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rivista 4-2005 - Sindacato Libero Scrittori Italiani

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zione univoca, vi opera uno “scompiglio” metafisico<br />

che una singolare Aufhebung porta ad un diverso<br />

livello speculativo. Questo nuovo livello si configura<br />

come autenticità nella differenza.<br />

Tale espressione viene a definire l’interna struttura<br />

della “cosa”, del “più proprio” che qualifica la condizione<br />

umana. A queste conclusioni speculative si arriva<br />

approfondendo la riflessione sul ruolo dell’interpretazione:<br />

l’autenticità è l’interpretazione dell’identità<br />

quando questa si configuri come identità personale<br />

umana. Il “più proprio” di tale identità consiste nello<br />

strutturarsi su un duplice piano: intimità ed estraneità.<br />

Questa struttura duplice diventa criterio ermeneutico<br />

dello statuto metafisico della persona: estraneità<br />

interiore, che è interiore differenza, e della stessa<br />

azione morale: azione di testimonianza. Un particolare<br />

rilievo in tutto il discorso ha la nozione di estraneità<br />

interiore: avvertimento, nel nucleo più intimo<br />

della nostra condizione costitutiva, di un livello di<br />

realtà che ci è immanente eppure ci supera, semplificazione<br />

emblematica di una autenticità nella differenza.<br />

Potremmo ricordare in proposito la suggestiva<br />

espressione di S. Agostino: “intimior intimo meo”<br />

(Conf. III, 6, 11), un’espressione di vertiginosa profondità.<br />

L’autenticità nella differenza diviene infine criterio<br />

ermeneutico, modello esplicativo di aspetti<br />

costanti della condizione umana: il piacere, la sofferenza,<br />

la morte e la speranza di immortalità, l’intimità<br />

stessa del rapporto interpersonale.<br />

Volendo concludere ed insieme riassumere, potremmo<br />

dire che l’itinerario speculativo che ha accompagnato<br />

l’inquieta ricerca presenta un’unità di tema in<br />

cui si iscrivono le varianti introdotte dalle differenti<br />

stagioni della vita e della cultura. Il tema costante: la<br />

condizione umana colta nel concreto esercizio della<br />

persona; il modello con cui interrogare il contesto:<br />

determinazione ed ulteriorità, struttura ed orizzonte<br />

di senso, autenticità nella differenza; il metodo: fenomenologia<br />

ed interpretazione entro gli spazi lasciati<br />

liberi dai “limiti” del trascendentale; gli esiti: un’ontologia<br />

della differenza interiore con le sue implicite<br />

valenze metafisiche. Il discorso non è un discorso<br />

conchiuso: il carattere aperto della ricerca fin qui<br />

condotta, la disponibilità al confronto con le risposte<br />

via via emergenti nell’orizzonte culturale, hanno successivamente<br />

orientato la mia ricerca sulla questione<br />

del metodo e, più precisamente sulla rottura metodologica<br />

(l’espressione è di Paul Ricoeur), ossia la ricerca<br />

di uno spazio per l’ulteriore attraverso la rimozione<br />

dell’orizzontalismo di metodi univoci.<br />

P R I M A P A G I N A<br />

15<br />

La nostra proposta più che limitarsi ad una “rottura<br />

metodologica” la include in una complessità metodologica,<br />

oltre che una successione di metodi, si propone<br />

una pluralità, un intreccio di metodi (sguardo fenomenologico,<br />

interpretazione dei nuclei di senso, confutazione).<br />

Si disegna così un pluralismo metodologico che<br />

determina un’ampia possibilità di pluralismo prospettico.<br />

È la natura stessa della meta che qualifica il<br />

metodo: la meta complessa esige un metodo complesso,<br />

un intreccio di metodi, che sembra essere lo strumento<br />

più proprio del discorso filosofico, la sua idea di<br />

rigore. È rigoroso quindi correre il bel rischio (Fedone,<br />

114 d 6) dell’interpretazione. Ciò mi riporta anche<br />

all’insegnamento di Luigi Stefanini che indicava nella<br />

skepsis, a cui Platone esorta nella Lettera VII, l’essenza<br />

della autentica vita teoretica.<br />

La riflessione sul metodo e sul “più proprio” del<br />

discorso filosofico trova riscontro nell’approfondimento<br />

dell’esito teoretico (e quindi etico) della mia ricerca<br />

che può riassumersi nel ricordato modello “autenticità<br />

nella differenza”. Il tema viene approfondito nel<br />

volume L’estraneità interiore, elemento costitutivo<br />

della differenza e decisivo per l’autenticità. A questo<br />

argomento sono in parte riferiti i convegni che negli<br />

ultimi anni ho organizzato all’Università di Roma<br />

“Tor Vergata” su La persona e le sue immagini;<br />

L’altro, l’estraneo, la persona; L’impersonale e l’ascetica<br />

dell’astratto. A tale tematica si sono riferiti anche i<br />

pochi numeri della <strong>rivista</strong> Prosopon. La persona e il<br />

volto, <strong>rivista</strong> nata nella cerchia dei miei allievi e di<br />

giovani colleghi. L’estraneità interiore è elemento<br />

costitutivo del modello ed insieme prospettiva che<br />

getta una particolare luce sulla sua interna articolazione,<br />

ne determina anche un’accentuazione etica. La<br />

scelta dell’espressione “estraneità interiore” è indubbiamente<br />

una limitazione, ma insieme è liberazione<br />

da evasioni intimistiche, è rivelazione di un’interiorità<br />

profonda non psicologica o emotiva, ma eidetica. Ci<br />

costituisce ed insieme ci supera.<br />

Tale prospettiva è stata recentemente ripresa in un<br />

saggio Immanenza metodica e trascendenza regolativa<br />

(Roma 2004) che, assieme ad Autenticità nella<br />

differenza e L’estraneità interiore costituisce una<br />

trilogia conclusiva di un percorso speculativo.<br />

L’immanenza metodica, ossia l’immanenza intesa<br />

come metodo euristico per esplicitare senso e limiti<br />

della condizione umana, e la trascendenza regolativa,<br />

come esito finale della ricerca, cui corrisponde,<br />

sul piano dello statuto ontologico e quindi metafisico<br />

della condizione umana, l’apertura alla trascendenza,<br />

costituiscono i termini del discorso di questo

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