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Legami - Salvatore Paci

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<strong>Legami</strong><br />

di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong><br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 1


L’avevo già capito quella sera, quando per la prima volta il tuo sguardo agganciò il mio e non lo mollò<br />

più, malgrado le decine di persone che ci passavano in mezzo e che ignoravano ciò che stava accadendo.<br />

Mentre le attraversavi come se non esistessero io attraversavo te, per arrivare al tuo cuore, alle tue vene. Lì, ho<br />

incontrato lei e quel flusso vitale che presto si sarebbe trasferito in te.<br />

Adesso, dopo che in così poco tempo si sono stravolte le nostre vite e nulla più è ciò che era, sono qui,<br />

immobile. E tra le sbarre di un cancello, nella bruma di Barcellona, guardo un taxi che si allontana col suo<br />

carico di gioia e di dolore. Verrei volentieri con te ma il mio posto è qui.<br />

*Micheluccio*<br />

Michele si alzò dal letto – insonne - quando fuori era ancora buio, appoggiò entrambi i gomiti sul<br />

davanzale della finestra, schiacciò fronte e naso contro il vetro e puntò lo sguardo dinnanzi a sé. Dall’alto del<br />

suo appartamento al sesto piano osservò ciò che restava della notte. A destra del Monte Bastione un alone di<br />

luce stingeva le tenebre, scacciando negli abissi centinaia di piccole stelle e le sue insulse paure. Gli uccelli<br />

cominciarono il loro chiacchiericcio ed egli pensò che fosse il loro modo per darsi il buongiorno e iniziare la<br />

giornata in allegria. Li invidiò. Attese che il primo raggio di sole si facesse un po’ di spazio a est dopodiché<br />

sospirò e tornò a letto per il tanto atteso riposo.<br />

Riaprì gli occhi quando il sole dopo aver sovrastato il palazzo di fronte inondò la stanza col suo<br />

abbraccio caldo. Dalla strada arrivò la voce di un arrotino che con il megafono fissato alla sua Ape 50 invitava<br />

le signore a portar giù i coltelli da affilare. Il rumore della centrifuga della lavabiancheria, proveniente dalla<br />

stanza accanto, lo avvertì che sua madre era già in movimento.<br />

Si stiracchiò, poggiò i piedi nudi a terra e ancora seduto sul bordo del letto pensò alla giornata noiosa<br />

che lo attendeva. Rimpianse la stagione scolastica appena terminata che gli aveva consentito di stare con altri<br />

ragazzini e di giocare un po’ con loro. Poi pensò anche agli scherzi di cattivo gusto dei quali era spesso<br />

vittima, scrollò la testa e con un moto di rabbia soffocata, si alzò.<br />

«Ciao mamma.»<br />

«Ciao Micheluccio. Sbrigati ché la colazione è quasi pronta.»<br />

Andò in bagno, aprì il rubinetto e affondò la faccia nelle mani colme d’acqua fredda. Le asciugò<br />

passandole attraverso i capelli e sollevò la testa per guardarsi allo specchio. Si stropicciò gli occhi e<br />

lentamente mise a fuoco il suo volto riflesso. Capelli neri, occhi rotondi e scuri e un viso talmente scarno da<br />

farlo sembrare deperito. Con l’indice percorse il profilo del suo naso e lo trovò troppo lungo, come sempre. Si<br />

stava chiedendo se un viso un po’ più in carne sarebbe riuscito a camuffarlo quando la voce di sua madre - che<br />

lo esortava a fare in fretta - lo distolse da questo pensiero.<br />

Raggiunse la cucina e si sedette a tavola. Guardò la tazza colma di pane e latte fumante come se, invece<br />

che una gustosa colazione, si trattasse di un compito da assolvere. Affondò il cucchiaio nella tazza e poi se lo<br />

cacciò in bocca. Mentre si stava asciugando il muso leggermente sbavato alzò lo sguardo e sorprese sua madre<br />

a spiarlo dalla porta finestra.<br />

«Mangia, mangia. Sei così magro che stai diventando tutto naso.»<br />

Se fino a un momento prima aveva un briciolo di appetito, adesso gli passò anche quello.<br />

Sotto gli occhi attenti della madre ingurgitò malvolentieri altre due cucchiaiate ma poi, quando la vide<br />

andare nel doppio servizio per prendere altra biancheria da stendere, versò il contenuto della tazza nel<br />

lavandino. Il latte defluì immediatamente mentre alcuni pezzetti di pane rimasero sui forellini dello scarico. Si<br />

affrettò a schiacciarli e a spingerli dentro prima che arrivasse sua madre, ma fu tutto inutile; lei era già alle sue<br />

spalle.<br />

Prima lo fulminò con gli occhi, poi lo prese per i capelli e infine lo strattonò. Michele strinse i denti ma<br />

non si lamentò. Sarebbe scappato immediatamente se avesse potuto farlo. Avrebbe voluto dirle tante cose che<br />

lei non avrebbe mai capito: che era stanco di sentire le sue continue lamentele, che dei suoi dodici anni<br />

ricordava soltanto umiliazioni e delusioni, dentro e fuori di casa. Avrebbe voluto urlare un non ne posso più,<br />

ma si trattenne come sempre.<br />

Incontrò lo sguardo spiritato della madre e, mentre si dirigeva verso il balcone, le disse senza tanta<br />

convinzione perdonami.<br />

Tutto il corpo di Michele, escludendo la parte coperta dai pantaloncini, era abbronzantissimo e il sole<br />

sulle sue spalle nude non scottava. Si sedette sulle mattonelle calde e infilò le gambe tra le sbarre della<br />

ringhiera facendo penzolare i piedi nel vuoto. Sotto il sole cocente di giugno Michele era amareggiato per la<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 2


mancanza di compagni di giochi e per il comportamento di sua madre che non lo lasciava uscire quasi mai da<br />

solo. E così, ogni giorno, quel balcone al sesto piano diventava uno scenario nel quale prendevano vita i<br />

personaggi che egli stesso disegnava con la fantasia. Puniva coloro che gli facevano del male inventando storie<br />

nelle quali, davanti agli occhi di tutti quanti, li mortificava e a volte li picchiava sferrando colpi altamente<br />

spettacolari. Poi, quando la scena giungeva al suo epilogo, la immaginava da capo, migliorandola e<br />

arricchendola di nuovi particolari. Provava un piacere immenso a vendicarsi in quel modo, l’unico consentito,<br />

e in questo modo aveva pestato centinaia di volte Calogero, che nella vita reale si prendeva continuamente<br />

gioco di lui.<br />

Michele aveva sempre vissuto sotto l’ala materna; una protezione assillante, onnipresente e stressante<br />

che non gli aveva mai concesso di vivere la vita come aveva sempre desiderato: normalmente. E così, mentre<br />

dal suo balcone vedeva Francesca passeggiare con la bicicletta, la ringhiera si trasformava in una gabbia che lo<br />

teneva intrappolato; quella che sua madre aveva costruito intorno a lui.<br />

Francesca gli piaceva tantissimo perché era sempre allegra e piena di vita, due qualità che il destino non<br />

gli aveva riservato. Gli piaceva ma non aveva mai trovato il coraggio per dirglielo, e ogni volta che lei gli<br />

rivolgeva lo sguardo diventava rosso; specialmente quando congedandosi gli donava una carezza, gesto<br />

affettuoso che lui aveva sempre interpretato come moto di compassione nei suoi riguardi. Sapeva di essere<br />

impacciato e insicuro, e rendendosene conto peggiorava la situazione. Non portava a nulla studiare<br />

preventivamente le parole e i comportamenti in quanto, non appena arrivava il momento per applicarli,<br />

accadeva sempre qualcosa che lo mandava in tilt.<br />

La vide passare ancora una volta davanti al suo portone. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere se<br />

passava di lì per lui. Avrebbe voluto chiederglielo, era stato tante volte tentato di farlo ma alla fine aveva<br />

preferito non rischiare di disilludersi.<br />

Da qualche mese, e cioè da quando aveva cominciato a ragionare senza tenere conto dei lavaggi di<br />

cervello di sua madre, si chiedeva come fare per ottenere un po’ di libertà e, conseguentemente, per avere<br />

qualche possibilità in più di frequentare Francesca. Pensava a quanto sarebbe stato bello passeggiare in<br />

bicicletta insieme a lei però… lui non aveva la bicicletta. Questo lo faceva stare male e ogni volta che ci<br />

pensava stava sempre peggio.<br />

Quel giorno decise di affrontare la madre.<br />

Le confidò di sentirsi sfortunato; brutto, senza amici e costantemente in casa come una femminuccia.<br />

Che non riusciva mai a socializzare con gli altri ragazzini e che quando ci provava si prendevano gioco di lui.<br />

La implorò di aiutarlo, di regalargli la cosa che in quel momento desiderava di più al mondo: una bicicletta.<br />

Riuscì a impietosirla a tal punto che gli promise che ne avrebbe parlato con papà.<br />

Quel giorno suo padre arrivò intorno alle quattordici, stanchissimo ma felice di tornare a casa. Quando<br />

trovò il figlio dietro la porta ad aspettarlo gli sorrise, lo prese da sotto le ascelle e lo sollevò da terra per dargli<br />

un bacio sulla fronte. Lo mise nuovamente giù, gli diede la mano e insieme andarono in cucina. Michele<br />

odiava essere preso per mano. Non era più un bambino e avrebbe voluto che suo padre non lo considerasse<br />

tale. Ma non se la sentiva di affrontare l'argomento, soprattutto in quel momento in cui il suo nulla osta<br />

avrebbe potuto regalargli la felicità.<br />

«Adesso si mangia», gli disse.<br />

Il pranzo fu frugale, come sempre; stelline con il brodo e una fettina di carne sottile e priva di nervature.<br />

Michele era in tensione per la proposta che sua madre avrebbe fatto al marito dopo pranzo e cercò di<br />

evitare ogni cosa che potesse guastare il clima casalingo, fino a quel momento tranquillo. Per questo mangiò<br />

sia il primo che il secondo, anche se si era già saziato dopo le prime due cucchiaiate di pastina.<br />

Suo padre, come da abitudine, raccontò alla moglie la sua mattinata di lavoro. All’inizio c’era una<br />

grande concentrazione: lui parlava e lei lo ascoltava con interesse, ma poi qualcosa cambiò. Notarono entrambi<br />

che il loro figlioletto stava mangiando più del solito e finsero di non accorgersene. Carmela sapeva perché ma<br />

il marito, ancora ignaro della richiesta che la moglie di lì a poco gli avrebbe fatto, era contento ma al tempo<br />

stesso meravigliato. Michele leggeva i loro pensieri e faceva finta di nulla.<br />

L’ultima settimana era stata interminabile; l’aveva trascorsa a contare i minuti e a sognare quello<br />

avrebbe fatto in sella alla sua bici: avrebbe avvicinato Francesca e le avrebbe proposto di fare un giro con lui,<br />

l’avrebbe portata nel suo posto segreto, sarebbe sceso dalla bicicletta gettandola sull’erba, si sarebbe<br />

avvicinato fissandola negli occhi, le avrebbe preso la mano e con un parlare suadente le avrebbe detto che era<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 3


meravigliosa, che i suoi occhi azzurri erano più belli del cielo e che il solo vederla lo riempiva di felicità. Nei<br />

film d’amore funzionava e avrebbe funzionato anche per lui. Aveva studiato ogni particolare, ogni parola: i<br />

movimenti, gli sguardi, tutto quanto. Aveva rivisto la scena centinaia di volte e aveva considerato ogni sua<br />

possibile reazione. Questa volta non si sarebbe confuso; avrebbe dimostrato - soprattutto a se stesso - di non<br />

essere più il ragazzino impacciato di sempre. Con la bicicletta sarebbe stato diverso, si sarebbe piaciuto,<br />

sarebbe piaciuto anche a lei e lo avrebbe baciato, anzi no; sarebbe stato lui a baciarla per primo, e Francesca<br />

avrebbe apprezzato la sua iniziativa.<br />

Michele non stava più nella pelle. Attraversò svolazzando via Manzoni per raggiungere via Quasimodo;<br />

suo padre aveva chiesto a un amico il permesso per utilizzare il suo garage, tutto a beneficio del figlio che non<br />

avrebbe dovuto scendere e risalire ogni volta la bici per le scale.<br />

Con le mani tremanti e con il cuore che gli batteva all’impazzata infilò la chiave luccicante nella toppa,<br />

la girò e alzò lentamente la saracinesca del garage. La vide e gli parve bellissima. Prima ancora di toccarla le<br />

girò attorno ammirandola da ogni angolatura. L’odore di nuovo lo inebriò e con gli occhi chiusi accarezzò la<br />

sua bicicletta e controllò le gomme, stringendole con le sue gracili dita; erano lucide e gonfie al punto giusto.<br />

Impugnò il manubrio e, senza togliere il cavalletto, la spinse fuori dal garage che poi richiuse a chiave.<br />

Gli sembrava di sognare. Quella bici rappresentava la prima battaglia vinta contro sua madre. Eppure,<br />

quello che sarebbe dovuto essere un momento di estrema felicità si trasformò improvvisamente in un profondo<br />

senso di colpa. Gli capitava ogni volta che era felice. Più lo era e più sprofondava. Pregò il Signore di<br />

perdonarlo. Di cosa non lo sapeva neanche lui ma necessitava del suo perdono. Forse perché non era giusto<br />

essere così felice e quello era un tributo da pagare, anche perché - ne era certo perché sua madre glielo diceva<br />

sempre sempre sempre - ogni momento bello prima o poi finisce.<br />

Decise che era giusto essere felice. Punto.<br />

Si mise in sella al suo bolide e, dopo qualche metro di zigzag, puntò verso Via Manzoni. Da lontano, tra<br />

gli abbacinanti riflessi del sole sui parabrezza delle poche auto parcheggiate, riconobbe le sagome di Francesca<br />

e di Calogero. Quel cretino posava appoggiato ad un portone e lei, piegata in due e con una mano sulla pancia,<br />

si sganasciava dalle risate. Una vampata di gelosia lo assalì mentre le gambe spingevano a fatica sui pedali.<br />

Bisognava assumere un atteggiamento rilassato. Avrebbe salutato con sufficienza Calogero, dopodiché<br />

lo avrebbe ignorato puntando la sua attenzione esclusivamente su Francesca. Aveva previsto una scena del<br />

genere. Ci aveva studiato sopra. Si trattava soltanto di essere disinvolto e di proporre alla sua amica di fare una<br />

passeggiata con lui in bicicletta. Se Francesca provava qualcosa per lui avrebbe accettato, altrimenti, avrebbe<br />

rifiutato l’invito. In quel caso gli sarebbe dispiaciuto però, almeno, se la sarebbe tolta dalla mente, si sarebbe<br />

rassegnato e, presto, avrebbe sostituito la protagonista principale dei suoi sogni. Semplice.<br />

Si diresse verso i due.<br />

«Ehilà», esclamò la ragazzina regalandogli un sorriso.<br />

«Ciao Francy. Ciao Calogero.»<br />

Era giunto il momento x.<br />

«È di tua sorella?», gli chiese Calogero.<br />

«Cosa? Questa? No! Non ho sorelle, lo sai», gli rispose.<br />

«E allora di chi è questa bicicletta da signorina?»<br />

«Perché sarebbe da signorina?»<br />

«Ma dai! È una Graziella, ce l’hanno solo le femminucce. Non lo vedi che è più piccola della mia?», gli<br />

disse puntando l’indice alla sua sinistra. « E poi, dov'è il tubo orizzontale? Dov'è?»<br />

Michele guardò la bici di Calogero e gli bastò un attimo per capire che era proprio quella la bici che<br />

aveva sempre desiderato: aggressiva, di un colore arancio acceso e con il tubo orizzontale. Suo padre non lo<br />

aveva portato con sé quando era andato a comprarla alla Standa e la commessa gli aveva rifilato una Graziella<br />

con la motivazione che si poteva piegare in due e trasportare più agevolmente. Un minuto prima, in garage, gli<br />

era parsa meravigliosa mentre adesso già se ne vergognava.<br />

Guardò Francesca che, un po’ preoccupata, ricambiò lo sguardo.<br />

«E quindi? A che ti serve il tubo centrale?», chiese Michele con un sorriso.<br />

«Che domanda stupida! Una bici da maschio deve averlo; la rende più bella. Mooolto più bella.»<br />

«E dunque la mia sarebbe una bici femminile, giusto? E magari anche io sarei un po' effeminato.»<br />

Calogero rise guardando Francesca che, intanto, era preoccupata per la reazione di Michele.<br />

Si chiese cosa sarebbe stato giusto fare. Cosa si sarebbe aspettato la sua amica da lui? Una resa? Non<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 4


credo proprio, si disse.<br />

«Vedi, il tubo centrale, quello che secondo te hanno messo soltanto per bellezza, serve per sostenere la<br />

leva del cambio. Ma, naturalmente», alzò le spalle, «non lo sapevi.»<br />

Calogero guardò la sua bici e Michele approfittò del suo momento di sbandamento per continuare il suo<br />

discorso.<br />

«La tua è una bici da cross, la mia da passeggio. Che me ne faccio di una bici con le marce! Non ho<br />

fretta, non devo fare gare, mi piace pedalare tranquillamente. Be’, pensandoci bene, anche tu sei così. Ti vedo<br />

girare sempre qui, in via Manzoni. Mi sa che sei tu ad aver fatto la scelta sbagliata. E poi non ho bisogno di<br />

una bici particolare per dimostrare che sono maschio. Non so tu.»<br />

Le sopracciglia di Francesca si rilassarono e le scappò un sorriso. Calogero se ne accorse e le sue guance<br />

si colorarono di un rosso acceso.<br />

«Senti, cretino», esclamò Calogero scandendo ogni sillaba, «hai una bici da femminuccia e basta.»<br />

«Cretino a me?»<br />

«Hai qualcosa da contestare? Cre-ti-no!»<br />

Michele capì che era sul punto di farsi la pipì addosso ma ciononostante rilanciò.<br />

«Ringrazia che qui c'è lei altrimenti ti avrei fatto vedere io chi è il cretino tra noi due», bleffò.<br />

«Andiamo dietro l'angolo, cretino!», lo attaccò Calogero prendendolo per il braccio e cercando di<br />

trascinarlo in disparte.<br />

Sentì che la vescica stava per cedere ma resistette.<br />

«Adesso non vado da nessuna parte», disse Michele liberandosi dalla presa e indicando la ragazzina.<br />

«Verrà il momento giusto, non ti preoccupare.»<br />

«Quando ti becco da solo facciamo i conti.»<br />

Guardò il suo rivale diritto negli occhi, si mise in sella alla sua Graziella e cominciò ad allontanarsi.<br />

«Buon pomeriggio, Francesca.»<br />

«Anche a te, grazie.»<br />

L'ambiente era buio, come il suo cuore. Chiuse gli occhi per sprofondare nell’abisso e ancora più in<br />

basso, nell'infimo della sua anima. Era l'unico modo per risalire. Sapeva che se fosse riuscito a scendere giù,<br />

proprio giù, laddove non c’era nulla al di sotto, laddove la luce non arrivava e dove non arrivava neanche la<br />

voce del mondo, allora sì che sarebbe cominciata la risalita. Quello sarebbe stato il livello zero. Lì, sarebbe<br />

diventato insensibile e dunque inattaccabile, avrebbe scaricato tutte le energie negative, le avrebbe espulse dal<br />

suo corpo lasciandole passare da ogni orifizio come la bocca, le orecchie, le narici, finanche dai suoi pori,<br />

come gocce di sudore. C'erano troppe cose che non andavano. Bisognava ricrearsi, rinascere e crescere in un<br />

modo diverso dall’attuale. Ma come avrebbe fatto a rinascere? Aristotele avrebbe detto che lui non era più<br />

potenza, era oramai atto. Non era un blocco di marmo che tra le mani di un bravo scultore si sarebbe potuto<br />

trasformare in qualunque cosa. Se era marmo aveva subìto dei colpi maldestri di scalpello e non ci sarebbe<br />

stato verso di tirar fuori qualcosa di bello, macché bello!, anche qualcosa che risultasse appena accettabile. Lui<br />

era il piccolo, il viziato, il brutto anatroccolo, il risultato di dodici anni di insegnamenti errati, di verità<br />

nascoste e di falsità rivelate. Era Micheluccio, quattro ossa e un cranio sul quale era stato appiccicato un naso<br />

da adulto. Un dodicenne che fuori del suo appartamento diventava un bambino inesperiente, si comportava in<br />

modo anomalo e quindi non trovava posto tra i ragazzi di via Manzoni bensì ne aveva uno riservato giù,<br />

nell’abisso, nel profondo della sua anima, laddove si trovava adesso, pronto ad iniziare la temporanea risalita.<br />

Capiva che bisognava analizzare la propria vita, vederla da un punto di osservazione diverso.<br />

Si chiese ancora una volta se il mondo fosse contro di lui e per l’ennesima volta si rispose di no. Se i<br />

suoi rapporti con gli altri ragazzi erano pessimi, il motivo non poteva essere attribuito al caso. L'uomo è<br />

artefice della propria fortuna, aveva letto da qualche parte e, se era vero, c'era la necessità di cambiare perché<br />

lui stava costruendo la sua sfortuna. Ma per cambiare bisognava capire e per capire bisognava analizzare. Da<br />

dove parto? Meglio partire dal presente e andare, via via, sempre più indietro nel tempo.<br />

Partiamo da oggi. Chi sono? Cosa faccio?<br />

Era Michele, per gli altri sicuramente più Micheluccio, un ragazzo che presto le avrebbe prese di santa<br />

ragione da Calogero e senza nessuna reazione perché sapeva di essere bravo e spavaldo nel discutere ma<br />

pusillanime per tutto il resto. Qualcosa lo frenava in tutte le sue manifestazioni e non ne conosceva il motivo.<br />

Senza quel freno, quell’inibizione, avrebbe picchiato per primo Calogero, cogliendolo di sorpresa. Poi si<br />

sarebbero azzuffati, lui avrebbe avuto la peggio ma anche l’altro sarebbe stato più attento la volta successiva.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 5


Calma, rifletti!<br />

Analizzò quello che era successo qualche minuto prima e lo fece partendo dalla fine. Aveva offeso<br />

Calogero perché questi lo aveva preso in giro per via della Graziella. Ma se lui aveva la Graziella non era<br />

colpa sua e nemmeno di Calogero. Di chi allora? Di mio padre! L'ha comprata da solo e non mi ha dato la<br />

possibilità di sceglierla. Si chiese se lui stesso avrebbe scelto la bici giusta ma non ne era tanto sicuro.<br />

Avrebbe dovuto sapere quali erano le bici da maschio e quelle da femmina ma non lo sapeva. Sì, forse avrebbe<br />

scelto una bici da cross così come alla fine avrebbe potuto optare per una bici elegante. La colpa non è di mio<br />

padre.<br />

I ragazzi quando sono in gruppo discutono ora di questo ora di quell'argomento. Sicuramente parlano<br />

anche di bici e parlandone si scambiano i pareri e, discutendo, arrivano ad individuare un modello che secondo<br />

loro è quello ideale. In quel caso la bici del gruppo. Se avessi comprato "quella" nessuno mi avrebbe preso in<br />

giro. Sì ma io di quale gruppo faccio parte? Lui non faceva parte di nessun gruppo. Lui era l’escluso, il<br />

diverso, l'osservatore esterno, colui che li guardava da dentro la sua gabbia sopraelevata, colui che invidiava la<br />

loro vitalità e la loro fisicità e che non potendo fare altro sviluppava la fantasia. Chi era responsabile della sua<br />

prigionia? Mia madre. Ecco di chi era la colpa.<br />

Da oggi cambia tutto. Devo cambiare.<br />

«Apri questo cazzo di garage, cretino!»<br />

Calogero.<br />

«Tanto non me ne vado fino a quando non ti vedo uscire.»<br />

Panico.<br />

«Con chi sei?», chiese Michele.<br />

«Solo. Non volevi questo? Eccomi, sono qui.»<br />

Il tono della voce faceva presagire quello che sarebbe successo di lì a poco.<br />

Si sentì perso. Non aveva vie di fuga e sapeva di non poter restare lì dentro all’infinito; sua madre gli<br />

aveva dato un orario e se non lo avesse rispettato sarebbero stati guai. Meglio affrontare la belva lì fuori che<br />

lei.<br />

«Ti apro però prima ascoltami!»<br />

«Non ascolto un cazzo. Apri! Anche perché più mi fai aspettare e peggio sarà per te.»<br />

Michele si sentiva in trappola. In quel momento, al garage avrebbe preferito la sua gabbia al sesto piano.<br />

Valutò la situazione. Avrebbe potuto continuare con la sua spavalderia e rispondergli che aveva cose più<br />

importanti da fare che non aprire il garage per parlare con lui. Chissà se Calogero entro una decina di minuti si<br />

sarebbe stancato e se ne sarebbe andato. Ma tutto ciò a che pro? Avrebbe soltanto ritardato una punizione che<br />

prima o poi sarebbe arrivata inesorabilmente.<br />

Pensò che fosse venuto il momento di dare un calcio al passato e cambiare i suoi atteggiamenti. Se non<br />

erano vincenti, perché perseverare con gli stessi errori?<br />

Avrebbe dovuto uscire dal garage e affrontare Calogero ma non ne aveva il coraggio. Avrebbe potuto<br />

supplicare il suo perdono ma non se la sentiva di umiliarsi fino a quel punto. Realizzò che la cosa giusta da<br />

fare era quella di togliersi la maschera e mostrarsi per quello che era.<br />

«Calogero, ascolta», disse con voce tremante. «Scusami per poco fa. In realtà non ce l'avevo con te. Mi<br />

sono sentito attaccato e mi sono difeso. Ne ho il diritto o mi devo rassegnare a soccombere sempre e<br />

comunque? Okay, forse ho sbagliato, anzi sì, ho sbagliato e ti chiedo scusa. A quanto pare, non so far altro che<br />

sbagliare e non riesco a migliorare. Avrei bisogno di una mano, di un aiuto.»<br />

«Per adesso ti posso aiutare soltanto rompendoti qualche osso. Esci subito!»<br />

«Daiii! Ti sto chiedendo di aiutarmi. Ti prego!»<br />

«Ti ho detto esci!»<br />

«D'accordo, esco.»<br />

«Bene.»<br />

«Però promettimi una cosa.»<br />

«Due occhi neri te li prometto. O vuoi promesso altro?»<br />

«Io esco, va bene, mi picchierai, va bene, però...»<br />

«Però? Sentiamo questo cretino.»<br />

«Però, poi, quando ti sarai sfogato, ti fermerai un minuto a parlare con me?»<br />

«Pensi che mi voglia perdere lo spettacolo di vederti a terra, piegato in due?»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 6


Michele tremava dalla testa ai piedi.<br />

«Quindi resti? Promesso?»<br />

«Promesso.»<br />

Michele girò la chiave e alzò la saracinesca. La luce del giorno si impossessò del garage. In controluce<br />

vide l'espressione dura di Calogero, restò immobile e chiuse gli occhi. Presto avrebbe preso un pugno in<br />

faccia, forse una pedata nel basso ventre. Avrebbe visto le stelle e il dolore lo avrebbe stordito ma, prima o<br />

poi, sarebbe passato anche quello e avrebbe avuto la possibilità di parlare. Tutto passa, prima o poi.<br />

Strinse gli occhi con tutta la sua forza attendendo il momento in cui il dolore lo avrebbe assalito.<br />

Aspettava il primo passo di Calogero e questo arrivò immediatamente.<br />

«Dimmi!»<br />

Ancora nessun dolore.<br />

«Dimmi!», ripeté più forte Calogero.<br />

Sentì la forza di quella voce, la sua energia. Era il tuono di un potente temporale, le cui saette si<br />

sarebbero presto abbattute sul suo corpo. Aveva paura ad aprire gli occhi prima del dolore ma non voleva<br />

neanche far aspettare Calogero più del dovuto. Non voleva irritarlo oltremodo.<br />

Li aprì.<br />

«So che c'è qualcosa in me che non va», attaccò. «Me ne accorgo da come mi trattate tutti quanti. So che<br />

sbaglio ma non so in che modo sbaglio.»<br />

Il suo interlocutore si appoggiò alla saracinesca del garage accanto e lo fissò con le sopracciglia inarcate.<br />

«Calogero, un'ora fa ti ho preso in giro perché avevi preso in giro me e...», si accorse che l'altro si stava<br />

irrigidendo. «...lasciamo perdere quello che è successo, chi ha cominciato per primo e cose del genere. La<br />

verità è che non sono stato io a scegliere la bicicletta. Me l'ha comprata mio padre e me l'ha fatta trovare in<br />

questo garage. Ho colpa di questo?»<br />

«Certo che sì! Perché non sei andato con lui a sceglierla?»<br />

«Mio padre non mi ha detto niente. Voleva farmi una sorpresa e...», dopo una pausa aggiunse, «e questo<br />

è il risultato.»<br />

«Avresti dovuto chiederglielo tu. Papà, mi ci porti a scegliere la bici?»<br />

«Ma a casa mia non si usa.»<br />

«Ah ah ah! Ma senti questa! A casa sua non si usa. Cambia abitudini!»<br />

«Ma come faccio? Già è un successone che i miei mi hanno concesso di averne una ed è quasi un<br />

miracolo che mi facciano uscire per usarla. Cosa gli dico adesso? Me la devo tenere e basta, anche se mi<br />

prenderete in giro.»<br />

Silenzio.<br />

«Calogero, ti prego, aiutami!»<br />

«A fare cosa?»<br />

«A cambiare. Vorrei avere tanti amici, come te. Perché non ci riesco?»<br />

«Perché sei diverso.»<br />

«Ah, già: ho la Graziella.»<br />

«Non è per questo.»<br />

«E per cosa?»<br />

«Per tante cose. Sei bravo a parlare ma sei troppo ingenuo, bambino. La strada è una giungla e tu, tu<br />

arrivi e parli come se uscissi da Osfod.»<br />

«Oxford!»<br />

«E va bene, Oxford. Vedi che ho ragione? Sono ignorante, sì. Magari non so come si chiama quella<br />

cazzo di città ma so come si vive; quello che non sai fare tu.»<br />

Micheluccio guardava i pugni serrati del suo interlocutore, quei due attrezzi che gli permettevano di farsi<br />

rispettare da tutti i ragazzi del quartiere. Calogero ebbe uno scatto e diede un pugno alla saracinesca del<br />

garage.<br />

«Non fai altro che mettere in bella mostra il tuo sapere e i tuoi modi», riprese. «Per piacere... grazie...<br />

prego...»<br />

Calogero aveva dato enfasi alle ultime parole imitando la voce di una ragazzina.<br />

«No!», riprese. «Questo modo di fare ci fa girare i coglioni. Mi hai visto mai parlare come una<br />

ragazzina? Mai. Lo hai visto fare agli altri ragazzi del quartiere? Mai.»<br />

Micheluccio capì che si trattava della prima lezione del suo nuovo maestro di vita.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 7


«Non è facile ma proverò a comportarmi diversamente.»<br />

«Bene! E poi...»<br />

«Sì, dimmi.»<br />

«Ma lo vedi come sei vestito? Sembri mio nonno.»<br />

Micheluccio si sentì come se avesse aperto per la prima volta gli occhi in vita sua. Calogero indossava<br />

una maglietta sportiva. Non era di ottima qualità ma casual, come si usava in quel periodo. Sotto aveva un paio<br />

di jeans; l’unico che possedeva. Nel complesso sembrava gradevole, alla moda. Lui, invece, indossava una<br />

camicia a quadri a maniche corte. Una delle tante che sua madre gli lavava e stirava. Una messa e una stirata,<br />

usava dirgli. I suoi non erano jeans ma semplici pantaloni color marroncino chiaro a zampa d’elefante.<br />

Calzava delle scarpine ad occhio di bue. Blu e con le calze bianche che si intravedevano tra i fori. In un attimo<br />

comprese che era l’unico a vestirsi così tra i ragazzini di Via Manzoni. Abbassò la testa, mortificato<br />

dall’evidenza.<br />

«Io...», negli occhi di Michele cominciarono a farsi strada due lacrime. Era commosso. Sapeva di aver<br />

trovato un amico o almeno di essere sulla buona strada.<br />

Calogero si accorse delle lacrime e si accigliò.<br />

«Ehi, cretino! La finisci o te le suono?»<br />

«La finisco, la finisco», disse Michele asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. «Ci vediamo<br />

domani.»<br />

«Forse.»<br />

*Calogero*<br />

Calogero pensò a quanto è buffa la vita. Fino a cinque minuti prima aveva nutrito un sentimento di<br />

antipatia e invidia nei confronti di Micheluccio mentre adesso, dopo la sua richiesta di aiuto, ne aveva quasi<br />

compassione. Quel ragazzo mingherlino aveva quello che lui aveva sempre desiderato: una bella casa in via<br />

Manzoni, i soldi per comprarsi un gelato o una gassosa quando ne aveva voglia, diverse paia di scarpe e<br />

pantaloni, un cronografo al polso e tante altre cose che a lui facevano gola. Era figlio unico, ecco perché. Lui<br />

era, invece, il secondo di quattro fratelli. Giuseppe, il più grande, si era arruolato qualche anno prima<br />

nell’esercito e si era raffermato, Marcello aveva quattro anni e Francesco ne aveva due. Di soldi a casa ne<br />

circolavano pochissimi. Il padre faceva il bidello e dilapidava parte del suo esiguo stipendio tracannando<br />

brandy al bar con gli amici. Non aveva mai denaro per fare un regalo ai figli ma lo trovava quando si trattava<br />

di andare ad ubriacarsi. La moglie disapprovava il comportamento del marito e, quasi ogni sera, scoppiavano<br />

liti furibonde. Il ciclo del litigio era sempre lo stesso: lei cominciava a dire che non se la sentiva più di vivere<br />

con un essere irresponsabile, lo offendeva urlandogli addosso ubriacone, brutto, ignorante, padre senza<br />

coscienza e non si fermava più, passando dalla parte della ragione a quella del torto. Lui cercava di sopportarla<br />

ma poi si innervosiva e le dava un ceffone. Lei si metteva a piangere, si rifugiava nella stanza da letto e lo<br />

minacciava di tornare dalla madre. Lui la raggiungeva cercando di farsi perdonare. Si sentivano le grida della<br />

madre che andavano via via scemando, l’intimidazione di suo padre a non entrare e infine i gemiti sostituivano<br />

le grida. Sempre così.<br />

Verso la fine del mese, quando i soldi erano quasi finiti, andavano tutti quanti a mangiare dai nonni<br />

materni e al rientro, volta per volta, suo padre si lamentava di avere tre figli e una moglie da sfamare. Sbrigati<br />

a crescere, gli diceva spesso, così vai a lavorare e aiuti la Patria, intendendo la sua famiglia. Ecco perché<br />

invidiava Micheluccio; per il benessere nel quale viveva. Era figlio unico e ogni cosa era sua. Eppure, questo<br />

ragazzino viziato che avrebbe dovuto sentirsi felice, aveva chiesto il suo aiuto. Ognuno di loro aveva ciò che<br />

mancava all’altro.<br />

Guardò ancora una volta Micheluccio mentre questi entrava nel portone e pensò a quanto è buffa la vita.<br />

*Micheluccio*<br />

Salì le scale a piedi, eccitato come se avesse bevuto dieci caffè uno dietro l’altro e con un vigore che<br />

fino a un minuto prima non sapeva di avere. Si fermò per riposarsi al quinto piano perché pensò che se sua<br />

madre lo avesse visto così affannato avrebbe attribuito la colpa alla bicicletta. Giunto a casa, la madre gli<br />

chiese com’era andato il pomeriggio. Michele non ritenne giusto raccontare come erano andate realmente le<br />

cose. Dopotutto, grazie a quella bici aveva ottenuto uno spiraglio di libertà alla quale non voleva più<br />

rinunciare. Le rispose che era stata un’esperienza fantastica. Non fu difficile sembrare entusiasta perché lo era<br />

davvero; non della bici ma del suo nuovo amico. Adesso aveva qualcuno a cui appoggiarsi. Promise a se stesso<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 8


che da quel momento in poi non avrebbe più picchiato Calogero nei suoi sogni ad occhi aperti.<br />

Andò a letto tardissimo, come sempre. Supino, fissò il tetto e cominciò ad articolare una storia che lo<br />

vedeva protagonista. Era giù per strada con Francesca e Calogero quando passarono quattro ragazzi che<br />

cominciarono a prendere in giro il suo amico. Due di loro addirittura lo tenevano mentre gli altri due<br />

picchiavano duro. Michele, che inizialmente era un po' distante, si avvicinava e cominciava a distribuire tanti<br />

pugni e pedate da far scappare i quattro. Calogero era ridotto un po' maluccio e a Michele non piacque come<br />

finale. Il suo nuovo amico malconcio? Non sia mai! Ricostruì la storia e intervenne un attimo prima che i<br />

quattro cominciassero a malmenare Calogero. Sì, così poteva andare. Lui ne fu davvero riconoscente e lo<br />

ringraziò davanti a Francesca che lo guardava e ne rimaneva affascinata. Che ragazzo in gamba! Calogero se<br />

ne andava via e loro due rimanevano soli. Lui apriva il portone, lei entrava e lo accompagnava fino<br />

all'ascensore. Poi, dopo essersi salutati normalmente, un secondo prima di entrare in cabina, lui le si<br />

avvicinava e la baciava sulle labbra.<br />

La mattina era fredda e uggiosa. L’aria era ferma, irreale. Michele era con il suo nuovo amico e stavano<br />

chiacchierando allegramente. Sua madre si affacciò al balcone e vide il figlio con Calogero. Le fece un cenno<br />

di saluto con la mano. Lei cominciò ad urlare.<br />

«Micheluccio!»<br />

Michele e non Micheluccio.<br />

«Sali a casa, per piacere! »<br />

«Un minuto e arrivo.»<br />

«Devi venire immediatamente.»<br />

«Dai, mamma. Ti prego, un attimo. È una cosa importante.»<br />

«Ti sto dicendo di salire immediatamente: questo è importante. Stai diventando proprio un maleducato<br />

frequentando quello lì. È lui che ti insegna l’educazione? Sali! Lo sai che non mi piace la sua compagnia. Tra<br />

l'altro fuma e se disgraziatamente mi accorgo che fumi pure tu… ti ammazzo».<br />

Il volto di Calogero si trasformò.<br />

«Mamma, non c’è bisogno che mi minacci, io non fumo e poi, dai, dobbiamo per forza parlarne<br />

adesso?»<br />

«Sa-li!»<br />

Vide il suo amico bollire di rabbia.<br />

«Per favore, mamma!»<br />

«Lascia stare quell'individuo e sali, o non uscirai mai più di casa!»<br />

Michele si girò e si accorse che tutti i ragazzi del quartiere stavano assistendo alla scena, inclusa<br />

Francesca. Si vergognò come non aveva mai fatto in vita sua.<br />

«Signora, pensi a suo figlio. A me… mi lasci stare!», disse Calogero sforzandosi di rimanere calmo.<br />

Michele avrebbe preferito morire piuttosto che assistere a quella scena.<br />

«Come ti permetti di darmi dei consigli? Maleducato!»<br />

Michele sentì il mondo crollargli addosso. Il cielo diventò scuro, la terra si mosse. Il terremoto. Dal<br />

prospetto si staccò un pezzo enorme di cornicione e, precipitando lo colpì sulla testa. Non sentì alcun il dolore<br />

ma si accasciò a terra, era ancora vivo. Francesca invece era morta ma non era più bionda: aveva i capelli di<br />

sua madre e non era più una bambina ma già vecchia. Michele respirava affannosamente. Inspirava, espirava,<br />

inspirava più forte, ancora più forte. Aiuto! Aiuto!<br />

Si svegliò.<br />

Impiegò quasi un minuto prima che la frequenza cardiaca tornasse alla regolarità.<br />

Guardò l'orologio a diodi luminosi che gli rispose con tre "1".<br />

Si era addormentato con la felicità nel cuore ed era stato punito. Trascorse l’ora successiva seduto sul<br />

water.<br />

*Calogero*<br />

Calogero, invece, a quell’ora della notte era ancora fuori e stava tornando a casa fischiettando, con una<br />

banconota tra le mani. Ogni tanto la riponeva in tasca per poi riprenderla, guardarla, girarla e rigirarla. Per<br />

duemila lire aveva sbarazzato il giardino della signora Pina da cartoni, cassette di frutta e immondizia varia.<br />

Non era raro che si portasse a casa qualcosa che per la signora era da buttare. Una volta aveva trovato due<br />

bambole in buono stato. Le aveva sistemate, pulite e vendute ad una ragazzina per mille lire. Era costretto a<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 9


sudarseli i soldi, lui. Suo padre non sapeva niente di questi lavoretti che, ogni tanto, gli capitavano tra le mani.<br />

A Fofò interessava soltanto che la moglie fosse a casa, sempre a casa. Calogero oramai era grande e poteva<br />

badare a se stesso. È così che si diventa uomini, diceva sempre. Da soli. È così che riesci a farti sempre i cazzi<br />

tuoi, pensava suo figlio.<br />

Ma, dopotutto, a lui andava bene così. Era così abituato al disinteresse del padre che ne apprezzava il<br />

lato positivo: la libertà.<br />

*Biagio*<br />

A: lilly1980@infinito.it<br />

Ciao amore. Ieri sera ho parcheggiato vicino a casa tua, in un posto dal quale potevo vedere la finestra<br />

della tua stanza. Ho messo il cd con tutti i nostri mp3 e, da vero masochista, mi sono drogato con le nostre<br />

canzoni. Avrai visto che è scesa un po' di neve. Qualche fiocco si è fermato sul parabrezza. Giusto il tempo di<br />

farmi un po’ di compagnia prima di arrendersi al tepore del vetro e trasformarsi in goccioline. Ho pensato a<br />

quanto sarebbe stato bello, insieme, assistere a questo spettacolo della natura. Ti saresti stretta a me,<br />

infreddolita come sempre e io ti avrei baciato la fronte e riscaldato le mani, con il cuore traboccante di<br />

amore. Invece, il sedile accanto a me era vuoto e il mio cuore freddo, svuotato della sua linfa vitale. Sono<br />

stato lì fino a quando non ti ho visto abbassare le tapparelle, poi ti ho augurato la buonanotte, ho messo in<br />

moto e sono tornato a casa.<br />

Ti prego, scrivimi qualcosa!<br />

La sua testa era una sfera contenente concetti e acqua. Ad ogni minimo spostamento i concetti<br />

vacillavano, crollavano e finivano per galleggiare. Lui ricollocava i cubi uno sull’altro, a volte sbagliandone<br />

l’ordine, ma poco dopo finivano irrimediabilmente sul pelo dell’acqua. Provò diverse volte, ma invano, a<br />

ripristinare il tutto, sempre con minor pazienza per poi arrendersi al pianto, ultimo residuo di una adolescenza<br />

ormai lontana.<br />

Il vuoto.<br />

La mia mente è vuota, non contiene niente.<br />

Focalizzare il problema per risolverlo.<br />

Non riusciva a capire perché lei lo avesse lasciato.<br />

No, non mi ha lasciato! È semplicemente scomparsa dalla mia vita.<br />

Ma il risultato era lo stesso.<br />

Tutto ad un tratto era diventata irreperibile, irraggiungibile e il suo numero di cellulare risultava<br />

disattivato. Il padre gli aveva detto che era dovuta partire per Parigi ma non era vero. Lui l’aveva vista dietro i<br />

vetri della finestra, l’aveva chiamata ma lei, vedendolo, si era ritirata.<br />

Si era chiesto dieci, cento, mille volte se involontariamente l’avesse offesa e si era risposto dieci, cento,<br />

mille volte che era impossibile. Nessuna sua amica o amico avrebbe potuto dirle che lui l’aveva tradita in<br />

quanto lui aveva gestito il rapporto con la massima correttezza.<br />

Ricordava attimo per attimo il loro ultimo incontro. Lo aveva descritto, come se fosse un romanzo, in un<br />

documento di Word. Dopo varie aggiunte, revisioni e commenti aveva ottenuto l’incontro, quello ufficiale.<br />

Trenta pagine variopinte: le descrizioni in nero, le parole della sua ragazza in rosso, le sue in blu. In verde<br />

erano descritti i suoi movimenti. Se lei, dicendo quella particolare frase lo aveva guardato, se aveva sorriso o<br />

se invece aveva guardato altrove (e dove). Tutto, proprio tutto. Quelle pagine le aveva lette centinaia di volte<br />

per farsi compagnia nelle sue lunghissime notti e le ricordava a memoria. Ogni volta, ogni maledettissima<br />

volta che finiva di rivivere l’incontro si rendeva conto che, apparentemente, non c’era stato nulla di strano,<br />

niente che si potesse considerare il preludio di un distacco.<br />

Fino al momento in cui l’aveva accompagnata a casa, fino all’ultimo bacio, all’ultimo respiro, all’ultimo<br />

sguardo languido prima di chiudere il portone, tutto era andato come sempre: perfettamente bene.<br />

*Micheluccio*<br />

Durante quell’estate Michele vide quasi ogni giorno il suo nuovo amico. Stava molto attento a non<br />

esagerare nei comportamenti perché aveva paura di perderlo e, per non perderlo, cercava di non essere<br />

ossessivo o troppo presente, curioso, smanioso, geloso, invidioso; qualità negative che sapeva di avere nel<br />

DNA e che reprimeva con tutte le sue forze. Conquistò la sua amicizia poco per volta, soppesando ogni parola,<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 10


ogni atteggiamento, cercando di avvolgerlo lentamente ma inesorabilmente nella sua tela. Il Michele-Ragno, il<br />

Latrodectus Mactans, si manteneva lungo la periferia della sua tessitura e aspettava che Calogero passasse da lì<br />

e vi rimanesse invischiato anche soltanto per qualche minuto per avere la possibilità di morderlo, liquefarlo e<br />

risucchiarne l’essenza. Lo ascoltava e ne studiava il linguaggio, le movenze, il modo di guardare gli altri, di<br />

affrontarli, di scegliere il momento giusto per fare qualcosa. Prelevava da Calogero gli anticorpi e se li<br />

iniettava egli stesso per modificarsi geneticamente, aggiungendo batteri al suo sangue asettico, protoni di<br />

maturità sociale in una struttura creata per l'isolamento.<br />

Imparava e sperimentava. Falliva e riprovava.<br />

Il resoconto di quell'estate fu positivo. Con gli amici di Calogero il rapporto era migliorato sensibilmente<br />

ma non sapeva se veniva trattato meglio per una forma di rispetto che questi ragazzi nutrivano per il loro<br />

capobanda oppure perché lui stesso era cambiato nei comportamenti. Forse era un po' per l'uno e un po' per<br />

l'altro motivo. Francesca gli piaceva ancora più di prima ma non aveva studiato altri piani di attacco perché<br />

temeva di entrare in competizione con Calogero che la desiderava. Non se lo meritava. Prima avrebbe dovuto<br />

sapere quali fossero le sue intenzioni ma per saperlo avrebbe dovuto chiederglielo e chiedendoglielo avrebbe<br />

rischiato di sembrargli indiscreto, di irrigidirlo e non voleva.<br />

Aveva notato che Calogero aveva delle aree disponibili e altre troppo sensibili. Di calcio si poteva<br />

parlare senza però sfociare nella polemica. Michele era milanista, Calogero juventino. Sapeva di poter parlare<br />

bene del Palermo, ma non poteva dirgli ciò che realmente pensava dei bianconeri e del loro rapporto con gli<br />

arbitri. No! Non avrebbe potuto dirglielo. Sapeva cosa dire e cosa non dire ma, al tempo stesso, non voleva<br />

fare la figura del subordinato per cui diceva e non diceva, spiegava e non approfondiva, creava dei solchi<br />

discorsivi nei quali cercava di canalizzare i pensieri di Calogero e qualche volta ci riusciva in pieno. Era un<br />

lungo lavoro di analisi che a lui piaceva tanto. Studiava sistematicamente le reazioni del suo amico<br />

coinvolgendolo in ogni genere di discorso. Lanciava un tema e stuzzicava la sua cavia, perché cavia stava<br />

diventando, in maniera sempre meno superficiale. Quando avvertiva un irrigidimento allentava la presa e lo<br />

lasciava respirare spostando l'oggetto del loro discorrere verso argomenti che sapeva a lui più piacevoli. Era<br />

tutto uno stringere e mollare, un provare e memorizzare. Negli ultimi giorni era riuscito finanche ad<br />

abbracciarlo, evento inimmaginabile soltanto due mesi prima. Calogero era un ragazzo dominante ma Michele<br />

conosceva i cani perché suo padre gliene parlava sempre. E cosa era Calogero se non un cane dominante? Se<br />

non conosci un cane e vuoi fartelo amico, prima di tutto movimenti lenti, rassicuranti ma decisi. Mai le mani<br />

più in alto della sua testa. Mai mostrargli le spalle. Dinnanzi a un atteggiamento visibilmente aggressivo non<br />

rispondere con l'aggressività ma con l'indifferenza, per non dare la sensazione di competitività ma neanche di<br />

sottomissione. Erano nozioni utili per i cani ma che lui, da un po', utilizzava con gli esseri umani.<br />

Aveva studiato come ottenere il primo contatto fisico. Ci doveva essere un momento in cui lui,<br />

Micheluccio che voleva diventare Michele, avrebbe toccato il suo amico, il colosso. Lo fece con la scusa di<br />

spostarlo per far passare un signore che usciva dal portone. Calogero si era irrigidito, lui se ne era accorto e si<br />

era girato con indifferenza dall'altra parte. Al suo amico dava fastidio essere toccato ma lui c'era riuscito. Lo<br />

aveva spostato ed era esente da ogni rimprovero, da ogni colpa. Una serie di questi contatti portarono Calogero<br />

alla progressiva tolleranza e infine all'abitudine. A fine agosto poteva prenderlo a braccetto e fare qualche<br />

passo con lui, con la scusa di confidargli un segreto, lontano da orecchie indiscrete. In quel modo gli altri lo<br />

consideravano quasi alla stregua del loro capo e lo rispettavano ancora di più.<br />

A settembre iniziò la scuola e, con essa, venne la consapevolezza che i successi ottenuti con i suoi amici<br />

non avevano valenza con i suoi compagni di scuola. Anche lì avrebbe dovuto ricominciare da zero. Loro, a<br />

fine anno scolastico, avevano salutato Micheluccio e non sapevano che adesso avevano davanti un ragazzo<br />

diverso, più forte e più sicuro di sé.<br />

La notte che precedette il primo giorno di scuola, Michele si mise a letto come sempre, si coprì con il<br />

lenzuolo fin sopra la testa e si calò giù, sempre più giù. Attraversò il pavimento del sesto piano, poi del quinto,<br />

del quarto fino ad arrivare ancora più in giù delle fondamenta del palazzo e da lì, si infilò dentro il suo<br />

cunicolo e lo percorse fino a raggiungere il centro della terra, dove si trovava il suo buio e segreto<br />

nascondiglio. Nella solitudine di quell'angolo recondito che aveva costruito nella sua mente, si spogliò di tutto;<br />

dei suoi vestiti, della sua pelle, delle sue ossa e restò solamente spirito e, da spirito, pensò. E il suo pensiero<br />

risalì vincendo la forza di gravità e una volta giunto in superficie si scisse e andò alla ricerca dei suoi<br />

compagni di scuola trovandoli tutti, uno per uno. Penetrò nelle loro teste per leggerne i pensieri, si nutrì di essi<br />

e così, il pensiero-cacciatore pregno di altri pensieri si ricacciò nell'oscurità per raggiungere colui che lo aveva<br />

generato e lo relazionò.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 11


Michele era sempre stato bravo a scuola. Studiava poco e niente ma otteneva risultati per altri<br />

impensabili. Era pronto, sempre pronto. Quando si trattava di ragionare o ricordare o calcolare o prevalere<br />

intellettualmente sugli altri lui era lì; una tigre pronta a balzare sulla sua preda per bloccarla e per reciderle la<br />

faringe. Quella che per i professori era una qualità, per i suoi compagni era il suo difetto principale;<br />

l'ostentazione della propria intelligenza. Adesso lo capiva, dopo quella magica estate, dopo aver fatto<br />

incazzare Calogero con le sue continue e inutili correzioni che non miglioravano gli altri e peggioravano se<br />

stesso. Adesso capiva che ogni uomo ha un suo punteggio e i criteri di valutazione che generano le classifiche<br />

variano a seconda del contesto. L'essere il primo della classe lo faceva balzare in testa alla classifica dei<br />

professori ma contemporaneamente gli faceva perdere punti agli occhi dei suoi compagni. Si trattava dunque<br />

di scegliere la meta da raggiungere.<br />

Decise di adottare una tattica intermedia. Evitò di dare sfoggio di sé durante le lezioni. Era una continua<br />

battaglia contro se stesso, un rodersi dentro, una stressante repressione delle sue pulsioni. Si trattava di una<br />

strategia che non lo gratificava dal punto di vista scolastico ma che, giorno dopo giorno, accorciava le distanze<br />

tra sé e i suoi compagni.<br />

Durante le vacanze di Natale ricevette i primi inviti alle festicciole, cosa mai successa prima.<br />

La notte di San Silvestro di quell’anno, dopo una serie di tu non ci vai e di mamma ti prego, la trascorse<br />

a casa di Giovanni, assieme agli altri suoi compagni di scuola. Alla festa erano presenti anche la sorella di<br />

Giovanni e tutte le ragazzine della sua classe. La nottata da trascorrere al tavolo da gioco si era trasformata in<br />

una notte di chiacchiere e musica. Le ragazze avevano portato diverse musicassette e lo stereo, con il volume a<br />

palla, non si fermava neanche per un istante.<br />

Michele non sapeva ballare e per evitare che gli amici lo spronassero a farlo mettendolo in imbarazzo, si<br />

faceva vedere impegnato a dialogare ora con uno, ora con un altro compagno. Aveva notato una ragazzina che<br />

prima gli avevano presentato come Marisa o Marina, non ricordava bene. Non gli piaceva quanto Francesca, o<br />

meglio, gli piaceva in un modo diverso. Francesca aveva un viso dolce e un portamento gentile; da brava<br />

ragazza. Questa, invece, era più sviluppata, più femmina. La T-Shirt che indossava aderiva a un seno già<br />

abbastanza sviluppato per una ragazzina di dodici o tredici anni, e il solo pensiero di poterlo sfiorare gli<br />

procurò la prima sensazione di calore al basso ventre. Gli venne offerto, provvidenzialmente, un bicchiere di<br />

whisky con ghiaccio proprio quando aveva perso il filo del discorso. Giovanni ne aveva comprato una<br />

bottiglia, di nascosto del padre, e ne stava offrendo il contenuto a tutti quanti, ragazzi e ragazze. In altre<br />

occasioni non avrebbe bevuto ma, quella sera, in quel preciso momento, bere qualcosa in quel contesto ci<br />

stava. Gli altri bevevano, spostandosi da un angolo all’altro sicuri di sé e con il bicchiere in mano. Lui non<br />

voleva essere da meno.<br />

Ebbe la sensazione che lei ricambiasse i suoi sguardi. Arrossì quando, al completamento dell’ennesimo<br />

tragitto gambe-seno-viso, incrociò il suo sguardo. Da quel momento, si costrinse a non guardarla se non negli<br />

occhi.<br />

Temeva di aver fatto una magra figura, di aver sprecato un’occasione per avvicinarla. Alle ragazze,<br />

pensava, non piacciono i guardoni. Loro amano essere apprezzate per quello che sono dentro e non per i loro<br />

attributi. L’esperienza di quella sera avrebbe dovuto servirgli per il futuro; mai e poi mai avrebbe ripetuto lo<br />

stesso errore.<br />

Contrariamente alle sue aspettative la ragazzina gli si sedette accanto e così finalmente seppe che Marisa<br />

o Marina si chiamava in realtà Mariangela, che amava ballare, ascoltare Madonna e che non aveva mai letto un<br />

libro in vita sua che non fosse un testo scolastico, e anche quello con malavoglia. Scoprì anche la consistenza<br />

del suo seno quando lei, dopo aver riso per le sue innumerevoli battute, lo invitò a ballare. Gli si appiccicò<br />

addosso per tutta la durata di Nothing compares 2 U. Lui le parlava all’orecchio, lei rideva e si stringeva<br />

ancora di più. Michele temeva che lei avvertisse quello che gli stava accadendo tra le gambe. Si trattava di una<br />

sensazione nuova, mai provata prima ma, non sapeva perché, ritenne si trattasse di qualcosa di sconcio. Così,<br />

ogni tanto si spostava leggermente di lato ma a Mariangela bastava una battuta per riprendere la posizione<br />

iniziale.<br />

Quando tornarono nella penombra lui capì che era giunto il momento per concretizzare. Sapeva che lei<br />

stava aspettando il suo primo passo. Mariangela era stata esplicita negli atteggiamenti o no? E se stava<br />

fraintendendo i comportamenti della ragazza? Magari per lei era naturale ballare così stretta con un altro<br />

ragazzo, forse ancora non aveva il completo controllo di quel seno che le era cresciuto soltanto negli ultimi<br />

mesi. Ma se invece ci stava, lui stava facendo la parte dello stupido, del simpatico secchione che sa scherzare<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 12


ma non ci sa fare con le ragazze. Bisognava valutare la situazione. Era più probabile che lei ci stesse ma… se<br />

lui l’avesse baciata cosa sarebbe successo dopo? Un bacio equivaleva all’inizio di un fidanzamento? Perché lui<br />

desiderava Francesca come fidanzata. Questa sarebbe stata soltanto un passatempo, un’esperienza in più anzi,<br />

la sua prima esperienza.<br />

Mentre con una disinvoltura encomiabile svolgeva due compiti - quello di far ridere Mariangela e di<br />

valutare la situazione - si avvicinò a loro Paolo, il bello della classe.<br />

«Michele, i miei complimenti! Hai conquistato la più bella ragazza della festa.»<br />

Michele fece un sorriso compiaciuto che, però, gli morì presto sulle labbra quando si accorse di come<br />

Mariangela stava osservando il nuovo arrivato.<br />

«Un ragazzo davvero simpatico», gli disse quando rimasero nuovamente soli. «Se non mi sbaglio deve<br />

essere quello che chiamano Paolo il bello.»<br />

Da quel momento in poi fece finta di ridere alle battute di Michele. Lui se ne accorse quando lei<br />

cominciò a ridere fuori tempo. Il suo entusiasmo svanì completamente quando lei lo pregò di scusarla e<br />

raggiunse Paolo nel divano di fronte. Nella penombra della stanza la vide sorridere così come aveva riso fino a<br />

poco prima per le sue battute, la vide strofinarsi involontariamente contro Paolo, così come aveva fatto fino a<br />

poco prima con lui. Infine, vide Paolo baciarla focosamente come non aveva fatto prima lui.<br />

*Lilly*<br />

Lilly stampò l'e-mail, spense Fido, il suo computer, e si gettò sul letto. Rilesse il messaggio ancora una<br />

volta mentre una lacrima le solcava il viso, morendole sul collo. Si asciugò con il dorso della mano e si<br />

preparò per l'ennesima notte insonne. Ogni oggetto di quella stanza parlava di lui. Malgrado avesse rimosso le<br />

foto che li ritraevano insieme, c’erano ancora i suoi regali, alcuni dei quali facevano oramai parte<br />

dell’arredamento. Lo specchio dell’Affligem davanti al quale lui si sistemava i capelli, la stazione barometrica<br />

dell’Oregon Scientific che utilizzava volta per volta per regolare il suo Sector e migliaia di bigliettini con su<br />

scritto ti amo che lui aveva seminato in ogni dove. Ne aveva trovati anche dentro gli stivali, tra le pagine di<br />

quasi tutti i libri e quaderni, dentro le tasche di quasi tutti i suoi jeans. E ne avrebbe trovato di nuovi ancora per<br />

diversi anni poiché, ogni volta che lei lo aveva lasciato da solo nella sua stanza, lui ne aveva approfittato per<br />

nasconderli. Una volta ne aveva trovato uno dentro il tubetto del dentifricio. Fatti bella per me, c’era scritto.<br />

Se fino a qualche giorno prima questi messaggi la riempivano di gioia, adesso le trafiggevano il cuore.<br />

Laddove c’era vita adesso c’era malinconia e poca voglia di andare avanti. Guardò il bicchiere di latte che<br />

aveva promesso di bere quando, seduta a tavola con il padre, aveva rinunciato alla cena e sentì il clic di un<br />

lucchetto chiuderle lo stomaco. Sapeva che così non poteva continuare; erano quasi due giorni che non<br />

mangiava e aveva perso già un paio di chili gran parte dei quali, in un fisico asciutto come il suo, era stata<br />

sottratta al viso. Se lui l’avesse vista in quelle condizioni gli avrebbe suscitato pena e questa eventualità non le<br />

piacque. Lui, lui, sempre lui. Come si fa a cancellare una persona così importante dalla testa? Per anni le aveva<br />

riempito ogni momento, ogni spazio, dal buongiorno telefonico del mattino al bacio della buonanotte. La sua<br />

vita sapeva di amore, di tenerezza, di piccoli ma amabili regalini, di discorsi importanti ma anche di risate,<br />

risate e ancora risate. Doveva darsi una mossa, cambiare le abitudini, riempire gli spazi vuoti che, escludendo<br />

il sonno, rappresentavano il cento per cento del suo tempo. Aveva un sacco di amici, le volevano tutti molto<br />

bene. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontarli, raccontare loro una verità artefatta, qualcosa che<br />

inevitabilmente si sarebbe rivelata una bugia. Non avrebbe avuto neanche il conforto di Lulù, la sua migliore<br />

amica, perché non se la sentiva di raccontarle la verità; una verità che avrebbe nociuto a chi oramai non c’era<br />

più e a chi invece l’amava in silenzio da dietro una parete.<br />

Aveva appena spento la luce dell'abat-jour quando un rumore, quel rumore, le fece accelerare il cuore.<br />

Lui.<br />

Mosse alcuni passi furtivi verso la finestra, si posizionò dietro la tenda e guardò verso la strada. Tra i<br />

rami degli alberi, torturati dal vento freddo di quella notte, riconobbe la sua BMW 120, nera come il suo cuore,<br />

brillante come il carattere del suo proprietario che era lì, a poche decine di metri dalla sua finestra. L'autoradio,<br />

seppur a un volume contenuto, diffondeva la loro canzone del cuore.<br />

"E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa<br />

Ed appena finito ognuno ha ripreso le sue<br />

Tu che dentro sei perfetta<br />

Mentre io mi vado stretto<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 13


Tu che sei la più brava a rimanere mania<br />

Forse ti ricordi sono roba tua."<br />

Ligabue, il suo cantante preferito.<br />

Bastardo! Che dolcissimo bastardo che sei, pensò.<br />

Lo faceva apposta, certo che lo faceva apposta. Suo padre gli aveva detto che lei era a Parigi ma lui non<br />

gli aveva creduto, e aveva ragione. Lui aveva sempre ragione. Era furbo e molto intelligente, una spanna sopra<br />

gli altri ma non faceva mai pesare questa sua qualità. Sapeva come arrivare al cuore della gente e, in quel<br />

momento, al suo. Pensò che la vita a volte è cattiva con chi non se lo merita. Immaginò l’aroma di vaniglia<br />

all’interno della BMW e il vano portaoggetti lato passeggero, l’unico angolo disordinato di quella automobile,<br />

ancora con i suoi fazzolettini, il suo burro cacao e una miriade di scontrini appallottolati intorno a gomme da<br />

masticare oramai essiccate.<br />

«Hai visto chi c’è?»<br />

La voce del padre proveniva dalla stanza accanto. Il tono voleva essere di scherno ma era troppo<br />

melanconico per risultare credibile.<br />

«Buonanotte, papi.»<br />

«Ma, dico, cosa ti avrà fatto di male quel tesoro?»<br />

«Ri-buonanotte papi.»<br />

«Buonanotte, buonanotte.»<br />

Suo padre non sapeva nulla. Pensava ad un litigio e sperava che prima o poi tutto sarebbe ritornato alla<br />

normalità. Per lei si trattava della prima cosa che gli nascondeva e lui ne soffriva.<br />

Ma questa cosa non poteva dirgliela.<br />

*Micheluccio*<br />

Michele non si limitava a veder scorrere il tempo: lo usava. Gli serviva per crescere, soprattutto dentro.<br />

Studiava. Ma non nella maniera classica, accademica. Studiava qualsiasi cosa lo circondasse: il cielo, le<br />

nuvole, le piante, gli animali, gli uomini, gli oggetti. Cercava di capire il perché di ogni cosa. La chimica, la<br />

matematica e, soprattutto, la fisica riuscivano in buona parte a saziare la sua sete di sapere ma per lo studio dei<br />

comportamenti umani queste materie non erano adatte. Approfittava di ogni ricorrenza per farsi regalare libri<br />

di sociologia, psicologia e dianetica che leggeva e rileggeva più volte.<br />

La nostra stanza dei bottoni. Ecco come chiamava quella che comunemente è conosciuta come mente<br />

reattiva. Sapeva che c’è una parte di noi che non si può controllare con la volontà e che agisce in base al<br />

principio primordiale dell’istinto di conservazione. Ma cosa c’entrava questo istinto con la ragazza che si era<br />

fatto scappare la sera prima? C’era qualcosa che lo bloccava nel rapporto con l’altro sesso. Finché si trattava di<br />

parlare riusciva a dare il meglio di sé ma quando arrivava il momento di agire, non trovava più il coraggio per<br />

andare avanti.<br />

Eppure qualcosa…<br />

Puntò gli occhi verso il Monte Sereno. Sopra quella collina riccamente alberata, tra le nuvole colorate<br />

dalle luci della città, riconobbe la sagoma del Santissimo Redentore. Si concentrò così tanto su quel<br />

monumento da non vedere nient’altro intorno. Dopo un po’ non vide più neanche quello, perché si trovò già<br />

nel suo nascondiglio segreto, dove aveva deciso di ricordare.<br />

La cosa più remota che riusciva a ricordare era il loro vecchio appartamento, in una zona vecchia della<br />

città. Due stanze, forse quaranta metri quadrati in tutto che sapevano di vecchiaia e di monoreddito. Si entrava<br />

direttamente nella stanza da letto, una stanza grande quanto bastava per contenere un letto, due comodini, un<br />

comò e un armadio. Adiacente alla stanza da letto c’era il soggiorno, composto di un tavolo di legno con la<br />

superficie in vetro, uno sparecchiatavola e un televisore a valvole con il trasformatore. A completamento<br />

c’erano un bagnetto e un minuscolo cucinino nel quale una volta era rimasto bloccato con la madre, a causa di<br />

una serratura difettosa.<br />

Ricordava ancora le mattine vissute in attesa che il padre tornasse dal lavoro. Quando arrivava si<br />

pranzava e, anche se Micheluccio non era mai stato amico del cibo, quello era un momento magico, poteva<br />

godere della presenza del padre e ascoltare i loro discorsi da grandi. Poi si andava a letto per il riposino<br />

pomeridiano. In quei momenti di tenero abbandono temeva che, una volta addormentatosi, suo padre lo<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 14


lasciasse per tornare in ufficio e quindi legava i due capi di un filo attorno al suo pollice e a quello del padre,<br />

ogni giorno più stretto, lottando contro il sonno incipiente. In quel modo, pensava, suo padre non se ne sarebbe<br />

andato senza destarlo e invece, volta per volta, si risvegliava da solo e con un bigliettino che, il più delle volte,<br />

aveva su scritto a dopo, campione.<br />

Non avendo amici con i quali giocare, aveva cominciato a inventarseli per ingannare quel tempo che<br />

scorreva troppo lentamente per un bambino di sei anni.<br />

Ricordò la fiera del paese.<br />

Passeggia con i suoi genitori, uno per ogni mano. Profuma di sapone Palmolive, come mamma e papà.<br />

Vestito come un baronetto - camicia, gilet, giacca gessata e pantaloni sopra il ginocchio - si ferma ad ogni<br />

bancarella che vende giocattoli e, dopo averle viste tutte, sceglie il giocattolo che gli regaleranno a fine serata.<br />

Poi, scende per il viale, nel canyon di gente che i genitori formano al loro passaggio. Tra lampadine da cento<br />

watt dondolanti davanti gli stand e un mix aromatico di panelle fritte, formaggio e milza, sempre mano nella<br />

mano con i suoi, raggiunge le giostre. Suo padre compra i biglietti e lui e la madre salgono sul trenino e<br />

sull’elicottero. Prima di tornare a casa, gli comprano il regalo che aveva scelto e poi, con i piedi doloranti e<br />

quasi del tutto assonnato, cammina con loro fino a casa.<br />

Frugando nell’appannata immagine della sua casa non trovò il suo lettino. Già, fino all’età di otto anni<br />

aveva sempre dormito tra i suoi genitori. In quel modo si sentiva protetto. Quando nell’infido buio della notte<br />

aveva paura, si avvicinava all’uno o all’altra e cercava quel contatto che lo tranquillizzava. Se suo padre si<br />

addormentava prima di lui erano dolori. Russava in una maniera indescrivibile. Una sega elettrica, a volte due.<br />

Quando faceva freddo usava i piedi callosi del padre per riscaldare i suoi, dopo averlo pregato di piegare le<br />

ginocchia perché, altrimenti, non li avrebbe mai raggiunti.<br />

Che famiglia unita! I suoi genitori si erano sempre amati. Li ricordava sempre insieme, sempre<br />

premurosi e attenti eppure c’era qualcosa che non quadrava nel loro rapporto. Non capiva cosa ma avvertiva la<br />

mancanza di qualcosa in quell’atmosfera. Riavvolse il nastro dei ricordi e lo fece andare avanti velocemente.<br />

Suo padre che si pulisce in bagno, che beve un bicchiere di latte, si veste, lo bacia e va a lavorare. Suo padre<br />

che torna dal lavoro, lo solleva da terra, lo bacia e si siede per pranzare. Suo padre che si riposa con lui a letto<br />

e poi va a lavorare. Suo padre che torna a casa la sera, lo solleva, lo bacia ed è già pronto per uscire con figlio<br />

e moglie. Sempre la stessa formazione; sua madre gli tiene la mano sinistra e suo padre la destra. La sera lo<br />

aiutano a pulirsi e vanno a letto tutti e tre, suo padre a destra e sua madre a sinistra. Lui, suo padre e sua<br />

madre, lui e suo padre, lui e sua madre. Ancora lui, sua madre e suo padre. Tanto amore e tante attenzioni<br />

verso di lui. Tanta dipendenza e attaccamento verso i genitori. Un rapporto due verso uno e uno verso due.<br />

Come se papà e mamma fossero un’unica entità e, in quanto unica, non potessero abbracciarsi, sfiorarsi,<br />

baciarsi, toccarsi.<br />

Individuò l’elemento mancante: le effusioni amorose tra i suoi genitori. Ecco cosa mancava nel<br />

quadretto familiare di Michele. Non ricordava neanche un’occasione nella quale si erano scambiati un bacio in<br />

sua presenza. Per quanto si sforzasse di ricordare non trovava nessun momento di intimità tra i suoi, neanche<br />

adesso che vivevano in un altro appartamento nel quale lui aveva il suo lettino. Niente di niente.<br />

Trovato il tassello mancante del puzzle familiare aveva trovato anche quello mancante del suo carattere.<br />

Ecco perché era impacciato nei rapporti con l’altro sesso: perché non era stato educato al contatto fisico tra<br />

uomo e donna. Non ne aveva esperienza visiva, vuoto assoluto. Come poteva baciare una ragazza se non lo<br />

aveva visto fare ai genitori? Quella di Paolo e Mariangela era stata una delle scene più sexy che avesse mai<br />

visto in vita sua. La televisione? Sua madre, con l’avvento dei primi televisori a transistor, aveva preso la<br />

gestione del telecomando e filtrava le trasmissioni.<br />

Devo cambiare, diceva tra sé e sé, devo cambiare. Immediatamente.<br />

*Giovanni*<br />

La stanza era immersa nel silenzio e la luce, filtrata dal tessuto color corda dell’abat-jour, donava alle<br />

pareti circostanti una sensazione di calore. A beneficiarne erano anche i mobili, rigorosamente in stile rustico,<br />

disposti su tre lati della camera da letto e i due putti del capezzale. Soltanto lui non avvertiva quel calore.<br />

Giovanni posò la Gazzetta dello Sport nella metà vuota del letto matrimoniale. Sentì la figlia che<br />

singhiozzava, al di là della parete, e il suo cuore diventò più piccolo di una noce. Accadeva in ognuna delle<br />

ultime fottutissime notti. Non voleva violare la sua privacy e non le faceva delle domande dirette. Si limitava a<br />

pungolarla, ogni tanto. Se non vuole parlarti vuol dire che non è arrivato ancora il momento, gli disse la<br />

moglie dal portafoto. Intanto soffriva e aspettava. Allungò il braccio a sinistra e afferrò nuovamente il<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 15


giornale. Cercò di continuare la lettura ma la tensione non gli faceva mettere a fuoco le parole. Lo accartocciò<br />

e lo lanciò a terra, si mise seduto, cercò con i piedi le ciabatte, le trovò e le calzò. Poi spense la luce e si diresse<br />

verso la finestra.<br />

Arrivò nel momento in cui lui se ne stava andando, tra le foglie che svolazzavano sospinte dal vento. Si<br />

sentì colpevole per avergli detto una bugia. Sua figlia era di là e non a Parigi. Ma lui lo sapeva, altrimenti non<br />

sarebbe venuto lì ogni notte a farle la serenata. Bugiardo, ecco cos’era. Ma contro la sua volontà. Non lo<br />

avrebbe fatto più, si promise.<br />

*Francesca*<br />

Francesca si guardò allo specchio e capì di essere oramai una donna fatta. Durante gli ultimi quattro anni<br />

erano cambiate tantissime cose in lei e intorno a lei. Era più alta di una buona spanna e il pigiama, in<br />

prossimità del seno, le stava visibilmente più stretto rispetto all’anno precedente. Le sue gambe lunghe ed<br />

elastiche sostenevano due natiche compatte che digradavano su una vita esile. Il volto era perfetto: zigomi alti,<br />

labbra carnose, non un brufolo o una macchia. E tutto questo senza truccarsi. Anzi, quando una sera aveva<br />

provato a farlo, era corsa subito in bagno per pulirsi il viso; si era sentita sporca, adescatrice. Aveva già tanti<br />

ragazzi che le ronzavano intorno ma lei non voleva tanti ragazzi ma uno soltanto, quello giusto. Ma quello<br />

giusto non si era mai fatto avanti, anche se fino a tempo addietro se la mangiava con gli occhi. Allora, con i<br />

suoi dodici anni era come Titty, un canarino fragile ma simpatico, mentre adesso, nel pieno dei suoi sedici<br />

anni, lo aveva visto già con altre ragazze e in atteggiamenti inconfondibilmente intimi. Eppure lei sapeva che<br />

la desiderava. La desiderava ma non si faceva avanti. Ne intuiva il motivo: Michele non voleva fare uno<br />

sgarbo a Calogero che intanto continuava a non mollare la presa.<br />

Calogero non si era sviluppato tanto in altezza quanto in larghezza. Non era grassoccio, semmai<br />

tarchiato. Lavorare come muratore gli aveva fatto sviluppare i muscoli del torace e delle braccia e lo faceva<br />

somigliare a Ettore, il protettore di Titty. Le piacevano i suoi pettorali che sembravano esplodergli dentro la<br />

camicia. Le piacevano anche le vene che sormontavano i suoi bicipiti. Le piacevano e basta, niente di più. Non<br />

erano i muscoli che cercava in un ragazzo.<br />

I discorsi di Calogero non la prendevano anzi, non la interessavano affatto. Quando lei aveva cercato di<br />

parlare di qualcosa che non fosse sport, moto o automobili, aveva scoperto in lui una superficialità<br />

sconfortante. Un paio di volte lei aveva sostenuto una tesi e gli aveva chiesto un parere. Giusto era stata la sua<br />

risposta. Immediatamente dopo Francesca aveva asserito l’esatto contrario di quanto detto prima e ottenuto da<br />

Calogero una nuova approvazione.<br />

Con lei era stato sempre gentile, si sarebbe fatto in quattro per farle piacere, ecco perché non lo aveva<br />

mai allontanato del tutto; non se lo meritava. Non si meritava neanche di continuare a illudersi ma… cosa<br />

poteva farci? Lui non si era mai dichiarato apertamente. Se lo avesse fatto lo avrebbe disilluso una volta per<br />

tutte ma lui aspettava che si aprisse un varco, uno spiraglio in una porta educatamente serrata.<br />

Nutriva invece una stima particolare per Michele. Tantissime volte era rimasta affascinata dai suoi<br />

discorsi, sempre profondi e coerenti. Michele sapeva farla ridere, il suo humour era intelligente e stimolava<br />

l’attenzione di chi lo stava ad ascoltare. Si erano ritrovati più di una volta a prendere in giro qualcuno senza<br />

che questi se ne accorgesse. Loro si capivano con uno sguardo, bastava un niente affinché i pensieri che<br />

giravano nella testa di Michele frullassero anche nella sua. L’unica cosa che lui faceva finta di non capire era<br />

che anche lei lo desiderava.<br />

*Michele*<br />

Michele si alzò dal letto prestissimo, andò verso la finestra e con la fronte e il naso contro il vetro<br />

guardò a est. A destra del Monte Bastione la luce del sole spense le tenebre ma non scacciò via le sue insulse<br />

paure, perché non ne aveva più. Gli uccelli cominciarono il loro chiacchiericcio dandosi il buongiorno ma non<br />

li invidiò, adesso che anche lui aveva le ali. Non quelle di un’aquila ma di un passerotto che per troppo tempo<br />

era rimasto intrappolato nel suo nido, spennacchiato ma capace di volare sopra le sue paure.<br />

Non aveva molto dalla vita, non era ricco, non era bello però adesso sapeva volare. Era un volo radente<br />

ma, per chi aveva sempre strisciato sotto il filo spinato dei dubbi e delle angosce, quello era un grande volo.<br />

Lo specchio del bagno gli rimandò l’immagine di sempre: capelli neri, occhi scuri e penetranti e quel<br />

naso lungo con il quale aveva imparato a convivere. Davanti a lui non c’era più il frutto di geni assemblati<br />

male ma un contenitore di idee e di pensieri. Pensieri che non sempre rimanevano imprigionati dentro una<br />

gabbia di tabù e di insicurezza, ma che spesso abbandonavano il guscio della potenza per divenire atto,<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 16


pensieri più luminosi, desideri meno utopici e più concreti.<br />

Michele a diciotto anni compiuti aveva oramai cambiato pelle, lasciandola lì, per terra, lungo il sentiero<br />

nel quale aveva strisciato da piccolo.<br />

Ne aveva fatta di strada dai tempi della Graziella. Aveva conquistato la sua libertà con le unghie,<br />

scavando centimetro dopo centimetro un varco nel muro che lo divideva da essa.<br />

Non aveva ancora baciato una donna e, a più di sei anni di distanza dalla prima infatuazione, era ancora<br />

innamorato di Francesca. Se non ci fosse stato Calogero di mezzo l’avrebbe invitata per una pizza e chissà,<br />

sarebbe potuto nascere qualcosa. Ma di tradire la fiducia del suo amico, non se ne parla neanche, diceva tra sé<br />

e sé. Se un giorno Calogero avesse abbandonato le armi be’, in quel caso, sarebbe stato diverso, ma quel<br />

giorno sembrava non arrivare mai. Negli ultimi anni ne avevano combinate così tante insieme che definire il<br />

loro rapporto un’amicizia era davvero riduttivo.<br />

Una volta, i genitori di Calogero si erano recati a Palermo, per trascorrere il fine settimana presso alcuni<br />

amici di famiglia che in precedenza li avevano invitati più volte e ai quali avevano sempre detto di no. A sua<br />

madre le era parso di sognare. Due giorni fuori di casa, fuori da quella prigione, lontana per un po’ da ferri da<br />

stiro, secchi pieni d’acqua e stracci per pulire il pavimento.<br />

Erano partiti con il treno delle sette e trenta del mattino e già alle nove Calogero aveva organizzato una<br />

festa. Se i suoi avevano deciso di spassarsela perché non avrebbe dovuto farlo anche lui? I vicini di casa come<br />

ogni anno trascorrevano l’estate in campagna e quindi c’erano le condizioni ideali per una festa segreta.<br />

Memorizzò la posizione di ogni singolo suppellettile per essere in grado di rimettere tutto a posto quando la<br />

festa fosse finita. Arrivò la sera e con essa anche tutti gli invitati. C’erano Francesca, Michele e un manipolo di<br />

amici di Calogero che non erano del loro quartiere. A tutti aveva intimato di mantenere il segreto. Se i suoi<br />

fossero venuti a conoscenza di quella festa loro non l’avrebbero passata liscia.<br />

La serata trascorse gradevolmente per tutti quanti. Tra un bicchiere di liquore, una sigaretta e un ballo, si<br />

era creata un’atmosfera da pianobar. Niente di peccaminoso. La presenza delle ragazze garantiva una giusta<br />

allegria che non sfociava mai nel volgare. La mattina dopo Michele aveva aiutato il suo amico a rimettere tutto<br />

a posto. Girava per le stanze con un sacchetto tra le mani e andava raccogliendo carte e svuotando tutti i<br />

posacenere che incontrava al suo passaggio. Calogero, invece, si occupava di rimettere le cose esattamente<br />

dove e come le avevano lasciate i suoi genitori. Michele stava lavando i bicchieri quando, verso le undici<br />

Calogero soffocò un’imprecazione.<br />

«Minch… sono fottuto!», esclamò portando le mani ai capelli.<br />

Michele lo raggiunse.<br />

«Fammi capire! Cos’è successo?»<br />

«Guarda cosa ha combinato quel coglione di Giorgio», disse indicando un cuscino del divano.<br />

Michele vide ciò che neanche lui avrebbe voluto vedere: vicino alla cucitura laterale di un cuscino del<br />

divano c’era un buco. Giorgio era stato seduto lì per quasi tutta la serata, fumando una sigaretta dopo l’altra.<br />

«Quel cornuto! Ma io lo ammazzo», pronunciò tra i denti.<br />

«Calmati! Oramai quel che è fatto è fatto. Vediamo, piuttosto, se c’è un modo per rimediare.»<br />

«Rimediare la minchia. Sono fottuto, sono fottuto! Questo divano ha un mese di vita ed è frutto delle<br />

privazioni di mia madre. Quando se ne accorge mio padre mi ammazza e poi io ammazzo Giorgio anzi, lo<br />

ammazzo finché sono vivo, quel coglione.»<br />

Non aveva mai visto Calogero piangere prima di allora e, vedere quel mastino con le lacrime agli occhi,<br />

lo turbò parecchio. Provò un istinto di tenerezza, gli si avvicinò e l’abbracciò.<br />

«Vaffanculo anche tu», sbraitò il suo amico scrollandoselo di dosso. «Lasciami in pace.»<br />

Fu come prendere la scossa. Si allontanò e si mise da parte per pensare. I singhiozzi di Calogero<br />

riempivano il silenzio di quella sfortunata mattina domenicale. L’amico aveva la camicia che, madida di<br />

sudore, gli aderiva alla schiena.<br />

Qualche minuto dopo, nella testa di Michele si fece strada un’idea.<br />

«Dimmi una cosa.»<br />

«Lasciami in pace.»<br />

«Hai detto che i tuoi hanno comprato questo divano un mese fa.»<br />

«Sì, porca puttana.»<br />

«L’hanno preso nel negozio dove lavora Giancarlo?»<br />

«Sì, sì, sì.»<br />

«Mi pare di aver visto pure…»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 17


«Cosa?»<br />

«Adesso devo andare. Tu non muoverti da casa, capito? C’è ancora qualche speranza.»<br />

«Ma cosa…»<br />

«Devo scappare. Aspettami qui.»<br />

Giancarlo per molti versi era simile a Michele; mingherlino, capelli neri e occhi castani, anche lui con<br />

problemi di inserimento tra i ragazzi. Però, mentre Michele era riuscito a migliorare le relazioni con i suoi<br />

amici, lui ancora non ne era venuto fuori e le sue amarezze si ripercuotevano sul rendimento scolastico che<br />

negli ultimi tempi aveva toccato i livelli più bassi che lui ricordasse. Giancarlo dopo aver finito i compiti<br />

andava a fare compagnia a suo padre che aveva un negozio di arredamento per interni. Michele era certo di<br />

aver visto pochi giorni prima un divano identico a quello di Calogero. Raggiunse di corsa il negozio e, tra le<br />

grate, vide ciò che sperava di vedere. Ricordava perfettamente bene; i divani originariamente erano due, messi<br />

l’uno di fronte all’altro, entrambi di tre posti. Adesso ne era rimasto uno.<br />

Si precipitò sotto casa di Giancarlo, gli citofonò e gli chiese di scendere, doveva parlargli.<br />

«Ma… sto quasi per mettermi a tavola.»<br />

«È urgente, ti prego. Scendi!»<br />

Michele gli raccontò della festa, del buco sul cuscino, dei rischi che correva Calogero e del pericolo che<br />

incombeva su Giorgio. Gli espose il suo piano che prevedeva la sostituzione del cuscino bruciato con uno<br />

nuovo tra quelli del divano che erano ancora in negozio.<br />

«Minimo sei cretino. Vuoi che mio padre mi spari?»<br />

«Non se ne accorgerà, credimi.»<br />

«Come, non se ne accorgerà! Vuoi che non si accorga di un buco nel cuscino? Si accorgerebbe anche di<br />

un acaro sul bracciolo.»<br />

«Penserà che sia stata la ditta a recapitarlo in quel modo.»<br />

«Impossibile. Lui controlla uno per uno tutto ciò che gli consegnano.»<br />

«Mica è infallibile!»<br />

«Mio padre sì.»<br />

«Non dire cazzate.»<br />

«Ti assicuro che è così.»<br />

Continuarono su quei binari per molto tempo finché giunsero ad un compromesso. Michele, in cambio<br />

di quell’immenso favore, gli avrebbe dato dieci lezioni di inglese e Calogero gli avrebbe tolto di torno un paio<br />

di ragazzacci che lo deridevano, rovinandogli l’esistenza.<br />

L’ideale sarebbe stato svolgere tutte le operazioni nel pomeriggio, prima dell’arrivo dei genitori di<br />

Calogero, ma Giancarlo non avrebbe potuto muoversi prima di quella notte. Sapeva dove suo padre teneva le<br />

chiavi del negozio. Gliele avrebbe sottratte quella notte stessa, sarebbe uscito di casa con la scusa di un<br />

pigiama party, avrebbe preso il cuscino e lo avrebbe portato fin sotto casa di Calogero. Questi gli avrebbe<br />

aperto il portone e, approfittando del sonno dei suoi genitori, avrebbe sostituito il cuscino. Infine Giancarlo<br />

avrebbe messo quello bucato nel divano del negozio.<br />

Una volta strettisi la mano come suggellamento dell’accordo, Michele si era precipitato da Calogero che,<br />

intanto, non si era mosso da casa.<br />

Gli comunicò quali erano gli accordi con Giancarlo e Calogero gli assicurò la sua protezione. Avrebbe<br />

dovuto saltare di gioia ma, effettivamente, il piano avrebbe funzionato soltanto se i suoi genitori non avessero<br />

scoperto il buco al loro ritorno. Calogero non sapeva come fare per distrarli. Se vi ci fosse seduto sopra, suo<br />

padre lo avrebbe cacciato via diffidandolo dal sedersi sul divano nuovo che si sarebbe potuto sciupare, e<br />

magari sarebbe stato tentato dal passarvi una mano sopra, come per pulirlo e si sarebbe accorto del buco. Il<br />

destino volle aiutare i ragazzi e a mezzanotte, con il cuore che batteva a duecento battiti al minuto, portarono a<br />

compimento la loro missione. I genitori di Calogero non si accorsero di ciò che si stava svolgendo nel loro<br />

soggiorno e il padre di Giancarlo, accortosi del buco nel suo divano, si convinse che era stato uno dei clienti<br />

degli ultimi due giorni a fare il danno. Aveva anche individuato il presunto colpevole e, prima o poi,<br />

gliel’avrebbe fatta pagare.<br />

Quell’episodio li unì ancora di più, li saldò.<br />

La loro era una comunione di esperienze: Calogero gli aveva insegnato i trucchi per essere rispettato per<br />

strada mentre Michele non era riuscito a insegnargli ciò che dovrebbe essere innato, la creatività e il<br />

ragionamento. Mentre lui apprendeva dal suo muscoloso amico, questi non riusciva a fare il salto di qualità.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 18


Spesso era goffo nei comportamenti e lentissimo nel ragionamento. Se c’erano da fare calcoli che<br />

riguardassero il denaro diventava velocissimo, uno Speedy Gonzales un po’ appesantito, ma se si trattava di<br />

altro diventava un Luca Tortuga con tanto di guscio sulle spalle.<br />

Michele si sentiva in colpa per non essere riuscito a farlo migliorare, a fargli salire un paio di gradini<br />

della scala sociale. A volte pensava di essere un pessimo insegnante ma poi, pensando a Giancarlo, che in<br />

poche lezioni aveva appreso le basi della lingua inglese, finì per convincersi che era il suo amico ad avere<br />

difficoltà nell’apprendimento. Ma c’era una colpa ancora più grossa che gravava sulla coscienza di Michele: il<br />

fatto di non aver mai confessato a Calogero di essere innamorato pazzo di Francesca. Forse, se gliene avesse<br />

parlato sin dall’inizio le cose sarebbero andate diversamente. Forse.<br />

Calogero gli raccontava gli incontri con Francesca, il tema delle loro chiacchiere, quello che facevano,<br />

dove andavano e della sua incapacità di andare fino in fondo, dichiarandosi. Spesso chiedeva consigli a<br />

Michele ma questi aveva paura di dargli consigli troppo giusti che lo avrebbero potuto portare a coronare il<br />

suo sogno. Michele nascondeva il suo segreto e, più passavano i giorni, più si sentiva un traditore. Avrebbe<br />

voluto gridargli amo Francesca ma non se la sentiva. Non temeva la sua violenta reazione, perché non ci<br />

sarebbe mai stata ma una profonda delusione che avrebbe compromesso la loro splendida amicizia.<br />

*Biagio*<br />

Sebbene si sforzasse di pensare ad altro, non ci riusciva. Lei era dappertutto: in un fiore, nel cielo, in un<br />

boccale di birra, in un suono, in un colore e ogni cosa vista, sentita, pensata, desiderata, toccata, la riconduceva<br />

a lei. Quando guardava la tv, le immagini che scorrevano non erano quelle di un film, di un documentario, di<br />

un cartone o di uno spettacolo, perché davanti allo schermo del televisore c’era un altro schermo sul quale<br />

scorrevano le immagini dei suoi ricordi. Troppi i bei momenti, e nessuno valeva più di un altro perché ogni<br />

singolo episodio lo avevano vissuto intensamente, come se fosse un solo, unico, irripetibile istante della loro<br />

storia d’amore. Riavvolse il nastro e lo posizionò alla loro prima cena, quando si erano messi insieme. Lei era<br />

bellissima. Malgrado avesse un fisico da modella che lei non metteva mai in evidenza, lui era catturato dai<br />

suoi occhi, dalla loro luminosità, profondità, dalla gioia che irradiavano, dalla serenità che comunicavano e,<br />

soprattutto, dall’intelligenza che esprimevano.<br />

Avevano cenato entrambi con un fardello sulle spalle, qualcosa della quale non erano riusciti ancora a<br />

liberarsi. Più i loro discorsi diventavano intimi e più ne avvertivano il peso. Paradossalmente fu questo ad<br />

avvicinarli ancora di più, la consapevolezza che su ognuno di loro aleggiava uno spettro, condiviso da<br />

entrambi. La tenerezza che provavano per la persona che avevano di fronte aveva fatto incontrare le loro dita<br />

che si incatenarono al centro del tavolo. Poi lui aveva preso con la forchetta uno spaghetto dal suo piatto, lo<br />

aveva portato in alto e ognuno di loro ne aveva preso un capo con le labbra, cominciando a consumarlo dal<br />

proprio lato. Lo spaghetto era finito e le loro labbra si erano unite nel loro primo, indimenticabile bacio.<br />

Lei aveva cominciato a ridere e lui l’aveva seguita a ruota.<br />

«Sembriamo Lilly e il Vagabondo. Da oggi in poi ti chiamerò Biagio.»<br />

*Lilly*<br />

Con gli occhi fissi sul contenuto della BMW, certa di non essere vista, rammentò il loro primo bacio. Il<br />

destino aveva voluto che ad unirli fosse proprio una scena di Lilly e il Vagabondo, il cartone animato che da<br />

piccola aveva visto così tante volte da rendere la videocassetta inutilizzabile. Quanto erano morbide le labbra<br />

di quel ragazzo quando avevano raggiunto le sue! Ricordava ancora il profumo della sua pelle, come se in<br />

quello stesso momento gli fosse accanto. Al pensiero un brivido la percorse ancora, lo stesso di quella volta.<br />

Avevano pagato il conto, compreso il secondo di pesce che non avevano mangiato, si erano catapultati<br />

fuori del locale mano nella mano e nel buio si erano regalati un interminabile bacio. Non una parola; un solo<br />

indescrivibile bacio. Nessuna frase di circostanza, parlavano soltanto gli sguardi. Tutto quanto intorno a loro si<br />

era fermato perché con il loro amore erano riusciti ad arrestare il tempo e a sincronizzare i battiti dei loro cuori<br />

in un pulsare unico, profondo, irruento. Lui l’aveva accompagnata a casa, in quel modo, senza una sola frase<br />

perché con quel bacio si erano detti tutto.<br />

Vide la macchina del suo Vagabondo allontanarsi con stile, come sempre, senza sgommare. Forse lo<br />

aveva divinizzato, dato che ai suoi occhi qualunque cosa egli facesse risultava perfetta. Ma era giusto così<br />

perché lei lo amava profondamente e incondizionatamente, più di quanto amasse se stessa. Spesso era stata<br />

tentata di chiamarlo per condividere con lui quel terribile segreto che li divideva ma poi si era fermata alla<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 19


penultima cifra del suo numero di cellulare. Anni prima avevano condiviso un fardello, ma quello che lei<br />

portava adesso sulle spalle lo avrebbe schiacciato con il suo peso. Preferiva tenerlo per sé. Prima o poi il suo<br />

Vagabondo si sarebbe stancato di inseguirla e avrebbe cominciato a odiarla per averlo lasciato senza un<br />

motivo apparente. Questo era preferibile alla verità, per il bene di Biagio.<br />

*Filippo*<br />

Filippo partì malvolentieri per Roma ma il lavoro è lavoro, gli aveva insegnato il padre. La moglie, la<br />

sua amata Carmela, era rimasta incinta, il ginecologo aveva detto che era un maschio e lui non stava più nella<br />

pelle. Si sarebbe chiamato Michele come suo padre e, guarda caso, come il padre di Carmela. La notte era<br />

stupendo stare a letto mano nella mano con lo sguardo puntato verso il lampadario, a sognare la loro vita in tre.<br />

Lei lo vedeva già un medico affermato, lui invece non aveva preferenze; si sarebbe scelto il proprio futuro da<br />

solo. Giocavano a costruire il suo identikit. Il naso non doveva prenderlo da Filippo, e ne ridevano, e<br />

nemmeno il resto del viso. Tra un colpo di cuscino e un altro avevano concordato che la bellezza avrebbe<br />

dovuto ereditarla dalla madre e l’intelligenza dal padre.<br />

Carmela era bellissima. Lui ne ammirava i lineamenti dolci ma, allo stesso tempo, decisi. Sì, sperava che<br />

suo figlio diventasse bello e furbo come lei, per conquistare decine di donne nel corso della sua vita, come lui<br />

prima di fidanzarsi con lei. Malgrado non fosse mai stato un bell’uomo, aveva qualcosa che evidentemente<br />

piaceva alle donne; forse la sua simpatia, la sua allegria, chissà. Le belle donne erano sempre state il suo punto<br />

debole. Ne ammirava le forme, le movenze, le parole che uscivano dalle loro labbra carnose, e veniva rapito<br />

dalle peculiarità di ognuna di esse. Di alcune ne apprezzava i capelli, belli soprattutto se lunghi e lisci, di altre<br />

il modo di camminare, quell’ancheggiare ritmico, quasi melodico che il più delle volte richiama le attenzioni<br />

dei passanti. Quante avventure, che bei tempi. Tempi che non si sarebbero ripresentati perché lui, sin dal primo<br />

giorno di fidanzamento con Carmela, aveva promesso a se stesso fedeltà, amore e rispetto nei confronti della<br />

sua compagna di vita.<br />

A spezzare questa serie di notti idilliache fu l’ordine di servizio del suo capo ufficio che gli comunicava<br />

la necessità della sua partecipazione a un corso di tre giorni che si sarebbe tenuto a Roma. Partì qualche giorno<br />

dopo insieme a due colleghe.<br />

Claudia e Rosalba erano sorelle anche se non lo sembravano affatto. Lui era molto amico di Claudia e<br />

molto meno di Rosalba che ai suoi occhi risultava un po’ troppo ficcanaso e fondamentalmente cattiva. Nelle<br />

sue chiacchierate con la sorella buona non si parlava mai della sorella cattiva. Diverse volte, invece, era stato<br />

costretto ad ascoltare Rosalba che non faceva altro che criticare qualsiasi cosa facesse la sorella. Filippo in<br />

quei frangenti faceva soltanto finta di ascoltarla in quanto, per carattere, aborriva questo genere di discorsi.<br />

Il viaggio in aereo fu confortevole e arrivarono all’aeroporto di Fiumicino nel tardo pomeriggio, giusto<br />

in tempo per raggiungere l’albergo, darsi una rinfrescata, cenare e fare una passeggiatina tra Via Veneto e<br />

Piazza Barberini.<br />

Roma era uno spettacolo. Lo era sempre stata per Filippo che ne avvertiva la storia. Ne apprezzava gli<br />

ampi spazi, lo stile dei palazzi, l’affaccendarsi della gente che teneva un ritmo completamente diverso dal suo.<br />

Alle nove del giorno seguente, in una sala sovrastata da decine di neon accecanti e che odorava di<br />

detersivo per pavimenti, cominciò il corso sui servizi della Pubblica Amministrazione. Una palla per Filippo e<br />

Claudia e molto interessante per Rosalba che faceva finta di capire quello che diceva il relatore. Filippo,<br />

sebbene per niente interessato all’argomento, cercava di seguire quei discorsi, distratto dal pensiero di<br />

Carmela, nel cui grembo stava formandosi il suo erede. Eppure, malgrado la buona volontà, l’attenzione di<br />

Filippo fu catturata dall’espressione di Claudia; strana, triste, fragile, come se qualcosa la rodesse dall’interno.<br />

I suoi stupendi occhi azzurri non brillavano come sempre ma erano velati, stanchi, quasi spenti. Non le chiese<br />

nulla né durante la pausa pranzo né durante il resto della giornata. Non perché volesse rispettare la sua privacy<br />

ma perché non avrebbe potuto chiederle nulla con Rosalba continuamente alle calcagna. Sentiva che Claudia<br />

aveva bisogno del suo aiuto ma la presenza della sorella gli impediva di intervenire.<br />

L’ultima notte della loro permanenza a Roma, dopo aver augurato la buonanotte alle colleghe, Filippo<br />

aveva raggiunto la sua camera e telefonato a casa della suocera, dove si era trasferita Carmela per quei tre<br />

giorni. Avevano parlato per un’ora intera. Lui le aveva raccontato com’era trascorsa la giornata e le aveva<br />

confidato la sua sensazione riguardo lo stato d’animo di Claudia.<br />

«Chiedile che cos’ha», gli aveva suggerito la moglie, che per carattere era molto curiosa.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 20


«Non me la sento», le aveva risposto con fermezza.<br />

Il tema principale della telefonata era diventato il loro futuro erede. Gli occhi di Filippo si erano<br />

illuminati ed erano diventati lucidi. Avrebbe preferito essere al fianco della moglie e ascoltare il suo cucciolo<br />

con l’orecchio sul suo pancino invece che trovarsi in un albergo della capitale. Si era disteso sul letto, fingendo<br />

che la voce della moglie non gli arrivasse da una fredda cornetta e aveva gustato ogni parola e ogni particolare<br />

che Carmela gli raccontava su ciò che lei sentiva dentro. In quel preciso momento, mentre lui era a migliaia di<br />

chilometri da casa, il suo erede si stava muovendo, si stava spostando, magari stava cercando con la manina la<br />

mano del padre che di solito stava poggiata sull’ombelico di sua mamma.<br />

Aveva appena posato la cornetta quando sentì bussare piano alla sua porta.<br />

Fu come svegliarsi da un sonno profondo e fu costretto ad alzarsi quando invece avrebbe preferito<br />

continuare a sognare suo figlio.<br />

«Chi è?», chiese.<br />

«Claudia. Fammi entrare, per piacere.»<br />

Filippo aprì e la fece entrare.<br />

*Lilly*<br />

«Tesoro, il ragioniere Riggi al telefono.»<br />

«Riggi? Non conosco alcun Riggi.»<br />

«Insomma, è per te; veditela tu.»<br />

«Pronto.»<br />

«Non chiudere!»<br />

«Chiedo soltanto cinque minuti del tuo tempo. Non ti farò domande e non ti chiederò di fare qualcosa.<br />

Ti supplico solamente di ascoltarmi per cinque minuti. Sol-tan-to cinque minuti.»<br />

Non riattaccò.<br />

«Innanzitutto grazie. Ogni secondo durante il quale mi starai ad ascoltare è un regalo del quale te ne sarò<br />

per sempre grato, comunque finisca la nostra storia.»<br />

Il cuore di Lilly sembrava scoppiarle in petto. Quanto era bella la voce di Biagio! Profonda, maschile<br />

ma, al tempo stesso, tenera e gracile. Un connubio di potenza e di delicatezza, un continuo modulare di suoni,<br />

un’onda che travolge gli scogli ma poi finisce la sua corsa accarezzando la battigia. Con le parole lui arrivava<br />

dove voleva, ecco perché era tentata di mettere subito giù il telefono, per non rimanere impigliata nella sua<br />

rete. Ma fino a qualche giorno prima le era piaciuto impigliarsi nella sua rete, vi si era abbandonata<br />

volontariamente e in quel momento sentiva la forza della voce di Biagio e ne avvertiva pure l’emozione. Non<br />

lo immaginava come un imponente cane grigio con il petto bianco ma come un cucciolo pienotto e con gli<br />

occhi tondi che ti guarda e ti dice prendimi con te. E lo avrebbe preso con sé se avesse potuto farlo, per<br />

metterlo a pancia in su, grattargli il petto e baciargli il musetto.<br />

«Avevo diciotto anni quando, affacciato alla finestra, assistetti a una scena che segnò per sempre la mia<br />

vita. Vidi un mio vicino di casa, un pensionato settantacinquenne vedovo da un paio d’anni che, curvo sul suo<br />

bastone, si avviava verso il cassonetto della spazzatura con un sacchetto tra le mani. Mi impressionò il suo<br />

modo di incedere. Ti è mai capitato di vedere una persona senza voglia di vivere? A me tante volte. Be’, quel<br />

nonnino era stanco di vivere e il passo strascicato, lo sguardo basso, la noncuranza nell’attraversare la strada<br />

mi facevano pensare che la vita per lui non valesse poi tanto. Eppure ci sono anziani che lottano a denti stretti<br />

contro le malattie, contro le avversità della vita e, quando viene detto loro che hanno la pressione troppo alta o<br />

un po’ di tachicardia, corrono in farmacia per acquistare i medicinali e curarsi. Sai perché? Perché non<br />

vogliono morire, e si tengono stretta quella vita flebile, magari monotona e piena di privazioni. Per loro ogni<br />

giorno che trascorrono su questa terra - e sperano ce ne siano ancora tanti - ha un valore immenso. Quel mio<br />

vicino di casa, invece, era come l’indicatore di stato della batteria quando ti segnala che è quasi<br />

completamente esausta; emetteva poca luce, si stava spegnendo e, prima di spegnersi completamente, onorava<br />

ogni piccola cosa che gli toccasse fare, anche il semplice gesto di buttare la spazzatura. Lo vidi faticare per<br />

sollevare il coperchio e lanciare il suo sacchetto dentro il cassonetto. Con il piede non riuscì a frenare la corsa<br />

del coperchio che si richiuse producendo un rumore forte. Poi, quando stava per ritornare a casa, lo vidi<br />

fermarsi, pensare, guardare verso il cassonetto e avvicinarsi ad esso. Quando appoggiò l’orecchio sulla<br />

superficie metallica pensai fosse impazzito. Lo vidi fermare un passante, chiedergli qualcosa. Anche questi si<br />

avvicinò al cassonetto e si fermò ad ascoltare. Si girò verso l’anziano e gli fece un cenno con la testa,<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 21


dopodiché alzò il coperchio con le mani e qualche secondo dopo si ritrovò tra le mani una scatola di scarpe. La<br />

posò sul marciapiede, strappò il nastro adesivo che la teneva chiusa e ne estrasse un cucciolo di cane.<br />

L’anziano lo guardò, lasciò andare per terra il suo bastone come se non gli appartenesse più, prese con tutt’e<br />

due le mani il cucciolo, lo alzò all’altezza dei suoi occhi e infine lo abbracciò. Ancora oggi vedo passare<br />

questo signore da sotto casa mia con quel cane. Dovresti vedere che coppia! Il cane non porta neanche il<br />

guinzaglio, è libero da ogni legame fisico ma legato da una catena che collega il suo cuore a quello del<br />

vecchietto. E si gira continuamente per vedere se il suo padrone, quella persona a lui preziosa con la quale<br />

divide le sue giornate, è vicino. Adesso il nonnino è ancora più avanti negli anni e sembra rinato. Un cane lo<br />

ha fatto rinascere, sottraendolo alla malinconia di tante giornate di solitudine, ognuna perfettamente uguale<br />

alle altre. L’amore che si sono scambiati durante tutti questi anni ha dato una nuova vita all’animale, destinato<br />

alla morte, e uno scopo al suo padrone.<br />

Il destino. Cos’è il destino? Forse, è un libro che è stato già scritto da qualcuno. Nel destino di quel cane<br />

c’era il mio vicino di casa e nel destino del mio vicino c’era quel cane. Non ci sarebbe potuta essere<br />

un’alternativa a quello che è successo. L’uno è servito a dare la vita all’altro. Era lì, nel cassonetto, pronto ad<br />

essere stritolato dopo qualche ora e invece, passava di lì quell’anziano che doveva sentire il cuccioletto che lo<br />

chiamava da dentro la scatola di scarpe. Dimmi se non era già scritto nel libro della vita! In quello stesso libro,<br />

in un altro capitolo, c’è scritta anche la nostra storia. Peccato che non la si possa leggere prima che le cose<br />

accadano ma, poco male, io so come andrà a finire e mi riservo di dirtelo tra pochissimo. Quello che sappiamo<br />

per certo è che ci siamo sempre desiderati, anche prima di fidanzarci. Eravamo due uccellini con le ali tarpate<br />

dallo stesso problema di coscienza e un giorno, abbiamo deciso autonomamente e contemporaneamente di far<br />

ricrescere le ali per volare insieme. Amore mio, pensi che si sia trattato di una mera coincidenza?»<br />

Lilly mise la mano sulla cornetta per non fare sentire i singhiozzi che non riusciva a soffocare. Appoggiò<br />

la fronte sul vetro della finestra mentre le lacrime le scivolavano copiose, formando due laghetti sul davanzale.<br />

Amore, l’aveva chiamata ancora Amore. La sua ragazza lo molla e lui la chiama ancora Amore, come se<br />

niente e nessuno potesse distruggere quel sentimento forte che aveva nel cuore.<br />

«Conosciamo tante coppie di amici, tutte più o meno felici ma nessuna è felice come lo eravamo noi. Me<br />

ne accorgo guardandole. Prendi Giulia e Massimo. È lampante che si amano eppure, a lei piace tantissimo<br />

trascorrere le domeniche al mare. Lui, che invece detesta il caldo, l’accontenta, parte con lei e soffre per ore<br />

sotto l’ombrellone. Lei, per non approfittare della sua bontà, verso l’ora di pranzo propone il rientro anche se<br />

le piacerebbe restare fino a tardo pomeriggio. Lui si sacrificherebbe ancora pur di farla felice ma lei si impone<br />

e rientrano. Si amano, si accontentano, si coccolano ma alcune cose li dividono. Noi non abbiamo mai trovato<br />

nulla che ci dividesse; ecco perché adesso mi viene più difficile accettare questo distacco. Non ne comprendo<br />

il motivo, ciò nondimeno non ti chiedo nulla. Ti ho telefonato soltanto per dirti che ti amo e che, nel caso<br />

avessi sbagliato qualcosa sono pronto a rimediare, a chiederti di perdonarmi e a impegnarmi per migliorare.<br />

Nel caso il problema fosse estraneo al nostro rapporto, potremmo parlarne insieme come sempre, da fidanzati<br />

o anche soltanto da buoni amici. Prima che riattacchi, perché so che tra poco lo farai, ti devo dire due cose: la<br />

prima è che ti amo come non ho mai amato in vita mia, la seconda è che ti amerò per sempre perché nel libro<br />

del destino c’è scritto che noi due torneremo insieme, perché ci amiamo, perché siamo fatti l’uno per l’altra,<br />

perché non ha senso continuare a soffrire così, da soli, io dentro una macchina al buio e tu dietro i vetri della<br />

tua finestra a piangere mentre ti parlo.»<br />

Lilly fu abbagliata da una luce improvvisa che proveniva dalla strada. Vide due fari accendersi e una<br />

BMW allontanarsi. Riattaccò.<br />

Quanto lo amava. Se non ci fosse stata quella lettera, quel demoniaco contenitore di parole terribili a<br />

leggersi, sarebbero ancora insieme, abbracciati, avvinghiati l’una all’altro. Invece le era arrivata, l’aveva letta e<br />

le era caduto il mondo addosso. Quell’accozzaglia di parole, ineleganti e crude, che in un primo momento le<br />

erano sembrate frutto di una mente malata e cattiva, si erano rivelate tremendamente vere quando aveva<br />

cercato la verità e l’aveva, purtroppo, trovata.<br />

*Calogero*<br />

Calogero si guardò le mani callose e pensò a quante cardarelle piene di cemento aveva issato, a quanti<br />

forati aveva messo l’uno sull’altro e, soprattutto, a quanto sudore aveva versato durante gli ultimi anni. Che ne<br />

sapeva Michele di tutto ciò? Mentre lui arrostiva al sole per guadagnarsi il pane, il suo amico era anch’egli al<br />

sole, ma per abbronzarsi, con una bibita fresca in mano e gli occhiali scuri. Lo immaginò per un istante a<br />

lavorare con lui e, subito dopo, scoppiò a ridere, mentre i suoi colleghi lo guardavano e gli chiedevano se fosse<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 22


impazzito. «No», rispondeva loro, «non sono pazzo, mi è venuta in mente una barzelletta». Ma non poteva<br />

confessar loro la fonte delle sue risate, lui voleva bene a Michele e nessuno doveva prenderlo in giro. Soltanto<br />

lui. Sì, lui sì. Lo prendeva in giro quando erano soli, anzi, si prendevano in giro. Gli diceva che era delicato,<br />

che era un peccato che fosse nato maschio, che era una femmina mancata. Michele gli rispondeva che se aveva<br />

dubbi poteva portargli la sorella - che tra l’altro non aveva - per provare se fosse frocio o meno. Poi ribatteva<br />

dicendo che non poteva spiegare cos’è lo stile ad un grezzo come lui; uno che non sapeva disegnare una lettera<br />

o senza un bicchiere. Se ne dicevano di tutti i colori ma non si offendevano mai perché amavano scherzare.<br />

Calogero non gli aveva ceduto il posto di capobranco ma, anche se non sapeva neanche cosa fosse la<br />

sociologia, aveva capito che, a seconda dei contesti, il capobranco diventava Michele. Era assurdo cercare di<br />

dargli testa quando si dialogava tra amici. Il suo amico aveva la stoffa dell’avvocato oppure doveva essere il<br />

figlio segreto di Sgarbi. Con le parole ci sapeva davvero fare e, più passavano gli anni e meno valeva la forza<br />

di quelle mani callose che aveva davanti. Oramai a diciotto anni non si fa una bella figura a menare la gente.<br />

Certo, quando c’è bisogno di usarle si devono usare. Grezzo, ecco la parola che gli pesava ogni giorno di più.<br />

Gliela ripeteva continuamente Michele. Sei grezzo, gli diceva, e lui lo afferrava per il collo facendo finta di<br />

soffocarlo. Forte ma grezzo, concludeva sempre.<br />

Calogero non se la prendeva, sapeva che il suo amico scherzava ma quella parola, ascoltata giorno per<br />

giorno, come la goccia dell’omonima tortura, gli aveva perforato la fronte ed era entrata nel suo cervello. Ma<br />

che posso farci, si chiedeva, se la mia vita ha preso un percorso differente dal suo? Si sentiva più materia<br />

mentre Michele era più spirito. Ma non si può vivere di solo spirito, la vita è fatta anche di cose materiali. La<br />

verità, pensò, è che il suo amico aveva padre e madre che gli assicuravano una vita agiata mentre lui doveva<br />

sfacchinare, giorno per giorno, sotto quel fottuto sole che gli stava bruciando la pelle in quell’istante o come<br />

una bandiera al vento durante le giornate invernali. Michele aveva più tempo per imparare a volare e infatti<br />

aveva imparato bene. Lui come poteva volare o soltanto migliorarsi tra colleghi che parlavano solamente di<br />

cemento, sabbia e forati? Era anche vero che Michele cercava di stimolarlo, ora con dei giochini di logica, ora<br />

con la Settimana Enigmistica ma lui non riusciva a seguirlo. Il suo amico parlava e lui gli andava dietro fin<br />

quando poteva per poi perdersi, volta per volta, nei propri pensieri affollati di intonaco, malta, cazzuole e<br />

impastatrici. Spesso anche il pensiero di Francesca era fonte di distrazione. Francesca, che bella ragazza! Se<br />

fosse riuscito a sposarla - perché prima o poi glielo avrebbe chiesto, anche se prima ancora avrebbe dovuto<br />

chiederle di mettersi insieme - sarebbe stato felice di trovarla a casa al ritorno dal cantiere. Lei avrebbe pulito<br />

casa e badato ai tre o quattro figli che lui le avrebbe fatto partorire. Pensava a queste cose e gli occhi gli si<br />

illuminavano, anche se c’erano alcuni discorsi di Francesca riguardo la parità dei sessi che non comprendeva<br />

proprio a fondo. Lui l’avrebbe protetta, rispettata e difesa da tutti i pericoli del mondo. Lei desiderava una vita<br />

gratificante, questa era la parola che usava spesso, e lui l’avrebbe gratificata. Lei avrebbe lavorato anche da<br />

sposata, diceva. Che brava ragazza. Non voleva essere un elemento della famiglia da mantenere. Lui la capiva<br />

e, se si fossero sposati, le avrebbe regalato una vita da regina e non avrebbe voluto che lei andasse a lavorare.<br />

Lavorare? Lei? Una regina non lavora, semmai gestisce la casa per far sentire il marito un re. Ecco a cosa<br />

pensava spesso mentre Michele cercava di erudirlo. Infine era costretto a chiedergli: «Ti dispiacerebbe<br />

ripetere? Mi sono distratto un attimo».<br />

«Vai a quel paese», gli sbatteva l’altro.<br />

*Francesca*<br />

Dai termosifoni arrivava il tic tic tipico di quell’ora. L’impianto di riscaldamento centralizzato si era<br />

spento già da un pezzo e in quella stanza cominciava a fare freddo, per lei freddissimo. Al di là dei vetri della<br />

finestra il vento piegava i rami più piccoli e la pioggia aveva creato un torrente che, scorrendo impetuosamente<br />

a valle, trascinava con sé fogliame e cartacce. Un gatto si stava riparando dalla pioggia, protetto dalla pensilina<br />

di un portone e stava raggomitolato sulla soglia. Ogni tanto un riflesso di luce illuminava i suoi occhi che<br />

parevano ardere di un rosso acceso. Le gocce tintinnavano sul vetro della finestra e il loro rumore veniva<br />

coperto soltanto di tanto in tanto dal boato di un tuono lontano.<br />

Guardò il vaso con le rose oramai secche che Michele le aveva regalato per il suo ventiduesimo<br />

compleanno. Gliele aveva spedite da Venezia, dove stava ultimando il servizio militare. Quando le aveva<br />

ricevute erano bellissime e lo erano anche adesso che erano secche e che portavano con sé il messaggio<br />

intrinseco che ogni cosa passa.<br />

Il calendario era ancora fermo al mese di dicembre, con una data cerchiata con il pennarello. Non si<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 23


trattava del suo compleanno ma del giorno in cui sua madre se n’era andata.<br />

A poco a poco.<br />

Grammo dopo grammo.<br />

Francesca aveva visto la sua vita uscire lentamente dal suo corpo. Lei e suo padre le erano stati vicini,<br />

dandosi continuamente il cambio, sin da quando in ospedale avevano detto loro che oramai era tutto inutile e<br />

se l’erano portata a casa. Avevano scoperto il cancro soltanto un mese prima ed era ormai troppo tardi. Se<br />

n’era andata con il sorriso ancora sulle labbra, come sempre, forse per non dare soddisfazione al male che<br />

l’aveva sconfitta sorprendendola da dentro, privandola della sua meravigliosa famiglia. Francesca e Michele,<br />

una passione e un solo destino. Anche lui aveva perso il padre a causa di un infarto, qualche mese prima di<br />

partire per il servizio militare. Giusto il tempo di sbrigare le formalità burocratiche e poi via, per Venezia.<br />

Con il plaid sulle spalle Francesca si sedette alla scrivania, prese il suo bloc-notes rosso e cominciò a<br />

scrivere.<br />

Ciao amore, mi immagino che freddo fa dalle tue parti. Se qui abbiamo sei gradi e sento freddo, lì che<br />

ce ne saranno una decina in meno ci morirei. O forse no, perché ci saresti tu a riscaldarmi con i tuoi baci e i<br />

tuoi abbracci. Non vedo l’ora che torni. Ho bisogno di te, di parlarti, ma ancora di più… di ascoltarti. Mi<br />

piace tutto quello che dici e tutto quello che fai. Sarà l’amore? Ho qui davanti i fiori che mi hai spedito per il<br />

compleanno. Sei stato davvero dolcissimo a ricordarti di questa data. Qui le giornate trascorrono lentissime e<br />

il cattivo tempo, come sai, mi rende triste. Avrei bisogno di ridere, negli ultimi giorni ho pianto troppo. È un<br />

cattivo momento il nostro ma tra un po’ tornerai a casa e tutto cambierà. Ti aspetto. Ti amo.<br />

*Calogero*<br />

Calogero aveva tra le mani la cartolina di Michele. La girava continuamente da un lato all’altro e ne<br />

torturava gli spigoli con le dita. Quello stronzo gliene aveva inviata una con due uomini che mostravano il<br />

culo. L’aveva firmata “Roberto” e ci aveva scritto sopra “Non mi scorderò mai di te perché l’omosessualità<br />

non è una vergogna”. Che figuraccia con il postino. Come avrebbe potuto più guardarlo in faccia? Quando<br />

torna lo ammazzo, pensò, poi il suo viso si rilassò con una risata.<br />

Che stronzo di amico. Gli voleva bene anche per queste cazzate. Michele era già partito per il servizio<br />

militare da qualche mese e presto sarebbe partito anche lui, destinazione Sabaudia.<br />

Quel giorno si sentì più solo del solito. C’erano gli altri suoi amici a fargli compagnia ma non era la<br />

stessa cosa. Michele aveva una marcia in più. Chiunque gli stesse accanto ne rimaneva affascinato.<br />

Conservò la cartolina nel cassetto del comodino e pensò a Francesca. Anche lei doveva sentire la<br />

mancanza di Michele. Prese una scatola per camicie e la mise sul letto. L’aprì e ne estrasse, una per una, le<br />

foto a lui più care. Lui con la sua bici a dodici anni. Lui e Michele sopra un albero di limoni. Lui, Francesca e<br />

Michele davanti al bar del quartiere.<br />

Francesca.<br />

Quanto cazzo deve durare questa storia, si chiese. Magari mi ama e io non mi sono mai fatto avanti<br />

esplicitamente. Che cretino! Però anche lei… non lo capisce che mi piace? Era certo che lei lo sapesse. Se non<br />

lo aveva allontanato fino a quel momento era perché anche lei ci stava e stava aspettando il suo primo passo,<br />

quello che non dava mai per paura di perderla.<br />

Decise che quello era il periodo migliore per provarci: l’avrebbe invitata a fare una passeggiata alla Villa<br />

Amedeo. Un gelato, la luna piena e la villa con le sue palme avrebbero creato l’atmosfera adatta. Non le<br />

sarebbe sfuggita e avrebbe coronato dieci anni di un quasi invisibile corteggiamento.<br />

Due giorni dopo erano alla Villa Amedeo. Lei aveva accettato l’invito. Un punto a suo favore. Si era<br />

ripromesso di essere meno grezzo del solito. Si era vestito come meglio aveva potuto: un paio di jeans, scarpe<br />

marroni e una camicia bianca. Sopra, soltanto una giacca di jeans. Non aveva mai comprato un cappotto e non<br />

se ne vergognava. Se non sentiva freddo che cosa ci poteva fare? Aveva imparato a memoria una serie di<br />

parole ad effetto che avrebbe utilizzato al momento opportuno ma, per cominciare a usarle, bisognava rompere<br />

il ghiaccio.<br />

«Ottimo il gelato, vero?», le chiese.<br />

«Mmm, da leccarsi le dita», disse Francesca mandando giù l’ultimo pezzo di cialda.<br />

Calogero si mise più comodo, ammesso che si possa stare comodi su una panchina di pietra lavica di<br />

Catania, e con un colpo di lingua pulì la cialda dal pistacchio che stava colando lateralmente. Si sentiva sazio,<br />

dopotutto il gelato era soltanto un pretesto; soltanto un’ora prima aveva cenato con tanto di pasta, secondo e<br />

frutta. Per lei, invece, quel gelato rappresentava la cena. Calogero si guardò intorno, avvistò un cestino a un<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 24


paio di metri, prese la mira e lanciò quello che era rimasto del suo gelato. Questo cozzò contro il bordo del<br />

cestino e rovinò per terra. Osservò la cialda, il cestino, lo spazio che avrebbe dovuto percorrere per<br />

raccoglierla e metterla dentro, farfugliò qualcosa e si voltò verso Francesca.<br />

«Finalmente una gelateria aperta anche in inverno.»<br />

Si accorse che la sua amica, più che ascoltarlo, stava osservando la cialda a una decina di centimetri dal<br />

paletto che reggeva il cestino. Questa si alzò, la raccolse, la depose dentro il cestino e tornò a sedere.<br />

«Dicevi?», gli chiese.<br />

«No, niente. Non ha importanza.»<br />

Un punto in meno.<br />

«Cosa hai fatto di bello oggi?»<br />

«Stamattina sono uscita con mio padre per sbrigare alcune faccende e poi siamo tornati a casa. Niente di<br />

particolare e tu?»<br />

«Il cantiere di sabato è chiuso e quindi mi sono alzato tardi, sono sceso giù a comprare La Gazzetta dello<br />

Sport, ho chiacchierato con un amico e poi sono andato a pranzo. Solo questo.»<br />

«Ah.»<br />

Silenzio.<br />

Un punto in meno.<br />

«Dimmi una cosa, Francesca…»<br />

«Dimmi.»<br />

«Vorrei conoscere il tuo parere su… su una cosa.»<br />

«Di’ pure.»<br />

«Tu ci credi a…»<br />

«A?»<br />

«Cioè, alcune persone si conoscono. No. Due persone si conoscono e poi, dopo che sono state per tanto<br />

tempo amiche…»<br />

«Sì?»<br />

«Può succedere che un ragazzo e una ragazza, dopo aver vissuto per anni da amici, capiscano che il loro<br />

era amore?»<br />

L’universo intorno a Calogero, in attesa della risposta di Francesca, si fermò. Il tempo veniva scandito<br />

solamente dai battiti del suo cuore.<br />

«Sì, penso proprio di sì, è possibile.»<br />

«Tu che ne pensi?»<br />

«Ti ho già risposto, è possibile. Anzi…»<br />

«Anzi cosa?», le chiese Calogero.<br />

«Sarebbe un amore che non parte da un’infatuazione ma da un rapporto solido. Ci sarebbero tutti i<br />

requisiti: si conoscono bene, probabilmente hanno vissuto insieme momenti di ogni genere quindi, se si<br />

accorgono che il loro sentimento va oltre, oltre l’amicizia, intendo, vuol dire che non si tratta di un semplice<br />

flirt ma di un amore vero.»<br />

«Dici?»<br />

«Certo.»<br />

Calogero cominciò ad accalorarsi per l’emozione e per la felicità che quella risposta gli aveva regalato.<br />

Si tolse la giacca di jeans.<br />

«E come si fa ad accorgersi che è arrivato il momento per passare dall’amicizia all’amore?»<br />

«Come si fa a dirlo con le parole?»<br />

Francesca alzò la testa verso la luna come se cercasse l’ispirazione giusta per spiegare quel sentimento<br />

che lei stava già provando. Calogero invece pendeva dalle sue labbra.<br />

«È un qualcosa che si sente dentro», continuò lei. «Te ne accorgi e vorresti che anche lui se ne<br />

accorgesse. Poi magari…»<br />

«Magari?»<br />

«Magari lui non fa quel passo avanti che tu vorresti. Non ne conosci il motivo oppure sì, lo conosci ma<br />

aspetti che lui si decida. A volte questo momento sembra non arrivare mai.»<br />

Restò in silenzio, con gli occhi fissi sulla luna. Per Calogero si trattava di una pausa che sentiva di dover<br />

riempire. Le accarezzò il viso delicatamente, lo girò verso di lui e avvicinò le labbra alle sue.<br />

«Ma che fai?», sbottò Francesca che immediatamente si allontanò da lui e dalla panchina.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 25


Un punto in meno.<br />

Si mise a piangere.<br />

Una serie di punti in meno.<br />

«Scusami ma…»<br />

«No, Calogero. Sono io che debbo chiederti scusa. Che stupida! Ho parlato senza riflettere. Sono stata io<br />

a creare il malinteso.»<br />

Lui cercava di capire.<br />

«Io avrei dovuto immaginare che prima o poi l’avresti fatto. Sono stata debole, Calogero. Ho sempre<br />

saputo che ti piaccio. È una cosa che mi inorgoglisce ma io… non provo lo stesso sentimento che tu provi per<br />

me.»<br />

«Ma avevo capito che ci stavi. Che era il mio turno. Che era il momento giusto per passare da…»<br />

«Colpa mia. Avrei dovuto essere chiara già da molto tempo però… avevo paura di perderti come amico.<br />

Speravo che prima o poi avresti capito che avevo un’altra persona per la testa.»<br />

Una cardarella di punti in meno.<br />

«Michele?»<br />

«Michele.»<br />

Game over.<br />

*Francesca*<br />

Francesca lesse ancora una volta la lettera.<br />

… Avrei bisogno di ridere, negli ultimi giorni ho pianto troppo. È un cattivo momento il nostro ma tra<br />

un po’ tornerai a casa e tutto cambierà. Ti aspetto. Ti amo.<br />

Poi staccò il foglio dal bloc-notes, lo strappò in due, in quattro parti e lo gettò nel cestino, così come<br />

aveva fatto già tante altre volte durante gli ultimi mesi. Sospirò e si mise nuovamente all’opera.<br />

Ciao Michele, qui tutto bene a parte il tempo. Ma non credo di avere il diritto di lamentarmi, dalle tue<br />

parti farà sicuramente ancora più freddo. Ho ricevuto con piacere le tue rose e sono contenta che ti sia<br />

ricordato del mio compleanno. Adesso ti lascio perché mio padre mi sta chiamando di là. Ciao.<br />

*Michele*<br />

«Dovresti tornare a settembre», disse Marcella.<br />

«Perché?», chiese Michele mentre ammirava le arcate del Ponte di Rialto.<br />

«Per la Regata Storica. Si svolge la prima domenica di settembre. Passa proprio da qui sotto.»<br />

«Ah sì, lo sapevo. Mettiti lì che ti faccio una foto», le disse indicandole la balaustra. «Ce la fai a salirci<br />

sopra senza cadere in acqua?»<br />

Non capiva se stava fotografando Venezia oppure Marcella. I suoi capelli corti la facevano sembrare<br />

ancora più alta del suo metro e settantacinque e le conferivano un aspetto sbarazzino. Le labbra con le quali gli<br />

stava inviando un bacio, anche all’interno del display risultavano sensuali, carnose, irresistibili, enfatizzate da<br />

un rossetto lucido, da modella. La vide togliere il basco a un militare che le era passato accanto e ficcarselo in<br />

testa.<br />

«Scatta», lo esortò mentre il militare era rimasto intontito un po’ per il gesto strano di Marcella e un po’<br />

per il suo fascino.<br />

Clic. Clic. Clic.<br />

Era bello fotografarla, soprattutto perché quasi tutti i passanti si giravano per guardarla. Si sentiva<br />

invidiato e la cosa lo inorgogliva. Marcella riusciva a scandalizzare anche persone molto emancipate come i<br />

veneziani ma non lo faceva per puttanesimo, come avrebbe detto Calogero, semmai per esibizionismo, per il<br />

gusto di stupire e ammaliare il mondo che le girava intorno o proprio per costringerlo a girare attorno a lei.<br />

L’aveva abbordata in un bar, qualche giorno prima di Natale, per vincere una scommessa con un suo<br />

commilitone.<br />

«Non dirmi che sei così cattiva da farmi perdere una scommessa», aveva esordito non appena si era<br />

seduto sullo sgabello vicino al suo.<br />

Lei aveva socchiuso gli occhi come per capire quello che stava succedendo.<br />

«Sì, è un abbordaggio ma allo stesso tempo non lo è», continuò. «Lui è dietro di te, non ti girare, in<br />

fondo al bar. Ci sta guardando ma non ci può sentire. Non ti girare. Io ho in tasca venti euro. È l’ammontare<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 26


della nostra scommessa. Ridi, intanto. Per favore.»<br />

«Tu sei pazzo», gli disse sorridendo.<br />

«Brava. Così va un po’ meglio. Però, se ridessi un po’ più, come dire?, di cuore… Fai come me. Ah ah<br />

ah! Vedi? Ridi come me. »<br />

«Sì, sì, sei davvero svitato.»<br />

«Forse sì e forse no. Ti parlavo dei venti euro che ho in tasca. Preferirei spenderli in drink con te<br />

piuttosto che consegnarli a quello sbruffone. Se mi fai perdere la scommessa penserò che sei una ragazza<br />

bellissima ma crudele.»<br />

Lei intanto lo guardava incuriosita.<br />

«Non devi fare altro che assecondarmi ancora per un paio di minuti dopodiché puff e scompaio nel<br />

nulla, mi volatilizzo. Ridi. La scommessa è per tre minuti ma se arriviamo a cinque si raddoppia la mia vincita<br />

e ti potrei anche invitare a cena domani.»<br />

«Ma tu sei fuori di testa», gli disse muovendo ritmicamente la testa e sorridendo. «Fuori di testa ma<br />

simpatico», e rise. Poi continuò. «Confessa, hai scommesso pure che saresti riuscito a portarmi a letto?»<br />

«Io? Non mi piace perdere le scommesse. No, no. Il mio obiettivo più ambizioso è la cena di domani.»<br />

«Domani vieni a questo stesso orario con la coppola e verrò a cena con te.»<br />

Un secondo dopo aveva incollato le sue labbra rosse a quelle di Michele.<br />

Il sesso arrivò la sera dopo. Non fu qualcosa di completo; solo quello che riuscirono a prendere con la<br />

schiena di lei appoggiata a un palazzo di Calle dei Fabbri, protetti dall’oscurità di quella notte di dicembre,<br />

poco prima che lui ritornasse in caserma. Poi lo fecero un infinito numero di volte nella Y10 di Marcella, in<br />

una stradina periferica di Mestre, vicino a Tessera, un po’ dappertutto tranne che in una vera casa. Michele<br />

durante i primi giorni subiva gli eventi, senza capire com’era possibile che lui, un ragazzo per niente bello,<br />

fosse riuscito a conquistare quella cavalla o iumenta, come l’avrebbe chiamata Calogero.<br />

«Mi hai messo il sorriso tra le labbra», gli spiegava Marcella. «Ecco perché mi sei piaciuto sin dal primo<br />

momento. Perché non eri scontato come tutti gli altri.»<br />

Lei pian pianino gli si era affezionata anche se Michele sin dal primo momento le aveva messo dei<br />

paletti. Lui siciliano era, le diceva scherzando, mentre lei era venesiana. Risultato: 1.400 chilometri di<br />

distanza, un rapporto impossibile dopo il congedo militare.<br />

«Posso scendere?»<br />

«Soltanto se hai finito con i baschi.»<br />

«Ma non con i militari.»<br />

Saltò giù e si avvicinò a Michele per baciarlo. Lui si spostò e appoggiò la sua guancia su quella della<br />

ragazza. Lei lo allontanò spingendolo con le braccia.<br />

«Senti, stronzetto… è da un po’ che non mi baci. Devo aspettare ancora per molto?»<br />

Michele le prese il viso tra le mani e la baciò in fronte.<br />

«Ne voglio uno vero.» Lo prese per il bavero della sua giacca a vento e lo tirò a sé per baciarlo. Lui, per<br />

la seconda volta, spostò la testa da una parte.<br />

«Ma allora sei davvero stronzo», gli disse tra i denti mentre lo spingeva via. «È già da un paio di giorni<br />

che fai il prezioso. Ma chi cazzo ti credi di essere?»<br />

Lui non rispose e lei fece finta di niente.<br />

«Dove mi porti a mangiare?», gli chiese. «Ho bisogno di un posto tranquillo con una candela accesa tra<br />

noi.»<br />

La portò da Barbanera. Non appena si accomodarono sulle panche, l’una di fronte all’altro, Michele capì<br />

quale sarebbe stato il tema della serata: lui.<br />

«Che c’è, Mike?»<br />

Il viso della ragazza era più sfilato del solito.<br />

«Niente. Cosa dovrebbe esserci?»<br />

«Sei cambiato, Mike. Sei cambiato», gli disse incrociando le dita alle sue.<br />

Michele non riusciva a guardarla dritto negli occhi.<br />

«Ti sei stancato di me?»<br />

«No, non è questo.»<br />

«E cosa, allora?»<br />

«Niente. Ti ho detto che non c’è niente», le disse cercando di sfilare le dita da quelle di Marcella. Lei<br />

glielo impedì.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 27


«Mike, quante ne abbiamo combinate in questi mesi?»<br />

«Tantissime», disse Michele con un sorrisetto malizioso.<br />

«E nell’ultima settimana?»<br />

«Di meno.»<br />

«Abbiamo corso sotto la pioggia, ci siamo inzuppati i vestiti, abbiamo ballato dentro le pozzanghere,<br />

mentre la gente ci passava accanto con gli ombrelli aperti e ci prendeva per pazzi.»<br />

«Momenti particolari.»<br />

«E adesso?»<br />

«Adesso ordiniamo qualcosa.»<br />

«E smettila di scherzare! Da un po’ non sei più tu. È come se una parte di te fosse morta. O…»<br />

«O?»<br />

«O come se, nel tuo cuore, avessi messo il the end alla nostra storia.»<br />

«Okay, parliamo seriamente. Non ho messo alcun the end in quanto sono stato chiaro sin dal primo<br />

giorno: non c’è futuro per noi», disse staccandosi dalla stretta di Marcella. «È inutile illudersi e io ti ho sempre<br />

aperto gli occhi. Sei bellissima, splendida. La nostra storia è meravigliosa in questo momento. Qui. A<br />

Montesalso sarebbe diverso. Qui mi trovo in una città a me quasi estranea, non mi conosce nessuno. Anche se<br />

cagassi sul Canal Grande non cambierebbe niente, non mi vergognerei io e non gliene fregherebbe niente a<br />

nessuno. Qui stiamo vivendo un sogno che, in quanto tale, è destinato a svanire. Dobbiamo farcene una<br />

ragione.»<br />

«Ma non è questo, Mike. C’è dell’altro ma capisco che non vuoi parlarmene.»<br />

Arrivò la cameriera, una ragazza di probabile origine romena, alta e slavata. Lui ordinò un bicchiere di<br />

Tocai, lei una Grappa di Picolit.<br />

«Un fantasma?»<br />

«Cosa?», le chiese Michele.<br />

«Un fantasma. Il fantasma di qualcuno. Cosa ti turba, Mike?»<br />

«Francesca. Te ne ho parlato, ricordi?»<br />

Marcella allungò le mani sul tavolo e afferrò nuovamente le sue, stringendole forte.<br />

«Sì, ma mi avevi detto che era una storia impossibile. Mi avevi parlato di un amico che non avresti mai<br />

tradito. Pensavo ti fossi rassegnato.»<br />

«È cambiato qualcosa. Adesso so che mi ama. Non chiedermi altro, ti prego.»<br />

Marcella aprì le mani e le lasciò cadere sul tavolo. Il rumore del suo cronografo sul legno enfatizzò la<br />

sua delusione.<br />

«L’hai chiamata al telefono?»<br />

«No», le rispose volgendo lo sguardo verso il centro del locale.<br />

«Te lo ha scritto in un SMS, in una lettera, in una cartolina?»<br />

La voce di Marcella era un mix molto strano che sapeva di rabbia e di supplica.<br />

«No, non me lo ha scritto o meglio, pensava di non avermelo scritto e invece lo ha fatto.»<br />

«Non ti seguo più, non ti capisco», gli disse scuotendo ripetutamente la testa. «Una mattina ti svegli e<br />

sai che la donna che hai sempre desiderato ti ama. Ma lei non te lo dice, non te lo scrive ma tu lo sai.<br />

Telepatia?»<br />

Marcella prese un fazzoletto dalla borsa e si asciugò le lacrime che intanto avevano cominciato a<br />

scenderle copiose.<br />

«Non chiedermi altro, ti prego», le disse afferrandole la mano. «Non pensare che sia facile parlarti di<br />

queste cose. Se fossi un bastardo continuerei il nostro rapporto fino al giorno del mio congedo, senza dirti<br />

niente. Poi me ne andrei facendo l’addolorato e chi s’è visto s’è visto. Un altro, al posto mio, non si sarebbe<br />

perso altre notti di tenerezza e di… affetto.»<br />

«Ma tu sei diverso, vero?», gli chiese sfilando la sua mano da quella di Michele e battendo il pugno sul<br />

tavolo. Una coppietta seduta a un paio di metri da loro si voltò per un secondo nella loro direzione. «No, caro.<br />

Tu sei bastardo come tutti gli altri. In un modo diverso ma ugualmente bastardo.»<br />

«Non è così, Marcella. Pensaci bene», le disse cercando di calmarla.<br />

I vicini di tavolo ripresero a parlare tra loro.<br />

«Okay, okay. Mi stai prendendo in giro. È uno dei tuoi soliti scherzi, soltanto più pesante degli altri,<br />

mooolto più pesante.»<br />

«Marcella…»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 28


«Lui arriva, ti abborda al bar, si fa del sesso e subito comincia a farti discorsi strani. Ti dice il contrario<br />

di ciò che avrebbe detto ognuno di quei ragazzi che sbavano per te. Questa cosa ti affascina. Forse perché è la<br />

prima volta che ti senti una cacciatrice che potrebbe perdere da un momento all’altro la sua preda. Ti accorgi<br />

che lui ha delle qualità che altri non hanno. Ti legge dentro, ti parla di cose interessanti, mai banali. Poi vedi<br />

che ogni tanto cambia registro e ti parla soltanto di cose banali, così banali che ti pisci addosso dal ridere e ridi<br />

tu e ride anche chi gli sta attorno e la cosa ti dà quasi fastidio, perché lo vorresti tutto per te. Torni a casa e<br />

questa ti sembra vuota, senti che lui già ti manca e quando stai con lui cerchi di fare il pieno di allegria e di<br />

attenzioni. Poi, ogni volta che torni a casa scopri che l’energia accumulata dura ogni notte sempre meno.<br />

L’effetto memoria delle batterie dei vecchi telefonini. Cominci a vedere un futuro che lui dice di non vedere.<br />

Credi di riuscire a cambiare le sue idee. Dopotutto lui non è un adone e un’altra come te dove la troverebbe? In<br />

Sicilia? Ah ah ah! Impossibile. Cominci a sentirti sicura di te, lui ti appartiene e, quando pensi che sia davvero<br />

così lui arriva e ti dice che è tutto finito. Dimmi che è tutto uno scherzo!»<br />

«Marcella, cerca di capire. Io…»<br />

«Cosa dovrei capire? Che sei uno stronzo, ecco cosa capisco.»<br />

Marcella si alzò e raggiunse l’uscita.<br />

Michele fece un cenno alla cameriera slavata e passando le diede venti euro facendole capire che si<br />

sarebbe potuta tenere il resto. Poi raggiunse Marcella, la prese sottobraccio e le disse che avrebbe preferito<br />

accompagnarla alla sua automobile.<br />

Camminarono in silenzio, con la testa di lei affondata nel petto di lui.<br />

«Sì, sarebbe stato meglio se non mi avessi detto niente. Avremmo continuato per questi ultimi mesi e<br />

poi me ne sarei fatta una ragione.»<br />

«Non avrei potuto farlo; mi sarei preso gioco di te.»<br />

«Credi che così sia meglio? Cosa farai tra un po’? Ah sì, ecco: scenderai in Sicilia e le dirai: “Francesca,<br />

so che mi ami. Non me lo hai mai detto o scritto ma lo so, sono diventato un sensitivo. Tu mi ami e anche se<br />

non è vero, soltanto perché te l’ho detto io è così. Tu mi ami.” Oggi non mi hai dato nemmeno un bacio.<br />

Perché? Baciandomi la tradiresti? Ma se non siete nemmeno fidanzati! Non ti capisco.»<br />

«E come potresti capire? Per capirlo dovresti avere nel DNA l’eredità di migliaia di generazioni della<br />

mia terra. Dovresti sapere cos’è il sole, quello vero, non quello anemico che avete qui. Dovresti sentire questo<br />

sole bruciarti le spalle e penetrare anche nell’anima. Dovresti conoscere com’è la gente dalle mie parti, gente<br />

che non mangerebbe per giorni pur di mostrarti la propria generosità e ospitalità, pur di farti sentire a tuo agio.<br />

Dovresti vedere come una mamma guarda suo figlio. U so sangu, il suo sangue. Sai cos’è l’onestà per noi<br />

siciliani? È un concetto rigido che conserviamo da secoli. Ho scoperto che Francesca mi ama, io l’amo. È<br />

come se fossimo già fidanzati.»<br />

«Tu dai i numeri.»<br />

«Può darsi che tu abbia ragione ma io non ne sono convinto. Io voglio stare in pace con me stesso,<br />

sentirmi limpido, dentro. So che ti sto facendo del male e non vorrei. Se potessi tornare indietro non entrerei<br />

più in quel bar, non fingerei di aver fatto una scommessa per…»<br />

«Cosa? La storia della scommessa era falsa?»<br />

Michele abbassò gli occhi.<br />

«Sì, era falsa.»<br />

Marcella si fermò, gli diede una ginocchiata nel basso ventre e accelerò il passo.<br />

Michele, piegato in due, impiegò un minuto buono prima di riprendersi. Poi partì al suo inseguimento.<br />

Raggiuntala al parcheggio le prese il viso con tutt’e due le mani e le baciò la fronte. Si allontanò senza<br />

voltarsi, non avrebbe retto alle silenziose lacrime di Marcella.<br />

La rivide soltanto un’altra volta, l’ultima, alla stazione di Santa Lucia il giorno della sua partenza. Era<br />

già salito sul treno e da romanticone quale era sempre stato, si era affacciato per respirare per l’ultima volta<br />

l’aria di Venezia. La vide quando il treno era già in movimento. Lo guardava. Muoveva lentamente la mano<br />

per salutarlo.<br />

*Biagio*<br />

Il concetto di ossessione era chiaro nella testa di Biagio. Il cervello è un solido piano diviso in settori;<br />

l’amore, la famiglia, lo studio, le amicizie, le automobili, lo sport e tantissime altre zone. Il pensiero è una<br />

pallina di piombo che si ferma in un settore in base a quello che si sta pensando. Quando la pallina sta per<br />

tanto tempo in un settore, inevitabilmente finisce per creare una depressione, un fosso dentro il quale essa si<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 29


ferma. Più passa il tempo e più diventa inutile cercare di pensare ad altro. La pallina, inesorabilmente, si fa<br />

vincere dalla pendenza e finisce nel fosso; per Biagio il fosso dell’amore. Non riusciva a distrarsi poiché ogni<br />

cosa lo portava a lei. Se la giornata era bella pensava alle loro passeggiate mano nella mano, se invece il tempo<br />

era triste ricordava quanto lei amasse nei giorni cupi stringersi al suo uomo chiedendogli e dandogli amore.<br />

Era così anche per le automobili che passavano. La Ford Mondeo non l’avrebbe comprata mai, troppi gli sfottò<br />

di Radio Deejay. La Classe C della Mercedes, quanto le piaceva! Non c’era nulla che non lo riconducesse a<br />

lei.<br />

Lo squillo del cellulare accelerò i battiti del cuore. La scritta “Lulù” sul display lo riportò crudelmente<br />

con i piedi per terra. Lulù, la migliore amica di Lilly.<br />

«Ciao cara, come stai?»<br />

«Mi difendo e tu?»<br />

«Benissimo.»<br />

«Dalla voce non si direbbe.»<br />

«Mi ero appisolato un attimo e sono ancora rincitrullito», le disse imitando un sorriso.<br />

«Okay, okay, senti…»<br />

«Dimmi.»<br />

«Mi servirebbe un favore.»<br />

«Se posso aiutarti…»<br />

«Credo proprio di sì. Non riesco a contattare la tua metà. Mi deve restituire il dizionario d’inglese e mi<br />

serve subito.»<br />

«Hai provato al cellulare?»<br />

«Sì ho provato ma pare che sia disattivato. Boh. Glielo hanno rubato o cosa?»<br />

«Strano.»<br />

«Quando l’hai chiamata l’ultima volta al telefonino?»<br />

«Non ricordo. Forse ieri l’altro.»<br />

«Ho capito. Dunque non vi sentite da due giorni?»<br />

«Non ho detto questo. Ho detto che l’ultima chiamata al cellulare dovrebbe risalire a due giorni fa.»<br />

«Allora, questo dizionario…»<br />

«Ti presto il mio.»<br />

«Sei gentilissimo ma mi serve proprio il mio. Dentro ci sono degli appunti scritti a matita e mi servono.<br />

Chiamala tu per favore, per me è urgente.»<br />

«Lulù, appena la sento glielo dico che l’hai cercata.»<br />

«Wow! Da quando in qua sei diventato così prezioso per gli amici? Senti, non fare lo stronzo e chiamala<br />

subito.»<br />

«Lulù, cos’hai?»<br />

«Che vorresti dire?»<br />

«Ti conosco, Lulù. Cosa vuoi?»<br />

«Il mio dizionario d’inglese, ecco cosa voglio.»<br />

«Lulù, cosa vuoi?», le chiese con un tono poco gentile.<br />

«Te l’ho detto, il mio dizionario.»<br />

«Lulù, non mi prendere per i fondelli, cos’hai? Non mi hai telefonato per il tuo dizionario, sputa il<br />

rospo.»<br />

«E va bene, scopriamo le carte in tavola; cosa le hai fatto, Biagio?»<br />

«Ecco cos’era. Cosa ti ha detto Lilly che le avrei fatto?»<br />

«Chi ha mai parlato di colpe? Ti ho detto la verità, e cioè che da un po’ che non riesco a parlarle. Il<br />

dizionario naturalmente era una scusa per capire un po’ di cose.»<br />

«E cosa avresti capito di interessante?»<br />

«Che il giocattolo sembra rotto. Cosa le hai fatto? Non è da lei isolarsi in questo modo. Sono stata a casa<br />

sua questo pomeriggio e suo padre mi ha detto che la figlia non era in casa però…»<br />

Per qualche secondo Lulù lasciò la frase in sospeso poi, temendo di stressare oltremodo il suo<br />

interlocutore, riprese «Però, mentre mi diceva che Lilly non c’era, mi faceva cenno di aspettarlo davanti il<br />

portone. È sceso dopo un minuto per pormi la stessa domanda che gli avrei voluto fare io: cosa succede?»<br />

«Già.»<br />

«Ancora una volta, e per cortesia caro Biagio rispondimi sinceramente, cosa è successo?»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 30


«Okay, tanto con te è inutile fingere. Sta succedendo qualcosa che non capisco.»<br />

«Parla pure.»<br />

«Sabato abbiamo cenato insieme. Ci conosci e quindi, se ti dico che è stata una serata come tutte le altre,<br />

sai già che ti sto parlando di una serata meravigliosa, ricca di coccole e di discorsi interessanti. Poi, tutto a un<br />

tratto lei sparisce dalla mia vita. Il suo telefonino prima risulta irraggiungibile e poi scopro che la sua scheda è<br />

stata disattivata. Chiamo a casa e suo padre mi dice che è partita per Parigi e invece so che non è vero, l’ho<br />

vista dietro i vetri della finestra e non mi sbaglio. Cosa succede? Davvero non l’hai più sentita?»<br />

«Ti giuro», gli disse e a lui parve sincera.<br />

«D’accordo ma… ti ha mai parlato di qualcosa che secondo lei non andava nel nostro rapporto?»<br />

«Mi ha sempre parlato bene di te. Sempre.»<br />

Dopo una pausa di silenzio, Lulù riprese a parlare.<br />

«Non l’avrai mica…»<br />

«Tradita?», le chiese infastidito.<br />

«Sì.»<br />

«Assolutamente no.»<br />

«Non so. Magari hai parlato con una ragazza, ti hanno visto e le hanno riferito cose non vere.»<br />

«Ne avremmo parlato. Lei ha fiducia in me, e fa bene. Dev’essere successo qualcos’altro.»<br />

«Un altro uomo?»<br />

«Questo dovresti dirmelo tu, anche se mi pare una cosa impossibile. Lei è una donna intelligente e non<br />

butterebbe al vento una storia meravigliosa come la nostra per un’avventura, anche se l’uomo in questione<br />

fosse Brad Pitt. Quindi, escludendo un mio errore - ma di questo non siamo sicuri - ed escludendo ogni forma<br />

di tradimento, cosa resta? Hai idea di come mi sento? Gli ultimi anni li abbiamo trascorsi insieme. Se non<br />

eravamo l’uno accanto all’altra eravamo al telefono. E se non eravamo neanche al telefono ci pensavamo o ci<br />

mandavamo degli sms. Adesso nella mia vita ci sono troppi vuoti. Avevo riempito il mio mondo di lei e<br />

adesso che mi sta venendo a mancare vedo solo noia, buio, tristezza, desolazione. Mi sento come una stanza<br />

che per anni è stata arredata con tanti quadri, poi viene qualcuno a toglierli e sulle pareti, laddove c’erano<br />

prima le tele, restano soltanto degli spazi più chiari.»<br />

«Non so che dirti.»<br />

Restarono per molto tempo in silenzio. Lulù era la migliore amica della sua ragazza ma era anche una<br />

sua carissima amica. In quegli istanti stavano condividendo lo stesso dolore.<br />

«Cosa posso fare per te?», gli chiese.<br />

«Per me e per lei», precisò. «Non saprei. Potresti andare a farle una visita a casa. Non penso che si<br />

faccia negare all’infinito. Mi accontenterei di sapere che sta bene.»<br />

«Ci proverò e ti farò sapere.»<br />

«Sì, ti prego.»<br />

*Michele*<br />

Era appena iniziato il suo viaggio verso casa, con la mano di Marcella che lo salutava e diventava<br />

sempre più piccola. Chiuse il finestrino e si gettò sul sedile. Ad accoglierlo il solito odore di nafta e fumo.<br />

Alzò lo sguardo verso il vetro al di là del quale non sfrecciavano gli alberi o i palazzi ma tutte le immagini a<br />

lui più care vissute negli ultimi mesi. Erano stati momenti irripetibili per la loro singolarità. Con Marcella<br />

avevano fatto davvero di tutto, o meglio, tutto ciò che non avrebbero mai potuto fare in Sicilia. Dalle sue parti,<br />

l’avrebbero additata come una bagasciona solo per il suo abbigliamento libertino e provocante, figuriamoci se<br />

avesse continuato a comportarsi con la stessa disinvoltura dimostrata a Venezia. Le stesse cose che le aveva<br />

visto fare a Venezia e gli erano andate bene, a Montesalso gli avrebbero dato fastidio. Se avessero deciso di<br />

continuare la loro storia d’amore e lei si fosse trasferita nella sua città, lui sarebbe stato costretto a reprimere<br />

alcuni suoi atteggiamenti. L’avrebbe snaturata, le avrebbe tarpato le ali e non sarebbe rimasto nulla di quella<br />

ragazza che affascinava il mondo per la sua spregiudicatezza.<br />

Riflettendo su questi pensieri si sentì un terrone, come se l’avvicinarsi alla sua terra avesse risvegliato i<br />

ragionamenti più retrogradi. Ma poi volle giustificarsi pensando che la sua era una sorta di protezione contro la<br />

malinconia, una via di fuga dal rimpianto per una donna che gli aveva regalato sprazzi di una felicità quasi<br />

priva di tabù. O forse non era neppure questo il motivo, anzi, era certo di aver capito perché non aveva ancora<br />

versato una lacrima. Aveva messo fine ad una storia bella e particolare ma sapeva in cuor suo che stava per<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 31


iniziarne una ancora più bella: la sua storia d’amore con Francesca.<br />

La chiamò quando era nei pressi di Messina e, dopo le solite frasi di rito, le chiese se le avrebbe fatto<br />

piacere cenare con lui quella stessa sera. Lei accettò l’invito al volo. Arrivò a casa nel primo pomeriggio,<br />

sistemò i bagagli, fece una doccia e poi partì in auto per Valledoro per salutare sua madre che, qualche giorno<br />

prima della sua partenza per il servizio militare, si era trasferita dalla sorella per stare in compagnia. Alle venti<br />

in punto lui e Francesca erano seduti sotto le palme di un bellissimo ristorante, l’uno di fronte all’altra, con<br />

una candela al centro.<br />

«E allora, com’è Venezia?»<br />

«Bellissima, unica, indescrivibile. È una città sui generis, con tutta quell’acqua e quei canali. Se avessi<br />

la bacchetta magica ti ci porterei adesso. Dovresti vedere di notte che effetto fanno le luci riflesse sull’acqua,<br />

le lampade gialle che illuminano palazzi di una bellezza indescrivibile, le gondole che si cullano sui canali.<br />

Bella, veramente bella.»<br />

Francesca sembrava rapita. Le parole di Michele avevano dipinto un quadro che lei adesso ammirava<br />

con gli occhi della fantasia.<br />

«E la vita in caserma?»<br />

«Tutto sommato buona. Ho avuto la fortuna di entrare in fureria e di saper usare discretamente il<br />

computer. Ho sistemato un po’ di cose. In parole povere ho scansionato e catalogato tutti i documenti della<br />

caserma, ho realizzato un programma per una turnazione ottimizzata dei servizi e ho istituito un database<br />

anagrafico dei militari in forza alla caserma. Poi, è bastato correggere qualche documento ad alcuni marescialli<br />

per ottenere dei benefici.»<br />

«Correggere? In che senso?»<br />

«Non puoi immaginare quanti errori di ortografia ho trovato e quante volte ho assistito a scene<br />

mortificanti di marescialli cazziati dai loro superiori per inesattezze varie nella stesura di delibere o di ordini di<br />

servizio. Io mi facevo avanti, offrivo il mio aiuto e poi godevo della stima di queste persone. Ciò si traduceva<br />

in un trattamento migliore, in qualche permessino in più e altra roba del genere.»<br />

«Menomale che non siamo in guerra.»<br />

«Be’, veramente è come se lo fossimo se pensi ai contingenti militari che abbiamo all’estero comunque,<br />

non pensare che tra i nostri sottufficiali in giro per il mondo non ce ne siano come quelli che ho incontrato a<br />

Venezia. Da un po’ di tempo la carriera militare può rappresentare un’alternativa alla disoccupazione e<br />

qualcuno devono pur prenderlo per i lavori meno gratificanti. Per questi ci vuole gente da fatica, abituata a<br />

buttare il sangue per un morso di pane.»<br />

«E fuori dalla caserma?»<br />

«Come me la sono passata? Bene, bene.»<br />

«Certo, gli amici non ti saranno mancati.»<br />

«Nei primissimi mesi ho frequentato dei commilitoni veneti ma non ero abituato al loro modo di parlare.<br />

Usavano le parolacce e le bestemmie come nella scrittura si usa la punteggiatura.»<br />

Il sorriso di Francesca era illuminato dalla candela che, col calare della notte, cominciava a creare<br />

un’atmosfera davvero particolare.<br />

«E quindi con chi uscivi la sera?»<br />

«C’erano dei ragazzi napoletani davvero divertenti. Chiacchieroni ma simpatici. Uscivo con loro,<br />

andavamo a mangiare qualcosa nei locali. La maggior parte delle volte si trattava di panini o tranci di pizza,<br />

una birra, una passeggiatina. Poi veniva il momento di tornare in caserma, anche per far riposare un poco le<br />

orecchie.»<br />

«Donne?»<br />

«Uuuh! Venezia ne è piena ma la maggior parte delle persone che incontri sono turisti giornalieri.<br />

Arrivano la mattina e partono la sera. Non vale la pena cercare amicizie tra loro. Meglio instaurare rapporti di<br />

amicizia con la gente del posto ma per trovarli devi evitare i posti turistici. Il veneziano non può pagare dieci<br />

euro per un panino ogni sera o venti euro per una pizza che qui a Montesalso butteremmo in faccia al<br />

pizzaiolo. Se vuoi trovare i veneziani devi andare nei pub dove ti fanno un hot dog per due euro e ti danno una<br />

bionda da zeroventi per lo stesso importo.»<br />

«Era bella?»<br />

«Chi?»<br />

«Dai, parlami di lei, sono curiosa», gli confidò con un sorriso che a Michele parve velato.<br />

«Non capisco.»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 32


«I militari si dividono in tre categorie», gli disse mostrandogli tre dita. Si afferrò il pollice della mano<br />

sinistra. «Quelli che abitano vicino alla caserma e la sera escono con la propria ragazza, e non è il tuo caso.»<br />

Passò all’indice. «Quelli che abitano lontano e si consolano frequentando locali di dubbio gusto dentro i quali<br />

le ballerine si spogliano per pochi euro a sera e in questa categoria non ti ci vedo neanche. Poi», disse<br />

afferrandosi il medio, «esiste un’ultima tipologia di militari: quelli simpatici come te che riescono a prendere<br />

quello che vogliono, quando lo vogliono.»<br />

«Mi fai arrossire.»<br />

«Tanto al buio non me ne accorgerei. Dunque, com’era? Bionda o bruna?»<br />

Michele sorrideva divertito ma al tempo stesso imbarazzato.<br />

Arrivò il cameriere e ordinarono.<br />

«Bionda o bruna?», incalzò lei.<br />

«Bruna. Sei peggio di un pitbull; quando addenti qualcosa non la molli più, vero?»<br />

«Che teneri i pitbull, non me ne parlare male.»<br />

«Per niente. Sono cani dolcissimi, come tutti gli altri. Un mio amico ne aveva uno che…»<br />

«Alta o bassa?», gli chiese Francesca interrompendolo.<br />

«Mizzica che tenacia», esclamò Michele. «Alta, molto alta.»<br />

«Più alta di me?»<br />

«Tu sei abbastanza alta, anzi no, sei alta. Lei è un po’ più alta però… mica più si è alti più si è belli.<br />

Essere molto alti può servire per giocare a basket o a pallacanestro. Ecco, ho detto la stessa cosa, scusami.<br />

Volevo dire che se per dare un bacio a una ragazza devi salire su uno sgabello…»<br />

«Ma tu non hai avuto bisogno di uno sgabello.»<br />

«No, però mi imbarazza continuare questo argomento.»<br />

«Dai, che mi sto divertendo», gli disse dandogli una pacca sulla spalla.<br />

«Sadica.»<br />

«E com’è questa ragazza di carattere?»<br />

«Allora…»<br />

«Aspetta, voglio provare a indovinare.» Chiuse gli occhi e inclinò la testa verso l’alto. «Penso di<br />

conoscerti bene. Calogero dice sempre che sei un figlio di eccetera eccetera, quindi, secondo me, non ti saresti<br />

mai legato ad una ragazza sentimentale. Per il servizio militare è preferibile una ragazza più facile, una con la<br />

quale saltare molti convenevoli, una ragazza per poterci uscire una sera sì e una sera no e scopare una sera sì e<br />

una no, perché la sera no magari è appannaggio di un’altra tipa.»<br />

«Che fantasia galoppante!»<br />

«Una ragazza che ti piace ma sai che non amerai mai, ecco cosa mi immagino. Non sei il tipo che lega il<br />

cuore a qualcuno che abita lontano.»<br />

«E a chi lego il mio cuore? Hai qualche idea?»<br />

«Aspetta. Non vorrei essermi data una zappata sui piedi. Fai finta che adesso, davanti a te non ci sia una<br />

donna.»<br />

«Mi viene difficile da immaginare.»<br />

«Ho fatto un po’ di confusione. Volevo dire che…»<br />

Francesca arrossì. Il cambiamento di colore era visibile pure alla luce della candela che avevano davanti.<br />

«Lascia perdere, ho capito, sei soltanto curiosa.»<br />

«Esatto, però adesso dimmi se ci sono andata vicino con la descrizione.»<br />

«Mi sa che sta arrivando la pasta.»<br />

«Non vale, non avevi chiesto il time-out.»<br />

Pizza e pasta arrivarono insieme. Francesca guardava il piatto di Michele con attenzione.<br />

«Chissà se le vongole sono quelle in scatola.»<br />

«Vuoi assaggiare? Tieni.»<br />

Michele prese con la forchetta uno spaghetto dal suo piatto, lo portò in alto e ognuno di loro ne prese un<br />

capo con le labbra, cominciando a consumarlo dal proprio lato. Lo spaghetto finì e le loro labbra si unirono nel<br />

loro primo, indimenticabile bacio.<br />

Lei scoppiò a ridere e lui la seguì a ruota.<br />

«Sembriamo Lilly e il Vagabondo. Da oggi in poi ti chiamerò Biagio.»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 33


*Calogero*<br />

Calogero non la prese per niente bene. Lo seppe per mezzo di una lettera ancor prima di congedarsi,<br />

tramite quei disgraziati dei suoi amici che, fingendosi dispiaciuti, gli comunicarono il fidanzamento di<br />

Francesca con Michele. Dovresti vederli i due piccioncini, gli scrissero, come se stessero canzonando la neo<br />

coppia.<br />

Era nero. Il suo migliore amico con la donna dei suoi sogni. In un colpo solo aveva perso tutto: Michele,<br />

Francesca e quegli stronzi degli amici che lo prendevano per il culo e che, una volta tornato alla base,<br />

sarebbero passati sotto le sue mani, come una volta.<br />

La cosa che lo feriva maggiormente era il comportamento di Michele. Prima che lui gli insegnasse<br />

cos’era la vita era un bamboccio, veniva preso in giro da tutti e se aveva conquistato un posto di rispetto<br />

nell’ambito della cerchia di amici, era merito suo. Che traditore, che meschino! Decise di togliergli il saluto e<br />

al suo ritorno a casa lo fece, malgrado i tentativi di Michele di chiarire la situazione. Pian pianino puntò il<br />

proprio interesse verso altre ragazze e, qualche mese dopo, si fidanzò con Agata, una cugina di Francesca, che<br />

da sempre aveva nutrito un debole per lui ma non si era mai fatta avanti per rispetto della cugina.<br />

Agata era una bella ragazza e sua madre Rosalba era sorella di Claudia, la madre di Francesca. Proprio<br />

per questo grado di parentela Agata e Francesca si somigliavano parecchio, avevano la stessa corporatura, lo<br />

stesso taglio degli occhi e persino gli stessi capelli. A differenziarle era il carattere; profondo e molto sensibile<br />

quello di Francesca, più superficiale e materialista quello di Agata. Calogero con il passare del tempo cercò di<br />

convincersi che, dopotutto, forse gli era andata meglio in questo modo. A volte non riusciva a seguire i<br />

discorsi di Francesca mentre quelli di Agata erano più alla sua portata.<br />

*Michele alias Biagio*<br />

«…la seconda è che ti amerò per sempre perché nel libro del destino c’è scritto che noi torneremo<br />

insieme, perché ci amiamo, perché siamo fatti l’uno per l’altra, perché non ha senso continuare a soffrire così,<br />

da soli. Io dentro una macchina al buio e tu dietro i vetri della tua finestra a piangere mentre ti parlo.»<br />

Michele, che aveva il muso della sua auto puntato verso la finestra di Francesca, diede due colpetti alla<br />

leva degli abbaglianti, accese la sua BMW 120 e si allontanò. Francesca riattaccò subito.<br />

Non si sentiva dell’umore giusto per tornare a casa e, dopo essere passato per Piazza Italia, si diresse<br />

verso il Villaggio Santa Barbara. Mentre i fari della BMW fendevano la notte e, curva dopo curva,<br />

illuminavano cespugli, pietre e alberi, Ligabue cantava rigirando il coltello nella ferita.<br />

E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa…<br />

Il cellulare era strategicamente posizionato sul cruscotto. Se lei avesse chiamato, avrebbe visto il display<br />

illuminarsi e non avrebbe perso la chiamata. Ma il cellulare era solamente uno spettatore muto che non<br />

intendeva interrompere il concerto di Ligabue e si limitava a sballottare a destra e a sinistra, a seconda delle<br />

curve.<br />

Gli tornò in mente un episodio legato a uno dei primi giorni di fidanzamento con Francesca quando,<br />

durante una passeggiata, si era fermata di scatto puntandogli un dito contro.<br />

«Tu, proprio tu. Dimmi una cosa.»<br />

«Come faccio a non rispondere a una donna armata?»<br />

«Ci conosciamo da quando eravamo piccoli e sappiamo che ci piacevamo sin da allora. Bene, sei stato<br />

buono buonino per diversi anni, anche quando avresti dovuto farti avanti. Poi, parti per il servizio militare, te<br />

la spassi con quella lì e…»<br />

«Marcella. Si chiama Marcella.»<br />

«Marcella, okay. Sai che differenza se si chiama Marcella o Mafalda! Dicevo, stai con questa Marcella,<br />

ti diverti qualche mese, torni qui a Montesalso e finalmente ti decidi a farti avanti. Anzi, quando mi hai<br />

invitata alla nostra prima cena ho sentito dal tono della tua voce che eri sicuro che ci saremmo messi insieme.<br />

Da cosa proveniva questa tua sicurezza?»<br />

«Da quello che mi hai scritto nell’ultima lettera.»<br />

«Ma cosa ti ho scritto? Sono sicura di non averti scritto nulla che ti potesse far capire il mio interesse nei<br />

tuoi confronti.»<br />

«E invece lo hai fatto.»<br />

«Balle!»<br />

«Ti dico di sì.»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 34


«Assolutamente no.»<br />

«Insisto.»<br />

«Anch’io.»<br />

«Ti ricordi cosa mi hai scritto?»<br />

«Ti avrò ringraziato per le rose, niente di più. Ho scritto una lettera che avrei potuto inviare a chiunque<br />

altro, talmente era normale.»<br />

«Io ci ho visto dell’altro.»<br />

«Cosa?»<br />

«Desiderio di coccole, di abbracci, di risate.»<br />

«È vero. È quello che avrei voluto scriverti e invece non ho fatto. Sai che voglia avevo sin da allora di<br />

aprirmi con te, di dirti che ti amavo già.»<br />

« “È un cattivo momento il nostro ma tra un po’ tornerai a casa e tutto cambierà.”»<br />

«Cosa hai detto?», gli chiese con gli occhi sgranati.<br />

«Devo ripeterlo?»<br />

«No ma…»<br />

Francesca socchiuse gli occhi. Si stava concentrando su qualcosa che le girava nel cervello ma non<br />

riusciva ad afferrare.<br />

«Hai detto una frase a me molto familiare ma… no, non può essere. Lascia perdere, è soltanto una<br />

coincidenza.»<br />

Si mise a ridere.<br />

Non appena Francesca finì la frase, lui mise mano al portafoglio e ne estrasse una lettera, piegata in<br />

quattro parti. Gliela porse.<br />

«Guarda questa… coincidenza.»<br />

Probabilmente, durante tutta la sua vita Francesca non aveva mai spalancato gli occhi come in quel<br />

momento. Non credeva a ciò che aveva tra le mani, sotto gli occhi.<br />

Si trattava dell’ultima lettera che gli aveva mandato. Sotto le frasi che ricordava di avergli scritto, la<br />

carta era stata scarabocchiata con una matita, in modo da far risaltare quello che lei adesso ricordava di aver<br />

scritto nel bloc-notes, nella pagina che alla fine aveva staccato e buttato nel cestino.<br />

«Sei un bastardo», esclamò. «Ecco perché era così sicuro di sé, il play boy.»<br />

Gli diede un bacio.<br />

Bastardo, il suo primo complimento.<br />

*Francesca e Lulù*<br />

Non appena entrata, Lulù si sentì avvolta dal gradevole odore di colonia che aleggiava nella stanza, una<br />

fragranza che conosceva bene per averla sentita da anni addosso a entrambi i fidanzati.<br />

Si guardò intorno e constatò che, a parte le foto che conosceva - e che non vedeva esposte - ogni cosa<br />

era come sempre al suo posto. Soltanto Francesca non le parve al suo posto, anzi, in nessun posto. Era il<br />

fantasma di se stessa. Con il viso esangue e le labbra tremolanti cercò di abbozzare un sorriso che non le<br />

riuscì.<br />

«Come stai, Lilly?»<br />

Francesca sapeva che quella sarebbe stata la prima domanda alla quale avrebbe dovuto rispondere. La<br />

prima di una lunga serie di punti che Lulù le avrebbe chiesto di chiarire. Era rassegnata a questo ma senza<br />

voglia alcuna di sbottonarsi completamente.<br />

«Se ti dicessi che sto bene mi crederesti?»<br />

«No.»<br />

«E allora perché me lo chiedi?»<br />

«Ieri ho sentito Michele al telefono e… sono sicura che sta peggio di te, anche se ti può sembrare<br />

impossibile», disse Liliana sedendosi sopra il lettino di Francesca. «Posso sapere cosa è successo?»<br />

Francesca si portò stancamente dietro i vetri della finestra e sospirò, il suo fiato formò due cerchi che<br />

appannarono il vetro. Lo pulì con la manica. Al di là di quella superficie trasparente, la pioggia stava lavando<br />

gli alberi e l’asfalto.<br />

«La natura. Lulù, a volte penso a cose strane. Guarda fuori. La pioggia scende dal cielo, arriva a terra e<br />

sa dove andare. Cioè… non va dove vuole ma dove deve andare. Ogni goccia fa lo stesso percorso che avrebbe<br />

fatto qualsiasi altra goccia al posto suo.» Liliana si alzò dal letto e si posizionò accanto all’amica. Tutt’e due<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 35


stavano guardando fuori, tutt’e due appoggiate con i gomiti al davanzale. Francesca riprese a parlare,<br />

lentamente, molto lentamente. «Ancestralmente - oserei direi se fosse un essere vivente - ogni goccia ha<br />

ricevuto delle informazioni di base e le esegue. Non si chiede il perché dei propri spostamenti, li esegue e<br />

basta. Se metti un secchio fuori, nel balcone, vedrai le gocce raccogliersi l’una accanto all’altra e, dopo un po’,<br />

l’una sull’altra, e ogni goccia che arriva crea dei cerchi. Ogni goccia fa la stessa cosa che avrebbe fatto<br />

un’altra. Non ha importanza il tempo. Oggi o domani o tra mille anni farà la stessa cosa. La natura. Tempo fa<br />

un mio amico comprò un cane in un allevamento. Lo prese quando aveva poco più di un mese e non era ancora<br />

uscito nemmeno una volta dal box nel quale l’allevatrice teneva la fattrice. Lo portò a casa e cominciò il ciclo<br />

delle vaccinazioni. Fino all’ultimo vaccino il cucciolo non era mai uscito per strada e dunque non aveva<br />

incontrato alcun suo simile. Eppure, ogni volta che il padrone lo chiudeva in una stanza, questo cercava,<br />

invano, di scavare sotto la porta. Se al posto del pavimento ci fosse stata della terra, prima o poi avrebbe creato<br />

un tunnel e sarebbe riuscito a passarvi sotto. Non l’aveva visto fare a nessun altro cane però, dentro di sé<br />

sapeva che bisognava scavare. La natura gli aveva insegnato cosa fare e, se non riusciva a passare dall’altra<br />

parte non era perché il gesto fosse sbagliato, era perché il posto era sbagliato. Una casa per un cane è fuori<br />

natura. Forse è proprio vero che tutto è scritto e ogni cosa scorre verso dove deve scorrere. Siamo attori di un<br />

film il cui copione è già stato scritto. La natura! Noi ci cerchiamo, cerchiamo i nostri simili. Come gocce di<br />

pioggia andiamo nella direzione che siamo costretti a seguire. Vedo spesso due ubriaconi nei pressi della<br />

stazione ferroviaria. Mi ricordo quanto mi fece male vederli in quello stato e riconoscerli malgrado i loro visi<br />

lerci. Questi due signori, quando erano ancora dei signori, non si frequentavano anzi, ognuno sconosceva<br />

l’esistenza dell’altro, eppure… li ha uniti l’alcol. Adesso ognuno di loro cerca compagnia e conforto nell’altro.<br />

A volte ne vedo anche tre, quattro in quella zona. Si cercano e si frequentano, così come si cercano e si<br />

frequentano gli anziani che in piazza ogni giorno parlano della loro esigua pensione. Così come si cercano i<br />

ragazzi che parlano di calcio o quei mini play-boy che vanno a caccia di pischelle durante la pausa per la<br />

ricreazione, nelle scuole. E allora, nasci che sei piccola e vorresti essere grande, cresci sotto la guida dei tuoi<br />

genitori che decidono ogni cosa al posto tuo, vuoi crescere in fretta per poter essere tu stessa a scegliere il tuo<br />

futuro, sogni qualcosa di bello, un uomo che ti capisca, che sia dolce come lo sei tu, intelligente come ti credi<br />

di essere tu, simpatica come sei tu. Poi lo trovi, capisci che è l’uomo della tua vita e non ti accorgi che tu non<br />

avevi deciso niente. Era scritto che vi sareste incontrati e amati, così come era scritto che quei due signori si<br />

sarebbero frequentati una volta ridotti in quello stato. È stata la loro essenza ad avvicinarli, la loro affinità.<br />

Perché certe volte si è ciechi? Eppure basterebbe fermarsi a pensare un pochino. La natura!»<br />

«Lilly, perdonami ma non riesco più a seguirti.»<br />

«E ti meravigli? Ultimamente neanche io riesco a seguire i miei stessi pensieri. Vivo in uno stato di<br />

confusione perenne. Se riuscissi a fare qualcosa che non sia il pensare a lui, presto migliorerei. Invece non<br />

riesco a farlo. Puoi immaginare che il tuo castello di sabbia vicino alla battigia possa essere travolto da<br />

un’onda ma non puoi credere, o meglio, non riesci a credere che una casa costruita sulla roccia possa<br />

disintegrarsi in un momento. Resta qui un attimo, torno subito.»<br />

Francesca cercò qualcosa nella sua libreria e tornò alla finestra con il libriccino del Vangelo tra le mani.<br />

Lo aprì e lesse «…Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed<br />

essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in<br />

pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i<br />

fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande.” Vedi dove<br />

sta il mio problema? Questo è il passo del Vangelo che viene letto durante la celebrazione del matrimonio. Nel<br />

rapporto tra marito e moglie la roccia rappresenta le basi sulle quali costruisci la tua vita matrimoniale; fedeltà,<br />

unione, conforto reciproco, altruismo.»<br />

«Dunque?»<br />

«Il mio rapporto con Michele si fondava sulla roccia più forte dell’universo. Ecco cosa mi ha convinta a<br />

cercare la verità, a indagare se ciò che avevo letto era vero.»<br />

«Cosa avevi letto?»<br />

«Perché ci capivamo al volo, pensavamo le stesse cose, ridevamo delle stesse cose, ci amavamo dello<br />

stesso amore.»<br />

«Non ti seguo.»<br />

«La natura! Un uomo cerca la sua donna e, anche se è la sua, quella che è già scritto che sia la sua, sarà<br />

costretto a modificare qualcosa di sé e a sopportare qualcosa dell’altra, per amore. Chi più chi meno, ci si<br />

accontenta di quello che si ha in comune. A volte si è davvero simili e si è più felici. Noi non eravamo simili;<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 36


eravamo identici. La natura!»<br />

«Francesca, stai bene?», le chiese Liliana studiandone il volto.<br />

Francesca posò il libriccino sul davanzale e continuò come se non avesse sentito la domanda dell’amica.<br />

«E allora ho cominciato a preoccuparmi e a indagare», continuò, alitando sul vetro e disegnando un<br />

quadrato con un dito. «A volte è brutto indagare. Qualche mese fa ebbi il timore di essere rimasta incinta. Non<br />

che non volessi un figlio da Michele… solo che non era il tempo adatto. Avremmo preferito fare le cose per<br />

bene; prima il matrimonio e dopo il bambino. Ebbene, comprai un Predictor Kit e…», si zittì per qualche<br />

secondo e poi, dopo aver disegnato un punto interrogativo dentro il quadrato, riprese. «Rimasi interi minuti a<br />

guardarlo, senza aprire la scatola. Avevo paura, capisci? Ti trovi a un passo dalla verità e hai paura di<br />

conoscerla, perché potrebbe non essere di tuo gradimento. Ecco un’altra cosa brutta; trovarsi davanti ad una<br />

verità che temi. Però sai anche che non puoi esimerti dal conoscerla. Quella del Predictor Kit fu una verità<br />

piacevole ma, ahimè, non tutte lo sono.» Cancellò con la manica ciò che non era ancora svanito del quadrato e<br />

del punto interrogativo. «Ce ne sono alcune che possono buttarti nel baratro. Io ci sono cascata dentro e mi ci<br />

trovo tuttora. La mattina mi sveglio - per modo di dire - ed è già buio. Le ore passano uguali, con gli stessi<br />

pensieri per la testa. Piango ma non mi escono più le lacrime. Forse non ce ne sono più. Poi, ogni sera, sul<br />

tardi arriva un po’ di luce quando passa lui, si ferma con l’auto qui davanti, guarda verso la finestra, mentre la<br />

sua autoradio diffonde le nostre canzoni. Aspetto quel momento per tutto il giorno, per rituffarmi in un passato<br />

che è stato meraviglioso. Basterebbe un niente e tutto tornerebbe come prima, i baci, le carezze, l’amore. Ma si<br />

può ignorare la natura? Si può andare contro natura? Sarebbe un prendersi in giro vicendevolmente anzi,<br />

sarebbe prenderlo in giro. Oppure bisognerebbe parlargli, dirgli tutta la verità. Ma non mi sento di lanciargli<br />

un macigno sulla testa. Preferisco soffrire e portare un po’ della sua sofferenza sulle mie spalle.»<br />

«Francesca, non penso di essere stupida eppure non sto capendo il senso del tuo discorrere e forse non lo<br />

voglio neanche capire. Non mi hai parlato di tradimenti, di offese o di altro ancora e allora perché lo hai<br />

lasciato? Mi pare di capire che lo ami ancora e allora perché sta succedendo tutto questo?»<br />

Francesca prese un fazzolettino di carta dalla sua borsa, pulì per bene il vetro e si voltò verso l’amica.<br />

«Non posso dirti altro. Ti ho detto tutto ciò che potevo dirti. Adesso mi sento stanca, terribilmente<br />

stanca. Ho bisogno di riposarmi, scusami.»<br />

*Michele e Liliana*<br />

Liliana arrivò alle venti in punto e parcheggiò la sua Golf rossa dietro la BMW di Michele. Diede due<br />

colpetti alla levetta delle luci e, quando vide gli occhi del suo amico dentro lo specchietto retrovisore, gli fece<br />

cenno di salire da lei.<br />

Non appena dentro, Michele si sentì travolto dal calore dell’abitacolo e si tolse la giacca di pelle ancora<br />

prima di dare due baci sulle guance di Liliana. Lei indossava una maglietta beige smanicata con il collo a<br />

lupetto e un paio di jeans chiari. Guardò il sedile posteriore e vide il bomber della sua amica. Sorrise appena e<br />

aprì il finestrino.<br />

«Dammi buone notizie!»<br />

«Se ti dico che ti ama alla follia per te è una buona notizia?»<br />

Gli occhi di Michele, nel grigiore di quella giornata, si illuminarono.<br />

«Certamente.»<br />

«E se ti dico che non vuole vederti più?»<br />

Michele sbuffò.<br />

«Quale delle due è vera?»<br />

«Tutt’e due.»<br />

«Lulù, guarda che sono già rincitrullito di mio senza bisogno del tuo aiuto.»<br />

«Ti assicuro che è la verità.»<br />

«Dai, metti tutte le carte in tavola.»<br />

«Era strana. Anche i suoi discorsi erano strani.»<br />

Liliana, con la testa appoggiata al finestrino e una mano dietro il poggiatesta del suo sedile, gli raccontò<br />

tutto ciò che ricordava del monologo di Francesca. Rivisitò quell’incontro decine di volte perché Michele<br />

voleva capire e, per capire, doveva acquisire più informazioni possibili dalla sua amica. Sul parabrezza<br />

cominciò a battere la pioggia. Michele pensò che se Lilly fosse stata lì, si sarebbero abbracciati e avrebbero<br />

spento la radio per ascoltare la pioggia. Quella che prima era una musica melodiosa adesso gli sembrava lo<br />

stridere di una bacchetta su un violino scordato.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 37


Quando si salutarono aveva già smesso di piovere. Michele si mise in auto e guidò senza una meta<br />

precisa. Si fermò solamente quando, dopo aver scansato all’ultimo istante un cane, capì di essere troppo<br />

distratto per continuare a guidare. Giunto sul Ponte di Capodarso fece ancora un centinaio di metri e imboccò,<br />

a destra, una strada dissestata che lo portò, seppur con difficoltà, proprio sotto il ponte. Si trattava di un luogo<br />

a lui caro, vi si era imboscato tante volte con lei. Francesca, molto pudica, quando lui cominciava con le<br />

effusioni, si preoccupava di mille cose: se ci vede qualcuno, se passa la polizia. Che dolce che era! Un motivo<br />

in più per pensarla. Eppure, se da un lato essere lì gli faceva sentire ancora di più la sua mancanza, dall’altro lo<br />

confortava.<br />

Fermo, al buio e isolato dal mondo cercava di mettere a posto i concetti che aveva in testa. Ah, quanto<br />

avrebbe voluto essere una mosca ed essere presente durante la visita di Liliana a Francesca! Avrebbe capito<br />

tutto. Gli sarebbe bastato osservarla mentre parlava per arrivare alla verità, quella terribile verità che li<br />

divideva.<br />

La natura. Ecco cosa Lulù gli aveva detto di averle sentito dire diverse volte durante il monologo. La<br />

natura. E se non avesse detto la natura e avesse usato un sinonimo? Ma no, Lulù aveva una memoria di ferro.<br />

Perché avrebbe dovuto sbagliarsi proprio adesso?<br />

La natura. Contro natura. La verità che non vorremmo mai conoscere. Indagare su ciò che aveva letto.<br />

Ma cosa aveva letto? Simili, identici, la natura.<br />

Gli sembrava di impazzire. Accese il motore e addossò la BMW alla scarpata. Scese dall’auto, la chiuse<br />

e cominciò a camminare a piedi per il sentiero. Dopo alcuni metri si accorse di avere solamente la camicia<br />

addosso e cominciò a sentire freddo ma… cosa vuoi che sia un po’ di freddo per uno che è già morto dentro? Il<br />

mondo attorno a lui non aveva valore perché il suo mondo era lei e il mondo reale aveva un suo valore<br />

solamente quando rappresentava l’ambientazione per la loro storia d’amore. Diede un calcio a una pietra che<br />

rotolò per la scarpata.<br />

La natura. Andare contro natura.<br />

Cosa significavano quelle parole? Cosa facevano contro natura? La sua testa era più buia di quel sentiero<br />

che si snodava accanto al fiume. Riordinare i pensieri con quello stato d’animo era difficilissimo, quasi<br />

impossibile. Cominciò a battere i denti dal freddo e si diresse verso la sua auto. Da sopra arrivavano i rumori<br />

delle auto che passavano sopra il ponte, fendendo il buio per qualche secondo con i fari. Immaginava le<br />

persone dentro l’abitacolo, forse alcune di loro si tenevano per le mani. Quante storie, sicuramente diverse<br />

dalla sua. Quanta vita attorno alla sua vita vuota. Un cane abbaiava lontano, magari anche lui si sentiva solo e<br />

stava cercando compagnia.<br />

Il rumore di un’altra macchina.<br />

Lo squillo soffocato di un cellulare.<br />

Ancora il cane.<br />

Ancora uno squillo.<br />

Quello squillo! Come la suoneria che aveva abbinato al telefono di casa di Francesca.<br />

Una congiura.<br />

Il cane continuava ad abbaiare e le auto a passare sopra il ponte.<br />

Un altro squillo soffocato, e intanto stava raggiungendo la sua BMW.<br />

Il cane.<br />

Una luce blu dentro la sua auto.<br />

Lo squillo, quello squillo.<br />

La luce dentro la sua auto.<br />

Il cellulare, il suo cellulare.<br />

Era il suo cellulare a squillare e a chiamare era Francesca, la sua Francesca. Si mise a correre, litigando<br />

contro ogni pietra contro la quale inciampava e maledicendo ogni passo che aveva fatto per allontanarsi dalla<br />

sua auto.<br />

*Giovanni*<br />

Giovanni si girò sul fianco sinistro, quello che da un po’ di tempo gli piaceva meno. Quel letto, senza<br />

Claudia, era troppo grande e troppo triste. Diverse volte si era abbandonato ad accarezzare il cuscino, fingendo<br />

che fosse lei. La ricordava bella come nei tempi migliori, prima che la malattia la consumasse, quando con la<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 38


sua allegria illuminava anche le giornate più buie. Sapeva che, se in quel momento lei fosse stata lì, avrebbe<br />

raggiunto la figlia nella sua stanza e avrebbe trovato le parole giuste per aprirle il cuore e aiutarla. Poi sarebbe<br />

tornata, lui le avrebbe assicurato di non farsi scappare nulla e lei gli avrebbe raccontato tutto.<br />

Giovanni si sentì impotente; lui lì e sua figlia nella stanza accanto. Era assurdo rimanere così, distanti,<br />

ognuno con le sue malinconie e senza poter contare sull’aiuto dell’altro. Avrebbe voluto parlarle, chiederle il<br />

perché dell’allontanamento da Michele ma temeva di invadere la sua sfera personale. Un’altra cosa che lo<br />

preoccupava era il lavoro della figlia. Francesca collaborava con diverse aziende a carattere nazionale. Si<br />

occupava delle traduzioni in inglese, francese, tedesco e spagnolo. Si trattava di un lavoro molto redditizio e le<br />

permetteva di organizzarsi come meglio desiderava. Durante gli ultimi giorni non le aveva visto toccare un<br />

documento e le aziende, non riuscendo a contattarla tramite il telefono mobile, cercavano di rintracciarla al<br />

numero di casa. Lui, quando tornava dal municipio presso il quale lavorava come centralinista, era costretto a<br />

lavorare a casa con lo stesso ruolo per filtrare le telefonate della figlia.<br />

*Michele*<br />

Raggiunse la sua auto quando il cellulare oramai non squillava più. Con il respiro corto entrò, lo prese<br />

tra le mani e controllò tra le chiamate perse. Il primo della lista era il numero di casa di Francesca. Scandì le<br />

cifre una ad una. Quasi non ci credeva ma il numero era proprio quello. La sua Francesca. Il suo amore.<br />

Premette immediatamente il tasto verde per chiamarla.<br />

Uno squillo, nessuna risposta. Il cane continuava ad abbaiare, che cazzo voleva? Il secondo squillo,<br />

niente. Il cane non abbaiava più, come se lo avesse sentito lamentarsi. Il terzo squillo, ancora senza risposta.<br />

Ancora il cane, che rompi cazzi. Il quarto, finalmente un clic.<br />

«Pronto», disse una voce maschile. Suo padre.<br />

«Pronto signor Giovanni, sono Michele. Spero di non disturbare. Be’, non ho fatto in tempo a rispondere<br />

alla chiamata di sua figlia.»<br />

«Di mia figlia?», chiese Giovanni dopo una breve pausa.<br />

«Sì, signor Giovanni. Francesca.»<br />

«Da questo numero di casa?»<br />

«Sì, proprio da questo.»<br />

«Michele, sono stato io a chiamarti.»<br />

Michele non era più abituato a soffrire. Gli ultimi anni della sua vita erano stati davvero belli, perché<br />

accanto a lui c’era stata una persona meravigliosa che con la sua allegria e il suo amore aveva cancellato anni<br />

di grigiore. Tutto sembrava essersi incanalato in una direzione precisa: il loro matrimonio. Cosa mancava?<br />

Niente. Anche dal punto di vista economico. Lei con il suo lavoro di traduttrice e interprete guadagnava bene e<br />

non era dipendente di nessuno. Lui, impiegato presso una software house, non poteva lamentarsi: aveva uno<br />

stipendio dignitoso e faceva ciò che gli piaceva fare. Eppure, il destino aveva deciso di mettere un bastone tra<br />

le loro ruote.<br />

Un tempo avrebbe cercato di ripartire da zero. Sarebbe sceso nel suo recondito rifugio e avrebbe iniziato<br />

la risalita ma adesso non voleva ripartire da zero. Non voleva ricostruirsi. Aveva conosciuto lei, la sua donna,<br />

la sua metà.<br />

Metà.<br />

Letteralmente, perché adesso si sentiva incompleto. Ma quale incompleto! monco, storpio, menomato.<br />

Lei era stata, e continuava ad essere, la sua vita. Metà di se stesso l’aveva riversata su di lei e lei aveva fatto<br />

altrettanto. Sentiva che gli mancava quella metà. Quando era un ragazzino insicuro, magro, tutto naso, allora<br />

almeno era integro. Scontento ma integro. Adesso non si trattava di essere contento o scontento; non era più<br />

lui. Qualcosa di sé era oramai in lei. Possibile che solo lui provasse questi sentimenti? Se Francesca era ancora<br />

Francesca doveva avere un cuore grande. Dove lo aveva smarrito? E adesso questo nuovo colpo basso; la<br />

telefonata che credeva essere della sua Lilly e che invece era di un altro autore, suo padre. Cosa voleva? O<br />

stava chiamando per aiutarlo?<br />

Un secondo, al massimo due. Questo era bastato per far fluire centomila pensieri nella sua testa e adesso<br />

era davanti ad una incognita. Un punto interrogativo dopo una grande illusione. Sentì il suo cuore tornare a<br />

battere quasi regolarmente. Prese fiato per continuare la conversazione.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 39


«Mi dica.»<br />

«Ho bisogno di parlarti, è una cosa importante.»<br />

«Va bene.»<br />

«Ma non qui per telefono. Anche perché…»<br />

«Di là c’è Francesca, vero?»<br />

«Sì.»<br />

«Come sta?»<br />

«Come vuoi che stia? Domani pomeriggio sei libero?»<br />

«Mi renderò libero.»<br />

«Alle diciotto in piazza, davanti alla fontana?»<br />

*Francesca*<br />

Non stava celando la verità solo a Michele ma anche a quel pover’uomo che stava al di là di quella<br />

parete, a soffrire per lei.<br />

Ma cos’era giusto fare? E cosa sarebbe cambiato se avesse preso la situazione di petto e avesse<br />

affrontato il discorso con ognuno di loro? Niente. Quasi niente. Sarebbe cambiato soltanto il motivo della<br />

sofferenza. Michele soffriva, ne era sicura, perché non capiva il motivo per cui lei lo avesse lasciato. Forse a<br />

lui avrebbe potuto dire la verità. Sì, a Michele, in fondo in fondo avrebbe anche potuto raccontare tutto. Un<br />

treno gli sarebbe passato sopra ma, alla fine, avrebbe capito e avrebbe condiviso la sua decisione. Con suo<br />

padre il discorso era completamente diverso. A lui non avrebbe potuto parlare.<br />

Per nessun motivo.<br />

Non avrebbe mai potuto essere così cattiva da dirgli com’erano andate le cose.<br />

Aveva la busta tra le mani. Quella maledetta busta gialla che aveva decretato l’inizio della fine. Mille<br />

volte aveva deciso di strapparla o di bruciarla e si era trattenuta all’ultimo istante dal farlo. Forse perché,<br />

distruggendola avrebbe cominciato a pensare che si era trattato solamente di un incubo. Sì, perché alla fine<br />

probabilmente era tutto un incubo e prima o poi si sarebbe svegliata di soprassalto, trafelata ma felice. Ma per<br />

svegliarsi bisognerebbe dormire e lei da un po’ di tempo sconosceva questo verbo. Ogni volta che distesa sul<br />

suo letto riapriva gli occhi non era mai sicura di aver dormito. Forse perché ciò che navigava per il mare<br />

agitato dei suoi pensieri quando era sveglia continuava a sguazzarle nella testa anche quando stava con gli<br />

occhi chiusi, mentre stava dormendo o pensando di farlo.<br />

Decise di incontrare Michele.<br />

Lo avrebbe fatto l’indomani, se non se ne fosse pentita nel frattempo.<br />

*Michele*<br />

Gli avrebbe chiesto spiegazioni, ne era certo. Come mai lui e sua figlia avessero interrotto il rapporto, di<br />

chi era stata la colpa, se si trattava di un problema risolvibile o meno, cosa contava di fare nei giorni a venire.<br />

E lui cosa avrebbe potuto rispondergli? Che non ne sapeva niente, anche se non gli avrebbe creduto.<br />

E se gli avesse fissato un appuntamento per aiutarlo? Magari sapeva che si era trattato soltanto di un<br />

malinteso. Nei film capita.<br />

Guardò l’orologio, le diciassette e trenta. Mancava soltanto mezz’ora all’appuntamento. Andò in bagno<br />

e si mise davanti allo specchio. Si pulì le mani e con le dita bagnate si ravviò i capelli, prese la boccettina del<br />

suo profumo preferito e se ne spruzzò un po’ sul viso e sui vestiti. Poi, dopo essersi assicurato di non aver<br />

scordato niente, prese il marsupio e uscì. Stava per chiamare l’ascensore quando si accorse che era occupato.<br />

Decise di scendere a piedi. Era da tanto che non lo faceva. Quando era piccolo cronometrava il tempo che<br />

impiegava a scendere quei sei piani. Una volta aveva impiegato meno di trenta secondi, rischiando di rompersi<br />

l’osso del collo. Si ricordò la tecnica che usava. Tra un pianerottolo e un altro c’erano dieci gradini. I primi sei<br />

li faceva due per volta mentre gli ultimi quattro li superava con un salto. Poi, tenendosi al passamano<br />

effettuava la curva e ripeteva l’operazione per la nuova rampa. A distanza di diversi anni si rese conto di<br />

quanto aveva rischiato. Sarebbe bastato pizzicare un gradino durante un salto e si sarebbe ritrovato in ospedale<br />

a sentire le sfuriate della madre.<br />

La sirena di un’ambulanza lo riportò al presente. Era un suono che odiava. Sperò non si fermasse in Via<br />

Manzoni e, fortunatamente per i suoi vicini, quell’ambulanza era per qualcun altro e passò oltre.<br />

Giunto dabbasso e aperto il portone vide una Ford che conosceva bene; quella di Francesca. Provò una<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 40


fitta al cuore. Che ci faceva lì, sotto casa sua? Guardò dentro il bar, dentro la copisteria ma di lei nemmeno<br />

l’ombra. E se fosse venuta per lui? Che idea assurda! Pensò che non era giusto chiedersi dove fosse e cosa<br />

facesse. L’aveva sempre rispettata da fidanzata e doveva rispettarla anche adesso e, senza indugiare, dopo aver<br />

guardato il cielo sgombro di nuvole, decise di dirigersi a piedi verso Piazza Italia.<br />

Prima di girare l’angolo si voltò un’ultima volta per guardare l’auto della sua ex: un astuccio che serviva<br />

per contenere un gioiello prezioso. La sua attenzione fu attirata dal suo balcone. Non aveva spento la luce della<br />

cucina. C’era ancora tempo, tornò a casa per spegnerla.<br />

*Francesca*<br />

Sapeva che la carta proviene dalla lavorazione della cellulosa e che questa si ottiene dagli alberi.<br />

Dunque, se era davvero così, qualche tempo prima c’era stato un posto nel mondo in cui cresceva un albero<br />

che è stato abbattuto, trasportato altrove e lavorato. La sua corteccia era stata sminuzzata e bollita in una<br />

soluzione acquosa per ottenere la cellulosa che poi sarebbe diventata carta. E con la carta si facevano anche le<br />

buste e le lettere. In mano ne aveva venti o trenta grammi di quella carta che aveva portato la disperazione<br />

nella sua vita. A saperlo avrebbe protetto quell’albero con tutte le sue forze pur di non fare arrivare quella<br />

busta a casa sua. Ma cosa sarebbe cambiato se non fosse mai arrivata? Nella sostanza niente però avrebbe<br />

potuto godere di altri giorni di vita serena e spensierata con il suo Michele.<br />

Mise quella maledetta busta dentro la borsa, salutò suo padre e uscì. Immaginò che, dopo diversi giorni<br />

di reclusione, si sarebbe stupito vedendola uscire. Quello che non avrebbe mai immaginato era di scoprire che<br />

anche lui si stava apprestando a fare la stessa cosa. Forse si era deciso a darsi una mossa.<br />

La sua Ford l’aspettava davanti casa, impaziente di accendersi per riscaldarsi insieme alla sua padrona.<br />

Francesca l’aprì, si buttò sul sedile, girò la chiave più volte perché la sua auto stentava ad accendersi. Non la<br />

usava da parecchio tempo e l’età e il freddo degli ultimi giorni avevano avuto il loro peso. Era ancora<br />

combattuta se parlargli per davvero o no e questa indecisione la fece passare diverse volte da Via Manzoni. Mi<br />

fermo e gli parlo. No, è meglio di no. Ma sì, almeno condivido il mio dolore con qualcuno. Parcheggiò davanti<br />

al bar. Alzò gli occhi fino al sesto piano e vide la luce della cucina accesa.<br />

Michele era a casa.<br />

Il suo Biagio.<br />

Trovò il portone aperto ed entrò. L’ascensore era al piano terra.<br />

Tutto era pronto. Era un chiaro invito al dialogo.<br />

Sesto piano.<br />

Quanto le sembrò strano premere quel bottone!<br />

Se non avesse mai ricevuto quella lettera…<br />

Sentì la sirena di un’ambulanza, pensò al suo Michele e a quanto odiasse quel suono. Tra qualche<br />

secondo lo avrebbe rivisto. Negli ultimi giorni lo aveva visto solamente da lontano, da dietro i vetri della<br />

finestra. Lui invece non l’aveva vista per niente. Al massimo aveva intravisto la sua ombra muoversi dentro il<br />

buio della stanza. Se lo immaginò più magro, sciupato e, guardandosi allo specchio, mentre la cabina<br />

continuava la sua ascesa verso il sesto piano, si rese conto di essere diventata soltanto la brutta copia della<br />

bella ragazza che Michele aveva conosciuto fino a qualche giorno prima. Chissà cosa avrebbero provato<br />

rivedendosi. Lui avrebbe cercato di baciarla – ne era certa - ma lei, naturalmente, non glielo avrebbe concesso.<br />

Sesto piano.<br />

Chiuse per bene l’ascensore e suonò il campanello. Il cuore le batteva così forte che non era escluso che<br />

lo sentisse pure lui.<br />

Niente.<br />

Suonò ancora una volta.<br />

Nessuna risposta.<br />

«Michele, sono io, Francesca.»<br />

Silenzio.<br />

Ce l’aveva con lei. Sì, a questo punto si era stancato e non voleva più vederla. Non poteva fargliene una<br />

colpa.<br />

Diede un pugno alla porta e si tuffò nuovamente dentro l’ascensore.<br />

Piano terra.<br />

Infastidita attraversò la strada e aprendo la portiera dell’auto vide la luce della cucina di Michele<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 41


spegnersi.<br />

*Michele*<br />

Questa volta era sicuro di non aver dimenticato nulla. Le luci erano tutte spente, il PC pure, aveva<br />

chiuso la porta di casa con quattro mandate e aveva finalmente potuto chiamare l’ascensore. Poco prima era<br />

salito a piedi fino al sesto piano in quanto, ancora una volta, l’ascensore era occupato.<br />

Giunto fuori notò che l’automobile della sua Lilly non c’era più. Chissà cosa era venuta a fare da quelle<br />

parti.<br />

Con passo deciso si diresse verso il centro storico.<br />

*Michele e Giovanni*<br />

Giovanni era già lì e Michele guardò immediatamente l’orologio temendo di essere arrivato in ritardo.<br />

Mancavano ancora cinque minuti alle diciotto. Adesso capiva come mai la sua Lilly non si fosse mai<br />

presentata in ritardo ad un appuntamento.<br />

La fontana della piazza dispensava goccioline di acqua, ora a destra ora a sinistra, a seconda di dove<br />

arrivava il vento mentre i piccioni non ci facevano caso e continuavano a mangiare e sporcare il tritone e il<br />

bordo della vasca. Giovanni gli venne incontro, impeccabile come sempre, con il suo cappotto blu e la sciarpa<br />

bianca. Il viso tradiva il suo malessere, malgrado il sorriso che gli rivolse mentre lo salutava baciandolo sulle<br />

guance.<br />

«Ho l’auto qui vicino, ti va di fare un giro?», gli chiese Giovanni con un sorriso stentato.<br />

«Perché no!», rispose lui.<br />

Raggiunsero l’auto senza proferire parola. Giovanni mise in moto e, dopo aver superato la Cattedrale,<br />

girò a destra verso la periferia.<br />

«Michele… cosa succede?»<br />

Era una domanda scontata. Se l’aspettava. E non c’era bisogno di prepararsi una risposta.<br />

«Se lo sapessi! Speravo me lo dicesse lei.»<br />

«Io? Forse non lo sai ma mia figlia con me non si confida. Lo faceva prima, con sua madre. Da quando<br />

Claudia non c’è più...», disse sospirando, «tiene tutto per sé.»<br />

«Mi dispiace. Davvero.»<br />

Ci fu una pausa di durata indefinita durante la quale ognuno seguiva il proprio flusso di pensieri.<br />

Immagini e ricordi passavano vorticosamente per le loro teste, in un carosello di emozioni rimaste inesplose. Il<br />

vento era aumentato di intensità e cominciava a piegare gli alberi che costeggiavano la strada. Alcuni uccelli<br />

volavano in alto, liberi nel loro vivere semplice. Vite che non abbisognavano di nulla che non fosse cielo,<br />

acqua e qualche briciola di cibo.<br />

Giovanni tornò al presente e provò ad accennare un sorriso.<br />

«Claudia aveva un carattere diverso dal mio. Sapeva come farsi raccontare tutto. Andava nella sua<br />

stanza e fingeva di non accorgersi di niente. Le chiedeva consigli. Capisci? Fingeva di aver bisogno di lei, si<br />

confidava. Dopo aver parlato per diversi minuti di cose sue, senza palesare il motivo della sua visita, era<br />

Francesca a vuotare il sacco di sua iniziativa. Parlavano. Spesso piangevano insieme, si abbracciavano, poi<br />

Claudia le dava i suoi consigli e ogni volta il broncio di mia figlia si trasformava in un sorriso. Rinasceva. Io<br />

non ci riesco. Saprei come fare ma non ci riesco. È più forte di me. Non è nella mia natura.»<br />

«Natura!»<br />

«Scusa?»<br />

«No, niente. Continui pure.»<br />

«È un problema psicologico il mio. Un tabù, un complesso. Chiamalo come vuoi ma non ci riesco. E<br />

poi, anche se ci provassi, lei lo capirebbe. Non sarei io e basta. E intanto, cosa ottengo in questo modo? Nulla!<br />

Mia figlia sta male, non si confida e io non posso fare nulla per aiutarla.»<br />

Giovanni tratteneva a stento due lacrime che erano lì lì per cadere. Michele fece finta di non<br />

accorgersene e guardò fuori attraverso il suo finestrino. Fu il suo ex suocero a rompere il silenzio.<br />

«Allora, Michele, cosa è successo?»<br />

«Signor Giovanni, non lo so. Mi crede? La sera prima eravamo a cena insieme, ridevamo, ci amavamo e<br />

il giorno dopo Francesca è sparita dalla mia vita. Tutto questo senza un motivo apparente. Ho pensato di tutto<br />

ma ho anche scartato di tutto.»<br />

«Cosa vuoi dire?»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 42


«Non l’ho tradita e lei, conoscendomi, non potrebbe mai pensare a una eventualità del genere. Non l’ho<br />

trattata male. Mai. Neanche lei. Nessuna nuvola. Nessun amico in comune avrebbe potuto raccontarle nulla di<br />

male che mi riguardi. Non so proprio cosa sia successo. Lei cosa sa?»<br />

«Le hai spedito una lettera in questi giorni?»<br />

«Quando? No, no. Ci vedevamo ogni giorno. Che bisogno c’era di spedirsi delle lettere. Magari ogni<br />

tanto sì ma non di recente. Perché mi ha fatto questa domanda?»<br />

«Pensavo ad un addio spedito per lettera. Sai, una di quelle cose che si fanno quando non si trova il<br />

coraggio di lasciare la propria ragazza.»<br />

«Ma no! E poi, non mi dica che non si è mai accorto che passo sera per sera davanti casa sua con la<br />

speranza di vederla anche al di là della finestra.»<br />

«In effetti…»<br />

«Sarei un pazzo se, dopo averla lasciata, mi mettessi a desiderarla in questo modo.»<br />

«Okay, perdonami ma non so più cosa pensare. Speravo in una conversazione diversa: tu che mi spieghi<br />

il perché di questo allontanamento, io che cerco di convincerti che tutte le difficoltà sono superabili, tu che ti<br />

decidi e le parli, lei che ti ascolta e ti capisce e tutto che torna come prima. E invece niente. Ti ripeto: non so<br />

più cosa pensare.»<br />

«Allora siamo in due. O forse in tre. Piuttosto mi dica una cosa, e la prego di essere sincero, cos’è questa<br />

storia della lettera?»<br />

Giovanni fece inversione di marcia mentre valutava il da farsi.<br />

Poi si decise e parlò.<br />

«Sarà soltanto una sensazione ma mi sembra che tutto sia cominciato quando Francesca ha ricevuto una<br />

busta gialla. L’ho sorpresa più volte con questa busta in mano. Sembra quasi non se ne voglia più separare.»<br />

«Sembrerebbe la chiave del mistero.»<br />

«E forse lo è. Pagherei non so quanto per leggerla e, tutto sommato, non ci vorrebbe molto per farlo;<br />

basterebbe dare una sbirciata mentre si fa la doccia ma non posso farle questo.»<br />

«È vero.»<br />

«Forse glielo chiederò. Questo sì che posso farlo.»<br />

«Mi faccia sapere, se lo riterrà opportuno.»<br />

Due cani bastonati, ecco cosa sembravano. E senza un nemico comune da combattere. L’auto<br />

proseguiva la sua corsa verso il centro storico, quasi da sola, senza l’attenzione del suo autista. Era il pilota<br />

automatico a condurla. Quel guidatore inconscio che ognuno di noi attiva quando l’attenzione è rivolta ad<br />

altro. La pioggia scendeva incessantemente, picchiettando sul tetto dell’auto. Il tergicristallo, ad ogni suo no,<br />

gettava secchiate d’acqua a destra e a sinistra, cercando di fornire una certa visibilità a quei quattro occhi che<br />

erano già annacquati dalla tristezza. Giunti davanti la Cattedrale fu Giovanni il primo ad aprir bocca.<br />

«Dov’è la tua BMW? Sta cadendo il cielo e vorrei che ti bagnassi il meno possibile.»<br />

«Sono sceso a piedi ma non fa niente. Mi lasci pure qui.»<br />

«Vuoi fare l’eroe? Non è così che si vincono le guerre.»<br />

Arrivarono a casa di Michele qualche minuto dopo. Non appena davanti al portone, Giovanni si girò a<br />

destra e strinse la mano del giovane. Restarono qualche secondo a guardarsi le loro mani unite poi, lentamente,<br />

lo sguardo di entrambi si trasferì sugli occhi dell’altro. Se è l’orgoglio quel sentimento che divide gli uomini, è<br />

certamente il dolore ad accomunarli. Fu il vedersi in quello stato, straziati ma allo stesso tempo dignitosi ad<br />

unirli, a saldarli e, in quella stretta di mano che durò un’infinità di tempo, c’erano tante parole, tanti propositi.<br />

C’erano tanti ti voglio bene, tanti ce la faremo e, quando le mani si staccarono e Michele uscì dall’auto del suo<br />

ex suocero, non erano più due estranei: erano diventati amici. Come se quel momento condiviso fosse stato un<br />

rito iniziatico, un patto di sangue, una comunione di sentimenti. Michele accennò un sorriso e chiuse il<br />

portone. L’auto di Giovanni ripartì.<br />

*Michele*<br />

"E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa<br />

Ed appena finito ognuno ha ripreso le sue…"<br />

Era di nuovo lì, dentro la sua auto, a pochi metri dalla finestra di Lilly. La solita musica spaccacuore e<br />

un enigma nuovo nella testa: quella busta gialla.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 43


Se davvero era la chiave di tutto, cosa conteneva? Una lettera, quasi sicuramente una lettera. Ma di chi?<br />

E cosa c’era scritto? Quanto avrebbe voluto conoscerne il contenuto! Provò a mettersi nei panni di Francesca.<br />

Cosa lo avrebbe potuto turbare? Il sapere di aver contratto una malattia gravissima? Ma no, in questo caso<br />

gliene avrebbe parlato. I loro problemi personali li avevano sempre risolti in due. Una calunnia nei suoi<br />

confronti? Non ci avrebbe creduto. E allora? Si sentiva sempre più confuso e non sapeva cosa fare. Forse era il<br />

caso di parlarne con Liliana. Chissà se la sua amica sarebbe riuscita a farsi dire da Francesca qual era il<br />

contenuto della busta. Era tentato di chiederglielo ma in questo modo avrebbe violato la privacy della sua<br />

ragazza. Ne era venuto a conoscenza tramite Giovanni e parlandone con Liliana avrebbe tradito anche la<br />

fiducia di quest’ultimo. Però, dopotutto, era stato lui ad invadere per primo la privacy di sua figlia e lo aveva<br />

fatto per il suo bene.<br />

La stanza di Francesca era al buio, quasi come sempre. Era un modo per vederlo senza essere vista. Lui<br />

la immaginava dietro il vetro a fissarlo. Sarebbe bastato puntarle contro i fari dell’auto per illuminarla ma che<br />

figura le avrebbe fatto fare? Lo aveva fatto già una volta e non lo avrebbe mai più rifatto. Almeno in questo<br />

modo persisteva un contatto visivo. Ci teneva troppo e si accontentava di questa alquanto strana relazione anzi,<br />

vi si aggrappava.<br />

Negli ultimi giorni aveva familiarizzato con quel posto. Conosceva ogni ramo di quegli alberi spogli che<br />

gli stavano davanti e aveva dato un nome ad ognuno dei gatti che vedeva saltare dentro i cassonetti della<br />

spazzatura lasciati aperti. Com’era cambiata la sua vita! Il suo muro di Berlino era il vetro dietro il quale<br />

adesso c’era Francesca. Lei di là e lui di qua.<br />

Prese il cellulare e compose il numero di Liliana.<br />

«Va tutto bene?», gli chiese Lulù con voce tremolante.<br />

«Sì, cara. Scusami per l’orario. Posso parlarti un minutino?»<br />

«Certo che sì!»<br />

«Oggi pomeriggio ho avuto un incontro con il padre di Francesca. È stato lui a contattarmi. Il succo del<br />

discorso è che lui pensa che tutto sia cominciato quando la figlia ha ricevuto una busta gialla. Dice che la porta<br />

sempre con sé, ovunque vada. Tu mi conosci. Non ho mai violato la sua privacy ma questa volta è diverso. Ne<br />

va della sua salute. Sì, perché tu stessa ti sei accorta che è molto strana.»<br />

«Effettivamente, quando le ho parlato l’ultima volta, non sono riuscita a seguire i suoi discorsi. Era<br />

come se parlasse un’altra lingua, a me sconosciuta.»<br />

Seguì qualche secondo di silenzio.<br />

Michele vide un’ombra muoversi nella stanza di Francesca.<br />

«E cosa vorresti da me?», chiese Lulù. «Vediamo se indovino. Vuoi che vada a trovare ancora una volta<br />

Francesca e le chieda di quella busta.»<br />

«Quasi.»<br />

«Che le sottragga la busta.»<br />

«Di meno.»<br />

«Che legga il contenuto della busta.»<br />

«Fuoco.»<br />

«E se mi dovesse scoprire? Farei una figura di merda.»<br />

«Rischi del mestiere.»<br />

«Ma quale mestiere?»<br />

«Quello di essere un’amica.»<br />

«Mi sembra una missione impossibile. Dovrei cercare di farla uscire dalla sua stanza con una scusa ma,<br />

se è vero che porta sempre la busta con sé, non concluderei niente. Ammesso che non la porti con sé, dove la<br />

tiene? Suo padre te l’ha detto?»<br />

«No.»<br />

«Dunque?»<br />

«Che vuoi che ti dica? Cerca di arrangiarti. Se tutto avrà un lieto fine un giorno ci faremo delle risate.<br />

Tutti e tre. Con suo padre quattro. Quando ci vai?»<br />

«Ci potrei andare adesso, anche se è quasi notte. Le busso e le chiedo mi fai entrare? Però poi devi<br />

lasciarmi un po’ da sola nella tua stanza. E non portarti la busta appresso.»<br />

«Che scema che sei!»<br />

«Dai, penso di andarla a trovare domani. Tu sei… nella tua postazione da metronotte?»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 44


«Quale postazione? Ah, ma allora sei proprio stronza!»<br />

Risero entrambi e si salutarono.<br />

Michele mise in moto e si diresse verso casa.<br />

*Francesca*<br />

Aveva sentito il solito rumore, un misto di motore e musica. Si era affrettata a spegnere la luce e si era<br />

posizionata dietro al vetro della finestra. Lui era lì, come sempre. Ligabue non si stancava mai di cantare la<br />

solita canzone e le sue note arrivavano soffuse fino a lei.<br />

Vide una tenue luce blu dentro la BMW, la tastiera di un telefonino avvicinarsi all’orecchio di Biagio.<br />

Le stava telefonando. Prese il cordless. Quando arrivava una chiamata, prima si accendeva il display<br />

dell’apparecchio e poi, dopo un paio di secondi, si attivava la suoneria. Avrebbe preso quella chiamata al volo,<br />

per non disturbare il padre e, cosa non meno importante, per risparmiargli un’emozione.<br />

Dopo qualche secondo la chiamata non era ancora arrivata. Gettò lo sguardo fuori e vide Michele che<br />

parlava al telefonino. E lei che pensava la stesse chiamando.<br />

Si sentì stupida per essersi sorpresa delusa. Era lei ad aver interrotto il rapporto e adesso quasi invidiava<br />

la persona che stava conversando con lui.<br />

Gettò il cordless sul letto.<br />

Un pensiero cominciò ad insinuarsi nel suo cervello. Quel bastardo stava cercando di farla ingelosire.<br />

Prima non le aveva aperto, quando era andata a trovarlo in casa e ora si era posizionato davanti la sua finestra<br />

per farla ingelosire.<br />

Lo vide ridere. Stronzo!<br />

Capì di avere sbagliato. Non avrebbe dovuto andare a cercarlo a casa. In questo modo lui era passato in<br />

vantaggio o meglio, pensava di essere passato in vantaggio. Mica sapeva cosa gli avrebbe detto! Illudendosi di<br />

essere in vantaggio adesso voleva farla ingelosire. Non sapeva che non ci sarebbe mai riuscito.<br />

Lo vide ridere una seconda volta. Stronzo, doppiamente stronzo!<br />

Una lacrima le solcò il viso. Era nervosa e non avrebbe dovuto esserlo. Ebbene sì, era riuscito nel suo<br />

scopo. Stava per abbandonare la finestra quando si accorse che Michele stava andandosene via.<br />

Un appuntamento galante?<br />

*Rosalba*<br />

Perché non aveva proposto a Claudia di prendere una camera doppia? Era sua sorella. Che male c’era a<br />

confidarle che da sola non riusciva a dormire? Da quando era iniziata la sua permanenza a Roma era riuscita<br />

ad addormentarsi soltanto per sfinimento e per non più di un paio di ore a notte. Ogni rumore la faceva saltare<br />

in aria e lei sentiva di tutto, anche il rubinetto che gocciolava dal bagno di sua sorella, la cui stanza era accanto<br />

alla sua. Quando sentiva dei passi nel corridoio si metteva in allerta e si tranquillizzava soltanto quando al<br />

rumore di una chiave che girava seguiva quello di una porta che si apriva e si richiudeva e non era la sua.<br />

Si stava quasi addormentando quando l’ennesimo rumore la allarmò. Il rumore di passi che sentiva<br />

adesso era diverso da tutti quelli sentiti in precedenza. Questo era un suono smorzato, indeciso, quasi<br />

frusciante. Si alzò dal letto e si avvicinò alla porta. Il suono cessò.<br />

Era lì, davanti la sua porta.<br />

Ne era certa.<br />

Adesso sentiva anche un respiro affannato.<br />

Grido? Chiamo la polizia? Che faccio?<br />

Sentì bussare, il rumore delle nocche sul letto della porta.<br />

Ma non era la sua.<br />

Sicuramente era la porta difronte, quella di Filippo.<br />

Una voce, due.<br />

«Chi è?», chiese una voce maschile.<br />

«Claudia.»<br />

Era la voce della sorella.<br />

«Fammi entrare, per piacere.»<br />

Sentì la porta di Filippo aprirsi e poi richiudersi.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 45


*Michele*<br />

Michele si aggrappò a quella nuova speranza. Se fosse riuscito, con la complicità di Liliana, a conoscere<br />

il contenuto di quella maledetta busta gialla, almeno avrebbe avuto un punto fisso dal quale partire.<br />

Almeno per farsene una ragione.<br />

Da quando gli era caduto il mondo addosso la sua vita era cambiata. Quelli che erano i momenti dedicati<br />

al suo amore adesso erano buchi. Ma quali buchi! pozzi, voragini.<br />

E la casa? La loro casa, quella che avrebbero costruito, suddiviso e arredato insieme, che fine avrebbe<br />

fatto? Una creatura concepita da tempo e che oramai sembrava destinata all’aborto. Ma non poteva essere<br />

vero. Il mondo è una serie di cause ed effetti e per quel loro nefando effetto doveva pur esserci stata una causa.<br />

E, probabilmente, questa si sarebbe evinta dal contenuto della busta. Se questa rappresenta il nemico, pensò,<br />

che ben venga. Soltanto conoscendo il nemico si può cominciare a combatterlo.<br />

Ma adesso che senso aveva arrovellarsi il cervello quando ancora Liliana non aveva portato a termine il<br />

suo progetto? Quella notte avrebbe dovuto dormire, per risparmiare le energie per l’indomani. Sì, doveva<br />

riposare. Meritava quel riposo.<br />

Dopo aver fatto la doccia e aver indossato il pigiama telefonò a sua madre, a Valledoro. Dopo una lunga<br />

serie di squilli non gli rispose nessuno. Sua zia, che aveva l’abitudine di andare a dormire a notte fonda e solo<br />

dopo aver recitato il SS. Rosario assieme a Radio Maria, probabilmente non aveva sentito il telefono squillare.<br />

Per evitare che lo svegliassero mentre lui era a letto, staccò la presa del telefono e spense il cellulare. La<br />

giornata era finita.<br />

*Francesca*<br />

Si sentiva una stupida perché il suo orgoglio ferito l’aveva spinta a telefonare a casa di Michele. Ad ogni<br />

squillo senza risposta, sapendo che nel display del suo ex appariva il numero chiamante, si sentiva sempre più<br />

ridicola. Dopo il decimo squillo chiuse la comunicazione.<br />

Giurò che non lo avrebbe mai più chiamato.<br />

*Rosalba*<br />

Se glielo avessero raccontato non ci avrebbe creduto.<br />

Sua sorella!<br />

Certo che la lontananza da casa le aveva fatto un bell’effetto: lontano dagli occhi lontano dal cuore.<br />

Povero Giovanni!<br />

Claudia gli era sempre stata fedele ma da un po’ di tempo aveva notato in lei qualcosa di strano che,<br />

prima di quel momento, non aveva saputo da cosa dipendesse. Adesso era tutto chiaro: un flirt.<br />

Appoggiò l’orecchio alla porta con la speranza di sentire qualcosa ma loro non facevano nessun rumore.<br />

Soltanto ogni tanto sentiva qualcosa che non distingueva se fosse un gridolino o un pianto. Tale fu la sua<br />

curiosità che rimase per più di due ore lì, ferma proprio dietro la porta. Ogni tanto faceva qualche passo nella<br />

stanza confidando nel fatto che le sue pantofole di stoffa sulla moquette non emettevano alcun rumore.<br />

La sentì uscire verso le tre del mattino. Si salutarono formalmente ma la voce di Claudia era rotta. Che si<br />

fossero dati l’addio? Si promise che non le avrebbe chiesto niente. Se la sorella avesse ritenuto il caso di<br />

parlargliene, tanto meglio altrimenti, non so niente e non ho visto niente.<br />

*Francesca e Liliana*<br />

Lulù arrivò a casa di Lilly senza preavviso. Questa la fece accomodare senza riluttanza. Strano, pensò.<br />

Una volta entrata nella sua stanza, Francesca l’abbracciò forte. Lei ricambiò il gesto.<br />

«Come va, gioia?», le chiese mentre si stringevano ancora.<br />

«Come va? Male!», le rispose liberandosi dalla stretta e guardando la sua amica negli occhi. «Male!»,<br />

ripeté.<br />

«Posso aiutarti?»<br />

«Purtroppo no.»<br />

«Non ti va di confidarti, vero?»<br />

Francesca si girò e si posizionò alla finestra. Lei la seguì. Sembrava il replay della visita precedente.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 46


«Non voglio parlarne.»<br />

«Ma Francy…»<br />

«No, non mi va!»<br />

«Ma non puoi fare questo a quel poveretto.»<br />

«Poveretto?», chiese Francesca alzando le sopracciglia.<br />

«Non lo è?»<br />

«Non credo proprio.»<br />

«Allora ce l’hai con lui. Ti ha fatto qualcosa? È per questo qualcosa che lo hai lasciato? Sfogati!»<br />

«Non posso.»<br />

«Ma vaffanculo!»<br />

«Se sei venuta per offendermi puoi accomodarti fuori di casa mia», le disse indicandole la porta.<br />

«Sì, me ne vado. Ma non farti mai più sentire. Ma chi ti credi di essere, una regina? Fai soffrire Michele,<br />

tuo padre, me… Almeno dacci una cazzo di spiegazione. Penso che ce la meritiamo.»<br />

Liliana aveva appena afferrato la maniglia della porta quando sentì la mano di Francesca sulla spalla.<br />

Si voltò e incrociò gli occhi dell’amica.<br />

«Perdonami, Lulù. Siediti e parliamone.»<br />

*Calogero e Agata*<br />

Calogero sbarcava il lunario facendo a volte il muratore, a volte l’elettricista e alcune altre volte<br />

l’idraulico. Non aveva un impiego fisso ma le cose non gli andavano per niente male. Era sempre stato un<br />

grande lavoratore e dove non arrivava con il ragionamento, ci arrivava con la tenacia. Aveva improvvisato una<br />

sorta di impresa di servizi. Tutto a nero, naturalmente. Quando il lavoro era tanto o gli venivano richiesti tempi<br />

brevissimi ingaggiava alcuni suoi conoscenti tuttofare e li pagava a giornata. Non era un lavoro nobilitante ma<br />

era sicuramente meglio che studiare per laurearsi, come era accaduto a tanti suoi vecchi compagni di scuola,<br />

adesso diplomati o laureati che, non avendo un lavoro, trascorrevano il loro tempo passeggiando per il Viale<br />

della Regione, l’area di parcheggio per gli studenti e i disoccupati.<br />

Ad Agata andava bene. Si era impiegata presso un commercialista e, anche se la retribuzione<br />

effettivamente percepita era un po’ inferiore rispetto alla busta paga firmata, si riteneva una donna fortunata.<br />

Ogni mese riusciva a mettere da parte un gruzzoletto e altrettanto faceva Calogero.<br />

La loro relazione andava avanti normalmente. Se fosse stata un brano di musica classica si sarebbe<br />

potuto definire “allegro ma non troppo”. Specialmente in quei giorni in cui Agata si sentiva disturbata per il<br />

malessere della cugina.<br />

Qualche giorno prima Francesca le aveva chiesto alcune cose e lei aveva dovuto parlarle sinceramente.<br />

Aveva dovuto affrontare un argomento che si era promessa di non affrontare mai di sua iniziativa. Ma questa<br />

volta le erano state rivolte delle domande dirette e, non riuscendo a rintuzzare gli attacchi della cugina con<br />

risposte evasive, era stata costretta a dirle tutto ciò che sapeva. In realtà tutto ciò che sapeva era ben poco e<br />

fino a qualche minuto prima pensava pure che fosse soltanto una cattiva interpretazione di alcuni fatti<br />

realmente accaduti ma… se due più due faceva quattro… adesso, ascoltando le perplessità di Francesca si era<br />

convinta che fosse tutto vero. Se più persone parlano dello stesso argomento…<br />

Non aveva mai parlato con Calogero di questo incontro. Lo riteneva una cosa a due. Sua e di Francesca.<br />

Ne soffriva.<br />

*Giovanni*<br />

Aveva sentito Liliana alzare la voce. Bene! Chissà se con una strigliata Francesca si sarebbe ripresa. Ma<br />

adesso tutto era tornato calmo in quella stanza. Se stavano parlando, lo stavano facendo con compostezza. Si<br />

buttò sulla poltrona e aprì una rivista. Guardava senza vedere, la mente altrove. Posò la rivista e accese la tv. I<br />

soliti giochi a premi, le solite vallette tutte tette. Niente, non era dell’umore giusto. Bussò alla porta della figlia<br />

e, senza aprire l’avvertì che sarebbe uscito per una passeggiata.<br />

Se ne andò.<br />

*Francesca e Liliana*<br />

«Non l’ho lasciato perché mi ha fatto qualcosa di male. Lui non mi ha mai fatto niente di male. L’ho<br />

lasciato per un altro motivo, molto più grave.»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 47


Lo sguardo di Liliana si velò.<br />

«Sei malata?»<br />

«No, fortunatamente non è questo. Il motivo è un altro e, credimi, in questo momento non te ne posso<br />

parlare.»<br />

Doveva portare a termine una missione: quella che le aveva affibbiato Michele. Per lei era superfluo<br />

cercare quella busta però… non poteva non cercarla. Avrebbe dovuto relazionare Michele, il quale le avrebbe<br />

posto mille e una domanda.<br />

Fingendosi risentita, cominciò a passeggiare cercando con gli occhi la famosa busta gialla. Dopo un paio<br />

di andirivieni la individuò. Si trovava tra due libri, su una mensola. Aveva il lembo sollevato e si intravedeva<br />

la parte superiore del foglio che conteneva. Il testo era scritto grande, in stampatello.<br />

Leggibilissimo.<br />

La sua permanenza in quella stanza era a quel punto superflua. Disse a Francesca che doveva andare e,<br />

malgrado l’invito a rimanere, la salutò e si incamminò verso la porta. Conosceva bene quell’appartamento.<br />

*Michele e Liliana*<br />

Liliana entrò nella sua Golf, accese il motore e posizionò la manopola del riscaldamento al massimo.<br />

Sbuffando, prese il cellulare dalla borsa, sbloccò la tastiera e si accinse a chiamare Michele. Non avrebbe<br />

voluto compiere quella missione ma, da come si erano susseguiti gli eventi, era stata costretta a farlo.<br />

«È tuo fratello? Sei sicura che c’era scritto questo?»<br />

Liliana annuì.<br />

«Ma è una cosa assurda. Come ha fatto a credere a questa bestialità? Ecco il perché di tutti quei discorsi<br />

sulla natura! Lei crede che siamo fratelli. Che stronzata!»<br />

«In effetti mi sembra proprio una stronzata ma…»<br />

«Ma?»<br />

«Francesca non mi sembra stupida. E neanche voglio credere che sia rincitrullita tutto ad un tratto. Noi<br />

conosciamo l’esistenza del biglietto. Sta a vedere se Francesca conosce anche la spiegazione completa di<br />

questa parentela.»<br />

«Di questa cazzata. Be’, sì, vorrei proprio conoscere questa spiegazione.»<br />

«Non pensare a me! Io in quella casa non ci torno per nessun motivo.»<br />

«Mica ci posso andare io!», esclamò Michele. «E poi», riprese, «come faremmo ad essere fratelli? Chi<br />

sarebbe il genitore in comune? Mia madre non di certo. Francesca è più piccola di me e io non ricordo di avere<br />

mai avuto una sorellina. E poi, partiamo da un punto fermo: io sono la fotocopia di mio padre. Nel caso<br />

fossimo fratelli potremmo esserlo solamente per l’unione di mio padre e sua madre. Ma nessuno dei due mi<br />

sembra un tipo da tradimento. Mio padre amava sua moglie alla follia e non l’avrebbe mai tradita. Ma che<br />

cazzo di ragionamenti faccio? È una cazzata e basta! E non possiamo andare a chiedere al signor Giovanni se<br />

Francesca è sua figlia! Infangheremmo la memoria di Claudia. No, assolutamente no!»<br />

«Eppure…»<br />

«Ho deciso: vado a parlare con mia madre. Certo, mica le chiedo se suo marito e Claudia... cerco di farla<br />

parlare e basta.»<br />

*Michele e Carmela*<br />

Pioveva a dirotto. I tergicristalli non riuscivano a tenere il ritmo della pioggia che scendeva giù a<br />

secchiate e l’attenzione di Michele doveva rimbalzare continuamente dai pensieri più intimi al difficile<br />

compito di tenere incollate al suolo le quattro gomme.<br />

In queste condizioni, Michele navigò per più di mezz’ora sulla statale prima di intravedere il cartello che<br />

indicava l’uscita per Valledoro. Percorse gli ultimi chilometri che lo separavano dal paese e parcheggiò<br />

davanti al portone di sua zia, proprio mentre un fulmine rischiarava il cielo. La strada, sensibilmente in<br />

pendenza, era diventata un fiume in piena e il livello dell’acqua arrivava quasi al gradino posto davanti la porta<br />

d’ingresso. Dopo aver aperto la portiera dell’auto, con un’acrobazia evitò di immergere i piedi nell’acqua e<br />

saltò sul gradino.<br />

Con il piede spinse la portiera che andò a sbattere contro il resto dell’auto. La chiuse con il telecomando<br />

e bussò al portone.<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 48


Sua zia Maria era al piano terra. Quando aprì, la stanza alitò calore e umidità sul volto di Michele. Lei,<br />

sotto la mantiglia nera indossava un maglione e una gonna, rigorosamente neri. Entrò, la salutò con due baci<br />

sulle guance e salì al primo piano per raggiungere la madre. La scala puzzava di umidità e le pareti, seppur<br />

imbiancate per l’ennesima volta qualche mese prima, erano di nuovo gonfie e con il ducotone a scaglie che<br />

penzolava. I gradini che conducevano al primo piano erano alti e se lo erano per lui che era giovane<br />

figuriamoci per una persona molto avanti negli anni. L’appartamento, risalente agli ultimissimi anni del 1800,<br />

concepito come si usava a quei tempi, era composto di due piani più il piano terra. Piano terra che fino a<br />

cinquanta anni prima era una vera e propria stalla, con tanto di cavallo e di galline.<br />

Sua madre era a letto, la coperta fin sotto il naso.<br />

«Quale onore!», esclamò Carmela scoprendosi la bocca.<br />

«Ciao mamma. Come stai?»<br />

«Come vuoi che stia? Le giornate sono tutte uguali. Il sole sorge, tramonta, viene la notte e l’indomani è<br />

sempre uguale al giorno precedente. Ormai soltanto la morte potrebbe interrompere questo ciclo.»<br />

Michele si innervosì e sbuffò.<br />

«Non parlare mai più così!»<br />

«E cosa dovrei dirti? Che la mia è una vita bella? Tutti i giorni sono uguali. Tu hai mille cose da fare<br />

mentre io di cosa ti potrei parlare? Di queste quattro mura, di cose per te senza alcuna importanza. Okay,<br />

ascolta: la vicina di fronte si è alzata presto per ritirare gli indumenti prima che piovesse. La signora che abita<br />

accanto ha litigato con la figlia, poi è intervenuto il padre ed è finita ancora peggio. Ti interessa?»<br />

«No, mamma.»<br />

Sebbene sapesse che sua madre era un’artista nel farlo sentire in colpa, si rabbuiò un poco, cercando<br />

però di non far trasparire niente dei suoi sentimenti.<br />

«Eppure sono le uniche cose di cui ti posso parlare. In questi giorni fa freddo e mi alzo solamente per<br />

andare in bagno. Mi metto di nuovo a letto, mi addormento per un paio di minuti, mi risveglio, mi<br />

riaddormento. In queste giornate così buie distinguo la notte dal giorno soltanto dalla presenza o meno di tua<br />

zia qui a letto. Cos’altro posso fare?»<br />

«Guarda la tv! Ci sono tanti programmi interessanti.»<br />

«La tv? Le solite cretinate, sempre le stesse.»<br />

«Fino a un po’ di tempo fa guardavi i giochi a quiz.»<br />

«Non più. Prima sì. Quando c’era tuo padre era diverso. Mi spiegava quello che non capivo, ci<br />

prendevamo in giro… Adesso non è più come prima.»<br />

«Ma dai, come se non ci fossero persone che stanno peggio di te. Su con la vita! C’è tua sorella, ci sono<br />

le vicine di casa. Cerca di vivere come vivono le altre donne della tua età.»<br />

«Tua zia? Alla nostra età ci viene difficile salire e scendere le scale. Oramai lo facciamo solo quando è<br />

indispensabile. Anche se nella stessa casa, ci vediamo pochissimo. Le nostre vicine, poi, hanno sempre<br />

qualcosa da fare. Vanno in chiesa, tornano, badano ai nipoti. Nipoti; che bella parola! Io invece non ne ho di<br />

nipoti. Mio figlio non me ne dà. A lui piace fare la vita. Impegni seri? Quando mai! Quando pensate di<br />

sposarvi? Vi deciderete prima o poi?»<br />

«Mamma, non mi va di affrontare questo argomento. Penso che tu stia facendo di tutto per farmi stare<br />

male. È un’attività per la quale sei molto portata. Da sempre.»<br />

Carmela fece leva sui gomiti e si sollevò un po’ dal letto.<br />

«Quando ti parlo di cose che non ti convengono cerchi di svicolare. Ma prima o poi dovrai mettere la<br />

testa a posto.»<br />

«Ma perché parli così? Non ce l’ho la testa a posto?»<br />

Silenzio.<br />

Michele aveva i nervi a fior di pelle. Non bastavano i problemi che aveva, ci voleva pure lei! La<br />

conosceva benissimo. Se le avesse raccontato come stavano i fatti le sarebbero venuti i sensi di colpa, si<br />

sarebbe messa a piangere e gli sarebbe toccato consolarla; il colmo.<br />

«Mamma, sono venuto per trascorrere un po’ di tempo con te. Così mi stai cacciando via.»<br />

«Scusami Micheluccio.»<br />

«Michele.»<br />

«Per me sarai sempre Micheluccio, rassegnati!»<br />

«Quello a cui dicevi che stava diventando tutto naso.»<br />

«Ancora con questa storia? Non me la perdonerai mai, vero?»<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 49


«Diciamo che facevi discorsi… non tanto incoraggianti.»<br />

«Lo facevo per spronarti a mangiare. Eri uno scricciolo, esile, smunto, fragile.»<br />

«Aspetta che prendo il dizionario», la interruppe, «così ti aiuto a trovare qualche altro bell’aggettivo.»<br />

Michele fece spuntare un sorriso nella bocca di sua madre e così, da quel momento in poi, l’incontro<br />

prese una piega completamente diversa. Parlarono del passato. Delle cose belle del passato, sorvolando sulle<br />

incomprensioni che avevano caratterizzato il loro rapporto da sempre.<br />

«Quando seppe che ero incinta era contentissimo», cominciò a raccontargli sprofondando nuovamente<br />

nel letto. «Non stava nella pelle. Ti aveva sempre desiderato e quando ha capito che il suo sogno si stava<br />

realizzando ha toccato il cielo con un dito.»<br />

«Andiamo ancora più indietro nel tempo. Come vi siete conosciuti?»<br />

«Tuo padre abitava qui accanto e quindi lo vedevo ogni giorno. Però, attenzione! Specifico che lo<br />

vedevo e non che gli parlavo. A quei tempi se una donna si fermava a parlare con un uomo era da ritenersi<br />

compromessa e se poi non se lo sposava rimaneva zitella.»<br />

«E quindi?»<br />

«Era tutto un gioco di sguardi. Sai quante persone sono venute a chiedermi la mano? Tantissime! Ma ho<br />

detto a tutti di no. C’erano persone con i soldi. Tanti soldi.»<br />

«E tuo padre ti dava la possibilità di scegliere?»<br />

«Sì, devo riconoscere che non era il classico padre padrone. Era severo, severissimo ma non mi avrebbe<br />

mai costretto a sposare qualcuno. Voleva la mia felicità.»<br />

«E cosa ti ha fatto propendere per papà?»<br />

«Non saprei dirtelo. Forse per il suo atteggiamento da furbetto.»<br />

«Da furbetto?»<br />

«Sì, aveva lo sguardo di uno che ci sapeva fare con le donne.»<br />

«Ma se tutte le donne erano controllate a vista, cosa poteva fare?»<br />

«Lascia perdere! Poteva, poteva», disse con un sorriso appena accennato. «Anche a quei tempi c’erano<br />

le donne più leggere. Le bagascelle.»<br />

«E lui andava con loro?»<br />

«Non me lo ha mai ammesso ma secondo me, sì. Un giorno venne a spiegarsi con i suoi genitori e gli<br />

dissi di sì. Pochi mesi dopo ci sposammo e ci trasferimmo a Montesalso.»<br />

«Lavorava già in Prefettura?», le chiese.<br />

«Sì. Con tua suocera.»<br />

Se gli fosse scoppiata una bomba a un metro di distanza gli avrebbe fatto meno male di quella notizia. Il<br />

suo sguardo vagò per la stanza, alla ricerca di ricordi, di dati da elaborare. In realtà stava cercando qualcosa<br />

che dimostrasse che si trattava soltanto di una tragica coincidenza. Ma per quanto si sforzasse di pensare, non<br />

riuscì a ricavare nulla di positivo. Bisognava acquisire nuovi dati e analizzarli per bene.<br />

Michele, che era rimasto a bocca aperta, partì all’attacco.<br />

«Con mia suocera? Stai scherzando?»<br />

«Per niente. Hanno lavorato nella stessa stanza per qualche anno. Poi, rimase incinta di Francesca e si<br />

fece trasferire in Questura perché le veniva più vicino da casa.»<br />

«Perché non me lo hai mai detto prima?»<br />

«Perché non me lo hai mai chiesto.»<br />

«Ma è una cosa che si deve chiedere? Pensavo che trattandosi di mia suocera, me lo avresti detto.»<br />

«Tu non raccontavi mai niente di te e Francesca. Perché avremmo dovuto raccontarti di tua suocera?»<br />

«Lasciamo perdere. Certe volte ragioni come una bambina. Con papà avevano un buon rapporto?»<br />

«Ottimo. Erano buoni amici e condividevano tanti segreti. Tuo padre, a dire il vero, me li confidava ma<br />

io facevo finta di non sapere niente.»<br />

«Capisco.»<br />

«Pensa, nel periodo in cui ero incinta, tuo padre e Claudia hanno partecipato a un corso di formazione a<br />

Roma. Pochi giorni ma per me interminabili.»<br />

*Michele e Liliana*<br />

«Cazzo, mi sembra un incubo», esordì quando lei rispose al telefono. Il vivavoce del cellulare lottava<br />

<strong>Legami</strong> di <strong>Salvatore</strong> <strong>Paci</strong> Pagina 50


contro il zing zing del tergicristallo che gracchiava sul parabrezza oramai quasi asciutto. «Fino ad un’ora fa<br />

avrei scommesso la mia vita che si trattava di una bufala mentre adesso…»<br />

«Di cosa stai parlando?», gli chiese Liliana.<br />

«Apri per bene le orecchie e, se non sei seduta, siediti.»<br />

«Dimmi pure.»<br />

«Mio padre e la madre di Francesca erano colleghi di ufficio. Tieniti ancora più forte: durante il periodo<br />

della mia gestazione hanno trascorso alcuni giorni a Roma insieme per un corso.»<br />

«Carramba che sorpresa!»<br />

«Però questo non vuol dire niente. Mica perché due persone stanno alcuni giorni a Roma vuol dire che si<br />

mettano a cornificare i coniugi.»<br />

«Ma potrebbe anche essere.»<br />

«Grazie, Lulù. Tu da che parte stai?»<br />

«Ma sei stupido? Mi hai telefonato per darmi la possibilità di pensare e di parlare o solo per avere<br />

un’ascoltatrice?»<br />

«Okay, perdonami!»<br />

Dal rumore gracchiante dei tergicristalli capì che non pioveva più e abbassò la levetta.<br />

«Secondo te l’autore della lettera è a conoscenza di questo corso? Perché se così fosse potrebbe averci<br />

costruito attorno una storia falsa.»<br />

«Non lo so.»<br />

«Mettiamo di sì. Chi potrebbe essere a conoscenza di questo corso? I loro colleghi, mia madre, suo<br />

padre, sua zia.»<br />

«Sua zia?»<br />

«Credo di sì. Non pensi che la zia di Francesca sappia di questo corso? Mica saranno partiti di nascosto!<br />

Però, nessuna di queste persone può aver spedito la lettera. O, quantomeno non ne capirei la ragione. Dunque,<br />

escludendo i parenti, restano soltanto i colleghi. Sai cosa potresti fare? Parlare con Agata. Indaga! Vedi se<br />

riesci a carpirle qualcosa di importante.»<br />

«Non se ne parla nemmeno! Non vado in nessun posto.»<br />

«È questo l’aiuto che mi dai? Sei l’unica persona di cui mi possa fidare. L’unica che conosce i<br />

particolari di questa storia e, adesso che ci penso, sei stata tu a contattarmi per prima.»<br />

Michele regalò alla conversazione qualche attimo di silenzio. Giusto il tempo per lasciare lavorare la sua<br />

idea nel cervello dell’amica.<br />

«E va bene, mi hai incastrata. Ti telefono io quando so qualcosa.»<br />

Sì, Liliana si sentì incastrata. Per la seconda volta, controvoglia, contro i suoi stessi interessi.<br />

*Michele*<br />

La natura!<br />

Adesso tutti i pezzi di quel maledetto puzzle sembravano aver trovato il loro posto.<br />

Purtroppo.<br />

Per quanto tentasse di comporli in un ordine diverso non vi riusciva. Ogni tessera accettava accanto a sé<br />

soltanto un determinato pezzo. Solo a quello permetteva di incastrarsi, formando così prima una coppia e poi,<br />

via via, tutto l’insieme; il disegno completo. E in quel puzzle c’erano lui e Francesca, piccolissimi, e tra loro il<br />

loro padre; Filippo.<br />

La natura!<br />

Adesso quei discorsi apparentemente strani fatti dalla sua Lilly avevano un senso.<br />

Fratelli. Sì, era possibile. Erano affini. Nei pensieri, nei comportamenti, nel senso dell’humour. Troppe<br />

coincidenze lo stavano convincendo di una indesiderata verità.<br />

Ecco perché Lilly gli aveva nascosto il motivo del suo allontanamento. Non voleva fargli conoscere<br />

questa triste realtà. Sperava di farsi odiare e forse, un giorno, dimenticare. Ma come si fa a dimenticare la<br />

persona con la quale hai diviso financo il respiro?<br />

A questo punto, pensò, era necessario parlarle, dirle che sapeva tutto. Dovevano condividere quel<br />

dolore. E per farlo dovevano incontrarsi e parlare. Parlare e ancora parlare.<br />

Probabilmente prima o poi ne avrebbero riso. Tutto sarebbe sembrato meno atroce. Avrebbero<br />

trasformato la loro storia d’amore in una storia non meno carica emotivamente. Sarebbero stati due corpi e<br />

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un’anima. Spirito e non più carne.<br />

La testa gli girava, perché erano i pensieri al suo interno a girare. Si contorcevano, si avviluppavano.<br />

Come dentro a un frullatore cercavano di fuggire, trattenuti da una parete di plastica trasparente. Cercavano di<br />

fuggire da quel nucleo centrale che girava e tagliava. Come la loro verità, come il cinismo della natura che ti<br />

costringe ad ammettere che è giusto che il leone mangi la sua preda dagli occhi teneri e impauriti.<br />

Andare contro natura.<br />

E perché no? Dopotutto il loro non sarebbe stato un vero e proprio incesto. Oppure sì? E tutto ciò che<br />

avevano fatto fino a qualche giorno prima? Davvero non avrebbero potuto continuare in quel modo, come se<br />

non fossero venuti a conoscenza della verità?<br />

Ma forse sarebbe andata a finire proprio così, in un muto e colpevole oblio. A questo punto si sarebbe<br />

accontentato anche di questo.<br />

*Lulù e Agata*<br />

Lulù dovette recarsi da Agata, chiedendole preventivamente che a quell’incontro – molto riservato – non<br />

partecipasse Calogero e che non ne venisse a conoscenza. Fu più facile di quanto si fosse immaginato. Agata,<br />

osservando il suo volto capì che le avrebbe parlato di Francesca e Michele. Certamente non intuì il fine ultimo<br />

di quell’incontro e infatti, quando Liliana le espose i propri dubbi circa il legame di sangue tra i due<br />

innamorati, trasalì. Non perché si stesse parlando di qualcosa a lei ignoto ma perché capì che il cerchio si era<br />

chiuso e sua cugina aveva confidato il suo segreto anche alla sua amica Liliana. Non era da Francesca. Tutto<br />

ritornò alla normalità quando seppe che, invece, la scoperta era da attribuire alla complicità della triade<br />

Giovanni-Michele-Liliana e non ad una confidenza della cugina.<br />

Sì, era il caso di fare intervenire anche Rosalba, sua madre. Le domande che Lulù le poneva erano<br />

troppo dirette e meritavano risposte più precise di quelle che lei avrebbe potuto fornirle. La chiamò e sedettero<br />

tutt’e tre attorno a un tavolino rotondo, con una tazzina di tè caldo tra le mani.<br />

Qualche giorno prima, Francesca era andata a trovare sua zia per chiederle quanta verità ci fosse nella<br />

tesi che Michele fosse suo fratello. Non le fece accenno alla lettera ricevuta; lo seppero solamente adesso dalla<br />

bocca di Lulù qual era stata la fonte. Rosalba raccontò quel che sapeva: Claudia aveva un rapporto molto<br />

particolare con Filippo. Intenso, fu esattamente l’aggettivo che utilizzò. Il culmine e l’epilogo di quella<br />

relazione coincisero con un corso di aggiornamento a Roma.<br />

«Non riuscivo a prendere sonno e ogni rumore mi faceva sussultare», le confessò Rosalba mentre con<br />

l’indice girava e rigirava la sua tazzina di tè sul tavolo. «Non sono mai stata un tipo molto coraggioso, devo<br />

ammetterlo, ma neanche esageratamente pauroso eppure, quella notte, c’era qualcosa che non andava.<br />

Fremevo, avevo i nervi scossi. Non ti dico quante volte, sul punto di addormentarmi, sono schizzata in aria.<br />

Sentivo i rumori più strani e la cosa ha una sua logicità. Ognuno di noi, a casa propria, conosce suoni, odori e<br />

luci. Capisco che quello è il rumore del frigorifero che riparte, quello è il tic del rubinetto che perde, che il<br />

pensionato che abita qui sotto ha tirato lo sciacquone del water, ecc. ecc.. Là era tutto diverso. Non<br />

riconoscevo i rumori e neanche le luci. Sai quante volte ho visto la stanza rischiararsi dal buio della notte?<br />

Tantissime. Non capivo il perché di quel bagliore contro i miei occhi chiusi. Li aprivo e la stanza era avvolta<br />

nel buio. Poi capitava ancora una volta, un lampo, aprivo gli occhi e tutto era buio e immobile. Stavo<br />

impazzendo. Solo dopo tanti balzi e palpitazioni ho capito che la stanza periodicamente veniva illuminata dai<br />

fari delle automobili che, percorrendo la via nella quale si trovava l’hotel, a seguito di piccoli avvallamenti,<br />

proiettavano la loro luce contro la finestra della mia stanza. Qui, nella mia stanza da letto è impossibile che<br />

accada qualcosa del genere. Come vedi non c’era nulla di terrificante eppure, fino a quel momento avevo<br />

pensato a tutto. A tutto.» Si versò dell’altro tè e ripartì. «A un certo punto ho sentito un rumore di passi nel<br />

corridoio. Qualcuno si era fermato davanti la mia porta. Mi sentivo proiettata dentro un film del terrore.<br />

Qualcuno era lì e, forse, stava architettando di farmi del male. In quei momenti si pensa sempre alle cose<br />

peggiori. Poi ho sentito bussare. Ma il suono non proveniva dalla mia porta; veniva dalla porta di fronte alla<br />

mia; quella di Filippo. Lui chiese chi fosse e la voce che gli rispose era quella di mia sorella. Filippo l’ha fatta<br />

entrare e… mia sorella è uscita da quella stanza soltanto qualche ora dopo. Io ero ancora in piedi, scossa da<br />

quella serie di emozioni, ultima delle quali la presenza di mia sorella nella stanza di un altro. Ammetto che ho<br />

cercato in ogni modo di distinguere qualsiasi suono provenisse da quella stanza ma non ho percepito quasi<br />

nulla. Ciò di cui mi sono accorta è stata la voce rotta di mia sorella quando poi è andata via. Se c’era stato<br />

qualcosa tra loro, era finito quella notte. Tornati a casa, poche settimane dopo ho saputo che mia sorella era<br />

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imasta incinta. Non appena terminato l’allattamento si è fatta trasferire in un altro ufficio e credo che da quel<br />

momento in poi non ha più visto il suo collega Filippo. Adesso non so dirti esattamente cosa è avvenuto quella<br />

notte in quella stanza. Potrebbe essere accaduto di tutto oppure niente. Ed è quello che ho detto a Francesca<br />

qualche giorno fa. Non sapevo perché mia nipote aveva cominciato a dubitare dell’onestà di sua madre ma per<br />

dubitarne, pensai, qualcuno avrà avuto i miei stessi dubbi. Quindi, se devo essere sincera, credo che sì,<br />

Francesca e Michele potrebbero essere fratelli. Anche perché avevo sempre avuto il dubbio che Giovanni, mio<br />

cognato, fosse sterile.»<br />

*Michele*<br />

Era una notte triste. Una di quelle nelle quali nulla ha un senso compiuto e tutto giace addormentato,<br />

sotto il peso della desolazione.<br />

Ne aveva trascorse tante di notti simili.<br />

Prima.<br />

Prima di lei.<br />

Poi era arrivata lei e aveva soffiato sulle nuvole, e queste erano state spazzate via, verso il mondo di<br />

qualcun altro o verso il niente, ma a lui non importava. Adesso, che niente sembrava appartenesse più a lui,<br />

stava sotto la pioggia, intensa e incessante, crudele, lugubre, come un manto di mestizia venuto giù dal cielo.<br />

Fradicio, con il colletto del giaccone alzato, passeggiava per le vie di una città deserta. La pioggia<br />

scendeva fitta e non si fermava, penetrando dentro i suoi vestiti, ma a lui non importava. Sperava potesse<br />

lavare i suoi pensieri tristi, schiarirli, ordinarli.<br />

Le luci delle finestre gli indicavano i veglianti, ognuno con la propria storia, con i propri problemi o<br />

felicità. C’erano altre vite là dentro. Storie che si intrecciavano con altre storie. Quelle lampadine, alcune<br />

giallastre e altre al neon, stavano illuminando una nuova vita, l’insonnia di una ragazza innamorata, un uomo<br />

addormentato davanti alla tv, le effusioni di una coppia, il libro di uno studente, il rosario di una donna troppo<br />

avanti negli anni.<br />

E lui era lì, da solo, sotto la pioggia. Neanche i lampioni erano soli quella notte. Le loro luci tendenti<br />

all’arancione scintillando si trasmettevano informazioni, dialogavano. Forse di quella pioggia incessante che<br />

stava lavando le strade della città. Forse era lui il loro argomento di discussione, ma non ne era sicuro. I<br />

lampioni ne vedono di storie. Erano lì da decine di anni e avevano illuminato di tutto durante i loro onesto<br />

servizio. Avevano visto barboni frugare tra i cassonetti dell’immondizia contendendosi, con gatti paffuti, il<br />

fondo di una scatoletta di tonno. Coppie abbracciarsi e cedere alla debolezza della carne. Avevano visto<br />

uomini, donne e bambini piangere, ridere, giocare, inseguirsi. Automobili sgommare, sirene sfrecciare. Insetti<br />

girare attorno alla loro luce e poi precipitare verso l’asfalto. Cani riunirsi in branchi e corteggiare la cagna di<br />

turno. Avevano visto altra pioggia scendere dal cielo, a volte come una grazia, a volte come una maledizione.<br />

Adesso osservavano lui. Sì, lo facevano. Vedeva la sua ombra proiettata sul marciapiede. Erano loro a<br />

generarla, nella speranza di regalargli una compagnia.<br />

Tutto era tranquillo, a parte la pioggia che oramai gli aveva incollato i vestiti sulla pelle e i capelli sulla<br />

fronte. Passeggiava perché doveva decidere. Doveva tornare a casa con una decisione. Doveva dare il verdetto<br />

finale. Stimare le probabilità. Decidere se vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.<br />

Aveva raccontato a Liliana il risultato dell’incontro con sua madre. Lei, a sua volta, gli aveva raccontato<br />

diverse volte – perché diverse volte lui lo aveva preteso – tutto quello che aveva saputo da Agata e Rosalba.<br />

Rosalba non poteva essere sicura che si fosse consumato il tradimento; questo era positivo. Inoltre,<br />

anche in caso di tradimento non era detto che Francesca fosse stata frutto di quella relazione. Adesso c’era<br />

qualche lampadina di speranza. Fievole, ma c’era. La pioggia cominciò a dargli fastidio; segno che si stava<br />

destando da quel torpore che lo aveva attanagliato fino ad un minuto prima. Lui era sempre stato così. Quando<br />

aveva un pensiero assillante per la testa perdeva appetito, voglia, attenzione. Ma già stava meglio. C’era una<br />

probabilità a suo favore e vi si sarebbe aggrappato con tutto se stesso.<br />

Bisognava fare il test del DNA ma come? Non sapeva come funzionasse, se bisognava fare un prelievo<br />

di sangue o se sarebbe bastato anche un solo capello.<br />

Tornò a casa. Non appena entrato si spogliò e gettò per terra i vestiti inzuppati di pioggia. Qualcosa la<br />

mise dentro la lavatrice e anche lui si mise dentro quella specie di lavatrice chiamato box-doccia. Sentì una<br />

sensazione di rilassamento quando l’acqua lo confortò con il suo calore.<br />

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Il giorno dopo si collegò a internet per attingere a notizie che riguardassero l’esame del DNA.<br />

Trovò il sito di un’azienda che effettuava il test. Non era necessario un prelievo di sangue; grazie a un<br />

sofisticato e sensibile metodo di analisi, il test di paternità poteva essere effettuato anche da campioni biologici<br />

quali il tampone buccale, capelli, urine, liquido seminale, saliva o cellule di tessuti diversi. Addirittura veniva<br />

proposto un kit di prelievo “da sé” consistente in tre buste etichettate (PADRE, FIGLIO/A, MADRE),<br />

all'interno delle quali erano presenti due tamponi orali sterili e sigillati, e il foglio di istruzioni.<br />

Per un accertamento di paternità che avesse valenza legale, era indispensabile identificare i soggetti<br />

sottoposti al test e acquisire le necessarie autorizzazioni, previa la compilazione di un apposito modulo. Per un<br />

accertamento di paternità solamente informativo era sufficiente compilare una semplice dichiarazione. Nel sito<br />

non era specificato il prezzo del servizio e dunque mandò loro un’e-mail chiedendo loro anche se era possibile<br />

accertare una parentela del tipo fratello-sorella.<br />

Subito dopo chiamò Liliana a casa. Rispose dopo diversi squilli, dal tono della sua voce capì che l’aveva<br />

svegliata. Pazienza! Quando c’è la guerra, la guerra è per tutti, si disse.<br />

Le parlò del test del DNA. Le raccontò dell’e-mail inviata per informazioni e, mentre gliene parlava,<br />

gliela inoltrò alla sua casella di posta elettronica. Liliana gli fece un’obiezione: come avrebbero fatto a<br />

prelevare un campione di saliva, un capello o altro da Lilly, senza la sua collaborazione? Michele le disse che<br />

ci avrebbero pensato successivamente, dopo aver ricevuto la risposta all’e-mail inviata.<br />

Si salutarono.<br />

*Calogero*<br />

Il portone si chiuse alle sue spalle mentre si passava la mano sulla fronte e tra i capelli. A dispetto dei<br />

cinque gradi centigradi era sudato. Estrasse un fazzoletto di carta dalla tasca, si asciugò la fronte, lo guardò e<br />

poi lo gettò per terra.<br />

Vaffanculo, brontolò.<br />

Attraversò la strada e cominciò a camminare su e giù per la via. Poi entrò in auto, si abbandonò sul<br />

sedile e chiuse gli occhi. Li riaprì qualche minuto dopo, per prendere il cellulare dal marsupio.<br />

«Ciao Michele, sono Calogero. Sì, lo so… lo so. Possiamo incontrarci? Sì? Dove sei? Okay, arrivo<br />

subito. Ciao.»<br />

Continua in libreria…<br />

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