30.05.2013 Views

(per chi legge, non per chi scrive).

(per chi legge, non per chi scrive).

(per chi legge, non per chi scrive).

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

OTTOBRE 2012,<br />

NUMERO UNO<br />

<strong>per</strong>iodico quadriennale<br />

gratuito<br />

(<strong>per</strong> <strong>chi</strong> <strong>legge</strong>, <strong>non</strong><br />

<strong>per</strong> <strong>chi</strong> <strong>scrive</strong>).<br />

Direttore: S.E.Cav.<br />

Amilcare Pachuco.<br />

Reg. Trib. di<br />

Sparta n. XX del<br />

12/03/481 a.C.<br />

previa corruzione<br />

degli Efori. Serse è<br />

grande, Serse è il<br />

tuo Dio, Signore<br />

del Cielo e della<br />

Terra.


2<br />

Ottobre 2012,<br />

numero uno<br />

1 La Co<strong>per</strong>tina................................................................................. di Sgmnaff'o<br />

2 Guarda in basso a sinistra... bravo!<br />

3 Pachuco....................................................................................di Davide Urgo<br />

4 “Dell'amore e d'altri... no”<br />

5 Correva............................................................................................ di Egestre<br />

6 Pachuco.................................................................................................. di Pit.<br />

7 Frammenti di un discorso amoroso....................................................di Lady B.<br />

10 Non può fare a amor riparo se <strong>non</strong> gente rozze e 'ngrate.............di Pit & Pallina<br />

16 Ecco Gesù.................................................................................di Davide Urgo<br />

17 La moglie cuscino.....................................................................di S<strong>chi</strong>zzechéa<br />

22 Violini e pollai, un amore lungo una vita (anteprima)...........di Gennaro Carbone<br />

24 L'Editoriale....................di S. E. il Cav. Amilcare Pachuco (responsabilità legale di Sgmnaff'o)<br />

se anche tu vuoi insultarci tanto<strong>non</strong>minteressa@gmail.com<br />

oppure evitaci su facebook alla pagina Hey, Pachuco


PIT.<br />

4<br />

Ok, facciamo <strong>chi</strong>arezza. Qualcuno, bello brutto o inguardabile o<br />

interessante, t'è venuto vicino, t'ha detto qualcosa, e poi t'ha dato<br />

quest'ammasso di fogli. Ecco, prima di scagarli e buttarli considera che ci si<br />

è lavorato, e tanto: consideralo soltanto, poi sei liberissimo di scagobuttarlo il<br />

giornale, tornare a casa e vagolare <strong>per</strong> i canali TV o su internet in cerca di<br />

qualche obeso <strong>chi</strong>agnazzaro checelastamettendotutta<strong>per</strong><strong>per</strong>derepeso o troia<br />

sbatticulo che ti risparmi la fatica di vivere l'ultimo pezzo di giornata. Oppure,<br />

se proprio <strong>non</strong> ti costa niente, continua a girar pagine e guarda e leggi. Se ti<br />

dà fastidio che siamo bravi, se è una minaccia <strong>per</strong> la tua autostima, sappi<br />

che sì, è vero: siamo più bravi di te. Specialmente se hai fatto la Comics, o<br />

hai già esposto, o hai già pubblicato.<br />

L'importante, anche se <strong>non</strong> ci si riesce, è provarci. No, <strong>non</strong> è quello che hai capito, <strong>non</strong> sto<br />

blabblando su noi e il nostro lavoro. Si vive <strong>per</strong> piacere a qualcuno, più che mai a noi stessi,<br />

ancor più agli altri. Siamo, i più, pessimi interpreti di noi stessi. Quel che vorremmo essere,<br />

qqqqq<br />

quello che abbiam paura di diventare, e al<br />

centro noi stessi – ego, ego, ego – pendolini<br />

frenetici tra la paura e l'egoismo. Passiamo<br />

una vita ad escogitare modi <strong>per</strong> creare<br />

un'immagine di noi stessi che piaccia a noi e<br />

agli altri, a tentare di <strong>non</strong> far s<strong>chi</strong>zzare fuori<br />

ciò che siamo davvero dentro.<br />

Ma, prima o poi, e <strong>non</strong> a tutti, la verità di<br />

quello che siamo vien fuori, prepotente e<br />

spiazzante, travolge quello che fingiamo di<br />

essere, e il cuscino diventa bollente, il petto<br />

s'apre. La maschera esplode.<br />

«Cosa canterò, piccolino, quando<br />

Le nuvole diventeranno grandi<br />

Grandissimi oc<strong>chi</strong> di pianto?»<br />

A questo slancio inutile e insaziabile, di-<br />

struttore infame dell'edificio razionale,<br />

controllato, quotidianizzante, bugiardo che<br />

<strong>chi</strong>amiamo vita, abbiamo dato nome<br />

AMORE<br />

palliiiiiina


correva<br />

Correva. Correva e correndo strusciava, mac<strong>chi</strong>andosi. S’infastidiva come una gran dama e<br />

si passava, gettando oc<strong>chi</strong>atacce in giro, con forza una mano sul fianco. E riprendeva.<br />

Riprendeva con una foga, con una lena da vec<strong>chi</strong>a massaia, come un aratro tirato da buoi,<br />

con la pazienza d’una nutrice, a offrire il suo fianco al su e al giù, avanti e dietro, senza cura<br />

dell’ora, senza pensare a nessuna briglia.<br />

Che pensi quando ci dai dentro?<br />

Può sembrare nel darci dentro il momento in cui pensare?<br />

Sei distratto, mi sembri lontano.<br />

Sono sempre distratto.<br />

E muti poi, muti nel rumore del letto e del materasso bianco che cigola.<br />

Correva e le briglie le si erano rotte. Un diavolo, un diavolo questa donna. Armeggiava i più<br />

segreti slanci in quelle gambe ora sudate. Sentivo scorrere dentro lei una tensione,<br />

un’energia da staticizzare i peli delle braccia e da far incupidire l’entusiasmo d’un vec<strong>chi</strong>o<br />

amore che prendeva forza : <strong>non</strong> era lì la salvezza dalla gabbia, ma le gambe tremavano e i<br />

corpi sudavano.<br />

E questo a volte poteva bastare.<br />

di Egestre<br />

Correva, a lei <strong>non</strong> sembra potesse bastare niente. Era ingorda e voleva tutto il tempo, tutti i<br />

pensieri, tutte le tue voglie, come una vera donna. E le tempie pulsavano e gli oc<strong>chi</strong><br />

s’arrossavano mentre lei si prendeva tutto e lui sempre più vuoto, sempre più preso dal cielo<br />

notturno. Lei aveva sempre la pretesa di poter dipingerlo quel cielo.<br />

Buon dio, <strong>non</strong> puoi esserci solo tu. Perderò tutto.<br />

Perderai tutto, è vero, ma ci sarò io. Ti basterò.<br />

Correva, e doveva bastare? Correva e gli fis<strong>chi</strong>avano le orec<strong>chi</strong>e e gli oc<strong>chi</strong> sfocavano il<br />

soffitto. Lei sembrava rinforzarsi mentre correva, mentre poi lui sbiancava, cercando di<br />

tenere il ritmo <strong>per</strong>deva una serie di facce che <strong>non</strong> avrebbe dispiaciuto <strong>per</strong>dere, ma sapeva<br />

che, prima o poi, se ne sarebbe pentito. Non riusciva a tenere il suo passo, con i suoi nervi<br />

impoltriti nel tram-tram delle città e di tutte quelle strade in cui ci si poteva disarmare di tutte<br />

le proprie idee.<br />

Pazienza, tesoro, pazienta : camminiamo, teniamoci <strong>per</strong> mano.<br />

Fai il finoc<strong>chi</strong>o adesso?<br />

Correva e correndo strusciava sulle bianche lenzuola. Si sporcava e, semplicemente, <strong>non</strong> le<br />

interessava, così come <strong>non</strong> interessava a lui, così come <strong>non</strong> interessava al lenzuolo, così<br />

come <strong>non</strong> interessava a nessuno.<br />

5


oscillazioni. BAM.<br />

mi fai male, cazzo. ti allontani ed inizi a <strong>scrive</strong>re mille poesie; ma ti dimenti<strong>chi</strong> che alle<br />

scuole medie ci ripetevano in continuazione di <strong>non</strong> essere retorici. allora prendi una enorme<br />

gomma <strong>per</strong> cancellare, bianca; ma <strong>non</strong> ti accorgi che seppure le parole si cancellano,<br />

rimangono trucioli scuri ed un po' di grigio sulla punta. c'è un sorriso, e tu provi a ricomporre<br />

i versi; ma continui a farmi male. ti inizi a nascondere dietro una tenda scura; ma il sole la<br />

consuma ed io riesco di nuovo a vedere quello che c'è dietro. stai zitto, provi a <strong>non</strong><br />

respirare. io vorrei tanto che tu urlassi, invece.<br />

ripescando pensieri stupendi in un giorno d'inverno. fa freddo, fuori. anche un po' qui, su una<br />

torre distante dal mondo reale <strong>non</strong> più di trenta scalini. ma davvero distante. forse <strong>per</strong>ché<br />

la finestra lascia entrare un respiro d'aria gelida, mentre tubi blu (mai dipinti, è sempre stata<br />

una promessa) provano a trasmettere calore. mi sa che la loro è un'altra piccola, inutile, impresa<br />

impossibile. trecento anni di storia letteraria d'Italia mi fanno compagnia. alla mia destra,<br />

fieri, in caratteri piccoli e neri. ho espresso un desiderio, po<strong>chi</strong> minuti fa. mentre una<br />

fiamma colorata rendeva bruna cenere un foglio di plastica, portandolo verso il cielo <strong>per</strong> po<strong>chi</strong><br />

secondi. poi è tornato giù, qualcuno lo ha preso poco prima che toccasse il suolo. in<br />

quell'attimo ha innalzato le mie s<strong>per</strong>anze. io voglio credere che le porti a <strong>chi</strong> di dovere; che<br />

l'anidride carbonica fuoriuscita arrivi al suo (al mio) destinatario. e che quell'ora diventi tangibile.<br />

<strong>non</strong> posso dire cosa ho desiderato. rom<strong>per</strong>ebbe il segreto che tutti già conoscono.<br />

au dessus de la ville.<br />

sopra la città<br />

vorrei volare sopra la città<br />

ed essere più grande della città intera.<br />

nel caos creato, s<strong>per</strong>o di far dis<strong>per</strong>dere questo senso di<br />

delusione. <strong>non</strong>seipiùquella<strong>per</strong>sonachecredevotufossi. ma <strong>non</strong> provo (<strong>per</strong> te) nulla di diverso<br />

da prima.<br />

mi fai giocare con la tua bambola? ti prego. voglio metterle la gonna. e la giacca, <strong>per</strong>ché fa<br />

freddo. ma <strong>non</strong> il cappotto, <strong>per</strong>ché la tem<strong>per</strong>atura è salita un po’. le farò indossare le scarpe<br />

più belle. quelle nere, lucide, con la fibietta. poi giocherò. e la porterò a ballare. metterò la<br />

musica, e ci ballerò insieme. sarà divertente. ti prego, mi fai giocare con la tua bambola?<br />

prometto che la tratterò bene. meglio di come ho mai trattato le mie. è preziosa; ed io me ne<br />

accorgo solo adesso.<br />

<strong>non</strong> so cos' accadde o <strong>per</strong>ché. da dove venisse tutto quel nulla, così intenso, <strong>non</strong> si sa. quel<br />

senso di putrida solitudine era evanescente. il tempo occupato troppo portava quasi<br />

tranquillità. <strong>non</strong> c'era armonia; ma quasi solo note stonate che <strong>per</strong>ò, messe insieme,<br />

producevano qualcosa di così particolare da poter essere definito 'bello'. baroque. c'era<br />

stato un incontro, di sguardi, di ricordi. ed adesso tutto scorreva più lento; malleabile. l'unica<br />

vera necessità era <strong>non</strong> pensare più. tendere.<br />

*<br />

quanta s<strong>chi</strong>fosa retorica. scusa, ma io t'aspetto.<br />

Frammenti di un discorso amoroso<br />

di Lady B.<br />

7


Firenze; città d’arte.<br />

Sol<strong>chi</strong>, con passo incerto, vie che hanno mill’anni diverse volte.<br />

Multiculturalità d’occasione, che si concentra in poche strade ed in una piazza.<br />

Un incrocio tra l’imponenza e la rigidità nordica e le cittadine frutto del processo di urbanizzazione<br />

del Suditalia; osservi seduto al tavolino di un bar che ti <strong>chi</strong>ede soldi ed un’ironia<br />

che <strong>non</strong> possiedi.<br />

Vorrei vederti danzare, tra lo spazio e l’aria pulita; sorridere, mentre siedi in un intreccio di<br />

pensieri; già quasi del tutto districato dalla linearità di ciò che hai intorno.<br />

Ma <strong>non</strong> ti vedo.<br />

Non ti sento; <strong>non</strong> ti ascolto.<br />

Forse è <strong>per</strong>chè <strong>non</strong> ci sei; forse <strong>per</strong>chè <strong>non</strong> ho ancora deciso di incontrarti.<br />

In questo momento basta l’aria <strong>non</strong> troppo calda, il sorriso e qualche sigaretta.<br />

(Malinconia di una domenica pomeriggio d'inizio autunno, che porta con sé un vento<br />

profumato ed il ricordo di fragorose risate. Insostenibile incomprensibilità.)<br />

“Ho paura” disse. “Non devi aver paura” rispose. “Ho paura” ripeté. “Non ne avere, fidati”<br />

rispose, di nuovo. Scivolìo di sensazioni; scivolano come potrebbe scivolare una mano<br />

a<strong>per</strong>ta sulla pelle di qualcun altro, stridendo. Oc<strong>chi</strong> che si cercano di evitare; qualsiasi<br />

incontro renderebbe le conseguenze troppo sconosciute, vestite d'ombra in cima ad una<br />

scala. Rumore di organi; hanno tracciato stradicciole differenti e un po' tortuose, talvolta dimenticandosi<br />

di colorarle. “Sorridimi” disse. “Non posso” rispose. “Impara a convincerti che<br />

puoi, promettimelo” disse, di nuovo. Rovinosa empatia; fa cadere dalle montagne più alte,<br />

graffianti e grigie; ti lascia nudo a combattere contro te stesso. Ri<strong>chi</strong>esta d'aiuto; silenziosa<br />

si fa intendere tra tende che <strong>non</strong> fanno passare la luce; ma è restia, spaventosa.<br />

Si può. Nulla ci dev'essere proibito. Ma, spesso, la gente <strong>non</strong> lo ricorda.<br />

c’è una donna in strada, che piange. seduta all’ombra di un albero solo, e solitario. nei suoi<br />

oc<strong>chi</strong>, se guardi bene, puoi scorgere il dolore. quello vero. è come se ognuna di quelle<br />

lacrime che vedi scivolare sul suo viso spigoloso porti con sé la parola ‘aiuto’. e tu <strong>non</strong> riesci<br />

a fare niente. se ti avvicini, la vedi allontanarsi. nei suoi oc<strong>chi</strong>, se continui a guardare bene,<br />

anche da una certa distanza, vedi altre due donne. innamorate. una folle d’un amore<br />

impossibile. l’altra quieta, attenta. hanno entrambe mille dubbi. avvolte da acqua salata che<br />

già è scorsa via. portando con sé tempo e ricordi. le vedi allontanarsi, eppure le continui a<br />

sentire vicine. potresti sentire il loro respiro. vedere le loro bocche muoversi, parlandoti.<br />

ognuna a suo modo. ognuna a modo suo. l’ineffabilità di ciò che pensano è irraggiungibile,<br />

<strong>per</strong> te.<br />

“E’ il tempo che scorre lungo i bordi<br />

Il tempo che scorre lungo i bordi<br />

Ascolta<br />

ogni cosa qui dentro aspetta un segnale<br />

Puoi <strong>legge</strong>rlo nelle linee della mano<br />

o nei tuoi volti passati appesi intorno”<br />

Lo sentivo scorrere in silenzio, tra un altoparlante grac<strong>chi</strong>ante ed il rumore di rotelline di<br />

plastica sul pavimento sconnesso. Ero immobile, ma tutto intorno a me vorticava come mille<br />

uomini che - improvvisamente - fanno un passo e cadono giù, venti trenta cinquanta metri in<br />

caduta libera con il solo sibilo dell’aria che urta contro il corpo a fargli compagnia. Quello,<br />

<strong>per</strong>ò, era un silenzio dilaniante. Urtava contro ogni piccola mia parte; graffiava senza<br />

lasciare segni. Dovevo prendere quel treno. Anche se <strong>non</strong> riuscivo ancora a muovermi.<br />

Anche se ogni piccolo movimento ri<strong>chi</strong>edeva uno sforzo inimmaginabile. Era l’ora.<br />

8


Rimisi il cappello di lana nera, un po’ troppo anni-che-furono. Scelsi il biglietto giusto nella<br />

borsa a tracolla sempre troppo piccola. Tirai su, con uno scatto im<strong>per</strong>cettibile, una valigia<br />

consumata di un colore ben poco definibile. Rimasi a fissare quelle numerose lampadine<br />

arancioni su uno sfondo nero, che <strong>per</strong> tutti significavano qualcosa, senza davvero mettere a<br />

fuoco. Poche luci in più: binario 15. Da qualche tempo ero convinta che i numeri avessero<br />

un significato, connettessero stati profondi della materia come una concreta analogia<br />

decadente. Il quindici poteva significare l’inizio di tutto, come il più vuoto nulla. Ma <strong>non</strong> c’era<br />

tempo <strong>per</strong> pensarci. La valigia e la forza di gravità trascinavano il mio braccio destro sempre<br />

un po’ più in basso; ma era uno sforzo quasi piacevole da sostenere.<br />

Click. Il tempo era definitivamente stampato sul rettangolo giallino che avevo in mano.<br />

Quella data diveniva, così, incancellabile. Era un altro tassello di un mosaico senza forma,<br />

con colori confusi ed immagini mutevoli. Avevo voglia di scappare. Prendere un treno <strong>non</strong><br />

me lo <strong>per</strong>metteva. La mia voglia <strong>non</strong> era di andare via - io volevo poter allontanarmi da ciò<br />

che c’era. Non uno sguardo distaccato o su<strong>per</strong>iore, <strong>non</strong> una consunta immanenza:<br />

l’inesistenza. Ma le mie possibilità erano molto limitate, e la mia incapacità di trovare<br />

possibili soluzioni mi rendeva inetta anche alla scelta più banale.<br />

Salii sul treno senza l’aiuto di nessuno. Guardai i binari un’ultima volta, affacciata, sui<br />

gradini in ferro. S<strong>per</strong>ai - ancora una volta - in un segnale, lasciandomi andare alle più banali<br />

illusioni. Poi nulla; partii.<br />

9


NON PUÒ FARE A<br />

AMOR RIPARO<br />

Attenzione alla sovrastruttura<br />

Allora?! lo guarda, sorriso a metà, di sott' oc<strong>chi</strong>, e <strong>non</strong> altro che un<br />

altro Allora?! <strong>non</strong> rispose, ancora. Lo vedi??? frà – cioè... le tue sono<br />

elucubrazioni, voli pindarici, strutture babeliche, tirate ciceroParole,<br />

Micco, paroleho capìììto ma so' parole inconcludenti!! tu vuoi parlare<br />

di aiutare la gente dentr' 'e quartiére, purtàrle ajùto, ma stai<br />

sbagliando, fràààà! Chello ca facciàme nuje ha da riguarda' tutte<br />

quante, amm' 'a piglia' 'o potere polìììtico e quèlle ca tu vuo' salva'je<br />

nun voglio salva' 'nu sfaccette 'e nisciuno!! je vulesseho capìììto!!ma<br />

si nunn aggio manco fernufràààà quello che tu vuoi fare è salvare<br />

<strong>per</strong>zóne ca pe' mme andrébbere fucelàte... ca so' ttroppo inserite<br />

dentr' 'o sistema!! llòre nun so' ppiù èssere umàne, 'a cultura,<br />

ll'attività umane, 'a cuscienza civile ca tu vuo' purta'me fa schìfo 'a<br />

cuscienza civileho capìììto ma quéste 'a scambiàsseno cu 'nu<br />

motorino nuovo... ma d'altronde è normàle... tu vuoi cambiare le<br />

cose partendo dalla sovrastruttura, sbagli SBAGLI in partèèèènza!!<br />

tu vuo' offèndere a Marx!!senti... ma tuNO MO SENTI: hai ragione<br />

guarda SU TUTTO. ma ti prego: un favore: SMETTILA DI PARLARE<br />

NAPOLETANOma che ddìììììciNO, MI'... a te dà fastidio se uno dice<br />

ma <strong>per</strong>ò?? se uno dice se io avrei???... ALLORA?!ma è normàààle... qui si insulta il linguaggio delle<br />

<strong>per</strong>sone che sono deposito della nostra culturae ALLORA, pe' ppiacere, 'nu 'nsurda' 'o pparla' de 'a ggente<br />

ca ttengo 'into 'o coreCHE?!!<strong>non</strong> insultare il linguaggio delle <strong>per</strong>sone che amo. Disse, e si trasformò in<br />

un'enorme sovrastruttura. Per la precisione, un gazebo. Di Micco il rivoluzionario <strong>non</strong> abbiamo notizie se<br />

<strong>non</strong> incerte, <strong>non</strong> sappiamo niente se <strong>non</strong> che la rivoluzione ancora <strong>non</strong> l'ha fatta.<br />

SE NON GENTE<br />

ROZZE E 'NGRATE<br />

10<br />

di Pit & Pallina


Ardeva, mercè, sospirava. Liturgicamente.<br />

Viveva. Incazzava di<br />

febbri mendìche, o più stente.<br />

E si compiaceva dei<br />

gio<strong>chi</strong>, tristissima<br />

vegliava a inceder tra stami (senza mai concedermi<br />

partecipare) che spilinguac<strong>chi</strong>ava<br />

sui muri tur<strong>chi</strong>ni, lugùbri, incuranti<br />

'miei tremuli accenti. Pa<br />

ùra s<strong>chi</strong><br />

fósa mi sveglio mi<br />

rilavo i denti, raccendo<br />

la plastica del cellulare, rilavo<br />

la guallera i piedi<br />

a spilinguac<strong>chi</strong>ar girasoli<br />

le ascelle<br />

bonsgiùr tulemònd. suona. il cellulare. solita: settembre è già qua, – Marco,<br />

<strong>non</strong> sei venuto? – signo' <strong>non</strong> ho più avuto la telefonata, e <strong>per</strong>ciò <strong>non</strong> ho<br />

messo la sveglia, scusatemi, vi ho mandato un messaggio. – Ma <strong>non</strong> ti do-<br />

vevo confermare se dovevi venire o no io ti dovevo avvisare se la lezione<br />

tu e Federica la facevate in ufficio vicino casa tua così <strong>non</strong> ti facevi un' ora<br />

di viaggio sotto al sole o venivi a casa mia Marco l'esame è tra po<strong>chi</strong>ssimo<br />

io <strong>non</strong> so come – signora ci vediamo oggi alle cinque? – sììì sì vabbèèène<br />

ma io adesso sto a casa mia e devi venire qua... con mezzi tuoi mi<br />

dispiàààce... io ti avevo detto ieri s – va bene a più tardi buona giornata. clic, più o meno. stracazzo, ma<br />

quanto mi sta sopra il cazzo ma scendile da cuóllo a 'sta figlia, fossile di una vacca in calore ma vivi.<br />

'mmamìa fratac<strong>chi</strong>ó, malepanza. ouhà, 'sto cesso. 'n ci sta 'n dilandòg. no no no. senza, io <strong>non</strong> cago.<br />

uuuno a caaso cazzo, a memoria lo so. dio cazzo, 'n c'è tempo va bene 'sto qui se no immerdo il quartiere<br />

cazzazzazzazZZZZ – AOWUHUAAAH... cristo. sono solo. <strong>non</strong> sta più con me. mai ppiù mai ppiù<br />

maippiooOUHWAUH... 'st' era grossa. <strong>non</strong> studio. <strong>non</strong> scrivo <strong>non</strong> rido. <strong>non</strong> suono... diocazzo... con te era<br />

la balla che illudeva <strong>per</strong>ché credeva a se stessa, era forte e <strong>per</strong>ciò riusciva a straziare, a fare uscire il<br />

sangue. il dolore della tua balla mi manteneva sveglio. al riparo da me stesso. potevo darti la colpa di tutto:<br />

le mie sconfitte, le mie mancanze, i miei brufoli sul culo pallido. <strong>non</strong> ci sei più tu, a provare a uccidermi <strong>per</strong><br />

salvarmi dall'orrore della mia libertà senza s<strong>per</strong>anze. al loro posto tu, falsa s<strong>per</strong>anza, morbida e bianca,<br />

hai cercato di bastare a me più che a te stessa senza neanche accorgerti di quello che stava succedendo.<br />

senza volertene accorgere. addio, anima mia. siamo stati i peggiori attori di noi stessi. raccogli, <strong>per</strong> quanto<br />

vuoi, puoi, sai, il tuo sangue. il mio, come ho sempre fatto, così come ti aspetti, te lo lascio lì, nella gola,<br />

sotto le unghie. <strong>non</strong> voglio alzarmi, <strong>non</strong> voglio studiare, <strong>non</strong> voglio suonare <strong>scrive</strong>re lavorare la mia balla<br />

<strong>non</strong> strazia <strong>per</strong>ché lo sa che <strong>non</strong> è reale, lo sa che l'unico suo prodotto naturale è menzogna. è merda.<br />

affanculo, <strong>non</strong> mi alzo, resto qua.<br />

tutta la giornata a riprodurmi<br />

nel cesso.


«Dasìdo» le uscì con il vezzo<br />

di femmina, io le passai a cuore stretto<br />

quanto rimaneva di me, e 'n fazzoletto<br />

(guardo le gambe strette nel jeans stretto,<br />

ma <strong>non</strong> come sempre... ma <strong>non</strong> come sempre...<br />

le cosce. mi s'indura il pezzo<br />

ma <strong>non</strong> come sempre – cioè: <strong>non</strong> sessualmente<br />

la stringo, anelando 'l mio corpo 'l suo corpo<br />

quanto poté imprimere l'anima ai sensi<br />

di sordo tremore, di flebil tormento<br />

e quanto strapparle potei dal vestito<br />

quel torbido, torbido voler piacere<br />

<strong>per</strong> forza<br />

a qualcuno<br />

12<br />

F r a n c e s c o...<br />

Cico e<br />

Claudia<br />

gli disse Francesco mi dici che abbiamo sbagliato? A vivere, pensa,<br />

ma grida a provarci, cazzaccio di Dio, ma dov'è che... com'è<br />

che 'ste cose l'hai tenute dentro <strong>per</strong> tutto 'sto tempo? e tutto 'sto<br />

tempo tu m'hai... cioè – violenza m'hai fatto capito? Francesco<br />

Francesco io <strong>non</strong> so, adesso, che devo dirti. E qui Cico capisce: ci<br />

stiamo lasciando ci stiamo lasciando è sicuro <strong>non</strong> c'è un cazzo niente<br />

che porti altri fatti e <strong>non</strong> questo Claudia, ma in che senso? Ma cosa<br />

in che senso? Ridicola!!! tu tu TU MI STAI LASCIANDO!!! Francece...<br />

sco... calma... E <strong>chi</strong> vuole di' niente?!... ma no, Frànce, aspetta,<br />

aspe', fammi parlare... ma <strong>non</strong> avéi detto 'on ho niente da dirti, <strong>non</strong><br />

avevi de-Frafrancesco checcazzo!! e falla parlare un po<strong>chi</strong>no la gente<br />

tu sei tu sei sempre tu l'inteliggènte? Io voglio soltanto che tu ed io<br />

parliamo, che si smette con tutto 'sto... <strong>non</strong> capirsi, ecco... <strong>per</strong>ché poi<br />

io parlo e tu t'arrabbi e mi fai arrabbiare pure a me, e si finisce<br />

Claudia!... cioè, Claudia io tu stavi dicendo una cosa precisa, è inutile<br />

fa' 'sti preamboli così – dico... – sciacqui, tu... Francesco, vedi, lo vedi<br />

come fai? Claudia è inutile, guarda, attaccarsi alla forma tu nella<br />

sostanza stai dicendo BASTA CON LO STARE INSIEME, poi... se io<br />

m'incazzo o mi faccio i balletti ma scusa che conta?! Cioè... vedi?!<br />

<strong>non</strong> parli!! tu... <strong>non</strong> parli... ALLORA????<br />

Non piangere, dai...<br />

ma <strong>chi</strong> cazzo che piange??? ma<br />

Francesco... basta. Se <strong>non</strong> parlo è <strong>per</strong>ché ogni cosa che dico tu mi<br />

salti addosso e <strong>non</strong> mi fai finire e poi piangi e nemmeno<br />

ma NON STO PIANGENDO!!!!<br />

'sto cazzo di DIO!!!<br />

Francesco FRANCESCO! sto dicendo che tu<br />

nemmeno capisci in che senso io dico di<br />

prenderci una pausa FRANCESCO!!! Lasciò<br />

Claudia sopra a Bellini, sicuro esser niente e<br />

voltarsi e restare. Guardava le cazzo di <strong>chi</strong>ome<br />

degli alberi, sì da costringersi a stare a test'<br />

alta. E Claudia, <strong>non</strong> venire appresso,<br />

nemmeno <strong>chi</strong>amava. Lui passa oltre l'angolo.<br />

Manco <strong>chi</strong>amò.


Peppe<br />

Oggi <strong>non</strong> mi metto a studiare <strong>per</strong> niente. Ma proprio col cazzo che l'apro 'sto libro. È inutile che ci si mette a<br />

pressarmi il cervello, che poi – poi che fa? Quest'esame è sicuro, sicuro un giochetto. E pure se mi viene<br />

male è impossibile proprio che va proprio il cesso. Che quello si può sempre poi rifiutare; male che mi vada<br />

io lo faccio a settembre e in quel caso c'ho pure un bel mese di tempo e col cazzo col cazzo che mo mi ci<br />

metto. Mi rompo mi scoccio che ci posso fare? il telefono? Il mio. Ma dove cazzo sta... porrrca! Ecco. Ma<br />

e silenzio – un respiro nemmeno. Poi ma stai a telefono?<br />

No... no. Dormivo – cioè... m'ero svegliato e poi stavo nel letto... ma<br />

ué mo le tolgo il telefono a mamma e ti <strong>chi</strong>amo. Stai a casa?<br />

Ma stavi dormendo?<br />

No. Vabbuo' alla fine m'ero già svegliato <strong>non</strong> ti preoccupare, io<br />

No ma se stavi dormendo ti <strong>chi</strong>amo più tardi davvero Giu<br />

Gianna t'ho detto STAI A CASA?<br />

No... e di nuovo zitta. Mi piglia madonna mi piglia 'na rogna: io lo so mo lo dice mo sto da Riccardo... porco<br />

s<strong>chi</strong>fo mondo di merda!!<br />

Ah... e – vabbuo'... dimmi.<br />

14


Ci stava Vorzillo che voleva fare il lisìng. Porco dio, quant'è uguale.<br />

e avevo un travone di cazzo, gonfio manco male, GO BABY GO-FUMME!! scoppiavo di sangue.<br />

mi tenevo il medio all'inciuccio, lo straggo, poi là, tutto dentro nel bùcio, TAKE BITCH!!,<br />

questa grida. fa male? che? dici di no? mo lo vedi, se urli, troione, hehé. mi ci ficco. ti ci vengo<br />

dentro. manco te n'accorgi. <strong>non</strong> capirai un cazzo. avvicino il naso ad il bùcio due mani e le<br />

stringo le afferro le pacche, stringo, apro, MADÒÒÒÒ!!!, ci do tanto di lingua e pure nel fetillo<br />

di 'sto porco dio. ci sto. eccomi vai con il suka yessSSDEEENCH!! dai di ner<strong>chi</strong>a, cumpà. ci<br />

sto, baby, ci sto mo mi senti. troione. troione. mo vedi. un minuto. <strong>non</strong> capirai niente. puttana.<br />

ti sbrodolo, che <strong>non</strong> ci credi? ma <strong>non</strong> te lo dico. te n'accorgerai quando <strong>per</strong> tanta sborra<br />

piglierai l'ombrello. diocane, l'ombrello. ti sfondo. un minuto e... ti... cazzo d'un dio che t'ha<br />

preso... che l'eri un drittone eri 'n albero DAAAIIII che si drizza di nuovo... TI SFONDO, TI!! 'n<br />

attimo, che si ridrizza... o dio ma che fa, questa – che??? l'ha capito. l'ac<strong>chi</strong>appo le reni «CHE<br />

FFAII???» dio... più calmo, l'ho fatta zombare «OOooh... baby... ti giri proprio sul più meglio?<br />

hweoùùff... c'era pronto un World-war paradisoooufff... tutto... nel tuo culo...» stop... stop. <strong>non</strong><br />

c'è fiato – devo... respirare... dio-cazzo d'un dio... lei sta lì, metà pecora e metà più barbie, col<br />

culo qui a me ma la s<strong>chi</strong>ena incurvata a voltarsi e guardarmi. l'ho io bloccata così, così<br />

sgraziata. così ridicola. due passi indietro di ginoc<strong>chi</strong>a, poi braccio sul letto. ma piano, <strong>per</strong>ò.<br />

so' una vacca, dio cane. pie' a terra: sinistro, vai: destro. m'alzo, sorrido fintissimo, la guardo.<br />

il guarda. lo guardo pur io: pare fottersi, lui, di noi due, lì a fissarlo due folks dell'old west<br />

nella piazza-patibolo appena impiccato, attoniti, indifferenti: lì, pènzolo, sta e se ne fotte, se ne<br />

fotte, se ne fotte.<br />

[qui accadrebbe che Elvis si deprime, scazza, rottincula, piglia la coca e insorca la peggio<br />

pippata della sua vita. infatti, ci muore. ma la situazione, la storia: è deprimente, insomma:<br />

<strong>non</strong> ho più la forza né la fantasia di raccontarvelo.]<br />

15


LA MOGLIE CUSCINO<br />

di S<strong>chi</strong>zzechéa<br />

17


Violini e pollai, un amore lungo una vita<br />

Anteprima, il racconto completo è su www.heypachuco2012.wordpress.com<br />

22<br />

Prefazione<br />

Francisco Malakjiev (Stoccolma<br />

1902-Benares 2000) è passato<br />

alla storia come lo scrittore più<br />

sbadato di tutti i tempi. Dei suoi<br />

lavori giovanili restano po<strong>chi</strong><br />

miseri raccontini adolescenziali<br />

e, di ben altro spessore, i geniali<br />

testi <strong>per</strong> tabelle oculistiche,<br />

composti nell’ottobre del 1920.<br />

Cosa dire invece di Violini e<br />

pollai, un amore lungo una vita, il<br />

mastodontico libro cui lavorò <strong>per</strong><br />

oltre sessant’anni e che avrebbe<br />

dovuto consegnarlo al pantheon<br />

dei migliori autori del<br />

Novecento?<br />

Malakjiev decise da subito di<br />

lasciare inedito il suo capolavoro<br />

sino a che <strong>non</strong> fosse stato<br />

ultimato.<br />

Mai scelta fu più infelice. Delle<br />

oltre sedicimila pagine<br />

manoscritte (Malakjiev odiava i<br />

computer) ci sono giunti solo 5<br />

minuscoli frammenti,<br />

pregevolissimi certo, ma che<br />

proprio <strong>per</strong> questo lasciano<br />

l’amaro in bocca ai bibliofili come<br />

Dell’Utri, i quali <strong>non</strong> possono <strong>non</strong><br />

pensare a cosa avrebbe potuto,<br />

e anzi dovuto, essere l’intera<br />

o<strong>per</strong>a. Quasi tutto il materiale<br />

<strong>per</strong>so andò in fumo nell’incendio<br />

della casa di Benares appiccato<br />

da un disgraziato fiammifero<br />

dello stesso Malakjiev. 24<br />

capitoli furono nascosti sotto<br />

terra quando ancora l’autore<br />

temeva la censura paterna e mai<br />

più ritrovati dopo il 1999. Infine<br />

tre capitoli furono divorati dal<br />

primogenito di Francisco,<br />

Bennihouana Malakjiev, che poi<br />

sarebbe diventato il poeta che<br />

noi tutti leggiamo e ammiriamo.<br />

Nell’estenuante narrazione<br />

diaristica dell’amore di Ciro e<br />

Ivana avrebbero dovuto confluire<br />

sia le banalità borghesi del<br />

romanzo millefoglie stile<br />

Arbasino sia la monotona epica<br />

quotidiana di memoria<br />

bertolucciana.<br />

Purtroppo <strong>non</strong> ci rimane che<br />

<strong>legge</strong>re i brani su<strong>per</strong>stiti e<br />

rammaricarci.<br />

Eridano Garronzo<br />

Cap. 2, pag. 157 e segg.<br />

[…………]<br />

Mezzogiorno. Il sole si imbucava fra le nubi<br />

spesse con luce incerta e poco rassicurante<br />

come il sorriso di un bancario alle prime armi<br />

che tenta di spacciare bond argentini parlando<br />

di Maradona.<br />

Lungo la riviera del Volturno due sedicenni<br />

eterosessuali, un mas<strong>chi</strong>o e una femmina,<br />

entrambi un sesso alla volta, passeggiavano<br />

mano nella mano. In alto, oltre le sbarre del<br />

parapetto, il cielo era un lingotto satinato; privo<br />

del consueto nitore, molestava la vista dei<br />

giovani. In compenso <strong>per</strong>ò l’afa <strong>non</strong> difettava<br />

affatto, ma soffiava forte sulle loro facce<br />

affrante sferzando, fra infinite sofferenze,<br />

<strong>per</strong>fino il fiato dei due fanciullini fraternamente<br />

affiancati.<br />

– Come hai detto che ti <strong>chi</strong>ami? – <strong>chi</strong>ese lei<br />

tutto a un tratto.<br />

– Uffa! Mi <strong>chi</strong>amo Smerdiakov, ma gli amici mi<br />

<strong>chi</strong>amano Ciro, – rispose lui con tono<br />

cantilenante.<br />

– Smerdiakov?! Che nome bislacco! Com’è che<br />

te l’hanno appioppato? E <strong>per</strong>ché mai sbuffi?<br />

– Aridàglie! Mi hanno <strong>chi</strong>amato così <strong>per</strong>ché mio<br />

padre adorava i Fratelli Karamazov ma aveva<br />

gravi problemi di autostima. E sbuffo <strong>per</strong>ché è<br />

la terza volta che te lo ripeto.<br />

– Ah, scusami. Ultimamente soffro di amnesie<br />

temporanee di breve durata e oggi ho<br />

dimenticato di prendere le mie pillole.<br />

– Sì, l’hai già detto, – ribatté laconico<br />

Smerdiakov mentre adoc<strong>chi</strong>ava un sampietrino<br />

divelto poco distante.<br />

– Già... ehm, – la ragazza si guardò attorno<br />

spaesata, poi parve riprendersi – comunque io<br />

sono Sgualdrina. È colpa di mia madre se mi<br />

<strong>chi</strong>amo così. Si supponeva che avesse<br />

problemi di autostima, in realtà spasimava<br />

semplicemente <strong>per</strong> il cazzo. Comunque <strong>chi</strong> mi<br />

conosce mi <strong>chi</strong>ama Ivana, suono il violino e<br />

faccio volontariato.<br />

– Sì sì, so anche questo, mio malgrado. – Ciro<br />

Smerdiakov era ormai sconsolato.<br />

– Ti ho mai detto che suono il violino?<br />

– Oh, Cristo!<br />

Lungo la riviera del Volturno due sedicenni<br />

eterosessuali, un mas<strong>chi</strong>o e una femmina,<br />

entrambi un sesso alla volta, passeggiavano<br />

mano nella mano; la luce era grigia e il clima<br />

afoso, se nel frattempo aveste avuto un’amnesia.<br />

Non la giornata né la ragazza ideale, quindi, <strong>per</strong><br />

un appuntamento. Cio<strong>non</strong>ostante Smerdiakov<br />

<strong>non</strong> <strong>per</strong>se il suo proverbiale ottimismo bucolico.<br />

– Tu mi piaci, Sgualdrina.<br />

– Oddio, dimmelo ancora.<br />

di Gennaro Carbone<br />

– Dirti cosa?<br />

– Dammi dei nomignoli sconci, fammi sentire<br />

sporca.<br />

– Ma Sgualdrina è il tuo nome!<br />

– Ah, già! Dicevi?<br />

– Tu mi piaci. Mi piaci un sacco. Quando ti ho<br />

visto a scuola <strong>per</strong> la prima volta ho pensato:<br />

«Cap<strong>per</strong>i, che tonno!» Poi mi sono vergognato,<br />

ti giuro, mi sono vergognato tantissimo, <strong>per</strong>ché<br />

mi sono ricordato dei tuoi oc<strong>chi</strong>: erano dolci<br />

come quelli di Clementina, la mia bufalotta<br />

preferita. In quell’istante ho capito che volevo<br />

mungerti e avere tanti figli con te.<br />

– Davvero? Lo sapevo che sotto quel broncio<br />

bretone si nascondeva un cuore tenerissimo.<br />

Abbracciami, vec<strong>chi</strong>a canaglia! – disse con<br />

oc<strong>chi</strong> da cerbiatta Ivana che ancora <strong>non</strong> aveva<br />

ben <strong>chi</strong>aro <strong>chi</strong> fosse quel tizio.<br />

Allora Ciro, vincendo la sua atavica timidezza,<br />

la strinse forte a sé. Forse un po’ troppo.<br />

Ivana aveva il volto immerso nel torace di Ciro,<br />

compresso fra le su possenti braccia abituate<br />

più alle stalle che alle donne. Chissà se in<br />

quell’eccessiva dimostrazione d’affetto ci fosse<br />

anche una puntina del residuo risentimento <strong>per</strong><br />

le precedenti incomprensioni ma, cristiddio, era<br />

come vedere un capibara nella morsa di un<br />

anaconda. Sgualdrina ris<strong>chi</strong>ava di morire<br />

soffocata.<br />

– Ciro, ris<strong>chi</strong>o di morire soffocata, – biascicò lei<br />

<strong>per</strong> l’appunto.<br />

– Ah, scusami. Pensavo a Clementina; è così<br />

che si abbracciamo i bufali: forte forte, altrimenti<br />

si sentono presi in giro. So molte cose sui<br />

bufali, sono molto più simili a noi di quanto si<br />

creda. Scusami, sono molto nervoso, e quando<br />

sono nervoso parlo di bufali.<br />

Si guardarono a lungo e si sorrisero<br />

imbarazzati. Avevano capito di avere molte<br />

cose in comune.<br />

Entrambi erano insicuri, come normale a<br />

quell’età, entrambi minorati.<br />

– Accidenti, s’è fatto tardi, – constatò<br />

Smerdiakov/Ciro sul suo orologio, – cosa farai<br />

oggi?<br />

– Penso che mi eserciterò col violino. Sto<br />

imparando a suonare Nella vec<strong>chi</strong>a fattoria.<br />

– La mia canzone preferita!<br />

– Lo immaginavo! E tu, cosa farai?<br />

– Beh, dalle due alle quattro pulisco il pollaio,<br />

dalle quattro alle otto studio, dalle dieci a<br />

mezzanotte mungo le vacche e da mezzanotte<br />

alle due ti penso, te lo giuro.<br />

– Sei dolcissimo!<br />

[…………]


Cap. 38, pag. 1480 e segg.<br />

Drin Drin! Squilla il telefono, risponde<br />

Ciro.<br />

– Pronto, <strong>chi</strong> è? Cosa? Non capisco<br />

niente. Che? Quando? Oh santi numi,<br />

parli più forte! Da quest’orec<strong>chi</strong>o sono<br />

quasi sordo! Oh, al diavolo!<br />

Il solito Smerdiakov. Ivana invece<br />

negli ultimi tempi si comportava in<br />

modo insolito. Da quando era rimasta<br />

incinta, specialmente dopo il parto<br />

degli undici gemelli, voleva sempre<br />

fare sesso. Sempre, <strong>non</strong> pensava ad<br />

altro. A parte il violino ovviamente.<br />

Sempre sesso e violino, sesso e<br />

violino, scopava e suonava, suonava<br />

e scopava. A volte suonava <strong>per</strong>sino<br />

mentre scopava. Sì, quando Ciro,<br />

esausto dalle mille fatiche che si<br />

sobbarcava <strong>per</strong> il bene della fattoria e<br />

della famiglia, <strong>non</strong> riusciva a fotterla<br />

con violenza, come lei ormai amava.<br />

Ma il povero Ciro <strong>non</strong> aveva colpe.<br />

Ivana era diventata insaziabile e certo<br />

la sua stazza <strong>non</strong> facilitava le cose.<br />

La gravidanza le aveva<br />

completamente sformato il corpo<br />

moltiplicandone il volume. Pesava<br />

132 kg e tutto l’immenso amore di<br />

Ciro spesso <strong>non</strong> riusciva a farsi largo<br />

fra quei prosciutti sudaticci e quelle<br />

pieghe insidiose come sabbie mobili.<br />

Con la voluttà era cresciuta anche<br />

l’arroganza di Ivana.<br />

– Vieni qui, pezzo di merda, sono le<br />

sei e un quarto. Mi devi una scopata o<br />

sbaglio?<br />

– Ma ho finito di scoparti appena venti<br />

minuti fa!<br />

– Cos’è, il tuo uccello <strong>non</strong> regge più i<br />

ritmi dei miei ormoni? Sarà meglio<br />

che mi cer<strong>chi</strong> un altro. Sì, un amante,<br />

un bel fustac<strong>chi</strong>one cazzuto mi devo<br />

trovare, – il che <strong>per</strong> altro <strong>non</strong> era<br />

improbabile, almeno lì, a Pontelatone,<br />

un paesino di campagna con più<br />

bestie che uomini, ma in cui gli uomini<br />

erano molto più bestiali delle bestie.<br />

– Ti ho spompato, <strong>non</strong> è vero? –<br />

proseguì.<br />

– No, è solo che dovrei…<br />

– Tu mi trovi grassa, è questa la<br />

verità. Ti faccio s<strong>chi</strong>fo, <strong>non</strong> è vero? –<br />

disse il piccolo cetaceo fingendo di<br />

singhiozzare.<br />

– Ti dico di no. È solo che…<br />

– Ma vaffanculo, sei proprio uno<br />

stronzo rottinculo, – e dicendo così gli<br />

lanciò addosso un posacenere di<br />

marmo che lo s<strong>chi</strong>vò <strong>per</strong> un soffio, –<br />

adesso vieni qui e leccamela,<br />

coglione!<br />

– E va bene, te la lecco.<br />

Ma un giorno Smerdiakov dopo<br />

l’ennesima angheria decise di<br />

vendicarsi.<br />

– Ciro! Ciruzzo caro! Stronzetto! Vieni<br />

qui, raus! Sono le 8 e tu me lo fic<strong>chi</strong><br />

nel culo, ah ah ah, <strong>non</strong> è così?<br />

– Ma sto cercando di fissare un<br />

<strong>chi</strong>odo al muro delle scale <strong>per</strong><br />

appendere la foto.<br />

– Quale foto?<br />

– Quella in cui ci siamo io, tu, la prole<br />

e la fattoria che fa da sfondo.<br />

– Ma <strong>non</strong> dire stronzate! Vieni qui e<br />

inculami. Subitooo!<br />

– Oh, Cristo! Giuro sull’onore delle<br />

mie anatre che oggi l’ammazzo, –<br />

soliloquiò a mezza voce Ciro. Si recò<br />

di corsa in camera da letto.<br />

Ivana lo aspettava a pecorina col culo allargato<br />

dalle mani, già pronta a farsi iniettare una<br />

siringa di nefando e viscido piacere.<br />

– Ce l’hai fatta! Forza, dacci dentro, mas<strong>chi</strong>one.<br />

E mentre divaricava al massimo i turgidi quarti<br />

di luna un pipistrello sbozzolò dal fetido ano<br />

dove si era improvvidamente infilato<br />

scambiandolo <strong>per</strong> una grotta. La misera<br />

bestiola volò via impaurita a tutta velocità<br />

pic<strong>chi</strong>ando più volte sulle pareti, su cui rimasero<br />

impressi <strong>per</strong> sempre i lugubri cal<strong>chi</strong> marron del<br />

suo corpo smerdato. Alla fine riuscì a<br />

imboccare la via della finestra e riacquisì la<br />

passata libertà.<br />

L’episodio <strong>non</strong> turbò Ciro né scompose la<br />

bramosia di Ivana.<br />

– Ho sentito un formicolio al culo. Me lo stai<br />

leccando? Che stai facendo?! Sbrigati a<br />

penetrarmi o mi metto a suonare!<br />

– D’accordo, puttana.<br />

Ciro estrasse con veemenza il creapopoli dalla<br />

patta e profferì: – Adesso te lo faccio vedere io,<br />

brutta mignotta!<br />

– Oh sì, continua ad offendermi; mi fai arrapare<br />

tantissimo!<br />

– Ora ti sfondo, putta<strong>non</strong>e stronza zoccola<br />

pompinara, ti sfondo!<br />

Un ghigno mefistofelico allignava sulle guance<br />

polpute di Ciro che cercava di incunearsi nei<br />

meandri del laido sfintere.<br />

– Oh, sì, sì, dammelo, dammelo! È tutto mio,<br />

sì? È tutto mio! Oddio sfondami, sfondami,<br />

disoppilami le viscere. Mi fai sentire una troia<br />

quando mi sbatti e dici così. Sono un troione,<br />

<strong>non</strong> è vero?<br />

– Sì, sei una grandissima troia!<br />

Anche Ciro si esaltava in momenti del genere.<br />

Del resto come biasimarlo? Erano le uniche<br />

occasioni che aveva <strong>per</strong> rispondere agli insulti<br />

quotidiani senza doversi sorbire la ritorsione di<br />

qualche canzoncina stonata che Ivana era<br />

capace di strimpellare <strong>per</strong> ore intere sul suo<br />

violino.<br />

– Allora lo sai quello che sei tu? Sei una troia?<br />

– Sì, sono una troia, scopami, sono una troia!<br />

– Brava, ripetimelo ancora.<br />

– Sono una troia!<br />

– Dillo più forte!<br />

– Sono una troia!!<br />

– Più forte, cazzo!<br />

– Sono una troiaaa!!!<br />

– Non ti sento!<br />

– Sono una troiaaaaaaa!!!!<br />

– Non ti sento! Urla!!!<br />

– Sono una troiaaaaaaaaa!!!!!!<br />

– E adesso alza le mani e dici ò-oh! Dici ò-oh-ò!<br />

– Cosa?! – Ivana si voltò di scatto sbigottita.<br />

Anche Ciro <strong>per</strong>ò fu sorpreso dalle sue stesse<br />

labbra. Per lui fu come cadere in un fosso e<br />

trovarci una torta, avrebbe detto Alessandro<br />

buon’anima. Tuttavia, impettitosi come <strong>non</strong> mai,<br />

prese la palla al balzo: la vendetta è un piatto<br />

che va servito freddo e Ciro <strong>non</strong> aspettava altri<br />

commensali.<br />

Trascinò Ivana <strong>per</strong> i capelli sino alle scale che<br />

conducevano alla cantina, le fece scendere un<br />

paio di gradini e le intimò di fermarsi proprio<br />

all’altezza del <strong>chi</strong>odo che stava martellando<br />

poco prima che la troia esigesse il suo pegno<br />

anale. Un uomo tuttofare come Ciro <strong>non</strong><br />

dimentica mai il suo dovere. Afferrò Ivana <strong>per</strong> le<br />

tempie e le adagiò la nuca sulla capoc<strong>chi</strong>a del<br />

<strong>chi</strong>odo.<br />

– Che cosa vuoi farmi, pazzo? – gridò la<br />

sventurata.<br />

– Taci, Sgualdrina! – rispose Ciro; la <strong>chi</strong>amava<br />

Sgualdrina quando lo faceva arrabbiare, ma lei<br />

<strong>non</strong> parve capire.<br />

– Oh, sì! Insultami ancora, ti prego!<br />

Ciro sfruttò l’equivoco <strong>per</strong> tranquillizzarla, le<br />

bloccò entrambe le mani con le sue, si sollevò<br />

sulla punta dei piedi e cominciò a scoparle la<br />

bocca come un ossesso.<br />

– Ti piace, eh, troia? Cos’è, ora <strong>non</strong> parli più? –<br />

disse ridendo beffardo.<br />

Ivana era terrorizzata. Non riusciva a respirare,<br />

né intuiva quale strano disegno si celasse<br />

dietro gli oc<strong>chi</strong> pulsanti e infuocati del marito.<br />

BANG- BANG- BANG- BANG!<br />

Ad ogni colpo dell’incessante ventre di Ciro la<br />

testa di Ivana martellava il <strong>chi</strong>odo facendolo<br />

penetrare sempre più in profondità.<br />

– Vengoooo! – Nitrì infine Ciro sborrando in<br />

bocca alla moglie semisvenuta Poi, impassibile,<br />

la lasciò ruzzolare pesantemente giù <strong>per</strong><br />

le scale.<br />

– Uhhh! Ben ti sta! – disse traendo un grosso<br />

sospiro.<br />

Ripresosi dalla colossale sborrata andò in<br />

cucina e tracannò mezza bottiglia di vodka tutto<br />

di un sorso.<br />

– Ah, già! Il ritratto, – rammentò a se stesso.<br />

Afferrò il quadro dal tavolo su cui l’aveva<br />

lasciato e, finalmente, lo appese al <strong>chi</strong>odo.<br />

– Ah, ora sì! Che bella! – Ciro era soddisfatto.<br />

La foto era al suo posto, vendetta era stata fatta<br />

e l’inedito martello nucale-penieno aveva<br />

funzionato alla <strong>per</strong>fezione.<br />

Poté quindi fumarsi una sigaretta in santa pace<br />

e andare a dormire, sfinito, nel fienile.<br />

[…………]<br />

Cap. 233, pag. 15816 e segg.<br />

[…………]<br />

I due passeggiavano mano nella mano come<br />

da ragazzi, ma senza amnesie. La crisi di<br />

mezz’età era ormai un pallido ricordo. Le molte<br />

gioie successive avevano cancellato gran parte<br />

di quegli aspri battibec<strong>chi</strong>, l’arteriosclerosi<br />

aveva fatto il resto. Il laghetto ameno alle spalle<br />

del golf club di Grazzanise riverberava una luce<br />

dolce come un unicorno rosa che mangia miele.<br />

Lungo le sue sponde cinici e arzilli vec<strong>chi</strong>etti si<br />

divertivano a nutrire i piccioni. Gettavano loro<br />

briciole di pane raffermo, prima più lontano poi<br />

sempre più vicino alle pan<strong>chi</strong>ne su cui stavano<br />

seduti, aspettavano pazien-temente che i<br />

pennuti si avvicinassero gradualmente e si<br />

convincessero della bon-tà di quei rugosi<br />

sconosciuti, e quando arri-vavano a portata di<br />

sandalo POW! botte da orbi.<br />

– Ehi, coglione! Nessuno dà niente <strong>per</strong> niente a<br />

questo mondo. Prima lo capisci, meglio è <strong>per</strong><br />

te! – disse uno di quei deliziosi vec<strong>chi</strong>etti<br />

rampognando un piccione rintronato a cui<br />

aveva appena sco<strong>per</strong><strong>chi</strong>ato il cranio.<br />

– Oh, <strong>non</strong> sono adorabili?! – esclamò Ivana. –<br />

Fra un paio d’anni vorrei stabilirmi qui anch’io e<br />

imparare la loro saggezza. Insieme a te,<br />

ovviamente. Ti piacerebbe?<br />

Ciro era piegato in due dalle risate e dalla<br />

gobba. Proprio in quel momento un piccolo<br />

bolide, bianco e sibilante, si stampò nella sua<br />

bocca spalancata.<br />

– Bucaaaaaaaaa! – gridò Ivana. – Cioè voglio<br />

dire: Ciroooooooooooo! – e in tutta fretta gli<br />

praticò con successo la manovra Heimlich.<br />

Ma la pallina da golf, sputata in alto da Ciro,<br />

compì una strana traiettoria e finì nella gola<br />

di Ivana.<br />

– Agh, agh! – era blu, stava soffocando.<br />

CONTINUA SU<br />

www.heypachuco2012.wordpress.com

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!