Addio al paradiso (Tian Yang) Lo feci entrare in casa e accesi la luce del tinello. “Non è cambiata per niente.” Disse lui. Quando i miei nonni erano partiti per un viaggio, avevo mandato in vacanza anche Liu, la nostra domestica. Ogni sera telefonavo al piccolo ristorante appena aperto sotto casa per farmi portare su la cena. Quel giorno ordinai qualche piatto in più e, certo, anche della birra. Lui ipocritamente disse che non c’era bisogno di sprecare tutti quei soldi poi, in un batter d’occhio, si spolverò il contenuto di sette o otto vaschette monouso. “Posso fumare?” Gli avevo chiesto. Lui si bloccò sorpreso. “Da quant’è che hai cominciato a fumare?” Io accesi una sigaretta, gli chiesi: “Ne vuoi una?” Lui scosse la testa, e poi con un sospiro rammaricato: “Anche gli angeli in camice bianco diventano decadenti – questi sono proprio tempi post-moderni”. “Non ho mai fumato davanti a un paziente”. Gli dissi io. “Con il tuo ragazzo, come vanno le cose?” Dopo aver bevuto un lungo sorso di birra mi chiese lui, in tono appagato. “Di quale parli?” Chiesi io. “Di quello più recente”. “Ci siamo lasciati un mese fa. Altrimenti te l’avrei fatto conoscere”. “Risparmiami, tanto con i tuoi gusti”. Rise lui. “Ti ricordi Lin Wei? Era in classe con noi alle medie”. Gli dissi. “Me la ricordo, che c’è si è sposata?” Bofonchiò in maniera confusa, mentre masticava un boccone di pollo gongbao in salsa piccante. “Come lo sai?” “Non è difficile,” mi guardò “mi basta sentire il tono per capire quello che stai per dire”. “A chiacchierare con te non c’è gusto”. “Dai dimmi, allora Lin Wei si è sposata?” “Niente. Un giorno l’ho incontrata insieme al marito nel grande magazzino Xiandai, stavano comprando un lettore per dvd. Lui è talmente brutto che non riuscivo a guardarlo in faccia”. “Comunque, per quanto tu ne dica, lei almeno si è sposata. Tu che aspetti? Hai già venticinque anni”. “Ventiquattro, prego. Mancano ancora tre mesi. Sono molto giovane.” “Bene quando comincerai ad avere fretta, fai pure un pensierino a me”. Disse lui. “Prima o poi dovrò sposarmi, tanto vale che mi prenda qualcuno che conosco. Tu che dici?” “Falla finita”. Gli battei i bastoncini sulla testa. Lui continuò a ingozzarsi, per un po’ nella stanza cadde il silenzio. Io aprii la lettera di mio padre. “Tuo padre, tutto bene?” “Sì”. Gli risposi brevemente. Nella lettera, mio padre diceva che tra due mesi sarebbe andato di nuovo in Africa, stavolta non poteva mettere il mio fratellino in casa della madre. Perché lei in quel periodo si sarebbe risposata. Così, tra due mesi, avrei incontrato quel ragazzino dal nome strano, Luc Song soprannominato Bubu. “Che c’è?” Mi chiese lui. “Niente”. Dissi io. “Mangiato bene?” “Talmente bene che sono commosso”. “Allora non fare troppo tardi. Ti ho messo in camera di mio padre, se vuoi lavarti usa l’asciugamano verde scuro, io domani devo andare a lavorare”. Spensi la sigaretta e feci un sospiro profondo. “Non ho sonno, vado da Xiao Qiang a prendere a noleggio qualche film”. “Non lo hai saputo? Ha chiuso il negozio. Non so dove sia adesso”. Lui non si era mosso. Mi guardava. “Che c’è?” “Tian Yang”. Lui mi disse lentamente. “In questi anni, come sei stata?” “Adesso perché improvvisamente ti metti a fare il sentimentale?” Io ridevo. “I miei nonni tornano tra due settimane, puoi abitare qui senza problemi. Posso prestarti qualche soldo, mi hanno appena pagato lo stipendio, però appena trovi lavoro me li ridai”. Lui rispose: “Affare fatto”. In quel modo passarono due settimane, io andavo a lavorare, lui rimaneva a casa a navigare in rete, già che era lì faceva le pulizie, mi preparava la colazione. Si stava comportando in maniera impeccabile – la mattina del primo giorno fece tutti i piatti che avevo lasciato accatastati nel lavello. Non aveva alcuna fretta di trovarsi un lavoro, e neppure di mettersi in contatto con i suoi. Che strano, dopo appena tre giorni mi ero già abituata ad averlo intorno, come se fosse sempre stato un membro della famiglia. Un giorno al crepuscolo andammo al supermercato insieme, e incontrammo il vecchio direttore ormai affetto da demenza senile. Lui si affrettò a venirci incontro, strinse la mano a Zhou Lei: “Eh, quanto tempo che non ci vediamo. Ti sei sposato? Saluta tua madre da parte mia, dille che deve fare un po’ di attività fisica…” Zhou Lei, profondendosi in mille sorrisi come me, disse che certamente avrebbe trasmesso il messaggio. Questa settimana, le condizioni di Fang Yuan sono eccezionalmente stabili. Il numero dei globuli bianchi è anche aumentato un po’. Sul viso di sua madre sono finalmente ricomparsi un po’ di colore e l’ombra di un sorriso, Long Wei e Yuan Liangliang come al solito “non sembrano malati di cancro”, Pipi come sempre fa finta di niente, nella camerata è arrivata una bambina di quattro anni. Per essere esatti, li compirà il prossimo mese. Ha un paio di occhietti gonfi da pesce rosso. Tutta eccitata chiama la nonna con il cellulare del padre: “Nonna, ho la leucemia, non devo più andare all’asilo!” Sarà forse la primavera, nella camerata c’è un’atmosfera rilassata e felice. Dopo cena, i genitori che fanno compagnia ai loro bambini in ospedale si mettono a giocare a poker sul balcone. Insomma, i giorni ci mostrano un viso pieno di speranza. Sarà forse illusoria, in ogni caso rende il cuore leggero e la mente allegra. Ultimamente c’è stato solo un imprevisto: un giorno all’ora di pranzo Zhou Lei è piombato d’un tratto nel reparto, attirando l’attenzione di Yang Pei e degli altri, con l’ansia scritta su tutta la faccia. “Tian Yang, come si fa? Sono tornati i tuoi nonni.” “Tian Yang,” aveva mormorato Yang Pei tra sé e sé, “come lo dice in modo intimo.” Risultato, nel pomeriggio quando andai a fare la flebo a Yuan Liangliang, sentii nel corridoio quei due birbanti che cantilenavano a voce alta: “Tian… Yang, Tian…Yang”. Maledetto Yang Pei. (Zhou Lei) Tian Yang, sei dimagrita. Una volta eri una ragazzina grassottella. A tredici anni non avevi ancora cominciato a sviluppare, te ne stavi lì piantata nella prima fila della classe come un ravanello. Hai iniziato a dimagrire dopo aver incontrato Jiang Dong. Quando a casa se ne sono accorti avevi ormai sedici anni, l’amore da un giorno all’altro ti aveva reso bella, slanciata. Ora ne hai venticinque, quel deperimento silenziosamente ti si è stampato addosso come lui, ormai fanno parte del tuo codice genetico. Evitiamo di parlare di quel figlio di cane di Jiang Dong, tanto so che tu lo hai già dimenticato. Nessuno a venticinque anni continua a ricordare l’amore dei quindici – a meno che per dieci anni sia rimasto fermo senza progredire. Temo che tu non ne sia consapevole, ma molte delle tue espressioni, dei tuoi piccoli gesti sono nati ai tempi in cui stavi insieme a Jiang Dong. Per esempio, il tuo sorriso accattivante con la testa reclinata, quando abbassi gli occhi a fissarti le punte delle dita, poi c’è l’intercalare “vai a morire, và”, questi dettagli sono la firma di Jiang Dong incisa sulla tua anima. Mi fanno infuriare, ma non riesco a evitarli. Quando sei uscita per andare a lavorare, ho pensato di mettere in ordine la tua stanza. I libri negli scaffali sono tutti cambiati, rimangono soltanto Le opere complete di Albert Camus e le Poesie di Haizi. Tirai fuori il libro di poesie, lì dentro sono tracciati con una linea rossa, ora pesante ora leggera, ora spessa ora sottile, i tuoi ultimi dodici anni,. Nel mese di maggio, il grano nei campi e i cigni nel villaggio silenzioso e solitario, un ciclo di nascite e morti, che ha fatto nascere Pushkin e me. Le vedi? Le due colombe bianche, come le scarpe di Qu Yuan rimaste sulla riva. Anche noi, con quelle scarpe possiamo scorrere via, come il fiume. Fai tesoro del villaggio al crepuscolo, del villaggio sotto la pioggia, un cielo senza nuvole è vuoto come il mio eterno dolore. Dannazione. Quel mostro scriveva bene sul serio. Ricordo ancora quel pomeriggio, Tian Yang, eri seduta in questa stanza e mi leggevi questo libro. Dopo aver cercato per un bel po’, ho ritrovato la tua frase preferita di allora, Osserva i fiori selvatici sulla landa dove sono morti gli dei, il vento lontano è più remoto della lontananza stessa. Con il lamento della mia cetra, con le lacrime ormai esaurite, restituisco alla landa questa lontananza così distante. Poi, d’un tratto, mi eri venuta vicino e mi avevi detto: “Zhou Lei, se Haizi fosse ancora vivo, io me lo sposerei.” Stavo per dire, non è possibile è troppo brutto, ma i pugni di Tian Yang non erano certo inferiori a quelli della protagonista del film sudcoreano My sassy girl, e allora avevo detto: “Facciamo conto che sia ancora vivo, e se una moglie già ce l’ha?” “Non m’importa.” “E se non vuole sposarti?” “Non m’importa.” Tian Yang, a quell’epoca io avevo solo quattordici anni e tu presto avresti incontrato Jiang Dong. Va bene, visto che Jiang Dong non si può proprio evitare, se aspetto un po’ a parlarne non c’è problema, no? I giorni passavano tranquilli. Io stavo a casa – cioè a casa di Tian Yang – passavo il tempo a chattare in rete, a bere lattine di birra e a guardare dvd. La sera mangiavo insieme a lei le cose che ordinavamo da fuori. Dopo mangiato, naturalmente ero io a fare i 30 31