Mamme o veline? - Campo de'fiori
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<strong>Campo</strong> de’ fiori<br />
Una “Fabrica” di ricordi<br />
storie e immagini di Fabrica di Roma<br />
Giugno dalle bionde messi<br />
di Sandro Anselmi<br />
Quella sera i ragazzi erano usciti per guardare<br />
la luna, si erano sdraiati sul prato con gli<br />
occhi verso il cielo che sembrava girasse<br />
tutto e raccontavano di marziani e di voli fantastici.<br />
Il giorno aveva fatto molto caldo e le<br />
cicale non s’erano ancora del tutto addormentate<br />
per lasciare la scena al concerto dei<br />
grilli. Le lucciole giocavano fra i fili d’erba e<br />
la loro luce sembrava riflettere quella delle<br />
stelle.<br />
La mietitura quell’anno era stata abbondante<br />
e le spighe dorate, gonfie di grano. La squadra<br />
dei mietitori aveva accelerato il lavoro<br />
per paura che il tempo si guastasse ed il<br />
capofalce non aveva avuto un minuto di tregua,<br />
perché i falciatori gli erano sempre<br />
sotto, pronti a sistemare i loro ‘mannelli’<br />
sopra i ‘varzi’ da lui preparati a terra. Si sentiva,<br />
a volte, il rumore della falce affilata battere<br />
sui cannelli infilati a proteggere le dita,<br />
ed allora qualcuno gioiva al pericolo scampato.<br />
I mietitori erano di solito uomini e, quelli<br />
più richiesti, erano quelli con le mani grandi,<br />
perché rendevano di più nel lavoro. C’era poi<br />
la figura del battitore delle falci che, per l’importanza<br />
del lavoro, doveva avere provata<br />
esperienza. I ragazzi erano poi impegnati al<br />
trasporto dei covoni (gregne), che radunavano<br />
vicino al luogo dove si sarebbe formato il<br />
‘cordello’ e si graffiavano fastidiosamente le<br />
gambe con le stoppie perché allora, per loro,<br />
non si usavano pantaloni lunghi. Il cordello<br />
doveva essere fatto ad arte e, ad una fila di<br />
covoni sistemati in verticale, che costituivano<br />
la base, ne venivano coricati sopra altre due<br />
fila a versi alterni. Sulla sommità veniva, infine,<br />
infilata una croce fatta di canne, per<br />
scongiurare il pericolo di incendi. I ragazzi<br />
erano stanchi per l’alacre lavoro svolto<br />
durante il giorno, ma si erano anche divertiti<br />
fra loro, perché quelli erano i primi giorni di<br />
vacanza dopo la chiusura estiva delle scuole<br />
ed avevano mangiato a volontà i gelsi maturi<br />
e le ciliegie, macchiandosi la bocca, le mani<br />
ed i vestiti e avevano bevuto l’ “acquato di<br />
melluzza”.<br />
La loro gioia più grande però, era quella di<br />
poter dormire quella notte tutti insieme nel<br />
casale, perché all’indomani mattina, sarebbe<br />
arrivata la trebbia nell’aia grande dal pavi-<br />
mento scavato nel tufo bianco, e tutti i contadini<br />
dei campi vicini avrebbero portato li il<br />
loro grano. Spuntava appena l’alba ed il<br />
rumore del trattore che si avvicinava si faceva<br />
sempre più nitido. Tutta la manovalanza<br />
era già pronta nell’aia ed arrivavano continui<br />
i carretti trainati dagli asini e dalle mucche,<br />
carichi di covoni che venivano sistemati ai lati<br />
dello spiazzo. Tutti aiutavano a livellare la<br />
trebbia, mentre il trattorista, con fare capace,<br />
collegava la grossa cinta di cuoio ad una<br />
presa di forza, l’avvolgeva poi alla puleggia<br />
della trebbia e dava, infine, l’avvio al motore<br />
del trattore con diversi giri di manovella. Il<br />
rito era compiuto ed allora tutto si metteva in<br />
moto con un rumore infernale, sbattevano i<br />
corvelli, urlavano le pulegge e le spighe venivano<br />
sgranate dall’organo battitore, con un<br />
rumore di grandine. Sopra la trebbia salivano<br />
con la scala almeno due persone, che inforcavano<br />
occhiali simili a quelli dei motociclisti<br />
e si proteggevano la bocca ed il naso dalla<br />
polvere, con un fazzoletto annodato dietro la<br />
nuca. Uno di loro, tagliava con un falcetto il<br />
varzo ai covoni che venivano lanciati su con<br />
un forcone dalle persone a terra, e l’altro li<br />
imboccava dentro l’apertura della trebbia.<br />
Usciva allora dalle bocchette il grano che<br />
riempiva i sacchi di iuta, e dal retro la paglia,<br />
che i contadini sistemavano nei pagliai, da<br />
usare per il letto degli animali domestici.<br />
Tutto il grano che sfuggiva ai corvelli della<br />
trebbia e cadeva a terra, per restare in mezzo<br />
alla paglia sminuzzata dalla lavorazione,<br />
veniva recuperato con la “sgamatura”. I contadini<br />
raccoglievano con le pale quello scarto<br />
e lo lanciavano in alto così che il vento portava<br />
via le pagliuche ed il grano cadeva a<br />
terra pulito. Questa operazione dava spesso<br />
un magro bottino, ma non per questo meno<br />
apprezzato, come quello delle spigolatrici che<br />
andavano raccogliendo le poche spighe di<br />
grano sfuggite ai mietitori.<br />
Tutto era a misura degli enormi sacrifici per<br />
aver portato a raccolta il prodotto più importante<br />
per l’alimentazione di quei tempi.