Francesco Imperato. Napoli e la rivoluzione di ... - ArchigraficA
Francesco Imperato. Napoli e la rivoluzione di ... - ArchigraficA
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<strong>ArchigraficA</strong> paperback<br />
15<br />
Ersilia Paniccia<br />
<strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong><br />
<strong>Napoli</strong> e <strong>la</strong> <strong>rivoluzione</strong> <strong>di</strong> Masaniello<br />
<strong>ArchigraficA</strong><br />
2008 2010<br />
ISSN 1974-2843
<strong>ArchigraficA</strong> paperback<br />
15<br />
ersilia paniccia<br />
<strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong><br />
<strong>Napoli</strong> e <strong>la</strong> <strong>rivoluzione</strong> <strong>di</strong> Masaniello<br />
Stampato in Italia<br />
© <strong>di</strong>cembre 2010 by ersilia paniccia - <strong>ArchigraficA</strong><br />
prima e<strong>di</strong>zione per <strong>ArchigraficA</strong><br />
formato ebook for educational purpose<br />
Creative Common licence - con restrizioni<br />
<strong>ArchigraficA</strong>, live architecture on the web<br />
www.archigrafica.org<br />
info: ricci@unina.it<br />
<strong>ArchigraficA</strong> paperback<br />
col<strong>la</strong>na monografica on-line del semestrale <strong>di</strong> architettura, città e paesaggio <strong>ArchigraficA</strong><br />
in copertina: Micco Spadaro, L’uccisione <strong>di</strong> Don Giuseppe Carafa<br />
ISSN 1974-2843<br />
Archigrafica paperback col<strong>la</strong>na [online]
In<strong>di</strong>ce<br />
Introduzione<br />
Capitolo I: <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong>: notizie biografiche<br />
Capitolo II: La <strong>Napoli</strong> <strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong><br />
a) La vita economica e sociale<br />
b) La vita politica<br />
c) Il Seggio del Popolo<br />
Capitolo III: Opere e pensiero politico<br />
Conclusioni<br />
Bibliografia<br />
3
Introduzione<br />
Oggetto del presente <strong>la</strong>voro è <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong> ritenuto dagli storici uno dei maggiori riformatori napoletani<br />
del XVI secolo.<br />
L’esiguità <strong>di</strong> notizie biografiche sull’autore ha reso necessario uno stu<strong>di</strong>o più approfon<strong>di</strong>to del<strong>la</strong> sue opere.<br />
La fortunata scoperta del primo testo pubblicato da <strong>Imperato</strong> nel 1598 e intito<strong>la</strong>to “Reformatione <strong>di</strong><br />
nuovo fatta per lo reggimento de le piazze popu<strong>la</strong>ri de <strong>la</strong> Città de <strong>Napoli</strong>, con un breve <strong>di</strong>scorso intorno<br />
all’ Officio <strong>di</strong> Capitanio d’Ottina” nel quale egli riven<strong>di</strong>ca una più incisiva rappresentanza del<strong>la</strong> componente<br />
popo<strong>la</strong>re all’interno del Tribunale <strong>di</strong> San Lorenzo, ha aggiunto non solo qualche non trascurabile notizia<br />
re<strong>la</strong>tiva al<strong>la</strong> sua iniziale attività politica, come rappresentante del popolo, all’interno dell’amministrazione<br />
citta<strong>di</strong>na napoletana, ma ha rappresentato una preziosa fonte <strong>di</strong> notizie sul<strong>la</strong> società del tempo <strong>di</strong> cui<br />
<strong>Imperato</strong> era certo profondo conoscitore, oltre che delle problematiche politiche, sociali, economiche che<br />
caratterizzarono <strong>Napoli</strong> in quegli anni. L’ascesa a Capitale del Regno nel 1282 aveva avuto per <strong>Napoli</strong><br />
una funzione decisiva per lo sviluppo metropolitano. Il vertiginoso aumento del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione, gli sviluppi<br />
sociali legati all’accentramento burocratico e all’inurbamento del<strong>la</strong> grande aristocrazia feudale, una ininterrotta<br />
espansione ed attività e<strong>di</strong>lizia, l’acquisizione <strong>di</strong> privilegi <strong>di</strong> natura giuri<strong>di</strong>ca e fiscale erano stati<br />
i fenomeni a cui il ruolo <strong>di</strong> Capitale aveva dato luogo. <strong>Napoli</strong> era <strong>di</strong>venuta una delle più gran<strong>di</strong> capitali<br />
d’Italia e d’Europa dunque, ma anche una realtà politica e sociale assai complessa. La società stessa si<br />
è rilevata percorsa da profonde tensioni che avrebbero animato il vivace <strong>di</strong>battito politico avente come<br />
protagonisti una nobiltà a cui era affidato il controllo del<strong>la</strong> capitale, e un popolo in cui emergeva un ceto<br />
burocratico, sempre più al<strong>la</strong> ricerca <strong>di</strong> un riscatto sociale. Le nozioni <strong>di</strong> “popolo” e “nobiltà” hanno richiesto<br />
un’analisi attenta e approfon<strong>di</strong>ta, poiché rappresentavano universi <strong>di</strong>versamente variegati, nei quali<br />
si canalizzavano fermenti culturali e politici estremamente <strong>di</strong>sparati e tutt’altro che tra loro omogenei.<br />
L’attenzione rivolta all’analisi <strong>di</strong> questi aspetti ha determinato un panorama vario e suggestivo del<strong>la</strong> vita<br />
politica e culturale napoletana del tempo, da non poter essere così ricondotto a schemi semplicistici e<br />
riduttivi, che rischierebbero <strong>di</strong> oscurare <strong>la</strong> complessa <strong>di</strong>alettica dei ceti e il ruolo politico svolto dal<strong>la</strong><br />
componente popo<strong>la</strong>re riformista <strong>di</strong> cui <strong>Imperato</strong> e Summonte furono gli ispiratori. Si è cercato così <strong>di</strong><br />
ricostruire il meccanismo che aveva portato al<strong>la</strong> formazione <strong>di</strong> questo movimento politico per valutarne,<br />
al contempo, l’influenza che esso avrebbe avuto sugli sviluppi del<strong>la</strong> storia politica citta<strong>di</strong>na. In partico<strong>la</strong>r<br />
modo, lo stu<strong>di</strong>o del<strong>la</strong> vita urbana napoletana in epoca moderna ha ricevuto, negli ultimi vent’anni, notevoli<br />
contributi da parte <strong>di</strong> alcuni storici quali, Vil<strong>la</strong>ri, Ga<strong>la</strong>sso, D’Agostino, Rovito, Muto, Musi. Lo stu<strong>di</strong>o<br />
delle opere <strong>di</strong> questi autori ha reso più agevole l’analisi degli sviluppi del<strong>la</strong> riflessione politica svolta da<br />
<strong>Imperato</strong> e i legami che intercorrevano tra essa e <strong>la</strong> cultura non solo giuri<strong>di</strong>ca, ma anche scientifica, sia<br />
italiana che europea.<br />
4
capitolo primo<br />
<strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong>: notizie biografiche<br />
presunto ritratto <strong>di</strong> Masaniello<br />
Affrontare le vicende biografiche <strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong>, uno dei più autorevoli conoscitori delle istituzioni<br />
e del<strong>la</strong> storia citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> ed uno dei maggiori ideologi del « ceto popo<strong>la</strong>re », significa innanzitutto<br />
inquadrare, sia pur brevemente, <strong>la</strong> storia e gli eventi <strong>di</strong> una tra le più note famiglie napoletane. Ciò per<br />
meglio definire non solo il contesto sociale e culturale in cui egli visse, quanto per capire un <strong>la</strong>to determinante<br />
del<strong>la</strong> sua stessa personalità e del suo carattere, ovvero l’orgoglio <strong>di</strong> essere un <strong>Imperato</strong> e <strong>la</strong><br />
consapevolezza delle responsabilità che ne conseguivano, che egli sempre ebbe presente e che riaffiora<br />
in ogni attività che egli intraprese.<br />
<strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong> nacque a <strong>Napoli</strong> nel 1570. 1 Venne avviato dal padre Ferrante, noto naturalista e spe-<br />
ziale 2 ed attivamente impegnato nel<strong>la</strong> vita politica del<strong>la</strong> Capitale 3 , agli stu<strong>di</strong> giuri<strong>di</strong>ci, e successivamente<br />
al<strong>la</strong> carriera forense, per poi rappresentare dal 1596 al 1624, <strong>la</strong> Piazza popo<strong>la</strong>re. 4<br />
La fama e l’influenza del<strong>la</strong> sua opera nel<strong>la</strong> storiografia a lui successiva furono strettamente legate al<strong>la</strong><br />
storia e alle vicende politiche del seggio popo<strong>la</strong>re. A tal proposito Giulio Cesare Capaccio nel celebrare le<br />
famiglie napoletane che avevano reso illustre tale seggio non poté non citare « gli Imperati, che in que-<br />
1 L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, , vol. II,<strong>Napoli</strong>, Simoniana, 1787-<br />
1788, p. 165.<br />
2 Nel<strong>la</strong> sua professione Ferrante <strong>Imperato</strong> godette <strong>di</strong> una notevole autorità e stima, tanto che già prima del<br />
1572 fu eletto dai suoi colleghi partenopei membro del Consiglio <strong>di</strong> ispezione e sorveglianza dell’arte degli speziali, il<br />
Consiglio degli otto, che insieme al Protome<strong>di</strong>co del Regno, oltre a control<strong>la</strong>re <strong>la</strong> correttezza dell’attività dei membri<br />
del<strong>la</strong> corporazione, avevano anche il compito <strong>di</strong> sovraintendere al<strong>la</strong> preparazione dei composti farmaceutici più delicati.<br />
3 L’impegno del padre all’interno del Reggimento popo<strong>la</strong>re è documentato già a partire dagli anni Ottanta<br />
come Capitano del Popolo dell’ottina <strong>di</strong> Nido. Nel 1587 fu eletto governatore popo<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> Gran Casa dell’Annunziata,<br />
complesso che comprendeva un collegio, cinque ospedali, una spezieria, un Monte <strong>di</strong> Pietà e un organo preposto<br />
all’elemosina e che amministrava un ingente patrimonio anche in feu<strong>di</strong>.<br />
4 Che <strong>Imperato</strong> avesse conseguito il dottorato in utriusque iure in età giovanissima è confermata non solo dal<br />
frontespizio del<strong>la</strong> sua opera del 1598, ma anche da uno stu<strong>di</strong>o effettuato da De Frede. Quest’ultimo, in appen<strong>di</strong>ce al<br />
suo libro sugli studenti <strong>di</strong> legge a <strong>Napoli</strong> durante il Rinascimento, ripubblica il catalogo degli studenti graduati dal XV<br />
secolo al XVII secolo stampato precedentemente dal giureconsulto Muzio Recco nel suo Commento giuri<strong>di</strong>co - morale<br />
del privilegio <strong>di</strong> Giovanna II circa <strong>la</strong> ricostruzione del Collegio dei dottori <strong>di</strong> Leggi. In questo catalogo viene citato<br />
<strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong> anche se non vi è nessuna determinazione cronologica precisa riguardo all’anno in cui <strong>di</strong>venne<br />
dottore in legge. In C. De Frede, Studenti e uomini <strong>di</strong> legge a <strong>Napoli</strong> nel Rinascimento,<strong>Napoli</strong>, Arte Tipografica, 1958,<br />
P.111<br />
5
sta piazza a null’altra famiglia sono inferiori. Conoscerete persone insigni, un Gioseppe <strong>Imperato</strong>, che vi<br />
nominai un <strong>di</strong> questi giorni, avvocato illustre, au<strong>di</strong>tor del<strong>la</strong> squadra delle galere <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, virtuosissimo,<br />
gentilissimo, ch’io soglio chiamar imperador <strong>di</strong> virtuosi e <strong>di</strong> quei che fan professione <strong>di</strong> esser amici, con<br />
altra tanta gloria dei figli dottori, servidori del re, amabilissimi, continui osservatori <strong>di</strong> tutte l’attioni che<br />
ponno nobilitar le famiglie e le persone. E con questi congiungerete quei segna<strong>la</strong>ti homini, Ferrante, nel<strong>la</strong><br />
materia <strong>di</strong> semplici5 cognito a tutta Europa, e che con molta lode ne scrisse; e <strong>di</strong> tanta nobiltà privilegiò<br />
<strong>la</strong> sua casa, che non è principe o signor grande che non ambisca <strong>di</strong> visitare quel famoso stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> cose<br />
naturali, che andò procacciando da tutto ’l mondo con grossissima spesa; mantenuto nell’istesso splendore<br />
da <strong>Francesco</strong> suo figlio, virtuosissimo giurisconsulto, c’ha dato alle stampe molte sue fatiche, e che<br />
sempre nei maneggi del publico è stato adoprato con molto suo honore » 6 .<br />
Nunzio Federico Faraglia, che in margine al suo <strong>la</strong>voro su Fabio Colonna si interessò sia <strong>di</strong> Ferrante che<br />
<strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong>, raccolse materiale documentario dalle cedole del<strong>la</strong> Tesoreria Napoletana antica,<br />
ricavandone l’idea che doveva trattarsi <strong>di</strong> una grande famiglia borghese e anche molto agiata, essendo<br />
quasi tutti i membri arrendatori <strong>di</strong> gabelle, deputati dell’annona e porto<strong>la</strong>ni. 7 Questa argomentazione trova<br />
facilmente <strong>la</strong> sua conferma in alcuni preziosi documenti che testimoniano le ingenti spese che Ferrante<br />
sostenne per <strong>la</strong> gestione del suo museo; nonché in alcuni assensi regi per <strong>la</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> alcune sostanziose<br />
ren<strong>di</strong>te a suo favore. 8<br />
<strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong> nel 1598 <strong>di</strong>morò nell’ottina <strong>di</strong> Alvinia con <strong>la</strong> sua famiglia come riferito dal Parrino9 e <strong>di</strong> quel<strong>la</strong> stessa ottina ne fu Capitano.<br />
Quel<strong>la</strong> <strong>di</strong> Capitano risulta essere stata tra le prime cariche popo<strong>la</strong>ri ricoperta dall’<strong>Imperato</strong>. 10 Questa in-<br />
5 La paro<strong>la</strong> “semplici” deriva dal <strong>la</strong>tino me<strong>di</strong>evale me<strong>di</strong>camentum o me<strong>di</strong>cina simplex usata per definire le erbe che all’epoca<br />
venivano adoperate dal<strong>la</strong> me<strong>di</strong>cina.<br />
6 G. C. Capaccio, Forestiero, <strong>Napoli</strong>, Roncagliolo, 1634, p.793.<br />
7 Come riportato dal <strong>di</strong>zionario aral<strong>di</strong>co, gli <strong>Imperato</strong>, <strong>di</strong> origine germanica, scesero in Italia al seguito dell’imperatore Ottone<br />
II e grazie allo strettissimo rapporto <strong>di</strong> col<strong>la</strong>borazione con <strong>la</strong> corona meritarono l’appel<strong>la</strong>tivo <strong>di</strong> “Imperante” a cui devono l’origine<br />
del nome <strong>di</strong> famiglia.<br />
Comincia con Simone, barone <strong>di</strong> Montecorvino vissuto nel XII secolo, per finire con <strong>Francesco</strong>, favorito <strong>di</strong> Giovanna II, suo viceré in<br />
Basilicata nel 1417 ed erario nel 1428, il tronco originario da cui ebbe origine il ramo che comprende Co<strong>la</strong>niello <strong>Imperato</strong>, balio <strong>di</strong><br />
Carlo V, appaltatore <strong>di</strong> dogane ed eletto del popolo nel 1517, il quale nel 1508 versò un’ ingente somma <strong>di</strong> scu<strong>di</strong> per <strong>la</strong> ricostruzione<br />
del<strong>la</strong> chiesa <strong>di</strong> San Pietro a Maiel<strong>la</strong> e che nel 1525 si <strong>di</strong>stinse nell’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Pavia. Costui sposò Carolina Ascopo Alopa del Seggio <strong>di</strong><br />
Portanova. Ritornando al tronco originario del<strong>la</strong> famiglia troviamo Ferrante <strong>Imperato</strong>, padre del nostro, noto naturalista ed illustre<br />
esponente del ceto par<strong>la</strong>mentare borghese, ed i suoi <strong>di</strong>scendenti. Oltre a <strong>Francesco</strong> infatti egli aveva altri due figli: Andrea, che fu<br />
incarcerato nel 1610 per motivi rimasti oscuri, ed una femmina, <strong>di</strong> cui non ci è noto <strong>di</strong> sapere il nome e che morì nel 1612.<br />
8 Il viceré Olivares nel 1585 <strong>di</strong>ede l’assenso regio per settanta ducati <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>ta venduti dal<strong>la</strong> signora Beatrice Valigiano in<br />
favore <strong>di</strong> Ferrante <strong>Imperato</strong>. Successivamente Il viceré Don Giovanni Zunica nel 14 gennaio del 1587 spedì il regio assenso intorno<br />
al<strong>la</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> 80 ducati <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>ta fatta da Muzio Spinelli allo stesso Ferrante. In N.F. Faraglia, Fabio Colonna linceo, <strong>Napoli</strong>, Giannini,<br />
1885. p.25.<br />
9 D. A. Parrino, <strong>Napoli</strong> città nobilissima, V. I ,<strong>Napoli</strong>,1700, p. 163.<br />
10 F. <strong>Imperato</strong>, Reformatione <strong>di</strong> nuovo fatta per lo reggimento de le piazze popu<strong>la</strong>ri de <strong>la</strong> Città de <strong>Napoli</strong>, con un breve<br />
6
Micco Spadaro, ritratto <strong>di</strong> Masaniello<br />
formazione ci é data dal<strong>la</strong> sua prima opera, pubblicata nel 1598, intito<strong>la</strong>ta “Reformatione <strong>di</strong> nuovo fatta<br />
per lo reggimento de le piazze popu<strong>la</strong>ri de <strong>la</strong> Città de <strong>Napoli</strong>, con un breve <strong>di</strong>scorso intorno all’ Officio<br />
<strong>di</strong> Capitanio d’Ottina” 11 . In essa <strong>Imperato</strong> ricapitolò gli statuti concessi nel 1522 dal viceré Charles de<br />
Lannoy al<strong>la</strong> Piazza popo<strong>la</strong>re <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>. Tale opera venne rie<strong>di</strong>ta nel 1624, aggiungendo nuove annotazioni<br />
ed ampliando il <strong>di</strong>scorso sui capitani d’ottina, col titolo “Privilegi, capituli e gratie concesse al fedelissimo<br />
populo napoletano, et al<strong>la</strong> sua piazza. Con le sue annotazioni <strong>di</strong> nuovo aggiunte. Et il <strong>di</strong>scorso intorno all’<br />
officio dei Decurioni, oggi detti Capitani d’Ottina, seu piazze popo<strong>la</strong>ri, <strong>di</strong> nuovo ampliate, et aumentate”. 12<br />
Nel 1604 ricoprì <strong>la</strong> carica <strong>di</strong> rappresentante del Seggio del popo<strong>la</strong>re all’interno del Tribunale dell’Acqua e<br />
Mattonata. 13<br />
Anche quest’ultima notizia è ricavata dall’opera che <strong>Imperato</strong> aveva pubblicato nello stesso anno con il<br />
titolo “Discorso politico intorno al reggimento delle piazze del<strong>la</strong> città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>”, 14 opera fondamentale, a<br />
nostro avviso, non solo per comprendere il pensiero politico del nostro autore, ma anche decisiva per una<br />
più vasta e profonda conoscenza del riformismo napoletano del ’600.<br />
Nel 1607 <strong>Imperato</strong> partecipò come deputato del Seggio popo<strong>la</strong>re, insieme all’Eletto del popolo Aniello Di<br />
Martino, al Par<strong>la</strong>mento generale indetto dal Viceré Benavente. 15<br />
Paralle<strong>la</strong>mente all’attività politico-giuri<strong>di</strong>ca, oltre a coa<strong>di</strong>uvare il padre nel<strong>la</strong> gestione del famoso Museo <strong>di</strong><br />
scienze naturali, 16 l’<strong>Imperato</strong> si de<strong>di</strong>cò al<strong>la</strong> pubblicazione <strong>di</strong> vari scritti <strong>di</strong> filosofia naturale.<br />
Dopo aver curato nel 1599 <strong>la</strong> pubblicazione dell’”Historia naturale” scritta dal padre, nel 1605 dava alle<br />
stampe una “Lettera composta in verso sdrucciolo intorno alle procelle, et alle esa<strong>la</strong>zioni occorse in <strong>Napoli</strong>,<br />
nel dì 14 del mese d’ottobre, l’anno 1605”, nel<strong>la</strong> quale descrive in tono epico gli eventi celesti ed<br />
atmosferici verificatisi in <strong>Napoli</strong> il 14 ottobre del 1605, corredandoli <strong>di</strong> spiegazioni scientifiche, ma anche<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>gressioni mitologiche.<br />
<strong>di</strong>scorso intorno all’ Officio <strong>di</strong> Capitanio d’Ottina, <strong>Napoli</strong>, Stiglio<strong>la</strong>, 1598.p. 20.<br />
11 Quest’opera , che si riteneva perduta, è consultabile presso <strong>la</strong> Biblioteca nazionale <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> in Rari.XXI.B.38.<br />
12 <strong>Napoli</strong>, Roncagliolo, 1624.<br />
13 Fin dal primo quarto del XVI secolo, il Tribunale dell’Acqua e Mattonate rappresentava una delle sei deputazioni or<strong>di</strong>narie<br />
del<strong>la</strong> città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> <strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong>rettamente dal Tribunale degli Eletti, cui spettava l’amministrazione citta<strong>di</strong>na. Due membri <strong>di</strong><br />
ogni seggio e un ufficiale regio costituivano questa deputazione, che aveva il compito <strong>di</strong> soprintendere al<strong>la</strong> manutenzione degli<br />
acquedotti, delle fontane, del corso delle <strong>la</strong>ve e del <strong>la</strong>stricamento delle strade. Venivano spesi per questa deputazione 16.615 ducati<br />
ogni anno, e ciascun deputato veniva retribuito <strong>di</strong>rettamente dal Tribunale del<strong>la</strong> Pecunia. In B. Capasso, Catalogo ragionato dei libri<br />
e scritture esistenti nel<strong>la</strong> Sezione antica o Prima serie dell’Archivio municipale <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> (1387-1806), <strong>Napoli</strong>, 1899, p.42.<br />
14 In F. <strong>Imperato</strong>, Discorso politico intorno al reggimento delle piazze del<strong>la</strong> città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, <strong>Napoli</strong>, Stiglio<strong>la</strong>, 1604, p.11<br />
15 Privilegi, et Capitoli e con le altre gratie concesse al<strong>la</strong> fedelissima Città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, Mi<strong>la</strong>no, 1719, p.43.<br />
16 In un locale annesso al<strong>la</strong> propria abitazione era accolto il famoso museo naturalistico. I materiali esposti provenivano da<br />
campagne naturalistiche condotte o commissionate personalmente da Ferrante <strong>Imperato</strong>, da acquisti, doni e scambi con altri stu<strong>di</strong>osi<br />
<strong>di</strong> tutta Europa, molti dei quali conosciuti a Francoforte, durante l’annuale fiera –mercato del libro che , a quanto risulta, fu<br />
frequentata da Ferrante con una certa rego<strong>la</strong>rità. In E. Stendardo, Ferrante <strong>Imperato</strong>: il collezionismo e stu<strong>di</strong>o del<strong>la</strong> natura a <strong>Napoli</strong><br />
tra 500’ e 600, <strong>Napoli</strong>, 2001. p.12.<br />
7
Nel 1610 de<strong>di</strong>cò al fratello Andrea un’opera in <strong>la</strong>tino intito<strong>la</strong>ta “De fossilibus opusculum in quo miro or-<br />
<strong>di</strong>ne continentur naturalis <strong>di</strong>sciplinae scitu <strong>di</strong>gnitissima, eiusque professoribus omnino necessaria, al aliis<br />
minime escogitata”. L’opuscolo, pregevolmente illustrato e corredato da una preziosa tavo<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssificatoria,<br />
venne quasi certamente redatto da <strong>Imperato</strong> con l’ausilio del padre Ferrante, quest’ultimo speranzoso<br />
che il figlio potesse inserirsi tra i membri del<strong>la</strong> prestigiosissima Accademia dei Lincei17 .<br />
Federico Cesi, Principe dell’Accademia, propose <strong>la</strong> can<strong>di</strong>datura dell’<strong>Imperato</strong> il 26 gennaio del 1616 menzionandolo<br />
come «utriusque iuris doctorem eximium, sed non rebus naturalibus stu<strong>di</strong>orum minus eximium,<br />
ut libello suo de fossilibus e<strong>di</strong>to demonstravit» 18 , perchè era in possesso <strong>di</strong> quelle doti filosofico<br />
- specu<strong>la</strong>tive che mancavano al padre, sottolineando così <strong>la</strong> sua adesione allo spirito anti-aristotelico e<br />
galileiano, al<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> nascita del<strong>la</strong> “scienza moderna”. La pratica non andò oltre e tuttavia rimase comunque<br />
nell’<strong>Imperato</strong>, anche dopo <strong>la</strong> morte del padre avvenuta poco dopo il 1615, il desiderio <strong>di</strong> entrare<br />
a far parte dei Lincei.<br />
Ne è testimonianza una lettera che Fabio Colonna inviò, nel 1628 al Faber o allo Stelluti, nel<strong>la</strong> quale <strong>di</strong>ceva:<br />
« Il signor <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong> già stampa e de<strong>di</strong>ca il libro a Sua Ecc.za con speranza et desiderio <strong>di</strong><br />
esser Linceo ». 19 Il libro a cui accenna Fabio Colonna, fu scritto e pubblicato da <strong>Imperato</strong> nel 1628, con il<br />
titolo Discorsi intorno a <strong>di</strong>verse cose naturali. Opera non meno curiosa che utile e necessaria ai professori<br />
del<strong>la</strong> natural filosofia. I Discorsi erano una minuta descrizione <strong>di</strong> alcuni pezzi pregiati presenti nel<strong>la</strong> collezione<br />
naturalista <strong>di</strong> famiglia. Ma ormai era troppo tar<strong>di</strong>. Il principe, già da tempo sofferente nel<strong>la</strong> salute<br />
ed alieno dalle occupazioni accademiche, non li lesse e i desideri e le speranze del nostro erano destinati<br />
a rimanere frustrati.<br />
Dopo <strong>la</strong> morte del padre l’<strong>Imperato</strong> <strong>di</strong>venne erede e curatore del Museo. Il Ce<strong>la</strong>no a tal proposito riferisce<br />
che <strong>Francesco</strong> ricevette dal padre il museo in fedecommesso20 . Svolse questo compito con grande de<strong>di</strong>zione,<br />
dal momento che <strong>la</strong> raccolta sopravvisse fin oltre <strong>la</strong> rivolta <strong>di</strong> Masaniello, venendo parzialmente<br />
<strong>di</strong>spersa solo durante <strong>la</strong> peste del 1656, dopo<strong>di</strong>ché passò, nel Settecento, al<strong>la</strong> famiglia Cirillo.<br />
Ultima sua opera furono i Discorsi intorno all’origine, reggimento e stato del<strong>la</strong> Gran Casa del<strong>la</strong> Santissima<br />
Annuntiata <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, pubblicata nel 1629.<br />
Nel 1631 <strong>Imperato</strong> risulta ancora attivo all’interno dell’amministrazione citta<strong>di</strong>na rappresentando il Seg-<br />
17 L’ Accademia dei Lincei fu fondata a Roma nel 1603 da Federico Cesi. Quest’ultimo istituì delle colonie nelle principali città<br />
europee, tra cui <strong>Napoli</strong>. L’ Accademia fu inaugurata a <strong>Napoli</strong> nel 1612 e fu presieduta da Giovan Battista Del<strong>la</strong> Porta, fino al<strong>la</strong> sua<br />
morte nel 1615, e successivamente da Fabio Colonna. In C. Minieri Riccio, Cenno storico delle Accademie fiorite nel<strong>la</strong> Città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>,<br />
<strong>Napoli</strong>, Giannini, 1879,p. 12.<br />
18 G. Gabrieli, Verbali delle adunanze e cronaca del<strong>la</strong> I Accademia Lincea, 1603- 1630, c<strong>la</strong>sse <strong>di</strong> Scienze morali, storiche e<br />
filologiche, serie VI, p.32.<br />
19 G. Gabrieli, Il carteggio linceo del<strong>la</strong> vecchia Accademia <strong>di</strong> Federico Cesi (1603-1630), in memore del<strong>la</strong> Real Accademia<br />
nazionale dei Lincei, cl. <strong>di</strong> scienze morali, storiche e filologiche, s. 6, 1938-1942, p.60.<br />
20 C. Ce<strong>la</strong>no, Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso del<strong>la</strong> Città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, <strong>Napoli</strong>, vol. III, 1792, p. 34.<br />
8
gio popo<strong>la</strong>re durante i festeggiamenti <strong>di</strong> San Giovanni Battista. 21<br />
Dell’attività successiva a questa data non vi è rimasta alcuna testimonianza, rimanendo così a noi sconosciuta<br />
<strong>la</strong> data <strong>di</strong> morte.<br />
Il ramo si estinse con <strong>la</strong> morte del figlio <strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong>, Andrea che « si <strong>di</strong>stingueva nel<strong>la</strong> poesia<br />
<strong>la</strong>tina » 22 , autore, nel 1610, <strong>di</strong> un’ elegia de<strong>di</strong>catoria a premessa dell’opuscolo sui fossili scritto dal padre.<br />
Un recente stu<strong>di</strong>o smentisce l’erronea identificazione <strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong> con un suo omonimo <strong>Francesco</strong><br />
<strong>Imperato</strong>, marchese <strong>di</strong> Spineto dal 1619.<br />
Un documento rinvenuto da Enrica Stendardo23 all’interno <strong>di</strong> un libro intito<strong>la</strong>to Aggiunta al<strong>la</strong> <strong>Napoli</strong> Sacra<br />
del D’Engenio, fornisce <strong>la</strong> prova <strong>di</strong> questo caso <strong>di</strong> omonimia. Il testo, infatti, contiene un documento<br />
pubblicato proprio dal Marchese, intito<strong>la</strong>to “Risposta del Marchese <strong>di</strong> Spineto contro le opposizioni proposte<br />
da Hettore Artaldo Minutolo” e scritto per <strong>di</strong>mostrare <strong>la</strong> legittimità <strong>di</strong> quel titolo ricevuto nel 1617<br />
da Filippo III e contestatogli da alcuni. In esso, cosa assai importante ai fini del nostro <strong>di</strong>scorso, egli si<br />
<strong>di</strong>stingueva dai tanti <strong>Imperato</strong> che all’epoca vivevano in città e che, secondo <strong>la</strong> testimonianza <strong>di</strong>retta<br />
dell’autore, non facevano parte dello stesso ramo. Tra <strong>di</strong> essi vi era quel <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong> vero oggetto<br />
del nostro interesse.<br />
Un’ulteriore conferma <strong>di</strong> quanto affermato dal<strong>la</strong> Stendardo si ritrova nel libro <strong>di</strong> De Lellis il quale, nel<strong>la</strong><br />
sua guida sui luoghi sacri <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, cita sia un <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong> marchese <strong>di</strong> Spineto, sia un Don <strong>Francesco</strong><br />
<strong>Imperato</strong>, entrambi in qualità <strong>di</strong> possessori <strong>di</strong> una cappel<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> Chiesa <strong>di</strong> Sant’Agostino24 .<br />
21 G. D. Giuliani, Apparato per <strong>la</strong> festività <strong>di</strong> San Giovanni Battista, <strong>Napoli</strong>, Roncagliolo, 1631.<br />
22 F. Co<strong>la</strong>ngelo, Storia dei filosofi e dei matematici napoletani e delle loro dottrine, <strong>Napoli</strong>, Strani,<br />
1833, p. 148.<br />
23 E. Stendardo, Ferrante <strong>Imperato</strong>…cit., p. 16.<br />
24 C. De Lellis, Supplemento a “<strong>Napoli</strong> Sacra “<strong>di</strong> Don Cesare D’Engenio Caracciolo, <strong>Napoli</strong>, Mollo,<br />
1654. p. 185.<br />
9
capitolo secondo<br />
La <strong>Napoli</strong> <strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong><br />
a) La vita economica e sociale.<br />
La città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, considerata da <strong>Imperato</strong> « una delle più Fedele, nobile, vaghe, grande, e popolose<br />
Città, che habia il Mondo; lodata, e celebrata da tanti degni e famosi Autori Antichi, e Moderni, che si<br />
potria con ragione chiamar Regina delle Città », 25 agli inizi del XVII secolo, si presentava come <strong>la</strong> prima<br />
città d’Italia per numero <strong>di</strong> abitanti, contandone al suo interno 260.00026 .<br />
«Il mostro napoletano», così definito da Gerard Delille, avrebbe schiacciato tutti gli altri centri del<strong>la</strong><br />
Peniso<strong>la</strong> potendo essere paragonato per <strong>di</strong>mensioni soltanto a due città europee quali Londra e Parigi. 27<br />
Sfuggiva allora, sia a <strong>Imperato</strong> sia agli scrittori dei secoli XVI e XVII che, come lui, senza esitazioni<br />
magnificarono <strong>la</strong> grande capitale, che nel caso <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> quel<strong>la</strong> crescita era sproporzionata <strong>di</strong> molto rispetto<br />
al<strong>la</strong> effettiva portata delle sue reali risorse ed energie. Soltanto <strong>la</strong> cultura illuminista del secolo XVIII,<br />
avrebbe avuto una più chiara e reale coscienza dell’effettiva situazione <strong>di</strong> arretratezza del Mezzogiorno<br />
e contemporaneamente avrebbe messo sotto accusa <strong>la</strong> Capitale, considerata come un’enorme testa<br />
sovrapposta a un corpo esile e debole, dal quale succhiava come un parassita tutti gli umori, sacrificando<br />
le potenzialità <strong>di</strong> crescita delle province alle esigenze del<strong>la</strong> monarchia e del<strong>la</strong> metropoli, strumento del<br />
potere regio.<br />
Questa nota immagine illuminista descriveva metaforicamente <strong>la</strong> crescita urbana e <strong>la</strong> storia demografica <strong>di</strong><br />
<strong>Napoli</strong>: <strong>la</strong> storia del<strong>la</strong> città, infatti, avrebbe mostrato uno squilibrio costante tra l’andamento demografico<br />
del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione e «le effettive capacità d’assorbimento del<strong>la</strong> struttura economico-sociale » 28 .<br />
L’ascesa <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> come una del<strong>la</strong> più belle e gran<strong>di</strong> città d’Europa, aveva preso avvio in epoca aragonese<br />
25 F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi, capituli, e gratie, concesse al fedelissimo popolo napoletano, & al<strong>la</strong> sua Piazza. Con le sue annotazioni<br />
<strong>di</strong> nuovo aggiunte. Et il Discorso intorno all’officio <strong>di</strong> Decurioni; hoggi detti Capitanij d’ Ottine, feu Piazze Popu<strong>la</strong>ri, <strong>di</strong> nuovo<br />
ampliato, & aumentato, <strong>Napoli</strong>, Roncagliolo, 1624, p. 95.<br />
26 G. C. Capaccio,Descrizione <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> ai principi del XVII secolo, a cura <strong>di</strong> B. Capasso, Bologna, Forni, 1889. p. 29.<br />
27 G. Delille, Demografia in Storia del Mezzogiorno: aspetti e problemi del Me<strong>di</strong>oevo e dell’Età Moderna, <strong>Napoli</strong>, E<strong>di</strong>zioni del<br />
sole , 1991. p. 25.<br />
28 A. Musi, La spinta baronale e i suoi antagonisti nel<strong>la</strong> crisi del Seicento, in Storia del<strong>la</strong> Campania, <strong>Napoli</strong>, Guida, 1978.<br />
p.234.<br />
10
Giulio Genolino e Masaniello<br />
quando « <strong>la</strong> ricchezza dei Regni poteva ancora essere misurata sul<strong>la</strong> base dell’opulenza delle capitali,<br />
dove risiedevano le corti dei nobili». 29<br />
I sovrani aragonesi si erano de<strong>di</strong>cati all’opera <strong>di</strong> ammodernamento dello stato, rinnovando l’apparato<br />
politico-amministrativo e favorendo l’ascesa <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> a «epicentro geopolitico ed economico» del Regno<br />
<strong>di</strong> cui dal 1282 era <strong>di</strong>venuta capitale, ma innanzitutto avevano dato l’avvio al progressivo passaggio del<strong>la</strong><br />
capitale da «universitas civium tardo-me<strong>di</strong>evale» a «capitale moderna» 30 .<br />
Strumento <strong>di</strong> tale progetto politico fu un insieme <strong>di</strong> privilegi <strong>di</strong> varia natura concessi al<strong>la</strong> capitale e ai suoi<br />
residenti.<br />
Dal 1442 al 1505 vengono emanate una serie <strong>di</strong> prammatiche contenenti vantaggi <strong>di</strong> natura economica<br />
e fiscale, ma anche norme ben precise sul <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza e sui vincoli re<strong>la</strong>tivi per partecipare al<strong>la</strong><br />
vita politica. Il citta<strong>di</strong>no che avesse voluto intraprendere una qualsiasi attività politica, sapeva <strong>di</strong> godere<br />
<strong>di</strong> innumerevoli benefici, ma anche <strong>di</strong> entrare in un sistema <strong>di</strong> controllo politico-sociale.<br />
Tale propensione in favore del<strong>la</strong> città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> si rafforzerà con Fer<strong>di</strong>nando il Cattolico che, conclusa <strong>la</strong><br />
conquista del Regno nel 1503, con una prammatica del 18 febbraio del 1505, confermò atti, concessioni<br />
e privilegi concessi dagli aragonesi a favore del<strong>la</strong> Capitale e delle università demaniali, consolidò e<br />
incrementò, con lo sviluppo dell’apparato burocratico e con <strong>la</strong> promozione <strong>di</strong> nuovi ceti emergenti, il ruolo<br />
<strong>di</strong> centro politico - amministrativo dell’intero Regno.<br />
Nel Mezzogiorno intero <strong>Napoli</strong> <strong>di</strong>venne così l’unico soggetto in grado <strong>di</strong> trattare col potere centrale,<br />
mentre i ceti rurali del<strong>la</strong> periferia, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto accadeva nel Ducato <strong>di</strong> Mi<strong>la</strong>no, non avevano<br />
rilevanza alcuna. 31<br />
Per tale ragione <strong>Napoli</strong> continuò ad essere il polo d’attrazione <strong>di</strong> masse <strong>di</strong> uomini provenienti da ogni dove<br />
al<strong>la</strong> ricerca <strong>di</strong> una vita meno misera oppure <strong>di</strong> una carriera più onorevole, grazie ai privilegi e alle esenzioni<br />
fiscali; dall’altro, <strong>la</strong> presenza dei centri <strong>di</strong> potere vi provocava una spettaco<strong>la</strong>re concentrazione del<strong>la</strong><br />
grande e picco<strong>la</strong> nobiltà feudale che impiegava enormi somme per stabilirsi nel<strong>la</strong> capitale e mantenere<br />
un tenore <strong>di</strong> vita adeguato.<br />
Pur se gli interessi economici reali e <strong>la</strong> proprietà terriera erano altrove, era in città che bisognava<br />
risiedere, se non si desiderava essere esclusi dal<strong>la</strong> vita politica. Pertanto, nel corso del ‘500 si consumava<br />
il compromesso tra nobiltà feudale e monarchia: <strong>la</strong> prima, in cambio del<strong>la</strong> conservazione <strong>di</strong> privilegi<br />
e rafforzamento delle prerogative in seno al feudo, cedeva al sovrano, riconoscendosi suo sud<strong>di</strong>to e<br />
rinunciando al<strong>la</strong> possibilità <strong>di</strong> una contrapposizione paritetica <strong>di</strong> poteri era, d’altronde l’unica strada da<br />
percorrere, a fronte <strong>di</strong> una politica volta ormai a favorire i nuovi ceti emergenti.<br />
29 A. Lepre, Storia del mezzogiorno d’Italia, vol. I, <strong>Napoli</strong>, Liguori, 1987, p. 132.<br />
30 G. D’Agostino, Per una storia <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> Capitale, <strong>Napoli</strong>, Liguori, 1988, p.86.<br />
31 A. Musi, Le vie del<strong>la</strong> modernità, Mi<strong>la</strong>no, Sansoni, 2000. p.103.<br />
11
L’ascesa e <strong>la</strong> presenza del ceto me<strong>di</strong>o alto nei quadri amministrativi, a fronte <strong>di</strong> un progressivo impoverimento<br />
del<strong>la</strong> nobiltà, ancora però saldamente in possesso delle cariche più importanti, avrà conseguenze decisive<br />
sul<strong>la</strong> società napoletana a partire dal 1542. In tale data, infatti, il viceré don Pedro de Toledo formalizzò<br />
i nuovi schemi <strong>di</strong> organizzazione dello Stato, ormai sanciti dal<strong>la</strong> cultura giuri<strong>di</strong>ca europea più avanzata,<br />
e « sottrasse ai nobili <strong>di</strong> spada le funzione più delicate e gelose, quelle che influivano sui loro patrimoni,<br />
sul<strong>la</strong> “roba”, sul<strong>la</strong> libertà: li espulse dal Consiglio Col<strong>la</strong>terale, ossia dal governo ». 32<br />
L’emarginazione del<strong>la</strong> Nobiltà <strong>di</strong> Spada33 si collocava nell’ampio progetto <strong>di</strong> ristrutturazione degli apparati<br />
finanziari che nel<strong>la</strong> seconda metà del XVI secolo, con <strong>la</strong> promozione del ceto togato, avrebbe dato avvio<br />
a un processo non indolore. 34<br />
L’avvocatura era considerata nelle società borghese, proprio come <strong>di</strong>rà D’Andrea, « l’unica strada in<br />
<strong>Napoli</strong>, partico<strong>la</strong>rmente alle persone nobili, <strong>di</strong> fare acquisto <strong>di</strong> ricchezze e <strong>di</strong> poter anco ascendere alle<br />
supreme <strong>di</strong>gnità ». 35<br />
Nello spazio <strong>di</strong> qualche generazione, si poteva salire in alto nel<strong>la</strong> sca<strong>la</strong> sociale, cambiando completamente<br />
status.<br />
Dopo aver seguito una lunga e severa preparazione universitaria nelle materie letterarie e giuri<strong>di</strong>che, gli<br />
uomini <strong>di</strong> legge venivano chiamati sempre più spesso a ricoprire cariche pubbliche <strong>di</strong> rilievo. La nobiltà<br />
<strong>di</strong> spada, dal canto suo, tendeva a rifiutare questo modello formativo «teorico-dottrinale», preferendo il<br />
modello «etico - metafisico», del cavaliere «d’armi e d’amore». Pur non volendo perdere l’esercizio delle<br />
funzioni pubbliche, l’aristocrazia del Regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, soprattutto quel<strong>la</strong> <strong>di</strong> origine spagno<strong>la</strong>, guardava con<br />
<strong>di</strong>sprezzo <strong>la</strong> <strong>di</strong>sciplina e gli stu<strong>di</strong> giuri<strong>di</strong>ci, <strong>la</strong>sciando <strong>di</strong> fatto ampio spazio all’inserimento dei dottori in<br />
legge che formarono ben presto un compatto or<strong>di</strong>ne corporativo pronto a <strong>di</strong>fendere le proprie prerogative<br />
32 R. Ajello, La crisi del Mezzogiorno nelle sue origini: <strong>la</strong> <strong>di</strong>namica sociale in Italia e il governo <strong>di</strong> Filippo II, in <strong>Napoli</strong> e Filippo<br />
II, <strong>Napoli</strong>, Macchiaroli, 1998. p.21.<br />
33 I sette gran<strong>di</strong> uffici, attraverso i quali <strong>la</strong> nobiltà in passato aveva affiancato il potere del sovrano, restavano nominalmente<br />
in vigore e ad alcuni <strong>di</strong> essi toccavano ancora compiti importanti. Ma già dell’ufficio principale, quello del Gran Contestabile che<br />
un tempo aveva avuto il comando supremo delle milizie, era stata ridotta notevolmente l’ importanza così come era stata ridotta<br />
l’importanza dell’ufficio <strong>di</strong> Gran Giustiziere, <strong>di</strong>venendo poi una semplice carica <strong>di</strong> corte. Restava invece l’importante ufficio <strong>di</strong> Grande<br />
Ammiraglio il quale aveva giuris<strong>di</strong>zione civile e criminale su tutti coloro che traevano i loro mezzi <strong>di</strong> sostentamento dal mare. Al Gran<br />
Camerario,a cui un tempo era toccato amministrare <strong>la</strong> finanza oltre che avere cura e custo<strong>di</strong>a del<strong>la</strong> persona del re, nel periodo del<br />
viceregno l’ufficio si ridusse ad una carica soltanto onorifica e lo stesso avvenne per quello <strong>di</strong> Gran Protonotario e Logoteta, che<br />
in passato aveva assolto alle funzioni <strong>di</strong> segreteria del re. Altro ufficio che aveva assunto un importanza molto maggiore era quel<strong>la</strong><br />
del Gran Cancelliere, al quale era stato affidato il sigillo del re. Il Gran Siniscalco, infine, che aveva avuto cura dell’amministrazione<br />
del<strong>la</strong> corte reale, quando questa, col viceregno cessò <strong>di</strong> esistere, conservò le prerogative del suo grado ma senza più avere autorità<br />
effettiva. In A. Lepre, Storia del Mezzogiorno..op. cit., 1987, pp. 136-137.<br />
34 Ai fini del nostro <strong>di</strong>scorso è d’obbligo ricordare i tre consiglieri <strong>di</strong> Tortorel<strong>la</strong>: <strong>Francesco</strong> e Cesare Alderisio, padre e figlio <strong>di</strong><br />
modeste origini, il primo consigliere nel 1575, il secondo ottenne <strong>la</strong> medesima carica nel 1609; Scipione Rovito, orfano e <strong>di</strong> origine<br />
conta<strong>di</strong>na, ottenne <strong>la</strong> carica <strong>di</strong> consigliere nel 1577. Questi uomini furono <strong>la</strong> testimonianza vivente <strong>di</strong> come, attraverso il dottorato,<br />
si potesse assurgere ai vertici <strong>di</strong> potere. In P. L. Rovito, La respubblica dei Togati, <strong>Napoli</strong>, Jovene, 1986, pp.50-54 .<br />
35 C. De Frede, Studenti e uomini <strong>di</strong> legge a <strong>Napoli</strong> nel Rinascimento, Arte Tipografica, <strong>Napoli</strong>, 1957, p.54.<br />
12
Car<strong>di</strong>nale Filomarino<br />
professionali e <strong>di</strong> status.<br />
In questo contesto deve inserirsi anche l’opera <strong>di</strong> Diomede Carafa che, come ha sottolineato Raffaele Ajello,<br />
tentò <strong>di</strong> proporre una me<strong>di</strong>azione tra <strong>la</strong> nobiltà <strong>di</strong> toga e <strong>la</strong> nobiltà <strong>di</strong> spada inducendo i rappresentanti <strong>di</strong><br />
quest’ultima a seguire un cursus stu<strong>di</strong>orum per poter rientrare a far parte dell’élite <strong>di</strong> potere dal<strong>la</strong> quale<br />
veniva sempre più esclusa. 36<br />
Di conseguenza gli organi <strong>di</strong> governo vennero ad essere un importante canale <strong>di</strong> promozione e <strong>di</strong> mobilità<br />
sociale.<br />
Nel Sacro Regio Consiglio, nel Col<strong>la</strong>terale, nel<strong>la</strong> Camera del<strong>la</strong> Sommaria, uomini nati in provincia, non<br />
sempre da famiglie nobili e ricche, potevano così, compiuto il cursus honorum, <strong>di</strong>ventare parte del<strong>la</strong><br />
c<strong>la</strong>sse dominante e realizzare quel<strong>la</strong> che è stata definita da Rovito <strong>la</strong> respubblica dei togati. 37<br />
La respubblica dei togati aveva realizzato un nuovo sistema amministrativo ma non <strong>la</strong> soppressione <strong>di</strong><br />
quello antico: nel Regno, infatti, da un <strong>la</strong>to vi era il complesso delle istituzioni regalistico-municipali<br />
(Consiglio Col<strong>la</strong>terale, Sacro Regio Consiglio, Regia Camera del<strong>la</strong> Sommaria), in cui il ceto me<strong>di</strong>o era<br />
rappresentato da un sempre più crescente numero <strong>di</strong> giuristi, che sedevano accanto al viceré; dall’altro <strong>la</strong><br />
nobiltà più forte e antica control<strong>la</strong>va ancora saldamente i vertici <strong>di</strong> istituzioni come i Seggi, il Par<strong>la</strong>mento,<br />
così come i baroni le università.<br />
Tra i fattori che favorirono una più <strong>la</strong>rga partecipazione <strong>di</strong> elementi del<strong>la</strong> borghesia al potere politico, vi<br />
furono alcune norme per il riconoscimento del<strong>la</strong> qualifica <strong>di</strong> regnicolo 38 e <strong>la</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> alcuni uffici. 39<br />
36 R. Ajello, <strong>Napoli</strong> tra Spagna e Francia: problemi politici e culturali, in Arti e civiltà del Settecento a <strong>Napoli</strong>, a cura <strong>di</strong><br />
Cesare De Seta, Laterza, Bari, 1982. p.19.<br />
37 La «Curia Regis» del<strong>la</strong> Monarchia aragonese, <strong>di</strong>ventò corte suprema <strong>di</strong> giustizia nel periodo spagnolo. Aveva <strong>la</strong> giuris<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong> appello da tutti itribunali inferiori, ma soprattutto dal<strong>la</strong> Vicaria. Giu<strong>di</strong>cava in prima istanza sulle cause civili <strong>di</strong> re<strong>la</strong>tive ai<br />
patrimoni feudali. Il Consiglio <strong>di</strong> Stato o Col<strong>la</strong>terale <strong>di</strong> Cappacorta era privo <strong>di</strong> effetttivo potere ed era destinato ad assistere il vicerè<br />
in materia militare,; raramente convocato era costituito per intero da aristocratici. La Regia Camera del<strong>la</strong> Sommaria fu istituita da<br />
Alfonso d’Aragona nel 1450 come tribunale finanziario. Durante il periodo del viceregno ebbe competenze amministrative come il<br />
controllo sui feu<strong>di</strong>, sugli uffici, sull’intera materia fiscale centrale e periferica. Compi<strong>la</strong>va i bi<strong>la</strong>nci del Regno. Doveva però fare i conti<br />
con altri organismi, come il Col<strong>la</strong>terale, il Par<strong>la</strong>mento, i Seggi <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> che interferivano, sia per il loro profilo istituzionale, sia per<br />
gli abusi <strong>di</strong> giuris<strong>di</strong>zione, con le prerogative del maggior organismo finanziario del Regno.<br />
38 Nel 1495 Fer<strong>di</strong>nando II d’Aragona sancì il principio che gli uffici dovessero essere assegnati in maggioranza ai regnicoli, ciò<br />
fu poi riconfermato nel maggio del 1503 e nei capitoli <strong>di</strong> Segovia del 5 ottobre del 1505. In seguito l’annosa questione, riguardante<br />
l’attribuzione delle cariche pubbliche ai regnicoli, fu sistemata da Carlo V con <strong>la</strong> prammatica De officiorum provvisione, del 12 marzo<br />
1555, e con i contemporanei capitoli <strong>di</strong> Bruxelles. Assegnando <strong>la</strong> quota <strong>di</strong> due terzi degli uffici agli oriun<strong>di</strong>, considerando come tali<br />
coloro che avevano ottenuto <strong>la</strong> citta<strong>di</strong>nanza <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> dagli Eletti e coloro che, <strong>di</strong> qualsiasi nazione, avessero castelli o beni feudali<br />
nel Regno. Mentre i comuni demaniali non potevano concedere <strong>la</strong> citta<strong>di</strong>nanza se non a coloro che avevano soggiornato per 10 anni<br />
nel Regno, sposati con moglie napoletana e possidenti beni stabili. R .Vil<strong>la</strong>ri, La rivolta . antispagno<strong>la</strong> a <strong>Napoli</strong>, le origini (1585-<br />
1647),Bari, Laterza, 1967. p. 21.<br />
39 Secondo Vil<strong>la</strong>ri il quadro dettagliato del<strong>la</strong> situazione è offerto da un manoscritto il Codex officiorum Regnique Neapolitani,<br />
redatto per or<strong>di</strong>ne del re poco dopo <strong>la</strong> metà del XVII: malgrado le pressanti esigenze finanziarie del periodo precedente <strong>la</strong><br />
<strong>rivoluzione</strong> del 1647 e gli incitamenti provenienti da Madrid <strong>di</strong> alienare tutto quello che apparteneva al patrimonio regio, gli alti<br />
gra<strong>di</strong> del<strong>la</strong> burocrazia e le cariche giu<strong>di</strong>ziarie rimasero immuni dal<strong>la</strong> pratica delle venalità. Vil<strong>la</strong>ri avanza l’ipotesi che sia stata <strong>la</strong><br />
stessa aristocrazia a proteggere dal<strong>la</strong> venalità, anche durante <strong>la</strong> guerra dei Trent’anni, questo settore decisivo dell’amministrazione<br />
pubblica, coincidendo questa opposizione al<strong>la</strong> venalità delle alte cariche , e quin<strong>di</strong> <strong>la</strong> possibilità che esse venissero acquistate da<br />
13
Anche se, come <strong>di</strong>mostra Vil<strong>la</strong>ri, quest’ultimo fenomeno non fu determinante in tal senso, poiché vi erano<br />
due con<strong>di</strong>zioni che consentivano al<strong>la</strong> nobiltà <strong>di</strong> non opporsi al<strong>la</strong> ven<strong>di</strong>ta degli uffici: <strong>la</strong> prima era costituita<br />
dal fatto che <strong>la</strong> venalità riguardava quasi esclusivamente le funzioni subalterne; <strong>la</strong> seconda, era l’istituto<br />
del<strong>la</strong> sostituzione in base al quale l’acquirente <strong>di</strong> un ufficio poteva designare altri ad esercitarlo, cioè a<br />
<strong>di</strong>re poteva darlo in affitto. 40<br />
L’aristocrazia manteneva inoltre assoluta preminenza nell’organizzazione militare: a metà del Seicento, i<br />
33 membri del Consiglio <strong>di</strong> stato (al quale spettava anche il compito <strong>di</strong> nominare un luogotenente in assenza<br />
del viceré ) appartenevano al ceto nobiliare. Partico<strong>la</strong>re importanza ebbe poi il fatto che i governatori<br />
delle U<strong>di</strong>enze provinciali41 furono scelti quasi sempre tra i rappresentanti dell’aristocrazia: ciò derivava<br />
in parte dal mantenimento dell’antico carattere militare dell’ufficio, in quanto il governatore conservava<br />
ancora <strong>la</strong> <strong>di</strong>retta responsabilità delle truppe <strong>di</strong>slocate nel territorio dell’U<strong>di</strong>enza provinciale. Ciò derivava<br />
da un antico privilegio che Fer<strong>di</strong>nando il Cattolico aveva concesso nel 1507, su richiesta del Par<strong>la</strong>mento.<br />
Anche i governatori locali delle terre regie furono in gran parte reclutati nelle file dell’aristocrazia: ancora<br />
intorno al 1670, soltanto 16 su 50 non erano nobili. 42<br />
Il fenomeno del<strong>la</strong> venalità comunque illustrava <strong>la</strong> coesistenza <strong>di</strong> elementi antichi e nuovi nel passaggio<br />
al<strong>la</strong> modernità; infatti, se <strong>la</strong> tendenza verso <strong>la</strong> centralizzazione dei poteri dello stato era un fattore <strong>di</strong><br />
modernità, il processo <strong>di</strong> accesso alle cariche pubbliche era ancora fondato in parte su meccanismi <strong>di</strong> tipo<br />
feudale.<br />
L’attenzione prevalente per <strong>la</strong> città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> avrebbe fatto «cessare qualsiasi investimento nelle città <strong>di</strong><br />
provincia, sempre più irrisolte e ma<strong>la</strong>te», 43 dando così l’avvio a quel processo <strong>di</strong> squilibrio città/campagna,<br />
che tanto sarebbe pesato sul<strong>la</strong> capitale.<br />
Conseguenze imme<strong>di</strong>ate furono <strong>la</strong> <strong>di</strong>fficoltà per <strong>Napoli</strong> <strong>di</strong> assorbire l’afflusso demografico, dall’altro <strong>la</strong><br />
progressiva involuzione del<strong>la</strong> campagna; <strong>la</strong> degradazione del paesaggio agrario e lo spopo<strong>la</strong>mento del<strong>la</strong><br />
montagna nel<strong>la</strong> periferie del<strong>la</strong> regione, come il Cilento; <strong>la</strong> mortalità ma<strong>la</strong>rica e l’assenza <strong>di</strong> un piano <strong>di</strong><br />
borghesi. Il problema del<strong>la</strong> venalità degli uffici fu affrontato per <strong>la</strong> prima volta nel 1536. Il par<strong>la</strong>mento chiese al sovrano che non si<br />
vendessero gli uffici. Appena due anni dopo , però il par<strong>la</strong>mento chiese <strong>la</strong> revoca <strong>di</strong> questa grazia, che fu effettivamente revocata,<br />
facendo eccezione per gli uffici che amministravano <strong>la</strong> giustizia, con i capitoli <strong>di</strong> Barcellona del 25 luglio 1538.ivi. p. 42.<br />
40 V. I Comparato, Uffici e società a <strong>Napoli</strong> (1600-1647).Aspetti dell’ ideologia del magistrato nell’età moderna, Firenze, Leo S.<br />
Olschki e<strong>di</strong>tore, 1974.p. 53<br />
41 Nelle provincie l’amministrazione del<strong>la</strong> giustizia in prima istanza avveniva nelle U<strong>di</strong>enze, che <strong>di</strong>pendevano dai governatori<br />
provinciali per le terre demaniali e nelle corti baronali per le terre feudali. I governatori che duravano in carica due anni, avevano<br />
come funzione più importante proprio <strong>la</strong> cura dei servizi giu<strong>di</strong>ziari, ma <strong>la</strong> loro autorità si estendeva, per quanto in misura limitata,<br />
anche su quei funzionari incaricati del<strong>la</strong> riscossione dei tributi. Le U<strong>di</strong>enze erano formate dagli u<strong>di</strong>tori, con carica biennale, da un<br />
avvocato erariale, da un segretario e da un cancelliere<br />
42 R.Vil<strong>la</strong>ri, La rivolta antispagno<strong>la</strong>...cit. p.20.<br />
43 G. Labrot, La città meri<strong>di</strong>onale, in Storia del Mezzogiorno: aspetti e problemi del Me<strong>di</strong>oevo e dell’Età Moderna, <strong>Napoli</strong>,<br />
E<strong>di</strong>zioni del Sole, 1991. p.231.<br />
14
La sca<strong>la</strong> del Pa<strong>la</strong>zzo dello Spagnolo <strong>di</strong> Sanfelice<br />
bonifica delle pianure impaludate, come <strong>la</strong> piana del Sele e il Vallo <strong>di</strong> Diano; le crisi alimentari, epidemiche,<br />
e <strong>la</strong> conseguente progressiva depauperizzazione del<strong>la</strong> forza-<strong>la</strong>voro, mostrarono secondo Aurelio Musi un<br />
« intreccio esemp<strong>la</strong>re tra natura, società e politica e rinviano ad una matrice comune <strong>di</strong> questi fenomeni<br />
da ricercarsi nell’organizzazione socio-economica <strong>di</strong> tipo feudale, realtà <strong>di</strong> lunga durata che il tempo<br />
stenta a logorare» 44 .<br />
La crisi agraria che colpì il Regno tra il 1585 e il 1610 avrebbe poi messo in evidenza i fattori strutturali <strong>di</strong><br />
debolezza economica: <strong>la</strong> crisi colpiva una società in cui <strong>la</strong> struttura generale era tale da non consentire <strong>la</strong><br />
formazione <strong>di</strong> riserve sufficienti a garantire un rapido ristabilimento dopo lunghe perturbazioni.<br />
Il problema dell’approvvigionamento <strong>di</strong> una capitale così popo<strong>la</strong>ta, in cui, per <strong>la</strong> densità e <strong>la</strong> turbolenza<br />
del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione, <strong>la</strong> carestia poteva avere conseguenze politiche molto gravi, fu affrontata dal governo<br />
con una politica restrittiva, che proibiva l’esportazione e ostaco<strong>la</strong>va in mille mo<strong>di</strong> il commercio granaio<br />
facendone quasi un monopolio. 45<br />
A ciò si aggiunsero altre restrizioni nei confronti <strong>di</strong> tutti quelli che arrivavano nel<strong>la</strong> Capitale dal Regno e<br />
che non avevano fissa <strong>di</strong>mora ed un mestiere.<br />
Da qui <strong>la</strong> prammatica De Vagabun<strong>di</strong>s del 1559, che in principio trattava degli stranieri nel Regno. Si era<br />
infatti deciso <strong>di</strong> perseguire solo i forestieri <strong>di</strong> qualsiasi stato, i quali non esercitavano alcun mestiere. In<br />
seguito, nel 1560 e 1585, si decise <strong>di</strong> includere anche napoletani e i regnicoli. Le prammatiche, oltre a<br />
precisare le pene da comminare ai trasgressori, avevano un altro obiettivo: mobilitare e responsabilizzare<br />
gli organi locali nel controllo dei forestieri che andavano identificati e registrati. 46<br />
Il susseguirsi <strong>di</strong> altre prammatiche, nel 1593, nel 1611, nel 1638, mostrarono <strong>la</strong> scarsa efficacia delle<br />
pene minacciate. Quest’ultime colpirono maggiormente i poveri, che andavano ad infoltire <strong>la</strong> plebe, senza<br />
riuscire a risolvere il problema dell’immigrazione che metteva in pericolo, con sommosse ed agitazioni,<br />
l’equilibrio politico e sociale.<br />
Inoltre <strong>la</strong> contrazione agrico<strong>la</strong> e <strong>la</strong> contrazione del<strong>la</strong> domanda estera, in un’economia il cui settore naturale<br />
costituiva <strong>la</strong> principale fonte <strong>di</strong> ricchezze del<strong>la</strong> regione, stimo<strong>la</strong>rono una serie <strong>di</strong> «effetti indotti» 47 anche<br />
nel settore artigianale e manifatturiero.<br />
Durante <strong>la</strong> crisi generale del Seicento, il basso livello tecnologico, il controllo e il monopolio esercitato<br />
dall’aristocrazia terriera, <strong>la</strong> funzionalità delle attività artigianali al modo <strong>di</strong> produzione feudale, in un periodo<br />
in cui <strong>la</strong> nuova <strong>di</strong>visione internazionale del <strong>la</strong>voro spingeva verso <strong>la</strong> trasformazione delle corporazione e<br />
favoriva l’emergere delle più moderne figure impren<strong>di</strong>toriali, limitavano sensibilmente <strong>la</strong> produttività dei<br />
44 A. Musi, La spinta baronale... cit., p.231.<br />
45 G. Coniglio, Annona e Calmieri nel<strong>la</strong> <strong>Napoli</strong> spagno<strong>la</strong>, <strong>Napoli</strong>, Archivio Storico per le Provincie Napoletane, vol. LXV, p. 19.<br />
46 P. Avallone, Il controllo dei“ forestieri” a <strong>Napoli</strong> tra il XVI e XVIII secolo, in «Me<strong>di</strong>terranea», III, n. 6, Palermo, 2006,<br />
pp.188-189.<br />
47 A. Musi, La spinta baronale...cit., p.231.<br />
15
Decorazioni del portale <strong>di</strong> Pa<strong>la</strong>zzo <strong>di</strong> Sangro<br />
piccoli nuclei <strong>di</strong> industria familiare e <strong>la</strong> stessa capacità <strong>di</strong> sopravvivenza.<br />
Inoltre l’intervento del mercante trasformò in misura notevole il carattere del<strong>la</strong> produzione.<br />
Dal<strong>la</strong> seconda metà del secolo XVI e dal<strong>la</strong> prima del XVII secolo a <strong>Napoli</strong> l’artigianato si era notevolmente<br />
sviluppato. 48<br />
Era indubbiamente assai <strong>di</strong>ffusa <strong>la</strong> picco<strong>la</strong> produzione e molti artigiani vendevano <strong>di</strong>rettamente<br />
ai consumatori i propri prodotti. Ma spesso essi si univano in società, una forma assai frequente <strong>di</strong><br />
cooperazione, che consentiva <strong>di</strong> accrescere i capitali e <strong>di</strong> unire all’interno <strong>di</strong> uno stesso luogo <strong>di</strong> <strong>la</strong>voro<br />
più processi <strong>la</strong>vorativi e, infine, <strong>di</strong> provvedere, con uno dei soci, al<strong>la</strong> commercializzazione dei prodotti<br />
finiti. Il <strong>di</strong>stacco del processo <strong>di</strong> <strong>la</strong>vorazione da quello <strong>di</strong> commercializzazione aveva favorito lo sviluppo<br />
dell’artigianato e <strong>la</strong> presenza sempre più massiccia <strong>di</strong> operatori commerciali stranieri che, per tra<strong>di</strong>zione,<br />
erano già dal XVI secolo presenti nell’area napoletana. 49<br />
Sicché i produttori e mercanti napoletani continuarono a control<strong>la</strong>re solo una picco<strong>la</strong> parte <strong>di</strong> questo<br />
movimento commerciale e <strong>la</strong> Capitale, pur essendo economicamente e socialmente <strong>di</strong> gran lunga più<br />
sviluppata del restante Regno, porto militare e commerciale <strong>di</strong> primaria importanza, residenza del<strong>la</strong><br />
quota più consistente del ceto borghese e contenitore e fruitore del<strong>la</strong> maggior parte del<strong>la</strong> ricchezza<br />
del Mezzogiorno, avrebbe con<strong>di</strong>viso con le provincie « il destino storico <strong>di</strong> area in posizione subalterna<br />
rispetto al grande commercio e al<strong>la</strong> grande finanza internazionali ». 50<br />
I mercanti napoletani incontravano grosse <strong>di</strong>fficoltà nel campo del commercio internazionale, dove si<br />
trovavano <strong>di</strong> fronte alle consolidate presenze fiorentina, genovese e veneziana. Ma anche una parte<br />
notevole del commercio interno era nelle mani dei mercanti stranieri. Quest’ultimi, in partico<strong>la</strong>re<br />
genovesi, veneziani e fiorentini si occupavano dei commerci dei cereali ed esportavano olio pugliese. La<br />
Puglia, infatti, <strong>di</strong>venne, a partire dal<strong>la</strong> seconda metà del XVI secolo, <strong>la</strong> provincia dal<strong>la</strong> quale <strong>di</strong>pendeva<br />
l’approvvigionamento <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>. A Bari, uno dei maggiori centri del commercio oleario, si era formata<br />
una importante colonia <strong>di</strong> mercanti stranieri, molti dei quali, con il tempo, s’inserirono stabilmente nel<strong>la</strong><br />
società citta<strong>di</strong>na.<br />
Il passaggio obbligato verso il ra<strong>di</strong>camento <strong>di</strong> famiglie straniere, in partico<strong>la</strong>r modo genovesi, a <strong>Napoli</strong><br />
48 L’artigianato, attirava <strong>la</strong> maggior parte degli immigrati che giungevano a <strong>Napoli</strong>, seguendo spesso <strong>la</strong> strada già percorsa<br />
da amici o parenti. Circa il 30% degli immigrati trovava <strong>la</strong>voro in tali attività. Assai elevata era anche <strong>la</strong> percentuale, circa il 47%,<br />
degli immigrati tra i nobili che si stabilivano nel<strong>la</strong> capitale, spendendovi le loro ren<strong>di</strong>te, e portando spesso con sé i loro domestici,<br />
o comunque ne stimo<strong>la</strong>rono l’immigrazione, provocando una forte espansione del<strong>la</strong> categoria dei servizi, che dava <strong>la</strong>voro a circa il<br />
20% degli immigrati. In A. Lepre, Storia del….. cit. p. 162.<br />
49 Le Arti del<strong>la</strong> Seta e del<strong>la</strong> Lana sovrastavano le altre per antichità delle loro tra<strong>di</strong>zioni e per <strong>la</strong> parte che rappresentavano<br />
nel<strong>la</strong> vita economica del<strong>la</strong> città.<br />
Segno <strong>di</strong> partico<strong>la</strong>re prestigio era il fatto che il Tribunale dell’Arte del<strong>la</strong> Seta, assai più <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> tutte le altre corporazioni, non si<br />
limitava a giu<strong>di</strong>care le sole cause nascenti nell’ambito del mestiere, ma si attribuiva anche tutte quelle civili, criminali e miste in cui<br />
erano implicate le persone del mestiere.<br />
50 G. Ga<strong>la</strong>sso, <strong>Napoli</strong> spagno<strong>la</strong> dopo Masaniello : politica, cultura, società,Firenze,Sansoni, 1982. p. XVI.<br />
16
era dato dall’apertura <strong>di</strong> sportelli bancari. Infatti se <strong>la</strong> produzione era prevalentemente control<strong>la</strong>ta dal<strong>la</strong><br />
feudalità e <strong>la</strong> sfera del mercato e del<strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione dagli stranieri, secondo Musi erano « abbastanza chiari<br />
i termini del rapporto e tutti gli intrecci che vengono a crearsi attraverso le <strong>di</strong>verse operazioni bancarie». 51<br />
Difatti, il ceto mercantile, in<strong>di</strong>pendentemente dal<strong>la</strong> nazionalità, non si limitava ad acquistare o vendere<br />
derrate alimentari, materie prime, prodotti finiti, o, come già accennato, a finanziare <strong>la</strong> produzione <strong>di</strong><br />
tessili o altro con ammortamenti collegati alle scadenze delle ferie dei cambi. Ma soprattutto e in misura<br />
non trascurabile finanziavano il governo vicereale e l’amministrazione del<strong>la</strong> Capitale.<br />
Nel<strong>la</strong> prima metà del’500, durante il viceregno <strong>di</strong> Toledo, il sistema bancario <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> non <strong>di</strong>fferiva da<br />
quello spagnolo.<br />
Nel Napoletano, come in Spagna, l’attività bancaria era esercitata in prevalenza da banchieri genovesi.<br />
Soltanto verso <strong>la</strong> fine del XVI secolo si assistette «all’emergere, più che altrove nel<strong>la</strong> capitale <strong>di</strong> ceti<br />
borghesi impren<strong>di</strong>toriali locali in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguersi polemicamente e con successo così dal<strong>la</strong> nobiltà<br />
citta<strong>di</strong>na e feudale come dal capitalismo forestiero». 52<br />
In seguito al fallimento <strong>di</strong> alcuni banchi privati, nel 1584, il viceré duca d’Ossuna ( 1582- 1586 ) aveva<br />
<strong>di</strong>chiarato banco pubblico un istituto pio a <strong>la</strong>rga presenza borghese, quale il Monte <strong>di</strong> Pietà53 e approvò<br />
nuovi capitoli concernenti l’opera pia Monte dei Poveri, che nel Seicento sarebbe <strong>di</strong>venuto banco pubblico. 54<br />
Ciò avrebbe comportato un rafforzamento del<strong>la</strong> finanza napoletana attraverso il definitivo ed incontrastato<br />
affermarsi del banco pubblico, a funzione quasi esclusiva <strong>di</strong> deposito e copertura del<strong>la</strong> me<strong>di</strong>a borghesia<br />
citta<strong>di</strong>na napoletana, e <strong>la</strong> contemporanea riduzione dei banchi genovesi. Nel 1598 fallì l’importante Banco<br />
de’ Mari, nel medesimo anno, il banchiere genovese Giacomo Saluzzo, presidente <strong>di</strong> Camera, chiese il<br />
permesso <strong>di</strong> istituire una depositaria generale. Il nuovo istituto avrebbe dovuto esercitare il monopolio<br />
dell’attività bancaria, con <strong>di</strong>rezione a <strong>Napoli</strong> e filiali nelle città se<strong>di</strong> <strong>di</strong> U<strong>di</strong>enze e in altre quattro località<br />
da designare. Il viceré fu favorevole al<strong>la</strong> proposta, ma non poté vincere l’ostilità dell’opinione pubblica<br />
napoletana, ostile ai genovesi e legata ai Banchi dei Luoghi Pii. 55<br />
I Monti <strong>di</strong> Pietà si connotarono così come un fenomeno religioso- assistenziale e al contempo economico,<br />
51 A. Musi, Mezzogiorno spagnolo. La via napoletana allo stato moderno, <strong>Napoli</strong>, Guida, 1991. p. 143.<br />
52 R. Co<strong>la</strong>pietra, Il governo spagnolo nell’Italia meri<strong>di</strong>onale ( <strong>Napoli</strong> dal 1580 al 1648 ), in Storia <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, vol. V, T. I, ed.<br />
Scientifiche italiane, 1974, p175.<br />
53 Il risveglio religioso, che si manifestò nel Mezzogiorno come altrove, con l’affermarsi del<strong>la</strong> riforma protestante, provocò un<br />
fiorire <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ni religiosi, in parte <strong>di</strong> origine italiana in parte <strong>di</strong> origine spagno<strong>la</strong>. Gli appartenenti a questi or<strong>di</strong>ni andavano pre<strong>di</strong>cando<br />
nelle Chiese napoletane per risvegliare nei frequentatori <strong>la</strong> coscienza dei gran<strong>di</strong> valori del<strong>la</strong> Cristianità. Un peso notevole fu esercitato<br />
dai padri Teatini, l’or<strong>di</strong>ne creato da Gaetano da Thiene, che sostennero nelle loro pre<strong>di</strong>che <strong>la</strong> necessità, per venire incontro<br />
alle c<strong>la</strong>ssi sociali meno fortunate, <strong>di</strong> istituire dei Monti <strong>di</strong> Pietà. Fu dal<strong>la</strong> loro pre<strong>di</strong>cazione che nacque a <strong>Napoli</strong>, nel 1539, il Monte <strong>di</strong><br />
Pietà, istituto non nuovo in Italia, in quanto <strong>di</strong>ffuso negli Stati del<strong>la</strong> Chiesa fin dal<strong>la</strong> seconda metà del Quattrocento.<br />
54 L. De Rosa, L’Archivio del Banco <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> e l’Attività dei Banchi Pubblici Napoletani, in De Computis, Revista Españo<strong>la</strong> de<br />
Historia de <strong>la</strong> Contabilidad, n˚1, 2004, p. 54.<br />
55 G. Coniglio, I viceré spagnoli <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, <strong>Napoli</strong>, Fiorenino, 1967. p.150.<br />
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venendo incontro a due fondamentali esigenze: <strong>la</strong> prima, strettamente legata al<strong>la</strong> scarsità <strong>di</strong> moneta in<br />
circo<strong>la</strong>zione; <strong>la</strong> seconda, legata alle necessità finanziarie dei luoghi pii, che si moltiplicarono a man mano<br />
che <strong>la</strong> città si popo<strong>la</strong>va più densamente.<br />
Infatti, le occasioni <strong>di</strong> <strong>la</strong>voro che scaturivano dal<strong>la</strong> presenza <strong>di</strong> una folta c<strong>la</strong>sse <strong>di</strong> benestanti e dallo sviluppo<br />
del<strong>la</strong> manifattura tessile erano <strong>di</strong>ventate <strong>la</strong>rgamente insufficienti rispetto all’espansione demografica del<strong>la</strong><br />
città.<br />
Un’ espansione che si ripercuoteva soprattutto sul tessuto urbano. Esso si presentava sud<strong>di</strong>viso in<br />
quattro zone fondamentali: un’area settentrionale abitata prevalentemente da nobili e burocrati <strong>di</strong> alto<br />
rango; i quartieri spagnoli, interessati nel XVI secolo da un notevole sviluppo e<strong>di</strong>lizio, con inse<strong>di</strong>amenti e<br />
servizi militari; l’area meri<strong>di</strong>onale che nel<strong>la</strong> prima metà del Seicento era il cuore del<strong>la</strong> vita commerciale,<br />
artigiana e manifatturiera del<strong>la</strong> capitale; <strong>la</strong> fascia periferica in cui è possibile identificare una struttura<br />
prevalentemente agrico<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> zona esterna lontana dalle mura (Capo<strong>di</strong>monte, Vomero, Posillipo) e<br />
un’area interna in cui prevalevano mestieri urbani e commerciali. Sicché <strong>la</strong> descrizione delle aree del<strong>la</strong><br />
città poteva essere nel contempo descrizione delle attività che si svolgevano al suo interno.<br />
Già verso <strong>la</strong> metà del Seicento si contano all’interno del<strong>la</strong> Capitale pa<strong>la</strong>zzi a sette piani; mentre in<br />
molti erano costretti ad abitare in spazi ristrettissimi, i «bassi» e le baracche, raccolti nei fondaci e nei<br />
luoghi dove maggiormente si svolgevano <strong>la</strong> vita economica, il mercato, le attività artigianali e quelle<br />
manifatturiere.<br />
Si andarono così fissando «i tratti pletorici e parassitari del<strong>la</strong> struttura sociale» 56 ed il conseguente<br />
abnorme sviluppo urbano e suburbano del tutto illegale, che avrebbe caratterizzato <strong>la</strong> topografia del<strong>la</strong><br />
Capitale57 .<br />
Tra il 1595 e il 1606, inoltre, le fasce periferiche citta<strong>di</strong>ne subiscono una maggiore espansione rispetto<br />
alle aree interne del<strong>la</strong> città. All’esterno del<strong>la</strong> città si era infatti sviluppata una fitta rete <strong>di</strong> borghi suburbani<br />
che con il tempo finiranno per congiungersi alle mura <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>. Essi costituivano uno sfogo all’e<strong>di</strong>lizia<br />
residenziale che non riusciva ad espandersi a sufficienza all’interno delle mura e, pur contro le <strong>di</strong>sposizioni<br />
delle prammatiche, tale sviluppo continuò fino al<strong>la</strong> prima metà del Seicento.<br />
Di fatti <strong>la</strong> massa <strong>di</strong> vagabon<strong>di</strong> provenienti dalle campagne e dalle città vicine trovava rifugio in questi<br />
borghi alimentando un flusso pendo<strong>la</strong>re tra questi e <strong>la</strong> città murata. Gli abitanti <strong>di</strong> tali luoghi erano<br />
costretti per entrare in città a raggiungere le varie porte e non sempre ciò era agevole. Fu così che<br />
all’inizio del Seicento si cominciarono a praticare dei varchi abusivi e molti <strong>di</strong> questi passaggi furono in<br />
seguito, sotto <strong>la</strong> richiesta popo<strong>la</strong>re, trasformati da pertugio in vere e proprie porte.<br />
56 G. D’Agostino, Per una storia… cit., p.96.<br />
57 Il potere centrale vietò con una serie <strong>di</strong> prammatiche, pubblicate ben 7 volte fra il 1555 e il 1627, ogni possibilità <strong>di</strong> costruire<br />
in prossimità delle mura, sia all’esterno che all’interno <strong>di</strong> esse. In G. Labrot, La citta meri<strong>di</strong>onale, in Storia del Mezzogiorno:<br />
aspetti e problemi del Me<strong>di</strong>oevo e dell’Età Moderna, <strong>Napoli</strong>, E<strong>di</strong>zioni del Sole, 1991. p. 256.<br />
18
Un <strong>la</strong>zzaro<br />
La stessa complessità e <strong>di</strong>sorganicità valeva per <strong>la</strong> stratificazione citta<strong>di</strong>na.<br />
La piramide sociale <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> nel Seicento si presentava composta da molti livelli: sul livello più alto vi<br />
erano i nobili e i maggiori rappresentanti del<strong>la</strong> burocrazia statale; in mezzo vi erano i notai, gli avvocati, i<br />
me<strong>di</strong>ci, i burocrati <strong>di</strong> grado non elevato, i mercanti e ai livelli inferiori gli artigiani e i piccoli commercianti.<br />
Su quello più basso quanti vivevano al<strong>la</strong> giornata, esercitando ora un mestiere ora un altro e affidandosi<br />
talvolta per sopravvivere, al<strong>la</strong> carità pubblica e privata, i cosiddetti <strong>la</strong>zzari. 58<br />
b) La vita politica.<br />
Con <strong>la</strong> fine dell’autoritarismo del viceré Toledo, grazie al quale Carlo V, subito dopo <strong>la</strong> sconfitta <strong>di</strong> Lautrec, 59<br />
aveva inflitto un duro colpo all’antica feudalità filo-francese e al<strong>la</strong> fazione angioina, 60 si apre per <strong>Napoli</strong><br />
« <strong>la</strong> fase centrale del processo <strong>di</strong> autovalorizzazione del<strong>la</strong> Città come e in quanto Capitale del Regno » 61 .<br />
I Seggi del<strong>la</strong> Capitale, sfera sempre più chiusa dell’organizzazione politica e rappresentativa cetuale,<br />
erano <strong>di</strong>venuti l’unico sbocco dell’in<strong>di</strong>pendentismo nobiliare. 62<br />
I Seggi, 5 nobili ed uno popo<strong>la</strong>re, dominavano, quello del popolo in misura estremamente ridotta, <strong>la</strong> vita<br />
politica del<strong>la</strong> Capitale e con le serrate l’aristocrazia limitava e control<strong>la</strong>va l’accesso ad essi, in conseguenza<br />
del fatto che <strong>la</strong> loro importanza era cresciuta a <strong>di</strong>smisura con l’allontanamento da <strong>Napoli</strong> dei sovrani e con<br />
l’avvento del regime vicereale. 63<br />
58 Il nome <strong>la</strong>zzaro deriva dallo spagnolo, ed è legato all’antico vocabolo spagnolo <strong>la</strong>cerìa che significava insieme « lebbra »<br />
e « miseria ». Già in uso nel linguaggio <strong>di</strong> conversazione a fine Cinquecento, nel senso <strong>di</strong> plebeo o pezzente, <strong>di</strong>venta nel Seicento<br />
vocabolo specifico per in<strong>di</strong>care un determinato strato sociale.<br />
59 Nel 1528 fallisce il tentativo francese <strong>di</strong> invadere il Regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> con un esercito comandato da Lautrec. Quest’ultimo<br />
venne respinto dall’ammiraglio genovese Andrea Doria e dal<strong>la</strong> sua flotta.<br />
60 L’attività <strong>di</strong> Don Pedro Alvarez de Toledo fu varia e complessa. Innanzitutto colpì lo strapotere dei signori feudali con alcune<br />
prammatiche pubblicate tra il 1536 ed il 1540. Nel 1536 fu vietato ai baroni <strong>di</strong> limitare <strong>la</strong> libertà <strong>di</strong> commercio dei loro vassalli. Ciò<br />
tendeva ad evitare che i feudatari pretendessero <strong>di</strong> acquistare i prodotti agricoli del feudo ad un prezzo a loro conveniente e <strong>di</strong> vendere<br />
agli abitanti le merci <strong>di</strong> cui potessero avere bisogno. Proibì che i nobili cedessero nelle terre sottoposte al<strong>la</strong> loro giuris<strong>di</strong>zione<br />
gli uffici giu<strong>di</strong>ziari e combatté gli abusi <strong>di</strong> qualsiasi genere nell’esercizio del<strong>la</strong> giustizia baronale. Inoltre nel periodo delle guerre i<br />
feudatari avevano proceduto a vaste usurpazioni <strong>di</strong> demani comunali e statali. Il viceré cercò <strong>di</strong> riportarli nei loro confini, vietò <strong>la</strong><br />
chiusura dei terreni ad uso del<strong>la</strong> collettività ed or<strong>di</strong>nò che si provvedesse a reintegrare i territori che appartenevano ai pascoli del<strong>la</strong><br />
Dogana delle pecore <strong>di</strong> Foggia. In G. Coniglio, I Viceré …cit., p.39.<br />
61 G. D’Agostino, <strong>Napoli</strong> al tempo <strong>di</strong> Filippo II, in <strong>Napoli</strong> e Filippo II…op. cit., p. 34.<br />
62 Nel periodo precedente al<strong>la</strong> dominazione angioina risultavano presenti 29 Seggi, quanti erano i rioni del<strong>la</strong> Città. Nel 1306<br />
<strong>la</strong> Riforma fiscale attuata da Carlo II d’Angiò « da una parte toglie importanza alle p<strong>la</strong>tee come ripartizioni tributarie », dall’altra<br />
asseconda un fenomeno già in atto <strong>di</strong> accorpamento delle p<strong>la</strong>tee minori attorno alle maggiori. Un processo questo che portò in breve<br />
tempo al<strong>la</strong> riduzione dei Seggi al numero <strong>di</strong> 5: le Piazze <strong>di</strong> Capuana e Nido, che accoglievano <strong>la</strong> nobiltà più antica; Porto, Portanova<br />
e Montagna per <strong>la</strong> nobiltà più recente e <strong>di</strong> grado inferiore. In G. D’Agostino, Per una storia…,op. cit, p.70.<br />
63 Agli inizi del Seicento facevano parte dei Seggi nobili non meno <strong>di</strong> un centinaio <strong>di</strong> famiglie, mentre <strong>la</strong> restante popo<strong>la</strong>zione<br />
era rappresentata dal Seggio del popolo. Le adunanze degli associati <strong>di</strong> ciascun Seggio nobile avvenivano in luoghi separati: il Se<strong>di</strong>le<br />
<strong>di</strong> Capuana nel<strong>la</strong> strada dei Tribunali; quello <strong>di</strong> Montagna tra via San Paolo e <strong>la</strong> Chiesa <strong>di</strong> S. Angelo a Segno; quello <strong>di</strong> Forcel<strong>la</strong><br />
nell’omonima via, accanto al<strong>la</strong> Chiesa <strong>di</strong> Santa Maria a Piazza; quello <strong>di</strong> Nido o Nilo, nel Largo <strong>di</strong> Santa Maria dei Pignatelli, ossia<br />
dove oggi vi è <strong>la</strong> statua del Nilo; il Se<strong>di</strong>le <strong>di</strong> Porto nell’attuale via Mezzocannone; quello <strong>di</strong> Portanova nell’omonima piazza, accanto<br />
19
La nobiltà napoletana si presentava gerarchicamente ripartita e ben definita nei propri ranghi: nobiltà<br />
<strong>di</strong> seggio, nobiltà fuori piazza nel<strong>la</strong> capitale, signori tito<strong>la</strong>ti, baroni, nobili <strong>di</strong> città nelle provincie. Va<br />
sottolineato che questa gerarchizzazione non escludeva l’esistenza <strong>di</strong> molteplici e intricati intrecci tra le<br />
<strong>di</strong>verse sfere del<strong>la</strong> nobiltà, che si manifestavano in molteplici fenomeni culturali e associativi. 64<br />
Inoltre nel ceto nobiliare vi erano evidenti contrasti: sono note le tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong>visioni e <strong>la</strong> pretesa dei<br />
due seggi nobili più ricchi e numerosi <strong>di</strong> Capuana e Nido rispetto agli altri tre Seggi, a cui era ascritta una<br />
nobiltà minore. 65<br />
Infatti i primi due opponevano <strong>la</strong> loro antica nobiltà rispetto all’origine mercantile e borghese <strong>di</strong> Montagna,<br />
Porto e Portanova66 in cui sarebbero confluiti, a partire dall’età angioina, gli esponenti <strong>di</strong> un ceto urbano<br />
legato al<strong>la</strong> Corona da prestiti monetari. 67 Ciò spiega <strong>la</strong> rego<strong>la</strong> a non imparentarsi con gli altri tre Seggi e<br />
<strong>la</strong> pratica <strong>di</strong> specifiche consuetu<strong>di</strong>ni dotali. 68<br />
La nobiltà napoletana residente in città, secondo D’Agostino, era formata sostanzialmente da due anime<br />
che corrispondevano ai due nuclei principali che <strong>la</strong> costituivano: baronaggio provinciale inurbatosi e cavalieri<br />
ab antiquo proveniente dai seggi e ad essi collegati. 69<br />
Come ha sottolineato Muto, « un primo criterio <strong>di</strong>scriminante opera all’interno del<strong>la</strong> nobiltà citta<strong>di</strong>na,<br />
<strong>di</strong>videndo<strong>la</strong> in due con<strong>di</strong>zioni assai <strong>di</strong>verse » 70 ; vi erano infatti due or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> nobiltà nel<strong>la</strong> Capitale: una<br />
al pa<strong>la</strong>zzo Mormile.<br />
Ciascun Seggio nobile era governato, al suo interno, da sei cavalieri, con l’eccezione del seggio <strong>di</strong> Nido che era retto da cinque<br />
deputati: questi, in totale 29, costituivano una magistratura, detta dei Cinque e Sei, con giuris<strong>di</strong>zione sui nobili del<strong>la</strong> propria Piazza,<br />
potestà <strong>di</strong> convocare i Seggi stessi e <strong>di</strong> nominarne gli Eletti per il Tribunale <strong>di</strong> San Lorenzo. Ciascuna delle sei Piazze nobili aveva<br />
un proprio Eletto, tranne quel<strong>la</strong> <strong>di</strong> Montagna che ne aveva due, ma con un unico voto, perché <strong>la</strong> si considerava sempre unita con <strong>la</strong><br />
Piazza <strong>di</strong> Forcel<strong>la</strong> un tempo autonoma. In G. D’Agostino, Per una storia… cit., p.70; B. Capasso, Catalogo…cit., pp. 26-27.<br />
64 La “nobiltà tito<strong>la</strong>ta” , con <strong>la</strong> sua riconosciuta gerarchia <strong>di</strong> principi, duchi, marchesi, e conti, era investita <strong>di</strong> potere giuris<strong>di</strong>zionale<br />
sul territorio infeudato. Inoltre per i membri <strong>di</strong> queste famiglie, concentrate in un ristretto numero <strong>di</strong> casate <strong>di</strong> antica<br />
nobilitazione ( poco più <strong>di</strong> una decina), il titolo si accompagnava <strong>di</strong> norma al<strong>la</strong> con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> patrizio <strong>di</strong> seggio, rendendo evidente<br />
<strong>la</strong> capacità <strong>di</strong> intervento al centro e al<strong>la</strong> periferia, nel<strong>la</strong> città e nelle campagne.<br />
65 R.Vil<strong>la</strong>ri, La feudalità e lo Stato napoletano nel secolo XVII, Roma, Ambrosini, 1965. p. 15.<br />
66 Questi tre seggi erano tra<strong>di</strong>zionalmente riservati al<strong>la</strong> nobiltà più recente costituita da ceti emergenti e legisti, famiglie che<br />
attraverso <strong>la</strong> toga tentarono con successo <strong>di</strong> risalire <strong>la</strong> piramide nobiliare.<br />
67 A causa dei continui contrasti sorti su questioni <strong>di</strong> origine nobiliare tra Nido e Capuana, da un <strong>la</strong>to, e Montagna, Porto e<br />
Portanova, dall’altro, nel periodo tra il 1332 e 1338, re Roberto volle stabilire limiti e competenze dei Seggi, promulgando “ i Capitoli<br />
<strong>di</strong> Concor<strong>di</strong>a e Pace”. Il lodo <strong>di</strong> re Roberto fissò alcuni importanti principi: un terzo degli onori e delle cariche furono attribuite<br />
ai nobili <strong>di</strong> Capuana e Nido, mentre i due terzi furono attribuiti alle restanti p<strong>la</strong>tee; <strong>la</strong> facoltà ai primi <strong>di</strong> riunirsi separatamente e le<br />
re<strong>la</strong>tive modalità; <strong>la</strong> collegialità e <strong>la</strong> composizione, anche essa proporzionale, del<strong>la</strong> magistratura dei Sei e i rapporti da osservare<br />
con il Capitano <strong>di</strong> Città, funzionario <strong>di</strong> nomina regia pre<strong>di</strong>sposto al controllo del buon andamento dell’amministrazione citta<strong>di</strong>na. In<br />
G. D’Agostino, Per una storia…,op. cit, p.70<br />
68 M. A. Visceglia, Identità sociali. La nobiltà napoletana nel<strong>la</strong> prima età moderna,Mi<strong>la</strong>no, Unicopli, 2002, p.29.<br />
69 G. D’Agostino, Par<strong>la</strong>mento e società nel Regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> ( XV-XVIII secolo), <strong>Napoli</strong>, Guida, 1979, p.134<br />
70 G. Muto, « I segni d’honore». Rappresentazioni delle <strong>di</strong>namiche nobiliari a <strong>Napoli</strong> in età moderna, a cura <strong>di</strong>, M. A. Visceglia,<br />
Signori, patrizi e cavalieri,<strong>Napoli</strong>, Laterza, 1992.p.174.<br />
20
Pa<strong>la</strong>zzo Donn’Anna<br />
facente parte dei Seggi e un altro tenuto fuori da questi e detto fuori piazza.<br />
La cooptazione nei Seggi era non solo un segno <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzione e <strong>di</strong> onore, ma anche un lucro economico,<br />
dal momento che i Seggi <strong>di</strong>videvano tra loro « <strong>la</strong> sessagesima parte <strong>di</strong> tutte le merci che per mare e per<br />
terra entravano dentro <strong>Napoli</strong>». 71<br />
All’organizzazione per seggi era inoltre connessa <strong>la</strong> <strong>di</strong>fesa del territorio citta<strong>di</strong>no. Per antica tra<strong>di</strong>zione alle<br />
cinque piazze nobili era dato il compito <strong>di</strong> eleggere altrettanti capitani <strong>di</strong> guerra ai quali erano affidate<br />
le chiavi del<strong>la</strong> città, <strong>la</strong> custo<strong>di</strong>a delle mura e del<strong>la</strong> porte <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>. In maniera in<strong>di</strong>scussa ai seggi nobili<br />
veniva inoltre affidato l’incarico <strong>di</strong> eleggere il Sindaco del<strong>la</strong> Città. Quest’ultimo, designato a turno da una<br />
del<strong>la</strong> piazze nobili, aveva il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> precedenze rispetto ai signori feudali e a tutti gli ufficiali, in quanto<br />
rappresentante <strong>di</strong> tutta <strong>la</strong> città e il Regno,nelle cerimonie ufficiali, come l’ingresso del viceré nel<strong>la</strong> sua<br />
carica, e nei par<strong>la</strong>menti generali. Infine, essere ricevuto nei se<strong>di</strong>li nobili era inclusivo del privilegio <strong>di</strong><br />
citta<strong>di</strong>nanza. 72<br />
Di conseguenza <strong>la</strong> nobiltà fuori piazza «guardava con invi<strong>di</strong>a e con rancore quei cavalieri privilegiati che,<br />
perché appartenenti ad un se<strong>di</strong>le, eleggevano nel proprio seno gli amministratori citta<strong>di</strong>ni con l’annessa<br />
ingerenza negli appalti e negli approvvigionamenti, e creavano i magistrati del<strong>la</strong> città e i governatori dei<br />
banchi e delle opere pie e i componenti delle numerose deputazioni». 73<br />
Tra il 1517 ed 1542, ossia nel periodo più critico del viceregno74 , ogni varco fu chiuso e tutto il patriziato<br />
napoletano si attestò nei Seggi, serrandoli maggiormente.<br />
Ad iniziare fu il Seggio <strong>di</strong> Capuana che nel 1517 deliberò vincoli strettissimi all’aggregazione: per essere<br />
ammessi agli onori <strong>di</strong> Seggio bisognava provenire da famiglia avente quattro quarti <strong>di</strong> nobiltà, ossia che<br />
fosse antica da almeno quattro generazioni, nel<strong>la</strong> <strong>di</strong>scendenza patrilineare, con qualche attenuazione<br />
in caso <strong>di</strong> matrimonio con dame dello stesso Seggio. Inoltre, i membri del<strong>la</strong> casata dovevano essere<br />
legittimi, nati ex legitimis, residenti nel territorio del Seggio ed aventi parente<strong>la</strong> e familiarità con lignaggi<br />
71 P. L. Rovito, Il Viceregno spagnolo <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, <strong>Napoli</strong>, Arte tipografica, 2003, p.73.<br />
72 Il 4 giugno del 1479, Ferrante d’Aragona aveva promulgato, 14 anni dopo <strong>la</strong> sconfitta a Troja del<strong>la</strong> prima Congiura dei<br />
Baroni (1460-1465),<strong>la</strong> prammatica De Immunitate Neapolitanorum, che sanciva in modo organico le modalità <strong>di</strong> acquisizione<br />
del<strong>la</strong> citta<strong>di</strong>nanza napoletana e le prerogative da essa derivanti. Tra i requisiti principali necessari ad ottenere <strong>la</strong> citta<strong>di</strong>nanza,<br />
oltre al<strong>la</strong> residenza stabile e continua intra moenia, era <strong>la</strong> ductio uxoris, ossia <strong>la</strong> obbligatorietà <strong>di</strong> convo<strong>la</strong>re a nozze con una<br />
napoletana. L’obbligo <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza <strong>di</strong>venne un ottimo strumento <strong>di</strong> controllo politico-sociale, poiché chiunque avesse voluto<br />
intraprendere una sca<strong>la</strong>ta sociale e partecipare al<strong>la</strong> vita politica del<strong>la</strong> capitale, avrebbe dovuto acquisire necessariamente <strong>la</strong> citta<strong>di</strong>nanza<br />
napoletana; solo in questo modo infatti si poteva ottenere <strong>la</strong> facoltà <strong>di</strong> esercitare gli uffici del Regno, privilegio riservato<br />
esclusivamente ai citta<strong>di</strong>ni napoletani. Quest’ultimi in qualunque tipo <strong>di</strong> causa beneficiavano del privilegio del foro, non potevano<br />
essere torturati «senza previo processo informativo» e non erano soggetti al<strong>la</strong> confisca dei beni, «se non nei reati <strong>di</strong> lesa maestà<br />
<strong>di</strong>vina e umana». In B. Capasso,Catalogo…cit., p. 15.; P. Ventura, Il linguaggio del<strong>la</strong> citta<strong>di</strong>nanza a <strong>Napoli</strong> tra ritualità civica,<br />
amministrazione e pratica politica, (secoli XV-XVI )I, in Linguaggi e pratiche del potere, Salerno, Laveglia, 2007. p.348.<br />
73 M. Schipa, Masaniello, Bari, Laterza,1925.p.21.<br />
74 Il decennio 1520-1530 fu importantissimo nell’e<strong>la</strong>borazione <strong>di</strong> una linea politica per <strong>la</strong> “parte spagno<strong>la</strong>” dell’Impero, nel<strong>la</strong><br />
ricerca <strong>di</strong> un punto <strong>di</strong> equilibrio tra due esigenze: l’affermazione dell’autorità del<strong>la</strong> monarchia e <strong>la</strong> ricerca <strong>di</strong> alleanze con i ceti sociali<br />
dei singoli regni.<br />
21
già ascritti in quel Seggio.<br />
Di qui i Capitoli approvati dal Seggio <strong>di</strong> Nido nel 1520, una riforma consistente nell’affiancare al<strong>la</strong><br />
prova <strong>di</strong> nobiltà su quattro generazioni patrilineari, un’antichità nobiliare familiare limitata al<strong>la</strong> seconda<br />
generazione, ma al<strong>la</strong>rgata a comprendere <strong>la</strong> nobiltà del<strong>la</strong> madre e <strong>di</strong> ambedue i genitori <strong>di</strong> questa75 .<br />
Come ha <strong>di</strong>mostrato Muto, nel<strong>la</strong> seconda metà del Cinquecento <strong>la</strong> pressione del<strong>la</strong> nobiltà fuori piazza sui<br />
seggi si fece aggressiva.<br />
Dopo il 1557 un gruppo cospicuo <strong>di</strong> famiglie nobili tentò ripetutamente <strong>di</strong> forzare i ranghi del patriziato<br />
nel 1561, 1571, 1580, poi nel secolo successivo nel 1608, nel 1637, al<strong>la</strong> vigilia del<strong>la</strong> <strong>rivoluzione</strong> del 1647,<br />
enfatizzando <strong>la</strong> propria fedeltà e gli stretti legami con <strong>la</strong> Corona spagno<strong>la</strong>. 76<br />
Una precisa analisi <strong>di</strong> questo contrasto è data da D’Agostino, che giu<strong>di</strong>ca il conflitto «fortemente in<strong>di</strong>cativo<br />
del<strong>la</strong> resistenza conservatrice del patriziato citta<strong>di</strong>no a qualsiasi apertura che potesse pregiu<strong>di</strong>care <strong>la</strong><br />
propria posizione <strong>di</strong> potere e <strong>di</strong> privilegio nell’ambito dell’amministrazione e del governo del<strong>la</strong> Capitale,<br />
ma anche rive<strong>la</strong>tore del<strong>la</strong> forte coscienza da parte del<strong>la</strong> nobiltà citta<strong>di</strong>na del<strong>la</strong> propria in<strong>di</strong>vidualità rispetto<br />
al baronaggio provinciale e al Regno stesso». 77<br />
In effetti l’irrigi<strong>di</strong>mento dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> aggregazione, deliberati dalle piazze nobili nel primo Cinquecento,<br />
era accresciuto a partire dal<strong>la</strong> seconda metà del secolo a causa dell’espansione del mercato del feudo e<br />
dal<strong>la</strong> contemporanea inf<strong>la</strong>zione dei titoli nobiliari.<br />
Al<strong>la</strong> nobilitazione attraverso <strong>la</strong> via politico-amministrativa, che fu caratteristica dell’epoca aragonese, si<br />
aggiunse, nel corso del XVI secolo e fino al tramonto del<strong>la</strong> feudalità (1806), <strong>la</strong> nobilitazione provocata<br />
dalle specu<strong>la</strong>zioni finanziarie.<br />
Si verificò così un ingrossamento del<strong>la</strong> nobiltà <strong>di</strong> provenienza borghese e, prima ancora, un aumento <strong>di</strong><br />
ricchezze <strong>di</strong> origine mercantile e finanziaria.<br />
Uno degli elementi che contribuì all’ascesa sociale dei “nuovi ricchi”, <strong>di</strong> cui mercanti e capitalisti stranieri<br />
(soprattutto genovesi) e regnicoli, liberi professionisti e tito<strong>la</strong>ri <strong>di</strong> uffici rappresentarono <strong>la</strong> gran<strong>di</strong>ssima<br />
maggioranza, era stato aperto dal<strong>la</strong> possibilità <strong>di</strong> acquisto <strong>di</strong> beni feudali con <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva nobilitazione.<br />
Il possesso <strong>di</strong> un feudo era <strong>di</strong>venuto <strong>la</strong> sorgente prima <strong>di</strong> ogni grande ricchezza e assorbiva le energie ed i<br />
mezzi finanziari non solo dell’aristocrazia ma anche <strong>di</strong> questi nuovi ricchi, <strong>la</strong> cui so<strong>la</strong> ambizione era quel<strong>la</strong><br />
<strong>di</strong> inse<strong>di</strong>arsi grazie ad esso, nel ceto aristocratico.<br />
La ricerca del possesso <strong>di</strong> un feudo <strong>di</strong>venne sempre più affannosa e costosa, costituendo il grande affare<br />
del Cinquecento e soprattutto, dell’intero Seicento, quando <strong>la</strong> crisi generale, economica e politica, spingeva<br />
il potere centrale al<strong>la</strong> ricerca <strong>di</strong> nuove entrate e, quin<strong>di</strong>, ad alienare sempre più le città demaniali al<br />
75 M. A. Visceglia, Signori, patrizi e cavalieri,<strong>Napoli</strong>, Laterza, 1992, pp.24-25.<br />
76 G. Muto, « I segni d’honore»… cit. p.175, 176.<br />
77 G. D’Agostino, La Capitale ambigua, <strong>Napoli</strong> dal 1458 al 1580, <strong>Napoli</strong>, S.E.N, 1979. p.246.<br />
22
Portale signorile dei Quartieri Spagnoli<br />
migliore offerente.<br />
La feudalità aveva così subito nel corso del XVI secolo «un processo <strong>di</strong> ampliamento, <strong>di</strong> assimi<strong>la</strong>zione e<br />
<strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficazione». 78<br />
Si era inoltre pienamente compiuta, secondo Rovito, <strong>la</strong> <strong>di</strong>stinzione tra feudo me<strong>di</strong>evale e feudo moderno,<br />
poiché « se il primo in<strong>di</strong>cava nobiltà, quello moderno in<strong>di</strong>cava ricchezza». 79<br />
Questa trasformazione del<strong>la</strong> feudalità produrrà conseguenze drammatiche per i vassalli, soggetti allo<br />
sfruttamento accanito e senza misura dei nuovi baroni, poiché « <strong>la</strong> violenza sistematica e preor<strong>di</strong>nata<br />
costituiva un elemento caratterizzante del feudo moderno, <strong>la</strong> con<strong>di</strong>zione per goderne le ren<strong>di</strong>te». 80<br />
Il problema dell’esclusione dai Seggi si poneva quin<strong>di</strong> e soprattutto per <strong>la</strong> nuova nobiltà e per <strong>la</strong> maggiore<br />
borghesia professionistica, che «rappresentavano tutto ciò che in fatto <strong>di</strong> energie sociali in ascesa <strong>la</strong> città<br />
riuscisse ad esprimere o a concentrare tra le sue mura». 81<br />
Nel 1557 <strong>la</strong> nobiltà fuori Seggio inviò un ambasciatore a Madrid con il compito <strong>di</strong> proporre possibili<br />
soluzioni all’accesa questione.<br />
La proposta formu<strong>la</strong>ta al governo madrileno era artico<strong>la</strong>ta in due <strong>di</strong>rezioni: ripristinare l’antico seggio <strong>di</strong><br />
Forcel<strong>la</strong> e creare uno in onore del viceré Toledo; aggregare i cavalieri «già fatti citta<strong>di</strong>ni, così italiani, come<br />
spagnoli» ai tre seggi demograficamente meno cospicui ( Montagna, Porto e Portanova) e soprattutto al<br />
seggio <strong>di</strong> Montagna, il più povero <strong>di</strong> gente, ridotto ormai a 12 famiglie delle quali, però, nessun esponente<br />
deteneva meno <strong>di</strong> due o tre uffici. 82<br />
Nel frattempo <strong>la</strong> nobiltà <strong>di</strong> Seggio chiese e ottenne, per <strong>di</strong>fendersi dal<strong>la</strong> pressione del<strong>la</strong> nobiltà esclusa da<br />
tutti gli onori, che non potesse essere aggregato alcuno ai Seggi senza il consenso del sovrano Filippo II.<br />
Questa importante innovazione normativa si ebbe con <strong>la</strong> legis<strong>la</strong>zione del 155983 che non solo mo<strong>di</strong>ficò<br />
le procedure istituzionali per l’aggregazione ai Seggi napoletani, ma valorizzò il ruolo me<strong>di</strong>atore del<strong>la</strong><br />
Corona, in una fase in cui <strong>la</strong> pressione convergente <strong>di</strong> baroni e nobili fuori piazza da una parte e popo<strong>la</strong>ri<br />
dall’altra aveva prodotto tensioni fortissime nel<strong>la</strong> vita politica del<strong>la</strong> capitale. Le Piazze avevano così<br />
rinunciato ad una loro importante prerogativa, quel<strong>la</strong> cioè <strong>di</strong> procedere, per le richieste <strong>di</strong> aggregazione,<br />
in tutta autonomia, ma si capisce che <strong>la</strong> rinunzia copriva una manovra oligarchica, intesa a rendere più<br />
<strong>di</strong>fficili, lunghe e incerte le pratiche <strong>di</strong> ammissione ai Seggi.<br />
78 P. L. Rovito, Funzioni pubbliche capitalismo signorile nel feudo napoletano del Seicento, Bollettino del Centro Stu<strong>di</strong> Vichiani,<br />
vol. XVI, 1986, p.108.<br />
79 Ivi, p.109.<br />
80 Durante <strong>la</strong> <strong>rivoluzione</strong> del 1647 alcuni vassalli si offrirono a gran<strong>di</strong> famiglie nobili, sperando <strong>di</strong> essere liberati da un padrone<br />
togato. In P.L.Rovito, Funzioni pubbliche…cit., p.116<br />
81 G. Ga<strong>la</strong>sso, <strong>Napoli</strong> spagno<strong>la</strong>…cit., p.XIV.<br />
82 M. A. Visceglia, Identità sociali… cit, p.131<br />
83 M. A. Visceglia, Signori… cit. p.127.<br />
23
Così <strong>la</strong> nobiltà volle soprattutto <strong>di</strong>fendersi dal<strong>la</strong> nobiltà più recente e dall’alta borghesia professionistica<br />
e mercantile.<br />
Tutto ciò portò ad una maggiore chiusura del<strong>la</strong> mentalità già conservatrice filo-nobiliare, concorde nel<br />
condannare <strong>la</strong> mobilità sociale a qualsiasi livello essa si presentasse, e avvertendo come una minaccia i<br />
movimenti che avvenivano nell’ambito degli strati borghesi superiori e del<strong>la</strong> nobiltà citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> provincia<br />
che affluiva a <strong>Napoli</strong> per via del dottorato, cioè proprio i ceti entro i quali erano fondamentalmente<br />
reclutati gli ufficiali. 84<br />
Inoltre, come si è accennato, attraverso <strong>la</strong> pratica mercantile e <strong>la</strong> crescente commercializzazione, sia nel<br />
settore industriale che in quello agricolo, il gruppo <strong>di</strong> operatori economici napoletani si andò al<strong>la</strong>rgando.<br />
La formazione e <strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione <strong>di</strong> nuova ricchezza andò irrobustendo il «popolo <strong>di</strong> mezzo» il quale,<br />
avendo messo salde ra<strong>di</strong>ci nel<strong>la</strong> vita sociale e politica del<strong>la</strong> capitale era <strong>di</strong>venuto consapevole del<strong>la</strong> propria<br />
nuova con<strong>di</strong>zione, del suo peso e delle sue possibilità, riven<strong>di</strong>cando <strong>la</strong> parità <strong>di</strong> rappresentanza all’interno<br />
dell’organo amministrativo e decisionale del<strong>la</strong> città, ossia il Tribunale <strong>di</strong> San Lorenzo, formato dal<strong>la</strong> giunta<br />
dei sei Eletti. 85<br />
La struttura amministrativa del<strong>la</strong> capitale si era definita sotto gli Angioini, ma fu soltanto in epoca aragonese<br />
che si assistette «al<strong>la</strong> costruzione stabile <strong>di</strong> un organismo permanente <strong>di</strong> governo amministrativo del<strong>la</strong><br />
città e al<strong>la</strong> crescita del parallelo e corrispondente corpo esecutivo, Eletti e Tribunale <strong>di</strong> San Lorenzo, che<br />
ha <strong>la</strong> propria base sociale <strong>di</strong> riferimento nel patriziato urbano ascritto ai Seggi nobili, cui si aggiunge nel<br />
84 G. Ga<strong>la</strong>sso, Il Regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>. Il Mezzogiorno angioino e aragonese, in Storia d’Italia, <strong>di</strong>retta da G. Ga<strong>la</strong>sso, t. XV, Utet,<br />
1992, p.230.<br />
85 Il Tribunale aveva <strong>la</strong> sua sede nel<strong>la</strong> torre del<strong>la</strong> chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo Maggiore; aveva una sua Segreteria e una sua<br />
organizzazione burocratica, e fungeva da organo amministrativo e giu<strong>di</strong>ziario nelle materie <strong>di</strong> sua competenza.<br />
Gli eletti erano assistiti da quattro ufficiali maggiori del<strong>la</strong> città: Segretario, Razionale, Scrivano <strong>di</strong> razione, Credenziere del<strong>la</strong> pecunia,<br />
ciascuno dei quali con i propri aiutanti, scrivani e portieri.<br />
Funzioni specifiche svolgevano poi le Deputazioni or<strong>di</strong>narie, <strong>di</strong> cui alcune svolgevano giuris<strong>di</strong>zione attiva ( il Tribunale delle<br />
Fortificazioni, Acqua e Mattonata, il Tribunale del<strong>la</strong> visione e del<strong>la</strong> revisione dei conti, il Tribunale del<strong>la</strong> pecunia, il Tribunale del<strong>la</strong><br />
salute ), altre invece ne erano prive ( <strong>la</strong> Deputazione dei capitoli e privilegi ).<br />
La struttura delle deputazioni preesisteva in <strong>la</strong>rga misura all’arrivo degli Spagnoli e rispondeva in maniera abbastanza efficace alle<br />
funzioni essenziali del<strong>la</strong> vita civile del<strong>la</strong> città.<br />
Nel corso del Cinquecento gli Spagnoli ne istituirono altre due, entrambe in materia <strong>di</strong> finanze comunali. Il Tribunale del<strong>la</strong> Pecunia,<br />
creato agli inizi degli anni venti, ma abolito un secolo dopo con il ritorno del<strong>la</strong> sua giuris<strong>di</strong>zione agli eletti del popolo, curava l’affitto<br />
dell’entrate del<strong>la</strong> città e le spe<strong>di</strong>zioni dei mandati <strong>di</strong> pagamenti firmati dagli Eletti; aveva il compito, inoltre, <strong>di</strong> compi<strong>la</strong>re il conto<br />
<strong>di</strong> introito ed esito, ovvero il bi<strong>la</strong>ncio comunale, sul<strong>la</strong> base delle risultanze dei libri cassa e dei documenti giustificativi. Il Tribunale<br />
del<strong>la</strong> Visione e Revisione dei conti, istituito nel 1542, giu<strong>di</strong>cava il bi<strong>la</strong>ncio mostrato dal Tribunale del<strong>la</strong> Pecunia ed ogni altro conto<br />
che provenisse da gestioni extra bi<strong>la</strong>ncio.<br />
24
La cupo<strong>la</strong> <strong>di</strong> San Marcellinoi e Festo<br />
corso degli anni, e in maniera definitiva, quello del popolo ». 86<br />
Il regno <strong>di</strong> Ferrante d’Aragona apportò nuove prospettive ed opportunità per le forze politiche e sociali<br />
del<strong>la</strong> città, a scapito del baronaggio.<br />
Infatti l’atteggiamento del sovrano si <strong>di</strong>mostrò <strong>la</strong>rgamente favorevole all’ascesa delle forze politiche<br />
presenti nel<strong>la</strong> capitale. Me<strong>di</strong>ante <strong>la</strong> capito<strong>la</strong>zione del 1476, venne attuata una «rivalutazione organica<br />
dell’organizzazione politica citta<strong>di</strong>na fondata sul<strong>la</strong> magistratura collegiale degli Eletti, con funzione<br />
<strong>di</strong> controllo politico amministrativo, polizia urbana,e soprattutto con ampia giuris<strong>di</strong>zione in materia<br />
annonaria». 87 Si andò così creando uno stretto collegamento tra controllo politico del<strong>la</strong> municipalità e <strong>la</strong><br />
gestione del<strong>la</strong> delicata materia annonaria, che <strong>di</strong>ede avvio « al processo <strong>di</strong> integrazione tra il baronaggio<br />
provinciale, produttore <strong>di</strong> derrate agricole, e il patriziato urbano del<strong>la</strong> capitale, in parte minore produttore,<br />
ma molto legato all’approvvigionamento e al<strong>la</strong> <strong>di</strong>stribuzione delle stesse». 88 Con <strong>la</strong> capito<strong>la</strong>zione del 1476<br />
e con le altre precedenti (1462, 1466) fu sempre riconosciuto e rafforzato lo status privilegiato dei<br />
napoletani e del<strong>la</strong> Città, in quanto capitale, nei confronti delle altre città e terre demaniali del Regno, 89<br />
creando i presupposti <strong>di</strong> una estensione del campo <strong>di</strong> intervento del gruppo <strong>di</strong>rigente locale, che avrebbe<br />
in seguito travalicato il terreno dell’amministrazione per attingere quello del<strong>la</strong> politica.<br />
Nei primi decenni del secolo XVI l’organizzazione municipale napoletana iniziò ad avere una struttura<br />
definitiva.<br />
I poteri delle Piazze e dei suoi Eletti erano molteplici, ed erano variati col tempo, ma nel<strong>la</strong> seconda metà<br />
del secolo XVI <strong>la</strong> loro funzione principale era <strong>di</strong>venuta quel<strong>la</strong> <strong>di</strong> assicurare l’Annona a buon mercato.<br />
Intorno al 1562, in questa materia gli Eletti vennero presieduti da un Prefetto dell’annona o Grassiere.<br />
Questi, nominato dal viceré e formalmente addetto a garantire il corretto reggimento del sistema annonario,<br />
si trasformò, nel giro <strong>di</strong> un cinquantennio, nel vero capo dell’amministrazione citta<strong>di</strong>na. L’introduzione<br />
del Grassiere, carica <strong>di</strong> norma esercitata da un reggente del Col<strong>la</strong>terale o da un Consigliere <strong>di</strong> Stato<br />
appartenente al<strong>la</strong> fazione filo ministeriale del<strong>la</strong> nobiltà, avrebbe inferto un duro colpo al<strong>la</strong> giuris<strong>di</strong>zione<br />
del Tribunale <strong>di</strong> San Lorenzo. 90<br />
Accanto a queste erano attive <strong>di</strong>verse deputazioni straor<strong>di</strong>narie, create al<strong>la</strong> bisogna per <strong>la</strong> risoluzione <strong>di</strong> problemi specifici, ma<br />
spesso per sottrarli ad una conflittualità esacerbata dalle tensioni <strong>di</strong> parte. Così come avvenne nel 1604 quando fu istituita una<br />
apposita Deputazione per decidere le iscrizioni da apporsi alle fontane erette nel<strong>la</strong> strada <strong>di</strong> Poggioreale, risolvendo così un contenzioso<br />
sorto tra il Viceré Benavente e il marchese <strong>di</strong> Corleto per <strong>la</strong> scelta delle suddette iscrizioni. In G. Muto, Istituzioni delle<br />
universitas e ceti <strong>di</strong>rigenti locali locali, in Aspetti e problemi del Me<strong>di</strong>oevo e dell’ Età moderna, <strong>Napoli</strong>, E<strong>di</strong>zioni del sole, 1991. p.<br />
47; B. Capasso, Catalogo… cit., p. 36.<br />
86 G. D’Agostino, Per una storia…,op. cit, p. 85.<br />
87 G. D’Agostino, Capitale, regione e territorio, in Storia del<strong>la</strong> Campania, <strong>Napoli</strong>, Guida, 1978 ., p.197.<br />
88 R. Vil<strong>la</strong>ri, La rivolta…cit., p. 198.<br />
89 G. Buffar<strong>di</strong>, G. Mo<strong>la</strong>, Questioni <strong>di</strong> storia e istituzioni del Regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, secoli XV-XVII,<strong>Napoli</strong>, E.S.I., 2005. p.17.<br />
90 Intorno al<strong>la</strong> metà del XVI secolo <strong>la</strong> Nobiltà fuori Seggio aveva sollecitato <strong>la</strong> nomina <strong>di</strong> un ministro regio all’interno del<br />
Tribunale <strong>di</strong> San Lorenzo, per control<strong>la</strong>re l’operato dei membri dello stesso. In P.L. Rovito, Il viceregno…cit., p.158; G. Ga<strong>la</strong>sso,<br />
25
Oltre alle competenze annonarie il tribunale ne aveva altre re<strong>la</strong>tive al<strong>la</strong> nettezza urbana, al<strong>la</strong> polizia<br />
citta<strong>di</strong>na, al<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> del buon costume, al<strong>la</strong> rappresentanza del<strong>la</strong> città e del Regno in molte cerimonie, al<strong>la</strong><br />
<strong>di</strong>fesa e al<strong>la</strong> garanzia delle grazie e dei privilegi del<strong>la</strong> Città, al<strong>la</strong> facoltà <strong>di</strong> designare coloro che dovevano<br />
procedere al sindacato dei giu<strong>di</strong>ci del<strong>la</strong> Vicaria allo scadere del loro biennio <strong>di</strong> carica, i deputati del<strong>la</strong> salute<br />
pubblica nelle occasioni che lo richiedevano e i periti, tavo<strong>la</strong>ri, nelle cause del Sacro Regio Consiglio in cui<br />
li si richiedeva, al <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> tenere una Deputazione per il conio delle monete e un’altra per opporsi all’<br />
ingerenza del Sant’Uffizio dell’ Inquisizione romana, al potere <strong>di</strong> amministrare varie istituzioni citta<strong>di</strong>ne<br />
tra cui spiccava per importanza patrimoniale e sociale l’ Annunziata, al<strong>la</strong> partecipazione ai Par<strong>la</strong>menti<br />
generali del Regno. Su quest’ultimo terreno si trasferivano inoltre i contrasti tra i vari ceti, in partico<strong>la</strong>re<br />
nel corso dei Par<strong>la</strong>menti del 1560, 1562 e 1564. <strong>Napoli</strong> aveva guadagnato all’interno dell’assemblea una<br />
rilevante posizione attraverso il proprio Sindaco e deputati, pur restando esente per antico privilegio,<br />
da qualsiasi contribuzione, a cui erano invece tenuti tutti gli altri regnicoli. I do<strong>di</strong>ci rappresentanti del<br />
baronaggio, sei tito<strong>la</strong>ti e sei non tito<strong>la</strong>ti, contestavano ai do<strong>di</strong>ci rappresentanti dei Seggi <strong>la</strong> facoltà <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un voto a testa, sostenendo invece che ne toccavano loro solo sei, ossia uno per seggio.<br />
La questione fu risolta con il riconoscimento, da parte del Consiglio Col<strong>la</strong>terale, del<strong>la</strong> fondatezza del<strong>la</strong><br />
pretesa dei baroni, ma venne riconosciuto ai rappresentanti del<strong>la</strong> Città il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> iniziativa e priorità sui<br />
punti cruciali dell’azione par<strong>la</strong>mentare (grazie e donativi ). 91<br />
Il XVI secolo sembrava dunque concludersi con una serie <strong>di</strong> caratteri consolidati: «in primo luogo, l’esito<br />
vittorioso del<strong>la</strong> lotta del<strong>la</strong> nobiltà del<strong>la</strong> metropoli per <strong>la</strong> chiusura dei propri ranghi, e ciò a <strong>di</strong>fferenza<br />
del<strong>la</strong> nobiltà feudale che si era accresciuta numericamente nel corso del XVI secolo. In secondo luogo,<br />
<strong>la</strong> funzione <strong>di</strong> rappresentanza politica nel regno che l’aristocrazia aveva pressoché monopolizzato nei<br />
par<strong>la</strong>menti a danno del baronaggio provinciale e delle città demaniali. E infine <strong>la</strong> persistenza <strong>di</strong> un<br />
autonoma amministrazione citta<strong>di</strong>na in cui <strong>la</strong> Piazza del Popolo, quando non si faceva semplicemente<br />
esecutrice <strong>di</strong> un proposito governativo, rimaneva in perpetua minoranza». 92<br />
c) Il Seggio del Popolo.<br />
Agli inizi del XVII secolo l’organismo rappresentativo popo<strong>la</strong>re era dotato <strong>di</strong> una struttura <strong>di</strong> potere piramidale:<br />
al<strong>la</strong> base, i Capo<strong>di</strong>eci, governatori delle decurie in cui era sud<strong>di</strong>visa l’Ottina; al centro i Capitani;<br />
al vertice l’Eletto e i suoi <strong>di</strong>eci Consultori.<br />
<strong>Napoli</strong> spagno<strong>la</strong> dopo Masaniello, Firenze, Sansoni, 1982, p.XX.<br />
91 G. D’Agostino, <strong>Napoli</strong>….cit., p.31; IDEM, Par<strong>la</strong>mento …cit., p. 134.<br />
92 V, I, Comparato, Uffici e società…cit.,p. 230.<br />
26
Schema <strong>di</strong> sca<strong>la</strong> aperta scenografica al<strong>la</strong> napoletana<br />
La Piazza popo<strong>la</strong>re definita da Rovito «contenitore enorme ed in<strong>di</strong>fferenziato» nel quale confluiva un’umanità<br />
estremamente varie e artico<strong>la</strong>ta, «proprio per <strong>la</strong> sua indeterminatezza aveva avuto un vita grama e<br />
sotto il profilo giuri<strong>di</strong>co, una connotazione ambigua». 93<br />
Al termine del Me<strong>di</strong>oevo e con l’avvento del<strong>la</strong> <strong>di</strong>nastia aragonese, il popolo era stato completamente<br />
escluso dal governo citta<strong>di</strong>no. 94<br />
Nel 1456, infatti, il Seggio popo<strong>la</strong>re, volgarmente detto Seggio pittato, ubicato presso <strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> <strong>di</strong> San<br />
Chirico, in via del<strong>la</strong> Sel<strong>la</strong>ria, o<strong>di</strong>erna Piazza Nico<strong>la</strong> Amore, 95 venne <strong>di</strong>strutto per volontà <strong>di</strong> Alfonso I. 96<br />
Il Seggio fu forse detto pittato perché vi erano <strong>di</strong>pinte sulle pareti gli avvenimenti più importanti che<br />
avevano caratterizzato <strong>la</strong> storia del Reggimento popo<strong>la</strong>re, l’uso del<strong>la</strong> pittura aveva non solo una funzione<br />
commemorativa ma anche <strong>di</strong>dascalica; tutti i popo<strong>la</strong>ni potevano così comprendere e conoscere <strong>la</strong> storia<br />
del proprio Seggio.<br />
A proposito delle cause del<strong>la</strong> <strong>di</strong>struzione or<strong>di</strong>nata da il sovrano Alfonso I sono state avanzate <strong>di</strong>verse ipotesi:<br />
una si ricollega perfino al<strong>la</strong> nota storia d’amore tra il re Alfonso e Lucrezia D’A<strong>la</strong>gno, tramandataci da<br />
Croce in Storie e Leggende napoletane97 : il Re lo avrebbe fatto demolire per al<strong>la</strong>rgare lo spazio circostante<br />
al<strong>la</strong> residenza del<strong>la</strong> famiglia dell’amante, ubicata appunto nei pressi del<strong>la</strong> Sel<strong>la</strong>ria; una seconda, meno<br />
romanzata ma non per questo del tutto cre<strong>di</strong>bile, riconduce al<strong>la</strong> costruzione voluta dallo stesso Re <strong>di</strong> una<br />
nuova strada che dal Seggio <strong>di</strong> Portanova conducesse <strong>di</strong>rettamente al<strong>la</strong> Sel<strong>la</strong>ria <strong>la</strong> quale avrebbe dovuto<br />
attraversare proprio il luogo dove era ubicato il Seggio del Popolo. 98<br />
Molto probabilmente Alfonso d’Aragona volle ingraziarsi <strong>la</strong> nobiltà che mal sopportava il fatto che i popo<strong>la</strong>ri<br />
avessero un proprio luogo <strong>di</strong> riunione al pari dei nobili. 99<br />
A causa del<strong>la</strong> <strong>di</strong>struzione del Seggio «<strong>la</strong> città tutta prese le armi, ed il re fu obbligato a cavalcare per le<br />
vie del<strong>la</strong> medesima, onde p<strong>la</strong>care gli animi esacerbati». 100 Il popolo escluso dal governo citta<strong>di</strong>no, si era<br />
radunato nel<strong>la</strong> Piazza del<strong>la</strong> Sel<strong>la</strong>ria, per far valere i propri <strong>di</strong>ritti.<br />
93 P. L. Rovito, Il Viceregno….cit. p.88.<br />
94 Durante <strong>la</strong> dominazione angioina vi furono casi rari e eccezionali <strong>di</strong> governo <strong>la</strong>rgo all’interno del<strong>la</strong> municipalità napoletana<br />
in cui parteciparono nobiltà e popolo, precisamente sotto <strong>la</strong> reggenza <strong>di</strong> Giovanna I nel 1349 e nel 1374; <strong>di</strong> Margherita nel 1386;<br />
<strong>di</strong> re La<strong>di</strong>s<strong>la</strong>o nel 1401; <strong>di</strong> Giovanna II nel 1418; <strong>di</strong> Renato d’Angiò nel 1421. in G. D’Agostino, Per una storia… cit., pp. 69-81; M.<br />
Schipa, Stu<strong>di</strong> Masaniel<strong>la</strong>ni, <strong>Napoli</strong>, Cimmaruta, 1916, p. 22; N. Faraglia Le Ottine e il Reggimento popo<strong>la</strong>re a <strong>Napoli</strong>, in Archivio<br />
storico per le provincie napoletane, <strong>Napoli</strong>, Giannini, 1898, p. 6.<br />
95 G. C. Capaccio,. Il Forestiero…cit., p. 787.<br />
96 P. L. Rovito, Il Viceregno…cit., p.124; M. Schipa, Stu<strong>di</strong>…cit., p.20; B. Capasso, Masaniello, <strong>la</strong> sua vita e <strong>la</strong> sua <strong>rivoluzione</strong>, <strong>Napoli</strong>, ed. Torre, 1993,<br />
p.124.<br />
97 B. Croce, Storie e leggende napoletane, Mi<strong>la</strong>no, Adelphi, 1999.<br />
98 N. F. Faraglia, Le Ottine…. cit., p. 6.<br />
99 B. Capasso, Masaniello…cit.,p.122.<br />
100 Ibidem.<br />
27
Il sovrano allora, per acquietare gli animi, emanò un bando nel quale <strong>di</strong>spose che nel Seggio <strong>di</strong> Portanova<br />
dovessero essere aggregati i principali citta<strong>di</strong>ni del popolo, p<strong>la</strong>cando così il tumulto. 101<br />
Il popolo restò così per circa quarant’anni senza alcuna rappresentanza all’interno del governo municipale.<br />
Bisognerà dunque attendere gli scorci del secolo XV perché il ceto popo<strong>la</strong>re iniziasse <strong>la</strong> risalita.<br />
Soltanto verso <strong>la</strong> fine XV secolo le prerogative dell’Eletto del popolo <strong>di</strong>vennero notevoli e non del tutto<br />
inferiori a quelle degli Eletti nobili.<br />
I popo<strong>la</strong>ri, infatti, avevano riacquistato, con il breve dominio <strong>di</strong> Carlo VIII a partire dal 1495 un notevole<br />
peso contrattuale le cui tappe si possono in<strong>di</strong>viduare nel<strong>la</strong> capito<strong>la</strong>zione da essi fatta con i nobili il 17<br />
giugno dello stesso anno.<br />
Il sovrano Carlo VIII autorizzò il ceto popo<strong>la</strong>re a creare un seggio proprio per <strong>la</strong> trattazione degli affari<br />
partico<strong>la</strong>ri del ceto, insieme ai <strong>di</strong>eci Consultori e ai Capitani delle varie Ottine, all’interno <strong>di</strong> una sa<strong>la</strong> del<br />
monastero <strong>di</strong> San Agostino.<br />
Inoltre il popolo ebbe <strong>la</strong> facoltà <strong>di</strong> nominare un proprio Eletto, che partecipasse alle assemblee nel Tribunale<br />
<strong>di</strong> San Lorenzo coi cinque Eletti nobili, per trattare insieme a quest’ultimi gli affari del<strong>la</strong> città.<br />
Il Seggio ebbe, inoltre, <strong>la</strong> facoltà <strong>di</strong> eleggere altri ufficiali per <strong>la</strong> tassazione e l’esenzione del<strong>la</strong> tangente<br />
dovuta nelle contribuzioni statali e per le misure partico<strong>la</strong>ri in caso <strong>di</strong> peste, impiegando una quota, concordata<br />
coi nobili, dell’utile delle gabelle municipali e <strong>di</strong> conseguenza partecipando anch’esso all’amministrazione<br />
<strong>di</strong> quelle gabelle. 102<br />
Un ulteriore accrescimento delle forze popo<strong>la</strong>ri si ebbe quando vi fu <strong>la</strong> «restaurazione aragonese» <strong>di</strong> Ferrante<br />
II detto Ferran<strong>di</strong>no, «dovuta principalmente al favor popo<strong>la</strong>re» . 103<br />
Essa rappresentò «il frutto più duraturo del breve regno <strong>di</strong> Carlo VIII», 104 poiché il sovrano nel 1496 «gli<br />
reintegrò e riaffermò gli honori, progative e maneggi del governo del<strong>la</strong> Città con multa più autorità, percioché<br />
ad esso solo convenisse il governo delle cosa del<strong>la</strong> grassa», 105 concedendo cinque, su ventuno capi<br />
<strong>di</strong> grazia richiesti dai popo<strong>la</strong>ri, riguardanti <strong>la</strong> libertà <strong>di</strong> riunione, <strong>la</strong> giuris<strong>di</strong>zione conso<strong>la</strong>re per le arti e i<br />
mestieri, il <strong>di</strong>ritto agli uffici pubblici, <strong>la</strong> sindacabilità e <strong>la</strong> temporaneità degli ufficiali, <strong>la</strong> privativa dell’eser-<br />
cizio del<strong>la</strong> sensalìa 106 , il ristabilimento del Collegio me<strong>di</strong>co, l’esenzione dal focatico e da altri pesi fiscali,<br />
101 Ivi, p.123.<br />
102 M. Schipa, Masaniello… cit., p.10.<br />
103 ibidem.<br />
104 G. D’Agostino, Poteri, istituzioni e società nel Mezzogiorno me<strong>di</strong>evale e moderno, <strong>Napoli</strong>, Liguori, 1996, p.53.<br />
105 G. A. Summonte, “Historia del<strong>la</strong> Città e del Regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>”, <strong>Napoli</strong>, Costatino Vitale, vol. V, 1748. p.180.<br />
106 Il sensale era il me<strong>di</strong>atore che intercorreva tra ven<strong>di</strong>tore e acquirente in affari commerciali, in partico<strong>la</strong>r modo nelle contrattazioni<br />
<strong>di</strong> prodotti agricoli e <strong>di</strong> bestiame.<br />
28
<strong>la</strong> restituzione delle proprietà riservate al<strong>la</strong> caccia reale. 107<br />
Ma il successore <strong>di</strong> Ferran<strong>di</strong>no, suo zio Federico, non fu altrettanto ben<strong>di</strong>sposto nei confronti dei popo<strong>la</strong>ri,<br />
<strong>la</strong> cui con<strong>di</strong>zione politica fu attaccata duramente a tutto vantaggio del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse nobiliare. Si riaccesero «<br />
le <strong>di</strong>fferenze (come ebbe a <strong>di</strong>re lo stesso Re), le <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e e le <strong>di</strong>ssensioni tra l’università popo<strong>la</strong>re da un<br />
<strong>la</strong>to, e i nobili dei Se<strong>di</strong>li, dall’altro, quanto al regime, alle preminenze, agli onori, alle prerogative spettanti<br />
al<strong>la</strong> città; e crebbero a tal segno, tra il 1497 e il principio del 1498, da far temere una guerra civile<br />
e gravi pericoli per lo stato ». 108<br />
Con il lodo del 17 luglio del 1498, infatti, oltre a riconfermare o stabilire le norme per <strong>la</strong> loro convivenza<br />
politica e le proporzioni per le loro rappresentanze, il sovrano limitava o ad<strong>di</strong>rittura annul<strong>la</strong>va qualsiasi<br />
autonomia conquistata in precedenza dal ceto popo<strong>la</strong>re.<br />
Nel lodo fu proc<strong>la</strong>mato che i nobili dovessero avere cinque Eletti, mentre i popo<strong>la</strong>ri uno, inoltre, fu stabilito<br />
che entrambi, nominati con invalso sistema, «coniunctim conveniant» in San Lorenzo, concludendo i «negotia»<br />
per «voces maiores partis ipsorum electorum». Stabilendo così l’obbligo <strong>di</strong> maggioranza (quattro<br />
voti ), senza includere il rappresentante popo<strong>la</strong>re, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> ciò che era stato stabilito in precedenza.<br />
Fu inoltre riba<strong>di</strong>to che i popo<strong>la</strong>ri potessero nominare 10 consultori o deputati, perché col<strong>la</strong>borassero con<br />
l’Eletto popo<strong>la</strong>re tanto al<strong>la</strong> risoluzione <strong>di</strong> questioni re<strong>la</strong>tive al loro ceto, quanto per faccende concernenti<br />
l’intera universitas.<br />
In caso <strong>di</strong> pubbliche emergenze o <strong>di</strong> nuove imposizioni tributarie, l’Eletto del popolo avrebbe dovuto trattare<br />
tali affari in San Lorenzo, e in tale sede tutti gli eletti avrebbero deliberato i provve<strong>di</strong>menti in caso <strong>di</strong><br />
peste, <strong>di</strong> imposta o <strong>di</strong> mutuo, riservandosi l’esecuzione separatamente ai nobili per i nobili e al popolo per<br />
il popolo con l’intervento e sotto «auctoritate officiales nostri» a ciò deputato «pro tempore».<br />
Infine fu or<strong>di</strong>nato che «in omnibus honoribus et <strong>di</strong>gnitatibus compareant ipsi nobiles in nomine totius<br />
universitatis» e che i Capitani d’Ottina o Capita pletearum popo<strong>la</strong>rium fossero eletti attraverso «nostram<br />
maiestatem et successores nostrum». 109<br />
Il lodo comportò non solo un arretramento delle precedenti conquiste popo<strong>la</strong>ri, ma un ulteriore ri<strong>di</strong>mensionamento<br />
dei poteri degli Eletti, control<strong>la</strong>ti da un alto funzionario regio.<br />
Quando poi Fer<strong>di</strong>nando il Cattolico giunse a <strong>Napoli</strong> nell’ ottobre del 1506, l’Eletto del popolo <strong>Francesco</strong><br />
Coronato con altri deputati del Seggio chiesero al Re alcuni capi <strong>di</strong> grazia: «piena facoltà <strong>di</strong> fare i propri<br />
statuti; conferma dei privilegi delle Arti <strong>di</strong> eleggere propri consultori; restituzione all’Ottine del<strong>la</strong> nomina<br />
dei propri capitani; un annuo provento per <strong>la</strong> cassa del popolo, concedendo inoltre <strong>la</strong> licenza <strong>di</strong> raccogliere<br />
107 M. Schipa, Masaniello... cit., p.10.<br />
108 Ivi, p.11.<br />
109 Privilegi, et Capitoli, con le altre gratie concesse al<strong>la</strong> fedelissima Città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, e Regno per i Serenissimo Ré <strong>di</strong> Casa de Aragona,<br />
Confermati e <strong>di</strong> nuovo concessi per <strong>la</strong> Maesta Cesarea dell’<strong>Imperato</strong>re Carlo V e li Re Filippo nostro Signore, Venezia, 1588.<br />
29
Domenico Antonio Vaccaro, pianta del<strong>la</strong> Concezione a<br />
Montecalvario<br />
dal Regno 200 carra 110 <strong>di</strong> grano ogni anno e altrettanti carra <strong>di</strong> sale e <strong>di</strong> poterne <strong>di</strong>sporre <strong>la</strong> ven<strong>di</strong>ta<br />
da parte dell’Eletto; parte uguale a quel<strong>la</strong> dei nobili nel<strong>la</strong> custo<strong>di</strong>a del<strong>la</strong> porte del<strong>la</strong> città, asserendosi<br />
appartenuta un tempo esclusivamente ai popo<strong>la</strong>ri; che agli incettatori fosse proibita <strong>la</strong> compra in dogana<br />
e nel raggio <strong>di</strong> 25 miglia <strong>di</strong> commestibili in erbe; ed ai produttori fosse permessa <strong>la</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong>retta <strong>di</strong><br />
vettovaglia in Città; si implorò che negli affari il popolo avesse tante voci quante <strong>la</strong> nobiltà». 111<br />
Il nuovo sovrano, presso Castelnuovo, con un <strong>di</strong>ploma del 18 maggio del 1507 acconsentì parzialmente<br />
alle tre prime domande; accolse <strong>la</strong> quarta e <strong>la</strong> sesta, respinse <strong>la</strong> quinta e l’ultima, che era <strong>la</strong> più importante.<br />
La tendenza a favorire il popolo fu presente anche nel<strong>la</strong> politica del suo successore Carlo d’Austria, futuro<br />
Carlo V. Il 4 settembre del 1517 il sovrano riconfermò tutto quello che <strong>di</strong>eci anni prima aveva concesso<br />
suo nonno al popolo napoletano; Il governo spagnolo mostrò sin dall’inizio l’intenzione <strong>di</strong> fare del Seggio<br />
popo<strong>la</strong>re uno stabile instrumentum regni.<br />
Quando giunse a <strong>Napoli</strong>, il 16 luglio del 1522, il nuovo viceré Carlo <strong>di</strong> Lannoy « rinnovò i giorni <strong>di</strong> Ferrante<br />
II » 112concedendo il 12 ottobre del 1522, una riforma del Reggimento popo<strong>la</strong>re, nel<strong>la</strong> quale ne or<strong>di</strong>nò le<br />
finanze, i criteri <strong>di</strong> elezione dei propri rappresentanti e prerogative da essi derivanti.<br />
La politica del viceré Lannoy, fissando due u<strong>di</strong>enze pubbliche settimanali, una per <strong>la</strong> nobiltà l’altra per il<br />
popolo, «sembrava voler avviare un <strong>di</strong>scorso con gli strati borghesi del<strong>la</strong> capitale, nel senso <strong>di</strong> promuovere<br />
un collegamento tra il progresso dell’assolutismo regio e l’al<strong>la</strong>rgamento delle basi sociali del potere». 113<br />
Quando, nel maggio del 1523, il viceré Lannoy partì per partecipare al<strong>la</strong> battaglia <strong>di</strong> Pavia, il governo del<br />
Regno fu affidato ad Andrea Carafa, conte <strong>di</strong> Santa Severina, con <strong>la</strong> carica <strong>di</strong> Luogotenente. Questi nel<br />
maggio del 1526 , concesse al popolo l’ambita meta <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a delle porte del<strong>la</strong> Città. 114 L’anno successivo<br />
l’ Eletto del popolo Giro<strong>la</strong>mo Pellegrino ricevette ampi ed eccezionali poteri per provvedere all’approvigionamento<br />
del<strong>la</strong> città e preservarlo dal<strong>la</strong> peste.<br />
Fu durante il lungo viceregno <strong>di</strong> Pietro <strong>di</strong> Toledo ( 1532- 1553) visto dai contemporanei come il « più<br />
benigno ed utile al popolo », che si ebbero due importanti mo<strong>di</strong>ficazioni all’interno dell’organizzazione<br />
popo<strong>la</strong>re. Il 9 giugno del 1534 il viceré or<strong>di</strong>nò che gli Eletti del Tribunale <strong>di</strong> San Lorenzo si attenessero<br />
al<strong>la</strong> sentenza emanata dal re Federico d’Aragona, ribadendo il principio che per <strong>la</strong> vali<strong>di</strong>tà delle delibere<br />
bastava <strong>la</strong> maggioranza degli Eletti, ossia <strong>di</strong> quattro su sei. Nel caso in cui al<strong>la</strong> minoranza fosse sembrata<br />
110 Antica unità <strong>di</strong> misura <strong>di</strong> capacità per gli ari<strong>di</strong>, uguale a moggia legali 352,8. In A. De Rivera, Tavo<strong>la</strong> <strong>di</strong> riduzione dei pesi<br />
e delle misure, <strong>Napoli</strong>, 1840, p. 117.<br />
111 M. Schipa, Masaniello... cit., p.10.<br />
112 Ivi,p. 15.<br />
113 Ivi. p.16.<br />
114 Nel 1269 risulta, secondo Schipa, come consuetu<strong>di</strong>ne antica <strong>la</strong> prerogativa popo<strong>la</strong>re <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>re <strong>la</strong> pubblica statera e <strong>la</strong> porta del<strong>la</strong> Dogana.<br />
In M. Schipa, Stu<strong>di</strong> Masaniel<strong>la</strong>ni… cit., p.<br />
30
ingiusta <strong>la</strong> deliberazione del<strong>la</strong> maggioranza, questa avrebbe potuto ricorrere al viceré, il quale, ascoltate<br />
le due parti, avrebbe <strong>di</strong>sposto ciò che più era conveniente al bene del<strong>la</strong> Città.<br />
Nel 1548 il viceré applicò <strong>la</strong> c<strong>la</strong>uso<strong>la</strong> del Lannoy circa <strong>la</strong> nomina dell’Eletto del popolo, avocando a sé<br />
nomina tale nomina tra i sei nomi risultati dal<strong>la</strong> prima votazione, « su cui pure cercava <strong>di</strong> interferire<br />
pesantemente». 115<br />
Questa in effetti fu una delle tante misure repressive adottate dal viceré nei confronti dei comportamenti<br />
sovversivi <strong>di</strong> tutta <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione verificatisi a <strong>Napoli</strong> nel 1547, in occasione del tentativo spagnolo <strong>di</strong><br />
introdurre l’Inquisizione nel Regno. 116<br />
Il viceré Toledo aveva compreso assai bene il legame tra il rappresentante del popolo e <strong>la</strong> sua base<br />
sociale, agevo<strong>la</strong>ndo il <strong>di</strong>stacco dell’Eletto del popolo dal<strong>la</strong> più <strong>la</strong>rga base popo<strong>la</strong>re.<br />
L’Eletto finì per essere strumento del viceré e, al contempo, freno del proprio ceto e mezzo <strong>di</strong> controllo<br />
sui nobili.<br />
Inoltre per una prassi consolidata tra i designati a ricoprire l’incarico c’era sempre un avvocato, che solitamente,<br />
al<strong>la</strong> fine del mandato come Eletto era ricompensato con il conferimento <strong>di</strong> un ufficio o <strong>di</strong> un alta<br />
carica all’interno del<strong>la</strong> magistratura. 117<br />
Il sistema <strong>di</strong> elezione del rappresentante del popolo, tendeva così a <strong>di</strong>venire un’espressione del potere<br />
regio. Nel ceto popo<strong>la</strong>re <strong>la</strong> Corona aveva trovato lo strumento in<strong>di</strong>spensabile del<strong>la</strong> sua azione assolutistica,<br />
mentre il primo aveva trovato nel<strong>la</strong> Corona <strong>la</strong> promotrice del<strong>la</strong> propria ascesa sociale.<br />
115 G. D’Agostino, Storia del<strong>la</strong> Campania…cit.,p.216.<br />
116 Ibidem.<br />
117 I nomi degli Eletti succedutisi nel secolo XVII, riportata da Tutini, rive<strong>la</strong>no una predominanza <strong>di</strong> giuristi: Giovan Battista Crispo: 6<br />
novembre 1593 (eletto per <strong>la</strong> terza volta);Giovan Andrea Auletta, dottor in legge: 2 gennaio 1596; Aniello <strong>di</strong> Martino, notaio:24 luglio 1599; Giovanni<br />
Andrea Auletta: 7 agosto 1602; Aniello <strong>di</strong> Martino: 2 gennaio 1605; Scipione Bartolino, dottore in legge: 13 luglio 1608; Aniello <strong>di</strong> Martino:<br />
2 gennaio 1612; Baldassarre Golino: dottore in legge: 1 maggio 1616; Scipione Porzio: 8 aprile 1617; Carlo Grimal<strong>di</strong>, dottore in legge: 9 agosto<br />
1618; Gulio Genoino, Dottore in legge: 4 maggio 1619 ( tre mesi); Ottavio Spina: 20 agosto 1619; Giulio Genoino: 8 aprile 1620 (45 giorni); Carlo<br />
Grimal<strong>di</strong>: 23 maggio 1620; Giulio Genoino: 19 maggio 1620 ( 7 giorni);Carlo Grimal<strong>di</strong>: 4 giugno 1620; Paolo Vespolo: 25 ottobre 1621; <strong>Francesco</strong><br />
Cesare, dottore in legge; 5 luglio 1623;Pietro Antonio d’Amato, dottore in legge: 9 maggio 1624; Giovanni Battista Apicel<strong>la</strong>, dottore in legge: 14<br />
gennaio 1625; <strong>Francesco</strong> Antonio Scacciavento, dottore in legge; Simone Caro<strong>la</strong>, dottore in legge: 1° gennaio 1630; Baldassarre Golino, 8 agosto<br />
1630; Simone Caro<strong>la</strong> 29 <strong>di</strong>cembre 1630; Giovanni Battista Naclerio, dottore in legge: 31 gennaio 1631; <strong>Francesco</strong> Antonio de Angelis, dottore in<br />
legge: 15 febbraio 1631; Andrea Paolel<strong>la</strong>: 1° luglio 1634; Giovan Battista Naclerio: 5 <strong>di</strong>cembre 1637; Andrea Naclerio, dottore in legge: 12 luglio<br />
1642. In C. Tutini, Del origini e fondazione de’ i seggi <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, <strong>Napoli</strong>, 1754, pp. 288-290.<br />
31
capitolo terzo<br />
opere e pensiero politico<br />
Verso <strong>la</strong> fine del XVI secolo un segno preciso <strong>di</strong> decadenza dell’organizzazione popo<strong>la</strong>re era dato dal<strong>la</strong><br />
<strong>di</strong>spersione degli statuti e degli atti pubblici che rego<strong>la</strong>vano le complesse funzioni del Seggio del popolo.<br />
La pubblicazione nel 1598 da parte <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong>, come egli stesso affermava «a mie proprie spese», del<strong>la</strong><br />
“Reformatione <strong>di</strong> nuovo fatta per lo Reggimento de le Piazze popu<strong>la</strong>ri de <strong>la</strong> Città de <strong>Napoli</strong>”, e <strong>la</strong> successiva<br />
ristampa del 1624 con il titolo “Privilegi, capituli, e gratie, concesse al fedelissimo popolo napoletano,<br />
& al<strong>la</strong> sua Piazza. Con le sue annotazioni <strong>di</strong> nuovo aggiunte. Et il Discorso intorno all’officio <strong>di</strong> Decurioni;<br />
hoggi detti Capitanij d’ Ottine, feu Piazze Popu<strong>la</strong>ri, <strong>di</strong> nuouo ampliato, & aumentato”, rappresentarono un<br />
deciso e concreto tentativo <strong>di</strong> rego<strong>la</strong>rizzare e legittimare ruoli e competenze del Seggio popo<strong>la</strong>re nell’amministrazione<br />
citta<strong>di</strong>na. In entrambe le e<strong>di</strong>zioni era infatti presente La Riforma del 1522, concessa dal<br />
viceré Lannoy, che «ritrovandosi per l’ingiuria del tempo quasi <strong>di</strong>spersa e incognita», 118 rappresentava<br />
uno dei pochi statuti storicamente certi del Reggimento popo<strong>la</strong>re.<br />
Attraverso <strong>la</strong> vis legis, il ceto popo<strong>la</strong>re poteva far valere i propri <strong>di</strong>ritti e prerogative concessi dai sovrani,<br />
che come tali erano da considerarsi inalienabili.<br />
La ripubblicazione del<strong>la</strong> Riforma va dunque intesa come intervento <strong>di</strong> più imme<strong>di</strong>ato significato politico da<br />
parte dell’ <strong>Imperato</strong> e del<strong>la</strong> componente popo<strong>la</strong>re da lui rappresentata.<br />
La prima ristampa del<strong>la</strong> Riforma cade, infatti, in un periodo in cui «ascesa politica del<strong>la</strong> borghesia citta<strong>di</strong>na<br />
e rafforzamento del<strong>la</strong> monarchia appaiono come in<strong>di</strong>ssolubilmente connessi» 119 .<br />
Non a caso, dunque, <strong>Imperato</strong> de<strong>di</strong>cava l’opera del 1598 al Conte <strong>di</strong> Olivares, 120 il cui governo aveva rispecchiato<br />
l’ideale del<strong>la</strong> monarchia riformatrice che aveva dominato le correnti popo<strong>la</strong>ri, avendo condotto<br />
negli anni del suo viceregno una politica <strong>di</strong> tipo accentratrice, tendente al « privatismo privilegiato» e allo<br />
«statalismo».<br />
Il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Pietro Giannone al<strong>la</strong> politica <strong>di</strong> Olivares fu molto favorevole, «genio serio e severo», de<strong>di</strong>to<br />
al<strong>la</strong> repressione <strong>di</strong> molti abusi, specie in materia <strong>di</strong> « vanità <strong>di</strong> titoli » e <strong>di</strong> « lussi smoderati » e ai «prov-<br />
118 F. <strong>Imperato</strong>, Reformatione... cit., p.3.<br />
119 R. Vil<strong>la</strong>ri, La rivolta… cit., p. 126.<br />
120 IL conte <strong>di</strong> Olivares fu reputato grand’uomo <strong>di</strong> Stato; gli spagnoli, infatti, lo avrebbero soprannominato gran papelista, per il gran<br />
numero <strong>di</strong> prammatiche che egli promulgò durante il suo governo. Egli inoltre era stato un valoroso combattente a San Quintino ( 1557) e tra il<br />
1580 e 1582 aveva ricoperto <strong>la</strong> carica <strong>di</strong> ambasciatore a Roma. Quando il mese <strong>di</strong> novembre del 1595 entrava in <strong>Napoli</strong> il popolo gli andò incontro<br />
gridando «grascia, signore, grascia».<br />
32
Il castello e <strong>la</strong> piazza del Carmine nel Seicento<br />
vi<strong>di</strong> or<strong>di</strong>namenti » assunti re<strong>la</strong>tivamente al<strong>la</strong> pubblica annona. 121<br />
Il provve<strong>di</strong>mento che maggiormente incise sulle fortune popo<strong>la</strong>ri fu il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> veto concesso al seggio<br />
popo<strong>la</strong>re: quando il voto popo<strong>la</strong>re <strong>di</strong>vergeva da quello <strong>di</strong> colleghi nobili, il viceré avocava a sé <strong>la</strong> delibera<br />
e con il concorso del Col<strong>la</strong>terale, cercava <strong>di</strong> risolvere <strong>la</strong> questione. 122 Nel<strong>la</strong> sostanza i provve<strong>di</strong>menti del<br />
governo vicereale si limitavano esclusivamente ad incoraggiare l’azione <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo dell’Eletto popo<strong>la</strong>re,<br />
senza mai sfiorare, però, <strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> parità <strong>di</strong> voti tra nobili e popo<strong>la</strong>ri.<br />
L’e<strong>di</strong>zione del 1624 sarà de<strong>di</strong>cata a Don Antonio Alvarez de Toledo, duca d’Alba, 123 ritenuto da <strong>Imperato</strong><br />
« protettore del fedelissimo popolo napoletano», 124 perché avrebbe cercato <strong>di</strong> affrontare <strong>la</strong> grave crisi<br />
monetaria e <strong>la</strong> carestia che avevano investito il Regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, con «mo<strong>di</strong> soavi, e che meno incomodassero<br />
i sud<strong>di</strong>ti». 125Ancora una volta <strong>Imperato</strong> andava a sottolineare il ruolo del<strong>la</strong> componente popo<strong>la</strong>re<br />
all’interno del Reggimento popo<strong>la</strong>re per evitare il ripresentarsi <strong>di</strong> quei mali pubblici ricorrenti.<br />
Questa nuova e<strong>di</strong>zione venne, infatti, accresciuta da copiose annotazioni aggiunte ai Capitoli del<strong>la</strong> Rifor-<br />
ma, il tutto « a beneficio <strong>di</strong> detta Piazza e suoi Citta<strong>di</strong>ni ». 126<br />
In essa, inoltre, <strong>Imperato</strong> pubblicava i capi <strong>di</strong> grazia che erano stati richiesti dal popolo al nuovo sovrano<br />
spagnolo Fer<strong>di</strong>nando il Cattolico nel 1507, e <strong>la</strong> riconferma <strong>di</strong> quelle grazie concesse da quest’ultimo, dal<strong>la</strong><br />
Queste grida esprimevano <strong>la</strong> grave situazione in cui versava il popolo minuto a causa del grave <strong>di</strong>ssesto dell’annona e del grave deficit in cui versava<br />
<strong>la</strong> capitale, nel 1596 esso, infatti, ammontava a 3.000.000 ducati, somma che nel 1607 sarebbe giunta a 8.000.000 ducati. In N, F, Faraglia, Storia<br />
dei prezzi in <strong>Napoli</strong> dal 1131 al 1860, <strong>Napoli</strong>, Real Istituto <strong>di</strong> Incoraggiamento, estratto dal<strong>la</strong> serie II degli Atti del Real Istituto <strong>di</strong> Incoraggiamento,<br />
1878, p.141; G, Coniglio, I viceré spagnoli <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, <strong>Napoli</strong>, Fausto Fiorentino, 1967, p. 150.<br />
121 P. Giannone, Istoria civile del Regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, <strong>Napoli</strong>, Lombar<strong>di</strong>, 1865, vol. VI. pp. 258-260. Una delle principali vittime del<strong>la</strong> politica<br />
<strong>di</strong> ri<strong>di</strong>mensionamento delle prerogative nobiliari era stato Fabrizio <strong>di</strong> Sangro scrivano <strong>di</strong> razione, e perciò investito <strong>di</strong> uno dei più alti e lucrosi uffici<br />
dell’amministrazione finanziaria. Fabrizio <strong>di</strong> Sangro era, infatti, al<strong>la</strong> testa, insieme a Cesare d’Avalos, dell’aristocrazia “privilegiata” che, insieme<br />
ai circoli affaristici del<strong>la</strong> nobiltà non tito<strong>la</strong>ta, avevano <strong>di</strong>mostrato una <strong>di</strong>ffusa ostilità al<strong>la</strong> politica dell’Olivares. Al <strong>di</strong> Sangro si affiancarono in carcere<br />
gentiluomini appartenenti « a famiglie impegnate intensamente negli affari», i quali cercarono <strong>di</strong> combattere sia il pericolo rappresentato da un<br />
rafforzarsi del<strong>la</strong> presenza finanziaria forestiera, in partico<strong>la</strong>re genovese, sia l’avanzata del ceto borghese impren<strong>di</strong>toriale, finanziario e mercantile,<br />
<strong>di</strong> cui Co<strong>la</strong>pietra ha sottolineato <strong>la</strong> <strong>di</strong>namica e solida affermazione nei confronti del<strong>la</strong> rafforzata nobiltà citta<strong>di</strong>na e feudale, come del capitalismo<br />
forestiero. In R. Co<strong>la</strong>pietra, Il governo spagnolo nell’Italia meri<strong>di</strong>onale ( <strong>Napoli</strong> dal 1580 al 1648 ), in Storia <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, vol. V, T. I, ed. Scientifiche<br />
italiane, 1974, p. 178; G, Coniglio, I viceré spagnoli <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, <strong>Napoli</strong>, Fausto Fiorentino, 1967, p. 150, 175.<br />
122 Il testo del provve<strong>di</strong>mento del conte <strong>di</strong> Olivares è presente nell’opera <strong>di</strong> Capaccio, Forestiero…cit., p. 483; P.L.Rovito, Il viceregno….<br />
cit., p132.<br />
123 Suo predecessore era stato il car<strong>di</strong>nale Antonio Zapata y Cisneros ( 1620-1622), canonico e inquisitore a Toledo. Egli rivelò <strong>la</strong> sua<br />
incapacità nell’affrontare <strong>la</strong> grave carestia e <strong>la</strong> crisi monetaria che angustiò il Regno nel 1622, scatenando così l’ira popo<strong>la</strong>re. Nell’agosto del 1621<br />
il popolo minuto mostrava al car<strong>di</strong>nale il pane cattivo e si u<strong>di</strong>va per le strade lo slogan del ribellismo popo<strong>la</strong>re: « viva il re e mora il malgoverno».<br />
Nel gennaio del 1622 vi furono tre occasioni <strong>di</strong> tumulti a causa del<strong>la</strong> fame e il viceré fu costretto a rifugiarsi nel convento dei certosini. Nell’aprile<br />
e nel maggio dello stesso anno <strong>la</strong> carrozza del viceré fu assalita e colpita dal <strong>la</strong>ncio <strong>di</strong> alcune pietre. In G, Coniglio, I viceré…cit., p.185.<br />
124 F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi…cit., p. 4.<br />
125 P. Giannone, Istoria…cit, vol. XXXVI, p.3.<br />
126 F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi…cit., p. 4.<br />
33
egina Giovanna e dal figlio Carlo d’Asburgo, futuro Carlo V nel 1517. 127<br />
Quest’ultima e<strong>di</strong>zione rappresenta dunque un testimone prezioso che ci permette <strong>di</strong> capire non solo come<br />
era strutturata l’organizzazione interna del Seggio popo<strong>la</strong>re ma anche quali mutamenti intercorsero all’interno<br />
del Seggio negli anni in cui visse <strong>Imperato</strong>.<br />
Nel primo Capitolo del<strong>la</strong> Riforma, strettamente <strong>di</strong>pendente dal<strong>la</strong> quarta delle grazie concesse da Fer<strong>di</strong>nando<br />
il Cattolico, veniva specificato il modo e il periodo in cui dovessero essere vendute le tratte o licenze del<br />
grano e del sale. 128<br />
La loro ven<strong>di</strong>ta sarebbe dovuta effettuarsi attraverso ban<strong>di</strong> o “aste a cande<strong>la</strong> vergine” 129 , anno per anno,<br />
e « non ante tempus». 130 In caso contrario sarebbe stato lecito ad ogni privato citta<strong>di</strong>no ricorrere 131 al<br />
viceré.<br />
Al Seggio popo<strong>la</strong>re era stata affidata, infatti, <strong>la</strong> cura e <strong>la</strong> conservazione dei grani e delle farine, allo scopo<br />
<strong>di</strong> fornire giornalmente e con facilità <strong>la</strong> <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> questi all’ Eletto del Popolo.<br />
Questa non era una competenza da poco giacché l’imponenza del servizio annonario e l’importanza<br />
politica che ad essa si ammetteva ai fini dell’or<strong>di</strong>ne pubblico e del<strong>la</strong> tranquillità del<strong>la</strong> capitale facevano<br />
dell’amministrazione del<strong>la</strong> scorta <strong>di</strong> grano, uno dei gangli vitali nel<strong>la</strong> gestione del potere municipale ed<br />
uno degli interessi maggiori del<strong>la</strong> parte popo<strong>la</strong>re, essendo evidente che <strong>la</strong> garanzia del rifornimento<br />
annonario aveva importanza per i ceti <strong>di</strong> più modesta con<strong>di</strong>zione economica ben più che per <strong>la</strong> nobiltà e<br />
per i ricchi ceti me<strong>di</strong>.<br />
Il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre del<strong>la</strong> tratta dei grani era stato sostituito dal<strong>la</strong> Regia Camera del<strong>la</strong> Sommaria in una<br />
concessione al Reggimento popo<strong>la</strong>re <strong>di</strong> 880 ducati annui, mentre per quel<strong>la</strong> del sale <strong>la</strong> stessa Regia Camera<br />
assegnò altri 900 ducati, e <strong>di</strong>eci ducati sull’ arrendamento del<strong>la</strong> gabel<strong>la</strong> del vino; gli arrendatori,<br />
invece, ne pagavano al<strong>la</strong> Piazza so<strong>la</strong>mente 838, e i restanti 72 venivano pagati ogni anno al Sacro Monte<br />
<strong>di</strong> Pietà. 132<br />
Nell’annotazione al suddetto capitolo <strong>Imperato</strong> fa, inoltre, un breve accenno al<strong>la</strong> prima delle grazie con-<br />
127 Due mesi dopo <strong>la</strong> pubblicazione del<strong>la</strong> Reformatione del 1598, verranno registrati presso <strong>la</strong> Regia Camera del<strong>la</strong> Sommaria ad opera<br />
dell’Eletto del Popolo Andrea Auletta i privilegi riconfermati da Carlo d’Asburgo. I popo<strong>la</strong>ri già in precedenza ebbero cura <strong>di</strong> assicurare all’avvenire<br />
e rendere pubblici i privilegi concessi da Fer<strong>di</strong>nando il Cattolico nel 1507. In un primo momento uno dei mastrodatti del<strong>la</strong> Vicaria, Giacomo<br />
Pinto, ebbe una copia <strong>di</strong> quel <strong>di</strong>ploma; poi l’Eletto Luca Russo mandò un messo in Spagna per trasformare quel documento in privilegio e avuta<strong>la</strong><br />
fece <strong>di</strong>pingere su <strong>di</strong> un muro del<strong>la</strong> sa<strong>la</strong> <strong>di</strong> San Agostino <strong>la</strong> figura del Re in trono nell’atto <strong>di</strong> consegnare il documento all’Eletto e ai Consultori<br />
inginocchiati, <strong>di</strong>pinto che fu concluso nel 1509. In F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi… cit., p. 20, 24.<br />
128 F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi…cit., p.24.<br />
129 Sistema <strong>di</strong> asta pubblica nel<strong>la</strong> quale l’aggiu<strong>di</strong>cazione veniva fatta al concorrente <strong>la</strong> cui offerta non fosse stata superata da altra durante<br />
il tempo occorrente all’ardere successivo <strong>di</strong> tre candele ( circa un minuto ciascuno ).<br />
130 F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi…cit., p.24.<br />
131 IDEM, Reformatione... cit. p.5; IDEM, Privilegi… cit., p.21.<br />
132 IDEM, Privilegi…cit., p.24.<br />
34
La cupo<strong>la</strong> del<strong>la</strong> Pietrasanta<br />
cesse dal sovrano spagnolo nel 1507 per <strong>la</strong> quale « si permette che il Reggimento del<strong>la</strong> Piazza del popolo<br />
possa far Capitu<strong>la</strong>zioni e or<strong>di</strong>natione per beneficio de Citta<strong>di</strong>ni », rimanendo « molto meravigliato, come<br />
havendo il Popolo con molta istanza <strong>di</strong>mandata, e ottenuta licenza <strong>di</strong> questo, vedendo esser molto necessaria;<br />
dopoi esser fatta <strong>la</strong> prima Capitu<strong>la</strong>zione, hoggi quel<strong>la</strong> non ritrovasi ». 133<br />
I Capitoli secondo, terzo e quarto del<strong>la</strong> Riforma trattavano l’elezione dei Tesorieri del Reggimento. In<br />
essi era or<strong>di</strong>nato che le entrate del Reggimento popo<strong>la</strong>re dovessero essere gestite da due «Citta<strong>di</strong>ni da<br />
bene e <strong>di</strong> buona coscienza», scelti dall’Eletto, dai Consultori e dai Capitani d’Ottina. Tra i citta<strong>di</strong>ni presentati<br />
da quest’ultimi sarebbero stati scelti i sei che avessero avuto più voti. Tra questi sei poi sarebbero<br />
stati estratti a sorte i due citta<strong>di</strong>ni che avrebbero adempiuto all’incarico <strong>di</strong> Tesorieri del Reggimento popo<strong>la</strong>re.<br />
134<br />
Nelle annotazioni <strong>Imperato</strong> affermava che « questi Capitoli hanno patito à nostri tempi alquanto<br />
d’alterazione, ma non notabile e sustantiale ». 135<br />
Infatti ai tempi <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong> un solo citta<strong>di</strong>no ricopriva l’incarico <strong>di</strong> Tesoriere. Nel periodo dell’elezione<br />
ciascuno dei Consultori e dei capitani d’Ottina proponeva un citta<strong>di</strong>no « riputato bastante a questo<br />
mestiero», <strong>di</strong> questi colui che avrebbe ricevuto più voti sarebbe <strong>di</strong>venuto il Tesoriere del Reggimento. 136<br />
Nei Capitoli quinto e sesto veniva or<strong>di</strong>nato che il Reggimento popo<strong>la</strong>re, estinti i propri debiti, avrebbe<br />
potuto concedere <strong>la</strong> dotazione <strong>di</strong> «sei onze integre», ogni due anni, a 27 donne povere e vergini, scelte<br />
da ciascun capitano d’ottina e poi estratte a sorte, dall’età non inferiore ai quin<strong>di</strong>ci anni. 137<br />
Il Capitolo settimo aveva per oggetto <strong>la</strong> nomina del Cancelliere del Reggimento, che in un primo momento<br />
aveva <strong>la</strong> mansione <strong>di</strong> scrivere e sigil<strong>la</strong>re lettere e scritture appartenenti al Seggio e <strong>di</strong> conservarne<br />
privilegi e atti. In seguito a costui verrà aggiunto anche l’incarico <strong>di</strong> annotare gli appuntamenti e le conclusioni<br />
delle radunanze del Reggimento. 138<br />
<strong>Imperato</strong> descriveva così i requisiti che avrebbe dovuto avere il Segretario del Reggimento: «fedele; segreto<br />
acciò non palesi i segreti à gli avversarij, mentre a lui si confidano; dev’essere per natura, e per industria<br />
cupe e <strong>di</strong> molta accortezza; che sia da bene, perché essendo il contrario è facile a corrompersi». 139<br />
Ma ciò <strong>di</strong> cui si doveva avere maggior cura nel<strong>la</strong> sua elezione « che sia da bene; perché essendo il contrario<br />
e facile a corrompersi; palesa i secreti a lui confidati, e nota falsamente quello che con verità deve<br />
133 Ibidem.<br />
134 IDEM, Privilegi…. cit., p.26.<br />
135 Ibidem.<br />
136 IDEM, Privilegi...cit., p.26.<br />
137 IDEM, Refomatione... cit.,p.7; IDEM, Privilegi.... cit. p. 28.<br />
138 IDEM, Reformatione... cit., p.6; IDEM, Privilegi... cit., p.29-30.<br />
139 IDEM, Privilegi.....cit., p.30.<br />
35
La chiesa dei Giro<strong>la</strong>mini<br />
notare; deve anco esser intelligente, cioè che habbia esperienza, acciò sappia facilitare <strong>la</strong> scrittura, e li<br />
negotij, occorrendo che nel<strong>la</strong> Piazza vi siano uomini poco intelligenti». 140<br />
Nel Capitolo ottavo veniva concesso al Seggio il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> inviare, quando occorresse, e mantenere per<br />
quanto tempo si ritenesse opportuno, propri partico<strong>la</strong>ri ambasciatori, scelti dall’Eletto, dai Consultori e<br />
dai Capitani d’Ottina, presso <strong>la</strong> Corte Cesarea. 141<br />
Secondo <strong>la</strong> <strong>di</strong>sposizione emanata da Federico d’Aragona nei capitoli del 1498, per <strong>la</strong> quale veniva determinato<br />
che sia le Piazze nobili che quel<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>re simul et coniunctim conveniant, veniva riba<strong>di</strong>to che,<br />
mentre <strong>la</strong> riunione <strong>di</strong> quattro delle sei Piazze bastava a «fare Città», ossia a deliberare il numero legale<br />
a nome <strong>di</strong> tutta <strong>la</strong> municipalità, nessuna riunione era però valida se non fosse stato presente l’Eletto del<br />
Popolo. Nel caso in cui <strong>la</strong> parte popo<strong>la</strong>re fosse stata aggravata dalle conclusioni, per il capitolo VIII del<strong>la</strong><br />
Riforma, essa avrebbe potuto ricorrere all’<strong>Imperato</strong>re o al Vicerè, affinché questi « avesse cura, che nelli<br />
suoi stati, coloro che sono più potenti, non opprimono li meno potenti, ma soccorrere li più deboli ». 142<br />
Il Capitolo nono riguardava l’assunzione <strong>di</strong> non più <strong>di</strong> quattro portieri, scelti dall’Eletto e i Consultori. 143<br />
Nell’annotazione al Capitolo <strong>Imperato</strong> giustificava <strong>la</strong> presenza <strong>di</strong> sei portieri affermando « che al presente<br />
<strong>la</strong> Città si ritrova <strong>di</strong> grandezza, e <strong>di</strong> Populo così numerosa, ne li negoti pubblici erano in tanta copia, e<br />
gravità, sin come sono al presente; massimamente li negotij <strong>di</strong> grassa, spettanti più all’Eletto del Popolo<br />
, che a gl’altri, atteso ripresenta si gran popolo e tiene l’obbligo <strong>di</strong> darli piena sod<strong>di</strong>sfattione, a ciò non se<br />
riempia <strong>di</strong> querimonie; e perciò tiene necessità <strong>di</strong> avere detto numero <strong>di</strong> portieri; acciò possi con maggior<br />
facilità far eseguire, e effettuare li negotij per benefico pubblico». 144<br />
Inoltre, secondo <strong>Imperato</strong>, nel<strong>la</strong> scelta degli «officiali» che avrebbero dovuto amministrare i beni pubblici<br />
del<strong>la</strong> Città bisognava aver riguardo che fossero innanzitutto «me<strong>di</strong>ocremente dotati <strong>di</strong> beni <strong>di</strong> fortuna»,<br />
evitando <strong>di</strong> assumere chi fosse oppresso da povertà, poiché « li poveri fra le tante imperfezioni che<br />
tienono , sogliono essere pericolosi nel<strong>la</strong> quiete pubblica, perché non vi hanno interesse, e non hanno<br />
che perdere; e per questo i Romani non ascrivevano or<strong>di</strong>nariamente nel<strong>la</strong> militia terrestre, quale era più<br />
degna <strong>di</strong> quel<strong>la</strong> marittima, li poveri». 145<br />
I Capitoli decimo, un<strong>di</strong>cesimo, do<strong>di</strong>cesimo e tre<strong>di</strong>cesimo, riguardavano le festività religiose alle quali partecipava<br />
il Seggio popo<strong>la</strong>re. 146<br />
140 Ibidem.<br />
141 IDEM, Reformatione...cit., p.6;IDEM, Privilegi... cit., pp. 30-31.<br />
142 IDEM, Privilegi.....cit., p.33.<br />
143 IDEM, Reformatione...cit., p.9;IDEM, Privilegi…. cit., pp. 36-37.<br />
144 IDEM, Privilegi... cit., p. 37.<br />
145 Ivi, pp. 36-37.<br />
146 IDEM, Reformatione... cit., pp.9-10;IDEM, Privilegi... cit., pp. 38-49.<br />
36
Il Seggio popo<strong>la</strong>re doveva ogni 23 gennaio celebrare l’ anniversario del<strong>la</strong> morte del re Fer<strong>di</strong>nando il Cattolico.<br />
La messa <strong>di</strong> suffragio avveniva nel<strong>la</strong> chiesa del monastero <strong>di</strong> San Agostino, al<strong>la</strong> quale partecipavano,<br />
oltre ai monaci <strong>di</strong> detta chiesa, i tre Or<strong>di</strong>ni Men<strong>di</strong>canti, l’Eletto, i Consultori, i Capitani e il Tesoriere del<br />
Seggio popo<strong>la</strong>re.<br />
In conformità ai Capitoli decimo e un<strong>di</strong>cesimo, per questa ricorrenza e quel<strong>la</strong> del Giovedì Santo, il Seggio<br />
popo<strong>la</strong>re doveva donare al monastero <strong>di</strong> Sant’Agostino 14 torce <strong>di</strong> cera bianca <strong>di</strong> 3 libbre ciascuna. 147<br />
Nel Seicento, do<strong>di</strong>ci erano considerate le feste principali nel<strong>la</strong> Città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, ma i due momenti più significativi<br />
che esprimevano un unità inscin<strong>di</strong>bile tra celebrazione religiosa e vita civile coincidevano a <strong>Napoli</strong><br />
con il miracolo <strong>di</strong> San Gennaro e con <strong>la</strong> festa del Corpus Domini. Quest’ultima risaliva al 1264, anno in<br />
cui il pontefice Urbano IV aveva reso ufficiale il dogma del<strong>la</strong> transustanziazione.<br />
Nel 1496 Re Fer<strong>di</strong>nando II, per celebrare tale festività, consegnò un asta del palio ad Antonio Sasso,<br />
allora Eletto del popolo, che fu l’unico, tra tutti gli eletti a sorreggerne una.<br />
Il 23 maggio del 1499 Federico d’Aragona riorganizzò <strong>la</strong> struttura del<strong>la</strong> processione con una sentenza<br />
nel<strong>la</strong> quale si decise che le aste dovessero essere <strong>di</strong>stribuite tra tutti e sei gli Eletti. 148 Nei mutamenti<br />
accorsi nel rituale del<strong>la</strong> processione si possono così evidenziare l’esito del<strong>la</strong> lotta, all’interno del governo<br />
citta<strong>di</strong>no, tra l’Eletto del popolo e <strong>la</strong> componente nobiliare.<br />
Nel Capitolo do<strong>di</strong>cesimo veniva accordata <strong>la</strong> facoltà ai Deputati, ai Capitani, al Cancelliere e ai Tesorieri<br />
popo<strong>la</strong>ri <strong>di</strong> portare, durante <strong>la</strong> processione del Ss. Sacramento delle torce accese, facendo così nascere il<br />
malcontento del<strong>la</strong> nobiltà che ambiva a tale onore durante <strong>la</strong> processione del Ss. Sacramento. 149<br />
Il capitolo quattor<strong>di</strong>cesimo riguardava le festività <strong>di</strong> S. Severo, <strong>di</strong> S. Aniello, S. Arpino e <strong>di</strong> S. Auframo<br />
nelle quali partecipava esclusivamente il popolo.<br />
I capitoli quattor<strong>di</strong>cesimo e quin<strong>di</strong>cesimo riguardavano il «maritaggio» <strong>di</strong> quattro orfanelle del<strong>la</strong> Chiesa<br />
dell’Annunziata <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>. 150<br />
Il Capitolo se<strong>di</strong>cesimo riguardava il pagamento <strong>di</strong> venticinque ducati annui per l’affitto del luogo <strong>di</strong> congregazione<br />
del Seggio. 151<br />
Nel Capitolo <strong>di</strong>ciassettesimo si or<strong>di</strong>nava « per beneficio pubblico» che si retribuissero «fino al<strong>la</strong> somma<br />
<strong>di</strong> ducati ducento annui» quattro maestri «d’abbaco, <strong>di</strong> poesia, e scrivere; li quali abbiano da imparare li<br />
figliuoli dei citta<strong>di</strong>ni». 152 <strong>Imperato</strong> giustifica <strong>la</strong> sostituzione <strong>di</strong> questi maestri con alcuni «Lettori pubblici<br />
147 IDEM, Privilegi... cit., pp. 39-40.<br />
148 Ivi, pp.39-41.<br />
149 IDEM, Reformatione... cit, p.10;IDEM, Privilegi... cit., p.40.<br />
150 IDEM, Reformatione... cit, p.12;IDEM, Privilegi... cit., p.50.<br />
151 IDEM, Reformatione... cit, p.14;IDEM, Privilegi... cit., p.51<br />
152 IDEM, Reformatione... cit, p.11;IDEM, Privilegi... cit., p.55.<br />
37
La cupo<strong>la</strong> <strong>di</strong> Santa Maria del<strong>la</strong> Sanità <strong>di</strong> fra Nuvolo<br />
del<strong>la</strong> scientia legale, molto necessaria e seguita à nostri tempi», affermando che « si ben <strong>la</strong> poesia è<br />
<strong>la</strong>udabile e degna, tutta volta a nostri tempi apporta con sé poca utilità e per questa cagione non viene<br />
eseguita; massimamente che per mezzo <strong>di</strong> quel<strong>la</strong> non si può or<strong>di</strong>nariamente ascendere à gra<strong>di</strong> maggiori<br />
». Questi venivano poi retribuiti con l’esazione delle Catapanie 153 spettanti al Seggio popo<strong>la</strong>re. 154<br />
Nel Capitolo <strong>di</strong>ciottesimo veniva or<strong>di</strong>nato al Reggimento che le restanti entrate del Seggio si dovessero<br />
spendere per accrescere i beni del Seggio.<br />
Infine i Capitoli <strong>di</strong>ciannovesimo, ventesimo, ventunesimo, ventiduesimo, ventitreesimo riguardavano<br />
esclusivamente le modalità <strong>di</strong> elezione dell’Eletto e dei <strong>di</strong>eci Consultori. 155 Al<strong>la</strong> vigilia del<strong>la</strong> Festività <strong>di</strong> S.<br />
Giovanni, i Capitani d’Ottina dovevano radunare tutti li capi <strong>di</strong> casa, <strong>di</strong> ciascuna Ottina, per poter eleggere<br />
due Procuratori. Tra tutti quelli nominati, davanti ad un Notaio, dai capi <strong>di</strong> casa ne venivano imbusso<strong>la</strong>ti<br />
i sei che avevano ricevuto più voti, per poi da questi estrarne a sorte i due che avrebbero adempiuto<br />
all’incarico <strong>di</strong> Procuratori.<br />
Quest’ultimo avevano il compito <strong>di</strong> nominare l’Eletto del popolo, nel giorno del<strong>la</strong> festività <strong>di</strong> San Giovanni,<br />
presso il chiostro <strong>di</strong> S. Agostino.<br />
Tra i 58 Procuratori venivano estratti a sorte i quattro che avrebbero assistito il Cancelliere nell’annotare<br />
i nomi <strong>di</strong> coloro trai quali sarebbe stato nominato l’Eletto.<br />
Infine dai 54 procuratori rimanenti venivano scelti i sei che avevano raccolto più voti. Da questi sei<br />
sarebbe stato estratto colui che avrebbe adempiuto all’ufficio <strong>di</strong> Eletto. 156<br />
Uguale metodo veniva usato per l’elezione dei <strong>di</strong>eci Consultori: i venti che avevano ottenuto più voti<br />
venivano imbusso<strong>la</strong>ti e da questi venivano estratti a sorte i <strong>di</strong>eci che sarebbero <strong>di</strong>venuti i Consultori.<br />
Nei Capitoli veniva inoltre determinata <strong>la</strong> durata del<strong>la</strong> carica dell’Eletto e dei Consultori. Entrambe le cariche<br />
non potevano protrarsi oltre i sei mesi. Inoltre l’ Eletto non doveva avere meno <strong>di</strong> 40 anni, mentre<br />
i Consultori non dovevano avere meno <strong>di</strong> trent’anni.<br />
Nei Capitoli era riba<strong>di</strong>to che, per evitare fro<strong>di</strong> e abusi da parte dell’Eletto e dei sui Consultori, dovesse<br />
essere proibito, terminata <strong>la</strong> carica dell’ufficio, <strong>la</strong> rielezione degli stessi dopo breve spazio <strong>di</strong> tempo,<br />
sarebbero dovuti trascorrere infatti tre anni prima <strong>di</strong> poter nuovamente ricoprire entrambe le cariche.<br />
Questo meccanismo <strong>di</strong> elezione si <strong>di</strong>mostrava abbastanza efficace nel compattare il tessuto popo<strong>la</strong>re’<br />
poiché, da un <strong>la</strong>to, <strong>la</strong> scelta dell’eletto non poteva escludere le ottine più numerose e potenti; dall’altro,<br />
il rapporto tra l’Eletto e <strong>la</strong> sua base veniva filtrato e organizzato dai Consultori, dai Capitani delle ottine,<br />
dai Capo<strong>di</strong>eci.<br />
153 le Catapanie erano i proventi delle assise dei commestibili.<br />
154 F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi... cit., p.55.<br />
155 IDEM, Reformatione.... cit, pp.11-15; IDEM, Privilegi... cit., p.56-69.<br />
156 IDEM, Privilegi... cit., pp.56-69.<br />
38
A questa elezione, affidata in massima parte al Popolo, fu posta dal viceré una c<strong>la</strong>uso<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> quale si<br />
affermava che l’elezione potesse esser fatta <strong>di</strong>versamente quando lo esigesse il servizio <strong>di</strong> Sua Maestà.<br />
Infatti, il meccanismo <strong>di</strong> scelta del<strong>la</strong> rappresentanza popo<strong>la</strong>re subì rilevanti mo<strong>di</strong>fiche nel corso del<br />
Cinquecento. Come già riferito precedentemente <strong>la</strong> mo<strong>di</strong>fica più ra<strong>di</strong>cale intervenne nel 1548 quando il<br />
viceré Toledo, comprendendo assai bene il legame tra il rappresentante del popolo e <strong>la</strong> sua base sociale,<br />
riservò a sé <strong>la</strong> scelta dell’eletto tra i sei che avessero raccolto più voti. 157<br />
Esso però non fu un atteggiamento iso<strong>la</strong>to.<br />
Il car<strong>di</strong>nale Pacheco, durante il suo il viceregno, ebbe consapevolezza <strong>di</strong> quanto era necessario che l’Elet-<br />
to del popolo «fosse devoto al Principe» 158 , e nell’anno 1554, a causa del<strong>la</strong> guerra che vi era in Italia,<br />
or<strong>di</strong>nò che fosse lui a scegliere tra i sei sorteggiati l’Eletto del Seggio popo<strong>la</strong>re. 159<br />
Nel 1622, durante il mese d’ottobre, l’Eletto Paolo Vespolo tentò <strong>di</strong> rinunciare all’incarico, ma <strong>la</strong> Piazza<br />
popo<strong>la</strong>re si oppose e ricorse al viceré, affinché l’Eletto assolvesse al suo incarico fino al<strong>la</strong> fine del semestre.<br />
In seguito il Vespolo, «per <strong>la</strong> sua integrità e circospettione con <strong>la</strong> quale esercitava detto officio», fu<br />
riconfermato nell’incarico, al<strong>la</strong> fine del detto semestre, dal viceré Duca d’Alba. 160<br />
Inoltre, secondo i Capitoli, l’Eletto non poteva essere rimosso dal<strong>la</strong> carica, poiché <strong>la</strong> si considerava inter<br />
munera publica personalia, cum onoribus annexa avendo giuris<strong>di</strong>zione e potestà partico<strong>la</strong>re intorno al<strong>la</strong><br />
grassa o Annona, 161 ne poteva rinunciare a tale incarico dopo averlo accettato, altrimenti eletto sarebbe<br />
incorso, per legge, ad una condanna, poiché omnes enim qui obsequia pubblicorum munerum tenteverint<br />
declinare, simili con<strong>di</strong>tione teneri oportet. 162<br />
Lo stesso avveniva per <strong>la</strong> carica <strong>di</strong> Consultore che poteva essere prolungata o interrotta dal viceré. Inoltre<br />
essi non venivano più nominati insieme all’Eletto del popolo, ma successivamente affinché i Consultori<br />
uscenti potessero « dar raguaglio e informatione al nuovo Eletto delli publici negotij ». 163<br />
In conclusione sia dei “Privilegi “ che del<strong>la</strong> “Reformatione” <strong>Imperato</strong> aggiungeva all’e<strong>di</strong>zione del 1598 un<br />
“Breve <strong>di</strong>scorso intorno all’ Officio <strong>di</strong> Capitanio d’Ottina” e un “Discorso intorno all’ officio dei Decurioni,<br />
oggi detti Capitani d’Ottina, seu piazze popo<strong>la</strong>ri, <strong>di</strong> nuovo ampliate, et aumentate” a quel<strong>la</strong> del 1624. 164<br />
157 Ivi, p. 58.<br />
158 Ivi, p. 60.<br />
159 Ibidem.<br />
160 Ivi. p.62.<br />
161 Ibidem.<br />
162 Ivi. p.61.<br />
163 Ivi p.65.<br />
164 IDEM, Reformatione <strong>di</strong> nuovo fatta per lo reggimento de le piazze popu<strong>la</strong>ri de <strong>la</strong> Città de <strong>Napoli</strong>, con un breve <strong>di</strong>scorso intorno all’<br />
Officio <strong>di</strong> Capitanio d’Ottina, <strong>Napoli</strong>, Stiglio<strong>la</strong>, 1598; IDEM,Privilegi, capituli e gratie concesse al fedelissimo populo napoletano, et al<strong>la</strong> sua<br />
piazza. Con le sue annotazioni <strong>di</strong> nuovo aggiunte. Et il <strong>di</strong>scorso intorno all’ officio dei Decurioni, oggi detti Capitani d’Ottina, seu piazze popo<strong>la</strong>ri,<br />
39
Giorgio Sommer (1834-1914), <strong>Napoli</strong>. Pozzo del chiostro<br />
del<strong>la</strong> Certosa <strong>di</strong> San Martino. Ca. 1880.<br />
L’intento dell’autore era quello <strong>di</strong> riven<strong>di</strong>care il ruolo e le funzioni ricoperti dai capitani d’ottina all’inter-<br />
no del Seggio popo<strong>la</strong>re e dell’amministrazione citta<strong>di</strong>na. L’ufficio <strong>di</strong> capitano d’ottina era infatti definito<br />
dall’<strong>Imperato</strong>, giacché « rappresenta <strong>la</strong> sua Ottina, e tutti gionti l’integro populo», «officio antico, meritevole,<br />
e pieno <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità, e prerogative» 165 .<br />
La città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> era sud<strong>di</strong>visa in Ottine o circoscrizioni, a cui faceva capo un Capitano. 166Quest’ultimo era<br />
l’anello d’unione tra i reggitori del Seggio, Eletto e Consultori, e <strong>la</strong> base popo<strong>la</strong>re.<br />
In seguito all’intensa crescita demografica del<strong>la</strong> Capitale il numero delle ottine andò aumentando e i capitani<br />
acquistarono un notevole potere politico.<br />
A tal proposito Faraglia aggiunge al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssica <strong>di</strong>visione dell’Universitas civitatis Neapolis in Universitas<br />
nobiliorum e in Universitas popu<strong>la</strong>rium, quel<strong>la</strong>, interna a quest’ultima , <strong>di</strong> Universitas octinae. 167<br />
Nel 1443 il territorio citta<strong>di</strong>no era stato sud<strong>di</strong>viso in venti ottine, nel 1522 invece si presentava sud<strong>di</strong>viso<br />
in ventuno ottine, <strong>di</strong>venute poi, nel 1535, ventinove, numero rimasto tale nel periodo in cui visse <strong>Imperato</strong>.<br />
Le ottine ai tempi <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong> erano le seguenti: 1) dello Spirito Santo; 2) d’Alvina; 3) <strong>di</strong> S. Angelo a signo;<br />
4) dell’Armieri; 5) del Caputo; 6) <strong>di</strong> Capuana; 7) <strong>di</strong> S. Caterina; 8) <strong>di</strong> Fisto<strong>la</strong> e Baiano; 9) <strong>di</strong> Forcel<strong>la</strong>;<br />
10) del<strong>la</strong> Porta <strong>di</strong> S. Gennaro; 11) <strong>di</strong> San Genarello; 12) <strong>di</strong> San Giuseppe; 13) <strong>di</strong> San Giovanni a mare;<br />
14) <strong>di</strong> San Giovanni Maggiore; 15) del<strong>la</strong> Loggia; 16) <strong>di</strong> Santa Maria maggiore; 17) del Mercato; 18) del<br />
Mercato vecchio; 21) <strong>di</strong> Nido; 21) <strong>di</strong> S. Pietro martire; 21) <strong>di</strong> Porto; 22) <strong>di</strong> Rua Cata<strong>la</strong>na; 23) del<strong>la</strong> Rua<br />
Toscana; 24) del<strong>la</strong> Scalesia; 25) del<strong>la</strong> Sel<strong>la</strong>ria; 26) del<strong>la</strong> Selice; 27) del<strong>la</strong> Spetiaria antica; 28) <strong>di</strong> Santo<br />
Spirito; 29) del<strong>la</strong> Vicaria vecchia. 168<br />
L’ottina <strong>di</strong> cui era capitano <strong>Imperato</strong>, era quel<strong>la</strong> d’Alvinia, che nel 1606 contava al suo interno 411 fuochi e<br />
3.345 anime169 , e si estendeva sull’antica P<strong>la</strong>tea Albinense dove Eufrasia, figlia <strong>di</strong> Stefano, duca <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong><br />
nell’VIII secolo, elevò, accanto ad una chiesetta ed un convento fondato da alcun monache profughe da<br />
Costantinopoli, il Monastero benedettino <strong>di</strong> S. Maria Donnalbina. 170<br />
Tra le prerogative dei Capitani vi era quel<strong>la</strong> <strong>di</strong> aver «voce» nel par<strong>la</strong>mento del<strong>la</strong> Piazza popo<strong>la</strong>re, né si<br />
<strong>di</strong> nuovo ampliate, et aumentate, <strong>Napoli</strong>, Roncagliolo, 1624.<br />
165 F. <strong>Imperato</strong>, Reformatione…p. 25.<br />
166 Questo tipo <strong>di</strong> ripartizione, che in altre città venivano in<strong>di</strong>cate col nome <strong>di</strong> sestieri, quartieri e corporazioni d’arti, secondo Faraglia, risaliva<br />
ai tempi in cui <strong>Napoli</strong> era dominata dagli angioini,. Inoltre, sempre secondo lo stu<strong>di</strong>oso, il nome ottina derivava dagli otto citta<strong>di</strong>ni notabili del<br />
quartiere che avevano il compito <strong>di</strong> nominarne il Capitano. In N . F. Faraglia, Le Ottine e il Reggimento popo<strong>la</strong>re in <strong>Napoli</strong>, in « Atti dell’Accademia<br />
Pontaniana», XXVIII, 1898, p.22.<br />
167 N . F. Faraglia, Le Ottine…cit., p.22.<br />
168 F. <strong>Imperato</strong>, Reformatione…cit., p.36;IDEM, Privilegi …,cit., p.38.<br />
169 B. Capasso, Descrizione… cit., p. 529.<br />
170 F. Ferrajoli, <strong>Napoli</strong> monumentale, <strong>Napoli</strong>, Galina e<strong>di</strong>tore, 1981, p.30.<br />
40
sarebbe potuto fare o concludere negozio se non fossero intervenuti almeno 15 <strong>di</strong> essi; al contrario, non<br />
si aveva riguardo per il numero dei Consultori, poiché le conclusioni, anche se non vi fosse intervenuta <strong>la</strong><br />
maggior parte <strong>di</strong> essi, non sarebbero state annul<strong>la</strong>te. 171<br />
Tra i compiti del Capitano rientravano inoltre <strong>la</strong> numerazione del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione residente e certificazioni<br />
<strong>di</strong> vario genere rispetto agli abitanti del<strong>la</strong> propria giuris<strong>di</strong>zione territoriale; ad esempio le fe<strong>di</strong> dei citta<strong>di</strong>ni<br />
che si recavano fuori dal regno.<br />
La numerazione del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione era eseguita in caso <strong>di</strong> carestia per assegnare il pane per cartelle,<br />
quest’ultime dovevano essere necessariamente firmate dallo stesso Capitano.<br />
Per assegnare il pane ai citta<strong>di</strong>ni era quasi sempre adottato il seguente sistema: in ogni Seggio erano<br />
eletti dei deputati: 13 nel Seggio <strong>di</strong> Capuana, 19 nel Seggio <strong>di</strong> Montagna, 10 nel Seggio <strong>di</strong> Nido, 38 in<br />
quello <strong>di</strong> Porto, 34 nel Seggio <strong>di</strong> Portanova, per un totale <strong>di</strong> 114 deputati.<br />
Altrettanti «uomini probi» 172 erano scelti nelle file del popolo dai Capitani d’Ottina, per giungere al<strong>la</strong> cifra<br />
complessiva <strong>di</strong> 228 deputati.<br />
La città era poi <strong>di</strong>visa in 114 rioni, ciascuno dei quali assegnato a due deputati, uno appartenente al<strong>la</strong><br />
nobiltà, l’altro al popolo. Questi deputati avevano il compito <strong>di</strong> calco<strong>la</strong>re il numero dei componenti <strong>di</strong> ogni<br />
famiglia che risiedeva in ciascun rione.<br />
Terminata <strong>la</strong> numerazione, il computo veniva affidato ad una persona deputata dal tribunale <strong>di</strong> San<br />
Lorenzo. In ogni Ottina furono designate 114 botteghe nelle quali doveva esser <strong>di</strong>stribuito il pane: a<br />
ciascun scrivano, che col<strong>la</strong>borava con i deputati <strong>di</strong> ogni rione, fu assegnata una bottega. Questi inoltre<br />
aveva il compito <strong>di</strong> segnare all’interno <strong>di</strong> apposite cartelle i componenti <strong>di</strong> ciascuna famiglia e il nome<br />
<strong>di</strong> ogni capofamiglia, <strong>la</strong> quantità <strong>di</strong> pane da assegnare ed il panettiere dal quale dovevano rifornirsi.<br />
Successivamente i consoli173 dei panettieri e il segretario facevano il calcolo del<strong>la</strong> farina necessaria per<br />
preparare il pane.<br />
Ogni famiglia aveva così <strong>la</strong> propria cartel<strong>la</strong> che avrebbe poi presentato al panettiere assegnatogli e con<br />
essa avrebbe potuto comprare tanto pane quanto gli era stato destinato. 174 Inoltre era vietato ai panettieri<br />
<strong>di</strong> vendere il pane a chi non avesse <strong>la</strong> cartel<strong>la</strong> con apposta <strong>la</strong> firma del Capitano d’Ottina, pena una multa<br />
<strong>di</strong> sei ducati e un’altra fissata dal Tribunale <strong>di</strong> San Lorenzo. 175Dal 1497 anche all’Eletto del popolo venne<br />
171 F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi…cit., p. 84.<br />
172 Le Ottine, durante i censimenti erano raggruppate intorno ai Seggi dei nobili. Secondo Faraglia si può intendere quest’«unione» dal<br />
fatto che nei censimenti non venivano solo numerati i popo<strong>la</strong>ni, ma anche i patrizi, e per questo entrambi gli incaricati al<strong>la</strong> numerazione avevano il<br />
compito <strong>di</strong> «andare in paranza» per le vie assegnate a fare il censo, da ciò nasceva dunque l’unione. In N. F. Faraglia, il Censimento... cit., p.256<br />
173 A capo <strong>di</strong> ciascuna corporazione <strong>di</strong> arte e <strong>di</strong> mestiere vie erano normalmente i consoli. Il loro compito maggiore era quello <strong>di</strong> verificare<br />
che non fossero trasgre<strong>di</strong>te dai membri del<strong>la</strong> corporazione le norme imposte nelle capito<strong>la</strong>zioni.<br />
174 N. F. Faraglia, Storia dei prezzi in <strong>Napoli</strong> dal 1131 al 1860, <strong>Napoli</strong>, Real Istituto <strong>di</strong> Incoraggiamento, II serie, 1878. p.142.<br />
175 IDEM, il Censimento... cit. p.256<br />
41
Micco Spadaro, Piazza Mercato<br />
concessa <strong>la</strong> facoltà <strong>di</strong> poter aggregare forestieri al<strong>la</strong> citta<strong>di</strong>nanza napoletana, tuttavia, tale concessione<br />
era vinco<strong>la</strong>ta all’assenso regio. 176<br />
176 Le fe<strong>di</strong> prodotte dagli Eletti non corrispondevano pienamente al privilegio <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza. per godere delle franchigie a cui dava <strong>di</strong>ritto<br />
<strong>la</strong> citta<strong>di</strong>nanza vi era bisogno <strong>di</strong> una patente ri<strong>la</strong>sciata dal<strong>la</strong> Regia Camera del<strong>la</strong> Sommaria, da esibire nelle dogane, che rientravano sotto <strong>la</strong> sua giuris<strong>di</strong>zione.<br />
P. Ventura, Il linguaggio del<strong>la</strong> citta<strong>di</strong>nanza napoletana tra ritualità civica, amministrazione e pratica politica, in Linguaggi e pratiche<br />
del potere, a cura <strong>di</strong> G. Petti Bolbi e G. Vitolo, Salerno, Laveglia,2007, pp. 350-351.<br />
42
Per tale motivo, i Capitani delle ottine dovevano ogni anno, ad ottobre, accertare l’effettiva residenza<br />
stabile <strong>di</strong> quanti erano <strong>di</strong>ventati citta<strong>di</strong>ni napoletani in virtù del<strong>la</strong> ductio uxoris. Le case non dovevano essere<br />
gravate da debiti e <strong>la</strong> moralità dei richiedenti il privilegio, sia come vicini sia come padri <strong>di</strong> famiglia,<br />
doveva essere garantita dall’opinione comune. 177<br />
I Capitani delle ottine oltre ad attendere alle incombenze del controllo dell’or<strong>di</strong>ne pubblico, avevano<br />
anche il compito <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>re le porte citta<strong>di</strong>ne, quando presenti nel territorio amministrato. 178<br />
Ogni ottina era inoltre <strong>di</strong>visa in curie e decurie a cui sopraintendeva un capo<strong>di</strong>eci; quest’ultimo aveva il<br />
compito <strong>di</strong> riunire tutti li capi <strong>di</strong> casa per l’elezione del Capitano.<br />
Il Capitano uscente, dopo essersi consultato con i citta<strong>di</strong>ni congregati, proponeva coloro che erano ritenuti<br />
«molti abili per questo ufficio» 179 .<br />
La carica <strong>di</strong> Capitano aveva <strong>la</strong> durata <strong>di</strong> un anno, salvo però l’intervento del viceré che poteva prolungar<strong>la</strong><br />
per varie ragioni, come ad esempio quel<strong>la</strong> delle «gran controversie, che spesso occorrono nelle piazze dei<br />
popu<strong>la</strong>ri, per occasione <strong>di</strong> questa elezione». 180<br />
Nel 1498 il re Fer<strong>di</strong>nando avocò a se l’elezione <strong>di</strong> ciascun Capitano d’ottina, successivamente, nel 1507,<br />
fu ottenuto, per regio assenso, che i capitani venissero eletti dai popo<strong>la</strong>ni, con <strong>la</strong> c<strong>la</strong>uso<strong>la</strong> «che si eligano<br />
sei huomini <strong>di</strong> buona vita» e che il viceré o il Re potesse «da quelli eligerne uno à suo arbitrio». 181 Il<br />
capitano <strong>di</strong>veniva così una «creatura» del viceré e per questo secondo <strong>Imperato</strong> doveva «meritatamente<br />
chiamarsi Official Regio». 182<br />
A conferma ulteriore del<strong>la</strong> <strong>di</strong>gnità dell’ufficio, il viceré duca D’Ossuna nel 1617 or<strong>di</strong>nò che i 5 governatori<br />
del<strong>la</strong> S.S. Casa dell’Annunziata183 fossero eletti in segreto dai Capitani e i Consultori del Reggimento popo<strong>la</strong>re,<br />
e non più scelti dagli stessi governatori, evitando così « che in poco spazio <strong>di</strong> tempo ritornavan<br />
l’istessi ad esser’ Eletti per Governatori» 184 , inoltre ai Capitani spettava il compito <strong>di</strong> conferire cogli amministratori<br />
dei Monti per <strong>la</strong> <strong>di</strong>stribuzione delle elemosine e dei maritaggi.<br />
Ancora, tra le attribuzioni dei Capitani vi erano coloro a cui era affidata <strong>la</strong> custo<strong>di</strong>a delle porte «in tenerle,<br />
177 Ibidem.<br />
178 Nel 1594 il Seggio del Popolo giunse a convenzione con i nobili nel<strong>la</strong> <strong>di</strong>stribuzione delle chiavi delle porte, che vennero affidate anche<br />
all’Eletto del Popolo. F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi…cit., p. 92<br />
179 F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi … cit., p.86.<br />
180 Ibidem.<br />
181 Ivi, p.85.<br />
182 F. <strong>Imperato</strong>, Reformatione …cit.,p.36; IDEM, Privilegi …,cit., p.86.<br />
183 Istituzione caritativa preposta a precise funzioni devozionali e assistenziali: elemosine,doti, vitto e alloggio, vestiti, cure me<strong>di</strong>che, istruzione,<br />
prestiti su pegno senza interessi; servizi in<strong>di</strong>spensabili a sostenere il “popolo minuto” il cui tenore <strong>di</strong> vita si presentava precario e insicuro.<br />
184 F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi … cit., 1624, p. 92.<br />
43
cioè, serrate <strong>di</strong> notte, e aperte, e ben custo<strong>di</strong>te <strong>di</strong> giorno, parte per evitare, e impe<strong>di</strong>re l’entrata <strong>di</strong> alcuna<br />
licenziosa moltitu<strong>di</strong>ne unita ad alcun male affare». 185<br />
Nel<strong>la</strong> de<strong>di</strong>ca a Fulvio <strong>di</strong> Costanzo, marchese <strong>di</strong> Corleto ( sul quale bisognerà ritornare) che apre il “<br />
Discorso politico intorno al reggimento delle piazze del<strong>la</strong> Città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>” 186 <strong>Imperato</strong> spiegava i motivi e le<br />
esitazioni che, negli anni passati, avevano ritardato <strong>la</strong> pubblicazione del<strong>la</strong> sua opera. L’autore, attraverso<br />
lo stu<strong>di</strong>o dell’ «utilissima letione delle Historie», aveva raccolto «un infinito numero de notabili concerneti<br />
all’ottimo governo delle Città, e formatone una boza con proposito <strong>di</strong> mandar<strong>la</strong> in luce». L’autore esita<br />
però a pubblicar<strong>la</strong> per il timore <strong>di</strong> « incorrere in quello, in che altri sono incorsi, con il scrivere in materia<br />
<strong>di</strong>versa del<strong>la</strong> loro natural professione». 187<br />
Come ben sappiamo <strong>Imperato</strong>, benché scienziato e letterato, era innanzitutto un dottore in legge, e come<br />
tale non doveva essere all’oscuro del<strong>la</strong> polemica che era sorta verso <strong>la</strong> metà del XVI secolo, tra i teorici<br />
del<strong>la</strong> Ragion <strong>di</strong> Stato e i giuristi. I primi, infatti, si rifiutavano <strong>di</strong> intendere <strong>la</strong> “nuova scienza politica” come<br />
parte del<strong>la</strong> scienza del <strong>di</strong>ritto, facendo coincidere <strong>la</strong> « ratio »con lo « jus ». 188<br />
Soltanto grazie «all’esperienza, e alli continui maneggi» ed «essendo per spatio <strong>di</strong> anni otto continuamente<br />
intervenuto nel regimento <strong>di</strong> questa Città, rappresentando <strong>la</strong> Piazza del fedelissimo Popolo, nelli generali<br />
par<strong>la</strong>menti, e nelle or<strong>di</strong>narie, e straor<strong>di</strong>narie deputazioni », <strong>Imperato</strong> poteva pubblicare, avvalendosi<br />
«del<strong>la</strong> <strong>di</strong>sposition legale e del<strong>la</strong> ragion <strong>di</strong> Stato , collocate nelli suoi propri luoghi », « un piccolo modello<br />
» « sull’ottimo governo del<strong>la</strong> Città » messo « al servitio del mio Principe, e all’utile, e beneficio del<strong>la</strong> mia<br />
Patria». 189<br />
Con quest’ultimo assunto egli si rial<strong>la</strong>cciava così al<strong>la</strong> canonica definizione <strong>di</strong> Ragion <strong>di</strong> Stato e<strong>la</strong>borata<br />
dal Botero per il quale il Principe, al <strong>di</strong> sopra delle leggi umane e detentore verso <strong>di</strong> esse <strong>di</strong> una capacità<br />
<strong>di</strong> rior<strong>di</strong>namento e correzione, <strong>di</strong>viene garante e custode “del giusto” e “dell’utile pubblico”, attraverso i<br />
mezzi come <strong>la</strong> giustizia, <strong>la</strong> pace, e l’abbondanza. 190<br />
<strong>Imperato</strong> utilizza <strong>la</strong> de<strong>di</strong>ca come giustificazione del<strong>la</strong> sua sensibilità alle problematiche del<strong>la</strong> Ragion<br />
<strong>di</strong> Stato, e al pari dei filosofi politici, <strong>di</strong>mostrava <strong>la</strong> profonda conoscenza dell’argomento citando in vari<br />
luoghi Giovanni Botero, Agostino Nifo, <strong>Francesco</strong> Patrizi, Scipione Ammirato, Giro<strong>la</strong>mo Garimberto, a<br />
185 IDEM, Reformatione …cit.,p. 40.<br />
186 Stiglio<strong>la</strong>, <strong>Napoli</strong>, 1604.<br />
187 F. <strong>Imperato</strong>, Discorso….cit., pp.3-4.<br />
188 R. De Mattei, Il problema del<strong>la</strong> Ragion <strong>di</strong> Stato nell’età del<strong>la</strong> Controriforma, Mi<strong>la</strong>no, 1979, p.259.<br />
189 F. <strong>Imperato</strong>, Discorso….cit., p 3-4.<br />
190 Il termine “Ragion <strong>di</strong> Stato” definito da Botero « notizia dei mezzi atti a fondare, conservare e ampliare un dominio » secondo Burke<br />
«nasceva probabilmente come eufenismo, un modo per evitare <strong>la</strong> schiettezza esplicita del Machiavelli quando par<strong>la</strong>va <strong>di</strong> “necessità”».P. Burke,<br />
L’età barocca, in Storia Moderna, Roma, Donzelli, 1998.p.236.<br />
44
Stopendael, Veduta <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> nel Seicento<br />
45
cui aggiungeva <strong>la</strong> perfetta conoscenza, del resto obbligatoria per tutti i giuristi, <strong>di</strong> P<strong>la</strong>tone, Aristotele,<br />
Senofonte, Polibio, Cicerone. <strong>Imperato</strong> nel<strong>la</strong> sua opera oltre a chiamare in causa i greci, come P<strong>la</strong>tone e<br />
Aristotele, nei quali facilmente si riscontra il concetto <strong>di</strong> “utile dello Stato”, cita anche i <strong>la</strong>tini, utilizzando<br />
<strong>la</strong>rgamente Tacito, considerato come colui che aveva chiaramente enunciato una perfetta Ragion <strong>di</strong> Stato,<br />
giustificando <strong>la</strong> violenta iniziativa del principe ai fini del<strong>la</strong> pubblica utilità.<br />
Partendo da queste premesse, <strong>Imperato</strong> utilizza i modelli <strong>di</strong> governo, legati al<strong>la</strong> tra<strong>di</strong>zione dell’aristotelismo<br />
me<strong>di</strong>evale <strong>di</strong> matrice tomistica ( <strong>di</strong> qui il continuo richiamo De Regimine Principum <strong>di</strong> San Tommaso<br />
d’Aquino) e i miti storico-politici presenti nel<strong>la</strong> letteratura politica del tempo, per strutturare il suo<br />
Discorso intorno al problema del governo del<strong>la</strong> Città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, ponendosi in modo critico rispetto al<strong>la</strong><br />
gestione dell’amministrazione municipale citta<strong>di</strong>na e rendendosi pa<strong>la</strong><strong>di</strong>no delle istanze politiche del Popolo,<br />
assegnando al Principe, assistito dagli organi rappresentativi, <strong>la</strong> funzione <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atore e equilibratore dei<br />
<strong>di</strong>versi ceti sociali, dotati <strong>di</strong> eguali <strong>di</strong>ritti e partecipanti al potere politico.<br />
La prima parte del Discorso si apre infatti con l’enumerazione delle ragioni storiche per le quali il popolo<br />
napoletano dovesse avere peso uguale a quello dei nobili nel governo citta<strong>di</strong>no. Secondo <strong>Imperato</strong> era<br />
indubbio che fin dall’antichità « Nobiltà e Popolo godessero il governo», affermando che ai tempi in cui<br />
<strong>Napoli</strong> era una Repubblica greca fosse governata con gli stessi principi e le medesime leggi del<strong>la</strong> Repubblica<br />
d’Atene, giacchè ebbe i suoi Arconti, Demarchi e Magistrati a perfetta somiglianza dell’or<strong>di</strong>namento<br />
ateniese. Secondo <strong>Imperato</strong> fin dai tempi più antichi il governo del<strong>la</strong> città era <strong>di</strong>viso tra nobiltà e popolo,<br />
per cui l’autorità dell’Arconte, che equivaleva a quel<strong>la</strong> dei consoli in Roma, derivava dagli or<strong>di</strong>ni equestre<br />
e senatoriale ed era appannaggio del<strong>la</strong> nobiltà; il Demarcho o Princeps populi, invece a somiglianza dei<br />
Tribuni romani, proveniva dal popolo. 191<br />
Veniva così ricercato nel<strong>la</strong> storia un fondamento alle aspirazioni popo<strong>la</strong>ri al governo <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> e i fondamenti<br />
giuri<strong>di</strong>ci del<strong>la</strong> riven<strong>di</strong>cazione del<strong>la</strong> parità <strong>di</strong> voti con <strong>la</strong> nobiltà.<br />
La ricostruzione del passato era, infatti, servita ai gruppi aristocratici per celebrare <strong>la</strong> nobiltà delle loro<br />
famiglie, e quin<strong>di</strong> per legittimare il loro dominio. Per i gruppi borghesi <strong>la</strong> storia assumeva un analogo<br />
significato. Essa poteva essere lo strumento con cui combattere <strong>la</strong> nobiltà sul suo stesso terreno, perché<br />
attribuiva al popolo ra<strong>di</strong>ci altrettanto antiche e illustri <strong>di</strong> quelle dei nobili. Era collegata, inoltre, a questa<br />
esigenza <strong>di</strong> richiamo al passato un’idea <strong>di</strong> cambiamento come restaurazione, ritorno a con<strong>di</strong>zioni politiche<br />
che avevano subito <strong>la</strong> corruzione del tempo e occorreva restaurare nei loro caratteri originari. Infatti<br />
nell’opera dell’<strong>Imperato</strong> si par<strong>la</strong> <strong>di</strong> restaurazione e non <strong>di</strong> mutazione. Un termine questo in uso nel<strong>la</strong><br />
trattatistica politica , ma con una accezione estremamente negativa. Quest’ultimo assunto mette in evidenzia<br />
il fatto che si fosse ormai esaurita <strong>la</strong> tendenza antispagno<strong>la</strong> che aveva caratterizzato le agitazioni<br />
del periodo 1585-99.<br />
191 F. <strong>Imperato</strong>, Discorso….cit., pp. 10-12.<br />
46
Il Discorso politico rappresentava così il passaggio dal<strong>la</strong> fase estremistica, che aveva caratterizzato il<br />
secolo precedente, a quel<strong>la</strong> Riformatrice e filomonarchica. Il riformismo popo<strong>la</strong>re dell’<strong>Imperato</strong> traeva vigore<br />
e forza nel frequente richiamo al<strong>la</strong> tra<strong>di</strong>zione politica, giuri<strong>di</strong>ca e istituzionale del popolo napoletano,<br />
anziché ai motivi messianici e religiosi. 192 .<br />
Secondo Vil<strong>la</strong>ri fu fondamentale « nel garantire <strong>la</strong> continuità del movimento riformatore », il ripensamento<br />
che seguì <strong>la</strong> fase del ribellismo e <strong>la</strong> presa <strong>di</strong> coscienza degli effetti negativi che tali fenomeni <strong>di</strong> rivolta<br />
avevano sul Seggio popo<strong>la</strong>re. 193 La nobiltà considerava il ruolo svolto dal popolo nel<strong>la</strong> storia napoletana,<br />
soprattutto dal<strong>la</strong> rivolta del 1585 in poi, come testimonianza del<strong>la</strong> natura inquieta e incline al<strong>la</strong> sovversione<br />
del popolo e del<strong>la</strong> sua infedeltà nei confronti del<strong>la</strong> Corona.<br />
In tutte le opere dell’<strong>Imperato</strong>, infatti, ritorna con partico<strong>la</strong>re insistenza l’ideale <strong>di</strong> fedeltà del popolo nei<br />
confronti del<strong>la</strong> Corona che, secondo Vil<strong>la</strong>ri, « esprimeva, in maniera comprensibile al<strong>la</strong> maggior parte del<strong>la</strong><br />
popo<strong>la</strong>zione, l’esigenza del<strong>la</strong> coesione, dell’autorità e del<strong>la</strong> <strong>di</strong>sciplina; più in generale esprimeva l’idea<br />
del<strong>la</strong> collettività politica e degli obblighi connessi con <strong>la</strong> sua esistenza e con il suo riconoscimento». 194<br />
Egli intendeva affermare così <strong>la</strong> piena appartenenza del popolo e dei suoi rappresentanti al<strong>la</strong> « nazione<br />
politica » 195 , e quin<strong>di</strong> ai <strong>di</strong>ritti che ne derivavano e, in primo luogo, <strong>la</strong> necessità <strong>di</strong> equilibrare <strong>la</strong> presenza<br />
<strong>di</strong> nobili e popo<strong>la</strong>ri nelle istituzioni rappresentative. 196<br />
<strong>Imperato</strong> avrebbe così ricordato come Ferrante II avesse riconosciuto <strong>la</strong> fedeltà del popolo <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> «<br />
nel<strong>la</strong> quale mai ha mancato, et in ogni occasione si è sempre forzato <strong>di</strong> innalzar<strong>la</strong> e favorir<strong>la</strong>» e allo stesso<br />
Popolo avesse confermato «tutti li honori e <strong>di</strong>gnità ne i governi <strong>di</strong> questa Città», 197 attribuendo al Popolo il<br />
merito <strong>di</strong> aver introdotto il sovrano attraverso <strong>la</strong> porta del mercato e a Giovan Carlo Tramontano quello<br />
<strong>di</strong> aver assoldato a spese del<strong>la</strong> Piazza del Popolo un esercito che aiutasse Ferrante nell’espulsione dei<br />
francesi.<br />
192 Tommaso Campanel<strong>la</strong>, durante il suo primo soggiorno a <strong>Napoli</strong> venne a contatto con l’ambiente culturale naturalistico <strong>di</strong> stampo del<strong>la</strong>portiano,<br />
<strong>di</strong> cui erano i maggiori esponenti Co<strong>la</strong>ntonio Stiglio<strong>la</strong>, Gulio Cortese e Paolo Vermiglione. Quest’ultimi, infatti, nel settembre del 1599,<br />
avevano fornito a Campanel<strong>la</strong> precisi supporti astrologici al suo progetto rivoluzionario, che aveva come fine <strong>la</strong> liberazione del<strong>la</strong> Ca<strong>la</strong>bria dal<strong>la</strong><br />
dominazione spagno<strong>la</strong> attraverso l’intervento <strong>di</strong> potentati stranieri. Non fu dunque casuale che lo stesso Col Antonio Stiglio<strong>la</strong> fosse stato, a pochi<br />
anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza, l’e<strong>di</strong>tore del<strong>la</strong> Historia del Regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> <strong>di</strong> Giovanni Antonio Summonte e delle opere <strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong>.<br />
193 R. Vil<strong>la</strong>ri, Elogio del<strong>la</strong> <strong>di</strong>ssimu<strong>la</strong>zione. Lotta politica nel Seicento, Bari , Laterza. 2003, p.29.<br />
194 IDEM, Per il Re o per <strong>la</strong> Patria. La fedeltà nel Seicento, Bari, Laterza, 1994. p.13.<br />
195 Ivi, p.11.<br />
196 L’<strong>Imperato</strong>, nel riba<strong>di</strong>re l’ideale <strong>di</strong> fedeltà proprio del popolo, non tra<strong>la</strong>scia <strong>di</strong> descrivere un affresco presente sul<strong>la</strong> porta d’ingresso del<br />
Chiostro <strong>di</strong> S. Agostino nel quale erano raffigurati un uomo e una donna che univano le loro mani destre e al centro <strong>di</strong> entrambi era raffigurato un<br />
bambino; sul capo dell’uomo vi era una scritta dove si leggeva honor, mentre sul capo del<strong>la</strong> donna vi era scritto veritas,e infine sul fanciullo era<br />
scritto amor, spiegando così il significato dell’opera:« che dall’honor vero, nasce l’amore, senza il quale non si ha esser perfettamente fedele; per il<br />
qual simu<strong>la</strong>cro il Popolo de <strong>Napoli</strong> fa palese al mondo <strong>la</strong> sua perfetta fedeltà verso il Principe, dal quale vien protetto». In F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi…<br />
cit.., p.24.<br />
197 IDEM, Discorso ….cit.., p.72.<br />
47
La fedeltà al sovrano e il suo ricorso contro il mal governo dei ministri citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong>viene il punto centrale<br />
dell’ideologia “filo assolutistica” e “altopopo<strong>la</strong>re” intorno al quale si strutturava l’opera <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong>. 198 Egli,<br />
infatti, concludeva <strong>la</strong> ricostruzione storica degli atti e ban<strong>di</strong> del Seggio popo<strong>la</strong>re con <strong>la</strong> citazione del Lodo<br />
<strong>di</strong> re Federico d’Aragona del 17 luglio del 1498. Ai Seggi napoletani era stato or<strong>di</strong>nato che « tutte e sei<br />
le piazze devono giontamente unirsi » per trattare gli affari del<strong>la</strong> Città, e se ciò non fosse accaduto « il<br />
trattato e il concluso saria nullo », poiché le Piazze assenti « averian possuto tirare e indurre l’altre alli<br />
lor voti ». 199<br />
In partico<strong>la</strong>r modo <strong>Imperato</strong> si soffermava sul quarto capitolo concesso dal Re, ossia quello riguardante il<br />
ricorso al Principe o al Vicerè «che ha l’istessa autorità, e potestà concessagli dall’istesso Principe». Nel<br />
1534 tale ricorso venne riconfermato dal viceré Toledo, concedendo al Seggio Popo<strong>la</strong>re « il ricorso, non<br />
solo in negotij <strong>di</strong> grassa, ma in ogni altro negotio e trattato», « rafforzato » poi dall’ <strong>Imperato</strong>re Carlo V<br />
e, successivamente dai sovrani Filippo II e Filippo III. 200<br />
Con questo atto si concedeva <strong>la</strong> facoltà al<strong>la</strong> Piazza <strong>di</strong> inviare ambasciatori al sovrano, <strong>di</strong>ritto che in pratica<br />
era stato esercitato raramente a causa dell’opposizione nobiliare. L’ostruzionismo <strong>di</strong> quest’ultimi a tale<br />
ricorso veniva confermato dal<strong>la</strong> parole dello stesso <strong>Imperato</strong> « si ben le Piazze nobili, sotto pretesto del<strong>la</strong><br />
lite, che tiene con <strong>la</strong> Piazza popo<strong>la</strong>re, qual pretende che non si intende conclusione ove essa Piazza non<br />
concorre, habbiano <strong>di</strong>mandato, che quattro Piazze possono non solo concludere, ma anco liberamente<br />
eseguire il concluso, e <strong>la</strong> minor parte sia obbligata a concorrere ». 201<br />
Ma era appunto grazie a questo ricorso che « per <strong>la</strong> minor parte gravata non è obbligata a giustificar le sue<br />
pretendenze innanzi al<strong>la</strong> maggior parte, <strong>la</strong> quale come sospetta non può esser giu<strong>di</strong>ce del<strong>la</strong> minore». 202<br />
Inoltre secondo Imparato il ricorso al Viceré o al Principe avrebbero potuto rappresentare un ottimo<br />
“mezzo” o “strumento” attraverso il quale il Sovrano poteva control<strong>la</strong>re l’amministrazione del Regno:<br />
«ma quanto benefecio riceve il Principe, e anco l’istessa città dall’uso del detto ricorso, l’esperienza maestra<br />
delle cose lo mostra chiaramente al mondo; accennerò so<strong>la</strong>mente questo, che il Principe con questo<br />
mezzo viene ad essere partecipe del governo del<strong>la</strong> città, e a saper che si tratta giornalmente nelli suoi<br />
Tribunali; che se al<strong>la</strong> minor parte gravata non competesse detto refugio, non accaderia ricorre al Principe,<br />
il quale viene a rettamente e egualmente a dominare <strong>la</strong> maggiore, e minor parte delle Piazze, e anco al<strong>la</strong><br />
Nobiltà, et al Populo, interponendo <strong>la</strong> sua autorità,e arbitrio in determinare, e decidere le loro controversie,<br />
appogiandosi a quel che si aggira più al servizio suo, e all’utilità pubblica, anzi si tiene bi<strong>la</strong>nciato i<br />
198 E. Nuzzo, I percorsi del<strong>la</strong> quiete, Bollettino del Centro Stu<strong>di</strong> Vichiani, 1986, XVI. p.40.<br />
199 F. <strong>Imperato</strong>, Discorso….cit., p. 16.<br />
200 Ivi, pp. 19-21.<br />
201 Ivi, p. 21.<br />
202 Ivi, p. 18.<br />
48
loro stati e iuris<strong>di</strong>ttioni; dalli quali non bi<strong>la</strong>nciati sogliono succedere, tanto nelle Repubbliche tanto nelle<br />
Monarchie inconvenienti notabili». 203<br />
Il Principe avrebbe così svolto <strong>la</strong> sua funzione <strong>di</strong> garante e <strong>di</strong> forza equilibratrice tra le parti. L’ esempio<br />
degli « inconvenienti notabili verificatisi » nel<strong>la</strong> Repubblica Romana, <strong>di</strong> Firenze, <strong>di</strong> Pisa, <strong>Napoli</strong> ai tempi<br />
<strong>di</strong> Ferrante d’Aragona, citando Camillo Porzio e <strong>la</strong> sua “Congiura dei Baroni”, <strong>di</strong>mostravano <strong>la</strong> pericolosità<br />
del<strong>la</strong> mancanza <strong>di</strong> tale equilibrio. Attraverso questi esempi <strong>Imperato</strong> richiamava l’attenzione del Principe<br />
ad interporre « <strong>la</strong> sua autorità, e arbitrio nel determinare, e decidere le controversie» che intercorrevano<br />
tra il Seggio popo<strong>la</strong>re e i Seggi nobili.<br />
Il Principe considerato come «Padre dei populi» 204 , doveva intervenire sul governo del<strong>la</strong> Città, ma anche<br />
all’interno dei meccanismi <strong>di</strong> funzionamento del rifornimento annonario, ufficio amministrativo che si rive<strong>la</strong><br />
<strong>di</strong> strategica importanza politica.<br />
Solo un potere centrale, non esclusivamente citta<strong>di</strong>no, con un’autorità <strong>di</strong>ffusa in tutto il regno, poteva<br />
assicurare l’approvvigionamento granaio <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>.<br />
Per garantire <strong>la</strong> pace nel regno, il beneficio universale, <strong>la</strong> tranquillità del popolo era necessario innanzitutto<br />
fare in modo che il regno non soffra <strong>la</strong> fame: « il Principe con ogni <strong>di</strong>ligenza per beneficio del<strong>la</strong> plebe<br />
opressa da carestia deve opurtunamente reme<strong>di</strong>are alle cattive raccolte, et provveder intorno a ciò intrepidamente;<br />
et occorrendo etiam con <strong>la</strong> propria borsa, et senza temere <strong>la</strong> infe<strong>di</strong>cotà del<strong>la</strong> terra, et pericolo<br />
del mare, ambi alle volte de impe<strong>di</strong>mento alle provisioni, et espe<strong>di</strong>enti che soglion pigliarsi per rime<strong>di</strong>ar<br />
a detta penuria, senza però gravar i populi <strong>di</strong> nuove gravezze; ma secondo me a qualsivoglia espe<strong>di</strong>ente<br />
pratticato tanto a tempi fertili quanto sterili, deve necessariamente <strong>la</strong> vera cognitione del<strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong><br />
raccolta; <strong>di</strong>ligenza che fa spesso impe<strong>di</strong>re l’alteratione delli prezzi del frumento, mentre si sa con verità<br />
<strong>la</strong> sua quantità, spesso da interessati occultata, et ristretta per questo effetto». 205<br />
Il rifornimento continuo, in modo da tenere sempre provvisti i granai, anche in tempi <strong>di</strong> carestia o <strong>di</strong><br />
per<strong>di</strong>ta delle farine nel trasporto, <strong>la</strong> conservazione nei depositi citta<strong>di</strong>ni,<strong>la</strong> <strong>di</strong>stribuzione ai fornai, il controllo<br />
del<strong>la</strong> pa<strong>la</strong>ta (unità <strong>di</strong> misura del pane), sono tutti momenti che il vicerè deve seguire con <strong>la</strong> mente<br />
sempre rivolta al funzionamento <strong>di</strong> quest’organismo, che significa non <strong>la</strong>sciare mai i sud<strong>di</strong>ti sprovvisti <strong>di</strong><br />
cibo, pena <strong>la</strong> ribellione popo<strong>la</strong>re. Inoltre, <strong>Imperato</strong> sottolineava come si complicava il compito <strong>di</strong> chi governava<br />
nel cercare <strong>di</strong> mantenere un equilibrio tra il necessario funzionamento dell’annona e nello stesso<br />
tempo l’obbligo <strong>di</strong> pareggiare i conti dell’erario pubblico per non farne aumentare il debito, altra fonte <strong>di</strong><br />
rovina del regno. Al pareggio dell’erario era infatti collegata l’imposizione delle gabelle che « o<strong>di</strong>osissime<br />
si devono fuggire quanto si può»e che, secondo <strong>Imperato</strong>, bisognava aver cura che esse fossero imposte<br />
203 Ivi,pp.23-24.<br />
204 Ivi, p.42.<br />
205 Ivi, pp. 30-31<br />
49
« nelli casi che non vi è altro aiuto straor<strong>di</strong>nario, dal quale le città possan haver giovamento» e facendo<br />
attenzione « ad eguagliare so<strong>la</strong>mente l’entrate del<strong>la</strong> Città», moderando l’ingor<strong>di</strong>gia <strong>di</strong> quelli che specu<strong>la</strong>vano<br />
su <strong>di</strong> esse. 206<br />
<strong>Imperato</strong> manifestava così un <strong>di</strong>sagio <strong>di</strong>ffuso che si avvertiva a <strong>Napoli</strong> circa le specu<strong>la</strong>zioni sul commercio<br />
dei grani del regno, che avevano coinvolto alcuni vicerè e degl’uomini d’affari vicini al potere vicereale e<br />
conclusosi con l’aumento del debito pubblico.<br />
All’abbondanza <strong>di</strong> viveri <strong>Imperato</strong> suggerisce « dui altri mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> trattenersi lieti e tranquilli» il popolo ossia<br />
i «pubblici trattenimenti e le ricreazioni». 207 In questi trattenimenti e festini «v’intervene <strong>la</strong> persona del<br />
Principe, il quale con questo mezzo viene a conciliare amore, e benevolenza gran<strong>di</strong>ssime del populo»,<br />
come accadeva nel<strong>la</strong> festa <strong>di</strong> San Giovanni Battista e maggiormente in quel<strong>la</strong> <strong>di</strong> San Gennaro, dove tutti<br />
i popo<strong>la</strong>ri avevano l’onore <strong>di</strong> rimanere a capo coperto in presenza del Viceré. 208 Venivano da <strong>Imperato</strong><br />
così ripresi i precetti e le in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> Botero riguardanti gli strumenti necessari al fine dell’obbe<strong>di</strong>enza<br />
civile. Strumenti che vengono identificati nel<strong>la</strong> religione e nel<strong>la</strong> devozione e che costituiscono <strong>la</strong> sapienza<br />
del Principe, connubio <strong>di</strong> azione politica e prescrizione religiosa. <strong>Imperato</strong> si poneva in modo critico nei<br />
confronti <strong>di</strong> Machiavelli, che aveva preteso <strong>di</strong> scindere l’agire politico da quello religioso. La “sapienza”<br />
insieme al<strong>la</strong> “prudenza” costituivano due qualità fondamentali per <strong>la</strong> conservazione e <strong>la</strong> stabilità dell’autorità<br />
politica. L’azione politica del principe doveva tendere a realizzare quel rapporto <strong>di</strong> comando e <strong>di</strong><br />
obbe<strong>di</strong>enza, che poteva nascere solo da un pieno e completo consenso popo<strong>la</strong>re, evitando cosi quegli<br />
infausti avvenimenti, come quello del 1585 che <strong>Imperato</strong> non esitò a definire un «inopinato successo». 209<br />
Chiedendosi, poi, a quale forma <strong>di</strong> governo potesse appartenere l’amministrazione citta<strong>di</strong>na napoletana<br />
iniziava ad analizzare i vari generi <strong>di</strong> dominazione, aggiungendo, alle due specie <strong>di</strong> governo, <strong>di</strong> uno<br />
solo o <strong>di</strong> molti, le re<strong>la</strong>tive <strong>di</strong>visioni e degenerazioni aristoteliche, con copiosi esempi desunti dal<strong>la</strong> storia<br />
antica. 210L’Università napoletana non rientrava, infatti, in nessuna delle tipiche forme <strong>di</strong> governo ritenute<br />
da Imparato «dannose e corrotte », 211 e dunque non doveva considerarsi né oligarchico « <strong>di</strong> pochi ricchi,<br />
e potenti ò vero nobili », né aristocratico « dei più buoni e virtuosi », né tantomeno democratico « del<br />
popolo». 212<br />
Infatti secondo <strong>Imperato</strong> se « si governasse so<strong>la</strong>mente dalli pochi ricchi, e potenti, non è dubbio nessuno<br />
206 Ivi. p.29.<br />
207 Ivi, p.68.<br />
208 Ivi, pp. 68-69<br />
209 F. <strong>Imperato</strong>, Privilegi…cit., p.42.<br />
210 Ivi, p. 32.<br />
211 Ibidem.<br />
212 Ivi, p.33.<br />
50
che saria ingiusto, perché se applicariano al<strong>la</strong> rapina, e toglierebbero <strong>la</strong> robba al<strong>la</strong> moltitu<strong>di</strong>ne, e così similmente<br />
se il governo fosse in mano degli Ottimati, perché essendo essi come giusti e virtuosi so<strong>la</strong>mente<br />
honorati, gli altri non participando de gl’honori si riputerebbero ingiusti e ignoranti, e indegli de gli honori;<br />
sé il governo fosse in mano al populo, si riputarebbe ancora non perfettamente giusto, perche si spartirebbe<br />
<strong>la</strong> robba de’ ricchi, e potenti; talché tutte dette spetie de’ governi da per se si reputano ingiuste, e<br />
soggette al<strong>la</strong> corruzione ». 213<br />
Né secondo <strong>Imperato</strong> « si poteva arguire in contrario con l’esempio del<strong>la</strong> Repubblica <strong>di</strong> Venezia, <strong>la</strong> quale<br />
nonostante che il Popolo non ha parte nel governo, pure ha durato per tanto spazio <strong>di</strong> tempo, e ha continuamenta<br />
goduto, e al presente gode<strong>la</strong> sua libertà, perché <strong>di</strong> questo non è caggione il non avere parte<br />
il Populo nel governo, secondo alcuni <strong>di</strong>cono senza fondamenti ragionevoli, ma l’essere stato me<strong>di</strong>ocre,<br />
qual si governa più perfettamente del stato immenso, e grande ». 214<br />
Il “mito” del<strong>la</strong> Repubblica <strong>di</strong> Venezia, caro agli scrittori politici del tempo, non poteva essere assunto a<br />
modello politico dagli altri Stati italiani perché, secondo <strong>Imperato</strong>, i motivi che <strong>la</strong> rendevano “libera” e<br />
priva <strong>di</strong> guerre intestine erano da ravvisarsi innanzitutto nel<strong>la</strong> sua posizione geografica, « situata dentro<br />
le acque salse, per il che <strong>di</strong>viene inespugnabile, secondo l’esperienza delle turbolentie successigli nell’anno<br />
1509, e perché circundato il suo stato da potenze gran<strong>di</strong> a lei formidabili, quale <strong>la</strong> mantengano unita,<br />
et senza <strong>di</strong>spareri e guerre civili », ma anche nelle leggi e negli statuti emanati « con grande artificio e<br />
osservati invio<strong>la</strong>bilmente».<br />
<strong>Imperato</strong> può essere definito uno dei primi a mettere in <strong>di</strong>scussione tale mito, fatto <strong>di</strong> enorme importanza<br />
, poiché rappresenta nuovamente un audace richiamo a Machiavelli, attraverso <strong>la</strong> citazione dell’« auereo<br />
opuscolo » <strong>di</strong> Agostino Nifo il De Regnan<strong>di</strong> Peritia. 215<br />
Un altro motivo, il più importante secondo <strong>Imperato</strong>, che rendeva Venezia “libera” era dato dal fatto che<br />
« alcuno Gentilhuomo avanzando <strong>di</strong> valore, e esperienza, e seque<strong>la</strong> de amici, non aspiri a farsi superiore<br />
à gli altri, e per conseguenza Tiranno de <strong>la</strong> sua Patria, si come si porta l’Esempio del successo quasi a<br />
tempi nostri in Fiorenza in persona <strong>di</strong> Alessandro, e Cosmo <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>ci ». 216<br />
Concludendo che <strong>la</strong> città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> non rientrava in nessuna delle forme politiche menzionate, riguardo<br />
al<strong>la</strong> Repubblica <strong>Imperato</strong> affermava « atteso si ben ne have alcun sembiante, rispetto al<strong>la</strong> Oligarchia et<br />
213 Ivi, p.35.<br />
214 Ivi, p.37<br />
215 Ad Agostino Nifo andava attribuito il merito <strong>di</strong> aver pubblicato per <strong>la</strong> prima volta in <strong>Napoli</strong>, anche se in traduzione <strong>la</strong>tina, il Principe <strong>di</strong><br />
Machiavelli. L’opera apparve nel 1523 con de<strong>di</strong>ca a Carlo V e con il titolo De Regnan<strong>di</strong> Peritia. Quest’opera viene considerata un vero e proprio<br />
p<strong>la</strong>gio rispetto al Principe da quasi tutti gli autori che si sono imbattuti nel<strong>la</strong> questione. A tal proposito sia De Frede che Persico ritengono che con<br />
molta probabilità che il Nifo avesse conosciuto il Macchiavelli a Pisa, e che fosse stato lo stesso Macchiavelli ad incoraggiare il Nifo a tradurlo<br />
in <strong>la</strong>tino e a <strong>di</strong>vulgarlo in forma dottrinale. In C. De Frede, I lettori d’umanità nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> durante il Rinascimento, Arte Tip., <strong>Napoli</strong>,<br />
1960.p. 125; in T., Persico, Gli scrittori politici napoletani dal 400’ al 700’, <strong>Napoli</strong>, Perrel<strong>la</strong>, 1912. p.32.<br />
216 F. <strong>Imperato</strong>, Discorso politico…cit., p.40<br />
51
Democratia che è il governo dei pochi, et il governo del populo, non <strong>di</strong> meno li manca <strong>la</strong> migliore qual è<br />
<strong>la</strong> Consu<strong>la</strong>re, delli quali tre stati è formata <strong>la</strong> vera, et perfetta Repubblica come s’è detto <strong>di</strong> sopra: ma<br />
se <strong>la</strong> parte Consu<strong>la</strong>re si vorrà rappresentare per gli homini Regij, quali assisteno, et intervengono nelli<br />
Reggimenti <strong>di</strong> questa Città, se potria forsi <strong>di</strong>re che il detto regimento delle Piazze habbia alcun sembiante,<br />
et vestigio de l’anticha Repubblica, ma sottoposta al<strong>la</strong> Monarchia et al sopremo, et Regio dominio del<strong>la</strong><br />
Maestà del Re nostro Signore ». 217<br />
<strong>Imperato</strong>, nell’artico<strong>la</strong>zione del suo sistema citta<strong>di</strong>no ideale, assegnava agli «huomini regij», ossia ufficiali<br />
e i magistrati, <strong>la</strong> parte conso<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> Repubblica. Quest’ultimi sono chiamati da <strong>Imperato</strong> a con<strong>di</strong>videre<br />
il suo programma politico che faceva perno sul<strong>la</strong> rivalutazione del<strong>la</strong> piazza popo<strong>la</strong>re. Ed è infatti, il solo<br />
popolo <strong>di</strong> mezzo situato tra i nobili e i plebei, a dover partecipare al governo del<strong>la</strong> città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, riper-<br />
correndo così le in<strong>di</strong>cazioni aristoteliche del Botero, del Garimberti e del Ferrari, 218 sul fondamentale supporto<br />
del ceto me<strong>di</strong>o per <strong>la</strong> conservazione politica <strong>di</strong> uno Stato. Qui entrava in gioco l’importante funzione<br />
che attribuisce <strong>Imperato</strong> al<strong>la</strong> prudenza politica come principale virtù necessaria al principe nel<strong>la</strong> <strong>di</strong>fficile<br />
arte <strong>di</strong> governo e, affianco ad essa, l’in<strong>di</strong>cazione dei concreti organi <strong>di</strong> governo strategici per conservare<br />
l’or<strong>di</strong>ne civile e politico del regno <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> e in partico<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> sua turbolenta capitale.<br />
Strutturando il Discorso sul<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssificazione delle forze sociali del<strong>la</strong> Capitale, <strong>Imperato</strong> in<strong>di</strong>cava i due poli<br />
del<strong>la</strong> vita sociale napoletana nel<strong>la</strong> nobiltà e nel popolo.<br />
<strong>Imperato</strong>, infatti, sud<strong>di</strong>videva <strong>la</strong> Nobiltà in quattro specie: « <strong>la</strong> prima che chiamase Nobiltà de animo, <strong>la</strong><br />
seconda Nobiltà de sangue, <strong>la</strong> terza Nobiltà politica, o vero civile, <strong>la</strong> quarta nobiltà mista, che partecipa<br />
delle prime dette due specie; ». La quarta specie del<strong>la</strong> nobiltà nel<strong>la</strong> quale «partecipa dal<strong>la</strong> nobiltà <strong>di</strong><br />
sangue, e dell’animo, <strong>la</strong> qual viene ad essere più degna d’ugniun delle due prime specie essendo unite<br />
in un medesimo soggetto». 219 La virtù era quel «pre<strong>di</strong>cato» che conferiva maggiore <strong>di</strong>gnità al<strong>la</strong> nobiltà<br />
<strong>di</strong> sangue, ma era in effetti quel<strong>la</strong> stessa virtù che conferiva altrettanta <strong>di</strong>gnità al<strong>la</strong> nobiltà «civile,dativa<br />
o politica quale è una <strong>di</strong>gnità e qualità che si conferisce dal Principe, qual non riconosce superiore e può<br />
avere origine da causa buona, ò cattiva, giusta, ò ingiusta, iniqua, vitiosa, ò virtuosa, secondo <strong>la</strong> voluntà<br />
del Principe, e si verifica nel<strong>la</strong> <strong>di</strong>gnità equestre e militare, et anco nel<strong>la</strong> <strong>di</strong>gnità Dottorale, qual <strong>di</strong>gnità<br />
si conferisce per causa degna, e lodata che è <strong>la</strong> virtù, e scienza, per <strong>la</strong> quale viene ornato il Dottore <strong>di</strong><br />
detta nobiltà politica, precedendo prima l’esamine et approbatione dello collegio dei dottori, e <strong>di</strong> quanta<br />
prerogativa e preminenza ». 220 In tal senso <strong>la</strong> borghesia non sarebbe stata <strong>di</strong>fferente dal<strong>la</strong> nobiltà, poiché<br />
217 Ivi, pp. 44-45.<br />
218 Giro<strong>la</strong>mo Garimberto, (1506-1557) nel 1554 pubblicava un trattato <strong>di</strong> politica, in cui aveva <strong>di</strong>mostrato una notevole <strong>di</strong>mestichezza<br />
con le opere <strong>di</strong> Machiavelli, intito<strong>la</strong>to De Reggimenti pubblici del<strong>la</strong> Città; <strong>Francesco</strong> Patrizi da Siena (1413- 1494) nel 1450 pubblicava un opera<br />
intito<strong>la</strong>ta De Repubblica Istitutiones. In F. Cavalli, L a scienza politica in Italia, Venezia, Tip. Antonelli, 1863. pp. 124-127<br />
219 F. <strong>Imperato</strong>, Discorso…cit., pp.74-75<br />
220 Ivi, p.72.<br />
52
iusciva a gareggiare con essa nell’acquisto delle virtù.<br />
La <strong>di</strong>gnità dottorale veniva definita simile al<strong>la</strong> nobiltà <strong>di</strong> sangue, inoltre, tale uguaglianza aveva il suo<br />
fondamento nel<strong>la</strong> <strong>di</strong>stinzione netta che <strong>Imperato</strong> attua tra “plebe” e “popolo”.<br />
Anche se formalmente <strong>la</strong> <strong>di</strong>stinzione non sarebbe possibile, perché <strong>la</strong> plebe «non ha corpo <strong>di</strong> per sé», 221 ma<br />
nel<strong>la</strong> sostanza, il popolo era costituito da strati che avevano caratteri fortemente <strong>di</strong>fferenziati. Solo «li più<br />
eletti, ricchi, e virtuosi che viveno civilmente senza far esercizi sor<strong>di</strong><strong>di</strong> e meccanici rappresentano lo stato<br />
popu<strong>la</strong>re », 222 ad essi solo spettavano, infatti, le cariche del<strong>la</strong> piazza del popolo. <strong>Imperato</strong>, avvalendosi<br />
del<strong>la</strong> sentenza <strong>di</strong> Re Roberto d’Angiò, nel<strong>la</strong> quale veniva specificato che gli onori concessi si riferivano<br />
al popolo « qui communi vocabulo <strong>di</strong>citur Crassus, e non de popolo minuto, e artistis », specificava che<br />
le cariche politiche non potevano essere conferite al popolo minuto «forsi per alcune imperfettioni che<br />
generalmente par<strong>la</strong>ndo, se gli possano applicare, cagionate dalle inesperienza dei governi, e dal<strong>la</strong> povertà,<br />
per <strong>la</strong> quale è costretto più a procacciarsi il vitto, che nell’esercitio de carichi popu<strong>la</strong>ri, per li quali con<br />
<strong>di</strong>fficoltà <strong>la</strong>scia il suo esercitio, e <strong>la</strong>sciandolo, con vergogna dopò finito il governo il ripiglia». 223 La plebe<br />
era, inoltre, priva delle qualità necessarie all’amministrazione del<strong>la</strong> Città« che sono, il vivere nobilmente,<br />
e con beni <strong>di</strong> fortuna, et anco esser ornati <strong>di</strong> virtù ; esse mantengono nel suo essere <strong>la</strong> nobiltà, anzi gionte<br />
<strong>la</strong> conferiscono », per cui nessun pregiu<strong>di</strong>zio poteva venire agli amministratori nell’esercizio delle cariche<br />
popo<strong>la</strong>ri, « havendo rappresentato una Piazza Regia, nobile, e fedelissima». 224 Il rapporto tra i ceti veniva<br />
considerato da <strong>Imperato</strong> soprattutto in termini <strong>di</strong> potere politico ed egemonia morale ed intellettuale e,<br />
infatti, da questa <strong>di</strong>stinzione che egli attua all’interno delle società napoletana prenderà avvio l’accusa <strong>di</strong><br />
democratismo fattagli da De Tejada. 225<br />
<strong>Imperato</strong> avvalendosi dell’autorità del Patrizi, del Botero e del Garimberti affermava con sicurezza «qual<br />
me<strong>di</strong>ocrità quanto nelli governi sia sicura, e quanto sia lodata e pregiata, e utile alle Repubbliche e alle<br />
Monarchie più delli due estremi, amici per or<strong>di</strong>nario delle novità». 226<br />
La me<strong>di</strong>ocritas aristotelica veniva considerata da <strong>Imperato</strong> come una qualità e non come un impe<strong>di</strong>mento<br />
a ricoprire incarichi pubblici <strong>di</strong>mostrando che «si ben’alle alle volte succede darsi detti carichi ad alcun<br />
Citta<strong>di</strong>no honorato, et da bene, forsi non versato in simili governi, et che si ritrovi in bassa fortuna, non<br />
per questo può <strong>la</strong> piazza riputarsi <strong>di</strong>minuta, e imperfetta, perché quel citta<strong>di</strong>no essendo creato Eletto, può<br />
221 Ivi, p.53.<br />
222 Ibidem.<br />
223 IDEM, Privilegi…cit., p.57.<br />
224 IDEM, Discorso intorno all’origine, Regimento, e Stato del<strong>la</strong> gran Casa del<strong>la</strong> Santissima Annunziata <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, <strong>Napoli</strong>, Longo, 1629,<br />
pp.19-22.<br />
225 F. E., De Tejada, Napoles hispanico : <strong>la</strong>s espanas argenteas ( 1598-1621),IV, Montejurra, Madrid, 1961, p.89.<br />
226 F. <strong>Imperato</strong>, Discorso politico…cit., p.58.<br />
53
consultarsi con i suoi Consultori al numero <strong>di</strong> <strong>di</strong>ece, destinati a questo effetto so<strong>la</strong>mente, si come appare<br />
per <strong>la</strong> detta sentenza <strong>di</strong> re Federico nel quarto capo; si è creato Capitanio avrà i suoi compagni, da i quali<br />
può ricever introduttione, e così potrà <strong>la</strong> Piazza esser perfettamente governata e guidata conforme al<br />
solito; concorrendovi l’affetto gran<strong>di</strong>ssimo, che al generale ne i petti de Citta<strong>di</strong>ni verso detta Piazza ». 227<br />
La «bassa fortuna » <strong>di</strong> alcuni popo<strong>la</strong>ri non poteva essere così per <strong>Imperato</strong> causa dello sdegno <strong>di</strong><br />
alcuni citta<strong>di</strong>ni ad impegnarsi a ricoprire incarichi popo<strong>la</strong>ri « presupponendo farsi pregiu<strong>di</strong>cio ad alcune<br />
figurate pretendente de nobiltà, perché respetto al’esercitio de detti carichi, e degnità, e anco rispetto<br />
a quell’attione de unione delle Piazze popu<strong>la</strong>ri, a trattar negotii pubblici, non può nessun aggravarsi ne<br />
pregiu<strong>di</strong>carsi, massimamente intervenendovi compagni del<strong>la</strong> qualità predetta, atteso in quell’attione il<br />
ricco e il povero sono eguali». 228<br />
Se <strong>la</strong> <strong>di</strong>versità dell’estrazione sociale pregiu<strong>di</strong>cava “l’unione” in un fronte compatto delle forze popo<strong>la</strong>ri,<br />
lo stesso non poteva <strong>di</strong>rsi del<strong>la</strong> Nobiltà che anzi dall’<strong>Imperato</strong> veniva presa come un esempio positivo, in<br />
quanto in essa «trattandosi unione, chiara cosa è, che vi entrano et v’intervengono Gentil huomini privati,<br />
Titu<strong>la</strong>ti antichi, e moderni, <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi Tituli, e anco <strong>di</strong> quelli che hanno avuto <strong>di</strong>versi carichi, e <strong>di</strong>gnità<br />
militari, Gentil’huomini anco, che sono <strong>di</strong> famiglie antche originarie, e anco che han quarti Regij, e non<br />
ostante questa <strong>di</strong>versità pur’ in quell’attion d’unione ogn’uno hà il suo voto uguale». 229<br />
Rinnovando così <strong>la</strong> polemica contro coloro che rifiutavano le cariche popo<strong>la</strong>ri con il pretesto <strong>di</strong> una<br />
pretesa nobiltà che li rendevano, agli occhi <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong> « incapaci <strong>di</strong> ragione, servendosi del<strong>la</strong> semplice<br />
voluntà; che presupponendosi configurarsi alcuna spetie <strong>di</strong> nobiltà farsi riputar per tali, s’ingannano <strong>di</strong><br />
gran lungha; e se ben essi, o i lor Padri hanno acquistato beni <strong>di</strong> Fortuna, e tentano in varij mo<strong>di</strong> obliqui<br />
scostarsi dal popolo, e fra gli altri con far rivolger sottosopra I regij Archivij, e le antiche Se<strong>di</strong>e de Notari,<br />
per haver cognizione e notitia delle Famiglie alle lor simili; e con questo inestarsi ne i rami, sen’esser del<strong>la</strong><br />
propria spetie del stipite». 230<br />
Dall’ uguaglianza tra il ceto dei dottori e <strong>la</strong> nobiltà, <strong>Imperato</strong> traeva lo spunto per proporre nel suo<br />
Discorso una possibile unione tra i due or<strong>di</strong>ni del<strong>la</strong> citta<strong>di</strong>nanza.<br />
<strong>Imperato</strong> aveva de<strong>di</strong>cato <strong>la</strong> sua opera a Fulvio Di Costanzo marchese <strong>di</strong> Corleto, che era stato nel 1588<br />
giu<strong>di</strong>ce del<strong>la</strong> Vicaria, nel 1590 Regio Consigliere <strong>di</strong> S. Chiara e Vicecancelliere del Regno, creato poi<br />
membro del Consiglio d’Italia e nel 1603 ritornato a <strong>Napoli</strong> per ricoprire gli uffici <strong>di</strong> Reggente del Col<strong>la</strong>terale<br />
e Prefetto dell’annona. 231 Il Di Costanzo era un nobile appartenente al Seggio <strong>di</strong> Portanova, uno dei tre<br />
227 Ivi, p. 59.<br />
228 Ivi, p.60.<br />
229 Idem.<br />
230 Ivi, pp. 63-64.<br />
231 L. Giustiniani, Memorie…cit., p. 67.<br />
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seggi flui<strong>di</strong> nei quali erano confluite, a partire dall’età angioina, le famiglie appartenenti al<strong>la</strong> borghesia<br />
e legate al<strong>la</strong> monarchia da prestiti monetari. Forse quest’ultimo partico<strong>la</strong>re potrebbe far comprendere<br />
il motivo per cui <strong>Imperato</strong> si rivolge a lui «confidando nel<strong>la</strong> sua altissima humanità, e cortesia», con<br />
l’illusione <strong>di</strong> trovare in questi una maggiore sensibilità alle istanze popo<strong>la</strong>ri. Presumibilmente risultava<br />
necessario e naturale per <strong>Imperato</strong> affidarsi alle grazie <strong>di</strong> un uomo potentissimo, detentore <strong>di</strong> una delle<br />
più alte cariche del regno, nonché Prefetto dell’annona, tito<strong>la</strong>re <strong>di</strong> uno degli uffici più importanti e delicati<br />
dell’amministrazione del<strong>la</strong> Città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>.<br />
Si trattava, infatti, <strong>di</strong> un personaggio altamente idoneo, da un <strong>la</strong>to, al<strong>la</strong> rappresentanza delle doglianze<br />
o istanze <strong>di</strong> riforma dell’amministrazione pubblica, dall’altro all’aperta presentazione del<strong>la</strong> can<strong>di</strong>datura<br />
del ceto me<strong>di</strong>o a gestire, con eguale <strong>di</strong>gnità dei nobili, <strong>la</strong> cosa pubblica napoletana. Questa unione veniva<br />
esemplificata al<strong>la</strong> fine del Discorso avvalendosi dell’Emblema <strong>di</strong> Andrea Alciato, 232 «qual descrive <strong>la</strong><br />
perfetta amicitia et amore con l’esempio materiale dell’infruttifero albero del pioppo circundato dalle viti,<br />
del<strong>la</strong> quale emblema altri si son servitià denotar <strong>la</strong> Nobiltà con il detto albero, e lo popolo con le viti, per<br />
<strong>di</strong>mostrar che deve <strong>la</strong> Nobiltà e i Popolo esser uniti con perfetto vincolo <strong>di</strong> amicizia»e da ciò «cavarne il<br />
succo del commun beneficio e utilità». 233<br />
Nelle parole dell’<strong>Imperato</strong> sembrava avvertirsi un’eco <strong>di</strong> quel<strong>la</strong> «concor<strong>di</strong>a sociale » raggiunta nel 1418,<br />
quando vi fu l’unione tra nobili e popolo, coalizzati contro <strong>la</strong> grande aristocrazia feudale. 234<br />
Nell’ottica dell’<strong>Imperato</strong> <strong>la</strong> “nobiltà dottorale” non era vista in conflitto con <strong>la</strong> nobiltà <strong>di</strong> sangue, né,<br />
tantomeno, si confondeva con essa con <strong>la</strong> ricerca <strong>di</strong> un fondamento giuri<strong>di</strong>co, essendo ad essa paralle<strong>la</strong><br />
ed alleata. Il programma politico dell’<strong>Imperato</strong> puntava così a creare una nuova forma <strong>di</strong> unità <strong>di</strong> tutte le<br />
fazioni del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse <strong>di</strong>rigente attorno ad una amministrazione regia più funzionale.<br />
La fine del viceregno del conte <strong>di</strong> Lemos235 segnò l’inizio del lungo ritiro dal<strong>la</strong> scena politica napoletana <strong>di</strong><br />
<strong>Imperato</strong>. Egli iniziava così a concentrarsi maggiormente negli stu<strong>di</strong> scientifici, allettato dal<strong>la</strong> possibilità <strong>di</strong><br />
entrar a far parte dell’Accademia dei Lincei. Un ingresso che presupponeva <strong>la</strong> rinuncia a qualsiasi attività<br />
che non fosse collegata allo sviluppo del<strong>la</strong> “scienza moderna”.<br />
L’abbandono <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong> del<strong>la</strong> scena politica può essere stato così causato dal<strong>la</strong> delusione delle speranze<br />
che egli aveva riposto nel<strong>la</strong> politica “riformatrice” del Lemos, poiché quest’ultimo non aveva sostenuto, o<br />
per meglio <strong>di</strong>re trascurato, <strong>la</strong> possibilità <strong>di</strong> inserire nel suo progetto politico un attiva presenza delle forze<br />
232 A. Alciato, Emblemata, Parigi, 1534.<br />
233 F. <strong>Imperato</strong>, Discorso politico, ...cit.,p. 74-75.<br />
234 G. D’Agostino,Per una storia…cit.,p.80.<br />
235 Il conte Pietro Fernandez <strong>di</strong> Castro, fine letterato e mecenate aveva non solo fondato nel 1611 l’Accademia degli Oziosi, <strong>di</strong> cui faceva<br />
parte anche <strong>Imperato</strong>, ma aveva anche riformato l’Università napoletana sul modello <strong>di</strong> quel<strong>la</strong> <strong>di</strong> Sa<strong>la</strong>mancas. Il conte <strong>di</strong> Lemos, inoltre, viene<br />
ricordato dagli storici per <strong>la</strong> riforma finanziaria con cui cercò <strong>di</strong> assicurare alle esauste casse dello Stato con un gettito costante <strong>di</strong> entrate. Impresa<br />
questa che si rivelò impossibile data dal<strong>la</strong> corruzione degli esattori dell’entrate.<br />
55
popo<strong>la</strong>ri come soggetto <strong>di</strong> vita sociale e politica.<br />
Di conseguenza nasce anche l’impossibilità <strong>di</strong> attribuire a <strong>Imperato</strong> una probabile partecipazione, negli<br />
anni successivi, al movimento riformatore più ra<strong>di</strong>cale, al cui capo vi era l’avvocato Giulio Genoino,<br />
sostenitore dell’antico programma popo<strong>la</strong>re teso al<strong>la</strong> parità dei voti e al<strong>la</strong> separazione tra nobiltà e<br />
popolo, attraverso l’utilizzo dell’eversione plebea.<br />
Gli anni caratterizzati dall’azione assolutistica del viceré Pietro Terrez duca d’Ossuna (1616-1620)<br />
avrebbero, infatti, reso evidente le fratture esistenti all’interno dello stesso Seggio popo<strong>la</strong>re. Il progetto<br />
politico del viceré aveva come obiettivo <strong>la</strong> creazione <strong>di</strong> una più organica alleanza tra stato e ceti popo<strong>la</strong>ri.<br />
Con l’ausilio <strong>di</strong> Giulio Genoino il viceré aveva dato inizio allo scontro con le magistrature del<strong>la</strong> Capitale.<br />
Il vicerè, senza consultare i Procuratori delle Ottine, aveva nominato il Genoino proeletto del Seggio<br />
popo<strong>la</strong>re nell’aprile del 1619; il Col<strong>la</strong>terale, data l’illegalità del<strong>la</strong> procura, aveva <strong>di</strong> conseguenza annul<strong>la</strong>to<br />
<strong>la</strong> nomina. Dopo <strong>la</strong> seconda nomina a proeletto, il 9 aprile del 1620, e a giu<strong>di</strong>ce del<strong>la</strong> Vicaria, il 28 maggio<br />
dello stesso anno, il Genoino riuscì a <strong>di</strong>venire Eletto del popolo il 29 maggio, grazie al<strong>la</strong> rinunzia del<strong>la</strong><br />
carica da parte <strong>di</strong> Carlo Grimal<strong>di</strong>, che ebbe in cambio <strong>la</strong> promozione a proconsigliere del Sacro Regio<br />
Consiglio. Non appena il Genoino prese possesso <strong>di</strong> tale carica, destituì i capitani d’ottina in carica per<br />
eleggere al loro posto « i più famosi compagnoni che allora fussero in <strong>Napoli</strong>, specie ai vagabon<strong>di</strong> e faziosi<br />
legati in compagnia a comune <strong>di</strong>fesa e vantaggio». 236 Tra questi, inoltre, veniva nominato come capitano<br />
dell’ottina del Mercato <strong>Francesco</strong> Antonio Arpaia, uomo <strong>di</strong> legge che, ventisette anni dopo sarebbe stato,<br />
insieme al Genoino, uno dei principali protagonisti del<strong>la</strong> rivolta del 1647. Era dunque intenzione del<br />
Genoino e del duca d’Ossuna procurarsi i favori del cosiddetto popolo minuto.<br />
Giustamente alcuni provve<strong>di</strong>menti attuati dal viceré vengono considerati da Co<strong>la</strong>pietra <strong>di</strong> carattere<br />
puramente paternalistici e demagogici, 237 come l’abolizione, nel marzo del 1619, del<strong>la</strong> gabel<strong>la</strong> sul<strong>la</strong> farina<br />
e dell’impopo<strong>la</strong>rissima gabel<strong>la</strong> sul<strong>la</strong> frutta, <strong>la</strong> cui abolizione avrebbe arrecato un vuoto <strong>di</strong> 350 mi<strong>la</strong> ducati<br />
alle finanze del<strong>la</strong> municipalità napoletana. 238 A questi provve<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> natura fiscale ne vanno aggiunti<br />
altri che maggiormente <strong>di</strong>mostrarono <strong>la</strong> volontà del viceré <strong>di</strong> rafforzare il potere dei popo<strong>la</strong>ri.<br />
Il duca d’Ossuna, infatti, dopo aver sequestrato l’artiglieria dal chiostro <strong>di</strong> San Lorenzo e licenziato le<br />
compagnie del Battaglione <strong>di</strong> stanza nel<strong>la</strong> Capitale, or<strong>di</strong>nò l’armamento del<strong>la</strong> Piazza popo<strong>la</strong>re, che era<br />
sempre stato avversato dal<strong>la</strong> nobiltà.<br />
L’Eletto del popolo ebbe così il compito, dopo aver consultato <strong>la</strong> Piazza, <strong>di</strong> proporre le persone da nominare<br />
capitani <strong>di</strong> compagnia. Quest’ultimi nelle rispettive ottine avrebbero dovuto procedere al reclutamento<br />
236 B. Capasso, Masaniello…cit., p. 69.<br />
237 R. Co<strong>la</strong>pieta, La pretesa fellonia del duca d’Ossuna, in Storia <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>…cit, p.205.<br />
238 Ivi.<br />
56
delle milizie. 239<br />
Secondo Schipa « quel<strong>la</strong> chiamata <strong>di</strong> artigiani e citta<strong>di</strong>ni al servizio militare fu il primo segno serio, <strong>la</strong><br />
prima forma seria <strong>di</strong> quel<strong>la</strong> democrazia del duca d’Ossuna, che, dai giorni suoi ai nostri, fu giu<strong>di</strong>cata<br />
mezzo al<strong>la</strong> concepita usurpazione al trono». 240<br />
Nell’insieme quei provve<strong>di</strong>menti avrebbero messo in luce il reale intento del viceré, ossia quello <strong>di</strong><br />
colpire i « cavalieri che, a suo giu<strong>di</strong>zio, se<strong>di</strong>ziosi, promotori perenni <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni, autori veri del<strong>la</strong> rovina<br />
economica del<strong>la</strong> città, vili e miserabili, senz’altro mezzo <strong>di</strong> sussistenza che uffici pubblici, si erano resi<br />
proprietari esclusivi <strong>di</strong> questi uffici a detrimento dei <strong>di</strong>ritti popo<strong>la</strong>ri e con <strong>di</strong>sgusto de’ migliori baroni<br />
che, non chiamati e per fierezza ritrosi, sene tenevano lontani. Questi per tanto e il popolo bisognava<br />
contrapporre a quel<strong>la</strong> nobiltà turbolenti, chiamando i primi alle cariche, staccando da essa il popolo,<br />
dandogli maggiore in<strong>di</strong>pendenza e forza». 241<br />
Il programma politico <strong>di</strong> Genoino, facente perno sull’appoggio delle c<strong>la</strong>ssi inferiori, dava quasi per scontato<br />
l’appoggio del<strong>la</strong> gente civile, che egli presupponeva <strong>di</strong> poter sod<strong>di</strong>sfare nelle loro ambizioni e bisogni<br />
con una serie <strong>di</strong> riforme non solo interne all’organizzazione amministrativa del<strong>la</strong> Capitale ma anche<br />
dell’intero Regno.<br />
Ma il sostegno del ceto civile non vi fu; infatti, quando nel maggio del 1620 il viceré, ad istanza <strong>di</strong><br />
Genoino, invitava a radunarsi presso <strong>la</strong> propria residenza <strong>la</strong> nobiltà , il Col<strong>la</strong>terale e i capitani d’ottina e<br />
i consultori sia del vecchio che del nuovo semestre, affinchè ascoltassero e firmassero il “Manifesto del<br />
fedelissimo popolo napoletano”, redatto dallo stesso Genoino e firmato dal notaio <strong>Francesco</strong> Romano il<br />
30 maggio dello stesso anno, intervennero a tale assemblea soltanto alcuni dei capitani d’ottina che, in<br />
aggiunta, si rifiutarono <strong>di</strong> firmare tale riforma. Fu dunque l’inizio del<strong>la</strong> fine del viceregno dell’Ossuna.<br />
Inoltre il Genoino aveva tentato <strong>di</strong> far coalizzare gli “huomini regi” e picco<strong>la</strong> borghesia in un unico fronte,<br />
inserendo all’interno del<strong>la</strong> Riforma un capo nel quale veniva prospettata ai primi <strong>la</strong> possibilità <strong>di</strong> accedere<br />
agli uffici dei Tribunali e al<strong>la</strong> cariche <strong>di</strong> Reggenti del<strong>la</strong> Cancelleria, sottraendo <strong>la</strong> quota che spettava<br />
normalmente ai regnicoli. 242<br />
Gli “huomini regi “, al<strong>la</strong> pari <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong>, non avrebbero mai potuto aderire al programma del Genoino,<br />
che faceva perno non solo sul<strong>la</strong> rivalutazione del popolo minuto e del<strong>la</strong> plebe come soggetti politici ma<br />
tendente ad intaccare anche <strong>la</strong> “costituzione” del Regno, mo<strong>di</strong>ficando il sistema <strong>di</strong> potere citta<strong>di</strong>no a<br />
vantaggio non esclusivo del<strong>la</strong> so<strong>la</strong> componente elitaria borghese.<br />
La ripresa dello stu<strong>di</strong>o del<strong>la</strong> “scienza politica” da parte <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong> avvenne nel 1624 con <strong>la</strong> pubblicazione<br />
239 M. Schipa, Masaniello…cit., p.34; Idem, La pretese fellonia del duca d’Ossuna: 1619-1620, Arte tip. Pierro, 1919, p.712.<br />
240 M. Schipa, La pretesa…cit., p.34.<br />
241 M. Schipa, Masaniello…cit., p.35.<br />
242 M. Schipa, La pretesa…cit., p.713.<br />
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dei già citati Privilegi e, cinque anni più tar<strong>di</strong>, nel 1629, con <strong>la</strong> pubblicazione dei Discorsi intorno all’origine,<br />
regimento, e stato, del<strong>la</strong> Gran Casa del<strong>la</strong> Santissima Annunziata <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, dove si ripetevano concetti<br />
già espressi nel precedente “Discorso politico.” L’alleanza tra <strong>la</strong> monarchia e il popolo “civile” era l’unica<br />
strada per allontanare sia <strong>la</strong> minaccia dell’eversione plebea, sia il malgoverno dei finanzieri forestieri e dei<br />
cavalieri <strong>di</strong> Seggio. I Discorsi <strong>di</strong>vengono così una apologia del<strong>la</strong> più forte istituzione a maggioranza popo<strong>la</strong>re<br />
e una proposta <strong>di</strong> governo citta<strong>di</strong>no dei ricchi e virtuosi in forma repubblicana. Anche qui <strong>Imperato</strong> parte<br />
dalle origini repubblicane del governo <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong>, per affermare che <strong>la</strong> Casa Santa «partecipa alquanto del<br />
governo, e stato <strong>di</strong> Repubblica; per <strong>la</strong> quale potremo intendere ogni governo, che abbia per fine il bene<br />
publico, <strong>di</strong> qualsivoglia che sia, conforme all’autorità <strong>di</strong> Aristotele». 243 I governatori sono infatti elettivi e<br />
non nominati, perché « fra eligere e nominare de iure vi è gran <strong>di</strong>fferenza». 244 Solo uno dei governatori<br />
era Eletto dal<strong>la</strong> nobiltà del Seggio <strong>di</strong> Capuana, mentre i restanti quattro erano eletti dal popolo, inoltre,<br />
nessuno era rieleggibile prima dei cinque anni. Poiché il governo repubblicano era considerato quello in<br />
cui gli Eletti agiscono in vista del bene pubblico e non per fini personali, i governatori devono possedere<br />
quattro requisiti in<strong>di</strong>spensabili. Il primo requisito era quello <strong>di</strong> non cumu<strong>la</strong>re altri uffici sul<strong>la</strong> propria<br />
persona. Secondo requisito che « non abbiano altro oggetto, sol che il perfetto governo <strong>di</strong> detta Casa<br />
Santa». Terzo requisito, che abbiano dato buona prova <strong>di</strong> sé in precedenti governi <strong>di</strong> luoghi pii. Infine<br />
quarto requisito «che abbiano beni <strong>di</strong> fortuna, essendo <strong>la</strong> povertà, e necessità gran cagione <strong>di</strong> deviar dal<strong>la</strong><br />
via retta». 245 Anche nei Discorsi <strong>Imperato</strong> ritornava sul problema del<strong>la</strong> <strong>di</strong>visione interna al ceto popo<strong>la</strong>re.<br />
L’essere eletti governatori del<strong>la</strong> Casa Santa era servito, secondo <strong>Imperato</strong>, ad alcuni per «far palese con<br />
questo mezzo <strong>la</strong> loro pretendenza in nobiltà; e dopo esser eletti, ricusano l’amministrazione: e perciò vi<br />
fanno interponete decreti, che li sia lecito amministrare, citra praeiu<strong>di</strong>cium del<strong>la</strong> loro nobiltà». « ma per<br />
far’ che questi Signori pretensori si avvedano del loro errore, <strong>di</strong>rrò, che <strong>la</strong> città <strong>di</strong> <strong>Napoli</strong> è <strong>di</strong>visa in tre<br />
sorti <strong>di</strong> persone, cioè nobiltà, popolo e plebe; ma li maneggi dei magistrati, e pubblici governi <strong>di</strong> quel<strong>la</strong><br />
sono guidati dal<strong>la</strong> nobiltà delle piazze dei Seggi, e dal popolo volgarmente detto Crasso: cioè me<strong>di</strong>ano<br />
fra <strong>la</strong> nobiltà e <strong>la</strong> plebe bassa, e minuta, esclusa da detti maneggi». 246 <strong>Imperato</strong> taceva su ogni accenno<br />
polemico nei confronti del<strong>la</strong> nobiltà, forse a causa degli episo<strong>di</strong> durante il governo del viceré Ossuna che<br />
avevano esacerbato tale polemica, minando così <strong>la</strong> stabilità politica.<br />
Unico dato certo riguardante il legame tra <strong>Imperato</strong> e <strong>la</strong> <strong>rivoluzione</strong> del 1647 è dato dal fatto che egli fu<br />
un modello illustre per <strong>la</strong> componente popo<strong>la</strong>re implicata in quei moti o negli anni precedenti ad essi, dal<br />
quale attingere fonti riguar<strong>di</strong> <strong>la</strong> vita civile e politica napoletana. L’origine e il ruolo dei Capitani a guerra<br />
243 F. <strong>Imperato</strong>, Discorsi intorno…cit.,p. 17.<br />
244 Ivi, p. 25.<br />
245 Ivi, pp. 18, 22-23.<br />
246 Ivi, p. 18.<br />
58
<strong>di</strong>venne partico<strong>la</strong>rmente importante in momenti <strong>di</strong> estremo pericolo per <strong>la</strong> Città, in cui il capitano a guerra<br />
aveva poteri pressoché illimitati su nobili e popo<strong>la</strong>ri.<br />
Quando nel settembre del 1640 era vicina <strong>la</strong> minaccia <strong>di</strong> un possibile sbarco francese, l’Eletto del popolo<br />
Andrea Naclerio propose <strong>di</strong> formare un esercito, composto dal solo popolo e comandato da esso per<br />
resistere ad un’eventuale invasione. Fonte del<strong>la</strong> proposta del Naclerio era il Discorso politico <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong>.<br />
Altrettanto accadrà nel 1647 quando l’ Eletto Giovanni Battista Naclerio, il primo rappresentante popo<strong>la</strong>re<br />
ad essere coinvolto nei moti <strong>di</strong> Masaniello, inviato dal duca d’Arcos a sedare <strong>la</strong> sollevazione in atto,<br />
nel tentativo <strong>di</strong> trovare una via <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione con il popolo, avviò <strong>la</strong> <strong>di</strong>scussione intorno al<strong>la</strong> possibilità<br />
<strong>di</strong> eleggere un capitano a guerra <strong>di</strong> estrazione popo<strong>la</strong>re. L’Eletto, nel caldeggiare <strong>la</strong> concessione <strong>di</strong> un<br />
proprio capitano a guerra e per <strong>di</strong>mostrare l’in<strong>di</strong>scussa fedeltà del popolo napoletano al Viceré, utilizza<br />
nuovamente come fonte <strong>Imperato</strong>. 247 In risposta al<strong>la</strong> mozione del Naclerio, <strong>Francesco</strong> Capece<strong>la</strong>tro,<br />
Eletto del Seggio <strong>di</strong> Capuana, in uno dei sui “Scritti in materia delli Capitani a guerra”, cercò <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare<br />
l’assoluta infondatezza delle fonti popo<strong>la</strong>ri invocate dal Naclerio. Altrettanto avrebbe fatto Camillo Tutini,<br />
quando nel capitolo XII de<strong>di</strong>cato al<strong>la</strong> fedeltà del popolo napoletano non esitò ad utilizzare come fonte<br />
l’opera dell’<strong>Imperato</strong>. 248<br />
Va dunque attribuito a <strong>Imperato</strong> e al Summonte il merito «<strong>di</strong> aver solcato <strong>la</strong> strada» 249 del movimento<br />
riformatore che, nel tempo, si arricchirà <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse espressioni ideologiche.<br />
I protagonisti dei moti del 1647 prenderanno infatti le <strong>di</strong>stanze dal pensiero politico dell’autore fondato<br />
su istanze <strong>di</strong> giustizia e <strong>di</strong> rinnovamento, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> qualsiasi intento demagogico o utilitaristico, al<strong>la</strong> luce<br />
<strong>di</strong> una volontà <strong>di</strong> riorganizzare l’amministrazione citta<strong>di</strong>na sul fondamento <strong>di</strong> una pacificazione sociale e<br />
politica e <strong>di</strong> una conciliazione degli schieramenti.<br />
247 D. De Liso, La scrittura del<strong>la</strong> storia: <strong>Francesco</strong> Capece<strong>la</strong>tro, <strong>Napoli</strong>, Loffredo, 2004. p.250; A. Musi, La rivolta <strong>di</strong> Masaniello nel<strong>la</strong><br />
scena politica Barocca, <strong>Napoli</strong>, Guida, 1989.p. 86.<br />
248 Tutini, C., Del origini… cit., p. 237.<br />
249 F. <strong>Imperato</strong>, Reformatione…cit., p. 43.<br />
59
conclusioni<br />
Notevole <strong>di</strong>fficoltà ha rappresentato questo percorso <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, nel quale ho tentato <strong>di</strong> ricostruire<br />
compiutamente <strong>la</strong> vita, il ruolo e le idee <strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong> attraverso non solo <strong>la</strong> rilettura degli eventi<br />
e le opere dei contemporanei, ma anche attraverso un più attento stu<strong>di</strong>o del<strong>la</strong> sua formazione e del<strong>la</strong><br />
sua opera. Lo stu<strong>di</strong>o del<strong>la</strong> formazione culturale è risultato essere, infatti, estremamente significativo<br />
per <strong>la</strong> ricostruzione del<strong>la</strong> figura del riformatore. Accanto agli stu<strong>di</strong> giuri<strong>di</strong>ci, assumono notevole rilievo <strong>la</strong><br />
frequentazione e i contatti con i più importanti circoli intellettuali dell’epoca.<br />
Il mio stu<strong>di</strong>o, dunque, ha avuto come obbiettivo il recuperare <strong>la</strong> figura <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong> nel<strong>la</strong> sua complessità.<br />
Emerge, soprattutto, un’ immagine nuova, poliedrica e più artico<strong>la</strong>ta del politico, che mette in evidenza<br />
l’impossibilità <strong>di</strong> attribuirne, come alcuni storici hanno fatto, i medesimi obiettivi del<strong>la</strong> maggior parte<br />
degli in<strong>di</strong>vidui appartenenti al suo ceto, ossia <strong>la</strong> parificazione all’aristocrazia, e quin<strong>di</strong> <strong>la</strong> nobilitazione, né,<br />
tantomeno, <strong>la</strong> piena appartenenza a quei ceti impren<strong>di</strong>toriali, arricchitisi attraverso gli arrendamenti e le<br />
specu<strong>la</strong>zioni, <strong>di</strong> cui sicuramente <strong>la</strong> famiglia fece parte.<br />
L’ideologia <strong>di</strong> <strong>Imperato</strong> risulta così in contrasto con il sistema neo-feudale, inteso come limite al<strong>la</strong> creazione<br />
<strong>di</strong> forme più moderne d’organizzazione politica e sociale. Egli pone <strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> improponibilità<br />
<strong>di</strong> valori ormai appartenenti al passato, un’opinione questa consolidata e con<strong>di</strong>visa all’interno del<strong>la</strong><br />
società colta secentesca non solo italiana ma anche europea. Infatti, nel riba<strong>di</strong>re il valore del<strong>la</strong> <strong>di</strong>gnità<br />
dottorale, guarda a quei giuristi francesi, che avevano risolto il problema del<strong>la</strong> nobilitazione trasferendo al<br />
sovrano il potere <strong>di</strong> nobilitare e dec<strong>la</strong>ssando il feudo, considerandolo null’altro che un bene patrimoniale<br />
da valutarsi solo come tale. <strong>Imperato</strong> fa proprie le tematiche nelle quali era ra<strong>di</strong>cata <strong>la</strong> convenzione<br />
che <strong>la</strong> virtù o “dottrina” valesse più del sangue nobile, opinioni queste che vent’anni prima erano state<br />
avanzate in ambiente francese, riprese poi, in ambito napoletano da Marino Freccia, e portate all’estreme<br />
conseguenze da Traiano Boccalini e <strong>Francesco</strong> D’Andrea.<br />
<strong>Imperato</strong>,inoltre, guarda nuovamente a Parigi e ai teorici italiani del<strong>la</strong> Ragion <strong>di</strong> stato come modelli a<br />
cui ispirarsi per <strong>la</strong> teorizzazione del progetto <strong>di</strong> uno Stato centralizzato e burocratico, potenziato dallo<br />
sviluppo <strong>di</strong> un ceto amministrativo solidale con <strong>la</strong> monarchia. Infatti, <strong>la</strong> sua opera maggiore, il “Discorso<br />
politico”, nasce nel periodo in cui si esauriva l’unico tentativo, nel<strong>la</strong> storia del Mezzogiorno, <strong>di</strong> privilegiare<br />
<strong>la</strong> me<strong>di</strong>azione burocratica contro quel<strong>la</strong> dei notabili, favorita dal<strong>la</strong> nobiltà <strong>di</strong> Seggio e dall’aristocrazia<br />
feudale.<br />
Nelle sue opere <strong>Imperato</strong> s’impegna ad analizzare e risolvere alcune questioni <strong>di</strong> partico<strong>la</strong>re importanza<br />
per il corretto funzionamento dell’amministrazione citta<strong>di</strong>na; l’espansione del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione urbana, le<br />
crisi economiche e annonarie ricorrenti, causate dal contrabbando e dalle specu<strong>la</strong>zioni da lui denunciate,<br />
60
le conflittualità sociali. Su quest’ultimo punto egli aspira a creare non solo un ceto me<strong>di</strong>o unito e forte e<br />
nel contempo alleato all’aristocrazia filo-ministeriale.<br />
Ma è partendo dal<strong>la</strong> critica del “mal governo”, condotta con l’adozione <strong>di</strong> appurati strumenti giuri<strong>di</strong>ci,<br />
<strong>Imperato</strong> <strong>di</strong>mostra <strong>la</strong> modernità del suo pensiero politico. Egli tenta <strong>di</strong> dare un fondamento torico al<strong>la</strong><br />
“monarchia popo<strong>la</strong>re” ed a ricercarne le basi storiche. Dove il concetto storico <strong>di</strong> restaurazione, acquista<br />
un ulteriore significato, serve non solo a combattere <strong>la</strong> nobiltà sul suo stesso terreno, ma anche a<br />
<strong>di</strong>ssimu<strong>la</strong>re ciò che nel<strong>la</strong> realtà stava avvenendo in tutte le gran<strong>di</strong> monarchie d’Ancien régime, e cioè un<br />
incessante meccanismo <strong>di</strong> mobilità sociale che avrebbe consentito al ceto civile <strong>di</strong> crescere come corpo<br />
sociale e mutare così l’or<strong>di</strong>ne gerarchico costituito, ed inserirsi all’interno <strong>di</strong> esso.<br />
<strong>Imperato</strong> si professava in sostanza promotore <strong>di</strong> una borghesia intellettuale e burocratica, che cercava <strong>di</strong><br />
riscattare <strong>la</strong> propria <strong>di</strong>gnità sociale e un proprio ruolo all’interno del meccanismo politico-amministrativo<br />
del<strong>la</strong> Capitale. Lo stu<strong>di</strong>o e <strong>la</strong> pratica nell’amministrazione, non dunque l’eccessiva ricchezza o l’appartenenza<br />
al<strong>la</strong> nobiltà, sarebbero dovute essere, secondo <strong>Imperato</strong>, le qualità a cui <strong>la</strong> monarchia avrebbe<br />
dovuto guardare nel<strong>la</strong> scelta dei propri ufficiali per realizzare “il bene comune”.<br />
<strong>Francesco</strong> <strong>Imperato</strong> fu dunque un prudente riformatore <strong>di</strong> fine ‘500 che attraverso il perseguimento del<br />
benessere sociale tentò <strong>di</strong> dare un’ampia coesione al<strong>la</strong> causa popo<strong>la</strong>re.<br />
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le sue annotazioni <strong>di</strong> nuovo aggiunte. Et il <strong>di</strong>scorso intorno all’ officio dei Decurioni, oggi detti Capitani<br />
d’Ottina, seu piazze popo<strong>la</strong>ri, <strong>di</strong> nuovo ampliate, et aumentate, <strong>Napoli</strong>, Roncagliolo, 1624.<br />
<strong>Imperato</strong> F., Reformatione <strong>di</strong> nuovo fatta per lo reggimento de le piazze popu<strong>la</strong>ri de <strong>la</strong> Città de <strong>Napoli</strong>, con<br />
un breve <strong>di</strong>scorso intorno all’ Officio <strong>di</strong> Capitanio d’Ottina, <strong>Napoli</strong>, Stiglio<strong>la</strong>, 1598.<br />
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