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Analisi dell'ode n° 7, “Le Stagioni”, tratta dal ... - Biagio Carrubba

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<strong>Analisi</strong> <strong>dell'ode</strong> <strong>n°</strong> 7, <strong>“Le</strong> <strong>Stagioni”</strong>, <strong>tratta</strong> <strong>dal</strong> quarto libro “Odi” di Orazio Flacco.<br />

Introduzione e tema <strong>dell'ode</strong>.<br />

Quinto Orazio Flacco.<br />

Il quarto libro delle odi fu pubblicato da Orazio nel 13 a.C. cioè 10 anni dopo i primi<br />

3 libri e dopo la composizione del Carme Secolare. Questo quarto libro, chiude, per<br />

così dire, l'attività creativa e poetica di Orazio, ormai avanti negli anni e quindi carico<br />

di esperienza e di gloria, perché era divenuto il poeta ufficiale di Roma. Orazio<br />

esprime in questo IV libro tutta la sua Weltanschauung che si era costruito in tutto<br />

l'arco della sua vita; queste ultime odi suggellano i temi a lui più cari e sentiti: nella<br />

prima ode <strong>tratta</strong> il tema dell'amore ancora vivo; nella seconda ode si differenzia da<br />

Pindaro; nella terza ode ringrazia la Dea Melpomene e così conclude l'ode: >; ora nella VII ode del quarto libro scrive:


caduti giù, colà dove stanno il padre Enea e i ricchi Tullo ed Anco, polvere ed<br />

ombra siamo>>. Ma questo tema era già stato <strong>tratta</strong>to in molte altre odi tra cui l'ode<br />

<strong>n°</strong> III e l'ode <strong>n°</strong> XIV del secondo libro, dove Orazio esprime in modo intenso<br />

l'inevitabilità, la durezza e la crudezza della morte. Nella III ode del secondo libro,<br />

“A Dellio”, aveva esaltato la funzione livellatrice della morte nella società e tra gli<br />

uomini e aveva detto: >; a pagina 10 scriva: .<br />

Statua di Orazio a Venosa.<br />

2


Testo latino <strong>dell'ode</strong><br />

Diffugere nives, redeunt iam gramina campis<br />

arboribusque comae;<br />

mutat terra vices et decrescentia ripas<br />

flumina praetereunt;<br />

gratia cum Nymphis gemininisque sororibus audet<br />

ducere nuda choros.<br />

Immortalia ne speres, monet annus et almum<br />

quae rapit hora diem.<br />

Frigora mitescunt Zephyris, ver proterit aestas,<br />

interitura simul<br />

pomifer autumnus fruges effuderit, et mox<br />

bruma recurrit iners.<br />

Dramna tamen celeres reparant caelestia lunae:<br />

nos ubi decidimus<br />

quo pater Aeneas, quo dives Tullus e Ancus,<br />

pulvis et umbra sumus.<br />

Quis scit an adiciant hodiernae crastina summae<br />

tempora di superi?<br />

Cuncta manus avidas fugient heredis, amico<br />

quae dederis animo.<br />

Cum semel occideris et de te splendida Minos<br />

fecerit arbitria,<br />

non, Torquate, genus, non te facundia, non te<br />

restituet pietas;<br />

infernis neque enim tenebris Diana pudicum<br />

liberat hippolytum,<br />

nec Lethaea valet Theseus abrumpere caro<br />

vincula Pirithoo.<br />

Casa di Orazio a Venosa.<br />

3


Traduzione di Enzo Mandruzzato.<br />

La neve è dileguata, torna l'erba dei campi,<br />

la chioma degli alberi,<br />

la terra si rinnova,<br />

acque più basse vanno tra le rive.<br />

E la grazia s'avventura a guidare ignuda la danza<br />

delle uguali sorelle e delle Ninfe.<br />

> l'annata ripete<br />

e l'ora che ruba il fertile giorno.<br />

Il vento della primavera<br />

mitiga il freddo, e la grande estate l'estingue,<br />

e appena l'autunno avrà versato i suoi frutti e le biade,<br />

perirà, torna l'inverno immoto.<br />

Ma le perdute stagioni riporta la rapida luna.<br />

Noi quando scendiamo<br />

dove Enea padre scese e il ricco Tullo e Anco,<br />

polvere siamo e ombra.<br />

E non sappiamo se gli Dei del cielo ancora daranno<br />

un domani. Tutto<br />

sfugge alle avide mani dell'erede, tutto<br />

che demmo per amore. Come tu<br />

cadrai, Minosse darà di te luminosa sentenza<br />

Torquato, ma la stirpe, la bella parola, la fede,<br />

non ti restituiranno (alla vita).<br />

Diana la dea non libera mai Ippolito il puro<br />

<strong>dal</strong> buio di laggiù,<br />

e Teseo non sa spezzare le catene del Lete<br />

per l'amato Piritoo.<br />

Parafrasi <strong>dell'ode</strong>.<br />

Le nevi si sono sciolte, già l'erba e la chioma<br />

degli alberi tornano nei campi;<br />

la terra muta e le acque più basse dei fiumi<br />

scorrono tra le rive;<br />

la Grazia con le ninfe e le uguali sorelle<br />

inizia a guidare nuda le danze.<br />

"Non sperare cose immortali" ammonisce l'anno e<br />

l'ora che trascina il benefico giorno.<br />

I zefiri mitigano il freddo, e l'estate lo porta via,<br />

e l'autunno, quando avrà versato i suoi frutti, perirà<br />

e l'inverno freddo ritorna, con la sua fredda bruma.<br />

Tuttavia le rapide lunazioni riparano i celesti danni;<br />

4


noi quando siamo discesi giù, dove stanno<br />

il padre Enea e i ricchi Tullo ed Anco,<br />

polvere ed ombra siamo.<br />

Chi sa se gli dèi vorranno aggiungere ai giorni<br />

vissuti finora i giorni del domani?<br />

Tutto ciò che tu concederai al tuo egoismo,<br />

sfuggirà alle avide mani dell'erede.<br />

Quando una volta sarai spento e Minosse dirà di te<br />

uno splendido giudizio, o Torquato,<br />

non la stirpe, non la facondia, né la pietà<br />

ti restituiranno alla vita;<br />

infatti Diana non libera <strong>dal</strong>le tenebre infernali<br />

Ippolito il pudico,<br />

né Teseo riesce a spezzare le catene del fiume letee<br />

al suo caro Piritoo.<br />

5


Sintesi <strong>dell'ode</strong>: inizio, sviluppo e conclusione.<br />

L'inizio <strong>dell'ode</strong> descrive il clima della primavera inoltrata e il rinnovamento della<br />

natura nei campi. Esso riprende quasi alla lettera l'inizio della IV ode del primo libro.<br />

Ma subito dopo Orazio, personificando l'anno che torna e l'ora fuggevole che si porta<br />

via il benefico giorno, lancia il suo imperioso messaggio: >. Mentre la natura si rinnova, gli uomini<br />

muoiono e non ritornano più in vita. Come gli uomini diventano ombre e polvere,<br />

caduchi, così anche le cose diventano mortali ed è vano credere nelle speranze<br />

immortali, com'è vano credere nell'immortalità degli uomini. Tutto passa e nulla<br />

rimane agli uomini; il tempo inghiotte tutto, tranne la fama del poeta e come dice<br />

Seneca, erede del senso e del lessico oraziano del tempo, :. Nella parte centrale <strong>dell'ode</strong><br />

Orazio esprime la più cruda e vera domanda che un mortale che ha paura di morire<br />

possa fare agli Dei: , e dopo aggiunge un po’ di sano egoismo:


negra Proserpina ed Eaco giudicante, e le sedi remote dei pii, e Saffo che si lagna<br />

sulla cetra eolia delle fanciulle sue compaesane, e tu Alceo, che con il plettro d'oro<br />

suoni più potente i duri mali della navigazione, i duri mali dell'esilio, i duri mali<br />

della guerra>>.<br />

Dunque nel momento in cui Orazio scrive, egli "sa troppo bene che tutto nella vita è<br />

fuggevole, e davanti alla perpetua vicenda delle stagioni egli non ha che un<br />

rassegnato stupore. Sa che la vicenda delle stagioni interessa, se mai, la terra che<br />

ritrova ogni anno le sue erbe e le sue belle correnti; noi…seguiamo una vicenda che<br />

non ha ritorno. Quand'è giunta per noi la morte, noi non ci risolleviamo mai più".<br />

La tesi <strong>dell'ode</strong>.<br />

La tesi <strong>dell'ode</strong> è una riflessione che Orazio, da epicureo, fa spietatamente sulla Vita<br />

e sulla Morte, senza nessun timore degli dèi, e, da stoico, fa, serenamente sulla<br />

Natura e sugli dei. Egli stesso aveva riportato nell'ode <strong>n°</strong> 3, “L'Occidente”, del III<br />

libro il motto degli stoici: "Se infranto cade sopra di lui il mondo, le rovine lo<br />

colpiranno senza che abbia paura" (traduzione di G. Lipparini) oppure "Se il mondo<br />

si apra e crolli lo troverà senza paura" (traduzione di E. Maundruzzato).<br />

Io, <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>, immagino Orazio mentre passeggia nella sua villa sabina e<br />

guardando verso il mare faccia queste ultime riflessioni sulla vita e sulla morte; e<br />

mentre pensa che gli uomini diventeranno polvere ed ombra, subito dopo pensa che la<br />

poesia vincerà la morte, per cui gli uomini non moriranno mai per gli uomini del<br />

futuro e per le nuove generazioni. Ecco le belle considerazioni di A. Traina sul tema<br />

della poesia che rende immortali gli uomini: , perché è sacerdote delle Muse. Nella poesia Orazio ha scoperto il sacro e<br />

se ne è fatto uno scudo - l'ultimo - contro l'atra cura, l'ansia del tempo e della<br />

morte>>. (pagina. 28).<br />

Il messaggio finale <strong>dell'ode</strong> di Orazio è "Come mai si può cogliere e godere l'attimo<br />

fuggente, se oramai abbiamo imparato che ogni ora ci porta via un po’ della luce del<br />

giorno?" e proprio per questa consapevolezza l'uomo "conta i giorni vissuti, come un<br />

avaro conta il suo tesoro: chi sa se alla somma d'oggi potremo aggiungere il<br />

domani!?".<br />

7


Fatti, personaggi, tempi e luoghi <strong>dell'ode</strong>.<br />

Il fatto principale <strong>dell'ode</strong> è certamente la riflessione del poeta sulla vita degli uomini,<br />

che con la morte diventano "polvere ed ombra". Anche gli Dèi, benché immuni <strong>dal</strong>la<br />

gelida morte, (verso preso <strong>dal</strong>l'ode <strong>n°</strong> VIII del secondo libro traduzione di G.<br />

Lipparini), non riescono a vincere la morte, tanto che, né la dea Diana riesce a<br />

liberare mai Ippolito il pudico <strong>dal</strong> buio di laggiù, né Teseo riesce a spezzare le catene<br />

del Lete all'amato Piritoo.<br />

I personaggi <strong>dell'ode</strong> sono vari: Torquato, a cui è dedicata l'ode, il padre Enea, e i<br />

ricchi Tullo e Anco, alcune divinità: la Grazia, la dèa Diana, e Teseo e Ippolito e<br />

Piritoo, due personaggi mitologici. Il mito di Ippolito dice che era devoto a Diana e<br />

morì a causa della sua castità; il mito di Teseo dice che non potendo liberare l'amico<br />

Piritoo, scelse di restare con lui nell'Ade. Un altro personaggio è “l'erede” al quale<br />

dovrebbero andare le fortune di chi muore. Ma il personaggio più importante è<br />

sicuramente la Morte, la quale tutto riduce in polvere ed in ombra (“pulvis et umbra<br />

sumus” - verso 16).<br />

I tempi della poesia sono soprattutto due: il tempo umano, che segue il ciclo delle<br />

stagioni, e il tempo eterno della morte, "che toglie al tempo la rassicurante ciclicità<br />

della natura per distenderlo nella breve linea della vita umana". (<strong>dal</strong>l'introduzione di<br />

A. Traina a pagina 10). E nessuna cosa umana come la Nobiltà della stirpe, né la bella<br />

parola, né la fede possano restituire l'uomo alla vita.<br />

L'ode fu composta nel 13 a.C. e Orazio aveva allora 52 anni, 5 anni prima di morire.<br />

<strong>Analisi</strong> della forma.<br />

Il genere <strong>dell'ode</strong>.<br />

L'ode è di genere riflessivo - filosofico, perché Orazio oscilla tra la concezione<br />

materialistica della Natura, concezione molto vicina a quella epicurea di Lucrezio,<br />

alla Weltanschauung stoica, secondo la quale la natura è dominata <strong>dal</strong> "fato" che dà<br />

ordine e necessità agli déi che provvedono a mantenere la giustizia fra gli uomini.<br />

La metrica della poesia.<br />

Le strofe dell'Ode sono strofe composte secondo la metrica "Archilochea Prima".<br />

Il tono emotivo della poesia.<br />

L'ode esprime un tono cupo e un'aria piena di malinconia dovuti alla consapevolezza<br />

della ineluttabilità della morte che rende gli uomini "polvere ed ombra".<br />

Il linguaggio poetico.<br />

Il linguaggio poetico è molto lineare, ma ricco di espressioni poetiche e di qualche<br />

callida iunctura, come la celebre "Pulvis e umbra sumus". Anche l'ordine delle parole<br />

cioè l'ordo verborum è chiaro e semplice, ma anche molto lavorato con la lima del<br />

poeta che raffina ogni espressione poetica fino a farla diventare alta poesia e<br />

soggettivismo lirico.<br />

La sintassi <strong>dell'ode</strong> è dominata da periodi ipotattici. Le figure retoriche <strong>dell'ode</strong> sono:<br />

8


la personificazione, l'inversione e l'allitterazione.<br />

Gli aspetti estetici <strong>dell'ode</strong>.<br />

Gli aspetti estetici <strong>dell'ode</strong> sono soprattutto due. Il primo aspetto è il contenuto della<br />

poesia; esso manifesta la concezione materialistica della natura, secondo la quale<br />

tutto proviene <strong>dal</strong>la materia e tutto si trasforma in materia.<br />

Ma questa, secondo me, <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>, è una conoscenza molto povera e superata<br />

<strong>dal</strong>l'attuale conoscenza scientifica, la quale ha scoperto l'antimateria e tante altre cose<br />

sconosciute ad Orazio. Il secondo aspetto è l'uso raffinatissimo del linguaggio<br />

poetico, il quale con poche, ma efficaci parole, riesce ad esprimere la concezione<br />

materialistica della natura sapendo creare, con la callida iunctura "pulvis ed umbra<br />

sumus", una infinita bellezza poetica. Ma non è solo questa espressione che rende la<br />

poesia molto bella; è l'intera poesia che è riuscita a creare una nuova e bella forma<br />

poetica, capace di trascinarci nel mondo della bellezza e lasciarci volare nel mondo<br />

dell'anima senza la pesantezza del corpo cosi ché il mondo delle anime è libero e<br />

leggero e gode di raffinato piacere estetico.<br />

Commento e valutazioni mie personali sull'ode.<br />

Io, <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>, giudico quest'ode molto bella perché ha la forza di riportarmi,<br />

ma solo per un momento, a ciò che non voglio diventare: "Polvere ed ombra". Io<br />

spero tanto che dopo la mia morte io non diventi soltanto "polvere ed ombra", ma<br />

spero di rimanere me stesso, vivendo di sola anima e continuando a vivere con la mia<br />

anima immortale e libera nel regno dei beati, se c'è. Ora, siccome solo un Dio può<br />

aver creato il regno dei beati, così come ha creato l'universo, io spero di andare a<br />

vivere in questo paradiso con gli altri beati e accanto a un buon Dio, se c'è. Ora so<br />

che tutta questa speranza è (e può) essere solo un'illusione, creata <strong>dal</strong>la mia mente;<br />

ma io preferisco vivere una vita piena di questa illusione anziché vivere una vita<br />

priva di speranze e quindi più povera e senza quel bellissimo sentimento che è la<br />

speranza. Voglio vivere con la speranza di non diventare mai "polvere ed ombra". Io,<br />

da giovane, ho già vissuto con la prosopopea di essere nel vero sostenendo la<br />

concezione materialistica della natura, ma ora, da adulto, all'età di 55 anni che<br />

compierò tra pochi giorni, giudico la concezione materialistica imperfetta ed<br />

incompleta perché la mia mente è troppo limitata per poter capire l'infinito universo e<br />

l'atto di volontà di Dio e allora mi rimetto nelle mani di chi può tutto e di chi tutto ha<br />

creato e che può salvare tutti <strong>dal</strong> diventare "polvere ed ombra". Io sono inclinato per<br />

la soluzione spiritualistica e creazionistica dell'universo, anche se, la mia ragione<br />

umana mi fa protendere a favore della soluzione naturalistica e materialistica della<br />

natura. Nessuno sa dare le risposte giuste sull'origine dell'universo e su Dio; né gli<br />

scienziati, né i filosofi, né il Papa, né la gente comune, perché siamo solo degli<br />

uomini e non persone divine. Allora è meglio per me credere che non credere, è<br />

meglio illudermi che non illudermi, è meglio vivere di speranza che disperato<br />

pensando di diventare una semplice "polvere ed ombra".<br />

9


Commento e mie valutazioni personali sull'intera raccolta poetica delle "Odi".<br />

La lettura delle "Odi" di Orazio mi ha prodotto molte emozioni alcune molto belle<br />

altre contraddittorie ed ambivalenti. Ho trovato molte odi bellissime ed affascinanti<br />

sia per il messaggio filosofico sia per la lexis oraziana. Secondo me, <strong>Biagio</strong><br />

<strong>Carrubba</strong>, l'ode più bella è “Memento”, la XXIX ode del terzo libro. Invece trovo<br />

che i concetti di Necessità e di Fortuna sono molto cambiati o mitigati nell'attuale<br />

società postmoderna. Oggi, come ieri, ogni uomo con la propria iniziativa, con le<br />

proprie capacità e con le proprie proprietà economiche, lotta per procurarsi il proprio<br />

benessere e la propria ricchezza personale. Oggi sono scomparsi i concetti di<br />

necessità e di fortuna e al loro posto c'è la rappresentazione delle religioni rivelate;<br />

da noi in Italia predomina la religione Cattolica il cui Dio, buono e comprensivo,<br />

ormai non si fa più vedere da più di 2000 anni. Sono rimasto, invece, frastornato <strong>dal</strong><br />

concetto di rassegnazione e di impotenza che emerge da molte odi di Orazio. Oggi,<br />

nel mondo dell'informazione telematica ed informatica, tutto cambia velocemente<br />

così che il concetto della rassegnazione è quasi scomparso, perché tutti vogliono<br />

arrivare al successo e alla ricchezza in un modo o nell'altro, o come dice Orazio:<br />

(traduzione di G. Lipparini).<br />

Io, <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>, credo che il messaggio più attuale ed imperioso di Orazio<br />

rimanga il messaggio del Carpe Diem perché oggi, come sempre, si vive e si gode il<br />

tempo che si vive e si respira nell'attimo presente e sfuggente; il passato non c'è più e<br />

il futuro deve ancora venire, e non è detto che venga. L'attimo più bello rimane<br />

quindi, sempre quello che si vive nel momento in cui si respira e si fanno progetti per<br />

il futuro, anche se piccoli e di breve respiro.<br />

Scritta da <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong> nel 2000.<br />

10


Il Professore <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>.<br />

11


Carmelo Santaera.<br />

Letta, riveduta e corretta da <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong> e Carmelo Santaera il 4 settembre 2008.<br />

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