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Le sfide all’arma bianca sono naturalmente vietatissime. Ma per chi coltiva l’arte del duello il gusto di incrociare le lame al primo graffio è più forte di tutto testo: Cinzia Negherbon / foto: Gianni Troilo AL PRIMO SANGUE Tra le pareti scrostate di un deposito abbandonato nella periferia di Bologna, in un piazzale di cemento crivellato di pozzanghere, due uomini si affrontano in un duello al primo sangue. Roba d’altri tempi, viene da pensare, ma, prima di lasciarsi andare ad asserzioni del tipo “è vietato” e “ci si fa male” e “la violenza non piace a nessuno”, occorre riconoscere che il duello non ha mai smesso di esercitare un fascino irresistibile, anche nel 2006. “Gentiluomo è colui che, per una raffinata sensibilità morale, ritenendo insufficienti alla tutela del proprio onore le disposizioni con cui le patrie leggi tutelano l’onore di ogni cittadino, s’impone la rigida osservanza di speciali norme che si chiamano leggi cavalleresche”, scriveva Jacopo Gelli nel suo Codice Cavalleresco Italiano. A questo fa riferimento una misteriosa rete di appassionati emiliano-romagnoli dell’arte della sciabola che, alla faccia dell’illegalità del rito, hanno deciso di portare agli estremi la loro passione; perché, se è bello applicare le tecniche reali in sicurezza durante l’allenamento, a un certo punto si sente l’esigenza di fare sul serio. Qualcuno la chiama “competizione sportiva” e fa appello all’adrenalina; altri si sfidano, invece, in nome della tradizione e dell’onore, nel desiderio di riportare in vita un insieme di valori e arte. Alla fine, però, la sensazione è che il duello da sfida fisica si riproponga come sfida intellettuale: da Barry Lindon di Kubrick a I duellanti di Ridley Scott e Conan il barbaro di John Milius (ma anche Il Conte Tacchia con il trio Gassman, Montesano e Panelli), il duellante è una figura eretica e rivoluzionaria del mondo moderno. Un mondo dove lo Stato ha il monopolio della violenza di fatto e di diritto, mentre nell’etica del duellante ogni uomo può e deve difendersi e tutelare il proprio onore, al di sopra dello Stato, della religione e del signorotto di turno. Ma torniamo al nostro duello rinascimentale in chiave urbana. L’appuntamento è al tramonto, e stavolta risulta evidente lo scarto con il passato, quando canonicamente si preferiva l’alba. Nelle rispettive automobili (niente carrozze in questi moderni meandri, ahimé) gli sfidanti hanno infilato i pantaloni neri e la camicia bianca, senza la manica corrispondente al braccio armato, come da regolamento. Ora i duellanti si trovano al centro del piazzale per essere sottoposti alla tradizionale vestizione, come riportato sul verbale di scontro debitamente compilato e firmato alla presenza di un giudice, un medico e due secondi (o garanti) per sfidante. Le protezioni si limitano a una fascetta in pelle avvolta attorno al collo per riparare la giugulare, un cinto attorno al polso del braccio armato e una protezione all’inguine. E ancora, una maschera per occhi, che sembra fatta per lo sci ma in realtà è militare anti-schegge di granata, e il guanto d’ordinanza, spalmato a dovere di pece greca come le suole delle scarpe, per aumentare la presa e l’aderenza. Poi, onde accertarsi che non indossino maglia metallica o altra difesa, i secondi procedono alla visita, o perquisizione, degli avversari. E qui più che altro la mise dei secondi meriterebbe un discorso a parte, in quanto prevede guantoni da hockey e bastone di legno da reggere in mano: l’ideale per espletare il ruolo di “custodi”, ma viene da pensare che in questo caso il regolamento non sia stato seguito alla lettera, poiché il Gelli di guantoni da hockey non ne parla proprio… Poi, finalmente, nel silenzio interrotto solo dal passaggio degli automezzi in corsa sulla superstrada, il serissimo giudice consegna le armi ai duellanti: due sciabole differenti ma di eguale peso, misura e lunghezza, con le lame senza ruggine, ben affilate e con la punta protetta da un “salvavita”. Si tratta di un “Modello 88” usato durante la Prima Guerra Mondiale e di una sciabola “da Guard’armi” di fine ‘800. Parte la prova del filo, che si fa con un pezzo di carta bagnata: per un momento i 20 URBAN URBAN 21
LA TENSIONE RESTA ALTA TUTTO IL TEMPO, IN MEZZO AL COZZARE METALLICO COME NEL SILENZIO DI PIOMBO due lembi svolazzano per aria, poi finalmente atterrano in una pozzanghera. Niente da dire, la lama taglia. E il fatidico momento è giunto, il giudice enuncia le quattro regole fondamentali: 1) è interdetto l’uso della mano disarmata; 2) né il ginocchio, né altra parte del corpo mai devono toccare l’avversario; 3) è disonorevole continuare il combattimento se l’avversario è in difficoltà o è impossibilitato a difendersi o ha un ginocchio a terra, o non ha più l’arma; 4) al comando dell’Alt i duellanti devono immediatamente saltare fuori misura e restare in guardia in attesa che i testimoni decidano sul da farsi. Terminata la solenne lettura, stando in mezzo agli avversari, il giudice ordina “Signori, in guardia” e prende con le mani le punte delle armi; poi il comando “A loro!” dà il via all’incontro. Le antiche lame s’incrociano, la luce argentea del crepuscolo gioca scintillando sull’acciaio; il braccio destro è proteso, il sinistro come legato sul fianco, in una posa elegante e vagamente teatrale. Ad affiancare ogni duellante, sui due lati, i secondi, che seguono ogni movimento, verificando irregolarità ed eventuali ferimenti. La partita è lunga, lunghe le pause tra un assalto e l’altro, e la tensione resta alta tutto il tempo, in mezzo al cozzare metallico come nel silenzio di piombo. All’improvviso, in lontananza, la sirena di una volante: per un secondo tutto si blocca come in un fermo immagine e il giudice dice “L’Alt vale anche se arriva la pula…”. Sui volti dei duellanti appaiono le prime gocce di sudore, freddo probabilmente, poi dopo un attimo i due tornano a volteggiare nel loro ballo a debita distanza, lento talvolta, oppure agile, scattante; sollevano e scagliano l’arma l’uno contro l’altro con forza e decisione, eppure rimane la grazia del gesto. Un gesto che potrebbe procurare uno squarcio nella camicia, un lieve ferimento o un taglietto sul torace oppure la perdita di un orecchio, un dito, un arto?! Passata una trentina di minuti, parte il colpo decisivo, che va a segno. Il combattimento è sospeso a seguito di ferita: il primo sangue. Un rivoletto scivola sull’avambraccio, e anche l’adrenalina continua a scorrere. Ma niente di grave, è poco più di un graffio. E l’onore è salvo... URBAN 23
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