra provincia.
cultural, social and historical identity
in other words, the highlighting of
the inspiring theme behind the
"bioregioni" as recalled previously.
But there will be reason to discuss
this new issue we intend to take up
in the future.
Meanwhile, we are satisfied to let
our readers have this first report
which shows the more meaningful,
key guiding thread and precious
elements of analysis on the policies
for valorising the territorial cultural
patrimony of ourprovince, in addition
to the careful presentation of the
individual projects.

Introduzione
Foreword
Carlo Olmo
Ci sono immagini ricorrenti nella letteratura
sugli ecomusei che è opportuno
oggi discutere. L'ecomuseo
nasce anche per affermare nuove
"oggettività": le culture materiali, più
comprensive e persuasive di quelle
elitarie, il territorio come nuovo device
in grado di ricomprendere quasi
ogni forma dell'agire umano, la ricerca
di imparzialità del lavoro del ricercatore
(e in particolare dello storico)
rispetto al tema della propria analisi,
l'eguaglianza di ogni traccia e la
messa in relazione come unico percorso
insieme di lettura e di esposizione.
Che le culture non possano
essere distinte in base all'oggetto
osservato, che lo spazio debba tornare
a essere un principio ordinatore
del racconto della vita degli uomini,
che lo storico debba essere obiettivo,
imparziale ricercatore della più
attendibile verità, appaiono oggi idee
comunemente accettate: come, purtroppo,
il rapporto quasi necessario
che lega il lavoro che lo storico svolge
e la lunghezza, l'accuratezza, la
pignoleria, ma anche la noia del suo
lavoro e delle restituzioni che spesso
fornisce.
L'immagine radicalmente etica, fortemente
deterministica, sostanzialmente
autorepressiva che gli ecomusei
oggi trasmettono, è figlia
There are recurring images in the
literature on ecomuseums that are
worthwhile discussing today. The
ecomuseum also originates as an
affirmation of new "objectivities":
material cultures, more comprehensive
and persuasive than elitist cultures,
the territory as a new device capable
of re-understanding almost every
form of human activity, the search for
impartiality in the work of the
researcher (in particular of the
historian) with regard to the subject
he is analyzing, the equality of every
trace and its placing into relation as
the only route for interpretation and
exposition. That cultures cannot be
distinguished on the basis of the
object observed, that space must
once again become an ordering
principle in the telling of the lives of
men, that the historian must be an
objective, impartial researcher of the
most believable truth, appear today
to be commonly shared opinions: as
in the case, unfortunately, of the
almost necessary relationship that
ties the work the historian performs
to the length, the accuracy, the
punctiliousness, but also to the
boredom of his work and to what it
often provides in return.
The radically ethical, strongly
deterministic and essentially self-

anche di questa impostazione. Nati
" in opposizione" alle forme e ai contenuti
di musei di cui si contestavano
le memorie (e i modi della loro
esposizione), oggi molti ecomusei,
ma forse l'idea stessa che ne è alla
base, rischiano di andare dietro a
una cultura della conservazione,
assunta a ideologia di società in
troppo rapida trasformazione (e la
cui direzione appare davvero difficile
decifrare). Certamente la stagione
delle culture materiali, della microstoria,
della riscoperta delle tecniche
non legate all'automazione rigida,
hanno alimentato interpretazioni
delle culture contadine e industriali
meno schematiche, più attente alle
diversità regionali come temporali,
capaci di dar voce ad attori troppo
spesso ridotti a semplici cori.
Consumata la rottura, oggi tuttavia
emerge quanto in quelle esperienze
poteva rimanere implicito: la necessità
per lo storico (ma anche per
ogni messa in scena espositiva) di
selezionare e di mettere in gerarchia
i propri materiali. Le culture che
trovano ospitalità negli ecomusei
sono tutte culture dove quantità e
contesto giocano un ruolo essenziale,
dove quasi per principio nulla
deve essere unico e irripetibile e
dove l'oggetto sottratto al contesto
diventa muto. Un atteggiamento,
prima politico che scientifico, nato
dall'autentica paura di perdere
memorie sostanziali (contadine
prima, operaie e tecniche poi), e con
la memoria l'identità stessa di intere
popolazioni. L'attenzione poi ai temi
dei nuovi regionalismi, nati, non a
caso negli anni Cinquanta, dalla crisi
degli internazionalismi (politici, ma
anche artistici) e prosperati sul horror
vacui che la globalizzazione (vera
e propria ideologia di questa fine di
millennio) induce, ha dato al rapporto
con il territorio, all'idea stessa
che potesse esistere una dimensio-
repressive image that ecomuseums
currently convey is also the result of
this approach. Having been
originated "in opposition" to the forms
and contents of museums whose
memories (and ways in which they
were exhibited) were disputed, today
many ecomuseums, and perhaps the
very idea on which they are based,
risk going back to a culture of
preservation, assumed as an
ideology for societies whose
transformation is taking place too
rapidly (and whose direction truly
seems difficult to decipher). Certainly,
the season of material cultures, of
micro-history, of the rediscovery of
techniques not linked to rigid
automation have sustained less
schematic interpretations of farming
and industrial cultures, more attentive
to regional differences as transitory
ones, capable of giving voice to
players who are all too often reduced
to mere choruses.
Having overcome the differences,
what nevertheless emerges today
is that part of those experiences that
could remain implicit: the historian's
need (but also that of every exhibit)
to select his materials and give them
a hierarchical order. The cultures
contained in ecomuseums are all
cultures in which quantity and context
play essential roles, in which nothing
must be unique and unrepeatable
almost by principle, and in which the
object that is removed from its
context becomes mute. An approach
that is first political rather than
scientific, born of the genuine fear of
losing tangible memories (first of the
farming culture, and then those of
workers and techniques), and with
these memories, the very identity of
entire populations. Later, attention
to the topics of new regionalisms
which originated, not by chance, in
the Fifites from the crisis of
intemationalisms (political, as well

ne "fisica" degli oggetti, prima che
sociale, un'accelerazione persino
inattesa.
Culture materiali, nuovi regionalismi,
radicamento territoriale sono assurte
a parole d'ordine, spesso non
discusse, alle volte indiscutibili, elementi
fissi di strategie di comunità
politiche (a livello europeo come
locale) e hanno costruito proprie
icone e propri strumenti di legittimazione
(musei come patti territoriali),
radicando in quasi ogni istituzione
locale l'idea che fosse non solo giusto,
ma anche necessario provvedere
affinché le proprie memorie non
andassero perdute. Una strategia
che ha contribuito a mettere in
discussione geografie e storiografie
considerate indiscutibili, ad aprire
archivi destinati alla dispersione, a
riscoprire utensili, macchine, manufatti,
pratiche sociali, oggetto solo
più di mitografie.
Oggi tuttavia le esigenze di conoscenza
e, ancor prima, di informazione
e quelle della conservazione e
dell'esposizione appaiono difficilmente
conciliabili. Non tanto perché
prolificano "musei" costituiti da poche
vetrine di oggetti poveri (dentro questa
povertà possono essere celate
ragioni fondamentali di questa o altre
civiltà), ma perché ci si è infine scontrati
contro il nocciolo duro delle questioni
che gli ecomusei aprono: la
quantità e lo specchio. Le culture di
cui si cerca di rintracciare e conservare
origini, storia, spesso estinzione,
sono tutte culture "quantitative",
dove ogni atto, oggetto, spesso attore
vive in quanto voce di un coro: è
davvero pensabile conservare tutte
le voci di tutti i cori, in vere e proprie
illusioni di rispecchiamento dì quelle
società che le hanno originate?
I contesti in cui queste azioni, prodotti,
pratiche hanno preso forma,
sono contesti non solo "minacciati",
ma anche trasformati dalle forme
as artistic) and which prospered
through the vacuous horror
generated by globalization (an actual
ideology in this millenium's end), has
almost unexpectedly accelerated this
desire to relate with the territory, with
the idea itself that there could be a
`physical" dimension to objects that
comes before the social one.
The words material cultures, new
regionalisms, territorial rooting rise
up as watch-words, that are often
unexpressed, and sometimes
indisputable, unchanging elements
of the strategies of political
communities (at the European as well
as local level) and have constructed
their own icons and means of
legitimation (museums as territorial
pacts), rooting into almost every local
institution the idea that it was not only
right, but also necessary to take steps
to prevent the loss of these memories.
This strategy has contributed to a
dispute on geographies and
historiographies that were considered
to be indisputable, to opening archives
that were destined to be lost, to
rediscovering tools, machines, handmade
items and social customs that
were by now mere topics for
mythographers.
However, today the demands of
knowledge and, before this, of
information and that of preservation
and of exhibition appear difficult to
reconcile. Not so much because
`museums" consisting of a few
showcases with poor objects (this
poverty may hide the fundamental
reasons for this or other civilizations)
are proliferating, but because we are
finally confronting the hard core of
the questions raised by ecomuseums:
quantity and reflection. The cultures
whose origins, history, and often
extinction we are attempting to trace
and preserve are all "quantitative"
cultures, in which every action, object
and often player lives insofar as it or

più soft di industrializzazione e di
turismo. Ma selezionare vuol dire
necessariamente fare di un oggetto
di serie un prototipo, di ogni catena
di montaggio un avvenimento, di
ogni scalpellino uno scultore?
Le alternative esistono su questo
piano, come su quello altrettanto
delicato della messa in scena della
vita quotidiana. Oggi è possibile
distinguere, anche come strategia
della conservazione, l'informazione
dall'oggetto che la contiene. Mentre
la perdita di ogni informazione può
davvero mettere in discussione le
memorie dei luoghi e dei suoi abitanti,
la scelta di ciò che può rappresentare
quelle condizioni di vita e
lavoro appare anche solo il riconoscimento
che dietro ogni allestimento,
anche virtuale o diffuso, vi
sono interpretazioni, più o meno
esplicite. È necessario tuttavia, in
una fase tanto delicata, essere molto
chiari. Come la prospettiva di musei
tutti virtuali, negando il valore dell'esperienza,
prospettano un futuro
davvero estraniante, così ogni scelta
espositiva non può che garantire
la possibilità di altre, possibili messe
in scena, al mutare delle interpretazioni
storiografiche.
Le scelte compiute nel dare avvio
ai tanti lavori che oggi arricchiscono
quella che era un'intenzione, sono
tutte dentro la coscienza di queste
difficoltà. Da un lato vi è l'esigenza di
tradurre in informazione e di mettere
in rete il maggior numero di informazioni
possibili, dall'altro ogni scelta
espositiva, necessaria anche solo
per rendere esplicite e quindi criticabili
le scelte di chi ha condotto e
conduce l'analisi, avviene conservando
i materiali di altre, possibili
mostre, che quell'esposizione possano
smentire.
Un lavoro di indagine che non può
che essere sempre in progress,
attento ad ascoltare, a dar voce, a
he is a voice of the chorus: is it truly
thinkable to preserve all the voices of
all the choruses within actual illusions
of the reflections of those societies
that generated them?
The contexts within which these
actions, products and customs have
taken shape are contexts that are
not only "threatened" but also
transformed by the milder forms of
industrialization and tourism.
However, does selecting necessarily
mean turning every mass produced
object into a protoype, every
assembly chain into an event, every
stone-cutter into a sculptor?
Alternatives exist at this level, as they
do on the just as delicate level of the
displaying of daily life. Today it is
possible to distinguish information
from the object that contains it, even
as a strategy of preservation. While
the loss of all information can truly
raise questions about the memories
of locations and of their inhabitants,
choosing what those living and
working conditions may represent
seems only the acknowledgement
that behind each setting up, whether
virtual or diffused, there are more or
less explicit interpretations. However,
during this delicate phase, it is
necessary to be very clear. Just as
the prospect of all museums being
virtual, thus denying the value of
experience, envisages a truly
alienating future, so every expository
choice can only guarantee the
possibility that there may be other
exhibits (representations) with the
changing of historiographic
interpretations.
The choices made in initiating the
many works that today enhance what
was once an intention are all part of
the awareness of these difficulties.
On the one hand there is the need to
translate into information and place
as many data as possible on the
network; on the other hand, every

impegnarsi nell'attivare voci sino ad
allora flebili (la cronologia delle convenzioni
attivate ne è forse la più
importante testimonianza), ma che
non può nascondere l'obbligo, proprio
verso quelle culture, di renderle
leggibili, di far emergere l'interpretazione
possibile, con i dati in mano
ai ricercatori in quel momento storico.
L'impegno delle istituzioni come
degli "storici", comunque essi si presentino,
è per un difficile matrimonio:
quello tra informazioni da arricchire
continuamente e la trasparenza delle
interpretazioni (amministrative, non
solo espositive) da salvaguardare.
expository choice that is necessary,
even if only to make the choices of
those who have conducted and
conduct an analysis explicit and
therefore open to criticism, is made
preserving the materials of other,
possible exhibits that could contradict
that exposition (exhibit).
This is an investigative work that
cannot but always be in progress,
one that is careful to listen, to voice
its opinions, to commit itself to
activating voices that were weak until
then (the chronology of the
agreements initiated is perhaps the
most important testimony of this),
but one that cannot hide, precisely
toward those cultures, its obligation
to make them decipherable and to
allow a possible interpretation to
emerge from the data in the hands of
researchers at that particular
moment of history. The commitment
of institutions as well as of
`historians'; in whatever guise they
may appear, is to produce a difficult
combination: that between
information, requiring continuous
enhancement, and the transparency
of interpretations (administrative, and
not only expository), which require
safeguarding.

II contributo del Politecnico di Torino
al "Progetto Cultura materiale"
The Contribution of the Polytechnic of
Turin to the "Heritage Studies Project"
Chiara Ronchetta
"L'ecomuseo è uno strumento che
una pubblica amministrazione e una
popolazione concepiscono, costruiscono
e insieme gestiscono".
Queste parole, tratte dalla più articolata
definizione di ecomuseo di
Henri Rivière hanno rappresentato in
questi due anni di lavoro l'obiettivo
perseguito dal Dipartimento di Progettazione
architettonica della
Facoltà di Architettura di Torino nello
svolgere l'incarico ricevuto dalla
Provincia di Torino e regolato da
una convenzione tra i due enti.
II complesso programma con un'articolazione
su temi ha permesso di
sviluppare numerosi progetti in collaborazione
con le diverse comunità
locali. Si tratta di studi e proposte
per la realizzazione di siti museali,
per la definizione di percorsi e itinerari
di visita del territorio, per l'organizzazione
e la sistematizzazione di
materiali iconografici e d'archivio e
anche per i progetti di promozione
turistica realizzati attraverso la valorizzazione
della storia, della cultura
e delle tradizioni locali.
Questo programma di lavoro ha visto
operare sedici gruppi di ricerca del
Dipartimento, affiancati da studiosi
locali, da gruppi spontanei e da associazioni
che operano sui diversi
territori.
"The ecomuseum is an instrument
that a public administration and a
population conceive, construct and
manage together".
These words, taken from the most
articulate definition of an ecomuseum
given by Henri Rivière, have, over
these past two years of work,
represented the objective pursued
by the Department of Architectural
Design of the Faculty of Architecture
of Turin in carrying out the
assignment entrusted to it by the
Province of Turin and regulated by an
agreement between both institutions.
The complex program, organized
according to topics, has allowed us
to develop numerous projects in
collaboration with the different local
communities. These consist of
studies and proposals for the
creation of museum sites, for the
definition of visitors' routes and
itineraries throughout the territory,
for the classification and
arrangement of iconographic and
archival materials and also for
projects to promote tourism realized
through the valorization of the history
of culture and of local traditions.
This work program has involved
sixteen research groups from the
Department, in association with local
scholars, volunteer groups and with

Sono stati affrontati temi che hanno
scale, obiettivi, strutturazioni molto
diverse tra di loro e che oggi hanno
raggiunto stadi diversi di approfondimento
e di realizzazione.
I programmi e i primi risultati dei progetti
e delle ricerche sono già stati
portati in discussione in una giornata
di studio tenuta a Torino presso la
Facoltà di Architettura nel mese di
maggio. In quella sede vi era stata
un'ampia partecipazione di rappresentanti
delle comunità locali e ogni
gruppo aveva illustrato la propria
esperienza; si era aperta una discussione
sullo stato dei lavori mettendo
a confronto i programmi e il loro avanzamento
e verificando la loro rispondenza
ai piani di sviluppo e alle
aspettative delle diverse comunità.
La molteplicità dei temi e la disparità
degli argomenti aveva portato la
discussione sui singoli progetti più
che sull'idea complessiva di costruire
un sistema ecomuseale provinciale.
Mentre il confronto tra i diversi
argomenti aveva permesso di
porre in evidenza oltre che una
metodologia di approccio costante,
anche la ripetizione di tematiche
comuni a diverse aree. Successivamente
è scaturita una organizzazione
dei lavori in tre grandi filoni: i progetti
sui siti estrattivi, l'individuazione
e la visualizzazione delle tracce
delle attività produttive, la documentazione
degli eventi di storia
recente, che ha permesso di verificare
la realizzabilità di un sistema a
rete che trova già in questa prima
sistematizzazione possibili percorsi
tematici, elementi di unione e caratterizzazione
per l'intera Provincia.
Le riflessioni successive sull'organizzazione
scientifica, sugli elementi
tecnici e logistici necessari per la
creazione di questo sistema a rete in
un territorio molto vasto hanno convinto
il gruppo di ricerca del Politecnico
e ancor più l'Amministrazione
associations that operate in the
territories.
We have worked on topics with very
different scales, objectives and
structures which have currently
reached varying stages of
examination and implementation.
The programs and the first results of
the projects and of research were
discussed at a study day held in May
1998, at the Faculty of Architecture in
Turin. On that occasion participation
by representatives of local
communities was numerous, and
each group illustrated its own
experiences, a discussion of the state
of works was opened, with a
comparison of the programs and of
the progress being made, verifying
their correspondence to development
plans and to the expectations of the
different communities. The variety of
issues and the differences between
the subjects led to a discussion of
individual projects rather than of the
overall idea of building a provincial
system of ecomuseums. On the other
hand, a comparison of the different
subjects also indicated that there
were topics common to various areas
which tended to repeat themselves,
in addition to revealing the existence
of a common method for approaching
these topics. This gave us the idea of
organizing works into three main
categories: projects in extraction
sites, the identification and displaying
of the traces of production activities
and the documentation of the events
of recent history. This has allowed us
to verify the feasibility of a network
system, that, by this first division,
already indicates possible thematic
routes and unifying elements that
characterize the entire Province.
Subsequent reflections on the
scientific organization, on the
technical and logistical elements
needed to create this network system
throughout a very vast territory,

provinciale a sollecitare una discussione
ampia, promuovendo un confronto
tra esperienze diverse e in
particolare con quelle da lungo
tempo già realizzate. II convegno,
di cui questo quaderno è premessa
di studio, vuole proprio essere il
luogo in cui porre le basi per definire
il ruolo di un sistema ecomuseale
di un territorio molto ampio e delineare
la struttura di coordinamento
che possa implementare e capitalizzare
il lavoro fin qui svolto.
Questo sistema a rete, alimentato
al suo interno da tutti i nodi che partecipano
dovrebbe attirare risorse e
adesioni e divenire il centro in cui le
comunità locali si incontrano e trovano
i servizi tecnico-logistici e le
strutture di ricerca teorica a cui
appoggiarsi per definire, realizzare e
mettere in rete i loro progetti, le loro
realizzazioni nel settore della cultura
materiale.
Questo organismo oltre a essere il
supporto alla ricerca e alla consulenza
scientifica, alla formazione professionale
degli operatori, deve divenire
il centro di coordinamento della
promozione turistica dei singoli progetti
e anche il supporto, nella fase
istruttoria, per le richieste di finanziamento
in sede provinciale, regionale,
nazionale, comunitaria.
Questo dunque l'insieme degli obiettivi
ma anche degli interrogativi a cui
il convegno potrà dare alcune risposte
e fornire esempi ed esperienze.
II quaderno raccoglie i diversi lavori
sviluppati dai gruppi del Dipartimento,
illustra la metodologia e i
risultati e in alcuni casi relaziona
anche sulle realizzazioni.
II quadro che emerge è molto vario
per temi e per situazioni, ogni intervento
è stato sempre caratterizzato
dal rispetto delle esigenze espresse
dalle diverse comunità, senza mai
i mporre delle linee guida rigide e
prefissate.
convinced the research group from
the Turin Polytechnic and, to a
greater extent, the Provincial
Administration, to urge extensive
discussion, encouraging comparisons
of different experiences, in particular,
those which took place some time
ago. The conference, for which this
folder represents a premise for study,
is intended to be the place in which to
lay the bases for defining the role of
an ecomuseum system over a very
vast territory and for providing
outlines for a co-ordinating structure
capable of implementing and
capitalizing upon the work performed
up to this time.
Sustained internally by all the points
making it up, this network system
should attract resources and
participants and become the center in
which local communities meet and
find technical-logistical services and
theoretical research structures to
which they can turn for assistance
in defining, implementing and putting
into a network their projects and
achievements in the area of material
culture.
Besides providing support for
research, for scientific consultation
and for the professional training of
operators, this body must become
the co-ordinating center for the
promotion of tourism within individual
projects, and also provide support
in requesting provincial, regional,
national and community funding
during the preliminary investigation.
These are the objectives, therefore,
but also the questions to which the
meeting of November 16-17, 1998 can
provide some answers, illustrating
examples and experiences.
This folder contains the different
works developed up to this time by
the groups within the Department.
Each project is described by
indicating methods and results and,
in some cases, with an illustration

I progetti qui raccolti vengono proposti
quali punti di partenza per una
discussione e che speriamo piena di
spunti propositivi.
of its implementation. Interventions
have always been characterized by
respect for the requirements
expressed by the different
communities, without ever imposing
rigid or pre-established guidelines.
What emerges is a very varied
framework of topics and situations.
The projects making up this folder
are being proposed as a point of
departure for discussion, which we
trust will provide many ideas for
further proposals.

Ecomuseo del Canale Cavour
Evelina Calvi (responsabile), Franco Lattes, Evasio Lavagno, Franco Prizzon,
Luigi Butera, Gemma Sirchia, con Marco Bruno, Aldo Fontana, Matteo Di Martino,
Dario Lusso, Erica Piacentino, Stefania Piantella, Chiara Zocchi, Maurizio Roatta
II progetto di un Ecomuseo del
Canale Cavour si colloca nel panorama
europeo per i programmi territoriali
di recupero, salvaguardia e
costituzione degli Ecomusei.
L'obiettivo è quello di mettere in
l uce le caratteristiche specifiche
delle strutture connesse all'irrigazione
nel tratto compreso tra Chivasso
ed il Fiume Sesia e del territorio circostante,
in modo da creare un serbatoio
ricettivo per un'utenza non
solo scientifica e didattica, ma
anche turistica e culturale legata
alle attività del tempo libero.
Risulta immediatamente evidente
che il progetto non si misura con
quello che tradizionalmente costituisce
l'oggetto dell'archeologia
industriale: e cioè, con uno o più
manufatti o complessi di edifici
produttivi in disuso, in cui condensa
la memoria di cicli e tecniche
produttive obsolete, e nei confronti
dei quali si dà una precisa domanda
di salvaguardia e conservazione,
sia pure compatibile con un
progetto di rifunzionalizzazione.
Nel nostro caso si tratta invece di
una rete tuttora produttiva, costituita
da manufatti (chiaviche di presa,
canali, ponti-canale, tombe sifone,
canali scaricatori ecc.), il più delle
volte in perfetto uso, inseriti in pae-
saggi la cui conformazione e le cui
mutazioni stagionali sono tuttora
fortemente, spesso impercettibilmente,
segnate dalla presenza
della rete e dal suo impiego attuale.
II Canale Cavour, i canali secondari
e la rete di irrigazione capillare connessa,
in larga prevalenza utilizzata
per fini agricoli, rappresentano
un monumento unico a cinque
secoli di lavoro umano: il territorio
circostante ne è stato plasmato di
conseguenza, trasformando la pianura
in una macchina di produzione
agricola, il paesaggio in un
grandioso "artefatto naturale".
Le prime opere di irrigazione risalgono
infatti al XV secolo, ma è con
la costruzione del Canale Cavour
inaugurato nel 1866 che si raggiunge
l'assetto attuale. L'opera in sé è
un capolavoro di ingegneria idraulica:
82,230 chilometri di percorso
dalla presa di Chivasso allo scarico
nel Ticino, alimentati dalle acque
del Po, della Dora Baltea e del
Ticino stesso. La fitta rete di canali
secondari che da esso si dirama va
a sostenere l'economia agraria, largamente
basata sul riso, delle province
di Vercelli e Novara.
Le opportunità di studio che questo
complesso ecosistema (artificiale)
offre sono illimitate e vanno dall'a-

nalisi dei manufatti architettonici,
alle tecniche utilizzate per costruirli,
al peso economico dell'intera
opera sull'economia dell'area fino
a toccare il paesaggio contemporaneo
dove si aprono altri filoni di
ricerca connessi ai settori della
geologia, della sociologia, dell'arte,
dell'architettura, della botanica e di
altre scienze naturali.
Molto di questo lavoro è già stato
realizzato ma molti sono i campi
che lasciano vasti limiti di esplorazione
legati soprattutto a ipotesi di
una nuova fruizione per alcuni
manufatti e alle ricadute che una
trasformazione nell'uso delle sponde
dei canali può portare sull'ambiente
circostante.
L'obiettivo è la realizzazione di una
struttura didattico museale connessa
al territorio in grado di raccogliere
un bacino di visitatori ampio,
con interessi diversi, ma allo stesso
tempo, per la natura e la collocazione
dei manufatti, di radicarsi
fortemente alle realtà locali e
diventare l'occasione per interventi
di riqualificazione su ampie porzioni
di territorio e sulle aree specifiche
dei comuni interessati.
La definizione di un'area di indagine
specifica per un progetto di
Ecomuseo del Canale Cavour
deve di fatto partire da un'analisi
dai manufatti che ordinatamente si
succedono lungo i canali.
Qualsiasi progetto di inserimento
di questi manufatti in una rete ecomuseale
del tipo descritto, deve
pertanto misurarsi con le esigenze
funzionali legate all'utilizzo produttivo
della rete idraulica, e al tempo
stesso con le caratteristiche fisicoterritoriali
delle singole realtà locali
incontrate. Si tratterà quindi, di
volta in volta, di interventi di riqualificazione
ambientale, di ristrutturazione
del paesaggio, di collegamento
con le principali arterie di
trasporto pubblico e privato presenti
sul territorio, infine di inserimento
organico in contesti urbani
interessati dai singoli interventi.
La proprietà della rete idraulica è
demaniale e la loro gestione è affidata
alla Coutenza Canali Cavour,
con sede a Novara.
Un'altra situazione di notevole interesse
è la fascia di territorio interessata
dagli argini dei canali.
Lungo tutto il Canale Cavour corre
su ambo i lati una striscia di terreno
utilizzata come strada di servizio
larga 2,85 metri spesso circondata
da vegetazione: ad essa sono
collegati numerosi appezzamenti
agricoli, sempre di proprietà della
Coutenza, dati in concessione per
la pioppicultura.
La natura capillare del manufatto
innesca relazioni di confronto.
La prima relazione di cui tenere
conto è quella che si pone con il
sistema delle cascine e con gli
impianti protoindustriali legati alla
produzione agricola.
La rete dei canali inoltre alimentò la
costruzione di numerosi mulini che
sfruttavano la forza motrice prodotta
dall'acqua per muovere le ruote
per i cereali, la canapa, le piste da
riso e i magli da ferro. AI momento
gran parte di queste strutture non
sono più utilizzate e costituiscono

interessanti opportunità per la
riqualificazione del territorio.
Un'altra occasione di confronto
con la struttura dei canali è costituita
dalle altre reti di trasporto
quali strade, autostrade, ferrovie e
rete energetica, che possono
generare profonde modificazioni
sull'assetto del territorio.
AI di là di ogni specifica verifica -
comunque necessaria per il proseguito
del progetto - l'impressione
che se ne ricava è spesso quella di
una preoccupante assenza di coordinamento
tra le diverse istanze e
progettualità presenti sul territorio.
I n quest'ottica la presenza sul territorio
di una rete ecomuseale
riguardante l'impianto dei Canali
Cavour potrebbe essere l'occasione
per prefigurare situazioni che
assumano il valore di attrazione e
di propulsione di un nuovo paesaggio
in grado di produrre per riverberazione
motivi di riflessione su
quelle nuove monumentalità da cui,
tristemente, il territorio è segnato.
Un ulteriore elemento di interazione
con il progetto è costituito dalla presenza
sul territorio di aree ecologiche
protette a cui non viene attribuito
il semplice ruolo di "museo
verde" (così come I'ecomuseo dei
Canali Cavour non va inteso come
semplice, per quanto gigantesco,
archivio en plein air, ma quello di
assestamento di più ampie fasce di
territorio, compatibilmente con le
funzioni "sane" ivi esercitate.
Contatti
AI momento sono stati allacciati
contatti informali con: Coutenza
Canali Cavour, Provincia di Vercelli,
Comune di Chivasso, FinPiemonte,
Parco delle Lame del Sesia, Parco
della Fascia Fluviale del Po. Sono
in corso anche altri contatti con il
Comune di Santhià e con I'Enel
con l'obiettivo di stilare un proto-
collo d'intesa che formalizzi tempi
e rapporti di collaborazione.
Progetto
II progetto parte dall'analisi delle
caratteristiche fisico-gestionali del
territorio: innanzi tutto la rete "naturale"
costituita da fiumi, colline,
pianure; poi la rete delle grandi
infrastrutture della produzione e
del trasporto di energia, cose e
persone (centri industriali, cascine,
centrali elettriche, tralicci dell'alta
tensione, strade, autostrade, ferrovie,
ponti, viadotti, gallerie).
A partire da queste realtà date, il
progetto tenta di innescare un processo
di trasformazione per parti
realizzabile in tempi diversi e con
modalità di intervento e di finanziamento
diversi a seconda delle
opportunità e degli interessi dei
diversi attori interessati.
I n quanto progetto di una rete in
grado di interagire con altre strategie
e tensioni presenti sul territorio,
la sua fattibilità deve poter astrarsi
dalla realizzazione in toto della
rete stessa.
Per questo I'Ecomuseo del Canale
Cavour è stato strutturato secondo
quattro temi principali di indagine
che spaziano dagli interventi a
scala territoriale fino al recupero
edilizio e funzionale di due manufatti
molto significativi come la
Presa di Chivasso e la Stazione
Idrometrica di Santhià. I quattro
temi sono:
• Bosco delle acque
II Canale Cavour, lungo il suo
i ntero sviluppo attraversa il tratto
occidentale della pianura padana
monopolizzato dalla cultura del
riso.
Le poche zone in cui persiste la
vegetazione spontanea sono
quelle lungo i corsi d'acqua; le
sponde di fiumi e torrenti attraversati
dal Canale Cavour quali

la Dora, I'Elvo, il Cervo, il
Marchiazza, il Rovasenda e il
Sesia, costituiscono un rifugio
ideale per la fauna selvatica.
II progetto propone la trasformazione
progressiva a bosco, il
Bosco delle Acque, della fascia
di rispetto e degli appezzamenti
di terreno lungo di essa, ora coltivati
a pioppeto.
• Quattro itinerari tra le acque
Sono stati individuati percorsi di
osservazione, studio e per attività
sportive intesi come assi
complementari alla lettura
museale del territorio. Si sono
definiti itinerari culturali-ambientali
nei luoghi posti tra canali artificiali,
risorse naturali e i diversi
tipi di coltivazione.
Lo studio è stato condotto sulla
base di un'attenta analisi dei percorsi
minori esistenti e delle strade
sterrate poderali e campestri,
i potizzando di realizzare piste
ciclabili, percorsi ippici, ginnicovita
e sentieri pedonali attrezzati
che consentirebbero una fruizione
diversificata di questi luoghi.
La definizione operativa dei quattro
itinerari prevede il progetto dei
percorsi sfruttando le strade
campestri esistenti e alcune strade
alzaie laterali dei canali, l'individuazione
di aree destinate al
parcheggio e alla sosta e la costituzione
del sistema di osservatori
panoramici, fotografici.
• Chivasso
L'imbocco del Canale Cavour, sulla
sponda sinistra del Fiume Po, è
segnato dall'imponente opera di
presa costituita dall'edificio della
Chiavica di derivazione e dall'edificio
della casa del guardiano.
II progetto sull'imbocco del
Canale Cavour riguarda la riqualificazione
di un'area ambientale
più estesa comprendente ambiti
con caratteristiche diverse, sinte-
tizzabili in:
il viale storico del Canale
Cavour, consistente in una via
ampia e alberata, che collega gli
edifici dell'imbocco con il centro
della città;
l'ex-palazzina uffici ora casa del
guardiano, trasformata in spazio
espositivo;
la sponda sinistra del Po dal
nuovo ponte di Chivasso sino
all'opera di presa, riorganizzata
attraverso la realizzazione di una
pista ciclabile e pedonale e di
aree verdi attrezzate e osservatori
sul fiume;
il parco cittadino che si estende,
alla sinistra del Canale Cavour;
il corrispondente tratto di sponda
destra del Canale Cavour, occupato
attualmente, nella parte in
prossimità dell'edificio di presa,
da essenze arboree non connaturali
all'ambiente in esame
(conifere) delle quali è prevista la
sostituzione con essenze storicamente
presenti nel tradizionale
microclima di pianura;
gli orti urbani sull'argine del
Canale Cavour, nel tratto a
monte del ponte in acciaio del
ramo secco della ferrovia
Chivasso-Asti;
l'isola ritagliata dal Canale
Scaricatore e dall'argine sinistro
del Fiume Po.
• Santhià
La Stazione Idrometrica Sperimentale
è collocata in prossimità dell'abitato
di Santhià in sponda
destra del Naviglio d'Ivrea. Sorta
nei primi anni del Novecento, è
costituita da un sistema di
vasche, con funzione di sperimentazione
e misurazione della
portata delle acque, e da due edifici,
rispettivamente l'ex-palazzina
uffici e l'ex-casa del custode.
AI termine della fase di sperimentazione
(1922) la sua attività cessò.

II progetto di riqualificazione prevede
l'utilizzo dell'area come
sede del Museo delle Acque dei
Canali Cavour e il ripristino del
sistema delle vasche, utilizzate
come laboratorio di sperimentazione
idraulica.
Le possibili conclusioni di questa
prima fase del lavoro progettuale
sono sintetizzabili da alcune parole-chiave:
- ecomuseo territoriale dei Canali
Cavour: non semplice archeologia
industriale, ma riqualificazione
fisica e ambientale della rete nel
segno della continuità del processo
produttivo in atto e di uno sviluppo
durevole e sopportabile del
territorio e delle singole realtà
locali, nel quadro di strategie di
intesa tra "progresso" e tradizione.
Parlare di ecomuseo territoriale
significa dunque da un lato muoversi
nel segno della continuità e
della conservazione della memoria,
ma al tempo stesso alludere
a quel tanto di dinamico che il
riferimento all'ambiente, all'oikos
in quanto dimora e in quanto abitare,
non può non implicare;
- progetto come processo e come
evento: non tanto finalizzato alla
produzione di oggetti finiti, chiusi,
autoreferenziali, ma alla
messa a punto di strategie di
continua mobilitazione di forze e
i nteressi culturali e materiali
intorno a obiettivi di crescita culturale,
economica e sociale.
Quindi progetto in quanto innesco
di procedure di trasformazione
fondate sul dialogo sociale, la
contrattazione, la mediazione. E
in quanto formalizzazione non
chiusa ma disponibile a successive
ulteriori figurazioni suggerite
dall'eventuale insorgere di nuove
condizioni (il che ci pare in perfetta
coerenza con l'idea di rete
e di rinvio reciproco tra polarità
diverse costantemente relazionate
l'una con l'altra).
Ciò significa, per dirla in parafrasi,
«porsi nelle condizioni di far
interagire ... (progetto) e territorio,
...(progetto) e città, rendere il ...
(progetto) un laboratorio di organizzazione»
oltre che di cultura.
(da Gianfranco Dioguardi, di cui
si vuole qui ricordare l'esperienza
pilota dei "Chantier Evénement"
realizzati in Francia e a Otranto).
Per concludere, lo slogan "museo
delle acque" contiene una metafora
che ben si adatta a riassumere il
senso degli interventi proposti: ove
è proprio la componente "acqua" a
suggerire la necessità di non fissarsi
nell'immobilità della permanenza,
ma di aprirsi al fluire delle cose
quand'anche questo fluire non
possa fare a meno di accogliere la
loro stessa debolezza, la loro caducità
e il loro inevitabile deperire:
«II ruscello che è lì da sempre è un
piacere per chi lo guarda proprio
per l'assenza di eternità che c'è in
esso. Scorre da tanto tempo, e
ancora scorrerà negli anni a venire,
ma la sua essenza è un cancellarsi,
un correre via. II suo fascino
risiede nel contrasto tra i sassi e
l'acqua corrente, l'immobilità e il
fluire» (Kevin Lynch, 1990).

Plans for a Water Museum
RESEARCH GROUP. E. Calvi (Head of Scientific Research), F. Lattes, E Lavagno,
F. Prizzon, L. Butera, G. Sirchia, with M. Bruno, A. Fontana, M. Di Martino, D. Lusso,
S. Piantella; M. Roatta, in collaboration with East Sesia Irrigation Association the
West Sesia Irrigation Association, the Province of Vercelli, Enel (electricity
company), Municipalities involved, Ricegrowers' Association.
AREA OF INTERVENTION: The irrigated network linked to the Canale Cavour, the
surrounding territory and the buildings along the Canale Cavour, the Canale Farini,
the Canale Depretis and the Naviglio di Ivrea in the Provinces of Turin and Vercelli.
Special attention is being placed on the Hydrometric Field Station of Santhià and on
the Water Intake Building at the influx of the Po River at Chivasso.
OBJECTIVES: The project begins with an analysis of the infrastructural characteristics
of the territory (roads, highways, railways, bridges) and attempts to originate a
process of gradual conversion that can be achieved in parts and in different times.
On the one hand, the project has a more general objective which is the valorizationrestructuring
of the territory for environmental reclamation aimed not only at achieving
benefits from the aesthetic-tourist point of view, but also for the economic and
social development of the land use. On the other hand, the project aims to enhancepreserve
and therefore turn the territory into museums for tourists containing exhibits
on the wealth of material resources represented by the water and building works of
the Canali Cavour. Moreover, the aim of building a territorial eco-museum, intended
to be a didactic-museum structure linked to the territory, must detach itself from
individual local realities, becoming an occasion for performing requalification activities
in the specific areas of the towns in question.
THE PROJECT: The project is structured into four main topics of study.
The first is the "Bosco delle acque" (Water Woods). The entire course of the "Canale
Cavour" crosses the western portion of the Pianura Padana that consists mostly of
rice cultivations. Running along its borders is non-building land generally consisting
of a causeway measuring 2.85 meters in width, used for performing maintenance
works, and of a strip of land of variable width that separates it from the cultivated fields.
The property is state-owned and is currently accessed only with the authorization of
the group of users. The project proposes a gradual conversion of non-building land
and of the pieces of land that run alongside it, now planted with poplar trees, into a
wooded section, the Water Woods, in order to restore part of the typical environment
found in these lowland areas and as part of a plan for the productive utilization of the
Bosco delle Sorti by the Partecipanza di Trino Vercellese. The second project
consists of creating Four Cultural-Environmental Itineraries amid the Waters. The study
has been conducted by performing a careful analysis of existing minor roads and of
dug out farm and country roads, with plans to create bicycle paths, horseriding paths,
health exercise paths and equipped hiking paths. The third project regards the
influx of the "Canale Cavour" at Chivasso, which, on the left bank of the Po River,
is marked by an enormous water intake structure composed of the building that houses
the Water Intake Works and the one containing the keeper's house. The project
involves the requalification of a more extensive environmental area that includes
sections with different characteristics. The fourth project pertains to the Hydrometric
Field Station at Santhià, which is located in an area located at the edges of the
residential area of Santhià, on the right-bank of the Naviglio d'Ivrea. Built in the early
20th century, it consists of a system of pools used to test and measure water flow,
and of two buildings, the former office building and former keeper's house, respectively.
Requalification provides for the conversion of the area in which the headquarters of
the Canale Cavour Water Museum are situated and the restoration of the system of
pools, that are used as an outdoor field station by the Turin and Milan Polytechnics.

Carignano: il lanificio e il mulino
sul margine verde della città
Ema nuele Levi Montalcini (responsabile), con Paola Delpiano,
Simona Piola, Massimo Raschiatore, Sabina Villa
Dalla collaborazione tra la
Provincia di Torino, il Dipartimento
di Progettazione architettonica del
Politecnico di Torino, il Comune di
Carignano e il Museo civico carignanese
"Giacomo Rodolfo" è
nato un progetto teso a salvaguardare
le testimonianze significative
della tradizione lavorativa locale
connesso alla rete - in fase di realizzazione
- degli Ecomusei nella
Provincia di Torino.
II progetto si collega direttamente
all'attività del Museo civico di
Carignano che è stata orientata,
sin dalla sua fondazione, alla valorizzazione
dei beni culturali locali
attraverso la difesa e la conservazione
dei monumenti, degli arredi,
delle testimonianze storiche, oltre
che attraverso la raccolta e la
schedatura di documenti, oggetti e
macchine.
La città di Carignano, situata a sud

di Torino sulla sponda sinistra del
fiume Po ha sempre rivestito un
ruolo rilevante nell'attività commerciale
legata allo strategico attraversamento
fluviale e in quella agricola,
particolarmente per la produzione
del grano e del granoturco.
A partire dall'epoca di formazione
del primo borgo murato e durante
le successive fasi di accrescimento,
queste attività fanno della cittadina
una meta di interesse da
parte dei Savoia e delle principali
famiglie gentilizie che vi si stabili-
scono in modo permanente,
influenzandone e stimolandone lo
sviluppo economico e la crescita
urbana. Una testimonianza è data
dal tessuto edilizio medioevale di
grande pregio che costituisce tuttora
il centro storico della città.
A partire dal Seicento la presenza
di famiglie nobiliari attirò a
Carignano importanti istituzioni
ecclesiastiche (confraternite, congregazioni)
che, grazie alla presenza
di maestranze illustri, arricchirono
la città di prestigiosi edifici
sacri. Risalgono a quest'epoca le
chiese di San Giuseppe di Carlo
Emanuele Lanfranchi, la chiesa dei
Battuti Bianchi, l'Ospizio di Carità e
la chiesa del Valinotto entrambe di
Bernardo Antonio Vittone e il
duomo di Benedetto Alfieri.
Oltre a questi, la diffusa esistenza
di fabbricati rurali attorno al perimetro
murario - testimoniata da
documenti a partire dal XIII secolo
- è significativa dell'attività principale
della popolazione carignanese:
il lavoro della campagna era,
infatti, una vera e propria fonte di
ricchezza del luogo e ad esso
venivano in aiuto le strutture (mulini,
resighe, battitoi) che sfruttavano
i numerosi corsi d'acqua derivati
dal Po.
II ruolo agricolo della città di
Carignano, mantenutosi fino al
nostro secolo, è testimoniato dal
fatto che un mulino di origine seicentesca,
la "Molinetta", rimasto in
funzione fino al nostro secolo, fu
ulteriormente ampliato nel 1931
durante la campagna protezionistica
del regime fascista. Si tratta di
un mulino a sei cilindri per la battitura
del grano, azionato dall'acqua
di un canale che circondava il lato
est delle mura cittadine.
L'evoluzione delle tecnologie legate
alla lavorazione dei prodotti agricoli
determinò, poco tempo dopo,

l'abbandono del mulino che ora, in
stato di degrado, rimane un'importante
testimonianza del lavoro di
un tempo.
Sin dalla fine dell'Ottocento a
Carignano accanto a quella agricola,
si svilupparono altri tipi di attività:
nel luogo precedentemente
occupato dal monastero di Santa
Chiara si stabilì una manifattura
laniera che permise alla città di
riscattare il proprio destino (compromesso
dal mancato passaggio
della ferrovia) attraverso un'esperienza
industriale. La fabbrica
Bona, sebbene costituì un episodio
isolato per la città (non sufficiente
a innescare un ulteriore processo
di iniziative occupazionali), rappresentò
la soluzione alla mancanza
di lavoro della seconda metà
dell'Ottocento.
Quando nell'ultimo decennio di
questo secolo lo stabilimento è
abbandonato, si decide di convertire
l'intero isolato a centro civico in
modo da raggruppare in un unico
grande contenitore le funzioni pubbliche
precedentemente disperse
sul territorio urbano. II progetto dell'opera,
iniziato nel 1995 dall'architetto
Alberto Sartoris, prevede il
mantenimento delle strutture portanti
e la completa ridefinizione
dell'oggetto secondo un linguaggio
architettonico omogeneo. Questo
intervento, che ha fortemente
modificato l'aspetto dell'edificio, è
stato variamente giudicato dalla
critica in quanto ha proposto un'interpretazione
"moderna" della
ristrutturazione dell'esistente, contrastante
con un punto di vista
maggiormente conservativo.
Gli edifici di cui si è parlato si inseriscono
in una fascia verde posta
al margine est dell'abitato, particolarmente
importante nello sviluppo
di Carignano. Tale zona si è infatti
conservata fino a oggi quasi intatta
ed è perciò stata individuata dal
Piano Regolatore Generale
Comunale come riserva di verde
per l'intera città.
II fiume Po - di cui si suppone il
corso fosse anticamente tangente
l'abitato proprio lungo questo lato -
ha sempre condizionato l'espansione
della città. Lo spostamento
del percorso fluviale verso est,
avvenuto nel XVII secolo, ha liberato
il vecchio alveo che è stato
solo più solcato dai due canali Po
piccolo e Vuotasacco, rendendo

disponibile una lunga fascia di terreno
al margine della città che
acquisì un ruolo di cerniera (transizione)
tra l'abitato e la campagna
circostante.
Già nell'Ottocento in questa zona
venne piantumato un largo viale di
platani, compreso fra i due corsi
d'acqua, con funzione di parco di
loisir pubblico, rendendo più tenue
il passaggio tra il costruito e la pianura
coltivata.
L'attuale percorso della circonvallazione,
localizzandosi sul viale
abbattuto negli anni '40 di questo
secolo, cancella in gran parte le
tracce della sistemazione di questo
margine urbano.
Obiettivi
In base a queste considerazioni, e
riferendosi a quanto precedentemente
esposto, gli obiettivi della
ricerca sono quelli di riqualificare
alcuni luoghi della tradizione lavorativa
del passato e riproporne la
storia attraverso la conversione ad
uso museale; risulta anche necessario
non trascurare l'importanza
relativa al loro inserimento nell'ambiente
valutando la possibilità di
creare percorsi di collegamento.
Conseguentemente il lavoro è
stato suddiviso in tre sottotemi:
A) utilizzo di una parte dell'attuale
centro civico (ex-fabbrica Bona),
che già attualmente ospita biblioteca,
museo, municipio, teatro e
spazi pubblici di relazione, come
sede di un'esposizione permanente
dei macchinari recuperati dallo
smantellamento del lanificio. Con
questo intervento si conserverebbe
così la memoria storica del sito
potenziando le attività culturali esistenti.
In previsione della realizzazione
di ampi spazi pubblici pensa-

ti da Alberto Sartoris per il piano
terreno dell'intero isolato, questi
macchinari potrebbero esser collocati
nel grande spazio disponibile
dell'atrio porticato.
B) Conversione dell'edificio della
"Molinetta" in museo dei mestieri
agricoli. Per questa operazione è
da prevedere il restauro dei locali
da destinare a esposizione, oltre a
quello dei macchinari interni ed
esterni, in vista di un'opportuna
sistemazione degli oggetti anche
con finalità didattiche. Queste collezioni
potrebbero essere successivamente
integrate da ulteriori
documenti inerenti il medesimo
tipo di attività.
C) La necessità di valorizzare l'ambiente
verde circostante la
"Molinetta" come indispensabile
premessa per la riqualificazione
dell'edificio stesso, comporta il suo
inserimento all'interno di un'area
dai limiti più estesi. Pertanto, poiché
il mulino confina con l'attuale
percorso della circonvallazione, si
è ritenuto opportuno estendere l'analisi
a tutto il settore ad est della
città.
L'asse stradale in questione si
pone come elemento di rottura e di
divisione tra il territorio urbano e
quello extra-urbano.
Si vorrebbe ridurre l'impatto
ambientale e d'uso derivato dalla
presenza di tale infrastruttura attraverso
lo studio di collegamenti più
funzionali fra le due parti, recuperando
le superstiti aree a verde sui
due lati con un richiamo all'antica
vocazione a parco pubblico.
Allo stesso tempo, il nuovo percorso
(pedonale e ciclabile) lungo tale
fascia si configurerebbe come una
cerniera di collegamento tra le limitrofe
aree verdi cittadine e il previsto
parco fluviale lungo le sponde
del Po costituendo un potenziamento
dei collegamenti esistenti.

Places Dedicated to Ancient Trades
at Carignano
RESEARCH GROUP: Emanuele Levi Montalcini and Patrizia Chierici (Head of
Scientific Research), with Paola Delpiano, Simona Piola, Massimo Raschiatore,
Sabina Villa, in collaboration with the Municipality of Carignano and the Civic
Museum "G. Rodolfo".
AREA OF INTERVENTION: Carignano
OBJECTIVES: Within the framework of the Project for Heritage Studies of the
Province of Turin, and in agreement with the Town and with the Civic Museum of
Carìgnano, the project proposes a study for the reclamation of an ancient mill to be
turned into a museum of agricultural trades, and the utilization of some facilities of
the former Bona Factory to exhibit textile machines, as part of a re-organization of
the routes and of the land next to the buildings, in the eastern part of the town.
THE PROJECT: The project includes:
1. A study for the reconversion of the old mill, called "La Molinetta", used for beating
wheat, into a museum of agricultural trades which will be used to exhibit the
machinery already located in the building.
2. A study for the arrangement of textile machines inside the halls and spaces of the
former Bona Textile Factory to be open to the public. The former plant, which has
been restored according to a project by the architect, Alberto Sartoris, currently
houses Town Hall offices and is used to hold various public functions.
3. A study for a well-equipped park area connecting the above buildings to the main,
architecturally deteriorated areas located along the eastern portion of the town,
and for a possible connection to the envisioned river park along the banks of the Po.

Il museo della canapa
Emanuele Levi Montalcini (responsabile), Franco Lattes con Paola Delpiano,
Massimo Raschiatore
La convenzione tra la Provincia di
Torino, il Dipartimento di
Progettazione architettonica del
Politecnico di Torino e il Comune
di Carmagnola è finalizzata al
recupero di una delle ultime tettoie
(sentè) esistenti sul territorio carmagnolese
utilizzate per la lavorazione
della corda. Recupero che
ha come obiettivo la trasformazione
di questo antico luogo di lavoro
in museo di se stesso e dell'attività
che in esso si svolgeva, nonché
della cultura della coltivazione e
della lavorazione della canapa,
prodotto tipico dell'agricoltura di
Carmagnola. Un museo che possa
rendere testimonianza di un territorio,
di una sua vocazione agricola
e di una sua capacità produttiva,
elementi che hanno dato vita, nei
secoli scorsi, a un commercio di
scambio non solo locale, ma interregionale
e internazionale caratterizzato
dal fatto che spesso insieme
alle loro corde anche i mastri
cordai ai trasferivano sul suolo
d'oltralpe a insegnare il mestiere

della torcitura. La collaborazione
del gruppo di ricerca del
Politecnico si è configurata come
attività di consulenza al progetto,
con formulazione di suggestioni,
suggerimenti e stimoli, che emergono
in gran parte dal confronto
con gli operatori locali.
II borgo, il territorio, la canapa
II borgo detto di San Bernardo si
sviluppa lungo la strada che conduce
alla piazza dell'antica parroc
chiale. L'architettura del borgo ha
caratteristiche legate alle tipologie
rurali; gli edifici si snodano a
nastro continuo lungo le vie, e non
appena attraversati gli androni carrai,
chiusi dai tradizionali portoni in
legno, si scoprono cortili interni
lunghi e stretti che definiscono un
chiaro disegno a pettine rispetto
alla strada principale. Sono i lotti
sui quali sorgevano molte delle tettoie
adibite alla tessitura della
corda.
Si racconta che ci fosse nel borgo
una tettoia lunga duecentocin-
quanta metri, ma la media delle
altre era sui cento. Alcune strisce
di terreno non erano coperte, ma
semplici sentieri, e si poteva filare
solo quando c'era bel tempo.
Evidentemente la lunghezza del
lotto e delle coperture, e di conseguenza
delle corde, era legata alle
possibilità economiche dei proprietari.
Nel borgo di San Bernardo
sono state contate fino a 96 tettoie.
II territorio intorno alla città e ai
suoi borghi è definito dai campi utilizzati
per le diverse colture. La
canapa è una delle più tipiche del
luogo. La semina della pianta è
preceduta da un'aratura del terreno
a piccoli solchi praticati con aratro
a mano oppure trainato da un
cavallo. I semi vengono disposti su
due file parallele, a circa due spanne
di distanza, in vista della crescita
delle piante che arrivano a un'altezza
finale di quasi tre metri. II terreno
deve essere irrigato, e i semi
protetti dagli uccelli per i primi tre
giorni successivi alla semina. La
canapa è una pianta relativamente
robusta, che non necessita di

molto lavoro se non all'inizio della
crescita. Fino a un metro di altezza,
infatti, deve essere liberata
dalle erbacce, lavoro che le donne
eseguivano con una piccola
zappa. Ai bambini spettava togliere
le piantine deboli, che venivano
utilizzate per fare i legacci che
tenevano insieme i fasci di canapa.
La raccolta delle piante da fibra si
esegue tra la metà e la fine di agosto.
Venivano strappate a mano,
raccolte in fasci e portate ai maceratoi,
dove era messa nell'acqua
per sette, otto giorni. I maceratori
sono grandi vasche, o fossi scavati
nei campi, di solito sul bordo della
strada . Nei fossi venivano posizionate
delle assi di legno sul fondo,
al di sopra i "canaponi", le piante
maschio, a strati incrociati; su questi
fieno, terra e pietre.
Dopo gli otto giorni necessari i
canaponi venivano tratti dall'acqua
e messi ad asciugare ai bordi dei
fossati. Anche questo lavoro era
lasciato alle donne che stavano
immerse nell'acqua fino alla vita.
Le piante asciugate vengono poi
lavorate e trasformate.
La raccolta delle piante da seme,
le piante femmine, avviene verso
la metà di settembre. I semi venivano
raccolti direttamente nel
campo con un uncino e un palo, o
sgranati con le mani. Si mettevano
poi a seccare nelle aie delle cascine,
già preparate con letame diluito
e lasciato asciugare in modo da
proteggerli dal contatto con la
terra. L'operazione di rivoltare più
volte i semi per farli seccare completamente
era eseguita da tutti gli
abitanti della cascina, bambini
compresi che scacciavano le galline
attirate dai frutti della canapa.
I n autunno avveniva la "stigliatura",
cioè la separazione delle fibre
interne dalla radice e dalla corteccia.
Si radunavano intere famiglie,
solitamente sotto le tettoie delle
cascine, e si dividevano í compiti
della lavorazione. Uomini e donne
staccavano la radice della pianta,
alla quale restavano appesi pochi
fili che venivano raccolti dai bambini
e poi venduti per farne stracci.
La corteccia della pianta veniva

usata per fare le stuoie, mentre le
fibre interne, utili per la tessitura,
dovevano essere pettinate due o
tre volte su attrezzi di ferro con i
denti via via più stretti. In tal modo
le fibre diventavano molto sottili.
La canapa era così pronta per
essere venduta a cordai e tessitori.
II sentè
La larghezza del lotto è circa dieci
metri. La sua lunghezza sessanta.
Dei dieci, cinque sono coperti, i
restanti no e ospitano qualche
albero a basso fusto, erbacce, una
vasca in cemento, un gabinetto in
legno di quelli che si trovano sui
ballatoi dei cortili, una pergola con
tralci di uva fragola, fiori di campo.
In fila uno dietro l'altro nel senso
della lunghezza, sedici pilastri in
mattoni a vista posti a un interasse
di circa cinque metri uno dall'altro
e alti circa tre metri, si inclinano
leggermente sotto il proprio peso e
quello della modesta tettoia che
sorreggono. La falda del tetto è
inclinata verso est e si appoggia su
un basso muro perimetrale che
chiude il nostro lotto. Anche il muro
sbanda un po' verso l'esterno.
Dall'altra parte una recinzione in
filo di ferro a maglia larga, ricoperto
di plastica verde, divide dagli orti
della cascina vicina (c'è anche un
cavallo che osserva e che pascola).
La copertura, originariamente
in coppi, è oggi in tegole marsigliesi
probabilmente sostituite nell'ultimo
intervento di rifacimento del
tetto.
Attualmente alla tettoia si accede
attraversando l'aia di una cascina:
c'è una servitù di passaggio, e
questa prossimità cascina/tettoia
dimostra come in passato le famiglie
dei cordai-contadini svolgessero
attività diverse e complementari,
una sorta di doppio lavoro stagionale,
per coprire tutto l'anno lavorativo.
In questo specifico caso il
luogo della residenza e il luogo del
lavoro coincidevano.
Verso sud, finita la tettoia, ci si
perde nei campi. Ancora per poco,
poi arriveranno le villette.
Progetti per la realizzazione di
un piccolo ecomuseo
II primo progetto di recupero della
tettoia, precedente alla stipulazione
della convenzione, è stato studiato
e predisposto dall'Ufficio
Tecnico del Comune di
Carmagnola. In questa fase si prevedeva
il mantenimento della tettoia,
la ripulitura della parte di lotto
che la fronteggia con sistemazione
a verde e possibilità di sedute.
Venivano aggiunti due corpi di fabbrica
a un piano fuori terra ubicati
agli estremi della tettoia, verso
nord a dividerla dall'aia della cascina
adiacente, verso sud a definire
il nuovo ingresso con locali di servizio,
book shop ecc. II linguaggio

architettonico scelto per i nuovi
volumi cercava un dialogo diretto
con i caratteri dell'architettura rurale,
della quale andava a reinterpretare
le murature in mattoni a vista
e i tetti in coppi con spioventi a una
o due falde.
Arrivava a definirsi, nel suo insieme,
come un intervento omogeneo
e attento al piccolo oggetto architettonico
che si prendeva cura di
completare e integrare.
La realizzazione
Pochi elementi, ma strettamente
legati tra loro. Le tavole di legno, i
ciottoli di fiume, i tubi in ferro colorati
di rosso, gli alberi da frutto, il
cemento colorato definiscono l'ambiente.
Semplice e tranquillo. Una
torre di cinque metri di altezza
avvolta dalle corde, con sopra - il
modello sarà al vero? - la ruota
utilizzata dai cordai per la torcitura.
Due nuovi ingressi che riprendono
il linguaggio della torre e anticipano
quello della lunga passerella in
legno che accompagnerà il visitatore
all'interno dell'ecomuseo. Le
sedute, sulla passerella, sono in
legno e sottolineano il percorso. AI
fondo, sotto la tettoia, i locali di
servizio e una piccola sala per le
proiezioni video. Una pergola,
nuova, al posto di quella preesistente
e inutilizzabile.
II tutto pare un invito alla contemplazione
tranquilla del luogo e dei
cordai intenti a mostrare sotto la
tettoia l'antica lavorazione della
corda.
Fotografare le corde ... scene da
un allestimento
Che cosa si potrà mai vedere e
imparare in un museo della canapa
e della corda?
A coltivare, a mietere, a torcere e a
tessere: azioni del passato, gesti
della memoria, descritti da fotografie
in bianco e nero di grandi
dimensioni, e resi vivi dalle dimostrazioni
che i cordai di San
Bernardo sono disponibili a ripetere
ancora oggi perché non si perda
questa tradizione antica.
Ecco le diverse operazioni, brevemente.
La tessitura comincia attaccando
le fibre di canapa ai curli cioè a
quattro piccole ruote fissate agli
angoli di una tavola di legno quadrata.
La tavola è sospesa dal terreno
di un metro grazie a un palo
di legno. Le ruote sono collegate
tramite quattro corde a un'altra
grande ruota posta di lato rispetto
a queste. Questa viene mossa da
un bambino, mentre quattro
donne, camminando all'indietro,
assicurano tra le loro mani le fibre
di canapa in modo che si intreccino
strettamente in piccole corde o
gavette.
Una volta ottenute le prime corde
si può procedere alla produzione di
quelle più spesse e robuste.
Questa seconda fase - che può
prevedere anche una terza e una
quarta e così via a seconda del
diametro della corda finale - si
chiama la "commettitura".
Le corde vengono attorcigliate tra
loro facendole passare in una cravia
di legno a forma di cuneo con
diverse scanalature per unirle in
una sola più grande.
Dopo la commettitura le corde vengono
arrotolate e bagnate. Poi si
srotolano e si tendono sul senté
per essere strigliate.
La "strigliatura" avviene dapprima
con una maglia di ferro che rimuove
i residui più grossolani, poi con
un fascio di gramigna, infine con
uno straccio.
La corda, raccolta in matasse, è
pronta per essere utilizzata.

Ecomuseum of the Hemp Processing Trade
RESEARCH GROUP: Emanuele Levi Montalcini and Patrizia Chierici (Head of
Scientific Research), Franco Lattes, with Paola Delpiano and Massimo Raschiatore,
in collaboration with the Municipality of Carmagnola and the Sanbernardesi
Ropemakers' Association.
AREA OF INTERVENTION: The protecting roof, on which intervention is to be
performed, is located in the Borgo di San Bernardo in the northwest part of
Carmagnola. The village has a rural type of architecture; the buildings are arranged
in a straight continuous row along the streets, but the long, narrow internal courtyards
are arranged perpendicularly to the main street. These indicate the lots covered by
the protecting roofs that were used to weave rope.
Our lot measures about ten meters in width, and sixty meters in length. Five of the
ten meters of width are covered. The pitch of the roof slants eastward and rests on
a perimeter wall. The covering, once made of bent tiles, is now made of Marseilles
tiles. The protecting roof is accessed through the farm-threshing floor.
HISTORICAL-ECONOMIC-GEOGRAPHICAL BACKGROUND: The first deeds
attesting to the presence of hemp cultivation on the land of Carmagnola date back
to 1235. In 1522, the hemp market was transferred to Carignano due to the plague
and to the Spanish invasion, where it remained for two years.
After this time, the market of Carmagnola acquired importance as a trading center
for all of Piedmont only for hemp fiber and seeds that were by then widely exported
throughout Italy and to France. In the 17 '" century Carmagnola was a very important
city of the Savoy Government to which it had been annexed in 1588.
During the 19`" century, there was an increase in the amount of hemp produced
accompanied by technological changes that led to its development as an industry.
The years from 1875 to 1889 are of vital importance for the production and exportation
of hemp seeds, soon becoming the area's primary economic resource. With the
Unification of Italy, Carmagnola lost the government business orders bringing a heavy
loss for the local economy.
In 1930, the small hemp factories were absorbed by large mills creating a monopoly.
OBJECTIVE: The historical group of the San Bernardo Ropemakers and the public
administration collaborate in the preparation of a project for the reclamation of one
of the ancient protecting roofs where rope was made. The protecting roof of the Borgo
San Bernardo, one of the few that still exist, was purchased by the Small Town with
the intention of converting it into a small museum managed by the ropemakers'
association. This project is part of the project for the creation of Ecomuseum
organized by Office of the Assessor of the Province of Turin.
THE PROJECT: In the project, the protecting roof has been integrated with simple
geometric spaces. The southern part of the roof verges on a parallelepiped that serves
as a new entrance, small exhibition room and for other purposes. Under the roof's
first bay, a small window turns into an optical chamber, as if one were looking from
the outside in to see images of the past projected into the present. The northern part
is divided from the threshing floor by a space that is similar to the one previously
described but oriented toward the first one on the square axis. The project creates
a play of scenes. The temporary project is a sort of preliminary project, but it is defined
enough to allow the opening of the ecomuseum. The red colored I nnocenti tubes,
the wooden boards, the pebbles, the fruit trees and the colored cement lend
character to the environment. There is a five-meter high tower wrapped in rope with
the wheel used by the ropemakers for spinning above it. The benches along the
gangway are made of wood and accentuate the route. Located at the end under the
protecting roof are the service facilities and a small room for video projections.

Il museo tessile
Coordinamento progettuale: Chiara Ronchetta, Clara Bertolini, Germana Bricarello,
Emanuele Levi Montalcini, Maurizio Lucat, Marco Vaudetti
Progetto: Luca Barello, Daniela lenna, Paolo Mauro Sudano, Marcella Tisi
Partecipazione al Comitato scientifico del museo: Clara Bertolinl, Laura Palmucci
Schedatura delle macchine: Luisa Ingaramo
Nell'aprile 1996 s'inaugurava a
Chieri un "Deposito ordinato di
materiale del tessile"'. Questo
primo atto nell'opera di conserva
zione e valorizzazione della
memoria storica 2 del piccolo centro
urbano alle porte di Torino, era
stato fortemente voluto dall'amministrazione
che aveva messo a
disposizione alcuni locali - sebbene
non troppo felici come capienza
e agibilità - esemplari dell'antica
tradizione tessile del luogo: l'ex
convento di Santa Chiara, pervenuto
al Comune dopo essere stato
tra il 1809 e il 1845 una tessitura di
cotone (ditta David Levi, la prima
fabbrica ad aver realizzato in
Chieri il concetto di stabilimento
moderno).
Sono raccolti per ora nel nucleo
espositivo, a testimonianza del
periodo protoindustriale, strumenti
manuali per la filatura quali aspi,
fusi, canocchie, arcolai, caldaie a
mano, pigmenti, cinque telai a
mano a diversi licci, parti di telaio
Jacquard, pettini e subbi, un piegatoio
manuale e un grande orditoio
verticale a mano completo di sgabello,
aspo e rastrelliera, tagliafoglie
per gelso, ceste e un "castello"
per la bachicoltura; per la fase più
recente telai meccanici, calandre,
campionari, carte intestate, vecchie
fotografie, attrezzature per il
controllo della qualità, vari campioni
di stoffe, attrezzature da ufficio;
tutte le macchine sono funzionanti.
La prima ipotesi di Museo
I n prospettiva si è cominciato a
studiare l'assetto definitivo per i
materiali, schedati con metodo
informatizzato messo a punto

dall'Istituto centrale per la
Documentazione e il Catalogo, sul
programma regionale "Guarini".
Le sezioni previste, in sequenza
cronologica, sono rivolte a illustrare
la Protoindustria, l'Industria fino
agli anni Cinquanta, ognuna contenente
le fasi della filatura, tintura,
orditura, tessitura del cotone, prevalentemente,
ma anche a presentare
altre lavorazioni sviluppate in
loco, quali quella della seta e della
canapa.
Da tale centro dovrebbero partire i
suggerimenti su alcuni itinerari
archeologico-industriali che sono
stati individuati nella città (per temi:
le architetture del tessile, le macchine
del tessile, i prodotti del tessile)
ed altri, che possono svolgersi
nella regione.
II nucleo espositivo da cui si diramano
gli itinerari dovrebbe comprendere
oltre al deposito delle
collezioni, un centro attivo di studio
e di documentazione, tale da offrire
uno stimolo didattico alla cresci-
ta e alle conoscenze, quale propulsore
per le industrie ancora presenti
e vive nella città e incentivo
per un turismo di tipo culturale.
Recentemente è stata avviata la
ristrutturazione di un edificio industriale
che è parso il più adatto ad
ospitare definitivamente il "Museo
dell'attività tessile chierese", un'antica
fabbrica di imbiancheria".
La futura sede del Museo del
tessile: l'Imbiancheria del Vajro
L'edificio che sorge fuori dall'antica
porta del Vajro (in seguito porta
Torino) in direzione nord-ovest
uscendo da Chieri, è stato uno dei
primi costruiti con specifica vocazione
industriale: dai verbali delle
assemblee dell'Arte dei Fustagneri
risulta infatti che il primo nucleo di
tale edificio esisteva già come
imbiancheria alla fine del XVI
secolo.
Edificato a poca distanza dal Rio
Tepice, in mezzo ai prati che consentivano
di stendere i panni dopo
i bagni di imbiancatura, si è sviluppato
nel corso dei secoli lungo un
asse parallelo al rìo con l'addizione
di corpi di fabbrica che, comunque,
non ne hanno alterato il carattere
di piccolo opificio. Negli anni Venti,
viene trasformato in tintoria con la
costruzione di due saloni voltati e
della ciminiera. Terminata negli
anni Cinquanta l'attività di tintoria,
l'edificio diventa manifattura con la
collocazione, nei saloni novecenteschi,
di telai manuali e meccanici.
Alla fine degli anni '80 è stato radicalmente
modificato l'assetto dell'area
circostante l'edificio: i prati,
un tempo necessari come piani di
imbiancatura, sono stati sottratti
dalla costruzione di alcuni edifici
residenziali ed il rio scorre ora
i ncassato nel perimetro della
nuova zona industriale, diviso dal-
I'imbiancheria da un primo tratto di

una strada di circonvallazione, la
cui realizzazione ha comportato,
peraltro, l'abbattimento di due
corpi di fabbrica.
II progetto di riqualificazione
II progetto di ristrutturazione del-
I'imbiancheria 3 , volto a ridare
corpo ad un edificio del lavoro -
"macchina" che contiene le macchine
della tessitura - ha inteso
recuperare l'intero volume antico
affiancandogli una nuova manica a
nord-ovest, proseguendo così nell'allineamento
di corpi di fabbrica
lungo l'asse parallelo al rio Tepice.
II volume esistente è stato pressoché
integralmente risanato nell'involucro
esterno - a meno di un
tratto di facciata a sud-ovest, rifatta
in mattoni facciavista - e svuotato
al suo interno a causa delle pessime
condizioni dei solai e della
copertura. In particolare sulla
testata sud-est della manica stretta
è stata mantenuta, nei due piani di
calpestio, la conformazione a
salette con portico angolare con il
rifacimento dei solai, in acciaio e
legno, e dei tramezzi, creando al
piano terra una zona di accoglienza
per i visitatori del museo ed un
primo nucleo espositivo, e a livello
superiore spazi raccolti per custodire
la storia dell'industria tessile
nel chierese. In questa zona la
struttura lignea del tetto è stata
rifatta sullo schema di quella esistente,
mantenendo la copertura in
coppi. La parte centrale della
manica è stata svuotata, a creare
una grande sala per ospitare le
macchine tessili delle collezioni del
museo. AI primo piano della sala,
lungo tre lati, corre una balconata,
in acciaio e legno, dalla quale si
potranno osservare i particolari dei
telai da tessitura esposti. II manto
di copertura, rifatto in coppi, poggia
su una struttura metallica realizzata
con capriate Polonceau.
La parte novecentesca, svuotata

dalle aggiunte murarie posteriori,
diventerà il "cuore" del nuovo
museo: sotto alle volte dal profilo
teso e parabolico le due sale delle
macchine - l'officina rumorosa di
macchine - continuazione della
storia dell'imbiancheria.
All'interno è stato inserito il nuovo
sistema di collegamenti verticali,
sempre in acciaio e legno, che
attraversa le varie parti dell'imbiancheria:
una scala si avvolge intorno
al muro tra le due sale, diventa
prima balconata per poter osservare
dall'alto la sala maggiore ricca
di macchinari, poi, riattraversato il
muro, passerella a collegarsi con
la parte più vecchia dell'imbiancheria,
aprendosi anche in un piccolo
soppalco che consente l'esposizione
di un oggetto di particolare
pregio.
L'ampliamento dell'antica imbiancheria,
concepito per soddisfare le
esigenze espositive, si configura
come una manica a sviluppo longitudinale
e parallelo alla parte novecentesca,
costituita da pilastri in
laterizio che ritmano una sala completamente
vetrata, anch'essa
destinata all'esposizione di macchine.
La copertura, in lamiera verniciata
sorretta da piccole capriate
metalliche, ha un'unica falda inclinata
verso I'imbiancheria, così da
accentuare la corte interna.
Le sistemazioni esterne mirano a
rendere pubblico giardino, attraversato
dai visitatori del museo e dagli
abitanti della zona, l'esigua fascia
di verde rimasta intorno all'edificio.
Sono stati previsti due ingressi,
uno esclusivamente pedonale che,
aprendosi in una gradonata, scende
verso la corte disegnata dal
museo e va a collegarsi ad un sentiero
esistente che prosegue verso
il centro di Chieri; l'altro, anche
carraio, collocato in direzione
opposta. Tutta l'area, ad esclusio-
ne di una fascia di muro esistente,
sarà limitata da un basso murettosedile
in laterizio.
Conclusioni
Sebbene solo abbozzata, la soluzione
scelta a Chieri appare a
mezza via fra quelle più note e
precoci di Le Creusot Montceau
les Mines in Francia e "Blists Hill
open air Museum" e "Ironbridge
Gorge Museum" in Gran Bretagna,
funzionanti dagli anni Settanta su
progetti museali completamente
diversi tra di loro: per cogliere la
stratificata e complessa realtà di
un vasto paesaggio antropizzato
dall'industria su sedici comuni il
primo, per ricreare in un unico
luogo fortemente emblematico uno
"scorcio di paesaggio industriale
del passato" gli ultimi.
A Chieri si è seguita la via offerta
dai musei del territorio belgi
(Ecomusée régional du Centre) tra
Charleroi e Bruxelles, e tedeschi
(Freilichtmuseum Technisher
Kulturdenkmale) e anche in parte
i n Italia (Museo all'aperto di Schio),
che si realizzano mediante i temi
dei "percorsi tematici" e del "parcomuseo".
Un modello in consonanza
con le stimolanti osservazioni
offerte recentemente da Louis
Bergeron sui "musei di sito" ovvero
su piccole raccolte museali inserite
nel guscio di una fabbrica da poco
dismessa, che stanno riscuotendo
grande successo per la semplicità
e la convenienza dell'allestimento,
per il coinvolgimento pedagogico e
scientifico della comunità che vi
ritrova più facilmente le proprie
radici, per le spinte ad un confronto
vivo con la tradizione, se l'attività
è ancora vitale. Tali musei,
essendo di piccole dimensioni,
sono anche più agili sotto il profilo
dell'organizzazione, ma possono
facilmente chiudersi nel parametro

localistico; per ovviare a ciò è
necessario, come si sta pensando
per il Museo tessile di Chieri, stabilire
una serie di contatti programmatici
e operativi con strutture consimili,
cioè fare in modo che entrino
a fare parte di una "rete museale"
a più vasto raggio.
(a cura di Laura Palmucci,
Luca Barello, Daniela lenna, Paolo
Mauro Sudano, Marcella Tisi)
NOTE
1) La Commissione di esperti per il Museo tessile
di Chieri è formata da: Agostino Gay, assessore
alle risorse culturali del Comune di Chieri, Filippo
Ghirardi, direttore dell'Archivio storico del
Comune di Chieri, Armando Brunetti, imprenditore,
Clara Bertolini, docente del Politecnico di
Torino, Riccardo Beltramo, docente della Facoltà
di Economia e Commercio, Laura Palmucci,
docente del Politecnico di Torino e coordinatore
del gruppo. Dal novembre 1997 è stata istituita
una Fondazione a guida delle iniziative e della
gestione del Museo. Presidente il sig. Armando
Brunetti. La schedatura delle macchine è stata
effettuata da Luisa Ingaramo.
2) Fin dal Quattrocento a Chieri si svolgeva la
produzione del fustagno, un derivato del cotone di
medio-bassa qualità, al quale più di metà della
popolazione urbana era attiva nelle operazioni di
"battitura, sbiancatura, asciugatura, coloritura, rifinitura,
tessitura" necessarie per ridurre la materia
prima - cotone proveniente dall'oriente via mare
su Genova e Savona, passando da Asti - in tessuto,
tanto che nel 1383 venivano stilati gli "Statuti
dell'Arte del fustagno". A questa attività si affiancava
da subito la coltivazione e la raccolta del
"guado", la pianta usata nella tintura del filo o
delle pezze in colore turchino; ed entro la fine del
Seicento si affermava l'allevamento del baco da
seta e la trattura del filo serico. Ma era con la
seconda metà dell'Ottocento e il primo Novecento
che insieme al declino della sericoltura, l'attività
chierese volgeva decisamente verso la tessitura
del cotone raggiungendo grande notorietà: con
l'introduzione dei telai Jacquard e poi quelli meccanici,
i tessuti si specializzavano in "piquet, bandere,
bombacine, coperte catalogne e mollettoni";
gli opifici operanti nel 1910 raggiungevano il
numero di 29.
3) Coordinatori del progetto: Chiara Ronchetta,
Emanuele Levi Montalcini, Marco Vaudetti, Clara
Bertolini, Germana Bricarello, Maurizio Lucat,
Dipartimento di Progettazione architettonica,
Politecnico di Torino.
Progetto e Direzione Lavori: architetti Luca
Barello, Daniela lenna, Paolo Mauro Sudano,
Marcella Tisi.
Consulenza strutturale: ing. Franco Galvagno .

The Textile Museum in Chieri
RESEARCH GROUP. Chiara Ronchetta, Emanuele Levi Montalcini, Laura
Palmucci, Clara Bertolini, Luca Barello, Daniela lenna, Luisa Ingaramo, Marcella
Tisi, Paolo Sudano, organized in collaboration with the Office of the Assessor for
Cultural Resources of the Town of Chieri, textile industrialists and the Region of
Piedmont.
AREA OF INTERVENTION: The Town of Chieri
HISTORICAL-ECONOMIC-GEOGRAPHICAL BACKGROUND: Fustian cloth, a
derivative of medium-low quality cotton, began to be widely produced in the area of
Chieri between the 15th and 16th centuries. More than half of the city's population
engaged in the operations of "beating, bleaching, drying, dyeing, finishing and
weaving" necessary to turn the raw material into cloth: both untreated cotton and cotton
thread on skeins was shipped by sea from the Orient to Genoa and Savona, and then
to Asti. Toward the end of the 17th century, silkworm breeding also established itself
along with the cotton processing industry. More recently, in the early part of the latter
19th century, silk manufacturing and silkworm breeding began to decline, causing
production in the Chieri area to turn definitively to the processing of cotton on
jacquard looms and, later, on power looms. Production increased appreciably and
became specialized in the manufacturing of "piquet, bandere and bombacine"
fabrics, and of Catalan and thick flannel blankets. The textiles industry still today plays
an important role in the area's economy.
OBJECTIVES: The project aims to preserve and protect the wealth of equipment and
memories (written documents, buildings, facilities and other objects) linked to the
industrialization of the Chieri area, so as to provide opportunities to study and to
perform research on its history and on locally developed techniques and technologies.
It is also intended to provide pedagogical stimulus for the growth of knowledge at the
various educational levels, to play a key role in the diffusion of knowledge about local
products, so as to provide impetus to the industries currently present in the area and
to incentivate cultural tourism.
THE PROJECT: Research has been developed over the years and has gone
through three distinct phases with the cooperation of local organizations, textile
industrialists and the Turin Polytechnical Institute. In the first phase that has now been
completed, the converging of the interests of the local community with those of the
Faculty of Architecture, financed by the Ministry of University Studies and of Scientific
Research, has led to the formulation of three museum routes regarding the memories
of the textile industry, the production of hypermedia, and the publication of the
book: Chieri città del tessile (Chieri, The Town of Textiles). The second phase was
marked by the opening of an "Ordered Storehouse of Textile Materials" in the
facilities of the former convent of Santa Chiara, the location of a flourishing textile
industry in the early decades of the 19th century, as the first center of the future textiles
museum. The equipment collected has been catalogued on computer files. At the
same time, plans for a Museum continued to take shape. The structure envisaged
would have a documentation, exhibition and management center in which to preserve
and exhibit collections, to perform demonstrations of work on the machines (all still
functioning), to gather and distribute information and news, and to provide teaching
aids to all schools. This initial structure would lead to city museum routes, an open
air extension of the museum, where it will be possible to recapture the appearance
of the old as well as the new industrial complexes that have risen in the city over many
years of activity in the textiles industry. Plans are to set up the Museum's headquarters
in an industrial building, the ancient cotton Bleaching Building of Vajro. Use of this
structure, located outside the city but comprising a larger accessible area with the
possibility of being enlarged, has been made possible through funding by the
European Union, which has allowed the design and implementation of restructuring
works, currently being terminated, to create an open air landscape museum.

Il museo-laboratorio didattico del
Villaggio Leumann
Marco Vaudetti (responsabile), con William Cattanea, Simona Canepa,
Paola Mobiglia, Stefania Musso
Il Villaggio Leumann riveste una
importanza strategica nel territorio
del Comune di Collegno e al tempo
stesso nel Progetto Cultura
Materiale rivolto al territorio della
Provincia di Torino.
Si tratta infatti di un villaggio operaio
che ha saputo mantenere nel tempo
le caratteristiche strutturali dell'insediamento
originario, costituendo
un polo di attrazione in quanto
esempio tra i più interessanti in
Italia di villaggio operaio; al tempo
stesso, grazie alle iniziative in corso
volte alla sua valorizzazione, può
svolgere un ruolo di primo piano nel
filone degli interventi di recupero
del patrimonio architettonico volti
alla realizzazione di un Ecomuseo.
Le vicende salienti del Villaggio
Leumann sono note.
Nasce a complemento del Cotonificio
Leumann, insediatosi in Collegno
nel 1875; negli anni dal 1892 al
1914 vengono creati, su progetto
dell'arch. Fenoglio, abitazioni per
gli operai dell'opificio e una completa
rete di servizi, che comprendeva
la chiesa, lo spaccio, il convitto
per le operaie, due scuole, un
teatro, l'ambulatorio, la mensa, l'ufficio
postale, la stazione del treno
che collegava Torino a Rivoli lungo
corso Francia.
Nel 1972 lo stabilimento Leumann
cessa la produzione, per riprenderla
recentemente con diversa organizzazione.
Nello stesso anno il Piano
Regolatore di Collegno vincola il
villaggio come zona di interesse
storico artistico e di particolare pregio
ambientale, da sottoporre a
piano particolareggiato finalizzato
al restauro e al risanamento conservativo.
Nel 1975 il Comune adotta per il
Villaggio il piano di zona ex legge
167 e provvede ad acquistare l'area,
affidando la gestione del risanamento
all'istituto Autonomo
Case Popolari di Torino.
Dal 1975 al 1979 vengono eseguite
le principali opere di urbanizzazione
primaria, le opere di manutenzione
straordinaria delle coperture
dei fabbricati, il risanamento di
numerosi edifici adibiti a residenza
e a servizi.
A partire dal 1992 opera all'interno
del Villaggio l'Associazione Amici
della Scuola Leumann, che si prefigge
di tutelare e valorizzare la
storia e la memoria del Villaggio,
agendo con iniziative finalizzate al
recupero architettonico e suggerendo
spunti per una rivitalizzazione
del sito e un suo inserimento

nel circuito degli Ecomusei.
In quest'ottica il Comune di Collegno
ha recentemente rinnovato il suo
interesse per il recupero del
Villaggio inserendolo in un più ampio
quadro di riferimento, che comprende,
oltre al Villaggio Leumann,
luoghi di rilevante interesse storico,
culturale e paesaggistico quali
il Setificio del Molino, il complesso
della Certosa, il Parco naturale
della Dora, i Mulini della Barca.
L'intento è quello di legare queste
realtà di grande interesse storico e
architettonico con altre analoghe
esistenti nei Comuni di Torino,
Alpignano, Grugliasco e Rivoli, e di
inserirle in percorsi museali collegabili
a quelli in corso di creazione o
già esistenti nel Chierese, nel Pinerolese,
nel Canavese, in Val di Susa.
Negli stessi anni il gruppo di ricerca
del Dipartimento di Progettazione
architettonica del Politecnico coordinato
dal prof. Vaudetti ha iniziato
una serie di studi per il recupero e
la valorizzazione del Villaggio.
Gli studi sono stati condotti interagendo
sia con l'Associazione Amici
della Scuola Leumann sia con il
Comune di Collegno e dibattendo
in pubblico in più di una occasione
ipotesi di riuso di alcuni edifici del
Villaggio e di sistemazione urbani-
stica della zona.
II programma comune di lavoro
prevede:
1 - la creazione di un Museolaboratorio,
confermando, come
sede, l'ex-cotonificio, in particolare
una parte dei capannoni, facenti
parte del nucleo storico della fabbrica,
attestati su corso Francia;
tuttavia, stanti i tempi medio-lunghi
e le difficoltà prevedibili nella realizzazione
della proposta, si può
anche prendere in considerazione
l'ipotesi di costituire un primo
nucleo dell'Ecomuseo nell'edificio
dell'ex-convitto operaie, all'interno
della realizzanda Biblioteca Civica:
la nuova sede, in attesa dell'assetto
definitivo, si presenta già sin d'ora
come idonea a ospitare sia le attività
istituzionali sia attività di incontro
e di aggiornamento culturale; in
quest'ottica essa potrebbe ospitare
appunto un primo nucleo legato
all'Ecomuseo e al tempo stesso
una serie di attività che costituiscano
"una finestra" sul Villaggio: il
museo con annesso laboratorio
didattico della tessitura, un centro
di documentazione sul Villaggio
Leumann e su altri villaggi operai
italiani e stranieri, un archivio di
memorie e testimonianze di vita,
materiali di studio e ricerca, una
videoteca su argomenti inerenti il
tessile, un book shop.
Un'organizzazione siffatta si configurerà
come vero e proprio Centro
Culturale, e in esso potrebbe essere
prevista anche la sede dell'associazione.
2 - la pubblicizzazione all'esterno
della realtà di Villaggio Leumann
sia come documento storico relativo
all'industrializzazione in
Piemonte, sia come esempio italiano
di grande interesse (da vedersi
in collegamento con altri villaggi
operai italiani, in particolare quelli
di Crespi a Capriate d'Adda e

Rossi a Schio), sia come memoria
di un brano di storia di Collegno
ancora viva nel tessuto sociale
degli abitanti del villaggio (una
buona parte ha lavorato nell'opificio
Leumann e da allora risiede nel
Villaggio), sia come spazio di relazione
con alto potere di attrazione.
Non vanno dimenticate inoltre due
i niziative in linea con il programma
sopra esposto:
- nel 1996 il Comune di Collegno
ha affidato l'ex-Stazionetta alla
Associazione Amici della Scuola
Leumann, che ha provveduto a
progettarne il recupero e sta
completando i lavori, con lo
scopo di destinare la struttura a
punto informazione e centro visita
del Villaggio;
- nel 1998 il Comune, come già
innanzi ricordato, ha posto mano
al trasferimento della Biblioteca
Comunale dalla sede attuale, ubicata
al di là di corso Francia e
non più idonea alle cresciute esigenze
della popolazione, all'edificio
dell'ex-Convitto delle operaie.
I n questo quadro gli studi promossi
dal Politecnico hanno portato alla
stesura di un contratto di ricerca
con la Provincia di Torino, in via di
formalizzazione in questi giorni.
II contratto prevede:
a - la precisazione e l'approfondimento
degli studi sinora svolti; più
in dettaglio si intende:
- illustrare, mediante schede progettuali,
gli interventi ritenuti
necessari per la rivitalizzazione
di numerosi e significativi edifici
del Villaggio il cui riutilizzo può
concorrere a garantire per
Leumann un ruolo di "luogo della
memoria" e al tempo stesso di
luogo di interesse e di aggregazione
strategico del territorio
comunale;
- redigere un programma di priorità
di interventi;
b - la specificazione - di concerto
con l'Amministrazione di Collegno
e con le Associazione culturali del
Comune - delle caratteristiche
della documentazione e delle iniziative
necessarie per promuovere
l'istituzione di un Ecomuseo nell'area
del Villaggio Leumann e la
costituzione di un primo Centro
visitatori dell'Ecomuseo;
c - la promozione della conoscenza
del Villaggio, proponendo -
all'interno del Progetto Cultura
Materiale della Provincia di Torino
e in collaborazione con gli studi
svolti dal gruppo del Politecnico
coordinato da E. Calvi e F. Lattes)
- percorsi e strutture di visita che,
partendo dal Villaggio Leumann,
favoriscano la valorizzazione dell'i
ntero territorio comunale nell'ottica
della costituzione del Museo
Territoriale della Città di Collegno.
Le fasi di lavoro sinora condotte
confermano la validità di tali
assunti; in particolare sono emersi
precisi filoni di lavoro, incentrati sul
recupero di numerosi fabbricati: si
tratta di interventi di recupero per
la realizzazione di attività espositive
e teatrali, per la realizzazione di
una casa per anziani e di un punto
di ristoro e di incontro.
Nelle fasi di lavoro successive si

intende passare alla redazione di
schede progettuali specifiche dedicate
ai seguenti edifici:
- l'ex-convitto delle operaie
- i capannoni dell'ex-cotonificio
Leumann
- l'ex-teatro (civico 307)
- la ex-sede Circolo Impiegati
Più in particolare si stanno valutando
opportunità progettuali (una
prima serie di valutazioni viene
riportata nella documentazione
fotografica allegata2) così articolate:
a - nella zona centrale:
all'interno dell'ex-cotonificio,
una parte dei capannoni che
affacciano su Corso Francia, e
appartengono al nucleo storico
della fabbrica, potrebbero essere
recuperati e destinati a ospitare
il Museo-Laboratorio
Didattico della tessitura, con
spazi espositivi e spazi per un
centro di documentazione, che
vada al di là del museo tradizionale:
i contatti con l'Associazione
Amici della Scuola Leumann
hanno infatti posto in evidenza
la correttezza delle iniziative
finalizzate a costituire un
Ecomuseo; esso potrebbe
abbracciare l'intero Villaggio,
considerato nella sua peculiare
struttura, e avere un cuore in un
edificio che potesse accogliere
le seguenti sezioni:
- esposizione di modelli di macchine;
- ricostruzione di ambienti di
fabbrica dell '800;
- laboratorio di tessitura per
adulti e bambini;
- biblioteca specializzata del
tessile;
- serra in cui coltivare piante da
cui si ricavano le fibre tessili;
- ricostruzione delle caratteristiche
dell'ambiente costruito
prima e a seguito dell'insediamento
operaio;
- i percorsi di chi venne a lavorare
a Leumann;
- Leumann e Collegno: rapporti
storici, urbanistici, sociali;
b - nel comprensorio est:
- l'ex convitto operaie è particolarmente
idoneo al recupero
come biblioteca e centro culturale;
il potenziamento delle attività
connaturate all'istituzione
bibliotecaria potrà estendersi
anche ad attività di ricerca
scientifica, didattico-educativa
ed espositiva, quali:
- spazi espositivi dedicati a ricostruzioni
d'ambiente
- spazi espositivi e di documentazione
della tecnologia del tessile
- spazi per attività di laboratorio
- spazi di documentazione.
Parallelamente è stato condotto
uno studio basato sull'ipotesi di
destinare a residenza universitaria
il fabbricato dell'ex-convitto,
collegandolo con i due edifici
posti alle ali;
- il civico 307 (ex-teatro), per la
sua particolare collocazione nel
tessuto del Villaggio, può ritornare
a essere pensato come
sede di attività teatrali, integrando
l'edificio con una sala esterna;
d'altra parte lo stesso fabbricato
bene si può prestare a

Casa per Anziani, sia al suo
interno sia con integrazione di
nuovi ambienti e servizi nell'area
contigua, con affaccio su
via Borgiacchi;
c - nel comprensorio ovest:
- il fabbricato dell'ex sede
Circolo impiegati - spaccio -
scuola materna può essere
riproposto a luogo di incontro e
ristoro, rievocando la tradizionale
"piola".
Anche altri fabbricati possono
essere suscettibili di riuso; tra questi
l'ex-albergo (destinabile a sede
definitiva dell'Associazione Amici
della Scuola Leumann, insieme
con il Centro comunale di iniziativa
per il lavoro e l'occupazione) e l'ufficio
postale.
II contratto dì ricerca prevede inoltre
le seguenti attività:
- redazione di un piano di priorità
attuative, con ipotesi sommarie di
costi;
- specificazioni relative all'Ecomuseo
e al Centro Visitatori;
- ipotesi di sistemazione delle aree
esterne, alla luce di un programma
generale di valorizzazione del
comprensorio Leumann, e studi
per la promozione del Museo
Territoriale di Collegno.
Dal punto di vista urbanistico sono
infatti opportuni studi volti a:
- attuare un più diretto collegamento
pedonale tra i comprensori est e
ovest e proporre un piano dell'arredo
urbano del Villaggio;
- formulare ipotesi di rimodellazione
dell'angolo tra corso Francia e
via Fabbrichetta, in ossequio al
Piano Regolatore, che prevede un
nuovo fronte edilizio con operazioni
di sfoltimento del tessuto esistente
e nuova viabilità per l'area.
I nteressa infine dare una risposta
positiva all'isolamento in cui, per
alcuni aspetti, versa attualmente
Leumann in rapporto al territorio
comunale, ricercando collegamenti
con altri possibili poli di interesse,
quali il Setificio e il parco della
Dora, attraverso percorsi ludicoformativi.
NOTE
1) Il Setificio del mulino (Setificio Caccia):
un progetto di percorsi ambientali ed il
Museo della Cultura Materiale nella città",
Franco Lattes (responsabile), Evelina Calvi,
Laura Palmucci, Patrizia Chierici, Anna
Maria Zorgno, Franco Prizzon, con Laura
Apollonio, Marco Bruno, Aldo Fontana.
2) Nella documentazione iconografica allegata
si presentano i risultati parziali di alcuni
degli studi svolti, proponendo il tema di
Villaggio Leumann come tema del
Laboratorio di Progettazione architettonica
all'interno della Facoltà di Architettura di
Torino, e in particolare:
- recupero del civico 307 e zona limitrofa a
casa per anziani; (R. Minola)
- recupero del civico 307 e zona limitrofa a
teatro; (N. Bizzarro, G. Giammarco)
- residenza universitaria nell'ex-convitto
operaie; (A. Bestente, A. Cappellino,
S. Coffaro)
- recupero di parte dei capannoni dell'exopificio
Leumann a Ecomuseo; (D. Bechis,
D. Cametti)
- recupero dell'ex edificio impiegati a luogo
di ritrovo; (G. Durbano, G. Ferraris di
Celle)
- nuova biblioteca nell'ex-convitto operaie;
(studenti C. Andreo, S. Zaghi)
- nuova biblioteca nell'ex-convitto operaie;
( M. Barberis Negra, N.Carle)

La Dora, il parco, il setificio
Franco Lattes (responsabile), Evelina Calvi, Patrizia Chierici, Laura Palmucci,
Anna Maria Zorgno, Franco Prizzon, con Marco Bruno, Laura Apollonio,
Aldo Fontana
La città di Collegno - poco meno
di cinquantamila abitanti al confine
di Torino, lungo la direttrice ovest
che collega il capoluogo con Rivoli
e la valle di Susa - pur essendosi
sviluppata e trasformata in modo
rilevante nel corso degli ultimi cinquanta
anni, conserva numerosi
nuclei edilizi che costituiscono
significative testimonianze storiche
e che possono individuare nodi di
un sistema culturale di interesse
metropolitano. Tra questi, il settecentesco
complesso del Setificio
Caccia o Setificio del Molino fornisce
una testimonianza, ormai
unica, della nascita dell'industria
serica nell'area torinese: in completo
abbandono, la parte del complesso
edilizio che ha ospitato i
macchinari per la tessitura e la tettoia
di trattura rischiano la completa
rovina. L'edificio è di proprietà
privata e l'Amministrazione comunale
ha chiesto la collaborazione
della Facoltà di Architettura per
contribuire a individuare le opportunità,
i modi e gli obiettivi di un
intervento di recupero e rifunzionalizzazione.
L'ansa della Dora, l'area su cui
insiste l'antico setificio, è un ambito
complesso, modellato nella sua
forma e identità da una stratifica-
zione di vicende geo-morfologiche,
storiche e sociali che vi hanno
depositato le proprie tracce; attraversato
da relazioni che lo collegano
a reti territoriali più ampie, l'acqua,
l'agricoltura e il verde; l'ansa
è inclusa tra il centro storico e i
quartieri Borgo Nuovo e Oltredora,
ma e ri masta a lungo isolata dalle
pratiche sociali e dai processi
costitutivi della città contemporanea.

L'ansa della Dora è uno spazio
ricco di segni, di memorie, di luoghi
suggestivi e di opportunità di
integrazione con la città intorno a
se, anche se la città ha in parte
dimenticato la sua presenza.
La ricerca si è sviluppata e ha
preso forma e ha individuato gli
obiettivi attraverso una fase di
documentazione approfondita sul
sito, sulle sue relazioni territoriali e
sulle caratteristiche storico morfologiche
del suolo e degli edifici; la
definizione di una serie di obiettivi
per la sua trasformazione; la verifica
della coerenza di tali obiettivi
con quelli che il nuovo Piano
Regolatore, in corso di stesura, sta
individuando.
I n considerazione della realtà operativa
che il tema d'indagine offre,
considerata l'esigenza di avviare
un processo di concertazione e di
formazione del consenso come
condizione preliminare alla definizione
degli aspetti più specificamente
tecnici del problema, si è
ritenuto opportuno indirizzare il
nostro lavoro, di comune accordo
con l'Amministrazione di Collegno,
alla realizzazione di un "evento".
Evento da realizzare nell'area di
i ndagine, per innescare un processo
di elaborazione culturale, politica,
tecnica, che potesse condurre
al recupero delle architetture significative,
alla attivazione di nuove
funzioni compatibili, alla realizzazione
delle infrastrutture necessarie
a riqualificare il sito.
Evento concepito come una anticipazione
delle intenzioni progettuali,
rappresentate attraverso installazioni
provvisorie, musica e sonorizzazioni,
performance teatrali,
immagini, storie e scatole luminose,
disposte lungo percorsi e
sequenze temporali definite, che
potessero fornire interpretazioni,
attraverso letture diverse, dei
caratteri del luogo e ne segnalassero
le trasformazioni possibili.
II Setificio
È stato costruito alla metà del
Settecento per accogliere l'intero
ciclo di lavorazione, nel periodo in
cui si sono ormai consolidate in
Piemonte le nuove forme organizzative
del "sistema di fabbrica" nell'industria
serica. La sua elevata
capacità produttiva è più volte
documentata dalle fonti settecentesche
a partire dalla data di impianto:
ha contenuto allora cinquanta
fornelletti riscaldati a fuoco diretto e
cinque mulini da seta a ruota idraulica
per la torcitura di un filato molto
pregiato, l'organzino, che veniva
esportato sui mercati europei.
Attualmente è ancora perfettamente
riconoscibile l'impianto originario
dell'intero complesso produttivo,
con l'imponente volume del filatoio
a quattro piani fuori terra.
Caratterizzato dalla sequenza
modulare delle aperture è costruito,
qui come altri in Piemonte, in
rapporto alla dimensione ed al
numero delle macchine al suo
interno. Conserva, nel piano
seminterrato, l'ambiente denominato
in antico "baratrone", con le
tracce dei fori per il passaggio
degli alberi che hanno mosso
"mulini da seta" a ruota idraulica.

Dell'originaria tettoia di trattura
solo la parte più antica, attigua al
filatoio, ha mantenuto i caratteri
architettonici settecenteschi, con la
sequenza dei pilastri in muratura
che sostengono il tetto; sul lato
opposto sono ancora oggi individuabili
i condotti per lo smaltimento
dei fumi provenienti dai "fornelletti"
riscaldati a fuoco diretto.
Nel complesso del setificio Caccia
si è continuato a lavorare e ad abitare
fino ad anni relativamente
recenti, anche dopo la chiusura
dell'attività legata alla produzione
della seta; oggi una parte del complesso
è stata ristrutturata e ospita
attività residenziali e di produzione
minuta, mentre la manica che originariamente
ha contenuto i macchinari
per la tessitura e la tettoia
di trattura sono disabitati da anni.
Lo stato di abbandono in cui si trovano
i due fabbricati e le loro precarie
condizioni statiche mettono in
forse la sopravvivenza di una delle
più importanti e significative testimonianze
storico-documentarie
dell'industria serica in Provincia di
Torino.
Indirizzi di progetto
Proprio per aver resistito all'espansione
della città, pur essendo all'interno
di essa, in ragione dei ridotti
collegamenti, l'ansa della Dora ha
conservato in parte i suoi caratteri
originali. Esplorandone il territorio
si scoprono luoghi e scorci suggestivi:
il fiume, le spiaggette, la diga,
i canali; si aprono inquadrature
inattese: l'alto volume del Setificio,
la presenza dominante del
Castello dei Provana, si colgono
connessioni possibili che possono
costituire la premessa per stabilire
nuove relazioni urbane.
L'ansa costituisce una opportunità
per lo sviluppo equilibrato della
città, un'area con una evidente
vocazione a parco urbano, che
deve essere affiancata da altre
attività produttive, terziarie, residenziali
attraverso un programma
di intervento definito, che organizzi
le funzioni e gli spazi, elimini gli usi
impropri ed integri le funzioni
assenti, promuovendo il recupero
degli edifici esistenti.
II Setificio, pur nella condizione di
grave degrado in cui si trova, mantiene
ancora in gran parte leggibili
le caratteristiche tecnologiche e
distributive che hanno consentito
di accogliere gli impianti produttivi:
la muratura portante a manica
semplice, i solai di legno, la
sequenza verticale dei piani, i percorsi
dell'acqua e i dispositivi che
hanno permesso di sfruttarne la
forza motrice...
È possibile fin d'ora individuare
alcuni orientamenti per il recupero
e la rifunzionalizzazione: i piani
bassi sono quelli che possono più
facilmente accogliere attività di
servizio alla produzione e alle persone,
artigianato, cultura, formazione.
Tra queste, la antica tettoia
di trattura può accogliere un piccolo
museo della seta, mentre il resto
dell'edificio è, in previsione, desti-

nato ad attività diverse. I piani alti,
date le dimensioni della manica e
le caratteristiche dei solai originali,
che occorre ricostruire, possono
ospitare residenze e piccole attività
terziarie.
Per rendere possibile l'insediamento
di nuove attività è condizione
necessaria disporre di collegamenti
più distribuiti, che rompano
l'isolamento che ne ha caratterizzato
la storia dell'ultimo secolo.
Occorre dunque rinforzare i colle-
gamenti già esistenti con il centro
storico della città e aggiungerne di
nuovi, con un ponte di attraversamento
dei fiume e un collegamento
verso il quartiere Oltredora attraverso
la via Lorenzini, via cui i programmi
di intervento avviati attribuiscono
un nuovo ruolo di collegamento
a scala urbana.
L'evento e i percorsi
La percezione di uno spazio, un
l uogo, una città, risponde a logiche
e sensibilità soggettive, i racconti di
viaggio ci trasmettono le descrizioni
degli oggetti o dei fenomeni che
hanno colpito l'interesse dei viaggiatore,
probabilmente molte altre
osservazioni avrebbero potuto
essere registrate se la curiosità o
l'i mmaginazione dello stesso viaggiatore
fosse stata esercitata a
osservare e annotare altri aspetti.
A volte basta però una piccola trasformazione,
una perturbazione
leggera nella sequenza delle abitudini
consolidate, un colore nuovo,
una luce diversa, per fare scoprire
- con sorpresa - luoghi sconosciu-

ti o dimenticati, oppure suggerire
nuovi valori da attribuire ai luoghi
già altrimenti conosciuti.
La funzione dell'evento e degli
accadimenti distribuiti lungo i percorsi
organizzati nell'ansa della
Dora è quello di operare questa
leggera "perturbazione", di sollecitare
l'attenzione sui valori che i
luoghi incorporano e di manifestare
una intenzione di progetto.
I ntenzione che può essere colta a
partire da una rilettura delle relazioni
che nel tempo e nello spazio
l'ansa della Dora ha intrecciato con
il territorio intorno: le testimonianze
materiali del lavoro e dei saperi
che si sono sviluppati in quei luoghi,
i sistemi delle acque e del
verde ed i sistemi della cultura e
della formazione, che sembrano
oggi trovare, in Collegno, molte
occasioni di interesse metropolitano.
L'evento potrebbe così essere
definito come l'opportunità di trasformare,
sia pure per un solo giorno,
l'ansa in ecomuseo.
La giornata del 28 giugno 1998, in
cui questo evento si è realizzato e
che ha concluso una prima fase di
attività del gruppo di ricerca, ha
inteso essere un momento inaugurale
per dischiudere occasioni di
avvicinamento ai luoghi e ai tempi
propri dell'incontro tra la città, il
fiume e il Parco della Dora. La
giornata del 28 giugno ha riscosso
partecipazione e interesse. Oggi i
molti cittadini che hanno partecipato
all'evento sono più consapevoli
delle opportunità che il Setificio e
l 'ansa della Dora offrono all'interno
dei programmi di trasformazione
della città, e sono disposti a sostenere
le iniziative per la loro realizzazione.

La Manifattura di Cuorgnè
Liliana Bazzanella (responsabile), Roberto Gabetti, Carlo Giammarco,
Sisto Giriodi, Aimaro Oreglia d'Isola, Paolo Mellano, Riccarda Rigamonti,
con Antonio De Rossi, Matteo Robiglio, e con Gian Carlo Tranzatto e Franco Brugo;
Mariella De Cristofaro (studi strutturali); Luigi Falco (studi urbanistici); Marco Filippi
(studi fisico-tecnici ed energetici); Franco Prizzon (valutazioni economiche e procedure),
con la partecipazione di Roberto Tha, caporipartizione servizi tecnici del
comune di Cuorgnè.
II progetto di recupero funzionale e
di rivalorizzazione della
Manifattura di Cuorgnè presenta
caratteri particolari, insoliti, che
richiedono una premessa: in questo
caso, infatti, il termine "progetto"
non indica il prodotto finito ed
operabile atteso di solito da un
professionista, ma, coerentemente
con la collocazione universitaria
del gruppo di lavoro, indica un prodotto
problematico, aperto a successive
definizioni. Questa problematicità
non è stata inserita dall'esterno,
per complicare cose semplici,
ma era nelle cose, era il
carattere più evidente del tema:
dieci anni fa un progetto di recupero
di tipo tradizionale - gestito da
operatori privati e da progettisti
professionisti - era rimasto sulla
carta per le difficoltà incontrate,
esito che segnalava la necessità di
attenzioni particolari, della convergenza
di conoscenze diverse,
capaci però di dialogare in modo
originale.
II recupero del nucleo storico della
Manifattura infatti doveva tenere in
conto aspetti non comuni, addirittura
a prima vista contraddittori: da
una parte la dimensione eccezionale,
il numero e la varietà delle
funzioni moderne da inserire, e
dall'altra il valore documentario ed
ambientale ancora intatto del complesso,
il suo rapporto ancora percepibile
con la forma e la storia
della città, valori che rischiavano di
venire sacrificati all'uso o di imporre
a loro volta sacrifici a nuovi usi.
Altri aspetti insoliti erano da un lato
la presenza di operatori pubblici: il
Comune, proprietario del complesso
dal 1997, e la Provincia di
Torino, interessata ai temi del lavoro
e della sua storia, dall'altro la
possibilità recente di poter concor-

ere ad inserire il progetto di recupero
della Manifattura nell'elenco
dei progetti finanziati con i Fondi
Strutturali dell'Unione europea.
L'area di indagine
L'area di indagine intesa in senso
stretto è quella ritagliata attorno al
"nucleo storico" della Manifattura
nella recente variante di PRGC a
seguito dell'acquisizione - dopo il
fallimento del 1992 - del complesso
da parte dell'amministrazione
nel 1997; in realtà fin dall'inizio l'area
di indagine della ricerca è stata
allargata: nello spazio - prima alle
immediate pertinenze, poi ai rapporti
con il vicino centro storico - e
nel tempo - alla storia edilizia e
materiale dell'intero complesso,
attraverso le sue trasformazioni ed
i suoi ampliamenti.
II "nucleo storico" della Manifattura
è costituito da tre grandi edifici:
due blocchi per la filatura ai lati del
blocco centrale detto "battitore",
eseguiti nell'arco di pochi anni -
dal 1872 al 1874 - sulla scorta di
un progetto unitario redatto dall'ing.
Mauke, progetto ambizioso
per la dimensione e l'accurato studio
dei dettagli, tali da farlo prendere
all'epoca come esempio.
Rimasto praticamente immutato
fino al 1900, il "nucleo storico" è
poi stato più volte ristrutturato e poi
ampliato con interventi sempre più
eterogenei, che non hanno però
compromesso la riconoscibilità
della figura originaria mentre ne
hanno confermato l'isolamento
rispetto alla città.
Le relazioni con le istituzioni e il
territorio
La ricerca non è stata svolta nel
chiuso di un laboratorio, ma al contrario
si è caratterizzata proprio per
l' utilizzo del progetto, nelle sue
diverse fasi, come strumento nei
contatti con gli "attori" istituzionali
interessati alla ristrutturazione

della Manifattura: in primo luogo
l'Amministrazione comunale e la
Provincia di Torino, per innescare
un processo intrecciato di trasformazione
delle conoscenze e delle
attese di ognuno.
Per l'Amministrazione comunale
l'obiettivo di partenza era duplice:
da una parte utilizzare una risorsa
esistente, strategica per dimensione
e per posizione, ma anche conservare
per la memoria collettiva
un pezzo rilevante della storia
urbana e sociale della città, e dall'altra
sperimentare a questo scopo
l'accesso ai Fondi Strutturali
dell'Unione europea per il recupero
dei siti industriali degradati. Per la
Provincia di Torino l'obiettivo era
inserire la Manifattura nella rete
dell'Ecomuseo del territorio, di fare
cioè di un "monumento del lavoro"
un museo esso stesso ed anche
una struttura in grado di ospitare
un ecomuseo tematico. Per il gruppo
di lavoro del Politecnico l'obiettivo
era quello di verificare una
possibile continuità con le ricerche
già svolte sul tema delle aree industriali
dismesse, guardando all'operazione
di recupero edilizio con
un filtro storico-critico, attento ai
risvolti "teorici" di un intervento
contemporaneo su di un edificio
"antico".
II progetto
Fin dall'inizio il percorso del progetto
è stato un girare attorno a
questa montagna edificata che è la
manifattura di Cuorgnè, la quale si
presentava proprio come un
masso, troppo grosso, troppo
pesante per poterlo sollevare,
maneggiare, manipolare: le superfici
erano tante, fin troppe, e finivano
di rendere problematico il
rispetto dello standard in tema di
parcheggi; le maniche dei blocchi
erano profonde, fin troppo, e finivano
di rendere problematico il
rispetto dello standard di illuminazione
ed aerazione naturali per le
nuove attività, e così via. D'altra
parte l'operazione di togliere qualcosa
andava fatta senza alterare
l'immagine consolidata della
Manifattura: quasi un castello
schinkeliano, simmetrico sull'asse
del blocco centrale, unificato dagli
ampliamenti in un fronte unico
sulla testata verso l'Orco, con esiti
i nvolontariamente monumentali. II
progetto ha provato a togliere un
po' di superficie a tutti i piani: con
porticati continui al piano terreno di
tutti e tre i blocchi, con tagli veri e
propri ai piani superiori delle maniche
delle filature compresa la falda
del tetto. La proposta insolita era
completata dalla proposta altrettanto
insolita di togliere tutti i vecchi
serramenti e di affidare il compito
di fornire "frontiere" moderne
per i nuovi spazi a nuove facciate,
arretrate ed indipendenti in temini
strutturali e di immagine.
Ridotte le superfici a quantità ragionevoli
rimaneva il problema della
ripartizione delle diverse attività nei
diversi blocchi, ai diversi piani, che
presentavano differenze sensibili

nel tipo delle strutture interne: in
muratura piena, in ferro e muratura,
in ferro e legno. La congruenza tra
le caratteristiche degli spazi esistenti
e quelle delle attività da insediare
è stata ricercata per tentativi,
in dialogo con le amministrazioni
interessate, con approssimazioni
successive, confrontando le quantità
metriche assolute, ma anche la
capacità di "reverberazione" degli
spazi esistenti sulle nuove attività,
i n modo da rendere minimi i lavori
di adattamento.
II passaggio da poche funzioni
omogeneee a molte funzioni etereogene
ha comportato un ridisegno
del sistema distributivo: da
quello all'interno dei singoli blocchi,
a quello esteso all'intero lotto,
fuori del lotto a tutto il settore urbano
che ne costituisce l'intorno
immediato e che è anche settore
centrale della struttura urbana.
Elemento caratterizzante del nuovo
sistema distributivo sono i percorsi
pubblici, ricavati attorno ai volumi
destinati alle nuove attività nelle ali
opposte ai piani terreno e primo,
realizzando così un reticolo continuo
che garantisce la massima
permeabilità a tutti i flussi generati
dalle attività insediate, ed ai flussi
da e verso la città, con un effetto
generale di animazione urbana.
Un ruolo importante nell'articolazione
degli spazi e delle funzioni lo
svolge il museo, collocato nel
cuore dell'edificio all'incrocio tra i
diversi percorsi. La definizione
delle attività museali che potrebbero
essere ospitate è ancora aperta:
il racconto della vita della
Manifattura, la messa in scena
delle vicende legate allo sfruttamento
idroelettrico della zona, il
rimando alle altre presenze ecomuseali
nell'area.
All'interno di queste ipotesi distributive,
un problema delicato era
quello posto dalla necessità di
reperire superfici a parcheggio,
funzione prima ridotta se non
assente, in un lotto ritagliato stretto
attorno agli edifici: il progetto propone
di ricavare le superfici a parcheggio
in corrispondenza delle
poche aree libere - il cortile ma
anche la ripa, parte in superficie
ma anche interrate o all'interno del
blocco che ospita l'albergo.
II percorso del progetto è segnato
dall'intreccio di più orme: quelle dei
saperi specialistici, quelle degli altri
"attori" istituzionali, tutti presenti in
modo dialettico, nè indipendenti nè
sottomessi. È questo il caso degli
studi relativi al passato ed al possibile
futuro della struttura, degli
studi fisico-tecnici ed energetici,
degli studi relativi alle valutazioni
economiche ed alle procedure di
finanziamento; è questo il caso
delle verifiche compiute con gli uffici
dell'Assessorato all'Industria
della Regione Piemonte e della
FinPiemonte in merito all'ammissibilità
del progetto in riferimento
all'asse di finanziamento del
DOCUP, con la Soprintendenza ai
Beni Ambientali in merito alla compatibilità
delle proposte con gli indirizzi
dell'ufficio.
Conclusioni
Le considerazioni di carattere storico-critico
hanno indirizzato il progetto
verso ipotesi di intervento
che, escluso il miope pragmati-

smo, non si limitassero alla pura
conservazione, ma che si aprissero
ad interventi anche innovativi,
però compatibili con la forma e la
storia dell'edificio. Le contraddizioni
presenti, accettate, sono così
diventate addirittura il centro del
progetto, il punto di partenza per la
costruzione di una nuova immagine
della Manifattura, attuale ma
attenta alla sua storia, attraverso la
quale si rivelasse evidente il senso
economico, ma anche culturale,
dell'operazione: una immagine inedita
e complessa nella quale è
messo in scena lo sdoppiamento
tra vecchio e nuovo.
In questa dialettica l'eredità politecnica,
valore incorporato nell'edi-
ficio, nella sua storia, è stata
oggetto di attenzioni particolari,
volte a conservarne l'evidenza e la
vitalità, a reperire e rafforzare gli
elementi di contiguità e di continuità
con l'origine e la storia di
questo "monumento" del lavoro.
II progetto predisposto dall'Amministrazione
comunale a partire dai
materiali della ricerca ha ottenuto
un significativo finanziamento dalla
Regione Piemonte sui fondi strutturali
dell'UE. I lavori inizieranno nel
giugno 1999, e termineranno nel
2001. Questa prima fase di intervento
porterà al recupero dell'edificio
del secondo impianto e alla
realizzazione della sala convegni
all'ultimo livello del battitore.

Progetto intorno
alle architetture di Ivrea
Carlo Olmo (responsabile), con Patrizia Bonifazio, Paolo Scrivano
II comprensorio di Ivrea è notoriamente
accomunato all'esperienza
di Adriano Olivetti e dell'azienda
che porta il suo nome.
Un'esperienza che ha compreso,
per un periodo consistente della
storia recente della regione, importanti
iniziative nel settore industriale
e culturale. Attorno a questo
patrimonio di saperi e tradizioni
sono stati avviati negli ultimi anni
numerosi progetti di valorizzazione
delle risorse disponibili. Tra queste,
il patrimonio architettonico
(edifici industriali, edilizia pubblica
o privata, lo stesso territorio oggetto
di pianificazione) riveste un
ruolo di primo piano. L'architettura
infatti, non solo costituì uno dei
campi più importanti di applicazione
del disegno culturale, sociale e
industriale intrapreso dalla Olivetti,
ma rappresenta tuttora uno dei
principali elementi di identità per la
comunità eporediese.
Proprio partendo dal consistente
patrimonio edilizio, l'Amministrazione
comunale di Ivrea ha avviato
un progetto di riuso degli edifici
collocati lungo l'asse di via Jervis
(157.000 mq), articolato in tre ipotesi
di destinazione: un polo universitario,
un incubatore di filiere
tecnologiche, un centro di produ-
zioni culturali.
Per il conseguimento di questi
obiettivi, l'Amministrazione ha definito
un programma denominato
"Officine Culturali ICO", nel quale
convergono altri operatori, come la
Provincia di Torino', la Regione
Piemonte, il Gruppo Olivetti. In
questo quadro si collocano alcuni
studi delle architetture connesse
all'esperienza olivettiana, come il
lavoro di catalogazione culminato
nella pubblicazione di Architetture
olivettiane ad Ivrea, primo tentativo
di mettere insieme, in senso cronologico,
i materiali all'oggi disponibili 2 ;
o la redazione di una guida agli itinerari
dell'architettura olivettiana
ad Ivrea3 .
Non va dimenticato, infine, il lavoro
svolto nell'ambito del programma
1996-1997 dei Lavori Socialmente
Utili coordinato da Enrico
Giacopelli, in seguito al quale si è
giunti alla redazione della "Carta
delle destinazioni d'uso e delle
aree di pertinenza" (settembre
1997), corredata di un elenco degli
edifici e di un atlante fotografico,
utile non solo per il preciso lavoro
di censimento delle architetture
contemporanee eporediesi 4 , ma
anche per la sua funzione di primo
strumento di riferimento nel campo

del restauro e del riuso5 . Una
seconda edizione 1997-1998 del
programma di Lavori Socialmente
Utili avrà come obiettivi la consegna
di un progetto di museo dell'architettura
a cielo aperto e l'elaborazione
di una normativa di tutela
e di indirizzo per il recupero
degli edifici censiti con il precedente
programma.
Fattibilità del progetto
II progetto di riuso delle architetture
collocate lungo l'asse di via
Jervis è ancora vincolato alla definizione
di un modello di ingegneria
finanziaria attraverso il quale individuare
le modalità di trasferimento
delle proprietà da privato a pubblico
o semplicemente di utilizzo e
gestione delle stesse. In questo
quadro è possibile tuttavia avanzare
una serie di proposte di ricerca
e di attività che coniughino le finalità
definite dal programma di convenzione
tra il Politecnico di Torino
e la Provincia di Torino con alcune
delle specifiche competenze maturate
all'interno del Dipartimento di
Progettazione architettonica.
Illustrazione del progetto
Una prima proposta consiste nel
definire i contorni di un 1avoropilota"
che abbia come oggetto un
esempio del ricco repertorio di
architetture eporediesi, selezionato
sia per la sua importanza all'interno
dell'esperienza olivettiana, sia
per il suo valore esemplare di
esperienza di restauro, recupero e
riuso, sia per le possibilità di essere
riutilizzato nel quadro delle iniziative
sopra elencate.
II progetto si articola lungo tre possibili
ipotesi di lavoro:
1) l'esplorazione del patrimonio
archivistico disponibile a Ivrea
come in altre sedi, nell'ottica di
restituire uno studio di un'architettura
selezionata.
La ricerca si propone come una
sperimentazione orientata a una
riflessione sul rapporto tra storia e
progetti di intervento, ma anche
come possibile modello per studi
successivi da compiersi all'interno
dello stesso quadro operativo.
L'obiettivo di questa fase non è
soltanto la valorizzazione delle
risorse culturali disponibili nel comprensorio
eporediese, nella forma
di edifici costruiti, ma anche di
riproporre alla comunità accademica,
scientifica e intellettuale il caso

di Ivrea come episodio importante
nella storia dell'Italia del dopoguerra.
Incoraggiando così un primo
convergere sul tema delle attenzioni
degli specialisti, possono essere
favorite delle ricadute successive
in altri ambiti di fruitori.
Lo strumento per realizzare questo
obiettivo è la redazione di una pubblicazione.
2) La divulgazione dei risultati raggiunti
dalla ricerca presso un pubblico
più esteso rispetto a quello
prospettato nella fase 1).
L'obiettivo è quello di raggiungere
un bacino di fruitori esterno alla
comunità accademica, scientifica e
intellettuale e di realizzare quella
riappropriazione dell'identità culturale
locale auspicata dal progetto
"Officine Culturali ICO".
Lo strumento per il raggiungimento
di questo obiettivo può essere
costituito dall'allestimento di una
piccola mostra-campione, costruita
con intenti fortemente didascalici e
indirizzata a un pubblico non specialistico
locale, nazionale e internazionale.
3) L'avvio di un processo che porti
Ivrea a divenire il centro del dibattito
sul restauro, recupero e riuso
dell'architettura contemporanea, in
linea con la proposta di ospitare
negli edifici lungo l'asse di via
Jervis un incubatore di filiere tecnologiche
legato al settore dei beni
culturali e ambientali.
Pubblicazione e mostra possono
infatti contribuire a indicare le linee
di lettura delle architetture nell'ottica
della loro rifunzionalizzazione e
avviare un dibattito sia sul problema
del restauro del moderno sia
sul rapporto tra conoscenza storica
e progetto di intervento.
L'obiettivo è di rivolgersi a un pubblico
"intermedio" rispetto a quello
prospettato nelle fasi 1) e 2), costituito
cioè sia da specialisti sia da
operatori pubblici sia da afferenti
alla comunità accademica, scientifica
e intellettuale.
Lo strumento per il raggiungimento
dell'obiettivo può essere costituito
dall'organizzazione di un convegno
che, partendo dal caso studio individuato,
metta a confronto diverse
esperienze e diversi operatori, in
Italia e all'estero.
Va sottolineato come l'attenzione
diffusa verso questo genere di
tematiche può contribuire alla definizione
di una sorta di "vocazione
culturale" locale e attirare risorse
verso la città di Ivrea.
Stato dei lavori
La scelta del caso studio da proporre
all'interno di queste iniziative
ha tenuto conto di due elementi: la
possibilità di interagire con i progetti
in corso; la possibilità di

accesso e quindi di fruibilità dell'edificio
stesso.
L'architettura individuata come
oggetto degli studi è la mensa del
complesso industriale Olivetti di via
Jervis, progettata da Ignazio
Gardella nel 1953 e completata nel
1959. Alla base della selezione
della mensa Olivetti risiedono
diverse considerazioni: l'importanza
del progetto all'interno del
"catalogo" dell'architettura moderna
eporediese; la rilevanza cronologica,
che situa la mensa nella
fase più ricca e matura dell'esperienza
olivettiana a Ivrea; l'ubicazione
dell'edificio, in posizione
baricentrica rispetto al complesso
delle officine e degli uffici della
Olivetti; la natura del progetto,
ricco e complesso ma anche
dimensionalmente limitato rispetto
ad altre architetture prese in considerazione;
infine, il valore simbolico
di un edificio destinato a servizi,
all'interno di un progetto industriale
ma anche politico e culturale che
tentava di accomunare l'incremento
della qualità del prodotto alla
definizione di un nuovo quadro di
rapporti tra lavoro e imprenditoria.
Dopo una fase di approfondimento
bibliografico, è stata condotta una
prima esplorazione di archivi contenenti
informazioni utili alla ricerca.
All'interno del percorso di ricerca
si delinea come tappa di primaria
importanza la consultazione
dell'archivio Adriano Olivetti, conservato
presso Villa Casana e
dell'Archivio dell'Ufficio Tecnico
della Olivetti.
Lo studio si pone come obiettivo di
i ndagare il rapporto tra committente
e progettista, non soltanto nella
prospettiva dell'incontro tra due
personalità pur rilevanti come quell
e di Adriano Olivetti e Ignazio
Gardella: anche alla luce della
convergenza tra il percorso intellettuale
di una delle più rilevanti figure
dell'architettura italiana del
dopoguerra e un progetto politico e
culturale, quello di Olivetti e del
"Movimento di Comunità", nel
quale l'architettura e il territorio
costituiscono uno dei terreni di
applicazione più significativi.
L'attenzione portata anche verso
altri protagonisti della vicenda aiuterebbe
a disegnare meglio la
nascita di un progetto nel quale il
rapporto tra architetto e committenza
si inserisce nel quadro più

ampio di un progetto politico e culturale:
tentando, insomma, di restituire
l'originalità dell'esperienza di
Ivrea e della Olivetti.
Lo studio può diventare dunque
l'occasione di costruire un possibile
paradigma. Un paradigma interpretativo
capace di misurare l'esperienza
della Olivetti sia rispetto
al luogo sia rispetto a una disciplina
come la storia dell'architettura.
Ma anche un paradigma della collocazione
di una ricerca di carattere
storico all'interno di un'esperienza
operativa - legata al restauro,
al riuso e alla valorizzazione del
patrimonio culturale posseduto da
una comunità locale - come quella
che Politecnico di Torino e
Provincia di Torino stanno tentando
di realizzare attraverso il programma
di convenzione.
NOTE
1) Con delibera di C.C. n° 19 del 13
Febbraio 1998, il programma è oggetto di
convenzione tra Amministrazione comunale
e Provincia.
2) D. Boltri, G. Maggia, E. Papa, P.P.
Vidari, Architetture olivettiane ad Ivrea,
Roma, Gangemi, 1998.
3) Parco della cultura industriale. Itinerari
dell'architettura olivettiana, (Ivrea), Città di
Ivrea, s.d.
4) Redatto ai sensi della L.R. n° 35/1995.
5) Carta delle destinazioni d'uso e delle
aree di pertinenza, Ivrea, datt., 1997.

Il Museo delle attività industriali
Chiara Ronchetta (responsabile), Maurizio Lucat, Augusto Sistri,
Laura Guardamagna, con Paola Delpiano, Elisabetta Serra, Luca Vivanti
La cittadina di Perosa Argentina,
sorta alla confluenza tra il torrente
Chisone e il torrente Germanasca,
sviluppa le proprie attività industriali
a partire dalla prima metà del
secolo scorso, quando i baroni
Bolmida di Alessandria avviarono
una filanda per la lavorazione della
seta.
La necessità di ampliare la produzione
indusse presto i baroni
Bolmida alla costruzione nel 1870
di un nuovo più ampio setificio
lungo il torrente Chisone.
Successivamente nel 1882, gli
svizzeri Jenny e Ganzoni costruirono
di fronte al setificio, da loro nel
frattempo rilevato, un nuovo stabilimento
destinato alla lavorazione
del cotone.
La svolta determinante per l'economia
del territorio rimane però legata
all'arrivo di altre due famiglie di
i mprenditori stranieri: i tedeschi
Gútermann e gli svizzeri Abegg.
I Gútermann rilevarono nel 1884 il
setificio, mentre gli Abegg divennero
proprietari del cotonificio nel 1920.
La nuova gestione di carattere
squisitamente imprenditoriale
modificò profondamente il territorio
sia dal punto di vista urbanistico e
architettonico, che sociale.
Convitti, case per operai e impie-
gati, ville dei dirigenti, asili e scuole,
impianti sportivi con le conseguenti
opere di urbanizzazione
sorsero rapidamente non solo per
una naturale necessità, ma anche
grazie all'atteggiamento favorevole
delle famiglie Gútermann e Abegg.
Buona parte di questo patrimonio
edilizio è ancora esistente e mantiene
le originali destinazioni d'uso,
fatto salvo la villa Willy, il dopolavoro
e i parchi che sono attualmente
di uso pubblico.
Anche i due grandi complessi industriali
sono ancora attivi, se pur in
forma ridotta, nonostante numerose
traversie e passaggi di proprietà.
Contatti
La Comunità Montana Valli
Chisone e Germanasca, il Comune
di Perosa Argentina e il Comune di

Pomaretto, nelle figure del
Presidente, dei Sindaci e dei
rispettivi Assessori, sono da tempo
impegnate in un'opera di stimolo e
incentivazione al riconoscimento
del patrimonio industriale che così
fortemente ha segnato il loro territorio,
spinte anche dall'esperienze
già avviate con successo dalla
Comunità Montana nei territori di
Prali e Fenestrelle.
L'Associazione Ecomuseo di
Perosa Argentina e Valli Chisone e
Germanasca, costituitasi il 4 maggio
1996 e nata come Comitato
promotore per la realizzazione di
un progetto di Museo e di Archivio
delle Attività industriali di Perosa e
Valli, si è attivata sin dal 1991 per
accedere a fondi, recuperare e salvaguardare
i materiali d'archivio e i
macchinari ancora disponibili e
intrecciare contatti con tutti coloro
che potessero portare al compimento
di un tale progetto.
II museo
La ricerca è finalizzata alla defini-
zione architettonica e al progetto di
allestimento del futuro Museo delle
attività industriali locali che valorizzi,
contenga e conservi il materiale
presente negli archivi, nelle
biblioteche così come le macchine
rimaste nei magazzini delle fabbriche.
Come sede del museo è stato
scelto l'ex-convitto GGtermann,
costruito presumibilmente intorno
al 1912 a Perosa. L'edificio, concepito
come ampliamento e trasformazione
di una preesistente villetta
per impiegati, è articolato in due
corpi di fabbrica a quattro piani
fuori terra disposti a T e collegati
internamente, ed è caratterizzato
da una struttura portante mista, in
muratura e cemento armato - uno
dei primi esempi di cemento armato
in Italia. Sui fronti esterni tutte le
aperture sono decorate con cornici
in cemento, stampate, e il prospetto
ad ovest spicca per la successione
di balconi a nastro con ringhiere
in ghisa dal disegno raffinato.
Destinato fino al secondo dopo-

guerra a residenza collettiva femminile
per le lavoranti del setificio
omonimo, poi trasformato in scuola
comunale, è oggi completamente
abbandonato. L'ex-convitto si presenta
inserito nel contesto urbano
della città, mentre in origine occupava
un lotto isolato e la sua presenza
doveva risultare come un
manifesto della magnanima e funzionale
politica di insediamento dei
Gútermann.
In relazione al contenuto espositivo
del museo, gli studi e le analisi
condotte sulla documentazione
esistente fino ad oggi reperita,
mettono in evidenza alcuni aspetti
importanti e significativi che
andranno interpretati e restituiti in
linguaggio semplice e divulgativo.
Si riassumono in:
L'acqua, causa prima
Emerge fin dal principio, con una
certa forza e chiarezza, come la
vicenda dello sviluppo industriale
di Perosa sia definito da caratteristiche
strettamente legate al sito,
ed in specifico alla presenza della
confluenza di due torrenti Chisone
e Germanasca che in virtù dell'apporto
reciproco dei loro corsi d'acqua
hanno consentito lo sviluppo
di un'industria stabile e importante
come quella che qui è nata. Infatti
la grande e costante quantità d'acqua
giustifica l'arrivo dei Bolmida
da Alessandria, poi dei Gútermann
da Gútach e, tra gli altri, anche
degli Abegg che operavano da
tempo sulla Dora in Valle di Susa.
Queste ragioni portano a considerare
il Chisone e il Germanasca
come elementi forti del progetto di
museo, senz'altro i protagonisti di
una storia che senza la loro presenza
non sarebbe mai cominciata.
Storia che in realtà parte anche
prima dell'industria, con la localizzazione,
lungo il corso dei torrenti,
di mulini e fucine.
L'acqua è protagonista e dovrà
essere valorizzata come tale, per
lo più considerando che la straordinaria
caratteristica dell'industria di
Perosa è, oltre alla macerazione,
la tratta dei cascami, cioè dei tradizionali
scarti, che qui non venivano
buttati ma riutilizzati per altri tipi di
filatura con risultati estremamente
soddisfacenti. Un industria ecologica
possiamo dire oggi e all'avanguardia.

Gli uomini, storia di una colonizzazione
I n secondo luogo, e non meno
importanti, sono gli operatori dello
sviluppo cioè le famiglie di industriali-imprenditori
e la manodopera
locale e immigrata.
La storia degli imprenditori è
ampiamente descritta e documentata
nelle carte conservate, nei
testi già pubblicati dagli storici
locali, nelle testimonianze architettoniche
sorte sotto la spinta economica
degli anni del massimo sviluppo
delle fabbriche. Le attuali
ricerche, che stanno procedendo,
potranno dare conferma del peso e
delle ricadute legate al fatto che
industriali stranieri si siano insediati
nell'area di Perosa portando con
sé una forma-mentis nata altrove,
e qui calata in un territorio con il
quale non erano necessarie tante
mediazioni, in quanto il sito si presentava
quasi intatto e pronto a
essere colonizzato e conquistato.
Parallelamente la storia degli operai,
caratterizzata da numerosi
flussi migratori, soprattutto dal
Veneto. L'improvvisa crescita
demografica ha dato vita alla
seconda grande trasformazione di
popolazione nelle valli che in passato
erano state - sia pur in misura
minore rispetto a quelle limitrofe
- luogo di accoglienza dei gruppi
di valdesi perseguitati. Così nuovi
arrivi e nuovi problemi di convivenza
e di integrazione, che si sommavano
a quelli di rapporto con i
datori di lavoro.
Le fabbriche, un museo al vero
Parlare di fabbriche a Perosa
vuole dire parlare della città e del
suo paesaggio urbano. A Perosa
le fabbriche si impongono, anche
solo visivamente. La loro presenza
e consistenza edilizia in rapporto
all'edificato, ci porta a valutarle
come l'elemento "estetico" dominante
in mezzo alle montagne,
considerando l'estetica nel suo
significato originario di scienza
che si occupa della percezione
sensoriale. Oppure, con un salto
temporale, un'estetica contemporanea
sul genere di quella proposta
da Robert Venturi quando parla
del paesaggio di Las Vegas
costruito su immagini nuove, nate
da modelli di vita, da ritmi di lavoro,
da strutture sociali e culturali
attuali o recenti. E pur appartenendo
a un sistema territoriale evidentemente
diverso per morfologia e
per tipo di insediamento umano,

Perosa si presenta con un'identità
urbana che ha caratteri per alcuni
versi analoghi alla città descritta da
Venturi. Lontana cioè dal piccolo
borgo pittoresco come dalla grande
città zeppa di monumenti antichi,
essa si è invece trasformata
secondo una logica industriale illuminata,
mirata alla costruzione di
un sistema di fabbriche e servizi
necessari alla produzione.
Questi edifici sono tuttora esistenti.
Delle fabbriche alcune sono funzionanti,
altre sono state riconvertite.
Diversi spazi, all'interno delle
stesse, sono vuoti.
Allora ci domandiamo se possono,
questi contenitori e il loro contesto
urbano e naturale, servire anche a
qualche cosa d'altro, oltre che portare
avanti una produzione indu
striale contemporanea. Sono una
testimonianza tridimensionale. Può
non essere poco. Potremmo considerarlo
un modello in scala reale,
al vero. Ma allora un museo al
vero, un vero museo...
II progetto si estende così al territorio,
il museo non è più solo la
stanza espositiva, I'ipertesto, la
macchina restaurata, ma una città
nel suo insieme, una città museo,
dove saranno segnalati percorsi di
visita preferenziali alla riscoperta
delle vie d'acqua, delle opere di
presa e dei canali di derivazione,
delle fabbriche, delle tracce presenti
o nascoste di lotti destinati a
servizi, di aree verdi, di residenze
collettive, e quant'altro.

Vie della Seta nel Torinese
Patrizia Chierici, Laura Palmucci (responsabili), con Marcella Bertone,
Elena Frugoni, Alessandro Mellano, Aurelio Toselli
II progetto si propone di documentare
un frammento importante della
storia piemontese, quello relativo
all'attività serica che ha rappresentato
- tra la fine del Seicento e la
metà dell'Ottocento - il fulcro vitale
dell'economia piemontese ed il
tratto fondamentale per quella torinese.
Una realtà economica pressoché
sconosciuta oggi, sebbene
abbia lasciato sul territorio consistenti
testimonianze fisiche. Si tratta
di complessi edilizi rilevanti, dì
canalizzazioni per il movimento
delle macchine idrauliche, di filari
di piante di gelso; assai più lacunose
per contro sono le collezioni di
materiali conservati presso gli
archivi privati e nei musei, o i resti
di antichi manufatti serici.
Infatti il Piemonte sabaudo costituisce
un campo di osservazione privilegiato
per analizzare il mutamento
dei criteri e delle tecniche di
lavorazione della seta, un mutamento
che anticipa fenomeni verificatisi
un secolo dopo nei distretti
cotonieri dell'Inghilterra. Per queste
ragioni le vicende dell'industria
serica piemontese sono state già
da lungo tempo indagate e interpretate
da un folto gruppo di
addetti ai lavori facenti capo a
diversi ambiti disciplinari, a partire
dagli studi pionieristici di Carlo
Poni. Più di recente sono stati analizzati
gli esiti materiali di questo
fenomeno e cioè quei vasti complessi
edilizi al cui interno, già alla
fine del Seicento, lavoravano fino a
150 operai addetti ai giganteschi
mulini da seta a ruota idraulica, il
cui apparato tecnologico era considerato
il più perfezionato allora esistente
in Europa.
In parallelo agli interessi scientifico-culturali
maturava, proprio a
partire dagli anni Ottanta, un progetto
concretamente operativo
strettamente connesso alle valenze
storico-documentarie delle
preesistenze. Si prefigurava un
vero e proprio "Itinerario della
seta", ipotizzato in Provincia di
Cuneo dove si conservano alcune
tra le più significative testimonianze
architettoniche della regione.
Esso entrava a far parte del più
vasto progetto turistico-culturale
Routes de la Soie. Una iniziativa
promossa e coordinata dal
Consiglio d'Europa con l'obiettivo
di ricostruire i percorsi lungo i quali
si sono incontrati uomini e merci
nel nostro continente, evidenziando
le caratteristiche storiche e produttive
di ciascun luogo. II viaggio,
dunque, non come forma di eva-

sione ma come occasione di arricchimento
culturale, per stimolare
nel viaggiatore la presa di coscienza
della propria identità europea.
Per la prima volta in Piemonte il
patrimonio industriale serico veniva
inserito in un circuito turisticoculturale
di ampio respiro, suscitando
il vivo interesse dei partners
europei, attratti dalla qualità e dalla
unicità delle testimonianze cuneesi.
Memoria e identità considerate
due facce della stessa medaglia
diventavano i cardini di un nuovo
approccio all'architettura del lavoro;
un approccio che pur tra mille
difficoltà sta dando oggi i suoi frutti,
nel momento in cui si sta concretizzando
la proposta di conservare
e di valorizzare il Setificio di
Caraglio, uno dei più monumentali
e rilevanti complessi industriali seicenteschi
della nostra regione.
Con i medesimi obiettivi si sta
lavorando in provincia di Torino, a
partire da un vero e proprio progetto
di conoscenza che ha permesso
di identificare e di analizzare un
patrimonio quanto mai ricco e
variegato di reperti materiali connessi
all'attività serica.
I risultati di questo lavoro possono
offrire utili elementi di valutazione
per identificare quei siti e quei
manufatti in grado dì conservare e
di tramandare la memoria degli
antichi processi di lavoro. In tal
modo "L'Itinerario della seta in
Provincia di Torino" contribuisce a
ampliare e arricchire quello che ha
preso le mosse in provincia di
Cuneo, entrando a far parte del più
ampio progetto turistico-culturale,
collegato alle iniziative avviate in
tal senso in ambito europeo.
L'area di indagine copre 23 comuni
dei 45 censiti nell'attuale Provincia
di Torino, ritenuti interessanti dopo
una prima ricognizione bibliografica
e d'archivio: Abbadia Alpina,
Aglié, Altessano, Balangero,
Baudenasca, Caselle, Castagnole
Piemonte, Cavour, Cirié, Collegno,
Garzigliana, Grugliasco,
Pancalieri, Perosa Argentina,
Perosa Canavese, Pianezza,
Pinerolo, Porte, San Benigno, San
Maurizio Canavese, Torino,
Venaria, Vinovo. Nei 23 comuni
l'i ndagine ha coinvolto 35 complessi
e/o edifici, per 24 dei quali è
stata fornita una schedatura più
dettagliata. Questi luoghi sono stati
scelti per il loro interesse sotto il
profilo storico-architettonico o perché
le memorie dell'attività serica
sono ancora presenti in forma riconoscibile
e in qualche caso visitabile
(filande, filatoi, bigattiere, gelseti,
canalizzazioni). Di questi siti
sono state prodotte schede di
catalogo le quali forniscono informazioni
da utilizzare nelle forme
che si riterranno più opportune
(pieghevoli, targhe, cartelloni,
fascicoli,...). Sono stati quindi contattati
alcuni proprietari e i Sindaci
di alcuni comuni (Aglié, Collegno,
Garzigliana), si sono presi accordi
con il "Comitato per la realizzazione
di un Museo ad Archivio delle
attività industriali di Perosa e Valli"
e con l'associazione 'Dimore
Storiche". Tuttavia la fattibilità del

progetto è alquanto problematica,
poiché gli edifici appartengono
esclusivamente a proprietari privati
e sono talvolta molto frazionati.
Le schede contengono il profilo
conoscitivo dei luoghi e degli edifici
e illustrano in modo specifico,
anche con rilievi dettagliati, le
caratteristiche peculiari che l'attività
serica ha assunto in loco, configurando
in tal modo, dall'incrocio
con le situazioni locali, una gradualità
di approccio e di utilizzo
(solo memoria, visita esterna e/o
interna con segnaletica, possibilità
di esposizione di materiali, centro
di documentazione e/o museo). Le
fasi di attuazione del progetto 'via
della seta" prevedono, dopo il
completamento della fase d'indagine,
l'allestimento di una segnaletica
specifica, tenendo conto del
"logo europeo", di cartelloni e
tavole esplicative, di pieghevoli e
pubblicazioni, di "ipertesti". II tutto
da sistemare in punti-museo o in
luoghi di sosta rapida, da studiare
in relazione ai centri culturali esistenti,
quali musei, biblioteche,
sedi di associazioni varie, enti turistici.
Terminato il censimento e il
catalogo, a completamento del
lavoro si prevede ancora di procedere:
1 - alla creazione di un "ipertesto"
sulla via della seta nel torinese,
itinerario collegato a quello
già proposto per il cuneese e concepito
come un "percorso" virtuale
enfatizzando la specificità produttiva
che ha fatto del Piemonte setteottocentesco
il punto forte
dell'Europa, 2 - alla pubblicazione
di un volume "Da Torino
all'Europa". La seta nel torinese,
con il contributo di specialisti nel
settore, 3 - al progetto vero e proprio
con le ipotesi di fattibilità dell'itinerario
articolato in due percorsi
rispettivamente a nord e a sud di
Torino.
• Percorso 1 : Si sviluppa partendo
da Torino lungo un percorso
che tocca a nord Collegno,
Venaria, Agliè, Balangero, Perosa
Canavese. A Torino, si potrà visitare
solo dall'esterno l'isolato costruito
a fine Settecento su disegno di
Pietro Bonvicino per alloggiare i
laboratori e le abitazioni dei "Mastri
vellutari"; esso rappresenta un
significativo esempio di progettazione
"razionale", dove si fondono
rappresentatività, semplificazione
formale e funzionalità degli spazi,
sulla scia delle idee "dei lumi". Altri
due edifici ai margini di Torino conservano
le memorie dell'attività
serica, il Castello di Lucento, in cui
era alloggiato dal tardo Settecento
il filatoio Tana e la Badia di Stura,
dove la sericoltura presso il complesso
religioso, datava al tardo
Seicento. A Collegno il setificio
Caccia ha mantenuto pressoché
i ntatto il fabbricato multipiano settecentesco
destinato alla torcitura,
le tracce del canale e il sistema di
movimentazione delle "piante". II
complesso conserva inoltre il primitivo
impianto a "corte chiusa"
con la tettoia per la trattura, inserito
in un ambiente naturale molto
suggestivo, all'interno del parco
fluviale della Dora sul quale si

affaccia il castello dei Conti
Provana. A Venaria si conservano
i resti del primo setificio costruito in
Piemonte per accentrare macchine
e operai all'interno di uno stesso
complesso produttivo: fu impiantato
nel 1670 per volontà del duca
Carlo Emanuele II nel più ampio
quadro degli interventi che portarono
alla trasformazione del borgo
preesistente e alla costruzione
della residenza di caccia della
corte. Non è attualmente accessibile,
ma si può percepire dall'esterno
il volume destinato alla "torcitura",
sorto su disegno dell'architetto
ducale Amedeo di Castellamonte.
Ad Aglié, nel Canavese, è visitabile
il setificio fatto costruire dal
conte di San Martino nel 1736,
esemplare del ruolo imprenditoriale
che la nobiltà sabauda esercitò
durante l'Antico Regime; in questo
caso si tratta di uno dei più prestigiosi
esponenti dell'élite nobiliare
dell'epoca, cui rimanda il monumentale
castello, in posizione
dominante sulla sommità della coll
ina. II complesso, articolato in
forme simmetriche intorno al vasto
cortile interno, lambito dal canale
di Caluso, esemplifica il tipo edilizio
della "fabbrica da seta" concepita
per accogliere l'intero ciclo di
lavorazione, dalla trattura alla torcitura.
Conserva nel "baratrone", al
piano interrato, vistosi indizi connessi
alla posizione delle "piante" e
le tracce dei canali che alimentavano
il movimento delle macchine;
è inoltre visitabile la cappella risalente
al tardo Settecento, in perfetto
stato di conservazione, unico
esempio sopravvissuto in
Provincia di Torino di edificio religioso
annesso ad un complesso
serico. Nel piccolo centro urbano
di Balangero si trova un raro
esempio di tettoia settecentesca
destinata alla trattura, unico nel
suo genere essendo caratterizzato
da una inconsueta volontà di qualificazione
formale, poco esibita in
questo genere di strutture. Si tratta
di un repertorio affrescato allusivo
al ciclo della seta, arricchito da
cornici mistilinee con i numeri che
indicavano il posto di lavoro dei
"fornelletti" eseguito alla metà del
XVIII secolo. A Perosa Canavese
infine è rimasta una preziosa testimonianza
di filanda settecentesca
che conserva la tangibile memoria
della primitiva bigattiera e del forno
per la stufatura dei bozzoli, allora
appartenente al conte Perrone di
San Martino.
• Percorso 2: si sviluppa a sudovest
di Torino e ha i suoi punti
significativi in Pancalieri,
Garzigliana, Pinerolo, Porte,
Perosa Argentina. A Pancalieri l'attività
serica è documentata dalle
fonti a partire dal tardo Settecento
ma l'unica testimonianza fisica
superstite è rappresentata dalla
filanda tardo-ottocentesca inserita
nel setificio Cassinis: un'ampia
struttura edilizia sviluppata su due
livelli il cui piano terreno, a tre
navate con volte a vela ribassate
su colonne e pilastri, evidenzia
l'impiego di tecniche costruttive

sofisticate e riporta alla tipologia
edilizia della filanda a vapore
documentata dai coevi esempi di
Racconigi, Cavallerleone, Saluzzo.
A Garzigliana invece l'architettura
della filanda Monier, evidenzia il
passaggio dalla tettoia settecentesca
aperta che ospitava i fornelletti
scaldati a fuoco diretto, all'edificio
con caldaie a vapore che si diffonde
nel tardo Ottocento, costruito su
due piani, in solida struttura muraria;
in questo caso infatti il piano
terreno è già voltato, mentre il livello
soprastante conserva le ampie
aperture ad arco e le tracce dei
fornelletti; la sua configurazione
architettonica richiama la coeva,
più nota e celebrata filanda Turina
di Casalbuttano in Lombardia. A
Pinerolo e Porte gli edifici sono
stati fortemente rimaneggiati, ma
in quest'ultimo luogo si conserva
l'ambiente naturale, il canale di alimentazione
ed è molto impressiva
la mole dell'edificio. La fabbrica di
Perosa Argentina infine costituisce
l 'unico esempio in Piemonte di stabilimento
industriale serico ancora
funzionante destinato alla lavorazione
dei cascami da seta, fondato nel
1870 ed ampliato dai Gútermann
all'inizio del Novecento.
FONTI ARCHIVISTICHE
B.R.T., Descrizione della provincia di Ivrea,
1752, m. St. P., voi. 852.
A.S.T., Materie Economiche, Commercio,
Cat.IV, Sete e Manifatture d'esse, m.12, n.21;
m.9, n. 21; m. 9. n. 22; m. 23 da ordinare; m.
25 da ordinare; m. 7 d'addizione, n. 28.
Soprintendenza ai beni architettonici e
ambientali del Piemonte, Fondo Chiablese
A.S.T., Divisione di Torino, Statistica delle
Manifatture, 1822
Archivio privato Cardonatti.
FONTI BIBLIOGRAFICHE
A. GROSSI, Guida delle cascine e vigne del
territorio di Torino e dintorni, Torino, 1779.
A. BERTOLOTTI, Passeggiate nel
Canavese, Torino, 1878.
MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA,
E COMMERCIO, Annali di Statistica,
Statistica industriale, Roma, 1889.
AA.VV., Aglié, quattro passi fra immagini e
ricordi, I vrea, 1977.
AA.VV., Archeologia industriale, Touring
Club Italiano, Bergamo,1983.
FONTICATASTALI
A.S.T., Finanze, Catasto antico di Aglié
1 754, (part. 1308: filatoio).

L'esperienza di Prali.
Progettare con le comunità locali
Giorgio De Ferrari (responsabile), Maurizio Lucat, Chiara Ronchetta,
con Silvia Cresto-Dina, Claudia De Giorgi, Osvaldo Laurini, Elisabetta Serra,
Marcella Tisi, Luca Vivanti
II sito estrattivo di Prali è caratterizzato
da elementi e manufatti diversi:
gallerie che conservano le
molte memorie del lavoro in miniera
(sia macchinari, sia tracce nella
roccia, sia locali ricavati all'interno
della montagna come la mensa e
lo spogliatoio); una serie di edifici
accessori posti all'esterno; un ricco
e variegato insieme di documenti e
testimonianze legati al complesso
intreccio tra la valle e la miniera.
La volontà della Comunità
Montana è di non perdere la
memoria di questo luogo che ha
profondamente segnato l'economia
e la vita del territorio e della realtà
socio-culturale valdese per tutto
questo secolo; ma la sola costruzione
di un museo a testimonianza
di questa esperienza non è parsa
sufficiente; da qui la volontà di riaprire
le miniere e di permetterne
una fruizione diversa da quella per
la quale erano state faticosamente
scavate nella roccia.

Indubbiamente però un programma
ambizioso come quello della riqualificazione
del complesso minerario
di Prali, che esige massicci investimenti
e un notevole numero di
risorse progettuali e scientifiche,
impone una riflessione sui principi
che possono rendere una scelta
come questa vincente nel complesso
sistema di economie di scala e
di valori della valle. L'obiettivo del
lavoro svolto dal Dipartimento di
Progettazione architettonica del
Politecnico di Torino insieme alla
Comunità Montana' è stato quello
di trovare la chiave - progettuale,
gestionale e scientifica - che rendesse
la riscoperta turistica delle
memorie minerarie compatibile con
i desideri dei residenti (rispetto
delle dolorose memorie del lavoro,
esaltazione del progresso tecnologico,
analisi delle politiche economiche
per il futuro) che hanno in
larga parte tratto, proprio dalle
miniere, il loro sostentamento.
II programma dell'ecomuseo, proposto
dalla Comunità con il contributo
scientifico del gruppo di ricerca,
si articola in diversi ambiti: la
miniera percorsa a piedi e in trenino,
il museo della miniera, il per-
corso ecomuseale alla scoperta
degli altri siti minerari, i servizi
acclusi (bar, book shop, cento
studi), l'indotto per la valle.
Articolazione della ricerca
L'obiettivo centrale della ricerca è
stato quello di instaurare un rapporto
di stretta collaborazione con i
rappresentanti delle realtà locali
che hanno partecipato attivamente
a tutte le diverse fasi dell'attività. È
stata prevista una articolazione
della ricerca su tre diversi aspetti
del programma di valorizzazione
del sito minerario di Prali.
II primo gruppo ha studiato il tema
della riqualificazione edilizia e funzionale
degli spazi all'esterno della
miniera Paola, in particolare ha
esplorato proposte per la risistemazione
della tettoia, per l'organizzazione
degli spazi interni dell'edificio
adibito a centro studi, per la riqualificazione
delle zona adiacenti ai
parcheggi, per l'ottimizzazione dei
percorsi di visita e per alcune suggestioni
sull'allestimento del museo
posto all'interno della tettoia, in
prossimità della miniera Paola.
II secondo gruppo ha incentrato la
propria ricerca intorno ad alcune

iflessioni sui metodi e gli strumenti
possibili per far conoscere un luogo
difficile come una miniera a un pubblico
formato da non specialisti. Gli
indirizzi individuati intendono spingere
il visitatore, con una serie di
suggestioni, a voler approfondire i
temi legati alla miniera che vengono
suggeriti nella visita, compiuta in
parte a piedi e in parte a bordo di
un trenino che ripercorre i binari
della miniera Paola.
II terzo gruppo è quello che ha
maggiormente interagito con i rappresentanti
locali: si è occupato di
tracciare le linee guida teoriche per
la valorizzazione degli oggetti, delle
testimonianze e dei luoghi illustrati
nel museo, collocati all'interno della
miniera, sparsi sul territorio o archiviati
nel centro studi.
I caratteri di questo lavoro comune
sono riassumibili in tre punti chiave
che si ritrovano in tutte le suggestioni
proposte alla Comunità e che
rappresentano i temi sui quali si
incentra la visita: il territorio montano,
la miniera con il suo patrimonio
geologico, economico, tecnologico,
sociale e storico; la vita della comunità
che dalla miniera ha tratto lavoro,
sofferenza, cultura.
Un primo problema legato all'organizzazione
dell'ecomuseo è la distinzione
tra i visitatori ordinari e studiosi:
per entrambe di queste categorie
si sono ipotizzate offerte di
"pacchetti" di conoscenza differenti.
L'offerta di conoscenza per il visitatore
ordinario è costituito da: una
sezione del museo che illustra il territorio,
la miniera, la gente; il viaggio
all'interno delle gallerie della miniera;
la rete dei percorsi guidati sui
monti alla ricerca degli antichi siti
estrattivi del talco e del rame.
L'offerta per lo studioso deve invece
rispondere alle richieste che
questi può avanzare: si prevede
l'organizzazione delle raccolte
archivistiche nel Centro di documentazione
e studio.
La visita al museo
Per il visitatore ordinario si prevede
come prima tappa la visita al
museo posto all'esterno della
miniera e a quello all'aperto per i
macchinari più ingombranti.
Ognuna delle tre sezioni del
museo tradizionale ha un allestimento
peculiare, legato ai materiali
esposti. I temi proposti nella prima
sezione sono stati a lungo discussi
all'interno dei paesi della Comunità
Montana e sono alla fine stati riassunti
in alcuni punti problematici
che hanno per soggetto la montagna
come luogo orograficamente
eroico ma potenzialmente unico: le
relazioni sociali, economiche, simboliche
in una comunità alpina; i
paesi che compongono la

Comunità Montana sia come insieme
di edifici tipologicamente caratteristici
sia come strutture produttive
e di relazione in senso lato; i
contatti umani, economici e storici
tra la Francia e la valle; le prospettive
della valle nel futuro.
La seconda sezione vuole raccontare
la storia estrattiva del talco
come processo tecnologico di
miglioramento delle condizioni lavorative;
l'evoluzione economica del
"prodotto talco" e le sue potenzialità
future; la storia della miniera attraverso
le carte, gli oggetti, i prodotti;
la geologia del suolo, i problemi, i
rischi, i vantaggi, le potenzialità.
L'ultima sezione ha per protagonisti
gli abitanti della valle. Si vogliono
evidenziare i due livelli di interpretazione
propri della storia materiale,
la storia lineare della valle:
vicende, persone, eroi, banditi,
padroni, minatori e la storia circolare
della valle: le stagioni, le feste,
le celebrazioni, le ricorrenze, le
tappe della vita, la religiosità.
Visita alla miniera
Dopo la visita al museo i visitatori
(ed è una gioia soprattutto per i più
piccoli) si apprestano all'atto della
vestizione dei panni del minatore:
la mantella, la luce, la pila, il
casco, sono tutte operazioni che
sono svolte con una certa dose di
"ritualità". Ogni visitatore diventa
responsabile della propria attrezzatura,
a ogni casco è assegnato
un numero e a ogni numero corrisponde
una pila. Alla fine della
visita deve esserci (come accadeva
quando la miniera era produttiva)
una corrispondenza tra i caschi
e le luci. Se manca significa che
qualcuno non è uscito dalla miniera
e devono essere poste in essere le
necessarie misure di soccorso.
Dopo aver indossato i panni del
minatore la squadra viene avviata
all'ingresso della miniera, segnalato
da bandiere sgargianti. Lungo il
percorso sono collocati gli oggetti
legati all'estrazione che non hanno
trovato posto all'interno del museo.
Dopo un tratto a piedi si prende
posto sul trenino che porta i visitatori
nelle profondità della galleria. II
principio ispiratore delle suggestioni
progettuali è stato quello di fornire
un percorso di conoscenza e di
istruzione che avesse come principali
referenti un pubblico giovane o
molto giovane, e che vedesse negli
aspetti della sorpresa e dell'effetto
scenografico il suo veicolo di trasmissione
della conoscenza di una
realtà troppo spesso legata alla
fatica e alla sofferenza. Le suggestioni
proposte si ispirano alla luce
a al suono (contrapposti al buio e al
silenzio). Nella miniera Paola sono
poste alcune sagome di minatori al
lavoro che si alternano alla presentazione
didattica di reperti e macchinari.
Tutti gli oggetti sono correlati
da didascalie.
Durante il viaggio in miniera, il trenino
(che può portare fino a 50
persone) procede nella semioscurità
intervallata da segnalazioni
luminose che, ogni 100 metri, indicano
il chilometraggio percorso.
Lungo la galleria e nella zona del-

l'anello (che viene percorsa a
piedi), i visitatori scorgono le sagome
che ritraggono i minatori al
lavoro nei diversi siti. Sono stati
infatti identificati dei "luoghi" che
segnano le tappe della visita: il
lago, il pozzo, la riservetta degli
esplosivi, la zona mensa, le
"discenderie". Nella galleria sono
stati individuati dei siti presso i
quali diffondere un certo numero di
effetti sonori: lo scroscio dell'acqua,
le voci dei minatori, i trapani
al lavoro, la volata, il crollo di una
trancia. Dal punto di vista museale
i l messaggio che si trasmette al
visitatore è quello di essere entrati
in un mondo complesso i cui segni
non sono mai casuali ma in funzione
di tutte le tecniche di estrazione.
Passeggiate in montagna
II percorso museale procede con le
passeggiate in montagna alla scoperta
dei siti minerari più antichi
legati all'estrazione di altri materiali
come il ferro e il rame. Per i più
allenati alle passeggiate in montagna,
la Comunità Montana ha ridisegnato
gli antichi sentieri percorsi
nei secoli passati dai minatori e
dagli stagionali che attraversavano
il confine francese per andare a
lavorare nelle miniere d'argento. In
tal modo si è unita al piacere della
passeggiata la riscoperta di una
memoria remota. I siti sono formati
da antichi scavi che recano ancora
le tracce e i segni delle lavorazione
minerarie del passato. La rete di
percorsi a tema è raccontata da
una serie di pannelli sul territorio e
sarà completata da pubblicazioni
informative e scientifiche in vendita
nel book shop di Prali.
1 servizi acclusi
Accanto alla miniera e al museo
verranno realizzati dei servizi per il
visitatore dai quali ormai non è più
possibile prescindere alla luce
delle esigenze del turismo e dalla
necessità di incrementare gli introiti
economici dati dalla semplice
vendita del biglietto. I servizi sono:
il bar, il ristorante, il book shop, l e
aree di sosta attrezzata, i punti
vendita dei prodotti della valle, i
parcheggi per i pullman e per le
autovetture, gli accessi per il periodo
invernale. I costi di gestione
degli impianti e quello delle spese
per il personale potrebbero essere
coperti soprattutto dalla vendita dei
gadget (magliette, barattoli di talco,
prodotti vari) e dei prodotti editoriali
(cartine, guide, libri, mappe dei
sentieri, cartoline, cd-rom ecc.).
In sintesi, il principio ispiratore
delle proposte progettuali e scientifiche
è stato sempre quello di cercare
di ricucire il passato della
valle con le sue attuali vocazioni
(economiche, sociali e culturali). In
secondo luogo quello di offrire una
proposta di fruizione che unisse
l'intento didattico con quello ludico.
Conoscere attraverso la scoperta e
i l divertimento non vuol dire banalizzare
il lavoro in miniera ma, al
contrario, vuole portare quel passato
doloroso alla conoscenza dei
giovani valligiani e visitatori di oggi.
Conoscere per capire. Sapere per
non dimenticare. Ricordare per
progredire.
(a cura di Elisabetta Serra)
NOTE
1) II gruppo di lavoro locale è formato da:
Gino Barai (responsabile), Clara Bonous,
Maurizio Genre, Riccardo Rigatelli.

Paesaggi di Pietra
Ecomuseo delle Cave nel Comune
di Rorà, Valle Pellice
Liliana Bazzanella (responsabile), Carlo Giammarco, Paolo Maggi, Paolo Mellano,
Aimaro Oreglia d'Isola, Riccarda Rigamonti, con Antonio De Rossi, Marina Feroggio,
Cristina Franco, Matteo Robiglio.
Realizzazione installazioni lignee: Matteo Norzi, Hilario Oreglia d'Isola.
II sito: le cave, le fornaci,
il territorio
Una cava di gneiss lamellare in
disuso dagli anni Cinquanta, un
chilometro a monte del paese, a
mille metri di quota, in testa al vallone
di Rorà. II punto iniziale del
nostro lavoro.
La cava, disposta lungo un ripido
pendio esposto a sud-est, sembra
essere stata abbandonata non da
diversi decenni, ma al massimo da
qualche mese, da qualche anno.
Sono ancora perfettamente visibili i
fronti di coltivazione, le opere
idrauliche, i cumuli di detriti, i pezzi
in lavorazione, gli edifici di servizio,
i percorsi. I blocchi di pietra estratti
dal suolo e lasciati sul terreno
fanno per un attimo ipotizzare che
si tratti di un giorno di festa, che gli
operai ritorneranno domani per
ricominciare a erodere pazientemente
il fianco della montagna. E
nello stesso tempo ci si accorge
immediatamente di essere di fronte
a un cantiere arcaico, che non
ha niente a che vedere con le
moderne cave che si trovano a
qualche chilometro da qui, verso la
Mugniva, la Sea, il Rucas. È una
coscienza che nasce dall'osservazione
dei segni incisi sui fronti di
gneiss - segni che parlano di uten-
sili antichi, quasi primordiali, di fatica
manuale -, che scaturisce dalla
ricostruzione mentale delle operazioni
di estrazione, lavorazione e
trasporto dei blocchi di pietra.
Poco sopra, oltre la strada, una
piccola conca si apre in terrazzi
che la vegetazione rende quasi irriconoscibili.
A destra, in parte ricoperto
dalla strada sterrata di
accesso alle case superiori, il
grande cono tronco in pietra a
secco della fornace, in rovina. Una
seconda cava, luogo di estrazione
a cielo aperto della pietra da calce,
e di cottura sul posto prima del trasporto
a valle, fino a Torino.
Intorno, sul versante all'indiritto, la
trama minuta dei prati un tempo
coltivati, i primi segni di insediamento
permanente - le case, gli
alberi da frutto -, le tracce delle
sistemazioni idrauliche e del pendio
- la bealera del mulino di Rorà,
i terrazzamenti, i riporti di terra coltiva;
all'inverso il fitto ceduo, nel
quale si riesce ad intuire il tracciato
della pista che dal basso della
cava permetteva di condurre le slitte,
cariche delle lastre e blocchi di
gneiss estratti e sommariamente
sbozzati, fino a valle, a Luserna
San Giovanni, per le successive
lavorazioni.

Da qui si diparte una trama di sentieri
possibili: ad altre cave abbandonate,
a quote più alte sui versanti
del Fin, in parte sul tracciato della
grande traversata delle Alpi Occidentali;
al parco comunale ed alle
attrezzature turistiche del Bric,
lungo la strada carrabile; e ancora,
scendendo lungo un ripido sentiero
fino alla borgata di Pian del Torno,
grumo di case - ora in restauro nel
quadro di un progetto della
Comunità Montana finanziato dall'Unione
Europea - su uno sperone
di roccia isolato nel tumulto grandioso
delle cave della Mugniva;
verso valle, all'abitato di Rorà allungato
sul versante, alla sua taverna
- ora museo -, al tempio che domina
i tetti in pietra del paese, la cui
presenza segna fisicamente l'identità
di una comunità montanara, ma
soprattutto valdese.
II percorso nello spazio diventa un
percorso nel tempo. Dalla pietra di
ieri alla pietra di oggi, attraversando
luoghi, tracce ed immagini di
una civiltà di montagna tra passato
e modernità. Paesaggi di pietra,
certo - la pietra domina qui la
topografia come l'architettura -, ai
quali ha dato forma nel tempo una
cultura materiale complessa ed
articolata: all'economia della pietra
e della calce si integravano le colture
stagionali, l'allevamento, lo
sfruttamento del bosco, i cicli del
lavoro stagionale oltre i confini
delle valli. Paesaggi nei quali, ai
segni della lunga durata della
civiltà alpina si intrecciano le
memorie e gli avvenimenti di un
passato peculiare: la montagna
come luogo di ostinata resistenza
alla persecuzione religiosa ed
all'assimilazione culturale, la montagna
come luogo d'origine di una
diaspora cosmopolita, intersezione
di una rete internazionale di relazioni.
Dello spessore di queste storie,
della complessità di questa cultura
materiale, il progetto di ecomuseo
vuole dare conto. Si tratta di rendere
visibile al visitatore, di rendere
leggibile attraverso un serie di
interventi alla grande e piccola
scala - punti come capisaldi, linee
sottili tracciate attraverso il paesaggio,
landmarks e segnali per l'orientamento,
edifici e stanze - l'intera
trama delle relazione che hanno
nel tempo dato forma al luogo,
dalle origini arcaiche fino alle contraddizioni
tra modernizzazione e
persistenza dei generi di vita tradizionali
degli ultimi decenni.
II progetto: luoghi e percorsi
La scuola di Rorà, all'ingresso del
paese, costituisce l'anticamera del-
I'ecomuseo territoriale della pietra.
Qui i visitatori, in particolare i gruppi,
possono venire accolti nei locali
al piano terreno, attrezzati come
punto informativo e didattico.
Proseguendo all'interno dell'abitato
si raggiunge l'antica locanda, oggi
sede del museo valdese. L'edificio,
restaurato, conserva la destinazione
museale, accogliendo al piano

terreno materiali iconografici, pannelli
descrittivi e strumenti d'epoca
legati alla lavorazione della pietra
nel vallone di Rorà. AI piano superiore
i materiali già disponibili nell'attuale
museo vengono riordinati
in un nuovo allestimento, ricreando
alcuni ambienti di vita domestica e
di lavoro della comunità locale.
Storia locale significa anche progetti
di trasformazione, futuri possibili,
ipotesi di riorganizzazione dell'economia
e dello spazio sulle
quali la comunità rorenga ha
proiettato il proprio destino: progetti,
mappe, disegni, piani. Dai catasti
settecenteschi al progetto per la
costruzione della prima strada carrabile,
fino alla proposta ottocentesca
di una ferrovia di collegamento
tra cave e fondovalle, la documentazione
disponibile è vastissima, e
permette di sottrarre il museo al
rischio di una rappresentazione
statica, di una società contadina
senza tempo, parte integrante del
proprio ambiente naturale. Una
sezione è inoltre dedicata a una
sintetica descrizione della storia
delle popolazioni valdesi.
I nsieme, la scuola e il museo alla
locanda introducono alla visita sul
campo. Essi sono la "porta" dell'ecomuseo.
Da qui, proseguendo in
auto lungo la carrozzabile che risa
le il vallone, o a piedi lungo l'antico
canale del mulino - attrezzabile
come sentiero - si raggiunge il sito
delle cave.
La visita alla cava di gneiss avviene
dall'alto verso il basso, scendendo
dalla strada, consentendo -
i n virtù della particolare conformazione
del sito - di illustrare in
sequenza le diverse fasi delle lavorazioni
estrattive storiche. II bacino
di accumulo dell'acqua del canale
del molino viene ripristinato, o rievocato
da una lucente lastra metallica
disposta tra gli alberi, in corri-
spondenza della paratia girevole di
scarico. Di qui si scende ai fronti di
attacco sulla parete occidentale,
quindi ai terrazzi di lavorazione del
materiale, al piccolo edificio di
deposito degli attrezzi, e infine,
attraversando i cascami di lavorazione
accumulati, alla piattaforma
dove avveniva il carico delle slitte
per il trasporto verso valle dei blocchi
lungo la pista sul versante
all'inverso. Per rendere maggiormente
chiaro il luogo si è prevista
la posa di pannelli esplicativi -
anch'essi su supporto in pietra,
con testi e immagini incisi su vetro
- e la realizzazione di grandi figure
umane in legno, nell'atto di eseguire
le differenti lavorazioni all'interno
della cava. Dal fondo della cava
si risale al "belvedere", solo punto
da cui le diverse tappe del percorso
si ricompongono in una visione sintetica
del sito. II percorso di accesso
alla cava, fortemente esposto,
viene messo in sicurezza con l'uso
di materiali locali e "poveri" - pietra
della cava, legno del bosco, ferro
come per gli utensili e le barre da
mina, reti e catene, elementi vegetali
- in sistemazioni leggere che
fanno riferimento all'arte ambientale
(land art, arte povera, landscaping
ecc.) rifiutando ogni mimetismo.
L'insieme del percorso si configura
come una sorta di installazione
capace di mettere in evidenza,
di sottolineare e di valorizzare le
specificità del sito.
Allo stesso modo, ma con un esito
più radicale, la sistemazione dei
terrazzi di scavo della pietra da
calce e della fornace di cottura ridisegna
il sito con l'inserimento di
uno earthwork circolare concavo,
al quale si accede dal perimetro
attraverso un percorso discendente
a spirale. Tema dell'esposizione
è qui l'uso e la tecnica, attuale e
passata, dei diversi tipi di gneiss

locale, rappresentati attraverso
modelli e campioni, in una sorta di
lapidario-diorama per frammenti
esemplari. Proseguendo, il percorso
di visita risale il pendio sui terrazzamenti
di scavo, fino a raggiungere
l'ultimo fronte di estrazione
attivo, tuttora leggibile.
Sempre in corrispondenza della
cava di calce viene ricavata da
un'ansa della strada una piccola
area di parcheggio e di manovra
per le auto. Uno dei terrazzi di
scavo viene attrezzato come area
di sosta per i visitatori.
Architettura, Storia, Natura:
dall'itinerario nel paesaggio al
progetto di paesaggio
I nostri occhi hanno avuto bisogno
di tempo per abituarsi a riconoscere
nella forma attuale dei luoghi le
tracce del passato. Certo a chi vi
ha trascorso anni di lavoro ogni
pietra, ogni parete, ogni solco
richiama una precisa memoria. Ma
cosa può dire al visitatore, a chi a
questa memoria non può appartenere?
Lo sguardo denso, ricco di
sapere, dell'insider va in qualche
modo trasmesso, seppure semplificato,
divulgato, all'outsider.
Occorre dunque insegnare a guardare,
indirizzare l'attenzione, guidare
i passi. II progetto ha cercato
di limitare al minimo l'uso della
segnaletica (forma pedante di sottotitolazione
del reale, che rischia
di sostituirsi al luogo cancellandolo,
invece di renderlo comprensibile).
Se la forma dei luoghi conteneva
la traccia del passato da raccontare,
era la forma stessa dei
luoghi che andava trasformata in
racconto, resa leggibile attraverso
una cosciente opera di "messa in
scena" dell'esistente.
Non si è esitato a raccontare per
figure, dove questo era necessario:
i grandi "omenoni" in legno per
mostrare i modi di fare nella cava, i
frammenti esemplari per mostrare i
diversi risultati delle lavorazioni, gli

impieghi dei materiali vicino alla
fornace. II diorama, dispositivo
consueto per l'illustrazione di una
cultura materiale che raramente
lascia documenti eloquenti, viene
reimpiegato in forma straniata,
nella semplificazione ingigantita
delle figure umane come nella
accumulazione di frammenti incongrui
(un pezzo di tetto, un architrave
di finestra, lastre sottili per
mosaico...). Lasciati sul sito, gli
omenoni in legno e i frammenti di
pietra diverranno con il tempo
parte integrante del paesaggio che
contribuiscono a raccontare.
Ma soprattutto, si è voluto trasformare
il paesaggio stesso in un
"paesaggio eloquente". II progetto
ha cercato di rafforzare la forma
dei luoghi, di restituire loro l'originaria
chiarezza, coperta dal crescere
della vegetazione, dal trascorrere
del tempo, dalla distanza
tra la cultura del visitatore e quella
del luogo, dei suoi abitanti. Ciò non
vuole dire che l'architettura si faccia
protagonista. AI contrario, le
tracce rimaste sarebbero troppo
flebili per reggere il confronto con
un'architettura "parlante" con proprio
linguaggio. II progetto di paesaggio
ha richiesto linee sottili e
i nterventi leggeri (lo spostamento
di qualche pietra, la posa di una
catena di sicurezza, la tensione di
un cavo metallico, la serie dei picchetti
e delle aste) condotti con
materiali e forme che già appartengono
al luogo. È stato perlopiù un
progettare intrusivo, fatto di minime
inserzioni che affidano alla
ripetizione la loro riconoscibilità,
come è nelle migliori esperienze di
land art contemporanea, che proprio
a segni simili a quelli lasciati
nel terreno dal lavoro e dal tempo
fa riferimento, in rottura con la tradizione
classica e romantica del
giardino di matrice europea. La
modificazione di un dato topografico
può mutarne il carattere, mettere
in evidenza potenzialità nascoste,
come nelle cave di calce, dove
la forma della conca naturale viene
ridisegnata dalla spirale che
discende verso il punto centrale,
mentre i bordi esterni vengono rialzati
per escludere la visione diretta
dall'esterno, rafforzando la sorpresa
(il racconto richiede qualche
colpo di scena). La scelta di un
percorso può disarticolare in "stanze"
l'unità del sito, per organizzare
una sequenza di quadri a tema:
nella cava di pietra, solo al termine
della visita lo spettatore potrà
ricomporre le diverse scene lungo
le quali è stato condotto, nella percezione
sintetica del luogo della
cava offerta dall'alto del belvedere.
in fondo, il progetto ha assunto dal
passato del luogo e dalle sue tracce
la strategia paziente di una
scrittura minuta, sovrapponendo al
palinsesto depositato sul suolo dal
lavoro e dal tempo un ultimo strato,
che si vorrebbe impercettibile,
eppure evidente.
Dal tempo lungo della cultura
materiale il progetto ha assunto
anche l'apertura, l'idea di un'opera
continua di trasformazione intenzionata
del dato geografico che
investe l'intero ambiente. Dai siti di
oggi lo sguardo si vuole allargare,
a riprendere e rafforzare i segni del
paesaggio dell'intero vallone, offerti
al visitatore non più come sfondo,
ma come parte integrante di un
disegno di ecomuseo territoriale.

Italia '61
Carlo Olmo (responsabile), con Sergio Pace, Michela Rosso
A partire dalle vicende e dai molti
edifici superstiti di "Italia '61" è
possibile costruire una riflessione
teorica e progettuale sulla cultura
architettonica e urbana del secondo
dopoguerra, che porti al ripensamento
della stessa identità di
questi luoghi. "Italia'61" può diventare
un nodo vitale nel tessuto
urbano, significativo per i modi e i
tempi in cui è nato ma anche per la
sua posizione attuale: in prossimità
delle direttrici stradali di grande
collegamento regionale e, contemporaneamente,
al centro di un
quartiere densamente abitato e in
trasformazione, grazie alla prossimità
del Lingotto.
"Italia '61" dovrebbe rappresentare
il luogo dove l'identità recente di
Torino, troppo facilmente definita
nei termini di città-fabbrica, venga
riletta e rimessa in discussione,
attraverso i suoi manufatti e i suoi
immaginari. In quanto testimonianza
storica del tentativo di affidare
nuovi ruoli e funzioni alla città e alla
sua area metropolitana, "Italia '61"
si pone come osservatorio privilegiato
per comprendere non solo le
ragioni che hanno condizionato tale
tentativo sul medio e lungo termine,
ma anche i gradi del suo successo
e le cause dei suoi eventuali falli-
menti. Gli edifici di "Italia '61" costituiscono
la rara possibilità di riflettere
sugli immaginari, reali o presunti,
della città contemporanea:
sulla loro genesi e sui loro sviluppi,
oltre il tempo presente.
In questo senso si propone un'ipotesi
di massima per la costituzione
di un "Centro di Cultura Urbana
Contemporanea - CCUC", da
insediare in uno degli edifici dell'esposizione,
la cui attività punti allo
studio del territorio metropolitano
torinese, per allargare poi i propri
interessi di indagine verso l'area
provinciale e regionale.
II CCUC punterebbe a raccogliere
il maggior numero di archivi del contemporaneo
presenti a Torino e provincia:
ad esempio, si può pensare
agli archivi privati degli architetti,
ingegneri e altri professionisti che
abbiano contribuito alla formazione
e crescita della città contemporanea.
II CCUC dovrebbe anche farsi carico
di un lavoro di coordinamento
con altri archivi, che consentano la
ricostruzione di un quadro completo
delle vicende urbanistiche: non
solo dunque gli archivi municipali o
gli archivi delle imprese private
come la Fiat, ma anche quelli delle
aziende che hanno curato e curano
la costruzione e la gestione delle

infrastrutture sul territorio, come la
Società Acque Potabili, I'Enel,
I'Italgas, l'Azienda Trasporti Torinesi,
l'Azienda Elettrica Municipale.
Altrettanto importante sarebbe il
coordinamento dell'attività del CCUC
con altri centri di ricerca italiani e
europei, che possa contribuire a
costruire un luogo di dibattito che,
attraverso mostre e convegni, riesca
a coinvolgere un pubblico vasto,
sempre più interessato alle trasformazioni
della città contemporanea.
II Centro di cultura urbana contemporanea,
eventualmente dotato di
un fondo librario specializzato sui
temi della storia urbana, avrà la
responsabilità di provvedere all'organizzazione
di convegni e seminari,
all'allestimento di esposizioni
temporanee nonché alla cura di
pubblicazioni a carattere scientifico
e divulgativo. In questa prospettiva
il modello europeo più significativo
potrebbe essere costituito dal
"Centre de Cultura Contemporània
- CCCB" di Barcellona.
II progetto di ricerca parte da una
ricostruzione storica degli eventi
che portarono alle manifestazioni
di "Italia '61 ", indispensabile per
poter formulare un'ipotesi di rivalorizzazione
dell'area e dei manufatti
ancora conservati. Uno dei princi-
pali obbiettivi è l'individuazione del
modello di sviluppo reale a cui tese
la costruzione del parco dell'esposizione.
In particolare è importante
capire in che misura "Italia'61"
abbia rappresentato un dispositivo
puramente retorico, strumento di
persuasione per politiche espansive
già pericolanti nel 1959, oppure
abbia inteso proporre un effettivo
modello di sviluppo di una parte di
città e delle sue economie.
Indagini condotte ad esempio negli
archivi delle società fornitrici di servizi
aiutano a capire quanto l'eccezionalità
dell'evento potesse, almeno
nelle intenzioni, trasformarsi nel
riassetto complessivo di una parte
di città periferica non solo geograficamente,
ma anche rispetto alle
scelte urbanistiche varate nel
piano regolatore del 1956.
"Italia `61" è sostanzialmente un
corpo estraneo alla città, dal punto
di vista sia culturale che urbanistico.
Occorre però ancora chiedersi
perché e in che misura le architetture
di "Italia '61", costruite almeno
apparentemente quasi in deroga
alle regole consuete della pratica
professionale torinese, siano rimaste
sconnesse dal tessuto urbano
circostante, separate dalle politiche
urbane che pure hanno portato alla
trasformazione di parti vicine.
Riprendere in considerazione
vicende tanto complesse, ricostruire
le cronologie degli eventi come
le identità degli attori, consente
infine di ripensare al ruolo che una
serie di edifici tanto straordinaria
per quantità e qualità deve svolgere
in una città che rimetta in
discussione funzioni, competenze
e potenzialità.
Organizzata a partire da un'iniziativa
municipale del 1956, "Italia'61"
è una festa cui partecipano oltre 6
milioni di visitatori, con numerose
personalità della politica, della cui-

tura e del costume; la realizzazione
di quest'impresa coinvolge gli
esponenti più illustri dell'arte e dell'architettura
nazionale. Torino è al
centro dell'attenzione internazionale,
e non per il lancio di qualche
nuovo modello Fiat.
In effetti proprio la Fiat è il più singolare
tra i molti vanishing actors
di "Italia `61 ". Ufficialmente l'azienda
simbolo dell'Italia industriale
occupa una posizione piuttosto
defilata. L'impegno è tutto indirizzato
verso il padiglione dei trasporti
nell'Esposizione del Lavoro e
soprattutto verso il Circarama,
curiosa sala cinematografica dove
un film sull'Italia prodotto dalla
Walt Disney viene proiettato su uno
schermo circolare.
La scelta di puntare a una sorta di
divertimento per bambini potrebbe
sembrare stravagante da parte
della Fiat. In realtà il Circarama è
l'esito di una strategia raffinata,
scelta per conquistare un ruolo di
primo piano in un evento spettacolare.
La costruzione del consenso
attraverso i mezzi di comunicazione
di massa non si ottiene attraverso
un discorso ideologico, non
importa se fondato come quello
dell'Esposizione del Lavoro: occorre
agire sugli immaginari e sulla
memoria collettiva di un pubblico
sempre più numeroso.
Ma "Italia `61" non è soltanto
un'occasione per la Fiat. Durante
le celebrazioni è la nazione tutta
che tenta una rappresentazione
spettacolare della propria identità.
Una nazione con grandi squilibri
interni che il dopoguerra non è riuscito
a sanare e, anzi, in alcuni
casi ha aggravato. Come traspare
dai molti discorsi ufficiali, non s'intende
soltanto commemorare il
Risorgimento e i suoi eroi, ma i
molti risorgimenti dell'Italia contemporanea,
le trasformazioni di una
nazione che, nonostante un'incompiuta
modernizzazione, sta vivendo
gli anni del "miracolo economico".
Ricondurre gli squilibri a una positiva
varietà di caratteri locali è l'operazione
condotta in una delle parti
meno note dell'esposizione, la
Mostra delle Regioni.
Le regioni italiane possono essere
uno strumento retorico per molte
parti politiche. Se le sinistre leggono
nella mancata applicazione del
dettato costituzionale del 1948 l'inadempienza
di un intero ceto dirigente,
la Democrazia Cristiana e
gli altri partiti di governo sottolineano
la complessità dei caratteri
regionali per avallare strategie per
il Mezzogiorno, ma anche per attenuare
i contrasti di un quadro lacerato
in molti punti.
Nei padiglioni regionali di "Italia
'61" la storia dell'Italia contemporanea
sembra avere solo due pietre
miliari: il Risorgimento e la
Resistenza. Alla ricerca di un'identità
per la nazione italiana, si tenta

di rappresentare un comune denominatore
alle molte Italie, fondato
su un sistema di valori forti.
L'associazione tra Risorgimento e
Resistenza si offre come ipotesi
pacificatoria dei conflitti politici,
ideologici o sociali.
Un'operazione non priva di rischi
teorici, che si comprende bene nel
nord Italia, più che al Sud. II padiglione
più emblematico da questo
punto di vista diventa forse quello
della Basilicata, dominato da una
tela di Carlo Levi dedicata al poeta
lucano Rocco Scotellaro e più in
generale alle "amare condizioni di
vita lucana". Invece dei progressi
comuni alle piccole patrie italiane,
qui si presenta un "popolo di contadini
protesi verso un mondo
migliore", ancora mortificati, umiliati
e offesi. La retorica risorgimentale
scompare quasi del tutto. Lo
sdegno di Carlo Levi è ancora
quello di "Cristo si è fermato ad
Eboli": uno sdegno che nemmeno
una Resistenza troppo lontana,
geograficamente e politicamente, è
riuscito a placare.
Ancora nell'ambito delle manifestazioni
di "Italia `61" si apre la "Mostra
Stile Moda Costume", nel Palazzo
delle Mostre, noto come Palazzo a
Vela, realizzato su progetto di Annibale
e Giorgio Rigotti, con gli ingegneri
Franco Levi e Silvio Bizzarri.
II progetto dell'allestimento è affidato
ad Augusto Cavallari-Murat,
Roberto Gabetti, Aimaro Isola e
Giorgio Raineri. Promossa dall'ente
locale, questa manifestazione si
distingue in modo netto dalle due
mostre "permanenti", la Mostra
delle Regioni e l'Esposizione
I nternazionale del Lavoro. Aperta
nel giugno 1961, concepita come
mostra "temporanea", legata al
tentativo di rilanciare la presenza
di questo settore a Torino, "Stile
Moda Costume" si chiuderà prima
della fine delle celebrazioni.
Nel grande salone unico del Palazzo
a Vela, il visitatore passa da sezione
a sezione: moda, arti figurative,
arti applicate, teatro/ cinema/balletto,
figura, e poi dal padiglione Rosa
e Nero ideato da Italo Cremona ad
una mostra di Leonardo Sinisgalli,
"Forme pure e dimensioni", da una
sezione dedicata al premio Com
passo d'Oro ad un'altra, in forma di
grande fumetto, dedicata alle grandi
esposizioni internazionali, dalla
mostra del pane a quella del turismo,
dalla sezione sport a quelle
degli affissi murari e dei gioielli.
Attraverso il catalogo si può cercare
di ripercorre idealmente la mostra.
In apertura, si trovano le forme pure
di Sinisgalli: oggetti di gesso, di cartone
e di filo, costruiti su preziose
equazioni matematiche, andate poi
perse durante l'esposizione.
Enzo Ferrieri, nella sezione
"Cinema teatro balletto", disegna
"un certo riconoscibile itinerario
dello spettacolo dal 1900 ad oggi",
da Pirandello a "Cabiria", da
Charlie Chaplin al western, dal balletto
russo al neorealismo.
Nella sezione letteratura grandi
libri, alti il doppio dell'altezza media
di un uomo, si aprono su di una
pagina significativa di Fogazzaro o
di Verga, di Proust o di Joyce.
Inoltre, il visitatore può scegliere
uno dei tasti di un juke-box ed
ascoltare il testo registrato di una
poesia di Carducci o di Pasolini, di
Montale o di Saba.
Accanto ai capolavori dell'arte si
vedono le applicazioni dell'industria,
simboli di un gusto raffinato e
colto accanto ai miti popolari, Sofia
e Charlot, una curva di Marylin e la
fuoriserie di Pinifarina. La mostra
presuppone uno spettatore che sia
in grado di cogliere suggestioni e
fascini formali tanto lontani dal
mondo della fabbrica quanto dal

mito della produzione di massa, che
sappia afferrare l'allusione simbolica
della macchia o della linea informale.
Un visitatore che non cerca
la documentazione propria del
museo, un uomo - massa a cui si
parla per slogan, per battute risolventi,
per accostamenti provocatori.
Nella sezione del turismo, l'inventario
degli oggetti esposti spazia dalla
gondola alla rotaia, dai modellini di
vecchi treni agli aerei e ai piroscafi:
accanto al turismo letterario di
Goethe, non mancano rappresentazioni
del gusto deteriore, i souvenir,
il bric-à-brac delle grandi fiere
turistiche. Plastici sospesi entro
sfere di plexiglas illustrano famosi
luoghi di soggiorno, dalle cascate
del Niagara al golfo di Napoli.
Accanto alle sezioni espositive, gli
architetti progettano il "teatro dei
mille" e il suo foyer, unici spazi
della mostra davvero costruiti. La
sala è impostata su una pianta circolare,
con la scena isolata al centro,
senza sipario. II palcoscenico
tondo è ricoperto di linoleum chiaro
su masonite incollata all'assito di
base. I colori sono quelli degli
interni dell'Auditorium Rai di Carlo
Mollino: il viola-grigio delle decorazioni
del palcoscenico e il rosso
vermiglione delle poltrone.
Eccezionale la rapidità dell'esecuzione.
II progetto viene assegnato
a febbraio, quando ancora il Palazzo
a Vela è in corso di costruzione,
e nel giugno viene inaugurata la
mostra. Cavallari Murat, Gabetti,
Isola e Raineri lavoreranno in gran
parte sui disegni dei Rigotti.
D'altronde, anche il progetto di
Pier Luigi Nervi e Gino Covre per il
Palazzo dei Lavoro verrà scelto in
virtù di questa qualità. Dal bando e
dai documenti di gara, dalla relazione
che riporta la descrizione dei
sei progetti concorrenti e dal testo
del giudizio della commissione, l'a-
spetto della velocità di messa in
opera appare centrale nel dirigere
la scelta della giuria.
II Palazzo del Lavoro ha una
copertura formata da elementi indipendenti
costituita da 16 quadrati,
con struttura portante a fungo con
un lato di 40 metri, un pilastro ogni
1600 mq coperti. Oltre che dal
parere della commissione giudicatrice,
l'attenzione all'economia e
alla velocità della realizzazione è
evidente anche da alcune tavole di
progetto, successive alla conclusione
del concorso, vinto da Nervi
giocando il duplice ruolo di impresario
e di progettista.
Per realizzare il Palazzo del Lavoro
verrà scelta la strada della celerità
della costruzione. Un valore certo
noto nella città che rappresentava,
nell'immaginario non solo italiano, il
laboratorio del taylorismo. Un valore
comune alle cronache di tante
altre esposizioni. Un valore dell'industria
e dell'effimero, della scienza
applicata alla produzione industriale
e di un processo decisionale,
come quello che porta a deliberare
su edifici precari nella loro funzione
e, contemporaneamente,
destinati a vivere come simboli,
tanto da risultare quasi inutilizzabili
una volta conclusa l'esposizione.
Ma il Palazzo a Vela è forse il punto
più alto di una contraddizione che
attraversa tutta l'esposizione. Oltre
il Lingotto e al di là della ferrovia, a
poche centinaia di metri, il visitatore
poteva incontrare Mirafiori, la città
fabbrica ed i suoi quartieri dormitorio:
la materialità di quel processo
di innovazione, che il palazzo della
moda e tutta l'esposizione cercava
di ricondurre a valori dove il progresso
avesse ancora una direzione
positiva, si scontrava con la realtà
della città industriale costruita.
(a cura di Michela Rosso e Sergio
Pace)

La lavorazione del ferro e della pietra
in Vai Chiusella
Elena Tamagno (responsabile), Giorgio Faraggiana, Silvia Mantovani,
con Armando Baietto, Anna Maria Braccia, Guido Mones
La ricerca considera l'area della
Comunità montana Valchiusella
per l'individuazione dei manufatti
relativi alla lavorazione del ferro e
la proposta di percorsi di visita, il
territorio comunale di Traversella
per il complesso delle miniere.
II comprensorio della Valchiusella
è tradizionalmente sede di attività
estrattiva, sia di pietra sia di ferro.
Cave di pietra sono tuttora attive
nei territori comunali di Traversella,
Vico, Brosso, mentre le miniere di
ferro hanno cessato l'attività. La
disponibilità in loco di minerale ha
indotto anche attività di lavorazione
del ferro, prevalentemente a
"basso fuoco", della quale rimangono
tracce, in edifici da fucina,
localizzati in prossimità dei corsi
d'acqua e distribuiti su tutto il territorio
di valle. Peculiare del complesso
delle miniere di Brosso, di
proprietà privata e inattive dagli
anni Cinquanta, è una gestione
protoindustriale condotta dalla
comunità del luogo, mentre quella
delle miniere di Traversella, attive
fino al 1971, si è aggiornata fino ad
assumere una organizzazione di
tipo industriale che si è svolta in
manufatti ancora oggi completamente
conservati e di cui il
Comune ha acquisito sia la pro-
prietà, sia i diritti di sfruttamento.
II lavoro di convenzione è inteso a
mettere a disposizione dell'Amministrazione
un programma-progetto
di valorizzazione della cultura del
lavoro estrattivo, con particolare
riferimento alla lavorazione dei
ferro, individuando le virtualità e le
possibili trasformazioni dei manufatti
esistenti e il loro collegamento
in un paesaggio di cultura materiale.
Illustrazione del progetto
La ricerca si articola in una fase
conoscitiva e in una fase progettuale.
La prima prevede:
la consultazione delle fonti documentarie
e la messa in consultazione
dei fondi archivistici specifici (Archivio
delle Miniere di Traversella);
il censimento dei fabbricati, delle
attrezzature, dei macchinari esistenti
presso le Miniere;
il progetto scientifico di una mostra
permanente, la produzione di
materiale didattico, promozionale e
divulgativo.
La seconda prevede:
il progetto di itinerari di visita che
colleghino i siti individuati nella
fase precedente e interessino
anche una parte delle gallerie di
miniera a Traversella;
il progetto di massima per la siste-

mazione degli edifici delle miniere
di Traversella non interessati dal
progetto in via di attuazione (e
inteso all'integrazione di quest'ultimo
in un piano generale di riassetto
del sito);
il progetto-allestimento di una
mostra permanente nel complesso
edilizio delle miniere e degli spazi
per attività collaterali alla mostra
(Centro studi).
Le principali fonti archivistiche consultate
sono state l'Archivio di
Stato di Torino e gli Archivi storici
del Comune di Traversella.
A differenza di quanto accaduto
nella miniera di Brosso, i cui bandi
minerari disciplinarono l'attività
estrattiva fin dal XV secolo, l'analoga
normativa di Traversella venne
approvata con Ordinato del
Consiglio Comunale in data 9
dicembre 1787. Durante il periodo
napoleonico, il governo è intervenuto
anche sulle miniere di Traversella
con una serie di prescrizioni e
divieti volti ad assicurare il razionale
sfruttamento dei filoni.
Nell'inventario dell'ASTI sono
catalogati i disegni relativi alle fucine
presenti sul territorio degli Stati
Sabaudi. In Valchiusella i principali
Comuni che, all'epoca, hanno
ospitato le fucine sono: Brosso,
Traversella, Trausella, Alice
Superiore, Gauna, Vistrorio,
Meugliano; tutti gli opifici presentano
un'architettura tradizionale, che
non li rende immediatamente
distinguibili dal contesto rurale in
cui si trovano. Si tratta cioè di
"case", spesso di dimensioni abbastanza
modeste, la cui unica differenza
rispetto agli edifici adibiti ad
abitazione è costituita dalla presenza,
nel loro intorno, di strutture
destinate alla captazione dell'acqua.
II Comune di Traversella è attualmente
proprietario di un Archivio
Storico in cui sono confluiti gli archivi
della Congregazione di Carità
e dell'ECA oltre all'archivio del
comune di Valchiusella e all'archivio
aggregato dell'ILVA, donato
dalla società concessionaria delle
miniere al Comune; a partire da

una data non ancora ben individuata,
nell'Archivio ILVA di Traversella
sono confluiti i documenti delle
miniere sarde della società.
Censimento di fabbricati, attrezzature,
macchinari
II censimento dei fabbricati si riferisce
sia alle fucine, sia al complesso
degli edifici ex-ILVA. Le prime -
quasi tutte collocate nei pressi di
corsi d'acqua, il principale dei quali
è il Chiusella, e di epoca protoindustriale
- sono ora di proprietà privata
e non è quindi possibile "musealizzarle"
direttamente, si provvede
pertanto ad effettuarne il censimento
e la catalogazione, volte anche a
individuare un percorso che metta
in luce sul territorio tutto il processo
di lavorazione del minerale ferroso
dalla sua uscita dalla miniera alle
successive manipolazioni.
Gli edifici del complesso ex-ILVA
sono situati nei pressi del paese di
Traversella, sono stati destinati
alla prima lavorazione e allo stoccaggio
del minerale, agli uffici
amministrativi, ai servizi per gli
operai, alla residenza del direttore
e del custode; altri, dispersi sul
versante opposto del Bersella nei
pressi dell'imbocco delle gallerie,
sono stati destinati alle consegne
giornaliere e al deposito degli
esplosivi, alle operazioni più direttamente
legate al lavoro in galleria.
La mostra permanente
Uno degli scopi finali della ricerca
è predisporre una mostra permanente
sull'attività estrattiva e di
prima lavorazione dei minerali di
ferro. Questa fase di lavoro si propone
di sensibilizzare e coinvolgere
la popolazione locale intorno
alle tematiche della cultura materiale
e creare un nodo di partenza
per eventuali percorsi ecomuseali
ai siti di lavorazione protoindustriale
del ferro presenti nel comprensorio
della Comunità montana.
li progetto di itinerari di visita
AI di là dei complessi minerari di
Brosso e di Traversella, per i quali

si può prevedere che tali itinerari
possano essere effettivamente
percorsi, pare problematica la previsione
di rendere operativi nel
breve termine itinerari di visita ai
siti di lavorazione del ferro. Salvo
alcuni casi, come quello dell'altoforno
di Meugliano, è prevedibile
un lungo lavoro di sensibilizzazione
e di supporto economico della
proprietà privata prima di rendere
agibile alla visita i siti identificati.
Pertanto, in un primo tempo si
pensa che gli itinerari di visita
potranno essere "virtuali", percorribili
cioè attraverso documenti in
mostra o attraverso ipertesti in reti
informatiche.
Il progetto di sistemazione del
complesso delle miniere di
Traversella
Gli edifici sono oggetto di un progetto
di bonifica, messa in sicurezza
e riuso parziale in via di realizzazione.
Qui si propone di studiare
e redigere un progetto di massima
di riqualificazione dell'intero com-
prensorio, che considera sia alcuni
tratti delle gallerie, sia gli edifici e
le attrezzature. Le destinazioni
previste sono:
- sede museale del lavoro di miniera;
- laboratori per la lavorazione della
pietra;
- laboratori nei quali svolgere analisi
chimico-fisiche sui minerali;
- centro di documentazione e di
studi mineralogici;
-centro di accoglienza.
Stato dei lavori
Si è conclusa l'individuazione e la
consultazione delle fonti d'archivio;
è in fase di ultimazione l'ordinamento
dell'archivio ex-ILVA per
consentirne la consultazione al
pubblico; è completo il censimento
delle fucine ed è in corso la stesura
delle schede analitiche per edificio;
è in corso il censimento dei
fabbricati delle miniere di
Traversella, delle attrezzature e
dei macchinari.
È in fase di realizzazione il progetto
di allestimento di una prima

sistemazione museale in un edificio
di proprietà comunale attualmente
in fase di ristrutturazione.
L'edificio - denominato "Casa
Ruella" - è situato sulla piazza
principale del paese ed è in parte
già destinato ad attività collettive.
E i n fase avanzata la raccolta di
tutto il materiale che verrà a comporre
il percoso museale. Questo
sarà così suddiviso:
- le miniere di Traversella: storia,
evoluzione tecnologica dei processi
di estrazione, rilievi dello sviluppo
delle gallerie ecc.;
- processi di lavorazione del minerale
estratto: fase protoindustriale
nelle fucine distribuite lungo il torrente
Chiusella;
- processo di riduzione del minerale
estratto: lavorazioni eseguite in
fase industrializzata nel comprensorio
delle miniere negli ultimi anni
di attività;
- le miniere di Brosso: storia, rilievi
dello sviluppo delle gallerie, ecc.
Per questa sezione del lavoro è
stato predisposta una bozza di car-
tellone esplicativo.
Si è accennato alla difficoltà di rendere
effettivamente visitabili i siti
delle fucine, si pensa però che la
divulgazione dei materiali raccolti
attraverso la loro esposizione e utilizzazione
per produrre materiali a
stampa, visivi, informatici, possa
portare ad iniziative di recupero ed
apertura al pubblico di tali strutture.
L'allestimento dello spazio espositivo
in casa Ruella è stato possibile
grazie alla disponibilità del
Comune di Traversella. La bonifica
e il primo lotto di lavori sul complesso
degli edifici delle Miniere di
Traversella è in corso con fondi
stanziati in parte dalla Comunità
europea e in parte dal Comune; la
pulizia e la manutenzione delle
aree di copertura del complesso
delle gallerie e il ripristino dei sentieri
esistenti è in corso come
Lavori Socialmente Utili.
NOTE
1) AST: sotto l a voce I ntendenza d'Ivrea,
Miniere, Cat. 6, Mazzo 865

La lavorazione del rame
Silvia Mantovani (responsabile), Maurizio Lucat, con Tania Crisafulli,
Simona Giraudo, Nadia Osella
Le valli Orco e Soana, come altre
valli dell'arco alpino nordoccidentale,
sono caratterizzate dalla notevole
ricchezza di minerali nel sottosuolo';
tale presenza è nota da
lunga data, come testimoniato
dalle tracce di scavi che partendo
dalla preistoria giungono tra alterne
vicende fino a noi.
La presenza di minerali quali il
ferro, il rame, l'oro e altri ancora,
ha sviluppato nel tempo la capacità
di manipolazione su di essi per
renderli utilizzabili, portando alla
formazione di vere e proprie culture,
consolidatesi nel tempo sino a
creare dei mestieri.
Gli studi condotti dal nostro gruppo
di ricerca sui materiali, sulle tecniche
e tecnologie costruttive relative
a impianti industriali e protoindustriali
e sulla possibilità di salvaguardare
le tradizioni della "cultura
materiale" e le loro feconde implicazioni,
hanno trovato un punto di
incontro con la Comunità Montana
Valli Orco e Soana e il Comune di
Alpette, nelle figure del presidente
e del sindaco, che da tempo sono
i mpegnate in un'opera di stimolo e
i ncentivazione per il riconoscimento
di tale interessante patrimonio
culturale, che ha fortemente caratterizzato
il loro territorio. È stato
così avviato un contratto di ricerca
sul tema "La lavorazione del rame
nelle valli Orco e Soana" nell'ambito
della convenzione quadro stipulata
nel dicembre 1997 tra la
Provincia di Torino e il
Dipartimento di Progettazione
architettonica del Politecnico di
Torino riguardante, appunto, la
"Cultura materiale".
II territorio
II territorio sul quale si sviluppa il
lavoro di ricerca coincide con la
Comunità Montana Valli Orco e
Soana ed è situato nella parte
orientale delle Alpi Graie, lungo l'alto
corso dell'Orco, fra i bacini della
Dora Baltea e della Stura di Lanzo.
Confina a nord con la Valle d'Aosta,
a est con la Valchiusella e la Valle
Sacra, a sud-est con l'Alto Canavese,
a sud con la Valle del Tesso
e la Val Grande di Lanzo, a ovest
con la Francia (Val d'Isère e d'Arc).
La Comunità si estende sulla parte
meridionale del Massiccio del Gran
Paradiso destinato già dal re
Vittorio Emanuele II a riserva reale
di caccia. Dopo la prima guerra
mondiale, il territorio di caccia fu
donato allo Stato affinché si desse
origine al Parco Nazionale.
Nel 1922, infatti, fu istituito il Parco

Nazionale del Gran Paradiso allo
scopo di conservare la fauna, la
flora e di preservare la bellezza del
paesaggio e alcune sue particolari
formazioni geologiche. La presenza
del parco ha fortemente caratterizzato
il territorio sia per la frequentazione
che per l'insediamento
di alcune attività produttive.
Sul territorio della Comunità
Montana molti sono i comuni interessati
alle attività protoindustriali e
industriali legate alla presenza dei
minerali 2, tra questi: Alpette dove
ha sede la Comunità Montana e la
scuola del rame; Ceresole Reale
con le antiche miniere di rame e
quattro mulini; Frassinetto dove si
trovano un deposito di quarzo e
due mulini; Ingria con sei mulini;
Locana con numerosi mulini, cave
di pietra per macine, tre cave di
calce, una manifattura del rame,
due officine e alcune fucine per la
lavorazione di minerale di ferro;
Noasca dove avveniva l'estrazione
di galena argentifera; Pont
Canavese già sede di una grande
manifattura del cotone, ora purtroppo
distrutta, alcune concerie,
un filatoio da seta, due fucine per il
rame, due cave e fornaci da calce
e quattro cave di pietra; Ronco
Canavese con altre miniere di
rame, due fonderie e fucine per il
rame e per il ferro, due cave e fornaci
di calce, un maglio per la
lavorazione del rame e inoltre più
di venti mulini; Sparone sede di
una fonderia per il rame, di cinque
mulini e tre magli per la lavorazione
del rame; Valprato Soana con
una miniera di piombo argentifero,
una miniera di rame solforato
argentifero, un maglio per la lavorazione
del rame e del ferro e nove
mulini. Nella Valle dell'Orco è inoltre
possibile effettuare la raccolta
di sabbie aurifere.
La ricerca
Gli obiettivi prioritari della ricerca
sono:
A) la conservazione, il restauro e
la valorizzazione di ambienti di
lavoro propri del territorio interes-

sato, attraverso la ricostruzione
reale e virtuale delle tradizioni culturali
che prevedevano l'utilizzo di
risorse naturali e di saperi tecnologici.
Allo scopo di raggiungere una
delle finalità prioritarie degli ecomusei
indicata all'art. 1 comma 3
lettera C della legge regionale 14
marzo 1995, n. 31, è apparsa strategica
al gruppo di ricerca la realizzazione
di uno spazio museale e di
un centro di documentazione sull'evoluzione
delle tecniche di lavorazione
da realizzarsi ad Alpette,
all'interno del costruendo centro
artigianale per la lavorazione del
rame.
B) La predisposizione di percorsi
nel territorio della valle al fine di
porre in relazione il visitatore con i
luoghi caratterizzati da specifiche
culture tecnologiche. Sono infatti
presenti, anche se in stato di
abbandono, alcune fucine che
testimoniano la diffusione della
lavorazione del rame.
C) II coinvolgimento attivo nella
realizzazione del progetto della
comunità, delle istituzioni culturali
e scolastiche e delle strutture
associative locali. Appare infatti
fondamentale la riappropriazione
della propria identità culturale da
parte degli operatori locali e la conseguente
presa di coscienza del
loro essere custodi di una cultura
materiale e di un sapere tecnologico
ancora attuale e di cui soprattutto
oggi non si vuole perdere la
realtà seppur frammentata.
Già da tempo opera una "Scuola
del rame" con sede nel comune di
Alpette che, attraverso cicli di corsi
diretti in special modo agli studenti
delle scuole medie della provincia,
ha come finalità proprio quella di
diffondere presso le nuove generazioni
il sapere antico della produzione
artigianale di oggetti realizzati
in rame e di formare nuovi artigiani
e/o piccoli imprenditori in
grado di ricostituire un tessuto produttivo
riconoscibile.
L'aver ipotizzato una stretta con-

nessione tra il costituendo museo
e la scuola del rame consentirà di
valorizzare della memoria proprio
l 'aspetto materiale del saper fare
che costituisce il nodo attraverso i
quale si deve passare per progettare
un possibile sviluppo e/o
incentivazione per attività imprenditoriali.
Linee guida del progetto
Se il primo passo della ricerca in
corso sul territorio della Comunità
Montana, è stato quello diretto allo
studio delle tecniche di lavorazione
del rame e della conseguente
catalogazione degli utensili utilizzati
nonché degli oggetti prodotti,
un ampio spazio e interesse è
stato dedicato da parte del gruppo
di ricerca all'analisi dei manufatti
edilizi deputati alle lavorazioni, che
inseriti sul territorio lo hanno in
parte caratterizzato e modificato.
I manufatti edilizi, ovvero i siti dove
veniva forgiato il rame che aveva
già ricevuto una prima riduzione
nei pressi delle miniere, sono edificati
secondo tipologie costruttive
molto semplici che riprendono le
forme di un'architettura rurale tradizionale.
La geometria è elementare,
il più delle volte a pianta quadrata
o rettangolare, con poche
divisioni interne. La vocazione
industriale degli edifici viene posta
in evidenza dallo spessore dei
muri che si giustifica non per le
altezze raggiunte dalla costruzione
ma bensì per l'esigenza di contenere
le alte temperature dei forni e
le vibrazioni dei maglia.
Momento caratterizzante, a conclusione
della prima parte del progetto
è l'allestimento dello spazio
espositivo e del centro di documentazione
sull'evoluzione delle
tecniche di lavorazione ad Alpette,
all'interno del centro artigianale per
la lavorazione del rame.
Nello spazio espositivo saranno
collocate le diverse collezioni di
utensili per la lavorazione, già di
proprietà del Comune, come pure
gli oggetti prodotti che sono stati
nel tempo raccolti a testimonianza
oltre che delle tecniche di lavorazione
utilizzate anche degli usi e
costumi del luogo.
II piccolo museo che si verrà a formare
avrà un carattere interattivo
in quanto, posto a diretto contatto

con il centro di formazione artigianale,
potrà fruire direttamente delle
dimostrazioni pratiche relative alla
lavorazione utilizzando, quando
possibile, gli stessi utensili esposti,
coerentemente con il progetto
scientifico il gruppo di studio che
ha individuato alcuni elementi fortemente
identificativi, quali lo spazio
didattico del centro artigianale
della lavorazione del rame e le
pareti vetrate scorrevoli che lo possono
far interagire senza soluzione
spaziale di continuità all'area più
strettamente museale. Questi elementi
identificativi assumono un
ruolo determinante in quanto agiscono
da stimoli progettuali ma
anche e soprattutto da vincoli spaziali
che possono altresì suggerire
percorsi, prospettive e punti di
osservazione.
Completerà lo spazio del museo la
definizione di un percorso sul territorio
che condurrà il visitatore nei
luoghi e negli spazi più significativi
della lavorazione del rame presenti
sull'area di indagine che, anche se
in stato di abbandono, testimoniano
la reale diffusione della lavorazione
del rame.
II percorso progettato nella prima
fase sarà visibile in modo virtuale
solo all'interno del museo.
Lo studio di questi percorsi ha l'obiettivo
di inserire l'area in un
sistema di ecomusei provinciali
dove la cultura della lavorazione
del rame, che per lungo tempo ha
caratterizzato questi luoghi e il
resto della regione, possa assumere
il giusto rilievo.
(a cura di Maurizio Lucat e Silvia
Mantovani)
NOTE
1) F. Sacco, Le Alpi, T.C.I., Milano 1934;
Carta Geoografica d'Italia, F. 41, Gran
Paradiso, Roma 1969.
2) P. Ramella, Civiltà del Canavese, 1977;
L. Bulfaretti, Agricoltura, Industria e
Commercio in Piemonte nel secolo XVIII,
Torino 1963; R. Luraghi, Agricoltura,
Industria e Commercio in Piemonte dal
1848 al 1861, Torino 1967; N. Osella,
Itinerari del Rame, Tesi di Laurea, Facoltà
di Architettura, Politecnico di Torino,
Relatori C. Ronchetta, S. Mantovani, a.a
1997/98.
3) Presso l'Archivio di Stato di Torino, dove
è conservata la documentazione inerente la
vita amministrativa dello Stato Sabaudo,
sotto la voce Intendenza di Ivrea, Miniere
cat. 6, mazzo 865, sono conservati i disegni
relativi alle fucine presenti sui territori
Sabaudi.

La guida multimediale
I sentieri della Resistenza
Chiara Ronchetta (responsabile), con Antonietta Cerrato, Elisabetta Serra,
Andrea Terranova, Cooperativa Aleghe
Obiettivo di questo testo è descrivere,
in breve sintesi e senza alcuna
pretesa di esaustività i tratti
essenziali dei progetto della guida
multimediale su i Sentieri della
Resistenza. La guida presenta una
serie di percorsi guidati attraverso
alcuni luoghi paradigmatici per la
memoria della Resistenza (1943-
1945) in tre comparti territoriali
della Provincia di Torino: Coazze,
Angrogna e Colle del Lys, e fa
parte di un progetto più ampio -
presentato dalla Provincia di Torino
e finanziato dall'Unione Europea -
di valorizzazione della memoria
storica della lotta partigiana attraverso
il ripristino di alcuni sentieri e
la formazione di tre centri di documentazione
"remoti" ma connessi
in rete telematica (attraverso
postazioni ubicate sul territorio).
II progetto
È stata proposta una modalità di
lettura-esplorazione mista: unilineare
e monodimensionale (lettura
di testi) e multidimensionale e sincronica
(visuale-spaziale) con prevalenza
della seconda sulla prima.
La guida multimediale è "essenzialmente"
strutturata in forma spaziale,
tridimensionale utilizzando
l'allegoria (o metafora continuata)
dello spazio dei luoghi individuati e
della loro esplorazione "intuitiva"
da parte del visitatore.
La guida ha le seguenti caratteristiche:
una interfaccia grafica consentirà
di accedere a una serie di
repertori testuali e iconografici
organizzati per capitoli (folder) differenti,
secondo lo schema più
avanti riportato.
Complessivamente le videate di
testo, compresi gli approfondimenti,
sono pari a circa 600 unità. II
numero delle fotografie a corredo è
pari a 100 unità. Si è previsto l'utilizzo
di qualche clip video (testimonianze
di partigiani) e di file audio
per evidenziare le transizioni, per
accompagnare i titoli di testa, e per
documentare con più completezza
eventi e testimonianze. Dalla
videata iniziale si possono ricavare
tutte le informazioni relative alla
forma comunicativa adottata e ai
percorsi effettuabili.
II criterio che sta alla base di questa
impostazione è di natura
"cognitiva" (secondo i termini poco
sopra adoperati): nel senso che la
guida fornisce un sistema di riferimento
immediatamente comprensibile
- la rappresentazione dei
l uoghi individuati - presentando fin
da subito un rapporto tra la

"mappa", le fotografie dei siti e le
informazioni legate a questi.
La guida multimediale si articola in
otto capitoli: "Cronologia",
"Luoghi", "Argomenti", "Glossario",
"Biografie", "Crediti", "Progetto
Cultura Materiale", "Laboratorio".
Nel dettaglio si ha:
Cronologia
II capitolo ha scansione mensile:
36 mesi dal gennaio del
1943 al dicembre del 1945.
Riporta eventi locali, regionali,
nazionali e mondiali. È introdotto
da una scheda testuale sulla
"modalità di uso": si tratta infatti
di invitare il lettore a esplorare
una "mappa del tempo" clickabile.
Ogni punto sensibile della
mappa è presentato da una
tool-tip. L'hot spot si presenta in
forma di icona, differenziata per
tipologia di evento, e consente
di richiamare una breve scheda
sinottica riportante data, luogo
e descrizione dell'evento.
Luoghi
II capitolo si articola su tre piani:
a) una mappa di riferimento per
il comparto preso in esame
secondo una partizione significativa
sulla base dei criteri di
volta in volta indicati dalle singole
comunità montane. Sulla
mappa si possono scegliere
nell'ordine: un comparto, un
percorso, un luogo. Quindi si
può consultare una "scheda

luogo" o "scheda percorso",
ognuna dotata di testi, immagini
ed eventuali file audio e video
forniti dalle singole comunità.
b) Sommario, per ordine alfabetico,
dei luoghi menzionati nella
guida: dal sommario è possibile
accedere direttamente alla
scheda dei luogo.
c) Visita guidata: si tratta di un
file di testo dotato di immagini
che organizza, all'interno del
singolo comparto territoriale di
pertinenza, una presentazione
di alcuni luoghi tra i più significativi
e utilizza le schede preparate
nei due punti "a" e °b" di cui
sopra.
Argomenti
I n questo capitolo una prima
videata presenta un sommario
visivo attivabile con il mouse, in
grado di aprire paragrafi diversi
come: L'identità dei partigiani,
L'organizzazione politica e militare
della Resistenza, Le forme
della guerriglia, Le forme della
comunicazione ovvero: giornali
partigiani, giornali "ufficiali",
relazioni inviate alla RSI,
annunci radio, cinegiornali,
francobolli delle zone libere,
documenti prodotti dai partigiani,
come i buoni per le requisizioni,
diari di partigiani, lettere
dal carcere; Letteratura sulla
Resistenza ecc. Dalla prima

videata si può accedere a
mappe attivabili con il mouse
per ottenere a schermo schede
testuali e iconografiche.
Glossario
Raccoglie e presenta (in ordine
alfabetico) un regesto di termini
specialistici o desueti utilizzati
nelle schede testuali della guida.
Biografie
Riporta il sommario, per ordine
alfabetico, dei partigiani, dei
militari e dei civili, pensato
come accesso alla consultazione
di brevi schede biografiche.
Crediti
Si tratta del tabellino dei crediti
articolato per competenze, con
menzione dei singoli referenti,
istituzionali e non, coinvolti nel
progetto. II tabellino è attivabile
dal "titolo" della guida (reso
sensibile), presente nelle videate
iniziali. I crediti sono altresì
leggibili nelle videate finali della
guida.
Progetto Cultura Materiale
II pulsante di attivazione di questo
capitolo è costituito dal logo
"ecomuseo", sempre presente
in ogni videata. Riporta informazioni
relative al "Progetto
Cultura Materiale" della
Provincia di Torino e un link al
sito Web della stessa Provincia
per la consultazione di documenti
HTML, nella doppia
modalità "on fine/off fine" (si è
previsto pertanto l'utilizzo di un
browser per la navigazione e la
possibilità, mediante un pulsante
di "back" sovraimposto al

owser, di ritornare alla guida).
Laboratorio
Permette all'utente di: a) prendere
appunti direttamente sullo
schermo del computer; b)
memorizzare i passi da lui effettuati
(back tracking); c) operare
sul back tracking per costruire
uno story-board personalizzato
e stampabile; d) stampare le
videate attive.
L'applicazione multimediale prevede
una doppia articolazione:
a) un documento, costruito con
Toolbook li, masterizzato su CD-
Rom, consultabile "off line", nei tre
siti ecomuseali, con una serie di
link per la consultazione "on line"
di siti Web;
b) un documento, costruito in linguaggio
HTML, da collocare sul Web.
Si dovrà pertanto prevedere per
ciascuna postazione ecomuseale
un PC sul quale verrà installato il
prodotto completo di sezione
audio-video. Per ogni postazione
PC dovrà essere previsto il collegamento
con il sito Web della
Provincia di Torino. A tale scopo le
macchine in oggetto dovranno
essere dotate di modem per la
connessione alla rete telefonica, e
di un abbonamento "InterneC, con
il fornitore di accesso (Provider)
disponibile nel distretto telefonico
di competenza.
Il documento HTML dovrà essere
collocato nel sito Web della
Provincia di Torino e riproporrà un
prodotto analogo per forma e linguaggio
al documento consultabile
off line nei tre luoghi individuati,
alleggerito di quelle risorse multimediali
(clip audio, clip video) che
potrebbero pregiudicare la velocità
di trasferimento dei dati e, pertanto,
la fruibilità da parte di un visitatore
che utilizzi un browser qualsiasi
per la navigazione nel Web.
(a cura di Andrea Terranova)

Dal museo al territorio:
atto secondo?
From the museum to the territory:
Act Two?
Liliana Bazzanella e Antonio De Rossi
Il fatto che questa campagna di ricerche
sui siti di cultura materiale nel
territorio della Provincia di Torino
coinvolga un dipartimento universitario
come quello di Progettazione
architettonica ci pare un dato significativo,
che deve essere sottolineato.
Un Dipartimento che per nascita
e per storia è di matrice pluridisciplinare,
dove convivono fianco a fianco
le progettazioni, le storie, le tecnologie,
ma in cui il momento sintetico
e riassuntivo del progetto - inteso
in senso ampio e non solamente
"fisico" - costituisce un elemento
specifico e determinante.
Questa centralità del progetto, se
da un lato apre a innumerevoli rischi,
dall'altro ci sembra che abbia permesso
di sfuggire a molte di quelle
retoriche contemporanee dell'°oggettività"
(della storia, del locale, della
cultura materiale) di cui parla Carlo
Olmo nell'introduzione del libro.
I I motivo di ciò lo comprendiamo
meglio oggi, dopo questo primo giro
di ricerche e lavori sul terreno. L'aver
gettato fin da subito sul tavolo della
discussione con le comunità locali
delle ipotesi, delle prefigurazioni progettuali
- facendo quindi temporalmente
e concettualmente coincidere
il momento dell'analisi con quello
del progetto -, ha obbligato non solo
The fact that this research campaign
on the sites of material culture
throughout the territory of the
Province of Turin involves a
university department such as that of
Architectural Design appears to us to
be an important fact that must be
stressed. A Department with a multidisciplinary
matrix by extraction and
history, in which designs, histories
and technologies exist together sideby-side,
but in which the moment of
synthesis and summarization of the
project - understood in a broad and
not merely "physical" sense -
constitutes a specific and
determining element.
If on the one hand the centrality of
the project exposes us to numerous
risks, on the other, it appears to have
allowed us to avoid much
contemporary rhetoric on "objectivity"
(of history, of local matters, of the
material culture), about which Carlo
Olmo speaks in the preface to this
book.
Today we are able to better
understand the reason for this after
the first round of research and work
activities in the field. Having placed
hypotheses and project proposals
on the discussion table with local
communities in the beginning - thus
allowing the moment of analysis to

a fare immediatamente i conti con le
risorse economiche e sociali realmente
in campo, ma anche a gerarchizzare
e selezionare i materiali
(testimonianze, manufatti, brani di
paesaggio storico) a disposizione.
Questo ha dato vita a ricadute per
molti versi da noi non previste, ma
che consideriamo positive. La necessità
di scegliere e di conferire un ordine,
il confronto con prefigurazioni
che rendevano trasparenti e leggibili
le strutture narrative e i modi di
raccontare, hanno determinato un
maggior livello di autocoscienza e di
consapevolezza degli attori locali sia
nei confronti dei materiali del passato,
sia rispetto al loro possibile uso (e
consumo) nel presente. Analogamente
i ricercatori, da "traduttori"
oggettivi e imparziali delle istanze
locali, hanno iniziato a proporsi e ad
autorappresentarsi come interpreti
soggettivi e "di parte", mettendo in
luce i dati intenzionali e discrezionali
del loro fare progettuale.
Tutto ciò può apparire di poco conto,
o quantomeno scontato, inscrivibile
nella ovvia necessità di "falsificabilità"
che sta alla base di ogni procedimento
scientifico. Eppure è proprio
nello scarto dai ruoli prefissati del
"committente" e del "tecnico", nello
scardinamento della sequenza lineare
e deduttiva analisi-progetto, che si
possono riconoscere i maggiori risultati
metodologici, nonché il grado di
efficacia dei lavori e delle ricerche sul
campo. È questo che ha permesso
alle comunità locali di trasformarsi in
attori attivi - anche dal punto di vista
"fisico" - dei progetti, che ha consentito
di dialogare criticamente sui
pericoli di una messa in scena della
storia come deposito neutrale e
appiattito di oggetti o come operazione
di rimontaggio e folclorizzazione
dei resti.
In questo modo, quello che spesso
viene sottinteso - il ruolo della storia
coincide temporally and conceptually
with that of design - has not only
obliged us to immediately consider
the economic and social resources
involved, but also to give a
hierarchical order to and select the
available materials (testimonies,
hand-made items, excerpts on the
historical landscape).
This has caused repercussions that
were for the most part unforeseen,
but that we consider to be positive.
The need to select and to give order,
the comparison with proposals that
made the narrative structures and
the ways of telling stories clear and
decipherable have resulted in a
greater degree of self-knowledge
and awareness on the part of local
players with regard to both the
materials of the past and their
possible use (and consumption) in
the present. Likewise, from objective
and impartial "translators" of local
requests, researchers have begun
to propose and to represent
themselves as subjective and
`partial" interpreters, revealing data
regarding the intentions and choices
of their project activity.
All this may appear of little
importance, or at least taken for
granted, unwritable with the condition
posed by the "possibility of
falsification" that is at the basis of
every scientific procedure. Yet, it is
precisely in the divergence from the
pre-established roles of the
"customer" and the "technician", in
the disruption of the linear and
deductive sequence of analysisdesign
that we can perceive the
greatest methodological results, as
well as the degree of effectiveness of
works and research in the field. This
is what has allowed local
communities to transform
themselves into active players in the
projects - also from a `physical" point
of view - and what has allowed us to

nei processi di valorizzazione (turistica,
economica, identitarìa ecc.)
locale, le possibilità e i limiti nell'opera
di "reinvenzione" dell'immagine
della tradizione, l'importanza della
gerarchizzazione come condizione
imprescindibile per la comunicazione,
le relazioni biunivoche tra passato
e progettualità dell'oggi, le
modalità di trasformazione dei valori
simbolici e d'uso in valori di scambio,
gli oggetti e i fenomeni da lasciare
sullo sfondo e quelli invece da
amplificare - talvolta è potuto diventare
verbalizzabile e dicibile, tema
di discussione aperta e cosciente.
Si potrà forse obiettare - in un contesto
per di più di culture materiali -
su un modo di concepire le fasi di
indagine e ricerca storica non fondativo
e anticipatore degli atti progettuali.
La discussione è aperta.
Ma di fronte ai rischi di naturalizzazione
e di reificazione delle cose e
dei fenomeni storici, quello che ci
pare essere più importante è la
messa in evidenza della parzialità
intenzionale e orientata degli sguardi
degli osservatori, la trasparenza
delle modalità di gerarchizzazione
degli oggetti, la leggibilità delle strategie
di valorizzazione del contesto
locale. D'altronde, la necessità in
questo genere di lavori di cambiare
i n continuazione le lenti d'osservazione
- da quelle dello storico a quelle
del progettista, e viceversa - obbliga
il ricercatore a muoversi in una
zona d'ombra e di confine in cui egli
stesso deve rappresentarsi al contempo
come soggetto esterno
(osservatore imparziale) e interno
(attore partecipe) al proprio oggetto
di ricerca. Ma più che un limite, questa
- se esplicitata - ci sembra essere
una ricchezza, un valore aggiunto
determinato proprio dalla soggettività
del fare progettuale.
"Paesaggio" e "territorio" sono due
critically discuss the risks of
representing history as a neutral and
uninteresting storehouse of objects
or as an operation of re-assembling
and creating folklore from its
remains.
In this way, what is often implicit -
the role of history in the processes of
valorization (tourist, economic,
identity, etc.) of local areas, the
possibilities and limits in the work of
"re-inventing" the image of tradition,
the importance of giving a
hierarchical order as an
indispensable condition for
communication, the bi-univocal
relationships between the past and
the projectuality of the present, the
methods for transforming symbolic
and used values into exchange
values, the objects and the
phenomena that are to be left in the
background and those to be instead
highlighted - has sometimes been
capable of becoming an articulable,
speakable topic for open and rational
discussion.
Within a context of mostly material
cultures, perhaps some could object
to conceiving the phases of
investigation and historical research
in a way that is not established and
anticipative of project activities. The
debate is open. However, faced with
the risks of a naturalization and
reification of things and of historical
phenomena, what seems most
important to us is to clearly indicate
the intentional and objective partiality
of the observers' glances, the
transparency of the methods of
giving a hierarchical order to objects,
the decipherability of the strategies
for valorizing the local context. On
the other hand, the need to
continuously change methods of
observation in this type of work -
going from those of the historian to
those of the designer, and vice versa
- forces the researcher to move

termini che in questi ultimi anni
hanno conosciuto una continua e
sempre rinnovata fortuna, non solo
disciplinare, ma anche nel linguaggio
istituzionale e comune. II primo per
ciò che attiene ai fatti morfologici, il
secondo per le connessioni che sa
evocare tra mondo sociale e fisico,
con il loro carattere inclusivo, hanno
infatti permesso di mettere tra parentesi
la crisi delle modalità di narrazione
forti. Cosi, dietro queste due
parole-contenitore, apparentemente
neutrali ma certamente ambigue -
alle quali potrebbero essere aggiunte
quelle nuove del "locale", della
"rete", ecc. -, si possono intravedere
princìpi di legittimazione, ricomposizioni
testuali, retoriche potenti
e "ideologiche" tanto quanto quelle
precedenti.
La parola d'ordine «dal museo al
territorio» (ma anche quella più
recente «dal documento al terreno»),
se ha permesso la ridefinizione
del campo degli oggetti da osservare,
non ha impedito la reiterazione
di vizi antichi. Tra questi, la "museificazione
del territorio" ci pare essere
una delle manifestazioni contemporanee
maggiormente evidenti e
esemplificative.
La questione non sta ovviamente
nella "conservazione" di per sé. II
problema sta altrove, nella "naturalità"
con cui viene presentata e esercitata
ogni ipotesi di difesa e salvaguardia,
nella mancata esplicitazione
delle relazioni che, sempre e
comunque, vengono instaurate tra
passato e presente, tra conservazione
e innovazione. È una differenza
che può essere misurata nei
due termini francesi di patrimoine e
patrimonialisation, dove il primo indica
l'insieme degli oggetti da conservare,
e il secondo le differenti pratiche
- specifiche per ogni momento
storico - di valorizzazione del patrimonio,
siano esse culturali, sociali,
about in a dark, border area in which
he must simultaneously represent
himself as the external subject
(impartial observer) and the internal
subject (participating player) in his
own subject of research. More than
a limiting factor- if clearly expressed
- this appears to us to be a wealth,
an added value resulting precisely
from the centrality of the project
activity.
"Landscape" and "territory" are two
terms that have met with continuous
and always renewed fortune not only
discipline-wise, but also in the
institutional and common language.
The first as regards morphological
facts, the second in terms of the
associations it is capable of evoking
between the social and the physical
worlds, with their inclusive quality,
have in fact allowed us to place the
crisis of strong methods of narration
between parentheses. Thus, behind
these two apparently neutral but
certainly ambiguous, containerwords,
to which we could add the
new words `local area'; `network';
etc., we can see legitimating
principles, textual recompositions,
and rhetoric that is as powerful and
"ideological" as its previous forms.
If the watchword "from the museum
to the territory" (but also the more
recent one "from the document to
the land') has allowed us to redefine
the field of objects to be observed, it
has not prevented us from repeating
the same very old bad habits. Among
these, the "turning of the territory
into a museum" seems to be one of
the most evident and esemplificative
contemporary signs of this.
The question is not "preservation"
in itself. The problem lies elsewhere,
in the naturalness with which every
plan for protecting and safeguarding
(the territory) is presented and
executed, in the failure to clearly
express the relations that are always

economiche, simboliche. Osservare
il patrimonio come effetto dei processi
di patri monializzazione significa
pensare il patrimonio come oggetto
"mobile" e non come soggetto a
priori.
Oggi la tendenza verso I"`assolutizzazione"
del patrimonio storico spesso
conduce alla nascita di recinti
specializzati e monofunzionali. Qui la
legittima volontà di preservazione di
elementi del passato, la ricerca di
icone consolatorie di fronte ai sempre
più agguerriti e veloci processi di
trasformazione e modernizzazione,
le politiche locali e sovralocali legate
al consumo turistico, sovente si
mescolano in modo non chiaro e talvolta
ambiguo.
Da parte nostra invece si vorrebbe
proporre un gioco più complesso e
intrigante, maggiormente attento ai
fenomeni di ibridazione che depositi
di memorie di vita vissuta e segni
fisici inscritti nel suolo intrattengono
col presente. È proprio questa attenzione
per il "meticciato" che può aiutare
il progetto fisico dei luoghi a uscire
da un'idea di presunta oggettività
nei confronti della conservazione, da
una visione divaricata e schizoide
dei processi d'innovazione da un lato
e di presa in cura del territorio storico
dall'altro.
Qui l'immagine e la metafora del
palinsesto può essere proficua: non
solo al fine di favorire la conservazione
di resti di manufatti e di organizzazioni
spaziali stratificate nel terreno,
ma specialmente rispetto al
fatto di utilizzare le tracce del passato
-vero e proprio "capitale fisso" territoriale
- come elementi in grado di
contestualizzare e radicare le trasformazioni.
È chiaro che il concetto
di palinsesto sposta l'accento dalla
tutela assoluta al difficile tema dei
fenomeni di riuso, di progressiva risignificazione
e riscrittura dei segni e
and nevertheless created between
the past and the present, between
preservation and innovation. This
difference may be measured with
the two French terms patrimoine and
patrimonialisation, with the first
indicating all of the objects to be
preserved, and the second indicating
the different methods of valorizing
the patrimony - specific to every
moment of history - whether they
be cultural, social, economic or
symbolic. To observe the patrimony
as a consequence of the processes
of patrimonialization means to think
of the patrimony as a "moving" object
and not as an object a priori.
Today the trend toward "making
absolute" the historical patrimony
often leads to the creation of
specialized, mono-functional
enclosures. Here, the legitimate
desire to preserve elements of the
past, the search for icons that are
comforting in the face of increasingly
aggressive and fast-paced
processes of transformation and
modernization, local and super-local
policies linked to tourism, often
combine in an unclear and
sometimes ambiguous manner.
For our part, we would like instead to
propose a more complex and
exciting game, one that is more
attentive to the phenomena of
hydridization which storehouses of
memories of life lived and physical
signs inscribed in the ground
maintain with the present. It is
precisely this attention to the "middle
course" that can help the physical
project of locations abandon an idea
of presumed objectivity toward
preservation, a divided and schizoid
vision of the processes of innovation,
on the one hand, and the taking care
of the historical territory on the other.
Here the image and the metaphor of
the palimpsest may be useful. not
only with the aim of promoting the

delle loro sedimentazioni. Ma del
resto ciò non è quello che normalmente
avviene nelle pratiche sociali
e fisiche? Dimenticare la dimensione
ermeneutica, creare isole dell'eccezionalità
separate dall'intorno, significa
molto spesso - come è stato
ripetuto più volte -trasformare oggetti
un tempo vivi in meri feticci.
La ricchezza e l'importanza dei paesaggi
rurali e protoindustriali sta nel
fatto che al loro interno convivevano
ordini (e esperienze) spaziali e temporali
diversi. È per questa ragione
che noi ci rivolgiamo a loro con crescente
nostalgia. Si può allora pensare
di utilizzarli nel progetto del territorio
contemporaneo come chance
per ottenere paesaggi più belli, più
ricchi, più complessi? Ci pare un
tema indubbiamente arduo - in
quanto obbliga a confrontarsi con
l'ambiguità dei processi di risignificazione,
e quindi con il dato dell'invenzione
-, ma crediamo fondamentale.
Se le culture materiali
hanno insegnato agli architetti che
fuori, oltre i limiti della città, non esisteva
una tabula rasa, marcata al
massimo da chiese e castelli, ma
un paesaggio costruito, forse la disciplina
architettonica oggi può fornire
delle indicazioni utili per costruire
una visione non meramente passiva,
ma attiva, delle pratiche di conservazione.
Una visione che si vorrebbe
utilizzabile anche per forzare (si
tratti degli spazi eccelsi della storia o
di quelli ordinari dell'oggi) le logiche
riduttive con cui il territorio viene
pensato e modificato.
Ma nel lavoro fino ad ora compiuto
c'è un altro elemento che riveste un
particolare interesse per la nostra
disciplina. L'incontro con gli attori e
le comunità locali ci ha permesso di
comprendere come i valori della
forma, le ragioni dell'architettura,
non siano "indifferenti". Semplicemente
seguono altre logiche da quel-
preservation of the remains of handmade
items and of spatial
organizations that are stratified in
the ground, but especially as regards
the fact of using traces of the past -
true "fixed capital" for the territory -
as elements that are capable of
giving context to and rooting
transformations. It is clear that the
concept of palimpsest removes the
accent from absolute protection,
placing it on the difficult topic of the
phenomena of re-use, of the gradual
re-giving of meaning and re-writing of
the traces and of their
sedimentations. However, is this not
what usually takes place with social
and physical customs? To forget the
dimension of hermeneutics, to create
islands of exceptionalness that are
separated from their surroundings,
very often means - as we have
repeated many times - to transform
once living objects into mere fetish.
The wealth and importance of rural
and proto-industrial landscapes lie
in the fact that different spatial and
temporal orders (and experiences)
lived together within them. It is for this
reason that we turn to them with
increasing longing. Can we therefore
consider using them in the project for
the contemporary territory as a
chance to obtain more beautiful,
more rich and more complex
landscapes? This seems to us to be
an undoubtedly arduous, yet
fundamental, topic - insofar as it
forces us to deal with the ambiguity
of the processes of re-giving of
meaning, and therefore with the fact
of invention. If material cultures have
taught architects that what existed
beyond the city limits was not a
tabula rasa marked at most by
churches and castles, but a
constructed landscape, perhaps the
discipline of architecture can today
provide useful indications for building
a vision that is not merely passive,

le (spesso autoreferenziali) che noi
immaginiamo. Costretti a confrontarci
con le istanze dei locali, abbiamo
quindi scoperto con sorpresa
Kunstwollen forti e diffusi. Questa
osservazione non vuole essere una
nuova mitologia del locale. II fatto è
che le attenzioni per la forma - e da
qui la lezione per noi - traggono
senso e valore dall'azione complessiva
in cui vengono inscritte, e non
dalla mera comparazione con un
repertorio di categorie estetiche
aprioristico e acontestuale. Intorno a
questa relazione tra fisico e sociale,
una proficua linea di ricerca da svil
uppare, un possibile nuovo radicamento
delle ragioni dell'architettura.
II rapporto tra culture materiali e territorio,
infine, mette in gioco il tema
oggi à la page della "messa in rete".
Problema importante ma delicato,
che rischia di trasformarsi in nuova
retorica. Se la circolazione virtuale o
reale di informazioni e esperienze, se
la formazione di circuiti tematici costituiscono
oggi momenti indubbiamente
fondamentali, d'altra parte
non vorremmo che ciò servisse a
eludere -tramite le raffinate messinscene
del virtuale - quello che ci
pare essere uno dei nodi fondamentali,
il quale travalica la sola questione
delle culture materiali e degli
ecomusei: la relazione tra spazi ritagliati
dall'intorno (in quanto nobilitati
dalla Storia, portatori di testimonianze
che devono essere salvaguardate
ecc.) e spazi ordinari, le
ricadute degli uni sugli altri. "Messa
in rete" non è infatti soltanto sinonimo
di creazione di rapporti privilegiati
tra "isole" circondate dal nulla. Può
anche volere dire, in prospettiva,
lavoro critico sui bordi dei differenti
corpi territoriali, messa in discussione
dei diversi apparati normativi e
istituzionali separati solamente da
una linea di confine ...
but one that is active in the methods
of preservation. A vision that we
would also like to be able to use
(whether we are speaking of the
sublime spaces of history or of the
ordinary present day ones) to force
the reductive reasonings applied in
thinking and modifying the territory.
However, in the work performed up
to this time, there is another element
of special interest for our discipline.
The meeting with the players and
local communities has allowed us
to understand how the values of form
and the objectives of architecture
are not "unresponsive" ones. They
simply follow different reasonings
from those (often self-referencing)
that we imagine. Forced to deal with
the requests of local residents, we
were surprised to discover a strong
and diffused Kunstwollen. This
observation is not intended to be a
new mythology of local culture. The
fact is that the attention given to form
- and in this lies the lesson for us -
derives meaning and value from the
overall activity in which it is included
and not from a mere comparison
with a hypothetical repertory of
aesthetic categories that lack
context. Around this relation between
the physical and the social, there is
a useful line of research to be
developed, possibly a new
foundation for the objectives of
architecture.
Finally, the relation between material
cultures and the territory brings into
play the now fashionable topic of the
`putting into a network". This is an
important but delicate problem that
runs the risk of creating new rhetoric.
If the virtual or real circulation of
information and experiences and if
the transformation of thematic circuits
undoubtedly represent fundamental
moments today, on the other hand,
we do not want this to be a means of
evading - through refined virtual

La radice materiale (si scusi il bisticcio
di parole) della cultura materiale,
l'attenzione insita nella cultura ecomuseale
per le reali ricadute dei progetti
nel contesto locale, l'idea del
passo indietro nel passato come rincorsa
per fare due balzi - economici,
identitari, ecc. - nel futuro, costituiscono
da questo punto di vista
degli ottimi antidoti, che però da soli
potrebbero non essere sufficienti.
representations - what appears to
us to be one of the fundamental
points that goes beyond the mere
question of material cultures and
ecomuseums: the relation between
spaces cut out from their
surroundings (insofar as they are
ennobled by History, conveyors of
testimonies that must be
safeguarded, etc.) and ordinary
spaces, the repercussions of the one
on the other. "Putting into a network"
is, in fact, not only synonymous with
the creation of privileged relations
between "islands" surrounded by
nothing. It may also mean, in
perspective, critical work on the
edges of the different territorial
bodies, the calling into question of
the various normative and
institutional departments that are
separated only by a border line.
The material root of heritage studies,
the inherent attention in the culture of
ecomuseums for the actual
repercussions of the projects on the
local context, the idea of going a
step backward into the past as a
spring for taking a couple of steps
forward - economic, identity, etc. -
into the future, constitute excellent
remedies from this viewpoint, but
they may not suffice by themselves.

Itinerari e percorsi tra i luoghi del
"Progetto Cultura materiale"
Possible Networks Connecting the
Sites of the "Heritage Studies Project"
a cura del gruppo di studio: Chiara Ronchetta (responsabile), Riccarda Rigamonti
Cristina Franco, con Antonietta Cerrato, Roberta Ingaramo, Luca Vivanti
Lo stadio attuale degli studi e dei
progetti per gli Ecomusei nella
Provincia di Torino, dislocati in territori
diversi e legati ad ambiti culturali
specifici, ha messo in evidenza la
necessità di individuare una trama
capace di mettere in connessione
la molteplicità delle iniziative. Ma
un'operazione di "messa in rete"
degli ecomusei, attuali e futuri, non
può essere intesa come semplice
definizione di rapporti, virtuali o fisici,
di luoghi puntuali; si configura
piuttosto come strategia per avviare
nuove modalità di conoscenza e di
fruizione del territorio, o meglio di
parti di esso, recuperando e intrecciando
la complessità dei suoi elementi:
ritrovare le memorie storiche
e i manufatti della cultura materiale,
comprendere e rivalutare il tessuto
socio-culturale, riscoprire il paesaggio,
ma anche forse valutare come
questi aspetti possano convivere con
le esigenze delle attuali realtà socioeconomiche.
Una simile ipotesi di
lavoro non potrà allora limitarsi allo
schema delle relazioni fra singoli
oggetti, siano essi ecomusei o parchi
o musei etnografici, ma dovrà tentare
di costruire questa lettura complessa,
progettando le "reti" e soprattutto
gli elementi che ne garantiscano
l'efficacia con l'indispensabile coinvolgimento
di più attori.
Con questo scenario di riferimento,
The current stage reached by the
studies and projects for Ecomuseums
in the Province of Turin, that are to be
spread out within various territories
and linked to specific cultural
contexts, clearly indicates the need to
define a structure that would give
unity to the numerous initiatives.
However, the `putting into a network"
of existing or future ecomuseums
cannot merely be conceived as the
defining of virtual or physical relations
and of exact locations. It is envisaged
rather as a strategy for introducing
new methods of knowing and making
use of the territory, or more precisely,
parts of it, thus recovering and
creating an intermingling of its
complex elements: to rediscover
historical memories and the handmade
items of the material culture, to
understand and re-evaluate the
socio-cultural framework, to rediscover
the landscape, but perhaps
also to evaluate how these aspects
can co-exist with the demands of the
current socio-economic circumstances.
Therefore, such a hypothesis for work
cannot limit itself to a system of
relations among individual objects,
whether they be ecomuseums, parks
or ethnographic museums, but it must
attempt to formulate this complex
interpretation, designing the "networks"
and, especially, the elements that
ensure their effectiveness with the

è stata avanzata un'ipotesi di ricerca
che intende esplorare alcune delle
possibili "reti" e sperimentare una
metodologia di lavoro per la definizione
di percorsi geografici e itinerari
tematici. I primi collegheranno i diversi
nodi attraverso il sistema infrastrutturale
(strade, sentieri...) esistente
e/o da potenziare e avranno
l'obiettivo di valorizzare le specificità
dei territori, consentendone
diverse modalità di approccio, a partire
da quello informativo-turistico a
quello specialiazzato; i secondi porranno
in connessione sia reale sia
virtuale i nodi relativi ai diversi settori
(il tessile, le miniere...) che hanno
caratterizzato nel tempo la realtà
socio-economica della Provincia.
A titolo sperimentale si è avviato un
canovaccio di possibili percorsi geografici
che vengono in questa occasione
presentati. Alcuni di tali percorsi,
come quelli della Val Pellice e
delle Valli Chisone e Germanasca,
i nvestono realtà territoriali e culturali
consolidate: ad esempio la
Comunità montana della Val Pellice
si è fatta promotrice di una serie di
i niziative (i sentieri della Resistenza,
il Museo della Pietra di Rorà, II
Museo dell'Archeologia industriale
a Crumière, alcuni musei etnografici)
inserite in un contesto ricettivo
ben strutturato. Per gli altri casi, quelli
della Val Chiusella e dell'area
Chieri-Carignano-Carmagnola, si
tratta di prime ipotesi di relazioni fra
nodi esistenti o in progetto, o in corso
di studio, per le quali dovranno essere
condotti approfondimenti per ricostruire
gli elementi e i caratteri del
patrimonio culturale e naturale dei
luoghi.
necessary commitment of several
players. With this scenario as
reference, we have put forward a
hypothesis for research that intends
to explore some of the possible
"networks" and to examine a work
method for the definition of
geographical routes and thematic
itineraries. The first will connect the
different points through the existing,
and/or to be enhanced, system of
infrastructures (roads, paths, etc.)
with the aim of valorizing the specific
features of the territories, and allow
us to use different approaches,
starting from information-tourism to
more specialized approaches; the
second will actually and virtually
connect the points relating to the
different sectors (textile, mining, etc.)
which have characterized the socioeconomic
situation of the Province
over time. In an experimental way,
we have proposed a scenario of
possible geographical routes that we
are taking this occasion to present.
Some of these routes, such as those
in the Val Pellice and in the Valli
Chisone and Germanasca, involve
consolidated territorial and cultural
conditions: for example, the Mountain
Community of Val Pellice has decided
to promote a series of initiatives (the
paths of the Resistance, the Stone
Museum of Rorà, the Museum of
Industrial Archaeology at Crumière,
and a few ethnographic museums)
placed within a receptive, wellstructured
environment. In other
cases, such as, the Val Chiusella
and the areas of Chieri-Carignano-
Carmagnola, we are at the initial
stages of planning connections
between the existng points, those
currently being designed and those
undergoing study. More in-depth
studies will have to be performed to
reconstruct the elements and features
of the cultural and natural patrimony
of these locations.

Struttura della ricerca
PROVINCIA Di TORINO
Coordinamento scientifico: Valter Giuliano, Patrizia Picchi
Collaboratori: Marina Bevione, Marcello Salvati, Lia Groppc
POLITECNICO Di TORINO
Coordinamento scientifico: Carlo Olmo, Chiara Ronchetta
Segreteria scientifica: Antonietta Cerrato, Elisabetta Serra
RICERCHE E PROPOSTE PROGETTUALI SUL TERRITORIO DELLA
PROVINCIA DI TORINO
La stazione idrometrica di Santhià e la rete territoriale di derivazione del
canale Cavour: un progetto di percorso ambientale e di museo della cultura
delle acque in Piemonte
Evelina Calvi (responsabile), Franco Lattes, Evasio Lavagno, Gemma
Sirchia con Marco Bruno, Dario Lusso, Matteo Di Martino
Carignano: il lanificio e il mulino sul margine verde della città
Emanuele Levi Montalcini (responsabile), Patrizia Chierici con Paola
Delpiano, Simona Piola, Massimo Raschiatore, Sabina Villa
Museo della corda a Carmagnola
Emanuele Levi Montalcini (responsabile), Franco Lattes con Paola
Delpiano e Massimo Raschiatore
11 Museo del tessile a Chieri
Coordinamento progettuale: Chiara Ronchetta, Clara Bertolini, Germana
Bricarello, Emanuele Levi Montalcini, Maurizio Lucat, Marco Vaudetti
Progetto: Luca Barello, Daniela lenna, Paolo Mauro Sudano, Marcella Tisi
Partecipazione al Comitato scientifico del museo: Clara Bertolini, Laura
Palmucci
Schedatura delle macchine: Luisa Ingaramo
11 Setificio del Molino (Setificio Caccia) e il Villaggio Leumann: un progetto
di percorsi ambientali e di museo delle cultura materiale
Franco Lattes (responsabile), Evelina Calvi, Laura Palmucci, Patrizia
Chierici, Anna Maria Zorgno, Franco Prizzon con Laura Apollonio, Marco
Bruno, Aldo Fontana
11 Museo laboratorio didattico del Villaggio Leumann a Collegno
Marco Vaudetti (responsabile) con Simona Canepa, William Cattanea,
Paola Mobiglia, Stefania Musso

Studi progettuali finalizzati alla valorizzazione e rifunzOnalizzazione della
Manifattura di Cuorgnè (convenzione tra Provincia, Politecnico e Comune
di Cuorgnè)
Liliana Bazzanella (responsabile), Roberto Gabetti, Aimaro Oreglia d'Isola,
Carlo Giammarco, Riccarda Rigamonti, Sisto Giriodi, Paolo Mellano,
Mariella De Cristofaro, Marco Filippi, Franco Prizzon con Antonio De
Rossi e Matteo Robiglio e con Giancarlo Tranzatto e Franco Brugo
Progetto intorno alle architetture di Ivrea
Carlo Olmo (responsabile) con Patrizia Bonifazio e Paolo Scrivano
Perosa Argentina: Museo delle attività industriali
Chiara Ronchetta (responsabile), Laura Guardamagna, Maurizio Lucat,
Augusto Sistri con Paola Delpiano, Elisabetta Serra, Luca Vivanti
Itinerario della seta nel Torinese
Laura Palmucci (responsabile), Patrizia Chierici con Marcella Bertone,
Elena Frugoni, Alessandro Mellano
La cultura del lavoro minerario e il viaggio in miniera: due approcci alla
conoscenza
Giorgio De Ferrari (responsabile), Maurizio Lucat, Chiara Ronchetta con
Silvia Cresto-Dina, Claudia De Giorgi, Osvaldo Laurini, Elisabetta Serra,
Marcella Tisi, Luca Vivanti
Paesaggi di pietra. Un ecomuseo nel comune di Rorà, Val Pellice (convenzione
tra Provincia, Politecnico e la Comunità Montana Val Pellice)
Liliana Bazzanella (responsabile) Aimaro Oreglia d'Isola, Carlo Giammarco,
Paolo Maggi, Paolo Mellano, Riccarda Rigamonti, Antonio De Rossi,
Cristina Franco, Matteo Robiglio, Marina Feroggio
L'esposizione di Italia `61
Carlo Olmo (responsabile) con Sergio Pace e Michela Rosso
La lavorazione del ferro e della pietra in Val Chiusella: l'esperienza di
Traversella
Elena Tamagno (responsabile), Silvia Mantovani, Giorgio Faraggiana con
Armando Baietto, Anna Maria Braccia, Guido Mones
La lavorazione del rame nelle Valli Orco e Soana
Silvia Mantovani (responsabile), Maurizio Lucat con Tania Crisafulli,
Simona Giraudo e Nadia Osella
Realizzazione di un ipermedia sui percorsi della Resistenza nei territori di
Coazze, Colle del Lys e Val Pellice
Chiara Ronchetta (responsabile) con Antonietta Cerrato, Elisabetta
Serra, Andrea Terranova, Cooperativa Aleghe
Itinerari e percorsi tra i luoghi del "Progetto Cultura Materiale"
Chiara Ronchetta (responsabile), Riccarda Rigamonti, Cristina Franco
con Antonietta Cerrato, Roberta Ingaramo, Luca Vivanti