La terapia dell'ansia e della depressione nell'anziano - E-Noos.It
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<strong>La</strong> <strong>terapia</strong> dell’ansia<br />
e <strong>della</strong> <strong>depressione</strong> nell’anziano<br />
CLAUDIO VAMPINI (1) , CESARIO BELLANTUONO (2)<br />
(1) Dipartimento per la Salute Mentale, Ospedale Civile Maggiore, Verona<br />
(2) Sezione di Psichiatria - Unità di Psicofarmacologia Clinica - Dipartimento di<br />
Medicina e Sanità Pubblica, Università di Verona<br />
RIASSUNTO<br />
Dal momento che il numero degli anziani è in continuo aumento, i disturbi d’ansia e<br />
depressivi dell’età senile stanno diventando un grave problema di salute mentale.<br />
L’ansia e la <strong>depressione</strong> negli anziani pongono specifici problemi diagnostici, date le<br />
differenti modalità di presentazione clinica rispetto agli adulti giovani. I dati di letteratura<br />
sulla <strong>terapia</strong> farmacologica dell’ansia e <strong>della</strong> <strong>depressione</strong> negli anziani sono relativamente<br />
scarsi e riguardano soprattutto i soggetti più giovani e fisicamente sani.<br />
Nella pratica clinica, il trattamento risulta complicato dalle modificazioni fisiologiche<br />
associate alla vecchiaia e dall’accresciuta probabilità di una comorbilità somatica.<br />
Questi fattori devono essere presi in considerazione nella scelta dei farmaci ansiolitici<br />
ed antidepressivi da impiegare negli anziani. Inoltre, si dovrebbero scegliere farmaci<br />
quanto possibile privi di effetti indesiderati a carico <strong>della</strong> funzione psicomotoria e<br />
cognitiva, di rischio cardiovascolare e senza potenziali interazioni farmacocinetiche.<br />
Verranno riassunti alcuni principi generali per un trattamento farmacologico razionale<br />
dell’ansia e <strong>della</strong> <strong>depressione</strong> negli anziani.<br />
Parole chiave: Anziani, ansia, <strong>depressione</strong>, ansiolitici, antidepressivi.<br />
SUMMARY<br />
As the number of elderly people is increasing, late onset anxiety and depression disorders<br />
are becoming a major mental health concern. Anxiety and depression in old age<br />
are known to pose specific diagnostic problems, because of the differences in clinical<br />
presentation compared with younger age groups. Studies on the pharmacotherapy of<br />
anxiety and depression in the elderly are relatively scarce and often limited to that in<br />
younger and healthy elderly. In routine clinical practice, the management is complicated<br />
both by the physiological changes associated with ageing and by the increased likelihood<br />
of comorbid physical illnesses. These factors should be taken into account<br />
when anxiolytic and/or antidepressant drugs are prescribed to elderly people.<br />
First line psychotropic drugs in this population should have minimal unwanted effects<br />
on the psychomotor and cognitive function, on the cardiovascular system, and should<br />
be at lower risk of drug-drug interactions. Some basic guidelines are given on the<br />
pharmacological treatment of anxiety and depression in the elderly.<br />
Key words: Elderly, anxiety, depression, anxiolytics, antidepressants.<br />
Indirizzo per la corrispondenza: : Dott. Claudio Vampini, 2° Servizio Psichiatrico, Ospedale Civile<br />
Maggiore, Piazzale A. Stefani - 37121 Verona. Tel. 045 8072715; Fax 045 8073299.<br />
PSICOFARMACOTERAPIA<br />
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LA TERAPIA DELL’ANSIA E DELLA<br />
DEPRESSIONE NELL’ANZIANO<br />
PROBLEMI FARMACOLOGICI CORRELATI ALL’INVECCHIAMENTO:<br />
CONSIDERAZIONI GENERALI<br />
Il processo d’invecchiamento è caratterizzato da una serie di complesse<br />
modificazioni fisiopatologiche che vanno nella direzione di una diminuita<br />
efficienza e di una ridotta capacità funzionale. Il numero e l’entità di queste<br />
modificazioni variano notevolmente da individuo ad individuo ed anche in<br />
un medesimo soggetto la riduzione delle funzioni fisiologiche spesso non si<br />
ripercuote allo stesso modo su differenti organi o tessuti. I principali problemi<br />
da considerare nell’ambito di un trattamento psicofarmacologico razionale<br />
dell’anziano sono sintetizzati nella tabella I.<br />
Modificazioni farmacodinamiche. Nel cervello senile si verifica una riduzione<br />
<strong>della</strong> trasmissione neuronale, correlata sia a modificazioni nella quantità<br />
e nell’attività dei neurotrasmettitori, sia ad una ridotta sensibilità recettoriale.<br />
Questo fenomeno viene ritenuto responsabile, in parte, dell’alterata<br />
risposta clinica che si può verificare negli anziani sottoposti a trattamenti psicofarmacologici<br />
e dell’ipersensibilità agli effetti indesiderati dei farmaci.<br />
L’età avanzata è accompagnata da una riduzione del numero dei neuroni<br />
colinergici che dal tronco proiettano alla corteccia. Il meccanismo di questa<br />
perdita selettiva di neuroni colinergici non è noto. Un fattore potrebbe essere<br />
quello di una riduzione progressiva, con l’età, <strong>della</strong> disponibilità di colina a<br />
livello del SNC e quindi del venir meno <strong>della</strong> sintesi di acetilcolina, con conseguente<br />
compromissione neuronale 1 . Il sistema dopaminergico va incontro<br />
con l’età a numerose modificazioni neurobiologiche. Anzitutto il numero di<br />
neuroni nella substantia nigra declina con l’età. Inoltre, la riduzione nell’attività<br />
dell’enzima biosintetico tirosina idrossilasi, insieme con l’incremento<br />
di attività dell’enzima catabolico MAO-B può dar luogo ad un decremento<br />
dei livelli di dopamina nei neuroni residui 2 . Il processo d’invecchiamento è<br />
caratterizzato da modificazioni neurobiologiche che tendono a ridurre anche<br />
il tono noradrenergico. Questi cambiamenti comprendono un declino nel<br />
numero di neuroni noradrenergici nel locus coeruleus, insieme con la riduzione<br />
di attività dell’enzima tirosina idrossilasi. A livello recettoriale si evi-<br />
Tabella I. Problemi specifici nel trattamento psicofarmacologico degli anziani.<br />
♦ Modificazioni farmacodinamiche<br />
♦ Modificazioni farmacocinetiche<br />
♦ Comorbilità somatica<br />
♦ Poli<strong>terapia</strong> farmacologica<br />
♦ Interazioni farmacologiche
denzia una riduzione di densità dei recettori α 2 , β 1 e β 2 nelle aree di proiezione<br />
del locus coeruleus 3 . Le modificazioni del sistema serotoninergico<br />
centrale correlate all’invecchiamento comprendono una riduzione del numero<br />
delle terminazioni nervose serotoninergiche nella neocorteccia e dell’attività<br />
dell’enzima biosintetico triptofano idrossilasi. Le modificazioni a livello<br />
recettoriale appaiono complesse e differenziate rispetto ai vari sottotipi di<br />
recettori serotoninergici 4 . Per quanto riguarda, infine, il sistema<br />
GABAergico, vi sono relativamente pochi dati, derivanti da riscontri autoptici,<br />
che hanno dimostrato nella vecchiaia una riduzione nel numero dei neuroni<br />
GABAergici e nell’attività dell’enzima biosintetico decarbossilasi dell’acido<br />
glutammico in alcune zone del SNC, insieme con un abbassamento dei<br />
livelli di GABA nel LCS. D’altra parte i dati sperimentali derivanti da studi<br />
su animali depongono per una non modificazione età-correlata del tasso di<br />
recettori GABA 5 .<br />
Modificazioni farmacocinetiche. L’invecchiamento è associato a modificazioni<br />
farmacocinetiche che tendono a ridurre la capacità e l’efficienza dell’organismo<br />
a metabolizzare numerosi psicofarmaci (tabella II). L’assorbimento<br />
dei farmaci assunti per via orale può essere ostacolato negli anziani<br />
dalla riduzione, età-correlata, dell’acidità gastrica, del flusso ematico mesenterico,<br />
<strong>della</strong> superficie di assorbimento e del trasporto attraverso la membrana<br />
dell’epitelio intestinale, così come dalla riduzione <strong>della</strong> motilità gastrointestinale<br />
e dall’allungamento del tempo di svuotamento gastrico. In realtà,<br />
salvo che nei casi di effettiva patologia gastrointestinale, il tasso di assorbimento<br />
degli psicofarmaci non risulta alterato in modo significativo. Le modificazioni<br />
<strong>della</strong> distribuzione dei farmaci caratteristiche dell’invecchiamento,<br />
derivano dalla riduzione <strong>della</strong> massa muscolare e del contenuto totale di<br />
acqua nel corpo, mentre il grasso totale aumenta relativamente al peso corporeo.<br />
Dal momento che tutti gli psicofarmaci, eccetto il litio, sono liposolubili,<br />
il loro volume di distribuzione si incrementa, con la conseguenza di un<br />
aumento dell’emivita di eliminazione senza che risultino modificati i livelli<br />
plasmatici in steady state, anche in assenza di modificazioni <strong>della</strong> clearance.<br />
<strong>La</strong> conseguenza clinica è che è richiesto un tempo più lungo per raggiungere<br />
Tabella II. Possibili modificazioni farmacocinetiche negli anziani.<br />
MODIFICAZIONI FISIOLOGICHE EFFETTI FARMACOCINETICI<br />
↓ tasso di filtrazione glomerulare ↓ escrezione metaboliti idrosolubili<br />
↓ attività degli enzimi epatici ↑ emivita degli antidepressivi<br />
↓ flusso sanguigno epatico ↓ tasso di clearance plasmatica<br />
↑ relativo del grasso corporeo ↑ relativo del volume di distribuzione<br />
↓ proteine plasmatiche ↑ <strong>della</strong> frazione libera dei farmaci<br />
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lo steady state durante somministrazioni ripetute e che l’emivita di eliminazione<br />
risulta prolungata, con un possibile prolungamento <strong>della</strong> durata d’azione.<br />
In età avanzata, il legame con le proteine plasmatiche è modificato per gli<br />
psicofarmaci come conseguenza di una lieve riduzione dei livelli di albumina<br />
plasmatica, che comporta un aumento <strong>della</strong> quota libera di alcuni composti,<br />
ad esempio le benzodiazepine (BDZ) e gli antipsicotici (AP) e di un modesto<br />
incremento <strong>della</strong> α-glicoproteina acida, che si traduce in una riduzione <strong>della</strong><br />
quota libera di altri composti, come gli antidepressivi (AD) eterociclici. Dal<br />
punto di vista clinico, le modificazioni delle proteine plasmatiche possono<br />
talora, ma non necessariamente, essere associate con fenomeni di tossicità di<br />
alcuni psicofarmaci che si osservano negli anziani, specie in soggetti con<br />
malnutrizione e/o malattie somatiche concomitanti. L’invecchiamento è<br />
accompagnato dalla riduzione <strong>della</strong> metabolizzazione epatica di molti farmaci<br />
psicotropi, riduzione che sembra associata, almeno in parte, alla diminuzione<br />
di volume e di flusso sanguigno cui va incontro il fegato con l’invecchiamento.<br />
Il grado di alterazione diretta età-correlata dei sistemi enzimatici<br />
epatici non è ancora ben chiaro. <strong>La</strong> prima trasformazione enzimatica è costituita<br />
per molti composti dalla demetilazione, che produce in genere un metabolita<br />
attivo. Successive tappe ossidative sono catalizzate dagli isoenzimi del<br />
citocromo P-450 (CYP-450) che sono situati nei microsomi epatici. Attraverso<br />
meccanismi che non sono ancora chiariti, molti di questi isoenzimi sembrano<br />
ridurre la loro attività con l’invecchiamento, specie nei soggetti di<br />
sesso maschile 6 .<br />
<strong>La</strong> riduzione di attività di questi isoenzimi può derivare anche dal polimorfismo<br />
genetico (ad esempio CYP2D6), da malattie concomitanti e dall’inibizione<br />
da parte di farmaci cosomministrati, come verrà esposto in seguito. Il<br />
rallentamento <strong>della</strong> metabolizzazione epatica degli psicofarmaci determina,<br />
negli anziani, livelli di picco plasmatico e di steady state più elevati rispetto<br />
agli adulti giovani che ricevono gli stessi dosaggi di farmaco, per la riduzione<br />
del cosiddetto first pass effect a livello <strong>della</strong> circolazione portale, che<br />
determina una maggiore biodisponibilità sistemica di vari composti. Infine, i<br />
processi di coniugazione che determinano la formazione di metaboliti idrosolubili<br />
glucuronati, solfati o acetati non sono modificati in modo significativo<br />
nella vecchiaia. <strong>La</strong> riduzione del metabolismo epatico negli anziani rende<br />
necessario l’impiego di molti psicofarmaci a dosi inferiori rispetto agli adulti<br />
giovani 7 . Anche il flusso renale e la filtrazione glomerulare declinano con<br />
l’età. Come risultato, la clearance renale del litio, così come dei metaboliti<br />
idrosolubili dei vari composti lipofili, è ridotta. Nei pazienti anziani si possono<br />
pertanto raggiungere in steady-state livelli elevati e potenzialmente<br />
rischiosi di litio e di metaboliti idrossilati degli antidepressivi triciclici<br />
(ATC). L’insufficienza cardiaca, il diabete o l’ipertensione possono ulteriormente<br />
ridurre la funzione renale.<br />
Comorbilità somatica. Le malattie somatiche comuni in età senile spesso<br />
hanno un impatto rilevante sulla <strong>terapia</strong> farmacologica dei disturbi psichici<br />
degli anziani. Di fatto, le conseguenze <strong>della</strong> patologia età-correlata spesso<br />
sovrastano quelle <strong>della</strong> vecchiaia normale e rendono gli anziani meno suscet-
tibili di risposta ai trattamenti e più sensibili agli effetti indesiderati. Da un<br />
lato le patologie a carico del SNC (stroke, Morbo di Parkinson, demenze),<br />
determinano ulteriori modificazioni farmacodinamiche per marcate alterazioni<br />
nel substrato neurobiologico (numero di neuroni, livello di neurotrasmettitori,<br />
densità recettoriale, ecc.), dall’altro, patologie d’organo o sistemiche<br />
quali malattie epatiche, renali, cardiovascolari, polmonari, endocrine, infettive,<br />
neoplastiche, amplificano in senso peggiorativo le modificazioni farmacocinetiche<br />
tipiche dell’invecchiamento 8 .<br />
Politerapie. Come conseguenza dell’incremento di patologie somatiche, gli<br />
anziani fanno uso di farmaci in misura maggiore rispetto agli adulti giovani.<br />
<strong>La</strong> poli<strong>terapia</strong> farmacologica è una delle principali cause <strong>della</strong> scarsa compliance<br />
che si riscontra spesso negli anziani; può inoltre contribuire in modo<br />
significativo a ridurre l’efficacia e la tollerabilità degli psicofarmaci per il<br />
rischio di indurre interazioni farmacologiche sia di tipo farmacodinamico<br />
che farmacocinetico.<br />
Interazioni farmacologiche. Le interazioni farmacodinamiche producono<br />
modificazioni negli effetti farmacologici in assenza di cambiamenti nelle<br />
concentrazioni plasmatiche. Le interazioni farmacodinamiche dirette avvengono<br />
a livello di un recettore chiave (ad esempio farmaci con proprietà anticolinergiche<br />
possono avere effetti cumulativi a livello del recettore muscarinico).<br />
Le interazioni indirette possono essere molto ovvie, come l’effetto<br />
combinato di due farmaci con proprietà sedative ma con meccanismo d’azione<br />
diverso. Un esempio tipico e frequente di interazione farmacodinamica<br />
potenzialmente rischiosa negli anziani è quella tra gli ATC ed altri composti<br />
forniti di attività anticolinergica (antiparkinsoniani, antispastici, antistaminici,<br />
AP, ecc.), che determina il potenziamento degli effetti anticolinergici centrali<br />
e periferici. <strong>La</strong> riduzione nella risposta degli adrenorecettori α 2 può accompagnare<br />
l’invecchiamento e può contribuire all’aumentato rischio di ipotensione<br />
ortostatica dell’anziano.<br />
L’ipotensione ortostatica è un grave rischio nella popolazione anziana, e la<br />
possibilità di un’interazione dinamica indiretta suggerisce cautela nell’uso<br />
degli AP a bassa potenza, degli ATC, del trazodone e del nefazodone quando<br />
associati agli antipertensivi. Le interazioni farmacocinetiche possono avvenire<br />
a livello di assorbimento, distribuzione, metabolismo o eliminazione, e ne<br />
può risultare una significativa variazione nella concentrazione dei farmaci<br />
coinvolti 7 . In generale, le interazioni che riducono la clearance dei farmaci<br />
con indici terapeutici ristretti, quali gli antiaritmici, gli anticoagulanti, il litio<br />
o gli ATC, sono quelle che vanno considerate con maggiore attenzione. Farmaci<br />
con proprietà anticolinergiche possono ridurre l’assorbimento a causa<br />
di un ritardo nello svuotamento gastrico. Raramente si riscontrano effetti clinici<br />
derivanti dallo spiazzamento degli psicofarmaci dal legame proteico ad<br />
opera di altri farmaci che competono per lo stesso sito, con conseguente<br />
aumento <strong>della</strong> frazione libera. Le principali interazioni cinetiche a livello di<br />
metabolismo coinvolgono il sistema degli isoenzimi del CYP-450 e verranno<br />
riassunte nei paragrafi dedicati alle varie classi farmacologiche.<br />
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I DISTURBI D’ANSIA<br />
I dati epidemiologici sulla prevalenza dei disturbi d’ansia negli anziani variano<br />
a seconda del setting, degli approcci metodologici e degli strumenti utilizzati.<br />
Gli studi effettuati sul territorio, nei quali sono stati impiegati questionari specificatamente<br />
disegnati per la popolazione anziana, hanno evidenziato che la<br />
prevalenza dei disturbi d’ansia nel loro insieme varia dal 13,7% al 15,0% e<br />
l’incidenza è del 4,4% 9 . I sintomi d’ansia insorti per la prima volta in età avanzata<br />
possono talora configurarsi in modo tale da soddisfare i criteri diagnostici<br />
per i Disturbi d’Ansia, secondo il DSM-IV (GAD, Disturbo da Attacchi di<br />
Panico, ecc.) o l’ICD-10. In molti casi, peraltro, la sintomatologia ansiosa non<br />
raggiunge negli anziani la gravità e la durata tale da includerla in sindromi cliniche<br />
definite, rimanendo, invece, in una dimensione “sottosoglia”. È da notare,<br />
inoltre, come i criteri diagnostici del DSM-IV non prendano in considerazione<br />
alcune caratteristiche peculiari e specifiche delle manifestazioni dell’ansia<br />
negli anziani, la cui espressività varia notevolmente da soggetto a soggetto,<br />
a seconda di fattori quali la presenza di malattie mediche concomitanti, di deficit<br />
cognitivi, di <strong>depressione</strong>, o altro. I sintomi d’ansia mostrano inoltre negli<br />
anziani, una sorprendente variabilità nel corso del tempo. L’evidenziazione di<br />
questa patoplasticità nell’anziano, oltre alla frequente presenza di quadri clinici<br />
atipici, suggerisce di adottare nella pratica clinica un approccio dimensionale,<br />
cioè basato sulla gravità dei sintomi stessi, quali essi siano e non solo categoriale,<br />
cioè per diagnosi di malattia, poiché ciò potrebbe comportare una sottostima<br />
del reale impegno emotivo del paziente 10 .<br />
Caratteristiche cliniche dell’ansia negli anziani. L’ansia si può manifestare<br />
negli anziani in modo atipico rispetto ai soggetti in età adulta-giovanile,<br />
con una peculiare commistione di sintomi cognitivi, emotivi e somatici.<br />
Comune è la riduzione di concentrazione, attenzione e memoria, così come<br />
le sensazioni di mancamento e le vertigini. Se questi ultimi sintomi sono già<br />
presenti, l’ansia li può esacerbare. L’insonnia è quasi sempre presente. Livelli<br />
elevati d’ansia possono mimare i sintomi di malattie cardiovascolari, endocrine<br />
e neurologiche, che insorgono comunemente nelle persone anziane e<br />
possono indurre queste ultime a credere di esserne affette (tabella III).<br />
Ansia e malattie organiche. Diverse malattie organiche comuni in età avanzata,<br />
così come alcuni farmaci di uso frequente, possono comportare l’insorgenza<br />
di un’ansia sintomatica, la cui eventualità deve perciò essere considerata<br />
tanto nel momento diagnostico che in quello terapeutico (tabella IV).<br />
Una possibile causa organica <strong>della</strong> sindrome ansiosa dell’anziano andrebbe<br />
presa in considerazione in caso di:<br />
a) segni e sintomi d’ansia che insorgono all’esordio o all’esacerbazione di<br />
una patologia; b) esordio tardivo di disturbi specifici (ad esempio: sintomi<br />
tipo attacco di panico che si presentano oltre i 60 anni); c) segni e sintomi<br />
“atipici” quali perdita di coscienza, segni neurologici, ecc.); d) anamnesi<br />
familiare e personale negativa per disturbi d’ansia; e) assenza di eventi stressanti.<br />
Quando una causa organica è responsabile dell’ansia, una corretta dia-
Tabella III. Sintomatologia ansiosa rilevante nell’anziano.<br />
SINTOMI D’ANSIA MALATTIA SOMATICA TEMUTA<br />
DAL PAZIENTE<br />
Nausea, bruciore addominale, Malattie gastrointestinali (neoplasie)<br />
eruttazioni, flatulenza, stipsi, diarrea<br />
Peso retrosternale, difficoltà Attacco cardiaco<br />
respiratorie, tachicardia<br />
Riduzione di memoria, attenzione Malattia di Alzheimer<br />
e concentrazione<br />
gnosi ed un trattamento appropriato del disturbo somatico di base avrà un<br />
effetto positivo anche sui sintomi emotivi.<br />
Ansia e <strong>depressione</strong>. Nell’anziano, ancor più che negli adulti giovani, ansia<br />
e <strong>depressione</strong> spesso coesistono, tanto che può risultare difficile operare una<br />
distinzione o determinare quale gruppo di sintomi prevalga. Sentimenti di<br />
perdita, inutilità e disperazione, così come paure ipocondriache, turbe dell’appetito<br />
e del sonno e riduzione di memoria e concentrazione, possono<br />
essere associati sia all’ansia che alla <strong>depressione</strong>. Tipicamente, gli anziani<br />
possono impiegare indifferentemente il termine “ansia” o “<strong>depressione</strong>” per<br />
descrivere il proprio disagio soggettivo. Viene suggerito, quale possibile<br />
discriminante diagnostico <strong>della</strong> predominanza di un nucleo ansioso, la presenza<br />
di un vissuto di apprensività rispetto alla propria situazione, traducibile<br />
Tabella IV. Malattie organiche associate a sintomi di ansia.<br />
Condizioni che producono tremore, tachicardia o ipereccitabilità<br />
♦ Ipoglicemia<br />
♦ Feocromocitoma<br />
♦ Ipertirodismo<br />
Condizioni che producono paura, confusione, astenia, vertigini,<br />
difficoltà respiratorie, sudorazione<br />
♦ Infarto miocardico silente<br />
♦ Embolia polmonare<br />
♦ Attacco ischemico transitorio o stroke di lieve entità<br />
♦ Eccessiva assunzione di caffeina<br />
♦ Simpaticomimetici contenuti in composti da banco<br />
♦ Sindrome da sospensione da sedativi, ipnotici o alcool<br />
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nella richiesta che “qualcosa deve essere fatto” ed accompagnato da segni<br />
autonomici di attivazione simpatica (tachicardia, sudorazione, ecc.). Al contrario,<br />
gli anziani depressi sono spesso rallentati, inibiti ed anergici, non<br />
esprimono bisogno di aiuto quanto piuttosto il vissuto che “per loro nulla<br />
può più essere fatto”. L’incapacità a concentrarsi deriva in tali soggetti dalla<br />
perdita di interesse e motivazione, elemento nucleare <strong>della</strong> <strong>depressione</strong>, anziché<br />
dall’irrequietezza e distraibilità tipica degli stati d’ansia 11 .<br />
Trattamento farmacologico dell’ansia. <strong>La</strong> decisione di trattare farmacologicamente<br />
un anziano ansioso dipende dalla gravità dei sintomi d’ansia e dell’impatto<br />
negativo di questi ultimi sul livello di funzionamento complessivo.<br />
L’ansia in età avanzata, oltre che interferire con le attività interpersonali e<br />
sociali, può peggiorare ulteriormente le funzioni cognitive e aggravare le manifestazioni<br />
di malattie fisiche concomitanti. Il trattamento farmacologico dell’ansia<br />
negli anziani non dovrebbe essere considerato isolatamente, ma come<br />
parte di una strategia terapeutica complessiva. In alcuni casi risulta, infatti, evidente<br />
come l’ansia sia correlata a condizioni effettive di bisogno e di carenza<br />
di risorse che suggeriscono interventi di tipo sociale, oltre che medico. Ove si<br />
identifichi un chiaro evento scatenante, il discutere strategie alternative di comportamento<br />
può essere di utilità, così come possono essere indicati, in casi particolari,<br />
trattamenti di psico<strong>terapia</strong> breve, di <strong>terapia</strong> cognitivo-comportamentale<br />
o tecniche di rilassamento, da sole o integrate con un trattamento farmacologico.<br />
Per quanto riguarda infine, il trattamento a lungo termine dei disturbi d’ansia<br />
ben definibili in sindromi cliniche (disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo<br />
da attacchi di panico, fobia sociale ed ansia generalizzata), si ricorda che i farmaci<br />
di scelta sono gli SSRI, a cui eventualmente si può associare una BDZ<br />
per il controllo dei sintomi ansiosi e/o dell’insonnia.<br />
Benzodiazepine<br />
Nell’ambito dei farmaci ad attività ansiolitica e/o ipnotica, le BDZ rappresentano<br />
ancora oggi la classe più utilizzata sia nella medicina generale che in<br />
ambito specialistico. Uno dei rilievi più costanti nelle ricerche sulle BDZ è il<br />
loro maggiore consumo negli anziani rispetto alla popolazione generale 12 .<br />
Nonostante la diffusa prescrizione di BDZ negli anziani in vari setting, sia<br />
ambulatoriali che ospedalieri e istituzionali, relativamente scarsi sono a<br />
tutt’oggi gli studi controllati condotti specificatamente in popolazioni di età<br />
superiore a 65 anni. Pertanto, le raccomandazioni sulle modalità d’impiego<br />
delle BDZ nel trattamento dell’ansia negli anziani sono estrapolate, in prevalenza,<br />
dagli studi clinici effettuati sugli adulti giovani. Numerose ricerche di<br />
base in ambito di farmacocinetica e di farmacodinamica hanno fornito ai clinici<br />
indicazioni su aspetti di eterogeneità tra i vari composti che risultano di<br />
rilevanza clinica in soggetti fragili e sensibili quali gli anziani.<br />
Rilevanza clinica dei dati farmacocinetici<br />
Le caratteristiche cinetiche delle BDZ che rivestono un ruolo essenziale dal<br />
punto di vista clinico sono la lunghezza dell’emivita plasmatica (T 1 / 2) ed il
tipo di metabolismo, in particolare la presenza di tappe metaboliche che prevedano<br />
o meno l’idrossilazione e l’eventuale formazione di metaboliti attivi.<br />
È opportuno ricordare a questo proposito che esistono, per farmaci come le<br />
BDZ, due valori del T 1 / 2. Il primo, T 1 / 2, esprime la fase di distribuzione dal<br />
sistema vascolare ai tessuti ed è parzialmente indicativo <strong>della</strong> durata d’azione<br />
<strong>della</strong> BDZ. Negli anziani si verifica, anche per le BDZ, un incremento del T 1 / 2<br />
e del volume di distribuzione, un ridotto tasso di eliminazione e quindi un<br />
aumento <strong>della</strong> durata d’azione rispetto agli adulti giovani. Fa eccezione l’alprazolam,<br />
il cui volume di distribuzione, per ragioni non chiarite, si riduce lievemente<br />
nei soggetti anziani di sesso maschile e rimane invariato in quelli di<br />
sesso femminile, con il vantaggio di una durata d’azione più simile a quella<br />
degli adulti giovani. Il secondo, T 1 / 2, rappresenta la fase di eliminazione ed è<br />
quindi indice del metabolismo e dell’escrezione <strong>della</strong> BDZ. Quando si parla<br />
dell’emivita di una BDZ si fa sempre riferimento al T 1 / 2, dal momento che è<br />
questo parametro che presenta le più ampie oscillazioni tra le diverse molecole<br />
(da 2-3 ore fino a più di 100 ore) e che è rilevante per spiegare i fenomeni<br />
di accumulo dopo uso prolungato. È importante, di conseguenza, non identificare<br />
il valore dell’emivita (T 1 / 2) con la durata d’azione, che nel caso delle<br />
BDZ, dipende dal T 1 / 2 e può variare notevolmente a seconda <strong>della</strong> sensibilità<br />
individuale, del composto utilizzato e <strong>della</strong> dose somministrata.<br />
Tenendo conto dei suddetti parametri cinetici le BDZ possono essere distinte<br />
in due grandi categorie: a) BDZ ad emivita medio-lunga (eliminazione lenta<br />
e formazione di metaboliti attivi); b) BDZ ad emivita breve-ultrabreve (eliminazione<br />
rapida senza formazione di metaboliti attivi). Le BDZ ad emivita<br />
medio-lunga sono caratterizzate da un’emivita superiore alle 24 ore (come<br />
nel caso di nitrazepam e flunitrazepam) o alle 48 ore (come nel caso di diazepam,<br />
flurazepam, ecc.). Dal punto di vista metabolico questi composti<br />
vanno incontro, prima di essere coniugati con acido glucuronico e quindi eliminate,<br />
ad una serie di tappe metaboliche (con formazione di metaboliti attivi)<br />
di cui la più importante è la demetilazione con successiva idrossilazione<br />
(o la nitroriduzione nel caso di nitrazepam e flunitrazepam). L’idrossilazione<br />
epatica è il processo metabolico che rende ragione <strong>della</strong> lunga emivita e del<br />
conseguente accumulo di farmaco nell’organismo dopo uso prolungato. Nell’anziano<br />
e nel paziente con alterata funzionalità epatica (ad esempio: cirrotici,<br />
epatopatici, ecc.) questi farmaci vengono, di conseguenza, sconsigliati<br />
proprio perché in questi soggetti i processi di idrossilazione epatica sono, di<br />
per sé, già compromessi. Le conseguenze cliniche di un accumulo di BDZ a<br />
livello del SNC possono essere rappresentate da condizioni di eccessiva<br />
sedazione, astenia, alterata performance psicomotoria e cognitiva, talora ipotensione.<br />
Va precisato, inoltre, che molti dei composti inclusi in questa categoria<br />
non hanno come tali una emivita lunga (ad esempio diazepam e medazepam<br />
hanno un T 1 / 2 che si aggira intorno alle 15-20 ore); la lunghezza dell’emivita<br />
è, di fatto, determinata per questi farmaci dalla formazione di un<br />
prodotto metabolico attivo: il desmetildiazepam o nordiazepam che possiede<br />
una emivita variabile dalle 48 alle 100 ore. Il nitrazepam ed il flunitrazepam<br />
(nitro-BDZ), caratterizzati da una emivita plasmatica variabile dalle 24 alle<br />
48 ore, danno luogo a fenomeni di accumulo dopo uso prolungato come nel<br />
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caso dei composti pronordiazepam-simili; la loro eliminazione risulta ulteriormente<br />
prolungata nell’anziano e nel paziente epatopatico. Le BDZ ad<br />
emivita breve-ultrabreve sono caratterizzate da un’emivita di eliminazione<br />
inferiore alle 24 ore.<br />
È opportuno tuttavia distinguere dal punto di vista metabolico in questa categoria<br />
due gruppi. Il primo è rappresentato da composti che vanno incontro a<br />
processi di idrossilazione epatica e che di conseguenza modificano la loro<br />
cinetica di eliminazione nell’anziano, nel paziente epatopatico e nel caso<br />
vengano somministrati in associazione con farmaci che inibiscono i processi<br />
ossidativi, ad esempio cimetidina, propranololo, contraccettivi orali, alcuni<br />
AD <strong>della</strong> classe degli Inibitori Selettivi <strong>della</strong> Ricaptazione di Serotonina<br />
(SSRI). Appartengono a questo gruppo: le triazolo-BDZ (alprazolam, brotizolam,<br />
estazolam, etizolam e triazolam) ed il bromazepam.<br />
<strong>La</strong> particolare struttura chimica delle triazolo-BDZ determina una maggiore<br />
rapidità del processo ossidativo rispetto agli altri composti. Infatti, triazolam<br />
e brotizolam sono i composti che possiedono l’eliminazione più rapida (T 1 / 2 =<br />
2-5 ore) e la clearance dell’alprazolam è più rapida di quella <strong>della</strong> maggior<br />
parte delle BDZ a metabolismo ossidativo (T 1 / 2 = 6-16). Va segnalato come<br />
l’emivita dell’alprazolam aumenti con l’età nei soggetti di sesso maschile,<br />
mentre in quelli di sesso femminile tale effetto età-correlato è molto meno<br />
rilevante. Il secondo comprende le BDZ che vengono direttamente coniugate<br />
con acido glucuronico, e quindi eliminate. Di conseguenza, queste molecole<br />
non modificano la loro cinetica di eliminazione nemmeno nei soggetti anziani<br />
o epatopatici, né qualora vengano associate a farmaci che inibiscono i processi<br />
di idrossilazione; inoltre anche dopo somministrazioni ripetute non<br />
danno luogo a significativi fenomeni di accumulo. Appartengono a questo<br />
gruppo il lorazepam, il lormetazepam, l’oxazepam, il temazepam ed il camazepam<br />
(BDZ oxazepam-simili). Nelle tabelle V e VI sono stati riportati sinteticamente<br />
i dati farmacocinetici, clinicamente rilevanti, che caratterizzano le<br />
BDZ attualmente presenti sul mercato italiano 13 .<br />
Profilo di tollerabilità e sicurezza<br />
Gli effetti indesiderati delle BDZ molto spesso non sono altro che un’accentuazione<br />
delle loro proprietà farmacologiche, cui gli anziani risultano particolarmente<br />
sensibili. Quattro tipi di effetti vengono riportati con maggior frequenza<br />
rispetto alla popolazione adulta giovane: sedazione eccessiva, tossicità<br />
cerebellare, riduzione delle prestazioni (performance) psicomotorie e<br />
cognitive. Altri effetti meno comuni sono rappresentati da astenia muscolare,<br />
ipotensione e vertigini. Una sedazione eccessiva può peggiorare il livello di<br />
funzionamento quotidiano di un soggetto anziano ed indurre talora stati confusionali.<br />
Specie nei soggetti molto anziani ed in quelli con deterioramento<br />
cognitivo possono verificarsi effetti “paradossi,” quali disinibizione comportamentale,<br />
irrequietezza psicomotoria e stati di agitazione od eccitamento,<br />
spesso ad insorgenza notturna. Infine, l’eccessiva sedazione può determinare<br />
una <strong>depressione</strong> respiratoria, mentre la riduzione del tono muscolare delle<br />
vie aeree superiori abbassa la risposta ventilatoria all’ipossia, peggiorando le
Tabella V. Benzodiazepine ad emivita medio-lunga.<br />
♦ Principio attivo<br />
BDZ pronordiazepam simili: Clorazepato - Prazepam -<br />
Clordesmetildiazepam - Clobazam - Desmetildiazepam -<br />
Flurazepam - Clordiazepossido - Diazepam - Ketazolam -<br />
Medazepam - Pinazepam - Quazepam.<br />
Nitro-BDZ: Nitrazepam - Flunitrazepam.<br />
♦ Caratteristiche cinetiche<br />
Emivita plasmatica tra le 24 e le 48 ore per le nitro-BDZ; superiore<br />
alle 48 ore per le pronordiazepam simili.<br />
Prolungamento dell'emivita <strong>nell'anziano</strong> e nel paziente epatopatico.<br />
Metabolismo: per le BDZ pronordiazepam-simili tappa metabolica<br />
principale è la demetilazione con formazione di nordiazepam che<br />
viene successivamente idrossilato ad oxazepam e infine coniugato<br />
con acido glucuronico.<br />
Per le nitro-BDZ tappa metabolica principale è la nitroriduzione e<br />
successiva coniugazione con acido glucuronico.<br />
Formazione di metaboliti attivi con emivita superiore a quella del<br />
composto di origine.<br />
♦ Accumulo: presente dopo uso prolungato anche utilizzando<br />
una dose/die unica.<br />
♦ Interazioni:<br />
cimetidina, propranololo, SSRI e contraccettivi orali inibiscono i<br />
processi di idrossilazione epatica (P-450) e determinano un<br />
aumento del tempo di eliminazione di queste BDZ.<br />
L'associazione con alcool aumenta gli effetti sedativi ed ipotensivi.<br />
apnee di tipo ostruttivo frequenti nei soggetti in età avanzata. <strong>La</strong> tossicità<br />
cerebellare, che si manifesta con atassia, disartria, incoordinazione ed instabilità,<br />
rappresenta un ovvio svantaggio per gli anziani, molti dei quali presentano<br />
già tremore o deficit di coordinazione. Un equilibrio precario può<br />
inoltre essere responsabile di cadute a terra e di conseguenti fratture di femore<br />
14 . <strong>La</strong> riduzione <strong>della</strong> performance psicomotoria è caratterizzata da un prolungamento<br />
del tempo di reazione, da una riduzione <strong>della</strong> rapidità e dell’accuratezza<br />
dei movimenti e da una ridotta coordinazione. <strong>La</strong> presenza di questo<br />
effetto negli anziani è stata indagata sperimentalmente con somministrazioni<br />
di BDZ in acuto, per lo più su soggetti di età inferiore a 70 anni. È stata<br />
evidenziata una significativa riduzione di performance con i composti a<br />
lunga emivita, mentre con quelli a emivita breve il peggioramento risulta evi-<br />
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Tabella VI. Benzodiazepine ad emivita breve ed ultrabreve.<br />
I GRUPPO<br />
♦ Principio attivo<br />
Alprazolam - Bromazepam - Brotizolam - Estazolam - Triazolam.<br />
♦ Caratteristiche cinetiche<br />
Emivita plasmatica inferiore alle 6 ore per triazolam e brotizolam,<br />
BDZ Ultrabrevi; inferiore alle 24 ore per le altre BDZ.<br />
Prolungamento dell'emivita <strong>nell'anziano</strong> e nel paziente epatopatico<br />
Metabolismo: tappa metabolica principale è l'idrossilazione con<br />
successiva coniugazione con acido glucuronico.<br />
Formazione di metaboliti attivi ma con emivita inferiore o uguale a<br />
quella del composto di origine.<br />
♦ Accumulo: assente o minimo dopo uso prolungato.<br />
♦ Interazioni: cimetidina, propranolo, contraccettivi orali ed SSRI<br />
(in particolare fluoxetina e paroxetina) inibiscono i processi di<br />
idrossilazione epatica (P-450) e determinano di conseguenza un<br />
rallentamento del metabolismo di queste BDZ (aumento del<br />
tempo di eliminazione). Potenziamento degli effetti sedativi e<br />
rischio di ipotensione se associate ad alcool.<br />
II GRUPPO<br />
♦ Principio attivo<br />
BDZ oxazepam-simili: Camazepam - Lorazepam - Lormetazepam<br />
- Oxazepam - Temazepam<br />
♦ Caratteristiche cinetiche<br />
Emivita plasmatica inferiore alle 24 ore.<br />
Nessuna modificazione dell'emivita <strong>nell'anziano</strong> e nel paziente<br />
epatopatico.<br />
Metabolismo: coniugazione diretta con acido glucuronico.<br />
Assenza di metaboliti attivi.<br />
♦ Accumulo: assente dopo uso prolungato.<br />
♦ Interazioni: nessuna interazione farmacologica di rilevanza clinica<br />
per assenza di processi di idrossilazione epatica. Potenziamento<br />
degli effetti sedativi ed ipotensione se associate ad alcool.<br />
dente solo con l’impiego di dosaggi elevati. Ancora discusso nell’ambito<br />
<strong>della</strong> <strong>terapia</strong> con BDZ è il problema correlato alla riduzione <strong>della</strong> performance<br />
cognitiva, sotto forma di amnesia anterograda e di riduzione <strong>della</strong><br />
memoria di richiamo e dell’attenzione. Negli anziani, la somministrazione di<br />
BDZ in dosi singole o l’impiego in acuto possono essere associati con una
iduzione misurabile sia di memoria che di attenzione 15 . Per quanto riguarda<br />
l’assunzione a lungo termine, mancano a tutt’oggi degli studi condotti specificatamente<br />
nella popolazione anziana, anche se alcune osservazioni suggeriscono<br />
che, specie in soggetti con preesistente deficit cognitivo e in quelli<br />
molto anziani, le BDZ possano ridurre ulteriormente le prestazioni cognitive,<br />
soprattutto quelle mnesiche. I dati suggeriscono, comunque, un’ampia variabilità<br />
interindividuale ed i risultati degli studi sono insufficienti per trarre conclusioni<br />
definitive. L’ingestione acuta, accidentale o volontaria, di dosi massive<br />
di BDZ non provoca fenomeni tossici tali da compromettere le funzioni<br />
vitali. Dal punto di vista <strong>della</strong> tossicità da sovradosaggio tutti i composti benzodiazepinici<br />
possono essere pertanto considerati abbastanza sicuri. L’intossicazione<br />
acuta non provoca infatti fenomeni di <strong>depressione</strong> respiratoria, cardiovascolare<br />
o del sistema nervoso centrale, ma semplicemente astenia<br />
muscolare e profonda sonnolenza. Sono stati descritti anche sintomi quali ipotonia<br />
muscolare, ipotensione ortostatica, ipotermia, stato confusionale, atassia<br />
e disartria. Non sono stati finora segnalati casi mortali in seguito ad ingestione<br />
di dosi massive di sole BDZ in soggetti sani. Va precisato, tuttavia, che in<br />
caso di sovradosaggio, la presenza di insufficienza cardiorespiratoria da patologie<br />
preesistenti e/o la contemporanea assunzione di alcolici o di farmaci<br />
deprimenti il sistema nervoso centrale (barbiturici, analgesico-narcotici, ecc.)<br />
può risultare letale. <strong>La</strong> <strong>terapia</strong> è di tipo sintomatico e la remissione del quadro<br />
clinico avviene in genere entro le 48 ore. Come altri farmaci ad azione sedativa/ipnotica,<br />
anche le BDZ possono indurre una dipendenza fisica, caratterizzata<br />
dalla comparsa di una sindrome da sospensione o d’astinenza alla brusca<br />
sospensione del trattamento stesso. Le caratteristiche farmacologiche che<br />
definiscono una sindrome da sospensione da BDZ sono elencate nella tabella<br />
VII. Non vi sono dati a sostegno dell’ipotesi che la popolazione anziana abbia<br />
maggior probabilità di sviluppare dipendenza da BDZ, somministrate a dosi<br />
Tabella VII. Sintomi da brusca sospensione di benzodiazepine.<br />
Frequenti presenti in più del 50% dei casi di dipendenza:<br />
stati d'ansia, irritabilità, insonnia, cefalea,<br />
palpitazioni cardiache, nausea, tremori, sudorazione.<br />
Meno frequenti presenti dal 25% al 50% dei casi di dipendenza:<br />
dolori muscolari, vomito, sensazione di instabilità<br />
e di perdita dell'equilibrio, alterazioni delle<br />
sensopercezioni con intolleranza ai suoni di<br />
elevata tonalità ed alle luci intense.<br />
Rari convulsioni, disturbi psicotici, stati depressivi:<br />
riportati solo in pazienti trattati con alte dosi e per<br />
lunghi periodi.<br />
Bellantuono et al., 1997.<br />
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terapeutiche, rispetto agli adulti giovani. Ciononostante, sia in ambito medico<br />
che da parte dei mass-media è stata più volte espressa la preoccupazione che<br />
venga fatto un utilizzo eccessivo di BDZ da parte degli anziani e del conseguente<br />
rischio di dipendenza farmacologica. I due fattori di rischio farmacologico<br />
più importanti per l’instaurarsi del fenomeno di dipendenza sono la durata<br />
del trattamento e l’impiego di dosaggi elevati. In generale, più elevata è la<br />
dose, più breve è il periodo di trattamento necessario per produrre dipendenza.<br />
Non risulta documentato che esistano BDZ particolarmente a rischio per<br />
indurre dipendenza; è invece stato dimostrato che il periodo di insorgenza,<br />
l’intensità e la durata <strong>della</strong> sintomatologia che caratterizza la sindrome da<br />
sospensione variano a seconda dell’emivita del farmaco. Più precisamente,<br />
con le BDZ ad emivita breve la sindrome insorge più precocemente (in genere<br />
entro 1-2 giorni), presenta una maggiore intensità dei sintomi e regredisce più<br />
velocemente (entro 5-6 giorni); con le BDZ ad emivita medio-lunga l’insorgenza<br />
è più tardiva (entro 4-8 giorni), l’intensità dei sintomi minore, mentre la<br />
loro remissione avviene in un periodo più lungo (entro 10-15 giorni). Il problema<br />
<strong>della</strong> ridefinizione del rapporto tra consumo cronico e dipendenza da<br />
BDZ non può non tenere conto del fatto che numerosi pazienti anziani richiedono,<br />
di fatto, un trattamento a lungo termine a causa <strong>della</strong> cronicità e/o gravità<br />
dei loro sintomi d’ansia e/o dell’insonnia che spesso l’accompagna 78 . L’utilizzo<br />
di BDZ per lunghi periodi richiede pertanto una valutazione approfondita<br />
delle singole situazioni cliniche. I soggetti anziani in trattamento prolungato<br />
sono a rischio per lo sviluppo di una sindrome da sospensione in caso di<br />
brusca interruzione del trattamento stesso. A meno che non emergano motivi<br />
che giustifichino una brusca interruzione del trattamento (ad esempio reazioni<br />
idiosincrasiche, sovradosaggio) la sospensione di una <strong>terapia</strong> con BDZ deve<br />
sempre avvenire in modo graduale. Più lunga è la durata del trattamento e più<br />
elevato è il dosaggio, tanto più lungo deve essere il periodo previsto per la<br />
sospensione. È inoltre importante, dal punto di vista pratico, preparare per ciascun<br />
paziente un protocollo di sospensione individualizzato, rispettando il criterio<br />
generale <strong>della</strong> riduzione posologica di non più del 25% per settimana. Si<br />
definisce tolleranza quella situazione in cui si rende necessario l’impiego di<br />
dosi sempre maggiori di farmaco per mantenere gli effetti clinici desiderati<br />
oppure quella situazione in cui una stessa dose non garantisce nel tempo gli<br />
effetti clinici ottenuti all’inizio del trattamento. <strong>La</strong> tolleranza verso le BDZ<br />
non è sostenuta da meccanismi di tipo metabolico (ad esempio induzione enzimatica);<br />
di fatto anche dopo molti mesi di trattamento con la stessa dose, le<br />
concentrazioni plasmatiche sono sovrapponibili a quelle dell’inizio del trattamento.<br />
Anche dal punto di vista farmacodinamico non esistono al momento<br />
dati che attestino lo sviluppo di tolleranza da uso prolungato delle BDZ.<br />
Suggerimenti per un razionale delle BDZ nell’anziano<br />
Per quanto concerne l’impiego più appropriato e corretto delle BDZ nel trattamento<br />
dei sintomi ansiosi e/o dell’insonnia nella popolazione anziana, gli<br />
studi attualmente disponibili sono sorprendentemente scarsi. Va tenuto<br />
conto, pertanto, dei dati riferiti alla popolazione generale, corretti per i para-
metri differenziali di tipo farmacologico, che caratterizzano gli anziani in<br />
generale. Nella pratica clinica si devono essenzialmente valutare, nella scelta<br />
del composto, le differenze farmacocinetiche che caratterizzano le diverse<br />
molecole, in particolare: il tipo di metabolismo e il tempo di emivita plasmatica.<br />
Nei pazienti anziani è consigliabile utilizzare, nella maggior parte dei<br />
casi, BDZ ad emivita breve. I vantaggi possono essere così riassunti:<br />
♦ assenza di fenomeni di accumulo durante somministrazioni ripetute con<br />
minore rischio di provocare effetti indesiderati quali stati di eccessiva<br />
sedazione, alterazioni significative <strong>della</strong> performance cognitiva e psicomotoria,<br />
ecc.;<br />
♦ assenza di interazione, per i composti oxazepam-simili, con i farmaci che<br />
inibiscono i processi ossidativi, come il propranololo, la cimetidina, i<br />
contraccettivi orali, gli SSRI;<br />
♦ minor carico metabolico da parte del fegato, dal momento che, per i composti<br />
oxazepam-simili, il metabolismo (coniugazione diretta con acido<br />
glucuronico) non implica processi di demetilazione, idrossilazione o<br />
nitroriduzione;<br />
♦ maggiore flessibilità di dosaggio.<br />
Come regola generale per l’individualizzazione del dosaggio è sempre<br />
opportuno, negli anziani, iniziare con dosi molto basse (indicativamente, la<br />
metà che negli adulti giovani) e con una o due somministrazioni giornaliere<br />
del farmaco, allo scopo di saggiare la reattività individuale (effetti terapeutici,<br />
effetti indesiderati, reazioni idiosincrasiche, ecc.). L’individualizzazione<br />
del dosaggio, che può essere raggiunta quasi sempre entro la prima settimana<br />
di trattamento, deve tendere a stabilire per ciascun paziente la dose minima<br />
efficace per il controllo dell’ansia. Come nel caso del dosaggio, anche la<br />
durata del trattamento con BDZ negli anziani deve essere individualizzata a<br />
seconda delle esigenze cliniche del singolo paziente. L’ansia infatti, anche<br />
nel paziente anziano, è una condizione psicopatologica che può presentare<br />
un decorso estremamente variabile e comunque difficilmente prevedibile. È<br />
evidente, pertanto, che dare indicazioni sulla durata di un trattamento eccessivamente<br />
restrittive (ad esempio non più di 4 settimane) o viceversa troppo<br />
permissive (almeno 6 mesi di trattamento) rappresenta comunque una semplificazione<br />
del problema e può risultare di scarsa utilità per la pratica clinica.<br />
L’esperienza clinica insegna che se in molti casi trattamenti di breve<br />
durata (alcune settimane) sono sufficienti per garantire una risoluzione completa<br />
<strong>della</strong> condizione di sofferenza del paziente, in altri invece (ad esempio<br />
ansia generalizzata) può essere necessario prolungare il trattamento anche<br />
per alcuni mesi, magari associandolo ad altri farmaci (SSRI) più risolutivi<br />
sul lungo periodo. Va ricordato che la sensibilità agli effetti farmacologici<br />
aumenta man mano che la persona invecchia: in soggetti di età superiore a 75<br />
anni, dosaggi considerati terapeutici a 65-70 anni possono produrre effetti<br />
indesiderati più rilevanti ed i segni di deterioramento cognitivo possono essere<br />
erroneamente interpretati come correlati all’età.<br />
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DEPRESSIONE NELL’ANZIANO<br />
Nella tabella VIII sono riassunte le principali indicazioni che la ricerca e l’esperienza<br />
clinica suggeriscono per un impiego razionale delle BDZ negli anziani.<br />
Ansiolitici non benzodiazepinici<br />
Buspirone. Il buspirone viene considerato un agonista parziale <strong>della</strong> serotonina<br />
e l’effetto ansiolitico deriva, probabilmente, da una riduzione <strong>della</strong> trasmissione<br />
serotoninergica nel SNC. I pochi studi clinici effettuati sulla popolazione<br />
anziana documentano un’efficacia ansiolitica equivalente a quella<br />
delle BDZ ed un profilo di tollerabilità caratterizzato in genere da minore<br />
sedazione 11 . L’esperienza clinica è, comunque, assai ridotta e non consente<br />
di trarre alcuna conclusione sulle indicazioni e controindicazioni di questo<br />
composto negli anziani. A differenza delle BDZ, la latenza di azione ansiolitica<br />
di questo farmaco risulta di alcune settimane e non consente, ovviamente,<br />
un controllo immediato degli stati d’ansia acuti; pertanto, il buspirone<br />
risulta inadatto nei pazienti per i quali si ritiene che una risoluzione <strong>della</strong> sintomatologia<br />
ansiosa debba avvenire in tempi brevi 16 . Analogamente a quanto<br />
riportato negli adulti giovani, nel 10% <strong>della</strong> popolazione anziana si è osservato<br />
un peggioramento dell’ansia nel corso delle prime settimane. Tra gli<br />
effetti indesiderati riportati con una certa frequenza e spesso causa di interruzione<br />
del trattamento con BSP sono segnalati: sonnolenza, nausea, vertigini e<br />
cefalea; con minore frequenza sono stati anche riportati, irritabilità, insonnia,<br />
nausea e parestesie.<br />
Tabella VIII. Indicazioni per l’impiego delle BDZ nell’anziano.<br />
1. Prescrivere solo la dose minima efficace e limitare la durata del<br />
trattamento<br />
2. Utilizzare preferibilmente BDZ a breve emivita (alprazolam, lorazepam,<br />
oxazepam) o ultrabreve (es. triazolam)<br />
3. Evitare di prescrivere BDZ a pazienti confusi o dementi<br />
4. Valutare una possibile interazione tra BDZ e sostanze depressogene<br />
del SNC (quali alcool, prodotti da banco contenenti antistaminici,<br />
ecc.). Tale interazione può indurre eccessiva sedazione, confusione<br />
mentale, comportamento disinibito o agitazione<br />
5. Durante un ricovero ospedaliero, prescrivere BDZ con cautela a<br />
soggetti anziani in <strong>terapia</strong> con ipnotici, sedativi non benzodiazepinici,<br />
analgesici o narcotici<br />
6. Nelle sindromi ansiose ad andamento cronico (DOC, DAP, GAD)<br />
dove sono considerati di scelta gli SSRI, le BDZ possono essere utili<br />
all’inizio del trattamento a scopo ansiolitico e/o come ipnoinducenti.
β-bloccanti. Mentre è sufficientemente documentata l’efficacia dei β-bloccanti<br />
nel trattamento dell’ansia, dell’agitazione e dei comportamenti aggressivi<br />
in anziani affetti da demenza, non ci sono studi controllati effettuati su<br />
anziani con sintomi d’ansia e senza malattie neurologiche concomitanti.<br />
L’effetto dei β-bloccanti nella riduzione dei sintomi autonomici associati<br />
all’ansia (ad esempio sudorazione, tachicardia, palpitazioni, tremori) risulta<br />
teoricamente utile anche negli anziani, ma il loro impiego clinico è fortemente<br />
limitato dal profilo di tollerabilità sfavorevole per quanto riguarda<br />
l’apparato cardiovascolare e respiratorio 17 .<br />
Antidepressivi. L’impiego di antidepressivi (AD), in particolare di quelli<br />
che potenziano la trasmissione serotoninergica (SSRI e venlafaxina), è considerata<br />
una pratica razionale nei pazienti affetti da Disturbo Ossessivo<br />
Compulsivo (DOC), Disturbo da Ansia Generalizzata (GAD), Fobie e<br />
Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) 18 .<br />
Negli anziani gli AD possono rivelarsi utili anche nei casi, molto frequenti,<br />
di sintomatologia mista ansioso-depressiva in cui il disturbo dell’umore<br />
venga diagnosticato come primario.<br />
Invece, nel disturbo d’ansia in cui sia presente secondariamente una deflessione<br />
del tono dell’umore, l’utilizzo in mono<strong>terapia</strong> di una BDZ consente di<br />
mantenere nell’anziano un rapporto rischio-beneficio più favorevole che con<br />
altre classi di psicofarmaci 19 . In caso di dubbio diagnostico, è preferibile<br />
attuare “ex-adiuvantibus” un trattamento antidepressivo, dal momento che<br />
una <strong>terapia</strong> con sole BDZ può “cronicizzare” un eventuale nucleo depressivo<br />
sottostante.<br />
Antistaminici. Composti ad attività antistaminica (ad esempio difenidramina,<br />
prometazina) vengono talora impiegati nella gestione in acuto dell’ansia<br />
e dell’agitazione, anche per la disponibilità di formulazioni per uso intramuscolare.<br />
In realtà questi composti, nei quali gli effetti anticolinergici prevalgono sul<br />
debole effetto ansiolitico, possono indurre negli anziani sedazione eccessiva e<br />
confusione. Se somministrati in concomitanza con farmaci ad attività anticolinergica<br />
possono inoltre provocare stati di grave agitazione e talora delirium.<br />
Antipsicotici. Nonostante l’ampio uso che viene fatto di antipsicotici (AP)<br />
tradizionali per il trattamento dell’ansia e dell’agitazione negli anziani, specie<br />
in setting istituzionali, va ribadito come tale prassi non venga considerata<br />
razionale nella maggior parte dei casi.<br />
Gli AP si caratterizzano, infatti, per un profilo di tollerabilità particolarmente<br />
sfavorevole in soggetti fragili (ad esempio effetti extrapiramidali acuti,<br />
discinesia tardiva, tossicità autonomica, cardiovascolare, ecc.). I nuovi AP<br />
(in particolare, olanzapina e risperidone a basse dosi) offrono un rapporto<br />
rischio/beneficio più favorevole rispetto a quelli tradizionali.<br />
Anche se non vi sono dati specifici sul loro impiego nei sintomi d’ansia<br />
degli anziani, è abbastanza documentata la loro efficacia nel trattamento dell’agitazione<br />
e dei disturbi comportamentali in corso di demenza 20 .<br />
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DEPRESSIONE NELL’ANZIANO<br />
I DISTURBI DEPRESSIVI<br />
<strong>La</strong> <strong>depressione</strong> non è una conseguenza inevitabile <strong>della</strong> vecchiaia, ma rappresenta<br />
un disturbo relativamente frequente in età avanzata. D’altra parte,<br />
essa viene spesso sottodiagnosticata e sottotrattata per una serie di pregiudizi<br />
di ordine clinico e culturale, quali, ad esempio, il ritenere che l’impiego di<br />
AD negli anziani sia troppo rischioso e che gli anziani stessi siano troppo<br />
rigidi per poter modificare il loro stato psicologico.<br />
<strong>La</strong> diagnosi può inoltre essere resa difficoltosa dalla coesistenza di malattie<br />
somatiche e/o di deterioramento cognitivo di vario grado. Il mancato riconoscimento<br />
porta inevitabilmente ad un mancato trattamento o comunque all’adozione<br />
di misure terapeutiche inadeguate. Le conseguenze psicologiche e<br />
fisiche di un non trattamento possono essere gravi. Una <strong>depressione</strong> in un<br />
soggetto anziano, se non curata, presenta, infatti, un elevato tasso di ricadute<br />
e di cronicizzazione e determina un incremento <strong>della</strong> mortalità, naturale e<br />
per suicidio, una prognosi peggiore delle malattie somatiche concomitanti ed<br />
un più frequente ricorso al ricovero ospedaliero ed all’inserimento in strutture<br />
residenziali 21 .<br />
I dati epidemiologici che riguardano la <strong>depressione</strong> in età senile variano a<br />
seconda <strong>della</strong> popolazione studiata (istituzionalizzata o meno) e del metodo<br />
di identificazione. Mentre la prevalenza dei disturbi depressivi, definiti da<br />
criteri formali, nella popolazione anziana, appare simile a quella degli adulti<br />
giovani, la presenza di sintomi depressivi risulta molto più comune negli<br />
anziani rispetto alla popolazione adulta. Gli studi condotti nel setting <strong>della</strong><br />
medicina generale evidenziano come il tasso di prevalenza <strong>della</strong> Depressione<br />
Maggiore (DM) è del 10% circa e quello di sintomi depressivi clinicamente<br />
rilevanti è pari al 20%. Questi valori risultano sensibilmente più elevati nei<br />
reparti ospedalieri ed ancora di più nelle strutture residenziali, dove la prevalenza<br />
dei pazienti con sintomi depressivi raggiunge il 40% 22 .<br />
<strong>La</strong> classificazioni dei disturbi depressivi riportate dai due sistemi diagnostici<br />
attualmente più diffusi, il DSM-IV e l’ICD-10, identificano due entità clinicamente<br />
rilevanti, definite, rispettivamente: Episodio Depressivo Maggiore<br />
ed Episodio Depressivo. In realtà, sia il DSM-IV che l’ICD-10 sono stati<br />
validati su popolazioni di soggetti adulti giovani, non tenendo in considerazione<br />
le peculiarità cliniche di altre fasce di età. <strong>La</strong> <strong>depressione</strong> cosiddetta<br />
late-onset, che insorge cioè dopo i 60-65 anni di età, presenta quadri clinici<br />
peculiari e differenti rispetto a quelli tipici dell’adulto giovane: le differenze<br />
appaiono correlate principalmente agli effetti patoplastici dell’età e di eventuali<br />
patologie somatiche concomitanti ed alle differenti caratteristiche delle<br />
coorti generazionali, man mano che queste invecchiano (tabella IX).<br />
Un’applicazione acritica dei criteri diagnostici convenzionali alle condizioni<br />
psicopatologiche di soggetti anziani può pertanto dar luogo ad una stima per<br />
difetto dei disturbi depressivi gravi e ad un eccesso di diagnosi di altri disturbi<br />
depressivi (ad esempio distimia) o di disturbi d’ansia. Un approccio diagnostico<br />
dimensionale, basato cioè sulla valutazione sintomatologica, si rivela<br />
quindi più corretto e più utile nella pratica clinica rispetto ad un approccio<br />
categoriale, basato cioè sull’identificazione di sindromi cliniche discrete 23 .
Tabella IX. Presentazioni cliniche <strong>della</strong> <strong>depressione</strong>: confronto tra anziani<br />
ed adulti giovani.<br />
ANZIANI<br />
Le lamentele per l’umore depresso<br />
possono essere assenti, ma è<br />
presente perdita di piacere e<br />
interesse<br />
Comuni le preoccupazioni<br />
somatiche, specialmente per<br />
sintomatologia dolorosa e facile<br />
stancabilità<br />
Spesso presente pseudodemenza o<br />
difficoltà mnemoniche soggettive<br />
Insonnia molto frequente<br />
Agitazione frequente, talora<br />
prevalente nel quadro clinico, spesso<br />
accompagna l’ansia<br />
Pensieri suicidari non<br />
frequentemente espressi<br />
Comportamenti suicidari molto<br />
frequenti<br />
ADULTI GIOVANI<br />
L’umore depresso è il sintomo<br />
chiave<br />
Preoccupazioni somatiche meno<br />
comuni<br />
Raramente presente pseudodemenza<br />
Insonnia frequente<br />
Agitazione non frequente<br />
Pensieri suicidari più<br />
frequentemente espressi<br />
Possibili comportamenti suicidari<br />
Katona & Livingston, 1997<br />
Depressione “vascolare”. <strong>La</strong> <strong>depressione</strong> vascolare è un concetto innovativo,<br />
tuttora oggetto di approfondimento, che considera la patologia cerebrovascolare<br />
come correlata in senso eziopatogenetico all’insorgenza di alcuni<br />
quadri depressivi in età geriatrica. Essa viene definita clinicamente come<br />
caratterizzata, in presenza di fattori di rischio vascolare, da un maggior deterioramento<br />
cognitivo, da rallentamento psicomotorio e da una minore ideazione<br />
depressiva rispetto alle forme non vascolari. Alla RMN si evidenziano<br />
alterazioni caratteristiche, sotto forma di zone di iperintensità in sede sottocorticale,<br />
sia a livello <strong>della</strong> sostanza bianca che dei gangli <strong>della</strong> base, che<br />
corrisponderebbero a lesioni vascolari da microinfarti. I soggetti con <strong>depressione</strong><br />
vascolare hanno un’età di esordio più elevata ed una minor incidenza<br />
familiare per <strong>depressione</strong> rispetto ai controlli (solo depressi anziani) e presentano<br />
una ridotta risposta ai trattamenti AD 24 .<br />
Trattamento farmacologico dei disturbi depressivi. I risultati degli studi<br />
controllati che documentano l’efficacia degli AD nella fase acuta <strong>della</strong><br />
<strong>depressione</strong> dell’anziano, riportano tassi di risposta variabili dal 50% al 70%,<br />
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rispetto al 30% del placebo. Il tasso di risposta è quindi leggermente inferiore<br />
a quello riportato negli studi effettuati sugli adulti giovani 25 . L’interpretazione<br />
dei dati di letteratura non può, però, non tenere conto di alcuni problemi<br />
metodologici. Anzitutto, la maggior parte degli studi clinici risultano<br />
effettuati su pazienti di età compresa tra 55 e 65 anni, mentre pochissime<br />
informazioni sono disponibili per quanto riguarda i soggetti di oltre 80 anni.<br />
Questa carenza può dipendere dal fatto che l’età minima di arruolamento nei<br />
trial clinici viene mantenuta bassa per facilitare il reclutamento dei pazienti.<br />
Le informazioni ottenute da trial effettuati su pazienti più giovani di una<br />
generazione, non sono estrapolabili alla popolazione dei grandi anziani; a<br />
tutt’oggi non è possibile pertanto definire linee guida per un trattamento<br />
razionale con AD nei pazienti di età superiore agli 80 anni 26 . Inoltre, i<br />
pazienti descritti negli studi clinici sono solitamente selezionati in modo da<br />
essere liberi da malattie somatiche e da terapie farmacologiche concomitanti.<br />
In altri termini, essi costituiscono un campione atipico <strong>della</strong> popolazione<br />
anziana depressa che si incontra nella pratica clinica. <strong>La</strong> maggior parte degli<br />
studi clinici richiedono la presenza di Depressione Maggiore come criterio di<br />
inclusione; peraltro, come si è detto in precedenza, la <strong>depressione</strong> late-onset<br />
differisce per sintomatologia, decorso ed outcome dalla <strong>depressione</strong> insorta<br />
in età giovanile-adulta e corrisponde solo parzialmente ai criteri indicati dal<br />
DSM-IV per la Depressione Maggiore.<br />
Indicazioni per il trattamento farmacologico. <strong>La</strong> decisione di trattare farmacologicamente<br />
un paziente anziano che presenta un episodio depressivo<br />
deve essere presa in base alla gravità delle manifestazioni cliniche che caratterizzano<br />
l’episodio stesso. Va tenuto presente che, a differenza di quanto si<br />
verifica con i soggetti giovani, negli anziani le depressioni di media gravità<br />
rispondono al trattamento con i farmaci AD alla stregua delle forme più<br />
gravi, a riprova del fatto che la <strong>depressione</strong> senile è un’entità clinica diversa<br />
o almeno che necessita di una diversa valutazione. Elementi decisivi per<br />
valutare la gravità di una <strong>depressione</strong> e quindi la necessità di un trattamento<br />
farmacologico sono:<br />
♦ la presenza e rilevanza dei sintomi patognomonici,<br />
♦ la durata dell’episodio nel tempo (almeno 2 settimane),<br />
♦ il grado di riduzione del funzionamento psicosociale e dell’autonomia.<br />
<strong>La</strong> decisione di iniziare un trattamento con AD richiede sempre un’accurata<br />
valutazione, oltre che degli aspetti psicopatologici, anche di eventuali fattori<br />
scatenanti (psicologici, biologici, fisiopatologici, ecc.) che possono aver contribuito<br />
all’insorgenza dell’episodio depressivo. Una corretta identificazione<br />
di tali fattori può infatti garantire un approccio terapeutico-assistenziale più<br />
completo ed individualizzato.<br />
Indicazioni per scelta del farmaco antidepressivo. <strong>La</strong> scelta del farmaco<br />
antidepressivo da impiegare in un paziente anziano deve essere fatta tenendo
conto dei seguenti parametri di riferimento: il farmaco deve essere di provata<br />
efficacia terapeutica; esistono infatti sul mercato farmaceutico italiano composti<br />
che pur essendo proposti come AD, possiedono in realtà una documentazione<br />
scientifica ancora poco consistente nei confronti <strong>della</strong> <strong>depressione</strong><br />
“maggiore”. Vengono considerati farmaci di efficacia documentata negli<br />
anziani: gli ATC e gli SSRI. Tra gli altri AD, mianserina e trazodone, per<br />
quanto dotati di efficacia terapeutica, risultano gravati da problemi di tollerabilità<br />
che ne controindicano o rendono problematico l’impiego negli anziani,<br />
almeno a dosaggi considerati efficaci nella <strong>depressione</strong>. Per quanto riguarda<br />
la moclobemide, la consistenza dei dati di letteratura disponibili non consente<br />
di trarre alcuna conclusione definitiva sul suo ruolo nella <strong>depressione</strong> dell’anziano.<br />
Per altri composti, quali mirtazapina, reboxetina e venlafaxina, le indicazioni<br />
che derivano dalla letteratura suggeriscono una efficacia antidepressiva<br />
sovrapponibile a quella degli ATC e degli SSRI; per questi farmaci è tuttavia<br />
auspicabile una conferma <strong>della</strong> loro efficacia/tollerabilità attraverso ulteriori<br />
studi controllati condotti specificatamente sulla popolazione anziana 27 .<br />
Gli anziani costituiscono una popolazione particolarmente fragile e a rischio<br />
per quanto concerne gli effetti indesiderati delle terapie farmacologiche. Il<br />
farmaco AD non deve essere controindicato o a rischio nel paziente cui viene<br />
prescritto. Ciò implica una precisa conoscenza del profilo di effetti indesiderati<br />
dell’antidepressivo che si intende impiegare ed un’attenta valutazione<br />
delle condizioni organiche di base del paziente. Le diverse classi di AD disponibili<br />
sul mercato, e talora diversi composti di una stessa classe, presentano, a<br />
seconda delle specifiche caratteristiche farmacodinamiche e farmacocinetiche,<br />
un profilo di tollerabilità differente. Gli effetti indesiderati possono indurre, in<br />
acuto un’interruzione del trattamento, prima ancora che si sia manifestato<br />
l’effetto terapeutico. Anche sul lungo termine la tollerabilità dell’AD viene<br />
ritenuta uno dei principali fattori che aumenta la compliance e può quindi<br />
condizionare la stessa prevenzione delle ricadute depressive.<br />
Il farmaco AD deve avere un basso rischio di tossicità letale in caso di<br />
sovradosaggio. L’ingestione di farmaci in dosi massive è infatti una delle<br />
modalità autolesive più frequenti nell’anziano depresso in cui il rischio suicidario<br />
è significativamente più elevato rispetto ai soggetti giovani.<br />
Durata del trattamento. Il trattamento <strong>della</strong> <strong>depressione</strong> late-onset non può<br />
non tenere conto di alcune caratteristiche cliniche peculiari. Negli anziani la<br />
durata degli episodi depressivi è superiore a quella dei giovani adulti (12-48<br />
mesi vs 4-5 mesi), il tasso di ricaduta è circa doppio e corrisponde al 70%<br />
entro due anni dal primo episodio depressivo. Ciascun episodio depressivo<br />
accorcia gli intervalli liberi di malattia ed aumenta il rischio di cronicizzazione<br />
(in media il 25% dei casi, in confronto al 10% <strong>della</strong> <strong>depressione</strong> nei soggetti<br />
giovani) 23 . Nella maggioranza dei casi, quindi, un primo episodio<br />
depressivo in età avanzata ha un’alta probabilità di avere un decorso ricorrente<br />
e potenzialmente sfavorevole. Nel trattamento <strong>della</strong> <strong>depressione</strong> insorta<br />
in età senile la distinzione tra fase di continuazione e di mantenimento viene<br />
ritenuta quindi impropria e la profilassi viene attuata già a partire dal primo<br />
episodio di malattia, che andrebbe considerato alla stregua di una ricaduta in<br />
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un adulto giovane. È opinione condivisa che dopo il primo episodio depressivo<br />
in un anziano il trattamento debba essere proseguito per almeno due anni,<br />
periodo che rappresenterebbe quello più a rischio per ricadute 28 . <strong>La</strong> presenza<br />
di fattori quali: gravità dell’episodio, precedenti episodi insorti prima dei<br />
sessant’anni, tentativi di suicidio, malattie somatiche croniche e familiarità<br />
per i disturbi dell’umore, suggerisce una profilassi con AD che duri per tutta<br />
la vita. <strong>La</strong> durata <strong>della</strong> <strong>terapia</strong> antidepressiva nel tempo può essere limitata<br />
da una scarsa tollerabilità dei farmaci prescritti. Nel caso degli ATC, ad<br />
esempio, i pazienti anziani possono diventare con il passare del tempo sempre<br />
più sensibili agli effetti indesiderati e ciò può determinare comparsa di<br />
fenomeni di tossicità e/o di interruzione del trattamento. È importante, perciò,<br />
che il clinico consideri nella scelta del composto antidepressivo da<br />
impiegare in un paziente anziano, gli aspetti di tollerabilità a lungo termine.<br />
Definizione del dosaggio. Data la particolare sensibilità degli anziani agli<br />
effetti indesiderati degli AD è opportuno seguire il principio generale che raccomanda<br />
di utilizzare all’inizio dosi basse e di incrementarle gradualmente<br />
dopo 4-7 giorni. Se tale prassi appare indispensabile nel caso di composti a<br />
basso indice terapeutico, come gli ATC, viene consigliata anche nel caso di<br />
composti più sicuri, come gli SSRI, per i quali una titolazione graduale evita la<br />
comparsa di effetti indesiderati (nausea, sonnolenza, irritabilità, ecc.), che<br />
compaiono prima dell’effetto terapeutico e che possono essere motivo di dropout.<br />
L’individualizzazione del dosaggio durante la fase acuta deve sempre<br />
avvenire nell’ambito <strong>della</strong> dose terapeutica indicata per ciascun farmaco antidepressivo.<br />
I dosaggi ritenuti ottimali per gli anziani sono generalmente inferiori<br />
a quelli consigliati per gli adulti giovani, sia per la tendenza a sviluppare a<br />
parità di dosaggio, livelli plasmatici superiori, sia per la già citata sensibilità di<br />
tipo farmacodinamico. L’orientamento attuale <strong>della</strong> letteratura è di utilizzare<br />
nella fase di mantenimento lo stesso dosaggio impiegato nella fase acuta dell’episodio<br />
depressivo 27 . Nella tabella X sono riportati gli ambiti di dosaggio<br />
degli AD ritenuti terapeutici negli anziani.<br />
Antidepressivi triciclici<br />
Efficacia terapeutica. Gli ATC hanno rappresentato per oltre trent’anni i<br />
farmaci di riferimento nel trattamento dei disturbi depressivi e la loro efficacia<br />
terapeutica è ampiamente documentata. Per quanto riguarda l’efficacia in<br />
acuto negli anziani, le review di Gerson et al. 29 e Rockwell et al. 30 identificano<br />
uno studio placebo-controllato con amitriptilina e tre studi con imipramina,<br />
nei quali le percentuali di responder variano dal 60 al 70%. In una revisione<br />
<strong>della</strong> letteratura pubblicata dalla Agency for Health Care Policy and<br />
Research 31 sono stati valutati 14 studi controllati sull’efficacia degli ATC nei<br />
pazienti anziani. Il tasso medio di responder è risultato leggermente inferiore<br />
a quello dei giovani adulti (40,4% vs 51,5%), ma con differenze tra farmaco<br />
e placebo molto simili nei due gruppi (22% e 2l,3% rispettivamente).<br />
L’efficacia preventiva sulle ricadute depressive di un trattamento a lungo termine<br />
con ATC risulta documentata da due studi controllati. Uno studio versus
Tabella X. Dosaggi indicativi dei farmaci antidepressivi negli anziani.<br />
FARMACO<br />
ANTIDEPRESSIVO<br />
Triciclici<br />
Citalopram<br />
Fluoxetina<br />
Fluvoxamina<br />
Paroxetina<br />
Sertralina<br />
Mianserina<br />
Mirtazapina<br />
Moclobemide<br />
Reboxetina<br />
Trazodone<br />
Venlafaxina<br />
DOSAGGIO<br />
INIZIALE<br />
(mg/die)<br />
10-25<br />
10<br />
5<br />
25<br />
10<br />
25<br />
20<br />
15<br />
150<br />
2<br />
50<br />
18.7<br />
DOSAGGIO<br />
TERAPEUTICO<br />
(mg/die)<br />
50-100<br />
10-30<br />
10-40<br />
50-200<br />
10-40<br />
50-200<br />
40-60<br />
15-45<br />
50-600<br />
2-4<br />
150-450<br />
75-150<br />
placebo di Georgotas et al. 32 ha confrontato una <strong>terapia</strong> di mantenimento con<br />
fenelzina e nortriptilina in soggetti anziani che avevano risposto agli AD. I<br />
pazienti in <strong>terapia</strong> con fenelzina hanno evidenziato dopo un anno un tasso di<br />
ricadute inferiore (13,3%) a quello dei pazienti trattati con nortriptilina<br />
(53,8%) o placebo (65,2%). In un altro studio <strong>della</strong> durata di due anni, condotto<br />
su 69 pazienti anziani che avevano risposto ad un trattamento con AD in<br />
acuto, i soggetti trattati con placebo hanno evidenziato un rischio relativo di<br />
ricaduta due volte e mezzo superiore rispetto a quelli trattati con dotiepina a<br />
dosaggi di 75 mg/die 33 .<br />
Profilo di tollerabilità e sicurezza. I pazienti anziani trattati con ATC sono<br />
più a rischio per l’insorgenza di effetti indesiderati rispetto agli adulti giovani<br />
(tabella XI). Gli effetti anticolinergici, determinati in particolare dalle<br />
amine terziarie (ad esempio amitriptilina, clomipramina e imipramina)<br />
rispetto ai composti aminici secondari (desipramina, nortriptilina), possono<br />
avere nel paziente anziano conseguenze molto gravi, che vengono spesso<br />
sottovalutate e risultano potenziate dalla concomitante assunzione di altri<br />
composti ad attività anticolinergica. Tra gli effetti anticolinergici periferici la<br />
secchezza delle fauci può dar luogo a caduta delle protesi dentarie, sviluppo<br />
di candidosi orale e di parotiti, ridotta ingestione di cibo sino alla malnutrizione<br />
e incremento dell’assunzione di liquidi sino all’intossicazione idrica.<br />
<strong>La</strong> riduzione <strong>della</strong> motilità intestinale può provocare conseguenze che vanno<br />
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Tabella XI. Effetti indesiderati degli antidepressivi triciclici più frequenti negli anziani<br />
EFFETTI INDESIDERATI<br />
Anticolinergici centrali<br />
• riduzione <strong>della</strong> trasmissione<br />
colinergica<br />
Anticolinergici periferici<br />
• secchezza delle fauci<br />
• riduzione <strong>della</strong> motilità<br />
intestinale<br />
• ritenzione urinaria<br />
• midriasi<br />
• tachicardia sinusale<br />
Antistaminici<br />
• sedazione<br />
Adrenolitici<br />
• ipotensione ortostatica<br />
• Effetti chinidino-simili<br />
POSSIBILI CONSEGUENZE CLINICHE<br />
• turbe <strong>della</strong> memoria<br />
• stati confusionali<br />
• sindrome colinergica centrale<br />
• caduta delle protesi dentarie<br />
• candidosi orale<br />
• parotiti<br />
• malnutrizione, denutrizione<br />
• stipsi<br />
• ileo paralitico<br />
• infezioni delle vie urinarie<br />
• disturbi dell'accomodazione<br />
• glaucoma ad angolo chiuso<br />
• scompenso cardiaco<br />
• alterazione <strong>della</strong> performance<br />
psicomotoria e cognitiva<br />
• stroke<br />
• cadute (con rischio di fratture)<br />
• cardiopatie ischemiche acute<br />
• blocchi di branca<br />
• blocchi A-V<br />
• aritmie ventricolari<br />
Bellantuono et al., 1997.<br />
dalla stipsi all’ileo paralitico. <strong>La</strong> ritenzione urinaria può causare infezioni<br />
delle vie urinarie, specie in pazienti con ipertrofia prostatica. L’azione<br />
midriatizzante può precipitare un glaucoma ad angolo chiuso, più comune<br />
negli anziani perché favorito dalla cataratta. <strong>La</strong> tachicardia può, infine, facilitare<br />
l’insorgenza di uno scompenso cardiaco. L’aspetto più comune e specifico<br />
del peggioramento delle funzioni cognitive negli anziani riguarda la<br />
memoria a breve termine ed è dovuto all’effetto anticolinergico centrale, che<br />
mima quello conseguente all’assunzione di scopolamina, impiegata come<br />
modello per alcuni dei deficit di memoria caratteristici <strong>della</strong> Malattia di
Alzheimer. Un eccesso di attività anticolinergica può provocare la cosiddetta<br />
sindrome anticolinergica centrale, che si manifesta con un quadro di delirium<br />
(ansia, irrequietezza, agitazione, confusione, allucinazioni) e che può sfociare<br />
nello stupor e nel coma. Gli ATC, per la loro azione adrenolitica, inducono<br />
in varia misura ipotensione ortostatica, che aggrava quella spesso già presente<br />
negli anziani in conseguenza ad un ridotto funzionamento dei barocettori.<br />
Ne deriva un accresciuto rischio di cadute, di fratture di femore (specie<br />
in soggetti affetti da osteoporosi), di stroke e di cardiopatie ischemiche acute.<br />
L’ipotensione ortostatica è frequente con tutti gli ATC, tranne la nortriptilina,<br />
che sembra indurla con minore frequenza e che, data anche la bassa incidenza<br />
di effetti anticolinergici, rappresenta il composto più tollerato e sicuro<br />
negli anziani. Il termine di “tossicità comportamentale”, riferito ad un farmaco,<br />
indica l’entità con la quale gli effetti indesiderati a carico del SNC possono<br />
compromettere le funzioni psicomotorie e le abilità cognitive di un soggetto<br />
e quindi ostacolare l’esecuzione delle normali attività quotidiane 34 .<br />
Questi fattori risultano ancora più significativi se applicati alla <strong>terapia</strong> farmacologica<br />
<strong>della</strong> <strong>depressione</strong> in soggetti anziani, già svantaggiati dal punto di<br />
vista <strong>della</strong> performance psicomotoria e cognitiva. È stato dimostrato, infatti,<br />
come sia la vecchiaia normale che la <strong>depressione</strong> possano causare una riduzione<br />
delle prestazioni psicomotorie e cognitive 23 . È particolarmente importante<br />
evitare negli anziani farmaci che possano effettivamente potenziare<br />
questi deficit. Gli ATC, per la loro azione di antagonismo recettoriale multiplo,<br />
determinano conseguenze significative sulla performance psicomotoria e<br />
cognitiva (tabella XII). Gli ATC hanno proprietà analoghe a quella degli<br />
antiaritmici di Classe 1 (chinidina, lidocaina, flecainide). Alcuni studi condotti<br />
in ambiente cardiologico hanno, peraltro, evidenziato come in condizioni<br />
anaerobiche, qual è il tessuto miocardico con un certo grado di ischemia,<br />
gli antiaritmici di Classe 1 possano divenire aritmogenici ed incrementare il<br />
rischio di mortalità per fibrillazione ventricolare 35 . Il grado di ischemia miocardica<br />
che produrrebbe questo effetto non è noto. Sia pure in assenza di<br />
studi sistematici, si ritiene ragionevole ipotizzare che gli ATC comportino un<br />
Tabella XII. Antidepressivi triciclici: tossicità comportamentale.<br />
Attività farmacologica Conseguenze sulle prestazioni<br />
psicomotorie e cognitive<br />
Anticolinergica ↓ memoria di richiamo<br />
↓ capacità di apprendimento<br />
Antistaminica ↓ vigilanza/sedazione<br />
↓ coordinazione<br />
Adrenolitica (α 1 ) vertigini ortostatiche<br />
Hindmarch, 1999<br />
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DEPRESSIONE NELL’ANZIANO<br />
simile rischio di aritmogenicità. Questo rischio appare particolarmente rilevante<br />
negli anziani, che hanno più probabilità degli adulti di essere affetti da<br />
cardiopatia ischemica, anche asintomatica e rende perciò necessario un controllo<br />
elettrocardiografico prima di iniziare un trattamento con ATC 36 . L’effetto<br />
di stabilizzazione delle membrane proprio degli ATC determina anche<br />
un rallentamento <strong>della</strong> conduzione cardiaca a valle del nodo atrio-ventricolare,<br />
che può provocare turbe <strong>della</strong> conduzione quali blocchi di branca e blocchi<br />
A-V. <strong>La</strong> tossicità in caso di sovradosaggio degli ATC è spesso letale e si<br />
presenta con una triade sintomatologica costituita da coma, convulsioni e<br />
gravi aritmie. I sintomi a carico del cuore comprendono fibrillazione o flutter<br />
atriale o ventricolare, blocco atrioventricolare completo o incompleto, ritmi<br />
ectopici, asistolia.<br />
Modificazioni farmacocinetiche. <strong>La</strong> cinetica degli ATC può andare incontro<br />
a modificazioni clinicamente rilevanti nella vecchiaia. L’emivita di eliminazione<br />
risulta prolungata, con un conseguente ritardato raggiungimento<br />
dello steady-state. A ciò viene ricondotto il dato clinico di un prolungato<br />
periodo di latenza degli ATC (8-12 settimane) negli anziani, per quanto concerne<br />
la comparsa dell’effetto terapeutico 37 . In particolare, la tappa metabolica<br />
di demetilazione degli ATC avviene sotto il controllo di vari isoenzimi del<br />
citocromo P450, la cui attività può divenire meno efficiente in corso di<br />
malattie epatiche. Il tasso di demetilazione degli ATC risulta quindi ridotto e<br />
il rapporto tra le amine terziarie ed i rispettivi composti secondari, meno tossici,<br />
proporzionalmente aumentato. In caso di patologia renale, invece, la<br />
riduzione <strong>della</strong> clearance può determinare un accumulo dei metaboliti idrossilati<br />
degli ATC, cardiotossici come i composti originari, con la possibile<br />
induzione di effetti indesiderati cardiovascolari anche in presenza di livelli<br />
plasmatici di ATC non elevati 38 . Anche se gli ATC mostrano a dosaggi terapeutici<br />
una cinetica lineare, negli anziani le alterazioni farmacocinetiche già<br />
descritte possono rendere la clearance degli ATC non lineare, con conseguente<br />
incremento non proporzionale dei livelli plasmatici all’incremento del<br />
dosaggio e conseguente accresciuto rischio di gravi effetti indesiderati. Va<br />
ricordato, infine, che il polimorfismo genetico per l’attività dell’isoenzima<br />
CYP2D6, può determinare, nei poor metabolizers (5-8% dei soggetti di<br />
razza bianca), livelli plasmatici di ATC sino a 30 volte superiori alle aspettative,<br />
con l’insorgenza di fenomeni di tossicità anche gravi, specie nei soggetti<br />
anziani 11 .<br />
Per quanto riguarda le interazioni farmacologiche, deve essere tenuto presente<br />
che tutti gli ATC possono interagire con una serie di farmaci, sia a livello<br />
farmacodinamico che farmacocinetico, determinando effetti indesiderati<br />
anche rilevanti.<br />
Interazioni farmacodinamiche<br />
♦ Alcool. L’associazione tra ATC ed alcolici provoca una maggiore incidenza<br />
di reazioni indesiderate degli ATC, e può indurre seri effetti sedativi<br />
ed ipotensivi, con gravi alterazioni <strong>della</strong> performance psicomotoria e<br />
cognitiva.
♦ Amfetamina e farmaci amfetaminosimili. Gli ATC possono potenziare gli<br />
effetti farmacologici dell’amfetamina e di farmaci ad attività amfetaminosimile<br />
(anoressizzanti). Sono stati riportati in letteratura casi di pazienti in<br />
trattamento con ATC che hanno presentato, dopo ingestione di amfetamina,<br />
crisi ipertensive ed emorragie cerebrali talora fatali. Sebbene il meccanismo<br />
di questa interazione sia tuttora poco chiaro, è stato suggerito<br />
che gli ATC rallentino l’inattivazione metabolica dell’amfetamina,<br />
aumentandone gli effetti farmacologici.<br />
♦ Amine simpaticomimetiche. Gli ATC potenziano la risposta pressoria<br />
all’adrenalina ed alla noradrenalina (amine simpaticomimetiche dirette),<br />
mentre antagonizzano gli effetti farmacologici <strong>della</strong> tiramina (amina simpaticomimetica<br />
indiretta).<br />
♦ Anticolinergici. Gli ATC potenziano l’attività dei farmaci dotati essi stessi<br />
di attività anticolinergica (come fenotiazine, antiparkinsoniani, antistaminici,<br />
antispastici). Il rischio di provocare seri effetti anticolinergici<br />
(soprattutto ritenzione urinaria, ileo paralitico, confusione mentale) è<br />
maggiore negli anziani e/o nei soggetti con specifiche patologie d’organo.<br />
♦ Antipertensivi. L’associazione tra ATC e farmaci antipertensivi quali:<br />
guanetidina, betanidina e clonidina, produce una modesta diminuzione o<br />
talora un annullamento degli effetti antipertensivi di questi farmaci.<br />
♦ IMAO. L’interazione farmacologica tra IMAO di prima generazione (tranilcipromina)<br />
e ATC è da evitare a causa di gravi manifestazioni cliniche<br />
(convulsioni, ipertensione arteriosa, collassi cardiocircolatori, casi di<br />
morte improvvisa) segnalate, se pur raramente, in pazienti trattati con tale<br />
associazione. Il meccanismo dell’interazione è probabilmente dovuto ad<br />
una maggiore disponibilità di monoamine a livello dei recettori catecolaminergici.<br />
Interazioni farmacocinetiche<br />
<strong>La</strong> via principale di eliminazione degli ATC è rappresentata, come si è visto,<br />
da un processo di idrossilazione epatica mediato dall’isoenzima CYP2D6. I<br />
farmaci che interagiscono con il CYP2D6, sia come inibitori che come induttori,<br />
possono, pertanto, provocare rispettivamente un incremento o una diminuzione<br />
dei livelli plasmatici degli ATC 39 . I farmaci sino ad oggi riconosciuti,<br />
in vario grado, come inibitori del metabolismo ossidativo degli ATC sono,<br />
tra gli AD, la fluoxetina, la paroxetina e la sertralina, il citalopram, la mianserina,<br />
la venlafaxina, il trazodone e il nefazodone; tra gli AP, l’aloperidolo,<br />
la perfenazina, il risperidone, la tioridazina, lo zuclopentixolo; tra gli altri<br />
farmaci gli antiaritmici (tipo 1C), i beta-bloccanti e la cimetidina. L’associazione<br />
tra ATC ed i suddetti farmaci, può pertanto comportare, in misura<br />
diversa a seconda del grado di inibizione, un aumento significativo dei livelli<br />
plasmatici degli ATC, con rischio di effetti indesiderati e di tossicità. I farmaci<br />
che inducono il metabolismo degli ATC, con conseguente diminuzione<br />
dei loro livelli plasmatici sono i barbiturici, la carbamazepina e la fenitoina.<br />
L’associazione tra tali farmaci e gli ATC può, pertanto, essere responsabile di<br />
una mancata risposta anche a dosaggi ritenuti terapeutici.<br />
PSICOFARMACOTERAPIA<br />
DEI PAZIENTI A RISCHIO<br />
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LA TERAPIA DELL’ANSIA E DELLA<br />
DEPRESSIONE NELL’ANZIANO<br />
Inibitori Selettivi <strong>della</strong> Ricaptazione <strong>della</strong> Serotonina<br />
Efficacia antidepressiva. L’impiego in acuto degli SSRI negli anziani è ampiamente<br />
documentato in letteratura da studi controllati che hanno coinvolto oltre<br />
1500 pazienti affetti da <strong>depressione</strong> maggiore. I risultati di questi studi documentano<br />
per gli SSRI un’efficacia antidepressiva superiore al placebo e sovrapponibile<br />
a quella dei farmaci di controllo 40 . Menting et al. 41 in una metanalisi effettuata<br />
per valutare il ruolo degli SSRI nel trattamento <strong>della</strong> <strong>depressione</strong> dell’anziano,<br />
evidenziano come alla fine del periodo di trattamento (4-8 settimane) tutti<br />
gli SSRI mostravano la medesima efficacia. In una recente revisione <strong>della</strong> letteratura,<br />
Katona 27 ha osservato come, sulla base dei risultati degli studi clinici sinora<br />
condotti, nessun SSRI possa essere considerato di efficacia superiore agli altri<br />
nei pazienti anziani, indicando pertanto, così come negli adulti giovani, un’equivalenza<br />
terapeutica intraclasse.<br />
Profilo di tollerabilità e sicurezza. Il reale vantaggio clinico degli SSRI è rappresentato<br />
dal profilo di tollerabilità, valutato anche come tasso di drop-out,<br />
che risulta nettamente più favorevole rispetto agli ATC ed anche ad altri AD 41 .<br />
Nonostante i problemi di ordine metodologico che caratterizzano gli studi<br />
meta-analitici, quasi tutte le analisi comparative documentano un maggiore<br />
tasso di drop-out per effetti indesiderati ed una minore compliance per i<br />
pazienti trattati con gli ATC nei confronti di quelli trattati con SSRI 42 . Si sottolinea<br />
che tutti gli SSRI presentano un profilo di effetti indesiderati abbastanza<br />
simile ma non del tutto sovrapponibile. Gli effetti indesiderati più frequenti<br />
(10-20% dei casi) negli anziani, sono in genere simili a quelli riportati negli<br />
adulti giovani e sono rappresentati da nausea, cefalea, insonnia e sonnolenza.<br />
Vi è una invece una ridotta segnalazione degli effetti concernenti la sfera sessuale<br />
(riduzione <strong>della</strong> libido, anorgasmia, disturbi dell’eiaculazione). Gli effetti<br />
indesiderati degli SSRI risultano dose-dipendenti, compaiono spesso nelle<br />
prime fasi del trattamento e tendono, generalmente, ad attenuarsi nel tempo.<br />
Data la scarsità di studi verso placebo nella popolazione anziana, non è a<br />
tutt’oggi possibile fare una distinzione tra i vari composti per quanto concerne<br />
gli effetti indesiderati. L’esperienza clinica dimostra comunque che nel singolo<br />
paziente un certo composto può essere meglio tollerato di un altro. Benché non<br />
vi siano molti studi sistematici effettuati su popolazioni a rischio per comorbilità<br />
somatica, le caratteristiche di tollerabilità e sicurezza degli SSRI ne consentono<br />
l’impiego nella maggior parte dei soggetti anziani, anche se affetti da<br />
patologie cardiovascolari, epatiche, renali e del SNC 43 .<br />
Verranno di seguito esaminati e discussi alcuni aspetti del profilo di tollerabilità<br />
e sicurezza degli SSRI che risultano di particolare rilievo clinico nella<br />
popolazione anziana.<br />
Tossicità comportamentale. A differenza degli ATC, gli SSRI appaiono virtualmente<br />
privi di attività anticolinergica ed antistaminica e pertanto ci si<br />
aspetta che non alterino significativamente le prestazioni psicomotorie e cognitive.<br />
<strong>La</strong> tossicità comportamentale degli SSRI è stata studiata con batterie di<br />
test psicometrici standardizzati. Sherwood 44 ha analizzato con una tecnica
metanalitica una serie di studi individuali in doppio cieco: l’analisi dei risultati<br />
del confronto tra SSRI, ATC e placebo ha evidenziato chiaramente come gli<br />
SSRI siano superiori agli ATC in tutte le misurazioni riportate. Benché la<br />
paroxetina abbia evidenziato in vitro un’attività antimuscarinica superiore a<br />
quella <strong>della</strong> nortriptilina, dati ottenuti in pazienti anziani dimostrano come il<br />
potenziale anticolinergico <strong>della</strong> paroxetina corrisponda, in vivo, approssimativamente<br />
ad un ottavo di quello <strong>della</strong> nortriptilina e non determini, a dosi terapeutiche,<br />
conseguenze cliniche rilevanti 45 . <strong>La</strong> relativa assenza di tossicità comportamentale<br />
degli SSRI ne consente un impiego agevole anche in pazienti con<br />
deterioramento significativo <strong>della</strong> funzione cognitiva. In uno studio controllato<br />
in doppio cieco condotto su pazienti affetti da demenza, il citalopram ha determinato<br />
un miglioramento superiore non solo su sintomi affettivi, ma anche<br />
sugli aspetti cognitivi, in particolare sulla confusione 46 .<br />
Perdita di appetito e di peso. Un effetto indesiderato degli SSRI negli anziani<br />
è la perdita di appetito e di peso. Tale effetto, dose-dipendente, è stato<br />
riscontrato prevalentemente con fluoxetina e risulta correlato ad un’azione<br />
agonista specifica sui recettori 5-HT 2c 47 . Va posta particolare attenzione nei<br />
confronti di questo effetto, dal momento che gli anziani, specie se con comorbilità<br />
somatica, possono presentare delle carenze nutrizionali e risentire in<br />
misura significativa di una riduzione ponderale farmaco-indotta.<br />
Tossicità cardiovascolare. Gli SSRI appaiono ben tollerati e sicuri a livello<br />
cardiovascolare, non determinando, in soggetti sani, alcuna modifica <strong>della</strong><br />
conduzione, del ritmo cardiaco o <strong>della</strong> pressione arteriosa. Possono invece<br />
indurre una lieve riduzione <strong>della</strong> frequenza cardiaca, come evidenziato da<br />
alcuni studi clinici e dai rarissimi casi riportati in letteratura di bradicardia<br />
sinusale associata a SSRI. Questo effetto, correlato direttamente all’incremento<br />
del tono serotoninergico, non è dose-dipendente e può scomparire nel<br />
corso del trattamento 48 . Relativamente scarse sono, peraltro, ricerche sistematiche<br />
su sicurezza e tollerabilità degli SSRI in pazienti cardiopatici. In uno<br />
studio randomizzato in doppio cieco effettuato su pazienti depressi affetti da<br />
cardiopatia ischemica cronica, paroxetina e nortriptilina hanno evidenziato<br />
un’efficacia antidepressiva sovrapponibile, ma il tasso di drop-out per effetti<br />
indesiderati di tipo cardiovascolare è stato significativamente più elevato per<br />
la nortriptilina 49 . In uno studio multicentrico in aperto, condotto su pazienti<br />
postinfartuati affetti da <strong>depressione</strong> maggiore, sertralina non ha determinato<br />
alcuna modificazione significativa sulla frequenza cardiaca, pressione sanguigna,<br />
conduzione cardiaca, e frazione di eiezione ventricolare sinistra 50 . Si<br />
è evidenziata inoltre una tendenza verso una riduzione dell’attività ectopica<br />
ventricolare. Questi risultati, in attesa di conferma da parte di studi controllati,<br />
appaiono promettenti per quanto riguarda l’impiego degli SSRI in questa<br />
popolazione ad alto rischio.<br />
Sindrome da Inappropriata Secrezione di Ormone Antidiuretico. Gli AD,<br />
compresi ATC, SSRI, venlafaxina e nefazodone, sono stati associati con la<br />
comparsa di iponatremia (livelli sierici di sodio inferiori a 130 mmol/l), talora<br />
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DEPRESSIONE NELL’ANZIANO<br />
configurabile nella sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico<br />
(SIADH). Alcune modificazioni fisiologiche predisporrebbero gli<br />
anziani allo sviluppo di iponatremia; con l’età, infatti, la secrezione basale di<br />
ADH aumenta lievemente, così come si incrementa la risposta secretiva dell’ormone<br />
agli stimoli osmotici a livello dei nuclei sopraottico e paraventricolare<br />
dell’ipotalamo. Gli AD, compresi gli SSRI, agirebbero a livello centrale<br />
stimolando la secrezione di ADH attraverso l’azione sui recettori 5-HT 2c 51 .<br />
<strong>La</strong> reale incidenza dell’iponatremia indotta da SSRI è difficile da determinare,<br />
dal momento che mancano studi specifici. Bouman et al. 52 , in uno studio<br />
retrospettivo su 32 pazienti anziani trattati con vari SSRI riportano un’incidenza<br />
di iponatremia asintomatica nel 12,5% dei casi e di SIADH in un altro<br />
12,5%. In un altro studio effettuato su 736 casi di iponatremia o SIADH<br />
associate a SSRI, l’età dei pazienti era superiore ai 65 anni nel 74,4%. Il<br />
tempo medio di comparsa dell’effetto indesiderato è risultato di 13 giorni<br />
(range 3-120 gg.) 53 . Solo il 30% dei casi hanno presentato iponatremia oltre i<br />
3 mesi dall’inizio del trattamento ed in tutti i casi le condizioni dei pazienti<br />
sono tornate normali dopo la sospensione del trattamento. Non è stata riscontrata<br />
alcuna correlazione tra la dose degli SSRI e la gravità dell’iponatremia.<br />
I pazienti con iponatremia possono essere asintomatici o presentare sintomi<br />
aspecifici, quali un rapido incremento ponderale, nausea, letargia, astenia,<br />
crampi muscolari, vertigini e confusione. In seguito ad un edema del SNC<br />
l’iponatremia può indurre seri effetti neurologici, tra cui delirium e crisi<br />
comiziali e può risultare, sebbene molto raramente, letale. I soggetti più a<br />
rischio sono gli anziani di oltre ottant’anni di età e quelli in <strong>terapia</strong> con diuretici,<br />
con prevalenza del sesso femminile. È pertanto consigliabile, specie in<br />
questi soggetti, valutare l’assetto elettrolitico prima dell’inizio <strong>della</strong> <strong>terapia</strong><br />
con SSRI e monitorarlo regolarmente durante il trattamento, almeno per i<br />
primi 2-3 mesi. <strong>La</strong> comparsa di una SIADH richiede la sospensione immediata<br />
di tutti i farmaci che possono causare uno squilibrio idroelettrolitico.<br />
Disturbi extrapiramidali. Anche in pazienti, specie anziani, trattati con<br />
SSRI è stata segnalata l’insorgenza di effetti extrapiramidali (EPS). <strong>La</strong> consistenza<br />
di tali dati appare comunque limitata dal fatto che si tratta di case<br />
report, in cui spesso i pazienti erano trattati con farmaci a rischio di indurre<br />
EPS. Il sintomo più frequente appare l’acatisia, spesso lieve e quindi facilmente<br />
scambiata per irrequietezza o ansia, ma sono stati descritti anche casi<br />
di distonia, parkinsonismo e discinesia tardiva. L’effetto è probabilmente la<br />
conseguenza sia <strong>della</strong> riduzione <strong>della</strong> trasmissione dopaminergica correlata<br />
all’età, sia dell’inibizione del tono dopaminergico per l’azione serotoninergica<br />
diretta degli SSRI a livello nigrostriatale. Pazienti con storia di disturbi<br />
extrapiramidali o in trattamento con farmaci antidopaminergici sono più<br />
suscettibili per la comparsa o l’aggravamento di EPS 54-45 .<br />
Modificazioni dell’aggregazione piastrinica. Le piastrine rappresentano un<br />
modello di neurone serotoninergico, per la presenza sulla loro superficie di<br />
numerosi recettori per la serotonina e di siti per la captazione del neurotrasmettitori<br />
55 . L’azione degli SSRI determina, anche nelle piastrine, l’inibizio-
ne <strong>della</strong> ricaptazione di serotonina e quindi il suo depauperamento all’interno<br />
delle cellule. Le ripercussioni cliniche di questo fenomeno in termini di modificazione<br />
dei processi coagulativi rappresentano attualmente un importante<br />
oggetto di studio. Sono stati segnalati in letteratura casi di sanguinamento di<br />
varia gravità associati all’uso di SSRI 56 . È stato inoltre riportato, in un ampio<br />
studio epidemiologico, un incremento di 2,6 volte del tasso di sanguinamento<br />
gastrointestinale in pazienti in <strong>terapia</strong> con SSRI rispetto alla popolazione<br />
generale, che si incrementa sino a 15,6 volte se vi è un’associazione con acido<br />
acetisalicilico o con FANS 57 . Gli anziani in trattamento con SSRI appaiono<br />
più a rischio per questo effetto indesiderato sia per la possibilità di deficit coagulativi<br />
correlati a malattie somatiche, sia per una maggior probabilità di terapie<br />
farmacologiche concomitanti che intervengano a loro volta a vari livelli<br />
modificando il processo di emostasi. Nei pazienti più suscettibili può essere<br />
pertanto utile un monitoraggio dei principali parametri di coagulazione.<br />
A differenza degli ATC, gli SSRI devono essere considerati farmaci relativamente<br />
sicuri in caso di sovradosaggio. Il profilo farmacologico appare, infatti,<br />
nettamente più favorevole rispetto agli ATC per quanto riguarda gli effetti<br />
sul sistema cardiovascolare e sul SNC. I sintomi di sovradosaggio comprendono<br />
sonnolenza, tremore, nausea, vomito, dolore addominale, bradicardia<br />
ed effetti anticolinergici. L’analisi <strong>della</strong> letteratura documenta, di fatto, nei<br />
casi di sovradosaggio volontario, solo pochi casi ad esito fatale, tutti riportati<br />
in pazienti che avevano assunto in associazione altri farmaci potenzialmente<br />
letali e/o sostanze alcoliche. Uno studio retrospettivo condotto in Gran Bretagna<br />
sulle morti da intossicazione da AD, ha documentato un più elevato<br />
tasso di mortalità (34 morti per milione di prescrizioni) per gli ATC rispetto<br />
ad altri farmaci AD, in particolare gli SSRI (2 morti per milione di prescrizioni).<br />
Tra gli ATC sono risultati a maggiore rischio di tossicità letale l’amitriptilina<br />
e la dotiepina che da soli sono responsabili dello 82% circa delle<br />
morti causate da sovradosaggio di ATC 58 . Questi dati suggeriscono di utilizzare<br />
gli SSRI come farmaci AD di prima scelta in una popolazione, come<br />
quella anziana, ad elevato rischio suicidario.<br />
Modificazioni farmacocinetiche. Le caratteristiche cinetiche dei vari SSRI<br />
possono orientare nella scelta del composto da impiegare, tenendo presente:<br />
a) l’eventuale modificazione dell’emivita di eliminazione correlata all’invecchiamento,<br />
b) l’eventuale presenza di metaboliti attivi, c) la cinetica lineare o<br />
non lineare (tabella XIII).<br />
L’invecchiamento ha effetti diversi sulla farmacocinetica degli SSRI. I parametri<br />
cinetici <strong>della</strong> sertralina e <strong>della</strong> fluvoxamina negli anziani sono paragonabili<br />
a quelli degli adulti giovani 6 . Al contrario, le concentrazioni plasmatiche<br />
<strong>della</strong> paroxetina somministrata a soggetti anziani sono 2-3 volte più elevate<br />
di quelle degli adulti giovani 59 . Va detto, comunque, che questi valori<br />
sono riferiti ad uno studio effettuato su pazienti molto anziani (73-90 anni) e<br />
non sono confrontabili con quelli di altri SSRI in volontari anziani ma di età<br />
molto inferiore. Le concentrazioni di fluoxetina sono risultate 1,3 volte più<br />
elevate in pazienti di oltre 64 anni di età rispetto a volontari sani di 20-35<br />
anni 60,61 . Fluoxetina, sertralina e citalopram possiedono metaboliti attivi, che<br />
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DEPRESSIONE NELL’ANZIANO<br />
Tabella XIII. Parametri farmacocinetici degli SSRI rilevanti negli anziani.<br />
Aumento emivita Metaboliti Cinetica<br />
plasmatica clinicamente lineare<br />
con l’età attivi<br />
Citalopram si no* si<br />
Fluoxetina si si no<br />
Fluvoxamina no no no<br />
Paroxetina si no no<br />
Sertralina no no* si<br />
*attività farmacologica in vitro.<br />
hanno però attività farmacologiche molto diverse tra loro. <strong>La</strong> norfluoxetina è<br />
in pratica equipotente alla fluoxetina in termini di inibizione <strong>della</strong> ricaptazione<br />
<strong>della</strong> serotonina e si ritiene che contribuisca all’attività antidepressiva del<br />
composto madre. I livelli plasmatici <strong>della</strong> norfluoxetina, inoltre, sono in<br />
genere 2 o 3 volte più elevati di quello <strong>della</strong> fluoxetina dopo diverse settimane<br />
di somministrazione; viene quindi considerata il maggior determinante<br />
<strong>della</strong> risposta farmacologica (effetto terapeutico ed effetti indesiderati) 8 . <strong>La</strong><br />
desmetilsertralina è, invece, almeno un ordine di magnitudo meno potente<br />
<strong>della</strong> sertralina per quanto riguarda l’inibizione <strong>della</strong> ricaptazione <strong>della</strong> serotonina<br />
e non si ritiene che contribuisca in modo significativo ad alcun effetto<br />
farmacologico <strong>della</strong> sertralina 6 . Il desmetilcitalopram ha un’attività di ricaptazione<br />
<strong>della</strong> serotonina molto debole ed è ritenuto irrilevante dal punto di<br />
vista dell’attività farmacologica. Nella maggior parte dei pazienti studiati è<br />
stato riscontrato un rapporto composto madre/metabolita dell’ordine di 2-3 62 .<br />
Per sertralina e citalopram è stata evidenziata una relazione lineare, all’interno<br />
del range di dosaggi terapeutici, tra il cambiamento nella dose e il cambiamento<br />
nelle concentrazioni plasmatiche. Ciò significa che questi farmaci<br />
non alterano in modo significativo la loro stessa clearance dopo somministrazioni<br />
ripetute. Al contrario, fluoxetina, paroxetina e fluvoxamina hanno<br />
una cinetica non lineare, vale a dire un incremento del dosaggio produce<br />
incrementi sproporzionatamente elevati nei livelli plasmatici; ciò è dovuto al<br />
fatto che questi farmaci inibiscono il loro stesso metabolismo a livello del<br />
sistema del citocromo P-450 e la tappa di “first pass effect” viene quindi<br />
rapidamente saturata 8 .<br />
Dosaggi terapeutici. Come si è detto in precedenza, anche con gli SSRI è<br />
opportuno seguire il principio generale che raccomanda di utilizzare all’ini-
Tabella XIV. Farmaci metabolizzati dagli isoenzimi del citocromo P450 potenzialmente<br />
rilevanti per le interazioni con gli SSRI.<br />
CYP1A2<br />
Antidepressivi<br />
amitriptilina<br />
clomipramina<br />
imipramina<br />
trazodone<br />
Antipsicotici<br />
clozapina<br />
Miscellanea<br />
antipirina<br />
caffeina<br />
fenacetina<br />
tacrina<br />
teofillina<br />
CYP2C9/10<br />
Miscellanea<br />
antipirina<br />
diclofenac<br />
fenitoina<br />
tolbutamide<br />
warfarina<br />
CYP2C19<br />
Antidepressivi<br />
amitriptilina<br />
citalopram<br />
clomipramina<br />
imipramina<br />
moclobemide<br />
Barbiturici<br />
esobarbitale<br />
mefobarbitale<br />
mefenitoina<br />
Benzodiazepine<br />
diazepam<br />
Beta-bloccanti<br />
propranololo<br />
Miscellanea<br />
omeprazolo<br />
CYP2D6<br />
Antiaritmici<br />
aprinidina<br />
encainide<br />
flecainide<br />
mexiletina<br />
propafenone<br />
Antidepressivi<br />
triciclici<br />
fluoxetina<br />
paroxetina<br />
mianserina<br />
venlafaxina<br />
trazodone<br />
nefazodone<br />
Antipsicotici<br />
aloperidolo<br />
perfenazina<br />
risperidone<br />
tioridazina<br />
zuclopentixolo<br />
Beta-bloccanti<br />
alprenololo<br />
bufarololo<br />
metoprololo<br />
propranololo<br />
timololo<br />
Oppiodi<br />
codeina<br />
destrometorfano<br />
tramadol<br />
etilmorfina<br />
Miscellanea<br />
debrisochina<br />
sparteina<br />
fenformina<br />
“ecstasy”<br />
CYP3A4<br />
Antiaritmici<br />
lidocaina<br />
propafenone<br />
chinidina<br />
Antidepressivi<br />
amitriptilina<br />
clomipramina<br />
imipramina<br />
nefazodone<br />
sertralina<br />
venlafaxina<br />
Antistaminici<br />
terfenadina<br />
Antipsicotici<br />
clozapina<br />
Benzodiazepine<br />
triazolo-BDZ<br />
diazepam<br />
Calcio-antagonisti<br />
diltiazem<br />
felodipina<br />
nifedipina<br />
verapamil<br />
Miscellanea<br />
carbamazepina<br />
ciclosporina-A<br />
cortisolo<br />
eritromicina<br />
etinilestradiolo<br />
testosterone<br />
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DEPRESSIONE NELL’ANZIANO<br />
zio dosi basse e di incrementarle gradualmente (tabella X). Una titolazione<br />
graduale minimizza il rischio di effetti spiacevoli (nausea, sonnolenza, irritabilità),<br />
che possono essere motivo di drop-out precoci ancor prima <strong>della</strong><br />
comparsa dell’effetto terapeutico. Mentre la curva dose-risposta degli SSRI è<br />
relativamente piatta, gli effetti indesiderati sono dose-dipendenti e quindi i<br />
composti che presentano una cinetica non lineare sono più a rischio per lo<br />
sviluppo di tali effetti dopo alcune settimane di trattamento.<br />
Interazioni farmacologiche. Un elemento di differenziazione tra i vari<br />
SSRI nella pratica clinica è rappresentato delle interazioni farmacocinetiche,<br />
potenzialmente frequenti nei soggetti anziani che assumono spesso politerapie.<br />
Tutti gli SSRI provocano, in vari gradi, un’inibizione degli isoenzimi<br />
del CYP450, con la possibile conseguenza di un incremento anche significativo<br />
delle concentrazioni plasmatiche di altri farmaci substrato metabolizzati<br />
da tali isoenzimi ed un conseguente aumento dei loro effetti farmacologici<br />
39,63 . Ciò appare importante nel caso di farmaci che presentano un indice<br />
terapeutico (intervallo tra livello plasmatico terapeutico e livello tossico)<br />
piuttosto ristretto. Tra i farmaci substrato a basso indice terapeutico, metabolizzati<br />
dal CYP450 e considerati a rischio potenziale per l’interazione con<br />
alcuni SSRI, si segnalano: antiaritmici di Classe 1C, barbiturici, teofillina,<br />
carbamazepina, beta-bloccanti, warfarin, calcio-antagonisti, ATC e clozapina.<br />
Il rischio reale di interazioni degli SSRI merita comunque di essere ulteriormente<br />
approfondito, dato che per numerosi farmaci (ad esempio antiaritmici<br />
di Classe 1, barbiturici e calcio-antagonisti) le informazioni a tutt’oggi<br />
disponibili sono derivate soprattutto da studi in vitro 6 . Si precisa, inoltre, che<br />
l’uso combinato tra SSRI e farmaci potenzialmente a rischio di interazione<br />
non deve rappresentare una controindicazione assoluta al loro utilizzo nella<br />
pratica clinica. Si consiglia invece, nei casi di associazione tra SSRI e farmaci<br />
a basso indice terapeutico, di ridurre la dose di questi ultimi e di effettuare<br />
un monitoraggio clinico del paziente in trattamento per evidenziare<br />
Tabella XV. Inibizione degli SSRI sugli isoenzimi del citocromo P450.<br />
Farmaco CYP1A2 CYP2C9/10 CYP2C19 CYP2D6 CYP3A4<br />
Citalopram n.s. n.s. n.s. basso n.s.<br />
Fluoxetina basso moderato moderato alto moderato<br />
Fluvoxamina alto moderato alto basso moderato<br />
Paroxetina basso basso basso alto basso<br />
Sertralina basso basso basso basso/<br />
moderato<br />
basso<br />
n.s. = inibizione di scarsa rilevanza clinica a dosi terapeutiche medie.<br />
Shad & Preskorn, 2000
eventuali fenomeni di tossicità legati all’incremento dei livelli plasmatici di<br />
tali farmaci. In particolare, nel caso degli antiaritmici di Classe 1 e dei betabloccanti,<br />
è consigliabile un controllo regolare dell’ECG, mentre nel caso di<br />
farmaci quali carbamazepina, fenitoina e teofillina è opportuna una valutazione<br />
periodica dei livelli plasmatici; infine, per quanto riguarda la warfarina,<br />
si raccomanda di effettuare frequenti controlli del tempo di protrombina.<br />
Nelle tabelle XIV e XV vengono riportati, rispettivamente, i farmaci metabolizzati<br />
dagli isoenzimi del CYP450 ed il grado di inibizione enzimatica<br />
dei singoli SSRI.<br />
Le interazioni farmacodinamiche clinicamente rilevanti degli SSRI sono<br />
scarse, dato il loro profilo farmacologico selettivo. Vanno citati a questo proposito<br />
la sindrome serotoninergica, manifestazione clinica rara ma potenzialmente<br />
grave, determinata presumibilmente da un eccessivo potenziamento<br />
farmaco-indotto, <strong>della</strong> trasmissione serotoninergica. Questa sindrome è<br />
caratterizzata da sintomi aspecifici quali vomito, diarrea, mioclonie, iperreflessia,<br />
tremore, ipertensione, febbre, stato di agitazione e può svilupparsi in<br />
seguito alla somministrazione contemporanea di vari farmaci serotoninergici<br />
quali SSRI, IMAO, ATC, litio, carbamazepina, triptofano, trazodone, ecc. 64<br />
Inibitori reversibili <strong>della</strong> MAO-A (RIMA)<br />
Tra i RIMA, la moclobemide è il composto più studiato negli anziani, anche<br />
se molto poco prescritto nel nostro Paese. De Vanna et al. 65 hanno riportato i<br />
risultati di due studi in cui si evidenzia per la moclobemide un’efficacia antidepressiva<br />
paragonabile alla mianserina ed alla maprotilina. Anche Tiller et<br />
al. 66 non hanno riscontrato in un loro studio differenze significative tra<br />
moclobemide e mianserina. In uno studio versus nortriptilina e placebo effettuato<br />
da Nair et al. 67 , la moclobemide a differenza <strong>della</strong> nortriptilina non è<br />
risultata tuttavia superiore al placebo. Non vi sono studi sull’efficacia e la<br />
tollerabilità <strong>della</strong> moclobemide nei trattamenti a lungo termine degli anziani.<br />
Katona 27 ha concluso che, in base ai dati di letteratura disponibili, non è possibile<br />
trarre alcuna indicazione definitiva sul ruolo <strong>della</strong> moclobemide nelle<br />
depressioni in età senile. Gli effetti indesiderati più frequenti <strong>della</strong> moclobemide<br />
negli anziani sono: cefalea, secchezza delle fauci, insonnia, nausea,<br />
vertigini, sonnolenza. <strong>La</strong> riduzione <strong>della</strong> performance psicomotoria e cognitiva<br />
è inferiore a quella dei ATC, probabilmente per la minor attività anticolinergica.<br />
<strong>La</strong> moclobemide mantiene, anche negli anziani, un’emivita molto<br />
breve (1-2 h) e deve essere perciò somministrata tre volte al giorno, con<br />
ripercussioni sfavorevoli sulla compliance.<br />
Mianserina<br />
<strong>La</strong> mianserina è risultata di efficacia antidepressiva paragonabile a quella<br />
degli SSRI negli studi controllati effettuati sulla popolazione anziana 68 . <strong>La</strong><br />
mianserina presenta effetti indesiderati, in particolare sonnolenza e sedazione,<br />
che riducono significativamente la performance psicomotoria e cognitiva<br />
e che consigliano la somministrazione di una dose unica serale 69 .<br />
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DEI PAZIENTI A RISCHIO<br />
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DEPRESSIONE NELL’ANZIANO<br />
Mirtazapina<br />
L’efficacia e la tollerabilità <strong>della</strong> mirtazapina sono state valutate su 150 pazienti<br />
di oltre 55 anni di età in uno studio controllato in doppio cieco versus trazodone<br />
e placebo <strong>della</strong> durata di 6 settimane 70 . Entrambi i composti attivi si sono dimostrati<br />
significativamente superiori al placebo. Gli effetti indesiderati più frequenti<br />
<strong>della</strong> mirtazapina sono stati sonnolenza e secchezza delle fauci. In un altro studio<br />
controllato di 6 settimane mirtazapina è stata confrontata con amitriptilina su 115<br />
pazienti anziani depressi 71 . Alla fine dello studio non sono emerse differenze<br />
significative tra i due farmaci per quanto concerne la percentuale di responders<br />
(rispettivamente, 74% con la mirtazapina e 81% con l’amitriptilina) e la riduzione<br />
del punteggio totale <strong>della</strong> HAM-D e <strong>della</strong> MADRS. Gli effetti indesiderati più<br />
frequenti in entrambi i gruppi sono stati sedazione, vertigini e secchezza delle<br />
fauci. <strong>La</strong> mirtazapina, a differenza dell’amitriptilina, si è rivelata priva di effetti<br />
indesiderati di tipo cardiovascolare. Il farmaco offre inoltre il vantaggio di non<br />
avere interazioni farmacocinetiche significative e di essere sicuro in overdose.<br />
Anche per questo antidepressivo, si consiglia una somministrazione unica serale.<br />
Reboxetina<br />
Katona et al. 72 hanno confrontato la tollerabilità e l’efficacia di reboxetina versus<br />
imipramina in uno studio multicentrico controllato, condotto per 8 settimane su<br />
un gruppo di 347 soggetti di età superiore a 65 anni, affetti da <strong>depressione</strong> maggiore<br />
o distimia. Per quanto concerne l’efficacia antidepressiva, la riduzione del<br />
punteggio medio <strong>della</strong> HAM-D è risultata complessivamente sovrapponibile nei<br />
due gruppi in trattamento. Il tasso di drop-out per effetti indesiderati è risultato<br />
più elevato per imipramina che per reboxetina e gli effetti indesiderati correlati<br />
ad imipramina sono risultati di intensità maggiore rispetto a quelli correlati a<br />
reboxetina. Gli effetti indesiderati comparsi più frequentemente con imipramina<br />
che con reboxetina sono stati: ipotensione ortostatica, difficoltà alla minzione,<br />
stipsi e turbe del ritmo o <strong>della</strong> conduzione cardiaca, mentre l’insonnia è stata<br />
riportata più frequentemente con reboxetina. Il farmaco offre il vantaggio di non<br />
avere interazioni farmacocinetiche significative e di essere sicuro in overdose.<br />
Dato il suo profilo farmacologico peculiare (attività selettiva sulla noradrenalina),<br />
la reboxetina è considerata una valida alternativa nei pazienti che non rispondono<br />
ad un SSRI o da utilizzare in aggiunta ad un SSRI come strategia di potenziamento<br />
nelle depressioni resistenti 73 .<br />
Trazodone<br />
Salzman 74 ha passato in rassegna nove studi controllati effettuati con trazodone<br />
versus altri AD nel trattamento in acuto <strong>della</strong> <strong>depressione</strong> degli anziani. Il trazodone<br />
si è dimostrato sostanzialmente equivalente ai farmaci di confronto per<br />
quanto riguarda l’efficacia antidepressiva, a dosaggi compresi tra 150 e 450<br />
mg/die. Non vi sono studi sul lungo termine. Il composto presenta, a dosi inferiori<br />
a quelle antidepressive, un’efficacia ansiolitico/ipnotica e potrebbe essere
impiegato a questo scopo negli anziani, in alternativa alle BDZ. L’emivita è prolungata<br />
sino a valori doppi rispetto agli adulti. Il marcato effetto sedativo può<br />
indurre sonnolenza e determina, inoltre, una riduzione <strong>della</strong> performance psicomotoria<br />
e cognitiva anche a dosaggi subterapeutici (50 mg/die) 69 . Sia il trazodone<br />
che il suo principale metabolita (1-m-clorofenilpiperazina) bloccano i recettori<br />
α-1 adrenergici e possono pertanto causare ipotensione ortostatica.<br />
Venlafaxina<br />
In uno studio controllato in doppio cieco <strong>della</strong> durata di 6 settimane la venlafaxina<br />
è stata confrontata con dotiepina su un gruppo di 92 pazienti di età superiore a<br />
65 anni affetti da <strong>depressione</strong> maggiore 75 . I due composti hanno evidenziato<br />
un’efficacia antidepressiva sovrapponibile, come dimostrato dalla riduzione dei<br />
punteggi <strong>della</strong> HAM-D e <strong>della</strong> MADRS. Gli effetti indesiderati sono stati motivo<br />
di drop-out nel 7% dei pazienti trattati con venlafaxina e nell’8% di quelli trattati<br />
con dotiepina. Non vi è stata alcuna differenza significativa tra i due gruppi nella<br />
frequenza dei singoli effetti indesiderati. Modificazioni elettrocardiografiche di<br />
rilevanza clinica sono state riportate più frequentemente con la dotiepina. Smeraldi<br />
et al. 76 hanno confrontato venlafaxina, clomipramina e trazodone in uno<br />
studio controllato in doppio cieco <strong>della</strong> durata di sei settimane effettuato su 170<br />
pazienti di età superiore a 65 anni affetti da <strong>depressione</strong> maggiore. <strong>La</strong> riduzione<br />
del punteggio alla HAM-D, alla MADRS ed alla CGI è stata significativamente<br />
maggiore per venlafaxina e clomipramina in confronto a trazodone, mentre i<br />
pazienti in venlafaxina hanno riportato meno effetti indesiderati rispetto agli altri<br />
due gruppi. Gli effetti indesiderati più comuni con venlafaxina sono nausea, vertigini,<br />
insonnia, nervosismo, inappetenza e secchezza delle fauci. Sono stati inoltre<br />
riportati in letteratura rari casi di rialzi pressori in pazienti trattati con dosaggi<br />
elevati 76 . Come altri nuovi AD, la venlafaxina presenta il vantaggio di non avere<br />
interazioni farmacocinetiche significative e di essere sicura in overdose.<br />
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