Sono a Milano da quattro anni e ce ne ho messi due per innamorarmene. Ma gli innamoramenti lenti sono quelli più efficaci, e mi sono innamorata di tutta Milano, non ho un posto preferito. È una gran signora Milano. Di giorno funziona, di notte si fa bella”. Come la mia donna ideale. Ho scoperto che chi non ci è nato è sempre più indulgente con Milano. Ma anche qui deve esserci l’odi et amo. “Odio i semafori: cammina stop cammina stop vai cammina stop rosso verde rosso stop. Mi sembra di essere un soldatino. No. Prima le persone poi le macchine, sempre, anche nell’arte!”. Cosa distingue la tua di arte? “Una sorta di ritorno, una ritualità. La ripetizione dello stesso gesto produce energia, come una dinamo. Fa sconnettere il cervello e diventa solo corpo. Energia meccanica che diventa luminosa”. Come freno frizione prima, al semaforo. Mi mostra sul portatile una parte della performance con la quale ha partecipato alla Galleria dell’Amore, Rotation NELLA PERFORMANCE PIÙ CHE IN ALTRE DISCIPLINE NON SERVE <strong>CON</strong>OSCERE. SE NON IL PROPRIO CORPO, APPUNTO Black. Uno schermo dove sfila Benedetta che piange, poi che ride, poi sedie vuote e poi di nuovo la sequenza, a ripetere. Di fronte, lei seduta sopra un cubo che osserva lo schermo, vestita identica all’immagine derisoria e disperata. Un altro cubo di fianco a lei, vuoto. Intanto, arrotola l’ennesima sigaretta di tabacco e poi si alza, vaga per la casa parlando, inseguendo le parole per esprimersi e un accendino che continua involontariamente a nascondere. Nella casa c’è un solo specchio. Ovale, cornice ornata, deve avere una veneranda età ed è quasi completamente annerito. Mi guardo. Riflesso e ombra combaciano. Il riflesso del proprio corpo è già una performance. “Sì, le somiglia. Il riflesso dell’acqua mostra l’immagine di noi che vedono gli altri”. E il tuo corpo, come lo trovi? “Mi faccio piacere, mi piace piacere”. Il nudo? “Pochissimo, concentra e restringe l’attenzione. Lo uso solo quando devo evidenziare la creatura”. Dove vai? “So sempre dove andare ma non so dove arrivare. Non ho fretta perché non ho una meta. Siamo un loop, anche tecnicamente, andiamo da dove partiamo”. L’ironia, quanta ce n’è nel tuo lavoro? “Tanta autoironia. Un’amica mi ha detto: ‘Mi ha fatto tanto ridere vederti piangere’. Man Ray: ‘Io non credo nel pubblico fintanto che non esplode in una fragorosa risata’. Eironeia, dal greco, significa finzione, simulazione, ed è quindi il seme di ogni rappresentazione”. Ti chiami Benedetta. Che cosa benediresti? “Benedirei… (ci pensa) le devianze. Usare se stessi significa dare l’idea della molteplicità dell’individuo. Parole come schizofrenia, termini medici che vogliono indicare patologie secondo me uccidono, castrano ciò che invece è una ricchezza. In fondo noi non siamo che in quell’istante”. Quand’è che reputi un corpo bello, e quando lo desideri sessualmente? “È bello quello che si proietta verso l’esterno. Anche un mostro può fare un gesto che ti arriva addosso. Non c’è nessun canone estetico. L’estetica è qualcosa che si manifesta e diventa esperienza altrui, che tende a farsi vivere. È il sensibile. La fisicità dell’apparire. L’abisso superficiale di cui parla Baudrillard”. Dove, nel caso volessi approfondire l’abisso? “In Della seduzione (1979). Adoro la seduzione e tutto quello che è. E non si parla di seduzione, si seduce e basta. Si gioca a sedurre. La perversione per me non esiste. C’è sempre un buon motivo per farsi piacere qualcosa. Alla fine un corpo è sempre bello. E alla fine un corpo è sempre sesso”. Non fantasticate, è solo l’estetica delle parole. URBAN 37
URBAN per FORD / grafica C.C.