Domenico Starnone 多米尼科·斯塔诺内 Nato a Napoli nel 1943, è scrittore, sceneggiatore e giornalista. Vive e lavora a Roma. Ha insegnato a lungo nella scuola media superiore e si è occupato di didattica dell’italiano e della storia (Fonti orali e didattica, 1983). Passato dall’insegnamento al giornalismo (“L’Unità”, “Il Manifesto”), alla letteratura e, infine, alla scrittura per il cinema, ha scritto molti libri satirici sul mondo della scuola, sia dal punto di vista degli insegnanti che degli studenti. Oltre che autore di sceneggiature (Del perduto amore diretto da Michele Placido, Tutto l’amore che c’è di Sergio Rubini e La guerra degli Antò di Riccardo Milani), Starnone ha visto diversi giovani registi italiani scegliere i suoi scritti come punto di partenza per il loro lavoro. Dai suoi libri sono stati tratti i film La Scuola di Daniele Luchetti, Auguri, Professore di Riccardo Milani e Denti di Gabriele Salvatores. Tra le sue opere letterarie, oltre a Via Gemito, vincitore del Premio Strega nel 2001, si ricordano Labilità (2005), Prima esecuzione (2007), Fare scene. Una storia di cinema (2010). La sua opera è stata tradotta in greco, francese e tedesco. 1943年生于那不勒斯,意大利作家、编剧和记者,目前工作和生活在罗马。他曾在高中任教多 年,教授意大利语和历史(1983年出版《口语溯源与教学》)。在转而从事记者、作家和电影编剧 后,他出版过多部以校园为背景的文学作品。 斯塔诺内与多家意大利报纸(《团结报》、《宣言报》)及讽刺文学杂志(如《心灵》、《探 戈》、《拳击手》)合作。 作为编剧,斯塔诺内的作品曾被多位著名导演搬上银幕,如:米凯莱·普拉齐多执导的《逝去 的爱情》、塞尔吉奥·鲁比尼的《所有的爱》、里卡多·米兰尼的《安托的战争》。此外,很多年 轻导演也将他的作品作为事业的起点,如达涅莱·鲁凯蒂的《校园》、里卡多·米兰尼的《恭喜, 教授》和加布里埃莱·萨尔瓦托雷斯的《牙齿》等。他的小说《杰米托路》广受赞誉,为其赢得了 2001年斯特雷加文学大奖。此外他还创作有《短暂性》(2005年)、《第一次正法》(2007年)和 《电影的故事》(2009年)。斯塔诺内的作品曾被翻译成希腊语、法语和德语出版。 Via Gemito (Feltrinelli, 2002) “Via Gemito” è la storia di un uomo che se non avesse avuto una famiglia sarebbe diventato un grande pittore, questa almeno sarà la convinzione di tutta la sua vita. Federì è un artista, ma deve fare il ferroviere, e al mondo non potrà mai perdonare il destino scelto per lui. E se la prende con la moglie, una donna soffocata nel ruolo di sarta e madre, e con i figli. Ed è uno di loro, il primogenito, a raccontare questa figura di padre verboso e rancoroso, violento con le mani e con le parole. 《杰米托路》 (Feltrinelli出版社,2002年) 一个男人认为自己因为家庭的羁绊而没能成为伟大的画家,尽管他始终相信自己有那个能力。 费德利是个艺术家,却不得不从事铁路工人的工作。他永远不能原谅上天为他选择的命运。为此, 他和所有人都过不去,不管是做裁缝的妻子,还是孩子们。在小说中,他的长子为我们讲述了这个 郁闷、愤恨且暴力的父亲形象。 Via Gemito …Ma mia madre a casa non ci voleva stare, specialmente in quell’occasione. Aveva trentaquattro anni, quattro figli, erano sposati da tredici anni. Orfana di padre, aveva fatto la guantaia fin da bambina (“Sai fare la guantaia? E fa’ la guantaia! Che capisci di pittura?”). A cinque anni il suo lavoro era pescare i fili di cotone che le rivettature decorative lasciavano nella parte interna dei guanti e arrotolarli in modo da tenere la cucitura esterna ben bloccata, cosa che le spezzava le unghie e le scorticava i polpastrelli. Con lui, malgrado le chiacchiere, le cose non erano cambiate molto. Ma pazienza: c’erano lati suoi brutti e altri che continuavano ad attrarla. Fantasioso, sfottente, pazzo com’era, le era piaciuto subito, già nel tiepido pomeriggio del ’38 in cui la fermò per strada. Permette, signorina. Era diverso da tutti, nei gesti, nei toni della voce. Non assomigliava a suo fratello Peppino, agli amici di suo fratello, agli uomini delle sorelle di sua madre; non assomigliava a nessuno. Lui l’aveva adocchiata mentre parlava del più e del meno con certi amici, operai del Deposito. Uno sguardo si sente. L’aveva vista dall’alto, dal ponte dello Smistamento, mentre lei avanzava per lo stradone polveroso e alle spalle aveva il riverbero celeste della Marina. Non si era potuto trattenere, le era piombato addosso come un falco, lui stesso nel rievocare l’incontro con toni nostalgici si paragonava a quel volatile. Era bella, forse meno bella di adesso, a trentaquattro anni: allora ne aveva diciassette, i capelli neri sciolti, un viso da orientale, la gonna rosa tutta a pieghe oscillanti sulle caviglie ben fatte e una camicetta chiara sotto un bolerino. Signorina, permette signorina. Lui rideva, si vantava, smaniava. Lei zitta, camminava spedita guardando diritto davanti a sé, salvo qualche occhiata in tralice, ironica, per valutare quello sconosciuto. Era tutto vestito di nero, la fronte troppo alta, portava i baffi, sembrava vecchio. A un certo punto gliel’aveva pure detto per scoraggiarlo: “Voi siete troppo vecchio per me”. Ma lui aveva chiarito, un po’ urtato, un po’ avvilito, che aveva ventun anni: era l’abito che lo faceva vecchio, forse la fatica, forse i baffi. Solo allora si era accorta che le piaceva. Chissà perché ne era stata attratta, sono cose misteriose che non si possono spiegare. Forse perché lui si comportava come se fosse il figlio di un re che per ragioni sue segrete si era travestito da operaio aggiustatore elettricista. Forse perché tirava fuori un foglio, una matita e la rifaceva identica, bocca socchiusa per lo stupore. Ad ogni modo ci si era fidanzata in casa, contenta per la fortuna che le era toccata, un uomo che la sapeva tenere allegra, parlava e parlava, mai un silenzio. Senza contare che aveva uno stipendio fisso. Obiettivamente cosa poteva sperare di più? Ma ora, nel giugno del 1955, ecco che lui all’improvviso pareva prossimo a diventare proprio quello che da quindici anni giurava che sarebbe diventato, un artista di fama; e lei non voleva perdere l’occasione di essere in pubblico, al meglio, la moglie di un artista di fama. Perciò, mentre mio padre bestemmiava tutti i santi e tutte le madonne, smise gli abiti della madre di famiglia e tirò fuori dall’armadio le vesti che s’era cucita ora per il matrimonio di una cugina, ora per la cresima di una conoscente. Ne scelse una e in quattro e quattr’otto come sapeva fare lei, senza trucchi se non la crema nivea (lei pronunciava nivèa) e il rossetto, diventò di una bellezza che toglieva il respiro. Lui bestemmiò ancora più forte. Sospetto, adesso, che odiasse quella bellezza speciale di sua moglie, perché appena ne avvertiva la potenza dietro i modi e le forme a cui era abituato sentiva la morsa dell’ansia. Era un’indefinibile caratteristica dell’organismo, una specie di segreto dei segreti che nessuno riesce a svelare e che perciò appassiona. Lei sola ne conosceva veramente la formula e la usava a sua discrezione. Rusinè sapeva ingrigire per mesi e poi guizzare all’improvviso come una saetta. In quell’occasione la rifinì, quella sua bellezza, con due pettini per fermare i capelli, pettini di elegante disegno a volute che mio padre le aveva regalato, e quindi gli annunciò in dialetto, parlavamo tutti soltanto in dialetto: “Sono pronta, Federì”. Pronta per cosa? ‘A sfaccimm’e chi t’è muórt, Rusinè. Suo marito innanzitutto la umiliò definendola troppo impernacchiata, vocabolo che usava per le parenti neoricche di mia nonna quando mettevano cappellini piumati, tinta sulle guance, troppi ori: femmine sguaiate che si vestivano da pernacchie, credo che intendesse, donne volgari, scoregge della bocca. E poiché lei resistette e non cambiò niente del suo abbigliamento, volle per ripicca che anche mio fratello e io andassimo a goderci i suoi trionfi artistici. E si sarebbe tirato dietro anche gli altri due bambini se uno non fosse stato troppo vivace e l’altro non avesse avuto solo due anni. Ma cazzo, gli sarebbe piaciuto che venissero anche loro, e pure la nonna, tutti, una libera uscita generale, in modo da non farle dimenticare che il suo ruolo era di madre di figli e non di sciantosa come lei voleva sembrare per fargli fare figure di merda con gente che già lo considerava un intruso e ora, sera dietro sera, cercava in tutti i modi di fargli le scarpe. Che aveva fatto di male per meritarsi una donna così? Non ricordo quasi niente di quella nostra visita alla mostra. Probabilmente calammo giù con la funicolare centrale, attraversammo via Toledo e andammo sotto i portici della Galleria Umberto, mio padre cinque passi avanti, truce, e noi tre dietro. Rusinè non ha mai raccontato niente di quella 24 25