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RICORDARLI È TENERLI<br />
IN VITA PER SEMPRE<br />
AI CADUTI DI BADICROCE<br />
2
Ho letto le bozze di questo <strong>libro</strong> non avendo, nell’impaginato a disposizione,<br />
l’indicazione dell’autore. Sono arrivato alla fine apprezzando il rigore storico, la<br />
precisione delle ricostruzioni e delle citazioni, la passione civile. Sono rimasto<br />
quindi letteralmente stupefatto leggendo, solo al termine, che gli autori sono gli<br />
studenti del Polo Artistico di Arezzo. Un bellissimo lavoro, reso ancora più tale<br />
dall’età dei suoi autori. Una testimonianza che la scuola, nonostante l’irrilevante<br />
considerazione che storicamente ha da parte dei Governi, riesce a mantenere<br />
livelli di eccellenza. Di questo, penso, dobbiamo rendere onore ai docenti e ai<br />
dirigenti scolastici che si sono dedicati a questo progetto.<br />
Un lavoro di ricostruzione storica destinato ad una delle stragi meno note<br />
nella provincia di Arezzo, ma che ha molte ragioni per tornare all’attenzione di<br />
tutti.<br />
Badicroce, contrariamente ad altri simili e drammatici eventi, non registra<br />
“una” strage. L’esercito tedesco rimane nella zona per settimane e in modo<br />
metodico e crudele brucia le case, fa razzia di animali e cibo, rastrella le famiglie.<br />
Minaccia, intimidisce, violenta. E uccide: 17 persone in giorni diversi. Qui non<br />
siamo di fronte ad una “fiammata” di violenza e di odio. Siamo di fronte ad una<br />
strategia ben precisa. Messa in atto, tra l’altro, con la crudeltà propria dello<br />
sconfitto: le 17 persone uccise a Badicroce, come d’altronde quelle ad Antria,<br />
perdono la vita alla vigilia <strong>della</strong> liberazione di Arezzo e quindi, almeno in questa<br />
zona, <strong>della</strong> fine <strong>della</strong> guerra.<br />
Una tragedia che assume anche i toni dell’assurdità e <strong>della</strong> più completa<br />
inutilità. Per la quale nessuno ha pagato. Il fascicolo di Badicroce è uno dei 695<br />
rimasti nascosti nell’“armadio <strong>della</strong> vergogna”. Come ricordano gli autori di<br />
questo volume, è stato necessario arrivare al 1994 per togliere la polvere da<br />
questi fascicoli. Sono iniziate inchieste che hanno portato a condanne definitive<br />
per alcune delle più tremende stragi nella provincia di Arezzo. Per Antria, però,<br />
non abbiamo avuto giustizia. E per Badicroce l’attendiamo, senza sapere con quali<br />
esiti.<br />
Rimane, ovviamente, il giudizio <strong>della</strong> storia che viene prima di quello<br />
penale. E viene confortato da lavori come questo che consentono alla memoria di<br />
rimanere viva nonostante il passare degli anni. Documenti e testimonianze orali<br />
sono ormai fissati per sempre. Serviranno alle future generazioni non solo per non<br />
dimenticare ma, soprattutto, per costruire un futuro migliore. E sono veramente<br />
felice che a lavorare sulla memoria siano stati giovani che hanno dimostrato non<br />
solo una generica disponibilità a ricostruire un evento ma grandi qualità nel farlo.<br />
Scientifiche e umane. Penso che a loro vada il ringraziamento delle donne e degli<br />
3
uomini che in quella lontana estate persero parenti e amici. Ma anche quello <strong>della</strong><br />
città di Arezzo che ha visto ricostruito un altro importante tassello <strong>della</strong> sua storia.<br />
Il Sindaco di Arezzo<br />
Avv. Giuseppe Fanfani<br />
4
Vorrei iniziare questa mia breve introduzione partendo dalla mia esperienza<br />
di bambina, poi di adulta e di rappresentante delle Istituzioni.<br />
Ero una bambina quando, la sera, aspettavo con impazienza il ritorno a casa<br />
di mio nonno.<br />
Ho sempre adorato stare con lui: mi prendeva con le sue mani grandi e<br />
forti, mi sedeva nelle sue ginocchia e cominciava i suoi racconti. Rimanevo<br />
affascinata da questi suoi racconti che allora mi sembravano come le storie dei<br />
romanzi di avventura che mi piaceva leggere.<br />
Mi parlava <strong>della</strong> sua gioventù, <strong>della</strong> vita semplice all’interno <strong>della</strong> nostra<br />
Comunità, delle persone care che non c’erano più.<br />
Spesso, mi parlava anche <strong>della</strong> Guerra… e allora i suoi racconti non avevano<br />
mai un lieto fine. Il ricordo dei momenti felici lasciavano lo spazio alla miseria, la<br />
fame, la paura… la morte.<br />
La guerra, che un tempo si combatteva lontano, era entrata con violenza<br />
nel loro vivere quotidiano.<br />
La nostra Provincia è stata insignita <strong>della</strong> medaglia d’oro al valore civile e<br />
militare da parte del Presidente <strong>della</strong> Repubblica proprio perché, durante quelle<br />
tristi stagioni di guerra, nelle nostre vallate vi furono circa 4.000 vittime, fra<br />
militari e civili.<br />
In particolare, il gran numero di vittime civili nella nostra zona – circa mille<br />
solo nel Comune di Arezzo e duemila in tutta la Provincia – è dovuto<br />
principalmente alla sua posizione geografica che ha fatto sì che il conflitto si<br />
fermasse qui da noi più a lungo che altrove.<br />
I tedeschi in ritirata dall’Italia saccheggiavano e disseminavano violenza<br />
ovunque.<br />
In quei giorni, il 30 giugno del 1944, mio nonno perse sua madre: raffiche di<br />
mitra tedesche la raggiunsero mentre accudiva il bestiame.<br />
Come donna e senza nulla togliere alle tante sofferenze <strong>della</strong> popolazione<br />
maschile, mi sia permesso di affermare che, durante i conflitti, sono proprio le<br />
donne che, più di ogni altro, incarnano questo dolore, perché lo vivono come<br />
mogli e come madri di coloro che morirono, e non solo come vittime esse stesse.<br />
Personalmente, quando poi sono cresciuta, ho sempre partecipato con<br />
profonda emozione alla Giornata di Commemorazione che mi ha permesso di<br />
conoscere, comprendere ed approfondire ancor di più il significato di quelle<br />
drammatiche vicende attraverso la testimonianza di altre persone, nostri<br />
compaesani, che in quei giorni vissero, sulla propria pelle e negli affetti più cari, il<br />
dolore e l’ingiustizia <strong>della</strong> guerra.<br />
A questo proposito, giusto in tema di esperienze vissute e di testimonianza,<br />
vorrei citare una persona il cui ricordo è e rimarrà per sempre vivo nella mente e<br />
5
soprattutto nel cuore di chi ha avuto la fortuna, o meglio il dono, di conoscerlo:<br />
don Giorgio Checchi. Dalle testimonianze di quegli anni orribili emerge con<br />
semplicità la forza del suo coraggio, la coerenza in ciò che credeva, l’anelito di<br />
giustizia e l’amore verso il prossimo.<br />
Don Giorgio, il cui ricordo rimarrà per sempre nelle tante cose che ha fatto,<br />
nei luoghi ove ha vissuto, nel cuore delle persone che ha profondamente amato,<br />
ci ha insegnato che la nostra vita può essere spesa per gli altri, per quei valori per<br />
cui tanti hanno dato la vita : la democrazia, la libertà, la giustizia, la pace. Tutto<br />
questo deve quindi costituire un monito per tutti noi cittadini italiani a portare,<br />
con forza, nel nostro cuore e, per chi ha responsabilità politiche ed<br />
amministrative, a portare anche nelle azioni di governo, quello che poi è scritto<br />
nella nostra Costituzione: che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione<br />
dei conflitti. E questo monito deve giungere con forza soprattutto a chi ha avuto la<br />
fortuna di non aver vissuto in prima persona quelle tragedie, ma poi non ha avuto<br />
e non avrà più neppure la possibilità di ascoltare le testimonianze dirette di allora:<br />
i giovani.<br />
È per queste ragioni che la nostra Circoscrizione, nel suo piccolo, ha inteso<br />
promuovere in questi anni una serie di iniziative rivolte proprio ai giovani, sia delle<br />
scuole superiori che delle elementari, per far sì che non si perda, anzi rimanga<br />
vivo, il ricordo di tanta sofferenza e, al tempo stesso, la consapevolezza<br />
dell’importanza nella vita di ciascuno di noi, come singolo e come collettività,<br />
nella sfera privata come in quella pubblica, dei valori fondanti <strong>della</strong> nostra civiltà,<br />
richiamati in modo fulgido dalla nostra Costituzione: la democrazia, la libertà, la<br />
giustizia e la pace.<br />
Presidente circoscrizione 6 Palazzo del Pero<br />
Lucia Sandroni<br />
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Cari ragazzi,<br />
esprimo il più vivo e convinto apprezzamento al lavoro di ricerca e recupero <strong>della</strong><br />
memoria che avete svolto su uno degli efferati episodi che hanno interessato il<br />
nostro territorio, come quello di Badicroce dove, durante la ritirata delle truppe<br />
tedesche nel 1944, furono uccisi molti civili inermi, come purtroppo in altre<br />
località di questa provincia.<br />
Mi vengono in mente le parole di Nuto Revelli, scrittore ed esponente di<br />
spicco <strong>della</strong> Resistenza italiana: «...Volevo che i giovani sapessero, capissero,<br />
aprissero gli occhi. Guai se i giovani di oggi dovessero crescere nell'ignoranza,<br />
come eravamo cresciuti noi. Oggi la libertà li aiuta, li protegge. La libertà è un<br />
bene immenso, senza libertà non si vive...». E’ importante ricordare, conoscere,<br />
cercare di capire, guardando al futuro, con la consapevolezza del passato. Serve a<br />
formare persone consapevoli. E' importante per evitare che ciò che è accaduto<br />
possa verificarsi di nuovo. E con il vostro appassionato contributo ci sentiamo più<br />
forti nel combattere ogni tipo di sopraffazione e violenza. Quello che avete svolto<br />
per questa documentazione è un lavoro prezioso che contestualizza la storia<br />
locale: le vicende di una piccola comunità inserite nella storia mondiale. Credo che<br />
abbiate realizzato un momento educativo fondamentale nella costruzione di una<br />
coscienza critica.<br />
La lezione <strong>della</strong> storia deve sempre tradursi in una riflessione attuale. La<br />
nostra provincia è stata tra le più colpite dalla ferocia tedesca. Le oltre 1.100<br />
vittime delle rappresaglie e delle stragi nazi-fasciste, le dieci medaglie d'oro, e<br />
tutti gli altri riconoscimenti che sono alla base <strong>della</strong> concessione al Gonfalone<br />
<strong>della</strong> Provincia <strong>della</strong> medaglia d'oro per attività partigiana, testimoniano il tributo<br />
pagato dalla provincia di Arezzo alla liberazione. Ferite che restano ancora oggi<br />
aperte.<br />
L’impegno e la serietà con cui avete ripercorso queste tragiche esperienze,<br />
la raccolta delle testimonianze, ancora così cariche di insegnamenti e di valori, è<br />
motivo di conforto per tutti noi.<br />
Presidente Provincia di Arezzo<br />
Dott. Roberto Vasai<br />
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Il nostro Istituto ha accolto con entusiasmo l’invito <strong>della</strong> Circoscrizione 6 di<br />
Arezzo di realizzare un monumento commemorativo per i caduti dell’eccidio<br />
nazifascista di Badicroce, nel territorio di Palazzo del Pero. Si, perché ormai da<br />
tempo questa scuola è impegnata in un'azione culturale e artistica volta a<br />
valorizzare il nostro territorio aretino e la propria storia. È stata progettata e<br />
realizzata la scultura e, parallelamente, è stata condotta una ricerca storica<br />
sull’avvenimento attraverso l’analisi di fonti documentarie e la raccolta di<br />
testimonianze di chi ha vissuto quel periodo così drammatico per la storia del<br />
nostro Paese. Il lavoro qui presentato è il frutto finale dell’impegno di insegnanti e<br />
studenti che hanno, in tal modo, potuto analizzare vicende spesso controverse e<br />
portare avanti un’attenta riflessione sul passato, base del presente e, al<br />
contempo, motore del nostro avvenire.<br />
Un Paese che non custodisce con cura la memoria del proprio passato,<br />
sosteneva Norberto Bobbio, non ha speranza alcuna per il proprio futuro. Ecco<br />
allora che ricordare il passato non è e non può essere un astratto elenco di<br />
avvenimenti o un’operazione nostalgica fine a se stessa, ma deve rappresentare<br />
un saldo punto di partenza per orientare verso comportamenti positivi, improntati<br />
al rispetto <strong>della</strong> dignità umana, dei valori <strong>della</strong> legalità e <strong>della</strong> cittadinanza. La<br />
formazione e l’educazione dei nostri ragazzi devono tener conto di questo<br />
presupposto e ben vengano dunque progetti analoghi, che fanno sì che ciò che è<br />
stato non si smarrisca, come purtroppo spesso accade, nella superficialità e nella<br />
frenesia del nostro vivere quotidiano: è questo l'impegno ed il nostro lavoro di<br />
tutti i giorni.<br />
Dirigente Scolastico del Polo delle Arti “<strong>Piero</strong> <strong>della</strong><br />
<strong>Francesca</strong>” di Arezzo<br />
Prof. Luciano Tagliaferri<br />
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“E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu potrai<br />
rispondere loro: Ricordiamo. Ecco dove alla lunga avremo vinto noi. E<br />
verrà il giorno in cui saremo in grado di ricordare una tale quantità di cose<br />
che potremo costruire la più grande scavatrice meccanica <strong>della</strong> storia e<br />
scavare, in tal modo, la più grande fossa di tutti i tempi, nella quale<br />
sotterrare la guerra.”<br />
9<br />
Ray Bradbury Fahrenheit 451
I LUOGHI<br />
Tu non sai le colline / dove si è sparso il sangue<br />
Cesare Pavese<br />
Nel cuore <strong>della</strong> provincia di Arezzo, tra la città capoluogo e la Valtiberina, si<br />
trova la Valcerfone: zona quasi esclusivamente montana, è attraversata dal<br />
torrente Cerfone le cui acque, nell’antichità, erano ritenute sacre.<br />
Panorama <strong>della</strong> Valcerfone<br />
A nord abbiamo Anghiari, a nord-est Monterchi e Monte S. Maria Tiberina,<br />
ad est Città di Castello, a sud Cortona, a sud-ovest Castiglion Fiorentino. La<br />
popolazione è concentrata nei tre centri di Molin Nuovo, S. Maria alla Rassinata e<br />
soprattutto Palazzo del Pero, paese principale <strong>della</strong> Circoscrizione 6: la zona conta<br />
complessivamente poco più di 1.200 abitanti.<br />
Panorami mozzafiato fanno da cornice a questi luoghi traboccanti di storia,<br />
nei quali sono evidenti le tracce di insediamenti romani e bizantini, impreziositi da<br />
bellezze architettoniche e artistiche: basti pensare alle numerosi pievi<br />
paleocristiane e altomedievali, come quella di S. Donnino a Maiano, edificata al<br />
tempo <strong>della</strong> prima evangelizzazione cristiana e arricchita successivamente da<br />
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affreschi, in particolare, in epoca rinascimentale, la Madonna del Latte, posta<br />
sull’altare di destra, che si inserisce nella tradizione galattofora <strong>della</strong> valle, con le<br />
fonti cosiddette “lattaie” cui le nutrici si recavano, in una sorta di pellegrinaggio<br />
propiziatorio. Nella stessa pieve si trovava un dipinto del Vasari raffigurante San<br />
Rocco, che è andato perduto. Altre pievi di non meno pregio sono quelle di San<br />
Cassiano a Corneta e dei SS. Lorentino e Piergentino a Ranco.<br />
Pieve di S. Donnino a Maiano<br />
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Pieve di Ranco<br />
Dei 21 castelli edificati tra XI e XIII secolo - Sasseto, Cornia, Largnano,<br />
Vignale, Croci - purtroppo non rimane granchè, talvolta è incerta la loro esatta<br />
ubicazione; gli unici che hanno lasciato una qualche traccia significativa sono<br />
Bivignano, le cui mura racchiudevano l’antico borgo medievale, e Ranco, punto di<br />
riferimento di Leonardo da Vinci nella sua carta <strong>della</strong> Val di Chiana.<br />
Castello di Ranco<br />
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Borgo di Bivignano<br />
Tradizione e fascino, però, non hanno reso immuni questi luoghi dal<br />
passaggio <strong>della</strong> Storia, quella più crudele e feroce, che si concretizza, durante la<br />
guerra di Liberazione, in due stragi di civili, a pochi giorni di distanza l’una<br />
dall’altra, la prima in località Muraglione, la seconda nella fattoria di Badicroce.<br />
La calda estate del 1944 era cominciata da meno di un mese: i ragazzi<br />
avevano terminato la scuola e scorazzavano spensierati per il paese; gli uomini<br />
erano impegnati nelle consuete attività lavorative; le donne svolgevano con<br />
dedizione le faccende domestiche. L’Italia era in guerra, una guerra sciagurata<br />
iniziata quattro anni prima che aveva costretto molti giovani uomini a separarsi<br />
dalle proprie famiglie. Da qualche mese, però, il fronte si era ribaltato: con<br />
l’armistizio dell’8 settembre 1943 la Germania, da alleata, era diventata nemica,<br />
eccetto per coloro che avevano aderito alla Repubblica di Salò e che continuavano<br />
ad appoggiare Mussolini e Hitler.<br />
Il territorio aretino, in conseguenza di ciò, si trova ad essere al centro di un<br />
pericoloso tiro incrociato: da un lato le truppe tedesche che, incalzate dagli angloamericani,<br />
sono costrette ad arretrare da Sud verso Nord, portandosi dietro una<br />
rabbia indomita che riversano sulla popolazione; dall’altro le formazioni partigiane<br />
che, costituitesi all’indomani <strong>della</strong> firma dell’armistizio, affiancano ora le truppe<br />
alleate e lottano con le unghie e con i denti per riconquistare la libertà alla loro<br />
patria. Gruppi di partigiani si muovono nella zona, anzitutto nel Pratomagno, dove<br />
si trovano sia bande ben organizzate e numericamente consistenti, sia formazioni<br />
più esigue e isolate, che poi confluiranno nelle Divisioni Partigiane <strong>della</strong> zona, la<br />
23ª Brigata Garibaldina “Pio Borri” e la 24ª Brigata “Bande Esterne”.<br />
Già alla caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, comitati antifascisti erano sorti in<br />
vari centri, coordinati dalle sezioni locali del Comitato di Liberazione Nazionale: in<br />
Toscana opera il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN) e nella zona di<br />
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Palazzo del Pero, fondato da Antonio Curina, si riunisce il Comitato Provinciale di<br />
Concentrazione Antifascista (CPCA) che poi, il 12 aprile 1944, si trasformerà nel<br />
Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale (CPLN).<br />
Antonio Curina<br />
Intanto, a nord, l’Appennino era in fase di fortificazione: dall’ottobre del ’43<br />
italiani, tedeschi e slovacchi erano sottoposti ad un lavoro incessante per mettere<br />
in collegamento le città di Massa e Pesaro attraverso i circa 300 Km <strong>della</strong> Linea<br />
Gotica o, come fu successivamente ribattezzata, Linea Verde, che avrebbe dovuto<br />
fungere da baluardo e da difesa per le truppe germaniche.<br />
Linea Gotica<br />
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L’abitato di Palazzo del Pero si era nel frattempo andato ingrossando,<br />
perché da Arezzo molte persone si erano qui riversate per sfuggire ai<br />
bombardamenti alleati che fin dall’inverno del ’43 si abbattevano sulla città:<br />
bambini, donne, anziani avevano trovato ovunque un’accoglienza generosa; la<br />
canonica offriva rifugio a chi lo chiedesse; le gallerie del trenino dell’Appennino,<br />
che metteva in collegamento Arezzo, Sansepolcro e Fossalto di Vico e che si<br />
trovava in sosta forzata, fornivano un naturale riparo a centinaia di aretini. 1<br />
1 Don S. Pieri, La Valcerfone, Cortona, Arti tipografiche Toscane, 1998, p. 145. Pare che a<br />
fine aprile 1944 la popolazione di Arezzo fosse ridotta a poco più di 100 abitanti, cfr. G.<br />
Bronzi, Il fascismo aretino da Renzino a Besozzo – 1921/1945, Etruria, 1988, p. 56.<br />
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I FATTI<br />
16<br />
Con il piede straniero sopra il cuore<br />
Salvatore Quasimodo<br />
Fin dal marzo 1944 c’è da registrare un importante aumento dell’attività<br />
partigiana lungo l’Appennino, in un contesto definito dai comandanti tedeschi “di<br />
difficile gestione”.<br />
Per fronteggiare la situazione la Repubblica di Salò, con il generale Graziani,<br />
aveva provveduto al richiamo alla leva per le classi ’23, ’24, ’25, in modo da<br />
costituire un esercito di giovani forze, mentre il bando del 18 febbraio decretava<br />
la pena di morte per i renitenti:<br />
Ripristinando l’onore, metteremo mano alla costruzione delle nuove milizie del popolo<br />
italiano, modernamente armate, idealmente partecipi di una fede e di una volontà.<br />
Ufficiali e soldati ancora una volta il destino vi offre una possibilità e vi schiude le porte. La<br />
vostra risposta deciderà sulla sorte delle generazioni venture. Con l’aiuto di Dio e con la<br />
purezza dei nostri cuori, noi supereremo vittoriosamente la prova. Viva l’Italia!<br />
L’attesa risposta in massa degli italiani non ci fu, molti preferirono disertare<br />
e darsi alla macchia, ingrossando le fila delle bande sparse sulle montagne,<br />
cosicché il 7 aprile Albert Kesselring, Comandante in capo delle forze di<br />
occupazione in Italia, dispone le prime misure per frenarne l’azione:<br />
Le bande vanno affrontate con operazioni sistematiche. Al tempo stesso, tuttavia,<br />
bisognerà provvedere a proteggere in ogni momento la truppa da aggressioni e attentati<br />
(…). Durante la marcia in territori infestati dalle bande le armi dovranno essere sempre<br />
tenute pronte al tiro. In caso di aggressione dovrà subito essere aperto il fuoco, senza<br />
badare alla presenza di eventuali passanti (…). L’imperativo primo è agire in modo<br />
energico, deciso e rapido. I comandanti deboli e indecisi dovranno renderne conto a me, in<br />
quanto mettono in pericolo la sicurezza delle truppe loro affidate e il prestigio <strong>della</strong><br />
Wehrmacht. Nella situazione attuale, l’essere intervenuti duramente non costituirà mai<br />
motivo di punizione. 2<br />
2 L. Klinkhammer, La politica di repressione <strong>della</strong> Wehrmacht in Italia, in L. Paggi (a cura<br />
di) La memoria del nazismo nell’Europa di oggi, Scandicci, La Nuova Italia, pp. 98-99
Albert Kesselring<br />
In Toscana le operazioni antipartigiane si fanno più serrate dal 10 aprile e<br />
riguardano in primo luogo il Mugello, nel versante nord-orientale del Monte<br />
Morello; poi si spostano più a sud, nel Casentino, dove la presenza delle bande è<br />
considerata molto più preoccupante e pericolosa che altrove, favorita d’altronde<br />
dalla stessa conformazione del territorio. Sono passati pochi giorni dall’attacco di<br />
via Rasella e dalla risposta delle Fosse Ardeatine, si vuole dare un segnale forte,<br />
dimostrare come i tedeschi non abbiano affatto intenzione di mollare la presa: la<br />
barbarie nel territorio di Arezzo è così inaugurata dalla strage di Vallucciole del 13<br />
aprile, in cui si colpiscono in modo indiscriminato donne e bambini, per un totale<br />
di 289 vittime, come drammaticamente narra Carlo Levi:<br />
I tedeschi entravano: gli uomini venivano buttati fuori e caricati con le cassette: la nostra<br />
fila si allungava. Nelle case le donne e i bambini venivano ammazzati subito. E le bestie,<br />
anche, nelle stalle. E poi davano fuoco. Cambiavano soltanto il modo; qui con la benzina, in<br />
un’altra casa con le bombe incendiarie, e massacravano con le bombe, coi fucili, coi mitra,<br />
con le mazze, coi coltelli. Avevano arsenali di armi e le adoperavano. 3<br />
Il 1 maggio 1944 Kesselring assume il comando di tutte le SS e le forze di<br />
polizia stanziate in Italia, col compito preciso di condurre la lotta contro i gruppi<br />
partigiani, raccogliendo l’ordine diramato dal Feldmaresciallo Keitel, Comandante<br />
delle forze tedesche, preoccupato di fronte alla crescente pericolosità del<br />
movimento: furono stabilite nuove regole nella condotta bellica, tutte con un<br />
comune denominatore, l’adozione di ogni mezzo e <strong>della</strong> massima severità,<br />
3 C. Levi, La Pasqua di Vallucciole, in G.P. Carocci, La resistenza italiana, Milano,<br />
Garzanti 1963<br />
17
secondo una logica militare-terroristica attentamente studiata dai vertici tedeschi<br />
in Italia e già largamente sperimentata nelle zone occupate dell’Europa orientale e<br />
dei Balcani.<br />
Alla data del 25 maggio è fissata la scadenza di un bando che mirava a<br />
smantellare le bande partigiane: la spontanea consegna delle armi e<br />
l’arruolamento nell’esercito repubblichino sarebbero stati garanzia <strong>della</strong><br />
cancellazione di ogni reato; in caso contrario si sarebbe proceduto alla immediata<br />
fucilazione.<br />
La risposta <strong>della</strong> resistenza aretina non si fece attendere e si tradusse nella<br />
suggestiva “notte dei fuochi”: alle 21.15, ad un segnale prestabilito, i crinali delle<br />
zone montuose, dall’Alpe di Catenaia all’Alpe di Poti, si illuminarono di grandi falò,<br />
in aperto atto di sfida verso il nemico occupante e segnale importante <strong>della</strong><br />
consistenza numerica e <strong>della</strong> compattezza del movimento.<br />
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Tra la metà di maggio e l’inizio di giugno la rottura <strong>della</strong> Linea Gustav a<br />
Cassino sancisce una rapida ripresa dell’avanzata alleata, che culmina il 4 giugno<br />
con la liberazione di Roma, dopodichè gli anglo-americani si distribuiscono lungo<br />
due direttrici: da una parte la valle del Tevere, in direzione di Perugia, Arezzo, per<br />
puntare quindi su Firenze; dall’altra il versante occidentale, verso Grosseto,<br />
Livorno e Pisa. Tutto procede piuttosto rapidamente almeno fino al 20 giugno, poi<br />
c’è un sensibile rallentamento sul lago Trasimeno, lungo la Linea Albert, che<br />
correva da Castiglion <strong>della</strong> Pescaia al mar Adriatico, dove si ebbero una serie di<br />
scontri durissimi con i quali i tedeschi, applicando la “difesa attiva”, tentarono di<br />
guadagnare tempo per irrobustire la Linea Gotica, contando così di fermare i<br />
nemici.<br />
19
Come è facile intuire il territorio aretino si trova stretto in una morsa,<br />
proprio nel momento in cui viene adottata la strategia <strong>della</strong> “ritirata aggressiva”,<br />
fissata da Hitler e messa in atto da Kesselring, che comporta l’utilizzo di metodi<br />
feroci e brutali, ben oltre la già di per sé dura condotta di guerra: si vuol<br />
procedere ad una bonifica del territorio sia in prossimità del fronte sia più<br />
lontano, in modo da muoversi senza incontrare ostacoli.<br />
Ma il movimento partigiano acquista, se possibile, nuova linfa, soprattutto<br />
nell’intensità delle azioni, anche in conseguenza del proclama del 6 giugno,<br />
ribadito da altri due messaggi del 7 e del 9 giugno, da parte del generale<br />
britannico Alexander, Comandante delle Forze alleate nel Mediterraneo, che<br />
incita a raddoppiare gli sforzi, uccidere i tedeschi, distruggere i loro trasporti. Le<br />
testimonianze dei generali nell’immediato dopoguerra ci restituiscono una<br />
situazione di allarme permanente, lo stesso Kesselring, nelle sue memorie, ricorda<br />
le preoccupazioni di fronte al repentino allargarsi <strong>della</strong> guerriglia:<br />
Dopo l’abbandono di Roma si ebbe un inasprimento dell’attività partigiana, in misura per<br />
me affatto inattesa. Questo periodo di tempo può essere considerato come la data di<br />
nascita <strong>della</strong> “guerra partigiana illimitata” in Italia. L’afflusso di nuovi elementi alle bande,<br />
che agivano specialmente tra il fronte e gli Appennini, andò intensificandosi in modo<br />
visibile *…+. A partire da quell’epoca la guerra partigiana diventò per il comando tedesco<br />
un pericolo reale, la cui eliminazione era un obiettivo di importanza capitale. 4<br />
Anche il generale von Senger und Etterlin, comandante del XVI Corpo<br />
d’armata corazzato, vede come momento di svolta <strong>della</strong> guerra lo sfondamento<br />
degli alleati e la ritirata verso l’Arno, allorché i gruppi, senza organizzazione<br />
militare, distintivi, e in grado di tenere sotto controllo il territorio, iniziano ad<br />
attaccare alle spalle i tedeschi che, in evidente difficoltà, prendono di mira la<br />
popolazione civile con una brutalità che ha essenzialmente un obiettivo punitivo.<br />
La situazione è attentamente monitorata dall’ Ic-Abteilung dello Stato<br />
maggiore <strong>della</strong> 14ª Armata (Armeeoberkommando 14) che, durante i mesi di<br />
permanenza in Toscana, diffonde bollettini sull’attività nemica nel suo complesso:<br />
eserciti alleati, formazioni partigiane e popolazione civile, vista sempre e<br />
comunque con sospetto. 5 L’ufficio esaminava le informazioni che giungevano dai<br />
comandi delle Divisioni e dei Corpi d’armata subordinati e le inviava<br />
tempestivamente al comando del maresciallo Kesselring; ai comandi ed alle<br />
truppe arrivavano i supporti documentari su cui basare l’ azione repressiva. Gli<br />
4 Albert Kesselring, Memorie di guerra, Milano, Garzanti, 1954, p. 252<br />
5 A livello del comando di armata, l’ufficio era composto dall’Ic-Offizier, il titolare, l’Ic-AO,<br />
l'ufficiale del controspionaggio militare, ed un ufficiale assistente<br />
20
strumenti di questo lavoro di intelligence erano i bollettini giornalieri (Ic-<br />
Tagesmeldungen), quelli periodici, bisettimanali o mensili (Ic-<br />
Bandenlageberichte), e le carte <strong>della</strong> situazione e dell'attività partigiana (Ic-<br />
Bandenlagekarten).<br />
Mappa dell’esercito tedesco<br />
Nelle settimane successive vengono diramati nuovi ordini: è del 17 giugno<br />
1944 la particolarmente severa Nuova regolamentazione per la lotta alle bande,<br />
che non esita a violare le norme esplicitate dai trattati internazionali, autorizzando<br />
metodi crudeli nei confronti dei civili, considerati senza distinzione di sorta<br />
complici dei partigiani, e garantendo inoltre l’impunità per i comandanti:<br />
La situazione dei partigiani in Italia, particolarmente nel centro Italia, si è recentemente<br />
acutizzata, e ciò costituisce un serio pericolo per le truppe combattenti e per i rifornimenti,<br />
sia per ciò che concerne il materiale bellico, sia per il potenziale economico. La lotta contro<br />
i partigiani deve essere condotta con tutti i mezzi a nostra disposizione e con la maggiore<br />
severità. Io proteggerò quei comandanti che eccedessero nei loro metodi di lotta ai<br />
partigiani. In questo caso suona bene il vecchio proverbio che dice: meglio sbagliare la<br />
scelta del metodo ma eseguire gli ordini, che essere negligenti o non eseguirli affatto.<br />
Soltanto la massima prontezza e la massima severità nelle punizioni saranno valido<br />
deterrente per stroncare sul nascere altri oltraggi o per impedire la loro espansione. 6<br />
Kesselring autorizza di fatto massacri indiscriminati, dopo i quali si<br />
complimenta con i suoi per le “brillanti” operazioni compiute:<br />
6 M. Battini - P. Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro.<br />
Toscana 1944, Venezia, Marsilio, pagg 424 e ss.<br />
21
L’appartenenza al movimento partigiano non era più stabilita sulla base di elementi di<br />
carattere militare (il possesso di armi, l’indossare un uniforme, il vivere in accampamenti),<br />
bensì su supposizioni e consapevolmente anche la popolazione civile ne fu considerata<br />
parte. La durezza delle misure dipese in gran parte dai comandanti locali, che avevano<br />
ampia autonomia nel realizzare i loro compiti (…). Dopo che per tre mesi gli ordini<br />
draconiani erano stati ripetuti in modo martellante, ad ogni unità tedesca operante in<br />
Italia dovette apparire evidente che i comandi militari si aspettavano nei cosiddetti<br />
“Bandengebiete” (zona di bande) un comportamento spietato nei confronti <strong>della</strong><br />
popolazione civile. Più alto era il numero dei morti che si poteva comunicare nel rapporto<br />
al Comando supremo, maggiore l’encomio da parte di Kesselring. 7<br />
Kesselring sul fronte italiano<br />
È ora che si collocano le stragi di Palazzo del Pero.<br />
La relazione del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri Reali, stilata il<br />
7 agosto 1944, fa riferimento in primo luogo ad un’uccisione isolata, il 17 giugno,<br />
di un giovane patriota di cui non viene menzionato il nome. Tale fatto però<br />
appartiene al ricordo di Sebastiano Buzzini:<br />
A San Donnino fu fucilato un ragazzo, non sappiamo il nome, aveva 20 anni: sentii urla, lo<br />
picchiavano perché volevano informazioni sui partigiani. Lo fecero appoggiare con le mani<br />
7 L. Klinkhammer, Le stragi naziste in Italia, Roma, Donzelli, 2006, p. 94<br />
22
alzate al capanno vicino alla chiesa e gli spararono. Io scappai impaurito. Nella parete<br />
sono rimasti due buchi. 8<br />
Il 23 giugno due tedeschi si trovano a passare nella zona a bordo di un<br />
sidecar; attratti da un albero di ciliegie, si fermano: sono colpiti da una raffica di<br />
spari, vengono feriti, uno muore. La risposta è immediata: una quarantina di<br />
uomini del paese sono radunati all’Ufficio dell’Anagrafe, scelti i 10 più giovani,<br />
condotti sulla strada che da Palazzo del Pero porta a Molin Nuovo, in località<br />
Muraglione - zona anche chiamata Intoppo -, fatti allineare sul lato destro <strong>della</strong><br />
strada. Gli uomini si stringono in un abbraccio disperato, mentre il plotone di<br />
esecuzione apre il fuoco. Per essere sicuri <strong>della</strong> loro morte viene sparato un colpo<br />
di grazia a distanza ravvicinata. Verranno inoltre bruciate 3 case.<br />
Muraglione<br />
8 Testimonianza raccolta il 14 maggio 2010 in occasione del ciclo di incontri I venerdì di<br />
Palazzo del Pero. Conversazioni sulla storia <strong>della</strong> Valcerfone<br />
23
Piazzetta dell’eccidio<br />
Il terrore per quanto accaduto si diffonde nella comunità, accompagnato<br />
dalla rabbia di chi vuole vendicare quelle 10 morti innocenti: il medico di Palazzo<br />
del Pero, dottor Stanghellini, avverte Curina che i partigiani hanno deciso di<br />
eliminare i prigionieri detenuti nel campo di Marzana, a est di Cortona, nella zona<br />
del Monte Favalto. Curina si oppone, sono inviate due ragazze ad avvertire di un<br />
incontro: dopo 2 ore di accese discussioni la posizione di Curina ha<br />
fortunatamente la meglio. 9<br />
Il 1° luglio Kesselring ribadisce gli ordini del 17 giugno, indicando inoltre, tra<br />
le misure da adottare<br />
(...) arresti nelle zone in cui fossero presenti partigiani e, nel caso di episodi di violenza,<br />
l’immediata fucilazione. In presenza di numeri considerevoli di gruppi partigiani una parte<br />
<strong>della</strong> popolazione maschile di quell’area doveva essere arrestata. Nel caso in cui fossero<br />
stati commessi di atti di violenza, questi uomini sarebbero stati uccisi. La popolazione<br />
doveva essere informata di ciò. Nel caso in cui le truppe fossero state fatte oggetto di<br />
attacchi di fuoco da un villaggio, quel villaggio sarebbe stato bruciato. Gli esecutori<br />
dell’azione o i leader che guidavano il gioco sarebbero stati impiccati pubblicamente (…)<br />
9 E. Droandi, Arezzo distrutta, Cortona, Calosci, 1995, p. 166<br />
24
Tutte le contromisure devono essere dure ma giuste. Lo richiede la dignità del soldato<br />
tedesco.<br />
Le segnalazioni <strong>della</strong> situazione partigiana da parte dell’IC Abteilung si<br />
infittiscono a partire da questi giorni e, dal 2 luglio in avanti, i bollettini diventano<br />
quotidiani.<br />
La violenza si ripresenta agli abitanti <strong>della</strong> Valcerfone, questa volta nella<br />
fattoria di Badicroce, situata a 4 Km da Palazzo nel Pero.<br />
Ingresso <strong>della</strong> fattoria<br />
Le notizie sull’episodio sono frammentarie, talvolta discordanti per quanto<br />
riguarda il numero dei caduti: alcune fonti parlano di almeno trenta morti; Enzo<br />
Droandi presenta un elenco di 17 vittime, corredato da alcuni punti interrogativi<br />
relativi ai luoghi di provenienza ed all’età. Nel PRO - Public Record Office -, sezione<br />
War Office di Londra, che raccoglie le testimonianze dell’epoca, l’episodio è<br />
contenuto nel fascicolo 204/11480 - X.C. - 15843 Badicroce, firmato da R. W.<br />
Carlile e datato 17 aprile 1945, dove si parla di 16 vittime civili. Gli ultimi studi, in<br />
particolare il progetto portato avanti dal Gruppo di Ricerca sulle Stragi Nazisti del<br />
Dipartimento di Storia Contemporanea dell’Università di Pisa, che ha effettuato<br />
un censimento delle stragi in Toscana, hanno riconfermato il dato di 17 morti. 10<br />
Tutto ha inizio dalla metà di giugno, quando i tedeschi arrivano a Badicroce<br />
e, fin da subito, palesano aggressività e prepotenza; spesso, nei giorni successivi,<br />
si recano alla fattoria, di proprietà del dottor Alberto Lisi e <strong>della</strong> moglie Derna,<br />
chiedendo cibo e razziando tutto ciò di cui avevano bisogno; dalle colline<br />
circostanti partono colpi nella loro direzione.<br />
10 www.stm.unipi.it.<br />
25
Colline attorno a Badicroce<br />
Pochi giorni dopo la scena si ripete con maggior crudezza, ma non è chiaro<br />
se ci siano stati feriti o morti tra i soldati 11 ; questi rispondono sparando in aria, al<br />
proprietario <strong>della</strong> fattoria, ai piedi di una povera contadina che cammina.<br />
Ritenendo tutti i civili, a vario titolo, collusi con le bande partigiane, cominciano a<br />
profferire accuse, passando ben presto all’azione. Il 30 giugno un centinaio di<br />
tedeschi, equipaggiati di carrarmati, si ripresentano e mettono a ferro e fuoco<br />
l’abitato di Badicroce; il 1 luglio sono circa 150, si impossessano <strong>della</strong> fattoria,<br />
saccheggiano le case cacciando i proprietari, talvolta le bruciano, sparano<br />
cannonate verso le abitazioni delle montagne, prendono ostaggi, stuprano donne.<br />
Il controllo del territorio deve servire ad un agevole passaggio delle truppe, che<br />
fanno da spola tra il fronte e il presidio militare di Arezzo e non si vogliono pericoli<br />
in vista; il fermo delle persone serve anche per eventuali ritorsioni,<br />
continuamente intimate per scoraggiare attacchi da parte dei partigiani.<br />
Il 3 luglio c’è la cattura di alcuni uomini nell’abitato di Palazzo del Pero, il<br />
loro trasferimento a Badicroce, la loro esecuzione: i primi a cadere sotto i colpi del<br />
fuoco tedesco sono Angelo e Virgilio Bianchini, padre e figlio, e Angelo Romanelli,<br />
mugnaio del paese, suocero di Virgilio. Due famiglie distrutte. È d’ora in poi che i<br />
fatti si fanno confusi: è certo però che, almeno fino al 9-10 luglio, abbiamo<br />
sequestri, violenze, morti. Tra le famiglie rastrellate c’è quella dei Brunetti:<br />
l’anziano Epifanio, claudicante, è spintonato, fatto cadere per terra e infine ucciso.<br />
11 Le testimonianze raccolte discordano; nei documenti esaminati si parla genericamente di<br />
spari provenienti dalle colline circostanti<br />
26
Si segnala, sempre il 3 luglio, la scomparsa di Sabatino Conticini, rinvenuto senza<br />
vita nei giorni seguenti.<br />
La base operativa dei tedeschi è posta nella stalla dell’Aia Vecchia, una casa<br />
colonica dentro il complesso di Badicroce, gestita dal contadino Luigi Cangi, il cui<br />
destino è presto segnato: visto per l’ultima volta in vita attorno alle ore 10 del 4<br />
luglio, il suo cadavere e quello <strong>della</strong> moglie Pasqua Lazzarotto saranno ritrovati il<br />
giorno seguente, assieme al corpo di Luigi Carnesciali, dalla figlia Amerite. Dal<br />
pomeriggio dello stesso giorno si perdono le tracce di Giuseppe Caselli, Enzo Cangi<br />
e Nello Crulli.<br />
Nella stalla sono raccolte molte persone, almeno 27, costrette a dormire sul<br />
pavimento: tra queste Olga Badini, sfollata da Arezzo, sottoposta come tutti gli<br />
altri a massacranti lavori di forza, soprattutto scavi di trincee per il<br />
posizionamento di mitragliatrici. È subito presa di mira per il suo carattere<br />
indomito e coraggioso, restia a piegarsi alle sopraffazioni e spesso schieratasi in<br />
difesa delle ragazze maltrattate: scompare il 9 luglio, dopo essere stata chiamata<br />
fuori <strong>della</strong> stalla dell’Aia Vecchia; il suo cadavere, mezzo sepolto da un cumulo di<br />
terra e orrendamente straziato, verrà trovato più tardi in località Ranchino.<br />
Strada che conduce alle vallate dell’eccidio<br />
L’8 luglio c’è la cattura di Antonio Faralli, di Vitiano: i tedeschi si fingono<br />
inglesi e gli chiedono dove sono posizionate le trincee; lui le indica, cadendo nel<br />
27
tranello perfidamente ordito. Trasferito ad Aia Vecchia, è costretto a scavare una<br />
fossa, presagio del suo destino, maltrattato e torturato fisicamente e<br />
psicologicamente, infine ucciso.<br />
Un testimone dell’epoca è Pietro Seri, che racconta anche di 11 civili<br />
catturati e portati con la forza a Frugnolo, dove vengono rinchiusi in una stanza di<br />
Villa Sandrelli. Le sue parole permettono anche di ricostruire la vicenda di don<br />
Paolo Roggi, prete <strong>della</strong> Congregazione dei Maristi che, nel tratto di strada verso<br />
S. Andrea a Pigli, viene fermato, perquisito e trovato in possesso di un’arma,<br />
consegnatagli da un uomo terrorizzato da un’eventuale perquisizione e che lui<br />
non aveva esitato a prendere con sè: picchiato, torturato, preso a frustate,<br />
dileggiato, è alla fine ucciso a colpi in testa.<br />
Nell’imminenza <strong>della</strong> liberazione di Arezzo, dove gli inglesi entrano il 16<br />
luglio, e mentre i soldati neozelandesi iniziano a dilagare nella zona di Lignano, la<br />
violenza continua: Bernardo Rossi e Giovanni Monanni, catturati rispettivamente<br />
il 16 e il 17 luglio, vengono ritrovati legati insieme in una fossa, probabilmente<br />
morti soffocati.<br />
Le storie delle vittime di Badicroce, così come quelle di tutti i caduti, sono<br />
storie dolorose. Padri, madri, figli, fratelli sono strappati agli affetti più cari ma<br />
non perché “è la guerra”: quegli episodi sono da configurare non come azioni<br />
belliche, ma come veri e propri crimini che violano ogni legge e ogni convenzione<br />
internazionale.<br />
Le prime indagini pongono l’accento su azioni di rappresaglia e rilevano<br />
anzitutto la responsabilità di Kesselring: è significativa in tal senso la relazione<br />
German Reprisals for Partisan Activity in Italy, <strong>della</strong> fine del 1945, che tra i 22<br />
episodi fully investigated cita anche Palazzo del Pero e Badicroce. Tuttavia, a<br />
queste ipotesi, si intrecciano altri filoni investigativi e prende piede, già<br />
nell’immediato, la convinzione che in Italia si sia combattuta una “guerra ai civili”:<br />
appena un mese dopo l’armistizio lo Stato Maggiore dell’Esercito dirama una nota<br />
affinché si cerchino prove per atti di barbarie compiuti da nazisti e fascisti;<br />
successivamente i vari Comitati di Liberazione Nazionale iniziano a ricevere<br />
denunce ed esposti, e in Toscana viene istituita, alla fine del ’44, una Commissione<br />
di indagine sui crimini nazisti e fascisti, con sede a Firenze, con lo scopo preciso,<br />
oltre che di fornire dati statistici, di accertare le atrocità commesse dall’8<br />
settembre alla Liberazione e di punire i colpevoli. Nelle settimane successive<br />
commissioni di tal tipo sorgono in altre province.<br />
Il 9 luglio 1945 un ufficiale <strong>della</strong> British War Crime Section parla<br />
chiaramente di una “sistematica politica di sterminio, di saccheggi, di pirateria e di<br />
terrorismo”, sottolineando proprio come le operazioni contro i civili fossero<br />
attentamente pianificate. Gli studi più recenti sono concordi sulla definizione di<br />
28
“guerra ai civili”, a partire da un ben preciso “sistema degli ordini” che muove<br />
dagli alti vertici militari fino a raggiungere i gradi più bassi dell’esercito. La<br />
spietatezza delle azioni prescinde molto spesso dalla presenza delle bande sul<br />
territorio ed ha soprattutto funzione preventiva, intimidatoria e punitiva. Lo<br />
studio portato avanti da Paolo Pezzino Guerra ai civili. Per un atlante delle stragi<br />
naziste in Italia, che collima con i risultati del gruppo di ricerca coordinato da Enzo<br />
Collotti, testimonia come l’80% delle stragi, in Toscana e in altre regioni, non<br />
debba attribuirsi a rappresaglie per azioni partigiane, ma siano di natura diversa:<br />
solo in pochi casi c’è la risposta ad una qualche azione partigiana, per lo più si<br />
tratta di atti deliberati che fanno capo ad una vera e propria “politica delle stragi”,<br />
in cui entra in gioco una ferocia gratuita. 12<br />
Il tiro <strong>della</strong> violenza si è alzato e si alzerà ancora, per il desiderio di punire<br />
quegli italiani, razza inferiore, che hanno tradito e di cui non ci si può fidare.<br />
12 I. Tognarini, (a cura di) La guerra di liberazione in provincia di Arezzo 1943-1944,<br />
Amministrazione provinciale di Arezzo, 1987, pp. 51-53; P. Pezzino, Guerra ai civili. Le<br />
stragi tra storia e memoria, in “Passato presente”, Anno XXI (2003), n°58.<br />
29
LE RESPONSABILITÀ<br />
30<br />
Meditate che questo è stato<br />
Primo Levi<br />
Dall’aprile all’agosto 1944 la provincia di Arezzo è tra le più colpite dalla<br />
ferocia tedesca, in uno stillicidio pressoché quotidiano di efferatezze: la fredda<br />
evidenza dei numeri parla di 971 episodi di violenza (stragi, saccheggi, stupri) e<br />
951 vittime sotto i colpi <strong>della</strong> Wehrmacht e delle SS, spesso coadiuvate dai<br />
repubblichini di Salò 13 . Tutta la Toscana paga un prezzo altissimo: 80 comuni<br />
preda <strong>della</strong> violenza dei nazifascisti, 4461 vittime 14 .<br />
Le stragi nel Comune di Arezzo<br />
Nel territorio, nell’estate del 1944, gravita la Divisione Herman Göering<br />
guidata dal Wilhelm Schmaltz, colonnello poi promosso generale, e composta da<br />
13 Fonte Carte USSME, 27, Arezzo, Specchio riepilogativo, 23 aprile 1945.<br />
14 Dati <strong>della</strong> Presidenza del Consiglio. Un elenco delle stragi compiute in Italia dai reparti<br />
tedeschi è stato compilato da Carlo Gentile per il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa<br />
sulla base <strong>della</strong> documentazione conservata presso gli archivi tedeschi, presso il Public<br />
Record Office di Londra e i National Archives di Washington, oltre che sulla bibliografia<br />
sull’argomento; lo stesso gruppo ha pubblicato sul sito del Dipartimento una tabella<br />
sinottica sulle stragi nella regione Toscana.
circa 16.000 soldati in giovanissima età, 18-19 anni, che avrebbero lasciato il<br />
fronte italiano a partire dal 15 luglio, a ridosso <strong>della</strong> liberazione di Arezzo, per<br />
dirigersi in Polonia, dove alcuni reparti furono impiegati nei combattimenti di<br />
Varsavia di agosto. La 16ª Divisione ReichsführerSS-Panzergrenadier, comandata<br />
da Max Simon, si distingueva per la sua spiccata crudeltà: ai posti di comando<br />
c’erano SS provenienti da campi di concentramento, ufficiali che si erano<br />
macchiati dei peggiori crimini di guerra sul fronte orientale, compiendo stragi di<br />
ebrei e di partigiani in Bielorussia e nei Balcani.<br />
La I Compagnia <strong>della</strong> Feldgendarmerie-Abteilung (mot) 692, reparto di<br />
polizia militare rastrella a Palazzo del Pero, il 24 giugno, gli uomini destinati a<br />
morire al Muraglione, mentre i responsabili di Badicroce sono i militari del<br />
Grenadier Regiment-274, reparto dipendente dalla 94ª Divisione di fanteria<br />
aggregato, in queste convulse settimane, alla 305ª Divisione di fanteria guidata<br />
dal colonnello Wolf Ewert, di lì a poco protagonista di un altro massacro, l’eccidio<br />
di S. Polo. Un ufficiale <strong>della</strong> divisione era Heinz Barz, tra gli autori <strong>della</strong> strage di<br />
Civitella in Val di Chiana del 29 giugno 1944.<br />
Max Simon Wolf Ewert<br />
Queste informazioni provengono dalla Special Investigation Branch, gruppo<br />
di inchiesta inglese istituito già nel 1944, parallelo ad un gruppo d’indagine<br />
americano; le testimonianze dei coniugi Lisi e di Vanda Occhini, la cui abitazione a<br />
S. Donnino era stata requisita dai tedeschi per insediarvi il Platzkommandatur, e<br />
nella quale vengono lasciati documenti probanti, portano alla ribalta i seguenti<br />
nomi, di cui non sappiamo però nient’altro: il maggiore Oskar von Jagwitz, il<br />
sottufficiale Hans Deutsch, i soldati Carl Lehne e Oscar Mueller. Tutti i fascicoli a<br />
loro carico furono inviati alla Procura Generale Militare ma, a questo punto,<br />
comincia un’altra vicenda, non altrettanto tragica ma parimenti dolorosa per chi<br />
nutriva la speranza che la giustizia potesse, infine, trionfare.<br />
Tutto è da mettere in relazione con il famigerato “armadio <strong>della</strong> vergogna”.<br />
La vicenda è nota. Grazie all’intervento del procuratore militare Antonino<br />
Intelisano, nel 1994, finalmente, si perlustrò a fondo la sede <strong>della</strong> Procura<br />
31
Generale Militare di Roma, sita a Palazzo Cesi in via degli Acquasparta, alla ricerca<br />
di documenti di cui si sapeva l’esistenza, nello specifico prove a carico del<br />
capitano delle SS Eric Priebke, incriminato per la strage delle Fosse Ardeatine. In<br />
un locale al pianterreno, una specie di sottoscala nascosto e semibuio, chiuso da<br />
un cancello in ferro, fu trovato un armadio con le ante sigillate e rivolte contro<br />
una parete, da cui saltarono fuori ben 695 fascicoli riguardanti i crimini commessi<br />
dai nazifascisti. 15 Nel gennaio 1960, l’allora Capo <strong>della</strong> Procura Enrico Santacroce<br />
aveva apposto sugli incartamenti la dicitura “archiviazione provvisoria” –<br />
procedimento tra l’altro inesistente e pertanto illegale. È questo l’ultimo di una<br />
serie di interventi ad opera di altrettanti procuratori generali mossi non da<br />
volontà e convincimenti personali, bensì da una precisa “ragion di Stato” che<br />
prende quota nell’immediato dopoguerra, in piena Guerra Fredda: non è<br />
opportuno che l’Italia processi e condanni criminali tedeschi, ora che la Germania<br />
è sua alleata in seno alla Nato e in virtù del suo importante ruolo in funzione<br />
antisovietica. Dice Lutz Klinkhammer, esperto di Storia contemporanea e<br />
collaboratore dell’Istituto Storico germanico di Roma:<br />
L’avvio di processi penali contro centinaia di criminali di guerra tedeschi negli anni<br />
Cinquanta e Sessanta, avrebbe sicuramente creato delle difficoltà per l’immagine<br />
internazionale <strong>della</strong> Germania nonché per la sua integrazione europea. Il problema si<br />
sarebbe aggravato, poi, per la mancata estradizione degli accusati, con una sfilata di<br />
processi in contumacia che avrebbero rafforzato nell’opinione pubblica l’immagine<br />
negativa <strong>della</strong> Germania.<br />
In un clima postbellico in cui si desidera solo mettere la parola fine su ciò<br />
che è stato, tra il 1947 e il 1951 vengono celebrati solo 13 processi, fra cui quello<br />
contro Wilhelm Schmalz, assolto per le stragi dell’aretino dal tribunale militare<br />
territoriale di Roma nel luglio 1950, e contro Walter Reder, condannato<br />
nell’ottobre dell’anno seguente sia per episodi in Toscana che per la<br />
responsabilità <strong>della</strong> strage di Marzabotto del 29 settembre 1944.<br />
Nella maggior parte dei casi si era a conoscenza di nomi e cognomi: 415<br />
fascicoli recano l’identità di italiani e tedeschi ritenuti responsabili, 280 sono a<br />
carico di ignoti ma indagini condotte nell’immediato avrebbero agevolmente<br />
facilitato il riconoscimento, basti pensare che l’United War Crimes Commission<br />
raccoglie la documentazione per una futura incriminazione già dal gennaio 1944.<br />
Inoltre, dal novembre 1944, il Ministero degli Esteri, d’intesa con la Presidenza del<br />
Consiglio, e con la collaborazione del Ministero <strong>della</strong> Guerra, del Ministero di<br />
Grazia e Giustizia e del Ministero dell’Interno, aveva avviato ricerche sulle zone<br />
15 Pare che in realtà i fascicoli siano stati trovati non in un armadio, ma nel mezzanino.<br />
32
liberate per documentare le stragi e le distruzioni compiute dalla forza di<br />
occupazione tedesca e per compilare quindi una lista di criminali di guerra che, in<br />
base alla dichiarazione sottoscritta dalla Conferenza di Mosca del 30 ottobre<br />
1943, sarebbero stati da porre sotto inchiesta. All’indomani <strong>della</strong> Liberazione le<br />
prove sui crimini nazisti furono raccolte da una Commissione centrale, istituita<br />
presso il Ministero per l’Italia occupata e presieduta dal sottosegretario<br />
Aldobrando Medici-Tornaquinci. Gli alleati offrirono piena disponibilità a<br />
coadiuvare gli italiani nelle indagini.<br />
Ma solo a distanza di 50 anni, nelle comprensibili difficoltà, si è potuto<br />
agire: i fascicoli, tra il 1994 e il 1996, furono trasmessi alle procure competenti,<br />
per la Toscana quella di La Spezia guidata dal procuratore Marco De Paolis, e<br />
ebbero inizio i processi, per la maggior parte dei quali si è dichiarato il non luogo a<br />
procedere per prescrizione o per il decesso degli imputati; laddove non ci fossero<br />
queste condizioni, le udienze si sono svolte ma in contumacia, poiché una legge<br />
tedesca impedisce di fatto l’estradizione senza il consenso del diretto interessato.<br />
Per fare chiarezza sulle responsabilità dell’occultamento dei fascicoli, fu<br />
istituita nel 2003 una Commissione parlamentare d’inchiesta, i cui lavori si sono<br />
chiusi nel febbraio 2006.<br />
Dal momento del ritrovamento dei fascicoli, sono stati celebrati solo tre<br />
processi; molte istruttorie risultano ancora aperte, fra queste c’è Badicroce 16 : il<br />
fascicolo è stato rubricato a La Spezia come fasc. 235/01, unito al 377/96. Gli<br />
inquirenti inglesi indicano il generale Rodt <strong>della</strong> 15 Panzer Grenadier Division<br />
come persona a conoscenza <strong>della</strong> verità e degli esecutori materiali, ma la<br />
responsabilità, sia di questi che di molti altri fatti, furono attribuite a Albert<br />
Kesselring, in qualità di mandante per gli ordini diffusi nel mese di giugno.<br />
Tuttavia, nel corso del dibattimento tenutosi a Venezia tra il 17 febbraio e il 6<br />
maggio 1947, l’avvocato difensore Hans Laternser ha sostenuto l’inconsistenza<br />
delle accuse ed è riuscito a far cadere il capo di imputazione. Nei confronti di<br />
Kesselring, così come per molti altri, il primo pronunciamento di pena capitale è<br />
commutato in ergastolo, e poi in una progressiva diminuzione <strong>della</strong> pena fino alla<br />
scarcerazione, avvenuta “per gravi motivi di salute” nel 1952. E lo stesso tocca ai<br />
generali von Mackensen e Mälzer, processati per le Fosse Ardeatine, condannati a<br />
morte il 20 novembre 1946 e all’ergastolo il 29 giugno 1947. Il 26 giugno 1947,<br />
sempre a Padova, si conclude il processo contro il generale Max Simon,<br />
condannato a morte e poi all’ergastolo, trasferito in Germania per scontare la<br />
pena e quindi scarcerato nel 1954.<br />
16 F. Giustolisi, Le stragi <strong>della</strong> vergogna. Eccidi senza colpevoli in “L’Espresso”, 13 agosto<br />
2002<br />
33
Per quanto riguarda la strage del Muraglione, i verbali redatti dai<br />
Carabinieri tra settembre e ottobre 1944, sono ora pubblicati sul sito Internet del<br />
quotidiano Il Tirreno 17 . Nel Public Record Office, sezione War Office, fascicolo<br />
310/106, con procedimento <strong>della</strong> Court of Inquiry, troviamo il resoconto di<br />
udienze tenutesi ad Arezzo dal 20 al 22 dicembre 1944 contro i contumaci<br />
maggiore van Werden, tenente Dreyhaupt, e sottotenente Zundorf, individuati<br />
come colpevoli. Il processo si protrasse per 3 giorni, furono sentiti 24 testimoni,<br />
concordi nella ricostruzione dell’episodio. Il caso fu archiviato il 14 gennaio 1960,<br />
ritrovato nell’“armadio” e trasmesso alla Procura militare di La Spezia l’8 marzo<br />
1995, fasc. 221/96 e fasc. 293/96. Dopo una breve istruttoria, il 26 marzo 2002 è<br />
stato archiviato.<br />
Molti parenti delle vittime delle stragi del ’44 si stanno tuttora battendo per<br />
arrivare alla verità, supportate dalla Regione Toscana, che nel 1999 ha varato la<br />
legge 59 finalizzata a salvare la memoria delle stragi nazifasciste, e dalla Provincia<br />
di Arezzo, che si sono costituite parte civile: nel 1998 i sindaci dei comuni di<br />
Bucine, Cavriglia, Civitella <strong>della</strong> Chiana, Stia hanno incaricato lo storico Carlo<br />
Gentile di fare piena luce sulle vicende e l’indagine ha prodotto una relazione,<br />
corredata da nomi e cognomi, che è stata consegnata alla Procura militare di La<br />
Spezia.<br />
Tra ottobre 2008 e agosto 2009 ci sono state una serie di condanne<br />
definitive per le stragi di Civitella, Fivizzano, Fosdinovo, Falzano di Cortona.<br />
L’accusa, qui come altrove, è quella di<br />
azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso in parte in ossequio alle direttive del<br />
comando di appartenenza ma anche di propria iniziativa sempre e comunque aderendo al<br />
programma criminale, senza necessità e senza giustificato motivo, per cause estranee alla<br />
guerra e anzi nell’ambito e con finalità di ampie operazioni punitive contro i partigiani e la<br />
popolazione civile. (…) la morte di numerosi privati cittadini italiani che non prendevano<br />
parte alle operazioni militari fra cui donne, anziani e bambini inermi, agendo con crudeltà<br />
e premeditazione. 18<br />
Molti si chiedono se, a distanza di tanti anni, abbia un senso continuare a<br />
cercare i nomi dei colpevoli, uomini di 80-90 anni, anziani, malati o deceduti. Sì,<br />
ha un senso, è un segno vitale di democrazia e di civiltà, senza desiderio di<br />
vendetta e senza perpetrare rancori, ma per arrivare ad un’ultima verità.<br />
“Chiedere giustizia anche mezzo secolo dopo”, commenta Leonardo Paggi,<br />
17 http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2007/07/18/news/gli-atti-integrali-delle-<br />
inchieste-sulle-stragi<br />
18 Stralcio <strong>della</strong> chiusura delle indagini in C. Fusani, Stragi naziste, a giudizio<br />
sessantacinque anni dopo, “L’Unità” 5 marzo 2009<br />
34
docente di Storia contemporanea all’Università di Modena “non significa voler<br />
fare vendetta. Significa ridare volti e nomi ai massacratori. Perché la storia non si<br />
può scrivere solo con le testimonianze delle vittime”. Claudio Martini, Presidente<br />
<strong>della</strong> Regione Toscana dal 2000 al 2010, ha così commentato: “Non ci ha animato<br />
alcun desiderio di vendetta, sentimento che non ci appartiene, ma il bisogno di<br />
scrivere una parola di verità su questa terribile pagina di storia. Anche se sono<br />
passati 65 anni non dobbiamo mai dimenticare quello che è successo: queste<br />
atroci vicende devono servire alle giovani generazioni a far crescere e a coltivare<br />
una cultura di pace e di rispetto fra i popoli”. 19<br />
19 In “Toscana Oggi”, 26 giugno 2009<br />
Non si può non essere d’accordo.<br />
35
TESTIMONIANZE<br />
A distanza di 66 anni, sembra tutto come ieri: il tempo si è fermato per<br />
coloro che hanno toccato con mano il dolore, lo strazio, la morte. Gli occhi si<br />
fanno lucidi, le mani si contorcono, la voce trema, ma il ricordo è lì, immutato e<br />
immutabile: le parole si trasformano in immagini e ci proiettano in un attimo<br />
nell’estate di sangue del ’44. Le fucilazioni, le cannonate, i bombardamenti, si<br />
intrecciano con la vita quotidiana, tra le difficoltà di portare sulla tavola un pezzo<br />
di pane, mentre i padri sono in guerra e i giovani alla macchia. Con le persone<br />
incontrate, che in quegli anni erano ragazzi, talvolta poco più che bambini,<br />
abbiamo rivissuto la drammatica atmosfera di quel periodo. Ma quello che<br />
colpisce, in questi racconti, è la tenacia, la voglia di non arrendersi, di non lasciarsi<br />
sopraffare anche quando tutto sembra perduto. È un prezioso messaggio: la vita<br />
che trionfa, sempre e comunque.<br />
Franco Blasi<br />
A Badicroce, oggi, non è possibile entrare. Dentro c’è una valle con un<br />
rigagnolo, una strada che sale su e una fattoria; c’è una chiesa antichissima, c’era<br />
una comunità religiosa. È una cosa che fa parte <strong>della</strong> storia di queste contrade.<br />
Interno <strong>della</strong> Chiesa di Badicroce<br />
Per vari motivi non ci fanno entrare, i rapporti tra la proprietà e la gente del<br />
posto si sono inaspriti. Noi, come Circoscrizione, andavamo su a portare una<br />
corona, nel luogo dove è accaduta la parte più grande dell’eccidio, ma non ci<br />
siamo più potuti entrare. Allora abbiamo deciso di collocare il monumento ai<br />
caduti da un’altra parte, vicino alla chiesa: alle spalle di questo luogo ci sono le<br />
colline all’interno delle quali sono avvenuti i fatti.<br />
36
Le fonti sono dure da reperire anche perché i fatti, quelli veri, li sanno solo<br />
quelli che sono morti.<br />
Noi, tra giugno e luglio del ‘44, subimmo le vendette tedesche, anche in<br />
conseguenza <strong>della</strong> lotta partigiana. Quando arrivarono le prime pattuglie angloamericane,<br />
ad agosto, i tedeschi non c’erano più, erano già andati via, i tedeschi<br />
non si fecero mai agganciare in maniera diretta.<br />
Mi ricordo bene, perché li ho vissuti, i fatti del Muraglione: presero tanti<br />
uomini, li portarono all’Ufficio anagrafe, dove ora c’è la caserma dei carabinieri,<br />
scelsero i più giovani, e li fucilarono.<br />
L’eccidio di Badicroce è avvenuto qualche giorno più tardi. La fattoria è di<br />
molti ettari, le persone sono state ammazzate in vari luoghi. Nella cosiddetta Aia<br />
Vecchia, c’è una lapide, posta dove successe il fatto maggiore: vicino al muro dove<br />
furono fucilate le persone c’era un trogolo per i maiali, dicono che fosse pieno di<br />
sangue.<br />
Io ho raccolto l’appello del vecchio prete di Palazzo del Pero, don Giorgio:<br />
un giorno, era novembre, mentre spazzavo il cortile di casa mia, mi disse “Tu ti<br />
dovresti vergognare!” “Perché, che ho fatto?” risposi. “ Lì all’Intoppo c’è quel<br />
monumentino abbandonato, ti dovresti interessare”. Questo mi colpì. Gli promisi<br />
che l’ultima domenica di giugno avremmo fatto una manifestazione. Da allora,<br />
sarà stato il 1990, è sempre stata fatta, in memoria dei caduti di tutte le guerre.<br />
Amedeo Sereni<br />
Monumento alle vittime del Muraglione<br />
Nel 1944 avevo 18 anni. La mia famiglia era antifascista, mio padre è stato<br />
in prigione per 17 anni per aver ucciso uno squadrista; io subii tutte le<br />
conseguenze di questo. Mi portarono ad Alessandria, lì ero sotto i fascisti aretini<br />
che erano scappati e fuggiti nell’alessandrino.<br />
37
Quando ci fu il bando di reclutamento <strong>della</strong> Repubblica di Salò, io rigettai ed<br />
andai “alla montagna”, nella zona di Sansepolcro, dove si costituì una grossa<br />
formazione partigiana, ben accolta dalla popolazione: il 19 marzo 1944 ci fu<br />
l’insurrezione <strong>della</strong> popolazione, i fascisti scapparono. Poi, però, ci fu subito la<br />
ritorsione, i tedeschi fecero saltare la torre che era in mezzo alla piazza.<br />
Sono stato partigiano dal marzo 1944 fino alla liberazione: nel nostro<br />
gruppo c’erano anche stranieri, albanesi soprattutto, radunatisi a Cortona dopo<br />
essere fuggiti dai campi di prigionia: uno di questi, dirigente politico, è stato con<br />
me per tutto il periodo <strong>della</strong> lotta, lui non sparava, aveva paura di toccare un<br />
fucile, ma collaborava, cercava le case dove rifugiarsi, andava a ricevere e a<br />
portare notizie da parte del Comitato di Liberazione che coordinava le varie<br />
formazioni e che si riuniva proprio a Palazzo del Pero, dove si trovava un folto<br />
gruppo di partigiani: il comandante era il colonnello che poi guidò la brigata “Pio<br />
Borri” .<br />
Alla fattoria di Badicroce io conoscevo la signora e gli uomini che<br />
lavoravano con lei: ci accoglieva, ci dava da mangiare, ci nascondeva e ci forniva<br />
anche le armi. Lì alla fattoria venivano tutti i giorni con il sidecar i tedeschi, a<br />
prendere pane, vettovaglie e tutto quello di cui avevano bisogno. A Badicroce<br />
c’era una chiesa, il prete ci suggeriva di stare attenti, ci metteva in guardia, ci<br />
avvisò di nasconderci perché sapeva che sarebbe passata l’armata di Kesserling.<br />
Una sera tre tedeschi sul sidecar erano entrati nella fattoria: quando<br />
uscirono cominciammo a sparargli addosso e loro fecero altrettanto; due di loro<br />
rimasero feriti gravemente, uno di loro morì, l’altro fu portato all’ospedale<br />
militare, sembra si sia salvato. Ci furono ritorsioni. I proprietari <strong>della</strong> fattoria<br />
scapparono e tornarono a Firenze, la loro città di origine.<br />
La liberazione dell’aretino è avvenuta con grande sforzo delle forze<br />
politiche. La cosa esemplare è questa: subito dopo la liberazione del nostro<br />
territorio non andammo a casa, ma partimmo volontari, ci aggregammo ai gruppi<br />
di combattimento, le varie divisioni - Cremona, Friuli – che, provenienti da Sud,<br />
combattevano per liberare l’Italia. Io sono partigiano combattente e anche<br />
combattente <strong>della</strong> liberazione nazionale, facevo parte <strong>della</strong> divisione Cremona,<br />
che liberò Alfonsine, nel ravennate. Noi, a quell’epoca, sentivamo l’esigenza di<br />
combattere per la liberazione del nostro paese, era qualcosa in cui si credeva.<br />
Ilario Venturini<br />
Facevo il militare nell’officina dell’artiglieria a Biella; dopo un mese venne<br />
l’armistizio, tornai a casa a piedi, ci misi 22 giorni.<br />
38
Arrivato a casa mi dissero di ripresentarmi alle armi ma mi sono rifiutato di<br />
andare con i repubblichini e, con due amici, disertai: alla macchia abbiamo<br />
passato tutti i mesi invernali.<br />
Le colonne tedesche parcheggiavano qua intorno a Molin Nuovo, in questa<br />
valle, per ripararsi dagli Spitfire, i bombardieri inglesi che facevano fuoco. Si<br />
fermavano qua e razziavano quello che gli serviva, cibo, indumenti, erano in<br />
ritirata e avevano bisogno di tutto.<br />
Fu ammazzato un tedesco da parte di due partigiani e allora ci fu la<br />
rappresaglia e furono uccisi i 10 al Muraglione.<br />
Lo stesso accadde per Badicroce, spararono ai tedeschi e questi, per<br />
rappresaglia, fecero tutto quello che hanno fatto.<br />
Un giorno due partigiani presero un tedesco, passarono il fiume e lo<br />
portarono nel bosco: lì lo minacciarono con la pistola, lo volevano uccidere. Io ed<br />
un mio amico, intervenimmo: sapevamo quello che era successo a Palazzo del<br />
Pero, e avevamo paura ci fosse poi un’altra rappresaglia. Dicemmo di lasciarlo<br />
andare: lui capiva l’italiano e quando sentì che avevamo preso le sue difese,<br />
piangendo, si frugò in tasca e tirò fuori una foto con 3 bambini. Fu lasciato andare.<br />
Romolo Bianchini<br />
Tra la primavera e la fine del luglio 1944 ci fu il passaggio del fronte. Ho<br />
ancora presente il periodo: il passaggio del fronte e la ritirata dei tedeschi. Noi ci<br />
siamo trovati in mezzo. Fu un momento tragico: miseria e fame nera,<br />
bombardamenti continui, cannonate, volavano querce come ramoscelli.<br />
A Badicroce ho avuto uccisi mio padre, di 37 anni e i miei nonni. Io avevo 7<br />
anni, mia madre 25.<br />
C’era disperazione e prostrazione, però c’era solidarietà tra la popolazione.<br />
La guerra è morte, distruzione, irrazionalità <strong>della</strong> storia, perdita <strong>della</strong> ragione:<br />
tutto e il contrario di tutto. Vita allo sbando, gallerie scavate, cannoni, incendi,<br />
bombardamenti. I cieli erano solcati da squadriglie aeree, 7-10 aerei, che si<br />
annunciavano e poi scaricavano le bombe. I tedeschi erano affamati e chiedevano<br />
cibo.<br />
Ho visto morire un tedesco di 19 anni: l’hanno ammazzato come un cane, il<br />
corpo abbandonato e lasciato putrefare. Sulla sua tomba è nato un edificio, non<br />
ha avuto neppure una sepoltura. Le persone vanno rispettate, gli esseri umani<br />
devono essere rispettati.<br />
La Resistenza si onora andando avanti, adoperandosi nella società,<br />
combattendo i nemici dei nostri giorni.<br />
39
È fondamentale la memoria storica, che deve essere attualizzata. La scuola<br />
è il luogo di formazione, dove si combatte e si formano le future generazioni. È<br />
necessaria un’educazione etica, che purtroppo spesso manca.<br />
Quella che abbiamo vissuto è stata una dura lezione, però ha fatto sì che<br />
molti giovani capissero che la vita è solidarietà e fraternità.<br />
È stato un fatto negativo, dal quale però la gente ha imparato ad amare la<br />
vita.<br />
Livio Bianchini<br />
Con l’arrivo degli alleati ed il ritiro dei tedeschi c’era una confusione<br />
enorme: si sentivano bombardamenti, mitragliamenti; uscivi di casa e ti trovavi col<br />
fucile puntato contro, come è successo a me. Io abitavo nella zona di Palazzo del<br />
Pero che va alla Salceta, è un gruppetto di case dove abitavano 14-15 famiglie: era<br />
estate e una sera, alle 9, ho trovato un tedesco in fondo alle scale con un mitra<br />
rivolto a me.<br />
Io ricordo che a Palazzo del Pero ci sono stati 3 episodi: uno non lo sa forse<br />
nessuno, era luglio, fu ucciso un certo Giuseppe Tacconi. Io ero con il mio babbo<br />
nella vigna che lui aveva tra Palazzo del Pero e la Salceta, vedemmo dei tedeschi<br />
che avevano preso quest’uomo e ci nascondemmo in mezzo al grano; lo<br />
portarono in cima all’ Aiuola, un casolare che era lassù e lo ammazzarono. Sembra<br />
che i tedeschi gli avessero chiesto “Dove stanno i partigiani?”, e lui abbia risposto<br />
“Sono lassù, nella zona di Favalto”, effettivamente stavano nella zona di Favalto e<br />
di Marzano. Portarono lassù quest’uomo, non trovarono i partigiani e allora lo<br />
uccisero. Il Tacconi abitava alla Salceta, prima di iniziare la salita che va alla<br />
Rassinata: c’era una botteghina di generi alimentari, chiamata “da Beppone” (ora<br />
è un ristorante), che vendeva il tabacco, era osteria, si giocava a carte. Lui abitava<br />
a 200 metri da lì, in una casetta lungo la strada, con la madre.<br />
C’è stato poi un altro caso di cui non si parla: ad una curva fu ucciso un<br />
uomo, Bino <strong>della</strong> Rocca. Io mi ricordo che quest’uomo passava da Palazzo del Pero<br />
e si fermava sempre da Beppone.<br />
Mi ricordo poi di aver visto trasportare in un barroccio un morto, anche<br />
quello ammazzato non si sa da chi, come e quando: pare che non fosse italiano.<br />
Quando accadde l’episodio di Badicroce, mi ricordo che ero con altri ragazzi<br />
di fronte a casa mia: passarono i tedeschi, avevano muli, cavalli; c’erano 3 uomini<br />
sotto un pergolato, Bianchini Arcangiolo, Bianchini Virgilio, padre e figlio, e<br />
Romanelli Angiolo, suocero di Virgilio. Gli ordinarono di seguirli. Avevano preso<br />
anche un mio zio e un altro giovane di circa 25 anni.<br />
La strada che porta alla fattoria è una piccola strada che, andando in su, si<br />
restringe ancora di più: a destra e sinistra è piena di alberi, poi c’è un<br />
40
fiumiciattolo. Mio zio e il giovane, vedendo i tedeschi un attimo distratti, fecero<br />
un salto nel fiume e si salvarono.<br />
Si seppe del fatto quando i tedeschi non c’erano ormai più, quando furono<br />
trovati i corpi. C’era anche una certa Olga Badini, fu la prima donna che<br />
ammazzarono. C’erano anche altri morti, di cui si seppe solo in quel momento.<br />
Mi ricordo anche di Don Roggi, un giovane sacerdote ammazzato sulla<br />
strada di Lignano, lì c’è una croce che lo ricorda.<br />
Alcuni giorni prima c’era stato l’episodio del Muraglione, anche quello<br />
tragico: tra i morti c’erano dei ragazzi poco più grandi di me, me li ricordo quando<br />
andavamo insieme alla scuola elementare. Tra questi Bianchini Nello, che abitava<br />
alle Lastre, e Bianchini Alberto. Li presero, li portarono giù e li fecero fuori. Io ho<br />
visto i loro cadaveri: mi ricordo che avevano tutti un foro alla testa, come un colpo<br />
di grazia. Questi li ho visti coi miei occhi, quelli di Badicroce no.<br />
Oltre a queste cose ne ho viste altre, ad esempio alla stazione di Arezzo: io<br />
venivo a scuola con il treno e arrivavo presto la mattina. Erano gli anni ‘41-‘42, io<br />
andavo a scuola, nel ‘43 la scuola fu chiusa e riprese dopo il 1945. Sul 1° binario ho<br />
visto gente che era stata radunata per essere mandata nei campi di<br />
concentramento. Ho visto anche morti, prigionieri non italiani che provenivano<br />
dai campi di concentramento di Laterina e Anghiari.<br />
Il periodo è stato drammatico: io ero giovane. La sorte che è toccata a quei<br />
giovani poteva toccare a me.<br />
Rinaldo Bianchini<br />
Mio padre è stato ucciso dai tedeschi all’Intoppo: aveva 39 anni. Io avevo 9<br />
anni, 2 sorelle di 16 e 18 anni, un fratello di 4, mia madre 34. Lo presero mentre<br />
stava dando il ramato alle viti; presero anche mio nonno, che poi fu rilasciato. Li<br />
tennero lì vicino a casa mia, dove c’è un rio, poi li portarono via: erano in diversi,<br />
poi li scelsero in base all’età, presero i più giovani e li fucilarono. Alisi Alfredo<br />
scappò via ferito, andò giù sotto la Badia, il suo corpo fu ritrovato a settembre.<br />
41
Tutto questo per rappresaglia: era stato ammazzato un tedesco, un<br />
portaordine.<br />
Dei 10 morti, nessuno aveva a che fare con i partigiani, furono presi per<br />
caso; era tutta gente che abitava vicino a dove avevano ammazzato il tedesco.<br />
Del passaggio dei tedeschi in ritirata mi ricordo un episodio: un giorno che<br />
pioveva un camion delle SS, con 12-15 persone a bordo, di fronte a casa mia bucò.<br />
I soldati si fermarono, parcheggiarono il camion sotto una grande pianta e<br />
salirono in casa, armati fino ai denti. Mia mamma gli fece da mangiare, i<br />
maccheroni con il sugo. Rimasero lì dalla mattina alla sera; andarono in cantina,<br />
puntarono la pistola contro mio zio e si fecero dare il vino. Il comandante fece<br />
posare tutte le armi in un angolo vicino alla madia. Poi, sotto la pioggia,<br />
cambiarono la ruota. Vicino alla ruota c’era uno sputo e uno di loro ammiccava a<br />
me, come se ce lo avessi fatto io, per spregio: io dicevo di no, ero piccolo, un<br />
bambino, ma questo mi prese per i pantaloni e mi volò su per 12 scalini. Ebbi<br />
tanta paura.<br />
Domenico Favilli<br />
Ho 90 anni. Ho combattuto in Africa, a El Alamein: nel 1944 ero prigioniero,<br />
sono tornato dall’Egitto nel ’46. Non so bene come sono andati i fatti, so quello<br />
che mi hanno raccontato.<br />
Al Muraglione hanno ammazzato mio fratello, aveva 31 anni: lo presero e lo<br />
portarono via scalzo come lo trovarono. Tanti non sapevano niente di quello che<br />
era successo. Li portarono nella caserma e poi laggiù. Uno riuscì a fuggire.<br />
Anche di Badicroce so quelle cose che mi hanno detto, anche lassù ci furono<br />
tanti morti.<br />
Io la guerra l’ho vissuta in prima persona, ho combattuto: a El Alamein è<br />
stata dura, ma ho avuto fortuna, mi sono salvato.<br />
42
Giuseppe Mazzi<br />
Io avevo 14 anni. Conoscevo bene 3 uomini che hanno ammazzato a<br />
Badicroce. Romanelli Angiolo, che abitava a Palazzo del Pero e faceva il mugnaio;<br />
quando arrivarono i tedeschi presero lui e Bianchini Arcangelo e Virgilio, padre e<br />
figlio. Gli altri che sono stati ammazzati non li conoscevo bene perchè abitavano<br />
fuori dal paese. So che a tutti, una volta portati nella fattoria, fecero fare una<br />
buca, a ognuno la sua, poi li fucilarono e vi caddero dentro. Su ognuna fu messa la<br />
croce. C’era anche una donna che fu prima straziata e poi uccisa. Io non l’ho vista,<br />
me l’hanno raccontato.<br />
Un uomo riuscì a scappare: era stato incaricato di portare i muli, che i<br />
tedeschi avevano con sé, a bere: arrivato giù al fosso, lasciò i muli e se la diede a<br />
gambe.<br />
Tra quelli uccisi al Muraglione c’erano due cugini, Bianchini Alberto e<br />
Tacchini Guido: il giorno prima i tedeschi li avevano presi e portati ad Arezzo; poi li<br />
lasciarono. Loro tornarono verso casa ma quando stavano per arrivare al paese,<br />
dovevano solo attraversare la strada, furono catturati.<br />
A Palazzo del Pero buttarono anche le bombe, per sbaglio dissero. Il ponte<br />
del paese era stato distrutto con le mine, e quello <strong>della</strong> ferrovia anche. Un<br />
paesano, Ugo Badini, trovò una mina inesplosa e saltò in aria. Questo accadde<br />
dopo che era passato il fronte.<br />
I tedeschi bruciarono anche tre case, una di queste era quella <strong>della</strong> mia<br />
famiglia. Si rimase senza niente e poi si andò sfollati verso la zona chiamata le<br />
Corbelle. Eravamo in tanti, rifugiati qua e là nelle case in mezzo al bosco. Tra tanta<br />
sofferenza, però, c’è anche qualcosa di bello: io lassù mi innamorai di quella che<br />
poi sarebbe diventata mia moglie.<br />
Silvano Favilli<br />
43
Ho dei parenti tra i caduti: al Muraglione mio zio, Favilli Gino; un mio<br />
cugino, Caselli Giuseppe, è morto a Badicroce.<br />
Con la mia famiglia eravamo sfollati, ci ritrovammo sotto le gallerie del<br />
Torrino malandati, coperti da due stracci. I tedeschi erano in ritirata. Il problema<br />
era il mangiare, i tedeschi razziavano tutto: pecore, maiali, cavalli, cibo; mio<br />
nonno aveva nascosto il formaggio in una buca.<br />
Mia zia e mio fratello facevano la spola tra la casa <strong>della</strong> zia e il posto dove<br />
eravamo noi, portavano il grano che si pestava con il mortaio usato per il sale, e<br />
poi si impastava e si cuoceva. I tedeschi avevano messo nei campi delle mine,<br />
delle scatoline legate con un piccolo filo invisibile; mia zia ne ha calpestata una, ha<br />
rotto il filo e la mina è esplosa: è stata colpita ed ha le gambe segnate dalle<br />
schegge.<br />
La guerra noi non l’abbiamo fatta con i fucili al fronte, noi ne abbiamo fatta<br />
un’altra, forse peggiore, chissà.<br />
Mia mamma era rimasta sola con 3 figli, mio padre era in guerra. C’era la<br />
tessera del pane: per i più poveri c’era un’assegnazione quotidiana di pane,<br />
avevamo un librettino con la copertina nera, la signora Maria, la bottegaia,<br />
scriveva giorno per giorno quanto pane ci dava, oltre quello non si poteva, finito<br />
quello non ce n’era più.<br />
C’era miseria, povertà, si giocava con il pallone di carta e gli zoccoli di legno.<br />
Per fortuna c’era il fiume, il Cerfone, che era pulito e ci dava da mangiare, c’erano<br />
tanti pesci e ci dava anche altro: quando ogni tanto c’erano le piene, la corrente<br />
portava giù le tomaie delle scarpe che i benestanti buttavano via, e con quelle noi<br />
ci facevamo fare gli zoccoli.<br />
Queste sono storie purtroppo dimenticate, ma è importante che rimanga<br />
traccia di quello che è stato. Tra le molte attività che svolgo da pensionato c’è<br />
quella dello scrittore: scrivo poesie. Nel settembre 2006 ho scritto una poesia “Le<br />
ultime pagine di un <strong>libro</strong> mai scritto”, dedicata a quelle persone, ormai anziane,<br />
che hanno vissuto quel tragico periodo ma che nessuno ha mai ascoltato.<br />
Erano in tanti, non più giovani ma forti<br />
oggi sono rimasti in pochi, i più sono morti<br />
Avevano tante cose da raccontare<br />
nessuno di noi le ha volute ascoltare<br />
Molta storia di questa vallata<br />
con la loro scomparsa è stata perduta<br />
(…)<br />
Chissà quante volte l’avranno raccontato<br />
ma non rimane traccia del loro passato<br />
Se le ultime pagine ancora in vita sono fragili<br />
44
Placido Aramini<br />
il tempo le logora, prima o poi sarà finita<br />
Gli autori di questo <strong>libro</strong> rimasto nel buio nero<br />
leggeremo il loro nome nelle lapidi al cimitero.<br />
Avevo 12 anni, abitavo in un casolare con altre 9 famiglie.<br />
A Badicroce c’erano circa 10 famiglie. Il proprietario era il Dottor Lisi, la<br />
moglie, Derna, era una bellissima signora e brava di carattere. Tentarono di<br />
stuprarla. I partigiani furono avvertiti, uscirono fuori e fecero fuoco sui tedeschi,<br />
ma non furono colpiti, fecero finta di essere morti buttandosi dentro una fossa.<br />
Verso mezzanotte, l’una rimisero in moto la motocicletta con cui erano arrivati e<br />
se ne andarono verso Castiglion Fiorentino. Il giorno dopo tornarono e uccisero;<br />
incendiarono tutto. Fecero la retata, chiusero tutti dentro una stalla. C’era un<br />
certo Brunetti, anziano, che non camminava: gli spararono. C’erano Bianchini<br />
Virgilio, che faceva il cantoniere e suo suocero, Angiolo Romanelli, che faceva il<br />
mugnaio. C’erano altri due o tre, che non conoscevo, alcuni riuscirono a scappare,<br />
gli altri invece li ammazzarono. Conoscevo la Domestici che era di Palazzo del<br />
Pero. Il cadavere di Conticini lo ritrovarono dopo venti giorni.<br />
Francesco Nocentini<br />
Mio padre si chiamava Donato Nocentini, ma a Palazzo del Pero e oltre era<br />
conosciuto quasi solo col soprannome di “PISELLO”.<br />
Lui è morto da poco, nel 2010 a 86 anni, quindi non è tra quelli morti<br />
tragicamente per le rappresaglie tedesche verificatesi in paese verso la fine <strong>della</strong><br />
guerra, non è stato, come altri che avevano qualche anno più di lui, a combattere<br />
al fronte né prigioniero in Germania.<br />
Però anche lui ha pagato il suo contributo di sangue e paura a quella guerra,<br />
e per questo motivo si è sempre sentito parte di quel gruppo (sempre più sottile)<br />
di combattenti e reduci che ogni anno celebra la commemorazione portando<br />
corone di alloro ai monumenti ai caduti, e non è mai mancato, tranne<br />
quest’ultimo anno che aveva da combattere con la sua ultima malattia.<br />
Io a quell’epoca non ero ancora nato, per cui riferisco quello che lui ogni<br />
tanto mi raccontava, con quel pizzico di ironia di chi sa di aver avuto fortuna.<br />
Era il 13 luglio del 1944 (la data è scritta sulla tomba di Ugo Badini, che quel<br />
giorno non ebbe la stessa fortuna), i tedeschi avevano appena lasciato Palazzo del<br />
45
Pero e stavano per arrivare le truppe alleate, molte famiglie erano ancora<br />
“sfollate” nelle case delle frazioni sparse sui monti intorno al paese.<br />
La curiosità di vedere il paese libero dopo mesi dall’esercito invasore faceva<br />
muovere qualcuno verso il centro; mio padre camminava a qualche passo di<br />
distanza da Ugo Badini poco prima del ponte sul Cerfone, diretto verso la piazza<br />
del paese; una mina lasciata dai tedeschi sotto la massicciata stradale esplose<br />
calpestata dal Badini , che morì sul colpo.<br />
Mio padre fu colpito da diverse schegge e, sanguinante, corse alla Casina<br />
(sotto Le Lastre) dove si ricordava che abitava “sfollato” il dottor Reale, che gli<br />
prestò le prime cure togliendogli dalla testa, dal collo e da altre parti le schegge<br />
accessibili e pericolose.<br />
Alcune schegge gli erano rimaste per anni, una mi ricordo che se la tolse da<br />
solo con un coltello da una mano un giorno che lavorava nel suo laboratorio di<br />
falegname. Una nel polso se l’è portata nella tomba, e ad ogni radiografia doveva<br />
spiegare ai medici cos’era quella strana macchia scura, anche nelle ultime TAC che<br />
ha fatto quest’anno.<br />
46
CONCLUSIONI<br />
Il lavoro svolto dagli studenti <strong>della</strong> classe V D vuole essere una ricostruzione<br />
dei drammatici fatti che hanno interessato il nostro territorio durante la lotta di<br />
Liberazione.<br />
L’intreccio tra macrostoria e microstoria, tra fenomeni di carattere generale<br />
e storia locale, rappresenta il cuore di questa ricerca: attraverso la lettura e<br />
l’analisi delle fonti documentarie e storiografiche, sia cartacee che multimediali, è<br />
stato possibile ricostruire il contesto di riferimento, italiano e internazionale, che<br />
è stato messo in relazione con le vicende di una piccola comunità.<br />
Il recupero <strong>della</strong> memoria dalla viva voce dei testimoni, diretti o indiretti, ha<br />
offerto agli studenti l’opportunità di cogliere un senso <strong>della</strong> storia nuovo,<br />
combinando insieme il passato collettivo e l’identità soggettiva, i fatti e le<br />
emozioni. Anche e soprattutto le piccole grandi storie <strong>della</strong> gente comune, i<br />
particolari minimi e apparentemente superflui, sono serviti a restituire il<br />
significato di ciò che è stato e hanno fatto sì che gli studenti, inizialmente un po’<br />
titubanti, si sentissero coinvolti davvero “dentro la storia”, conversando con le<br />
persone e ascoltando i loro racconti carichi di dolore.<br />
Molto spesso hanno chiesto: Ma come è potuto succedere tutto questo? Il<br />
rischio di semplificare e anche banalizzare è sempre alto. Per quanto possibile, si è<br />
cercato di non offrire risposte preconfezionate, ma si è lasciato che ciascuno<br />
riflettesse personalmente e giungesse ad elaborare un proprio punto di vista,<br />
improntato sempre e comunque sul rispetto <strong>della</strong> dignità umana e <strong>della</strong> legalità,<br />
da cui non si può prescindere per formare persone consapevoli e responsabili,<br />
cittadini che, a loro volta, promuovano i valori del vivere democratico.<br />
Classe 5DAS Indirizzo Liceo Biologico a.s. 2009/2010<br />
47<br />
Prof.ssa Sonia Cicchitelli<br />
Giulia Bardelli, Carolina Ensoli, Alessandro Frappi, Stefano Giorni, Jacopo<br />
Giuliattini, Martina Guiducci, Stefano Lazzerini, Jessica Lusini, Chiara Papi,<br />
Maurizio Tallarino, Lucia Tavant, Diletta Volpi.
LA SCULTURA<br />
Questo gruppo scultoreo, che invita al silenzio, alla riflessione e allontana<br />
l’oscurità, che è poesia e messaggio di morte, di vita, di speranza, è pervaso di una<br />
pregnante simbologia: il basamento è un triangolo, tre sono le figure<br />
rappresentate in un perfetto equilibrio formale e ciò dà sacralità all’opera,<br />
rendendo eterno l’umano.<br />
Tre, come si è detto, sono le figure: un uomo, una donna, una fanciulla.<br />
Le prime due, prone, mentre l’altra invece si erge, sono il simbolo<br />
dell’offesa e <strong>della</strong> speranza, sono l’immagine di una vita negata, di un’ingiustizia<br />
bestiale subita, ma anche, nel loro tragico immolarsi, la più alta espressione <strong>della</strong><br />
vittoria dell’amore sulla morte, la testimonianza di un sacrificio che è dono totale<br />
e che pertanto si tramuta da scuro e perpetuo dolore nella forza dell’attesa.<br />
L’adolescente, a sua volta, pur guardando avanti raccoglie in sé, in quel<br />
rimanere unita a chi si è sacrificato, quell’amore che è ricchezza e forza interiore e<br />
spinge alla vita e al futuro.<br />
Così diventa l’umanità che si ricrea nel cuore, simbolo di una memoria<br />
sempre presente e attuale.<br />
Prof.ssa Maria Laura Ghinassi<br />
48
LAVORAZIONE DELLA SCULTURA<br />
Il bozzetto in creta<br />
49<br />
L’armatura<br />
Lavorazione in classe <strong>della</strong> scultura in creta<br />
La scultura in creta finita
La scultura in cera<br />
Lo scultore Gianfranco Giorni<br />
50<br />
Particolare in cera<br />
Il prof. Carlo De Matteis<br />
I proff. Carlo De Matteis - Maurizio Papini – Gianfranco Giorni<br />
La scultura in bronzo è stata fusa nel laboratorio “L’ACQUAVIOLA”
le ragazze <strong>della</strong> 3B al lavoro <strong>della</strong> scultura in creta<br />
Voglio ringraziare di cuore le mie ragazze <strong>della</strong> 3 sez. B indirizzo Moda e<br />
Costume Teatrale dell’Istituto d’Arte a.s. 2009-2010 che hanno saputo, con lavoro<br />
ed amore per la materia, esprimere la drammaticità dell’evento con forme<br />
plastiche degne di uno scultore.<br />
Classe 3B Moda e Costume Teatrale a.s. 2009/2010<br />
51<br />
Prof. Carlo De Matteis<br />
Bucarelli Lucrezia, Bushgjokaj Ermelinda, Cappelletti Carolina, Della Lena Ramona,<br />
Dini Chiara, Doricchi Ilaria, Galantini Simona, Grandi Samanta, Mariani Giulia,<br />
Parrini Sara, Rusu Catalina Maria, Santolini Marta.
RINGRAZIAMENTI<br />
Un ringraziamento particolare per la partecipazione va a: Placido Aramini,<br />
Giovanni Bianchini, Livio Bianchini, Rinaldo Bianchini, Romolo Bianchini, Franco<br />
Blasi, Sebastiano Buzzini, Domenico Favilli , Silvano Favilli, Gianluca Fulvetti ,<br />
Giovanni Galli, Giuseppe Mazzi, Amedeo Sereni, Ilario Venturini, Francesco<br />
Nocentini, Centro Sociale “Valcerfone”, la Circoscrizione 6 Palazzo del Pero<br />
Comune di Arezzo: il Presidente Lucia Sandroni, i consiglieri, la segreteria e tutti<br />
coloro che hanno partecipato; Associazione Nazionale Combattenti Reduci<br />
sezione di Palazzo del Pero, prof.ssa Maria Laura Ghinassi, prof.ssa Sonia<br />
Cicchitelli (coordinatrice del <strong>libro</strong>), prof. Carlo De Matteis (coordinatore <strong>della</strong><br />
scultura e impaginazione del <strong>libro</strong>), prof. Gian Franco Cherici, Antonello Orsini<br />
(tecnico di ripresa).<br />
Un ringraziamento di cuore per la disponibilità all’amico scultore Gianfranco<br />
Giorni.<br />
Un doveroso ringraziamento al coordinatore generale e insostituibile<br />
aiutante prof. Maurizio Papini.<br />
52
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54
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www.eccidi1943-44.toscana.it<br />
www.iltirreno.gelocal.it<br />
www.insmli.it<br />
www.memoria.provincia.arezzo.it<br />
www.novecento.org<br />
www.regione.toscana.it/memoriedel900<br />
www.repubblica.it<br />
www.sissco.it<br />
www.stm.unipi.it/stragi<br />
55
INDICE<br />
Introduzione del Sindaco di Arezzo 3<br />
Introduzione Presidente Circoscrizione Lucia Sandroni 5<br />
Introduzione del Presidente Provincia di Arezzo 7<br />
Introduzione del Dirigente scolastico 9<br />
56<br />
Pag.<br />
I luoghi 13<br />
I fatti 19<br />
Le responsabilità 35<br />
Testimonianze 43<br />
Conclusioni 55<br />
La scultura 57<br />
Lavorazione <strong>della</strong> scultura 59<br />
Ringraziamenti 63<br />
Bibliografia 64<br />
Sitografia 66
Copyright © 2010 Polo delle Arti “<strong>Piero</strong> <strong>della</strong> <strong>Francesca</strong>”di Arezzo<br />
Impaginato presso la Tipografia dell’Istituto<br />
Collana De Artibus * I Edizione Novembre 2010<br />
59