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Mamme o veline? - Campo de'fiori

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46<br />

<strong>Campo</strong> de’ fiori<br />

Una “Fabrica” di ricordi<br />

storie e immagini di Fabrica di Roma<br />

Giugno dalle bionde messi<br />

di Sandro Anselmi<br />

Quella sera i ragazzi erano usciti per guardare<br />

la luna, si erano sdraiati sul prato con gli<br />

occhi verso il cielo che sembrava girasse<br />

tutto e raccontavano di marziani e di voli fantastici.<br />

Il giorno aveva fatto molto caldo e le<br />

cicale non s’erano ancora del tutto addormentate<br />

per lasciare la scena al concerto dei<br />

grilli. Le lucciole giocavano fra i fili d’erba e<br />

la loro luce sembrava riflettere quella delle<br />

stelle.<br />

La mietitura quell’anno era stata abbondante<br />

e le spighe dorate, gonfie di grano. La squadra<br />

dei mietitori aveva accelerato il lavoro<br />

per paura che il tempo si guastasse ed il<br />

capofalce non aveva avuto un minuto di tregua,<br />

perché i falciatori gli erano sempre<br />

sotto, pronti a sistemare i loro ‘mannelli’<br />

sopra i ‘varzi’ da lui preparati a terra. Si sentiva,<br />

a volte, il rumore della falce affilata battere<br />

sui cannelli infilati a proteggere le dita,<br />

ed allora qualcuno gioiva al pericolo scampato.<br />

I mietitori erano di solito uomini e, quelli<br />

più richiesti, erano quelli con le mani grandi,<br />

perché rendevano di più nel lavoro. C’era poi<br />

la figura del battitore delle falci che, per l’importanza<br />

del lavoro, doveva avere provata<br />

esperienza. I ragazzi erano poi impegnati al<br />

trasporto dei covoni (gregne), che radunavano<br />

vicino al luogo dove si sarebbe formato il<br />

‘cordello’ e si graffiavano fastidiosamente le<br />

gambe con le stoppie perché allora, per loro,<br />

non si usavano pantaloni lunghi. Il cordello<br />

doveva essere fatto ad arte e, ad una fila di<br />

covoni sistemati in verticale, che costituivano<br />

la base, ne venivano coricati sopra altre due<br />

fila a versi alterni. Sulla sommità veniva, infine,<br />

infilata una croce fatta di canne, per<br />

scongiurare il pericolo di incendi. I ragazzi<br />

erano stanchi per l’alacre lavoro svolto<br />

durante il giorno, ma si erano anche divertiti<br />

fra loro, perché quelli erano i primi giorni di<br />

vacanza dopo la chiusura estiva delle scuole<br />

ed avevano mangiato a volontà i gelsi maturi<br />

e le ciliegie, macchiandosi la bocca, le mani<br />

ed i vestiti e avevano bevuto l’ “acquato di<br />

melluzza”.<br />

La loro gioia più grande però, era quella di<br />

poter dormire quella notte tutti insieme nel<br />

casale, perché all’indomani mattina, sarebbe<br />

arrivata la trebbia nell’aia grande dal pavi-<br />

mento scavato nel tufo bianco, e tutti i contadini<br />

dei campi vicini avrebbero portato li il<br />

loro grano. Spuntava appena l’alba ed il<br />

rumore del trattore che si avvicinava si faceva<br />

sempre più nitido. Tutta la manovalanza<br />

era già pronta nell’aia ed arrivavano continui<br />

i carretti trainati dagli asini e dalle mucche,<br />

carichi di covoni che venivano sistemati ai lati<br />

dello spiazzo. Tutti aiutavano a livellare la<br />

trebbia, mentre il trattorista, con fare capace,<br />

collegava la grossa cinta di cuoio ad una<br />

presa di forza, l’avvolgeva poi alla puleggia<br />

della trebbia e dava, infine, l’avvio al motore<br />

del trattore con diversi giri di manovella. Il<br />

rito era compiuto ed allora tutto si metteva in<br />

moto con un rumore infernale, sbattevano i<br />

corvelli, urlavano le pulegge e le spighe venivano<br />

sgranate dall’organo battitore, con un<br />

rumore di grandine. Sopra la trebbia salivano<br />

con la scala almeno due persone, che inforcavano<br />

occhiali simili a quelli dei motociclisti<br />

e si proteggevano la bocca ed il naso dalla<br />

polvere, con un fazzoletto annodato dietro la<br />

nuca. Uno di loro, tagliava con un falcetto il<br />

varzo ai covoni che venivano lanciati su con<br />

un forcone dalle persone a terra, e l’altro li<br />

imboccava dentro l’apertura della trebbia.<br />

Usciva allora dalle bocchette il grano che<br />

riempiva i sacchi di iuta, e dal retro la paglia,<br />

che i contadini sistemavano nei pagliai, da<br />

usare per il letto degli animali domestici.<br />

Tutto il grano che sfuggiva ai corvelli della<br />

trebbia e cadeva a terra, per restare in mezzo<br />

alla paglia sminuzzata dalla lavorazione,<br />

veniva recuperato con la “sgamatura”. I contadini<br />

raccoglievano con le pale quello scarto<br />

e lo lanciavano in alto così che il vento portava<br />

via le pagliuche ed il grano cadeva a<br />

terra pulito. Questa operazione dava spesso<br />

un magro bottino, ma non per questo meno<br />

apprezzato, come quello delle spigolatrici che<br />

andavano raccogliendo le poche spighe di<br />

grano sfuggite ai mietitori.<br />

Tutto era a misura degli enormi sacrifici per<br />

aver portato a raccolta il prodotto più importante<br />

per l’alimentazione di quei tempi.

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