L'avventura del Conte Verde - Lega Navale Italiana
L'avventura del Conte Verde - Lega Navale Italiana
L'avventura del Conte Verde - Lega Navale Italiana
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L’avventura<br />
<strong>del</strong> <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong><br />
di Enrico Cernuschi<br />
Mercy ships, ovverosia<br />
“navi<br />
<strong>del</strong>la misericordia”,<br />
è un termine difficilmente<br />
traducibile in<br />
italiano. Con questa definizione<br />
si identificano,<br />
infatti, i bastimenti adibiti<br />
a compiti umanitari<br />
diversi dalle navi ospedale.<br />
L’espressione utilizzata<br />
nella nostra lingua è, a sua volta, “navi protette”<br />
in quanto l’attività e le singole missioni di queste<br />
unità (solitamente navi passeggeri adattate per una<br />
particolare bisogna), nei conflitti devono essere<br />
concordate e riconosciute preventivamente da tutte<br />
le parti in causa.<br />
Adibite solitamente a scambi di prigionieri e al rimpatrio<br />
di internati civili e di personale protetto (a<br />
partire dai rispettivi corpi diplomatici <strong>del</strong>le nazioni<br />
in guerra) o, talvolta, al rifornimento di viveri e di<br />
medicinali a favore <strong>del</strong>le popolazioni civili, le navi<br />
in questione sono state protagoniste, nel corso <strong>del</strong><br />
XX Secolo, di numerose e singolari avventure, quasi<br />
tutte poco o punto note, perché la riservatezza e la<br />
scarsa pubblicità data alle loro navigazioni rappresentava<br />
la migliore garanzia di successo di queste<br />
difficili missioni.<br />
Una <strong>del</strong>le poche eccezioni in questo senso è rappresentata<br />
dalle tre impegnative traversate effettuate,<br />
tra il 1942 e l’anno successivo, da alcuni transatlantici<br />
italiani utilizzati per rimpatriare dall’Etiopia oltre<br />
ventimila nostri connazionali.<br />
Furono belle imprese, rese possibili da una fattiva collaborazione<br />
umanitaria messa in atto, prima e durante<br />
la Seconda Guerra Mondiale, dai Governi di Washington,<br />
Roma e Berna, che riuscirono, infatti, a per-<br />
Storia di un<br />
transatlantico italiano<br />
sui mari <strong>del</strong>la Cina<br />
tra il 1937 e il 1943<br />
suadere, dopo quasi un<br />
anno di sforzi, il Gabinetto<br />
inglese ad aprire le porte<br />
dei campi di concentramento<br />
dove erano stati<br />
internati, dopo l’occupazione<br />
<strong>del</strong>l’Africa Orientale,<br />
i civili italiani, uomini<br />
donne e bambini, residenti<br />
in Etiopia.<br />
Un’altra vicenda per certi<br />
aspetti simile, anche se di proporzioni decisamente<br />
inferiori, ebbe luogo nel 1942 in acque diverse<br />
ma, ancora una volta, con un transatlantico italiano<br />
nelle vesti <strong>del</strong> protagonista: si tratta <strong>del</strong> rimpatrio di<br />
parte dei civili statunitensi sorpresi in Cina nel dicembre<br />
1941 dall’inizio <strong>del</strong>la guerra <strong>del</strong> Pacifico e restituiti,<br />
infine, ai loro compatrioti grazie a una missione,<br />
condotta in modo impeccabile nonostante<br />
contrattempi a dir poco romanzeschi, realizzata dal<br />
piroscafo passeggeri <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong>. Si tratta di una storia<br />
inedita che viene narrata oggi, per la prima volta<br />
nella sua interezza, ai nostri lettori.<br />
La nave<br />
Tutte le navi hanno un’anima. Quella <strong>del</strong> <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong><br />
aveva, evidentemente, una vocazione umanitaria.<br />
Ordinata nel 1919 dal Lloyd Sabaudo l’unità in questione<br />
rappresentò, assieme al gemello <strong>Conte</strong> Rosso di<br />
18.761 tonnellate, un atteso e deciso salto di qualità<br />
per la marineria italiana rispetto alle precedenti, più<br />
piccole, navi passeggeri di lusso Principessa Jolanda e<br />
Principessa Mafalda da 9.210 t. Varato il 21 ottobre<br />
1922 ed entrato in servizio l’anno successivo, il <strong>Conte</strong><br />
<strong>Verde</strong> navigò per anni su e giù per l’Atlantico fino a<br />
quando non passò, nel 1932, alla linea con l’Estremo<br />
Oriente andando incontro al proprio destino.<br />
settembre-ottobre 2012 9
La prima vicenda drammatica in cui incorse la nave,<br />
fino a quel momento nota, più che altro, per la qualità<br />
e regolarità <strong>del</strong> servizio e per l’ottima cucina italiana,<br />
fu il tifone che la colse a Hong Kong il 2 settembre<br />
1937. Ricordato ancora oggi come “The<br />
Great Typhoon” quell’evento causò diverse migliaia<br />
di morti tra gli abitanti strappando, tra l’altro, gli ormeggi<br />
<strong>del</strong>la motonave passeggeri giapponese Asama<br />
Maru, di 16.975 t. L’unità nipponica, fuori controllo,<br />
entrò in collisione con il transatlantico italiano<br />
provocando gravi danni riparati, infine, dopo oltre<br />
un anno di lavori.<br />
Mentre i cantieri di Hong Kong dapprima e di Trieste<br />
poi provvedevano alla rimessa in linea <strong>del</strong> piroscafo<br />
italiano, i nazisti austriaci, dopo essersi riuniti finalmente<br />
al Grande Reich, accelerarono il “congedo”<br />
degli ebrei già in atto sin dal 1933. Sia la spoliazione<br />
sia l’allontanamento di quella minoranza non crearono,<br />
in verità, particolari problemi, ma la loro definitiva<br />
partenza si rivelò, sin dall’inizio, piuttosto<br />
complicata poiché tutte le nazioni, a partire dalla<br />
Gran Bretagna nella sua qualità di titolare <strong>del</strong> mandato<br />
<strong>del</strong>la Società <strong>del</strong>le Nazioni in Palestina, si rifiutarono<br />
di accogliere i profughi.<br />
Alla fine, in seguito a una complicata combinazione<br />
tra statunitensi, cinesi, giapponesi ed italiani, saltarono<br />
fuori, dall’autunno 1938 in poi, diverse migliaia<br />
di visti per la Concessione internazionale di<br />
Shanghai. Le compagnie di navigazione italiane,<br />
prima tra tutte il Lloyd Triestino, proprietario dal<br />
1938 <strong>del</strong> <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong>, offrirono una quota fissa di posti<br />
riservati a quei disgraziati a condizioni subito<br />
giudicate di favore dagli interessati e nel giro di due<br />
anni oltre 20.000 ebrei (alcune fonti parlano, però,<br />
10<br />
settembre-ottobre 2012<br />
Il <strong>Conte</strong> Rosso (a sinistra) e il<br />
<strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong> in banchina alla<br />
Stazione Marittima di Genova,<br />
in una vecchia cartolina illustrata;<br />
in apertura un manifesto<br />
<strong>del</strong> Lloyd Sabaudo che pubblicizza<br />
la tratta Italia – Brasile -<br />
Argentina sulla quale prestava<br />
servizio il transatlantico<br />
di quasi 30.000) raggiunsero<br />
quel l’im pre ve -<br />
dibile terra promessa<br />
nonostante le vivaci<br />
proteste avanzate, sin<br />
dall’inizio <strong>del</strong> 1939, dagli<br />
inglesi.<br />
Il <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong> partecipò<br />
lui pure, con partenze<br />
da Trieste e da Venezia, a questo traffico, lasciando un<br />
buon ricordo tra i passeggeri israeliti d’origine tedesca,<br />
austriaca e ceca. Lo scoppio <strong>del</strong>la guerra, infine, il<br />
10 giugno 1940, sorprese la nave a Shanghai, dove rimase<br />
inattiva per oltre un anno e mezzo, avendo i<br />
giapponesi comunicato immediatamente agli italiani,<br />
ai britannici e ai francesi che non avrebbero tollerato<br />
atti di ostilità in quel territorio (formalmente posto<br />
sotto un regime internazionale ma, in pratica,<br />
sotto il controllo militare di Tokyo sin dall’autunno<br />
1937) costringendo, di conseguenza, i vari nemici<br />
europei a una dignitosa indifferenza reciproca.<br />
La missione<br />
Meno di una settimana dopo l’inizio, il 7 dicembre<br />
1941, <strong>del</strong>la Guerra <strong>del</strong> Pacifico, le autorità italiane a<br />
Roma e in Estremo Oriente furono interessate, tramite<br />
la Svizzera e il Comitato Internazionale <strong>del</strong>la<br />
Croce Rossa, in merito alla richiesta statunitense di<br />
poter dar corso, tramite il <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong>, al rimpatrio<br />
dei propri civili rimasti bloccati in Cina.<br />
La risposta di Roma fu immediatamente positiva ed<br />
ebbe così inizio una serie di lunghe trattative che<br />
culminarono, infine, in una prima missione di<br />
scambio di internati civili tra statunitensi e giapponesi<br />
(i britannici preferirono dar corso a trattative<br />
separate) affidata, da una parte, al transatlantico<br />
svedese Gripsholm, noleggiato dal governo di Washington,<br />
e dall’altra al <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong> e al precedentemente<br />
ricordato Asama Maru, completato nel 1929<br />
e noto per essere la più elegante e lussuosa motonave<br />
passeggeri nipponica <strong>del</strong> tempo. Le tre navi<br />
avrebbero dovuto incontrarsi nel porto neutrale<br />
portoghese di Lorenço Marques, in Mozambico.
La caduta <strong>del</strong>l’Africa Orientale <strong>Italiana</strong>, o <strong>del</strong>l’Impero come si<br />
usava dire, celebrata in una cartolina propagandistica <strong>del</strong> famoso<br />
illustratore Gino Boccasile; sul campo di battaglia troneggia la figura<br />
<strong>del</strong> Duca d’Aosta<br />
Dopo un viaggio in Giappone, il piroscafo italiano<br />
partì da Shanghai, la sera <strong>del</strong> 29 giugno 1942 con a<br />
bordo il console generale statunitense Frank Lockhart<br />
e 599 cittadini americani. I civili in questione,<br />
uomini, donne e bambini, in massima parte missionari,<br />
diplomatici, uomini d’affari e giornalisti, avevano<br />
trascorso i mesi precedenti agli arresti domiciliari<br />
in Cina e in Giappone oppure ristretti in alcuni<br />
alloggiamenti di fortuna.<br />
Le condizioni di vita non dovevano essere state <strong>del</strong>le<br />
migliori visto che la cosa che più colpì la maggioranza<br />
degli internati, una volta arrivati a bordo, ciascuno<br />
con non più di due valigie a testa e accolti dal<br />
personale italiano, fu “la vista abbagliante <strong>del</strong>le tovaglie<br />
bianche e <strong>del</strong>le lenzuola pulite!”. Il cibo italiano,<br />
anche se gli spaghetti erano stati fatti col riso, fu<br />
molto apprezzato, ma il maggior successo fu riscosso<br />
dalla “<strong>del</strong>ightful music” <strong>del</strong>l’applauditissima “Italian<br />
orchestra”, destinata ad accompagnare quella<br />
lunga traversata di oltre seimila miglia e a lasciare un<br />
ricordo incancellabile tra i passeggeri, strappando<br />
ben presto dalle labbra <strong>del</strong> severissimo capo <strong>del</strong>la<br />
missione metodista un “The Resurrection has come!”<br />
destinato a diventare il motto di quella navigazione.<br />
Poche ore dopo la partenza, alle sette <strong>del</strong> mattino<br />
<strong>del</strong> 30 giugno, il <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong>, dipinto di grigio, illuminato<br />
e contraddistinto da grandi croci bianche<br />
(circondate da lampadine <strong>del</strong>lo stesso colore) verniciate<br />
sulle murate e sui fumaioli e dal sole rosso giapponese<br />
in campo bianco a centronave, fu avvistato,<br />
a meno di 7.000 metri di distanza, dal sommergibile<br />
statunitense Plunger. Il comandante <strong>del</strong> battello, il<br />
tenente di vascello David C. White, soprannominato<br />
“Trigger Happy”, ovvero Grilletto Facile, ordinò<br />
immediatamente la manovra d’attacco.<br />
Per un benigno caso <strong>del</strong>la sorte il secondo si ricordò,<br />
essendo la nave illuminata, di aver letto un messaggio<br />
inviato qualche tempo prima a questo proposito dal<br />
Comando in capo <strong>del</strong>la US Navy nel Pacifico. Dopo<br />
averlo ritrovato nel brogliaccio, l’intraprendente<br />
“XO” (Executive Officer) si precipitò in camera di manovra<br />
quando ormai la distanza era scesa a 800 metri e<br />
i tubi di prora erano già stati allagati. Tutto si ridusse,<br />
alla fine, a una fotografia <strong>del</strong> transatlantico scattata al<br />
periscopio e a un sospiro di <strong>del</strong>usione <strong>del</strong> comandan-<br />
In una copertina di Vittorio Pisani per la Tribuna Illustrata, in<br />
Africa Orientale la guarnigione <strong>del</strong>l’Amba Alagi, ultima resistenza<br />
italiana, alla fine deve soccombere agli inglesi le cui truppe, dopo<br />
la resa, tributano l’onore <strong>del</strong>le armi al valoroso nemico vinto<br />
settembre-ottobre 2012 11
te <strong>del</strong> sommergibile<br />
per le ventimila tonnellate<br />
mancate.<br />
Il 5 luglio, uno dei<br />
rimpatriandi, il missionario<br />
luterano Dot -<br />
tor Edwins, arrivato<br />
a bordo in barella,<br />
morì e fu sepolto in<br />
mare.<br />
Il 6 luglio, il <strong>Conte</strong><br />
<strong>Verde</strong> arrivò a Singapore,<br />
dove incontrò<br />
l’Asama Maru (con a<br />
bordo l’ambasciatore<br />
americano a Tokyo<br />
Joseph C. Grew e<br />
altri 800 civili statu-<br />
nitensi) e imbarcò acqua, nafta e viveri freschi.<br />
Il 9 luglio, quando ormai la nave, pronta a muovere,<br />
era ormeggiata sui cavi leggeri e con le caldaie in<br />
pressione, ebbe infine luogo un incidente internazionale<br />
inatteso e imprevedibile quando fu avvistata<br />
una motolancia che dirigeva a tutta velocità verso<br />
la nave italiana.<br />
Joseph e Wendy O’Flanagan<br />
Accostatasi al piroscafo, l’imbarcazione comunicò<br />
di avere a bordo due bambini statunitensi, fratello e<br />
sorella, di età inferiore ai dieci anni. I due piccoli,<br />
dalla testa rapata a zero, erano accompagnati da un<br />
capitano di corvetta <strong>del</strong>la Marina Imperiale giapponese:<br />
erano Joseph e Wendy O’Flanagan, figli di un<br />
uomo d’affari americano imbarcato sull’Asama Maru,<br />
in quel momento già alla fonda.<br />
Dispersi nell’immensa Cina dopo l’inizio <strong>del</strong>le ostilità<br />
erano stati inclusi, nonostante tutto, nel dicembre<br />
1941, nelle liste dei civili da rimpatriare. Finiti,<br />
dopo alcune avventure, sotto la protezione di quell’ufficiale<br />
giapponese, i due bambini, ciascuno con<br />
una piccola valigetta in mano, avrebbero dovuto essere<br />
riuniti al loro genitore. Il colonnello nipponico<br />
preposto allo scambio, però, si oppose in quanto i<br />
loro nomi non figuravano nella lista d’imbarco.<br />
Il rappresentante svizzero, a sua volta, si chiamò subito<br />
fuori, lasciando la “grana” nelle mani <strong>del</strong> comandante<br />
italiano Edmondo Chinca. Uomo di cuore<br />
(il comandante Marino Iannucci <strong>del</strong>la Regia Nave<br />
coloniale Eritrea, a quel tempo in Cina, parlò di lui<br />
nelle proprie memorie definendolo “il buon Chinca”)<br />
cercò a sua volta di far ragionare, senza successo,<br />
il responsabile giapponese.<br />
12<br />
settembre-ottobre 2012<br />
Come ultimo argomento<br />
l’italiano disse<br />
che, essendo morto<br />
quattro giorni prima<br />
un passeggero adulto,<br />
poteva benissimo imbarcare<br />
e nutrire due<br />
bambini. A quest’osservazione<br />
il suo interlocutore,probabilmente<br />
istruito in precedenza<br />
affinché non<br />
tirasse troppo la corda<br />
con quegli strani alleati<br />
che il caso aveva<br />
messo a fianco <strong>del</strong>l’Imperatore,<br />
rispose<br />
che ne avrebbe accettato<br />
uno solo lasciando, subito dopo, con magnanimità,<br />
ai bambini il diritto di scegliere. Subito il fratello<br />
maggiore, interpellato, disse di prendere a bordo la sorellina<br />
mentre la bambina affermò a sua volta che non<br />
l’avrebbe mai abbandonato.<br />
A questo punto chiesero urgentemente di entrare<br />
nel salotto <strong>del</strong> comandante il commissario di bordo,<br />
allontanatosi pochi minuti prima, e il medico capo<br />
<strong>del</strong> <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong>. Entrambi comunicarono che la dottoressa<br />
Sheila Roberts, moglie <strong>del</strong> console statunitense<br />
a Chefoo e ricoverata sin dall’imbarco in infermeria,<br />
era spirata. Il colonnello giapponese chiese<br />
di vedere il cadavere, ma il medico replicò che si<br />
trattava, con ogni probabilità, di una forma contagiosa<br />
e che comunque, in quel momento, “i mormoni<br />
avevano invaso l’infermeria chiudendosi dentro per i<br />
loro complicati riti funebri”.<br />
Richiesti dal comandante di confermare il decesso<br />
entrambi gli ufficiali firmarono, senza esitare, il registro<br />
di bordo. Subito dopo Chinca affermò, con un<br />
tono che non ammetteva repliche, che i conti tornavano<br />
e che non aveva altro tempo da perdere per<br />
due mocciosi, visto che ormai si rischiava di partire<br />
in ritardo. Dopo una serie di scattanti saluti tra lo<br />
Stato Maggiore <strong>del</strong>la nave italiana e l’impenetrabile<br />
ufficiale di Marina nipponico, subito tornato a bordo<br />
<strong>del</strong>la lancia ed allontanatosi, l’unica concessione<br />
(subito accordata) chiesta dal colonnello per non<br />
perdere la faccia, fu quella di confinare i due bambini<br />
in una cabina a bordo per tutta la navigazione<br />
senza farli mai uscire.<br />
In realtà la signora Roberts, gravemente ammalata,<br />
morì soltanto l’11 luglio. La sua disgrazia, come talvolta<br />
accade, fu la fortuna per un’altra famiglia divi-<br />
Il transatlantico svedese Gripsholm che, con la livrea diplomatica che vediamo<br />
in questa foto, prenderà parte a questa incredibile missione di<br />
scambio di internati
sa dalla guerra, oltre che per<br />
tutti coloro che si erano gettati,<br />
senza tanto pensare, in<br />
quel ginepraio internazionale.<br />
La storia, però, non era<br />
ancora finita.<br />
Dato il regime di assoluto divieto<br />
di comunicazioni tra gli<br />
internati a bordo <strong>del</strong>le due<br />
navi il commissario di bordo<br />
<strong>del</strong> <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong> dovette provvedere<br />
di persona, una volta<br />
arrivati a destinazione, ad informare,<br />
con le dovute maniere,<br />
il padre dei due coraggiosi<br />
bambini per evitare il rischio,<br />
tutt’altro che remoto,<br />
di un accidente al momento <strong>del</strong> loro incredibile incontro<br />
in terra africana.<br />
Chi muore e chi nasce<br />
La nascita a bordo, il 14 luglio, di un bambino <strong>del</strong><br />
peso di 2 chili e settecento grammi battezzato Cristoforo,<br />
in italiano, in onore di Colombo, non causò<br />
per contro (e per fortuna) ulteriori problemi di<br />
contabilità se non in sede storica, visto che si deve a<br />
questo lieto evento, festeggiato sia dagli statunitensi<br />
sia dagli italiani (i quali donarono il corredo per il<br />
neonato) il fatto che le poche storie pubblicate in<br />
merito a queste vicende parlino, ancora oggi, “di circa<br />
600 rimpatriati” non sapendo oggettivamente come<br />
definire il nuovo arrivo, cui fu attribuita, tra l’altro,<br />
anche la cittadinanza italiana, essendo venuto<br />
al mondo sotto il tricolore.<br />
Le due successive settimane di navigazione consistettero,<br />
una volta che si prescinda dalla sopravvenuta<br />
necessità di razionare l’acqua potabile in seguito<br />
a problemi al distillatore, in una sorta di gara tra il<br />
<strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong> e l’Asama Maru. La nave giapponese, infatti,<br />
doveva aprire “per principio” la formazione,<br />
ma nonostante fosse di dieci anni più giovane si rivelò<br />
ben presto meno marina <strong>del</strong> piroscafo italiano,<br />
tanto che questo, nel corso <strong>del</strong> monsone estivo, fu<br />
più volte costretto a rallentare, a compiere volte tonde<br />
o, addirittura, a fermarsi per far passare per prima<br />
l’unità alleata, con grande divertimento sportivo<br />
dei passeggeri statunitensi i quali definirono ben<br />
presto il <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong> come una “piccola città” o, meglio,<br />
una sorta di seconda Brooklyn italo-americana<br />
galleggiante.<br />
Il pomeriggio <strong>del</strong> 22 luglio, infine, le due navi passeggeri<br />
<strong>del</strong>l’Asse entrarono a Lorenço Marques dove<br />
La motonave giapponese Asama Maru, famosa per essere considerata il più bel transatlantico <strong>del</strong>la<br />
marina mercantile nipponica, prese parte alla missione trasportando oltre 800 civili americani<br />
trovarono, splendente nei colori svedesi blu e oro, il<br />
Gripsholm. Mercantili di tutte le nazioni, in guerra e<br />
neutrali, italiani inclusi (il piroscafo Gerusalemme),<br />
erano ormeggiati in quel porto. La più scassata e rugginosa<br />
tra tutte, però, nel ricordo dei presenti, era<br />
senz’altro una vecchia carretta statunitense, casualmente<br />
presente quel giorno.<br />
L’età <strong>del</strong>la nave e lo stato <strong>del</strong>la vernice non impedirono,<br />
tuttavia, al suo equipaggio di sventolare per<br />
l’occasione una bandiera a stelle e strisce extra large<br />
confezionata la notte precedente e di segnalare un<br />
fragoroso benvenuto, fischiato dalla sirena e dalla<br />
gente, oltre a issare un gran pavese d’eccezione per<br />
dare il benvenuto ai propri connazionali, parecchi<br />
dei quali piansero, a quel punto, senza ritegno.<br />
Dopo 24 ore, il successivo scambio avvenne rapidamente:<br />
due lunghe file di passeggeri scesero, rispettivamente,<br />
da poppa e imbarcarono da prora, senza<br />
incrociarsi. I nuovi ospiti giapponesi <strong>del</strong>la nave italiana,<br />
tutti in condizioni decisamente migliori rispetto<br />
ai loro predecessori, si chiusero, a loro volta,<br />
in un assoluto silenzio durante il viaggio di ritorno<br />
oppure tradirono, specialmente quelli provenienti<br />
dall’America latina, un certo rimpianto per il loro<br />
forzato rientro.<br />
Le due navi giunte dall’Oriente imbarcarono in Mozambico<br />
anche 12.000 pacchi ciascuna contenenti<br />
viveri, medicinali e posta confezionati dalla Croce<br />
Rossa e destinati, nominativamente, agli internati<br />
anglo-americani in mano nipponica. La felice consegna<br />
<strong>del</strong> materiale affidato agli italiani fu certificata<br />
personalmente, fino all’ultimo dei colli, dai regi<br />
consoli distaccati in Cina e in Giappone tra il settembre<br />
1942 e il gennaio <strong>del</strong>l’anno successivo.<br />
Quelli presi in carico dai giapponesi arrivarono an-<br />
settembre-ottobre 2012 13
Tra il 1942 e il 1943, in una missione analoga, un gruppo di transatlantici italiani (Vulcania, Saturnia, Duilio e Giulio Cesare trasformati<br />
in Mercy Ships) verrà impiegato per rimpatriare dall’Africa Orientale 30.000 nostri connazionali civili internati dagli inglesi dopo la<br />
caduta <strong>del</strong>l’Impero; nella foto, il Vulcania nel 1942<br />
ch’essi a destinazione, ma non furono mai rimessi ai<br />
destinatari venendo ritrovati intatti, dopo la fine <strong>del</strong>la<br />
guerra, nei campi in quanto gli impegni assunti dal<br />
governo di Tokyo prevedevano l’arrivo dei materiali,<br />
ma non la loro distribuzione. Quest’interpretazione<br />
dei patti costò certamente la vita a più di un internato<br />
o prigioniero anglosassone e l’impiccagione, dopo<br />
il 1946, di almeno tre diplomatici e militari nipponici<br />
coinvolti in quel gioco di parole di dubbio gusto.<br />
Il seguito<br />
Ripartito il 26 luglio 1942 il <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong> arrivò a<br />
Shanghai, dopo due scali a Singapore e in Giappone,<br />
l’8 settembre 1942. Chiesto vanamente dal Governo<br />
di Tokyo nel corso <strong>del</strong> 1943, il transatlantico italiano<br />
fu “militarizzato” quello stesso anno, a scanso<br />
di guai, restando sempre con la bandiera tricolore<br />
<strong>del</strong>la Mercantile al picco (non essendo stato né requisito<br />
dalla Regia Marina né iscritto nei ruoli <strong>del</strong><br />
naviglio ausiliario <strong>del</strong>lo Stato) ed equipaggio interamente<br />
nazionale mentre il comandante Chinca rispolverava,<br />
per l’occasione, il proprio grado di capitano<br />
di corvetta di complemento.<br />
Destinato a una nuova missione umanitaria da perfezionare,<br />
questa volta a Goa, nell’India portoghese, incontrando,<br />
assieme alla nave passeggeri Teia Maru<br />
(alias l’ex transatlantico francese Aramis, sequestrato<br />
senza tanti complimenti dai giapponesi nel 1942), e il<br />
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settembre-ottobre 2012<br />
solito Gripsholm, l’approntamento <strong>del</strong> transatlantico<br />
italiano fu però ostacolato, dopo il 25 luglio 1943, dai<br />
nipponici, anche a costo di rimandare la data <strong>del</strong> nuovo<br />
scambio, fissato originariamente per il 1 settembre<br />
1943 e posticipato, il 24 agosto, a metà ottobre.<br />
Il 9 settembre 1943, infine, alle ore 7.30 <strong>del</strong> mattino,<br />
l’equipaggio <strong>del</strong> transatlantico, obbedendo disciplinatamente<br />
al proprio comandante, quantunque<br />
tutti sapessero bene di andare incontro, nella migliore<br />
<strong>del</strong>le ipotesi, a maltrattamenti d’ogni genere,<br />
incendiò e autoaffondò la propria nave, ora dipinta<br />
con due enormi insegne <strong>del</strong>la Croce Rossa sui due<br />
fianchi. Le altre navi italiane in Cina e in Giappone<br />
fecero lo stesso. I nipponici tentarono subito di recuperare<br />
il transatlantico ribattezzandolo, amministrativamente,<br />
Kotobuki Maru, con l’intenzione di<br />
farne un trasporto truppe. Risollevata dal fondo nel<br />
luglio 1944 la nave fu però nuovamente affondata,<br />
l’8 agosto 1944, da un bombardamento aereo statunitense.<br />
Ridotta a un rottame e sempre con il nome<br />
italiano a poppa, fu rimorchiata in Giappone e demolita,<br />
infine, nel 1951 dopo essere stata restituita,<br />
formalmente, all’Italia.<br />
Non si sfugge al destino e la sorte <strong>del</strong> <strong>Conte</strong> <strong>Verde</strong> era,<br />
evidentemente, quella di una Mercy Ship o, se vogliamo,<br />
di un’unità “militarizzata”, ma non di una<br />
nave ausiliaria d’animo e bandiera diversa da quella<br />
italiana. ■