Tesi per una semiotica delle culture - Facoltà di Scienze della ...
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Segnature<br />
Collana <strong>di</strong>retta da<br />
Paolo Fabbri e Gianfranco Marrone<br />
34
Copyright © 2006 Meltemi e<strong>di</strong>tore, Roma<br />
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i <strong>di</strong>ritti a chi ne sia legalmente in possesso.<br />
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www.meltemie<strong>di</strong>tore.it
Jurij Michajlovič Lotman<br />
<strong>Tesi</strong> <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>semiotica</strong><br />
<strong>delle</strong> <strong>culture</strong><br />
a cura <strong>di</strong> Franciscu Sedda<br />
MELTEMI
In<strong>di</strong>ce<br />
p. 7 Introduzione<br />
Im<strong>per</strong>fette traduzioni<br />
Franciscu Sedda<br />
Prima parte<br />
La <strong>semiotica</strong> fra scienza e arte<br />
71 Ricerche semiotiche<br />
Jurij M. Lotman, Boris A. Uspenskij<br />
95 Che cosa dà l’approccio semiotico?<br />
Jurij M. Lotman<br />
Seconda parte<br />
Nascita <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura<br />
103 L’unità <strong>della</strong> cultura<br />
Jurij M. Lotman<br />
107 <strong>Tesi</strong> <strong>per</strong> un’analisi <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong><br />
Vjačeslav V. Ivanov, Jurij M. Lotman, Aleksandr M.<br />
Piatigorskij, Vla<strong>di</strong>mir N. Toporov, Boris A. Uspenskij<br />
149 Eterogeneità e omogeneità <strong>delle</strong> <strong>culture</strong>.<br />
Postscriptum alle tesi collettive<br />
Jurij M. Lotman, Boris A. Uspenskij
Terza parte<br />
La <strong>semiotica</strong> e le poetiche <strong>della</strong> quoti<strong>di</strong>anità<br />
157 Il mondo del riso: oralità e comportamento quoti<strong>di</strong>ano<br />
Jurij M. Lotman, Boris A. Uspenskij<br />
185 Il decabrista nella vita.<br />
Il gesto, l’azione, il comportamento come testo<br />
Jurij M. Lotman<br />
261 Lo stile, la parte, l’intreccio.<br />
La poetica del comportamento quoti<strong>di</strong>ano nella<br />
cultura russa del XVIII secolo<br />
Jurij M. Lotman<br />
297 Bibliografia<br />
303 Bibliografia dei testi <strong>di</strong> Jurij M. Lotman pubblicati<br />
in italiano
Introduzione<br />
Im<strong>per</strong>fette traduzioni<br />
Franciscu Sedda<br />
Per iniziare, con Lotman<br />
Ma la cultura, fra l’altro, esiste <strong>per</strong><br />
questo, <strong>per</strong> analizzare e <strong>di</strong>s<strong>per</strong>dere<br />
i timori.<br />
Jurij M. Lotman<br />
Jurij Michajlovič Lotman – come lo conosciamo e come<br />
ce lo immaginiamo a partire dai suoi testi, da chi ne<br />
ha scritto e chi ce ne ha parlato – è stato ed è molte cose 1 .<br />
È stato certamente un corpo – <strong>una</strong> certa accumulazione<br />
<strong>di</strong> casualità, <strong>per</strong> parafrasarlo –, un corpo ra<strong>di</strong>cato in<br />
uno spazio che è <strong>di</strong>venuto il suo destino, Tartu (Lotman<br />
1993b).<br />
È stato un corpo <strong>per</strong>ché la sua scrittura, il suo sa<strong>per</strong>e,<br />
la sua intelligenza, trasuda passioni. In tal senso Lotman è<br />
ancora un corpo: i suoi testi, proprio come quelli a cui si<br />
riferiva teorizzando, sono vivi. Sono generatori <strong>di</strong> nuovo<br />
pensiero. Così ogni lettura è un <strong>di</strong>alogo e un corpo a corpo:<br />
anche nei passaggi più tecnici i suoi ragionamenti conservano<br />
il sentire che li muove, l’entusiasmo <strong>per</strong> la ricerca<br />
e l’impegno nello stu<strong>di</strong>o (e <strong>per</strong> l’insegnamento) <strong>della</strong> cultura.<br />
È strano, Lotman nella sua sterminata produzione<br />
non ha mai concentrato molta attenzione sul corpo, sulla<br />
sua fenomenologia, ma più si va avanti nella lettura <strong>della</strong><br />
sua o<strong>per</strong>a, più ci si spinge verso le sue ultime o<strong>per</strong>e, più<br />
sembra che il suo corpo, con la sua fenomenologia, vi sia<br />
inscritto dentro, nelle copiose metafore, nei ragionamenti<br />
figurativi, illuminanti o opachi che siano.<br />
Lotman è stato un corpo <strong>per</strong>ché ha giocato. Il suo<br />
spirito lu<strong>di</strong>co traspare da molti racconti e aneddoti. To
8 FRANCISCU SEDDA<br />
play: giocare e recitare al contempo. Capace <strong>di</strong> balzare<br />
in pie<strong>di</strong> e mimare <strong>una</strong> resa a <strong>una</strong> purga staliniana davanti<br />
ai vigili del fuoco <strong>di</strong> Milano venuti a verificare la tenuta<br />
del pavimento <strong>di</strong> <strong>una</strong> sala troppo piena, pronta a scattare<br />
<strong>per</strong> lui in un fragoroso applauso (Corti 1994). Bambino<br />
e artista, “poeta”. Appassionato stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> arte<br />
non a caso <strong>di</strong>ceva che gli unici che potevano <strong>di</strong>vertirsi<br />
nei musei, e capirli fino in fondo, erano i più piccoli.<br />
Curioso, geniale, autoironico. Alla raccolta <strong>di</strong> brutte copie,<br />
annotazioni, abbozzi <strong>di</strong> articoli, progetti inutilizzati<br />
aveva chiesto <strong>di</strong> dare questo nome: Dall’archivio <strong>di</strong> un<br />
semiotico folle (Burini, Niero 2001).<br />
Lotman è stato un corpo <strong>per</strong> il suo coraggio, <strong>per</strong> la<br />
sua capacità <strong>di</strong> prendere posizione in situazioni complesse<br />
e delicate 2 , a partire dall’es<strong>per</strong>ienza <strong>della</strong> seconda<br />
guerra mon<strong>di</strong>ale (Lotman 1994b). Per la sua capacità <strong>di</strong><br />
soffrire e gioire in (e <strong>di</strong>) “questo nostro mondo tremendo”<br />
(Lotman, in Burini, Niero 2001, p. 121).<br />
Jurij Lotman è stato anche un’intelligenza connettiva.<br />
Capace <strong>di</strong> connettere sa<strong>per</strong>i, andando continuamente<br />
avanti nella s<strong>per</strong>imentazione del nuovo, tralasciando volutamente<br />
– come ricorda il figlio Michail (Lotman<br />
2002) – qualsiasi sforzo <strong>di</strong> riassunto o sistematizzazione<br />
del suo pensiero. Continuare a connettere e tradurre,<br />
anche a rischio <strong>di</strong> non essere sod<strong>di</strong>sfatto, anche a rischio<br />
<strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>rsi.<br />
Lotman è stato, ed è ancora, un’intelligenza connettiva<br />
<strong>di</strong> corpi. Lo è stato in quanto animatore e organizzatore<br />
<strong>della</strong> Scuola <strong>di</strong> Tartu (o Tartu-Mosca, a seconda <strong>delle</strong> interpretazioni).<br />
Lo è stato con il suo carisma o, come <strong>di</strong>ceva<br />
con ammirazione Jakobson, “con la sua mano <strong>di</strong> ferro” (in<br />
Uspenskij 1996). Comunque lo è stato: ha creato un ambiente<br />
e un’atmosfera fatta <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo, informalità familiare,<br />
onestà intellettuale, in<strong>di</strong>pendenza (Torop 1995). E <strong>una</strong><br />
intelligenza connettiva lo è ancora: basta vedere quante<br />
<strong>per</strong>sone, e in quante parti del mondo, ancora si richiama-
IMPERFETTE TRADUZIONI 9<br />
no e portano avanti le sue ricerche, quanto il suo pensiero<br />
mette in rete stu<strong>di</strong>osi provenienti da tutto il pianeta e afferenti<br />
ad aree del sa<strong>per</strong>e <strong>di</strong>verse: dalla <strong>semiotica</strong>, alla letteratura,<br />
all’arte, all’antropologia, fino ad arrivare alla biologia,<br />
agli stu<strong>di</strong> sull’intelligenza artificiale e le reti neurali.<br />
Articolazione nello spazio e degli spazi, <strong>di</strong>cevamo: da Tartu,<br />
e dalla continua pubblicazione cartacea dei «Trudy po<br />
znakovym sistemam» – la storica rivista <strong>della</strong> scuola tartuense<br />
– alle costanti pubblicazioni on-line <strong>della</strong> rivista<br />
«Entretextos» che raccoglie i lavori <strong>della</strong> scuola iberica e<br />
centro-sudamericana che si rifanno alla sua ere<strong>di</strong>tà intellettuale.<br />
Passando ovviamente <strong>per</strong> l’Europa, dove l’Italia<br />
ha sempre recepito con attenzione e interesse il suo lavoro.<br />
Lotman è dunque, anche, un nome collettivo, <strong>una</strong><br />
specie <strong>di</strong> simbolo, <strong>di</strong> slogan. E in questo libro ciò va riba<strong>di</strong>to<br />
a maggior ragione. Si scrive “Lotman” ma in<br />
realtà, con lui, ci si trova insieme anche ad altri gran<strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong>osi, a partire da Boris A. Uspenskij. Il <strong>per</strong>corso <strong>di</strong><br />
Lotman è costellato <strong>di</strong> un lavoro, anche <strong>di</strong> scrittura, a<br />
più mani, a più teste. Esemplare è la collaborazione <strong>di</strong><br />
tanti anni con Uspenskij, che in questo libro ritroviamo<br />
in più saggi. Significativa è la stesura <strong>delle</strong> <strong>Tesi</strong> <strong>per</strong> un’analisi<br />
<strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> che, oltre a quelle <strong>di</strong> Lotman<br />
e Uspenskij, reca le firme e l’apporto <strong>di</strong> Ivanov,<br />
Pjatigorskij e Toporov.<br />
Jurij Michajlovič Lotman infine è <strong>per</strong> me un desiderio<br />
irrealizzato: un maestro e unu homine – con tutta la<br />
forza, il valore e le sfumature che questo termine ha nella<br />
cultura sarda –, che il caso ha voluto che io non conoscessi<br />
<strong>di</strong>rettamente.<br />
Specchi nel tempo<br />
I testi che qui presentiamo si possono attraversare in<br />
molti mo<strong>di</strong>. Visti dalla prospettiva <strong>della</strong> globale – e
10 FRANCISCU SEDDA<br />
sconfinata – produzione <strong>di</strong> Lotman e <strong>della</strong> Scuola <strong>di</strong><br />
Tartu potrebbero pessimisticamente apparire come mute<br />
tracce <strong>di</strong> un tortuoso cammino, o frammenti opachi<br />
<strong>di</strong> un’o<strong>per</strong>a troppo complessa. E tuttavia l’insegnamento<br />
<strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura ci <strong>di</strong>ce proprio questo:<br />
che ogni volta, e in ogni caso, dobbiamo prenderci la responsabilità<br />
<strong>di</strong> o<strong>per</strong>are generalizzazioni a partire da<br />
frammenti, che dobbiamo avere il coraggio <strong>di</strong> immaginare<br />
la globalità (senza <strong>per</strong>ò staccare i pie<strong>di</strong> dalla località<br />
che la ispira) e sentire fino in fondo il brivido che<br />
necessariamente coglie chi azzarda la ricostruzione <strong>di</strong> un<br />
sistema a partire da tracce minute. Un’apparente incoscienza,<br />
o un atto <strong>di</strong> somma arroganza: e invece si può<br />
trattare <strong>di</strong> <strong>una</strong> responsabile e umile ambizione, <strong>per</strong> non<br />
rimanere irretiti davanti alla durezza dei frammenti lasciati<br />
a se stessi (Fabbri 1998a). Abduzione e intuizione<br />
dunque, ma soprattutto traduzione. Per andare avanti.<br />
Perché se c’è un altro insegnamento semiotico che qui<br />
va tenuto in considerazione è che ogni ritorno su se stessi,<br />
ogni ripresa e risco<strong>per</strong>ta del passato – inconsapevole<br />
o programmaticamente mirata – aprendo lo spazio del<br />
presente ci riporta al futuro, e non in <strong>una</strong> qualche inattingibile<br />
origine.<br />
“Il nostro specchio sono i nostri alunni. E se in questo<br />
specchio io mi rifletto in qualche forma, allora, a <strong>di</strong>re<br />
la verità, non voglio chiedere niente <strong>di</strong> più alla vita”,<br />
<strong>di</strong>rà Lotman in <strong>una</strong> <strong>delle</strong> sue ultime interviste (Lotman<br />
1993b).<br />
Ecco cosa vorremmo essere, anche in queste poche<br />
note introduttive, rispetto a Lotman e al suo sa<strong>per</strong>e: uno<br />
specchio nel tempo (ib.). Vorremmo guadagnarci la possibilità<br />
<strong>di</strong> essere almeno un po’ “figli” e “alunni”. Vorremmo<br />
rispondere al monito <strong>delle</strong> sue parole, ma ammettendo<br />
e assumendo fin dal principio tutte le nostre<br />
responsabilità. Perché qui siamo pur sempre noi a scegliere<br />
i nostri (molti) padri, la loro forma.
IMPERFETTE TRADUZIONI 11<br />
Tradurre, articolare le trame del tempo, scegliere le<br />
proprie ere<strong>di</strong>tà, le proprie appartenenze, i propri predecessori,<br />
non significa negare il nostro essere segnati dal<br />
tempo e dalla cultura ma avere coscienza del proprio situarsi<br />
in essi. Avere coscienza <strong>della</strong> limitatezza e dell’a<strong>per</strong>tura,<br />
dei con<strong>di</strong>zionamenti e <strong>delle</strong> possibilità. Significa<br />
pagare il debito affermando che noi vogliamo farlo in<br />
modo produttivo. Del resto se i padri sono tali bisogna<br />
riprenderne il pensiero e farlo parlare all’intelligenza<br />
presente, ai nostri corpi e alla nostre coscienze o<strong>di</strong>erne.<br />
Ma se i padri sono tali bisogna far parlare anche i loro limiti,<br />
le loro impasse, le loro contrad<strong>di</strong>zioni, i loro abbozzi,<br />
le loro intuizioni sospese o sepolte. Far germogliare<br />
i loro semi, far deflagrare le loro mine intellettuali<br />
ancora inesplose, come piaceva <strong>di</strong>re a Lotman. Insomma,<br />
se la loro lezione è profonda ci devono aver insegnato<br />
che noi abbiamo qualcosa da fare del loro pensiero –<br />
col loro pensiero – che non sia semplicemente il ripeterlo.<br />
Se le loro idee e le loro ricerche ancora ci parlano, se<br />
ancora ci toccano, noi non possiamo esimerci dal riprenderli<br />
e declinarli al presente. Restar loro “fedeli” realizzandoli<br />
a modo nostro: più che “seguire” noi “seguitiamo”,<br />
continuiamo con <strong>per</strong>severanza ad avanzare lungo<br />
<strong>una</strong> <strong>di</strong>rezione in<strong>di</strong>cata, in uno stretto passaggio fra la fedeltà<br />
e il tra<strong>di</strong>mento.<br />
Questo libro<br />
Cos’è dunque questo libro? Che <strong>per</strong>corso tratteggia?<br />
Perché esce ora? Innanzitutto va detto che l’interesse intorno<br />
a Lotman non è mai scemato in ambito italiano, e<br />
tuttavia molti dei suoi lavori, anche fra i più importanti<br />
o recenti, sono oggi introvabili. Dal canto nostro volevamo<br />
rimettere in circolazione dei testi seminali, “basilari”,<br />
che erano ormai irre<strong>per</strong>ibili, sparsi ad esempio in
12 FRANCISCU SEDDA<br />
vecchie raccolte collettanee, e che ci sembra invece possano<br />
<strong>di</strong>rci qualcosa sulla <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura futura.<br />
Le tre parti, che potremmo in<strong>di</strong>care con i tre seguenti<br />
slogan – ricerche semiotiche, <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong>, poetiche<br />
<strong>della</strong> quoti<strong>di</strong>anità – secondo noi riassumono bene, in<br />
un passaggio senza soluzione <strong>di</strong> continuità, in uno strano<br />
inscatolamento in cui ciasc<strong>una</strong> può inglobare le altre, tre<br />
zone <strong>di</strong> addensamento e focalizzazione <strong>della</strong> teoria e <strong>delle</strong><br />
pratiche <strong>della</strong> cultura. Dunque, presentazione <strong>delle</strong> basi<br />
<strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura, raccolta <strong>di</strong> saggi irre<strong>per</strong>ibili,<br />
spaccato del <strong>per</strong>corso intellettuale <strong>di</strong> Lotman e <strong>della</strong> sua<br />
scuola, appassionata e rigorosa riflessione sulle <strong>culture</strong>.<br />
Un libro <strong>per</strong> molti lettori e molte possibili letture.<br />
Per scendere un po’ più nello specifico possiamo <strong>di</strong>re<br />
fin d’ora che la prima sezione situa le ricerche semiotiche<br />
in un mondo in cui l’incomprensione fra uomini e <strong>culture</strong><br />
è <strong>di</strong>venuta un problema centrale e il rapporto fra<br />
scienza, tecnologia, arte e senso comune è in costante<br />
cambiamento. E invita a s<strong>per</strong>imentare il nuovo, la traduzione<br />
dell’intraducibile. La seconda, formata da testi<br />
programmatici fondamentali (ad esempio le <strong>Tesi</strong> <strong>per</strong><br />
un’analisi <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong>), ci riporta agli inizi <strong>della</strong><br />
<strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura e dell’avventura intellettuale<br />
<strong>della</strong> “Scuola <strong>di</strong> Tartu”. Ci offre così la fertilità <strong>di</strong> un<br />
campo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> appena a<strong>per</strong>to, denso <strong>di</strong> proposte da riscoprire,<br />
e oggi pronto a riprendere il <strong>di</strong>alogo – come<br />
cercheremo <strong>di</strong> fare anche in questa nostra introduzione<br />
– con la teoria <strong>semiotica</strong> generale e con le altre <strong>di</strong>scipline<br />
interessate all’uomo e ai linguaggi: cultural stu<strong>di</strong>es,<br />
antropologia del linguaggio, antropologia culturale. La<br />
terza sezione, de<strong>di</strong>cata alle poetiche del quoti<strong>di</strong>ano, ci<br />
aiuta a penetrare l’intimo rapporto fra rappresentazioni<br />
e pratiche, fra i sistemi <strong>di</strong> credenze e il comportamento<br />
<strong>di</strong> ogni giorno. Per capire come modelliamo e <strong>di</strong>amo<br />
senso alle nostre esistenze; come la grande storia e la vita<br />
minuta, la globalità e la località, si compenetrino e co-
IMPERFETTE TRADUZIONI 13<br />
stituiscano a vicenda. Come nel saggio Il decabrista nella<br />
vita, in cui le vicende <strong>della</strong> Russia e dei singoli <strong>per</strong>sonaggi<br />
si illuminano reciprocamente.<br />
Questo è il <strong>per</strong>corso che abbiamo cercato <strong>di</strong> tracciare,<br />
nel tentativo <strong>di</strong> raccordare questi stu<strong>di</strong> passati al nostro<br />
presente.<br />
Nella teoria generale<br />
Il progetto <strong>di</strong> <strong>una</strong> teoria <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura può<br />
vantare <strong>una</strong> relazione stretta, profonda, con la nascita<br />
stessa <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> come metodo e <strong>di</strong>sciplina. Si potrebbe<br />
<strong>di</strong>re, più in generale, che esso sembra inscritto<br />
come orizzonte all’interno dell’o<strong>per</strong>a dei gran<strong>di</strong> padri<br />
<strong>della</strong> <strong>semiotica</strong>. Solo <strong>per</strong> fare pochi esempi si potrebbe<br />
pensare a Fer<strong>di</strong>nand de Saussure (1922) quando proponeva<br />
<strong>di</strong> concepire la semiologia come “<strong>una</strong> scienza che<br />
stu<strong>di</strong>a la vita dei segni nel quadro <strong>della</strong> vita sociale” o ricordare<br />
la proposta <strong>di</strong> <strong>una</strong> “meta<strong>semiotica</strong>” – <strong>una</strong> <strong>semiotica</strong><br />
che ha come suo contenuto <strong>delle</strong> semiotiche –<br />
che chiude I fondamenti <strong>della</strong> teoria del linguaggio <strong>di</strong><br />
Louis Hjelmslev (1961).<br />
Non <strong>di</strong>versamente la tensione verso <strong>una</strong> <strong>semiotica</strong><br />
come stu<strong>di</strong>o <strong>delle</strong> forme e <strong>delle</strong> logiche <strong>della</strong> cultura si<br />
ritrova nei maggiori protagonisti <strong>della</strong> ricerca moderna:<br />
Barthes, Eco, Greimas, Fabbri. Giusto <strong>per</strong> fare qualche<br />
esempio, vale la pena ricordare che lo stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> significazione<br />
come stu<strong>di</strong>o del mondo dell’uomo e come<br />
epistemologia <strong>delle</strong> scienze umane apre Semantica strutturale<br />
<strong>di</strong> Algirdas J. Greimas (1966) e ne accompagna<br />
tutta l’o<strong>per</strong>a, fino allo stu<strong>di</strong>o <strong>delle</strong> passioni e <strong>delle</strong> forme<br />
<strong>di</strong> vita; Umberto Eco – che già nella proto-<strong>semiotica</strong><br />
O<strong>per</strong>a a<strong>per</strong>ta (1962) aveva puntualizzato <strong>di</strong> non essere<br />
né critico né stu<strong>di</strong>oso d’estetica, quanto piuttosto uno<br />
“storico dei ‘modelli <strong>di</strong> cultura’” – nel 1969 faceva co-
14 FRANCISCU SEDDA<br />
noscere in Italia, insieme a Remo Faccani, lo “strutturalismo<br />
sovietico” e lo stu<strong>di</strong>o dei sistemi <strong>di</strong> segni (cfr.<br />
Faccani, Eco 1969), intitolava l’introduzione del suo<br />
Trattato (1975) Verso <strong>una</strong> logica <strong>della</strong> cultura e ancora<br />
nel 1990 introduceva la versione inglese <strong>di</strong> un importante<br />
volume <strong>di</strong> Lotman: Universe of the Mind. A Semiotic<br />
Theory of Culture (1990).<br />
Non stupisce dunque che, passati gli anni utili e necessari<br />
dell’affinamento degli strumenti e <strong>della</strong> <strong>di</strong>scesa<br />
in apnea nelle singole analisi testuali, oggi la <strong>semiotica</strong><br />
<strong>della</strong> cultura (o <strong>delle</strong> <strong>culture</strong>) – insieme alla socio<strong>semiotica</strong><br />
– ritorni a costituire il campo d’azione, o quantomeno<br />
l’orizzonte auspicato, <strong>di</strong> grande parte <strong>della</strong> ricerca.<br />
Il consenso traversale attorno a questa <strong>di</strong>citura non<br />
può essere sottovalutato, anzi, va colto e fatto fruttare,<br />
<strong>per</strong>ché la <strong>semiotica</strong> ha necessità – teorica e politica – <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> sua identità. E la parola “politica” non è usata a<br />
caso: nel Trattato Umberto Eco definiva la soglia su<strong>per</strong>iore<br />
del “campo” semiotico con i suoi limiti politici<br />
proprio nel punto <strong>di</strong> congiunzione fra “tipologia <strong>delle</strong><br />
<strong>culture</strong>” e “antropologia”. Ebbene, sembra che la <strong>semiotica</strong><br />
abbia abbandonato quella frontiera – forse <strong>per</strong><br />
falsa modestia o forse <strong>per</strong> <strong>di</strong>strazione – e oggi si ritrovi<br />
a pagarne il prezzo in termini <strong>di</strong> centralità, presenza,<br />
visibilità, legittimazione – “peso”, <strong>per</strong> tagliar corto –<br />
all’interno del <strong>di</strong>battito sociale. Non è un caso forse<br />
che questo spazio sia oggi prevalentemente occupato<br />
dall’antropologia culturale e dai cultural stu<strong>di</strong>es e che<br />
la <strong>semiotica</strong> – che pure aveva svolto un ruolo seminale<br />
e fecondante su temi quali i conflitti culturali, la costruzione<br />
<strong>delle</strong> identità, il senso <strong>delle</strong> storie, le traduzioni<br />
fra sfere <strong>di</strong>scorsive e linguaggi <strong>di</strong>versi – non riesca<br />
a valorizzare il suo stesso patrimonio e partecipare<br />
con il suo bagaglio <strong>di</strong> categorie, concetti e modelli a un<br />
<strong>di</strong>alogo <strong>di</strong>sciplinare e politico-culturale decisivo <strong>per</strong> la<br />
contemporaneità.
IMPERFETTE TRADUZIONI 15<br />
Il fatto che, come <strong>di</strong>cevamo, la <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura<br />
– quantomeno come “slogan” – stia implicitamente facendo<br />
da punto <strong>di</strong> incontro e <strong>di</strong> incrocio <strong>di</strong> molti degli<br />
autori principali dell’attuale panorama semiotico – pensiamo<br />
alle conclusioni <strong>di</strong> Paolo Fabbri e Gianfranco<br />
Marrone (2001) nel secondo volume <strong>di</strong> Semiotica in nuce,<br />
ad alcune importanti note sul rapporto fra enciclope<strong>di</strong>a,<br />
senso comune e <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura fatte da Patrizia<br />
Violi (2000), alla <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> proposta<br />
da François Rastier (2003), o agli ultimi scritti <strong>di</strong> Jacques<br />
Fontanille (2004a; 2006) che pongono anch’essi lo<br />
stu<strong>di</strong>o <strong>delle</strong> pratiche e del piano dell’espressione sotto<br />
l’egida <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> – non può passare<br />
inosservato: dovrebbe, a nostro avviso, trovare un senso.<br />
Non è questo, ovviamente, il luogo <strong>per</strong> tentare sintesi<br />
che giocoforza dovranno essere il prodotto <strong>di</strong> un lavoro<br />
lungo e <strong>di</strong>alogico, ma sicuramente si può provare a pronosticare<br />
che rimettere in gioco il patrimonio lotmaniano<br />
in vista <strong>di</strong> <strong>una</strong> sua piena e reale integrazione nella<br />
teoria generale potrebbe dare <strong>una</strong> salutare scossa all’intero<br />
ambito semiotico.<br />
Una semioticità doppiamente necessaria<br />
È proprio nel primo saggio che qui pubblichiamo,<br />
quello sulle Ricerche semiotiche, che ci si trova davanti<br />
a un tema <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà e portata vertiginosa. Un tema<br />
così grande da rischiare, come vedremo con Greimas,<br />
la caduta nella “metafisica” e forse proprio <strong>per</strong>ciò evitato<br />
o ritenuto inutile. Un tema che tuttavia vale la pena<br />
riprendere, non certo <strong>per</strong> risolverlo ma <strong>per</strong> inquadrare<br />
lo sfondo <strong>della</strong> riflessione <strong>semiotica</strong> sulla cultura.<br />
Si tratta del rapporto fra la <strong>semiotica</strong>, la coscienza<br />
umana e la vita sociale. O, detto in altri termini, la necessità<br />
o l’inerenza all’essere umano e all’umanità in
16 FRANCISCU SEDDA<br />
quanto tali, <strong>di</strong> un punto <strong>di</strong> vista e <strong>di</strong> un “modo <strong>di</strong> essere”<br />
semiotici.<br />
È un tema che sconfina facilmente in territorio filosofico.<br />
Non a caso lo ritroviamo in un <strong>di</strong>alogo del 1984<br />
fra Paul Ricœur e Algirdas Greimas de<strong>di</strong>cato alla narratività<br />
in cui i due o<strong>per</strong>ano <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> mosse e contromosse<br />
<strong>di</strong>scorsive nel tentativo <strong>di</strong> accerchiarsi vicendevolmente,<br />
<strong>di</strong> inglobare il punto <strong>di</strong> vista dell’altro all’interno<br />
del proprio. In poche parole, Ricœur cerca <strong>di</strong> mostrare<br />
la fondamentalità <strong>della</strong> nostra precomprensione,<br />
<strong>della</strong> nostra capacità <strong>di</strong> seguire storie a prescindere da<br />
<strong>una</strong> specifica competenza <strong>semiotica</strong>; Greimas, dal suo<br />
canto, si appella all’inevitabilità del ricorso a <strong>delle</strong> strutture<br />
profonde del senso <strong>per</strong> cogliere la significazione <strong>di</strong><br />
quelle “catene <strong>di</strong> figure” che or<strong>di</strong>nano su<strong>per</strong>ficialmente<br />
i nostri <strong>di</strong>scorsi.<br />
L’argomentazione <strong>di</strong> Greimas tende dunque ad affermare<br />
la fondamentalità <strong>della</strong> sua visione rimarcando<br />
il valore <strong>di</strong> “universali” <strong>di</strong> tali strutture profonde 3 : a testimonianza<br />
<strong>di</strong> ciò il fatto che queste sono rintracciabili<br />
al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> proverbi, indovinelli e narrazioni provenienti<br />
da migliaia <strong>di</strong> comunità linguistiche <strong>di</strong> ogni parte<br />
del mondo. Non<strong>di</strong>meno è evidente <strong>per</strong> lo stu<strong>di</strong>oso<br />
lituano che ri<strong>di</strong>scendere dal senso verso la significazione<br />
è un modo <strong>per</strong> “dar senso al senso”, <strong>per</strong> arricchire<br />
la comprensione <strong>della</strong> su<strong>per</strong>ficie testuale. Dal suo canto<br />
Ricœur avvalora la sua posizione proprio mentre<br />
concede alla <strong>semiotica</strong> il ruolo <strong>di</strong> “spiegazione” all’interno<br />
<strong>della</strong> <strong>di</strong>alettica fra comprendere e spiegare. La<br />
sua famosa formula, spiegare <strong>di</strong> più <strong>per</strong> comprendere<br />
meglio, mentre da un lato tenta <strong>una</strong> parziale (e nella<br />
sua elegante semplicità, geniale) conciliazione, dall’altro<br />
riafferma comunque la secondarietà <strong>della</strong> presa <strong>semiotica</strong><br />
sul senso. Nessuno dei due lo <strong>di</strong>ce, ma mentre<br />
Greimas ha dovuto rischiosamente enfatizzare la “naturalità”<br />
<strong>della</strong> <strong>semiotica</strong>, Ricœur ne ha fin troppo enfa-
IMPERFETTE TRADUZIONI 17<br />
tizzato la “storicità”, intendendola semplicemente come<br />
un sa<strong>per</strong>e <strong>di</strong>sciplinare.<br />
Lotman e Uspenskij a loro modo si tengono in mezzo<br />
a questo varco, cercando <strong>di</strong> annodare in pochi passi naturalità<br />
e culturalità, implicito ed esplicito, sa<strong>per</strong>e quoti<strong>di</strong>ano<br />
e sa<strong>per</strong>e scientifico.<br />
Per loro “il punto <strong>di</strong> vista semiotico è organicamente<br />
intrinseco alla coscienza umana e in questo senso costituisce<br />
un fenomeno non solo vecchio, ma anche ben noto<br />
a tutti”. Il punto è che l’uomo, nella sua coscienza ingenua,<br />
non lo sa e ha necessità <strong>di</strong> un sa<strong>per</strong>e “scientifico”<br />
<strong>per</strong> farlo emergere. Sembrerà un ragionamento contrad<strong>di</strong>ttorio,<br />
dato che gli stu<strong>di</strong>osi russi hanno appena detto<br />
che il punto <strong>di</strong> vista semiotico “è ben noto a tutti”: la<br />
cosa invece si spiega facilmente. Il sa<strong>per</strong>e scientifico che<br />
fa emergere la nostra intrinseca semioticità non sta, <strong>per</strong><br />
l’u<strong>di</strong>torio che ne deve sanzionare i risultati, nell’or<strong>di</strong>ne<br />
del “Non ci avrei mai pensato” – come si è portati a reagire<br />
davanti alle teorie fisiche <strong>delle</strong> su<strong>per</strong>stringhe, <strong>della</strong><br />
relatività, al principio <strong>di</strong> indeterminazione, oppure davanti<br />
alla struttura del genoma e così via – ma piuttosto<br />
si riassume nell’affermazione “L’ho sempre saputo”, attestazione<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> verità già presente che attendeva <strong>di</strong> essere<br />
riconosciuta. Attraverso l’articolazione <strong>di</strong> questi<br />
due semplici giochi linguistici 4 Lotman e Uspenskij, ci<br />
pare, o<strong>per</strong>ano un doppio movimento che lega – con evidente<br />
vantaggio <strong>per</strong> la <strong>semiotica</strong> – le posizioni <strong>di</strong> Greimas<br />
e Ricœur. Essi infatti, implicitamente, affermano<br />
nientemeno che <strong>una</strong> doppia necessità <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong>, ponendola<br />
a monte e a valle del nostro vivere nel senso.<br />
Da un lato infatti, come riba<strong>di</strong>scono, “il punto <strong>di</strong><br />
vista semiotico è sempre presente nelle azioni e nella<br />
coscienza dell’uomo” e dunque ci inerisce comunque e<br />
a prescindere dalla nostra coscienza; sta a monte. Dall’altro<br />
lato, la <strong>semiotica</strong> in quanto <strong>di</strong>sciplina scientifica<br />
si inserisce a pieno titolo nella scienza del XX secolo, in
18 FRANCISCU SEDDA<br />
particolare quella che cerca <strong>di</strong> penetrare ciò che, proprio<br />
in quanto “semplice ed evidente” (ib.), non era<br />
mai stato analizzato. Affermazione non da poco non<br />
solo <strong>per</strong> l’evidente connessione con l’idea <strong>di</strong> Hjelmslev<br />
<strong>di</strong> trattare il campo <strong>della</strong> scienza (la “Cultura”) come<br />
l’insieme dei “testi inanalizzati” (mossa che salva contemporaneamente<br />
la possibilità <strong>della</strong> scienza dei linguaggi<br />
senza abrogare la sensatezza del nostro vivere<br />
comune attraverso <strong>di</strong> essi) ma anche <strong>per</strong> i passaggi storico-antropologici<br />
che sottende e che vedremo 5 . Da tale<br />
punto <strong>di</strong> vista dunque la <strong>semiotica</strong> si inserisce in un<br />
movimento scientifico più ampio <strong>di</strong> esplicitazione dei<br />
meccanismi che reggono il nostro vivere in comune e<br />
in quanto tale “aspira non tanto a conoscere qualcosa<br />
<strong>di</strong> nuovo quanto al contenuto, bensì piuttosto ad ampliare<br />
la stessa conoscenza <strong>della</strong> conoscenza” (in Ricerche<br />
semiotiche, infra, p. 75).<br />
Insomma avevamo bisogno <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> come sa<strong>per</strong>e<br />
scientifico (come “spiegazione”) <strong>per</strong> capire la nostra<br />
intima semioticità (il nostro “comprendere” grazie a<br />
strutture e a meccanismi semiotici che ci appartengono<br />
– e in parte ci agiscono – ma ci sfuggono). Non male come<br />
accerchiamento.<br />
La conseguenza imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> questa circolarità appena<br />
esposta è la riaffermazione <strong>di</strong> un’idea <strong>per</strong> la quale,<br />
così confessava Greimas, era stato “lungamente preso in<br />
giro” (Greimas 1987b, p. 169). E c’è da sospettare che<br />
<strong>di</strong> questa umiliazione abbiano pagato gli effetti tutti gli<br />
stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> <strong>semiotica</strong> e <strong>di</strong> scienze umane.<br />
Rispondendo a <strong>una</strong> domanda intorno alla sua o<strong>per</strong>a<br />
lo stu<strong>di</strong>oso lituano affermava infatti che la <strong>semiotica</strong>,<br />
oltre a lavorare <strong>per</strong> arricchire la sua propria teoria e<br />
<strong>per</strong> esplorare campi <strong>di</strong> es<strong>per</strong>ienza e semantici <strong>di</strong>fferenti,<br />
era essa stessa “azione sulle cose, realizzazione”<br />
(ib.). In definitiva Greimas riven<strong>di</strong>cava <strong>di</strong> aver sempre<br />
affermato che
IMPERFETTE TRADUZIONI 19<br />
c’era <strong>una</strong> vocazione <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong>, non soltanto <strong>per</strong> la conoscenza<br />
del fatto sociale o in<strong>di</strong>viduale, ma anche <strong>per</strong> la<br />
trasformazione del sociale o dell’in<strong>di</strong>viduale: che la <strong>semiotica</strong><br />
in ultima istanza poteva essere come <strong>una</strong> terapeutica<br />
del sociale (ib.).<br />
Si sarebbe dovuto trattare dunque <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>semiotica</strong><br />
che concepiva la realizzazione come “atto somatico (…)<br />
che verte sulla materialità <strong>delle</strong> cose” e che si sarebbe<br />
dovuta preoccupare <strong>di</strong> indagare la “su<strong>per</strong>ficialità” dei<br />
fenomeni <strong>per</strong> coglierli nel loro effetto sulla vita <strong>della</strong><br />
gente. Una <strong>semiotica</strong>, prima <strong>di</strong> tutto, come “pratica” <strong>di</strong><br />
analisi e trasformazione: <strong>una</strong> meta forse lontana da raggiungere,<br />
ma <strong>per</strong> Greimas <strong>di</strong> importanza capitale (ib.).<br />
Insomma, la <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura o<strong>di</strong>erna vorrebbe,<br />
senza <strong>per</strong>dere il suo statuto <strong>di</strong> scienza rigorosa, riaffermare<br />
il suo statuto <strong>di</strong> arte <strong>di</strong> vivere, <strong>di</strong> poetica e poietica<br />
<strong>della</strong> quoti<strong>di</strong>anità, come si potrebbe <strong>di</strong>re richiamando<br />
al contempo Lotman e de Certeau: è evidente, facendo<br />
ciò, ponendosi a pieno titolo nella vita in comune,<br />
ponendo la <strong>semiotica</strong> fra scienza e arte, il semiotico riafferma<br />
se stesso come soggetto politico.<br />
Configurazioni semiotiche<br />
Questo vivere in modo (doppiamente) semiotico ci<br />
consente e costringe a riandare ad alcuni altri temi fondamentali.<br />
In primo luogo ci riporta a Peirce ed Eco, in particolare<br />
all’idea che “la realtà non è un semplice Dato, è<br />
piuttosto un Risultato” (Eco 1979, p. 43) che nasce dal<br />
lavorio interpretativo <strong>di</strong> <strong>una</strong> Comunità 6 (Peirce 2003,<br />
pp. 106, 109, 5.311 e 5.316; Eco 1997, p. 79) e che non<br />
si fissa semplicemente in un sa<strong>per</strong>e ma anche in abitu<strong>di</strong>ni,<br />
vale a <strong>di</strong>re regolarità <strong>di</strong> comportamento che fanno<br />
dell’agire stesso un segno (quantomeno potenziale).
20 FRANCISCU SEDDA<br />
Non a caso Peirce <strong>di</strong>ce che “l’identità <strong>di</strong> un uomo consiste<br />
nella coerenza tra ciò che egli fa e ciò che egli pensa”<br />
(p. 109, 5.315) e traduce questa articolazione nei termini<br />
<strong>di</strong> un “esprimere qualcosa” che sia intelligibile, rendendo<br />
insostenibile <strong>una</strong> netta <strong>di</strong>stinzione fra il pensare, il <strong>di</strong>re<br />
e il fare. In definitiva riemerge qui, sotto altre forme,<br />
un punto car<strong>di</strong>ne <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> attuale: il carattere<br />
<strong>per</strong>formativo del linguaggio e il carattere linguistico <strong>delle</strong><br />
pratiche. Atti espressivi ed espressioni attive. Come a <strong>di</strong>re<br />
che l’agire non è muto, non è pura opacità, e che i segni<br />
oltre a – o prima ancora <strong>di</strong> – rappresentare qualcosa<br />
si danno in quanto azioni sul mondo, in quanto tattiche<br />
<strong>per</strong> la sua costituzione e mo<strong>di</strong>ficazione (Fabbri 1998a),<br />
sia che essi agiscano a livello propriamente cognitivo, oppure<br />
su quello pragmatico, patemico o estesico.<br />
Non è un dato da poco <strong>per</strong>ché come si avrà modo <strong>di</strong><br />
vedere nei saggi <strong>di</strong> Lotman sulle poetiche del comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano è proprio a questi giochi <strong>di</strong> concatenamento<br />
che la <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura deve far riferimento<br />
<strong>per</strong> ricostruire o penetrare l’intelligibilità <strong>di</strong> configurazioni<br />
semiotiche complesse. Se volessimo riportare questo<br />
gioco <strong>di</strong> correlazione a due serie minime ed eleggessimo<br />
a tale ruolo il rapporto fra rappresentazioni e pratiche<br />
(come del resto Lotman ci dà modo <strong>di</strong> fare in più<br />
occasioni, e non solo in questi saggi) non ci troveremmo<br />
granché <strong>di</strong>stanti dalla rilettura deleuziana <strong>della</strong> teoria<br />
<strong>della</strong> cultura <strong>di</strong> Foucault, laddove le “formazioni” che<br />
costituiscono il sociale emergono dal concatenamento<br />
fra pratiche <strong>di</strong>scorsive e pratiche extra<strong>di</strong>scorsive (Deleuze<br />
1986). Tuttavia, <strong>per</strong> mantenerci più vicini all’eterogeneità<br />
del reale converrà notare, leggendo i testi, tutti<br />
quei punti in cui Lotman ricrea degli insiemi fatti <strong>di</strong> parole,<br />
gesti, situazioni d’etichetta, brandelli <strong>di</strong> narrazioni<br />
mitiche o romanzesche, riferimenti pittorici o teatrali e<br />
così via, riproducendo <strong>delle</strong> specie <strong>di</strong> “anelli semiotici”,<br />
nel linguaggio <strong>di</strong> Deleuze e Guattari (1980), vale a <strong>di</strong>re
IMPERFETTE TRADUZIONI 21<br />
<strong>delle</strong> formazioni culturali (che la <strong>semiotica</strong> definisce e<br />
<strong>per</strong>cepisce comunque come “testi” o “testualità”) che<br />
possiamo immaginare come <strong>delle</strong> configurazioni significative<br />
prodotte attraverso la compresenza <strong>di</strong> sostanze<br />
espressive <strong>di</strong>verse. Come ad affermare fra l’altro (e ci<br />
torneremo) che niente significa in solitu<strong>di</strong>ne e nessun<br />
linguaggio significa da solo.<br />
Prensioni e traduzioni<br />
Al <strong>di</strong> là <strong>delle</strong> a<strong>per</strong>ture fra visioni <strong>di</strong>verse <strong>della</strong> cultura<br />
(cosa che va fatta con più cautela <strong>di</strong> quanto ci si possa<br />
<strong>per</strong>mettere in questa breve introduzione) emerge qui il<br />
problema dei mo<strong>di</strong> stessi <strong>di</strong> concatenamento. Problema<br />
che fa il paio con l’in<strong>di</strong>viduazione dei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> prensione<br />
del senso da parte dei soggetti.<br />
Questo accoppiamento fra concatenamenti e prensioni<br />
lo si vede in controluce nel <strong>di</strong>battito fra Ricœur e<br />
Greimas, laddove <strong>per</strong> il primo la “comprensione” ha a<br />
che fare con i segni e la loro com-posizione, potremmo<br />
<strong>di</strong>re, lineare, nel tempo, mentre <strong>per</strong> il secondo il senso e<br />
la sua presa reale sono debitori <strong>di</strong> strutture soggiacenti,<br />
astratte, che definiscono dei sistemi <strong>di</strong> posizioni rispetto<br />
a cui ciò che sta sulla su<strong>per</strong>ficie del racconto acquista<br />
il suo valore. Come se in gioco fosse la <strong>di</strong>s-posizione <strong>di</strong>namica<br />
(definizione e trasformazione) dei significati in<br />
uno spazio.<br />
È evidente che se volessimo mantenere salde le <strong>di</strong>fferenze<br />
potremmo sottolineare che all’opposizione fra<br />
Ricœur e Greimas si può sostituire o affiancare quella<br />
fra Eco e Lotman, laddove il primo ha evidenziato il gioco<br />
<strong>di</strong> continuo rinvio fra segni <strong>per</strong> tentare <strong>una</strong> presa<br />
quantomeno “asintotica” del significato (Eco 1984) e il<br />
secondo ha invece costantemente valorizzato lo spazio<br />
non solo come metalinguaggio descrittivo ma <strong>per</strong>fino,
22 FRANCISCU SEDDA<br />
sul finire del suo <strong>per</strong>corso teorico, come “sistema modellizzante<br />
primario” al pari del linguaggio naturale, attribuendogli<br />
dunque un ruolo profon<strong>di</strong>ssimo nella strutturazione<br />
del senso (Lotman 1992a).<br />
Queste due logiche sono state colte anche da Jacques<br />
Geninasca (1997) laddove, partendo dallo stu<strong>di</strong>o dei testi<br />
letterari, ha definito <strong>una</strong> prensione molare, basata sul<br />
segno-rinvio e sul senso comune, e <strong>una</strong> prensione semantica,<br />
basata su <strong>di</strong> <strong>una</strong> spazialità astratta che articola la significazione<br />
in profon<strong>di</strong>tà, <strong>una</strong> prensione legata a quello<br />
che potremmo definire un senso non-comune, bensì<br />
scientifico-analitico.<br />
Arrivati a questo punto ci sembra utile richiamare alcuni<br />
passaggi apparentemente minori in cui queste logiche<br />
<strong>di</strong>fferenti paiono trovare un elemento comune che<br />
potrebbe in futuro aiutarci a correlarle. Questo tratto<br />
comune è il processo car<strong>di</strong>ne, secondo Lotman, <strong>della</strong><br />
generazione <strong>della</strong> significazione: la traduzione.<br />
Il ruolo fondamentale <strong>della</strong> traduzione 7 si ritrova<br />
praticamente in tutta l’o<strong>per</strong>a lotmaniana e nel suo ultimo<br />
libro, La cultura e l’esplosione (1993), assume contorni<br />
generali dalle complesse, e qui non analizzabili,<br />
implicazioni 8 . Già in precedenza tuttavia, analizzando<br />
la struttura del testo poetico, Lotman aveva elaborato<br />
<strong>una</strong> tipologia <strong>di</strong> mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> formazione del significato basati<br />
sulla traduzione (o, con termine del tempo, transco<strong>di</strong>fica).<br />
La <strong>di</strong>stinzione base era quella fra <strong>una</strong> traduzione<br />
interna, vale a <strong>di</strong>re il rinvio fra segni appartenenti<br />
allo stesso sistema, e <strong>una</strong> traduzione esterna, in cui è<br />
sempre in gioco la creazione <strong>di</strong> un’equivalenza convenzionale<br />
fra due sistemi. Una <strong>di</strong>stinzione base che <strong>per</strong>altro<br />
si apriva internamente a più complesse sfumature,<br />
utili a mostrare le due logiche del senso fin qui in<strong>di</strong>viduate<br />
non come entità opposte frontalmente quanto<br />
piuttosto come elementi <strong>di</strong> un unico continuum (Lotman<br />
1970, pp. 48-49).
IMPERFETTE TRADUZIONI 23<br />
Del resto, oltre a ricordare la sua centralità in Jakobson<br />
(1963) (sebbene con il linguaggio verbale preso pur<br />
sempre come punto archimedeo), vale la pena evidenziare<br />
che la stessa impostazione centrata sulla traduzione<br />
si ritrova in alcuni passaggi generalmente meno ricordati<br />
<strong>di</strong> Greimas e in <strong>di</strong>verse definizioni del significato date<br />
da Peirce e riprese da Eco.<br />
Nell’Introduzione a Del senso Greimas (1970, p. 13)<br />
postulava che “la significazione (…) non è altro che questa<br />
trasposizione d’un piano <strong>di</strong> linguaggio in un altro, <strong>di</strong><br />
un linguaggio in un linguaggio <strong>di</strong>verso, mentre il senso è<br />
semplicemente questa possibilità <strong>di</strong> transco<strong>di</strong>fica” e più<br />
avanti <strong>di</strong>stingueva <strong>una</strong> transco<strong>di</strong>fica orizzontale, <strong>di</strong> carattere<br />
principalmente processuale, da <strong>una</strong> verticale, <strong>di</strong> tipo<br />
metalinguistico, fondamentalmente equiparabili a quelle<br />
in<strong>di</strong>viduate da Lotman. Non<strong>di</strong>meno in Peirce si ritrovano<br />
due definizioni del significato apparentemente riconducibili<br />
a queste due logiche. Al primo caso pare corrispondere<br />
l’idea che “il significato <strong>di</strong> un segno è il segno<br />
in cui esso deve venir tradotto” (Peirce, in Eco 1979, p.<br />
33), lasciando a<strong>per</strong>ta la possibilità che in questo passaggio<br />
rimanga con<strong>di</strong>viso il linguaggio, il sistema <strong>di</strong> virtualità,<br />
che regge questa concatenazione espressiva. Al secondo<br />
caso corrisponde l’idea che il significato “è, nella<br />
sua accezione primaria, la traduzione <strong>di</strong> un segno in un<br />
altro sistema <strong>di</strong> segni” (ib.), lasciando intendere che qui a<br />
essere in rapporto, <strong>per</strong> il tramite <strong>di</strong> <strong>una</strong> realizzazione segnica,<br />
siano due sistemi <strong>di</strong> significazione <strong>di</strong>versi.<br />
Ritmi, strutturazioni, memorie<br />
Arrivati a questo punto vale la pena reintrodurre il<br />
terzo tipo <strong>di</strong> prensione in<strong>di</strong>viduato da Geninasca, la<br />
prensione ritmica, e intenderla sia come un’ulteriore logica,<br />
sia come il cuore e il motore <strong>delle</strong> altre due.
24 FRANCISCU SEDDA<br />
L’emersione e la costituzione del senso e dei suoi oggetti<br />
è fatta <strong>di</strong> ritmi che si correlano: a partire da quanto<br />
Lotman scriveva ne La struttura del testo poetico (1970,<br />
p. 47), fino ad arrivare a Geninasca (1997), Landowski<br />
(1997; 2003), Marrone (2001; 2005) e Fontanille<br />
(2004b) e l’attuale rivalutazione del ruolo <strong>della</strong> timia,<br />
dell’estesia, del corpo e dei corpi all’interno del campo<br />
semiotico, è evidente che fin dentro la “funzione segnica”,<br />
in qualsiasi momento in cui ve<strong>di</strong>amo baluginare<br />
qualcosa che significa, che si dà nell’or<strong>di</strong>ne semiotico<br />
<strong>della</strong> testualità, noi abbiamo a che fare con almeno due<br />
ritmi (Lotman le chiamava “catene-strutture”), uno in<br />
funzione <strong>di</strong> piano del contenuto e l’altro dell’espressione,<br />
che si saldano o, verrebbe da <strong>di</strong>re a noi ma senza poter<br />
ulteriormente argomentare, si co-selezionano e coemergono.<br />
Il ritmo qui va inteso come forma <strong>di</strong>namica (Benveniste<br />
1966), la forma nel suo aspetto <strong>di</strong> a<strong>per</strong>tura e processualità.<br />
Ogni testo, anche quello apparentemente<br />
più chiuso, è attraversato da ritmi molteplici che <strong>di</strong>namizzandolo<br />
e sfrangiandolo dall’interno si danno come<br />
virtualità <strong>di</strong> senso, come possibilità <strong>di</strong> correlazioni future.<br />
È <strong>per</strong> questo che, a <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong> quanto si crede o<br />
fa comodo pensare, la semiosfera come è descritta da<br />
Lotman non è fatta <strong>di</strong> spazi circoscritti ma è intessuta<br />
<strong>di</strong> flussi <strong>di</strong> testi che ne sono le correnti – non a caso<br />
tornano spesso la metafora dei <strong>di</strong>slivelli energetici, <strong>delle</strong><br />
<strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> potenziale, <strong>di</strong> processi <strong>di</strong> attrazione e<br />
repulsione – pronte a entrare in relazione con altri flussi<br />
e altri panorami inizialmente impreve<strong>di</strong>bili, generando<br />
<strong>di</strong>aloghi, intersezioni, ondate, effetti a valanga,<br />
esplosioni 9 :<br />
the circulation of texts moves ceaselessly in all <strong>di</strong>rections,<br />
large and small currents intersect and leaves their traces.<br />
At the same time texts are relayed not by one but by many<br />
centres of the semiosphere, and the actual semiosphere is
IMPERFETTE TRADUZIONI 25<br />
mobile within its boundaries [and] these same processes<br />
occur at <strong>di</strong>fferent levels (…) (Lotman 1990, p. 150).<br />
La semiosfera, <strong>di</strong>ce poco dopo Lotman <strong>per</strong> rendere<br />
più vivida l’immagine, “ribolle come il sole”.<br />
Riandare ai micro o macro ritmi che a ogni livello costituiscono<br />
il mondo del senso nel suo precario equilibrio<br />
(o nel suo costante <strong>di</strong>sequilibrio) ci sembra necessario.<br />
Ma sull’onda dell’entusiasmo <strong>per</strong> questa salutare flui<strong>di</strong>tà<br />
non ci si può scordare la presenza <strong>di</strong> strutture che garantiscono<br />
la tenuta locale dei ritmi, o il formarsi <strong>di</strong> vere e<br />
proprie concrezioni segniche, anche grazie al decisivo<br />
ruolo <strong>della</strong> memoria culturale. E nel ri<strong>per</strong>correre tutti<br />
questi livelli – a<strong>per</strong>tura, strutturazione, fissaggio – nemmeno<br />
bisogna credere che ci sia un valore dato, <strong>per</strong> cui<br />
<strong>una</strong> <strong>di</strong>mensione sarebbe consustanzialmente progressiva<br />
e un’altra rigidamente regressiva o conservatrice, ricadendo<br />
in <strong>una</strong> visione miope che impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> vedere come<br />
ogni <strong>di</strong>mensione vive <strong>delle</strong> altre. La memoria, l’organizzazione<br />
del sa<strong>per</strong>e, ha i suoi ritmi e le sue strutture –<br />
non a caso parliamo <strong>della</strong> su<strong>per</strong>ficie segnica anche in termini<br />
<strong>di</strong> enciclope<strong>di</strong>e rizomatiche (Eco 1984) –, le strutture<br />
si fissano fino a <strong>di</strong>ventare <strong>di</strong>spositivi (Greimas, Fontanille<br />
1991), i ritmi nel momento in cui emergono tra<strong>di</strong>scono<br />
<strong>una</strong> certa strutturalità o “<strong>per</strong>colano” essi stessi nella<br />
memoria <strong>della</strong> cultura, fino a <strong>di</strong>ventare come degli<br />
standard musicali, riconoscibili seppur sotto fogge <strong>di</strong>fferenti.<br />
Capaci comunque <strong>di</strong> toccarci e farci ondeggiare,<br />
battere il tempo, fino al punto in cui non possiamo far a<br />
meno che alzarci e reiniziare a ballare.<br />
Riconquistare <strong>una</strong> presa su <strong>di</strong> <strong>una</strong> quoti<strong>di</strong>anità sempre<br />
più complessa e sfuggente – riuscire a coglierne il<br />
“canto violento” (de Certeau 1974) – significa secondo<br />
noi, se ben stiamo traducendo l’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Lotman, fornirsi<br />
<strong>di</strong> strumenti <strong>per</strong> comprenderne contemporaneamente<br />
strutturazioni e destrutturazioni, processualità e
26 FRANCISCU SEDDA<br />
sistematizzazioni, flussi e panorami, stabilità e <strong>di</strong>namismi,<br />
ritmi e memorie. Significa cogliere la vita nella sua<br />
generale poeticità e poieticità: senza aver paura <strong>di</strong> riconoscerne<br />
le formalità che continuamente vi depositiamo<br />
grazie al lavorio <strong>della</strong> cultura, dei corpi, dell’immaginazione<br />
e al contempo la consustanziale impreve<strong>di</strong>bilità<br />
che questo intreccio <strong>di</strong> relazioni plurali, molteplici, opache<br />
nel loro eccesso, necessariamente riproduce. Noi<br />
dobbiamo guardare al tessuto e alla tessitura, nella loro<br />
im<strong>per</strong>fezione e incompiutezza, certo, ma non<strong>di</strong>meno<br />
nella loro irriducibile presenza. Dobbiamo cogliere le<br />
molteplici rime (semantiche, plastiche, figurative) che<br />
tessono e <strong>di</strong>sfano – come Penelope, ma nello stesso<br />
identico momento – la trama del reale; così come dobbiamo<br />
cogliere le copiose rimotivazioni dell’arbitrario<br />
(Fabbri 2000), le continue generazioni <strong>di</strong> essenze fatticce<br />
attraverso sciami <strong>di</strong> metafore (Merleau-Ponty 1964;<br />
Nietzsche 1991) che ci fanno sembrare, <strong>una</strong> volta scordati<br />
i nostri stessi gesti creativi, tutto “così reale”, così<br />
vero, così solido e costrittivo. E tuttavia, pur sempre<br />
stranamente fragile e congiunturale.<br />
Definizioni <strong>di</strong>menticate, confini attraversati<br />
Se ci siamo <strong>di</strong>lungati in questo <strong>per</strong>corso è stato anche<br />
<strong>per</strong> rendere più vivida la necessità <strong>di</strong> riprendere la definizione<br />
<strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura che si ritrova sia nelle<br />
Proposte <strong>per</strong> il programma <strong>della</strong> IV Scuola estiva coor<strong>di</strong>nata<br />
da Lotman a Tartu nel 1970, sia all’inizio dello scritto<br />
a più mani che rappresenta un momento <strong>di</strong> sintesi <strong>di</strong><br />
quel <strong>per</strong>iodo e <strong>di</strong> quell’es<strong>per</strong>ienza comune <strong>di</strong> ricerca: le<br />
<strong>Tesi</strong> <strong>per</strong> un’analisi <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> del 1973.<br />
In questi passaggi ritroviamo <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> monito e<br />
premonizione rispetto a ciò che sarebbe stata <strong>una</strong> parte<br />
<strong>della</strong> ricerca <strong>semiotica</strong>, fin troppo attenta all’autonomia
IMPERFETTE TRADUZIONI 27<br />
dei singoli linguaggi fin quasi a creder vera la loro parcellizzazione,<br />
e così spesso incapace <strong>di</strong> risalire in su<strong>per</strong>ficie,<br />
verso l’eterogeneità fondante – Lotman non si<br />
stancherà <strong>di</strong> ripeterlo fino alla fine (1993a, p. 145) –<br />
<strong>della</strong> semiosi sociale, in cui la comprensione dei processi<br />
<strong>di</strong> senso implica necessariamente <strong>una</strong> visione d’insieme,<br />
capace <strong>di</strong> cogliere i raccor<strong>di</strong> e i conflitti fra i sistemi<br />
<strong>di</strong> significazione.<br />
Ecco come si esprimevano gli stu<strong>di</strong>osi <strong>della</strong> Scuola <strong>di</strong><br />
Tartu:<br />
I singoli sistemi segnici, pur presupponendo strutture con<br />
<strong>una</strong> organizzazione immanente, funzionano soltanto in<br />
unione, appoggiandosi l’uno all’altro. Nessun sistema segnico<br />
possiede un meccanismo che gli consenta <strong>di</strong> funzionare<br />
isolatamente. Ne consegue che, accanto a <strong>una</strong> impostazione<br />
che <strong>per</strong>metta <strong>di</strong> costruire <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> scienze relativamente<br />
autonome del ciclo semiotico, anche un’altra è<br />
lecita, dal punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> quale tutte queste scienze<br />
considerino aspetti particolari <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura,<br />
intesa come scienza <strong>della</strong> correlazione funzionale dei <strong>di</strong>versi<br />
sistemi segnici.<br />
E se questa definizione può apparire ancora neutra,<br />
or<strong>di</strong>nata o statica, i termini appaiono più chiari in <strong>una</strong><br />
sua successiva ripresa in un famoso saggio del 1977 dal<br />
titolo La cultura come intelletto collettivo e i problemi<br />
dell’intelligenza artificiale (in Lotman 1980), uno scritto<br />
che fra l’altro ci aiuta a sottolineare come anche nei saggi<br />
qui ripubblicati ricompaia senza posa il rapporto fra<br />
scienza, tecnica, arte e cultura. E come Lotman, davanti<br />
ai timori che il progresso tecnico-scientifico spesso causa<br />
10 , rispondesse con la curiosità e la sfida alla s<strong>per</strong>imentazione,<br />
al <strong>di</strong>alogo fra scienze e campi del sa<strong>per</strong>e apparentemente<br />
<strong>di</strong>stanti o conflittuali.<br />
Ma torniamo dunque a questa autodefinizione che<br />
esplicita esattamente lo spazio <strong>di</strong>namico, <strong>di</strong>ssonante e
28 FRANCISCU SEDDA<br />
polilogico in cui la <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura sceglie fin dall’inizio<br />
<strong>di</strong> situarsi:<br />
L’autodefinizione <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura è legata ai<br />
problemi riguardanti il reciproco con<strong>di</strong>zionamento funzionale<br />
nella vita dei vari sistemi semiotici, la natura <strong>della</strong> loro<br />
asimmetria strutturale, la loro reciproca intraducibilità.<br />
Dal momento in cui è <strong>di</strong>venuto chiaro che i singoli sistemi<br />
semiotici si <strong>di</strong>spongono in un’unità strutturale grazie alla<br />
loro reciproca non uniformità, ha cominciato a svilupparsi<br />
uno speciale genere <strong>di</strong> ricerca estraneo alla <strong>semiotica</strong> rivolta<br />
allo stu<strong>di</strong>o dei sistemi comunicativi isolati (Lotman<br />
1980, p. 34).<br />
Impossibilità dell’isolamento, asimmetria interna ed<br />
esterna, costituzione del proprio attraverso l’altro – Lotman<br />
parlerà <strong>di</strong> <strong>una</strong> vera e propria necessità dell’altro innervata<br />
nelle viscere <strong>della</strong> cultura (Lotman 1985; 1994a)<br />
– e contemporaneamente, intraducibilità e non uniformità<br />
fra sistemi.<br />
Non è un caso a questo punto che lungo la sua ricerca<br />
Lotman abbia valorizzato costantemente il confine<br />
come spazio <strong>di</strong> frontiera, come luogo <strong>di</strong> congiunzioni,<br />
mai facili ma in<strong>di</strong>spensabili <strong>per</strong> l’insorgere del nuovo, <strong>di</strong><br />
nuova <strong>di</strong>versità e <strong>di</strong> nuove com<strong>una</strong>nze al contempo: <strong>di</strong><br />
nuove <strong>culture</strong>. Il confine come zona <strong>di</strong> passaggio, densa<br />
<strong>di</strong> pratiche <strong>di</strong> attraversamento, <strong>di</strong> articolazioni identitarie<br />
impreviste, come si potrebbe <strong>di</strong>re con Clifford<br />
(1997) e Hall (1986). Zona <strong>di</strong> creolizzazione (Glissant<br />
1996), intesa come continuo processo <strong>di</strong> mescolamento,<br />
ma anche <strong>di</strong> creolità (Bernabé, Chamoiseau, Confiant<br />
1989; Chamoiseau 2005), vale a <strong>di</strong>re formazione <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
terza cultura ibrida e tuttavia unica che nasce dall’incontro-scontro<br />
<strong>delle</strong> prime due (Lotman 1985). Valorizzazione<br />
<strong>della</strong> <strong>per</strong>iferia, intesa anche come spazio reale,<br />
geografico e geopolitico, ma prima <strong>di</strong> tutto come spazio<br />
astratto, che si può manifestare dovunque, ovunque l’in-
IMPERFETTE TRADUZIONI 29<br />
tersecazione <strong>di</strong> corpi singoli e collettivi, <strong>di</strong> storie e memorie<br />
<strong>di</strong>fferenti, rimette la cultura in movimento. Spazio<br />
caratterizzato dalla destrutturazione (decostruzione?)<br />
del senso dato – del sentimento <strong>di</strong> datità del senso – e <strong>di</strong><br />
prefigurazione <strong>di</strong> un senso a venire: l’incontro riapre<br />
sempre i giochi e lo fa riempiendo lo spazio <strong>di</strong> vuoti.<br />
Traendoci fuori dalla passività, incrinando l’automatismo<br />
che la cultura stessa paradossalmente produce (Lotman,<br />
Uspenskij 1975), ci costringe (o ci dà la possibilità,<br />
questione <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> vista) a giocare con gli altri 11 , a<br />
giocare con le forme del mondo.<br />
C’è, tuttavia, un elemento decisivo da tenere in conto<br />
quando richiamiamo il concetto <strong>di</strong> confine semiotico,<br />
vale a <strong>di</strong>re il fatto che Lotman, analista interessato<br />
a dar conto prima <strong>di</strong> tutto dei meccanismi intimi <strong>della</strong><br />
cultura e restio ad attribuire a essi valori e significati<br />
ultimi e immutabili – maestro davvero non essenzialista<br />
e non fissista, sensibile alle trasformazioni semantiche<br />
nello spazio e nel tempo – fa del confine un <strong>di</strong>spositivo<br />
paradossale, un <strong>di</strong>spositivo che a un livello unisce<br />
e a un altro livello, al contempo, separa. Separa, nel<br />
senso che il confine è anche un generatore <strong>di</strong> “riflessività”,<br />
<strong>di</strong> necessaria autodefinizione e autocoscienza. È<br />
l’incontro con l’altro, che ci cambia e contemporaneamente<br />
ci fa noi stessi, che ci fa nuovi e contemporaneamente<br />
ci fa credere <strong>di</strong> aver ritrovato la nostra memoria,<br />
il nostro passato, la nostra coscienza. Costruzione situata<br />
<strong>di</strong> un credere e <strong>di</strong> un sa<strong>per</strong>e che fa ogni volta i<br />
conti con le aporie del tempo.<br />
Probabilmente niente meglio dell’idea <strong>di</strong> con-<strong>di</strong>visione<br />
(Nancy 1990) – il fra <strong>di</strong> noi, che ci fa essere uniti e <strong>di</strong>visi<br />
al contempo – può riassumere questo problema centrale<br />
<strong>per</strong> chi vuol prendere sul serio le politiche dell’identità,<br />
i processi <strong>di</strong> articolazione <strong>di</strong> connessioni e sconnessioni<br />
storiche, geografiche e politiche, in cui in gioco<br />
è sempre il nostro ponderare, o provare a tenere sotto
30 FRANCISCU SEDDA<br />
controllo, in<strong>di</strong>pendenze e inter<strong>di</strong>pendenze (Clifford<br />
2001; 2002; 2003; Rosenau 2003).<br />
Bisogna accettare tutta la paradossalità del confine<br />
come luogo <strong>di</strong> unione e separazione, <strong>di</strong> attraversamento<br />
e <strong>per</strong>manenza – si può abitare <strong>una</strong> frontiera, farla <strong>di</strong>venire<br />
la propria terra – <strong>per</strong> poter evitare le molte banalità<br />
che si sentono in giro sul tema <strong>delle</strong> identità. Non è un<br />
caso che negli ultimi scritti dei migliori pensatori dell’antropologia<br />
e dei cultural stu<strong>di</strong>es si ritrovino <strong>delle</strong><br />
analisi che ruotano attorno alla complessa e conflittuale<br />
articolazione <strong>di</strong> identità pragmatiche e ideologiche –<br />
Appadurai ne parla ad esempio con riguardo dei sentimenti<br />
antiamericani <strong>di</strong> quegli immigrati che <strong>per</strong> molti<br />
versi lottano <strong>per</strong> vivere da americani (Appadurai 2005;<br />
cfr. anche Clifford 2003) – che riproduce in buona sostanza<br />
i due livelli che compongono il confine lotmaniano.<br />
E non sarebbe inutile mettere in <strong>di</strong>alogo tutto ciò,<br />
ad esempio, con le riflessioni <strong>di</strong> Jacques Geninasca<br />
(1997), laddove offre strumenti semiotici <strong>per</strong> soppesare i<br />
rapporti fra le componenti timiche (emozionali) e pre<strong>di</strong>cative<br />
(coscienziali) del credere, e le loro implicazioni<br />
nella definizione <strong>delle</strong> identità dei soggetti: <strong>per</strong> capirne i<br />
processi <strong>di</strong> scissione, crisi, composizione o infinita ricerca<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> identificazione che, come l’orizzonte, continuamente<br />
ci muove e ci sfugge.<br />
Sarebbe forse un altro confine attraversato. Perché<br />
c’è confine dovunque ci sia il tentativo, o la necessità, <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> traduzione.<br />
L’implosione ed esplosione del mondo<br />
Ogni idea è ra<strong>di</strong>cata in <strong>una</strong> storia e in <strong>una</strong> geografia<br />
(Merleau-Ponty 1964, p. 56). Ogni pensiero, in tal senso,<br />
è un pensiero situato che non smette <strong>di</strong> “tra<strong>di</strong>re” il<br />
fondo da cui si origina (Sedda 2005). Qual è dunque lo
IMPERFETTE TRADUZIONI 31<br />
spazio-tempo a cui si ancora la <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura in<br />
quanto pensiero, con la sua sensibilità <strong>per</strong> la traduzione,<br />
i confini, l’autocoscienza intesa come autodefinizione?<br />
Una parziale risposta si trova nel testo d’a<strong>per</strong>tura <strong>di</strong><br />
questo libro (Ricerche semiotiche) e va ben oltre, ad<br />
esempio, l’origine strettamente “russa” che Rastier<br />
(2003) evoca parlando <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura <strong>di</strong><br />
Lotman.<br />
Quello che Lotman e Uspenskij fanno in questo saggio,<br />
infatti, è notare, a partire dall’analisi <strong>di</strong> testi concreti,<br />
l’emersione <strong>di</strong> un problema <strong>per</strong> lungo tempo non tematizzato<br />
nell’ambito <strong>della</strong> cultura: quello dell’incomprensione<br />
fra gli uomini, <strong>una</strong> incomprensione che provoca<br />
necessariamente conflitti e collisioni tragiche.<br />
Il paradosso che i due stu<strong>di</strong>osi sottolineano è che<br />
l’emergere <strong>di</strong> questo tema fa il paio con la contemporanea<br />
trasformazione del mondo in un “piccolo spazio”,<br />
in cui si rafforzano <strong>per</strong> certi versi i sentimenti <strong>di</strong> solidarietà<br />
umana e chiara <strong>di</strong>viene la coscienza dell’unitarietà<br />
del pianeta.<br />
Insomma, nel momento in cui ci si aspetterebbe <strong>una</strong><br />
<strong>di</strong>minuzione <strong>delle</strong> <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> comunicazione fra gli uomini<br />
le si vede aumentare. Causticamente si potrebbe<br />
<strong>di</strong>re che l’unitarietà del pianeta è servita <strong>per</strong> fare <strong>delle</strong><br />
guerre più gran<strong>di</strong>, “mon<strong>di</strong>ali”. Ma non si tratta solo <strong>di</strong><br />
un cambiamento <strong>di</strong> scala quantitativa. Il processo che<br />
agli inizi del 1900 portava Paul Valéry (1945, p. 23) a <strong>di</strong>re<br />
“Comincia l’era del mondo finito”, quel processo che<br />
portava l’espansionismo <strong>delle</strong> nazioni occidentali a saturare<br />
il mondo e a interconnetterlo tanto forzatamente<br />
quanto ambiguamente, non doveva lasciare immutata la<br />
qualità dei rapporti fra gli uomini e le <strong>culture</strong>. La fine <strong>di</strong><br />
quel mondo era, forse, l’inizio <strong>di</strong> un altro, il nostro 12 .<br />
L’Occidente – etichetta tanto generica e vischiosa<br />
quanto quella <strong>di</strong> Oriente – mangiandosi il mondo fagocitava<br />
anche se stesso. Vista col senno <strong>di</strong> poi l’espansio-
32 FRANCISCU SEDDA<br />
ne coloniale occidentale si rivelava come <strong>una</strong> fragorosa<br />
implosione. Come la rana che gonfiandosi il petto <strong>per</strong><br />
sembrare più grossa del toro finì <strong>per</strong> esplodere.<br />
Ma non si era detto “implosione”? Proprio così, implosione<br />
ed esplosione, collasso del vecchio e insorgenza<br />
del nuovo. Come la rana nel momento fatale o, come <strong>di</strong>cono<br />
i teorici <strong>delle</strong> su<strong>per</strong>stinghe, come l’universo, contemporaneamente<br />
in espansione e in contrazione (Greene<br />
1999). Si aspettava forse l’Occidente che gli altri sarebbero<br />
rimasti a guardare? Che questi “altri” avrebbero<br />
indefinitamente accettato che l’Occidente parlasse a<br />
nome loro? Che avrebbero accettato la giustificazione,<br />
largamente con<strong>di</strong>visa in Occidente sia fra progressisti<br />
che conservatori, <strong>per</strong> cui gli altri, gli “orientali”, avevano<br />
bisogno degli occidentali <strong>per</strong> essere rappresentati, <strong>per</strong><br />
salvarsi dagli ipotetici danni che <strong>una</strong> volta liberi avrebbero<br />
causato a se stessi (Said 1978)?<br />
Ciò <strong>di</strong> cui l’Occidente doveva tragicamente accorgersi<br />
era che gli altri avevano sempre narrato la loro storia e<br />
avevano ancora intenzione <strong>di</strong> farlo. Doveva accorgersi<br />
che gli altri avevano già da sempre previsto il cambiamento<br />
e un posto <strong>per</strong> l’alterità dentro il loro sistema culturale;<br />
che erano nuovamente pronti a importare dall’esterno<br />
e “in<strong>di</strong>genizzare” quanto serviva <strong>per</strong> la loro vita<br />
(Sahlins 1994; 2000). Beninteso, niente e nessuno usciva<br />
intatto e immutato da questo rapporto <strong>di</strong> forze che<br />
tutt’oggi continua, ogni volta più o meno teso, asimmetrico,<br />
conflittuale, produttivo (o <strong>di</strong>struttivo). E tuttavia<br />
nel momento in cui lo spazio del mondo finiva, ecco che<br />
si attualizzava la pluralità dei suoi spazi interni, <strong>delle</strong> sue<br />
storie incrociate, dei suoi confini molteplici. Nel momento<br />
in cui il mondo implodeva – e l’Occidente, <strong>di</strong>ce Lotman,<br />
non a caso andava alla ricerca del suo altro dentro<br />
<strong>di</strong> sé, nell’inconscio –, <strong>di</strong>ventando un piccolo unico punto,<br />
subito esplodevano dal suo interno <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> spazi<br />
sovrapposti e interconnessi, ognuno alla ricerca <strong>della</strong> sua
IMPERFETTE TRADUZIONI 33<br />
autodefinizione, ognuno con la riven<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> <strong>una</strong> sua<br />
memoria e <strong>di</strong> un suo futuro, ognuno pronto ad autodescriversi<br />
con un suo proprio linguaggio.<br />
Quel processo che l’antropologia ha definito come la<br />
sco<strong>per</strong>ta dell’altro (Featherstone 1993), e che coincide<br />
con il crollo <strong>di</strong> un’autorità monologica nella scrittura<br />
<strong>delle</strong> <strong>culture</strong> (Clifford, Marcus 1986; Clifford 1988), viene<br />
da Lotman e Uspenskij riportato a livello dell’intera<br />
scienza del XX secolo:<br />
La scienza del XIX secolo identificava il punto <strong>di</strong> vista consueto<br />
dello scienziato con la verità e quin<strong>di</strong> presupponeva<br />
possibile la descrizione soltanto dal “mio” (dello scienziato,<br />
<strong>della</strong> scienza) punto <strong>di</strong> vista, il che si esprimeva, ad<br />
esempio, nell’assolutizzazione del punto <strong>di</strong> vista europeo<br />
nell’antropologia e <strong>della</strong> linguistica indoeuropea o <strong>della</strong><br />
grammatica latina nella linguistica. Ogni altra descrizione<br />
– cioè la descrizione fatta in altri termini – era considerata<br />
sbagliata (non civilizzata, barbara) e in ultima analisi inesistente<br />
<strong>per</strong> la scienza. La scienza del XX secolo, al contrario,<br />
parte dall’esistenza <strong>di</strong> vari sistemi <strong>di</strong> descrizione e s’interessa<br />
quin<strong>di</strong> molto <strong>di</strong> più del punto <strong>di</strong> vista dell’“altro”<br />
(l’“io” dall’angolo visuale dell’“altro”, l’“altro” dal suo<br />
proprio punto <strong>di</strong> vista).<br />
Il mondo <strong>di</strong>venta dunque il luogo <strong>di</strong> incrocio <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
pluralità <strong>di</strong> prospettive, <strong>una</strong> pluralità <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi, fatti in<br />
linguaggi <strong>di</strong>fferenti. Non si tratta <strong>di</strong> un universo equiprobabilistico<br />
come la notte in cui tutte le vacche sono<br />
nere (o grigie, è lo stesso): alcuni linguaggi e alcune<br />
prospettive assurgono (momentaneamente) al ruolo <strong>di</strong><br />
dominanti, altri fanno da “linguaggi traduttori”, ovvero<br />
<strong>di</strong>vengono il luogo <strong>di</strong> incontro e/o spartizione fra <strong>di</strong>scorsi<br />
dai contenuti <strong>di</strong>versi o <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi simili ma fatti<br />
da prospettive <strong>di</strong>fferenti, altri linguaggi esercitano il<br />
ruolo <strong>di</strong> alternativa, <strong>di</strong> contro-storia, altri ancora cadono<br />
nella marginalità e nell’insignificanza ma, depositan-
34 FRANCISCU SEDDA<br />
dosi nella memoria <strong>della</strong> cultura, restano lì, in sospeso,<br />
come <strong>una</strong> riserva <strong>di</strong> senso pronta <strong>per</strong> essere tradotta e<br />
riattivata in futuro.<br />
Qualcuno domina ma l’irriducibile presenza dell’alterità<br />
sembra ormai un dato. Non esiste più un punto<br />
archimedeo, o un linguaggio essenzialmente e definitivamente<br />
capace <strong>di</strong> parlare la totalità del mondo, <strong>di</strong> riassumerne<br />
le voci. La globalità o la dominanza sono <strong>delle</strong><br />
posizioni relative che si può provare a tenere (e che molti<br />
aspirano a tenere), così come si cerca <strong>di</strong> tenere un<br />
avamposto in guerra.<br />
Traduzione vs Com-prensione?<br />
È <strong>per</strong> tutto ciò che si è incominciato a tradurre, e bisogna<br />
continuare a pensare la traduzione come un concetto<br />
intellettualmente chiave e politicamente strategico.<br />
Ormai è impossibile com-prendere, prendere tutto<br />
insieme: la stessa volontà <strong>di</strong> comprendere l’altro, sottesa<br />
a tanto sa<strong>per</strong>e sulle <strong>culture</strong>, si rivela a questo punto<br />
sospetta o, in modo più benevolo, incapace <strong>di</strong> tener fede<br />
ai suoi stessi propositi. La com-prensione dell’altro<br />
appare infatti come un movimento che va da sé a sé<br />
passando <strong>per</strong> un’alterità che viene assimilata al proprio<br />
orizzonte (Said 2002; cfr. anche Borutti 1999). La traduzione<br />
può essere pensata – e va praticata – invece come<br />
un gesto che va dall’alterità all’alterità: partendo dall’ascolto<br />
dell’altro <strong>per</strong>viene a <strong>una</strong> trasformazione reciproca<br />
(la traduzione, si ripete costantemente, arricchisce<br />
sia la lingua <strong>di</strong> partenza che quella d’arrivo), alla creazione<br />
<strong>di</strong> due alterità che hanno ora qualcosa in comune,<br />
quantomeno la loro reciproca trasformazione, il loro<br />
stesso essere entrati in contatto.<br />
La traduzione in tal senso va considerata come uno<br />
spazio, un piano, in comune su cui in un dato momento
IMPERFETTE TRADUZIONI 35<br />
due o più soggetti si appoggiano <strong>per</strong> confrontarsi<br />
(Clifford 1997, pp. 55 e 59). Entrandovi ne subiscono le<br />
costrizioni ma col vantaggio <strong>di</strong> poter entrare in comunicazione<br />
con gli altri; entrandovi vi prendono posizione,<br />
lo abitano e lo <strong>di</strong>storcono ognuno a suo modo.<br />
Lotman ha spesso descritto in un senso similare a questo<br />
il ruolo funzionale dei metalinguaggi, non intendendo<br />
<strong>per</strong>ò con ciò le sole lingue scientifiche ma qualsiasi prodotto<br />
umano che generi la correlazione <strong>di</strong> due o più sistemi<br />
<strong>di</strong> senso. Un caso riportato da Lotman è ad es. quello<br />
<strong>delle</strong> “lingue nazionali standard”, che intervengono come<br />
meccanismi unificatori che <strong>una</strong> volta immessi nella realtà<br />
offrono sì questo piano comune ma vengono al contempo<br />
deformate e rilocalizzate dai <strong>di</strong>versi gruppi o da ciascun<br />
parlante, che le usa e le abita a suo modo. In modo similare<br />
si potrebbe pensare a quei metalinguaggi fondamentali<br />
nella semiosi sociale che sono le costituzioni (e così<br />
pure i trattati sovranazionali, gli accor<strong>di</strong> bilaterali o commerciali<br />
ecc.) che forniscono il parametro e lo spazio <strong>di</strong><br />
gioco (più o meno con<strong>di</strong>viso) <strong>per</strong> le parti politiche e sociali<br />
<strong>di</strong> un dato ambito e in un dato momento: terreno <strong>di</strong><br />
incontro e <strong>di</strong> scontro, terreno <strong>di</strong> riferimento.<br />
Tanto più ampio è lo spettro <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità che la traduzione<br />
tenta <strong>di</strong> colmare quanto più essa rischia <strong>di</strong> essere<br />
creativa e tragica al contempo. Paolo Fabbri ha tenuto<br />
<strong>una</strong> lezione magistrale sui devastanti effetti <strong>della</strong> traduzione<br />
del Vangelo in Cina. Jean-Marie Tjibaou, leader del<br />
movimento <strong>per</strong> l’in<strong>di</strong>pendenza kanak, s<strong>per</strong>imentatore in<br />
vivo <strong>della</strong> costante necessità <strong>di</strong> tradurre sia l’alterità che la<br />
propria tra<strong>di</strong>zione poteva invece affermare che la Bibbia<br />
non era dei bianchi: con questa frase il politico <strong>della</strong> Nuova<br />
Caledonia attirava l’attenzione sull’appropriazione selettiva<br />
e trasformativa <strong>di</strong> un oggetto non proprio (Clifford<br />
2003, p. 86; Bensa 1998), <strong>di</strong>venuto, in <strong>una</strong> lontana isola<br />
dell’Oceania, <strong>di</strong>verso da sé e contemporaneamente parte<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> cultura antica e nuovissima al contempo.
36 FRANCISCU SEDDA<br />
Si noti il paradosso: il cristianesimo gioca qui il ruolo<br />
<strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso-parametro, <strong>di</strong> un linguaggio <strong>di</strong> traduzione,<br />
“globale”, e al contempo esiste concretamente solo<br />
come parte del mondo <strong>di</strong> vita, del mondo immaginato,<br />
<strong>di</strong> un collettivo situato che facendolo suo lo “localizza”<br />
– non solo nel senso che lo introduce in <strong>una</strong> località territoriale<br />
(la Nuova Caledonia) ma soprattutto nel senso<br />
che lo rende un pezzo “locale” all’interno <strong>di</strong> un sistema<br />
culturale in se stesso più ampio, “globale” (la “cultura<br />
kanak <strong>di</strong> oggi”). È questo meccanismo che consente <strong>di</strong><br />
stabilire <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> correlazioni che definiscono zone<br />
<strong>di</strong> traducibilità e <strong>di</strong> intraducibilità, <strong>di</strong> appropriazione e<br />
rifiuto: come se definissimo il piano <strong>di</strong> coloro che aderiscono<br />
al cristianesimo e poi <strong>di</strong>cessimo senza paura <strong>di</strong><br />
contrad<strong>di</strong>zione “hanno la stessa religione, ma non è<br />
uguale da ness<strong>una</strong> parte: non ha lo stesso valore e la<br />
stessa forma dap<strong>per</strong>tutto”.<br />
Cre<strong>di</strong>amo che i ragionamenti <strong>di</strong> Sahlins (2000) circa<br />
la presenza contemporanea <strong>di</strong> <strong>una</strong> logica (un “linguaggio”)<br />
capitalista generale e dei suoi sovvertimenti<br />
locali possa rientrare in questo schema. E così pure i<br />
ragionamenti circa la “globalizzazione” o l’“occidentalizzazione”<br />
(Tomlinson 1999), in quanto logiche unificate<br />
e unificanti che tuttavia lasciano sempre, scendendo<br />
<strong>di</strong> livello, l’impressione se non <strong>di</strong> <strong>una</strong> loro<br />
scomparsa quantomeno <strong>di</strong> <strong>una</strong> loro pulviscolarizzazione<br />
all’interno <strong>di</strong> altre logiche, altri sguar<strong>di</strong>, altre narrazioni<br />
più composite ed eterogenee. È forse vero che<br />
dobbiamo abituarci a pensare a <strong>una</strong> realtà fatta <strong>di</strong><br />
molti piani d’esistenza in tensione, <strong>per</strong>sino schizofrenica,<br />
fra <strong>di</strong> loro. Pronti a scivolare uno sull’altro, a ribaltarsi<br />
o accomodarsi in stabili configurazioni. Nulla<br />
ci vieta, se non la nostra abitu<strong>di</strong>ne riduzionistica e lo<br />
sforzo che inizialmente comporta trarcene fuori, <strong>di</strong> tenere<br />
in compresenza questi livelli, sia dal punto <strong>di</strong> vista<br />
teorico sia nelle sue conseguenze pratiche.
IMPERFETTE TRADUZIONI 37<br />
E si noti, questa logica riduzionistica da evitare agisce<br />
anche nel bene. Basti pensare a un recente spot <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> compagnia telefonica che mostrava Gandhi intento<br />
a <strong>di</strong>ffondere il suo messaggio e il suo linguaggio nonviolento<br />
a un pianeta tecnologicamente connesso: “Se<br />
avesse potuto comunicare così, oggi che mondo sarebbe?”<br />
si domandava questo spot indubbiamente bello ed<br />
evocativo. Ma il punto è che la non-violenza può essere<br />
a sua volta un metalinguaggio – se ne può anche fare la<br />
teoria – ma la sua declinazione locale (<strong>per</strong> non parlare<br />
<strong>della</strong> sua stessa accettazione) rimarrebbe soggetta a <strong>una</strong><br />
ricezione plurale, a <strong>una</strong> logica <strong>della</strong> traduzione che esula<br />
da qualsiasi facile utopia <strong>della</strong> comprensione e <strong>della</strong> comunicazione<br />
globale, come se i problemi dell’uomo fossero<br />
solo materia <strong>di</strong> mancanze tecnologiche.<br />
Il problema <strong>della</strong> traduzione inizia sulla porta <strong>di</strong> casa.<br />
Basta pensare al termine “non-violenza” che in italiano<br />
nonostante il trattino gira in negativo l’affermazione<br />
tutta positiva contenuta nel termine originale<br />
satyagraha, colorando <strong>di</strong> passività un intero <strong>di</strong>scorso<br />
fondato esattamente sul sentimento contrario, <strong>una</strong> volontà<br />
<strong>di</strong> azione e trasformazione del mondo talmente<br />
forte da portare Gandhi (1996, pp. 18-24) al punto <strong>di</strong><br />
affermare che davanti all’ingiustizia l’agire violento è<br />
preferibile all’inazione e alla codar<strong>di</strong>a: tutt’altro che un<br />
“porgere l’altra guancia”. O si pensi alle ra<strong>di</strong>ci <strong>della</strong><br />
non-violenza nell’induismo, al suo ra<strong>di</strong>camento nel<br />
contesto in<strong>di</strong>ano prein<strong>di</strong>pendenza e a tutti gli altri elementi<br />
che ne rendono la traduzione locale-attuale <strong>una</strong><br />
sfida tanto importante quanto complessa. Si pensi infine<br />
allo stesso Gandhi, convinto com’era che la verità<br />
<strong>della</strong> non-violenza fosse un cammino infinito che<br />
ognuno doveva ri<strong>per</strong>correre da capo e a suo modo. Come<br />
ad affermare che ciascuno deve praticamente ritessere<br />
le trame fra i principi ideali – anche i migliori – e<br />
la sua vita, la sua realtà circostante.
38 FRANCISCU SEDDA<br />
Correlazioni instabili ed equivalenze im<strong>per</strong>fette<br />
Come abbiamo visto la definizione <strong>di</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong><br />
cultura proposta dagli stu<strong>di</strong>osi russi portava negli anni<br />
Settanta la sua attenzione sulle correlazioni fra sistemi.<br />
Tuttavia il <strong>per</strong>corso storico-antropologico che abbiamo<br />
seguito e la stessa evoluzione del pensiero lotmaniano ci<br />
inducono a qualche ulteriore riflessione. Non in<strong>di</strong>fferente<br />
in tal senso è che, come ricordava Peeter Torop (1995a)<br />
nella sua rassegna degli elementi definitori <strong>della</strong> Scuola <strong>di</strong><br />
Tartu “come scuola”, Lotman sia passato dalla “comprensione<br />
del testo come manifestazione <strong>della</strong> lingua” alla<br />
“comprensione del testo come generatore <strong>della</strong> sua stessa<br />
lingua” 13 , enfatizzando in definitiva l’aspetto processuale,<br />
il gioco <strong>di</strong> costante generazione <strong>di</strong> sistematicità attraverso<br />
gli oggetti culturali. In tal senso ci pare dunque che la <strong>semiotica</strong><br />
<strong>della</strong> cultura, anche in conformità con la definizione<br />
generale <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>di</strong> ambito europeo 14 , si possa<br />
oggigiorno intendere sia come lo stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> correlazione<br />
fra processi e fra sistemi <strong>di</strong> senso, sia come lo stu<strong>di</strong>o dei sistemi<br />
e dei processi <strong>di</strong> correlazione.<br />
Ancora <strong>una</strong> volta, ripetiamolo, non si tratta <strong>di</strong> scegliere<br />
fra stabilità e <strong>di</strong>namismo, fra simmetria e asimmetria,<br />
ma <strong>di</strong> cogliere le forme <strong>della</strong> loro compresenza, del<br />
loro <strong>di</strong>spiegarsi insieme, <strong>una</strong> attraverso l’altra. La <strong>di</strong>ade<br />
flussi/panorami elaborata nella teoria <strong>della</strong> cultura <strong>di</strong><br />
Appadurai rende bene questo gioco fra processi e<br />
sistemi: secondo lo stu<strong>di</strong>oso in<strong>di</strong>ano essi infatti sono<br />
“costrutti profondamente prospettici, declinati dalle<br />
contingenze storiche, linguistiche e politiche <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi<br />
tipi <strong>di</strong> attori” (Appadurai 1996, pp. 52-53) tale <strong>per</strong> cui<br />
da un lato viene detto che il suffisso -scape (che viene<br />
utilizzato nel neologismo che tiene insieme flussi e processi)<br />
in<strong>di</strong>ca “la forma fluida e irregolare <strong>di</strong> questi panorami”<br />
identitari (p. 52) e dall’altro lato che i flussi (<strong>di</strong><br />
uomini, idee, immagini, tecnologie e sol<strong>di</strong>) sono dei “pa-
IMPERFETTE TRADUZIONI 39<br />
norami se visti nelle prospettive stabilizzanti <strong>di</strong> un qualunque<br />
mondo immaginato” (p. 68), vale a <strong>di</strong>re <strong>una</strong> volta<br />
colti all’interno <strong>di</strong> un mondo culturale inteso come<br />
Discorso, un universo <strong>di</strong> valori retto da un credere, <strong>una</strong><br />
memoria e un’attesa <strong>di</strong> sé.<br />
Tutto rischia <strong>di</strong> sembrare più ambiguo, più instabile,<br />
più “mosso”. Ogni correlazione sembra revocabile o in<br />
<strong>di</strong>scussione. Quando Lotman (1985, p. 63) affermava che<br />
“il punto da cui passa il confine <strong>di</strong> <strong>una</strong> cultura <strong>di</strong>pende<br />
(…) dalla posizione dell’osservatore” e che la storia dei<br />
popoli può essere vista contemporaneamente in due prospettive,<br />
“da <strong>una</strong> parte come sviluppo immanente, dall’altra<br />
come risultato <strong>di</strong> multiformi influenze esterne”<br />
(1993a, p. 87), certamente richiamava l’attenzione su <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> presa d’atto circa la complessità del mondo. E sebbene<br />
fosse conscio dei rischi insiti nella “schizofrenia <strong>della</strong><br />
cultura”, non<strong>di</strong>meno è all’ospitalità <strong>delle</strong> pluralità che invitava<br />
con fiducia, o quantomeno con coraggio, quando<br />
parla <strong>di</strong> <strong>una</strong> visione stereoscopica (1980). Un invito a pensare<br />
con gli altri piuttosto che contro <strong>di</strong> essi.<br />
Come si vede l’emersione del proprio e dell’altrui,<br />
del proprio mondo immaginato e <strong>di</strong> ciò che lo attraversa<br />
o sta al <strong>di</strong> fuori, <strong>di</strong> ciò che <strong>per</strong>mane e ciò che passa, è il<br />
prodotto <strong>di</strong> un gioco relazionale e <strong>di</strong>fferenziale, mai<br />
compiuto, mai definitivo, <strong>per</strong> quanto mai totalmente libero<br />
da con<strong>di</strong>zionamenti, da <strong>una</strong> inerzia storica che tende<br />
a circoscrivere il campo del possibile <strong>per</strong> quanto non<br />
possa chiuderlo in principio.<br />
Per questo abbiamo richiamato in precedenza la metafora<br />
<strong>della</strong> tessitura, non solo <strong>per</strong> l’evidente rimando etimologico<br />
a uno dei concetti semiotici fondamentali, quello<br />
<strong>di</strong> testo. Ma proprio <strong>per</strong> riferirci a questo lavorio costante,<br />
spesso anonimo e <strong>di</strong>s<strong>per</strong>so, <strong>di</strong> costituzione del sociale.<br />
Ciò che continuamente facciamo producendo testi o<br />
testualizzando il mondo, secondo Lotman (1985, p. 86),<br />
è stabilire “equivalenze convenzionali”, inesatte ma as-
40 FRANCISCU SEDDA<br />
sociative, capaci – <strong>per</strong> quanto queste correlazioni siano<br />
<strong>di</strong>namiche (p. 69) – <strong>di</strong> stendere <strong>una</strong> rete organizzatrice<br />
sul mondo, capaci <strong>di</strong> farci viaggiare fra <strong>culture</strong>, farci<br />
passare da <strong>di</strong>scorsi scientifici a <strong>di</strong>scorsi quoti<strong>di</strong>ani, da<br />
identità collettive a identità <strong>per</strong>sonali (o ad altre identità<br />
collettive), da romanzi a film, da musiche a danze a videoclip,<br />
senza <strong>per</strong>dere (del tutto) il sentimento <strong>della</strong><br />
realtà e <strong>della</strong> sensatezza <strong>delle</strong> cose.<br />
I collettivi umani hanno sempre vissuto attraverso<br />
questo gioco <strong>di</strong> influenze, prestiti, trasposizioni, atti <strong>di</strong><br />
“pirateria” politico-culturale (Anderson 1983): sia che si<br />
trattasse <strong>di</strong> trasposizioni materiali come quelle <strong>di</strong> oggetti<br />
e pratiche o astratte come quelle <strong>di</strong> modelli <strong>di</strong> vita, valori,<br />
concetti. E sempre queste traduzioni <strong>di</strong> forme semiotiche<br />
hanno dato <strong>delle</strong> “equivalenze senza identità”<br />
(Ricœur 2005), im<strong>per</strong>fette e instabili.<br />
La storia <strong>delle</strong> nazioni e dei flussi <strong>di</strong> idee e ideologie<br />
ne è <strong>una</strong> testimonianza potente e spaesante. Pensiamo<br />
ad esempio agli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Lotman (1984) sulla ricezione<br />
russa del pensiero <strong>di</strong> Rousseau, al cricket in<strong>di</strong>ano analizzato<br />
da Appadurai (1996), alle analisi <strong>di</strong> Robertson<br />
(1992) sull’importazione <strong>di</strong> idee sulla nazione in Giappone.<br />
Non a caso Bene<strong>di</strong>ct Anderson ha parlato <strong>di</strong> veri<br />
e propri “spettri <strong>della</strong> comparazione”, presenze fantasmatiche<br />
che colgono colui che si ritrova a guardare se<br />
stesso – la copia <strong>di</strong> se stesso – importata, trasposta e<br />
deformata in un altro luogo. Come davanti al riutilizzo<br />
“innocente” e “patriottico” <strong>della</strong> visione nazionalista hitleriana<br />
nei <strong>di</strong>scorsi del presidente Sukarno, leader <strong>della</strong><br />
lotta anticolonialista indonesiana (Anderson 1998).<br />
Doppie prese e sguar<strong>di</strong> strabici<br />
Davanti a questi strani giochi ottici <strong>della</strong> realtà culturale<br />
abbiamo bisogno <strong>di</strong> ridefinire le nostre abitu<strong>di</strong>ni
IMPERFETTE TRADUZIONI 41<br />
<strong>per</strong>cettive, sia come in<strong>di</strong>vidui che come stu<strong>di</strong>osi <strong>delle</strong><br />
<strong>culture</strong>. In primo luogo e concretamente, nel nostro<br />
quoti<strong>di</strong>ano vivere <strong>semiotica</strong>mente, abbiamo bisogno <strong>di</strong><br />
attivare senza posa quella doppia presa che Lotman vivendo<br />
in uno spazio <strong>di</strong> conflitto e <strong>di</strong> frontiera come Tartu<br />
aveva s<strong>per</strong>imentato sulla sua pelle, rendendosi capace<br />
<strong>di</strong> valorizzare la cultura russa pur essendo stato allontanato<br />
in Estonia dal regime sovietico a causa <strong>delle</strong> sue<br />
origini ebraiche; rendendosi capace <strong>di</strong> parlare a favore<br />
dell’in<strong>di</strong>pendenza dell’Estonia davanti ai suoi connazionali<br />
nonostante i complessi rapporti con il mondo estone,<br />
pur sempre pronto a identificare Lotman con l’invasore<br />
sovietico (cfr. Burini, Niero 2001; Caceres 1996).<br />
Vedere il proprio come altro, vedere l’altro come il<br />
proprio (Lotman 1993b), questa è <strong>una</strong> doppia presa sulle<br />
cose del mondo.<br />
Non è un processo facile, e la sua emersione sembra<br />
lo strano privilegio <strong>di</strong> coloro che patiscono sulla loro<br />
pelle l’es<strong>per</strong>ienza dolorosa e drammatica dell’esilio, coloro<br />
che dalla trage<strong>di</strong>a ricavano la possibilità <strong>di</strong> <strong>una</strong> sensibilità<br />
<strong>di</strong>versa. E tuttavia, forse, non si tratta più <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
esigenza eccezionale e limitata a pochi in<strong>di</strong>vidui, ma <strong>una</strong><br />
necessità che questo mondo sempre più ci impone.<br />
A questo incrocio orizzontale, dobbiamo forse affiancarne<br />
un altro, verticale, più esplicitamente legato a questioni<br />
<strong>di</strong> metodo. Si tratta <strong>di</strong> <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> attitu<strong>di</strong>ne che<br />
ci piace definire uno sguardo strabico, e che ci pare riconnettere<br />
profondamente Hjelmslev e Lotman. Stiamo<br />
parlando in definitiva del necessario rapporto fra analisi<br />
e sintesi (o, in termini hjelmsleviani, <strong>di</strong> analisi e catalisi):<br />
un rapporto che definisce le con<strong>di</strong>zioni <strong>della</strong> prensione<br />
del senso degli oggetti-testi che noi stessi parzialmente<br />
costruiamo. Il movimento che ci viene descritto da<br />
Hjelmslev (1961) è infatti quello <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>di</strong>scesa analitica<br />
che a ogni passo “encatalizza” – ricostruisce e si porta<br />
appresso – un sistema (e uno sfondo) coesivo ai fram-
42 FRANCISCU SEDDA<br />
menti <strong>di</strong> cui si vuole illuminare il senso. Di converso la<br />
ricostruzione dei sistemi non può non avvenire attraverso<br />
la presa e la tessitura o<strong>per</strong>ata su frammenti <strong>di</strong> linguaggio<br />
che sono le uniche “realtà” (i “testi inanalizzati”<br />
<strong>di</strong> Hjelmslev) a nostra <strong>di</strong>sposizione. Insomma, in questo<br />
movimento <strong>di</strong> incrocio assistiamo a un gioco <strong>di</strong> co-emersione,<br />
che fa saltare fuori un testo, inteso come un insieme<br />
<strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenze “interne” date dal rapporto fra<br />
<strong>una</strong> forma del contenuto e <strong>una</strong> forma dell’espressione,<br />
dei segni che lo popolano e ne sono la manifestazione<br />
ultima e su<strong>per</strong>ficiale, un co-testo che (emergendo generalmente<br />
dall’interno del testo) fa da sfondo (da deposito<br />
e architettura <strong>di</strong> forme) rispetto a cui si stabiliscono le<br />
correlazioni (“esterne”) socialmente significative fra il<br />
testo (con i suoi segni) e l’extratesto.<br />
Questa generazione <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> avviene sempre, sia<br />
nella presa analitica che in quella quoti<strong>di</strong>ana, ma avviene<br />
spesso in modo irriflesso.<br />
Semiosfera/Semiosfere<br />
Una continua proliferazione <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> nel mondo. È<br />
questa un’idea che cre<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> poter desumere da alcuni<br />
saggi <strong>di</strong> Lotman, a partire da quello famoso sulla semiosfera,<br />
passando <strong>per</strong> un altro, molto importante, in<br />
cui lo stu<strong>di</strong>oso russo riprende la visione <strong>di</strong> Leibniz (Lotman<br />
1993c), fino ad arrivare a La cultura e l’esplosione.<br />
È impossibile tracciare qui questo <strong>per</strong>corso. Ciò che<br />
invece possiamo fare è mostrare come la cultura, in<br />
quanto semiosfera, si configura negli scritti lotmaniani<br />
come un <strong>di</strong>spositivo glocale e al contempo come un<br />
meccanismo “a fisarmonica”, o pulsante.<br />
Iniziamo <strong>di</strong>cendo che in alcuni passaggi molto densi<br />
Lotman ci descrive un movimento <strong>della</strong> semiosfera fra<br />
piattezza, elevazione e appiattimento. Cosa significa? In-
IMPERFETTE TRADUZIONI 43<br />
nanzitutto significa che la semiosfera ha sempre necessità<br />
<strong>di</strong> un fuori, <strong>di</strong> <strong>una</strong> non-cultura – l’impensato, il non<br />
conosciuto, ciò che semplicemente, in un dato momento,<br />
ci è estraneo –, rispetto a cui definirsi. In tal senso essa<br />
è come un linguaggio, <strong>una</strong> forma, che filtra e regola la<br />
traduzione dell’esterno non-semiotico in qualcosa <strong>di</strong> significativo<br />
e segnico. Pensiamo ad esempio alla traduzione<br />
culturale del mondo degli “esteri” che i me<strong>di</strong>a domestici,<br />
con tutti i loro filtri linguistici, ideologici, tecnici<br />
o<strong>per</strong>ano quoti<strong>di</strong>anamente (cfr. Pezzini, Sedda 2004).<br />
Tuttavia questo “fuori”, questa materia amorfa, è <strong>per</strong><br />
certi versi uno spazio che ingloba la forma (Fabbri<br />
1998b), che la circonda e a suo modo non smette <strong>di</strong> attraversarla.<br />
In molti punti Lotman lascia baluginare questo<br />
fondo instabile, energetico, pulsionale che continuamente<br />
preme, <strong>di</strong>namizza e sfrangia l’or<strong>di</strong>ne <strong>delle</strong> cose.<br />
Ora la semiosfera si adagia su questo fondo, lo cattura<br />
e ne vive traducendolo nelle sue maglie. Solo che, <strong>per</strong> uno<br />
strano paradosso, invertendo gli sguar<strong>di</strong>, possiamo <strong>di</strong>re<br />
che è essa stessa che continuamente riproduce l’irregolarità,<br />
che se la porta dentro. Ogni testo <strong>della</strong> cultura infatti<br />
genera, dentro <strong>di</strong> sé, zone <strong>di</strong> traducibilità e intraducibilità,<br />
senso e non senso, sistematicità e caos. Si tratta <strong>di</strong> un<br />
altro <strong>di</strong> quei passaggi che i detrattori dello strutturalismo<br />
tendono a <strong>di</strong>menticare ma che nelle <strong>Tesi</strong> del 1973 è chiaro:<br />
la cultura “non si limita a lottare con il ‘caos’ esterno,<br />
ma allo stesso tempo ne ha bisogno, non solo lo annienta,<br />
ma costantemente lo crea”. Se qualcosa c’è da aggiungere<br />
è che questo caos che continuamente la cultura crea, non<br />
va subitaneamente posto lungo il suo confine esterno, ma<br />
è <strong>di</strong>s<strong>per</strong>so nei testi stessi, li abita nelle loro contrad<strong>di</strong>zioni<br />
e ambiguità, nei loro vuoti, nella loro ricercata o involontaria<br />
indeterminatezza.<br />
Questa irregolarità propria <strong>della</strong> semiosfera è il suo<br />
fondo piatto, che Lotman, in assonanza (casuale?) con la<br />
carta <strong>di</strong>agrammatica <strong>di</strong> Foucault, definisce carta semioti-
44 FRANCISCU SEDDA<br />
ca reale, uno spazio <strong>di</strong> continuo mescolamento 15 . Ma<br />
mescolamento <strong>di</strong> cosa? Mescolamento <strong>di</strong> quell’or<strong>di</strong>ne<br />
che ogni volta si innalza a partire da questo fondo attraverso<br />
le regolarità, le strutturalità, che il lavoro <strong>della</strong> cultura<br />
immette nel mondo. I linguaggi e i testi che popolano,<br />
che sono, la semiosfera non smettono infatti <strong>di</strong> gerarchizzarla,<br />
<strong>di</strong> darle un’altezza, <strong>di</strong> creare, come abbiamo<br />
ripetuto più volte, <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> correlazioni che definiscono<br />
livelli e metalivelli. Sopra il livello <strong>della</strong> carta<br />
reale, <strong>di</strong>ce Lotman, si innalzano sempre altri livelli, fino<br />
ad arrivare a quello <strong>della</strong> sua “unità ideale”, <strong>della</strong> sua<br />
autodescrizione e autocoscienza, che espungendo contrad<strong>di</strong>zioni<br />
fornisce alla cultura che se la crea <strong>una</strong> potente<br />
fonte <strong>di</strong> orientamento e automo<strong>della</strong>mento. E tuttavia<br />
Nella realtà <strong>della</strong> semiosfera le gerarchie dei linguaggi e<br />
dei testi <strong>di</strong> solito vengono meno: essi interagiscono come<br />
se si trovassero ad un solo livello. I testi appaiono immersi<br />
in linguaggi ad essi non correlati e possono mancare i co<strong>di</strong>ci<br />
capaci <strong>di</strong> deco<strong>di</strong>ficarli (Lotman 1985, pp. 63-64).<br />
Ecco dunque come nella semiosi sociale quoti<strong>di</strong>ana si<br />
riproduce un movimento <strong>di</strong> appiattimento, che trasforma<br />
uno spazio gerarchizzato e articolato (“striato”) in<br />
uno spazio piatto (tendenzialmente “liscio”, rizomatico;<br />
cfr. Deleuze, Guattari 1980), uno spazio “connessionista”<br />
in cui tutto sembra poter tornare in contatto con<br />
tutto, in cui frammenti <strong>di</strong> testi o <strong>di</strong> linguaggi possono<br />
“irrom<strong>per</strong>e” in semiosfere non loro e generare implosioni<br />
ed esplosioni del senso.<br />
Questo continuo movimento a fisarmonica, se siamo<br />
riusciti minimamente a renderlo intelligibile, ci apparirà<br />
a questo punto come <strong>una</strong> specie <strong>di</strong> pulsazione continua,<br />
un ribollimento, che fa <strong>della</strong> semiosfera un meccanismo<br />
vivo, autopoietico e in trasformazione.<br />
Ma il punto ancor più vertiginoso è che <strong>per</strong> principio<br />
la semiosfera è formata da altre semiosfere, in nu-
IMPERFETTE TRADUZIONI 45<br />
mero potenzialmente infinito, in <strong>una</strong> specie <strong>di</strong> gioco <strong>di</strong><br />
matrioske: <strong>per</strong> capirci basta seguire l’es<strong>per</strong>imento mentale<br />
<strong>di</strong> Lotman quando <strong>di</strong>ce che la stessa semiosfera<br />
<strong>della</strong> cultura umana, intesa nella sua globalità, potrebbe<br />
essere un testo all’interno <strong>di</strong> <strong>una</strong> semiosfera ancora<br />
più grande. Questa proliferazione <strong>di</strong> semiosfere significa<br />
necessariamente che il gioco fra regolarità e irregolarità,<br />
sistematicità e caos, si rifrange e moltiplica all’ennesima<br />
potenza.<br />
Non<strong>di</strong>meno è vero che se ogni semiosfera è fatta <strong>di</strong><br />
semiosfere ciò a cui ci troviamo <strong>di</strong> fronte è un <strong>di</strong>spositivo<br />
glocale in cui ogni entità è, a un certo livello, <strong>una</strong> globalità,<br />
e a un altro, <strong>una</strong> località interna a <strong>una</strong> globalità<br />
più grande. Ogni essere <strong>di</strong> questo spazio è singolare e<br />
plurale al contempo, è un essere singolare-plurale (Nancy<br />
1996). Questo rapporto fra parti e tutto – questa specie<br />
<strong>di</strong> gioco d’incastro – è definito da Lotman isomorfismo<br />
verticale, ed è ciò che garantisce lo stringersi <strong>di</strong> nessi <strong>di</strong><br />
correlazione fra linguaggi e fra testi, e dunque in definitiva<br />
un certo grado <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne all’interno del meccanismo<br />
<strong>della</strong> cultura. La tenuta <strong>di</strong> questi nessi è data dal loro<br />
depositarsi e <strong>per</strong>manere nella memoria <strong>della</strong> cultura, ed<br />
essendo questa memoria <strong>per</strong> definizione “non ere<strong>di</strong>taria”<br />
essa <strong>di</strong>venta <strong>una</strong> posta in gioco, il campo <strong>di</strong> <strong>una</strong> lotta,<br />
combattuta attraverso la continua produzione (e <strong>di</strong>struzione)<br />
<strong>di</strong> testi – <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> organizzazione del mondo<br />
–, e il possesso dei mezzi materiali (e non) <strong>per</strong> la loro<br />
stessa riproduzione (Lotman, Uspenskij 1975).<br />
Il sovrapporsi <strong>delle</strong> <strong>culture</strong>, la loro interna eterogeneità<br />
e contrad<strong>di</strong>ttorietà, il muoversi <strong>delle</strong> <strong>per</strong>sone, il<br />
viaggiare <strong>di</strong> idee e oggetti culturali, il mescolarsi <strong>delle</strong><br />
cose del mondo, il passare del tempo, fanno sì che la tenuta<br />
<strong>di</strong> questi nessi sia precaria, che si realizzi in alcune<br />
parti e si <strong>di</strong>ssolva in altre, che appaia solida e poi improvvisamente<br />
ceda. Ogni tempo e ogni spazio sembra<br />
definire i suoi isomorfismi, reggersi su <strong>di</strong> essi: poi le cor-
46 FRANCISCU SEDDA<br />
relazioni saltano e ciò <strong>di</strong> cui ci accorgiamo sono le <strong>di</strong>sgiunture<br />
(Appadurai 1996), i punti <strong>di</strong> frizione, i processi<br />
che rendono <strong>di</strong>fficili se non impossibili incastri e inscatolamenti<br />
16 .<br />
Il testo<br />
Il concetto <strong>di</strong> testo è sicuramente uno dei più importanti<br />
<strong>per</strong> la <strong>di</strong>sciplina <strong>semiotica</strong>, tanto che nelle <strong>Tesi</strong> <strong>per</strong><br />
un’analisi <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> gli autori <strong>della</strong> Scuola<br />
<strong>di</strong> Tartu lo considerano un “elemento primo (unità <strong>di</strong><br />
base) <strong>della</strong> cultura”. Sicuramente è anche uno dei più<br />
controversi, soprattutto dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> chi non<br />
con<strong>di</strong>vide il metalinguaggio semiotico. Del resto come<br />
tutti i termini ben presenti nel nostro linguaggio comune<br />
il rischio <strong>di</strong> limitazioni o frainten<strong>di</strong>menti <strong>della</strong> sua<br />
portata euristica è continuamente <strong>di</strong>etro l’angolo.<br />
Per <strong>di</strong> più si tende sovente a scordare, anche in ambito<br />
semiotico, <strong>una</strong> <strong>di</strong>stinzione basilare, che giustamente<br />
anche Gianfranco Marrone ricordava in un recente convegno<br />
de<strong>di</strong>cato alla socio<strong>semiotica</strong>. Vale a <strong>di</strong>re che esiste,<br />
<strong>per</strong> riprendere il linguaggio dell’antropologia, <strong>una</strong><br />
visione emica (dall’interno) e <strong>una</strong> etica (dall’esterno) sul<br />
testo. La visione emica è quella dei portatori <strong>della</strong> cultura<br />
– noi stessi in quanto parti <strong>di</strong> collettività situate, ambiti<br />
<strong>di</strong>scorsivi e tra<strong>di</strong>zioni culturali – che tendono a definire<br />
con loro parametri cosa è testo e cosa no. La visione<br />
etica è invece quella dello stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> <strong>semiotica</strong> in quanto<br />
partecipe <strong>di</strong> <strong>una</strong> comunità scientifica che quando <strong>di</strong>ce<br />
“testo” rimanda a <strong>delle</strong> caratteristiche (ad esempio la<br />
correlazione fra un piano dell’espressione e un piano del<br />
contenuto) che non sono generalmente con<strong>di</strong>vise e nemmeno<br />
riconosciute nella vita quoti<strong>di</strong>ana. Tale <strong>per</strong> cui <strong>per</strong><br />
il semiotico può “far testo” qualcosa che <strong>una</strong> data coscienza<br />
quoti<strong>di</strong>ana non reputerebbe mai tale. Difficil-
IMPERFETTE TRADUZIONI 47<br />
mente ad esempio suonerà sensato – e nell’imme<strong>di</strong>ato<br />
forse anche poco utile e interessante – alle mie nonne<br />
sentirmi <strong>di</strong>re che il loro modo <strong>di</strong> cucinare è un “testo”,<br />
che il loro modo <strong>di</strong> vestirsi, <strong>di</strong> parlare, <strong>di</strong> comportarsi,<br />
<strong>di</strong> vivere è un “testo”, o che, a un certo livello, il vicinato,<br />
la comunità paesana, la loro stessa vita sono dei “testi”.<br />
È invece assolutamente decisivo che io stia a sentire<br />
che cosa loro definiscono testo (e così pure “segno”, ovviamente)<br />
e, volendo allargare l’indagine, che cosa esse,<br />
in generale, ritengano significativo, portatore <strong>di</strong> un “significato<br />
globale” – come si <strong>di</strong>ce nelle <strong>Tesi</strong> – e quali siano,<br />
se ci sono, i tratti ricorrenti e fondamentali all’interno<br />
<strong>di</strong> questa visione emica del testo. Sta a me in quanto<br />
analista, a questo punto, far fruttare la capacità <strong>di</strong> tenere<br />
insieme questi due sguar<strong>di</strong>, intanto comprendendo isomorfismi<br />
e <strong>di</strong>fformità fra le due visioni, e poi cogliendo<br />
ad esempio tutti quei processi <strong>di</strong> generazione <strong>di</strong> senso<br />
che, pur non essendo riconosciuti dalle mie nonne, funzionano<br />
come testi, organizzando il loro modo <strong>di</strong> pensare,<br />
comportarsi e muoversi nel mondo; oppure capendo<br />
la specifica funzione e forza <strong>di</strong> cui si riveste tutto ciò che<br />
loro, in base alle loro griglie culturali, finiscono <strong>per</strong> <strong>per</strong>cepire<br />
come testo.<br />
Anche in Lotman troviamo spesso questo saltellare<br />
fra i due tipi <strong>di</strong> definizione del testo. E non a caso questo<br />
saltellare, che rischia <strong>di</strong> suonarci contrad<strong>di</strong>ttorio, si<br />
manifesta maggiormente in quei saggi che hanno a che<br />
fare con le poetiche del comportamento quoti<strong>di</strong>ano, vale a<br />
<strong>di</strong>re esattamente laddove la visione emica reclama con<br />
più forza i suoi <strong>di</strong>ritti. Nel saggio scritto con Uspenskij e<br />
de<strong>di</strong>cato al mondo del riso nella cultura dell’antica Rus’,<br />
ad esempio, ritroviamo un utilizzo del termine “testo”<br />
chiaramente legato alla “scrittura” e contrapposto alla<br />
<strong>di</strong>mensione “orale” che viene vista come <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong><br />
sfondo extratestuale. Data tale impostazione sembrerebbe<br />
che in effetti si riproduca <strong>una</strong> <strong>di</strong>cotomia nefasta e
48 FRANCISCU SEDDA<br />
spesso rimproverata alla <strong>semiotica</strong>, quella fra testi e vita,<br />
come se ci fosse <strong>una</strong> separazione netta e reale fra i due e<br />
la <strong>semiotica</strong> si occupasse semplicemente dei primi abbandonando<br />
a se stessa, o a qualche altra <strong>di</strong>sciplina, la<br />
comprensione <strong>delle</strong> vita “vera”.<br />
Basterà tuttavia notare che stu<strong>di</strong>ando il rapporto fra<br />
il testo e la funzione Lotman e Piatigorski (1968, pp.<br />
164-165), rimanendo a livello emico, parlano dei “testi”<br />
<strong>delle</strong> <strong>culture</strong> orali evidenziando come, dal punto <strong>di</strong> vista<br />
<strong>di</strong> quelle <strong>culture</strong>, la scrittura potrebbe portare su <strong>di</strong> sé<br />
proprio il marchio <strong>della</strong> non-testualità. E del resto, anche<br />
nel saggio sulla cultura dell’antica Rus’, ciò a cui<br />
Lotman e Uspenskij ci invitano è la penetrazione <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
pratica, il “ridere”, all’interno del byt – la vita quoti<strong>di</strong>ana,<br />
intesa come un ambiente carico <strong>di</strong> valori e significati<br />
– e in correlazione con la sfera <strong>della</strong> scrittura. Vale a <strong>di</strong>re,<br />
non ci chiedono <strong>di</strong> esplorare i testi in quanto “scritti”,<br />
ma <strong>di</strong> penetrare con sguardo semiotico tutte le “pratiche<br />
significanti” – <strong>per</strong> utilizzare un bel termine <strong>di</strong><br />
Barthes (1985, p. 7) – tutti i processi <strong>di</strong> formazione del<br />
senso, in particolare nei loro rapporti reciproci.<br />
Arrivati a questo punto conviene soffermarsi invece<br />
sulla definizione <strong>di</strong> testo in senso semiotico. È interessante<br />
notare che la questione emerge nel saggio sulle Ricerche<br />
semiotiche del 1973 in un modo che mentre da un<br />
lato risponde alle critiche ai meto<strong>di</strong> strutturali <strong>di</strong> indagine<br />
<strong>della</strong> realtà, dall’altro lato già prefigura la concezione<br />
<strong>di</strong> testo che Lotman porterà avanti fino alla fine <strong>della</strong><br />
sua vita, <strong>una</strong> concezione che è esattamente estranea alla<br />
riduzione del testo a qualcosa <strong>di</strong> chiuso, coerente, organico.<br />
Non potendo dar conto <strong>di</strong> tutto questo cammino<br />
ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> focalizzare solo alcuni punti interessanti.<br />
Innanzitutto <strong>per</strong> l’ultimo Lotman il testo va inteso<br />
non come un oggetto stabile, con marche costanti, ma<br />
come <strong>una</strong> funzione. Tutto può comparire nel ruolo <strong>di</strong> testo,<br />
o essere trattato come tale (1993a, p. 146). Basti
IMPERFETTE TRADUZIONI 49<br />
pensare alla pratica <strong>di</strong> definizione dei corpora, sia nella<br />
ricerca scientifica (ad esempio gli oggetti <strong>delle</strong> tesi <strong>di</strong><br />
laurea) che nei <strong>di</strong>scorsi quoti<strong>di</strong>ani, ovvero a come si costruiscono<br />
insiemi <strong>di</strong> materiali (intellettuali e/o sensibili)<br />
che definiscono loro stessi i contorni degli oggetti che<br />
trattano: si pensi alle pratiche <strong>di</strong> un laboratorio scientifico,<br />
a un libro <strong>di</strong> storia che descrive “il Novecento” o<br />
“L’epoca moderna” ecc.<br />
In secondo luogo il testo viene visto come un composto<br />
variabile a tre termini: ovvero, esso si origina all’intersezione<br />
dei punti <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> quelli che Lotman chiama<br />
ancora autore e pubblico – e che in termini più astratti<br />
potremmo chiamare enunciatore ed enunciatario – e attraverso<br />
“la presenza <strong>di</strong> determinati contrassegni strutturali,<br />
<strong>per</strong>cepiti come segnali del testo” (p. 147), vale a<br />
<strong>di</strong>re qualcosa che sia in<strong>di</strong>viduabile come enunciato. Fermiamoci<br />
un attimo <strong>per</strong> notare che a <strong>di</strong>spetto <strong>della</strong> scelta<br />
<strong>semiotica</strong> <strong>di</strong> limitare l’analisi alla sola intentio o<strong>per</strong>is<br />
(Eco 1990b) qui Lotman sembra riallargare il ventaglio<br />
al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> quella che lui stesso definisce la “memoria <strong>di</strong>retta<br />
del testo, la sua struttura interna” (Lotman 1993a,<br />
p. 25). Ciò non toglie ovviamente che l’enunciato continui<br />
a identificarsi, <strong>per</strong> così <strong>di</strong>re, con il punto <strong>di</strong> vista privilegiato<br />
dello stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> <strong>semiotica</strong>, in quanto ricercatore<br />
e <strong>di</strong>fensore <strong>di</strong> un’empiria da cui costantemente l’analisi<br />
deve partire e la teoria <strong>di</strong>scendere (Fabbri 1998a).<br />
In definitiva, a livello <strong>della</strong> semiosi sociale, il testo si<br />
dà nel gioco <strong>di</strong> emersione e definizione reciproca <strong>di</strong> questi<br />
tre elementi. Questo significa che a seconda dei fenomeni<br />
sociosemiotici che ci troviamo a indagare il peso<br />
dei tre punti <strong>di</strong> vista può variare. Chi è l’enunciatore <strong>di</strong><br />
un paesaggio? E <strong>di</strong> prodotti industrializzati come un<br />
film, un oggetto <strong>di</strong> consumo, <strong>una</strong> notizia del TG? E come<br />
la sua <strong>per</strong>cezione <strong>di</strong> noi enunciatari ne determina il senso?<br />
Perché un’intenzione e un enunciato che a noi sembrano<br />
evidenti possono non esistere, e non essere colti,
50 FRANCISCU SEDDA<br />
dal nostro interlocutore? Perché anche dentro uno stesso<br />
collettivo quello che <strong>per</strong> alcuni è musica – un enunciato<br />
– <strong>per</strong> altri è rumore – un non-enunciato? Come fa l’uomo,<br />
ad esempio attraverso la ricerca scientifica, a far continuamente<br />
emergere dentro il mondo che già conosce<br />
strutture – enunciati – <strong>di</strong> cui prima nemmeno sospettava<br />
l’esistenza? E così all’infinito. Allo stesso modo possiamo<br />
notare che può accadere che dai tre punti <strong>di</strong> vista lo stesso<br />
“oggetto testuale” mo<strong>di</strong>fichi la sua fisionomia e significhi<br />
qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso. Lotman e Uspenskij fanno l’esempio<br />
del film all’incrocio fra le sue proprie formalità –<br />
emergenti rispetto al confronto con il “flusso” <strong>della</strong> vita<br />
e con gli altri me<strong>di</strong>a che tentano <strong>di</strong> darle forma – la <strong>per</strong>cezione<br />
“<strong>di</strong>screta” che ne ha il regista e quella “continua”<br />
dello spettatore. A questo punto potremmo tranquillamente<br />
immaginare il gioco <strong>di</strong> prospettive che compone<br />
e scompone oggetti complessi come <strong>una</strong> partita <strong>di</strong><br />
calcio, <strong>una</strong> manifestazione politica, un e<strong>di</strong>ficio, un quartiere,<br />
<strong>una</strong> città, un’istituzione, <strong>una</strong> cultura, un’organizzazione<br />
sovranazionale e così via. Forse non è irrilevante<br />
far notare proprio qui che Merleau-Ponty (1964) proponeva<br />
<strong>di</strong> pensare il mondo come un intermondo, prodotto<br />
all’incrocio <strong>di</strong> un gioco <strong>di</strong> prospettive che chiama in causa<br />
i nostri sa<strong>per</strong>i tanto quanto i nostri corpi.<br />
In terzo luogo, infine, il testo intrattiene un complesso<br />
rapporto con il tempo, come se fosse “un fermo-immagine<br />
sui generis, un momento fissato artificialmente<br />
tra il passato e il futuro” (Lotman 1993a, p. 25). È ciò<br />
che gli garantisce un grado <strong>di</strong> a<strong>per</strong>tura e <strong>di</strong> indeterminatezza<br />
altissimo. Infatti:<br />
Il rapporto tra passato e futuro non è simmetrico. Il passato<br />
si lascia afferrare in due sue manifestazioni: la memoria<br />
<strong>di</strong>retta del testo, incarnata nella sua struttura interna, nella<br />
sua inevitabile contrad<strong>di</strong>ttorietà, nella lotta immanente<br />
con il suo sincronismo interno; ed esternamente, come<br />
correlazione con la memoria extratestuale. Lo spettatore,
IMPERFETTE TRADUZIONI 51<br />
collocandosi con il pensiero in quel “tempo presente” che<br />
è realizzato nel testo (<strong>per</strong> esempio, nel dato quadro, nel<br />
momento, nel quale io lo guardo), è come se rivolgesse il<br />
proprio sguardo al passato, il quale si restringe come un<br />
cono che poggia con la punta nel tempo presente. Rivolgendosi<br />
verso il futuro, il pubblico si sprofonda in un fascio<br />
<strong>di</strong> possibilità che non hanno ancora compiuto la loro<br />
scelta potenziale. L’ignoranza del futuro <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> attribuire<br />
un significato a tutto (ib.).<br />
Il testo non si limita dunque al suo essere “struttura”,<br />
sistema <strong>di</strong> relazioni interne (1964). Intanto <strong>per</strong>ché<br />
dentro <strong>di</strong> sé inscrive tensioni, contrad<strong>di</strong>zioni, <strong>di</strong>aloghi,<br />
che sono il frutto <strong>della</strong> sua capacità <strong>di</strong> conservare e formare<br />
a suo modo le tracce dello spazio-tempo da cui si<br />
origina. In secondo luogo <strong>per</strong>ché in quanto congegno<br />
produttore <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong> trasformazione <strong>della</strong> realtà il<br />
testo punta dritto verso il futuro: emana la sua “aura <strong>di</strong><br />
contesto” – come un e<strong>di</strong>ficio che attraverso il suo stile<br />
influenza la <strong>per</strong>cezione <strong>di</strong> ciò che gli sta intorno (1998a,<br />
p. 38) – proprio attraverso la configurazione interna <strong>di</strong><br />
un co-testo (Fabbri 2001), vale a <strong>di</strong>re la prefigurazione<br />
del suo rapporto <strong>di</strong>alogico con l’esterno. In definitiva<br />
ogni struttura testuale, anche quella più fissa, affonda<br />
pienamente nel mondo: lo tira dentro <strong>di</strong> sé dall’inizio alla<br />
fine. Il che è ben evidente in tutti quei testi “in atto”,<br />
“in situazione”, che nella nostra <strong>per</strong>cezione non si <strong>di</strong>staccano<br />
dal flusso <strong>della</strong> vita e non<strong>di</strong>meno rispondono a<br />
determinate formalità, come ad esempio i complessi<br />
spaziali e architettonici, o i <strong>di</strong>versi “generi” che compongono<br />
i nostri vissuti quoti<strong>di</strong>ani: <strong>una</strong> “conversazione”,<br />
<strong>una</strong> “preghiera”, <strong>una</strong> “partita (a un qualunque gioco)”,<br />
il “preparare un pranzo”, “andare a passeggio”,<br />
“fare shopping”, il partecipare a un “evento”, a <strong>una</strong><br />
“manifestazione”, <strong>una</strong> “lotta”.<br />
Il paradosso è del resto evidente: gli oggetti testuali<br />
che nella nostra <strong>per</strong>cezione si staccano maggiormente
52 FRANCISCU SEDDA<br />
dalla “vita” (romanzi, film, album musicali ecc.) e che ci<br />
sembrano apparentemente inerti, rivelano ben presto<br />
<strong>una</strong> strana vitalità, <strong>per</strong> certi versi maggiore rispetto a testualità<br />
ben più fluide che emergono e si esauriscono “in<br />
atto”. I primi, infatti, non smettono dal loro interno <strong>di</strong><br />
protendersi verso l’esterno, alla ricerca <strong>di</strong> un enunciatario-destinatario<br />
che vada a formare con loro “un complesso<br />
insieme strutturale” – come <strong>di</strong>ce Lotman in Che<br />
cosa dà l’approccio semiotico? In tal senso, pur apparentemente<br />
sempre uguali a se stessi, essi ogni volta <strong>di</strong>vengono<br />
qualcosa <strong>di</strong> nuovo. Come <strong>per</strong> un testo scritto: sulla<br />
frontiera fra l’enunciato e l’enunciatario si stabilisce un<br />
<strong>di</strong>alogo, coo<strong>per</strong>azione (Eco 1979) o lotta (Geninasca<br />
1997), che non solo trasforma cognitivamente e passionalmente<br />
il lettore (Pezzini 1998), ma produce <strong>una</strong> nuova<br />
semiosfera dall’incontro <strong>di</strong> due vere e proprie <strong>per</strong>sonalità<br />
semiotiche, entrambe vive e in trasformazione.<br />
Come ha detto Lotman, l’Amleto <strong>di</strong> Shakespeare non è<br />
più ciò che era davanti al suo creatore, il suo primo lettore.<br />
Esso è <strong>di</strong>venuto anche la memoria <strong>delle</strong> sue interpretazioni.<br />
Esso ha catturato tempi ed eventi: è cambiato<br />
e cresciuto con il mondo così come sono cambiati coloro<br />
che l’hanno incontrato leggendolo.<br />
I testi, un romanzo quanto la vita <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo o<br />
<strong>una</strong> danza popolare (Sedda 2003), fanno la storia e se ne<br />
impregnano. Sono essi stessi, nel bene o nel male, la memoria<br />
e la vita <strong>delle</strong> <strong>culture</strong>.<br />
Poetiche quoti<strong>di</strong>ane<br />
Nel momento in cui si focalizza l’attenzione sulle<br />
poetiche quoti<strong>di</strong>ane ci si sta sicuramente immergendo<br />
nel crogiolo <strong>della</strong> vita minuta, situata, accogliendo la<br />
sfida a indagare le profon<strong>di</strong>tà <strong>della</strong> su<strong>per</strong>ficie del senso.<br />
Non<strong>di</strong>meno ci si trova davanti al problema dell’agire,
IMPERFETTE TRADUZIONI 53<br />
del come i soggetti si costituiscono attraverso esso e attraverso<br />
esso mettono in o<strong>per</strong>a e deformano le strutture.<br />
Si tratta dunque <strong>di</strong> rimettere in gioco la storicità, le<br />
pratiche, gli stili e le forme <strong>di</strong> vita (Greimas 1956; Fontanille<br />
2004a).<br />
In Lotman questo lavoro <strong>di</strong> comprensione <strong>semiotica</strong><br />
dei comportamenti quoti<strong>di</strong>ani si accompagna a <strong>una</strong> riflessione<br />
sul byt:<br />
Byt è il consueto decorso <strong>della</strong> vita nelle sue forme reali e<br />
pratiche; byt sono le cose che ci circondano, le nostre abitu<strong>di</strong>ni,<br />
il nostro comportamento <strong>di</strong> ogni giorno. Il byt ci<br />
circonda come l’aria e, come dell’aria, ce ne accorgiamo<br />
solo quando manca, o quando è inquinata. (…) il byt si<br />
trova sempre nella sfera pratica, è il mondo <strong>delle</strong> cose prima<br />
<strong>di</strong> tutto (…) (Lotman, in Burini 1998, pp. 138, 147).<br />
Come si può intuire da questa citazione il byt è lo<br />
spazio in cui tutto è immerso, tutto ricade. È <strong>per</strong> questo<br />
che nel saggio sul mondo del riso Lotman e Uspenskij invitavano<br />
continuamente a correlare i testi scritti a quello<br />
spazio extratestuale, orale, quoti<strong>di</strong>ano, senza il quale gli<br />
oggetti <strong>della</strong> scrittura sarebbero restati vuoti <strong>di</strong> senso.<br />
Bisogna anche qui ado<strong>per</strong>arsi in uno sguardo strabico:<br />
“(…) guardar la storia nello specchio del byt e illuminare<br />
con la luce dei gran<strong>di</strong> avvenimenti storici anche<br />
i piccoli dettagli quoti<strong>di</strong>ani, che sembrano talora <strong>di</strong>sgiunti”<br />
(p. 147). Un’avvertenza decisamente importante<br />
<strong>per</strong> stu<strong>di</strong>are le complesse cascate <strong>di</strong> eventi che da<br />
<strong>una</strong> vignetta su un anonimo giornale europeo portano a<br />
<strong>una</strong> rivolta popolare in paesi all’altro capo del mondo,<br />
o che legano la guarigione <strong>di</strong> malattie e la soluzione <strong>di</strong><br />
problemi banali e quoti<strong>di</strong>ani nelle parti più povere del<br />
pianeta a contrasti politico-commerciali giocati sui tavoli<br />
<strong>della</strong> “grande” <strong>di</strong>plomazia<br />
Ma torniamo all’ultima frase <strong>di</strong> Lotman. Si noterò<br />
che lì il byt, da atmosfera avvolgente, ovattata, calda,
54 FRANCISCU SEDDA<br />
sembra trasformarsi nello spazio <strong>di</strong> <strong>una</strong> certa <strong>di</strong>s<strong>per</strong>sione<br />
e atomizzazione degli elementi, riportandoci alla<br />
mente un passaggio decisivo del saggio sulla semiosfera:<br />
“A noi, che vi siamo immersi, la semiosfera può apparire<br />
caoticamente priva <strong>di</strong> regole: un assortimento <strong>di</strong> elementi<br />
autonomi” (Lotman 1985, p. 69). In effetti il byt,<br />
la vita quoti<strong>di</strong>ana, come insegna anche de Certeau<br />
(1980), è lo spazio <strong>di</strong> <strong>una</strong> ambivalenza fondamentale, <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> costante tensione fra familiarità e straniamento, automatismo<br />
e invenzione, ripetizione e <strong>di</strong>fferenza.<br />
Questo mondo in cui domina un sentimento <strong>di</strong> familiarità,<br />
<strong>una</strong> specie <strong>di</strong> “fede” ingenua, rischia <strong>di</strong> essere<br />
dunque anche lo spazio dell’alienazione dal mondo stesso.<br />
La troppa abitu<strong>di</strong>ne con le cose che ci circondano rischia<br />
<strong>di</strong> rendercele a-significanti, estranee, come in <strong>una</strong><br />
specie <strong>di</strong> an-estetizzazione nei confronti dei nostri stessi<br />
vissuti (Greimas 1987b).<br />
Ma <strong>per</strong> capire meglio il funzionamento del byt e <strong>delle</strong><br />
poetiche quoti<strong>di</strong>ane come <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso comportamentale<br />
che si rende manifesto solo nel rapporto <strong>di</strong><br />
correlazione e traduzione fra linguaggi, rian<strong>di</strong>amo a Lotman<br />
e alla sua caratterizzazione del rapporto fra comportamento<br />
reale, teatro e pittura nella Russia del XVIII<br />
secolo. Quello che qui abbiamo la possibilità <strong>di</strong> vedere è<br />
il ruolo del teatro, in quanto <strong>di</strong>namico ma segmentato,<br />
come co<strong>di</strong>ce-traduttore fra la flui<strong>di</strong>tà <strong>della</strong> vita e la staticità<br />
<strong>della</strong> posa nel quadro. Attraverso il gioco fra questi<br />
elementi le caratteristiche formali dell’uno trapassano<br />
nell’altro. Il saldarsi <strong>di</strong> questi tre linguaggi crea dunque<br />
un meccanismo <strong>di</strong> <strong>per</strong>tinentizzazione reciproca, tale <strong>per</strong><br />
cui nella vita reale – ad esempio nella battaglia – <strong>di</strong>venta<br />
significativo ciò che è teatrale (eroico, tragico, commovente)<br />
e nella quoti<strong>di</strong>anità ad avere funzione <strong>di</strong> segni (a<br />
essere <strong>per</strong>cepiti in quanto tali) saranno soltanto quei gesti<br />
che richiamano <strong>una</strong> posa pittoricamente co<strong>di</strong>ficata.<br />
Al contempo il teatro e la pittura tenderanno a valoriz-
IMPERFETTE TRADUZIONI 55<br />
zare il tratto <strong>della</strong> naturalità, sia come scelta nei soggetti<br />
da rappresentare, sia come effetto <strong>di</strong> senso generale da<br />
trasmettere. Come si vede la vita, pur senza <strong>per</strong>dere <strong>di</strong><br />
flui<strong>di</strong>tà, si narrativizza, propriamente in senso semioticostrutturale:<br />
è come se assorbisse <strong>delle</strong> forme che iniziano<br />
a regolarla e a renderla significativa, intelligibile. E tuttavia,<br />
resta chiaro, è soltanto <strong>per</strong> mezzo del sensibile, dell’apparire<br />
figurativo del mondo (un abito, un modo <strong>di</strong><br />
inchinarsi, un tono <strong>della</strong> voce, il modo <strong>di</strong> ballare a palazzo<br />
o <strong>di</strong> atteggiarsi in guerra, il richiamo nei propri <strong>di</strong>scorsi<br />
a certi stereotipi, uno stile passionale esibito coerentemente),<br />
che la vita quoti<strong>di</strong>ana si carica <strong>di</strong> sensi.<br />
Facciamo un altro esempio. Il decabrista si riconosce<br />
<strong>per</strong>ché parla in modo schietto e inopportuno rispetto ai<br />
comportamenti “abituali” in determinate situazioni canoniche:<br />
la <strong>di</strong>ce tutta in pubblico, chiama le cose col loro nome.<br />
Per lui, <strong>di</strong>ce Lotman, l’azione è il piano del contenuto<br />
e la parola stessa, fragorosa, è il contenuto del suo agire.<br />
Se non correlassimo questo modo <strong>di</strong> fare alle pratiche ritenute<br />
corrette nella Russia <strong>della</strong> prima metà dell’Ottocento,<br />
ai contenuti del <strong>di</strong>scorso politico che si accompagnarono a<br />
quella rivoluzione antigovernativa; se non avessimo idea<br />
<strong>delle</strong> pratiche quoti<strong>di</strong>ane dei decabristi, cosa leggevano,<br />
dove si recavano, come organizzavano il loro tempo 17 ,<br />
quale era il loro modo <strong>di</strong> incontrarsi, come mutavano a seconda<br />
<strong>delle</strong> situazioni socialmente co<strong>di</strong>ficate i loro stili argomentativi<br />
e passionali, i temi e i contenuti del loro parlare<br />
18 ; insomma, senza sa<strong>per</strong>e tutto ciò <strong>di</strong>fficilmente potremmo<br />
seguire quel rinvio fra un gesto che apre su <strong>di</strong> <strong>una</strong> azione<br />
che a sua volta si inserisce in un testo comportamentale,<br />
inteso come <strong>una</strong> catena d’azioni (e passioni) orientate verso<br />
uno scopo. Non si capirebbe, ad esempio, il senso del<br />
suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇč e v 19 e non capendo quello non si capirebbe<br />
il valore <strong>di</strong> coerenza e amore <strong>per</strong> la libertà che caratterizzava<br />
tutto un movimento, <strong>una</strong> generazione, un’epoca<br />
che ha segnato profondamente la storia russa.
56 FRANCISCU SEDDA<br />
In un <strong>per</strong>iodo in cui tanti atti in giro <strong>per</strong> il pianeta<br />
sembrano ai più insensati, lo stu<strong>di</strong>oso <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> ha il<br />
dovere <strong>di</strong> ritrovarne il senso e, <strong>di</strong>s<strong>per</strong>dendo i timori che<br />
ciò che non capiamo sempre ci causa, contribuire a ricreare<br />
le con<strong>di</strong>zioni <strong>per</strong> un confronto. Il gesto intellettuale<br />
può essere l’inizio <strong>per</strong> un cammino con<strong>di</strong>viso, <strong>di</strong><br />
reciproca traduzione, in vista dell’abbattimento <strong>di</strong> ingiustizie<br />
e sofferenze.<br />
È stato detto che le parole sono inizi e promesse d’azioni.<br />
A sa<strong>per</strong> guardare la vita in filigrana potremmo vedere<br />
come anche i gesti siano inizi e promesse <strong>di</strong> <strong>per</strong>corsi<br />
e <strong>di</strong>scorsi, sebbene molti <strong>di</strong> questi non necessariamente<br />
si realizzino o non lo facciano in modo coerente.<br />
Rimangono vere comunque due cose. La prima è che<br />
ci si mo<strong>della</strong> a partire da altro. Pensiamo al nostro corpo,<br />
a come incarna e incorpora le tracce <strong>della</strong> cultura.<br />
Senza volerlo ci si siede e ci si muove come i propri genitori<br />
e questo implica anche che il nostro modo <strong>di</strong> portare<br />
il corpo tra<strong>di</strong>sce, <strong>per</strong> chi ne può capire il linguaggio,<br />
provenienze e appartenenze più o meno generali o<br />
ristrette. Un po’ come gli accenti <strong>per</strong> le lingue. E qualcosa<br />
rimane e riaffiora dei nostri miti, musicali, sportivi,<br />
politici: un’andatura, un modo <strong>di</strong> aggrottare le ciglia in<br />
certe situazioni, un’acconciatura <strong>di</strong> capelli, la foggia <strong>di</strong><br />
un paio <strong>di</strong> occhiali. Ci modelliamo su narrazioni pregresse,<br />
su storie, sceneggiature, più o meno stereotipiche<br />
e con<strong>di</strong>vise: noi metaforizziamo costantemente la realtà<br />
culturale che ci circonda, e a volte, se abbiamo la fort<strong>una</strong>,<br />
la capacità e il coraggio <strong>di</strong> tentare trasposizioni azzardate<br />
o sintesi complesse la nostra poetica può essere<br />
altro che un banale mimetismo.<br />
E qui siamo alla seconda cosa. Attraverso il nostro<br />
comportamento quoti<strong>di</strong>ano noi produciamo <strong>delle</strong> enunci-azioni<br />
che manifestano il nostro stile, il nostro posizionarci<br />
rispetto agli altri e al mondo, ma contemporaneamente<br />
ci inseriscono in reti più ampie, in spazi <strong>di</strong> con<strong>di</strong>-
IMPERFETTE TRADUZIONI 57<br />
visione – quantomeno potenziale – <strong>di</strong> pratiche e forme<br />
<strong>di</strong> vita collettive. Senza smettere <strong>di</strong> essere noi stessi, possiamo<br />
partecipare a un gioco <strong>di</strong> trasformazione <strong>delle</strong> cose,<br />
possiamo prender parte al lavorio dell’immaginazione<br />
sociale. Possiamo riprodurre l’esistente – volontariamente<br />
o <strong>per</strong> incoscienza –, possiamo lavorare <strong>di</strong> straforo<br />
<strong>per</strong> resistergli sfruttando i complicati incastri fra strutture<br />
<strong>per</strong> ricavare degli spazi <strong>di</strong> libertà momentanea, possiamo<br />
appropriarci dell’esistente cercando <strong>di</strong> trasfigurarlo<br />
– ad esempio invertendone i valori (come quando<br />
si fa del nomignolo offensivo che gli altri ci scagliano addosso<br />
un fiero cavallo <strong>di</strong> battaglia), possiamo “bricolare”<br />
indefinitamente, giocando localmente a deformare le<br />
strutture del senso, possiamo infine – forse a volte senza<br />
nemmeno accorgercene – partecipare alla generazione e<br />
alla conquista <strong>di</strong> un nuovo <strong>di</strong>scorso e <strong>di</strong> <strong>una</strong> nuova sintassi,<br />
<strong>di</strong> nuove rappresentazioni e nuove pratiche, fra <strong>di</strong><br />
loro legate. Visti da qui, i nostri giochi <strong>di</strong> mo<strong>della</strong>mento<br />
e composizione <strong>di</strong> pezzi <strong>della</strong> cultura non sembrerebbero<br />
allora gli epifenomeni <strong>di</strong> linguaggi che ci parlano, ma<br />
i pezzi coerenti <strong>di</strong> <strong>una</strong> poetica, <strong>una</strong> pratica <strong>di</strong> senso, che<br />
facendosi testo esprime il nostro proprio linguaggio, il<br />
nostro universo <strong>di</strong> valori, la nostra proposta <strong>di</strong> <strong>una</strong> forma<br />
<strong>di</strong> vita assumibile. È ovviamente la possibilità più<br />
complessa, quella che generalmente non si realizza mai<br />
com’è nelle nostre teorizzazioni o nei nostri sogni in<strong>di</strong>viduali,<br />
e soprattutto non si realizza mai da soli.<br />
Molto spesso, più prosaicamente, noi ci dobbiamo ricavare<br />
la nostra identità nel confronto con sistemi <strong>di</strong><br />
rappresentazioni che ci precedono, che ci forniscono dei<br />
re<strong>per</strong>tori <strong>di</strong> posizioni assumibili e significative proprio<br />
in quanto l’inerzia storica ha garantito loro <strong>una</strong> certa legittimazione<br />
e visibilità.<br />
I nostri <strong>di</strong>scorsi sono dunque pieni <strong>di</strong> sociotassonomie,<br />
<strong>di</strong> categorizzazioni e classificazioni rispetto alle<br />
quali siamo chiamati a prendere posizione. Le molteplici
58 FRANCISCU SEDDA<br />
narrazioni che danno forma alla nostra vita – un <strong>di</strong>scorso<br />
politico, un censimento, un film… – espongono e<br />
propongono continuamente questi re<strong>per</strong>tori <strong>di</strong> identità.<br />
A volte ci aiutano a or<strong>di</strong>narle, a metterle in <strong>una</strong> gerarchia<br />
apparentemente sensata 20 , altre volte ci mostrano<br />
come possiamo articolarle e <strong>di</strong>sarticolarle in configurazioni<br />
nuove, altre volte ancora ci invitano a riflettere sul<br />
conflitto, l’indeci<strong>di</strong>bilità, l’indeterminatezza, la complessità<br />
stessa <strong>della</strong> scelta <strong>di</strong> un comportamento univoco.<br />
A volte le tassonomie si manifestano nel sistema dei<br />
nomi, e la semplice assunzione <strong>di</strong> un nome <strong>di</strong>viene il<br />
metro su cui mo<strong>della</strong>re i nostri comportamenti: ognuno<br />
<strong>di</strong> questi oggetti-nome è già <strong>una</strong> memoria – un deposito<br />
semantico virtuale – e un programma narrativo potenziale,<br />
a<strong>per</strong>to su <strong>di</strong> <strong>una</strong> determinata concatenazione <strong>di</strong><br />
azioni e passioni. Nomen est omen.<br />
Nel recente film <strong>di</strong> Steven Spielberg, Munich, è evidente<br />
il crearsi <strong>di</strong> queste costellazioni identitarie e valoriali,<br />
sfumate, complesse, a volte profondamente intrecciate<br />
<strong>per</strong> quanto apparentemente in conflitto: come<br />
quando il protagonista ebreo, mosso dalla retorica <strong>della</strong><br />
<strong>di</strong>fesa <strong>della</strong> propria “casa”, scopre da un suo antagonista<br />
palestinese (che sembra parlargli sinceramente in<br />
quanto lo crede tedesco) che ciò <strong>per</strong> cui il suo nemico<br />
lotta è nient’altro che il suo medesimo valore e progetto,<br />
<strong>una</strong> “casa” <strong>per</strong> il suo popolo. Articolazione <strong>di</strong>scorsiva<br />
dell’essere uniti e <strong>di</strong>visi.<br />
Nello stesso tempo, nello spazio <strong>di</strong>scorsivo del film<br />
entrano in gioco, attraverso denominazioni e figure –<br />
in<strong>di</strong>viduali e collettive –, molteplici rappresentazioni <strong>di</strong><br />
sé che revocano fin dall’inizio la compattezza e l’univocità<br />
<strong>delle</strong> due semiosfere in conflitto, rendendo dunque<br />
il comportamento dei singoli soggetti legato a passioni<br />
<strong>di</strong>fferenti – la vendetta, l’ansia, la crisi, l’allucinazione<br />
– e al contempo materia <strong>di</strong> scelte, strategie, progetti<br />
<strong>di</strong> vita, a volte semplicemente abbozzati. Basti
IMPERFETTE TRADUZIONI 59<br />
pensare alla tensione che si instaura da un lato fra “essere<br />
israeliano”, “essere ebreo”, “essere padre” (<strong>per</strong><br />
non parlare <strong>delle</strong> sud<strong>di</strong>visioni ancor più precise legate<br />
all’essere un “ebreo europeo”, un “ebreo arrivato in<br />
Israele dopo la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale”, un “ebreo<br />
nato in Israele”, identità che non a caso sono non tradotte<br />
ma evocate con la terminologia originale), e dall’altro<br />
fra l’“essere palestinese”, “essere arabo”, “essere<br />
musulmano”, “essere rivoluzionario-internazionalista”,<br />
componendo il quadro <strong>di</strong> un complicato gioco <strong>di</strong> priorità,<br />
attaccamenti e fedeltà. A poco vale <strong>di</strong>re che si tratta<br />
<strong>di</strong> un film e altrettanto poco rispondere che è “tratto<br />
da <strong>una</strong> storia vera”. Il punto è che è un buon es<strong>per</strong>imento<br />
narrativo, e che possiamo utilizzarlo come banco<br />
<strong>di</strong> prova e testimonianza <strong>di</strong> processi quoti<strong>di</strong>ani <strong>di</strong><br />
mo<strong>della</strong>mento dei nostri vissuti a partire da dense configurazioni<br />
<strong>di</strong> immagini dell’identità.<br />
Arrivati a questo punto, lasciandoci trascinare dall’argomentazione<br />
e dal flusso dei pensieri, non possiamo<br />
non richiamare un’ultima opaca e illuminante frase <strong>di</strong><br />
Lotman: “Il <strong>di</strong>alogo precede il linguaggio e lo genera”.<br />
Come a <strong>di</strong>re che nelle scienze come nella vita bisogna<br />
prima <strong>di</strong> tutto avere il coraggio <strong>di</strong> entrare in <strong>di</strong>alogo, <strong>di</strong><br />
dare ospitalità all’alterità; poi un linguaggio comune, se<br />
è il caso, verrà.<br />
Giunti alla fine non ci resta che renderci conto che<br />
quella frase <strong>di</strong> Jurij Lotman ci ha guidato e, non potendo<br />
fino in fondo com-prenderla, potendo solo constatare<br />
l’irriducibilità <strong>della</strong> sua profon<strong>di</strong>tà e <strong>della</strong> sua assenza,<br />
abbiamo scelto <strong>di</strong> tradurla, im<strong>per</strong>fettamente e <strong>per</strong> stavolta,<br />
in questo nostro <strong>per</strong>corso.<br />
1 Ovviamente non è nostra intenzione dare qui uno spaccato biografico<br />
<strong>di</strong> Lotman. Per questo riman<strong>di</strong>amo ai saggi <strong>di</strong> Burini e Niero (2001), Caceres<br />
(1996) e Navarro (1996). Altre notizie si possono re<strong>per</strong>ire nei saggi de<strong>di</strong>cati
60 FRANCISCU SEDDA<br />
alla Scuola <strong>di</strong> Tartu (si veda il proseguo <strong>di</strong> questa Introduzione) o nelle introduzioni<br />
italiane ai testi <strong>di</strong> Lotman.<br />
Colgo qui l’occasione <strong>per</strong> ringraziare Isabella Pezzini, Paolo Fabbri e<br />
Gianfranco Marrone <strong>per</strong> il loro incoraggiamento e sostegno alla realizzazione<br />
<strong>di</strong> questo progetto. Un ringraziamento particolare a Mera <strong>per</strong> l’aiuto paziente<br />
e amorevole nella revisione dei testi, e a Silvestro, <strong>per</strong> la vicinanza.<br />
2 Si veda più avanti quanto scritto nel paragrafo Doppie prese e sguar<strong>di</strong><br />
strabici.<br />
3 È proprio in <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> questa posizione che Greimas afferma: “Se non<br />
temessi <strong>di</strong> sfociare nella metafisica, potrei ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>re che si tratta <strong>di</strong> proprietà<br />
<strong>della</strong> mente umana (…)” (Ricœur, Greimas 2000, p. 85).<br />
4 Ci sembra interessante, e finora non dovutamente notato, l’implicito<br />
utilizzo dei giochi linguistici (cfr. Wittgenstein 1953) da parte <strong>di</strong> Lotman <strong>per</strong><br />
convocare dentro il suo <strong>di</strong>scorso scientifico il sa<strong>per</strong>e quoti<strong>di</strong>ano.<br />
5 Cfr. paragrafo L’implosione ed esplosione del mondo.<br />
6 Non è <strong>di</strong>fficile, a posteriori, associare ad alcuni passaggi <strong>di</strong> Peirce sul<br />
rapporto fra interpretazioni, segni esteriori e comunità, alcuni aspetti salienti<br />
dell’antropologia interpretativa <strong>di</strong> Geertz (1973) con il suo carattere pubblico<br />
del significato.<br />
7 Questa fondamentalità non viene certo sco<strong>per</strong>ta ora da noi. Sul tema<br />
negli ultimi anni molti sono stati i contributi importanti. In ambito semiotico<br />
cfr. fra gli altri Torop 1995, i saggi in Nergaard (a cura, 1995) e Dusi, Nergaard<br />
(a cura 2000); Dusi 2003; Eco 2003.<br />
8 Di alcune <strong>di</strong> queste implicazioni, e <strong>delle</strong> loro possibili conseguenze, abbiamo<br />
provato a dar conto in forma esplorativa all’interno del nostro lavoro<br />
dottorale (Sedda 2005).<br />
9 Alcune <strong>di</strong> queste immagini, che sono poi in realtà dei meccanismi descritti<br />
puntualmente da Lotman, datano al <strong>per</strong>iodo <strong>di</strong> elaborazione del concetto<br />
<strong>di</strong> semiosfera: l’effetto a valanga si ritrova, ad esempio, in conformità<br />
con l’idea <strong>di</strong> moltiplicazione dei livelli strutturali e <strong>di</strong> isomorfismo verticale<br />
(Lotman 1985, ve<strong>di</strong> il saggio La semiosfera ma anche quello su La <strong>di</strong>namica<br />
dei sistemi culturali). Tuttavia resta vero che è nell’ultimo <strong>per</strong>iodo – anche<br />
sotto l’influsso <strong>delle</strong> teorie fisiche <strong>di</strong> Prigogine – che questa visione densa <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>namismo e impreve<strong>di</strong>bilità viene esaltata. Cfr. Lotman 1990; 1992b; 1992c;<br />
1993; 1994. Cfr. anche Lozano 1999.<br />
10 È interessante notare che è al tema del mutamento scientifico che Lotman<br />
ha associato l’idea <strong>di</strong> “emozioni culturali” (Lotman 1985; 1988).<br />
11 Cfr. l’idea <strong>di</strong> co-gioco, a cui accennano Lotman e Uspenskij, nel saggio<br />
Il mondo del riso.<br />
12 Un mondo che forse può definirsi glocale. Cfr. Robertson, White 2004;<br />
Sedda 2004.<br />
13 In quest’ottica cfr. Calabrese 2000.<br />
14 Lo stu<strong>di</strong>o dei processi e dei sistemi <strong>di</strong> significazione. Cfr. Fabbri, Marrone,<br />
a cura, 2000; Bettetini et al. 2005.<br />
15 A tale proposito cfr. la visione antropologica <strong>di</strong> Latour (1991).<br />
16 Come quando salta la separazione fra civile e religioso che regge uno<br />
Stato laico; quando l’inscatolamento fra In<strong>di</strong>viduo-citta<strong>di</strong>no, Stato, Comunità<br />
internazionale, Umanità emerso e consolidatosi con la modernità si fa <strong>di</strong>fficile
IMPERFETTE TRADUZIONI 61<br />
<strong>per</strong>ché molte <strong>per</strong>sone non vengono riconosciute come citta<strong>di</strong>ni, <strong>per</strong>ché certi<br />
Stati non accettano <strong>di</strong> agire in concerto con le decisioni sovranazionali, o tanti<br />
in<strong>di</strong>vidui e organizzazioni sentono che l’accesso all’umanità è castrato e ingabbiato<br />
dai passaggi interme<strong>di</strong> dello Stato e <strong>della</strong> Comunità internazionale che<br />
ne vorrebbero detenere il monopolio; o ancora, quando più attori <strong>di</strong> taglia <strong>di</strong>versa<br />
praticano e riven<strong>di</strong>cano la legittimità <strong>della</strong> violenza; quando si scinde il<br />
rapporto univoco fra Stato e nazione; quando le molte identità che ci portiamo<br />
dentro non trovano più composizione e iniziano a <strong>di</strong>sputarsi la nostra fedeltà.<br />
17 In altri termini, se non conoscessimo i loro “consumi culturali” e i<br />
loro “riti”.<br />
18 Ovvero, come si organizzavano le soglie fra “ciò che si può <strong>di</strong>re” e “ciò<br />
che non si può <strong>di</strong>re” in riferimento a <strong>di</strong>fferenti agoni sociali. Cfr. Foucault 1970.<br />
19 Cfr. il saggio Lo stile, la parte, l’intreccio. La poetica del comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano nella cultura russa del XVIII secolo.<br />
20 Si pensi a un <strong>di</strong>scorso razzista – sensato nella sua infamia – che or<strong>di</strong>na<br />
semplificando a due termini e gerarchizzandoli in “su<strong>per</strong>iore”/“inferiore”,<br />
“giusto”/“sbagliato”, “civile”/“barbaro”, o al <strong>di</strong>scorso dello Stato che or<strong>di</strong>na<br />
il citta<strong>di</strong>no in rapporto a degli spazi fisici-istituzionali che dovrebbero essere<br />
– ma che molto spesso non sono – isomorfi: in<strong>di</strong>viduo nato in un luogo, residente<br />
in un comune, appartenente a <strong>una</strong> provincia, parte <strong>di</strong> <strong>una</strong> regione, che<br />
fa parte e deve fedeltà alla nazione. Il supposto isomorfismo potrebbe portare<br />
a gerarchizzare valorialmente attraverso l’associazione fra la coppia più piccolo/più<br />
grande e quella meno importante/più importante, ma sappiamo che<br />
questo è uno schema alquanto banale (e sottilmente autoritario) e che a volte,<br />
quantomeno a livello <strong>di</strong> valore fenomenologico <strong>per</strong> ciascuno, la composizione<br />
<strong>di</strong> queste identità muta. La stessa prospettiva del soggetto può portare a ridefinire<br />
gli elementi in gioco e far vedere che quegli oggetti non sono ciò che<br />
sembrano o che si <strong>di</strong>ce che siano.<br />
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Prima parte<br />
La <strong>semiotica</strong><br />
fra scienza e arte
Ricerche semiotiche 1<br />
Jurij M. Lotman, Boris A. Uspenskij<br />
Il XX secolo è ricco <strong>di</strong> rivoluzioni scientifiche. Il risultato<br />
naturale <strong>di</strong> questo fatto è che sono mutate non solo<br />
le nostre idee sul mondo, ma anche quelle sulla scienza<br />
stessa.<br />
Se consideriamo l’idea che ha <strong>della</strong> scienza l’attuale<br />
coscienza <strong>di</strong> massa, si possono osservare alcuni aspetti<br />
caratteristici <strong>della</strong> metà del secolo.<br />
La coscienza del XIX secolo, <strong>per</strong> la quale scienza e spirito<br />
critico in sostanza coincidevano, mentre, d’altro canto,<br />
le forme <strong>di</strong> vita date dal buon senso e dall’es<strong>per</strong>ienza<br />
quoti<strong>di</strong>ana parevano incrollabili, si costruiva essenzialmente<br />
sul dubbio. Per la coscienza <strong>di</strong> massa essere partecipe<br />
alla scienza significava dubitare e <strong>di</strong>ffidare. Scienziato<br />
era chi penetrava criticamente nella sfera <strong>della</strong> fiducia.<br />
Inoltre l’apparato <strong>della</strong> scienza era relativamente<br />
semplice e accessibile a <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a cultura.<br />
La misteriosità era sentita come ostile alla scienza: quest’ultima<br />
non creava il mistero, ma lo <strong>di</strong>struggeva. Tutte<br />
le sfere <strong>della</strong> coscienza opposta alla scienza, dalla cultura<br />
dei “selvaggi” alla religione del Me<strong>di</strong>oevo, venivano<br />
fornite dei contrassegni <strong>della</strong> misteriosità – <strong>di</strong> ciò che<br />
non si può verificare –, mentre le cognizioni scientifiche<br />
erano sentite come ciò che è accessibile alla verifica (in<br />
via <strong>di</strong> principio a ogni essere umano).<br />
Oggi <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> rivolgimenti scientifici ha mutato ra<strong>di</strong>calmente<br />
l’idea che la coscienza <strong>di</strong> massa ha del verosi-
72 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
mile e dell’inverosimile. L’es<strong>per</strong>ienza quoti<strong>di</strong>ana è stata<br />
scacciata con infamia dalla sfera <strong>della</strong> scienza e il lettore<br />
<strong>di</strong> massa ha <strong>per</strong>so la capacità <strong>di</strong> orientarsi. Per essere più<br />
esatti, si potrebbe <strong>di</strong>re che l’es<strong>per</strong>ienza quoti<strong>di</strong>ana è rimasta<br />
il punto <strong>di</strong> orientamento nell’idea generale <strong>della</strong> scienza,<br />
ma col segno opposto: <strong>per</strong> così <strong>di</strong>re, quanto più <strong>una</strong><br />
cosa è inverosimile, tanto più è atten<strong>di</strong>bile, cioè tanto più<br />
è possibile e vicina alla scienza. Questo fatto è bene illustrato<br />
dall’esempio <strong>della</strong> letteratura <strong>di</strong> fantascienza.<br />
Nel XIX secolo la letteratura fantascientifica, mentre<br />
descriveva nuove sco<strong>per</strong>te immaginarie, le sottometteva<br />
a idee già esistenti nella scienza. L’attuale letteratura fantascientifica,<br />
invece, è costruita su un principio opposto:<br />
stare il più lontano possibile dalle idee scientifiche attuali,<br />
poiché quanto meno assomiglia a ciò che sappiamo<br />
oggi, tanto più assomiglia alla scienza del futuro.<br />
S’intende da sé che ciò riflette non tanto le leggi reali <strong>di</strong><br />
sviluppo <strong>della</strong> scienza quanto l’idea che <strong>di</strong> essi ha appunto<br />
la coscienza <strong>di</strong> massa.<br />
Il meccanismo <strong>della</strong> scienza si è fatto più complicato.<br />
Esso è sfuggito irreparabilmente al controllo del lettore<br />
<strong>di</strong> massa. Verificare la giustezza <strong>delle</strong> tesi <strong>della</strong> fisica<br />
contemporanea, la verità <strong>di</strong> idee scientifiche paradossali<br />
e <strong>di</strong>vergenti dall’es<strong>per</strong>ienza quoti<strong>di</strong>ana è un’impresa che<br />
il lettore non è in grado <strong>di</strong> compiere. Ma non basta: verificare<br />
ciò che <strong>per</strong> gli altri è già <strong>di</strong>ventato oggetto <strong>di</strong> fede<br />
significherebbe crearsi la fama <strong>di</strong> <strong>per</strong>sona arretrata,<br />
cioè non scientifica. Per il lettore <strong>di</strong> massa essere al corrente<br />
<strong>della</strong> scienza significa non stupirsi e credere. Le<br />
parole <strong>di</strong> Tertulliano “Credo quia absurdum”, che tra<strong>di</strong>zionalmente<br />
erano considerate la formula del pensiero<br />
opposto a quello scientifico, oggi potrebbero essere poste<br />
come epigrafe <strong>di</strong> ogni rivista <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione scientifica<br />
o <strong>di</strong> ogni romanzo <strong>di</strong> fantascienza.<br />
Ed è proprio questa la ragione <strong>per</strong> cui fiorisce rigogliosamente<br />
la <strong>di</strong>vulgazione scientifica e si moltiplicano
RICERCHE SEMIOTICHE 73<br />
le riviste e i libri in cui la scienza è mitologizzata: da un<br />
lato da tutte le cognizioni scientifiche si estraggono<br />
quelle più “sorprendenti” e, dall’altro, non si dà la possibilità<br />
<strong>di</strong> verificarle. Il lettore <strong>di</strong> massa, che ancora ieri<br />
non aveva sentito la parola “<strong>semiotica</strong>” e l’aveva accolta<br />
con sfiducia e <strong>per</strong>sino irritazione, adesso l’ha già trasformata<br />
in un mito scientifico.<br />
Tuttavia, il punto <strong>di</strong> vista semiotico è organicamente<br />
intrinseco alla coscienza umana e in questo senso costituisce<br />
un fenomeno non solo vecchio, ma anche ben noto<br />
a tutti. Se tutte le idee scientifiche, dal punto <strong>di</strong> vista<br />
<strong>della</strong> coscienza ingenua e ines<strong>per</strong>ta, possono <strong>di</strong>vidersi in<br />
due gruppi – quello del quale si <strong>di</strong>ce “Non ci avrei mai<br />
pensato”, e l’altro che suscita la reazione “L’ho sempre<br />
saputo” –, la <strong>semiotica</strong> appartiene piuttosto al secondo<br />
gruppo d’idee.<br />
Implicitamente il punto <strong>di</strong> vista semiotico è sempre<br />
presente nelle azioni e nella coscienza dell’uomo. La peculiarità<br />
<strong>della</strong> scienza è che essa sottopone ad analisi ciò<br />
che non era mai stato analizzato proprio <strong>per</strong>ché sembrava<br />
semplice ed evidente. Sotto questo aspetto la <strong>semiotica</strong><br />
è unita alla caratteristica <strong>della</strong> scienza del XX secolo<br />
che aspira non tanto a conoscere qualcosa <strong>di</strong> nuovo<br />
quanto al contenuto, bensì piuttosto ad ampliare la stessa<br />
conoscenza <strong>della</strong> conoscenza.<br />
In particolare, il legame evidente tra i risultati <strong>della</strong><br />
<strong>semiotica</strong> e lo sviluppo <strong>della</strong> cibernetica è con<strong>di</strong>zionato,<br />
tra l’altro, anche dal fatto che il problema tecnico <strong>della</strong><br />
comunicazione dell’uomo con gli automi ha convinto in<br />
modo palmare che le nostre idee sulla naturalità sono<br />
estremamente relative. Agli occhi del profano <strong>di</strong> solito<br />
suscita stupore la capacità che un automa ha <strong>di</strong> “capire”.<br />
Per la scienza più valore ha ciò che l’automa “non<br />
capisce”, e così manifesta un oggetto <strong>di</strong> ricerca là dove<br />
<strong>per</strong> il buon senso sembrerebbe non esserci motivo <strong>di</strong> riflessione.
74 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
In altre parole, il punto <strong>di</strong> riferimento nella descrizione<br />
<strong>di</strong>venta, se così si può <strong>di</strong>re, il punto <strong>di</strong> vista<br />
dell’“imbecille” coi suoi limiti caratteristici nelle possibilità<br />
<strong>di</strong> comunicazione effettiva e multiforme e, quin<strong>di</strong>,<br />
in primo piano emerge il “problema <strong>della</strong> stupi<strong>di</strong>tà”.<br />
La scienza del XIX secolo identificava il punto <strong>di</strong> vista<br />
consueto dello scienziato con la verità e quin<strong>di</strong> presupponeva<br />
possibile la descrizione soltanto dal “mio” (dello<br />
scienziato, <strong>della</strong> scienza) punto <strong>di</strong> vista, il che si esprimeva,<br />
ad esempio, nell’assolutizzazione del punto <strong>di</strong> vista<br />
europeo nell’antropologia e <strong>della</strong> linguistica indoeuropea<br />
o <strong>della</strong> grammatica latina nella linguistica. Ogni<br />
altra descrizione – cioè la descrizione fatta in altri termini<br />
– era considerata sbagliata (non civilizzata, barbara) e<br />
in ultima analisi inesistente <strong>per</strong> la scienza. La scienza del<br />
XX secolo, al contrario, parte dall’esistenza <strong>di</strong> vari sistemi<br />
<strong>di</strong> descrizione e s’interessa quin<strong>di</strong> molto <strong>di</strong> più del<br />
punto <strong>di</strong> vista dell’“altro” (l’“io” dall’angolo visuale<br />
dell’“altro”, l’“altro” dal suo proprio punto <strong>di</strong> vista).<br />
L’interesse <strong>per</strong> la coscienza primitiva incapace <strong>di</strong> comprendere<br />
interviene soltanto come parte dell’interesse<br />
<strong>per</strong> l’angolo visuale dell’“altro”.<br />
D’altro lato, il problema stesso <strong>della</strong> comprensioneincomprensione,<br />
e il problema, che imme<strong>di</strong>atamente gli<br />
è connesso, dell’intelligenza-stupi<strong>di</strong>tà, <strong>di</strong>venta in notevole<br />
grado un problema scientifico proprio nel XX secolo,<br />
a <strong>di</strong>fferenza <strong>della</strong> tra<strong>di</strong>zionale scienza illuministica<br />
del XIX secolo. Per il XIX secolo il problema <strong>della</strong> stupi<strong>di</strong>tà<br />
si situa fuori <strong>della</strong> scienza, come, in particolare, il<br />
problema <strong>della</strong> mutezza e <strong>della</strong> patologia del linguaggio<br />
si situa fuori <strong>della</strong> linguistica. Come il linguista presupponeva<br />
che <strong>per</strong> lui esistessero soltanto <strong>per</strong>sone in grado<br />
<strong>di</strong> servirsi in modo giusto e corretto del linguaggio (e,<br />
<strong>di</strong> conseguenza, stu<strong>di</strong>ava essenzialmente il modo in cui<br />
si deve parlare, e non il modo in cui si parla in realtà,<br />
cioè la norma linguistica, e non i <strong>di</strong>aletti e gli i<strong>di</strong>oletti
RICERCHE SEMIOTICHE 75<br />
reali), così il teorico <strong>della</strong> scienza prendeva le mosse dal<br />
fatto che la stupi<strong>di</strong>tà è patologia, che può essere oggetto<br />
<strong>di</strong> considerazione (<strong>di</strong> <strong>una</strong> stretta cerchia <strong>di</strong> specialisti),<br />
ma non può avere alcun rapporto con i principi stessi<br />
<strong>della</strong> descrizione.<br />
La scienza del XX secolo considera le cose in un altro<br />
modo. Si può <strong>di</strong>re che se il XIX secolo guardava l’“imbecille”<br />
con gli occhi dell’“intelligente”, <strong>per</strong> <strong>una</strong> serie <strong>di</strong><br />
problemi scientifici <strong>di</strong> oggi, tra cui alcuni puramente<br />
pratici (come, ad esempio, l’elaborazione dei programmi<br />
<strong>per</strong> i calcolatori), l’unica soluzione possibile è la descrizione<br />
dei fenomeni complessi dal punto <strong>di</strong> vista dell’incomprensione,<br />
cioè <strong>della</strong> “stupi<strong>di</strong>tà”, mentre l’incomprensione,<br />
il primitivo, la “stupi<strong>di</strong>tà” da anomalia culturale<br />
si trasforma in problema culturale.<br />
È necessario notare, d’altro lato, che se si esce dall’ambito<br />
dei testi propriamente scientifici, si ha che il<br />
problema <strong>della</strong> stupi<strong>di</strong>tà e dell’ignoranza come fenomeno<br />
autonomo e non come antisa<strong>per</strong>e – cioè in un’impostazione<br />
analoga a quella contemporanea – non è poi così<br />
nuovo. L’Elogio <strong>della</strong> pazzia <strong>di</strong> Erasmo da Rotterdam<br />
(ve<strong>di</strong> il soggetto pittorico Il vascello dei matti, in particolare<br />
in Brueghel), i numerosi matti e stolti del folclore,<br />
del teatro <strong>di</strong> fiera e del rituale carnevalesco, tutti questi<br />
fenomeni <strong>della</strong> cultura considerano l’incomprensione<br />
non come l’antitesi del sa<strong>per</strong>e scientifico (ve<strong>di</strong> a questo<br />
proposito la possibilità caratteristica <strong>di</strong> fusione dello<br />
stolto e del dotto nel teatro <strong>di</strong> fiera), ma come un’essenza<br />
autonoma, a volte assai attraente. Anzi, la “stupi<strong>di</strong>tà”<br />
può identificarsi con un ingenuo sa<strong>per</strong>e su<strong>per</strong>iore. Si veda<br />
l’immagine positiva dello stupido intelligente contrapposto<br />
agli stupi<strong>di</strong> fratelli sapientoni nel folclore, oppure<br />
la celebre frase <strong>di</strong> Pusˇkin a Vjazemskij : “I tuoi versi<br />
(...) sono troppo intelligenti. Mentre la poesia, non me<br />
ne voglia Id<strong>di</strong>o, dev’essere un poco sciocca” (Pusˇkin<br />
1937b, p. 278). Non si può non ricordare, infine, l’evan-
76 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
gelico “Siate come i bambini”. Si può <strong>di</strong>re, quin<strong>di</strong>, che il<br />
problema non è affatto nuovo: nuova è soltanto la sua<br />
inclusione nella sfera <strong>della</strong> scienza.<br />
Analogamente molti problemi <strong>di</strong> <strong>semiotica</strong>, che stupiscono<br />
<strong>per</strong> la loro novità e si rivestono <strong>della</strong> moderna<br />
metodologia scientifica, in sostanza oggettivizzano vecchi<br />
problemi da tempo intrinseci alla cultura.<br />
Così, ad esempio, l’idea, che sta alla base del punto<br />
<strong>di</strong> vista semiotico, <strong>della</strong> cultura come sistema <strong>di</strong> linguaggi<br />
e <strong>delle</strong> sue concrete manifestazioni come testi, idea<br />
che spesso è sentita come <strong>una</strong> novità specifica <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong>,<br />
è stata avanzata più volte nel corso <strong>della</strong> storia<br />
del sa<strong>per</strong>e ed, evidentemente, è profondamente intrinseca<br />
all’uomo.<br />
In effetti, nelle più svariate <strong>culture</strong> sorge <strong>per</strong>io<strong>di</strong>camente<br />
la tendenza a considerare il mondo come un testo,<br />
mentre, <strong>di</strong> conseguenza, la conoscenza del mondo è<br />
uguagliata all’analisi filologica <strong>di</strong> questo testo: alla lettura,<br />
alla comprensione e all’interpretazione. La concezione<br />
tra<strong>di</strong>zionale lega questo modo <strong>di</strong> vedere alla scienza<br />
scolastica me<strong>di</strong>evale o ai suoi riflessi nella coscienza contemporanea,<br />
ma è facile mostrare che esso ha <strong>una</strong> <strong>di</strong>ffusione<br />
assai più larga.<br />
L’idea del sa<strong>per</strong>e come risultato dell’analisi semantica<br />
è propria sia a Confucio sia al folclore russo (ve<strong>di</strong> il noto<br />
Stich o Golubinoj knige) 2 . Nello stesso modo anche nei<br />
testi del barocco russo, come ha messo in luce la stu<strong>di</strong>osa<br />
ceca Mathauserová (1967, p. 169), il libro si presenta<br />
come il modello del mondo (tutto il mondo è costruito<br />
come il libro e aspetta il suo lettore); in ugual misura,<br />
sempre secondo la Mathauserová, l’alfabeto <strong>di</strong>venta il<br />
simbolo universale <strong>della</strong> struttura dell’universo. (Si può<br />
rilevare, a questo proposito, la funzione particolare del<br />
libro nelle varie religioni e, in particolare, nel rituale religioso<br />
russo). È caratteristico, infine, che <strong>una</strong> simile<br />
idea sia propria anche a un fautore così convinto del sa-
RICERCHE SEMIOTICHE 77<br />
<strong>per</strong>e s<strong>per</strong>imentale come lo scienziato e il razionalista Lomonosov<br />
(1955, p. 375), che scrisse, identificando sa<strong>per</strong>e<br />
e lettura:<br />
Il Creatore ha dato all’umano genere due libri. In uno ha<br />
mostrato la sua grandezza, nell’altro la sua volontà. Il primo<br />
è questo mondo visibile, dato affinché l’uomo, guardando<br />
l’immensità, la bellezza e l’armonia <strong>delle</strong> sue o<strong>per</strong>e,<br />
riconosca l’onnipotenza <strong>di</strong>vina a misura dell’inten<strong>di</strong>mento<br />
che gli è donato. Il secondo libro è la Sacra Scrittura. In<br />
esso è mostrata la benevolenza del Creatore <strong>per</strong> la salvazione<br />
nostra. In questi libri profetici e apostolici ispirati da<br />
Dio gli interpreti e gli esplicatori sono i gran<strong>di</strong> maestri <strong>della</strong><br />
Chiesa. Mentre nell’altro libro <strong>della</strong> compagine del<br />
mondo visibile i fisici, i matematici, gli astronomi e gli altri<br />
esplicatori <strong>delle</strong> azioni <strong>di</strong>vine infuse nella natura sono come<br />
nel primo libro i profeti, gli apostoli e i maestri <strong>della</strong><br />
Chiesa.<br />
L’idea che lo scienziato sia un lettore impone naturalmente<br />
l’esigenza <strong>di</strong> sa<strong>per</strong>e la lingua. È degno <strong>di</strong> nota che<br />
lo stesso sa<strong>per</strong>e spesso è espresso coi termini <strong>della</strong> comunicazione.<br />
Si veda l’invocazione caratteristica con cui<br />
Pusˇkin si rivolge alla vita negli Stichi, sočinënnye noć ju<br />
vo vremja bessonnicy (Versi composti <strong>di</strong> notte durante<br />
l’insonnia):<br />
Ti voglio capire,<br />
Il tuo linguaggio oscuro stu<strong>di</strong>o.<br />
(dove, tra l’altro, la parola tëmnyj (oscuro) è l’equivalente<br />
semantico del francese obscur, cioè ha il significato<br />
<strong>di</strong> “bisognoso d’interpretazione, <strong>di</strong> decifrazione”); oppure<br />
nella poesia <strong>di</strong> Baratynskij Na smert´ Gëte (In morte<br />
<strong>di</strong> Goethe):<br />
Con la natura respirava la stessa vita,<br />
Del rivo intendeva il balbettio
78 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
(…)<br />
Chiaro gli era il libro <strong>delle</strong> stelle,<br />
E con lui parlava l’onda fluviale.<br />
Il posto importante che in molte <strong>culture</strong> è tra<strong>di</strong>zionalmente<br />
riservato alle cognizioni filologiche nell’insegnamento<br />
non sempre riflette, come spesso si crede,<br />
un’arretratezza scientifica. In notevole misura ciò era legato<br />
all’idea dello scienziato come <strong>di</strong> un poliglotta, mentre<br />
il segreto <strong>della</strong> conoscenza (<strong>della</strong> natura, del mondo<br />
animale, <strong>della</strong> vita degli altri popoli) era concepito come<br />
il segreto <strong>di</strong> un’altra lingua non soltanto nella metafora<br />
poetica (si veda, in particolare, il soggetto, <strong>di</strong>ffuso nel<br />
folclore, sulla conoscenza universale come dono meraviglioso<br />
che <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> possedere le lingue degli uccelli,<br />
<strong>delle</strong> fiere, <strong>delle</strong> pietre ecc.).<br />
Tuttavia, la scienza, esprimendo l’accumulazione <strong>delle</strong><br />
cognizioni nel campo concreto <strong>della</strong> sua ricerca, assume<br />
contemporaneamente le forme comuni a tutta la cultura<br />
del suo tempo, e il fatto che i sistemi segnici siano<br />
<strong>di</strong>ventati, nella metà del XX secolo, l’oggetto <strong>di</strong> <strong>una</strong> ricerca<br />
speciale, non è <strong>per</strong> nulla casuale. Il fatto è che proprio<br />
<strong>per</strong> il punto <strong>di</strong> vista scientifico del nostro tempo è<br />
caratteristica l’attenzione preminente rivolta alla procedura<br />
e al linguaggio <strong>della</strong> descrizione. Persino nelle<br />
scienze naturali l’es<strong>per</strong>imento, tra<strong>di</strong>zionalmente considerato<br />
come un valore autosufficiente, è entrato in rapporto<br />
col punto <strong>di</strong> vista dello s<strong>per</strong>imentatore. (Noteremo<br />
<strong>di</strong> passaggio che questo problema specifico <strong>della</strong> fisica,<br />
che investe l’influsso dello strumento sul risultato<br />
dell’es<strong>per</strong>imento, può essere interpretato come problema<br />
dell’azione esercitata dal linguaggio dello strumento<br />
sul materiale empirico ottenuto [testo], cioè, in ultima<br />
analisi, come problema semiotico). Come le scienze<br />
umane hanno subito l’influsso del su<strong>per</strong>amento <strong>di</strong> un secolare<br />
sistema “regionale” <strong>di</strong> pensiero e materiale così le
RICERCHE SEMIOTICHE 79<br />
scienze naturali si sono staccate dal mondo visibile, sottomesso<br />
alle leggi <strong>della</strong> meccanica newtoniana, e sono<br />
entrate nella sfera del micro- e macrocosmo con le leggi<br />
specifiche che li governano. Sia nelle scienze naturali<br />
che in quelle umane si è sviluppata l’idea <strong>della</strong> relatività<br />
<strong>delle</strong> norme consuete. L’attenzione rivolta al sistema <strong>della</strong><br />
descrizione e al punto <strong>di</strong> vista del descrivente è <strong>di</strong>ventato<br />
<strong>una</strong> questione scientifica essenziale. Il problema tra<strong>di</strong>zionale<br />
<strong>della</strong> conoscibilità si è trasformato nel problema<br />
del metalinguaggio e così da problema puramente filosofico<br />
è <strong>di</strong>ventato problema filosofico-linguistico (si<br />
veda a questo riguardo la particolare corrente <strong>della</strong> cosiddetta<br />
“filosofia del linguaggio”, sviluppata con particolare<br />
intensità dai filosofi e logici anglosassoni).<br />
Contemporaneamente, la crescita, specifica <strong>per</strong> la<br />
cultura del XX secolo, dei mezzi tecnici <strong>di</strong> comunicazione<br />
– crescita che paradossalmente si combina con la <strong>di</strong>fficoltà<br />
<strong>della</strong> comprensione reciproca tra gli uomini e la<br />
<strong>di</strong>sgregazione <strong>di</strong> collettivi da secoli ritenuti tra<strong>di</strong>zionali –<br />
ha acutizzato l’interesse <strong>per</strong> i problemi <strong>della</strong> comunicazione.<br />
Le epoche precedenti vedevano il problema principale<br />
<strong>della</strong> comunicazione nelle <strong>di</strong>fficoltà tecniche a essa<br />
legate. Così, la fiaba e il mito creano gli ideali <strong>di</strong> legami<br />
istantanei (gli stivali dalle sette leghe, i tappeti volanti, il<br />
tiro ultrapreciso a grande <strong>di</strong>stanza ecc.); nello stesso modo<br />
la durata dell’informazione s’identifica con la robustezza<br />
dei mezzi tecnici (si vedano le iscrizioni su pietra<br />
rivolte alle generazioni future).<br />
Ma nei testi letterari antichi e me<strong>di</strong>evali e anche nel<br />
romanzo del XIX secolo, s’incontra con straor<strong>di</strong>naria rarità<br />
il tema dell’incomprensione. L’informazione può andare<br />
<strong>per</strong>sa fisicamente ed essere deformata tecnicamente,<br />
ma la possibilità <strong>di</strong> interpretazioni psicologiche <strong>di</strong>fferenti<br />
e la reciproca incomprensione tra i parlanti <strong>una</strong><br />
stessa lingua come regola non è ammessa dall’autore.
80 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
Una conseguenza caratteristica del fatto che nel folclore<br />
e negli antichi testi letterari la <strong>di</strong>fficoltà <strong>della</strong> comunicazione<br />
non è considerata come un fatto socialmente<br />
significativo è la trattazione immancabilmente comica<br />
dei temi dell’ignoranza <strong>di</strong> <strong>una</strong> lingua, <strong>della</strong> <strong>di</strong>sfunzione<br />
dell’u<strong>di</strong>to, dell’incomprensione <strong>delle</strong> convenzioni<br />
comunicative. Chi non conosce <strong>una</strong> lingua, non capisce<br />
<strong>una</strong> domanda, non sente <strong>una</strong> comunicazione o la intende<br />
erroneamente non può essere un eroe tragico: è colpevole<br />
e ri<strong>di</strong>colo, anche se <strong>per</strong>isce (questa spietata comicità<br />
del folclore spesso è da noi reinterpretata in chiave<br />
tragica). Soltanto a partire dall’epoca del romanticismo<br />
l’incomprensione genera nella letteratura europea collisioni<br />
tragiche. Un altro esempio: fino al XVII secolo nella<br />
liturgia religiosa russa il mnogogolosie (multivocalità) è<br />
la simultanea conduzione in uno stesso e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> alcuni<br />
servizi religiosi, la simultanea lettura <strong>di</strong> alcuni testi. Più<br />
tar<strong>di</strong> quest’abitu<strong>di</strong>ne cominciò a incontrare <strong>una</strong> netta<br />
critica. Questo è legato, prima <strong>di</strong> tutto, al fatto che destinatari<br />
del servizio religioso cominciarono a essere<br />
considerati i parrocchiani (e non soltanto Dio), e, in secondo<br />
luogo, all’attenzione più acuta <strong>per</strong> il problema<br />
<strong>della</strong> comunicazione. Prima non si faceva caso al canale<br />
<strong>della</strong> comunicazione (si riteneva che “Dio avrebbe capito<br />
tutto”, cioè si presupponeva un canale <strong>di</strong> comunicazione<br />
ideale, totalmente privo <strong>di</strong> rumore).<br />
Il XX secolo col potente sviluppo dei mezzi tecnici ha<br />
spostato il centro dell’attenzione sulle <strong>di</strong>fficoltà dell’atto<br />
stesso <strong>di</strong> comunicazione. Da un lato si sono sco<strong>per</strong>ti i<br />
<strong>per</strong>icoli, e non solo i vantaggi dei mezzi <strong>di</strong> comunicazione<br />
<strong>di</strong> massa. Così, ad esempio, la demagogia reazionaria<br />
è <strong>di</strong>ventata non soltanto un aspetto caratteristico, ma<br />
anche <strong>una</strong> minaccia reale <strong>per</strong> la cultura del XX secolo.<br />
Nello stesso tempo, benché il mondo, che prima pareva<br />
enorme, si sia contratto e sia <strong>di</strong>ventato spazialmente più<br />
piccolo, cioè più accessibile grazie ai mezzi <strong>di</strong> comunica-
RICERCHE SEMIOTICHE 81<br />
zione, le <strong>di</strong>fficoltà <strong>della</strong> reciproca comprensione tra gli<br />
uomini non sono <strong>di</strong>minuite, ma bensì aumentate.<br />
Nell’intreccio epico l’eroe incontra in un campo<br />
sconfinato il guerriero straniero, il mostro o il gigante<br />
(spesso si sottolinea in modo particolare che si tratta <strong>di</strong><br />
uno straniero), eppure nella loro conversazione non sorge<br />
il problema <strong>della</strong> traduzione. La comunicazione è<br />
pensata qui come un atto ideale, realizzabile istantaneamente<br />
e senza <strong>per</strong><strong>di</strong>ta, come al livello del pensiero.<br />
Al contrario, la sensazione del mondo del tempo<br />
moderno rappresenta la terra come un piccolo spazio, e<br />
se l’idea <strong>della</strong> piccola terra ha riba<strong>di</strong>to con nuova forza<br />
l’idea <strong>della</strong> solidarietà e dell’unità del pianeta (Saint-<br />
Exupéry), ciò ha reso particolarmente chiaro il fatto<br />
che le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> contatto non sono riposte nelle categorie<br />
spaziali.<br />
L’arte del XX secolo considera <strong>una</strong> collettività elementare<br />
(due <strong>per</strong>sone) e le possibilità d’incomprensione riposte<br />
in essa. Persino la singola <strong>per</strong>sona umana si trova<br />
<strong>di</strong> fronte al problema dell’identificazione dei <strong>di</strong>versi stati<br />
<strong>di</strong> sé, e l’autocomunicazione e i problemi a essa legati <strong>di</strong>ventano<br />
oggetto dell’attenzione artistica. In tal modo, la<br />
natura sociale <strong>della</strong> civiltà contemporanea rende i problemi<br />
<strong>della</strong> comunicazione e <strong>della</strong> comprensione o, detto<br />
altrimenti, <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> il contenuto <strong>di</strong> <strong>una</strong> vasta cerchia<br />
<strong>di</strong> o<strong>per</strong>e d’arte. Nella nascita <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> come<br />
scienza autonoma l’arte ha svolto <strong>una</strong> funzione che forse<br />
non è minore <strong>di</strong> quella svolta dal pensiero teorico.<br />
La <strong>semiotica</strong> quin<strong>di</strong> è l’organica continuazione <strong>di</strong> numerose<br />
linee dello sviluppo culturale precedente e, al<br />
tempo stesso, è legata proprio alla fase attuale <strong>della</strong> cultura,<br />
e <strong>di</strong> questa fase manifesta gli aspetti caratteristici.<br />
Le ricerche semiotiche sono strettamente legate non<br />
solo alla cultura <strong>della</strong> loro epoca, ma anche alla cultura<br />
nazionale e alla tra<strong>di</strong>zione scientifica. S’intende da sé<br />
che la <strong>di</strong>visione in scuole e tendenze qui, come in gene-
82 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
rale in casi consimili, ha un carattere piuttosto convenzionale<br />
e fortemente storico.<br />
Così, con certe riserve, si può parlare <strong>di</strong> <strong>una</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />
americana <strong>delle</strong> ricerche semiotiche, rappresentata<br />
prima <strong>di</strong> tutto dai nomi <strong>di</strong> Charles Peirce e Charles<br />
Morris.<br />
Questa tendenza è legata soprattutto all’elaborazione<br />
<strong>della</strong> logica simbolica e dei campi scientifici limitrofi.<br />
(Si deve ricordare inoltre che un grande merito nelle<br />
ricerche semiotiche <strong>di</strong> questo carattere spetta alla cosiddetta<br />
Scuola <strong>di</strong> Lwów e Varsavia dei logici polacchi<br />
e al circolo logistico <strong>di</strong> Vienna). Una <strong>di</strong>visione fondamentale<br />
<strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> come la delimitazione <strong>della</strong> semantica,<br />
<strong>della</strong> sintattica e <strong>della</strong> pragmatica è stata usata<br />
in ugual grado nei lavori propriamente semiotici e nelle<br />
ricerche logiche.<br />
Ultimamente hanno occupato un posto notevole le<br />
ricerche dei semiotici francesi (si vedano, in particolare,<br />
i lavori <strong>di</strong> Claude Lévi-Strauss e <strong>di</strong> Roland Barthes). Di<br />
questa tendenza è caratteristico soprattutto l’interesse<br />
<strong>per</strong> l’indagine <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> varie forme <strong>della</strong> vita sociale;<br />
<strong>di</strong> qui il legame naturale con i problemi dell’antropologia,<br />
dell’etnografia, del folclore, <strong>della</strong> mitologia e,<br />
d’altro lato, coi problemi <strong>della</strong> moda, <strong>della</strong> réclame ecc.<br />
Se Lévi-Strauss stu<strong>di</strong>a la vita e la cultura dei non-Europei,<br />
manifestando <strong>una</strong> struttura nelle forme che tra<strong>di</strong>zionalmente<br />
sembrano troppo semplici <strong>per</strong> <strong>di</strong>ventare oggetto<br />
<strong>di</strong> ricerca (il cibo, l’abbigliamento), Barthes, stu<strong>di</strong>ando<br />
la cultura francese contemporanea nelle sue manifestazioni<br />
quoti<strong>di</strong>ane (i suoi lavori sulla moda e sulla<br />
“mitologia” contemporanea), scopre lo “strano” nell’abituale.<br />
Il buon senso e l’es<strong>per</strong>ienza quoti<strong>di</strong>ana sono da<br />
essi identificati con la coscienza piccolo-borghese, alla<br />
quale si contrappone il punto <strong>di</strong> vista straniato dell’arte<br />
e <strong>della</strong> scienza contemporanee. Noteremo che in <strong>una</strong> serie<br />
<strong>di</strong> casi si può constatare un legame tra le ricerche se-
RICERCHE SEMIOTICHE 83<br />
miotiche francesi e la tra<strong>di</strong>zione nazionale <strong>della</strong> critica<br />
letteraria <strong>di</strong> tipo saggistico.<br />
In modo straor<strong>di</strong>nariamente fecondo si sviluppano<br />
negli ultimi tempi le ricerche semiotiche in Polonia e<br />
Cecoslovacchia.<br />
È naturale che nella presente pubblicazione si sia riflessa<br />
la tra<strong>di</strong>zione nazionale russa <strong>delle</strong> ricerche semiotiche,<br />
che sembra caratterizzata da un legame preminente<br />
con la linguistica strutturale (si vedano le idee <strong>di</strong> Fer<strong>di</strong>nand<br />
de Saussure e <strong>di</strong> Jan A. Baudouin de Courtenay,<br />
sviluppate da Jakobson e Trubeckoj, che trovarono<br />
espressione imme<strong>di</strong>ata nell’attività dell’Opojaz e del Circolo<br />
linguistico <strong>di</strong> Mosca). È comprensibile che si possa<br />
parlare qui sia <strong>di</strong> un’espansione dei meto<strong>di</strong> <strong>della</strong> linguistica<br />
strutturale (cioè <strong>di</strong> <strong>una</strong> loro estrapolazione su un<br />
nuovo materiale), sia <strong>di</strong> un’espansione <strong>delle</strong> idee.<br />
In particolare, non è <strong>per</strong> nulla casuale il fatto che<br />
proprio sul terreno russo sia potuta sorgere la nota<br />
“scuola formale” degli stu<strong>di</strong> letterari (S ˇ klovskij, Ejchenbaum,<br />
Tynjanov, Propp ecc.), il cui legame con le idee<br />
<strong>della</strong> linguistica strutturale è evidentissimo (si veda la<br />
caratteristica <strong>di</strong> questa tendenza nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Victor<br />
Erlich [1965]).<br />
Si tratta non soltanto del fatto che la linguistica strutturale<br />
costituisce la <strong>di</strong>sciplina <strong>semiotica</strong> più sviluppata,<br />
mentre la lingua naturale pur con tutta la sua complessità<br />
è, probabilmente, l’oggetto <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> più accessibile<br />
all’indagine. Non meno importante è il legame<br />
funzionale <strong>della</strong> lingua naturale e dei vari sistemi segnici<br />
<strong>della</strong> cultura umana, legame che consiste proprio nel<br />
fatto che la prima agisce come <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> modello<br />
“campione”, come un sistema naturale <strong>di</strong> rispecchiamento<br />
rispetto agli ultimi (e sulla base <strong>di</strong> questo sistema<br />
<strong>di</strong>ventano possibili i vari tipi <strong>di</strong> rico<strong>di</strong>ficazione), mentre<br />
i vari sistemi segnici parziali spesso agiscono come secondari<br />
rispetto al sistema dell’attività linguistica, costi-
84 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
tuendo dei fenomeni costruiti sopra <strong>di</strong> essa. (Di qui nella<br />
tra<strong>di</strong>zione <strong>semiotica</strong> russa <strong>per</strong> designare tutto l’ambito<br />
dei sistemi segnici costruiti sopra la lingua naturale si<br />
usa il termine <strong>di</strong> “sistemi secondari <strong>di</strong> modellizzazione”,<br />
mentre la lingua naturale è considerata come il sistema<br />
primario <strong>di</strong> modellizzazione).<br />
Questo modo <strong>di</strong> vedere è stato recentemente formulato<br />
con grande precisione da Ivanov (1962, p. 3):<br />
Dal punto <strong>di</strong> vista <strong>delle</strong> moderne idee cibernetiche l’uomo<br />
può essere considerato come un apparecchio che compie<br />
o<strong>per</strong>azioni sui vari sistemi e testi segnici, mentre il programma<br />
<strong>per</strong> queste o<strong>per</strong>azioni è dato all’uomo (e in parte<br />
si elabora in lui stesso) sotto forma <strong>di</strong> segni. Il problema<br />
“uomini o animali” (cioè la questione <strong>della</strong> <strong>di</strong>fferenza del<br />
comportamento e dell’intelletto umano dalle analoghe forme<br />
del comportamento degli animali) e il problema “gli<br />
uomini sono come le macchine?” (cioè la questione <strong>delle</strong><br />
somiglianze e <strong>di</strong>fferenze tra il cervello e la macchina) risultano<br />
strettamente legati alla questione <strong>delle</strong> peculiarità dei<br />
sistemi segnici elaborati e usati dall’umanità. A <strong>di</strong>fferenza<br />
degli animali, i cui mezzi <strong>di</strong> segnalazione sono assai limitati,<br />
l’uomo si serve <strong>di</strong> <strong>una</strong> rete ramificata e sempre più complessa<br />
<strong>di</strong> sistemi segnici che cresce con lo sviluppo dell’umanità<br />
(nella filogenesi). A <strong>di</strong>fferenza <strong>delle</strong> macchine attuali,<br />
<strong>per</strong> il cui funzionamento si usano lingue artificiali riferentisi<br />
a <strong>una</strong> sfera oggettuale rigorosamente fissata e<br />
estremamente semplificata, l’uomo possiede non soltanto<br />
tali lingue formalizzate, ma anche le lingue naturali, nonché<br />
altri sistemi segnici che sono costruiti su <strong>di</strong> esse e che<br />
si <strong>di</strong>fferenziano dalle lingue logiche <strong>per</strong> <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> proprietà<br />
essenziali. Grazie a queste proprietà, le lingue naturali<br />
possono essere impiegate in qualità <strong>di</strong> modello <strong>di</strong> tutto<br />
il mondo che circonda l’uomo, e quin<strong>di</strong> anche <strong>per</strong> la descrizione<br />
dei fenomeni che non hanno ancora avuto <strong>una</strong><br />
spiegazione scientifica. In tal modo, dal punto <strong>di</strong> vista semiotico,<br />
il problema sopra posto si riduce alla spiegazione<br />
<strong>delle</strong> <strong>di</strong>fferenze e <strong>delle</strong> somiglianze tra le lingue estremamente<br />
formalizzate (che sorgono soltanto a uno sta<strong>di</strong>o
RICERCHE SEMIOTICHE 85<br />
molto tardo dello sviluppo del linguaggio e <strong>della</strong> conoscenza<br />
umana) da un lato, e sistemi segnici complessi come<br />
la lingua naturale, i sistemi segnici estetici usati nell’arte<br />
ecc.<br />
(...) Da un lato, si tratta <strong>di</strong> un’espansione dei meto<strong>di</strong><br />
semiotici in larghezza. In <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> casi la stessa possibilità<br />
<strong>di</strong> presentare <strong>una</strong> determinata sfera come oggetto<br />
<strong>di</strong> ricerca <strong>semiotica</strong>, <strong>di</strong> mostrare la presenza in essa <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> determinata “lingua” e i <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong> <strong>della</strong> sua realizzazione<br />
e del suo funzionamento, costituisce un compito<br />
piuttosto allettante <strong>per</strong> il ricercatore semiotico.<br />
Spesso l’inclusione <strong>di</strong> materiale nuovo nell’ambito <strong>della</strong><br />
ricerca scientifica ha un significato metodologico imme<strong>di</strong>ato<br />
poiché un nuovo oggetto <strong>di</strong> ricerca può portare alla<br />
revisione degli stessi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> ricerca.<br />
In altri casi, compito <strong>della</strong> ricerca <strong>semiotica</strong> non è l’espansione<br />
in larghezza, ma la penetrazione in profon<strong>di</strong>tà,<br />
cioè la descrizione immanente <strong>di</strong> un concreto sistema<br />
<strong>di</strong> segni. In questo caso si tratta sia <strong>di</strong> enucleare nella<br />
sfera stu<strong>di</strong>ata un determinato complesso <strong>di</strong> segni, sia <strong>di</strong><br />
analizzare i rapporti tra i segni enucleati, sia nel testo<br />
(nella sintagmatica), sia nel sistema (nella para<strong>di</strong>gmatica).<br />
L’analisi dei rapporti <strong>di</strong> quest’ultimo tipo presuppone<br />
necessariamente l’introduzione del concetto <strong>di</strong> livello<br />
e l’istituzione <strong>di</strong> <strong>una</strong> gerarchia <strong>di</strong> livelli. Si deve <strong>di</strong>re che<br />
la stessa elaborazione <strong>della</strong> meto<strong>di</strong>ca <strong>della</strong> descrizione<br />
può avere in generale <strong>per</strong> la <strong>semiotica</strong> descrittiva un significato<br />
essenziale, non limitato dall’applicazione dei<br />
dati meto<strong>di</strong> alla descrizione del sistema concreto che è<br />
servito da oggetto <strong>di</strong> ricerca. L’applicazione degli stessi<br />
meto<strong>di</strong> a sistemi segnici sostanzialmente <strong>di</strong>versi dà <strong>una</strong><br />
base sicura <strong>per</strong> enucleare l’isomorfismo strutturale tra<br />
sistemi <strong>di</strong> vario tipo e rende possibile la costruzione <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> tipologia <strong>semiotica</strong>.<br />
Infine, non meno importante è la ricerca svolta sul<br />
funzionamento <strong>di</strong> determinati sistemi segnici. Una simi-
86 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
le ricerca presuppone, da un lato, l’analisi del funzionamento<br />
del sistema <strong>di</strong> segni come processo comunicativo,<br />
cioè un determinato sistema <strong>di</strong> segni è considerato,<br />
in termini comunicativi, come comunicazione che va da<br />
un mittente a un destinatario. Lo stu<strong>di</strong>o dei vari rapporti<br />
tra mittente e destinatario (i quali possono essere<br />
considerati in senso sociale e in<strong>di</strong>viduale, coincidere in<br />
<strong>una</strong> stessa <strong>per</strong>sona, <strong>di</strong>fferenziarsi <strong>per</strong> le loro coor<strong>di</strong>nate<br />
spaziali e temporali ecc.) determina le potenzialità interne<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> simile analisi. D’altro lato, proprio se si<br />
considera il problema del funzionamento dei sistemi semiotici<br />
appare attuale la delimitazione <strong>di</strong> sincronia e<br />
<strong>di</strong>acronia e in genere lo stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> <strong>di</strong>namica sia del testo<br />
sia dello stesso sistema.<br />
L’ambito or ora delineato <strong>di</strong> problemi determina le<br />
<strong>di</strong>verse possibilità <strong>della</strong> semiosi, e in particolare le vie <strong>di</strong><br />
formazione dei significati, e delinea <strong>una</strong> classificazione<br />
dei tipi <strong>di</strong> significato: il significato come rapporto tra segno<br />
e denotato o concetto (secondo Charles Morris), il<br />
significato come rapporto tra segno e tutto il sistema nel<br />
suo complesso (nel quale rientra il dato segno), il significato<br />
come rapporto tra i vari partecipanti al processo<br />
comunicativo ecc.<br />
(...) le ricerche svolte su problemi segnici particolari,<br />
<strong>per</strong> quanto concreto sia il fine che esse <strong>per</strong>seguono, sono<br />
orientate verso le prospettive generali <strong>della</strong> costruzione<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> teoria sintetica <strong>della</strong> cultura. Quin<strong>di</strong>, il modo<br />
<strong>di</strong> considerare la cultura umana come <strong>una</strong> gerarchia<br />
complessa <strong>di</strong> linguaggi deve unificare dal punto <strong>di</strong> vista<br />
del fine scientifico le varie es<strong>per</strong>ienze concrete. Inoltre,<br />
gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> quest’ambito <strong>di</strong> problemi sono interessati<br />
non alla teoria astratta <strong>della</strong> cultura (l’es<strong>per</strong>ienza scientifica<br />
ha mostrato che <strong>per</strong> quanto allettanti siano simili<br />
costruzioni, la loro durata non è troppo lunga), bensì a<br />
<strong>una</strong> ricerca svolta su testi realmente manifestati nella<br />
storia del pensiero umano. (...)
RICERCHE SEMIOTICHE 87<br />
I sistemi <strong>di</strong> grande complessità che costituiscono<br />
l’oggetto <strong>delle</strong> scienze umane – storia, arte, la vita dell’uomo<br />
come unità <strong>di</strong> processi biologici e sociali –, si <strong>di</strong>stinguono<br />
<strong>per</strong> il <strong>di</strong>namismo, la flui<strong>di</strong>tà e la contrad<strong>di</strong>ttorietà<br />
dell’organizzazione interiore. È proprio su questo<br />
aspetto dell’oggetto stu<strong>di</strong>ato che richiamano <strong>di</strong> solito<br />
l’attenzione gli avversari dei meto<strong>di</strong> semiotico-strutturali,<br />
parlando <strong>di</strong> <strong>una</strong> loro inapplicabilità agli oggetti <strong>delle</strong><br />
scienze umane. In effetti, il problema dell’antinomia <strong>di</strong><br />
sincronico e <strong>di</strong>acronico, statico e <strong>di</strong>namico, <strong>di</strong>screto e<br />
continuo, sta alla base <strong>delle</strong> <strong>di</strong>scussioni che attualmente<br />
si svolgono intorno alla possibilità <strong>di</strong> applicare i meto<strong>di</strong><br />
<strong>delle</strong> scienze esatte alle scienze umane.<br />
Se si prescinde dalle <strong>per</strong>sone poco competenti che<br />
partecipano alla polemica (e il loro numero, da <strong>una</strong> parte<br />
e dall’altra, è tutt’altro che scarso), le obiezioni più serie<br />
provengono dal campo dei teorici legati alla tra<strong>di</strong>zione<br />
<strong>della</strong> filosofia classica tedesca (in particolare <strong>di</strong> Hegel)<br />
e <strong>della</strong> scienza accademica, che ha formato la propria<br />
nozione dello storicismo sotto l’influsso <strong>di</strong> tale filosofia.<br />
Un significato analogo aveva già negli anni Venti la<br />
critica <strong>di</strong> Z ˇ irmunskij e Bachtin alla poetica dell’Opojaz 3 .<br />
Molto interessante è l’insod<strong>di</strong>sfazione che nei riguar<strong>di</strong><br />
del formalismo (cioè <strong>della</strong> “scuola formale” degli stu<strong>di</strong><br />
letterati) espresse Boris Pasternak, le cui idee si formarono<br />
sotto il duplice influsso <strong>della</strong> cultura avanguar<strong>di</strong>stica<br />
del futurismo e <strong>della</strong> filosofia classica tedesca.<br />
In <strong>una</strong> lettera a Medvedev, de<strong>di</strong>cata alla pubblicazione<br />
del suo libro sul formalismo, Pasternak scriveva:<br />
Con<strong>di</strong>vido interamente la Sua posizione nei riguar<strong>di</strong> del<br />
formalismo, con la riserva, tuttavia, che nei particolari, naturalmente,<br />
Lei è ingiusto verso <strong>di</strong> loro. Di questo, probabilmente,<br />
è cosciente anche Lei e si tratta <strong>di</strong> <strong>una</strong> cosa fatta<br />
intenzionalmente. Parlo <strong>delle</strong> interpretazioni insufficienti<br />
<strong>di</strong> alcuni concetti come la straniazione (ostranenie), l’interazione<br />
<strong>di</strong> fabula e intreccio ecc. Mi è sempre sembrato
88 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
che, teoricamente, ci fossero idee molto felici, e mi ha sempre<br />
stupito che questi concetti, euristicamente <strong>di</strong> così vasta<br />
portata, <strong>per</strong>mettessero ai loro autori <strong>di</strong> essere quelli che<br />
sono. Al loro posto io d’impeto, lì <strong>per</strong> lì, mi sarei messo a<br />
derivare da quelle osservazioni un sistema <strong>di</strong> estetica, e se<br />
c’è stato qualcosa che mi ha sempre <strong>di</strong>viso dai lefisti 4 e dai<br />
formalisti fin dalla nascita del futurismo (e poi, col passar<br />
del tempo, sempre <strong>di</strong> più), è stata proprio l’incomprensibilità<br />
del loro arrestarsi negli slanci più promettenti. Questa<br />
incoerenza non l’ho mai potuta capire.<br />
E più avanti: “Mi è particolarmente vicina la vostra<br />
nozione dello storicismo, <strong>della</strong> prospettiva sociale e <strong>delle</strong><br />
altre cose im<strong>per</strong>cettibili sulle quali tutto si regge” (Su<strong>per</strong>fin<br />
1971, p. 529).<br />
Qui, <strong>di</strong> fatto, si scontrano due punti <strong>di</strong> vista la cui essenza<br />
si era già manifestata nella polemica degli anni<br />
Venti: il contenuto del testo è <strong>una</strong> funzione <strong>della</strong> sua<br />
struttura e, quin<strong>di</strong>, indagando il meccanismo del testo,<br />
otteniamo <strong>una</strong> base oggettiva <strong>per</strong> i giu<strong>di</strong>zi sulla sostanza<br />
semantica e sociale <strong>di</strong> <strong>una</strong> data o<strong>per</strong>a – sostanza derivata<br />
da quel meccanismo – oppure il significato (l’ideja) è<br />
primario, e soltanto nella misura in cui il continuo può<br />
essere espresso nel <strong>di</strong>screto esso si riflette in un dato testo?<br />
La contrad<strong>di</strong>zione nella posizione iniziale ha generato<br />
<strong>una</strong> <strong>di</strong>fferenza nella scelta del materiale d’analisi: da<br />
un lato si è manifestato interesse <strong>per</strong> i testi stabili con alfabeti<br />
limitati del sistema e regole semplici <strong>della</strong> sintattica<br />
(la fiaba, il mito, il romanzo giallo, la “letteratura <strong>di</strong><br />
massa”), dall’altro ci si è interessati alle strutture ambivalenti,<br />
ai testi paradossali, i cui elementi non sono, evidentemente,<br />
riducibili in un’unitaria struttura sincronica<br />
(il principio <strong>della</strong> “polifonia”, del “carnevale” ecc.).<br />
L’attuale visione strutturale toglie questa antinomia<br />
poiché considera entrambi i punti <strong>di</strong> vista non come<br />
escludentisi a vicenda, ma come due tendenze culturali<br />
interagenti. Le tendenze alla sistematizzazione e alla de-
RICERCHE SEMIOTICHE 89<br />
sistematizzazione nella loro reciproca tensione e resistenza<br />
determinano il funzionamento dei sistemi segnici,<br />
garantendo quell’estrazione dei testi dallo stato <strong>di</strong> automatismo<br />
che è la con<strong>di</strong>zione dell’informatività. Ne deriva<br />
che i testi funzionanti nella collettività possono essere<br />
descritti sia come realizzazione <strong>di</strong> determinate regole sia<br />
come loro coerente violazione. Tuttavia, soltanto il rapporto<br />
<strong>di</strong> queste descrizioni, che reciprocamente si oppongono,<br />
e non ogni singola descrizione a sé presa è capace<br />
<strong>di</strong> spiegarci la natura dell’attività del testo. La violazione<br />
<strong>delle</strong> regole non è <strong>una</strong> loro assenza, e non bisogna<br />
confondere l’assenza <strong>di</strong> regole col fatto che esse sono<br />
ignote a un determinato au<strong>di</strong>torio. Ne deriva che la<br />
descrizione statica del sistema <strong>delle</strong> regole deve precedere<br />
euristicamente l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>delle</strong> loro violazioni,<br />
ma ciò non toglie che nel funzionamento reale entrambe<br />
le tendenze si manifestino simultaneamente.<br />
A questo proposito è opportuno soffermarsi su un’obiezione<br />
frequente secondo la quale proprio l’unità, l’in<strong>di</strong>visibilità<br />
e l’organicità <strong>della</strong> vita (e dell’arte come rispecchiamento<br />
<strong>della</strong> vita) la rende estranea ai meto<strong>di</strong> esclusivamente<br />
analitici che costituirebbero l’essenza del metodo<br />
strutturale. In effetti, i modelli scientifici <strong>di</strong> qualsiasi fenomeno<br />
continuo, fluido, organico si costruiscono secondo il<br />
principio <strong>della</strong> costruzione <strong>di</strong> un sistema in base a un testo<br />
e quin<strong>di</strong> apportano inevitabilmente uno smembramento<br />
decifrativo. Ma è proprio il metodo semiotico che, in questo<br />
senso, si stacca <strong>di</strong> più dai meto<strong>di</strong> scientifici tra<strong>di</strong>zionali,<br />
puramente analitici, poiché pone il problema e <strong>delle</strong> regole<br />
e dei mezzi <strong>della</strong> sintesi del testo. Anzi, legando questo<br />
problema allo stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> “posizione del mittente” e<br />
<strong>della</strong> “posizione del destinatario”, la <strong>semiotica</strong> contemporanea<br />
considera i meto<strong>di</strong> analitico e sintetico non in qualità<br />
<strong>di</strong> due principi che si escludono tra loro, ma come<br />
aspetti organicamente connessi, anche se opposti, <strong>di</strong> un<br />
unico processo <strong>di</strong> comunicazione. Ed è proprio lo stu<strong>di</strong>o
90 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
dell’arte che <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> scoprire la loro unità con la massima<br />
chiarezza. Facciamo un solo esempio: confrontiamo<br />
<strong>una</strong> serie extraartistica <strong>di</strong> denotati (la “vita”, la “realtà”) e<br />
un cinetesto che la riproduca e che noi guar<strong>di</strong>amo durante<br />
la proiezione <strong>di</strong> un film. Può sembrare <strong>di</strong> avere <strong>di</strong> fronte<br />
un chiaro esempio del rispecchiamento <strong>di</strong> un tutto continuo<br />
e in<strong>di</strong>visibile (la “vita”) in un altro tutto in<strong>di</strong>visibile<br />
(l’“arte”). Può sembrare inoltre che ogni tentativo <strong>di</strong> costruire<br />
un modello <strong>di</strong>screto sia qui possibile soltanto come<br />
astrazione <strong>di</strong> ricerca, che, secondo gli avversari dello strutturalismo,<br />
fa <strong>per</strong>dere gli aspetti principali dell’o<strong>per</strong>a d’arte.<br />
Immaginiamoci, tuttavia, il cinetesto come si presenta<br />
non allo spettatore (“destinatario”), ma al regista (“mittente”):<br />
la pellicola “ininterrotta” si spezza qui in singoli pezzi,<br />
uniti me<strong>di</strong>ante il montaggio. Sono largamente noti gli<br />
es<strong>per</strong>imenti <strong>di</strong> montaggio fatti da Lev V. Kulesˇov già negli<br />
anni Venti. Ad esempio, un’inquadratura, che raffigurava<br />
in primo piano il volto impassibile dell’attore Mozˇuchin,<br />
era montata prima con <strong>una</strong> fotografia <strong>di</strong> un piatto <strong>di</strong> minestra,<br />
poi con quella <strong>di</strong> un bambino che giocava e infine<br />
con quella <strong>di</strong> <strong>una</strong> bara. A seconda del carattere del montaggio<br />
gli spettatori vedevano nel volto dell’attore <strong>una</strong> mimica<br />
<strong>di</strong>versa: fame, amore, dolore. Entrambe le inquadrature<br />
si fondono, <strong>per</strong> lo spettatore, in un’unità in<strong>di</strong>ssolubile,<br />
mentre <strong>per</strong> il regista costituiscono un susseguirsi <strong>di</strong><br />
unità <strong>di</strong>screte. Nel documentario de<strong>di</strong>cato a Marija F. Andreeva<br />
il <strong>di</strong>citore legge il testo dei ricor<strong>di</strong> dell’attrice sul<br />
primo incontro con Gor’kij:<br />
Non me lo immaginavo così. E mi riusciva strano che i tratti<br />
del viso fossero così rozzi, e che avesse quei baffi rossicci<br />
(...). Ma d’un tratto attraverso le lunghe e fitte ciglia mi<br />
guardarono gli occhi azzurri, le labbra si atteggiarono in un<br />
sorriso affascinante, e il suo viso mi parve bellissimo (...).<br />
Il regista accompagnò questo testo col montaggio <strong>di</strong><br />
due fotografie: Gor’kij serio e Gor’kij sorridente. Per lo
RICERCHE SEMIOTICHE 91<br />
spettatore si ottenne l’effetto <strong>di</strong> un movimento ininterrotto,<br />
<strong>per</strong> il regista il susseguirsi del montaggio <strong>di</strong> immagini<br />
statiche. Quando Botticelli, illustrando la Divina<br />
Comme<strong>di</strong>a, in un <strong>di</strong>segno mostrò alcune figure <strong>di</strong> Dante<br />
e Virgilio <strong>di</strong>sposte lungo l’asse del loro spostamento, lo<br />
spettatore del tempo dovette avere un’impressione <strong>di</strong><br />
movimento continuo, impressione che noi abbiamo <strong>per</strong>duto.<br />
In tal modo, questa fondamentale contrad<strong>di</strong>zione<br />
dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> descrizione del testo è tolta nell’unità <strong>della</strong><br />
sovrapposizione reciproca dei punti <strong>di</strong> vista del mittente<br />
e del destinatario.<br />
Infine, c’è ancora un aspetto <strong>delle</strong> obiezioni mosse ai<br />
meto<strong>di</strong> strutturali che merita <strong>di</strong> essere rilevato. Si tratta<br />
dell’affermazione che con tale metodo si può afferrare<br />
soltanto ciò che <strong>di</strong> sistematico e <strong>di</strong> regolare c’è in un testo,<br />
mentre l’essenza dell’o<strong>per</strong>a d’arte, secondo questa<br />
obiezione, sta in ciò che è irripetibilmente in<strong>di</strong>viduale.<br />
Al proposito si deve osservare che lo stesso concetto<br />
<strong>di</strong> sistematicità nell’arte si <strong>di</strong>fferenzia dal corrispondente<br />
concetto nelle strutture più semplici. Un testo artistico è<br />
proiettato non su <strong>una</strong> struttura deco<strong>di</strong>ficante soltanto,<br />
come avviene ad esempio nelle lingue naturali, ma almeno<br />
su due. In tal modo uno stesso elemento ottiene contemporaneamente<br />
alcuni significati, inserendosi in co<strong>di</strong>ci<br />
<strong>di</strong>versi. Inoltre ciò che rispetto a un co<strong>di</strong>ce si presenta<br />
come asistematico, rispetto a un altro acquista valore <strong>di</strong><br />
sistematicità. Alla luce <strong>di</strong> ciò l’“in<strong>di</strong>viduale” nell’arte acquista<br />
un significato <strong>di</strong>verso che non nel mondo dei denotati.<br />
Esso non è <strong>una</strong> manifestazione <strong>di</strong> asistematicità,<br />
ma il risultato dell’intersezione <strong>di</strong> molti sistemi <strong>di</strong>versi in<br />
un solo punto. La deviazione da un sistema è l’inserimento<br />
in un altro sistema. L’irripetibile in<strong>di</strong>vidualità <strong>di</strong><br />
un testo può essere quin<strong>di</strong> afferrata non se si rifiuta <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong>arne l’interna struttura, ma soltanto se si descrive<br />
nel modo più completo possibile la molteplicità <strong>delle</strong><br />
sue strutture <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ce, nel campo semantico <strong>delle</strong> quali
92 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
funziona un dato testo, e il “gioco” semantico che sorge<br />
dalla loro intersezione.<br />
Da quanto s’è detto consegue che chi vuole inserire<br />
nel campo dei meto<strong>di</strong> semiotico-strutturali l’ampia cerchia<br />
degli svariati testi funzionanti nell’ambito <strong>della</strong> cultura<br />
umana, non è affatto propenso a livellare la <strong>di</strong>fferenza<br />
tra i sistemi <strong>di</strong> vario grado <strong>di</strong> complessità, né a<br />
sottovalutare le <strong>di</strong>fficoltà con le quali i ricercatori dovranno<br />
incontrarsi su questo cammino. Queste <strong>di</strong>fficoltà<br />
cresceranno legittimamente a mano a mano che si passerà<br />
dalle strutture semplici (euristicamente era inevitabile<br />
che si cominciasse lo stu<strong>di</strong>o proprio da loro) a quelle<br />
più complesse. Tuttavia si può ritenere che le ricerche<br />
fatte in questa <strong>di</strong>rezione porteranno in futuro determinati<br />
risultati scientifici.<br />
Il vasto interesse sociale <strong>per</strong> la <strong>semiotica</strong> e le sue applicazioni<br />
nella sfera <strong>delle</strong> scienze umane è suscitato<br />
dal desiderio che il lettore non-specialista ha <strong>di</strong> farsi<br />
un’idea <strong>della</strong> sostanza scientifica <strong>di</strong> questa nuova <strong>di</strong>sciplina.<br />
Tuttavia, come abbiamo scritto all’inizio <strong>di</strong> questo<br />
articolo, la letteratura <strong>di</strong>vulgativa non può dare<br />
un’idea <strong>della</strong> scienza poiché la trasforma in mito. Per<br />
penetrare la sostanza <strong>della</strong> scienza bisogna conoscere<br />
non i suoi risultati, ma le sue <strong>di</strong>fficoltà, non le conquiste,<br />
ma i meto<strong>di</strong>. Il nostro volume è costruito appunto<br />
così. Gli autori, facendo conoscere ai lettori i risultati<br />
raggiunti dalla <strong>semiotica</strong> russa applicata alle scienze<br />
umane, hanno concentrato la loro attenzione sui problemi,<br />
e non sulle conclusioni <strong>della</strong> scienza. Ma proprio<br />
<strong>per</strong> questo, secondo le nostre s<strong>per</strong>anze, la conoscenza<br />
dei materiali del presente volume può riuscire<br />
interessante non solo agli specialisti, che stu<strong>di</strong>ano i<br />
problemi toccati nei vari lavori qui proposti, ma anche<br />
<strong>per</strong> <strong>una</strong> vasta cerchia <strong>di</strong> lettori che desiderino avere<br />
un’idea dei temi su cui lavorano gli specialisti russi <strong>di</strong><br />
<strong>semiotica</strong> applicata alle scienze umane.
RICERCHE SEMIOTICHE 93<br />
1 Ed. or.: 1973, “Introduzione”, in Ricerche semiotiche, trad. dal russo <strong>di</strong><br />
C. Strada Janovič, Torino, Einau<strong>di</strong>, pp. XI-XXVIII.<br />
2 Una <strong>delle</strong> maggiori o<strong>per</strong>e letterarie popolari russe <strong>di</strong> carattere religioso.<br />
Il titolo, che letteralmente significa “libro <strong>della</strong> colomba” (con un riferimento<br />
allo Spirito Santo), deriva – <strong>per</strong> un processo <strong>di</strong> reinterpretazione semantica,<br />
basato su un’assonanza fonica – da un originario Glubinnaja kniga, cioè “libro<br />
profondo” (N.d.T.).<br />
3 Cfr. Z ˇ irmunskijù 1928, pp. 154-174, 337-356; Medvedev 1928;<br />
Volosˇinov 1929. I libri <strong>di</strong> Medvedev e Volosˇinov, scritti sotto il <strong>di</strong>retto influsso<br />
<strong>di</strong> Bachtin, riflettono le idee <strong>di</strong> quest’ultimo.<br />
4 Cioè dei seguaci del LEF (abbreviazione russa del Fronte <strong>di</strong> sinistra <strong>delle</strong><br />
arti), denominazione <strong>di</strong> un movimento e <strong>di</strong> <strong>una</strong> rivista degli anni Venti che faceva<br />
capo a Majakovskij (N.d.T.).
Che cosa dà l’approccio semiotico? 1<br />
Jurij M. Lotman<br />
La questione del rapporto tra scienza e arte ha <strong>di</strong>ritto<br />
alla nostra attenzione 2 . Lo <strong>di</strong>mostrano, almeno, i timori<br />
suscitati nell’uomo contemporaneo <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a cultura dalla<br />
stessa impostazione <strong>della</strong> questione dell’influenza reciproca<br />
tra arte e scienza, arte e tecnica. Ma la cultura,<br />
fra l’altro, esiste <strong>per</strong> questo, <strong>per</strong> analizzare e <strong>di</strong>s<strong>per</strong>dere i<br />
timori. I timori nei confronti <strong>della</strong> scientifizzazione e<br />
tecnicizzazione <strong>della</strong> cultura sono antichi e hanno ra<strong>di</strong>ci<br />
profonde. L’uomo meccanico, l’automa, la bambola viva,<br />
un mondo dominato dagli automi sono incubi tra<strong>di</strong>zionali<br />
<strong>della</strong> cultura dell’era moderna.<br />
Con questo va tuttavia sottolineato, in primo luogo,<br />
che alla base <strong>di</strong> queste immagini quasi mitologiche si<br />
trova <strong>una</strong> metafora; in realtà il mondo <strong>di</strong> macchine <strong>di</strong>sumane<br />
che spaventava e illuministi e romantici non ha alc<strong>una</strong><br />
relazione col progresso reale <strong>della</strong> scienza e <strong>della</strong><br />
tecnica. Quando Hoffmann fantasticava <strong>di</strong> bambole<br />
senz’anima e <strong>di</strong> automi maligni, aveva davanti agli occhi<br />
l’enorme macchina sociale prussiana, che non brillava<br />
affatto <strong>per</strong> attività tecnica e <strong>per</strong> progresso scientifico.<br />
Né la Russia <strong>di</strong> Nicola I al tempo <strong>di</strong> Odoevskij né la reazione<br />
russa del secondo Ottocento, che col suo automatismo<br />
opprimeva Saltykov-S ˇ čedrin, erano epoche <strong>di</strong> penetrazione<br />
<strong>della</strong> tecnica nella vita, sebbene suscitassero<br />
nella coscienza degli artisti le immagini fantasmagoriche<br />
<strong>di</strong> un’automatizzazione <strong>di</strong> tutto il vivente. In tal modo la
96 JURIJ M. LOTMAN<br />
macchina è qui soltanto un’immagine metaforica <strong>di</strong> un<br />
movimento morto, <strong>di</strong> <strong>una</strong> pseudovita, e non la causa<br />
reale <strong>di</strong> un morire.<br />
In secondo luogo lo sviluppo <strong>della</strong> moderna teoria<br />
<strong>delle</strong> comunicazioni ci <strong>per</strong>suade che influenza reciproca<br />
è cosa <strong>di</strong>ametralmente opposta a livellamento. Il contatto<br />
tra meccanismi identici è inutile. È proprio il livellamento<br />
<strong>delle</strong> <strong>per</strong>sone che interrompe i loro contatti comunicativi.<br />
Il contatto <strong>di</strong>venta troppo tenue e funzionalmente<br />
del tutto inutile. Al contrario, la specializzazione<br />
<strong>delle</strong> varie sfere <strong>della</strong> cultura fa del contatto tra <strong>di</strong> esse<br />
un complesso problema semiotico, e contemporaneamente<br />
le rende reciprocamente necessarie. Di conseguenza,<br />
il <strong>di</strong>scorso non può vertere sulla trasformazione<br />
dell’arte in scienza o viceversa. Quanto più l’arte sarà arte<br />
e la scienza scienza, tanto più esse saranno specifiche<br />
nelle proprie funzioni culturali, e tanto più reale e fruttuoso<br />
sarà il loro <strong>di</strong>alogo.<br />
In terzo luogo va tenuto presente che nelle nostre riflessioni<br />
sul ruolo <strong>della</strong> macchina nella cultura penetra<br />
inesorabilmente, senza che ce ne accorgiamo, l’immagine<br />
<strong>delle</strong> macchine che ci sono note. Ma se si considera<br />
che qualsiasi tecnica contemporanea, commisurata alle<br />
capacità potenziali <strong>della</strong> scienza, è estremamente primitiva<br />
e poco efficiente, alla riflessione sul ruolo <strong>della</strong> tecnica<br />
nella cultura subentra inevitabilmente quella relativa<br />
alle possibilità <strong>di</strong> influenza <strong>di</strong> forme primitive <strong>della</strong><br />
tecnica su sfere culturali <strong>di</strong> <strong>per</strong> sé complesse. La concezione<br />
meccanicistica <strong>della</strong> macchina, creata nella cultura<br />
del secolo XVII, mentre se ne sta andando dalla tecnica<br />
moderna, rimane un fatto <strong>della</strong> coscienza dell’uomo colto<br />
contemporaneo, frenando non soltanto il progresso<br />
tecnico, ma anche lo sviluppo generale <strong>della</strong> cultura.<br />
La questione dell’influsso <strong>della</strong> tecnica sull’arte ci<br />
sembra, se non gonfiata, quanto meno poco interessante.<br />
È molto più importante l’aspetto dell’influsso dell’arte
CHE COSA DÀ L’APPROCCIO SEMIOTICO? 97<br />
sulla tecnica. Nel corso dei secoli il pensiero tecnicoscientifico<br />
era orientato verso l’idea che il mondo <strong>della</strong><br />
natura fosse fatto in modo im<strong>per</strong>fetto, che bisognasse<br />
<strong>per</strong>fezionarlo, che <strong>di</strong> conseguenza occorresse inventare<br />
ciò che in natura non esiste e razionalizzare ciò che esiste<br />
in essa. Per la coscienza scientifica contemporanea il<br />
mondo <strong>della</strong> natura si rivela come un meccanismo estremamente<br />
complesso e finalizzato, le cui lezioni non possiamo<br />
largamente utilizzare solo a causa <strong>della</strong> nostra impreparazione<br />
tecnico-scientifica. Proprio questo limita le<br />
possibilità <strong>della</strong> bionica. Tuttavia, proprio la natura ci offre<br />
esempi ideali <strong>di</strong> <strong>una</strong> macchina che pensa e si sviluppa<br />
da sé, <strong>della</strong> macchina-in<strong>di</strong>viduo, che rappresenta un organismo<br />
unico nel suo genere e che coo<strong>per</strong>a con altri organismi<br />
unici nel loro genere (come è lontano questo<br />
dall’im<strong>per</strong>sonalità e standar<strong>di</strong>zzazione come immagini<br />
ideali <strong>della</strong> macchina!). La complessità dei meccanismi<br />
biochimici <strong>della</strong> vita rappresenta tuttavia <strong>una</strong> barriera<br />
che non riusciamo ancora a su<strong>per</strong>are. A questo punto bisogna<br />
ricordare un altro oggetto, che da <strong>una</strong> parte ha caratteri<br />
simili a quelli <strong>della</strong> vita (ad esempio la capacità <strong>di</strong><br />
svilupparsi e accumulare informazione nel corso <strong>di</strong> questo<br />
processo e correlativamente <strong>di</strong> ridurre il livello d’entropia<br />
nel suo ambiente), e dall’altra è creazione dell’uomo<br />
e <strong>di</strong> conseguenza si presta maggiormente alla modellizzazione.<br />
Mi riferisco all’arte. Si può affermare con certezza<br />
che l’o<strong>per</strong>a d’arte è la cosa più complessa e funzionalizzata<br />
tra quanto finora ha creato la mano dell’uomo.<br />
Per determinati aspetti l’o<strong>per</strong>a d’arte è un’immagine<br />
ideale <strong>di</strong> <strong>una</strong> macchina del futuro (assimilando <strong>una</strong> serie<br />
<strong>di</strong> principi strutturali dell’o<strong>per</strong>a d’arte, il futuro oggetto<br />
tecnico non la sostituirà e non le somiglierà; al contrario,<br />
proprio allora la contrapposizione funzionale tra arte e<br />
tecnica si manifesterà in forma “pura”).<br />
Facciamo un esempio. A tutti coloro che hanno avuto<br />
a che fare col problema attuale dell’intelligenza artifi-
98 JURIJ M. LOTMAN<br />
ciale 3 è noto che le realizzazioni in questo campo si sono<br />
rivelate notevolmente inferiori alle attese. Si ritiene che<br />
<strong>una</strong> <strong>delle</strong> ragioni <strong>di</strong> questo stia nel fatto che gli sforzi sono<br />
stati concentrati su funzioni intellettuali relativamente<br />
primitive, a partire dalle quali si s<strong>per</strong>ava <strong>di</strong> costruire<br />
un insieme pensante, come fanno i bambini coi cubetti<br />
<strong>per</strong> costruire <strong>una</strong> casetta. Tra l’altro la nozione stessa <strong>di</strong><br />
attività intellettuale rimane non chiara, poiché il pensiero<br />
in<strong>di</strong>viduale umano continua a essere un fatto unico,<br />
non comparabile con nessun altro oggetto. Di conseguenza<br />
è impossibile <strong>di</strong>stinguere ciò che appartiene a<br />
qualsiasi tipo <strong>di</strong> intelligenza e ciò che invece appartiene<br />
a <strong>una</strong> <strong>delle</strong> sue forme, la coscienza umana.<br />
La <strong>semiotica</strong> dell’arte e la <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura<br />
contemporanee consentono, da un lato, <strong>di</strong> vedere nell’o<strong>per</strong>a<br />
d’arte un congegno che produce pensiero, creato<br />
dall’uomo e, dall ’ altro, <strong>di</strong> osservare la cultura come meccanismo,<br />
ovviamente creatosi storicamente, dell’intelligenza<br />
collettiva che possiede <strong>una</strong> memoria collettiva e la<br />
capacità <strong>di</strong> compiere o<strong>per</strong>azioni intellettuali. Questo fa<br />
uscire l’intelligenza umana da uno stato <strong>di</strong> unicità, il che<br />
rappresenta un essenziale passo avanti <strong>della</strong> scienza.<br />
Per comprendere che cosa possa significare questo <strong>per</strong><br />
la tecnica del futuro, <strong>di</strong>amo un esempio. È largamente noto<br />
che la memoria occupa un posto assai importante nel sistema<br />
<strong>della</strong> moderna teoria <strong>delle</strong> macchine. Non appena<br />
l’uomo ha avuto necessità <strong>di</strong> creare artificialmente un <strong>di</strong>spositivo<br />
<strong>di</strong> memoria, si è trovato <strong>di</strong>nnanzi la nota immagine<br />
del deposito (biblioteca, libri, qualsiasi tipo <strong>di</strong> memoria<br />
sovrain<strong>di</strong>viduale, sorta nell’epoca <strong>della</strong> grafica), cioè <strong>delle</strong><br />
caselle riempite <strong>di</strong> testi. Il libro, <strong>una</strong> macchina <strong>della</strong> memoria<br />
assai primitiva e antica, è <strong>di</strong>ventato un modello <strong>per</strong><br />
la nuova memoria <strong>delle</strong> macchine. Se potessimo intanto<br />
spiegare, in termini traducibili in un linguaggio scientifico<br />
generale, <strong>per</strong>ché dopo aver letto un testo artistico “ricor<strong>di</strong>amo”<br />
ciò che non sapevamo e ciò che in esso letteral-
CHE COSA DÀ L’APPROCCIO SEMIOTICO? 99<br />
mente non si <strong>di</strong>ce, ma che è stato posto dall’autore nella<br />
memoria latente del romanzo o del poema, e <strong>per</strong>ché uno<br />
stesso testo <strong>di</strong>a a lettori <strong>di</strong>versi informazioni <strong>di</strong>verse e, costituendo<br />
con ogni singolo lettore un complesso insieme<br />
strutturale, gli <strong>di</strong>a proprio ciò che gli serve, comunicandogli<br />
quanto egli può “contenere”, allora probabilmente i<br />
nostri modelli <strong>di</strong> memoria artificiale sarebbero meno farraginosi<br />
(ricor<strong>di</strong>amo la compattezza del testo artistico e la<br />
semplicità apparente <strong>della</strong> sua struttura, irraggiungibili <strong>per</strong><br />
la tecnica moderna!) e molto più efficaci.<br />
Senza far carico al lettore <strong>di</strong> particolari specifici, si<br />
può <strong>di</strong>re che <strong>una</strong> scienza che sta ora nascendo, la cibernetica<br />
del testo artistico, l’artonica [artonika], nasconde<br />
in sé possibilità non soltanto teorico-scientifiche, ma anche<br />
tecnico-pratiche. Quest’ultima affermazione si basa<br />
non solo su considerazioni approssimative, ma sull’es<strong>per</strong>ienza<br />
<strong>di</strong> molti anni <strong>di</strong> collaborazione tra la cattedra <strong>di</strong><br />
Letteratura Russa dell’Università statale <strong>di</strong> Tartu, i cibernetici<br />
dell’Istituto <strong>di</strong> Apparecchiature Aeronautiche<br />
<strong>di</strong> Leningrado (il gruppo del professor Ignat’ev) e il<br />
gruppo del professor Egorov presso l’Istituto pedagogico<br />
Herzen <strong>di</strong> Leningrado.<br />
Si può s<strong>per</strong>are che verrà il momento in cui un’indagine<br />
attenta dei fenomeni dell’arte e dei meccanismi <strong>della</strong><br />
cultura <strong>di</strong>venterà abituale sia <strong>per</strong> il teorico <strong>della</strong> cibernetica<br />
sia <strong>per</strong> chi crea nuove forme <strong>di</strong> tecnica.<br />
1 Ed. or.: 1976, Čto daët semiotičeskij podchod?, «Vosprosy literatury»,<br />
11, Moskva, pp. 67-70; trad. it. 1979, in La <strong>semiotica</strong> nei Paesi slavi. Programmi,<br />
problemi, analisi, a cura <strong>di</strong> C. Previgano, trad. <strong>di</strong> C. Danil’čenko Girotti,<br />
Milano, Feltrinelli, pp. 225-228.<br />
2 Il testo qui tradotto rappresenta il resoconto stenografico autorizzato<br />
del contributo <strong>di</strong> Lotman a <strong>una</strong> tavola rotonda, organizzata dalle riviste «Vosprosy<br />
filosofii» e «Vosprosy literatury», sul rapporto fra scienza e arte nel<br />
corso <strong>della</strong> rivoluzione tecnico-scientifica.<br />
3 Si è tradotto così iskusstvennyi intellekt, equivalente <strong>di</strong> artificial intelligence<br />
(N.d.T.).
Seconda parte<br />
Nascita <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong><br />
<strong>della</strong> cultura
L’unità <strong>della</strong> cultura 1<br />
Jurij M. Lotman<br />
Il Comitato organizzatore <strong>della</strong> “IV Scuola estiva<br />
sui sistemi modellizzanti secondari” 2 propone <strong>di</strong> mettere<br />
al centro dei lavori <strong>di</strong> quest’anno il problema<br />
dell’unità <strong>della</strong> cultura. L’argomento va esaminato da<br />
più angolazioni:<br />
1. Occorre muovere dalla premessa che tutta l’attività<br />
dell’uomo <strong>di</strong>retta a elaborare, scambiare e conservare<br />
informazione con l’aiuto <strong>di</strong> segni, possiede <strong>una</strong> precisa<br />
unità. I <strong>di</strong>versi sistemi <strong>di</strong> segni pur presentando strutture<br />
a organizzazione immanente, funzionario solo in unità,<br />
con l’appoggiarsi l’uno all’altro. Nessun sistema segnico<br />
<strong>di</strong>spone <strong>di</strong> un meccanismo che gli assicuri un funzionamento<br />
isolato. Da questo segue che, accanto a un’impostazione<br />
dell’indagine che <strong>per</strong>metta <strong>di</strong> costruire <strong>una</strong> serie<br />
<strong>di</strong> scienze del ciclo semiotico, tra loro relativamente autonome,<br />
è anche ammissibile un’altra impostazione nella<br />
cui prospettiva tutte queste scienze analizzino singoli<br />
aspetti <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura, scienza <strong>della</strong> correlazione<br />
funzionale dei <strong>di</strong>fferenti sistemi segnici.<br />
2. Da questo punto <strong>di</strong> vista, acquistano un senso tutto<br />
particolare i problemi che riguardano la struttura gerarchica<br />
dei linguaggi <strong>della</strong> cultura, la ripartizione dei relativi<br />
ambiti, i casi in cui tali ambiti si intersecano o, semplicemente,<br />
confinano. È necessario prendere in esame anche<br />
quelle con<strong>di</strong>zioni extrasistemiche, a prescindere dalle<br />
quali il sistema non è in grado <strong>di</strong> funzionare (cfr., ad
104 JURIJ M. LOTMAN<br />
esempio, l’incomprensibilità del linguaggio orale quando<br />
lo si trasferisca meccanicamente in <strong>una</strong> forma grafica).<br />
3. Sarebbe interessante definire l’assortimento minimo<br />
<strong>di</strong> sistemi segnici (<strong>di</strong> linguaggi culturali) necessari al<br />
funzionamento <strong>di</strong> <strong>una</strong> cultura nella sua totalità, e costruire<br />
il modello <strong>delle</strong> relazioni più elementari che intercorrono<br />
tra essi, il modello <strong>della</strong> cultura.<br />
4. Andrebbe sottoposto a un’analisi specifica il problema<br />
<strong>della</strong> correlazione tra linguaggi primari e secondari.<br />
È davvero obbligatorio tale doppio livello, <strong>per</strong> la<br />
costruzione <strong>della</strong> cultura, e in che consiste la sua necessità<br />
funzionale? È sistema primario soltanto la lingua naturale?<br />
Quali proprietà deve possedere un sistema <strong>per</strong>ché<br />
sia in grado <strong>di</strong> intervenire come sistema primario, e<br />
quali <strong>per</strong> assolvere la funzione <strong>di</strong> sistema secondario?<br />
5. Indagini più particolari potrebbero venir condotte<br />
nelle <strong>di</strong>rezioni seguenti:<br />
a) Descrizione del luogo dell’uno o dell’altro sistema<br />
semiotico nel complesso generale dei sistemi. Ci si potrebbe<br />
benissimo immaginare ricerche del tipo: “Il posto<br />
<strong>della</strong> musica come sistema semiotico nel sistema generale<br />
<strong>della</strong> cultura”; “Il posto <strong>della</strong> matematica nella<br />
cultura intesa come totalità <strong>semiotica</strong>”.<br />
b) Descrizione dell’influenza dell’uno o dell’altro<br />
particolare sistema semiotico sugli altri (<strong>per</strong> esempio, “Il<br />
ruolo <strong>della</strong> pittura nella <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> poesia <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
data epoca”; “Il ruolo del cinema nella struttura linguistica<br />
<strong>della</strong> cultura coeva”).<br />
c) Stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> <strong>di</strong>fformità nell’organizzazione interna<br />
<strong>della</strong> cultura. L’esistenza <strong>della</strong> cultura in quanto organismo<br />
unitario sembra sottintendere la presenza <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>di</strong>versificazione<br />
strutturale interna. Il fenomeno del plurilinguismo<br />
interno alla cultura e le cause <strong>della</strong> sua necessità.<br />
6. Il posto dell’arte nel sistema generale <strong>della</strong> cultura.<br />
Il problema <strong>della</strong> necessità dell’arte. Il tratto dominante<br />
dei <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> arte.
L’UNITÀ DELLA CULTURA 105<br />
7. Che cosa determina la necessità <strong>di</strong> <strong>una</strong> contrapposizione<br />
tra segni figurativi e segni convenzionali nel sistema<br />
generale <strong>della</strong> cultura? È possibile l’esistenza <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> cultura senza un bilinguismo <strong>di</strong> questo tipo? Qual è<br />
la motivazione <strong>semiotica</strong> degli altri tipi <strong>di</strong> bilinguismo<br />
culturale (poesia-prosa, letteratura orale-letteratura<br />
scritta ecc.)? È possibile <strong>una</strong> cultura multilingue?<br />
8. Il problema <strong>della</strong> tipologia <strong>della</strong> cultura. Meto<strong>di</strong><br />
<strong>delle</strong> descrizioni tipologiche. L’atteggiamento <strong>della</strong> cultura<br />
verso il segno, il testo e la semiosi, visto come base<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> caratterizzazione tipologica. Culture para<strong>di</strong>gmatiche<br />
e sintagmatiche. Assortimento minimo <strong>di</strong> testi e assortimento<br />
minimo <strong>di</strong> funzioni nel concetto <strong>di</strong> cultura.<br />
9. Cultura e non-cultura. La lotta contro la cultura<br />
come problema culturale (caso analogo: il problema <strong>della</strong><br />
<strong>di</strong>menticanza come componente del meccanismo <strong>della</strong><br />
memoria). Culturoclasi e acculturazione nella storia<br />
<strong>della</strong> cultura 3 . Il problema <strong>della</strong> riserva strutturale nella<br />
cultura (i barbari <strong>per</strong> l’antichità, i pagani <strong>per</strong> il cristianesimo,<br />
gli ignoranti <strong>per</strong> i razionalisti, il popolo <strong>per</strong> l’Illuminismo:<br />
la sfera <strong>di</strong> espansione <strong>della</strong> cultura).<br />
10. La cultura è memoria <strong>della</strong> collettività. La continuità<br />
culturale assicura al gruppo sociale la coscienza <strong>di</strong><br />
esistere. Possibilità <strong>di</strong> uno stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> cultura in quanto<br />
memoria organizzata.<br />
11. Il problema dell’evoluzione <strong>della</strong> cultura. Che cosa<br />
provoca la necessità <strong>di</strong> <strong>una</strong> sostituzione dei linguaggi<br />
culturali? La questione dei cambiamenti immotivati dei<br />
sistemi semiotici (cambiamenti nei sistemi fonologici<br />
<strong>delle</strong> lingue, moda ecc.). Costruzione <strong>di</strong> un modello <strong>della</strong><br />
<strong>di</strong>namica <strong>di</strong> un sistema semiotico. Modelli con sviluppo<br />
a cicli e “a valanga”.<br />
12. La cultura come categoria storica . Limiti territoriali,<br />
areali e cronologici <strong>delle</strong> singole <strong>culture</strong>. Il problema<br />
dell’autovalutazione nello spazio e nel tempo (aspirazione<br />
all’universalità e all’eternità).
106 JURIJ M. LOTMAN<br />
13. La cultura come ambito <strong>di</strong> conflitti sociali. La lotta<br />
<strong>per</strong> la memoria <strong>della</strong> collettività. Norme socialmente<br />
prescritte <strong>di</strong> memoria e <strong>di</strong>menticanza.<br />
14. Tratti <strong>di</strong>stintivi <strong>di</strong> <strong>una</strong> cultura arcaica. Tipologia<br />
storica <strong>delle</strong> <strong>culture</strong>. Il problema <strong>della</strong> metacultura. Correlazione<br />
tra componente materiale e componente spirituale<br />
nelle <strong>culture</strong> arcaiche e nelle nuove. Tipologia dell’autovalutazione<br />
nelle <strong>culture</strong> <strong>delle</strong> <strong>di</strong>verse epoche.<br />
15. Il concetto <strong>di</strong> “norma” e <strong>di</strong> “regola” nella cultura.<br />
L’osservanza <strong>delle</strong> regole e la lotta contro le regole<br />
che <strong>di</strong>venta a sua volta regola (il gioco <strong>delle</strong> regole che<br />
mutano in continuazione).<br />
1 Ed. or.: 1970, “Predlozˇenija po programme IV Letnej sˇkoly po vtoričnym<br />
modelirujusˇčim sistemam”, in Tezisy dokladov IV letnej sˇkoly po vtoričnym modelirujusˇčim<br />
sistemam, 17-24 avgusta 1970, Tartu, pp. 3-5; trad. it. 1979, “Proposte<br />
<strong>per</strong> il programma <strong>della</strong> ‘IV Scuola estiva sui sitemi modellizzanti secondari’”,<br />
in La <strong>semiotica</strong> nei Paesi slavi. Programmi, problemi, analisi, a cura <strong>di</strong> C.<br />
Previgano, trad. <strong>di</strong> R. Faccani, Milano, Feltrinelli, pp. 191-193 [nell’originale<br />
russo queste Proposte figurano anonime].<br />
2 La “IV Scuola estiva” si svolse dal 17 al 24 agosto 1970, in Estonia<br />
(N.d.T.).<br />
3 “Culturoclasi” vuol ricalcare il neologismo kul’turoborčestvo, costruito<br />
sul modello <strong>di</strong> ikonoborčestvo (“lotta alle immagini sacre”, “iconoclasi”). Ad<br />
“acculturazione” corrisponde nell’originale kul’turtregerstvo (“il farsi kul’turtreger<br />
[= Kulturträger], portatore <strong>di</strong> cultura”, anche in senso colonial-im<strong>per</strong>ialista)<br />
(N.d.T.).
<strong>Tesi</strong> <strong>per</strong> un’analisi <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> 1<br />
Vjačeslav V. Ivanov, Jurij M. Lotman, Aleksandr<br />
M. Piatigorskij, Vla<strong>di</strong>mir N. Toporov, Boris A.<br />
Uspenskij<br />
1.0.0. Nello stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> cultura un punto <strong>di</strong> avvio è<br />
il presupposto che tutta l’attività dell’uomo volta a elaborare,<br />
scambiare e conservare informazione possiede<br />
<strong>una</strong> certa unità. I singoli sistemi segnici, pur presupponendo<br />
strutture con <strong>una</strong> organizzazione immanente,<br />
funzionano soltanto in unione, appoggiandosi l’uno all’altro.<br />
Nessun sistema segnico possiede un meccanismo<br />
che gli consenta <strong>di</strong> funzionare isolatamente. Ne consegue<br />
che, accanto a <strong>una</strong> impostazione che <strong>per</strong>metta <strong>di</strong> costruire<br />
<strong>una</strong> serie <strong>di</strong> scienze relativamente autonome del<br />
ciclo semiotico, anche un’altra è lecita, dal punto <strong>di</strong> vista<br />
<strong>della</strong> quale tutte queste scienze considerino aspetti particolari<br />
<strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura, intesa come scienza<br />
<strong>della</strong> correlazione funzionale dei <strong>di</strong>versi sistemi segnici.<br />
Da questo punto <strong>di</strong> vista assumono un senso particolare<br />
i problemi relativi alla struttura gerarchica dei linguaggi<br />
<strong>della</strong> cultura, alla <strong>di</strong>stribuzione tra questi <strong>delle</strong> rispettive<br />
sfere, ai casi in cui queste sfere si intersecano o, semplicemente,<br />
confinano.<br />
1.1.0. Nelle ricerche <strong>di</strong> carattere semiotico-tipologico<br />
il concetto <strong>di</strong> cultura è assunto come primitivo. Si<br />
deve <strong>di</strong>stinguere, al riguardo, la considerazione <strong>della</strong><br />
cultura secondo il punto <strong>di</strong> vista a essa proprio, dalla<br />
considerazione <strong>della</strong> stessa secondo il punto <strong>di</strong> vista da<br />
cui ci si propone la costruzione <strong>di</strong> un metasistema<br />
scientifico che la descriva. Dalla prima posizione, la
108 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
cultura assumerà l’aspetto <strong>di</strong> un certo ambito delimitato<br />
al quale si oppongono gli avvenimenti <strong>della</strong> storia,<br />
dell’es<strong>per</strong>ienza o dell’attività umana che rimangono<br />
fuori <strong>di</strong> esso. Il concetto <strong>di</strong> cultura è così in<strong>di</strong>ssolubilmente<br />
legato con l’opposizione alla sua “non cultura”.<br />
Ora, il principio su cui si fonda tale opposizione (l’antitesi<br />
<strong>della</strong> religione vera alla falsa, dell’istruzione all’ignoranza,<br />
dell’appartenenza a un certo gruppo etnico<br />
alla non appartenenza a esso ecc.) è relativo al tipo <strong>di</strong><br />
cultura considerato. Tuttavia, la stessa contrapposizione<br />
dell’inclusione in <strong>una</strong> certa sfera chiusa all’esclusione<br />
da questa costituisce <strong>una</strong> particolarità significativa <strong>della</strong><br />
nostra interpretazione del concetto <strong>di</strong> cultura dal punto<br />
<strong>di</strong> vista “interno”. Tutto questo si accompagna a <strong>una</strong> tipica<br />
assolutizzazione dell’antitesi: sembra che la cultura<br />
non abbia bisogno <strong>della</strong> sua controparte “esterna” e<br />
possa essere capita nella sua immanenza.<br />
1.1.1. Da questo punto <strong>di</strong> vista la definizione <strong>della</strong><br />
cultura come l’ambito dell’organizzazione (informazione)<br />
nella società umana, e la contrapposizione a essa <strong>della</strong><br />
<strong>di</strong>sorganizzazione (entropia) rappresentano <strong>una</strong> <strong>delle</strong><br />
molte definizioni date “dal <strong>di</strong> dentro” dell’oggetto che<br />
viene descritto; questo conferma ancora <strong>una</strong> volta che la<br />
scienza (nel nostro caso, la teoria dell’informazione) nel<br />
secolo XX non rappresenta soltanto un metasistema, ma<br />
rientra nell’oggetto che viene descritto, cioè nella “cultura<br />
contemporanea”.<br />
1.1.2. L’opposizione “cultura-natura” (“fatto-non fatto”)<br />
2 rappresenta anch’essa semplicemente un’interpretazione<br />
particolare e storicamente determinata dell’antitesi<br />
appartenenza-non appartenenza. Ricor<strong>di</strong>amo che<br />
l’antitesi, <strong>di</strong>ffusa nella cultura russa dell’inizio del secolo<br />
XX (Aleksandr Blok), <strong>di</strong> “cultura” e “civiltà” viene a<br />
considerare la cultura come <strong>una</strong> costruzione organizzata,<br />
ma non dall’uomo, bensì dallo “spirito <strong>della</strong> musica”,<br />
e quin<strong>di</strong> come costruzione “primor<strong>di</strong>ale” [iskonnoe/pri-
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 109<br />
meval]. Il carattere dell’essere fatto 3 viene ascritto all’antipodo<br />
<strong>di</strong> cultura-civiltà.<br />
1.2.0. In <strong>una</strong> descrizione dal punto <strong>di</strong> vista esterno,<br />
cultura e non cultura sono rappresentate come ambiti<br />
reciprocamente con<strong>di</strong>zionati e bisognosi l’uno dell’altro.<br />
Il meccanismo <strong>della</strong> cultura è un congegno [ustrojstvo/system]<br />
che trasforma la sfera esterna in quella interna:<br />
la <strong>di</strong>sorganizzazione in organizzazione, i profani<br />
in iniziati, i peccatori in giusti, l’entropia in informazione.<br />
In forza del fatto che la cultura non vive soltanto<br />
grazie all’opposizione tra sfera interna ed esterna,<br />
ma anche grazie al passaggio da un ambito all’altro, essa<br />
non si limita a lottare con il “caos” esterno, ma allo<br />
stesso tempo ne ha bisogno, non solo lo annienta, ma<br />
costantemente lo crea. Uno dei legami <strong>della</strong> cultura<br />
con la civiltà (e il “caos”) sta nel fatto che la cultura si<br />
priva ininterrottamente, a favore del suo antipodo, <strong>di</strong><br />
taluni particolari elementi da essa esauriti [otrabotannye/exhausted]<br />
che si trasformano in cliché e funzionano<br />
nella non cultura. Si realizza così nella stessa<br />
cultura un aumento <strong>di</strong> entropia a spese del massimo <strong>di</strong><br />
organizzazione.<br />
1.2.1. Si può <strong>di</strong>re, a questo riguardo, che ciascun tipo<br />
<strong>di</strong> cultura ha un suo tipo corrispondente <strong>di</strong> “caos”,<br />
il quale non è <strong>per</strong> nulla originario, omogeneo, né sempre<br />
uguale a se stesso, ma rappresenta <strong>una</strong> creazione<br />
umana altrettanto attiva dell’ambito dell’organizzazione<br />
culturale A ciascun tipo <strong>di</strong> cultura storicamente dato<br />
corrisponde un certo tipo <strong>di</strong> non cultura che appartiene<br />
solo a esso.<br />
1.2.2. L’ambito <strong>della</strong> non organizzazione esterna alla<br />
cultura può essere costruito come sfera speculare a quella<br />
<strong>della</strong> cultura ovvero come spazio che, dal punto <strong>di</strong> vista<br />
dell’osservatore coinvolto in quella certa cultura, appare<br />
non organizzato; invece, da un punto <strong>di</strong> vista esterno,<br />
esso appare come un ambito con <strong>una</strong> <strong>di</strong>versa orga-
110 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
nizzazione. Un esempio del primo tipo può essere considerata<br />
la ricostruzione <strong>delle</strong> concezioni pagane fatta da<br />
un monaco <strong>di</strong> Kiev nel secolo XII nella Povest’ vremennych<br />
let [Racconto dei tempi passati]. In essa, allo<br />
stregone [kudesnik/sorcerer] che prende parte a <strong>una</strong> <strong>di</strong>sputa<br />
religiosa con i cristiani, e al quale è stato chiesto:<br />
“Come sono gli dei vostri, dove <strong>di</strong>morano?”, si fa rispondere:<br />
“Dimorano negli inferi, sono d’aspetto neri,<br />
con ali e coda”. Se nell’area nel mondo culturalmente<br />
acquisito, agli dei è riservato l’“alto”, nello spazio che ne<br />
rimane fuori, essi sono collocati in basso. Avviene quin<strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> identificazione dello spazio extraculturale con il<br />
mondo negativo che sta “sotto” nel sistema <strong>della</strong> cultura<br />
considerata (“Un <strong>di</strong>o che sta agli inferi è un <strong>di</strong>avolo; un<br />
<strong>di</strong>o che sta nei cieli è un giu<strong>di</strong>ce”). Un esempio del secondo<br />
tipo ci è dato dalla affermazione dell’annalista<br />
Poljanin che presso gli antichi “i matrimoni non c’erano”,<br />
cui segue la descrizione <strong>di</strong> <strong>una</strong> organizzazione familiare<br />
che <strong>per</strong> l’annalista non è un matrimonio, mentre<br />
tale è indubbiamente <strong>per</strong> lo stu<strong>di</strong>oso contemporaneo.<br />
1.2.3. Pur cercando la cultura <strong>di</strong> allargare i propri<br />
confini, e <strong>di</strong> impossessarsi così <strong>di</strong> tutto lo spazio extraculturale,<br />
rendendolo simile a sé, secondo <strong>una</strong> descrizione<br />
esterna, l’ampliamento <strong>della</strong> sfera dell’organizzazione<br />
porta all’ampliamento <strong>della</strong> sfera <strong>della</strong> non organizzazione.<br />
Al mondo ristretto <strong>della</strong> civiltà ellenica corrispondeva<br />
il mondo ristretto dei “barbari” che la circondavano.<br />
Alla crescita spaziale dell’antica civiltà me<strong>di</strong>terranea si<br />
accompagnò la crescita del mondo extraculturale (naturalmente,<br />
se si fa astrazione dai concetti <strong>di</strong> quel determinato<br />
tipo <strong>di</strong> cultura, non ci fu alc<strong>una</strong> crescita; poteva avvenire<br />
che questo o quel popolo continuasse a vivere, anche<br />
in seguito, come prima che fosse noto al mondo <strong>della</strong><br />
civiltà romana. Tuttavia, dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> quella certa<br />
cultura, l’“antecampo” [“predpol’e”/“forefield”] si era<br />
costantemente ampliato). È significativo che il secolo XX,
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 111<br />
esaurite le riserve <strong>per</strong> un ampliamento <strong>della</strong> cultura nello<br />
spazio (tutto lo spazio geografico è <strong>di</strong>ventato “culturale”<br />
e l’“antecampo” è scomparso), si sia rivolto al problema<br />
del subcosciente, costruendo così un nuovo tipo <strong>di</strong> spazio<br />
contrapposto alla cultura. La contrapposizione alle<br />
sfere del subcosciente, da <strong>una</strong> parte, e alle sfere del cosmo,<br />
dall’altra, è altrettanto essenziale <strong>per</strong> comprendere<br />
la struttura interna <strong>della</strong> cultura del secolo XX <strong>di</strong> quanto<br />
lo erano le contrapposizioni <strong>della</strong> Rus’ 4 alla steppa <strong>per</strong> il<br />
secolo XII, o del popolo all’intelligencija <strong>per</strong> la cultura<br />
russa nella seconda metà del secolo XIX. Come fatto <strong>di</strong><br />
cultura, il problema del subcosciente non è tanto <strong>una</strong><br />
sco<strong>per</strong>ta quanto <strong>una</strong> creazione del secolo XX.<br />
1.2.4. L’opposizione “cultura-spazio extraculturale”<br />
costituisce l’unità minima 5 su un dato livello. Praticamente<br />
ci è fornito un para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> spazi extraculturali<br />
(“infantile”, “etnico-esotico” dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
certa cultura, “subconscio”, “patologico” ecc.). In modo<br />
analogo i testi me<strong>di</strong>evali costruiscono le descrizioni dei<br />
<strong>di</strong>versi popoli: al centro è collocata <strong>una</strong> certa entità normale,<br />
il “noi”, alla quale sono contrapposti gli altri popoli<br />
come un insieme para<strong>di</strong>gmatico <strong>di</strong> anomalie 6 .<br />
1.3.0. Il carattere attivo del ruolo svolto dallo spazio<br />
esterno nel meccanismo <strong>della</strong> cultura si manifesta, in<br />
particolare, nel fatto che determinati sistemi ideologici<br />
possono attribuire <strong>una</strong> fonte generatrice <strong>di</strong> cultura proprio<br />
alla sfera esterna, non organizzata, contrapponendo<br />
a essa l’area interna, or<strong>di</strong>nata, come culturalmente morta.<br />
Così, nella contrapposizione slavofila <strong>della</strong> Russia all’Occidente,<br />
la prima è identificata con la sfera esterna,<br />
non normalizzata, non acquisita alla cultura , ma costituente<br />
il germe <strong>della</strong> cultura a venire. L’Occidente viene<br />
pensato come il mondo chiuso e or<strong>di</strong>nato, cioè “culturale”,<br />
e al tempo stesso culturalmente morto.<br />
1.3.1. Perciò, dal punto <strong>di</strong> vista dell’osservatore<br />
esterno, la cultura non viene a rappresentare un mecca-
112 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
nismo immobile, bilanciato in <strong>una</strong> <strong>di</strong>mensione sincronica,<br />
bensì un congegno <strong>di</strong>cotomico il cui “funzionamento”<br />
si attuerà come invasione dell’or<strong>di</strong>ne nella sfera del<br />
non or<strong>di</strong>nato, e come contrapposta irruzione del non or<strong>di</strong>nato<br />
nell’area dell’organizzazione. In momenti <strong>di</strong>versi<br />
dello sviluppo storico può dominare l’<strong>una</strong> o l’altra tendenza.<br />
L’acquisizione alla sfera <strong>della</strong> cultura <strong>di</strong> testi provenienti<br />
dall’esterno risulta essere talvolta uno stimolo<br />
potente <strong>di</strong> sviluppo culturale.<br />
1.3.2. Le correlazioni [nel senso <strong>della</strong> teoria dei giochi]<br />
tra la cultura e la sua sfera esterna devono essere tenute<br />
presenti nell’analisi <strong>delle</strong> influenze e dei rapporti<br />
culturali. Mentre nei <strong>per</strong>io<strong>di</strong> <strong>di</strong> intensa influenza <strong>della</strong><br />
cultura sulla sfera esterna essa assimila ciò che le è simile,<br />
ossia ciò che dalle sue posizioni è riconosciuto come un<br />
fatto <strong>di</strong> cultura, nei momenti <strong>di</strong> sviluppo estensivo essa<br />
assorbe dei testi che non ha gli strumenti <strong>per</strong> decifrare.<br />
La larga invasione nella cultura europea del secolo XX<br />
dell’arte infantile, dell’arte arcaica e me<strong>di</strong>evale, e dell’arte<br />
dei popoli dell’Estremo Oriente e dell’Africa è legata<br />
con il fatto che tali testi sono sra<strong>di</strong>cati dal contesto storico<br />
(o psicologico) che è loro proprio. Si guarda a essi con<br />
gli occhi dell’“adulto” o dell’europeo. Per esercitare un<br />
ruolo attivo, essi devono essere sentiti come “estranei”.<br />
1.3.3. La funzione culturale <strong>della</strong> tensione tra lo spazio<br />
interno (chiuso) e quello esterno (a<strong>per</strong>to) si manifesta<br />
con chiarezza, in particolare, nella struttura dell’abitazione<br />
(e degli altri e<strong>di</strong>fici). Fabbricando <strong>una</strong> casa, l’uomo<br />
con ciò stesso recinta [otgorazˇivaet/partitions off]<br />
<strong>una</strong> parte dello spazio, la quale, a <strong>di</strong>fferenza <strong>della</strong> sfera<br />
esterna, è <strong>per</strong>cepita come or<strong>di</strong>nata e culturalmente acquisita.<br />
Tuttavia, questa contrapposizione iniziale acquista<br />
un senso culturale solo sullo sfondo <strong>di</strong> infrazioni<br />
continue in un senso e nell’altro. Così, da <strong>una</strong> parte, lo<br />
spazio chiuso “domestico” comincia a essere sentito non<br />
come antipodo del mondo esterno, bensì come suo mo-
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 113<br />
dello e suo analogo (ad esempio, il tempio come immagine<br />
dell’universo). In questo caso, l’or<strong>di</strong>ne dello spazio<br />
del tempio è trasferito nel mondo esterno, sopraffacendo<br />
la sfera del non or<strong>di</strong>nato (aggressione all’esterno dello<br />
spazio interno). D’altra parte, certe proprietà del<br />
mondo esterno penetrano in quello interno. Con questo<br />
fatto è connessa la tendenza a isolare nella casa la “casa<br />
<strong>della</strong> casa” (ad esempio, il presbiterio è la sfera interna<br />
<strong>della</strong> sfera interna). Un esempio assai interessante del<br />
“gioco” tra lo spazio interno e quello esterno dell’e<strong>di</strong>ficio,<br />
come analogo <strong>della</strong> tensione tra le corrispondenti<br />
sfere culturali, ci è dato dalla architettura barocca. La<br />
creazione <strong>di</strong> strutture “traboccanti” oltre i limiti (quadri<br />
che escono dalle cornici, statue che scendono dai pie<strong>di</strong>stalli,<br />
il sistema <strong>di</strong> accoppiamento <strong>di</strong> finestre e specchi<br />
che introducono negli interni il paesaggio esterno) crea<br />
infiltrazioni reciproche <strong>della</strong> sfera culturale nel caos e<br />
del caos nella sfera culturale.<br />
2.0.0. La cultura si struttura dunque come <strong>una</strong> gerarchia<br />
<strong>di</strong> sistemi semiotici cui corrisponde un or<strong>di</strong>namento<br />
a più strati <strong>della</strong> sfera extraculturale che la circonda.<br />
È tuttavia fuori <strong>di</strong>scussione che è la struttura interna, insieme<br />
con la composizione e il coor<strong>di</strong>namento dei singoli<br />
sottosistemi semiotici, a determinare in primo luogo il<br />
tipo <strong>di</strong> cultura.<br />
2.0.1. In accordo con quanto si è detto sopra, la correlazione<br />
<strong>di</strong> più <strong>culture</strong> può anche dar luogo a un’unità<br />
funzionale o strutturale dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> contesti più<br />
ampi (genetici, areali ecc.). Un simile approccio risulta<br />
particolarmente fruttuoso nella soluzione dei problemi<br />
relativi a uno stu<strong>di</strong>o comparativo <strong>della</strong> cultura, in particolare<br />
a uno stu<strong>di</strong>o comparativo <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> dei popoli<br />
slavi. La costituzione <strong>di</strong> un para<strong>di</strong>gma interno <strong>delle</strong> <strong>culture</strong>,<br />
o la loro <strong>di</strong>stribuzione nel campo dell’opposizione<br />
strutturale “area interna alla cultura – area esterna alla
114 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
cultura”, consentono <strong>di</strong> risolvere <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> problemi<br />
che riguardano tanto la correlazione tra le singole <strong>culture</strong><br />
slave, quanto il rapporto tra esse e le <strong>culture</strong> <strong>di</strong> altre aree.<br />
3.0.0. Il concetto <strong>di</strong> testo, che è un concetto fondamentale<br />
<strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> contemporanea, può essere considerato<br />
l’anello <strong>di</strong> congiunzione tra le ricerche semiotiche<br />
generali e le ricerche particolari <strong>della</strong> slavistica. Il testo<br />
è veicolo <strong>di</strong> un significato globale e <strong>di</strong> <strong>una</strong> funzione<br />
globale (se si <strong>di</strong>stingue la posizione dello stu<strong>di</strong>oso <strong>della</strong><br />
cultura da quella del portatore <strong>della</strong> cultura, dal punto <strong>di</strong><br />
vista del primo il testo viene a essere veicolo <strong>di</strong> <strong>una</strong> funzione<br />
globale; dal punto <strong>di</strong> vista del secondo, veicolo <strong>di</strong><br />
un significato globale). In tal senso il testo può essere<br />
considerato come elemento primo (unità <strong>di</strong> base) <strong>della</strong><br />
cultura. La correlazione del testo con il tutto <strong>della</strong> cultura<br />
e con il suo sistema <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci si manifesta nel fatto che,<br />
a livelli <strong>di</strong>versi, uno stesso messaggio può presentarsi come<br />
testo, come parte <strong>di</strong> un testo o come insieme <strong>di</strong> testi.<br />
Così le Povesti Belkina [Novelle <strong>di</strong> Belkin] <strong>di</strong> Pusˇkin possono<br />
venire considerate come un testo globale, come un<br />
insieme <strong>di</strong> testi o ancora come parte <strong>di</strong> un unico testo,<br />
“la novella russa degli anni Trenta del secolo scorso”.<br />
3.1.0. Il concetto <strong>di</strong> “testo” viene usato in senso specificamente<br />
semiotico; in primo luogo, esso non è applicato<br />
soltanto ai messaggi in lingua naturale, ma anche a<br />
qualsiasi veicolo <strong>di</strong> un significato globale (“testuale”),<br />
sia esso un rito, un’o<strong>per</strong>a d’arte figurativa, oppure <strong>una</strong><br />
composizione musicale. In secondo luogo, non ogni<br />
messaggio in lingua naturale costituisce un testo dal<br />
punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> cultura. Dall’insieme dei messaggi in<br />
lingua naturale <strong>una</strong> cultura estrae e considera soltanto<br />
quelli che possono essere determinati come un qualche<br />
genere <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso, ad esempio, “preghiera”, “legge”,<br />
“romanzo” ecc., cioè quelli che possiedono un qualche<br />
significato globale e svolgono un’unica funzione.
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 115<br />
3.2.0. Il testo, come oggetto <strong>di</strong> analisi, può essere<br />
considerato alla luce dei seguenti problemi:<br />
3.2.1. Testo e segno. Testo come segno globale, testo<br />
come successione <strong>di</strong> segni. Il secondo caso, come è ben<br />
noto dall’es<strong>per</strong>ienza dello stu<strong>di</strong>o linguistico del testo, è<br />
talvolta considerato l’unico possibile. Tuttavia, nel modello<br />
generale <strong>della</strong> cultura è essenziale anche l’altro tipo<br />
<strong>di</strong> testo, in cui il concetto <strong>di</strong> testo non compare come<br />
secondario, derivato da quello <strong>di</strong> sequenza <strong>di</strong> segni,<br />
bensì come primario. Un testo <strong>di</strong> questo tipo non è <strong>di</strong>screto<br />
e non si scompone in segni. Esso costituisce un<br />
tutto e non si articola in segni separati, bensì in tratti <strong>di</strong>stintivi.<br />
In questo senso, si può trovare <strong>una</strong> larga somiglianza<br />
tra il carattere primario del testo in certi sistemi<br />
au<strong>di</strong>o-visivi contemporanei <strong>della</strong> comunicazione <strong>di</strong> massa,<br />
come il cinema e la televisione, e il ruolo del testo <strong>per</strong><br />
i sistemi in cui, come nella logica matematica, nella metamatematica<br />
e nella teoria <strong>delle</strong> grammatiche formali,<br />
<strong>per</strong> lingua si intende un certo insieme <strong>di</strong> testi. La <strong>di</strong>fferenza,<br />
in linea <strong>di</strong> principio, tra questi due casi <strong>di</strong> primarietà<br />
[<strong>per</strong>vičnost’/primacy] del testo sta tuttavia nel fatto<br />
che nei sistemi au<strong>di</strong>o-visivi <strong>di</strong> trasmissione dell’informazione<br />
e in sistemi meno recenti <strong>di</strong> essi, come la pittura,<br />
la scultura, la danza (e il mimo), il balletto, il carattere<br />
primario può appartenere a un testo continuo (tutta la<br />
tela del quadro o un frammento <strong>di</strong> essa nel caso in cui<br />
nel quadro si <strong>di</strong>stinguano segni <strong>di</strong>versi) 7 , mentre nei linguaggi<br />
formali il testo può sempre essere rappresentato<br />
da <strong>una</strong> successione <strong>di</strong> simboli <strong>di</strong>screti, dati come elementi<br />
<strong>di</strong> alfabeto primitivo (<strong>di</strong> un re<strong>per</strong>torio o <strong>di</strong> un vocabolario).<br />
L’orientamento verso tali modelli <strong>di</strong>screti dei linguaggi<br />
formali (cioè verso il caso <strong>della</strong> trasmissione <strong>di</strong>screta<br />
<strong>di</strong> informazione) è tipico <strong>della</strong> linguistica <strong>della</strong> prima<br />
metà del nostro secolo, mentre nella teoria <strong>semiotica</strong><br />
contemporanea esso lascia il posto a un’attenzione al te-
116 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
sto continuo, inteso come dato originario (cioè a un’attenzione<br />
<strong>per</strong> i casi non <strong>di</strong>screti <strong>di</strong> trasmissione <strong>di</strong> informazione),<br />
proprio quando nella stessa cultura assumono<br />
un’importanza sempre maggiore i sistemi <strong>di</strong> comunicazione<br />
che si valgono prevalentemente <strong>di</strong> testi continui.<br />
Nella televisione l’unità <strong>di</strong> base è rappresentata dalla situazione<br />
elementare <strong>di</strong> vita che, prima del momento <strong>della</strong><br />
trasmissione (o prima <strong>della</strong> ripresa del telefilm), è a<br />
priori sconosciuta e non scomponibile in elementi. Ma<br />
nella tecnica au<strong>di</strong>o-visiva <strong>della</strong> comunicazione <strong>di</strong> massa<br />
(nel cinema e nella televisione, inclusi i telefilm) è tipica<br />
anche <strong>una</strong> combinazione dei due mo<strong>di</strong>. Il cinema non rinuncia<br />
affatto ai segni <strong>di</strong>screti, anzitutto non rinuncia ai<br />
segni del linguaggio orale e degli altri linguaggi quoti<strong>di</strong>ani<br />
(in particolare, a quelli che esso assume come materiale<br />
grezzo o “precinematografico” dagli altri sistemi<br />
che tipologicamente lo precedono), ma li include in testi<br />
globali (il crocifisso nella scena <strong>della</strong> chiesa <strong>di</strong> Cenere e<br />
<strong>di</strong>amanti <strong>di</strong> Andrzej Wajda figura <strong>di</strong> <strong>per</strong> sé da simbolo<br />
<strong>di</strong>screto, ma viene reinterpretato nel contesto <strong>di</strong> tutta<br />
l’inquadratura dove è rapportato all’eroe del film).<br />
Si può riscontrare un’analoga inclusione in un testo<br />
continuo <strong>di</strong> segni <strong>di</strong>screti, ripresi <strong>per</strong> lo più da altri sistemi<br />
(arcaici), in sistemi visivi storicamente antecedenti<br />
– in particolare nella pittura – dove la figura umana dell’albero<br />
del mondo, che è <strong>di</strong> importanza centrale <strong>per</strong> numerose<br />
tra<strong>di</strong>zioni mitologiche e rituali (tra queste le più<br />
antiche tra<strong>di</strong>zioni slave), o altre immagini equivalenti<br />
possono essere mantenute come centro <strong>della</strong> composizione.<br />
In tutti i casi simili si può vedere la manifestazione<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> costante universale dell’evoluzione dei sistemi<br />
semiotici, <strong>per</strong> la quale qualche segno o tutto un messaggio<br />
(o un frammento <strong>di</strong> un messaggio) può essere incluso<br />
nel testo <strong>di</strong> un altro sistema segnico come sua parte<br />
costitutiva, ed essere conservato anche in seguito come<br />
tale (subendo con questo uno spostamento <strong>di</strong> funzione:
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 117<br />
la sua funzione <strong>di</strong>venta estetica e non mitologica o rituale,<br />
come appunto negli esempi riportati). Quest’ultima<br />
generalizzazione può presentare interesse anche <strong>per</strong> la<br />
giustificazione <strong>di</strong> certi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> ricostruzione dei sistemi<br />
semiotici più antichi, fondati sul recu<strong>per</strong>o <strong>di</strong> segni (e<br />
talvolta anche <strong>di</strong> testi) <strong>di</strong> un sistema arcaico (ad esempio,<br />
dell’antica mitologia slava), a partire dai loro riflessi<br />
più tar<strong>di</strong>, contenuti nei testi folclorici e <strong>di</strong> altro tipo conservati<br />
nella tra<strong>di</strong>zione storica. Al tempo stesso, dal suddetto<br />
punto <strong>di</strong> vista, l’analisi dei mass me<strong>di</strong>a contemporanei<br />
in rapporto ai sistemi che storicamente li precedono<br />
viene inclusa in modo organico nello stu<strong>di</strong>o comparativo<br />
dei linguaggi <strong>della</strong> cultura (ad esempio, al riguardo<br />
appaiono classici come argomenti <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o certi temi,<br />
quali il collegamento dei film <strong>di</strong> Wajda con la tra<strong>di</strong>zione<br />
del barocco polacco, e questo non solo sul piano<br />
dell’atmosfera emotiva dell’o<strong>per</strong>a, ma pure in relazione<br />
al carattere del materiale “precinematografico” scelto).<br />
La scelta <strong>di</strong> <strong>una</strong> metalingua <strong>di</strong>screta <strong>di</strong> tratti <strong>di</strong>stintivi<br />
del tipo: alto-basso, sinistra-destra, scuro-chiaro, nero-bianco,<br />
<strong>per</strong> la descrizione <strong>di</strong> testi continui, come<br />
quelli pittorici e cinematografici, <strong>di</strong> <strong>per</strong> sé può essere<br />
considerata <strong>una</strong> manifestazione <strong>di</strong> tendenze arcaicizzanti,<br />
che sovrappongono al testo continuo <strong>della</strong> lingua-oggetto<br />
categorie metalinguistiche più tipiche dei sistemi<br />
arcaici a classificazione simbolica binaria (quali sono i<br />
sistemi mitologici e rituali). Ma non si può escludere<br />
che, in qualità <strong>di</strong> archetipi, i tratti <strong>di</strong> questo tipo siano<br />
conservati anche nella creazione e nella <strong>per</strong>cezione <strong>di</strong><br />
testi continui.<br />
Per questo, il predominio del tipo <strong>di</strong>screto o del tipo<br />
non <strong>di</strong>screto <strong>di</strong> testi può essere connesso con <strong>una</strong> determinata<br />
fase <strong>di</strong> sviluppo <strong>della</strong> cultura. Bisogna tuttavia<br />
sottolineare che ambedue queste tendenze possono anche<br />
venire presentate come sincronicamente coesistenti.<br />
La tensione tra esse (ad esempio, il conflitto tra parola e
118 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
<strong>di</strong>segno) 8 costituisce uno dei meccanismi più stabili <strong>della</strong><br />
cultura globalmente intesa. La dominanza <strong>di</strong> uno <strong>di</strong><br />
questi meccanismi è possibile non come soppressione<br />
totale del tipo contrario, bensì soltanto sotto forma <strong>di</strong><br />
orientamento <strong>della</strong> cultura verso determinate strutture<br />
testuali in quanto dominanti.<br />
3.2.2. Il testo e il problema “mittente-destinatario”.<br />
Nel processo <strong>della</strong> comunicazione culturale assume un<br />
significato particolare il problema <strong>della</strong> “grammatica<br />
del parlante” e <strong>della</strong> “grammatica dell’ascoltatore” 9 .<br />
Così come i singoli testi possono essere costruiti secondo<br />
un orientamento alla “posizione del parlante” o alla<br />
“posizione dell’ascoltatore”, un’analoga tendenza può<br />
anche essere propria <strong>di</strong> determinate <strong>culture</strong> nel loro<br />
complesso. Un esempio <strong>di</strong> cultura orientata all’ascoltatore<br />
sarà quella in cui la gerarchia assiologica dei testi è<br />
<strong>di</strong>sposta in modo che i concetti <strong>di</strong> massima chiarezza e<br />
<strong>di</strong> massima vali<strong>di</strong>tà coincidano. In questo caso il carattere<br />
specifico dei sistemi sovralinguistici secondari [vtoričnye<br />
nad”jazykovye sistemy / secondary su<strong>per</strong>linguistic<br />
systems] sarà espresso in misura minima: i testi tenderanno<br />
al grado minimo <strong>di</strong> convenzionalità, , imiteranno<br />
quel certo carattere “non costruito” [nepostroennost’],<br />
orientandosi consapevolmente al tipo del messaggio<br />
“nudo” in lingua naturale. L’annalistica, la prosa (in<br />
particolare il saggio), la cronaca giornalistica, il documentario,<br />
la televisione occu<strong>per</strong>anno i più alti gra<strong>di</strong> <strong>della</strong><br />
scala dei valori. Quelle <strong>di</strong> “atten<strong>di</strong>bile”, “vero” e<br />
“semplice” saranno considerate caratterizzazioni assiologiche<br />
supreme.<br />
La cultura, quando è orientata al parlante, assume come<br />
valore supremo la sfera dei testi chiusi, poco accessibili<br />
e in genere incomprensibili. È la cultura <strong>di</strong> tipo esoterico.<br />
I testi profetici e sacerdotali, le glossolalie e gli<br />
aspetti specifici <strong>della</strong> poesia occupano, in questa cultura,<br />
il posto più alto. L’orientamento <strong>della</strong> cultura al “parlan-
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 119<br />
te” o all’“ascoltatore” 10 si evidenzierà dal fatto che, nel<br />
primo caso, l’u<strong>di</strong>torio modellizza se stesso secondo l’immagine<br />
del creatore <strong>di</strong> testi (il lettore cerca <strong>di</strong> accostarsi<br />
all’ideale del poeta), mentre nel secondo il mittente costruisce<br />
se stesso a immagine dell’u<strong>di</strong>torio (il poeta cerca<br />
<strong>di</strong> accostarsi all’ideale del lettore). Anche lo sviluppo <strong>di</strong>acronico<br />
<strong>della</strong> cultura può essere considerato come un<br />
movimento all’interno <strong>di</strong> uno stesso campo comunicativo.<br />
Un esempio <strong>di</strong> movimento dall’orientamento verso il<br />
parlante all’orientamento verso l’ascoltatore, nell’evoluzione<br />
in<strong>di</strong>viduale dello scrittore, può esserci dato dalla<br />
creazione <strong>di</strong> un poeta come Pasternak. Nel <strong>per</strong>iodo creativo<br />
<strong>della</strong> prima redazione <strong>di</strong> Poverch bar’erov [Al <strong>di</strong> sopra<br />
<strong>delle</strong> barriere], Sestra moja zˇizn’ [Mia sorella la vita],<br />
Temy i variacii [Temi e variazioni], <strong>per</strong> il poeta era fondamentale<br />
un’enunciazione <strong>per</strong> monologhi, tendente a<br />
esprimere con precisione la propria visione del mondo<br />
con tutte le peculiarità, da questa determinate, <strong>della</strong><br />
struttura semantica (e talvolta anche sintattica) del linguaggio<br />
poetico. Nelle o<strong>per</strong>e successive domina <strong>una</strong> <strong>di</strong>sposizione<br />
<strong>di</strong>alogica orientata all’interlocutore-ascoltatore<br />
(al potenziale lettore che deve capire tutto quanto gli<br />
viene comunicato). Il contrasto tra queste due maniere è<br />
più evidente quando lo scrittore prova a trasmettere in<br />
due mo<strong>di</strong> la stessa impressione (le due varianti <strong>della</strong> poesia<br />
Venecija [Venezia] e le due descrizioni in prosa <strong>di</strong><br />
quella stessa prima impressione <strong>di</strong> Venezia in Ochrannaja<br />
gramota [Salvacondotto] e nell’autobiografia Lju<strong>di</strong> i polozˇenija<br />
[Uomini e posizioni]; le due varianti poetiche Improvizacija<br />
[Improvvisazione] del 1915 e Improvizacija na<br />
rojale [Improvvisazione al pianoforte] del 1946). La possibilità<br />
<strong>di</strong> interpretare tale movimento non soltanto alla luce<br />
<strong>di</strong> ragioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne in<strong>di</strong>viduale, ma anche come un tipo<br />
<strong>di</strong> regolarità nello sviluppo dell’avanguar<strong>di</strong>a europea<br />
è testimoniata dal movimento creativo <strong>di</strong> Majakovskij,<br />
Zabolockij e dei poeti dell’avanguar<strong>di</strong>a boema.
120 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
In termini generali il cammino dall’orientamento verso<br />
il parlante all’orientamento verso l’ascoltatore non è<br />
l’unico possibile; tra i contemporanei <strong>di</strong> Pasternak uno<br />
sviluppo inverso è tipico in particolare <strong>della</strong> Achmatova<br />
(Poema bez geroja [Poema senza eroe] confrontato con le<br />
o<strong>per</strong>e più recenti).<br />
3.2.3. Si deve chiarire in che misura la <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong><br />
due tipi polari <strong>di</strong> stili letterari e artistici, quale ci è data<br />
dalle opposizioni rinascimento-barocco, classicismo-barocco,<br />
classicismo-romanticismo – <strong>di</strong>stinzione che, in rapporto<br />
alle letterature slave dei vari <strong>per</strong>io<strong>di</strong>, è stata rilevata<br />
con la massima evidenza da Julian Krzyz˙anowski –, può<br />
essere connessa con i due <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> cultura collegati<br />
con l’orientamento verso il parlante o verso l’ascoltatore<br />
(al primo tipo potrebbero appartenere, ad esempio, l’alto<br />
Me<strong>di</strong>oevo, il Barocco, il Romanticismo, la letteratura dell’avanguar<strong>di</strong>a<br />
– Mloda Polska [Giovane Polonia] – ecc.).<br />
Entro ciasc<strong>una</strong> <strong>di</strong> queste opposizioni sono ancora possibili<br />
altre <strong>di</strong>fferenziazioni fatte in base a un tratto analogo<br />
(con questo si può collegare l’esistenza <strong>di</strong> tipi interme<strong>di</strong><br />
come il manierismo). In parecchi casi il ritardo con il quale<br />
le <strong>culture</strong> slave hanno fatto propri gli stili orientati all’ascoltatore<br />
può essere messo in rapporto con la presenza,<br />
entro questi stili, <strong>di</strong> tratti più vicini agli stili con l’orientamento<br />
al parlante (il barocco nel tardo rinascimento slavo).<br />
I tratti generali, comuni agli stili orientati verso il parlante,<br />
<strong>per</strong>mettono <strong>di</strong> porre il problema <strong>di</strong> certe somiglianze<br />
stilistiche, assai estese (ad esempio, in talune poesie del<br />
Norwid del Vademecum e <strong>della</strong> Cvetaeva), in<strong>di</strong>pendentemente<br />
dalla cronologia in termini assoluti.<br />
3.2.4. Nella misura in cui, nel canale <strong>della</strong> comunicazione,<br />
tra il mittente e il destinatario, nelle <strong>culture</strong> dotate<br />
<strong>di</strong> strumenti <strong>per</strong> il fissaggio esterno del messaggio, è inserita<br />
la memoria, vi si <strong>di</strong>stingue un destinatario potenziale<br />
(“il mio lontano pronipote” <strong>di</strong> Baratynskij) e un destinatario<br />
attuale. L’insieme dei destinatari imme<strong>di</strong>ati ha con
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 121<br />
il mittente un collegamento reversibile. In particolare, tale<br />
insieme consente la realizzazione <strong>di</strong> <strong>una</strong> selezione collettiva,<br />
entro tutto l’insieme dei testi, <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong> essi che<br />
corrispondono alle norme estetiche dell’epoca, <strong>della</strong> generazione,<br />
del gruppo sociale. Il meccanismo <strong>di</strong> questa<br />
selezione può essere modellizzato me<strong>di</strong>ante un apparato<br />
che ci accosta a quello elaborato nel modello cibernetico<br />
dell’evoluzione. Poiché, dal punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> teoria<br />
dell’informazione, la quantità <strong>di</strong> informazione propria <strong>di</strong><br />
un certo testo è definita in rapporto a tutto l’insieme dei<br />
testi, si può attualmente descrivere in modo più netto il<br />
ruolo effettivo degli “scrittori minori” nella selezione collettiva<br />
che prepara la nascita <strong>di</strong> un testo portatore del<br />
massimo <strong>di</strong> informazione. La selezione in<strong>di</strong>viduale, o<strong>per</strong>ata<br />
dallo scrittore (e rispecchiata, ad esempio, nelle minute),<br />
può essere considerata <strong>una</strong> continuazione <strong>della</strong> selezione<br />
collettiva, che talvolta è <strong>di</strong>retta dalla selezione<br />
collettiva stessa, ma che spesso se ne allontana. Da questo<br />
punto <strong>di</strong> vista, può <strong>per</strong>ò risultare utile anche uno stu<strong>di</strong>o<br />
dei fattori che impe<strong>di</strong>scono la selezione.<br />
Alla presenza <strong>della</strong> memoria nel canale <strong>della</strong> comunicazione<br />
può essere collegato anche il riflettersi, nella<br />
struttura dei generi, <strong>di</strong> particolarità <strong>della</strong> comunicazione<br />
risalenti talvolta ad un <strong>per</strong>iodo precedente (la “memoria<br />
del genere”, nella terminologia <strong>di</strong> Bachtin).<br />
4.0.0. Definendo la cultura come <strong>una</strong> lingua secondaria,<br />
introduciamo il concetto <strong>di</strong> “testo <strong>della</strong> cultura”, il<br />
testo in tale lingua secondaria. Dato che qualsiasi lingua<br />
naturale rientra nella lingua <strong>della</strong> cultura, sorge il problema<br />
<strong>della</strong> correlazione del testo in lingua naturale con<br />
il testo verbale <strong>della</strong> cultura. Sono qui possibili le seguenti<br />
correlazioni:<br />
a) Il testo in lingua naturale non è un testo <strong>della</strong> cultura<br />
considerata. Tali sono, ad esempio, <strong>per</strong> le <strong>culture</strong><br />
orientate alla scrittura, tutti i testi il cui funzionamento
122 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
sociale sottintende <strong>una</strong> forma orale. Tutte le espressioni<br />
alle quali la cultura considerata non attribuisce valore e<br />
significato (ad esempio non le conserva), dal suo punto<br />
<strong>di</strong> vista, non sono testi 11 .<br />
b) Un testo in <strong>una</strong> certa lingua secondaria è contemporaneamente<br />
un testo in <strong>una</strong> lingua naturale. Così <strong>una</strong> poesia<br />
<strong>di</strong> Pusˇkin è al tempo stesso un testo in lingua russa.<br />
c) Il testo verbale <strong>della</strong> cultura non è un testo in quella<br />
data lingua naturale. Esso può essere in tal caso un testo<br />
in un’altra lingua naturale (la preghiera in latino <strong>per</strong><br />
uno slavo) o, ancora, il risultato <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> trasformazione<br />
anomala <strong>di</strong> qualche livello <strong>della</strong> lingua naturale<br />
(si veda, ad esempio, il funzionamento dei testi <strong>di</strong><br />
questo tipo nella creazione infantile) 12 .<br />
Nei testi poetici <strong>di</strong> Chlebnikov ci sono dei frammenti<br />
che <strong>per</strong> la loro struttura fonologica (“bobeobi”), <strong>per</strong> la<br />
loro costituzione morfologica o lessicale (“lukaet<br />
lukom”, “smejantsvuet smechami” e altri neologismi fondati<br />
sulla ripresa dell’artificio arcaico detto figura etymologica,<br />
tipico <strong>della</strong> poesia slava fin dal <strong>per</strong>iodo più antico)<br />
e <strong>per</strong> i loro costrutti sintattici (“ty stoisˇ’ čto delaja”)<br />
non appartengono ai testi ben costruiti dal punto <strong>di</strong> vista<br />
<strong>della</strong> lingua corrente.<br />
Ma ognuno <strong>di</strong> questi frammenti, <strong>per</strong> il fatto <strong>di</strong> rientrare<br />
in un testo riconosciuto come notato [otmečennyj/grammatical]<br />
dal punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> poesia, <strong>di</strong>venta con ciò<br />
stesso un fatto <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> lingua <strong>della</strong> poesia russa.<br />
Si possono osservare fenomeni analoghi ai primi sta<strong>di</strong> dell’evoluzione<br />
in rapporto a quelle forme del folclore, <strong>per</strong><br />
esempio in rapporto alle nebyval’sˇč iny e alle nelepicy 13 , nelle<br />
quali l’infrazione alle norme semantiche, valide <strong>per</strong> la<br />
lingua comune, <strong>di</strong>venta il principio fondamentale <strong>della</strong><br />
composizione.<br />
4.1.0. Diventa un problema fondamentale la costruzione<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> tipologia <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> basata sulla correlazione<br />
<strong>di</strong> testo e funzione. Per testo si intende soltanto
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 123<br />
un messaggio che, entro <strong>una</strong> data cultura sia costituito<br />
secondo determinate regole <strong>di</strong> generazione 14 . Nel suo<br />
aspetto più generale questa concezione è applicabile a<br />
qualsiasi sistema semiotico. Entro un’altra lingua o un<br />
altro sistema <strong>di</strong> lingue lo stesso messaggio può non essere<br />
un testo. Qui si può vedere un analogo a livello semiotico<br />
generale del concetto <strong>di</strong> grammaticalità, che ha<br />
un’importanza fondamentale <strong>per</strong> la teoria contemporanea<br />
<strong>delle</strong> grammatiche formali. Non ogni messaggio linguistico<br />
è un testo dal punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> cultura e, viceversa,<br />
non ogni testo dal punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> cultura è<br />
un messaggio corretto nella lingua naturale.<br />
4.1.1. La storia tra<strong>di</strong>zionale <strong>della</strong> cultura tiene conto,<br />
in rapporto a ogni sezione cronologica, soltanto dei testi<br />
“nuovi”, testi creati da <strong>una</strong> certa epoca. Ma nell’esistenza<br />
reale <strong>della</strong> cultura, accanto a testi nuovi, funzionano<br />
sempre testi trasmessi dalla tra<strong>di</strong>zione culturale o apportati<br />
da fuori. Ciò conferisce a ciascuno stato sincronico<br />
<strong>della</strong> cultura i tratti del poliglottismo culturale. Dato che<br />
ai <strong>di</strong>versi livelli sociali la velocità dello sviluppo culturale<br />
può essere <strong>di</strong>versa, lo stato sincronico <strong>della</strong> cultura<br />
può includere in sé la sua <strong>di</strong>acronia e la riproduzione attiva<br />
<strong>di</strong> “vecchi” testi. Si veda, ad esempio, la vitalità <strong>della</strong><br />
cultura antepetrina presso gli staroobrjadcy [Credenti<br />
<strong>della</strong> vecchia fede ortodossa] dei secoli XVIII e XIX 15 .<br />
5.0.0. Il posto del testo nello spazio testuale è definito<br />
come il rapporto <strong>di</strong> questo testo con l’insieme dei testi<br />
potenziali 16 .<br />
5.0.1. Il legame del concetto semiotico <strong>di</strong> testo con i<br />
problemi tra<strong>di</strong>zionali <strong>della</strong> filologia è particolarmente<br />
evidente nel caso <strong>della</strong> slavistica intesa come scienza.<br />
L’oggetto degli stu<strong>di</strong> slavistici è sempre stato costituito<br />
da <strong>una</strong> certa somma <strong>di</strong> testi. Solo che, man mano che il<br />
pensiero scientifico si muove in concomitanza con il movimento<br />
generale <strong>della</strong> cultura, il quale è la base del pen-
124 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
siero scientifico stesso, le medesime o<strong>per</strong>e possono acquisire<br />
e <strong>per</strong>dere l’attitu<strong>di</strong>ne a figurare come testi. Un<br />
esempio significativo a questo riguardo è dato dalla letteratura<br />
dell’antica Rus’. Se in essa il volume <strong>delle</strong> fonti è<br />
relativamente stabile, la lista dei testi varia in modo essenziale<br />
da <strong>una</strong> scuola scientifica all’altra e da un ricercatore<br />
all’altro, in quanto essa rispecchia il concetto esplicito<br />
o implicito <strong>di</strong> testo che sempre è connesso con la concezione<br />
che si ha <strong>della</strong> cultura russa antica. Le fonti che<br />
non sod<strong>di</strong>sfano questo concetto passano nella categoria<br />
dei “non testi”. Un esempio chiaro ci è dato dalle oscillazioni<br />
nell’attribuzione <strong>di</strong> queste o quelle o<strong>per</strong>e al novero<br />
dei testi artistici, a seconda del <strong>di</strong>verso contenuto del<br />
concetto <strong>di</strong> “cultura artistica del Me<strong>di</strong>oevo”.<br />
5.1.0. Una interpretazione non ristretta <strong>della</strong> scienza<br />
dei testi si concilia con i meto<strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zionali <strong>della</strong> slavistica<br />
che, anche in precedenza, abbracciava tanto i testi<br />
slavi (ad esempio, i testi slavo-ecclesiastici) interpretati<br />
sincronicamente, quanto i testi dei <strong>di</strong>versi <strong>per</strong>io<strong>di</strong> confrontati<br />
sul piano <strong>di</strong>acronico. È importante sottolineare<br />
al riguardo che un accostamento tipologico a largo raggio<br />
toglie l’assolutezza alla contrapposizione <strong>di</strong> sincronia<br />
e <strong>di</strong>acronia. A questo proposito è utile rilevare la funzione<br />
particolare svolta dalle lingue che aspirano al ruolo <strong>di</strong><br />
strumento fondamentale <strong>di</strong> comunicazione interlinguistica<br />
e <strong>di</strong> anello <strong>di</strong> congiunzione tra epoche <strong>di</strong>verse, almeno<br />
in certi settori dell’area slava, e anzitutto il ruolo<br />
svolto dallo slavo ecclesiastico e dai testi scritti nelle <strong>di</strong>verse<br />
varianti nazionali. Perciò, nel momento in cui si<br />
collegano sincronia e <strong>di</strong>acronia, si può porre anche il<br />
problema del funzionamento pancronico <strong>della</strong> lingua<br />
(nel nostro caso concreto, lo slavo ecclesiastico svolgeva<br />
anzitutto il ruolo <strong>di</strong> lingua <strong>della</strong> comunicazione tra ortodossi).<br />
Questo fatto è tanto più importante in quanto, in<br />
rapporto alla scala assoluta del tempo, le <strong>di</strong>verse tra<strong>di</strong>zioni<br />
culturali slave sono <strong>di</strong>versamente organizzate (cfr.,
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 125<br />
da <strong>una</strong> parte, la sovrabbondanza <strong>di</strong> resti dell’antichità<br />
protoslava nell’area slava orientale, <strong>per</strong> quanto riguarda<br />
la sfera che possiamo denominare <strong>della</strong> “bassa cultura”;<br />
dall’altra, l’appartenenza <strong>di</strong> certe aree, in particolare slave<br />
occidentali, e <strong>di</strong> parte <strong>di</strong> quelle slave meri<strong>di</strong>onali, ad<br />
altre zone culturali), il che determina il carattere <strong>di</strong>screto<br />
nella struttura <strong>della</strong> <strong>di</strong>acronia <strong>di</strong> queste <strong>culture</strong> slave,<br />
a <strong>di</strong>fferenza del carattere non <strong>di</strong>screto <strong>di</strong> altre tra<strong>di</strong>zioni.<br />
5.2.0. La ricostruzione storica, relativa ai testi slavi,<br />
può spesso trarre maggior beneficio dal confronto sincronico<br />
<strong>di</strong> testi appartenenti alle <strong>di</strong>verse tra<strong>di</strong>zioni slave,<br />
che dal confronto entro <strong>una</strong> stessa serie evolutiva; <strong>per</strong><br />
questa via è possibile ottenere utili risultati nella soluzione<br />
<strong>di</strong> un problema tra<strong>di</strong>zionale <strong>della</strong> filologia: la ricostruzione<br />
<strong>di</strong> testi che non sono giunti al ricercatore. Per<br />
i testi <strong>di</strong> estensione minima – <strong>una</strong> combinazione <strong>di</strong> morfemi<br />
in parole o singoli morfemi – questa impostazione<br />
trova realizzazione pratica nella linguistica storico-comparativa<br />
<strong>delle</strong> lingue slave. Attualmente essa può essere<br />
allargata a tutto l’ambito <strong>della</strong> ricostruzione <strong>delle</strong> antichità<br />
slave: dalla metrica alle caratterizzazioni dei generi<br />
dei testi folclorici, alla mitologia, al rituale – inteso come<br />
testo –, alla musica, all’abbigliamento, all’ornamento,<br />
agli usi <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana ecc. La sovrabbondanza <strong>di</strong><br />
influenze multiformi provenienti da altre tra<strong>di</strong>zioni nei<br />
<strong>per</strong>io<strong>di</strong> più recenti (ad esempio, l’influsso <strong>delle</strong> forme<br />
orientali <strong>di</strong> abbigliamento e, più tar<strong>di</strong>, europeo-occidentali<br />
sulla storia dei costumi dei popoli slavi orientali)<br />
rende lo sviluppo <strong>di</strong>acronico eminentemente <strong>di</strong>scontinuo<br />
(connesso con larghe infrazioni <strong>delle</strong> tra<strong>di</strong>zioni). Ai<br />
fini <strong>della</strong> ricostruzione <strong>delle</strong> primitive forme slave comuni,<br />
l’analisi <strong>di</strong> questo sviluppo può essere importante soprattutto<br />
<strong>per</strong> la rimozione degli strati posteriori. Un modo<br />
più efficace <strong>per</strong> risolvere questo stesso problema <strong>della</strong><br />
stratificazione <strong>di</strong>acronica e <strong>della</strong> proiezione dello strato<br />
più antico nel <strong>per</strong>iodo slavo comune, può risultare il
126 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
confronto <strong>di</strong> sezioni sincroniche <strong>di</strong> ciasc<strong>una</strong> <strong>delle</strong> tra<strong>di</strong>zioni<br />
slave.<br />
5.2.1. Di ricostruzione <strong>di</strong> testi si occupano praticamente<br />
tutti i filologi: dagli specialisti <strong>delle</strong> antichità e<br />
del folclore slavi agli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> letteratura moderna (la<br />
ricostruzione dell’intenzione [zamysel/intention] dell’autore<br />
o dell’o<strong>per</strong>a artistica, la ricostruzione dei testi<br />
<strong>per</strong>duti e <strong>delle</strong> loro parti, la ricostruzione <strong>della</strong> <strong>per</strong>cezione<br />
del lettore sulla base degli echi nei contemporanei,<br />
la ricostruzione <strong>delle</strong> fonti orali e del loro posto<br />
nel sistema <strong>della</strong> cultura scritta; nello stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> storia<br />
del teatro e dell’arte drammatica oggetto <strong>di</strong> indagine<br />
sono anzitutto le ricostruzioni ecc.). In certa misura,<br />
ogni lettura <strong>di</strong> un manoscritto poetico consiste nella ricostruzione<br />
<strong>di</strong> un processo creativo e nella rimozione<br />
successiva <strong>di</strong> strati sovrapposti; cfr. l’accostamento alla<br />
lettura del manoscritto come ricostruzione, nella testologia<br />
pusˇkiniana tra il 1920 e il 1940. Il materiale empirico<br />
accumulato nei <strong>di</strong>versi settori <strong>della</strong> filologia slava<br />
<strong>per</strong>mette <strong>di</strong> porre il problema <strong>della</strong> creazione <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
teoria generale <strong>della</strong> ricostruzione, basata su un unico<br />
sistema <strong>di</strong> postulati e <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>menti formali. È essenziale,<br />
a questo riguardo, un accostamento critico al<br />
problema dei livelli <strong>della</strong> ricostruzione, insieme con la<br />
consapevolezza che i <strong>di</strong>versi livelli <strong>di</strong> ricostruzione richiedono<br />
proce<strong>di</strong>menti <strong>di</strong>versi e portano in ciascun caso<br />
a risultati specifici. La ricostruzione può essere condotta<br />
al livello più alto – quello puramente semantico –<br />
che, in ultima analisi, è traducibile in un linguaggio costituito<br />
da alcuni universali. Nel fissare certi compiti<br />
può aver luogo <strong>una</strong> estensione <strong>di</strong> risultati dello stesso<br />
genere al <strong>di</strong> là del materiale ricostruito, ad altre strutture<br />
<strong>della</strong> stessa cultura nazionale. Nella misura in cui i<br />
messaggi semantici sono rico<strong>di</strong>ficati a livelli più bassi, i<br />
problemi risolti <strong>di</strong>ventano sempre più specifici, fino a<br />
connettere <strong>di</strong>rettamente la ricostruzione del testo con
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 127<br />
ricerche linguistiche. I risultati più considerevoli <strong>della</strong><br />
ricostruzione si sono ottenuti ai livelli estremi, corrispondenti<br />
alle categorie semiotiche del significato e del<br />
significante; non è escluso che ciò sia connesso con il<br />
fatto che sono proprio questi i livelli che corrispondono<br />
in misura maggiore alla realtà testuale, mentre i livelli<br />
interme<strong>di</strong> sono connessi <strong>per</strong> lo più con il sistema<br />
metalinguistico <strong>della</strong> descrizione.<br />
5.2.2. La rappresentazione <strong>di</strong> un testo in <strong>una</strong> lingua<br />
naturale potrebbe essere fatta partendo dallo schema<br />
idealizzato del funzionamento <strong>di</strong> un automa che trasforma<br />
il testo, sviluppandolo via via dall’intenzione generale<br />
[obsˇčij zamysel/general intention] ai livelli più bassi, e<br />
questo in modo che a ciascun livello o a <strong>una</strong> certa combinazione<br />
<strong>di</strong> livelli <strong>di</strong>versi possa corrispondere, in linea<br />
<strong>di</strong> principio, <strong>una</strong> trascrizione [zapis’/recor<strong>di</strong>ng] del testo<br />
basata su meccanismo <strong>di</strong> derivazione [vyvodjasˇčee ustrojstvo/output<br />
mechanism]. Se il meccanismo <strong>di</strong> derivazione,<br />
rappresentato nella figura seguente 17 , viene a trovarsi<br />
in corrispondenza del livello dei fonemi, il messaggio<br />
trasmesso con l’aiuto <strong>di</strong> questo congegno è costituito da<br />
<strong>una</strong> sequenza <strong>di</strong> fonemi, cioè nel trasmettitore (inteso<br />
secondo il modello <strong>di</strong> trasmissione del messaggio <strong>della</strong><br />
teoria dell’informazione) viene fatto corrispondere a ciascuno<br />
dei fonemi, sulla base <strong>di</strong> <strong>una</strong> tabella <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ficazione,<br />
un certo segnale, in concreto <strong>una</strong> lettera; un possibile<br />
esempio ci è dato da <strong>una</strong> scrittura alfabetica come<br />
quella serba 18 . Se invece il congegno <strong>di</strong> derivazione si<br />
trova in corrispondenza del livello dell’intenzione generale<br />
del testo, vuol <strong>di</strong>re che il messaggio trasmesso me<strong>di</strong>ante<br />
questo congegno rappresenta l’idea generale del<br />
testo ancora in forma non articolata: detto altrimenti,<br />
nel trasmettitore a questa idea generale corrisponde un<br />
simbolo che la co<strong>di</strong>fica (senza escludere che questo simbolo<br />
sia l’unico <strong>di</strong> tutto il co<strong>di</strong>ce o, il che è lo stesso, sia<br />
un segno extrasistemico).
128 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
Intenzione generale del testo<br />
→<br />
Livello dei blocchi semantici maggiori<br />
→<br />
Struttura semantico-sintattica <strong>della</strong> frase<br />
→<br />
Livello <strong>delle</strong> parole<br />
→<br />
Livello dei gruppi fonemici (sillabe)<br />
→<br />
Livello dei fonemi<br />
Si possono portare come esempi certi simboli generali,<br />
quali le raffigurazioni del sole, <strong>di</strong> uccelli e cavalli, o le<br />
combinazioni <strong>di</strong> tutti e tre questi simboli in forma <strong>di</strong><br />
strutture vegetali, costituenti un unico testo; <strong>per</strong> altro, in<br />
rapporto al <strong>per</strong>iodo più antico, che coincide con quello<br />
protoslavo, essi rappresentavano un unico testo con <strong>una</strong><br />
rigida correlazione interna <strong>di</strong> simboli-elementi, sia con<br />
<strong>una</strong> semantica comune a tutto il testo, sia con <strong>una</strong> semantica<br />
del tutto determinata propria <strong>di</strong> ogni elemento. Nei<br />
riflessi successivi entro le singole tra<strong>di</strong>zioni slave (nell’ornamento<br />
ad esempio, sulle conocchie, sulle slitte, sui carreggi,<br />
sulle varie masserizie – su scrigni, bauli –, nei ricami<br />
sui vestiti, negli ornamenti a intaglio su legno, in particolare<br />
sui tetti <strong>delle</strong> abitazioni, sulla pasticceria rituale –<br />
torte, focacce –, sui giocattoli dei bambini ecc.), essi rappresentano<br />
parti <strong>di</strong> un testo secondario, costruito me<strong>di</strong>ante<br />
un “rimescolamento” dei costituenti originari che<br />
hanno <strong>per</strong>duto la loro funzione sintattica, nella misura in<br />
cui si è <strong>di</strong>menticata la semantica fondamentale del testo.<br />
In rapporto al <strong>per</strong>iodo precedente, la ricostruzione del testo<br />
che descrive l’albero del mondo, gli astri al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong>
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 129<br />
esso, gli uccelli e gli animali <strong>di</strong>sposti sopra e accanto a esso,<br />
è confermata dalla presenza, in tutte le maggiori tra<strong>di</strong>zioni<br />
slave, <strong>di</strong> testi verbali che coincidono <strong>per</strong>fettamente<br />
l’uno con l’altro, pur appartenendo a generi <strong>di</strong>versi (scongiuri,<br />
indovinelli, canzoni, fiabe). Da ciò stesso risulta che<br />
tale ricostruzione del testo corrisponde, da <strong>una</strong> parte, alla<br />
ricostruzione dell’indoeuropeo comune, condotta senza<br />
tener conto del materiale slavo sulla base <strong>della</strong> coincidenza<br />
<strong>di</strong> testi indo-iranici con quelli islandesi antichi; dall’altra,<br />
corrisponde ai testi tipologicamente simili <strong>delle</strong> varie<br />
tra<strong>di</strong>zioni sciamaniche eurasiatiche.<br />
5.2.3. Per tali ricostruzioni, anche là dove è impossibile<br />
trovare elementi linguistici che concretino il testo al<br />
livello più basso, la ricostruzione semantica <strong>di</strong> esso viene<br />
facilitata dalla somiglianza tipologica dei complessi culturali<br />
che si valgono praticamente <strong>di</strong> uno stesso re<strong>per</strong>torio<br />
<strong>di</strong> opposizioni semantiche fondamentali (del tipo <strong>di</strong><br />
quelle ricostruite <strong>per</strong> il protoslavo: fort<strong>una</strong>-sfort<strong>una</strong>, vita-morte,<br />
sole-l<strong>una</strong>, terra-mare ecc.). Nei casi in<strong>di</strong>cati si<br />
può formulare anche l’ipotesi che sia analogamente possibile<br />
<strong>una</strong> interpretazione sociale <strong>di</strong> simili sistemi; a questo<br />
riguardo, va osservata la possibilità <strong>di</strong> includere, nei<br />
complessi culturali corrispondenti (intesi in senso lato<br />
<strong>per</strong> i <strong>per</strong>io<strong>di</strong> più antichi, in presenza <strong>di</strong> un tipo determinato<br />
<strong>di</strong> organizzazione sociale), anche manifestazioni<br />
<strong>delle</strong> strutture sociali quali possono essere <strong>una</strong> certa forma<br />
<strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amenti e abitazioni, regole, prescrizioni e <strong>di</strong>vieti<br />
riguardanti i tipi <strong>di</strong> matrimoni ammissibili e soprattutto<br />
obbligatori, e i tratti a essi legati del funzionamento<br />
dei termini <strong>di</strong> parentela. Per questo, i dati ottenuti<br />
applicando i meto<strong>di</strong> strutturali alla ricostruzione <strong>delle</strong><br />
antichità slave non sono essenziali soltanto <strong>per</strong> la storia<br />
<strong>della</strong> cultura in senso stretto, ma anche <strong>per</strong> lo stu<strong>di</strong>o dei<br />
primi sta<strong>di</strong> dell’organizzazione sociale degli slavi (come<br />
pure <strong>per</strong> l’interpretazione dei dati archeologici). Si conferma<br />
così ancora <strong>una</strong> volta l’unità reale <strong>della</strong> slavistica
130 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
come scienza <strong>delle</strong> antichità slave intese come un unico<br />
complesso semiotico, e <strong>della</strong> trasformazione e <strong>di</strong>fferenziazione<br />
più recenti <strong>delle</strong> corrispondenti tra<strong>di</strong>zioni.<br />
6.0.0. Da un punto <strong>di</strong> vista semiotico, la cultura può<br />
essere considerata come <strong>una</strong> gerarchia <strong>di</strong> sistemi semiotici<br />
particolari, come <strong>una</strong> somma <strong>di</strong> testi cui è collegato<br />
un insieme <strong>di</strong> funzioni, ovvero come un congegno che<br />
genera questi testi. Considerando <strong>una</strong> collettività come<br />
un in<strong>di</strong>viduo costruito in modo più complesso, la cultura<br />
può essere interpretata, in analogia con il meccanismo<br />
in<strong>di</strong>viduale <strong>della</strong> memoria, come un congegno collettivo<br />
<strong>per</strong> conservare ed elaborare informazione. La<br />
struttura <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong> cultura e la struttura <strong>semiotica</strong><br />
<strong>della</strong> memoria rappresentano fenomeni funzionalmente<br />
omogenei, situati a livelli <strong>di</strong>versi. Questa tesi non è in<br />
contrad<strong>di</strong>zione con il <strong>di</strong>namismo <strong>della</strong> cultura: dato che<br />
essa rappresenta in linea <strong>di</strong> principio <strong>una</strong> fissazione<br />
[fiksacija/fiixation] <strong>di</strong> es<strong>per</strong>ienza passata, essa può svolgere<br />
anche la funzione <strong>di</strong> programma e <strong>di</strong> istruzione<br />
<strong>per</strong> costruire nuovi testi. È inoltre possibile, dato l’orientamento<br />
fondamentale <strong>della</strong> cultura all’es<strong>per</strong>ienza<br />
futura, la costruzione <strong>di</strong> un certo punto <strong>di</strong> vista convenzionale<br />
dal quale il futuro compare come passato. Ad<br />
esempio, si costruiscono dei testi che saranno conservati<br />
dai posteri; gli uomini che ritengono se stessi degli<br />
“esponenti dell’epoca” aspirano a compiere imprese<br />
storiche (azioni che nel futuro <strong>di</strong>venteranno memoria).<br />
Si veda la tendenza degli uomini del secolo XVIII a scegliere<br />
gli eroi dell’antichità come programmi <strong>per</strong> il proprio<br />
comportamento (la figura <strong>di</strong> Catone è un co<strong>di</strong>ce<br />
sui generis con cui decifrare il comportamento essenziale<br />
<strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev, incluso il suici<strong>di</strong>o). L’essenza <strong>della</strong> cultura<br />
come memoria compare nel modo più <strong>per</strong>piscuo nel<br />
caso <strong>di</strong> testi arcaici, in particolare <strong>di</strong> quelli che appartengono<br />
al folclore.
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 131<br />
6.0.1. Non sono soltanto i partecipanti alla comunicazione<br />
a costruire testi, ma sono anche i testi a conservare<br />
in sé memoria dei partecipanti alla comunicazione.<br />
Perciò, l’acquisizione dei testi <strong>di</strong> un’altra cultura porta,<br />
attraverso i secoli, alla trasmissione <strong>di</strong> determinate strutture<br />
<strong>della</strong> <strong>per</strong>sonalità e <strong>di</strong> determinati tipi <strong>di</strong> comportamento.<br />
Il testo può essere inteso come un programma<br />
condensato <strong>di</strong> tutta <strong>una</strong> cultura. L’acquisizione <strong>di</strong> testi<br />
da un’altra cultura porta alla comparsa <strong>della</strong> policulturalità,<br />
ovvero alla possibilità <strong>di</strong> scegliere un comportamento<br />
convenzionale, pur restando nell’ambito <strong>di</strong> <strong>una</strong> cultura,<br />
secondo lo stile <strong>di</strong> un’altra cultura. Questo fenomeno<br />
sorge soltanto in determinati sta<strong>di</strong> dello sviluppo sociale<br />
e, in qualità <strong>di</strong> segno esterno, può determinare in particolare<br />
la scelta del tipo <strong>di</strong> vestito (si veda la scelta tra il<br />
vestito “ungherese”, “polacco” o “russo” nella cultura<br />
russa tra il secolo XVII e l’inizio del XVIII).<br />
6.0.2. Al <strong>per</strong>iodo che comincia con il protoslavo e<br />
giunge, nelle singole tra<strong>di</strong>zioni slave, fino ai tempi moderni,<br />
il meccanismo collettivo <strong>per</strong> conservare informazione<br />
(la “memoria”) assicura la trasmissione, <strong>di</strong> generazione in<br />
generazione, <strong>di</strong> rigi<strong>di</strong> schemi fissati <strong>di</strong> testi (metrici, translinguistici<br />
ecc.) e <strong>di</strong> loro interi frammenti (i loci communes<br />
in rapporto ai testi folclorici). I sistemi segnici più antichi<br />
<strong>di</strong> questo tipo, nei quali la letteratura si riduce a dar<br />
corpo a intrecci mitologici che si trasmettono <strong>per</strong> ere<strong>di</strong>tà<br />
me<strong>di</strong>ante formule rituali, possono essere sincronizzati, sul<br />
piano <strong>di</strong> un’interpretazione sociale, con certi sistemi rigidamente<br />
determinati <strong>di</strong> rapporti in cui tutte le possibilità<br />
sono esaurite da regole connesse con il passato mitologico<br />
e con il rituale ciclico. I sistemi più sviluppati, nelle collettività<br />
il cui comportamento è regolato dalla memoria <strong>della</strong><br />
loro storia reale, sono invece <strong>di</strong>rettamente connessi con un<br />
tipo <strong>di</strong> letteratura in cui il principio fondamentale viene a<br />
essere costituito dalla ricerca dei proce<strong>di</strong>menti [priëmy]<br />
statisticamente meno frequenti (che <strong>per</strong>ciò portano <strong>una</strong>
132 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
maggiore quantità <strong>di</strong> informazione). Considerazioni simili<br />
potrebbero essere fatte anche in rapporto ad altri settori<br />
<strong>della</strong> cultura, e qui il concetto stesso <strong>di</strong> sviluppo (cioè <strong>di</strong><br />
orientamento nel tempo) è inseparabile dall’accumulo e<br />
dall’elaborazione dell’informazione che viene gradualmente<br />
usata <strong>per</strong> apportare le dovute correzioni nei programmi<br />
<strong>di</strong> comportamento. Questo spiega il ruolo regressivo <strong>della</strong><br />
mitologizzazione ad arte del passato, che costruisce un mito<br />
in luogo <strong>della</strong> realtà storica. In questo senso la tipologia<br />
degli atteggiamenti verso il passato slavo comune può rivelarsi<br />
utile <strong>per</strong> lo stu<strong>di</strong>o dell’ere<strong>di</strong>tà degli slavofili e del suo<br />
ruolo. Si possono tenere presenti le possibilità <strong>di</strong> <strong>una</strong> trasformazione<br />
<strong>di</strong>acronica <strong>della</strong> cultura indoeuropea che non<br />
sempre presupponga uno sviluppo nel senso <strong>di</strong> <strong>una</strong> organizzazione<br />
più complessa (dove la complessità è intesa su<br />
un piano puramente formale come funzione <strong>della</strong> misura<br />
del numero degli elementi, <strong>delle</strong> caratteristiche del loro or<strong>di</strong>ne<br />
e dei legami tra essi, e come funzione del carattere regolato<br />
<strong>di</strong> tutta la cultura). Le ricerche contemporanee sulle<br />
istituzioni indoeuropee in rapporto a quelle protoslave<br />
consentono in certi casi <strong>di</strong> porre il problema <strong>della</strong> possibilità<br />
<strong>di</strong> un movimento non verso un aumento <strong>della</strong> quantità<br />
<strong>di</strong> informazione, bensì verso un aumento <strong>della</strong> quantità <strong>di</strong><br />
entropia nei testi slavi comuni in confronto con testi dell’indoeuropeo<br />
comune (e talvolta anche in certi particolari<br />
testi slavi in confronto con testi slavi comuni). In particolare,<br />
le strutture esogamiche binarie che, a quanto sembra,<br />
sono correlate con la classificazione simbolica binaria ricostruita<br />
<strong>per</strong> il protoslavo, rappresentano uno strato più arcaico<br />
<strong>delle</strong> strutture ricostruite <strong>per</strong> l’indoeuropeo comune;<br />
questo può tuttavia essere spiegato non postulando <strong>una</strong><br />
maggiore arcaicità del mondo slavo, bensì alcuni processi<br />
secondari che hanno condotto alla semplificazione <strong>delle</strong><br />
strutture. In tutti questi casi sorge, nella ricostruzione, il<br />
problema <strong>di</strong> eliminare il rumore sovrapposto al testo durante<br />
la trasmissione attraverso il canale <strong>di</strong>acronico <strong>della</strong>
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 133<br />
comunicazione tra generazioni. A questo riguardo, i fenomeni<br />
rilevati nei sistemi modellizzanti secondari [vtoričnye<br />
modelirujusˇčie sistemy/secondary modelling systems] possono<br />
essere confrontati con <strong>una</strong> netta <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> complessità<br />
(e con un aumento <strong>di</strong> semplicità) dell’organizzazione<br />
del testo a livello morfologico, nel passaggio dal <strong>per</strong>iodo<br />
indoeuropeo a quello protoslavo (seriore), in cui<br />
o<strong>per</strong>a la legge <strong>delle</strong> sillabe a<strong>per</strong>te (<strong>per</strong> semplicità qui si intende<br />
la riduzione del numero degli elementi e <strong>delle</strong> regole<br />
<strong>della</strong> loro <strong>di</strong>stribuzione).<br />
6.1.0. Per il funzionamento <strong>della</strong> cultura e, corrispondentemente,<br />
<strong>per</strong> giustificare la necessità <strong>di</strong> <strong>una</strong> applicazione<br />
nello stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> cultura <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> complessi,<br />
ha importanza fondamentale il fatto che un singolo<br />
sistema semiotico isolato, <strong>per</strong> quanto <strong>per</strong>fettamente organizzato,<br />
non può costituire <strong>una</strong> cultura: a questo scopo<br />
il meccanismo minimo richiesto è costituito da <strong>una</strong><br />
coppia <strong>di</strong> sistemi semiotici correlati. Un testo in lingua<br />
naturale e un <strong>di</strong>segno rappresentano il sistema più comune<br />
formato da due lingue, costituente il meccanismo<br />
<strong>della</strong> cultura. La tendenza alla eterogeneità <strong>delle</strong> lingue<br />
è un tratto tipico <strong>della</strong> cultura.<br />
6.1.1. Un ruolo particolare è assunto, a questo riguardo,<br />
dal fenomeno del bilinguismo. Questo fenomeno ha<br />
un’importanza straor<strong>di</strong>naria <strong>per</strong> il mondo slavo e costituisce,<br />
da più punti <strong>di</strong> vista, il tratto caratterizzante <strong>delle</strong><br />
<strong>culture</strong> slave. Nonostante la multiformità <strong>delle</strong> con<strong>di</strong>zioni<br />
concrete del bilinguismo, nelle <strong>di</strong>verse aree slave l’altra<br />
lingua è sempre stata considerata come gerarchicamente<br />
su<strong>per</strong>iore, fungendo da modello <strong>di</strong> riferimento<br />
[obrazec-etalon/standard model] nella formazione dei testi.<br />
L’orientamento alla lingua “estranea” si verifica anche<br />
quando nella cultura ha luogo un movimento <strong>di</strong> democratizzazione<br />
degli strumenti linguistici. Là dove<br />
Pusˇkin sostiene, ad esempio, che la lingua va imparata<br />
dalle prosvirni 19 <strong>di</strong> Mosca, egli allude a un accostamento
134 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
alla lingua popolare intesa come lingua <strong>di</strong>versa. Questo<br />
fenomeno si manifesta regolarmente là dove <strong>di</strong>venta su<strong>per</strong>iore,<br />
dal punto <strong>di</strong> vista assiologico, il sistema socialmente<br />
inferiore. Le funzioni specifiche <strong>della</strong> seconda<br />
lingua slava (solitamente lo slavo ecclesiastico), in tale<br />
coppia <strong>di</strong> lingue strutturalmente equivalenti, rende il<br />
materiale <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> e <strong>delle</strong> lingue slave particolarmente<br />
prezioso non solo <strong>per</strong> lo stu<strong>di</strong>o dei problemi del<br />
bilinguismo, ma anche al fine <strong>di</strong> chiarire <strong>una</strong> serie <strong>di</strong><br />
processi ipoteticamente associati al bilinguismo e al plurilinguismo<br />
(la nascita del romanzo e il ruolo del bilinguismo<br />
e del plurilinguismo in questo genere, l’accostamento<br />
alla lingua parlata come <strong>una</strong> <strong>delle</strong> funzioni sociali<br />
<strong>della</strong> poesia; cfr. l’idea <strong>della</strong> “secolarizzazione” <strong>della</strong> lingua<br />
poetica russa negli articoli <strong>di</strong> Mandel’sˇtam).<br />
6.1.2. Sullo sfondo <strong>di</strong> legami indubitabili, stabiliti attraverso<br />
i mezzi linguistici <strong>di</strong> realizzazione dei testi,<br />
l’ambito <strong>di</strong> quelli stu<strong>di</strong>ati dai settori <strong>della</strong> slavistica può<br />
includere testi scritti in lingue chiaramente non slave,<br />
che tuttavia sono funzionalmente significativi <strong>per</strong> il fatto<br />
<strong>di</strong> venire contrapposti ai testi slavi corrispondenti (il<br />
latino <strong>delle</strong> o<strong>per</strong>e scientifiche <strong>di</strong> Jan Hus, invece del ceco<br />
antico, il francese degli articoli <strong>di</strong> Tjutčev). A questo<br />
riguardo possono presentare un interesse particolare<br />
l’analisi <strong>di</strong> testi latini e italiani confrontati con testi slavi,<br />
nel <strong>per</strong>iodo del bilinguismo rinascimentale nel mondo<br />
slavo (cfr. i caratteristici testi maccheronici latinopolacchi<br />
e italo-croati del <strong>per</strong>iodo più tardo dell’epoca<br />
barocca), l’analisi <strong>di</strong> testi francesi confrontati con i loro<br />
equivalenti russi, nella letteratura russa <strong>della</strong> prima<br />
metà del secolo XIX (la stessa poesia <strong>di</strong> Baratynskij in<br />
francese e russo, le note in francese <strong>di</strong> Pusˇkin confrontate<br />
con le sue o<strong>per</strong>e in russo, parzialmente parallele<br />
con esse), il bilinguismo russo-francese rappresentato e<br />
sfruttato come proce<strong>di</strong>mento artistico nel romanzo russo<br />
dell’Ottocento 20 .
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 135<br />
6.1.3. La cultura, in quanto sistema <strong>di</strong> sistemi che si<br />
basa in ultima analisi sulla lingua naturale (proprio questo<br />
fatto è tenuto presente con il termine “sistemi modellizzanti<br />
secondari”, termine con il quale questi sistemi<br />
sono contrapposti al “sistema” primario, ossia alla<br />
lingua naturale), può essere considerata come <strong>una</strong> gerarchia<br />
<strong>di</strong> sistemi semiotici collegati in coppie, la cui correlazione<br />
si realizza in grado considerevole me<strong>di</strong>ante la<br />
connessione con il sistema <strong>della</strong> lingua naturale. Questo<br />
legame si manifesta con particolare evidenza nella ricostruzione<br />
<strong>delle</strong> antichità protoslave a causa del maggior<br />
sincretismo <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> arcaiche (cfr. il legame <strong>di</strong> determinati<br />
tipi ritmici e melo<strong>di</strong>ci con i tipi metrici a loro<br />
volta con<strong>di</strong>zionati dalle regole dell’accentologia sintattica;<br />
si veda ancora come le funzioni rituali si riflettano<br />
<strong>di</strong>rettamente nelle designazioni linguistiche <strong>di</strong> certi elementi<br />
rituali, quali le denominazioni dei cibi rituali).<br />
6.1.4. L’affermazione dell’insufficienza <strong>della</strong> sola lingua<br />
naturale <strong>per</strong> la costruzione <strong>della</strong> cultura può essere<br />
connessa con il fatto che la stessa lingua naturale non<br />
costituisce <strong>una</strong> realizzazione rigorosamente logica <strong>di</strong> un<br />
unico principio strutturale.<br />
6.1.5. Il grado <strong>di</strong> consapevolezza dell’unità <strong>di</strong> tutto il<br />
sistema dei sistemi entro <strong>una</strong> certa cultura non è sempre<br />
lo stesso, e questo fatto può già essere considerato come<br />
uno dei criteri <strong>per</strong> la valutazione tipologica <strong>della</strong> data cultura.<br />
Questo grado è molto alto nelle costruzioni teologiche<br />
del Me<strong>di</strong>oevo e in quei movimenti religiosi successivi<br />
nei quali, come negli hussiti, si può vedere un ritorno alla<br />
medesima concezione arcaica dell’unità <strong>della</strong> cultura, pur<br />
riempita <strong>di</strong> un contenuto nuovo. Tuttavia, dal punto <strong>di</strong> vista<br />
del ricercatore attuale, la cultura che è pensata dai<br />
suoi rappresentanti come unitaria, risulta organizzata in<br />
modo più complesso: entro la cultura me<strong>di</strong>evale viene in<br />
luce lo strato dei “fenomeni carnevaleschi non ufficiali”,<br />
sco<strong>per</strong>ti da Bachtin (che si continuano in area slava con
136 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
certi testi come il mistero antico ceco Unguentarius); nella<br />
letteratura hussita si rileva <strong>una</strong> marcata contrapposizione<br />
tra testi scientifici latini e o<strong>per</strong>e <strong>della</strong> letteratura pubblicistica<br />
in<strong>di</strong>rizzate a un <strong>di</strong>verso destinatario (la massa). Di<br />
alcuni <strong>per</strong>io<strong>di</strong>, che si caratterizzano <strong>per</strong> un orientamento<br />
letterario al mittente del messaggio, è tipico al tempo stesso<br />
un corredo estremamente ampio <strong>di</strong> denotati e concetti<br />
entro i messaggi provenienti da un unico autore (Comenio,<br />
Bosˇkovic´, Lomonosov), e ciò può offrire un ulteriore<br />
sostegno a chi afferma l’unità <strong>della</strong> cultura (che comprende<br />
in questi casi tanto le scienze naturali quanto la serie<br />
<strong>delle</strong> scienze umane ecc.). L’unità <strong>della</strong> cultura ha un’importanza<br />
eccezionale <strong>per</strong> <strong>una</strong> fondazione rigorosa dello<br />
stesso concetto <strong>di</strong> slavistica come scienza relativa al funzionamento<br />
sincronico e <strong>di</strong>acronico <strong>di</strong> <strong>culture</strong> tra loro legate<br />
attraverso la loro connessione con la stessa lingua slava<br />
o anche con due lingue slave, <strong>una</strong> <strong>delle</strong> quali, <strong>per</strong> <strong>di</strong>verse<br />
<strong>culture</strong>, era lo slavo ecclesiastico. La conoscenza del<br />
carattere comune <strong>delle</strong> tra<strong>di</strong>zioni linguistiche utilizzate in<br />
ciasc<strong>una</strong> <strong>di</strong> queste <strong>culture</strong>, funge (non solo nella teoria,<br />
ma anche nel comportamento pratico dei portatori <strong>delle</strong><br />
tra<strong>di</strong>zioni corrispondenti) da premessa <strong>per</strong> cogliere le loro<br />
<strong>di</strong>fferenze. Queste ultime, nel mondo slavo, non sono<br />
tanto connesse con regole puramente linguistiche (morfonologiche)<br />
<strong>di</strong> rico<strong>di</strong>ficazione, regole che data la loro relativa<br />
semplicità potrebbero non rendere <strong>di</strong>fficile la comprensione<br />
reciproca, quanto con <strong>di</strong>fferenze storico-culturali<br />
(che, <strong>per</strong> i primi <strong>per</strong>io<strong>di</strong>, sono soprattutto confessionali).<br />
Diventa con ciò stesso evidente la necessità <strong>di</strong> uno<br />
stu<strong>di</strong>o <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> slave che, tenendo costantemente<br />
presente il ruolo unificante <strong>della</strong> comune base linguistica,<br />
esca dall’ambito puramente linguistico e tenga conto <strong>di</strong><br />
tutti i fattori extralinguistici che, in particolare, hanno influito<br />
anche sulla <strong>di</strong>fferenziazione linguistica. Per questo<br />
l’analisi <strong>delle</strong> lingue e <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> slave può risultare un<br />
modello adeguato <strong>per</strong> lo stu<strong>di</strong>o dei rapporti reciproci tra
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 137<br />
lingue naturali e sistemi semiotici modellizzanti secondari<br />
(sovralinguistici) 21 .<br />
Per “sistemi modellizzanti secondari” si intendono<br />
quei sistemi semiotici con cui si costruiscono i modelli<br />
del mondo o <strong>di</strong> frammenti <strong>di</strong> esso. Questi sistemi sono<br />
secondari in rapporto alla lingua naturale primaria, e sono<br />
costruiti al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> essa <strong>di</strong>rettamente (come nel<br />
caso del sistema sovralinguistico <strong>della</strong> letteratura artistica),<br />
o come forme a essa parallele (musica e pittura).<br />
6.2.0. Nel sistema <strong>delle</strong> opposizioni semiotiche costitutive<br />
<strong>della</strong> cultura, un ruolo particolare è svolto dalla contrapposizione<br />
dei modelli semiotici <strong>di</strong>screti e non <strong>di</strong>screti<br />
(dei testi <strong>di</strong>screti e non <strong>di</strong>screti), <strong>una</strong> manifestazione particolare<br />
<strong>della</strong> quale può essere considerata l’antitesi <strong>di</strong> segni<br />
iconici e verbali. Acquista così un senso nuovo il problema<br />
tra<strong>di</strong>zionale del confronto <strong>delle</strong> arti figurative e <strong>delle</strong> arti<br />
verbali: si può <strong>di</strong>re che esse sono reciprocamente necessarie<br />
<strong>per</strong> la formazione del meccanismo <strong>della</strong> cultura, e che è<br />
<strong>per</strong> esse necessario essere <strong>di</strong>verse in base al principio <strong>della</strong><br />
semiosi, ossia equivalenti <strong>per</strong> un verso e, <strong>per</strong> l’altro, non<br />
completamente traducibili le une nelle altre. Dato che le<br />
<strong>di</strong>verse tra<strong>di</strong>zioni nazionali hanno <strong>una</strong> logica <strong>di</strong>versa, come<br />
<strong>di</strong>verse sono la loro velocità <strong>di</strong> evoluzione e la loro capacità<br />
ricettiva in rapporto a influssi <strong>di</strong> altre nazioni, nell’ambito<br />
dei sistemi <strong>di</strong>screti e non <strong>di</strong>screti <strong>di</strong> costituzione<br />
del testo, la tensione tra esse rende possibile <strong>una</strong> grande<br />
varietà <strong>di</strong> combinazioni che è essenziale, ad esempio, <strong>per</strong><br />
la costruzione <strong>di</strong> <strong>una</strong> tipologia storica <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> slave.<br />
Un interesse particolare può avere l’identificazione <strong>delle</strong><br />
stesse regolarità <strong>di</strong> costruzione <strong>di</strong> un testo (tipico, ad<br />
esempio, del barocco) usando materiale <strong>di</strong> testi prevalentemente<br />
continui (pittorici) e <strong>di</strong> testi prevalentemente <strong>di</strong>screti<br />
(verbali). Su questo piano è importante il problema<br />
<strong>della</strong> traduzione filmica come es<strong>per</strong>imento <strong>di</strong> traduzione<br />
<strong>di</strong> un testo verbale <strong>di</strong>screto in un testo continuo, accompagnato<br />
soltanto da frammenti <strong>di</strong> testo <strong>di</strong>screto (ad esem-
138 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
pio, Il bosco <strong>di</strong> betulle <strong>di</strong> Iwaszkiewicz e il telefilm corrispondente<br />
<strong>di</strong> Wajda, dove il ruolo del testo verbale è ridotto<br />
al minimo in rapporto al rilievo assunto dalla musica<br />
nella colonna sonora del film).<br />
7.0.0. Uno dei problemi fondamentali <strong>per</strong> lo stu<strong>di</strong>o<br />
<strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> e <strong>della</strong> tipologia <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> sta nel modo<br />
<strong>di</strong> impostare la questione dell’equivalenza <strong>delle</strong> strutture,<br />
dei testi, <strong>delle</strong> funzioni. Entro <strong>una</strong> stessa cultura viene in<br />
primo piano il problema dell’equivalenza dei testi. A partire<br />
da questo si costruisce la possibilità <strong>della</strong> traduzione<br />
entro <strong>una</strong> stessa tra<strong>di</strong>zione. Al tempo stesso, dato che l’equivalenza<br />
non è identità, la traduzione da un sistema testuale<br />
in un altro comporta sempre un certo elemento <strong>di</strong><br />
intraducibilità. Entro un approccio semiotico si possono<br />
correlare e identificare, in base a principi <strong>di</strong> organizzazione,<br />
testi concreti, ma non i sistemi, che conservano la loro<br />
autonomia, <strong>per</strong> quanto ampia sia l’identità dei testi da essi<br />
generati. Perciò, il compito <strong>della</strong> ricostruzione dei testi<br />
nelle varie sottolingue è talvolta più accessibile <strong>della</strong> ricostruzione<br />
<strong>di</strong> queste stesse sottolingue. Quest’ultimo problema<br />
spesso dev’essere risolto sulla base <strong>di</strong> confronti tipologici<br />
con altre aree culturali. In rapporto ai compiti<br />
tra<strong>di</strong>zionali <strong>della</strong> slavistica, i problemi comparatistici possono<br />
essere interpretati come [problemi relativi a] <strong>una</strong><br />
trasmissione <strong>di</strong> testi attraverso canali <strong>di</strong>versi.<br />
7.0.1. Si devono <strong>di</strong>stinguere a questo riguardo tre casi:<br />
la trasmissione <strong>di</strong> un certo testo <strong>di</strong> <strong>una</strong> nazionalità slava<br />
attraverso un canale la cui uscita è realizzata in un’altra<br />
lingua slava (l’esempio più semplice è la traduzione da<br />
<strong>una</strong> lingua slava in un’altra, le relazioni polacco-ucrainorusse<br />
del Cinquecento e del Seicento ); la trasmissione <strong>di</strong><br />
un testo formato in un’altra tra<strong>di</strong>zione attraverso due o<br />
più canali <strong>di</strong> questo tipo (l’esempio più semplice ci è dato<br />
dai <strong>di</strong>versi stili nazionali <strong>delle</strong> traduzioni slave ecclesiastiche<br />
del Vangelo, traduzioni <strong>di</strong> uno stesso testo <strong>della</strong> lette-
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 139<br />
ratura occidentale in <strong>di</strong>verse lingue slave); infine, la trasmissione<br />
<strong>di</strong> un testo attraverso canali <strong>di</strong> cui uno soltanto<br />
viene rappresentato in uscita dalla sua realizzazione in<br />
<strong>una</strong> lingua slava (caso, questo, in cui i contatti letterari, o<br />
altri contatti culturali, entro l’area slava sono limitati a<br />
<strong>una</strong> sola tra<strong>di</strong>zione nazionale o linguistica), come, ad<br />
esempio, la serie dei fenomeni connessi con il contatto<br />
lessicale turco-bulgaro; tra i fenomeni dell’ultimo tipo<br />
vanno annoverati, a quanto pare, i legami tra il Minnesang<br />
e le forme <strong>delle</strong> liriche d’amore in ceco antico.<br />
L’importanza relativamente minore del terzo caso rispetto<br />
ai primi due viene a sostenere l’opinione secondo<br />
cui la storia <strong>delle</strong> letterature slave deve essere costruita<br />
anzitutto come storia comparata. Prendendo a sfondo la<br />
presenza <strong>di</strong> un fenomeno nelle altre tra<strong>di</strong>zioni slave, la<br />
sua assenza o la lotta contro <strong>di</strong> esso (ad esempio, il byronismo<br />
nella letteratura slovacca) <strong>di</strong>ventano particolarmente<br />
significative. La trasmissione a livelli relativamente<br />
alti (in particolare, <strong>per</strong> quanto riguarda quelli dell’organizzazione<br />
stilistica e figurativa del testo) è tipica dei monumenti<br />
slavi <strong>della</strong> letteratura del tardo Me<strong>di</strong>oevo. Si<br />
spiega con questo, da <strong>una</strong> parte, la complessità <strong>della</strong> loro<br />
organizzazione (determinata da <strong>una</strong> lunga evoluzione e da<br />
<strong>una</strong> selezione collettiva dei testi avvenuta non nel mondo<br />
slavo, bensì nella tra<strong>di</strong>zione bizantina) e, dall’altra, la loro<br />
importanza relativamente ridotta (in rapporto ai livelli su<strong>per</strong>iori,<br />
e non a quello propriamente del lessico <strong>della</strong> lingua)<br />
<strong>per</strong> la ricostruzione <strong>della</strong> cultura protoslava. Il rispecchiarsi<br />
nella trasmissione in area slava <strong>di</strong> <strong>una</strong> tra<strong>di</strong>zione,<br />
illustrata da <strong>una</strong> larga selezione precedente <strong>di</strong> testi,<br />
costituisce un fenomeno importante anche <strong>per</strong> la storia<br />
<strong>della</strong> letteratura dalmata del secolo XVI, oltre che <strong>per</strong> <strong>una</strong><br />
serie <strong>di</strong> letterature slave in secoli recenti. Un caso particolare<br />
è rappresentato da un tipo <strong>di</strong> trasmissione in cui viene<br />
mutato in modo sostanziale il carattere dei livelli su<strong>per</strong>iori<br />
del testo, ma viene mantenuta <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> tratti es-
140 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
senziali dei livelli inferiori, in particolare <strong>di</strong> quelli iconici,<br />
come si è verificato nella identificazione (ai livelli inferiori,<br />
che <strong>per</strong> un determinato pubblico sono i più significativi)<br />
<strong>delle</strong> <strong>di</strong>vinità pagane degli slavi orientali con santi ortodossi<br />
(si vedano certe coppie come Volos-Vlasij,<br />
Mokosˇ’-Paraskeva Pjatnica; il riflesso dell’antico culto gemellare<br />
nei riti <strong>di</strong> Flor e <strong>di</strong> Lavr). Il problema dei contatti<br />
degli slavi con i non slavi, e <strong>delle</strong> trasmissioni a essi connesse,<br />
esige che tutta la cultura considerata sia intesa in<br />
senso molto lato fino a includere i “sistemi sublinguistici”<br />
<strong>delle</strong> usanze e dei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vita, <strong>della</strong> tecnologia (inclusi i<br />
mestieri); si denominano sublinguistici quei sistemi semiotici<br />
ciascun elemento dei quali costituisce il denotato<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> parola o <strong>di</strong> un sintagma <strong>della</strong> lingua naturale 22 . Gli<br />
influssi non slavi, spesso più marcati in questi campi (e<br />
nelle sfere, <strong>di</strong>rettamente legate a questi, <strong>della</strong> terminologia<br />
linguistica), soltanto nelle tappe successive possono<br />
essere evidenziati nei sistemi sovralinguistici secondari, i<br />
quali qui manifestano nitidamente la loro <strong>di</strong>fferenza essenziale<br />
dai “sistemi sublinguistici”, non costruiti sulla<br />
base <strong>di</strong> segni e testi <strong>della</strong> lingua naturale e non trasponibili<br />
in essi. Questa regolarità, tipica del contatto in <strong>per</strong>io<strong>di</strong><br />
recenti con zone culturali occidentali, viene contraddetta<br />
dai contatti più antichi con Bisanzio, che ebbero luogo<br />
anzitutto nella sfera dei sistemi modellizzanti secondari.<br />
7.1.0. Dalla trasposizione dei testi entro <strong>una</strong> stessa<br />
cultura va <strong>di</strong>stinta l’o<strong>per</strong>azione, a essa tipologicamente<br />
affine, <strong>della</strong> versione <strong>di</strong> testi appartenenti a tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>verse.<br />
Nel mondo culturale slavo, <strong>per</strong> ragioni puramente<br />
linguistiche (ci stiamo riferendo alla somiglianza che si è<br />
conservata a vari livelli e al ruolo dell’elemento slavo-ecclesiastico),<br />
spesso la traduzione coincide con <strong>una</strong> ricostruzione.<br />
Questo non riguarda soltanto le evidenti corrispondenze<br />
lessicali e fonologiche, ma anche, tra l’altro,<br />
fenomeni come le ricostruzioni ante litteram degli schemi<br />
metrici protoslavi nel sistema ritmico dei Pesni zapadnych
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 141<br />
slavjan [Canti degli slavi d’Occidente] <strong>di</strong> Pusˇkin che, guidato<br />
dall’intuito, aveva confrontato quelle stesse tra<strong>di</strong>zioni<br />
– la slava orientale e la serbo-croata – sulle quali sono<br />
basate anche le ricostruzioni attuali. Si vedano ancora gli<br />
es<strong>per</strong>imenti <strong>di</strong> Julian Tuwim sulla modellizzazione <strong>della</strong><br />
struttura fonetica <strong>della</strong> lingua russa sul verso polacco,<br />
con la rinuncia consapevole a orientarsi a corrispondenze<br />
lessicali. Alla luce <strong>della</strong> concezione esposta, va segnalato<br />
il merito storico <strong>di</strong> Krizˇanic´ e, in un tempo a noi più vicino,<br />
l’impostazione analoga tipica <strong>di</strong> Baudouin de Courtenay,<br />
secondo il quale le corrispondenze tra le lingue slave<br />
vengono <strong>di</strong> <strong>per</strong> sé a costituire <strong>una</strong> traduzione fonetica.<br />
8.0.0. La concezione <strong>per</strong> cui il funzionamento <strong>della</strong><br />
cultura non si attua entro un unico sistema semiotico,<br />
qualunque esso sia (e, ancor meno, all’interno <strong>di</strong> un livello<br />
<strong>di</strong> un sistema), comporta implicitamente che, <strong>per</strong> la descrizione<br />
<strong>della</strong> vita <strong>di</strong> un testo in un sistema <strong>di</strong> <strong>culture</strong> o<br />
<strong>per</strong> la descrizione del funzionamento interno <strong>delle</strong> strutture<br />
che lo costituiscono, non basti descrivere l’organizzazione<br />
immanente dei singoli livelli. Sorge il compito <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong>are i rapporti tra le strutture dei <strong>di</strong>versi livelli. Tali<br />
rapporti reciproci possono manifestarsi tanto sotto forma<br />
<strong>di</strong> livelli interme<strong>di</strong>, quanto come isomorfismo strutturale,<br />
osservabile talvolta a livelli <strong>di</strong>versi. È grazie alla comparsa<br />
<strong>di</strong> tale isomorfismo che possiamo passare da un livello all’altro.<br />
L’approccio sintetizzato nelle presenti tesi si caratterizza<br />
<strong>per</strong> il prevalere in esso dell’attenzione alle rico<strong>di</strong>ficazioni<br />
connesse con il passaggio da un livello all’altro, in<br />
opposizione alle descrizioni immanenti dei livelli, svolte<br />
negli sta<strong>di</strong> precedenti <strong>delle</strong> descrizioni formalizzate. Da<br />
questo punto <strong>di</strong> vista, gli anagrammi <strong>di</strong> Fer<strong>di</strong>nand de<br />
Saussure risultano più attuali che i tentativi puramente<br />
immanenti <strong>della</strong> scienza formale <strong>della</strong> letteratura.<br />
8.0.1. Il passaggio da un livello a un altro può aver<br />
luogo me<strong>di</strong>ante regole <strong>di</strong> sostituzione (rewriting rules) in
142 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
base alle quali un elemento, rappresentato da un unico<br />
simbolo al livello su<strong>per</strong>iore, si sviluppa a livello inferiore<br />
in un intero testo (che, compiendo il passaggio a ritroso,<br />
può essere conseguentemente inteso come un segno singolo,<br />
incluso in un contesto più ampio). Qui, come in altri<br />
casi analoghi verificatisi nella linguistica moderna, l’or<strong>di</strong>ne<br />
<strong>delle</strong> regole che descrivono le o<strong>per</strong>azioni <strong>della</strong> sintesi<br />
sincronica del testo può coincidere con l’or<strong>di</strong>ne dello sviluppo<br />
<strong>di</strong>acronico (si veda il coincidere dell’or<strong>di</strong>ne <strong>delle</strong><br />
regole <strong>della</strong> sintesi sincronica <strong>della</strong> forma verbale [slovoforma/word]<br />
a partire dai morfemi che la costituiscono,<br />
con il fenomeno <strong>di</strong>acronico <strong>della</strong> deetimologizzazione<br />
esemplificato nella storia del sostantivo slavo). E qui, tanto<br />
nella descrizione sincronica quanto in quella <strong>di</strong>acronica,<br />
si dà la preferenza a regole contestualmente legate, dove<br />
<strong>per</strong> ciascun simbolo x viene in<strong>di</strong>cato il contesto A —<br />
B, in cui avviene la sua sostituzione con il testo T:<br />
x → T (A — B)<br />
8.0.2. Negli ultimi anni l’interesse degli specialisti <strong>di</strong><br />
poetica strutturale si è concentrato sullo stu<strong>di</strong>o dei rapporti<br />
tra livelli, <strong>per</strong>ciò si fa, ad esempio, la trascrizione dei<br />
suoni non senza fare riferimento al senso, bensì in rapporto<br />
al senso 23 . Nel processo <strong>di</strong> rico<strong>di</strong>ficazione tra livelli <strong>di</strong>versi<br />
si intrecciano i risultati dei vari sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo <strong>delle</strong><br />
parti del testo che viene sintetizzato in un segno, concretizzato<br />
realmente in un segnale fonico o ottico. Resta problematica<br />
la possibilità <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>di</strong>visione s<strong>per</strong>imentale <strong>delle</strong><br />
<strong>di</strong>verse fasi nel processo <strong>di</strong> sintesi <strong>di</strong> un testo artistico, poiché<br />
in esso la struttura su<strong>per</strong>ficiale, determinata da restrizioni<br />
formali, può influire sulla struttura profonda a livello<br />
<strong>di</strong> figure. Ciò <strong>di</strong>pende, in particolare, dalla correlazione,<br />
evidenziata sulla base <strong>della</strong> poetica, β ≤ γ, <strong>per</strong> la quale, aumentando<br />
il coefficiente β, che sta a in<strong>di</strong>care la misura <strong>delle</strong><br />
restrizioni imposte alla forma poetica, è necessario ac-
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 143<br />
crescere il numero γ che definisce la flessibilità <strong>della</strong> lingua<br />
poetica ecc., cioè in particolare il numero <strong>delle</strong> <strong>per</strong>ifrasi sinonimiche<br />
che si possono ottenere grazie agli usi verbali<br />
traslati e figurati, alle combinazioni insolite <strong>di</strong> parole ecc.<br />
Per questo, l’identificazione <strong>della</strong> misura <strong>delle</strong> restrizioni<br />
formali nei lavori <strong>di</strong> poetica slava comparata, la determinazione<br />
<strong>di</strong> certi parametri informazionali <strong>delle</strong> singole lingue<br />
slave, quali la flessibilità (γ) e l’entropia (H), e la precisazione<br />
dei compiti e <strong>delle</strong> possibilità <strong>di</strong> traduzione da <strong>una</strong><br />
lingua slava in un’altra vengono a essere aspetti <strong>di</strong>versi <strong>di</strong><br />
un unico problema, che può essere stu<strong>di</strong>ato soltanto sulla<br />
base <strong>di</strong> indagini preliminari in ciascuno <strong>di</strong> questi campi.<br />
9.0.0. Nella connessione <strong>di</strong> livelli e sottosistemi <strong>di</strong>versi<br />
in quel tutt’uno semiotico che è la “cultura”, o<strong>per</strong>ano<br />
due meccanismi tra loro contrari:<br />
a) la tendenza alla varietà, ossia all’aumento dei linguaggi<br />
semiotici <strong>di</strong>versamente organizzati, il “poliglottismo”<br />
<strong>della</strong> cultura;<br />
b) la tendenza all’uniformità, ossia la tendenza <strong>della</strong><br />
cultura a interpretare se stessa o le altre <strong>culture</strong> come<br />
linguaggi unitari, rigorosamente organizzati.<br />
La prima tendenza si manifesta nella creazione continua<br />
<strong>di</strong> nuove lingue <strong>della</strong> cultura e nella irregolarità <strong>della</strong><br />
sua organizzazione interna. I <strong>di</strong>versi campi <strong>della</strong> cultura<br />
hanno un <strong>di</strong>verso grado <strong>di</strong> organizzazione interna. Creando<br />
entro se stessa focolai <strong>di</strong> massima organizzazione, la<br />
cultura ha bisogno anche <strong>di</strong> formazioni relativamente<br />
amorfe, solo apparentemente strutturate. È tipica a questo<br />
riguardo l’in<strong>di</strong>viduazione sistematica, entro strutture storicamente<br />
date <strong>della</strong> cultura, <strong>di</strong> quei settori che devono, <strong>per</strong><br />
così <strong>di</strong>re, <strong>di</strong>ventare un modello dell’organizzazione <strong>della</strong><br />
cultura come tale. È particolarmente interessante lo stu<strong>di</strong>o<br />
dei <strong>di</strong>versi sistemi segnici costruiti artificialmente che tendono<br />
alla massima regolarità (è <strong>di</strong> questo tipo, ad esempio,<br />
la funzione culturale dei ranghi, <strong>delle</strong> uniformi e <strong>delle</strong>
144 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
onorificenze nello stato “regolare” <strong>di</strong> Pietro I e dei suoi<br />
successori: l’idea stessa <strong>di</strong> “regolarità”, inserendosi nel tutto<br />
culturale unitario dell’epoca, costituisce un’entità complementare<br />
alla variopinta sregolatezza <strong>della</strong> vita reale <strong>di</strong><br />
quegli anni). Un grande interesse presenta, da questo punto<br />
<strong>di</strong> vista, lo stu<strong>di</strong>o dei metatesti; <strong>di</strong>sposizioni, “regolamenti”<br />
e istruzioni che rappresentano un mito sistematizzato,<br />
che la cultura crea su se stessa. A questo riguardo, è<br />
significativo il ruolo svolto nelle <strong>di</strong>verse tappe <strong>della</strong> cultura<br />
dalle grammatiche <strong>delle</strong> lingue in quanto modelli <strong>di</strong> testi<br />
<strong>di</strong> vario tipo, destinati a rior<strong>di</strong>nare e “regolare”.<br />
9.0.1. Il ruolo <strong>delle</strong> lingue artificiali e <strong>della</strong> logica matematica<br />
nello sviluppo <strong>di</strong> settori del sa<strong>per</strong>e, quali la linguistica<br />
strutturale e matematica o la <strong>semiotica</strong>, può essere<br />
descritto come uno degli esempi <strong>di</strong> formazione <strong>di</strong><br />
“focolai <strong>di</strong> regolamentazione”. Al tempo stesso, queste<br />
scienze svolgono, nel contesto generale <strong>della</strong> cultura del<br />
secolo XX, presa nel suo insieme, un ruolo analogo.<br />
9.0.2. Il meccanismo fondamentale che conferisce<br />
unità ai <strong>di</strong>versi livelli e sottosistemi <strong>della</strong> cultura è rappresentato<br />
dal modello che la cultura ha <strong>di</strong> se stessa, dal mito<br />
che in <strong>una</strong> determinata fase la cultura si forma <strong>di</strong> se stessa.<br />
Tale mito si manifesta nella creazione <strong>di</strong> autocaratterizzazioni<br />
[avtocharakteristiki/autocharacteristics] (si vedano,<br />
ad esempio, i metatesti del tipo dell’Art poétique <strong>di</strong> Boileau,<br />
un fatto tipico dell’epoca del classicismo – cfr. anche<br />
i trattati normativi del classicismo russo), che regolano attivamente<br />
la costruzione <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> nella loro globalità.<br />
9.0.3. Un altro meccanismo <strong>di</strong> unificazione è rappresentato<br />
dall’orientamento <strong>della</strong> cultura. Un certo sistema<br />
semiotico particolare assume il significato <strong>di</strong> sistema dominante,<br />
e i suoi principi strutturali penetrano nelle altre<br />
strutture e nella cultura nel suo insieme. Si può così parlare<br />
<strong>di</strong> <strong>culture</strong> orientate alla scrittura (al testo) o alla lingua<br />
parlata, alla parola o al <strong>di</strong>segno. Ci può essere <strong>una</strong> cultura<br />
orientata alla cultura o alla sfera extraculturale. L’orienta-
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 145<br />
mento <strong>della</strong> cultura alla matematica nell’epoca del razionalismo<br />
o (in certa misura) all’inizio <strong>della</strong> seconda metà<br />
del secolo XX, può essere confrontato con l’orientamento<br />
alla poesia durante il Romanticismo o il Simbolismo 24 .<br />
In particolare, l’orientamento al cinema è legato a <strong>una</strong><br />
serie <strong>di</strong> tratti <strong>della</strong> cultura del secolo XX. Tra questi è il<br />
dominio del principio del montaggio (già a cominciare<br />
dalle costruzioni cubiste nella pittura e nella poesia, le<br />
quali hanno preceduto cronologicamente la vittoria del<br />
proce<strong>di</strong>mento del montaggio nel cinema muto; si vedano<br />
anche i tentativi più recenti del tipo del “cineocchio” in<br />
prosa, costruiti consapevolmente secondo il modello dei<br />
film a montaggio, non a soggetto; è tipica anche l’applicazione<br />
parallela del montaggio <strong>di</strong> sezioni temporali <strong>di</strong>verse<br />
nel cinema, nel teatro contemporaneo e nella prosa, ve<strong>di</strong><br />
Bulgakov). Un altro <strong>di</strong> questi tratti è la messa in o<strong>per</strong>a e la<br />
contrapposizione <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> vista <strong>di</strong>versi; a questo è legato<br />
anche l’aumento del peso specifico dello skaz, del <strong>di</strong>scorso<br />
impropriamente <strong>di</strong>retto e del monologo interiore<br />
<strong>della</strong> prosa; con questa prassi artistica viene a concordare<br />
l’introduzione audace, ma che ha assunto un senso critico<br />
<strong>per</strong> <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> ricercatori, <strong>di</strong> un parallelismo nell’interpretazione<br />
<strong>della</strong> funzione del punto <strong>di</strong> vista <strong>per</strong> la teoria<br />
<strong>della</strong> prosa, <strong>per</strong> la teoria del linguaggio dell’o<strong>per</strong>a pittorica<br />
e <strong>per</strong> la teoria del cinema. Ricor<strong>di</strong>amo, infine, l’attenzione<br />
prevalente al dettaglio messo in primo piano (analoga<br />
è la tendenza metonimica nella prosa letteraria; e con<br />
questa dominante stilistica è connessa anche l’importanza<br />
del dettaglio come chiave <strong>per</strong> la costruzione <strong>della</strong> trama<br />
in certi generi <strong>della</strong> letteratura <strong>di</strong> massa, come il giallo).<br />
9.1.0. L’indagine scientifica non è soltanto uno strumento<br />
<strong>per</strong> lo stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> cultura, ma fa parte essa stessa<br />
del suo oggetto. I testi scientifici, essendo metatesti <strong>della</strong><br />
cultura, possono essere considerati al tempo stesso come<br />
testi <strong>di</strong> essa. Perciò, qualsiasi idea scientifica significativa<br />
può essere considerata e come un tentativo <strong>di</strong> conoscere<br />
la cultura e come un fatto <strong>della</strong> vita <strong>della</strong> cultura, attra-
146 IVANOV, LOTMAN, PIATIGORSKIJ, TOPOROV, USPENSKIJ<br />
verso il quale o<strong>per</strong>ano i suoi meccanismi generativi. Da<br />
questo punto <strong>di</strong> vista, sarebbe possibile porre la questione<br />
<strong>delle</strong> attuali analisi semiotico-strutturali come fenomeni<br />
<strong>della</strong> cultura slava (il ruolo <strong>della</strong> tra<strong>di</strong>zione ceca,<br />
slovacca, polacca, russa e <strong>delle</strong> altre).<br />
1 Ed. or.: 1973, “Tezisy k semiotičeskomu izučeniju kul’tur (v primenenii k<br />
slavjanskim tektstam)”, in Semiotyka i struktura tekstu. Stu<strong>di</strong>a s´wie˛cone VII<br />
mie˛dz. kongresowi slawistów, a cura <strong>di</strong> M. R. Mayenowa, Warszawa, pp. 9-3;<br />
trad. it. 1979, “<strong>Tesi</strong> <strong>per</strong> un’analisi <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> (in applicazione ai testi<br />
slavi)”, in La <strong>semiotica</strong> nei Paesi slavi. Programmi, problemi, analisi, a cura <strong>di</strong> C.<br />
Previgano, trad. <strong>di</strong> E. Rigotti, Milano, Feltrinelli, pp. 194-220. [Per questa traduzione,<br />
effettuata sulla redazione russa <strong>delle</strong> tesi, si è tenuto conto anche <strong>della</strong><br />
loro redazione inglese, comparsa nel 1973 col titolo <strong>di</strong> “Theses on the Semiotic<br />
Study of Culture (As Applied to Slavic Texts)”, in Structure of Texts and Semiotics<br />
of Culture, a cura <strong>di</strong> J. van der Heng, M. Grygar, The Hague-Paris, pp. 1-28, e<br />
firmata, nell’or<strong>di</strong>ne, da B. A. Uspenskij, V. V. Ivanov, V. N. Toporov, A. M. Pjatigorskij,<br />
Ju. M. Lotman. Della collazione <strong>delle</strong> due redazioni, cui ha collaborato<br />
Carlo Prevignano, sono dati i risultati nelle note, mentre nel testo, accanto ai<br />
termini russi che è parso necessario in<strong>di</strong>care, si sono riportati quelli inglesi corrispondenti<br />
nell’e<strong>di</strong>zione inglese, <strong>per</strong> consentirne un imme<strong>di</strong>ato riscontro].<br />
2 [Nella red. inglese è aggiunto: “artificiale – non artificiale”].<br />
3 [Nella red. inglese è aggiunto: “artificialità”].<br />
4 [L’antica denominazione <strong>della</strong> Russia].<br />
5 [Nella red. inglese è aggiunto: “del meccanismo <strong>della</strong> cultura”].<br />
6 [Nella red. inglese è aggiunto: “Andrebbe sottolineato che dal punto <strong>di</strong><br />
vista ‘interno’ la cultura appare come il membro positivo dell’opposizione<br />
suddetta, mentre dal punto <strong>di</strong> vista ‘esterno’ l’intera opposizione appare come<br />
un fenomeno culturale”.]<br />
7 [Nella red. inglese è aggiunto: “e un segno appare come <strong>una</strong> nozione secondaria,<br />
definibile a partire dal testo”].<br />
8 [La red. inglese ha: “il conflitto tra testo verbale e visivo”].<br />
9 [La red. inglese ha: “il problema <strong>della</strong> ‘grammatica del parlante’ (mittente<br />
[addressor]) e <strong>della</strong> ‘grammatica dell’ascoltatore’ (destinatario [addressee])”].<br />
10 [La red. inglese ha <strong>di</strong> nuovo: “L’orientamento <strong>della</strong> cultura al ‘parlante’<br />
(mittente) e all’ascoltatore (destinatario)”].<br />
11 Bisogna <strong>di</strong>stinguere un non testo dall’“anti-testo” <strong>di</strong> <strong>una</strong> data cultura:<br />
l’espressione che non viene conservata dall’espressione che viene <strong>di</strong>strutta.<br />
12 Sono rari, ma non sono impossibili, i casi in cui l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong><br />
qualche messaggio come testo <strong>di</strong> <strong>una</strong> data lingua è determinata dalla sua appartenenza<br />
a un testo <strong>della</strong> cultura.<br />
13 [Nella red. inglese si legge: “testi fantastici e assur<strong>di</strong> del folclore russo”].<br />
14 [La red. inglese ha invece: “Per testo si intende soltanto un messaggio<br />
che svolge entro la cultura data <strong>una</strong> funzione testuale”].
TESI PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLE CULTURE 147<br />
15 [Nella red. inglese è aggiunto: “e in parte anche oggi”].<br />
16 [Nella red. inglese è aggiunto: “Il posto del testo nello spazio testuale è<br />
definito come la somma totale dei testi potenziali”. Evidentemente è caduta<br />
qualche parola].<br />
17 [Nella sola red. inglese la fig. porta la <strong>di</strong>citura: “Diagramma generale<br />
<strong>della</strong> rico<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> un testo linguistico <strong>per</strong> livelli”].<br />
18 [La red. inglese ha: “del tipo serbo e croato”].<br />
19 [Donne addette alla cottura <strong>della</strong> prosvira, il pane del rito ortodosso].<br />
20 [Nella red. inglese è aggiunto: “o nel verso comico, ad esempio <strong>di</strong><br />
Mjatlev”].<br />
21 [La parte restante del § 6.1.5. è omessa nella red. inglese].<br />
22 [Spiegazione omessa nella red. inglese].<br />
23 [Diversamente la red. inglese ha: “così l’onomatopea, ad esempio, è<br />
stu<strong>di</strong>ata non senza considerazione <strong>per</strong> il senso, anzi in relazione al senso”].<br />
24 [La parte restante del § 9.0.3. è omessa nella red. inglese].
Eterogeneità e omogeneità <strong>delle</strong> <strong>culture</strong>.<br />
Postscriptum alle tesi collettive 1<br />
Jurij M. Lotman, Boris A. Uspenskij<br />
0. Mentre si sottolinea come tratto fondamentale del<br />
meccanismo interno <strong>della</strong> cultura il poliglottismo, andrebbe<br />
tenuto costantemente presente che alla base <strong>di</strong> qualsiasi<br />
modello <strong>della</strong> cultura sta <strong>una</strong> opposizione binaria <strong>di</strong> due<br />
lingue ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>verse, trovantisi in uno stato <strong>di</strong> intraducibilità<br />
reciproca. La comunicazione tra esse si attua<br />
con l’ausilio <strong>di</strong> un meccanismo metaculturale che stabilisce<br />
<strong>una</strong> equivalenza relativa dei testi nelle due lingue.<br />
1.0. I processi immanenti <strong>di</strong> sviluppo <strong>della</strong> cultura<br />
possono <strong>per</strong>tanto essere considerati come interazione <strong>di</strong><br />
due tendenze <strong>di</strong>rette a due scopi opposti:<br />
a) alla moltiplicazione del numero <strong>delle</strong> lingue <strong>della</strong><br />
cultura e all’approfon<strong>di</strong>mento <strong>della</strong> loro peculiarità, con<br />
il che si ha <strong>una</strong> crescita <strong>delle</strong> <strong>di</strong>fficoltà comunicative all’interno<br />
<strong>della</strong> cultura, e contemporaneamente si favorisce<br />
la flessibilità e la complessità <strong>della</strong> sua capacità <strong>di</strong><br />
modellizzare la realtà;<br />
b) alla creazione <strong>di</strong> metalingue (incluse le autodescrizioni<br />
normative che la cultura fa <strong>di</strong> se stessa, e le sue<br />
descrizioni con gli strumenti <strong>della</strong> scienza) che facilitano<br />
le comunicazioni entro la cultura (comprese quelle<br />
tra in<strong>di</strong>vidui) me<strong>di</strong>ante l’introduzione <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong><br />
testi univoci e stabili, i quali al tempo stesso semplificano<br />
la cultura e ne limitano la flessibilità come sistema<br />
modellizzante.
150 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
1.1. La capacità <strong>della</strong> cultura <strong>di</strong> trasformare l’entropia<br />
che la circonda in informazione, <strong>di</strong> creare entro se stessa<br />
lingue e testi ra<strong>di</strong>calmente nuovi, così come il suo legame<br />
con il meccanismo <strong>della</strong> memoria collettiva, consentono <strong>di</strong><br />
considerarla come <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona collettiva che, in particolare,<br />
viene a essere portatrice dell’intelligenza collettiva 2 .<br />
1.2. A questo riguardo, si deve sottolineare l’isomorfismo<br />
funzionale che si riscontra tra la coscienza in<strong>di</strong>viduale,<br />
legata alla asimmetria strutturale del cervello del<br />
singolo, che attualmente è oggetto <strong>di</strong> grande attenzione,<br />
e la asimmetria fondamentale dei sistemi semiotici inclusi<br />
in qualsiasi modello minimale <strong>della</strong> cultura.<br />
2.0. L’affermazione che qualsiasi unità entro il meccanismo<br />
<strong>della</strong> cultura presupponga <strong>una</strong> specializzazione<br />
<strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> parti, e che la eterogeneità strutturale interna<br />
sia <strong>una</strong> con<strong>di</strong>zione <strong>della</strong> globalità del meccanismo<br />
culturale, <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> formulare alcune premesse relative<br />
agli influssi <strong>di</strong> <strong>una</strong> cultura su un’altra.<br />
2.1. Nello stu<strong>di</strong>o comparato <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> è assai <strong>di</strong>ffusa<br />
la concezione secondo cui l’influenza culturale presuppone<br />
che le <strong>culture</strong> interessate abbiano raggiunto<br />
un certo sta<strong>di</strong>o comune <strong>di</strong> sviluppo. Il simile influenza<br />
il simile, e nel re<strong>per</strong>torio eterogeneo dei testi esistenti<br />
ciasc<strong>una</strong> cultura seleziona ciò in cui essa vede se stessa.<br />
Una tale selezione ha indubbiamente luogo. Tuttavia,<br />
sarebbe sbagliato chiudere gli occhi sul fatto che spesso<br />
è proprio la <strong>di</strong>fferenza a rappresentare la premessa originaria<br />
dell’influenza culturale. Proprio nel momento in<br />
cui i contatti culturali casuali e spora<strong>di</strong>ci, nel cui ambito<br />
ciasc<strong>una</strong> <strong>delle</strong> parti in contatto conserva l’autonomia,<br />
lasciano il posto a un’unità e le <strong>culture</strong> precedentemente<br />
<strong>di</strong>stinte si compongono in un certo organismo, la <strong>di</strong>fferenza<br />
semiotico-strutturale tra esse non si appiattisce,<br />
ma si approfon<strong>di</strong>sce. Esse entrano in un rapporto <strong>di</strong> somiglianza-asimmetrica.
ETEROGENEITÀ E OMOGENEITÀ DELLE CULTURE 151<br />
2.2. Il meccanismo semiotico <strong>di</strong> questo processo può<br />
essere così rappresentato: ciasc<strong>una</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> in contatto,<br />
nella propria esistenza originariamente “separata”,<br />
è internamente eterogenea. Passando dalla sfera “esterna”<br />
a quella “interna” e cessando, da determinati punti<br />
<strong>di</strong> vista, <strong>di</strong> essere “estranea”, o occupando la posizione<br />
interme<strong>di</strong>a dell’“estraneo vicino” (nella Russia <strong>di</strong> Kiev<br />
c’era un termine <strong>per</strong> la designazione dei cumani che si<br />
erano inse<strong>di</strong>ati ai confini e avevano abbandonato la vita<br />
nomade, <strong>di</strong>ventando alleati dei principi russi contro i<br />
cumani noma<strong>di</strong>: nasˇi poganii, cioè al tempo stesso i “nostri<br />
pagani” e i “nostri estranei”), <strong>una</strong> cultura occupa un<br />
posto determinato nella struttura <strong>della</strong> asimmetria interna<br />
<strong>della</strong> sua partner, includendola contemporaneamente<br />
in se stessa me<strong>di</strong>ante un’analoga identificazione con <strong>una</strong><br />
determinata componente <strong>della</strong> sua organizzazione interna.<br />
Questo porta a <strong>una</strong> maggiore in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> ciasc<strong>una</strong><br />
<strong>delle</strong> strutture rientranti nella nuova unità, insieme<br />
con la crescita <strong>delle</strong> metaformazioni che servono il<br />
sistema <strong>di</strong> contatti tra esse. Inoltre, in tutta <strong>una</strong> serie <strong>di</strong><br />
casi, l’autocoscienza che la cultura ha <strong>della</strong> propria specificità<br />
è legata proprio con <strong>una</strong> considerazione strutturale<br />
<strong>di</strong> un punto <strong>di</strong> vista esterno su <strong>di</strong> sé (nessun fenomeno,<br />
da un punto <strong>di</strong> vista interno, ha <strong>una</strong> sua specificità),<br />
cioè con il fatto dell’unione con la cultura “estranea”<br />
in <strong>una</strong> certa unità più complessa.<br />
Le tendenze osservate si riscontrano in modo particolarmente<br />
chiaro in <strong>culture</strong> storicamente collocate ai<br />
confini <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> aree culturali (in particolare, esse sono<br />
attuali <strong>per</strong> i destini storici <strong>della</strong> cultura russa). Nelle <strong>culture</strong><br />
collocate al centro <strong>di</strong> un grande complesso <strong>di</strong> <strong>culture</strong><br />
relativamente omogenee, le tendenze osservate si manifestano<br />
meno chiaramente. Così, <strong>per</strong> esempio, la struttura<br />
interna <strong>della</strong> cultura russa sottintende l’incorporazione<br />
in essa <strong>di</strong> un punto <strong>di</strong> vista estraneo, interpretato,<br />
in ragione <strong>della</strong> posizione geografica <strong>di</strong> frontiera, ora co-
152 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
me “occidentale” ora come “orientale.”. Di conseguenza,<br />
questa stessa cultura si presenta a sé ora come “occidentale”<br />
(dal punto <strong>di</strong> vista “orientale”) ora come<br />
“orientale” (dal punto <strong>di</strong> vista “occidentale”).<br />
3.0. Quanto si è detto ci fa vedere che il principio binario<br />
<strong>della</strong> struttura si presenta, in rapporto alla cultura,<br />
non soltanto come un fatto <strong>della</strong> sua descrizione metalinguistica,<br />
ma anche come <strong>una</strong> proprietà immanente <strong>della</strong><br />
sua organizzazione. Inoltre, nella struttura binaria <strong>delle</strong><br />
metalingue si può vedere il rispecchiarsi <strong>della</strong> asimmetria<br />
fondamentale, presente tanto in qualsiasi congegno pensante,<br />
quanto nello stesso meccanismo <strong>della</strong> coscienza.<br />
Certamente, il principio binario è presente soltanto come<br />
modello generativo iniziale tendendo in seguito a espandersi<br />
in un para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> opposizioni.<br />
3.1. Dato che l’essenza <strong>di</strong>cotomica <strong>della</strong> cultura “<strong>per</strong><br />
sé” deve presentarsi come un tutto unitario (questa è<br />
<strong>una</strong> conseguenza necessaria dell’esistenza <strong>della</strong> cultura),<br />
viene sottolineata con forza l’importanza <strong>delle</strong> autodescrizioni.<br />
La <strong>di</strong>fferenza essenziale tra l’evoluzione culturale<br />
e l’evoluzione naturale sta nel ruolo attivo <strong>delle</strong> autodescrizioni,<br />
nell’influenza esercitata sull’oggetto dalle<br />
rappresentazioni dello stesso. Questa influenza potrebbe,<br />
in senso lato, essere definita come il fattore soggettivo<br />
dell’evoluzione <strong>della</strong> cultura. Dato che allo stesso<br />
portatore <strong>della</strong> cultura questa si presenta come un sistema<br />
<strong>di</strong> valori, è proprio questo fattore soggettivo a determinare<br />
l’aspetto assiologico <strong>della</strong> cultura.<br />
3.2. Lo sviluppo <strong>di</strong>namico <strong>della</strong> cultura si compie<br />
sotto l’influsso <strong>di</strong> due tipi <strong>di</strong> fattori: da <strong>una</strong> parte, agiscono<br />
su <strong>di</strong> essa forze eterogenee a essa esterne; dall’altra,<br />
questa influenza si traduce nella lingua <strong>della</strong> sua<br />
struttura interna e, in relazione con ciò, subisce svariate<br />
trasformazioni, inclusa anche l’influenza attiva <strong>delle</strong> autodescrizioni<br />
<strong>della</strong> cultura <strong>di</strong> cui si è detto sopra. Qualo-
ETEROGENEITÀ E OMOGENEITÀ DELLE CULTURE 153<br />
ra si faccia astrazione dalle influenze esterne, è <strong>per</strong>tinente<br />
l’analogia con i modelli dei cambiamenti <strong>di</strong>acronici in<br />
linguistica. Da <strong>una</strong> parte e dall’altra, si ha la conservazione<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> stabile ossatura [kostjak] strutturale invariante,<br />
cioè <strong>di</strong> <strong>una</strong> certa configurazione <strong>di</strong> opposizioni <strong>di</strong><br />
base. Mentre si ha un <strong>di</strong>namismo dei testi su<strong>per</strong>ficiali<br />
<strong>della</strong> cultura, a livello dell’organizzazione <strong>di</strong> base questa<br />
può presentare <strong>una</strong> stabilità particolare.<br />
3.3. Entro questa impostazione, l’evoluzione <strong>della</strong><br />
cultura, sotto un determinato aspetto, può venire presentata<br />
come un processo <strong>di</strong> ridenominazione sistematica<br />
<strong>di</strong> elementi nell’ambito <strong>di</strong> opposizioni invarianti.<br />
L’ossatura strutturale invariante <strong>della</strong> cultura viene a essere<br />
obiettivamente il portatore <strong>della</strong> memoria <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
data collettività culturale e, al tempo stesso, dà motivo al<br />
ricercatore <strong>di</strong> identificare in <strong>una</strong> massa <strong>di</strong> testi appartenenti<br />
a tempi <strong>di</strong>versi un’immagine unitaria <strong>della</strong> cultura.<br />
3.3.1. Bisogna <strong>di</strong>stinguere i cambiamenti a livello dei<br />
testi, con conservazione dell’ossatura strutturale, e i<br />
cambiamenti (o rotture, <strong>di</strong>struzioni) a livello dell’ossatura<br />
strutturale, con relativa stabilità dei testi. Abbastanza<br />
frequentemente, nelle <strong>di</strong>verse tappe storiche, gli stessi<br />
testi ricevono <strong>una</strong> <strong>di</strong>fferente interpretazione. Dal punto<br />
<strong>di</strong> vista pragmatico, essi intervengono come testi <strong>di</strong>versi.<br />
1 Titolo originale: “Postscriptum alle tesi collettive sulla <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong><br />
cultura”. Scritto nel 1977 <strong>per</strong> il volume La <strong>semiotica</strong> nei Paesi slavi. Programmi,<br />
problemi, analisi, a cura <strong>di</strong> C. Prevignano, trad. <strong>di</strong> E. Rigotti., Milano, Feltrinelli,<br />
1979, pp. 221-224.<br />
2 Cfr., più in particolare, a questo riguardo, Lotman 1977.
Terza parte<br />
La <strong>semiotica</strong> e le poetiche<br />
<strong>della</strong> quoti<strong>di</strong>anità
Il mondo del riso: oralità e comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano 1<br />
Jurij M. Lotman, Boris A. Uspenskij<br />
Gli ultimi trent’anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o letterario nel nostro<br />
paese sono caratterizzati da uno sviluppo straor<strong>di</strong>nariamente<br />
veloce e intenso <strong>delle</strong> ricerche nel campo <strong>della</strong><br />
letteratura e <strong>della</strong> cultura antico-russe. Se nel <strong>per</strong>iodo<br />
prebellico, in ambito <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> letteratura classica<br />
russa, l’analisi dell’o<strong>per</strong>a <strong>di</strong> Pusˇkin e, in parte, lo stu<strong>di</strong>o<br />
del XVIII secolo erano stati in certo qual modo i punti <strong>di</strong><br />
riferimento <strong>della</strong> cultura critico-letteraria e i laboratori<br />
<strong>delle</strong> nuove teorie storico-letterarie, al giorno d’oggi la<br />
priorità è senza dubbio passata allo stu<strong>di</strong>o del Me<strong>di</strong>oevo<br />
russo. È doveroso inoltre sottolineare il ruolo scientifico<br />
e organizzativo svolto dalla sezione <strong>di</strong> letteratura anticorussa<br />
dell’Istituto <strong>di</strong> Letteratura russa presso l’Accademia<br />
<strong>delle</strong> <strong>Scienze</strong> dell’URSS (Pusˇkinskij Dom). Per valutare<br />
la portata del lavoro svolto è sufficiente ricordare i<br />
trentuno tomi dei Trudy Otdela drevnerusskoj literatury<br />
(solo quattro usciti prima <strong>della</strong> guerra), <strong>per</strong> non parlare<br />
poi <strong>di</strong> un’intera serie <strong>di</strong> pubblicazioni e monografie,<br />
molte <strong>delle</strong> quali costituiscono vere e proprie conquiste<br />
scientifiche.<br />
I lavori <strong>di</strong> critica ed e<strong>di</strong>zione del testo, <strong>di</strong> storia <strong>della</strong><br />
letteratura e <strong>di</strong> storia <strong>della</strong> cultura, condotti su vasta scala,<br />
hanno <strong>di</strong> fatto mutato tutto il preesistente sistema <strong>di</strong><br />
concezioni sulla cultura antico-russa. Tale circostanza ha<br />
posto l’accento sulla necessità <strong>di</strong> lavori <strong>di</strong> riepilogo e <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>vulgazione atti a elevare il grado <strong>di</strong> comprensione teo-
158 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
rica del materiale in conformità dei nuovi livelli scientifici<br />
raggiunti. Una risposta a tale esigenza può considerarsi<br />
la comparsa <strong>di</strong> tutta <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> monografie <strong>di</strong> Dmitrij<br />
Lichačëv, la più importante <strong>delle</strong> quali, la Poètika<br />
drevnerusskoj literatury [Poetica <strong>della</strong> letteratura anticorussa],<br />
ha posto le basi <strong>per</strong> <strong>una</strong> concezione nuova e organica<br />
<strong>della</strong> letteratura antico-russa come fenomeno artistico.<br />
Nella stessa prospettiva si inserisce tutta <strong>una</strong> serie<br />
<strong>di</strong> ricerche pubblicate dagli allievi <strong>di</strong> Lichačëv. L’enumerazione<br />
<strong>di</strong> questi lavori esula dai compiti del presente<br />
articolo. Data la tematica vorremmo comunque segnalare<br />
tra <strong>di</strong> essi l’importante stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Alexandr<br />
Pančenko (1973) sulla cultura poetica del XVII secolo.<br />
Il recente libro <strong>di</strong> Lichačëv e Pančenko (1976) costituisce<br />
un avvenimento assai significativo nell’ambito degli<br />
stu<strong>di</strong> letterari sovietici degli ultimi anni.<br />
Questo libro, seppur ricco <strong>di</strong> un immenso materiale<br />
fattuale ine<strong>di</strong>to, non è <strong>di</strong> grosse <strong>di</strong>mensioni (circa 11 fogli<br />
stampati) e parrebbe, da questo punto <strong>di</strong> vista, non<br />
poter reggere il confronto con numerose altre pubblicazioni<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni maggiori. Invece proprio la concisione,<br />
a tratti la sinteticità, ne pongono in evidenza la ricchezza<br />
<strong>di</strong> contenuti.<br />
Una <strong>delle</strong> caratteristiche degli stu<strong>di</strong> veramente fecon<strong>di</strong><br />
è da ricercarsi nel fatto che essi, oltre che risolvere i<br />
problemi posti dal precedente sviluppo scientifico, ne<br />
sollevano <strong>di</strong> nuovi e si presentano quin<strong>di</strong> non solo come<br />
ricapitolazioni <strong>di</strong> quanto fatto, ma anche come stimolo<br />
<strong>per</strong> un ulteriore progresso del pensiero scientifico. Grazie<br />
a ciò, essi si contrappongono alle sterili monografie<br />
“compen<strong>di</strong>arie” <strong>di</strong> altro tipo, le quali, riassumendo in sé<br />
tutto ciò che è stato fatto in precedenza, non aprono<br />
<strong>per</strong>ò nuove strade e rammentano dei corridoi terminanti<br />
in un’ultima porta serrata ermeticamente. Ovviamente<br />
l’autore che pone nuovi problemi si trova sempre in <strong>una</strong><br />
posizione più vulnerabile: quanto più nuovo e ricco <strong>di</strong>
IL MONDO DEL RISO 159<br />
prospettive è un problema, tanto più aspra rischia <strong>di</strong> essere<br />
la <strong>di</strong>scussione intorno a esso.<br />
Il libro che è all’origine <strong>della</strong> comparsa del presente<br />
articolo è appunto un’o<strong>per</strong>a in possesso <strong>di</strong> requisiti che<br />
fanno prevedere lunghe e accalorate <strong>di</strong>scussioni. Gli autori,<br />
volgendosi a un fenomeno <strong>della</strong> cultura russa <strong>di</strong><br />
primaria importanza, ma <strong>per</strong> niente approfon<strong>di</strong>to, fanno<br />
sì che in tutta <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> aspetti il lettore debba da solo<br />
riflettere sulle conseguenze scientifiche, vale a <strong>di</strong>re sugli<br />
scarti nelle concezioni storico-letterarie tra<strong>di</strong>zionali, che<br />
inevitabilmente derivano dall’introduzione nella storia<br />
<strong>della</strong> cultura dei temi da essi affrontati.<br />
Il libro preso in esame risulta dunque uno stu<strong>di</strong>o ricco<br />
<strong>di</strong> concetti e <strong>di</strong> problemi. Il suo merito più importante<br />
è quello <strong>di</strong> porre tutta <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> questioni che erano<br />
rimaste finora fuori del campo visivo <strong>della</strong> scienza o<br />
che, se erano state affrontate, erano state analizzate come<br />
fenomeni isolati, staccati dalle leggi generali <strong>della</strong><br />
cultura russa.<br />
Per originalità creativa <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o noi non inten<strong>di</strong>amo<br />
semplicemente la novità <strong>della</strong> concezione<br />
che ne è alla base; nei migliori lavori degli ultimi anni<br />
siamo abituati a incontrare idee scientifiche nuove e<br />
talvolta rivoluzionarie. Di nuovo c’è in realtà qualcosa<br />
<strong>di</strong> più profondo che riguarda la natura stessa del metodo<br />
<strong>di</strong> ricerca.<br />
Secondo <strong>una</strong> tra<strong>di</strong>zione profondamente ra<strong>di</strong>cata, gli<br />
storici equiparano la somma <strong>delle</strong> fonti scritte alla cultura<br />
in quanto tale. Tutto ciò che riguarda l’ambito non<br />
<strong>di</strong>rettamente riflesso nei testi – la sfera <strong>della</strong> comunicazione<br />
orale, del comportamento <strong>delle</strong> <strong>per</strong>sone nelle varie<br />
situazioni non prefissate, <strong>della</strong> gestica e <strong>della</strong> mimica,<br />
del rituale domestico –, viene categoricamente<br />
escluso dal campo <strong>di</strong> analisi. Invece <strong>di</strong> affrontare le <strong>di</strong>fficoltà<br />
legate alla definizione stessa <strong>di</strong> questo oggetto <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong>o, si afferma a priori la sua irrilevanza. In egual mi-
160 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
sura non ci si pone il problema <strong>di</strong> come influisca sulla<br />
natura degli stessi testi scritti il fatto che essi rappresentino<br />
soltanto <strong>una</strong> parte <strong>della</strong> cultura e non la sua totalità.<br />
È invece noto che, rimanendo nei limiti del testo,<br />
non è possibile afferrare il suo senso profondo, ma anzi<br />
si <strong>per</strong>de completamente la possibilità <strong>di</strong> definire la sua<br />
funzione nel sistema complessivo <strong>della</strong> cultura, <strong>di</strong> definire<br />
cioè se si tratti <strong>di</strong> uno testo autentico o falso, sacrale<br />
o sacrilego, alto o basso.<br />
Immaginiamoci uno stu<strong>di</strong>oso che prenda in esame in<br />
un lontano futuro <strong>una</strong> qualsiasi epoca vicina alla nostra,<br />
e supponiamo che egli abbia a sua <strong>di</strong>sposizione soltanto<br />
le fonti letterarie conservatesi sotto aspetto <strong>di</strong> libri.<br />
Estendendo le leggi dei testi a lui accessibili a tutta la<br />
cultura nella sua totalità, egli inevitabilmente otterrà un<br />
quadro confuso, o meglio, del tutto travisato. Si può<br />
con sicurezza affermare che gli risulterà del tutto inaccessibile<br />
quello strato che <strong>per</strong> i portatori <strong>della</strong> cultura<br />
data non è soltanto <strong>di</strong> <strong>per</strong> sé evidente, ma anche<br />
profondamente importante. Ed è infatti lo strato orale,<br />
non fissato, <strong>della</strong> cultura che in definitiva costituisce la<br />
chiave <strong>di</strong> lettura dei testi scritti <strong>per</strong>mettendo <strong>di</strong> decifrare<br />
il loro reale contenuto.<br />
Persino <strong>per</strong> quanto riguarda <strong>una</strong> sfera <strong>della</strong> cultura<br />
così adeguatamente riflessa nei testi come la lingua, lo<br />
stu<strong>di</strong>oso otterrebbe un quadro del tutto svisato: ovviamente<br />
egli dovrebbe supporre che le <strong>per</strong>sone del <strong>per</strong>iodo<br />
preso in esame parlavano nella vita <strong>di</strong> ogni giorno così<br />
come risulta dai documenti scritti (ad esempio, nel<br />
campo <strong>della</strong> fonetica egli dovrebbe concludere che nella<br />
pronuncia reale dominava lo okan’e 2 , in quanto esso determina<br />
le norme <strong>della</strong> attuale grafia). Ancora più rilevanti<br />
sarebbero le <strong>per</strong><strong>di</strong>te e le deformazioni nella ricostruzione<br />
<strong>di</strong> altre sfere più complesse <strong>della</strong> cultura, le<br />
quali sottintendono la sud<strong>di</strong>visione in sfere <strong>per</strong> principio<br />
appartenenti alla tra<strong>di</strong>zione scritta e in sfere egual-
IL MONDO DEL RISO 161<br />
mente <strong>per</strong> principio da essa escluse, in sfere dei testi da<br />
un lato, e del comportamento e <strong>delle</strong> azioni dall’altro, in<br />
ambiti regolati da precisi canoni culturali e in ambiti che<br />
ammettono anomalie, vale a <strong>di</strong>re eccezioni alla regola.<br />
Se a ciò si aggiunge che la sfera <strong>della</strong> tra<strong>di</strong>zione propriamente<br />
scritta <strong>della</strong> cultura è sempre gerarchica in relazione<br />
al valore e al prestigio, e che non è possibile determinare<br />
la collocazione <strong>di</strong> questo o quel testo in questa<br />
gerarchia se non ci si trasferisce dal mondo dei testi all’ambito<br />
circostante <strong>della</strong> vita extratestuale, risulterà allora<br />
chiaro quanto angusto e inadeguato sia il mondo<br />
dei “testi tra<strong>di</strong>ti” in relazione all’intero “mondo <strong>della</strong><br />
cultura” <strong>di</strong> questa o quell’epoca.<br />
In pratica, lo stu<strong>di</strong>oso non esamina mai – sarebbe<br />
semplicemente impossibile – il “mondo dei testi” in maniera<br />
isolata, al <strong>di</strong> fuori <strong>delle</strong> correlazioni con le idee extratestuali,<br />
con il buonsenso <strong>della</strong> vita <strong>di</strong> ogni giorno,<br />
con tutto il complesso <strong>di</strong> associazioni che intercorrono<br />
con la vita reale. Tuttavia, molto spesso lo stu<strong>di</strong>oso <strong>delle</strong><br />
<strong>culture</strong> passate si comporta semplicemente così: egli immerge<br />
i testi <strong>di</strong> epoche storicamente passate nel proprio<br />
sistema <strong>di</strong> concezioni <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana servendosi <strong>di</strong><br />
quest’ultimo come <strong>della</strong> chiave <strong>per</strong> la decifrazione <strong>di</strong><br />
quelli. La non correttezza <strong>di</strong> questa meto<strong>di</strong>ca è tanto<br />
evidente, quanto ne è ampia la sua <strong>di</strong>ffusione 3 .<br />
La novità del libro <strong>di</strong> Lichačëv e Pančenko consiste<br />
quin<strong>di</strong> nel porre al centro <strong>della</strong> propria analisi non i testi<br />
in quanto tali, ma i testi come parte dell’insieme onniculturale,<br />
<strong>di</strong>rettamente legati al comportamento. Lo<br />
stesso comportamento viene esaminato in relazione a<br />
un contesto più ampio come fenomeno in possesso <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> sua grammatica, <strong>di</strong> <strong>una</strong> sua stilistica e dei suoi generi.<br />
In questo modo, oggetto dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong>viene la<br />
cultura in quanto tale, costituita dalla letteratura scritta,<br />
dal comportamento orale, dal gesto, dalla vita <strong>di</strong> ogni<br />
giorno ecc. Tutto ciò si ricollega ai più generali proble-
162 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
mi <strong>della</strong> concezione del mondo, giungendo così a delineare<br />
un cosmo ideologico-culturale onnicomprensivo.<br />
Il testo è incomprensibile senza un più vasto confronto<br />
con la cultura e, in particolare, con il comportamento<br />
<strong>delle</strong> <strong>per</strong>sone dell’epoca data, e in egual modo il comportamento<br />
<strong>di</strong> queste può essere a sua volta ricostruito<br />
soltanto me<strong>di</strong>ante il contributo <strong>di</strong> un ampio numero <strong>di</strong><br />
testi. I testi interpretano il reale comportamento <strong>delle</strong><br />
<strong>per</strong>sone <strong>per</strong>sino nelle sue manifestazioni a prima vista<br />
più strane e anormali dal punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> coscienza<br />
illuministica dell’epoca moderna, <strong>per</strong>mettendo così <strong>di</strong><br />
scoprirne il senso, il sistema, la rigorosa etica e l’originale<br />
bellezza. Così preso in esame, il mondo <strong>della</strong> cultura<br />
antico-russa cessa <strong>di</strong> essere sentito dal ricercatore come<br />
estraneo e lontano, quasi fosse posto sotto la lente<br />
del microscopio. Esso si trasforma in un quadro vivo e<br />
in movimento. Il ricercatore cessa <strong>di</strong> essere un osservatore<br />
esterno, egli penetra in questo mondo, libero da<br />
ogni degnazione o prevenzione, pronto a comprenderne<br />
la logica lontana da quella dei nostri tempi, scoprendo<br />
là, ove la storia tra<strong>di</strong>zionale <strong>della</strong> letteratura non ha<br />
trovato nulla <strong>di</strong> veramente degno <strong>di</strong> nota, i complessi<br />
fenomeni <strong>della</strong> vita spirituale nelle loro manifestazioni<br />
più vicine al popolo.<br />
Oggetto del libro <strong>di</strong> Lichačëv e Pančenko è un ricco<br />
complesso <strong>di</strong> fenomeni <strong>della</strong> cultura antico-russa che gli<br />
autori definiscono come “mondo del riso” dell’antica<br />
Rus’. A esso sono riconducibili le varie manifestazioni del<br />
paro<strong>di</strong>are letterario, del “teatro <strong>della</strong> vita”, dei travestimenti<br />
linguistici e comportamentali, a esso è riferibile la<br />
penetrazione del gioco nel comportamento “serio” dell’uomo<br />
me<strong>di</strong>evale. Nell’ampia cornice <strong>di</strong> questo quadro<br />
gli autori includono fatti <strong>di</strong>versi <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> cultura<br />
russa: dal comportamento dello juro<strong>di</strong>vyj 4 sulla piazza<br />
<strong>della</strong> città antico-russa alle forme teatralizzate <strong>della</strong> “riforma”<br />
<strong>della</strong> opričnina 5 realizzata da Ivan il Terribile.
IL MONDO DEL RISO 163<br />
Come abbiamo detto, lo “Smechovoj mir” Drevnej<br />
Rusi è un libro che suscita nei lettori il desiderio <strong>di</strong> sviluppare,<br />
<strong>di</strong>scutere e talvolta anche contestare il pensiero<br />
degli autori. Esso certo non si presta molto a <strong>una</strong> lettura<br />
non partecipe e su<strong>per</strong>ficiale.<br />
In questo senso, risulterebbe assai opportuno <strong>di</strong>scutere<br />
i possibili cammini futuri che potrebbero intraprendere<br />
quegli stu<strong>di</strong>osi che, concordando con Lichačëv e<br />
Pančenko nei fondamenti <strong>della</strong> concezione da questi<br />
proposta, si pongano il fine <strong>di</strong> proseguire nella <strong>di</strong>rezione<br />
da questi ultimi in<strong>di</strong>cata nelle sue linee fondamentali.<br />
Un primo passo in questa <strong>di</strong>rezione sembrerebbe dover<br />
essere la precisazione del concetto stesso <strong>di</strong> “mondo del<br />
riso” e <strong>di</strong> “cultura del riso”. Questo concetto fu introdotto<br />
in ambito scientifico da Michail Bachtin (1965;<br />
1975) e ha ottenuto un’ampia risonanza, mostrando subito<br />
la propria utilità nell’interpretazione teorica <strong>della</strong><br />
storia <strong>della</strong> letteratura. L’uso <strong>di</strong> questo termine da parte<br />
degli autori del libro preso in esame non soltanto è giustificato,<br />
ma è anche ricco <strong>di</strong> prospettive, in quanto ha<br />
<strong>per</strong>messo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere e raggruppare un’ampia serie <strong>di</strong><br />
fenomeni culturali in precedenza non ben definiti o,<br />
peggio ancora, nemmeno notati. Tuttavia, giacché il lettore<br />
ricollega a questo termine, come è naturale, le concezioni<br />
contenutistiche <strong>di</strong> Bachtin già da tempo affermatesi,<br />
si sarebbe dovuto <strong>di</strong>stinguere il concetto <strong>di</strong> “cultura<br />
del riso”, quale si è venuto delineando sulla base del<br />
materiale europeo occidentale, dai fenomeni prettamente<br />
russi descritti dagli autori 6 .<br />
Il riso, nella concezione <strong>della</strong> cultura me<strong>di</strong>evale costruita<br />
da Michail Bachtin, è un principio che rimane<br />
fuori <strong>delle</strong> severe limitazioni etiche e religiose poste a<br />
fondamento del comportamento dell’uomo dell’epoca.<br />
Con la sua natura popolare, ribelle e <strong>di</strong>ssacrante il riso,<br />
secondo Bachtin, elimina le gerarchie etico-sociali del<br />
Me<strong>di</strong>oevo, esso è areligioso e senza stato <strong>per</strong> sua natura.
164 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
Il riso trasferisce l’uomo me<strong>di</strong>evale nel mondo dell’utopia<br />
popolare del carnevale, strappandolo al potere dei<br />
coevi istituti sociali.<br />
Tra i fenomeni <strong>della</strong> cultura russa presi in esame da<br />
Lichačëv e Pančenko, molti possono essere certamente<br />
interpretati sulla base <strong>di</strong> tale concezione del riso. Così,<br />
gli autori volgono la loro attenzione al fatto che nelle<br />
o<strong>per</strong>e definite in base ai lavori <strong>di</strong> Varvara Adrianova-<br />
Peretc (a cura, 1954; cfr. anche 1928, 1936a, 1936b) come<br />
o<strong>per</strong>e <strong>della</strong> satira democratica “si assiste alla derisione<br />
<strong>di</strong> se stessi o almeno del proprio ambiente. Gli<br />
autori <strong>delle</strong> o<strong>per</strong>e me<strong>di</strong>evali e, in particolare, anticorusse,<br />
il più <strong>delle</strong> volte fanno ridere i lettori <strong>di</strong>rettamente<br />
<strong>di</strong> se stessi” (Lichačëv, Pančenko 1976, p. 9). Ciò<br />
<strong>per</strong>mette <strong>di</strong> apportare un correttivo all’accezione corrente<br />
che si ha <strong>di</strong> queste o<strong>per</strong>e, giacché in esse si <strong>di</strong>stingue<br />
l’intrecciarsi <strong>di</strong> due elementi <strong>per</strong> natura <strong>di</strong>fferenti:<br />
la satira popolare e il riso carnevalesco. È tuttavia opportuno<br />
volgere l’attenzione alla specificità <strong>per</strong> il Me<strong>di</strong>oevo<br />
russo del <strong>di</strong>verso trattamento <strong>di</strong> <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> oggetti<br />
annoverati dagli autori alla categoria del “riso”.<br />
Determinate “immagini del riso”, attive nel sistema <strong>della</strong><br />
cultura me<strong>di</strong>evale russa, non sono portatrici <strong>di</strong> alc<strong>una</strong><br />
ambivalenza, né si trovano fuori del mondo <strong>della</strong><br />
cultura me<strong>di</strong>evale ufficiale (“seria”). La cultura me<strong>di</strong>evale<br />
russo-ortodossa si organizza in base alla contrapposizione<br />
del sacro al satanico. Il sacro esclude il riso<br />
(cfr. “Cristo non rideva mai”). Il sacro si presenta comunque<br />
sotto due aspetti: la rigorosa gravità ascetica<br />
che respinge il mondo terreno in quanto tentazione, e la<br />
devota accettazione <strong>di</strong> questo in quanto creazione <strong>di</strong>vina.<br />
La seconda variante, dalla gallina del protopop Avvakum<br />
sino allo starec Zosima dei Fratelli Karamazov, è<br />
collegata a <strong>una</strong> gioia interiore espressa dal sorriso. E così<br />
il sacro ammette sia la severità ascetica che il sorriso<br />
devoto, ma esclude il riso.
IL MONDO DEL RISO 165<br />
Il contrapposto polo assiologico <strong>delle</strong> concezioni me<strong>di</strong>evali<br />
antico-russe si atteggia <strong>di</strong>versamente nei confronti<br />
del riso. Al <strong>di</strong>avolo (e a tutto il mondo <strong>di</strong>abolico) si attribuiscono<br />
i tratti del “sacro rovesciato”, <strong>della</strong> appartenenza<br />
al “sinistro” mondo capovolto. Questo mondo è dunque<br />
<strong>per</strong> sua stessa natura sacrilego e, <strong>di</strong> conseguenza,<br />
non serio. Si tratta <strong>di</strong> un mondo ghignante: non a caso il<br />
<strong>di</strong>avolo è chiamato in Russia “sˇut” [buffone, giullare]. Il<br />
regno <strong>di</strong> satana è il luogo ove i peccatori si lamentano e<br />
battono i denti, mentre i <strong>di</strong>avoli ridono a crepapelle:<br />
I kruzˇit nad nimi s chochotom<br />
Černyj tigr-sˇestokrylat...<br />
(Nekrasov)<br />
[E volteggia su <strong>di</strong> loro sghignazzando<br />
La nera tigre dalle sei ali...]<br />
A <strong>di</strong>fferenza dell’ambivalente riso popolare del carnevale<br />
descritto da Bachtin, il riso sacrilego del <strong>di</strong>avolo<br />
non mina affatto il mondo <strong>delle</strong> concezioni me<strong>di</strong>evali.<br />
Esso costituisce <strong>una</strong> parte <strong>di</strong> quest’ultimo. Mentre il ridente<br />
“bachtiniano” si trovava al <strong>di</strong> fuori dei valori me<strong>di</strong>evali,<br />
non si salvava né si <strong>per</strong>deva, ma semplicemente<br />
viveva, il sacrilego ghignante si colloca all’interno del<br />
mondo me<strong>di</strong>evale. Gettandosi nel baratro <strong>della</strong> <strong>per</strong><strong>di</strong>zione,<br />
rifiutando Dio, egli tuttavia non rifiuta l’idea <strong>di</strong><br />
Dio. Passando alla schiera <strong>di</strong> Satana egli ha mutato posizione<br />
nella gerarchia, ma non ha rifiutato il fatto che<br />
questa esista.<br />
Caratteristica esteriore del riso sacrilego è il fatto<br />
che esso non risulta contagioso. Per le <strong>per</strong>sone che non<br />
si sono legate a Satana esso è tremendo e non ri<strong>di</strong>colo.<br />
Le convulsioni del principe Dmitrij Sˇevyrëv mentre innalzava<br />
legato al palo <strong>una</strong> prece a Gesù, potevano suscitare<br />
le risa del Terribile e dei suoi uomini, ma non<br />
apparivano certo ri<strong>di</strong>cole ai moscoviti che assistevano a<br />
quella scena.
166 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
Di conseguenza, erano considerati peccato nell’antica<br />
Rus’ sia provocare il riso [smechotvorenie] 7 , che ridere<br />
smodatamente (il “riso sino alle lacrime”) 8 . “Guai a<br />
coloro che mentono e a coloro che ridono”, esclama lo<br />
scrittore antico-russo 9 , equiparando in maniera significativa<br />
questi due tipi <strong>di</strong> comportamento. Colui che ride<br />
rischia dunque <strong>di</strong> trovarsi nella sfera del comportamento<br />
<strong>di</strong>abolico, peccaminoso e sacrilego 10 .<br />
Il sacrilegio occupa nella cultura me<strong>di</strong>evale russa <strong>una</strong><br />
posizione particolarmente importante. Lichačëv e<br />
Pančenko si presentano come pionieri nelle loro ricerche<br />
<strong>per</strong> un’interpretazione storico-culturale <strong>di</strong> questo<br />
fenomeno, e le loro considerazioni a tale riguardo meritano<br />
un’attenzione particolare. Pensiamo tuttavia che, se<br />
l’interpretazione del sacrilegio come satira antifeudale<br />
ispirata da nascenti sentimenti democratici, quale è stata<br />
proposta da Adrianova-Peretc, pur mettendo a nudo gli<br />
aspetti essenziali del fenomeno, non lo ha del tutto spiegato,<br />
e anzi lo ha in certa misura semplificato, parimenti<br />
un suo esame attraverso il prisma <strong>della</strong> concezione del<br />
riso elaborata da Bachtin, pur facendoci progre<strong>di</strong>re nella<br />
comprensione <strong>di</strong> questo complesso problema, ne<br />
confonde allo stesso tempo numerosi tratti.<br />
Il sacrilegio, come “affermazione me<strong>di</strong>ante la negazione”<br />
<strong>delle</strong> norme e <strong>delle</strong> leggi <strong>della</strong> struttura me<strong>di</strong>evale<br />
del mondo, deve essere <strong>di</strong>stinto (seppure <strong>per</strong> i portatori<br />
<strong>di</strong> tale cultura i due fenomeni possono fondersi) dal<br />
retaggio <strong>della</strong> magia pagana che pure trovava posto nelle<br />
reali credenze dell’uomo dell’antica Rus’.<br />
L’uomo me<strong>di</strong>evale poteva procurarsi il successo, l’incolumità<br />
e la fort<strong>una</strong> in due mo<strong>di</strong>: con la preghiera, rivolgendosi<br />
all’intercessione dei santi protettori e <strong>della</strong><br />
Chiesa da un lato, e ricorrendo alla magia “nera”: la<br />
stregoneria, gli amuleti, gli esorcismi ecc. dall’altro. I<br />
due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> agire si trovavano in rapporto <strong>di</strong> complementarità<br />
e si richiamavano l’un l’altro come due sistemi
IL MONDO DEL RISO 167<br />
simmetrici a specchio. In tal modo, il sistema <strong>delle</strong> pratiche<br />
magiche acquisiva il carattere <strong>di</strong> rito liturgico capovolto<br />
o <strong>di</strong> antimondo. Esso poteva ammettere anche la<br />
presenza del riso rituale (a <strong>di</strong>fferenza <strong>della</strong> severità rituale<br />
del comportamento liturgico), ma non era comico<br />
nel vero senso del termine e non era quin<strong>di</strong> <strong>per</strong>cepito<br />
come tale. L’uomo che si rivolgeva allo stregone non<br />
aveva certo voglia <strong>di</strong> ridere. In tal modo, le interessanti<br />
osservazioni <strong>di</strong> Lichačëv sul mondo capovolto e sulla<br />
sua funzione nella cultura dell’antica Rus’ hanno bisogno<br />
<strong>di</strong> un’ulteriore stratificazione metodologica in fenomeni<br />
prettamente comici e in fenomeni che, pur coincidendo<br />
con i primi in <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> tratti, non possono<br />
identificarsi in essi.<br />
Bisogna sottolineare che il carattere capovolto dei riti<br />
magici era con<strong>di</strong>zionato sia da fattori soggettivi che oggettivi.<br />
Da un lato, in relazione alle concezioni cristiane,<br />
i rituali pagani tra<strong>di</strong>zionali si presentavano come “anticomportamento”,<br />
fondendosi con il comportamento anticristiano<br />
nel vero senso <strong>della</strong> parola. Dall’altro, il paganesimo<br />
slavo, come è noto, è strettamente legato al culto<br />
dei defunti e parimenti alle concezioni sull’al<strong>di</strong>là. E proprio<br />
il mondo dell’al<strong>di</strong>là, già nelle credenze precristiane,<br />
era caratterizzato <strong>per</strong> principio da uno stato <strong>di</strong> “ribaltamento”<br />
nei confronti del mondo terreno, acquisendo<br />
così i tratti <strong>della</strong> sua immagine specchiata (cfr. le concezioni<br />
sul passaggio <strong>della</strong> destra a sinistra e viceversa, del<br />
ribaltamento del basso in alto). Il comportamento capovolto<br />
quin<strong>di</strong>, nelle sue varie forme, trasferisce l’agente<br />
nella sfera del mondo dell’al<strong>di</strong>là, sotto l’influsso <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
forza impura (la quale in tutta <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> casi è riconducibile<br />
agli dei pagani).<br />
Da qui ha origine l’idea del mondo “capovolto” e ribaltato<br />
come <strong>di</strong> un mondo satanico. In ciò è da riconoscere<br />
<strong>una</strong> <strong>di</strong>fferenza assai accentuata tra gli elementi pagani<br />
del carnevale europeo occidentale (secondo Bach-
168 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
tin) e dei riti russi a esso analoghi. Nel carnevale europeo<br />
occidentale agisce la formula: “ri<strong>di</strong>colo significa<br />
non terribile”, in quanto il riso porta l’uomo al <strong>di</strong> là dei<br />
confini del mondo serio me<strong>di</strong>evale, nel quale egli è vittima<br />
<strong>delle</strong> “paure” (<strong>di</strong>vieti) sociali e religiose. Nel riso<br />
russo, a partire dai riti <strong>delle</strong> feste natalizie [svjatki] e<br />
<strong>della</strong> settimana grassa [maslenica], fino alle Veglie alla<br />
fattoria presso Dikan’ka <strong>di</strong> Gogol’, “il ri<strong>di</strong>colo è terribile”.<br />
Il gioco non trasporta fuori dei confini del mondo<br />
in quanto tale, ma <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> penetrare nelle sue zone<br />
proibite dove <strong>una</strong> <strong>per</strong>manenza seria equivarrebbe alla<br />
<strong>per</strong><strong>di</strong>zione. Perciò si tratta sempre <strong>di</strong> un gioco comico e<br />
<strong>per</strong>icoloso al tempo stesso. Così i sortilegi del <strong>per</strong>iodo<br />
natalizio, uno dei momenti più allegri del calendario<br />
conta<strong>di</strong>no, sono allo stesso tempo terribili (le sere dal<br />
primo al cinque <strong>di</strong> gennaio del vecchio calendario non a<br />
caso si chiamano le “notti terribili”). Essi sottintendono<br />
il gioco con <strong>una</strong> forza impura e in tutta <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> casi<br />
sono accompagnati dal rifiuto <strong>di</strong>mostrativo del cristianesimo<br />
(coloro che <strong>di</strong>vinano si tolgono <strong>di</strong> solito <strong>di</strong> dosso la<br />
croce) e dall’appello <strong>di</strong>retto ai <strong>di</strong>avoli (cfr. Smirnov<br />
1927; Maksimov 1912, pp. 6, 35, 37); secondo numerose<br />
testimonianze le <strong>di</strong>vinazioni del <strong>per</strong>iodo natalizio sono<br />
caratterizzate da un’alta tensione nervosa talvolta spezzata<br />
da furori isterici.<br />
Sia il sacrilegio, che trova “fatale <strong>di</strong>letto” nel “<strong>di</strong>leggiare<br />
i sacri misteri”, che il riso magico, riconducibile alla<br />
richiesta <strong>di</strong> aiuto rivolta al mondo “nero”, capovolto,<br />
non si riferiscono in verità alla “cultura del riso”, in<br />
quanto sono completamente privi dell’elemento fondamentale<br />
<strong>di</strong> questa, vale a <strong>di</strong>re <strong>della</strong> comicità.<br />
Quanto detto implica <strong>una</strong> particolare attenzione ai<br />
<strong>di</strong>versi casi <strong>di</strong> paro<strong>di</strong>zzazione dell’ufficio liturgico. In<br />
che misura simili fenomeni erano caratteristici <strong>della</strong> cultura<br />
scritta antico-russa? È possibile considerare casuale<br />
la circostanza che tutti i testi <strong>di</strong> questo tipo giunti fino a
IL MONDO DEL RISO 169<br />
noi non siano anteriori al XVII secolo (<strong>di</strong> regola, <strong>per</strong>sino<br />
non anteriori alla seconda metà del XVII secolo), risalgano<br />
cioè a un <strong>per</strong>iodo segnato da un’intensa influenza occidentale<br />
grazie all’attiva me<strong>di</strong>azione <strong>della</strong> Rus’ sud-occidentale?<br />
Non si potrebbe, in definitiva, analizzare<br />
queste o<strong>per</strong>e non nella prospettiva <strong>della</strong> loro risonanza<br />
sociale all’interno del contesto generale <strong>della</strong> letteratura<br />
russa del XVII secolo, ma dal punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> loro genesi,<br />
e spiegare così la loro comparsa ricollegandola all’influsso,<br />
caratteristico del XVII secolo, <strong>della</strong> Rus’ sudoccidentale<br />
sulla cultura letteraria granderussa? A sua<br />
volta, l’atteggiamento nei confronti del sacrilegio e del<br />
riso era nella Rus’ sud-occidentale senza dubbio <strong>di</strong>verso<br />
che nella Rus’ moscovita: come è noto, la Rus’ sud-occidentale<br />
aveva risentito <strong>della</strong> <strong>di</strong>retta influenza <strong>della</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />
letteraria e culturale occidentale, e in occidente le<br />
paro<strong>di</strong>a sacra e i fenomeni affini non avevano necessariamente<br />
un senso sacrilego (Lehmann 1922; a cura, 1923;<br />
Gilman 1974). Probabilmente non è un caso che la comparsa<br />
e la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> testi paro<strong>di</strong>ci su temi liturgici, essendo<br />
in un modo o nell’altro legate all’europeizzazione<br />
<strong>della</strong> cultura russa, si registrino principalmente in ambienti<br />
relativamente colti come la scuola e il seminario<br />
(cfr. almeno il celebre Akafist kukuruze [Inno acatisto al<br />
granturco]). Risulta in ogni modo significativa la circostanza<br />
che alla fine del XVII secolo le o<strong>per</strong>e satiriche (e<br />
non solo su temi spirituali) possano in generale essere<br />
<strong>per</strong>cepite nella Rus’ come traduzioni dal polacco, <strong>per</strong>sino<br />
nel caso in cui esse siano fondamentalmente russe<br />
<strong>per</strong> provenienza 11 .<br />
La paro<strong>di</strong>a del culto poteva invece aver avuto spazio<br />
nell’ambito <strong>della</strong> cultura orale, non scritta. Se infatti<br />
i testi come la Sluzˇba kabaku [La messa in onore <strong>della</strong><br />
bettola] erano, <strong>per</strong> <strong>di</strong>rla con Bachtin, “<strong>di</strong> attinenza non<br />
liturgica, né religiosa”, il corrispondente comportamento<br />
durante i giochi <strong>delle</strong> feste natalizie e <strong>della</strong> notte
170 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
<strong>di</strong> San Giovanni aveva innanzitutto un senso sacrilego<br />
ed era quin<strong>di</strong> riferito <strong>di</strong>rettamente alla religione. Il sacrilegio,<br />
<strong>di</strong> regola, non esce fuori dall’ambito dell’universo<br />
sacrale: esso acquista semplicemente in tale ambito<br />
un senso antitetico. I funerali paro<strong>di</strong>stici del <strong>per</strong>iodo<br />
natalizio (il “sacerdote” indossa <strong>una</strong> pianeta <strong>di</strong><br />
stuoia e agita un turibolo in forma <strong>di</strong> vaso d’argilla da<br />
lavabo, in sostituzione dell’ufficio funebre si recitano<br />
sfilze <strong>di</strong> bestemmie) 12 , possedendo uno spiccato carattere<br />
sacrilego, sono riconducibili alla sfera dell’anticomportamento<br />
magico. Parimenti, uno stesso comportamento,<br />
a partire da un determinato <strong>per</strong>iodo, può<br />
svolgere funzioni del tutto <strong>di</strong>verse (e quin<strong>di</strong> essere recepito<br />
in maniera completamente <strong>di</strong>versa) ai livelli alto<br />
e basso <strong>della</strong> cultura: tale fenomeno è comunque da ricollegarsi<br />
all’europeizzazione <strong>della</strong> cultura scritta che<br />
prende le mosse nel <strong>per</strong>iodo prepetrino e predetermina<br />
le stesse riforme <strong>di</strong> Pietro.<br />
Grosso merito dell’o<strong>per</strong>a presa in esame è l’aspirazione<br />
da parte degli autori ad analizzare i testi letterari<br />
in relazione al comportamento che li accompagna o che<br />
essi suscitano nello scrittore o improvvisatore da un lato,<br />
e nell’u<strong>di</strong>torio dall’altro. I problemi storico-letterari<br />
e storico-culturali vengono ricollegati alle questioni <strong>di</strong><br />
psicologia storica, del comportamento lu<strong>di</strong>co, <strong>delle</strong> <strong>di</strong>verse<br />
forme <strong>di</strong> comportamento scenico-teatrale legate<br />
alla vita <strong>di</strong> ogni giorno dell’antica Rus’. Nella coscienza<br />
del lettore si configura tutta <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> problemi, tra<br />
loro concatenati, aventi un rapporto <strong>di</strong>retto e profondo<br />
con molti dei misteri <strong>della</strong> storia russa.<br />
Già più volte è stato espresso il convincimento che<br />
uno dei punti deboli <strong>della</strong> nostra scienza storica sia l’inadeguata<br />
attenzione rivolta ai problemi <strong>di</strong> psicologia<br />
del comportamento <strong>delle</strong> <strong>per</strong>sone, sia nell’aspetto culturale-epocale,<br />
sia in quello in<strong>di</strong>viduale del problema. In<br />
conseguenza <strong>di</strong> ciò, la correlazione tra i motivi sociali
IL MONDO DEL RISO 171<br />
generali <strong>di</strong> tutta l’epoca e il comportamento in<strong>di</strong>viduale<br />
<strong>di</strong> ogni singola <strong>per</strong>sona rimane del tutto inesplorata.<br />
Gli autori del lavoro analizzato de<strong>di</strong>cano particolare<br />
attenzione alla psicologia del comportamento sociale<br />
dell’uomo dell’antica Rus’. Di grande interesse scientifico<br />
è la questione <strong>della</strong> scenicità e <strong>della</strong> teatralità nel<br />
comportamento <strong>di</strong> ogni giorno. Suscita un profondo interesse<br />
la <strong>di</strong>samina degli elementi lu<strong>di</strong>ci nel comportamento<br />
dello juro<strong>di</strong>vyj antico-russo. Essa <strong>per</strong>mette infatti<br />
<strong>di</strong> motivare psicologicamente quelle azioni e quei fenomeni<br />
che sembrano “strani” allo storico formatosi in<br />
ambiente positivistico, ma che sono invece assai rilevanti<br />
e del tutto “naturali” <strong>per</strong> l’uomo dell’antica Rus’. D’altra<br />
parte, queste stesse pagine ci obbligano a fare <strong>una</strong> serie<br />
<strong>di</strong> considerazioni supplementari.<br />
Innanzitutto, in che misura questi tipi <strong>di</strong> comportamento<br />
possono considerarsi ri<strong>di</strong>coli? È opportuno infatti<br />
ricordare che il “comportamento comico”, secondo la<br />
lezione <strong>di</strong> Bachtin, è strettamente legato al carnevale. In<br />
tal senso, esso è contrad<strong>di</strong>stinto da <strong>una</strong> proprietà assai<br />
rilevante. Tutte le forme d’arte orientate sulla cultura<br />
scritta sono caratterizzate da <strong>una</strong> netta <strong>di</strong>stinzione tra<br />
esecutori e u<strong>di</strong>torio. Nella globalità dell’atto artistico e<br />
<strong>delle</strong> emozioni comuni a esso legate questi due gruppi<br />
tengono un comportamento, in linea <strong>di</strong> principio, contrapposto:<br />
gli uni agiscono attivamente, gli altri osservano.<br />
Al contrario, tutte le arti <strong>di</strong> tipo folclorico inducono<br />
lo spettatore e l’ascoltatore a intervenire: a prendere<br />
parte al gioco o alla danza, a instaurare un <strong>di</strong>alogo con<br />
gli attori sulla scena del balagan 13 : egli in<strong>di</strong>ca loro dove è<br />
nascosto il loro nemico o suggerisce a questo dove nascondersi.<br />
Uno degli autori <strong>della</strong> presente nota ha già<br />
avuto modo <strong>di</strong> rilevare che proprio <strong>per</strong> questo principio<br />
il quadretto del lubok 14 si <strong>di</strong>fferenzia dalle o<strong>per</strong>e <strong>della</strong><br />
pittura non folclorica: esso non è oggetto dell’osservazione<br />
passiva degli spettatori, ma al contrario viene da
172 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
essi “interpretato” trasformandosi nella loro <strong>per</strong>cezione<br />
proprio come si trasforma nel corso <strong>della</strong> rappresentazione<br />
teatrale lo scenario.<br />
Questa <strong>di</strong>fferenza può avere un carattere prettamente<br />
funzionale. Così l’esecuzione folclorica, ammessa al banchetto<br />
del boiaro me<strong>di</strong>evale russo, in <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> casi si<br />
trasforma in testo non folclorico, in quanto la barriera<br />
esistente tra attore e u<strong>di</strong>torio sta già a <strong>di</strong>stinguere due tipi<br />
<strong>di</strong> comportamento <strong>di</strong>fferenti. In questo senso, è interessante<br />
la testimonianza secondo la quale, come con<br />
meraviglia notava un osservatore straniero, la danza al<br />
banchetto del boiaro russo era soltanto uno spettacolo e,<br />
come ogni arte, <strong>una</strong> professione: chi ballava non faceva<br />
baldoria, ma lavorava, l’allegria era appannaggio degli<br />
spettatori, troppo altolocati <strong>per</strong> poter essi stessi prendere<br />
parte alla danza 15 . Per converso, è possibile assistere al<br />
passaggio, caratteristico ad esempio <strong>della</strong> <strong>per</strong>cezione infantile,<br />
dell’ascolto passivo in co-gioco. Così, secondo la<br />
testimonianza <strong>di</strong> Porosˇin, il gran principe Pavel Petrovicˇ<br />
(il futuro Paolo I) da bambino trasformava lo stu<strong>di</strong>o <strong>delle</strong><br />
incisioni con vedute <strong>di</strong> città straniere in un gioco nel corso<br />
del quale egli entrava correndo nell’incisione e cominciava<br />
a girellare <strong>per</strong> le strade e i vicoli raffigurati nei <strong>di</strong>segni<br />
che gli stavano <strong>di</strong> fronte (Porosˇin 1881). Numerosi<br />
sono i casi in cui l’autore <strong>di</strong> un’o<strong>per</strong>a teatrale si ado<strong>per</strong>a<br />
affinché lo spettatore presente in teatro si comporti più o<br />
meno come uno spettatore che partecipa a <strong>una</strong> rappresentazione<br />
popolare del balagan. Per non parlare del teatro<br />
del XX secolo (ad esempio Pirandello), si potrebbe citare<br />
la replica del governatore nel Revisore: “Di che ridete?<br />
Ridete <strong>di</strong> voi stessi !...”, calcolata a effetto <strong>per</strong> eliminare<br />
la ribalta e rivolgersi <strong>di</strong>rettamente al pubblico. È<br />
sintomatico il fatto che tale espe<strong>di</strong>ente provocasse in seguito<br />
<strong>una</strong> serie <strong>di</strong> interventi <strong>della</strong> censura: alla censura<br />
faceva comodo lo spettatore accademico e non il co-partecipe<br />
degli avvenimenti scenici.
IL MONDO DEL RISO 173<br />
La “cultura del riso” esclude l’attore <strong>di</strong> professione<br />
e il copione fisso: colui che parla e colui che ascolta sono<br />
partecipi <strong>di</strong> <strong>una</strong> comune azione e più volte nel corso<br />
<strong>di</strong> essa si scambiano i ruoli. Proprio tale caratteristica,<br />
in maniera più pronunciata, evidenzia la natura ambivalente,<br />
livellatrice e deprofessionalizzante <strong>di</strong> quel riso<br />
popolare <strong>di</strong> cui scrive Bachtin. Al contrario, i fenomeni<br />
<strong>di</strong> cui parlano Lichačëv e Pančenko, <strong>per</strong> come si presentano,<br />
sono assai più vicini al teatro come si è venuto<br />
a costituire nei secoli (conferendo al concetto <strong>di</strong> “teatro”<br />
un significato più ampio: infatti spettacoli come la<br />
lotta dei gla<strong>di</strong>atori o il combattimento tra i tori, così come<br />
un altro spettacolo tipico del Me<strong>di</strong>oevo, quale l’esecuzione<br />
capitale, suscitano emozioni alquanto <strong>di</strong>verse<br />
da quelle che l’europeo del XIX secolo è abituato a ricollegare<br />
all’idea <strong>di</strong> teatro; eppure la netta <strong>di</strong>stinzione<br />
tra attori e spettatori, la loro contrapposizione <strong>per</strong> tipo<br />
<strong>di</strong> emozioni e comportamento, rende tali spettacoli appunto<br />
teatro e non azione). Ivan il Terribile si avvicenda<br />
nel ruolo <strong>di</strong> attore e <strong>di</strong> spettatore: conseguentemente<br />
colui che risulta il suo partner può essere spettatore<br />
<strong>della</strong> scena interpretata dallo zar o, essendo condotto al<br />
patibolo, <strong>di</strong>venire spettacolo <strong>per</strong> lo zar (<strong>di</strong> alcuni casi<br />
più complessi parleremo oltre). Qui siamo assai più vicini<br />
all’arte professionale dell’attore, la quale <strong>per</strong> sua<br />
natura si trova agli antipo<strong>di</strong> del “comportamento comico”<br />
popolare del carnevale. La sud<strong>di</strong>visione del paese<br />
in opričnina e zemsˇčina rappresenta, in definitiva, <strong>una</strong><br />
sud<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> massa tra attori e spettatori dell’azione.<br />
Tratto caratteristico del teatro è il fatto che gli attori e il<br />
pubblico provano emozioni <strong>di</strong>fferenti. Se il pubblico ride,<br />
significa che gli attori stanno recitando un pezzo comico:<br />
in realtà essi non ridono, ma simulano il riso. In<br />
ambito carnevalesco invece il riso è in egual misura appannaggio<br />
<strong>di</strong> tutti i partecipanti; esso tende a evidenziare<br />
intorno a essi quei tratti del mondo utopico popolare
174 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
<strong>di</strong> cui parla Bachtin. Al contrario, la situazione <strong>della</strong><br />
opričnina è comica soltanto <strong>per</strong> uno dei partner, se <strong>di</strong><br />
comicità si può parlare. Parimenti <strong>di</strong>stinta è la situazione<br />
dello jurodstvo 16 . Essa sottintende che lo spettatore<br />
si collochi al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> tale comportamento e lo senta<br />
come “strano”. Ciò che è strano è sempre estraneo, altrui.<br />
Non a caso nella prima accezione il termine significa<br />
“straniero” 17 . Ogni in<strong>di</strong>viduo che tiene un comportamento<br />
strano: lo juro<strong>di</strong>vyj, lo zar che si atteggia a juro<strong>di</strong>vyj<br />
o lo skomoroch 18 , è un viaggiatore, un nuovo venuto,<br />
uno straniero. In tal senso, è interessante la tendenza<br />
degli zar russi, oltre che ad atteggiarsi a juro<strong>di</strong>vyj, a<br />
“essere stranieri”. Ciò si riscontra a partire dai progetti<br />
del Terribile <strong>per</strong> “<strong>di</strong>venire inglese”, fino alla europeizzazione<br />
<strong>di</strong> Pietro I. È significativo il fatto che Caterina<br />
II, la quale era <strong>una</strong> straniera sul trono, con zelo si sforzasse<br />
<strong>di</strong> tenere un comportamento “russo”, mentre<br />
Paolo I, sentendosi ormai russo, volesse <strong>di</strong>venire gran<br />
maestro dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Malta, vale a <strong>di</strong>re, secondo le regole<br />
del gioco, trasformarsi in ciò che egli notoriamente<br />
non poteva essere: un cattolico e <strong>per</strong> giunta illibato.<br />
Nel libro preso in esame viene chiaramente in<strong>di</strong>cata<br />
la natura teatrale (<strong>di</strong>retta all’osservatore esterno) dello<br />
jurodstvo. Ci sembra tuttavia che tale teatralità sia estranea<br />
alla “cultura del riso”.<br />
Allo stesso modo, non è facile determinare fino a che<br />
punto i tipi <strong>di</strong> comportamento che ci interessano possano<br />
<strong>di</strong> <strong>per</strong> sé essere riferiti al gioco, e fino a che punto essi<br />
siano legati agli elementi del comportamento magico e<br />
pagano presenti nella pratica religiosa (non ufficiale)<br />
<strong>della</strong> vita <strong>di</strong> ogni giorno.<br />
È noto che la coscienza antico-russa riserva al gioco<br />
<strong>una</strong> sfera ben delimitata e relativamente angusta. Il<br />
mondo dei valori seri e, tanto più, <strong>di</strong> quelli religiosi, era<br />
escluso dalla sfera del gioco. L’autore del Molenie Daniila<br />
Zatočnika [Supplica <strong>di</strong> Daniil Zatočnik] (Lichačëv ha
IL MONDO DEL RISO 175<br />
convincentemente <strong>di</strong>mostrato la sua appartenenza alla<br />
cultura degli skomorochi russi), competente in tali questioni,<br />
equiparava, in quanto <strong>di</strong>vieti, sia “mentire a Dio”<br />
che “scherzare su argomenti solenni” 19 . Ivan il Terribile<br />
o<strong>per</strong>ò <strong>una</strong> netta <strong>di</strong>stinzione, valida <strong>per</strong> gli altri ma non<br />
<strong>per</strong> sé, tra il mondo del banchetto, dove si può “mangiando<br />
scherzare” (vale a <strong>di</strong>re essere giullari, giocare) e<br />
il serio ufficio <strong>delle</strong> armi. Il gioco in situazioni serie era<br />
<strong>per</strong>cepito come un comportamento sacrilego e “non<br />
corretto”, vale a <strong>di</strong>re come un comportamento non cristiano,<br />
pagano e stregonesco. La <strong>per</strong>sona che in situazioni<br />
serie si comportava in maniera opposta a quella <strong>delle</strong><br />
altre <strong>per</strong>sone, era considerato uno stregone e non certo<br />
un giullare o un buontempone. In che misura, ad esempio,<br />
è possibile riferire alla competenza <strong>della</strong> “cultura<br />
del riso” l’abbigliamento rovesciato e, in particolare,<br />
l’indossare la pelliccia dritto-rovescio (cfr. Lichačëv,<br />
Pančenko 1976, pp. 20-21)? Senza dubbio, la pelliccia<br />
rovesciata è caratteristica <strong>di</strong> <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> riti del tutto seri,<br />
sicuramente <strong>di</strong> derivazione pagana, legati al lavoro<br />
dei campi, alle nozze, alla nascita ecc.<br />
In relazione a quanto detto, ci sembra poco probabile<br />
che il comportamento dello juro<strong>di</strong>vyj potesse essere<br />
riferito al contesto lu<strong>di</strong>co.<br />
Il comportamento dello juro<strong>di</strong>vyj è legato alla gerarchia<br />
dei criteri me<strong>di</strong>evali <strong>di</strong> valutazione dell’uomo. Secondo<br />
le concezioni me<strong>di</strong>evali, la <strong>per</strong>sona è tanto più<br />
tenuta in considerazione, quanto più “corretto” è il suo<br />
comportamento. Al <strong>di</strong> sopra <strong>delle</strong> prescrizioni gerarchiche<br />
che determinano le norme del comportamento corretto<br />
<strong>per</strong> le <strong>per</strong>sone dei <strong>di</strong>versi ceti sociali, vige la norma<br />
generale del comportamento cristiano, la piena realizzazione<br />
<strong>della</strong> quale è appannaggio soltanto <strong>della</strong> <strong>per</strong>sona<br />
che è segnata dal marchio <strong>della</strong> santità. Da questo<br />
punto <strong>di</strong> vista il comportamento dell’uomo normale è<br />
considerato “non corretto”, e a esso è contrapposta la
176 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
rigida norma <strong>della</strong> vita “corretta” del santo. Il santo si<br />
<strong>di</strong>fferenzia quin<strong>di</strong> dal comune mortale <strong>per</strong> il suo modo<br />
<strong>di</strong> vivere e agire santamente. Questo comportamento<br />
esteriore fa sì che il giusto sia riconosciuto tale. Esiste<br />
tuttavia anche un altro modello <strong>di</strong> probità che gode <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> stima egualmente assai alta, modello che non ha bisogno<br />
<strong>di</strong> manifestarsi esternamente, ma che anzi <strong>per</strong><br />
l’osservatore esterno si presenta come un comportamento<br />
estremamente non corretto. Facendo violenza su<br />
se stesso, il santo può tenere il comportamento del peggiore<br />
dei peccatori o agire come uno stregone, comportandosi<br />
“all’incontrario”. In tal caso il santo si <strong>di</strong>stingue<br />
dal peccatore non <strong>per</strong> il suo comportamento, ma soltanto<br />
<strong>per</strong> la grazia che in lui risiede e che egli avverte in<br />
se stesso. Soltanto un osservatore esterno che sia a conoscenza<br />
<strong>di</strong> quello stato <strong>di</strong> grazia può infatti <strong>di</strong>stinguerlo<br />
dall’indemoniato.<br />
Particolarmente significativo, in questa prospettiva, è<br />
l’esempio desunto dal Z ˇ itie Prokopija Ustjuzˇkogo [La vita<br />
<strong>di</strong> Prokopij Ustjuzˇskij] (cfr. Lichačëv, Pančenko 1976,<br />
pp. 133-135). San Prokopij, secondo le parole dell’agiografo,<br />
andava “tutta la notte <strong>per</strong> le sante chiese del Signore<br />
e pregava Id<strong>di</strong>o; non avendo nient’altro con sé,<br />
portava tre attizzatoi nella mano sinistra”; gli attizzatoi<br />
del santo erano talvolta rivolti all’insù e talvolta abbassati:<br />
nel primo caso si aveva abbondanza <strong>di</strong> frutti terreni,<br />
nel secondo penuria <strong>di</strong> grano 20 . Pančenko, a buon <strong>di</strong>ritto,<br />
vede nell’attizzatoio un attributo <strong>delle</strong> immagini <strong>di</strong><br />
provenienza pagana che si erano conservate nelle pratiche<br />
magiche <strong>della</strong> vita <strong>di</strong> ogni giorno. Ma particolarmente<br />
significativo è il fatto che i tre attizzatoi nella mano<br />
<strong>di</strong> Prokopij Ustjuzˇskij si correlino palesemente ai tre<br />
ceri che regge il vescovo durante la bene<strong>di</strong>zione episcopale<br />
21 ; oltre a ciò, Prokopij porta gli attizzatoi nella sua<br />
mano sinistra e va <strong>per</strong> le chiese <strong>di</strong> notte e non <strong>di</strong> giorno.<br />
In tal modo, il comportamento <strong>di</strong> Prokopij Ustjuzˇskij si
IL MONDO DEL RISO 177<br />
avvicina molto a <strong>una</strong> paro<strong>di</strong>a sacrilega dell’ufficio liturgico,<br />
e non risulta tale soltanto <strong>per</strong>ché il concetto <strong>di</strong> paro<strong>di</strong>a<br />
non è <strong>per</strong> principio riferibile alle prerogative dello<br />
juro<strong>di</strong>vyj. Le azioni dello juro<strong>di</strong>vyj possono esteriormente<br />
non <strong>di</strong>fferenziarsi dal comportamento magico (stregonesco<br />
o pagano), ma <strong>per</strong> la loro essenza si riempiono <strong>di</strong><br />
un contenuto completamente <strong>di</strong>verso.<br />
Lo juro<strong>di</strong>vyj può risultare un folle in Cristo soltanto a<br />
quell’osservatore esterno il quale ritenga che il santo, al<br />
fine <strong>di</strong> autoumiliarsi, obblighi se stesso a tenere un comportamento<br />
inopportuno, scandaloso, peccaminoso, avvilente,<br />
e lo faccia non <strong>per</strong>ché esso <strong>di</strong>scende dalla sua<br />
vera essenza, ma proprio <strong>per</strong>ché esso è profondamente<br />
contrario a quella. Secondo questa interpretazione lo juro<strong>di</strong>vyj<br />
in effetti “recita”, si attribuisce cioè un tipo <strong>di</strong><br />
comportamento a lui estraneo che non si confà alla sua<br />
natura. Pančenko ha <strong>di</strong>mostrato convincentemente che<br />
l’aspirazione alla teatralità può impadronirsi dello stesso<br />
juro<strong>di</strong>vyj. Di profondo interesse sono le sue osservazioni<br />
sulla <strong>di</strong>fferenza nelle norme <strong>di</strong> comportamento dello juro<strong>di</strong>vyj<br />
quando è solo e quando è in presenza <strong>di</strong> osservatori<br />
esterni. Si può tuttavia supporre che dal punto <strong>di</strong> vista<br />
interiore il comportamento dello juro<strong>di</strong>vyj non si<br />
presentasse come “scandaloso”: esso è legato alla negazione<br />
profonda e anarchica <strong>di</strong> tutto il sistema <strong>della</strong> vita<br />
sociale ed è, quin<strong>di</strong>, <strong>per</strong> lo juro<strong>di</strong>vyj naturale. Il trasgre<strong>di</strong>re<br />
le norme e la decenza è <strong>per</strong> lui norma e non anomalia.<br />
Dal “proprio” punto <strong>di</strong> vista, egli tiene dunque un<br />
comportamento non lu<strong>di</strong>co, ma univoco e serio. Si può<br />
<strong>per</strong>ciò supporre che il reale comportamento dello juro<strong>di</strong>vyj<br />
antico-russo oscillasse tra queste due possibilità, in<br />
<strong>di</strong>pendenza dal fatto se avesse egli fatto proprio il punto<br />
<strong>di</strong> vista dei suoi spettatori o se, al contrario, obbligasse<br />
l’u<strong>di</strong>torio ad accettare la sua posizione <strong>per</strong>sonale.<br />
Il comportamento dello juro<strong>di</strong>vyj è <strong>per</strong>vaso <strong>di</strong> contenuti<br />
<strong>di</strong>dattici. Essendo contrad<strong>di</strong>stinto da legami <strong>per</strong>so-
178 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
nali con Dio, lo juro<strong>di</strong>vyj è in certo modo circondato da<br />
<strong>una</strong> micro-spazialità sacrale, <strong>per</strong> così <strong>di</strong>re, da <strong>una</strong> placenta<br />
<strong>di</strong> santità; ciò spiega il suo comportamento che, se<br />
esteriormente appare sacrilego, nella sua essenza non è<br />
tale (cfr. a questo riguardo gli eloquenti esempi <strong>di</strong> anticomportamento<br />
degli juro<strong>di</strong>vye, pp. 123-125, 133-134).<br />
Appunto la santità interiore dello juro<strong>di</strong>vyj crea le con<strong>di</strong>zioni<br />
<strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>per</strong>cezione esterna antiteticamente contrapposta:<br />
la circostanza che lo juro<strong>di</strong>vyj si trovi in <strong>una</strong><br />
microspazialità sacrale, conferisce al suo comportamento<br />
un carattere ribaltato agli occhi dell’osservatore esterno<br />
che si trova nel mondo dei peccatori. In altre parole,<br />
lo juro<strong>di</strong>vyj è in certo qual modo costretto a comportarsi<br />
in maniera “capovolta”, il suo comportamento è, a fini<br />
<strong>di</strong>dattici, contrapposto a tutto ciò che è considerato normale<br />
in questo mondo. Le caratteristiche dell’anticomportamento<br />
si trasferiscono quin<strong>di</strong> dall’attore agli spettatori:<br />
il comportamento dello juro<strong>di</strong>vyj trasforma il gioco<br />
in realtà, mettendo a nudo il carattere irreale, fittizio<br />
del mondo circostante.<br />
Allo jurodstvo, come mostrano Lichačëv e Pančenko<br />
(pp. 33-34, 41, 99-100, 167-168), è legato anche il comportamento<br />
<strong>di</strong> Ivan il Terribile; è significativo il fatto<br />
che, come ha mostrato in un altro lavoro Lichačëv<br />
(1972), lo zar utilizzasse <strong>per</strong> sé il nome <strong>di</strong> Parfenij Uro<strong>di</strong>vyj.<br />
L’idea del <strong>di</strong>spotismo senza limite, <strong>di</strong>venuta la<br />
concezione politica <strong>di</strong> Ivan il Terribile, è all’origine <strong>di</strong><br />
uno specifico complesso psicologico. Convinto <strong>della</strong><br />
provenienza <strong>di</strong>vina del suo potere, il Terribile presumeva<br />
che, come la popolazione devota non poteva giu<strong>di</strong>care<br />
le azioni dello juro<strong>di</strong>vyj e doveva credere che <strong>di</strong>etro la<br />
sua indemoniatezza si nascondesse la santità, pur non<br />
avendo la possibilità <strong>di</strong> giungere a tale conclusione sulla<br />
base <strong>di</strong> un qualche ragionamento razionale, così i suoi<br />
sud<strong>di</strong>ti avrebbero dovuto sottomettersi al suo potere <strong>di</strong>vino<br />
in<strong>di</strong>pendentemente dal carattere <strong>delle</strong> sue azioni.
IL MONDO DEL RISO 179<br />
La norma del comportamento del santo – “la santità<br />
risiede nei migliori” – legava la beatitu<strong>di</strong>ne al merito<br />
<strong>per</strong>sonale. Questa formula, unita all’idea <strong>della</strong> provenienza<br />
<strong>di</strong>vina del potere, poteva <strong>di</strong>venire la base dell’assolutismo,<br />
ma contrad<strong>di</strong>ceva decisamente il <strong>di</strong>spotismo<br />
senza limite, giacché alla sua base stava l’idea <strong>della</strong> sottomissione<br />
del signore illimitato alle limitazioni etico-religiose.<br />
La norma del comportamento dello juro<strong>di</strong>vyj –<br />
“la santità risiede nei peggiori” – poiché rendeva la beatitu<strong>di</strong>ne<br />
in<strong>di</strong>pendente dal comportamento in<strong>di</strong>viduale<br />
(lo scandalo, l’umiliazione, l’assur<strong>di</strong>tà <strong>delle</strong> cose terrene<br />
sottolineavano soltanto l’illimitatezza <strong>della</strong> <strong>di</strong>vina<br />
bontà), se trasferita sul piano del comportamento statale,<br />
<strong>di</strong>veniva la base del <strong>di</strong>spotismo, in quanto <strong>per</strong>metteva<br />
al signore qualsiasi azione. D’altra parte, come abbiamo<br />
già notato, il comportamento dello juro<strong>di</strong>vyj era <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato,<br />
sfrenato, soltanto <strong>per</strong> l’osservatore esterno.<br />
Di conseguenza, lo jurodstvo del non-juro<strong>di</strong>vyj, del despota-zar<br />
o <strong>di</strong> qualunque altro tiranno, faceva sì che <strong>di</strong>venisse<br />
abitu<strong>di</strong>ne <strong>per</strong> costui osservare dall’esterno il<br />
proprio comportamento, il che portava alla teatralizzazione<br />
<strong>di</strong> quest’ultimo.<br />
Il comportamento del Terribile è lo jurodstvo senza<br />
santità, lo jurodstvo non sanzionato dall’alto e può essere<br />
quin<strong>di</strong> considerato un modo <strong>di</strong> giocare allo jurodstvo,<br />
<strong>una</strong> sua paro<strong>di</strong>a. Bisogna inoltre tener conto che <strong>per</strong><br />
quei contemporanei, i quali erano testimoni del comportamento<br />
del Terribile, questo elemento lu<strong>di</strong>co poteva<br />
scomparire; <strong>per</strong> alcuni esso poteva essere associato agli<br />
stereotipi del tiranno <strong>delle</strong> agiografie o del tiranno antico,<br />
<strong>per</strong> altri allo stregone che ha venduto l’anima al <strong>di</strong>avolo<br />
e che vive nel mondo capovolto 22 . Entrambe queste<br />
“letture” trasferivano il comportamento del Terribile dal<br />
piano lu<strong>di</strong>co a quello serio.<br />
In tutta <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> casi il gioco si impadronisce dello<br />
stesso attore ed egli si sottomette in pieno allo spontaneo
180 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
manifestarsi dell’anticomportamento. Assai caratteristico<br />
è il fatto che il comportamento del Terribile assai spesso<br />
rasenti il sacrilegio. Egli non solo costringe i propri<br />
opričniki a ballare in maschera come fanno le maschere<br />
del <strong>per</strong>iodo natalizio, ma quando il principe Michailo Repnin<br />
preferisce la morte al peccaminoso indossare la “maschera”,<br />
lo zar or<strong>di</strong>na <strong>di</strong> ucciderlo in chiesa accanto all’altare<br />
durante la lettura del Vangelo (Kurbskij 1914, col.<br />
279; Solov’ëv 1960, p. 541): il teatro si trasforma in vita e<br />
il gioco acquista un carattere quasi rituale. Estremamente<br />
eloquente è, ad esempio, la libera o meno sottomissione<br />
del Terribile all’anticomportamento del <strong>per</strong>iodo natalizio<br />
23 . Cosi, la mascherata “opričnica” del despota, quando<br />
gli opričniki indossano il saio e lo zar si proclama igumeno<br />
<strong>di</strong> quel monastero carnevalesco (Polosin 1963, p.<br />
154), con tutta probabilità, è riconducibile all’influenza <strong>di</strong><br />
quei giochi del <strong>per</strong>iodo natalizio <strong>di</strong> cui scriveva nell’anno<br />
1651 il cronachista <strong>di</strong> Vjaz’ma Starec Grigorij nella sua<br />
petizione allo zar Aleksej Michajlovič, riferendo che da loro<br />
a Vjaz’ma “si hanno giochi <strong>di</strong>versi e infami a partire<br />
dal Natale <strong>di</strong> Cristo fino al vespro dell’Epifania, nei quali<br />
si im<strong>per</strong>sonano i santi, si improvvisano monasteri con<br />
l’archimandrita, l’eremita, gli starci” 24 . L’anticomportamento<br />
ha le sue leggi e i suoi stereotipi, proprio come li<br />
possiede il comportamento corretto e normale. In tal modo,<br />
il <strong>di</strong>stacco dalle norme del comportamento corretto si<br />
realizza in forme già pronte e presuppone il contatto con<br />
il contenuto legato a queste forme: il momento lu<strong>di</strong>co vero<br />
e proprio può anche spostarsi su un secondo piano, se<br />
non viene ad<strong>di</strong>rittura del tutto livellato.<br />
Risulta dunque chiaro che il titolo stesso del libro <strong>di</strong><br />
Lichačëv e Pančenko deve essere oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione:<br />
gli autori hanno posto al centro del <strong>di</strong>battito scientifico<br />
alcuni fenomeni storico-letterari e psicologici <strong>della</strong><br />
cultura russa <strong>di</strong> primaria importanza. Tuttavia, la defini-
IL MONDO DEL RISO 181<br />
zione <strong>di</strong> questi fenomeni come “comici” necessita <strong>per</strong>lomeno<br />
<strong>di</strong> ulteriori argomentazioni.<br />
Non ci siamo fermati su tutti gli interessanti aspetti<br />
<strong>della</strong> psicologia <strong>della</strong> cultura presi in esame nel lavoro<br />
pionieristico <strong>di</strong> Lichačëv e Pančenko. La serie <strong>di</strong> problemi<br />
sollevati dagli autori è così ampia e piena <strong>di</strong> prospettive,<br />
che la loro <strong>di</strong>samina si protrarrà, senza dubbio, ancora<br />
<strong>per</strong> molto tempo. Tuttavia, già da ora è evidente<br />
che quanto detto dagli autori costituisce <strong>una</strong> vera e propria<br />
conquista scientifica <strong>della</strong> quale, in un modo o nell’altro,<br />
non potranno non tener conto gli stu<strong>di</strong>osi futuri.<br />
1 Ed. or.: 1977, Novye aspekty izučenija kul’tury Drevnej Rusi, «Vosprosy<br />
literatury», 2, pp. 148-166; trad. it. 1982, “Nuovi aspetti nello stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> cultura<br />
dell’antica Rus’”, in A. N. Veselovskij, et al., La cultura nella tra<strong>di</strong>zione<br />
russa del XIX e XX secolo, a cura <strong>di</strong> D’A. S. Avalle, Torino, Einau<strong>di</strong>, pp. 219-<br />
241, trad. it. S. Garzonio.<br />
2 Lo okan’ è il tipo <strong>di</strong> pronuncia che conserva la <strong>di</strong>stinzione tra o e a atone,<br />
ad esempio la parola “acqua”, scritta vodà, viene pronunciata “vodà” e<br />
non “vadà”. Nel russo moderno si è invece affermato l’altro tipo <strong>di</strong> pronuncia,<br />
lo akan’e, che non <strong>di</strong>stingue più tra o e a atone (N.d.T.).<br />
3 La meto<strong>di</strong>ca <strong>della</strong> “propria immedesimazione” nel testo non può, e probabilmente,<br />
non deve essere del tutto scartata e anzi, entro certi ragionevoli<br />
limiti, può risultare anche utile. È tuttavia necessario trasformarla da impulso<br />
inconscio d’autore in proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> ricerca adottato coscientemente e tenuto<br />
sotto controllo.<br />
4 Lo jurodovyj è un tipo umano, caratteristico del Me<strong>di</strong>oevo russo. Men<strong>di</strong>co,<br />
tenuto in conto <strong>di</strong> santo e veggente, in lui si identificava secondo le credenze<br />
popolari la voce <strong>di</strong> Dio (cfr. Thompson 1975) (N.d.T.).<br />
5 La opričnina era uno dei due regni <strong>di</strong>stinti e in<strong>di</strong>pendenti in cui fu sud<strong>di</strong>visa<br />
la Moscovia da Ivan in Terribile. L’altro è la zemsˇčina. Il termine<br />
opričnina stava in precedenza a in<strong>di</strong>care le terre riservate come posse<strong>di</strong>mento<br />
<strong>per</strong>manente alle vedove. Con il pretesto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere opričnina dalle mire dei<br />
boiari, Ivan IV la sottomise al proprio governo <strong>per</strong>sonale, lasciando la<br />
zemsˇčina sotto la guida <strong>di</strong> un consiglio <strong>di</strong> boiari e riservandosi su <strong>di</strong> essa <strong>una</strong><br />
sovranità formale. Successivamente, egli scatenò, valendosi degli opričniki,<br />
<strong>una</strong> guerra spietata contro la zemsˇčina, ponendo le basi <strong>per</strong> la centralizzazione<br />
dello Stato russo e riducendo le mire particolaristiche dei boiari.<br />
Gli opričniki erano gli uomini <strong>delle</strong> truppe speciali, devote a Ivan IV, da<br />
costui impiegate <strong>per</strong> sbarazzarsi dei nemici interni dello Stato moscovita.<br />
Noti <strong>per</strong> la loro crudeltà ed efferatezza (si pensi al saccheggio <strong>di</strong> Novgorod<br />
del 1570) gli opričniki portavano uniformi nere e avevano come loro inse-
182 JURIJ M. LOTMAN, BORIS A. USPENSKIJ<br />
gne <strong>una</strong> testa <strong>di</strong> cane e <strong>una</strong> scopa, simboli <strong>di</strong> devozione al Terribile e allo<br />
Stato moscovita.<br />
6 Quest’ultima considerazione è assai importante, giacché siamo sempre<br />
più spesso testimoni del tentativo <strong>di</strong> non sviluppare o me<strong>di</strong>tare le idee <strong>di</strong> Bachtin,<br />
ma <strong>di</strong> adottarle meccanicamente in campi dove la loro stessa utilizzazione<br />
dovrebbe essere oggetto <strong>di</strong> <strong>una</strong> speciale analisi. Ad esempio, possiamo<br />
citare il libro <strong>di</strong> Belkin, Gli skomorochi russi, nel quale l’autore fin da principio,<br />
senza fondati argomenti, postula: “La cultura popolare del riso era propria<br />
<strong>della</strong> Rus’ me<strong>di</strong>evale proprio come dell’Occidente me<strong>di</strong>evale”, e successivamente<br />
afferma ad<strong>di</strong>rittura che “le varie forme <strong>di</strong> riso raggiunsero nella<br />
Rus’ in maggior misura e forse prima che negli altri paesi europei <strong>una</strong> loro<br />
maturità ideologica, al principio come forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa, poi come forma <strong>di</strong> offensiva<br />
sociale” (Belkin 1975, pp. 7-9). Dal contesto risulta poi chiaro che <strong>per</strong><br />
“maturità ideologica” <strong>della</strong> “cultura del riso” Belkin intende la satira. Come<br />
si può ricollegare questa interpretazione all’affermazione categorica <strong>di</strong> Bachtin<br />
che la satira è sempre monovalente e seria? Negando determinati fenomeni,<br />
essa <strong>per</strong> principio si contrappone alla cultura del riso, la quale è invece<br />
ambivalente, nega e afferma allo stesso tempo, e si trova al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> qualsiasi<br />
forma del mondo serio. La complessa, e non sempre ovvia, concezione <strong>di</strong><br />
Bachtin è stata qui semplificata e addomesticata, acquistando così un carattere<br />
scientifico-ornamentale.<br />
7 Cfr. Smirnov 1914, Appen<strong>di</strong>ce (Materialy dlja istorii drevnerusskoj<br />
pokajannoj <strong>di</strong>scipliny), p. 54 (n. 38), p. 151 (n. 14), p. 125 (n. 114), cfr. anche<br />
p. 212. Cfr. anche p. 125 (n. 115b) sulla penitenza riservata ai giochi.<br />
8 Smirnov 1914, Appen<strong>di</strong>ce, p. 62 (n. 16), p. 150 (n. 7); Almazov 1894,<br />
pp. 149, 205, 211, 274.<br />
9 Sbornik poučenij XVII v., manoscritto <strong>della</strong> Biblioteca pubblica <strong>di</strong> Stato<br />
M. E. Saltykov-S ˇ čedrin, Q. I., n. 1307, f. 247.<br />
10 Cfr. l’esorcismo contro la corruzione con la caratteristica menzione dei<br />
“calvi e dei burloni” come potenziali portatori del male (Efimenko 1878, p.<br />
191). 11 Le o<strong>per</strong>e <strong>di</strong> questo genere sono accompagnate nei manoscritti da annotazioni<br />
del tipo “trascritto da libri polacchi”, oppure “dai libri del regno” [la<br />
Polonia] ecc. (cfr. Demkova 1965, p. 95). Anche supponendo che tali annotazioni<br />
posseggano un carattere preventivo nei confronti <strong>della</strong> censura, esse<br />
non sono tuttavia meno esemplificative: il loro autore sottintende che questi<br />
testi erano normali appunto <strong>per</strong> la sfera religiosa <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana occidentale.<br />
12 Maksimov 1912, pp. 14-15, e anche Gusev 1974. Cfr. sui giochi simili<br />
<strong>della</strong> settimana grassa: S ˇ cejn 1898, p. 303 e Azadovskij 1924, p. 32.<br />
13 Spettacolo teatrale popolare che si teneva nelle piazze <strong>per</strong> iniziativa <strong>di</strong><br />
attori girovaghi. Esso era caratterizzato da rozzi scenari montati su un carro<br />
(N.d.T.).<br />
14 I lubki erano quadretti ingenui e primitivi che servivano al cantastorie<br />
<strong>per</strong> le sue esibizioni sulle pubbliche piazze e alle fiere (N.d.T.).<br />
15 Secondo le parole <strong>di</strong> Maskevič (1611) i boiari russi ridevano <strong>delle</strong> danze<br />
occidentali, “consideravano sconveniente <strong>per</strong> l’uomo dabbene ballare (...)<br />
L’uomo dabbene – <strong>di</strong>cevano – deve stare seduto al suo posto e <strong>di</strong>vertirsi sol-
IL “MONDO DEL RISO” 183<br />
tanto dei lazzi del buffone e non deve mai <strong>di</strong>ventare un buffone <strong>per</strong> il <strong>di</strong>vertimento<br />
degli altri: ciò è sconveniente!” (cfr. Maskevič 1834, pp. 61-62); cfr. le<br />
osservazioni analoghe <strong>di</strong> S. Collins (1671) (Kollins 1846, p. 11). Cfr. Famincyn<br />
(1889, pp. 168-69).<br />
16 Il termine in<strong>di</strong>ca il fenomeno storico-sociale degli juro<strong>di</strong>vye nella sua<br />
globalità (N.d.T.).<br />
17 A sua volta, anche il “comportamento comico” può legarsi a elementi<br />
culturali stranieri, proprio come può essere associato al principio <strong>di</strong>abolico.<br />
In uno degli ammaestramenti antico-russi si legge: “non si ad<strong>di</strong>ce al monaco<br />
ridere e burlare come uno straniero, e così a nessun cristiano ortodosso”<br />
(Smirnov 1914, Appen<strong>di</strong>ce, p. 176, n. 3).<br />
18 Gli skomorochi erano dei cantastorie e giullari, teatranti e burattinai, la<br />
cui attività è documentata nelle fonti dall’XI secolo almeno fino alla seconda<br />
metà del XVII secolo (N.d.T.).<br />
19 Slovo Daniila Zatočnika pò redakcijam XII i XIII vv. i ich <strong>per</strong>edelkam, Izd.<br />
AN SSSR, Leningrad 1932, p. 70.<br />
20 Z ˇ itie prepodobnogo Prokopija Ustjuzˇskogo, Sankt Peterburg 1893, pp.<br />
57-58. Cogliamo l’occasione <strong>per</strong> correggere un errore <strong>di</strong> stampa nel libro <strong>di</strong><br />
Lichačëv e Pančenko nel quale si fornisce un’errata in<strong>di</strong>cazione <strong>delle</strong> pagine.<br />
21 Cfr., in tal senso, la caratteristica correlazione paremiologica “a Dio i<br />
ceri” e “al <strong>di</strong>avolo gli attizzatoi” (in russo “Bogu sveči i čertu kočergi”).<br />
22 Cfr. la caratteristica descrizione <strong>delle</strong> azioni del Terribile fornita da<br />
Kurbskij (1914, col. 313): secondo le sue parole, lo zar: “riunisce contro il vescovo<br />
i suoi orribili concili <strong>di</strong> eretici satanici e la maledetta assemblea degli alleati<br />
<strong>di</strong> Caifa, si accorda con essi come Erode con Pilato, e quelli, insieme alla<br />
belva, vengono nella grande chiesa e si siedono nel luogo Sacro”. L’immagine<br />
del Terribile è presentata come l’immagine <strong>della</strong> belva-anticristo che siede nel<br />
“luogo Sacro”. Ovviamente non si tratta semplicemente <strong>di</strong> un proce<strong>di</strong>mento<br />
retorico, l’autore è convinto <strong>della</strong> natura satanica degli avvenimenti descritti.<br />
23 In questo senso è <strong>di</strong> rilievo il fatto che il Terribile si scopra conoscitore<br />
dell’o<strong>per</strong>a degli skomorochi proprio nel momento in cui questo fenomeno<br />
viene identificato con i giochi pagani, e viene quin<strong>di</strong> combattuto dalla Chiesa<br />
all’insegna <strong>della</strong> lotta contro il paganesimo. Cfr. in particolare, l’attività del<br />
Concilio dei Cento Capitoli, convocato incre<strong>di</strong>bilmente proprio <strong>per</strong> iniziativa<br />
del Terribile!<br />
24 La supplica dello starec Grigorij è pubblicata in Kapterev (1913, p.<br />
181). L’uso <strong>di</strong> mascherarsi da monaci nel <strong>per</strong>iodo natalizio si era in parte conservato<br />
ancora nel XX secolo (cfr. Zavojko 1914, p. 138).
Il decabrista nella vita.<br />
Il gesto, l’azione, il comportamento come testo 1<br />
Jurij M. Lotman<br />
Le leggi storiche non si attuano automaticamente.<br />
Nella complessa e contrad<strong>di</strong>ttoria corsa <strong>della</strong> storia s’incrociano<br />
e si scontrano processi nei quali l’uomo è un<br />
agente passivo, e altri nei quali la sua attività si manifesta<br />
nella forma più <strong>di</strong>retta e imme<strong>di</strong>ata. Per capire questi<br />
ultimi (a volte definiti come l’aspetto soggettivo del <strong>di</strong>venire<br />
storico) è necessario stu<strong>di</strong>are non soltanto le premesse<br />
storico-sociali <strong>di</strong> <strong>una</strong> determinata situazione, ma<br />
anche il carattere specifico <strong>di</strong> colui che agisce: l’uomo.<br />
Se stu<strong>di</strong>amo la storia dal punto <strong>di</strong> vista dell’attività degli<br />
uomini non possiamo fare a meno <strong>di</strong> analizzare le premesse<br />
psicologiche del loro comportamento. Ma anche<br />
l’aspetto psicologico ha vari livelli. Non v’è dubbio che<br />
alcuni momenti del comportamento degli uomini, <strong>delle</strong><br />
loro reazioni alle situazioni esterne siano propri dell’uomo<br />
in quanto tale. Questo livello è <strong>di</strong> competenza dello<br />
psicologo, il quale, anche quando prende in considerazione<br />
il materiale storico, lo fa soltanto <strong>per</strong> trovarvi<br />
un’illustrazione <strong>delle</strong> leggi psicologiche in quanto tali.<br />
Tuttavia, sulla base <strong>di</strong> questo strato psicologico generale,<br />
e sotto l’influsso <strong>di</strong> processi storico-sociali,<br />
estremamente complessi, si costituiscono forme specifiche<br />
<strong>di</strong> comportamento storico e sociale, tipi epocali e<br />
sociali <strong>di</strong> reazione, determinate idee circa le azioni giuste<br />
ed errate, lecite e proibite, dotate <strong>di</strong> valore e prive<br />
<strong>di</strong> esso. Si creano regolatori del comportamento come
186 JURIJ M. LOTMAN<br />
il pudore, la paura, l’onore. Nella coscienza umana entrano<br />
complesse norme semiotiche d’or<strong>di</strong>ne etico, religioso,<br />
estetico, pratico e d’altro tipo, sullo sfondo <strong>delle</strong><br />
quali si costituisce la psicologia del comportamento <strong>di</strong><br />
gruppo.<br />
Un comportamento <strong>di</strong> gruppo come tale, <strong>per</strong>ò, non<br />
esiste nella realtà. Come le norme <strong>di</strong> <strong>una</strong> lingua sono attuate<br />
e nello stesso tempo inevitabilmente violate in migliaia<br />
<strong>di</strong> parlate in<strong>di</strong>viduali, il comportamento <strong>di</strong> gruppo<br />
si costituisce me<strong>di</strong>ante le attuazioni e le violazioni che <strong>di</strong><br />
esso si fanno nel sistema comportamentale in<strong>di</strong>viduale<br />
dei molteplici membri <strong>di</strong> <strong>una</strong> collettività. Ma anche un<br />
comportamento “irregolare”, che trasgre<strong>di</strong>sca le norme<br />
<strong>di</strong> un dato gruppo sociale, non è affatto casuale. Le violazioni<br />
<strong>delle</strong> norme correnti <strong>di</strong> comportamento – le<br />
stramberie, le “follie” dell’uomo prima e dopo l’epoca<br />
<strong>delle</strong> riforme petrine, del nobile e del mercante, del conta<strong>di</strong>no<br />
e del monaco – <strong>di</strong>fferivano nettamente tra loro<br />
(anche se, naturalmente, c’erano varianti “nazionali”,<br />
comuni a tutti, <strong>di</strong> violazione <strong>della</strong> norma). Anzi la norma<br />
e le sue violazioni non si contrappongono come inerti<br />
datità, ma incessantemente trapassano l’<strong>una</strong> nell’altra.<br />
Si formano regole <strong>per</strong> le violazioni <strong>delle</strong> regole e anomalie<br />
necessarie <strong>per</strong> la norma. Il comportamento reale dell’uomo<br />
oscillerà tra questi poli. Inoltre i vari tipi <strong>di</strong> cultura<br />
imporranno <strong>una</strong> tendenza soggettiva a orientarsi<br />
verso la norma (si esalta il comportamento “regolare”, la<br />
vita “secondo la consuetu<strong>di</strong>ne”, “come fanno gli altri”,<br />
“secondo i comandamenti” ecc.), oppure verso la sua<br />
violazione (aspirazione all’originalità, all’eccezionalità,<br />
alla stravaganza, alla “pazzia”, alla svalutazione <strong>della</strong><br />
norma me<strong>di</strong>ante l’unione ambivalente degli estremi).<br />
Il comportamento degli uomini è sempre multiforme,<br />
non <strong>di</strong>mentichiamolo mai. Eleganti astrazioni come “il<br />
comportamento romantico”, “il tipo psicologico del giovane<br />
nobile russo del primo Ottocento” ecc. apparter-
IL DECABRISTA NELLA VITA 187<br />
ranno sempre al novero <strong>delle</strong> costruzioni sommamente<br />
astratte, a parte il fatto che ogni elevazione a norma degli<br />
stereotipi psicosociali presuppone varianti in base all’età<br />
(“infantile”, “giovanile” ecc.: “ri<strong>di</strong>colo è il vecchio<br />
scapestrato / Ri<strong>di</strong>colo è il giovane posato”), al sesso ecc.<br />
La psiche <strong>di</strong> ogni essere umano è <strong>una</strong> struttura talmente<br />
complessa, articolata in tanti livelli e organizzata<br />
in così molteplici forme particolari da rendere praticamente<br />
impossibile la comparsa <strong>di</strong> due in<strong>di</strong>vidui identici.<br />
Ma, pur tenendo nella debita considerazione la ricchezza<br />
<strong>delle</strong> varianti psicologiche in<strong>di</strong>viduali e la molteplicità<br />
dei comportamenti possibili, non si deve <strong>di</strong>menticare<br />
che <strong>di</strong> fatto <strong>per</strong> la società esistono non già tutti gli<br />
atti <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo ma soltanto quelli ai quali, all’interno<br />
<strong>di</strong> un dato sistema culturale, si attribuisce un significato<br />
sociale. In tal modo la società, chiarendo il senso<br />
del comportamento del singolo, lo semplifica e lo tipicizza<br />
conformemente ai propri co<strong>di</strong>ci. Da parte sua l’in<strong>di</strong>viduo<br />
integra, <strong>per</strong> così <strong>di</strong>re, la propria struttura, introiettando<br />
questo punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> società e <strong>di</strong>venta<br />
più “tipico” non solo <strong>per</strong> l’osservatore esterno, ma anche<br />
<strong>per</strong> se stesso in quanto soggetto.<br />
Di conseguenza, se analizziamo la struttura del comportamento<br />
degli uomini <strong>di</strong> <strong>una</strong> determinata epoca storica,<br />
dovremo sempre tener presente il legame tra i nostri<br />
costrutti mentali e le molteplici varianti, il complesso<br />
intreccio <strong>di</strong>alettico <strong>di</strong> ciò che è regolare e <strong>di</strong> ciò che è<br />
casuale, senza <strong>di</strong> che i meccanismi <strong>della</strong> psicologia sociale<br />
non possono essere intesi.<br />
Ma, vi è stato un particolare comportamento quoti<strong>di</strong>ano<br />
del decabrista, tale da <strong>di</strong>stinguerlo non solo dai<br />
reazionari e dagli “oscurantisti”, bensì anche dalla massa<br />
dei nobili liberali e colti del suo tempo? Lo stu<strong>di</strong>o<br />
dei materiali dell’epoca <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> rispondere a questa<br />
domanda positivamente. Lo sentiamo, del resto, intuitivamente<br />
in quanto ere<strong>di</strong> culturali dello sviluppo storico
188 JURIJ M. LOTMAN<br />
precedente. Così, prima ancora <strong>di</strong> leggere i commenti<br />
critici, sentiamo come un Čackij [protagonista <strong>di</strong> Che<br />
<strong>di</strong>sgrazia l’ingegno! <strong>di</strong> Griboedov (N.d.T.)] decabrista.<br />
Eppure Čackij non ci è mostrato durante <strong>una</strong> riunione<br />
degli affiliati alla “lega segreta”, ma lo ve<strong>di</strong>amo in ambiente<br />
domestico, nella casa <strong>di</strong> un nobile moscovita. Alcune<br />
frasi dei suoi monologhi, che lo qualificano come<br />
nemico <strong>della</strong> schiavitù e dell’ignoranza, sono senza<br />
dubbio essenziali <strong>per</strong> la nostra intelligenza del <strong>per</strong>sonaggio,<br />
ma non meno importante è la sua maniera <strong>di</strong><br />
comportarsi e <strong>di</strong> parlare. Proprio in base al comportamento<br />
<strong>di</strong> Čackij in casa Famusov, in base al suo rifiuto<br />
<strong>di</strong> un determinato tipo <strong>di</strong> comportamento quoti<strong>di</strong>ano<br />
(“Sba<strong>di</strong>gliare in casa dei protettori, / Fare visita <strong>per</strong> tacere,<br />
inchinarsi, pranzare, / Offrire la se<strong>di</strong>a, porgere il<br />
fazzoletto...”) Famusov lo definisce <strong>di</strong> colpo “uomo <strong>per</strong>icoloso”.<br />
Numerosi documenti in cui si riflettono i vari<br />
aspetti del comportamento quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> un rivoluzionario<br />
<strong>di</strong> estrazione nobiliare, <strong>per</strong>mettono <strong>di</strong> parlare del<br />
decabrista non solo come del fautore <strong>di</strong> un determinato<br />
programma politico, ma anche come <strong>di</strong> un tipo psicologico<br />
e storico-culturale.<br />
Non bisogna inoltre <strong>di</strong>menticare che ogni uomo nel<br />
suo comportamento non attua un solo programma d’azione,<br />
ma fa costantemente <strong>una</strong> scelta, attualizzando<br />
<strong>una</strong> sola strategia <strong>per</strong> un vasto insieme <strong>di</strong> possibilità.<br />
Ogni singolo decabrista nella sua condotta quoti<strong>di</strong>ana<br />
era lungi dal comportarsi sempre come un decabrista e<br />
poteva agire da nobile, da ufficiale (nella fattispecie: ussaro,<br />
ufficiale <strong>della</strong> Guar<strong>di</strong>a, stratega dello Stato maggiore),<br />
da aristocratico, da uomo, da russo, da europeo,<br />
da giovane ecc.<br />
Eppure, in tutto questo complesso insieme <strong>di</strong> possibilità<br />
c’era anche un comportamento speciale, un modo<br />
particolare <strong>di</strong> parlare, agire e reagire, proprio appunto<br />
del membro <strong>di</strong> <strong>una</strong> società segreta. È la natura <strong>di</strong> questo
IL DECABRISTA NELLA VITA 189<br />
particolare comportamento a costituire l’oggetto del nostro<br />
stu<strong>di</strong>o. Questo comportamento non sarà da noi descritto<br />
in quelle sue manifestazioni che coincidevano<br />
con la fisionomia generale del nobile colto russo dell’inizio<br />
dell’Ottocento. Cercheremo <strong>di</strong> mettere in rilievo soltanto<br />
i tratti specifici impressi dal decabrismo sulla condotta<br />
pratica <strong>di</strong> quelli che siamo soliti chiamare “rivoluzionari<br />
nobili”.<br />
S’intende, ogni decabrista era un uomo vivo e in un<br />
certo senso si comportava in un modo irripetibile: Ryleev<br />
nella sua vita <strong>per</strong>sonale non assomiglia a Pestel’, e<br />
Orlov a Nikolaj Turgenev o a Čaadaev. Questa considerazione<br />
non può <strong>per</strong>ò indurci a dubitare <strong>della</strong> vali<strong>di</strong>tà<br />
<strong>della</strong> nostra impostazione. Il fatto che il comportamento<br />
degli uomini sia in<strong>di</strong>viduale non rende illegittimo lo stu<strong>di</strong>o<br />
<strong>di</strong> problemi come la “psicologia dell’adolescenza” (o<br />
<strong>di</strong> qualsiasi altra età), “la psicologia <strong>della</strong> donna” (o dell’uomo)<br />
e, in ultima analisi, la “psicologia dell’uomo”.<br />
La con<strong>di</strong>zione <strong>della</strong> storia come campo <strong>di</strong> manifestazione<br />
<strong>di</strong> molteplici leggi sociali generali deve essere integrata<br />
con <strong>una</strong> visione <strong>della</strong> storia come portata dall’attività<br />
degli uomini. Se si trascurano i meccanismi storico-psicologici<br />
<strong>delle</strong> azioni umane, si resterà inevitabilmente<br />
prigionieri <strong>di</strong> idee assai schematiche. Anzi, proprio il<br />
fatto che le leggi storiche non si attuano <strong>di</strong>rettamente,<br />
ma attraverso i meccanismi psicologici dell’uomo costituisce<br />
<strong>di</strong> <strong>per</strong> sé un meccanismo <strong>di</strong> primaria importanza<br />
<strong>della</strong> storia, in quanto libera quest’ultima da <strong>una</strong> fatalistica<br />
preve<strong>di</strong>bilità dei processi e quin<strong>di</strong> non rende l’intero<br />
processo storico del tutto su<strong>per</strong>fluo.<br />
I decabristi erano in primo luogo uomini d’azione.<br />
Qui si deve vedere sia il loro programma politico-sociale<br />
<strong>di</strong> trasformare concretamente la realtà politica russa, sia<br />
l’es<strong>per</strong>ienza <strong>per</strong>sonale <strong>della</strong> maggior parte <strong>di</strong> essi come<br />
ufficiali combattenti, cresciuti in un’epoca <strong>di</strong> guerre europee,<br />
inclini a pregiare l’ar<strong>di</strong>mento, l’energia, lo spirito
190 JURIJ M. LOTMAN<br />
<strong>di</strong> iniziativa, la fermezza, la tenacia, non meno <strong>della</strong> capacità<br />
<strong>di</strong> re<strong>di</strong>gere un documento programmatico o <strong>di</strong><br />
sostenere <strong>una</strong> <strong>di</strong>sputa teorica. Di regola (tranne, naturalmente,<br />
alcune eccezioni, come, ad esempio, Nikolaj Turgenev)<br />
le dottrine politiche non li interessavano in quanto<br />
tali, ma come criteri <strong>di</strong> valutazione e <strong>di</strong> scelta <strong>di</strong> determinate<br />
linee <strong>di</strong> azione. Questo orientamento attivistico<br />
s’avverte nelle ironiche parole <strong>di</strong> Lunin secondo cui<br />
Pestel’ propone “prima <strong>di</strong> scrivere l’Enciclope<strong>di</strong>a, e poi<br />
fare la Rivoluzione” (Lunin 1927, p. 179). Anche quei<br />
membri <strong>delle</strong> società segrete che erano più avvezzi al lavoro<br />
negli uffici degli stati maggiori, sottolineavano che<br />
“l’or<strong>di</strong>ne e le forme” sono necessari <strong>per</strong> la “miglior riuscita<br />
dell’azione” (parole <strong>di</strong> Nikolaj S. Trubeckoj) (Lunin<br />
1925, p. 23).<br />
In questo senso, poiché non ci è possibile nell’ambito<br />
del presente lavoro affrontare tutto l’insieme dei problemi<br />
che <strong>una</strong> caratterizzazione storico-psicologica del decabrismo<br />
comporterebbe, è del tutto giustificato prendere<br />
qui in esame soltanto un aspetto: il comportamento<br />
del decabrista, le sue azioni, e non il mondo interiore<br />
<strong>delle</strong> emozioni.<br />
È necessario fare un’altra precisazione: i decabristi<br />
erano rivoluzionari d’estrazione nobiliare, e il loro comportamento<br />
era quello dei nobili russi e sostanzialmente<br />
era conforme alle norme costituitesi tra l’epoca <strong>di</strong> Pietro<br />
I e la guerra antinapoleonica del 1812. Anche se rifiutavano<br />
le forme <strong>di</strong> comportamento proprie del loro ceto, e<br />
contro <strong>di</strong> esse lottavano e le confutavano nei loro trattati<br />
teorici, i decabristi, nella loro pratica quoti<strong>di</strong>ana, erano<br />
a esse organicamente legati.<br />
Comprendere e descrivere il comportamento del decabrista,<br />
senza inserirlo nel più ampio problema del<br />
comportamento del nobile russo tra il 1810 e il 1825, è<br />
impossibile. Eppure noi rinunciamo a priori a questo<br />
smodato ampliamento dell’argomento: tutto ciò che la
IL DECABRISTA NELLA VITA 191<br />
vita attiva <strong>di</strong> un decabrista aveva in comune con quella<br />
<strong>di</strong> un qualsiasi nobile russo del suo tempo sarà da noi<br />
escluso dal campo <strong>di</strong> analisi.<br />
Il significato dei decabristi nella storia <strong>della</strong> vita sociale<br />
russa non si esaurisce negli aspetti <strong>delle</strong> loro attività<br />
che finora hanno maggiormente richiamato l’attenzione<br />
degli stu<strong>di</strong>osi: l’elaborazione <strong>di</strong> programmi e teorie politico-sociali,<br />
le riflessioni sulla tattica <strong>della</strong> lotta rivoluzionaria,<br />
la partecipazione alle <strong>di</strong>scussioni letterarie, l’attività<br />
artistica e critica. A questi aspetti (e a molti altri, esaminati<br />
nella vasta letteratura critica sull’argomento) se ne<br />
deve aggiungere uno, rimasto finora in ombra: i decabristi<br />
profusero notevoli energie creative <strong>per</strong> dar vita a un<br />
tipo particolare <strong>di</strong> russo, nettamente <strong>di</strong>stinto, <strong>per</strong> il suo<br />
modo <strong>di</strong> comportarsi, da ogni antecedente storico. In<br />
questo senso essi furono degli autentici innovatori. Questo<br />
specifico comportamento <strong>di</strong> un rilevante gruppo <strong>di</strong><br />
giovani che <strong>per</strong> talento, carattere, estrazione sociale, legami<br />
<strong>per</strong>sonali e familiari, prospettive <strong>di</strong> carriera (la maggior<br />
parte dei decabristi non occupava, e non poteva occupare,<br />
<strong>per</strong> via dell’età, cariche elevate nella gerarchia<br />
statale, ma <strong>una</strong> notevole parte <strong>di</strong> essi apparteneva alla<br />
cerchia che apriva la via a tali cariche in futuro) era al<br />
centro dell’attenzione pubblica esercitò un forte influsso<br />
su tutta <strong>una</strong> generazione <strong>di</strong> russi, <strong>per</strong> i quali rappresentò<br />
un’esemplare scuola <strong>di</strong> impegno civile. Il movimento politico-intellettuale<br />
<strong>della</strong> nobiltà rivoluzionaria produsse<br />
anche un carattere umano, dotato <strong>di</strong> specifici aspetti e un<br />
particolare tipo <strong>di</strong> comportamento. In<strong>di</strong>viduarne alcuni<br />
tratti fondamentali è lo scopo del presente lavoro.<br />
È <strong>di</strong>fficile in<strong>di</strong>care un’altra epoca <strong>della</strong> vita russa in<br />
cui il <strong>di</strong>scorso orale – conversazioni, <strong>di</strong>scorsi amichevoli,<br />
colloqui, orazioni, sdegnate filippiche – abbia svolto <strong>una</strong><br />
parte così importante. Dai primor<strong>di</strong> del movimento, che<br />
Pusˇkin felicemente definì come “amichevoli <strong>di</strong>scussio-
192 JURIJ M. LOTMAN<br />
ni” fatte a tavola “tra un Lafitte e un Cliquot”, fino alle<br />
tragiche deposizioni fatte <strong>di</strong> fronte al Comitato d’inchiesta,<br />
i decabistri stupiscono <strong>per</strong> la loro “loquacità”, <strong>per</strong> la<br />
loro tendenza a fissare in parole, sentimenti e idee.<br />
Pusˇkin aveva ragione quando così tratteggiava <strong>una</strong> riunione<br />
<strong>della</strong> Lega <strong>della</strong> Pros<strong>per</strong>ità:<br />
Vitijstvom rezkim znamenity,<br />
Sbiralis’ členy sej sem’i ...<br />
[Famosi <strong>per</strong> l’aspra oratoria, / Membri <strong>di</strong> questa famiglia<br />
s’ad<strong>una</strong>vano ...].<br />
Tutto ciò fece sì che, dal punto <strong>di</strong> vista <strong>delle</strong> norme e<br />
<strong>delle</strong> idee <strong>di</strong> un <strong>per</strong>iodo successivo, i decabristi potessero<br />
essere accusati <strong>di</strong> fare <strong>della</strong> retorica e <strong>di</strong> parlare invece<br />
<strong>di</strong> agire. Non solo i “nichilisti” degli anni Sessanta,<br />
ma anche i contemporanei dei decabristi, che talora<br />
con<strong>di</strong>videvano gran parte <strong>delle</strong> loro idee, erano inclini a<br />
pronunciarsi in questo senso. Come ha fatto notare la<br />
Nečkina, Čackij dal punto <strong>di</strong> vista del decabrismo rimprovera<br />
Repetilov <strong>per</strong> il suo vaniloquio e la sua retorica.<br />
Ma lui stesso non sfuggì a questo rimprovero da parte <strong>di</strong><br />
Pusˇkin: “Tutto quello che egli <strong>di</strong>ce è molto intelligente.<br />
Ma a chi <strong>di</strong>ce tutto questo? A Famusov? A Skalozub?<br />
Alle vecchie signore moscovite durante il ballo? A<br />
Molčalin? È <strong>una</strong> cosa im<strong>per</strong>donabile. La prima caratteristica<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona intelligente è capire al volo con<br />
chi si ha a che fare (…)” 2 .<br />
Vjazemskij, contestando nel 1826 la legittimità dell’accusa<br />
<strong>di</strong> regici<strong>di</strong>o mossa ai decabristi, sottolineerà che<br />
il regici<strong>di</strong>o è un atto. Viceversa, a suo avviso, da parte<br />
dei congiurati non era stato compiuto alcun tentativo <strong>di</strong><br />
passare dalle parole ai fatti. Egli definisce il loro comportamento<br />
come “bavardage atroce” (Lotman 1960b,<br />
p. 134) e contesta fermamente il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> condannare<br />
qualcuno <strong>per</strong> <strong>delle</strong> parole, quasi fossero azioni compiu-
IL DECABRISTA NELLA VITA 193<br />
te. Oltre alla <strong>di</strong>fesa giuri<strong>di</strong>ca <strong>delle</strong> vittime <strong>di</strong> <strong>una</strong> iniquità,<br />
nelle sue parole si rileva anche che le “chiacchiere”,<br />
secondo Vjazemskij, nell’o<strong>per</strong>ato dei congiurati preponderavano<br />
sui “fatti”. Le testimonianze <strong>di</strong> questo tipo<br />
si potrebbero moltiplicare.<br />
Faremmo <strong>per</strong>ò un madornale errore se, trasferendo,<br />
all’epoca dei decabristi, norme prese da altri <strong>per</strong>io<strong>di</strong><br />
storici, vedessimo nel valore particolare dell’“aspra<br />
oratoria” null’altro che il lato debole del decabrismo, e<br />
li giu<strong>di</strong>cassimo con lo stesso metro con cui Černysˇevskij<br />
giu<strong>di</strong>cava gli eroi <strong>di</strong> Turgenev. Il nostro compito<br />
non è quello, privo <strong>di</strong> senso, <strong>di</strong> “condannare” o <strong>di</strong> “assolvere”<br />
<strong>per</strong>sonaggi i cui nomi appartengono ormai alla<br />
storia, bensì quello <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> chiarire la sopraddetta<br />
peculiarità.<br />
I contemporanei non si limitavano a porre in rilievo<br />
la “loquacità” dei decabristi: essi sottolineavano anche<br />
l’aspra franchezza dei loro giu<strong>di</strong>zi, la categoricità <strong>delle</strong><br />
sentenze, la tendenza “sconveniente” dal punto <strong>di</strong> vista<br />
<strong>delle</strong> norme del gran mondo, a chiamare le cose col loro<br />
nome, evitando le convenzioni eufemistiche <strong>delle</strong><br />
formule mondane, la loro aspirazione costante a esprimere<br />
senza tanti rigiri la loro opinione, incuranti del rituale<br />
avallato dalla consuetu<strong>di</strong>ne e <strong>della</strong> gerarchia osservata<br />
nel comportamento linguistico mondano. Per<br />
questa asprezza e <strong>per</strong> l’ostentata trascuranza del “galateo<br />
linguistico” era celebre Nikolaj Turgenev. Negli<br />
ambienti vicini ai decabristi la marcata inurbanità e<br />
“sgarbatezza” del comportamento linguistico erano definite<br />
come comportamento “spartano” o “romano”,<br />
ed erano contrapposte a quello “francese”, valutato in<br />
termini negativi.<br />
I temi, che nella conversazione mondana erano interdetti<br />
oppure trattati eufemisticamente (<strong>per</strong> esempio, il<br />
potere dei proprietari terrieri, e il favoritismo nei pubblici<br />
uffici ecc.) <strong>di</strong>ventavano oggetto <strong>di</strong> a<strong>per</strong>ta <strong>di</strong>scussio-
194 JURIJ M. LOTMAN<br />
ne. Il fatto è che il comportamento <strong>della</strong> società nobiliare,<br />
europeizzata, dell’epoca <strong>di</strong> Alessandro I, era essenzialmente<br />
duplice. Nella sfera <strong>delle</strong> idee e del “linguaggio<br />
ideologico” erano state assimilate le norme <strong>della</strong> cultura<br />
europea cresciuta sul terreno dell’Illuminismo settecentesco.<br />
La sfera del comportamento pratico, legata<br />
alla consuetu<strong>di</strong>ne, all’ambiente quoti<strong>di</strong>ano, alle con<strong>di</strong>zioni<br />
reali dell’economia feudale, alle reali circostanze<br />
del servizio statale, esulava dal dominio dell’interpretazione<br />
ideologica, dal punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> quale essa “era<br />
come se non esistesse”. Ovviamente, nella pratica linguistica<br />
essa si collegava all’elemento orale, colloquiale, non<br />
trovando che un minimo riscontro in testi <strong>di</strong> alto valore<br />
culturale. Si venne così formando <strong>una</strong> gerarchia <strong>di</strong> comportamenti<br />
strutturata secondo il principio <strong>di</strong> accrescimento<br />
del valore culturale (il che coincideva con un aumento<br />
del grado <strong>di</strong> semioticità). Nello stesso tempo si<br />
separava uno strato inferiore, puramente pratico, che<br />
dal punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> coscienza teorizzante “era come<br />
se non esistesse”.<br />
Era proprio questa pluralità <strong>di</strong> comportamenti, la<br />
possibilità <strong>di</strong> scegliere uno stile <strong>di</strong> comportamento a seconda<br />
<strong>della</strong> situazione, la duplicità inerente alla <strong>di</strong>stinzione<br />
fra il pratico e l’ideologico, a caratterizzare il russo<br />
d’avanguar<strong>di</strong>a dell’inizio del XIX secolo. Ed era tutto<br />
questo a <strong>di</strong>fferenziarlo dal rivoluzionario d’estrazione<br />
nobiliare (si tratta <strong>di</strong> <strong>una</strong> questione <strong>di</strong> grande importanza,<br />
poiché è facile <strong>di</strong>stinguere il tipo <strong>di</strong> comportamento<br />
<strong>di</strong> Skotinin [<strong>per</strong>sonaggio rozzo e retrivo del Minorenne<br />
<strong>di</strong> Fonvizin (N.d.T.)] dalla figura <strong>di</strong> Ryleev; ha molto<br />
più significato contrapporre Ryleev a Del’vig, oppure<br />
Nikolaj Turgenev al fratello Aleksandr).<br />
Il decabrista col suo comportamento eliminava la gerarchicità<br />
e la varietà <strong>di</strong> stili dell’agire. Prima <strong>di</strong> tutto veniva<br />
eliminata la <strong>di</strong>fferenza tra linguaggio scritto e parlato:<br />
l’alto grado <strong>di</strong> organizzazione, la terminologia politi-
IL DECABRISTA NELLA VITA 195<br />
ca rigorosa, la compiutezza sintattica del <strong>di</strong>scorso scritto<br />
erano trasferite nella sfera orale. Non senza fondamento<br />
Famusov poteva <strong>di</strong>re che Čackij “parla come scrive”.<br />
Non si tratta in questo caso <strong>di</strong> <strong>una</strong> semplice battuta,<br />
poiché il linguaggio <strong>di</strong> Čackij si <strong>di</strong>stingue nettamente dai<br />
<strong>di</strong>scorsi degli altri <strong>per</strong>sonaggi proprio <strong>per</strong> il suo carattere<br />
libresco. Egli parla come scrive in quanto vede il<br />
mondo nelle sue manifestazioni ideologiche anziché in<br />
quelle quoti<strong>di</strong>ane.<br />
Al tempo stesso il comportamento puramente pratico<br />
non <strong>di</strong>ventava soltanto oggetto <strong>di</strong> interpretazione nei<br />
termini e nei concetti <strong>di</strong> carattere ideologico e filosofico,<br />
ma acquistava anche un valore segnico, passando<br />
dalla sfera <strong>delle</strong> azioni non valutate nel novero degli atti<br />
interpretati come “nobili” ed “elevati” oppure “<strong>di</strong>sgustosi”,<br />
“infami” (nella terminologia <strong>di</strong> Nikolaj Turgenev)<br />
e “abietti” 3 .<br />
Facciamo un esempio estremamente espressivo.<br />
Pusˇkin annotò questa sintomatica conversazione: “Una<br />
volta Del’vig invitò Ryleev in <strong>una</strong> casa <strong>di</strong> piacere. – Sono<br />
sposato, – rispose Ryleev. – E con questo? – ribatté Del’vig.<br />
– Non puoi andare al ristorante solo <strong>per</strong>ché a casa<br />
hai la cucina?” (Pusˇkin 1949, p. 159).<br />
Questo <strong>di</strong>alogo tra Del’vig e Ryleev è interessante<br />
non tanto <strong>per</strong> <strong>una</strong> ricostruzione dei reali aspetti biografici<br />
del loro comportamento (entrambi erano uomini vivi,<br />
le cui azioni potevano essere regolate da numerosi<br />
fattori e dare luogo, al livello <strong>delle</strong> scelte quoti<strong>di</strong>ane, a<br />
<strong>una</strong> quantità innumerevole <strong>di</strong> varianti), quanto <strong>per</strong> <strong>una</strong><br />
comprensione del loro atteggiamento verso il principio<br />
stesso del comportamento. Siamo <strong>di</strong> fronte a uno scontro<br />
tra un atteggiamento “lu<strong>di</strong>co” e uno “serio” verso la<br />
vita. Ryleev è uomo <strong>di</strong> comportamento serio. Non soltanto<br />
nella sfera rarefatta <strong>delle</strong> costruzioni ideologiche,<br />
ma anche nella vita quoti<strong>di</strong>ana questo orientamento presuppone<br />
che a ogni situazione significativa corrisponda
196 JURIJ M. LOTMAN<br />
un’unica norma <strong>di</strong> azione corretta. Del’vig, come i membri<br />
dell’“Arzamas” o <strong>della</strong> “Lampada verde” [Circoli<br />
letterari pietroburghesi del primo Ottocento (N.d.T.)],<br />
mette viceversa in atto un comportamento lu<strong>di</strong>co sostanzialmente<br />
ambivalente, trasferendo nella vita reale la<br />
situazione del gioco, che in determinate circostanze autorizza<br />
la sostituzione convenzionale <strong>di</strong> un comportamento<br />
“corretto” con quello opposto.<br />
I decabristi coltivavano la serietà come norma <strong>di</strong> comportamento.<br />
Non <strong>per</strong> nulla Zavalisˇin (1908, p. 10) rilevava<br />
che egli “era sempre stato serio” e “non aveva mai giocato”<br />
neppure in tenera età. Altrettanto negativo era l’atteggiamento<br />
dei decabristi verso il gioco verbale come<br />
forma <strong>di</strong> comportamento linguistico. Nel citato scambio<br />
<strong>di</strong> battute i due interlocutori parlano, a ben guardare, due<br />
lingue <strong>di</strong>verse: Del’vig non chiede che le sue parole vengano<br />
prese sul serio, come enunciazione <strong>di</strong> principi morali:<br />
a lui interessa l’arguzia dell’espressione, il mot. Ryleev<br />
invece non può gustare un paradosso quando si tratta <strong>di</strong><br />
verità etiche e ogni sua <strong>di</strong>chiarazione è un programma.<br />
Con estrema chiarezza l’antitesi tra gioco e impegno<br />
civile fu espressa da Milonov in un’epistola a Z ˇ ukovskij,<br />
da cui appare fino a che punto fosse <strong>di</strong>venuta cosciente<br />
la spaccatura che <strong>di</strong>videva la giovane letteratura progressista.<br />
(...) ostanemsja my kazˇdyi pri svoëm –<br />
S galimat’ëju ty, a ja s parnasskim zˇalom;<br />
Zovis’ ty Schiller’om, zovus’ ja Juvenalom;<br />
Potomstvo su<strong>di</strong>t nas, a ne tvoi druz’ja,<br />
A Bludov, kazˇetsja, mezˇ nami ne sud’ja.<br />
(Milonov 1971, p. 537)<br />
[(...) ognuno resti con quel che ha: / Tu con l’astrusità, io<br />
con l’aculeo del Parnaso; / Sii pure Schiller, io sarò Giovenale;<br />
/ I posteri ci giu<strong>di</strong>cheranno, non gli amici tuoi, / E<br />
Bludov tra noi non fa da giu<strong>di</strong>ce].
IL DECABRISTA NELLA VITA 197<br />
Abbiamo qui un para<strong>di</strong>gma completo <strong>di</strong> opposizioni:<br />
astrusità (gioco verbale, scherzo fine a se stesso) e satira,<br />
elevata, impegnata e seria; Schiller (qui in quanto autore <strong>di</strong><br />
ballate, tradotte da Z ˇ ukovskij); si veda nell’articolo <strong>di</strong> Küchelbecker<br />
(Kjuchel’beker) Onapravlenii nasˇej poezii (Sulla<br />
tendenza <strong>della</strong> nostra poesia...) lo sprezzante giu<strong>di</strong>zio su<br />
Schiller come autore <strong>di</strong> ballate e modello <strong>di</strong> Z ˇ ukovskij (“il<br />
non maturato Schiller”) 4 , il cui nome si associa agli intrecci<br />
fantastici <strong>delle</strong> ballate e Giovenale visto come poeta-citta<strong>di</strong>no;<br />
il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> un’élite letteraria, l’opinione <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
cerchia ristretta e chiusa (sull’irritazione che seguaci <strong>di</strong> Karamzin<br />
provocavano nei loro avversari con l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />
richiamarsi all’opinione <strong>di</strong> “illustri amici” ha lasciato chiara<br />
testimonianza Nikolaj Polevoj) 5 e l’opinione dei posteri.<br />
Per farsi un’idea completa del significato dell’antitesi delineata<br />
da Milonov basta ricordare che qualcosa <strong>di</strong> molto<br />
somigliante (compreso l’attacco a Bludov) si trova in <strong>una</strong><br />
critica rivolta da Pusˇkin a Z ˇ ukovskij all’inizio degli anni<br />
Venti (ve<strong>di</strong> la lettera a Z ˇ ukovskij, datata 20 aprile 1825).<br />
Per Del’vig la visita a “<strong>una</strong> casa <strong>di</strong> piacere” entra nella<br />
sfera del comportamento quoti<strong>di</strong>ano, che non ha alcun<br />
rapporto con quello ideologico. La possibilità <strong>di</strong> essere<br />
uno nella poesia e un altro nella vita non è da lui<br />
considerata un dualismo e non getta ombra sul carattere<br />
nel suo complesso. Il comportamento <strong>di</strong> Ryleev è invece<br />
<strong>per</strong> principio unitario, e <strong>per</strong> lui un simile atto sarebbe<br />
equivalso a un riconoscimento teorico del <strong>di</strong>ritto all’amoralità.<br />
Quel che <strong>per</strong> Del’vig non ha significato (non è<br />
segno), <strong>per</strong> Ryleev sarebbe veicolo <strong>di</strong> contenuto ideologico.<br />
Così la <strong>di</strong>vergenza tra il libertario Del’vig e il rivoluzionario<br />
Ryleev si evidenzia non solo sul piano <strong>delle</strong><br />
idee o <strong>delle</strong> concezioni teoriche, ma anche nella qualità<br />
del loro comportamento quoti<strong>di</strong>ano. La scuola <strong>di</strong> Karamzin<br />
aveva affermato la varietà dei comportamenti e il<br />
loro avvicendarsi come norma dell’atteggiamento poetico<br />
verso la vita. Karamzin scriveva:
198 JURIJ M. LOTMAN<br />
Čuvstvitel’noj dusˇe ne srodno l’izmenjat’sja?<br />
Ona mjagka kak vosk, kak zerkalo jasna (...)<br />
Nel’zja ej dlja tebja e<strong>di</strong>noju kazat’sja (...).<br />
(Karamzin 1966, pp. 242-243)<br />
[Di un’anima sensibile non proprio il mutare? / È molle<br />
come cera e come specchio chiara... / Essa non può <strong>per</strong> te<br />
apparire sempre uguale (...)].<br />
Per il romanticismo poetica era invece l’unità del<br />
comportamento, l’in<strong>di</strong>pendenza degli atti dalle circostanze.<br />
“Uno era ovunque, freddo, immutabile”, scrisse Lermontov<br />
<strong>di</strong> Napoleone (1954, p. 183). E Bestuzev a<br />
Pusˇkin: “Sii te stesso” (Pusˇkin 1937b, p. 142). Il sacerdote<br />
Myslovskij, tra le sue osservazioni sul comportamento<br />
<strong>di</strong> Pestel durante l’istruttoria, annota: “Sempre e<br />
dovunque era uguale a se stesso. Nulla faceva vacillar la<br />
sua fermezza” 6 .<br />
D’altra parte l’ideale romantico dell’unità <strong>di</strong> comportamento<br />
non <strong>di</strong>scordava dal concetto classicistico<br />
<strong>di</strong> eroismo, coincidendo anzi col principio dell’“unità<br />
d’azione”. Il “proteismo” karamziniano s’avvicinava in<br />
questo senso alla “pluralità <strong>di</strong> piani” del realismo.<br />
Pusˇkin, contrapponendo l’uni<strong>di</strong>mensionalità del comportamento<br />
dei <strong>per</strong>sonaggi <strong>di</strong> Molière alla poliedrica<br />
vitalità dei <strong>per</strong>sonaggi <strong>di</strong> Shakespeare, scrisse in un<br />
ben noto appunto: “Le figure create da Shakespeare<br />
non sono come in Molière tipi <strong>di</strong> <strong>una</strong> passione, <strong>di</strong> un<br />
vizio; ma esseri vivi, ricolmi <strong>di</strong> molte passioni e <strong>di</strong> molti<br />
vizi; le circostanze <strong>di</strong>spiegano <strong>di</strong>nnanzi allo spettatore<br />
i loro caratteri multiformi e poliedrici” (Pusˇkin<br />
1949, p. 159).<br />
Inoltre, se l’artista, classico o romantico, nel passare<br />
dall’es<strong>per</strong>ienza <strong>di</strong> vita al testo poetico da lui creato raccoglieva<br />
consapevolmente un solo piano, poiché lo riteneva<br />
l’unico degno <strong>di</strong> rappresentazione letteraria, nel
IL DECABRISTA NELLA VITA 199<br />
passaggio inverso, cioè dalla <strong>per</strong>cezione del testo da<br />
parte <strong>di</strong> un lettore al comportamento <strong>di</strong> questo lettore,<br />
ha luogo <strong>una</strong> trasformazione: il lettore, <strong>per</strong>cependo il<br />
testo come programma del suo proprio comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano, presuppone che certi aspetti dell’attività<br />
pratica nell’ideale non devono trovare posto. Il fatto<br />
che il testo non ne parli è <strong>per</strong>cepito come un invito a<br />
escludere determinati tipi <strong>di</strong> attività dal comportamento<br />
reale. Così, ad esempio, la rinuncia al genere dell’elegia<br />
amorosa nella poesia, poté essere <strong>per</strong>cepita come invito<br />
a rinunciare all’amore nella vita. Va sottolineata la<br />
generale “letterarietà” del comportamento dei romantici,<br />
la loro tendenza a considerare segnici tutti gli atti.<br />
Questo, da <strong>una</strong> parte, porta a un aumento <strong>della</strong> funzione<br />
del gesto nel comportamento quoti<strong>di</strong>ano. Il “gesto”<br />
è un atto che non tanto, e non soltanto ha <strong>una</strong> finalità<br />
pratica, quanto un riferimento a un significato. Il gesto<br />
è sempre segno e simbolo. Perciò ogni azione sulla<br />
scena, compresa quella che imita il completo affrancamento<br />
<strong>della</strong> teleologia scenica, è gesto; il suo significato<br />
è l’idea dell’autore.<br />
Da questo punto <strong>di</strong> vista il comportamento quoti<strong>di</strong>ano<br />
del decabrista a un osservatore moderno sembrerebbe<br />
teatrale, calcolato <strong>per</strong> uno spettatore. Ma si deve ben<br />
capire che la “teatralità” del comportamento non significa<br />
affatto <strong>una</strong> sua insincerità o <strong>una</strong> qualsiasi altra caratteristica<br />
negativa.<br />
È soltanto un segnale del fatto che il comportamento<br />
acquista un senso sovraquoti<strong>di</strong>ano, <strong>di</strong>venta cioè oggetto<br />
d’attenzione, e a essere valutati non sono gli atti, ma il<br />
loro senso simbolico. D’altro lato, nel comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano del decabrista, si invertono i consueti rapporti<br />
tra parola e azione.<br />
Nel corrente comportamento linguistico <strong>di</strong> quell’epoca<br />
il rapporto tra atti e <strong>di</strong>scorsi si configurava secondo<br />
questo schema:
200 JURIJ M. LOTMAN<br />
espressione → contenuto<br />
parola → azione<br />
La parola, designando l’azione, tende a commutazioni<br />
<strong>di</strong> carattere eufemistico, <strong>per</strong>ifrastico o metaforico. Si<br />
genera così, da <strong>una</strong> parte il linguaggio corrente del gran<br />
mondo col suo “si servì del fazzoletto” al margine sociale<br />
inferiore e con le denominazioni francesi <strong>per</strong> azioni<br />
“russe” a quello su<strong>per</strong>iore. Il nesso – genetico e tipologico<br />
– tra questo linguaggio e la scuola <strong>di</strong> Karamzin era<br />
colto con chiarezza dai contemporanei che accusavano<br />
parimenti <strong>di</strong> leziosità sia il linguaggio letterario dei karamzinisti<br />
sia quello del gran mondo. La tendenza ad allentare<br />
e a “scollare” il legame tra la parola e il suo referente,<br />
propria del linguaggio del gran mondo, spinse<br />
sempre Lev Tolstoj a smascherare l’ipocrisia dei <strong>di</strong>scorsi<br />
dei <strong>per</strong>sonaggi dell’alta società.<br />
D’altra parte, sul medesimo principio <strong>di</strong> “nobilitazione”<br />
verbale <strong>di</strong> <strong>una</strong> bassezza si costruiva il linguaggio<br />
cancelleresco, che usava l’espressione “l’agnellino incartato”<br />
<strong>per</strong> in<strong>di</strong>care la bustarella, che eufemisticamente <strong>di</strong>ceva<br />
“qui ci vuole un rapporto” nel senso <strong>di</strong> “bisogna<br />
aumentare la somma”, e attribuiva ai verbi “dare” e<br />
“prendere” specifiche accezioni. Si veda il coro dei funzionari<br />
in Jabeda [Il Cavillo] <strong>di</strong> Kapnist:<br />
Beri, bol’sˇoj tut net nauki;<br />
Beri čto tol’ko mozˇno vzjat’.<br />
Na čto zˇ privesˇeny nam ruki,<br />
Kak ne na to, čtob brat’?<br />
(Kapnist 1960, p. 358)<br />
[Pren<strong>di</strong>, non ci vuol molto a farlo; / Pren<strong>di</strong> tutto quel che<br />
si può. / Perché mai le mani ci son date / Se non <strong>per</strong> prendere?]<br />
Vjazemskij (1929, p. 105) così commentava questi versi:
IL DECABRISTA NELLA VITA 201<br />
Qui non c’è bisogno <strong>di</strong> ulteriori spiegazioni: è chiaro <strong>di</strong><br />
che “prendere” si tratta. Anche il verbo “bere” equivale<br />
naturalmente al verbo “ubriacarsi” (...). Un capoufficio <strong>di</strong>ceva<br />
che quando doveva firmare i fogli matricolari del <strong>per</strong>sonale<br />
e apporre la qualifica “idoneo” e “meritevole”, era<br />
sovente tentato <strong>di</strong> aggiungere: “idoneo a qualsiasi porcheria”,<br />
“meritevole <strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>sprezzo”.<br />
Su questa base il linguaggio burocratico si trasformava<br />
talvolta in lingua esoterica, simile a quella sacerdotale<br />
e iniziatica. Si esigeva dal pubblico non solo il rispetto<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> prassi (elargizione <strong>della</strong> bustarella), ma<br />
anche la capacità <strong>di</strong> decifrare gli enigmi sul modello dei<br />
quali si costruiva il gergo dei funzionari. Su questo<br />
principio si regge, <strong>per</strong> esempio, il <strong>di</strong>alogo tra Varravin e<br />
Muromskij Delo [L’Affare] <strong>di</strong> Suchovo-Kobylin. Si veda<br />
un esempio <strong>di</strong> questo linguaggio burocratico in C ˇ echov:<br />
“– Dacci, caro, mezza rarità e ventiquattro <strong>di</strong>spiaceri.<br />
Poco dopo il cameriere servì su vassoio mezza bottiglia<br />
<strong>di</strong> vodka e alcuni piatti <strong>di</strong> antipasti assortiti. – Ecco,<br />
bello mio, – gli <strong>di</strong>sse Počatkin, – dacci <strong>una</strong> porzione<br />
<strong>della</strong> maestra <strong>di</strong> calunnia e mal<strong>di</strong>cenza con puré <strong>di</strong> patate”<br />
(C ˇ echov 1962, p. 506).<br />
Il comportamento linguistico del decabrista era<br />
estremamente specifico. Abbiamo già rilevato che un<br />
suo tratto caratteristico era la tendenza a nominare ciò<br />
che, pur effettuandosi nella sfera quoti<strong>di</strong>ana, <strong>di</strong>ventava<br />
un tabù nel linguaggio. Questa nominazione aveva tuttavia<br />
un suo carattere specifico e non era accompagnata<br />
dalla riabilitazione del lessico basso, volgare o anche<br />
semplicemente quoti<strong>di</strong>ano. Nella coscienza del decabrista<br />
era insita <strong>una</strong> netta polarizzazione <strong>delle</strong> valutazioni<br />
morali e politiche: ogni azione veniva a trovarsi nel<br />
campo dell’“abiezione”, <strong>della</strong> “viltà”, <strong>della</strong> “tirannia”,<br />
oppure del “liberalismo”, dei “lumi”, dell’“eroismo”.<br />
Non si davano azioni neutre o irrilevanti e non se ne<br />
presupponeva la possibilità.
202 JURIJ M. LOTMAN<br />
Le azioni prive <strong>di</strong> designazione verbale, da <strong>una</strong> parte,<br />
e quelle designate in modo eufemistico e metaforico,<br />
dall’altra, ricevono etichette verbali univoche. L’insieme<br />
<strong>di</strong> queste designazioni è relativamente esiguo e coincide<br />
con il lessico etico-politico del decabrismo. Ne consegue,<br />
in primo luogo, che il comportamento quoti<strong>di</strong>ano<br />
cessa <strong>di</strong> essere soltanto quoti<strong>di</strong>ano: esso assume un alto<br />
significato etico-politico; in secondo luogo, i consueti<br />
rapporti tra il piano dell’espressione e quello del contenuto<br />
<strong>per</strong> quel che riguarda il comportamento mutano:<br />
non è la parola a designare l’azione, ma l’azione a designare<br />
la parola:<br />
espressione → contenuto<br />
azione → parola<br />
È importante sottolineare che a <strong>di</strong>ventare contenuto,<br />
non è il pensiero, la valutazione dell’atto, ma proprio la<br />
parola, anzi la parola pronunciata in pubblico: il decabrista<br />
non s’accontenta <strong>di</strong> criticare, in cuor suo, tra sé e<br />
sé, ogni manifestazione del “secolo <strong>per</strong>ento”. Egli chiama<br />
pubblicamente le cose col loro nome, “tuona” ai balli<br />
e in società, dal momento che proprio in questa nominazione<br />
egli vede la liberazione dell’uomo e l’inizio <strong>della</strong><br />
trasformazione <strong>della</strong> società. Quin<strong>di</strong> la <strong>per</strong>entorietà, <strong>una</strong><br />
certa ingenuità, la facilità a cadere in situazioni ri<strong>di</strong>cole<br />
(dal punto <strong>di</strong> vista del gran mondo) sono compatibili col<br />
comportamento del decabrista non meno dell’asprezza,<br />
dell’orgoglio, e <strong>per</strong>sino dell’alterigia. Ma esso esclude<br />
assolutamente l’ambiguità, le acrobazie concettuali, la<br />
capacità <strong>di</strong> “stare al gioco” non soltanto alla maniera <strong>di</strong><br />
Molčalin, ma anche secondo lo stile <strong>di</strong> Pëtr Verchovenskij<br />
[Molčalin, <strong>per</strong>sonaggio del Che <strong>di</strong>sgrazia l’ingegno!<br />
<strong>di</strong> Griboedov: il tipo del conformista e del piaggiatore.<br />
Verchovenskij è un <strong>per</strong>sonaggio dei Demoni <strong>di</strong> Dostoevskij<br />
(N.d.T.)].
IL DECABRISTA NELLA VITA 203<br />
Può sembrare che questa caratteristica sia valida non<br />
<strong>per</strong> il decabrista in generale, ma soltanto <strong>per</strong> quello del<br />
<strong>per</strong>iodo <strong>della</strong> Lega <strong>della</strong> Pros<strong>per</strong>ità, quando l’“oratoria<br />
alle feste da ballo” rientrava nei progetti <strong>delle</strong> società segrete.<br />
È noto che nel corso dell’ulteriore evoluzione tattica<br />
<strong>di</strong> queste società l’accento venne spostato sulla cospirazione.<br />
La nuova tattica sostituì il propagan<strong>di</strong>sta<br />
mondano col congiurato.<br />
Si deve <strong>per</strong>ò rilevare che il mutamento nella sfera <strong>della</strong><br />
tattica non determinò <strong>una</strong> svolta ra<strong>di</strong>cale nello stile del<br />
comportamento: fattosi cospiratore e congiurato, il decabrista<br />
non <strong>per</strong> questo cominciava a comportarsi nei salotti<br />
“come tutti”. Nessun fine cospirativo poteva indurlo<br />
a far proprio il modo <strong>di</strong> comportarsi <strong>di</strong> un Molčalin.<br />
Pur esprimendo le sue valutazioni non più con un’ardente<br />
filippica, ma con <strong>una</strong> parola sprezzante o con <strong>una</strong><br />
smorfia, nella vita d’ogni giorno continuava a comportarsi<br />
da “carbonaro”. E poiché il comportamento quoti<strong>di</strong>ano<br />
non poteva essere oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>rette accuse politiche,<br />
non veniva nascosto, ma anzi veniva accentuato e così si<br />
trasformava in un segno <strong>di</strong> riconoscimento.<br />
Zavalisˇin, giunto nel 1824 a Pietroburgo dopo un<br />
viaggio intorno al mondo, si comportò in modo tale (<strong>per</strong><br />
<strong>di</strong> più proprio nell’ambito <strong>della</strong> vita privata e quoti<strong>di</strong>ana:<br />
egli rifiutò <strong>di</strong> valersi <strong>di</strong> <strong>una</strong> lettera <strong>di</strong> raccomandazione<br />
<strong>per</strong> Arakčeev) che quest’ultimo <strong>di</strong>sse a Baten’kov:<br />
“Ma guarda questo Zavalisˇin! Sta’ a sentire quel che ti<br />
<strong>di</strong>co, Gavrilo Stepanovič: o è uno spocchioso <strong>di</strong> tre cotte,<br />
tal quale suo padre, oppure un liberale” (Zavalisˇin<br />
1908, p. 68). Qui è sintomatico già il fatto che, secondo<br />
Arakčeev, uno “spocchioso” e un “liberale” debbano<br />
comportarsi alla stessa maniera. Ma curiosa è anche<br />
un’altra circostanza: col suo modo <strong>di</strong> comportarsi Zavalisˇin,<br />
prima ancora <strong>di</strong> intraprendere un’attività politica,<br />
si era, <strong>per</strong> così <strong>di</strong>re, smascherato. Tuttavia a nessuno dei<br />
suoi amici decabristi venne in mente <strong>di</strong> fargliene <strong>una</strong>
204 JURIJ M. LOTMAN<br />
colpa, sebbene essi non fossero più gli esaltati propagan<strong>di</strong>sti<br />
dell’epoca <strong>della</strong> Lega <strong>della</strong> Pros<strong>per</strong>ità, ma dei<br />
cospiratori che si preparavano a interventi risolutivi. Anzi,<br />
se Zavalisˇin dando prova <strong>di</strong> capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssimulazione,<br />
fosse andato a rendere omaggio ad Arakčeev, il suo<br />
contegno avrebbe suscitato, con ogni probabilità, riprovazione<br />
e lui stesso avrebbe attirato su <strong>di</strong> sé il sospetto.<br />
È sintomatico che la <strong>di</strong>mestichezza <strong>di</strong> Baten’kov con<br />
Arakčeev era malvista nell’ambiente dei congiurati.<br />
Ecco un altro esempio significativo: nel 1824 Katenin<br />
non approva il carattere <strong>di</strong> Čackij proprio <strong>per</strong> quel<br />
suo essere un “propagan<strong>di</strong>sta alle feste da ballo” nel<br />
quale la Nečkina ha visto giustamente <strong>una</strong> manifestazione<br />
dei meto<strong>di</strong> tattici <strong>della</strong> Lega <strong>della</strong> Pros<strong>per</strong>ità:<br />
“Čackij è il <strong>per</strong>sonaggio principale <strong>della</strong> comme<strong>di</strong>a.<br />
L’autore lo ha <strong>di</strong>segnato con amore [In italiano nel testo<br />
(N.d.T.)], e vede in esso tutte le virtù e nessun vizio, ma<br />
a parer mio egli parla troppo, vitu<strong>per</strong>a tutto e a sproposito”<br />
(Katenin 1911, p. 77). Tuttavia, non più <strong>di</strong> qualche<br />
mese prima <strong>della</strong> formulazione <strong>di</strong> questo giu<strong>di</strong>zio<br />
(non abbiamo alcun motivo <strong>di</strong> ritenere che in questo<br />
lasso <strong>di</strong> tempo le sue idee abbiano subito <strong>una</strong> qualche<br />
evoluzione) Katenin, esortando l’amico Bachtin a intervenire<br />
nella polemica letteraria a viso a<strong>per</strong>to, senza<br />
pseudonimi, con non comune franchezza espresse l’esigenza<br />
<strong>di</strong> manifestare a<strong>per</strong>tamente le proprie convinzioni<br />
non con le parole soltanto, ma anche con tutto un<br />
modo <strong>di</strong> comportarsi:<br />
Il dovere adesso impone <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere i propri <strong>di</strong>ritti e la<br />
giusta causa, <strong>di</strong> <strong>di</strong>re la verità senza timore, <strong>di</strong> elogiare il<br />
bene e fustigare il male non soltanto nei libri, ma anche<br />
nelle azioni, <strong>di</strong> ripetere loro il già detto, <strong>di</strong> ripeterlo immancabilmente,<br />
affinché i furfanti non possano far finta <strong>di</strong><br />
non aver sentito, <strong>di</strong> costringerli a gettar la maschera e <strong>di</strong><br />
accettare la sfida e allora <strong>di</strong> dargliene <strong>di</strong> santa ragione (p.<br />
31, c.vo Lotman).
IL DECABRISTA NELLA VITA 205<br />
Poco importa che poi, <strong>per</strong> “giusta causa”, Katenin<br />
intendesse la propaganda del proprio programma letterario<br />
e <strong>delle</strong> proprie benemerenze nel campo <strong>delle</strong> lettere.<br />
Se un argomento puramente <strong>per</strong>sonale poteva essere<br />
espresso con simili parole, queste stesse espressioni dovevano<br />
essere già <strong>di</strong>ventate, nel loro contenuto generale,<br />
la parola d’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tutta <strong>una</strong> generazione.<br />
Il fatto che proprio il comportamento quoti<strong>di</strong>ano <strong>per</strong>metta<br />
in molti casi ai giovani liberali <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere “uno<br />
dei loro” dall’“oscurantista” è caratteristico proprio <strong>della</strong><br />
cultura nobiliare, la quale aveva creato un sistema estremamente<br />
complesso e ramificato <strong>di</strong> segni <strong>di</strong> comportamento.<br />
Ma in questo stesso fatto si manifestavano anche i<br />
tratti specifici che <strong>di</strong>stinguono il decabrista in quanto rivoluzionario<br />
<strong>di</strong> estrazione nobiliare. È caratteristico che il<br />
comportamento quoti<strong>di</strong>ano fosse <strong>di</strong>ventato uno dei criteri<br />
<strong>di</strong> selezione dei can<strong>di</strong>dati alle società segrete. Derivava<br />
<strong>di</strong> qui quello spirito cavalleresco tipico dei decabristi<br />
che, da un lato, alimentò il fascino morale <strong>della</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />
decabrista nella cultura russa, ma, dall’altro, rese loro<br />
un cattivo servizio nelle tragiche circostanze dell’istruttoria,<br />
tramutandosi inaspettatamente in instabilità <strong>di</strong> carattere:<br />
essi non erano psicologicamente preparati ad agire<br />
in <strong>una</strong> situazione <strong>di</strong> abiezione legalizzata.<br />
La gerarchia degli elementi significativi del comportamento<br />
consta <strong>della</strong> successione: gesto-azione-testo<br />
comportamentale. Quest’ultimo va inteso come <strong>una</strong><br />
compiuta catena <strong>di</strong> azioni dotate <strong>di</strong> senso compresa tra<br />
l’intenzione e il risultato. Nel comportamento reale <strong>delle</strong><br />
<strong>per</strong>sone, complesso e governato da numerosi fattori, i<br />
testi comportamentali possono rimanere incompiuti,<br />
trasformarsi in nuovi e intersecarsi con altri paralleli. Ma<br />
a livello dell’ideale interpretazione che l’uomo dà del<br />
proprio comportamento essi formano sempre intrecci<br />
compiuti e dotati <strong>di</strong> senso, altrimenti l’attività finalizzata
206 JURIJ M. LOTMAN<br />
dell’uomo sarebbe impossibile. Quin<strong>di</strong> a ogni testo <strong>di</strong><br />
comportamento a livello <strong>delle</strong> azioni corrisponde un determinato<br />
programma <strong>di</strong> comportamento a livello <strong>delle</strong><br />
intenzioni. I rapporti tra queste categorie possono assumere<br />
un carattere assai complesso, che in ultima analisi<br />
<strong>di</strong>pende anche dal tipo <strong>di</strong> <strong>una</strong> data cultura. Esse possono<br />
avvicinarsi (nel caso in cui la realtà e la sua interpretazione<br />
tendono a “parlare un linguaggio comune”) oppure<br />
a <strong>di</strong>vergere in modo consapevole (o inconsapevole).<br />
Nel secondo caso rientra sia la romantica “frattura<br />
tra sogno e realtà” (Gogol’): la <strong>di</strong>vergenza dei “testi <strong>di</strong><br />
comportamento” e dei sogni (programmi <strong>di</strong> comportamento)<br />
del pittore Piskarëv <strong>della</strong> Prospettiva Nevskij<br />
(Nevskij prospekt), sia la compensazione <strong>di</strong> uno squallido<br />
comportamento con allettanti programmi spacciati<br />
<strong>per</strong> realtà (le bugie <strong>di</strong> Chlestakov o i ricor<strong>di</strong> del generale<br />
Ivolgin) [Chlestakov, protagonista del Revisore <strong>di</strong> Gogol’;<br />
Ivolgin <strong>per</strong>sonaggio dell’I<strong>di</strong>ota <strong>di</strong> Dostoevskij<br />
(N.d.T.)]. Una variante tragica <strong>di</strong> questo caso è costituita<br />
dalle memorie <strong>di</strong> Zavalisˇin. Ricor<strong>di</strong>amo che il principe<br />
Mysˇkin non sbugiarda il generale né lo deride – come<br />
fa Gogol’ col proprio eroe – ma prende sul serio i suoi<br />
racconti come “atti compiuti nell’intenzione”; alle sfrenate<br />
menzogne del generale che afferma <strong>di</strong> aver influito<br />
su Napoleone, egli reagisce <strong>di</strong>cendo “Avete fatto benissimo<br />
(...). Tra tanti pensieri malvagi voi gli avete ispirato<br />
un nobile sentimento” (Dostoevskij 1973, p. 417, c.vo<br />
Lotman). Le memorie <strong>di</strong> Zavalisˇin meritano proprio un<br />
atteggiamento del genere.<br />
Il comportamento quoti<strong>di</strong>ano del decabrista non è<br />
comprensibile se non si prendono in considerazione non<br />
solo i gesti e le azioni, ma anche quelle singole e compiute<br />
unità <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne su<strong>per</strong>iore che sono i testi comportamentali.<br />
Come i gesti e le azioni del rivoluzionario <strong>di</strong> estrazione<br />
nobiliare acquistavano <strong>per</strong> lui e <strong>per</strong> gli altri un senso
IL DECABRISTA NELLA VITA 207<br />
in quanto avevano come loro significato la parola, ogni<br />
catena <strong>di</strong> azioni <strong>di</strong>ventava “testo” (acquistava significato),<br />
se la si poteva collegare in modo illuminante con un<br />
determinato soggetto letterario. La morte <strong>di</strong> Cesare, l’eroismo<br />
<strong>di</strong> Catone, la pre<strong>di</strong>cazione e la posa <strong>di</strong> un profeta<br />
accusatore, Tirteo, Ossian o Bajan che cantano davanti<br />
alle schiere alla vigilia <strong>della</strong> battaglia (questo soggetto<br />
si deve a Narezˇnyj), l’ad<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ettore e Andromaca: ecco<br />
i soggetti che conferivano senso a <strong>una</strong> determinata catena<br />
<strong>di</strong> azioni <strong>di</strong> vita.<br />
Questo atteggiamento presupponeva <strong>una</strong> “amplificazione”<br />
<strong>di</strong> tutto il comportamento, <strong>una</strong> <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong><br />
maschere letterarie caratteristiche tra <strong>per</strong>sone reali, l’idealizzazione<br />
del luogo e dello spazio dell’azione (lo<br />
spazio reale veniva <strong>per</strong>cepito attraverso la me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong><br />
quello letterario). Per esempio, nell’epistola <strong>di</strong> Pusˇkin a<br />
Fëdor Glinka, quest’ultimo appare nelle vesti <strong>di</strong> Aristide,<br />
mentre Pietroburgo si trasforma in Atene. Non è<br />
soltanto la situazione concreta a trasformarsi nei versi <strong>di</strong><br />
Pusˇkin, in letteraria, ma anche l’opposto: in <strong>una</strong> situazione<br />
concreta <strong>di</strong>venta significativo (e quin<strong>di</strong> <strong>per</strong>cepibile<br />
a chi vi partecipa) ciò che può essere riferito a un soggetto<br />
letterario. Katenin, <strong>per</strong> esempio, scrive nel 1821 all’amico<br />
Bachtin <strong>di</strong> trovarsi al confino, “non lontano dalla<br />
Siberia” (Katenin 1911, p. 22). Questo assurdo geografico<br />
(il governatore <strong>di</strong> Kostroma, dove Katenin era<br />
confinato, era più vicino a Mosca e Pietroburgo che alla<br />
Siberia, ed entrambi i corrispondenti ovviamente lo sapevano)<br />
si spiega col fatto che a quel tempo la Siberia<br />
era già entrata nella tematica letteraria e nella mitologia<br />
orale <strong>della</strong> cultura russa come luogo <strong>di</strong> confino e così,<br />
veniva associata a decine <strong>di</strong> nomi storici (Ryleev manderà<br />
in Siberia il suo Vojnarovskij, e Pusˇkin vi manda se<br />
stesso nel Colloquio immaginario con Alessandro I [Voobrazˇaemyj<br />
razgovor s Aleksandrom I]). Kostroma, invece,<br />
da questo punto <strong>di</strong> vista non suscita alc<strong>una</strong> associazione.
208 JURIJ M. LOTMAN<br />
Quin<strong>di</strong> come Atene sta <strong>per</strong> Pietroburgo, Kostroma sta<br />
<strong>per</strong> la Siberia, cioè il confino.<br />
Il rapporto tra i vari tipi d’arte e il comportamento<br />
umano si struttura in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi. Se a giustificare un<br />
soggetto realistico vale l’affermazione che proprio così<br />
gli uomini si comportano nella realtà, e il classicismo<br />
presupponeva che ai suoi schemi <strong>di</strong> comportamento gli<br />
uomini dovevano attenersi in un mondo ideale, il romanticismo,<br />
invece, prescriveva al lettore un modo <strong>di</strong><br />
comportarsi anche nella vita quoti<strong>di</strong>ana. Nonostante<br />
l’apparente affinità tra il secondo e il terzo principio, la<br />
<strong>di</strong>fferenza tra essi è assai notevole, poiché il comportamento<br />
ideale dell’eroe del classicismo si attua nello spazio<br />
anch’esso ideale del testo letterario, e solo <strong>una</strong> <strong>per</strong>sonalità<br />
d’eccezione, capace <strong>di</strong> elevarsi all’altezza dell’ideale,<br />
può tentare <strong>di</strong> tradurlo in pratica; <strong>per</strong> la maggioranza<br />
dei lettori e degli spettatori invece il comportamento<br />
dei <strong>per</strong>sonaggi letterari è un ideale sublime, destinato<br />
a nobilitare il loro comportamento pratico, ma<br />
non certo a incarnarvisi.<br />
Il comportamento romantico, sotto questo profilo, è<br />
più accessibile, poiché comprende non soltanto le virtù,<br />
ma anche i vizi illustrati nelle o<strong>per</strong>e letterarie (<strong>per</strong> esempio,<br />
l’egoismo), la cui vistosa ostentazione rientrava nella<br />
norma del “byronismo pratico”:<br />
Lord Byron prichot’ju udačnoj<br />
Oblëk v unylyj romantizm<br />
I bezna dëzˇnyj egoizm (...).<br />
[Lord Byron con felice capriccio / Rivestì <strong>di</strong> melanconico<br />
romanticismo / Anche l’insanabile egoismo (…) (dall’Evgenij<br />
Onegin <strong>di</strong> Pusˇkin) (N.d.T.)].<br />
Il fatto stesso che l’eroe letterario romantico fosse<br />
un contemporaneo agevolava notevolmente, da parte<br />
del lettore, la <strong>per</strong>cezione del testo come programma <strong>di</strong>
IL DECABRISTA NELLA VITA 209<br />
futuro comportamento pratico. I <strong>per</strong>sonaggi <strong>di</strong> Byron,<br />
del Pusˇkin romantico, <strong>di</strong> Marlinskij e <strong>di</strong> Lermontov<br />
ebbero un’intera falange <strong>di</strong> imitatori tra i giovani ufficiali<br />
e funzionari, che ne facevano propri i gesti, la mimica,<br />
i mo<strong>di</strong>. Se l’o<strong>per</strong>a realistica imita la realtà, nel caso<br />
del romanticismo era la realtà a imitare prontamente<br />
la letteratura. Per il realismo un determinato tipo <strong>di</strong><br />
comportamento nasce nella vita e poi penetra nelle pagine<br />
dei testi letterari (Turgenev, <strong>per</strong> esempio, andava<br />
famoso <strong>per</strong> la sua capacità <strong>di</strong> cogliere prima nella vita<br />
reale il nascere <strong>di</strong> nuove norme <strong>di</strong> coscienza e <strong>di</strong> comportamento).<br />
Nell’o<strong>per</strong>a romantica un nuovo tipo <strong>di</strong><br />
comportamento umano nasce nelle pagine del testo e<br />
<strong>di</strong> lì si trasferisce nella vita.<br />
Il comportamento del decabrista recava l’impronta<br />
del romanticismo: le azioni e i testi comportamentali<br />
erano determinati da soggetti rari e situazioni letterarie<br />
modello come “L’ad<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ettore e Andromaca”, “Il<br />
giuramento degli Orazi” ecc., oppure da nomi bastanti,<br />
<strong>di</strong> <strong>per</strong> sé, a suggerire un soggetto. In questo senso<br />
l’esclamazione <strong>di</strong> Pusˇkin: “Ecco Cesare: ma dov’è Bruto?”<br />
era facilmente decifrabile come programma d’azione<br />
futura.<br />
È sintomatico che in molti casi soltanto il ricorso a<br />
modelli letterari ci consente <strong>di</strong> decifrare azioni compiute<br />
da <strong>per</strong>sone <strong>di</strong> quell’epoca, che da un <strong>di</strong>verso punto<br />
<strong>di</strong> vista sarebbero enigmatiche. Così, ad esempio, i contemporanei<br />
e poi anche gli storici più volte rimasero<br />
<strong>per</strong>plessi <strong>di</strong> fronte al gesto <strong>di</strong> C ˇ aadaev che lasciò il servizio<br />
militare nel pieno <strong>della</strong> carriera, dopo l’incontro<br />
con lo zar a Troppau nel 1820. Come è noto, C ˇ aadaev<br />
era aiutante <strong>di</strong> campo del comandante del corpo <strong>di</strong><br />
guar<strong>di</strong>a generale Vasil’čikov. Dopo “la storia del reggimento<br />
Semënovskij” si offrì <strong>di</strong> portare <strong>per</strong>sonalmente<br />
ad Alessandro I, allora al Congresso <strong>di</strong> Troppau, un<br />
rapporto sull’ammutinamento nel corpo <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a. I
210 JURIJ M. LOTMAN<br />
contemporanei videro in ciò il desiderio <strong>di</strong> mettersi in<br />
vista a spese <strong>della</strong> <strong>di</strong>sgrazia dei compagni e degli ex<br />
commilitoni (nel 1812 C ˇ aadaev aveva prestato servizio<br />
nel reggimento Semënovskij).<br />
Se un simile atto da parte <strong>di</strong> un uomo noto <strong>per</strong> la<br />
sua nobiltà d’animo come C ˇ aadaev sembra inesplicabile,<br />
le sue improvvise <strong>di</strong>missioni poco dopo l’incontro<br />
con l’im<strong>per</strong>atore lasciarono tutti sbalor<strong>di</strong>ti. Quanto a<br />
C ˇ aadaev, in <strong>una</strong> lettera del 2 gennaio 1821 alla zia S ˇ čerbatova,<br />
così spiegava il suo atto:<br />
Cette fois-ci ma chère Tante, je vous écris pour vous annoncer<br />
positivement que j’ai demandé mon congé (...). Ma<br />
demande a fait une vive sensation sur certaines <strong>per</strong>sonnes.<br />
D’abord on n’a pas voulu croire que je le demandais sérieusement,<br />
ensuite on a été obligé d’y ajouter foi, mais on<br />
ne conçoit pas jusqu’à présent comment j’ai pu m’y résoudre<br />
au moment où je devais obtenir ce que j’avais eu<br />
l’air de désirer, ce que tout le monde désire tant et ce qui<br />
est enfin regardé comme la chose la plus flatteuse que<br />
puisse obtenir un jeune homme dans mon grade (...). Le<br />
fait est que je devais en effet être nommé aide de Camp de<br />
l’Em<strong>per</strong>eur après Son retour, du moins d’après le <strong>di</strong>re de<br />
Wassiltchikoff. J’ai trouvé plus amusant de dédaigner cette<br />
faveur que de l’obtenir. Je me suis amusé à montrer mon<br />
mepris à des gens qui méprisent tout le monde (Čaadaev<br />
1913, pp. 3-4).<br />
Lebedev (1965, p. 54) ritiene che la lettera mirasse “a<br />
tranquillizzare la zia”, che sarebbe stata molto sollecita<br />
dei successi del nipote a corte. Ne dubitiamo 7 : alla sorella<br />
del noto fron<strong>di</strong>sta principe S ˇ čerbatov non c’era bisogno<br />
<strong>di</strong> spiegare il senso del <strong>di</strong>sprezzo aristocratico <strong>per</strong> il carrierismo<br />
<strong>di</strong> corte. Se C ˇ aadaev, date le <strong>di</strong>missioni, si fosse<br />
stabilito a Mosca <strong>per</strong> condurvi esistenza da gran signore e<br />
far la fronda al Club inglese, il suo comportamento non<br />
sarebbe parso enigmatico ai contemporanei e riprovevole<br />
alla zia. Ma il fatto è che il servizio militare gli stava noto-
IL DECABRISTA NELLA VITA 211<br />
riamente a cuore, che si era ado<strong>per</strong>ato <strong>per</strong> avere un incontro<br />
privato col sovrano, e che, forzando i tempi <strong>della</strong><br />
sua carriera, si era inimicato l’opinione pubblica e aveva<br />
suscitato invi<strong>di</strong>a e risentimento tra i colleghi, che aveva<br />
“sorpassato” a <strong>di</strong>spetto dell’anzianità. (Va ricordato che<br />
l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> avanzamento secondo l’anzianità <strong>di</strong> servizio<br />
era legge non scritta, ma rigorosissimamente osservata.<br />
Ignorarlo era contrario alle regole del cameratismo e <strong>per</strong><br />
gli ufficiali equivaleva a <strong>una</strong> violazione del co<strong>di</strong>ce d’onore).<br />
Fu dunque il contrasto tra l’evidente interesse <strong>per</strong> <strong>una</strong><br />
carriera rapida e brillante e il volontario congedo, prima<br />
che gli sforzi avessero un degno coronamento a costituire<br />
l’enigmaticità dell’atto <strong>di</strong> Čaadaev 8 .<br />
Tynjanov ritiene che durante l’incontro <strong>di</strong> Troppau<br />
C ˇ aadaev cercasse <strong>di</strong> spiegare all’im<strong>per</strong>atore la connessione<br />
tra la “storia del reggimento Semënovskij” e la servitù<br />
<strong>della</strong> gleba, <strong>per</strong> spingere Alessandro sulla via <strong>delle</strong><br />
riforme. Ma le sue idee non sarebbero state accolte con<br />
simpatia dallo zar: <strong>di</strong> qui la rottura. “La spiacevolezza<br />
dell’incidente dell’incontro con lo zar era troppo evidente”.<br />
Più oltre Tynjanov (1946, pp. 168-171) definisce<br />
tale incontro “<strong>una</strong> catastrofe”. Quest’ipotesi è fatta propria<br />
da Lebedev (1965, pp. 68-69).<br />
L’ipotesi <strong>di</strong> Tynjanov, pur essendo la più convincente<br />
<strong>di</strong> tutte le spiegazioni finora proposte, ha un lato debole:<br />
la rottura tra C ˇ aadaev e l’im<strong>per</strong>atore non avvenne subito<br />
dopo l’incontro <strong>di</strong> Troppau. Anzi, il cospicuo avanzamento<br />
<strong>di</strong> grado che doveva far seguito a quell’incontro<br />
e che avrebbe consentito a C ˇ aadaev <strong>di</strong> venire accolto nel<br />
seguito dell’im<strong>per</strong>atore, cioè <strong>di</strong> essere a lui più vicino, <strong>di</strong>mostra<br />
che la rottura e il reciproco raffreddamento non è<br />
imputabile al colloquio in questione. Difficilmente il rapporto<br />
fatto da C ˇ aadaev a Troppau può essere interpretato<br />
come <strong>una</strong> catastrofe nella carriera. La sua “caduta”<br />
cominciò evidentemente più tar<strong>di</strong>: lo zar dovette essere<br />
sgradevolmente sorpreso e irritato dall’improvvisa richie-
212 JURIJ M. LOTMAN<br />
sta <strong>di</strong> “<strong>di</strong>missioni”, e poi la sua irritazione fu acuita dalla<br />
citata lettera <strong>di</strong> C ˇ aadaev alla zia, intercettata alla posta.<br />
Benché l’accenno <strong>di</strong> C ˇ aadaev al proprio <strong>di</strong>sprezzo “<strong>per</strong><br />
coloro che <strong>di</strong>sprezzano tutti” si riferisca al suo comandante<br />
Vasil’čikov, l’im<strong>per</strong>atore poteva attribuirlo alla<br />
propria <strong>per</strong>sona. Del resto tutto il tono <strong>della</strong> lettera dovette<br />
sembrargli inammissibile. Erano evidentemente<br />
quelle le “assai poco lusinghiere” informazioni sul conto<br />
<strong>di</strong> C ˇ aadaev – <strong>di</strong> cui fa menzione il principe Volkonskij in<br />
<strong>una</strong> lettera a Vasil’čikov del 4 febbraio 1821 – e in seguito<br />
alle quali Alessandro I <strong>di</strong>spose che C ˇ aadaev fosse congedato<br />
senza promozione al grado su<strong>per</strong>iore. In quell’occasione<br />
l’im<strong>per</strong>atore “espresse su codesto ufficiale un<br />
giu<strong>di</strong>zio assai poco lusinghiero”, come riferì più tar<strong>di</strong> il<br />
granduca Costantino Pavlovič a Nicola I.<br />
Le <strong>di</strong>missioni <strong>di</strong> C ˇ aadaev non furono dunque conseguenza<br />
del conflitto con l’im<strong>per</strong>atore, poiché il conflitto<br />
fu conseguenza <strong>delle</strong> <strong>di</strong>missioni.<br />
Ci sembra che un raffronto con alcuni soggetti letterari<br />
sia in grado <strong>di</strong> far luce sull’enigmatico comportamento<br />
<strong>di</strong> C ˇ aadaev.<br />
Herzen de<strong>di</strong>cò il suo articolo L’im<strong>per</strong>atore Alessandro<br />
I e V. N. Karazin (Im<strong>per</strong>ator Aleksandr I e V. N. Karazin)<br />
a Nikolaj Serno-Solov’evič, “ultimo nostro marchese <strong>di</strong><br />
Posa”. Posa dunque era <strong>per</strong> Herzen un tipo ben preciso<br />
<strong>della</strong> vita russa. Ci sembra che il confronto con questo<br />
soggetto schilleriano possa gettare molta luce sull’episo<strong>di</strong>o<br />
enigmatico <strong>della</strong> biografia <strong>di</strong> C ˇ aadaev. Prima <strong>di</strong> tutto<br />
non c’è dubbio che egli conoscesse la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong><br />
Schiller: Karamzin, quando nel 1789 fu a Berlino, assistette<br />
a <strong>una</strong> rappresentazione del Don Carlos e ne <strong>di</strong>ede<br />
un giu<strong>di</strong>zio stringato ma assai lusinghiero nelle Lettere<br />
<strong>di</strong> un viaggiatore russo, mettendo in particolare rilievo<br />
proprio la parte del marchese <strong>di</strong> Posa. Entrato all’Università<br />
<strong>di</strong> Mosca nel 1808, C ˇ aadaev vi aveva trovato un<br />
vero e proprio culto <strong>di</strong> Schiller (Harder 1968; Lotman
IL DECABRISTA NELLA VITA 213<br />
1958-59; 1960a), <strong>di</strong> cui erano ferventi ammiratori il professore<br />
<strong>di</strong> C ˇ aadaev, A. F. Merzljakov e il suo intimo amico<br />
N. Turgenev. Un altro amico <strong>di</strong> C ˇ aadaev, Griboedov,<br />
nell’abbozzo <strong>della</strong> trage<strong>di</strong>a Rodamisto e Zenobia cita liberamente<br />
il famoso monologo del marchese <strong>di</strong> Posa.<br />
Parlando <strong>della</strong> presenza <strong>di</strong> un repubblicano <strong>di</strong> un “im<strong>per</strong>o<br />
autocratico” egli scrive: “è <strong>per</strong>icoloso <strong>per</strong> il governo<br />
ed è un peso <strong>per</strong> se stesso, poiché è citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> un altro<br />
secolo” (Griboedov 1911, p. 256).<br />
Le parole in corsivo sono <strong>una</strong> parafrasi dell’autoritratto<br />
del Posa: “Sono io il citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> un secolo avvenire”<br />
(Don Carlos, atto III, scena X).<br />
L’ipotesi che C ˇ aadaev col suo comportamento volesse<br />
recitare <strong>una</strong> variante del “marchese <strong>di</strong> Posa russo” (come<br />
nei colloqui con Pusˇkin ripeteva la parte <strong>di</strong> “Bruto russo”<br />
e <strong>di</strong> “Pericle russo”) illumina i lati “enigmatici” <strong>della</strong><br />
sua condotta. Essa prima <strong>di</strong> tutto <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> contestare<br />
l’affermazione <strong>di</strong> Lebedev, secondo cui Čaadaev nel 1820<br />
faceva assegnamento sul liberalismo del governo: “Le<br />
s<strong>per</strong>anze nelle ‘buone intenzioni’ dello zar erano, come è<br />
noto, molto forti tra i decabristi e la nobiltà filodecabrista<br />
del tempo” 9 . Qui c’è <strong>una</strong> certa inesattezza: parlare <strong>di</strong><br />
un atteggiamento costante dei decabristi nei confronti <strong>di</strong><br />
Alessandro I, senza basarsi su dati precisi e su concrete<br />
documentazioni, è assai rischioso. È noto che verso il<br />
1820 alle promesse dello zar praticamente non credeva<br />
più nessuno. Ma ancora più rilevante appare un altro fatto:<br />
secondo un’ipotesi assai convincente <strong>di</strong> Cjavlovskij<br />
(1962, pp. 28-58), sostenuta da altri autorevoli stu<strong>di</strong>osi,<br />
C ˇ aadaev nelle sue conversazioni con Pusˇkin prima del<br />
viaggio a Troppau <strong>di</strong>scusse vari progetti <strong>di</strong> tirannici<strong>di</strong>o, il<br />
che mal si accorda con la tesi che la fiducia nelle “buone<br />
intenzioni” dello zar lo aveva spinto a precipitarsi dall’im<strong>per</strong>atore.<br />
Il Filippo <strong>di</strong> Schiller non è un re liberale. È un tiranno.<br />
Ed è appunto a un despota, e non alla “virtù sul tro-
214 JURIJ M. LOTMAN<br />
no”, che si rivolge con la sua pre<strong>di</strong>cazione il Posa schilleriano.<br />
Quel tiranno sospettoso e <strong>per</strong>fido si appoggia al<br />
sanguinario duca d’Alba che poteva richiamare alla<br />
mente la figura <strong>di</strong> Arakčeev 10 . Ma proprio il tiranno ha<br />
bisogno <strong>di</strong> un amico, giacché è infinitamente solo. Le<br />
prime parole del marchese <strong>di</strong> Posa a Filippo sono un accenno<br />
alla sua solitu<strong>di</strong>ne e scuotono profondamente il<br />
despota schilleriano.<br />
I contemporanei – almeno quelli che, come C ˇ aadaev,<br />
ebbero la possibilità <strong>di</strong> parlare con Karamzin – ben sapevano<br />
quanto soffrisse <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne Alessandro I nel<br />
vuoto assoluto creato attorno a lui dal sistema politico<br />
dell’autocrazia e dalla sua <strong>per</strong>sonale sospettosità. Né essi<br />
ignoravano che, al pari del Filippo schilleriano, lo zar<br />
<strong>di</strong>sprezzava profondamente gli uomini, e questo <strong>di</strong>sprezzo<br />
gli causava intense sofferenze. Non si <strong>per</strong>itava,<br />
<strong>per</strong> esempio, <strong>di</strong> esclamare in pubblico: “Gli uomini sono<br />
mascalzoni! (...) Oh, canaglie! Da chi mai siamo attorniati,<br />
noi, poveri sovrani!” (S ˇ il’der 1897, p. 48).<br />
C ˇ aadaev aveva ottimamente calcolato il tempo: scelto<br />
il momento in cui lo zar non poteva non rimanere traumatizzato<br />
11 , egli si presentò al suo cospetto <strong>per</strong> ragguagliarlo<br />
sulle sofferenze del popolo russo come il Posa<br />
aveva fatto <strong>per</strong> le sventure <strong>della</strong> Fiandra. Se ci immaginiamo<br />
lo zar, sconvolto dall’insurrezione nel primo reggimento<br />
<strong>della</strong> Guar<strong>di</strong>a nell’atto <strong>di</strong> ripetere l’invocazione<br />
<strong>di</strong> Filippo II:<br />
Ora dammi un uomo, Provvidenza <strong>di</strong>vina! (...)<br />
Molto tu mi donasti:<br />
Ora ti chiedo un uomo!<br />
(Schiller, Don Carlos, atto III, scena V)<br />
le parole: “Sire, dateci la libertà <strong>di</strong> pensiero!” vengono<br />
spontaneamente alle labbra. È possibile che, galoppando<br />
alla volta <strong>di</strong> Troppau, C ˇ aadaev sia riandato più volte<br />
con la memoria al monologo del marchese <strong>di</strong> Posa.
IL DECABRISTA NELLA VITA 215<br />
Ma la pre<strong>di</strong>ca libertaria del Posa poteva coinvolgere<br />
il re solo nel caso che questi fosse stato convinto del<br />
<strong>per</strong>sonale <strong>di</strong>sinteresse del suo amico. Non <strong>per</strong> nulla il<br />
marchese ricusa ogni ricompensa e si esime dal servire<br />
il sovrano: in caso contrario si sarebbe tramutato da<br />
amico <strong>di</strong>sinteressato <strong>della</strong> verità in mercenario dell’autocrazia.<br />
Ottenere u<strong>di</strong>enza ed esporre il proprio credo allo<br />
zar era solo metà dell’o<strong>per</strong>a: ora si trattava <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare<br />
il <strong>per</strong>sonale <strong>di</strong>sinteresse rifiutando ricompense meritate.<br />
Le parole del Posa “Ich kann nicht Fürsten<strong>di</strong>ener<br />
sein” <strong>di</strong>vennero <strong>per</strong> C ˇ aadaev letteralmente un programma.<br />
Attenendosi a esse, egli rinunciò al grado <strong>di</strong><br />
aiutante <strong>di</strong> campo. Quin<strong>di</strong> tra il desiderio <strong>di</strong> avere un<br />
colloquio con l’im<strong>per</strong>atore e la richiesta <strong>di</strong> congedo<br />
non c’era contrad<strong>di</strong>zione: si tratta <strong>di</strong> due momenti <strong>di</strong><br />
un unico progetto.<br />
Come reagì Alessandro I? E, prima <strong>di</strong> tutto, capì il<br />
senso del comportamento <strong>di</strong> C ˇ aadaev? Per rispondere a<br />
questa domanda conviene ricordare un episo<strong>di</strong>o forse<br />
leggendario ma in questo caso assai caratteristico, che ci<br />
è stato tramandato da Herzen:<br />
Nei primi anni del suo regno l’im<strong>per</strong>atore Alessandro I soleva<br />
dare <strong>delle</strong> serate letterarie (...). Durante <strong>una</strong> <strong>di</strong> queste<br />
sere la lettura si protrasse a lungo; si leggeva <strong>una</strong> nuova<br />
trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Schiller.<br />
Il <strong>di</strong>citore terminò e tacque.<br />
Il sovrano rimase in silenzio con lo sguardo abbassato.<br />
Forse pensava al proprio destino, che tanto si era avvicinato<br />
a quello <strong>di</strong> don Carlos, o forse al destino del proprio Filippo.<br />
Per alcuni minuti regnò un silenzio <strong>per</strong>fetto; il primo<br />
a rom<strong>per</strong>lo fu il principe Aleksandr Nikolaevič Golicyn;<br />
chinandosi all’orecchio del conte Viktor Pavlovič<br />
Kočubej, gli <strong>di</strong>sse sottovoce, ma in modo che tutti potessero<br />
u<strong>di</strong>re: – Noi abbiamo il nostro marchese <strong>di</strong> Posa!<br />
(Herzen 1959, pp. 38-39) 12 .
216 JURIJ M. LOTMAN<br />
Golicyn pensava a V. N. Karazin. Ma quello che qui<br />
conta <strong>per</strong> noi non è soltanto la testimonianza dell’interesse<br />
che Alessandro I nutriva <strong>per</strong> la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Schiller, ma<br />
anche un altro particolare: secondo Herzen, Golicyn, definendo<br />
Karazin “marchese <strong>di</strong> Posa”, gettava il <strong>per</strong>fido<br />
laccio <strong>di</strong> un intrigo <strong>di</strong> corte allo scopo <strong>di</strong> “rovesciare” il<br />
rivale (egli sapeva infatti che l’im<strong>per</strong>atore non avrebbe<br />
tollerato pretendenti <strong>di</strong> sorta al ruolo <strong>di</strong> mentore).<br />
Alessandro I era un despota, ma non <strong>di</strong> tipo schilleriano:<br />
mite <strong>di</strong> natura, gentleman <strong>per</strong> educazione, egli era<br />
un autocrate russo, ossia un uomo che non poteva cedere<br />
alc<strong>una</strong> <strong>delle</strong> sue prerogative reali. Sentiva la pungente<br />
necessità <strong>di</strong> un amico, ma assolutamente <strong>di</strong>sinteressato<br />
(è noto che <strong>per</strong>sino un’ombra sospetta <strong>di</strong> “mire <strong>per</strong>sonali”<br />
degradava ai suoi occhi il favorito <strong>di</strong> turno dal rango<br />
<strong>di</strong> amico a quello, da lui spregiato, <strong>di</strong> cortigiano). Il<br />
tiranno schilleriano era conquistato dal <strong>di</strong>sinteresse unito<br />
a nobiltà <strong>di</strong> pensiero e in<strong>di</strong>pendenza <strong>per</strong>sonale. L’amico<br />
<strong>di</strong> Alessandro doveva invece, al <strong>di</strong>sinteresse, accompagnare<br />
un’illimitata de<strong>di</strong>zione <strong>per</strong>sonale, equivalente<br />
alla servilità. È noto che l’im<strong>per</strong>atore non reagì sia<br />
quando Arakčeev rifiutò <strong>di</strong> accettare un’onorificenza,<br />
sia quando con insolenza restituì le decorazioni che<br />
Alessandro I, con apposito decreto, aveva or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong><br />
conferire al suo amico. Ostentando un’incorruttibile servilità,<br />
Arakčeev si rifiutò <strong>di</strong> eseguire la volontà del sovrano,<br />
e in risposta alle insistenti preghiere dell’im<strong>per</strong>atore<br />
accettò soltanto un ritratto <strong>di</strong> Alessandro I: non ricompensa<br />
<strong>di</strong> un sovrano ma dono <strong>di</strong> un amico.<br />
Bastava tuttavia che al sincero affetto <strong>per</strong> l’im<strong>per</strong>atore<br />
si unisse l’in<strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio (quel che contava<br />
era l’in<strong>di</strong>pendenza, e non il carattere politico del giu<strong>di</strong>zio)<br />
<strong>per</strong>ché all’amicizia fosse posta fine. In questi termini<br />
si svolse la storia del raffreddamento <strong>di</strong> Alessandro I<br />
nei confronti <strong>di</strong> Karamzin, che politicamente era un<br />
conservatore, <strong>per</strong>sonalmente affezionato al sovrano, as-
IL DECABRISTA NELLA VITA 217<br />
solutamente <strong>di</strong>sinteressato e che mai aveva sollecitato<br />
nulla <strong>per</strong> sé 13 . Tanto meno Alessandro poteva tollerare<br />
un gesto <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza da parte <strong>di</strong> C ˇ aadaev, i rapporti<br />
col quale erano soltanto agli inizi. Il gesto, che aveva definitivamente<br />
ben <strong>di</strong>sposto l’animo <strong>di</strong> Filippo II verso il<br />
marchese <strong>di</strong> Posa, con la stessa irrevocabilità respinse lo<br />
zar da C ˇ aadaev. C ˇ aadaev non era destinato a <strong>di</strong>ventare<br />
un Posa russo, né un Pericle o un Bruto.<br />
Questo esempio ci fa vedere che il comportamento<br />
reale dell’uomo <strong>della</strong> cerchia decabrista è <strong>per</strong> noi <strong>una</strong><br />
sorta <strong>di</strong> testo cifrato, mentre il soggetto letterario è il co<strong>di</strong>ce<br />
che consente <strong>di</strong> penetrarne il senso recon<strong>di</strong>to.<br />
Facciamo un altro esempio. È noto l’eroismo <strong>delle</strong><br />
mogli dei decabristi [Esse seguirono volontariamente i<br />
loro mariti nelle deportazioni e nel confino, subendo<br />
<strong>per</strong> questo <strong>una</strong> <strong>per</strong><strong>di</strong>ta dei loro <strong>di</strong>ritti civili (N.d.T.)] e il<br />
significato veramente straor<strong>di</strong>nario che esso ha avuto<br />
<strong>per</strong> la storia spirituale <strong>della</strong> società russa. Tuttavia l’imme<strong>di</strong>atezza<br />
e la sincerità del contenuto del loro atto non<br />
è minimamente in contrad<strong>di</strong>zione con la logica dell’espressione,<br />
così come le frasi del più ardente degli appelli<br />
è pur sempre sottomesso a quelle stesse regole<br />
grammaticali che sono obbligatorie <strong>per</strong> qualsiasi espressione<br />
in quella data lingua. L’atto <strong>delle</strong> mogli dei decabristi<br />
fu un gesto <strong>di</strong> protesta e <strong>una</strong> sfida, ma nella sfera<br />
dell’espressione esso inevitabilmente si basava su un determinato<br />
stereotipo psicologico. Anche il comportamento,<br />
le sue norme e regole, naturalmente, con la precisazione<br />
che quanto più complesso è un sistema semiotico,<br />
tanto più intricati <strong>di</strong>ventano nel suo ambito i rapporti,<br />
tra or<strong>di</strong>ne e libertà. C’erano nella società nobiliare<br />
russa prima dell’atto eroico <strong>delle</strong> mogli dei decabristi<br />
preesistenti modelli comportamentali tali da poter conferire<br />
al loro generoso sacrificio la forma <strong>di</strong> un comportamento<br />
già costituito? A questa domanda si deve rispondere<br />
positivamente.
218 JURIJ M. LOTMAN<br />
Osserviamo anzitutto che seguire gli sposi confinati in<br />
Siberia era <strong>una</strong> forma tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> comportamento largamente<br />
praticata nelle classi popolari russe: le colonne<br />
dei deportati erano seguite da convogli in cui viaggiavano<br />
le famiglie verso il luogo del volontario esilio. La cosa<br />
non veniva considerata come un atto <strong>di</strong> coraggio, e neppure<br />
<strong>una</strong> scelta in<strong>di</strong>viduale: era la norma. Anzi nel costume<br />
dell’età prepetrina la stessa norma vigeva anche <strong>per</strong><br />
le famiglie dei boiari (a meno che alla moglie e ai figli<br />
non fossero state comminate pene ad <strong>per</strong>sonam). In questo<br />
senso la cognata <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev, Elizaveta Vasil’evna Rubanovskaja,<br />
che seguì il congiunto in Siberia, mise in atto<br />
un comportamento squisitamente popolare (o autenticamente<br />
russo, prepetrino). Quanto poco pensasse <strong>di</strong> compiere<br />
un atto eccezionale, è comprovato dal fatto che abbia<br />
condotto con sé i figli minori <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev, lasciando a<br />
casa i più anziani, che dovevano completare gli stu<strong>di</strong>.<br />
Anche le reazioni dell’ambiente al gesto <strong>di</strong> Elizaveta Vasil’evna<br />
furono <strong>di</strong>verse da quelle che sarebbero state nel<br />
1826: non venne in mente ad alcuno <strong>di</strong> trattenerla o <strong>di</strong>ssuaderla,<br />
e nessun contemporaneo parve notare il suo sublime<br />
sacrificio: l’episo<strong>di</strong>o rimase confinato nella cerchia<br />
familiare dei Ra<strong>di</strong>sˇčev e non ebbe alc<strong>una</strong> risonanza pubblica.<br />
(I genitori <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev rimasero <strong>per</strong>sino scandalizzati<br />
che la donna seguisse il loro figlio in Siberia senza esserne<br />
la legittima consorte e che laggiù lo sposasse, nonostante<br />
la stretta parentela; tornato poi dalla deportazione,<br />
lo scrittore si vide <strong>per</strong> questo negare la bene<strong>di</strong>zione dal<br />
padre vecchio e cieco, benché Elizaveta a quel tempo<br />
fosse ormai morta, stroncata dai <strong>di</strong>sagi <strong>della</strong> vita siberiana.<br />
La sua nobile azione non trovò comprensione e apprezzamento<br />
fra i contemporanei).<br />
C’è anche un’altra norma preesistente <strong>di</strong> comportamento<br />
che poteva suggerire alle mogli dei decabristi, la<br />
loro scelta. Per lo più esse erano sposate a ufficiali. Tra<br />
la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento <strong>per</strong>durava
IL DECABRISTA NELLA VITA 219<br />
nell’esercito russo la consuetu<strong>di</strong>ne – a quell’epoca già<br />
vietata ai soldati ma largamente <strong>di</strong>ffusa tra gli ufficiali,<br />
specie i più anziani <strong>per</strong> grado e <strong>per</strong> età – <strong>di</strong> recarsi appresso<br />
le famiglie da <strong>una</strong> sede all’altra su carriaggi militari.<br />
Ad Austerlitz Kutuzov teneva presso <strong>di</strong> sé allo stato<br />
maggiore la figlia Elizaveta Michajlovna Tiesenhausen<br />
(in futuro Chitrovo), moglie del suo aiutante pre<strong>di</strong>letto,<br />
Fer<strong>di</strong>nand Tiesenhausen (Fedja, nelle lettere <strong>di</strong> Kutuzov).<br />
Dopo la battaglia, finito lo scambio <strong>di</strong> corpi dei caduti,<br />
essa sistemò su un carro il cadavere del marito e da<br />
sola (l’esercito, <strong>per</strong> altre vie, si era <strong>di</strong>retto verso oriente)<br />
lo portò a Revel <strong>per</strong> inumarlo nella cattedrale. Essa allora<br />
aveva ventun anni. Anche il generale Raevskij si portava<br />
con sé la famiglia nelle campagne militari. Più tar<strong>di</strong><br />
in <strong>una</strong> conversazione con Batjusˇkov (1934, p. 373), negando<br />
che i figli avessero preso parte alla battaglia presso<br />
Dasˇkovka, affermava: “Il minore era andato <strong>per</strong> fragole<br />
nel bosco (egli allora era proprio un bambino) e<br />
<strong>una</strong> pallottola gli trapassò i calzoni”. Quin<strong>di</strong>, seguire il<br />
coniuge nella deportazione o in <strong>una</strong> campagna <strong>per</strong>icolosa<br />
e gravosa <strong>per</strong> sé non era <strong>una</strong> novità inau<strong>di</strong>ta nella vita<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> nobile russa. Però affinché un atto <strong>di</strong> questo tipo<br />
acquistasse carattere <strong>di</strong> eroismo politico era necessaria<br />
ancora un’altra con<strong>di</strong>zione. Consideriamo un passo tratto<br />
dalle memorie <strong>di</strong> un decabrista tipico (secondo<br />
S ˇ čëgolev) come Basargin (1917, p. XI):<br />
Rammento che un giorno, mentre leggevo a mia moglie il<br />
poema <strong>di</strong> Ryleev Vojnarovskij, appena uscito allora, fui involontariamente<br />
spinto a riflettere sul mio futuro. “A che<br />
pensi?” – ella mi chiese. “Chissà – risposi –, se non finirò<br />
anch’io in esilio”. “Ebbene, anch’io verrò a confortarti e a<br />
<strong>di</strong>videre la tua sorte. Nulla potrà <strong>di</strong>viderci. Perché dunque<br />
pensarci?” (p. 35).<br />
Alla Basargina (nata principessa Mesˇčerskaja) non<br />
fu dato <strong>di</strong> confermare coi fatti le sue parole: la morte
220 JURIJ M. LOTMAN<br />
la colse nell’agosto del 1825, poco prima dell’arresto<br />
del marito.<br />
Ciò che qui conta, <strong>per</strong>ò, non è il <strong>per</strong>sonale destino<br />
<strong>della</strong> Basargina, ma il fatto che la poesia <strong>di</strong> Ryleev abbia<br />
messo il sacrificio <strong>di</strong> <strong>una</strong> donna, che segue il marito sulla<br />
via dell’esilio, sullo stesso piano <strong>delle</strong> altre virtù civili.<br />
Nella poesia Natalija Dolgorukova e nel poema Vojnarovskij<br />
fu elaborato lo stereotipo del comportamento<br />
<strong>della</strong> donna-eroe:<br />
(Natalija Dolgorukova)<br />
Zabyla ja rodnoj svoj grad,<br />
Bogatstvo, počesti i znatnost’,<br />
Čtob s nim delit v Sibiri chlad<br />
I ispytat’ sud’by prevratnost’.<br />
(Ryleev 1971, p. 168)<br />
[Ho scordato <strong>per</strong> sempre il natio cielo / La nobiltà, gli<br />
onori, la ricchezza, / Con lui soffersi <strong>di</strong> Siberia il gelo / E<br />
<strong>della</strong> sorte la mutevolezza].<br />
(Vojnarovskij)<br />
Vdrug vizˇu: zˇensˇčina idët,<br />
Dochoj ubogoju pokryta,<br />
I svjazku drov edva nesët,<br />
Rabotoj i toskoj ubita.<br />
Ja nej, i čto zˇe?…Uznaju<br />
V nesčastnoj sej, v moroz i v’ujgu,<br />
Kazačku junuju moju,<br />
Moju prekrasnuju podrugu!...<br />
Uznav ob učasti moej,<br />
Ona iz ro<strong>di</strong>ny svoej<br />
Prisˇla iskat’ menja v izgnan’e.<br />
O strannik! Tjasˇko bylo ej<br />
Ne razdeljat’ so mnoj stradan’e.<br />
(Ryleev 1971, p. 214)<br />
[A un tratto, <strong>una</strong> donna s’avvicina. / Da un pellicciotto misero<br />
protetta, / Arrancando trasporta <strong>una</strong> fascina, / La fati-
IL DECABRISTA NELLA VITA 221<br />
ca l’uccide e la tristezza. / A lei m’accosto, e... nella tapina,<br />
tra il vento, / Nel gelo <strong>della</strong> neve io ravviso / La cosacca<br />
mia giovane un tempo, / Della mia cara amica il dolce viso.<br />
/ Appena seppe <strong>della</strong> sorte mia / Abbandonò la sua terra<br />
natia / E a cercarmi in esilio s’affrettava. / Oh, pellegrino<br />
sulla mesta via! / Non soffrir, s’io soffrivo, le pesava].<br />
La biografia <strong>di</strong> Natalija Dolgorukova era <strong>di</strong>venuta<br />
oggetto <strong>di</strong> rifacimenti letterari prima <strong>di</strong> questa poesia <strong>di</strong><br />
Ryleev, nella novella <strong>di</strong> Sergej Glinka Un modello <strong>di</strong><br />
amore e fedeltà coniugale, ovvero Virtù e sventura <strong>di</strong> Natalija<br />
Borisovna Dolgorukova, figlia del feldmaresciallo<br />
B. P. S ˇ erement’ev (1815). Però <strong>per</strong> Glinka questo soggetto<br />
è un esempio <strong>di</strong> fedeltà coniugale, contrapposto<br />
alla condotta <strong>delle</strong> “mogli alla moda”. Ryleev invece mise<br />
la Dolgorukova nel novero <strong>delle</strong> “vite degli uomini<br />
illustri <strong>di</strong> Russia” (Bazanov 1964, p. 267), e così facendo<br />
creò un co<strong>di</strong>ce completamente nuovo <strong>per</strong> la decifrazione<br />
del comportamento femminile. Fu proprio la letteratura,<br />
unitamente alle norme religiose acquisite dalla<br />
coscienza etico-nazionale <strong>della</strong> donna russa, a fornire<br />
alla nobile russa del primo Ottocento un programma <strong>di</strong><br />
comportamento consapevolmente interpretato come<br />
eroico. Al tempo stesso Ryleev vede nelle sue poesie un<br />
programma d’attività, modelli <strong>di</strong> comportamento eroico<br />
che dovevano esercitare un’influenza <strong>di</strong>retta sulle<br />
azioni dei suoi lettori.<br />
Si può pensare che proprio la poesia <strong>di</strong> Natalija Dolgorukova<br />
abbia suggestionato <strong>di</strong>rettamente la principessa<br />
Marija Volkonskaia. Sia i contemporanei, a partire da<br />
suo padre, Raevskij, sia gli storici hanno osservato che<br />
essa non poteva nutrire un profondo affetto <strong>per</strong> un marito<br />
che prima del matrimonio non conosceva affatto e<br />
col quale aveva vissuto appena tre mesi dell’anno trascorso<br />
tra le nozze e l’arresto. Il padre ripeteva con amarezza<br />
la confidenza <strong>della</strong> figlia “che il marito le era insopportabile”,<br />
e aggiungeva che non si sarebbe opposto
222 JURIJ M. LOTMAN<br />
alla partenza <strong>di</strong> lei <strong>per</strong> la Siberia se fosse stato certo che<br />
“era il suo cuore <strong>di</strong> sposa a chiamarla presso il marito”<br />
(Gersˇenzon 1923, p. 70).<br />
Ma queste circostanze, che sconcertarono i parenti e<br />
alcuni storici <strong>per</strong> Marija Nikolaevna non facevano che<br />
accentuare l’eroismo <strong>della</strong> sua scelta e quin<strong>di</strong> anche la<br />
necessità del suo viaggio in Siberia. Essa ricordava che<br />
tra le nozze <strong>della</strong> S ˇ eremet’eva sposata al principe Dolgorukov,<br />
e l’arresto del marito erano trascorsi tre giorni.<br />
Poi era cominciata <strong>una</strong> vita fatta tutta <strong>di</strong> eroico sacrificio.<br />
Secondo le parole <strong>di</strong> Ryleev, il marito “le era stato<br />
come un’ombra dato <strong>per</strong> un istante”. Il padre <strong>della</strong><br />
Volkonskaja, Raevskij, intuì che non era l’amore, ma un<br />
cosciente desiderio <strong>di</strong> eroismo, a guidare la scelta <strong>della</strong><br />
figlia. “Essa non obbedì ai propri sentimenti, quando<br />
andò dal marito, ma si lasciò influenzare dalle donne <strong>di</strong><br />
casa Volkonskij, le quali elogiando il suo eroismo, la<br />
convinsero <strong>di</strong> essere un’eroina” (ib.).<br />
Raevskij si sbagliava soltanto in un punto: le “donne<br />
<strong>di</strong> casa Volkonskij” non avevano qui alc<strong>una</strong> colpa. La<br />
madre <strong>di</strong> Sergej Volkonskij, Marija Fedorovna, dama <strong>di</strong><br />
corte, era gelida con la nuora e del tutto in<strong>di</strong>fferente<br />
<strong>per</strong> la sorte del figlio: “Mia suocera mi chiese notizie <strong>di</strong><br />
suo figlio e <strong>di</strong>sse tra l’altro che non poteva decidersi ad<br />
andare a trovarlo <strong>per</strong>ché l’incontro l’avrebbe uccisa, e<br />
l’indomani partì con la zarina madre <strong>per</strong> Mosca, dove<br />
erano già cominciati i preparativi dell’incoronazione” 14 .<br />
Con la sorella del marito, la principessa Sof’ja Volkonskaja,<br />
essa non si incontrò neppure. La “colpa” era <strong>della</strong><br />
letteratura russa, che aveva elaborato l’idea <strong>di</strong> un<br />
equivalente femminile dell’eroismo civico e le norme<br />
morali <strong>della</strong> cerchia decabrista, che imponevano <strong>di</strong> trasferire<br />
<strong>di</strong>rettamente nella vita il modo <strong>di</strong> comportarsi<br />
degli eroi letterari.<br />
È sintomatico in questo senso il totale <strong>di</strong>sorientamento<br />
dei decabristi durante l’istruttoria, che li mise
IL DECABRISTA NELLA VITA 223<br />
nella tragica necessità <strong>di</strong> scegliere <strong>una</strong> linea <strong>di</strong> condotta<br />
in assenza <strong>di</strong> un “pubblico” idoneo a intenderne l’eroismo<br />
e in assenza <strong>di</strong> modelli letterari, dal momento che<br />
<strong>una</strong> morte senza monologhi, nel vuoto burocratico-militare,<br />
non era ancora <strong>di</strong>ventata un tema artistico. In queste<br />
con<strong>di</strong>zioni emersero in primo piano altre norme e altri<br />
stereotipi <strong>di</strong> comportamento prima messi in <strong>di</strong>sparte,<br />
ma ben noti a tutti i decabristi: il dovere dell’ufficiale <strong>di</strong><br />
fronte ai su<strong>per</strong>iori, gli obblighi del giuramento, l’onore<br />
del nobile. Queste norme e questi stereotipi irrompevano<br />
nel comportamento del rivoluzionario e nelle prese<br />
<strong>di</strong> posizione concrete, gettavano in uno stato <strong>di</strong> frenetica<br />
incertezza. Non tutti potevano, come Pestel, eleggere a<br />
proprio interlocutore la posterità e <strong>di</strong>alogare con essa,<br />
ignorando la commissione inquirente, che ascoltava quel<br />
colloquio, e così votando spietatamente se stesso e i propri<br />
amici alla rovina.<br />
È sintomatico che il tema del processo, a porte chiuse,<br />
senza testimoni, il tema <strong>della</strong> tattica <strong>di</strong> lotta contro l’istruttoria,<br />
si sia affermato in letteratura dopo il 1826, da<br />
Rodamisto e Zenobia <strong>di</strong> Griboedov fino a Polezˇaev e Lermontov.<br />
La testimonianza scherzosa nel poema <strong>di</strong> Nekrasov<br />
Il processo (Sud) <strong>di</strong>ce <strong>per</strong>ò chiaramente che negli anni<br />
Trenta i lettori del poema <strong>di</strong> Z ˇ ukovskij Processo nel<br />
sotterraneo (Sud v podzemel’e) più che alla sorte <strong>della</strong><br />
monaca vittima dell’Inquisizione, erano stati sensibili a<br />
un altro aspetto dell’o<strong>per</strong>a, commisurando alla propria<br />
es<strong>per</strong>ienza la situazione del “processo nel sotterraneo”.<br />
Il potente influsso che le parole esercitano sul comportamento<br />
e i sistemi <strong>di</strong> segni sul costume si avverte<br />
con particolare evidenza in quegli aspetti <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana<br />
che <strong>per</strong> la loro natura più sono lontani dalla semiosi<br />
sociale. Una <strong>di</strong> queste sfere è il riposo.<br />
Per la sua funzione sociale e psico-fisiologica il riposo<br />
deve configurarsi come il <strong>di</strong>retto contrario <strong>della</strong> con-
224 JURIJ M. LOTMAN<br />
sueta struttura dell’esistenza, altrimenti non sarà in grado<br />
<strong>di</strong> svolgere il ruolo <strong>di</strong> alternativa <strong>di</strong> rilassamento psico-fisiologico.<br />
In <strong>una</strong> collettività dotata <strong>di</strong> un complesso<br />
sistema <strong>di</strong> <strong>semiotica</strong> sociale il riposo sarà inevitabilmente<br />
orientato sulla imme<strong>di</strong>atezza, naturalità, asemioticità.<br />
Così, nelle civiltà <strong>di</strong> tipo urbano avrà immancabilmente<br />
tra le sue componenti l’escursione “in seno alla natura”.<br />
Per la nobiltà russa dell’Ottocento (e, nella seconda<br />
metà del secolo, anche <strong>per</strong> il ceto impiegatizio), il fatto<br />
che la loro vita fosse rigidamente regolata dalle norme<br />
del decoro mondano e dalla gerarchia sociale e burocratica,<br />
fece sì che il riposo cominciasse ad associarsi alla<br />
familiarizzazione col mondo teatrale o con l’ambiente<br />
zingaresco. Nel ceto mercantile alla severa “cerimoniosità”<br />
<strong>della</strong> consuetu<strong>di</strong>ne si contrapponevano i più sfrenati<br />
“baccanali”. L’obbligo <strong>di</strong> cambiare maschera sociale<br />
si manifestava, in particolare, nel fatto che se nella vita<br />
quoti<strong>di</strong>ana un membro <strong>della</strong> collettività apparteneva al<br />
novero degli umiliati e frustrati, nei momenti <strong>di</strong> svago<br />
doveva recitare la parte <strong>di</strong> colui che fa “quel che gli pare<br />
e piace”; mentre se nella solita vita egli era dotato, all’interno<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> data collettività, <strong>di</strong> un alto grado <strong>di</strong> autorità,<br />
nel mondo speculare <strong>della</strong> festa spesso gli toccava il<br />
ruolo dell’umiliato.<br />
Di solito tipica <strong>della</strong> festa è la netta demarcazione rispetto<br />
a tutto il restante mondo “feriale”, demarcazione<br />
nello spazio: la festa spesso esige un altro luogo (più solenne:<br />
un salone, un tempio; oppure meno solenne: un<br />
picnic, un sobborgo degradato) e in un apposito tempo<br />
(le festività contemplate nel calendario, la sera o la notte,<br />
comunemente de<strong>di</strong>cate al sonno).<br />
Nell’ambiente nobiliare dell’inizio dell’Ottocento la<br />
festa era un fenomeno piuttosto complesso ed eterogeneo.<br />
Da un lato, specie in provincia e in campagna, si rifaceva<br />
ancora al rituale del calendario conta<strong>di</strong>no; dall’altro,<br />
la giovane, men che centenaria, cultura nobiliare
IL DECABRISTA NELLA VITA 225<br />
postpetrina non era ancora affetta <strong>della</strong> rigida ritualizzazione<br />
<strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana non festiva. A volte anzi si faceva<br />
sentire <strong>una</strong> sua scarsa regolamentazione. Per cui il<br />
ballo (come <strong>per</strong> l’esercito la parata) a volte non era il<br />
luogo in cui il livello <strong>della</strong> ritualizzazione si abbassava,<br />
ma, al contrario, quello in cui esso aumentava bruscamente.<br />
Il riposo, non eliminava le limitazioni imposte al<br />
comportamento, ma sostituiva la multiforme attività non<br />
ritualizzata con un numero estremamente limitato <strong>di</strong> tipi<br />
<strong>di</strong> comportamento puramente formale e ritualizzato; le<br />
danze, il whist, “l’armonioso or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> oligarchici conversari”<br />
(Pusˇkin).<br />
Altra cosa è l’ambiente dei giovani militari. A partire<br />
da Paolo I nell’esercito (e in particolare nella Guar<strong>di</strong>a) si<br />
instaurò un crudele regime <strong>di</strong> s<strong>per</strong>sonalizzante <strong>di</strong>sciplina,<br />
il cui coronamento era il solenne cambio <strong>della</strong> guar<strong>di</strong>a. T.<br />
von Bock, contemporaneo dei decabristi, così scriveva in<br />
<strong>una</strong> missiva ad Alessandro I: “La parata è il trionfo <strong>della</strong><br />
nullità, e ogni soldato, al cui cospetto, il dì <strong>della</strong> battaglia,<br />
ciascuno dovette chinare il capo, alla parata si converte in<br />
manichino, mentre l’im<strong>per</strong>atore sembra un <strong>di</strong>o, il solo<br />
che pensi e governi” (Predtečenskij 1951, p. 198).<br />
Là dove la vita quoti<strong>di</strong>ana era un’eterna esercitazione<br />
e parata militare, il riposo naturalmente assumeva le forme<br />
<strong>della</strong> baldoria o dell’orgia. In tal senso queste ultime<br />
erano del tutto legittime, costituendo <strong>una</strong> parte del<br />
comportamento “normale” dei giovani militari. Si può<br />
<strong>di</strong>re che <strong>per</strong> <strong>una</strong> determinata età ed entro certi limiti esso<br />
era <strong>una</strong> componente obbligatoria <strong>della</strong> “buona condotta”<br />
dell’ufficiale (s’intende, comprendendo <strong>di</strong>fferenze<br />
quantitative e qualitative non soltanto dal punto <strong>di</strong> vista<br />
dell’antitesi “Guar<strong>di</strong>a-esercito”, ma anche secondo<br />
l’arma e <strong>per</strong>sino i reggimenti, creando nel loro ambito<br />
<strong>una</strong> tra<strong>di</strong>zione vincolante).<br />
Ma, all’inizio dell’Ottocento, su questo sfondo cominciò<br />
a profilarsi un tipo particolare <strong>di</strong> sregolatezza,
226 JURIJ M. LOTMAN<br />
<strong>per</strong>cepito non più come norma dell’ozio militare, ma come<br />
variante <strong>di</strong> libero pensiero. L’elemento <strong>della</strong> libertà<br />
si manifestava qui in <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> romanticismo praticato<br />
nella vita d’ogni giorno e consistente nell’annullamento<br />
<strong>di</strong> qualunque restrizione, in <strong>una</strong> totale <strong>di</strong>sinibizione. Il<br />
modello tipo <strong>di</strong> questo comportamento era concepito<br />
come su<strong>per</strong>amento <strong>di</strong> un primato già conseguito in un<br />
dato tipo <strong>di</strong> sregolatezza. Si trattava <strong>di</strong> compiere un’impresa<br />
senza precedenti, surclassando un “campione” su<br />
cui, prima, nessuno era riuscito a prevalere. Pusˇkin descrive<br />
con grande finezza questo tipo <strong>di</strong> comportamento<br />
nel monologo <strong>di</strong> Silvio: “Prestavo servizio a *** nel reggimento<br />
degli ussari. Il mio carattere vi è noto: sono abituato<br />
a primeggiare, ma da giovane questa era <strong>per</strong> me<br />
<strong>una</strong> vera e propria passione. Ai nostri tempi la turbolenza<br />
era <strong>di</strong> moda: io ero il primo scavezzacollo dell’esercito.<br />
L’ubriachezza era il nostro vanto, e io su<strong>per</strong>ai nel bere<br />
il famoso B(urcov), celebrato da D(enis) D(avydov)”<br />
(Pusˇkin 1948, p. 69). L’espressione “su<strong>per</strong>ai nel bere”<br />
(<strong>per</strong>epil) rende efficacemente lo spirito agonistico e la<br />
volontà <strong>di</strong> primato che costituivano un tratto caratteristico<br />
<strong>della</strong> “turbolenza” <strong>di</strong> moda verso il 1820, prelu<strong>di</strong>o<br />
<strong>della</strong> “pratica quoti<strong>di</strong>ana” del libero pensiero.<br />
Facciamo un esempio illuminante. Nella letteratura<br />
su Lunin, si cita invariabilmente un episo<strong>di</strong>o raccontato<br />
da N. A. Belogolovyj che a sua volta lo aveva u<strong>di</strong>to da I.<br />
D. Jakusˇkin:<br />
Lunin era ufficiale <strong>della</strong> Guar<strong>di</strong>a e un’estate si trovava col<br />
reggimento nei pressi <strong>di</strong> Peterhof; faceva molto caldo, e<br />
nel tempo libero ufficiali e soldati si rinfrescavano facendo<br />
il bagno nel golfo. Un bel giorno il comandante, un generale<br />
<strong>di</strong> origine tedesca, vietò i bagni sotto la minaccia <strong>di</strong><br />
gravi sanzioni <strong>di</strong>sciplinari, col pretesto che erano un’indecenza,<br />
data la prossimità <strong>di</strong> <strong>una</strong> strada. Allora Lunin, sapendo<br />
che il generale doveva passare <strong>per</strong> quella medesima<br />
strada, poco prima del suo arrivo entrò nell’acqua in alta
IL DECABRISTA NELLA VITA 227<br />
uniforme, con tanto <strong>di</strong> sciaccò e stivaloni, in modo che il<br />
generale potesse vedere già da lontano il bizzarro spettacolo<br />
dell’ufficiale che sguazzava vestito nell’acqua, e quando<br />
il comandante giunse alla sua altezza, Lunin balzò <strong>di</strong><br />
colpo in pie<strong>di</strong> e lì nell’acqua scattò sull’attenti e fece il saluto<br />
militare. Il generale, interdetto, chiamò il proprio subalterno,<br />
riconobbe in lui Lunin, uno degli ufficiali più<br />
brillanti, beniamino <strong>di</strong> principi e granduchi, e gli chiese<br />
stupito: “Che fate lì?”. “Faccio il bagno – rispose Lunin –,<br />
e <strong>per</strong> non trasgre<strong>di</strong>re alle <strong>di</strong>sposizioni <strong>di</strong> Vostra eccellenza<br />
cerco <strong>di</strong> farlo nel modo più decente possibile” (Belogolovyj<br />
1898, p. 70).<br />
Belogolovyj ha del tutto giustamente interpretato il<br />
gesto come manifestazione <strong>di</strong> “sfrenatezza nella protesta”.<br />
Ma il senso dell’atto <strong>di</strong> Lunin non si chiarisce fino<br />
in fondo finché non lo confrontiamo con un’altra testimonianza<br />
trascurata dagli storici. Nelle memorie del nano<br />
<strong>di</strong> Zubov, Ivan Jakubovskij, si trova un racconto su<br />
un figlio naturale <strong>di</strong> Valerian Zubov – Koročarov – allievo<br />
ufficiale in un reggimento <strong>di</strong> ulani <strong>della</strong> guar<strong>di</strong>a:<br />
Sentite un po’ questa! Quand’erano <strong>di</strong> stanza a Strel’nja un<br />
gruppo <strong>di</strong> ufficiali, ed egli era con loro, andò a fare il bagno,<br />
quand’ecco che il granduca Costantino Pavlovič, loro<br />
patrono, passeggiando sul lido, giunse al luogo del bagno.<br />
Tutti si spaventano, si gettan giù dalla barca, nell’acqua, ma<br />
Koročarov s’irrigi<strong>di</strong>sce sull’attenti, tutto nudo come la<br />
mamma l’aveva fatto, e grida: “Buon giorno, Altezza!”. Da<br />
allora il granduca lo prese a benvolere e <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> lui: “Sarà<br />
un bravo ufficiale” (Jakubovskij 1968, p. 68) 15 .<br />
Cronologicamente entrambi gli episo<strong>di</strong> coincidono.<br />
Le cose quin<strong>di</strong> si spiegano così: un allievo ufficiale<br />
degli ulani <strong>della</strong> guar<strong>di</strong>a, dando prova <strong>di</strong> prontezza <strong>di</strong><br />
spirito aveva compiuto un gesto temerario che evidentemente<br />
aveva mandato in visibilio i suoi compagni e al<br />
tempo stesso aveva provocato il <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> fare il bagno.
228 JURIJ M. LOTMAN<br />
Lunin, nella sua qualità <strong>di</strong> “primo scavezzacollo dell’esercito”,<br />
doveva “battere” Koročarov (si trattava anche,<br />
evidentemente, <strong>di</strong> tenere alto l’onore <strong>della</strong> cavalleria<br />
“stracciando” gli ulani). Il valore del gesto scapestrato<br />
consiste nell’oltrepassare un limite non ancora oltrepassato<br />
da nessuno. Lev Tolstoj ha colto bene proprio questo<br />
spirito, quando descrive le baldorie <strong>di</strong> Pierre e <strong>di</strong><br />
Dolochov.<br />
Che la scapestratezza da fenomeno ammesso si trasformasse<br />
in <strong>una</strong> forma <strong>di</strong> opposizione politica appare<br />
anche dal fatto che in essa si voleva vedere non uno svago<br />
complementare al servizio militare, ma un’antitesi <strong>di</strong><br />
questo. Il mondo <strong>della</strong> scapestratezza <strong>di</strong>venne <strong>una</strong> sfera<br />
autonoma, l’immersione nella quale esclude il servizio.<br />
In questo senso tale mondo cominciò a essere associato,<br />
da <strong>una</strong> parte, al mondo <strong>della</strong> vita privata e, dall’altra, alla<br />
poesia, che già nel secolo XVIII si collocavano agli antipo<strong>di</strong><br />
del servizio.<br />
Continuazione <strong>di</strong> questo processo fu il legame che si<br />
stabilì tra la sregolatezza, che prima riguardava totalmente<br />
la sfera del comportamento puramente pratico<br />
quoti<strong>di</strong>ano, e le concezioni teorico-ideologiche. Questo<br />
provocò, da <strong>una</strong> parte, la trasformazione <strong>della</strong> sfrenatezza<br />
in <strong>una</strong> variante del comportamento socialmente significativo<br />
e, dall’altra, la sua ritualizzazione, <strong>per</strong> cui <strong>una</strong><br />
bevuta fra amici non <strong>di</strong>fferisce da <strong>una</strong> liturgia carnevalesca<br />
o da <strong>una</strong> seduta paro<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> <strong>una</strong> loggia massonica.<br />
Quando si trattava <strong>di</strong> valutare l’umana passione,<br />
l’impulso verso la felicità e la gioia, e <strong>di</strong> trovare a questi<br />
sentimenti un posto nel sistema <strong>delle</strong> idee, il pensatore<br />
del primo Ottocento stava <strong>di</strong> fronte alla necessità <strong>di</strong> scegliere<br />
tra due concezioni, ogn<strong>una</strong> <strong>delle</strong> quali era allora,<br />
posta in relazione con determinate tendenze del pensiero<br />
progressista.<br />
La tra<strong>di</strong>zione, risalente alla filosofia settecentesca,<br />
prendeva le mosse dall’idea che il <strong>di</strong>ritto alla felicità è ri-
IL DECABRISTA NELLA VITA 229<br />
posto nella natura dell’uomo e che il bene comune <strong>di</strong><br />
tutti presuppone il massimo bene del singolo. In questa<br />
prospettiva l’uomo, nel suo tendere verso la felicità,<br />
mette in atto i precetti <strong>della</strong> Natura e <strong>della</strong> Morale. Ogni<br />
appello alla volontaria rinuncia alla felicità, era considerata<br />
alla stregua <strong>di</strong> <strong>una</strong> dottrina utile al <strong>di</strong>spotismo. Anzi<br />
nell’etica edonistica propria dei materialisti del XVIII secolo<br />
si vedeva anche <strong>una</strong> manifestazione <strong>di</strong> spirito libertario.<br />
La passione, era considerata un equivalente dell’impulso<br />
alla libertà. Solo un uomo ricolmo <strong>di</strong> passioni,<br />
bramoso <strong>di</strong> felicità, a<strong>per</strong>to all’amore e alla gioia, non<br />
può essere schiavo. Da questo punto <strong>di</strong> vista l’ideale libertario<br />
poteva incarnarsi in due figure equipollenti: il<br />
citta<strong>di</strong>no ricolmo d’o<strong>di</strong>o <strong>per</strong> il <strong>di</strong>spotismo, o la donna<br />
appassionata assetata <strong>di</strong> felicità. Sono proprio queste le<br />
due figure <strong>di</strong> spirito libertario che Pusˇkin mise accanto<br />
in <strong>una</strong> poesia del 1817:<br />
(...) v otečestve moëm<br />
Gde vernyj um, gde geni my najdëm?<br />
Gde grazdanin s dusˇoju blagorodnoj,<br />
Vozvysˇennoj i plamenno svobodnoj?<br />
Gde zensˇčina – ne s chladnoj krasotoj,<br />
No s plamennoj, plenitel’noj, zˇivoj?<br />
(Pusˇkin 1947, p. 43)<br />
[(...) dove si trova nella patria mia / Un genio, <strong>una</strong> mente<br />
genuina? / Un citta<strong>di</strong>no dall’anima eletta, / D’alto sentire,<br />
libera e ardente? / E donna bella, ma non fredda e altera, /<br />
Ma tutta fuoco, e incantatrice, e vera?].<br />
In questa prospettiva l’iniziazione allo spirito libertario<br />
era considerata coma <strong>una</strong> festa, e il banchetto, e <strong>per</strong>fino<br />
l’orgia, acquistavano il carattere <strong>di</strong> <strong>una</strong> attuazione<br />
dell’ideale <strong>di</strong> libertà.<br />
Poteva <strong>per</strong>ò esserci anche un’altra variante <strong>di</strong> morale<br />
libertaria. Essa si fondava sul complesso conglomerato
230 JURIJ M. LOTMAN<br />
<strong>di</strong> concezioni etiche progressive legato alla revisione dell’ere<strong>di</strong>tà<br />
filosofica dei materialisti del XVIII secolo e comprendente<br />
le più contrad<strong>di</strong>ttorie fonti: da Rousseau nell’interpretazione<br />
<strong>di</strong> Robespierre fino a Schiller. Era un<br />
ideale <strong>di</strong> stoicismo politico, <strong>di</strong> virtù romana, <strong>di</strong> ascetismo<br />
eroico. L’amore e la felicità sono ban<strong>di</strong>ti da questo<br />
mondo in quanto degradanti egoistici e indegni del citta<strong>di</strong>no.<br />
Modello ideale non è più la “donna bella, ma<br />
non fredda e altera”, bensì l’ombra del severo Bruto e <strong>di</strong><br />
Marfa Posadnica [celebre donna russa del XV secolo<br />
che, dopo la morte del marito, si mise a capo del partito<br />
antimoscovita <strong>della</strong> repubblica <strong>di</strong> Novgorod (N.d.T.)].<br />
“Catone <strong>della</strong> sua repubblica”, come la chiamò Karamzin.<br />
La dea dell’amore è proscritta in nome <strong>della</strong> musa<br />
dello spirito “liberale”.<br />
Begi, sokrojsja otočej<br />
Citery slabja carica!<br />
Gde ty, gde ty, groza carey,<br />
Svobody gordaja pevica?<br />
(Pusˇkin 1947, p. 45)<br />
[Va’ via, nascon<strong>di</strong>ti lontano, / O imbelle regina <strong>di</strong> Citera!<br />
/ Ove sei, terrore dei sovrani, / Della libertà, tu, musa altera?].<br />
In questa luce il comportamento sregolato assumeva<br />
un significato <strong>di</strong>ametralmente opposto. Comune era soltanto<br />
il fatto che in entrambi i casi esso era considerato<br />
come provvisto <strong>di</strong> significato, passando dalla sfera <strong>della</strong><br />
normale routine in quella dell’attività segnica. Si tratta <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> <strong>di</strong>fferenza sostanziale, in quanto la routine è qualcosa<br />
che l’in<strong>di</strong>viduo non sceglie, ma riceve dalla società,<br />
dall’epoca o dalla sua costituzione psico-fisiologica come<br />
<strong>una</strong> realtà priva <strong>di</strong> alternativa. Il comportamento segnico<br />
è sempre il risultato <strong>di</strong> <strong>una</strong> scelta, e comporta, <strong>per</strong><br />
conseguenza, la libera attività del suo soggetto, <strong>una</strong> sua
IL DECABRISTA NELLA VITA 231<br />
scelta del linguaggio, del suo rapporto con la società<br />
(qui sono interessanti i casi in cui il comportamento<br />
non-segnico <strong>di</strong>venta segnico agli occhi <strong>di</strong> un osservatore<br />
esterno, ad esempio, <strong>di</strong> uno straniero, in quanto quest’ultimo,<br />
involontariamente lo integra con la propria<br />
capacità <strong>di</strong> fare altrimenti nelle medesime situazioni).<br />
La questione che ora ci interessa riguarda <strong>di</strong>rettamente<br />
il valore che si deve attribuire a fenomeni <strong>di</strong> primo piano<br />
<strong>della</strong> vita sociale russa negli anni Dieci, come la “Lampada<br />
verde”, l’“Arzamas”, e la “Società <strong>della</strong> risata”.<br />
La più in<strong>di</strong>cativa in questo senso è la storia degli stu<strong>di</strong><br />
sulla “Lampada verde”.<br />
Le voci sulle orge che avrebbero avuto luogo tra i<br />
membri <strong>della</strong> “Lampada verde”, voci che circolavano<br />
tra la più giovane generazione dei contemporanei <strong>di</strong><br />
Pusˇkin, la quale conosceva l’ambiente degli anni Dieciinizio<br />
anni Venti, soltanto <strong>per</strong> sentito <strong>di</strong>re trovarono<br />
eco nella prima letteratura biografica, dando luogo a<br />
<strong>una</strong> tra<strong>di</strong>zione, risalente agli scritti <strong>di</strong> Bartenev e Annenkov,<br />
secondo cui la Lampada verde era <strong>una</strong> società<br />
apolitica, sede <strong>di</strong> orgiastiche feste. S ˇ čëgolev in un articolo<br />
del 1907, in aspra polemica con questa tra<strong>di</strong>zione,<br />
pose il problema del legame tra la Lampada verde e la<br />
Lega <strong>della</strong> Pros<strong>per</strong>ità (cfr. S ˇ čëgolev 1912, cap. “Zelënaja<br />
lampa”; 1931). La parziale pubblicazione da parte <strong>di</strong><br />
Modzalevskij (1928) dell’archivio <strong>della</strong> Lampada verde<br />
confermò quest’ipotesi coi documenti, il che <strong>per</strong>mise a<br />
vari stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> avvalorarla (cfr. Ryleev 1934; Bazanov<br />
1949). In questa prospettiva il problema fu appunto<br />
esposto nel lavoro conclusivo <strong>di</strong> Nečkina (1955, pp.<br />
239-246). Infine Tomasˇevskij, riprendendo con il suo<br />
consueto acume critico questo punto <strong>di</strong> vista, lo illustrò<br />
nel più esauriente dei mo<strong>di</strong> nella sua monografia su<br />
Pusˇkin, dove la <strong>di</strong>samina <strong>della</strong> questione occupa più <strong>di</strong><br />
40 pagine <strong>di</strong> testo. Non c’è motivo <strong>di</strong> sottoporre a revisione<br />
questi risultati.
232 JURIJ M. LOTMAN<br />
Tuttavia, proprio il modo esauriente e particolareggiato<br />
con cui è stata esposta l’interpretazione <strong>della</strong><br />
Lampada verde come <strong>di</strong>ramazione <strong>della</strong> Lega <strong>della</strong><br />
Pros<strong>per</strong>ità rivela <strong>una</strong> certa unilateralità <strong>di</strong> questa impostazione.<br />
Lasciamo da parte le leggende e i pettegolezzi<br />
e pren<strong>di</strong>amo in mano un ciclo <strong>di</strong> poesie <strong>di</strong> Pusˇkin e le<br />
sue lettere in<strong>di</strong>rizzate ai membri <strong>della</strong> “Lampada”. Ci<br />
accorgeremo subito <strong>di</strong> un elemento comune che le collega<br />
inoltre ai versi <strong>di</strong> Ja. Tolstoj, da Tomasˇevskij (1956,<br />
p. 212) giustamente ritenuto “poeta stabile <strong>della</strong> ‘Lampada<br />
verde’”. Questa peculiarità consiste in <strong>una</strong> sintesi<br />
tra un palese e inequivocabile libertarismo e un culto<br />
<strong>della</strong> gioia dell’amore sensuale, un gusto <strong>di</strong>ssacratore e<br />
un certo libertinaggio ostentato. Non <strong>per</strong> nulla in questi<br />
testi si riscontra così <strong>di</strong> frequente l’uso dei puntini<br />
<strong>di</strong> sospensione, la cui presenza era impossibile nelle<br />
o<strong>per</strong>e rivolte a Nikolaj Turgenev, a C ˇ aadaev o a Fëdor<br />
Glinka. Tomasˇevskij cita un passo dell’epistola <strong>di</strong><br />
Pusˇkin a Jur’ev, e la confronta con la de<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> Ryleev<br />
al Vojnarovskij: “la parola ‘s<strong>per</strong>anza’ aveva un significato<br />
civico”. Pusˇkin scriveva a Jur’ev, membro <strong>della</strong><br />
Lampada verde:<br />
Zdorovo, rycarilichie<br />
Ljubvi, svobody i vina!<br />
Dlja nas, sojuzniki mladye<br />
Nadezˇdy lampa zazˇzˇena.<br />
[Salve, ar<strong>di</strong>ti cavalieri / D’amore, vino e libertà! / Per noi,<br />
giovani qui uniti / Di s<strong>per</strong>anza la lampada arde già].<br />
L’uso <strong>della</strong> parola “s<strong>per</strong>anza” nell’accezione civile risulta<br />
evidente nella de<strong>di</strong>ca al Vojnarovskij <strong>di</strong> Ryleev:<br />
Ivnov’v nebesnoj visˇine<br />
Zvezda nadezˇdy zasijale.<br />
(Ryleev, in Tomasˇevskij 1956, p. 197)
IL DECABRISTA NELLA VITA 233<br />
[E ancora nell’alto del cielo / La stella <strong>della</strong> s<strong>per</strong>anza rifulge].<br />
Tuttavia, pur rilevando l’affinità tra le immagini <strong>di</strong><br />
questi testi, non si deve <strong>di</strong>menticare che in Pusˇkin i<br />
versi citati sono seguiti da altri, del tutto impossibili<br />
<strong>per</strong> Ryleev, ma quanto mai caratteristici dell’intero ciclo<br />
in esame:<br />
Zdorovo, molodost’ i sčast’e,<br />
Zastol’nyj kuboki bordel’,<br />
Gde s gromkim smechom sladostrast’e<br />
Vedët nas janych na postel’.<br />
(Pusˇkin 1947, p. 95)<br />
[Salve, gioia e giovinezza, / Calice conviviale, e bordello, /<br />
Dove, ebbri e ridenti, / La voluttà ci conduce al letto].<br />
Ora, se riteniamo che tutta la sostanza <strong>della</strong> Lampada<br />
verde si esaurisca nella sua qualità <strong>di</strong> <strong>di</strong>ramazione<br />
<strong>della</strong> Lega <strong>della</strong> Pros<strong>per</strong>ità, come concilieremo versi del<br />
genere (tutt’altro che isolati!) con il principio del “Libro<br />
verde”, secondo cui “la <strong>di</strong>ffusione dei precetti <strong>della</strong><br />
moralità e <strong>della</strong> virtù è il fine precipuo <strong>della</strong> Lega”, ai<br />
cui membri veniva fatto obbligo <strong>di</strong> “esaltare in tutti i <strong>di</strong>scorsi<br />
la virtù, umiliare il vizio, mostrare <strong>di</strong>sprezzo <strong>per</strong><br />
la debolezza”? Si ricor<strong>di</strong> il <strong>di</strong>sgusto che Nicolaj Turgenev<br />
provava <strong>per</strong> i “conviti” in quanto passatempo degno<br />
<strong>di</strong> “gaglioffi”: “Mosca è un baratro <strong>di</strong> piaceri <strong>della</strong><br />
vita dei sensi: si mangia, si beve, si dorme, si gioca a carte,<br />
e tutto ciò alle spalle dei conta<strong>di</strong>ni oppressi dal lavoro”<br />
(Turgenev 1921, p. 259) (l’annotazione porta la data<br />
del 1821, anno <strong>di</strong> pubblicazione dei Banchetti [Pizy] <strong>di</strong><br />
Baratynskij).<br />
I primi storici <strong>della</strong> Lampada verde, sottolineandone<br />
l’elemento “orgiastico”, le negavano un qualsiasi significato<br />
politico. Gli stu<strong>di</strong>osi o<strong>di</strong>erni, messa in luce la
234 JURIJ M. LOTMAN<br />
profon<strong>di</strong>tà dei reali interessi politici degli affiliati, hanno<br />
puramente e semplicemente cancellato ogni <strong>di</strong>fferenza<br />
tra la Lampada verde e l’atmosfera morale <strong>della</strong> Lega<br />
<strong>della</strong> Pros<strong>per</strong>ità. La Nečkina passa sotto silenzio questo<br />
aspetto del problema, Tomasˇevskij (1956, p. 206) trova<br />
<strong>una</strong> via d’uscita, facendo <strong>una</strong> <strong>di</strong>stinzione tra le riunioni<br />
<strong>della</strong> Lampada Verde serie e del tutto rispondenti allo<br />
spirito <strong>della</strong> Lega e le serate, non prive <strong>di</strong> spirito <strong>di</strong> libertà,<br />
in casa <strong>di</strong> Nikita Vsevolozˇskij: “È ora <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere<br />
tra le serate <strong>di</strong> Vsevolozˇskij e le riunioni <strong>della</strong><br />
‘Lampada verde’”, egli scrive. È vero che subito dopo<br />
Tomasˇevskij attenua notevolmente la sua affermazione<br />
aggiungendo che “<strong>per</strong> Pusˇkin, naturalmente, le serate in<br />
casa Vsevolozˇskij erano inseparabili da tutto il resto, come<br />
inseparabili erano le riunioni dell’‘Arzamas’ e le tra<strong>di</strong>zionali<br />
cene con l’oca”. Non si capisce <strong>per</strong>ché si debba<br />
<strong>di</strong>stinguere ciò che <strong>per</strong> Pusˇkin era inseparabile e se si<br />
debba in questo caso anche <strong>per</strong> l’Arzamas <strong>di</strong>videre le sedute<br />
“serie” dalle cene “giocose”. È <strong>una</strong> via <strong>di</strong>fficilmente<br />
<strong>per</strong>corribile.<br />
La Lampada verde fu in<strong>di</strong>scutibilmente un sodalizio<br />
libertario <strong>di</strong> letterati, non un’accolta <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssoluti. Battagliare<br />
intorno a questo problema oggi non ha più alcun<br />
senso 16 . Non meno evidente è che la Lega <strong>della</strong> Pros<strong>per</strong>ità<br />
cercasse <strong>di</strong> influire sulla “Lampada” (la partecipazione<br />
a essa <strong>di</strong> Fëdor Glinka e <strong>di</strong> Sergej Trubeckoj<br />
non lascia a questo proposito alcun dubbio). Ma questo<br />
allora significa che essa era <strong>una</strong> semplice filiale <strong>della</strong><br />
Lega e che tra queste organizzazioni non si rileva<br />
<strong>una</strong> <strong>di</strong>fferenza?<br />
La <strong>di</strong>fferenza consisteva non negli ideali e negli<br />
orientamenti programmatici, bensì nel tipo <strong>di</strong> comportamento.<br />
I massoni chiamavano le sedute <strong>della</strong> loggia “lavori”.<br />
Anche <strong>per</strong> un membro <strong>della</strong> Lega <strong>della</strong> Pros<strong>per</strong>ità la sua<br />
attività <strong>di</strong> affiliato era un “lavoro” oppure, più solenne-
IL DECABRISTA NELLA VITA 235<br />
mente, un “servizio”. Così infatti <strong>di</strong>sse Pusˇčin (1956, p.<br />
81) a Pusˇkin: “Non sono l’unico a prestare questo nuovo<br />
servizio alla patria”. Lo stato d’animo dominante del<br />
congiurato politico è grave e solenne. Per il membro <strong>della</strong><br />
Lampada verde lo spirito libertario si colora <strong>di</strong> toni<br />
gioiosi, e l’attuazione degli ideali <strong>di</strong> libertà trasforma la<br />
vita in <strong>una</strong> festa ininterrotta. Grossman (1958, p. 143),<br />
che ci dà un ritratto <strong>di</strong> Pusˇkin <strong>di</strong> questo <strong>per</strong>iodo, finemente<br />
nota: “La lotta politica era da lui <strong>per</strong>cepita non<br />
come abnegazione e sacrificio, ma come gioia e festa”.<br />
Ma è <strong>una</strong> festa dove la vita, straripando, si fa beffa<br />
dei <strong>di</strong>vieti. L’ar<strong>di</strong>ta sfrenatezza (cfr. “ar<strong>di</strong>ti cavalieri”) <strong>di</strong>stingue<br />
gli ideali <strong>della</strong> Lampada verde dall’armonico<br />
edonismo <strong>di</strong> Batjusˇkov (e dalla moderata giocon<strong>di</strong>tà dell’Arzamas),<br />
avvicinandoli piuttosto allo sfrenato “spirito<br />
degli ussari” <strong>di</strong> Denis Davydov o alla sregolatezza goliar<strong>di</strong>ca<br />
<strong>di</strong> Jazykov.<br />
La violazione del culto karamziniano del “decoro” si<br />
manifesta nel comportamento linguistico dei membri<br />
<strong>della</strong> “Lampada”. Non si tratta ovviamente dell’uso <strong>di</strong><br />
parole oscene, altrimenti la “Lampada” non si <strong>di</strong>stinguerebbe<br />
da <strong>una</strong> qualsiasi bisboccia <strong>di</strong> ufficiali. La convinzione<br />
degli stu<strong>di</strong>osi, secondo i quali dei giovani ufficiali<br />
e poeti brilli o anche semplicemente accalorati usassero<br />
nelle loro conversazioni il lessico del Dizionario dell’Accademia,<br />
<strong>per</strong> cui certi famigerati interventi in quelle riunioni<br />
non <strong>di</strong>mostrerebbero altro che <strong>una</strong> scarsa raffinatezza<br />
<strong>di</strong> spirito, questa convinzione ha un carattere piuttosto<br />
comico; essa è dovuta a quell’ipnosi <strong>delle</strong> fonti<br />
scritte cui sottostà il pensiero storico o<strong>di</strong>erno: il documento<br />
viene identificato con la realtà, e la lingua del documento<br />
con la lingua <strong>della</strong> vita. Si tratta in realtà <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
commistione del linguaggio del pensiero politico e filosofico<br />
alto e <strong>della</strong> raffinata poesia con un lessico da trivio.<br />
Da qui nasce quel particolare stile accentuatamente<br />
familiare che è così caratteristico <strong>delle</strong> lettere <strong>di</strong> Pusˇkin
236 JURIJ M. LOTMAN<br />
ai membri <strong>della</strong> Lampada verde. Questa lingua ricca <strong>di</strong><br />
inattesi accostamenti e <strong>di</strong> coesistenze stilistiche <strong>di</strong>venne<br />
<strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> parola d’or<strong>di</strong>ne in base alla quale si riconoscevano<br />
i “propri” uomini. L’esistenza <strong>di</strong> <strong>una</strong> parola<br />
d’or<strong>di</strong>ne linguistica <strong>di</strong> un gergo <strong>di</strong> gruppo molto marcato<br />
è un tratto caratteristico sia <strong>della</strong> Lampada che dell’Arzamas.<br />
Trasferendosi col pensiero dall’esilio tra gli<br />
amici <strong>della</strong> Lampada verde, Pusˇkin sottolineò proprio<br />
questo “loro” linguaggio:<br />
Vnov slysˇu, vernye, poety,<br />
Vas očarovannyj jazˇyk (...).<br />
(Pusˇkin 1947, p. 264)<br />
[E qui odo ancora, fedeli poeti, / La vostra lingua fatata<br />
(...)].<br />
Al comportamento linguistico doveva corrisponderne<br />
anche uno pratico, basato sulla stessa commistione.<br />
Già nel 1817 Pusˇkin scriveva a Kaverin (l’atmosfera che<br />
regnava tra gli ussari preparava quella <strong>della</strong> Lampada<br />
verde) che<br />
(...) mozˇno druzˇno zˇit’<br />
S stichami, s kartami, s Platonom i s bokalom,<br />
č to rezvych sˇalostej pod lëgkim pokryvalom<br />
I um vozvysˇennyj i serdce mozˇno skryt’.<br />
(Pusˇkin 1937a, p. 238)<br />
[(...) vivere si può in armonia / Coi versi, le carte, Platone<br />
e il calice, / E un intelletto eccelso e un cuor si può celare<br />
/ Sotto il velo lieve <strong>di</strong> giocose follie].<br />
Si ricor<strong>di</strong> che proprio contro questa promiscuità si<br />
scaglia il moralista e pre<strong>di</strong>catore Čackij (sull’atteggiamento<br />
dei decabristi nei confronti del gioco <strong>delle</strong> carte<br />
si veda più avanti):
IL DECABRISTA NELLA VITA 237<br />
Kogda v delach ja ot veselij prjačus’,<br />
Kogda duračit’sja – duračus’,<br />
A smesˇivat’ dva eti remesla<br />
Est’ t’ma ochotnikov, ja ne iz ich čisla.<br />
[Se faccio cose serie, fuggo il gioco, / Quando vo’ <strong>di</strong>vertirmi,<br />
mi <strong>di</strong>verto, / Di mescolare insieme questo e quello / A<br />
molti piace, ma non piace a me].<br />
La familiarità elevata a culto dava luogo a <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong><br />
ritualizzazione dell’esistenza. Ma si trattava <strong>di</strong> <strong>una</strong> ritualità<br />
alla rovescia, analoga ai buffoneschi riti del carnevale. Di<br />
qui certe caratteristiche sostituzioni sacrileghe: la “Vergine”<br />
<strong>di</strong> Voltaire è “la sacra Bibbia <strong>delle</strong> Càriti”. L’incontro<br />
con “Laide” può essere nominato <strong>di</strong>rettamente, con ostentata<br />
inosservanza dei tabù verbali del gran mondo:<br />
Kodga Z ˇ vnov’ sjadem včetverom<br />
S c..., vinom i čubukami<br />
(Pusˇkin 1947, p. 77)<br />
[Quando <strong>di</strong> nuovo sederemo in quattro / Con le puttane<br />
le pipe e il vino]<br />
e tradotto nella lingua <strong>di</strong> un rituale sacrilego:<br />
Provo<strong>di</strong>t nabozˇnuju noč’<br />
S mladoj monasˇinkoj Citery.<br />
(p. 87)<br />
[Trascorre <strong>una</strong> pia notte / Con la giovane monaca <strong>di</strong> Citera].<br />
Tutto questo si può paragonare alla carnevalizzazione<br />
del rituale massonico nell’Arzamas. In entrambi i casi è<br />
evidente l’antiritualità del buffonesco rituale. Ma se un<br />
“liberale” non si <strong>di</strong>vertiva allo stesso modo <strong>di</strong> un<br />
Molčalin, lo svago del “carbonaro” russo non somigliava<br />
ai sollazzi del liberale.
238 JURIJ M. LOTMAN<br />
Con non minor nettezza dell’affiliazione formale a<br />
<strong>una</strong> società segreta, il comportamento quoti<strong>di</strong>ano separava<br />
il rivoluzionario <strong>di</strong> estrazione nobiliare non soltanto<br />
dagli uomini del “trascorso secolo”, ma anche dall’ampia<br />
cerchia dei fron<strong>di</strong>sti, liberi pensatori e “liberali”.<br />
Che l’accentuazione <strong>di</strong> un particolare comportamento<br />
(“Di queste qualità ne avete a iosa”, – <strong>di</strong>ce Sof’ja a<br />
Čackij) fosse in contrasto con l’idea <strong>di</strong> cospirazione, non<br />
turbava i giovani congiurati. È sintomatico che non il<br />
decabrista Nikolaj Turgenev, ma il suo prudente fratello<br />
maggiore dovesse cercar <strong>di</strong> convincere l’ultimo dei fratelli,<br />
Sergej Ivanovič, impetuosamente attratto dalle norme<br />
e dagli ideali decabristi, a non palesare le proprie<br />
idee nella vita d’ogni giorno. Nikolaj Ivanovič impartiva<br />
invece al fratello insegnamenti opposti: “Non <strong>per</strong> piacere<br />
ai gaglioffi abbiamo accolto i principi liberali. Essi<br />
non ci possono amare. E noi sempre li <strong>di</strong>sprezzeremo”<br />
(Turgenev 1936, p. 208).<br />
Espressione <strong>di</strong> tale atteggiamento, lo “sguardo minaccioso<br />
e l’aspro tono”, <strong>per</strong> usare le parole dette da<br />
Sof’ja a proposito <strong>di</strong> Čackij, rendevano poco inclini allo<br />
scherzo spensierato, incapace <strong>di</strong> trasformarsi in satira<br />
sociale. I decabristi non erano dei burloni. Entrando<br />
nell’allegria carnevalizzata <strong>delle</strong> società dei giovani<br />
liberali, essi cercavano <strong>di</strong> in<strong>di</strong>rizzarne l’attività verso<br />
obiettivi “seri” e “nobili” e così <strong>di</strong>struggevano il fondamento<br />
stesso dei loro sodalizi. È <strong>di</strong>fficile immaginarsi<br />
il contegno <strong>di</strong> un Glinka alle riunioni <strong>della</strong> Lampada<br />
verde o, a maggior ragione, alle cene <strong>di</strong> Vsevolozˇskij.<br />
Sappiamo <strong>per</strong>ò benissimo quale piega presero<br />
gli avvenimenti nell’Arzamas dopo l’ingresso dei decabristi<br />
nell’associazione. I <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> Nikolaj Turgenev<br />
e, più ancora, <strong>di</strong> Orlov, erano “ardenti” e “sostanziosi”,<br />
ma non certo animati da spensierata arguzia. Lo<br />
stesso Orlov (1933, p. 206) ne era, del resto, <strong>per</strong>fettamente<br />
consapevole: “Come potrà <strong>una</strong> mano, avvezza a
IL DECABRISTA NELLA VITA 239<br />
stringere la pesante spada dell’invettiva, adoprar come si<br />
conviene la lieve arma <strong>di</strong> Apollo? E spetta forse a <strong>una</strong><br />
voce, arrochita nel gridar bellici coman<strong>di</strong>, parlare la <strong>di</strong>vina<br />
favella dell’ispirazione o il raffinato linguaggio del<br />
<strong>di</strong>leggio?”.<br />
Anche gli interventi dei decabristi alla Lega <strong>della</strong> Risata<br />
non brillarono certo <strong>per</strong> umorismo. Ecco come uno<br />
<strong>di</strong> essi appare dalle memorie <strong>di</strong> Dmitriev:<br />
Alla seconda riunione S ˇ achovskoj invitò due visitatori<br />
(non membri), Fonvizin e Murav’ëv (...). Durante la<br />
riunione gli ospiti accesero la pipa, poi andarono nella<br />
stanza accanto e, chissà <strong>per</strong>ché, parlarono tra loro sottovoce.<br />
Ritornati, <strong>di</strong>ssero che lavori <strong>di</strong> quel genere erano<br />
troppo seri, e così via. Quin<strong>di</strong> presero a dar consigli.<br />
S ˇ achovskoj arrossì e i membri <strong>della</strong> lega si offesero<br />
(Grum-Grzˇimajlo, Sorokin 1963, p. 148).<br />
Ness<strong>una</strong> “risata”, come si vede.<br />
Eliminando la <strong>di</strong>visione – tipica <strong>della</strong> società nobiliare<br />
– <strong>della</strong> vita pratica in due sfere <strong>di</strong>stinte, gli impegni e<br />
la ricreazione, i “liberali” avrebbero voluto trasformare<br />
la vita intera in <strong>una</strong> festa, mentre i cospiratori ne avrebbero<br />
voluto fare un “servizio”.<br />
Ogni forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertimento mondano – il ballo, le<br />
carte, i corteggiamenti – viene da essi severamente condannata<br />
come espressione <strong>di</strong> vacuità spirituale. In <strong>una</strong><br />
lettera a Jakusˇkin Murav’ëv-Apostol (1922, p. 85) mette<br />
esplicitamente in relazione la passione del gioco con la<br />
generale decadenza dello spirito civico in un’epoca <strong>di</strong><br />
reazione politica: “Dopo la guerra del 1814 la passione<br />
del gioco mi pareva scomparsa tra la gioventù. A che<br />
dunque attribuiremo l’attuale reviviscenza <strong>di</strong> un’occupazione<br />
così spregevole?”, egli si chiedeva, evidentemente<br />
non ammettendo alc<strong>una</strong> possibilità <strong>di</strong> simbiosi<br />
tra le “carte” e “Platone”.<br />
Come occupazioni “triviali”, le carte e il ballo venivano<br />
posti sul medesimo piano e ban<strong>di</strong>ti entrambi dalle se-
240 JURIJ M. LOTMAN<br />
rate a cui si riuniva “il fior fiore <strong>della</strong> gioventù pensante”.<br />
Alle serate in casa <strong>di</strong> Lipran<strong>di</strong> “non si danzava né si<br />
giocava a carte” 17 . Per sottolineare l’abisso che separa<br />
Čackij dal suo ambiente, Griboedov conclude il monologo<br />
del protagonista con questa <strong>di</strong>dascalia: “Si guarda<br />
intorno: tutti volteggiano ballando il valzer con grande<br />
impegno. I vecchi si sono seduti ai tavoli da gioco”.<br />
Nikolaj Turgenev, in <strong>una</strong> caratteristica lettera al fratello<br />
Sergej, si stupisce che in un paese come la Francia, in<br />
cui ferveva un’intensa vita politica, si potesse <strong>per</strong>der<br />
tempo nel ballo: “Ho sentito che balli. La figlia del conte<br />
Golovin ha scritto al padre <strong>di</strong> aver danzato con te.<br />
Così non senza meraviglia ho saputo che in Francia ancora<br />
si balla! Une écossaise constitutionelle, indépendante,<br />
ou une contredanse monarchique ou une danse<br />
contromonarchique?” (Turgenev 1936, p. 280) 18 .<br />
Che non si trattasse <strong>di</strong> un semplice <strong>di</strong>sinteresse <strong>per</strong> il<br />
ballo, ma <strong>della</strong> scelta <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> comportamento, <strong>per</strong><br />
cui il rifiuto <strong>della</strong> danza non era che un segno, è testimoniato<br />
dal fatto che i giovani “seri” del 1818-19 (e <strong>per</strong> influsso<br />
dei decabristi la “serietà” era venuta <strong>di</strong> moda, anche<br />
al <strong>di</strong> là <strong>della</strong> cerchia imme<strong>di</strong>ata dei membri <strong>delle</strong> società<br />
segrete) andavano ai balli <strong>per</strong> non ballare. È noto,<br />
quasi da antologia, questo passo del pusˇkiniano Romanzo<br />
in lettere [Roman v pis’mach]: “Le tue profonde speculazioni<br />
risalgono al 1818. A quel tempo l’austerità e<br />
l’economia politica erano <strong>di</strong> moda. Ci presentavamo ai<br />
balli con la spada al fianco [gli ufficiali intenzionati a<br />
ballare si toglievano la spada prima ancora <strong>di</strong> entrare in<br />
sala e la lasciavano in consegna al portiere]: <strong>per</strong> noi ballare<br />
era sconveniente né avevamo il tempo <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carci<br />
alle signore” (Pusˇkin 1948, p. 55). Cfr. la battuta <strong>della</strong><br />
principessa-nonna nella comme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Griboedov: “I<br />
ballerini son <strong>di</strong>ventati tremendamente rari”.<br />
All’ideale dei “banchetti” si contrapposero ostentatamente<br />
le spartane “colazioni russe” in casa <strong>di</strong> Ryleev,
IL DECABRISTA NELLA VITA 241<br />
composte <strong>di</strong> soli piatti nazionali, “che venivano regolarmente<br />
offerte alle due o alle tre dopo mezzogiorno e a<br />
cui prendevan parte molti letterati e membri <strong>della</strong> nostra<br />
Lega. La colazione, invariabilmente, constava <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
caraffa <strong>di</strong> vodka, cavoli cappucci marinati e pane <strong>di</strong> segale.<br />
E non vi paia bizzarra la spartana frugalità <strong>della</strong> colazione”.<br />
Essa “s’intonava a <strong>una</strong> costante aspirazione <strong>di</strong><br />
Ryleev: conferire alla sua vita l’impronta <strong>della</strong> ‘russicità’”<br />
(Bestuzˇev 1951, p. 53). Bestuzˇev è lontano dall’ironia<br />
quando ci descrive i letterati che, “passeggiando su e<br />
giù col sigaro in bocca e mangiucchiando del cavolo” (p.<br />
54), criticano il nebuloso romanticismo <strong>di</strong> Z ˇ ukovskij.<br />
Caratteristico è l’accostamento tra il “sigaro” e il “cavolo”,<br />
in cui il primo esprime semplicemente l’automatismo<br />
dell’abitu<strong>di</strong>ne e testimonia quanto profonda fosse<br />
l’europeizzazione <strong>della</strong> reale vita russa, mentre il secondo<br />
è un segno dotato <strong>di</strong> rilevanza ideologica. Ma Bestuzˇev<br />
non ravvisa qui alc<strong>una</strong> contrad<strong>di</strong>zione, in quanto<br />
il sigaro e il cavolo si <strong>di</strong>spongono a <strong>di</strong>versi livelli, e il sigaro<br />
è <strong>per</strong>cepibile solo da un osservatore esterno, cioè<br />
da noi.<br />
Al giovane gaudente, che <strong>di</strong>vide il tempo tra i balli e<br />
le bevute fra amici, si contrappone l’anacoreta, che trascorre<br />
il tempo nel proprio stu<strong>di</strong>o. La lettura entusiasma<br />
<strong>per</strong>sino i giovani militari, che adesso assomigliano più a<br />
stu<strong>di</strong>osi in erba che a scapestrati in uniforme. Murav’ëv,<br />
Pestel’, Jakusˇkin, Zavalisˇin, Baten’kov e decine <strong>di</strong> altri<br />
giovani <strong>della</strong> loro cerchia si de<strong>di</strong>cano allo stu<strong>di</strong>o, assistono<br />
a lezioni private, or<strong>di</strong>nano libri e riviste, rifuggono<br />
dalla compagnia <strong>delle</strong> signore:<br />
(...) modnyj krug sovsem te<strong>per</strong>’ ne v mode.<br />
My, znaesˇ’, milaja, vse nynče na svobode.<br />
Ne ez<strong>di</strong>m v obsˇčestva, ne znaem nasˇich dam.<br />
My ich ostavili na zˇertvu [starikam],<br />
Ljubeznym balovnjam os’mnadcatogo veka.<br />
(Pusˇkin)
242 JURIJ M. LOTMAN<br />
[(...) I circoli alla moda non sono più <strong>di</strong> moda. / Noi siamo,<br />
cara, liberi dagli impegni. / La società, le amiche più<br />
non frequentiamo. / Le abbiamo sacrificate ai vecchi, /<br />
Gentili beniamini del secolo passato].<br />
Professory!! – u nich učilsja nasˇ rodnja,<br />
I vysˇel! chot’ sejčas v apteku, v podmaster’i,<br />
Ot zˇensˇčin begaet (...).<br />
(Griboedov)<br />
[Professori!! con loro stu<strong>di</strong>ò il nostro parente, / Or s’è <strong>di</strong>plomato,<br />
buono <strong>per</strong> far l’appren<strong>di</strong>sta in farmacia / Fugge<br />
le donne (...)].<br />
Zavalisˇin , che a 16 anni era stato nominato docente<br />
<strong>di</strong> astronomia e matematica su<strong>per</strong>iore a quella stessa Accademia<br />
<strong>di</strong> Marina i cui corsi aveva appena brillantemente<br />
concluso, e a 18 aveva intrapreso un viaggio <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong>o intorno al mondo, si lamentava che Pietroburgo<br />
altro non offrisse che “le solite visite, le solite carte, la<br />
solita vana mondanità (...). Non un minuto rimane libero<br />
<strong>per</strong> gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong>letti” (Zavalisˇin 1908, p. 39).<br />
Nell’epoca a cavallo tra il secolo XVIII e il XIX un intellettuale<br />
raznočinec conscio dell’abisso che <strong>di</strong>videva la<br />
teoria dalla realtà, ricorreva talvolta a soluzioni <strong>di</strong> compromesso:<br />
(...) Nosi ličinu v svete,<br />
A filosófom bud’, za<strong>per</strong>sˇis v kabinete.<br />
(Slovcov 1971, p. 209)<br />
[(...) Porta pure la maschera nel mondo, / E chiuso nel tuo<br />
stu<strong>di</strong>o sii filosofo].<br />
L’ascetismo decabrista era accompagnato da un deciso<br />
e palese <strong>di</strong>sprezzo <strong>per</strong> gli abituali passatempi <strong>della</strong><br />
nobiltà. Un’apposita regola <strong>della</strong> Lampada verde prescriveva:<br />
“Non si scialacqui il tempo negli effimeri pia-
IL DECABRISTA NELLA VITA 243<br />
ceri del gran mondo, bensì consacri ognuno i momenti<br />
liberi dai propri impegni ad utili occupazioni o a conversazioni<br />
con <strong>per</strong>sone <strong>di</strong> sano pensare” (Pypin 1908, p.<br />
567). Diviene possibile il tipo dell’ussaro-filosofo, anacoreta<br />
e dotto, come C ˇ aadaev:<br />
(...) uvizˇu kabinet,<br />
Gde ty, mudrec, a inogda mečtatel’<br />
I vetrenoj tolpy besstrastnyj nabljudatel’.<br />
(Pusˇkin)<br />
[(...) nello stu<strong>di</strong>o rivedo / Te, sempre saggio, talvolta sognatore,<br />
/ Di questa folla vacua sereno osservatore].<br />
Il passatempo pre<strong>di</strong>letto <strong>di</strong> Pusˇkin e C ˇ aadaev consisteva<br />
nel leggere insieme (“... con Kaverin mi <strong>di</strong>vertivo 19 ,<br />
con Molostvov rampognavo la Russia, col mio C ˇ aadaev<br />
invece leggevo”). Pusˇkin offre <strong>una</strong> gamma estremamente<br />
precisa dei mo<strong>di</strong> in cui un sentimento <strong>di</strong> opposizione<br />
politica si manifesta nelle forme del comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano: banchetti, “libere conversazioni”, letture.<br />
Questo non soltanto destava i sospetti <strong>delle</strong> autorità, ma<br />
irritava chi <strong>della</strong> scapestratezza faceva un sinonimo dell’in<strong>di</strong>pendenza<br />
(Davydov 1962, p. 102):<br />
Z ˇ omini da Z ˇ omini!<br />
A ob vodke ni polslova!<br />
[Sempre uomini e uomini! / E <strong>della</strong> vodka neanche <strong>una</strong><br />
parola!].<br />
Sarebbe tuttavia un madornale errore immaginarsi<br />
un membro <strong>delle</strong> società segrete come un solitario rintanato<br />
nel suo stu<strong>di</strong>o. Quanto sopra si è detto significa<br />
soltanto che egli rifiutava le vecchie forme <strong>di</strong> vita comunitaria.<br />
Anzi, il concetto <strong>di</strong> “sforzi congiunti” <strong>di</strong>venta l’idea-guida<br />
dei decabristi, compenetrando non solo le lo-
244 JURIJ M. LOTMAN<br />
ro concezioni teoriche, ma anche il comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano. In vari casi tale idea precede quella <strong>della</strong><br />
congiura politica e facilita psicologicamente l’avvio dell’attività<br />
cospirativa. “Quando ero allievo ufficiale, – ricorda<br />
Zavalisˇin (e lo fu dal 1816 al 1819; nella Lega del<br />
Nord entrò nel 1824) – non mi limitavo a osservare attentamente<br />
tutti i <strong>di</strong>fetti, i <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni e gli abusi, ma li sottoponevo<br />
sempre al giu<strong>di</strong>zio dei miei compagni più seri,<br />
affinché, unendo le nostre forze, ne chiarissimo le cause<br />
e ne ponderassimo i rime<strong>di</strong>” (Zavalisˇin 1908, p. 41).<br />
Intrinseci ai decabristi sono il culto <strong>della</strong> fratellanza,<br />
basato su <strong>una</strong> comunità <strong>di</strong> ideali, e l’esaltazione dell’amicizia,<br />
non <strong>di</strong> rado a scapito <strong>di</strong> altri rapporti. Ryleev,<br />
così ardente nell’amicizia, secondo la testimonianza imparziale<br />
del suo servitore Agap Ivanov, “sembrava freddo<br />
verso i familiari e si infasti<strong>di</strong>va se lo <strong>di</strong>straevano dal<br />
lavoro” 20 .<br />
La definizione che Pusˇkin dà dei decabristi come<br />
“fratelli, amici, compagni” caratterizza <strong>per</strong>fettamente la<br />
gerarchia dei loro rapporti nei <strong>di</strong>versi gra<strong>di</strong> d’intimità. E<br />
se la cerchia dei “fratelli” tendeva a restringersi all’ambito<br />
cospirativo, al polo opposto si collocavano i “compagni”,<br />
concetto agevolmente <strong>di</strong>latabile a quello <strong>di</strong> “gioventù”,<br />
<strong>di</strong> “uomini illuminati”. Ma non basta: anche<br />
questo concetto, già <strong>di</strong> <strong>per</strong> sé estremamente esteso, rientrava<br />
in un ancora più ampio “noi” culturale (contrapposto<br />
a un “loro”). “Noi, noi giovani” – afferma Čackij.<br />
E Zavalisˇin (1908, p. 39, c.vo Lotman) scrive: “Gli ufficiali<br />
anziani [nella flotta] erano a quel tempo <strong>per</strong>sonaggi<br />
insignificanti (specie quelli <strong>di</strong> origine anglosassone) o <strong>di</strong>sonesti,<br />
il che acquistava particolare spicco nel confronto<br />
con gli uomini <strong>della</strong> nostra generazione, dotati, colti,<br />
assolutamente probi”.<br />
Ma se, da <strong>una</strong> parte, il mondo <strong>della</strong> politica <strong>per</strong>meava<br />
intimamente i rapporti <strong>per</strong>sonali e familiari, questi ultimi,<br />
a loro volta, impregnavano <strong>di</strong> sé tutto lo spessore
IL DECABRISTA NELLA VITA 245<br />
dell’organizzazione politica. Se nelle successive fasi del<br />
movimento rivoluzionario considerazioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne ideologico<br />
e politico indurranno a rom<strong>per</strong>e amicizie, amori e<br />
affetti <strong>di</strong> antica data, nel caso dei decabristi è l’organizzazione<br />
politica ad assumere <strong>una</strong> forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>retto rapporto<br />
umano, <strong>di</strong> amicizia, <strong>di</strong> attaccamento agli uomini<br />
oltre che alle loro convinzioni. Tutti coloro che facevano<br />
attività politica erano legati gli uni agli altri da soli<strong>di</strong><br />
rapporti extra politici (si trattava <strong>di</strong> parenti, compagni<br />
<strong>di</strong> reggimenti o <strong>di</strong> istituto, reduci dalle medesime battaglie,<br />
o semplicemente conoscenti nell’ambito <strong>della</strong> società<br />
mondana), rapporti che abbracciavano tutta <strong>una</strong><br />
cerchia <strong>di</strong> <strong>per</strong>sone, dallo zar e dai granduchi, con cui era<br />
possibile incontrarsi e conversare ai balli o alle passeggiate,<br />
fino al giovane congiurato, il che conferiva all’intero<br />
quadro <strong>di</strong> quest’epoca <strong>una</strong> particolare impronta.<br />
In nessun altro movimento politico russo è dato riscontrare<br />
tanta dovizia <strong>di</strong> relazioni <strong>di</strong> parentela: <strong>per</strong><br />
non parlare del complesso intrecciarsi <strong>di</strong> tali vincoli<br />
nella famiglia dei Murav’ëv-Lučiny e intorno alla casa<br />
dei Raevskij (Orlov e Volkonskij sposano le figlie del<br />
generale Raevskij; Davydov, cugino del poeta, condannato<br />
in prima istanza al carcere <strong>per</strong>petuo, è fratello uterino<br />
del generale), basterà ricordare i quattro fratelli<br />
Bestuzˇev, i fratelli Vadkovskij, i fratelli Bobrisˇcˇev-<br />
Pusˇkin, i fratelli Bo<strong>di</strong>sko, i fratelli Borisov, i fratelli Küchelbecker<br />
ecc. Se poi teniamo conto anche dei rapporti<br />
<strong>di</strong> parentela acquisita, <strong>delle</strong> parentele <strong>di</strong> secondo e<br />
terzo grado, dei legami <strong>di</strong> vicinato (che implicava <strong>una</strong><br />
comunità <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong> d’infanzia e univa effettivamente le<br />
<strong>per</strong>sone non meno <strong>della</strong> parentela), si otterrà un quadro<br />
che non ha eguali nella successiva storia del movimento<br />
<strong>di</strong> liberazione in Russia.<br />
Non meno significativo è che i rapporti <strong>di</strong> consanguineità<br />
e amicizia (conoscenze fatte al club, al ballo, al reggimento,<br />
durante <strong>una</strong> campagna militare) legassero i de-
246 JURIJ M. LOTMAN<br />
cabristi non soltanto agli amici, ma anche agli avversari,<br />
senza che <strong>per</strong> questa contrad<strong>di</strong>zione né l’uno né l’altro<br />
tipo <strong>di</strong> rapporto venisse meno.<br />
La sorte dei fratelli Michail e Aleksej Orlov è in questo<br />
senso significativa, ma tutt’altro che unica. Potremmo<br />
citare il caso <strong>di</strong> Murav’ëv che, già affiliato in gioventù<br />
alla Lega <strong>della</strong> Salvezza e alla Lega <strong>della</strong> Pros<strong>per</strong>ità<br />
(<strong>di</strong> cui aveva anche, in collaborazione con altri,<br />
compilato lo statuto), reprimerà nel sangue, qualche anno<br />
più tar<strong>di</strong>, l’insurrezione polacca. Ma l’ambigua indeterminatezza<br />
che i legami amichevoli e mondani introducevano<br />
nei rapporti <strong>per</strong>sonali fra avversari politici, si<br />
manifesta con più trasparenza nei casi più comuni. Il 14<br />
<strong>di</strong>cembre 1825 sulla Piazza del Senato si trovava, a fianco<br />
dello zar Nicola, l’aiutante <strong>di</strong> campo Durnovo. A tarda<br />
notte proprio Durnovo fu inviato ad arrestare Ryleev,<br />
e l’or<strong>di</strong>ne venne regolarmente eseguito. A quel tempo<br />
Durnovo già godeva <strong>della</strong> piena fiducia del nuovo im<strong>per</strong>atore,<br />
che il giorno avanti gli aveva affidato la rischiosa<br />
missione (rimasta inattuata) <strong>di</strong> parlamentare con i reggimenti<br />
rivoluzionari. Qualche tempo dopo fu proprio<br />
Durnovo a scortare Orlov in carcere.<br />
Le cose sembrano estremamente chiare: ci troviamo<br />
<strong>di</strong> fronte a un fedele funzionario <strong>di</strong> sentimenti reazionari,<br />
a un “nemico” dal punto <strong>di</strong> vista dei decabristi.<br />
Ma ve<strong>di</strong>amo più da vicino la fisionomia <strong>di</strong> questo <strong>per</strong>sonaggio<br />
21 .<br />
Durnovo nasce nel 1792. Nel 1810 fa il suo ingresso<br />
alla scuola allievi-ufficiali. Nel 1811 è promosso tenente<br />
e assegnato al capo <strong>di</strong> stato maggiore principe Volkonskij.<br />
Entra quin<strong>di</strong> in <strong>una</strong> società segreta <strong>di</strong> cui esiste notizia<br />
solo nelle memorie <strong>di</strong> Murav’ëv: “Membri <strong>di</strong> questa<br />
lega erano [oltre a Ramburg], anche altri ufficiali:<br />
Durnovo, Aleksandr S ˇ čerbinin, Windemann, Bellingshausen;<br />
benché avessi u<strong>di</strong>to parlare <strong>di</strong> <strong>una</strong> siffatta lega,<br />
non ne conoscevo con esattezza i fini, poiché i membri
IL DECABRISTA NELLA VITA 247<br />
<strong>della</strong> medesima, rad<strong>una</strong>ndosi in casa <strong>di</strong> Durnovo, si celavano<br />
dai loro compagni” (Murav’ëv 1885, p. 26; cfr.<br />
Cernov 1960, pp. 24-25; Lotman 1963, pp. 15-17). Finora<br />
era questa l’unica testimonianza in proposito. Si<br />
aggiunge ora quella del <strong>di</strong>ario dello stesso Durnovo. Il<br />
25 gennaio 1812 egli annota: “Già un anno è trascorso<br />
dalla fondazione <strong>della</strong> nostra Lega, da noi detta ‘Cavalleria’<br />
(Chevalerie). Pranzato che ebbi in casa <strong>di</strong> Demidov,<br />
mi recai alle nove alla riunione, che doveva tenersi<br />
presso l’Eremita (Solitaire). Fino alle tre del mattino si<br />
prolungò detta riunione, che fu presieduta da quattro<br />
cavalieri-fondatori” 22 .<br />
Appren<strong>di</strong>amo così <strong>per</strong> la prima volta la data esatta<br />
<strong>della</strong> fondazione e il nome <strong>della</strong> società segreta – che ci<br />
ricorda stranamente i “Cavalieri russi” Mamonov e Orlov<br />
– nonché alcuni aspetti del suo rituale interno. La<br />
società aveva uno statuto, come risulta dall’annotazione<br />
del 25 gennaio 1813: “Fan oggi due anni da che venne<br />
fondata la nostra Cavalleria. Sono l’unico dei confratelli<br />
che si trovi a Pietroburgo, tutti gli altri illuminati (illustres)<br />
membri sono sui campi <strong>di</strong> battaglia, ove anch’io<br />
mi accingo a tornare. Questa sera non vi fu tuttavia alc<strong>una</strong><br />
riunione, come lo statuto prescrive” 23 .<br />
Alla vigilia <strong>della</strong> guerra con la Francia nel 1812 Durnovo<br />
si reca a Vilno dove stringe rapporti particolarmente<br />
stretti con i fratelli Murav’ëv, soprattutto con Aleksandr e<br />
Nikolaj, che lo invitano a stabilirsi in casa loro. Al gruppo<br />
presto si uniscono Michail Orlov, che Durnovo già conosceva<br />
<strong>per</strong> essere stato suo compagno d’armi a Pietroburgo<br />
(agli or<strong>di</strong>ni del principe Volkonskij), Kolosˇin e<br />
Volkonskij. Insieme a Orlov egli polemizza contro il misticismo<br />
<strong>di</strong> Aleksandr Murav’ëv, il che dà luogo ad accanite<br />
<strong>di</strong>scussioni. Incontri, passeggiate, conversazioni con<br />
Aleksandr Murav’ëv e Orlov riempiono tutte le pagine<br />
del <strong>di</strong>ario. Limitiamoci a citare le annotazioni del 21 e 22<br />
giugno: “Orlov è ritornato col generale Balasˇov. S’erano
248 JURIJ M. LOTMAN<br />
recati a conferire con Napoleone. Più <strong>di</strong> un’ora il sovrano<br />
ha trascorso in colloquio con Orlov. Si <strong>di</strong>ce ch’egli sia assai<br />
sod<strong>di</strong>sfatto <strong>della</strong> condotta <strong>di</strong> quest’ultimo nell’esercito<br />
nemico. Con grande asprezza ha risposto al maresciallo<br />
Davout che tentava <strong>di</strong> provocarlo coi suoi <strong>di</strong>scorsi”. 22<br />
giugno: “Quel che avevamo previsto s’è avverato: il mio<br />
compagno Orlov, aiutante <strong>di</strong> campo del principe Volkonskij<br />
e tenente <strong>della</strong> guar<strong>di</strong>a a cavallo, è stato nominato<br />
aiutante <strong>di</strong> campo dell’im<strong>per</strong>atore. Sotto tutti i riguar<strong>di</strong><br />
egli ha meritato questo onore” 24 . Subito dopo lo zar, Durnovo<br />
e Orlov abbandonano l’esercito al seguito <strong>di</strong><br />
Volkonskij, e partono alla volta <strong>di</strong> Mosca.<br />
I legami <strong>di</strong> Durnovo con i circoli decabristi non si<br />
spezzano neppure in seguito. O quanto meno il suo <strong>di</strong>ario,<br />
che fissa dettagliatamente i fatti esteriori <strong>della</strong> vita,<br />
ma palesemente omette tutti i lati <strong>per</strong>icolosi (non s’incontrano<br />
<strong>per</strong> esempio, notizie sulla “Cavalleria”, tranne<br />
quelle citate, benché si tenessero evidentemente riunioni<br />
<strong>per</strong>io<strong>di</strong>che; si hanno frequenti accenni a <strong>di</strong>scussioni e<br />
colloqui, ma non se ne rivela il contenuto, e così via), incontriamo<br />
all’improvviso, in data 20 giugno 1817,<br />
un’annotazione <strong>di</strong> questo tenore:<br />
Passeggiavo tranquillamente nel mio giar<strong>di</strong>no, quand’ecco<br />
viene a cercarmi <strong>una</strong> staffetta <strong>di</strong> Zakrevskij. Ritenni si trattasse<br />
<strong>di</strong> un viaggio in remote plaghe <strong>della</strong> Russia, ma quale<br />
fu il mio piacevole stupore quando appresi che l’im<strong>per</strong>atore<br />
mi or<strong>di</strong>nava <strong>di</strong> garantire l’or<strong>di</strong>ne durante lo spostamento<br />
<strong>delle</strong> truppe dagli avamposti al Palazzo d’inverno 25 .<br />
Aggiungeremo che dopo il 14 <strong>di</strong>cembre 1825 Durnovo<br />
si sottrasse volontariamente a quel profluvio <strong>di</strong> auguste<br />
ricompense che si riversarono su chiunque, il giorno<br />
fatale, si fosse trovato al fianco dello zar. Inoltre, mentre<br />
sotto Alessandro I aveva rico<strong>per</strong>to l’importante carica <strong>di</strong><br />
aiutante <strong>di</strong> campo 26 e, in seguito alle campagne <strong>di</strong> guerra<br />
del 1812-14, era stato insignito <strong>di</strong> numerose decora-
IL DECABRISTA NELLA VITA 249<br />
zioni russe, prussiane, austriache e svedesi (Alessandro<br />
ebbe a <strong>di</strong>re <strong>di</strong> lui: “Durnovo è un prode ufficiale”), sotto<br />
Nicola I egli occupò, nella cancelleria dello stato maggiore<br />
generale, la modesta posizione <strong>di</strong> primo segretario<br />
del reggente. Ma anche lì non dovette sentirsi a proprio<br />
agio, se nel 1828 chiese <strong>di</strong> riprendere il servizio militare<br />
effettivo (e nell’occasione fu promosso generale maggiore).<br />
Cadde combattendo durante l’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> S ˇ umla 27 .<br />
C’è dunque da stupirsi se Durnovo e Orlov, che nel<br />
1825 il destino spinse in opposte <strong>di</strong>rezioni, s’incontrarono<br />
non come nemici politici, ma, se non come amici, come<br />
buoni conoscenti, e <strong>per</strong> tutta la strada che conduceva<br />
alla fortezza <strong>di</strong> San Pietro e Paolo conversarono con<br />
piena cor<strong>di</strong>alità?<br />
Anche questa peculiarità ebbe il suo influsso sul modo<br />
<strong>di</strong> comportarsi dei decabristi durante l’istruttoria. Il<br />
rivoluzionario <strong>delle</strong> epoche successive non conoscerà<br />
<strong>per</strong>sonalmente i suoi avversari, e in essi vedrà <strong>delle</strong> forze<br />
politiche, e non degli uomini. Il decabrista, <strong>per</strong>sino nei<br />
membri <strong>della</strong> commissione inquirente non poteva non<br />
vedere degli uomini a lui noti <strong>per</strong>ché colleghi <strong>di</strong> servizio<br />
o compagni <strong>di</strong> vita mondana. Si trattava <strong>di</strong> suoi conoscenti<br />
o <strong>di</strong> suoi su<strong>per</strong>iori. Egli poteva <strong>di</strong>sprezzarne l’ottusità<br />
senile, il carrierismo, la servilità, ma non poteva vedere<br />
in essi dei “tiranni” e dei despoti, degni <strong>di</strong> tacitiane<br />
invettive. Usare con loro il linguaggio dell’alta oratoria<br />
politica era impossibile, e questo <strong>di</strong>sorientò i detenuti.<br />
Se storicamente la poesia decabrista fu in buona<br />
parte oscurata dall’o<strong>per</strong>a <strong>di</strong> contemporanei geniali come<br />
Z ˇ ukovskij, Griboedov e Pusˇkin, e se le concezioni<br />
politiche dei decabristi apparivano invecchiate già agli<br />
uomini <strong>della</strong> generazione <strong>di</strong> Belinskij e Herzen proprio<br />
nella creazione <strong>di</strong> un tipo d’uomo del tutto nuovo <strong>per</strong><br />
la Russia il loro contributo alla cultura russa si <strong>di</strong>mostrò<br />
<strong>per</strong>enne e, <strong>per</strong> il suo grado d’approssimazione alla
250 JURIJ M. LOTMAN<br />
norma, all’ideale, ricorda il contributo <strong>di</strong> Pusˇkin alla<br />
poesia russa.<br />
Tutta la figura del decabrista era inscin<strong>di</strong>bile dal sentimento<br />
<strong>della</strong> <strong>di</strong>gnità <strong>per</strong>sonale, sentimento basato su un<br />
altissimo senso dell’onore e sulla fede che ogni partecipante<br />
del movimento aveva nella propria grandezza.<br />
Colpisce <strong>una</strong> certa ingenuità degli apprezzamenti <strong>di</strong> Zavalisˇin<br />
(1908, p. 46) su alcuni compagni <strong>di</strong> corso che,<br />
<strong>per</strong> ambizioni <strong>di</strong> carriera, avevano abbandonato gli stu<strong>di</strong><br />
teorici, “e <strong>di</strong> conseguenza quasi senza eccezione s’erano<br />
convertiti in semplici mortali”.<br />
Questo induceva a considerare ogni azione come significativa,<br />
degna del ricordo dei posteri e dell’attenzione<br />
degli storici, ricca <strong>di</strong> un senso su<strong>per</strong>iore. Di qui, da<br />
<strong>una</strong> parte, <strong>una</strong> certa tendenza alla posa o alla teatralità<br />
nel comportamento quoti<strong>di</strong>ano (cfr. la scena <strong>della</strong> spiegazione<br />
<strong>di</strong> Ryleev con la madre, descritta da Bestuzˇev<br />
1951, pp. 9-11), e, dall’altra, l’estremo rigore nelle norme<br />
<strong>di</strong> tale comportamento. Il senso <strong>della</strong> rilevanza politica<br />
<strong>di</strong> tutto il proprio comportamento fu sostituito in<br />
Siberia, in un’epoca in cui lo storicismo era <strong>di</strong>ventato l’idea<br />
guida, dal senso <strong>della</strong> rilevanza storica. “Lunin vive<br />
<strong>per</strong> la storia”, scrive Sutgof a Muchanov. Lo stesso Lunin,<br />
paragonandosi all’alto <strong>di</strong>gnitario Novosil’cev, alla<br />
notizia <strong>della</strong> morte <strong>di</strong> quest’ultimo scriveva: “A qual segno<br />
<strong>di</strong>vergono i nostri destini! A uno il patibolo e la storia,<br />
all’altro il seggio presidenziale al Consiglio e <strong>una</strong><br />
menzione nell’annuario <strong>di</strong> Stato”.<br />
È curioso che qui la sorte reale sia il patibolo, mentre<br />
la presidenza del Consiglio sia espressione in quel segno<br />
complesso che <strong>per</strong> Lunin è la vita umana (la vita ha un<br />
significato). Il contenuto è invece la presenza o l’assenza<br />
<strong>di</strong> spiritualità, che a sua volta è simboleggiata in un testo:<br />
<strong>una</strong> riga <strong>di</strong> storia o <strong>una</strong> riga d’annuario.<br />
Comparare il comportamento dei decabristi alla poesia<br />
non è un esercizio retorico ma un’o<strong>per</strong>azione seria-
IL DECABRISTA NELLA VITA 251<br />
mente fondata. La poesia con l’elemento inconscio <strong>della</strong><br />
lingua costruisce un testo cosciente, provvisto <strong>di</strong> un secondo,<br />
più complesso significato, un testo in cui tutto<br />
acquista rilevanza semantica, <strong>per</strong>sino ciò che nel sistema<br />
<strong>della</strong> lingua in quanto tale aveva un carattere puramente<br />
formale.<br />
Con l’elemento inconscio del comportamento quoti<strong>di</strong>ano<br />
del nobile russo al confine tra il XVIII e il XIX secolo<br />
i decabristi costruirono un sistema cosciente <strong>di</strong> comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano ideologicamente significativo,<br />
compiuto come un testo e compenetrato <strong>di</strong> un senso su<strong>per</strong>iore.<br />
Facciamo un solo esempio <strong>di</strong> atteggiamento puramente<br />
artistico verso il materiale del comportamento.<br />
Nel suo aspetto esteriore l’uomo può mutare la pettinatura,<br />
l’andatura, la posa ecc., elementi che, essendo<br />
risultato <strong>di</strong> <strong>una</strong> scelta, s’impregnano facilmente <strong>di</strong> significato<br />
(“pettinatura negligente”, “pettinatura artistica”,<br />
“pettinatura all’im<strong>per</strong>atore” e così via). Privi <strong>di</strong> alternativa<br />
sono invece, ovviamente, i lineamenti del volto<br />
e la statura. E se uno scrittore, che può attribuire<br />
questi connotati al suo eroe come gli pare e piace, li<br />
rende così portatori <strong>di</strong> importanti significati, nella vita<br />
pratica come regola semiotizziamo non il volto, ma la<br />
sua espressione, non la statura, ma il portamento (certo,<br />
anche questi elementi costanti dell’aspetto fisico<br />
vengono da noi <strong>per</strong>cepiti come segnali, ma solo in<br />
quanto inseriti in sistemi paralinguistici complessi).<br />
Ancora più interessanti sono i casi in cui proprio l’aspetto<br />
dato dalla natura è interpretato come segno,<br />
cioè in cui l’uomo considera se stesso come <strong>una</strong> comunicazione,<br />
il cui senso egli deve ancora decifrare (ossia<br />
desumere dal proprio aspetto esterno la propria destinazione<br />
nella storia, nella sorte dell’umanità ecc.). Ecco<br />
che cosa scrive il sacerdote Myslovskij, che conobbe<br />
Pestel’ in fortezza:
252 JURIJ M. LOTMAN<br />
Aveva 33 anni, era <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a statura, bello e pallido il<br />
volto, espressivi i lineamenti o le fattezze; pronto e risoluto<br />
nei mo<strong>di</strong>, quant’altri mai eloquente; profondo matematico,<br />
tattico militare eccellente; nelle maniere, nelle<br />
movenze, nella statura e <strong>per</strong>sino nel volto somigliantissimo<br />
a Napoleone. E fu, questa somiglianza col grande<br />
uomo, da tutti riconosciuta, cagione <strong>di</strong> tante <strong>di</strong>ssennatezze<br />
e misfatti (Myslovskij 1905, p. 39).<br />
Dalle memorie <strong>di</strong> Olenina (1938, p. 485): “Sergej<br />
Murav’ëv-Apostol, <strong>per</strong>sonalità non meno ragguardevole<br />
[<strong>di</strong> Nikita Murav’ëv] assomigliava straor<strong>di</strong>nariamente a<br />
Napoleone I, il che doveva non poco eccitare la sua immaginazione”.<br />
Basta confrontare queste caratteristiche con l’aspetto<br />
che Pusˇkin conferì a German [Protagonista <strong>della</strong> Dama<br />
<strong>di</strong> picche (N.d.T.)], <strong>per</strong> riconoscere la presenza <strong>di</strong> un<br />
principio comune, <strong>di</strong> carattere sostanzialmente artistico.<br />
Solo che Pusˇkin se ne serve <strong>per</strong> costruire un testo letterario<br />
e un <strong>per</strong>sonaggio d’invenzione, mentre Pestel’ e<br />
Murav’ëv-Apostol lo applicano a <strong>delle</strong> biografie ben reali:<br />
le loro. Questo modo <strong>di</strong> trattare il proprio comportamento<br />
in quanto consapevolmente creato secondo le<br />
leggi e i modelli <strong>della</strong> grande arte non portava <strong>per</strong>ò a<br />
<strong>una</strong> estetizzazione <strong>della</strong> categoria del comportamento –<br />
come, <strong>per</strong> esempio, il zˇiznetvorčestvo (“creazione <strong>della</strong><br />
vita”) dei simbolisti novecenteschi –, in quanto il comportamento,<br />
così come l’arte, <strong>per</strong> i decabristi non fu un<br />
fine, ma un mezzo, espressione esteriore <strong>di</strong> <strong>una</strong> grande<br />
densità spirituale del testo <strong>della</strong> vita o del testo dell’arte.<br />
Non si deve <strong>di</strong>menticare che, nonostante i palesi legami<br />
tra il comportamento dei decabristi e i principi del<br />
romanticismo, l’accentuata semioticità (teatralità, letterarietà,<br />
posa) del loro comportamento quoti<strong>di</strong>ano non si<br />
trasformava in enfasi o affettazione; al contrario, colpisce<br />
che si unisse a semplicità e sincerità. Olenina, che<br />
conobbe da vicino fin dall’infanzia molti decabristi, os-
IL DECABRISTA NELLA VITA 253<br />
serva che “i Murav’ëv in Russia erano né più né meno<br />
che la famiglia dei Gracchi”, ma aggiunge che Nikita<br />
Murav’ëv “era morbosamente, nervosamente timido”<br />
(pp. 486, 485). Se si considerano i caratteri <strong>di</strong> questi uomini<br />
in tutta la loro varietà, dall’infantile semplicità e timidezza<br />
<strong>di</strong> Ryleev alla raffinata semplicità aristocratica<br />
<strong>di</strong> C ˇ aadaev, ci si convince che l’enfasi d’<strong>una</strong> bassa teatralità<br />
era estranea all’ideale decabrista del comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano.<br />
La cagione <strong>di</strong> ciò va vista nel fatto che l’ideale decabrista,<br />
a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello bazaroviano [Bazarov è il<br />
protagonista <strong>di</strong> Padri e figli <strong>di</strong> Turgenev (N.d.T.)], non si<br />
fondava sul rifiuto <strong>delle</strong> norme d’etichetta elaborate dalla<br />
cultura, ma sull’assimilazione e rielaborazione <strong>di</strong> tali<br />
norme. Si trattava <strong>di</strong> un comportamento orientato non<br />
sulla Natura, ma sulla Cultura. Inoltre, rimaneva pur<br />
sempre un comportamento aristocratico, che non <strong>di</strong>spensava<br />
dalla buona educazione; e <strong>per</strong> un nobile colto<br />
un’autentica “buona educazione” significava semplicità<br />
<strong>di</strong> tratto e l’assenza <strong>di</strong> quel senso <strong>di</strong> inferiorità sociale e<br />
<strong>di</strong> risentimento che psicologicamente stava alla base <strong>delle</strong><br />
bazaroviane maniere del raznočinec [cioè dell’intellettuale<br />
<strong>di</strong> estrazione plebea (N.d.T.)]. A questo stato <strong>di</strong><br />
cose si riconnette anche la facilità, a prima vista stupefacente,<br />
con cui i decabristi esiliati in Siberia venivano accolti<br />
nell’ambiente popolare, <strong>una</strong> facilità che risultò <strong>per</strong>duta<br />
già a partire da Dostoevskij e dagli altri membri del<br />
circolo <strong>di</strong> Petrasˇevskij. Belogolovyj, che <strong>per</strong> un lungo<br />
<strong>per</strong>iodo <strong>di</strong> tempo ebbe occasione <strong>di</strong> osservare i decabristi<br />
deportati con l’occhio sensibile <strong>di</strong> un bambino d’origine<br />
non nobiliare, rileva a questo proposito:<br />
A Irkutsk il vecchio Volkonskij – aveva allora più <strong>di</strong> 60 anni<br />
– passava <strong>per</strong> un grande originale. Finito in Siberia, aveva<br />
rotto ogni rapporto col suo brillante e aristocratico passato<br />
e si era trasformato in agricoltore pratico e affaccendato<br />
ed era proprio <strong>di</strong>ventato come uno del popolo (...) e
254 JURIJ M. LOTMAN<br />
stringeva amicizia coi conta<strong>di</strong>ni (...). I citta<strong>di</strong>ni che lo conoscevano<br />
restavano sbalor<strong>di</strong>ti quando, passando <strong>per</strong> il<br />
mercato dopo la messa domenicale, vedevano il principe<br />
accovacciato in serpa a un carro sovraccarico <strong>di</strong> sacchi <strong>di</strong><br />
farina, attorniato da un gruppo <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni con cui <strong>di</strong>videva<br />
un pezzo <strong>di</strong> pane integrale, conversando animatamente<br />
(...). La casa del principe era frequentata soprattutto<br />
da gente del popolo, e sui pavimenti non mancavano<br />
mai impronte <strong>di</strong> stivali fangosi. Nel salotto <strong>di</strong> sua moglie<br />
Volkonskij si presentava a volte sporco <strong>di</strong> pece o con fili <strong>di</strong><br />
fieno appiccicati agli abiti e alla gran barba, olezzante degli<br />
aromi <strong>della</strong> stalla o <strong>di</strong> consimili profumi raffinati. Insomma<br />
nella società egli costituiva un elemento stravagante,<br />
benché avesse <strong>una</strong> cultura eccellente, parlasse francese<br />
come un francese, con <strong>una</strong> “erre” moscia molto marcata,<br />
<strong>di</strong>mostrasse grande bontà, e con noi bambini fosse sempre<br />
gentile e affettuoso (Belogolovyj 1898, pp. 32-33).<br />
Questa capacità <strong>di</strong> essere senza affettazione, in modo<br />
organico e naturale, “<strong>di</strong> casa” in un salotto del gran<br />
mondo, coi conta<strong>di</strong>ni al mercato e coi bambini costituisce<br />
lo specifico culturale del comportamento del decabrista,<br />
uno specifico che è affine alla poesia <strong>di</strong><br />
Pusˇkin e costituisce <strong>una</strong> <strong>delle</strong> più alte manifestazioni<br />
<strong>della</strong> cultura russa.<br />
Quanto si è detto ci consente <strong>di</strong> affrontare ancora un<br />
problema: la tra<strong>di</strong>zione decabrista <strong>per</strong> lo più è stata considerata<br />
su un piano puramente ideologico, trascurando<br />
l’aspetto “umano”, ossia la tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> un determinato<br />
tipo <strong>di</strong> comportamento e <strong>di</strong> psicologia sociale. Se, <strong>per</strong><br />
esempio, la questione dell’influsso che la tra<strong>di</strong>zione<br />
ideologica decabrista ha esercitato su Lev Tolstoj è complessa<br />
e bisognosa ancora <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>menti, è evidente<br />
invece la continuità imme<strong>di</strong>atamente umana tra il tipo<br />
storico-psicologico dell’insieme del comportamento culturale<br />
decabrista e l’autore <strong>di</strong> Guerra e pace. È sintomatico<br />
che Tolstoj, a proposito dei decabristi, facesse <strong>una</strong><br />
<strong>di</strong>stinzione tra le loro idee e le loro <strong>per</strong>sonalità.
IL DECABRISTA NELLA VITA 255<br />
Nel <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> Tolstoja-Suchotina troviamo a questo<br />
riguardo un’annotazione <strong>di</strong> eccezionale interesse:<br />
Repin chiede continuamente a papà <strong>di</strong> suggerirgli un soggetto<br />
<strong>per</strong> un quadro (...). Ieri papà ha parlato <strong>di</strong> un soggetto<br />
che gli è venuto in mente, anche se non lo sod<strong>di</strong>sfa del<br />
tutto. Si tratta del momento in cui i decabristi vengono<br />
condotti alla forca. Il giovane Bestuzˇev-Rjumin, affascinato<br />
da Murav’ëv-Apostol (dalla sua <strong>per</strong>sonalità più che dalle<br />
sue idee), cammina al suo fianco <strong>per</strong> tutta la strada e solo<br />
al momento dell’esecuzione <strong>per</strong>de coraggio e piange. Murav’ëv<br />
lo abbraccia e insieme salgono al patibolo (Tolstoja-<br />
Suchotina 1973, p. 194, c.vo <strong>di</strong> Lotman).<br />
Il punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Tolstoj è molto interessante: il suo<br />
pensiero era costantemente attratto dagli uomini del 14<br />
<strong>di</strong>cembre, ma proprio dagli uomini soprattutto, che gli<br />
erano più affini <strong>delle</strong> idee del decabrismo.<br />
Nel comportamento dell’uomo, come in qualsiasi altro<br />
genere <strong>di</strong> umana attività, si possono <strong>di</strong>stinguere gli<br />
strati <strong>della</strong> “poesia” e <strong>della</strong> “prosa” (Galard 1974). Per<br />
Paolo I e i suoi figli la poesia <strong>della</strong> vita militare consisteva<br />
nelle gran<strong>di</strong> parate e la prosa nelle azioni <strong>di</strong> guerra.<br />
“L’im<strong>per</strong>atore Nicola, <strong>per</strong>suaso che la bellezza fosse<br />
simbolo <strong>di</strong> forza, esigeva dalle sue truppe, straor<strong>di</strong>nariamente<br />
<strong>di</strong>sciplinate e addestrate, prima <strong>di</strong> tutto un’assoluta<br />
sottomissione e uniformità”, scrive nelle sue memorie<br />
Fet (1890, p. IV).<br />
Per Denis Davydov la poesia si associava non al combattimento<br />
in quanto tale, ma all’irregolarità e al “<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne<br />
organizzato dei paesani in arme”. “Questa vita piena<br />
<strong>di</strong> poesia esige immaginazione romantica e spirito<br />
d’avventura, e non s’appaga <strong>di</strong> un arido e prosaico coraggio.<br />
– È come <strong>una</strong> strofa <strong>di</strong> Byron! – Colui che, non<br />
paventando la morte, paventa la responsabilità, se ne resti<br />
pure davanti allo sguardo dei su<strong>per</strong>iori” (Davydov<br />
1822, pp. 26, 83). Questa incon<strong>di</strong>zionata trasposizione
256 JURIJ M. LOTMAN<br />
<strong>di</strong> categorie poetiche ai vari aspetti dell’attività bellica è<br />
quanto mai sintomatica.<br />
In generale, la <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> “poetico” e “prosaico”<br />
nelle azioni umane è caratteristica dell’epoca da noi<br />
stu<strong>di</strong>ata. Vjazemskij, biasimando Pusˇkin <strong>per</strong>ché il suo<br />
Aleko [protagonista del poema Gli zingari (N.d.T.)]<br />
porta in giro un orso, a questa prosaica occupazione<br />
contrappone il furto: “meglio sarebbe stato farne un<br />
trafficante o un ladro <strong>di</strong> cavalli, un mestiere che, sebbene<br />
non del tutto innocente, richiede <strong>una</strong> certa dose<br />
<strong>di</strong> ar<strong>di</strong>tezza, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> poesia” (cit. da Zelinskij 1887,<br />
p. 68).<br />
La sfera <strong>della</strong> poesia nella vita è il mondo dell’ar<strong>di</strong>tezza.<br />
Il contemporaneo <strong>di</strong> Pusˇkin e <strong>di</strong> Vjazemskij si spostava<br />
liberamente, nel suo comportamento quoti<strong>di</strong>ano, dal<br />
campo <strong>della</strong> prosa nella sfera <strong>della</strong> poesia e viceversa. E<br />
come in letteratura “contava” soltanto la poesia, così,<br />
quando si valutava <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona, la prosa del suo comportamento<br />
veniva scartata, quasi non esistesse neppure.<br />
I decabristi introdussero nel comportamento l’unità,<br />
ma non riabilitando la prosa <strong>della</strong> vita, bensì passando la<br />
vita attraverso il filtro dei testi eroici ed eliminando in<br />
tal modo tutto ciò che non doveva essere iscritto negli<br />
annali <strong>della</strong> storia. La prosaica responsabilità <strong>di</strong> fronte ai<br />
su<strong>per</strong>iori veniva sostituita dalla responsabilità <strong>di</strong> fronte<br />
alla storia, e la paura <strong>della</strong> morte dalla poesia dell’onore<br />
e <strong>della</strong> libertà. “Noi respiriamo libertà”, <strong>di</strong>sse Ryleev il<br />
14 <strong>di</strong>cembre sulla piazza del Senato. La trasposizione<br />
<strong>della</strong> libertà dalla sfera <strong>delle</strong> idee e <strong>delle</strong> teorie nel “respiro”,<br />
nella vita: sta qui l’essenza e il significato del<br />
comportamento quoti<strong>di</strong>ano del decabrista.<br />
1 Ed. or.: 1975, “Dekabrist v povsednevnoj zˇizni (Bytovoe povedenie kak istoriko-psichologičeskaja<br />
kategorija)”, in Literaturnoe nasle<strong>di</strong>e dekabristov, a cura
IL DECABRISTA NELLA VITA 257<br />
<strong>di</strong> V. G. Bazanov, V. E. Vacuro, Leningrad, Nauka; trad. it. 1984, “Il decabrista<br />
nella vita. Il comportamento quoti<strong>di</strong>ano come categoria storico-psicologica”, in<br />
Da Rosseau a Tolstoj. Saggi sulla cultura russa, Bologna, il Mulino, pp. 165-228.<br />
2 Lettera a Bestuzˇev, anteriore alla fine <strong>di</strong> gennaio 1925 (in Pusˇkin<br />
1937b, p. 138).<br />
3 Cham (“gaglioffo”) nel lessico politico <strong>di</strong> Nikolaj Turgenev significava<br />
“reazionario”, “feudatario”, “oscurantista”. Cfr., <strong>per</strong> esempio, frasi del tipo:<br />
“Le tenebre e la gagliofferia (chamstvo) tutto hanno invaso”, nella lettera al<br />
fratello Sergej del 10 maggio 1817, da Pietroburgo (Turgenev 1936, p. 222).<br />
4 V. Kjuchel’beker (Küchelbecker), O napravlenii nasˇej poezii, osobenno<br />
liričeskoj, v poslednee desjatiletie (cit. in Orlov, a cura, 1951, p. 552).<br />
5 “Le parole ‘illustri amici’ o semplicemente ‘illustri’ avevano un particolare<br />
significato nel linguaggio convenzionale del tempo” (Polevoj 1934, p. 153).<br />
6 Dal quaderno <strong>di</strong> appunti <strong>di</strong> Myslovskij 1905, p. 39.<br />
7 L’interessantissimo libro <strong>di</strong> Lebedev è malauguratamente in parte viziato<br />
da un’interpretazione arbitraria dei documenti e da <strong>una</strong> certa modernizzazione.<br />
8 Il nipote <strong>di</strong> Čaadaev, Zˇ icharev (1871, p. 203), ricorderà più tar<strong>di</strong>: “Vasil’čikov,<br />
<strong>per</strong> far giungere il rapporto allo zar, scelse Cˇ aadaev, benché egli fosse<br />
l’aiutante più giovane e l’incombenza spettasse al più anziano”. E più avanti:<br />
“Dopo il ritorno <strong>di</strong> Čaadaev a Pietroburgo in tutto il Corpo <strong>della</strong> Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong>lagò<br />
un moto <strong>di</strong> scontento nei suoi riguar<strong>di</strong>, <strong>per</strong> aver egli preso sopra <strong>di</strong> sé il<br />
viaggio a Troppau e il rapporto allo zar sul caso Semënovskij. Non soltanto –<br />
<strong>di</strong>cevasi – non avrebbe egli dovuto partire, né sollecitare <strong>per</strong> sé <strong>una</strong> simile incombenza,<br />
ma con tutte le sue forze avrebbe dovuto esimersene”. E ancora:<br />
“Che anziché ricusare la missione egli l’abbia fortemente voluta, è <strong>per</strong> me al <strong>di</strong><br />
fuor <strong>di</strong> ogni dubbio. In quella sciagurata evenienza egli indulse a <strong>una</strong> debolezza<br />
che gli era innata: <strong>una</strong> smisurata vanità. Io non credo che, al momento <strong>di</strong> lasciar<br />
Pietroburgo, nella sua immaginazione brillassero le spalline <strong>di</strong> aiutante <strong>di</strong><br />
campo, ma piuttosto che lo incantasse l’idea <strong>di</strong> un colloquio <strong>per</strong>sonale con<br />
l’im<strong>per</strong>atore, <strong>di</strong> <strong>una</strong> familiarità con lui”. A Zˇ icharev era ovviamente precluso il<br />
mondo interiore <strong>di</strong> Cˇ aadaev, ma molte cose gli erano note più che a ogni altro<br />
contemporaneo, e le sue parole, <strong>di</strong> conseguenza, meritano attenzione.<br />
9 Lebedev (1965, pp. 67-69), <strong>per</strong> la verità, aggiunge che, <strong>per</strong>sonalmente,<br />
“Cˇ aadaev non credeva troppo alle buone intenzioni dell’im<strong>per</strong>atore” e che lo<br />
scopo del colloquio sarebbe stato quello <strong>di</strong> “mettere definitivamente in chiaro<br />
i veri inten<strong>di</strong>menti e progetti <strong>di</strong> Alessandro I”. Quest’ultima affermazione<br />
appare del tutto incomprensibile: non si vede <strong>per</strong>ché proprio quel colloquio<br />
dovesse portare a un chiarimento che non si era potuto raggiungere in decine<br />
<strong>di</strong> abboccamenti tra lo zar e vari <strong>per</strong>sonaggi né in numerose <strong>di</strong>chiarazioni<br />
pubbliche del sovrano.<br />
10 La figura del duca d’Alba, macchiato del sangue <strong>di</strong> Fiandra, acquisì un<br />
particolare significato dopo la sanguinosa repressione <strong>della</strong> rivolta <strong>di</strong> Čuguev. Su<br />
questa rivolta volta cfr. Cjavlovskij (1962, pp. 33 sgg.).<br />
11 Vjazemskij scriveva in quei giorni: “Non posso senza orrore e mestizia<br />
por mente alla solitu<strong>di</strong>ne del sovrano in un simile momento. Chi farà eco alla<br />
sua voce? L’irritato orgoglio, o un calamitoso consigliere, o, ancor più calamitosi,<br />
degli spregevoli schiavi” (in Lotman 1960b, p. 78).
258 JURIJ M. LOTMAN<br />
12 La lettura evidentemente ebbe luogo nel 1803, quando Schiller, tramite<br />
Wohlzogen, inviò il Don Carlos a Pietroburgo, a Marija Fëdorovna. Il 27 settembre<br />
1803 Wohlzogen annuncia che l’o<strong>per</strong>a era stata recapitata. Cfr. Wohlzogen<br />
1862, p. 125; Harder 1968, pp. 15-16.<br />
13 L’esempio <strong>di</strong> Karamzin è a questo riguardo particolarmente degno <strong>di</strong><br />
nota. Il raffreddamento dello zar nei suoi confronti ebbe inizio nel 1811, con<br />
la presentazione a Tver’ <strong>delle</strong> Note sull’antica e nuova Russia (Zapiski o drevnej<br />
i novoj Rossii). Un secondo, più grave episo<strong>di</strong>o, si colloca nel 1819, quando<br />
Karamzin lesse allo zar l’Opinione <strong>di</strong> un citta<strong>di</strong>no russo (Mnenie russkogo<br />
grazˇdanina). Più tar<strong>di</strong> egli annotò le parole da lui rivolte ad Alessandro in<br />
quell’occasione: “Sire, c’è in Voi troppo amor proprio (...). Io nulla temo.<br />
Tutti siamo pari al cospetto <strong>di</strong> Dio. Quel che ho a Voi detto, l’avrei detto anche<br />
al padre Vostro (...). Sire, io spregio i liberali <strong>di</strong> un giorno, solo quella libertà<br />
m’è cara, che nessun tiranno mi potrà strappare (...). Io più non prego<br />
la Grazia Vostra. Forse è questa l’ultima volta ch’io Vi parlo” (Karamzin<br />
1862, p. 9. Originale in francese). Nella fattispecie la critica era mossa da posizioni<br />
più conservatrici <strong>di</strong> quelle dello stesso zar, il che inequivocabilmente<br />
<strong>di</strong>mostra che non il carattere progressivo o reazionario <strong>delle</strong> idee, ma l’in<strong>di</strong>pendenza<br />
in quanto tale era invisa all’im<strong>per</strong>atore. In simili con<strong>di</strong>zioni l’attività<br />
<strong>di</strong> chiunque aspirasse al ruolo <strong>di</strong> marchese <strong>di</strong> Posa era predestinata al fallimento.<br />
Dopo la morte <strong>di</strong> Alessandro Karamzin, in <strong>una</strong> nota alla posterità,<br />
mentre riafferma il proprio amore <strong>per</strong> il defunto (“L’amavo con sincerità e tenerezza,<br />
pur talvolta in<strong>di</strong>gnato, irato contro il monarca, tuttavia amavo l’uomo”),<br />
deve riconoscere il totale fallimento <strong>della</strong> sua missione <strong>di</strong> consigliere<br />
<strong>della</strong> corona: “Io ero schietto sempre, egli sempre paziente, mite, amabile oltre<br />
ogni <strong>di</strong>re; non richiedeva i miei consigli, ma li ascoltava, sebbene in massima<br />
parte non li seguisse, tanto che ora, insieme a tutta la Russia piangendo la<br />
sua <strong>per</strong><strong>di</strong>ta, non posso confortarmi al pensiero <strong>della</strong> decennale benevolenza e<br />
fiducia che nutrì <strong>per</strong> me un <strong>per</strong>sonaggio così illustre, essendo queste rimaste<br />
infruttuose <strong>per</strong> l’amata Patria nostra” (pp. 11-12).<br />
14 2 Zapiski knjagini Marii Nikolaevny Volkonskoj, Sankt Peterburg, 1914 ,<br />
p. 57.<br />
15 Koročarov, col grado <strong>di</strong> capitano, già insignito <strong>di</strong> tre decorazioni e<br />
proposto <strong>per</strong> il conferimento <strong>della</strong> croce <strong>di</strong> san Giorgio, venne ferito a morte<br />
durante la presa <strong>di</strong> Parigi, nel corso <strong>di</strong> un violento attacco contro gli ulani<br />
polacchi.<br />
16 Non possiamo convenire né con Annenkov (1874, p. 63), secondo cui<br />
l’istruttoria del processo ai decabristi avrebbe messo in luce “il carattere innocuo,<br />
cioè orgiastico <strong>della</strong> ‘Lampada verde’”, né con Tomasˇevskij (1956, p.<br />
206), a cui appare plausibile che “le voci <strong>di</strong> orge fossero state messe in circolazione<br />
con lo scopo <strong>di</strong> stornare l’attenzione <strong>della</strong> gente”. All’inizio del secolo<br />
la polizia <strong>per</strong>seguiva l’immoralità non meno del libero pensiero. Annenkov<br />
involontariamente attribuisce all’epoca <strong>di</strong> Alessandro I i costumi del “tenebroso<br />
settennio”. Quanto all’affermazione <strong>di</strong> Tomasˇevskij, secondo cui “le<br />
ad<strong>una</strong>nze <strong>della</strong> società segreta non potevano aver luogo nei giorni <strong>delle</strong> feste<br />
settimanali in casa Vsevolo’zˇskij”, il che, secondo lo stu<strong>di</strong>oso, sarebbe un argomento<br />
a favore <strong>della</strong> <strong>di</strong>stinzione tra “serate” e “ad<strong>una</strong>nze”, non possiamo<br />
non ricordare “le segrete ad<strong>una</strong>nze / Di giovedì. La lega segretissima (…)” <strong>di</strong>
IL DECABRISTA NELLA VITA 259<br />
Repetilov. Già intorno al 1824 <strong>per</strong> “cospirazione” s’intendeva qualcosa <strong>di</strong> assai<br />
<strong>di</strong>verso (e più maturo) del concetto che se ne aveva nel 1819-1920.<br />
17 “Archivio russo”, 1866, libro VII, colonna 1255.<br />
18 Un interessantissimo esempio <strong>di</strong> riprovazione <strong>per</strong> il ballo, come passatempo<br />
incompatibile con le “virtù romane”, e nello stesso tempo <strong>della</strong> concezione<br />
secondo cui il comportamento quoti<strong>di</strong>ano doveva costruirsi sulla base<br />
<strong>di</strong> testi che rappresentavano un comportamento “eroico”, ci viene offerto<br />
dalle memorie <strong>di</strong> Olenina (1938, p. 484), che descrive un episo<strong>di</strong>o dell’infanzia<br />
<strong>di</strong> Nikita Murav’ëv: “A <strong>una</strong> festa <strong>di</strong> bambini in casa Derzˇavin Ekaterina<br />
Fëdorovna [madre <strong>di</strong> N. Murav’ëv] notò che Nikitusˇka non danzava e gli si<br />
avvicinò <strong>per</strong> convincerlo a farlo. Egli le chiese a bassa voce: ‘Maman, est-ce<br />
qu’Aristide et Caton ont dansé?’. E la madre rispose: ‘Il faut supposer qu’oui,<br />
a votre age’. Egli s’alzò imme<strong>di</strong>atamente e andò a ballare”.<br />
19 Per la semantica del verbo “guljat’” [in russo “passeggiare” ma anche<br />
“far baldoria”. N.d.T.] è in<strong>di</strong>cativo un brano del <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> Raevskij, in cui viene<br />
fissato un colloquio col granduca Costantino Pavlovič. Alla richiesta, da<br />
parte del Raevskij, dell’autorizzazione a guljat’, Costantino risponde: “No,<br />
maggiore, è assolutamente impossibile! Quando vi sarete <strong>di</strong>scolpato, avrete<br />
tutto il tempo che vorrete”. Più avanti tuttavia si chiarisce che i due interlocutori<br />
non s’erano compresi: “Sì! Sì! – esclamò il granduca, – Voi volete far due<br />
passi all’aria a<strong>per</strong>ta <strong>per</strong> la salute, e io pensavo che voleste gozzovigliare. È<br />
un’altra cosa” (Raevskij 1956, pp. 100-101). Per Costantino la gozzoviglia è la<br />
norma <strong>della</strong> vita militare (non <strong>per</strong> nulla Pusˇkin lo chiamava romantico), inabissabile<br />
solo <strong>per</strong> un ufficiale agli arresti, mentre <strong>per</strong> lo “spartano” Raevskij il<br />
verbo guliat’ può significare soltanto “andare a spasso”.<br />
20 “Rasskazy o Ryleeve rassyl’nogo ‘Poljarnoj zvezdy’”, in Literaturnoe nasledstvo,<br />
Moskva, 1954, vol. LIX, p. 254.<br />
21 Fonte essenziale <strong>per</strong> un giu<strong>di</strong>zio su Durnovo è il suo ampio <strong>di</strong>ario,<br />
frammenti del quale sono stati pubblicati in «Vestnik obsˇčestva revnitelej istorii»,<br />
fasc. 1, 1941 e in Dekabristy. Zapiski otdela rukopisej Vsesojuznoj biblioteki<br />
imeni V. I. Lenina, fasc. 3, Moskva, 1939 (ve<strong>di</strong> le pagine espressamente<br />
de<strong>di</strong>cate alla rivolta del 14 <strong>di</strong>cembre 1825). Tuttavia la parte pubblicata è un<br />
frammento trascurabile dell’enorme <strong>di</strong>ario in <strong>di</strong>versi volumi, scritto in francese,<br />
conservato alla Biblioteca Lenin.<br />
22 “Biblioteka Lenin”, fondo 95 (Durnovo), n. 9533, foglio 19. (Frammento<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> copia dattiloscritta russa, fatta, probabilmente, <strong>per</strong> «Vestnik<br />
obsˇčestva revnitelej istorii» si trova in Central’nyj gosudarstvennyj literaturnyj<br />
archiv, fondo 1337, op. 1, coll. 71).<br />
23 “Biblioteka Lenin”, fondo 95, n. 9536, foglio 7 v.<br />
24 “Biblioteka Lenin”, foglio 56.<br />
25 “Biblioteka Lenin”, n. 3540, foglio 10.<br />
26 In appen<strong>di</strong>ce alla pubblicazione <strong>della</strong> sezione manoscritti <strong>della</strong> Biblioteca<br />
Lenin si <strong>di</strong>ce che Durnovo era aiutante <strong>di</strong> campo <strong>di</strong> Nicola I, ma si tratta<br />
<strong>di</strong> un palese errore (Dekabristy. Zapiski otdela rukopisej Vsesojuznoj biblioteki<br />
imeni V. I. Lenina, fasc. 3, Moskva, 1939, p. 8).<br />
27 Cfr. «Russkij invalid», 4 <strong>di</strong>cembre 1828, n. 304.
Lo stile, la parte, l’intreccio.<br />
La poetica del comportamento quoti<strong>di</strong>ano nella<br />
cultura russa del XVIII secolo 1<br />
Jurij M. Lotman<br />
Il titolo <strong>di</strong> questo lavoro ha bisogno <strong>di</strong> <strong>una</strong> spiegazione.<br />
Definire il comportamento quoti<strong>di</strong>ano come un sistema<br />
semiotico <strong>di</strong> tipo particolare vuol <strong>di</strong>re dare al problema<br />
un’impostazione che può suscitare obiezioni. Parlare<br />
<strong>della</strong> poetica del comportamento quoti<strong>di</strong>ano significa<br />
infatti affermare che nel <strong>per</strong>iodo culturale, cronologico<br />
e nazionale in<strong>di</strong>cato, determinate forme <strong>di</strong> attività<br />
quoti<strong>di</strong>ana erano coscientemente orientale secondo le<br />
norme e le leggi dei testi artistici e vissute in modo imme<strong>di</strong>atamente<br />
estetico.<br />
Se riusciremo a <strong>di</strong>mostrare questa tesi, essa potrebbe<br />
<strong>di</strong>ventare <strong>una</strong> <strong>delle</strong> caratteristiche tipologiche più importanti<br />
<strong>della</strong> cultura del <strong>per</strong>iodo stu<strong>di</strong>ato.<br />
Non si può <strong>di</strong>re che il comportamento quoti<strong>di</strong>ano come<br />
tale non abbia richiamato l’attenzione dei ricercatori.<br />
Nell’ambito etnografico esso è considerato un naturale<br />
oggetto <strong>di</strong> descrizione e <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. Questo tema è tra<strong>di</strong>zionale<br />
inoltre <strong>per</strong> gli stu<strong>di</strong>osi che si occupano <strong>di</strong> epoche<br />
culturali abbastanza lontane: l’antichità, il Rinascimento,<br />
il barocco. Anche la storia <strong>della</strong> cultura russa può richiamarsi<br />
a <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> lavori che conservano importanza,<br />
dalla Rassegna <strong>della</strong> vita domestica e dei costumi del popolo<br />
granderusso nel XVI e XVII secolo <strong>di</strong> Kostomarov, al libro<br />
<strong>di</strong> Romanov Uomini e costumi dell’antica Russia (1966 2 ).<br />
Ciò che abbiamo detto ci porta a fare un’osservazione:<br />
quanto più <strong>una</strong> cultura è storicamente, geografica-
262 JURIJ M. LOTMAN<br />
mente e culturalmente lontana da noi, tanto più il comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano che le è proprio sarà oggetto<br />
specifico dell’attenzione scientifica. A questo è legato il<br />
fatto che i documenti che stabiliscono le norme del<br />
comportamento quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> un determinato intelletto<br />
sociale <strong>di</strong> solito sono fatti da stranieri o scritti <strong>per</strong> stranieri<br />
e comportano un osservatore esterno rispetto all’intelletto<br />
sociale dato.<br />
Una situazione analoga si ha anche <strong>per</strong> quanto riguarda<br />
il linguaggio quoti<strong>di</strong>ano, la cui descrizione nelle<br />
prime tappe <strong>di</strong> fissazione e <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o è <strong>di</strong> solito orientata<br />
verso un osservatore esterno. Questo parallelo, come si<br />
vede, non è casuale: sia il comportamento quoti<strong>di</strong>ano<br />
che la lingua madre appartengono a sistemi semiotici<br />
considerati dai portatori imme<strong>di</strong>ati “naturali”, <strong>di</strong>pendenti<br />
cioè dalla natura e non dalla cultura. Il loro carattere<br />
segnico e convenzionale appare evidente solo a un<br />
osservatore esterno.<br />
Quello che abbiamo detto finora sembra essere in<br />
contrad<strong>di</strong>zione col titolo del presente lavoro, in quanto la<br />
<strong>per</strong>cezione estetica del comportamento quoti<strong>di</strong>ano è possibile<br />
solo all’osservatore che lo considera nell’ambito dei<br />
fenomeni segnici <strong>della</strong> cultura. Lo straniero, che avverte<br />
come esotica la vita quoti<strong>di</strong>ana <strong>di</strong>versa dalla sua, può <strong>per</strong>cepirla<br />
esteticamente, mentre il portatore imme<strong>di</strong>ato <strong>di</strong><br />
quella cultura <strong>di</strong> solito non si accorge <strong>della</strong> sua specificità.<br />
Tuttavia nel mondo <strong>della</strong> cultura nobiliare russa del XVIII<br />
secolo la trasformazione <strong>della</strong> natura del comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano fu <strong>di</strong> tale portata che acquistò tratti che <strong>di</strong> solito<br />
non erano propri <strong>di</strong> questo fenomeno culturale.<br />
In ogni collettività che abbia <strong>una</strong> cultura abbastanza<br />
sviluppata, il comportamento degli uomini si organizza<br />
in base a un’opposizione fondamentale:<br />
1) il comportamento abituale, quoti<strong>di</strong>ano, che gli<br />
stessi membri <strong>della</strong> collettività considerano “naturale”,<br />
il solo possibile, normale;
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 263<br />
2) tutti i tipi <strong>di</strong> comportamento solenne, rituale, al<br />
<strong>di</strong> fuori <strong>della</strong> pratica quoti<strong>di</strong>ana: quello statale, quello<br />
del culto, quello <strong>delle</strong> cerimonie, che hanno <strong>per</strong> gli<br />
stessi portatori <strong>di</strong> <strong>una</strong> determinata cultura un significato<br />
in<strong>di</strong>pendente.<br />
I portatori <strong>di</strong> <strong>una</strong> cultura stu<strong>di</strong>ano il primo tipo <strong>di</strong><br />
comportamento come la lingua madre, preoccupandosi<br />
del suo uso imme<strong>di</strong>ato, senza fare attenzione a quando,<br />
dove e come hanno acquistato la pratica dell’uso <strong>di</strong> questo<br />
sistema. Possederlo sembra loro tanto naturale da<br />
rendere un problema <strong>di</strong> questo tipo privo <strong>di</strong> senso. È<br />
ancora più <strong>di</strong>fficile che venga in mente a qualcuno <strong>di</strong><br />
elaborare <strong>per</strong> questo pubblico grammatiche <strong>della</strong> lingua<br />
del comportamento quoti<strong>di</strong>ano, metatesti che descrivano<br />
le sue norme “corrette”. Il secondo tipo <strong>di</strong> comportamento<br />
si stu<strong>di</strong>a invece come <strong>una</strong> lingua straniera, seguendo<br />
le regole e la grammatica: prima apprendendone<br />
le norme e costruendo poi in base a esse “i testi <strong>di</strong> comportamento”.<br />
Il primo tipo <strong>di</strong> comportamento si apprende<br />
spontaneamente e senza rifletterci, il secondo<br />
coscientemente e con l’aiuto <strong>di</strong> insegnanti e il suo possesso<br />
appare <strong>di</strong> solito come un atto <strong>di</strong> iniziazione.<br />
Dopo Pietro I la nobiltà russa non si limitò a cambiare<br />
il proprio modo <strong>di</strong> vivere, ma subì un mutamento<br />
molto più profondo. Quello che si considera <strong>di</strong> solito un<br />
comportamento “naturale” e istintivo <strong>di</strong>venne oggetto<br />
<strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento. Nacquero insegnamenti che riguardavano<br />
le norme del comportamento quoti<strong>di</strong>ano. Il modo<br />
in cui ci si era comportati fino ad allora venne rifiutato<br />
come scorretto, e sostituito da quello europeo ritenuto<br />
“corretto”. Il nobile russo dell’epoca <strong>di</strong> Pietro I e <strong>di</strong><br />
quelle successive si trovò così in patria nelle con<strong>di</strong>zioni<br />
<strong>di</strong> uno straniero, <strong>di</strong> un uomo che, già adulto, doveva<br />
stu<strong>di</strong>are con meto<strong>di</strong> artificiali ciò che <strong>di</strong> solito si impara<br />
nella prima infanzia con l’es<strong>per</strong>ienza imme<strong>di</strong>ata. Ciò che<br />
era straniero, estraneo, acquistava carattere <strong>di</strong> norma.
264 JURIJ M. LOTMAN<br />
Comportarsi correttamente voleva <strong>di</strong>re comportarsi come<br />
uno straniero, cioè in modo non naturale, secondo le<br />
norme <strong>di</strong> <strong>una</strong> vita straniera. Ricordare queste norme era<br />
tanto necessario come conoscere le regole <strong>di</strong> <strong>una</strong> lingua<br />
che non è la propria <strong>per</strong> un corretto uso <strong>di</strong> essa. Junosti<br />
čestnoe zercalo [L’onesto specchio <strong>della</strong> gioventù], volendo<br />
rappresentare un ideale <strong>di</strong> garbato comportamento<br />
propone <strong>di</strong> considerarsi in <strong>una</strong> società <strong>di</strong> stranieri<br />
(“Chiedere un favore <strong>di</strong>gnitosamente, con parole cortesi<br />
e garbate, come se ci si dovesse rivolgere a uno straniero,<br />
<strong>per</strong> abituarsi a comportarsi così”) 2 .<br />
Un’inversione culturale <strong>di</strong> questo tipo non determinò<br />
<strong>per</strong>ò l’“europeizzazione” <strong>della</strong> vita nel senso letterale<br />
dell’espressione, <strong>per</strong>ché le forme <strong>di</strong> comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano e le leggi straniere prese dall’Occidente, che<br />
nell’ambiente russo nobiliare <strong>di</strong>vennero il mezzo normale<br />
<strong>per</strong> regolare i rapporti quoti<strong>di</strong>ani, trapiantate in Russia<br />
cambiarono funzione. In Occidente erano forme naturali<br />
e dunque non avvertite soggettivamente. Sa<strong>per</strong><br />
parlare olandese non accresceva naturalmente in Olanda<br />
il prestigio <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona. Le norme <strong>di</strong> comportamento<br />
europeo trapiantate in Russia acquistarono valore, come<br />
la conoscenza <strong>delle</strong> lingue straniere faceva salire lo status<br />
sociale <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona. Sempre nell’Onesto specchio<br />
<strong>della</strong> gioventù leggiamo:<br />
Gli adolescenti che sono venuti da altri paesi e hanno imparato<br />
le lingue con grande fatica, possono fare sforzi <strong>per</strong><br />
non <strong>di</strong>menticarle, ma le apprendono meglio con lo stu<strong>di</strong>o<br />
<strong>di</strong> libri utili, attraverso i rapporti con gli altri e anche componendo<br />
qualcosa in queste lingue <strong>per</strong> non <strong>di</strong>menticarle.<br />
Quelli che non sono stati in paesi stranieri e sono stati presi<br />
a corte o dalla scuola o da qualche altro posto, si comportano<br />
in modo umile e modesto <strong>per</strong>ché vogliono imparare<br />
dagli altri e non tenere alto lo sguardo con atteggiamento<br />
sfrontato e tenere il cappello appiccicato sulla testa<br />
senza toglierlo davanti a nessuno 3 .
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 265<br />
Questo rende evidente che, nonostante l’opinione<br />
<strong>di</strong>ffusa, l’“europeizzazione” ha accentuato e non cancellato<br />
i tratti non europei <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana. Per avvertire<br />
costantemente il proprio comportamento come straniero<br />
infatti bisognava non essere stranieri (allo straniero<br />
il comportamento straniero non appare straniero): bisognava<br />
assimilare cioè forme <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana europea<br />
mantenendo rispetto a esse <strong>una</strong> visione esterna,<br />
“estranea”, russa. Bisognava non <strong>di</strong>ventare stranieri ma<br />
comportarsi come stranieri. È caratteristico in questo<br />
senso il fatto che l’assimilazione <strong>di</strong> usi stranieri non fece<br />
<strong>di</strong>minuire ma anzi spesso portò a <strong>una</strong> crescita dell’antagonismo<br />
nei confronti degli stranieri.<br />
Un risultato imme<strong>di</strong>ato dei mutamenti del comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano fu il ritualizzarsi e semiotizzarsi <strong>di</strong><br />
quelle sfere <strong>della</strong> vita che in <strong>una</strong> cultura che non ha subito<br />
inversioni appaiono “naturali” e insignificanti. Il risultato<br />
fu <strong>di</strong> carattere opposto a quel “senso del privato”<br />
che saltava agli occhi dei russi che osservavano la vita<br />
europea (cfr. le parole <strong>di</strong> P. Tolstoj su Venezia: “Non<br />
sparlano l’uno dell’altro. Nessuno ha paura <strong>di</strong> un altro.<br />
Ognuno fa ciò che vuole secondo la sua volontà”, 1888,<br />
p. 547). L’immagine <strong>della</strong> vita europea si duplicò nel<br />
gioco ritualizzato del vivere all’europea. Il comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong>venne segno del comportamento<br />
quoti<strong>di</strong>ano. Il grado <strong>di</strong> semiotizzazione, <strong>di</strong> <strong>per</strong>cezione<br />
cosciente, soggettiva, <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana come segno,<br />
aumentò nettamente. La vita quoti<strong>di</strong>ana acquistò così le<br />
caratteristiche del teatro.<br />
Fra i tratti fondamentali <strong>della</strong> vita russa del XVIII secolo<br />
è caratteristico il fatto che il mondo nobiliare gui<strong>di</strong><br />
la vita-gioco sentendosi sempre sulla scena, mentre il<br />
popolo è indotto a osservare i nobili come se fossero<br />
maschere, e a guardare la loro vita dalla platea. Lo testimonia<br />
ad esempio l’uso degli abiti europei (nobiliari) indossati<br />
come maschere nel tempo <strong>delle</strong> feste natalizie.
266 JURIJ M. LOTMAN<br />
Selivanov ricorda che all’inizio del XIX secolo, durante le<br />
feste <strong>di</strong> Natale, folle mascherate <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> campagna<br />
e domestici <strong>della</strong> casa andavano nel palazzo padronale<br />
che in quel <strong>per</strong>iodo era a<strong>per</strong>to <strong>per</strong> loro. Come costumi<br />
venivano usate pellicce conta<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> pelle <strong>di</strong> pecora<br />
rovesciate o abiti buffoneschi che non si indossavano<br />
abitualmente (berretti <strong>di</strong> fibra <strong>di</strong> corteccia <strong>di</strong> tiglio ecc.).<br />
Si usavano inoltre normali abiti signorili che la <strong>di</strong>spensiera<br />
forniva <strong>di</strong> nascosto (“vecchie uniformi signorili e<br />
altri abiti <strong>per</strong> uomo e <strong>per</strong> donna conservati nei magazzini”,<br />
Selivanovskij 1881, p. 115).<br />
È significativo che nei quadretti popolari del XVIII secolo<br />
(lubok), – orientati verso il teatro come è <strong>di</strong>mostrato<br />
dalle tende, dai frontoni, dalla ribalta e dalla cornice 4 –, i<br />
<strong>per</strong>sonaggi popolari appaiano, in quanto attori, con vestiti<br />
signorili. Così nel noto quadretto Pozˇaluj po<strong>di</strong> proč’ ot<br />
menja [Per favore allontanati da me] la ragazza che fa le<br />
frittelle ha nei posticci sul viso e il suo corteggiatore indossa<br />
<strong>una</strong> parrucca con la treccia, un abito signorile e il<br />
cappello a tre punte 5 .<br />
La possibilità <strong>di</strong> avvertire l’alta semiotizzazione <strong>della</strong><br />
vita quoti<strong>di</strong>ana nobiliare non era dovuta solo al fatto<br />
che il nobile russo del <strong>per</strong>iodo successivo al regno <strong>di</strong><br />
Pietro, pur avendo fatto proprio questo comportamento,<br />
continuava a sentirlo come straniero. Questo doppio<br />
modo <strong>di</strong> intendere il proprio comportamento lo<br />
trasformava in un gioco, e questa sensazione era determinata<br />
dal fatto che molte caratteristiche <strong>della</strong> vita russa<br />
conservavano ancora un carattere nazionale. Non<br />
solo il piccolo proprietario che viveva in provincia, ma<br />
anche il nobile importante, lo stesso Pietro I o Elisabetta,<br />
tornavano spesso alle norme <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> comportamento<br />
tra<strong>di</strong>zionali e nazionali. Si poteva scegliere fra<br />
un comportamento neutro, “naturale” e uno accentuatamente<br />
nobiliare e nello stesso tempo coscientemente<br />
teatrale. Pietro I ad esempio preferiva <strong>per</strong> se stesso il
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 267<br />
primo tipo e anche quando prendeva parte alle azioni<br />
rituali, si attribuiva il ruolo <strong>di</strong> regista, <strong>della</strong> <strong>per</strong>sona<br />
cioè che organizza il gioco, che richiede agli altri <strong>di</strong> rispettarne<br />
le regole, ma non vi partecipa <strong>per</strong>sonalmente.<br />
L’amore <strong>per</strong> “la semplicità” tuttavia non avvicinava<br />
il suo comportamento a quello popolare ma aveva piuttosto<br />
un significato opposto. Per il conta<strong>di</strong>no il riposo<br />
e la festa comportavano il passaggio a <strong>una</strong> sfera <strong>di</strong><br />
comportamento più ritualizzato <strong>di</strong> quello consueto: il<br />
servizio religioso, segno consueto <strong>della</strong> festa, il matrimonio<br />
o anche semplicemente il far baldoria nella bettola,<br />
significava entrare in un rito con regole stabilite<br />
che determinavano anche il tempo, le azioni e le parole<br />
dei partecipanti. Per Pietro invece il riposo era il momento<br />
del passaggio a un comportamento “particolare”,<br />
fuori del rituale. Quello che <strong>per</strong> i conta<strong>di</strong>ni aveva<br />
un carattere pubblico (intorno alla casa in cui si svolgeva<br />
il matrimonio si affollavano ad esempio le <strong>per</strong>sone<br />
non invitate venute a vedere), <strong>per</strong> Pietro avveniva <strong>di</strong>etro<br />
<strong>una</strong> porta chiusa, nella ristretta cerchia dei propri<br />
“intimi”. Questa opposizione è propria del rituale paro<strong>di</strong>stico,<br />
che come antirituale tende a svolgersi nell’isolamento<br />
e in ambienti chiusi, ma, come rituale, benché<br />
rovesciato, tende a compiersi in pubblico e in un<br />
luogo a<strong>per</strong>to. Il mescolarsi nell’epoca <strong>di</strong> Pietro <strong>delle</strong><br />
più <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> <strong>semiotica</strong> del comportamento (dal<br />
rituale ecclesiastico ufficiale alla paro<strong>di</strong>a del rituale ecclesiastico<br />
nei riti sacrileghi <strong>di</strong> Pietro e dei suoi intimi,<br />
dal comportarsi come stranieri nella vita quoti<strong>di</strong>ana al<br />
comportamento “particolare” da tenere in privato consapevolmente<br />
contrapposto al rituale) 6 rendeva <strong>per</strong>cepibile<br />
la categoria dello stile <strong>di</strong> comportamento. Proprio<br />
il variegato <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne dei mezzi lessicali <strong>della</strong> lingua<br />
dell’inizio del XVIII secolo accentuava il senso dell’importanza<br />
stilistica non solo degli strati <strong>della</strong> lingua,<br />
ma <strong>di</strong> ogni parola presa separatamente (non solo del
268 JURIJ M. LOTMAN<br />
comportamento ma anche <strong>di</strong> ogni singola azione), preparando<br />
gli or<strong>di</strong>namenti rigidamente classificatori <strong>della</strong><br />
metà del secolo XVIII.<br />
Così al primo passo, cioè alla semiotizzazione del<br />
comportamento quoti<strong>di</strong>ano, seguì il secondo, cioè la<br />
creazione degli stili nell’ambito <strong>delle</strong> norme <strong>della</strong> vita<br />
quoti<strong>di</strong>ana. Spostandosi da Pietroburgo a Mosca, dalle<br />
proprietà nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Mosca a zone lontane, dalla<br />
Russia all’Europa, il nobile russo finiva col cambiare lo<br />
stile del suo comportamento, spesso anche senza rendersene<br />
conto. Il processo <strong>di</strong> formazione <strong>di</strong> uno stile in<br />
<strong>una</strong> data sfera si svolgeva anche in un’altra <strong>di</strong>rezione,<br />
cioè in quella sociale. Si determinò <strong>una</strong> <strong>di</strong>fferenza nello<br />
stile <strong>di</strong> comportamento fra chi prestava servizio e chi<br />
non lo prestava, fra il militare e il civile, fra il nobile <strong>della</strong><br />
capitale (cortigiano) e quello che viveva fuori. Il modo<br />
<strong>di</strong> parlare, <strong>di</strong> camminare, <strong>di</strong> vestirsi in<strong>di</strong>cava senza possibilità<br />
<strong>di</strong> errore il posto occupato dalle <strong>per</strong>sone nella<br />
polifonia stilistica <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana. Gogol’, citando<br />
nelle lettere, e poi in I giocatori, l’espressione: Rute,<br />
resˇitel’no rute! prosto karta-foska! [“Ruté, proprio ruté!<br />
È <strong>una</strong> scartina”] (Gogol’ 1951, p. 267), riteneva che fosse<br />
<strong>una</strong> frase tipica dell’esercito e nel suo genere “non<br />
priva <strong>di</strong> decoro”. Egli metteva in evidenza, cioè, che né<br />
un funzionario civile né un ufficiale <strong>della</strong> Guar<strong>di</strong>a l’avrebbero<br />
pronunciata.<br />
Il colorito stilistico era sottolineato dal fatto che la<br />
realizzazione dei vari comportamenti era il risultato <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> scelta. La possibilità <strong>di</strong> scegliere, <strong>di</strong> cambiare il<br />
proprio comportamento, era alla base del modo <strong>di</strong> vivere<br />
nobiliare. Il sistema <strong>di</strong> vita nel nobile russo era costruito<br />
come un albero. Nella seconda metà del XVIII<br />
secolo i nobili, dopo aver ottenuto la libertà <strong>di</strong> essere<br />
in servizio o <strong>di</strong> rinunciarvi, <strong>di</strong> vivere in Russia o all’estero,<br />
continuavano a lottare <strong>per</strong> aumentare “i rami” <strong>di</strong><br />
questo albero.
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 269<br />
vita laica<br />
all’estero in Russia<br />
servizio<br />
militare<br />
guar<strong>di</strong>a<br />
<strong>di</strong>fferenze<br />
a seconda<br />
dell’arma<br />
in servizio<br />
<strong>di</strong>fferenze<br />
a seconda<br />
dell’arma<br />
comportamento dei nobili<br />
servizio<br />
civile<br />
esercito nella<br />
capitale<br />
fuori servizio<br />
servizio<br />
<strong>di</strong>plomatico<br />
clero<br />
regolare<br />
in provincia signori<br />
moscoviti<br />
altri tipi<br />
<strong>di</strong> attività<br />
da funzionari<br />
vita ecclesiastica<br />
clero<br />
non regolare<br />
gran<strong>di</strong><br />
proprietari<br />
stile <strong>di</strong><br />
comportamento<br />
del proprietario<br />
piccoli<br />
proprietari<br />
rurali<br />
Il governo, soprattutto all’epoca <strong>di</strong> Paolo I e <strong>di</strong> Nicola<br />
I, cercava invece <strong>di</strong> annullare la possibilità <strong>di</strong> comportamento<br />
in<strong>di</strong>viduale e <strong>di</strong> scelta <strong>di</strong> un proprio stile da<br />
parte del singolo, tentando <strong>di</strong> trasformare la vita in servizio<br />
e gli abiti in uniformi.<br />
Le principali possibilità <strong>di</strong> comportamento dei nobili<br />
sono elencate nello schema precedente 7 .<br />
(Sono presi in considerazione soltanto i tipi fondamentali<br />
<strong>di</strong> comportamento <strong>della</strong> nobiltà russa del XVIII<br />
secolo, che sono il frutto <strong>della</strong> scelta fra possibilità alternative.<br />
Non sono prese in considerazione le mo<strong>di</strong>ficazioni<br />
nella tipologia del comportamento dovute all’età).
270 JURIJ M. LOTMAN<br />
La possibilità <strong>di</strong> scegliere <strong>di</strong>stingueva nettamente il<br />
comportamento dei nobili da quello dei conta<strong>di</strong>ni, regolato<br />
dal calendario agricolo e unico nell’ambito <strong>di</strong> ogni<br />
tappa. È curioso che sotto questo aspetto il comportamento<br />
<strong>delle</strong> donne appartenenti alla nobiltà fosse in linea<br />
<strong>di</strong> principio più vicino a quello dei conta<strong>di</strong>ni che a<br />
quello degli uomini del loro stesso rango. Non includeva<br />
infatti momenti <strong>di</strong> scelta in<strong>di</strong>viduale ed era determinato<br />
dall’età.<br />
L’origine degli stili <strong>di</strong> comportamento avvicinava naturalmente<br />
quest’ultimo a fenomeni analoghi vissuti<br />
esteticamente, fatto che a sua volta spingeva a cercare<br />
modelli <strong>di</strong> comportamento quoti<strong>di</strong>ano nelle sfere dell’arte.<br />
Per chi non aveva ancora assimilato le forme europeizzate<br />
<strong>di</strong> arte, potevano essere modelli solo i tipi <strong>di</strong><br />
rappresentazioni abituali <strong>per</strong> un russo: la liturgia ecclesiastica<br />
e il teatro dei saltimbanchi. La prima tuttavia era<br />
investita <strong>di</strong> un’autorità tale che l’usarla nella vita assumeva<br />
un carattere paro<strong>di</strong>stico-sacrilego. Un esempio significativo<br />
dell’uso <strong>della</strong> forma del teatro popolare nell’organizzazione<br />
<strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana dei nobili si trova<br />
nel raro libretto Rodoslovnaja Golovinych, vladel’cev sela<br />
Novospaskago, sobrannaja Bakkalavrom M. D. Akademii<br />
Petrom Kazanskim [Genealogia dei Golovin, proprietari<br />
del villaggio <strong>di</strong> Novospaskoe compilata dal Baccelliere M.<br />
D. A. Pëtr Kazanskij (Kazanskij 1847)]. In questa singolare<br />
pubblicazione, che si basa sull’archivio domestico<br />
dei Golovin, che include le fonti che ricordano quelli<br />
che erano al seguito <strong>di</strong> Ivan Petrovič Belkin quando si<br />
mise a scrivere Istorija sela Gorjuchina [La storia del villaggio<br />
<strong>di</strong> Gorjuchin], è contenuta in particolare la biografia<br />
<strong>di</strong> Vasilji Vasil’evič Golovin (1696-1781), composta<br />
in base ai suoi scritti e alle leggende familiari. La<br />
tempestosa vita <strong>di</strong> Golovin, che stu<strong>di</strong>ò in Olanda, conosceva<br />
quattro lingue europee oltre al latino, fu maestro<br />
<strong>di</strong> camera <strong>di</strong> Caterina I, soffrì a causa <strong>di</strong> Mons, subì poi
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 271<br />
la camera <strong>di</strong> tortura sotto il ministro Biron 8 e uscito <strong>di</strong> lì<br />
grazie a <strong>una</strong> grossa somma <strong>di</strong> denaro si stabilì in campagna,<br />
ci interessa <strong>per</strong> la mescolanza <strong>di</strong> teatro da fiera,<br />
scongiuri, formule magiche popolari e cerimonie conta<strong>di</strong>ne<br />
in cui egli trasformò la sua vita quoti<strong>di</strong>ana. Riportiamo<br />
un’ampia citazione:<br />
Si alzava presto, prima del sorgere del sole, e recitava le<br />
preghiere con l’amato sagrestano Jakovij Dmitriev. Alla fine<br />
<strong>delle</strong> regole mattutine andavano da lui con i rapporti e<br />
le relazioni il maggiordomo, il <strong>di</strong>spensiere, il fiduciario e<br />
l’anziano. Entravano e uscivano al comando <strong>della</strong> cameriera<br />
<strong>di</strong> provata onestà Pelageja Petrovnaja Vorob’eva. Prima<br />
<strong>di</strong> tutto essa <strong>di</strong>ceva: “In nome del Padre, del Figlio e dello<br />
Spirito Santo”, e quelli, che stavano <strong>per</strong> entrare, rispondevano:<br />
“Amen!”. Poi essa <strong>di</strong>ceva: “Entrate dunque quieti e<br />
deferenti, con <strong>di</strong>screzione, purezza e devozione. Venite al<br />
rapporto e ascoltate i coman<strong>di</strong> del nobile signore nostro.<br />
Inchinatevi profondamente <strong>di</strong> fronte a sua grazia e badate<br />
<strong>di</strong> serbare tutto fermamente nella memoria!”. Ad <strong>una</strong> sola<br />
voce rispondevano: “Ascoltiamo, madre!”. Dopo essere<br />
entrati nella stanza del Signore, si inchinavano fino a terra<br />
e <strong>di</strong>cevano: “Signore nostro, vi salutiamo”. “Salve amici<br />
miei, non tormentati e non straziati dalla <strong>di</strong>sgrazia, non<br />
provati e non puniti”, rispondeva lui. Egli ripeteva ogni<br />
volta: “Allora, va tutto bene?”. A questa domanda rispondeva<br />
prima <strong>di</strong> tutti gli altri il maggiordomo, facendo un inchino<br />
riverente: “Nella santa chiesa, nelle oneste sagrestie,<br />
in casa, nelle stalle e nelle scuderie e <strong>per</strong> grazia <strong>di</strong> Dio dap<strong>per</strong>tutto,<br />
nel chiuso dei pavoni e <strong>delle</strong> gru, nei giar<strong>di</strong>ni, negli<br />
stagni degli uccelli, tutto, signore nostro, va bene ed è<br />
conservato da Dio sano e salvo”. Dopo il maggiordomo<br />
cominciava il suo resoconto il <strong>di</strong>spensiere: “Nelle vostre<br />
cantine, nei granai e nelle <strong>di</strong>spense, nelle legnaie e nei seccatoi<br />
<strong>per</strong> covoni, nei pollai e nelle gabbie <strong>per</strong> gli uccelli,<br />
<strong>per</strong> grazia <strong>di</strong> Dio tutto, signore, è sano e salvo. L’acqua fresca<br />
<strong>di</strong> sorgente presa dal pozzo <strong>di</strong> San Gregorio <strong>per</strong> or<strong>di</strong>ne<br />
vostro è stata portata da un cavallo pezzato, è stata versata<br />
in <strong>una</strong> bottiglia <strong>di</strong> vetro, messa in un tino <strong>di</strong> legno, circon-
272 JURIJ M. LOTMAN<br />
data <strong>di</strong> ghiaccio, chiusa con un co<strong>per</strong>chio rotondo e vi è<br />
stata messa sopra <strong>una</strong> pietra”. Il fiduciario faceva questo<br />
rapporto: “Per tutta la notte, Signore mio, le guar<strong>di</strong>e hanno<br />
girato intorno al vostro palazzo, hanno battuto con la<br />
mazza, hanno fatto crepitare le raganelle, hanno suonato le<br />
nacchere e il corno a turno, signore mio. E tutte e quattro<br />
parlavano fra loro a voce alta. Gli uccelli notturni non volavano,<br />
non gridavano con strana voce, non spaventavano i<br />
giovani signori e non beccavano gli stucchi <strong>della</strong> casa, non<br />
stavano sul tetto, né nel solaio”. Alla fine faceva rapporto<br />
l’anziano: “In tutte e quattro le campagne <strong>per</strong> grazia <strong>di</strong><br />
Dio tutto va bene: i vostri conta<strong>di</strong>ni si arricchiscono, il bestiame<br />
è sano, i quadrupe<strong>di</strong> pascolano, gli uccelli domestici<br />
fanno le uova, non si sono sentiti terremoti e non si sono<br />
visti fenomeni celesti. Il gatto Van’ka 9 e la vecchia<br />
Zazˇigalka 10 vivono a Rtisˇčev e ricevono ogni mese <strong>per</strong> or<strong>di</strong>ne<br />
vostro il loro pane. Sospirano ogni giorno <strong>per</strong> la loro<br />
colpa e piangendo vi pregano, signore, che deponiate la<br />
vostra collera e <strong>per</strong>doniate i vostri servi colpevoli”. Tralasciamo<br />
la descrizione dell’elaboratissimo cerimoniale <strong>di</strong><br />
ogni giorno, che consisteva nelle preghiere domestiche,<br />
nella liturgia ecclesiastica e nei riti <strong>della</strong> colazione, del<br />
pranzo e <strong>della</strong> cena, ognuno dei quali si ripeteva regolarmente.<br />
La preparazione al sonno cominciava [alle 4 del<br />
pomeriggio – nota <strong>di</strong> Lotman] con l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> chiudere le<br />
imposte. All’interno recitavano le preghiere a Gesù: “Signore<br />
Gesù Cristo, figlio <strong>di</strong> Dio, proteggici”. “Amen!”, rispondevano<br />
alcune voci dall’esterno, e al suono <strong>di</strong> queste<br />
parole con terribile rumore chiudevano le imposte e mettevano<br />
sbarre <strong>di</strong> ferro. Arrivavano poi il maggiordomo, il<br />
<strong>di</strong>spensiere, il fiduciario e l’anziano. Nella stanza del signore<br />
entrava solo il maggiordomo e dava agli altri le <strong>di</strong>sposizioni.<br />
L’or<strong>di</strong>ne <strong>per</strong> il fiduciario era questo: “Ascoltate<br />
l’or<strong>di</strong>ne del padrone: state in guar<strong>di</strong>a. Non dormite <strong>per</strong><br />
tutta la notte. Fate giri intorno alla casa, battete forte con<br />
la mazza, suonate il corno e la raganella. State attenti e ricordate:<br />
che gli uccelli non volino, che non gri<strong>di</strong>no con<br />
strana voce, che non spaventino i bambini, che non becchino<br />
gli stucchi, che non stiano sul tetto e nel solaio. State<br />
attenti e ricordate!”. “Ascoltiamo”, era la risposta. All’an-
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 273<br />
ziano veniva or<strong>di</strong>nato: “Dite ai sotski e ai desjatski [agenti<br />
<strong>di</strong> polizia – N.d.T.] che tutti loro custo<strong>di</strong>scano gli abitanti<br />
dal più piccolo al più grande, che tengano gli occhi bene<br />
a<strong>per</strong>ti, preservino dal fuoco i borghesi e li proteggano.<br />
Stiano attenti a che non ci siano turbamenti nelle campagne<br />
<strong>di</strong> Celev, Medvedko e Goljavin, né agitazioni sui fiumi<br />
Iksˇa, Jakrom e Volgusˇa, che non si vedano strani fenomeni<br />
nei cieli e che non si sentano terremoti. Se qualcosa <strong>di</strong> simile<br />
accade o capitano fatti straor<strong>di</strong>nari, non facciano<br />
commenti, vengano subito dal loro signore e glielo facciano<br />
sa<strong>per</strong>e in tempo. Tengano tutto questo bene a mente”.<br />
Al <strong>di</strong>spensiere dava gli or<strong>di</strong>ni la Vorob’eva: “Il Signore ha<br />
or<strong>di</strong>nato che tu ti occupi dei viveri, che man<strong>di</strong> il cavallo a<br />
San Gregorio a prendere l’acqua santa. Mettetela nel tino,<br />
circondatela <strong>di</strong> ghiaccio, chiudetela con un co<strong>per</strong>chio rotondo<br />
e metteteci sopra <strong>una</strong> pietra con riverenza e con purezza.<br />
Abbiate cura degli uomini e del bestiame. Tenete<br />
tutto bene a mente”. Con questo si chiudevano gli or<strong>di</strong>ni.<br />
La Vorob’eva <strong>di</strong> solito apriva e chiudeva le porte <strong>della</strong><br />
stanza, dava la chiave al padrone e, mettendogliela sotto il<br />
guanciale, <strong>di</strong>ceva: “Signore, riposate con Cristo, dormite<br />
sotto la protezione <strong>della</strong> Santa Vergine, l’angelo custode<br />
vegli su <strong>di</strong> voi Signore mio”. Poi dava or<strong>di</strong>ne alle cameriere<br />
<strong>di</strong> turno: “Abbiate cura dei gatti 11 , non fate rumore,<br />
non parlate forte, non dormite durante la notte, sorvegliate<br />
quelli che stanno a origliare, spegnete il fuoco e tenete<br />
tutto bene a mente”.<br />
Dopo aver letto le preghiere <strong>della</strong> sera, Vasilij Vasilievič si<br />
metteva a letto e, facendosi il segno <strong>della</strong> croce, <strong>di</strong>ceva:<br />
“Il servo <strong>di</strong> Dio va a dormire. Su <strong>di</strong> lui sia il suggello <strong>di</strong><br />
Cristo e il suo sostegno, la Madonna sia inviolabile muraglia<br />
e <strong>di</strong>fesa, e con lei la destra benedetta, la croce onnipotente<br />
e vivificatrice del mio angelo custode, le immagini<br />
<strong>delle</strong> forze incorporee e le preghiere <strong>di</strong> tutti i santi. Sono<br />
protetto da Cristo. Scaccio il demonio e lo stermino<br />
ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen”. Di notte a Novospaskoe<br />
echeggiavano rumori, tintinnii, sibili, baccano,<br />
grida, lo scalpitio e le corse <strong>delle</strong> quattro guar<strong>di</strong>e e <strong>delle</strong><br />
sentinelle. Se qualcosa impe<strong>di</strong>va al signore <strong>di</strong> dormire subito,<br />
egli non restava a letto e <strong>per</strong>deva il buonumore <strong>per</strong>
274 JURIJ M. LOTMAN<br />
tutta la notte. In questo caso o cominciava a leggere ad alta<br />
voce il suo libro preferito La vita <strong>di</strong> Alessandro il Macedone<br />
<strong>di</strong> Quinto Curzio o sedeva su <strong>una</strong> grande poltrona<br />
(...) e recitava questa preghiera abbassando e alzando ritmicamente<br />
la voce: “Nemico Satana, vattene da me in un<br />
posto deserto, nei boschi folti e negli abissi <strong>della</strong> terra dove<br />
non splende la luce <strong>di</strong> Dio! Nemico Satana, vattene da<br />
me in posti oscuri, in mari senza fondo, in monti senza case,<br />
senza uomini e dove non splende la luce del Signore.<br />
Muso dannato, vattene da me nell’Inferno! Vattene da<br />
me, muso dannato! Vattene nel fuoco dell’Inferno e non<br />
tornare. Amen, amen, amen. Ti faccio un anatema, brutto<br />
pagano! Sputo su <strong>di</strong> te!”.<br />
Finiti gli scongiuri, si alzava dalla se<strong>di</strong>a e cominciava ad<br />
andare avanti e in<strong>di</strong>etro <strong>per</strong> le sue sette stanze, battendo<br />
con la mazza. Queste stranezze naturalmente accendevano<br />
la curiosità e molti guardavano dalle fessure che cosa faceva<br />
il padrone. Ma in questo caso venivano prese <strong>delle</strong> misure.<br />
Le cameriere cominciavano a gridare motti arguti e<br />
proverbi, versavano acqua fredda da finestrini alti su quelli<br />
che stavano ad origliare e il signore approvava queste azioni<br />
<strong>di</strong>cendo: “Tu meriti la tortura, pagano, ripugnante, impunito”<br />
scalpitando con le gambe e ripetendo più volte la<br />
stessa frase (Kazanskij 1847, pp. 60-70).<br />
Questo è un vero e proprio teatro con spettacoli e testi<br />
che si ripetono regolarmente. Si tratta tuttavia ancora<br />
<strong>di</strong> un teatro popolare con monologhi rimati da raëk 12 e<br />
con un finale caratteristico del teatro dei saltimbanchi,<br />
durante il quale dal palcoscenico si annaffiava il pubblico.<br />
Sulla scena “il Signore”, <strong>per</strong>sonaggio ben noto nel<br />
teatro popolare e nei lubok, parzialmente “negromante”,<br />
recita scongiuri e legge a voce alta, alternando il latino<br />
con versi in russo da raëk. È tipico in questo spettacolo<br />
l’accostamento <strong>di</strong> elementi comici e tragici.<br />
Oltre che attore, il signore è anche spettatore che osserva<br />
il rituale da carnevale nel quale ha trasformato la<br />
sua vita quoti<strong>di</strong>ana. Egli recita volentieri il suo ruolo
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 275<br />
buffo-tragico e si preoccupa che anche gli altri non escano<br />
dallo stile del gioco. È ben <strong>di</strong>fficile che un uomo<br />
istruito da un astronomo, geografo, che aveva viaggiato<br />
<strong>per</strong> tutta l’Europa e conversato con Pietro I, nipote del<br />
favorito <strong>di</strong> Sofia V. V. Golicyn, credesse al <strong>di</strong> fuori del<br />
gioco che l’amato gatto Van’ka continuasse a vivere da<br />
<strong>di</strong>eci anni in esilio e che “ogni giorno sospirasse <strong>per</strong> le<br />
sue colpe”. Ma egli preferiva vivere in questo mondo<br />
convenzionale con le caratteristiche <strong>di</strong> un gioco, piuttosto<br />
che in quello in cui, come aveva annotato nel calendario,<br />
“avevano torturato lui, povero colpevole, deturpandogli<br />
le unghie” (Kazanskij 1847, pp. 58) 13 .<br />
Il sistema <strong>di</strong> generi, che si era venuto a creare nella<br />
sfera <strong>della</strong> coscienza estetica dell’alta cultura del XVIII<br />
secolo, cominciava ad agire attivamente sul comportamento<br />
del nobile russo, creando un sistema ramificato<br />
<strong>di</strong> generi <strong>di</strong> comportamento. È in<strong>di</strong>cativa <strong>di</strong> questo processo<br />
la tendenza a scomporre lo spazio abitabile in palcoscenici.<br />
Il passaggio da un ambiente all’altro si accompagnava<br />
al cambiamento del tipo <strong>di</strong> comportamento.<br />
Fino al tempo <strong>di</strong> Pietro la Russia conosceva l’opposizione<br />
binaria fra uno spazio rituale e uno fuori del rituale.<br />
Questa opposizione si realizzava a <strong>di</strong>versi livelli<br />
come casa-chiesa, spazio esterno all’altare-altare, angolo<br />
nero-angolo rosso nell’isba 14 , e continuava anche nella<br />
villa signorile dove esisteva <strong>una</strong> <strong>di</strong>visione fra le stanze<br />
<strong>per</strong> vivere e le stanze <strong>di</strong> gala. In seguito <strong>per</strong>ò si manifestò<br />
la tendenza a trasformare le stanze <strong>di</strong> gala in stanze<br />
<strong>per</strong> vivere, e a introdurre <strong>una</strong> <strong>di</strong>stinzione nello spazio<br />
<strong>per</strong> vivere. Il passaggio dalla residenza invernale a quella<br />
estiva, lo spostarsi <strong>per</strong> alcune ore dalle sale antiche o<br />
barocche del palazzo alla “capanna”, al “rudere me<strong>di</strong>evale”,<br />
alla campagna cinese o al chiosco turco, il trasferirsi<br />
a Kuskov dalla casetta “olandese” a quella “italiana”,<br />
comportavano un cambiamento nel modo <strong>di</strong> comportarsi<br />
e <strong>di</strong> parlare.
276 JURIJ M. LOTMAN<br />
Non solo i palazzi degli zar o le ville degli alti <strong>di</strong>gnitari,<br />
ma anche le <strong>di</strong>more molto più modeste dei semplici<br />
gentiluomini erano piene <strong>di</strong> chioschi da giar<strong>di</strong>no, <strong>di</strong><br />
grotte, <strong>di</strong> tempietti, <strong>di</strong> luoghi <strong>per</strong> me<strong>di</strong>tazioni solitarie,<br />
<strong>di</strong> rifugi d’amore ecc. L’ambiente <strong>di</strong>ventava decorazione.<br />
Costituiva un elemento in comune col teatro anche<br />
la tendenza ad accompagnare il mutamento <strong>di</strong> spazio<br />
con musiche <strong>di</strong>verse. In caso <strong>di</strong> necessità la decorazione<br />
poteva essere semplificata e ridotta fino a trasformarsi<br />
da costruzione (come erano gli imponenti insiemi architettonici)<br />
in segno <strong>di</strong> tale costruzione, accessibile anche<br />
al semplice proprietario.<br />
Lo sviluppo successivo <strong>della</strong> poetica del comportamento<br />
portò all’elaborazione <strong>della</strong> categoria <strong>della</strong> parte<br />
teatrale. L’uomo del XVIII secolo sceglieva <strong>per</strong> sé come<br />
se fosse stata <strong>una</strong> parte teatrale – invariante <strong>di</strong> ruoli tipici<br />
– un determinato tipo <strong>di</strong> comportamento, che semplificava<br />
la sua vita quoti<strong>di</strong>ana e la elevava verso un qualche<br />
ideale. Si sceglieva <strong>di</strong> solito la parte rifacendosi a un<br />
<strong>per</strong>sonaggio storico, a un uomo <strong>di</strong> Stato, a un letterato,<br />
al protagonista <strong>di</strong> un poema o <strong>di</strong> <strong>una</strong> trage<strong>di</strong>a. Il <strong>per</strong>sonaggio<br />
scelto <strong>di</strong>ventava il doppio idealizzato <strong>della</strong> <strong>per</strong>sona<br />
reale, il suo santo. Orientarsi secondo il <strong>per</strong>sonaggio<br />
scelto <strong>di</strong>ventava un programma <strong>di</strong> comportamento. Attributi<br />
come “il Pindaro russo”, “il Voltaire del Nord”,<br />
“il nostro La Fontane”, “il nuovo Sterne” o “Minerva”,<br />
“Astrea”, “il Cesare russo”, “il Fabio dei nostri giorni”<br />
<strong>di</strong>ventavano nomi propri supplementari (Minerva <strong>per</strong><br />
esempio <strong>di</strong>venne il nome letterario <strong>di</strong> Caterina II). Questo<br />
modo <strong>di</strong> vedere – che organizzava il comportamento<br />
dell’in<strong>di</strong>viduo, determinava la valutazione soggettiva che<br />
la <strong>per</strong>sona dava <strong>di</strong> sé e nello stesso tempo il modo in cui<br />
veniva considerata dai contemporanei –, creò un programma<br />
<strong>di</strong> comportamento in<strong>di</strong>viduale che in un certo<br />
senso determinava già il carattere <strong>delle</strong> azioni future e il<br />
modo in cui sarebbero state considerate. Venne così da-
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 277<br />
to impulso alla nascita <strong>di</strong> un’epica aneddotica basata sul<br />
principio <strong>di</strong> accumulazione. La maschera-parte teatrale<br />
era il car<strong>di</strong>ne intorno al quale si organizzavano i nuovi<br />
episo<strong>di</strong> <strong>della</strong> biografia aneddotica. Questo testo <strong>di</strong> comportamento<br />
era in linea <strong>di</strong> principio a<strong>per</strong>to e si poteva<br />
accrescere senza limiti, includendovi casi sempre nuovi.<br />
È significativo che il numero <strong>di</strong> parti possibili non fosse<br />
illimitato, ma abbastanza ristretto e ricordasse sotto<br />
molti aspetti <strong>per</strong>sonaggi <strong>di</strong> testi letterari <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso tipo<br />
e protagonisti <strong>di</strong> varie o<strong>per</strong>e teatrali.<br />
Si hanno in primo luogo parti elaborate partendo dal<br />
normale comportamento neutro, <strong>di</strong> cui si accrescono<br />
quantitativamente tutte le caratteristiche. Fra le maschere<br />
<strong>di</strong> questo tipo si può in<strong>di</strong>care la variante del bogatyr<br />
[eroe epico russo – N.d.T.], tipica del XVIII secolo, che si<br />
forma in base all’accrescimento puramente quantitativo<br />
<strong>di</strong> alcune proprietà normali e neutre dell’uomo. Il Settecento<br />
brulica <strong>di</strong> titani. La caratteristica <strong>di</strong> Pietro I <strong>di</strong> essere<br />
un “titano-taumaturgo” (Pusˇkin) risale appunto al<br />
XVIII secolo e negli aneddoti su Lomonosov è sempre<br />
messa in evidenza la sua forza fisica su<strong>per</strong>iore a quella<br />
degli uomini normali, i suoi svaghi da bogatyr ecc. A<br />
questo sono legati anche i “čudo-bogatyri” [eroi che<br />
compiono in guerra miracoli <strong>di</strong> coraggio ed eroismo –<br />
N.d.T.] (cfr. “E tu hai raddoppiato il passo da bogatyr”<br />
[c.vo <strong>di</strong> Lotman], cioè raddoppiato rispetto al normale)<br />
15 . La più <strong>per</strong>fetta incarnazione <strong>di</strong> questa tendenza è<br />
l’epica aneddotica su Potëmkin, che creava l’immagine<br />
<strong>per</strong>fetta <strong>di</strong> un uomo con capacità naturali su<strong>per</strong>iori alla<br />
norma. Fiorivano racconti sul suo eccezionale appetito e<br />
le sue capacità <strong>di</strong>gestive nel più <strong>per</strong>fetto spirito <strong>di</strong> Rabelais<br />
e del lubok russo (“Ho mangiato magnificamente e<br />
bevuto allegramente”, che nella variante russa ha <strong>per</strong>so<br />
del tutto il carattere <strong>di</strong> caricatura politica dell’originale<br />
francese e ha ripristinato il sottofondo rabelaisiano-farsesco).<br />
Citiamo uno <strong>di</strong> questi racconti:
278 JURIJ M. LOTMAN<br />
Nel secolo passato, nel palazzo Tavričeskij, il principe<br />
Potëmkin, accompagnando Lavasˇev e il principe Dolgorukov,<br />
passa attraverso un gabinetto accanto ad un magnifico<br />
bagno d’argento. Lavasˇev: “Che magnifico bagno!”. Il<br />
principe Potëmkin: “Se ti impegni a riempirlo – (questo<br />
nella tra<strong>di</strong>zione scritta ma nel testo orale risulta un’altra<br />
parola) – te lo regalo” (Vjazemskij 1929, p. 194).<br />
Gli ascoltatori potevano valutare la ricchezza <strong>di</strong> immaginazione<br />
<strong>di</strong> Potëmkin e pensare che lui stesso, legittimo<br />
proprietario del magnifico bagno, poteva compiere<br />
<strong>una</strong> simile impresa senza <strong>di</strong>fficoltà. La leggendaria “epicità<br />
da bogatyr” <strong>di</strong> Potëmkin aveva anche un altro aspetto.<br />
Non è casuale che Pusˇkin, quando seppe che avevano<br />
sottoposto un articolo <strong>di</strong> Davydov alla censura <strong>di</strong> Michajlivskij-Danilevskij,<br />
abbia detto: “Sarebbe come<br />
mandare il principe Potëmkin dagli eunuchi <strong>per</strong> imparare<br />
da loro il modo <strong>di</strong> comportarsi con le donne” 16 . In<br />
questo ambito si può <strong>di</strong>stinguere fra la gran<strong>di</strong>osità nei<br />
<strong>di</strong>segni politici, nei banchetti e nelle feste, quella nello<br />
scialacquare, nel fare baldoria, nella concussione, e infine<br />
la gran<strong>di</strong>osità nella generosità, nella liberalità, nel patriottismo.<br />
Ogni racconto che metta in evidenza tratti da<br />
criminale o da eroe può far parte degli aneddoti epici su<br />
Potëmkin, a con<strong>di</strong>zione che queste caratteristiche siano<br />
elevate a un grado su<strong>per</strong>lativo.<br />
Un’altra parte tipica, che organizza <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> leggende<br />
biografiche e <strong>di</strong> reali biografie, è quella del <strong>per</strong>sonaggio<br />
arguto, dello spirito ameno, del buffone. Anche<br />
questa è legata al mondo del teatro da fiera e dei lubok.<br />
È ad esempio <strong>di</strong> questo tipo la biografia <strong>di</strong> Kop’ev, i<br />
cui episo<strong>di</strong> ripetuti dai contemporanei sono <strong>di</strong> solito<br />
aneddoti vaganti su un <strong>per</strong>sonaggio arguto che riesce a<br />
uscire da situazioni <strong>di</strong>fficili grazie a risposte audaci. Vjazemskij,<br />
narrando alcuni episo<strong>di</strong> <strong>della</strong> “biografia” <strong>di</strong><br />
Kop’ev, ha <strong>di</strong>mostrato che queste stesse azioni e risposte<br />
si attribuivano anche ad altri <strong>per</strong>sonaggi (Golicyn) o
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 279<br />
erano note come aneddoti francesi. La parte-maschera<br />
esercita un’azione <strong>di</strong> attrazione e la biografia leggendaria<br />
<strong>di</strong>venta un testo che tende ad autoespandersi assorbendo<br />
aneddoti <strong>di</strong>versi sui <strong>per</strong>sonaggi arguti. Molto significativo<br />
sotto questo aspetto è il destino <strong>di</strong> Marin. Si<br />
tratta <strong>di</strong> un <strong>per</strong>sonaggio che ricevette ad Austerlitz quattro<br />
colpi <strong>di</strong> mitraglia (uno in testa, uno in un braccio e<br />
due al petto), la spada d’oro <strong>per</strong> il suo valore e il grado<br />
<strong>di</strong> tenente, che ebbe a Friedland <strong>una</strong> scheggia <strong>di</strong> granata<br />
nella testa, la croce <strong>di</strong> Vla<strong>di</strong>miro e la cordellina <strong>di</strong> aiutante<br />
<strong>di</strong> campo, che fu nel 1812 generale responsabile a<br />
Bargation e che morì alla fine <strong>di</strong> <strong>una</strong> campagna <strong>per</strong> <strong>una</strong><br />
ferita, <strong>una</strong> malattia e <strong>per</strong> l’eccessiva fatica. Fu inoltre un<br />
attivo politico: prese parte agli avvenimenti del 12 marzo<br />
1801 e portò a Napoleone <strong>una</strong> lettera dell’im<strong>per</strong>atore<br />
russo. Fu infine poeta satirico. Tutte queste qualità furono<br />
<strong>per</strong>ò oscurate agli occhi dei contemporanei dalla maschera<br />
<strong>di</strong> spirito arguto. Con quest’immagine Marin è<br />
entrato nella storia <strong>della</strong> cultura russa del XIX secolo.<br />
Era <strong>di</strong>ffuso anche il tipo del “Diogene russo”, del<br />
“nuovo cinico”, che univa il filosofico <strong>di</strong>sprezzo <strong>per</strong> la ricchezza<br />
alla miseria, che infrangeva le norme <strong>della</strong> decenza<br />
e aveva come attributo in<strong>di</strong>spensabile quello <strong>di</strong> essere un<br />
grande ubriacone. Questo stereotipo fu creato da Barkov<br />
e in seguito organizzò l’immagine e il comportamento <strong>di</strong><br />
Kostrov, <strong>di</strong> Milionov e <strong>di</strong> decine <strong>di</strong> altri letterati.<br />
La <strong>per</strong>sona che orientava il suo comportamento rifacendosi<br />
a <strong>una</strong> parte, rendeva la sua vita simile a uno<br />
spettacolo basato sull’improvvisazione, nel quale era stabilito<br />
solo il tipo <strong>di</strong> comportamento del singolo ma non<br />
le situazioni prodotte dagli scontri fra i <strong>per</strong>sonaggi. L’azione<br />
era a<strong>per</strong>ta e poteva essere continuata inserendo altri<br />
episo<strong>di</strong> all’infinito. Questa costruzione <strong>della</strong> vita<br />
orientata verso il teatro popolare era poco adatta <strong>per</strong> gli<br />
scontri tragici. Ne è un esempio in<strong>di</strong>cativo la biografia<br />
mitologizzata <strong>di</strong> Suvorov [maresciallo russo (1729-1800)
280 JURIJ M. LOTMAN<br />
(N.d.T.)]. Nel costruire un mito idealizzato <strong>di</strong> se stesso,<br />
Suvorov si orientò prima <strong>di</strong> tutto sull’immagine <strong>di</strong> Plutarco<br />
e poi su quella <strong>di</strong> Cesare. Quest’alta immagine tuttavia<br />
poteva trasformarsi – nelle lettere alla figlia o<br />
quando si occupava dei soldati – nella figura del bogatyr<br />
russo. (Nelle lettere alla figlia, la nota Suvoročka, le descrizioni<br />
stilizzate <strong>delle</strong> azioni militari ricordano in modo<br />
sorprendente le trasformazioni fiabesche <strong>delle</strong> azioni<br />
militari nella coscienza del capitano Tusˇin <strong>di</strong> Guerra e<br />
pace, cosa che fa supporre che Tolstoj conoscesse questa<br />
fonte). Il comportamento <strong>di</strong> Suvorov era <strong>per</strong>ò regolato<br />
non da <strong>una</strong> sola norma ma da due. La seconda era<br />
orientata verso la parte del burlone. A questa maschera<br />
sono legati gli innumerevoli aneddoti sulle stravaganze<br />
<strong>di</strong> Suvorov, il suo grido da galletto, le sue uscite buffonesche.<br />
La presenza nel comportamento <strong>della</strong> stessa<br />
<strong>per</strong>sona <strong>di</strong> due ruoli che dovrebbero escludersi a vicenda<br />
è in rapporto col significato del contrasto nella poetica<br />
del preromanticismo (cfr. la frase: “Da poco mi è capitato<br />
<strong>di</strong> fare conoscenza con uno strano <strong>per</strong>sonaggio.<br />
Quanti ce ne sono!”, tratta dal taccuino <strong>di</strong> Batjusˇkov<br />
(1934, pp. 378-380); Charakter moego <strong>di</strong>a<strong>di</strong> [Il carattere<br />
<strong>di</strong> mio zio] <strong>di</strong> Griboedov (1956, pp. 414-415), o un passo<br />
del <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> Pusˇkin liceale del 17 <strong>di</strong>cembre 1815:<br />
“Volete vedere <strong>una</strong> strana <strong>per</strong>sona, un bislacco?”,<br />
Pusˇkin 1949, pp. 301-302).<br />
L’impreve<strong>di</strong>bilità del comportamento <strong>della</strong> <strong>per</strong>sona<br />
<strong>di</strong>pendeva in questo caso dal fatto che i suoi interlocutori<br />
non potevano mai sa<strong>per</strong>e in anticipo quale dei due<br />
possibili ruoli sarebbe stato utilizzato. Se l’effetto estetico<br />
del comportamento orientato sempre verso la stessa<br />
maschera <strong>di</strong>pende dal fatto che in situazioni <strong>di</strong>verse agisce<br />
<strong>una</strong> sola maschera, qui è legato alla continua meraviglia<br />
del pubblico. Così ad esempio il principe Estergazi,<br />
che era stato mandato dal palazzo <strong>di</strong> Vienna a parlare<br />
con Suvorov, si lamentava con Komarovskij: “Come si
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 281<br />
può parlare con <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona da cui non si può ottenere<br />
niente?”. E ancora <strong>di</strong> più egli fu colpito nell’incontro<br />
successivo: “C’est un <strong>di</strong>able d’homme. Il a autant d’esprit,<br />
que de connaissance” 17 .<br />
La tattica successiva nell’evoluzione <strong>della</strong> poetica del<br />
comportamento è caratterizzata dal passaggio dalla parte<br />
all’intreccio. L’intreccio non è affatto <strong>una</strong> componente<br />
casuale del comportamento quoti<strong>di</strong>ano. Anzi, la sua apparizione<br />
come categoria, che organizza i testi narrativi<br />
nell’arte, si può spiegare in ultima analisi con la necessità<br />
<strong>di</strong> scegliere <strong>una</strong> strategia <strong>di</strong> comportamento <strong>per</strong> la realtà<br />
extraletteraria. Il comportamento quoti<strong>di</strong>ano acquista<br />
<strong>una</strong> piena intelligibilità soltanto nella misura in cui <strong>una</strong><br />
singola catena <strong>di</strong> avvenimenti a livello <strong>della</strong> realtà può essere<br />
confrontata con un susseguirsi <strong>di</strong> azioni che ha un<br />
unico significato e compiutezza e che funziona a livello<br />
<strong>di</strong> co<strong>di</strong>ficazione come un segno tipizzato <strong>delle</strong> situazioni,<br />
del susseguirsi dei fatti e dei loro risultati, cioè dell’intreccio.<br />
La presenza nella coscienza <strong>di</strong> <strong>una</strong> data collettività<br />
<strong>di</strong> un certo numero <strong>di</strong> intrecci <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ficare<br />
il comportamento reale, riportandolo a un comportamento<br />
significativo o a uno non significativo e attribuendogli<br />
questo o quel significato. Le unità <strong>di</strong> segno <strong>di</strong> comportamento<br />
inferiori, il gesto e l’azione, ricevono <strong>di</strong> solito<br />
la loro semantica e stilistica non isolatamente, ma in<br />
rapporto a categorie che si trovano a un livello più alto:<br />
l’intreccio, lo stile, il genere <strong>di</strong> comportamento. L’insieme<br />
degli intrecci che co<strong>di</strong>ficano il comportamento dell’uomo<br />
nelle varie epoche può essere definito mitologia<br />
del comportamento quoti<strong>di</strong>ano e sociale.<br />
Nell’ultima parte del XVIII secolo – <strong>per</strong>iodo in cui si<br />
forma nella cultura russa <strong>una</strong> mitologia <strong>di</strong> questo genere<br />
– la fonte principale degli intrecci <strong>di</strong> comportamento è<br />
la letteratura alta, al <strong>di</strong> sopra del piano <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana:<br />
gli storici antichi, le trage<strong>di</strong>e del classicismo, in<br />
certi casi le vite dei santi. Il fatto <strong>di</strong> considerare la pro-
282 JURIJ M. LOTMAN<br />
pria vita come un testo organizzato secondo le leggi <strong>di</strong><br />
un certo intreccio metteva in evidenza l’unità <strong>di</strong> azione,<br />
il tendere verso uno scopo. Particolarmente significativa<br />
<strong>di</strong>ventava la categoria teatrale <strong>della</strong> “fine”, del quinto atto.<br />
La costruzione <strong>della</strong> vita come uno spettacolo basato<br />
sull’improvvisazione in cui l’attore deve restare nell’ambito<br />
del suo ruolo, creava un testo senza fine nel quale<br />
scene sempre nuove potevano venire a riempire e a variare<br />
il corso degli avvenimenti. L’inserimento dell’intreccio<br />
introduceva invece l’idea <strong>della</strong> conclusione e insieme<br />
dava a essa un particolare significato. La morte, la<br />
<strong>di</strong>sgrazia, <strong>di</strong>venivano oggetto <strong>di</strong> continue me<strong>di</strong>tazioni e<br />
apparivano come coronamento <strong>della</strong> vita. Questo portava<br />
naturalmente ad attivizzare modelli <strong>di</strong> comportamento<br />
eroici e tragici. L’identificazione con l’eroe <strong>di</strong> <strong>una</strong> trage<strong>di</strong>a<br />
determinava non solo il tipo <strong>di</strong> comportamento<br />
ma anche il tipo <strong>di</strong> morte. Preoccuparsi del “quinto atto”<br />
<strong>di</strong>ventava un tratto <strong>di</strong>stintivo del comportamento<br />
“eroico” <strong>della</strong> fine del XVIII secolo e dell’inizio del XIX.<br />
Ja rozˇden, čtob celyj mir byl zritel’<br />
Torzˇestva il’ gibeli moej (...).<br />
(Lermontov 1954, p. 38, vol. II)<br />
[Sono nato <strong>per</strong>ché tutto il mondo / Fosse spettatore del<br />
mio trionfo o <strong>della</strong> mia rovina (...)].<br />
In questi versi Lermontov avanza con straor<strong>di</strong>naria<br />
chiarezza l’idea dell’uomo come attore, che recita il<br />
dramma <strong>della</strong> sua vita davanti a un pubblico <strong>di</strong> spettatori<br />
(il titanismo romantico si esprime nel fatto che il pubblico<br />
qui è “tutto il mondo”), e quella <strong>di</strong> collegare il momento<br />
culminante <strong>della</strong> vita al quinto atto teatrale<br />
(“trionfo o rovina”). Derivano <strong>di</strong> qui anche le continue<br />
me<strong>di</strong>tazioni <strong>di</strong> Lermontov sulla fine <strong>della</strong> vita: “Fine, come<br />
è sonora questa parola”.
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 283<br />
I ne zabyt’ umru Ja. Smert’ moja<br />
moja<br />
Uzˇasna budet: čuzˇdye kraja<br />
Ej u<strong>di</strong>vjatsja, a v rodnoj stra<br />
Vse prokljanut i pamjat’ obo<br />
mne.<br />
(p. 185, vol. I)<br />
[E non <strong>di</strong>menticare che morirò. / E la mia morte / Sarà<br />
terribile: paesi stranieri / Ne saranno colpiti, / mentre in /<br />
patria / Tutti male<strong>di</strong>ranno anche la mia / memoria.]<br />
Quando all’alba del 14 <strong>di</strong>cembre 1825 i decabristi<br />
uscirono nella piazza del Senato, Odoevskij esclamò:<br />
“Moriamo, fratelli, ah come moriamo gloriosamente!”.<br />
La rivolta non era ancora cominciata e si poteva s<strong>per</strong>are<br />
nel successo dell’impresa, ma proprio la morte eroica<br />
dava all’avvenimento il carattere <strong>di</strong> alta trage<strong>di</strong>a, innalzando<br />
i partecipanti <strong>di</strong> fronte ai posteri e ai loro stessi<br />
occhi al livello <strong>di</strong> <strong>per</strong>sonaggi <strong>di</strong> un intreccio teatrale.<br />
È molto significativo sotto questo aspetto il destino<br />
<strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev. Le circostanze <strong>della</strong> sua morte sono tuttora<br />
oscure. Non meritano fede i racconti più volte ripetuti<br />
dalla letteratura scientifica sulle minacce formulate contro<br />
<strong>di</strong> lui da Zavadovskij o anche da Voroncov,<br />
Ra<strong>di</strong>sˇčev poteva naturalmente provocare scontento con<br />
azioni o parole incaute. Tuttavia chiunque conosca anche<br />
solo un poco il clima politico dei “giorni del magnifico<br />
inizio <strong>di</strong> Alessandro” sa benissimo che non era un<br />
<strong>per</strong>iodo in cui un progetto audace, scritto <strong>per</strong> or<strong>di</strong>ne<br />
governativo, – e non ci furono altre azioni <strong>per</strong>icolose da<br />
parte <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev in quei mesi – potesse suscitare seri<br />
atti <strong>di</strong> repressione. La versione che dei fatti dà Pusˇkin è<br />
chiaramente tendenziosa. In essa traspare un’a<strong>per</strong>ta ironia,<br />
creata dalla sproporzione fra le parole <strong>di</strong> Zavadovskij<br />
(“Gli <strong>di</strong>sse con tono <strong>di</strong> amichevole rimprovero”), e<br />
la reazione <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇcˇev (“Ra<strong>di</strong>sˇcˇev vide la minaccia
284 JURIJ M. LOTMAN<br />
[c.vo mio – Ju. L.] e tornò a casa amareggiato e spaventato”).<br />
L’articolo <strong>di</strong> Pusˇkin non ha ancora avuto un’interpretazione<br />
che abbia riscosso generali consensi. Finché<br />
questa non ci sarà e non sarà spiegato nel modo dovuto<br />
lo scopo che esso si proponeva, utilizzarne dei brani<br />
è molto rischioso. È chiara solo <strong>una</strong> cosa: Ra<strong>di</strong>sˇčev<br />
era <strong>una</strong> <strong>per</strong>sona coraggiosa e non è possibile che avesse<br />
paura dell’ombra <strong>di</strong> un <strong>per</strong>icolo, <strong>di</strong> <strong>una</strong> ambigua minaccia.<br />
Il suo suici<strong>di</strong>o non fu determinato dalla paura.<br />
È <strong>di</strong>fficile prendere sul serio i ragionamenti aneddotici<br />
<strong>di</strong> S ˇ torm (1968, p. 439) 18 sul fatto che nel suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />
Ra<strong>di</strong>sˇčev “tutto ha avuto un significato, anche il peggioramento<br />
del tempo, registrato dal bollettino meteorologico<br />
dei ‘Peterburskie vedomosti’ [Notiziario <strong>di</strong> Pietroburgo]<br />
dell’11 e del 12 settembre”. Secondo S ˇ torm non<br />
solo le con<strong>di</strong>zioni del tempo hanno avuto un ruolo infausto<br />
sul destino <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev insieme alla delusione<br />
<strong>della</strong> s<strong>per</strong>anza <strong>di</strong> migliorare le con<strong>di</strong>zioni dei conta<strong>di</strong>ni,<br />
ma anche fatti <strong>per</strong>sonali. Uno <strong>di</strong> questi sarebbe<br />
“senz’altro” secondo S ˇ torm la condanna <strong>di</strong> un suo lontano<br />
parente accusato <strong>di</strong> truffa (p. 383). Tutti i tentativi<br />
<strong>di</strong> trovare nell’autunno del 1802 nella biografia <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev<br />
un motivo concreto <strong>per</strong> il suo tragico gesto non<br />
portano a niente.<br />
Questo atto, che non trova appigli nelle vicende degli<br />
ultimi mesi <strong>di</strong> vita dello scrittore, risulta <strong>per</strong>ò conforme<br />
alla lunga serie <strong>di</strong> riflessioni fatte da Ra<strong>di</strong>sˇčev su questo<br />
tema. In Z ˇ itie Fëdora Vasil’eviča Usˇakova [La vita <strong>di</strong> Fëdor<br />
Vasil’evič Usˇakov], in Putesˇestvie iz Peterburga v Moskvu<br />
[Viaggio da Pietroburgo a Mosca], nel trattato O<br />
čeloveke, ego smertnosti i bessmertii [L’uomo, la morte,<br />
l’immortalità] e in altre o<strong>per</strong>e Ra<strong>di</strong>sˇčev torna insistentemente<br />
sul problema del suici<strong>di</strong>o. Queste riflessioni sono<br />
legate all’etica dei materialisti del XVIII secolo e sostengono<br />
in netto contrasto con la morale <strong>della</strong> Chiesa il <strong>di</strong>ritto<br />
dell’uomo a essere padrone <strong>della</strong> propria vita. Ol-
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 285<br />
tre all’aspetto filosofico viene sottolineato anche quello<br />
politico del problema: il <strong>di</strong>ritto al suici<strong>di</strong>o e la liberazione<br />
dell’uomo dal timore <strong>della</strong> morte mettono un limite<br />
alla sua rassegnazione e limitano anche il potere dei tiranni.<br />
Sollevato dall’obbligo <strong>di</strong> vivere in qualunque con<strong>di</strong>zione,<br />
l’uomo <strong>di</strong>venta assolutamente libero e annulla il<br />
potere del <strong>di</strong>spotismo.<br />
Questo pensiero aveva un posto molto importante nel<br />
sistema politico <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev, ed egli vi tornava spesso:<br />
O miei amati, siate lieti <strong>della</strong> mia morte! Essa sarà la fine<br />
degli affanni e dei tormenti. Liberati 19 dal giogo dei pregiu<strong>di</strong>zi,<br />
ricordate che la sventura non è la sorte <strong>di</strong> chi muore<br />
(Ra<strong>di</strong>sˇčev 1941, p. 101, vol. II) 20 .<br />
Non si tratta <strong>di</strong> un pensiero originale <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev. In<br />
Va<strong>di</strong>m Novgorodskij <strong>di</strong> Knjazˇnin (1914, p. 63) l’ultima<br />
battuta <strong>di</strong> Va<strong>di</strong>m rivolta a Rjurik è questa:<br />
V sre<strong>di</strong>ne tvoego pobedonosna vojska<br />
V vence mogusˇčij vse u nog tvoich ty zret’,<br />
Čto ty protiv togo, kto smeet umeret’?<br />
(ib.) 21<br />
[In mezzo al tuo esercito trionfante / Tu che puoi avere<br />
tutti ai tuoi pie<strong>di</strong> / Cosa puoi fare a chi ha il coraggio <strong>di</strong><br />
morire?].<br />
Anche alla fine <strong>di</strong> Marfa Posadnica <strong>di</strong> Ivanov (1824,<br />
p. 89):<br />
Marfa: (...) Nello zar devi vedere un tiranno, in me un<br />
esempio: vivi senza vigliaccheria e senza vigliaccheria<br />
muori [si uccide].<br />
L’essere pronto a morire è, secondo Ra<strong>di</strong>sˇčev (1941, p.<br />
351, vol. I), ciò che <strong>di</strong>fferenzia l’uomo dallo schiavo. Nel
286 JURIJ M. LOTMAN<br />
capitolo Mednoe, rivolgendosi a un servitore <strong>della</strong> fortezza,<br />
complice e vittima del corrotto signore, l’autore scrive:<br />
Il tuo intelletto è privo <strong>di</strong> nobili pensieri. Tu non sei capace<br />
<strong>di</strong> morire [c.vo <strong>di</strong> Lotman]. Ti pieghi e sarai servo nello<br />
spirito come nella tua con<strong>di</strong>zione (materiale).<br />
La morte <strong>di</strong> Fëdor Usˇakov ricordava a Ra<strong>di</strong>sˇčev “gli<br />
uomini che da se stessi coraggiosamente si allontanano<br />
dalla vita”. E l’ultima battuta che l’autore ha messo sulla<br />
bocca <strong>di</strong> Usˇakov ricordava che “deve essere fissa nella<br />
mente l’idea <strong>di</strong> morire coraggiosamente” (p. 184, vol. I).<br />
Ra<strong>di</strong>sˇčev dava un enorme significato al comportamento<br />
eroico del singolo e agli spettacoli educativi <strong>per</strong> i<br />
concitta<strong>di</strong>ni, <strong>per</strong>ché ripeteva spesso che l’uomo è un<br />
animale imitativo. Questa natura spettacolare, <strong>di</strong>mostrativa,<br />
del comportamento <strong>per</strong>sonale attualizzava il momento<br />
teatrale nella vita dell’uomo che aspirava al ruolo<br />
<strong>di</strong> “insegnante (...) <strong>di</strong> saldezza d’animo” e a “dare un<br />
esempio <strong>di</strong> coraggio” (p. 155, vol. I).<br />
L’uomo nato con sentimenti gentili, ricco <strong>di</strong> immaginazione,<br />
spinto all’onestà, è strappato dall’ambiente dove è nato.<br />
In qualsiasi posto vada, tutti gli sguar<strong>di</strong> si fissano su <strong>di</strong><br />
lui, tutti aspettano con impazienza la sua parola. Lo aspetta<br />
l’applauso o lo scherno più amaro <strong>della</strong> stessa morte (p.<br />
387, vol. I).<br />
La combinazione del momento teatrale con le idee<br />
sulla morte eroica <strong>di</strong> cui abbiamo parlato prima, determinò<br />
il particolare significato che Ra<strong>di</strong>sˇčev dava al Catone<br />
Uticense dell’Ad<strong>di</strong>son. Proprio il protagonista <strong>della</strong><br />
trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Ad<strong>di</strong>son <strong>di</strong>venne <strong>per</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev il suo co<strong>di</strong>ce<br />
<strong>di</strong> comportamento.<br />
Nel capitolo Krest’cy del Viaggio da Pietroburgo a<br />
Mosca Ra<strong>di</strong>sˇčev mise in bocca al padre virtuoso queste<br />
parole:
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 287<br />
Ecco il mio testamento: se un o<strong>di</strong>oso destino scaglia su <strong>di</strong><br />
te tutte le sue frecce, se non resta un rifugio sulla terra alla<br />
tua virtù; se non c’è <strong>per</strong> te riparo dall’apprensione, allora<br />
ricorda che sei un uomo, ricorda la tua grandezza,<br />
pren<strong>di</strong>ti la corona <strong>della</strong> felicità, vogliono portartela via.<br />
Muori. Vi lascio in ere<strong>di</strong>tà le parole <strong>di</strong> Catone morente<br />
(p. 295, vol. I).<br />
A quali parole <strong>di</strong> “Catone morente” si riferiva<br />
Ra<strong>di</strong>sˇčev? Il commentatore dell’e<strong>di</strong>zione accademica<br />
(Barskov) ritiene che “lo scrittore parli del racconto fatto<br />
da Plutarco del <strong>di</strong>scorso pronunciato da Catone prima<br />
<strong>di</strong> morire” (p. 485, vol. I). Questa è anche l’opinione<br />
dei nuovi commentatori (Kulakova, Zapadov, Ra<strong>di</strong>sˇčev<br />
1974, p. 157). Ma è evidente che qui si parla del monologo<br />
finale <strong>della</strong> trage<strong>di</strong>a dell’Ad<strong>di</strong>son, lo stesso a cui<br />
avrebbe fatto riferimento più tar<strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev quando in<br />
Siberia scriveva:<br />
Ho sempre letto con enorme piacere le riflessioni <strong>di</strong> coloro<br />
che stanno sull’orlo <strong>della</strong> tomba, sulla soglia dell’eternità<br />
e che, comprendendo le cause <strong>della</strong> loro fine, ne ricavano<br />
molte cose che in un’altra situazione non sarebbero<br />
riusciti a trovare. (...) Voi conoscete il monologo <strong>di</strong> Amleto<br />
<strong>di</strong> Shakespeare o quello del Catone Uticense dell’Ad<strong>di</strong>son?<br />
(Ra<strong>di</strong>sˇčev 1941, pp. 97-98, vol. II).<br />
Ra<strong>di</strong>sˇčev riporta questo monologo alla fine del capitolo<br />
Bronnicy, in <strong>una</strong> traduzione fatta da lui stesso: “Una<br />
voce segreta mi preannuncia che ci sarà qualcosa <strong>di</strong> vivo<br />
nel secolo”:<br />
S tečeniem vremen, vse zvezdy pomračatsja, pomerknet<br />
solnca blesk; priroda obvetsˇav<br />
let drjachlost’ju, padet.<br />
No Ty, vo junosti bezsmertnoj procvetesˇ,<br />
nezyblimyj, sre<strong>di</strong> srazˇenija stichiev,<br />
razvalin vesˇčestva, mirov vsech pazrusˇen’ja.
288 JURIJ M. LOTMAN<br />
[Col passare del tempo tutte le stelle si offuscano / si oscura<br />
lo splendore del sole; la natura, <strong>di</strong>ventata / vetusta e decrepita,<br />
è in declino. / Ma tu fiorisci <strong>di</strong> <strong>una</strong> giovinezza immortale<br />
/ salda in mezzo alla lotta <strong>delle</strong> forze <strong>della</strong> natura,<br />
/ alla rovina <strong>della</strong> natura, alla <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> tutti i mon<strong>di</strong>].<br />
Ra<strong>di</strong>sˇčev accompagnò questo passo con <strong>una</strong> nota<br />
(Morte <strong>di</strong> Catone, trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Ad<strong>di</strong>son, atto V, scena I)<br />
(p. 269, vol. I). Il rapporto fra le parole del nobile e questo<br />
passo è evidente e saldo <strong>per</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev: l’essere pronti<br />
al suici<strong>di</strong>o è solo <strong>una</strong> variante del tema dell’impresa<br />
eroica e quest’ultima è legata alla fede nell’anima immortale.<br />
Accade, e ne abbiamo molti esempi nelle narrazioni, che<br />
l’uomo a cui annunciano che deve morire contempli la<br />
morte che sta <strong>per</strong> venire con <strong>di</strong>sprezzo e senza ansia. Abbiamo<br />
visto e ve<strong>di</strong>amo molti uomini che coraggiosamente<br />
si sono staccati dalla vita da soli. E in verità è necessario<br />
non essere timi<strong>di</strong> e avere <strong>una</strong> salda forza d’animo <strong>per</strong><br />
guardare con occhio fermo il proprio annientamento. (...)<br />
Non è raro che questo in<strong>di</strong>viduo guar<strong>di</strong> dalla soglia <strong>della</strong><br />
tomba e s<strong>per</strong>i <strong>di</strong> rinascere (pp. 183-184, vol. I).<br />
Così il suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev non è stato un atto <strong>di</strong> <strong>di</strong>s<strong>per</strong>azione,<br />
un riconoscimento <strong>della</strong> propria sconfitta,<br />
ma un’azione <strong>di</strong> lotta me<strong>di</strong>tata a lungo, <strong>una</strong> lezione <strong>di</strong><br />
fermezza patriottica e <strong>di</strong> un amore <strong>per</strong> la libertà che non<br />
poteva essere piegato. È <strong>di</strong>fficile oggi ricostruire nei dettagli<br />
l’atteggiamento <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev nei confronti <strong>della</strong> situazione<br />
politica creatasi all’inizio del regno <strong>di</strong> Alessandro<br />
I. Nell’autunno del 1802 egli giunse evidentemente<br />
alla conclusione <strong>di</strong> dover compiere un’impresa eroica,<br />
volta a risvegliare e a mobilitare i patrioti russi. Leggiamo<br />
nelle memorie dei figli che negli ultimi giorni egli era<br />
in uno stato <strong>di</strong> eccitazione e che <strong>una</strong> volta <strong>di</strong>sse loro:<br />
“Ebbene, bambini, e se mi mandassero <strong>di</strong> nuovo in Si-
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 289<br />
beria?”. Tenendo conto del fatto che Ra<strong>di</strong>sˇčev pronunciò<br />
queste parole all’inizio del regno <strong>di</strong> Alessandro I, la<br />
sua supposizione era tanto infondata che appare naturale<br />
la conclusione <strong>di</strong> suo figlio Pavel: “La malattia <strong>della</strong><br />
sua anima cresceva e cresceva” (Ra<strong>di</strong>sˇčev 1959, p. 95) 22 .<br />
Pavel Ra<strong>di</strong>sˇcˇev era giovane quando il padre morì e<br />
quando scrisse le sue memorie, <strong>per</strong> l’ammirazione incon<strong>di</strong>zionata<br />
e commovente verso <strong>di</strong> lui, era lontanissimo<br />
dal comprendere la natura del suo pensiero. Si fissarono<br />
nella sua memoria parole che naturalmente non<br />
erano determinate da <strong>una</strong> malattia dello spirito. La cosa<br />
più probabile è che Ra<strong>di</strong>sˇčev fosse in uno stato <strong>di</strong> eccitazione<br />
<strong>per</strong>ché aveva deciso che era venuto il momento<br />
dell’impresa definitiva, del “quinto atto <strong>della</strong> vita”. Tuttavia<br />
allora non aveva ancora deciso la natura <strong>di</strong> questo<br />
atto <strong>di</strong> protesta e se sarebbe stato legato alla morte oppure<br />
no. La forza <strong>di</strong> inerzia dell’atto a lungo me<strong>di</strong>tato<br />
evidentemente prevalse. Pusˇkin aveva ragione <strong>di</strong> affermare<br />
che anche nelle conversazioni fra Ra<strong>di</strong>sˇcˇev e<br />
Usˇakov nel <strong>per</strong>iodo precedente alla morte <strong>di</strong> questi “il<br />
suici<strong>di</strong>o era uno degli argomenti preferiti <strong>delle</strong> sue riflessioni”<br />
(Pusˇkin 1949, p. 31). Si può supporre che la<br />
valutazione che Ra<strong>di</strong>sˇčev dava <strong>di</strong> se stesso come “Catone<br />
russo” abbia determinato il suo comportamento e insieme<br />
il modo <strong>di</strong> intendere le sue azioni da parte dei<br />
contemporanei. La trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Ad<strong>di</strong>son era ben nota al<br />
lettore russo. Il libro VIII del giornale «Ippokrena» del<br />
1801 conteneva ad esempio <strong>una</strong> scelta <strong>di</strong> materiali abbastanza<br />
caratteristica: oltre alla completa traduzione in<br />
prosa (<strong>di</strong> Gart) <strong>della</strong> trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Ad<strong>di</strong>son intitolata Morte<br />
<strong>di</strong> Catone ovvero la nascita dell’im<strong>per</strong>o romano, trage<strong>di</strong>a<br />
composta dal famoso Ad<strong>di</strong>son, c’erano passi dal<br />
Bruto e Le riflessioni sulla morte <strong>di</strong> Amleto. È interessante<br />
l’accostamento del monologo <strong>di</strong> Catone a quello <strong>di</strong><br />
Amleto, a noi già noto attraverso il testo <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev. Di<br />
Bruto scrivono:
290 JURIJ M. LOTMAN<br />
Alcuni dalle tue severe regole traggono la conclusione che<br />
tu hai peccato nel sangue <strong>di</strong> Cesare. Ma questi uomini<br />
onesti si sbagliano. Quale grazia deve meritare la vita del ladro<br />
<strong>di</strong> un potere eccessivo da parte <strong>di</strong> chi si è ucciso? (c.vo <strong>di</strong><br />
Lotman) 23 .<br />
Il protagonista del racconto <strong>di</strong> Sussˇkov Rossijskij<br />
Verter [Il Werther russo] si uccide lasciando sul tavolo il<br />
Catone <strong>di</strong> Ad<strong>di</strong>son a<strong>per</strong>to alla pagina citata nel capitolo<br />
Bronnicy. L’ammiratore <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev Glinka (il figlio dello<br />
scrittore, suo amico, definiva Glinka “uno dei più<br />
gran<strong>di</strong> seguaci <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev”) nel <strong>per</strong>iodo in cui era un<br />
giovane cadetto e aveva come unica proprietà tre libri,<br />
Viaggio da Pietroburgo a Mosca, Va<strong>di</strong>m Novgorodskij e<br />
Viaggio sentimentale si imbatté nel corpo <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a:<br />
“L’impresa <strong>di</strong> Catone che si era trafitto con un pugnale<br />
quando Giulio Cesare lo aveva fatto incatenare – scrive<br />
– mi ronzava nella testa ed ero pronto a sfasciarmela sulla<br />
parete” (Glinka 1895, p. 103).<br />
L’immagine <strong>di</strong> Catone e l’interpretazione datane da<br />
Ad<strong>di</strong>son attrassero sempre l’attenzione <strong>di</strong> Karamzin.<br />
Nella recensione a Emilia Maletti pubblicata sul «Moskovskij<br />
zˇurnal» Karamzin definì Emilia un’eroina che<br />
parla <strong>della</strong> libertà dell’uomo “con la lingua <strong>di</strong> Catone”.<br />
(Più tar<strong>di</strong> Karamzin definirà Marfa Posadnica “Catone<br />
<strong>della</strong> sua repubblica”). “Emilia ha bisogno <strong>di</strong> un pugnale,<br />
pensando nel suo fanatismo che un tale suici<strong>di</strong>o sia<br />
santo” 24 . In Pis’ma russkogo putesˇestvennika [Lettere <strong>di</strong><br />
un viaggiatore russo], Karamzin citava i versi <strong>di</strong> Voltaire<br />
ricordati più tar<strong>di</strong> dal figlio <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev, in rapporto alla<br />
spiegazione dei motivi <strong>della</strong> morte del padre:<br />
Quand on n’est rien et qu’on est sans espoir<br />
Le vie est un opprobre et la mort un devoir (...).<br />
“La famosa trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Ad<strong>di</strong>son è buona là dove Catone<br />
parla o agisce”, scriveva ancora Karamzin (1964, p.
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 291<br />
573, vol. I). “Il suicida Catone” fu posto da Karamzin<br />
(1848, p. 312, vol. I) fra gli antichi eroi in Istoričeskoe<br />
pochval’noe slovo Ekaterine II [Discorso storico in lode <strong>di</strong><br />
Caterina II], e nel 1811 egli annota nell’album <strong>della</strong> principessa<br />
Caterina Pavlovna <strong>una</strong> citazione da Rousseau,<br />
nella quale Catone era definito “<strong>di</strong>o fra i morti” 25 .<br />
È particolarmente significativo a questo riguardo che<br />
in un articolo pubblicato da Karamzin sul «Vestnik<br />
Evropy» [Messaggero d’Europa], risposta cifrata al suici<strong>di</strong>o<br />
<strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev 26 , ci sia <strong>una</strong> polemica non con Ra<strong>di</strong>sˇčev,<br />
ma con <strong>una</strong> erronea interpretazione <strong>delle</strong> idee e <strong>delle</strong> immagini<br />
<strong>della</strong> Morte <strong>di</strong> Catone <strong>di</strong> Ad<strong>di</strong>son.<br />
Bodcell, augusto scrittore inglese, era parente del celebre<br />
Ad<strong>di</strong>son. Insieme a lui aveva fondato lo «Spectator» e altri<br />
giornali. Tutti gli articoli siglati dalla lettera X apparsi sullo<br />
«Spectator» erano suoi. Ad<strong>di</strong>son cercò <strong>di</strong> far <strong>di</strong>ventare<br />
ricco Bodcell, ma egli scialacquò il suo denaro, cadde in<br />
miseria dopo la morte <strong>di</strong> Ad<strong>di</strong>son e si gettò alla fine nel<br />
Tamigi, lasciando nella sua camera queste righe: “What<br />
Cato <strong>di</strong>d and Ad<strong>di</strong>son approved, cannot be wrong!”<br />
(Cioè: “Quello che è stato fatto da Catone e approvato da<br />
Ad<strong>di</strong>son non può essere sbagliato”). È noto che Ad<strong>di</strong>son<br />
ha composto la trage<strong>di</strong>a La morte <strong>di</strong> Catone. Autore e<strong>di</strong>ficante,<br />
egli non avrebbe approvato il suici<strong>di</strong>o in un cristiano,<br />
ma si concesse <strong>di</strong> elogiarlo in Catone e lo splen<strong>di</strong>do<br />
monologo “It must be so... Plato, thou reasonft well” salvò<br />
l’infelice Bodcell dai rimorsi <strong>di</strong> coscienza, che avrebbero<br />
potuto salvarlo dal suici<strong>di</strong>o. Gran<strong>di</strong> autori! pensate alle<br />
conseguenze <strong>di</strong> quello che scrivete 27 .<br />
Karamzin mise in <strong>di</strong>scussione il principio stesso <strong>della</strong><br />
costruzione teatrale a intreccio <strong>della</strong> biografia e nello<br />
stesso tempo <strong>di</strong>mostrò chiaramente che <strong>per</strong> lui non era<br />
<strong>di</strong>fficile decifrare il suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev.<br />
L’introduzione dell’intreccio significò la trasformazione<br />
<strong>della</strong> poetica del comportamento da o<strong>per</strong>a spontanea<br />
in attività coscientemente regolata. Il passo successi-
292 JURIJ M. LOTMAN<br />
vo fu il tentativo, proprio dell’epoca romantica, <strong>di</strong> fondere<br />
testi artistici e testi <strong>di</strong> vita. I versi cominciarono a<br />
unirsi in cicli lirici che venivano a formare “<strong>di</strong>ari poetici”<br />
o “romanzi <strong>della</strong> propria vita”, mentre la leggenda<br />
biografica <strong>di</strong>veniva <strong>una</strong> con<strong>di</strong>zione imprescin<strong>di</strong>bile <strong>della</strong><br />
<strong>per</strong>cezione <strong>di</strong> un testo come artistico. È già stata notata<br />
da tempo la tendenza alla frammentarietà dei testi romantici.<br />
Bisogna <strong>per</strong>ò sottolineare che questa frammentarietà<br />
veniva eliminata immergendo il testo fissato graficamente<br />
(stampato o manoscritto) nel contesto <strong>della</strong> leggenda<br />
orale sulla <strong>per</strong>sonalità dell’autore. Questa leggenda<br />
era il fattore più importante che regolava sia il comportamento<br />
reale del poeta, sia la <strong>per</strong>cezione che il pubblico<br />
aveva del suo comportamento e <strong>della</strong> sua o<strong>per</strong>a.<br />
Al massimo sviluppo <strong>della</strong> poetica del comportamento,<br />
proprio dell’epoca del romanticismo, seguì l’ostentata<br />
esclusione <strong>di</strong> questa categoria da parte degli scrittori<br />
realisti. La vita del poeta esce dalla sfera dei fatti artisticamente<br />
significativi (la migliore testimonianza <strong>di</strong> questo<br />
sono le pseudobiografie paro<strong>di</strong>stiche del tipo <strong>di</strong><br />
quelle <strong>di</strong> Koz’ma Prutkov). L’arte, <strong>per</strong>dendo in notevole<br />
misura l’elemento del gioco, non passa attraverso la ribalta<br />
e non scende dalle pagine dei romanzi nella regione<br />
del comportamento reale dell’autore e del lettore.<br />
L’assenza <strong>della</strong> poetica del comportamento non durerà<br />
<strong>per</strong>ò a lungo. Sparita con gli ultimi romantici nel<br />
1840, risorge nel 1890-1900 nella biografia dei simbolisti,<br />
nel “costruttivismo”, nel “teatro <strong>per</strong> un solo attore”,<br />
nel “teatro <strong>della</strong> vita” e in altri fenomeni culturali del XX<br />
secolo.<br />
1 Ed. or.: 1977. “Poetica bytvogo povedenija v russkoj kul’ture XVIII veka”,<br />
in Trudy po znakovym sistemam, Tartu, pp. 65-89; trad. it. “La poetica del<br />
comportamento quoti<strong>di</strong>ano nella cultura russa del XVIII secolo”, in Testo e contesto.<br />
Semiotica dell’arte e <strong>della</strong> cultura, a cura <strong>di</strong> S. Salvestroni, Roma-Bari,<br />
Laterza, pp. 201-230.
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 293<br />
2 Junosti čestnoe zercalo ili pokazanie k zˇitejskomu obchozˇdeniju, sobrannoe<br />
ot raznych avtorov povelenem ego im<strong>per</strong>atorskogo veličestva gosudara Pëtra<br />
Velikogo (…) pjatym tisneniem napečatannoe v SPB, pri imp. Akademii Nauk<br />
[L’onesto specchio <strong>della</strong> gioventù o in<strong>di</strong>cazioni sul modo <strong>di</strong> vivere raccolte da<br />
vari autori <strong>per</strong> or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> sua altezza l’im<strong>per</strong>atore Pietro il Grande, stampato a<br />
Pietroburgo dall’Accademia <strong>delle</strong> scienze] ,1767, p. 29.<br />
3 Cfr. pp. 41-42.<br />
4 Per i rapporti fra il lubok e il teatro cfr. “La natura artistica dei quadretti<br />
popolari russi”, in Testo e contesto. Semiotica dell’arte e <strong>della</strong> cultura, Roma-<br />
Bari, Laterza, 1980 (N.d.T.).<br />
5 Che gli abiti nobiliari siano paramenti teatrali e non il vestito quoti<strong>di</strong>ano<br />
è confermato dal fatto che nel teatro popolare russo anche nel XX secolo<br />
gli attori recitavano indossando giacche normali sulle quali, come segni del<br />
costume teatrale, mettevano decorazioni, fasce, spalline. Nella descrizione dei<br />
costumi del teatro popolare fatta da Bogatyrëv non solo lo zar Maksimil’jan o<br />
il re Mamaj ma anche Anika voin, Zmejulan ecc. hanno fasce e spalline, <strong>per</strong>ché<br />
“il <strong>per</strong>sonaggio sulla scena non assomigliasse al pubblico” – nota Bogatyrëv<br />
(1923, pp. 83-84). È interessante confrontare questa affermazione con<br />
un’altra dello stesso autore, secondo la quale nel teatro ceco dei burattini il<br />
burattinaio rende scorretto <strong>di</strong> proposito il modo <strong>di</strong> parlare <strong>delle</strong> <strong>per</strong>sone importanti<br />
(p. 71). È evidente che anche gli abiti teatrali appaiono “scorretti” rispetto<br />
a quelli <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana. Sono fatti <strong>di</strong> un materiale che ha solo l’aspetto<br />
<strong>di</strong> essere vero e che ricorda in questo senso gli abiti dei defunti (<strong>per</strong><br />
esempio i bosovki, scarpe senza suole) fatti appositamente <strong>per</strong> i funerali, che<br />
– come gli abiti teatrali – raffiguravano vestiti <strong>di</strong> buona qualità. Per <strong>una</strong> coscienza<br />
ancora strettamente legata alla tra<strong>di</strong>zione precedente al <strong>per</strong>iodo <strong>di</strong><br />
Pietro, il teatro restò <strong>una</strong> festa popolare, <strong>una</strong> mascherata e un carnevale caratterizzato<br />
in particolare dal segno obbligatorio del travestimento. Se si ricorda<br />
che, secondo la concezione popolare (cioè tra<strong>di</strong>zionalmente fino al <strong>per</strong>iodo <strong>di</strong><br />
Pietro), il momento del travestimento era sempre <strong>di</strong>abolico ed era <strong>per</strong>messo<br />
solo in determinati <strong>per</strong>io<strong>di</strong> dell’anno (durante le feste natalizie) e unicamente<br />
come gioco magico con le forze malefiche, non stupisce che la teatralizzazione<br />
<strong>della</strong> vita nobiliare e la <strong>per</strong>cezione <strong>di</strong> essa come <strong>di</strong> un continuo carnevale<br />
(eterna festa ed eterna mascherata) si accompagnasse a <strong>una</strong> particolare valutazione<br />
etico-religiosa. È inoltre caratteristica la tendenza <strong>della</strong> vita nobiliare ad<br />
attrarre nella propria orbita anche quella rurale che comincia a essere considerata<br />
secondo l’ottica dell’intermezzo i<strong>di</strong>llico. Sono caratteristici in questo<br />
senso i tentativi <strong>di</strong> creare immagini teatralizzate <strong>della</strong> campagna russa nella vita<br />
stessa (nell’ambito <strong>della</strong> campagna reale e in contrasto con essa). Tali erano<br />
i giroton<strong>di</strong> <strong>di</strong> giovani conta<strong>di</strong>ne vestite <strong>di</strong> sarafani <strong>di</strong> seta [costumi nazionali<br />
russi (N.d.T.)], che danzavano sulle rive del Volga durante il viaggio <strong>di</strong> Caterina<br />
II, la campagna teatrale <strong>di</strong> S ˇ eremet’evo o il fatto che i membri <strong>della</strong> famiglia<br />
dei Klejnmicheli, travestiti da conta<strong>di</strong>ni georgiani, ringraziassero in modo<br />
commovente Arakčeev <strong>per</strong> la sua premura. Un chiaro esempio dello scomparire<br />
<strong>delle</strong> <strong>di</strong>fferenze fra il teatro e la vita, fenomeno che si accompagna al travestimento,<br />
allo scambio <strong>delle</strong> parti dell’età e del sesso, si ha al tempo dell’incoronazione<br />
<strong>di</strong> Elisabetta Petrovna. La festa dell’incoronazione fu caratterizzata<br />
da sfarzose mascherate e da spettacoli. Il 29 maggio 1742 fu messa in sce-
294 JURIJ M. LOTMAN<br />
na l’o<strong>per</strong>a La clemenza <strong>di</strong> Tito. Poiché nella figura <strong>di</strong> Tito si doveva vedere<br />
un’allusione a Elisabetta, interpretava questo ruolo <strong>una</strong> donna travestita, la signora<br />
Giorgi. Il pubblico in sala era mascherato, <strong>per</strong>ché <strong>per</strong> caso veniva da<br />
uno spettacolo in maschera. Se si ricorda che nel giorno del colpo <strong>di</strong> Stato<br />
Elisabetta indossava l’uniforme <strong>della</strong> Guar<strong>di</strong>a e che abitualmente alla sua corte<br />
gli uomini (soprattutto i cadetti) indossavano abiti femminili e le donne vestiti<br />
maschili, è facile immaginare la valutazione che <strong>di</strong> questo mondo potevano<br />
dare osservatori come i conta<strong>di</strong>ni, i subalterni, la folla <strong>della</strong> strada (cfr.<br />
Arapov 1861, p. 44).<br />
6 Se il comportamento borghese europeo, <strong>una</strong> volta trapiantato in Russia,<br />
subisce un processo <strong>di</strong> trasformazione nel senso <strong>di</strong> un netto aumento<br />
<strong>della</strong> semioticità, non meno interessanti sono le trasformazioni nel comportamento<br />
dei russi dell’epoca che visitavano l’Europa. In certi casi – come<br />
nel <strong>per</strong>petuarsi <strong>delle</strong> tra<strong>di</strong>zioni precedenti al <strong>per</strong>iodo <strong>di</strong> Pietro – la semioticità<br />
del comportamento aumenta nettamente. Il preoccuparsi del significato<br />
del gesto, del rituale, il <strong>per</strong>cepire ogni dettaglio del comportamento come<br />
segno sono compresi in questi casi: la <strong>per</strong>sona si considera un <strong>per</strong>sonaggio<br />
accre<strong>di</strong>tato e trasferisce al suo comportamento abituale le regole del protocollo<br />
<strong>di</strong>plomatico. Gli osservatori europei ritenevano che questo fosse il<br />
normale comportamento dei russi. Era possibile tuttavia anche <strong>una</strong> trasformazione<br />
in senso inverso: il comportamento si deritualizzava e nell’ambito<br />
europeo appariva come più naturale. Così Pietro I, che conosceva <strong>per</strong>fettamente<br />
le scomode norme del rituale <strong>di</strong>plomatico, durante i viaggi all’estero<br />
preferiva stupire gli europei con l’inattesa semplicità del suo comportamento,<br />
più spontaneo non solo <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> un re ma anche <strong>di</strong> un borghese. Durante<br />
la sua visita a Parigi del 1716, ad esempio, Pietro ostentò la sua conoscenza<br />
<strong>delle</strong> regole del rituale: pur ardendo dall’impazienza <strong>di</strong> vedere Parigi,<br />
non uscì <strong>di</strong> casa fino alla visita del re. Durante la visita che gli fece il reggente,<br />
lo invitò nel suo gabinetto, varcò la soglia <strong>per</strong> primo e <strong>per</strong> primo sedette<br />
sulla poltrona (il reggente conversò con lui stando seduto su <strong>una</strong> poltrona,<br />
mentre il principe Kurakin traduceva stando in pie<strong>di</strong>). Ma quando ricambiò<br />
la visita a Ludovico XV che aveva allora 7 anni, vedendolo che scendeva<br />
le scale <strong>per</strong> venire incontro alla carrozza, “Pietro scese, corse a incontrare<br />
il re, lo prese in braccio e lo portò nella sala” (S. M. Solov’ev, Istorija<br />
Rossii s drevneisˇich vremen [Storia <strong>della</strong> Russia dei tempi antichi], libro 4,<br />
Sankt Peterburg, p. 365, 1851-79, t. 1-29).<br />
7 Nello schema è contemplata la possibilità <strong>della</strong> carriera ecclesiastica,<br />
che non è caratteristica del nobiluomo, ma tuttavia non è esclusa. Si trovano<br />
nobiluomini nel clero regolare e in quello non regolare del secolo XVIII-inizio<br />
del XIX. Manca nello schema <strong>una</strong> caratteristica fondamentale del XVIII secolo:<br />
nel <strong>per</strong>iodo successivo al regno <strong>di</strong> Pietro cambiò decisamente in Russia il modo<br />
<strong>di</strong> considerare il suici<strong>di</strong>o. Alla fine del secolo i giovani nobili furono presi<br />
dal desiderio <strong>di</strong> uccidersi. Ra<strong>di</strong>sˇčev vedeva nel <strong>di</strong>ritto dell’uomo alla libera<br />
scelta <strong>di</strong> vivere o rinunciare a vivere un pegno da pagare alla liberazione dalla<br />
tirannide politica. Questo tema fu <strong>di</strong>scusso attivamente nella pubblicistica e<br />
nella letteratura (Karamzin, gli epigoni russi del Werther). Si aggiungeva così<br />
anche un’altra alternativa e lo stesso fatto <strong>di</strong> esistere <strong>di</strong>ventava il risultato <strong>di</strong><br />
<strong>una</strong> scelta <strong>per</strong>sonale.
LO STILE, LA PARTE, L’INTRECCIO 295<br />
8 “Fu tenuto in prigione <strong>per</strong> circa due anni fino al 3 marzo 1758, sopportò<br />
terribili torture e fu sottoposto a in<strong>di</strong>cibili supplizi. Fu issato su un cavalletto,<br />
gli slogarono le scapole, gli passarono un ferro da stiro cal<strong>di</strong>ssimo<br />
sulla schiena, lo punsero sotto le unghie con aghi arroventati, lo frustarono e,<br />
dopo averlo tormentato ben bene, lo restituirono alla famiglia”. “Con rincrescimento<br />
dei posteri, è ignota la causa del suo vero fallo”, nota malinconicamente<br />
il baccelliere Pëtr Kazanskij (1847).<br />
9 “ Era il gatto preferito dal signore. Una volta si era arrampicato su <strong>una</strong><br />
nassa e aveva mangiato il pesce freschissimo preparato <strong>per</strong> la tavola del padrone.<br />
Rimasto impigliato, era morto strangolato. I servi non <strong>di</strong>ssero niente<br />
<strong>della</strong> morte del gatto. Parlarono solo <strong>della</strong> sua colpa e il padrone lo mandò in<br />
esilio” (nota del baccelliere Kazanskij 1847).<br />
10 Così si chiamava la donna <strong>per</strong> la cui <strong>di</strong>sattenzione nel 1775 era bruciato<br />
Novospaskoe. Vasilij Vasilievič fu così spaventato da questo incen<strong>di</strong>o che<br />
mandò tutti i servi a cucinare in <strong>una</strong> sola stanza (e ne aveva più <strong>di</strong> 300). Naturalmente<br />
il castigo non fu mai eseguito (Kazanskij 1847).<br />
11 Nella stanza <strong>di</strong> Vasilij Vasilievič c’erano 7 gatti che <strong>di</strong> giorno andavano<br />
in giro dap<strong>per</strong>tutto mentre <strong>di</strong> notte erano legati a un tavolo. Ogni gatto era<br />
affidato a <strong>una</strong> <strong>delle</strong> donne. Se capitava che uno <strong>di</strong> essi scendesse dal tavolo e<br />
andasse dal signore, il gatto e la cameriera venivano puniti (Kazanskij 1847).<br />
12 II raëk era <strong>una</strong> scatola con quadretti mobili che venivano presentati<br />
nelle fiere e nelle feste popolari, accompagnati con motti arguti (N.d.T.).<br />
13 Cfr. anche Pyljaev (1897 2 , p. 88): “II ricco e famoso conte P. M. Skavronskij<br />
si circondò <strong>di</strong> cantanti e musicanti. Conversava coi suoi domestici<br />
cantando. Il maggiordomo annunciava con vellutata voce <strong>di</strong> baritono che il<br />
pranzo era servito. Il cocchiere si spiegava con lui in ottave con voce <strong>di</strong> basso<br />
profondo, i battistrada con voci bianche e contralti, i lacché con voci da<br />
tenori, ecc. Durante i balli e i pranzi <strong>di</strong> gala i suoi domestici, mentre servivano,<br />
facevano trii, duetti, cori e lo stesso signore rispondeva loro in forma<br />
musicale”.<br />
14 Nell’angolo nero dell’isba stava abitualmente la stufa, in quello rosso<br />
l’icona (N.d.T.).<br />
15 Istruzioni <strong>di</strong> Suvorov a Miloradovič (in Miljutin 1852, p. 588). Sulla<br />
tendenza dei testi me<strong>di</strong>evali a costruire caratteri insigni attribuendo a essi le<br />
stesse proprietà degli altri uomini ma a un grado su<strong>per</strong>iore, cfr. Birge Vitz<br />
1975. Questa costruzione si basa sulla fede nell’immutabilità <strong>della</strong> parte terrena<br />
data all’uomo dall’alto. Tuttavia la tra<strong>di</strong>zione dell’immagine del bogatyr da<br />
essi creata esercita un’influenza sul comportamento degli uomini anche quando<br />
la parte è il risultato <strong>di</strong> <strong>una</strong> scelta attiva dell’uomo stesso.<br />
16 Archivio russo, 1880, III, libro 2, p. 228.<br />
17 Appunti del conte Komarovskij, Sankt Peterburg 1914, p. 90.<br />
18 Si tratta <strong>della</strong> seconda e<strong>di</strong>zione corretta e accresciuta del libro <strong>di</strong> S ˇ torm<br />
[Ra<strong>di</strong>sˇčev segreto. Seconda vita del “Viaggio da Pietroburgo a Mosca”]. Cfr. la<br />
nostra recensione alla prima e<strong>di</strong>zione (Lotman 1966). La “seconda e<strong>di</strong>zione<br />
corretta” ha ammassato nuovi lapsus. Notiamo solo che l’autore ha ritenuto<br />
opportuno terminare il libro “con versi non pubblicati che sono nello spirito<br />
<strong>della</strong> tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev” ripresi dalla poesia <strong>di</strong> un autore ignoto <strong>di</strong> cui si<br />
lascia intendere che forse si tratta <strong>di</strong> Pusˇkin. Purtroppo i versi riportati fanno
296 JURIJ M. LOTMAN<br />
parte <strong>di</strong> un noto testo antologico e sono un brano <strong>della</strong> poesia <strong>di</strong> Vjazemskij<br />
Negodovanie [Sdegno]. Si possono ritenere “ine<strong>di</strong>ti” nella misura in cui sono<br />
“ignoti” all’autore del libro. Non si tratta solo <strong>di</strong> un errore casuale, ma <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
chiara forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>lettantismo, che corona degnamente il libro <strong>di</strong> Sˇ torm.<br />
19 Nel testo stampato c’è erroneamente “istorgnutyj” (cioè il singolare invece<br />
del plurale).<br />
20 Cfr. C. L. Montesquieu, L’esprit des lois, libro I, cap.VIII.<br />
21 Va<strong>di</strong>m Novgorodskij, trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> J. Knjazˇnin con introduzione <strong>di</strong> V. Savodnik.<br />
22 Si tratta <strong>della</strong> Biografia <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>sˇčev scritta dai suoi figli. Ra<strong>di</strong>sˇčev fu effettivamente<br />
malato nel 1802 (cfr. la sua lettera ai genitori del 18 agosto in Ra<strong>di</strong>sˇčev<br />
1941, p. 535, vol. III). Tuttavia non ci sono basi <strong>per</strong> ritenere che si trattasse<br />
<strong>di</strong> <strong>una</strong> malattia dello spirito. Si tratta <strong>di</strong> un eufemismo, come il ricordare<br />
la morte <strong>per</strong> tisi nelle carte ufficiali.<br />
23 «Ippokrena», VIII, 1801, pp. 52-53.<br />
24 «Moskovskoj zˇurnal» [Giornale moscovita], I, 1791, p. 67.<br />
25 Letopis’ russkoj literatury i drevnosti [Cronaca <strong>della</strong> letteratura e dell’antichità<br />
russa], 1859, libro 2, p. 167.<br />
26 Per la motivazione <strong>di</strong> questa affermazione e il testo <strong>della</strong> nota cfr. Lotman<br />
(1962, pp. 53-60) [Fonti <strong>delle</strong> informazioni <strong>di</strong> Pusˇkin su Ra<strong>di</strong>sˇčev<br />
(1819-22). Pusˇkin e il suo tempo].<br />
27 «Vestnik Evropy» [Messaggero d’Europa], 1802, n. 19, p. 209.
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in italiano<br />
1967<br />
Meto<strong>di</strong> esatti nella scienza letteraria sovietica, «Strumenti critici», 1<br />
(2), Torino, pp. 107-127.<br />
1969<br />
“Il problema <strong>di</strong> <strong>una</strong> tipologia <strong>della</strong> cultura”, in I sistemi <strong>di</strong> segni e lo<br />
strutturalismo sovietico, a cura <strong>di</strong> R. Faccani, U. Eco, Milano,<br />
Bompiani, pp. 309-318 (ed. or. 1967).<br />
1972<br />
La struttura del testo poetico, a cura <strong>di</strong> E. Bazzarelli, Milano, Mursia<br />
(ed. or. 1970).<br />
Secondo questionario: Risposte, intervista in «Bianco e nero» [Strutturalismo<br />
e critica del film], Roma 3-4, pp. 27-28.<br />
1973<br />
Funzione modellizzante dei concetti <strong>di</strong> “fine” e “inizio”, «Il verri», 2,<br />
pp. 25-31 (ed. or. 1966).<br />
Ricerche semiotiche: Nuove tendenze <strong>delle</strong> scienze umane nell’URSS, a<br />
cura <strong>di</strong> J. M. Lotman, B. A Uspenskij (ed. it. a cura <strong>di</strong> C. Strada<br />
Janovič), Torino, Einau<strong>di</strong>.<br />
Contiene:<br />
- “Introduzione”, pp. XI-XXVII (Lotman, Uspenskij).<br />
- “Il problema del segno e del sistema segnico nella tipologia <strong>della</strong><br />
cultura russa prima del XX secolo”, pp. 40-63 (Lotman) (ed. or.<br />
1970).<br />
L’illusione <strong>della</strong> realtà, «Rassegna sovietica», 6, pp. 107-119 (ed. or.<br />
1973).<br />
1975<br />
“Il concetto <strong>di</strong> testo”, in Teoria <strong>della</strong> letteratura, Bologna, il Mulino, pp.<br />
86-87 (ed. or. 1970).
304 BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI JURIJ M. LOTMAN IN ITALIANO<br />
“La ripetibilità al livello fonologico”, in Teoria <strong>della</strong> letteratura, Bologna,<br />
il Mulino, pp. 236-241 (ed. or. 1970).<br />
“La struttura del testo poetico”, in Teoria <strong>della</strong> letteratura, Bologna, il<br />
Mulino, pp. 133-139 (ed. or. 1970).<br />
(con B. A. Uspenskij) Tipologia <strong>della</strong> cultura, a cura <strong>di</strong> R. Faccani, M.<br />
Marzaduri, Milano, Bompiani.<br />
Contiene:<br />
- “Introduzione”, pp. 25-35 (Lotman) (ed. or. 1970).<br />
- “Sul meccanismo semiotico <strong>della</strong> cultura”, pp. 39-68 (Lotman,<br />
Uspenskij) (ed. or. 1971).<br />
- “La cultura e il suo ‘insegnamento’ come caratteristica tipologica”,<br />
pp. 69-81 (Lotman) (ed. or. 1971).<br />
- “Mito – Nome – Cultura”, pp. 83-109 (Lotman, Uspenskij) (ed.<br />
or. 1973).<br />
- “I due modelli <strong>della</strong> comunicazione nel sistema <strong>della</strong> cultura”,<br />
pp. 111-133 (Lotman) (ed. or. 1973).<br />
- “Valore modellizzante dei concetti <strong>di</strong> ‘fine’ e ‘inizio’”, pp. 135-<br />
141 (Lotman) (ed. or. 1970).<br />
- “Il metalinguaggio <strong>delle</strong> descrizioni tipologiche <strong>della</strong> cultura”,<br />
pp. 145-181 (Lotman) (ed. or. 1969).<br />
- “Il concetto <strong>di</strong> spazio geografico nei testi me<strong>di</strong>evali russi”, pp.<br />
183-192 (Lotman) (ed. or. 1965).<br />
- “Il problema dello spazio artistico in Gogol’”, pp. 193-248 (Lotman)<br />
(ed. or. 1968).<br />
- “L’opposizione ‘onore-gloria’ nei testi profani del <strong>per</strong>iodo <strong>di</strong> Kiev<br />
del Me<strong>di</strong>oevo russo”, pp. 251-269 (Lotman) (ed. or. 1967).<br />
- “Semiotica dei concetti <strong>di</strong> ‘vergogna’ e ‘paura’”, pp. 271-275<br />
(Lotman) (ed. or. 1970).<br />
- “La scena e la pittura come <strong>di</strong>spositivi co<strong>di</strong>ficatori del comportamento<br />
culturale nella Russia del primo Ottocento”, pp. 277-291<br />
(Lotman) (ed. or. 1973).<br />
(con B. A. Uspenskij) Semiotica e cultura, a cura <strong>di</strong> D. Ferrari-Bravo,<br />
Milano-Napoli, Ricciar<strong>di</strong>.<br />
Contiene:<br />
- “<strong>Tesi</strong> sull’‘Arte come sistema secondario <strong>di</strong> modellizzazione’”,<br />
pp. 3-27 (Lotman) (ed. or. 1967).<br />
- “Problemi semiotici dello stile alla luce <strong>della</strong> linguistica”, pp. 31-<br />
57 (Uspenskij).<br />
- “Sul meccanismo semiotico <strong>della</strong> cultura”, pp. 61-95 (Lotman,<br />
Uspenskij) (ed. or. 1971).<br />
- “Mito – Nome – Cultura”, pp. 99-171 (Lotman, Uspenskij) (ed.<br />
or. 1973).
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1977<br />
La cultura come intelletto collettivo e i problemi dell’intelligenza artificiale,<br />
Urbino, Centro Internazionale <strong>di</strong> Semiotica e <strong>di</strong> Linguistica,<br />
Università <strong>di</strong> Urbino, Ser. A, 66, 16 pp. (ed. or. 1977).<br />
1978<br />
Sulla poesia: testo e sistema, «Problemi. Perio<strong>di</strong>co quadrimestrale <strong>di</strong><br />
cultura», 52, pp. 132-146 (ed. or. 1972).<br />
1979<br />
“Discorso d’a<strong>per</strong>tura”, in La <strong>semiotica</strong> nei paesi slavi. Programmi, problemi,<br />
analisi (ed. a cura <strong>di</strong> C. Prevignano), Milano, Feltrinelli,<br />
pp. 188-190 (ed. or. 1964).<br />
“Proposte <strong>per</strong> il programma <strong>della</strong> ‘IV Scuola estiva sui sistemi modellizzanti<br />
secondari’”, in La <strong>semiotica</strong> nei paesi slavi. Programmi, problemi,<br />
analisi (ed. a cura <strong>di</strong> C. Prevignano), Milano, Feltrinelli,<br />
pp. 191-193 (ed. or. 1970).<br />
(con V. V. Ivanov, A. M. Pjatigorskij, V. N. Toporov, B. A. Uspenskij)<br />
“<strong>Tesi</strong> <strong>per</strong> un’analisi <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> <strong>culture</strong> (In applicazione ai testi<br />
slavi)”, in La <strong>semiotica</strong> nei paesi slavi. Programmi, problemi, analisi<br />
(ed. a cura <strong>di</strong> C. Prevignano), Milano, Feltrinelli, pp. 194-220<br />
(ed. or. 1973).<br />
(con B. A. Uspenskij) “Postscriptum alle tesi collettive sulla <strong>semiotica</strong><br />
<strong>della</strong> cultura”, in La <strong>semiotica</strong> nei paesi slavi. Programmi, problemi,<br />
analisi (ed. a cura <strong>di</strong> C. Prevignano), Milano, Feltrinelli, pp.<br />
221-224 (scritto nel 1977 <strong>per</strong> la raccolta in questione).<br />
“Che cosa dà l’approccio semiotico?”, in La <strong>semiotica</strong> nei paesi slavi.<br />
Programmi, problemi, analisi (ed. a cura <strong>di</strong> C. Prevignano), Milano,<br />
Feltrinelli, pp. 225-228 (ed. or. 1976).<br />
Introduzione alla <strong>semiotica</strong> del cinema, a cura <strong>di</strong> P. Montani, Roma,<br />
Officina (pp. 141) (ed. or. 1973).<br />
Semiotica del cinema, Catania, E<strong>di</strong>zioni del Prisma (trad. dall’inglese<br />
del 1976) (pp. 162).<br />
1980<br />
(con B. A. Uspenskij) Il ruolo dei modelli duali nella <strong>di</strong>namica <strong>della</strong><br />
cultura russa (fino alla fine del XVIII secolo), «Strumenti critici»,<br />
42/43, pp. 372-416 (ed. or. 1977).<br />
La lingua orale nella prospettiva strorico-culturale, «Quaderni urbinati<br />
<strong>di</strong> cultura classica», 6 (35), pp. 7-16 (ed. or. 1978).<br />
“Le origini <strong>della</strong> corrente tolstoiana nella letteratura russa degli anni<br />
1830-40”, in Tolstoj oggi, a cura <strong>di</strong> S. Graciotti, V. Strada, Firenze,<br />
Sansoni, pp. 313-394 (ed. or. 1962).<br />
(con B. A. Uspenskij) Nuovi aspetti nello stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> cultura dell’antica<br />
Rus’, «Strumenti critici», 42/43, pp. 347-371 (ed. or. 1977).
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“Retorica”, in Enciclope<strong>di</strong>a, Torino, Einau<strong>di</strong>, vol. XI, pp. 1047-1066.<br />
(con V. V. Ivanov, A. M. Piatigorski, V. N. Toporov, B. A. Uspenskij)<br />
<strong>Tesi</strong> sullo stu<strong>di</strong>o semiotico <strong>della</strong> cultura, Parma, Pratiche (ed. or.<br />
1973).<br />
Testo e contesto. Semiotica dell’arte e <strong>della</strong> cultura, a cura <strong>di</strong> S. Salvestroni,<br />
Roma-Bari, Laterza (pp. 230).<br />
Contiene:<br />
- “Prefazione”, pp. 3-5.<br />
- “Un modello <strong>di</strong>namico del sistema semiotico”, pp. 9-27 (ed. or.<br />
1978).<br />
- “La cultura come intelletto collettivo e i problemi dell’intelligenza<br />
artificiale”, pp. 29-44 (ed. or. 1977).<br />
- “Il fenomeno <strong>della</strong> cultura”, pp. 45-60 (ed. or. 1978).<br />
- “L’‘accordo’ e l’‘affidare se stessi’ come modelli archetipi <strong>della</strong><br />
cultura”, pp. 61-77 (ed. or. 1979).<br />
- “Il viaggio <strong>di</strong> Ulisse nella ‘Divina Comme<strong>di</strong>a’ <strong>di</strong> Dante”, pp. 81-<br />
102 (ed. or. 1979).<br />
- “Blok e la cultura popolare <strong>della</strong> città”, pp. 103-126 (ed. or.<br />
1979).<br />
- “La natura artistica dei quadretti popolari russi”, pp. 127-143<br />
(ed. or. 1976).<br />
- “Le bambole nel sistema <strong>di</strong> cultura”, pp. 145-150 (ed. or. 1978).<br />
- “Il tema <strong>delle</strong> carte e del gioco nella letteratura russa dell’inizio<br />
del secolo XIX”, pp. 151-189 (ed. or. 1975).<br />
- “Il testo e la struttura del pubblico”, pp. 191-198 (ed. or. 1977).<br />
- “La poetica del comportamento quoti<strong>di</strong>ano nella cultura russa del<br />
XVIII secolo”, pp. 201-231 (ed. or. 1977).<br />
1981<br />
Semiotica <strong>della</strong> scena, «Strumenti critici. Rivista quadrimestrale <strong>di</strong><br />
cultura e critica letteraria», XV, I, Torino, pp. 1-29 (ed. or. 1980).<br />
1982<br />
Il cervello – il testo – la cultura – l’intelletto artificiale, «Intersezioni»,<br />
1, pp. 5-16 (ed. or. 1981).<br />
Semiotica <strong>della</strong> scena, «Rassegna sovietica», 33 (2), pp. 3-24 (ed. or.<br />
1980).<br />
Linguaggio teatrale e pittura, «Alfabeta», 32, Milano, pp. 15-16 (ed.<br />
or. 1979).<br />
(con B. A. Uspenskij) “Nuovi aspetti nello stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> cultura dell’antica<br />
Rus’”, in La cultura nella tra<strong>di</strong>zione russa del XIX e XX secolo (ed. a<br />
cura <strong>di</strong> D’A. S. Avalle), Torino, Einau<strong>di</strong>, pp. 219-241 (ed. or. 1977).<br />
(con B. A. Uspenskij) “Il ruolo dei modelli duali nella <strong>di</strong>namica <strong>della</strong><br />
cultura russa (fino alla fine del XVIII secolo)”, in La cultura nella
BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI JURIJ M. LOTMAN IN ITALIANO 307<br />
tra<strong>di</strong>zione russa del XIX e XX secolo (ed. a cura <strong>di</strong> D’A. S. Avalle),<br />
Torino, Einau<strong>di</strong>, pp. 242-286 (ed. or. 1977).<br />
1983<br />
(con N. I. Tolstoij, B. A. Uspenski) I monumenti letterari russi del<br />
XVIII secolo: alcuni problemi <strong>di</strong> redazione dei testi, «Rassegna sovietica»,<br />
34 (3), pp. 21-37 (ed. or. 1981).<br />
1984<br />
(con N. N. Nikolaenko) Dialogo degli emisferi cerebrali, «Alfabeta»,<br />
59, Milano, pp. 21-23 (ed. or. 1983).<br />
Sulla preistoria <strong>delle</strong> idee semiotiche contemporanee: Il concetto <strong>di</strong> testo<br />
nel “Discorso su Dante” <strong>di</strong> Mandel’sˇtam, «Autografo. Quadrimestrale<br />
del Centro <strong>di</strong> Ricerca sulla Tra<strong>di</strong>zione Manoscritta <strong>di</strong><br />
Autori Contemporanei», 2, Università <strong>di</strong> Pavia, pp. 3-6 (ed. or.<br />
1982).<br />
Tjutcev e Dante, «Autografo. Quadrimestrale del Centro <strong>di</strong> Ricerca<br />
sulla Tra<strong>di</strong>zione Manoscritta <strong>di</strong> Autori Contemporanei», 2, Università<br />
<strong>di</strong> Pavia, pp. 6-9 (ed. or. 1983).<br />
(con Z. G. Mints) La raffigurazione degli elementi naturali nella letteratura,<br />
«Autografo. Quadrimestrale de Centro <strong>di</strong> Ricerca sulla<br />
Tra<strong>di</strong>zione Manoscritta du Autori Contemporanei», 2, Università<br />
<strong>di</strong> Pavia, pp. 9-16 (ed. or. 1983).<br />
Da Rousseau a Tolstoj. Saggi sulla cultura russa (ed. a cura <strong>di</strong> C. Strada<br />
Janovič), Bologna, il Mulino, pp. 345.<br />
Contiene:<br />
- “Rousseau e la cultura russa del XVIII secolo”, pp. 43-136 (ed. or.<br />
1967).<br />
- “Il teatro e la teatralità nel sistema <strong>della</strong> cultura all’inizio del XIX<br />
secolo”, pp. 137-163 (ed. or. 1973).<br />
- “Il decabrista nella vita. Il comportamento quoti<strong>di</strong>ano come categoria<br />
storico-psicologica”, pp. 165-228 (ed. or. 1975).<br />
- “La struttura intellettuale <strong>della</strong> ‘Figlia del capitano’”, pp. 229-<br />
250 (ed. or. 1962).<br />
- “Le origini <strong>della</strong> ‘corrente tosltoiana’ nella letteratura russa degli<br />
anni 1830-1840”, pp. 251-345 (ed. or. 1962).<br />
1985<br />
Sull’“Ode scelta da ‘Giobbe’” <strong>di</strong> Lomonosov, «Rassegna sovietica», 36<br />
(3), pp. 3-16 (ed. or. 1983).<br />
Il testo e la storia. L’“Evguenij Onegin” <strong>di</strong> Pusˇkin (ed. a cura <strong>di</strong> C.<br />
Strada Janovič), Bologna, il Mulino, pp. 175 (ed. or. 1975).<br />
La semiosfera. L’asimmetria e il <strong>di</strong>alogo nelle strutture pensanti (ed. a<br />
cura <strong>di</strong> S. Salvestroni), Venezia, Marsilio, pp. 306.
308 BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI JURIJ M. LOTMAN IN ITALIANO<br />
Contiene:<br />
- “Introduzione”, pp. 49-51.<br />
- “La semiosfera”, pp. 55-76 (ed. or. 1984).<br />
- “La cultura e l’organismo”, pp. 77-82 (1984, ine<strong>di</strong>to).<br />
- “La meta<strong>semiotica</strong> e la struttura <strong>della</strong> cultura”, pp. 83-90 (1984,<br />
ine<strong>di</strong>to).<br />
- “L’asimmetria e il <strong>di</strong>alogo”, pp. 91-110 (ed. or. 1983).<br />
- “Una teoria del rapporto reciproco fra le <strong>culture</strong> (da un punto <strong>di</strong><br />
vista semiotico)”, pp. 113-129 (ed. or. 1983).<br />
- “La <strong>di</strong>namica dei sistemi culturali”, pp. 131-145 (1984, ine<strong>di</strong>to).<br />
- “L’ode <strong>di</strong> Lomonosov ispirata al libro <strong>di</strong> Giobbe”, pp. 147-164<br />
(ed. or. 1983).<br />
- “Il ‘degradato’ (izgoj) e il ‘degradamento’ (izgojničestvo) come<br />
con<strong>di</strong>zione socio-psicologica nella cultura russa precedente al regno<br />
<strong>di</strong> Pietro I. (‘Proprio’ e ‘altrui’ nella storia <strong>della</strong> cultura russa)”,<br />
pp. 165-180 (Lotman, Uspenskij) (ed. or. 1982).<br />
- “Il <strong>di</strong>ritto alla biografia. Il rapporto tipologico fra il testo e la <strong>per</strong>sonalità<br />
dell’autore”, pp. 181-199 (1984, ine<strong>di</strong>to).<br />
- “Letteratura e mitologia”, pp. 201-224 (Lotman, Minc) (ed. or.<br />
1981).<br />
- “Il simbolismo <strong>di</strong> Pietroburgo e i problemi <strong>della</strong> <strong>semiotica</strong> <strong>della</strong><br />
città”, pp. 225-243 (ed. or. 1984).<br />
- “Il testo nel testo”, pp. 247-265 (ed. or. 1981).<br />
- “La storia del capitano Kopejkin. La ricostruzione del progetto e<br />
la sua funzione ideologico-compositiva”, pp. 267-289 (ed. or.<br />
1979).<br />
- “Un saggio <strong>di</strong> ricostruzione dell’intreccio <strong>di</strong> Pusˇkin su Gesù”, pp.<br />
291-306 (ed. or. 1982).<br />
1986<br />
(con B. A. Uspenski) Il concetto <strong>di</strong> “Mosca Terza Roma” nell’ideologia<br />
<strong>di</strong> Pietro I, «Europa Orientalis», 5, pp. 481- 494 (ed. or. 1982).<br />
1987<br />
Alcune considerazioni sulla tipologia <strong>delle</strong> <strong>culture</strong>, «Uomo e Cultura.<br />
Rivista <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> antropologici», 37/40, Palermo, pp. 3-16 (ed. or.<br />
1987).<br />
Che cos’è un testo, «Lettera internationale», 12, p. 37.<br />
1988<br />
Informazione e giu<strong>di</strong>zio: i compiti del recensore, «L’In<strong>di</strong>ce dei libri del<br />
mese», 8, pp. 25-26.<br />
La convivenza dei linguaggi, Intervista, «Leggere», 4.
BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI JURIJ M. LOTMAN IN ITALIANO 309<br />
1989<br />
La novità <strong>della</strong> leggenda, «Rassegna sovietica», 40 (2), pp. 57-63 (ed.<br />
or. 1987).<br />
1990<br />
Pusˇkin: Vita <strong>di</strong> Aleksandr Sergeevic Pusˇkin, a cura <strong>di</strong> F. Fici Giusti,<br />
Padova, Liviana, pp. 226 (ed. or. 1981).<br />
1993<br />
La cultura e l’esplosione: Preve<strong>di</strong>bilità e impreve<strong>di</strong>bilità, Milano, Feltrinelli,<br />
pp. 216 (ed. or. 1993).<br />
1994<br />
L’o<strong>per</strong>a <strong>di</strong> Pusˇkin, «Slavia», 1994/1.<br />
Cercare la strada. Modelli <strong>della</strong> cultura, Venezia, Marsilio, pp. 106.<br />
Introduzione alla <strong>semiotica</strong> del cinema, Roma, E<strong>di</strong>zioni del Prisma,<br />
pp. 175 (ed. or. 1973).<br />
1995<br />
“Il problema del testo”, in Teorie contemporanee <strong>della</strong> traduzione, a<br />
cura <strong>di</strong> S. Nergaard, Milano, Bompiani, pp. 85-102 (ed. or.<br />
1964).<br />
“Il problema <strong>della</strong> traduzione poetica”, in Teorie contemporanee <strong>della</strong><br />
traduzione, a cura <strong>di</strong> S. Nergaard, Milano, Bompiani, pp. 257-<br />
263 (ed. or. 1964).<br />
L’insieme artistico come spazio quoti<strong>di</strong>ano, «Strumenti critici», X, 2<br />
(78), pp. 223-242 (ed. or. 1974).<br />
1996<br />
La natura morta in prospettiva <strong>semiotica</strong>, «Strumenti critici», XI, 1,<br />
80, pp. 55-74 (ed. or. 1986).<br />
1997<br />
Il fuoco nel vaso, «Strumenti critici», XII, 2 (84), pp. 181-192.<br />
“Il simbolo nel sistema <strong>della</strong> cultura”, in Il simbolo e lo specchio. Scritti<br />
<strong>della</strong> Scuola Semiotica <strong>di</strong> Mosca-Tartu, a cura <strong>di</strong> R. Galassi, M.<br />
De Michiel, Napoli, E<strong>di</strong>zioni Scientifiche Italiane, pp. 53-66 (ed.<br />
or. 1987).<br />
(con S. G. Barsukov, M. F. Grisˇakov, E. G. Grigor’eva, L. O. Zajonc,<br />
G. M. Ponomareva, V. I. Mitrosˇkin) “Osservazioni preliminari sul<br />
problema: emblema-simbolo-mito nella cultura del XVIII secolo”, in<br />
Il simbolo e lo specchio. Scritti <strong>della</strong> Scuola Semiotica <strong>di</strong> Mosca-<br />
Tartu, a cura <strong>di</strong> R. Galassi, M. De Michiel, Napoli, E<strong>di</strong>zioni<br />
Scientifiche Italiane, pp. 67-76 (ed. or. 1989).
310 BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI JURIJ M. LOTMAN IN ITALIANO<br />
“La <strong>semiotica</strong> dello specchio e <strong>della</strong> specularità”, in Il simbolo e lo<br />
specchio. Scritti <strong>della</strong> Scuola Semiotica <strong>di</strong> Mosca-Tartu, a cura <strong>di</strong> R.<br />
Galassi, M. De Michiel, Napoli, E<strong>di</strong>zioni Scientifiche Italiane,<br />
pp. 127-129 (ed. or. 1988).<br />
(con S. Garzonio) “L’età del Sentimentalismo”, in Storia <strong>della</strong> civiltà<br />
letteraria russa, Torino, UTET, pp. 312-337.<br />
1998<br />
Dalle “Non-memorie”, «Strumenti Critici», n. 87, pp. 217-240.<br />
La morte come problema dell’intreccio, «Autografo», 37, pp. 95-110.<br />
“Il punto <strong>di</strong> vista del testo”, in Teorie del punto <strong>di</strong> vista, a cura <strong>di</strong> D.<br />
Meneghelli, Firenze, La Nuova Italia.<br />
Il girotondo <strong>delle</strong> Muse. Saggi sulla <strong>semiotica</strong> <strong>delle</strong> arti <strong>della</strong> rappresentazione,<br />
a cura <strong>di</strong> S. Burini, Bergamo, Moretti & Vitali, pp. 169.<br />
Contiene:<br />
- “L’insieme artistico come spazio quoti<strong>di</strong>ano”, pp. 23-37 (ed. or.<br />
1974).<br />
- “L’architettura nel contesto <strong>della</strong> cultura”, pp. 38-50 (ed. or.<br />
1987).<br />
- “La natura morta in prospettiva <strong>semiotica</strong>”, pp. 51-62 (ed. or.<br />
1984).<br />
- “Il ritratto”, pp. 63-96 (scritto nel 1993, ed. or. 1997).<br />
- “La lingua teatrale e la pittura (Sul problema <strong>della</strong> retorica iconica)”,<br />
pp. 97-112 (ed. or. 1979).<br />
- “Sulla lingua dei cartoni animati”, pp. 113-119 (ed. or. 1978).<br />
- “Il fuoco nel vaso”, pp. 120-128 (1992, ine<strong>di</strong>to).<br />
2000<br />
“L’Infinito <strong>di</strong> Leopar<strong>di</strong>”, in Semiotica in nuce. Vol. I, a cura <strong>di</strong> P. Fabbri,<br />
G. Marrone, Roma, Meltemi, pp. 129-131.<br />
2001<br />
“Retorica”, in Semiotica in nuce. Vol. II, a cura <strong>di</strong> P. Fabbri, G.<br />
Marrone, Roma, Meltemi, pp. 129-147-163 (ed. or. in italiano,<br />
1980).<br />
“I concetti <strong>di</strong> vergogna e paura”, Semiotica in nuce. Vol. II, a cura <strong>di</strong><br />
P. Fabbri, G. Marrone, Roma, Meltemi, pp. 228-230 (ed. or.<br />
1970).<br />
(con Y. Tsivian) Dialogo con lo schermo, a cura <strong>di</strong> S. Burini, A. Niero,<br />
Bergamo, Moretti&Vitali, (pp. 332) (ed. or. 1994).<br />
Non-memorie, con <strong>una</strong> sezione <strong>di</strong> “<strong>di</strong>segni autografi”, a cura <strong>di</strong> S.<br />
Burini, A. Niero, Novara, Interlinea (pp. 124) (ed. or. 1994).
BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI JURIJ M. LOTMAN IN ITALIANO 311<br />
2005<br />
“Gradualità ed esplosione”, in G. Bettetini, O. Calabrese, A. M. Lorusso,<br />
P. Violi, U. Volli, Semiotica, a cura <strong>di</strong> A. M. Lorusso, Milano,<br />
Raffaello Cortina e<strong>di</strong>tore, pp. 131-139 (ed. or. 1993).<br />
“Il concetto <strong>di</strong> testo”, in G. Bettetini, O. Calabrese, A. M. Lorusso, P.<br />
Violi, U. Volli, Semiotica, a cura <strong>di</strong> A. M. Lorusso, Milano, Raffaello<br />
Cortina e<strong>di</strong>tore, pp. 161-166 (ed. or. 1970).
Stampato <strong>per</strong> conto <strong>della</strong> casa e<strong>di</strong>trice Meltemi<br />
nel mese <strong>di</strong> marzo 2006<br />
presso Arti Grafiche La Moderna, Roma<br />
Impaginazione: www.stu<strong>di</strong>o-agostini.com