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giugno 2012 - I Siciliani giovani

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www.isiciliani.it<br />

Beni confiscati/ 1<br />

La lotta per strappare<br />

alle mafie<br />

i simboli del potere<br />

Dalla villa a Casal di<br />

Principe all’hotel nel<br />

milanese…<br />

di Pietro Orsatti<br />

orsattipietro.wordpress.com<br />

Le mafie hanno due obiettivi principali:<br />

accumulare denaro e beni e attraverso<br />

questi testimoniare il proprio potere.<br />

E i beni hanno un valore ben<br />

maggiore di quello strettamente economico<br />

perché assumono un carattere<br />

simbolico fondamentale per l’identità<br />

mafiosa. Dovunque vai è sempre così.<br />

Che sia la villa di Sandokan a Casal di<br />

Principe come le terre di Brusca a due<br />

passi da Piana degli Albanesi, che sia<br />

l’edificio – o l’antico caffé – al centro di<br />

Roma come l’albergo nel milanese. Non<br />

si tratta solo di un investimento patrimoniale<br />

o di una attività di riciclo di denaro<br />

sporco, ma della necessità simbolica di<br />

segnare la propria presenza e la propria<br />

forza in un determinato territorio. Che<br />

sia quello di origine o quello di conquista<br />

e espansione. “Io ci sono e su questo territorio<br />

comando io e faccio quello che mi<br />

pare”, questo dicono le mafie acquisendo<br />

immobili, beni, attività.<br />

Facciamo un esempio. Quello delle<br />

stalle dei Fardazza. Così, con questo soprannome,<br />

viene chiamata la famiglia di<br />

Cosa nostra dei Vitale che ha controllato<br />

il mandamento di Partinico in provincia<br />

di Palermo per decenni. Gente, i Fardazza,<br />

che hanno avuto un ruolo anche nelle<br />

stragi del ’92 e un peso fondamentale negli<br />

equilibri fra le famiglie del palermitano<br />

e quelle del trapanese.<br />

I Vitale, per generazioni, hanno avuto<br />

l’ossessione delle vacche. Per loro le<br />

vacche, e le stalle illecite e non, sono segno<br />

di potere in un territorio con antica<br />

tradizione agricola. E quando lo Stato ha<br />

iniziato a colpirli confiscando le stalle<br />

sono letteralmente impazziti. Non sapendo<br />

più come fare sui propri terreni, viste<br />

le confische e gli arresti che avevano tolto<br />

di mezzo due terzi degli uomini del<br />

clan, hanno iniziato a costruire stalle<br />

abusive su terreni di altri, condiscendenti<br />

o minacciati. Con centinaia di vacche<br />

che si spostavano da una parte all’altra<br />

della valle dello Jato. Si è ucciso per<br />

quelle vacche. E si è tentato di uccidere,<br />

come nel caso di Pino Maniaci, direttore<br />

della locale TeleJato, che dell’individuazione<br />

di queste stalle aveva fatto un punto<br />

di onore.<br />

Quando i <strong>giovani</strong> rampolli dei boss<br />

carcerati hanno ceduto trasferendo le<br />

vacche in altre zone, per intercessione<br />

perfino della famiglia Riina, il loro potere<br />

simbolico è crollato e il mandamento è<br />

diventato terra di conquista.<br />

Tocca i patrimoni, confisca beni, attività<br />

e immobili alla mafia, e la criminalità<br />

organizzata perderà consenso, potere e<br />

peso contrattuale. Questo aveva capito<br />

molto bene Pio La Torre, tornando nella<br />

sua Sicilia come segretario regionale del<br />

Pci dopo un periodo passato in parlamento<br />

– memorabile la relazione di minoranza<br />

della Commissione Antimafia del<br />

1976 a sua firma – si rese immediatamente<br />

conto che proprio su questo aspet-<br />

I <strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong><br />

<strong>Siciliani</strong><strong>giovani</strong><br />

– pag. 16<br />

to era necessario colpire la mafia.<br />

Togliere i beni ma soprattutto sottrarre i<br />

simboli materiali del potere mafioso.<br />

La legge Rognoni – La Torre contiene<br />

un concetto fondamentale, prettamente<br />

politico, che la mafia non può accettare.<br />

Il riuso – o restituzione – sociale dei<br />

beni. Quello che è sottratto la società si<br />

riprende. Non la politica, non le casse<br />

dello Stato. La società, il territorio, le<br />

forze positive che attorno al riuso sociale<br />

si coagulano. Questo rende rivoluzionaria<br />

questa legge. Perché non è semplicemente<br />

repressiva. Si va oltre alla definizione<br />

“antimafia”. La Torre faceva politica.<br />

La legge che porta il suo nome è un<br />

grande contributo politico alla società.<br />

Colonizzati dalle mafie<br />

Facciamo un esempio di cosa possa innescare<br />

in un territorio infiltrato – o meglio,<br />

colonizzato – dalle mafie. Quello<br />

della Cascina Caccia a San Sebastiano da<br />

Po in Piemonte. Assegnata al Gruppo<br />

Abele e gestita anche in collaborazione<br />

con Acmos e Libera, è stata dedicata alla<br />

figura di Bruno Caccia, procuratore a Torino<br />

e ucciso dalla mafia nel 1984. Il<br />

bene era proprietà di Domenico Belfiore<br />

capo della famiglia che uccise il magistrato.<br />

Il valore simbolico, se fosse necessario<br />

evidenziarlo, è chiarissimo. Se<br />

poi in questa cascina si fa lavoro, si producono<br />

prodotti agricoli, si fa formazione,<br />

innovazione sul piano ambientale, perfino<br />

arte, il gioco è fatto. Economia sociale<br />

e soldidale. Che è l’unica risposta<br />

che uno Stato serio può dare alla cultura<br />

mafiosa. E la Cascina prospera, lancia<br />

nuovi progetti, diventa punto di aggregazione<br />

e informazione fondamentale in un

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