COMPENSO DI GRAMMATICA ITALIANA Per parlare e scrivere ...
COMPENSO DI GRAMMATICA ITALIANA Per parlare e scrivere ...
COMPENSO DI GRAMMATICA ITALIANA Per parlare e scrivere ...
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
<strong>COMPENSO</strong> <strong>DI</strong> <strong>GRAMMATICA</strong> <strong>ITALIANA</strong><br />
<strong>Per</strong> <strong>parlare</strong> e <strong>scrivere</strong> correttamente è chiaro che bisogna conoscere bene la propria LINGUA nella<br />
sua struttura (grammatica) e nel suo materiale (lessico). Quanti più vocaboli conosciamo -anche<br />
nelle diverse sfumature che differenziano parole di significato apparentemente simile- tanta più<br />
possibilità abbiamo di esprimere compiutamente il nostro pensiero.<br />
Quindi è indispensabile sapere, ad esempio, che la parola "accanto" può assumere, dal punto di<br />
vista della grammatica, funzioni diverse:<br />
Non aveva nessuno accanto che gli desse una mano (avverbio)<br />
Accanto a me non voglio nessuno (preposizione)<br />
Distrattamente ho bussato alla porta accanto (aggett. indeclin.)<br />
Ma è altrettanto indispensabile sapere che le parole "allegrezza" e "allegria", che apparentemente<br />
sembrano esprimere la stessa cosa, in effetti sono ben diverse tra loro in quanto la prima esprime<br />
uno stato d'animo di gioia soggettivo, intimo, interno alla persona che lo prova, mentre la seconda<br />
esprime la manifestazione esterna di quello stato d'animo.<br />
Tuttavia non ci dimentichiamo una cosa essenziale: che la lingua serve per comunicare ad altri i<br />
nostri sentimenti, le nostre riflessioni, i nostri giudizi sul mondo materiale e spirituale in cui<br />
viviamo e che è perciò necessario usare bene gli strumenti che abbiamo per conoscere la realtà<br />
che ci circonda. Primi fra tutti i cinque sensi che madre Natura ci ha dato: la vista, l'udito, l'olfatto,<br />
il gusto ed il tatto. Questo per un primo corretto approccio col mondo. Poi dobbiamo bene<br />
coltivare il senso morale, il senso sociale, il senso storico, il senso critico, il senso estetico, ecc.<br />
Altrimenti faremmo come uno che, pur sapendo suonare alla perfezione, dal punto di vista<br />
tecnico, uno strumento musicale, non avesse però alcuna sensibilità musicale e non conoscesse<br />
alcun brano d'autore.<br />
In questa sede ci interessa l'aspetto tecnico del problema della comunicazione, cioè l'uso della<br />
lingua. <strong>Per</strong> il resto rimandiamo ad un eventuale successivo corso di... composizione.<br />
Ciò premesso, soffermiamoci su alcuni concetti fondamentali:<br />
LINGUAGGIO E' la facoltà -esclusiva del genere umano- di esprimere sensazioni,<br />
sentimenti, riflessioni, giudizi, ecc., o di narrare fatti, situazioni,<br />
circostanze, ecc., o di descrive re aspetti particolari della realtà naturale<br />
(ad es. un pae saggio) o civile (usi e costumi) mediante un mezzo di<br />
comunicazione (lingua, pittura, scultura, musica, ecc.).<br />
LINGUA E' lo strumento maggiormente usato nella comunicazione umana. Essa è<br />
costituita da un < sistema organico di suoni arti colati distintivi (fonemi),<br />
di forme grammaticali (morfemi) e di elementi lessicali (lessemi) e<br />
strutture sintattiche (sintagmi) convenzionalmente significanti, accettato,
tramandato e attuato come mezzo collettivo di comunicazione e di<br />
espressione linguistica da tutti i membri di una comunità etnica, politica o<br />
culturale» (De Felice-Duro). Cerchiamo di essere più chiari. L'uomo, per<br />
<strong>parlare</strong>, usa gli strumenti vocali che trasmetto no suoni. Questi suoni li ha<br />
poi rappresentati graficamen te per la scrittura: a - b - c - d - au - ra - ba -<br />
cio - ecc.<br />
Questi sono i Fonemi che, combinandosi tra loro, formano le parole con<br />
cui indichiamo persone, animali, cose, qualità, azioni, ecc.<br />
<strong>Per</strong> esempio, mettendo insieme i fonemi bam - bi - no, formiamo la<br />
parola bambino con cui indichiamo un essere umano non adulto.<br />
<strong>Per</strong>ò possiamo anche dire bambina - bambini - bambine, parole che<br />
hanno una parte in comune (bambin-) ed una parte diversa (o-a-i-e).<br />
Ebbene, la prima parte che costituisce un insieme articolato di suoni per<br />
esprimere un essere (o una qualità o un'azione, ecc.) si chiama Lessema,<br />
mentre la seconda parte che ci fa capire, nel nostro caso, se si tratta di<br />
uno o più maschi, di una o più femmine, si dice Morfema.<br />
<strong>Per</strong>ò per esprimere un pensiero non basta una parola; bisogna usarne più<br />
d'una, singolarmente o in gruppi, con funzioni logiche diverse ma<br />
collegate razionalmente tra loro: dobbiamo cioè costruire una<br />
proposizione, che è l'elemento fondamentale del discorso.<br />
Ogni parte della proposizione costituisce un Sintagma<br />
Mario = Sintagma con funzione di soggetto (formato da una<br />
parola)<br />
mangia = Sintagma con funzione di predicato (formato da una<br />
parola)<br />
la mela = Sintagma con funzione di complemento (formato da<br />
due parole).<br />
<strong>DI</strong>ALETTO E' un sistema linguistico usato in un ambito geografico ristretto e<br />
riservato, per lo più, ai rapporti familiari o amicali.<br />
GERGO E' un linguaggio convenzionale usato all'interno di un gruppo sociale<br />
(criminali, studenti, ecc.) o professionale (marinai, agricoltori, ecc.), o per<br />
tradizione o per non farsi comprendere dagli estranei.<br />
NOMENCLATURA<br />
SINONIMI<br />
E' costituita da elenchi di vocaboli, sistematicamente raccolti, che si<br />
riferiscono a singole discipline (botanica, zoologia), arti, mestieri, ecc.<br />
Sono vocaboli di significato affine -ma con sfumature diverse- ad altri.
E<br />
CONTRARI<br />
<strong>GRAMMATICA</strong><br />
Sono vocaboli di significato opposto ad un altro.<br />
<strong>Per</strong> esempio, sono sinonimi del vocabolo "gioia"<br />
allegrezza - contentezza - esultanza felicità - giocondità - diletto<br />
mentre sono suoi contrari: afflizione - dolore - mestizia - malinconia<br />
E' la scienza che studia e descrive la struttura di una lin gua ed è costituita<br />
da tre branche fondamentali:<br />
la fonologia (studio dei "suoni" )<br />
la morfologia (studio delle "forme")<br />
la sintassi (studio dei "costrutti").
Quanti gemelli!<br />
Io non àltero mai i fatti: sono troppo altèro per farlo!<br />
Nell'àmbito della letteratura italiana, il "Premio Strega" è un riconoscimento molto ambìto<br />
<strong>Per</strong> la verità sono molto benèfici verso gli estranei, ma non ricordano mai i benefìci che hanno<br />
ricevuto dai parenti.<br />
Cesare ha molto intùito e perciò ha subito intuìto le intenzioni della sua ragazza.<br />
Mi ha chiesto se pàgano bene. Ma come possono farlo se sono i diretti discendenti dell'egoismo<br />
pagàno e ignorano finanche l'esistenza del cristianesimo?<br />
I prìncipi del Rinascimento erano affatto privi di princìpi morali.<br />
Si è messo a sedére in poltrona, ma prima ha dovuto dare un calcione nel sedére di quel gattaccio.<br />
E' giunto finalmente in ufficio il ministro col suo séguito di portaborse, seguìto come al solito dalla<br />
scorta armata. Io me ne frego e séguito a leggere il giornale.<br />
Ho subìto un altro affronto da quel verme, ma mi sono sùbito vendicato.<br />
Sono aviatore e quindi vòlo, ma il mio vòlo non sarà mai libero come quello degli uccelli.
LE SILLABE (= molecole)<br />
1. Una o più vocali con o senza una o più consonanti, che da sola o in gruppo costituisca un<br />
corpo fonetico che si pronuncia con una sola emissione di voce, forma una SILLABA.<br />
2. La sillaba dunque è l'indicazione grafica di una vocale o di un gruppo di vocali o di un gruppo<br />
di lettere contenente almeno una vocale che si pronunzia con una sola emissione di fiato.<br />
Esempi<br />
a-e-i-o-u<br />
ai -au-ei-eu-iu-oi-ou-ui-ia-ua-ie-ue-io-uo<br />
(dittonghi, cioè due vocali di cui una sia "i" o "u")*<br />
uai - uei - uoi - iai - iei - iuo<br />
(trittonghi, cioè tre vocali, due delle quali siano 'T' o 'V'),<br />
da -de-di-do-du<br />
ad-en-in-od-un<br />
qua - qui<br />
tra - fra - sco - sca<br />
spro - stra<br />
3. Alcune sillabe possono costituire parola (se hanno un senso in sé definito) e possono far<br />
parte di una parola:<br />
a (preposizione) - a-mi-co (parte di parola)<br />
qua (avverbio di luogo) - qua-dra-to (parte di parola)<br />
4. Altre sillabe da sole non costituiscono parola:<br />
stra (non significa nulla)<br />
stra-or-di-na-rio (parte di parola)<br />
5. Si noti nella parola "straordinario" che la a e la o di straor non costituiscono dittongo<br />
perché non si possono pronunciare con un'unica emissione di fiato e perciò danno vita a<br />
due sillabe; invece la i e la o di rio costituiscono dittongo e fanno una sola sillaba.<br />
<strong>Per</strong>ò anche i dittonghi a volte richiedono due emissioni di fiato per essere pronunciati e in<br />
questo caso formano sillabe separatamente e costituiscono quello che i grammatici<br />
chiamano iato (=separazione): mor-mo-rì-o.<br />
6. In pratica la scomposizione di una parola nelle sillabe che la costituiscono serve<br />
unicamente quando c'è la necessità di dividerla in due tronconi perché tutta intera non<br />
entra nel rigo di scrittura (questo avviene ovviamente a fine rigo).<br />
A tal riguardo diamo alcuni suggerimenti pratici da seguire in barba a tutte le "regole" che
si dovrebbero conoscere per scomporre correttamente una parola in sillabe:<br />
a) non creare l'occasione: se una parola non entra nel rigo, riportarla nel rigo successivo.<br />
Questo suggerimento taglia la testa al toro - come si suol dire - e dovrebbe dispensarci da<br />
darne altri. Ma poiché può capitare che proprio non possiamo fare a meno di dividere una<br />
parola in due parti, ecco altri suggerimenti, sempre di natura pratica:<br />
b) non dividere mai le vocali, anche se non costituiscono dittongo o trittongo: straor-di-nario;<br />
c) assegnare le consonanti sempre alla vocale o alle vocali che le seguono a meno che il<br />
loro gruppo non sia di quelli che non possono dare inizio ad una parola. In questo caso una<br />
consonante si lega alla vocale precedente.<br />
Esempi:<br />
man-gia-na-stri: il gruppo ng è stato diviso perché non esiste in italiano una parola che inizi<br />
con "ng", mentre il gruppo str è rimasto compatto in quanto può dare inizio a parole<br />
(strofinaccio, straordinario, straniero, ecc.);<br />
mu-si-cas-set-ta: le ss e le tt vanno divise perché non esistono parole che iniziano con due<br />
consonanti uguali.<br />
7. La sillaba si dice tonica quando l'accento tonico della parola (quello che indica la sillaba su<br />
cui deve essere marcata l'intensità del suono nella pronuncia della parola) cade sulla sua<br />
vocale o su una delle sue vocali. altrimenti si dice atona (cavàllo: ca: sillaba "atona"; vàl:<br />
sillaba "tonica"; lo: sillaba "atona").**<br />
* ui ed iu fanno dittongo quando nella pronuncia entrambe sono "atone" (senza accento tonico:<br />
"guidàre", "Giusèppe") o quando l'accento cade sulla seconda vocale ("Luìgi", `fiùme"); u ed i<br />
formano dittongo con o a e quando entrambe le vocali sono "atone" ("Euròpa", "guerrièro") o<br />
quando l'accento cade su "o", "a", "e" ("làuto", "mediàno").<br />
** In italiano abbiamo l'accento grave ( ' ) per indicare le vocali dal suono aperto ("bontà",<br />
"ahimè") e l'accento acuto ( ' ) per indicare le vocali dal suono chiuso (`perché", "pózzo"). In pratica<br />
noi usiamo sempre l'accento grave su tutte le vocali e riserviamo quello acuto solo per la e e la ó<br />
quando hanno suono chiuso: pésca (l'attività dei pescatori), per distinguerla da "pèsca" (il frutto<br />
del pesco); bótte (il recipiente per il vino) per distinguerla da "bòtte" (le percosse). Tuttavia nella<br />
scrittura l'accento di solito si omette, tranne che sulle parole "tronche" per le quali è obbligatorio<br />
(`felicità", virtù").<br />
Attenzione: le parole monosillabe si scrivono sempre senza accento ("sta", "va", "fa", "qui", "qua",<br />
ecc.) a meno che si tratti di "omògrafi" (due parole graficamente uguali ma di significato diverso)<br />
nel qual caso bisogna mettere l'accento su di una (quella che si pronuncia con suono marcato) per<br />
distinguerla dall'altra: per esempio si dice "la vidi al cinema" e "andai là anch'io", perché nel primo
caso "la" è pronome personale e nel secondo "là" è avverbio di luogo e fra le due è questa seconda<br />
che si pronuncia con tono più marcato. Così pure: "li vidi al cinema" e "andai lì anch'io".
LE PAROLE (= cellule)<br />
1. Una o più sillabe raggruppate formano le PAROLE (o "vocaboli"). Queste, nel loro insieme,<br />
costituiscono il "lessico".<br />
2. Le parole hanno origini e funzioni diverse nell'uso della lingua, ma di ciò tratteremo nel<br />
capitolo dedicato alle "parti del discorso". Secondo il "Devoto-Oli", la parola corrisponde ad<br />
una "immagine" di una nozione o di una azione (amore, amare) nel caso di parole<br />
"principali", oppure ad un "rapporto" nel caso di parole "accessorie" (sovente, durante,<br />
sebbene).<br />
3. <strong>Per</strong> ora ci basti sapere:<br />
a) che il vocabolario della lingua italiana registra oltre 50.000 voci, senza contare le<br />
innumerevoli flessioni cui molte di esse -ad esempio i verbi sono sottoposte;<br />
b) che tra queste voci si incontrano arcaismi, cioè parole cadute in disuso ed usate qualche<br />
volta per motivi particolari ("vossignoria"); neologismi, cioè parole di nuovo conio<br />
necessarie al linguaggio scientifico in continua evoluzione ed espansione ("dragaggio") o<br />
voluttuarie nel senso che, per motivi di estetica linguistica, tentano l'avventura di<br />
soppiantarne altre consolidate dalla tradizione (per esempio si registra la tendenza sempre<br />
più frequente a soppiantare il termine tradizionale dilucidazione (= "chiarimento,<br />
spiegazione"), sostituendolo col termine delucidazione, facendo perdere a questo il suo<br />
significato originario indicante il procedimento usato nell'industria tessile per eliminare il<br />
lucido di tessuti di lana, operazione che si definisce anche coi termini tecnici "decatissaggio"<br />
e "decatizzazione"); e barbarismi, cioè parole prese in prestito da altre lingue o per<br />
mancanza nella nostra di un esatto equivalente (com'è il caso del vocabolo inglese "flirt" o<br />
per gusto o per moda o per spirito di un malinteso cosmopolitismo (com'è il caso del<br />
vocabolo francese "reportage" che spesso si usa in luogo di "cronaca" o di "servizio<br />
giornalistico");<br />
c) che le parole si distinguono in monosillabe (se formate da una sola sillaba), bisillabe (da<br />
due), trisillabe (da tre), quadrisillabe (da quattro), polisillabe (da più di quattro): la parola<br />
più lunga in italiano, creata per scherzo da un poeta del Seicento, è<br />
precipitevolissimevolmente,<br />
di undici sillabe.
ANTOLOGIA STORICA DELLA LINGUA <strong>ITALIANA</strong><br />
ANONIMO (Sex. XI)<br />
Ave color vini clari,<br />
ave sapor sine pari,<br />
tua nos inebriari - digneris potentia.<br />
O quam felix creatura<br />
quam produxit vitis pura,<br />
omnis mensa fit secura - in tua presentia.<br />
Traduzione:<br />
(Canto goliardico)<br />
Salve, o colore del vino bianco, salve o sapore senza pari, dégnati di inebriarci con la tua forza. O<br />
quanto felice creatura, che la pura vite produsse, ogni mensa è senza tristezza. in tua presenza.<br />
I "goliardi" erano poeti stravaganti, spesso studenti, che esaltavano i piaceri della vita, ma<br />
facevano anche satira anticlericale. Molti loro canti furono raccolti nel sec. XIII col titolo di<br />
"Carmina burana".
LE PARTI DEL <strong>DI</strong>SCORSO (= tessuti)<br />
Quando gli uomini primitivi si accorsero di avere la facoltà di <strong>parlare</strong>, capirono che era<br />
conveniente, per tutti quelli che vivevano nello stesso gruppo, nella stessa "società", di accordarsi<br />
sui "suoni vocali" con cui distinguere le varie cose, i vari animali, le varie azioni, le varie qualità,<br />
ecc. Diedero così vita al linguaggio umano, diverso da gruppo a gruppo, che poi si evolse nelle<br />
varie lingue antiche.<br />
Il progresso di queste divenne più rapido da quando si inventò la scrittura. Dall'evoluzione<br />
incessante delle lingue antiche son sorte le lingue moderne, così diversificatesi nel tempo dalle<br />
loro "matrici" da apparire affatto nuove: per esempio dal latino sono derivate, oltre alla lingua<br />
italiana, quelle portoghese, spagnola, catalana, francese, provenzale, ladina, rumena, per citare<br />
solo le più importanti.<br />
Il naturale progresso dell'umanità ha fatto poi sì che ciascuna lingua perfezionasse sempre di più la<br />
propria struttura, adeguandosi, secolo dopo secolo, alle crescenti necessità della sua funzione.<br />
Ecco perché oggi risulta più difficile che nel passato impadronirsi del "meccanismo" che regola<br />
l'uso di una lingua.<br />
<strong>Per</strong>ciò se vogliamo tentare di apprendere bene la nostra lingua, è anzitutto indispensabile<br />
conoscere i singoli elementi che compongono il suo meccanismo, cioè le parti del discorso.<br />
Queste sono nove e si dividono in variabili, se sono soggette a flessione, ed in invariabili, se sono<br />
immutabili.<br />
Nei prossimi paragrafi ci soffermeremo su ciascuna di esse.<br />
Ora eccone un prospetto.<br />
a) Variabili: Articolo<br />
Nome (o sostantivo)<br />
Pronome<br />
Aggettivo<br />
Verbo<br />
b) Invariabili: Avverbio<br />
Preposizione<br />
Congiunzione<br />
Interiezione<br />
PROSPETTO
LA PUNTEGGIATURA<br />
A che serve la segnaletica stradale? Lo sai benissimo! Serve a regolare il traffico dei veicoli (e dei<br />
pedoni) nelle strade pubbliche, ad evitare ingorghi, scongiurare pericoli di incidenti, snellire la<br />
circolazione, ecc.; a dare indicazioni di strade, uffici principali, musei, monumenti, ecc. Serve<br />
insomma ad orientare gli utenti della strada salvaguardandone l'incolumità. Ah, se tutti<br />
l'osservassero scrupolosamente!<br />
La segnaletica stradale ti dice quando puoi e quando invece devi svoltare in una determinata<br />
direzione; quando devi rallentare, quando puoi accelerare, quando ti devi obbligatoriamente<br />
fermare; dove puoi sostare e dove no, ecc.<br />
Ebbene la punteggiatura svolge lo stesso ruolo nel "discorso": regola il traffico delle idee per<br />
snellirne la lettura e facilitarne la comprensione; per evitare equivoci, fraintendimenti; per<br />
distinguere l'idea principale da quelle secondarie o accessorie; per far capire se uno deve ridere o<br />
piangere di quel che legge...<br />
E come la segnaletica stradale, se collocata alla carlona, genera caos nella circolazione ed ottiene<br />
l'effetto contrario rispetto a quello per cui è stata creata, così la punteggiatura, se adoperata senza<br />
criterio, ostacola, anziché facilitare, la comprensione di un testo.<br />
Facciamo un esempio. Se dico: "Gli alunni che avevano partecipato allo sciopero furono sospesi<br />
dalle lezioni per tre giorni", è chiaro che mi riferisco solo agli alunni implicati nello sciopero; ma se<br />
dico: "Gli alunni, che avevano partecipato allo sciopero, furono sospesi dalle lezioni per tre giorni",<br />
voglio invece dire che tutti gli alunni, avendo fatto sciopero, furono sospesi.<br />
Vedi come due virgole possono radicalmente cambiare il senso di una frase? Naturalmente, se io<br />
voglio esprimere il primo concetto e adopero le virgole, oppure voglio esprimere il secondo<br />
concetto e faccio a meno di usare le virgole, finisco col far capire una cosa diversa da quella che<br />
intendo dire.<br />
Un altro esempio per dimostrare l'importante funzione della punteggiatura: "Che dici ?" significa<br />
pressappoco: "Non ho capito bene, ti dispiace ripetere?"; invece "Che dici!" vuol dire: "Possibile<br />
una cosa del genere? Non ci credo".<br />
Quindi la punteggiatura è una cosa seria e va perciò usata con discernimento. Essa non solo serve<br />
alla chiarezza del discorso, ma dà anche un tono alla pagina scritta.<br />
Vediamo come una diversa punteggiatura può modificare il tono di una frase:<br />
"La vita è una cosa meravigliosa".<br />
"La vita... è una cosa meravigliosa".<br />
"La vita? E' una cosa meravigliosa".<br />
Nel primo caso enuncio con determinazione una mia idea sulla vita; nel secondo caso faccio la<br />
medesima enunciazione ma denunziando un lieve imbarazzo nella scelta della definizione da dare<br />
alla vita; nel terzo caso affermo il mio pensiero presupponendo una ipotetica domanda rivoltami<br />
sul significato della vita.<br />
Alcune buone letture, fatte con la mente attenta alla punteggiatura, e una serie di esercitazioni<br />
scritte, miranti a saggiare l'effetto che i tuoi scritti producono nella comprensione degli altri,<br />
possono bastare a darti una cognizione esatta sull'uso dei segni di interpunzione. L'esperienza ti
consentirà poi un naturale progresso.<br />
Qui basta elencare i vari segni di interpunzione con qualche breve dilucidazione.<br />
PROSPETTO<br />
La virgola (,) indica una pausa breve e serve a staccare gli elementi di una proposizione o le varie<br />
proposizioni di un periodo o a separare una frase incidentale dal contesto ("Il libro, il quaderno, la<br />
penna sono strumenti indispensabili allo studente"; "Non ho più visto quel tale, che venne a casa,<br />
per vendermi l'enciclopedia"; "Oggi, come tutti sanno, è una realtà la parità fra uomo e donna").<br />
Il punto e virgola (;) indica una pausa leggermente più lunga di quella richiesta per la virgola e<br />
serve soprattutto a raggruppare in serie le numerose proposizioni di un periodo assai complesso<br />
("Gli alunni sanno bene che a scuola si va non solo per studiare, ma soprattutto per educarsi alla<br />
vita civile, per acquisire una moralità sociale, che consenta loro di vivere con dignità nel proprio<br />
Paese; che non è lecito andarvi sprovvisti dei necessari strumenti scolastici, vestiti in modo frivolo e<br />
più disposti allo scherzo che all'impegno; che il profitto scolastico è direttamente proporzionale<br />
all'interesse che ciascuno di loro prova per la materia di studio").<br />
Il punto (.) indica una pausa maggiore e serve a chiudere i singoli periodi e perciò anche l'intero<br />
discorso.<br />
Il punto interrogativo (?) indica una proposizione interrogativa diretta ("Che cosa ti ha detto il<br />
professore?").<br />
Il punto esclamativo (!) indica una proposizione esclamativa ("Che noia assistere ad uno spettacolo<br />
del genere!").<br />
I due punti (:) precedono un elenco, o le parole d'altri che si intendono riferire testualmente, o<br />
una precisazione su quanto detto, o la conclusione del discorso fatto ("Ecco i nomi dei fortunati<br />
vincitori dei tre premi messi in palio: 1 ° - Bruna Bassi, 2° - Lucca Maddalena, 3° - De Bellis Luigi". -<br />
"Disse proprio così: «Non mi seccate!»" - "Non potemmo chiedergli nessuna spiegazione: appariva<br />
troppo imbarazzato". - "Da quanto abbiamo riferito una cosa appare chiara: che a questo mondo<br />
occorre sempre un pizzico di fortuna!").<br />
I punti sospensivi (...) -che sono tre, non due né quattro- indicano una reticenza da parte di chi<br />
scrive, che omette di dire qualcosa per timore o pudore o perché facilmente intuibile ("Ti sei<br />
comportato malissimo, da vero... Ma non voglio usare parole grosse che... Lascio a te di<br />
giudicarti").<br />
Le virgolette («xxxxxxx» / "xxxxxxx" / 'xxxxxxx') servono per riferire testualmente le parole di un<br />
altro o per mettere in evidenza una parola nella proposizione ("Mi disse chiaro e tondo: «Non<br />
voglio più andare a scuola»" - "Mi diede del `cretino', ma gliel'ho fatta pagare").<br />
La lineetta (_) serve per distinguere in un dialogo le frasi dei vari interlocutori e, di solito, va<br />
collocata all'inizio del rigo ("Si affrontarono al Bar dello Sport i due acerrimi... amici:<br />
_ Ti va stretta la netta sconfitta per 2 a 0? Fa' come me, bevici su. Io brindo alle maggiori<br />
fortune della mia squadra.
_ <strong>Per</strong>ché non brindi invece alla salute dell'arbitro che vi ha concesso un rigore inesistente?<br />
_ Inesistente un corno! Il nostro centravanti sta all'ospedale e ne avrà per venti giorni a causa<br />
di quel bastardo del tuo terzino").<br />
Il trattino (-), leggermente più breve della lineetta, serve a staccare le sillabe di una parola<br />
(specialmente a fine rigo) o ad unire due parole che devono esprimere un unico concetto:<br />
("Pre-ci pi-te-vo-lis-si-me-vol-men-te è una parola di undici sillabe, la più lunga nella lingua<br />
italiana". - "La maglietta rosso-nera del Milan mi piace più di quella viola della Fiorentina").<br />
Le parentesi tonde ( ) servono a racchiudere una frase incidentale necessaria alla comprensione o<br />
alla completezza del discorso ma che non si vuole considerare parte integrante del discorso stesso<br />
("Mi rincorsero e (me lo avevano più volte promesso) me le diedero di santa ragione").<br />
L'asterisco (*) serve a richiamare una nota di commento posta in fondo alla pagina. Se le note di<br />
un testo sono due o tre, la seconda va richiamata con due asterischi (**) e la terza con tre (***); se<br />
sono in numero maggiore di solito si richiamano con numeretti arabi posti in alto alla fine della<br />
parola interessata alla nota.
IL PERIODO<br />
Il periodo costituisce l' "apparato" del discorso, nel quale svolge una funzione vitale a volte<br />
semplice, a volte complessa. E' sottoposto a leggi naturali delicate che vanno rispettate con spirito<br />
ecologico (in senso linguistico, ovviamente), cioè con scrupolo e senza velleitarismi rinnovatori.<br />
<strong>Per</strong>ciò a questa ultima fatica apprestati con umiltà, ma anche con determinazione, e non<br />
arrenderti, non deporre le armi della volontà, finché non ti sarai impadronito della struttura delle<br />
singole diverse proposizioni (= organi) e del meccanismo che regola il loro reciproco rapporto.<br />
Buona fortuna!<br />
DEFINIZIONE E STRUTTURA<br />
1. Il periodo è una proposizione o un complesso di proposizioni collegate tra loro in modo da<br />
formare un tutto organico con un senso compiuto.<br />
2. In un periodo vi sono tante proposizioni quanti sono i verbi di modo finito (espressi o<br />
sottintesi) o di modo indefinito che possono però ridursi in modo finito.<br />
3. Le proposizioni possono essere:<br />
a) principali (= indipendenti) se il verbo si regge da sé;<br />
b) secondarie (= subordinate) se il verbo dipende da altro verbo.<br />
4. Il periodo può essere:<br />
a) semplice, se formato da una sola proposizione principale;<br />
b) complesso, se formato da una proposizione principale e da una o più proposizioni<br />
secondarie;<br />
c) composto, se formato da più proposizioni principali e da una o più proposizioni<br />
secondarie.<br />
5. Due o più proposizioni principali e due o più proposizioni secondarie della stessa natura<br />
possono essere tra loro coordinate per asindeto (senza congiunzioni) o per polisindeto<br />
(mediante congiunzioni copulative o disgiuntive o avversative).<br />
6. Le proposizioni principali possono avere solo verbi di modo finito.<br />
7. Le proposizioni secondarie possono avere verbi sia di modo finito(forme esplicite) che di<br />
modo indefinito (forme implicite).<br />
8. Le proposizioni secondarie possono essere:<br />
a) di 1 ° grado, se dipendono da una prop. principale;<br />
b) di 2° grado, se dipendono da una prop. secondaria di 1° grado;<br />
c) di 3° grado, se dipendono da una prop. secondaria di 2° grado;<br />
9. Le proposizioni principali si distinguono in:<br />
a) enunciative (Domani andrò a Roma)<br />
e così via...<br />
b) esortative (Vadano a scuola piuttosto che a cinema)<br />
c) iussitive (Va' a scuola!)
d)<br />
interrogative dirette (Chi è quel signore vestito di bianco?)<br />
e) esclamative (Quanto è bella la giovinezza!)<br />
10. Le proposizioni secondarie si distinguono in:<br />
a) relative<br />
b) soggettive<br />
c) oggettive<br />
d) finali<br />
e) consecutive<br />
f) causali<br />
g) temporali<br />
h) concessive<br />
i) condizionali<br />
l) comparative<br />
m) avversative<br />
n) interrogative indirette
LO STILE<br />
Ogni persona ha un suo proprio stile di vita che manifesta nel modo di pensare, nel modo di<br />
<strong>parlare</strong> e <strong>scrivere</strong>, negli atti che compie, nel modo di vestire, ecc.<br />
Questo stile, che non è mai definitivo, ma in continua evoluzione, rappresenta la sintesi del<br />
rapporto storico della persona con l'ambiente. Esso è, sì, in parte condizionato dall'indole naturale<br />
del soggetto, dal suo temperamento, ma sostanzialmente si va formando in stretto rapporto con<br />
le sue esperienze esistenziali e, quindi, in stretto rapporto con l'ambiente in cui nasce e vive, con<br />
gli studi che compie o non compie, con i mezzi materiali di cui dispone, ecc.<br />
C'è chi veste bene, "firmato", perché vuole comparire in società e se lo può permettere, e chi, pur<br />
potendoselo permettere, veste trasandato, perché non si cura dell'immagine o perché vuole che<br />
questa sia in armonia con una sua ideologia populista.<br />
C'è invece chi vorrebbe vestire alla moda, ma non ha mezzi finanziari sufficienti e deve contentarsi<br />
di presentarsi in pubblico con abiti acquistati al mercatino rionale.<br />
Ognuna di queste persone compare in pubblico presentando uno stile diverso nel vestire:<br />
qualcuna realizzando il proprio "ideale" di socialità, qualcuna no; qualcuna facendo aderire lo stile<br />
ad un reale atteggiamento esistenziale, qualcuna cercando di apparire diversa da come in sostanza<br />
è.<br />
<strong>Per</strong>ciò stiamo attenti nel giudicare le persone in base al loro "stile di vita", perché non sempre<br />
questo è genuino.<br />
Ciò premesso, veniamo al discorso che più ci interessa.<br />
Ci sono persone che parlano e scrivono correttamente, ed anche in modo forbito, perché hanno<br />
cultura, ed altre che si esprimono pedestremente o perché non hanno cultura o perché vogliono<br />
compiacere alla moda di un gusto populista.<br />
Noi non vogliamo interferire nelle libere scelte dei parlanti e degli scriventi, ma diciamo solo<br />
questo: che <strong>parlare</strong> e <strong>scrivere</strong> bene è meglio che <strong>parlare</strong> e <strong>scrivere</strong> male, come in tutte le attività<br />
della vita, che valgono di più se svolte bene. Inoltre diciamo che presentarsi per quello che si è, è<br />
la prima forma di rispetto che dobbiamo avere per noi stessi, è il segno che almeno noi ci<br />
accettiamo per quello che siamo.<br />
Ora ci permettiamo dare qualche suggerimento che ci sembra opportuno.<br />
Premesso che non dobbiamo mai smentire noi stessi, falsare il nostro carattere ed il nostro<br />
sentimento relativo alla particolare situazione in cui ci troviamo (indossando, cioè, una maschera<br />
che ci renderebbe ridicoli), stiamo però attenti che comunque dobbiamo adeguare il nostro<br />
comportamento alle circostanze.<br />
Una persona elegante, che porta con disinvoltura il frac (in italiano si direbbe meglio "marsina",<br />
ma chi l'usa più questo vocabolo?) quando va alla Scala o al San Carlo, sarebbe ridicola se andasse<br />
in frac allo stadio.<br />
Così un <strong>parlare</strong> forbito ed elegante in famiglia, a tavola, sortirebbe l'unico effetto di far vomitare i<br />
familiari deboli di stomaco. E ad un fanciullo di sette anni (seconda elementare) che ci chiedesse<br />
come nascono i bambini, appariremmo dei fottuti alienati se glielo spiegassimo col linguaggio di<br />
un saputo ginecologo.<br />
In conclusione: mostriamoci, anche nell'uso della lingua, autentici ed originali, che vuol dire essere<br />
fedeli al nostro modo di essere e non scimmiottare gli altri; però usiamo pure il buon senso di
adeguarci alle diverse circostanze, ai diversi ambienti, ai diversi interlocutori.<br />
Quello che a noi deve interessare è presto detto, in due soli punti:<br />
- salvaguardiamo sempre la "chiarezza" sia tenendo conto dei destinatari del nostro<br />
messaggio, sia soprattutto usando correttamente la grammatica ed il lessico, in modo<br />
da non provocare ambiguità nei concetti che intendiamo esprimere;<br />
- cerchiamo di essere il più possibile "gradevoli" ma non "ricercati" nell'espressione,<br />
indulgendo con moderazione ad immagini colorite ed evitando l'uso di vocaboli triviali,<br />
specialmente se gratuiti (com'è il caso del nostro "fottuti" precedente, da noi usato a<br />
titolo di provocazione, per poter poi più concretamente richiamare la tua attenzione<br />
sulla inopportunità di certe scelte linguistiche; e un po' prima abbiamo inserito nel<br />
discorso due volte il verbo "comparire": la prima volta nel senso di "far bella figura" e<br />
la seconda nel senso di "presentarsi". Ebbene, mentre nel secondo caso non c'è nulla<br />
da obiettare perché abbiamo usato il verbo nel suo significato più comune, nel primo<br />
caso, forse, sarebbe stato opportuno non usarlo: infatti, anche se molti vocabolari<br />
registrano quel verbo con entrambi i significati, noi siamo quasi certi di aver creato<br />
qualche difficoltà a molti ragazzi del Nord).<br />
Ora ti presentiamo due brani che, secondo il nostro gusto, giudichiamo il primo positivamente, il<br />
secondo negativamente.<br />
Il primo è tratto da "Il piatto piange" di Piero Chiara e parla di Mamarosa, una prostituta di Luino<br />
che ha dedicato tutta la vita al piacere dei giovani del suo paese. Il secondo è un elogio alla città di<br />
Genova pronunciato dal poeta-tribuno D'Annunzio nel suo discorso del 4 maggio 1915, a sostegno<br />
della tesi interventista alla vigilia della nostra partecipazione alla prima guerra mondiale (l'Italia<br />
entrò in guerra il 24 maggio di quello stesso anno).<br />
Pur tenendo conto che i due scritti appartengono ad epoche diverse (1958 il primo e 1915 il<br />
secondo), la retorica del secondo ci appare tanto sgargiante e fastidiosa quanto misurata e<br />
gradevole la semplicità del primo:<br />
«Quando penso a questa donna che si è sacrificata per noi, stando là dentro fino alla morte a<br />
impallidire e a ingrassare, per il godimento degli altri, e guadagnando soldi che non poteva<br />
nemmeno spendere (a meno che non avesse il sogno, onesto, di andare a passare la vecchiaia<br />
in riviera), mi dispiace che non sia possibile farle un monumento, vicino a quello di Garibaldi,<br />
che in fondo a Luino è venuto solo di scappata e per i suoi bisogni, portandosi anche via<br />
quattrocentocinquanta lire austriache (tutte quelle che aveva trovato nelle casse del<br />
Municipio) e chissà quante razioni di pane, vino e formaggio. E il sale. Ci sono ancora le<br />
ricevute in casa Strigelli»<br />
*****************
«Genova, la città che assalta il cielo con la scala titanica dei sovrapposti palagi e sembra avere<br />
in sé un impeto di ascendere, che dalle sue vecchie fondamenta la sollevi su per le sue giovani<br />
alture, come a veder più lontano; Genova, che dantescamente dei remi fece ala a sé per<br />
traversare i secoli con un battito assiduo di potenza; la più feconda delle stirpi italiche,<br />
migatrice come Corinto e come Atene; quella ch'ebbe in retaggio lo spirito dell'Ulisse tirreno<br />
per tentare e aprire tutte le vie, per popolare i lidi più remoti, per fornire uomini e navi a tutti i<br />
principi, per dare capitani a tutte le armate, per portare nell'Atlantico le costumanze del<br />
Mediterraneo, per instituire con incomparabile sapienza di leggi il primo Consolato del Mare,<br />
per iniziare nel Breve della Compagna il primo Contratto sociale; la razza assuefatta<br />
all'avversità, secondo l'eterna parola di Virgilio, indomita in resistere, cercare, durare: la più<br />
antica nella successione della romanità se si pensi ch'ebbe i consoli prima d' ogni altra, la più<br />
nuova nel presentimento dell'avvenire se si consideri la recentissima figura del diritto foggiata<br />
nel suo porto dalla sua gente di mare; radicata nel più profondo passato, protesa verso il più<br />
remoto futuro; simile a un nodoso albero di vita travagliato da una perenne primavera; nel suo<br />
stesso aspetto vecchia come le metropoli che compirono il lor destino magnifico e giacquero<br />
sotto il cumulo inerte della loro storia, giovine come le dimore edificate con rapida<br />
sovrabbondanza dalle civiltà avveniticce che s'armano d' armi improvvise per la lotta e per la<br />
signoria; Genova è degna di sollevare un'altra volta al conspetto della nazione, in un'ora ben<br />
più tremenda, nel più arduo punto del nostro ciclo, quella 'tazza di salute' che è il simbolo<br />
della vittoria interiore su la viltà, sul tradimento, su la paura, su ogni miseria e contagio<br />
d'uomini e di cose»
IL LINGUAGGIO FIGURATO<br />
Il linguaggio figurato è una forma d'espressione tipica delle arti figurative (pittura, scultura) ma<br />
che è anche largamente impiegato nell'uso della lingua a tutti i livelli, cioè da parte di chi parla o<br />
scrive alla buona e da parte di scrittori di talento.<br />
Esso consiste nell'usare accorgimenti tecnici nella costruzione della proposizione o espressioni<br />
linguistiche improprie dal punto di vista della grammatica o immagini che solo per analogia sono<br />
riconducibili al fatto o al soggetto di cui si parla o si scrive.<br />
Questo si fa per dare vivacità e colore e sapore al discorso ,e vale sia per commuovere che per<br />
rallegrare, sia quando si vuol fare dell'ironia che quando si vuol discutere seriamente ma con una<br />
certa incisività, sia quando si vuole esasperare la drammaticità di un avvenimento che quando si<br />
vuole portarne all'estremo la comicità.<br />
L'uso del linguaggio figurato è facoltà istintiva nell'uomo ed è in stretto rapporto con l'estro, il<br />
talento, il gusto di chi parla o scrive. Tutti l'adoperiamo, con maggiore o minore spontaneità, con<br />
signorilità o con volgarità. <strong>Per</strong> esempio se tu, per scherzo o per profondo convincimento (dipende<br />
da lui!), apostrofi un amico con questa espressione: «Ma va', che sei proprio uno stronzo!»,<br />
praticamente stai usando il linguaggio figurato per il semplice fatto che una persona, con tutta la<br />
buona volontà, non potrebbe mai essere un "escremento a forma di cilindro" (secondo la<br />
definizione del Dizionario di Devoto-Oli). Tu forse non lo sai, ma in effetti hai adoperato una<br />
metafora (in quanto attribuisci all'amico la squallida e ributtante qualità degli escrementi) mista di<br />
ironia o sarcasmo (a seconda che tu abbia detto quell'espressione per scherzo o seriamente).<br />
Questi modi di dire in cui si trasporta da un significato ad un altro un'espressione o una singola<br />
parola, si dicono Traslati. Oltre a quelli già menzionati (metafora, ironia, sarcasmo), ricorda questi<br />
pochi altri, non tanto perché tu possa usarli (in quanto li hai sempre usati), ma perché essi<br />
ricorrono frequentemente nel <strong>parlare</strong> quotidiano proprio come vocaboli («Montanelli ha fatto<br />
sfoggio di "eufemismi" nel commentare le ultime iniziative del governo») ed è perciò bene che tu li<br />
conosca:<br />
l'allegoria si ha quando si attribuisce un significato diverso da quello letterale ad un intero<br />
racconto (per es. una parabola del Vangelo, una favola di Fedro) o ad un'unica immagine (per es. la<br />
"lupa" del 1° canto dell' "Inferno" che in effetti rappresenta l'avarizia);<br />
l'antonomasia si ha quando si cita un personaggio illustre non col suo nome ma con un altro che lo<br />
individua facilmente (per es. dicendo "Il Sacro Vate" per dire Dante o "Il segretario fiorentino" per<br />
dire Machiavelli);<br />
l'eufemismo si ha quando si evita di usare il vocabolo proprio per indicare un fatto doloroso (per<br />
es. quando si dice che "uno è passato a miglior vita" invece di dire più semplicemente, ma più<br />
crudamente, che è morto);<br />
l'iperbole si ha quando si esagera una circostanza per polemica o per rimprovero o per millanteria
("Ti sto aspettando da un secolo" per rinfacciare ad un amico il ritardo con cui si è presentato<br />
all'appuntamento; oppure, per fare il gradasso: "Al mare le ragazze mi venivano dietro a<br />
migliaia").<br />
P.S.: E' bello e a volte conveniente usare il linguaggio figurato, purché ciò si faccia con garbo e con<br />
misura, evitando le ossessive ripetizioni, le banalità, le trivialità. <strong>Per</strong>ciò, attento a come parli!